REGATT 10-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd10.56 31/05/2011 Pagina 4 Regno Bibbia del Pellegrino:Layout 1 20/04/11 Pagina 19.25 1 E DIZIONE DEL P ELLEGRINO quindicinale di attualità e documenti 2011 • Formato tascabile: cm 10x14 10 • Pratica chiusura con elastico • Carta ultra-leggera Attualità € 48,00 • In copertina: croce a rilievo in ottone e oro opera di MARKO IVAN RUPNIK • In apertura e in chiusura: tavole illustrate di MARKO IVAN RUPNIK EDB Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it 290 296 305 315 343 Le Chiese, l’acqua e il nucleare Berlusconi, l’inizio della fine Dombes: il Padre nostro Il governo nella Chiesa antica Studio del Mese La preghiera e il pellegrinaggio Assisi 1986 – 2011. Etchegaray e Fitzgerald Anno LVI - N. 1101 - 15 maggio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 10-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd10.56 31/05/2011 Pagina 4 Regno Bibbia del Pellegrino:Layout 1 20/04/11 Pagina 19.25 1 E DIZIONE DEL P ELLEGRINO quindicinale di attualità e documenti 2011 • Formato tascabile: cm 10x14 10 • Pratica chiusura con elastico • Carta ultra-leggera Attualità € 48,00 • In copertina: croce a rilievo in ottone e oro opera di MARKO IVAN RUPNIK • In apertura e in chiusura: tavole illustrate di MARKO IVAN RUPNIK EDB Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it 290 296 305 315 343 Le Chiese, l’acqua e il nucleare Berlusconi, l’inizio della fine Dombes: il Padre nostro Il governo nella Chiesa antica Studio del Mese La preghiera e il pellegrinaggio Assisi 1986 – 2011. Etchegaray e Fitzgerald Anno LVI - N. 1101 - 15 maggio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGATT 10-2011 cop:REGATT 02-2010 cop.qxd 31/05/2011 19.25 Pagina 2 A LUIGI ACCATTOLI ttualità quindicinale di attualità e documenti Cerco fatti di Vangelo 2 15.5.2011 - n. 10 (1101) Caro lettore, 289 (G. Brunelli) dopo le numerose sollecitazioni del papa sulla necessità di far crescere una nuova generazione di politici cattolici, nei giorni scorsi anche il segretario della CEI, mons. Crociata, incontrando alcuni parlamentari cattolici di diversi schieramenti politici, è tornato sull’argomento. «I cattolici (…) si collocano in tanti campi su “fronti” diversi, perciò hanno bisogno di ritrovare sempre di nuovo le fila di un legame che precede ogni differenziazione» per andare oltre – attraverso il dialogo – «il carattere contingente della scelta politica di schieramento. Contingente vuol dire che nessuna scelta politica può tradurre compiutamente la visione cristiana» anche se «nella scelta politica entra in gioco il discernimento personale e di gruppo». «Riconoscere la presenza di Dio nello spazio pubblico» è conseguenza del «riconoscimento della sua presenza decisiva nella vita dell’uomo». Ciò deve avvenire «senza equivoci integralistici, bensì mantenendo lo statuto secolare autonomo delle realtà terrene». 290 (S. Morandini) R Giovanni Paolo II - Beatificazione { Il cuore moderno di Wojtyla } Chiesa in Italia: il dono dell’acqua { Le Chiese locali e gli stili di vita } 293 (M. Bernardoni) Italia - Nucleare civile: con scienza e democrazia { Intervista a V. Balzani } 297 (G. Brunelli) Italia - Amministrative: all’inizio della fine { Verso l’epilogo del ciclo berlusconiano } 299 (M.E. Gandolfi) Santa Sede - Violenze sessuali: l’urgenza e l’equilibrio { Le linee guida per gli episcopati } 300 (G. B.) Italia: La svolta di Bagnasco 301 (D. S.) Germania - Vescovi e teologi Ricucire l’unità 302 (M. B.) Francia - Generazione GMG È cristiano chi prega 303 (J. Thavis) Santa Sede - Rito tridentino: indietro a piccoli passi { Istruzione applicativa della Summorum pontificum } 305 (D. Segna) Dombes: voi dunque pregate così { Il Padre nostro per la conversione delle Chiese } 306 (D. S.) Europa - Charta Oecumenica Dieci anni: si riparte 308 (M. Bernardoni) Teologia: umano spirituale { L’uomo occidentale tra narcisismo e ricerca di Dio } 310 (L. Pr.) Italia - USMI Percorsi di vita comunitaria 311 (M. Neri) Teologia: l’Europa delle religioni { Tra religione politicizzata e politiche socializzate } Libri del mese 315 (F. Ruggiero) Scrivere per governare { Scritti pastorali nella Chiesa delle origini } 320 Schede (a cura di M.E. Gandolfi) Segnalazioni 331 (M. Lorenzini) A. DALL’ASTA, Alla luce della croce 331 (D. Tettamanzi) G. BATTAGLIA, L’ortodossia in Italia 332 (M.E. G.) ZeBible: scommettere sui giovani 333 (I. Diamanti) E. BERSELLI, L’Italia, nonostante tutto 335 (M.E. Gandolfi) Mediterraneo - Chiese Né calcolo né ingenuità 336 (M.C. Rioli) Sri Lanka - Chiese e riconciliazione Lezioni da apprendere 337 (D. S.) India - Persecuzioni Violenza di stato 338 (D. S.) Australia - Chiesa Rimosso il vescovo Morris 339 (M. Castagnaro) Honduras - Presidenza Lobo Compromesso e la normalizzazione 340 (M. C.) Bolivia - Vescovi Inclusione sociale e laicità aperta 341 (D. Sala) Diario ecumenico 342 (L. Accattoli) Agenda vaticana Studio del mese { Assisi - 27 ottobre 1986-2011 } 343 (G. Brunelli) La preghiera e il pellegrinaggio 345 (a cura di P. Stefani) Vicini l’un l’altro, vicini a Dio 350 (M.L. Fitzgerald) Essere insieme davanti a Dio 356 (P. Stefani) Parole delle religioni Aforismi in dialogo 358 I lettori ci scrivono 359 (L. Accattoli) Io non mi vergogno del Vangelo Quant’era facile la fede e difficile la carità Colophon a p. 357 139 storie italiane «ITINERARI» pp. 232 - € 16,00 # "!! " ! "!!!" " "! " "!!" ! "!" " !" """! ""! !" ! ""! "! " !"""" !" !!""!"" " !" "!"" NELLA STESSA COLLANA GUIDO MOCELLIN Un cristiano piccolo piccolo. Storie di fede in questo tempo Presentazione di Luigi Accattoli www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna pp.120 - € 9,90 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 289_edit:Layout 2 31-05-2011 12:14 Pagina 289 e ditoriale G I O VA N N I PAO L O I I Beatificazione Il cuore moderno di Wojtyla «Il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!». Con queste parole, il 1° maggio scorso, Benedetto XVI ha iniziato la sua omelia davanti a una folla sterminata di fedeli. Nel proclamare beato il suo predecessore, Benedetto XVI evidenzia e sottolinea alcuni tratti della sua figura e della sua opera. Del resto, a distanza di sei anni dalla sua scomparsa l’eredità di quel papa eccezionale e del suo lungo pontificato rimane inevitabilmente aperta. E lo sarà ancora a lungo. Riprendere quelle annotazioni consente forse di cogliere in filigrana il rapporto tra questo pontificato e il precedente. Il nucleo portante del ricordo di Benedetto XVI fissa la questione del rapporto tra la Chiesa e la modernità, del ruolo che la Chiesa può riprendere con maggiore forza e convinzione nella società moderna dopo il pontificato di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI parte ricordando due passaggi del testamento spirituale di Giovanni Paolo II: l’indicazione che il card. Stefan Wyszyński gli diede il giorno della sua elezione: «Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel terzo millennio» e il richiamo al concilio Vaticano II. Dal Vaticano II al terzo millennio. Un tempo e un percorso storico e simbolico fondamentali per una Chiesa che nei due conclavi del 1978 aveva persino dibattuto se retrocedere dal Vaticano II. Questo il passaggio del testamento di Giovanni Paolo citato da Benedetto: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo concilio del XX secolo ci ha elargito. Come vescovo che ha par- tecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno pastore che mi ha permesso di servire questa grandissima causa». E la «causa» è la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato dall’inizio: «“Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile. (…) Ancora più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis». Richiamando quella forte volontà di adesione al Vaticano II, Benedetto la fa propria interamente, in questa chiave teologica e antropologica della riapertura a Cristo della società. Su questo punto Benedetto ritorna allo schema della fedeltà alle decisioni del Vaticano II e per questo delinea un’ermeneutica della continuità per correggere le infedeltà occorse nell’attuazione post-conciliare. Per Giovanni Paolo II la scelta è stata piuttosto quella di riattualizzare e quasi di fare rivivere, attraverso le sue molteplici invenzioni simboliche, il compromesso conciliare. Vi è poi una seconda sottolineatura, in genere messa tra parentesi da molte ricostruzioni «progressiste». Dice Benedetto: «Karol Wojtyla salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è la grande eredità del concilio Vaticano II (...) Giovanni Paolo II ha guidato il popolo di Dio a varcare la soglia del terzo millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare “soglia della speranza”. Sì, attraverso il lungo cammino di preparazione al grande giubileo, egli ha dato al cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro (...). Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di “avvento”, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace». Giovanni Paolo II è stato un papa che non si è lasciato schiacciare dalla forte eredità intransigente della Chiesa cattolica nei confronti del mondo moderno. Essa vive in diverse manifestazioni del suo pontificato, ma è altrettanto evidente la convergenza tra Chiesa e mondo moderno in molti altri passaggi sostanziali (dai diritti umani, al dialogo ecumenico e interreligioso, al giudizio sulle responsabilità storiche della Chiesa, all’atteggiamento nei confronti della democrazia politica ed economica). La critica all’ideologia neo-liberale del progresso e al marxismo non sono un ritorno critico a quella modernità dalla quale sono scaturiti tutti i mali del XIX e del XX secolo. C’è semmai la rivendicazione del contributo proprio, insostituibile del cristianesimo alla modernità e su questa base – come sottolinea Benedetto – la rivendicazione di un nuovo tempo storico per la Chiesa. La sfida è come chiudere quella transizione della Chiesa dall’intransigentismo al cuore moderno del mondo aperta dal Concilio e reinventata, di fronte alle novità della storia, da Giovanni Paolo II. Gianfranco Brunelli IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 289 290-292_acqua:Layout 2 31-05-2011 CHIESA IN 12:14 Pagina 290 I TA L I A i L’ acqua è uno dei grandi doni della creazione, tramite i quali Dio dona la vita alle sue creature»: inizia così il testo – breve, ma denso – col quale la Rete interdiocesana «Nuovi stili di vita» ha lanciato per il tempo di Pasqua 2011 la campagna «Acqua dono di Dio e bene comune» e che è accessibile nel sito web della stessa Rete.1 Una proposta che intende porsi «al di sopra di ogni schieramento politico e ideologico», per invitare ad «adottare stili di vita e comportamenti che tutelino questo prezioso bene comune, garantendone la disponibilità per tutti». È anche un invito rivolto alle diverse Chiese locali, per la costruzione di «percorsi pastorali» miranti alla riscoperta di quella sororità vissuta da Francesco d’Assisi con l’acqua e a un coerente rinnovamento delle proprie pratiche. Si tratta di un’iniziativa caratterizzata da alcuni risvolti di notevole interesse e che merita una considerazione attenta, anche per la particolarità del soggetto che la propone. L’acqua non è merce Il testo prosegue richiamando la rilevanza dell’acqua, sia per la nostra esistenza biologica («noi stessi, come tanti altri esseri viventi, siamo fatti in gran parte d’acqua e dipendiamo dal suo continuo ciclo»), sia per quella dinamica culturale e simbolica di cui vivono anche molte delle fedi dell’umanità. A fronte di tale realtà si evidenzia, d’altra parte, la distribuzione profondamente asimmetrica di tale bene, che ne impedisce un’adeguata fruizione da parte di una 290 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Nuovi temi l dono dell’acqua Le Chiese locali intervengono sugli stili di vita componente importante dell’umanità. «Un quarto della popolazione del pianeta non ha accesso a una quantità minima d’acqua pulita, mentre oltre 2,5 miliardi di persone non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base». È una condizione della quale il testo evidenzia la contraddittorietà rispetto a quella destinazione universale dei beni della terra e con quel diritto universale inalienabile all’acqua cui orientano il Compendio della dottrina sociale della Chiesa (Compendio, nn. 484-485) e l’enciclica Caritas in veritate (CV 27): un «grave problema di giustizia». Proprio perché si tratta di un bene prezioso e dall’accessibilità limitata, la sezione del testo propone alcuni «Stili di vita amici dell’acqua», a partire da alcune indicazioni – semplici, ma non scontate – per un contenimento dei consumi idrici personali e familiari (uso dei riduttori di flusso, doccia piuttosto che bagno in vasca…). Ancor meno scontato il riferimento a quell’acqua occulta che è necessaria per la produzione di numerosi beni e che orienta, ad esempio, a un contenimento dei consumi di carne, realtà decisamente esigente in tal senso. Particolarmente significativo, poi, l’invito a privilegiare l’acqua del rubinetto – quella distribuita dagli acquedotti – rispetto a quella in bottiglia (caratterizzata sempre da un maggior impatto ambientale, sia per i relativi involucri, sia per la necessità di un trasporto che quasi sempre avviene su gomma). Certo si tratta di un’indicazione la cui effettiva praticabilità dipende in modo critico dalla qualità dell’acqua pubblica; proprio per questo il testo segnala, come «parte dell’attività di custodia del creato cui sono chiamati i cristiani», anche la vigilanza affinché essa sia garantita dalle autorità a ciò preposte. L’indicazione appena citata evidenzia già la presenza nel testo di una dimensione politica, che trova chiara esplicitazione nell’indicazione di «Un diritto da tutelare», come recita la sezione successiva. Qui è chiara la presa di posizione contro quelle normative che tendono a ridurre il bene acqua a mera merce, privatizzandolo e affidandone integralmente la gestione al mercato e alla relativa logica del profitto. Al contrario, il testo sottolinea – anche qui appoggiandosi alla dottrina sociale della Chiesa – la necessità di un uso «razionale e solidale» (Compendio, n. 485) di quello che si configura come un vero e proprio bene comune, per il quale è necessaria una gestione comunitaria e partecipativa, che garantisca il diritto all’acqua anche sul piano normativo. Evidente qui il riferimento ai temi dell’appuntamento referendario di giugno, che si fa più diretto nell’invito a «partecipare attivamente» al relativo dibattito, pur evitando di offrire esplicite indicazioni di voto nell’uno o nell’altro senso. Sarebbe francamente riduttivo leggere il testo esclusivamente nella prospettiva dell’attualità politica, specie considerando che la stessa campagna riprende su scala più ampia iniziative già realizzate da numerose diocesi – a partire da quella di Venezia – in tempi assolutamente non sospetti. Sono, però, soprattutto l’incipit e ancor più la conclusione a impedire un tale approccio, 290-292_acqua:Layout 2 31-05-2011 12:15 Pagina 291 per gli espliciti riferimenti biblico-teologici – dal Vangelo di Giovanni all’Apocalisse – che li caratterizzano, conferendo al testo un ampio respiro contemplativo: «Pasqua è tempo di vita nuova, nel quale siamo invitati a partecipare nello Spirito alla vita della nuova creazione. Contempliamo l’acqua nella preghiera personale e comunitaria e nelle pratiche come un segno di quell’amore vivificante che Dio offre a ognuno di noi e alla famiglia umana». Un testo, dunque, che viene a caratterizzarsi come fondamentalmente pastorale, senza per questo rinunciare a intervenire – in forme discrete, ma incisive – nei temi del dibattito pubblico. Varietà di sogget ti Il testo di lancio della campagna porta in calce numerose firme,2 una varietà di livelli di coinvolgimento che si intreccia con una variegata collocazione geografica, a testimoniare di un’attenzione che attraversa trasversalmente realtà ecclesiali importanti. Anche la presentazione della campagna è stata realizzata tramite eventi diversi, realizzati autonomamente dalle singole realtà diocesane, ma caratterizzati anche da alcuni elementi comuni; tra di essi val la pena di segnalare una presenza comparsa in più occasioni: il vescovo cileno Luigi Infanti Della Mora, che nel 2008 aveva scritto la lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana (cf. Regno-att. 20,2008,677). La varietà delle provenienze e la ricerca di convergenze caratterizza, del resto, fin dall’inizio la Rete interdiocesana, che nasce dall’incontro nel 2007 di un piccolo gruppo di soggetti legati prevalentemente a diocesi del Nordest,3 accomunati da un’attenzione per la salvaguardia del creato e il rinnovamento degli stili di vita – la stessa che ha trovato espressione nell’istituzione da parte della CEI del 1° settembre come Giornata per la salvaguardia del creato. Condivisa, in particolare, dai partecipanti la necessità di ripensare in profondità il rapporto con i beni, superando quella «coazione» al consumo che caratterizza le economie tardo-moderne e che contribuisce alla loro realtà asimmetrica e insostenibile. Condivisa soprattutto la convinzione che tale sfida vada affrontata anche in sede pastorale, come questione trasversale, che inter- W. HOMER, West Point, Prout’s Neck, 1900; Williamstown, Clark Art Institute. roga profondamente le modalità dell’azione formativa delle comunità ecclesiali. Il primo scopo è stato, quindi, la messa in comune di esperienze (di preghiera, di approfondimento, di azione concreta…) realizzate in singole diocesi, per comprendere come sia possibile renderle più efficaci e quali siano le relative implicazioni concettuali e teologiche. Ben presto, però, anche altre realtà diocesane chiedono di partecipare agli incontri, nella convinzione che la realtà che viviamo esiga l’elaborazione di percorsi di rinnovamento pastorale. In questa fase è soprattutto tramite un passaparola spontaneo che la Rete si estende, fino a coinvolgere realtà diffuse nell’intero Nord-Italia. La crescita dei numeri e delle distanze rende necessaria una forma più strutturata, con la nomina di un coordinatore, nella persona di Adriano Sella, missionario con una lunga esperienza pastorale e di insegnamento in Brasile, attualmente responsabile della Commissione «Nuovi stili di vita» della Pastorale sociale diocesana di Padova. Anche grazie alla sua opera instancabile, come al suo stile af- fabile e familiare, entrano in contatto con la Rete anche realtà delle regioni centrali, meridionali e delle isole, fino a giungere all’attuale articolazione, con un coordinamento per il Centro-nord (attualmente 31 diocesi, abituale punto d’incontro a Verona), e uno per il Centro-sud (14 diocesi, abituale punto d’incontro a Pescara). Una realtà in crescita, dunque, che proprio per questo sperimenta anche la difficoltà della comunicazione tra realtà diverse e talvolta geograficamente distanti. Ciò può essere legato anche a una presenza delle diocesi nella Rete che si realizza attraverso soggetti diversi: in molti casi è l’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro il soggetto coinvolto, ma in altri sono le Caritas o gli uffici missionari diocesani o gli uffici per la pastorale familiare. Alcuni contesti sono rappresentati da uffici o commissioni ad hoc (è il caso di Venezia, che per prima si è attivata in tal senso), ma fanno parte della Rete anche centri studi come la Fondazione Lanza di Padova o l’Istituto per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato di BolzanoBressanone. È una varietà che testimo- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 291 290-292_acqua:Layout 2 31-05-2011 12:15 Pagina 292 nia soprattutto della trasversalità del tema «stili di vita», che tocca diversi ambiti dell’agire pastorale, ponendosi come momento di sintesi, per un raccordo tra attenzioni differenti. La stessa differenza nei punti di partenza impegna, d’altra parte, a un lavoro di dialogo e di approfondimento, che ha trovato un punto di convergenza nel «decalogo» che la stessa Rete si è data e che nei primi due punti fissa come obiettivi quelli di «far crescere l’amore per il creato e le sue creature a partire dal messaggio biblico» e «stimolare nuovi stili di vita, ricercando insieme percorsi e piste pastorali». C’è insomma l’attenzione per una pratica di cura del creato che si traduca in rinnovamento della spiritualità, ma anche in percorsi concreti per persone e comunità – in sintonia con quanto proposto dalle giornate del creato proposte dalla CEI negli ultimi anni. C’è anche l’esigenza di una più incisiva coniugazione di eco-efficienza ed eco-sufficienza nella vita di persone, famiglie e comunità, tesa a ridurre i consumi di ambiente. Sono istanze che si legano a una domanda di giustizia intrae inter-generazionale, nell’attenzione responsabile per i poveri della terra e per le generazioni future, ma interessa, però, anche la dimensione educativa, come messa in discussione delle forme di vita di una società che rischia di fare del consumo l’unico principio strutturante dei modelli di esistenza condivisi. Lo stesso uso dei beni da parte delle comunità ecclesiali viene spesso richiamato nella sua problematicità, ponendo l’esigenza di un’attenzione più nitida per le dimensioni di sostenibilità ambientale e promozione sociale. Percorsi e campagne Non stupisce, allora, che la ricerca della Rete – quale si è espressa nei seminari e nei convegni da essa realizzati – abbia mobilitato concetti e prospettive diverse, che vanno dal riferimento fondativo alla Scrittura e alla dottrina sociale della Chiesa a categorie più legate all’analisi sociale. Un’attenzione particolare ha ricevuto ad esempio l’elaborazione di nuovi indicatori di benessere – quale viene condotta da autori come Zamagni, Giovannini, Becchetti e Bruni – a indicare la possibilità di un disaccoppiamento tra crescita della qualità 292 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 della vita e consumo di beni. Più di recente stimoli importanti sono venuti dalla considerazione dei beni comuni, anche alla luce della riflessione del premio Nobel per l’economia Elinor Ostrom. Proprio da qui nasce la decisione di elaborare alcune schede web sull’energia (accessibili sul sito della Rete), per segnalare la criticità di un bene determinante per gli stili di vita come per la qualità ambientale. Di qui anche la decisione di attivare la campagna sull’acqua: non più solo un approfondimento condiviso e il coordinamento delle azioni locali, ma un’azione effettivamente comune su un’area specifica, che esprima pubblicamente le convinzioni maturate. Il testo che abbiamo presentato è il frutto di un lavoro a più mani, in parte realizzato via web, in parte in momenti di dibattito in presenza, che ha permesso di far interagire diverse sensibilità, favorendo la sua diffusione in contesti diocesani diversi. La ripresa di categorie della dottrina sociale della Chiesa (penso, in particolare, a quella classica di bene comune) si intreccia qui così col tentativo di coglierne in modo più nitido le implicazione per i comportamenti personali e comunitari – per gli stili di vita – senza trascurare la dimensione politica dei problemi. All’altezza delle sfide Una realtà singolare, dunque, quella di una Rete nata come coordinamento dal basso, per operare in modo più consapevole per l’animazione entro le diocesi. Realtà fondamentalmente pastorale – di quella pastorale «ordinaria» di cui vive la quotidianità delle nostre diocesi – ma capace di esprimersi anche su temi dell’agenda etico-sociale del nostro tempo e di farlo con quel taglio particolare che viene dalla sottolineatura della rilevanza degli stili di vita. Al di là dell’elaborazione di progetti e dell’indicazione di prospettive, infatti, non c’è dubbio che un elemento qualificante del contributo credente alla costruzione di una società equa e sostenibile stia nel mettersi in gioco in prima persona – come persone e come comunità. La riflessione sul significato del consumo e sull’uso dei beni diviene così interrogazione sulla forma di vita che abitiamo, per farsi stimolo al dialogo e alla ricerca di percorsi condivisi. La qualità della sequela di Gesù Cristo si gioca oggi anche su questo versante, apparentemente così feriale, ma in realtà denso di potenzialità educative e testimoniali. Certo neppure mancano le sfide aperte, per una realtà che deve essere attenta a mantenere e approfondire l’incisività della propria ispirazione nel momento in cui si espande l’area e il numero dei soggetti coinvolti. Occorre accogliere e valorizzare la novità di chi magari appena inizia a lavorare su un tema complesso e delicato, costruendo al contempo percorsi e categorie incisivi e articolati per elaborare in modo non semplicistico l’azione pastorale nella società dei consumi. Occorre mantenere un rapporto maturo e positivo – di reciproco stimolo – con le altre realtà che operano in ambiti a essa prossimi, a partire dal gruppo «Custodia del creato» dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI. Occorre sviluppare uno sguardo criticamente incisivo, ma anche duttile nel valutare i segni del tempo, per rispondervi con azioni pastorali significative e meditate. Se saprà essere all’altezza di tali sfide la Rete potrà contribuire in modo stimolante al vissuto ecclesiale e civile nel nostro paese; la stessa campagna sull’acqua guarda in tal senso, col suo intreccio di riferimenti alla dimensione spirituale, a quella etica e a quella politica del tema, senza che l’uno assorba in sé gli altri. Simone Morandini * * Coordinatore del progetto «Etica, filosofia e teologia» della Fondazione Lanza di Padova e docente di Teologia della creazione presso la Facoltà teologica del Triveneto e l’Istituto di studi ecumenici San Bernardino. 1 Http://reteinterdiocesana.wordpress.com. 2 Le firme di 25 diocesi: Acerenza, Agrigento, Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, Belluno-Feltre, Bolzano-Bressanone, Brescia, Campobasso-Bojano, Carpi, Como, ConcordiaPordenone, Cuneo, Fossano, Fano, LancianoOrtona, Massa Marittima-Piombino, MolfettaRuvo-Giovinazzo-Terlizzi, Padova, Parma, Pescara-Penne, Pistoia, Reggio Emilia-Guastalla, Senigallia, Termoli-Larino, Treviso, Venezia, Vicenza. Figurano invece come aderenti singoli uffici pastorali delle diocesi di Andria, FaenzaModigliana, Fidenza, Milano, Verona, Rimini, Trento, Vittorio Veneto, cui si sono aggiunte in questa prima metà di maggio Taranto, UgentoS.M. di Leuca, Porto-S. Rufina, Velletri-Segni, Forlì-Bertinoro. 3 Bolzano, Padova, Trento, Venezia, Verona oltre alla lombarda Brescia. 293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 Pagina 293 Nucleare civile I TA L I A c on scienza e democrazia L’ I n t e r v i s t a a V. B a l z a n i s u l l e d e c i s i o n i del nostro futuro energetico 3 maggio 2011. appuntamento è fissato nel suo ufficio al Dipartimento di chimica «G. Ciamician» dell’Università di Bologna. Mi attende il professor Vincenzo Balzani, docente ordinario di Chimica generale dal 1972, ora emerito dopo una vita dedicata all’insegnamento e alla ricerca nei laboratori dello stesso dipartimento. Curriculum ricchissimo tra esperienze di studio, collaborazioni di ricerca, partecipazione ad associazioni scientifiche, riconoscimenti di vario genere (compresa una laurea honoris causa e la nomina a grand’ufficiale della Repubblica italiana per meriti scientifici). Tutto questo nascosto da una grande semplicità, un tratto schivo, quasi modesto come l’ufficio in cui mi riceve; occorre uno sforzo per ricordare che – con oltre 550 pubblicazioni scientifiche – è ancora oggi tra i 100 chimici più citati al mondo. Nel suo piccolo gruppo di lavoro – dedicato a fare ricerca negli ambiti della fotochimica, della chimica supramolecolare, delle macchine molecolari e delle nanotecnologie – si respira aria di famiglia. Balzani è da sempre interessato al tema dell’energia (nel 2008 ha pubblicato per Zanichelli, insieme a Nicola Armaroli, il libro Energia per l’astronave Terra); è coordinatore di un appello rivolto al governo su «Le scelte energetiche per il futuro dell’Italia» (www.energiaperilfuturo.it). Divulgatore infaticabile, sullo schermo del computer le slides di una conferenza tenuta la sera prima. Me le mostra e inizia la nostra intervista. A pochi giorni dal previsto referendum sul nucleare si parte dall’attualità. Dopo Fukushima non ci possiamo fidare – Prof. Balzani, che cosa ci insegna l’incidente nucleare giapponese a 25 anni da quello di Chernobyl? «Anzitutto, che la sicurezza assoluta non esiste mai; ma per il nucleare non si tratta di un tema da poco. Aumentare la sicurezza degli impianti nucleari significa moltiplicare i controlli, tutti molto costosi. Di solito i costi per la sicurezza di una tecnologia diminuiscono col tempo. Col nucleare no: i controlli rimangono costosi e nel tempo sono destinati ad aumentare di numero, sia per l’invecchiamento degli impianti sia per le crescenti richieste di sicurezza. Poi ci insegna che un incidente nucleare, se è un incidente grave, riguarda comunque tutto il mondo. L’aria, infatti, è globalizzata e se le sostanze radioattive vanno a finire nell’aria – come è successo a Chernobyl – qualcun altro ne farà le spese in modo imprevedibile (dipende dai venti, dalle piogge, ecc.). Una terza lezione, che già sapevamo, è che non c’è trasparenza nella gestione di tali emergenze. Non ci viene mai detta la verità, non sappiamo mai esattamente cosa succede. Le notizie filtrano solo se gli incidenti sono gravi, altrimenti non se ne sa nulla. La TEPCO – proprietaria della centrale di Fukushima – era già stata costretta a chiudere nel 2001 alcuni reattori risultati fuori norma. Insomma, non è mai possibile fidarsi fino in fondo». – La sicurezza non è il solo, e forse nemmeno il maggiore, dei problemi. Quali sono le altre questioni in gioco nello sviluppo del nucleare? «Iniziamo dal problema economico. Nei paesi a libero mercato, dove è la gente a investire e decidere, il nucleare non è competitivo. L’agenzia Moody’s abbassa di regola il rating di una compagnia elettrica che investe nel nucleare. La Citigroup ha recentemente dichiarato che partire oggi col nucleare non è economicamente sostenibile per uno stato. Gli Stati Uniti, che hanno 110 centrali attive, affermano di voler rilanciare il nucleare, almeno a parole. Le ultime due amministrazioni, Bush e Obama, hanno creato condizioni molto favorevoli alle società elettriche affinché investissero, ma nonostante questo il nucleare non è ancora ripartito. Che l’energia nucleare sia in forte sviluppo in tutto il mondo non è affatto vero. Il parco impianti è molto datato e nei prossimi dieci anni le centrali che entreranno in funzione saranno molte meno di quelle che dovranno essere spente per ragioni di età. La quota nucleare di potenza elettrica installata in Europa è scesa dal 24% nel 1995 al 16% nel 2008. Nel 2000, ben prima di Fukushima, la Germania aveva già deciso di chiudere progressivamente le sue centrali senza costruirne di nuove. Lo scorso 19 marzo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, concludendo un forum a Cernobbio, ha detto che il nucleare ha influssi benefici sul PIL soltanto se il calcolo – come di fatto accade – non tiene conto dei costi di decommissioning, ovvero di quanto costerà la gestione delle scorie, la sicurezza e lo smantellamento degli impianti a fine vita. Se si ricalcola il PIL dei paesi che hanno il nucleare considerando anche tali costi, ci si accorge che molti stati con un PIL supe- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 293 293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 Pagina 294 In alto: Chernobyl. In basso: Fukushima. riore all’Italia stanno in realtà peggio di noi. Infatti, il debito di uno stato è composto di tre parti: il debito pubblico, il debito privato e, per i paesi che utilizzano l’energia nucleare, anche il “debito atomico”. Tremonti stesso, dunque, conferma che partire oggi col nucleare non è sensato». – Diverso è il caso di chi il nucleare ce lo ha già. «Se una nazione ha già delle centrali che funzionano, come la Germania o gli Stati Uniti, allora il discorso è diverso, perché tanto i problemi ci sono già tutti: conviene quindi sfruttare al massimo la tecnologia. Ma questo non è il caso dell’Italia dove, peraltro, non siamo all’altezza di realizzare grandi opere in tempi brevi, e le centrali nucleari lo sono. Ci viene detto che saranno realizzate in 4-6 anni; ma in questi tempi noi facciamo fatica a costruire una scuola o un ospedale. Le faccio un esempio recente. La ditta francese Areva, la stessa che dovrebbe fornire all’ENEL i reattori per l’Italia, ha venduto nel 2005 un reattore in Finlandia. Il contratto prevedeva di realizzarlo in 4 anni per un costo totale di 3 miliardi di euro. Trascorsi 4 anni, si sono accorti di essere in ritardo di almeno tre anni e mezzo. I costi, intanto, erano aumentati da 3 a 5,3 miliardi. Un successivo controllo delle autorità di sicurezza ha imposto nuove modifiche che hanno ancora aggravato i costi e allungato i tempi. Oggi, 7 anni dopo l’inizio dei lavori, il reattore non è ancora terminato. Il nucleare è famoso per questo: nessun preventivo è mai reale; il costo e i tempi aumentano sempre e in maniera imprevedibile». – Ci dicono che il nucleare è necessario, perché in Italia non ci sarebbe abbastanza energia elettrica. «La verità è che attualmente, con le centrali già installate (a petrolio, a gas, idroelettriche ecc.), abbiamo a disposizione una potenza di circa 110 GW, quando al massimo ne utilizziamo – a luglio, con tutti i condizionatori accesi – soltanto la metà. Oggi molte di queste centrali sono spente, ma disponibili. Dunque, non è vero che rischiamo un black-out per deficit di potenza elettrica. Piuttosto, in un mercato in cui c’è un eccesso di potenza disponibile, se si aggiunge un’altra fonte energetica dev’essere competitiva. Ma come può esserlo il nucleare coi costi che abbiamo visto? Infatti, 294 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 l’ENEL procederà col nucleare solo ricevendo garanzie dal governo che tutta l’energia prodotta verrà utilizzata e pagata a prezzo remunerativo. Questa non è competizione, ma regime di privilegio; a queste condizioni il nucleare non entra affatto in un libero mercato. Che senso ha tutto questo economicamente?». Dall’uranio alle scorie: costi e pericoli – Veniamo a un’altra questione importante: il combustibile. «Fare le centrali non basta. Serve l’uranio per farle funzionare. Ma in Italia non ne abbiano nemmeno un grammo. Sul sito del ministero dello Sviluppo economico si legge che il nucleare garantirà “l’indipendenza energetica, mentre l’Italia ora importa l’83% dell’energia consumata, spesso da aree geopolitiche instabili ed esposte a rischi”. Si tratta di una solenne bugia. Saremo, infatti, costretti a importare l’uranio esattamente come oggi importiamo il petrolio. Quindi non sarebbe un passo verso l’indipendenza energetica; caso mai verso la diversificazione delle fonti di energia. Anziché comprare petrolio dalla Libia, compreremo uranio da chi ce lo vende e anche questo non è senza problemi. Chi ha l’uranio? Canada, Australia, Kazakistan, Niger… nessuno in Europa ce l’ha. Per averlo a condizioni favorevoli la Francia ha in pratica “ricolonizzato” il Niger. L’uranio non è più “innocente” del petrolio. Si dice che noi lo compreremo dal Canada, una nazione attendibile. Ma chi garantisce che le condizioni non cambieranno in futuro? Inoltre, non solo non abbiamo la materia prima, non abbiamo neppure la filiera per raffinarla: l’uranio, infatti, va lavorato, purificato, arricchito. Noi dovremo comprare il prodotto “finito”. L’uranio è una risorsa limitata e concentrata in pochissime zone, come il petrolio. In caso di forte sviluppo del nucleare, sarebbe disponibile per un periodo di tempo molto limitato, più breve della vita media di una centrale che entri in funzione fra 10 anni. Come oggi si fanno le guerre per il petrolio, domani non è difficile prevedere quelle per l’uranio». – Entrare nel nucleare ha costi elevati. Uscirne? «Se entrare è difficile, uscirne è praticamente impossibile. Facciamo due conti. Occorrono da 3 a 5 anni per individuare un sito. Una decina d’anni per fare la centrale (in un paese efficiente come Germania o Stati Uniti). La centrale deve funzionare 50-60 anni per essere remunerativa. A questo punto siamo già a 65-70 anni, che significa tramandare i problemi non più ai figli, ma ai nipoti. Ma non è finita. Dopo il periodo di servizio la centrale, che invecchia e si usura, va spenta e smantellata. Smantellare una centrale, lo capite bene, è un’impresa piuttosto difficile, perché tutto il materiale è radioattivo. Di solito si rimanda l’operazione. In Inghilterra, ad esempio, dopo aver spento una centrale si aspetta che siano trascorsi 100 anni, affinché la radioattività sia in parte decaduta. A quel punto il problema è di qualcun altro». – In un dépliant dell’ENEL che pubblicizza il nucleare è scritto che il sito di una centrale spenta può essere completamente ripristinato e trasformato in un giardino (green field). Si sostiene, inoltre, che i «rifiuti» (così definiti) verranno «inviati a depositi». Dove sono tali depositi per «rifiuti» nucleari? «A tale proposito è interessante il caso di una piccola centrale americana, quella di Yankee Rowe. È stata smantellata in dieci anni (nel 2000) e sul sito è stato ef- 293-295_nucleare:Layout 2 31-05-2011 15:28 fettivamente realizzato un giardino. Ma a quali costi? Impiantata per 39 milioni di dollari nel 1960, lo smantellamento è durato 10 anni ed è costato 508 milioni di dollari. Un giardino un po’ costoso, direi. Sono questi i costi, di cui parlava Tremonti, che non vengono mai presi in considerazione quando si parla del nucleare. Il problema è che non possiamo sapere esattamente prima quanto ci costerà… motivo per cui non ha senso fare paragoni oggi con il costo di altre forme di energia. A Yankee Rowe, inoltre, c’è una sorpresa. Basta spostarsi di 500 metri e, nascosti da un boschetto, si trovano 43 giganteschi contenitori in cemento contenenti il combustile “spento” e parti del reattore. Il problema è stato solo spostato di pochi metri. Si tratta di materiale radioattivo di cui deve occuparsi il governo (per una legge dell’amministrazione Bush) e che non si sa dove mettere». – Siamo così entrati nella terza grande questione dopo quelle dei costi e del combustibile: il problema delle scorie e dei depositi «permanenti». «Il problema dello stoccaggio e della messa in sicurezza delle scorie nucleari appare oggi tanto insormontabile quanto lontano da una possibile soluzione. Per gli Stati Uniti, che producono continuamente scorie, il problema è particolarmente urgente. Ma l’unico deposito permanente che era in costruzione, quello di Yucca Mountain nel Nevada, è stato abbandonato nel 2009 dopo aver speso invano circa 10 miliardi di dollari. Nessuno, infatti, è stato in grado di garantire che le scorie, una volta messe in questo deposito, sarebbero state al sicuro per tempi compresi tra i 10.000 e i 100.000 anni. Nel frattempo, le scorie si accumulano in siti superficiali vicino alle centrali, come a Yankee Rowe. I nuclearisti sostengono che le scorie si possono riciclare. In effetti, è una possibilità, ma è costosissima (in Francia lo fanno). Non solo. Il processo di riciclo aumenta la proliferazione di armi nucleari, perché produce altre sostanze radioattive – in particolare il plutonio-239 – che si utilizzano per fabbricare le armi. Non è un problema da poco, basti pensare alla vicenda iraniana: la stessa tecnologia permette di produrre l’elettricità e di fare le bombe. Se aumentano nel mondo i paesi che sviluppano il nucleare, il rischio che oggi corriamo con l’Iran non potrà che moltiplicarsi». Pagina 295 Efficienza energetica e fonti rinnovabili – Come si risolve allora il problema energetico? «Le alternative ai combustibili fossili che stanno finendo sono due: il nucleare, da un lato; l’energia solare e le fonti rinnovabili (geotermica, eolica, idroelettrica), dall’altro. Il nucleare è un’energia che richiede conoscenze e tecnologia non banali, dunque rimarrà una risorsa nelle mani di pochi paesi ricchi a cui gli altri, meno sviluppati, dovranno affidarsi. Ma questo significa che, in un mondo già attraversato da fortissime disuguaglianze, si andrà verso nuove forme di colonizzazione e dipendenza dei paesi meno sviluppati. Il problema energetico va risolto, perché è urgente. Ma va risolto in modo democratico, quindi non col nucleare. Anzitutto col risparmio e l’efficienza. Le risorse del pianeta sono limitate, vanno utilizzate meglio e si deve risparmiare energia. Le quattro centrali previste nel piano del governo produrranno appena il 14% del fabbisogno di energia elettrica, pari a un modesto 3,2% del fabbisogno energetico del paese. Ridurre il consumo di elettricità del 14% è alla portata di qualsiasi piano di risparmio ed efficienza energetica, a costi infinitamente inferiori e senza i danni che porterà l’energia nucleare. La crisi energetica si può realmente risolvere, tenendo conto che sull’“astronave Terra” dobbiamo starci tutti e possibilmente dobbiamo starci in pace, solo individuando e sviluppando una fonte di energia che sia abbondante, inesauribile, ben distribuita, non pericolosa per l’uomo e per il pianeta (né oggi, né in futuro), capace di favorire lo sviluppo economico, di colmare le disuguaglianze e favorire la pace. Sembrerebbe un sogno, ma basta dare un’occhiata all’energia solare per accorgersi che ha tutte queste caratteristiche. L’Italia non ha petrolio, non ha carbone, non ha uranio, ma ha un sacco di sole: usiamolo e usiamolo bene. Possibile che oggi sia utilizzato di più e meglio in Alto Adige che in Sicilia?». La Chiesa dovrebbe esprimersi – Due questioni per concludere. Anzitutto, l’opuscolo Energia per il futuro allegato a diversi settimanali diocesani nel quale si voleva far credere, in modo ingannevole, che la Chiesa cattolica avesse preso ufficialmente posizione a favore dell’uso civile dell’energia nucleare. La seconda, il tentativo del governo di sospendere il referendum sul nucleare per evitare una possibile, clamorosa bocciatura. In entrambi i casi viene sottratta, alla comunità ecclesiale e ai cittadini, la possibilità di un serio dibattito sul tema dell’energia per poter esprimere un consenso informato e responsabile. «Sulla prima questione, insieme a un gruppo di professori universitari e scienziati cattolici, abbiamo scritto una lettera aperta denunciando il fatto, lettera che la vostra rivista ha pubblicato (cf. Regno-att. 12,2010,429). In essa chiedevamo che l’istituzione ecclesiastica facesse chiarezza sull’episodio e auspicavamo che su un tema così delicato venisse data ai fedeli la possibilità di un’informazione “competente e non viziata da slogan pubblicitari”. Purtroppo, alla nostra iniziativa non è seguita alcuna risposta, né alcuna presa di distanza ufficiale. Come cattolico sono convinto che la Chiesa dovrebbe prendere posizione su un tema così importante. Dovrebbe farlo se non altro perché le scelte sul futuro sviluppo energetico coinvolgono questioni delicate come la democrazia, l’ingiustizia sociale, gli armamenti e la pace. Nel caso del referendum si tratta invece di una mossa politica che ha di mira l’astensione, così da far fallire anche gli altri referendum. Inoltre, dopo l’incidente di Fukushima, sono molto aumentate le possibilità di una bocciatura del programma di sviluppo energetico, che il governo vuole evitare. Il presidente del Consiglio ha dichiarato apertamente che l’annullamento del referendum non corrisponderebbe a una rinuncia al nucleare, ma a una semplice moratoria. Come scienziati chiediamo da tempo al governo che, prima di prendere decisioni sulla questione energetica, venga aperto un tavolo di lavoro per sentire anche il nostro parere. Per ora non siamo stati ascoltati. Sentiamo l’urgenza di dire alla gente che la crisi energetica c’è ed è una cosa seria; di dire che bisogna cambiare le abitudini, risparmiare e non sprecare energia. Infine, di dire a tutti che il problema energetico non si risolverà col nucleare, ma investendo le nostre risorse economiche e intellettuali nello sviluppo dell’energia solare e rinnovabile». a cura di Marco Bernardoni IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 295 296-298_berlusconi+:Layout 2 POLITICA 31-05-2011 IN 17:32 Pagina 296 Elezioni amministrative I TA L I A a ll’inizio della fine Ve r s o l ’ e p i l o g o d e l c i c l o b e r l u s c o n i a n o P erde Berlusconi. Vince l’antiberlusconismo. La sconfitta politica, oltre che elettorale, di Berlusconi, nelle amministrative del 15 e 16 maggio – ulteriormente aggravata dall’esito dei ballottaggi del 29 e 30 – è a tutto tondo. Con Berlusconi perde naturalmente il Popolo della libertà (PDL); e il suo principale alleato: la Lega Nord di Bossi. Anzi, tra il primo e il secondo turno si è come creata un’attesa di vittoria nei confronti di Berlusconi, soprattutto nelle principali città del Nord (in particolare Milano), che ha trascinato il risultato dei ballottaggi. Del resto Berlusconi è stato il centro della politica nazionale di un ciclo quasi ventennale così che ogni pronunciamento elettorale, anche al di là della sua abilità nel personalizzare e centrare su di sé il confronto/scontro politico, lo ha visto protagonista. Difficile dire se il paese si trovi nuovamente di fronte a un ciclo di cambiamento, come è accaduto all’inizio degli anni Novanta. Queste elezioni da sole non bastano per dare una risposta corretta. Su un piano sistemico, la ristrutturazione del formato politico, avviata allora dai cambiamenti internazionali del 1989, è in gran parte naufragata. Il ciclo delle riforme istituzionali (fatta salva la legge elettorale per i comuni, la quale ha dato buoni risultati anche in questa occasione), per incompletezza, arretramenti e restaurazioni dei vecchi modelli elettorali (con al seguito i regolamenti parlamentari) è sostanzialmente fallito. Così come la risposta dei soggetti politici. La fuga in 296 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 avanti dal bipolarismo al bipartitismo (berlusconian-veltroniano) si è velocemente consumata tra il 2008 e il 2010. Tra la sconfitta del modello di alleanze del Partito democratico (PD) nelle politiche del 2008 e la scomposizione del PDL nel 2010. Un modello di democrazia di tipo competitivo e governante è lungi dall’essere realizzato. E la gran parte delle forze politiche (dalle estreme del campo del centro-sinistra, al PD, alla neo-formazione di Casini, Fini e Rutelli, alla Lega a parti del PDL) militano per un ritorno al proporzionale che fotografi i loro attuali rapporti di forza nelle diverse aree del paese per autoconservare sé stesse. Berlusconi ha dato un contributo decisivo a questo fallimento. Si tratta dello sviluppo più illiberale delle politiche che egli ha abbozzato. Berlusconi ha ragionato in termini esclusivamente personali, così come il PD in termini esclusivamente oligarchici. Queste elezioni segnalano certamente l’avvio dell’epilogo della sua vicenda politica. La diminuizione di consensi al PDL e contemporaneamente alla Lega segnalano una perdita molto forte da parte dell’attuale alleanza di governo di capacità rappresentativa della realtà del paese, soprattutto al Nord. Berlusconi non è più in sintonia con quella parte dei ceti sociali che hanno costituito sin qui il suo blocco politico-elettorale. È come se non avesse più nulla di credibile da dire. La sua immagine è logora. Il suo linguaggio ripetitivo. Avere abbandonato le grandi questioni generali del paese per il precipitato dello scontro tutto personale con la magistratura non ha rappresentato una strategia politica. I suoi interessi non interpellano più le ragioni di molti. E le sue ragioni in questo schema si trasformano velocemente in torti. La presa di distanza di una parte del suo blocco elettorale e la crescita dell’antiberlusconismo hanno prodotto un risultato inatteso. Certamente nelle dimensioni. Fine del bipar titismo Seguendo le elaborazioni effettuate dall’Istituto Cattaneo di Bologna sul voto del 2011 nelle 13 maggiori città in cui si è votato,1 si possono condurre alcune osservazioni. Naturalmente il tema dei confronti con le precedenti comunali risulta metodologicamente corretto, ma politicamente problematico per la diversità dei soggetti in campo. Il ragionamento si rovescia sulle regionali del 2010. Il centro-destra nel suo insieme perde rispetto alle comunali del 2006 il 6% dei voti (– 56.000). Al Nord, il calo è maggiore: 16,6% (– 83.000); e in Emilia Romagna raggiunge il 13,6% (– 14.000). Positivo nelle città del Sud, ma non tale da riequilibrare il risultato complessivo. Stessa dinamica se il confronto avviene con le regionali. All’interno dell’alleanza naturalmente il saldo complessivo si distribuisce in maniera disomogenea tra i diversi soggetti. Il PDL, rispetto ai voti raccolti nelle comunali del 2006 (allora Forza Italia + Alleanza nazionale), perde 197.000 voti (– 24%), di questi 116.000 solo al Nord. Analogo trend anche rispetto alle regionali. Le perdite del PDL vanno in 296-298_berlusconi+:Layout 2 31-05-2011 parte alla Lega nel confronto con le comunali. Ma non così con le regionali, rispetto alle quali la Lega perde il 16% (– 25.000 voti), nonostante la crescita in Emilia Romagna, trainata anche dal candidato sindaco a Bologna. Molto consistente è stato il successo delle liste civiche del centro-destra, di impronta localistica e legate al candidato sindaco, attraverso le quali il centro-destra recupera 62.000 voti sulle comunali precedenti. Il centro-sinistra nel suo insieme perde 175.000 voti (– 14,4%) nel confronto con le comunali. Si tratta di una perdita contenuta al Nord (– 15.000 voti), più marcata in Emilia Romagna (– 24.000) e particolarmente significativa al Centro-sud (– 135.000) con una forte concentrazione su Napoli. Ma il confronto con le regionali offre elementi di conforto al campo del centrosinistra con un recupero di 66.000 voti (+ 6,8%). Il PD perde 111.000 voti (– 16,2%) rispetto ai consensi raccolti nel 2006 dai Democratici di sinistra (DS) e Margherita. Anche in questo caso la differenza territoriale è significativa. L’avanzamento al Nord di 11.000 voti (+ 3,5%) è dovuto in gran parte al risultato milanese, mentre perde 25.000 voti (– 16,9%) in Emilia Romagna. E ancor di più al Centro-sud: – 97.000 voti (in gran parte concentrati a Napoli). Il miglioramento rispetto alle regionali è degno di nota (+ 39.000 voti), attutito dalla tenuta in Emilia Romagna (– 1%) e dal calo al Centro-sud. Il complesso della sinistra radicale (Sinistra, ecologia e libertà [SEL] e Federazione della sinistra [FDS]) registra spostamenti significativi là dove ha imposto al centro-sinistra il proprio candidato (Milano): perde rispetto alle comunali e recupera rispetto alle regionali, con un avanzamento in Emilia Romagna (+ 11.500). L’Italia dei valori (IDV) ottiene un buon risultato rispetto alle precedenti comunali (+ 36.500 voti), ma ne perde 62.000 rispetto alle regionali (il punto più alto della sua affermazione). Il saldo negativo è soprattutto al Nord. Mentre la candidatura De Magistris ha fatto il risultato napoletano. L’UDC ha perso 28.500 voti (– 25,4%) con insuccessi marcati al Nord e in Emilia Romagna e un avan- 17:32 Pagina 297 zamento del 10% al Sud. Il partito di Casini tiene rispetto alle regionali (– 1,4%) grazie alla compensazione del Sud. Il Movimento 5 stelle-Beppe Grillo raccoglie i consensi di 93.000 elettori in 11 città delle 13 principali, battendo sempre – annotata l’Istituto Cattaneo – l’UDC al Nord e in Emilia, aumentando di 26.000 voti i suoi consensi rispetto alle regionali. Uno sguardo ai flussi elettorali nelle quattro grandi città di Torino, Milano, Bologna e Napoli (cf. tabelle qui sotto e a p. 298) mostra nel caso del PDL un indebolimento generalizzato del «contenitore», con perdite in molte direzioni. Mentre nell’interscambio con la Lega, a differenza delle ultime politiche, la Lega non guadagna. Il risultato positivo del PD al Nord è ottenuto a spese dell’IDV a Torino e a Milano. Nelle stesse città si mobilita un flusso di voti proveniente da elettori che si erano astenuti nel 2010. A Torino viene in soccorso al PD anche una quota di voti dalla sinistra radicale e dalla Lega. Una coalizione in crisi e un campo aper to La sconfitta berlusconiana presenta da subito una rinnovata difficoltà nel rapporto con la Lega. Bossi sa che uscire dalla coalizione significa aprire una crisi al buio, e andare con ogni probabilità alle elezioni senza tuttavia avere portato nulla di significativo al proprio potenziale elettorato. La conferma dell’alleanza con Berlusconi si presenta come costrittiva e competitiva. La Lega avverte che anche il ciclo politico di Bossi sta per giungere al termine, non solo quello berlusconiano. Ma è meglio affrontare questo pro- COMUNE DI TORINO Saldi finali (% su elettori) 2010 (regionali) 2011 (comunali) Differenza Movimento 5 stelle Sinistra Idv Pd Udc –Terzo polo Pdl Lega Destra Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste Altri Non voto Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo COMUNE DI MILANO Saldi finali (% su elettori) 2010 (regionali) 2011 (comunali) Differenza Movimento 5 stelle Sinistra radicale Idv Pd Udc –Terzo polo Pdl Lega Destra Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste Altri Non voto Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 297 296-298_berlusconi+:Layout 2 31-05-2011 17:32 blema stando al governo. I problemi del PDL, da questo punto di vista, sono maggiori. È del tutto illusorio immaginare di preordinare il dopo Berlusconi senza Berlusconi. La navigazione berlusconiana si annuncia complessa, tra problemi personali, aggravamento della situazione complessiva del paese, rischio di perdita della maggioranza e necessaria (dal suo punto di vista) rifondazione del partito. Ciononostante il centro-destra è dentro una figura di coalizione precisa, è ancora al governo e ha un leader (seppur malandato). Il centro-sinistra non è ancora una coalizione. È un campo di forze. Le elezioni dicono di una potenzialità di vittoria di questo campo, ma non come organizzare queste forze e secondo quale schema coalitivo. Il che significa con quale proposta politica per il paese. Tutto questo è ancora da fare. Pagina 298 Il PD esce rinfrancato da queste elezioni, ma anche con la consapevolezza che da solo non va da nessuna parte. La sua misura è quella del Partito comunista (PCI). Un secondo elemento riguarda il convincimento che le elezioni primarie, quando sono vere (Milano, Torino e Cagliari), forniscono un modello di selezione dei candidati e di partecipazione di grande vantaggio. Al contrario, quando esse sono finte o truccate (Bologna e Napoli) fanno rischiare il partito o lo mettono in ginocchio. Rimane poi aperto il modello di relazioni con le altre forze: IDV, SEL e FDS. Forze legate alla sinistra radicale (SEL e FDS) o a una cultura protestatario-populistica (IDV). Le due variabili di Milano e Napoli presentano non pochi problemi alla costruzione di una alleanza in grado di governare. Milano è attesa alla prova. Napoli è un caso COMUNE DI BOLOGNA Saldi finali (% su elettori) 2010 (regionali) 2011 (comunali) Differenza Movimento 5 stelle Sinistra Idv Pd Udc –Aldrovandi Pdl Lega nord Destra Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste Altri Non voto Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo COMUNE DI NAPOLI Saldi finali (% su elettori) 2010 (regionali) 2011 (comunali) Movimento 5 stelle Sinistra Idv Pd Udc –Terzo polo Pdl Destra Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste De Magistris Pasquino Altri Non voto Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo 298 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Differenza dubbio. Su un piano politico poi, qui De Magistris ha dapprima sconfitto il PD, poi ne ha rifiutato ogni collegamento di lista. Il rapporto con Casini e il Terzo polo si annuncia complesso. Il solo antiberlusconismo può consentire un breve tragitto comune. Del resto si tratta di una categoria certamente più debole di quella antifascista (per azzardare un’analogia), e soprattutto destinata a indebolirsi simbolicamente a mano a mano che Berlusconi si indebolisce politicamente. Senza Berlusconi, il Terzo polo, che esce da queste elezioni senza alcuna prospettiva significativa di crescita elettorale, non avrebbe alcuna difficoltà a rientrare velocemente in una alleanza di centrodestra. Ritrovare uno schema anche vagamente ulivista (non certo l’Unione), l’unico che abbia prodotto risultati di coalizione, significherebbe riprendere la strada delle riforme elettorali di tipo uninominale-maggioritario. Il solo modello attualmente escluso dal dibattito del PD. Esso rimetterebbe in gioco l’identità democratica di un partito tale solo di nome, favorendo una fuoriuscita definitiva dallo schema oligarchico che attualmente lo regge. Per questo Bersani, che è innanzitutto il segretario del partito, non chiede le elezioni. Aspetta che Berlusconi si logori da solo. Così facendo, soprattutto se davvero ci trovassimo di fronte a un nuovo ciclo politico caratterizzato da volontà di movimento dell’elettorato, si finirebbe con non fornire una rappresentazione adeguata delle forze del cambiamento e col favorire le forze estreme del campo del centro-sinistra. Le elezioni rimangono l’unica strada di rappresentazione democratica del cambiamento potenziale. L’unico strumento per incanalare e dare forma politica a un ciclo di protesta. Inseguire la chimera del governo di unità nazionale rappresenta, in fondo, l’esito finale del berlusconismo: l’uscita dalla transizione riconoscendo il fallimento di un intero ceto politico. Gianfranco Brunelli 1 Le 13 citta sono: Torino, Novara, Milano, Trieste, Bologna, Ravenna, Rimini, Latina, Napoli, Salerno, Catanzaro, Reggio Calabria, Cagliari. 299-301_pedofilia:Layout 2 31-05-2011 S A N TA S E D E 12:16 Pagina 299 Violenze sessuali l’ urgenza e l’equilibrio Pubblicate le linee guida per gli episcopati D ue sono le novità principali contenute nella Lettera circolare della Congregazione per la dottrina della fede per aiutare le conferenze episcopali nel preparare linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici, inviata ai presidenti delle conferenze episcopali il 3 maggio e resa nota il 16: i tempi e l’equilibrio. I primi riguardano la forma, il secondo il contenuto; entrambi sono segno eloquente di una preoccupazione che sta a cuore a questo pontificato. Quanto ai tempi, nella lettera d’accompagnamento a firma del prefetto card. Levada viene detto, garbatamente ma senza giri di parole, che entro maggio 2012 tutte le conferenze episcopali dovranno dotarsi di proprie linee guida (o anche di norme vincolanti, previa recognitio della Santa Sede) o rivederle se già esistenti, alla luce dei criteri indicati dalla Congregazione. Annunciate nel luglio 2010 tra le righe della nota di presentazione di p. Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, delle nuove norme riguardanti i cosiddetti delicta graviora (Regno-doc.15,2010,457; qui 459), le linee guida dovranno in questo breve lasso di tempo contribuire a ispirare codici di condotta nazionali per tutte – e non sono poche – le conferenze episcopali che ne sono prive, a fronte di altre che se ne sono dotate per tempo, come Austria, Canada, Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Stati Uniti, Svizzera. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, un anno fa proprio da queste pagine mons. Versaldi, vescovo di Alessandria (Regno-att. 8,2010,227), dichiarava l’esistenza di un documento su cui i vescovi stavano lavorando, ipotesi poi smentita dalla CEI. Al contrario, nella prolusione all’assemblea dei vescovi apertasi a Roma il 23 maggio, il card. Bagnasco ha confermato che «da oltre un anno, su mandato della Presidenza della CEI, è al lavoro un gruppo interdisciplinare di esperti proprio con l’obiettivo di tradurre per il nostro paese le indicazioni provenienti dalla Congregazione». Il testo che la CEI pubblicherà sarà, quindi, una risposta non solo all’invito della Congregazione o una reazione ai recenti fatti di cronaca – l’incarcerazione del parroco di Sestri Ponente il 14 maggio, don Riccardo Seppia – che hanno colpito in maniera eclatante la diocesi del presidente dei vescovi italiani (e prima di lui, dei cardd. Bertone, Tettamanzi, Canestri e Siri, quest’ultimo ancora in carica all’epoca dell’ordinazione del sacerdote ora in carcere). La variabile tempo è significativa anche sotto un altro aspetto. L’anno quasi intero che è trascorso dall’annuncio delle linee guida a oggi – ha detto p. Lombardi durante la conferenza stampa di presentazione – è servito a costruire un «consenso» attorno al documento da parte di tutti gli organismi di curia che, oltre alla Congregazione per la dottrina della fede, sono interessati: possiamo ipotizzare le congregazioni dei vescovi, dell’evangelizzazione dei popoli, del clero, della vita consacrata e dell’educazione cattolica. Ciò significa che il testo che leggiamo oggi (sul prossimo numero di Regno-doc.) è una sorta di comune denominatore a cui nessuno può sottrarsi nel trattare i casi di pedofilia, eliminando i margini di discrezionalità che diversamente erano emersi in questi anni con la pubblicazione di alcune lettere a firma di respon- sabili di organismi vaticani, inviate a singoli vescovi. Le vit time al primo posto La seconda novità – l’equilibrio complessivo – riguarda più specificatamente il contenuto. Le linee guida, infatti, presentano per la prima volta una ben precisa gerarchia dei soggetti che sono coinvolti. Innanzitutto le vittime (cf. anche l’editoriale «Dio nelle vittime», in Regno-att. 10,2010, 289). La I parte del testo, che tratta degli Aspetti generali, chiede, al punto a, al primo punto a che «la Chiesa» sia «pronta ad ascoltare le vittime e i loro familiari» e s’impegni «per la loro assistenza spirituale e psicologica». L’esempio è quello dato dal papa nella Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda, dove accorato dice: «avete sofferto tremendamente… nulla può cancellare il male che avete sopportato» (Regno-doc. 7,2010,193); un tono di compartecipazione che Benedetto ha manifestato anche quando ha incontrato più volte nei suoi viaggi gruppi di vittime. Compare per la prima volta – punto b – l’idea che è possibile avere «ambienti sicuri» in cui far vivere i giovani e i minori in particolare, solo se si attua una positiva azione di prevenzione, tramite specifici «programmi educativi» per «aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici a riconoscere i segni dell’abuso sessuale e ad adottare misure adeguate». Un’azione necessaria ed esemplare anche per altri ambienti di vita giovanili: infatti, i programmi adottati da alcune Chiese locali sono poi stati riconosciuti come «modelli» validi per combattere «l’abuso sessuale nei confronti di minori nelle società odierne». Questo implica l’idea, esplicitata IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 299 299-301_pedofilia:Layout 2 31-05-2011 12:16 nel testo, che l’attenzione vada rivolta non solo ai sacerdoti ma a tutto il personale che opera nel contesto ecclesiastico. Il compito è impegnativo, non solo e non tanto per il fatto che potrebbe portare un ulteriore carico a una pastorale ordinaria già oberata di compiti e povera di risorse umane; ma quanto per la sensibilità di un’opinione pubblica più propensa all’indignazione allorché i media portano alla luce un nuovo «mostro» che ad attrezzarsi in maniera preventiva. Il secondo soggetto che è preso in considerazione è il sacerdote (punti b, c della parte I e d, e, h della III), rispetto sia alla formazione primaria e permanente in generale, sia all’eventuale momento in cui venisse incolpato. Sulla formazione si ribadisce il già noto, cioè che occorre fare in modo che i seminaristi «apprezzino la castità e il celibato e le responsabilità della paternità spirituale da parte del chierico» e approfondiscano «la conoscenza della disciplina della Chiesa sull’argomento», lasciando libero il campo a «indicazioni più specifiche», come quelle proposte, ad esempio, dal rapporto commissionato dai vescovi statunitensi al John Jay Institute su The Causes and Context of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests in the United States, 1950-2010, reso noto a un paio di giorni (il 18 maggio) di distanza dal documento vaticano.1 Sul piano invece delle garanzie relative alla figura del sacerdote accusato, le linee guida della Congregazione ribadiscono la necessità del «rispetto dei diritti di tutte le parti»; di difendere la «presunzione d’innocenza»; di consentire a chi viene accusato di difendersi davanti al vescovo ancor prima che il caso venga deferito al Vaticano; l’opportunità che al chierico sotto indagine sia assicurato un «sostentamento giusto e degno»; e quella, se l’indagine arrivasse a stabilire una denuncia falsa, di «riabilitare la buona fama del chierico che sia stato accusato ingiustamente». L’equilibrio è qui dato dal fatto che, per quanto il crimine sia deprecabile, non dev’essere lasciato spazio a nessuna forma di giustizialismo. L’umiliazione e l’umiltà Il terzo soggetto la cui funzione viene fortemente riequilibrata dalle linee guida è il vescovo. Esse, infatti, ribadiscono «che la responsabilità nel trattare i delitti di abuso sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al vescovo dioce- 300 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Pagina 300 sano» (Conclusione), a parziale correzione della sua messa in secondo piano a favore della centralizzazione della materia presso la Congregazione per la dottrina della fede, con l’avvento delle norme del 2001, che segnarono tuttavia una svolta positiva nella presa in carico del problema da parte della Santa Sede. Così recita la II parte delle linee guida: «la responsabilità nel trattare i casi di I TA L I A La svolta di Bagnasco N on sono solo le parole «sgomento» e «vergogna» pronunciate dal card. Bagnasco il 14 maggio, dopo l’arresto per pedofilia di un parroco della propria diocesi, a rendere davvero apprezzabile il suo intervento. Ma il fatto che egli quelle parole le abbia pronunciate celebrando immediatamente nella chiesa di cui era titolare l’arrestato, di fronte a una comunità sbigottita e a persone «eventualmente colpite» dai comportamenti «indegni» del sacerdote. Sono lo stile pastorale adottato di fronte alla comunità religiosa e civile e l’immediatezza con la quale è stato rimosso il prete arrestato che comunicano un profilo pastorale nuovo di fronte a vicende così drammatiche. Bagnasco ha avuto il merito di capire che quella vicenda, capitata proprio nella sua diocesi, rappresentava simbolicamente qualcosa di più di un singolo caso locale malauguratamente occorso a lui in quanto vescovo. La sua autorità episcopale chiamata in causa e il suo ruolo di presidente della CEI gli conferivano una maggiore e decisiva responsabilità. Qui era in gioco la Chiesa italiana. Qui bisognava rovesciare lo schema di un riserbo ecclesiastico erroneo che umilia le vittime e trasmette la terribile immagine di una concezione castale dell’istituzione. Qui bisognava aiutare la comunità cattolica, quella di Genova e quella italiana, a prendere coscienza di un grave problema, presente nel paese più di quanto sin qui non sia emerso. E farlo lì dove il dramma si era consumato. Trasmettendo consapevolezza, responsabilità e vicinanza. G. B. abuso sessuale nei confronti di minori spetta in un primo momento ai vescovi o ai superiori maggiori. Se l’accusa appare verosimile (…) devono condurre un’indagine preliminare. (…) Se l’accusa è ritenuta credibile, si richiede che il caso venga deferito alla Congregazione per la dottrina della fede. Una volta studiato il caso, la Congregazione per la dottrina della fede indicherà al vescovo o al superiore maggiore i passi ulteriori da compiere. Al contempo, la Congregazione per la dottrina della fede offrirà una guida per assicurare le misure appropriate». Il vescovo (o il superiore) decide inoltre eventuali «misure precauzionali» da intraprendere sin dagli inizi dell’indagine. L’azione del vescovo diventa ancor più decisiva nel delicato e, soprattutto, variegato rapporto con le diverse legislazioni civili in vigore nelle singole diocesi: «Va sempre dato seguito alle prescrizioni delle leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale» (punto e, parte I): qui si mantiene una formulazione sufficientemente generica in modo da comprendere i casi di legislazioni in cui i vescovi hanno l’obbligo di denuncia, quelli in cui non lo hanno e quelli in cui vi sono ragionevoli rischi che la denuncia venga strumentalizzata da regimi politici interessati a screditare il soggetto ecclesiale. Il testo tace invece sul caso (non remoto) del vescovo riluttante ad applicare la normativa della relativa conferenza episcopale e pertanto sul peso specifico di questa rispetto alla potestà dell’ordinario locale. Infine l’autorità episcopale viene ulteriormente ribadita (punto f, parte III) anche per quanto riguarda «gli organi consultivi di sorveglianza e di discernimento dei singoli casi, previsti in qualche luogo», i quali «non devono sostituire il discernimento e la potestas regiminis dei singoli vescovi». Questo è sicuramente il punto delle linee guida più foriero di domande, visto che la pur breve storia di questi avvenimenti insegna che se non vi fossero stati questi organismi, solitamente composti e presieduti da laici, alcuni episcopati non avrebbero affrontato in maniera sistematica ed efficace i casi di pedofilia. Talvolta, poi, le frizioni tra corpo episcopale e organismi laicali hanno messo in luce resistenze e riluttanze che hanno rallentato la risposta della Chiesa: nel solo 299-301_pedofilia:Layout 2 31-05-2011 mese di maggio hanno minacciato le dimissioni Ana Maria Catanzaro, presidente del Review Board della diocesi di Philadelphia (cf. anche Regno-att. 6,2011,159) e Ian Elliott, presidente della commissione nazionale irlandese, solo per citare due casi recenti. Se il presidente della Commissione dei vescovi cattolici statunitensi per la protezione dei bambini e dei giovani, mons. Blase Cupich, vescovo di Spokane, afferma che uno dei dieci punti essenziali per impedire il ripetersi delle violenze è la correzione di un’«idea distorta del sacerdozio», ovvero «il clericalismo» da lui definito una «forma di elitismo» e «una diretta violazione della dignità umana» 12:16 Pagina 301 (America 30.5.2011,15), occorre forse porsi la domanda sull’efficacia di una funzione episcopale che prescinda dal ruolo di laici competenti. La crisi causata dalla pedofilia, oltre al fatto in sé, ha messo in luce alcune insufficienze. Le soluzioni concrete, pastorali, hanno nei fatti dato una risposta che qualcuno ha interpretato come una via aperta verso possibili riforme nella vita della Chiesa. Le linee guida riequilibrano e riordinano positivamente la materia all’interno del quadro giuridico esistente. Per mons. Cupich questo potrebbe non essere sufficiente. Occorre «da parte dei vescovi un atteggiamento di profonda umiltà, quella che porta ad ammettere che avevamo bisogno dell’aiuto» di altri. Gli uni degli altri. Maria Elisabetta Gandolfi 1 Il J. Jay Institute di diritto penale dell’Università di New York ha pubblicato nel 2004 un analogo rapporto intitolato: The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests and Deacons in the United States. 1950-2002; cf. Regnoatt. 6,2004,166. La sintesi e le raccomandazioni dell’attuale rapporto saranno pubblicate su Regno-doc. Tra i numerosi spunti d’interesse vi è quello relativo al perché di un tale crimine. Il Rapporto risponde che tra i sacerdoti colpevoli sono pochi i pedofili veri e propri. Per gli altri si è trattato di una concomitanza di tre fattori: stress, solitudine e dipendenza dall’alcool, a cui si è aggiunto il non aver frequentato in seminario corsi di formazione specifici al celibato proprio nel momento in cui avvenivano a livello sociale forti cambiamenti. Germania Ve scov i e te o l o g i Ricucire l’unità C om’era nei programmi, l’Assemblea plenaria primaverile della Conferenza episcopale tedesca (Paderborn, 14-17 marzo 2011) ha elaborato il programma che da qui al 2015 strutturerà il processo di dialogo fortemente richiesto dall’opinione pubblica ecclesiale, dopo che lo scandalo delle violenze sessuali su minori da parte di preti e religiosi aveva provocato una grave crisi di credibilità dell’istituzione-Chiesa.1 I vescovi hanno elaborato una lettera alle comunità, intitolata Credere nell’oggi, in cui descrivono lo svolgimento del processo, e il 22 aprile hanno reso noti i nomi dei responsabili dei due progetti già annunciati in precedenza su «Sacerdoti e laici nella Chiesa» e «Presenza della Chiesa nella società e nello stato». Dopo mesi di polemiche e contrapposizioni, la sfida è ricostruire un clima positivo, e non solo perché in settembre avrà luogo la terza visita in patria di Benedetto XVI,2 ma in quanto l’unità della Chiesa cattolica tedesca è seriamente a rischio. Let tera alle comunità La lettera alle comunità ribadisce senza reticenze che il dialogo tra le diverse componenti della Chiesa in Germania è indispensabile, e anzi «per certi versi i momenti di crisi sono momenti di grazia particolari» in cui si ritorna all’essenziale. Riconosce che dietro alle critiche vi è una preoccupazione legittima per il futuro della Chiesa in Germania: anche se occorre affrancarsi da una certa «emozionalità», il momento di fermarsi tutti insieme per riflettere e parlarsi non è rinviabile. «Noi – scrivono i vescovi – vediamo il reale pericolo di dividerci a tal punto nella nostra Chiesa da rompere i ponti e perdere l’unità. Dalle barricate sappiamo che ci si parla male». Non è prevista la creazione di nuovi organismi, bensì l’utilizzo dei luoghi di incontro e dialogo che sono già presenti in ciascuna diocesi. Ogni anno sarà dedicato a un tema centrale, sul quale la Conferenza episcopale organizzerà anche un evento nazionale. Questi i temi: «Credere nell’oggi: dove siamo?» (Mannheim, 8-9 luglio 2011); «La nostra responsabilità nella società libera» (tema della diaconia della Chiesa, 2012); «Adorare Dio oggi» (la liturgia, 2013); «Testimoniare la fede nel mondo di oggi» (2014); conclusione e celebrazione del giubileo del concilio Vaticano II. I due progetti di lavoro congiunti tra Conferenza episcopale e Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK, che raccoglie e rappresenta le associazioni laicali) su «Sacerdoti e laici nella Chiesa» e «Presenza della Chiesa nella società e nello stato» saranno coordinati rispettivamente da mons. F.-J. Bode (vescovo di Osnabrück), mons. W. Bischof (Monaco-Frisinga), T. Roddey per la Conferenza episcopale e da C. Lücking-Michel (vicepresidente ZDK), A. Lob (preside dell’Università cattolica di Eichstätt) e H.-G. Hunstig (portavoce); e per il secondo gruppo da mons. F.-J. Overbeck (Essen), mons. A. Losinger (Augsburg) e M. Meyer per i vescovi e dal presidente del ZDK A. Glück, M. Heimbach Stein dell’Università di Münster ed E. Welskop-Deffaa del Ministero federale per le donne, gli anziani e i giovani. Anche i grandi eventi come la visita del papa, il Congresso eucaristico nazionale a Colonia nel 2013 e i Katholikentag del 2012 e del 2014 saranno inclusi nel processo di dialogo. Equilibri e limiti I vescovi non precludono alcun contenuto al confronto, tuttavia sembrano preoccupati di mantenere un equilibrio di pesi e contrappesi tra le due posizioni di chi considera necessaria una riforma strutturale della Chiesa e chi invece ritiene che la crisi nasca da una debolezza spirituale, cui occorre reagire con una purificazione interiore. «È sempre più chiaro: è ormai essenziale per la fede cristiana in Dio acquistare sostanza e profilo soprattutto davanti a un nuovo ateismo a volte aggressivo. Dobbiamo anche interrogarci sulla forma di testimonianza pubblica della Chiesa in una società che sta diventando laica. Si tratta di pensare a come la nostra partecipazione alla sacra liturgia può diventare più spirituale e quindi più accogliente per quanti sono in ricerca o interessati alla fede. Molto per il futuro della Chiesa nel nostro paese sarà determinato dal fatto che tra di noi, e specialmente per i giovani, ci siano cristiani disposti e capaci di attrarre le persone al Vangelo con mitezza e fiducia». Di tutto si potrà parlare, anche se il terreno di gioco presenta in questo preciso frangente storico dei confini abbastanza chiari, che vengono qui solo allusi: «È naturale che cerchiamo le risposte alle questioni attuali, sulla base della rivelazione e dell’insegnamento della Chiesa, perché è l’unico modo per rimanere nella verità della nostra fede e nella comunità della Chiesa mondiale. Questo non ci impedisce di parlare con responsabilità teologica e spirituale dei problemi seri, ma ci pone dei limiti rispetto a decisioni vincolanti». Intanto il processo è iniziato. D. S. 1 Cf. Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,181. Il programma della visita del papa in Germania dal 22 al 5 settembre è stato reso noto contestualmente a quello del dialogo, il 17 settembre. Prevede tappe a Berlino, Erfurt (dove avverrà una celebrazione ecumenica e l’incontro con la comunità evangelica) e Freiburg (dove il papa incontrerà la comunità ortodossa). Cf. il sito ufficiale www.papst-in-deutschland.de. A Berlino si svolgerà un incontro con il presidente tedesco Christian Wulff. 2 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 301 302_francia:Layout 2 31-05-2011 12:18 Pagina 302 Francia Generazione GMG nale per l’evangelizzazione dei giovani e per le vocazioni (SNEJV) e da La Croix. L’inchiesta è stata realizzata nei primi due mesi dell’anno attraverso un questionario cui hanno risposto oltre 3.200 giovani fra i 16 e i 30 anni. I risultati sono stati pubblicati su La Croix il 23 marzo 2011. Spiritualità più che valori È cristiano chi prega È una generazione decisamente “contemplattiva” quella che si appresta a invadere Madrid». Una generazione ancora «legata ai riti e all’insegnamento della Chiesa»; cristiani impegnati nella vita ecclesiale, aperti al dialogo interreligioso, che abitano una «Chiesa di rete» (Église de réseau) in cui «la volatilità è divenuta la norma». I loro modelli? Tutti religiosi: madre Teresa, suor Emmanuelle e Giovanni Paolo II. Sono questi alcuni dei tratti emersi da un’inchiesta sui giovani cattolici in Francia commissionata, a pochi mesi dalla Giornata mondiale della gioventù, dal Servizio nazio- Il quadro non è privo di sorprese, anche se l’inchiesta ha intercettato soprattutto «la frangia più impegnata dei giovani cattolici» (La Croix). Un primo dato rilevante è l’importanza attribuita alla dimensione spirituale e celebrativa, alla messa in particolare. «Questa generazione si definisce per il suo attaccamento alla spiritualità e ai sacramenti, e non per riferimento a un insieme di valori morali». Il cristiano è soprattutto colui che «prega e pensa a Dio» (15%), «è battezzato» (15%), «va regolarmente a messa» (11%) e «testimonia la sua fede» (11%). La partecipazione all’eucaristia è «essenziale» per il 59% dei giovani intervistati; «molto importante» o «importante», per un altro 36%. Oltre il 72% di loro afferma di partecipare all’eucaristia settimanale; il 63% di pregare quotidianamente e il 24% di leggere la Bibbia ogni giorno. La parrocchia resta un luogo «importante» nella vita di fede (42%), anche se la si riscopre soprattutto dopo i 25 anni e non di rado in se- Per voi, un cattolico, è qualcuno che…* 6 Frequenta movimenti cattolici Va regolarmente a messa Fa conoscere la fede Vive l’ideale del Vangelo S’impegna nei movimenti umanitari o per i diritti umani Rispetta le raccomandazioni morali della Chiesa Prega, pensa a Dio Ha una situazione familiare stabile Aiuta coloro che sono nel bisogno intorno a lui È battezzato Altro 11 11 10 4 9 15 6 10 15 2 * era possibile dare una sola risposta Chi vi ha trasmesso la fede in Dio? I miei genitori I miei nonni Un prete o un religioso Gli scout La cappellania Un amico Una nuova comunità Un altro movimento ecclesiale Un insegnante cattolico Un altro membro della mia famiglia Altro 302 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 88 40 37 35 26 17 15 11 9 9 8 guito a un periodo di allontanamento. Il vincolo territoriale, invece, si è molto indebolito; «molti navigano ormai da una parrocchia all’altra, secondo le loro affinità, le loro attese». Altra sorpresa è la tenuta delle cappellanie (istituzioni di pastorale giovanile, frequentate dal 42% degli intervistati), che venivano considerate in declino. Anche i movimenti scout si confermano tra i luoghi più importanti di esperienza della fede. Il 10% dei giovani cattolici frequenta regolarmente un movimento ecclesiale; il 12% fa parte di una delle «nuove comunità» di rinnovamento carismatico. La fede si riceve ancora in famiglia, dai genitori (88%) e dai nonni (40%). I riferimenti per il cammino successivo, più che gli animatori delle realtà ecclesiali (10%), sono le figure d’autorità – «un prete» (62%) o «il papa» (53%) –, oppure gli amici (51%), o i parenti (47%). Nessuna paura del dialogo «Avida di pellegrinaggi e di ritiri, questa generazione non è ripiegata su se stessa: una buona metà dei giovani assume un impegno nella Chiesa». Non solo. L’impegno sociale più ampio è considerato «molto importante» (36%), o «essenziale» (34%). Oltre il 55% è impegnato almeno in un’attività di solidarietà, «percentuale ben superiore alla media nazionale». La coerenza tra fede e vita è un’esigenza molto forte. Il cristiano deve testimoniare la sua fede nella quotidianità secondo il 91% dei giovani cattolici. Nessuna paura del confronto e del dialogo con le altre religioni: oltre l’80% si dichiara disponibile a dialogare, soprattutto con l’islam (86%) e l’ebraismo (84%), religioni con le quali sono cresciuti. La Chiesa dovrebbe preoccuparsi, a loro giudizio, di promuovere nella società «lo spazio della spiritualità» (47%) e di «difendere la vita» (44%). Un terzo dei giovani la vorrebbe «più conviviale», un «luogo di maturazione e aiuto reciproco». Dalla Chiesa si attendono «chiarimenti sui fatti d’attualità e sulle grandi sfide della società» (33%), «accompagnamento nelle scelte della vita» (33%), tempi e spazi d’iniziazione alla vita spirituale e alla preghiera (32%). Poco sentite, invece, alcune richieste ancora molto diffuse nelle generazioni precedenti: appena il 16% ritiene che la Chiesa debba ammorbidire la rigidità delle sue posizioni di morale sessuale; la questione dell’ordinazione degli uomini sposati e delle donne è importante solo per il 13% degli intervistati; stessa percentuale per la richiesta di un minor peso della gerarchia nelle decisioni. Significativo un altro dato. «Il 42% degli intervistati dichiara qualche difficoltà a vivere la fede nel mondo attuale, segno di uno scarto sofferto da molti fra i giovani cattolici». M. B. 303-304_liturgia:Layout 2 31-05-2011 12:18 S A N TA S E D E U i na nuova istruzione vaticana fa appello ai vescovi e ai pastori delle Chiese locali perché rispondano generosamente ai cattolici che chiedono la celebrazione della messa secondo il Messale romano del 1962, comunemente noto come Rito tridentino. L’istruzione Universae Ecclesiae, resa pubblica il 13 maggio scorso, dice che i pastori devono approvare tali messe per gruppi di fedeli, anche nel caso in cui tali gruppi siano poco numerosi o formati da persone provenienti da parrocchie o da diocesi differenti. Questi fedeli non possono, tuttavia, contestare la validità della messa celebrata secondo il Messale del 1970 o l’autorità del papa. Nessun contesti «Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza», si legge al n. 17, § 1. L’istruzione dice anche che, sulla base delle esigenze pastorali, i vescovi devono assicurarsi che i seminaristi siano adeguatamente formati alla celebrazione del Rito tridentino, ovvero della «forma extraordinaria» della messa. Dal canto suo, il documento afferma che la Pontificia commissione Ecclesia Dei avrà l’incarico di garantire che i responsabili a livello di Chiese locali rendano possibile il vecchio rito, laddove la richiesta è legittima. L’istruzione è stata emanata dalla stessa Pontificia commissione Ecclesia Pagina 303 Rito tridentino ndietro a piccoli passi Istruzione applicativa della Summorum pontificum Dei e approvata da papa Benedetto XVI. Giunge a quasi quattro anni di distanza da quando il papa, con la lettera apostolica Summorum pontificum, aveva liberalizzato l’uso del Rito tridentino, affermando che tale celebrazione era possibile in ogni parrocchia in cui un gruppo di fedeli l’avesse richiesta (cf. Regno-doc. 15,2007,457ss). La nuova istruzione ricorda che la lettera del papa del 2007 aveva tre finalità principali: offrire il vecchio rito a tutti i fedeli in quanto «tesoro prezioso da conservare», garantire l’uso del vecchio rito a «quanti lo domandano» e favorire la riconciliazione nella Chiesa (cf. n. 8). Dice inoltre che i vescovi locali hanno la responsabilità di garantire che, in materia liturgica, le cose si svolgano nelle loro diocesi in accordo con la mens espressa dal papa e «in pace e serenità» (n. 13), il che comprende l’adozione delle misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito romano (cf. n. 14). Nella terza parte, «Norme specifiche», l’istruzione si occupa di alcune questioni sorte allorché alcuni gruppi di fedeli hanno domandato che in una determinata chiesa fosse programmata la celebrazione della messa secondo il vecchio rito. Prima questione: la lettera del papa aveva stabilito che poteva legittimamente richiedere la celebrazione secondo il Rito tridentino un «coetus fidelium» (gruppo di fedeli) «stabiliter existens» (esistente in maniera stabile; cf. Summorum pontificum, art. 5, § 1). Le norme spiegano che tali gruppi possono anche es- sere «numericamente meno consistenti» (n. 17, § 2), possono essersi formati dopo la pubblicazione del motu proprio del 2007 e possono essere costituiti da cattolici che provengano da diverse parrocchie o diocesi che desiderano riunirsi in una determinata chiesa parrocchiale o cappella (cf. n. 15). Seconda questione: nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale con alcuni fedeli e intenda celebrare nella forma extraordinaria, il parroco deve dargli il permesso (cf. n. 16). Terza questione: le norme precisano che la celebrazione secondo il Rito è possibile anche nei santuari e nei luoghi di pellegrinaggio per i gruppi di pellegrini che lo richiedano, se c’è un sacerdote idoneo (cf. n. 18). Quarta e ultima questione: i fedeli che richiedono la celebrazione secondo il Rito tridentino non devono sostenere o appartenere a gruppi che contestano il papa o la validità della messa e dei sacramenti celebrati nella forma ordinaria, dicono le nuove norme (cf. n. 19). Il direttore della Sala stampa della Santa Sede, il gesuita p. Federico Lombardi, ha dichiarato che per come l’istruzione è scritta è chiaro che «non deve esistere alcun intento polemico o critico da parte di coloro che richiedono» la celebrazione della messa nella forma extraordinaria. La conoscenza del latino L’istruzione affronta anche la questione di chi può celebrare secondo il Rito tridentino. La lettera papale del 2007 affermava che i sacerdoti che utilizzano il IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 303 303-304_liturgia:Layout 2 31-05-2011 12:18 Messale romano del 1962 devono essere «idonei» a farlo, ma non esplicitava i requisiti. Il nuovo documento dichiara che ogni sacerdote cattolico che non sia impedito è da ritenersi idoneo a celebrare la messa nella forma extraordinaria. E aggiunge che è necessaria una conoscenza basilare del latino, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato. Quanto alla conoscenza dello svolgimento del rito, precisa che si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare secondo il Rito tridentino, e che l’hanno già celebrato in precedenza. P. Lombardi ha dichiarato che imparare o re-imparare le rubriche del vecchio rito potrebbe essere «impegnativo». Ad esempio, ha aggiunto, «personalmente non avrei problemi rispetto al latino. Ma conoscere tutte le rubriche che indicano i movimenti e i gesti specifici è qualcosa di molto più complesso». L’istruzione stabilisce che la Pontificia commissione Ecclesia Dei è incaricata di vigilare sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni che permettono l’uso del vecchio rito (cf. n. 9), e che ha il potere di decidere dei ricorsi da parte di gruppi di fedeli «avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’ordinario che sembri contrario» al motu proprio Summorum pontificum. Le decisioni della Commissione possono, a loro volta, essere impugnate presso il Supremo tribunale della Segnatura apostolica (cf. n. 10). Va ricordato che il presidente della Pontificia commissione Ecclesia Dei è il card. W.J. Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e firmatario dell’istruzione. Da ultimo, l’istruzione contiene alcune altre disposizioni. Un gruppo di fedeli può celebrare il Triduo pasquale nella forma extraordinaria se c’è un sacerdote idoneo. Nel rendere a tal fine disponibile una chiesa o un oratorio, il pastore locale non deve escludere la possibilità di celebrare le funzioni del Triduo nella stessa chiesa, sia nella forma ordinaria sia nella forma extraordinaria (cf. n. 33). Potranno e dovranno essere inseriti nel Messale del 1962 nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi; la normativa in proposito verrà indicata in seguito (cf. n. 25). Ogni sacerdote ha la facoltà di celebrare la messa secondo il Rito tridentino sine populo, cioè senza la partecipazione dei fedeli 304 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Pagina 304 (cf. n. 23). Le messe per il conferimento dell’ordinazione sacerdotale devono sempre essere celebrate secondo la forma ordinaria, tranne quando riguardano il ristretto novero degli istituti religiosi specificamente dedicati alla forma extraordinaria del Rito romano (cf. n. 31). L’istruzione dichiara che l’uso del Rito tridentino potrebbe comportare anche delle deroghe rispetto alle norme liturgiche attualmente in vigore che fossero «incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962» (n. 28). Ma non esplicita di quali deroghe si parla. Interpellato sulla possibilità che a una celebrazione del Rito tridentino prestino servizio come ministranti delle ragazze, p. Lombardi ha detto che l’istruzione non si occupa in modo specifico di tale questione. Koch: riformare la riforma In merito alla decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’uso del Messale romano del 1962, il massimo responsabile vaticano per le relazioni ecumeniche ha dichiarato che si è trattato solo del primo passo in direzione di una «riforma della riforma» della liturgia. A lungo termine, l’obiettivo del papa non è semplicemente permettere la coesistenza del vecchio e del nuovo rito, ma andare verso un «rito comune», modellato sulla base del mutuo arricchimento delle due forme dell’uso del Rito romano: lo ha affermato il 14 maggio il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Di fatto, il papa sta promuovendo un nuovo movimento liturgico, ha spiegato il cardinale. Coloro che lo rifiutano, compresi «molti progressisti» di «rigido conservatismo», considerano erroneamente il concilio Vaticano II come una rottura con la tradizione liturgica della Chiesa. Il card. Koch ha espresso queste osservazioni nel corso di un convegno svoltosi a Roma, presso l’Angelicum, sulla lettera apostolica Summorum pontificum; il suo intervento è stato pubblicato il giorno stesso su L’Osservatore romano. Egli ha affermato che Benedetto XVI è dell’avviso che la riforma liturgica postconciliare abbia portato «molti frutti positivi», ma anche dei problemi, tra cui quello di essersi troppo soffermati sugli aspetti puramente pratici e di aver trascurato nella celebrazione eucaristica il concetto di mistero pasquale. È lecito chiedersi, a detta del cardinale, se «negli sviluppi liturgici del dopo Concilio si sia andati intenzionalmente oltre» le affermazioni della costituzione sulla sacra liturgia. Ciò spiega, secondo il card. Koch, perché Benedetto XVI ha avviato con la Summorum pontificum un nuovo movimento di riforma, il cui scopo è rivisitare l’insegnamento liturgico del Vaticano II e rafforzarne determinati elementi, tra cui la dimensione cristologica e sacrificale della messa. «Di questo nuovo movimento liturgico il motu proprio costituisce solo l’inizio», ha proseguito Koch. «Benedetto XVI infatti sa bene che, a lungo termine, non possiamo fermarci a una coesistenza tra la forma ordinaria e la forma straordinaria del Rito romano, ma che la Chiesa avrà nuovamente bisogno nel futuro di un rito comune. Tuttavia, poiché una nuova riforma liturgica non può essere decisa a tavolino, ma richiede un processo di crescita e di purificazione, il papa per il momento sottolinea soprattutto che le due forme dell’uso del Rito romano possono e devono arricchirsi a vicenda». Il card. Koch ha concluso che coloro che «rifiutano il postulato» di un nuovo movimento liturgico e lo vedono come «un passo indietro rispetto al Vaticano II» mancano di una retta concezione dei cambiamenti liturgici postconciliari. Come ha sottolineato il papa, il Vaticano II non ha rappresentato una discontinuità o una rottura con la Tradizione ma è parte di «un processo organico di crescita». L’ultimo giorno del convegno, domenica 15 maggio, i partecipanti hanno assistito a una messa nella basilica di San Pietro presieduta dal card. W. Brandmüller. La celebrazione, secondo la forma extraordinaria del Rito romano, si è svolta, per la prima volta da parecchi decenni, all’Altare della Cattedra. John Thavis* * Questo articolo è la traduzione dall’inglese di due «Top Stories» che l’autore, capo della redazione romana del Catholic News Service, ha pubblicato sul sito web della sua agenzia (www.catholicnews.com) il 13 e 16 maggio scorsi. Lo pubblichiamo con il suo cordiale consenso. 305-307_dombes:Layout 2 31-05-2011 12:19 Pagina 305 Gruppo di Dombes ECUMENISMO v oi dunque pregate così Il Padre nostro per la conver sione delle Chiese R itrovarsi così dopo 400 anni»: fu la cartolina entusiasta che l’abate Remilieux spedì all’amico Couturier, anch’egli abate, nella Pasqua del 1937, comunicando di aver partecipato a un ritiro della Fraternità ecumenica San Giovanni fondata vicino a Berna dal pastore Richard Baümlin. Fu il punto di partenza di avanguardie cattoliche e protestanti destinate a costituire il futuro Gruppo di Dombes. I protagonisti originari di quell’iniziativa così dirompente non ci sono più,1 ma la barra del timone del Gruppo, che nel corso dei decenni si è sempre più consolidato, è rimasta costantemente indirizzata verso una scelta di fondo, radicalmente vissuta prima ancora che intellettualmente elaborata: l’importanza primaria data alla preghiera. Fin dall’inizio, dunque, «quelli» di Dombes hanno fortemente voluto nella produzione dei loro documenti una teologia che fosse «tutta intrisa di preghiera». Inevitabile che il gruppo affrontasse, quando i tempi teologici, la sensibilità spirituale, il momento propizio lo avessero permesso, una meditazione sulla preghiera per eccellenza di tutta l’ecumene cristiana: il Padre nostro.2 Il verbo greco oikeo significa – com’è noto – «abitare», e nella cultura greca antica il termine «ecumene» stava a indicare quella parte del mondo conosciuto di allora che era abitata, in contrapposizione ai territori spopolati. Successivamente, con l’ellenismo, assunse uno spessore politico: ecumene significò anche quella parte di mondo sottoposto alla cultura ellenistica. Con la fine dell’Impero romano prima e successivamente di quello bizantino, il ter- mine traslò il significato politico su quello ecclesiastico, indicando la Chiesa nella sua universalità. La divisione del corpo ecclesiale di Cristo, pertanto, è divenuta rovinosa contrapposizione frontale alla volontà di Dio: «Cristo è forse diviso?» (1Cor 1,13). Le tre identità Con «Voi dunque, pregate così». Il Padre nostro, uscito in Francia da pochi giorni e di prossima pubblicazione su Regno-doc., il Gruppo di Dombes ha tentato, fedele al suo metodo, di rispondere a tale interrogativo che l’Apostolo delle genti, san Paolo, pone ai cristiani di ogni epoca. Il cristiano, infatti, nel recitare l’orazione stabilisce una relazione con il Padre: tale relazione a seconda della prospettiva che si adotta determina, conseguentemente, un certo modo di relazionarsi con il proprio fratello, il «totalmente Altro» assume il volto dell’altro, come insegnano i discepoli di Emmaus (cf. Lc 24). Di fatto in una preghiera come quella del Padre nostro la forza, la potenza contenuta in Abbà ha causato nelle diverse denominazioni ecclesiastiche una certa paura di vedere intaccati consolidati patrimoni spirituali e istituzionali. Seguendo il suo metodo, vale a dire privilegiare il cuore vivente della fede cristiana e interpretare la dottrina presa nel suo insieme a partire da questo cuore – che altro non è se non la persona di Cristo, la Parola vivente –, nel corso degli ultimi cinque anni il Gruppo di Dombes ha elaborato un documento che si snoda in quattro parti con una meditazione ecumenica finale. Quest’ultima sviluppa le formule del Padre nostro e una preghiera più breve che si propone di uti- lizzare in occasioni di celebrazioni comuni. Nella prima parte si affronta la problematica e il contesto di come è vissuta la preghiera domenicale nella vita contemporanea delle Chiese e della nostra società. Due sono le traiettorie che vengono individuate: da un lato l’importanza per le Chiese di convertirsi in vista della piena comunione; dall’altro, nella situazione attuale, l’urgenza di interrogarsi sul Padre nostro prendendo atto dell’avvenuta sua confisca da parte sia protestante sia cattolica nel fuoco della controversia dottrinale e teologica. Richiamandosi al precedente documento Per la conversione delle Chiese, il Gruppo di Dombes ha riflettuto sul punto fondamentale del rapporto tra identità e conversione. Tre sono le identità, tra loro compenetranti, distintamente prese in esame: cristiana, ecclesiale e confessionale. A tale «tridente» sono correlate altrettante conversioni. La conversione, infatti, è «costitutiva di un’identità che vuole restare viva e del tutto fedele a se stessa». Acutamente il Gruppo rileva in questa prima parte che l’identità cristiana e l’identità ecclesiale concernono la medesima realtà quotidiana, che deve essere intesa primariamente come confessione di fede esistenziale in Cristo, inscritta nell’accettazione della fede trinitaria che la Chiesa professa al momento del sacramento del battesimo. Emerge in tale contesto il problema ecumenico vissuto dalle varie denominazioni cristiane che, di fatto, non hanno la stessa opinione in merito a chi appartenga alla piena identità cristiana. Inoltre, in questa odierna fase storica, la singola persona credente, se riconosce per sé un’iden- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 305 305-307_dombes:Layout 2 31-05-2011 E U RO PA - C H A RTA 12:19 Pagina 306 OECUMENICA Dieci anni: si riparte A ll’anno 2001 e ora anche al 2011 è universalmente riconosciuta una valenza periodizzante nelle relazioni internazionali a livello politico e intrareligioso. Su una dimensione molto meno conosciuta e dall’impatto mediatico ben diverso, si potrebbe dire nota solo negli ambienti che promuovono il processo di riunificazione delle Chiese cristiane, il periodo 2001-2011 corrisponde anche al primo decennio di vita della Charta oecumenica, e la coincidenza deve essere rimarcata. Linee guida per collaborare Il documento firmato il 22 aprile 2001 a Strasburgo dai presidenti dei più rappresentativi consigli di vescovi europei, cioè il card. Miloslav Vlk per il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE, vescovi cattolici) e il metropolita Jérémie Kaligiorgis per la Conferenza delle Chiese europee (KEK, vescovi protestanti e ortodossi), si definiva come un’«auto-obbligazione», stabiliva un «impegno comune al dialogo e alla collaborazione» tra le Chiese e le organizzazioni ecumeniche europee, descriveva i compiti fondamentali e ne faceva derivare una serie di linee guida e di impegni rispetto a tutti gli ambiti riconosciuti come vitali per la Chiesa nel continente.1 Essi erano identificati nell’unità visibile delle Chiese in Europa, nella preghiera comune, nel contributo a plasmare l’unificazione politica del continente, nella riconciliazione delle culture, nella salvaguardia del creato, nell’appro- tità cristiana, al tempo stesso fa fatica a inquadrarla in un’identità ecclesiale che necessariamente rimanda a una storia, a una tradizione. Alle tre identità sopracitate corrispondono tre conversioni: quella cristiana (cf. Mc 1,15), che è un’interminabile lotta con se stessi; quella ecclesiale, che ha lo stesso contenuto della precedente e riguarda i membri della Chiesa presi a titolo collettivo e istituzionale, i quali devono dare testimonianza di saper accogliere l’Evangelo; e infine quella confessionale, che deve saper discernere evangelicamente in se stessa ciò che è servizio da ciò che è carenza, dimensione di peccato alla luce dei valori di cui sono portatrici le altre identità confessionali. In proposito, il Gruppo propone una sostanziale rivoluzione: rovesciare l’ordine delle identità (cristiana, ecclesiale, confessionale), in modo che la preghiera insegnata da Gesù possa fare evitare alle Chiese di assolutizzare la propria confessionalità e, al contempo, dare priorità assoluta all’identità cristiana in vista di una riconciliazione tra esse. Contiene tut to il Vangelo La seconda parte traccia una «diagnosi storica» che mette in evidenza l’uso e la comprensione del Padre nostro nel corso dei secoli. È la parte decisamente più lunga del documento, ma utilissima per l’anamnesi che rappresenta. Centrale come snodo per i successivi sviluppi è l’interpretazione del Padre nostro data da san 306 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 fondimento della comunione con l’ebraismo, nella cura delle relazioni con l’islam e nell’incontro con altre religioni e visioni del mondo. Anche solo l’agenda degli ambiti d’impegno fa percepire come la consapevolezza delle Chiese cristiane nell’aprile 2001 fosse lucida rispetto alle urgenze che gli eventi del decennio successivo avrebbero drammaticamente rivelato. La ricorrenza del decimo anniversario dalla firma ha dato alle stesse organizzazioni firmatarie e a molte altre istanze coinvolte nella recezione del documento l’occasione per trarre un bilancio del cammino percorso dalla Charta, per delineare le sfide che come cristiani in Europa abbiamo davanti e per rinnovare l’impegno a percorrere la strada insieme, possibilmente sempre più vicini. I passi compiuti, la strada che rimane Il giorno di Pasqua, 24 aprile, la Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (CEI), la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta e la Federazione della Chiese evangeliche in Italia (FCEI) hanno rivolto un messaggio ai cristiani del nostro paese,2 in cui riaffermano «l’urgenza della riconciliazione e della realizzazione dell’unità visibile tra le Chiese, poiché è un reale riavvicinamento tra i popoli, e dunque tra le comunità religiose, la vera garanzia della pace e la risposta più efficace alla violenza e alla guerra». E identificano le «nuove sfide» che oggi in Europa e in Italia chiedono «maggiore sintonia e maggiore unità»: la globalizzazione, le migrazioni internazionali, la costruzione di una casa co- Tommaso d’Aquino che, a sua volta, fa spesso riferimento al commento di sant’Agostino. Quest’ultimo, infatti, mette in rapporto tra loro le domande dell’orazione domenicale con i doni dello Spirito Santo e con le Beatitudini. L’Aquinate nella sua disamina coglie, soprattutto, il legame che si stabilisce tra l’orazione domenicale e la virtù cardinale della speranza. Tre secoli dopo, nel Cinquecento, il monaco agostiniano Martin Lutero, che diede inizio alla Riforma protestante convinto di restaurare l’originario messaggio cattolico, dà del Padre nostro un’interpretazione la quale, sebbene sia in linea con la tradizione agostiniana, polemizza contro un’abitudine tutta medievale di meditare la preghiera partendo dalla domanda finale «Libera nos a malo». Per il grande riformatore, viceversa, bisogna seguire l’ordine stesso della preghiera, che possiede uno spessore pedagogico: Dio è Padre, è nostro Padre, tutto il resto è una logica conseguenza. Merita, forse, ricordare che il censore cattolico dell’Inquisizione veneta nella prima metà del XVI secolo, al quale fu sottoposto anonimo Il Padre nostro spiegato ai semplici laici di Lutero, quando ebbe finito di leggerlo esclamò: «Beate le mani che hanno scritto queste cose, beati gli occhi che le vedono, beati i cuori che credono a questo libro e così gridano a Dio». Il Dio Padre, per l’agostiniano di Wittenberg, è tale perché è il suo essere, non per un qualsivoglia titolo: egli resta Padre in tutte le circostanze e la sua giustizia non è quella di un giudice severo e spietato: la sua paternità si mostra nel Figlio «che rivela l’essere del Padre e che si fa fratello degli uomini». Solus Christus, sola gratia, dunque, ma anche sola fide, sola Scriptura che con le prime due costituiscono l’intelaiatura nella quale si colloca la giustificazione per fede: tra «Padre» e «nostro», infatti, si concentra tutto l’Evangelo. Lutero a conclusione del suo commento alla preghiera afferma che quest’ultima non è una preghiera naturale, ma può essere pronunciata solo dopo una metanoia interiore, un ravvedimento totale che porta a vedere in Dio il Padre che ama in maniera incondizionata, immeritata e gratuita: «Non la penitenza conduce alla filiazione, ma la grazia immeritata della filiazione per mezzo di Cristo apre alla vera penitenza». Successivamente l’altro grande riformatore, Giovanni Calvino, nel terzo libro della sua Istituzione della religione cristiana, in modo significativo sottolinea che il Pater noster presuppone la fede e quando gli uomini immersi nel peccato si volgono a Dio non possono che fare affidamento nient’altro che allo Spirito Santo, l’unico in grado da far loro da guida. Sempre Calvino insiste sulla portata ecclesiale delle 305-307_dombes:Layout 2 31-05-2011 12:19 Pagina 307 mune europea, l’annuncio del Vangelo in uno scenario «nuovo, plurale, attraversato da conflitti e insieme carico di attese, che è di nuovo “terra di missione”», in un momento in cui quelle che Giorgio La Pira chiamava «tensioni unitive» sembrano in crisi («basti pensare all’unione dell’Europa, ma anche all’unità delle Chiese»). Un panorama per molti aspetti diverso e nuovo richiede un rinnovato impegno: «L’unità delle Chiese è dono di Dio. Siamo dunque chiamati a pregare e a vegliare nell’attesa del suo compimento. Le difficoltà del presente non debbono indurci alla rassegnazione o al pessimismo, che si rivelerebbero mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo. La Charta oecumenica rappresenta una bussola in un tempo in cui “la parola del Signore è rara e le visioni non sono frequenti” (cf. 1Sam 3,1), è un programma ancora valido che può orientare il nostro impegno comune e la nostra attesa». L’anniversario è stato celebrato anche dal CCEE e dalla KEK nel corso di un seminario appositamente organizzato dall’Istituto ecumenico dell’Università di Friburgo (Svizzera) il 9 maggio,3 che ha voluto verificare quale sia stata in questi anni la recezione del documento nelle Chiese locali e se sia necessario portarvi aggiornamenti o correzioni. I rappresentanti delle Chiese europee hanno voluto in tale circostanza rinnovare la propria «autoobbligazione», rilevando tra l’altro che la penetrazione della Charta oecumenica nel tessuto istituzionale ecclesiale e sociale europeo è tale da ritrovarla anche citata in documenti di istituzioni laiche, come testimonia il frequente ricorso a essa da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel suo rapporto del 25 marzo 2011 su La dimensione religiosa del dialogo interculturale. ultime tre domande della preghiera, proprio perché gli sta a cuore la «comunione dei fedeli». A tale offensiva di un nuovo tipo di cristianesimo, di un nuovo modo di essere cristiani organizzati in nuovi modelli di Chiesa, la Riforma cattolica rispose traendo in parte beneficio da quel ritorno alle fonti che contraddistinse l’umanesimo rinascimentale. Fu il teologo Roberto Bellarmino a offrire il testo più interessante a commento della preghiera domenicale: egli, difatti, riconosce che gli uomini sono tutti peccatori e che devono chiedere perdono delle loro colpe (anche per i peccati «veniali») avendo nell’animo di rimettere le stesse colpe ai nostri debitori «per attestare che la misericordia ci piace assai e che riteniamo davvero ammirevole rimettere le offese». I successivi secoli videro le confessioni cristallizzarsi in una sterile guerra di posizione dai toni sempre più accesi: in tale contrapposizione i catechismi, protestanti e cattolici, furono gli strumenti di propaganda più usati. Figli di uno stesso Padre La terza parte, più specificatamente biblica, illustra le radici ebraiche della preghiera. Quella di Gesù è essenzialmente una preghiera ebraica, e questo si deduce sia dal testo di Matteo sia da quello di Luca, pur nelle loro differenze. Diversamente dalla tradizione ebraica, la paternità di Dio si scopre per mezzo di Gesù, La caratteristica saliente riconosciuta alla Charta è stata quella di aver indicato il modello della collaborazione interecclesiale alle nuove generazioni (Kaligiorgis) al livello «di base» delle persone e delle comunità locali (Duarte da Cunha), la «guida per una cultura ecumenica» (Ionita). Il vescovo di Nanterre mons. Daucourt ha segnalato come, di fronte al riproporsi di correnti anti-ecumeniche in seno al cattolicesimo e all’ortodossia, vada respinta la tentazione dell’autosufficienza confessionale e rinnovata l’auto-obbligazione a un «amore a lungo termine» allargato all’Europa attraverso l’impegno politico e sociale. D. S. 1 Il testo della Charta oecumenica è reperibile su Regno-doc. 9,2001,315; un’analisi su Regno-att. 10,2001,313. 2 Reperibile sul sito della CEI www.chiesacattolica.it nella sezione dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, è firmata da mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, dal metropolita Gennadios Zervos, arcivescovo ortodosso d’Italia e di Malta ed esarca per l’Europa meridionale, e da Massimo Aquilante, presidente della FCEI. 3 Con la partecipazione dei segretari generali p. Duarte da Cunha (CCEE) e prof. Viorel Ionita (KEK), e tra i relatori il vescovo di Nanterre (Francia) mons. Gérard Daucourt e il pastore Daniel de Roche, presidente del Consiglio sinodale del Cantone di Friburgo. 4 Cf. ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA - COMITATO SU CULTURA, SCIENZA ED EDUCAZIONE, The religious dimension of intercultural dialogue, doc. 12553, nn. 93, 94, 99. che prega a sua volta Dio come Padre suo e lo rappresenta a noi esseri umani in quanto suo Figlio. L’ultima parte, la quarta, enuclea i «fondamentali» del Padre nostro: affermare Dio come Padre significa innanzitutto che ci dichiariamo esseri finiti, non avendo in noi stessi né la nostra origine, né la nostra fine. Al contrario la nostra esistenza, la nostra stessa identità acquisiscono consistenza solo in un contesto di relazione: la relazione, appunto, è costitutiva della nostra identità umana e cristiana. Nella Prima lettera di Giovanni possiamo leggere: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2); il Gruppo di Dombes, forte di questa tensione escatologica, da recuperare come cristiani che si vogliono figli di uno stesso Padre, rilegge i «fondamentali» quali «il Regno», «il pane», «il perdono», «le prove» come attestazione di questa filiazione già messa in luce dallo stesso Lutero per il quale, come sottolinea nel suo commento, Dio è Padre una volta per tutte adottandoci nel suo Figlio unico in una filiazione che niente può distruggere. Invero le sfide ecumeniche, e questo documento ne è una straordinaria testimonianza, hanno senso solo se la preghiera insegnata da Gesù Cristo viene vista per quello che effettivamente è: un dono gratuitamente ricevuto a cui le dos- sologie ecclesiali, cattoliche o protestanti che siano, dovranno un giorno, finalmente riconciliate, rispondere all’unisono per il volere dello Spirito Santo «perché tuo è il Regno, la potenza e la gloria nei secoli dei secoli, amen». Tale è la lode a Dio, che si pone come alfa e omega per tutte le realtà ecclesiali in vista dell’unità visibile dell’unica Chiesa. Domenico Segna 1 Il Gruppo di Dombes attualmente è composto da: J.-N. Aletti, F. Altermath, H.-C. Askani, C. Baccuet, Y.-M. Blanchard, E. Boone, D. Cerbelaud, M. Chambron, J.-F. Chiron (co-presidente cattolico), G. Daudé, J.-P. Delville, M. Deneken, C. Ducarroz, F. Durand, J. Famerée, M. Fedou, F. Fleinert-Jensen, P. Gay, A.-C. Graber, G. Hammann, N. Kirchner, M. Kubler, G. Lasserre, P. Lathuilière, F. Lemaitre, J.-B. Lipp, M. Mallèvre, A. Massini, C. Meroz, W.-R. Nussbaum, E. Parmentier, J.-N. Pérès, A.-M. Petitjean, A.-M. Reijnen, P. Remise, L.-M. Renier, A. Reymond, J. Tartier (copresidente protestante), D. Vatinel, L. Villemin, E. Vion, M. Wirz. 2 Queste le opere tradotte in italiano: Verso una stessa fede eucaristica? Accordo tra cattolici e protestanti, AVE, Roma 1973; «Il ministero episcopale», in Regno-doc. 5,1977,110; «Lo Spirito Santo, la Chiesa e i sacramenti», in Regno-doc. 7,1980,179; «Il ministero di comunione nella Chiesa universale», in Regno-doc. 5,1986,173; Per la conversione delle Chiese. Identità e cambiamento nella dinamica di comunione, EDB, Bologna 1991; «Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi», in Regno-doc. 3,1998,95 e 5,1998,183; Un solo maestro. L’autorità dottrinale nella Chiesa, EDB, Bologna 2006. «Voi dunque, pregate così». Il Padre nostro sarà pubblicato prossimamente in italiano su Regno-doc. e uscirà in volume per i tipi delle EDB. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 307 308-310_padova:Layout 2 31-05-2011 15:28 Pagina 308 Te o l o g i a TRIVENETO u mano spirituale L’ u o m o o c c i d e n t a l e tra narcisismo e ricerca di Dio S i è tenuto lo scorso 6 maggio, a Padova, il quinto convegno annuale della Facoltà teologica del Triveneto,1 un’intera giornata di approfondimento sui temi della domanda di spiritualità e del ritorno del sacro nell’Occidente secolarizzato. Dopo il saluto del preside, don Andrea Toniolo, e l’introduzione di p. Luciano Bertazzo, i lavori sono proseguiti con l’ascolto e il dibattito sulle relazioni affidate al filosofo Pietro Barcellona e al teologo e monaco benedettino Ghislain Lafont. In conclusione di giornata, p. Bruno Secondin ha offerto alcune «intuizioni e orizzonti da esplorare e verificare» per un nuovo paradigma di spiritualità (cf. Regnoatt. 22,2010,743s). Spunti raccolti, secondo il titolo della sua relazione, «tra ferite e feritoie», negli interstizi della storia recente e lungo i sentieri simbolici ed evocativi del linguaggio biblico. Una domanda da decifrare Anzitutto, il tema e il titolo: «Cercatori di Dio? Tra sacro e spiritualità». A partire dalla dimensione del «cercare», si è scelto di interrogarsi e interrogare la crescente domanda di sacro e di spiritualità che abita inattesa la nostra cultura secolarizzata. Un tentativo di definirne i contorni a partire da «un onesto ascoltare e leggere» il presente. La scelta è una conferma – come ha evidenziato il preside – dell’intenzionalità «pratica» che anima il progetto della Facoltà, in cui la riflessione teologica viene portata avanti in dialogo con le sollecitazioni e le domande che emergono nell’esperienza pastorale. Due gli ambiti tematici del convegno: 308 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 la «ricerca», da un lato, quale «categoria antropologica potenzialmente in grado di far passare dalla dimensione “psichica” a quella “pneumatica”», dimensione oscillante «tra il quaerere dell’esperienza biblica e le sperimentazioni letterarie ed esistenziali della recherche di proustiana memoria»; e la ritornante domanda di sacro e spiritualità, dall’altro, due dimensioni che «possono intrecciarsi senza necessariamente corrispondersi, spesso ambivalenti in una polisemia di significati» (Bertazzo). Il sacro, che la sociologia degli anni Sessanta definiva una «realtà inversamente proporzionale al processo di secolarizzazione», ha conosciuto invece un imprevisto ritorno, soprattutto come «diffuso bisogno di senso, di un significato capace di tenere in unità percorsi esistenziali spesso frammentati e incoerenti». La stessa domanda di spiritualità si è diffusa al punto da divenire un fenomeno sociologicamente interessante. «Una domanda presente, anche se spesso narcisisticamente orientata quale ricerca di senso, in un moltiplicarsi di opzioni religiose costruite sul criterio del faida-te. Un grande puzzle in continua evoluzione. Un orizzonte frammentato che riflette la frammentazione dell’individuo» (Bertazzo). Un panorama magmatico e da decifrare. Il «complesso e complicato fenomeno dei “cercatori di Dio”» – conferma Secondin – non si lascia «forzare dentro schemi stretti di interpretazione». Pur dovendo riconoscere «vere scenografie posticce di certezze senza verità» mescolate a «una nostalgia di trascendenza» che va riemergendo, il fenomeno appare oggi «la smentita più evidente del mito della secolarizzazione»: di fatto nell’Occidente secola- rizzato «non si è verificato il previsto tramonto del sacro e della religione». Un dato però è certo. «In questa pleiade di cercatori di Dio, (…) Dio spesso cessa di essere Dio, per diventare un gingillo per la propria ansia o la propria euforia, risposta gratificante e rassicurante come gli idoli su cui ironizzavano i profeti». «Disperazione», limite e trascendenza A Pietro Barcellona era affidato il compito di indagare il quadro culturale per riferimento agli ambiti tematici del convegno. Due gli elementi messi in evidenza nella sua relazione. Da un lato il clima spirituale dominato da un «pensiero dichiaratamente ateo» nel quale molti scienziati e filosofi analitici sono intenzionati a «demolire ogni idea religiosa come pericolosa illusione». Dall’altro i fatti di cronaca, che registrano una «reiterazione frequente di atti di violenza distruttiva» fine a se stessa, compiuti soprattutto da giovani con «ferocia inaudita». Lascia sgomenti, quasi sempre, «l’assenza di ogni segno di pentimento e di rimorso e l’assoluta indisponibilità alla confessione del presunto delitto», segno evidente di un’atrofia della coscienza morale che acconsente alla «banalità del male». Barcellona ha proposto la sua tesi: la rimozione dell’esperienza del limite, in particolare del «limite» che è proprio del rapporto tra umano e divino, ha provocato la «scomparsa dal senso comune delle idee di trasgressione e di colpa insieme a quelle di libertà e responsabilità». La «dilatazione senza precedenti della volontà di potenza, rappresentata dall’apparato tecnico-economico», avrebbe come conseguenza il 308-310_padova:Layout 2 31-05-2011 15:28 venir meno «dell’idea del male, delle forze distruttive e luciferine che sono all’opera nella condizione umana». Quale «terapia» è possibile? Il recupero dell’esperienza, oggi negata, della «grande disperazione». Essa potrebbe, «se trasformata nella ricerca di una relazione di senso nel rapporto con un’altra persona», divenire salvezza in un contesto in cui l’esperienza del dolore, il confronto col limite e la morte, sono di fatto rifiutati e con essi è sottratta ai giovani l’esperienza del dover «ricercare» una via d’uscita alla tragicità dell’esistenza. La «Disperazione» – che ha a che fare col «male di vivere», con la perdita di senso che deriva dalla distruzione del sacro tradizionale – «non può infatti essere affrontata se non attraverso le parole che ne rendono possibile la rappresentazione e la trasformazione in un discorso comune». Paradossalmente, ha concluso Barcellona, «senza la disperazione non è neppure possibile sperare». E senza speranza nessuna ricerca nell’orizzonte della trascendenza è immaginabile. Dio si fa ascoltare In un contesto come quello odierno, «così ricco di sensibilità affettiva e immaginativa», una proposta di spiritualità deve «puntare non sul linguaggio astratto e razionalista, ma su forme, simboli e immagini, stili che lascino trasparire risposte e modelli che impattino la vita quotidiana e le domande non tematizzate, ma esistenti» (Secondin). Nessun punto di partenza pare dunque più indicato della Scrittura. Sia perché, come è stato più volte ribadito durante i lavori, la Scrittura è la parola fondativa dell’esperienza spirituale cristiana; sia perché il linguaggio biblico è «un linguaggio non immediatamente razionale, che conosce stili diversi e non si rivolge alla sola intelligenza, bensì a tutte le capacità dell’uomo di fronte a una parola: sensibilità, immaginazione, emozioni…» (Lafont). Qual è «il punto di partenza autentico di un cammino verso Dio?», si è domandato il teologo benedettino. La sua risposta ha riecheggiato l’antica sapienza monastica: l’ascolto. «Ascolto, forse Lui è», come sostegno indubitabile da sostituire al cartesiano «Cogito, ergo sum». Lafont legge infatti nell’incapacità dell’orecchio «di chiudere se stesso» una necessità fisica dal valore «forse di segno, quasi di sacramento». Essa indica che «fra tutti gli apporti che vengono da fuori uno solo è necessario, ineludibile» Pagina 309 e che «l’accesso primitivo al reale sarebbe l’ascolto». Se questo è vero per la vita fisica, ha proseguito, lo è altrettanto per la vita spirituale. Al cuore di ogni autentica ricerca di Dio non può che stare l’ascolto, affermazione su cui converge tutta la tradizione ebraico-cristiana, tradizione dello «shemà/ akouein» e del Verbo fatto carne. Il teologo francese ha poi segnalato tre «luoghi essenziali nei quali Dio si fa sentire»: la liturgia, la Scrittura e la carità fraterna. Se questi «tre poli» vengono pazientemente messi in opera, fanno nascere nell’uomo «un’esperienza: quella del Dio di Gesù Cristo». Creano «un certo senso di Dio, una traccia della sua presenza, che di nuovo si esprime col linguaggio dei sensi divenuti spirituali: una voce interiore, un sapore duttile, una traccia per l’occhio, una mitezza che penetra il tatto...». Impressioni fugaci che non devono essere trattenute e che educano a «perseverare in una ricerca che non sarà mai un “afferrare Dio”». I tre poli della ricerca, «insieme all’esperienza mistica a loro unita, creano il clima spirituale autentico nel quale diventa possibile accogliere di nuovo le interrogazioni moderne (…) e riscoprire il volto di Dio», anche in quegli spazi della nostra cultura «dove egli sembra non esserci più». Quattro icone e un paradigma Avvertendo la necessità che la proposta di un nuovo modello di spiritualità «risvegli l’immaginazione di un’esistenza diversa», Secondin si è affidato all’immaginario simbolico del linguaggio biblico proponendo quattro icone da cui ricavare alcuni «parametri di un nuovo stile di spiritualità»: i due racconti marciani di guarigione di un cieco – a Betsaida (Mc 8,22-26) e a Gerico (Mc 10,46-52) –; la fondazione della comunità di Antiochia (At 11,19-26); e la predicazione di Paolo a Filippi (At 16,11-15). Il primo racconto è icona della capacità di risanare anche le situazioni più passive. I percorsi di spiritualità vanno accompagnati da una «fruizione passiva, devota, ma anche anonima» verso l’autonomia e «l’identità assunta, difesa e gestita con coscienza avvertita». L’accompagnamento dovrà avere un carattere «euristico e interrogativo, stimolando una risposta che non proceda per concetti, ma ancora per immagini e simboli in vista di un’identificazione realista e personalizzata di sé e degli altri». Gruppi e movimenti sono oggi in grado di risvegliare e rispettare questo tipo ricerca? Il rischio, a suo giudizio non assente, è la ripetizione di processi gnostici, esoterici, settari. La seconda icona, un cieco intraprendente liberato in un dialogo di guarigione, lascia trasparire alcuni atteggiamenti: uno «spirito di intraprendenza e audacia»; l’obbedienza alla «forza sovversiva» del povero che grida; l’ascolto del «grido di implorazione che ci circonda, per imparare non solo a rispettarlo, ma a trasformarlo in risorsa di guarigione e liberazione». Siamo di fronte non a un semplice miracolo, ma a un dialogo che fa prendere coscienza di ciò che guarisce: il cieco deve narrarsi per «mettere a nudo le proprie ferite»; e in quella narrazione può accogliere la sua dignità, restituita «nell’atto ospitale che lascia intravedere un nuovo ordine di giustizia». L’icona di Antiochia tratteggia una spiritualità di frontiera, «aperta alla diversità culturale e religiosa». In seno a una comunità minacciata dalla «chiusura culturale, dalla mancanza d’iniziativa e dalla ripetizione di un modello conosciuto» e rassicurante, l’esistenza di sensibilità ed esperienze culturali diverse consente ad alcuni di osare oltre frontiera: «“Parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore”». Barnaba, inviato da Gerusalemme per vigilare e accompagnare, «non giudica per sentito dire; giunge sul posto, “vede la grazia” e si apre con gioia alla novità incontrata. Anzi, si mette al servizio della novità con tutta la sua autorità». Siamo chiamati a un discernimento collettivo degli scenari contemporanei per cogliervi l’opera di Dio attraverso e oltre i confini dei modelli consolidati; ad «abitare le frontiere per dire l’inedito»; a osare nuovi linguaggi elaborando categorie paradigmatiche in forma metaforica. Infine la predicazione di Filippi, icona di «una spiritualità ecologica e femminista». Una predicazione «fuori della porta della città, vicino al fiume, la presenza di sole donne in mezzo alle quali sta Paolo, seduto a parlare familiarmente». Paradigma, questa icona, di nuovi modelli di percorso verso una fede piena: «A partire dall’incertezza e ricerca degli stessi annunciatori, passando per l’incompiutezza assetata dei timorati di Dio, per la mediazione della natura e delle abitudini religiose vaghe, lasciando a Dio il protagonismo di un’adesione totale di cuore e stile di vita. A cui Lidia, timorata di Dio, risponde con stile di IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 309 308-310_padova:Layout 2 31-05-2011 15:28 donna e con le risorse tipiche di cui la donna dispone per rispondere, fino a una maternità accogliente e alla casa ricca di ospitalità disarmata, ma preziosa». Marco Bernardoni 1 Il convegno prevedeva tre relazioni nella mattinata: l’introduzione di p. Luciano Bertazzo ofm Pagina 310 conv, vicedirettore del ciclo di licenza, e due relazioni sui nodi tematici del convegno: «La ricerca di Dio e la “crisi globale”» del filosofo Pietro Barcellona, docente emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania; «La ricerca di Dio oggi: una lettura teologico-spirituale» del teologo Ghislain Lafont, docente emerito presso diverse Facoltà pontificie a Roma. Nel pomeriggio, per il terzo anno consecutivo, sono stati attivati dei «laboratori» tematici pensati come luoghi di espressione e confronto in cui discutere e ampliare le suggestioni offerte dalle relazioni. I lavori si sono chiusi, in serata, con una relazione di p. Bruno Secondin, carmelitano, docente di Teologia spirituale alla Pontificia università gregoriana e alla Facoltà teologica del Triveneto, intitolata: «Tra ferite e feritoie. Verso un nuovo paradigma di spiritualità». Negli anni scorsi i convegni annuali erano stati dedicati ai temi de «Il counseling tra psicologia e pastorale» (2007); le «Nuove prospettive sullo sviluppo a 40 anni dalla Populorum progressio» (2008); «La catechesi» (2009); «La questione educativa e la crisi di trasmissione della fede» (2010). parire della forma cenobitica e monastica, ma è nel passaggio dalla «comunità di regola» alla «vita fraterna» propiziata dal Vaticano II che si possono trovare gli elementi della discussione odierna. Da lì infatti è partita la consapevolezza delle relazioni come elementi di valore, l’inserimento convinto della vita consacrata nel tessuto delle Chiese locali, la consapevolezza di forme similari diffuse non solo nelle Chiese cristiane (ortodosse, ma anche protestanti e anglicane), una radice comune riconoscibile in religioni e culture diverse (basti il richiamo al buddhismo), l’emersione sorprendente di nuove forme di vita comunitaria (ne sono state recensite quasi un migliaio; cf. Regno-att. 14,2010,458), la formalizzazione del guadagno acquisito nel documento Vita fraterna in comunità del 1994 e nell’esortazione postsinodale Vita consecrata del 1996. Un patrimonio che l’assemblea ha svolto nel suo più radicale basamento teologico e spirituale: cioè nel riferimento al battesimo, all’eucaristia, alla verginità feconda, intesa come dono cristiano di trasformare radicalmente l’umano senza violentarlo o ferirlo. Di comunità interculturali e intercongregazionali ha parlato suor Adele Brambilla. Sono ormai diffuse le comunità in cui sono presenti religiose di diversa nazionalità e cultura, sia in Italia sia all’estero. La domanda è come si possono trasformare da comunità-aggregato a comunità di sororità (fraternità). Già il fatto di convivere è un patrimonio prezioso e farlo in nome del Vangelo impone il compito di promuovere una cultura del rispetto e della valorizzazione dell’altro, ispirandosi a un principio di inclusività. Passare dalla multiculturalità all’interculturalità vuol dire attivare una nuova prospettiva e incamminarsi per un sentiero arduo ed esigente, in un vero e proprio itinerario di kenosi, di rinuncia a sé. Da una sorta di caos il carisma religioso può far emergere una nuova testimonianza evangelica. Guardare con veracità alla realtà è il primo passo: riconoscere i pregiudizi e identificare i nostri privilegi e il nostro potere. Il secondo è avere il coraggio di una sorta di «decostruzione culturale», di smontare la nostra cultura, non quella degli altri, nei suoi elementi essenziali, riconoscendone ricchezze e limiti, comprese la violenza, il razzismo e l’intolleranza. Di questo cammino fa parte la purificazione della memoria e un lavoro attento sui propri linguaggi e i propri atteggiamenti. Il terzo passo è osare la verità del dialogo, scrutare insieme i «segni dei tempi» e i cammini da intraprendere, rispettando l’altro nella sua differenza, armandosi di grande umiltà e compassione. Un processo che la vita religiosa femminile compie in un momento di grande debolezza, sia numerica, sia nell’immagine condivisa. Il pigro e facile ricorso alla previsione della sua scomparsa, per esempio, non aiuta. Mentre proprio in sfide come questa dell’interculturalità può scattare non solo l’estensione del carisma, ma anche un suo arricchimento. La congregazione non è solo la casa di una cultura, ma lo spazio di diverse culture. Per quanto riguarda il quadrante europeo e italiano una pratica della vita fraterna dentro la diversità delle culture può essere utile sia per identificare le nuove situazioni sociali che necessitano di interventi originali, sia per una declinazione spirituale e teologica più avveduta dei consigli evangelici. Vi è da chiedersi se l’esperienza delle nuove fondazioni e comunità che spesso usano i due modelli (comunità di vita e comunità di alleanza, nel senso di una comunione senza vita comune) non possano fornire suggestioni e indicazioni utili anche per le congregazioni più tradizionali. In ogni caso ciò che viene oggi sempre più richiesto è una forte esperienza spirituale, un significativo legame di appartenenza, un’austerità e una radicalità vere e la flessibilità delle strutture. Donne abitate da Dio e capaci di uno sguardo evangelico sul mondo, le suore avvertono di essere chiamate a una dimensione mistica (della pazienza, della riconciliazione, della compassione, dell’annuncio), riprendendo dai fondamenti la sfida originaria connessa al carisma del fondatore. Una scelta che riguarda certo la vita delle singole congregazioni, ma anche una prospettiva non marginale per le comunità cristiane operanti nel nostro paese. Italia USMI Percorsi di vita comunitaria P ersone nuove in Cristo. Percorsi di vita comunitaria» è il titolo della LVIII Assemblea nazionale dell’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI), l’organismo che raccoglie tutte le famiglie religiose femminili di vita attiva (non le monache) del nostro paese (Roma, 27-29 aprile). Una presenza ecclesialmente significativa composta da circa 3.000 istituti con 85.000 religiose e alcune migliaia di comunità presenti nel tessuto delle nostre Chiese locali. È un mondo segnato da fatiche e difficoltà, ma anche da generosità e genialità non comuni. Le suore erano in Italia negli anni Sessanta circa 160.000. Sono quindi calate quasi della metà. L’invecchiamento, l’abbandono delle opere, la chiusura delle comunità, la scarsità o assenza di vocazioni, la complessità della formazione e della qualificazione culturale e professionale sono alcuni dei problemi maggiori. La capacità di reazione e di progetto è percepibile in due elementi significativi dell’assemblea: il tema della vita fraterna o sororale e l’esperienza delle ormai numerose comunità multiculturali o, come è stato sottolineato, interculturali. I lavori delle circa 550 presenti hanno conosciuto l’accompagnamento di un’accurata lectio divina, proposta da suor Grazia Papola sull’incontro di Giacobbe con Esaù (cf. Gen 32-33), sulla storia di Giuseppe e dei fratelli (cf. Gen 37) e sull’unità dei doni spirituali (1Cor 12). Le relazioni sono state affidate a p. M. Rupnik del Centro Aletti («I fondamenti della vita comune»), a suor Adele Brambilla («Le esperienze interculturali»), e a suor Antonietta Potente («Comunità religiose e senso della comunità nelle culture latino-americane»). Il tema comunitario nasce con il primo ap- 310 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 L. Pr. 311-314_istanbul:Layout 2 31-05-2011 12:20 I STA N B U L Pagina 311 Te o l o g i a i n t e r c u l t u r a l e l’ Europa delle religioni Tr a r e l i g i o n e p o l i t i c i z z a t a e p o l i t i c h e s o c i a l i z z a t e D al 26 al 29 aprile il campus della Marmara University di Istanbul ha ospitato il terzo congresso della Società europea per la teologia interculturale e gli studi interreligiosi (ESITIS). Il saluto delle autorità accademiche locali e quello dei rappresentanti dei tre grandi gruppi religiosi della città (il vice rabbino-capo Y. Altinaş, il muftì M. Çağirici e il patriarca Bartolomeo) hanno introdotto i lavori dedicati allo «Studio delle religioni in un’Europa che cambia: integrità, traduzione e trasformazione».1 Giunti al termine del congresso è possibile fissare sinteticamente alcuni guadagni raggiunti nel corso di questi anni e indicare questioni che rimangono ancora aperte. In primo luogo, la maturata consapevolezza della complessità (storica e culturale) della religione e delle sue presenze in Europa, che la fa sfuggire a ogni tentativo di racchiuderne la corretta comprensione all’interno di un’unica disciplina accademica – sia essa confessionale o meno. Nella loro realtà le religioni debordano continuamente sia dalle competenze specifiche di ogni dipartimento che si occupa dei suoi fenomeni e dei suoi contenuti, sia dalla possibilità di racchiuderle adeguatamente all’interno di un sapere che astrae dalle ricadute che hanno sulle forme concrete del vivere personale e associato. Su un tema che non può più attendere la stagione di una nuova fantasia istituzionale, il convegno ha mostrato l’importanza di tre questioni fonda- mentali: quella di un recupero delle memorie storiche di esperienze riuscite, pur contrassegnate da difficoltà e aggiustamenti pragmatici, di integrazioni positive delle differenze religiose all’interno della convivenza civile (la pluralità non sorge come d’incanto oggi, ma è uno dei patrimoni che abitano da lungo tempo quel pezzo di civilizzazione che chiamiamo Europa); la necessità di gettarsi oltre il sospetto sistemico che fa delle fedi un problema per la salvaguardia delle istituzioni statali nella loro neutralità e la custodia dello spazio pubblico come ospitalità dovuta alla molteplicità delle visioni di vita e del mondo, per poter immaginare le religioni e la confessione anche come una possibilità in grado di contribuire alla configurazione di una nuova idea di cittadinanza europea; e, infine, una rinnovata attenzione che l’Europa deve dedicare ai suoi «bordi» – siano essi interni alla sua strutturazione attuale o appena oltre. Farsi carico del grande bacino mediterraneo potrebbe diventare un’occasione affinché l’Europa non si pensi solo come imitazione subalterna del modello americano. Memorie e prospet tive Su questi punti il lavoro dell’accademia sembrerebbe aver raggiunto una condizione più avanzata rispetto a quella su cui si assestano tuttora le istituzioni europee, che, pur dovendosi confrontare quasi quotidianamente con il «problema» delle religioni nello spazio della vita pubblica, faticano ancora a raccogliere e sostenere progetti e per- corsi di ricerca che potrebbero contribuire a decifrare e orientare fenomeni che sono chiamate comunque a governare. Il collegamento delle attività della ESITIS con un programma di corsi residenziali per gli studenti delle università dei docenti che ne sono membri sta preparando il terreno per una nuova generazione di studiosi, nelle varie discipline che hanno a che fare con la religione in Europa, per i quali l’intreccio con la cultura e con le diverse comunità ed esperienze religiose non rappresenta solo un sapere appreso, ma si fa esperienza concreta di vita e stile di lavoro scientifico. A mio avviso questo, insieme alla maturazione di una consapevolezza sempre più radicata del carattere multi-disciplinare necessario per leggere correttamente il plurale delle religioni all’interno dei processi di modificazione di un’Europa in cerca di una nuova e propositiva collocazione sullo scenario della globalizzazione, rappresenta uno degli indici più promettenti degli sforzi investiti in questa impresa. Segnalerei alcuni di quelli che rimangono i nodi critici del progetto complessivo. Il primo potrebbe essere quello delle assenze. Mancano, tra i membri della ESITIS, studiosi provenienti dall’Europa latina (Italia, Francia, Spagna), ossia da quelle nazioni in cui la teologia rimane esterna all’università statale e la ricerca accademica sulla religione è frammentata a livello dipartimentale. Difficile anche il coinvolgimento del mondo ortodosso, che non sembra sentire l’esigenza di un’aper- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 311 311-314_istanbul:Layout 2 31-05-2011 12:20 tura europeistica del proprio sapere teologico (anzi, probabilmente in un qualche modo la teme). Il secondo aspetto riguarda la collocazione delle scienze della religione all’interno del curriculum universitario e, soprattutto, i rapporti tra questa disciplina e le teologie confessionali presenti nelle accademie europee. L’esclusivismo teologico del sapere sulla religione rischia di rimanere arretrato rispetto ai fenomeni della stessa appartenenza confessionale; ma all’evidenza della percezione del dato non sembrerebbe ancora corrispondere la disponibilità a riconoscere la legittimità di approcci non teologici alla confessione della fede. Infine, si deve registrare un mutamento in atto nelle facoltà teologiche dei paesi scandinavi, dell’Olanda e di oltre Manica: quello di un sempre più marcato distacco dalle comunità di fede in direzione di un allargamento generalista verso il tema della religione. Questo passaggio non segna solo un punto di frizione con i cultori delle scienze della religione, che temono Carlo Rocchetta Teologia della famiglia Fondamenti e prospettive I l volume offre una visione d’insieme sulla teologia della famiglia, che aiuti a passare dalla considerazione del matrimonio come atto sacramentale alla visione del matrimonio come stato di vita. Da vero specialista della materia, l’autore delinea le linee-guida di una fondazione teologica della pastorale familiare. «Nuovi saggi teologici - Series Maior» pp. 632 - € 48,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 Pagina 312 un’invasione teologica del proprio campo di ricerca, ma rischia anche di far saltare un nesso importante per tutte le discipline coinvolte: quello che lega l’analisi dei contenuti e il sapere sulle forme culturali all’impatto effettivo che ha una fede religiosa sul vissuto personale e sulla circolazione delle sue appartenenze nella vita pubblica. L’accademia e la vita: Bosnia Erzegovina Nel 1989 non è caduto solo un muro che scomponeva e separava un secolare «comune» della storia europea, ma anche quello che controllava e sospendeva i potenziali, in positivo e in negativo, delle religioni per l’Europa che andava profilandosi a partire da quei giorni. Improvvisamente, fenomeni già esistenti (come la migrazione musulmana verso nazioni europee) hanno iniziato a divenire più complessi nonostante una continuità sostanzialmente lineare, ma soprattutto hanno iniziato a generare percezioni inedite solo rispetto a qualche anno prima. Inoltre, si è come andata affievolendo la capacità di travasare la sapienza pragmatica della «vecchia» Europa nei cambiamenti dell’inizio del nuovo millennio. L’immigrazione musulmana ha cancellato come d’un soffio l’esistenza di un islam propriamente europeo (Bosnia Erzegovina e Grecia, solo per fare due nomi). e la semplificazione mediatica, abilmente sfruttata in sede politica, sui temi legati all’immigrazione da paesi musulmani ha dissolto le differenze e tensioni, linguistiche e culturali, presenti all’interno di questa galassia. Davanti a questo stato delle cose è tanto più importante trovare luoghi e pratiche di connessione fra il sapere accademico sulla religione e i tessuti quotidiani della vita. Significativa in merito è l’esperienza portata avanti in Bosnia Erzegovina tra il Dipartimento di scienze della religione dell’Università di Sarajevo e una serie di organizzazioni non governative per la costruzione di relazioni pacificate e riconciliate dopo gli anni della guerra, esperienza che ha messo al centro di questa difficile opera civile l’apporto delle donne. «Il potere di negoziazione e traduzione ha impiegato un decennio, nell’attivismo post-bellico, per arrivare a 312 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 costituire programmi di peace-building e riconciliazione all’università. L’attività delle donne, sia su base di fede sia secolare, è stata un fattore decisivo nel disegnare nuovi programmi presso l’Università di Sarajevo, in primo luogo nell’ambito dei gender e religious studies. D’altro lato il potere di negoziazione e traduzione dell’accademia nella sfera del peace-building e della riconciliazione è stato usato per rafforzare iniziative a livello locale e, usando la loro rete di collegamento, per incoraggiare un numero crescente di donne e uomini a partecipare attivamente in questi processi. La simbiosi positiva creatasi tra istituzioni accademiche e organizzazioni non governative ha permesso di generare spazi per una de-politicizzazione e per sostenere il dialogo, la pace e la riconciliazione nelle comunità locali» (Z. Spahic-Siljak, Università di Sarajevo). Dopo la marginalizzazione pubblica della religione negli anni della secolarizzazione comunista, la «religione è riemersa, in forma vendicativa, come fattore primario di identità nazionali in conflitto fra loro tra musulmani bosniaci, cattolici e ortodossi (...). Il revival pubblico della religione all’interno di un nuovo regime democratico è stato fortemente supportato da ideologie etno-nazionaliste che hanno promosso un nazionalismo religioso, una religione politicizzata e politiche sacralizzate». Si ripropone dunque, in una costellazione inedita però, il dilemma per l’occupazione del potere nel conflitto fra il «religioso» e il «politico», che, proprio in quanto irrisolto, ha portato alla configurazione specifica dell’Europa occidentale con la sua scomposizione del carattere del potere in istituzioni distinte fra di loro. La collaborazione sul campo fra l’accademia e le organizzazioni non governative in Bosnia Erzegovina continua tuttora in questo ambito delicatissimo per gli equilibri politico-culturali della vita del paese. La consapevolezza dei soggetti all’opera è che la religione non possa essere espunta dai luoghi della vita pubblica, ma che si debba dare forma a un sapere e a un’istruzione su di essa in grado di farla funzionare come elemento virtuoso per la convivenza pacifica delle differenze che abitano la socialità comune. 311-314_istanbul:Layout 2 31-05-2011 12:20 Si è giunti così alla formulazione di un progetto di insegnamento non confessionale della religione nelle scuole che ha incontrato forti opposizioni da parte dei tre gruppi religiosi presenti in Bosnia Erzegovina (musulmani, cattolici e ortodossi): «L’insegnamento confessionale della religione, garantito dalla legge del nostro paese, insegna però anche ai bambini che la religione è il momento in cui si frattura la composizione comune della loro esperienza di socializzazione. Guardando alla nostra storia recente e all’attuale situazione politica in Bosnia Erzegovina questo è qualcosa che non può non preoccupare. Le tre comunità religiose del paese si oppongono alla nostra proposta, anche perché temono di perdere i privilegi che si vedono ora riconosciuti. Io sono musulmana, legata alla mia comunità, ma non posso permettere che i suoi interessi rischino di minare il futuro del mio paese e la prospettiva di una convivenza pacifica e riconciliata». Il laboratorio orientale In materia di scienze della religione i paesi dell’ex blocco comunista rappresentano un’opportunità per dare forma, attraverso passaggi graduali, a una nuova configurazione dello studio delle religioni in Europa. Da un lato, infatti, data la condizione particolare in cui essi si vengono a trovare dopo l’ideologia di prosciugamento di ogni referenza religiosa dalla sfera pubblica (se non quella della critica annichilente), la disciplina è tutta da inventare; così che, non senza resistenze, si offre lo spazio culturale per un approccio alla religione che non sia semplicemente importato dal modello statunitense o dagli equilibri raggiunti nei paesi dell’Europa occidentale. D’altro lato, la condizione di questi paesi, in cui i residui del secolarismo indotto dall’ideologia comunista si mischiano alle forme di una secolarizzazione europea e ai tentativi delle religioni presenti di ridurre il sapere sulla religione alla specificità della sua confessione, apre un campo conflittuale che richiede un approccio accademico che sia non solo ad ampio respiro, ma anche aderente a quanto effettivamente avviene sul territorio. «L’istruzione religiosa in Bulgaria Pagina 313 ha preso piede lentamente nelle scuole primarie e secondarie; essa è regolata da una legge sull’educazione nazionale secondo la quale la religione può essere insegnata per un’ora alla settimana come corso opzionale (...). Lo stato paga gli insegnanti ma non provvede alla stesura e pubblicazione dei libri di testo (...). Fino a ora i libri di testo e manuali sul cristianesimo e l’islam sono stati scritti prevalentemente ad hoc, per larga parte a opera di docenti delle facoltà teologiche ortodosse o dell’Istituto superiore islamico; essi mancano però di una visione chiara su come la religione debba essere insegnata nelle scuole pubbliche (...). In linea generale esiste un enorme divario tra le due prospettive: una insiste su un insegnamento della religione in forma più oggettiva, accademica e comparata; l’altra enfatizza un approccio limitato e confessionale (...). La contesa fra questi due approcci riflette e incarna la più ampia dialettica per il controllo delle istituzioni religiose e del discorso sulla religione – ossia chi parla in nome della religione e chi sono gli interpreti e custodi legittimi delle rispettive tradizioni religiose» (I. Merdjanova, ex direttrice del Centro per il dialogo interreligioso e la prevenzione dei conflitti dell’Università di Sofia). Il riemergere della religione, non solo come questione della vita individuale ma anche nella forma della presenza pubblica (con i suoi inevitabili intrecci con le sfere del politico), dal sommerso cui l’aveva relegata l’ideologia comunista chiede oggi dunque forme adeguate di un sapere accademico in grado di esplorare e interpretare i fenomeni cui dà origine nella sua ricerca di rappresentanze. Tre sono quindi gli scopi principali che dovrebbero guidare i religious studies nei paesi dell’ex blocco comunista: «Lo studio universitario della religione dovrebbe rispondere alla necessità urgente di ripensare creativamente la religione stessa nel suo rapporto con l’epocale transizione sociale, politica e culturale che stiamo vivendo dopo più di quattro decenni di ateismo imposto e di interdizione di ogni aspetto religioso dalla vita pubblica (...). Inoltre, lo studio universitario della religione può contribuire ad andare oltre la strettoia IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 313 della prospettiva teologica (o storicoecclesiale), offrendo così una nuova comprensione dell’ortodossia e delle altre fedi (...). Esplorare la religione attraverso un’analisi critica, anziché mediante approcci angusti di carattere confessionale e particolarista, può certamente creare spazio per una prospettiva più auto-riflessiva e impedire, con ciò, lo sviluppo di differenti forme di fondamentalismo religioso (...). Infine, il prospettarsi di studiosi con competenze adeguate nell’ambito dei religious studies creerà le condizioni necessarie, oltre che le categorie di comprensione, per superare la frattura fra l’egemonia del discorso teologico ortodosso, da un lato, e il paradigma secolarista radicale che presenta alla società bulgara la religione come qualcosa di assolutamente irrilevante, dall’altro». In materia di «religione», dunque, i paesi dell’Europa orientale rappresentano uno spazio che non deve essere culturalmente colonizzato attraverso categorie interpretative e forme di analisi sviluppate a occidente dei loro confini; ed è un’opportunità, certo da Donatella Scaiola I Dodici Profeti: perché «Minori»? Esegesi e teologia P rimo lavoro in lingua italiana sul tema, lo studio analizza il libro dei Dodici Profeti Minori in modo unitario. Il percorso consta di tre parti: la prima presenta i motivi della lettura unitaria del libro; la seconda offre almeno un saggio di esegesi per ognuno dei singoli profeti; la terza approfondisce alcuni temi di carattere teologico. «Biblica» pp. 296 - € 27,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 311-314_istanbul:Layout 2 31-05-2011 12:20 sostenere, affinché possano sviluppare un proprio modo di comprendere i fenomeni religiosi, con tutte le interconnessioni sul piano dei costumi, della storia e della politica, che potrebbe avere ricadute positive anche per i paesi europei dell’ex blocco occidentale. Quale cit tadinanza per l’Europa? Continuamente accennata dai vari interventi, la questione del rapporto della religione con il potere è stata esplicitata dal teologo H.-J. Sanders (Università di Salisburgo): «Religione significa potere; normalmente religione significa addirittura lotta per il potere. Non c’è religione senza essere coinvolti o coinvolgere altri in contese di potere. Certamente religione è più che potere; ma senza potere la religione non significa nulla. Togliete potere alla religione ed essa sarà messa da parte. Senza potere la religione è senza significato pubblico, importanza sociale, pratica culturale, influenza politica e vantaggio esistenziale». Il potere, dunque, è una questione interna con cui le religioni devono confrontarsi criticamente, senza risolverlo in semplificazioni spiritualiste di qualsiasi natura e scopo. D’altro lato, togliere potere alla religione, e quindi eliminarne il rilievo pubblico, non significa affatto risolvere la questione della circolazione del sacro nell’Occidente contemporaneo. Stiamo infatti assistendo a una concentrazione del potere (politico, religioso ed economico) nelle potenze invisibili di una nuova sovranità del finanziario che va ridisegnando non solo le forme del mercato, ma anche la concezione dell’umano e del suo destino, e siamo inermi e sprovveduti davanti a questo fenomeno in cui ne va di tutti noi: «Si può tentare di separare la religione dal progetto politico dell’Europa; ma questo tentativo è destinato a fallire. Vi è un problema teologico-politico all’interno dell’identità europea che non può essere separato dal progetto politico. Non deve essere mischiato a esso, ma è inevitabilmente presente in esso». Le religioni possono giocare in merito un ruolo positivo attraverso un lavorio intenso sulla qualità del potere che ne determina l’impatto sulla confi- 314 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Pagina 314 gurazione della vita pubblica. Sander propone una via teologica di approccio critico al nesso tra potere, religione e convivenza civile che fa sponda sulle analisi genealogico-culturali di Foucault: «Il potere del re può decidere contro il bene pubblico di soggetti individuali a vantaggio dell’interesse pubblico generale. Il sistema di sicurezza e previdenza sociale è un valore più alto che il benessere dell’individuo. Potere pastorale significa la capacità di lavorare, allo stesso tempo, a vantaggio di ogni soggetto individuale e a favore dell’intero (qualsiasi cosa s’intenda con esso) – omnes et singulatim (...). Una riuscita definitiva del potere pastorale è impossibile e, per questa ragione, esso rimarrà sempre più potente delle persone che ne fanno uso». È chiaro che una simile prospettiva chiama in causa le pratiche, politiche e istituzionali, che definiscono la cittadinanza in seno al progetto politico dell’Europa. Nel cuore dell’idea culturale dell’Europa manca un principio di identità analogo a quello che può essere riscontrato nello spazio storico degli Stati Uniti, della Cina o della Russia, e il tema della cittadinanza si muove lungo un codice binario che oscilla tra un’alterità superiore cui si aspira e una svalutata e temuta (quella che D. Brague chiama la cosiddetta «via romana»). L’alterità aspirata non pone alcun problema per l’inclusione nella cittadinanza riconosciuta; quella temuta ne diventa invece una minaccia, per cui anche quando è concessa (per legge) non si realizza (come pratica della convivenza). Questo è lo stallo attuale che le procedure della politica non riescono a risolvere, e che le religioni possono irrigidire ulteriormente o contribuire a risolvere: «È questo lo snodo in cui il potere pastorale delle religioni può divenire un’alternativa al potere pastorale anonimo secolare che è penetrato e ha preso il controllo del moderno stato sociale (ossia della moderna arte di governo). La religione è in grado di farsi carico del potere pastorale, ma tale potere non deve essere tenuto in considerazione dalle comunità religiose solo per crearsi un luogo proprio di potere nella società. Questo potere pastorale è a favore di persone che sono senza potere alcuno (...), che sono qui tra noi ma non hanno appartenenza, oppure che appartengono ma non sono realmente qui». Le religioni hanno una potenziale qualità del potere in grado di scompaginare il dualismo della cittadinanza, per inserire nel progetto europeo una sensibilità volta a declinare insieme, e senza contrapposizioni, l’individuale e l’intero. Il fenomeno di presenze senza appartenenza e di appartenenze che non sono mai presenti mostra che «l’utopia moderna della cittadinanza sulla base di termini eguali è qualcosa di semplicemente non realizzato». Ma questo fenomeno, in Europa, coincide con persone e storie reali, con luoghi dell’umano che insinuano la faglia dell’alterità e dell’esteriorità dentro l’idea stessa di cittadinanza: «La loro mancanza di potere è una sfida religiosa e un fattore molto importante per la dimensione pubblica della religione in Europa. Qui si mostra che il potere pastorale si fa presente in luoghi di mancanza di potere. Il potere pastorale è, in realtà, impotenza. Con questa impotenza le comunità religiose non possono accumulare potere all’interno delle società moderne, ma possono accumulare assenza di potere nel momento in cui cominciano a essere solidali con questi cittadini. Qui il potere, ormai definitivamente perso nella sfera pubblica, è trasformato in un’autorevolezza che può avere un reale impatto umano sulle società moderne». Marcello Neri 1 All’attenta e amichevole ospitalità dei colleghi e degli studenti della Facoltà teologica dell’università turca, che ha curato l’organizzazione insieme al Trinity College di Dublino, è corrisposto un clima cordiale e disteso: tanto nei dibattiti in sede assembleare e nei gruppi di lavoro, quanto negli incontri informali tra i partecipanti al convegno. Lo stile delle giornate di lavoro rappresenta l’avvenuta realizzazione di uno degli intenti che la ESITIS si era data con la sua fondazione nel 2005: quello di offrire uno spazio in cui docenti e studenti universitari, provenienti da diversi paesi europei e del bacino mediterraneo, potessero incrociare in maniera feconda e seria tutta una serie di diversità: da quella dell’approccio scientifico al tema della religione a quella delle variegate appartenenze religiose, quello della centralità e marginalità nei processi di costruzione dell’ideale europeo, e soprattutto quella delle variegate sensibilità culturali e storiche che caratterizzano oggi la presa in carico della questione delle religioni nelle varie regioni che compongono il nostro continente. L 315-319_libri_del mese_R81:Layout 2 31-05-2011 15:27 Pagina LXXXI L ibri del mese Scrivere per governare Scritti pastorali nella Chiesa delle origini C on Seguendo Gesù1 i due curatori, noti anche per una Storia della letteratura cristiana antica (recentemente riedita da EDB, Bologna 2010) accolta con grande favore sia dal largo pubblico sia dagli ambienti accademici, si propongono ora di offrire al mondo degli specialisti e dei cultori della materia una rinnovata edi- LXXXI zione, suddivisa in due volumi, dei principali testi cristiani più antichi, scritti nello stesso periodo in cui furono composte la maggior parte delle opere che entrarono a far parte del Nuovo Testamento o qualche decennio più tardi. Questo primo volume presenta, nell’ordine, le Didachai (comunemente indicate con il singolare Didachè) o Istruzioni degli apostoli, la Lettera di Clemente ai Corinzi (detta anche Prima lettera di Clemente per distinguerla dalla cosiddetta Seconda lettera di Clemente) e le sette lettere di Ignazio di Antiochia. Il successivo volume vedrà la pubblicazione della lettera di Policarpo, del Pastore di Erma e della Lettera di Barnaba, aggiungendo così ulteriori sfaccettature al complesso panorama delle origini del cristianesimo. Nei testi qui proposti, per la loro antichità (un arco temporale compreso tra il 70 e il 120), risuonano le parole di Gesù per essere state apprese per via ancora orale o tramite brevi raccolte. Essi costituiscono inoltre testimonianze concrete del differente modo di radicarsi del messaggio evangelico per la diversità degli ambienti geografici, degli scenari sociali, dei contesti culturali e religiosi. Il quadro delle esperienze cristiane che ne emerge è indubbiamente plurale, segnato da seri problemi organizzativi e vivaci dinamiche di confronto e opposizione, sicché il concreto della vita comunitaria si ritrova a dare volto al comandamento dell’amore, pur sentito come il lascito distintivo di Gesù, nel mezzo di tensioni conflittuali spesso assai aspre, come quelle fra carismi e ministeri, fra gruppi di estrazione culturale e sociale differente, fra opinioni e financo dottrine divergenti a proposito dell’identità di Gesù e del significato della sua azione. L’indagine sui testi condotta dai due illustri cristianisti è particolarmente preziosa, per l’infrequente capacità di tenere assieme cura strettamente filologica, interpretazione storica complessiva e comprensione dello specifico teologico, in un ambito letterario che si presenta come un mosaico di cui troppe tessere, disgraziatemente, sono andate perdute. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 315 315-319_libri_del mese_R81:Layout 2 L 31-05-2011 Pagina LXXXII ibri del mese La presentazione delle tre opere offerte nel volume è compiuta secondo un impianto comune, a dimostrazione dell’unitarietà del progetto: ampie e complesse introduzioni generali, che affrontano tutte le questioni nodali poste dagli scritti; testi critici limpidi e coerenti in ogni loro parte, accompagnati da eleganti traduzioni italiane; note di commento, ricche di dati e insieme essenziali, relative a specifici luoghi testuali. Si tratta di un libro di eccezionale interesse non solo per l’oggetto che affronta, ma per lo stile e il metodo che sanno unire leggibilità e rigore scientifico, senza lasciare spazio agli stereotipi di certa letteratura devota, preoccupata solo di stare entro il perimetro dell’insegnamento tradizionale. Le Didachai L’edizione delle Didachai o Istruzioni degli apostoli di Manlio Simonetti è un lavoro insieme estremamamente innovativo e prudente. Nel senso che l’eminente studioso prende posizione su ogni questione controversa, offrendo soluzioni originali nel loro equilibrio ed evitando sempre di lasciarsi prendere da facili entusiasmi per le ultime ipotesi che sembrano andare «per la maggiore». Egli si muove nel mare magnum che è la bibliografia scientifica sullo scritto protocristiano con la perizia del sapiente navigatore, che riconosce immediatamente le implicazioni più nascoste di ogni corrente di studi, di ogni tesi a prima vista risolutiva. La lettura dell’intensa e chiara – ma pur sempre impegnativa – introduzione consente al lettore di farsi un’idea aggiornata degli aspetti oggi maggiormente dibattuti, che Simonetti affronta seguendo l’ordine di svolgimento della materia trattata nello scritto. Egli si schiera tra coloro che sostengono il carattere unitario della redazione dell’attuale testo e pertanto l’unicità del redattore/autore. Quanto alla datazione, si allinea con coloro che la collocano verso la fine del I secolo e gli inizi del II; riguardo al luogo di provenienza, ritiene più prudente ammettere, con Niederwimmer, che ancora brancoliamo nel buio, con la sola eccezione per l’origine rurale della comunità, a suo avviso unico elemento provvisto di qualche plausibilità. Simonetti si mostra molto prudente anche 316 15:27 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 su altre delicate materie controverse. Così, quando l’autore delle Didachai adduce passi che trovano riscontro nei Vangeli, ciò non significa automaticamente che abbia tra le mani un Vangelo, o che sia possibile con precisione stabilire il testo presinottico da cui dipende, in quanto cita verosimilmente a memoria. Su un altro piano, riconoscere il forte colorito giudaizzante dell’opera non significa affatto ammettere che il suo autore condividesse un atteggiamento di fedeltà integrale alla Legge e alle sue osservanze. Su scala più vasta, neppure è accettabile che si continuino a utilizzare categorie come antipaolinismo e paolinismo per collocare ogni tendenza presente nel cristianesimo primitivo, senza ipotizzare una quantità di posizioni intermedie tra questi due estremi, nelle quali si saranno variamente fusi, confusi e giustapposti elementi di diverse estrazione e tradizione. Lo studioso con ragione rifiuta entrambi i titoli dello scritto recati dalla tradizione diretta, Istruzione dei dodici apostoli e Istruzione del Signore per tramite dei dodici apostoli ai gentili, che inseriscono l’opera nell’ambito della letteratura pseudo-apostolica di argomento disciplinare e liturgico, preferendovi quello riportato dalla tradizione indiretta, ossia Istruzione degli apostoli o, al plurale, Istruzioni degli apostoli, perché gli apostoli cui qui ci si riferisce non sono i Dodici, bensì missionari itineranti, che anche in altre fonti vengono indicati come apostoli. La scelta del titolo originario si restringe dunque tra singolare e plurale di Istruzione: con la sua usuale grande onestà intellettuale, Simonetti giudica in questo caso solo «leggermente» preferibile il plurale Didachai al consueto singolare Didachè. Personalmente ritengo che la sua argomentazione sia più che convincente. La prima parte delle Didachai (16,1) è costituita da una serie di prescrizioni di carattere morale riunite nel cosiddetto schema delle «due vie». Si tratta di uno schema non unitario, che presenta per lo più divieti, cui si aggiungono, talora, degli inviti. Gli studiosi da sempre mettono in relazione questa sezione dello scritto con lo schema delle due vie che si rinviene sia nella Lettera di Barnaba sia nel De doctrina apostolorum, dando al problema della interdipendenza dei testi soluzioni come sempre piuttosto differenti. Dopo avere analiticamente mostrato i principali aspetti di questa intricata ma essenziale questione, dal canto suo Simonetti, con l’usuale prudenza, conclude in sintesi che la Lettera di Barnaba da una parte e le Didachai e il De doctrina apostolorum dall’altra discendono da un comune antenato giudaico, da cui hanno ereditato sia la struttura binaria sia svariati precetti; e che le Didachai e il De doctrina apostolorum derivano, indipendentemente le une dall’altro, da una fonte comune, dalla quale hanno tratto gran parte della precettistica delle due vie e che forse era stata già superficialmente cristianizzata nella formula introduttiva. Tutti sono d’accordo nel ritenere che la sezione evangelica (1,3-6), rispetto alla fonte da cui l’autore delle Didachai ha dedotto il testo delle due vie, sia stata senza dubbio interpolata; ma Simonetti non condivide l’opinione di quanti – non pochi – ipotizzano che l’interpolazione sia successiva alla stesura originale dello scritto. In buona sostanza, perché negare, sostiene egli, che lo stesso autore delle Didachai possa di propria iniziativa avere inserito questa sezione di materiale «evangelico» per rendere implicitamente cristiana anche tutta la precettistica successiva di contenuto veterotestamentario e perciò giudaico? Sfumature giudaizzanti Da un punto di vista testuale, ogni scelta è sempre ben motivata e prudente, così come il commento presenta grande solidità. Mi limiterò pertanto a qualche breve osservazione. A 1,3 «Non fanno così anche i pagani?», il riferimento ai gentili costituisce un elemento di significativa differenza rispetto alla «tradizione sinottica», che al loro posto presenta i pubblicani (Matteo) o i peccatori (Luca): mi sarebbe dunque piaciuto conoscere il parere di Simonetti circa le eventuali implicazioni che da ciò possono discendere. 1,4 «Astieniti dai desideri della carne» costituisce un passo da sempre giudicato problematico: se sul piano testuale la soluzione adottata mi sembra davvero la migliore possibile e sul piano esegetico a ragione Simonetti pensa, con Visonà, che qui non si tratti di appetiti sessuali ma di LXXXII 315-319_libri_del mese_R81:Layout 2 31-05-2011 istinto naturale dell’uomo, tuttavia il commento avrebbe forse potuto aggiungere qualcosa per illuminare maggiormente il lettore. A 2,5b Simonetti pubblica tra parentesi quadre, giudicandolo una glossa, il testo «ma piena di concretezza», e perché manca sia nel De doctrina apostolorum sia nelle Costituzioni apostoliche, e perché introduce una notazione positiva in un contesto del periodo che è soltanto negativo. Le ragioni addotte sono senz’altro importanti, ma insospettisce che anche poco più avanti, a 2,7 («Non odierai nessuno, ma alcuni riprenderai... »), sempre i due succitati testimoni omettano di riportare parte della seconda sezione del periodo che comincia anche questa volta con un’avversativa forse percepita, come in 2,5b, quale parziale correzione di uno sviluppo di un discorso solo negativo. A 4,12, infine, preferirei una traduzione generica come «falsità», per gli stessi argomenti per cui viene tradotto «falso» a 2,6. La transizione (6,1-2) verso la sezione d’argomento liturgico è, pur nella sua brevità, estremamente significativa. Vi si fa infatti riferimento al «giogo del Signore», elemento determinante per comprendere l’entità della dimensione giudaica nelle Didachai. Su questo punto Simonetti, alla luce specie di opportune considerazioni generali sulla presenza della Legge mosaica nello scritto, ritiene che qui per giogo del Signore si intenda quello di Gesù, identificato con la precettistica delle due vie, integrata dalla sezione evangelica. Non mi ritrovo pienamente, invece, nel giudizio sul senso da assegnare alle parole di 6,3 «Quanto poi agli alimenti, addossati ciò che puoi; comunque astieniti assolutamente dalle carni consacrate agli idoli... ». Simonetti pensa che l’autore dello scritto, che era al corrente della disparità di orientamenti riguardo ai divieti alimentari, lasci liberi in materia i suoi interlocutori, ponendo come unico divieto di consumare gli idolotiti, in conformità a un atteggiamento moderatamente giudaizzante. Credo che, almeno sullo sfondo, ci sia una non tanto velata proposta di osservare un codice alimentare di stampo giudaico e che qui il colore giudaizzante delle Didachai si faccia percepire più vivo che altrove. LXXXIII 15:27 Pagina LXXXIII Liturgia e disciplina La sezione liturgica dello scritto (710) presenta la successione battesimo (7) – digiuno e preghiera (8) – eucaristia (910). A ragione Simonetti ritiene che il carattere di excursus del capitolo 8 non comporti necessariamente un’interpolazione posteriore, e con buoni argomenti mostra che esso può essere stato introdotto proprio dell’autore delle Didachai. Anche i capitoli sull’eucaristia, malgrado le numerose e diverse difficoltà in essi presenti, costituiscono un testo coerente. A proposito di questa articolata sezione, ciò che mi preme qui richiamare sono le osservazioni di fondo che, in una prospettiva storica complessiva (dunque anche storico-liturgica e storico-teologica), l’insigne studioso giudica necessario fare. Anzitutto la cristologia arcaica, che sembra evincersi dalle preghiere eucaristiche delle Didachai, potrebbe benissimo non essere più quella dell’autore dello scritto, attivo con tutta probabilità verso la fine del I secolo e gli inizi del II e non particolarmente impegnato, così parrebbe, sul piano dottrinale in sede di redazione dell’opera. In questo caso risulterebbe ancor più difficile localizzare lo scritto ad Antiochia, che nel mondo antico fu sempre all’avanguardia della riflessione cristologica. Qualora invece le preghiere eucaristiche delle Didachai fossero espressione di una comunità di area siriaca, allora il conflittuale assetto gerarchico della comunità in oggetto starebbe a significare un momento o un aspetto dei contrasti che avrebbero portato alla sostituzione, nella regione, del vecchio ordinamento con il nuovo, ovvero con l’istituto dell’episcopato monarchico affermatosi con Ignazio d’Antiochia. A 9,4 si sottolina giustamente la singolarità di questa isolata ricorrenza del nome «Cristo» nelle Didachai, ma occorre anche tenere conto del contesto dossologico della frase, molto differente da quello in cui ritroviamo la menzione del «servo Gesù». Qualche perplessità mi lascia il fatto che sia qualificata come glossa «santificata» di 10,5, in quanto mi sembra manchino elementi così cogenti per una giudizio d’interpolazione. La sezione costituita dai capitoli 11-15 e consacrata a questioni discipli- nari si presenta come un blocco in gran parte, ma non completamente, unitario. A prima vista appare priva di collegamento strutturale con i precedenti capitoli, ma a ben vedere è la stessa prospettiva adottata dal curatore a consentire uno sguardo più unitario. La situazione di transizione, di passaggio da un gerarchia primitiva, missionaria carismatica itinerante, a una stanziale, che l’autore delle Didachai ritiene equivalente all’antica, rinvia a mio parere infatti a quel clima di conflittualità sopra richiamato a riguardo delle preghiere eucaristiche: anche ora si fa strada, fra contrasti, una nuova autorità. Motivo per cui, al di là delle belle parole spese per i ministri itineranti del Vangelo (apostoli, profeti e maestri), pesano le gravi riserve verso questi forestieri. Chiude lo scritto una breve sezione d’argomento escatologico, che ci ricorda sia quanto intensa fosse l’attesa del ritorno glorioso del Signore in queste prime generazioni cristiane sia quanto le Didachai stesse siano pervase da questa tensione. La Let tera clementina La seconda opera proposta, la Lettera di Clemente ai Corinzi, di cui Emanuela Prinzivalli offre una splendida edizione, in ogni sua parte accurata, aggiornata e frutto evidente di un lungo lavoro di riconsiderazione critica dei dati, è, a concorde giudizio degli stessi curatori del volume, di poco anteriore alle Didachai, ma posta in questa sede per non separarla visivamente dalle Lettere di Ignazio di Antiochia, che proseguono nel trattare, seppure da diversa angolazione, argomenti affini alla Lettera clementina. Il testo è dunque forse il più antico degli scritti che non fanno parte del Nuovo Testamento, ed è la prima composizione letteraria di sicura origine romana: saldamente radicata nella comunità di Roma, ne è espressione diretta, ed è perciò la prima fonte certa su questa comunità. Prinzivalli nel corso della sua introduzione torna spesso sull’elemento della coralità: il mittente della lettera è la comunità romana che scrive a quella di Corinto per esortarla a comporre i contrasti interni e ritrovare la pace, e lo scopo fu molto probabilmente conseguito. La tesi della studiosa è che a divulgare il IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 317 315-319_libri_del mese_R81:Layout 2 L 31-05-2011 Pagina LXXXIV ibri del mese prestigio ecclesiale e a formare l’autocoscienza della comunità romana sia anzitutto la fama derivante dalla circolazione della lettera: Roma si espone in prima persona, dimostrando di farsi ascoltare e di imporre la sua soluzione. La volontà di assumere un’identità collettiva deve essere presa sul serio: non c’è all’epoca a Roma un’autorità apostolica o qualcuno che si senta ancora autorizzato a rappresentarla perpetuandone il nome. Chi stende la lettera presenta semplicemente la Chiesa di Roma nella sua unità, come interlocutore diretto della Chiesa di Corinto, attualmente minacciata nella identità comunitaria da una divisione che si vuole scongiurare. Certo è che Roma interviene nella vicenda di Corinto, dopo essere stata sollecitata a farlo, con dottrina e sapienza retorica impareggiabili, suscitando nei propri confronti impressione, ammirazione, rispetto. La capacità di inquadrare le minute vicende quotidiane dei fedeli di Corinto nella grandezza incommensurabile del disegno divino indicano orizzonti probabilmente insospettati. Se all’epoca lo scrivere è un modo per governare, allora la comunità di Roma si dimostra capace di farlo. Come ebbe a scrivere Harnack, nessuna altra comunità ha fatto un ingresso più brillante nella storia della Chiesa. Perché però proprio Roma viene interpellata da Corinto? Per Prinzivalli la risposta è tanto vera quanto ovvia: un interlocutore lontano, ma poi non troppo, è meglio di uno vicino; inoltre la comunità cristiana di Roma è quella della capitale dell’impero, quella a cui Paolo, proprio da Corinto, ha scritto la sua più celebre lettera; infine i legami tra le due città sono intensi da quando la città greca nel 44 a.C. è stata rifondata come colonia romana. Potremmo, da parte nostra, chiederci se a Corinto non si fosse a conoscenza del fatto che anche Roma, seppure in modo differente, stava vivendo la crisi di fine I secolo, con la scomparsa della generazione apostolica e il costituirsi di nuove 318 15:27 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 guide in cerca di legittimazioni più ampie e stabili. La deriva sogget tiva Ma qual è il punto di vista di Roma su Corinto? Secondo la Lettera, la Chiesa di Corinto versa in una situazione conflittuale, che viene descritta, servendosi di una terminologia propria del linguaggio politico, come discordia, rivolta, sedizione, in una parola tutto ciò che si oppone alla concordia. La rivolta, che fa capo solo ad alcune persone e non dottrinalmente devianti, ha condotto a una divisione interna che si sta prolungando con gravi conseguenze. La questione dibattuta riguarda l’organizzazione ecclesiale e, se si sta a una più superficiale lettura del testo, la stessa rivolta concerne la contesa per la funzione episcopale e la rimozione di alcuni presbiteri, che sono tra quelli posti alla guida della comunità. La studiosa ha il merito di non essersi accontentata di tale consueta posizione, ma di avere ricercato indizi, disseminati lungo l’intera lettera, che provino come la rimozione dei presbiteri e la contesa per la funzione episcopale siano solo la manifestazione più clamorosa di un male profondo e oscuro, che rappresenta il pericolo maggiore: la tendenza a valutare in modo arbitrariamente soggettivo gli avvenimenti comunitari, e il conseguente movimento centrifugo. A questo punto la questione non si risolve col rimettere i presbiteri al posto che loro compete, ma solo ripristinando l’amore fraterno violato. Prinzivalli giustamente ritiene che l’intenzione della Lettera non sia di affermare l’autorità gerarchica in quanto tale, bensì piuttosto di sollecitare il ristabilimento nella concordia dell’assetto complessivo della comunità, articolata sì nella diversità dei compiti dei membri, ma tutti pareggiati nell’obbedienza a Dio, dal momento che tutti si è un unico corpo in Cristo vivificato dallo Spirito. Siamo insomma di fronte a una visione ecclesiale essenzialmente comunitaria piuttosto che gerarchica. Con la medesima acribia Prinzivalli affronta anche la crisi di Corinto, offrendone una possibile ricostruzione: alla guida della comunità ci sono da tempo i presbiteri (resta aperto se tutti o solo alcuni esercitino la funzione episcopale), elementi la cui età avanzata avrebbe dovuto garantire autorità e autorevolezza; a un certo momento, tuttavia, alcuni di loro vengono messi in discussione, per motivazioni che potrebbero avere attinenza con la pretesa di una migliore attitudine alla guida della Chiesa avanzata da alcuni elementi più giovani particolarmente stimati e dotati. Tutto ciò nel quadro di una qualche obiettiva difficoltà organizzativa, che aveva portato a evidenziare la debolezza del sistema vigente. La studiosa tratta molte altre pagine fondamentali della vicenda di questo testo con la profondità analitica che le è consueta, ma proprio per questo motivo risulterebbe qui troppo lungo discuterle adeguatamente. Particolarmente importanti, tuttavia, mi paiono quelle consacrate alla situazione storica della comunità romana, e dunque al rapporto tra Chiese domestiche e sinagoghe giudaiche. Per Prinzivalli l’autore della Lettera da un lato possiede un’acculturazione giudaica che non è immaginabile in assenza di contatti reali con ambienti giudei, dall’altro si presenta volutamente molto accorto nell’evitare di presentare in linea di massima situazioni negative o conflittuali, essendo queste fuori del suo proposito. LXXXIV 315-319_libri_del mese_R81:Layout 2 31-05-2011 Molto significative sono le pagine dedicate al retroterra culturale dell’autore (perfetta padronanza della Scrittura giudaica, in accordo con un carattere specifico del cristianesimo romano del I secolo; presenza di un canone di libri ispirati più ampio sia del successivo canone palestinese sia di quello dei Settanta), ma il lettore troverà di notevole interesse anche le sezioni su «Struttura e forma letteraria», «Temi dottrinali» e «La nascita del personaggio di Clemente e la fortuna della Lettera ai Corinzi». Il testo critico è molto accurato ed elegante la traduzione. Degne di speciale menzione sono le note, sovente lunghe e articolate, sempre ricchissime di dati, che sviluppano più ancora che completare il discorso affrontato nell’Introduzione, con continui riferimenti alla letteratura biblica, classica e patristica, con approfondimenti lessicali, discussioni esegetiche e approfondimenti retorici. Una vastissima bibliografia, puntualmente citata nell’Introduzione e nel Commento, espressione di una competenza assolutamente rara in materia, chiude questa sezione del volume. Le Let tere di Ignazio Il lavoro sulle sette Lettere di Ignazio di Antiochia è stato svolto a quattro mani dai curatori, e risulta così ripartito: l’edizione critica e l’introduzione generale, a eccezione del capitolo 7 e dei profili relativi alle lettere ai Romani e a Policarpo del capitolo 8, si debbono a Manlio Simonetti. Emanuela Prinzivalli ha scritto le traduzioni e le note delle lettere ai Romani e a Policarpo, le altre cinque lettere sono curate da Simonetti. Lo scritto introduttivo di Simonetti possiede una notevole forza, ma per la complessità della materia richiede una lettura particolarmente attenta. Lo studioso comincia col prendere in esame quel poco che è veramente possibile conoscere sulla figura di Ignazio, quindi passa ad affrontare la complessa questione legata al suo nome, nata in età moderna e non ancora conclusasi, specie per le scarsissime conoscenze che si possiedono sulla situazione delle Chiese d’Oriente tra la fine del I e l’inizio del II secolo. Simonetti è persuaso dell’autenticità delle lettere nella recensione comunemente detta «media», che colloca tra il LXXXV 15:27 Pagina LXXXV 110 e il 120, con possibilità di qualche leggera oscillazione piuttosto prima che dopo. Esse ci informano sulle condizioni materiali e spirituali, tutt’altro che confortanti, in cui versano le comunità cristiane d’Asia nel loro complesso, inclusa la stessa Chiesa di Antiochia. Al riguardo, la testimonianza di Ignazio risulta scarsamente attendibile, anzitutto per la sua genericità, poi anche per la radicalizzazione delle posizioni espresse a motivo del temperamento aspramente polemico del vescovo. Diverso diventa il discorso, quando ci si concentra sulle singole comunità che l’autore ci fa conoscere: sebbene con caratterizzazioni differenti, ritroviamo conflitti interni di natura dottrinale, contrasti fra cristiani di derivazione o giudaica o gentile, problemi di organizzazione interna alla comunità. Il continuo richiamo in esse all’unità e alla pace dimostra che quelle comunità erano divise, soprattutto sul riconoscimento dell’autorità del vescovo, e che esistevano consistenti correnti avverse alla sua leadership. Ma si tratta spesso di passare di ipotesi in ipotesi. Anche sulla formazione culturale di Ignazio, l’insigne cristianista prende le distanze dal famoso e laudatorio giudizio di Norden, che vede nella prosa del vescovo «inaudita audacia (...) il fuoco interno e la passione che si liberano dalle pastoie dell’espressione». Simonetti si chiede viceversa se la passionalità di Ignazio non sia ben controllata, a servizio di una strategia ecclesiale complessa, e se le improprietà sintattiche e in genere i difetti di forma che caratterizzano la pagina ignaziana non siano dovuti a una carenza nella formazione grammaticale di base: del resto, non sarebbe certo il primo caso di simbiosi di ambizione retorica e difetto di grammatica. Per risolvere la questione, egli fa notare che occorrerebbe avere di Ignazio una conoscenza superiore a quella che in effetti è possibile avere allo stato attuale delle nostre conoscenze, e soprattutto sapere qualcosa del tempo precedente all’imprigionamento. Quello che emerge dalle Lettere è comunque un orizzonte culturale ristretto agli scritti biblici. Diversamente però dalla Lettera di Clemente ai Corinzi, che accetta senza alcun problema la Scrittura ebraica, Ignazio non guarda quest’ultima con piena simpatia, rivelando la propria identità di cristiano cresciuto in un ambiente gentile e non giudaico. Se invece passiamo ai testi che sarebbero poi confluiti nel Nuovo Testamento, si coglie subito la profonda influenza esercitata da Paolo, ricordato esplicitamente con enfatica lode in una lettera. Ignazio conosce inoltre certo la «tradizione evangelica» e la sua riflessione è senza dubbio influenzata dalla teologia della tradizione giovannea. Un ulteriore elemento d’interesse dell’introduzione di Simonetti è l’accento posto sul linguaggio e i temi teologici affrontati da Ignazio: Dio e Cristo, spirito e carne, la Chiesa e i suoi ministri, la vita cristiana e il tempo finale. Di Emanuela Prinzivalli è invece un’analisi del modo in cui il vescovo di Antiochia si pone di fronte alla morte, diviso fra un presente dominato da preoccupazioni comunitarie ed ecclesiali e una personale ardente attesa escatologica. L’introduzione generale si chiude con un breve profilo di ogni singola lettera, che consente al lettore di meglio individuare in ogni testo le singole tematiche via via in esso svolte. A questo punto dell’esame del volume è quasi superfluo aggiungere che i curatori hanno condotto, ciascuno sui testi ignaziani di propria competenza, un ottimo lavoro d’interpretazione testuale. L’edizione qui proposta è ancora una volta estremamente equilibrata e accurata sul piano ecdotico. La traduzione italiana, particolarmente precisa e chiara, con ragione privilegia senz’altro la leggibilità alla letteralità, e ciò tuttavia determina che in qualche caso l’asprezza del testo greco ignaziano non traspaia nell’italiano con la necessaria evidenza. Le note di commento illuminano egregiamente la lettura di testi, che rimangono, a parere non solo mio, tra i più belli della letteratura protocristiana. Fabio Ruggiero 1 Seguendo Gesù. Testi cristiani delle origini. Volume I, a cura di E. Prinzivalli e M. Simonetti, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2010, pp. XVIII-628, € 30,00. A p. 315: Due cervi che si affrontano tra i tralci d’uva, mosaico del battistero inferiore, 510 circa, Madaba. A p. 318: La città di Alessandria, mosaico della chiesa di San Giovanni, 531 circa, Gerasa. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 319 L 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:21 Pagina LXXXVI L ibri del mese / schede I Libri del mese si possono ordinare indicando il numero ISBN a 12 cifre: per telefono, chiamando lo 049.8805313; per fax, scrivendo allo 049.686168; per e-mail, all’indirizzo [email protected] per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano, via Nosadella 6, 40123 Bologna. Sacra Scrittura, Teologia AIOSA C., GIORGIO G. (a cura di), Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, EDB, Bologna 2011, pp. 255, € 19,50. 9788810401644 saggi raccolti nel vol. sono i contributi offerti al XII Simposio della Iattorno SIRT in collaborazione con il Progetto culturale della CEI: essi vertono al 9° articolo del Simbolo apostolico, «Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi», dato essenziale della fede cristiana oggi fortemente messo in questione, entrato anch’esso nelle dinamiche disgregatrici della società «liquida». Lo sforzo di tutti gli studiosi è quello di ridire Dio nel contesto spazio-temporale in cui oggi si vive, affinché la professione di fede possa ancora essere reale strumento di trasmissione della medesima nel mutato contesto culturale. Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi BARBAGLIO BUSATO C., FILIPPI A., Immagini dell’uomo immagini di Dio, EDB, Bologna 2011, pp. 160, € 14,00. 9788810221570 il 3° vol. dedicato al biblista Barbaglio – scomparso nel 2007–, frutto di un convegno di studi organizzato in suo onore. A differenza dei primi due incontri, che partivano dal testo biblico, in quest’ultimo si è partiti dall’interrogativo su chi sia l’uomo con cui abbiamo a che fare oggi, quale Dio insegua, o di quale Dio abbia bisogno, e che cosa la narrazione biblica, fatta da uomini di un determinato tempo, oggi proponga. L’intento è capire chi è l’uomo di oggi, quali le sue nuove identità. Ma comprendere anche le possibilità, le ricerche e gli studi che possono aiutare a rendere elastica la comprensione e la lettura del reale. Per domandare poi perché occuparsi di Dio ai nostri giorni e che senso può avere la costruzione della Bibbia, oggi, sia che si creda sia che non si creda. È CALZOLAIO F., Il Vangelo di Giovanni. Commento papirologico al capitolo II, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 311, € 22,00. 9788837224776 opo una sintetica presentazione del dibattito tra gli studiosi sul II c. del Vangelo di Giovanni, il vol. offre un commento dei due episodi narrati nello stesso c. – le nozze di Cana e la cacciata dei venditori dal Tempio – condotto sulla base dei papiri documentari risalenti al periodo tra i secoli III a.C. e III d.C. La proposta dell’a. mostra che lo «spostamento dell’analisi verso una dimensione molto più concreta» e «vicina al linguaggio e al vissuto quotidiano», operato con l’ausilio del materiale papirologico, permette d’introdurre tra gli strumenti dell’esegesi «materiale e riferimenti culturali coi quali integrare la comprensione del capitolo». D DI PALMA G., GIUSTINIANI P. (a cura di), Teologia e modernità. Percorsi tra ragione e fede, Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli 2010, pp. 238, € 15,00. 9788897232001 l binomio «fede e ragione», indiscusso protagonista del dibattito teologico di questi anni, viene affrontato da cinque contributi che hanno costituito il nerbo di un progetto interdisciplinare della Sezione S. Tommaso d’Aquino della Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale. Gli aa. sono l’esegeta G. Di Palma, il teologo C. Dotolo, il filosofo P. Giustiniani, il genetista D. Matassino, lo storico L. Rossi. I DIANICH S., La Chiesa mistero di comunione. Nuova edizione riveduta e ampliata, Marietti, Milano 2011, pp. 245, € 24,00. 9788821165191 l testo è uscito per la prima volta nel 1974. Riprenderlo oggi ha significato per l’a., noto e affidabile teologo, un’ampia riscrittura per poter mostrare la diversa atmosfera ecclesiale del presente. Ma l’impianto di fondo è rimasto lo stesso: nell’atto genetico della Chiesa si mostrano i dinamismi e le strutture di fondo che costituiscono la comunione delle persone che è la materia prima dell’essere della Chiesa. Ma tutto ciò è frutto di un disegno divino, della grazia di Dio e dell’opera dello Spirito: il pieno manifestarsi del disegno del Padre. Viene introdotta una parte sulle ultime acquisizioni teologiche, sulla valorizzazione e difesa del Vaticano II, e un aggiornamento della bibliografia (a cura di S. Noceti). I FERRARIO F., La teologia del Novecento, Carocci, Roma 2011, pp. 303, € 24,00. 9788843057085 a teologia del «secolo breve», appassionante, coinvolgente in tutte le sue articolazioni, illustrata a un pubblico di lettori che non vuole farsi irretire dalle sole manifestazioni religiose spettacolari e, a tratti, folkloristiche, ma che cerca un filo rosso atto a guidarlo in una materia, la teologia, che nel nostro paese è da sempre una sorta di recinto per addetti ai lavori. Con questo intento, pienamente riuscito, l’a., noto pastore e teologo valdese, docente di Dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia, ripercorre con chiarezza espositiva i momenti decisivi del pensiero teologico del Novecento (ragguardevoli i cc. dedicati a Barth e a Rahner) offrendo al lettore una solida base per inoltrarsi su sentieri più impervi. Da leggere come introduzione, da assimilare come abbecedario. L MCKEEVER M., QUARANTA G., Voglio, dunque sono. La teologia morale di Giuseppe Angelini, EDB, Bologna 2011, pp. 251, € 22,00. 9788810406120 è uno dei più noti rappresentati della scuola teologica milaneA ngelini se (cf. Regno-att. 8,2011,273). I due saggi di apertura, che costitui- 320 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 LXXXVI 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:21 Pagina LXXXVII www.edizionimessaggero.it scono la I parte del vol., tentano di offrire sia una versione abbreviata del suo progetto teologico, sia una sua valutazione critica. La II rilegge alcuni dei principali temi della morale fondamentale ponendoli a confronto con il suo pensiero. Complessivamente, il testo raccoglie i frutti di un’attività più che trentennale di studio e d’insegnamento della disciplina. PALAZZO A., La figura di Pietro nella narrazione degli Atti degli apostoli. Supplementi alla Rivista biblica/52, EDB, Bologna 2011, pp. 160, € 15,00. 9788810302408 a ricerca dell’a. intende verificare, con l’ausilio dell’analisi narrativa, com’è caratterizzato il personaggio Simon Pietro negli Atti degli apostoli. È una verifica di come e quanto l’approccio esegetico narratologico permetta di capire un soggetto nel momento cruciale del suo essere vivo solo nel mondo del racconto. Lo studio è articolato in tre parti: dapprima si espongono le linee portanti dell’approccio esegetico scelto, meritatamente al tema dello studio; si analizzano poi tutti i brani petrini; si riportano infine le conclusioni su alcuni tratti che si possono attribuire al Pietro di Atti. L PENNA R., Le prime comunità cristiane. Persone, tempi, luoghi, forme, credenze, Carocci, Roma 2011, pp. 310, € 25,00. 9788843057047 l provocatorio incipit: «In principio era la Chiesa», serve al noto studioso di cristianesimo antico per dare forma alla miniera di dati di cui il vol. costituisce un ottimo contenitore. «Il cristianesimo appare sul palcoscenico della storia mediante una documentazione che primariamente attesta l’esistenza in area mediterranea di vari gruppi di uomini e donne, credenti in Gesù di Nazaret come Cristo e Signore. Sono gruppi esistenti già all’inizio degli anni Cinquanta del I sec., quando il Paolo storico scrive le sue lettere … e per di più sono già sparsi in città di varie regioni del Mediterraneo centro-orientale. … E se esistono in quegli anni è segno evidente che la loro gestazione avvenne lentamente negli anni precedenti». Un manuale che si segnala anche per la prosa scorrevole e chiara. I Arnaud Corbic Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer Due visioni dell’uomo «senza Dio» a confronto pag. 96 - € 8,00 Un testo in cui filosofia e teologia si confrontano: due visioni dell’uomo «senza Dio» in Camus e in Bonhoeffer. I dubbi del filosofo e gli interrogativi del teologo convergono, anche se la trattazione delle domande e l’elaborazione delle risposte risulta differente. POSENATO C., Perché la natura merita di essere amata. Guardini - Jonas - Moltmann, Àncora, Milano 2010, pp. 414, € 42,00. 9788851408152 n alcune opere di R. Guardini, H. Jonas e J. Moltmann l’a. cerca di cogliere elementi per una fondazione teologica e filosofica di una «ecologia autentica», prima presentando una sintesi dei singoli, quindi raccogliendo in un c. conclusivo il loro pensiero su Dio, la vita, l’uomo, la vita morale, il potere e la natura in prospettiva ecologica. I ROMANELLO S., L’identità dei credenti in Cristo secondo Paolo, EDB, Bologna 2011, pp. 233, € 22,00. 9788810402740 ambito della ricerca pluriennale dell’a. è la soteriologia elaborata da Paolo, attorno alla quale non si è pervenuti sinora da parte degli studiosi a una comprensione condivisa. Il saggio interviene quindi nel dibattito con pretesa di una certa originalità. Una volta messa a tema, la questione della soteriologia si rivela come un sasso gettato in uno specchio d’acqua, che ingenera vari cerchi d’onda concentrici. Di questi, vengono presi in esame gli sviluppi relativi alla questione dell’identità. Le questioni sono affrontate con una disamina a livello esegetico, o più precisamente di teologia biblica, ossia di ricerca di strutture costanti del pensiero paolino. Ne risulta un quadro di forte coerenza interna, la cui organicità rivela sicuri motivi di fascino e d’attualità anche per un lettore non specialista. L’ SCAIOLA D., I Dodici Profeti: perché «Minori?». Esegesi e teologia, EDB, Bologna 2011, pp. 296, € 27,50. 9788810221549 l libro dei dodici profeti minori – Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia – è da qualche tempo oggetto d’attenzione da parte di molti esegeti, soprattutto di lingua tedesca e inglese, in quanto testo unitario. Lo studio è una sorta d’introduzione e di commento al libro ed è il primo lavoro sul tema apparso in lingua italiana. Il percorso proposto, di tipo esegetico-teologico è suddiviso in tre parti. La I presenta i motivi che giustificano la lettura unitaria del libro. La II offre un saggio di lettura esegetica tratto da ciascuno dei profeti. La III approfondisce alcuni temi di carattere teologico, presenti in uno o più profeti, e riprende la questione più generale relativa alla forma complessiva del libro. I LXXXVII IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 321 Armando Matteo Nel nome del Dio sconosciuto pag. 112 - € 9,00 Il testo accoglie l’invito che Benedetto XVI ha rivolto alla comunità ecclesiale con la proposta del cortile dei gentili: l’invito a prendersi a cuore la vicenda dei non credenti, degli atei e degli agnostici, a farsi cioè carico della mancata provocazione della questione Dio nella loro esistenza. 320-330_schede_86:Layout 2 L 31-05-2011 12:22 Pagina LXXXVIII ibri del mese / schede Pastorale, Catechesi, Liturgia ALBERGHINA G., GRILLI M., PIERI F., Cammini di speranza. Formazione aperta alla creatività di Dio, Paoline, Milano 2011, pp. 137, € 12,00. 9788831536967 i propongono qui le lezioni tenute durante il corso per formatrici organizzato dall’Unione superiore maggiori d’Italia nel marzo 2010. Il tema portante è la speranza; se ne mettono in luce il legame inscindibile col Cristo e il rapporto con la formazione: «Davvero possiamo affermare che il servizio alla formazione è per eccellenza un servizio di speranza e alla speranza». I contributi riflettono sulla speranza attraverso le Scritture e delineano possibili piste per rinnovare la formazione all’interno degli istituti religiosi, al fine di rendere il carisma dei consacrati in grado di essere significativo per il nostro tempo e raccoglierne le sfide e le difficoltà. S APRILE F., Fare formazione nella Chiesa. Pensare, organizzare, gestire il cambiamento, Paoline, Milano 2011, pp. 175, € 13,00. 9788831538985 partire da un’esperienza di animatore e catechista, ma soprattutA to grazie alla propria attività di formatore professionista sui temi della comunicazione e delle relazioni interpersonali, l’a. ha dato vita, attraverso veri e propri laboratori di formazione, a diversi progetti per formatori di parrocchie e diocesi, che vengono raccolti in questo libro. A partire da una ridefinizione della logica e dello stile della formazione (cc. 1-2), si passa a un’efficace impostazione e gestione del gruppo (c. 3) e una buona strutturazione del percorso formativo (c. 4), per concludere con l’uso delle metodologie nella conduzione di un incontro (c. 5). BENTOGLIO G., Sfide alla Chiesa in cammino. Strutture di pastorale migratoria, Urbaniana University Press, Roma 2010, pp. 166, € 12,00. 978884017094 l vol. fa parte della collana dei Quaderni SIMI (Scalabrini International Ifenomeni Migration Institute), espressione dell’attività di ricerca e discussione sui migratori condotti dall’istituto stesso. In questo lavoro, esperti di diversa estrazione analizzano vari aspetti dell’immigrazione nel mondo occidentale e descrivono le strutture organizzative che la Chiesa si è data in passato per provvedere alla cura morale e materiale degli stranieri, interrogandosi sulla loro adeguatezza e delineando i modelli introdotti recentemente. L’auspicio è che la Chiesa sappia cogliere le opportunità che le migrazioni, «segno dei tempi», presentano. BRESSAN L., ROUTHIER G. (a cura di), L’efficacia della Parola, EDB, Bologna 2011, pp. 133, € 13,50. 9788810203576 ome mettere la Bibbia al centro della comunità? A questa domanda sempre urgente per la pastorale, il vol. risponde attraverso sei prospettive, sviluppate da insigni aa.: quelle della predicazione (Parmentier), della liturgia (Grillo), della lectio divina (Bressan), della catechesi (Lorenzi), della teologia (Grieu), della costruzione della comunità (Routhier). C CALDIROLA D., TORRESIN A., Cafarnao: il pane della fede. Diventare discepoli, EDB, Bologna 2011, pp. 65, € 6,00. 9788810512074 i fatto, molte delle nostre eucaristie sono come dei fast food, dove ciascuno viene per consumare velocemente il suo pasto … L’individualismo che segna la nostra cultura, corrompe anche il nostro modo di celebrare» (dall’Introduzione). Oggi il lato più accessibile del cristianesimo è spesso proprio quello più prezioso e impegnativo: la partecipazione alla mensa eucaristica. D CENCINI A., Formazione permanente: ci crediamo davvero? Prefazione di mons. F. Lambiasi, EDB, Bologna 2011, pp. 137, € 12,00. 9788810508473 i sono reso sempre più conto, nei vari contatti col mondo presbiterale e consacrato, anche fuori d’Italia, di quanto l’idea di formazione permanente fosse e sia ancora piuttosto vaga e nebulosa, povera e ambigua, parziale e superficiale, più legata alla sociologia che alla teologia... Ecco forse perché la cosa stenta a decollare e divenire prassi abituale e universale, per quanto se ne parli» (dall’Introduzione). Le pagine del vol. espongono il senso della formazione permanente e la sua ragione: rendere la vita dei presbiteri e dei consacrati sempre più ricca e matura. M a cura di Patrizio Righero - Roberta Roccia Mi piace Rischi e risorse del mondo virtuale CAMPO SCUOLA DE CHALENDAR X., Hanno visto Gesù. 50 personaggi del Vangelo, Paoline, Milano 2010, pp. 230, € 14,50. 9788831537261 a. ha individuato fra tanti personaggi che incontrano Gesù – Elisabetta, un pastore, la moglie di Zebedeo, un servitore a Cana, Lazzaro, i due ladroni ecc. – 50 uomini e donne per farli parlare del loro incontro con il Signore, abbandonandosi ai ricordi, o attraverso un’intervista o una lettera. «Un’occasione per rileggere la vita di Gesù mettendosi al posto di chi l’ha conosciuto e ascoltato» per riviverne sentimenti ed emozioni e per riscoprirne l’attualità. L’ DOZZI D., Salmi: preghiera di Israele e della Chiesa, EDB, Bologna 2011, pp. 231, € 20,00. 9788810621455 l vol. prosegue l’itinerario di spiritualità su testi biblici alla luce del messaggio di s. Francesco e dell’attualità, avviato con la Genesi e poi proseguito su altri testi. Lo schema è collaudato: testo biblico, sua recezione nel francescanesimo, sfide dell’oggi. Il tutto «con brevità di sermone», come consigliava Francesco. I testi sono stati pubblicati su Messaggero cappuccino, il bimestrale dei cappuccini bolognesi-romagnoli, dove hanno riscosso l’apprezzamento dei lettori. I educi dal successo dei precedenti sussidi, i curatori propongono R un campo scuola per ragazzi sul mondo virtuale e i rischi a esso connessi. Un’introduzione sull’educazione nel tempo del web 2.0 aiuta gli adulti a non sentirsi smarriti di fronte a questa nuova realtà. Punti di forza del sussidio sono la veste grafica accattivante e lo stile vicino al vissuto dei ragazzi. «Campi scuola» Guida per gli animatori: pp. 112 a 2 colori - € 7,50 Sussidio per i ragazzi: pp. 48 a 2 colori - € 3,90 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it FONDAZIONE DIOCESANA PER GLI ORATORI MILANESI, Battibaleno. Insegnaci a contare i nostri giorni. Oratorio estivo 2011, Cooperativa In Dialogo, Milano 2011, pp. varie + gadgets, € 35,00. 9788881236862 a «cassetta degli attrezzi» proposta dagli oratori milanesi offre tutti gli strumenti necessari per mettere in piedi un’esperienza di oratorio estivo: dalle magliette e gli adesivi ai sussidi per organizzare le gior- L 322 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 LXXXVIII 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:22 Pagina LXXXIX La rivista “Evangelizzare” d’intesa con l’Ufficio catechistico nazionale organizza la nate; dal CD con i canti ai testi di riflessione… Questa proposta mette al centro il tema del tempo: «Battibaleno, il tema dell’oratorio estivo 2011, afferma l’esigenza di non restare fermi a guardare passivamente il tempo che passa, ma dice della necessità di buttarsi dentro le occasioni di bene che il tempo offre, per trarne il meglio per la propria vita e quella degli altri». GRILLI M., Scriba dell’Antico e del Nuovo. Il Vangelo di Matteo, EDB, Bologna 2011, pp. 128, € 11,50. 9788810221532 l vol. propone il testo rivisto delle conferenze che l’a. ha tenuto al convegno di Parola Spirito e vita, svoltosi a Camaldoli (AR) dal 29.6 al 3.7.2009, di cui è già disponibile il cofanetto CD/MP3. L’itinerario guida alla comprensione e all’approfondimento del Vangelo di Matteo. I KOTHGASSER A., SEDMAK C., Donare e perdonare. L’arte di ricominciare, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2010, pp. 191, € 15,00. 9788825025217 li aa. sono promotori del gruppo Salzburg Ethik Initiative che con G la cooperazione fra Chiesa, mondo economico e scientifico intende dare impulso al rinnovamento a livello strutturale e personale. Su questo secondo aspetto si concentra il presente lavoro, rivolto a tutti i cristiani perché sappiano continuamente ricominciare o, in altre parole, convertirsi, sfuggendo all’insidia di essere «peccatori mediocri» che hanno addomesticato il Vangelo. La via del rinnovamento non cerca imprese eccezionali ma sa procedere attraverso le piccole cose della quotidianità, arrivando ai vertici del perdono e del dono d’amore grazie alla fiducia in Dio. RATZINGER J., Opera omnia/11. Teologia della liturgia. La fondazione sacramentale dell’esistenza cristiana, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2010, pp. 849, € 55,00. 9788820984151 l testo «raccoglie tutti i miei lavori di piccola e media grandezza con i quali nel corso degli anni, in diverse occasioni e da prospettive diverse, ho preso posizione su questioni liturgiche. Infine, dopo tutti i contributi nati in questo modo, mi sono sentito spinto a presentare una visione d’insieme che è stata pubblicata nell’anno giubilare 2000 con il titolo Der Geist der Liturgie. Eine Einführung (Lo spirito della liturgia. Un’introduzione) e che costituisce il testo centrale di questo volume». Così presenta Benedetto XVI l’11o vol. della sua opera omnia, che comprende testi prodotti nell’arco di 40 anni, dal 1964 al 2004, articolati in 5 parti: «Lo spirito della liturgia»; «Typos – mysterium – sacramentum»; «La celebrazione dell’eucaristia – fonte e culmine della vita cristiana»; «Teologia della musica sacra»; «Ulteriori prospettive». I SAPIENZA L., Un’infinita bellezza. Antologia della vocazione, Rogate, Roma 2010, pp. 391, € 22,00. 9788880753940 alla A di «abito» alla V di «voti», passando per «maestri di vita», «pace», «responsabilità»: in ordine alfabetico 189 parole/temi per offrire «quanto di più bello e interessante è stato scritto sulla vocazione e sulle vocazioni». D TRIANI P. (a cura di), Educare, impegno di tutti. Per rileggere insieme gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana 2010-2020, Ave, Roma 2010, pp. 271, € 10,00. 9788882846008 ercorso di lettura e di approfondimento del documento pastorale della CEI per il decennio, nato in ambito dell’Azione cattolica italiana. Ogni a. (Bignardi, Brambilla, Crociata, Lizzola, Miano, Sigalini e Triani) commenta un c. del documento che nella II parte è presentato integralmente. P TOMMASELLI A., Spiriti maligni. Chi è il diavolo, qual è il suo potere, come si combatte, EDB, Bologna 2011, pp. 133, € 10,00. 9788810521137 na prima informazione sulla demonologia, ma anche un manuale di autodifesa: scopo del vol. non è suscitare inutili paure, ma aiutare a rivestirsi dell’armatura di Dio, che la Chiesa mette da sempre a disposizione: le Scritture, la Tradizione, la dottrina del magistero e le indicazioni dei più eminenti esorcisti. Presentazione a firma di G. Amorth. U LXXXIX IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 323 SCUOLA PER FORMATORI ALL’EVANGELIZZAZIONE E ALLA CATECHESI La formazione degli annunciatori in un mondo plurale SIUSI (BZ), 10-19 luglio 2011 La scuola si propone di accompagnare i formatori dei catechisti a: 䉬 rendersi consapevoli della pluralità 䉬 lasciarsi sorprendere 䉬 acquisire competenze per servirla 䉬 diventare creativi nell’annuncio Il metodo è basato sulla logica del laboratorio per un apprendimento adulto dei partecipanti. ¢ Le informazioni vanno richieste a: Segreteria Scuola per formatori p. Rinaldo Paganelli Via Casale San Pio V 20, 00165 Roma tel. 06.660560 - cell. 328.3793662 e-mail: [email protected] Ci si può utilmente rivolgere a: suor Giancarla Barbon tel. 0583.971054 - cell. 329.1274401 e-mail: [email protected] ¢ La scuola si svolge a Siusi (BZ) dal 10 al 19 luglio 2011. L’ospitalità è presso l’Hotel Salego tel. 0471/706123. ¢ La quota di iscrizione è stabilita in € 90 da versare al momento dell’arrivo alla scuola. ¢ La quota di soggiorno varia da € 500 a € 380 (camera singola € 500, doppia € 435, tripla o quadrupla € 380). IL PERCORSO PREVEDE QUESTA SCANSIONE: 䉬 Essere annunciatori in un mondo plurale 䉬 Perdersi e ritrovarsi nella pluralità 䉬 Costruirsi nella pluralità 䉬 Annunciare nella e con la pluralità I LABORATORI NEL POMERIGGIO IL TIROCINIO Alle persone che hanno già frequentato le due annualità della Scuola nazionale viene proposto un tirocinio. 320-330_schede_86:Layout 2 L 31-05-2011 12:22 Pagina XC ibri del mese / schede Spiritualità CATALANO R., Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso. L’esperienza di Chiara Lubich e del Movimento dei focolari, Città nuova, Roma 2010, pp. 234, € 14,00. 9788831148092 ra i caratteri propri del carisma di Chiara Lubich e della «spiritualità di comunione» che anima il Movimento dei focolari, il dialogo – in un’ampia varietà di declinazioni – ha senz’altro una posizione fondamentale. Il vol. si occupa, in modo particolareggiato, del dialogo coi seguaci di altre religioni nel quale il movimento si è instancabilmente impegnato fin dai suoi inizi per accogliere l’apertura del Concilio e impegnarsi a costruire una convivenza fraterna in un mondo realmente interculturale. Il dialogo interreligioso corrisponde, inoltre, al carisma fondativo del movimento radicato nelle parole evangeliche: «Perché tutti siano uno». T GASPARINI G., Per una spiritualità del quotidiano, Studium, Roma 2010, pp. 95, € 9,00. 9788838241154 a prima percezione germinata in me alla lettura di questo diario interiore è stata quella di entrare in pagine intrise di una fame di comunione ... Una seconda emozione è l’affiorare permanente di una passione per la vita ... La terza è venuta dal ritrovare in queste pagine la via della bellezza» (dalla Postfazione di p. E. Ronchi). Una breve raccolta di meditazioni, riflessioni e «quasi-preghiere», caratterizzate dal taglio autobiografico e dall’attenzione alla vita quotidiana. L GRÜN A., La vita è adesso. L’arte dell’invecchiare, Queriniana, Brescia 2010, pp. 207, € 16,50. 9788839916860 invecchia «senza dover muovere un dito. Ma se e come l’invecchiare ci riesca è un’altra questione». È un arte che va imparata da giovani S’ Notker Wolf Il tempo è vita: non correre! P ur in mezzo alle pressioni del mondo moderno, concedersi del tempo per vivere in modo più consapevole è l’invito dell’autore. Da abate benedettino, egli ben realizza la sintesi tra la frenesia del manager, in giro per il mondo a visitare i monasteri di cui è responsabile, e il ritmo più umano, intessuto di silenzi e preghiera, tipico del suo ordine. Un tema quanto mai attuale, affrontato con stile agile e accattivante. «Itinerari» pp. 208 - € 17,50 Dello stesso autore, con Matthias Drobinski: Regole per vivere I dieci comandamenti: provocazione e orientamento per oggi pp. 160 - € 13,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it e che pone di fronte a «interrogativi che, in realtà valgono per tutta la vita». La vita, quindi, è adesso: perché «non viviamo per restare giovani, ma per diventare vecchi». MANETTI D., Tutti i messaggi di Medjugorje. 30 anni con la Regina della pace, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2011, pp. 415, € 15,50. 9788856617825 orposo e agile volumetto che si avvale della prefazione di p. Livio C Fanzaga e presenta l’intero corpus dei messaggi mariani di Medjugorje, dal 1981 al 2011. L’inusuale estensione nel tempo di queste apparizioni mariane ha suggerito l’attivazione di una commissione per verificarne i frutti spirituali, presieduta dal card. Ruini (Regno-att. 8,2010,237). Alla breve storia delle apparizioni seguono tutti i messaggi con un indice tematico essenziale e significativo. Le voci più corpose sono infatti: conversione, preghiera, Maria, pace, digiuno e satana. Minore sviluppo hanno voci come: eternità, eucaristia, Bibbia e confessione. MAZZOLARI P., Il Samaritano. Elevazione per gli uomini del nostro tempo. Edizione critica a cura di Bruno Bignami, EDB, Bologna 2011, pp. 262, € 19,50. 9788810108499 on Mazzolari scrive Il samaritano nel 1937. È un testo impegnativo, che sa coniugare analisi psicologica dei personaggi e rivisitazione dell’ambiente scenico: ai suoi occhi, la parabola è sintesi della vita stessa. E non è quindi un caso che il sottotitolo espliciti il convincimento che il messaggio cristiano sia indispensabile per fare luce sul proprio tempo. Nel testo compaiono anche perle di letteratura e saggezza che da sole valgono il prezzo del libro: piccoli tesori che fanno de Il samaritano uno degli scritti più significativi del parroco di Bozzolo. Il vol. prosegue l’edizione critica delle opere di M. a cura della Fondazione don Primo Mazzolari e delle EDB. D PAGANELLI R., Mettimi come sigillo sul tuo cuore, EDB, Bologna 2011, pp. 159, € 9,90. 9788810808467 esperienza dell’amore, intesa nel senso più ampio, è presentata dall’a. nella sua forza e nella sua fragilità, propria delle cose gratuite, attraverso il racconto di storie di amici e amiche che gli hanno fatto il dono del loro amore. È un canto del cuore, una danza dell’anima, anche se con piedi stanchi. Un viaggio attorno e dentro il mondo degli affetti. L’ ŚPIDLÍK T., La vocazione. Riflessioni utili, Lipa, Roma 2010, pp. 95, € 10,00. 9788889667163 el libretto, a cui il card. Špidlík stava lavorando poco prima della morte (cf. Regno-att. 10,2010,352), è raccolta – più che una trattazione teologica sistematica sulla vocazione – una serie di riflessioni utili per la lettura e la meditazione, nel consueto stile fresco e diretto che avevamo imparato a conoscere. Si parte da una domanda, anche molto semplice, per ricondurre tutte le esperienze più concrete e umane alla prospettiva di fede e ai contenuti essenziali del mistero e della tradizione cristiani. N ZARRI A., Un eremo non è un guscio di lumaca. Erba della mia erba e altri resoconti di vita, Einaudi, Torino 2011, pp. 265, € 19,50. 9788806205577 l testo, che prende il titolo da una delle lettere della Zarri ed è preceduto da un testo di R. Rossanda («Le mie ore con Adriana»), «ha il suo cuore e nucleo portante in Erba della mia erba, pubblicato per la prima volta dalla Cittadella editrice nel 1981 e qui riproposto nella sua interezza»: si tratta di una raccolta dei testi della rubrica che la Zarri teneva sulla rivista Rocca. Nella II parte sono stati affiancati «altri resoconti di vita che si nutrono di atmosfere e riflessioni molto vicine nel tempo; sono brani recuperati dall’a. fra le sue carte e prima d’ora mai pubblicati in volume». Nella III, invece, vengono presentate pagine del tutto inedite e scritte nel 2010 a Cà Sassino, dove Adriana è morta nel mese di novembre (Regnoatt. 22,2010,736). I 324 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 XC 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:22 Pagina XCI ZIN N., 3 euro al giorno, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 146, € 12,00. 9788821569074 a mia storia è diventata un dramma ordinario... Il quotidiano di una madre dell’hinterland parigino alla quale, man mano che passano le settimane e i mesi, manca la terra sotto i piedi, e si ritrova solo con 3 euro al giorno per vivere». Questa è la storia di Nelly, che fa parte di quelli che oggi vengono definiti i «nuovi poveri». Improvvisamente la sua vita è cambiata: lasciata dal marito, perduto il lavoro, accumulati i debiti, Nelly si è ritrovata a dover accudire da sola le sue due figlie piccole. L COMMODI B., Canto francescano a Maria, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 159, € 13,00. 9788821570636 FARICY R., PECORAIO L., Meditando il santo rosario, ADP - Apostolato della preghiera, Roma 2011, pp. 102, € 5,50. 9788873575276 Storia della Chiesa ALENI G., Vita del maestro Ricci, Xitai del grande Occidente. A cura di G. Criveller, Fondazione Civiltà bresciana, Brescia 2010, pp. 174, € 23,00. 9788855900294 n occasione del IV centenario della morte del missionario gesuita MatIduzione teo Ricci a Pechino (1610) è stata pubblicata per la prima volta in traitaliana la biografia che ne scrisse nel 1630 Giulio Aleni, anch’egli gesuita e missionario, che voleva far conoscere ai lettori cinesi la vita del grande intellettuale e amico della Cina, e dare alla sua figura fama imperitura. Pur non essendo del gesuita bresciano Aleni l’opera più celebre, risulta di grande interesse per comprendere l’idea e la prassi dell’inculturazione attuate da entrambi i missionari. BELTRAME G., Sul fiume azzurro nei Sciangallah. Memorie di un viaggio. Il manoscritto del 1857. A cura di D. Romani, Mazziana, Verona 2010, pp. 166+XXXIV, € 19,00. 9788885073319 accolta delle tre principali opere di don Giovanni Beltrame (18241906) – Il Sennaar e lo Sciangallah. Memorie, Il fiume Bianco e i Denka e In Nubia presso File, Siene, Elefantina, in cui racconta la sua presenza in Sudan e in Egitto – assieme a due saggi sulla schiavitù, e alcuni studi minori su di lui, apparsi al convegno su «Giovanni Beltrame “ostinato africanista”» del 12.5.2006 a Verona, in occasione del centenario della morte. ma con la chiesa in comune) una strada geniale della sequela evangelica, ma anche un riscatto della figura femminile nell’ambito sociale. Una storia travagliata di consensi e sospetti viene ricostruita con cenni alle personalità più significative. PELLEGRINI M., Il papato nel Rinascimento, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 211, € 13,50. 9788815136817 alla fine del grande scisma d’Occidente (1417) al sacco di Roma (1527). È questo il periodo che l’a. mette sotto la sua lente di storico, il secolo nel quale si registra «l’ascesa dei papi a fastosi sovrani del più forte e rispettato stato italico» celebrata «dagli apologeti dell’ideologia papalista non meno che dagli artisti e dai letterati di curia». Il recupero dell’autorità primaziale, la smentita del conciliarismo, l’espansione dei poteri della curia, le pratiche belliche e di nepotismo, sono tra gli elementi che il vol. evidenzia tratteggiando quella «svolta temporalista» del papato che non saprà evitare ambiguità e problemi. D WILLIAMS R., Perché studiare il passato? Alla ricerca della Chiesa storica, Borla, Roma 2011, pp. 153, € 20,00. 9788826318059 uesto libro è stato scritto nella speranza d’incoraggiare la gente a volgere uno sguardo alla storia cristiana aperto alla sorpresa e alla messa in discussione»: così l’a., teologo anglicano e primate della Chiesa d’Inghilterra, introduce il vol. che raccoglie una serie di conferenze tenute nel maggio 2003 nella cattedrale di Salisbury e che rappresenta un tentativo di leggere la storia della Chiesa che «risulti sensibile al registro teologico», senza tuttavia fare della cattiva storia. «La storia cristiana fa parte di quella biografia della modernità che giace sepolta e viene spesso negata. La riesumazione di una parte di tale biografia non è solo qualcosa di buono per la salute della Chiesa, ma è un contributo seriamente urgente per il benessere intellettuale e morale della cultura». Q R CRIVELLER G., Matteo Ricci. Missione e ragione. Una biografia intellettuale, PIMedit, Milano 2010, pp. 127, € 13,00. 9788888534213 ubblicato in occasione del convegno «La porta dell’amicizia», tenutosi a Milano il 15.5.2010 presso il centro missionario del Pontificio istituto missioni estere per celebrare i 400 anni della morte del missionario gesuita Matteo Ricci a Pechino, il vol. «si propone di ricostruire la vicenda umana, culturale e missionaria di un personaggio davvero straordinario, un “missionario intellettuale” che ha mostrato, con la sua esistenza, l’unità tra l’attività culturale e scientifica e la predicazione cristiana», e individua come trait d’union tra la formazione scientifica, l’attività missionaria e il contesto culturale cinese la ragione umana. Di particolare interesse l’attenzione preponderante dell’a. per gli scritti ricciani letti in lingua originale, e la lista completa delle opere del missionario nella III parte del libro. Luca Garbinetto Vivere la debolezza Itinerario verso l’integrazione personale P PANCIERA S., Le beghine. Una storia di donne per la libertà, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2011, pp. 126, € 12,00. 9788860991102 critto in maniera molto sintetica il testo non manca della suggestione S di un movimento spirituale di grandissimo rilievo la cui ultima rappresentante è morta in Belgio nel 2008. I beghinaggi, sorta di piccole città entro le città, nascono dal XII secolo e si sviluppano in particolare nelle aree attuali di Belgio, Olanda, Germania del Nord, Francia Nord-occidentale. Donne di diversa provenienza sociale trovano in una consacrazione laicale (e non monastica o religiosa) e nella vita comune (non nella stessa casa, XCI IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 325 A lla luce dell’antropologia cristiana e della psicologia del profondo, la fragilità umana può essere spazio privilegiato per la crescita della persona. Il volume coniuga la riflessione psicologica sull’individuo, in particolare sulla sua dimensione di limite, con una proposta di tipo spirituale, in un cammino verso l’incontro più autentico con Dio. Perché l’uomo possa vivere con maggiore libertà la propria esistenza e la propria fede. «Psicologia e formazione» pp. 144 - € 13,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 320-330_schede_86:Layout 2 L 31-05-2011 12:22 Pagina XCII ibri del mese / schede Attualità ecclesiale AGNOLI F., Chiesa e pedofilia. Colpe vere e presunte. Nemici interni ed esterni alla barca di Pietro, Cantagalli, Siena 2011, pp. 109, € 9,90. 9788882725860 al Vaticano II al Trento II, «non un aggiornamento ma un ritorno alD le radici» (p. 12), questa la soluzione a tutti i mali che travagliano la Chiesa, primo fra tutti quello della pedofilia. Secondo l’a. – che peraltro non porta a riprova alcun dato – il crimine è diffuso prevalentemente (cf. 24) negli Stati Uniti, per la ben nota «ostilità americana alla Chiesa di Roma» (29). La tesi è tutta nel titolo: la pedofilia è una sorta di «psicosi» collettiva, un eccesso di enfasi voluto dai nemici della Chiesa. E, se non bastasse, viene affiancata all’omosessualità praticata da adulti… ALBERONI R., Intrigo. Al concilio Vaticano II. Romanzo, Fede & cultura, Verona 2010, pp. 190, € 15,00. 9788864090542 n romanzo thriller che attraverso la storia raccontata da padre Robert alla giornalista Rachele Vidal svela la storia di una congiura progressista: un tentato colpo di stato (o di Chiesa), ambientato durante il Vaticano II entro le mura vaticane, che ha l’obiettivo di distruggere i dogmi – scardinare il primato di Pietro, respingere la Madonna come madre di Cristo, negare l’esistenza dei santi e del diavolo – per portare la Chiesa a una deriva protestante. U AMORTH G., ZANINI R.I., Più forti del male. Il demonio, riconoscerlo, vincerlo, evitarlo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 270, € 14,00. 9788821567681 a dove nasce il male diabolico? Si tratta di una malattia della mente o di un male dell’anima? Il giornalista Roberto Zanini racconta il mistero del male e la lotta continua con esso attraverso l’esperienza di padre D Rinaldo Paganelli Mettimi come sigillo sul tuo cuore U n viaggio attorno e dentro gli affetti. L’esperienza dell’amore in senso ampio è presentata dall’autore nella sua forza e nella sua fragilità, propria delle cose gratuite, attraverso le storie di amici e amiche che gli hanno fatto dono del loro amore. Un canto del cuore, una danza dell’anima, anche se con piedi stanchi, il tutto raccontato con stile fresco e accattivante. «Meditazioni» pp. 160 - € 9,90 Dello stesso autore: Malato, mi hai visitato pp. 144 - € 9,90 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it Gabriele Amorth, noto esorcista italiano. Così dal vol. emergono episodi e riflessioni che affrontano diversi temi: l’azione e il potere di maghi, fattucchiere, cartomanti; l’efficacia di malefici che provocano malattie e forme acute di depressione; l’aborto come conquista del diavolo; cenni e sviluppi sul rock satanico, sui rave-party, su trasmissioni televisive e telematiche violente o ispirate al mondo della magia e dello sciamanismo. CATTANEO A., Preti sposati? 30 domande scottanti sul celibato. Con prefazione e contributo del card. Mauro Piacenza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 143, € 9,00. 9788801047875 on questo libro vogliamo rendere comprensibili al grande pubblico le ragioni per cui il celibato sacerdotale stia tanto a cuore alla Chiesa. A tale scopo viene data risposta alle obiezioni più frequenti e più critiche nei confronti del celibato sacerdotale, raggruppandole secondo i diversi aspetti della questione». La difesa radicale della norma del celibato ecclesiastico della Chiesa latina fa scivolare nella minorità spirituale l’esercizio del presbiterato uxorato nelle Chiese orientali, anche cattoliche, e riconduce il dibattito alla questione personale del presbitero, senza dare ascolto alle esigenze pastorali di vaste aree del mondo cattolico. C CAVADI A., Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica e abusi su minori. Prefazione di V. Mancuso, Falzea editore, Reggio Calabria 2010, pp. 143, € 11,90. 9788882963347 esto speculare a quello di Agnoli (cf. qui sopra), anche se più consapevole delle complessità della vita ecclesiale. In esso si ricostruiscono le vicende dell’annus horribilis 2010 della Chiesa cattolica in cui numerosi casi di violenze sessuali da parte di personale ecclesiastico ai danni di minori sono venuti alla luce (nella II parte riporta un’ampia documentazione dei testi vaticani, tratti da Adista). Nella prefazione Mancuso sostiene due tesi: lo scandalo è dato dal fatto che i vertici ecclesiastici hanno taciuto «per non indebolire il potere politico della Chiesa» (p. 13); tra tutti i cardinali solo uno ha «avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura», il card. Schonborn. Ma «il papa l’ha messo a tacere» (14). T Enchiridion Vaticanum/25. Documenti ufficiali della Santa Sede 2008, EDB, Bologna 2011, pp. XLIX+1333+[109], € 45,00. 9788810802458 l 2008 è un periodo denso di avvenimenti ecclesiali di cui il nuovo enchiridion riporta i documenti ufficiali: ad esempio l’apertura dell’anno paolino, i viaggi del papa negli USA e in Francia, il Sinodo dei vescovi dedicato alla parola di Dio, l’approvazione degli statuti del Cammino neocatecumenale ecc. Diversi organismi vaticani sono impegnati su temi etici: lo testimoniano l’istruzione Dignitas personae sulla bioetica, gli studi su Bibbia e morale e sulla legge naturale. Altri documenti vengono dedicati al tema dell’autorità e dell’obbedienza negli istituti di vita consacrata, degli istituti di scienze religiose, dell’utilizzo delle competenze psicologiche a supporto dell’ammissione al sacerdozio, della figura del vescovo emerito, alle questioni legate alla liturgia. I IL REGNO (a cura di), Chiesa in Italia. Annale 2009, EDB, Bologna 2011, pp. 216, € 15,00. ompie 18 anni il supplemento alla rivista Il Regno che annualmente offre una ricognizione sui principali avvenimenti che hanno per protagonista la Chiesa italiana visti sotto molteplici punti di vista. Qui i dati si riferiscono al 2008, anno della crisi economica – cf. il saggio di M. Veladiano su «Chiesa, crisi finanziaria e povertà» –, ma anche delle dimissioni del card. Ruini – cf. il saggio di L. Prezzi su «Il pallino della politica. Ruini: 20 anni da protagonista» – e, infine, della vittoria elettorale del centrodestra – cf. il saggio di G. Brunelli su «Elezioni politiche 2008: il bipartitismo imperfetto» –. Oltre ad altri approfondimenti, alle cronache italiane e relative alla Santa Sede, la II parte riporta l’aggiornamento della situazione delle diocesi, delle nomine dei vescovi, dell’andamento dell’8 per mille e dei diversi capitoli concordatari, delle associazioni di matrice cattolica e delle altre confessioni e religioni presenti in Italia. C LECLERC G., Roma e i lefebvriani, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011, pp. 95, € 11,00. 9788821570001 l vol. intende «prendere la giusta misura dei disaccordi e dei possibili riavvicinamenti» tra la Chiesa cattolica e la Fraternità di san Pio X I 326 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 XCII 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:22 Pagina XCIII fondata dal vescovo scismatico Lefebvre. Giornalista, storico di formazione, l’a. dedica alla storia – in particolare alla lettura della vicenda conciliare e alla sua successiva recezione – buona parte del suo saggio, nel quale il «caso Lefebvre» viene presentato con un «preconcetto improntato a benevolenza» e nella convinzione che si debba «sostenere la volontà riconciliatrice del papa». MANDREOLI F., Appunti sul Vaticano II. Un modello di discernimento, Edizioni san Lorenzo, Reggio Emilia 2010, pp. 236, € 20,00. 9788880711971 Filosofia OTTO R., Il sacro. Sull’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto con il razionale, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 247, € 20,00. 9788837224523 iproposta di un classico d’inizio Novecento che, come ebbe a dire R Lynn Poland, «è sopravvissuto ai suoi critici». Per lungo tempo disconosciuto sia dalla filosofia della religione sia dalla teologia, que- ur nascendo i testi raccolti nel vol. da occasioni diverse – lezioni, conferenze e articoli – essi sono coerentemente raccolti attorno a una «triplice convinzione». Innanzitutto che «il Vaticano II è stato un evento di grazia per la vita della Chiesa e per le riforme necessarie alla sua figura storica»; poi che esso «ha donato una serie di criteri capaci di aiutare i molti discernimenti necessari e urgenti alla vita della Chiesa oggi»; infine che «l’insegnamento e lo stile conciliare sono stati una profonda seminagione in vista di un rinnovamento della vita della Chiesa». st’opera, il cui a. era pastore luterano e docente di teologia in diverse università tedesche, fu tradotta in italiano per la prima volta dal sacerdote modernista Ernesto Buonaiuti. Il saggio nonostante le prese di distanza di cui fu fatto oggetto ha, in realtà, segnato in maniera fondamentale sia il discorso teologico – la cosiddetta teologia negativa – con la sua idea del Totalmente Altro ripreso da Barth, sia la filosofia con la centralità posta alla categoria dell’«a-priori» mutuato da Kant e da Schleiermacher, sia, infine, il punto di vista storico-critico inteso come modello comparatistico tra le diverse religioni. Da tornare a leggere. MARENGO G., Giovanni Paolo II e il Concilio. Una sfida e un compito, Cantagalli, Siena 2011, pp. 287, € 19,00. 9788882726362 artendo dall’affermazione di Giovanni Paolo: «in questi anni di pontificato, l’attenzione al Concilio è stata costantemente in cima ai miei pensieri», l’a. ha scelto alcuni dei testi magisteriali (le encicliche Redemptor hominis, Dives in misericordia, Dominum et vivificantem) e un ciclo di catechesi (sull’amore umano nel piano di Dio) fra il 1979 e il 1984, come base di una riflessione iniziale, ma definita del magistero di papa Wojtyla. Il dato sorgivo del suo pontificato è il Concilio, alla costituzione Gaudium et spes e poi all’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae. Emerge un’interpretazione del Concilio come riferimento centrale in quanto evento pastorale che ha il suo nucleo nell’idea e nella pratica della comunione. PIANA G., La verità dell’azione. Introduzione all’etica, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 303, € 22,00. 9788837224806 e non si dà una visione metafisica unitaria del reale e quindi dei suoi fondamenti etici, come può declinarsi un’etica che non voglia liquidare la questione in senso puramente relativistico, ma che cerchi ancora un “dover essere” nel nostro stare al mondo?». È la domanda che guida il lettore attraverso le pagine di un vol. nel quale, intrecciando i percorsi storico e teoretico, viene proposta una rifondazione dell’etica e una ridefinizione delle sue categorie fondamentali (libertà, coscienza, valori, norme). L’a. intende così raccogliere la sfida delle nuove e complesse questioni «poste dallo sviluppo socioculturale e scientifico-tecno- P P S MERONI P., Il diacono. Segno di rinnovamento della Chiesa, presenza nella famiglia e nella vita della società, Aracne, Roma 2010, pp. 208, s.i.p. 9788854831582 l vol., frutto degli studi dell’a. per conseguire la laurea magistrale in Scienze religiose, è una rassegna sul tema del diaconato «puntuale e ben documentata», utile per lo «scavo riflessivo e la decisione pastorale» (Ubbiali). Esso riesamina il ministero diaconale nei padri della Chiesa d’Oriente e d’Occidente; il suo declino; la questione delle diaconesse; il contenuto della Tradizione e del magistero sia nel concilio di Trento sia nel Vaticano II; i testi pontifici da Pio XII a Benedetto XVI e degli organismi vaticani che si sono espressi in materia; i riferimenti contenuti nel diritto canonico. Chiudono alcuni cenni alla spiritualità del diacono coniugato e celibe e la riflessione sulla liturgia De ordinatione diaconorum. I a cura di Dino Dozzi Salmi: preghiera di Israele e della Chiesa SALVARANI B., Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del pluralismo e del cristianesimo globale, EDB, Bologna 2011, pp. 193, € 17,50. 9788810140642 biettivo del vol. è rendere ragione delle fatiche del dialogo, interrogandosi su quanto accaduto, ma anche spingendosi oltre, per rintracciare piste che aiutino a uscire dallo stallo. È questo infatti un momento ricco di anniversari: i 25 anni dall’incontro interreligioso di Assisi (27.10.1986; cf. in questo numero a p. 343), di cui Benedetto XVI farà memoria recandosi nella città francescana il prossimo ottobre, e i 10 anni dalla pubblicazione della Charta oecumenica, stilata a Strasburgo da tutte le Chiese europee (22.4.2001; cf. in questo numero a p. 306). I AGASSO R., Caro Karol, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 126, € 9,00. «La Bibbia di San Francesco» pp. 232 - € 20,00 O 9788874026876 l volume prosegue l’itinerario di spiritualità su testi biblici visti alla luce del messaggio di san Francesco e dell’attualità: è la volta dei Salmi, libro di preghiera di ebrei e cristiani. Lo schema è collaudato: dal testo biblico (Parola...) si passa a osservare la prospettiva del francescanesimo (...e sandali), per arrivare infine alle sfide di oggi (...per strada). CORUZZI R., Il mio amico Karol. Vita e santità di Giovanni Paolo II, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2011, pp. 208, € 13,50. 9788856613759 GIOVANNI PAOLO II, Con Cristo nel mondo. Testi scelti e presentati da A. Cazzanigo, EMP – Edizioni messaggero, Padova 2010, pp. 95, € 6,00. 9788825024166 XCIII IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 327 Dello stesso curatore: Atti degli apostoli: il libro della Chiesa pp. 248 - € 20,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 320-330_schede_86:Layout 2 L 31-05-2011 12:22 Pagina XCIV ibri del mese / schede logico» orientandosi verso «nuovi (e consistenti) punti di riferimento» per l’agire. Storia, Saggistica RIGOTTI F., Partorire con il corpo e con la mente. Creatività, filosofia, maternità, Bollati-Boringhieri, Torino 2010, pp. 178, € 16,00. 9788833921464 ferzante contro il pensiero (specie cattolico) che spiritualizzando la maternità ne ha usurpato la funzione creativa, l’a., filosofa e madre di quattro figli, rivendica la possibilità che vi sia uno spazio di riflessione a partire dalla carne materna. «Svolgere un lavoro intellettuale è un’ottima preparazione alla maternità ed … essere madre offre eccellenti opportunità a chi pratica il lavoro intellettuale, se il mondo esterno supporta abbastanza nello svolgere l’uno e l’altro compito, l’una e l’altra funzione» (p. 9). E rovescia la metafora della concezione e del parto intellettuale: «Esclusi dalla procreazione carnale, i filosofi se ne sono appropriati in modo traslato e ne hanno coniato una versione eroica e spiritualizzata che ha finito per obliterare la figura della madre. È venuto il momento di restituirle centralità all’interno delle “cose prime”». ABBA G.C., Edizione nazionale delle opere di Giuseppe Cesare Abba/5. Scritti vari apparsi su giornali e riviste, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 890, € 50,00. 9788837224585 l vol. raccoglie gli scritti del famoso a. de Da Quarto a Volturno, probabilmente il miglior libro dell’epoca sul Risorgimento italiano, apparsi su varie testate italiane sudamericane. Stupisce l’approfondita analisi con cui il garibaldino Abba affronta i più svariati argomenti: si passa dallo scontro tra liberali e clericali, all’analisi della laicità dello stato e della scuola o delle problematiche che pongono la Germania bismarckiana e l’Austria-Ungheria, per, infine, scrivere sulla città di Brescia dove il nostro visse per ventisei anni facendo il professore presso l’Istituto tecnico N. Tartaglia diventandone stimatissimo preside. Un garibaldino che sognò l’Italia unita, che combatté per realizzarla, che lavorò per tutta la vita affinché quelle sue speranze non fossero vanificate da una classe politica e dirigente inadeguata. S URE M., Filosofia della comunicazione, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 282, € 18,00. 9788874025787 a filosofia come «ponte» gettato tra ambiti diversi del sapere nel tentativo d’approfondire la conoscenza del fenomeno comunicazione. L’a. ne amplia la visione «integrando e distinguendo» le dimensioni studiate dalle scienze (socio-linguistica, derivata o espressiva) e dalla filosofia (ontologica, originaria o esistenziale). Le due parti del vol. si occupano rispettivamente della questione ontologica del comunicare e di una nuova fondazione etica della comunicazione («cos’è una comunicazione buona? perché è necessaria?»), sapendo che essa «può essere utilizzata per favorire l’integrità della persona ma anche a scopi immorali, per la violenza e la manipolazione». L ARCANGELI M., Itabolario. L’Italia unita in 150 parole, Carocci, Roma 2011, pp. 371, € 23,00. 9788843057054 entocinquanta brevi schede, una per ciascuno degli anni compresi fra il 1861 e il 2010, intitolate a una parola (o una locuzione) rappresentativa dell’anno di riferimento. Centocinquanta voci-chiave attraverso le quali, profittando dell’occasione del 150° della proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1961), ho inteso (far) ripercorrere o ricostruire simbolicamente – senza pretese quantitative, dunque, e anche un po’ arbitrariamente – tappe e momenti centrali della storia linguistica, culturale e sociale della nazione»: così il curatore Arcangeli nella premessa. Storia nazionale, della lingua e del costume s’intrecciano: una lettura assolutamente affascinante e formativa. C MORASSO M., In bianca maglia d’ortiche. Per un ritratto di Cristina Campo, Marietti, Milano 2010, pp. 127, € 14,00. 9788821165283 accolta delle conferenze che l’a. ha svolto nel corso degli anni sulla figura di una delle maestre enigmatiche, segrete, solitarie, affascinanti del Novecento: Cristina Campo. Sono cinque traiettorie che illuminano la scrittrice nel calmo magma della sua scrittura. Affiora in esse la bellezza convulsa della Campo, poetessa nel senso più radicale del termine. Poeta, come scrive M., è chi «accompagna la parola nella sua peregrinazione dalla coincidenza con la cosa che essa significa all’enigma implicito in questa coincidenza». Il vol. è arricchito da una postfazione di Alessandro Spina, particolare amico «lontano» della Campo. R Direzione - Redazione Centro Editoriale Dehoniano Via Nosadella, 6 - 40123 BOLOGNA c.c.p. 264408 tel. 051/3392607 - fax 051/331354 E-Mail: [email protected] web: http: //www.dehoniane.it 170 Trimestrale - anno XLIII N. 170 (2) aprile-giugno 2011 rivista di teologia morale forum: UN DECENNIO PER L’EDUCAZIONE La morale nell’educazione della persona p. carlotti: la morale nel progetto educativo della chiesa italiana – s. zamboni: la morale nell’educazione cristiana – m.t. zattoni-g. gillini: la morale nell’educazione in famiglia – r. vinerba: la morale nell’educazione dei giovani – f. compagnoni: la morale nell’educazione della scuola e dell’università – a. mariani: la morale nella comunicazione multimediale – l. lorenzetti: educare in un mondo che cambia studi: r. tremblay: giustizia umana e perdono divino. un binomio da articolare – a. vicini: per una lettura teologico-morale nella malattia: fragilità e vulnerabilità – c. corbella: la malattia vissuta cristianamente. opportunità di bene? – c.l. borgna: psicofarmaci: tra ausilio medico e doping esistenziale articoli: p.d. guenzi: la chiesa e l’educazione: tradizione e speranza – f. modica: la conoscenza come via per una rinascita rassegna bibliografica: s. morandini: in cammino verso la comunione morale. problemi etici nel dialogo ecumenico - g. pellegrino: labor libertatis. un confronto tra d. bonhoeffer e juan de la cruz – g. piana: etica di impresa – a. vicini: in servizio della parola. magistero e teologia morale – a. vicini: teologia morale e spirituale in dialogo editrici e morale itinerari atism55 trimestrale in collaborazione con i teologi moralisti dell’atism (associazione teologica italiana per lo studio della morale) I Abbonamento anno 2011 ordinario in Italia ordinario estero (via aerea) Europa (stati UE + Svizzera) Resto del mondo un numero arretrato € 40,80 € € € € 56,00 59,00 13,30 13,30 PRISCO A., Ebraismo riformato. Introduzione a una religione che raccoglie la sfida del tempo, Italian University Press, Genova 2010, pp. 307, € 30,00. 9788882581237 l sottotitolo del vol. ne definisce la tesi: la corrente riformata dell’ebraismo, che l’a. – docente presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Foggia – racconta dalle sue origini nel 1600 alle sue manifestazioni contemporanee, è «una religione che raccoglie la sfida del tempo», per il fatto di essere riuscita a confrontarsi positivamente con le problematiche moderne del pluralismo, dell’affermazione dei diritti civili, della parità della donna, di un approccio dinamico al patrimonio della tradizione ebraica. Di particolare interesse la panoramica dei luoghi e dei rappresentanti di questa corrente oggi in Italia. I SFAMENI GASPARRO G., Dio unico, pluralità e monarchia divina. Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 280, € 21,00. 9788837224332 uanto la contrapposizione tra le categorie di «politeismo» e «monoteismo» coglie delle teologie del mondo tardo-antico? Quanto le stesse categorie esprimono e quanto in realtà «nascondono» delle esperienze religiose dell’hellenismos, del giudaismo e del cristianesimo? L’a., docente di storia delle religioni all’Università di Messina, raccoglie nel vol. una serie di studi che offrono una panoramica aggiornata sulle questioni inerenti la «storia religiosa di quell’ambiente culturale … in cui si è compiuto un confronto decisivo per tutta la cultura occidentale». Testo di studio. Q 328 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 XCIV 320-330_schede_86:Layout 2 31-05-2011 12:22 Pagina XCV SPINA A., Diario di lavoro. Alle origini de I confini dell’ombra, Morcelliana, Brescia 2010, pp. 233, € 16,50. 9788837224004 oto per essere l’a. de I confini dell’ombra (Premio Bagutta 2006), ciclo di romanzi ambientati in Cirenaica dal 1911 al 1964 allorquando la scoperta del petrolio mutò radicalmente le sorti del paese libico, con questo vol. vengono raccolte note, appunti, pagine di un diario, affastellata senza alcuna intenzione di tessere un ordine o un’omogeneità premeditata. Affiora l’io dello scrittore, amico africano di Cristina Campo con la quale ebbe nel corso degli anni un affascinante epistolario, che illumina la gestazione di un ciclo narrativo che, pur nella sua lunghezza, non stanca mai per la sua ipnotica bellezza. Cf. sopra il testo di Morasso. N ZANGRILLI F., La favola dei fatti. Il giornalismo nello spazio creativo, Ares, Milano 2010, pp. 306, € 18,00. 9788881555048 partire dal Seicento-Settecento «il rapporto tra giornalismo e letteratura si va gradatamente intensificando dato che molti scrittori dell’èra moderna... dedicano un periodo della loro vita a fare i giornalisti». Un viaggio alla riscoperta della contaminazione fra letteratura e giornalismo, con protagonisti di romanzi o racconti nei panni di giornalisti o attraverso gli stessi autori impegnati contemporaneamente sui due fronti come nel caso di Poe, Maupassant, D’Annunzio, Fallaci, Buzzati, Moravia, Pirandello ecc. A OLIVIERI O., Fioretta Mazzei: una donna per Firenze, Edizioni Polistampa, Firenze 2010, pp. 74, € 12,00. 9788859607199 Politica, Economia, Società BELLETTI F., Ripartire dalla famiglia. Ambito educativo e risorsa sociale, Paoline, Milano 2010, pp. 131, € 12,00. 9788831538237 n un momento di crisi..., non solo economica, ma, ancor di più, etica e morale, se c’è un punto cui è possibile ancorarci è la famiglia... Se il paese sta in piedi, dobbiamo dire grazie alla famiglia, che è rimasta il miglior “ammortizzatore sociale” delle principali inefficienze sociali e istituzionali» (dalla Prefazione di don A. Sciortino). Grazie all’esperienza come direttore del Centro internazionale studi famiglia (CISF) e di presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari dal 2009, l’a. offre una raccolta dei frutti di conferenze, incontri, confronti con operatori che in vari modi interagiscono con le famiglie e che s’interrogano su quale posto abbia la famiglia in Italia oggi e in futuro. I BARIGELLI-CALCARI P., Diritti umani e religioni. Interconnessioni reciproche, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 103, € 8,00. 9788801046045 Unione cattolica italiana insegnanti medi ha promosso una serie di conferenze in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il vol. ne raccoglie alcune. Assumendo la concezione cristiana sui diritti umani e convinti che la religione possa dare un contributo alla loro comprensione, esperti di diverse discipline riflettono su alcuni diritti più o meno riconosciuti: quello all’interculturalità, alla bellezza, al riposo e al tempo libero, alla libertà religiosa, alla salute e sui diritti dei diversamente abili. L’ultimo contributo è dedicato alla «voce internazionale della Santa Sede». avanti alla crisi morale e politica in cui versa il paese, lo stesso pontefiD ce ha auspicato che «laici cristiani impegnati» apportino un forte contributo alla sfera economica e sociale e, soprattutto, politica. P. Sorge in tre recenti interventi qui riproposti analizza gli elementi di criticità della democrazia in generale e di quella italiana in particolare e, raccogliendo il magistero del Vaticano II, delinea lo stile che i laici cristiani potrebbero e dovrebbero adottare per dare un fattivo contributo al futuro del paese, avvalendosi di un’adeguata formazione all’impegno sociale e politico. L’Appendice offre alcuni testi magisteriali sulla responsabilità e il ruolo dei laici in tali ambiti. NIGRIZIA B., Almanacco africano, Fondazione Nigrizia Onlus, Verona 2010, pp. 119, s.i.p. Pedagogia, Psicologia BEANE A.L., Il metodo antibullo. Proteggere i bambini e aiutarli a difendersi, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 242, € 15,00. 9788861376083 all’esperienza dell’a., genitore di una vittima di bullismo e di maltrattamenti dei compagni (che è poi entrato in depressione, ha fatto uso di droghe e poi è morto), nasce un libro che vuole fornire ai genitori che vivono la stessa situazione conoscenze e competenze per gestire la sicurezza dei propri figli negli ambienti di vita. Partendo dalla definizione di bullismo, l’a. spiega come vedere i segnali premonitori nei figli vittime di bullismo e come aiutarli, come prevenire il «bullismo virtuale», come intervenire se è il proprio figlio a maltrattare gli altri o a fare da spettatore e conclude con l’importanza della collaborazione tra scuola e genitori. D FUMAGALLI A., COTTA RAMOSINO L., Scegliere un film 2010, Ares, Milano 2010, pp. 433, € 19,00. 9788881555079 l progetto di questa serie di voll., inaugurato nel 2004, continua con le recensioni cinematografiche dei film usciti nella stagione che va da giu- I Carlo Dallari - Patrizia Luppi Tracce di speranza L’ GIORGINI C., Integrare i disabili nel mondo del lavoro. Problemi culturali. Fonti giuridiche. Ostacoli sociali, LAS, Roma 2010, pp. 207, € 14,00. 9788821307584 er poter parlare d’integrazione lavorativa di un disabile bisogna capire «come si è sviluppato nel tempo l’atteggiamento dell’organizzazione sociale nei confronti del loro mondo», dal punto di vista storico, giuridico, culturale, sociale, pedagogico e metodologico. Il vol. ha come scopo principale quello di spiegare come il processo d’integrazione deve essere l’attenzione compiuta di un progetto globale di vita e d’inclusione, che consenta al disabile di sviluppare in ogni settore tutte le sue potenzialità; tutto questo trovando però «il presupposto nel rispetto della diversità, anzi nella diffusione di una vera e propria cultura della diversità». P SORGE B., Il coraggio della speranza. Il ruolo dei fedeli laici nella vita pubblica, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2010, pp. 104, € 10,00. 9788860991164 XCV IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 329 D ue persone tra loro molto diverse dialogano su che cosa significhi oggi sperare. Anche se i linguaggi e i contenuti sono differenti, poiché il tema della speranza viene evocato come fede religiosa dall’uno, frate francescano, e come fede civile dall’altra, insegnante laica, entrambi i percorsi confluiscono sulla stessa via: la profonda essenza dell’uomo, animale che spera. «Itinerari» pp. 192 - € 16,90 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 320-330_schede_86:Layout 2 L 31-05-2011 12:22 Pagina XCVI ibri del mese / schede gno 2009 a maggio 2010. Le 160 schede presenti nel vol. mirano ad aiutare i genitori nella scelta dei film adatti per i propri figli o per chi organizza cineforum. Utile la presenza per ogni scheda dei voti in stelline (da 1 a 5) sulla qualità del film, gli indici alfabetici dei registi e dei film, l’indice di merito e quello tematico. GIUSTI M.A. (a cura di), Bambini narrati e bambini narranti. L’approccio analitico transazionale alla cura del bambino, L’arcobaleno editore, Porretta Terme (BO) 2010, pp. 332+CD-ROM, € 32,00. 9788897043041 l testo raccoglie contributi teorico-pratici di diversi aa. che applicano Izione, l’analisi transazionale nel lavoro con i bambini in diversi ambiti: adooncologia, migrazione, psicoterapia ecc. L’idea di raccogliere questi studi è nata con la preparazione da parte della curatrice di una giornata finale di un master sull’infanzia che ha riscosso molto interesse da parte dei partecipanti. La II parte presenta la «narrazione delle storie anamnestiche che i tecnici hanno fatto di se stessi, trasformandole in splendide fiabe che curano» (p. 11). HARRIS R., La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 271, € 15,50. 9788861375833 n vol. che si basa sull’approccio psicoterapeutico innovativo e con fonU damenti scientifici dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT),una terapia fortemente esperienziale per affrontare in modo originale il problema della ricerca della felicità e della soddisfazione nella vita. L’a., medico e psicoterapeuta specializzato in gestione dello stress, in 33 cc. «esamina ordinatamente come ci infiliamo nella trappola della felicità e come possiamo uscirne …. Il messaggio gioioso di queste pagine è che non c’è motivo di continuare ad aspettare che la vita cominci. Il gioco dell’attesa può finire. Adesso» (dalla Presentazione di S.C. Hayes, inventore dell’ACT). JUUL J., JENSEN H., Dall’obbedienza alla responsabilità. Per una nuova cultura educativa, Urra, Milano 2011, pp. 307, € 20,00. 9788850328826 a novità di paradigma che gli aa. con questo vol. desiderano introdurre è duplice. Innanzitutto il concetto di «competenza relazionale», come processo d’apprendimento reciproco che consente agli attori dei vari contesti educativi (famiglia, scuola in primo luogo) di trarre il meglio da una situazione di partenza dei diversi soggetti che è sempre variegata. Poi il superamento dell’idea che il ritorno a una forma di obbedienza «punto e basta» sia l’atteggiamento pedagogico adeguato nel caos del vivere contemporaneo. Il recupero dell’idea di «responsabilità» è «indispensabile per un miglioramento qualitativo della gestione di comunità sociali e private su base etica sostenibile» (p. 3), premessa indispensabile per sviluppare relazioni pedagogiche adeguate in un mondo multiculturale. L PASOLINI R., Emergenza educazione. Una sfida per docenti, famiglie e mondo politico. Analisi e proposte, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 223, € 12,50. 9788801045413 emergenza educativa è vissuta ormai nella quotidianità: in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro, nelle professioni educative e nell’essenza più umana e intima, quella della genitorialità». Dalla necessità di cercare di capire questo cambiamento del contesto sociale ed educativo nasce l’idea di questo libro-intervista: per analizzare le cause, riflettere e cercare di dare risposta agli interrogativi dell’educare. Prefazioni di Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera dei deputati, e Onorato Grassi, commissario straordinario dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ANSAS). L’ PATI L., Il valore educativo delle relazioni tra le generazioni. Coltivare i legami tra nonni, figli, nipoti, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 173, € 12,00. 9788874026418 l vol. presenta i contributi del convegno nazionale di studio sul tema «Il valore educativo delle relazioni intergenerazionali. Nonni, figli, nipoti», tenutosi presso la sede bresciana dell’Università cattolica del sacro Cuore dal 26 al 27.9.2009. La griglia di lettura ha privilegiato la dimensione pedagogico-educativa delle relazioni intergenerazionali. I Diana Papa Dimora di Dio La fede nel quotidiano Presentazione di suor Enrica Rosanna I l volume propone brevi meditazioni, adatte alla riflessione e alla preghiera. Spesso i testi si riferiscono a ricorrenze dell’anno liturgico, ad avvenimenti della vita della Chiesa, a figure o episodi delle Scritture. Nati in un contesto di vita consacrata, interpellano ogni credente e sono utilizzabili per momenti di spiritualità personali o comunitari. «Itinerari» pp. 256 - € 20,00 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it TALLARICO L., Educare alla responsabilità. Formare i giovani in una società che cambia, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 160, € 10,00. 9788801045840 a proposta etica alle generazioni future è fondata sul principio di reL sponsabilità, ossia su come gli uomini possano prendersi “cura” dei propri simili e della natura, dando senso alla vita e futuro all’esistenza». Questa la ricetta dell’a. per rispondere alla presente «emergenza educativa», senza sterili nostalgie per il passato. Il lavoro parte dall’analisi degli elementi di criticità della condizione giovanile e delinea il principio di responsabilità, rintracciandolo nelle sacre Scritture, nel Vaticano II e nella dottrina sociale della Chiesa. Si suggeriscono anche azioni concrete per rinnovare l’educazione in vari ambiti fra cui i gruppi giovanili. VENTRE A., «Il Barbone». Alla ricerca del senso della vita, EDB, Bologna 2011, pp. 140, € 12,50. 9788810809396 el procedere delle pagine che si fanno via via più coinvolgenti, il lettore finisce per identificarsi col protagonista della narrazione, il barbone alla ricerca della vita. Il suo è un viaggio interiore, che avanza dentro di sé e anche verso il Dio operante in lui. L’a. – psicologo psicoterapeuta, si occupa di violenza di genere e di stalking e collabora con il Volontariato vincenziano di Torino – coniuga in modo armonico la propria competenza di psicoterapeuta con la visione cristiana della vita che lo anima, per aiutare ad aprire alla dimensione dell’amore, del dono di sé come unica via della completa realizzazione di se stessi e quindi della felicità. N IMPRUDENTE C., GIOMMI L., PARMEGGIANI R., Omino Macchino e la sfida della tavoletta. La comunicazione e la logica della lentezza, Erickson, Gardolo (TN) 2009, pp. 126, € 14,00. 9788861374102 330 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 XCVI L 331-334_libri_segnalazioni_R97:Layout 2 31-05-2011 12:22 Pagina XCVII L ibri del mese / segnalazioni A. DALL’ASTA (A CURA DI) ALLA LUCE DELLA CROCE. Arte antica e contemporanea a confronto, Fondazione cardinale Giacomo Lercaro, Bologna 2011, pp. IX+144, s.i.p. L a mostra allestita presso la Raccolta Lercaro di Bologna «Alla luce della croce» – che dà anche il titolo al catalogo curato da Andrea Dall’Asta si, Ede Palmieri, Elena Pontiggia, Francesco Tedeschi e Fabrizio Lollini – è un percorso interamente dedicato al tema della croce, simbolo per eccellenza dell’identità dei cristiani, che proprio nel segno della croce trovano il primo avvicinamento ai contenuti della fede. Un tema sicuramente difficile per le numerose riflessioni che ha generato in campo teologico e filosofico: all’origine dello scandalo per gli ebrei e follia per i pagani; accoglienza del dolore di ogni uomo e speranza di salvezza; simbolo di redenzione e di morte. Come sottolinea Andrea Dall’Asta (cf. p. IX), è difficile affrontarlo senza cadere nella banalizzazione o nella superficialità, e la Raccolta sceglie coraggiosamente d’inserirsi in questa riflessione attraverso il linguaggio universale dell’arte. Ancora una volta – rispettando l’intuizione del card. Lercaro – il dialogo si anima e prende vita dal confronto tra arte antica e contemporanea, per raccontare un simbolo senza tempo. La croce, nel suo significato universale, racchiude molteplici stratificazioni di senso che si sovrappongono senza soluzione di continuità. Nella storia dell’Occidente essa è diventata simbolo dell’identità cristiana e del legame tra l’uomo e il divino. Ciò nonostante, il soggetto della crocifissione è apparso molto tardi nell’iconografia cristiana. Rappresentarla significava raffigurare l’atroce bruttezza di una morte infamante, un disonore e uno scandalo. La tradizione cristiana ha quindi esitato a lungo nella definizione di un’iconografia, privilegiando la raffigurazione della croce senza Crocifisso, oscillando poi tra le prime rappresentazioni del Christus triumphans, che vince la morte e il dolore, e le successive immagini del Christus patiens, che al contrario subisce il dolore senza nasconderlo. Si può parlare di un percorso iconografico che dallo scandalo porta a un orizzonte di senso. Le trasformazioni della croce nel corso dei secoli rivelano, infatti, l’evoluzione del XCVII modo in cui l’uomo ha pensato la propria relazione con Dio, che nella croce consegna se stesso, comunicandosi all’altro da sé. Il catalogo si fa apprezzare anche per l’agile formato, che non va a discapito della qualità delle immagini e della ricchezza dei contenuti descrittivi e di approfondimento. Le opere, ampiamente illustrate, raccontano di un dialogo tra Dio e l’uomo e del senso della croce di ieri e di oggi. Lo scultore giapponese Kengiro Azuma, allievo di Marino Marini, affronta il tema della croce percorrendo una ricerca di purezza formale che risente del dialogo tra la cultura occidentale e quella orientale. L’australiano Lawrence Carroll sceglie di raccontare la croce immergendosi nella drammaticità di molte realtà urbane, americane ed europee, assemblando materiali raccolti lungo le strade. Ancora diversa è la scelta di Pietro Coletta, che punta all’estrema sintesi di una croce realizzata in filo di rame. Inconfondibile il linguaggio di Kounellis, che installa per la mostra una croce realizzata con due putrelle di ferro che rimanda, per la sua inclinazione, alle rappresentazioni di Cristo porta-croce. Seguono opere – alcune delle quali inedite – di altri grandi artisti contemporanei come Arnulf Rainer, Hidetoshi Nagasawa, Sean Shanahan, Mimmo Paladino, Marcello Mondazzi, Nicola Samorì, Ettore Spalletta, Nicola De Maria, Mario Fallini, Mirko Marchelli, Floriano Bodini e Vittorio Tavernari. Non mancano esempi di arte antica come la splendida croce di oreficeria lombarda parte di un ricco corredo liturgico, e il crocifisso dei quattro evangelisti realizzato in avorio, proveniente della basilica di San Paolo Maggiore a Bologna. L’approfondita riflessione dei curatori – espressa nei saggi che aprono il catalogo –, ripercorrendo la storia del simbolo della croce, ne evidenzia non solo l’identità plurale, ma anche il senso di rivelazione, di dono e di apertura. Come scrive Paolo Gamberini (cf. 15), la croce non può essere innalzata in modo elusivo e violento contro l’altro, proprio perché testimonia la comprensione non violenta di Dio che mandò suo figlio, nella mitezza e nella bontà, tra gli uomini. E come si legge in Rm 5,8: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». L’immagine di Mimmo Paladino, che occupa un posto centrale nel percorso espositivo, sembra rappresentare una sintesi di questo messaggio: accanto alla croce, i frammenti di volti e membra umane, segni dell’agonia di Cristo e dell’umanità, fanno del suo sacrificio d’amore un prolungato riscatto delle sofferenze di ogni uomo (cf. 116). Maria Lorenzini G. BATTAGLIA, (A CURA DI) L’ORTODOSSIA IN ITALIA. Le sfide di un incontro, EDB, Bologna 2011, pp. 378, € 29,00. 9788810401279 I l presente volume sull’ortodossia in Italia, sulle nuove sfide pastorali che essa pone e sui promettenti incontri spirituali a cui dà luogo, rappresenta un modo per richiamare l’attenzione sulla presenza numericamente sempre più rilevante di comunità ortodosse nel nostro paese. La presenza di fedeli e comunità ortodosse sul nostro territorio italiano è legata al grande fenomeno contemporaneo dell’immigrazione, che tante inquietudini e interrogativi suscita in molti italiani. Non di rado anche i fedeli cattolici percepiscono gli immigrati primariamente come persone in cerca di lavoro e che possono svolgere mansioni richieste nel nostro contesto sociale. In altri casi, i fatti di cronaca portano in primo piano i problemi posti dall’integrazione e dall’incontro o scontro tra culture diverse. Meno frequente è invece la considerazione del fatto che in mezzo a noi vivono credenti che appartengono a comunità di fede diverse dalla nostra e per i quali, a differenza di quanto spesso accade nel mondo occidentale, la religione non è un aspetto della vita appartenente alla sfera privata, ma realtà che richiede una manifestazione pubblica e costituisce un aspetto essenziale della loro identità culturale e nazionale. Di fatto già da tempo le Chiese locali in Italia si sono confrontate con questa nuova situazione e hanno cercato di rispondere nel segno dell’ospitalità alle richieste che sono loro rivolte dalle comunità ortodosse delle diverse giurisdizioni e nazionalità. Le nostre Chiese locali, in primo luogo, hanno cercato di aiutare le comunità ortodosse, che avevano una certa consistenza numerica, a trovare luoghi per la celebrazione della liturgia e per la formazione cristiana dei fedeli. Infatti, anche se la nostra comunione con loro oggi non è ancora piena e pertanto non c’è condivisione della mensa eucaristica, la carità ci impone di aiutare questi fratelli e queste sorelle affinché possano conservare e alimentare la propria fede cristiana e possano celebrare il culto secondo la propria tradizione spirituale e liturgica. L’ospitalità fa incontrare le persone e tra loro fa crescere conoscenza e fiducia reciproca. Può così trovare realizzazione quanto Giovanni Paolo II afferma nell’enciclica Ut unum sint: «Il dialogo non è soltanto uno scambio di idee. In qualche IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 331 331-334_libri_segnalazioni_R97:Layout 2 L 31-05-2011 Pagina XCVIII ibri del mese / segnalazioni modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (n. 28; EV 14/2719). Anche la nostra Chiesa italiana, di fronte a questa crescente presenza ortodossa, è invitata a chiedersi quale «scambio di doni» possa realizzarsi tra i fedeli cattolici e le comunità ortodosse che essi incontrano. Le comunità cattoliche offrono alle famiglie ortodosse e ai loro figli la possibilità di prendere parte alle iniziative di formazione umana e cristiana da esse promosse e ai diversi servizi attivati per venire incontro a coloro che si trovano in necessità. È però condizione imprescindibile evitare con scrupolo e rigore, da parte cattolica, ogni forma di proselitismo e ogni comportamento che possa suscitarne anche il minimo sospetto. Sono i campi dell’educazione e della carità quelli in cui, all’interno delle nostre parrocchie o dei gruppi ecclesiali, può avvenire un fruttuoso scambio di doni con cristiani di diversa tradizione confessionale. Quando accogliamo tra noi questi cristiani dobbiamo farli sentire a proprio agio e fare in modo che la comunità cattolica sappia rispettare e valorizzare la loro diversa e ricca tradizione spirituale. Per i nostri fedeli si presenta così una grande opportunità di concreta e vitale formazione ecumenica. Infatti, la migliore formazione è quella che si avvale non tanto di lezioni teoriche di ecumenismo, quanto soprattutto di momenti di vita condivisi, di concrete forme di cooperazione, di scambi utili a scoprire la bellezza delle reciproche differenze e, di conseguenza, a desiderare di approfondirne le ragioni. Potrebbero anche nascere scambi e gemellaggi tra alcune nostre comunità e quelle ortodosse da cui provengono molti immigrati. Sia il cattolico sia l’ortodosso che s’incontrano nei nostri ambienti devono potersi sentire fieri di essere portatori ciascuno di un dono specifico, quello della propria tradizione confessionale, e, nello stesso tempo, lasciarsi convertire dallo Spirito all’unico e comune Evangelo di Gesù Cristo, perché qui sta il porro unum necessarium della vita cristiana. Ciò comporta sia una doverosa attenzione a evitare ogni forma di assimilazione dell’altro alla propria esperienza confessionale, sia una decisa riaffermazione del primato di Dio nella propria e altrui vita. (…) Molto spesso però si impone la necessità di coniugare sensibilità ecumenica e realismo pastorale nell’affrontare la molteplice casistica di esigenze e richieste che i fedeli ortodossi, in situazioni le più diverse, pongono ai ministri cattolici. Penso non sia facile suggerire ai nostri operatori pastorali linee generali di comportamento che risultino corrette dal punto di vista ecumenico e rispondano alle reali esigenze spirituali dei fedeli che, a causa della distanza o per altre ragioni, non frequentano la propria comunità ortodossa. Sarebbe certamente auspicabile che un giorno tali linee potessero essere concordate insieme agli stessi rappresentanti dell’ortodossia in 332 12:22 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 ZeBible: scommettere sui giovani D opo YouCat, pensato per i frequentatori (cattolici) della GMG (Regno-att. 8,2011,235) ha fatto capolino in questi giorni un altro prodotto dell’editoria religiosa rivolta ai giovani (in generale), anche se per il momento solo di lingua francese. Lo scorso 6 maggio, infatti, è stata annunciata la nascita di ZeBible (edizioni Biblio, pp. 2.320, € 26,50), la Bibbia per giovani patrocinata dall’Alleanza biblica francese, cui hanno collaborato in un arco di tempo di quasi 7 anni 110 tra redattori biblisti, pastoralisti e pedagogisti protestanti, cattolici e ortodossi. Il testo biblico utilizzato è quello della traduzione in francese corrente, una versione interconfessionale che comprende i libri deuterocanonici. Ma non solo testo: sono soprattutto le note, i commenti, i rimandi, le guide di lettura e le introduzioni che caratterizzano un prodotto che vuole parlare ai giovani dai 15 ai 25 anni, una generazione cruciale sotto molteplici punti di vista, se anche il papa lo scorso 19 maggio ha rivelato che la prossima giornata mondiale della pace sarà dedicata ai giovani. Questo grande cantiere editoriale, come lo ha definito mons. Deniau, vescovo di Nevers, che ha partecipato nel gruppo dei partner cattolici, mira innanzitutto a interessare alla Bibbia in quanto grande «patrimonio dell’umanità», in quanto grande codice che può parlare al- Italia. Un primo importante passo per arrivare, in futuro, ad accordi bilaterali è certamente quello di incominciare oggi noi stessi a inventariare, sulla base delle prime esperienze acquisite in questi anni, le principali sfide pastorali che la presenza ortodossa ci pone. Il risultato di questo lavoro potrà essere in futuro verificato in sede di dialogo ecumenico. (…) Nel considerare il valore dei doni di cui i fedeli ortodossi sono portatori, un’ultima considerazione. Nel documento Il mistero della Chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero della santa Trinità (1982) cattolici e ortodossi affermano insieme la fede comune nel mistero eucaristico come sorgente della Chiesa. Facendo tesoro delle ricchezze dell’esperienza spirituale e teologica dell’Oriente cristiano, noi possiamo approfondire la nostra comprensione del dono inestimabile che Cristo ha lasciato alla sua Chiesa. Quel comune documento afferma: «La Chiesa che è in un dato luogo si manifesta l’oggi dell’uomo, specie se giovane, a prescindere dal suo credo. Così, accanto al volume uscito ufficialmente il 14 e accompagnato da una serie di eventi collegati (concerti e presentazioni), ZeBible – il cui il prefisso «ze» fa riferimento all’uso che i giovani francesi fanno dell’articolo determinativo inglese «the» per dare enfasi – è anche una pagina di Facebook e un sito web (www.zebible.com) dov’è possibile consultare il testo ma anche porre domande, leggere interviste o articoli d’attualità. Per gli operatori della pastorale giovanile è stato realizzato ZeBible 9, uno strumento per il lavoro di gruppo organizzato in 9 tappe dall’Antico al Nuovo Testamento, con tanto di canti presentati dal gruppo rock di matrice cristiana P.U.S.H. Un lavoro «appassionante», ha detto mons. Deniau, nato da un vero spirito ecumenico che ha dovuto confrontarsi con la diversità di letture e d’interpretazioni del testo biblico da parte delle tre grandi confessioni cristiane; ma che ha unito tutti nella consapevolezza che oggi – dicono alcuni sondaggi – si considera la Bibbia un testo, sì, di valore, ma conosciuto solo vagamente: alla richiesta di dire l’autore di un passo biblico (Isaia) che è anche un modo di dire inglese, un campione d’intervistati dell’isola ha risposto nell’ordine: Tony Blair, Shakespeare e Charles Dickens. M.E. G. come tale quando diviene “assemblea”. Questa stessa assemblea, i cui elementi e requisiti sono indicati dal Nuovo Testamento, è pienamente tale quando è sinassi eucaristica. Quando infatti la Chiesa locale celebra l’eucaristia, l’evento accaduto “una volta per tutte” è attualizzato e reso manifesto. Nella Chiesa locale allora non vi è né uomo né donna, né schiavo né libero, né giudeo né greco. Vi si trova comunicata una nuova unità che supera le divisioni e ripristina la comunione nell’unico corpo di Cristo. Questa unità trascende l’unità psicologica, razziale, socio-politica e culturale. Essa è la “comunione dello Spirito Santo” che riunisce i dispersi figli di Dio».1 Ne consegue che la comunione che lo Spirito realizza in ogni celebrazione eucaristica trascende anche i confini confessionali. Come ha scritto il metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, «l’eucaristia come sinassi del popolo attorno al vescovo e ai presbiteri mantiene ed esprime XCVIII 331-334_libri_segnalazioni_R97:Layout 2 nella storia l’immagine di un mondo che trascenderà la propria frammentazione e la propria corruzione grazie all’unione e all’incorporazione in colui che (...) ha unito mediante la sua croce e risurrezione ciò che era diviso (...). Questa è l’immagine che la Chiesa deve mostrare».2 Noi dovremmo avere più consapevolezza che l’eucaristia che celebriamo è il culmine della manifestazione dell’intero e indivisibile corpo di Cristo. L’unità che si manifesta nel giorno del Signore, intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è certamente più santa ed eminente di quella che potrà manifestarsi il giorno in cui si raggiungesse l’auspicata unità visibile della Chiesa. L’eucaristia, anche se canonicamente celebrata all’interno di una singola Chiesa confessionale, è per opera dello Spirito actio Christi, memoriale che ci ripresenta la sua pasqua; è sempre azione del Signore che edifica la sua Chiesa, rendendo l’Ecclesia radunata intorno all’altare segno sacramentale dell’Una et sancta. Il Signore è certamente presente in ogni eucaristia in cui annunciamo e proclamiamo la morte e la risurrezione del Signore, nell’attesa della sua venuta, donec veniat. Il suo ritorno certamente manifesterà quella realtà che i nostri occhi oggi non sanno vedere, ma che già siamo: «Carissimi, fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv 3,2). I nostri occhi sono offuscati anche perché non sono quelli di sentinelle che scrutano la notte e ne scorgono l’aurora. In troppe faccende affaccendati abbiamo perso il senso dell’attesa del Signore che viene. E la perdita della dimensione spirituale ed escatologica della vita cristiana è all’origine del peccato della divisione. Non a caso – penso di poter dire – Gesù ha pregato ut unum sint e non ut una sit... Non avrebbe avuto senso che pregasse per l’unità della sua Chiesa, che è il suo stesso corpo e che è già realtà nel mistero di ogni eucaristia. Il movimento ecumenico ne è stato inizialmente consapevole, proponendo la preghiera per «l’unità dei cristiani», non della Chiesa. Infatti Gesù ha pregato perché i discepoli e i cristiani di tutti i tempi siano una cosa sola. In che cosa? Nell’attesa della sua venuta, ovvero ad annunciare la sua pasqua donec veniat. È questa attesa che ci rende capaci di guardare con occhi nuovi anche il mistero della Chiesa, quella Chiesa che, come è noto, Ambrogio da Milano e i padri latini, con audace ossimoro, chiamarono casta meretrix, santa peccatrice: peccatrice, perché divisa dalla nostra storia terrena; ma santa, perché unificata dallo Spirito che il Risorto effonde sull’assemblea eucaristica. (…) Dionigi Tettamanzi 1 EO 1/2190. I. ZIZIOULAS, Eucaristia e regno di Dio, Qiqajon, Magnano (BI) 1996, 70-71. 2 XCIX 31-05-2011 12:22 Pagina XCIX E. BERSELLI, L’ITALIA, NONOSTANTE TUTTO. A cura di B. Simili, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 224, € 15,00. 9788815150721 C i sono diversi buoni motivi per consigliare la lettura di questa raccolta di lavori scritti da Edmondo Berselli, per Il Mulino, dalla fine degli anni Ottanta a ieri. Anzi, a oggi, direi, visto che c’è poco da aggiungere alle vicende annotate dall’autore. La prima buona ragione per leggere questo libro – e per tenerlo a portata di mano – è che offre un’agenda accurata dell’Italia «pubblica» nel corso degli ultimi vent’anni. Seguita e rivisitata attraverso i passaggi tortuosi tra prima, seconda e terza Repubblica. Una sorta di block-notes che propone – e da cui è possibile trarre – appunti e spunti preziosi sugli eventi, le fasi, le persone che hanno segnato la nostra tumultuosa storia recente. Utile a ricordare, e a ricostruire, un tracciato marcato da molte fratture e al tempo stesso da molti elementi di continuità. È il romanzo – o se si vuole, per restare in tema con la tradizione nazionale, la commedia – di un paese alla ricerca della «normalità». Un approdo vagheggiato e mai raggiunto. Inseguito lungo il percorso rapsodico e ondivago che oscilla tra «rivoluzioni» e «involuzioni». Accelerazioni e frenate. Fratture e giunture. Grandi novità ed eterni ritorni. Fra le discese ardite e le risalite. Una «commedia all’italiana» recitata a soggetto da un coro di personaggi e di attori, indimenticabili, anche quando appartengono a un altro millennio, a un’altra Repubblica. Andreotti, Craxi, De Mita, Occhetto, Berlinguer, Cossiga, Scalfaro. (…) Quante persone, quanti marchi, quanti nomi sono passati sotto i ponti in quest’ultimo quarto di secolo. È successo di tutto. Il crollo del muro di Berlino e, in Italia, della prima Repubblica, la stagione dei referendum e di Tangentopoli, la discesa in campo vittoriosa di Berlusconi e la sua sconfitta, la discesa in campo vittoriosa di Prodi e la sua sconfitta (a opera del «fuoco amico»). E, ancora, il ritorno di Berlusconi e il ritorno di Prodi, cui ha fatto seguito, di nuovo, il ritorno di Berlusconi. Fra strappi secessionisti e rivendicazioni federaliste. Tra Forza Italia, Ulivo, Partito democratico. Casa delle libertà (CDL) e Popolo della libertà (PDL). Berselli osserva tutto quanto, con curiosità e cura. Fatti, antefatti, personaggi, interpreti e luoghi. E li annota, li appunta a margine. Con disincanto e, al tempo stesso, passione. In modo ironico e divertito. O meglio: divertente. Ma prendendo sul serio questa materia, terribilmente seria, che è la nostra storia recente e presente. Perché c’è poco da ridere, sul nostro paese. Poco da divertirsi. D’altra parte, Il Mulino è una rivista prestigiosa, con una storia prestigiosa, dove, però, Edmondo Berselli non ha mai rinunciato a fare quel che gli è sempre riuscito meglio. Muoversi fra più registri, usando diversi stili e diversi approcci. Lui che ha sempre trattato allo stesso modo, con lo stesso rigore e con la stessa (auto)ironia, la politica e il football, la canzone leggera e la politica pesante, la filosofia e il gossip. (…) La seconda buona ragione per tenere questo libro a portata di mano è coerente e conseguente con quella appena indicata. Ecco perché lo consiglio come uno strumento ottico multifunzionale. Per guardare dentro ma, al tempo stesso, al di là e al di sotto degli eventi, dei personaggi, dei luoghi. Del nostro tempo. Fino a raggiungere – e a catturare – la struttura di fondo che caratterizza la nostra società e la nostra cultura. Per comprendere quanto le novità, anche le più clamorose e laceranti, della nostra storia recente non siano, comunque, estranee al nostro retroterra. (…) Da questa lettura scopriamo, ad esempio, quanto la Democrazia cristiana più che un partito passato sia una «categoria politica e sociale» perenne. Che evoca la capacità dei partiti maggiori – e non solo di quelli – di aderire alle pieghe del contesto nazionale e locale. Di assorbirne i valori, gli interessi, i modelli espressivi. I particolarismi. Assemblandoli senza, tuttavia, miscelarli. Mediando senza riassumere e senza sintetizzare. Generando «compresenza» più che «coerenza». Così tutto ritorna, come in un moto perpetuo, anche dopo la fine della prima Repubblica. Democristiani e democristianità, al di là delle biografie politiche personali, si ripropongono. Nel centrosinistra, nel centro, e ancor più nel centrodestra. Dentro Forza Italia, la CDL e il PDL. Perché, in fondo, è inscindibile dalla gestione del governo. Solo che si esprime in modo sempre meno «moderato», nonostante le auto-dichiarazioni. Perché i localismi, i personalismi, i particolarismi si presentano nudi e sempre più irriducibili. E dunque: sempre più espliciti e violenti. In questo paese dove il «qualunquismo» riaffiora di continuo e dà un colore del tutto specifico a ogni tensione, a ogni ondata di disagio e di protesta. Dove una delle principali forme che impronta il cambiamento è, IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 333 331-334_libri_segnalazioni_R97:Layout 2 L 31-05-2011 Pagina C ibri del mese / segnalazioni come rammenta l’autore, il «trasformismo». Un metodo e un istinto, al tempo stesso, che permette di ricucire gli strappi, ma senza innovare mai del tutto. Di sopravvivere al crollo della prima Repubblica, ma senza giungere a una nuova «Repubblica» stabile. Senza superare i limiti del «paese provvisorio». Che ci fa apparire, di fronte a noi stessi, sempre uguali (a noi stessi), pur essendo cambiati. E ci fa apparire diversi (di fronte a noi stessi), anche se presentiamo elementi di continuità evidenti. L’attenzione al «basso continuo» del nostro paese, tuttavia, non impedisce a Berselli di cogliere i segni del tempo. Per tempo. Le fratture insanabili, mentre ancora potevano apparire sanabili. Risolvibili. Come nel 1991, quando i leader politici, primo fra tutti Craxi, erano convinti di superare la scossa del referendum e di sopravvivere alle elezioni dell’anno seguente. «Ma anche Luigi XVI annotava cinicamente “Rien” sulla pagina di diario del 14 luglio 1789. È terribile, visto quel che è successo in seguito, a Bastiglia appena presa». È l’appunto di Berselli. Profetico quanto tragico, visto quel che è successo in seguito, appunto. C’è, poi, una terza buona ragione per consultare questo libro. Ha un senso più «politico» e diretto. Visto che l’autore non si è mai sottratto al «rischio» di giudicare e di proporre, oltre che di valutare e analizzare. Disposto, comunque, a offrire indicazioni – e letture – «politiche», oltre che «politologiche» (…). Affiora, in particolare, la sua attenzione ai valori, ma anche agli interessi da rappresentare. La sua capacità di (e il suo sguardo proiettato a) marcare le divisioni fra destra e sinistra, in tempi nei quali queste parole sembrano, perlopiù, svuotate di senso. Eppure non è così, sottolinea Berselli. E lo ribadisce anche negli ultimi anni. Visto che la politica e le politiche seguite da Tremonti hanno un’impronta di classe molto chiara. A favore dei redditi da lavoro autonomo, degli imprenditori. «A favore della rendita e a scapito del lavoro dipendente (...). Esaltando le differenze di reddito e ripudiando le tendenze redistributive». Anche se, aggiunge ancora Berselli, questa è una destra liberista «a parole», visto che in effetti appare corporativa e localista. Come dimostra l’insofferenza contro ogni regola ma anche contro ogni tentativo di liberalizzare davvero il sistema delle professioni. Come dimostra la reazione violenta verso il tentativo di riforma liberalizzatrice attuata da Bersani. Come dimostra il favore per un federalismo localista. Parallelamente, l’autore di queste pagine si esprime in modo critico, aspro (e amaro) contro la sinistra: afona, incapace di darsi un 334 12:22 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 assetto stabile e progettuale, ridotta a rappresentare le minoranze etniche del «lavoro pubblico» e intellettuale, oggi largamente impopolari. Una sinistra alle prese con idee che ormai sono ridotte a feticci, parole povere di significato. Fra tutte: la «solidarietà», divenuta «uno slogan per tutte le stagioni (...), un appello convenzionale e distratto, una specie di tributo che non costa niente versare a parole per sentirsi e dimostrarsi dalla parte giusta. Si paga il ticket verbale della solidarietà e si ottiene la tessera d’iscrizione al club dei “buonisti”, dei fervidi “anticattivisti”». Così alla sinistra sfugge la vera «missione» storica che ha caratterizzato l’azione delle forze politiche di tradizione socialista, socialdemocratica o cattolico-sociale. Cioè: proporre e sostenere l’economia sociale di mercato. Un tema che echeggia di continuo, in questi articoli. E che troverà sviluppo nella sua ultima opera, il saggio breve, denso e acuminato dedicato a L’economia giusta, che si chiude con una frase molto simile al titolo di un capitolo proposto in questo volume (cf. Regno-att. 4,2011,117). Dove si invita a «redistribuire la povertà», invece di inseguire il mito della crescita infinita. Non per caso L’economia giusta è oggi molto presente nel dibattito politico (negli ambienti di centrosinistra, nel mondo associativo e del volontariato). Perché dà voce a una questione implicita, rimasta a lungo inespressa. Vale a dire: ma come è stata possibile tanta cecità di fronte al trionfo del paradigma liberista, nella versione che esalta(va) la finanza senza economia e senza società? E com’è possibile che oggi gli stessi che l’hanno celebrata per oltre vent’anni continuino a parlare e a dare lezioni, senza neppure un’autocritica – e senza che nessuno glielo rammenti? In questo diario fra tre Repubbliche che è L’Italia, nonostante tutto, il manifesto di Berselli (L’economia giusta, appunto) è annunciato, anticipato, tematizzato, in diversi punti. A prova di quanto la questione gli stesse a cuore. Per questo ha speso tanta fatica per scriverlo, prima di lasciarci. Come un contributo «vivo», non certo come un lascito o, peggio, un’eredità, La quarta buona ragione per leggere – e rileggere – questo volume è che ripercorre l’avvento della «democrazia del pubblico» all’italiana, la versione «nazionale» (o meglio, «locale») del modello tracciato da Bernard Manin. Fondata sul trionfo della personalizzazione e della televisione. Edmondo Berselli, più di chiunque altro, l’ha colta e ricostruita da tempo e per tempo. Quando nessuno, o quasi, ne aveva colto l’impatto, Oggi siamo talmente immersi nell’irreality show che mischia vita e spettacolo, che non ce ne rendiamo conto. Così come non ci rendiamo conto di come sia potuto accadere tutto ciò. E in così poco tempo. Basta allora scorrere le pagine scritte in proposito da Berselli, il quale indica come la televisione «produca» l’assetto politico. Fin dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi alle elezioni del 1994. Allora «il clou di quella campagna fu rappresentato dal confronto, quello sì “bipolare” fra Berlusconi e Occhetto negli studi di Canale 5». Che estromise dalla competizione il polo centrista, peraltro già «escluso» dalla meccanica del confronto. Il bipolarismo imposto dalla televisione più ancora che dalle leggi elettorali. Ma soprattutto, in questo libro si dà conto, in modo lucido e spietato, del mutamento antropologico ed etico prodotto dalla tivù commerciale sulla società. A partire dall’epoca di Boncompagni e di Non è la Rai. Che egli definisce «un evento quotidiano senza pubblico, una “macchina celibe” di intrattenimento, dove i ruoli sono intercambiabili, a rotazione, fra protagoniste e gregarie... (“Le vogliamo carucce – ha teorizzato Boncompagni – perché se sono eccessive poi non c’è identificazione”) (...). Tutto perfettamente confezionato, più vero del vero, per quanto sigillato ermeticamente, sotto vuoto spinto». C’è davvero tutto quel che è successo dopo. Largamente annunciato da tempo. Certo, in seguito è dilagato. Ma era già scritto. Quasi vent’anni fa. La quinta, buona ragione è squisitamente estetica e intellettuale. Questo libro può venire letto, in fretta, soffermandosi su singole pagine e magari saltando da un pezzo all’altro, senza troppi vincoli. Senza seguire necessariamente l’ordine proposto dal sommario. In modo «disordinato», come suggerisce, giustamente, Bruno Simili nella premessa. Soffermandosi su una singola pagina, un paragrafo, senza necessariamente leggere l’intero capitolo. Per il gusto di scoprire e isolare osservazioni minime, cogliendo formule lessicali inedite e neologismi suggestivi. Che definiscono e aiutano a capire quanto e, talora, più di certe laboriose ed elaborate analisi. Perché Berselli è un virtuoso del linguaggio. Usa le parole per evocare, ma anche per interpretare. lo me ne sono servito spesso, nei miei articoli. E continuerò a farlo (…). Ilvo Diamanti* * Il testo costituisce la prefazione al volume degli scritti di Edmondo Berselli – scomparso nell’aprile 2010 – in libreria in questi giorni. Ringraziamo l’editrice Il Mulino per la cortese concessione. C 335_medio oriente:Layout 2 M EDITERRANEO S 31-05-2011 12:23 Pagina 335 - Chiese N é calcolo né ingenuità i è riunita a Tunisi dal 2 al 4 maggio la Commissione mista per il Mediterraneo, organismo nato su impulso dei vescovi francesi cui partecipano vescovi provenienti da Africa del Nord, Spagna e Francia.1 All’ordine del giorno: pace e rivolte nel mondo arabo; accoglienza dei migranti; dialogo islamo-cristiano. «Nel tempo che viviamo – dichiara il comunicato finale dei lavori – i paesi del Maghreb e altri paesi arabi sono attraversati da importanti rivendicazioni inerenti la dignità umana, la libertà, la giustizia e l’aspirazione a una vera democrazia. I vescovi hanno avuto uno scambio di idee sulle ripercussioni politiche e sociali che questi avvenimenti hanno provocato sinora nei numerosi paesi coinvolti in queste rapide evoluzioni. Per quanto riguarda la Libia, essi appoggiano gli interventi di papa Benedetto XVI e di mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, sulla priorità del dialogo politico: nessuno può controllare le conseguenze degli interventi armati che colpiscono anche le vittime innocenti». Sia il papa a partire dall’Angelus del 20 marzo sia mons. Martinelli – che ha ospitato anche un incontro ecumenico nel quale è stata stilata una dichiarazione congiunta – hanno infatti insistentemente chiesto l’apertura di un dialogo (cf. Regno-att. 6,2011,152; 8,2011,227). Ma i tentativi sin qui fatti non sono andati a buon fine anche per lo scarso investimento e la frammentazione delle posizioni a livello internazionale. Il papa, poi, è anche intervenuto sulla Siria nell’Angelus del 15 maggio, quando ha detto: «Il mio pensiero va anche alla Siria, dov’è urgente ripristinare una convivenza improntata alla concordia e all’unità. Chiedo a Dio che non ci siano ulteriori spargimenti di sangue in quella patria di grandi religioni e civiltà, e invito le autorità e tutti i cittadini a non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca del bene comune e nell’accoglienza delle legittime aspirazioni a un futuro di pace e di stabilità». Da transumanza a calvario Sulla questione dei migranti, i vescovi del Mediterraneo «constatano – prosegue il comunicato – che l’Europa cerca soprattutto di mettere in opera una protezione drastica che non va sempre nella direzione della giustizia e diventa spesso fonte di esclusione e di discriminazione. Il Maghreb è una zona di transito per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana; le Chiese sono testimoni dei drammi che vivono uomini e donne che lasciano il proprio paese e compiono notevoli sforzi per accoglierli e accompagnarli. Di queste persone colpisce che nella loro miseria hanno una forza umana e spirituale che li spinge a continuare la loro transumanza che purtroppo si trasforma spesso in calvario. Mettersi in loro ascolto aiuta a modificare lo sguardo, a essere più esigenti sulle questioni della giustizia e della solidarietà nei confronti di questi fratelli e di queste sorelle stranieri che bussano alla nostra porta». L’accoglienza dei migranti, attuata dalle Chiese sia della riva Sud sia della riva Nord del Mediterraneo, è dunque una priorità, come osserva p. Roucou – direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l’islam della Conferenza episcopale francese –, perché è tramite l’ascolto e gli scambi nella vita quotidiana che si possono sensibilizzare le comunità residenti in Europa. Tra l’altro esse hanno al loro interno persone provenienti da flussi migratori precedenti: «Questo ci riporta alla Bibbia che invita il credente ebreo a ridire nel proprio credo: “Mio padre era un arameo errante” (Dt 26,5)». Tuttavia, su come gestire «la delicata questione delle migrazioni – si dice ancora nel comunicato – vi sono due atteggiamenti contrastanti: quello di diversi politici che intendono garantire quasi esclusivamente la sicurezza e la protezione dei propri cittadini, spesso per ragioni meramente elettorali; e quello dei discepoli del Vangelo che, a rischio d’essere accusati d’ingenuità, vogliono servire in primo luogo le persone e difenderle nella loro dignità, anche se sono clandestine e senza documenti. Questi due atteggiamenti – prosegue il testo – potrebbero trovare un punto d’incontro se il denaro speso per proteggere le frontiere fosse speso per lo sviluppo dell’indipendenza alimentare dei paesi dai quali partono i migranti e se venissero assicurate le risorse per permettere una vita dignitosa a tutti i cittadini. Questi ultimi non sarebbero costretti a partire mettendo a rischio la propria vita. Da decenni i papi ribadiscono questi concetti: perché non ripeterlo?». Proprio l’universalità della Chiesa è il punto di forza a partire dal quale essa può chiedere un serio impegno alle istituzioni europee, da un lato nell’ambito dello sviluppo dei paesi più poveri e dall’altro in quello dell’integrazione. «Per quanto riguarda – conclude il comunicato – gli sforzi per far avanzare il dialogo tra cristiani e musulmani, i vescovi da un lato si sono rallegrati per la messa in opera di iniziative incoraggianti all’interno delle proprie diocesi e dall’altro si sono rattristati per l’ampliarsi delle resistenze dovute alla paura e alla non conoscenza reciproca in tutti i paesi a maggioranza cristiana o musulmana. Talune correnti fondamentaliste non fanno altro che rafforzare questi timori. La priorità deve essere data all’incontro tra persone di diversi orizzonti che spesso lascia spazio a uno scambio più vero e più spirituale. La convivialità, vissuta nel quotidiano, resta il terreno d’elezione di un dialogo sempre necessario. I vescovi si rallegrano di tutte le iniziative in questo campo. Sottolineiamo – concludono i vescovi – la fecondità e la necessità di questi scambi regolari tra Chiese delle due rive del Mediterraneo: essi nutrono la speranza». Maria Elisabetta Gandolfi 1 La riunione precedente si è tenuta a Parigi nel 2008; la prossima si terrà a Madrid dal 23 al 25 aprile 2013. L’organizzazione è curata dalla Commissione episcopale per la missione universale della Conferenza episcopale francese, presieduta dall’arcivescovo di Cambrai, mons. F. Garnier. I partecipanti erano: mons. Ghaleb Bader, arcivescovo di Algeri; mons. Paul Desfarges, vescovo di Constantine-Hippone (Algeria); mons. François Garnier, arcivescovo di Cambrai (Francia); mons. Alphonse Georger, vescovo di Oran (Algeria); mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi; mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat (Marocco); mons. Juan José Omella, vescovo di Calahorra e La Calzada-Logono (Spagna); mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia; mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Gardhaïa (Algeria); mons. Michel Santier, vescovo di Créteil (France); mons. Claude Schockert, vescovo di Belfort-Montbéliard (Francia); mons. Marc Stenger, vescovo di Troyes (Francia). Erano inoltre presenti: p. Daniel Farrugia, vicario generale di Tripoli; alcuni collaboratori della Conferenza episcopale francese: p. Bernard Fontaine, direttore nazionale del Servizio per la pastorale dei migranti; p. Jean Forgeat, direttore aggiunto del Servizio nazionale per la missione universale della Chiesa; p. Christophe Roucou, direttore del Servizio nazionale per le relazioni con l’islam. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 335 336-337_sri-india:Layout 2 31-05-2011 12:23 Pagina 336 Sri Lanka Chiese e riconciliazione Lezioni da apprendere C i troviamo in un quadro di postconflitto. È nostro compito riflettere su quanto accaduto. Connessa a questo dovere c’è la necessità di assicurarci che nessun conflitto si ripeta nel futuro. In questo contesto, la parola di cui si parla spesso è “riconciliazione”. Tra i paradigmi che stanno emergendo in situazioni come queste, il “paradigma della riconciliazione” è importante e non scontato. (…) È Dio che riconcilia l’umanità. Il ruolo dell’uomo è quello di essere ambasciatore di riconciliazione». Giustizia o verità? Queste parole avrebbero potuto essere ascoltate nei discorsi e appelli di molti protagonisti – ecclesiali, politici, civili – della Commissione per la verità e la riconciliazione sudafricana (Truth and Reconciliation Commission, TRC, 1995-98) che svelò al paese e al mondo la violenza e le origini del sistema segregazionista dell’apartheid. Esse si ritrovano invece nella deposizione pubblica presentata da Daniel S. Thiagarajah, vescovo e segretario del Consiglio nazionale cristiano, organo che raccoglie le Chiese protestanti nel tormentato stato dello Sri Lanka. L’intervento di Thiagarajah si è tenuto lo scorso 17 dicembre davanti a un organismo d’inchiesta nato a quindici anni di distanza dall’esperienza sudafricana: la «Commissione sulle lezioni apprese e la riconciliazione» (Lessons Learnt and Reconciliation Commission) che sta lavorando per far luce sull’ultimo decennio di guerra civile. La Commissione avrebbe dovuto presentare il suo rapporto conclusivo il 15 maggio, al termine di un anno di lavori. Le difficoltà incontrate e i numerosi nodi ancora da sciogliere hanno imposto il rinvio di sei mesi della pubblicazione dei documenti e delle raccomandazioni finali. In attesa del risultato del suo mandato, può 336 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 essere ora significativo evidenziare alcuni aspetti. Il debito retorico pagato dalla Commissione singalese verso il caso sudafricano non è casuale: negli ultimi tre decenni, decine di paesi protagonisti di processi di transizione, al termine di periodi segnati da guerre civili, dittature, violenze etniche, hanno scelto di adottare meccanismi alternativi ai tribunali di guerra. Si è consolidata così una vera e propria «Truth and Reconciliation formula».1 Con essa si intende una forma di giustizia «restaurativa», centrata cioè sulla riconciliazione nazionale e la guarigione dalle ferite del passato che emergerebbero dalla confessione delle violenze compiute e subite (truth-telling), con un’attenzione specifica alle vittime e con l’obiettivo di ricostruzione del tessuto sociale lacerato dal conflitto, piuttosto che unicamente l’attribuzione retributiva di una pena. Se questa è ormai una definizione «classica» delle commissioni, ogni esperienza presenta specificità e solleva interrogativi. Sempre più infatti si afferma la necessità di far interagire giustizia penale e restaurativa, evidente nell’ultima generazione di TRC create all’inizio del XXI secolo. Il caso dello Sri Lanka è espressione dell’elaborazione magmatica che si raggruma intorno alle TRC. Nel 1994 il paese conobbe un primo esperimento di commissione d’inchiesta, che non portò però i risultati di pacificazione attesi. La fine della decennale guerra civile che ha visto schierato il governo di maggioranza singalese contro l’organizzazione nazionalista delle Tigri per la liberazione della patria tamil (LTTE) ha riproposto gli interrogativi sulla gestione di un passato così complesso (cf. Regno-att. 14,2009,458). Limiti e criticità Una nuova commissione d’inchiesta è stata dunque istituita nel maggio dello scorso anno dal presidente Mahinda Rajapaksa, dopo aver rifiutato le pressioni di coloro che chiedevano la creazione di un organismo indipendente e internazionale per far luce sui crimini compiuti dai ribelli e dal governo. Il mandato della Commissione voluta da Rajapaksa si propone di indagare gli avvenimenti compresi tra il 21 febbraio 2002 e il 19 maggio 2009, soffermandosi in particolare sulla ricerca e la denuncia degli «individui, gruppi e istituzioni» responsabili – «direttamente o indirettamente» – della violazione del cessate il fuoco che nel 2002 riaprì le ostilità e dunque dei crimini nella fase successiva. Il mandato prevede inoltre lo studio delle misure e azioni necessarie a impedire una nuova escalation di violenza. Il nome stesso della Commissione (Lesson learnt and riconciliation commission) trova eco nell’articolo del mandato che raccomanda l’indagine delle «lezioni che dovremmo apprendere da quegli avvenimenti»: il riferimento esplicito alla dimensione morale e a una visione educativa della storia che la Commissione dovrebbe impartire e narrare aggiungono sfumature e complessità al lavoro di questa istituzione.2 Le ingerenze governative, l’esclusione della componente tamil e l’uso politico della commissione ai fini di screditare gli avversari del presidente Rajapaksa, così come lo scarso numero di testimonianze raccolte, l’assenza di programmi di protezione per i testimoni e di trasparenza mediatica e il debole lavoro di ricerca hanno suscitato la condanna di organizzazioni per i diritti umani. La Commissione ha provocato inoltre le critiche del comitato di esperti delle Nazioni Unite chiamato a valutare i crimini commessi nelle fasi finali della guerra civile. Lo scorso 25 aprile il comitato ONU ha presentato un rapporto in cui esamina nel dettaglio gli avvenimenti tra i mesi di gennaio e maggio 2009 nella regione Vanni, la zona più estesa della provincia Nord. Il rapporto denuncia il fatto che 330.000 civili siano rimasti intrappolati tra l’esercito e i nazionalisti nell’ultima fase del conflitto. Secondo le conclusioni dell’ONU, le tigri tamil avrebbero usato la popolazione civile come scudo umano. Anche il governo avrebbe però fatto ampio uso della violenza contro i civili. Immediata è stata la reazione dei vertici di Colombo, che hanno respinto le accuse contenute nel rapporto. Dall’altra parte, in una fase di stallo dei lavori della Commissione Lessons learnt, l’uscita del rapporto ONU ha provocato numerose reazioni. A prendere la parola sono stati in particolare 25 esponenti del 336-337_sri-india:Layout 2 31-05-2011 mondo ecclesiale, a conferma del ruolo significativo che le Chiese stanno svolgendo nella transizione democratica. La parola alle Chiese Il titolo del testo (Il documento del gruppo di esperti dell’ONU è una cospirazione e un ostacolo alla riconciliazione?) pone immediatamente in discussione la tesi governativa di condanna delle conclusioni delle Nazioni Unite.3 In particolare, i 25 prelati riprovano il fatto che il governo non abbia ancora diffuso il testo del rapporto e non lo abbia tradotto in singalese e tamil. La lettera ricorda i terribili giorni degli scontri tra esercito e ribelli e gli appelli che fin da allora le Chiese mossero per giungere alla fine delle ostilità. Il silenzio con cui furono accolte quelle suppliche, scrivono i rappresentanti ecclesiali, continua ancora oggi e impedisce di definire con chiarezza quanto accaduto. La parte più dura della lettera riguarda l’atteggiamento del governo dalla fine delle ostilità nel 2009 ad oggi: «Non siamo stati capaci di compiere significativi progressi su nessun fronte all’interno dello Sri Lanka. Il lavoro della Commissione non ci offre particolare speranza, sebbene ci auguriamo ancora risultati positivi, in particolare dalla pubblicazione del suo rapporto finale, dalle conclusioni e dalle raccomandazioni, che avrebbero il potenziale per servire da im- 12:23 Pagina 337 portante risorsa per i nostri sforzi verso la riconciliazione. In questo contesto, crediamo che l’aiuto internazionale possa essere cruciale», scrivono i 25 membri del clero del paese. Le stesse preoccupazioni e attese sono presenti nella deposizione di fronte alla Commissione presentata dal vescovo e dai sacerdoti della Chiesa cattolica del distretto di Mannar. In uno dei passaggi più significativi del discorso pronunciato il 10 gennaio, gli esponenti della diocesi denunciano le sofferenze e ricordano le ragioni della popolazione tamil: «Il popolo tamil dovrebbe essere riconosciuto, insieme agli altri abitanti, come parte di un solo Sri Lanka, pur mantenendo la propria identità, cultura, lingua, religione e abitazione tradizionale. Questa realtà in Sri Lanka deve essere riconosciuta dal governo. I principi fondamentali di divisione del potere e dei diritti delle minoranze devono essere legalmente fissati nella Costituzione». Oltre a una completa indagine sulle sparizioni e uccisioni durante la guerra civile, gli esponenti cattolici propongono alcune riforme politiche e sociali, invocando infine il dialogo tra le fedi. L’attivismo – non privo di contraddizioni e tensioni – delle Chiese non è una caratteristica inedita nei lavori delle commissioni per la verità e la riconciliazione (cf. Regnoatt. 20,1998,649; Regno-doc. 11,1999,358): si pensi e all’operato e al valore simbolico di Desmond Tutu come presidente della TRC sudafricana e all’impegno di numerose diocesi e organismi ecclesiali nel sostegno ad analoghe commissioni in America Latina. In Sri Lanka, lo scenario ancora aperto fa anche delle Chiese uno degli attori chiave con cui guardare al futuro del paese. Maria Chiara Rioli 1 La bibliografia sulle TRC è ormai molto vasta. Tra i testi più significativi: P. HAYNER, Unspeakable Truths: Confronting State Terror and Atrocity, Routledge, New York 2001; N. ROHTARRIAZA e J. MARIEZCURRENA (a cura di), Transitional Justice in the Twenty-First century. Beyond Truth versus Justice, Cambridge University Press, Cambridge 2006; R.I. ROTBERG, D. THOMPSON (a cura di), Truth versus Justice: the Morality of Truth Commissions, Princeton University Press, Princeton 2000; sulla TRC sudafricana A. LOLLINI, Costituzionalismo e giustizia di transizione. Il ruolo costituente della Commissione sudafricana verità e riconciliazione, Il Mulino, Bologna 2005. Cf. anche M.C. RIOLI, Guarigione di popoli, Chiese e comunità cristiane nelle commissioni per la verità e la riconciliazione in Sudafrica e Sierra Leone, EMI, Bologna 2009. 2 Per un’analisi del rapporto tra le TRC e la ricerca storica sui periodi che esse esaminano, cf. J. ELSTER, Closing the Books: Transitional Justice in Historical Perspective, Cambridge University Press, New York 2004. 3 Il testo del documento, diffuso lo scorso 25 aprile, può essere reperito in diverse fonti d’informazione, tra cui l’UCAN (Union of Catholic Asian News), www.ucanews.com. India Persecuzioni Violenza di stato S econdo il Rapporto annuale1 del Consiglio cristiano dell’India, un’associazione ecumenica che raccoglie numerosi gruppi, denominazioni, organizzazioni non governative e agenzie missionarie cri- stiane e che censisce tutti i casi documentati di violenza anti-cristiana e di discriminazioni contro i dalit, nel 2010 sono stati riportati 71 attacchi contro i cristiani in 13 (su 35) stati dell’unione, lo stesso numero dell’anno precedente. Il numero maggiore si è verificato nello stato del Karnataka, seguito dall’Andhra Pradesh e dal Kerala. Benché dal 2008 non si siano più verificati episodi di violenza di massa come quelli dell’Orissa e del Karnataka, il livello della tensione non tende a scendere negli ultimi tre anni. Gli episodi hanno riguardato pestaggi di preti o pastori cristiani, arresti arbitrari, distruzione di proprietà e minacce verbali. Con poche eccezioni, i responsabili erano estremisti sostenitori dell’ideologia ultranazionalista indù (hindutva). In tutti i 71 casi non c’è stata alcuna condanna da parte di un tribunale. Il 23 febbraio è stato diffuso anche il rapporto della commissione indipendente d’inchiesta guidata dal giudice Michael Sal- danha, che ha dimostrato che gli attacchi del 2008 contro le Chiese nel Karnataka erano stati pianificati dai gruppi radicali indù e che il governo dello stato li appoggiava, sostenendo e coprendo una «campagna di odio» contro i cristiani. L’esito dell’inchiesta contraddice clamorosamente il rapporto precedentemente presentato da una commissione d’inchiesta governativa, che aveva al contrario sostenuto l’estraneità delle istituzioni nei pogrom. Il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza episcopale indiana, ha chiesto ai vertici del governo dello stato di prendere le dovute misure sulla base del rapporto Saldanha, che chiama in causa anche il primo ministro e il ministro degli Esteri per gli attacchi. D. S. 1 Il rapporto, pubblicato il 15 marzo, ci è stato inviato il 6 aprile. Per informazioni contattare [email protected]; www.christiancouncil.in. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 337 338_australia:Layout 2 31-05-2011 12:25 Pagina 338 Australia Chiesa servatore arcivescovo di Denver Charles Chaput. Travisamenti Rimosso il vescovo Morris C on un lapidario comunicato del 2 maggio la Santa Sede ha informato che «il santo padre Benedetto XVI ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Toowoomba (Australia) s.e. mons. William M. Morris». I motivi della decisione non sono stati esplicitati da alcun documento ufficiale, ma è abbastanza fondato attribuirne l’origine a una richiesta del vescovo di riaprire il dibattito sull’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati o delle donne, vista la drammatica carenza di clero nella diocesi.1 a cura di Clara Aiosa - Giovanni Giorgio Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi I contributi raccolti, offerti al XII Simposio della Società italiana per la ricerca teologica (SIRT), vertono attorno al IX articolo del simbolo apostolico. Lo sforzo degli studiosi è quello di «ridire» Dio oggi, affinché il Credo possa ancora essere reale strumento di trasmissione della fede nel mutato contesto culturale. «Biblioteca di ricerche teologiche» pp. 260 - € 19,50 EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 - Bologna Tel. 051.4290011 Fax 051. 4290099 Il vescovo, 67 anni, era stato assegnato alla diocesi – che si trova nel Sud-est del Queensland, Australia nord-orientale, è grande quasi quanto la Francia e può contare su una cinquantina di preti tra diocesani e religiosi – nel novembre 1992 e ordinato il 10 febbraio 1993. Così mons. Morris rilegge la vicenda nella lettera che ha indirizzato il 1° maggio ai propri fedeli, e che è stata letta in tutte le parrocchie: «Arrivai dalla Gold Coast conoscendo poco di questa meravigliosa Chiesa locale, e di voi che siete la Chiesa locale. Ho trovato accoglienza, amicizia, incoraggiamento, stimolo, sostegno nella preghiera, una casa e un vero senso d’appartenenza. È con profonda tristezza perciò che vi scrivo questa lettera. Mentre la stragrande maggioranza di voi mi è stata di sostegno e ha collaborato attivamente con me perché andasse avanti la vita della diocesi, e la sua missione di portare il Vangelo al mondo, un piccolo gruppo ha trovato la mia leadership e la direzione della diocesi non di proprio gradimento. Anche se ho cercato di avere un buon rapporto con tutti e di coinvolgere tutti nel ministero e nella missione della diocesi, non ci sono riuscito. Alcuni di coloro che sono stati scontenti del mio ministero si sono avvalsi della possibilità di lamentarsi di me, in parte sulla base della mia lettera pastorale dell’Avvento 2006 che è stata travisata e mal interpretata, io credo deliberatamente. Questo ha portato a una visita apostolica e a un lungo dialogo tra me e le Congregazioni per i vescovi, il culto divino e la dottrina della fede, e infine con papa Benedetto. La sostanza di queste accuse non è veramente importante, ma le conseguenze sono che il papa ha stabilito che la diocesi sarebbe stata meglio servita da un nuovo vescovo». L’incarico di condurre la visita apostolica è stato affidato all’ultra-con- 338 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 «Io – continua – non ho mai visto il rapporto preparato dal visitatore apostolico, l’arcivescovo Chaput, e senza un giusto processo è stato impossibile risolvere questi problemi (...) Benedetto XVI mi ha confermato che “il diritto canonico non prevede un processo sui vescovi, che il successore di Pietro nomina e può rimuovere dall’ufficio”. Questo rende la mia posizione di vescovo di Toowoomba insostenibile. Non ho mai vacillato nella convinzione che per me dimettermi è un problema di coscienza, e le mie dimissioni avrebbero significato che accettavo l’accusa di rompere la communio, accusa che invece assolutamente rifiuto e respingo; ed è per amore della Chiesa che non posso farlo. Non ho mai scritto una lettera di dimissioni». Tale atto sarebbe stato richiesto al vescovo dai dicasteri vaticani sei volte. In alternativa il vescovo – si apprende dalla sua lettera – ha negoziato un «pensionamento anticipato». Ai preti e responsabili pastorali mons. Morris ha affidato il compito d’informare accuratamente i fedeli, com’è puntualmente avvenuto.2 Il presidente della Conferenza episcopale australiana Philip Wilson, in una lettera del 12 maggio a mons. Brian Finnigan, nominato amministratore apostolico della diocesi, ha affermato che «la decisione del papa non è una negazione dei doni pastorali e personali che il vescovo Morris ha portato nel ministero episcopale. Piuttosto egli ha giudicato che ci fossero problemi di dottrina e di disciplina, e ci rammarichiamo che non si siano potuti risolvere. Noi ci auguriamo che il vescovo Morris continuerà a servire la Chiesa in altri modi nei prossimi anni». Ma i problemi delle Chiese australiane rimangono, e i vescovi sono decisi a portarli a Roma: «Le discussioni sul processo e sulla decisione finale continueranno durante la nostra visita ad limina a Roma entro la fine dell’anno. Allora potremo condividere con il santo padre e i membri della curia romana i frutti della nostra discussione e condividere le nostre domande e preoccupazioni con un occhio al futuro». D. S. 1 Il documento «incriminato» è reperibile sul sito della diocesi di Toowoomba www.twb.catholic.org. au, così come la lettera di mons. Morris ai fedeli. 2 Una ricostruzione dettagliata dei fatti, dal punto di vista dei consulenti in diritto canonico di mons. Morris, è stata diffusa in rete: cf. per esempio caloundra.catholic.net.au. 339_honduras:Layout 2 31-05-2011 12:26 Pagina 339 Honduras Presidenza Lobo concludere il suo mandato come precondizione per lo svolgimento di nuove elezioni – farebbe rifluire la resistenza del tradizionale sistema politico oligarchico, con la rinuncia all’obiettivo di rifondare lo stato. La Chiesa: una posizione mediatrice Il compromesso e la normalizzazione A due anni dal colpo di stato che rovesciò, il 28 giugno 2009, il presidente della Repubblica Manuel Zelaya, in Honduras la polarizzazione politica tra sostenitori e oppositori del golpe resta forte. Tuttavia la riunione svoltasi il 9 aprile a Cartagena de Indias tra i capi di stato del Venezuela, Hugo Chávez, e della Colombia, Juan Manuel Santos, col presidente honduregno de facto Porfirio Lobo, cui ha fatto seguito, una settimana dopo, un incontro tra Chávez e Zelaya, ha aperto la prospettiva di un negoziato che normalizzi la situazione del paese e ne garantisca il reinserimento nella comunità internazionale. L’esecutivo di Lobo, infatti, nato da elezioni che si svolsero senza osservatori internazionali e a cui partecipò solo il 30% degli aventi diritto, non è stato riconosciuto dalla maggioranza dei governi del continente (ma tra le eccezioni spiccano Stati Uniti e Colombia), e resta escluso dall’Organizzazione degli stati americani (OSA), il che gli preclude l’accesso alla cooperazione finanziaria internazionale, oggi indispensabile per superare la crisi economica che attanaglia il paese. Se fosse riammesso potrebbe ottenere prestiti dal Banco interamericano di sviluppo (BID) e accedere nuovamente all’accordo energetico Petrocaribe con Caracas, grazie al quale l’Honduras nel 2009 pagava i combustibili il 40% del prezzo attuale. Ma ciò esigerebbe un’intesa che ricomponga la rottura istituzionale avvenuta col colpo di stato. D’altro canto, il Fronte nazionale di resistenza popolare (FNRP), che riunisce le organizzazioni politiche e sociali antigolpiste, conserva, nonostante la repressione che ha provocato alcune centinaia di morti in due anni, grande capacità di mobilitazione, come dimostrato dagli scioperi generali di marzo e aprile, e, sebbene al suo interno convivano orientamenti diversi (da chi vorrebbe fare del FNRP un partito con cui competere alle Il presidente Porfirio Lobo Sosa. elezioni del 2013 a chi intende conservarne le caratteristiche di movimento ampio), in febbraio ha tenuto la sua prima assemblea generale, con 1.500 delegati provenienti da tutto il paese e si è strutturato in tutto il territorio. Al mediatore Chávez, Zelaya, in qualità di coordinatore del FNRP, ha consegnato un documento con quattro condizioni per siglare un accordo col governo de facto: rientro sicuro del presidente deposto e degli altri esuli politici, rispetto dei diritti umani, convocazione di un’assemblea costituente e riconoscimento del FNRP come forza politica. Lobo si è informalmente detto d’accordo con queste richieste, compresa quella della convocazione di un’assemblea costituente (per la quale l’anno scorso il FNRP ha raccolto, anche con l’appoggio della diocesi di Santa Rosa de Copan, guidata da mons. Luis Santos, le firme di 1,4 milioni di honduregni). Il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras teme però che un eventuale accordo – qualora fosse rispettato, a differenza di quello siglato a San José del Costa Rica un mese dopo il golpe, che prevedeva il ritorno alla Presidenza della Repubblica di Zelaya per Intanto, in febbraio, la Conferenza episcopale dell’Honduras ha reso pubblico un comunicato – aperto dalla citazione del libro dell’Esodo «Il Signore disse: ho visto l’oppressione del mio popolo» – nel quale i vescovi, pur segnalando come «si sia progredito, sebbene lentamente, verso una riconciliazione», esprimono preoccupazione per «l’accumulazione di conflitti di ogni tipo». Denunciano quindi, tra l’altro, «il dolore di tante vittime della violenza cui non si rende giustizia», il «vorace appetito di quanti vogliono arricchirsi distruggendo le risorse naturali, a danno della popolazione e a vantaggio di pochi cui non si applica la legge», il «modello economico attuale, che è escludente e ostacola la crescita della piccola e media impresa» nonché «la corruzione a ogni livello, l’esclusione, la polarizzazione sociale che ostacola la governabilità, i problemi di proprietà della terra che hanno già provocato la morte di contadini». Si tratta di problemi, sottolineano i vescovi, che «paralizzano la nostra società e ci impediscono di avanzare sulla strada di una democrazia partecipativa e rappresentativa». Perciò l’episcopato chiede «un nuovo patto sociale, con la partecipazione di tutti i settori della società, che rinnovi le istituzioni giuridiche, politiche, sociali e culturali in modo da renderle rispondenti alla volontà della maggioranza del popolo». Il documento è stato definito «piuttosto sorprendente» dai gesuiti di Radio progreso, poiché «rompe il silenzio ecclesiale a partire dalle critiche rivolte alla gerarchia tanto dall’interno della Chiesa quanto dalla società civile» e «presenta una posizione opposta a quella assunta allo scoppio della crisi nazionale», un’allusione all’assenza di interventi pubblici sulla situazione del paese dopo l’appoggio espresso al rovesciamento di Zelaya dalla conferenza episcopale, e in particolare dall’arcivescovo di Tegucigalpa, card. Rodríguez Maradiaga, che ha sempre giudicato l’azione militare del giugno 2009 «conforme al diritto» e Lobo «eletto democraticamente». Per queste posizioni il cardinale ha ricevuto il soprannome di «cardemal» e diverse minacce di morte. Mauro Castagnaro IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 339 340_bolivia:Layout 2 31-05-2011 12:26 Pagina 340 Bolivia Ve scov i Inclusione sociale e laicità aperta L a lettera pastorale I cattolici nella Bolivia di oggi: presenza di speranza e impegno, pubblicata durante la Quaresima dalla Conferenza episcopale boliviana (CEB), costituisce un importante tentativo di riflessione organica sul ruolo della Chiesa nella nuova fase della vita del paese. L’ascesa ai vertici dello stato nel 2006 di Evo Morales, primo presidente della Repubblica indigeno, ha segnato una indubbia novità. E col nuovo governo la gerarchia cattolica ha avuto in questi anni anche momenti di frizione. Con l’ampio documento (64 pagine, suddivise in 9 capitoli), i vescovi, infatti, intendono «offrire un contributo alla vita della società a partire dalla visione cristiana dell’uomo, preoccupati per il bene di tutti i boliviani», collocandosi all’interno del processo di cambiamento sociopolitico in atto nel paese, ma individuandovi sia i «progressi», sia le «ambiguità»; ciò ha spinto gran parte dei mass media locali a presentare il testo come una critica all’esecutivo e l’ex presidente del Senato, Óscar Ortiz, leader della formazione d’ispirazione neoliberale Consenso popolare, all’opposizione, l’ha definito «l’analisi più profonda realizzata sulla storia recente della Bolivia». Secondo l’episcopato, «i tempi che viviamo in Bolivia sono segnati prima di tutto dall’inclusione e dalla partecipazione dei nostri popoli indigeni in tutti gli ambiti della società, dall’attenzione alle legittime aspirazioni dei poveri e dei settori meritevoli di un maggiore e necessario riconoscimento e accesso ai servizi pubblici. Come Chiesa valorizziamo e incoraggiamo questo processo, che mira a riparare tanti segni di emarginazione, diseguale distribuzione della ricchezza, squilibrio culturale, discriminazione della donna, debiti sociopolitici secolari ignorati, spesso deliberatamente, per lungo 340 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 tempo». Tuttavia i vescovi ricordano che tale politica di inclusione sociale «non può provocare nuove esclusioni né paura per altri settori. Né si possono ritenere legittime solo le aspirazioni di quanti condividono l’ideologia dominante, senza tener conto di altre che potrebbero completarla e arricchirla, poiché l’apporto di tutti contribuisce alla giustizia e alla riconciliazione». Non solo la cultura aymara Così la CEB plaude alla Legge contro il razzismo e ogni forma di discriminazione, varata nell’ottobre scorso, per «sradicare questa piaga», ma critica l’assenza di «un parametro chiaro di quali siano le condotte che saranno ritenute discriminatorie». Allo stesso modo i presuli giudicano «motivo di speranza la crescita di autostima delle diverse culture nazionali, specie quelle indigene, come pure l’apprezzamento per i loro valori e lingue» e sottolineano i valori delle culture tradizionali (il rispetto della relazione tra uomo e natura, la dimensione comunitaria ecc.), senza però ignorarne i «controvalori» (l’alcolismo, il maschilismo ecc.). Poi rilevano «l’esistenza di una tendenza, da parte di una determinata corrente del potere politico, a imporre una delle culture indigene (quella aymara; ndr) sulle altre, disattendendo di fatto la pluriculturalità consegnata nelle nostre leggi» nonché «l’utilizzo della ricchezza culturale del popolo per fini ideologici e interessi particolari e di partito». In questa luce l’episcopato stigmatizza i progetti di legge che legalizzerebbero le unioni tra omosessuali e l’aborto in quanto «contrarie alle culture dei nostri popoli originari», oltre che alla concezione cristiana. In chiaroscuro risulta anche l’analisi della situazione economica: «La crescita senza precedenti dei prezzi internazionali delle materie prime, idrocarburi e minerali, le rimesse degli emigrati e l’economia illegale della produzione di coca che eccede il consumo tradizionale» hanno permesso alle autorità di elargire «buoni» al 28% della popolazione, con «un impatto positivo sulla vita dei più poveri, specie nell’area rurale». Tuttavia tali sussidi derivano dallo sfruttamento di risorse naturali non rinnovabili, mentre non si stanno promuovendo la diversificazione e l’incremento della produzione nazionale per superare la dipendenza dall’attività estrattiva e alleviare la povertà. Lot ta al narcotraffico e all’illegalità La CEB, infatti, osserva il permanere di «forti diseguaglianze economiche tra ricchi e poveri, tra campagna e città e tra i gruppi sociali, una situazione aggravata dalla penuria di alimenti e dall’aumento smisurato dei prezzi dei prodotti di prima necessità». A chiare lettere i vescovi denunciano «la mancanza di sensibilità e solidarietà dei più potenti, perché non si assumono la responsabilità di contribuire maggiormente al destino del paese e alla soluzione dei problemi dei più poveri», per cui «sarebbe ingiusto attribuire al potere pubblico tutti i mali». Essi però non ignorano «le carenze amministrative dello stato, i bassi livelli di esecuzione del bilancio, la scarsa produttività di imprese statali e private, la crescita del contrabbando», cui si aggiunge la «corruzione generalizzata, tanto pubblica quanto privata». L’episcopato, infine, auspica il proseguimento della collaborazione tra Chiesa e stato alla luce dell’Accordo quadro firmato tra governo e CEB nel 2009, all’insegna del principio «stato laico sì, stato laicista no», in virtù del quale i presuli denunciano come «una strumentalizzazione politica di espressioni religiose» la «promozione di riti ancestrali (cerimonie aymara dedicate alla Pachamama; ndr) in atti pubblici». Il punto che comunque ha suscitato maggiori polemiche è quello in cui l’episcopato giudica «insufficiente l’azione del governo nella lotta al narcotraffico», sollecitando l’esecutivo ad «attaccarlo anche nei suoi movimenti finanziari». Il senatore Adolfo Mendieta, del partito governativo Movimento al socialismo, ha infatti invitato la Chiesa cattolica a fornire prove delle sue affermazioni, ripetendo la richiesta già espressa alcuni mesi fa all’arcivescovo di Cochabamba, mons. Tito Solari, che aveva denunciato l’uso di bambini da parte dei narcos nella regione del Chapare. M. C. 341_diario:Layout 2 31-05-2011 12:27 Pagina 341 diario ecumenico APRILE Grecia – Monasteri dell’Athos e crisi. Il 1° aprile il quotidiano ateniese Kathimerini riferisce di una lettera inviata al premier greco George Papandreou dall’Assemblea dei rappresentanti dei 20 monasteri del monte Athos, luogo simbolo del monachesimo ortodosso nella Grecia settentrionale, per protestare contro la recente riforma fiscale volta a imporre ai monasteri una tassa del 20% sulle rendite immobiliari. Sinora in base alla Costituzione godevano di uno statuto autonomo e dell’esenzione fiscale. Lo stato greco, alle prese con una crisi senza precedenti, ha dovuto appesantire il prelievo fiscale sulle rendite elevate e dovrà d’ora in poi tassare anche la Chiesa di Grecia, seconda proprietaria terriera dopo lo stato stesso. Spagna – Consiglio islamico. Il 2 aprile i rappresentanti delle comunità islamiche spagnole registrate presso il Ministero della giustizia s’incontrano a Madrid e decidono di dare vita a un Consiglio islamico di Spagna, dopo aver tentato per anni senza esito di modificare gli statuti della preesistente Unione delle comunità islamiche in Spagna, soggetta all’influenza dei governi stranieri (Marocco e Arabia Saudita soprattutto). L’obiettivo principale è impegnarsi nel dialogo con lo stato per lo sviluppo e l’applicazione dell’Accordo di cooperazione firmato nel 1992. In Spagna vivono 1.200.000 musulmani, per la maggior parte immigrati. Consiglio d’Europa – Dimensione religiosa del dialogo interculturale. Un dibattito sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale è uno dei punti forti della sessione primaverile del- Bartolomeo I: visita a Parigi e iniziativa interortodossa. Nel mese di aprile il patriarca ecumenico Bartolomeo I realizza due iniziative di rilievo per i rapporti in seno alla Chiesa ortodossa. Dall’11 al 14 si reca in visita a Parigi in occasione della pubblicazione in francese di un suo volume, À la rencontre du mystère. Comprendre le christianisme orthodoxe aujourd’hui. Qui incontra l’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia, molti esponenti del governo tra cui il presidente Sarkozy, il presidente della Conferenza episcopale francese card. Vingt-Trois. Il 20 aprile poi il sito d’informazione religiosa Romfea.gr riferisce che Bartolomeo ha inviato una lettera ai patriarchi Teodoro II di Alessandria, primate della Chiesa ortodossa in Africa, Ignazio IV di Antiochia, primate della Chiesa ortodossa in Siria, Libano, Iraq e Kuwait, Teofilo III di Gerusalemme, primate della Chiesa ortodossa in Israele, Giordania e Territori palestinesi, e all’arcivescovo Crisostomo II di Nea Giustiniana, primate della Chiesa di Cipro. In essa rende nota l’intenzione – approvata durante la sessione di aprile del Santo Sinodo del Patriarcato – di convocare una sinassi dei primati delle Chiese ortodosse del Medio Oriente, per esaminare «l’instabilità della situazione politica attuale» nell’area, ma anche per affrontare alcune questioni concernenti le relazioni interortodosse e la preparazione del futuro concilio panortodosso. L’incontro potrebbe svolgersi il 31 agosto e 1º settembre a Istanbul, e riunire dunque – tolta Roma – la «pentarchia» dei patriarcati del primo millennio (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), insieme all’antica Chiesa di Cipro. l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e ha luogo a Strasburgo il 12 aprile. Intervengono il patriarca Daniel di Romania, che sottolinea il ruolo e l’importanza della fede cristiana nella formazione e nella trasmissione della cultura in Europa; il card. Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che chiede all’Europa di avere il «coraggio» di prendere decisioni per promuovere la libertà di religione e denunciare ogni forma di discriminazione per motivi religiosi; Mehmet Görmez, presidente della Direzione degli affari religiosi della Turchia; Berel Lazar, rabbino capo di Russia; Bernhard Felmberg, rappresentante plenipotenziario del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania presso la Repubblica federale di Germania e l’Unione Europea. Chiesa ortodossa russa – Consiglio ecclesiale supremo. Il 14 aprile si riunisce per la prima volta il Consiglio ecclesiale supremo della Chiesa ortodossa russa, istituito per decisione del Santo Sinodo il 22 marzo su proposta del patriarca Cirillo. Il patriarca lo presiede, ed è composto dai responsabili di tutte le commissioni sinodali della Chiesa ortodossa russa: 18 in totale, tra cui 14 vescovi (8 ausiliari del patriarca), 3 preti e un laico. Così spiega Cirillo nell’intervento di apertura: il Consiglio è destinato a diventare un «organo di collegialità nella Chiesa», ma anche «uno degli strumenti per mettere in opera le decisioni dell’autorità ecclesiale suprema… È importante per noi… sforzarci, ciascuno nel suo ruolo e tutti insieme, collettivamente, di alzare il livello di disciplina esecutiva nella Chiesa». Charta oecumenica – 10 anni. Il 22 aprile la Charta oecumenica, documento elaborato congiuntamente nel 2001 dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dalla Conferenza delle Chiese europee (KEK), compie 10 anni. Cf. in questo numero a p. 306. Pasqua comune. Quest’anno i cristiani d’Oriente e d’Occidente celebrano la Pasqua lo stesso giorno, il 24 aprile, in quanto i due rispettivi calendari, quello giuliano e quello gregoriano, vengono a coincidere. Lo stesso accadrà nel 2017 e nel 2025. Nel suo messaggio pasquale Olav F. Tveit, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) si augura che «la celebrazione della Pasqua possa assumere un significato sempre più ecumenico». Da anni il movimento ecumenico caldeggia un accordo che porti le Chiese a celebrare la Pasqua in una data comune; la consultazione di Aleppo (Siria, 5-10.3.1997) organizzata da Fede e costituzione si concluse con tre raccomandazioni per la soluzione della data di Pasqua: a) mantenere il principio di Nicea; b) calcolare scientificamente i dati astronomici; c) usare come punto di riferimento, per il calcolo, il meridiano di Gerusalemme. Per gli ortodossi la questione è tra i punti del futuro concilio panortodosso. Ginevra – Religioni e «lavoro dignitoso». La «dignità del lavoro» o il «lavoro dignitoso» nel contesto di una risposta alla globalizzazione è al centro di un seminario interreligioso internazionale che si tiene a Ginevra presso il Consiglio ecumenico delle Chiese dal 27 al 29 aprile. È organizzato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) insieme all’Organizzazione islamica per l’educazione, la scienza e la cultura, il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, il CEC e Globalethics.net. I partecipanti identificano delle convergenze tra le tradizioni religiose (cristiana, musulmana, ebraica e buddhista) e l’agenda dell’OIL per garantire un lavoro dignitoso per tutti. Daniela Sala IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 341 341_diario:Layout 2 31-05-2011 12:27 Pagina 342 diario ecumenico 342 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 a 342_agenda vaticana:Layout 2 31-05-2011 12:27 Pagina 342 agenda vaticana APRILE Enrichetta Alfieri beata. Il 2 aprile il papa autorizza la pubblicazione di decreti riguardanti 29 nuovi beati tra i quali quattro italiani: Serafino Morazzone, sacerdote ambrosiano (1747 – 1822); Clemente Vismara, sacerdote missionario del PIME (Agrate Brianza [MB] 1897 – Myanmar 1988); suor Elena Aiello, fondatrice della Congregazione delle Suore minime della passione (Cosenza 1895 – Roma 1961); suor Enrichetta Alfieri (al secolo: Maria Angela), della Congregazione delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret (Borgo Vercelli [VC] 1891 – Milano 1951). Per la causa di Enrichetta Alfieri, detta «l’angelo di San Vittore», testimoniò Indro Montanelli per come la conobbe da detenuto nel 1944. La salvò dalla fucilazione l’intervento del card. Schuster che scrisse di persona a Mussolini quando fu sorpresa con un biglietto di una donna ebrea detenuta che dal carcere scriveva ai parenti invitandoli a mettersi in salvo. Assisi 4. «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo» sarà l’intestazione dell’appuntamento interreligioso annunciato dal papa il 1° gennaio a ricordo del 25° di quello indetto da Giovanni Paolo II: l’annuncia una nota del 2 aprile dando notizia che la giornata si farà il 27 ottobre (giorno dell’anniversario di quella del 1986) e sarà organizzata dai Pontifici consigli per la promozione dell’unità dei cristiani, per il dialogo interreligioso e della cultura; l’invito del papa è rivolto «ai fratelli cristiani delle diverse confessioni, agli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, a tutti gli uomini di buona volontà». La giornata avrà come tema: «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Saranno invitate «anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non professandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo». Non vi saranno momenti pubblici e comuni di preghiera, ma solo dei tempi di «preghiera silenziosa». Cf. in questo numero a p. 343. Santi semplici. «Non solo alcuni grandi santi che amo e che conosco bene sono per me “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate»: così papa Ratzinger mercoledì 13 aprile ragionando della santità a chiusura del ciclo su «santi e sante» che ha condotto nelle udienze del mercoledì lungo l’ultimo biennio. Vangheluwe – pedofilia. «La Congregazione per la dottrina della fede ha stabilito che Roger Vangheluwe, ex vescovo di Bruges, lasci il Belgio e si sottoponga a un periodo di trattamento spirituale e psicologico. In tale periodo evidentemente non gli è permesso alcun esercizio pubblico del ministero sacerdotale ed episcopale. Il trattamento psicologico è stato disposto dalla Congregazione per ottenere gli ulteriori elementi diagnostici e prognostici utili per continuare e concludere la procedura in vista della decisione definitiva, che rimane di competenza della Congregazione stessa, e da approvarsi da parte del santo padre»: così una dichiarazione del portavoce vaticano a seguito delle polemiche provocate da nuove dichiarazioni a mezzo stampa del vescovo reo confesso di violenze sessuali su due nipoti maschi, le cui dimissioni erano state accettate dal papa nell’aprile del 2010 (cf., tra gli altri, Regno-att. 16,2010,516 e 14,2010,437). Cina. «Per quanto riguarda il triste episodio dell’ordinazione episcopale di Chengde, la Santa Sede, in base alle informazioni e alle te- 342 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 stimonianze finora ricevute, non ha ragioni per considerarla invalida, mentre la ritiene gravemente illegittima, perché è stata conferita senza il mandato pontificio, e ciò rende anche illegittimo l’esercizio del ministero. Siamo inoltre addolorati perché è avvenuta dopo una serie di consacrazioni episcopali consensuali e perché i vescovi consacranti hanno subìto varie costrizioni (…). Le pressioni e le costrizioni esterne possono fare sì che non si incorra automaticamente nella scomunica. Resta tuttavia una ferita provocata al corpo ecclesiale. Ogni vescovo coinvolto è, pertanto, tenuto a riferire alla Santa Sede e a trovare il modo di chiarire la propria posizione ai sacerdoti e ai fedeli, professando nuovamente la fedeltà al sommo pontefice»: è un paragrafo del Messaggio ai cattolici cinesi della Commissione per la Chiesa cattolica in Cina pubblicato il 14 aprile, a conclusione della riunione dei giorni 11-13 aprile (cf. Regno-doc. 9,2011,265 e Regno-att. 8,2011,237). Benedetto in TV. Bintù è una donna musulmana della Costa d’Avorio che il pomeriggio del 22 aprile – Venerdì santo – pone una delle sei domande alle quali papa Benedetto risponde in una trasmissione registrata di RAI Uno, per la rubrica A sua immagine. La donna parla della guerra civile che sta sconvolgendo il suo paese e chiede cosa si possa fare a rimedio. «Possiamo fare una cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo opere di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre possibilità, i contatti politici, umani», le risponde tra l’altro il papa. Le altre domande riguardano il terremoto del Giappone, le persone in stato vegetativo, la condizione dei cristiani in Iraq, la discesa di Gesù agli inferi, il corpo di Gesù risorto (cf. Regno-att. 6,2011,173). Via crucis. «La croce non è il segno della vittoria della morte, del peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e tirarci a sé, portarci fino a lui»: così il papa a conclusione della Via crucis al Colosseo, il Venerdì santo, 22 aprile. I testi delle meditazioni erano stati composti da suor Maria Rita Piccione, dell’Ordine di Sant’Agostino, del Monastero dei santi Quattro coronati in Roma. Profughi e rifugiati. «Ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari, arrivi la solidarietà di tutti. Gli uomini di buona volontà siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli. A quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro conforto e apprezzamento»: è un brano del messaggio Urbi et orbi di papa Benedetto letto la domenica di Pasqua, 24 aprile (cf., sul tema, Regno-doc. 9,2011,275). Azerbaigian. Il 30 aprile a Baku viene firmato un accordo fra la Santa Sede e la Repubblica di Azerbaigian – paese a maggioranza musulmana – che regola i rapporti giuridici fra la Chiesa cattolica e lo stato. Un comunicato informa che l’accordo «riconosce e registra la personalità giuridica della Chiesa cattolica e di tutte le sue istituzioni e assicura la libera comunicazione tra la locale comunità cattolica e la Santa Sede, nonché l’accesso ai mezzi di comunicazione sociale e la libera scelta, da parte della Santa Sede, di un ordinario, quale responsabile della circoscrizione ecclesiastica». Luigi Accattoli 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 S Pagina 343 studio del mese Assisi - 27 ot tobre 1986-2011 La preghiera e il pellegrinaggio L’idea di Benedetto XVI di convocare ad Assisi il 27 ottobre 2011 una «giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo», richiamando l’iniziativa inedita assunta dal suo predecessore Giovanni Paolo II e invitando nuovamente a unirsi a questo cammino «i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà», offre oggi l’occasione per riflettere su quell’intuizione profetica con chi ne fu l’ideatore, il card. Roger Etchegaray, all’epoca presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace. «L’atto di fondazione non può essere ripetuto», afferma il card. Etchegaray, che racconta da dove nacque l’idea di Assisi 1986, su quali presupposti e prospettive si basò, quale fu il ruolo assegnato alla preghiera in una dimensione interreligiosa. A complemento mons. Michael Fitzgerald, dal 2002 al 2006 presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ripercorre i momenti salienti del riavvicinamento che dopo Assisi ha portato i leader delle maggiori religioni mondiali a incontrarsi sempre più frequentemente nel dialogo. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 343 S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 344 C on un comunicato della Sala stampa vaticana, il 2 aprile scorso, è stato ufficializzato nei contenuti e nelle modalità il programma della giornata del 27 ottobre prossimo ad Assisi: 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace voluta da Giovanni Paolo II. Fu quello il primo e «speciale incontro di preghiera per la pace» a cui il papa aveva invitato personalmente i responsabili delle Chiese e delle comunioni cristiane, nonché i leader delle altre religioni, nella città di san Francesco, al fine di «contribuire a suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace che, oltrepassando i confini delle singole nazioni e coinvolgendo i credenti di tutte le religioni, giunga ad abbracciare il mondo intero». Il prossimo incontro è il quarto. Oltre a quello del 1986, si sono tenuti altri due incontri nel 1993 e nel 2002. Pur nella loro progressiva diversità, sottolineata dalle diverse emergenze storiche (le guerre balcaniche nel 1993; il terrorismo islamista nel 2002), i tre incontri di preghiera sono stati organizzati con l’intento principale di mostrare come le religioni, le confessioni e le Chiese – se in passato erano state causa o giustificazione di conflitti – oggi potevano, a partire dalla riscoperta di una loro interna coerenza spirituale, rovesciare quell’assunto e dare testimonianza di dialogo e di fratellanza. E nel promuovere l’accettazione reciproca, attraverso comuni comportamenti religiosi (la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio) condurre ciascuna la propria interna conversione. Ad Assisi 1986 l’accento fu certamente posto sulla preghiera. Sul pregare gli uni accanto agli altri, sull’essere insieme per pregare, come fu prudentemente detto, ma che evocava di fatto l’immagine simbolica di un pregare insieme. «Come leader religiosi – aveva detto Giovanni Paolo II nel suo saluto – voi non siete venuti qui per una conferenza interreligiosa sulla pace, dove l’accento avrebbe dovuto cadere sulla discussione o la ricerca di piani d’azione su scala mondiale in favore di una causa comune. Il venire insieme di così tanti leader religiosi per pregare è come tale un invitare il mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un’altra via per promuovere la pace». Giovanni Paolo II vuole mettere in scena, come dirà nel 1993, «lo spettacolo della concordia» tra le confessioni e le religioni. Pellegrini della verità, pellegrini della pace Quale ruolo il papa assegnasse allora al cattolicesimo era chiaro nell’atto di convocare gli altri. Nell’invito vi era certamente l’ammissione implicita che la Chiesa cattolica da sola non bastasse, e se voleva reiterare la richiesta di una suprema autorità etico-politica della Chiesa sul consorzio civile quale unica garanzia di un mondo ordinato, essa ora poteva farlo solo convocando tutte le altre componenti religiose, facendo della dimensione interreligiosa un punto strategico dell’azione politica internazionale della Santa Sede. Che ruolo conferirà Benedetto XVI alla nuova giornata di Assisi? Ancora non lo sappiamo. Possiamo scor- 344 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 rere alcuni passaggi salienti del comunicato: «Il santo padre – vi è detto – intende convocare, il 27 ottobre prossimo, una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, recandosi pellegrino nella città di san Francesco e invitando nuovamente a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà. La giornata avrà come tema: Pellegrini della verità, pellegrini della pace. Ogni essere umano è, in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del bene. Anche l’uomo religioso rimane sempre in cammino verso Dio: da qui nasce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, credenti o non credenti, senza rinunciare alla propria identità o indulgere a forme di sincretismo; nella misura in cui il pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente, esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e impegna tutti a essere costruttori di fraternità e di pace. Sono questi gli elementi che il santo padre intende porre al centro della riflessione. Per questo motivo saranno invitate a condividere il cammino dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle principali tradizioni religiose anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non professandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo. L’immagine del pellegrinaggio riassume dunque il senso dell’evento che si celebrerà: si farà memoria delle tappe percorse, dal primo incontro di Assisi a quello successivo del gennaio 2002 e, al tempo stesso, si volgerà lo sguardo al futuro, con il proposito di continuare, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a camminare sulla via del dialogo e della fraternità, nel contesto di un mondo in rapida trasformazione. San Francesco, povero e umile, accoglierà di nuovo tutti nella sua città, divenuta simbolo di fraternità e di pace». In preparazione alla prossima giornata Benedetto XVI presiederà in San Pietro, la sera precedente, una veglia di preghiera, e altrettanto chiederà di fare a tutte le Chiese particolari. I pontifici consigli coinvolti nell’organizzazione sono quelli per il dialogo interreligioso, per la promozione dell’unità dei cristiani e per la cultura. Non c’è il Pontificio consiglio della giustizia e della pace che fu protagonista dell’evento del 1986. S’insiste maggiormente sull’aspetto del dialogo culturale. Le tappe della giornata, il percorso somigliano molto da vicino a quelli del 1986. Ma qui non è la preghiera a essere posta al centro. È il camminare insieme. Benedetto XVI conferma la sua prudenza, che già allora manifestò da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, sulla preghiera. Non vi saranno luoghi per preghiere comuni a ciascuna tradizione religiosa. Ciascuno pregherà in silenzio nel proprio cuore. Rimane forte il tema della fratellanza che accomuna, invece di dividere, nella ricerca della verità. Gianfranco Brunelli 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 345 Assisi 25 anni dopo Vicini l’un l’altro vicini a Dio ard. Etchegaray, sono trascorsi 25 anni, un lasso di tempo significativo per stabilire che cosa è restato dello spirito di Assisi. Mi è venuto da dire: «restato». Il «resto» è parola antica che ha un gran peso nella Bibbia. Non ha nulla a che fare con l’avanzo, il rimasuglio. È un segno di fedeltà, capace nuovamente di fiorire, ma certo è passato attraverso molte prove, spesso dure. Potevo chiederle: che cosa si è sviluppato? Quali sono stati i frutti rigogliosi di Assisi? Mi è venuto più diretto ricorrere all’altro termine. Lei che ne pensa? «In passato ho avuto occasione di dichiarare, e lo ribadisco: “Non si rifà Assisi, sarebbe come porre una seconda volta una prima pietra”. Mi comprenda, l’immagine va presa in senso stretto: che ne sarebbe della prima pietra se a essa non seguisse la costruzione dell’edificio? Sarebbe un segno più di fallimento che di realizzazione. Eppure, è anche vero che l’atto di fondazione non può essere ripetuto; se lo si fa, vuol dire che c’è stata una falsa partenza. Il simbolo della pietra, poi, per la Chiesa cattolica, non è proprio trascurabile… Assisi ha il suo significato proprio se posto all’inizio di un cammino. Appunto perché non si può ripetere quella giornata del 27 ottobre 1986, iniziata con la pioggia e terminata con un arcobaleno spuntato sopra le colline (anche questo, inutile dirlo, un simbolo ben conosciuto), bisogna tenerne desto lo spirito. Quella giornata ha segnato una svolta. Lo spirito è stato ravvivato dallo stesso Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla tornò nella cittadina umbra a metà gennaio 1993 per un fine settimana di preghiera a favore della pace in Europa e in particolar modo per l’area balcanica, allora tormentata dalla guerra. La preghiera per la pace segnò il legame fra i due eventi, il tema specifico della guerra nei Balcani li distingueva. Un’eredità di Assisi è che di fronte a casi specifici le comunità religiose intervengano con gli strumenti loro propri, il primo dei quali è la preghiera, per denunciare l’uso indebito delle religioni, o meglio di una religione trasformata in ideologia al fine di giustificare le rivalità e alimentare gli scontri. Un’altra maniera in cui è stato conservato lo “spirito di Assisi” sono stati gli incontri “Uomini e religioni” organizzati dagli amici della Comunità di Sant’Egidio (miei vicini di casa, siamo entrambi trasteverini, risiedo a palazzo S. Calisto). Partecipai molte volte ai loro incontri. Amo chiamarli “saltimbanchi del messaggio di Assisi”. C Sant’Egidio ha piantato il suo tendone in molte città d’Italia, da Milano a Palermo e all’estero. Mettendomi sulle loro orme li ho seguiti a Varsavia (1989), Malta (1991), Bruxelles (1992), Gerusalemme (1995), Bucarest (1998), Libano (2000), Barcellona (2001), Aix-laChapelle (2003), Lione (2005). Dopo Assisi gli incontri interreligiosi si sono moltiplicati. In alcuni casi non mi viene più da pensare a dei saltimbanchi, ma alle cosiddette “compagnie di giro”, vale a dire ad attori che si trovano a recitare lo stesso copione nelle varie piazze. Naturalmente questi incontri rimangono un segno e sono molto meglio degli scontri. Bisogna però essere consapevoli di quanto sia ancora lungo e difficile il cammino da fare: lo “spirito di Assisi” è esigente. Inoltre non dimentichiamo che Benedetto XVI ha già ricordato il ventennale della giornata di Assisi inviando una lettera al vescovo della città, mons. Sorrentino. In essa papa Ratzinger constatava che, tramontate le speranze di pace collegate al crollo dei regimi comunisti, negli ultimi vent’anni gli scontri armati e le tensioni geopolitiche si sono sviluppate in modo tale da dare l’impressione che le differenze religiose costituiscano una minaccia per la pace. In questa luce la giornata di Assisi “assume il carattere di una puntuale profezia”. In tale contesto Benedetto XVI ha ribadito perciò il valore positivo delle religioni: “Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire anche solo partendo dall’esperienza del creato (cf. Rm 1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli altri esseri umani come fratelli”. A nessuno è dunque lecito strumentalizzare la religione per giustificare la violenza».1 Un’idea senza precedenti – Riandiamo al 1986. È noto che lei fu incaricato di coordinare un insieme di operazioni allora del tutto inedite. Si trattava in senso stretto di una prima volta. Sappiamo anche i nomi di molti di coloro che furono coinvolti nell’impresa: il card. Willebrands e il suo vice p. Duprey per la dimensione ecumenica, il card. Arinze e il suo vice p. Zago per quella interreligiosa, il suo vice al Pontificio consiglio della giustizia e della pace mons. Mejía. Per quali vie nella mente e nel cuore di Giovanni Paolo II nacque un’idea così priva di precedenti? Come gli venne una simile intuizione? «All’origine di tutto ci fu, per un verso, un input esterno, per altro verso invece fu un’idea personale del papa. Dobbiamo riferirci alla figura di Carl Friedrich von Weizsäcker. Fisico e filosofo tedesco, nato nel 1912, fu membro del team, guidato da Werner Heisenberg, che nel corso della Seconda guerra mondiale fece ricerche nucleari. Aveva parenti anch’essi illustri: suo fratello Richard era l’allora presidente della Repubblica federale di Germania, mentre suo genero è Konrad Raiser, dal 1993 al 2003 segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese. Come fisico von Weizsäcker fu esperto soprattutto dei processi nucleari che avvengono nelle stelle. Quanto interessa il nostro discorso è però una proposta IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 345 31-05-2011 15:26 Pagina 346 S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 Sopra e a p. 351: La prima Giornata mondiale di preghiera per la pace, Assisi 27.10.1986. che fece nella sua qualità di presidente del Kirchentag (l’assemblea biennale di base delle Chiese evangeliche tedesche) del 1985. Il suo contenuto è riassunto in queste sue parole: “Noi preghiamo le Chiese del mondo di convocare un concilio della pace. [In esso] le Chiese cristiane, solidalmente responsabili, devono dire una parola che l’umanità non possa ignorare”.2 Ben sapendo che cosa significava la distruzione, von Weizsäcker era fortemente preoccupato dell’avvenire. Pensava perciò che occorresse agire con rapidità. Il 10 giugno 1985 inviò a Giovanni Paolo II una lettera manoscritta in cui si proponeva la convocazione di “un’assemblea mondiale di cristiani per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”. Il fisico luterano si rivolgeva al papa per chiedergli quale autorità avrebbe potuto invitare a questo concilio. Era una chiara allusione al fatto che Giovanni Paolo II valutasse l’eventualità che fosse lui stesso a farsene carico. Papa Wojtyla prese in seria considerazione l’ardita proposta. Procedette a una consultazione. Giudicò irrealistica la forma canonica di un concilio e colse – e qui si trova l’originalità e il coraggio del papa – che la portata globale della pace doveva coinvolgere le religioni del mondo intero. Ne diede l’annuncio alla chiusura della annuale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani a San Paolo fuori le Mura il 25 gennaio. Il 1986 era stato pro- 346 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 clamato dall’ONU anno internazionale della pace. Perciò si orientò nella direzione di una “giornata di preghiera”. Mi sembra importante ribadire questa prospettiva: l’idea di estendere l’invito alle religioni di tutto il pianeta dipende anche da uno sguardo rivolto alla più estesa organizzazione internazionale messa in piedi dall’umanità. Assisi non fu, né poteva essere l’ “ONU della preghiera”. Tuttavia è importante sottolineare come la nascita di questa idea la si debba, sia pure in maniera indiretta, anche a uno dei migliori frutti dell’età contemporanea e l’ONU resta tale, nonostante i suoi limiti e le sue difficoltà. Le stesse considerazioni valgono per lo spirito ecumenico che animava la proposta di von Weizsäcker. Alle spalle di Assisi vi è anche lo sguardo fiducioso rivolto al mondo contemporaneo che il concilio Vaticano II aveva affermato nella costituzione Gaudium et spes. Non stupisce che i tradizionalisti restassero sconcertati dall’iniziativa di Giovanni Paolo II». – Vorrei invitarla a proporci un’altra considerazione relativa al 1986. Il 13 aprile di quell’anno è avvenuta anche la storica visita del papa alla sinagoga di Roma. Con questa scelta si è voluto dare un segno particolare anche nell’orizzonte della preparazione di Assisi, quasi a voler dire che per la Chiesa l’incontro con il popolo ebraico precede sempre quello con altre tradizioni religiose? 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 347 «Fin dall’inizio del suo pontificato era molto chiaro nel pensiero di papa Wojtyla che il rapporto con il popolo ebraico si pone su un piano diverso dalle relazioni che s’intrattengono con le altre religioni. Giovanni Paolo II a Mainz nel 1980 davanti a uno scelto gruppo di ebrei aveva osato dichiarare: “Le nostre due comunità religiose sono legate al livello stesso della loro identità”. Conservo poi nella memoria – ero presente – le folgoranti parole che pronunciò nel Tempio maggiore di Roma: “La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo senso è ‘intrinseca’ alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Voi siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Senza dubbio con quella visita volle comunicare, assieme a molti altri messaggi, anche l’esistenza di questo legame speciale. Fu davvero un evento storico. Il chilometro percorso dal papa quel giorno è stato il più lungo di tutti i suoi viaggi, perché ha attraversato duemila anni di storia. Occorre anche tener presente l’amicizia personale tra il papa e il rabbino capo di Roma Elio Toaff. Senza quel legame sarebbe difficile immaginare sia la visita alla sinagoga sia la partecipazione ebraica all’incontro di Assisi. Fu proprio con rav Toaff che girai per le strade della cittadina per individuare il posto più adatto. Il 27 ottobre la comunità ebraica pregò all’aperto, nell’area in cui presumibilmente si ergeva una sinagoga medievale». La preghiera, azione dello Spirito – Il fatto che l’incontro del 1986 non costituisse l’«ONU delle religioni» mi pare comprovato dalla massima che guidò quell’incontro: «insieme per pregare», e non già «pregare insieme». Questo motto non significa affatto che ognuno pregasse per conto suo. Infatti ciascuno, quando stava pregando in qualche parte della cittadina umbra, non poteva non avere presente che altri, nello stesso momento, stavano pregando per lo stesso scopo: la pace. Che varrebbe, del resto, pregare assieme, se poi ogni comunità, quando torna a casa sua, si scorda degli altri? Mi permetta un ricordo personale. La sessione di formazione del Segretariato attività ecumeniche (SAE, forse lei conosce questa meritoria associazione ecumenica italiana) del 1999 era intitolata «La preghiera respiro delle religioni». A essa intervenne anche p. Jacques Dupuis, l’autore del libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Queriniana, Brescia 21998), che suscitò tante discussioni e che procurò al suo autore – mi consenta dirlo – un trattamento poco rispettoso della sua persona e della sincerità della sua ricerca (su cui certo si può anche dissentire). Ebbene, in una sua relazione p. Dupuis cercò di individuare una via per cui si potesse giungere a pregare assieme e indicò anche qualche formula. Gli obiettai che questa ricerca di formule semplificate era un po’ come cercare il «massimo comun divisore» tra le religioni, mentre forse queste ultime, per restare nell’ambito delle immagini matematiche, sono paragonabili più a numeri primi che si assomigliano proprio perché nessuno di loro ha divisori, la cui comunanza più vera sta appunto nella reciproca irriducibilità.3 «Sono convinto che, se si cercano frettolose scorciatoie nella preghiera, il sincretismo divenga un pericolo concreto. Il pluralismo religioso è un dato di fatto che s’im- pone per il mescolamento crescente dei popoli; però non è solo questo. Se fosse così sarebbe una faccenda di pertinenza esclusiva della sociologia e della politica. La molteplicità delle religioni, senza erigersi a un pluralismo di diritto, si presenta come un mistero per il cristiano che cerca di decifrare il disegno salvifico di Dio. Assisi ci spinge a passare da una riflessione sulla salvezza a una riflessione sul significato della diversità delle religioni. Passaggio delicato che purifica e fortifica la mia fede in Gesù Cristo “Salvatore del mondo” e la mia appartenenza alla Chiesa “sacramento della salvezza”. Il cantiere teologico delle religioni è appena aperto: è una sfida probabilmente più grande di quella dell’ateismo. Come valutare queste altre vie che guardano anch’esse a Dio? Ora, però, vorrei soffermarmi un poco sulla preghiera. Nessuno ha mai potuto sospettare che l’iniziativa di Giovanni Paolo II potesse scivolare nel relativismo. Innanzitutto papa Wojtyla ha sempre apertamente dichiarato il valore salvifico universale di Gesù Cristo. In secondo luogo ha affermato, in modo inequivocabile, come lei ha ricordato, che l’incontro di Assisi era posto sotto la formula “stare insieme per pregare”: non si può “‘pregare insieme’, cioè fare una preghiera comune, ma si può essere presenti quando altri pregano”. Un punto fermo stava nello stesso atto di preghiera. In esso infatti si rivela operante l’azione dello Spirito. Nessuna autentica preghiera è estranea al cristiano, in quanto in essa egli coglie un riflesso dell’azione dello Spirito che viene in soccorso della nostra debolezza. Parlando alla curia romana alla fine del 1986 Giovanni Paolo II dichiarò: “Ogni preghiera autentica si trova sotto l’influsso dello Spirito ‘che intercede con insistenza per noi, poiché nemmeno sappiamo cosa è conveniente domandare’, ma egli prega in noi ‘con gemiti inesprimibili’ e ‘colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito’ (Rm 8,26-27). Possiamo ritenere infatti che ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo”.4 Con queste sue parole papa Wojtyla non dava un giudizio teologico sulle religioni, ne forniva invece uno sulla preghiera. Facendo ciò ribadiva, nel contempo, il primato dell’universale azione di salvezza di Gesù Cristo solo in virtù della quale lo Spirito può operare nel cuore di ogni uomo». Un at to penitenziale «Non si può scordare un altro aspetto dello “spirito di Assisi”. Giovanni Paolo II era ben consapevole che, lungo la sua storia, la Chiesa cattolica non è sempre stata fedele al suo compito di conformarsi a Gesù Cristo “re della pace”; di qui il tono penitente che contraddistinse alcune delle sue parole di allora: “Ripeto umilmente qui la mia convinzione: la pace porta il nome di Gesù Cristo. Ma nello stesso tempo e nello stesso spirito, sono pronto a riconoscere che i cattolici non sono sempre stati fedeli a questa affermazione di fede. Non siamo sempre stati costruttori di pace. Per noi stessi, quindi, ma anche forse, in un certo senso, per tutti questo incontro di Assisi è un atto di penitenza”».5 – Il senso penitenziale fu evidenziato anche dal fatto che quella giornata fu contraddistinta non solo dalla preghiera IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 347 S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 Pagina 348 ma anche dal digiuno. A questo proposito è bene ricordare un’altra iniziativa assunta da Giovanni Paolo II il 14 dicembre 2001, vale a dire appena tre mesi dopo l’11 settembre. Egli invitò i cattolici a digiunare in concomitanza con l’ultimo venerdì di ramadan di quell’anno. A tal proposito vorrei porle questa domanda: qui non si è forse corso il rischio di «digiunare insieme»? Vale a dire di compiere assieme un atto di altro valore religioso? «Neanche in quell’occasione si corse un simile rischio. Pensi alla dichiarazione conciliare Nostra aetate. Il suo n. 3 è dedicato ai musulmani (assai più che all’islam). Per tale motivo si possono elencare via via i tratti comuni tra queste due religioni, senza che ciò implichi la formulazione di una valutazione teologica complessiva sull’islam. Il Concilio individua tre pratiche accomunanti, e precisamente la preghiera, l’elemosina e il digiuno. Esse sono ben note anche ai musulmani a tal punto da formare, nella loro declinazione legale, tre dei cinque pilastri dell’islam. La Nostra aetate volle però presentare la preghiera, l’elemosina e il digiuno solo nella loro qualità di pratiche obiettivamente simili a quelle presenti nel cristianesimo e non già come componenti fondamentali dell’islam. In definitiva, la giornata di digiuno proposta da Giovanni Paolo II in quell’anno “fatale” si mosse in sintonia con quanto espresso qualche tempo prima dall’arcivescovo di Lione card. Billé in un messaggio rivolto a musulmani per l’inizio del ramadan: “Ogni volta che un credente si rivolge verso Dio, gli altri credenti non possono che rallegrarsene”. L’iniziativa papale si iscriveva pienamente nell’eredità Il card. Etchegaray ad Auschwitz, 2.9.1989. 348 15:26 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 conciliare, tenendo conto tanto della vicinanza della prassi presente nelle due tradizioni quanto dell’impegno a favore della pace. Giovanni Paolo II il 18 novembre di quell’anno aveva formulato in proposito parole molto chiare. Egli infatti aveva espresso la sua convinzione che la preghiera acquista forza quando è accompagnata dal digiuno, secondo quanto scritto nell’Antico Testamento e riproposto lungo tutta la tradizione cristiana: “Da parte loro i fedeli dell’islam hanno appena iniziato il ramadan, mese consacrato al digiuno e alla preghiera. Noi cristiani ci avviamo tra poco all’avvento per prepararci, nella preghiera, alla celebrazione del Natale, giorno di nascita del ‘Principe della pace’. In questo tempo opportuno chiedo ai cattolici che il prossimo 14 dicembre sia vissuto come giorno di digiuno, durante il quale pregare con fervore Dio perché conceda al mondo una pace stabile fondata sulla giustizia…”». Per la conversione delle religioni – Lei ha osservato in un suo testo che, oltre che di un dialogo interreligioso, ci sarebbe bisogno anche di un dialogo intra-religioso. L’espressione, come ovviamente sa, è stata molto usata da Raimon Panikkar. A lui, tra le altre, si devono parole secondo le quali occorre «un dialogo all’interno del proprio io, un incontro nel profondo della religiosità propria e personale dell’io, quando esso s’imbatte in un’altra esperienza religiosa a questo livello intimo. Un dialogo intra-religioso che debbo avviare io stesso, interrogandomi sulla relatività delle mie credenze, accettando la sfida di una conversione e il rischio di mettere in crisi i miei approcci tradizionali».6 In che senso intende l’espressione? «La intendo in un significato in parte diverso da quello di Panikkar. Mi riferivo non tanto a un processo individuale in cui una persona mette, positivamente, in crisi se stessa allorché si confronta con una religione diversa dalla propria, quanto a un processo collettivo. Il dialogo intra-religioso è il processo che conduce ogni religione nel più profondo di se stessa attraverso le mille strade di una conversione che si presenta come un cammino da intraprendere sempre di nuovo. Per riprendere il riferimento alla preghiera, la dimensione intra-religiosa è una comunione della preghiera senza essere la preghiera in comune. Nello stesso tempo è anche la consapevolezza che la nostra preghiera è sempre al di sotto di quanto le viene richiesto. È un cammino di conversione e di purificazione che tutti sono chiamati a compiere all’interno delle loro religioni. È un invito a una preghiera più intensa e vera che costruisca ponti di comunione». – Per un cristiano è una preghiera capace di gridare. Mi sono permesso di dirlo, perché mi sono tornate alla mente alcune sue belle e profonde parole: «Il grido è il dono totale di un attimo di se stesso, l’alleanza intensa e al tempo stesso deperibile dell’uomo con lo Spirito. Quante grida nel deserto, da Isaia a Giovanni Battista (Lc 3,4)! Quante grida intorno al figlio di Davide, dalla cananea (Mt 15,2) ai ciechi (Mt 9,27)! Quante grida dello stesso Cristo! Per chiamare quelli che hanno sete (Gv 7,37), per annunciare lo Sposo (Mt 25,6), per risuscitare Lazzaro (Gv 11,43), per offrire preghiere e suppliche (Eb 5,7). E poi quel duplice grido sulla croce, quelle due note di arpeggio inseparabili: il grido di sconforto di colui che si crede abbandonato (Mt 27,46) e il 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 349 grido di fiducia di colui che si abbandona al Padre (Mt 27,50). E se anche noi lasciassimo salire dal profondo del nostro cuore il grido dello Spirito: “Abbà, Padre!” (Gal 4,6). Non sappiamo più gridare. Non sappiamo più pregare».7 Tra le parole che ci ha detto mi è rimasta impressa soprattutto l’espressione che giudica le religioni una sfida più grande dell’ateismo. Mi chiedo se questo abbia a che fare anche con la condizione di minoranza del cristianesimo a lei ben nota, non foss’altro perché ha girato tanto per il mondo. «Come sa una delle mie “passioni” è la Cina, e questa sarebbe già di per sé un’indicazione sufficiente. Cina e India, che tutti indicano come i grandi paesi guida del prossimo futuro, racchiudono in loro stesse quasi la metà della popolazione mondiale. Se si è ottimisti sull’avvenire dell’umanità – e io, che vivo la sera della vita in quest’epoca di così grandi trasformazioni, lo sono – si deve essere convinti che la condizione propria dei cristiani nel mondo è di essere una minoranza. Ciò non è contro i disegni di Dio. Il lievito è sempre una piccola parte rispetto alla pasta. Non nego che si tratti di un ottimismo messo alla prova. Per me è esperienza faticosa ogni volta che mi trovo immerso in un paese islamico, induista o buddhista, in cui il cristianesimo è infinitamente minoritario, talvolta attorno all’1% come nel continente asiatico (a parte poche eccezioni come le Filippine). Per il semplice gioco demografico, proporzionalmente parlando, oggi in Asia ci sono meno cristiani rispetto a cento anni fa, e in base alle previsioni queste percentuali saranno ancora più piccole fra un secolo. Un simile bilancio, per quanto duro, lungi dal distruggere ogni slancio missionario, lo stimola, purificandolo. Più la Chiesa è minoritaria e più deve badare a far emergere il suo volto originale. Più la Chiesa scopre la pluralità delle religioni e riconosce che ogni uomo in buona fede non è salvato al di fuori o a dispetto della propria religione, più essa deve ravvivare le sue energie e proclamare l’unicità e l’universalità della salvezza in Gesù Cristo. Ma lungi dall’affaticarsi a individuare le proprie frontiere visibili, lo sguardo materno della Chiesa si meraviglia vedendo che il regno di Dio la oltrepassa da tutte le parti e che essa è soltanto il luogo in cui il Vangelo della salvezza è riconosciuto e celebrato nell’attesa della sua piena fioritura». – Eminenza, una domanda molto diretta: che legame c’è tra l’incontro tra gli esseri umani e il loro rivolgersi a Dio? «Le rispondo rievocando un episodio che riguarda Benedetto XVI. Non si erano ancora spente le polemiche per il discorso da lui tenuto a Regensburg, quando, all’inizio del 2007, papa Ratzinger fece la sua visita in Turchia. Ero presente. Le narro un episodio. Nel programma era prevista la visita alla Moschea blu. Dopo la visita al museo di Santa Sofia, ecco che il papa, scalzo, entra nella moschea più bella e più popolare di tutta la Turchia. Nel suo incedere nulla lascia immaginare che cammini sul filo del rasoio, né che avanzi prudentemente sul crinale. Sono a due metri dal papa, appena dietro di lui, mentre ascolta attentamente le spiegazioni del gran muftì di Istanbul, Musfata Çağrici. Poi i due uomini si trovano semplicemente di fronte al mihrab. Le telecamere di tutto il mondo li mostrano trasfigurati, così vicini l’uno all’altro perché entrambi vicini a Dio. Lei sa che amo molto la tradizione ortodossa russa. Per la verità le citerò una frase che viene da un “vecchio cre- dente”, cioè da un “dissidente”: anche da quelle parti le confessioni religiose hanno mostrato, a volte, il loro lato peggiore. Legate a quello scisma del XVII secolo ci furono sofferenze atroci. Ne fu vittima anche l’arciprete Avvakum, cioè l’autore a cui voglio ora riferirmi. Tuttavia l’immagine da lui proposta è così bella da porsi al di là di ogni ristretta appartenenza confessionale. Ecco le sue parole: “Ammettiamo che ci sia per terra un cerchio, cioè un disegno rotondo intorno a un punto, che si chiama propriamente centro. Ponete mente a ciò che vi dico. Prendete questo cerchio per il mondo, e quello che è nel mezzo del cerchio, per Dio; i sentieri che dal cerchio vanno verso il centro sono le vie, cioè le vite umane, e quanto più i santi si muovono verso il centro, tanto più desiderano avvicinarsi a Dio, e in proporzione del movimento si approssimano sia a Dio sia uno all’altro, e quanto più si avvicinano uno all’altro, tanto più si avvicinano anche a Dio”». I miei giorni con Simeone – La frase da lei citata evoca i santi, vale a dire ogni persona che nella sua vita è stata un autentico testimone di Dio tra i suoi fratelli umani. Un’ultima domanda di carattere più personale: quale santo avverte più vicino in questi anni da lei definiti la sera della vita? «Ho 88 anni. Quando vado nella mia cappellina privata vi vedo molte antiche icone donatemi nel corso del tempo. Vicino al Santissimo ne tengo due: Maria che porta in braccio il bambino e il vecchio Simeone anch’egli con il piccolo Gesù in braccio. Secondo il Vangelo sono le sole due persone che hanno portato in braccio Gesù. Ce ne saranno state di sicuro anche altre, ma non ne conosciamo i nomi. M’identifico sempre più con Simeone. Sono sorretto da Gesù Cristo, ma desidero riuscire ancora a mostrare la mitezza di Gesù al mondo. Una volta scrissi a Simeone una lettera aperta. Vi si legge: “Che la mamma porti il suo bambino, niente di più naturale, ma che tu contempli Gesù adagiato nell’incavo delle tue braccia! Sei stato avvertito dallo Spirito Santo che non avresti visto la morte prima di aver visto il Messia: misterioso destino di un incontro che collega le due visioni e che fa sgorgare dal tuo cuore, sempre rimasto giovane perché in perpetua attesa, il cantico del Nunc dimittis che ha la malinconia del sole che tramonta e la vibrazione di un’aurora radiosa. Tutte le sere dell’anno, la Chiesa mi fa ripetere nella preghiera il tuo cantico, che mi rivela sempre più l’estensione del mio compito personale. (…) Simeone, sei il santo dei miei ultimi giorni!”».8 a cura di Piero Stefani 1 Regno-doc. 17,2006,550. C.F. VON WEIZSÄCKER, Il tempo stringe, Queriniana, Brescia 1987, 9. 3 Cf. AA VV, La preghiera respiro delle religioni, a cura del Segretariato attività ecumeniche, Ancora, Milano 2000. 4 Regno-doc. 5,1987,136. 5 Regno-doc. 21,1986,642s. 6 R. PANIKKAR, «El diálogo interno: la insufficiencia de la llamada “epoche” fenomenológica en el encuentro religioso», in Salmanticensis 22(1975) 2. 7 R. ETCHEGARAY, Tiro avanti come un asino. Cenni d’intesa al cielo e alla terra, San Paolo, Cinisello Balsamo 32007, 54. 8 ETCHEGARAY, Tiro avanti come un asino, 19s. 2 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 349 31-05-2011 15:26 Pagina 350 A 25 anni da Assisi S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 Essere insieme davanti a Dio el suo messaggio per la giornata della pace di quest’anno, il santo padre Benedetto XVI ha ricordato l’avvenimento storico accaduto ad Assisi 25 anni fa. «Nel 2011 ricorre il 25° anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace».1 Il 1° gennaio, all’Angelus, dopo aver ricordato il paragrafo appena citato, aggiungeva: «Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di san Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio. Vi invito ad accompagnare sin d’ora con la vostra preghiera questa iniziativa». In questa sede cercheremo di cogliere l’importanza del gesto profetico di Giovanni Paolo II, ricordando la celebrazione della preghiera per la pace del 1986, le sue repliche, il progresso del dialogo interreligioso durante il pontificato di Giovanni Paolo II e lo stato del dialogo durante il pontificato attuale. Sono certo che la riflessione sarà un incoraggiamento per la nostra preghiera. N Assisi 1986 Fu nella basilica di San Paolo fuori le Mura, alla conclusione dell’ottavario per l’unità dei cristiani, che Giovanni Paolo II annunciò l’incontro di preghiera per la pace nella città di Assisi. Era il 25 gennaio, lo stesso giorno scelto da Giovanni XXIII per annunciare l’indizione del concilio Vaticano II. Le Nazioni Unite avevano proclamato il 1986 anno internazionale della pace. Il papa proponeva l’incontro di Assisi come il contributo particolare della Chiesa cattolica a tale iniziativa. 350 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Non tutti erano d’accordo con la prospettiva di vedere persone di ogni religione riunirsi insieme nella preghiera per la pace. Alcuni tacciavano l’iniziativa di sincretismo. Nella preparazione della giornata si ebbe cura di far notare che gli esponenti delle diverse religioni non venivano ad Assisi «per pregare insieme», ma «venivano insieme per pregare». Infatti il programma della giornata prevedeva un tempo di preghiera per ogni gruppo secondo la propria tradizione e poi, insieme nella piazza accanto alla chiesa di San Francesco, l’ascolto rispettoso di preghiere recitate dai rappresentanti delle diverse tradizioni. Durante la giornata tutti si unirono nel digiuno, e la giornata si concluse con una cena fraterna. Alla fine della giornata, sulla spianata di San Francesco, Giovanni Paolo II spiegò bene il senso dell’incontro. Parlò di un atto di penitenza – e il freddo era certo un elemento aggiunto da sopportare –. Parlò del digiuno come un modo di essere spiritualmente vicini alle vittime delle guerre e ai milioni di persone che sono vittime della fame. Poi proseguì: «Mentre camminavamo in silenzio, abbiamo riflettuto sul sentiero che l’umanità sta percorrendo: sia nell’ostilità, se manchiamo di accettarci vicendevolmente nell’amore; sia compiendo un viaggio comune verso il nostro alto destino, se comprendiamo che gli altri sono nostri fratelli e sorelle. Il fatto stesso che siamo venuti ad Assisi da varie parti del mondo è in se stesso un segno di questo sentiero comune che l’umanità è chiamata a percorrere. Sia che impariamo a camminare assieme in pace e armonia, sia che ci estraniamo a questa vicenda e roviniamo noi stessi e gli altri. Speriamo che questo pellegrinaggio ad Assisi ci abbia insegnato di nuovo a essere coscienti della comune origine e del comune destino dell’umanità. Cerchiamo di vedere in esso un’anticipazione di ciò che Dio vorrebbe che fosse lo sviluppo storico dell’umanità: un viaggio fraterno nel quale ci accompagniamo gli uni gli altri verso la meta trascendente che egli stabilisce per noi».2 Una lunga citazione, che coglie però l’essenziale della visione di Giovanni Paolo II della preghiera per la pace e la finalità del dialogo. L’avvenimento della giornata del 27 ottobre 1986 fu trasmesso in tutto il mondo dalla televisione, e il fatto di vedere il papa camminare nelle strade di Assisi in mezzo ai pellegrini, o in piedi sulla spianata con da un lato i rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane e dall’altro i rappresentanti delle diverse religioni fece impressione e incoraggiò gli incontri religiosi. Un’immagine vale più di mille parole. Forse è a causa degli effetti contrastanti suscitati, in alcuni ambienti grande entusiasmo, in altri grande opposizione, che il pontefice provò in seguito il bisogno di spiegare e di difendere la sua iniziativa indicandone i fondamenti teologici. Per fare ciò scelse il discorso di Natale alla curia romana. Il papa mise l’accento sull’unità del genere umano, la sua comune origine e il suo comune destino di cui aveva parlato ad Assisi, e poi, citando la Lumen gentium, sul ruolo della Chiesa come «sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (n. 1; EV 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 351 1/284). Proseguendo affermò: «Per questo il Concilio ha invitato la Chiesa a scoprire e rispettare i germi del Verbo presenti in tali religioni». Tra questi germi si può riconoscere la preghiera che esiste nelle diverse tradizioni religiose. Giovanni Paolo II non temeva di dichiarare: «Ogni preghiera autentica si trova sotto influsso dello Spirito, “che intercede con insistenza per noi”… Possiamo ritenere infatti che ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo».3 Così la giornata di preghiera per la pace, tenutasi ad Assisi, lungi dall’essere un atto d’infedeltà della Chiesa, è stata al contrario un modo straordinario di rendere evidente la vocazione della Chiesa secondo l’insegnamento del concilio Vaticano II. Le repliche successive È stato affermato da alcuni, compreso il card. Etchegaray, uno dei principali organizzatori dell’avvenimento di Assisi nella sua veste di presidente del Pontificio consiglio della giustizia e della pace (cf. qui a p. 345), che la giornata di preghiera era irripetibile. Il papa però scelse di farne delle repliche. La prima volta fu nel gennaio 1993 quando, unitamente ai presidenti delle conferenze episcopali d’Europa, rivolse un invito a ritrovarsi ad Assisi per «riflettere sulla pace in Europa, specialmente nei Balcani, e a pregare». La forma dell’incontro fu piuttosto cristiana, con una veglia di preghiera il sabato sera, dopo l’ascolto di testimonianze. Ai numerosi musulmani che avevano accolto l’invito del papa fu suggerito di compiere la loro preghiera a parte, ma loro insistettero per essere presenti alla veglia. La stessa cosa accadde per la messa la domenica mattina. I musulmani volevano così dimostrare la loro solidarietà con i cristiani. La seconda replica ebbe luogo nel gennaio del 2002. Fu la risposta di Giovanni Paolo II al terribile attentato dell’11 settembre 2001. Ci fu il viaggio insieme dal Vaticano ad Assisi sul «treno della pace». Accogliendo poi i rappresentanti delle varie religioni, Giovanni Paolo II disse: «Siamo venuti ad Assisi in pellegrinaggio di pace. Siamo qui, quali rappresentanti delle varie religioni, per interrogarci di fronte a Dio sul nostro impegno per la pace, per chiederne a lui il dono, per testimoniare il nostro comune anelito verso un mondo più giusto e solidale. Vogliamo recare il nostro contributo per allontanare le nubi del terrorismo, dell’odio, dei conflitti armati, nubi che in questi mesi si sono particolarmente addensate all’orizzonte dell’umanità».4 La giornata del 2002 non poteva essere come quella IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 351 S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 352 del 1986, a motivo della salute del pontefice, ma anche per le accresciute esigenze di sicurezza. Si concluse con la proclamazione solenne del «Decalogo di Assisi per la pace»:5 ogni impegno fu letto dai rappresentanti delle diverse religioni. L’indomani, tornato a Roma, il papa invitò a pranzo i capi delle delegazioni delle Chiese cristiane e delle altre religioni. Un sikh scrisse un messaggio da dare al papa in cui diceva: «Santo padre, tu sei stato per noi un padre e una madre; ci hai dato il cibo spirituale e materiale. Ti amiamo». Non fu necessario trasmettere il biglietto al santo padre, perché dopo il pranzo ogni invitato poté salutarlo personalmente, e così il devoto sikh poté rivolgersi direttamente al papa. Desidero menzionare altri due incontri in cui Giovanni Paolo II partecipò a un’assemblea interreligiosa. La prima occasione fu nel novembre 1994. La Conferenza mondiale delle religioni per la pace doveva tenere la sua VI Assemblea internazionale a Riva del Garda. Gli organizzatori volevano invitare il papa per l’apertura. Non potendo egli recarsi a Riva, l’apertura ebbe luogo a Roma, anzi in Vaticano, nell’Aula del sinodo. Giovanni Paolo II parlò all’assemblea. Riporto due paragrafi del suo discorso: «Il dialogo autentico ci aiuta a comprenderci reciprocamente in quanto donne e uomini religiosi e ci permette di rispettare le nostre differenze senza per questo astenerci dall’affermare chiaramente e inequivocabilmente ciò che crediamo essere la vera via alla salvezza. Per lo stesso motivo dovremmo impegnarci insieme affinché tutti abbiano la libertà re- c .Regno f Sull’ideazione e la celebrazione della giornata del 27 ottobre 1986 si veda su Il Regno: GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ad Assisi per la pace», in Regno-doc. 21,1986,642; L. ACCATTOLI, «Assisi, il consenso sulla pace», in Regno-att. 20,1986,553; GIOVANNI PAOLO II, «Diffondere lo spirito di Assisi (discorso durante la celebrazione ecumenica in Australia)», in Regno-doc. 1,1987,12. Sulle iniziative successive: GIOVANNI PAOLO II, «La guerra accumulo di peccati (ad Assisi per la pace nei Balcani», in Regno-doc. 3,1993,93; L. PREZZI, B. SALVARANI, «Assisi 1993: tre religioni per un continente senza pace», in Regno-att. 4,1993,73; A. FILIPPI, «Teologia: dalla giornata di Assisi allo spirito di Assisi», in Regno-att. 20,1996,598; L. PREZZI, «Assisi 1986 - Roma 1999: il simbolo rimane», in Regno-att. 20,1999,677; «Nello spirito di Assisi», Assemblea interreligiosa «Alle soglie del terzo millennio», in Regno-doc. 21,1999,688; C.M. MARTINI, «Assisi 2002: evento di fede nel dramma del tempo», in Regno-att. 4,2002,80; L. PREZZI, «Assisi 2002: credenti con l’islam contro il terrorismo», in Regno-att. 4,2002,79; L. PREZZI, G. BRUNELLI, «Dopo Assisi: insieme per la pace», in Regno-att. 6,2002,189; BENEDETTO XVI, «Il segno di Assisi, messaggio per il 20° dell’Incontro interreligioso di preghiera per la pace, in Regno-doc. 17,2006,549; BENEDETTO XVI, «Lo “spirito di Assisi”: dialogo e pace», in Regno-doc. 13,2007,402. 352 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 ligiosa. La libertà religiosa è la pietra angolare di tutte le libertà; impedire agli altri di professare liberamente la loro religione equivale a mettere a repentaglio la propria. Oggi, i capi religiosi devono dimostrare chiaramente di essere impegnati nella promozione della pace proprio in virtù del loro credo religioso. La religione non è, e non deve diventare, un motivo di conflitto, in particolare quando le identità etniche, culturali e religiose coincidono. Purtroppo, recentemente, ho avuto motivo di affermare ancora una volta che “non ci si può considerare fedeli a Dio grande e misericordioso e nel nome stesso di Dio osare uccidere il fratello”».6 L’altra occasione fu la cerimonia conclusiva dell’Assemblea interreligiosa organizzata dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso alle soglie del terzo millennio, cerimonia tenutasi in piazza San Pietro il 28 ottobre 1999. Rivolgendosi ai partecipanti e alle migliaia di persone radunate nella piazza, disse: «Per tutti gli anni del mio pontificato, e in modo particolare durante le mie visite pastorali nelle diverse parti del mondo, ho avuto la grande gioia di incontrare innumerevoli cristiani e membri di altre religioni. Oggi quella gioia è rinnovata qui, presso la tomba dell’apostolo Pietro, il cui ministero nella Chiesa ho il compito di proseguire. Sono lieto di incontrare tutti voi e rendo grazie a Dio onnipotente che ispira il nostro desiderio di una comprensione e un’amicizia reciproche». Terminò il suo discorso con queste parole: «Nelle molteplici lingue della preghiera, chiediamo allo Spirito di Dio di illuminarci, di guidarci e di darci forza, affinché come uomini e donne che traggono la loro ispirazione dalla fede religiosa possiamo lavorare insieme per costruire il futuro dell’umanità nell’armonia, nella giustizia, nella pace e nell’amore».7 Giovanni Paolo II si è spesso riferito allo «spirito di Assisi». Per lui voleva dire essere insieme davanti a Dio, con rispetto per le differenze nell’appartenenza religiosa; essere insieme come amici, impegnati nel servizio dell’umanità. La Comunità di S. Egidio, che aveva prestato il suo concorso per l’organizzazione della Giornata di preghiera ad Assisi, ha voluto contribuire a preservare e promuovere lo «spirito di Assisi». Così è nato l’incontro «Uomini e religioni», che ogni anno si raduna in una città diversa per fare il punto sul dialogo e pregare per la pace. Desidero anche menzionare un altro raduno annuale che ha lo stesso scopo, quello del Monte Hiei, in Giappone. Etai Yamada, l’abate del più antico monastero buddhista del Giappone, venuto alla giornata di Assisi, malgrado i suoi 86 anni, è rimasto così impressionato che ha deciso di convocare un raduno simile nel suo monastero. E dal 1987 in poi, ogni anno c’è un incontro interreligioso di preghiera per la pace in questo luogo sacro del Giappone. Il dialogo interreligioso sot to Giovanni Paolo II Consideriamo ora il progresso del dialogo interreligioso durante il pontificato di Giovanni Paolo II, e in primo luogo il dialogo bilaterale. 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 353 Giovanni Paolo II con il rabbino capo Yisrael Meir Lau (a sinistra nella foto) e il rappresentante dell’Autorità palestinese Tetzir Tamimi, Gerusalemme 23.3.2000. Il dialogo con gli ebrei è di competenza del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e non del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e di conseguenza mi è meno familiare. È certo che il dialogo si è sviluppato, sia a livello locale, sia a livello internazionale, guidato dalla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e aiutato dall’International Jewish Committee for Interreligious Consultations (IJCIC) come partner. Sul dialogo con i musulmani desidero fare un’osservazione preliminare. Spesso si sostiene che sono sempre i cristiani a iniziare il dialogo, a fare i primi passi. Mi sembra che in questi ultimi anni possiamo notare diverse iniziative anche da parte musulmana, segni di una nuova apertura. Nel 1989 il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha risposto positivamente all’invito del principe Hassan di Giordania a entrare in dialogo con l’Accademia reale per le ricerche sulla civilizzazione islamica. Già il principe Hassan si era rivolto agli anglicani della Cappella reale di Windsor, e poi agli ortodossi del Centro ortodosso di Chambésy (Ginevra), ma desiderava un dialogo con il mondo cattolico. Il card. Arinze accettò l’invito a una sola condizione: che la Chiesa locale, in questo caso il Patriarcato latino di Gerusalemme, fosse coinvolta. Gli incontri, svoltisi alternativamente tra Roma e Amman, hanno esaminato temi come i diritti e l’educazione dei bambini, la donna nella società, la dignità umana. Un altro organismo che ha invitato al dialogo formale è la World Islamic Call Society (WICS), con sede a Tripoli, Libia. Già nel 1976 si era tenuto un dialogo a Tripoli al quale il colonnello Gheddafi aveva invitato cristiani e musulmani del mondo intero. Una divergenza sulle proposte conclusive del colloquio aveva cau- sato uno stallo nei rapporti. Dopo più di dieci anni la WICS ha chiesto di riprendere il dialogo e si sono tenuti diversi colloqui più una sessione speciale per giornalisti. Cogliendo un invito dell’Iran, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha organizzato un primo simposio, tenutosi a Teheran, sull’interpretazione teologica della modernità. Si sono tenuti altri incontri, sui giovani e la religione, su islam e cristianesimo di fronte alla pluralità religiosa, sulla bioetica. Anche il Qatar ha voluto prendere iniziative nel campo del dialogo, organizzando diversi colloqui ai quali erano invitati anche alcuni ebrei. Si potrebbe parlare anche d’inviti ricevuti a partecipare ad assemblee islamiche, come per esempio la riunione annuale indetta in Egitto dal Consiglio supremo per gli affari religiosi. Da parte cattolica c’è stato l’invito a tre musulmani, un sunnita, uno sciita e un druso, a partecipare come osservatori nel Sinodo per il Libano, ma si può considerare un’eccezione. Il dialogo bilaterale con singoli paesi diventava un carico pesante per il Pontificio consiglio, che ha un organico assai ridotto. Di conseguenza si è cerato di stabilire strutture più ampie per il dialogo tra cattolici e musulmani. Così il Pontificio consiglio ha formato due comitati, uno nel 1995 con rappresentanti di organizzazioni internazionali islamiche, e l’altro nel 1998 con l’istituto Al-Azhar al Cairo. Ognuno di questi comitati si riunisce una volta l’anno. I partner di Al-Azhar ci hanno chiesto di tenere la riunione intorno al 24 febbraio, in memoria della visita di Giovanni Paolo II all’istituto del Cairo che avvenne proprio il 24 febbraio. Com’è noto, da parte di Al-Azhar il dialogo per il momento è congelato.8 Gli incontri hanno dato la possibilità di scambi su temi che preoccupano entrambi gli interlocutori e su situazioni diverse che coinvolgono cristiani e musulmani. Ci sono state dichiarazioni comuni, IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 353 S tudio del mese 343-355_studio del mese:Layout 2 354 31-05-2011 15:26 Pagina 354 per esempio la condanna della violenza, o il rispetto dovuto per le religioni e per i luoghi sacri. Un altro segno di apertura è il desiderio di varie università nei paesi a maggioranza musulmana di avere contatti con università cattoliche. Già da qualche anno esiste un accordo accademico tra l’Università di Ankara, Turchia, e la Pontificia università gregoriana di Roma, con scambi di professori e di tanto in tanto un simposio. Più recentemente l’Università Al-Zaitouna, l’antica università religiosa della Tunisia, ha iniziato dei rapporti con l’Università gregoriana e il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica a Roma. Non vorrei dare l’impressione che solo la Santa Sede sia impegnata nel dialogo con i musulmani. Dobbiamo riconoscere molte altre iniziative. C’è, per esempio, il programma «Building Bridges» intrapreso dalla Comunione anglicana. Un aspetto distintivo di questo programma è che i colloqui danno spazio a una lettura parallela della Bibbia e del Corano. Si può menzionare inoltre il Groupe de recherche islamo-chrétien (GRIC), un gruppo di cristiani e musulmani specialmente dell’Africa del Nord e dell’Europa, che dopo un lavoro comune ha pubblicato libri sulla rivelazione, sulla giustizia e la fede, sul peccato e la responsabilità etica. Si aggiunga inoltre a Common Word Initiative, una proposta di dialogo fatta da un gruppo di dotti musulmani riuniti attorno al principe Ghazi, il successore del principe Hassan alla Fondazione Aal Al-Bayt.9 Ho parlato a lungo degli scambi con i musulmani, perché è l’ambito in cui sono maggiormente preparato. Tuttavia non si devono dimenticare i rapporti con i seguaci di altre religioni, in primo luogo i buddhisti. Il card. Sergio Pignedoli, quando era presidente del Segretariato per i non cristiani, aveva incoraggiato i monaci cattolici a entrare in contatto con i monaci buddhisti. Così è nato il Dialogo interreligioso monastico (DIM-MID), che ora ha un segretario permanente e sezioni in molti paesi d’Europa, ma anche negli Stati Uniti, in India, nello Sri Lanka e in Australia. Si sono organizzati scambi spirituali, soggiorni di monaci e monache nei monasteri dell’altra tradizione. Tali scambi permettono di riconoscere i punti comuni della vita monastica, ma anche le profonde divergenze che provengono da un’altra fede o da un’altra visione del mondo. Da parte sua, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha promosso diversi colloqui, tenuti sia in una sede buddhista sia in un ambiente cattolico. Temi fondamentali sono stati toccati: convergenze e divergenze tra cristianesimo e buddhismo; parola e silenzio; sangha e Chiesa; l’importanza della comunità. Lo scopo degli scambi non è di arrivare a conclusioni comuni, ma piuttosto a una maggiore chiarezza nel percepire l’altra religione. Gli indù sono numerosi nel mondo, e l’induismo, con più di un miliardo di aderenti, viene al terzo posto tra le religioni, dopo il cristianesimo e l’islam. Dato che la stragrande maggioranza degli indù si trova in India, il dialogo con loro è condotto dalla Chiesa in questo immenso paese. Da parte del Pontificio consiglio ci si è in pratica accontentati di partecipare a incontri orga- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 nizzati in India, per lo più incontri multi-religiosi, con partecipanti di tutte le tradizioni religiose. Ci sono però contatti con un’università indù di Mumbai, con scambi di un buon livello, sia in India sia in Italia. Si deve aggiungere che alcuni monasteri cattolici che partecipano alle attività del Dialogo interreligioso monastico hanno stabilito rapporti con templi e centri indù nella diaspora, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Lo stesso vale per i sikh, che contano circa 20 milioni di fedeli, i quali per la maggior parte abitano nel Punjab indiano. È con un gurdwara (tempio sikh) a Birmingham, in Inghilterra, che il Pontificio consiglio ha portato avanti i rapporti con i sikh. Rispondendo alla loro domanda, c’è stata una riflessione comune sui libri sacri e la loro importanza nella vita del credente. Una visita ufficiale del segretario del Pontificio consiglio al Tempio d’oro di Amritsar, e la visita di capi sikh in Vaticano, hanno contribuito a consolidare i rapporti reciproci. Già diverse volte ho ricordato gli incontri multilaterali, sia in India, dove essi sembrano quasi la norma, sia in altre parti del mondo, nati spesso in seguito all’incontro di preghiera di Assisi. Desidero menzionare un’iniziativa simile organizzata dal Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso. Si è tenuto a Roma un simposio sulle Scritture come fonte di pace, con partecipanti di ben otto tradizioni religiose diverse. Si è proposto di esaminare gli aspetti positivi e quelli negativi, e che ognuno proponesse i punti di forza e di debolezza della propria tradizione. Non direi che tutto abbia funzionato al cento per cento, ma il clima di rispetto creato ha permesso di toccare temi scottanti. In questo senso, a me sembra che gli incontri multilaterali abbiano la loro importanza, perché permettono di smussare le asperità che possono trovarsi talvolta negli incontri bilaterali. Gli incontri trilaterali, tra fedeli delle religioni abramitiche, sono assai frequenti. Da molti anni esistono movimenti e associazioni come La fraternité d’Abraham in Francia, o il Three Faiths Forum in Gran Bretagna. Il Pontificio consiglio, assieme alla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, al Consiglio ecumenico delle Chiese e alla Federazione luterana mondiale, ha reso possibile due incontri trilaterali su Gerusalemme, sull’importanza della Città santa per ognuna delle tre tradizioni, e su una visione di pace per la città. Il primo ebbe luogo nel 1993 a Glion, in Svizzera, il secondo nel 1996 a Tessalonica, in Grecia. Erano incontri difficili, ma ogni volta, anche se in extremis, si è potuti arrivare a una dichiarazione comune. Tuttavia i partecipanti, ebrei, cristiani e musulmani, israeliani e palestinesi in maggioranza con qualche rappresentante di altri paesi, hanno deciso che, se non era possibile incontrarsi a Gerusalemme, o almeno in Israele o Palestina, era meglio sospendere gli incontri. Non si può dar loro torto. Nel pontificato di Benedet to XVI Si potrebbe dire che, riguardo al mondo islamico, il pontificato di Benedetto XVI è cominciato male. I musulmani hanno osservato che, nell’omelia pronunciata all’inaugurazione del pontificato, il santo padre si è ri- 343-355_studio del mese:Layout 2 31-05-2011 15:26 Pagina 355 ferito agli ebrei, ma ha passato sotto silenzio i musulmani. Pochi però hanno notato che l’indomani, ricevendo in udienza le delegazioni delle altre Chiese e delle altre religioni presenti alla cerimonia, il santo padre ha affermato la sua volontà di seguire le orme del suo predecessore, basandosi sull’insegnamento del concilio Vaticano II. Ha pronunciato le parole seguenti: «Sono in modo particolare grato per la presenza in mezzo a noi di membri della comunità musulmana, ed esprimo il mio apprezzamento per il crescere del dialogo tra musulmani e cristiani, sia al livello locale che internazionale. Vi assicuro che la Chiesa desidera continuare a costruire ponti d’amicizia con i seguaci di tutte le religioni, cercando il vero bene di ogni persona e della società nel suo insieme». Più tardi nel corso dell’anno, recandosi a Colonia per la Giornata mondiale della gioventù, Benedetto XVI ha colto l’occasione per visitare una sinagoga e per incontrare rappresentanti della comunità islamica. A questi ultimi ha ribadito l’importanza del dialogo interreligioso, che non può essere preso alla leggera, come un «hobby», perché è una necessità vitale per il futuro dell’umanità. L’anno seguente Benedetto XVI si è recato di nuovo in Germania e, visitando l’Università di Regensburg, ha tenuto un discorso che ha fatto scalpore nel mondo musulmano.10 Non credo sia necessario entrare nei dettagli del discorso, ma voglio soffermarmi sul suo sviluppo successivo. Il santo padre ha dichiarato che la citazione dell’imperatore bizantino non esprimeva il suo pensiero, e che lui non aveva la minima intenzione di offendere i musulmani, ma le sue parole non sono state recepite. Più che le parole, è servito il suo atteggiamento tenuto durante il viaggio in Turchia, svoltosi verso la fine dell’anno. La foto del papa accanto all’imam nella Moschea blu d’Istanbul è stata pubblicata su tutti i giornali come prova del suo rispetto per l’islam. Purtroppo altre accuse contro il papa hanno fatto congelare il dialogo tra Al-Azhar e la Santa Sede. Finora Benedetto XVI non ha avuto molti contatti con persone di altre tradizioni religiose, al di fuori degli ebrei e dei musulmani. Durante il suo soggiorno in Australia nel 2008, di nuovo in occasione della Giornata mondiale della gioventù, c’è stata un’udienza speciale per i membri delle diverse religioni. Avendo io avuto il privilegio di essere presente, posso affermare che l’incontro è stato molto positivo e che tutti ne erano contenti. Si potrebbe dire la stessa cosa dell’incontro simile avutosi durante il viaggio del santo padre in Gran Bretagna, lo scorso settembre. Per finire, desidero indicare tre punti che sembrano importanti per il santo padre nel dialogo che vuol promuovere. Il primo è la necessità del rispetto per il diritto alla libertà religiosa. Nei suoi discorsi, per esempio ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede, ripete spesso che la libertà di culto deve essere completata con la libertà di coscienza. Dovrebbe essere possibile alle persone di seguire la loro scelta in materia di religione, e di cambiare la loro adesione religiosa se la loro coscienza le spinge in quella direzione. Il secondo punto è apparso nel suo discorso a Regensburg. Benedetto propone una riflessione sulla relazione tra fede e ragione. Potremmo dire che nelle società secolarizzate dell’Europa incoraggia a dare uno spazio più importante all’influsso della fede. La fede può illuminare e correggere, se necessario, lì dove il fatto di seguire la sola ragione potrebbe portare danno all’uomo. Al contrario, nelle società dove tutto è regolato secondo la religione, il papa propone il compito equilibrante della ragione. Il terzo punto è strettamente legato al secondo. Benedetto richiama la necessità di una dimensione pubblica per la religione. La religione non è una cosa privata senza impatto sulla società. Anzi, la religione fortifica i principi morali che devono governare l’agire umano e permette un impegno critico. Dove le autorità governative agiscono in favore dei valori veri e dell’autentico bene delle persone, la religione spingerà a dare tutto il sostegno necessario, mentre laddove la politica calpesti i diritti delle persone e le opprima, la religione diventerà una fonte di resistenza. Benedetto crede nel dialogo delle religioni, o meglio nel dialogo dei credenti e delle persone di buona volontà, per contribuire alla vera armonia e alla pace nella società. Il suo messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno aveva come tema «Libertà religiosa, via per la pace». Voglio concludere con alcune citazioni da questo messaggio. «Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni statali, la dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fine è fondamentale un sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per lo sviluppo integrale della persona umana e dell’armonia della società» (n. 9; Regno-doc. 1,2011,4). «Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religione costituisce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunità religiose al bene comune» (n. 11; Regno-doc. 1,2011,5). «Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può offrire un contributo prezioso alla loro ricerca, per la costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale» (n. 15; Regno-doc. 1,2011,7). Michael L. Fitzgerald* * Il testo, gentilmente concessoci dall’a., attualmente nunzio apostolico in Egitto e fino al 2006 presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, è stato pronunciato a Milano il 15 maggio nel corso di una conferenza presso la Comunità di via Sambuco. Sarà pubblicato prossimamente in volume a cura dell’editrice Qiqajon di Magnano (BI). 1 Regno-doc. 1,2011,5. 2 Regno-doc. 21,1986,643. 3 Regno-doc. 5,1987,136. 4 Regno-doc. 3,2002,74. 5 Cf. Regno-doc. 3,2002,80. 6 Cf. il sito web www.vatican.va. 7 Regno-doc. 21,1989,689s. 8 Cf. Regno-att. 4,2011,86. 9 Cf. la lettera aperta ai cristiani Una parola comune tra noi e voi del 2007, in Regno-doc. 19,2007,588. 10 Regno-doc. 17,2006,540. IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 355 p 356-357_parole delle religioni:Layout 2 p arole 31-05-2011 12:32 Pagina 356 delle religioni Aforismi in dialogo Alla ricerca dell’uomo interiore P roust afferma che il viaggio più vero si compie attraverso la letteratura. Quest’ultima consente di vedere la realtà con gli occhi degli altri, mentre quando si viaggia di persona non si può mai mutar occhi; per forza di cose si continua a guardare con i propri; la modifica è dei luoghi, non dell’osservatore. Se si ascolta si può però cambiare orecchi: la voce degli altri giunge a te e se l’accogli tu stesso muti in virtù di quell’incontro. Ma, si sa, è proprio del turista guardare e assaggiare, mentre gli è precluso l’ascolto. Fermare un pensiero sulla carta. Quando l’operazione è ben riuscita, non vuol dire arrestare un flusso; al contrario, equivale a rivestirlo di parole appropriate che lo rendono comunicabile. Fermare qui significa aprire una specie di «punto di ascolto» destinato a dare i propri frutti in futuro. Nella vita ci sono alcune «esperienze spugna»: mentre le si vive le si assorbe velocemente, quasi senza accorgersene, ma poi restano dentro e nel corso del tempo rilasciano a poco a poco il loro liquido. Quanto le rende singolari è la differenza tra il tempo concentrato dell’assorbimento e quello lento del rilascio e dell’ascolto. Ascoltare musica è diverso dall’essere abitati dalla musica. In questo secondo caso l’ascolto interiore diviene un fluire intrecciato con le profondità della propria esistenza. Ne ha parlato Dietrich Bonhoeffer nelle sue lettere dal carcere. 356 è anche il loro bisogno esigente e inerme. Quando si è adulti questa forza si tramuta in debolezza: il bisogno non cattura più di per sé la premura altrui. Molti orecchi allora divengono impermeabili all’ascolto dell’altro. Dialogo senza ascolto; vale a dire pseudo-dialoghi. Nei talk show prevale sempre non chi ha ragione, ma chi è più aggressivo e spregiudicato. Il motivo di ciò l’ha svelato molto tempo fa Manzoni, pensando – beato lui – unicamente alla carta stampata: «Le ingiurie hanno un gran vantaggio sui ragionamenti, ed è quello di essere ammesse senza prove da una moltitudine di lettori». Nei luoghi pubblici, spesso il cellulare è usato come una specie di talk show portatile in cui i vicini sono a un tempo coinvolti e ignorati. Senso civico. Oggi le cose stanno pressappoco così: «vox clamans in urbe», ma è come se si fosse nel deserto; si urla nel luogo in cui il grido si espande senza possibilità di essere ascoltato. Gli individui che vedono sotto l’insegna dell’invidia quanto dovrebbe suscitare la loro ammirazione sono destinati a scambiare ogni saggio consiglio loro rivolto per una specie di insulto personale. A loro è precluso l’ascolto. Un pensiero alla Nietzsche. Vi sono due tipi di curiosità: quella del «forte» e quella del «debole»; la prima è stimolo, la seconda è istinto di autodifesa. I due tipi di curiosità si rivolgono in due direzioni radicalmente diverse, i «forti» sono curiosi per sapere, i «deboli» per tutelarsi. L’ascolto di questi ultimi è sempre un origliare. È possibile che le persone molto anziane vivano di ricordi invece di limitarsi a sopravvivere grazie a essi? Ciò potrebbe avvenire se li trasmettessero e fossero ascoltati. Tuttavia, al giorno d’oggi, tessere il filo dei ricordi, il più delle volte, comporta soltanto un malinconico soliloquio. Un detto di Buddha afferma che la forza dei bimbi è il pianto. Si può aggiungere: quella dei più piccoli tra i piccoli È proverbiale che quando due sconosciuti si incontrano, per uscire da un imbarazzato mutismo, parlino del tempo. Un IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 356-357_parole delle religioni:Layout 2 31-05-2011 12:32 rimedio indolore e poco impegnativo. Sotto forse c’è però un perché più riposto. Il tempo atmosferico è uno dei pochi dati che ci accomuna senza che insorgano contrapposizioni, per tutti oggi c’è il sole o c’è la pioggia. Anzi c’è di più, rispetto al tempo si accolgono senza problemi anche le reciproche soggettività: io soffro il caldo e io soffro il freddo ecc. Sembra di assistere al trionfo della tolleranza. Tuttavia quando dalla conversazione si passa all’agire («apriamo la finestra», «no teniamola chiusa», «accendiamo il condizionatore», «alziamo il riscaldamento», ecc.), l’accordo della chiacchiera si muta, non di rado, nella conflittualità dell’operare. Quando si ha uno strappo nei calzoni e non ci se ne accorge ci si comporta con la solita disinvoltura; ma allorché ci se ne rende conto tutto muta. Diviene allora quasi impossibile liberarsi dal pensiero che quanti ci circondano (che pur continuano, palesemente, a comportarsi come prima) abbiano un’invincibile propensione a guardare la poco dignitosa lacerazione del nostro vestito. Per quanto sia irragionevole, ci si sente addosso gli sguardi di tutti. La beata incoscienza è definitivamente archiviata e cercare di nascondere in qualche modo lo strappo diviene un chiodo fisso. Come stanno le faccende con la coscienza? L’udito è più interiore della vista. Per chi è dotato di un orecchio interiormente fine la voce della coscienza è tanto avvertibile da escludere la presenza di vuoti e mancanze di cui non si renda conto. Per altri, invece, può diventare così cieca da non accorgersi del male commesso. In tal caso occorre qualcuno che dal di fuori glielo dica. Tuttavia anche allora è arduo che ci si senta addosso gli occhi di tutti. È più agevole ricorrere all’arte del mascheramento che a quella, più ardua, ma anche più vera, del rammendo. Un saggio un tempo disse di aver imparato da tutti i suoi maestri. È ancor più giusto affermare: tutti quelli da cui ho imparato sono diventati miei maestri. Saggio è colui che, ascoltando, impara da tutti: per affinità o per differenza. Distillato, invecchiato per anni, di un piccolo grande libro di Norberto Bobbio: la persona mite è quella che, quando la incontri, ridesta la parte migliore di te stesso. Il mite dimostra nella sua persona cosa significa farsi ascoltare senza imporre. Pluralismo interiore. «Fatti un cuore dalle molte stanze» (Toseftà, Sotà 7,12). Perché l’edilizia interiore non conduca alla parcellizzazione, alla doppiezza, o, peggio, alla schizofrenia, bisogna aggiungere: «e dalla molte porte che le mettono in comunicazione». L’ascolto è il segno profondo dell’«uomo interiore». «Che tempi sono questi, quando discorrere di alberi è quasi un delitto perché comporta il silenzio su troppe stragi?» (Berthold Brecht). «Che tempi sono questi in cui bisogna discorrere delle stragi Pagina 357 degli alberi perché non cada il silenzio su altri delitti?». La deforestazione fa parte dei gemiti del creato: vanno ascoltati. L’anti-Shema‘; «Ascolta, Israele». Ci si interroga tanto sul silenzio di Dio, ma prima di ciò sarebbe conveniente sollevare il problema della sua (apparente o reale?) sordità. «Figlioli, ancora un poco sono con voi (...). Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,33s). Si comprende questa parola evangelica solo se la si considera un congedo. Il verbo è al passato – «come io ho amato voi» – non al presente. La novità del comandamento sta tutta in questa memoria. L’amore del prossimo è fondato sul presente («Io sono il Signore», Lv 19,18), mentre il comandamento di Gesù è basato su un congedo: è conservato e trasmesso attraverso il ricordo e messo in pratica in quanto gli si dà ascolto. È come un padre («Figlioli») che si distacca dalla vita e affida la propria eredità, e quindi la propria presenza, all’amore reciproco tra i suoi figli. Se i fratelli si amano, il padre sa di non aver vissuto invano; se gli eredi si odiano e litigano, il suo amore per loro viene, di fatto, negato. Piero Stefani DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl IMPAGINAZIONE Omega Graphics Snc - Bologna STAMPA ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2011 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2011 - Italia € 61,00; Europa € 99,50; Resto del mondo € 111,50. Il Regno - attualità + documenti Italia € 58,50; Europa € 97,00; Resto del mondo € 109,00. 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DONATELLA SCAIOLA presenta il suo volume I Dodici Profeti: perché «Minori»? Esegesi e teologia (EDB 2011). ore 16,30 ore 21,00 29 giugno mercoledì ore 9,00 ore 11,00 ore 16,30 I viandanti: Gesù e i suoi discepoli (Lc 4,31-6,16) Gli interpellati: i pagani e le vedove, i pubblicani e peccatori, le donne (Lc 6,17-8,3) L’appello alla responsabilità (Lc 8,4-9,50) 30 giugno giovedì ore 9,00 ore 11,00 ore 16,30 Il viaggio verso Gerusalemme (Lc 9,51-13,21) Lungo la via: i miseri e la misericordia (Lc 13,22-17,10) Lungo la via: gli atteggiamenti richiesti (Lc 17,11-19,28) 1° luglio venerdì ore 9,00 ore 11,00 La conclusione del viaggio (Lc 19,29-23,56) L’inizio di un nuovo viaggio (Lc 24,1-53) &' #"& ' ###$ " !$$&'% ,+ 44 € %% 44 € !$%% & " ,+ 44 € # ' % 44 € (#' +&%)#" € +( 9,56(5, (00<(4,5785( +,/ 0(935/ (#' #%" % $%&#" " !% #" "# 4,26/32, *3140,7( € 1,;;( 4,26/32, € ./39(2/ -/23 ( (22/ € "5,237(;/32/ *3 35,67,5/( +/ (1(0+30/ 7,0 -(: ,1(/0 -35,67,5/(*(1(0+30//7 /29/(2+3 ,2753 .. *(4(55( +,0 63../3523 +/ € 232 5/1)356()/0, /2 *(63 +/ +/6+,77( nelle scorse settimane la diocesi di Modena è stata al centro dell’attenzione di molti mezzi di comunicazione: il 23 aprile, sabato santo, sono state infatti sfregiate alcune fotografie della mostra «Scampia. Volti che interrogano». Gli scatti, dedicati ai bambini del quartiere napoletano, sono stati realizzati da Davide Cerullo, ex «ragazzo» di Scampia, che dopo la camorra e il carcere è divenuto un testimone della lotta alle mafie. Agli episodi di sfregio delle immagini commentate sono seguiti alcuni episodi di intimidazione verso Cerullo, il parroco don Paolo Boschini e una catechista. La vicenda non è ancora chiara e quindi non si può affermare con certezza quale sia l’origine di questo gesto. Lasciando da parte la retorica di slogan come «parrocchia antimafia», la risposta di un territorio come Modena – dove vasta quanto ancora ignorata è ormai la presenza camorristica – merita forse una riflessione, spinta anche da vostri recenti articoli (cf. Regno-att. 8,2011,217ss). Due considerazioni: questa vicenda ha fatto emergere tensioni e spaccature tra i sacerdoti della diocesi, divisi tra opposte interpretazioni non solo su quanto avvenuto (sembra ancora lontanissima una riflessione ecclesiale seria sulle mafie anche nel Nord del nostro paese) ma sulla concezione stessa di parrocchia (e sacerdozio) e dunque sulla (tentata o mancata) lettura delle trasformazioni in atto. Fino a giungere a considerazioni paradossali: un sacerdote della diocesi – che nelle vetrate della propria parrocchia ha scelto di farsi ritrarre vicino a mons. Lefebvre – è arrivato a scrivere a un quotidiano per esprimere la possibilità che gli atti intimidatori nascessero da fedeli non contenti di un presunto stile troppo «conciliare» adottato nella Chiesa colpita. Ma il punto centrale che vorrei richiamare è un altro: in questa vicenda, che ha suscitato paure in tanti, la comunità parrocchiale ha scelto di rispondere domenica 8 maggio con una veglia pubblica che unisse la riflessione intorno a quanto accade in tante periferie d’Italia alla memoria dei servitori dello stato che hanno pagato con la vita la testimonianza per la giustizia. La risposta della città è stata molto forte: oltre 700 persone hanno partecipato a un momento di preghiera che, senza retorica, ha saputo ricordare le parole e le vite di uomini e donne come don Pino Puglisi, Paolo Borsellino, Rita Atria, Giancarlo Siani, Mimmo Beneventano e legare questa memoria alla vita di una comunità. La risposta più calda è venuta dai tanti giovani che hanno scelto di essere presenti, segno forse che non occorrono maxi-eventi per sentirsi chiamati in causa, ma molto più conta l’opportunità di una preghiera autentica e la responsabilità civile verso la collettività. Credo che, anche in un contesto limitato come quello di una parrocchia o diocesi, questa vicenda mostri chiaramente come le nostre Chiese siano ancora debolmente attrezzate a comprendere la realtà storica, sociale, economica (e spesso anche quella più privata e intima dei singoli). Penso, ad esempio, a quanto la concezione della carità sia ancora legata al paternalismo di buste della spesa, non certo da cancellare, ma che devono essere affiancate da un accompagnamento più serio, faticoso ma anche arricchente nella gestione dei bilanci familiari. Come sembra difficile a volte ammettere che non si hanno risposte, neppure parziali, perché temi come legalità e giustizia, immigrazione e ospitalità, lavoro e precarietà, declinati nella loro realtà sfaccettata e complessa, sono ancora considerati secondo schemi e letture quantomeno da aggiornare, se non da rivedere radicalmente. Quanto sta accadendo a Modena dimostra che nella Chiesa si può e si deve riconoscere che siamo in una situazione difficile, di fronte alla quale spesso ci mancano le coordinate fondamentali per inquadrarla e comprenderla, ammettendolo con umiltà e tenendo davanti a sé la Parola. Nella fiducia che questo rappresenta forse anche il viaggio più affascinante che le nostre comunità possono tentare, cercando alleati trasversali. Modena, 10 maggio 2011. Lettera firmata ! 358 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 359-360_vergogno:Layout 2 31-05-2011 15:25 Pagina 359 Quand’era facile la fede e difficile la carità Che cosa può insegnarci Margherita di Città di Castello “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ U n narratore di «fatti di Vangelo» dei nostri giorni può aiutare a intendere quelli del passato? O a paragonare sfide e doni della vocazione cristiana ai nostri giorni e – poniamo – al tempo di Dante? Alcuni amici di Città di Castello mi hanno proposto il tema inusitato: «Fede e carità al tempo di beata Margherita e ai nostri giorni». Con l’improntitudine del giornalista ho accettato e ho tenuto l’incontro il 6 maggio al Centro Studi «Beato Carlo Liviero», a Città di Castello, presente il vescovo, una squadra sportiva di disabili (dell’Associazione sportiva dilettantistica «Beata Margherita») e tante persone. In San Domenico il pomeriggio avevo visto per la prima volta l’urna della beata e un poco l’avevo amata anche nella sua spoglia, così piccola. Era cieca, rachitica, gobba e storpia (la gamba destra più corta della sinistra) e ne ho parlato come della donna delle beatitudini: «beati i poveri, gli afflitti, i piangenti». E come tribolata che soccorre i tribolati, immagine quanto mai attuale dei rovesciamenti evangelici. Ho richiamato Luca 14,21: «Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi» e ho detto che lei che era tutto questo una volta entrata nel banchetto si è adoperata a tirare in esso ogni altro derelitto. E noi tra essi. ERA CIECA E VIVEVA NELLA LUCE Ho narrato la «leggenda» di Margherita seguendo la ricostruzione che ne ha dato lo storico dell’Ordine domenicano William R. Bonniwell nel volumetto Margherita di Città di Castello. Vivere nella luce (Città nuova, Roma 2002, edizione inglese del 1983). Trovo geniale il sottotitolo «vivere nella luce» posto a logo della vicenda di una cieca. Il mio interesse per la beata era nato da quella lettura e dall’immagine di Margherita che è sulla copertina di quel libro, che la raffigura veggente e che irradia luce dai vivissimi occhi. L’immagine è accompagnata da questa didascalia: «Maestro delle Effigi domenicane, Margherita di Città di Castello (XIV sec.). Venezia - Museo civico vetrario (Murano)». Da quando ho imparato ad amare quell’immagine essa mi soccorre quando prego il Salmo 35: «Alla tua luce vediamo la luce». In vista dell’appuntamento di Città di Castello avevo poi letto il volumetto di Enrico Giovagnoli Vita di beata Margherita da Città di Castello terziaria domenicana (Petruzzi editore, Città di Castello [PG] 1994, ripubblicato nel 1997). Ben sapendo come la verifica delle fonti storiche – tra loro contrastanti – costituisca un campo minato anche per i cultori della materia, ho premesso che non pretendevo di fare considerazioni da storico, che non sono, ma da giornalista, mirate alla comprensione del nostro tempo più che di quello antico. Margherita viene detta di Città di Castello dove muore nel 1320, o della Metola (un castello al confine tra l’Umbria e le Marche) dove nasce nel 1287. È detta anche «la cieca della Metola». Non conosciamo il casato né del padre – che le fonti nominano come Parisio – né della madre che è detta Emilia. La bambina era «cieca, piccola, deforma» – così la descrive una delle fonti: il codice di Cividale – e i genitori che vivono in un piccolo castello cercano di tenerla nascosta. Verso i sei o sette anni arrivano a relegarla in una specie di cella murata, comunicante con una cappella, all’interno di un bosco e la tengono lì 13 anni (Bonniwell), o 9 anni (Giovagnoli). Secondo un altro studioso, Ubaldo Valentini – che ho conosciuto in occasione dell’incontro del 6 maggio – quel relegamento è da considerare «leggendario», recepito e sviluppato dai primi biografi per drammatizzare la vicenda della santa (Beata Margherita de la Metola. Una sfida alla emarginazione, Petruzzi editore, 1988). Quando il duca di Urbino invade quelle terre, la popolazione si rifugia nel castello di Mercatello e lì viene portata anche Margherita, che viene rinchiusa – secondo le fonti antiche – in un sotterraneo, nel quale resta per un anno. ABBANDONATA DAI GENITORI E ADOTTATA DAI MENDICANTI Margherita è dunque sui 16 (Giovagnoli) o sui 19 anni (Bonniwell) quando Parisio ed Emilia la fanno uscire dalla sua prigione e la conducono nascostamente – secondo la «leggenda» – a Città di Castello, nella chiesa di San Francesco, sulla tomba di un francescano laico, fra’ Giacomo (morto nel 1292), dove si dice che avvengano miracoli. Ma il miracolo non avviene e i genitori secondo le fonti antiche abbandonano la figlia, non sopportando l’idea di tornare al castello con lei, in pieno giorno. Il Valentini reinterpreta la vicenda come un affidamento della bambina o ra- IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 359 31-05-2011 15:25 gazza a una comunità monastica e a conoscenti che abitavano in quella città. Sta di fatto che Margherita non avrà più contatti con i genitori. L’adottano i mendicanti, le insegnano a mendicare. Viene ospitata in varie case, ammirata per la sua sensibilità e per il fatto che conosceva a memoria il Salterio e riusciva persino a insegnare qualcosa di latino ai bambini vedenti, lei che era cieca. E oggi ben sappiamo quante cose sappiano fare i ciechi. L’autore della prima biografia, databile alla metà del Trecento, così commenta questa sua attitudine all’insegnamento: «O beata cieca, che mai vedesti le cose del mondo e che così rapidamente apprendesti le cose celesti. O felice discepola, che meritasti di avere un tale maestro che a te, nata cieca e senza libri, insegnò ad apprendere le Scritture fino ad ammaestrare i veggenti». Viene accolta nel Monastero di Santa Margherita e da esso viene presto espulsa perché la sua rigorosa osservanza della regola la pone in cattiva luce presso le monache ospitanti, dalla vita rilassata. Di nuovo abbandonata a se stessa, a elemosinare, ospite di varie case. Finalmente viene accettata tra le Mantellate della chiesa della Carità, una famiglia religiosa che più tardi prenderà il nome di Terz’ordine domenicano. «Le donne che desideravano vivere la vita religiosa e che per qualche ragione non potevano entrare in convento, potevano per questa via affiliarsi all’Ordine domenicano» (Bonniwell, 85). Continuavano a vivere nella propria casa (Margherita è ospite prima della famiglia degli Offrenducci e poi dei Venturino) e portavano una mantella nera, donde il nome di Mantellate. ESSENDO DISABILE SOCCORREVA I DISABILI Passava giorni e notti in preghiera nella chiesa della Carità. Visitava in continuità i carcerati, i malati, i moribondi, i poveri d’ogni specie. In città la vedevano ogni giorno correre come poteva dai bisognosi, cieca e zoppa, appoggiandosi a un bastone e camminando lungo i muri. Anche in que- 360 IL REGNO - AT T UA L I T À 10/2011 Pagina 360 sto precorre i tempi: noi oggi abbiamo esperienza frequente di disabili che dalla sedia a rotelle o dalla tastiera del computer sono di aiuto al prossimo e spesso si fanno animatori della lotta alla disabilità. La provvidenza l’arricchisce di segni. Un giorno s’appicca un incendio alla casa dei Venturino, lei è in alto, nella soffitta che si è scelta come abitazione. La chiamano perché fugga. Lei dice serena a monna Gregoria, detta Grigia: «Prendi il mio mantello e buttalo sulle fiamme». Il biografo della Leggenda descrive questo segno con parole che valgono una predella di Simone Martini: «Quando il mantello di Margherita fu gettato sulle fiamme, il fuoco che furiosamente ruggiva si estinse all’istante». Insieme a monna Grigia le fonti ricordano una Lucecina, o Cina, e una Venturella – bellissimi nomi da novella medievale – che furono testimoni di sue levitazioni: quando cioè la vedevano sollevarsi di un cubito, cioè di un mezzo metro, mentre assisteva alle celebrazioni nella chiesa dei domenicani. POTREBBE ESSERE LA PATRONA DEGLI HANDICAPPATI Margherita, ormai amata da tutti, muore – consumata dalle penitenze e più ancora dall’amore di Dio e dei fratelli – a 33 anni. L’ammirazione per la sua pietà e per la sua carità dura fino a oggi. È venerata come «beata» dal 1609, per decisione di Paolo V, su un’istruttoria condotta dal card. Roberto Bellarmino che ne verifica la fama di san- “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 359-360_vergogno:Layout 2 tità e di intercessione specie a favore di ciechi, muti, sordi e zoppi. Nel 1988 su istanza dei vescovi di Urbino e Città di Castello la Congregazione vaticana per il culto divino e la disciplina dei sacramenti la proclama «patrona presso Dio di quanti sono chiamati comunemente non vedenti ed emarginati». Io sono entusiasta di questa definizione. Confido che un giorno possa essere venerata come santa e qualificata come «patrona degli handicappati». Gli anni della grande avventura cristiana di Margherita sono quelli in cui Dante compone la Divina commedia. Quell’umanità credente e peccatrice che ci esalta e ci atterrisce nelle terzine dantesche è la stessa che incontriamo nelle stagioni drammatiche e in quelle serene della vita di Margherita. Quanto alla vocazione cristiana, la vicenda di Margherita ci dice che ogni epoca ha la sua grazia e la sua disgrazia. Allora avevano facile la fede nel miracolo, difficile l’accettazione del menomato e del diverso. Noi siamo pronti a soccorrere il prossimo ma renitenti all’accettazione del mistero. ANCHE NELLA CHIESA I MENOMATI VENIVANO NASCOSTI Non solo nelle famiglie ma anche nella Chiesa i menomati venivano nascosti. Per essere ammessi agli ordini sacri o alla professione religiosa occorreva dimostrare di essere figli legittimi e di non avere gravi difetti fisici. Chi non era in regola, restava «terziario». Il cambiamento della disciplina è arrivato in questi ultimi anni, anzi sta arrivando ora. Io credo che sulla questione fedecarità ci troviamo oggi di fronte all’esigenza di un rovesciamento dell’itinerario pedagogico tradizionale: si partiva dalla fede e in nome della fede in Dio si richiamava il credente al compito della carità; oggi dovremmo partire dalla carità, che è comprensibile all’umanità contemporanea, e da essa risalire alla fede in colui che è carità: «Deus caritas est». Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it