DICEMBRE 2008 ANNO XXI EREMO DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO BIENNO (BS) LETTERE DALL’EREMO 66 LETTERE DALL’EREMO Dall’Eremo Direttore Responsabile Don Gabriele Filippini Dal Monastero Autorizzazione n. 4/89 del Tribunale di Brescia EREMO DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO 25040 BIENNO (Brescia) Telefono 0364/40081 www.eremodibienno.it [email protected] ABBONAMENTO: Ordinario € 30,00 Sostenitore € 50,00 C.C. Postale n. 17738253 int. a Alma Tovini Domus Stampa: Tip. Camuna S.p.A. - Breno Tel. 0364/22007 Dalla Valle Gruppi Educazione Storia Problemi Arte e letteratura Letture Calendario Avvenimenti Lettera inviata dal Santo Padre alla diocesi Testimoni di un possibile dialogo Incontro con fra Fiorenzo Priuli Corso di Esercizi Spirituali pag. 3 pag. 5 pag. 9 pag. 13 Verremo… Siamo venute Vent’anni di gratitudine Poste come luce sul monte Dal monastero si eleva incessantemente la preghiera Son passati venti anni Grazie care Sorelle di Santa Chiara pag. 16 pag. 17 pag. 22 Novant’anni dopo la grande guerra A Breno l’accademia “Arte e Vita” Inaugurato il “Museo dell’energia idroelettrica” pag. 29 pag. 31 Associazione ONLUS “Le Capèle” pag. 35 Chiesa e oratori: emergenza o missione? pag. 37 pag. 24 pag. 26 pag. 27 pag. 33 Un’eredità “al ventre pregante della moglie” pag. 42 Un banchiere camuno di fine ottocento pag. 44 Morire di lavoro pag. 51 Per l’ancona di Angone pag. 52 Mark Strainer Sulle rotte degli emigranti camuni Un nuovo libro di Carla Bino Illustrazione della Valle Camonica 2008 anno paolino, in un volume il ritratto di S. Paolo pag. 54 pag. 56 pag. 57 pag. 58 Alcune proposte dell’Eremo- anno 2008/09 pag. 62 Radio Voce Camuna compie trent’anni pag. 67 pag. 60 Si ringrazia la che, condividendone le finalità, contribuisce alla stampa e spedizione di questa rivista. LA LETTERA INVIATA DAL SANTO PADRE ALLA DIOCESI DI BRESCIA NEL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DI PAOLO VI Al Venerato Fratello Luciano Monari Vescovo di Brescia In occasione del trentesimo anniversario della morte del Papa Paolo VI, desidero far giungere un cordiale e beneaugurante saluto a Lei, Venerato Fratello, al Presbiterio e all’intera comunità diocesana di Brescia dalla quale questo mio Predecessore ha ricevuto il dono della fede ed ha attinto quei grandi valori di pietà, cultura ed umanità, ai quali ha sempre conformato la sua esistenza, di Sacerdote, di Vescovo e di Successore di Pietro. A codesta Chiesa, alla quale fu introdotto da zelanti Sacerdoti, egli fu sempre legato da un amore mai sopito e da sentimenti di profonda e sincera riconoscenza, che non mancò di esprimere in diverse circostanze con gesti colmi di affetto e di venerazione. Al Servo di Dio Paolo VI sono anch’io personalmente grato per la fiducia che ebbe a mostrarmi nominandomi, nel marzo 1977, Arcivescovo di Monaco di Baviera, e, tre mesi dopo, annoverandomi nel Collegio Dall’Eremo Cardinalizio. Egli fu chiamato dalla Provvidenza divina a guidare la Chiesa in un periodo storico segnato da non poche sfide e problematiche. Nel ripercorrere col pensiero gli anni del suo pontificato, colpisce l’ardore missionario che lo animò e che lo spinse ad intraprendere impegnativi viaggi apostolici anche in nazioni lontane e a compiere gesti di alta valenza ecclesiale, missionaria ed ecumenica. Il nome di questo Pontefice resta legato soprattutto al Concilio Ecumenico Vaticano II. Il Signore ha voluto che un figlio della terra bresciana diventasse il timoniere della barca di Pietro proprio durante la celebrazione dell’Assise conciliare e negli anni della sua prima attuazione. Con il passare degli anni diventa sempre più evidente l’importanza per la Chiesa e per il mondo del suo pontificato, come pure l’inestimabile eredità di magistero e di virtù che egli ha lasciato ai credenti e Dall’Eremo all’intera umanità. Sono trascorsi 30 anni da quel 6 agosto del 1978, quando nella residenza estiva di Castel Gandolfo si spegneva Papa Paolo VI. Era la sera del giorno in cui la Chiesa celebra il mistero luminoso della Trasfigurazione di Cristo. Nel testo preparato per l’Angelus del 6 agosto, che non poté pronunciare, volgendo lo sguardo al Cristo trasfigurato aveva scritto: «Quel corpo, che si trasfigura davanti agli occhi attoniti degli apostoli, è il corpo di Cristo nostro fratello, ma è anche il nostro corpo chiamato alla gloria; quella luce che lo inonda è e sarà anche la nostra parte di eredità e di splendore». Siamo chiamati a condividere tanta gloria, perché siamo “partecipi della natura divina” (Insegnamenti di Paolo VI, XVI (1978), 588). Nel ricordarne la pia scomparsa, rendo fervide grazie a Dio per aver donato alla Chiesa un Pastore, fedele testimone di Cristo Signore, così sinceramente e profondamente innamorato della Chiesa e così vicino alle attese e alle speranze degli uomini del suo tempo, auspicando vivamente che ogni membro 4 del Popolo di Dio sappia onorare la sua memoria con l’impegno di una sincera e costante ricerca della verità. Con tali sentimenti, mentre invoco la materna protezione della Vergine Maria, invio di cuore a Lei, venerato Fratello, e a quanti sono affidati alle sue cure pastorali una speciale Benedizione Apostolica. DA CASTEL GANDOLFO, 26 LUGLIO 2008 BENEDETTO PP XVI «Lettere dall’Eremo» augura a tutti un SANTO NATALE ed un Felice 2009 TESTIMONI DI UN POSSIBILE DIALOGO FRA LE RELIGIONI Se guardiamo indietro alla storia del secolo scorso proviamo i brividi: il corteo di donne e uomini che hanno impresso la loro traccia sulle strade del Novecento, testimoni, profeti, grandi cristiani, è affollato, straordinario, quasi incredibile. Martin Luter King, Charles de Foucauld, Edith Stein e Padre Yves Congar sono alcuni di loro. Questi testimoni sono stati al centro di quattro incontri, con il titolo “Stili di dialogo”, all’Eremo Santi Pietro e Paolo di Bienno, in continuazione del ciclo “Grandi Religioni”. Il primo incontro (14 settembre 2008) riguardava la figura del pastore protestante statunitense M. L. King. La relatrice Lidia Maggi, pastora della Comunità Battista di Milano e Lodi, ha esaminato il contesto che ha formato l’uomo di fede, Dall’Eremo il politico, il testimone, il martire. La famiglia di Martin, secondo la Maggi, ebbe un ruolo importante nella sua formazione; in essa imparò a vivere in una comunità di fede; mise a punto un proficuo rapporto con la Scrittura; maturò il senso della dignità dell’uomo di fronte al doloroso fenomeno sociale della segregazione razziale. Nella comunità di cui fece parte elaborò che la schiavitù era contro la Parola di Dio. Riguardo poi alla Bibbia, Martin si sentì un po’ come Mosè: <<Ho visto la terra promessa della libertà e dei diritti civili, ma io purtroppo non vi entrerò>>. Martin è stato un apostolo della resistenza non violenta, ritenuta la più sicura alternativa sia alla rassegnazione passiva che alla reazione violenta. Domenica 21 settembre il relatore Ezio Dall’Eremo Bolis si è concentrato intorno alla figura di Charles de Foucauld (fratel Carlo di Gesù). Nato a Strasburgo nel 1858, di ricca e antica famiglia, servì per qualche tempo nell’esercito come ufficiale di cavalleria. Date le dimissioni dall’esercito, compì un viaggio di esplorazione nel Marocco. Tornato a Parigi, si convertì per influsso della cugina M. De Bondy e di don Huvelin (1886) ed entrò nella Trappa (1890), che poi lasciò per condurre volontariamente un’umile esistenza in Palestina. Spogliatosi d’ogni suo avere, dopo l’ordinazione sacerdotale (1901) si stabilì in pieno Sahara, a Tamanrasset. Qui gustò la solitudine e anche le rudi bellezze del deserto, ma provò soprattutto angoscia per la salvezza di questo popolo. A questa gente che era nella miseria e nell’ignoranza di Dio, fratel Carlo portò l’amore di Gesù. Egli sapeva bene che ciò voleva dire prendere una strada difficile e lunga di cui lui stesso non avrebbe visto il termine. Era, comunque, compito suo l’aprire questa strada, ed egli partì fortificato dal pane eucaristico per dedicarsi tutto solo 6 all’opera difficile di preparare alla conoscenza e all’amore di Dio un popolo che nemmeno lo cercava. Vestito come gli arabi, andò a vivere tra i tuareg, i berberi, a esaltare - senza parole, con la condizione di vita - l’eguaglianza di dignità. È l’aurora di una nuova età, di uno squarcio rivoluzionario anche sui sentieri missionari. Charles non conosceva certo la parola “inculturazione”, né tanto meno l’espressione “pre-evangelizzazione”. Ma questa è la sua anticipazione nella lettura dei segni dei tempi: prima di evangelizzare, amare. Prima di declamare a parole l’Annuncio, viverlo senza vanto, senza diversità, senza altoparlanti, senza privilegi, nella propria carne. Così i tuareg cominceranno a chiamarlo il “Marabutto (cioè l’uomo della preghiera, l’uomo di Dio) bianco”. Insomma, il contrario del proselitismo. Nel deserto del Sahara, fratel Carlo si costruì un piccolo eremo, dove si pregava, si lavorava, si leggeva il Vangelo, si accoglievano ospiti di ogni tipo, cioè un porto di mare… in pieno deserto. Studiò la lingua dei tuareg e lavorò 7 a tradurre in quella lingua il Vangelo. E proprio negli anni del massimo impegno di fratel Carlo sulla frontiera difficile e inedita del dialogo cristiano-musulmano, il rinascere del colonialismo delle grandi potenze europee creò tensioni, conflitti in Africa. Il “Marabutto” amato dai tuareg, che riscattò schiavi, che impose il suo stile di vita, non la sua dottrina e la sua cultura, cadde martire della crudeltà della guerra tra bande rivali. L’uomo del dialogo, come accadrà per Gandhi, come accadrà per tutti i profeti dell’incontro e della tolleranza, versò il suo sangue. Massimo Epis della Facoltà Teologica dell’Italia Setten. (Mi) ha affrontato la figura di Edith Stein. Nata nel 1891 in una famiglia ebrea di Breslavia, è stata una tra le menti più lucide della filosofia tedesca. Dopo la difficile scelta di diventare cristiana, la sua promettente carriera scientifica fu definitivamente interrotta dal nazismo nel 1933. Entrò nel Carmelo di Colonia e vi resterà fino al 1938, quando venne trasferita in Olanda per sottrarla agli uomini della gestapo. Il 2 agosto 1942 fu, però arrestata insieme alla sorella, alla quale Edith rivolse queste ultime parole: <<Vieni, andiamo ad immolarci per il nostro popolo>>. Fin dal tempo degli studi, la ricerca della verità fu decisiva per la Stein. Dapprima la cercò nella psicologia e nella filosofia. L’incontro con i filosofi Husserl, Scheler, Reinach le fece conoscere il mondo cristiano. Esperienza travolgente fu per lei scoprire che la fede in Gesù Cristo crea vincoli di familiarità e di amicizia fra le persone prima estranee e dona ai credenti una forza di amare e una conoscenza di sé che non aveva mai sperimentato. La morte di un suo caro amico le aveva fatto provare con improvvisa consapevolezza la forza della croce. Ma solo un lungo conflitto Dall’Eremo interiore, a seguito della lettura dell’autobiografia di Santa Teresa d’Avila, la porterà ad accettare l’esistenza di un Dio personale che ama. Fin da quando Hitler prese il potere, E. Stein capì quale destino sarebbe stato riservato all’ebraismo europeo. Come ebrea e come cristiana, Edith si sentiva chiamata a rappresentare il suo popolo davanti a Dio, intercedendo per esso con la preghiera e il sacrificio. Pensava di poterlo fare nel modo migliore nel Carmelo, perché per lei questo significava rinunciare a sé come Gesù, partecipare alla sua opera di redenzione. La persecuzione degli ebrei era per E. Stein la persecuzione dell’umanità di Gesù. Seguendo l’esempio di Cristo, vedeva la possibilità di vincere il male con il bene. Vincere il male non significava per lei fuggire la sofferenza, ma prenderla su di sé nella forza della croce, in segno di solidarietà con gli altri e per gli altri. Dopo nove anni di vita religiosa nel Carmelo le fu chiesto ciò che fino a quel momento aveva vissuto segretamente: il sacrificio per i fratelli come testimonianza in nome di Gesù Cristo. Nell’ultimo incontro Fra Rosario Scognamiglio o.p. ha presentato la figura di Padre Yves Congar o.p. Nato a Sedan (Ardenne) nel 1904, Congar entra a ventun anni nell’ordine domenicano con il nome di Marie-Joseph ed è ordinato sacerdote nel 1930. Studioso di ecclesiologia con un forte interesse ecumenico, insegna e pubblica opere importanti per lo sviluppo della teologia contemporanea, ma a causa di posizioni considerate troppo avanzate, tra il 1947 e il 1956 subisce da parte delle autorità ecclesiastiche misure che arrivano alla sospensione dell’insegnamento. Riabilitato dall’inizio degli anni sessanta, diviene uno dei protagonisti del Concilio e del postconcilio, nonostante una ma- Dall’Eremo lattia che si manifesta proprio durante il Vaticano II e finisce per ridurlo su una sedia a rotelle. Creato cardinale nel 1994, l’anno successivo muore a Parigi. Congar è stato un ecumenista non solo rinchiuso nella sua cella a studiare ma capace di azione, di dialogo con i protestanti e gli ortodossi, che sentiva il “peso e la responsabilità delle separazioni” tra le chiese cristiane. Padre e ispiratore del Concilio Vaticano II, ha saputo costruire nuovi ponti di dialogo con il laicato e spingere la Chiesa cattolica, attraverso i suoi scritti e i suoi gesti, verso “un cammino ecumenico di riconciliazione” con le altre confessioni cristiane. Congar, con la sua opera “Credo nello Spirito Santo”, ha ridato centralità alla terza persona della SS. Trinità, fondamentale per gli ortodossi e protestanti. Ha contribuito indubbiamente a promuovere il ruolo e l’importanza del laicato nella Chiesa. 8 Ma terreno privilegiato di studio e di azione per Congar è stato il suo tentativo di dialogare e di comprendere le ragioni delle divisioni tra cristiani. Questioni che hanno assorbito buona parte dei suoi anni di studio di teologia. La grande intuizione che ci lascia è che concetti come “unità” e “diversità” devono camminare insieme. Ricordava spesso: <<Se vuoi essere cattolico devi essere unito nella diversità e diverso nell’unità>>. L’eredità che ci lascia Congar è sicuramente il suo grande sforzo di cercare di capire le ragioni degli altri, ma soprattutto di ascoltarli. E capire, pensare costa fatica e studio: è il prezzo della Verità. Da autentico ecumenico e cattolico qual era, cercò sempre di comprendere, come amava dire “l’ermeneutica delle differenze” dei fratelli separati. VINCENZA BELOTTI INCONTRO CON FRA FIORENZO PRIULI CHIRURGO IN BENIN “La gran parte di voi mi conosce solo come chirurgo che taglia e cuce giorno e notte, ma sono prima di tutto un religioso che ha avuto la grazia di essere chiamato a questo dono dal Signore, che è contemporaneamente un dono per i fratelli, per quelli che soffrono.” Con queste parole il 23 maggio scorso è iniziata la serata con Fra Fiorenzo Priuli, religioso dei Fatebenefratelli, nativo di Capo di Ponte e chirurgo in Togo e Benin da quasi 40 anni. In Italia per eseguire terapia riabilitativa a seguito di una grave frattura al femore operata con successo in Africa, è riuscito a ritagliarsi pochi giorni liberi da passare in ritiro all’Eremo di Bienno e, subito, ne abbiamo approfittato per organizzare un incontro che ha visto una buona partecipazione di pubblico e l’interesse delle emittenti televisive locali. Ospiti d’onore Fra Luca Beato, vicepresidente dell’U.T.A. (organizzazione onlus che si occupa del reperimento di fondi per gli ospedali africani dei Fatebenefratelli), Don Maurizio Funazzi, Dall’Eremo responsabile della Pastorale della Salute della Diocesi di Brescia, ma soprattutto un nutrito gruppo di ragazzi del catechismo di Piamborno e di Borno, che nel corso dell’anno avevano intrapreso delle iniziative a favore di Fra Fiorenzo, accompagnati da Don Giovanni Isonni, vero artefice della serata. La realtà sanitaria e sociale che Fra Fiorenzo ci ha fatto conoscere, e che è purtroppo comune a buona parte del continente africano, si caratterizza per una quasi totale mancanza di assistenza sanitaria (per lo meno per come la intendiamo noi) con pochi e mal gestiti ospedali pubblici, i quali di fatto però non sono accessibili, per motivi economici, alla gran parte della popolazione. In queste realtà le migliori e più economiche prestazioni sanitarie vengono proprio dagli ospedali religiosi, da quelli cattolici in particolare. La scelta dei Fatebenefratelli, negli anni 60, di realizzare ospedali in Africa è diretta conseguenza della “scelta degli ultimi” che ha sempre caratterizzato l’ordine, secondo Dall’Eremo l’esempio del Santo Fondatore Giovanni di Dio. Citando Fra Fiorenzo: “Se facciamo un ospedale “cattolico” lo facciamo per tutti. Ai poveri che ricorrono ai nostri ospedali non chiediamo che si convertano al cristianesimo per essere curati gratuitamente. Il buon samaritano ha curato il ferito senza fargli alcuna predica!!.” L’Ospedale Saint Jean de Dieu a Tanguietà, di cui Fra Fiorenzo è responsabile (o, come ama dire lui, “dove ho il privilegio di servire”) è situato nel nord del Benin, nella regione dell’Atakorà, vicino al confine con il Burkina Faso. E’ una zona che risente del clima del Sahara, con una sola stagione delle piogge della durata di quattro mesi. Il raccolto perciò è uno solo ma se, come è avvenuto l’anno passato, le piogge terminano prima del tempo, molti cereali non arrivano a maturazione e vi è carestia, con conseguente malnutrizione, soprattutto grave per i bambini. 10 Tanguietà è l’unico Ospedale in una zona sanitaria che conta circa 200.000 abitanti, ma la sua fama ha superato i confini locali ed a Tanguietà ormai arrivano pazienti da tutto il resto del paese e dagli stati vicini (principalmente Burkina Faso, Togo e Niger). L’attività è ovviamente intensa: per dare solo un’idea numerica è stato valutato che ogni giorno transitano dal cancello dell’Ospedale circa 5000 persone!! I pochi medici africani che prestano servizio continuativo svolgono dei turni massacranti tanto che molti, appena possono, scappano in ospedali più tranquilli. Le sedute operatorie contano in media 2530 pazienti e non ho mai visto l’ambulatorio di Fra Fiorenzo terminare alla sera prima delle 22. Fortunatamente Fra Fiorenzo, con una attività instancabile, è riuscito a tessere una rete di volontari europei che si recano con regolarità in Africa a portare il proprio aiuto: particolarmente importanti sono 11 gli accessi di alcuni “superspecialisti” (chirurghi plastici, chirurghi pediatrici, ortopedici, oculisti, odontoiatri ecc.) che permettono di trattare con successo tante patologie impegnative. Sempre particolarmente affollata è la Pediatria che sulla carta ha 90 letti ma in Africa i letti non contano: è sufficiente una stuoia per terra! E così si contano spesso più di 180 bambini ricoverati, tutti per gravissime patologie (malnutrizione, malaria, infezioni, morsi di serpente, ecc.). Dalla fine degli anni ‘80 anche a Tanguietà ha fatto la comparsa l’AIDS. E’ una gravissima piaga particolarmente per il continente africano, per la quale Fra Fiorenzo continua ad impegnarsi moltissimo e, attraverso rapporti con strutture di ricerca europee (francesi, svizzere ed italiane), l’Ospedale è divenuto un centro di riferimento dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità), con centinaia di pazienti in trattamento. Dall’Eremo BIOGRAFIA DI FRA FIORENZO PRIULI Nato a Cemmo di Capo di Ponte nel 1946 entrò in collegio dei Fatebenefratelli con l’intento tutto umano di diventare carrozziere ma ne è uscito con il progetto divino di consacrare la sua vita a Dio, dedicandosi alla cura degli ammalati e dei poveri. Nel 1969, dopo avere ottenuto il diploma di infermiere professionale, partì per Afagnan (Togo), dove soltanto da pochi anni era stato aperto l’ospedale dei Fatebenefratelli. Fra Fiorenzo si dimostrò subito un volontario instancabile, sempre pieno di entusiasmo e di premure verso gli ammalati, capace di adattarsi ad ogni situazione all’interno del centro ospedaliero, sia in ambulatorio che in sala operatoria. Proprio in virtù di questa sua versatilità e disponibilità acquistò la totale fiducia del Padre Priore, Fra Onorio Tosini, il fondatore e costruttore dell’ospedale. Purtroppo fu costretto ad un forzato rientro in Italia per un periodo di cure e riposo quando, a causa del clima e del superlavoro, si ammalò di tubercolosi. Fra Fiorenzo allora approfittò del tempo libero per portare avanti e poi concludere gli studi di medicina iniziati da tempo, grazie ai quali pensava di poter essere maggiormente utile al suo rientro in Africa. Il suo ritorno in terra di missione coincise con un deciso aumento del carico di lavoro, poiché nel frattempo era stato aperto il nuovo ospedale di Tanguietà (Benin), ad opera di fra Tommaso Zamborlin. Fra Fiorenzo iniziò allora ad alternare la sua presenza nelle sale operatorie dei due ospedali. Grazie alla tenacia del suo carattere, Fra Fiorenzo in questi anni ha saputo dedicarsi anche alla ricerca, pur tra mille difficoltà e con mezzi assai limitati. E’ stato così che ha scoperto le proprietà terapeutiche di una comune erba, la Kinkelibà (Combretum micranthum) che cresce spontaneamente e in abbondanza in Africa, e ha dimostrato le straordinarie proprietà sui malati di AIDS e di epatite, in alternativa ai costosissimi farmaci prodotti nei paesi occidentali. La preparazione professionale di Fra Fiorenzo ha valicato i confini dei Paesi i cui lavora, tanto che l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) lo convoca periodicamente nella sua sede di Ginevra in qualità di esperto di malattie tropicali. Nel 2002 Fra Fiorenzo ha avuto il conferimento della “Legion D’Onore” da parte del console francese in Togo. Si tratta di un’alta onorificenza concessagli per gli elevati meriti raggiunti in ambito sanitario. Nel 2004 a Brescia ha ricevuto il premio “Cuore Amico” dall’omonimo istituto, una sorta di premio Nobel per la solidarietà. (tratto da “Africa nel Cuore”, UTA onlus, 2006) Dall’Eremo Un’altra importante intuizione di Fra Fiorenzo è stata quella di integrare la medicina occidentale con le terapie tradizionali africane praticate dai guaritori nei villaggi. Questo ha consentito da una parte di ridurre la naturale diffidenza degli abitanti verso i trattamenti ospedalieri, particolarmente quelli chirurgici, dall’altra di scoprire come delle sostanze di origine vegetale possano essere addirittura più efficaci dei nostri farmaci in alcune situazioni cliniche. In particolare alcuni estratti (come il Combretum Micrantum o il Coclospermum Tinctorium) hanno dimostrato un evidente effetto benefico nel trattamento delle epatiti e anche dell’AIDS, tanto che 12 molti pazienti anche in Italia assumono con vantaggio questi infusi restando in contatto via e-mail con Fra Fiorenzo (che dedica a queste corrispondenze buona parte della notte!!). Concluderei con una altra citazione da un articolo scritto da Fra Fiorenzo per la rivista del PIME Mondo e Missione (Gennaio 2007) che sintetizza il suo modo di essere religioso e medico e che ben si integra con la frase con cui abbiamo iniziato: “Non esistono le malattie, ma esistono i malati da curare!!” (il testo completo, cui si rimanda per documentazione, è reperibile sul sito www.mondoemissione.it) ROBERTO CAZZANIGA CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI PER LAICI AGOSTO 2008 “Non contano gli avvenimenti che si vivono nella vita… conta ciò che attraverso di essi si diventa” (Hetty Hillesum Auschwitz 1943). Ad agosto all’Eremo di Bienno, mons. Francesco Beschi ha guidato l’esperienza degli esercizi spirituali per giovani e laici. Il titolo all’origine era “La chiamata di Dio”, ma poi ha vissuto una mutazione in “Un posto una preghiera: un viaggio attraverso alcuni luoghi evangelici, in ogni posto si può pregare e ogni posto ha la sua preghiera”. Eravamo circa 50 persone dai 20 ai 70 anni, un gruppo vario, bello… e questa diversità ha arricchito molto. Il nostro vescovo ausiliare ha spezzato la Parola e scandito in maniera stupenda e unica la Grazia del tempo degli esercizi. E’ stato un meraviglioso strumento (come lo definirebbe Madre Teresa) nelle Sue mani… è proprio un uomo del Signore che cammina in mezzo alla gente. La prima tappa è iniziata con la sorgente: Ain karim (Lc 1,39) introducendoci così nella geografia spirituale dell’incontro. Maria che dopo aver accolto in se la Parola dell’Angelo si mette in cammino “in fretta“ per visitare a Elisabetta. Già in questo passaggio è stupendo vedere la grazia del rilancio (come Beschi l’ha definito): questa donna che raccoglie e accoglie il Suo dono, la Sua Parola e, affidandosi e fidandosi, si mette in cammino per giungere alla meta. Tutto questo movimento porterà all’incontro tra le Dall’Eremo due donne - che è grazia - dove esploderà una grande gioia. Ed è proprio questa esperienza la scintilla che farà nascere il primo Magnificat di Elisabetta per Maria, e poi quello di Maria per il Suo Signore. Nel credo di Maria (percorso dallo spirito dei poveri) confluisce l’intensità della nostra esperienza personale, intima con il Signore e la grandezza della storia della salvezza (il Suo Amore abbraccia la nostra povertà). La seconda tappa visitata è stato il pozzo Giacobbe (Gv 4,1-16), pozzo visto come luogo d’incontro e di decisioni importanti. Molto bella è stata la descrizione esistenziale della terra di Galilea: terra della quotidianità che occupa la maggior parte della nostra realtà, è qui l’autenticità della vita, nei piccoli gesti di ogni giorno che non sono scontati e che tante volte necessitano d’un senso. La Samaria: terra di tensioni quelle non vorremmo mai perché logoranti, luogo della conflittualità che necessita obbligatoriamente d’essere attraversata per raggiungere la meta, per camminare qui indispensabile è il perdono e l’accoglienza. La Giudea: terra dell’autenticità, dove le parole diventano vere - la passione, la croce e la Resurrezione di Cristo - per vivere qui fondamentale è il dono di sé. Dopo queste “descrizioni territoriali” abbiamo “incontrato la sete”: “Dammi da bere” bisogno che Gesù esprime ad una peccatrice, bisogno che necessita d’essere soddisfatto per rimanere in vita. E lascia senza parole l’evolversi di questo dialogo tra il Maestro e la sa- Dall’Eremo maritana poiché il bisogno espresso approda nella nascita del desiderio di questa donna di bere l’acqua che solo Lui può dare, poter bere di quest’Acqua viva. Riempie di gratitudine vedere che è proprio in questa terra ostile, di contraddizioni, di difficoltà, di limiti, di povertà che il Signore ci aspetta al pozzo per incontrarci, sostare con Lui e soprattutto dissetarci con quell’Acqua fondamentale per continuare il cammino. A quest’incontro mons. Francesco ha affiancato il salmo 63 “O Dio Tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di Te ha sete l’anima mia”. La sete è una condizione molto frequente, che a volte può nascere anche dall’ ”aridità” di certe nostre giornate dove non si riesce a tirar fuori nulla. Questa condizione può essere dissetata solo da una Persona, Lui: Gesù. E’ Lui la Sorgente della vita, è Lui la Presenza nelle giornate povere e modeste, è Lui la Speranza quando la vita contraddice. La Relazione che Dio ha con noi è Grazia ed è all’interno di essa che si trova il significato a ciò che si fa… ed è questa grazia che ci ridà vita. Il terzo luogo visitato è stato il Calvario (Mc 14-15), la passione di Gesù. E’ un affresco immenso e impregnato di gesti, parole, immagini, emozioni, sentimenti, desideri, paure, sofferenze, ma soprattutto d’Amore. Beschi ha dispiegato questo luogo del calvario “sotto il segno “dell’umiliazione”; quel Dio che “umiliò” se stesso fino alla morte di croce, quel Dio che vive l’umiliazione del tradimento di Giuda, nell’abbandono, nella privazione della libertà, nell’umiliazione fisica e verbale, nell’irrisione. Lui il Giusto assoluto condannato a morte come un peccatore. Lui l’uomo della gioia che ha incantato il popolo e l’uomo che ha ripetuto fino all’infinito “non abbiate paura“, Lui che nel Getzemani prova angoscia, paura, tri- 14 stezza. A far da cornice a questo affresco è stata la stupenda lettera di Pietro sulla gioia della sofferenza. E’ nella prova, nella sofferenza, nella tribolazione che ci viene donata la Grazia di poter vivere una piccola briciola della Sua Passione. Al luogo del Calvario Beschi ha affiancato il salmo 21 “Mio Dio, Mio Dio, perché mi hai abbandonato”. Questo salmo “è diviso” in due parti, nella prima vi è la dichiarazione sofferta della lontananza di Dio (l’esperienza della sofferenza, della prova del buio dell’abbandono della morte che si sperimenta quando siamo vivi), nella seconda la dichiarazione meravigliata della vicinanza con Dio. Gesù passa di qui, Lui vicinissimo ai vissuti della gente, Lui che è venuto per la vita e non per le teorie…; è solo Gesù il Dio che è sceso in terra, entra nella notte e grida: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato!”. In mezzo a questa sofferenza, dove Dio tace, Lui ricorda…, descrivendo con parole dolcissime la maternità del Padre. Ma è proprio da questa situazione di abbandono che si viene esauditi, e questo permette di rinascere “e io vivrò per Lui”, ecco l’esaudimento del grido! Lui farà vivere anche quando sarò morto, poiché nella relazione con Lui vivrò. Siamo quindi arrivati all’ultima meta: il sepolcro e l’incontro con Maria di Magdala: (Gv 20) maestra di speranza. Che immagine questa donna!! Sono righe che ribaltano le viscere, fanno straripare il cuore di gioia e invadono di felicità. Una peccatrice che incontrando Gesù fa l’esperienza di Lui e questo le cambia la vita: capisce che solo Lui è il suo Signore, riponendo in questa Relazione speranze e aspettative. Maria che entrando nella notte della fede (la morte del suo Signore), si reca di buon mattino al sepolcro e scopre che quella pietra che sembrava volesse 15 chiudere una storia, una speranza è ribaltata. Corre quindi a raccontarlo ai discepoli i quali si recano pure loro sul luogo dell’accaduto, vi entrano, ma non capiscono e se ne vanno (comprendere é proprio Sua Grazia). Solo lei rimane e piangendo ha il coraggio di guardare fino in fondo al sepolcro vuoto (attraversando così il dolore) nella speranza di “vedere qualcosa”, e ciò che fa non è vano perché ad attenderla ci sono gli angeli. Di seguito avviene l’incontro con il Risorto che inizialmente la donna scambia per il giardiniere, solo nel momento che Lui pronuncia il suo nome lei Lo riconosce: “Maria!…”, qui c’è tutto: la vita di questa donna, il passato, l’esperienza con Gesù. Il Risorto pronunciando il suo nome arriva al cuore di Maria, ricolmando la speranza provata nel sepolcro: la Sua chiamata porta a vivere! Il salmo 45 fa emergere ciò che veramente conta: la relazione del Re con la Regina, è quest’ultima che investe il suo Re e i due troni possono essere occupati solo da loro. Da sfondo a questo salmo, le parole del cantico dei cantici ci hanno accompagnato e non solo “Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore”. Vorrei chiudere con una frase che Mons. Francesco Beschi ha condiviso con noi Dall’Eremo alla fine di questa intensissima esperienza: “Una persona ha bisogno di una buona ragione per vivere e la migliore ragione è un’altra Persona”. PAOLA “VERREMO” … SIAMO VENUTE E FIORIRÀ L’AMORE “Verremo”, così da Lovere avevamo scritto agli Amici dell’Eremo, vent’anni fa. “Verremo e pianteremo lassù un piccolo e umile germoglio francescano-clariano; e fiorirà per l’Amore che Dio gli ha preparato da sempre”. Siamo venute e - a distanza di vent’anni possiamo dire che per quell’Amore questa pianticella, qui in Bienno, ha posto le radici e pian piano ha cominciato a fiorire. Per quell’Amore noi, Sorelle Povere di Santa Chiara, abbiamo avuto la forza di lasciare ogni sicurezza, per seguire una nuova chiamata di Dio e iniziare una nuova missione, in questa Porziuncola di colle camuno (Vescovo Bruno Foresti). “La Chiesa ci manda, avevamo scritto; la Chiesa che ci è madre e maestra, nella persona del nostro amato Vescovo, ci ha parlato di missionarietà”. Partire da Lovere per giungere a Bienno non è stata una grande e difficile impresa, non ha comportato le fatiche di un lungo e avventuroso viaggio missionario. E non si è trattato di approdare in una Valle non cristiana. Anzi! Collocate sotto l’abbraccio della grande statua di Cristo Re, ci siamo trovate in una terra di Santi e di Beati, con comunità cristiane fervorose e impegnate. “Che significato può avere questo essere mandate come presenza claustrale nel cuore della nostra Valle?”. Già allora ci eravamo interrogate sul senso di questo tipo di missione, dal momento che la nostra forma di vita contemplativa, secondo il Vangelo del Signore Gesù, si realizza nel Dal Monastero vivere comunitariamente la preghiera della Chiesa, in unità di spiriti e in francescana letizia. E dicevamo che sembra quasi un paradosso parlare di missione, dal momento che la cornice esterna della nostra vita è la clausura. “Qui siamo collocate dall’Amore, per sua grazia, in una zona di miracolosa libertà. Non la libertà di fare quello che si vuole, ma la libertà di volere nell’Amore tutto quello che si fa”, ogni giorno, nell’amore fraterno e nella lode a Dio, che ci ha amato per primo. Quindi, la libertà di esistere per Dio! Con queste convinzioni, vent’anni fa, siamo venute a Bienno, “pellegrine nella fede e nella speranza, per testimoniare una sola realtà: Dio ci ama; la sua costante tenerezza avvolge ogni esistenza”. SORELLE CLARISSE 8 Ottobre 1998, le monache clarisse entrano nel Monastero accanto all’Eremo. VENT’ANNI … DI GRATITUDINE AL SIGNORE Da vent’anni abitiamo questo piccolo monastero, costruito in fretta per noi, dopo un lungo e faticoso “iter” di discernimento, e ora affidato alla nostra cura. Da vent’anni la nostra Fraternità, con la preghiera della Liturgia delle Ore, loda l’Altissimo, onnipotente e bon Signore e lo prega per tutti e per ciascuno, nel nome di Gesù, nostro fratello e redentore, che ogni giorno viene a noi nella celebrazione dell’Eucaristia. Nel cammino di questi vent’anni si sono intrecciati momenti di gioia e di sofferenza, di salute e di malattia, di fatica e di riposo, ma sempre abbiamo vissuto e sperimentato quell’unico messaggio, che fin dall’inizio abbiamo a tutti annunciato: “Dio ci ama; la sua costante tenerezza avvolge ogni esistenza”. Il Signore ci ha fatto crescere nella nostra Forma di vita e sempre ci custodisce nella via del Vangelo, ci educa al dono e al perdono, all’ascolto e al dialogo, al servizio e al lavoro, al silenzio e al canto, alla responsabilità e all’obbedienza. Non sono tanti vent’anni di vita per un monastero! Decisamente, sono pochi! Infatti, cosa sono i nostri 20 anni, rispetto ai 500 anni del monastero di Lovere, rispetto agli 800 anni di Francescanesimo, rispetto ai 2000 anni di Cristianesimo? Sono pochi! Eppure, per noi, Clarisse di Bienno, vent’anni sono già tanti! Per questo abbiamo desiderato celebrarli. Per ricordare … e dire grazie Per ricordare i benefici ricevuti e dire grazie al Signore, che ci ha custodite. Per ricordare tutti i Vescovi e Sacerdoti della Dal Monastero nostra Diocesi, e dire grazie alla Chiesa, che ci ha sostenute. Per ricordare i vari Direttori e Suore dell’ Eremo, che ci hanno accompagnato e dire grazie per la quotidiana celebrazione dell’Eucaristia e altri momenti di preghiera e di formazione spirituale, biblico - teologica. Per ricordare i Parroci, i Sacerdoti e tutta la comunità di Bienno e dire grazie per la preghiera, l’aiuto e la vicinanza fraterna sempre dimostrata. Per ricordare i Padri Cappuccini dell’Annunciata e di Lovere, e tutti i Frati Minori, e dire grazie per la presenza fraterna, l’assistenza spirituale e la condivisione dell’unico carisma francescano. Per ricordare tutte le persone che ci sono affidate e dire grazie alle nostre Sorelle di Lovere e ai tanti parenti, conoscenti, amici e benefattori, che ci sono stati vicini in diversi e molteplici modi. E infine … per riflettere sulla vita consacrata. Insieme a don Renato Musatti, direttore dell’Eremo, abbiamo pensato di proporre, nel mese di ottobre, alcune iniziative per festeggiare il nostro anniversario e per riflettere sul tema: “La vita consacrata oggi nella Chiesa”. Sabato 4 ottobre, abbiamo vissuto con le Religiose, i Religiosi e i Sacerdoti della Valle Camonica un Ritiro spirituale, guidato da Padre Luigi Guccini, dehoniano. Madre Chiara Amata ha introdotto questo incontro con un saluto fraterno e una breve presentazione del Relatore, esperto e testimone del cammino e dell’evoluzione della Dal Monastero vita consacrata nel post-Concilio, sia in Italia che a livello internazionale. Quindi ha detto: “Abbiamo pensato a questo tema, perché crediamo che la vita consacrata, radicata nelle fragranti parole del Vangelo, abbia ancora molto da dire nella Chiesa e nel mondo, ma si trova in una fase di evidente difficoltà e di fatica. Insieme possiamo aiutarci a scoprire e a mettere in atto meglio le nostre risorse, a servizio di Dio e del suo popolo”. P. Luigi Guccini, nella sua ampia relazione su “La vita consacrata oggi: difficoltà e prospettive”, si è soffermato sui vari aspetti, mettendo in risalto la dimensione apostolica di ogni forma di vita religiosa, anche di quella claustrale, auspicando un rinnovamento sia della vita spirituale, sia della capacità personale e comunitaria di discernimento, per vivere nell’oggi la volontà del Signore, come si dispiega nel Vangelo. La vita consacrata affonda le radici nel mistero di Dio ed è un dono per la Chiesa e per il mondo: “offre un servizio di magistero spirituale, un supplemento d’anima, che lascia presagire la potenza dello Spirito, che lavora i cuori, aprendoli al regno di Dio”. Mercoledì 8 ottobre, giornata di ringraziamento per il 20° anniversario di Fondazione del nostro monastero. La S. Messa del mattino è stata celebrata dal direttore dell’Eremo, don Renato Musatti, con sentimenti di intensa gratitudine a Dio per la nostra presenza, accanto all’Eremo; alla sera è stato innalzato un grande grazie al Signore, con l’Inno Akathistos in onore di san Francesco d’Assisi. Significative le parole della madre: “Oggi, 8 ottobre 2008, siamo esattamente a 20 anni di distanza da quell’ 8 ottobre 1988, in cui ebbe inizio il cammino della nostra fraternità qui a Bienno. A memoria di quel giorno benedetto ci riuniamo questa sera in preghiera, una preghiera dolcissima di lode, a onore del nostro padre san Francesco, dal quale ebbe inizio, 18 ottocento anni fa, la storia dei frati minori e delle sorelle povere. Con questa preghiera vogliamo esprimere al Signore la nostra gratitudine per quanto egli ha compiuto nella nostra fraternità e - oltre la nostra fraternità - in tutti coloro che hanno ascoltato il suo vangelo, nel corso di questi anni; e vogliamo chiedere il suo aiuto per crescere ogni giorno di più nel bene”. La celebrazione, caratterizzata da preghiere, invocazioni, incenso, musica e canti, è stata animata dai frati minori: fra Paolo Ferrario, fra Francesco Metelli e fra Stefano Dallarda. Sabato 11 ottobre, nel pomeriggio presso l’Eremo si è tenuto un Convegno sulla vita consacrata, coordinato dal nostro Assistente, fra Stefano Dallarda. Poche le persone presenti, ma folto il gruppo dei giovani novizi dei Frati Minori di Baccanello, che hanno dato gioia ai due relatori invitati: padre Ermes Ronchi, dei Servi di Maria, e fra Fabio Scarsato, dei Frati Minori Conventuali. 1° - Padre Ermes Ronchi ha parlato della vita consacrata sul tema: “Esistere per Dio, per guarire la vita”. Una relazione, ascoltata col fiato sospeso, per la sua densità spirituale, biblico – esistenziale. P. Ermes ce l’ha lasciata, quindi è disponibile se qualcuno desidera leggerla. I temi trattati sono questi: “Introduzione. I. Esistere per Cristo. Perché vivere per Dio? Per una vita buona, bella e beata. II. Guarire. Il triplice male di vivere e i tre voti. Guarire da violenza e menzogna, dalla sclerokardia, con la scelta della fragilità, con povertà ed essenzialità: meno opere e più gesti. Conclusione. Segno di contraddizione. Ombra e sole”. Qui riportiamo solo alcune affermazioni iniziali e conclusive: “Il monachesimo è l’estasi della storia. La vicenda umana non basta a se stessa. Ci sono momenti in cui la storia ha bisogno di 19 estasi, ha bisogno cioè di uscire da se stessa, ex-stare, attraverso spazi che sfuggono alla logica, alla dittatura dei numeri e alla tirannia della quantità, (…) qualcosa come la poesia, il sogno, l’amore, il sacro, la bellezza: sono delle falle, delle brecce di luce. Dicono che il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. La storia ha bisogno di estasi. Il monachesimo è il punto in cui la storia dell’uomo diviene estasi, esce dalle leggi che si è data, e lo fa attraverso la fragilità del monaco rispetto all’uso della forza, la sua marginalità rispetto al centro del potere, per la scelta del paradosso come misura di vita, per la contestazione silenziosa del sistema-mondo, per lo sguardo nuovo sul cuore delle cose, per il suo centro altrove. Ma soprattutto, per la divina seduzione.(…) Molte e diverse le seduzioni di Dio, eventi di mistero che non 29 Giugno 1986, posa della prima pietra del Monastero. Dal Monastero risparmiarono nessuno: pescatori ed esattori di imposte, nemici di Dio, re e regine, cavalieri e tessitori, uomini e donne insospettabili. Ma continuerò a dimenticare quanti si appagarono del divino amore. Quanti si scoprirono amanti, amati e amabili e si rifugiarono nelle piaghe di Cristo. Quanti si scoprirono feriti e poi Colui che si era fatto feritore sparì, forse per divenire con più forza l’atteso. Ad alcuni fu concesso di contemplare il fuggitivo e di unirsi a Lui in qualche glorioso istante. A molti rimase la ferita che palpitava nel fondo di loro stessi. Lo cercarono non aspettandosi nulla in cambio se non Lui medesimo. (…) Il monachesimo è esistere per questo divino seduttore, esistere per Dio (estasi quindi) per guarire la storia. Unica è la vocazione di tutti gli esseri umani, avere la vita in pienezza: Dal Monastero sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Il monachesimo, la clausura, il missionario, il frate anonimo, l’eremita, la monaca hanno la medesima unica vocazione: vivere in pienezza. ( … ) Un’immagine mi ha accompagnato nella preparazione di questa riflessione: l’ombra di Pietro, l’ombra che guarisce: negli atti degli apostoli è detto:“Portavano i malati al passaggio di Pietro affinché almeno la sua ombra li sfiorasse e chi ne era sfiorato, guariva”. Pietro non dice una sola parola: passa e la sua ombra silenziosa, meno di un soffio, meno di un gesto, sfiora, guarisce, dà pace, rimette in cammino. Ombra è una immagine che la Bibbia conosce bene: l’ombra di Dio sulla tenda dell’Alleanza nel deserto, l’ombra sulla vetta del Sinai, l’ombra del Dio che passa davanti alla grotta di Elia, l’ombra dello Spirito sulla ragazza di Nazareth, l’ombra del Calvario da mezzogiorno alle tre. Il più umile dei segni! Passa Pietro e non lo accompagnano leggi o troni, né il potere della sapienza, né quello dei libri, tanto meno quello della spada, passa la prima Chiesa tra i malati ed è un’ombra, un ricordo del sole, una fame di sole. La bellezza della Chiesa quando bastava un’ombra ed era piena di sole! Il monastero di Bienno è come l’ombra di Pietro, stende la sua ombra benefica sulla 20 valle, sui paesi, sui cuori, sul male di vivere. Lo farà nella misura in cui sarà pieno di Sole. Questo è il mio augurio celebrando questi 20 anni di grazia: davanti al Sole non c’è nulla di meglio che essere nulla, pura trasparenza come l’aria. Che possiate essere un’ombra pur piccola, proiettata da creature, da donne che sono piene di sole”. 2° - Fra Fabio Scarsato ha tenuto la sua relazione sul tema: “Con Francesco e Chiara seguire Gesù”. Riportiamo alcune significative domande iniziali: “Data la vocazione cristiana, c’è un modo, una strada tutta francescana per realizzarla? Da che cosa si distingue la vocazione francescana, e perciò la vita religiosa francescana, da tutte le altre? Quali sono le sue accentuazioni particolari? Che proposte originali fa rispetto, ad es. alla vita religiosa gesuitica, benedettina, ..?”. Fra Fabio ha svolto il suo discorso attingendo ampiamente alle Fonti Francescane e ha spiegato che il Vangelo è la vocazione di Francesco e Chiara. A coloro che andavano da loro a chiedere di vivere la loro stessa vita, sapevano proporre solo una cosa: Andiamo a chiedere consiglio al Signore. Il Vangelo non è per Francesco e Chiara un bel libro di meditazioni spirituali, ma una persona che ha qualcosa da dirci e soprattutto da farci vivere: vieni dietro a me. La novità francescana è stata l’aver creduto sul serio che il Vangelo potesse essere vissuto. Credere che si può essere cristiani. “Non solo essere di Cristo, ma divenire Cristo: questo non è solo semplice risonanza di paradiso perduto, ma è promessa sempre offerta ai cercatori di Dio. Il Vangelo è una proposta praticabile: è la promessa che ciascuno di noi può diventare alter Christus”. Al termine del Convegno, dall’ Eremo tutti i partecipanti sono venuti qui al Monastero, per il canto dei Vespri. Madre Chiara Amata ha ringraziato tutti e ha invitato a passare dalla riflessione alla celebrazione. “Cele- 21 brando i Vespri facciamo memoria della salvezza operata dal Signore Gesù Cristo e a noi offerta; e insieme impariamo ad essere Chiesa viva, che raccoglie e promuove tutte le vocazioni e le unisce nella lode”. Sabato sera, 18 ottobre, ci è stato offerto di vivere un momento di gioia e di elevazione spirituale. Con una parola di saluto la madre ha detto: “La musica, che questa sera ci viene offerta, sale a Dio come incenso prezioso di gratitudine e di lode e ci fa benedire il Signore per tutta la bellezza che ha profuso sulla nostra terra. Attingendo a tale fonte di bellezza,la musica ci aiuterà a cogliere il senso di questi giorni di festa che la nostra Fraternità sta celebrando, insieme a voi tutti, che in questi anni ci siete stati vicini in tanti modi, ci avete fatto sentire affetto e stima, avete pregato con noi e per noi e vi siete affidati al Signore anche tramite la nostra preghiera”. L’Orchestra ha eseguito brani di vari autori, con violini, viola, violoncello, contrabbasso, clavicembalo e tromba, ma il pezzo forte è stato il “Nisi Dominus” di A.Vivaldi, per contralto, archi e cembalo: “Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam”. Il salmo 126, a versetti distinti, suonati, cantati, ripetuti con armonie penetranti, ci hanno aiutato ad affidarci con fiducia al Signore, che opera nella nostra vita. Nel pomeriggio di domenica 19 ottobre, giornata missionaria mondiale, abbiamo avuto il momento conclusivo: la S. Messa di ringraziamento, presieduta dal Vescovo Ausiliare di Brescia, mons. Francesco Beschi, concelebrata da tanti nostri Sacerdoti e animata dal Coro Valgrigna di Esine. La Liturgia della Parola si è rivelata particolarmente adatta per la circostanza, come del resto sempre avviene, poiché la Parola di Dio è viva ed efficace. Dal Monastero L’omelia del Vescovo - a disposizione per chi desidera - ben articolata e onnicomprensiva, ci ha lasciato un messaggio forte: “La vita contemplativa, come testimonianza della radicalità del rendere a Dio quel che è di Dio”, e un augurio finale: “Splendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita”. Prima di concludere, madre Chiara Amata ha espresso il nostro ringraziamento per la corale e intensa partecipazione “a questa celebrazione, che ci ha tanto ricordato quella svoltasi venti anni fa, quando siamo state accolte qui a Bienno. In questi anni abbiamo vissuto tanti momenti di gioia e anche momenti di dolore, come quando è mancata suor Maria Pia, morta il giorno di Natale del 1993. In ogni tempo abbiamo sentito la vicinanza di voi tutti, l’interessamento della Diocesi, l’accompagnamento dei nostri fratelli Frati Minori. In particolare vogliamo ricordare la vicinanza delle nostre Sorelle di Lovere, che anche oggi sono qui, nella persona della madre Chiara Ivana e di suor Celina, la madre che ci portò qui vent’anni fa. Il cammino continua, il vangelo del Signore Gesù ci sta sempre davanti come un invito quotidiano alla festa della salvezza. E proprio al Signore Gesù, che ci parla nel vangelo, vogliamo portare l’attenzione nostra e di tutti”. Al termine di questi giorni di festa per il 20° di fondazione del nostro Monastero, una semplice preghiera ci risuona in cuore: “Signore, tu sei il mio Dio, voglio esaltarti e lodare il tuo nome, perché hai eseguito progetti meravigliosi, concepiti da lungo tempo, fedeli e veri” (Is. 25,1). SORELLE CLARISSE POSTE COME LUCE SUL MONTE DONO ALLA VALLE “Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti... Così risplenda la vostra luce davanti a tutti gli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt. 5, 14-15) Pensando alle sorelle clarisse del monastero di Bienno mi torna sempre alla mente questo passo evangelico perché mi sembra che l’immagine della luce caratterizzi molto bene il significato e il valore della loro presenza nel mondo e per il mondo. Fin da quell’ormai lontano 8 ottobre 1988 io ho percepito il loro venire e il loro essere poste su quel monte come qualcosa di bello, di profondamente autentico, l’ho visto come un dono di luce e di grazia che il Signore ha voluto regalare alla terra camuna perchè la sua Chiesa potesse risplendere in modo nuovo. Ed è stato proprio così. Ricordo quel pomeriggio d’autunno carico di luce e ricordo il convenire di molti fedeli, laici e religiosi, sul piazzale del monastero preparato a festa e poi il comparire silenzioso delle cinque sorelle che avrebbero dato vita alla nuova comunità. Le accompagnava la Madre Abbadessa Dal Monastero del monastero di Lovere da cui provenivano e furono accolte con uno scrosciante battimano della folla. Ho letto sul loro volto un non so che di sofferenza e non poteva che essere così di fronte ad un distacco radicale dall’ambiente dove avevano vissuto fino a quel momento, dalle sorelle con le quali avevano condivo già un buon tratto di strada ma non mancava neppure nei loro sguardi quella serenità che nasce dal profondo e, proprio per questo, c’è anche quando la storia è segnata dalla croce. Una consorella che era accanto a me mi disse: “Guarda come sono raccolte, si vede che sono creature tutte di Dio”. Ecco la prima testimonianza di quel dono che, via via, si è fatto sempre più significativo e sempre più presente per tutti coloro che lo hanno saputo vedere e cogliere. Sì, care sorelle povere di Santa Chiara, io, ma credo di poter dire noi, vi vediamo così: come un piccolo miracolo che si ripete ogni giorno e che ogni giorno si carica di novità, come la luce che risplende davanti a noi perché possiamo rendere gloria al Padre che è nei cieli. La vostra separazione non è certo una fuga dal reale, ma un’esperienza interiore che rivela la maturità del discepolo del Signore, delle spose che vanno incontro allo sposo con le lampade accese e che ha il sapore della vera libertà del cuore. La gioia dell’appartenere a Cristo vi dona il coraggio e la forza per costruire una vita che sia secondo il Vangelo e così diventate un segno luminoso del Regno di Dio 23 e comunicate speranza a quanti vengono a bussare alla vostra porta. Guardandovi negli occhi lasciate trasparire una tale serenità di fronte alla quale non si può che esclamare: “Hanno davvero posto Gesù nel cuore della loro giornata e della loro intera vita, Lui è il loro vero Maestro”. Grazie quindi, care sorelle, per quello che siete, perché tutto è grazia: il vostro essere su questo monte, il vostro porvi in ginocchio per vivere quella sponsalità che dà pienezza alla vostra e alla nostra Dal Monastero esistenza, il vostro farvi vicine a quanti vengono a chiedervi preghiere e consigli, il vostro saper ascoltare e mai lasciare che qualcuno se ne vada senza aver avuto in dono una buona parola, un consiglio fraterno, l’invito a capire che siamo di Dio e che ciò che può riempire la nostra vita è il suo amore. Con il grazie l’augurio più bello: la speranza e la pace siano sempre vostre compagne di viaggio e la preghiera e il lavoro strumenti efficaci per edificare la comunione tra voi, nella Chiesa e nel mondo. SUOR ALBA DAL MONASTERO SI ELEVA INCESSANTEMENTE LA PREGHIERA DI LODE E DI INTERCESSIONE «C’è un luogo dove il cuore “canta” canzoni di gioia o più tristi melodie... Lì, è bello tornare per ascoltare quello che siamo, per cercare quello che domandiamo e per scoprire la bellezza che’è in noi!» È il ritornello di una canzone che associo sempre ad un luogo speciale nella mia esperienza di fede e di vita: il Monastero delle monache clarisse in Bienno. Avevo solo quindici anni quando questa piccola, flebile, ma tenace luce è stata collocata, accesa ed innalzata sul colle dell’Eremo e forse al cuore un poco inquieto di un’adolescente, questo posto, queste vocazioni, questo monastero, diceva ben poco... suscitava più dubbi che certezze! E poi la vita che scorre, gli anni che passano... e questo luogo è divenuto per me un punto di riferimento... lo spazio della preghiera, del silenzio, della meditazione, ma anche dell’ascolto, della riflessione, dei sorrisi aperti, degli occhi limpidi in cui si specchia il cielo, della pace dell’anima... Il luogo in cui ho preso parte alla gioia delle professioni religiose, in cui come Dal Monastero giovani della consulta giovanile abbiamo vissuto esperienze forti, salutato amici, pregato e meditato insieme. E non solo, spesso mi reco lì per la celebrazione eucaristica. Cammin facendo, mi sono accorta che non era così solo per me. Quanti cuori, a volte disperati, a volte angosciati, soli, in cerca di luce, di pace, di ristoro, hanno bussato a questa porta ed hanno trovato una parola di conforto, di sollievo, ma anche hanno fatto esperienza di Parola che salva. Sono già passati vent’anni, pare un soffio, ma da vent’anni la nostra Valle è più ricca: questo Monastero ne è il parafulmine: la vocazione contemplativa di queste piccole e grandi monache (Maria Chiara, Chiara Letizia, Elisabetta Maria, Chiara Amata, Francangela, Andreina, Agostina) è situata nel cuore della nostra terra. Questa missione alimenta l’azione pastorale della Chiesa con il prezioso contributo della contemplazione, della preghiera, del sacrificio, la cui silenziosa presenza manifesta agli uomini del nostro tempo l’inizio del Regno di Dio. Nella “forma di vita” delle nostre sorelle clarisse si rende visibile, anche agli uomini del nostro 25 tempo, il volto orante della Chiesa, il suo cuore interamente posseduto dall’amore per Cristo e colmo di gratitudine per il Padre. Dal Monastero si eleva incessantemente la preghiera di lode e di intercessione per il mondo intero e, particolarmente, per la nostra terra camuna, di cui voi, care sorelle, siete state chiamate ad accogliere e a condividere sofferenze, attese e speranze. Grazie carissime sorelle claustrali che “abitate” il Monastero di Bienno, grazie per la vostra silenziosa, ma indispensabile presenza, con la quale mantenete viva nel cuore della Chiesa camuna la chiamata ad un amore totale per Cristo Sposo; offrite Dal Monastero così a tutti noi il contributo spirituale della speranza e della gioia, orientando gli uomini verso l’incontro con Cristo, nostra autentica pace. Forse solo ora, dopo vent’anni - un soffio agli occhi di Dio - mi rendo veramente conto di quanti rivoli di Bene sono sgorgati dal Monastero... E vi confesso un segreto: da qui riparto sempre con il cuore carico di gioia e serenità e ritorno nel vortice del quotidiano colma di un’inesprimibile pace. Grazie piccole scintille di luce, la Sua Luce! ERCOLI GABRIELLA SON PASSATI VENT’ANNI Vent’anni sono volati, da quella sera dell’otto ottobre 1988, quando le cinque “Poverelle di Assisi” con il lume acceso, facevano l’ingresso nel nuovo Monastero, accompagnate dal Vescovo Bruno Foresti. A monte vi era stato l’impegno di tante persone per realizzare in Vallecamonica quel sogno che nei secoli era sfumato almeno due volte. Si deve ricordare l’intuito lungimirante di Mons. Giuseppe Almici, la forte determinazione dell’allora direttore dell’Eremo Don Aldo Delaidelli, la benevolenza del Card. E. Pironio Prefetto della S. Congregazione per i Religiosi, il forte impulso dei Vescovi Luigi Morstabilini e Bruno Foresti, il concorso di Padre Onorio Pontoglio Vicario Generale dell’Ordine dei frati minori e, infine, il determinante apporto della Madre Badessa di Lovere Sr. Immacolata Gabossi, camuna di Darfo. L’idea di far sorgere un Monastero di clausura strettamente legato all’Eremo di Bienno si è dimostrata feconda. Il Monastero ha formato con l’Eremo quel “Polmone Spirituale” auspicato dal Vescovo Morstabilini per la Vallecamonica. Da al- Dal Monastero lora tutte le iniziative spirituali, di un certo livello, che si sono realizzate all’Eremo in questi anni sono avvenute in sinergia con il Monastero. Inoltre l’Edificio Claustrale è divenuto un centro di preghiera e di sosta spirituale per fedeli di ogni ceto sociale. In particolare va sottolineata una assidua presenza del mondo femminile alla ricerca di risposte, di preghiere e di consigli. Per i fedeli camuni che credono nel valore sociale e comunitario della preghiera, cioè nella “comunione dei santi”, ha un profondo significato il fatto di avere in Valle una comunità dedita esclusivamente alla preghiera. In una società come quella attuale in cui sembrano prevalere i disvalori dell’affarismo, del1’edonismo, del consumismo e del successo mediatico, la presenza nella nostra Valle di questo centro di spiritualità cristiana ha il significato di tenere alta la fiaccola dei valori eterni. Sono certo che i Camuni contribuiranno anche per l’avvenire a sostenere e sviluppare, anche vocazionalmente, il Monastero delle Clarisse. PIERO AVANZINI GRAZIE CARE SORELLE DI SANTA CHIARA Nelle parole pensate e scritte dalle nostre sorelle Clarisse, sulle locandine e sui manifesti che annunciavano la festa per ricordare il 20° compleanno del Monastero di Santa Chiara in Bienno, c’era tutto il senso di quelle splendide occasioni-celebrazioni offerte a tutti. Giorni e celebrazioni di gratitudine. Sono state giornate di lode, di ringraziamento a Dio, a frate Francesco a Santa Chiara, a tutti… Chi, in quelle giornate si è avvicinato al monastero è tornato a casa, ancora una volta, più ricco di com’è arrivato. Dal Monastero di Santa Chiara si torna sempre a casa ricchi. Da quel lontano, ma anche tanto vicino, 1988, sgorga sul quel colle una sorgente di Grazie e Benedizioni per tutta la Valle e, quelli di Bienno, almeno per vicinanza geografica, sono i primi ad abbeverarsi a questa mistica sorgente e a sentire il dovere della riconoscenza. Si scende dal colle e si torna a casa con la certezza nel cuore di essere amati da Dio, in modo del tutto speciale; tutti devono sentirsi amati. Le sorelle Clarisse sono il segno tangibile, visibile di quell’amore di Dio per noi. Grazie del bene che ci volete. Dentro di quel piccolo e grazioso monastero abitano 7 sorelle che hanno deciso, in modo Dal Monastero radicale e totale, di dare a Dio nel silenzio ciò che gli appartiene: il tempo. Voi, con la vostra vita ci dite: “ Non abbiate paura di dare il vostro tempo a Cristo! Sì, apriamo a Cristo il nostro tempo, perché egli lo possa illuminare e indirizzare. Egli è colui che conosce il segreto del tempo e il segreto dell’Eterno, e ci consegna il “suo giorno” come un dono sempre nuovo del suo amore” (Giovanni Paolo II, Dies Domini, n.7). Non solo, ma tutte le volte che si scende dal colle e si torna a Casa con una grande voglia di silenzio. Vorremmo tanto imparare da voi care Sorelle di santa Chiara a fare silenzio. Voi ci dite in ogni occasione: “Se vuoi ascoltare Dio, stai molto attento perché a Dio piace parlare a bassa voce”(V.G.). Viviamo in un mondo fracassone. Rumori di motori, radio e tele- Dal Monastero visioni; musica onnipresente nei negozi e ristoranti, telefonini che hanno trasformato la terra in un villaggio sonoro. Il silenzio non ha più un minuto di pace. E’ tempo di difendere il silenzio. Il rumore è la lama invisibile che ci taglia l’anima; è quello sporco che non si vede, ma inquina… Di rumore si muore… di silenzio si vive. Il rumore provoca…sordità… Voglia di silenzio … Il silenzio non è solo il contrario del rumore. E’ un’oasi, è lo spazio ove lo spirito apre le ali… è il luogo in cui l’anima sta bene. Il silenzio è il luogo in cui ci si ferma per attendere che le nostre anime ci raggiungano… visto che in questi anni abbiamo camminato troppo in fretta e sono rimaste indietro. Abbiamo voglia e bisogno di silenzio … perché è nel si- 28 lenzio che ci portiamo a casa tre doni preziosi: L’incontro con noi stessi, l’incontro col Creato, l’incontro con Dio. Carlo Maria Martini, cardinale emerito di Milano è giunto a dire: “Il nemico di Dio non è l’ateismo, ma il rumore!”. Dunque il silenzio ci regala Dio. Grazie care Sorelle di santa Chiara perché ogni giorno, voi, nel silenzio del Monastero, regalate Dio anche a noi, lo rendete presente, lo mostrate con il vostro volto sereno e sorridente. Continuate a voler bene a Lui e a noi…come state facendo… e pregate, senza stancarvi, perché nasca nel cuore di ognuno di noi: voglia di silenzio… la legge delle anime delicate… IL VOSTRO PARROCO Dalla Valle NOVANT’ANNI DOPO LA GRANDE GUERRA Sabato 30 agosto 2008 si è svolta nell’incantevole scenario ai piedi del Montozzo una coinvolgente cerimonia per commemorare il novantesimo anno dal termine della prima guerra mondiale. La Santa Messa è stata celebrata da Sua Eccellenza Cardinale Gianbattista Re, alla presenza delle massime autorità civili e militari, che con la loro partecipazione hanno voluto testimoniare l’importanza ed il radicamento della cultura alpinomontana, i cui valori sono ancora oggi punti di riferimento nella vita quotidiana di ognuno di noi. Valori quali l’abnegazione, la ricerca di un ideale più alto che si rispecchiano nella condivisione delle privazioni, nel sacrificare la propria vita per salvare un compagno, ricordando che anche il nemico ha dei genitori, dei figli per i quali immola se stesso. Questi capisaldi che il corpo degli alpini continua a porre al centro della propria esistenza sono un modello cui ispirarsi, anche in momenti di difficoltà sociale, oltre che nelle occasioni più felici. In tale contesto l’artista trentino Guglielmo Bertarelli ( in arte “El Duca”), cittadino edolese di adozione, ha voluto rendere omaggio ai molti che hanno sacrificato la propria esistenza donando agli alpini di Valle Camonica un altare, una piccola campana, una croce e l’alza bandiera. Così come il grigiore del ferro ed il freddo del metallo vogliono essere un monito per ricordare le difficoltà, le oscurità di quel periodo, così il movimento circolare posto alla base dell’altare L’altare inaugurato al Montozzo a novant’anni dalla Grande Guerra. Dalla Valle 30 vuole riproporre l’evolversi ineludibile della storia o quella croce che si erge verso l’alto, creare un collegamento con Dio. Il materiale stesso utilizzato per la realizzazione dell’altare, quella pietra che era già parte del precedente altare ubicato poco distante dalla attuale posizione, vuole essere un filo conduttore. Silenziosi ed inermi spettatori di tragedie passate e di future speranze, le montagne ci ricordano che la bellezza del creato può essere macchiata dal sangue della guerra e il suono della campana che riecheggia oggi nella valle sembra riportare a quello stesso segnale di speranza nel quale i soldati del primo conflitto mondiale riversavano le proprie preghiere per una rapida conclusione delle ostilità. Gli sforzi profusi dai molti che hanno attivamente collaborato per la realizzazione di questa suggestiva cerimonia non possono essere paragonati a quelli prodigati dai nostri soldati che hanno speso tanta fatica per la costruzione delle trincee in una zona tanto impervia e difficile da raggiungere. L’auspicio è che questo momento di riflessione storica, di preghiera per chi ci ha preceduti ed i segnali di fede e di speranza che sono stati volutamente installati in tale sfondo possano raggiungere chiunque, passeggiando tra le nostre montagne, pervenga in questo luogo della memoria. LUISA BULFERETTI La croce dell’altare. La campanella del Montozzo. A BRENO L’ACCADEMIA “ARTE E VITA” Sorge nella cittadina di Breno una nuova realtà culturale. E’ nata come iniziativa a scopo artistico-educativo e nella più assoluta discrezione. Il vecchio collegio delle Suore Messicane è ormai un ricordo del passato. Oggi, negli stessi locali, completamente ristrutturati ed abbelliti con preziosi affreschi troviamo sale per la danza, per la recitazione, per arti plastiche, laboratorio di informatica e linguistico, biblioteca, sale per la musica attrezzate di pianoforti e strumenti musicali per giovani e per adulti. Non manca una bellissima Cappella come richiamo spirituale e crescita nell’interiorità, nonché l’ambiente adibito alla ristorazione ed all’ospitalità. Il nome di questa nuova realtà culturale esprime la sua anima: arte come bellezza, ispirazione, creatività, forza interiore, rinnovamento, fede e speranza; vita come gioia, voglia di vivere, di incontrarsi, di fare, di proporre… “Arte e vita” è un sogno che è divenuto realtà, e cioè inizia a far parte del tessuto sociale e culturale Dalla Valle quotidiano della nostra Valle Camonica. Quanto è prezioso questo nuovo dono, specialmente perché la Divina Provvidenza ne è l’ispiratrice e l’esecutrice. Iddio ha messo il desiderio ed il sogno prima nel cuore di alcune persone e poi, via via ha maturato il progetto e messo a disposizione tutto il necessario per la sua realizzazione. E’ il momento di ricordare queste persone e di dire loro il nostro GRAZIE: il Grazie dei bimbi, degli adolescenti, dei giovani e degli adulti che frequentano l’Accademia. Il grazie dei genitori, il Grazie della gente comune, il Grazie di tutti coloro che direttamente o indirettamente traggono beneficio dell’Accademia. Non ci è possibile ricordare tutti, ma è semplicemente doveroso fare qualche nome da lasciare ai posteri: i coniugi Sig. Romain Zaleski e Sig. ra Hélène Prittwitz di Zaleski che hanno trasformato con i loro beni questo edificio in un tempio d’arte; il direttore dei lavori Sig. Claudio Reboldi; il direttore artistico Dalla Valle Sig. Roberto Damiani, la capo squadra dei ragazzi e ragazze decoratori del Liceo Artistico di Lovere, Sig.na Moira Maffeis e l’impresa Immobiliaria Magenta che ha realizzato tutti i lavori di ristrutturazione e ampliamento dello stabile. Dopo le incertezze normali di ogni inizio di attività, l’Accademia Arte e Vita è giunta ad oltre duecento iscrizioni nei vari corsi proposti per l’anno accademico 2008-2009. Gli alunni provengono sia da Breno che dai diversi paesi della Valle Camonica, più o meno vicini. Consideriamo questo risultato un grande successo, ma abbiamo anche la soddisfazione di essere riusciti a colmare un notevole vuoto nel campo educativo-artistico. Il nostro compito non si esaurisce nella formazione artistica dell’infanzia e gioventù, ma da gennaio, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e con la Diocesi di Brescia iniziano nuovi 32 corsi per formazione di operatori teatrali e per operatori/gestori delle case della cultura, necessari soprattutto per chi opera in ambienti con la gioventù, specialmente negli oratori, ricoveri, comunità, ecc. Speriamo che questi nuovi corsi, molto interessanti dal punto di vista artistico e formativo, studiati, coordinati e impartiti con insegnanti dell’Università Cattolica siano accolti con interesse ed entusiasmo anche dagli adulti che stanno già operando in questi campi. E’ una grande occasione per creare o migliorare i servizi di animazione specialmente negli ambienti sociali ove purtroppo il disagio si manifesta in modi diversi e forme alquanto pesanti. Speriamo che questo nuovo sforzo sia accolto da più parti e non cada nel vuoto, ma produca molto frutto. SERVE DEL SACRO CUORE DI GESÙ E DEI POVERI (SUORE MESSICANE) INAUGURATO ED APERTO IL MUSEO DELL’ENERGIA IDROELETTRICA DI CEDEGOLO Il Museo dell’Energia Idroelettrica di Cedegolo è il primo dei quattro poli museali che saranno realizzati, nei prossimi anni e su tutto il territorio bresciano, nell’ambito del progetto MUSIL: Museo dell’Industria e del Lavoro “Eugenio Battisti”, per ricostruire, ricordare e celebrare i più importanti passi compiuti nel corso dell’industrializzazione del nostro Paese dal Secondo Dopoguerra ad oggi. Inaugurato lo scorso 13 settembre, in una mattinata fredda e piovosa, ma calda di emozione e carica di una nuova luce che illumina di amore per la storia e di passione per la cultura l’intera Valle Camonica, il Museo è stato aperto al pubblico dopo una cerimonia che ha visto la partecipazione di centinaia di persone, intervenute numerose nonostante il maltempo ad ascoltare in silenzio e con grande attenzione le parole delle autorità, avvicendatesi sul palco per celebrare l’evento e per illustrare l’importanza della struttura, nonché per ringraziare e ricordare tutti coloro che, in questi anni di lavoro, si sono adoperati per la concretizzazione di questo ambizioso progetto. La realizzazione, nata dall’intuizione di Mimmo Franzinelli della necessità di realizzare proprio in Valle Camonica una struttura museale dedicata all’evoluzione dell’energia idroelettrica, è il risultato di un enorme lavoro di ricerca storica, di progettazione e di ristrutturazione, svolto grazie alla passione ed all’impegno di studiosi, ricercatori ed esperti tra cui Augusto Preti, Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Brescia, il Dottor Pierpaolo Poggio, Direttore Dalla Valle del Museo, gli architetti progettisti Claudio Gasparotti, Giorgio Azzoni e Marina Tonsi, i responsabili per gli allestimenti dello Studio Azzurro di Milano ed, infine, la Fondazione “Luigi Micheletti” il cui prezioso contributo è stato assolutamente determinante nella concretizzazione del progetto. Ad avvicendarsi al microfono, dopo l’intervento del Sindaco di Cedegolo, Pierluigi Mottinelli, le parole del Presidente della Fondazione MUSIL, Valerio Castronovo, del Responsabile Area Energie Rinnovabili di Enel, Vittorio Vagliasindi, del Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, Stefano Saglia, del Presidente della Provincia di Brescia, Alberto Cavalli, Dalle Valle del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni e delle numerose altre autorità intervenute, elogiano la realtà del Museo di Cedegolo, prima pietra posta per la creazione di un sistema museale “a rete”, e la grande intuizione delle sue finalità didattiche, perché la celebrazione della risorsa acqua, il famoso “carbone bianco” della Valle Camonica, sia occasione di studio e motivo di crescita ed educazione soprattutto per i giovani, in cui deve essere radicata la cultura del risparmio energetico, del rispetto per l’ambiente e nella valorizzazione della montagna e di tutte le sue ricchezze, ma a cui deve essere anche tramandata la memoria storica di coloro che hanno lavorato tutta la vita intera per permettere loro di fruire il prezioso dono della tecnologia e del progresso. Fino ad oggi, in tutta Italia non è infatti mai esistita una realtà museale così specifica e nessun’altra struttura è mai stata interamente dedicata a raccontare la storia dei primi produttori di energia elettrica, definiti dal regista Ermanno Olmi in una sua lettera come “maestri silenziosi che parlavano con l’esempio della loro dignità”: quella gente semplice di montagna che, con il proprio lavoro, il proprio sudore e la propria fatica, ha contribuito in modo determinante alla modernizzazione dell’Italia intera nell’epoca difficile del Dopoguerra dove il Paese, distrutto dalla 34 guerra, si trovava in uno stato di totale indigenza, povero di risorse e capitali e ricco solamente di bocche da sfamare e di braccia da svendere. Il Museo deve così essere un luogo sì emblematico, che celebri l’importanza, il valore ed il significato del lavoro e del progresso, ma anche un luogo aperto di promozione e divulgazione culturali: un luogo dove si possa “capire il passato per progettare il futuro”, un luogo, infine che possa fare da polo per attività ed iniziative, per corsi, convegni e seminari e possa essere un esempio per le realtà future, facendo da punto di riferimento e da forte stimolo per la realizzazione dei centri di raccolta di quei saperi che sono alla base della nostra cultura e della nostra terra. L’apertura di questo Museo dimostra infine come la Valle Camonica possa contribuire al formidabile progetto di promozione turistica nazionale ed internazionale dell’intera Provincia, basato sull’incredibile ricchezza dell’archeologia industriale e sulla storia di quei lavoratori camuni e bresciani il “mestiere”, la manualità, il lavoro e la tecnica dei quali per nulla si discostano dall’arte autentica: uomini che hanno saputo risollevare le sorti del Paese e trasformarlo in quella grande potenza economica ed industriale che proprio a Brescia conserva il suo nucleo più attivo. ANDREA RICHINI ASSOCIAZIONE ONLUS “LE CAPÈLE” L’idea per questa associazione parte da lontano, da conversazioni, conferenze e dibattiti provocanti ed intriganti di questi ultimi anni sul tema dello sviluppo economico della nostra valle. Per citarne solo due ricordiamo la conferenza del prof. Marco Vitale, economista d’azienda, del 28 ott. 2006 all’UCID (Unione Cristiana Imprenditori e Dirigenti) di Vallecamonica e l’incontro promosso dalla Comunità Montana, presso l’Auditorium Mazzoli di Breno, il 16 gen. 2007 con Vitale e Hugues de Varine. La tesi di questi insigni studiosi era ed è che nessuna altra valle alpina ha un concentrato di bellezze naturali ed artistiche altrettanto ricco ed articolato come la valle dell’Oglio: di questo Gruppi patrimonio tutti dovremmo prendere maggior coscienza, attivarci per conservarlo e valorizzarlo perché diventi la maggior risorsa economica del nostro territorio. L’UCID di Valle Canonica ha raccolto le provocazioni e, conoscendo l’urgenza, quasi l’improrogabilità, di un serio intervento conservativo del Complesso della VIA CRUCIS di Cerveno si è attivamente impegnata per la costituzione, avvenuta il 26 giugno 2008, dell’Associazione ONLUS “Le Capèle” con sede a Cerveno. Presidente è Marco Vitale che insieme a Mario Parolini (vicepresidente) Emilio Chini (tesoriere) Gianfranco Bellicini, Amedea Bossi, Alberto Corbelli, Giovanna Maria Gelpi, Lo- Gruppi 36 Oliviero Franzoni: Studioso, Storico d’arte, Oliviero Franzoni: particolarmente Oliviero Franzoni: della Val Camonica; Francesco Lechi: Già Presidente del Museo Arte Francesco Lechi: e Spiritualità di Brescia; Fiorella Minervino: Storica d’arte, Fioella Minervino: Docente universitaria; Gian Franco Bondioni: Storico d’arte; Hugues de Varine: Maggior esperto europeo Hugues de Varine: in materia di sviluppo locale Hugues de Varine: attraverso la valorizzazione Hugues de Varine: dei beni culturali, è Socio Hugues de Varine: d’Onore. redana Moira Rivadossi, Gianfranca Rossetti compone il Consiglio Direttivo. Domenica 28 settembre 08 al Santuario di Cerveno si è svolta, con la partecipazione del parroco don Giudo Menolfi, del sindaco Anna Bonfadini e di altre autorità, la presentazione pubblica dell’Associazione, dei suoi scopi, dei suoi programmi e del prestigioso comitato scientifico composto da: Ermanno Olmi: Regista, Scrittore, Poeta; Paolo Biscottini: Direttore Museo Diocesano Paolo Biscottini: Milano; Marco Magnifico: Direttore Generale F.A.I. Franco Monteforte: Giornalista, Critico d’arte, Franco Monteforte: Storico; Franca Ghitti: Scultrice; Don Giuseppe Fusari: Conservatore Museo Don Giuseppe Fusari: Diocesano Brescia; Dal depliant informativo distribuito a Cerveno in settembre riportiamo le parole del Prof. Marco Vitale: “L’operazione nasce in piena collaborazione con le competenti autorità religiose e civili rispetto alle quali l’Associazione si pone nel ruolo di collaboratrice e suscitatrice di energie pubbliche e private. Il restauro è urgente e dovuto per preservare un’opera eccezionale dai danni del tempo, conservarla e restituirla integra alle nuove generazioni. Noi pensiamo che l’impegno dell’Associazione debba essere diretto anche ad aumentare la notorietà dell’opera, e valorizzarla, ed a far sì che gli abitanti della Valle diventino sempre più consapevoli ed orgogliosi del capolavoro che gli antenati hanno loro donato”. E’ di questi giorni la conferma che la regista Elisabetta Sgarbi, per completare la sua trilogia cinematografica sulla scultura sacra, intende realizzare un documentario sulla settecentesca Via Crucis di Cerveno, opera magnifica di Beniamino Simoni. Il film ad alta definizione verrà presentato al Festival Internazionale di Locarno ed a Venezia. Per informazioni o iscrizioni a “Le Capèle” contattare la segretaria al cell. 335/6021801 CHIESA E ORATORI: EMERGENZA O MISSIONE? Emergenza educativa. Se ne fa un gran parlare. Perfino il Papa, lo scorso anno, in un discorso alla Diocesi di Roma, sollevò il problema e le pubblicazioni recenti sul tema si sprecano. Alcune di queste, anche solo nel titolo, confermano la percezione allarmista (es. Luigi Negri, Emergenza educativa. Che fare? Fede&Cultura, Verona, 2008), mentre altre la pongono in discussione (es. Paola Bignardi, Educazione, un’emergenza? La Scuola, Brescia, 2008). Il rischio è che ormai sia “di moda” accostarsi ai temi educativi in termini di emergenza, connotando ad esempio di “bullismo” tutti i comportamenti problematici dei giovani odierni, come se il Lucignolo di Pinocchio o il Franti del Libro Cuore fossero modelli letterari di angioletti, o come se chi oggi ha i capelli grigi non avesse avuto compagni di scuola con alle spalle situazioni sociali e familiari a loro modo devastanti. Certo, allora non c’era Youtube sul quale pubblicare il trofeo delle proprie “imprese” filmato col telefonino e gli strappi nel tessuto familiare e comunitario erano meno vistosi … La Chiesa, oggi come allora, non può rimanere indifferente, ma non tanto o non solo perché si percepisce un allarme sociale, piuttosto perché la natura della sua pastorale è educativa. Il compianto mons. Enzo Giammancheri evidenziò da par suo (vale a dire in modo profondo e insieme semplice e chiaro) questo intimo legame tra l’agire ecclesiale e l’educazione (Enzo Educazione Giammancheri, L’educazione come dimensione trasversale della pastorale, in AA.VV., Per una cultura dell’educazione, Edizioni La Voce del Popolo, Brescia, 1994, pp. 31-40) e in un recente appuntamento diocesano (Travagliato, 28 Ottobre 2008) per il ventennale della consegna alle parrocchie del Progetto Educativo dell’Oratorio (Travagliato, 31 Gennaio 1988), l’allora segretario del Segretariato Diocesano Oratori, don Amerigo Barbieri, ha ribadito che “gli Oratori non esistono per rispondere ad eventuali emergenze educative: l’educazione è la vocazione della Chiesa, dell’Oratorio, nasce dal fonte battesimale di una Chiesa che è madre”. “Educazione come missione”, come ha ben titolato Avvenire Giovedì 30 Ottobre nel riferire dell’incontro di Travagliato. Oratorio, dunque, come strumento e metodo privilegiato che storicamente la Chiesa bresciana si è data per vivere la propria missione educativa. Oratorio come risposta ancora valida alla sfida educativa che ancora oggi interpella e provoca (o almeno dovrebbe …) le nostre comunità cristiane? Domanda legittima visto che tutti noi intuiamo che l’Oratorio ha ancora qualcosa da dire e da dare alla Chiesa e alla società contemporanee, ma nello stesso tempo vediamo in certe parrocchie oratori semideserti o chiusi, registriamo alcune esperienze classiche andare deserte e proposte nuove far fatica ad affermarsi. Sempre lucido il direttore de “La Voce del Popolo”, don Adriano Educazione Bianchi, nell’editoriale del 24 Ottobre 2008 dall’emblematico titolo “Ieri, oggi, domani” afferma e provoca: “L’identità dell’oratorio bresciano non è in pericolo. Semmai lo sono gli oratori o perlomeno la loro sopravvivenza nel futuro (…) Qualcosa è cambiato in questi anni. Prima di tutto il calo dei giovani preti (…) Una seconda nota di cambiamento è la percezione che sia venuta un po’ meno la passione educativa nelle comunità (…) Con lo sparire dei curati spariranno gli oratori? (…) Oggi, con pochi curati, servirà la fantasia di qualcosa di nuovo. (…) E la passione educativa? Forse è solo sopita (…) Ed è anche per questo che serve metodo nella pastorale. (…)”. Identità, passione e metodo sembrano essere i nuclei attorno ai quali far gravitare il futuro dell’esperienza oratoriana. Quanto all’identità e al metodo il porre 38 di nuovo all’attenzione delle parrocchie il Progetto Educativo dell’Oratorio (PEO) a vent’anni dalla sua consegna da parte di Mons. Bruno Foresti è un chiaro invito a riscoprirne la necessità e la validità, pur con i necessari adattamenti alla realtà in trasformazione. Il convegno di Travagliato cui si è accennato e alcuni contributi scritti per l’occasione (in particolare: Giovanni Falsina, Progetto Educativo dell’Oratorio. Se ne parla ancora? in Il Gabbiano, a cura dell’Ufficio Oratori e Pastorale Giovanile – Diocesi di Brescia, n. VIII, 2008, pp. 10-14 e gli articoli pubblicati in La Voce del Popolo, n. 41, 24 Ottobre 2008, pp. 3-5) ci aiutano in tal senso. Innanzi tutto quel progetto nacque in un contesto ecclesiale forte e coinvolgente: il Sinodo diocesano del 1979, che s’interrogò sui giovani dopo anni di contestazione e difficoltà, fu la sua sorgente e il percorso della sua preparazione negli anni Ottanta vide maturare la consapevolezza che se è necessario fissare alcune linee condivise a livello diocesano queste non devono calare dall’alto ma piuttosto essere traccia e stimolo alle singole comunità parrocchiali affinché diventino soggetti pastorali chiamati a scrivere sulla carta e nella vita singoli progetti oratoriani centrati sulla soggettività educativa della parrocchia intesa come un’ampia e multiforme comunità educativa che propone cammini che non possono esaurirsi nella catechesi. Tornare periodicamente a riflettere sulle brevi ma intense pagine iniziali del PEO dedicate all’identità della Chiesa universale, diocesana e parrocchiale, al suo rapporto col mondo nell’ottica del Vaticano II, alla natura educativa della sua proposta pastorale rivolta alla globalità della persona inserita in una comunità e in un territorio, potrebbe aiutare singoli e parrocchie (a partire dai Consigli Pasto- 39 rali) a evitare confusioni e riduzionismi, distrazioni e deleghe (ci pensi il curato, se c’è; ci pensino “quelli dell’Oratorio”, se ci sono …). Gli anni successivi alla consegna del PEO videro una stagione di fermento sul piano strutturale e progettuale. Molti oratori furono costruiti o ristrutturati, ma insieme si affermò la consapevolezza che l’Oratorio è più del luogo e dell’ambiente che lo ospitano. É progetto e valori, metodo e attività, preoccupazione, sensibilità, sollecitudine per i più giovani da educare alla fede e alla vita piena. Qualcuno scrisse queste cose in progetti parrocchiali, altri le maturarono e cercarono di viverle dando pari dignità educativa ai cammini di catechesi, animazione, sportivi e ricreativi (indicativo che in una parrocchia della Valle dopo che gli allenatori sportivi vennero definiti “alleducatori”, anche le volontarie bariste rivendicassero il titolo di “bareducatrici”), favorendo l’investimento non solo in strutture ma anche in formazione e progettualità. Si visse una stagione d’apertura ai bisogni socioeducativi del territorio che, proprio a partire da un’identità ben delineata, permise di dialogare (non senza alcuni fraintendimenti e difficoltà) con le istituzioni pubbliche e con le altre agenzie educative (in primis la scuola) per la realizzazione di progetti condivisi. Alcuni Centri di Aggregazione Giovanile (C.A.G.) parrocchiali anche in Vallecamonica sono solo uno dei segni di questo periodo d’apertura e collaborazione col territorio. Oggi è certamente necessario adeguare il PEO e i cammini nati negli anni della sua prima ricezione e attuazione. Solo per fare qualche esempio, rispetto a quegli anni la situazione ecclesiale oltre che da un numero ridotto di preti in generale e di giovani curati in particolare, è caratterizzata Educazione dalla nascita (voluta o forzata) delle unità pastorali e dall’affermazione altalenante delle zone pastorali; il contesto sociale in cui questa Chiesa opera è sempre più multietnico, multiculturale e multireligioso; le dinamiche familiari evolvono nel bene e nel male (più separazioni, divorzi e convivenze, ma pure un certo rilancio della natalità, alcune disponibilità alle varie forme di affido ed adozione, un ritorno in parrocchia di giovani “lontani” diventati genitori); la comunicazione sociale è diventata più complessa, pervasiva e, se possibile, ancor più banalizzante e diseducativa (basti citare certa tv, internet e sms/mms), le dinamiche adolescenziali tendono ad anticipare l’età d’inizio e a ritardare quella del loro termine, il nomadismo dei giovani in luoghi e “non luoghi” di un presunto divertimento sembra sempre più senza meta e senza senso, anche se non mancano alcuni approdi significativi nel volontariato e nell’impegno sociopolitico… Un quadro in evoluzione con tinte contrastanti che dovrebbe interpellare le comunità cristiane per individuare nuove risorse, nuovi progetti, nuove forme di servizio (presbiterale e laicale) per valorizzare quanto di buono la nuova realtà propone e per rapportarsi con le nuove forme di povertà materiale ed esistenziale, con le nuove categorie di meno garantiti che essa produce. Questa nuova chiamata alla creatività pastorale e alla corresponsabilità ecclesiale e sociale potrebbe però nuovamente essere orientata dai capisaldi del metodo e dello stile educativo oratoriano proposti dal PEO che sembrano mantenere intatta la loro validità pur nella variabilità delle realizzazioni concrete: centralità della persona e della relazione interpersonale e di gruppo; pluralità di presenze e di proposte educative anche associative; modo di pro- Educazione porsi caratterizzato da tre tipici momenti di progressione che sono la convocazione (non solo strumenti mediatici adeguati ma anche stile e attenzioni personali), l’accoglienza (atteggiamento prima ancora che dinamica, delicato “ministero della soglia” che fa sentire attesi, accolti e amati) e la proposta (di un incontro vitale e non semplicemente teorico con la persona di Gesù, presente e vivo nella Chiesa). Dopo aver detto quanto ad identità e metodo, resta il terzo e forse più importante nucleo: quello della passione educativa e pastorale di una comunità senza la quale nessun metodo, nessuno strumento (progetto o struttura) e nessun evento - fossero anche i grandi convegni giovanili ecclesiali come le GMG o come quelli diocesani che il Vescovo Luciano ha annunciato di voler rilanciare tanto nella scorsa Veglia delle Palme quanto nel convegno di Travagliato - può manifestare appieno la sua efficacia. E qui torniamo alle riflessioni iniziali sulla percezione di una situazione educativa continuamente connotata in termini d’emergenza. La percezione dell’emergenza, in un ambiente sociale già segnato da elementi d’insicurezza (anche se alcuni artificiosamente e strumentalmente alimentati) può ingenerare disillusione e paura educativa. Come alimentare allora una rinnovata passione pastorale e educativa? Ci può soccorrere proprio il tema dell’anno oratoriano appena iniziato, incentrato sull’evento dell’Annunciazione, così come presentato dal direttore dell’Ufficio diocesano Oratori don Marco Mori, in una lectio educativa pubblicata sul numero de Il Gabbiano in precedenza citato (pp. 6-9). La banalità di Nazareth, in cui avviene l’Evento più atteso e decisivo della storia, fa il paio con quella di una temporalità senza progetto 40 in cui scorre la vita apparentemente poco interessante di molti giovani incapaci di decisioni impegnative e definitive, contrapposta ad una cultura che vive invece di spettacolarizzazioni eccessive. La banalità disillusa rischia di contagiare anche le percezioni di genitori, sacerdoti, catechisti e educatori. “La paura è la base di partenza della nostra sensibilità educativa, è il basso continuo che rimane, come rumore di fondo, sul presente educativo”, ci ricorda don Marco, che subito individua anche negli annunci evangelici che aprono il Vangelo di Luca un identico sfondo umano: “Zaccaria ha paura, e chiede spiegazioni. Maria prova una sorta di paura, e chiede spiegazioni. Sicuramente non è una paura uguale alla nostra nell’atto educativo ma (...) è significativo per noi sapere di questa paura e poterla guardare in faccia, attraverso gli occhi di Maria”. L’affinità tra il momento dell’Annunciazione e la nostra fatica educativa si risolve nell’attimo del dialogo, forse sfuggente ed irrilevante, che avvia una concreta storia di salvezza. Don Marco ci ricorda certo che educare con gli attimi può essere controverso e rischioso concentrando l’attenzione solo sul presente (magari virtualmente vissuto in internet e dintorni) dimentico del passato e incapace di progetti per il futuro. Ma la vita di giovani, genitori e educatori è sempre più caratterizzata da attimi di tempo, di attività e di attenzione a disposizione per l’educazione. Ma se in questi attimi interviene Dio la storia cambia. “Crediamo ancora che Dio esista anche nelle vicende educative dei nostri ragazzi?” si chiede provocatoriamente don Mori. L’attimo di Dio cui Maria risponde è innervato su una storia passata per generarne una futura e salvifica che travalica ogni umana comprensione e possibilità, 41 pur richiedendo la necessità di quell’attimo in cui l’uomo pronuncia il suo sì. “In questo stile di Dio gustiamo un modo con cui disporre degli attimi educativi con i nostri ragazzi: l’educatore è portatore di storia, di un progetto più grande e l’arte dell’educare coincide oggi con la capacità di far percepire che il pezzo che viviamo insieme, l’attimo della relazione educativa, non è isolato, ma si può inserire dentro una scelta più ampia. É bello non solo perchè è bello in sé, ma perchè è parte di un disegno, di una storia grande”. Questo innervamento nella storia più grande che Dio tesse con gli uomini è fondato sulla sua Parola che crea relazione significativa con essi. Così i nostri dialoghi, i silenzi e le attese, le domande a volte inespresse e le risposte a volte incerte sono una delle possibilità più importanti e decisive che abbiamo a disposizione e hanno bisogno di parole significative, esigenti e incoraggianti, vere e dignitose, non cariche di scoraggiamento, giudizio severo e di sentenze affrettate, come spesso avviene nei contesti educativi e pastorali. Una qualità della parola che si costruisce frequentando la Parola e nutrendosi di essa. L’icona che accompagna l’anno oratoriano (Annunciazione del XIII sec., Chiesa di S. Zenone a Brescia) suggerisce a don Marco Mori e a noi tutti alcune considerazioni conclusive per sostenere la nostra passione educativa in un contesto percepito come Educazione emergenziale. L’angelo porta l’annuncio, ma la parola esce direttamente dalla bocca di Dio per raggiungere Maria. L’educatore dice una presenza ma non è l’artefice dell’atto educativo e non possiede il messaggio. “É Dio che educa il suo popolo, non noi. Anche oggi”. L’angelo poi entra in punta di piedi, delicatamente, rilevando il senso del mistero dell’educare, del rispetto dovuto all’educando; ci richiama che il primo atteggiamento educativo non è offrire ma contemplare. “Siamo ancora consapevoli che i nostri ragazzi sono un tesoro, o viviamo l’atto educativo semplicemente come un dovere o, peggio, come un problema da risolvere?” ci provoca ancora don Marco. Infine nell’icona il volto di Maria è rovinato e sarà sempre incompleto perché ci dobbiamo mettere il nostro e quello di tutti i nostri bambini, ragazzi, adolescenti e giovani. Di tutti, senza selezionare a chi portare il messaggio di Dio. Chiude infatti la sua lectio educativa il direttore dell’Ufficio Oratori: “La nostra conversione educativa passa anche dal fatto che quel volto non può essere definito da noi, è non abbiamo il diritto di decidere a chi debba andare o non andare la parola di Dio”. E anche noi chiudiamo con questa consapevolezza che si fa auspicio e augurio per il rilancio dei nostri Oratori. ALFREDO MORATTI UN’EREDITÀ “AL VENTRE PREGNANTE DELLA MOGLIE” Una recente notizia di cronaca ha contribuito ulteriormente a tenere desto l’ampio dibattito da tempo in atto sulla tutela della vita nascente. La procura generale di una grande città dell’Alta Italia ha presentato appello contro l’assoluzione dall’accusa di procurato aborto nei confronti di un uomo, reo confesso dell’omicidio di una donna incinta, al nono mese di gravidanza. Il soggetto, convivente della giovane e perfettamente consapevole dello stato della stessa (e oltretutto padre del bambino prossimo alla nascita), in primo grado era stato condannato a trent’anni di carcere per il delitto compiuto, ma assolto per il caso di aborto, in quanto il feto era deceduto dopo la madre, crimine di fatto assorbito dall’intervenuto assassinio della giovane donna. Nell’istanza di ricorso presentata dalla procura si sostiene, invece, che il feto, prossimo alla nascita e vitale, abbia diritto alla tutela penale, spettando allo stesso - a tutti gli effetti- il riconoscimento pieno dello status di soggetto giuridico. Senza entrare nelle particolarità dello specifico evento, pare di poter dire che si sia in presenza di una richiesta di sana applicazione del buon senso e dell’amore per la verità, contenuti ormai largamente smarriti nella società nichilista e relativista oggi trionfante. Storia Di questi requisiti e principi è facile imbattersi presso gli antichi. Infatti, nella documentazione che capita sottomano nelle ricerche d’archivio inerenti i secoli XVII-XVIII, emergono spesso testamenti dettati da uomini in età ancora fertile. Al momento della designazione degli eredi non è infrequente incontrare quale beneficiario “il ventre pregnante” della moglie, con l’ovvia condizione implicita che si porti a termine la gravidanza, nascendone dei figli, con precedenza per i maschi1. Un caso sicuramente emblematico è quello riguardante un ramo della famiglia Calvi, stanziato nel paese di Gianico nel Seicento proveniente dall’alpestre villa di Cortenedolo. A questa diramazione appartenne il muratore Antonio, sposato il 3 febbraio 1717 con Caterina Antonioli. Caduto seriamente ammalato, passato un mese dalla cerimonia delle nozze, il 7 marzo 1717 Antonio fece testamento, designando “suoi heredi universali i postumi suoi figlioli legittimi, o figliole che potessero nascere dal ventre di Cattarina sua moglie, et datto il caso non nascessero figlioli, o figliole, substituisse la Beata Vergine al Monte di Ianico”, l’antica chiesetta costruita dalla comunità gianichese nella prima metà del Cinquecento in segno di gratitudine per lo scampato pericolo da 1 Ad esempio, il notaio Giuseppe Ronchis di Vilminore di Scalve (1660 c. - 1687) istituì eredi il figlio Giovan Mondino e quelli “posthumo et posthumi maschi se ne nasceranno dal ventre” gravido della moglie Maria; se moriranno i maschi “in età pupillare subentrerà la figlia Maria (o figlia/figlie postume se nasceranno dal seno) per metà e per l’altra metà i fratelli del testatore” (Archivio di Stato di Bergamo, Notarile, notaio Giovanni Albrici, filza 4366). 43 Storia Necrologio di don Antonio Calvi, 1752. un’alluvione2. Antonio morì due giorni dopo, il 9 marzo 1717. Dallo sfortunato matrimonio, nove mesi esatti dopo la celebrazione, venne alla luce un maschio, nato e battezzato il 3 novembre 1717 con il nome di Antonio. Questi, rimasto ben presto orfano anche della madre, morta il 3 ottobre 1720, raggiunta l’età canonica di sedici anni e sentendosi alquanto indisposto nel corpo, fece a sua volta testamento il 9 novembre 1733, raccomandando “l’anima sua all’Onnipotente Iddio, alla Beata Vergine Maria, et a tutta la Curia Celeste, e massimamente a santo Antonio santo del suo nome, acciò gli siano presenti al passaggio da questa all’altra vita”. Con l’atto lasciava la celebrazione di un centinaio di messe e disponeva elemosine a favore dei luoghi pii fondati nella chiesa parrocchiale di San Michele arcangelo, compreso l’altare della Beata Vergine Maria “delli sette dolori”; eleggeva eredi universali certi cugini materni, pregandoli “con il maggior fervore di spirito, e d’affetto, a vivere unitamente con buona pace, ed’amore tanto fra di loro, come pure verso il padre, et sorella, con prottesta, e dichiaratione, e con patto espresso, che il di loro padre, et di lui zio materno possa usufruttuare di detta sua heredità volendo vivere unitamente con detti suoi figlioli heredi, pre- gando pure il medesimo del solito amore da padre verso li figlioli”3. Risollevatosi impensatamente dalle infermità ed abbracciata la vocazione ecclesiastica, Antonio divenne sacerdote, svolgendo il proprio servizio in paese. Morì, ancora giovane, il 7 aprile 1752 di malattia ai polmoni, realizzando un desiderio che era già di suo padre, ovvero destinando le proprie sostanze all’amata chiesa di Santa Maria del Monte, solo grazie all’impiego delle quali la devota comunità locale potè procedere nei mesi successivi a una radicale e urgente ristrutturazione del vetusto oratorio. Così l’embrione, dichiarato - praticamente appena concepito - soggetto in grado di ereditare dal padre, una volta sviluppatosi, nascendo e diventato Antonio Calvi, si farà una posizione, eserciterà un ministero prezioso e prima di morire destinerà una grossa somma alla ricostruzione di quel luogo di culto che oggi tutti - non solo i fedeli di Gianico, ma anche quelli che transitano lungo la Valle Camonica - ammirano, lassù in alto, levato sopra il borgo di Gianico, a indicare che è sempre possibile ergersi dal fango in cui rischiamo di sprofondare. OLIVIERO FRANZONI 2 Il testamento in: Archivio di Stato di Brescia, Notarile di Breno, notaio Giovan Maria Fiorini, filza 600, atto 605. Per i dati anagrafici: Archivio Parrocchiale di Gianico, Battesimi 1580-1796; Matrimoni 1580-1929; Defunti 1642-1796. 3 Archivio di Stato di Brescia, Notarile di Breno, notaio Zaccaria Fiorini, filza 701, atto 65. UN BANCHIERE CAMUNO DI FINE OTTOCENTO ISPETTORE AI MONUMENTI A disimpegnare le onorevoli e delicate funzioni di primo presidente della Banca di Valle Camonica, società per azioni costituita il 2 giugno 1872 grazie alla concorde volontà di uno scelto e affiatato gruppo di professionisti e di imprenditori, esponenti di rilievo della società valligiana e del composito mondo economico locale, venne chiamato uno dei soci fondatori più in vista, il cavalier Giuseppe Amadio Rigali. Saggio e stimato uomo pubblico, dovizioso negoziante e bachicoltore, era nato a Breno il 26 luglio 1816, venuto ad allietare il matrimonio celebrato nella cittadina camuna il 12 ottobre 1813 tra Pietro (Breno 27 giugno 1789 – 26 luglio 1837) e Annamaria Noventa (Breno 14 marzo 1789 – 7 settembre 1855, di colera). La famiglia Rigali era originaria di Borno: da qui proveniva il nonno Bartolomeo (nato in quel paese il 6 novembre 1759) che verso la fine del Settecento si era trapiantato a Breno per impiegarsi in qualità di servitore presso la nobile casata Griffi e dove il 7 ottobre 1788 aveva condotto all’altare Giulia Rapetti (Brescia 1758 c. – Breno 14 giugno 1823), oriunda genovese. Pietro Rigali svolgeva il mestiere di artigiano “confettore” e aveva messo in piedi una piccola attività mercantile che il figlio farà fiorire e svilupperà in maniera notevole, fino a realizzarne una ditta assai redditizia nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli da pizzicagnolo, per la vendita di “commestibili, olii, saponi, formaggi, salumi, candele di sego, coloniali ed altri generi”. Accanto alle impegnative Storia Il Cav. Rigali, primo presidente della Banca di Valle Camonica. cure della fornita bottega, Giuseppe Amadio coltivò il comparto bancario-finanziario diventando direttore dell’agenzia brenese della Cassa di Risparmio e, negli anni Cinquanta, responsabile distrettuale della società assicuratrice “Riunione Adriatica di Sicurtà”, istituita nel 1838 e attiva “contro i danni degli incendi, della grandine e sulla vita dell’uomo”. In queste mansioni trovò il modo di entrare in contatto e di guadagnarsi la fiducia di una vasta rete di clienti, tra privati e pubblici organismi. Già comandante con il grado di capitano 45 della seconda compagnia del Corpo della Guardia Nazionale di Breno, impostata nel 1859 al fine di sorvegliare l’ordine pubblico e dare una mano nel garantire la stabilità del nascente Stato, dispiegò una intensa attività sociale. Fu componente del comitato promotore della Società di Tiro a Segno di Valle Camonica (1862), membro e presidente della Commissione per la perequazione del censo delle alpi camune (1862-1863), nonché revisore del conto del Comizio Agrario di Breno (1884) e componente delle commissioni per la liquidazione dell’ex Corpo Pubblico di Valle (1883) e per l’istituzione in Breno di una scuola tecnica. Svolse prestigiosi e continuativi compiti anche in campo amministrativo: fu più volte sindaco, vice sindaco, assessore e consigliere di Breno (tra il 1865 e il 1893), capo della locale Congregazione di Carità, presidente (nominato 1867) della Commissione consorziale di sindacato incaricata delle operazioni per la determinazione dei redditi per l’imposta sui terreni, fabbricati e ricchezza mobile. Si prodigò per la realizzazione del nuovo tracciato della strada nazionale transitante dentro l’abitato di Breno e fu membro della commissione incaricata di promuovere l’attuazione del prolungamento ferroviario alla Valle. Esperto di materie fiscali e patrimoniali, redasse un breve articolo intitolato Genesi della questione sul censimento dei fondi boscati della Valcamonica, inserito nel settimanale locale “Il Camuno” (1882). In ambito politico si mantenne costantemente e fedelmente schierato tra i ranghi del partito liberale, con qualche personale insofferenza anticlericale. A riconoscimento della sua le- Storia vatura e della sua operosità in così tanti campi fu insignito dalla Corona d’Italia dell’onorificenza di cavaliere. Nel 1841 aveva contratto matrimonio con la signorina Caterina Rosa (Breno 21 ottobre 1815 – 17 dicembre 1902), figlia del distinto negoziante Luigi (Breno 1783 - 1861), la cui famiglia da Formigara, in diocesi di Cremona, si era stabilita a Breno durante la seconda metà del XVIII secolo. Dall’unione vennero alla luce tre figli: Pia Vittoria (nata a Breno il 10 aprile 1848), sposata il 27 aprile 1879 con Zaccaria Fanzaga di Pisogne (dimorante a Darfo), Maria Giulia (Breno 15 dicembre 1841 – 24 dicembre 1888) e Pietro (Breno 23 novembre 1842 – 10 agosto 1866). Essendo morto celibe e in giovane età l’unico figlio maschio, la famiglia fu destinata all’estinzione. Il Rigali manterrà la carica di presidente della Banca di Valle Camonica fino alla scomparsa, avvenuta il 16 gennaio 1894, dopo breve malattia, conseguendo molti “meriti” e distinguendosi per le spiccate “virtù” e per l’opera “a vantaggio” dell’azienda, alla quale “dedicava sempre con vera affezione il suo pensiero, il suo consiglio, il suo appoggio”, impiegando a beneficio della stessa “il suo nome, i suoi lumi, la sua esperienza”1. Sensibile alla cultura e amante dell’arte, fu ispettore della banda musicale brenese e provetto suonatore di flauto. Grazie alle indubbie capacità e alla capillare conoscenza del territorio, il cavalier Rigali fu per qualche anno responsabile dell’Ispettorato degli Scavi e Monumenti d’arte ed antichità del Circondario di Breno (1885-1891). In questa veste si occupò della tutela dei monumenti ricadenti 1.Sulla figura del Rigali in ambito bancario, cfr.: O. FRANZONI, . Breno 2003. Storia nell’ambito della sua giurisdizione. Il 10 settembre 1885 si interessò della chiesa di San Giovanni Battista di Edolo e degli affreschi del pittore Girolamo Romanino (1486 - 1561 c.), indirizzando il proprio “debole parere” al sottoprefetto di Breno Gritta sotto forma di appunto2: “E’ di pubblica notorietà, che esistono nella chiesa di San Giovanni Battista in Edolo, delle bellissime pitture del 1500 del distinto autore, Romanino, tuttora bene conservate, e molto apprezzate dagli intelligenti e cultori della pittura. La loro preziosità, venne accennata in tutte le monografie state pubblicate sulla Vallecamonica, e da ultimo anche dagli illustri storici, Cesare Cantù e Gabrio Rosa3. Il riferente ignora, se la detta chiesa di Edolo sia inscritta fra i monumenti d’arte e di antichità della Provincia, ai quali ha riferimento l’istituzione delle provinciali commissioni consultive conservatrici create col regio decreto 5 marzo 1876 n° 3028, ciò che potrà essere a cognizione del signor direttore di quella chiesa. In ogni caso, egli è desiderabile, che si provveda ai necessari ripari per tutelare la conservazione delle pitture stesse, che oltre d’essere per loro natura, un pregiato lavoro d’arte e di antichità, costituiscono altro dei pochi distinti capi di pittura posseduti dalla Valle. Per agevolare il buon effetto della pratica, gioverà che a mezzo della regia Prefettura, sia comunicata alla Commissione consultiva provinciale, per le istruzioni e giudizio che essa troverà di emettere sul proposito, invocandosi anche il particolare di lei patrocinio, per 46 poter appoggiare al caso, domanda d’analogo sussidio al Ministero dell’Istruzione Pubblica, onde ovviare al deperimento o fors’anco alla totale perdita di un antico e prezioso capo d’arte”. Più tardi, l’ispettore Rigali diede esecuzione nel territorio di sua competenza al censimento, promosso dal Ministero dell’Istruzione Pubblica con circolare emessa il 7 settembre 1891, delle epigrafi scolpite su fabbricati “medioevali o del rinascimento”. Tramite il sottoprefetto di Breno Pier Lodovico Peschiera, il 5 novembre 1891 trasmetteva alla Divisione Arte Antica del dicastero la notizia delle “poche epigrafi dedicatorie vetuste” raccolte, “esistenti in questo Circondario, sopra facciate esterne di antichi edifici, od all’ingresso stradale di qualche abitato”. Il rilevamento conteneva la riproduzione del testo di alcune iscrizioni d’epoca a cui il volonteroso ispettore aveva unito osservazioni e commenti esplicativi4. “Comune di Breno. 2 Archivio Centrale dello Stato in Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, Divisione Monumenti e Oggetti d’arte, II versamento, 2^ serie, b. 62, fasc. 690, Edolo-Chiesa di S. Giovanni, 1876-1895. 3 Si tratta dei noti studiosi Cesare Cantù (Brivio 1804 - Milano 1895) e Gabriele Rosa (Iseo 1812 – 1897). 4 Archivio Centrale dello Stato in Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, Divisione Monumenti e Oggetti d’arte, II versamento, 2^ serie, b. 62, fasc. 686, Breno-Epigrafi dedicatorie nel circondario, 1891. 47 ‘In Cristi Nomine Amen. Regnando Sua Maestà Francesco Primo Imperatore, e Rè. Certifico io Carlo fu Andrea Zendrini nodaro5 publico residente in Breno di Valle Camonica Provincia di Bergamo d’aver ad litteram trascritta la suddetta inscrizione esistente in pietra sopra la porta maestra della chiesa di S. Antonio situata sulla piazza di Breno suddetto e con la medesima collazionata, e ciò per ordine della locale deputazione all’amministrazione comunale, come da sua nota 29 prossimo passato maggio n° 348, e per fede vi pongo il segno del mio tabellionato oggi tre 3 giugno 1825 venticinque. Segno del tabellionato’. Illustrazione. Giovanni dei Ronco alias Maronus, di Breno, con testamento 10 novembre 1334 rogato dal notaio Satio d’Iseo, ha istituito il beneficio della sacerdotale rettoria di Sant’Antonio in Breno, manifestando il desiderio, che sia eretta analoga chiesa, che a mezzo di pubbliche oblazioni degli abitanti del paese, venne fatta costruire in fianco della piazza ivi, nel 1480, tuttora esistente”6. “Nel Comune di Gorzone, Mandamento di Pisogne. A destra della pubblica strada comunale, ed a pochi passi di distanza dell’ingresso nel paese, trovasi un monumento sepolcrale del secolo XIV. E’ costrutto per intero di pietra rossa detta simona (arenaria rossa). Storia Rappresenta un arco a tutto sesto, e nel mezzo havvi un sarcofago lapideo. La tradizione accenna, che vi sia stato sepolto un personaggio dell’antica famiglia Federici, altra dei signorotti della Vallecamonica di quel secolo, un ramo della quale possedeva ed abitava il castello di Gorzone, situato sul culmine di un promontorio in prossimità all’abitato del paese. Sulla facciata esterna del monumento havvi scolpita la seguente epigrafe: ‘Hic jacet Dominus Isod de Federicis de Gorzono, qui decessit die XXI. mensis Augusti MiloCCCXXXVI. Magister Betacinus de Tercio. M.C. fecit’. Illustrazione. Rilevasi difatto dalle varie cronache di questa Valle, che esistette tra il secolo 13° al 14° il prenominato Isotto Federici7, altro dei membri del ramo principale di quella feudale famiglia ghibellina, già potente, che abitava il castello di Gorzone con altre rocche a Montecchio, Mù, Cemo ed Erbanno della stessa Valle”. Il 6 dicembre 1891 l’ispettore Rigali provvedeva all’allestimento e all’invio di un secondo elenco di epigrafi. “Inscrizioni antiche esistenti nell’abitato del comune di Cividate Camuno, Mandamento di Breno. 1. Sul davanzale della finestra verso mezzodì della torre medioevale, di proprietà ora del signor Gozio Lorenzo. 5 Lo Zendrini (Breno 1770 – 1833) era cancelliere dell’Imperial Regio Archivio sussidiario notarile di Valle Camonica in Breno. 6 L’epigrafe, fatta apporre nel 1490 dal comune, fa riferimento a una sentenza emessa nel 1487 dall'avogadore veneziano Francesco Foscarini in merito alla titolarità dei diritti riguardanti il giuspatronato della chiesa, allora in contenzioso tra la comunità e la parrocchia. Questo il testo: "Capella iuris patronatus comunis Breni dotata per quondam Domino Iohanne Maronis erecta per comune ac opere Magnifici Domini Francisi Foscareni redempta iuris". 7 La sepoltura, eseguita da mastro Betacinus de Tercio e inserita in un’edicola realizzata da mastro Betonus de Burno, venne costruita per inumare le spoglie di Isonno Federici, morto nel 1336; il monumento è addossato al lato destro esterno della chiesa parrocchiale di Sant'Ambrogio. Storia 48 4. Lapide murata sulla spalla sinistra del cancello dell’orto di questa prebenda parrocchiale. 2. Lapide murata in fondo al viale dell’orto parrocchiale. 3. Sulla facciata a sera della chiesa parrocchiale. Illustrazione relativa al paese. L’attuale comune di Cividate Camuno ebbe molta importanza nei tempi antichi, e verso il secolo VI prima dell’era volgare denominavasi Vannia, ed era il centro e principale luogo in cui si adunavano i comizi dei Camunni abitatori della Vallecamonica. Dipoi sotto il dominio dei Romani, anno 15 avanti Cristo, fu ingrandito e vi si istituì una Curia, e chiamossi Civitas Blasiae. Vari secoli dopo, i popoli Camunni si accomunarono coi Longobardi, e diretti dal loro duca Folcorino, che risiedeva in Cividate, avversarono la servitù dei Franchi, che voleva loro imporsi, e che dopo la disfatta dell’ultimo re longobardo, si estendeva in gran parte dell’Italia. Ma nell’anno 778 insorti a difendere la loro indipendenza, i Camunni furono battuti e sconfitti dalle armi del conte Raimone proconsole a Brescia di Carlo Magno, ed assediato e preso d’assalto Cividate, vennero diroccate le sue case e quasi distrutto, e fatto prigioniero il loro duca. Da quell’epoca, 49 cessò in Cividate l’esistenza centrale della Valle, e fu trapiantata in Breno ove tuttora esiste. Il dominio dei Romani fu fastoso, e lasciò in Cividate molte vestigia della loro grandezza, diverse traccie della quale, furono scoperte a caso nello scorso e nel volgente secolo”. “Comune di Malegno, Mandamento di Breno. Nel vicino Brefotrofio trovasi la seguente iscrizione. ‘Anno Domini MCCCXL / Hoc opus factum fuit / quot fecit fieri / Frater Franciscus de Vezia / tunc minister hujus Hospitalis. / Eo tempore soma frumenti / valebat libras VI. imperialium’8. Illustrazione. La retrodescritta iscrizione, parte in lettere gotiche e le inferiori in latino, sopra pietra arenaria rossa è murata sull’architrave della porta maggiore della piccola chiesetta ivi esistente e di fronte all’accennato Brefotrofio, alla distanza di circa 6 metri, al quale appartiene in proprietà e per servizio del suo culto. Esso è ubicato sul confine del vicino abitato di Cividate. Il detto ricovero dei trovatelli, è fra i pochissimi, se non l’unico, che esistono fuori delle città nell’alta Italia. Si hanno tradizioni e memorie, che sia stato fondato dai frati dell’ordine degli Umiliati nello scorcio del secolo XIV, e dopo quello di Parma sorto nel 1300, di Firenze nel 1316, di Venezia nel 1346, ecc.”. Il 24 luglio 1892 il Rigali inoltrava al Regio Ufficio Regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia di Milano una dettagliata relazione riguardante il rinvenimento nel censuario di Berzo Inferiore di una “lastra di metallo con figure rilevate”. Il memoriale dava informazione che “nell’agro del Comune di Berzo Inferiore, Storia distante sei chilometri da questo capoluogo di Circondario, nell’aperta campagna, fuori dell’abitato circa mezzo chilometro, nella località denominata la Plagna, e precisamente al piede del monte, nel cui transito vi esisteva un piccolo rialzo del terreno, a dislivello della restante parte, e che mediante scavatura si voleva conguagliarlo, venne nel corso dello scavo scoperta, alla profondità di circa mezzo metro, una lastra di metallo, che dagli scopritori fu creduto presentare, forse, i caratteri di antichità romana. Appena ebbi sentore di un tale fatto, mi feci premura di trasferirmi sul luogo, per le doverose verificazioni di mia competenza, e di quanto ebbi a rilevare, a mio limitato giudizio, ne espongo il risultato, del quale mi sono fatto dovere darne partecipazione immediata alla Prefettura provinciale di Brescia, col mio rapporto 4 andante mese, n° 3, per quelle superiori disposizioni che fossero giudicate convenienti al caso. Esaminata attentamente la lastra stessa in ogni sua parte e carattere, sarebbe sorta l’idea, che possa rappresentare lo stemma dell’antica e potente famiglia dei Federici di questa Valle, principali signorotti camuni del Medio Evo, che possedeva nei vari suoi rami, case fortificate e castelli in diversi comuni della Valle stessa. Un ramo di detta famiglia era da tempo stazionato in Brescia, ed ebbe ad emergere nelle fazioni politiche e guerresche popolari del secolo XII ivi avvenute, di cui accennano le cronache bresciane. In taluna di dette case in questa Valle, come sarebbe in quella nei comuni di Cividate Alpino e di Erbanno, passate in altri proprietari, esiste tuttora sulla fronte della loro porta principale d’ingresso, uno stemma in pietra, cogli emblemi che molto assomigliano a quelli della predetta 8 L’epigrafe fa riferimento a un non specificato intervento di natura edilizia promosso da Francesco da Vezza, confratello e ministro dell'ospizio. Storia lastra. Dall’assaggio eseguito, sembra che la sostanza metallica di cui è composta la ripetuta lastra, sia di piombo. Le sue dimensioni sono le seguenti; altezza metri 0,62; larghezza metri 0,40; spessore metri 0,05; profondità dello sfondo metri 0,02. Non vi sono iscrizioni. Il suo peso è di kilogrammi 105. A meglio raffigurare il complesso del vero della lastra stessa, ho creduto bene, in una seconda trasferta sul luogo, di farla rilevare in fotografia, conducendo meco il fotografo di qui9, e ne unisco due esemplari, il tutto a mie spese. Ho pure ravvisato utile di avvertire e pregare con apposita nota il sindaco di quel luogo, a voler far custodire nel proprio locale comunale, per qualche tempo, e fino a nuovo avviso di svincolo, la lastra ridetta, per le eventuali ispezioni e verificazioni, che la Superiorità credesse di far praticare, salvo il diritto di proprietà verso chi di ragione. L’immobile in cui fu trovata la lastra è di proprietà degli eredi del fu Francesco Bettoni, del limitrofo comune di Bienno. Sarò grato a codesto spettabile Ufficio Regionale se, nella sua cortesia, vorrà rassegnare al Ministero dell’Istruzione Pubblica, Divisione Arte Antica, il presente mio rapporto, sia in copia che nell’originale, come meglio giudicherà. Di tuttociò mi onoro dare comunicazione, in esito alla pregiata nota di codesto Ufficio 14 stante mese, n° 744. Colla massima osservanza10.” Il direttore dell’ufficio lombardo Beltrami si preoccupava di trasmettere rapidamente a Roma il resoconto presentato dal Rigali, ottenendo il 3 agosto dalla struttura centrale sollecita risposta nella quale si evidenziava che il manufatto “non appartiene 50 “Buono” emesso nel 1872 dalla Banca di Vallecamonica. neppure al Medio Evo, come si suppone, ma al secolo XVII. E ciò risulta dall’esame dello stemma dei Federici con l’aquila ad ali arenate, dalle volute laterali al busto che sta sopra allo stemma, e da altri caratteri dei particolari del bassorilievo”. Ritenendo l’oggetto non di particolare importanza e non ricadente sotto la classificazione di bene di interesse nazionale, con successiva nota dell’11 agosto il Ministero ne accordava il richiesto svincolo. Dopo il Rigali, altri tre amministratori della Banca di Valle Camonica ricopriranno le funzioni di ispettore agli scavi e monumenti d’antichità camuni: l’avvocato Paolo Felice Gaetano Prudenzini (Breno 1855 - 1907), il professor Fortunato Canevali (Breno 1856 – 1930) e il geometra Leone Canevali (Fasano di Gardone Riviera 1892 – Breno 1933). Sicchè, si può affermare, che per l’Istituto camuno l’attenzione al territorio e alla valorizzazione dei beni culturali locali sono parte integrante, sin dalle origini, del proprio impegno speso a sostegno e a servizio sia dello sviluppo economico, sia della crescita sociale e intellettuale della Valle. OLIVIERO FRANZONI 9 All’epoca avevano studi fotografici in Breno il pittore Angelo Epifanio Vielmi (Breno 1837 - Valle di Saviore 1895) e Giovanni Marieni (Bergamo 1840 - Breno 1901). 10 Archivio Centrale dello Stato in Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti, Divisione Musei, Gallerie e Scavi Antichità, II versamento, 1^ serie, b. 33, fasc. 614, Berzo Inferiore-Scoperta di una lastra di metallo, 1892. MORIRE DI LAVORO Oltre 1.200 morti in un anno, tre ogni giorno: gli infortuni sul lavoro, seppure in costante calo dal 2000 ad oggi, si confermano una delle principali cause di morte in Italia, con un numero di decessi che è quasi il doppio rispetto agli omicidi. E’ l’allarme lanciato dall’Anmil, l’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, in occasione della 58a Giornata nazionale per le vittime, celebrata in tutta Italia il 12 ottobre. Complessivamente nel 2007 le vittime sul lavoro, secondo gli ultimi dati Inail, sono state 1.210. Nei primi 8 mesi del 2008 sono accaduti 837 mila 626 incidenti, in cui sono morte 837 persone e 20 mila 940 sono rimaste invalide. Solo nel bresciano da gennaio 2008 sono stati contati 17 incidenti dagli esiti mortali. L’ultimo a colpire la nostra Valle, l’8 settembre a Ono San Pietro: due cognati, mentre ristrutturavano una cascina, sono stati travolti dal muro che stavano abbattendo. Avevano 53 e 64 anni. Di lavoro si muore, ma di chi è la colpa? Datori di lavoro e appaltatori che puntano al risparmio, che non danno indicazioni in fatto di sicurezza, che non forniscono l’attrezzatura adatta, come scarponi, imbragature e caschi. Operai che non rispettano le norme per negligenza o fretta, che non indossano gli indumenti antinfortunistici o che agiscono senza prudenza. Non si può stabilire un colpevole. Certo è che al giorno d’oggi, con gli strumenti che Problemi cantieri e fabbriche hanno a disposizione, sembra assurdo che una giornata di lavoro di tanti padri di famiglia o giovani figli venga pagata in quel modo e che la vita umana valga meno di una gara d’appalto. Negli ultimi tre anni il settore più colpito è stato quello dell’edilizia, con una media di sei infortuni su dieci. E la maggior parte degli incidenti si verifica in aziende piccole, che contano fino a quindici dipendenti. Statistiche che stanno diventando notizie quotidiane, cronaca in un trafiletto in prima pagina che ci siamo abituati a leggere. Ciò di cui non si parla più è il dolore dei familiari, la solitudine e l’impotenza di mogli e madri. La rassegnazione di chi si trova con un pugno di soldi e senza il suo caro, caduto da un ponteggio, arso vivo in un capannone oppure colpito di una malattia dovuta all’esposizione ad agenti tossici e cancerogeni. Il tempo passa e le notizie - troppe - si sovrappongono e si dimenticano. Ciò che bisogna fare, invece, per prevenire il dilagare del fenomeno, è ricordare, stampare nella memoria quei trafiletti per far sì che ciò non si ripeta. Bisogna lottare, battersi per la sicurezza in ogni campo, anche nelle situazioni più banali. Perché sprecare anche soltanto un minuto per creare le condizioni per lavorare in modo sicuro può davvero salvare la vita. LINDA BRESSANELLI PER L’ANCONA DI ANGONE Il 5 ottobre 1695 i sindaci della graziosa chiesa della Beata Vergine Maria1 esistente in capo alla terricciola di Angone si accordarono con il valente intagliatore Giovanni Domenico Ramus2, affidandogli l’incarico di realizzare una grande ancona per il loro piccolo oratorio, da collocare a perfezionamento dell’altare maggiore dedicato a San Matteo, tradizionale patrono del luogo. La scrittura di contratto venne stabilita e firmata dinanzi al notaio Ambrogio Sangalli (Bessimo di Rogno 1665 – 1734)3. “Mistro” Ramus, nato il 10 maggio 1643 nel munito borgo castrense di Ossana, nella trentina Val di Sole, apparteneva a una celebre famiglia di attivi e capaci scultori lignei originaria di Edolo; era giunto ormai alla fine della sua onorata e intensa, seppur breve, carriera che l’aveva portato a produrre numerosi complessi d’altare e statue, soprattutto nei paesetti dell’Alta Valle Camonica. L’ancora relativamente giovane artista, presumibilmente oberato di commesse, fece appena in tempo a condurre a termine e consegnare in posa la maestosa opera, dato che il 21 luglio 1697 passava a miglior vita nella parrocchia di Vezza4, dove da anni si era accasato e abitava stabilmente insieme alla moglie Francesca (morta a Vezza, sessantenne, il 20 aprile 1706) e all’unica figlia Maria Arte e letteratura Maddalena (nata a Vezza il 12 giugno 1671). La prematura scomparsa, nel pieno della sua operosità, impedì al Ramus di riscuotere le ultime rate del proprio lavoro per Angone, in pratica “ressidui pretij iconis facti, et constructi”. Quando si addivenne alla compilazione della contabilità finale, nel computo delle varie partite da conteggiare e nella compensazione tra spese, pagamenti e forniture di materiali di consumo, insorsero divergenze circa l’effettiva entità del saldo dovuto, tra Lorenzo Cominelli di Gorzone, all’epoca titolare dell’agenzia di massaro (ovvero tesoriere) dei “vicini di detta contrada di Angone per scodere da debitori di detta chiesa e pagare l’occorrente per la fabrica medesima”, e il notaio Andrea Buccella (Vezza 1669 – 1751), marito di Maria Maddalena Ramus, erede universale del defunto “sculptoris”. Tratto in inganno dalla sommaria e piuttosto confusa registrazione delle partite del dare e dell’avere, dapprima il Buccella ritenne opportuno adattarsi a percepire una certa, affrettata liquidazione; in seguito -fatto più ponderato riflesso e discussone anche con i propri figli, che intanto si andavano facendo grandi- si convinse dell’assoluta inadeguatezza della cifra che gli era stata riconosciuta dal cassiere. Solo che, incredibilmente, nel frattempo era trascorso un considerevole 1 L’oratorio era allora governato, con le funzioni di cappellano curato, da don Giacomo Sangalli († Angone 1712). 2 Sulla sua figura: A. SINA, Una famiglia di artisti camuni. I Ramus di Edolo-Mù. Brescia 1944, pp. 13-14; G. VEZZOLI, P.V. BEGNI REDONA, Sculture lignee in Valle Camonica. Breno 1981, pp. 29-31. 3 La consultazione della filza 570 del Notarile di Breno dell’Archivio di Stato di Brescia, contenente i rogiti redatti dal notaio Sangalli dal 4 aprile 1687 al 25 luglio 1702, non ha, purtroppo, restituito l’accordo, evidentemente non conservato agli atti. L’informazione inerente l’avvenuta stesura del contratto è desunta dall’atto di procura dei Buccella del 1731, citato più avanti nel testo. 4 Archivio Parrocchiale di Vezza, Libro de morti della chiesa parochiale di San Martino di Vezza, 1682-1739. 53 lasso di tempo, al punto che più di trentacinque anni dopo la stesura del contratto la pratica non risultava ancora chiusa. L’1 giugno 1731 il notaio Buccella, costituitosi creditore unitamente ai propri figli notaio Giuseppe Antonio (Vezza 1694 – 1757), prete don Giovan Domenico (n. Vezza 1692), Giovan Battista (Vezza 1701 c. – 1771), Pietro e Stefano, si risolse a rilasciare procura nei confronti dell’amico Giacomo Pievani (Piano 1676 – 1736), suo collega nell’ambito del corpo notarile valligiano, assegnandogli l’incombenza di contattare quanto prima gli uomini di Angone e di stabilire una volta per tutte i conti “sopra la ressidual pretesa di mercede per la construtione” dell’elegante manufatto, in modo da recuperare il rancido avanzo rimasto troppo a lungo non riscosso, accettando in via di ragionevole transazione –allo scopo di schivare una fastidiosa e defatigante causa giudiziaria dall’esito incerto, essendo trascorsi così tanti anni e scomparsi diversi protagonisti della vicenda- la somma di 110 lire, pure in accoglimento di una perizia effettuata in precedenza con l’intervento del nobile Giovanni Federici di Darfo, personaggio di sicura autorevolezza e rara competenza. L’operazione richiese poco tempo per essere concretizzata, anche per la piena disponibilità a definire ogni pendenza manifestata sia dai responsabili dell’amministrazione dell’oratorio, sia da parte di messer Giacomo Cominelli, erede del defunto zio Lorenzo. Quest’ultimo, analizzati i libri mastri tenuti dal parente e confrontate le risultanze che, nella fattispecie, emergevano con le coeve annotazioni contabili della chiesa, il 26 luglio dello stesso anno riconosceva la fondatezza e la dimensione del credito vantato dai Buccella, giustamente da mettere a carico dell’esercizio di tesoreria: su sua Arte e letteratura autorizzazione scritta, l’indomani, i sindaci della chiesetta di Angone –i messeri Faustino Pederzolo e Giacomo Triaco- erano in grado di versare nelle mani del notaro Pievani la pattuita somma di 110 lire, ottenendone debita e regolare ricevuta. Il 6 agosto il sospirato importo veniva sborsato, in sonanti monete d’“oro ed argento”, agli oltremodo pazienti Buccella da monsignor Pietro Togni (Cortenedolo 1669 c. - Edolo 1760), grave arciprete di Edolo e insigne dottore in teologia, a cui era stato prontamente trasmesso a cura del Pievani. Rimaneva ancora da mettere nero su bianco il conclusivo atto legale di “piena, et ampia liberatione” tra le parti. Tale rogito di quietanza fu stipulato -con ulteriore, soverchio ritardo- solo due anni dopo, il 29 settembre 1733, in Gianico, in contrada Somma Villa, nella “caminata delle case” del dottore in legge Fiorino Fiorini (Gianico 1692 – 1752), con l’intervento del procuratore Pievani, del Cominelli e dei rappresentanti della chiesa angonese Giacomo Triaco e Lorenzo Mazarini, assistendo in qualità di testimoni il dottor Carlo Paoli (Darfo 1684 – 1762) e il farmacista darfense Valentino Prandini, nonché - a maggior garanzia degli effetti giuridici- il notaio Simone Federici (Gorzone 1688 – 1760)5. In definitiva, grazie a un piccolo documento, anche per la splendida ancona di Angone6 ora abbiamo la data di esecuzione abbastanza precisa (16951697) e il nome dell’autore finalmente certificato (Giovanni Domenico Ramus): il fatto accertato che il provetto intagliatore sia deceduto nel 1697 rimette, invece, in discussione alcune attribuzioni avanzate dalla critica per opere lignee d’inizio Settecento sparse nelle chiese camune. OLIVIERO FRANZONI 5 Archivio di Stato di Brescia, Notarile di Breno, notaio G. Pievani, filza 626, atto n° 282 (unita procura Buccella). 6 Notizie su questa bella soasa in: A. BERTOLINI, G. PANAZZA, Arte in Val Camonica. Monumenti e opere. II. Angolo, Darfo-Boario Terme. Brescia 1984, pp. 410-416, 420; E. FONTANA, Terra di Valle Camonica. Brescia 1984, p. 26; G. BOTTICCHIO, Angone. Breno 2003, pp. 74-84. MARK STRAINER E IL GIALLO DELLA DAMA BIANCA Fa sempre piacere trovare sugli scaffali delle librerie e delle edicole un libro firmato da un proprio conterraneo. Fa ancora più piacere, leggendo il libro, scoprire che i bravi talenti non vanno ricercati sempre e solo all’estero, o comunque lontano da noi. E’ il caso del romanzo d’esordio di Mark Strainer, pseudonimo del bresciano Francesco Marcolini, che ha assecondato la propria passione per il genere poliziesco scrivendo “La maledizione della dama bianca” (204 pagg., 14 euro, edito da Aveit e stampato da Tipografia Camuna), intrigante giallo che ruota tutto attorno ad un Letture francobollo -la Dama Bianca, appunto-, protagonista di antiche ed attuali vicende tragiche. L’ispettore in pensione di Scotland Yard Larry Neal si aggira tra i vari personaggi, ognuno dei quali cela vecchi rancori e si rende protagonista di momenti di tensione, che culminano in un ultimo omicidio. Ecco, allora, che le indagini iniziano a farsi sempre più mirate, con i sospetti che aumentano e s’insinuano nella mente del lettore, per giungere però ad una conclusione spiazzante ed azzeccata. Al suo debutto tra le pagine, MarcoliniStrainer gioca col lettore, garantendogli a piena forma il patto letterario che ognuno di noi, inconsapevolmente, fa quando inizia a leggere un romanzo. A maggior ragione, se c’è di mezzo un giallo, la necessità di coinvolgere chi legge, di appassionarlo e, perchè no, divertirlo si fa fondamentale. Diventa quasi spontaneo, quindi, calarsi nei panni dell’ispettore Neal, muoversi in simbiosi con lui tra i personaggi di cui non tutto è stato ancora detto, e “tifare” per trovare il colpevole il prima possibile. Sotto quest’aspetto “La maledizione della dama bianca” mostra un buon ritmo: la risoluzione del caso non si perde in troppe parole, e la suspense viene gestita senza puntare troppo su di essa ma neanche dimenticandosene. Protagonista del libro, ancora più del francobollo, centro di interessi filatelici e non che possono trasformarsi in ossessioni, è il lettore, che si trova a suo agio 55 tra la semplicità delle parole e delle descrizioni, che sa di dover “partecipare” alle indagini, che non può rifiutarsi di non collaborare col proprio ingegno. E’ la magia del giallo: far sentire al centro della scena, sempre, ancora più di chi indaga o di chi ha commesso il reato, noi, che da fuori, seppur entrando in punta di piedi ci ritroviamo totalmente coinvolti e in azione dopo poche pagine. Ovviamente bisogna amare il genere per capire quanto si sta affermando in queste righe, e soprattutto non essere bloccati dalla paura di incappare in qualche immagine troppo cruda per i propri gusti. La bravura di uno scrittore sta anche in questo: non esagerare nella violenza, lasciare che siano le situazioni già di per sé accattivanti, senza aggiungere loro quei rossi e neri della cronaca che già siamo abituati a sentire -per imposizione di altri- nella vita di tutti i giorni. In questo, Marcolini ha saputo fermarsi prima che il limite tra tensione ed eccesso si facesse confuso, puntando soprattutto su una costruzione dalla logica ferrea, mirata alla risoluzione del caso ed allo smascheramento dell’assassino, animando l’inchiostro della sua penna con personaggi ambigui, portatori di maschere sociali che sembrano solide ma che con poco si sfaldano e rivelano la loro vera natura. In conclusione, l’autore rispetta i canoni tradizionali del genere e propone una storia intrigante e apparentemente facile, dai sapori tipici del noir con una spruzzata di imprevedibilità che non guasta mai. Un buon debutto, che fa ben sperare nella seconda opera di Marcolini: una storia giudiziaria con protagonista un innocente accusato ingiustamente di un crimine. Nell’attesa che gli scaffali delle librerie si riempiano di più di altri bravi autori nostrani. Letture SULLE ROTTE DEGLI EMIGRANTI CAMUNI La Cooperativa socioculturale di Artogne pubblica con data 1 maggio 2008 per ricordare le vittime del lavoro ‘Sulle rotte degli emigranti camuni’ del compianto Ernesto Andreoli, appassionato ricercatore di storia camuna. La stampa è promossa dal Centro “Punto d’incontro” di Artogne con il sostegno degli Amici di Ernesto, i quali intendono ricordare ai giovani quanta fatica hanno sopportato i loro antenati per sostenere le famiglie. Nella presentazione Claudio Maria Pegorari definisce l’opuscolo un vero brano letterario, che descrive l’amaro calice Letture dell’emigrazione. Come fuochi d’artificio brillano e si spengono scene di vita di dolore, che vale la pena di confrontare con il ripetersi della situazione, ma in un’Italia oggi terra di immigrazione, per capire ed aprire il cuore. La trasfusione degli emigranti delle vallate alpine verso l’estero comincia dal 1860 con bastimenti colmi verso le Americhe, dove trovano lavori estenuanti e pericolosi, come nelle piantagioni di caffè, che matura ogni tre anni ed il cui raccolto può essere annullato da una notte di brina. Gli Artognesi ampliano le loro uscite anche in Europa, nella stagione dei trafori, con la silicosi in costante agguato. Vanno in Australia e tra il 1920 ed il 1930 in Francia. Si parte dal 1936 per l’Africa orientale, al seguito delle truppe coloniali. Si va in Svizzera, in Grecia, in Belgio. La faccia cupa del dolore dell’emigrazione è quella dell’8 agosto 1956, per la catastrofe di Marcinelle con 139 italiani vittime. Il testo è ricchissimo di fotografie che sono testimonianza lampante di una storia che non va scordata, perché deve servire di monito alla politica ed alla società d’oggi. Grafica e impaginazione sono di QCINQUE dei F.lli Quetti di Artogne; la stampa della Tipolitografia M. Quetti di Artogne. SEBASTIANO PAPALE UN NUOVO LIBRO DI CARLA BINO Inutile presentare ai Camuni Carla Bino, nota anzitutto come figlia dell’indimenticabile Rizzardo Bino, poi come ideatrice e responsabile artistico (con Claudio Bernardi) della rassegna di teatro sacro “Crucifixus-Festival di Primavera”, quindi nella sua qualità di docente di Istituzioni di teatro e spettacolo e Teoriche del teatro nell’Università Cattolica di Brescia. Già nel recente passato, la studiosa aveva dato alle stampe il saggio: “Con le braccia in croce: Regola ed Officio della quaresima dei disciplinati di Breno” (edizioni Università 2000, Breno 2000, 2004); adesso un’altra notevole ed interessante fatica accademica: “Dal trionfo al pianto: la fondazione del ‘teatro della misericordia’ nel Medioevo (V-XIII secolo)”. Da buona camuna, l’autrice prende le mosse da Cerveno, dalla famosa “Via Crucis” scolpita nel legno da Beniamino Simoni nel 1700, dalla celebre processione decennale della “Santa Crùs”, un evento che coinvolge tutti gli abitanti del borgo ai piedi della Concarena. “Perché – si chiede Carla – si ha l’impressione di assistere a qualcosa che accade davvero? Per il semplice motivo che si tratta di una traduzione nella carne dell’immagine. Non è cerimonia liturgica, non è spettacolo, ma ‘drammaturgia della pietà’ per un ‘teatro della memoria’, che appunto fa presente il ricordo di quel che è accaduto, rendendolo accessibile, trasformandolo in esperienza”. Da queste considerazioni iniziali la Bino parte col preciso intento di sceverare i processi di maturazione del dramma medievale. “Dal trionfo al pianto”, recita il titolo, nel senso che si inizia con una passione Letture dapprima gloriosa e vincente, “annegata” nella resurrezione, per approdare alla fine al pianto (o compianto) sul corpo martoriato del Cristo. Nel secolo IX un’importante svolta: nella tragedia del Golgota, l’attenzione si sposta sempre di più sulla carne sofferente del DioUomo. Nuovo ed interessante anche il diverso ruolo di Maria ai piedi della croce: la Madre porta all’interno della passione un’umanità violentemente carica di passioni non divine, come ad esempio il sacrosanto risentimento. Il lancinante dolore della Vergine viene quindi a costituire lo snodo più interessante della drammaturgia medievale. La violenza sul Nazareno ed il pianto della Madonna risultano essere i due elementi intrecciati costanti nelle passioni dei disciplinati. Si passa in seguito dal ‘pianger la passione’ alla ‘rivoluzione drammaturgica delle lacrime’. Ed ancora: “Nel dramma moderno c’è scissione tra componimento teatrale e situazione esterna dello spettatore; nel dramma religioso di contro non si istituisce una vera e propria finzione, ma rimane sempre una forma di celebrazione rituale nella quale situazione interna ed esterna coincidono”. La nostra saggista conclude sposando la tesi di Mario Apollonio: leggere la rappresentazione passionistica medievale come “dràma”, cioè coma azione che accade in presenza, stabilisce relazioni, diviene esperienza. Alla fine ci si accorge che è stata data esaustiva risposta all’interrogativo iniziale maturato in quel di Cerveno, assistendo alla “Santa Crùs”. ERMETE GIORGI ? C. Bino, Dal trionfo al pianto: la fondazione del “Teatro della misericordia”, Vita e pensiero, Milano, 2008. ILLUSTRAZIONE DELLA VALLE CAMONICA Bortolo Rizzi fu decisamente un degno figlio del suo tempo. Nato nel 1818 a Pisogne, dove morì nel 1885, non si limitò ad essere sacerdote, ma si inserì in quella prestigiosa linea di Grazia che definì, anche in quegli anni, la vocazione pedagogica della provincia bresciana e della Valle Camonica. Laureato in Pedagogia fu professore e rettore del Collegio dei Mercanti di Pisogne con una dedizione tale da meritargli il pubblico elogio della Giunta Comunale di Pisogne, l’abilitazione all’insegnamento della lingua italiana, della storia e della geografia per decreto della Pubblica Istruzione e l’Atto di benemerenza dell’Ateneo di Brescia. Fu personaggio dagli interessi diversificati: uomo di scuola e di storia, attento osservatore dell’ambiente, cultore della musica, al punto di comporre alcune Messe, promotore del canto e del disegno. Una sensibilità ed una curiosità spiccate, che diventano i tratti distintivi della sua opera maggiore, quella “Illustrazione della Valcamonica” che vide la luce nel 1870 presso il libraio Pietro Ghitti. E’ lo stesso Rizzi a farne analitica descrizione nel “Manifesto” Letture con il quale, nel 1869, invita i “patrioti camuni” a sottoscriverne la prenotazione: non per “pubblicità editoriale”, come si usa oggi, ma per senso pratico “non amando fare spesa inutile, stampandone un numero di esemplari superiore a quello che possa essere spacciato”. Quattro libri, oggi diremmo capitoli, il primo dedicato al quadro geografico-sta- 59 tistico della Valle, il secondo alle notizie storiche della stessa, il terzo alla descrizione dei singoli comuni, il quarto che raccoglie quattro appendici. Il tutto corredato da una carta geografica della Valle e dei territori limitrofi. Didattica la finalità dell’opera: don Bortolo si rivolge “ai Sindaci, alle Giunte Municipali e ai Consiglieri di Comune”, invitandoli ad “acquistare parecchie copie di quest’operetta, per dispensarla in premio alle Scuole, anche negli anni futuri”. Rizzi precisa di aver “disposto le notizie storiche in modo che anche la gioventù, leggendole, possa formarsi un’idea tutt’altro che imperfetta delle grandi vicende dell’Italia, dai tempi antichi fino ai nostri giorni; e per essa, come anche per gli indotti, in fine di ogni periodo di storia ho notato le principali invenzioni e scoperte fatte dai nostri e dagli stranieri”. Accanto all’animo dell’educatore, sin dalle prime righe dell’introduzione emerge un secondo filo conduttore che accompagna la stesura: l’amore per il proprio territorio e il desiderio di dimostrarne il valore e la dignità, a dispetto di quanti la considerano area selvaggia. Sentimento, questo di riscatto, già individuabile in Padre Gregorio ed in molti altri autori che, a diverso titolo e con diverso successo, si sono impegnati in realizzazioni analoghe. Il proposito e il metodo sono esplicitati “voglio dare una Illustrazione, più che sia possibile, esatta e completa della nostra Valle; e mi lusingo che ciò possa riuscirmi, purché da tutti i Municipj rispondano all’appello loro fatto, fornendomi le Letture necessarie notizie dei rispettivi Comuni e Frazioni di Comune”. Il risultato finale dello sforzo di Rizzi è sorprendente: un’analisi a 360 gradi della Valle del suo tempo, resa con descrizioni, tabelle, tavole comparative, analisi quantitative. Non solo una fotografia, ma una ricerca ben contestualizzata e correlata ai micro e macro riferimenti storici e geografici. Una sorgente di dati di natura molto diversa, collezionati ed elaborati con passione, che forniscono ancora oggi stimoli per la ricerca e l’approfondimento, anche e soprattutto in termini didattici, attraverso analisi comparative col presente. Non solo statistica, comunque: la sensibilità dell’autore si è spinta oltre, aggiungendo a piene mani nei diversi aspetti della cultura, non senza idee creative ed originali come quella di sfruttare le cornici grafiche a capo pagina per farne spazio di massime e proverbi. Un’opera importante, di difficile reperimento al di fuori dei canali del prestito interbibliotecario: il tempo e le “ragioni logiche” di cui sopra avevano reso praticamente introvabile il volume. Benvenuta perciò è stata la ripubblicazione del testo, in riproduzione anastatica, per i tipi della Tipografia Camuna. Il volume è stato promosso in occasione della seduta straordinaria del Consiglio Comunale di Cedegolo indetta il 9 giugno 2007 per il conferimento della cittadinanza onoraria al dott. Giuseppe Camadini, già notaio titolare di quella sede per oltre un trentennio. GIACOMINO RICCI 2008 ANNO PAOLINO, IN UN VOLUME IL RITRATTO DI S. PAOLO In occasione dell’anno paolino (cade infatti quest’anno il bi-millenario della nascita di S. Paolo) è stata presentata venerdì 14 novembre 2008, in Vaticano, presso la prestigiosa sede dell’Accademia delle Scienze, l’ultima opera del prof. Eugenio Fontana: “Ritratto di Paolo”. L’incontro, proposto quale atto di amicizia e di stima verso l’Autore e verso i partecipanti dal nostro Cardinale Giovanni Battista Re, è stato aperto da Mons. Marcelo Sánchez Sorondo Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze. Interventi veramente di alto livello si sono succeduti: il Ch.mo prof. Mons. Romano Penna, docente ordinario di Esegesi del Letture Nuovo Testamento presso la Pontificia Università Lateranense, specializzato in particolare nello studio di S. Paolo; il dott. Pietro Zander, custode della necropoli e della fabbrica di S. Pietro; il dott. Umberto Utro, responsabile per l’Arte Paleocristiana dei Musei Vaticani e docente di Iconografia Cristiana. Presenti il Bresciano mons. Vittorio Formenti, incaricato dell’Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa presso il Vaticano, mons. Franco Corbelli, parroco di Breno e Mons. Tino Clementi, parroco di Manerbio; nonché molte persone interessate, tra le quali i rappresentanti delle Istituzioni camune: il presidente della Comunità Montana, l’assessore all’Istruzione, il presidente della SECAS, ecc. Moderatore dell’incontro Gian Mario Martinazzoli, giornalista e direttore di Radio Voce Camuna. Questa pubblicazione si inserisce - sostiene nella prefazione il Cardinal Re - con una propria caratteristica nella lunga serie di libri dedicati a Paolo di Tarso, illustrando alcuni tratti significativi della personalità e del pensiero teologico dell’uomo che, sulla strada di Damasco, da persecutore dei seguaci di Cristo divenne ardente e instancabile missionario e apostolo della fede e del vangelo. Con pennellate essenziali, il volume delinea un profilo oggettivo di San Paolo, cercando di penetrare nel suo mondo spirituale e mettendo in luce l’eccezionale intelligenza dell’uomo, la sua personalità volitiva e il temperamento appassionato e generoso. Esprimo - continua il presule camuno - 61 vivo apprezzamento per l’approfondito studio del Prof. Fontana, che ha attinto direttamente dagli Atti degli Apostoli e dalle lettere di San Paolo, ma anche dall’arte, non mancando infatti di dedicare un capitolo pure all’attenzione che gli artisti lungo i secoli hanno riservato a questa figura che nella storia della Chiesa brilla come stella di prima grandezza. Tornando all’incontro romano, il prof. Penna ha detto che si tratta di un volume di ampio approfondimento circa un soggetto poliedrico, come lo può essere un genio. C’è, infatti, un Paolo giudeo, un Paolo cristiano, un Paolo scrittore, un Paolo pensatore, ecc. e parlare di questo straordinario personaggio è tutt’altro che facile. Il Prof. Fontana lo ha fatto e tra i libri dedicati a S. Paolo il suo è indubbiamente uno dei migliori. Fontana, continua il docente, è entrato dentro il pensiero di S. Paolo toccando con grande maestria argomenti vastissimi e tra questi quello della libertà, tema centrale che fa delle prop op proposte dell’Apostolo di Tarso un messaggio di grande attualità. Si è detto particolarmente grato agli organizzatori il dott. Pietro Zander in quanto il volume veniva presentato a pochi passi dalla tomba di Pietro e ciò gli ha consentito di sottolineare il legame che unisce i due grandi pilastri della chiesa nascente. Ha concluso il prof. Umberto Utro dando una chiara Letture panoramica dell’ultima parte del volume dedicata all’iconografia su S. Paolo. Si può dire che Eugenio Fontana ha voluto trasporre in un documento scritto il suo grande amore per S. Paolo, un amore nato un poco alla volta durante i convegni dell’AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici), dove si era iniziato e si continua a leggere ed a commentare le lettere paoline; un amore coltivato per una costante, quotidiana frequentazione da parte dello studioso degli scritti, rigorosamente in lingua originale, dell’apostolo delle genti. Proprio questi incontri, affiancati dalle “lezioni” all’Università 2000, hanno fatto scaturire studi ed annotazioni di grande peso che correvano il rischio di restare nel cassetto se l’amico di sempre, on. Gianni Prandini, non avesse sostenuto ed incoraggiato la stampa dei medesimi presso la tipografia “La Cittadina” di Gianico. LUIGI DOMENIGHINI ALCUNE PROPOSTE DELL’EREMO ANNO 2008 - 2009* GIORNATE DI SPIRITUALITA’ MENSILI • Per religiosi e persone consacrate Parola di Dio – Parola di vita - Sabato 04 Ottobre 2008 - Vita consacrata oggi nella Chiesa - Pd Luigi Guccini - Sabato 15 novembre 2008 - Ia Lettera ai Corinti - don Giacomo Bulgari - Sabato 13 dicembre 2008 - Lettera ai Galati - don Mauro Orsatti - Sabato 17 gennaio 2009 - Lettera agli Efesini - don Cristian Favalli - Sabato 07 febbraio 2009 - Lettera ai Filippesi - don Angelo Blanchetti - Sabato 14 marzo 2009 - Lettera di Giacomo - don Giancarlo Pianta - Sabato 16 maggio 2009 - Ia Lettera di Pietro - don Gianluca Loda - Sabato 20 giugno 2009 - Ia Lettera di Giovanni - don Renato Musatti • Per mamme e spose Familiari del clero collaboratori parrocchiali - Martedì 21 ottobre 2008 - Martedì 18 novembre 2008 - presso LA CASA a Bienno - Martedì 23 dicembre 2008 - Martedì 20 gennaio 2009 - Martedì 17 febbraio 2009 - Martedì 24 marzo 2009 - Martedì 28 aprile 2009 - Martedì 19 maggio 2009 - Pellegrinaggio mariano - Domenica 31 maggio 2009 (ore 20.00) Calendario - Mercoledì 03 giugno 2009 (ore 20.00) S. ESERCIZI PER SPOSE–MAMME– COLLABORATRICI PARROCCHIALI • Per laici giovani e adulti Per vivere più intensamente l’Anno Paolino e l’Anno della Parola, l’Eremo insieme alle Parrocchie della IIa Zona Pastorale, propone, a laici giovani ed adulti, alcuni incontri di spiritualità. Lampada per i miei passi è la tua parola’ (Sal 119,105) ‘Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza da essere sostegno e vigore della Chiesa, saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale. Perciò si deve riferire per eccellenza alla Sacra Scrittura ciò che è stato detto: vivente ed efficace è la Parola di Dio’. (DV, 21) - Domenica 16 novembre 2008 - Ia Lettera ai Corinti - don Adriano Bianchi - Domenica 14 dicembre 2008 - Lettera ai Galati - don Raffaele Maiolini - Domenica 18 gennaio 2009 - Lettera agli Efesini - mons. Gianfranco Mascher - Domenica 08 febbraio 2009 - Lettera ai Filippesi - don Diego Facchetti - Domenica 15 marzo 2009 - Lettera di Giacomo - don Raffaele Donneschi - Domenica 17 maggio 2009 - Ia Lettera di Pietro - mons. Mauro Orsatti - Domenica 21 giugno 2009 - Ia Lettera di Giovanni - don Renato Musatti * Per conoscere l’intero programma dell’Eremo si può consultare il sito www.eremodibienno.it oppure chiedere alla Direzione dell’Eremo la pubblicazione con tutte le proposte. 63 Note • Il ritiro è occasione di incontro con la Parola, di meditazione e di silenzio • L’incontro di spiritualità inizia alle ore 08.30 e si conclude alle ore 12.30 con il pranzo • Alle ore 08.00, per chi lo desidera, ci sarà la celebrazione della S. Messa • Si chiede la presenza per tutto il tempo dell’incontro EUCARESTIA MENSILE PER “FIGLI IN CIELO” Molte famiglie vivono il dramma di aver perso un figlio in giovane età. Quasi sempre per incidente stradale, come, pure, per malattia o suicidio. La Chiesa non può non condividere questa grande sofferenza e non può rinunciare ad offrire una parola di speranza. Parola che attingiamo dalla Parola che ci dice la certezza che Gesù di Nazareth, il Signore, ha vinto la sofferenza e la morte. L’Eremo propone, per il terzo anno, la celebrazione dell’Eucarestia mensile perché, come credenti, ci sentiamo vicini nel sostenerci e nel portare ciascuno la sofferenza del fratello e nel dirci che una speranza esiste, è certa: Dio, in Gesù Cristo morto e risorto, abita la nostra sofferenza e apre alla luce del mattino di Pasqua. • Celebrazione dell’Eucarestia per papà e mamme: - Sabato 18 ottobre 2008 - Sabato 22 novembre 2008 - Sabato 20 dicembre 2008 - Sabato 17 gennaio 2009 - Sabato 21 febbraio 2009 - Sabato 21 marzo 2009 - Sabato 18 aprile 2009 - Sabato 16 maggio 2009 - Sabato 13 giugno 2009 • La celebrazione si terrà all’Eremo alle ore 16.30 Calendario GIORNATE DI SPIRITUALITA’ PER CATEGORIE Per impegnati nel politico e sociale - Ritiro in preparazione al Natale - Domenica 21 dicembre 2008 Propone le meditazioni + Francesco Beschi - Vescovo Ausiliare di Brescia - Ritiro in preparazione alla Pasqua - 22 marzo 2009 Propone le meditazioni + Luciano Monari Vescovo di Brescia - Ore 08.45 – Preghiera di Lodi - Segue la proposta di riflessione - Tempo per la riflessione personale e per il Sacramento della Riconciliazione - Ore 11.15: S. Messa - Ore 12.15: Pranzo (per chi lo desidera e lo prenota) • Per operatori sanitari e associazioni di volontariato nel mondo della salute Questi ritiri si terranno presso la Cappella dell’Ospedale di Esine - Ritiro in preparazione al Natale - Martedì 16 dicembre 2008 - Ritiro in preparazione alla Pasqua - Martedì 17 marzo 2009 - Ore 18.00 - Preghiera - Proposta di riflessione - Tempo per la riflessione personale e il Sacramento della Riconciliazione - Ore 19.45 - Condivisione - Conclusione e momento di fraternità LA PAROLA - 28 Giugno 2008 – 29 giugno 2009 Anno Paolino - Bimillenario della nascita di San Paolo Apostolo ... - 05 – 26 ottobre 2008 – Sinodo dei Vescovi ‘La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa’ ‘Il laico nel cammino con la Parola di Dio non sia soltanto un ascoltatore passivo, ma Calendario partecipi attivamente, in tutti i campi dove entra la Bibbia…. Il servizio dei laici richiede competenze diversificate che esigono una formazione biblica specifica’. (Inst. Lab. Sinodo dei Vescovi, n.51) 01. Corso biblico - I ‘La gloria di Dio è l’uomo vivente’ Riscopriamo l’identità e la grandezza dell’uomo – Tra Parola di Dio, teologia e filosofia • ‘L’uomo nel progetto di Dio e la distruzione di tale progetto’ (Genesi 1-2-3) Lunedì 03 novembre 2008 - ore 20.15 • ‘L’uomo nuovo in Cristo. Linee di antropologia paolina’ Lunedì 10 novembre 2008 - ore 20.15 • ’Il Padre nostro: scuola di preghiera dei figli’ Lunedì 17 novembre 2008 - ore 20.15 • Conduce gli incontri don Mauro Orsatti Diocesi di Brescia - Docente di S. Scrittura Questi incontri biblici saranno preceduti da altri tre appuntamenti che riproporranno il tema dell’antropologia tra filosofia e teologia: • ‘L’uomo: L’uomo antico - L’uomo moderno - Alla ricerca’ Lunedì 13 ottobre 2008 • ‘Il vivente: L’uomo ebraico - L’uomo cristiano - Domande e risposte per l’uomo di oggi’ Lunedì 20 ottobre 2008 • ‘La Gloria: Individuo - Comunità Umanità’ Lunedì 27 ottobre 2008 Conduce gli incontri: Gianluca Falconi Docente di filosofia 02. Corso biblico - II ‘S. Scrittura – L’Apostolo Paolo’ A volte i credenti rischiano di non conoscere gli elementi fondamentali della S. Scrittura che permettono, poi, un accostamento più fecondo alla Parola. Con questi incontri si offrono alcuni spunti storici, letterari, teologici 64 circa la composizione e la strutturazione della S. Scrittura. Come, pure, alcuni elementi per accostare la figura di Paolo e il suo pensiero. • S. Scrittura: Parola di Dio Parola dell’uomo Domenica 11 gennaio 2009 - ore 15.00 • S. Scrittura: Problema dell’interpretazione e senso della Parola di Dio Domenica 18 gennaio 2009 - ore 15.00 Conduce gli incontri: Padre Paolo Dozio Frate Francescano e Docente di S. Scrittura • Personalità di Paolo e sua conformazione a Cristo Domenica 01 febbraio 2009 - ore 15.00 • Il pensiero e la teologia di Paolo Domenica 08 febbraio 2009 - ore 15.00 Conduce gli incontri: Prof.ssa Marialaura Mino - Docente Ist. Scienze religiose Univ. Cattolica 03. Convegno biblico Domenica 10 maggio 2009 - ore 09.00 -16.30 Intervengono: + Luciano Monari - Vescovo di Brescia: ‘Dal Sinodo dei Vescovi - La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa’ Don Roberto Vignolo - Docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà teologica dell’Italia Sett. ‘Esegesi scientifica, esegesi spirituale e pastorale: interazioni e convergenze Ruolo e identità del lettore della Bibbia’ 04. Lectio divina Occorre porsi di fronte alla Parola in tteggiamento di ascolto e di domanda: in atteggiamento, quindi, di dialogo. Allora la Parola è luce e fermento per la vita, è contemplare il Dio di Gesù Cristo, è vita nello Spirito. Ecco perché si pensa ad un gruppo stabile di laici e consacrati che insieme si pongono alla scuola della Parola. • Il metodo sarà quello della Lectio: la Parola ascoltata, spiegata brevemente, meditata, condivisa. 65 Calendario • I testi saranno tolti dal Vangelo proposto dalla Liturgia della domenica seguente. • L’incontro sarà tenuto dalle ore 20.15 alle ore 21.45 precise. • Martedì 04.11.2008 02.12.2008 13.01.2009 10.02.2009 03.03.2009 31.03.2009 05.05.2009 02.06.2009 21.10.2008 18.11.2008 16.12.2008 27.01.2009 24.02.2009 17.03.2009 21.04.2009 19.05.2009 16.06.2009 05. Giornate biblico-spirituali Accanto ad una conoscenza correttamente esegetica, chi accompagnerà l’esperienza porterà i partecipanti a gustare nella meditazione, nella preghiera e nel dialogo fraterno ciò che la Parola andrà suggerendo. • Venerdì 28 agosto 2009 (ore 16.00) – Martedì 01 settembre 2009 (ore 13.00) • S. Paolo – Lettere a Timoteo e a Tito • don Mauro Orsatti - Docente di S. Scrittura nel Seminario teologico di Brescia PROPOSTE DI ATTENZIONE CULTURALE III Corso - Grandi Religioni Stili di dialogo Domenica 14.09.2008 - ore 15.30 ‘MARTIN LUTER KING’ - Testimone del Vangelo – Martire della non violenza Lidia Maggi - Pastora Comunità Battista di Milano e Lodi Domenica 21.09.2008 - ore 15.30 ‘CHARLES DE FOUCAULD’ - Presenza silenziosa nell’Islam Ezio Bolis - Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (MI) Domenica 28.09.2008 - ore 15.30 ‘EDITH STEIN’ - Fedeltà all’ebraismo e al cristianesimo Massimo Epis - Facoltà dell’Italia Settentrionale (MI) Domenica 05.10.2008 - ore 15.30 ‘Padre YVES CONGAR o.p.’ - Profeta del dialogo ecumenico Fra Rosario Scognamiglio o.p. - Preside Istituto di Teologia Ecumenico-Patristica di Bari Attraverso il ‘68 Colloquio-dibattito a quarant’anni dall’avvio della contestazione tra storia e testimonianza Domenica 26 ottobre 2009 - ore 15 Coordinatore: Gianmario Martinazzoli Intervengono: - Prof. Giorgio Campanini (i valori, i disvalori, le idee, la cultura, la presenza dei cattolici nella società italiana in prospettiva storica) - Dott. Giacomo Scanzi (la cronaca, i fatti, gli uomini, i movimenti sociali fin dentro gli anni Settanta) - Avv. Mino Martinazzoli (le istituzioni, la politica, il profilo della democrazia, il destino della Repubblica) - spazio per il dibattito Media senza virtù Seminario di aggiornamento sull’emergenza educativa e la sfida dei mass-media tra famiglia, scuola e oratorio Sabato 21 febbraio 2009 - ore 16.30 – Moderatore: dott. Paolo Erba – Intervengono: - don Adriano Bianchi, Direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della Diocesi di Brescia - prof. Giuseppe Mari, Ordinario di Pedagogia generale, Università Cattolica del Sacro Cuore Una carta tra passato e presente Riflessioni a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione repubblicana Domenica 19 aprile 2009 - ore 15.00 - Introduce e modera: prof. Giancarlo Maculotti, assessore alla cultura della Comunità montana di Valle Camonica Calendario - Interventi di: - Le radici nazionali e il contesto storico, prof. Rolando Anni, Archivio storico della resistenza bresciana e dell’età contemporanea, Università Cattolica del Sacro Cuore - Dibattito, principi, valori, prof. Filippo Pizzolato, Università degli studi di Milano - Bicocca APPUNTAMENTI VARI ALL’EREMO..... Triduo pasquale Vissuto insieme alle Sorelle Clarisse – Monastero S. Chiara dal Giovedì Santo (ore 15.00) al Sabato Santo (ore 01.30) 09-10-11- Aprile 2009 Le Sorelle Clarisse proporranno momenti di meditazione e di approfondimento dei Riti del Triduo Pasquale. Insieme a momenti di contemplazione e di preghiera proposti e accompagnati da loro. Inoltre si condivideranno con loro i Riti del Triduo. L’Eremo ospiterà coloro che vivranno il Triduo con le Sorelle Clarisse. L’ospitalità verrà data fino al mattino di Pasqua. 31 dicembre 2008 - Veglia di preghiera - ore 21.00: Ritrovo all’Eremo - Preghiera Sguardo ai fatti più salienti dell’anno appena trascorso 66 - ore 21.45: Marcia silenziosa verso il monastero delle Sorelle Clarisse - ore 22.15: Concelebrazione con i Sacerdoti presenti della Santa Eucarestia - ore 23.15: Con le fiaccole cammino di preghiera verso il colle di Cristo Re - ore 24.00: * Dal colle affidamento a Cristo Re del nuovo anno, della Valle e del mondo intero - Segue, poi, un momento di fraternità presso l’Eremo Festa patronale dell’eremo Domenica 28 giugno 2009 - ore 17.00 Celebrazione Eucaristica con il Vescovo Luciano Monari RADIO VOCE CAMUNA, COMPIE TRENT’ANNI Quando negli anni cinquanta arrivò la televisione, sembrò finita; eppure sopravvisse pur nel ristretto regime monopolistico della RAI. Quando, poi, negli anni settanta, arrivò la “liberalizzazione” fu un autentico boom: le radio “private” spuntarono dappertutto e molte ebbero un successo strepitoso, significativo di un bisogno di radio mai sopito. Oggi le “radio libere” sostanzialmente hanno raggiunto un equilibrio, sono regolamentate dalla Legge Mammì (1990) e dalla più recente legge Gasparri (2004) che sostanzialmente le dividono in “commerciali” e “comunitarie”. Le prime agiscono come un’impresa, le seconde prevalentemente come servizio ai cittadini della zona di emittenza, caratterizzate dall’assenza dello scopo di lucro e portatrici di particolari istanze culturali, etniche, politiche e religiose. Queste ultime, non hanno mai avuto vita facile, tant’è che quando nacque Radio Voce Camuna erano in Italia approssimativamente 2000 ed oggi sono circa 200. Eppure ogni giorno 37 milioni di Italiani ascoltano la radio e sono molti quelli che si sintonizzano sulle radio comunitarie proprio perché in esse si identificano come cultura, pensiero, territorio. Un successo dunque che continua e, se possibile, cresce. Ma perché la radio piace? E’ sicuramente più creativa e stimolante: si ascolta e le immagini nascono nella mente così come le vogliamo noi, senza che altri ce le impongano. In genere poi la programmazione radiofonica è più vicina, più varia, meno condizionante e la musica qualunque essa sia, è la grande protagonista. Avvenimenti Va detto ancora che la radio fa una compagnia discreta, la si ascolta volentieri mentre si è alla guida dell’automobile, mentre si fa un lavoro, mentre si è intenti alle quotidiane faccende, mentre si è in casa, ecc. Ebbene Radio Voce Camuna è la nostra Radio comunitaria e ci tiene compagnia da trent’anni. Ricordo con precisione gli studi della prima sede ricavati nel 1978 in due piccole stanze della casa del parroco di Malegno don Enrico Melotti, proprio lì dove c’era la Sede degli Aspiranti, ormai trasferita all’Oratorio. Ora da ventisei anni, risiede a Breno nei locali messi a disposizione dalla Tipografia Camuna, nel ristrutturato edificio dell’ex Cinema Manzoni. Sorella di Radio Voce di Brescia, in sintonia con lo spirito e Avvenimenti le finalità dell’emittente diocesana, nacque per rappresentare ed interpretare la sensibilità peculiare della Valle. E’ sostenuta dall’associazione Radio Voce Camuna, ha un suo consiglio di amministrazione presieduto da Angelo Farisoglio ed è magistralmente diretta da Gian Mario Martinazzoli. Radio Voce ha a cuore la difesa delle tradizioni camune, dei valori del territorio nella prospettiva di una cultura della persona, alla luce del messaggio cristiano concretamente vissuto e divulgato ogni giorno. E’ quanto la radio fa ogni giorno con l’informazione puntuale e corretta, l’approfondimento delle notizie, i programmi culturali, l’intrattenimento musicale e la diffusione delle iniziative legate alle parrocchie e alle zone pastorali della Valle. In questi ultimi anni la Radio ha creato nuovi programmi rivolti ai giovani. E’ il caso di “Progetto Radio”, di “Hammer Music Radio” e ancora di “Radio Grest” programma 68 con concorso a premi riservato ai Grest parrocchiali. Radio Voce Camuna estende il suo segnale su tutta la Valle Camonica fino al Basso Sebino sintonizzandosi sui 102 (alta valle) 100.5 (media valle) 95.00 (bassa valle) e 104 (sebino) Mhz. L’anniversario è stato ricordato con numerose iniziative tra le quali una S. Messa per gli animatori della radio, gli amministratori e gli amici presso il Monastero della Clarisse a Bienno ed uno stupendo, affollatissimo concerto dell’orchestra da camera “A. Vivaldi”, diretto dal maestro Silvio Maggioni, tenutosi sabato 7 novembre nella Pieve di S. Maurizio a Breno e trasmesso in diretta da Radio Voce Camuna e da Radio Voce in Blu di Brescia. Auguri, dunque a questa nostra Radio Comunitaria. LUIGI DOMENIGHINI LETTERE DALL’EREMO È IN INTERNET AL SITO: www.eremodibienno.it (pubblicazioni)