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E DIZIONE
DEL
P ELLEGRINO
quindicinale di attualità e documenti
2011
• Formato tascabile:
cm 10x14
10
• Pratica chiusura
con elastico
• Carta ultra-leggera
Attualità
€ 48,00
• In copertina: croce
a rilievo in ottone e oro
opera di MARKO IVAN RUPNIK
• In apertura e in chiusura:
tavole illustrate
di MARKO IVAN RUPNIK
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
www.dehoniane.it
290
296
305
315
343
Le Chiese, l’acqua e il nucleare
Berlusconi, l’inizio della fine
Dombes: il Padre nostro
Il governo nella Chiesa antica
Studio del Mese
La preghiera e il pellegrinaggio
Assisi 1986 – 2011. Etchegaray e Fitzgerald
Anno LVI - N. 1101 - 15 maggio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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E DIZIONE
DEL
P ELLEGRINO
quindicinale di attualità e documenti
2011
• Formato tascabile:
cm 10x14
10
• Pratica chiusura
con elastico
• Carta ultra-leggera
Attualità
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• In copertina: croce
a rilievo in ottone e oro
opera di MARKO IVAN RUPNIK
• In apertura e in chiusura:
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di MARKO IVAN RUPNIK
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Dehoniane
Bologna
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Le Chiese, l’acqua e il nucleare
Berlusconi, l’inizio della fine
Dombes: il Padre nostro
Il governo nella Chiesa antica
Studio del Mese
La preghiera e il pellegrinaggio
Assisi 1986 – 2011. Etchegaray e Fitzgerald
Anno LVI - N. 1101 - 15 maggio 2011 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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A
LUIGI ACCATTOLI
ttualità
quindicinale di attualità e documenti
Cerco fatti
di Vangelo 2
15.5.2011 - n. 10 (1101)
Caro lettore,
289 (G. Brunelli)
dopo le numerose sollecitazioni del papa
sulla necessità di far crescere una nuova
generazione di politici cattolici, nei giorni
scorsi anche il segretario della CEI,
mons. Crociata, incontrando alcuni
parlamentari cattolici di diversi
schieramenti politici, è tornato
sull’argomento. «I cattolici (…) si
collocano in tanti campi su “fronti”
diversi, perciò hanno bisogno di ritrovare
sempre di nuovo le fila di un legame che
precede ogni differenziazione» per andare
oltre – attraverso il dialogo – «il carattere
contingente della scelta politica di
schieramento. Contingente vuol dire che
nessuna scelta politica può tradurre
compiutamente la visione cristiana» anche
se «nella scelta politica entra in gioco il
discernimento personale e di gruppo».
«Riconoscere la presenza di Dio nello
spazio pubblico» è conseguenza del
«riconoscimento della sua presenza
decisiva nella vita dell’uomo». Ciò deve
avvenire «senza equivoci integralistici,
bensì mantenendo lo statuto secolare
autonomo delle realtà terrene».
290 (S. Morandini)
R
Giovanni Paolo II - Beatificazione
{ Il cuore moderno di Wojtyla }
Chiesa in Italia: il dono dell’acqua
{ Le Chiese locali e gli stili di vita }
293 (M. Bernardoni)
Italia - Nucleare civile:
con scienza e democrazia
{ Intervista a V. Balzani }
297 (G. Brunelli)
Italia - Amministrative:
all’inizio della fine
{ Verso l’epilogo
del ciclo berlusconiano }
299 (M.E. Gandolfi)
Santa Sede - Violenze sessuali:
l’urgenza e l’equilibrio
{ Le linee guida per gli episcopati }
300 (G. B.)
Italia: La svolta di Bagnasco
301 (D. S.)
Germania - Vescovi e teologi
Ricucire l’unità
302 (M. B.)
Francia - Generazione GMG
È cristiano chi prega
303 (J. Thavis)
Santa Sede - Rito tridentino:
indietro a piccoli passi
{ Istruzione applicativa della
Summorum pontificum }
305 (D. Segna)
Dombes: voi dunque pregate così
{ Il Padre nostro per la conversione
delle Chiese }
306 (D. S.)
Europa - Charta Oecumenica
Dieci anni: si riparte
308 (M. Bernardoni)
Teologia: umano spirituale
{ L’uomo occidentale
tra narcisismo e ricerca di Dio }
310 (L. Pr.)
Italia - USMI
Percorsi di vita comunitaria
311 (M. Neri)
Teologia: l’Europa delle religioni
{ Tra religione politicizzata e politiche socializzate }
Libri del mese
315 (F. Ruggiero)
Scrivere per governare
{ Scritti pastorali
nella Chiesa delle origini }
320
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
Segnalazioni
331 (M. Lorenzini)
A. DALL’ASTA, Alla luce della croce
331 (D. Tettamanzi)
G. BATTAGLIA, L’ortodossia in Italia
332 (M.E. G.)
ZeBible: scommettere sui giovani
333 (I. Diamanti)
E. BERSELLI, L’Italia,
nonostante tutto
335 (M.E. Gandolfi)
Mediterraneo - Chiese
Né calcolo né ingenuità
336 (M.C. Rioli)
Sri Lanka - Chiese e riconciliazione
Lezioni da apprendere
337 (D. S.)
India - Persecuzioni
Violenza di stato
338 (D. S.)
Australia - Chiesa
Rimosso il vescovo Morris
339 (M. Castagnaro)
Honduras - Presidenza Lobo
Compromesso e la normalizzazione
340 (M. C.)
Bolivia - Vescovi
Inclusione sociale e laicità aperta
341 (D. Sala)
Diario ecumenico
342 (L. Accattoli)
Agenda vaticana
Studio del mese
{ Assisi - 27 ottobre 1986-2011 }
343 (G. Brunelli)
La preghiera e il pellegrinaggio
345 (a cura di P. Stefani)
Vicini l’un l’altro, vicini a Dio
350 (M.L. Fitzgerald)
Essere insieme davanti a Dio
356 (P. Stefani)
Parole delle religioni
Aforismi in dialogo
358
I lettori ci scrivono
359 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
Quant’era facile la fede
e difficile la carità
Colophon a p. 357
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Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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e
ditoriale
G I O VA N N I PAO L O I I
Beatificazione
Il cuore moderno di Wojtyla
«Il giorno atteso è arrivato; è arrivato
presto, perché così è piaciuto al Signore:
Giovanni Paolo II è beato!». Con queste
parole, il 1° maggio scorso, Benedetto XVI
ha iniziato la sua omelia davanti a una
folla sterminata di fedeli.
Nel proclamare beato il suo predecessore, Benedetto XVI evidenzia e sottolinea
alcuni tratti della sua figura e della sua
opera. Del resto, a distanza di sei anni
dalla sua scomparsa l’eredità di quel papa
eccezionale e del suo lungo pontificato rimane inevitabilmente aperta. E lo sarà
ancora a lungo.
Riprendere quelle annotazioni consente forse di cogliere in filigrana il rapporto tra questo pontificato e il precedente.
Il nucleo portante del ricordo di Benedetto
XVI fissa la questione del rapporto tra la
Chiesa e la modernità, del ruolo che la
Chiesa può riprendere con maggiore forza
e convinzione nella società moderna dopo
il pontificato di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI parte ricordando due passaggi
del testamento spirituale di Giovanni Paolo
II: l’indicazione che il card. Stefan Wyszyński gli diede il giorno della sua elezione: «Il compito del nuovo papa sarà di
introdurre la Chiesa nel terzo millennio» e
il richiamo al concilio Vaticano II.
Dal Vaticano II al terzo millennio. Un
tempo e un percorso storico e simbolico
fondamentali per una Chiesa che nei due
conclavi del 1978 aveva persino dibattuto
se retrocedere dal Vaticano II. Questo il
passaggio del testamento di Giovanni
Paolo citato da Benedetto: «Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo
Spirito Santo per il grande dono del concilio Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero
episcopato – mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle
nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo concilio del XX secolo
ci ha elargito. Come vescovo che ha par-
tecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero affidare questo
grande patrimonio a tutti coloro che sono
e saranno in futuro chiamati a realizzarlo.
Per parte mia ringrazio l’eterno pastore
che mi ha permesso di servire questa grandissima causa».
E la «causa» è la stessa che Giovanni
Paolo II ha enunciato dall’inizio: «“Non
abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le
porte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto
papa chiedeva a tutti, egli stesso lo ha fatto
per primo: ha aperto a Cristo la società, la
cultura, i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza
che gli veniva da Dio – una tendenza che
poteva sembrare irreversibile. (…) Ancora
più in sintesi: ci ha ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor
hominis».
Richiamando quella forte volontà di
adesione al Vaticano II, Benedetto la fa
propria interamente, in questa chiave teologica e antropologica della riapertura a
Cristo della società. Su questo punto Benedetto ritorna allo schema della fedeltà
alle decisioni del Vaticano II e per questo
delinea un’ermeneutica della continuità
per correggere le infedeltà occorse nell’attuazione post-conciliare. Per Giovanni
Paolo II la scelta è stata piuttosto quella di
riattualizzare e quasi di fare rivivere, attraverso le sue molteplici invenzioni simboliche, il compromesso conciliare.
Vi è poi una seconda sottolineatura, in
genere messa tra parentesi da molte ricostruzioni «progressiste». Dice Benedetto:
«Karol Wojtyla salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul
confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della
Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con
questo messaggio, che è la grande eredità
del concilio Vaticano II (...) Giovanni Paolo
II ha guidato il popolo di Dio a varcare la
soglia del terzo millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare “soglia
della speranza”. Sì, attraverso il lungo
cammino di preparazione al grande giubileo, egli ha dato al cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro (...). Quella
carica di speranza che era stata ceduta in
qualche modo al marxismo e all’ideologia
del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al cristianesimo, restituendole
la fisionomia autentica della speranza, da
vivere nella storia con uno spirito di “avvento”, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di
giustizia e di pace».
Giovanni Paolo II è stato un papa che
non si è lasciato schiacciare dalla forte eredità intransigente della Chiesa cattolica
nei confronti del mondo moderno. Essa
vive in diverse manifestazioni del suo pontificato, ma è altrettanto evidente la convergenza tra Chiesa e mondo moderno in
molti altri passaggi sostanziali (dai diritti
umani, al dialogo ecumenico e interreligioso, al giudizio sulle responsabilità storiche della Chiesa, all’atteggiamento nei
confronti della democrazia politica ed economica).
La critica all’ideologia neo-liberale del
progresso e al marxismo non sono un ritorno critico a quella modernità dalla
quale sono scaturiti tutti i mali del XIX e
del XX secolo. C’è semmai la rivendicazione del contributo proprio, insostituibile
del cristianesimo alla modernità e su questa base – come sottolinea Benedetto – la
rivendicazione di un nuovo tempo storico
per la Chiesa. La sfida è come chiudere
quella transizione della Chiesa dall’intransigentismo al cuore moderno del
mondo aperta dal Concilio e reinventata,
di fronte alle novità della storia, da Giovanni Paolo II.
Gianfranco Brunelli
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CHIESA
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I TA L I A
i
L’
acqua è uno dei grandi
doni della creazione, tramite i quali Dio dona la
vita alle sue creature»: inizia così il testo – breve,
ma denso – col quale la Rete interdiocesana «Nuovi stili di vita» ha lanciato
per il tempo di Pasqua 2011 la campagna «Acqua dono di Dio e bene comune» e che è accessibile nel sito web
della stessa Rete.1 Una proposta che intende porsi «al di sopra di ogni schieramento politico e ideologico», per
invitare ad «adottare stili di vita e comportamenti che tutelino questo prezioso
bene comune, garantendone la disponibilità per tutti». È anche un invito rivolto
alle diverse Chiese locali, per la costruzione di «percorsi pastorali» miranti alla
riscoperta di quella sororità vissuta da
Francesco d’Assisi con l’acqua e a un
coerente rinnovamento delle proprie
pratiche. Si tratta di un’iniziativa caratterizzata da alcuni risvolti di notevole interesse e che merita una considerazione
attenta, anche per la particolarità del
soggetto che la propone.
L’acqua non è merce
Il testo prosegue richiamando la rilevanza dell’acqua, sia per la nostra esistenza biologica («noi stessi, come tanti
altri esseri viventi, siamo fatti in gran
parte d’acqua e dipendiamo dal suo continuo ciclo»), sia per quella dinamica
culturale e simbolica di cui vivono anche
molte delle fedi dell’umanità. A fronte di
tale realtà si evidenzia, d’altra parte, la
distribuzione profondamente asimmetrica di tale bene, che ne impedisce
un’adeguata fruizione da parte di una
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Nuovi temi
l dono dell’acqua
Le Chiese locali intervengono sugli stili di vita
componente importante dell’umanità.
«Un quarto della popolazione del pianeta non ha accesso a una quantità minima d’acqua pulita, mentre oltre 2,5
miliardi di persone non hanno accesso ai
servizi igienico-sanitari di base». È una
condizione della quale il testo evidenzia
la contraddittorietà rispetto a quella destinazione universale dei beni della terra
e con quel diritto universale inalienabile
all’acqua cui orientano il Compendio
della dottrina sociale della Chiesa (Compendio, nn. 484-485) e l’enciclica Caritas
in veritate (CV 27): un «grave problema
di giustizia».
Proprio perché si tratta di un bene
prezioso e dall’accessibilità limitata, la
sezione del testo propone alcuni «Stili
di vita amici dell’acqua», a partire da
alcune indicazioni – semplici, ma non
scontate – per un contenimento dei
consumi idrici personali e familiari (uso
dei riduttori di flusso, doccia piuttosto
che bagno in vasca…). Ancor meno
scontato il riferimento a quell’acqua occulta che è necessaria per la produzione
di numerosi beni e che orienta, ad
esempio, a un contenimento dei consumi di carne, realtà decisamente esigente in tal senso. Particolarmente
significativo, poi, l’invito a privilegiare
l’acqua del rubinetto – quella distribuita dagli acquedotti – rispetto a
quella in bottiglia (caratterizzata sempre da un maggior impatto ambientale,
sia per i relativi involucri, sia per la necessità di un trasporto che quasi sempre avviene su gomma). Certo si tratta
di un’indicazione la cui effettiva praticabilità dipende in modo critico dalla
qualità dell’acqua pubblica; proprio per
questo il testo segnala, come «parte dell’attività di custodia del creato cui sono
chiamati i cristiani», anche la vigilanza
affinché essa sia garantita dalle autorità
a ciò preposte.
L’indicazione appena citata evidenzia già la presenza nel testo di una dimensione politica, che trova chiara esplicitazione nell’indicazione di «Un diritto
da tutelare», come recita la sezione successiva. Qui è chiara la presa di posizione contro quelle normative che tendono a ridurre il bene acqua a mera
merce, privatizzandolo e affidandone integralmente la gestione al mercato e alla
relativa logica del profitto. Al contrario,
il testo sottolinea – anche qui appoggiandosi alla dottrina sociale della Chiesa – la necessità di un uso «razionale e
solidale» (Compendio, n. 485) di quello
che si configura come un vero e proprio
bene comune, per il quale è necessaria
una gestione comunitaria e partecipativa, che garantisca il diritto all’acqua
anche sul piano normativo. Evidente qui
il riferimento ai temi dell’appuntamento
referendario di giugno, che si fa più diretto nell’invito a «partecipare attivamente» al relativo dibattito, pur evitando
di offrire esplicite indicazioni di voto nell’uno o nell’altro senso.
Sarebbe francamente riduttivo leggere il testo esclusivamente nella prospettiva dell’attualità politica, specie
considerando che la stessa campagna
riprende su scala più ampia iniziative
già realizzate da numerose diocesi – a
partire da quella di Venezia – in tempi
assolutamente non sospetti. Sono, però,
soprattutto l’incipit e ancor più la conclusione a impedire un tale approccio,
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per gli espliciti riferimenti biblico-teologici – dal Vangelo di Giovanni all’Apocalisse – che li caratterizzano,
conferendo al testo un ampio respiro
contemplativo: «Pasqua è tempo di vita
nuova, nel quale siamo invitati a partecipare nello Spirito alla vita della nuova
creazione. Contempliamo l’acqua nella
preghiera personale e comunitaria e
nelle pratiche come un segno di quell’amore vivificante che Dio offre a
ognuno di noi e alla famiglia umana».
Un testo, dunque, che viene a caratterizzarsi come fondamentalmente pastorale, senza per questo rinunciare a
intervenire – in forme discrete, ma incisive – nei temi del dibattito pubblico.
Varietà di sogget ti
Il testo di lancio della campagna
porta in calce numerose firme,2 una varietà di livelli di coinvolgimento che si
intreccia con una variegata collocazione
geografica, a testimoniare di un’attenzione che attraversa trasversalmente realtà ecclesiali importanti. Anche la
presentazione della campagna è stata
realizzata tramite eventi diversi, realizzati autonomamente dalle singole realtà
diocesane, ma caratterizzati anche da alcuni elementi comuni; tra di essi val la
pena di segnalare una presenza comparsa in più occasioni: il vescovo cileno
Luigi Infanti Della Mora, che nel 2008
aveva scritto la lettera pastorale Dacci
oggi la nostra acqua quotidiana (cf.
Regno-att. 20,2008,677).
La varietà delle provenienze e la ricerca di convergenze caratterizza, del
resto, fin dall’inizio la Rete interdiocesana, che nasce dall’incontro nel 2007
di un piccolo gruppo di soggetti legati
prevalentemente a diocesi del Nordest,3 accomunati da un’attenzione per
la salvaguardia del creato e il rinnovamento degli stili di vita – la stessa che
ha trovato espressione nell’istituzione
da parte della CEI del 1° settembre
come Giornata per la salvaguardia del
creato. Condivisa, in particolare, dai
partecipanti la necessità di ripensare in
profondità il rapporto con i beni, superando quella «coazione» al consumo
che caratterizza le economie tardo-moderne e che contribuisce alla loro realtà
asimmetrica e insostenibile. Condivisa
soprattutto la convinzione che tale sfida
vada affrontata anche in sede pastorale,
come questione trasversale, che inter-
W. HOMER, West Point, Prout’s Neck, 1900; Williamstown, Clark Art Institute.
roga profondamente le modalità dell’azione formativa delle comunità ecclesiali. Il primo scopo è stato, quindi,
la messa in comune di esperienze (di
preghiera, di approfondimento, di azione concreta…) realizzate in singole diocesi, per comprendere come sia possibile renderle più efficaci e quali siano
le relative implicazioni concettuali e
teologiche.
Ben presto, però, anche altre realtà
diocesane chiedono di partecipare agli
incontri, nella convinzione che la realtà
che viviamo esiga l’elaborazione di percorsi di rinnovamento pastorale. In
questa fase è soprattutto tramite un
passaparola spontaneo che la Rete si
estende, fino a coinvolgere realtà diffuse
nell’intero Nord-Italia. La crescita dei
numeri e delle distanze rende necessaria una forma più strutturata, con la
nomina di un coordinatore, nella persona di Adriano Sella, missionario con
una lunga esperienza pastorale e di insegnamento in Brasile, attualmente responsabile della Commissione «Nuovi
stili di vita» della Pastorale sociale diocesana di Padova. Anche grazie alla sua
opera instancabile, come al suo stile af-
fabile e familiare, entrano in contatto
con la Rete anche realtà delle regioni
centrali, meridionali e delle isole, fino a
giungere all’attuale articolazione, con
un coordinamento per il Centro-nord
(attualmente 31 diocesi, abituale punto
d’incontro a Verona), e uno per il Centro-sud (14 diocesi, abituale punto d’incontro a Pescara).
Una realtà in crescita, dunque, che
proprio per questo sperimenta anche la
difficoltà della comunicazione tra realtà
diverse e talvolta geograficamente distanti. Ciò può essere legato anche a
una presenza delle diocesi nella Rete
che si realizza attraverso soggetti diversi: in molti casi è l’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro il soggetto
coinvolto, ma in altri sono le Caritas o
gli uffici missionari diocesani o gli uffici
per la pastorale familiare. Alcuni contesti sono rappresentati da uffici o commissioni ad hoc (è il caso di Venezia, che
per prima si è attivata in tal senso), ma
fanno parte della Rete anche centri
studi come la Fondazione Lanza di Padova o l’Istituto per la giustizia, la pace
e la salvaguardia del creato di BolzanoBressanone. È una varietà che testimo-
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nia soprattutto della trasversalità del
tema «stili di vita», che tocca diversi
ambiti dell’agire pastorale, ponendosi
come momento di sintesi, per un raccordo tra attenzioni differenti.
La stessa differenza nei punti di partenza impegna, d’altra parte, a un lavoro
di dialogo e di approfondimento, che ha
trovato un punto di convergenza nel
«decalogo» che la stessa Rete si è data e
che nei primi due punti fissa come obiettivi quelli di «far crescere l’amore per il
creato e le sue creature a partire dal
messaggio biblico» e «stimolare nuovi
stili di vita, ricercando insieme percorsi
e piste pastorali». C’è insomma l’attenzione per una pratica di cura del creato
che si traduca in rinnovamento della spiritualità, ma anche in percorsi concreti
per persone e comunità – in sintonia con
quanto proposto dalle giornate del
creato proposte dalla CEI negli ultimi
anni.
C’è anche l’esigenza di una più incisiva coniugazione di eco-efficienza ed
eco-sufficienza nella vita di persone, famiglie e comunità, tesa a ridurre i consumi di ambiente. Sono istanze che si
legano a una domanda di giustizia intrae inter-generazionale, nell’attenzione responsabile per i poveri della terra e per
le generazioni future, ma interessa, però,
anche la dimensione educativa, come
messa in discussione delle forme di vita
di una società che rischia di fare del consumo l’unico principio strutturante dei
modelli di esistenza condivisi. Lo stesso
uso dei beni da parte delle comunità ecclesiali viene spesso richiamato nella sua
problematicità, ponendo l’esigenza di
un’attenzione più nitida per le dimensioni di sostenibilità ambientale e promozione sociale.
Percorsi e campagne
Non stupisce, allora, che la ricerca
della Rete – quale si è espressa nei seminari e nei convegni da essa realizzati –
abbia mobilitato concetti e prospettive
diverse, che vanno dal riferimento fondativo alla Scrittura e alla dottrina sociale della Chiesa a categorie più legate
all’analisi sociale. Un’attenzione particolare ha ricevuto ad esempio l’elaborazione di nuovi indicatori di benessere –
quale viene condotta da autori come
Zamagni, Giovannini, Becchetti e Bruni
– a indicare la possibilità di un disaccoppiamento tra crescita della qualità
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della vita e consumo di beni. Più di recente stimoli importanti sono venuti
dalla considerazione dei beni comuni,
anche alla luce della riflessione del premio Nobel per l’economia Elinor
Ostrom. Proprio da qui nasce la decisione di elaborare alcune schede web
sull’energia (accessibili sul sito della
Rete), per segnalare la criticità di un
bene determinante per gli stili di vita
come per la qualità ambientale.
Di qui anche la decisione di attivare
la campagna sull’acqua: non più solo
un approfondimento condiviso e il coordinamento delle azioni locali, ma
un’azione effettivamente comune su
un’area specifica, che esprima pubblicamente le convinzioni maturate. Il
testo che abbiamo presentato è il frutto
di un lavoro a più mani, in parte realizzato via web, in parte in momenti di
dibattito in presenza, che ha permesso
di far interagire diverse sensibilità, favorendo la sua diffusione in contesti
diocesani diversi. La ripresa di categorie della dottrina sociale della Chiesa
(penso, in particolare, a quella classica
di bene comune) si intreccia qui così col
tentativo di coglierne in modo più nitido le implicazione per i comportamenti personali e comunitari – per gli
stili di vita – senza trascurare la dimensione politica dei problemi.
All’altezza delle sfide
Una realtà singolare, dunque, quella
di una Rete nata come coordinamento
dal basso, per operare in modo più consapevole per l’animazione entro le diocesi. Realtà fondamentalmente pastorale – di quella pastorale «ordinaria» di
cui vive la quotidianità delle nostre diocesi – ma capace di esprimersi anche su
temi dell’agenda etico-sociale del nostro tempo e di farlo con quel taglio
particolare che viene dalla sottolineatura della rilevanza degli stili di vita. Al
di là dell’elaborazione di progetti e dell’indicazione di prospettive, infatti, non
c’è dubbio che un elemento qualificante
del contributo credente alla costruzione
di una società equa e sostenibile stia
nel mettersi in gioco in prima persona
– come persone e come comunità. La
riflessione sul significato del consumo e
sull’uso dei beni diviene così interrogazione sulla forma di vita che abitiamo,
per farsi stimolo al dialogo e alla ricerca di percorsi condivisi. La qualità
della sequela di Gesù Cristo si gioca
oggi anche su questo versante, apparentemente così feriale, ma in realtà
denso di potenzialità educative e testimoniali.
Certo neppure mancano le sfide
aperte, per una realtà che deve essere
attenta a mantenere e approfondire
l’incisività della propria ispirazione nel
momento in cui si espande l’area e il
numero dei soggetti coinvolti. Occorre
accogliere e valorizzare la novità di chi
magari appena inizia a lavorare su un
tema complesso e delicato, costruendo
al contempo percorsi e categorie incisivi e articolati per elaborare in modo
non semplicistico l’azione pastorale
nella società dei consumi. Occorre
mantenere un rapporto maturo e positivo – di reciproco stimolo – con le altre
realtà che operano in ambiti a essa
prossimi, a partire dal gruppo «Custodia del creato» dell’Ufficio nazionale
per i problemi sociali e il lavoro della
CEI. Occorre sviluppare uno sguardo
criticamente incisivo, ma anche duttile
nel valutare i segni del tempo, per rispondervi con azioni pastorali significative e meditate. Se saprà essere
all’altezza di tali sfide la Rete potrà
contribuire in modo stimolante al vissuto ecclesiale e civile nel nostro paese;
la stessa campagna sull’acqua guarda
in tal senso, col suo intreccio di riferimenti alla dimensione spirituale, a
quella etica e a quella politica del tema,
senza che l’uno assorba in sé gli altri.
Simone Morandini *
* Coordinatore del progetto «Etica, filosofia e teologia» della Fondazione Lanza di Padova
e docente di Teologia della creazione presso la
Facoltà teologica del Triveneto e l’Istituto di
studi ecumenici San Bernardino.
1
Http://reteinterdiocesana.wordpress.com.
2
Le firme di 25 diocesi: Acerenza, Agrigento, Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti,
Belluno-Feltre, Bolzano-Bressanone, Brescia,
Campobasso-Bojano, Carpi, Como, ConcordiaPordenone, Cuneo, Fossano, Fano, LancianoOrtona, Massa Marittima-Piombino, MolfettaRuvo-Giovinazzo-Terlizzi, Padova, Parma,
Pescara-Penne, Pistoia, Reggio Emilia-Guastalla,
Senigallia, Termoli-Larino, Treviso, Venezia, Vicenza. Figurano invece come aderenti singoli uffici pastorali delle diocesi di Andria, FaenzaModigliana, Fidenza, Milano, Verona, Rimini,
Trento, Vittorio Veneto, cui si sono aggiunte in
questa prima metà di maggio Taranto, UgentoS.M. di Leuca, Porto-S. Rufina, Velletri-Segni,
Forlì-Bertinoro.
3
Bolzano, Padova, Trento, Venezia, Verona
oltre alla lombarda Brescia.
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Nucleare civile
I TA L I A
c
on scienza e democrazia
L’
I n t e r v i s t a a V. B a l z a n i s u l l e d e c i s i o n i
del nostro futuro energetico
3 maggio 2011.
appuntamento è fissato
nel suo ufficio al Dipartimento di chimica «G.
Ciamician» dell’Università di Bologna. Mi attende il professor Vincenzo Balzani, docente ordinario di Chimica generale dal
1972, ora emerito dopo una vita dedicata
all’insegnamento e alla ricerca nei laboratori dello stesso dipartimento. Curriculum ricchissimo tra esperienze di studio, collaborazioni di ricerca, partecipazione ad associazioni scientifiche, riconoscimenti di vario genere (compresa
una laurea honoris causa e la nomina a
grand’ufficiale della Repubblica italiana
per meriti scientifici). Tutto questo nascosto da una grande semplicità, un tratto
schivo, quasi modesto come l’ufficio in cui
mi riceve; occorre uno sforzo per ricordare che – con oltre 550 pubblicazioni
scientifiche – è ancora oggi tra i 100 chimici più citati al mondo.
Nel suo piccolo gruppo di lavoro – dedicato a fare ricerca negli ambiti della fotochimica, della chimica supramolecolare,
delle macchine molecolari e delle nanotecnologie – si respira aria di famiglia. Balzani è da sempre interessato al tema
dell’energia (nel 2008 ha pubblicato per
Zanichelli, insieme a Nicola Armaroli, il
libro Energia per l’astronave Terra); è coordinatore di un appello rivolto al governo
su «Le scelte energetiche per il futuro dell’Italia» (www.energiaperilfuturo.it).
Divulgatore infaticabile, sullo schermo
del computer le slides di una conferenza
tenuta la sera prima. Me le mostra e inizia
la nostra intervista. A pochi giorni dal previsto referendum sul nucleare si parte dall’attualità.
Dopo Fukushima
non ci possiamo fidare
– Prof. Balzani, che cosa ci insegna l’incidente nucleare giapponese a 25 anni da
quello di Chernobyl?
«Anzitutto, che la sicurezza assoluta
non esiste mai; ma per il nucleare non si
tratta di un tema da poco. Aumentare la
sicurezza degli impianti nucleari significa
moltiplicare i controlli, tutti molto costosi.
Di solito i costi per la sicurezza di una tecnologia diminuiscono col tempo. Col nucleare no: i controlli rimangono costosi e
nel tempo sono destinati ad aumentare di
numero, sia per l’invecchiamento degli
impianti sia per le crescenti richieste di sicurezza.
Poi ci insegna che un incidente nucleare, se è un incidente grave, riguarda
comunque tutto il mondo. L’aria, infatti, è
globalizzata e se le sostanze radioattive
vanno a finire nell’aria – come è successo
a Chernobyl – qualcun altro ne farà le
spese in modo imprevedibile (dipende dai
venti, dalle piogge, ecc.).
Una terza lezione, che già sapevamo,
è che non c’è trasparenza nella gestione
di tali emergenze. Non ci viene mai
detta la verità, non sappiamo mai esattamente cosa succede. Le notizie filtrano
solo se gli incidenti sono gravi, altrimenti
non se ne sa nulla. La TEPCO – proprietaria della centrale di Fukushima –
era già stata costretta a chiudere nel
2001 alcuni reattori risultati fuori
norma. Insomma, non è mai possibile
fidarsi fino in fondo».
– La sicurezza non è il solo, e forse nemmeno il maggiore, dei problemi. Quali sono
le altre questioni in gioco nello sviluppo del
nucleare?
«Iniziamo dal problema economico.
Nei paesi a libero mercato, dove è la gente
a investire e decidere, il nucleare non è
competitivo. L’agenzia Moody’s abbassa
di regola il rating di una compagnia elettrica che investe nel nucleare. La Citigroup ha recentemente dichiarato che
partire oggi col nucleare non è economicamente sostenibile per uno stato.
Gli Stati Uniti, che hanno 110 centrali
attive, affermano di voler rilanciare il nucleare, almeno a parole. Le ultime due
amministrazioni, Bush e Obama, hanno
creato condizioni molto favorevoli alle società elettriche affinché investissero, ma
nonostante questo il nucleare non è ancora ripartito.
Che l’energia nucleare sia in forte sviluppo in tutto il mondo non è affatto vero.
Il parco impianti è molto datato e nei prossimi dieci anni le centrali che entreranno
in funzione saranno molte meno di quelle
che dovranno essere spente per ragioni di
età. La quota nucleare di potenza elettrica installata in Europa è scesa dal 24%
nel 1995 al 16% nel 2008. Nel 2000, ben
prima di Fukushima, la Germania aveva
già deciso di chiudere progressivamente le
sue centrali senza costruirne di nuove.
Lo scorso 19 marzo il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, concludendo un forum a Cernobbio, ha detto
che il nucleare ha influssi benefici sul PIL
soltanto se il calcolo – come di fatto accade
– non tiene conto dei costi di decommissioning, ovvero di quanto costerà la gestione delle scorie, la sicurezza e lo smantellamento degli impianti a fine vita. Se si
ricalcola il PIL dei paesi che hanno il nucleare considerando anche tali costi, ci si
accorge che molti stati con un PIL supe-
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In alto: Chernobyl.
In basso: Fukushima.
riore all’Italia stanno in realtà peggio di
noi. Infatti, il debito di uno stato è composto di tre parti: il debito pubblico, il debito privato e, per i paesi che utilizzano
l’energia nucleare, anche il “debito atomico”. Tremonti stesso, dunque, conferma
che partire oggi col nucleare non è sensato».
– Diverso è il caso di chi il nucleare ce lo
ha già.
«Se una nazione ha già delle centrali
che funzionano, come la Germania o gli
Stati Uniti, allora il discorso è diverso,
perché tanto i problemi ci sono già tutti:
conviene quindi sfruttare al massimo la
tecnologia. Ma questo non è il caso dell’Italia dove, peraltro, non siamo all’altezza di realizzare grandi opere in tempi
brevi, e le centrali nucleari lo sono. Ci
viene detto che saranno realizzate in 4-6
anni; ma in questi tempi noi facciamo fatica a costruire una scuola o un ospedale.
Le faccio un esempio recente. La
ditta francese Areva, la stessa che dovrebbe fornire all’ENEL i reattori per
l’Italia, ha venduto nel 2005 un reattore
in Finlandia. Il contratto prevedeva di
realizzarlo in 4 anni per un costo totale
di 3 miliardi di euro. Trascorsi 4 anni, si
sono accorti di essere in ritardo di almeno tre anni e mezzo. I costi, intanto,
erano aumentati da 3 a 5,3 miliardi. Un
successivo controllo delle autorità di sicurezza ha imposto nuove modifiche che
hanno ancora aggravato i costi e allungato i tempi. Oggi, 7 anni dopo l’inizio
dei lavori, il reattore non è ancora terminato. Il nucleare è famoso per questo:
nessun preventivo è mai reale; il costo e
i tempi aumentano sempre e in maniera
imprevedibile».
– Ci dicono che il nucleare è necessario,
perché in Italia non ci sarebbe abbastanza
energia elettrica.
«La verità è che attualmente, con le
centrali già installate (a petrolio, a gas,
idroelettriche ecc.), abbiamo a disposizione una potenza di circa 110 GW,
quando al massimo ne utilizziamo – a luglio, con tutti i condizionatori accesi – soltanto la metà. Oggi molte di queste
centrali sono spente, ma disponibili. Dunque, non è vero che rischiamo un black-out
per deficit di potenza elettrica.
Piuttosto, in un mercato in cui c’è un
eccesso di potenza disponibile, se si aggiunge un’altra fonte energetica dev’essere
competitiva. Ma come può esserlo il nucleare coi costi che abbiamo visto? Infatti,
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l’ENEL procederà col nucleare solo ricevendo garanzie dal governo che tutta
l’energia prodotta verrà utilizzata e pagata
a prezzo remunerativo. Questa non è
competizione, ma regime di privilegio; a
queste condizioni il nucleare non entra affatto in un libero mercato. Che senso ha
tutto questo economicamente?».
Dall’uranio alle scorie:
costi e pericoli
– Veniamo a un’altra questione importante: il combustibile.
«Fare le centrali non basta. Serve
l’uranio per farle funzionare. Ma in Italia
non ne abbiano nemmeno un grammo.
Sul sito del ministero dello Sviluppo economico si legge che il nucleare garantirà
“l’indipendenza energetica, mentre l’Italia ora importa l’83% dell’energia consumata, spesso da aree geopolitiche instabili
ed esposte a rischi”. Si tratta di una solenne bugia.
Saremo, infatti, costretti a importare
l’uranio esattamente come oggi importiamo il petrolio. Quindi non sarebbe un
passo verso l’indipendenza energetica;
caso mai verso la diversificazione delle
fonti di energia. Anziché comprare petrolio dalla Libia, compreremo uranio da chi
ce lo vende e anche questo non è senza
problemi.
Chi ha l’uranio? Canada, Australia,
Kazakistan, Niger… nessuno in Europa
ce l’ha. Per averlo a condizioni favorevoli
la Francia ha in pratica “ricolonizzato” il
Niger. L’uranio non è più “innocente” del
petrolio. Si dice che noi lo compreremo
dal Canada, una nazione attendibile. Ma
chi garantisce che le condizioni non cambieranno in futuro? Inoltre, non solo non
abbiamo la materia prima, non abbiamo
neppure la filiera per raffinarla: l’uranio,
infatti, va lavorato, purificato, arricchito.
Noi dovremo comprare il prodotto “finito”.
L’uranio è una risorsa limitata e concentrata in pochissime zone, come il petrolio. In caso di forte sviluppo del
nucleare, sarebbe disponibile per un periodo di tempo molto limitato, più breve
della vita media di una centrale che
entri in funzione fra 10 anni. Come oggi
si fanno le guerre per il petrolio, domani
non è difficile prevedere quelle per l’uranio».
– Entrare nel nucleare ha costi elevati.
Uscirne?
«Se entrare è difficile, uscirne è praticamente impossibile. Facciamo due conti.
Occorrono da 3 a 5 anni per individuare
un sito. Una decina d’anni per fare la centrale (in un paese efficiente come Germania o Stati Uniti). La centrale deve
funzionare 50-60 anni per essere remunerativa. A questo punto siamo già a 65-70
anni, che significa tramandare i problemi
non più ai figli, ma ai nipoti. Ma non è finita. Dopo il periodo di servizio la centrale, che invecchia e si usura, va spenta e
smantellata. Smantellare una centrale, lo
capite bene, è un’impresa piuttosto difficile, perché tutto il materiale è radioattivo.
Di solito si rimanda l’operazione. In Inghilterra, ad esempio, dopo aver spento
una centrale si aspetta che siano trascorsi
100 anni, affinché la radioattività sia in
parte decaduta. A quel punto il problema
è di qualcun altro».
– In un dépliant dell’ENEL che pubblicizza il nucleare è scritto che il sito di una
centrale spenta può essere completamente ripristinato e trasformato in un giardino
(green field). Si sostiene, inoltre, che i «rifiuti» (così definiti) verranno «inviati a depositi». Dove sono tali depositi per «rifiuti»
nucleari?
«A tale proposito è interessante il caso
di una piccola centrale americana, quella
di Yankee Rowe. È stata smantellata in
dieci anni (nel 2000) e sul sito è stato ef-
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fettivamente realizzato un giardino. Ma a
quali costi? Impiantata per 39 milioni di
dollari nel 1960, lo smantellamento è durato 10 anni ed è costato 508 milioni di
dollari. Un giardino un po’ costoso, direi.
Sono questi i costi, di cui parlava Tremonti, che non vengono mai presi in considerazione quando si parla del nucleare.
Il problema è che non possiamo sapere
esattamente prima quanto ci costerà…
motivo per cui non ha senso fare paragoni
oggi con il costo di altre forme di energia.
A Yankee Rowe, inoltre, c’è una sorpresa. Basta spostarsi di 500 metri e, nascosti da un boschetto, si trovano 43
giganteschi contenitori in cemento contenenti il combustile “spento” e parti del reattore. Il problema è stato solo spostato di
pochi metri. Si tratta di materiale radioattivo di cui deve occuparsi il governo (per
una legge dell’amministrazione Bush) e
che non si sa dove mettere».
– Siamo così entrati nella terza grande
questione dopo quelle dei costi e del combustibile: il problema delle scorie e dei depositi
«permanenti».
«Il problema dello stoccaggio e della
messa in sicurezza delle scorie nucleari appare oggi tanto insormontabile quanto
lontano da una possibile soluzione. Per gli
Stati Uniti, che producono continuamente
scorie, il problema è particolarmente urgente. Ma l’unico deposito permanente
che era in costruzione, quello di Yucca
Mountain nel Nevada, è stato abbandonato nel 2009 dopo aver speso invano
circa 10 miliardi di dollari. Nessuno, infatti, è stato in grado di garantire che le
scorie, una volta messe in questo deposito,
sarebbero state al sicuro per tempi compresi tra i 10.000 e i 100.000 anni. Nel
frattempo, le scorie si accumulano in siti
superficiali vicino alle centrali, come a
Yankee Rowe.
I nuclearisti sostengono che le scorie si
possono riciclare. In effetti, è una possibilità, ma è costosissima (in Francia lo
fanno). Non solo. Il processo di riciclo aumenta la proliferazione di armi nucleari,
perché produce altre sostanze radioattive
– in particolare il plutonio-239 – che si utilizzano per fabbricare le armi. Non è un
problema da poco, basti pensare alla vicenda iraniana: la stessa tecnologia permette di produrre l’elettricità e di fare le
bombe. Se aumentano nel mondo i paesi
che sviluppano il nucleare, il rischio che
oggi corriamo con l’Iran non potrà che
moltiplicarsi».
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Efficienza energetica
e fonti rinnovabili
– Come si risolve allora il problema energetico?
«Le alternative ai combustibili fossili
che stanno finendo sono due: il nucleare,
da un lato; l’energia solare e le fonti rinnovabili (geotermica, eolica, idroelettrica),
dall’altro.
Il nucleare è un’energia che richiede
conoscenze e tecnologia non banali, dunque rimarrà una risorsa nelle mani di
pochi paesi ricchi a cui gli altri, meno sviluppati, dovranno affidarsi. Ma questo significa che, in un mondo già attraversato
da fortissime disuguaglianze, si andrà
verso nuove forme di colonizzazione e dipendenza dei paesi meno sviluppati.
Il problema energetico va risolto, perché è urgente. Ma va risolto in modo democratico, quindi non col nucleare.
Anzitutto col risparmio e l’efficienza. Le
risorse del pianeta sono limitate, vanno
utilizzate meglio e si deve risparmiare
energia. Le quattro centrali previste nel
piano del governo produrranno appena il
14% del fabbisogno di energia elettrica,
pari a un modesto 3,2% del fabbisogno
energetico del paese. Ridurre il consumo
di elettricità del 14% è alla portata di qualsiasi piano di risparmio ed efficienza energetica, a costi infinitamente inferiori e
senza i danni che porterà l’energia nucleare.
La crisi energetica si può realmente risolvere, tenendo conto che sull’“astronave
Terra” dobbiamo starci tutti e possibilmente dobbiamo starci in pace, solo individuando e sviluppando una fonte di
energia che sia abbondante, inesauribile,
ben distribuita, non pericolosa per l’uomo
e per il pianeta (né oggi, né in futuro), capace di favorire lo sviluppo economico, di
colmare le disuguaglianze e favorire la
pace. Sembrerebbe un sogno, ma basta
dare un’occhiata all’energia solare per accorgersi che ha tutte queste caratteristiche.
L’Italia non ha petrolio, non ha carbone,
non ha uranio, ma ha un sacco di sole:
usiamolo e usiamolo bene. Possibile che
oggi sia utilizzato di più e meglio in Alto
Adige che in Sicilia?».
La Chiesa dovrebbe esprimersi
– Due questioni per concludere. Anzitutto, l’opuscolo Energia per il futuro allegato a diversi settimanali diocesani nel
quale si voleva far credere, in modo ingannevole, che la Chiesa cattolica avesse preso
ufficialmente posizione a favore dell’uso civile dell’energia nucleare. La seconda, il
tentativo del governo di sospendere il referendum sul nucleare per evitare una possibile, clamorosa bocciatura. In entrambi i
casi viene sottratta, alla comunità ecclesiale
e ai cittadini, la possibilità di un serio dibattito sul tema dell’energia per poter esprimere un consenso informato e responsabile.
«Sulla prima questione, insieme a un
gruppo di professori universitari e scienziati cattolici, abbiamo scritto una lettera
aperta denunciando il fatto, lettera che la
vostra rivista ha pubblicato (cf. Regno-att.
12,2010,429). In essa chiedevamo che
l’istituzione ecclesiastica facesse chiarezza
sull’episodio e auspicavamo che su un
tema così delicato venisse data ai fedeli la
possibilità di un’informazione “competente e non viziata da slogan pubblicitari”. Purtroppo, alla nostra iniziativa non
è seguita alcuna risposta, né alcuna presa
di distanza ufficiale. Come cattolico sono
convinto che la Chiesa dovrebbe prendere posizione su un tema così importante. Dovrebbe farlo se non altro perché
le scelte sul futuro sviluppo energetico
coinvolgono questioni delicate come la
democrazia, l’ingiustizia sociale, gli armamenti e la pace.
Nel caso del referendum si tratta invece di una mossa politica che ha di mira
l’astensione, così da far fallire anche gli
altri referendum. Inoltre, dopo l’incidente
di Fukushima, sono molto aumentate le
possibilità di una bocciatura del programma di sviluppo energetico, che il governo vuole evitare. Il presidente del
Consiglio ha dichiarato apertamente che
l’annullamento del referendum non corrisponderebbe a una rinuncia al nucleare,
ma a una semplice moratoria.
Come scienziati chiediamo da tempo
al governo che, prima di prendere decisioni sulla questione energetica, venga
aperto un tavolo di lavoro per sentire
anche il nostro parere. Per ora non siamo
stati ascoltati. Sentiamo l’urgenza di dire
alla gente che la crisi energetica c’è ed è
una cosa seria; di dire che bisogna cambiare le abitudini, risparmiare e non sprecare energia. Infine, di dire a tutti che il
problema energetico non si risolverà col
nucleare, ma investendo le nostre risorse
economiche e intellettuali nello sviluppo
dell’energia solare e rinnovabile».
a cura di
Marco Bernardoni
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POLITICA
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Elezioni amministrative
I TA L I A
a
ll’inizio della fine
Ve r s o l ’ e p i l o g o d e l c i c l o b e r l u s c o n i a n o
P
erde Berlusconi. Vince l’antiberlusconismo. La sconfitta politica, oltre che elettorale, di Berlusconi, nelle
amministrative del 15 e 16
maggio – ulteriormente aggravata dall’esito dei ballottaggi del 29 e 30 – è a
tutto tondo. Con Berlusconi perde naturalmente il Popolo della libertà (PDL);
e il suo principale alleato: la Lega Nord
di Bossi. Anzi, tra il primo e il secondo
turno si è come creata un’attesa di vittoria nei confronti di Berlusconi, soprattutto nelle principali città del Nord
(in particolare Milano), che ha trascinato il risultato dei ballottaggi. Del resto Berlusconi è stato il centro della politica nazionale di un ciclo quasi
ventennale così che ogni pronunciamento elettorale, anche al di là della
sua abilità nel personalizzare e centrare
su di sé il confronto/scontro politico, lo
ha visto protagonista.
Difficile dire se il paese si trovi nuovamente di fronte a un ciclo di cambiamento, come è accaduto all’inizio
degli anni Novanta. Queste elezioni da
sole non bastano per dare una risposta
corretta. Su un piano sistemico, la ristrutturazione del formato politico, avviata allora dai cambiamenti internazionali del 1989, è in gran parte
naufragata. Il ciclo delle riforme istituzionali (fatta salva la legge elettorale
per i comuni, la quale ha dato buoni risultati anche in questa occasione), per
incompletezza, arretramenti e restaurazioni dei vecchi modelli elettorali (con
al seguito i regolamenti parlamentari) è
sostanzialmente fallito. Così come la risposta dei soggetti politici. La fuga in
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avanti dal bipolarismo al bipartitismo
(berlusconian-veltroniano) si è velocemente consumata tra il 2008 e il 2010.
Tra la sconfitta del modello di alleanze
del Partito democratico (PD) nelle politiche del 2008 e la scomposizione del
PDL nel 2010.
Un modello di democrazia di tipo
competitivo e governante è lungi dall’essere realizzato. E la gran parte delle
forze politiche (dalle estreme del campo
del centro-sinistra, al PD, alla neo-formazione di Casini, Fini e Rutelli, alla
Lega a parti del PDL) militano per un
ritorno al proporzionale che fotografi i
loro attuali rapporti di forza nelle diverse aree del paese per autoconservare
sé stesse. Berlusconi ha dato un contributo decisivo a questo fallimento. Si
tratta dello sviluppo più illiberale delle
politiche che egli ha abbozzato. Berlusconi ha ragionato in termini esclusivamente personali, così come il PD in
termini esclusivamente oligarchici.
Queste elezioni segnalano certamente l’avvio dell’epilogo della sua vicenda politica. La diminuizione di consensi al PDL e contemporaneamente
alla Lega segnalano una perdita molto
forte da parte dell’attuale alleanza di
governo di capacità rappresentativa
della realtà del paese, soprattutto al
Nord. Berlusconi non è più in sintonia
con quella parte dei ceti sociali che
hanno costituito sin qui il suo blocco politico-elettorale. È come se non avesse
più nulla di credibile da dire. La sua immagine è logora. Il suo linguaggio ripetitivo. Avere abbandonato le grandi
questioni generali del paese per il precipitato dello scontro tutto personale
con la magistratura non ha rappresentato una strategia politica. I suoi interessi non interpellano più le ragioni di
molti. E le sue ragioni in questo schema
si trasformano velocemente in torti. La
presa di distanza di una parte del suo
blocco elettorale e la crescita dell’antiberlusconismo hanno prodotto un risultato inatteso. Certamente nelle dimensioni.
Fine del bipar titismo
Seguendo le elaborazioni effettuate
dall’Istituto Cattaneo di Bologna sul
voto del 2011 nelle 13 maggiori città in
cui si è votato,1 si possono condurre alcune osservazioni. Naturalmente il
tema dei confronti con le precedenti comunali risulta metodologicamente corretto, ma politicamente problematico
per la diversità dei soggetti in campo. Il
ragionamento si rovescia sulle regionali
del 2010.
Il centro-destra nel suo insieme
perde rispetto alle comunali del 2006 il
6% dei voti (– 56.000). Al Nord, il calo
è maggiore: 16,6% (– 83.000); e in Emilia Romagna raggiunge il 13,6%
(– 14.000). Positivo nelle città del Sud,
ma non tale da riequilibrare il risultato
complessivo. Stessa dinamica se il confronto avviene con le regionali. All’interno dell’alleanza naturalmente il
saldo complessivo si distribuisce in maniera disomogenea tra i diversi soggetti.
Il PDL, rispetto ai voti raccolti nelle comunali del 2006 (allora Forza Italia +
Alleanza nazionale), perde 197.000 voti
(– 24%), di questi 116.000 solo al Nord.
Analogo trend anche rispetto alle regionali. Le perdite del PDL vanno in
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parte alla Lega nel confronto con le comunali. Ma non così con le regionali,
rispetto alle quali la Lega perde il 16%
(– 25.000 voti), nonostante la crescita in
Emilia Romagna, trainata anche dal
candidato sindaco a Bologna. Molto
consistente è stato il successo delle liste
civiche del centro-destra, di impronta
localistica e legate al candidato sindaco,
attraverso le quali il centro-destra recupera 62.000 voti sulle comunali precedenti.
Il centro-sinistra nel suo insieme
perde 175.000 voti (– 14,4%) nel confronto con le comunali. Si tratta di una
perdita contenuta al Nord (– 15.000
voti), più marcata in Emilia Romagna
(– 24.000) e particolarmente significativa al Centro-sud (– 135.000) con una
forte concentrazione su Napoli. Ma il
confronto con le regionali offre elementi di conforto al campo del centrosinistra con un recupero di 66.000 voti
(+ 6,8%).
Il PD perde 111.000 voti (– 16,2%)
rispetto ai consensi raccolti nel 2006
dai Democratici di sinistra (DS) e Margherita. Anche in questo caso la differenza territoriale è significativa. L’avanzamento al Nord di 11.000 voti
(+ 3,5%) è dovuto in gran parte al risultato milanese, mentre perde 25.000
voti (– 16,9%) in Emilia Romagna. E
ancor di più al Centro-sud: – 97.000
voti (in gran parte concentrati a Napoli). Il miglioramento rispetto alle regionali è degno di nota (+ 39.000 voti),
attutito dalla tenuta in Emilia Romagna
(– 1%) e dal calo al Centro-sud.
Il complesso della sinistra radicale
(Sinistra, ecologia e libertà [SEL] e Federazione della sinistra [FDS]) registra
spostamenti significativi là dove ha imposto al centro-sinistra il proprio candidato (Milano): perde rispetto alle
comunali e recupera rispetto alle regionali, con un avanzamento in Emilia
Romagna (+ 11.500).
L’Italia dei valori (IDV) ottiene un
buon risultato rispetto alle precedenti
comunali (+ 36.500 voti), ma ne perde
62.000 rispetto alle regionali (il punto
più alto della sua affermazione). Il saldo
negativo è soprattutto al Nord. Mentre
la candidatura De Magistris ha fatto il
risultato napoletano.
L’UDC ha perso 28.500 voti
(– 25,4%) con insuccessi marcati al
Nord e in Emilia Romagna e un avan-
17:32
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zamento del 10% al Sud. Il partito di
Casini tiene rispetto alle regionali
(– 1,4%) grazie alla compensazione del
Sud.
Il Movimento 5 stelle-Beppe Grillo
raccoglie i consensi di 93.000 elettori in
11 città delle 13 principali, battendo
sempre – annotata l’Istituto Cattaneo –
l’UDC al Nord e in Emilia, aumentando di 26.000 voti i suoi consensi rispetto alle regionali.
Uno sguardo ai flussi elettorali nelle
quattro grandi città di Torino, Milano,
Bologna e Napoli (cf. tabelle qui sotto e
a p. 298) mostra nel caso del PDL un
indebolimento generalizzato del «contenitore», con perdite in molte direzioni. Mentre nell’interscambio con la
Lega, a differenza delle ultime politiche, la Lega non guadagna. Il risultato
positivo del PD al Nord è ottenuto a
spese dell’IDV a Torino e a Milano.
Nelle stesse città si mobilita un flusso di
voti proveniente da elettori che si erano
astenuti nel 2010. A Torino viene in
soccorso al PD anche una quota di voti
dalla sinistra radicale e dalla Lega.
Una coalizione in crisi
e un campo aper to
La sconfitta berlusconiana presenta
da subito una rinnovata difficoltà nel
rapporto con la Lega. Bossi sa che
uscire dalla coalizione significa aprire
una crisi al buio, e andare con ogni probabilità alle elezioni senza tuttavia avere
portato nulla di significativo al proprio
potenziale elettorato. La conferma dell’alleanza con Berlusconi si presenta
come costrittiva e competitiva.
La Lega avverte che anche il ciclo
politico di Bossi sta per giungere al termine, non solo quello berlusconiano.
Ma è meglio affrontare questo pro-
COMUNE DI TORINO
Saldi finali (% su elettori)
2010
(regionali)
2011
(comunali)
Differenza
Movimento 5 stelle
Sinistra
Idv
Pd
Udc –Terzo polo
Pdl
Lega
Destra
Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste
Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste
Altri
Non voto
Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo
COMUNE DI MILANO
Saldi finali (% su elettori)
2010
(regionali)
2011
(comunali)
Differenza
Movimento 5 stelle
Sinistra radicale
Idv
Pd
Udc –Terzo polo
Pdl
Lega
Destra
Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste
Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste
Altri
Non voto
Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo
IL REGNO -
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blema stando al governo. I problemi
del PDL, da questo punto di vista, sono
maggiori. È del tutto illusorio immaginare di preordinare il dopo Berlusconi
senza Berlusconi. La navigazione berlusconiana si annuncia complessa, tra
problemi personali, aggravamento della
situazione complessiva del paese, rischio
di perdita della maggioranza e necessaria (dal suo punto di vista) rifondazione del partito. Ciononostante il centro-destra è dentro una figura di
coalizione precisa, è ancora al governo
e ha un leader (seppur malandato).
Il centro-sinistra non è ancora una
coalizione. È un campo di forze. Le elezioni dicono di una potenzialità di vittoria di questo campo, ma non come
organizzare queste forze e secondo
quale schema coalitivo. Il che significa
con quale proposta politica per il paese.
Tutto questo è ancora da fare.
Pagina 298
Il PD esce rinfrancato da queste elezioni, ma anche con la consapevolezza
che da solo non va da nessuna parte. La
sua misura è quella del Partito comunista (PCI). Un secondo elemento riguarda il convincimento che le elezioni
primarie, quando sono vere (Milano,
Torino e Cagliari), forniscono un modello di selezione dei candidati e di partecipazione di grande vantaggio. Al
contrario, quando esse sono finte o
truccate (Bologna e Napoli) fanno rischiare il partito o lo mettono in ginocchio. Rimane poi aperto il modello di
relazioni con le altre forze: IDV, SEL e
FDS. Forze legate alla sinistra radicale
(SEL e FDS) o a una cultura protestatario-populistica (IDV). Le due variabili
di Milano e Napoli presentano non
pochi problemi alla costruzione di una
alleanza in grado di governare. Milano
è attesa alla prova. Napoli è un caso
COMUNE DI BOLOGNA
Saldi finali (% su elettori)
2010
(regionali)
2011
(comunali)
Differenza
Movimento 5 stelle
Sinistra
Idv
Pd
Udc –Aldrovandi
Pdl
Lega nord
Destra
Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste
Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste
Altri
Non voto
Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo
COMUNE DI NAPOLI
Saldi finali (% su elettori)
2010
(regionali)
2011
(comunali)
Movimento 5 stelle
Sinistra
Idv
Pd
Udc –Terzo polo
Pdl
Destra
Solo cand. centro-sin. + ev. Altre liste
Solo cand. centro-des. + ev. Altre liste
De Magistris
Pasquino
Altri
Non voto
Flussi elettorali tra le regionali 2010 e le comunali 2011 - Fonte: Istituto Cattaneo
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Differenza
dubbio. Su un piano politico poi, qui
De Magistris ha dapprima sconfitto il
PD, poi ne ha rifiutato ogni collegamento di lista.
Il rapporto con Casini e il Terzo
polo si annuncia complesso. Il solo antiberlusconismo può consentire un
breve tragitto comune. Del resto si
tratta di una categoria certamente più
debole di quella antifascista (per azzardare un’analogia), e soprattutto destinata a indebolirsi simbolicamente a
mano a mano che Berlusconi si indebolisce politicamente. Senza Berlusconi, il Terzo polo, che esce da queste
elezioni senza alcuna prospettiva significativa di crescita elettorale, non
avrebbe alcuna difficoltà a rientrare velocemente in una alleanza di centrodestra.
Ritrovare uno schema anche vagamente ulivista (non certo l’Unione),
l’unico che abbia prodotto risultati di
coalizione, significherebbe riprendere
la strada delle riforme elettorali di tipo
uninominale-maggioritario. Il solo modello attualmente escluso dal dibattito
del PD. Esso rimetterebbe in gioco
l’identità democratica di un partito tale
solo di nome, favorendo una fuoriuscita
definitiva dallo schema oligarchico che
attualmente lo regge.
Per questo Bersani, che è innanzitutto il segretario del partito, non
chiede le elezioni. Aspetta che Berlusconi si logori da solo. Così facendo, soprattutto se davvero ci trovassimo di
fronte a un nuovo ciclo politico caratterizzato da volontà di movimento dell’elettorato, si finirebbe con non fornire
una rappresentazione adeguata delle
forze del cambiamento e col favorire le
forze estreme del campo del centro-sinistra. Le elezioni rimangono l’unica
strada di rappresentazione democratica
del cambiamento potenziale. L’unico
strumento per incanalare e dare forma
politica a un ciclo di protesta. Inseguire
la chimera del governo di unità nazionale rappresenta, in fondo, l’esito finale
del berlusconismo: l’uscita dalla transizione riconoscendo il fallimento di un
intero ceto politico.
Gianfranco Brunelli
1
Le 13 citta sono: Torino, Novara, Milano,
Trieste, Bologna, Ravenna, Rimini, Latina, Napoli, Salerno, Catanzaro, Reggio Calabria, Cagliari.
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Violenze sessuali
l’
urgenza e l’equilibrio
Pubblicate le linee guida per gli episcopati
D
ue sono le novità principali contenute nella Lettera
circolare della Congregazione per la dottrina della
fede per aiutare le conferenze
episcopali nel preparare linee guida per il
trattamento dei casi di abuso sessuale nei
confronti di minori da parte di chierici, inviata ai presidenti delle conferenze episcopali il 3 maggio e resa nota il 16: i tempi e
l’equilibrio. I primi riguardano la forma, il
secondo il contenuto; entrambi sono segno
eloquente di una preoccupazione che sta a
cuore a questo pontificato.
Quanto ai tempi, nella lettera d’accompagnamento a firma del prefetto card.
Levada viene detto, garbatamente ma
senza giri di parole, che entro maggio 2012
tutte le conferenze episcopali dovranno dotarsi di proprie linee guida (o anche di
norme vincolanti, previa recognitio della
Santa Sede) o rivederle se già esistenti, alla
luce dei criteri indicati dalla Congregazione.
Annunciate nel luglio 2010 tra le righe
della nota di presentazione di p. Lombardi,
direttore della Sala stampa vaticana, delle
nuove norme riguardanti i cosiddetti delicta
graviora (Regno-doc.15,2010,457; qui 459),
le linee guida dovranno in questo breve
lasso di tempo contribuire a ispirare codici
di condotta nazionali per tutte – e non sono
poche – le conferenze episcopali che ne
sono prive, a fronte di altre che se ne sono
dotate per tempo, come Austria, Canada,
Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda,
Stati Uniti, Svizzera. Per quanto riguarda
l’Italia, ad esempio, un anno fa proprio da
queste pagine mons. Versaldi, vescovo di
Alessandria (Regno-att. 8,2010,227), dichiarava l’esistenza di un documento su cui
i vescovi stavano lavorando, ipotesi poi
smentita dalla CEI.
Al contrario, nella prolusione all’assemblea dei vescovi apertasi a Roma il 23
maggio, il card. Bagnasco ha confermato
che «da oltre un anno, su mandato della
Presidenza della CEI, è al lavoro un gruppo
interdisciplinare di esperti proprio con
l’obiettivo di tradurre per il nostro paese le
indicazioni provenienti dalla Congregazione». Il testo che la CEI pubblicherà sarà,
quindi, una risposta non solo all’invito della
Congregazione o una reazione ai recenti
fatti di cronaca – l’incarcerazione del parroco di Sestri Ponente il 14 maggio, don
Riccardo Seppia – che hanno colpito in
maniera eclatante la diocesi del presidente
dei vescovi italiani (e prima di lui, dei cardd.
Bertone, Tettamanzi, Canestri e Siri, quest’ultimo ancora in carica all’epoca dell’ordinazione del sacerdote ora in carcere).
La variabile tempo è significativa anche
sotto un altro aspetto. L’anno quasi intero
che è trascorso dall’annuncio delle linee
guida a oggi – ha detto p. Lombardi durante la conferenza stampa di presentazione – è servito a costruire un «consenso»
attorno al documento da parte di tutti gli
organismi di curia che, oltre alla Congregazione per la dottrina della fede, sono interessati: possiamo ipotizzare le congregazioni dei vescovi, dell’evangelizzazione
dei popoli, del clero, della vita consacrata e
dell’educazione cattolica. Ciò significa che
il testo che leggiamo oggi (sul prossimo numero di Regno-doc.) è una sorta di comune
denominatore a cui nessuno può sottrarsi
nel trattare i casi di pedofilia, eliminando i
margini di discrezionalità che diversamente
erano emersi in questi anni con la pubblicazione di alcune lettere a firma di respon-
sabili di organismi vaticani, inviate a singoli
vescovi.
Le vit time al primo posto
La seconda novità – l’equilibrio complessivo – riguarda più specificatamente il
contenuto. Le linee guida, infatti, presentano per la prima volta una ben precisa gerarchia dei soggetti che sono coinvolti.
Innanzitutto le vittime (cf. anche l’editoriale
«Dio nelle vittime», in Regno-att. 10,2010,
289). La I parte del testo, che tratta degli
Aspetti generali, chiede, al punto a, al
primo punto a che «la Chiesa» sia «pronta
ad ascoltare le vittime e i loro familiari» e
s’impegni «per la loro assistenza spirituale
e psicologica». L’esempio è quello dato dal
papa nella Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda, dove accorato dice: «avete sofferto
tremendamente… nulla può cancellare il
male che avete sopportato» (Regno-doc.
7,2010,193); un tono di compartecipazione
che Benedetto ha manifestato anche
quando ha incontrato più volte nei suoi
viaggi gruppi di vittime.
Compare per la prima volta – punto b
– l’idea che è possibile avere «ambienti sicuri» in cui far vivere i giovani e i minori in
particolare, solo se si attua una positiva
azione di prevenzione, tramite specifici
«programmi educativi» per «aiutare i genitori, nonché gli operatori pastorali o scolastici a riconoscere i segni dell’abuso
sessuale e ad adottare misure adeguate».
Un’azione necessaria ed esemplare anche
per altri ambienti di vita giovanili: infatti, i
programmi adottati da alcune Chiese locali sono poi stati riconosciuti come «modelli» validi per combattere «l’abuso
sessuale nei confronti di minori nelle società
odierne». Questo implica l’idea, esplicitata
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nel testo, che l’attenzione vada rivolta non
solo ai sacerdoti ma a tutto il personale che
opera nel contesto ecclesiastico.
Il compito è impegnativo, non solo e
non tanto per il fatto che potrebbe portare
un ulteriore carico a una pastorale ordinaria già oberata di compiti e povera di risorse umane; ma quanto per la sensibilità
di un’opinione pubblica più propensa all’indignazione allorché i media portano alla
luce un nuovo «mostro» che ad attrezzarsi
in maniera preventiva.
Il secondo soggetto che è preso in considerazione è il sacerdote (punti b, c della
parte I e d, e, h della III), rispetto sia alla
formazione primaria e permanente in generale, sia all’eventuale momento in cui venisse incolpato.
Sulla formazione si ribadisce il già noto,
cioè che occorre fare in modo che i seminaristi «apprezzino la castità e il celibato e
le responsabilità della paternità spirituale
da parte del chierico» e approfondiscano
«la conoscenza della disciplina della Chiesa
sull’argomento», lasciando libero il campo
a «indicazioni più specifiche», come quelle
proposte, ad esempio, dal rapporto commissionato dai vescovi statunitensi al John
Jay Institute su The Causes and Context of
Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests
in the United States, 1950-2010, reso noto
a un paio di giorni (il 18 maggio) di distanza dal documento vaticano.1
Sul piano invece delle garanzie relative
alla figura del sacerdote accusato, le linee
guida della Congregazione ribadiscono la
necessità del «rispetto dei diritti di tutte le
parti»; di difendere la «presunzione d’innocenza»; di consentire a chi viene accusato di difendersi davanti al vescovo ancor
prima che il caso venga deferito al Vaticano; l’opportunità che al chierico sotto indagine sia assicurato un «sostentamento
giusto e degno»; e quella, se l’indagine arrivasse a stabilire una denuncia falsa, di
«riabilitare la buona fama del chierico che
sia stato accusato ingiustamente». L’equilibrio è qui dato dal fatto che, per quanto il
crimine sia deprecabile, non dev’essere lasciato spazio a nessuna forma di giustizialismo.
L’umiliazione e l’umiltà
Il terzo soggetto la cui funzione viene
fortemente riequilibrata dalle linee guida è
il vescovo. Esse, infatti, ribadiscono «che la
responsabilità nel trattare i delitti di abuso
sessuale di minori da parte dei chierici appartiene in primo luogo al vescovo dioce-
300
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sano» (Conclusione), a parziale correzione
della sua messa in secondo piano a favore
della centralizzazione della materia presso
la Congregazione per la dottrina della fede,
con l’avvento delle norme del 2001, che segnarono tuttavia una svolta positiva nella
presa in carico del problema da parte della
Santa Sede.
Così recita la II parte delle linee guida:
«la responsabilità nel trattare i casi di
I TA L I A
La svolta
di Bagnasco
N
on sono solo le parole «sgomento» e «vergogna» pronunciate dal card. Bagnasco il 14
maggio, dopo l’arresto per pedofilia di un
parroco della propria diocesi, a rendere
davvero apprezzabile il suo intervento. Ma
il fatto che egli quelle parole le abbia pronunciate celebrando immediatamente
nella chiesa di cui era titolare l’arrestato, di
fronte a una comunità sbigottita e a persone «eventualmente colpite» dai comportamenti «indegni» del sacerdote. Sono
lo stile pastorale adottato di fronte alla
comunità religiosa e civile e l’immediatezza con la quale è stato rimosso il prete
arrestato che comunicano un profilo pastorale nuovo di fronte a vicende così
drammatiche.
Bagnasco ha avuto il merito di capire
che quella vicenda, capitata proprio nella
sua diocesi, rappresentava simbolicamente qualcosa di più di un singolo caso
locale malauguratamente occorso a lui in
quanto vescovo. La sua autorità episcopale chiamata in causa e il suo ruolo di
presidente della CEI gli conferivano una
maggiore e decisiva responsabilità.
Qui era in gioco la Chiesa italiana. Qui
bisognava rovesciare lo schema di un riserbo ecclesiastico erroneo che umilia le
vittime e trasmette la terribile immagine
di una concezione castale dell’istituzione.
Qui bisognava aiutare la comunità cattolica, quella di Genova e quella italiana, a
prendere coscienza di un grave problema,
presente nel paese più di quanto sin qui
non sia emerso. E farlo lì dove il dramma si
era consumato. Trasmettendo consapevolezza, responsabilità e vicinanza.
G. B.
abuso sessuale nei confronti di minori
spetta in un primo momento ai vescovi o ai
superiori maggiori. Se l’accusa appare verosimile (…) devono condurre un’indagine
preliminare. (…) Se l’accusa è ritenuta credibile, si richiede che il caso venga deferito
alla Congregazione per la dottrina della
fede. Una volta studiato il caso, la Congregazione per la dottrina della fede indicherà al vescovo o al superiore maggiore i
passi ulteriori da compiere. Al contempo,
la Congregazione per la dottrina della fede
offrirà una guida per assicurare le misure
appropriate». Il vescovo (o il superiore) decide inoltre eventuali «misure precauzionali» da intraprendere sin dagli inizi
dell’indagine.
L’azione del vescovo diventa ancor più
decisiva nel delicato e, soprattutto, variegato rapporto con le diverse legislazioni
civili in vigore nelle singole diocesi: «Va
sempre dato seguito alle prescrizioni delle
leggi civili per quanto riguarda il deferimento dei crimini alle autorità preposte,
senza pregiudicare il foro interno sacramentale» (punto e, parte I): qui si mantiene una formulazione sufficientemente
generica in modo da comprendere i casi
di legislazioni in cui i vescovi hanno l’obbligo di denuncia, quelli in cui non lo
hanno e quelli in cui vi sono ragionevoli
rischi che la denuncia venga strumentalizzata da regimi politici interessati a screditare il soggetto ecclesiale. Il testo tace
invece sul caso (non remoto) del vescovo
riluttante ad applicare la normativa della
relativa conferenza episcopale e pertanto
sul peso specifico di questa rispetto alla potestà dell’ordinario locale.
Infine l’autorità episcopale viene ulteriormente ribadita (punto f, parte III)
anche per quanto riguarda «gli organi
consultivi di sorveglianza e di discernimento dei singoli casi, previsti in qualche
luogo», i quali «non devono sostituire il discernimento e la potestas regiminis dei singoli vescovi». Questo è sicuramente il
punto delle linee guida più foriero di domande, visto che la pur breve storia di
questi avvenimenti insegna che se non vi
fossero stati questi organismi, solitamente
composti e presieduti da laici, alcuni episcopati non avrebbero affrontato in maniera sistematica ed efficace i casi di
pedofilia.
Talvolta, poi, le frizioni tra corpo episcopale e organismi laicali hanno messo in
luce resistenze e riluttanze che hanno rallentato la risposta della Chiesa: nel solo
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mese di maggio hanno minacciato le dimissioni Ana Maria Catanzaro, presidente del Review Board della diocesi di
Philadelphia (cf. anche Regno-att.
6,2011,159) e Ian Elliott, presidente della
commissione nazionale irlandese, solo per
citare due casi recenti.
Se il presidente della Commissione dei
vescovi cattolici statunitensi per la protezione dei bambini e dei giovani, mons.
Blase Cupich, vescovo di Spokane, afferma che uno dei dieci punti essenziali
per impedire il ripetersi delle violenze è la
correzione di un’«idea distorta del sacerdozio», ovvero «il clericalismo» da lui definito una «forma di elitismo» e «una
diretta violazione della dignità umana»
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(America 30.5.2011,15), occorre forse
porsi la domanda sull’efficacia di una funzione episcopale che prescinda dal ruolo
di laici competenti.
La crisi causata dalla pedofilia, oltre al
fatto in sé, ha messo in luce alcune insufficienze. Le soluzioni concrete, pastorali,
hanno nei fatti dato una risposta che qualcuno ha interpretato come una via aperta
verso possibili riforme nella vita della
Chiesa. Le linee guida riequilibrano e
riordinano positivamente la materia all’interno del quadro giuridico esistente.
Per mons. Cupich questo potrebbe
non essere sufficiente. Occorre «da parte
dei vescovi un atteggiamento di profonda
umiltà, quella che porta ad ammettere che
avevamo bisogno dell’aiuto» di altri. Gli
uni degli altri.
Maria Elisabetta Gandolfi
1
Il J. Jay Institute di diritto penale dell’Università di New York ha pubblicato nel 2004 un analogo
rapporto intitolato: The Nature and Scope of the Problem of Sexual Abuse of Minors by Catholic Priests and
Deacons in the United States. 1950-2002; cf. Regnoatt. 6,2004,166. La sintesi e le raccomandazioni dell’attuale rapporto saranno pubblicate su Regno-doc.
Tra i numerosi spunti d’interesse vi è quello relativo
al perché di un tale crimine. Il Rapporto risponde che
tra i sacerdoti colpevoli sono pochi i pedofili veri e
propri. Per gli altri si è trattato di una concomitanza
di tre fattori: stress, solitudine e dipendenza dall’alcool, a cui si è aggiunto il non aver frequentato in seminario corsi di formazione specifici al celibato
proprio nel momento in cui avvenivano a livello sociale forti cambiamenti.
Germania
Ve scov i e te o l o g i
Ricucire
l’unità
C
om’era nei programmi, l’Assemblea plenaria primaverile della Conferenza episcopale tedesca (Paderborn, 14-17 marzo
2011) ha elaborato il programma che da qui al 2015
strutturerà il processo di dialogo fortemente richiesto dall’opinione pubblica ecclesiale, dopo
che lo scandalo delle violenze sessuali su minori
da parte di preti e religiosi aveva provocato una
grave crisi di credibilità dell’istituzione-Chiesa.1 I
vescovi hanno elaborato una lettera alle comunità, intitolata Credere nell’oggi, in cui descrivono
lo svolgimento del processo, e il 22 aprile hanno
reso noti i nomi dei responsabili dei due progetti
già annunciati in precedenza su «Sacerdoti e laici
nella Chiesa» e «Presenza della Chiesa nella società e nello stato». Dopo mesi di polemiche e
contrapposizioni, la sfida è ricostruire un clima
positivo, e non solo perché in settembre avrà
luogo la terza visita in patria di Benedetto XVI,2
ma in quanto l’unità della Chiesa cattolica tedesca è seriamente a rischio.
Let tera alle comunità
La lettera alle comunità ribadisce senza reticenze che il dialogo tra le diverse componenti
della Chiesa in Germania è indispensabile, e anzi
«per certi versi i momenti di crisi sono momenti
di grazia particolari» in cui si ritorna all’essenziale.
Riconosce che dietro alle critiche vi è una preoccupazione legittima per il futuro della Chiesa
in Germania: anche se occorre affrancarsi da
una certa «emozionalità», il momento di fermarsi tutti insieme per riflettere e parlarsi non è
rinviabile. «Noi – scrivono i vescovi – vediamo il
reale pericolo di dividerci a tal punto nella nostra
Chiesa da rompere i ponti e perdere l’unità. Dalle
barricate sappiamo che ci si parla male».
Non è prevista la creazione di nuovi organismi, bensì l’utilizzo dei luoghi di incontro e dialogo che sono già presenti in ciascuna diocesi.
Ogni anno sarà dedicato a un tema centrale, sul
quale la Conferenza episcopale organizzerà
anche un evento nazionale. Questi i temi: «Credere nell’oggi: dove siamo?» (Mannheim, 8-9 luglio 2011); «La nostra responsabilità nella società
libera» (tema della diaconia della Chiesa, 2012);
«Adorare Dio oggi» (la liturgia, 2013); «Testimoniare la fede nel mondo di oggi» (2014); conclusione e celebrazione del giubileo del concilio
Vaticano II. I due progetti di lavoro congiunti tra
Conferenza episcopale e Comitato centrale dei
cattolici tedeschi (ZDK, che raccoglie e rappresenta le associazioni laicali) su «Sacerdoti e laici
nella Chiesa» e «Presenza della Chiesa nella società e nello stato» saranno coordinati rispettivamente da mons. F.-J. Bode (vescovo di
Osnabrück), mons. W. Bischof (Monaco-Frisinga), T. Roddey per la Conferenza episcopale e
da C. Lücking-Michel (vicepresidente ZDK), A.
Lob (preside dell’Università cattolica di Eichstätt) e H.-G. Hunstig (portavoce); e per il secondo gruppo da mons. F.-J. Overbeck (Essen),
mons. A. Losinger (Augsburg) e M. Meyer per i
vescovi e dal presidente del ZDK A. Glück, M.
Heimbach Stein dell’Università di Münster ed E.
Welskop-Deffaa del Ministero federale per le
donne, gli anziani e i giovani. Anche i grandi
eventi come la visita del papa, il Congresso eucaristico nazionale a Colonia nel 2013 e i Katholikentag del 2012 e del 2014 saranno inclusi nel
processo di dialogo.
Equilibri e limiti
I vescovi non precludono alcun contenuto
al confronto, tuttavia sembrano preoccupati di
mantenere un equilibrio di pesi e contrappesi
tra le due posizioni di chi considera necessaria
una riforma strutturale della Chiesa e chi invece
ritiene che la crisi nasca da una debolezza spirituale, cui occorre reagire con una purificazione
interiore. «È sempre più chiaro: è ormai essenziale per la fede cristiana in Dio acquistare sostanza e profilo soprattutto davanti a un nuovo
ateismo a volte aggressivo. Dobbiamo anche interrogarci sulla forma di testimonianza pubblica
della Chiesa in una società che sta diventando
laica. Si tratta di pensare a come la nostra partecipazione alla sacra liturgia può diventare più
spirituale e quindi più accogliente per quanti
sono in ricerca o interessati alla fede. Molto per
il futuro della Chiesa nel nostro paese sarà determinato dal fatto che tra di noi, e specialmente per i giovani, ci siano cristiani disposti e
capaci di attrarre le persone al Vangelo con mitezza e fiducia».
Di tutto si potrà parlare, anche se il terreno
di gioco presenta in questo preciso frangente
storico dei confini abbastanza chiari, che vengono qui solo allusi: «È naturale che cerchiamo
le risposte alle questioni attuali, sulla base della
rivelazione e dell’insegnamento della Chiesa,
perché è l’unico modo per rimanere nella verità
della nostra fede e nella comunità della Chiesa
mondiale. Questo non ci impedisce di parlare
con responsabilità teologica e spirituale dei problemi seri, ma ci pone dei limiti rispetto a decisioni vincolanti». Intanto il processo è iniziato.
D. S.
1
Cf. Regno-att. 4,2011,82; Regno-doc. 5,2011,181.
Il programma della visita del papa in Germania
dal 22 al 5 settembre è stato reso noto contestualmente a quello del dialogo, il 17 settembre. Prevede
tappe a Berlino, Erfurt (dove avverrà una celebrazione
ecumenica e l’incontro con la comunità evangelica) e
Freiburg (dove il papa incontrerà la comunità ortodossa). Cf. il sito ufficiale www.papst-in-deutschland.de. A Berlino si svolgerà un incontro con il presidente tedesco Christian Wulff.
2
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Francia
Generazione GMG
nale per l’evangelizzazione dei giovani e per
le vocazioni (SNEJV) e da La Croix. L’inchiesta
è stata realizzata nei primi due mesi dell’anno
attraverso un questionario cui hanno risposto oltre 3.200 giovani fra i 16 e i 30 anni. I risultati sono stati pubblicati su La Croix il 23
marzo 2011.
Spiritualità più che valori
È cristiano
chi prega
È
una generazione decisamente “contemplattiva” quella che si appresta a invadere Madrid». Una generazione ancora «legata ai riti e all’insegnamento della
Chiesa»; cristiani impegnati nella vita ecclesiale, aperti al dialogo interreligioso, che abitano una «Chiesa di rete» (Église de réseau) in
cui «la volatilità è divenuta la norma». I loro
modelli? Tutti religiosi: madre Teresa, suor Emmanuelle e Giovanni Paolo II.
Sono questi alcuni dei tratti emersi da
un’inchiesta sui giovani cattolici in Francia
commissionata, a pochi mesi dalla Giornata
mondiale della gioventù, dal Servizio nazio-
Il quadro non è privo di sorprese, anche
se l’inchiesta ha intercettato soprattutto «la
frangia più impegnata dei giovani cattolici» (La
Croix).
Un primo dato rilevante è l’importanza attribuita alla dimensione spirituale e celebrativa, alla messa in particolare. «Questa generazione si definisce per il suo attaccamento
alla spiritualità e ai sacramenti, e non per riferimento a un insieme di valori morali». Il cristiano è soprattutto colui che «prega e pensa
a Dio» (15%), «è battezzato» (15%), «va regolarmente a messa» (11%) e «testimonia la sua
fede» (11%). La partecipazione all’eucaristia è
«essenziale» per il 59% dei giovani intervistati;
«molto importante» o «importante», per un
altro 36%. Oltre il 72% di loro afferma di partecipare all’eucaristia settimanale; il 63% di
pregare quotidianamente e il 24% di leggere
la Bibbia ogni giorno.
La parrocchia resta un luogo «importante»
nella vita di fede (42%), anche se la si riscopre
soprattutto dopo i 25 anni e non di rado in se-
Per voi, un cattolico, è qualcuno che…*
6
Frequenta movimenti cattolici
Va regolarmente a messa
Fa conoscere la fede
Vive l’ideale del Vangelo
S’impegna nei movimenti umanitari o per i diritti umani
Rispetta le raccomandazioni morali della Chiesa
Prega, pensa a Dio
Ha una situazione familiare stabile
Aiuta coloro che sono nel bisogno intorno a lui
È battezzato
Altro
11
11
10
4
9
15
6
10
15
2
* era possibile dare una sola risposta
Chi vi ha trasmesso la fede in Dio?
I miei genitori
I miei nonni
Un prete o un religioso
Gli scout
La cappellania
Un amico
Una nuova comunità
Un altro movimento ecclesiale
Un insegnante cattolico
Un altro membro della mia famiglia
Altro
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guito a un periodo di allontanamento. Il vincolo territoriale, invece, si è molto indebolito;
«molti navigano ormai da una parrocchia all’altra, secondo le loro affinità, le loro attese».
Altra sorpresa è la tenuta delle cappellanie
(istituzioni di pastorale giovanile, frequentate
dal 42% degli intervistati), che venivano considerate in declino. Anche i movimenti scout
si confermano tra i luoghi più importanti di
esperienza della fede. Il 10% dei giovani cattolici frequenta regolarmente un movimento
ecclesiale; il 12% fa parte di una delle «nuove
comunità» di rinnovamento carismatico.
La fede si riceve ancora in famiglia, dai genitori (88%) e dai nonni (40%). I riferimenti per
il cammino successivo, più che gli animatori
delle realtà ecclesiali (10%), sono le figure d’autorità – «un prete» (62%) o «il papa» (53%) –,
oppure gli amici (51%), o i parenti (47%).
Nessuna paura del dialogo
«Avida di pellegrinaggi e di ritiri, questa generazione non è ripiegata su se stessa: una
buona metà dei giovani assume un impegno
nella Chiesa». Non solo. L’impegno sociale più
ampio è considerato «molto importante»
(36%), o «essenziale» (34%). Oltre il 55% è impegnato almeno in un’attività di solidarietà,
«percentuale ben superiore alla media nazionale».
La coerenza tra fede e vita è un’esigenza
molto forte. Il cristiano deve testimoniare la
sua fede nella quotidianità secondo il 91% dei
giovani cattolici. Nessuna paura del confronto
e del dialogo con le altre religioni: oltre l’80% si
dichiara disponibile a dialogare, soprattutto
con l’islam (86%) e l’ebraismo (84%), religioni
con le quali sono cresciuti.
La Chiesa dovrebbe preoccuparsi, a loro
giudizio, di promuovere nella società «lo spazio
della spiritualità» (47%) e di «difendere la vita»
(44%). Un terzo dei giovani la vorrebbe «più
conviviale», un «luogo di maturazione e aiuto
reciproco». Dalla Chiesa si attendono «chiarimenti sui fatti d’attualità e sulle grandi sfide
della società» (33%), «accompagnamento nelle
scelte della vita» (33%), tempi e spazi d’iniziazione alla vita spirituale e alla preghiera (32%).
Poco sentite, invece, alcune richieste ancora molto diffuse nelle generazioni precedenti: appena il 16% ritiene che la Chiesa debba
ammorbidire la rigidità delle sue posizioni di
morale sessuale; la questione dell’ordinazione
degli uomini sposati e delle donne è importante solo per il 13% degli intervistati; stessa
percentuale per la richiesta di un minor peso
della gerarchia nelle decisioni.
Significativo un altro dato. «Il 42% degli intervistati dichiara qualche difficoltà a vivere la
fede nel mondo attuale, segno di uno scarto
sofferto da molti fra i giovani cattolici».
M. B.
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S A N TA S E D E
U
i
na nuova istruzione vaticana fa appello ai vescovi
e ai pastori delle Chiese
locali perché rispondano
generosamente ai cattolici che chiedono la celebrazione della
messa secondo il Messale romano del
1962, comunemente noto come Rito
tridentino. L’istruzione Universae Ecclesiae, resa pubblica il 13 maggio scorso,
dice che i pastori devono approvare tali
messe per gruppi di fedeli, anche nel
caso in cui tali gruppi siano poco numerosi o formati da persone provenienti
da parrocchie o da diocesi differenti.
Questi fedeli non possono, tuttavia, contestare la validità della messa celebrata
secondo il Messale del 1970 o l’autorità
del papa.
Nessun contesti
«Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo
la sua prudenza, lasciandosi guidare da
zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza», si legge al n. 17, § 1.
L’istruzione dice anche che, sulla base
delle esigenze pastorali, i vescovi devono assicurarsi che i seminaristi siano
adeguatamente formati alla celebrazione del Rito tridentino, ovvero della
«forma extraordinaria» della messa. Dal
canto suo, il documento afferma che la
Pontificia commissione Ecclesia Dei
avrà l’incarico di garantire che i responsabili a livello di Chiese locali rendano possibile il vecchio rito, laddove
la richiesta è legittima.
L’istruzione è stata emanata dalla
stessa Pontificia commissione Ecclesia
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Rito tridentino
ndietro a piccoli passi
Istruzione applicativa della Summorum pontificum
Dei e approvata da papa Benedetto
XVI. Giunge a quasi quattro anni di
distanza da quando il papa, con la lettera apostolica Summorum pontificum,
aveva liberalizzato l’uso del Rito tridentino, affermando che tale celebrazione era possibile in ogni parrocchia
in cui un gruppo di fedeli l’avesse richiesta (cf. Regno-doc. 15,2007,457ss).
La nuova istruzione ricorda che la
lettera del papa del 2007 aveva tre finalità principali: offrire il vecchio rito
a tutti i fedeli in quanto «tesoro prezioso da conservare», garantire l’uso
del vecchio rito a «quanti lo domandano» e favorire la riconciliazione
nella Chiesa (cf. n. 8). Dice inoltre che
i vescovi locali hanno la responsabilità
di garantire che, in materia liturgica,
le cose si svolgano nelle loro diocesi in
accordo con la mens espressa dal papa
e «in pace e serenità» (n. 13), il che
comprende l’adozione delle misure
necessarie per garantire il rispetto
della forma extraordinaria del Rito romano (cf. n. 14).
Nella terza parte, «Norme specifiche», l’istruzione si occupa di alcune
questioni sorte allorché alcuni gruppi di
fedeli hanno domandato che in una determinata chiesa fosse programmata la
celebrazione della messa secondo il
vecchio rito.
Prima questione: la lettera del papa
aveva stabilito che poteva legittimamente
richiedere la celebrazione secondo il
Rito tridentino un «coetus fidelium»
(gruppo di fedeli) «stabiliter existens» (esistente in maniera stabile; cf. Summorum
pontificum, art. 5, § 1). Le norme spiegano che tali gruppi possono anche es-
sere «numericamente meno consistenti»
(n. 17, § 2), possono essersi formati dopo
la pubblicazione del motu proprio del
2007 e possono essere costituiti da cattolici che provengano da diverse parrocchie o diocesi che desiderano riunirsi in
una determinata chiesa parrocchiale o
cappella (cf. n. 15).
Seconda questione: nel caso di un
sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale con
alcuni fedeli e intenda celebrare nella
forma extraordinaria, il parroco deve
dargli il permesso (cf. n. 16). Terza questione: le norme precisano che la celebrazione secondo il Rito è possibile
anche nei santuari e nei luoghi di pellegrinaggio per i gruppi di pellegrini
che lo richiedano, se c’è un sacerdote
idoneo (cf. n. 18). Quarta e ultima questione: i fedeli che richiedono la celebrazione secondo il Rito tridentino non
devono sostenere o appartenere a
gruppi che contestano il papa o la validità della messa e dei sacramenti celebrati nella forma ordinaria, dicono le
nuove norme (cf. n. 19). Il direttore
della Sala stampa della Santa Sede, il
gesuita p. Federico Lombardi, ha dichiarato che per come l’istruzione è
scritta è chiaro che «non deve esistere
alcun intento polemico o critico da
parte di coloro che richiedono» la celebrazione della messa nella forma extraordinaria.
La conoscenza del latino
L’istruzione affronta anche la questione di chi può celebrare secondo il Rito
tridentino. La lettera papale del 2007 affermava che i sacerdoti che utilizzano il
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Messale romano del 1962 devono essere
«idonei» a farlo, ma non esplicitava i requisiti. Il nuovo documento dichiara che
ogni sacerdote cattolico che non sia impedito è da ritenersi idoneo a celebrare la
messa nella forma extraordinaria. E aggiunge che è necessaria una conoscenza
basilare del latino, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di
capirne il significato. Quanto alla conoscenza dello svolgimento del rito, precisa
che si presumono idonei i sacerdoti che si
presentano spontaneamente a celebrare
secondo il Rito tridentino, e che l’hanno
già celebrato in precedenza. P. Lombardi
ha dichiarato che imparare o re-imparare
le rubriche del vecchio rito potrebbe essere «impegnativo». Ad esempio, ha aggiunto, «personalmente non avrei problemi rispetto al latino. Ma conoscere
tutte le rubriche che indicano i movimenti e i gesti specifici è qualcosa di molto
più complesso».
L’istruzione stabilisce che la Pontificia
commissione Ecclesia Dei è incaricata di
vigilare sull’osservanza e sull’applicazione
delle disposizioni che permettono l’uso
del vecchio rito (cf. n. 9), e che ha il potere
di decidere dei ricorsi da parte di gruppi
di fedeli «avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’ordinario che sembri contrario» al motu
proprio Summorum pontificum. Le decisioni della Commissione possono, a loro
volta, essere impugnate presso il Supremo
tribunale della Segnatura apostolica (cf. n.
10). Va ricordato che il presidente della
Pontificia commissione Ecclesia Dei è il
card. W.J. Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e
firmatario dell’istruzione.
Da ultimo, l’istruzione contiene alcune altre disposizioni. Un gruppo di
fedeli può celebrare il Triduo pasquale
nella forma extraordinaria se c’è un sacerdote idoneo. Nel rendere a tal fine
disponibile una chiesa o un oratorio, il
pastore locale non deve escludere la
possibilità di celebrare le funzioni del
Triduo nella stessa chiesa, sia nella
forma ordinaria sia nella forma extraordinaria (cf. n. 33). Potranno e dovranno
essere inseriti nel Messale del 1962
nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi;
la normativa in proposito verrà indicata in seguito (cf. n. 25). Ogni sacerdote ha la facoltà di celebrare la messa
secondo il Rito tridentino sine populo,
cioè senza la partecipazione dei fedeli
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(cf. n. 23). Le messe per il conferimento
dell’ordinazione sacerdotale devono
sempre essere celebrate secondo la
forma ordinaria, tranne quando riguardano il ristretto novero degli istituti
religiosi specificamente dedicati alla
forma extraordinaria del Rito romano
(cf. n. 31).
L’istruzione dichiara che l’uso del
Rito tridentino potrebbe comportare
anche delle deroghe rispetto alle norme
liturgiche attualmente in vigore che fossero «incompatibili con le rubriche dei
libri liturgici in vigore nel 1962» (n. 28).
Ma non esplicita di quali deroghe si
parla. Interpellato sulla possibilità che
a una celebrazione del Rito tridentino
prestino servizio come ministranti delle
ragazze, p. Lombardi ha detto che
l’istruzione non si occupa in modo specifico di tale questione.
Koch: riformare la riforma
In merito alla decisione di Benedetto XVI di liberalizzare l’uso del
Messale romano del 1962, il massimo
responsabile vaticano per le relazioni
ecumeniche ha dichiarato che si è trattato solo del primo passo in direzione
di una «riforma della riforma» della liturgia. A lungo termine, l’obiettivo del
papa non è semplicemente permettere
la coesistenza del vecchio e del nuovo
rito, ma andare verso un «rito comune», modellato sulla base del mutuo
arricchimento delle due forme dell’uso
del Rito romano: lo ha affermato il 14
maggio il card. Kurt Koch, presidente
del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Di fatto, il
papa sta promuovendo un nuovo movimento liturgico, ha spiegato il cardinale. Coloro che lo rifiutano, compresi
«molti progressisti» di «rigido conservatismo», considerano erroneamente
il concilio Vaticano II come una rottura con la tradizione liturgica della
Chiesa.
Il card. Koch ha espresso queste osservazioni nel corso di un convegno svoltosi a Roma, presso l’Angelicum, sulla
lettera apostolica Summorum pontificum;
il suo intervento è stato pubblicato il
giorno stesso su L’Osservatore romano.
Egli ha affermato che Benedetto XVI è
dell’avviso che la riforma liturgica postconciliare abbia portato «molti frutti
positivi», ma anche dei problemi, tra cui
quello di essersi troppo soffermati sugli
aspetti puramente pratici e di aver trascurato nella celebrazione eucaristica il
concetto di mistero pasquale. È lecito
chiedersi, a detta del cardinale, se «negli
sviluppi liturgici del dopo Concilio si sia
andati intenzionalmente oltre» le affermazioni della costituzione sulla sacra liturgia.
Ciò spiega, secondo il card. Koch,
perché Benedetto XVI ha avviato con
la Summorum pontificum un nuovo movimento di riforma, il cui scopo è rivisitare l’insegnamento liturgico del
Vaticano II e rafforzarne determinati
elementi, tra cui la dimensione cristologica e sacrificale della messa. «Di
questo nuovo movimento liturgico il
motu proprio costituisce solo l’inizio»,
ha proseguito Koch. «Benedetto XVI
infatti sa bene che, a lungo termine,
non possiamo fermarci a una coesistenza tra la forma ordinaria e la forma
straordinaria del Rito romano, ma che
la Chiesa avrà nuovamente bisogno nel
futuro di un rito comune. Tuttavia, poiché una nuova riforma liturgica non
può essere decisa a tavolino, ma richiede un processo di crescita e di purificazione, il papa per il momento
sottolinea soprattutto che le due forme
dell’uso del Rito romano possono e devono arricchirsi a vicenda».
Il card. Koch ha concluso che coloro che «rifiutano il postulato» di un
nuovo movimento liturgico e lo vedono come «un passo indietro rispetto
al Vaticano II» mancano di una retta
concezione dei cambiamenti liturgici
postconciliari. Come ha sottolineato il
papa, il Vaticano II non ha rappresentato una discontinuità o una rottura con la Tradizione ma è parte di
«un processo organico di crescita».
L’ultimo giorno del convegno, domenica 15 maggio, i partecipanti hanno
assistito a una messa nella basilica di
San Pietro presieduta dal card. W.
Brandmüller. La celebrazione, secondo la forma extraordinaria del Rito
romano, si è svolta, per la prima volta
da parecchi decenni, all’Altare della
Cattedra.
John Thavis*
*
Questo articolo è la traduzione dall’inglese
di due «Top Stories» che l’autore, capo della redazione romana del Catholic News Service, ha
pubblicato sul sito web della sua agenzia
(www.catholicnews.com) il 13 e 16 maggio scorsi.
Lo pubblichiamo con il suo cordiale consenso.
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Gruppo di Dombes
ECUMENISMO
v
oi dunque pregate così
Il Padre nostro per la conver sione delle Chiese
R
itrovarsi così dopo 400
anni»: fu la cartolina entusiasta che l’abate Remilieux spedì all’amico Couturier, anch’egli abate,
nella Pasqua del 1937, comunicando di
aver partecipato a un ritiro della Fraternità ecumenica San Giovanni fondata vicino a Berna dal pastore Richard Baümlin. Fu il punto di partenza di avanguardie
cattoliche e protestanti destinate a costituire il futuro Gruppo di Dombes. I protagonisti originari di quell’iniziativa così
dirompente non ci sono più,1 ma la barra
del timone del Gruppo, che nel corso dei
decenni si è sempre più consolidato, è rimasta costantemente indirizzata verso
una scelta di fondo, radicalmente vissuta
prima ancora che intellettualmente elaborata: l’importanza primaria data alla
preghiera. Fin dall’inizio, dunque, «quelli»
di Dombes hanno fortemente voluto nella
produzione dei loro documenti una teologia che fosse «tutta intrisa di preghiera».
Inevitabile che il gruppo affrontasse,
quando i tempi teologici, la sensibilità spirituale, il momento propizio lo avessero
permesso, una meditazione sulla preghiera per eccellenza di tutta l’ecumene
cristiana: il Padre nostro.2
Il verbo greco oikeo significa – com’è
noto – «abitare», e nella cultura greca antica il termine «ecumene» stava a indicare
quella parte del mondo conosciuto di allora che era abitata, in contrapposizione ai
territori spopolati. Successivamente, con
l’ellenismo, assunse uno spessore politico:
ecumene significò anche quella parte di
mondo sottoposto alla cultura ellenistica.
Con la fine dell’Impero romano prima e
successivamente di quello bizantino, il ter-
mine traslò il significato politico su quello
ecclesiastico, indicando la Chiesa nella sua
universalità. La divisione del corpo ecclesiale di Cristo, pertanto, è divenuta rovinosa contrapposizione frontale alla volontà di Dio: «Cristo è forse diviso?» (1Cor
1,13).
Le tre identità
Con «Voi dunque, pregate così». Il Padre nostro, uscito in Francia da pochi giorni
e di prossima pubblicazione su Regno-doc.,
il Gruppo di Dombes ha tentato, fedele al
suo metodo, di rispondere a tale interrogativo che l’Apostolo delle genti, san Paolo,
pone ai cristiani di ogni epoca.
Il cristiano, infatti, nel recitare l’orazione stabilisce una relazione con il Padre:
tale relazione a seconda della prospettiva
che si adotta determina, conseguentemente, un certo modo di relazionarsi con
il proprio fratello, il «totalmente Altro» assume il volto dell’altro, come insegnano i
discepoli di Emmaus (cf. Lc 24). Di fatto in
una preghiera come quella del Padre nostro la forza, la potenza contenuta in Abbà
ha causato nelle diverse denominazioni
ecclesiastiche una certa paura di vedere intaccati consolidati patrimoni spirituali e
istituzionali. Seguendo il suo metodo, vale
a dire privilegiare il cuore vivente della
fede cristiana e interpretare la dottrina
presa nel suo insieme a partire da questo
cuore – che altro non è se non la persona
di Cristo, la Parola vivente –, nel corso degli ultimi cinque anni il Gruppo di Dombes ha elaborato un documento che si
snoda in quattro parti con una meditazione ecumenica finale. Quest’ultima sviluppa le formule del Padre nostro e una
preghiera più breve che si propone di uti-
lizzare in occasioni di celebrazioni comuni.
Nella prima parte si affronta la problematica e il contesto di come è vissuta la
preghiera domenicale nella vita contemporanea delle Chiese e della nostra società. Due sono le traiettorie che vengono
individuate: da un lato l’importanza per le
Chiese di convertirsi in vista della piena comunione; dall’altro, nella situazione attuale, l’urgenza di interrogarsi sul Padre
nostro prendendo atto dell’avvenuta sua
confisca da parte sia protestante sia cattolica nel fuoco della controversia dottrinale
e teologica. Richiamandosi al precedente
documento Per la conversione delle Chiese,
il Gruppo di Dombes ha riflettuto sul
punto fondamentale del rapporto tra identità e conversione.
Tre sono le identità, tra loro compenetranti, distintamente prese in esame: cristiana, ecclesiale e confessionale. A tale
«tridente» sono correlate altrettante conversioni. La conversione, infatti, è «costitutiva di un’identità che vuole restare viva
e del tutto fedele a se stessa». Acutamente
il Gruppo rileva in questa prima parte che
l’identità cristiana e l’identità ecclesiale
concernono la medesima realtà quotidiana, che deve essere intesa primariamente come confessione di fede esistenziale in Cristo, inscritta nell’accettazione
della fede trinitaria che la Chiesa professa
al momento del sacramento del battesimo.
Emerge in tale contesto il problema
ecumenico vissuto dalle varie denominazioni cristiane che, di fatto, non hanno la
stessa opinione in merito a chi appartenga
alla piena identità cristiana. Inoltre, in
questa odierna fase storica, la singola persona credente, se riconosce per sé un’iden-
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OECUMENICA
Dieci anni: si riparte
A
ll’anno 2001 e ora anche al 2011 è universalmente riconosciuta
una valenza periodizzante nelle relazioni internazionali a livello politico e intrareligioso. Su una dimensione molto meno
conosciuta e dall’impatto mediatico ben diverso, si potrebbe dire nota
solo negli ambienti che promuovono il processo di riunificazione delle
Chiese cristiane, il periodo 2001-2011 corrisponde anche al primo decennio di vita della Charta oecumenica, e la coincidenza deve essere
rimarcata.
Linee guida per collaborare
Il documento firmato il 22 aprile 2001 a Strasburgo dai presidenti
dei più rappresentativi consigli di vescovi europei, cioè il card. Miloslav Vlk per il Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE,
vescovi cattolici) e il metropolita Jérémie Kaligiorgis per la Conferenza
delle Chiese europee (KEK, vescovi protestanti e ortodossi), si definiva
come un’«auto-obbligazione», stabiliva un «impegno comune al dialogo e alla collaborazione» tra le Chiese e le organizzazioni ecumeniche europee, descriveva i compiti fondamentali e ne faceva derivare
una serie di linee guida e di impegni rispetto a tutti gli ambiti riconosciuti come vitali per la Chiesa nel continente.1 Essi erano identificati
nell’unità visibile delle Chiese in Europa, nella preghiera comune, nel
contributo a plasmare l’unificazione politica del continente, nella riconciliazione delle culture, nella salvaguardia del creato, nell’appro-
tità cristiana, al tempo stesso fa fatica a inquadrarla in un’identità ecclesiale che necessariamente rimanda a una storia, a una
tradizione. Alle tre identità sopracitate corrispondono tre conversioni: quella cristiana (cf. Mc 1,15), che è un’interminabile
lotta con se stessi; quella ecclesiale, che ha
lo stesso contenuto della precedente e riguarda i membri della Chiesa presi a titolo
collettivo e istituzionale, i quali devono
dare testimonianza di saper accogliere
l’Evangelo; e infine quella confessionale,
che deve saper discernere evangelicamente
in se stessa ciò che è servizio da ciò che è
carenza, dimensione di peccato alla luce
dei valori di cui sono portatrici le altre
identità confessionali. In proposito, il
Gruppo propone una sostanziale rivoluzione: rovesciare l’ordine delle identità (cristiana, ecclesiale, confessionale), in modo
che la preghiera insegnata da Gesù possa
fare evitare alle Chiese di assolutizzare la
propria confessionalità e, al contempo,
dare priorità assoluta all’identità cristiana
in vista di una riconciliazione tra esse.
Contiene tut to il Vangelo
La seconda parte traccia una «diagnosi storica» che mette in evidenza l’uso
e la comprensione del Padre nostro nel
corso dei secoli. È la parte decisamente più
lunga del documento, ma utilissima per
l’anamnesi che rappresenta. Centrale
come snodo per i successivi sviluppi è l’interpretazione del Padre nostro data da san
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fondimento della comunione con l’ebraismo, nella cura delle relazioni con
l’islam e nell’incontro con altre religioni e visioni del mondo. Anche solo
l’agenda degli ambiti d’impegno fa percepire come la consapevolezza delle
Chiese cristiane nell’aprile 2001 fosse lucida rispetto alle urgenze che gli
eventi del decennio successivo avrebbero drammaticamente rivelato.
La ricorrenza del decimo anniversario dalla firma ha dato alle stesse
organizzazioni firmatarie e a molte altre istanze coinvolte nella recezione
del documento l’occasione per trarre un bilancio del cammino percorso
dalla Charta, per delineare le sfide che come cristiani in Europa abbiamo
davanti e per rinnovare l’impegno a percorrere la strada insieme, possibilmente sempre più vicini.
I passi compiuti, la strada che rimane
Il giorno di Pasqua, 24 aprile, la Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Conferenza episcopale italiana (CEI), la Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia e Malta e la Federazione della Chiese evangeliche
in Italia (FCEI) hanno rivolto un messaggio ai cristiani del nostro paese,2 in
cui riaffermano «l’urgenza della riconciliazione e della realizzazione dell’unità visibile tra le Chiese, poiché è un reale riavvicinamento tra i popoli,
e dunque tra le comunità religiose, la vera garanzia della pace e la risposta
più efficace alla violenza e alla guerra». E identificano le «nuove sfide» che
oggi in Europa e in Italia chiedono «maggiore sintonia e maggiore unità»: la
globalizzazione, le migrazioni internazionali, la costruzione di una casa co-
Tommaso d’Aquino che, a sua volta, fa
spesso riferimento al commento di sant’Agostino. Quest’ultimo, infatti, mette in
rapporto tra loro le domande dell’orazione domenicale con i doni dello Spirito
Santo e con le Beatitudini. L’Aquinate
nella sua disamina coglie, soprattutto, il legame che si stabilisce tra l’orazione domenicale e la virtù cardinale della speranza.
Tre secoli dopo, nel Cinquecento, il
monaco agostiniano Martin Lutero, che
diede inizio alla Riforma protestante convinto di restaurare l’originario messaggio
cattolico, dà del Padre nostro un’interpretazione la quale, sebbene sia in linea con la
tradizione agostiniana, polemizza contro
un’abitudine tutta medievale di meditare
la preghiera partendo dalla domanda finale «Libera nos a malo». Per il grande riformatore, viceversa, bisogna seguire l’ordine stesso della preghiera, che possiede
uno spessore pedagogico: Dio è Padre, è
nostro Padre, tutto il resto è una logica
conseguenza. Merita, forse, ricordare che
il censore cattolico dell’Inquisizione veneta nella prima metà del XVI secolo, al
quale fu sottoposto anonimo Il Padre nostro spiegato ai semplici laici di Lutero,
quando ebbe finito di leggerlo esclamò:
«Beate le mani che hanno scritto queste
cose, beati gli occhi che le vedono, beati i
cuori che credono a questo libro e così
gridano a Dio».
Il Dio Padre, per l’agostiniano di Wittenberg, è tale perché è il suo essere, non
per un qualsivoglia titolo: egli resta Padre
in tutte le circostanze e la sua giustizia non
è quella di un giudice severo e spietato: la
sua paternità si mostra nel Figlio «che rivela l’essere del Padre e che si fa fratello degli uomini». Solus Christus, sola gratia,
dunque, ma anche sola fide, sola Scriptura
che con le prime due costituiscono l’intelaiatura nella quale si colloca la giustificazione per fede: tra «Padre» e «nostro», infatti, si concentra tutto l’Evangelo. Lutero
a conclusione del suo commento alla preghiera afferma che quest’ultima non è una
preghiera naturale, ma può essere pronunciata solo dopo una metanoia interiore, un ravvedimento totale che porta a
vedere in Dio il Padre che ama in maniera
incondizionata, immeritata e gratuita:
«Non la penitenza conduce alla filiazione,
ma la grazia immeritata della filiazione
per mezzo di Cristo apre alla vera penitenza».
Successivamente l’altro grande riformatore, Giovanni Calvino, nel terzo libro
della sua Istituzione della religione cristiana,
in modo significativo sottolinea che il Pater noster presuppone la fede e quando gli
uomini immersi nel peccato si volgono a
Dio non possono che fare affidamento
nient’altro che allo Spirito Santo, l’unico in
grado da far loro da guida. Sempre Calvino insiste sulla portata ecclesiale delle
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mune europea, l’annuncio del Vangelo in uno scenario «nuovo, plurale, attraversato da conflitti e insieme carico di attese, che è di nuovo “terra di
missione”», in un momento in cui quelle che Giorgio La Pira chiamava «tensioni unitive» sembrano in crisi («basti pensare all’unione dell’Europa, ma
anche all’unità delle Chiese»).
Un panorama per molti aspetti diverso e nuovo richiede un rinnovato
impegno: «L’unità delle Chiese è dono di Dio. Siamo dunque chiamati a pregare e a vegliare nell’attesa del suo compimento. Le difficoltà del presente
non debbono indurci alla rassegnazione o al pessimismo, che si rivelerebbero mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo. La Charta oecumenica rappresenta una bussola in un tempo in cui “la parola del Signore
è rara e le visioni non sono frequenti” (cf. 1Sam 3,1), è un programma ancora
valido che può orientare il nostro impegno comune e la nostra attesa».
L’anniversario è stato celebrato anche dal CCEE e dalla KEK nel corso
di un seminario appositamente organizzato dall’Istituto ecumenico dell’Università di Friburgo (Svizzera) il 9 maggio,3 che ha voluto verificare quale
sia stata in questi anni la recezione del documento nelle Chiese locali e se
sia necessario portarvi aggiornamenti o correzioni. I rappresentanti delle
Chiese europee hanno voluto in tale circostanza rinnovare la propria «autoobbligazione», rilevando tra l’altro che la penetrazione della Charta oecumenica nel tessuto istituzionale ecclesiale e sociale europeo è tale da
ritrovarla anche citata in documenti di istituzioni laiche, come testimonia
il frequente ricorso a essa da parte dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nel suo rapporto del 25 marzo 2011 su La dimensione religiosa del dialogo interculturale.
ultime tre domande della preghiera, proprio perché gli sta a cuore la «comunione
dei fedeli».
A tale offensiva di un nuovo tipo di cristianesimo, di un nuovo modo di essere cristiani organizzati in nuovi modelli di
Chiesa, la Riforma cattolica rispose traendo in parte beneficio da quel ritorno
alle fonti che contraddistinse l’umanesimo
rinascimentale. Fu il teologo Roberto Bellarmino a offrire il testo più interessante a
commento della preghiera domenicale:
egli, difatti, riconosce che gli uomini sono
tutti peccatori e che devono chiedere perdono delle loro colpe (anche per i peccati
«veniali») avendo nell’animo di rimettere
le stesse colpe ai nostri debitori «per attestare che la misericordia ci piace assai e
che riteniamo davvero ammirevole rimettere le offese». I successivi secoli videro le
confessioni cristallizzarsi in una sterile
guerra di posizione dai toni sempre più accesi: in tale contrapposizione i catechismi,
protestanti e cattolici, furono gli strumenti
di propaganda più usati.
Figli di uno stesso Padre
La terza parte, più specificatamente
biblica, illustra le radici ebraiche della preghiera. Quella di Gesù è essenzialmente
una preghiera ebraica, e questo si deduce
sia dal testo di Matteo sia da quello di
Luca, pur nelle loro differenze. Diversamente dalla tradizione ebraica, la paternità di Dio si scopre per mezzo di Gesù,
La caratteristica saliente riconosciuta alla Charta è stata quella
di aver indicato il modello della collaborazione interecclesiale alle
nuove generazioni (Kaligiorgis) al livello «di base» delle persone e delle
comunità locali (Duarte da Cunha), la «guida per una cultura ecumenica» (Ionita). Il vescovo di Nanterre mons. Daucourt ha segnalato
come, di fronte al riproporsi di correnti anti-ecumeniche in seno al
cattolicesimo e all’ortodossia, vada respinta la tentazione dell’autosufficienza confessionale e rinnovata l’auto-obbligazione a un «amore
a lungo termine» allargato all’Europa attraverso l’impegno politico e
sociale.
D. S.
1
Il testo della Charta oecumenica è reperibile su Regno-doc. 9,2001,315;
un’analisi su Regno-att. 10,2001,313.
2
Reperibile sul sito della CEI www.chiesacattolica.it nella sezione dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, è firmata da
mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia e presidente della Commissione
episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, dal metropolita Gennadios Zervos, arcivescovo ortodosso d’Italia e di Malta ed esarca per l’Europa
meridionale, e da Massimo Aquilante, presidente della FCEI.
3
Con la partecipazione dei segretari generali p. Duarte da Cunha (CCEE)
e prof. Viorel Ionita (KEK), e tra i relatori il vescovo di Nanterre (Francia) mons.
Gérard Daucourt e il pastore Daniel de Roche, presidente del Consiglio sinodale del Cantone di Friburgo.
4
Cf. ASSEMBLEA PARLAMENTARE DEL CONSIGLIO D’EUROPA - COMITATO SU CULTURA,
SCIENZA ED EDUCAZIONE, The religious dimension of intercultural dialogue, doc.
12553, nn. 93, 94, 99.
che prega a sua volta Dio come Padre suo
e lo rappresenta a noi esseri umani in
quanto suo Figlio.
L’ultima parte, la quarta, enuclea i
«fondamentali» del Padre nostro: affermare Dio come Padre significa innanzitutto che ci dichiariamo esseri finiti, non
avendo in noi stessi né la nostra origine, né
la nostra fine. Al contrario la nostra esistenza, la nostra stessa identità acquisiscono consistenza solo in un contesto di relazione: la relazione, appunto, è costitutiva
della nostra identità umana e cristiana.
Nella Prima lettera di Giovanni possiamo
leggere: «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato
ancora rivelato» (1Gv 3,2); il Gruppo di
Dombes, forte di questa tensione escatologica, da recuperare come cristiani che si
vogliono figli di uno stesso Padre, rilegge i
«fondamentali» quali «il Regno», «il
pane», «il perdono», «le prove» come attestazione di questa filiazione già messa in
luce dallo stesso Lutero per il quale, come
sottolinea nel suo commento, Dio è Padre
una volta per tutte adottandoci nel suo Figlio unico in una filiazione che niente può
distruggere.
Invero le sfide ecumeniche, e questo
documento ne è una straordinaria testimonianza, hanno senso solo se la preghiera insegnata da Gesù Cristo viene vista per quello che effettivamente è: un
dono gratuitamente ricevuto a cui le dos-
sologie ecclesiali, cattoliche o protestanti
che siano, dovranno un giorno, finalmente
riconciliate, rispondere all’unisono per il
volere dello Spirito Santo «perché tuo è il
Regno, la potenza e la gloria nei secoli dei
secoli, amen». Tale è la lode a Dio, che si
pone come alfa e omega per tutte le realtà
ecclesiali in vista dell’unità visibile dell’unica Chiesa.
Domenico Segna
1
Il Gruppo di Dombes attualmente è composto da: J.-N. Aletti, F. Altermath, H.-C. Askani,
C. Baccuet, Y.-M. Blanchard, E. Boone, D. Cerbelaud, M. Chambron, J.-F. Chiron (co-presidente
cattolico), G. Daudé, J.-P. Delville, M. Deneken, C.
Ducarroz, F. Durand, J. Famerée, M. Fedou, F.
Fleinert-Jensen, P. Gay, A.-C. Graber, G. Hammann, N. Kirchner, M. Kubler, G. Lasserre, P. Lathuilière, F. Lemaitre, J.-B. Lipp, M. Mallèvre, A.
Massini, C. Meroz, W.-R. Nussbaum, E. Parmentier, J.-N. Pérès, A.-M. Petitjean, A.-M. Reijnen, P.
Remise, L.-M. Renier, A. Reymond, J. Tartier (copresidente protestante), D. Vatinel, L. Villemin, E.
Vion, M. Wirz.
2
Queste le opere tradotte in italiano: Verso una
stessa fede eucaristica? Accordo tra cattolici e protestanti, AVE, Roma 1973; «Il ministero episcopale»,
in Regno-doc. 5,1977,110; «Lo Spirito Santo, la
Chiesa e i sacramenti», in Regno-doc. 7,1980,179; «Il
ministero di comunione nella Chiesa universale», in
Regno-doc. 5,1986,173; Per la conversione delle Chiese.
Identità e cambiamento nella dinamica di comunione,
EDB, Bologna 1991; «Maria nel disegno di Dio e
nella comunione dei santi», in Regno-doc. 3,1998,95
e 5,1998,183; Un solo maestro. L’autorità dottrinale
nella Chiesa, EDB, Bologna 2006. «Voi dunque, pregate così». Il Padre nostro sarà pubblicato prossimamente in italiano su Regno-doc. e uscirà in volume
per i tipi delle EDB.
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Te o l o g i a
TRIVENETO
u
mano spirituale
L’ u o m o o c c i d e n t a l e
tra narcisismo e ricerca di Dio
S
i è tenuto lo scorso 6 maggio, a
Padova, il quinto convegno annuale della Facoltà teologica
del Triveneto,1 un’intera giornata di approfondimento sui
temi della domanda di spiritualità e del ritorno del sacro nell’Occidente secolarizzato.
Dopo il saluto del preside, don Andrea
Toniolo, e l’introduzione di p. Luciano Bertazzo, i lavori sono proseguiti con l’ascolto
e il dibattito sulle relazioni affidate al filosofo Pietro Barcellona e al teologo e monaco benedettino Ghislain Lafont.
In conclusione di giornata, p. Bruno
Secondin ha offerto alcune «intuizioni e
orizzonti da esplorare e verificare» per un
nuovo paradigma di spiritualità (cf. Regnoatt. 22,2010,743s). Spunti raccolti, secondo
il titolo della sua relazione, «tra ferite e feritoie», negli interstizi della storia recente e
lungo i sentieri simbolici ed evocativi del
linguaggio biblico.
Una domanda da decifrare
Anzitutto, il tema e il titolo: «Cercatori
di Dio? Tra sacro e spiritualità». A partire
dalla dimensione del «cercare», si è scelto di
interrogarsi e interrogare la crescente domanda di sacro e di spiritualità che abita
inattesa la nostra cultura secolarizzata. Un
tentativo di definirne i contorni a partire da
«un onesto ascoltare e leggere» il presente.
La scelta è una conferma – come ha evidenziato il preside – dell’intenzionalità
«pratica» che anima il progetto della Facoltà, in cui la riflessione teologica viene
portata avanti in dialogo con le sollecitazioni e le domande che emergono nell’esperienza pastorale.
Due gli ambiti tematici del convegno:
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la «ricerca», da un lato, quale «categoria
antropologica potenzialmente in grado di
far passare dalla dimensione “psichica” a
quella “pneumatica”», dimensione oscillante «tra il quaerere dell’esperienza biblica
e le sperimentazioni letterarie ed esistenziali della recherche di proustiana memoria»; e la ritornante domanda di sacro e
spiritualità, dall’altro, due dimensioni che
«possono intrecciarsi senza necessariamente corrispondersi, spesso ambivalenti
in una polisemia di significati» (Bertazzo).
Il sacro, che la sociologia degli anni Sessanta definiva una «realtà inversamente
proporzionale al processo di secolarizzazione», ha conosciuto invece un imprevisto
ritorno, soprattutto come «diffuso bisogno
di senso, di un significato capace di tenere
in unità percorsi esistenziali spesso frammentati e incoerenti». La stessa domanda
di spiritualità si è diffusa al punto da divenire un fenomeno sociologicamente interessante. «Una domanda presente, anche
se spesso narcisisticamente orientata quale
ricerca di senso, in un moltiplicarsi di opzioni religiose costruite sul criterio del faida-te. Un grande puzzle in continua
evoluzione. Un orizzonte frammentato che
riflette la frammentazione dell’individuo»
(Bertazzo). Un panorama magmatico e da
decifrare.
Il «complesso e complicato fenomeno
dei “cercatori di Dio”» – conferma Secondin – non si lascia «forzare dentro schemi
stretti di interpretazione». Pur dovendo riconoscere «vere scenografie posticce di certezze senza verità» mescolate a «una
nostalgia di trascendenza» che va riemergendo, il fenomeno appare oggi «la smentita più evidente del mito della secolarizzazione»: di fatto nell’Occidente secola-
rizzato «non si è verificato il previsto tramonto del sacro e della religione». Un dato
però è certo. «In questa pleiade di cercatori
di Dio, (…) Dio spesso cessa di essere Dio,
per diventare un gingillo per la propria
ansia o la propria euforia, risposta gratificante e rassicurante come gli idoli su cui
ironizzavano i profeti».
«Disperazione»,
limite e trascendenza
A Pietro Barcellona era affidato il compito di indagare il quadro culturale per riferimento agli ambiti tematici del convegno.
Due gli elementi messi in evidenza
nella sua relazione. Da un lato il clima spirituale dominato da un «pensiero dichiaratamente ateo» nel quale molti scienziati e
filosofi analitici sono intenzionati a «demolire ogni idea religiosa come pericolosa illusione». Dall’altro i fatti di cronaca, che
registrano una «reiterazione frequente di
atti di violenza distruttiva» fine a se stessa,
compiuti soprattutto da giovani con «ferocia inaudita». Lascia sgomenti, quasi sempre, «l’assenza di ogni segno di pentimento
e di rimorso e l’assoluta indisponibilità alla
confessione del presunto delitto», segno evidente di un’atrofia della coscienza morale
che acconsente alla «banalità del male».
Barcellona ha proposto la sua tesi: la rimozione dell’esperienza del limite, in particolare del «limite» che è proprio del
rapporto tra umano e divino, ha provocato
la «scomparsa dal senso comune delle idee
di trasgressione e di colpa insieme a quelle
di libertà e responsabilità». La «dilatazione
senza precedenti della volontà di potenza,
rappresentata dall’apparato tecnico-economico», avrebbe come conseguenza il
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venir meno «dell’idea del male, delle forze
distruttive e luciferine che sono all’opera
nella condizione umana».
Quale «terapia» è possibile? Il recupero
dell’esperienza, oggi negata, della «grande
disperazione». Essa potrebbe, «se trasformata nella ricerca di una relazione di senso
nel rapporto con un’altra persona», divenire salvezza in un contesto in cui l’esperienza del dolore, il confronto col limite e la
morte, sono di fatto rifiutati e con essi è sottratta ai giovani l’esperienza del dover «ricercare» una via d’uscita alla tragicità
dell’esistenza. La «Disperazione» – che ha
a che fare col «male di vivere», con la perdita di senso che deriva dalla distruzione
del sacro tradizionale – «non può infatti essere affrontata se non attraverso le parole
che ne rendono possibile la rappresentazione e la trasformazione in un discorso comune». Paradossalmente, ha concluso
Barcellona, «senza la disperazione non è
neppure possibile sperare». E senza speranza nessuna ricerca nell’orizzonte della
trascendenza è immaginabile.
Dio si fa ascoltare
In un contesto come quello odierno,
«così ricco di sensibilità affettiva e immaginativa», una proposta di spiritualità deve
«puntare non sul linguaggio astratto e razionalista, ma su forme, simboli e immagini, stili che lascino trasparire risposte e
modelli che impattino la vita quotidiana e
le domande non tematizzate, ma esistenti»
(Secondin).
Nessun punto di partenza pare dunque
più indicato della Scrittura. Sia perché,
come è stato più volte ribadito durante i lavori, la Scrittura è la parola fondativa dell’esperienza spirituale cristiana; sia perché il
linguaggio biblico è «un linguaggio non
immediatamente razionale, che conosce
stili diversi e non si rivolge alla sola intelligenza, bensì a tutte le capacità dell’uomo
di fronte a una parola: sensibilità, immaginazione, emozioni…» (Lafont).
Qual è «il punto di partenza autentico
di un cammino verso Dio?», si è domandato il teologo benedettino. La sua risposta
ha riecheggiato l’antica sapienza monastica: l’ascolto. «Ascolto, forse Lui è», come
sostegno indubitabile da sostituire al cartesiano «Cogito, ergo sum». Lafont legge infatti nell’incapacità dell’orecchio «di chiudere se stesso» una necessità fisica dal valore
«forse di segno, quasi di sacramento». Essa
indica che «fra tutti gli apporti che vengono
da fuori uno solo è necessario, ineludibile»
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e che «l’accesso primitivo al reale sarebbe
l’ascolto». Se questo è vero per la vita fisica,
ha proseguito, lo è altrettanto per la vita spirituale. Al cuore di ogni autentica ricerca di
Dio non può che stare l’ascolto, affermazione su cui converge tutta la tradizione
ebraico-cristiana, tradizione dello «shemà/
akouein» e del Verbo fatto carne.
Il teologo francese ha poi segnalato tre
«luoghi essenziali nei quali Dio si fa sentire»: la liturgia, la Scrittura e la carità fraterna. Se questi «tre poli» vengono pazientemente messi in opera, fanno nascere
nell’uomo «un’esperienza: quella del Dio
di Gesù Cristo». Creano «un certo senso di
Dio, una traccia della sua presenza, che di
nuovo si esprime col linguaggio dei sensi
divenuti spirituali: una voce interiore, un
sapore duttile, una traccia per l’occhio,
una mitezza che penetra il tatto...». Impressioni fugaci che non devono essere
trattenute e che educano a «perseverare in
una ricerca che non sarà mai un “afferrare
Dio”». I tre poli della ricerca, «insieme all’esperienza mistica a loro unita, creano il
clima spirituale autentico nel quale diventa possibile accogliere di nuovo le interrogazioni moderne (…) e riscoprire il
volto di Dio», anche in quegli spazi della
nostra cultura «dove egli sembra non esserci più».
Quattro icone e un paradigma
Avvertendo la necessità che la proposta
di un nuovo modello di spiritualità «risvegli l’immaginazione di un’esistenza diversa», Secondin si è affidato all’immaginario simbolico del linguaggio biblico
proponendo quattro icone da cui ricavare
alcuni «parametri di un nuovo stile di spiritualità»: i due racconti marciani di guarigione di un cieco – a Betsaida (Mc 8,22-26)
e a Gerico (Mc 10,46-52) –; la fondazione
della comunità di Antiochia (At 11,19-26);
e la predicazione di Paolo a Filippi (At
16,11-15).
Il primo racconto è icona della capacità di risanare anche le situazioni più passive. I percorsi di spiritualità vanno
accompagnati da una «fruizione passiva,
devota, ma anche anonima» verso l’autonomia e «l’identità assunta, difesa e gestita
con coscienza avvertita». L’accompagnamento dovrà avere un carattere «euristico e
interrogativo, stimolando una risposta che
non proceda per concetti, ma ancora per
immagini e simboli in vista di un’identificazione realista e personalizzata di sé e
degli altri». Gruppi e movimenti sono oggi
in grado di risvegliare e rispettare questo
tipo ricerca? Il rischio, a suo giudizio non
assente, è la ripetizione di processi gnostici,
esoterici, settari.
La seconda icona, un cieco intraprendente liberato in un dialogo di guarigione,
lascia trasparire alcuni atteggiamenti: uno
«spirito di intraprendenza e audacia»; l’obbedienza alla «forza sovversiva» del povero che grida; l’ascolto del «grido di implorazione che ci circonda, per imparare
non solo a rispettarlo, ma a trasformarlo in
risorsa di guarigione e liberazione». Siamo
di fronte non a un semplice miracolo, ma
a un dialogo che fa prendere coscienza di
ciò che guarisce: il cieco deve narrarsi per
«mettere a nudo le proprie ferite»; e in
quella narrazione può accogliere la sua dignità, restituita «nell’atto ospitale che lascia
intravedere un nuovo ordine di giustizia».
L’icona di Antiochia tratteggia una
spiritualità di frontiera, «aperta alla diversità culturale e religiosa». In seno a
una comunità minacciata dalla «chiusura
culturale, dalla mancanza d’iniziativa e
dalla ripetizione di un modello conosciuto» e rassicurante, l’esistenza di sensibilità ed esperienze culturali diverse
consente ad alcuni di osare oltre frontiera:
«“Parlare anche ai Greci, annunciando
che Gesù è il Signore”». Barnaba, inviato
da Gerusalemme per vigilare e accompagnare, «non giudica per sentito dire;
giunge sul posto, “vede la grazia” e si apre
con gioia alla novità incontrata. Anzi, si
mette al servizio della novità con tutta la
sua autorità». Siamo chiamati a un discernimento collettivo degli scenari contemporanei per cogliervi l’opera di Dio
attraverso e oltre i confini dei modelli consolidati; ad «abitare le frontiere per dire
l’inedito»; a osare nuovi linguaggi elaborando categorie paradigmatiche in forma
metaforica.
Infine la predicazione di Filippi, icona
di «una spiritualità ecologica e femminista». Una predicazione «fuori della porta
della città, vicino al fiume, la presenza di
sole donne in mezzo alle quali sta Paolo, seduto a parlare familiarmente». Paradigma,
questa icona, di nuovi modelli di percorso
verso una fede piena: «A partire dall’incertezza e ricerca degli stessi annunciatori,
passando per l’incompiutezza assetata dei
timorati di Dio, per la mediazione della natura e delle abitudini religiose vaghe, lasciando a Dio il protagonismo di un’adesione totale di cuore e stile di vita. A cui
Lidia, timorata di Dio, risponde con stile di
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donna e con le risorse tipiche di cui la
donna dispone per rispondere, fino a una
maternità accogliente e alla casa ricca di
ospitalità disarmata, ma preziosa».
Marco Bernardoni
1
Il convegno prevedeva tre relazioni nella mattinata: l’introduzione di p. Luciano Bertazzo ofm
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conv, vicedirettore del ciclo di licenza, e due relazioni
sui nodi tematici del convegno: «La ricerca di Dio e
la “crisi globale”» del filosofo Pietro Barcellona, docente emerito di Filosofia del diritto presso la Facoltà
di giurisprudenza dell’Università di Catania; «La ricerca di Dio oggi: una lettura teologico-spirituale» del
teologo Ghislain Lafont, docente emerito presso diverse Facoltà pontificie a Roma. Nel pomeriggio, per
il terzo anno consecutivo, sono stati attivati dei «laboratori» tematici pensati come luoghi di espressione
e confronto in cui discutere e ampliare le suggestioni
offerte dalle relazioni. I lavori si sono chiusi, in serata,
con una relazione di p. Bruno Secondin, carmelitano,
docente di Teologia spirituale alla Pontificia università
gregoriana e alla Facoltà teologica del Triveneto, intitolata: «Tra ferite e feritoie. Verso un nuovo paradigma di spiritualità». Negli anni scorsi i convegni
annuali erano stati dedicati ai temi de «Il counseling
tra psicologia e pastorale» (2007); le «Nuove prospettive sullo sviluppo a 40 anni dalla Populorum progressio» (2008); «La catechesi» (2009); «La questione
educativa e la crisi di trasmissione della fede» (2010).
parire della forma cenobitica e monastica, ma
è nel passaggio dalla «comunità di regola» alla
«vita fraterna» propiziata dal Vaticano II che si
possono trovare gli elementi della discussione
odierna. Da lì infatti è partita la consapevolezza
delle relazioni come elementi di valore, l’inserimento convinto della vita consacrata nel tessuto delle Chiese locali, la consapevolezza di
forme similari diffuse non solo nelle Chiese cristiane (ortodosse, ma anche protestanti e anglicane), una radice comune riconoscibile in
religioni e culture diverse (basti il richiamo al
buddhismo), l’emersione sorprendente di
nuove forme di vita comunitaria (ne sono state
recensite quasi un migliaio; cf. Regno-att.
14,2010,458), la formalizzazione del guadagno
acquisito nel documento Vita fraterna in comunità del 1994 e nell’esortazione postsinodale Vita consecrata del 1996. Un patrimonio
che l’assemblea ha svolto nel suo più radicale
basamento teologico e spirituale: cioè nel riferimento al battesimo, all’eucaristia, alla verginità feconda, intesa come dono cristiano di
trasformare radicalmente l’umano senza violentarlo o ferirlo.
Di comunità interculturali e intercongregazionali ha parlato suor Adele Brambilla. Sono
ormai diffuse le comunità in cui sono presenti
religiose di diversa nazionalità e cultura, sia in
Italia sia all’estero. La domanda è come si possono trasformare da comunità-aggregato a comunità di sororità (fraternità). Già il fatto di
convivere è un patrimonio prezioso e farlo in
nome del Vangelo impone il compito di promuovere una cultura del rispetto e della valorizzazione dell’altro, ispirandosi a un principio di
inclusività. Passare dalla multiculturalità all’interculturalità vuol dire attivare una nuova prospettiva e incamminarsi per un sentiero arduo ed
esigente, in un vero e proprio itinerario di kenosi, di rinuncia a sé. Da una sorta di caos il carisma religioso può far emergere una nuova
testimonianza evangelica.
Guardare con veracità alla realtà è il primo
passo: riconoscere i pregiudizi e identificare i nostri privilegi e il nostro potere. Il secondo è avere
il coraggio di una sorta di «decostruzione culturale», di smontare la nostra cultura, non quella
degli altri, nei suoi elementi essenziali, riconoscendone ricchezze e limiti, comprese la violenza, il razzismo e l’intolleranza. Di questo
cammino fa parte la purificazione della memoria e un lavoro attento sui propri linguaggi e i
propri atteggiamenti. Il terzo passo è osare la verità del dialogo, scrutare insieme i «segni dei
tempi» e i cammini da intraprendere, rispettando l’altro nella sua differenza, armandosi di
grande umiltà e compassione.
Un processo che la vita religiosa femminile
compie in un momento di grande debolezza, sia
numerica, sia nell’immagine condivisa. Il pigro e
facile ricorso alla previsione della sua scomparsa,
per esempio, non aiuta. Mentre proprio in sfide
come questa dell’interculturalità può scattare
non solo l’estensione del carisma, ma anche un
suo arricchimento. La congregazione non è solo
la casa di una cultura, ma lo spazio di diverse culture. Per quanto riguarda il quadrante europeo
e italiano una pratica della vita fraterna dentro la
diversità delle culture può essere utile sia per
identificare le nuove situazioni sociali che necessitano di interventi originali, sia per una declinazione spirituale e teologica più avveduta
dei consigli evangelici. Vi è da chiedersi se l’esperienza delle nuove fondazioni e comunità che
spesso usano i due modelli (comunità di vita e
comunità di alleanza, nel senso di una comunione senza vita comune) non possano fornire
suggestioni e indicazioni utili anche per le congregazioni più tradizionali. In ogni caso ciò che
viene oggi sempre più richiesto è una forte
esperienza spirituale, un significativo legame di
appartenenza, un’austerità e una radicalità vere
e la flessibilità delle strutture.
Donne abitate da Dio e capaci di uno
sguardo evangelico sul mondo, le suore avvertono di essere chiamate a una dimensione mistica (della pazienza, della riconciliazione, della
compassione, dell’annuncio), riprendendo dai
fondamenti la sfida originaria connessa al carisma del fondatore. Una scelta che riguarda
certo la vita delle singole congregazioni, ma
anche una prospettiva non marginale per le comunità cristiane operanti nel nostro paese.
Italia
USMI
Percorsi di vita
comunitaria
P
ersone nuove in Cristo. Percorsi di vita
comunitaria» è il titolo della LVIII Assemblea nazionale dell’Unione superiore maggiori d’Italia (USMI), l’organismo che
raccoglie tutte le famiglie religiose femminili di
vita attiva (non le monache) del nostro paese
(Roma, 27-29 aprile). Una presenza ecclesialmente significativa composta da circa 3.000 istituti con 85.000 religiose e alcune migliaia di
comunità presenti nel tessuto delle nostre
Chiese locali. È un mondo segnato da fatiche e
difficoltà, ma anche da generosità e genialità
non comuni. Le suore erano in Italia negli anni
Sessanta circa 160.000. Sono quindi calate quasi
della metà. L’invecchiamento, l’abbandono delle
opere, la chiusura delle comunità, la scarsità o
assenza di vocazioni, la complessità della formazione e della qualificazione culturale e professionale sono alcuni dei problemi maggiori.
La capacità di reazione e di progetto è percepibile in due elementi significativi dell’assemblea: il tema della vita fraterna o sororale e
l’esperienza delle ormai numerose comunità
multiculturali o, come è stato sottolineato, interculturali.
I lavori delle circa 550 presenti hanno conosciuto l’accompagnamento di un’accurata lectio
divina, proposta da suor Grazia Papola sull’incontro di Giacobbe con Esaù (cf. Gen 32-33),
sulla storia di Giuseppe e dei fratelli (cf. Gen 37)
e sull’unità dei doni spirituali (1Cor 12). Le relazioni sono state affidate a p. M. Rupnik del Centro Aletti («I fondamenti della vita comune»), a
suor Adele Brambilla («Le esperienze interculturali»), e a suor Antonietta Potente («Comunità
religiose e senso della comunità nelle culture latino-americane»).
Il tema comunitario nasce con il primo ap-
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I STA N B U L
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Te o l o g i a i n t e r c u l t u r a l e
l’
Europa delle religioni
Tr a r e l i g i o n e p o l i t i c i z z a t a e p o l i t i c h e s o c i a l i z z a t e
D
al 26 al 29 aprile il campus della Marmara University di Istanbul ha
ospitato il terzo congresso della Società europea per la teologia interculturale e gli
studi interreligiosi (ESITIS). Il saluto
delle autorità accademiche locali e
quello dei rappresentanti dei tre grandi
gruppi religiosi della città (il vice rabbino-capo Y. Altinaş, il muftì M. Çağirici e il patriarca Bartolomeo) hanno
introdotto i lavori dedicati allo «Studio
delle religioni in un’Europa che cambia:
integrità, traduzione e trasformazione».1
Giunti al termine del congresso è
possibile fissare sinteticamente alcuni
guadagni raggiunti nel corso di questi
anni e indicare questioni che rimangono ancora aperte. In primo luogo, la
maturata consapevolezza della complessità (storica e culturale) della religione e delle sue presenze in Europa,
che la fa sfuggire a ogni tentativo di
racchiuderne la corretta comprensione
all’interno di un’unica disciplina accademica – sia essa confessionale o meno.
Nella loro realtà le religioni debordano
continuamente sia dalle competenze
specifiche di ogni dipartimento che si
occupa dei suoi fenomeni e dei suoi
contenuti, sia dalla possibilità di racchiuderle adeguatamente all’interno di
un sapere che astrae dalle ricadute che
hanno sulle forme concrete del vivere
personale e associato.
Su un tema che non può più attendere la stagione di una nuova fantasia
istituzionale, il convegno ha mostrato
l’importanza di tre questioni fonda-
mentali: quella di un recupero delle
memorie storiche di esperienze riuscite,
pur contrassegnate da difficoltà e aggiustamenti pragmatici, di integrazioni
positive delle differenze religiose all’interno della convivenza civile (la pluralità non sorge come d’incanto oggi, ma
è uno dei patrimoni che abitano da
lungo tempo quel pezzo di civilizzazione che chiamiamo Europa); la necessità di gettarsi oltre il sospetto
sistemico che fa delle fedi un problema
per la salvaguardia delle istituzioni statali nella loro neutralità e la custodia
dello spazio pubblico come ospitalità
dovuta alla molteplicità delle visioni di
vita e del mondo, per poter immaginare le religioni e la confessione anche
come una possibilità in grado di contribuire alla configurazione di una
nuova idea di cittadinanza europea; e,
infine, una rinnovata attenzione che
l’Europa deve dedicare ai suoi «bordi»
– siano essi interni alla sua strutturazione attuale o appena oltre. Farsi carico del grande bacino mediterraneo
potrebbe diventare un’occasione affinché l’Europa non si pensi solo come
imitazione subalterna del modello
americano.
Memorie e prospet tive
Su questi punti il lavoro dell’accademia sembrerebbe aver raggiunto una
condizione più avanzata rispetto a
quella su cui si assestano tuttora le istituzioni europee, che, pur dovendosi
confrontare quasi quotidianamente con
il «problema» delle religioni nello spazio della vita pubblica, faticano ancora
a raccogliere e sostenere progetti e per-
corsi di ricerca che potrebbero contribuire a decifrare e orientare fenomeni
che sono chiamate comunque a governare.
Il collegamento delle attività della
ESITIS con un programma di corsi residenziali per gli studenti delle università dei docenti che ne sono membri sta
preparando il terreno per una nuova
generazione di studiosi, nelle varie discipline che hanno a che fare con la religione in Europa, per i quali l’intreccio
con la cultura e con le diverse comunità
ed esperienze religiose non rappresenta
solo un sapere appreso, ma si fa esperienza concreta di vita e stile di lavoro
scientifico. A mio avviso questo, insieme alla maturazione di una consapevolezza sempre più radicata del
carattere multi-disciplinare necessario
per leggere correttamente il plurale
delle religioni all’interno dei processi di
modificazione di un’Europa in cerca di
una nuova e propositiva collocazione
sullo scenario della globalizzazione,
rappresenta uno degli indici più promettenti degli sforzi investiti in questa
impresa.
Segnalerei alcuni di quelli che rimangono i nodi critici del progetto
complessivo. Il primo potrebbe essere
quello delle assenze. Mancano, tra i
membri della ESITIS, studiosi provenienti dall’Europa latina (Italia, Francia,
Spagna), ossia da quelle nazioni in cui
la teologia rimane esterna all’università statale e la ricerca accademica sulla
religione è frammentata a livello dipartimentale. Difficile anche il coinvolgimento del mondo ortodosso, che non
sembra sentire l’esigenza di un’aper-
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tura europeistica del proprio sapere teologico (anzi, probabilmente in un qualche modo la teme).
Il secondo aspetto riguarda la collocazione delle scienze della religione all’interno del curriculum universitario
e, soprattutto, i rapporti tra questa disciplina e le teologie confessionali presenti nelle accademie europee. L’esclusivismo teologico del sapere sulla
religione rischia di rimanere arretrato
rispetto ai fenomeni della stessa appartenenza confessionale; ma all’evidenza
della percezione del dato non sembrerebbe ancora corrispondere la disponibilità a riconoscere la legittimità di approcci non teologici alla confessione
della fede.
Infine, si deve registrare un mutamento in atto nelle facoltà teologiche
dei paesi scandinavi, dell’Olanda e di
oltre Manica: quello di un sempre più
marcato distacco dalle comunità di fede
in direzione di un allargamento generalista verso il tema della religione.
Questo passaggio non segna solo un
punto di frizione con i cultori delle
scienze della religione, che temono
Carlo Rocchetta
Teologia
della famiglia
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I
l volume offre una visione d’insieme
sulla teologia della famiglia, che aiuti
a passare dalla considerazione del matrimonio come atto sacramentale alla
visione del matrimonio come stato di
vita. Da vero specialista della materia,
l’autore delinea le linee-guida di una
fondazione teologica della pastorale
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un’invasione teologica del proprio
campo di ricerca, ma rischia anche di
far saltare un nesso importante per
tutte le discipline coinvolte: quello che
lega l’analisi dei contenuti e il sapere
sulle forme culturali all’impatto effettivo che ha una fede religiosa sul vissuto
personale e sulla circolazione delle sue
appartenenze nella vita pubblica.
L’accademia e la vita:
Bosnia Erzegovina
Nel 1989 non è caduto solo un
muro che scomponeva e separava un
secolare «comune» della storia europea, ma anche quello che controllava e
sospendeva i potenziali, in positivo e in
negativo, delle religioni per l’Europa
che andava profilandosi a partire da
quei giorni. Improvvisamente, fenomeni già esistenti (come la migrazione
musulmana verso nazioni europee)
hanno iniziato a divenire più complessi
nonostante una continuità sostanzialmente lineare, ma soprattutto hanno
iniziato a generare percezioni inedite
solo rispetto a qualche anno prima.
Inoltre, si è come andata affievolendo
la capacità di travasare la sapienza
pragmatica della «vecchia» Europa nei
cambiamenti dell’inizio del nuovo millennio. L’immigrazione musulmana ha
cancellato come d’un soffio l’esistenza
di un islam propriamente europeo (Bosnia Erzegovina e Grecia, solo per fare
due nomi). e la semplificazione mediatica, abilmente sfruttata in sede politica,
sui temi legati all’immigrazione da
paesi musulmani ha dissolto le differenze e tensioni, linguistiche e culturali,
presenti all’interno di questa galassia.
Davanti a questo stato delle cose è
tanto più importante trovare luoghi e
pratiche di connessione fra il sapere
accademico sulla religione e i tessuti
quotidiani della vita. Significativa in
merito è l’esperienza portata avanti in
Bosnia Erzegovina tra il Dipartimento
di scienze della religione dell’Università di Sarajevo e una serie di organizzazioni non governative per la costruzione di relazioni pacificate e
riconciliate dopo gli anni della guerra,
esperienza che ha messo al centro di
questa difficile opera civile l’apporto
delle donne.
«Il potere di negoziazione e traduzione ha impiegato un decennio, nell’attivismo post-bellico, per arrivare a
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costituire programmi di peace-building
e riconciliazione all’università. L’attività delle donne, sia su base di fede sia
secolare, è stata un fattore decisivo nel
disegnare nuovi programmi presso
l’Università di Sarajevo, in primo luogo
nell’ambito dei gender e religious studies. D’altro lato il potere di negoziazione e traduzione dell’accademia nella
sfera del peace-building e della riconciliazione è stato usato per rafforzare iniziative a livello locale e, usando la loro
rete di collegamento, per incoraggiare
un numero crescente di donne e uomini a partecipare attivamente in questi processi. La simbiosi positiva creatasi
tra istituzioni accademiche e organizzazioni non governative ha permesso di
generare spazi per una de-politicizzazione e per sostenere il dialogo, la pace
e la riconciliazione nelle comunità locali» (Z. Spahic-Siljak, Università di
Sarajevo).
Dopo la marginalizzazione pubblica della religione negli anni della secolarizzazione comunista, la «religione
è riemersa, in forma vendicativa, come
fattore primario di identità nazionali in
conflitto fra loro tra musulmani bosniaci, cattolici e ortodossi (...). Il revival pubblico della religione all’interno
di un nuovo regime democratico è stato
fortemente supportato da ideologie
etno-nazionaliste che hanno promosso
un nazionalismo religioso, una religione politicizzata e politiche sacralizzate». Si ripropone dunque, in una
costellazione inedita però, il dilemma
per l’occupazione del potere nel conflitto fra il «religioso» e il «politico»,
che, proprio in quanto irrisolto, ha portato alla configurazione specifica dell’Europa occidentale con la sua
scomposizione del carattere del potere
in istituzioni distinte fra di loro.
La collaborazione sul campo fra
l’accademia e le organizzazioni non governative in Bosnia Erzegovina continua tuttora in questo ambito delicatissimo per gli equilibri politico-culturali
della vita del paese. La consapevolezza
dei soggetti all’opera è che la religione
non possa essere espunta dai luoghi
della vita pubblica, ma che si debba
dare forma a un sapere e a un’istruzione su di essa in grado di farla funzionare come elemento virtuoso per la
convivenza pacifica delle differenze che
abitano la socialità comune.
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Si è giunti così alla formulazione di
un progetto di insegnamento non confessionale della religione nelle scuole
che ha incontrato forti opposizioni da
parte dei tre gruppi religiosi presenti in
Bosnia Erzegovina (musulmani, cattolici e ortodossi): «L’insegnamento confessionale della religione, garantito
dalla legge del nostro paese, insegna
però anche ai bambini che la religione
è il momento in cui si frattura la composizione comune della loro esperienza
di socializzazione. Guardando alla nostra storia recente e all’attuale situazione politica in Bosnia Erzegovina
questo è qualcosa che non può non
preoccupare. Le tre comunità religiose
del paese si oppongono alla nostra proposta, anche perché temono di perdere
i privilegi che si vedono ora riconosciuti. Io sono musulmana, legata alla
mia comunità, ma non posso permettere che i suoi interessi rischino di minare il futuro del mio paese e la
prospettiva di una convivenza pacifica
e riconciliata».
Il laboratorio orientale
In materia di scienze della religione
i paesi dell’ex blocco comunista rappresentano un’opportunità per dare
forma, attraverso passaggi graduali, a
una nuova configurazione dello studio
delle religioni in Europa. Da un lato,
infatti, data la condizione particolare in
cui essi si vengono a trovare dopo
l’ideologia di prosciugamento di ogni
referenza religiosa dalla sfera pubblica
(se non quella della critica annichilente), la disciplina è tutta da inventare;
così che, non senza resistenze, si offre
lo spazio culturale per un approccio
alla religione che non sia semplicemente importato dal modello statunitense o dagli equilibri raggiunti nei
paesi dell’Europa occidentale.
D’altro lato, la condizione di questi
paesi, in cui i residui del secolarismo
indotto dall’ideologia comunista si mischiano alle forme di una secolarizzazione europea e ai tentativi delle religioni presenti di ridurre il sapere sulla
religione alla specificità della sua confessione, apre un campo conflittuale
che richiede un approccio accademico
che sia non solo ad ampio respiro, ma
anche aderente a quanto effettivamente avviene sul territorio.
«L’istruzione religiosa in Bulgaria
Pagina 313
ha preso piede lentamente nelle scuole
primarie e secondarie; essa è regolata
da una legge sull’educazione nazionale secondo la quale la religione può
essere insegnata per un’ora alla settimana come corso opzionale (...). Lo
stato paga gli insegnanti ma non provvede alla stesura e pubblicazione dei
libri di testo (...). Fino a ora i libri di
testo e manuali sul cristianesimo e
l’islam sono stati scritti prevalentemente ad hoc, per larga parte a opera
di docenti delle facoltà teologiche ortodosse o dell’Istituto superiore islamico; essi mancano però di una
visione chiara su come la religione
debba essere insegnata nelle scuole
pubbliche (...). In linea generale esiste
un enorme divario tra le due prospettive: una insiste su un insegnamento
della religione in forma più oggettiva,
accademica e comparata; l’altra enfatizza un approccio limitato e confessionale (...). La contesa fra questi due
approcci riflette e incarna la più ampia
dialettica per il controllo delle istituzioni religiose e del discorso sulla religione – ossia chi parla in nome della
religione e chi sono gli interpreti e custodi legittimi delle rispettive tradizioni
religiose» (I. Merdjanova, ex direttrice
del Centro per il dialogo interreligioso
e la prevenzione dei conflitti dell’Università di Sofia).
Il riemergere della religione, non
solo come questione della vita individuale ma anche nella forma della presenza pubblica (con i suoi inevitabili
intrecci con le sfere del politico), dal
sommerso cui l’aveva relegata l’ideologia comunista chiede oggi dunque
forme adeguate di un sapere accademico in grado di esplorare e interpretare i fenomeni cui dà origine nella sua
ricerca di rappresentanze.
Tre sono quindi gli scopi principali
che dovrebbero guidare i religious studies nei paesi dell’ex blocco comunista:
«Lo studio universitario della religione
dovrebbe rispondere alla necessità urgente di ripensare creativamente la religione stessa nel suo rapporto con
l’epocale transizione sociale, politica e
culturale che stiamo vivendo dopo più
di quattro decenni di ateismo imposto e
di interdizione di ogni aspetto religioso
dalla vita pubblica (...). Inoltre, lo studio universitario della religione può
contribuire ad andare oltre la strettoia
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della prospettiva teologica (o storicoecclesiale), offrendo così una nuova
comprensione dell’ortodossia e delle
altre fedi (...). Esplorare la religione attraverso un’analisi critica, anziché mediante approcci angusti di carattere
confessionale e particolarista, può certamente creare spazio per una prospettiva più auto-riflessiva e impedire, con
ciò, lo sviluppo di differenti forme di
fondamentalismo religioso (...). Infine,
il prospettarsi di studiosi con competenze adeguate nell’ambito dei religious
studies creerà le condizioni necessarie,
oltre che le categorie di comprensione,
per superare la frattura fra l’egemonia
del discorso teologico ortodosso, da un
lato, e il paradigma secolarista radicale
che presenta alla società bulgara la religione come qualcosa di assolutamente
irrilevante, dall’altro».
In materia di «religione», dunque, i
paesi dell’Europa orientale rappresentano uno spazio che non deve essere
culturalmente colonizzato attraverso
categorie interpretative e forme di analisi sviluppate a occidente dei loro confini; ed è un’opportunità, certo da
Donatella Scaiola
I Dodici Profeti:
perché «Minori»?
Esegesi e teologia
P
rimo lavoro in lingua italiana sul
tema, lo studio analizza il libro dei
Dodici Profeti Minori in modo unitario.
Il percorso consta di tre parti: la prima
presenta i motivi della lettura unitaria
del libro; la seconda offre almeno un
saggio di esegesi per ognuno dei singoli profeti; la terza approfondisce
alcuni temi di carattere teologico.
«Biblica»
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Dehoniane
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sostenere, affinché possano sviluppare
un proprio modo di comprendere i fenomeni religiosi, con tutte le interconnessioni sul piano dei costumi, della
storia e della politica, che potrebbe
avere ricadute positive anche per i paesi
europei dell’ex blocco occidentale.
Quale cit tadinanza
per l’Europa?
Continuamente accennata dai vari
interventi, la questione del rapporto
della religione con il potere è stata
esplicitata dal teologo H.-J. Sanders
(Università di Salisburgo): «Religione
significa potere; normalmente religione significa addirittura lotta per il
potere. Non c’è religione senza essere
coinvolti o coinvolgere altri in contese
di potere. Certamente religione è più
che potere; ma senza potere la religione non significa nulla. Togliete potere alla religione ed essa sarà messa da
parte. Senza potere la religione è senza
significato pubblico, importanza sociale, pratica culturale, influenza politica e vantaggio esistenziale».
Il potere, dunque, è una questione
interna con cui le religioni devono
confrontarsi criticamente, senza risolverlo in semplificazioni spiritualiste di
qualsiasi natura e scopo. D’altro lato,
togliere potere alla religione, e quindi
eliminarne il rilievo pubblico, non significa affatto risolvere la questione
della circolazione del sacro nell’Occidente contemporaneo. Stiamo infatti
assistendo a una concentrazione del
potere (politico, religioso ed economico) nelle potenze invisibili di una
nuova sovranità del finanziario che va
ridisegnando non solo le forme del
mercato, ma anche la concezione dell’umano e del suo destino, e siamo
inermi e sprovveduti davanti a questo
fenomeno in cui ne va di tutti noi: «Si
può tentare di separare la religione dal
progetto politico dell’Europa; ma questo tentativo è destinato a fallire. Vi è
un problema teologico-politico all’interno dell’identità europea che non
può essere separato dal progetto politico. Non deve essere mischiato a esso,
ma è inevitabilmente presente in
esso».
Le religioni possono giocare in merito un ruolo positivo attraverso un lavorio intenso sulla qualità del potere
che ne determina l’impatto sulla confi-
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gurazione della vita pubblica. Sander
propone una via teologica di approccio
critico al nesso tra potere, religione e
convivenza civile che fa sponda sulle
analisi genealogico-culturali di Foucault: «Il potere del re può decidere
contro il bene pubblico di soggetti individuali a vantaggio dell’interesse pubblico generale. Il sistema di sicurezza e
previdenza sociale è un valore più alto
che il benessere dell’individuo. Potere
pastorale significa la capacità di lavorare, allo stesso tempo, a vantaggio di
ogni soggetto individuale e a favore dell’intero (qualsiasi cosa s’intenda con
esso) – omnes et singulatim (...).
Una riuscita definitiva del potere
pastorale è impossibile e, per questa
ragione, esso rimarrà sempre più potente delle persone che ne fanno uso».
È chiaro che una simile prospettiva
chiama in causa le pratiche, politiche e
istituzionali, che definiscono la cittadinanza in seno al progetto politico dell’Europa. Nel cuore dell’idea culturale
dell’Europa manca un principio di
identità analogo a quello che può essere riscontrato nello spazio storico
degli Stati Uniti, della Cina o della
Russia, e il tema della cittadinanza si
muove lungo un codice binario che
oscilla tra un’alterità superiore cui si
aspira e una svalutata e temuta (quella
che D. Brague chiama la cosiddetta
«via romana»).
L’alterità aspirata non pone alcun
problema per l’inclusione nella cittadinanza riconosciuta; quella temuta ne diventa invece una minaccia, per cui anche
quando è concessa (per legge) non si realizza (come pratica della convivenza).
Questo è lo stallo attuale che le procedure della politica non riescono a risolvere, e che le religioni possono irrigidire
ulteriormente o contribuire a risolvere:
«È questo lo snodo in cui il potere pastorale delle religioni può divenire un’alternativa al potere pastorale anonimo
secolare che è penetrato e ha preso il
controllo del moderno stato sociale (ossia
della moderna arte di governo). La religione è in grado di farsi carico del potere
pastorale, ma tale potere non deve essere
tenuto in considerazione dalle comunità
religiose solo per crearsi un luogo proprio di potere nella società. Questo potere pastorale è a favore di persone che
sono senza potere alcuno (...), che sono
qui tra noi ma non hanno appartenenza,
oppure che appartengono ma non sono
realmente qui».
Le religioni hanno una potenziale
qualità del potere in grado di scompaginare il dualismo della cittadinanza, per inserire nel progetto
europeo una sensibilità volta a declinare insieme, e senza contrapposizioni, l’individuale e l’intero. Il fenomeno di presenze senza appartenenza
e di appartenenze che non sono mai
presenti mostra che «l’utopia moderna della cittadinanza sulla base di
termini eguali è qualcosa di semplicemente non realizzato». Ma questo fenomeno, in Europa, coincide con
persone e storie reali, con luoghi dell’umano che insinuano la faglia dell’alterità e dell’esteriorità dentro l’idea
stessa di cittadinanza: «La loro mancanza di potere è una sfida religiosa e
un fattore molto importante per la dimensione pubblica della religione in
Europa. Qui si mostra che il potere
pastorale si fa presente in luoghi di
mancanza di potere. Il potere pastorale è, in realtà, impotenza. Con questa impotenza le comunità religiose
non possono accumulare potere all’interno delle società moderne, ma
possono accumulare assenza di potere
nel momento in cui cominciano a essere solidali con questi cittadini. Qui il
potere, ormai definitivamente perso
nella sfera pubblica, è trasformato in
un’autorevolezza che può avere un
reale impatto umano sulle società moderne».
Marcello Neri
1
All’attenta e amichevole ospitalità dei colleghi e degli studenti della Facoltà teologica dell’università turca, che ha curato l’organizzazione
insieme al Trinity College di Dublino, è corrisposto un clima cordiale e disteso: tanto nei dibattiti in sede assembleare e nei gruppi di lavoro,
quanto negli incontri informali tra i partecipanti
al convegno. Lo stile delle giornate di lavoro rappresenta l’avvenuta realizzazione di uno degli intenti che la ESITIS si era data con la sua
fondazione nel 2005: quello di offrire uno spazio in cui docenti e studenti universitari, provenienti da diversi paesi europei e del bacino
mediterraneo, potessero incrociare in maniera
feconda e seria tutta una serie di diversità: da
quella dell’approccio scientifico al tema della religione a quella delle variegate appartenenze religiose, quello della centralità e marginalità nei
processi di costruzione dell’ideale europeo, e soprattutto quella delle variegate sensibilità culturali e storiche che caratterizzano oggi la presa in
carico della questione delle religioni nelle varie
regioni che compongono il nostro continente.
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L ibri del mese
Scrivere per governare
Scritti pastorali nella Chiesa delle origini
C
on Seguendo Gesù1 i due
curatori, noti anche per
una Storia della letteratura cristiana antica (recentemente riedita da
EDB, Bologna 2010) accolta con grande
favore sia dal largo pubblico sia dagli
ambienti accademici, si propongono ora
di offrire al mondo degli specialisti e dei
cultori della materia una rinnovata edi-
LXXXI
zione, suddivisa in due volumi, dei principali testi cristiani più antichi, scritti
nello stesso periodo in cui furono composte la maggior parte delle opere che
entrarono a far parte del Nuovo Testamento o qualche decennio più tardi.
Questo primo volume presenta, nell’ordine, le Didachai (comunemente indicate con il singolare Didachè) o Istruzioni
degli apostoli, la Lettera di Clemente ai
Corinzi (detta anche Prima lettera di Clemente per distinguerla dalla cosiddetta
Seconda lettera di Clemente) e le sette lettere di Ignazio di Antiochia. Il successivo
volume vedrà la pubblicazione della lettera di Policarpo, del Pastore di Erma e
della Lettera di Barnaba, aggiungendo
così ulteriori sfaccettature al complesso
panorama delle origini del cristianesimo.
Nei testi qui proposti, per la loro antichità (un arco temporale compreso tra
il 70 e il 120), risuonano le parole di
Gesù per essere state apprese per via ancora orale o tramite brevi raccolte. Essi
costituiscono inoltre testimonianze concrete del differente modo di radicarsi del
messaggio evangelico per la diversità degli ambienti geografici, degli scenari sociali, dei contesti culturali e religiosi. Il
quadro delle esperienze cristiane che ne
emerge è indubbiamente plurale, segnato
da seri problemi organizzativi e vivaci dinamiche di confronto e opposizione, sicché il concreto della vita comunitaria si
ritrova a dare volto al comandamento
dell’amore, pur sentito come il lascito
distintivo di Gesù, nel mezzo di tensioni
conflittuali spesso assai aspre, come
quelle fra carismi e ministeri, fra gruppi
di estrazione culturale e sociale differente, fra opinioni e financo dottrine divergenti a proposito dell’identità di Gesù
e del significato della sua azione.
L’indagine sui testi condotta dai due
illustri cristianisti è particolarmente preziosa, per l’infrequente capacità di tenere assieme cura strettamente filologica, interpretazione storica complessiva e comprensione dello specifico teologico, in un ambito letterario che si
presenta come un mosaico di cui troppe
tessere, disgraziatemente, sono andate
perdute.
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ibri del mese
La presentazione delle tre opere offerte nel volume è compiuta secondo un
impianto comune, a dimostrazione dell’unitarietà del progetto: ampie e complesse introduzioni generali, che affrontano tutte le questioni nodali poste dagli
scritti; testi critici limpidi e coerenti in
ogni loro parte, accompagnati da eleganti traduzioni italiane; note di commento, ricche di dati e insieme essenziali, relative a specifici luoghi testuali.
Si tratta di un libro di eccezionale
interesse non solo per l’oggetto che affronta, ma per lo stile e il metodo che
sanno unire leggibilità e rigore scientifico, senza lasciare spazio agli stereotipi di certa letteratura devota, preoccupata solo di stare entro il perimetro
dell’insegnamento tradizionale.
Le Didachai
L’edizione delle Didachai o Istruzioni degli apostoli di Manlio Simonetti
è un lavoro insieme estremamamente
innovativo e prudente. Nel senso che
l’eminente studioso prende posizione su
ogni questione controversa, offrendo soluzioni originali nel loro equilibrio ed
evitando sempre di lasciarsi prendere
da facili entusiasmi per le ultime ipotesi
che sembrano andare «per la maggiore». Egli si muove nel mare magnum
che è la bibliografia scientifica sullo
scritto protocristiano con la perizia del
sapiente navigatore, che riconosce immediatamente le implicazioni più nascoste di ogni corrente di studi, di ogni
tesi a prima vista risolutiva. La lettura
dell’intensa e chiara – ma pur sempre
impegnativa – introduzione consente al
lettore di farsi un’idea aggiornata degli
aspetti oggi maggiormente dibattuti,
che Simonetti affronta seguendo l’ordine di svolgimento della materia trattata nello scritto. Egli si schiera tra coloro che sostengono il carattere unitario
della redazione dell’attuale testo e pertanto l’unicità del redattore/autore.
Quanto alla datazione, si allinea con
coloro che la collocano verso la fine del
I secolo e gli inizi del II; riguardo al
luogo di provenienza, ritiene più prudente ammettere, con Niederwimmer,
che ancora brancoliamo nel buio, con la
sola eccezione per l’origine rurale della
comunità, a suo avviso unico elemento
provvisto di qualche plausibilità. Simonetti si mostra molto prudente anche
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su altre delicate materie controverse.
Così, quando l’autore delle Didachai
adduce passi che trovano riscontro nei
Vangeli, ciò non significa automaticamente che abbia tra le mani un Vangelo, o che sia possibile con precisione
stabilire il testo presinottico da cui dipende, in quanto cita verosimilmente a
memoria. Su un altro piano, riconoscere il forte colorito giudaizzante dell’opera non significa affatto ammettere
che il suo autore condividesse un atteggiamento di fedeltà integrale alla Legge
e alle sue osservanze. Su scala più vasta,
neppure è accettabile che si continuino
a utilizzare categorie come antipaolinismo e paolinismo per collocare ogni
tendenza presente nel cristianesimo primitivo, senza ipotizzare una quantità di
posizioni intermedie tra questi due
estremi, nelle quali si saranno variamente fusi, confusi e giustapposti elementi di diverse estrazione e tradizione.
Lo studioso con ragione rifiuta entrambi i titoli dello scritto recati dalla
tradizione diretta, Istruzione dei dodici
apostoli e Istruzione del Signore per tramite dei dodici apostoli ai gentili, che
inseriscono l’opera nell’ambito della letteratura pseudo-apostolica di argomento disciplinare e liturgico, preferendovi quello riportato dalla tradizione
indiretta, ossia Istruzione degli apostoli o,
al plurale, Istruzioni degli apostoli, perché gli apostoli cui qui ci si riferisce non
sono i Dodici, bensì missionari itineranti, che anche in altre fonti vengono
indicati come apostoli. La scelta del titolo originario si restringe dunque tra
singolare e plurale di Istruzione: con la
sua usuale grande onestà intellettuale,
Simonetti giudica in questo caso solo
«leggermente» preferibile il plurale Didachai al consueto singolare Didachè.
Personalmente ritengo che la sua argomentazione sia più che convincente.
La prima parte delle Didachai (16,1) è costituita da una serie di prescrizioni di carattere morale riunite nel
cosiddetto schema delle «due vie». Si
tratta di uno schema non unitario, che
presenta per lo più divieti, cui si aggiungono, talora, degli inviti. Gli studiosi da sempre mettono in relazione
questa sezione dello scritto con lo
schema delle due vie che si rinviene sia
nella Lettera di Barnaba sia nel De doctrina apostolorum, dando al problema
della interdipendenza dei testi soluzioni
come sempre piuttosto differenti. Dopo
avere analiticamente mostrato i principali aspetti di questa intricata ma essenziale questione, dal canto suo
Simonetti, con l’usuale prudenza, conclude in sintesi che la Lettera di Barnaba da una parte e le Didachai e il De
doctrina apostolorum dall’altra discendono da un comune antenato giudaico,
da cui hanno ereditato sia la struttura
binaria sia svariati precetti; e che le Didachai e il De doctrina apostolorum derivano, indipendentemente le une
dall’altro, da una fonte comune, dalla
quale hanno tratto gran parte della precettistica delle due vie e che forse era
stata già superficialmente cristianizzata
nella formula introduttiva. Tutti sono
d’accordo nel ritenere che la sezione
evangelica (1,3-6), rispetto alla fonte da
cui l’autore delle Didachai ha dedotto il
testo delle due vie, sia stata senza dubbio interpolata; ma Simonetti non condivide l’opinione di quanti – non pochi
– ipotizzano che l’interpolazione sia successiva alla stesura originale dello scritto.
In buona sostanza, perché negare, sostiene egli, che lo stesso autore delle Didachai possa di propria iniziativa avere
inserito questa sezione di materiale
«evangelico» per rendere implicitamente
cristiana anche tutta la precettistica successiva di contenuto veterotestamentario
e perciò giudaico?
Sfumature giudaizzanti
Da un punto di vista testuale, ogni
scelta è sempre ben motivata e prudente, così come il commento presenta
grande solidità. Mi limiterò pertanto a
qualche breve osservazione. A 1,3 «Non
fanno così anche i pagani?», il riferimento ai gentili costituisce un elemento
di significativa differenza rispetto alla
«tradizione sinottica», che al loro posto
presenta i pubblicani (Matteo) o i peccatori (Luca): mi sarebbe dunque piaciuto conoscere il parere di Simonetti
circa le eventuali implicazioni che da ciò
possono discendere. 1,4 «Astieniti dai
desideri della carne» costituisce un
passo da sempre giudicato problematico: se sul piano testuale la soluzione
adottata mi sembra davvero la migliore
possibile e sul piano esegetico a ragione
Simonetti pensa, con Visonà, che qui
non si tratti di appetiti sessuali ma di
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istinto naturale dell’uomo, tuttavia il
commento avrebbe forse potuto aggiungere qualcosa per illuminare maggiormente il lettore. A 2,5b Simonetti
pubblica tra parentesi quadre, giudicandolo una glossa, il testo «ma piena di
concretezza», e perché manca sia nel De
doctrina apostolorum sia nelle Costituzioni apostoliche, e perché introduce una
notazione positiva in un contesto del
periodo che è soltanto negativo. Le ragioni addotte sono senz’altro importanti, ma insospettisce che anche poco
più avanti, a 2,7 («Non odierai nessuno,
ma alcuni riprenderai... »), sempre i due
succitati testimoni omettano di riportare parte della seconda sezione del periodo che comincia anche questa volta
con un’avversativa forse percepita,
come in 2,5b, quale parziale correzione
di uno sviluppo di un discorso solo negativo. A 4,12, infine, preferirei una traduzione generica come «falsità», per gli
stessi argomenti per cui viene tradotto
«falso» a 2,6.
La transizione (6,1-2) verso la sezione d’argomento liturgico è, pur nella
sua brevità, estremamente significativa.
Vi si fa infatti riferimento al «giogo del
Signore», elemento determinante per
comprendere l’entità della dimensione
giudaica nelle Didachai. Su questo
punto Simonetti, alla luce specie di opportune considerazioni generali sulla
presenza della Legge mosaica nello
scritto, ritiene che qui per giogo del Signore si intenda quello di Gesù, identificato con la precettistica delle due vie,
integrata dalla sezione evangelica. Non
mi ritrovo pienamente, invece, nel giudizio sul senso da assegnare alle parole
di 6,3 «Quanto poi agli alimenti, addossati ciò che puoi; comunque astieniti
assolutamente dalle carni consacrate
agli idoli... ».
Simonetti pensa che l’autore dello
scritto, che era al corrente della disparità di orientamenti riguardo ai divieti
alimentari, lasci liberi in materia i suoi
interlocutori, ponendo come unico divieto di consumare gli idolotiti, in conformità a un atteggiamento moderatamente giudaizzante. Credo che, almeno
sullo sfondo, ci sia una non tanto velata
proposta di osservare un codice alimentare di stampo giudaico e che qui il
colore giudaizzante delle Didachai si
faccia percepire più vivo che altrove.
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Liturgia e disciplina
La sezione liturgica dello scritto (710) presenta la successione battesimo (7)
– digiuno e preghiera (8) – eucaristia (910). A ragione Simonetti ritiene che
il carattere di excursus del capitolo 8
non comporti necessariamente un’interpolazione posteriore, e con buoni argomenti mostra che esso può essere
stato introdotto proprio dell’autore
delle Didachai. Anche i capitoli sull’eucaristia, malgrado le numerose e diverse difficoltà in essi presenti, costituiscono un testo coerente. A proposito
di questa articolata sezione, ciò che mi
preme qui richiamare sono le osservazioni di fondo che, in una prospettiva
storica complessiva (dunque anche storico-liturgica e storico-teologica), l’insigne studioso giudica necessario fare.
Anzitutto la cristologia arcaica, che
sembra evincersi dalle preghiere eucaristiche delle Didachai, potrebbe benissimo non essere più quella dell’autore
dello scritto, attivo con tutta probabilità
verso la fine del I secolo e gli inizi del II
e non particolarmente impegnato, così
parrebbe, sul piano dottrinale in sede di
redazione dell’opera. In questo caso risulterebbe ancor più difficile localizzare
lo scritto ad Antiochia, che nel mondo
antico fu sempre all’avanguardia della
riflessione cristologica.
Qualora invece le preghiere eucaristiche delle Didachai fossero espressione di una comunità di area siriaca,
allora il conflittuale assetto gerarchico
della comunità in oggetto starebbe a significare un momento o un aspetto dei
contrasti che avrebbero portato alla sostituzione, nella regione, del vecchio
ordinamento con il nuovo, ovvero con
l’istituto dell’episcopato monarchico
affermatosi con Ignazio d’Antiochia. A
9,4 si sottolina giustamente la singolarità di questa isolata ricorrenza del
nome «Cristo» nelle Didachai, ma occorre anche tenere conto del contesto
dossologico della frase, molto differente
da quello in cui ritroviamo la menzione
del «servo Gesù». Qualche perplessità
mi lascia il fatto che sia qualificata
come glossa «santificata» di 10,5, in
quanto mi sembra manchino elementi
così cogenti per una giudizio d’interpolazione.
La sezione costituita dai capitoli
11-15 e consacrata a questioni discipli-
nari si presenta come un blocco in gran
parte, ma non completamente, unitario.
A prima vista appare priva di collegamento strutturale con i precedenti capitoli, ma a ben vedere è la stessa prospettiva adottata dal curatore a consentire uno sguardo più unitario. La situazione di transizione, di passaggio da un
gerarchia primitiva, missionaria carismatica itinerante, a una stanziale, che
l’autore delle Didachai ritiene equivalente all’antica, rinvia a mio parere infatti a quel clima di conflittualità sopra
richiamato a riguardo delle preghiere
eucaristiche: anche ora si fa strada, fra
contrasti, una nuova autorità. Motivo
per cui, al di là delle belle parole spese
per i ministri itineranti del Vangelo
(apostoli, profeti e maestri), pesano le
gravi riserve verso questi forestieri.
Chiude lo scritto una breve sezione
d’argomento escatologico, che ci ricorda sia quanto intensa fosse l’attesa
del ritorno glorioso del Signore in queste prime generazioni cristiane sia
quanto le Didachai stesse siano pervase
da questa tensione.
La Let tera clementina
La seconda opera proposta, la Lettera di Clemente ai Corinzi, di cui Emanuela Prinzivalli offre una splendida
edizione, in ogni sua parte accurata,
aggiornata e frutto evidente di un lungo
lavoro di riconsiderazione critica dei
dati, è, a concorde giudizio degli stessi
curatori del volume, di poco anteriore
alle Didachai, ma posta in questa sede
per non separarla visivamente dalle Lettere di Ignazio di Antiochia, che proseguono nel trattare, seppure da diversa
angolazione, argomenti affini alla Lettera clementina. Il testo è dunque forse
il più antico degli scritti che non fanno
parte del Nuovo Testamento, ed è la
prima composizione letteraria di sicura
origine romana: saldamente radicata
nella comunità di Roma, ne è espressione diretta, ed è perciò la prima fonte
certa su questa comunità. Prinzivalli
nel corso della sua introduzione torna
spesso sull’elemento della coralità: il
mittente della lettera è la comunità romana che scrive a quella di Corinto
per esortarla a comporre i contrasti interni e ritrovare la pace, e lo scopo fu
molto probabilmente conseguito. La
tesi della studiosa è che a divulgare il
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prestigio ecclesiale e a formare l’autocoscienza della
comunità romana sia anzitutto la fama derivante
dalla circolazione della
lettera: Roma si espone in
prima persona, dimostrando di farsi ascoltare e
di imporre la sua soluzione.
La volontà di assumere un’identità collettiva deve essere presa sul
serio: non c’è all’epoca a
Roma un’autorità apostolica o qualcuno che si senta
ancora autorizzato a rappresentarla
perpetuandone il nome. Chi stende la
lettera presenta semplicemente la
Chiesa di Roma nella sua unità, come
interlocutore diretto della Chiesa di
Corinto, attualmente minacciata nella
identità comunitaria da una divisione
che si vuole scongiurare. Certo è che
Roma interviene nella vicenda di Corinto, dopo essere stata sollecitata a
farlo, con dottrina e sapienza retorica
impareggiabili, suscitando nei propri
confronti impressione, ammirazione, rispetto. La capacità di inquadrare le minute vicende quotidiane dei fedeli di
Corinto nella grandezza incommensurabile del disegno divino indicano orizzonti probabilmente insospettati. Se all’epoca lo scrivere è un modo per
governare, allora la comunità di Roma
si dimostra capace di farlo. Come ebbe
a scrivere Harnack, nessuna altra comunità ha fatto un ingresso più brillante nella storia della Chiesa.
Perché però proprio Roma viene interpellata da Corinto? Per Prinzivalli la
risposta è tanto vera quanto ovvia: un
interlocutore lontano, ma poi non
troppo, è meglio di uno vicino; inoltre la
comunità cristiana di Roma è quella
della capitale dell’impero, quella a cui
Paolo, proprio da Corinto, ha scritto la
sua più celebre lettera; infine i legami
tra le due città sono intensi da quando
la città greca nel 44 a.C. è stata rifondata come colonia romana. Potremmo,
da parte nostra, chiederci se a Corinto
non si fosse a conoscenza del fatto che
anche Roma, seppure in modo differente, stava vivendo la crisi di fine I secolo, con la scomparsa della generazione apostolica e il costituirsi di nuove
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guide in cerca di legittimazioni più ampie e stabili.
La deriva sogget tiva
Ma qual è il punto di vista di Roma
su Corinto? Secondo la Lettera, la
Chiesa di Corinto versa in una situazione conflittuale, che viene descritta,
servendosi di una terminologia propria
del linguaggio politico, come discordia,
rivolta, sedizione, in una parola tutto
ciò che si oppone alla concordia. La rivolta, che fa capo solo ad alcune persone e non dottrinalmente devianti, ha
condotto a una divisione interna che si
sta prolungando con gravi conseguenze. La questione dibattuta riguarda l’organizzazione ecclesiale e, se si sta
a una più superficiale lettura del testo,
la stessa rivolta concerne la contesa per
la funzione episcopale e la rimozione di
alcuni presbiteri, che sono tra quelli
posti alla guida della comunità.
La studiosa ha il merito di non essersi accontentata di tale consueta posizione, ma di avere ricercato indizi,
disseminati lungo l’intera lettera, che
provino come la rimozione dei presbiteri e la contesa per la funzione episcopale siano solo la manifestazione più
clamorosa di un male profondo e
oscuro, che rappresenta il pericolo
maggiore: la tendenza a valutare in
modo arbitrariamente soggettivo gli avvenimenti comunitari, e il conseguente
movimento centrifugo. A questo punto
la questione non si risolve col rimettere
i presbiteri al posto che loro compete,
ma solo ripristinando l’amore fraterno
violato. Prinzivalli giustamente ritiene che l’intenzione della Lettera non sia
di affermare l’autorità gerarchica in quanto tale,
bensì piuttosto di sollecitare il ristabilimento nella concordia dell’assetto
complessivo della comunità, articolata sì nella diversità dei compiti dei
membri, ma tutti pareggiati nell’obbedienza a
Dio, dal momento che
tutti si è un unico corpo
in Cristo vivificato dallo
Spirito. Siamo insomma
di fronte a una visione ecclesiale essenzialmente comunitaria piuttosto che gerarchica.
Con la medesima acribia Prinzivalli
affronta anche la crisi di Corinto, offrendone una possibile ricostruzione:
alla guida della comunità ci sono da
tempo i presbiteri (resta aperto se tutti o
solo alcuni esercitino la funzione episcopale), elementi la cui età avanzata
avrebbe dovuto garantire autorità e autorevolezza; a un certo momento, tuttavia, alcuni di loro vengono messi in discussione, per motivazioni che potrebbero avere attinenza con la pretesa di
una migliore attitudine alla guida della
Chiesa avanzata da alcuni elementi più
giovani particolarmente stimati e dotati. Tutto ciò nel quadro di una qualche
obiettiva difficoltà organizzativa, che
aveva portato a evidenziare la debolezza del sistema vigente.
La studiosa tratta molte altre pagine
fondamentali della vicenda di questo
testo con la profondità analitica che le è
consueta, ma proprio per questo motivo
risulterebbe qui troppo lungo discuterle
adeguatamente. Particolarmente importanti, tuttavia, mi paiono quelle consacrate alla situazione storica della comunità romana, e dunque al rapporto
tra Chiese domestiche e sinagoghe giudaiche. Per Prinzivalli l’autore della Lettera da un lato possiede un’acculturazione giudaica che non è immaginabile
in assenza di contatti reali con ambienti
giudei, dall’altro si presenta volutamente molto accorto nell’evitare di presentare in linea di massima situazioni
negative o conflittuali, essendo queste
fuori del suo proposito.
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Molto significative sono le pagine
dedicate al retroterra culturale dell’autore (perfetta padronanza della Scrittura giudaica, in accordo con un carattere specifico del cristianesimo romano
del I secolo; presenza di un canone di libri ispirati più ampio sia del successivo
canone palestinese sia di quello dei Settanta), ma il lettore troverà di notevole
interesse anche le sezioni su «Struttura
e forma letteraria», «Temi dottrinali» e
«La nascita del personaggio di Clemente
e la fortuna della Lettera ai Corinzi».
Il testo critico è molto accurato ed
elegante la traduzione. Degne di speciale menzione sono le note, sovente
lunghe e articolate, sempre ricchissime
di dati, che sviluppano più ancora che
completare il discorso affrontato nell’Introduzione, con continui riferimenti
alla letteratura biblica, classica e patristica, con approfondimenti lessicali, discussioni esegetiche e approfondimenti
retorici. Una vastissima bibliografia,
puntualmente citata nell’Introduzione e
nel Commento, espressione di una competenza assolutamente rara in materia,
chiude questa sezione del volume.
Le Let tere di Ignazio
Il lavoro sulle sette Lettere di Ignazio
di Antiochia è stato svolto a quattro
mani dai curatori, e risulta così ripartito:
l’edizione critica e l’introduzione generale, a eccezione del capitolo 7 e dei profili relativi alle lettere ai Romani e a
Policarpo del capitolo 8, si debbono a
Manlio Simonetti. Emanuela Prinzivalli
ha scritto le traduzioni e le note delle lettere ai Romani e a Policarpo, le altre cinque lettere sono curate da Simonetti.
Lo scritto introduttivo di Simonetti
possiede una notevole forza, ma per la
complessità della materia richiede una
lettura particolarmente attenta. Lo studioso comincia col prendere in esame
quel poco che è veramente possibile conoscere sulla figura di Ignazio, quindi
passa ad affrontare la complessa questione legata al suo nome, nata in età
moderna e non ancora conclusasi, specie per le scarsissime conoscenze che si
possiedono sulla situazione delle Chiese
d’Oriente tra la fine del I e l’inizio del II
secolo.
Simonetti è persuaso dell’autenticità
delle lettere nella recensione comunemente detta «media», che colloca tra il
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110 e il 120, con possibilità di qualche
leggera oscillazione piuttosto prima che
dopo. Esse ci informano sulle condizioni
materiali e spirituali, tutt’altro che confortanti, in cui versano le comunità cristiane d’Asia nel loro complesso, inclusa
la stessa Chiesa di Antiochia. Al riguardo, la testimonianza di Ignazio risulta scarsamente attendibile, anzitutto
per la sua genericità, poi anche per la radicalizzazione delle posizioni espresse a
motivo del temperamento aspramente
polemico del vescovo.
Diverso diventa il discorso, quando
ci si concentra sulle singole comunità che
l’autore ci fa conoscere: sebbene con caratterizzazioni differenti, ritroviamo conflitti interni di natura dottrinale, contrasti
fra cristiani di derivazione o giudaica o
gentile, problemi di organizzazione interna alla comunità. Il continuo richiamo
in esse all’unità e alla pace dimostra che
quelle comunità erano divise, soprattutto
sul riconoscimento dell’autorità del vescovo, e che esistevano consistenti correnti avverse alla sua leadership. Ma si
tratta spesso di passare di ipotesi in ipotesi.
Anche sulla formazione culturale di
Ignazio, l’insigne cristianista prende le
distanze dal famoso e laudatorio giudizio di Norden, che vede nella prosa del
vescovo «inaudita audacia (...) il fuoco
interno e la passione che si liberano dalle
pastoie dell’espressione». Simonetti si
chiede viceversa se la passionalità di
Ignazio non sia ben controllata, a servizio di una strategia ecclesiale complessa,
e se le improprietà sintattiche e in genere
i difetti di forma che caratterizzano la
pagina ignaziana non siano dovuti a una
carenza nella formazione grammaticale
di base: del resto, non sarebbe certo il
primo caso di simbiosi di ambizione retorica e difetto di grammatica. Per risolvere la questione, egli fa notare che
occorrerebbe avere di Ignazio una conoscenza superiore a quella che in effetti
è possibile avere allo stato attuale delle
nostre conoscenze, e soprattutto sapere
qualcosa del tempo precedente all’imprigionamento.
Quello che emerge dalle Lettere è comunque un orizzonte culturale ristretto
agli scritti biblici. Diversamente però
dalla Lettera di Clemente ai Corinzi, che
accetta senza alcun problema la Scrittura ebraica, Ignazio non guarda quest’ultima con piena simpatia, rivelando
la propria identità di cristiano cresciuto
in un ambiente gentile e non giudaico.
Se invece passiamo ai testi che sarebbero
poi confluiti nel Nuovo Testamento, si
coglie subito la profonda influenza esercitata da Paolo, ricordato esplicitamente
con enfatica lode in una lettera. Ignazio
conosce inoltre certo la «tradizione
evangelica» e la sua riflessione è senza
dubbio influenzata dalla teologia della
tradizione giovannea.
Un ulteriore elemento d’interesse
dell’introduzione di Simonetti è l’accento posto sul linguaggio e i temi teologici affrontati da Ignazio: Dio e Cristo,
spirito e carne, la Chiesa e i suoi ministri, la vita cristiana e il tempo finale. Di
Emanuela Prinzivalli è invece un’analisi
del modo in cui il vescovo di Antiochia si
pone di fronte alla morte, diviso fra un
presente dominato da preoccupazioni
comunitarie ed ecclesiali e una personale
ardente attesa escatologica. L’introduzione generale si chiude con un breve
profilo di ogni singola lettera, che consente al lettore di meglio individuare in
ogni testo le singole tematiche via via in
esso svolte.
A questo punto dell’esame del volume è quasi superfluo aggiungere che i
curatori hanno condotto, ciascuno sui
testi ignaziani di propria competenza,
un ottimo lavoro d’interpretazione testuale. L’edizione qui proposta è ancora
una volta estremamente equilibrata e accurata sul piano ecdotico. La traduzione
italiana, particolarmente precisa e chiara, con ragione privilegia senz’altro la
leggibilità alla letteralità, e ciò tuttavia
determina che in qualche caso l’asprezza
del testo greco ignaziano non traspaia
nell’italiano con la necessaria evidenza.
Le note di commento illuminano egregiamente la lettura di testi, che rimangono, a parere non solo mio, tra i più
belli della letteratura protocristiana.
Fabio Ruggiero
1
Seguendo Gesù. Testi cristiani delle origini.
Volume I, a cura di E. Prinzivalli e M. Simonetti,
Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori
Editore, Milano 2010, pp. XVIII-628, € 30,00.
A p. 315: Due cervi che si affrontano tra i
tralci d’uva, mosaico del battistero inferiore, 510
circa, Madaba.
A p. 318: La città di Alessandria, mosaico
della chiesa di San Giovanni, 531 circa, Gerasa.
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I Libri del mese si possono ordinare indicando
il numero ISBN a 12 cifre:
per telefono, chiamando lo 049.8805313;
per fax, scrivendo allo 049.686168;
per e-mail, all’indirizzo [email protected]
per posta, scrivendo a Centro Editoriale Dehoniano,
via Nosadella 6, 40123 Bologna.
Sacra Scrittura, Teologia
AIOSA C., GIORGIO G. (a cura di), Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, EDB, Bologna 2011, pp. 255, € 19,50.
9788810401644
saggi raccolti nel vol. sono i contributi offerti al XII Simposio della
Iattorno
SIRT in collaborazione con il Progetto culturale della CEI: essi vertono
al 9° articolo del Simbolo apostolico, «Credo la santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi», dato essenziale della fede cristiana oggi fortemente messo in questione, entrato anch’esso nelle dinamiche disgregatrici della società «liquida». Lo sforzo di tutti gli studiosi è quello di ridire
Dio nel contesto spazio-temporale in cui oggi si vive, affinché la professione di fede possa ancora essere reale strumento di trasmissione della medesima nel mutato contesto culturale.
Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi
BARBAGLIO BUSATO C., FILIPPI A., Immagini dell’uomo immagini di Dio,
EDB, Bologna 2011, pp. 160, € 14,00. 9788810221570
il 3° vol. dedicato al biblista Barbaglio – scomparso nel 2007–, frutto
di un convegno di studi organizzato in suo onore. A differenza dei primi due incontri, che partivano dal testo biblico, in quest’ultimo si è partiti dall’interrogativo su chi sia l’uomo con cui abbiamo a che fare oggi, quale Dio insegua, o di quale Dio abbia bisogno, e che cosa la narrazione biblica, fatta da uomini di un determinato tempo, oggi proponga. L’intento
è capire chi è l’uomo di oggi, quali le sue nuove identità. Ma comprendere anche le possibilità, le ricerche e gli studi che possono aiutare a rendere elastica la comprensione e la lettura del reale. Per domandare poi perché occuparsi di Dio ai nostri giorni e che senso può avere la costruzione
della Bibbia, oggi, sia che si creda sia che non si creda.
È
CALZOLAIO F., Il Vangelo di Giovanni. Commento papirologico al capitolo II, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 311, € 22,00. 9788837224776
opo una sintetica presentazione del dibattito tra gli studiosi sul II c.
del Vangelo di Giovanni, il vol. offre un commento dei due episodi
narrati nello stesso c. – le nozze di Cana e la cacciata dei venditori dal
Tempio – condotto sulla base dei papiri documentari risalenti al periodo
tra i secoli III a.C. e III d.C. La proposta dell’a. mostra che lo «spostamento dell’analisi verso una dimensione molto più concreta» e «vicina al
linguaggio e al vissuto quotidiano», operato con l’ausilio del materiale papirologico, permette d’introdurre tra gli strumenti dell’esegesi «materiale
e riferimenti culturali coi quali integrare la comprensione del capitolo».
D
DI PALMA G., GIUSTINIANI P. (a cura di), Teologia e modernità. Percorsi
tra ragione e fede, Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli 2010, pp. 238, € 15,00. 9788897232001
l binomio «fede e ragione», indiscusso protagonista del dibattito teologico di questi anni, viene affrontato da cinque contributi che hanno costituito il nerbo di un progetto interdisciplinare della Sezione S. Tommaso
d’Aquino della Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale. Gli aa.
sono l’esegeta G. Di Palma, il teologo C. Dotolo, il filosofo P. Giustiniani,
il genetista D. Matassino, lo storico L. Rossi.
I
DIANICH S., La Chiesa mistero di comunione. Nuova edizione riveduta
e ampliata, Marietti, Milano 2011, pp. 245, € 24,00. 9788821165191
l testo è uscito per la prima volta nel 1974. Riprenderlo oggi ha significato per l’a., noto e affidabile teologo, un’ampia riscrittura per poter
mostrare la diversa atmosfera ecclesiale del presente. Ma l’impianto di fondo è rimasto lo stesso: nell’atto genetico della Chiesa si mostrano i dinamismi e le strutture di fondo che costituiscono la comunione delle persone
che è la materia prima dell’essere della Chiesa. Ma tutto ciò è frutto di un
disegno divino, della grazia di Dio e dell’opera dello Spirito: il pieno manifestarsi del disegno del Padre. Viene introdotta una parte sulle ultime acquisizioni teologiche, sulla valorizzazione e difesa del Vaticano II, e un aggiornamento della bibliografia (a cura di S. Noceti).
I
FERRARIO F., La teologia del Novecento, Carocci, Roma 2011, pp. 303,
€ 24,00. 9788843057085
a teologia del «secolo breve», appassionante, coinvolgente in tutte le
sue articolazioni, illustrata a un pubblico di lettori che non vuole farsi
irretire dalle sole manifestazioni religiose spettacolari e, a tratti, folkloristiche, ma che cerca un filo rosso atto a guidarlo in una materia, la teologia,
che nel nostro paese è da sempre una sorta di recinto per addetti ai lavori. Con questo intento, pienamente riuscito, l’a., noto pastore e teologo
valdese, docente di Dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia, ripercorre con chiarezza espositiva i momenti decisivi del pensiero teologico del Novecento (ragguardevoli i cc. dedicati a Barth e a Rahner) offrendo al lettore una solida base per inoltrarsi su sentieri più impervi. Da leggere come introduzione, da assimilare come abbecedario.
L
MCKEEVER M., QUARANTA G., Voglio, dunque sono. La teologia morale di Giuseppe Angelini, EDB, Bologna 2011, pp. 251, € 22,00.
9788810406120
è uno dei più noti rappresentati della scuola teologica milaneA ngelini
se (cf. Regno-att. 8,2011,273). I due saggi di apertura, che costitui-
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www.edizionimessaggero.it
scono la I parte del vol., tentano di offrire sia una versione abbreviata del
suo progetto teologico, sia una sua valutazione critica. La II rilegge alcuni
dei principali temi della morale fondamentale ponendoli a confronto con
il suo pensiero. Complessivamente, il testo raccoglie i frutti di un’attività
più che trentennale di studio e d’insegnamento della disciplina.
PALAZZO A., La figura di Pietro nella narrazione degli Atti degli apostoli.
Supplementi alla Rivista biblica/52, EDB, Bologna 2011, pp. 160,
€ 15,00. 9788810302408
a ricerca dell’a. intende verificare, con l’ausilio dell’analisi narrativa,
com’è caratterizzato il personaggio Simon Pietro negli Atti degli apostoli. È una verifica di come e quanto l’approccio esegetico narratologico
permetta di capire un soggetto nel momento cruciale del suo essere vivo
solo nel mondo del racconto. Lo studio è articolato in tre parti: dapprima
si espongono le linee portanti dell’approccio esegetico scelto, meritatamente al tema dello studio; si analizzano poi tutti i brani petrini; si riportano infine le conclusioni su alcuni tratti che si possono attribuire al Pietro
di Atti.
L
PENNA R., Le prime comunità cristiane. Persone, tempi, luoghi,
forme, credenze, Carocci, Roma 2011, pp. 310, € 25,00. 9788843057047
l provocatorio incipit: «In principio era la Chiesa», serve al noto studioso di cristianesimo antico per dare forma alla miniera di dati di cui il
vol. costituisce un ottimo contenitore. «Il cristianesimo appare sul palcoscenico della storia mediante una documentazione che primariamente attesta l’esistenza in area mediterranea di vari gruppi di uomini e donne,
credenti in Gesù di Nazaret come Cristo e Signore. Sono gruppi esistenti
già all’inizio degli anni Cinquanta del I sec., quando il Paolo storico scrive le sue lettere … e per di più sono già sparsi in città di varie regioni del
Mediterraneo centro-orientale. … E se esistono in quegli anni è segno evidente che la loro gestazione avvenne lentamente negli anni precedenti».
Un manuale che si segnala anche per la prosa scorrevole e chiara.
I
Arnaud Corbic
Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer
Due visioni dell’uomo «senza Dio» a confronto
pag. 96 - € 8,00
Un testo in cui filosofia e teologia si confrontano:
due visioni dell’uomo «senza Dio» in Camus e in Bonhoeffer.
I dubbi del filosofo e gli interrogativi del teologo convergono,
anche se la trattazione delle domande e l’elaborazione
delle risposte risulta differente.
POSENATO C., Perché la natura merita di essere amata. Guardini - Jonas
- Moltmann, Àncora, Milano 2010, pp. 414, € 42,00. 9788851408152
n alcune opere di R. Guardini, H. Jonas e J. Moltmann l’a. cerca di cogliere elementi per una fondazione teologica e filosofica di una «ecologia autentica», prima presentando una sintesi dei singoli, quindi raccogliendo in un c. conclusivo il loro pensiero su Dio, la vita, l’uomo, la vita
morale, il potere e la natura in prospettiva ecologica.
I
ROMANELLO S., L’identità dei credenti in Cristo secondo Paolo, EDB, Bologna 2011, pp. 233, € 22,00. 9788810402740
ambito della ricerca pluriennale dell’a. è la soteriologia elaborata da
Paolo, attorno alla quale non si è pervenuti sinora da parte degli studiosi a una comprensione condivisa. Il saggio interviene quindi nel dibattito con pretesa di una certa originalità. Una volta messa a tema, la questione della soteriologia si rivela come un sasso gettato in uno specchio
d’acqua, che ingenera vari cerchi d’onda concentrici. Di questi, vengono
presi in esame gli sviluppi relativi alla questione dell’identità. Le questioni
sono affrontate con una disamina a livello esegetico, o più precisamente di
teologia biblica, ossia di ricerca di strutture costanti del pensiero paolino.
Ne risulta un quadro di forte coerenza interna, la cui organicità rivela sicuri motivi di fascino e d’attualità anche per un lettore non specialista.
L’
SCAIOLA D., I Dodici Profeti: perché «Minori?». Esegesi e teologia, EDB,
Bologna 2011, pp. 296, € 27,50. 9788810221549
l libro dei dodici profeti minori – Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona,
Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia – è da
qualche tempo oggetto d’attenzione da parte di molti esegeti, soprattutto
di lingua tedesca e inglese, in quanto testo unitario. Lo studio è una sorta
d’introduzione e di commento al libro ed è il primo lavoro sul tema apparso in lingua italiana. Il percorso proposto, di tipo esegetico-teologico è
suddiviso in tre parti. La I presenta i motivi che giustificano la lettura unitaria del libro. La II offre un saggio di lettura esegetica tratto da ciascuno
dei profeti. La III approfondisce alcuni temi di carattere teologico, presenti
in uno o più profeti, e riprende la questione più generale relativa alla forma complessiva del libro.
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Armando Matteo
Nel nome del Dio sconosciuto
pag. 112 - € 9,00
Il testo accoglie l’invito che Benedetto XVI ha rivolto alla
comunità ecclesiale con la proposta del cortile dei gentili:
l’invito a prendersi a cuore la vicenda dei non credenti,
degli atei e degli agnostici, a farsi cioè carico della mancata
provocazione della questione Dio nella loro esistenza.
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Pastorale, Catechesi, Liturgia
ALBERGHINA G., GRILLI M., PIERI F., Cammini di speranza. Formazione aperta alla creatività di Dio, Paoline, Milano 2011, pp. 137,
€ 12,00. 9788831536967
i propongono qui le lezioni tenute durante il corso per formatrici organizzato dall’Unione superiore maggiori d’Italia nel marzo 2010.
Il tema portante è la speranza; se ne mettono in luce il legame inscindibile col Cristo e il rapporto con la formazione: «Davvero possiamo
affermare che il servizio alla formazione è per eccellenza un servizio di
speranza e alla speranza». I contributi riflettono sulla speranza attraverso le Scritture e delineano possibili piste per rinnovare la formazione all’interno degli istituti religiosi, al fine di rendere il carisma dei consacrati in grado di essere significativo per il nostro tempo e raccoglierne le sfide e le difficoltà.
S
APRILE F., Fare formazione nella Chiesa. Pensare, organizzare, gestire il cambiamento, Paoline, Milano 2011, pp. 175, € 13,00.
9788831538985
partire da un’esperienza di animatore e catechista, ma soprattutA
to grazie alla propria attività di formatore professionista sui temi
della comunicazione e delle relazioni interpersonali, l’a. ha dato vita,
attraverso veri e propri laboratori di formazione, a diversi progetti per
formatori di parrocchie e diocesi, che vengono raccolti in questo libro. A partire da una ridefinizione della logica e dello stile della formazione (cc. 1-2), si passa a un’efficace impostazione e gestione del
gruppo (c. 3) e una buona strutturazione del percorso formativo (c. 4),
per concludere con l’uso delle metodologie nella conduzione di un incontro (c. 5).
BENTOGLIO G., Sfide alla Chiesa in cammino. Strutture di pastorale
migratoria, Urbaniana University Press, Roma 2010, pp. 166, € 12,00.
978884017094
l vol. fa parte della collana dei Quaderni SIMI (Scalabrini International
Ifenomeni
Migration Institute), espressione dell’attività di ricerca e discussione sui
migratori condotti dall’istituto stesso. In questo lavoro, esperti di
diversa estrazione analizzano vari aspetti dell’immigrazione nel mondo
occidentale e descrivono le strutture organizzative che la Chiesa si è data
in passato per provvedere alla cura morale e materiale degli stranieri, interrogandosi sulla loro adeguatezza e delineando i modelli introdotti recentemente. L’auspicio è che la Chiesa sappia cogliere le opportunità che
le migrazioni, «segno dei tempi», presentano.
BRESSAN L., ROUTHIER G. (a cura di), L’efficacia della Parola, EDB, Bologna 2011, pp. 133, € 13,50. 9788810203576
ome mettere la Bibbia al centro della comunità? A questa domanda
sempre urgente per la pastorale, il vol. risponde attraverso sei prospettive, sviluppate da insigni aa.: quelle della predicazione (Parmentier),
della liturgia (Grillo), della lectio divina (Bressan), della catechesi (Lorenzi),
della teologia (Grieu), della costruzione della comunità (Routhier).
C
CALDIROLA D., TORRESIN A., Cafarnao: il pane della fede. Diventare
discepoli, EDB, Bologna 2011, pp. 65, € 6,00. 9788810512074
i fatto, molte delle nostre eucaristie sono come dei fast food, dove ciascuno viene per consumare velocemente il suo pasto … L’individualismo che segna la nostra cultura, corrompe anche il nostro modo di celebrare» (dall’Introduzione). Oggi il lato più accessibile del cristianesimo è
spesso proprio quello più prezioso e impegnativo: la partecipazione alla
mensa eucaristica.
D
CENCINI A., Formazione permanente: ci crediamo davvero? Prefazione di
mons. F. Lambiasi, EDB, Bologna 2011, pp. 137, € 12,00. 9788810508473
i sono reso sempre più conto, nei vari contatti col mondo presbiterale e consacrato, anche fuori d’Italia, di quanto l’idea di formazione permanente fosse e sia ancora piuttosto vaga e nebulosa, povera e ambigua, parziale e superficiale, più legata alla sociologia che alla teologia... Ecco forse perché la cosa stenta a decollare e divenire prassi abituale e universale, per quanto se ne parli» (dall’Introduzione). Le
pagine del vol. espongono il senso della formazione permanente e la sua
ragione: rendere la vita dei presbiteri e dei consacrati sempre più ricca
e matura.
M
a cura di Patrizio Righero - Roberta Roccia
Mi piace
Rischi e risorse del mondo virtuale
CAMPO SCUOLA
DE CHALENDAR X., Hanno visto Gesù. 50 personaggi del Vangelo,
Paoline, Milano 2010, pp. 230, € 14,50. 9788831537261
a. ha individuato fra tanti personaggi che incontrano Gesù – Elisabetta, un pastore, la moglie di Zebedeo, un servitore a Cana, Lazzaro, i due ladroni ecc. – 50 uomini e donne per farli parlare del loro incontro con il Signore, abbandonandosi ai ricordi, o attraverso un’intervista o
una lettera. «Un’occasione per rileggere la vita di Gesù mettendosi al posto di chi l’ha conosciuto e ascoltato» per riviverne sentimenti ed emozioni e per riscoprirne l’attualità.
L’
DOZZI D., Salmi: preghiera di Israele e della Chiesa, EDB, Bologna 2011,
pp. 231, € 20,00. 9788810621455
l vol. prosegue l’itinerario di spiritualità su testi biblici alla luce del messaggio di s. Francesco e dell’attualità, avviato con la Genesi e poi proseguito su altri testi. Lo schema è collaudato: testo biblico, sua recezione nel
francescanesimo, sfide dell’oggi. Il tutto «con brevità di sermone», come
consigliava Francesco. I testi sono stati pubblicati su Messaggero cappuccino, il bimestrale dei cappuccini bolognesi-romagnoli, dove hanno riscosso
l’apprezzamento dei lettori.
I
educi dal successo dei precedenti sussidi, i curatori propongono
R
un campo scuola per ragazzi sul mondo virtuale e i rischi a
esso connessi. Un’introduzione sull’educazione nel tempo
del web 2.0 aiuta gli adulti a non sentirsi smarriti di fronte a
questa nuova realtà. Punti di forza del sussidio sono la veste
grafica accattivante e lo stile vicino al vissuto dei ragazzi.
«Campi scuola»
Guida per gli animatori: pp. 112 a 2 colori - € 7,50
Sussidio per i ragazzi: pp. 48 a 2 colori - € 3,90
EDB
Edizioni
Dehoniane
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Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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FONDAZIONE DIOCESANA PER GLI ORATORI MILANESI, Battibaleno. Insegnaci a contare i nostri giorni. Oratorio estivo 2011, Cooperativa
In Dialogo, Milano 2011, pp. varie + gadgets, € 35,00. 9788881236862
a «cassetta degli attrezzi» proposta dagli oratori milanesi offre tutti
gli strumenti necessari per mettere in piedi un’esperienza di oratorio estivo: dalle magliette e gli adesivi ai sussidi per organizzare le gior-
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La rivista
“Evangelizzare”
d’intesa con l’Ufficio catechistico nazionale
organizza la
nate; dal CD con i canti ai testi di riflessione… Questa proposta mette
al centro il tema del tempo: «Battibaleno, il tema dell’oratorio estivo
2011, afferma l’esigenza di non restare fermi a guardare passivamente
il tempo che passa, ma dice della necessità di buttarsi dentro le occasioni di bene che il tempo offre, per trarne il meglio per la propria vita e
quella degli altri».
GRILLI M., Scriba dell’Antico e del Nuovo. Il Vangelo di Matteo, EDB,
Bologna 2011, pp. 128, € 11,50. 9788810221532
l vol. propone il testo rivisto delle conferenze che l’a. ha tenuto
al convegno di Parola Spirito e vita, svoltosi a Camaldoli (AR) dal
29.6 al 3.7.2009, di cui è già disponibile il cofanetto CD/MP3. L’itinerario guida alla comprensione e all’approfondimento del Vangelo di
Matteo.
I
KOTHGASSER A., SEDMAK C., Donare e perdonare. L’arte di ricominciare, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2010, pp. 191, € 15,00.
9788825025217
li aa. sono promotori del gruppo Salzburg Ethik Initiative che con
G
la cooperazione fra Chiesa, mondo economico e scientifico intende dare impulso al rinnovamento a livello strutturale e personale. Su
questo secondo aspetto si concentra il presente lavoro, rivolto a tutti i
cristiani perché sappiano continuamente ricominciare o, in altre parole,
convertirsi, sfuggendo all’insidia di essere «peccatori mediocri» che hanno addomesticato il Vangelo. La via del rinnovamento non cerca imprese eccezionali ma sa procedere attraverso le piccole cose della quotidianità, arrivando ai vertici del perdono e del dono d’amore grazie alla
fiducia in Dio.
RATZINGER J., Opera omnia/11. Teologia della liturgia. La fondazione
sacramentale dell’esistenza cristiana, Libreria editrice vaticana,
Città del Vaticano 2010, pp. 849, € 55,00. 9788820984151
l testo «raccoglie tutti i miei lavori di piccola e media grandezza con i
quali nel corso degli anni, in diverse occasioni e da prospettive diverse,
ho preso posizione su questioni liturgiche. Infine, dopo tutti i contributi
nati in questo modo, mi sono sentito spinto a presentare una visione d’insieme che è stata pubblicata nell’anno giubilare 2000 con il titolo Der Geist
der Liturgie. Eine Einführung (Lo spirito della liturgia. Un’introduzione) e
che costituisce il testo centrale di questo volume». Così presenta Benedetto XVI l’11o vol. della sua opera omnia, che comprende testi prodotti nell’arco di 40 anni, dal 1964 al 2004, articolati in 5 parti: «Lo spirito della
liturgia»; «Typos – mysterium – sacramentum»; «La celebrazione dell’eucaristia – fonte e culmine della vita cristiana»; «Teologia della musica sacra»; «Ulteriori prospettive».
I
SAPIENZA L., Un’infinita bellezza. Antologia della vocazione, Rogate,
Roma 2010, pp. 391, € 22,00. 9788880753940
alla A di «abito» alla V di «voti», passando per «maestri di vita», «pace», «responsabilità»: in ordine alfabetico 189 parole/temi per offrire «quanto di più bello e interessante è stato scritto sulla vocazione e sulle
vocazioni».
D
TRIANI P. (a cura di), Educare, impegno di tutti. Per rileggere insieme
gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana 2010-2020, Ave,
Roma 2010, pp. 271, € 10,00. 9788882846008
ercorso di lettura e di approfondimento del documento pastorale della
CEI per il decennio, nato in ambito dell’Azione cattolica italiana. Ogni a.
(Bignardi, Brambilla, Crociata, Lizzola, Miano, Sigalini e Triani) commenta
un c. del documento che nella II parte è presentato integralmente.
P
TOMMASELLI A., Spiriti maligni. Chi è il diavolo, qual è il suo potere,
come si combatte, EDB, Bologna 2011, pp. 133, € 10,00. 9788810521137
na prima informazione sulla demonologia, ma anche un manuale di
autodifesa: scopo del vol. non è suscitare inutili paure, ma aiutare a
rivestirsi dell’armatura di Dio, che la Chiesa mette da sempre a disposizione: le Scritture, la Tradizione, la dottrina del magistero e le indicazioni
dei più eminenti esorcisti. Presentazione a firma di G. Amorth.
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SCUOLA PER FORMATORI
ALL’EVANGELIZZAZIONE
E ALLA CATECHESI
La formazione degli annunciatori
in un mondo plurale
SIUSI (BZ), 10-19 luglio 2011
La scuola si propone di accompagnare
i formatori dei catechisti a:
䉬 rendersi consapevoli della pluralità
䉬 lasciarsi sorprendere
䉬 acquisire competenze per servirla
䉬 diventare creativi nell’annuncio
Il metodo è basato sulla logica del laboratorio
per un apprendimento adulto dei partecipanti.
¢ Le informazioni vanno richieste a:
Segreteria Scuola per formatori
p. Rinaldo Paganelli
Via Casale San Pio V 20, 00165 Roma
tel. 06.660560 - cell. 328.3793662
e-mail: [email protected]
Ci si può utilmente rivolgere a:
suor Giancarla Barbon
tel. 0583.971054 - cell. 329.1274401
e-mail: [email protected]
¢ La scuola si svolge a Siusi (BZ)
dal 10 al 19 luglio 2011.
L’ospitalità è presso l’Hotel Salego
tel. 0471/706123.
¢ La quota di iscrizione è stabilita in € 90
da versare al momento dell’arrivo alla scuola.
¢ La quota di soggiorno varia da € 500
a € 380 (camera singola € 500,
doppia € 435, tripla o quadrupla € 380).
IL PERCORSO PREVEDE QUESTA SCANSIONE:
䉬 Essere annunciatori in un mondo plurale
䉬 Perdersi e ritrovarsi nella pluralità
䉬 Costruirsi nella pluralità
䉬 Annunciare nella e con la pluralità
I LABORATORI NEL POMERIGGIO
IL TIROCINIO
Alle persone che hanno già frequentato
le due annualità della Scuola nazionale
viene proposto un tirocinio.
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Spiritualità
CATALANO R., Spiritualità di comunione e dialogo interreligioso. L’esperienza di Chiara Lubich e del Movimento dei focolari, Città nuova,
Roma 2010, pp. 234, € 14,00. 9788831148092
ra i caratteri propri del carisma di Chiara Lubich e della «spiritualità di comunione» che anima il Movimento dei focolari, il dialogo
– in un’ampia varietà di declinazioni – ha senz’altro una posizione fondamentale. Il vol. si occupa, in modo particolareggiato, del dialogo coi
seguaci di altre religioni nel quale il movimento si è instancabilmente impegnato fin dai suoi inizi per accogliere l’apertura del Concilio e impegnarsi a costruire una convivenza fraterna in un mondo realmente interculturale. Il dialogo interreligioso corrisponde, inoltre, al carisma fondativo del movimento radicato nelle parole evangeliche: «Perché tutti siano
uno».
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GASPARINI G., Per una spiritualità del quotidiano, Studium, Roma 2010,
pp. 95, € 9,00. 9788838241154
a prima percezione germinata in me alla lettura di questo diario interiore è stata quella di entrare in pagine intrise di una fame di comunione ... Una seconda emozione è l’affiorare permanente di una passione
per la vita ... La terza è venuta dal ritrovare in queste pagine la via della
bellezza» (dalla Postfazione di p. E. Ronchi). Una breve raccolta di meditazioni, riflessioni e «quasi-preghiere», caratterizzate dal taglio autobiografico e dall’attenzione alla vita quotidiana.
L
GRÜN A., La vita è adesso. L’arte dell’invecchiare, Queriniana, Brescia
2010, pp. 207, € 16,50. 9788839916860
invecchia «senza dover muovere un dito. Ma se e come l’invecchiare
ci riesca è un’altra questione». È un arte che va imparata da giovani
S’
Notker Wolf
Il tempo è vita:
non correre!
P
ur in mezzo alle pressioni del mondo
moderno, concedersi del tempo per
vivere in modo più consapevole è l’invito
dell’autore. Da abate benedettino, egli
ben realizza la sintesi tra la frenesia del
manager, in giro per il mondo a visitare
i monasteri di cui è responsabile, e il
ritmo più umano, intessuto di silenzi e
preghiera, tipico del suo ordine. Un tema quanto mai attuale, affrontato con
stile agile e accattivante.
«Itinerari»
pp. 208 - € 17,50
Dello stesso autore, con Matthias Drobinski:
Regole per vivere
I dieci comandamenti: provocazione e orientamento per oggi
pp. 160 - € 13,50
EDB
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Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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e che pone di fronte a «interrogativi che, in realtà valgono per tutta la vita». La vita, quindi, è adesso: perché «non viviamo per restare giovani, ma
per diventare vecchi».
MANETTI D., Tutti i messaggi di Medjugorje. 30 anni con la Regina
della pace, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2011, pp. 415, € 15,50.
9788856617825
orposo e agile volumetto che si avvale della prefazione di p. Livio
C
Fanzaga e presenta l’intero corpus dei messaggi mariani di Medjugorje, dal 1981 al 2011. L’inusuale estensione nel tempo di queste apparizioni mariane ha suggerito l’attivazione di una commissione per
verificarne i frutti spirituali, presieduta dal card. Ruini (Regno-att.
8,2010,237). Alla breve storia delle apparizioni seguono tutti i messaggi con un indice tematico essenziale e significativo. Le voci più corpose sono infatti: conversione, preghiera, Maria, pace, digiuno e satana.
Minore sviluppo hanno voci come: eternità, eucaristia, Bibbia e confessione.
MAZZOLARI P., Il Samaritano. Elevazione per gli uomini del nostro
tempo. Edizione critica a cura di Bruno Bignami, EDB, Bologna
2011, pp. 262, € 19,50. 9788810108499
on Mazzolari scrive Il samaritano nel 1937. È un testo impegnativo,
che sa coniugare analisi psicologica dei personaggi e rivisitazione
dell’ambiente scenico: ai suoi occhi, la parabola è sintesi della vita stessa. E non è quindi un caso che il sottotitolo espliciti il convincimento che
il messaggio cristiano sia indispensabile per fare luce sul proprio tempo.
Nel testo compaiono anche perle di letteratura e saggezza che da sole
valgono il prezzo del libro: piccoli tesori che fanno de Il samaritano uno
degli scritti più significativi del parroco di Bozzolo. Il vol. prosegue l’edizione critica delle opere di M. a cura della Fondazione don Primo Mazzolari e delle EDB.
D
PAGANELLI R., Mettimi come sigillo sul tuo cuore, EDB, Bologna 2011,
pp. 159, € 9,90. 9788810808467
esperienza dell’amore, intesa nel senso più ampio, è presentata dall’a. nella sua forza e nella sua fragilità, propria delle cose gratuite,
attraverso il racconto di storie di amici e amiche che gli hanno fatto il
dono del loro amore. È un canto del cuore, una danza dell’anima, anche se con piedi stanchi. Un viaggio attorno e dentro il mondo degli affetti.
L’
ŚPIDLÍK T., La vocazione. Riflessioni utili, Lipa, Roma 2010, pp. 95,
€ 10,00. 9788889667163
el libretto, a cui il card. Špidlík stava lavorando poco prima della
morte (cf. Regno-att. 10,2010,352), è raccolta – più che una trattazione teologica sistematica sulla vocazione – una serie di riflessioni utili
per la lettura e la meditazione, nel consueto stile fresco e diretto che avevamo imparato a conoscere. Si parte da una domanda, anche molto
semplice, per ricondurre tutte le esperienze più concrete e umane alla
prospettiva di fede e ai contenuti essenziali del mistero e della tradizione
cristiani.
N
ZARRI A., Un eremo non è un guscio di lumaca. Erba della mia erba e
altri resoconti di vita, Einaudi, Torino 2011, pp. 265, € 19,50. 9788806205577
l testo, che prende il titolo da una delle lettere della Zarri ed è preceduto da un testo di R. Rossanda («Le mie ore con Adriana»), «ha il suo
cuore e nucleo portante in Erba della mia erba, pubblicato per la prima volta dalla Cittadella editrice nel 1981 e qui riproposto nella sua interezza»:
si tratta di una raccolta dei testi della rubrica che la Zarri teneva sulla rivista Rocca. Nella II parte sono stati affiancati «altri resoconti di vita che si
nutrono di atmosfere e riflessioni molto vicine nel tempo; sono brani recuperati dall’a. fra le sue carte e prima d’ora mai pubblicati in volume».
Nella III, invece, vengono presentate pagine del tutto inedite e scritte nel
2010 a Cà Sassino, dove Adriana è morta nel mese di novembre (Regnoatt. 22,2010,736).
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ZIN N., 3 euro al giorno, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 146,
€ 12,00. 9788821569074
a mia storia è diventata un dramma ordinario... Il quotidiano di
una madre dell’hinterland parigino alla quale, man mano che passano le settimane e i mesi, manca la terra sotto i piedi, e si ritrova solo
con 3 euro al giorno per vivere». Questa è la storia di Nelly, che fa parte di quelli che oggi vengono definiti i «nuovi poveri». Improvvisamente la sua vita è cambiata: lasciata dal marito, perduto il lavoro, accumulati i debiti, Nelly si è ritrovata a dover accudire da sola le sue due
figlie piccole.
L
COMMODI B., Canto francescano a Maria, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 2011, pp. 159, € 13,00. 9788821570636
FARICY R., PECORAIO L., Meditando il santo rosario, ADP - Apostolato
della preghiera, Roma 2011, pp. 102, € 5,50. 9788873575276
Storia della Chiesa
ALENI G., Vita del maestro Ricci, Xitai del grande Occidente. A cura di
G. Criveller, Fondazione Civiltà bresciana, Brescia 2010, pp. 174, € 23,00.
9788855900294
n occasione del IV centenario della morte del missionario gesuita MatIduzione
teo Ricci a Pechino (1610) è stata pubblicata per la prima volta in traitaliana la biografia che ne scrisse nel 1630 Giulio Aleni, anch’egli
gesuita e missionario, che voleva far conoscere ai lettori cinesi la vita del
grande intellettuale e amico della Cina, e dare alla sua figura fama imperitura. Pur non essendo del gesuita bresciano Aleni l’opera più celebre, risulta di grande interesse per comprendere l’idea e la prassi dell’inculturazione attuate da entrambi i missionari.
BELTRAME G., Sul fiume azzurro nei Sciangallah. Memorie di un viaggio. Il manoscritto del 1857. A cura di D. Romani, Mazziana, Verona 2010, pp. 166+XXXIV, € 19,00. 9788885073319
accolta delle tre principali opere di don Giovanni Beltrame (18241906) – Il Sennaar e lo Sciangallah. Memorie, Il fiume Bianco e i Denka e In Nubia presso File, Siene, Elefantina, in cui racconta la sua presenza in Sudan e in Egitto – assieme a due saggi sulla schiavitù, e alcuni studi minori su di lui, apparsi al convegno su «Giovanni Beltrame “ostinato
africanista”» del 12.5.2006 a Verona, in occasione del centenario della
morte.
ma con la chiesa in comune) una strada geniale della sequela evangelica,
ma anche un riscatto della figura femminile nell’ambito sociale. Una storia travagliata di consensi e sospetti viene ricostruita con cenni alle personalità più significative.
PELLEGRINI M., Il papato nel Rinascimento, Il Mulino, Bologna 2010,
pp. 211, € 13,50. 9788815136817
alla fine del grande scisma d’Occidente (1417) al sacco di Roma
(1527). È questo il periodo che l’a. mette sotto la sua lente di storico,
il secolo nel quale si registra «l’ascesa dei papi a fastosi sovrani del più forte e rispettato stato italico» celebrata «dagli apologeti dell’ideologia papalista non meno che dagli artisti e dai letterati di curia». Il recupero dell’autorità primaziale, la smentita del conciliarismo, l’espansione dei poteri
della curia, le pratiche belliche e di nepotismo, sono tra gli elementi che il
vol. evidenzia tratteggiando quella «svolta temporalista» del papato che
non saprà evitare ambiguità e problemi.
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WILLIAMS R., Perché studiare il passato? Alla ricerca della Chiesa storica, Borla, Roma 2011, pp. 153, € 20,00. 9788826318059
uesto libro è stato scritto nella speranza d’incoraggiare la gente a
volgere uno sguardo alla storia cristiana aperto alla sorpresa e alla messa in discussione»: così l’a., teologo anglicano e primate della
Chiesa d’Inghilterra, introduce il vol. che raccoglie una serie di conferenze tenute nel maggio 2003 nella cattedrale di Salisbury e che rappresenta un tentativo di leggere la storia della Chiesa che «risulti sensibile al registro teologico», senza tuttavia fare della cattiva storia. «La
storia cristiana fa parte di quella biografia della modernità che giace sepolta e viene spesso negata. La riesumazione di una parte di tale biografia non è solo qualcosa di buono per la salute della Chiesa, ma è un
contributo seriamente urgente per il benessere intellettuale e morale
della cultura».
Q
R
CRIVELLER G., Matteo Ricci. Missione e ragione. Una biografia intellettuale, PIMedit, Milano 2010, pp. 127, € 13,00. 9788888534213
ubblicato in occasione del convegno «La porta dell’amicizia», tenutosi a Milano il 15.5.2010 presso il centro missionario del Pontificio istituto missioni estere per celebrare i 400 anni della morte del missionario
gesuita Matteo Ricci a Pechino, il vol. «si propone di ricostruire la vicenda umana, culturale e missionaria di un personaggio davvero straordinario, un “missionario intellettuale” che ha mostrato, con la sua esistenza,
l’unità tra l’attività culturale e scientifica e la predicazione cristiana», e individua come trait d’union tra la formazione scientifica, l’attività missionaria e il contesto culturale cinese la ragione umana. Di particolare interesse l’attenzione preponderante dell’a. per gli scritti ricciani letti in lingua
originale, e la lista completa delle opere del missionario nella III parte del
libro.
Luca Garbinetto
Vivere la debolezza
Itinerario verso l’integrazione personale
P
PANCIERA S., Le beghine. Una storia di donne per la libertà, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2011, pp. 126, € 12,00.
9788860991102
critto in maniera molto sintetica il testo non manca della suggestione
S
di un movimento spirituale di grandissimo rilievo la cui ultima rappresentante è morta in Belgio nel 2008. I beghinaggi, sorta di piccole città entro le città, nascono dal XII secolo e si sviluppano in particolare nelle aree
attuali di Belgio, Olanda, Germania del Nord, Francia Nord-occidentale.
Donne di diversa provenienza sociale trovano in una consacrazione laicale (e non monastica o religiosa) e nella vita comune (non nella stessa casa,
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A
lla luce dell’antropologia cristiana
e della psicologia del profondo,
la fragilità umana può essere spazio
privilegiato per la crescita della persona. Il volume coniuga la riflessione
psicologica sull’individuo, in particolare sulla sua dimensione di limite, con
una proposta di tipo spirituale, in un
cammino verso l’incontro più autentico con Dio. Perché l’uomo possa vivere con maggiore libertà la propria
esistenza e la propria fede.
«Psicologia e formazione»
pp. 144 - € 13,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
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Attualità ecclesiale
AGNOLI F., Chiesa e pedofilia. Colpe vere e presunte. Nemici interni ed
esterni alla barca di Pietro, Cantagalli, Siena 2011, pp. 109, € 9,90.
9788882725860
al Vaticano II al Trento II, «non un aggiornamento ma un ritorno alD
le radici» (p. 12), questa la soluzione a tutti i mali che travagliano la
Chiesa, primo fra tutti quello della pedofilia. Secondo l’a. – che peraltro
non porta a riprova alcun dato – il crimine è diffuso prevalentemente (cf.
24) negli Stati Uniti, per la ben nota «ostilità americana alla Chiesa di Roma» (29). La tesi è tutta nel titolo: la pedofilia è una sorta di «psicosi» collettiva, un eccesso di enfasi voluto dai nemici della Chiesa. E, se non bastasse, viene affiancata all’omosessualità praticata da adulti…
ALBERONI R., Intrigo. Al concilio Vaticano II. Romanzo, Fede & cultura, Verona 2010, pp. 190, € 15,00. 9788864090542
n romanzo thriller che attraverso la storia raccontata da padre Robert alla giornalista Rachele Vidal svela la storia di una congiura progressista: un tentato colpo di stato (o di Chiesa), ambientato durante il Vaticano II entro le mura vaticane, che ha l’obiettivo di distruggere i dogmi
– scardinare il primato di Pietro, respingere la Madonna come madre di
Cristo, negare l’esistenza dei santi e del diavolo – per portare la Chiesa a
una deriva protestante.
U
AMORTH G., ZANINI R.I., Più forti del male. Il demonio, riconoscerlo, vincerlo, evitarlo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2010, pp. 270,
€ 14,00. 9788821567681
a dove nasce il male diabolico? Si tratta di una malattia della mente
o di un male dell’anima? Il giornalista Roberto Zanini racconta il mistero del male e la lotta continua con esso attraverso l’esperienza di padre
D
Rinaldo Paganelli
Mettimi come sigillo
sul tuo cuore
U
n viaggio attorno e dentro gli affetti.
L’esperienza dell’amore in senso
ampio è presentata dall’autore nella sua
forza e nella sua fragilità, propria delle
cose gratuite, attraverso le storie di amici e amiche che gli hanno fatto dono
del loro amore. Un canto del cuore, una
danza dell’anima, anche se con piedi stanchi, il tutto raccontato con stile fresco e
accattivante.
«Meditazioni»
pp. 160 - € 9,90
Dello stesso autore:
Malato, mi hai visitato
pp. 144 - € 9,90
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
Gabriele Amorth, noto esorcista italiano. Così dal vol. emergono episodi e
riflessioni che affrontano diversi temi: l’azione e il potere di maghi, fattucchiere, cartomanti; l’efficacia di malefici che provocano malattie e forme
acute di depressione; l’aborto come conquista del diavolo; cenni e sviluppi sul rock satanico, sui rave-party, su trasmissioni televisive e telematiche
violente o ispirate al mondo della magia e dello sciamanismo.
CATTANEO A., Preti sposati? 30 domande scottanti sul celibato. Con
prefazione e contributo del card. Mauro Piacenza, Elledici, Cascine Vica (TO) 2011, pp. 143, € 9,00. 9788801047875
on questo libro vogliamo rendere comprensibili al grande pubblico le
ragioni per cui il celibato sacerdotale stia tanto a cuore alla Chiesa. A
tale scopo viene data risposta alle obiezioni più frequenti e più critiche nei
confronti del celibato sacerdotale, raggruppandole secondo i diversi aspetti della questione». La difesa radicale della norma del celibato ecclesiastico della Chiesa latina fa scivolare nella minorità spirituale l’esercizio del
presbiterato uxorato nelle Chiese orientali, anche cattoliche, e riconduce il
dibattito alla questione personale del presbitero, senza dare ascolto alle esigenze pastorali di vaste aree del mondo cattolico.
C
CAVADI A., Non lasciate che i bambini vadano a loro. Chiesa cattolica
e abusi su minori. Prefazione di V. Mancuso, Falzea editore, Reggio
Calabria 2010, pp. 143, € 11,90. 9788882963347
esto speculare a quello di Agnoli (cf. qui sopra), anche se più consapevole delle complessità della vita ecclesiale. In esso si ricostruiscono le vicende dell’annus horribilis 2010 della Chiesa cattolica in cui numerosi casi
di violenze sessuali da parte di personale ecclesiastico ai danni di minori sono venuti alla luce (nella II parte riporta un’ampia documentazione dei testi vaticani, tratti da Adista). Nella prefazione Mancuso sostiene due tesi: lo
scandalo è dato dal fatto che i vertici ecclesiastici hanno taciuto «per non indebolire il potere politico della Chiesa» (p. 13); tra tutti i cardinali solo uno
ha «avuto il coraggio e l’onestà di puntare il dito contro il vertice della nomenclatura», il card. Schonborn. Ma «il papa l’ha messo a tacere» (14).
T
Enchiridion Vaticanum/25. Documenti ufficiali della Santa Sede 2008,
EDB, Bologna 2011, pp. XLIX+1333+[109], € 45,00. 9788810802458
l 2008 è un periodo denso di avvenimenti ecclesiali di cui il nuovo enchiridion riporta i documenti ufficiali: ad esempio l’apertura dell’anno
paolino, i viaggi del papa negli USA e in Francia, il Sinodo dei vescovi dedicato alla parola di Dio, l’approvazione degli statuti del Cammino neocatecumenale ecc. Diversi organismi vaticani sono impegnati su temi etici: lo testimoniano l’istruzione Dignitas personae sulla bioetica, gli studi su
Bibbia e morale e sulla legge naturale. Altri documenti vengono dedicati
al tema dell’autorità e dell’obbedienza negli istituti di vita consacrata, degli istituti di scienze religiose, dell’utilizzo delle competenze psicologiche a
supporto dell’ammissione al sacerdozio, della figura del vescovo emerito,
alle questioni legate alla liturgia.
I
IL REGNO (a cura di), Chiesa in Italia. Annale 2009, EDB, Bologna 2011,
pp. 216, € 15,00.
ompie 18 anni il supplemento alla rivista Il Regno che annualmente offre una ricognizione sui principali avvenimenti che hanno per
protagonista la Chiesa italiana visti sotto molteplici punti di vista. Qui i
dati si riferiscono al 2008, anno della crisi economica – cf. il saggio di
M. Veladiano su «Chiesa, crisi finanziaria e povertà» –, ma anche delle
dimissioni del card. Ruini – cf. il saggio di L. Prezzi su «Il pallino della
politica. Ruini: 20 anni da protagonista» – e, infine, della vittoria elettorale del centrodestra – cf. il saggio di G. Brunelli su «Elezioni politiche 2008: il bipartitismo imperfetto» –. Oltre ad altri approfondimenti,
alle cronache italiane e relative alla Santa Sede, la II parte riporta l’aggiornamento della situazione delle diocesi, delle nomine dei vescovi,
dell’andamento dell’8 per mille e dei diversi capitoli concordatari, delle
associazioni di matrice cattolica e delle altre confessioni e religioni presenti in Italia.
C
LECLERC G., Roma e i lefebvriani, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2011,
pp. 95, € 11,00. 9788821570001
l vol. intende «prendere la giusta misura dei disaccordi e dei possibili
riavvicinamenti» tra la Chiesa cattolica e la Fraternità di san Pio X
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fondata dal vescovo scismatico Lefebvre. Giornalista, storico di formazione, l’a. dedica alla storia – in particolare alla lettura della vicenda
conciliare e alla sua successiva recezione – buona parte del suo saggio,
nel quale il «caso Lefebvre» viene presentato con un «preconcetto improntato a benevolenza» e nella convinzione che si debba «sostenere la
volontà riconciliatrice del papa».
MANDREOLI F., Appunti sul Vaticano II. Un modello di discernimento, Edizioni san Lorenzo, Reggio Emilia 2010, pp. 236, € 20,00.
9788880711971
Filosofia
OTTO R., Il sacro. Sull’irrazionale nell’idea del divino e il suo rapporto con il razionale, Morcelliana, Brescia 2011, pp. 247, € 20,00.
9788837224523
iproposta di un classico d’inizio Novecento che, come ebbe a dire
R
Lynn Poland, «è sopravvissuto ai suoi critici». Per lungo tempo disconosciuto sia dalla filosofia della religione sia dalla teologia, que-
ur nascendo i testi raccolti nel vol. da occasioni diverse – lezioni, conferenze e articoli – essi sono coerentemente raccolti attorno a una «triplice convinzione». Innanzitutto che «il Vaticano II è stato un evento di
grazia per la vita della Chiesa e per le riforme necessarie alla sua figura
storica»; poi che esso «ha donato una serie di criteri capaci di aiutare i
molti discernimenti necessari e urgenti alla vita della Chiesa oggi»; infine
che «l’insegnamento e lo stile conciliare sono stati una profonda seminagione in vista di un rinnovamento della vita della Chiesa».
st’opera, il cui a. era pastore luterano e docente di teologia in diverse
università tedesche, fu tradotta in italiano per la prima volta dal sacerdote modernista Ernesto Buonaiuti. Il saggio nonostante le prese di
distanza di cui fu fatto oggetto ha, in realtà, segnato in maniera fondamentale sia il discorso teologico – la cosiddetta teologia negativa –
con la sua idea del Totalmente Altro ripreso da Barth, sia la filosofia
con la centralità posta alla categoria dell’«a-priori» mutuato da Kant
e da Schleiermacher, sia, infine, il punto di vista storico-critico inteso
come modello comparatistico tra le diverse religioni. Da tornare a leggere.
MARENGO G., Giovanni Paolo II e il Concilio. Una sfida e un compito,
Cantagalli, Siena 2011, pp. 287, € 19,00. 9788882726362
artendo dall’affermazione di Giovanni Paolo: «in questi anni di pontificato, l’attenzione al Concilio è stata costantemente in cima ai miei
pensieri», l’a. ha scelto alcuni dei testi magisteriali (le encicliche Redemptor hominis, Dives in misericordia, Dominum et vivificantem) e un ciclo
di catechesi (sull’amore umano nel piano di Dio) fra il 1979 e il 1984,
come base di una riflessione iniziale, ma definita del magistero di papa
Wojtyla. Il dato sorgivo del suo pontificato è il Concilio, alla costituzione Gaudium et spes e poi all’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae.
Emerge un’interpretazione del Concilio come riferimento centrale in
quanto evento pastorale che ha il suo nucleo nell’idea e nella pratica
della comunione.
PIANA G., La verità dell’azione. Introduzione all’etica, Morcelliana,
Brescia 2011, pp. 303, € 22,00. 9788837224806
e non si dà una visione metafisica unitaria del reale e quindi dei suoi
fondamenti etici, come può declinarsi un’etica che non voglia liquidare la questione in senso puramente relativistico, ma che cerchi ancora un “dover essere” nel nostro stare al mondo?». È la domanda che
guida il lettore attraverso le pagine di un vol. nel quale, intrecciando i
percorsi storico e teoretico, viene proposta una rifondazione dell’etica
e una ridefinizione delle sue categorie fondamentali (libertà, coscienza,
valori, norme). L’a. intende così raccogliere la sfida delle nuove e complesse questioni «poste dallo sviluppo socioculturale e scientifico-tecno-
P
P
S
MERONI P., Il diacono. Segno di rinnovamento della Chiesa, presenza nella famiglia e nella vita della società, Aracne, Roma 2010,
pp. 208, s.i.p. 9788854831582
l vol., frutto degli studi dell’a. per conseguire la laurea magistrale in
Scienze religiose, è una rassegna sul tema del diaconato «puntuale e
ben documentata», utile per lo «scavo riflessivo e la decisione pastorale»
(Ubbiali). Esso riesamina il ministero diaconale nei padri della Chiesa
d’Oriente e d’Occidente; il suo declino; la questione delle diaconesse; il
contenuto della Tradizione e del magistero sia nel concilio di Trento sia
nel Vaticano II; i testi pontifici da Pio XII a Benedetto XVI e degli organismi vaticani che si sono espressi in materia; i riferimenti contenuti
nel diritto canonico. Chiudono alcuni cenni alla spiritualità del diacono
coniugato e celibe e la riflessione sulla liturgia De ordinatione diaconorum.
I
a cura di Dino Dozzi
Salmi:
preghiera di Israele
e della Chiesa
SALVARANI B., Il dialogo è finito? Ripensare la Chiesa nel tempo del
pluralismo e del cristianesimo globale, EDB, Bologna 2011, pp. 193,
€ 17,50. 9788810140642
biettivo del vol. è rendere ragione delle fatiche del dialogo, interrogandosi su quanto accaduto, ma anche spingendosi oltre, per rintracciare piste che aiutino a uscire dallo stallo. È questo infatti un momento ricco di anniversari: i 25 anni dall’incontro interreligioso di Assisi
(27.10.1986; cf. in questo numero a p. 343), di cui Benedetto XVI farà memoria recandosi nella città francescana il prossimo ottobre, e i 10 anni dalla pubblicazione della Charta oecumenica, stilata a Strasburgo da tutte le
Chiese europee (22.4.2001; cf. in questo numero a p. 306).
I
AGASSO R., Caro Karol, Effatà, Cantalupa (TO) 2011, pp. 126, € 9,00.
«La Bibbia di San Francesco»
pp. 232 - € 20,00
O
9788874026876
l volume prosegue l’itinerario di spiritualità su testi biblici visti alla luce del
messaggio di san Francesco e dell’attualità: è la volta dei Salmi, libro di preghiera di ebrei e cristiani. Lo schema è
collaudato: dal testo biblico (Parola...) si
passa a osservare la prospettiva del francescanesimo (...e sandali), per arrivare
infine alle sfide di oggi (...per strada).
CORUZZI R., Il mio amico Karol. Vita e santità di Giovanni Paolo II,
Piemme, Casale Monferrato (AL) 2011, pp. 208, € 13,50. 9788856613759
GIOVANNI PAOLO II, Con Cristo nel mondo. Testi scelti e presentati
da A. Cazzanigo, EMP – Edizioni messaggero, Padova 2010, pp. 95,
€ 6,00. 9788825024166
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Dello stesso curatore:
Atti degli apostoli: il libro della Chiesa
pp. 248 - € 20,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
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logico» orientandosi verso «nuovi (e consistenti) punti di riferimento»
per l’agire.
Storia, Saggistica
RIGOTTI F., Partorire con il corpo e con la mente. Creatività, filosofia,
maternità, Bollati-Boringhieri, Torino 2010, pp. 178, € 16,00. 9788833921464
ferzante contro il pensiero (specie cattolico) che spiritualizzando la
maternità ne ha usurpato la funzione creativa, l’a., filosofa e madre
di quattro figli, rivendica la possibilità che vi sia uno spazio di riflessione a partire dalla carne materna. «Svolgere un lavoro intellettuale è
un’ottima preparazione alla maternità ed … essere madre offre eccellenti opportunità a chi pratica il lavoro intellettuale, se il mondo esterno supporta abbastanza nello svolgere l’uno e l’altro compito, l’una e
l’altra funzione» (p. 9). E rovescia la metafora della concezione e del
parto intellettuale: «Esclusi dalla procreazione carnale, i filosofi se ne
sono appropriati in modo traslato e ne hanno coniato una versione
eroica e spiritualizzata che ha finito per obliterare la figura della madre. È venuto il momento di restituirle centralità all’interno delle “cose
prime”».
ABBA G.C., Edizione nazionale delle opere di Giuseppe Cesare Abba/5.
Scritti vari apparsi su giornali e riviste, Morcelliana, Brescia 2010,
pp. 890, € 50,00. 9788837224585
l vol. raccoglie gli scritti del famoso a. de Da Quarto a Volturno, probabilmente il miglior libro dell’epoca sul Risorgimento italiano, apparsi su
varie testate italiane sudamericane. Stupisce l’approfondita analisi con cui
il garibaldino Abba affronta i più svariati argomenti: si passa dallo scontro
tra liberali e clericali, all’analisi della laicità dello stato e della scuola o delle problematiche che pongono la Germania bismarckiana e l’Austria-Ungheria, per, infine, scrivere sulla città di Brescia dove il nostro visse per ventisei anni facendo il professore presso l’Istituto tecnico N. Tartaglia diventandone stimatissimo preside. Un garibaldino che sognò l’Italia unita, che
combatté per realizzarla, che lavorò per tutta la vita affinché quelle sue
speranze non fossero vanificate da una classe politica e dirigente inadeguata.
S
URE M., Filosofia della comunicazione, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp.
282, € 18,00. 9788874025787
a filosofia come «ponte» gettato tra ambiti diversi del sapere nel tentativo d’approfondire la conoscenza del fenomeno comunicazione.
L’a. ne amplia la visione «integrando e distinguendo» le dimensioni studiate dalle scienze (socio-linguistica, derivata o espressiva) e dalla filosofia
(ontologica, originaria o esistenziale). Le due parti del vol. si occupano rispettivamente della questione ontologica del comunicare e di una nuova
fondazione etica della comunicazione («cos’è una comunicazione buona?
perché è necessaria?»), sapendo che essa «può essere utilizzata per favorire l’integrità della persona ma anche a scopi immorali, per la violenza e la
manipolazione».
L
ARCANGELI M., Itabolario. L’Italia unita in 150 parole, Carocci, Roma
2011, pp. 371, € 23,00. 9788843057054
entocinquanta brevi schede, una per ciascuno degli anni compresi fra
il 1861 e il 2010, intitolate a una parola (o una locuzione) rappresentativa dell’anno di riferimento. Centocinquanta voci-chiave attraverso le
quali, profittando dell’occasione del 150° della proclamazione del Regno
d’Italia (17 marzo 1961), ho inteso (far) ripercorrere o ricostruire simbolicamente – senza pretese quantitative, dunque, e anche un po’ arbitrariamente – tappe e momenti centrali della storia linguistica, culturale e sociale della nazione»: così il curatore Arcangeli nella premessa. Storia nazionale, della lingua e del costume s’intrecciano: una lettura assolutamente affascinante e formativa.
C
MORASSO M., In bianca maglia d’ortiche. Per un ritratto di Cristina
Campo, Marietti, Milano 2010, pp. 127, € 14,00. 9788821165283
accolta delle conferenze che l’a. ha svolto nel corso degli anni sulla figura di una delle maestre enigmatiche, segrete, solitarie, affascinanti
del Novecento: Cristina Campo. Sono cinque traiettorie che illuminano la
scrittrice nel calmo magma della sua scrittura. Affiora in esse la bellezza
convulsa della Campo, poetessa nel senso più radicale del termine. Poeta,
come scrive M., è chi «accompagna la parola nella sua peregrinazione dalla coincidenza con la cosa che essa significa all’enigma implicito in questa
coincidenza». Il vol. è arricchito da una postfazione di Alessandro Spina,
particolare amico «lontano» della Campo.
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Direzione - Redazione
Centro Editoriale Dehoniano
Via Nosadella, 6 - 40123 BOLOGNA
c.c.p. 264408
tel. 051/3392607 - fax 051/331354
E-Mail: [email protected]
web: http: //www.dehoniane.it
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Trimestrale - anno XLIII
N. 170 (2) aprile-giugno 2011
rivista di teologia morale
forum:
UN DECENNIO PER L’EDUCAZIONE
La morale nell’educazione della persona
p. carlotti: la morale nel progetto educativo della chiesa italiana – s.
zamboni: la morale nell’educazione cristiana – m.t. zattoni-g. gillini: la
morale nell’educazione in famiglia – r. vinerba: la morale nell’educazione dei giovani – f. compagnoni: la morale nell’educazione della
scuola e dell’università – a. mariani: la morale nella comunicazione
multimediale – l. lorenzetti: educare in un mondo che cambia
studi: r. tremblay: giustizia umana e perdono divino. un binomio da
articolare – a. vicini: per una lettura teologico-morale nella malattia:
fragilità e vulnerabilità – c. corbella: la malattia vissuta cristianamente. opportunità di bene? – c.l. borgna: psicofarmaci: tra ausilio medico
e doping esistenziale
articoli: p.d. guenzi: la chiesa e l’educazione: tradizione e speranza –
f. modica: la conoscenza come via per una rinascita
rassegna bibliografica: s. morandini: in cammino verso la comunione morale. problemi etici nel dialogo ecumenico - g. pellegrino: labor
libertatis. un confronto tra d. bonhoeffer e juan de la cruz – g. piana:
etica di impresa – a. vicini: in servizio della parola. magistero e teologia morale – a. vicini: teologia morale e spirituale in dialogo
editrici e morale
itinerari atism55
trimestrale
in collaborazione con
i teologi moralisti dell’atism
(associazione teologica italiana
per lo studio della morale)
I
Abbonamento anno 2011
ordinario in Italia
ordinario estero (via aerea)
Europa (stati UE + Svizzera)
Resto del mondo
un numero
arretrato
€ 40,80
€
€
€
€
56,00
59,00
13,30
13,30
PRISCO A., Ebraismo riformato. Introduzione a una religione che
raccoglie la sfida del tempo, Italian University Press, Genova 2010,
pp. 307, € 30,00. 9788882581237
l sottotitolo del vol. ne definisce la tesi: la corrente riformata dell’ebraismo, che l’a. – docente presso l’Istituto superiore di scienze religiose di
Foggia – racconta dalle sue origini nel 1600 alle sue manifestazioni contemporanee, è «una religione che raccoglie la sfida del tempo», per il fatto di essere riuscita a confrontarsi positivamente con le problematiche moderne del pluralismo, dell’affermazione dei diritti civili, della parità della
donna, di un approccio dinamico al patrimonio della tradizione ebraica.
Di particolare interesse la panoramica dei luoghi e dei rappresentanti di
questa corrente oggi in Italia.
I
SFAMENI GASPARRO G., Dio unico, pluralità e monarchia divina. Esperienze religiose e teologie nel mondo tardo-antico, Morcelliana,
Brescia 2010, pp. 280, € 21,00. 9788837224332
uanto la contrapposizione tra le categorie di «politeismo» e «monoteismo» coglie delle teologie del mondo tardo-antico? Quanto le stesse categorie esprimono e quanto in realtà «nascondono» delle esperienze
religiose dell’hellenismos, del giudaismo e del cristianesimo? L’a., docente
di storia delle religioni all’Università di Messina, raccoglie nel vol. una serie di studi che offrono una panoramica aggiornata sulle questioni inerenti la «storia religiosa di quell’ambiente culturale … in cui si è compiuto un
confronto decisivo per tutta la cultura occidentale». Testo di studio.
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SPINA A., Diario di lavoro. Alle origini de I confini dell’ombra,
Morcelliana, Brescia 2010, pp. 233, € 16,50. 9788837224004
oto per essere l’a. de I confini dell’ombra (Premio Bagutta 2006), ciclo
di romanzi ambientati in Cirenaica dal 1911 al 1964 allorquando la
scoperta del petrolio mutò radicalmente le sorti del paese libico, con questo vol. vengono raccolte note, appunti, pagine di un diario, affastellata
senza alcuna intenzione di tessere un ordine o un’omogeneità premeditata. Affiora l’io dello scrittore, amico africano di Cristina Campo con la
quale ebbe nel corso degli anni un affascinante epistolario, che illumina la
gestazione di un ciclo narrativo che, pur nella sua lunghezza, non stanca
mai per la sua ipnotica bellezza. Cf. sopra il testo di Morasso.
N
ZANGRILLI F., La favola dei fatti. Il giornalismo nello spazio creativo, Ares, Milano 2010, pp. 306, € 18,00. 9788881555048
partire dal Seicento-Settecento «il rapporto tra giornalismo e letteratura si va gradatamente intensificando dato che molti scrittori dell’èra
moderna... dedicano un periodo della loro vita a fare i giornalisti». Un viaggio alla riscoperta della contaminazione fra letteratura e giornalismo, con
protagonisti di romanzi o racconti nei panni di giornalisti o attraverso gli
stessi autori impegnati contemporaneamente sui due fronti come nel caso di
Poe, Maupassant, D’Annunzio, Fallaci, Buzzati, Moravia, Pirandello ecc.
A
OLIVIERI O., Fioretta Mazzei: una donna per Firenze, Edizioni Polistampa,
Firenze 2010, pp. 74, € 12,00. 9788859607199
Politica, Economia, Società
BELLETTI F., Ripartire dalla famiglia. Ambito educativo e risorsa sociale, Paoline, Milano 2010, pp. 131, € 12,00. 9788831538237
n un momento di crisi..., non solo economica, ma, ancor di più, etica e
morale, se c’è un punto cui è possibile ancorarci è la famiglia... Se il paese sta in piedi, dobbiamo dire grazie alla famiglia, che è rimasta il miglior
“ammortizzatore sociale” delle principali inefficienze sociali e istituzionali» (dalla Prefazione di don A. Sciortino). Grazie all’esperienza come direttore del Centro internazionale studi famiglia (CISF) e di presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari dal 2009, l’a. offre una raccolta dei frutti di conferenze, incontri, confronti con operatori che in vari
modi interagiscono con le famiglie e che s’interrogano su quale posto abbia la famiglia in Italia oggi e in futuro.
I
BARIGELLI-CALCARI P., Diritti umani e religioni. Interconnessioni reciproche, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 103, € 8,00. 9788801046045
Unione cattolica italiana insegnanti medi ha promosso una serie di
conferenze in occasione del 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il vol. ne raccoglie alcune. Assumendo la
concezione cristiana sui diritti umani e convinti che la religione possa dare un contributo alla loro comprensione, esperti di diverse discipline riflettono su alcuni diritti più o meno riconosciuti: quello all’interculturalità, alla bellezza, al riposo e al tempo libero, alla libertà religiosa, alla salute e sui
diritti dei diversamente abili. L’ultimo contributo è dedicato alla «voce internazionale della Santa Sede».
avanti alla crisi morale e politica in cui versa il paese, lo stesso pontefiD
ce ha auspicato che «laici cristiani impegnati» apportino un forte contributo alla sfera economica e sociale e, soprattutto, politica. P. Sorge in tre
recenti interventi qui riproposti analizza gli elementi di criticità della democrazia in generale e di quella italiana in particolare e, raccogliendo il magistero del Vaticano II, delinea lo stile che i laici cristiani potrebbero e dovrebbero adottare per dare un fattivo contributo al futuro del paese, avvalendosi
di un’adeguata formazione all’impegno sociale e politico. L’Appendice offre
alcuni testi magisteriali sulla responsabilità e il ruolo dei laici in tali ambiti.
NIGRIZIA B., Almanacco africano, Fondazione Nigrizia Onlus, Verona
2010, pp. 119, s.i.p.
Pedagogia, Psicologia
BEANE A.L., Il metodo antibullo. Proteggere i bambini e aiutarli a
difendersi, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 242, € 15,00. 9788861376083
all’esperienza dell’a., genitore di una vittima di bullismo e di maltrattamenti dei compagni (che è poi entrato in depressione, ha fatto uso
di droghe e poi è morto), nasce un libro che vuole fornire ai genitori che
vivono la stessa situazione conoscenze e competenze per gestire la sicurezza dei propri figli negli ambienti di vita. Partendo dalla definizione di bullismo, l’a. spiega come vedere i segnali premonitori nei figli vittime di bullismo e come aiutarli, come prevenire il «bullismo virtuale», come intervenire se è il proprio figlio a maltrattare gli altri o a fare da spettatore e conclude con l’importanza della collaborazione tra scuola e genitori.
D
FUMAGALLI A., COTTA RAMOSINO L., Scegliere un film 2010, Ares, Milano
2010, pp. 433, € 19,00. 9788881555079
l progetto di questa serie di voll., inaugurato nel 2004, continua con le
recensioni cinematografiche dei film usciti nella stagione che va da giu-
I
Carlo Dallari - Patrizia Luppi
Tracce
di speranza
L’
GIORGINI C., Integrare i disabili nel mondo del lavoro. Problemi culturali. Fonti giuridiche. Ostacoli sociali, LAS, Roma 2010, pp. 207,
€ 14,00. 9788821307584
er poter parlare d’integrazione lavorativa di un disabile bisogna capire «come si è sviluppato nel tempo l’atteggiamento dell’organizzazione sociale nei confronti del loro mondo», dal punto di vista storico, giuridico, culturale, sociale, pedagogico e metodologico. Il vol. ha come scopo
principale quello di spiegare come il processo d’integrazione deve essere
l’attenzione compiuta di un progetto globale di vita e d’inclusione, che
consenta al disabile di sviluppare in ogni settore tutte le sue potenzialità;
tutto questo trovando però «il presupposto nel rispetto della diversità, anzi nella diffusione di una vera e propria cultura della diversità».
P
SORGE B., Il coraggio della speranza. Il ruolo dei fedeli laici nella vita
pubblica, Il Segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano (VR) 2010, pp. 104,
€ 10,00. 9788860991164
XCV
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D
ue persone tra loro molto diverse
dialogano su che cosa significhi
oggi sperare. Anche se i linguaggi e
i contenuti sono differenti, poiché il
tema della speranza viene evocato
come fede religiosa dall’uno, frate
francescano, e come fede civile dall’altra, insegnante laica, entrambi i
percorsi confluiscono sulla stessa via:
la profonda essenza dell’uomo, animale
che spera.
«Itinerari»
pp. 192 - € 16,90
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
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gno 2009 a maggio 2010. Le 160 schede presenti nel vol. mirano ad aiutare i genitori nella scelta dei film adatti per i propri figli o per chi organizza cineforum. Utile la presenza per ogni scheda dei voti in stelline (da
1 a 5) sulla qualità del film, gli indici alfabetici dei registi e dei film, l’indice di merito e quello tematico.
GIUSTI M.A. (a cura di), Bambini narrati e bambini narranti. L’approccio analitico transazionale alla cura del bambino, L’arcobaleno
editore, Porretta Terme (BO) 2010, pp. 332+CD-ROM, € 32,00.
9788897043041
l testo raccoglie contributi teorico-pratici di diversi aa. che applicano
Izione,
l’analisi transazionale nel lavoro con i bambini in diversi ambiti: adooncologia, migrazione, psicoterapia ecc. L’idea di raccogliere questi studi è nata con la preparazione da parte della curatrice di una giornata finale di un master sull’infanzia che ha riscosso molto interesse da parte dei partecipanti. La II parte presenta la «narrazione delle storie anamnestiche che i tecnici hanno fatto di se stessi, trasformandole in splendide
fiabe che curano» (p. 11).
HARRIS R., La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi
e iniziare a vivere, Erickson, Gardolo (TN) 2010, pp. 271, € 15,50.
9788861375833
n vol. che si basa sull’approccio psicoterapeutico innovativo e con fonU
damenti scientifici dell’Acceptance and Commitment Therapy
(ACT),una terapia fortemente esperienziale per affrontare in modo originale il problema della ricerca della felicità e della soddisfazione nella vita. L’a.,
medico e psicoterapeuta specializzato in gestione dello stress, in 33 cc. «esamina ordinatamente come ci infiliamo nella trappola della felicità e come
possiamo uscirne …. Il messaggio gioioso di queste pagine è che non c’è
motivo di continuare ad aspettare che la vita cominci. Il gioco dell’attesa
può finire. Adesso» (dalla Presentazione di S.C. Hayes, inventore dell’ACT).
JUUL J., JENSEN H., Dall’obbedienza alla responsabilità. Per una nuova
cultura educativa, Urra, Milano 2011, pp. 307, € 20,00. 9788850328826
a novità di paradigma che gli aa. con questo vol. desiderano introdurre è duplice. Innanzitutto il concetto di «competenza relazionale», come processo d’apprendimento reciproco che consente agli attori
dei vari contesti educativi (famiglia, scuola in primo luogo) di trarre il
meglio da una situazione di partenza dei diversi soggetti che è sempre
variegata. Poi il superamento dell’idea che il ritorno a una forma di obbedienza «punto e basta» sia l’atteggiamento pedagogico adeguato nel
caos del vivere contemporaneo. Il recupero dell’idea di «responsabilità»
è «indispensabile per un miglioramento qualitativo della gestione di comunità sociali e private su base etica sostenibile» (p. 3), premessa indispensabile per sviluppare relazioni pedagogiche adeguate in un mondo
multiculturale.
L
PASOLINI R., Emergenza educazione. Una sfida per docenti, famiglie
e mondo politico. Analisi e proposte, Elledici, Cascine Vica (TO)
2010, pp. 223, € 12,50. 9788801045413
emergenza educativa è vissuta ormai nella quotidianità: in famiglia, a
scuola, sul posto di lavoro, nelle professioni educative e nell’essenza
più umana e intima, quella della genitorialità». Dalla necessità di cercare
di capire questo cambiamento del contesto sociale ed educativo nasce
l’idea di questo libro-intervista: per analizzare le cause, riflettere e cercare
di dare risposta agli interrogativi dell’educare. Prefazioni di Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera dei deputati, e Onorato Grassi, commissario straordinario dell’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica (ANSAS).
L’
PATI L., Il valore educativo delle relazioni tra le generazioni. Coltivare i
legami tra nonni, figli, nipoti, Effatà, Cantalupa (TO) 2010, pp. 173,
€ 12,00. 9788874026418
l vol. presenta i contributi del convegno nazionale di studio sul tema «Il
valore educativo delle relazioni intergenerazionali. Nonni, figli, nipoti»,
tenutosi presso la sede bresciana dell’Università cattolica del sacro Cuore
dal 26 al 27.9.2009. La griglia di lettura ha privilegiato la dimensione pedagogico-educativa delle relazioni intergenerazionali.
I
Diana Papa
Dimora di Dio
La fede nel quotidiano
Presentazione di suor Enrica Rosanna
I
l volume propone brevi meditazioni,
adatte alla riflessione e alla preghiera. Spesso i testi si riferiscono
a ricorrenze dell’anno liturgico, ad
avvenimenti della vita della Chiesa, a
figure o episodi delle Scritture. Nati
in un contesto di vita consacrata,
interpellano ogni credente e sono
utilizzabili per momenti di spiritualità personali o comunitari.
«Itinerari»
pp. 256 - € 20,00
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
www.dehoniane.it
TALLARICO L., Educare alla responsabilità. Formare i giovani in una
società che cambia, Elledici, Cascine Vica (TO) 2010, pp. 160, € 10,00.
9788801045840
a proposta etica alle generazioni future è fondata sul principio di reL
sponsabilità, ossia su come gli uomini possano prendersi “cura” dei
propri simili e della natura, dando senso alla vita e futuro all’esistenza».
Questa la ricetta dell’a. per rispondere alla presente «emergenza educativa», senza sterili nostalgie per il passato. Il lavoro parte dall’analisi
degli elementi di criticità della condizione giovanile e delinea il principio di responsabilità, rintracciandolo nelle sacre Scritture, nel Vaticano
II e nella dottrina sociale della Chiesa. Si suggeriscono anche azioni
concrete per rinnovare l’educazione in vari ambiti fra cui i gruppi giovanili.
VENTRE A., «Il Barbone». Alla ricerca del senso della vita, EDB,
Bologna 2011, pp. 140, € 12,50. 9788810809396
el procedere delle pagine che si fanno via via più coinvolgenti, il lettore finisce per identificarsi col protagonista della narrazione, il barbone alla ricerca della vita. Il suo è un viaggio interiore, che avanza dentro di sé e anche verso il Dio operante in lui. L’a. – psicologo psicoterapeuta, si occupa di violenza di genere e di stalking e collabora con il Volontariato vincenziano di Torino – coniuga in modo armonico la propria
competenza di psicoterapeuta con la visione cristiana della vita che lo
anima, per aiutare ad aprire alla dimensione dell’amore, del dono di sé
come unica via della completa realizzazione di se stessi e quindi della felicità.
N
IMPRUDENTE C., GIOMMI L., PARMEGGIANI R., Omino Macchino e la
sfida della tavoletta. La comunicazione e la logica della lentezza,
Erickson, Gardolo (TN) 2009, pp. 126, € 14,00. 9788861374102
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A. DALL’ASTA
(A CURA DI)
ALLA LUCE
DELLA CROCE.
Arte antica
e contemporanea
a confronto,
Fondazione
cardinale
Giacomo Lercaro,
Bologna 2011,
pp. IX+144, s.i.p.
L
a mostra allestita presso la Raccolta Lercaro di Bologna «Alla luce della croce» –
che dà anche il titolo al catalogo curato
da Andrea Dall’Asta si, Ede Palmieri, Elena Pontiggia, Francesco Tedeschi e Fabrizio Lollini –
è un percorso interamente dedicato al tema
della croce, simbolo per eccellenza dell’identità dei cristiani, che proprio nel segno della
croce trovano il primo avvicinamento ai contenuti della fede.
Un tema sicuramente difficile per le numerose riflessioni che ha generato in campo
teologico e filosofico: all’origine dello scandalo per gli ebrei e follia per i pagani; accoglienza del dolore di ogni uomo e speranza
di salvezza; simbolo di redenzione e di morte.
Come sottolinea Andrea Dall’Asta (cf. p. IX), è
difficile affrontarlo senza cadere nella banalizzazione o nella superficialità, e la Raccolta
sceglie coraggiosamente d’inserirsi in questa
riflessione attraverso il linguaggio universale
dell’arte. Ancora una volta – rispettando l’intuizione del card. Lercaro – il dialogo si anima
e prende vita dal confronto tra arte antica e
contemporanea, per raccontare un simbolo
senza tempo.
La croce, nel suo significato universale,
racchiude molteplici stratificazioni di senso
che si sovrappongono senza soluzione di
continuità. Nella storia dell’Occidente essa è
diventata simbolo dell’identità cristiana e del
legame tra l’uomo e il divino. Ciò nonostante,
il soggetto della crocifissione è apparso
molto tardi nell’iconografia cristiana. Rappresentarla significava raffigurare l’atroce bruttezza di una morte infamante, un disonore e
uno scandalo.
La tradizione cristiana ha quindi esitato a
lungo nella definizione di un’iconografia, privilegiando la raffigurazione della croce senza
Crocifisso, oscillando poi tra le prime rappresentazioni del Christus triumphans, che
vince la morte e il dolore, e le successive immagini del Christus patiens, che al contrario
subisce il dolore senza nasconderlo. Si può
parlare di un percorso iconografico che dallo
scandalo porta a un orizzonte di senso.
Le trasformazioni della croce nel corso
dei secoli rivelano, infatti, l’evoluzione del
XCVII
modo in cui l’uomo ha pensato la propria relazione con Dio, che nella croce consegna se
stesso, comunicandosi all’altro da sé.
Il catalogo si fa apprezzare anche per
l’agile formato, che non va a discapito della
qualità delle immagini e della ricchezza dei
contenuti descrittivi e di approfondimento.
Le opere, ampiamente illustrate, raccontano
di un dialogo tra Dio e l’uomo e del senso
della croce di ieri e di oggi.
Lo scultore giapponese Kengiro Azuma, allievo di Marino Marini, affronta il tema della
croce percorrendo una ricerca di purezza formale che risente del dialogo tra la cultura occidentale e quella orientale. L’australiano
Lawrence Carroll sceglie di raccontare la croce
immergendosi nella drammaticità di molte realtà urbane, americane ed europee, assemblando materiali raccolti lungo le strade.
Ancora diversa è la scelta di Pietro Coletta,
che punta all’estrema sintesi di una croce realizzata in filo di rame. Inconfondibile il linguaggio di Kounellis, che installa per la mostra
una croce realizzata con due putrelle di ferro
che rimanda, per la sua inclinazione, alle rappresentazioni di Cristo porta-croce. Seguono
opere – alcune delle quali inedite – di altri
grandi artisti contemporanei come Arnulf Rainer, Hidetoshi Nagasawa, Sean Shanahan,
Mimmo Paladino, Marcello Mondazzi, Nicola
Samorì, Ettore Spalletta, Nicola De Maria,
Mario Fallini, Mirko Marchelli, Floriano Bodini
e Vittorio Tavernari. Non mancano esempi di
arte antica come la splendida croce di oreficeria lombarda parte di un ricco corredo liturgico, e il crocifisso dei quattro evangelisti
realizzato in avorio, proveniente della basilica
di San Paolo Maggiore a Bologna.
L’approfondita riflessione dei curatori –
espressa nei saggi che aprono il catalogo –,
ripercorrendo la storia del simbolo della
croce, ne evidenzia non solo l’identità plurale, ma anche il senso di rivelazione, di
dono e di apertura. Come scrive Paolo Gamberini (cf. 15), la croce non può essere innalzata in modo elusivo e violento contro
l’altro, proprio perché testimonia la comprensione non violenta di Dio che mandò
suo figlio, nella mitezza e nella bontà, tra gli
uomini. E come si legge in Rm 5,8: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto
che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». L’immagine di Mimmo
Paladino, che occupa un posto centrale nel
percorso espositivo, sembra rappresentare
una sintesi di questo messaggio: accanto alla
croce, i frammenti di volti e membra umane,
segni dell’agonia di Cristo e dell’umanità,
fanno del suo sacrificio d’amore un prolungato riscatto delle sofferenze di ogni uomo
(cf. 116).
Maria Lorenzini
G. BATTAGLIA,
(A CURA DI)
L’ORTODOSSIA
IN ITALIA.
Le sfide
di un incontro,
EDB, Bologna 2011,
pp. 378, € 29,00.
9788810401279
I
l presente volume sull’ortodossia in Italia,
sulle nuove sfide pastorali che essa pone e
sui promettenti incontri spirituali a cui dà
luogo, rappresenta un modo per richiamare l’attenzione sulla presenza numericamente sempre
più rilevante di comunità ortodosse nel nostro
paese.
La presenza di fedeli e comunità ortodosse
sul nostro territorio italiano è legata al grande
fenomeno contemporaneo dell’immigrazione,
che tante inquietudini e interrogativi suscita in
molti italiani. Non di rado anche i fedeli cattolici
percepiscono gli immigrati primariamente come
persone in cerca di lavoro e che possono svolgere mansioni richieste nel nostro contesto sociale. In altri casi, i fatti di cronaca portano in
primo piano i problemi posti dall’integrazione e
dall’incontro o scontro tra culture diverse. Meno
frequente è invece la considerazione del fatto
che in mezzo a noi vivono credenti che appartengono a comunità di fede diverse dalla nostra
e per i quali, a differenza di quanto spesso accade nel mondo occidentale, la religione non è
un aspetto della vita appartenente alla sfera privata, ma realtà che richiede una manifestazione
pubblica e costituisce un aspetto essenziale
della loro identità culturale e nazionale.
Di fatto già da tempo le Chiese locali in
Italia si sono confrontate con questa nuova situazione e hanno cercato di rispondere nel
segno dell’ospitalità alle richieste che sono
loro rivolte dalle comunità ortodosse delle diverse giurisdizioni e nazionalità. Le nostre
Chiese locali, in primo luogo, hanno cercato di
aiutare le comunità ortodosse, che avevano
una certa consistenza numerica, a trovare luoghi per la celebrazione della liturgia e per la
formazione cristiana dei fedeli. Infatti, anche
se la nostra comunione con loro oggi non è ancora piena e pertanto non c’è condivisione
della mensa eucaristica, la carità ci impone di
aiutare questi fratelli e queste sorelle affinché
possano conservare e alimentare la propria fede
cristiana e possano celebrare il culto secondo la
propria tradizione spirituale e liturgica.
L’ospitalità fa incontrare le persone e tra loro
fa crescere conoscenza e fiducia reciproca. Può
così trovare realizzazione quanto Giovanni Paolo
II afferma nell’enciclica Ut unum sint: «Il dialogo
non è soltanto uno scambio di idee. In qualche
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modo esso è sempre uno “scambio di doni”» (n.
28; EV 14/2719). Anche la nostra Chiesa italiana, di
fronte a questa crescente presenza ortodossa,
è invitata a chiedersi quale «scambio di doni»
possa realizzarsi tra i fedeli cattolici e le comunità ortodosse che essi incontrano.
Le comunità cattoliche offrono alle famiglie
ortodosse e ai loro figli la possibilità di prendere
parte alle iniziative di formazione umana e cristiana da esse promosse e ai diversi servizi attivati per venire incontro a coloro che si trovano
in necessità. È però condizione imprescindibile
evitare con scrupolo e rigore, da parte cattolica,
ogni forma di proselitismo e ogni comportamento che possa suscitarne anche il minimo sospetto. Sono i campi dell’educazione e della
carità quelli in cui, all’interno delle nostre parrocchie o dei gruppi ecclesiali, può avvenire un
fruttuoso scambio di doni con cristiani di diversa
tradizione confessionale.
Quando accogliamo tra noi questi cristiani
dobbiamo farli sentire a proprio agio e fare in
modo che la comunità cattolica sappia rispettare e valorizzare la loro diversa e ricca tradizione spirituale. Per i nostri fedeli si presenta così
una grande opportunità di concreta e vitale formazione ecumenica. Infatti, la migliore formazione è quella che si avvale non tanto di lezioni
teoriche di ecumenismo, quanto soprattutto di
momenti di vita condivisi, di concrete forme di
cooperazione, di scambi utili a scoprire la bellezza delle reciproche differenze e, di conseguenza, a desiderare di approfondirne le ragioni.
Potrebbero anche nascere scambi e gemellaggi
tra alcune nostre comunità e quelle ortodosse
da cui provengono molti immigrati.
Sia il cattolico sia l’ortodosso che s’incontrano nei nostri ambienti devono potersi sentire
fieri di essere portatori ciascuno di un dono specifico, quello della propria tradizione confessionale, e, nello stesso tempo, lasciarsi convertire
dallo Spirito all’unico e comune Evangelo di
Gesù Cristo, perché qui sta il porro unum necessarium della vita cristiana. Ciò comporta sia
una doverosa attenzione a evitare ogni forma di
assimilazione dell’altro alla propria esperienza
confessionale, sia una decisa riaffermazione del
primato di Dio nella propria e altrui vita. (…)
Molto spesso però si impone la necessità di
coniugare sensibilità ecumenica e realismo pastorale nell’affrontare la molteplice casistica di
esigenze e richieste che i fedeli ortodossi, in situazioni le più diverse, pongono ai ministri cattolici. Penso non sia facile suggerire ai nostri
operatori pastorali linee generali di comportamento che risultino corrette dal punto di vista
ecumenico e rispondano alle reali esigenze spirituali dei fedeli che, a causa della distanza o per
altre ragioni, non frequentano la propria comunità ortodossa.
Sarebbe certamente auspicabile che un
giorno tali linee potessero essere concordate insieme agli stessi rappresentanti dell’ortodossia in
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ZeBible: scommettere sui giovani
D
opo YouCat, pensato per i frequentatori (cattolici) della GMG
(Regno-att. 8,2011,235) ha fatto capolino in questi giorni un altro prodotto
dell’editoria religiosa rivolta ai giovani (in
generale), anche se per il momento solo di
lingua francese.
Lo scorso 6 maggio, infatti, è stata annunciata la nascita di ZeBible (edizioni Biblio,
pp. 2.320, € 26,50), la Bibbia per giovani patrocinata dall’Alleanza biblica francese, cui
hanno collaborato in un arco di tempo di
quasi 7 anni 110 tra redattori biblisti, pastoralisti e pedagogisti protestanti, cattolici e
ortodossi. Il testo biblico utilizzato è quello
della traduzione in francese corrente, una
versione interconfessionale che comprende
i libri deuterocanonici.
Ma non solo testo: sono soprattutto
le note, i commenti, i rimandi, le guide di
lettura e le introduzioni che caratterizzano
un prodotto che vuole parlare ai giovani
dai 15 ai 25 anni, una generazione cruciale
sotto molteplici punti di vista, se anche il
papa lo scorso 19 maggio ha rivelato che
la prossima giornata mondiale della pace
sarà dedicata ai giovani.
Questo grande cantiere editoriale,
come lo ha definito mons. Deniau, vescovo di Nevers, che ha partecipato nel
gruppo dei partner cattolici, mira innanzitutto a interessare alla Bibbia in quanto
grande «patrimonio dell’umanità», in
quanto grande codice che può parlare al-
Italia. Un primo importante passo per arrivare, in
futuro, ad accordi bilaterali è certamente quello
di incominciare oggi noi stessi a inventariare,
sulla base delle prime esperienze acquisite in
questi anni, le principali sfide pastorali che la presenza ortodossa ci pone. Il risultato di questo lavoro potrà essere in futuro verificato in sede di
dialogo ecumenico. (…)
Nel considerare il valore dei doni di cui i fedeli ortodossi sono portatori, un’ultima considerazione. Nel documento Il mistero della
Chiesa e dell’eucaristia alla luce del mistero
della santa Trinità (1982) cattolici e ortodossi
affermano insieme la fede comune nel mistero
eucaristico come sorgente della Chiesa. Facendo tesoro delle ricchezze dell’esperienza
spirituale e teologica dell’Oriente cristiano, noi
possiamo approfondire la nostra comprensione
del dono inestimabile che Cristo ha lasciato alla
sua Chiesa. Quel comune documento afferma:
«La Chiesa che è in un dato luogo si manifesta
l’oggi dell’uomo, specie se giovane, a prescindere dal suo credo.
Così, accanto al volume uscito ufficialmente il 14 e accompagnato da una serie di
eventi collegati (concerti e presentazioni),
ZeBible – il cui il prefisso «ze» fa riferimento
all’uso che i giovani francesi fanno dell’articolo determinativo inglese «the» per dare
enfasi – è anche una pagina di Facebook e
un sito web (www.zebible.com) dov’è possibile consultare il testo ma anche porre domande, leggere interviste o articoli d’attualità. Per gli operatori della pastorale giovanile è stato realizzato ZeBible 9, uno strumento per il lavoro di gruppo organizzato
in 9 tappe dall’Antico al Nuovo Testamento,
con tanto di canti presentati dal gruppo
rock di matrice cristiana P.U.S.H.
Un lavoro «appassionante», ha detto
mons. Deniau, nato da un vero spirito ecumenico che ha dovuto confrontarsi con la
diversità di letture e d’interpretazioni del
testo biblico da parte delle tre grandi confessioni cristiane; ma che ha unito tutti
nella consapevolezza che oggi – dicono
alcuni sondaggi – si considera la Bibbia un
testo, sì, di valore, ma conosciuto solo vagamente: alla richiesta di dire l’autore di un
passo biblico (Isaia) che è anche un modo
di dire inglese, un campione d’intervistati
dell’isola ha risposto nell’ordine: Tony Blair,
Shakespeare e Charles Dickens.
M.E. G.
come tale quando diviene “assemblea”. Questa
stessa assemblea, i cui elementi e requisiti sono
indicati dal Nuovo Testamento, è pienamente
tale quando è sinassi eucaristica. Quando infatti la Chiesa locale celebra l’eucaristia, l’evento
accaduto “una volta per tutte” è attualizzato e
reso manifesto. Nella Chiesa locale allora non vi
è né uomo né donna, né schiavo né libero, né
giudeo né greco. Vi si trova comunicata una
nuova unità che supera le divisioni e ripristina la
comunione nell’unico corpo di Cristo. Questa
unità trascende l’unità psicologica, razziale,
socio-politica e culturale. Essa è la “comunione
dello Spirito Santo” che riunisce i dispersi figli di
Dio».1
Ne consegue che la comunione che lo Spirito realizza in ogni celebrazione eucaristica trascende anche i confini confessionali. Come ha
scritto il metropolita di Pergamo Ioannis Zizioulas, «l’eucaristia come sinassi del popolo attorno
al vescovo e ai presbiteri mantiene ed esprime
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nella storia l’immagine di un mondo che trascenderà la propria frammentazione e la propria
corruzione grazie all’unione e all’incorporazione
in colui che (...) ha unito mediante la sua croce e
risurrezione ciò che era diviso (...). Questa è l’immagine che la Chiesa deve mostrare».2
Noi dovremmo avere più consapevolezza
che l’eucaristia che celebriamo è il culmine
della manifestazione dell’intero e indivisibile
corpo di Cristo. L’unità che si manifesta nel
giorno del Signore, intorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è certamente più santa
ed eminente di quella che potrà manifestarsi il
giorno in cui si raggiungesse l’auspicata unità visibile della Chiesa. L’eucaristia, anche se canonicamente celebrata all’interno di una singola
Chiesa confessionale, è per opera dello Spirito
actio Christi, memoriale che ci ripresenta la sua
pasqua; è sempre azione del Signore che edifica la sua Chiesa, rendendo l’Ecclesia radunata
intorno all’altare segno sacramentale dell’Una
et sancta.
Il Signore è certamente presente in ogni eucaristia in cui annunciamo e proclamiamo la
morte e la risurrezione del Signore, nell’attesa
della sua venuta, donec veniat. Il suo ritorno
certamente manifesterà quella realtà che i nostri occhi oggi non sanno vedere, ma che già
siamo: «Carissimi, fin d’ora siamo figli di Dio, ma
ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (1Gv
3,2). I nostri occhi sono offuscati anche perché
non sono quelli di sentinelle che scrutano la
notte e ne scorgono l’aurora. In troppe faccende
affaccendati abbiamo perso il senso dell’attesa
del Signore che viene. E la perdita della dimensione spirituale ed escatologica della vita cristiana è all’origine del peccato della divisione.
Non a caso – penso di poter dire – Gesù ha pregato ut unum sint e non ut una sit... Non
avrebbe avuto senso che pregasse per l’unità
della sua Chiesa, che è il suo stesso corpo e che
è già realtà nel mistero di ogni eucaristia.
Il movimento ecumenico ne è stato inizialmente consapevole, proponendo la preghiera
per «l’unità dei cristiani», non della Chiesa. Infatti
Gesù ha pregato perché i discepoli e i cristiani di
tutti i tempi siano una cosa sola. In che cosa?
Nell’attesa della sua venuta, ovvero ad annunciare la sua pasqua donec veniat. È questa attesa
che ci rende capaci di guardare con occhi nuovi
anche il mistero della Chiesa, quella Chiesa che,
come è noto, Ambrogio da Milano e i padri latini,
con audace ossimoro, chiamarono casta meretrix, santa peccatrice: peccatrice, perché divisa
dalla nostra storia terrena; ma santa, perché unificata dallo Spirito che il Risorto effonde sull’assemblea eucaristica. (…)
Dionigi Tettamanzi
1
EO 1/2190.
I. ZIZIOULAS, Eucaristia e regno di Dio, Qiqajon,
Magnano (BI) 1996, 70-71.
2
XCIX
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E. BERSELLI,
L’ITALIA,
NONOSTANTE
TUTTO.
A cura di B. Simili,
Il Mulino,
Bologna 2011,
pp. 224, € 15,00.
9788815150721
C
i sono diversi buoni motivi per consigliare la lettura di questa raccolta di
lavori scritti da Edmondo Berselli, per
Il Mulino, dalla fine degli anni Ottanta a ieri.
Anzi, a oggi, direi, visto che c’è poco da aggiungere alle vicende annotate dall’autore.
La prima buona ragione per leggere questo libro – e per tenerlo a portata di mano –
è che offre un’agenda accurata dell’Italia
«pubblica» nel corso degli ultimi vent’anni.
Seguita e rivisitata attraverso i passaggi tortuosi tra prima, seconda e terza Repubblica.
Una sorta di block-notes che propone – e
da cui è possibile trarre – appunti e spunti
preziosi sugli eventi, le fasi, le persone che
hanno segnato la nostra tumultuosa storia
recente. Utile a ricordare, e a ricostruire, un
tracciato marcato da molte fratture e al
tempo stesso da molti elementi di continuità.
È il romanzo – o se si vuole, per restare
in tema con la tradizione nazionale, la commedia – di un paese alla ricerca della «normalità». Un approdo vagheggiato e mai
raggiunto. Inseguito lungo il percorso rapsodico e ondivago che oscilla tra «rivoluzioni»
e «involuzioni». Accelerazioni e frenate. Fratture e giunture. Grandi novità ed eterni ritorni. Fra le discese ardite e le risalite. Una
«commedia all’italiana» recitata a soggetto
da un coro di personaggi e di attori, indimenticabili, anche quando appartengono a
un altro millennio, a un’altra Repubblica. Andreotti, Craxi, De Mita, Occhetto, Berlinguer,
Cossiga, Scalfaro. (…)
Quante persone, quanti marchi, quanti
nomi sono passati sotto i ponti in quest’ultimo quarto di secolo. È successo di tutto.
Il crollo del muro di Berlino e, in Italia, della
prima Repubblica, la stagione dei referendum e di Tangentopoli, la discesa in campo
vittoriosa di Berlusconi e la sua sconfitta, la
discesa in campo vittoriosa di Prodi e la sua
sconfitta (a opera del «fuoco amico»). E, ancora, il ritorno di Berlusconi e il ritorno di
Prodi, cui ha fatto seguito, di nuovo, il ritorno di Berlusconi. Fra strappi secessionisti
e rivendicazioni federaliste. Tra Forza Italia,
Ulivo, Partito democratico. Casa delle libertà (CDL) e Popolo della libertà (PDL).
Berselli osserva tutto quanto, con curiosità e cura. Fatti, antefatti, personaggi, interpreti e luoghi. E li annota, li appunta a
margine. Con disincanto e, al tempo stesso,
passione. In modo ironico e divertito. O meglio: divertente. Ma prendendo sul serio
questa materia, terribilmente seria, che è la
nostra storia recente e presente. Perché c’è
poco da ridere, sul nostro paese. Poco da divertirsi. D’altra parte, Il Mulino è una rivista
prestigiosa, con una storia prestigiosa, dove,
però, Edmondo Berselli non ha mai rinunciato a fare quel che gli è sempre riuscito
meglio. Muoversi fra più registri, usando diversi stili e diversi approcci. Lui che ha sempre trattato allo stesso modo, con lo stesso
rigore e con la stessa (auto)ironia, la politica
e il football, la canzone leggera e la politica
pesante, la filosofia e il gossip. (…)
La seconda buona ragione per tenere
questo libro a portata di mano è coerente e
conseguente con quella appena indicata.
Ecco perché lo consiglio come uno strumento ottico multifunzionale. Per guardare
dentro ma, al tempo stesso, al di là e al di
sotto degli eventi, dei personaggi, dei luoghi. Del nostro tempo. Fino a raggiungere –
e a catturare – la struttura di fondo che caratterizza la nostra società e la nostra cultura. Per comprendere quanto le novità,
anche le più clamorose e laceranti, della nostra storia recente non siano, comunque,
estranee al nostro retroterra. (…)
Da questa lettura scopriamo, ad esempio, quanto la Democrazia cristiana più che
un partito passato sia una «categoria politica
e sociale» perenne. Che evoca la capacità dei
partiti maggiori – e non solo di quelli – di
aderire alle pieghe del contesto nazionale e
locale. Di assorbirne i valori, gli interessi, i
modelli espressivi. I particolarismi. Assemblandoli senza, tuttavia, miscelarli. Mediando
senza riassumere e senza sintetizzare. Generando «compresenza» più che «coerenza».
Così tutto ritorna, come in un moto perpetuo, anche dopo la fine della prima Repubblica. Democristiani e democristianità,
al di là delle biografie politiche personali, si
ripropongono. Nel centrosinistra, nel centro,
e ancor più nel centrodestra. Dentro Forza
Italia, la CDL e il PDL. Perché, in fondo, è inscindibile dalla gestione del governo. Solo
che si esprime in modo sempre meno «moderato», nonostante le auto-dichiarazioni.
Perché i localismi, i personalismi, i particolarismi si presentano nudi e sempre più irriducibili. E dunque: sempre più espliciti e
violenti.
In questo paese dove il «qualunquismo»
riaffiora di continuo e dà un colore del tutto
specifico a ogni tensione, a ogni ondata di
disagio e di protesta. Dove una delle principali forme che impronta il cambiamento è,
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come rammenta l’autore, il «trasformismo».
Un metodo e un istinto, al tempo stesso,
che permette di ricucire gli strappi, ma
senza innovare mai del tutto. Di sopravvivere al crollo della prima Repubblica, ma
senza giungere a una nuova «Repubblica»
stabile. Senza superare i limiti del «paese
provvisorio». Che ci fa apparire, di fronte a
noi stessi, sempre uguali (a noi stessi), pur essendo cambiati. E ci fa apparire diversi (di
fronte a noi stessi), anche se presentiamo
elementi di continuità evidenti.
L’attenzione al «basso continuo» del nostro paese, tuttavia, non impedisce a Berselli
di cogliere i segni del tempo. Per tempo. Le
fratture insanabili, mentre ancora potevano
apparire sanabili. Risolvibili. Come nel 1991,
quando i leader politici, primo fra tutti Craxi,
erano convinti di superare la scossa del referendum e di sopravvivere alle elezioni dell’anno seguente. «Ma anche Luigi XVI
annotava cinicamente “Rien” sulla pagina di
diario del 14 luglio 1789. È terribile, visto quel
che è successo in seguito, a Bastiglia appena
presa». È l’appunto di Berselli. Profetico
quanto tragico, visto quel che è successo in
seguito, appunto.
C’è, poi, una terza buona ragione per
consultare questo libro. Ha un senso più
«politico» e diretto. Visto che l’autore non
si è mai sottratto al «rischio» di giudicare e di
proporre, oltre che di valutare e analizzare.
Disposto, comunque, a offrire indicazioni –
e letture – «politiche», oltre che «politologiche» (…).
Affiora, in particolare, la sua attenzione
ai valori, ma anche agli interessi da rappresentare. La sua capacità di (e il suo sguardo
proiettato a) marcare le divisioni fra destra
e sinistra, in tempi nei quali queste parole
sembrano, perlopiù, svuotate di senso. Eppure non è così, sottolinea Berselli. E lo ribadisce anche negli ultimi anni. Visto che la
politica e le politiche seguite da Tremonti
hanno un’impronta di classe molto chiara. A
favore dei redditi da lavoro autonomo, degli
imprenditori. «A favore della rendita e a scapito del lavoro dipendente (...). Esaltando le
differenze di reddito e ripudiando le tendenze redistributive».
Anche se, aggiunge ancora Berselli, questa è una destra liberista «a parole», visto
che in effetti appare corporativa e localista.
Come dimostra l’insofferenza contro ogni
regola ma anche contro ogni tentativo di liberalizzare davvero il sistema delle professioni. Come dimostra la reazione violenta
verso il tentativo di riforma liberalizzatrice
attuata da Bersani. Come dimostra il favore
per un federalismo localista.
Parallelamente, l’autore di queste pagine
si esprime in modo critico, aspro (e amaro)
contro la sinistra: afona, incapace di darsi un
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assetto stabile e progettuale, ridotta a rappresentare le minoranze etniche del «lavoro
pubblico» e intellettuale, oggi largamente
impopolari. Una sinistra alle prese con idee
che ormai sono ridotte a feticci, parole povere di significato. Fra tutte: la «solidarietà»,
divenuta «uno slogan per tutte le stagioni
(...), un appello convenzionale e distratto,
una specie di tributo che non costa niente
versare a parole per sentirsi e dimostrarsi
dalla parte giusta. Si paga il ticket verbale
della solidarietà e si ottiene la tessera d’iscrizione al club dei “buonisti”, dei fervidi “anticattivisti”».
Così alla sinistra sfugge la vera «missione» storica che ha caratterizzato l’azione
delle forze politiche di tradizione socialista,
socialdemocratica o cattolico-sociale. Cioè:
proporre e sostenere l’economia sociale di
mercato. Un tema che echeggia di continuo,
in questi articoli. E che troverà sviluppo nella
sua ultima opera, il saggio breve, denso e
acuminato dedicato a L’economia giusta,
che si chiude con una frase molto simile al
titolo di un capitolo proposto in questo volume (cf. Regno-att. 4,2011,117). Dove si invita
a «redistribuire la povertà», invece di inseguire il mito della crescita infinita.
Non per caso L’economia giusta è oggi
molto presente nel dibattito politico (negli
ambienti di centrosinistra, nel mondo associativo e del volontariato). Perché dà voce a
una questione implicita, rimasta a lungo inespressa. Vale a dire: ma come è stata possibile tanta cecità di fronte al trionfo del
paradigma liberista, nella versione che
esalta(va) la finanza senza economia e senza
società? E com’è possibile che oggi gli stessi
che l’hanno celebrata per oltre vent’anni
continuino a parlare e a dare lezioni, senza
neppure un’autocritica – e senza che nessuno glielo rammenti? In questo diario fra
tre Repubbliche che è L’Italia, nonostante
tutto, il manifesto di Berselli (L’economia
giusta, appunto) è annunciato, anticipato,
tematizzato, in diversi punti. A prova di
quanto la questione gli stesse a cuore. Per
questo ha speso tanta fatica per scriverlo,
prima di lasciarci. Come un contributo
«vivo», non certo come un lascito o, peggio,
un’eredità,
La quarta buona ragione per leggere – e
rileggere – questo volume è che ripercorre
l’avvento della «democrazia del pubblico»
all’italiana, la versione «nazionale» (o meglio,
«locale») del modello tracciato da Bernard
Manin. Fondata sul trionfo della personalizzazione e della televisione.
Edmondo Berselli, più di chiunque altro,
l’ha colta e ricostruita da tempo e per
tempo. Quando nessuno, o quasi, ne aveva
colto l’impatto, Oggi siamo talmente immersi nell’irreality show che mischia vita e
spettacolo, che non ce ne rendiamo conto.
Così come non ci rendiamo conto di come
sia potuto accadere tutto ciò. E in così poco
tempo. Basta allora scorrere le pagine scritte
in proposito da Berselli, il quale indica come
la televisione «produca» l’assetto politico.
Fin dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi alle elezioni del 1994. Allora «il clou di
quella campagna fu rappresentato dal confronto, quello sì “bipolare” fra Berlusconi e
Occhetto negli studi di Canale 5». Che
estromise dalla competizione il polo centrista, peraltro già «escluso» dalla meccanica
del confronto. Il bipolarismo imposto dalla
televisione più ancora che dalle leggi elettorali.
Ma soprattutto, in questo libro si dà
conto, in modo lucido e spietato, del mutamento antropologico ed etico prodotto
dalla tivù commerciale sulla società. A partire dall’epoca di Boncompagni e di Non è
la Rai. Che egli definisce «un evento quotidiano senza pubblico, una “macchina celibe”
di intrattenimento, dove i ruoli sono intercambiabili, a rotazione, fra protagoniste e
gregarie... (“Le vogliamo carucce – ha teorizzato Boncompagni – perché se sono eccessive poi non c’è identificazione”) (...).
Tutto perfettamente confezionato, più vero
del vero, per quanto sigillato ermeticamente, sotto vuoto spinto». C’è davvero
tutto quel che è successo dopo. Largamente annunciato da tempo. Certo, in seguito è dilagato. Ma era già scritto. Quasi
vent’anni fa.
La quinta, buona ragione è squisitamente estetica e intellettuale. Questo libro
può venire letto, in fretta, soffermandosi su
singole pagine e magari saltando da un
pezzo all’altro, senza troppi vincoli. Senza
seguire necessariamente l’ordine proposto
dal sommario. In modo «disordinato», come
suggerisce, giustamente, Bruno Simili nella
premessa. Soffermandosi su una singola pagina, un paragrafo, senza necessariamente
leggere l’intero capitolo. Per il gusto di scoprire e isolare osservazioni minime, cogliendo formule lessicali inedite e neologismi suggestivi. Che definiscono e aiutano a
capire quanto e, talora, più di certe laboriose
ed elaborate analisi. Perché Berselli è un virtuoso del linguaggio. Usa le parole per evocare, ma anche per interpretare. lo me ne
sono servito spesso, nei miei articoli. E continuerò a farlo (…).
Ilvo Diamanti*
* Il testo costituisce la prefazione al volume degli scritti di Edmondo Berselli – scomparso nell’aprile 2010 – in libreria in questi
giorni. Ringraziamo l’editrice Il Mulino per la
cortese concessione.
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- Chiese
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é calcolo né ingenuità
i è riunita a Tunisi dal 2 al 4 maggio la Commissione mista per il
Mediterraneo, organismo nato su impulso dei vescovi francesi
cui partecipano vescovi provenienti da Africa del Nord, Spagna
e Francia.1 All’ordine del giorno: pace e rivolte nel mondo arabo; accoglienza dei migranti; dialogo islamo-cristiano.
«Nel tempo che viviamo – dichiara il comunicato finale dei lavori
– i paesi del Maghreb e altri paesi arabi sono attraversati da importanti rivendicazioni inerenti la dignità umana, la libertà, la giustizia e
l’aspirazione a una vera democrazia. I vescovi hanno avuto uno scambio di idee sulle ripercussioni politiche e sociali che questi avvenimenti hanno provocato sinora nei numerosi paesi coinvolti in queste
rapide evoluzioni.
Per quanto riguarda la Libia, essi appoggiano gli interventi di papa
Benedetto XVI e di mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di
Tripoli, sulla priorità del dialogo politico: nessuno può controllare le
conseguenze degli interventi armati che colpiscono anche le vittime
innocenti». Sia il papa a partire dall’Angelus del 20 marzo sia mons.
Martinelli – che ha ospitato anche un incontro ecumenico nel quale
è stata stilata una dichiarazione congiunta – hanno infatti insistentemente chiesto l’apertura di un dialogo (cf. Regno-att. 6,2011,152;
8,2011,227).
Ma i tentativi sin qui fatti non sono andati a buon fine anche per
lo scarso investimento e la frammentazione delle posizioni a livello
internazionale. Il papa, poi, è anche intervenuto sulla Siria nell’Angelus del 15 maggio, quando ha detto: «Il mio pensiero va anche alla
Siria, dov’è urgente ripristinare una convivenza improntata alla concordia e all’unità. Chiedo a Dio che non ci siano ulteriori spargimenti
di sangue in quella patria di grandi religioni e civiltà, e invito le autorità e tutti i cittadini a non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca del
bene comune e nell’accoglienza delle legittime aspirazioni a un futuro di pace e di stabilità».
Da transumanza a calvario
Sulla questione dei migranti, i vescovi del Mediterraneo «constatano – prosegue il comunicato – che l’Europa cerca soprattutto di
mettere in opera una protezione drastica che non va sempre nella direzione della giustizia e diventa spesso fonte di esclusione e di discriminazione. Il Maghreb è una zona di transito per i migranti
provenienti dall’Africa subsahariana; le Chiese sono testimoni dei
drammi che vivono uomini e donne che lasciano il proprio paese e
compiono notevoli sforzi per accoglierli e accompagnarli.
Di queste persone colpisce che nella loro miseria hanno una
forza umana e spirituale che li spinge a continuare la loro transumanza che purtroppo si trasforma spesso in calvario. Mettersi in loro
ascolto aiuta a modificare lo sguardo, a essere più esigenti sulle questioni della giustizia e della solidarietà nei confronti di questi fratelli
e di queste sorelle stranieri che bussano alla nostra porta».
L’accoglienza dei migranti, attuata dalle Chiese sia della riva Sud
sia della riva Nord del Mediterraneo, è dunque una priorità, come
osserva p. Roucou – direttore del Servizio nazionale per le relazioni
con l’islam della Conferenza episcopale francese –, perché è tramite
l’ascolto e gli scambi nella vita quotidiana che si possono sensibilizzare le comunità residenti in Europa. Tra l’altro esse hanno al loro interno persone provenienti da flussi migratori precedenti: «Questo ci
riporta alla Bibbia che invita il credente ebreo a ridire nel proprio
credo: “Mio padre era un arameo errante” (Dt 26,5)».
Tuttavia, su come gestire «la delicata questione delle migrazioni
– si dice ancora nel comunicato – vi sono due atteggiamenti contrastanti: quello di diversi politici che intendono garantire quasi esclusivamente la sicurezza e la protezione dei propri cittadini, spesso per
ragioni meramente elettorali; e quello dei discepoli del Vangelo che,
a rischio d’essere accusati d’ingenuità, vogliono servire in primo luogo
le persone e difenderle nella loro dignità, anche se sono clandestine
e senza documenti.
Questi due atteggiamenti – prosegue il testo – potrebbero trovare un punto d’incontro se il denaro speso per proteggere le frontiere fosse speso per lo sviluppo dell’indipendenza alimentare dei
paesi dai quali partono i migranti e se venissero assicurate le risorse
per permettere una vita dignitosa a tutti i cittadini. Questi ultimi non
sarebbero costretti a partire mettendo a rischio la propria vita. Da
decenni i papi ribadiscono questi concetti: perché non ripeterlo?».
Proprio l’universalità della Chiesa è il punto di forza a partire dal
quale essa può chiedere un serio impegno alle istituzioni europee, da
un lato nell’ambito dello sviluppo dei paesi più poveri e dall’altro in
quello dell’integrazione.
«Per quanto riguarda – conclude il comunicato – gli sforzi per far
avanzare il dialogo tra cristiani e musulmani, i vescovi da un lato si
sono rallegrati per la messa in opera di iniziative incoraggianti all’interno delle proprie diocesi e dall’altro si sono rattristati per l’ampliarsi
delle resistenze dovute alla paura e alla non conoscenza reciproca in
tutti i paesi a maggioranza cristiana o musulmana. Talune correnti
fondamentaliste non fanno altro che rafforzare questi timori.
La priorità deve essere data all’incontro tra persone di diversi
orizzonti che spesso lascia spazio a uno scambio più vero e più spirituale. La convivialità, vissuta nel quotidiano, resta il terreno d’elezione di un dialogo sempre necessario. I vescovi si rallegrano di tutte
le iniziative in questo campo.
Sottolineiamo – concludono i vescovi – la fecondità e la necessità di questi scambi regolari tra Chiese delle due rive del Mediterraneo: essi nutrono la speranza».
Maria Elisabetta Gandolfi
1
La riunione precedente si è tenuta a Parigi nel 2008; la prossima si
terrà a Madrid dal 23 al 25 aprile 2013. L’organizzazione è curata dalla Commissione episcopale per la missione universale della Conferenza episcopale francese, presieduta dall’arcivescovo di Cambrai, mons. F. Garnier.
I partecipanti erano: mons. Ghaleb Bader, arcivescovo di Algeri; mons.
Paul Desfarges, vescovo di Constantine-Hippone (Algeria); mons. François
Garnier, arcivescovo di Cambrai (Francia); mons. Alphonse Georger, vescovo
di Oran (Algeria); mons. Maroun Lahham, arcivescovo di Tunisi; mons. Vincent Landel, arcivescovo di Rabat (Marocco); mons. Juan José Omella, vescovo di Calahorra e La Calzada-Logono (Spagna); mons. Georges Pontier,
arcivescovo di Marsiglia; mons. Claude Rault, vescovo di Laghouat-Gardhaïa (Algeria); mons. Michel Santier, vescovo di Créteil (France); mons.
Claude Schockert, vescovo di Belfort-Montbéliard (Francia); mons. Marc
Stenger, vescovo di Troyes (Francia).
Erano inoltre presenti: p. Daniel Farrugia, vicario generale di Tripoli; alcuni collaboratori della Conferenza episcopale francese: p. Bernard Fontaine, direttore nazionale del Servizio per la pastorale dei migranti; p. Jean
Forgeat, direttore aggiunto del Servizio nazionale per la missione universale della Chiesa; p. Christophe Roucou, direttore del Servizio nazionale per
le relazioni con l’islam.
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Sri Lanka
Chiese e riconciliazione
Lezioni da apprendere
C
i troviamo in un quadro di postconflitto. È nostro compito riflettere su quanto accaduto. Connessa
a questo dovere c’è la necessità di assicurarci che nessun conflitto si ripeta nel futuro. In questo contesto, la parola di cui
si parla spesso è “riconciliazione”. Tra i paradigmi che stanno emergendo in situazioni come queste, il “paradigma della
riconciliazione” è importante e non scontato. (…) È Dio che riconcilia l’umanità. Il
ruolo dell’uomo è quello di essere ambasciatore di riconciliazione».
Giustizia o verità?
Queste parole avrebbero potuto essere ascoltate nei discorsi e appelli di
molti protagonisti – ecclesiali, politici, civili – della Commissione per la verità e la
riconciliazione sudafricana (Truth and Reconciliation Commission, TRC, 1995-98)
che svelò al paese e al mondo la violenza
e le origini del sistema segregazionista
dell’apartheid. Esse si ritrovano invece
nella deposizione pubblica presentata da
Daniel S. Thiagarajah, vescovo e segretario del Consiglio nazionale cristiano, organo che raccoglie le Chiese protestanti
nel tormentato stato dello Sri Lanka. L’intervento di Thiagarajah si è tenuto lo
scorso 17 dicembre davanti a un organismo d’inchiesta nato a quindici anni di distanza dall’esperienza sudafricana: la
«Commissione sulle lezioni apprese e la riconciliazione» (Lessons Learnt and Reconciliation Commission) che sta lavorando per far luce sull’ultimo decennio di
guerra civile.
La Commissione avrebbe dovuto presentare il suo rapporto conclusivo il 15
maggio, al termine di un anno di lavori. Le
difficoltà incontrate e i numerosi nodi ancora da sciogliere hanno imposto il rinvio
di sei mesi della pubblicazione dei documenti e delle raccomandazioni finali. In
attesa del risultato del suo mandato, può
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essere ora significativo evidenziare alcuni
aspetti.
Il debito retorico pagato dalla Commissione singalese verso il caso sudafricano non è casuale: negli ultimi tre decenni, decine di paesi protagonisti di
processi di transizione, al termine di periodi
segnati da guerre civili, dittature, violenze
etniche, hanno scelto di adottare meccanismi alternativi ai tribunali di guerra. Si è
consolidata così una vera e propria «Truth
and Reconciliation formula».1 Con essa si intende una forma di giustizia «restaurativa»,
centrata cioè sulla riconciliazione nazionale e la guarigione dalle ferite del passato
che emergerebbero dalla confessione delle
violenze compiute e subite (truth-telling),
con un’attenzione specifica alle vittime e
con l’obiettivo di ricostruzione del tessuto
sociale lacerato dal conflitto, piuttosto che
unicamente l’attribuzione retributiva di una
pena.
Se questa è ormai una definizione «classica» delle commissioni, ogni esperienza
presenta specificità e solleva interrogativi.
Sempre più infatti si afferma la necessità di
far interagire giustizia penale e restaurativa,
evidente nell’ultima generazione di TRC
create all’inizio del XXI secolo.
Il caso dello Sri Lanka è espressione dell’elaborazione magmatica che si raggruma
intorno alle TRC. Nel 1994 il paese conobbe
un primo esperimento di commissione d’inchiesta, che non portò però i risultati di pacificazione attesi.
La fine della decennale guerra civile che
ha visto schierato il governo di maggioranza
singalese contro l’organizzazione nazionalista delle Tigri per la liberazione della patria
tamil (LTTE) ha riproposto gli interrogativi
sulla gestione di un passato così complesso
(cf. Regno-att. 14,2009,458).
Limiti e criticità
Una nuova commissione d’inchiesta è
stata dunque istituita nel maggio dello
scorso anno dal presidente Mahinda Rajapaksa, dopo aver rifiutato le pressioni di
coloro che chiedevano la creazione di un
organismo indipendente e internazionale
per far luce sui crimini compiuti dai ribelli
e dal governo. Il mandato della Commissione voluta da Rajapaksa si propone di
indagare gli avvenimenti compresi tra il 21
febbraio 2002 e il 19 maggio 2009, soffermandosi in particolare sulla ricerca e la
denuncia degli «individui, gruppi e istituzioni» responsabili – «direttamente o indirettamente» – della violazione del cessate il fuoco che nel 2002 riaprì le ostilità
e dunque dei crimini nella fase successiva.
Il mandato prevede inoltre lo studio delle
misure e azioni necessarie a impedire una
nuova escalation di violenza.
Il nome stesso della Commissione
(Lesson learnt and riconciliation commission) trova eco nell’articolo del mandato
che raccomanda l’indagine delle «lezioni
che dovremmo apprendere da quegli avvenimenti»: il riferimento esplicito alla dimensione morale e a una visione educativa della storia che la Commissione
dovrebbe impartire e narrare aggiungono
sfumature e complessità al lavoro di questa istituzione.2
Le ingerenze governative, l’esclusione
della componente tamil e l’uso politico
della commissione ai fini di screditare gli
avversari del presidente Rajapaksa, così
come lo scarso numero di testimonianze
raccolte, l’assenza di programmi di protezione per i testimoni e di trasparenza mediatica e il debole lavoro di ricerca hanno
suscitato la condanna di organizzazioni
per i diritti umani.
La Commissione ha provocato inoltre
le critiche del comitato di esperti delle
Nazioni Unite chiamato a valutare i crimini commessi nelle fasi finali della guerra
civile. Lo scorso 25 aprile il comitato ONU
ha presentato un rapporto in cui esamina
nel dettaglio gli avvenimenti tra i mesi di
gennaio e maggio 2009 nella regione
Vanni, la zona più estesa della provincia
Nord.
Il rapporto denuncia il fatto che 330.000
civili siano rimasti intrappolati tra l’esercito
e i nazionalisti nell’ultima fase del conflitto.
Secondo le conclusioni dell’ONU, le tigri
tamil avrebbero usato la popolazione civile come scudo umano. Anche il governo
avrebbe però fatto ampio uso della violenza contro i civili. Immediata è stata la
reazione dei vertici di Colombo, che hanno
respinto le accuse contenute nel rapporto.
Dall’altra parte, in una fase di stallo dei
lavori della Commissione Lessons learnt,
l’uscita del rapporto ONU ha provocato
numerose reazioni. A prendere la parola
sono stati in particolare 25 esponenti del
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mondo ecclesiale, a conferma del ruolo
significativo che le Chiese stanno svolgendo nella transizione democratica.
La parola alle Chiese
Il titolo del testo (Il documento del
gruppo di esperti dell’ONU è una cospirazione e un ostacolo alla riconciliazione?)
pone immediatamente in discussione la tesi
governativa di condanna delle conclusioni
delle Nazioni Unite.3 In particolare, i 25 prelati riprovano il fatto che il governo non
abbia ancora diffuso il testo del rapporto e
non lo abbia tradotto in singalese e tamil.
La lettera ricorda i terribili giorni degli
scontri tra esercito e ribelli e gli appelli che
fin da allora le Chiese mossero per giungere alla fine delle ostilità. Il silenzio con
cui furono accolte quelle suppliche, scrivono i rappresentanti ecclesiali, continua
ancora oggi e impedisce di definire con
chiarezza quanto accaduto.
La parte più dura della lettera riguarda
l’atteggiamento del governo dalla fine delle
ostilità nel 2009 ad oggi: «Non siamo stati
capaci di compiere significativi progressi
su nessun fronte all’interno dello Sri Lanka.
Il lavoro della Commissione non ci offre
particolare speranza, sebbene ci auguriamo
ancora risultati positivi, in particolare dalla
pubblicazione del suo rapporto finale, dalle
conclusioni e dalle raccomandazioni, che
avrebbero il potenziale per servire da im-
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portante risorsa per i nostri sforzi verso la
riconciliazione. In questo contesto, crediamo che l’aiuto internazionale possa essere cruciale», scrivono i 25 membri del
clero del paese.
Le stesse preoccupazioni e attese sono
presenti nella deposizione di fronte alla
Commissione presentata dal vescovo e dai
sacerdoti della Chiesa cattolica del distretto di Mannar. In uno dei passaggi più
significativi del discorso pronunciato il 10
gennaio, gli esponenti della diocesi denunciano le sofferenze e ricordano le ragioni
della popolazione tamil: «Il popolo tamil
dovrebbe essere riconosciuto, insieme agli
altri abitanti, come parte di un solo Sri
Lanka, pur mantenendo la propria identità,
cultura, lingua, religione e abitazione tradizionale. Questa realtà in Sri Lanka deve essere riconosciuta dal governo. I principi
fondamentali di divisione del potere e dei
diritti delle minoranze devono essere legalmente fissati nella Costituzione». Oltre
a una completa indagine sulle sparizioni e
uccisioni durante la guerra civile, gli esponenti cattolici propongono alcune riforme
politiche e sociali, invocando infine il dialogo tra le fedi.
L’attivismo – non privo di contraddizioni
e tensioni – delle Chiese non è una caratteristica inedita nei lavori delle commissioni
per la verità e la riconciliazione (cf. Regnoatt. 20,1998,649; Regno-doc. 11,1999,358): si
pensi e all’operato e al valore simbolico di
Desmond Tutu come presidente della TRC
sudafricana e all’impegno di numerose diocesi e organismi ecclesiali nel sostegno ad
analoghe commissioni in America Latina. In
Sri Lanka, lo scenario ancora aperto fa
anche delle Chiese uno degli attori chiave
con cui guardare al futuro del paese.
Maria Chiara Rioli
1
La bibliografia sulle TRC è ormai molto
vasta. Tra i testi più significativi: P. HAYNER, Unspeakable Truths: Confronting State Terror and
Atrocity, Routledge, New York 2001; N. ROHTARRIAZA e J. MARIEZCURRENA (a cura di), Transitional Justice in the Twenty-First century. Beyond
Truth versus Justice, Cambridge University
Press, Cambridge 2006; R.I. ROTBERG, D. THOMPSON (a cura di), Truth versus Justice: the Morality of Truth Commissions, Princeton University
Press, Princeton 2000; sulla TRC sudafricana A.
LOLLINI, Costituzionalismo e giustizia di transizione. Il ruolo costituente della Commissione
sudafricana verità e riconciliazione, Il Mulino,
Bologna 2005. Cf. anche M.C. RIOLI, Guarigione
di popoli, Chiese e comunità cristiane nelle
commissioni per la verità e la riconciliazione in
Sudafrica e Sierra Leone, EMI, Bologna 2009.
2
Per un’analisi del rapporto tra le TRC e la
ricerca storica sui periodi che esse esaminano,
cf. J. ELSTER, Closing the Books: Transitional Justice in Historical Perspective, Cambridge University Press, New York 2004.
3
Il testo del documento, diffuso lo scorso
25 aprile, può essere reperito in diverse fonti
d’informazione, tra cui l’UCAN (Union of Catholic Asian News), www.ucanews.com.
India
Persecuzioni
Violenza
di stato
S
econdo il Rapporto annuale1 del Consiglio cristiano dell’India, un’associazione ecumenica che raccoglie numerosi gruppi, denominazioni, organizzazioni
non governative e agenzie missionarie cri-
stiane e che censisce tutti i casi documentati
di violenza anti-cristiana e di discriminazioni
contro i dalit, nel 2010 sono stati riportati 71
attacchi contro i cristiani in 13 (su 35) stati dell’unione, lo stesso numero dell’anno precedente. Il numero maggiore si è verificato
nello stato del Karnataka, seguito dall’Andhra Pradesh e dal Kerala. Benché dal 2008
non si siano più verificati episodi di violenza
di massa come quelli dell’Orissa e del Karnataka, il livello della tensione non tende a
scendere negli ultimi tre anni.
Gli episodi hanno riguardato pestaggi di
preti o pastori cristiani, arresti arbitrari, distruzione di proprietà e minacce verbali.
Con poche eccezioni, i responsabili erano
estremisti sostenitori dell’ideologia ultranazionalista indù (hindutva). In tutti i 71 casi
non c’è stata alcuna condanna da parte di
un tribunale.
Il 23 febbraio è stato diffuso anche il
rapporto della commissione indipendente
d’inchiesta guidata dal giudice Michael Sal-
danha, che ha dimostrato che gli attacchi
del 2008 contro le Chiese nel Karnataka
erano stati pianificati dai gruppi radicali indù
e che il governo dello stato li appoggiava,
sostenendo e coprendo una «campagna di
odio» contro i cristiani. L’esito dell’inchiesta
contraddice clamorosamente il rapporto
precedentemente presentato da una commissione d’inchiesta governativa, che aveva
al contrario sostenuto l’estraneità delle istituzioni nei pogrom. Il card. Oswald Gracias,
presidente della Conferenza episcopale indiana, ha chiesto ai vertici del governo dello
stato di prendere le dovute misure sulla
base del rapporto Saldanha, che chiama in
causa anche il primo ministro e il ministro
degli Esteri per gli attacchi.
D. S.
1
Il rapporto, pubblicato il 15 marzo, ci è
stato inviato il 6 aprile. Per informazioni contattare [email protected]; www.christiancouncil.in.
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Australia
Chiesa
servatore arcivescovo di Denver Charles
Chaput.
Travisamenti
Rimosso il vescovo Morris
C
on un lapidario comunicato del 2
maggio la Santa Sede ha informato
che «il santo padre Benedetto XVI
ha sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Toowoomba (Australia) s.e. mons.
William M. Morris». I motivi della decisione non sono stati esplicitati da alcun
documento ufficiale, ma è abbastanza
fondato attribuirne l’origine a una richiesta del vescovo di riaprire il dibattito sull’ordinazione sacerdotale degli uomini
sposati o delle donne, vista la drammatica
carenza di clero nella diocesi.1
a cura di
Clara Aiosa - Giovanni Giorgio
Credo la santa
Chiesa cattolica,
la comunione
dei santi
I
contributi raccolti, offerti al XII Simposio della Società italiana per la
ricerca teologica (SIRT), vertono attorno al IX articolo del simbolo apostolico. Lo sforzo degli studiosi è
quello di «ridire» Dio oggi, affinché il
Credo possa ancora essere reale strumento di trasmissione della fede nel
mutato contesto culturale.
«Biblioteca di ricerche teologiche»
pp. 260 - € 19,50
EDB
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Via Nosadella, 6
40123 - Bologna
Tel. 051.4290011
Fax 051. 4290099
Il vescovo, 67 anni, era stato assegnato
alla diocesi – che si trova nel Sud-est del
Queensland, Australia nord-orientale, è
grande quasi quanto la Francia e può contare su una cinquantina di preti tra diocesani e religiosi – nel novembre 1992 e
ordinato il 10 febbraio 1993.
Così mons. Morris rilegge la vicenda
nella lettera che ha indirizzato il 1° maggio
ai propri fedeli, e che è stata letta in tutte
le parrocchie: «Arrivai dalla Gold Coast
conoscendo poco di questa meravigliosa
Chiesa locale, e di voi che siete la Chiesa
locale. Ho trovato accoglienza, amicizia,
incoraggiamento, stimolo, sostegno nella
preghiera, una casa e un vero senso d’appartenenza. È con profonda tristezza perciò che vi scrivo questa lettera. Mentre la
stragrande maggioranza di voi mi è stata
di sostegno e ha collaborato attivamente
con me perché andasse avanti la vita della
diocesi, e la sua missione di portare il Vangelo al mondo, un piccolo gruppo ha trovato la mia leadership e la direzione della
diocesi non di proprio gradimento.
Anche se ho cercato di avere un buon
rapporto con tutti e di coinvolgere tutti
nel ministero e nella missione della diocesi, non ci sono riuscito. Alcuni di coloro
che sono stati scontenti del mio ministero
si sono avvalsi della possibilità di lamentarsi di me, in parte sulla base della mia
lettera pastorale dell’Avvento 2006 che è
stata travisata e mal interpretata, io credo
deliberatamente. Questo ha portato a
una visita apostolica e a un lungo dialogo
tra me e le Congregazioni per i vescovi, il
culto divino e la dottrina della fede, e infine con papa Benedetto. La sostanza di
queste accuse non è veramente importante, ma le conseguenze sono che il
papa ha stabilito che la diocesi sarebbe
stata meglio servita da un nuovo vescovo». L’incarico di condurre la visita
apostolica è stato affidato all’ultra-con-
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«Io – continua – non ho mai visto il
rapporto preparato dal visitatore apostolico, l’arcivescovo Chaput, e senza un giusto processo è stato impossibile risolvere
questi problemi (...) Benedetto XVI mi ha
confermato che “il diritto canonico non
prevede un processo sui vescovi, che il successore di Pietro nomina e può rimuovere
dall’ufficio”. Questo rende la mia posizione
di vescovo di Toowoomba insostenibile.
Non ho mai vacillato nella convinzione che
per me dimettermi è un problema di coscienza, e le mie dimissioni avrebbero significato che accettavo l’accusa di rompere
la communio, accusa che invece assolutamente rifiuto e respingo; ed è per amore
della Chiesa che non posso farlo. Non ho
mai scritto una lettera di dimissioni». Tale
atto sarebbe stato richiesto al vescovo dai
dicasteri vaticani sei volte. In alternativa il
vescovo – si apprende dalla sua lettera –
ha negoziato un «pensionamento anticipato». Ai preti e responsabili pastorali
mons. Morris ha affidato il compito d’informare accuratamente i fedeli, com’è
puntualmente avvenuto.2
Il presidente della Conferenza episcopale australiana Philip Wilson, in una lettera del 12 maggio a mons. Brian Finnigan,
nominato amministratore apostolico della
diocesi, ha affermato che «la decisione del
papa non è una negazione dei doni pastorali e personali che il vescovo Morris ha
portato nel ministero episcopale. Piuttosto egli ha giudicato che ci fossero problemi di dottrina e di disciplina, e ci
rammarichiamo che non si siano potuti risolvere. Noi ci auguriamo che il vescovo
Morris continuerà a servire la Chiesa in
altri modi nei prossimi anni». Ma i problemi
delle Chiese australiane rimangono, e i vescovi sono decisi a portarli a Roma: «Le discussioni sul processo e sulla decisione
finale continueranno durante la nostra visita ad limina a Roma entro la fine dell’anno. Allora potremo condividere con il
santo padre e i membri della curia romana
i frutti della nostra discussione e condividere le nostre domande e preoccupazioni
con un occhio al futuro».
D. S.
1
Il documento «incriminato» è reperibile sul
sito della diocesi di Toowoomba www.twb.catholic.org. au, così come la lettera di mons. Morris ai fedeli.
2
Una ricostruzione dettagliata dei fatti, dal
punto di vista dei consulenti in diritto canonico
di mons. Morris, è stata diffusa in rete: cf. per
esempio caloundra.catholic.net.au.
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Honduras
Presidenza Lobo
concludere il suo mandato come precondizione per lo svolgimento di nuove elezioni
– farebbe rifluire la resistenza del tradizionale sistema politico oligarchico, con la rinuncia all’obiettivo di rifondare lo stato.
La Chiesa:
una posizione mediatrice
Il compromesso
e la normalizzazione
A
due anni dal colpo di stato che rovesciò, il 28 giugno 2009, il presidente della Repubblica Manuel
Zelaya, in Honduras la polarizzazione politica tra sostenitori e oppositori del golpe
resta forte. Tuttavia la riunione svoltasi il 9
aprile a Cartagena de Indias tra i capi di stato
del Venezuela, Hugo Chávez, e della Colombia, Juan Manuel Santos, col presidente
honduregno de facto Porfirio Lobo, cui ha
fatto seguito, una settimana dopo, un incontro tra Chávez e Zelaya, ha aperto la prospettiva di un negoziato che normalizzi la
situazione del paese e ne garantisca il reinserimento nella comunità internazionale.
L’esecutivo di Lobo, infatti, nato da elezioni che si svolsero senza osservatori internazionali e a cui partecipò solo il 30%
degli aventi diritto, non è stato riconosciuto
dalla maggioranza dei governi del continente (ma tra le eccezioni spiccano Stati
Uniti e Colombia), e resta escluso dall’Organizzazione degli stati americani (OSA), il che
gli preclude l’accesso alla cooperazione finanziaria internazionale, oggi indispensabile
per superare la crisi economica che attanaglia il paese. Se fosse riammesso potrebbe
ottenere prestiti dal Banco interamericano
di sviluppo (BID) e accedere nuovamente all’accordo energetico Petrocaribe con Caracas, grazie al quale l’Honduras nel 2009
pagava i combustibili il 40% del prezzo attuale. Ma ciò esigerebbe un’intesa che ricomponga la rottura istituzionale avvenuta
col colpo di stato.
D’altro canto, il Fronte nazionale di resistenza popolare (FNRP), che riunisce le organizzazioni politiche e sociali antigolpiste,
conserva, nonostante la repressione che ha
provocato alcune centinaia di morti in due
anni, grande capacità di mobilitazione, come
dimostrato dagli scioperi generali di marzo
e aprile, e, sebbene al suo interno convivano
orientamenti diversi (da chi vorrebbe fare
del FNRP un partito con cui competere alle
Il presidente Porfirio Lobo Sosa.
elezioni del 2013 a chi intende conservarne
le caratteristiche di movimento ampio), in
febbraio ha tenuto la sua prima assemblea
generale, con 1.500 delegati provenienti da
tutto il paese e si è strutturato in tutto il territorio. Al mediatore Chávez, Zelaya, in qualità di coordinatore del FNRP, ha consegnato
un documento con quattro condizioni per
siglare un accordo col governo de facto:
rientro sicuro del presidente deposto e degli altri esuli politici, rispetto dei diritti
umani, convocazione di un’assemblea costituente e riconoscimento del FNRP come
forza politica. Lobo si è informalmente
detto d’accordo con queste richieste, compresa quella della convocazione di un’assemblea costituente (per la quale l’anno
scorso il FNRP ha raccolto, anche con l’appoggio della diocesi di Santa Rosa de Copan,
guidata da mons. Luis Santos, le firme di 1,4
milioni di honduregni).
Il Consiglio civico delle organizzazioni
popolari e indigene dell’Honduras teme
però che un eventuale accordo – qualora
fosse rispettato, a differenza di quello siglato a San José del Costa Rica un mese
dopo il golpe, che prevedeva il ritorno alla
Presidenza della Repubblica di Zelaya per
Intanto, in febbraio, la Conferenza episcopale dell’Honduras ha reso pubblico un
comunicato – aperto dalla citazione del libro dell’Esodo «Il Signore disse: ho visto
l’oppressione del mio popolo» – nel quale
i vescovi, pur segnalando come «si sia progredito, sebbene lentamente, verso una
riconciliazione», esprimono preoccupazione per «l’accumulazione di conflitti di
ogni tipo». Denunciano quindi, tra l’altro, «il
dolore di tante vittime della violenza cui
non si rende giustizia», il «vorace appetito
di quanti vogliono arricchirsi distruggendo
le risorse naturali, a danno della popolazione e a vantaggio di pochi cui non si applica la legge», il «modello economico attuale, che è escludente e ostacola la
crescita della piccola e media impresa»
nonché «la corruzione a ogni livello,
l’esclusione, la polarizzazione sociale che
ostacola la governabilità, i problemi di proprietà della terra che hanno già provocato
la morte di contadini». Si tratta di problemi, sottolineano i vescovi, che «paralizzano la nostra società e ci impediscono di
avanzare sulla strada di una democrazia
partecipativa e rappresentativa». Perciò
l’episcopato chiede «un nuovo patto sociale, con la partecipazione di tutti i settori
della società, che rinnovi le istituzioni giuridiche, politiche, sociali e culturali in
modo da renderle rispondenti alla volontà
della maggioranza del popolo».
Il documento è stato definito «piuttosto sorprendente» dai gesuiti di Radio progreso, poiché «rompe il silenzio ecclesiale
a partire dalle critiche rivolte alla gerarchia
tanto dall’interno della Chiesa quanto dalla
società civile» e «presenta una posizione
opposta a quella assunta allo scoppio della
crisi nazionale», un’allusione all’assenza di
interventi pubblici sulla situazione del
paese dopo l’appoggio espresso al rovesciamento di Zelaya dalla conferenza episcopale, e in particolare dall’arcivescovo di
Tegucigalpa, card. Rodríguez Maradiaga, che
ha sempre giudicato l’azione militare del
giugno 2009 «conforme al diritto» e Lobo
«eletto democraticamente». Per queste
posizioni il cardinale ha ricevuto il soprannome di «cardemal» e diverse minacce di
morte.
Mauro Castagnaro
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Bolivia
Ve scov i
Inclusione sociale
e laicità aperta
L
a lettera pastorale I cattolici nella
Bolivia di oggi: presenza di speranza
e impegno, pubblicata durante la
Quaresima dalla Conferenza episcopale
boliviana (CEB), costituisce un importante
tentativo di riflessione organica sul ruolo
della Chiesa nella nuova fase della vita del
paese. L’ascesa ai vertici dello stato nel
2006 di Evo Morales, primo presidente
della Repubblica indigeno, ha segnato una
indubbia novità. E col nuovo governo la
gerarchia cattolica ha avuto in questi anni
anche momenti di frizione.
Con l’ampio documento (64 pagine,
suddivise in 9 capitoli), i vescovi, infatti,
intendono «offrire un contributo alla vita
della società a partire dalla visione cristiana dell’uomo, preoccupati per il bene
di tutti i boliviani», collocandosi all’interno del processo di cambiamento sociopolitico in atto nel paese, ma individuandovi sia i «progressi», sia le «ambiguità»; ciò ha spinto gran parte dei mass
media locali a presentare il testo come
una critica all’esecutivo e l’ex presidente
del Senato, Óscar Ortiz, leader della formazione d’ispirazione neoliberale Consenso popolare, all’opposizione, l’ha
definito «l’analisi più profonda realizzata
sulla storia recente della Bolivia».
Secondo l’episcopato, «i tempi che viviamo in Bolivia sono segnati prima di
tutto dall’inclusione e dalla partecipazione dei nostri popoli indigeni in tutti gli
ambiti della società, dall’attenzione alle
legittime aspirazioni dei poveri e dei settori meritevoli di un maggiore e necessario riconoscimento e accesso ai servizi
pubblici. Come Chiesa valorizziamo e incoraggiamo questo processo, che mira a
riparare tanti segni di emarginazione, diseguale distribuzione della ricchezza,
squilibrio culturale, discriminazione della
donna, debiti sociopolitici secolari ignorati, spesso deliberatamente, per lungo
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tempo». Tuttavia i vescovi ricordano che
tale politica di inclusione sociale «non
può provocare nuove esclusioni né paura
per altri settori. Né si possono ritenere legittime solo le aspirazioni di quanti condividono l’ideologia dominante, senza
tener conto di altre che potrebbero completarla e arricchirla, poiché l’apporto di
tutti contribuisce alla giustizia e alla riconciliazione».
Non solo la cultura aymara
Così la CEB plaude alla Legge contro il
razzismo e ogni forma di discriminazione,
varata nell’ottobre scorso, per «sradicare
questa piaga», ma critica l’assenza di «un
parametro chiaro di quali siano le condotte
che saranno ritenute discriminatorie». Allo
stesso modo i presuli giudicano «motivo di
speranza la crescita di autostima delle diverse culture nazionali, specie quelle indigene, come pure l’apprezzamento per i loro
valori e lingue» e sottolineano i valori delle
culture tradizionali (il rispetto della relazione tra uomo e natura, la dimensione comunitaria ecc.), senza però ignorarne i «controvalori» (l’alcolismo, il maschilismo ecc.).
Poi rilevano «l’esistenza di una tendenza,
da parte di una determinata corrente del
potere politico, a imporre una delle culture
indigene (quella aymara; ndr) sulle altre, disattendendo di fatto la pluriculturalità consegnata nelle nostre leggi» nonché «l’utilizzo della ricchezza culturale del popolo
per fini ideologici e interessi particolari e di
partito».
In questa luce l’episcopato stigmatizza
i progetti di legge che legalizzerebbero le
unioni tra omosessuali e l’aborto in quanto
«contrarie alle culture dei nostri popoli
originari», oltre che alla concezione cristiana. In chiaroscuro risulta anche l’analisi
della situazione economica: «La crescita
senza precedenti dei prezzi internazionali
delle materie prime, idrocarburi e minerali,
le rimesse degli emigrati e l’economia illegale della produzione di coca che eccede
il consumo tradizionale» hanno permesso
alle autorità di elargire «buoni» al 28%
della popolazione, con «un impatto positivo sulla vita dei più poveri, specie nell’area rurale». Tuttavia tali sussidi derivano
dallo sfruttamento di risorse naturali non
rinnovabili, mentre non si stanno promuovendo la diversificazione e l’incremento
della produzione nazionale per superare la
dipendenza dall’attività estrattiva e alleviare la povertà.
Lot ta al narcotraffico
e all’illegalità
La CEB, infatti, osserva il permanere di
«forti diseguaglianze economiche tra ricchi e poveri, tra campagna e città e tra i
gruppi sociali, una situazione aggravata
dalla penuria di alimenti e dall’aumento
smisurato dei prezzi dei prodotti di prima
necessità». A chiare lettere i vescovi denunciano «la mancanza di sensibilità e solidarietà dei più potenti, perché non si
assumono la responsabilità di contribuire
maggiormente al destino del paese e alla
soluzione dei problemi dei più poveri», per
cui «sarebbe ingiusto attribuire al potere
pubblico tutti i mali». Essi però non ignorano «le carenze amministrative dello
stato, i bassi livelli di esecuzione del bilancio, la scarsa produttività di imprese statali
e private, la crescita del contrabbando», cui
si aggiunge la «corruzione generalizzata,
tanto pubblica quanto privata». L’episcopato, infine, auspica il proseguimento della
collaborazione tra Chiesa e stato alla luce
dell’Accordo quadro firmato tra governo e
CEB nel 2009, all’insegna del principio
«stato laico sì, stato laicista no», in virtù del
quale i presuli denunciano come «una strumentalizzazione politica di espressioni religiose» la «promozione di riti ancestrali
(cerimonie aymara dedicate alla Pachamama; ndr) in atti pubblici».
Il punto che comunque ha suscitato
maggiori polemiche è quello in cui l’episcopato giudica «insufficiente l’azione del
governo nella lotta al narcotraffico», sollecitando l’esecutivo ad «attaccarlo anche
nei suoi movimenti finanziari». Il senatore
Adolfo Mendieta, del partito governativo
Movimento al socialismo, ha infatti invitato la Chiesa cattolica a fornire prove
delle sue affermazioni, ripetendo la richiesta già espressa alcuni mesi fa all’arcivescovo di Cochabamba, mons. Tito Solari,
che aveva denunciato l’uso di bambini da
parte dei narcos nella regione del Chapare.
M. C.
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diario ecumenico
APRILE
Grecia – Monasteri dell’Athos e crisi. Il 1° aprile il quotidiano ateniese Kathimerini riferisce di una lettera inviata al premier
greco George Papandreou dall’Assemblea dei rappresentanti dei 20
monasteri del monte Athos, luogo simbolo del monachesimo ortodosso nella Grecia settentrionale, per protestare contro la recente
riforma fiscale volta a imporre ai monasteri una tassa del 20% sulle
rendite immobiliari. Sinora in base alla Costituzione godevano di
uno statuto autonomo e dell’esenzione fiscale. Lo stato greco, alle
prese con una crisi senza precedenti, ha dovuto appesantire il prelievo fiscale sulle rendite elevate e dovrà d’ora in poi tassare anche
la Chiesa di Grecia, seconda proprietaria terriera dopo lo stato
stesso.
Spagna – Consiglio islamico. Il 2 aprile i rappresentanti delle
comunità islamiche spagnole registrate presso il Ministero della giustizia s’incontrano a Madrid e decidono di dare vita a un Consiglio
islamico di Spagna, dopo aver tentato per anni senza esito di modificare gli statuti della preesistente Unione delle comunità islamiche
in Spagna, soggetta all’influenza dei governi stranieri (Marocco e Arabia Saudita soprattutto). L’obiettivo principale è impegnarsi nel dialogo con lo stato per lo sviluppo e l’applicazione dell’Accordo di
cooperazione firmato nel 1992. In Spagna vivono 1.200.000 musulmani, per la maggior parte immigrati.
Consiglio d’Europa – Dimensione religiosa del dialogo
interculturale. Un dibattito sulla dimensione religiosa del dialogo
interculturale è uno dei punti forti della sessione primaverile del-
Bartolomeo I: visita a Parigi e iniziativa interortodossa. Nel mese di aprile il patriarca ecumenico Bartolomeo I
realizza due iniziative di rilievo per i rapporti in seno alla Chiesa
ortodossa. Dall’11 al 14 si reca in visita a Parigi in occasione della
pubblicazione in francese di un suo volume, À la rencontre du
mystère. Comprendre le christianisme orthodoxe aujourd’hui.
Qui incontra l’Assemblea dei vescovi ortodossi di Francia, molti
esponenti del governo tra cui il presidente Sarkozy, il presidente
della Conferenza episcopale francese card. Vingt-Trois.
Il 20 aprile poi il sito d’informazione religiosa Romfea.gr riferisce che Bartolomeo ha inviato una lettera ai patriarchi Teodoro II di Alessandria, primate della Chiesa ortodossa in Africa,
Ignazio IV di Antiochia, primate della Chiesa ortodossa in Siria,
Libano, Iraq e Kuwait, Teofilo III di Gerusalemme, primate della
Chiesa ortodossa in Israele, Giordania e Territori palestinesi, e all’arcivescovo Crisostomo II di Nea Giustiniana, primate della
Chiesa di Cipro. In essa rende nota l’intenzione – approvata durante la sessione di aprile del Santo Sinodo del Patriarcato – di
convocare una sinassi dei primati delle Chiese ortodosse del
Medio Oriente, per esaminare «l’instabilità della situazione politica attuale» nell’area, ma anche per affrontare alcune questioni concernenti le relazioni interortodosse e la preparazione
del futuro concilio panortodosso. L’incontro potrebbe svolgersi
il 31 agosto e 1º settembre a Istanbul, e riunire dunque – tolta
Roma – la «pentarchia» dei patriarcati del primo millennio (Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme), insieme
all’antica Chiesa di Cipro.
l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, e ha luogo a Strasburgo il 12 aprile. Intervengono il patriarca Daniel di Romania, che
sottolinea il ruolo e l’importanza della fede cristiana nella formazione e nella trasmissione della cultura in Europa; il card. Jean-Louis
Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, che chiede all’Europa di avere il «coraggio» di prendere decisioni per promuovere la libertà di religione e denunciare ogni forma
di discriminazione per motivi religiosi; Mehmet Görmez, presidente
della Direzione degli affari religiosi della Turchia; Berel Lazar, rabbino
capo di Russia; Bernhard Felmberg, rappresentante plenipotenziario
del Consiglio della Chiesa evangelica in Germania presso la Repubblica federale di Germania e l’Unione Europea.
Chiesa ortodossa russa – Consiglio ecclesiale supremo.
Il 14 aprile si riunisce per la prima volta il Consiglio ecclesiale supremo
della Chiesa ortodossa russa, istituito per decisione del Santo Sinodo
il 22 marzo su proposta del patriarca Cirillo. Il patriarca lo presiede, ed
è composto dai responsabili di tutte le commissioni sinodali della
Chiesa ortodossa russa: 18 in totale, tra cui 14 vescovi (8 ausiliari del
patriarca), 3 preti e un laico. Così spiega Cirillo nell’intervento di apertura: il Consiglio è destinato a diventare un «organo di collegialità
nella Chiesa», ma anche «uno degli strumenti per mettere in opera le
decisioni dell’autorità ecclesiale suprema… È importante per noi…
sforzarci, ciascuno nel suo ruolo e tutti insieme, collettivamente, di
alzare il livello di disciplina esecutiva nella Chiesa».
Charta oecumenica – 10 anni. Il 22 aprile la Charta oecumenica, documento elaborato congiuntamente nel 2001 dal Consiglio
delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dalla Conferenza delle
Chiese europee (KEK), compie 10 anni. Cf. in questo numero a p. 306.
Pasqua comune. Quest’anno i cristiani d’Oriente e d’Occidente celebrano la Pasqua lo stesso giorno, il 24 aprile, in quanto i
due rispettivi calendari, quello giuliano e quello gregoriano, vengono a coincidere. Lo stesso accadrà nel 2017 e nel 2025. Nel suo
messaggio pasquale Olav F. Tveit, segretario generale del Consiglio
ecumenico delle Chiese (CEC) si augura che «la celebrazione della
Pasqua possa assumere un significato sempre più ecumenico». Da
anni il movimento ecumenico caldeggia un accordo che porti le
Chiese a celebrare la Pasqua in una data comune; la consultazione di
Aleppo (Siria, 5-10.3.1997) organizzata da Fede e costituzione si concluse con tre raccomandazioni per la soluzione della data di Pasqua:
a) mantenere il principio di Nicea; b) calcolare scientificamente i dati
astronomici; c) usare come punto di riferimento, per il calcolo, il meridiano di Gerusalemme. Per gli ortodossi la questione è tra i punti
del futuro concilio panortodosso.
Ginevra – Religioni e «lavoro dignitoso». La «dignità del
lavoro» o il «lavoro dignitoso» nel contesto di una risposta alla globalizzazione è al centro di un seminario interreligioso internazionale che si tiene a Ginevra presso il Consiglio ecumenico delle
Chiese dal 27 al 29 aprile. È organizzato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) insieme all’Organizzazione islamica per
l’educazione, la scienza e la cultura, il Pontificio consiglio della giustizia e della pace, il CEC e Globalethics.net. I partecipanti identificano delle convergenze tra le tradizioni religiose (cristiana,
musulmana, ebraica e buddhista) e l’agenda dell’OIL per garantire un
lavoro dignitoso per tutti.
Daniela Sala
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agenda vaticana
APRILE
Enrichetta Alfieri beata. Il 2 aprile il papa autorizza la pubblicazione di decreti riguardanti 29 nuovi beati tra i quali quattro
italiani: Serafino Morazzone, sacerdote ambrosiano (1747 – 1822); Clemente Vismara, sacerdote missionario del PIME (Agrate Brianza [MB]
1897 – Myanmar 1988); suor Elena Aiello, fondatrice della Congregazione delle Suore minime della passione (Cosenza 1895 – Roma 1961);
suor Enrichetta Alfieri (al secolo: Maria Angela), della Congregazione
delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret (Borgo
Vercelli [VC] 1891 – Milano 1951). Per la causa di Enrichetta Alfieri,
detta «l’angelo di San Vittore», testimoniò Indro Montanelli per
come la conobbe da detenuto nel 1944. La salvò dalla fucilazione
l’intervento del card. Schuster che scrisse di persona a Mussolini
quando fu sorpresa con un biglietto di una donna ebrea detenuta
che dal carcere scriveva ai parenti invitandoli a mettersi in salvo.
Assisi 4. «Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e
la giustizia nel mondo» sarà l’intestazione dell’appuntamento interreligioso annunciato dal papa il 1° gennaio a ricordo del 25° di quello indetto da Giovanni Paolo II: l’annuncia una nota del 2 aprile dando
notizia che la giornata si farà il 27 ottobre (giorno dell’anniversario di
quella del 1986) e sarà organizzata dai Pontifici consigli per la promozione dell’unità dei cristiani, per il dialogo interreligioso e della cultura;
l’invito del papa è rivolto «ai fratelli cristiani delle diverse confessioni,
agli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, a
tutti gli uomini di buona volontà». La giornata avrà come tema: «Pellegrini della verità, pellegrini della pace». Saranno invitate «anche alcune personalità del mondo della cultura e della scienza che, pur non
professandosi religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità
e avvertono la comune responsabilità per la causa della giustizia e della
pace in questo nostro mondo». Non vi saranno momenti pubblici e
comuni di preghiera, ma solo dei tempi di «preghiera silenziosa». Cf. in
questo numero a p. 343.
Santi semplici. «Non solo alcuni grandi santi che amo e che
conosco bene sono per me “indicatori di strada”, ma proprio anche
i santi semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che
non saranno mai canonizzate»: così papa Ratzinger mercoledì 13
aprile ragionando della santità a chiusura del ciclo su «santi e sante»
che ha condotto nelle udienze del mercoledì lungo l’ultimo biennio.
Vangheluwe – pedofilia. «La Congregazione per la dottrina della
fede ha stabilito che Roger Vangheluwe, ex vescovo di Bruges, lasci il
Belgio e si sottoponga a un periodo di trattamento spirituale e psicologico. In tale periodo evidentemente non gli è permesso alcun esercizio pubblico del ministero sacerdotale ed episcopale. Il trattamento
psicologico è stato disposto dalla Congregazione per ottenere gli ulteriori elementi diagnostici e prognostici utili per continuare e concludere la procedura in vista della decisione definitiva, che rimane di
competenza della Congregazione stessa, e da approvarsi da parte del
santo padre»: così una dichiarazione del portavoce vaticano a seguito
delle polemiche provocate da nuove dichiarazioni a mezzo stampa del
vescovo reo confesso di violenze sessuali su due nipoti maschi, le cui
dimissioni erano state accettate dal papa nell’aprile del 2010 (cf., tra gli
altri, Regno-att. 16,2010,516 e 14,2010,437).
Cina. «Per quanto riguarda il triste episodio dell’ordinazione episcopale di Chengde, la Santa Sede, in base alle informazioni e alle te-
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stimonianze finora ricevute, non ha ragioni per considerarla invalida,
mentre la ritiene gravemente illegittima, perché è stata conferita senza
il mandato pontificio, e ciò rende anche illegittimo l’esercizio del ministero. Siamo inoltre addolorati perché è avvenuta dopo una serie di
consacrazioni episcopali consensuali e perché i vescovi consacranti
hanno subìto varie costrizioni (…). Le pressioni e le costrizioni esterne
possono fare sì che non si incorra automaticamente nella scomunica.
Resta tuttavia una ferita provocata al corpo ecclesiale. Ogni vescovo
coinvolto è, pertanto, tenuto a riferire alla Santa Sede e a trovare il
modo di chiarire la propria posizione ai sacerdoti e ai fedeli, professando nuovamente la fedeltà al sommo pontefice»: è un paragrafo del
Messaggio ai cattolici cinesi della Commissione per la Chiesa cattolica in Cina pubblicato il 14 aprile, a conclusione della riunione dei
giorni 11-13 aprile (cf. Regno-doc. 9,2011,265 e Regno-att. 8,2011,237).
Benedetto in TV. Bintù è una donna musulmana della Costa
d’Avorio che il pomeriggio del 22 aprile – Venerdì santo – pone una
delle sei domande alle quali papa Benedetto risponde in una trasmissione registrata di RAI Uno, per la rubrica A sua immagine. La
donna parla della guerra civile che sta sconvolgendo il suo paese e
chiede cosa si possa fare a rimedio. «Possiamo fare una cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo
opere di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre
possibilità, i contatti politici, umani», le risponde tra l’altro il papa. Le
altre domande riguardano il terremoto del Giappone, le persone in
stato vegetativo, la condizione dei cristiani in Iraq, la discesa di Gesù
agli inferi, il corpo di Gesù risorto (cf. Regno-att. 6,2011,173).
Via crucis. «La croce non è il segno della vittoria della morte, del
peccato, del male ma è il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità
dell’amore di Dio, di ciò che non avremmo mai potuto chiedere, immaginare o sperare: Dio si è piegato su di noi, si è abbassato fino a
giungere nell’angolo più buio della nostra vita per tenderci la mano e
tirarci a sé, portarci fino a lui»: così il papa a conclusione della Via crucis al Colosseo, il Venerdì santo, 22 aprile. I testi delle meditazioni erano
stati composti da suor Maria Rita Piccione, dell’Ordine di Sant’Agostino, del Monastero dei santi Quattro coronati in Roma.
Profughi e rifugiati. «Ai tanti profughi e ai rifugiati, che provengono da vari paesi africani e sono stati costretti a lasciare gli affetti più cari, arrivi la solidarietà di tutti. Gli uomini di buona volontà
siano illuminati ad aprire il cuore all’accoglienza, affinché in modo
solidale e concertato si possa venire incontro alle necessità impellenti di tanti fratelli. A quanti si prodigano in generosi sforzi e offrono esemplari testimonianze in questa direzione giunga il nostro
conforto e apprezzamento»: è un brano del messaggio Urbi et orbi
di papa Benedetto letto la domenica di Pasqua, 24 aprile (cf., sul
tema, Regno-doc. 9,2011,275).
Azerbaigian. Il 30 aprile a Baku viene firmato un accordo fra la
Santa Sede e la Repubblica di Azerbaigian – paese a maggioranza
musulmana – che regola i rapporti giuridici fra la Chiesa cattolica e
lo stato. Un comunicato informa che l’accordo «riconosce e registra
la personalità giuridica della Chiesa cattolica e di tutte le sue istituzioni e assicura la libera comunicazione tra la locale comunità cattolica e la Santa Sede, nonché l’accesso ai mezzi di comunicazione
sociale e la libera scelta, da parte della Santa Sede, di un ordinario,
quale responsabile della circoscrizione ecclesiastica».
Luigi Accattoli
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Assisi - 27 ot tobre
1986-2011
La preghiera
e il pellegrinaggio
L’idea di Benedetto XVI di convocare ad Assisi
il 27 ottobre 2011 una «giornata di riflessione,
dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel
mondo», richiamando l’iniziativa inedita assunta
dal suo predecessore Giovanni Paolo II
e invitando nuovamente a unirsi a questo
cammino «i fratelli cristiani delle diverse
confessioni, gli esponenti delle tradizioni
religiose del mondo e, idealmente, tutti
gli uomini di buona volontà», offre oggi
l’occasione per riflettere su quell’intuizione
profetica con chi ne fu l’ideatore, il card. Roger
Etchegaray, all’epoca presidente del Pontificio
consiglio della giustizia e della pace.
«L’atto di fondazione non può essere ripetuto»,
afferma il card. Etchegaray, che racconta da dove
nacque l’idea di Assisi 1986, su quali presupposti
e prospettive si basò, quale fu il ruolo assegnato
alla preghiera in una dimensione interreligiosa.
A complemento mons. Michael Fitzgerald,
dal 2002 al 2006 presidente del Pontificio
consiglio per il dialogo interreligioso, ripercorre
i momenti salienti del riavvicinamento che dopo
Assisi ha portato i leader delle maggiori religioni
mondiali a incontrarsi sempre più
frequentemente nel dialogo.
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on un comunicato della Sala stampa vaticana, il 2 aprile scorso, è stato ufficializzato nei contenuti e nelle modalità il
programma della giornata del 27 ottobre prossimo ad Assisi: 25° anniversario
della Giornata mondiale di preghiera
per la pace voluta da Giovanni Paolo II.
Fu quello il primo e «speciale incontro di preghiera per
la pace» a cui il papa aveva invitato personalmente i responsabili delle Chiese e delle comunioni cristiane,
nonché i leader delle altre religioni, nella città di san
Francesco, al fine di «contribuire a suscitare un movimento mondiale di preghiera per la pace che, oltrepassando i confini delle singole nazioni e coinvolgendo
i credenti di tutte le religioni, giunga ad abbracciare il
mondo intero».
Il prossimo incontro è il quarto. Oltre a quello del
1986, si sono tenuti altri due incontri nel 1993 e nel
2002. Pur nella loro progressiva diversità, sottolineata
dalle diverse emergenze storiche (le guerre balcaniche
nel 1993; il terrorismo islamista nel 2002), i tre incontri di preghiera sono stati organizzati con l’intento
principale di mostrare come le religioni, le confessioni
e le Chiese – se in passato erano state causa o giustificazione di conflitti – oggi potevano, a partire dalla riscoperta di una loro interna coerenza spirituale, rovesciare quell’assunto e dare testimonianza di dialogo e di
fratellanza. E nel promuovere l’accettazione reciproca,
attraverso comuni comportamenti religiosi (la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio) condurre ciascuna
la propria interna conversione.
Ad Assisi 1986 l’accento fu certamente posto sulla
preghiera. Sul pregare gli uni accanto agli altri, sull’essere insieme per pregare, come fu prudentemente
detto, ma che evocava di fatto l’immagine simbolica di
un pregare insieme. «Come leader religiosi – aveva
detto Giovanni Paolo II nel suo saluto – voi non siete
venuti qui per una conferenza interreligiosa sulla pace,
dove l’accento avrebbe dovuto cadere sulla discussione
o la ricerca di piani d’azione su scala mondiale in favore
di una causa comune. Il venire insieme di così tanti leader religiosi per pregare è come tale un invitare il
mondo a diventare consapevole che esiste un’altra dimensione della pace e un’altra via per promuovere la
pace». Giovanni Paolo II vuole mettere in scena, come
dirà nel 1993, «lo spettacolo della concordia» tra le
confessioni e le religioni.
Pellegrini della verità,
pellegrini della pace
Quale ruolo il papa assegnasse allora al cattolicesimo
era chiaro nell’atto di convocare gli altri. Nell’invito vi
era certamente l’ammissione implicita che la Chiesa
cattolica da sola non bastasse, e se voleva reiterare la richiesta di una suprema autorità etico-politica della
Chiesa sul consorzio civile quale unica garanzia di un
mondo ordinato, essa ora poteva farlo solo convocando
tutte le altre componenti religiose, facendo della dimensione interreligiosa un punto strategico dell’azione
politica internazionale della Santa Sede.
Che ruolo conferirà Benedetto XVI alla nuova giornata di Assisi? Ancora non lo sappiamo. Possiamo scor-
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rere alcuni passaggi salienti del comunicato: «Il santo
padre – vi è detto – intende convocare, il 27 ottobre
prossimo, una Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo, recandosi
pellegrino nella città di san Francesco e invitando nuovamente a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani
delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni
religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di
buona volontà. La giornata avrà come tema: Pellegrini
della verità, pellegrini della pace. Ogni essere umano è,
in fondo, un pellegrino in ricerca della verità e del
bene. Anche l’uomo religioso rimane sempre in cammino verso Dio: da qui nasce la possibilità, anzi la necessità di parlare e dialogare con tutti, credenti o non
credenti, senza rinunciare alla propria identità o indulgere a forme di sincretismo; nella misura in cui il
pellegrinaggio della verità è vissuto autenticamente,
esso apre al dialogo con l’altro, non esclude nessuno e
impegna tutti a essere costruttori di fraternità e di pace.
Sono questi gli elementi che il santo padre intende
porre al centro della riflessione. Per questo motivo saranno invitate a condividere il cammino dei rappresentanti delle comunità cristiane e delle principali
tradizioni religiose anche alcune personalità del mondo
della cultura e della scienza che, pur non professandosi
religiose, si sentono sulla strada della ricerca della verità e avvertono la comune responsabilità per la causa
della giustizia e della pace in questo nostro mondo.
L’immagine del pellegrinaggio riassume dunque il
senso dell’evento che si celebrerà: si farà memoria delle
tappe percorse, dal primo incontro di Assisi a quello
successivo del gennaio 2002 e, al tempo stesso, si volgerà lo sguardo al futuro, con il proposito di continuare, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà,
a camminare sulla via del dialogo e della fraternità, nel
contesto di un mondo in rapida trasformazione. San
Francesco, povero e umile, accoglierà di nuovo tutti
nella sua città, divenuta simbolo di fraternità e di
pace».
In preparazione alla prossima giornata Benedetto
XVI presiederà in San Pietro, la sera precedente, una
veglia di preghiera, e altrettanto chiederà di fare a tutte
le Chiese particolari. I pontifici consigli coinvolti nell’organizzazione sono quelli per il dialogo interreligioso, per la promozione dell’unità dei cristiani e per la
cultura. Non c’è il Pontificio consiglio della giustizia e
della pace che fu protagonista dell’evento del 1986.
S’insiste maggiormente sull’aspetto del dialogo culturale.
Le tappe della giornata, il percorso somigliano
molto da vicino a quelli del 1986. Ma qui non è la preghiera a essere posta al centro. È il camminare insieme.
Benedetto XVI conferma la sua prudenza, che già allora manifestò da prefetto della Congregazione per la
dottrina della fede, sulla preghiera. Non vi saranno luoghi per preghiere comuni a ciascuna tradizione religiosa. Ciascuno pregherà in silenzio nel proprio cuore.
Rimane forte il tema della fratellanza che accomuna,
invece di dividere, nella ricerca della verità.
Gianfranco Brunelli
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Assisi 25 anni dopo
Vicini l’un l’altro
vicini a Dio
ard. Etchegaray, sono trascorsi 25 anni,
un lasso di tempo significativo per stabilire che cosa è restato dello spirito di Assisi.
Mi è venuto da dire: «restato». Il «resto» è
parola antica che ha un gran peso nella
Bibbia. Non ha nulla a che fare con
l’avanzo, il rimasuglio. È un segno di fedeltà, capace nuovamente di fiorire, ma certo è passato attraverso molte prove, spesso dure. Potevo chiederle: che cosa
si è sviluppato? Quali sono stati i frutti rigogliosi di Assisi? Mi è venuto più diretto ricorrere all’altro termine. Lei
che ne pensa?
«In passato ho avuto occasione di dichiarare, e lo ribadisco: “Non si rifà Assisi, sarebbe come porre una seconda volta una prima pietra”. Mi comprenda,
l’immagine va presa in senso stretto: che ne sarebbe della
prima pietra se a essa non seguisse la costruzione dell’edificio? Sarebbe un segno più di fallimento che di realizzazione. Eppure, è anche vero che l’atto di fondazione
non può essere ripetuto; se lo si fa, vuol dire che c’è stata
una falsa partenza. Il simbolo della pietra, poi, per la
Chiesa cattolica, non è proprio trascurabile… Assisi ha il
suo significato proprio se posto all’inizio di un cammino.
Appunto perché non si può ripetere quella giornata
del 27 ottobre 1986, iniziata con la pioggia e terminata
con un arcobaleno spuntato sopra le colline (anche questo, inutile dirlo, un simbolo ben conosciuto), bisogna tenerne desto lo spirito. Quella giornata ha segnato una
svolta.
Lo spirito è stato ravvivato dallo stesso Giovanni Paolo
II. Papa Wojtyla tornò nella cittadina umbra a metà gennaio 1993 per un fine settimana di preghiera a favore della
pace in Europa e in particolar modo per l’area balcanica,
allora tormentata dalla guerra. La preghiera per la pace
segnò il legame fra i due eventi, il tema specifico della
guerra nei Balcani li distingueva. Un’eredità di Assisi è che
di fronte a casi specifici le comunità religiose intervengano
con gli strumenti loro propri, il primo dei quali è la preghiera, per denunciare l’uso indebito delle religioni, o meglio di una religione trasformata in ideologia al fine di
giustificare le rivalità e alimentare gli scontri.
Un’altra maniera in cui è stato conservato lo “spirito
di Assisi” sono stati gli incontri “Uomini e religioni” organizzati dagli amici della Comunità di Sant’Egidio (miei
vicini di casa, siamo entrambi trasteverini, risiedo a palazzo S. Calisto). Partecipai molte volte ai loro incontri.
Amo chiamarli “saltimbanchi del messaggio di Assisi”.
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Sant’Egidio ha piantato il suo tendone in molte città
d’Italia, da Milano a Palermo e all’estero. Mettendomi
sulle loro orme li ho seguiti a Varsavia (1989), Malta
(1991), Bruxelles (1992), Gerusalemme (1995), Bucarest
(1998), Libano (2000), Barcellona (2001), Aix-laChapelle (2003), Lione (2005).
Dopo Assisi gli incontri interreligiosi si sono moltiplicati. In alcuni casi non mi viene più da pensare a dei saltimbanchi, ma alle cosiddette “compagnie di giro”, vale
a dire ad attori che si trovano a recitare lo stesso copione
nelle varie piazze. Naturalmente questi incontri rimangono un segno e sono molto meglio degli scontri. Bisogna però essere consapevoli di quanto sia ancora lungo e
difficile il cammino da fare: lo “spirito di Assisi” è esigente.
Inoltre non dimentichiamo che Benedetto XVI ha già
ricordato il ventennale della giornata di Assisi inviando
una lettera al vescovo della città, mons. Sorrentino. In
essa papa Ratzinger constatava che, tramontate le speranze di pace collegate al crollo dei regimi comunisti,
negli ultimi vent’anni gli scontri armati e le tensioni geopolitiche si sono sviluppate in modo tale da dare l’impressione che le differenze religiose costituiscano una
minaccia per la pace. In questa luce la giornata di Assisi
“assume il carattere di una puntuale profezia”. In tale
contesto Benedetto XVI ha ribadito perciò il valore positivo delle religioni: “Nonostante le differenze che caratterizzano i vari cammini religiosi, il riconoscimento
dell’esistenza di Dio, a cui gli uomini possono pervenire
anche solo partendo dall’esperienza del creato (cf. Rm
1,20), non può non disporre i credenti a considerare gli
altri esseri umani come fratelli”. A nessuno è dunque lecito strumentalizzare la religione per giustificare la violenza».1
Un’idea senza precedenti
– Riandiamo al 1986. È noto che lei fu incaricato di
coordinare un insieme di operazioni allora del tutto inedite. Si trattava in senso stretto di una prima volta. Sappiamo anche i nomi di molti di coloro che furono coinvolti
nell’impresa: il card. Willebrands e il suo vice p. Duprey
per la dimensione ecumenica, il card. Arinze e il suo vice
p. Zago per quella interreligiosa, il suo vice al Pontificio
consiglio della giustizia e della pace mons. Mejía. Per
quali vie nella mente e nel cuore di Giovanni Paolo II
nacque un’idea così priva di precedenti? Come gli venne
una simile intuizione?
«All’origine di tutto ci fu, per un verso, un input
esterno, per altro verso invece fu un’idea personale del
papa. Dobbiamo riferirci alla figura di Carl Friedrich von
Weizsäcker. Fisico e filosofo tedesco, nato nel 1912, fu
membro del team, guidato da Werner Heisenberg, che
nel corso della Seconda guerra mondiale fece ricerche
nucleari. Aveva parenti anch’essi illustri: suo fratello Richard era l’allora presidente della Repubblica federale di
Germania, mentre suo genero è Konrad Raiser, dal 1993
al 2003 segretario generale del Consiglio ecumenico delle
Chiese. Come fisico von Weizsäcker fu esperto soprattutto dei processi nucleari che avvengono nelle stelle.
Quanto interessa il nostro discorso è però una proposta
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Sopra e a p. 351: La prima Giornata mondiale di preghiera per la pace, Assisi 27.10.1986.
che fece nella sua qualità di presidente del Kirchentag
(l’assemblea biennale di base delle Chiese evangeliche tedesche) del 1985. Il suo contenuto è riassunto in queste
sue parole: “Noi preghiamo le Chiese del mondo di convocare un concilio della pace. [In esso] le Chiese cristiane,
solidalmente responsabili, devono dire una parola che
l’umanità non possa ignorare”.2 Ben sapendo che cosa significava la distruzione, von Weizsäcker era fortemente
preoccupato dell’avvenire. Pensava perciò che occorresse
agire con rapidità. Il 10 giugno 1985 inviò a Giovanni
Paolo II una lettera manoscritta in cui si proponeva la
convocazione di “un’assemblea mondiale di cristiani per
la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato”. Il fisico
luterano si rivolgeva al papa per chiedergli quale autorità
avrebbe potuto invitare a questo concilio. Era una chiara
allusione al fatto che Giovanni Paolo II valutasse l’eventualità che fosse lui stesso a farsene carico.
Papa Wojtyla prese in seria considerazione l’ardita
proposta. Procedette a una consultazione. Giudicò irrealistica la forma canonica di un concilio e colse – e qui si
trova l’originalità e il coraggio del papa – che la portata
globale della pace doveva coinvolgere le religioni del
mondo intero. Ne diede l’annuncio alla chiusura della annuale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani a San
Paolo fuori le Mura il 25 gennaio. Il 1986 era stato pro-
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clamato dall’ONU anno internazionale della pace. Perciò
si orientò nella direzione di una “giornata di preghiera”.
Mi sembra importante ribadire questa prospettiva: l’idea
di estendere l’invito alle religioni di tutto il pianeta dipende anche da uno sguardo rivolto alla più estesa organizzazione internazionale messa in piedi dall’umanità.
Assisi non fu, né poteva essere l’ “ONU della preghiera”.
Tuttavia è importante sottolineare come la nascita di questa idea la si debba, sia pure in maniera indiretta, anche
a uno dei migliori frutti dell’età contemporanea e l’ONU
resta tale, nonostante i suoi limiti e le sue difficoltà. Le
stesse considerazioni valgono per lo spirito ecumenico che
animava la proposta di von Weizsäcker. Alle spalle di Assisi vi è anche lo sguardo fiducioso rivolto al mondo contemporaneo che il concilio Vaticano II aveva affermato
nella costituzione Gaudium et spes. Non stupisce che i tradizionalisti restassero sconcertati dall’iniziativa di Giovanni Paolo II».
– Vorrei invitarla a proporci un’altra considerazione relativa al 1986. Il 13 aprile di quell’anno è avvenuta anche
la storica visita del papa alla sinagoga di Roma. Con questa scelta si è voluto dare un segno particolare anche nell’orizzonte della preparazione di Assisi, quasi a voler dire
che per la Chiesa l’incontro con il popolo ebraico precede
sempre quello con altre tradizioni religiose?
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«Fin dall’inizio del suo pontificato era molto chiaro
nel pensiero di papa Wojtyla che il rapporto con il popolo ebraico si pone su un piano diverso dalle relazioni
che s’intrattengono con le altre religioni. Giovanni Paolo
II a Mainz nel 1980 davanti a uno scelto gruppo di ebrei
aveva osato dichiarare: “Le nostre due comunità religiose
sono legate al livello stesso della loro identità”. Conservo
poi nella memoria – ero presente – le folgoranti parole
che pronunciò nel Tempio maggiore di Roma: “La religione ebraica non ci è ‘estrinseca’, ma in un certo senso
è ‘intrinseca’ alla nostra religione. Abbiamo quindi verso
di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Voi siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo
modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”. Senza
dubbio con quella visita volle comunicare, assieme a molti
altri messaggi, anche l’esistenza di questo legame speciale.
Fu davvero un evento storico. Il chilometro percorso dal
papa quel giorno è stato il più lungo di tutti i suoi viaggi,
perché ha attraversato duemila anni di storia.
Occorre anche tener presente l’amicizia personale tra
il papa e il rabbino capo di Roma Elio Toaff. Senza quel
legame sarebbe difficile immaginare sia la visita alla sinagoga sia la partecipazione ebraica all’incontro di Assisi. Fu proprio con rav Toaff che girai per le strade della
cittadina per individuare il posto più adatto. Il 27 ottobre la comunità ebraica pregò all’aperto, nell’area in cui
presumibilmente si ergeva una sinagoga medievale».
La preghiera, azione dello Spirito
– Il fatto che l’incontro del 1986 non costituisse l’«ONU
delle religioni» mi pare comprovato dalla massima che guidò
quell’incontro: «insieme per pregare», e non già «pregare insieme». Questo motto non significa affatto che ognuno pregasse per conto suo. Infatti ciascuno, quando stava pregando
in qualche parte della cittadina umbra, non poteva non avere
presente che altri, nello stesso momento, stavano pregando per
lo stesso scopo: la pace. Che varrebbe, del resto, pregare assieme, se poi ogni comunità, quando torna a casa sua, si
scorda degli altri? Mi permetta un ricordo personale. La sessione di formazione del Segretariato attività ecumeniche (SAE,
forse lei conosce questa meritoria associazione ecumenica italiana) del 1999 era intitolata «La preghiera respiro delle religioni». A essa intervenne anche p. Jacques Dupuis, l’autore
del libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso
(Queriniana, Brescia 21998), che suscitò tante discussioni e
che procurò al suo autore – mi consenta dirlo – un trattamento poco rispettoso della sua persona e della sincerità della
sua ricerca (su cui certo si può anche dissentire). Ebbene, in
una sua relazione p. Dupuis cercò di individuare una via
per cui si potesse giungere a pregare assieme e indicò anche
qualche formula. Gli obiettai che questa ricerca di formule
semplificate era un po’ come cercare il «massimo comun divisore» tra le religioni, mentre forse queste ultime, per restare
nell’ambito delle immagini matematiche, sono paragonabili
più a numeri primi che si assomigliano proprio perché nessuno di loro ha divisori, la cui comunanza più vera sta appunto nella reciproca irriducibilità.3
«Sono convinto che, se si cercano frettolose scorciatoie
nella preghiera, il sincretismo divenga un pericolo concreto. Il pluralismo religioso è un dato di fatto che s’im-
pone per il mescolamento crescente dei popoli; però non
è solo questo. Se fosse così sarebbe una faccenda di pertinenza esclusiva della sociologia e della politica. La molteplicità delle religioni, senza erigersi a un pluralismo di
diritto, si presenta come un mistero per il cristiano che
cerca di decifrare il disegno salvifico di Dio. Assisi ci spinge
a passare da una riflessione sulla salvezza a una riflessione
sul significato della diversità delle religioni. Passaggio delicato che purifica e fortifica la mia fede in Gesù Cristo “Salvatore del mondo” e la mia appartenenza alla Chiesa
“sacramento della salvezza”. Il cantiere teologico delle religioni è appena aperto: è una sfida probabilmente più
grande di quella dell’ateismo. Come valutare queste altre
vie che guardano anch’esse a Dio?
Ora, però, vorrei soffermarmi un poco sulla preghiera.
Nessuno ha mai potuto sospettare che l’iniziativa di Giovanni Paolo II potesse scivolare nel relativismo. Innanzitutto papa Wojtyla ha sempre apertamente dichiarato il
valore salvifico universale di Gesù Cristo. In secondo luogo
ha affermato, in modo inequivocabile, come lei ha ricordato, che l’incontro di Assisi era posto sotto la formula
“stare insieme per pregare”: non si può “‘pregare insieme’,
cioè fare una preghiera comune, ma si può essere presenti
quando altri pregano”.
Un punto fermo stava nello stesso atto di preghiera. In
esso infatti si rivela operante l’azione dello Spirito. Nessuna autentica preghiera è estranea al cristiano, in quanto
in essa egli coglie un riflesso dell’azione dello Spirito che
viene in soccorso della nostra debolezza. Parlando alla
curia romana alla fine del 1986 Giovanni Paolo II dichiarò:
“Ogni preghiera autentica si trova sotto l’influsso dello Spirito ‘che intercede con insistenza per noi, poiché nemmeno
sappiamo cosa è conveniente domandare’, ma egli prega in
noi ‘con gemiti inesprimibili’ e ‘colui che scruta i cuori sa
quali sono i desideri dello Spirito’ (Rm 8,26-27). Possiamo
ritenere infatti che ogni autentica preghiera è suscitata
dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel
cuore di ogni uomo”.4 Con queste sue parole papa Wojtyla
non dava un giudizio teologico sulle religioni, ne forniva invece uno sulla preghiera. Facendo ciò ribadiva, nel contempo, il primato dell’universale azione di salvezza di Gesù
Cristo solo in virtù della quale lo Spirito può operare nel
cuore di ogni uomo».
Un at to penitenziale
«Non si può scordare un altro aspetto dello “spirito di
Assisi”. Giovanni Paolo II era ben consapevole che, lungo
la sua storia, la Chiesa cattolica non è sempre stata fedele
al suo compito di conformarsi a Gesù Cristo “re della
pace”; di qui il tono penitente che contraddistinse alcune
delle sue parole di allora: “Ripeto umilmente qui la mia
convinzione: la pace porta il nome di Gesù Cristo. Ma nello
stesso tempo e nello stesso spirito, sono pronto a riconoscere che i cattolici non sono sempre stati fedeli a questa affermazione di fede. Non siamo sempre stati costruttori di
pace. Per noi stessi, quindi, ma anche forse, in un certo
senso, per tutti questo incontro di Assisi è un atto di penitenza”».5
– Il senso penitenziale fu evidenziato anche dal fatto che
quella giornata fu contraddistinta non solo dalla preghiera
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ma anche dal digiuno. A questo proposito è bene ricordare
un’altra iniziativa assunta da Giovanni Paolo II il 14 dicembre 2001, vale a dire appena tre mesi dopo l’11 settembre.
Egli invitò i cattolici a digiunare in concomitanza con l’ultimo venerdì di ramadan di quell’anno. A tal proposito vorrei porle questa domanda: qui non si è forse corso il rischio di
«digiunare insieme»? Vale a dire di compiere assieme un atto
di altro valore religioso?
«Neanche in quell’occasione si corse un simile rischio.
Pensi alla dichiarazione conciliare Nostra aetate. Il suo n. 3
è dedicato ai musulmani (assai più che all’islam). Per tale
motivo si possono elencare via via i tratti comuni tra queste due religioni, senza che ciò implichi la formulazione di
una valutazione teologica complessiva sull’islam. Il Concilio individua tre pratiche accomunanti, e precisamente la
preghiera, l’elemosina e il digiuno. Esse sono ben note
anche ai musulmani a tal punto da formare, nella loro declinazione legale, tre dei cinque pilastri dell’islam. La Nostra
aetate volle però presentare la preghiera, l’elemosina e il digiuno solo nella loro qualità di pratiche obiettivamente simili a quelle presenti nel cristianesimo e non già come
componenti fondamentali dell’islam.
In definitiva, la giornata di digiuno proposta da Giovanni Paolo II in quell’anno “fatale” si mosse in sintonia con
quanto espresso qualche tempo prima dall’arcivescovo di
Lione card. Billé in un messaggio rivolto a musulmani per
l’inizio del ramadan: “Ogni volta che un credente si rivolge
verso Dio, gli altri credenti non possono che rallegrarsene”.
L’iniziativa papale si iscriveva pienamente nell’eredità
Il card. Etchegaray ad Auschwitz, 2.9.1989.
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conciliare, tenendo conto tanto della vicinanza della prassi
presente nelle due tradizioni quanto dell’impegno a favore
della pace. Giovanni Paolo II il 18 novembre di quell’anno
aveva formulato in proposito parole molto chiare. Egli infatti aveva espresso la sua convinzione che la preghiera acquista forza quando è accompagnata dal digiuno, secondo
quanto scritto nell’Antico Testamento e riproposto lungo
tutta la tradizione cristiana: “Da parte loro i fedeli dell’islam
hanno appena iniziato il ramadan, mese consacrato al digiuno e alla preghiera. Noi cristiani ci avviamo tra poco all’avvento per prepararci, nella preghiera, alla celebrazione
del Natale, giorno di nascita del ‘Principe della pace’. In
questo tempo opportuno chiedo ai cattolici che il prossimo
14 dicembre sia vissuto come giorno di digiuno, durante il
quale pregare con fervore Dio perché conceda al mondo
una pace stabile fondata sulla giustizia…”».
Per la conversione delle religioni
– Lei ha osservato in un suo testo che, oltre che di un dialogo interreligioso, ci sarebbe bisogno anche di un dialogo
intra-religioso. L’espressione, come ovviamente sa, è stata molto
usata da Raimon Panikkar. A lui, tra le altre, si devono parole secondo le quali occorre «un dialogo all’interno del proprio
io, un incontro nel profondo della religiosità propria e personale dell’io, quando esso s’imbatte in un’altra esperienza religiosa a questo livello intimo. Un dialogo intra-religioso che
debbo avviare io stesso, interrogandomi sulla relatività delle
mie credenze, accettando la sfida di una conversione e il rischio di mettere in crisi i miei approcci tradizionali».6 In che
senso intende l’espressione?
«La intendo in un significato in parte diverso da quello
di Panikkar. Mi riferivo non tanto a un processo individuale in cui una persona mette, positivamente, in crisi se
stessa allorché si confronta con una religione diversa dalla
propria, quanto a un processo collettivo. Il dialogo intra-religioso è il processo che conduce ogni religione nel più profondo di se stessa attraverso le mille strade di una
conversione che si presenta come un cammino da intraprendere sempre di nuovo. Per riprendere il riferimento
alla preghiera, la dimensione intra-religiosa è una comunione della preghiera senza essere la preghiera in comune.
Nello stesso tempo è anche la consapevolezza che la nostra preghiera è sempre al di sotto di quanto le viene richiesto. È un cammino di conversione e di purificazione
che tutti sono chiamati a compiere all’interno delle loro religioni. È un invito a una preghiera più intensa e vera che
costruisca ponti di comunione».
– Per un cristiano è una preghiera capace di gridare. Mi
sono permesso di dirlo, perché mi sono tornate alla mente alcune sue belle e profonde parole: «Il grido è il dono totale di
un attimo di se stesso, l’alleanza intensa e al tempo stesso deperibile dell’uomo con lo Spirito. Quante grida nel deserto, da
Isaia a Giovanni Battista (Lc 3,4)! Quante grida intorno al
figlio di Davide, dalla cananea (Mt 15,2) ai ciechi (Mt
9,27)! Quante grida dello stesso Cristo! Per chiamare quelli
che hanno sete (Gv 7,37), per annunciare lo Sposo (Mt
25,6), per risuscitare Lazzaro (Gv 11,43), per offrire preghiere e suppliche (Eb 5,7). E poi quel duplice grido sulla
croce, quelle due note di arpeggio inseparabili: il grido di
sconforto di colui che si crede abbandonato (Mt 27,46) e il
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grido di fiducia di colui che si abbandona al Padre (Mt
27,50). E se anche noi lasciassimo salire dal profondo del
nostro cuore il grido dello Spirito: “Abbà, Padre!” (Gal 4,6).
Non sappiamo più gridare. Non sappiamo più pregare».7
Tra le parole che ci ha detto mi è rimasta impressa soprattutto l’espressione che giudica le religioni una sfida più
grande dell’ateismo. Mi chiedo se questo abbia a che fare
anche con la condizione di minoranza del cristianesimo a lei
ben nota, non foss’altro perché ha girato tanto per il mondo.
«Come sa una delle mie “passioni” è la Cina, e questa
sarebbe già di per sé un’indicazione sufficiente. Cina e India,
che tutti indicano come i grandi paesi guida del prossimo
futuro, racchiudono in loro stesse quasi la metà della popolazione mondiale. Se si è ottimisti sull’avvenire dell’umanità
– e io, che vivo la sera della vita in quest’epoca di così grandi
trasformazioni, lo sono – si deve essere convinti che la condizione propria dei cristiani nel mondo è di essere una minoranza. Ciò non è contro i disegni di Dio. Il lievito è
sempre una piccola parte rispetto alla pasta.
Non nego che si tratti di un ottimismo messo alla prova.
Per me è esperienza faticosa ogni volta che mi trovo immerso in un paese islamico, induista o buddhista, in cui il
cristianesimo è infinitamente minoritario, talvolta attorno
all’1% come nel continente asiatico (a parte poche eccezioni
come le Filippine). Per il semplice gioco demografico, proporzionalmente parlando, oggi in Asia ci sono meno cristiani rispetto a cento anni fa, e in base alle previsioni queste
percentuali saranno ancora più piccole fra un secolo.
Un simile bilancio, per quanto duro, lungi dal distruggere ogni slancio missionario, lo stimola, purificandolo. Più
la Chiesa è minoritaria e più deve badare a far emergere il
suo volto originale. Più la Chiesa scopre la pluralità delle
religioni e riconosce che ogni uomo in buona fede non è
salvato al di fuori o a dispetto della propria religione, più
essa deve ravvivare le sue energie e proclamare l’unicità e
l’universalità della salvezza in Gesù Cristo. Ma lungi dall’affaticarsi a individuare le proprie frontiere visibili, lo
sguardo materno della Chiesa si meraviglia vedendo che il
regno di Dio la oltrepassa da tutte le parti e che essa è soltanto il luogo in cui il Vangelo della salvezza è riconosciuto
e celebrato nell’attesa della sua piena fioritura».
– Eminenza, una domanda molto diretta: che legame c’è
tra l’incontro tra gli esseri umani e il loro rivolgersi a Dio?
«Le rispondo rievocando un episodio che riguarda Benedetto XVI. Non si erano ancora spente le polemiche per
il discorso da lui tenuto a Regensburg, quando, all’inizio del
2007, papa Ratzinger fece la sua visita in Turchia. Ero presente. Le narro un episodio. Nel programma era prevista la
visita alla Moschea blu. Dopo la visita al museo di Santa
Sofia, ecco che il papa, scalzo, entra nella moschea più bella
e più popolare di tutta la Turchia. Nel suo incedere nulla lascia immaginare che cammini sul filo del rasoio, né che
avanzi prudentemente sul crinale. Sono a due metri dal
papa, appena dietro di lui, mentre ascolta attentamente le
spiegazioni del gran muftì di Istanbul, Musfata Çağrici. Poi
i due uomini si trovano semplicemente di fronte al mihrab.
Le telecamere di tutto il mondo li mostrano trasfigurati, così
vicini l’uno all’altro perché entrambi vicini a Dio.
Lei sa che amo molto la tradizione ortodossa russa. Per
la verità le citerò una frase che viene da un “vecchio cre-
dente”, cioè da un “dissidente”: anche da quelle parti le
confessioni religiose hanno mostrato, a volte, il loro lato
peggiore. Legate a quello scisma del XVII secolo ci furono
sofferenze atroci. Ne fu vittima anche l’arciprete Avvakum,
cioè l’autore a cui voglio ora riferirmi. Tuttavia l’immagine da lui proposta è così bella da porsi al di là di ogni ristretta appartenenza confessionale. Ecco le sue parole:
“Ammettiamo che ci sia per terra un cerchio, cioè un disegno rotondo intorno a un punto, che si chiama propriamente centro. Ponete mente a ciò che vi dico. Prendete
questo cerchio per il mondo, e quello che è nel mezzo del
cerchio, per Dio; i sentieri che dal cerchio vanno verso il
centro sono le vie, cioè le vite umane, e quanto più i santi
si muovono verso il centro, tanto più desiderano avvicinarsi
a Dio, e in proporzione del movimento si approssimano
sia a Dio sia uno all’altro, e quanto più si avvicinano uno
all’altro, tanto più si avvicinano anche a Dio”».
I miei giorni con Simeone
– La frase da lei citata evoca i santi, vale a dire ogni persona che nella sua vita è stata un autentico testimone di Dio
tra i suoi fratelli umani. Un’ultima domanda di carattere
più personale: quale santo avverte più vicino in questi anni
da lei definiti la sera della vita?
«Ho 88 anni. Quando vado nella mia cappellina privata vi vedo molte antiche icone donatemi nel corso del
tempo. Vicino al Santissimo ne tengo due: Maria che porta
in braccio il bambino e il vecchio Simeone anch’egli con il
piccolo Gesù in braccio. Secondo il Vangelo sono le sole
due persone che hanno portato in braccio Gesù. Ce ne saranno state di sicuro anche altre, ma non ne conosciamo i
nomi. M’identifico sempre più con Simeone. Sono sorretto
da Gesù Cristo, ma desidero riuscire ancora a mostrare la
mitezza di Gesù al mondo. Una volta scrissi a Simeone
una lettera aperta. Vi si legge: “Che la mamma porti il suo
bambino, niente di più naturale, ma che tu contempli Gesù
adagiato nell’incavo delle tue braccia! Sei stato avvertito
dallo Spirito Santo che non avresti visto la morte prima di
aver visto il Messia: misterioso destino di un incontro che
collega le due visioni e che fa sgorgare dal tuo cuore, sempre rimasto giovane perché in perpetua attesa, il cantico
del Nunc dimittis che ha la malinconia del sole che tramonta e la vibrazione di un’aurora radiosa.
Tutte le sere dell’anno, la Chiesa mi fa ripetere nella
preghiera il tuo cantico, che mi rivela sempre più l’estensione del mio compito personale. (…) Simeone, sei il santo
dei miei ultimi giorni!”».8
a cura di
Piero Stefani
1
Regno-doc. 17,2006,550.
C.F. VON WEIZSÄCKER, Il tempo stringe, Queriniana, Brescia
1987, 9.
3
Cf. AA VV, La preghiera respiro delle religioni, a cura del Segretariato attività ecumeniche, Ancora, Milano 2000.
4
Regno-doc. 5,1987,136.
5
Regno-doc. 21,1986,642s.
6
R. PANIKKAR, «El diálogo interno: la insufficiencia de la llamada
“epoche” fenomenológica en el encuentro religioso», in Salmanticensis 22(1975) 2.
7
R. ETCHEGARAY, Tiro avanti come un asino. Cenni d’intesa al
cielo e alla terra, San Paolo, Cinisello Balsamo 32007, 54.
8
ETCHEGARAY, Tiro avanti come un asino, 19s.
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A 25 anni da Assisi
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Essere insieme
davanti a Dio
el suo messaggio per la giornata della
pace di quest’anno, il santo padre Benedetto XVI ha ricordato l’avvenimento
storico accaduto ad Assisi 25 anni fa.
«Nel 2011 ricorre il 25° anniversario
della Giornata mondiale di preghiera per
la pace, convocata ad Assisi nel 1986 dal
venerabile Giovanni Paolo II. In quell’occasione i leader delle grandi religioni del mondo hanno testimoniato come la religione sia un fattore di unione e di
pace, e non di divisione e di conflitto. Il ricordo di quell’esperienza è un motivo di speranza per un futuro in
cui tutti i credenti si sentano e si rendano autenticamente operatori di giustizia e di pace».1
Il 1° gennaio, all’Angelus, dopo aver ricordato il paragrafo appena citato, aggiungeva: «Per questo, nel
prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella
città di san Francesco, invitando a unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli
esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di
fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio predecessore e di rinnovare solennemente l’impegno dei
credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in
cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi
costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio. Vi invito
ad accompagnare sin d’ora con la vostra preghiera questa iniziativa».
In questa sede cercheremo di cogliere l’importanza
del gesto profetico di Giovanni Paolo II, ricordando la
celebrazione della preghiera per la pace del 1986, le sue
repliche, il progresso del dialogo interreligioso durante
il pontificato di Giovanni Paolo II e lo stato del dialogo
durante il pontificato attuale. Sono certo che la riflessione sarà un incoraggiamento per la nostra preghiera.
N
Assisi 1986
Fu nella basilica di San Paolo fuori le Mura, alla
conclusione dell’ottavario per l’unità dei cristiani, che
Giovanni Paolo II annunciò l’incontro di preghiera per
la pace nella città di Assisi. Era il 25 gennaio, lo stesso
giorno scelto da Giovanni XXIII per annunciare l’indizione del concilio Vaticano II. Le Nazioni Unite avevano proclamato il 1986 anno internazionale della
pace. Il papa proponeva l’incontro di Assisi come il
contributo particolare della Chiesa cattolica a tale iniziativa.
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Non tutti erano d’accordo con la prospettiva di vedere persone di ogni religione riunirsi insieme nella preghiera per la pace. Alcuni tacciavano l’iniziativa di
sincretismo. Nella preparazione della giornata si ebbe
cura di far notare che gli esponenti delle diverse religioni non venivano ad Assisi «per pregare insieme», ma
«venivano insieme per pregare». Infatti il programma
della giornata prevedeva un tempo di preghiera per
ogni gruppo secondo la propria tradizione e poi, insieme nella piazza accanto alla chiesa di San Francesco, l’ascolto rispettoso di preghiere recitate dai
rappresentanti delle diverse tradizioni. Durante la giornata tutti si unirono nel digiuno, e la giornata si concluse con una cena fraterna.
Alla fine della giornata, sulla spianata di San Francesco, Giovanni Paolo II spiegò bene il senso dell’incontro. Parlò di un atto di penitenza – e il freddo era
certo un elemento aggiunto da sopportare –. Parlò del
digiuno come un modo di essere spiritualmente vicini
alle vittime delle guerre e ai milioni di persone che sono
vittime della fame. Poi proseguì: «Mentre camminavamo
in silenzio, abbiamo riflettuto sul sentiero che l’umanità
sta percorrendo: sia nell’ostilità, se manchiamo di accettarci vicendevolmente nell’amore; sia compiendo un
viaggio comune verso il nostro alto destino, se comprendiamo che gli altri sono nostri fratelli e sorelle. Il
fatto stesso che siamo venuti ad Assisi da varie parti del
mondo è in se stesso un segno di questo sentiero comune
che l’umanità è chiamata a percorrere. Sia che impariamo a camminare assieme in pace e armonia, sia che
ci estraniamo a questa vicenda e roviniamo noi stessi e
gli altri. Speriamo che questo pellegrinaggio ad Assisi
ci abbia insegnato di nuovo a essere coscienti della comune origine e del comune destino dell’umanità. Cerchiamo di vedere in esso un’anticipazione di ciò che Dio
vorrebbe che fosse lo sviluppo storico dell’umanità: un
viaggio fraterno nel quale ci accompagniamo gli uni gli
altri verso la meta trascendente che egli stabilisce per
noi».2 Una lunga citazione, che coglie però l’essenziale
della visione di Giovanni Paolo II della preghiera per la
pace e la finalità del dialogo.
L’avvenimento della giornata del 27 ottobre 1986 fu
trasmesso in tutto il mondo dalla televisione, e il fatto di
vedere il papa camminare nelle strade di Assisi in
mezzo ai pellegrini, o in piedi sulla spianata con da un
lato i rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane
e dall’altro i rappresentanti delle diverse religioni fece
impressione e incoraggiò gli incontri religiosi. Un’immagine vale più di mille parole.
Forse è a causa degli effetti contrastanti suscitati, in
alcuni ambienti grande entusiasmo, in altri grande opposizione, che il pontefice provò in seguito il bisogno di
spiegare e di difendere la sua iniziativa indicandone i
fondamenti teologici. Per fare ciò scelse il discorso di
Natale alla curia romana. Il papa mise l’accento sull’unità del genere umano, la sua comune origine e il suo
comune destino di cui aveva parlato ad Assisi, e poi, citando la Lumen gentium, sul ruolo della Chiesa come
«sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione
con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (n. 1; EV
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1/284). Proseguendo affermò: «Per questo il Concilio
ha invitato la Chiesa a scoprire e rispettare i germi del
Verbo presenti in tali religioni». Tra questi germi si può
riconoscere la preghiera che esiste nelle diverse tradizioni religiose. Giovanni Paolo II non temeva di dichiarare: «Ogni preghiera autentica si trova sotto
influsso dello Spirito, “che intercede con insistenza per
noi”… Possiamo ritenere infatti che ogni autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il quale è misteriosamente presente nel cuore di ogni uomo».3 Così la
giornata di preghiera per la pace, tenutasi ad Assisi,
lungi dall’essere un atto d’infedeltà della Chiesa, è stata
al contrario un modo straordinario di rendere evidente
la vocazione della Chiesa secondo l’insegnamento del
concilio Vaticano II.
Le repliche successive
È stato affermato da alcuni, compreso il card. Etchegaray, uno dei principali organizzatori dell’avvenimento di Assisi nella sua veste di presidente del
Pontificio consiglio della giustizia e della pace (cf. qui a
p. 345), che la giornata di preghiera era irripetibile. Il
papa però scelse di farne delle repliche. La prima volta
fu nel gennaio 1993 quando, unitamente ai presidenti
delle conferenze episcopali d’Europa, rivolse un invito
a ritrovarsi ad Assisi per «riflettere sulla pace in Europa,
specialmente nei Balcani, e a pregare». La forma dell’incontro fu piuttosto cristiana, con una veglia di preghiera il sabato sera, dopo l’ascolto di testimonianze.
Ai numerosi musulmani che avevano accolto l’invito del
papa fu suggerito di compiere la loro preghiera a parte,
ma loro insistettero per essere presenti alla veglia. La
stessa cosa accadde per la messa la domenica mattina.
I musulmani volevano così dimostrare la loro solidarietà con i cristiani.
La seconda replica ebbe luogo nel gennaio del 2002.
Fu la risposta di Giovanni Paolo II al terribile attentato
dell’11 settembre 2001. Ci fu il viaggio insieme dal Vaticano ad Assisi sul «treno della pace». Accogliendo
poi i rappresentanti delle varie religioni, Giovanni Paolo
II disse: «Siamo venuti ad Assisi in pellegrinaggio di
pace. Siamo qui, quali rappresentanti delle varie religioni, per interrogarci di fronte a Dio sul nostro impegno per la pace, per chiederne a lui il dono, per testimoniare il nostro comune anelito verso un mondo più
giusto e solidale. Vogliamo recare il nostro contributo
per allontanare le nubi del terrorismo, dell’odio, dei conflitti armati, nubi che in questi mesi si sono particolarmente addensate all’orizzonte dell’umanità».4
La giornata del 2002 non poteva essere come quella
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del 1986, a motivo della salute del pontefice, ma anche
per le accresciute esigenze di sicurezza. Si concluse con
la proclamazione solenne del «Decalogo di Assisi per
la pace»:5 ogni impegno fu letto dai rappresentanti delle
diverse religioni. L’indomani, tornato a Roma, il papa
invitò a pranzo i capi delle delegazioni delle Chiese cristiane e delle altre religioni. Un sikh scrisse un messaggio da dare al papa in cui diceva: «Santo padre, tu sei
stato per noi un padre e una madre; ci hai dato il cibo
spirituale e materiale. Ti amiamo». Non fu necessario
trasmettere il biglietto al santo padre, perché dopo il
pranzo ogni invitato poté salutarlo personalmente, e
così il devoto sikh poté rivolgersi direttamente al papa.
Desidero menzionare altri due incontri in cui Giovanni Paolo II partecipò a un’assemblea interreligiosa.
La prima occasione fu nel novembre 1994. La Conferenza mondiale delle religioni per la pace doveva tenere
la sua VI Assemblea internazionale a Riva del Garda.
Gli organizzatori volevano invitare il papa per l’apertura. Non potendo egli recarsi a Riva, l’apertura ebbe
luogo a Roma, anzi in Vaticano, nell’Aula del sinodo.
Giovanni Paolo II parlò all’assemblea. Riporto due paragrafi del suo discorso: «Il dialogo autentico ci aiuta a
comprenderci reciprocamente in quanto donne e uomini religiosi e ci permette di rispettare le nostre differenze senza per questo astenerci dall’affermare chiaramente e inequivocabilmente ciò che crediamo essere
la vera via alla salvezza. Per lo stesso motivo dovremmo
impegnarci insieme affinché tutti abbiano la libertà re-
c .Regno
f
Sull’ideazione e la celebrazione della giornata del 27
ottobre 1986 si veda su Il Regno: GIOVANNI PAOLO II, «Discorso ad Assisi per la pace», in Regno-doc. 21,1986,642; L.
ACCATTOLI, «Assisi, il consenso sulla pace», in Regno-att.
20,1986,553; GIOVANNI PAOLO II, «Diffondere lo spirito di Assisi (discorso durante la celebrazione ecumenica in Australia)», in Regno-doc. 1,1987,12.
Sulle iniziative successive: GIOVANNI PAOLO II, «La guerra
accumulo di peccati (ad Assisi per la pace nei Balcani», in
Regno-doc. 3,1993,93; L. PREZZI, B. SALVARANI, «Assisi 1993: tre
religioni per un continente senza pace», in Regno-att.
4,1993,73; A. FILIPPI, «Teologia: dalla giornata di Assisi allo
spirito di Assisi», in Regno-att. 20,1996,598; L. PREZZI, «Assisi 1986 - Roma 1999: il simbolo rimane», in Regno-att.
20,1999,677; «Nello spirito di Assisi», Assemblea interreligiosa «Alle soglie del terzo millennio», in Regno-doc.
21,1999,688; C.M. MARTINI, «Assisi 2002: evento di fede nel
dramma del tempo», in Regno-att. 4,2002,80; L. PREZZI,
«Assisi 2002: credenti con l’islam contro il terrorismo», in
Regno-att. 4,2002,79; L. PREZZI, G. BRUNELLI, «Dopo Assisi:
insieme per la pace», in Regno-att. 6,2002,189; BENEDETTO
XVI, «Il segno di Assisi, messaggio per il 20° dell’Incontro
interreligioso di preghiera per la pace, in Regno-doc.
17,2006,549; BENEDETTO XVI, «Lo “spirito di Assisi”: dialogo
e pace», in Regno-doc. 13,2007,402.
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ligiosa. La libertà religiosa è la pietra angolare di tutte
le libertà; impedire agli altri di professare liberamente
la loro religione equivale a mettere a repentaglio la
propria.
Oggi, i capi religiosi devono dimostrare chiaramente di essere impegnati nella promozione della pace
proprio in virtù del loro credo religioso. La religione
non è, e non deve diventare, un motivo di conflitto, in
particolare quando le identità etniche, culturali e religiose coincidono. Purtroppo, recentemente, ho avuto
motivo di affermare ancora una volta che “non ci si può
considerare fedeli a Dio grande e misericordioso e nel
nome stesso di Dio osare uccidere il fratello”».6
L’altra occasione fu la cerimonia conclusiva dell’Assemblea interreligiosa organizzata dal Pontificio
consiglio per il dialogo interreligioso alle soglie del terzo
millennio, cerimonia tenutasi in piazza San Pietro il 28
ottobre 1999. Rivolgendosi ai partecipanti e alle migliaia di persone radunate nella piazza, disse: «Per tutti
gli anni del mio pontificato, e in modo particolare durante le mie visite pastorali nelle diverse parti del
mondo, ho avuto la grande gioia di incontrare innumerevoli cristiani e membri di altre religioni. Oggi
quella gioia è rinnovata qui, presso la tomba dell’apostolo Pietro, il cui ministero nella Chiesa ho il compito
di proseguire. Sono lieto di incontrare tutti voi e rendo
grazie a Dio onnipotente che ispira il nostro desiderio
di una comprensione e un’amicizia reciproche».
Terminò il suo discorso con queste parole: «Nelle
molteplici lingue della preghiera, chiediamo allo Spirito di Dio di illuminarci, di guidarci e di darci forza, affinché come uomini e donne che traggono la loro
ispirazione dalla fede religiosa possiamo lavorare insieme per costruire il futuro dell’umanità nell’armonia,
nella giustizia, nella pace e nell’amore».7
Giovanni Paolo II si è spesso riferito allo «spirito di
Assisi». Per lui voleva dire essere insieme davanti a Dio,
con rispetto per le differenze nell’appartenenza religiosa; essere insieme come amici, impegnati nel servizio
dell’umanità. La Comunità di S. Egidio, che aveva prestato il suo concorso per l’organizzazione della Giornata di preghiera ad Assisi, ha voluto contribuire a
preservare e promuovere lo «spirito di Assisi». Così è
nato l’incontro «Uomini e religioni», che ogni anno si
raduna in una città diversa per fare il punto sul dialogo
e pregare per la pace. Desidero anche menzionare un
altro raduno annuale che ha lo stesso scopo, quello del
Monte Hiei, in Giappone. Etai Yamada, l’abate del più
antico monastero buddhista del Giappone, venuto alla
giornata di Assisi, malgrado i suoi 86 anni, è rimasto
così impressionato che ha deciso di convocare un raduno simile nel suo monastero. E dal 1987 in poi, ogni
anno c’è un incontro interreligioso di preghiera per la
pace in questo luogo sacro del Giappone.
Il dialogo interreligioso
sot to Giovanni Paolo II
Consideriamo ora il progresso del dialogo interreligioso durante il pontificato di Giovanni Paolo II, e in
primo luogo il dialogo bilaterale.
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Giovanni Paolo II con il rabbino capo Yisrael Meir Lau (a sinistra nella foto) e il rappresentante dell’Autorità palestinese Tetzir Tamimi, Gerusalemme 23.3.2000.
Il dialogo con gli ebrei è di competenza del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani,
e non del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e di conseguenza mi è meno familiare. È certo
che il dialogo si è sviluppato, sia a livello locale, sia a livello internazionale, guidato dalla Commissione per i
rapporti religiosi con l’ebraismo e aiutato dall’International Jewish Committee for Interreligious Consultations (IJCIC) come partner.
Sul dialogo con i musulmani desidero fare un’osservazione preliminare. Spesso si sostiene che sono sempre i cristiani a iniziare il dialogo, a fare i primi passi.
Mi sembra che in questi ultimi anni possiamo notare
diverse iniziative anche da parte musulmana, segni di
una nuova apertura.
Nel 1989 il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha risposto positivamente all’invito del principe Hassan di Giordania a entrare in dialogo con
l’Accademia reale per le ricerche sulla civilizzazione
islamica. Già il principe Hassan si era rivolto agli anglicani della Cappella reale di Windsor, e poi agli ortodossi del Centro ortodosso di Chambésy (Ginevra), ma
desiderava un dialogo con il mondo cattolico. Il card.
Arinze accettò l’invito a una sola condizione: che la
Chiesa locale, in questo caso il Patriarcato latino di Gerusalemme, fosse coinvolta. Gli incontri, svoltisi alternativamente tra Roma e Amman, hanno esaminato
temi come i diritti e l’educazione dei bambini, la donna
nella società, la dignità umana.
Un altro organismo che ha invitato al dialogo formale è la World Islamic Call Society (WICS), con sede
a Tripoli, Libia. Già nel 1976 si era tenuto un dialogo
a Tripoli al quale il colonnello Gheddafi aveva invitato
cristiani e musulmani del mondo intero. Una divergenza sulle proposte conclusive del colloquio aveva cau-
sato uno stallo nei rapporti. Dopo più di dieci anni la
WICS ha chiesto di riprendere il dialogo e si sono tenuti
diversi colloqui più una sessione speciale per giornalisti.
Cogliendo un invito dell’Iran, il Pontificio consiglio
per il dialogo interreligioso ha organizzato un primo simposio, tenutosi a Teheran, sull’interpretazione teologica
della modernità. Si sono tenuti altri incontri, sui giovani
e la religione, su islam e cristianesimo di fronte alla pluralità religiosa, sulla bioetica. Anche il Qatar ha voluto
prendere iniziative nel campo del dialogo, organizzando
diversi colloqui ai quali erano invitati anche alcuni ebrei.
Si potrebbe parlare anche d’inviti ricevuti a partecipare ad assemblee islamiche, come per esempio la riunione annuale indetta in Egitto dal Consiglio supremo
per gli affari religiosi. Da parte cattolica c’è stato l’invito
a tre musulmani, un sunnita, uno sciita e un druso, a
partecipare come osservatori nel Sinodo per il Libano,
ma si può considerare un’eccezione.
Il dialogo bilaterale con singoli paesi diventava un
carico pesante per il Pontificio consiglio, che ha un organico assai ridotto. Di conseguenza si è cerato di stabilire strutture più ampie per il dialogo tra cattolici e
musulmani. Così il Pontificio consiglio ha formato due
comitati, uno nel 1995 con rappresentanti di organizzazioni internazionali islamiche, e l’altro nel 1998 con
l’istituto Al-Azhar al Cairo. Ognuno di questi comitati
si riunisce una volta l’anno. I partner di Al-Azhar ci
hanno chiesto di tenere la riunione intorno al 24 febbraio, in memoria della visita di Giovanni Paolo II all’istituto del Cairo che avvenne proprio il 24 febbraio.
Com’è noto, da parte di Al-Azhar il dialogo per il momento è congelato.8 Gli incontri hanno dato la possibilità di scambi su temi che preoccupano entrambi gli
interlocutori e su situazioni diverse che coinvolgono cristiani e musulmani. Ci sono state dichiarazioni comuni,
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per esempio la condanna della violenza, o il rispetto dovuto per le religioni e per i luoghi sacri.
Un altro segno di apertura è il desiderio di varie università nei paesi a maggioranza musulmana di avere
contatti con università cattoliche. Già da qualche anno
esiste un accordo accademico tra l’Università di Ankara, Turchia, e la Pontificia università gregoriana di
Roma, con scambi di professori e di tanto in tanto un
simposio. Più recentemente l’Università Al-Zaitouna,
l’antica università religiosa della Tunisia, ha iniziato dei
rapporti con l’Università gregoriana e il Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica a Roma.
Non vorrei dare l’impressione che solo la Santa Sede
sia impegnata nel dialogo con i musulmani. Dobbiamo
riconoscere molte altre iniziative. C’è, per esempio, il
programma «Building Bridges» intrapreso dalla Comunione anglicana. Un aspetto distintivo di questo programma è che i colloqui danno spazio a una lettura
parallela della Bibbia e del Corano. Si può menzionare
inoltre il Groupe de recherche islamo-chrétien (GRIC),
un gruppo di cristiani e musulmani specialmente dell’Africa del Nord e dell’Europa, che dopo un lavoro comune ha pubblicato libri sulla rivelazione, sulla giustizia
e la fede, sul peccato e la responsabilità etica. Si aggiunga inoltre a Common Word Initiative, una proposta di dialogo fatta da un gruppo di dotti musulmani
riuniti attorno al principe Ghazi, il successore del principe Hassan alla Fondazione Aal Al-Bayt.9
Ho parlato a lungo degli scambi con i musulmani,
perché è l’ambito in cui sono maggiormente preparato.
Tuttavia non si devono dimenticare i rapporti con i seguaci di altre religioni, in primo luogo i buddhisti. Il
card. Sergio Pignedoli, quando era presidente del Segretariato per i non cristiani, aveva incoraggiato i monaci cattolici a entrare in contatto con i monaci
buddhisti. Così è nato il Dialogo interreligioso monastico (DIM-MID), che ora ha un segretario permanente
e sezioni in molti paesi d’Europa, ma anche negli Stati
Uniti, in India, nello Sri Lanka e in Australia. Si sono
organizzati scambi spirituali, soggiorni di monaci e monache nei monasteri dell’altra tradizione. Tali scambi
permettono di riconoscere i punti comuni della vita
monastica, ma anche le profonde divergenze che provengono da un’altra fede o da un’altra visione del
mondo. Da parte sua, il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso ha promosso diversi colloqui, tenuti
sia in una sede buddhista sia in un ambiente cattolico.
Temi fondamentali sono stati toccati: convergenze e divergenze tra cristianesimo e buddhismo; parola e silenzio; sangha e Chiesa; l’importanza della comunità. Lo
scopo degli scambi non è di arrivare a conclusioni comuni, ma piuttosto a una maggiore chiarezza nel percepire l’altra religione.
Gli indù sono numerosi nel mondo, e l’induismo,
con più di un miliardo di aderenti, viene al terzo posto
tra le religioni, dopo il cristianesimo e l’islam. Dato che
la stragrande maggioranza degli indù si trova in India,
il dialogo con loro è condotto dalla Chiesa in questo
immenso paese. Da parte del Pontificio consiglio ci si è
in pratica accontentati di partecipare a incontri orga-
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nizzati in India, per lo più incontri multi-religiosi, con
partecipanti di tutte le tradizioni religiose. Ci sono però
contatti con un’università indù di Mumbai, con scambi
di un buon livello, sia in India sia in Italia. Si deve aggiungere che alcuni monasteri cattolici che partecipano
alle attività del Dialogo interreligioso monastico hanno
stabilito rapporti con templi e centri indù nella diaspora, in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Lo stesso
vale per i sikh, che contano circa 20 milioni di fedeli, i
quali per la maggior parte abitano nel Punjab indiano.
È con un gurdwara (tempio sikh) a Birmingham, in Inghilterra, che il Pontificio consiglio ha portato avanti i
rapporti con i sikh. Rispondendo alla loro domanda,
c’è stata una riflessione comune sui libri sacri e la loro
importanza nella vita del credente. Una visita ufficiale
del segretario del Pontificio consiglio al Tempio d’oro di
Amritsar, e la visita di capi sikh in Vaticano, hanno contribuito a consolidare i rapporti reciproci.
Già diverse volte ho ricordato gli incontri multilaterali, sia in India, dove essi sembrano quasi la norma, sia
in altre parti del mondo, nati spesso in seguito all’incontro di preghiera di Assisi. Desidero menzionare
un’iniziativa simile organizzata dal Pontificio consiglio
per il dialogo interreligioso. Si è tenuto a Roma un simposio sulle Scritture come fonte di pace, con partecipanti
di ben otto tradizioni religiose diverse. Si è proposto di
esaminare gli aspetti positivi e quelli negativi, e che
ognuno proponesse i punti di forza e di debolezza della
propria tradizione. Non direi che tutto abbia funzionato
al cento per cento, ma il clima di rispetto creato ha permesso di toccare temi scottanti. In questo senso, a me
sembra che gli incontri multilaterali abbiano la loro importanza, perché permettono di smussare le asperità che
possono trovarsi talvolta negli incontri bilaterali.
Gli incontri trilaterali, tra fedeli delle religioni abramitiche, sono assai frequenti. Da molti anni esistono
movimenti e associazioni come La fraternité d’Abraham in Francia, o il Three Faiths Forum in Gran Bretagna. Il Pontificio consiglio, assieme alla Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, al Consiglio
ecumenico delle Chiese e alla Federazione luterana
mondiale, ha reso possibile due incontri trilaterali su
Gerusalemme, sull’importanza della Città santa per
ognuna delle tre tradizioni, e su una visione di pace per
la città. Il primo ebbe luogo nel 1993 a Glion, in Svizzera, il secondo nel 1996 a Tessalonica, in Grecia.
Erano incontri difficili, ma ogni volta, anche se in extremis, si è potuti arrivare a una dichiarazione comune.
Tuttavia i partecipanti, ebrei, cristiani e musulmani,
israeliani e palestinesi in maggioranza con qualche
rappresentante di altri paesi, hanno deciso che, se non
era possibile incontrarsi a Gerusalemme, o almeno in
Israele o Palestina, era meglio sospendere gli incontri.
Non si può dar loro torto.
Nel pontificato di Benedet to XVI
Si potrebbe dire che, riguardo al mondo islamico, il
pontificato di Benedetto XVI è cominciato male. I musulmani hanno osservato che, nell’omelia pronunciata
all’inaugurazione del pontificato, il santo padre si è ri-
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ferito agli ebrei, ma ha passato sotto silenzio i musulmani. Pochi però hanno notato che l’indomani, ricevendo in udienza le delegazioni delle altre Chiese e
delle altre religioni presenti alla cerimonia, il santo
padre ha affermato la sua volontà di seguire le orme
del suo predecessore, basandosi sull’insegnamento del
concilio Vaticano II. Ha pronunciato le parole seguenti:
«Sono in modo particolare grato per la presenza in
mezzo a noi di membri della comunità musulmana, ed
esprimo il mio apprezzamento per il crescere del dialogo tra musulmani e cristiani, sia al livello locale che
internazionale. Vi assicuro che la Chiesa desidera continuare a costruire ponti d’amicizia con i seguaci di
tutte le religioni, cercando il vero bene di ogni persona
e della società nel suo insieme».
Più tardi nel corso dell’anno, recandosi a Colonia
per la Giornata mondiale della gioventù, Benedetto
XVI ha colto l’occasione per visitare una sinagoga e
per incontrare rappresentanti della comunità islamica.
A questi ultimi ha ribadito l’importanza del dialogo interreligioso, che non può essere preso alla leggera, come
un «hobby», perché è una necessità vitale per il futuro
dell’umanità.
L’anno seguente Benedetto XVI si è recato di nuovo
in Germania e, visitando l’Università di Regensburg,
ha tenuto un discorso che ha fatto scalpore nel mondo
musulmano.10 Non credo sia necessario entrare nei dettagli del discorso, ma voglio soffermarmi sul suo sviluppo successivo. Il santo padre ha dichiarato che la
citazione dell’imperatore bizantino non esprimeva il
suo pensiero, e che lui non aveva la minima intenzione
di offendere i musulmani, ma le sue parole non sono
state recepite. Più che le parole, è servito il suo atteggiamento tenuto durante il viaggio in Turchia, svoltosi
verso la fine dell’anno. La foto del papa accanto all’imam nella Moschea blu d’Istanbul è stata pubblicata
su tutti i giornali come prova del suo rispetto per
l’islam. Purtroppo altre accuse contro il papa hanno
fatto congelare il dialogo tra Al-Azhar e la Santa Sede.
Finora Benedetto XVI non ha avuto molti contatti
con persone di altre tradizioni religiose, al di fuori degli
ebrei e dei musulmani. Durante il suo soggiorno in Australia nel 2008, di nuovo in occasione della Giornata
mondiale della gioventù, c’è stata un’udienza speciale
per i membri delle diverse religioni. Avendo io avuto il
privilegio di essere presente, posso affermare che l’incontro è stato molto positivo e che tutti ne erano contenti. Si potrebbe dire la stessa cosa dell’incontro simile
avutosi durante il viaggio del santo padre in Gran Bretagna, lo scorso settembre.
Per finire, desidero indicare tre punti che sembrano
importanti per il santo padre nel dialogo che vuol promuovere. Il primo è la necessità del rispetto per il diritto alla libertà religiosa. Nei suoi discorsi, per esempio
ai nuovi ambasciatori accreditati presso la Santa Sede,
ripete spesso che la libertà di culto deve essere completata con la libertà di coscienza. Dovrebbe essere possibile alle persone di seguire la loro scelta in materia di
religione, e di cambiare la loro adesione religiosa se la
loro coscienza le spinge in quella direzione.
Il secondo punto è apparso nel suo discorso a Regensburg. Benedetto propone una riflessione sulla relazione tra fede e ragione. Potremmo dire che nelle
società secolarizzate dell’Europa incoraggia a dare uno
spazio più importante all’influsso della fede. La fede
può illuminare e correggere, se necessario, lì dove il
fatto di seguire la sola ragione potrebbe portare danno
all’uomo. Al contrario, nelle società dove tutto è regolato secondo la religione, il papa propone il compito
equilibrante della ragione.
Il terzo punto è strettamente legato al secondo. Benedetto richiama la necessità di una dimensione pubblica per la religione. La religione non è una cosa
privata senza impatto sulla società. Anzi, la religione
fortifica i principi morali che devono governare l’agire
umano e permette un impegno critico. Dove le autorità governative agiscono in favore dei valori veri e dell’autentico bene delle persone, la religione spingerà a
dare tutto il sostegno necessario, mentre laddove la politica calpesti i diritti delle persone e le opprima, la religione diventerà una fonte di resistenza. Benedetto
crede nel dialogo delle religioni, o meglio nel dialogo
dei credenti e delle persone di buona volontà, per contribuire alla vera armonia e alla pace nella società. Il
suo messaggio per la Giornata mondiale della pace di
quest’anno aveva come tema «Libertà religiosa, via per
la pace». Voglio concludere con alcune citazioni da
questo messaggio.
«Nel rispetto della laicità positiva delle istituzioni
statali, la dimensione pubblica della religione deve essere sempre riconosciuta. A tal fine è fondamentale un
sano dialogo tra le istituzioni civili e quelle religiose per
lo sviluppo integrale della persona umana e dell’armonia della società» (n. 9; Regno-doc. 1,2011,4).
«Per la Chiesa il dialogo tra i seguaci di diverse religione costituisce uno strumento importante per collaborare con tutte le comunità religiose al bene comune»
(n. 11; Regno-doc. 1,2011,5).
«Il mondo ha bisogno di Dio. Ha bisogno di valori
etici e spirituali, universali e condivisi, e la religione può
offrire un contributo prezioso alla loro ricerca, per la
costruzione di un ordine sociale giusto e pacifico, a livello nazionale e internazionale» (n. 15; Regno-doc.
1,2011,7).
Michael L. Fitzgerald*
* Il testo, gentilmente concessoci dall’a., attualmente nunzio apostolico in Egitto e fino al 2006 presidente del Pontificio consiglio per il
dialogo interreligioso, è stato pronunciato a Milano il 15 maggio nel
corso di una conferenza presso la Comunità di via Sambuco. Sarà pubblicato prossimamente in volume a cura dell’editrice Qiqajon di Magnano (BI).
1
Regno-doc. 1,2011,5.
2
Regno-doc. 21,1986,643.
3
Regno-doc. 5,1987,136.
4
Regno-doc. 3,2002,74.
5
Cf. Regno-doc. 3,2002,80.
6
Cf. il sito web www.vatican.va.
7
Regno-doc. 21,1989,689s.
8
Cf. Regno-att. 4,2011,86.
9
Cf. la lettera aperta ai cristiani Una parola comune tra noi e voi
del 2007, in Regno-doc. 19,2007,588.
10
Regno-doc. 17,2006,540.
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Aforismi in dialogo
Alla ricerca dell’uomo interiore
P
roust afferma che il viaggio più vero si compie attraverso la letteratura. Quest’ultima consente di vedere la
realtà con gli occhi degli altri, mentre quando si viaggia di persona non si può mai mutar occhi; per forza di cose
si continua a guardare con i propri; la modifica è dei luoghi,
non dell’osservatore. Se si ascolta si può però cambiare orecchi: la voce degli altri giunge a te e se l’accogli tu stesso muti
in virtù di quell’incontro. Ma, si sa, è proprio del turista guardare e assaggiare, mentre gli è precluso l’ascolto.
Fermare un pensiero sulla carta. Quando l’operazione è
ben riuscita, non vuol dire arrestare un flusso; al contrario,
equivale a rivestirlo di parole appropriate che lo rendono comunicabile. Fermare qui significa aprire una specie di «punto
di ascolto» destinato a dare i propri frutti in futuro.
Nella vita ci sono alcune «esperienze spugna»: mentre le
si vive le si assorbe velocemente, quasi senza accorgersene,
ma poi restano dentro e nel corso del tempo rilasciano a poco
a poco il loro liquido. Quanto le rende singolari è la differenza tra il tempo concentrato dell’assorbimento e quello
lento del rilascio e dell’ascolto.
Ascoltare musica è diverso dall’essere abitati dalla musica.
In questo secondo caso l’ascolto interiore diviene un fluire
intrecciato con le profondità della propria esistenza. Ne ha
parlato Dietrich Bonhoeffer nelle sue lettere dal carcere.
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è anche il loro bisogno esigente e inerme. Quando si è adulti
questa forza si tramuta in debolezza: il bisogno non cattura
più di per sé la premura altrui. Molti orecchi allora divengono impermeabili all’ascolto dell’altro.
Dialogo senza ascolto; vale a dire pseudo-dialoghi. Nei
talk show prevale sempre non chi ha ragione, ma chi è più
aggressivo e spregiudicato. Il motivo di ciò l’ha svelato molto
tempo fa Manzoni, pensando – beato lui – unicamente alla
carta stampata: «Le ingiurie hanno un gran vantaggio sui ragionamenti, ed è quello di essere ammesse senza prove da
una moltitudine di lettori».
Nei luoghi pubblici, spesso il cellulare è usato come una
specie di talk show portatile in cui i vicini sono a un tempo
coinvolti e ignorati.
Senso civico. Oggi le cose stanno pressappoco così: «vox
clamans in urbe», ma è come se si fosse nel deserto; si urla
nel luogo in cui il grido si espande senza possibilità di essere
ascoltato.
Gli individui che vedono sotto l’insegna dell’invidia
quanto dovrebbe suscitare la loro ammirazione sono destinati a scambiare ogni saggio consiglio loro rivolto per una
specie di insulto personale. A loro è precluso l’ascolto.
Un pensiero alla Nietzsche. Vi sono due tipi di curiosità:
quella del «forte» e quella del «debole»; la prima è stimolo,
la seconda è istinto di autodifesa. I due tipi di curiosità si rivolgono in due direzioni radicalmente diverse, i «forti» sono
curiosi per sapere, i «deboli» per tutelarsi. L’ascolto di questi
ultimi è sempre un origliare.
È possibile che le persone molto anziane vivano di ricordi
invece di limitarsi a sopravvivere grazie a essi? Ciò potrebbe
avvenire se li trasmettessero e fossero ascoltati. Tuttavia, al
giorno d’oggi, tessere il filo dei ricordi, il più delle volte, comporta soltanto un malinconico soliloquio.
Un detto di Buddha afferma che la forza dei bimbi è il
pianto. Si può aggiungere: quella dei più piccoli tra i piccoli
È proverbiale che quando due sconosciuti si incontrano,
per uscire da un imbarazzato mutismo, parlino del tempo. Un
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rimedio indolore e poco impegnativo. Sotto forse c’è però un
perché più riposto. Il tempo atmosferico è uno dei pochi dati
che ci accomuna senza che insorgano contrapposizioni, per
tutti oggi c’è il sole o c’è la pioggia. Anzi c’è di più, rispetto al
tempo si accolgono senza problemi anche le reciproche soggettività: io soffro il caldo e io soffro il freddo ecc. Sembra di
assistere al trionfo della tolleranza. Tuttavia quando dalla conversazione si passa all’agire («apriamo la finestra», «no teniamola chiusa», «accendiamo il condizionatore», «alziamo il
riscaldamento», ecc.), l’accordo della chiacchiera si muta, non
di rado, nella conflittualità dell’operare.
Quando si ha uno strappo nei calzoni e non ci se ne accorge ci si comporta con la solita disinvoltura; ma allorché ci
se ne rende conto tutto muta. Diviene allora quasi impossibile
liberarsi dal pensiero che quanti ci circondano (che pur continuano, palesemente, a comportarsi come prima) abbiano
un’invincibile propensione a guardare la poco dignitosa lacerazione del nostro vestito. Per quanto sia irragionevole, ci
si sente addosso gli sguardi di tutti. La beata incoscienza è
definitivamente archiviata e cercare di nascondere in qualche modo lo strappo diviene un chiodo fisso.
Come stanno le faccende con la coscienza? L’udito è più
interiore della vista. Per chi è dotato di un orecchio interiormente fine la voce della coscienza è tanto avvertibile da escludere la presenza di vuoti e mancanze di cui non si renda
conto. Per altri, invece, può diventare così cieca da non accorgersi del male commesso. In tal caso occorre qualcuno
che dal di fuori glielo dica. Tuttavia anche allora è arduo che
ci si senta addosso gli occhi di tutti. È più agevole ricorrere all’arte del mascheramento che a quella, più ardua, ma anche
più vera, del rammendo.
Un saggio un tempo disse di aver imparato da tutti i suoi
maestri. È ancor più giusto affermare: tutti quelli da cui ho
imparato sono diventati miei maestri. Saggio è colui che,
ascoltando, impara da tutti: per affinità o per differenza.
Distillato, invecchiato per anni, di un piccolo grande libro
di Norberto Bobbio: la persona mite è quella che, quando la
incontri, ridesta la parte migliore di te stesso. Il mite dimostra
nella sua persona cosa significa farsi ascoltare senza imporre.
Pluralismo interiore. «Fatti un cuore dalle molte stanze»
(Toseftà, Sotà 7,12). Perché l’edilizia interiore non conduca alla
parcellizzazione, alla doppiezza, o, peggio, alla schizofrenia,
bisogna aggiungere: «e dalla molte porte che le mettono in
comunicazione». L’ascolto è il segno profondo dell’«uomo
interiore».
«Che tempi sono questi, quando discorrere di alberi è
quasi un delitto perché comporta il silenzio su troppe stragi?»
(Berthold Brecht).
«Che tempi sono questi in cui bisogna discorrere delle stragi
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degli alberi perché non cada il silenzio su altri delitti?». La deforestazione fa parte dei gemiti del creato: vanno ascoltati.
L’anti-Shema‘; «Ascolta, Israele». Ci si interroga tanto sul
silenzio di Dio, ma prima di ciò sarebbe conveniente sollevare il problema della sua (apparente o reale?) sordità.
«Figlioli, ancora un poco sono con voi (...). Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho
amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,33s).
Si comprende questa parola evangelica solo se la si considera
un congedo. Il verbo è al passato – «come io ho amato voi» –
non al presente. La novità del comandamento sta tutta in questa memoria. L’amore del prossimo è fondato sul presente («Io
sono il Signore», Lv 19,18), mentre il comandamento di Gesù
è basato su un congedo: è conservato e trasmesso attraverso il
ricordo e messo in pratica in quanto gli si dà ascolto.
È come un padre («Figlioli») che si distacca dalla vita e
affida la propria eredità, e quindi la propria presenza, all’amore reciproco tra i suoi figli. Se i fratelli si amano, il padre
sa di non aver vissuto invano; se gli eredi si odiano e litigano,
il suo amore per loro viene, di fatto, negato.
Piero Stefani
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Il n. 9 è stato spedito il 20.5.2011;
il n. 8 il 6.5.2011.
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In copertina: La prima Giornata
Registrazione del Tribunale di Bologna mondiale di preghiera per la pace,
Assisi 27.10.1986.
N. 2237 del 24.10.1957.
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i lettori ci scrivono
Mafia al Nord: le domande di una comunità
Caro direttore,
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27 giugno
lunedì
ore 17,00
Introduzione: l’opera di Luca e il viaggio della Parola
28 giugno
martedì
ore 9,00
ore 11,00
L’inizio del viaggio (Lc 1-2)
Il canto degli inizi: Magnificat, Benedictus, Gloria,
Nunc dimittis
Il programma del viaggio (Lc 4,14-30)
Incontro con l’autore. DONATELLA SCAIOLA presenta
il suo volume I Dodici Profeti: perché «Minori»?
Esegesi e teologia (EDB 2011).
ore 16,30
ore 21,00
29 giugno
mercoledì
ore 9,00
ore 11,00
ore 16,30
I viandanti: Gesù e i suoi discepoli (Lc 4,31-6,16)
Gli interpellati: i pagani e le vedove, i pubblicani
e peccatori, le donne (Lc 6,17-8,3)
L’appello alla responsabilità (Lc 8,4-9,50)
30 giugno
giovedì
ore 9,00
ore 11,00
ore 16,30
Il viaggio verso Gerusalemme (Lc 9,51-13,21)
Lungo la via: i miseri e la misericordia (Lc 13,22-17,10)
Lungo la via: gli atteggiamenti richiesti (Lc 17,11-19,28)
1° luglio
venerdì
ore 9,00
ore 11,00
La conclusione del viaggio (Lc 19,29-23,56)
L’inizio di un nuovo viaggio (Lc 24,1-53)
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nelle scorse settimane la diocesi di Modena è stata al centro dell’attenzione di molti mezzi di comunicazione: il 23 aprile, sabato santo, sono state infatti sfregiate alcune fotografie della mostra «Scampia. Volti che interrogano».
Gli scatti, dedicati ai bambini del quartiere napoletano, sono stati realizzati da
Davide Cerullo, ex «ragazzo» di Scampia, che dopo la camorra e il carcere è
divenuto un testimone della lotta alle mafie. Agli episodi di sfregio delle immagini commentate sono seguiti alcuni episodi di intimidazione verso Cerullo,
il parroco don Paolo Boschini e una catechista.
La vicenda non è ancora chiara e quindi non si può affermare con certezza
quale sia l’origine di questo gesto. Lasciando da parte la retorica di slogan come
«parrocchia antimafia», la risposta di un territorio come Modena – dove vasta
quanto ancora ignorata è ormai la presenza camorristica – merita forse una riflessione, spinta anche da vostri recenti articoli (cf. Regno-att. 8,2011,217ss).
Due considerazioni: questa vicenda ha fatto emergere tensioni e spaccature tra i sacerdoti della diocesi, divisi tra opposte interpretazioni non solo su
quanto avvenuto (sembra ancora lontanissima una riflessione ecclesiale seria
sulle mafie anche nel Nord del nostro paese) ma sulla concezione stessa di parrocchia (e sacerdozio) e dunque sulla (tentata o mancata) lettura delle trasformazioni in atto. Fino a giungere a considerazioni paradossali: un sacerdote
della diocesi – che nelle vetrate della propria parrocchia ha scelto di farsi ritrarre vicino a mons. Lefebvre – è arrivato a scrivere a un quotidiano per esprimere la possibilità che gli atti intimidatori nascessero da fedeli non contenti di
un presunto stile troppo «conciliare» adottato nella Chiesa colpita.
Ma il punto centrale che vorrei richiamare è un altro: in questa vicenda,
che ha suscitato paure in tanti, la comunità parrocchiale ha scelto di rispondere
domenica 8 maggio con una veglia pubblica che unisse la riflessione intorno a
quanto accade in tante periferie d’Italia alla memoria dei servitori dello stato
che hanno pagato con la vita la testimonianza per la giustizia. La risposta della
città è stata molto forte: oltre 700 persone hanno partecipato a un momento
di preghiera che, senza retorica, ha saputo ricordare le parole e le vite di uomini e donne come don Pino Puglisi, Paolo Borsellino, Rita Atria, Giancarlo
Siani, Mimmo Beneventano e legare questa memoria alla vita di una comunità. La risposta più calda è venuta dai tanti giovani che hanno scelto di essere
presenti, segno forse che non occorrono maxi-eventi per sentirsi chiamati in
causa, ma molto più conta l’opportunità di una preghiera autentica e la responsabilità civile verso la collettività.
Credo che, anche in un contesto limitato come quello di una parrocchia
o diocesi, questa vicenda mostri chiaramente come le nostre Chiese siano ancora debolmente attrezzate a comprendere la realtà storica, sociale, economica (e spesso anche quella più privata e intima dei singoli). Penso, ad esempio,
a quanto la concezione della carità sia ancora legata al paternalismo di buste
della spesa, non certo da cancellare, ma che devono essere affiancate da un
accompagnamento più serio, faticoso ma anche arricchente nella gestione dei
bilanci familiari. Come sembra difficile a volte ammettere che non si hanno risposte, neppure parziali, perché temi come legalità e giustizia, immigrazione
e ospitalità, lavoro e precarietà, declinati nella loro realtà sfaccettata e complessa, sono ancora considerati secondo schemi e letture quantomeno da aggiornare, se non da rivedere radicalmente.
Quanto sta accadendo a Modena dimostra che nella Chiesa si può e si
deve riconoscere che siamo in una situazione difficile, di fronte alla quale spesso
ci mancano le coordinate fondamentali per inquadrarla e comprenderla, ammettendolo con umiltà e tenendo davanti a sé la Parola. Nella fiducia che questo rappresenta forse anche il viaggio più affascinante che le nostre comunità
possono tentare, cercando alleati trasversali.
Modena, 10 maggio 2011.
Lettera firmata
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Quand’era facile la fede
e difficile la carità
Che cosa può insegnarci Margherita di Città di Castello
“
IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
U
n narratore
di «fatti di
Vangelo» dei
nostri giorni può aiutare a intendere
quelli del passato? O a paragonare sfide
e doni della vocazione cristiana ai nostri giorni e – poniamo – al tempo di
Dante? Alcuni amici di Città di Castello
mi hanno proposto il tema inusitato:
«Fede e carità al tempo di beata Margherita e ai nostri giorni». Con l’improntitudine del giornalista ho accettato
e ho tenuto l’incontro il 6 maggio al
Centro Studi «Beato Carlo Liviero», a
Città di Castello, presente il vescovo,
una squadra sportiva di disabili (dell’Associazione sportiva dilettantistica
«Beata Margherita») e tante persone.
In San Domenico il pomeriggio
avevo visto per la prima volta l’urna
della beata e un poco l’avevo amata
anche nella sua spoglia, così piccola.
Era cieca, rachitica, gobba e storpia (la
gamba destra più corta della sinistra) e
ne ho parlato come della donna delle
beatitudini: «beati i poveri, gli afflitti, i
piangenti». E come tribolata che soccorre i tribolati, immagine quanto mai
attuale dei rovesciamenti evangelici.
Ho richiamato Luca 14,21: «Esci subito per le piazze e per le vie della città
e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi
e gli zoppi» e ho detto che lei che era
tutto questo una volta entrata nel banchetto si è adoperata a tirare in esso
ogni altro derelitto. E noi tra essi.
ERA CIECA
E VIVEVA NELLA LUCE
Ho narrato la «leggenda» di Margherita seguendo la ricostruzione che
ne ha dato lo storico dell’Ordine domenicano William R. Bonniwell nel
volumetto Margherita di Città di Castello. Vivere nella luce (Città nuova,
Roma 2002, edizione inglese del
1983). Trovo geniale il sottotitolo «vivere nella luce» posto a logo della vicenda di una cieca. Il mio interesse
per la beata era nato da quella lettura
e dall’immagine di Margherita che è
sulla copertina di quel libro, che la
raffigura veggente e che irradia luce
dai vivissimi occhi. L’immagine è accompagnata da questa didascalia:
«Maestro delle Effigi domenicane,
Margherita di Città di Castello (XIV
sec.). Venezia - Museo civico vetrario
(Murano)». Da quando ho imparato
ad amare quell’immagine essa mi soccorre quando prego il Salmo 35:
«Alla tua luce vediamo la luce».
In vista dell’appuntamento di
Città di Castello avevo poi letto il volumetto di Enrico Giovagnoli Vita di
beata Margherita da Città di Castello
terziaria domenicana (Petruzzi editore, Città di Castello [PG] 1994, ripubblicato nel 1997). Ben sapendo
come la verifica delle fonti storiche –
tra loro contrastanti – costituisca un
campo minato anche per i cultori
della materia, ho premesso che non
pretendevo di fare considerazioni da
storico, che non sono, ma da giornalista, mirate alla comprensione del
nostro tempo più che di quello antico.
Margherita viene detta di Città di
Castello dove muore nel 1320, o
della Metola (un castello al confine
tra l’Umbria e le Marche) dove nasce
nel 1287. È detta anche «la cieca
della Metola». Non conosciamo il
casato né del padre – che le fonti nominano come Parisio – né della
madre che è detta Emilia. La bambina era «cieca, piccola, deforma» –
così la descrive una delle fonti: il codice di Cividale – e i genitori che vivono in un piccolo castello cercano
di tenerla nascosta. Verso i sei o sette
anni arrivano a relegarla in una specie di cella murata, comunicante con
una cappella, all’interno di un bosco
e la tengono lì 13 anni (Bonniwell), o
9 anni (Giovagnoli). Secondo un
altro studioso, Ubaldo Valentini –
che ho conosciuto in occasione dell’incontro del 6 maggio – quel relegamento è da considerare «leggendario», recepito e sviluppato dai
primi biografi per drammatizzare la
vicenda della santa (Beata Margherita de la Metola. Una sfida alla
emarginazione, Petruzzi editore,
1988). Quando il duca di Urbino invade quelle terre, la popolazione si
rifugia nel castello di Mercatello e lì
viene portata anche Margherita, che
viene rinchiusa – secondo le fonti antiche – in un sotterraneo, nel quale
resta per un anno.
ABBANDONATA DAI GENITORI
E ADOTTATA DAI MENDICANTI
Margherita è dunque sui 16 (Giovagnoli) o sui 19 anni (Bonniwell)
quando Parisio ed Emilia la fanno
uscire dalla sua prigione e la conducono nascostamente – secondo la
«leggenda» – a Città di Castello, nella
chiesa di San Francesco, sulla tomba
di un francescano laico, fra’ Giacomo
(morto nel 1292), dove si dice che avvengano miracoli. Ma il miracolo non
avviene e i genitori secondo le fonti
antiche abbandonano la figlia, non
sopportando l’idea di tornare al castello con lei, in pieno giorno. Il Valentini reinterpreta la vicenda come
un affidamento della bambina o ra-
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gazza a una comunità monastica e a
conoscenti che abitavano in quella
città. Sta di fatto che Margherita non
avrà più contatti con i genitori.
L’adottano i mendicanti, le insegnano a mendicare. Viene ospitata
in varie case, ammirata per la sua
sensibilità e per il fatto che conosceva a memoria il Salterio e riusciva
persino a insegnare qualcosa di latino ai bambini vedenti, lei che era
cieca. E oggi ben sappiamo quante
cose sappiano fare i ciechi. L’autore
della prima biografia, databile alla
metà del Trecento, così commenta
questa sua attitudine all’insegnamento: «O beata cieca, che mai vedesti le cose del mondo e che così
rapidamente apprendesti le cose celesti. O felice discepola, che meritasti
di avere un tale maestro che a te,
nata cieca e senza libri, insegnò ad
apprendere le Scritture fino ad ammaestrare i veggenti».
Viene accolta nel Monastero di
Santa Margherita e da esso viene presto espulsa perché la sua rigorosa osservanza della regola la pone in
cattiva luce presso le monache ospitanti, dalla vita rilassata. Di nuovo abbandonata a se stessa, a elemosinare,
ospite di varie case. Finalmente viene
accettata tra le Mantellate della
chiesa della Carità, una famiglia religiosa che più tardi prenderà il nome
di Terz’ordine domenicano. «Le
donne che desideravano vivere la vita
religiosa e che per qualche ragione
non potevano entrare in convento,
potevano per questa via affiliarsi all’Ordine domenicano» (Bonniwell,
85). Continuavano a vivere nella propria casa (Margherita è ospite prima
della famiglia degli Offrenducci e poi
dei Venturino) e portavano una mantella nera, donde il nome di Mantellate.
ESSENDO DISABILE
SOCCORREVA I DISABILI
Passava giorni e notti in preghiera
nella chiesa della Carità. Visitava in
continuità i carcerati, i malati, i moribondi, i poveri d’ogni specie. In città
la vedevano ogni giorno correre come
poteva dai bisognosi, cieca e zoppa,
appoggiandosi a un bastone e camminando lungo i muri. Anche in que-
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sto precorre i tempi: noi oggi abbiamo esperienza frequente di disabili
che dalla sedia a rotelle o dalla tastiera del computer sono di aiuto al
prossimo e spesso si fanno animatori
della lotta alla disabilità.
La provvidenza l’arricchisce di
segni. Un giorno s’appicca un incendio alla casa dei Venturino, lei è in
alto, nella soffitta che si è scelta come
abitazione. La chiamano perché
fugga. Lei dice serena a monna Gregoria, detta Grigia: «Prendi il mio
mantello e buttalo sulle fiamme». Il
biografo della Leggenda descrive
questo segno con parole che valgono
una predella di Simone Martini:
«Quando il mantello di Margherita
fu gettato sulle fiamme, il fuoco che
furiosamente ruggiva si estinse all’istante».
Insieme a monna Grigia le fonti
ricordano una Lucecina, o Cina, e
una Venturella – bellissimi nomi da
novella medievale – che furono testimoni di sue levitazioni: quando cioè
la vedevano sollevarsi di un cubito,
cioè di un mezzo metro, mentre assisteva alle celebrazioni nella chiesa dei
domenicani.
POTREBBE ESSERE
LA PATRONA DEGLI HANDICAPPATI
Margherita, ormai amata da tutti, muore – consumata dalle penitenze e più ancora dall’amore di Dio
e dei fratelli – a 33 anni. L’ammirazione per la sua pietà e per la sua carità dura fino a oggi. È venerata
come «beata» dal 1609, per decisione di Paolo V, su un’istruttoria
condotta dal card. Roberto Bellarmino che ne verifica la fama di san-
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IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
“
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tità e di intercessione specie a favore
di ciechi, muti, sordi e zoppi. Nel
1988 su istanza dei vescovi di Urbino
e Città di Castello la Congregazione
vaticana per il culto divino e la disciplina dei sacramenti la proclama
«patrona presso Dio di quanti sono
chiamati comunemente non vedenti
ed emarginati». Io sono entusiasta di
questa definizione. Confido che un
giorno possa essere venerata come
santa e qualificata come «patrona
degli handicappati».
Gli anni della grande avventura
cristiana di Margherita sono quelli in
cui Dante compone la Divina commedia. Quell’umanità credente e peccatrice che ci esalta e ci atterrisce nelle
terzine dantesche è la stessa che incontriamo nelle stagioni drammatiche e in quelle serene della vita di
Margherita.
Quanto alla vocazione cristiana,
la vicenda di Margherita ci dice che
ogni epoca ha la sua grazia e la sua
disgrazia. Allora avevano facile la
fede nel miracolo, difficile l’accettazione del menomato e del diverso.
Noi siamo pronti a soccorrere il prossimo ma renitenti all’accettazione del
mistero.
ANCHE NELLA CHIESA
I MENOMATI VENIVANO NASCOSTI
Non solo nelle famiglie ma anche
nella Chiesa i menomati venivano
nascosti. Per essere ammessi agli ordini sacri o alla professione religiosa
occorreva dimostrare di essere figli
legittimi e di non avere gravi difetti
fisici. Chi non era in regola, restava
«terziario». Il cambiamento della disciplina è arrivato in questi ultimi
anni, anzi sta arrivando ora.
Io credo che sulla questione fedecarità ci troviamo oggi di fronte all’esigenza di un rovesciamento dell’itinerario pedagogico tradizionale: si
partiva dalla fede e in nome della fede
in Dio si richiamava il credente al
compito della carità; oggi dovremmo
partire dalla carità, che è comprensibile all’umanità contemporanea, e da
essa risalire alla fede in colui che è carità: «Deus caritas est».
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it
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