Italian Association of Assistance Community Services - Education - Heritage Edizione Inverno 2009 Quarterly Newsletter For The Elderly, The Housebound And Carers. Editor Michele Sapucci L’Australia Presente e futuro dell’isola continente L’ ABS Australian Social Trends è una pubblicazione periodica dell’Australian Bureau of Statistics. Questa pubblicazione è una specie di ritratto dell’Australia di oggi, in cui il pennello viene sostituito dai numeri: l’ABS Australian Social Trends non fa altro che scoprire quanti siamo, quante coppie sposate ci sono in Australia, quanti giovani, quanti vecchi e tanti altri dati per capire com’è il paese e poi, basandosi su questo dipinto del presente (sui dati raccolti), cerca di prevedere il futuro, di dirci cosa diventeremmo in base a chi siamo. Il rapporto più recente è uscito quest’anno e sarà uno strumento molto importante per i politici e per chiunque ha il compito di preparare il futuro del nostro paese, ma anche per chi tra noi è interessato a dare un’occhiata a questa specie di palla di cristallo, capace di prevedere il futuro, che è il rapporto.Tra i dati sicuramente più interessanti c’è quello relativo alla crescita della popolazione. In Australia nel 2006 vivevano circa 21 milioni di persone. È probabile che nel 2056 saremo 35 milioni e mezzo e addirittura 44,7 milioni nel 2101! Insomma come paese continueremo a crescere, almeno fino agli inizi del prossimo secolo e questo anche grazie agli emigranti che continueranno ad arrivare. Questo è vero specialmente per Sydney che sarà nel 2056 una città di ben sette milioni di abitanti. Il problema è che, assieme a questa crescita, il rapporto registra anche un altro cambiamento nel paese: l’invecchiamento della popolazione. Nel 2007 ci potevamo considerare un paese relativamente giovane, con solo il 13% della popolazione con più di 65 anni. Le cose cambieranno di parecchio col procedere degli anni, finché nel 2056 il numero di “anziani” raggiungerà il 24% della popolazione, insomma più o meno un anziano ogni cinque persone, rispetto ad uno ogni 13, com’è adesso. Questa tendenza ad un generale invecchiamento della popolazione pare inevitabile, non si può fare molto in proposito, e pone seri problemi per un motivo molto semplice: meno giovani vuol dire meno persone che lavorano, questo vuol dire meno tasse raccolte, che alla fine significa meno servizi ma più persone che ne avranno bisogno, perché ci saranno più anziani. Ma non sono solo i numeri degli abitanti a cambiare in Australia. Le famiglie stesse stanno cambiando. Innanzitutto sempre più spesso ci si sposa dopo aver vissuto assieme. Questo è un fenomeno che ci accompagna da parecchi anni e che adesso ha raggiunto dimensioni di massa. Nel 1960 un timido 3% delle coppie che sono a tutt’oggi sposate, avevano vissuto assieme prima del matrimonio. Oggi i numeri sembrano quasi invertiti! Solo il 15% delle coppie che si sono sposate a partire dal 2000 non hanno vissuto assieme prima di sposarsi. Sposate o non sposate le coppie sembrano anche più inclini a dividersi i lavori di casa. Rispetto al passato gli uomini fanno più lavoro in casa, anche se sono ancora le donne a farne la maggior parte, circa il doppio rispetto ai loro mariti. A difesa degli uomini si deve dire che comunque il numero di ore lavorate sia da uomini che donne (che sia sbrigando le faccende di casa o in un lavoro pagato) è uguale, circa cinquanta ore la settimana. Insomma viviamo sempre più in famiglie in cui i ruoli classici stanno sparendo. Ma viviamo anche, e questa è un’altra non bella notizia del rapporto, in famiglie con sempre più debiti. A partire dagli anni novanta ci siamo indebitati sempre di più e stiamo parlando di cifre folli. Nel 1990 il debito delle famiglie australiane era di appena (si fa per dire) 190 miliardi, nel 2008 ha raggiunto la cifra pazzesca di più di un miliardo di miliardi! In media ogni nucleo abitativo, termine tecnico che indica ogni persona che vive indipendentemente in una casa, in famiglia o no, ha un debito di circa 50 000 dollari. Ci indebitiamo soprattutto per comprare case ma anche per comprare cose: televisioni a grande schermo, vestiti, cibo e quant’altro. Il debito accumulato sulle carte di credito è infatti cresciuto di parecchio, specialmente tra i più poveri. Fino ad ora l’economia era fiorente, la disoccupazione bassa e i prezzi delle case continuavano a salire. Insomma c’era tra di noi fiducia nella possibilità di poter ripagare continua a pagina 2 Indice pagina 1 L’Australia: presente e futuro dell’isola continente 2 L’arte del mosaico sbarca a Leichhardt: L’ “Howthorne Canal Community Mosaic Mural” 3 Novità al Co.As.It.: servizi diversi per una comunità che cambia 3 Come cambia l’Italia e i suoi emigranti: curiosando sui giornali italiani 4 Luigi Pirandello: le tante facce dell’uomo moderno 6 Breve storia del vino: da bevanda degli dei a bevanda commerciale Essere & Benessere Inserto speciale 7 L’esercizio fisico: un modo diverso per curare la depressione 8 I fruttivendoli italiani di Sydney: la storia della gente comune 9 Violenza sugli anziani: come la legge può proteggere 10 Benessere e felicità: così vicini eppur così lontani 11 Gruppi di sostegno per malati di cancro: un iniziativa di Lifeforce in collaborazione col Co.As.It. continua da pagina 1 i nostri debiti. Viene da chiedersi cosa succederà ora, con la crisi economica che ci sta travolgendo e durerà chissà quanto... Rimaniamo comunque, è importante ribadirlo, un paese ricco. Ma tutta questa ricchezza, tutto questo benessere materiale, ci rendono forse più sereni? La risposta, guardando ai dati sulla salute mentale, sul benessere psicologico degli australiani, è abbastanza difficile da dare, abbastanza ambigua. Nel 2007 circa un australiano su quattro aveva sofferto nel corso della propria esistenza di un qualche tipo di problema psicologico, stiamo parlando di 7,3 milioni di persone. Di queste persone la maggior parte aveva sofferto di un disturbo non troppo grave e per la maggior parte di ansia (specialmente donne), ma anche di disturbi dell’umore (come la depressione) e di abuso di sostanze stupefacenti (ovvero droghe), problema quest’ultimo che colpisce soprattutto gli uomini e i giovani. E la cosa più triste è che di tutte queste persone che magari avrebbero bisogno di aiuto e di cure, la stragrande maggioranza sembra non chiederlo, spesso dando come motivazione il fatto di non averne bisogno. Insomma pare proprio che l’essere una società ricca non ci renda immuni da tristezze e preoccupazioni e dal desiderio di trovare una risposta a questi assilli nell’alcool o in altre cose! Parte delle informazioni contenute nell’articolo sono tratte dal sito web www.abs.gov.au L’arte del mosaico sbarca a Leichhardt L’ “Howthorne Canal Community Mosaic Mural” Frutto della collaborazione tra il Comune di Leichhardt e vari altri enti e dell’impegno di Nola Diamantopoulos, artista piena di talento e Presidente dell’Associazione mosaicisti dell’Australia e della Nuova Zelanda, l’Hawthorne Canal Community Mosaic Mural (Mosaico collettivo del canale di Hawthorne, in italiano) é un progetto molto ambizioso: si tratta di rivestire di un mosaico murale un sottopassaggio che fa parte del percorso verde “Iron Cove” nella parte del Comune di Leichhardt. Un’impresa, perché consiste nella creazione di 22 pannelli di dimensioni notevoli. Il tema del mosaico si ispira alla vita marina e, grazie all’abile direzione di Nola, ha visto il coinvolgimento attivo di molti abitanti 2 in Contatto - Inverno 2009 della zona, bambini compresi, grazie al coinvolgimento di varie scuole. I bambini sono riusciti, con la loro creatività, a rendere ancora più colorato, brillante e giocoso il mosaico in preparazione, disegnandone essi stessi le figure. Il gruppo di brillanti volontari che lavorano sotto la direzione di Nola si incontra tutti i martedì, dalle 10 alle 12, presso lo studio dell’artista, al numero 747 di Darling Street a Rozelle. Se volete partecipare a questa eccitante iniziativa potete contattare direttamente Nola al numero 02 98187471 (o via email al [email protected]), tutti sono benvenuti e non è necessaria nessuna esperienza in questa bella e antichissima arte. Novità al Co.As.It. Servizi diversi per una comunità che cambia Una comunità numerosa come quella italiana è un qualcosa che cambia costantemente, così come cambia la società in cui tutti noi viviamo e con lei i problemi che le persone debbono affrontare nel corso delle loro vite. Parte del lavoro di organizzazioni come il Co.As. It. è proprio quello di capire che tipo di bisogni gli italoaustraliani avranno ora e nel futuro e fornire servizi adeguati a rispondere a questi bisogni. Questo richiede uno sforzo costante di ricerca e di richiesta fondi. Da questo punto di vista, questo è stato un mese fortunato per il Co.As.It., che è lieto di annunciare l’apertura di ben tre nuovi servizi, servizi che permetteranno all’organizzazione di rispondere ai bisogni nuovi e vecchi della nostra comunità. Progetto gioco d’azzardo Gambling Project Per cercare di fornire aiuto e assistenza alle purtroppo sempre più numerose famiglie che sono toccate da questa forma di dipendenza, il Co.As.It ha ottenuto un finanziamento della durata di tre anni dal Department of Gaming and Racing. Il servizio, attivo a partire da luglio di quest’anno, offre consulenza psicologica a chi ha problemi di dipendenza da gioco d’azzardo e organizzerà anche campagne informative di sensibilizzazione sul tema Progetto amiciziaCompanionship Program Questo nuovo programma, finanziato dalla Community Relations Commission, si propone di offrire amicizia e compagnia a quegli anziani che si trovano in situazioni di particolare solitudine ed isolamento. Tramite questo progetto una persona anziana che vive a casa sarà associata ad un volontario/volontaria che la andrà a trovare regolarmente, offrendogli compagnia, amicizia e conforto. Il progetto si basa sulla buona volontà dei membri della nostra comunità e sulla loro disponibilità a dare del tempo per una buona causa. Volontari sono perciò ben accetti. La coordinatrice del progetto è Claudia Bertinato. Programma di supporto persone affette da demenza e ai loro familiari Il Dementia Support Program, finanziato dal Department of Health and Ageing, si propone di offrire informazioni, consulenza psicologica e supporto a coloro che soffrono di demenza, ai loro cari e a chiunque si prenda cura di queste persone. Tra le attività previste c’è anche un servizio di supporto per quegli anziani che vivono in zone rurali e remote via teleconferenza. Il Co.As.It. attiverà anche una linea di consulenza telefonica per questo servizio il cui numero sarà 02 95640744. La coordinatrice del progetto è Rita Torrisi. Per ottenere informazioni su questi nuovi servizi e per offrirsi come volontari per il Progetto amicizia potete telefonare al Co.As.It. al numero 02 95640744 Come cambia l’Italia e i suoi emigranti Curiosando sui giornali italiani Matrimonio all’italiana La vita di coppia, il modo di stare assieme degli italiani sta cambiando e il paese sta perdendo rapidamente alcune delle sue caratteristiche peculiari. Ci si sposa di meno in Italia e questa è una tendenza presente da anni, almeno dagli inizi degli anni settanta. Un altro dato interessante è che ci si sposa sempre di meno in chiesa. Le unioni civili (i matrimoni in comune) stanno infatti aumentando di anno in anno: nel 2008 erano civili poco più di tre matrimoni su dieci, dato che segna un aumento del 50% in quindici anni. I rapporti di coppia si fanno inoltre più labili, il “vincolo sacro e indissolubile” del matrimonio, cui erano abituati i nostri genitori e nonni, sta diventando sempre meno sacro, e questo lo avevamo già visto, e anche sempre meno indissolubile. Aumentano infatti i secondi matrimoni, persone cioè che si sposano dopo un divorzio o una separazione. Le seconde nozze nel 2008 sono state 33.070, lievemente di più rispetto all’anno precedente, quasi il 14% del numero di matrimoni complessivo. Se la gente si sposa sempre meno per poi sempre più spesso divorziare, tutto questo avviene anche ad una sempre più tarda età, intorno ai 33 anni per gli uomini e verso i 30 continua a pagina 5 Inverno 2009 - in Contatto 3 Luigi Pirandello Le tante facce dell’uomo moderno Romanziere, poeta ma soprattutto drammaturgo, Luigi Pirandello nasce ad Agrigento il 28 giugno del 1867. La famiglia Pirandello era molto coinvolta in politica, il padre era un ex garibaldino, ovvero aveva partecipato alle imprese di Garibaldi in Sicilia e il nonno alla rivoluzione siciliana nel 1848-1849. Tutta gente insomma che aveva lottato per l’unità d’Italia e che credeva fermamente in questo ideale e in quello che viene chiamato il Risorgimento italiano. Pirandello nasce ricco di famiglia, con il padre Stefano coinvotto nell’industria della estrazione dello zolfo. Ma i soldi, come si suol dire, non sono tutto e certamente il denaro non da necessariamente la felicità. Infatti, sin da piccolo Pirandello trova difficile comunicare con il padre e il mondo degli adulti in generale. Il futuro scrittore reagisce a queste difficoltà come farebbero tutti i bambini bisognosi d’affetto: cercando di compiacere i “grandi” e di capire cosa vogliono attraverso lo studio e l’osservazione del loro comportamento. Capacità questa, che Luigi Pirandello metterà a buon frutto nelle sue opere, tutte basate sull’osservazione attenta del comportamento umano e di come questo cambi a seconda delle circostanze. Pirandello credeva infatti fortemente che sono le circostanze che fanno l’uomo e che tutti noi nella vita abbiamo una limitata capacità di scelta. Nasciamo ovvero, in una specifica famiglia, circondati da uno specifico ambiente e queste sono le circostanze che formano il nostro carattere e indirizzano i nostri desideri. Un po’ come se ci fossero davanti a noi delle strade precise che dobbiamo seguire e deviare dal percorso dato è cosa quantomeno difficile se non impossibile. Questa è, in breve, la filosofia di vita di Pirandello e tutte le sue opere, ma soprattutto quelle teatrali, parlano di personaggi che si trovano ad affrontare questi dilemmi esistenziali e cercano, con ironia e a volte con disperazione, di rispondere a domande che tutti noi ci poniamo in un modo o nell’altro: “chi sono veramente?”, “cosa voglio fare della mia vita?”, “cosa vogliono gli altri da me?”. Pirandello si rivela, come molti scrittori di talento, un talento precoce e comincia a scrivere molto presto. La sua prima opera, dal titolo di “Barbaro” pare l’abbia scritta ad appena undici anni! Ma le glorie letterarie verranno chiaramente molto dopo. Nel frattempo, compiuti gli studi superiori e dopo un breve periodo trascorso aiutando il padre, Pirandello va a Roma a studiare all’università e poi in Germania a Bonn. Laureatosi nel 1891 Pirandello, seguendo la strada tipica dei ragazzi di buona famiglia, si sposa con Maria Antonietta Portulano. Il fatto che la moglie di Pirandello fosse la figlia di un socio d’affari del padre fa pensare ad un matrimonio d’affari più che d’amore. Ma, con un colpo di scena degno di un romanzo, il giovane Luigi e Maria Antonietta si innamorano davvero ed a completare felicemente questa loro unione nascono in breve sequenza, tra il 1895 e il 1889, tre figli Stefano, Rosalia e Fausto. Pirandello aveva allora già cominciato a scrivere, inizialmente poesie e poi romanzi, come “L’esclusa” e “Il turno”. Il successo però non arriva. Arriva invece un’altra cosa, che segnerà la vita dello scrittore e della sua famiglia per sempre. Una delle miniere di zolfo su cui era stata investita tutta la dote della moglie e dai cui proventi la giovane famiglia Pirandello traeva molto del suo sostentamento crolla e si allaga. È il completo disastro finanziario, la fine del benessere e della ricchezza. La dura realtà fa la sua brusca entrata nell’esistenza dello scrittore. Il suo lavoro come insegnante alle scuole magistrali non basta e l’ancora giovane Pirandello si vede costretto a dare lezioni private per guadagnarsi da vivere, continuando nel frattempo a scrivere e iniziando una collaborazione con Il Corriere della Sera. Poi nel 1904 Pirandello scrive una delle sue opere più famose, il romanzo “Il fu Mattia Pascal” : la storia di un uomo che improvvisamente viene dato per morto, anche se è ancora vivo e vegeto e decide di non dire a nessuno del fatto di essere ancora vivo, approfittando dell’occasione per rifarsi una vita finalmente come vuole lui. In questo romanzo Pirandello parla di uno dei suoi temi preferiti, ovvero quello della maschera. In parole semplici quello che dice Pirandello è che ognuno di noi nella vita è varie cose per varie persone. Per i figli siamo genitori, per le nostre mogli o mariti siamo i loro sposi, per i nostri genitori siamo figli. E ognuno di questi ruoli sono appunto maschere che ci portiamo addosso tutta la vita. Spesso queste maschere sono molto diverse tra loro e a volte ci chiedono cose diverse. I figli ci chiedono di essere seri, maturi e responsabili ma gli amici ci chiedono invece di essere simpatici e divertenti. O ancora, i figli ci chiedono di essere forti nei momenti difficili, mentre un altra parte di noi avrebbe voglia di lasciarsi andare e farsi magari coccolare. Alcune volte tutti questi ruoli ci fanno soffrire e ci verrebbe voglia di mandare tutto e tutti al diavolo, di mollare tutte le maschere. Ed è proprio quello che fa Mattia Pascal nel romanzo. Appena uscito il romanzo ha un successo enorme e viene tradotto in varie lingue. È l’inizio dell’ascesa di Pirandello tra i grandi della letteratura mondiale e di un sempre maggiore coinvolgimento di Pirandello nel teatro e nella scrittura di pezzi teatrali famosissimi come “Così è se vi paré, “Sei personaggi in cerca d’autore” o ‘Come tu mi vuoi”. “Pirandello è sempre stato innamorato del teatro, ma é a partire da continua a pagina 5 4 in Contatto - Inverno 2009 continua da pagina 4 poco dopo la prima guerra mondiale che le sue opere diventano famose al punto da essere tradotte in varie lingue e rappresentate in varie parti del mondo. “Come tu mi vuoi” addirittura diventa un film con Greta Garbo. I temi delle sue opere teatrali sono comunque quelli presenti nei suoi romanzi e a volte alcune opere teatrali sono addirittura tratte dai romanzi. Nel 1934 Pirandello, a coronamento di una lunga carriera, riceve il Premio Nobel per la letteratura, la massima onorificenza cui uno scrittore contemporaneo possa aspirare. La motivazione del Nobel descrive molto bene l’arte Pirandelliana quando dice che l’autore merita questa onorificenza “per il suo coraggio e l’ingegnosa ripresentazione dell’arte drammatica e teatrale”. Pirandello muore pochi anni dopo, nel 1936. Benché il regime fascista volesse organizzare dei funerali di stato per lui, nel suo testamento Pirandello chiese ed ottenne espressamente un funerale semplice, addirittura senza la presenza di familari e amici. Quello che è stato il più grande drammaturgo italiano non volle neanche essere seppellito, ma cremato, con le ceneri sparse nel luogo in cui era nato, ad Agrigento. Un fine semplice per una vita passata alla ricerca delle cose più importanti di cui noi uomini siamo fatti, al di là delle maschere che tutti i giorni dobbiamo e vogliamo indossare. Presso il Centro Risorse Multimediali, al numero 67 di Norton Street a Leichhardt si possono trovare varie opere di Luigi Pirandello, compresi alcuni video delle sue principali opere teatrali. Per ulteriori informazioni potete chiamare il numero 02 9564 0755 Emigrare senza nostalgia per le donne. Cosa significhi tutto questo, quali conclusioni trarre da questi numeri è argomento di acceso dibattito tra politici, studiosi e gente comune. C’è chi vede in questi dati un crollo dei valori tradizionali, come la famiglia o il senso di responsabilità. Altri vi vedono semplicemente il frutto di una maggiore possibilità di scelta e quindi di una maggiore libertà. Forse non c’è contraddizione tra queste due cose, forse tutti questi numeri ci dicono che gli italiani sono ora più liberi di decidere i valori fondanti delle loro vite ed hanno accettato che il matrimonio e la famiglia non sono l’unico modo di realizzarsi, di essere felici... continua da pagina 3 Per molti anni emigrazione ha significato, forse perchè spesso si trattava di un’emigrazione necessaria, nostalgia, desiderio struggente di un ritorno a casa. Per molti anni ad emigrare sono stati i poveri, quelli che non avevano molto e che avevano anche poco da sperare. Le cose sembrano cambiate, almeno stando ad uno studio condotto dalla Fondazione Migrantes, dal titolo “Rapporto Italiani nel Mondo”. Il rapporto si concentra non tanto su quegli italiani che sono emigrati nel lontano passato e che nel loro paese di adozione hanno figli, nipoti e magari pronipoti, anche se il rapporto ne parla e conclude che gli italiani oriundi sparsi nel mondo sono ben sessanta milioni. La ricerca si concentra piuttosto sui nuovi emigranti, su quelli che se ne sono andati dall’Italia in un passato più o meno recente e che sono iscritti al famoso A.I.R.E., il registro degli italiani all’estero. Gli italiani all’estero sembrano andare o in Europa o in America, con la Germania a fare la parte del leone per quel che riguarda i numeri, e sembrano venire dal sud per la maggior parte, il 55.6% del totale, anche se il nord col suo 30% e le isole col loro 14.4% contribuiscono in maniera significativa. Tra i nuovi emigranti, e questo dato segna un altro cambiamento fondamentale rispetto all’idea tradizionale di emigrazione che abbiamo tutti noi, ci sono molti giovani: circa il 60% degli iscritti all’A.I.R.E. ha meno di 35 anni e gli anziani, chi ha più di 65 anni, rappresentano appena un quinto del numero totale. Un esercito di giovani quindi, molti di loro con studi universitari alle spalle che decidono volontariamente di emigrare per garantirsi un migliore futuro professionale. Stiamo parlando di quelli che i giornalisti italiani definiscono “cervelli in fuga”. Non hanno particolari nostalgie di casa questi giovani, e questo il dato forse più interessante della ricerca, ma vogliono ancora mantenere un legame col loro paese, ne vogliono ancora gustare la favolosa cultura e vogliono che il governo continui a promuoverne la bellissima lingua. Emigranti diversi quindi, giovani laureati meno desiderosi di prima di tornare a casa, ma ancora orgogliosi del loro paese e di ciò che ha da offrire alle comunità italiane all’estero e ai paesi ospitanti. Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono tratte dai seguenti siti web, www.repubblica.it e www.avvenire.it Inverno 2009--in inContatto Contatto Winter 2009 5 Breve storia del vino Da bevanda degli dei a bevanda commerciale Le origini del vino, in quanto sostanzialmente frutto della fermentazione delle uve, si perdono nella notte dei tempi, perché l’attrazione per l’effetto inebriante di questo processo chimico sembra essere stata scoperta molto presto nella storia dell’umanità. C’è addirittura chi sostiene che non siano solo gli uomini ma anche gli animali ad avere una certa passione per i prodotti della fermentazione di piante, frutta e bacche... Gli elefanti per esempio pare cerchino volutamente i frutti in decomposizione caduti a terra perché ne conoscono il potere inebriante. Sicuramente il vino occupa da migliaia di anni un posto centrale nella cultura umana e lo si vede anche dai modi di dire ad esso legati, come il famoso motto latino “in vino veritas” o l’italiano “la botte piena e la moglie ubriaca”. Il tutto sembra essere cominciato intorno all’8000 a.C. nell’Asia Minore. È questo, apparentemente, il periodo in cui la vite comincia ad essere “addomesticata” per così dire e si tenta di coltivarla. Questi tentativi si protraggono per parecchio tempio, circa duemila anni e sembra siano stati i Sumeri, abitanti della Mesopotamia (l’attuale Iraq) e inventori della scrittura, ad inventare il vino in quanto tale, come testimoniato da un poema trovato presso un antichissimo tempio di questa lontanissima civiltà. Siamo quindi in un periodo lontanissimo nella storia dell’uomo, ben prima che la bibbia fosse scritta. Probabilmente i Sumeri trasmisero le loro conoscenze alla grande civiltá successiva, quella degli AssiroBabilonesi, i quali a loro volta le trasmisero agli Egiziani che possono essere considerati i maestri del vino nell’epoca antica. Gli egiziani sono stati maestri nelle tecniche di coltivazione e ne hanno lasciato resoconti dettagliati. 6 in Contatto - Inverno 2009 Forse portato dai Fenici, popolo di commercianti, il vino fa la sua entrata nel bacino del mediterraneo circa duemila anni prima di Cristo: tracce di coltivazione della vite e di coltura vinicola sono rintracciabili in Spagna e a Creta. Sicuramente i greci conoscevano il vino e lo apprezzavano. Nell’Odissea di Omero (il più grande poema della civiltà greca) a Polifemo, un gigante da un occhio solo che teneva prigioniero Ulisse (l’eroe del libro) viene dato puro un vino fortissimo. Il vino dei greci era infatti molto forte e aspro ed essi lo diluivano con l’acqua per berlo, credendo anche che solo agli dei fosse permesso di bere vino puro e che se un comune mortale l’avesse fatto sarebbe impazzito. Con i romani il vino si diffonde in Italia e le tecniche di produzione si perfezionano. I romani introducono l’uso di botti di legno al posto delle anfore di ceramica usate dai greci e delle bottiglie di vetro e sono ancora i romani a cominciare ad invecchiare il vino e quindi a creare il concetto di annata. Insomma in un certo senso è coi romani che il vino diventa la bevanda che conosciamo oggi. Un aspetto molto interessante della storia del vino è che da sempre questa bevanda è stato legata alla religione e al culto di vari dei. Tutte le civiltà di cui abbiamo parlato l’hanno usato per questo scopo, come un modo per avvicinarsi o ingraziarsi la divinità. Anche la Chiesa in un certo senso riconosce il potere di questa bevanda con la cerimonia del pane e del vino durante la messa. Durante il medioevo, i cosiddetti “secoli bui”, il vino diventa sempre più sinonimo di prestigio e ricchezza e numerosi ordini monastici si specializzano nella produzione di vari tipi di vino: i frati benedettini erano famosi in tutta Europa per la loro abilità come viticoltori. Il nome del più famoso champagne al mondo, il Dom Perignon, deriva da quello di un monaco benedettino. La cosa ironica è che questo monaco, perfezionista e meticoloso, ha inventato la bevanda spumeggiante più famosa del mondo, cercando di creare un vino fermo. Col tempo si è cercato di produrre vini più forti e più invecchiati. Il Porto per esempio, il famoso vino portoghese, è stato inventato durante questo periodo. Giunti nel diciottesimo secolo il vino ha ormai raggiunto il massimo della sua espansione e del suo uso. Intere economie nel 1800 si basavano sulla produzione vinicola, con Spagna, Francia e Italia a farla da padrone e a gareggiare tra loro a chi faceva il vino migliore. Poi, verso la fine del 1800, la tragedia, che porta il nome di filossera, un parassita delle radici delle viti che, in poco tempo, distrugge o danneggia senza rimedio le vigne di tutta Europa. I viticoltori di tutto il continente sono costretti a cercare un rimedio ad una situazione che rischiava di avere gravissime conseguenze per migliaia di famiglie che sulla produzione del vino ci campavano. La soluzione viene trovata nel nuovo mondo, in America: le viti europee vengono innestate su radici americane, immuni dalla filossera. E siamo così giunti ai nostri tempi dove grazie all’uso delle moderne tecnologie anche paesi le come l’Australia e le Americhe hanno cominciato a produrre vino di ottima qualità lasciando noi italiani a meditare su una frase terribile detta da un viticoltore francese a Veronelli, il più grande enologo (ovvero studioso del vino) italiano: “Voi da uve d’oro fate vini d’argento, noi da uve d’argento facciamo vini d’oro”. Parte delle informazioni contenute in questi articoli sono tratte dai seguenti siti web: www.winezone. it, www.tabaccheria21.net e www.rivistastorica.it essere & benessere Published by Co.As.It. Casa d’Italia 67 Norton Street Leichhardt NSW 2040 Tel (02) 9564 0744 Fax (02) 9569 6648 www.coasit.org.au Armati di informazioni utili per essere in buona salute Chiunque abbia mai preso un raffreddore sa che ci sono molte cose che si possono fare per curarlo. Un raffreddore sporadico è accettato e accettabile come un fatto che è parte della vita, un fatto che la maggior parte di noi deve affrontare ogni anno. Se doveste chiedere a dieci diverse persone come curerebbero un raffreddore, è probabile che ognuna di esse vi dia una risposta diversa. Alcuni vi direbbero forse che assumerebbero molti liquidi e starebbero a letto, altri che forse andrebbero dal dottore per farsi fare una ricetta o in farmacia per acquistare medicinali per raffreddore e influenza, mentre altri vi direbbero che la miglior cura è la prevenzione e vi suggerirebbero di assumere integratori a base di erbe come Echinecea per respingere i “germi cattivi”. Se invece si chiedesse ad un insieme di persone come curare un problema psicologico quale la depressione, le risposte molto probabilmente non sarebbero così diversificate. Sfortunatamente, a causa della stigmatizzazione legata alle malattie mentali, spesso la maggior parte delle persone eivta di cercare aiuto e non sa come riconoscere i sintomi della depressione, come riconoscerebbe ad esempio che avere il naso che cola e mal di gola sono probabili sintomi di un raffreddore. Perciò ci sono molte persone che stanno lottando con un disturbo mentale non diagnosticato senza esserne consapevoli. L’essere informati è una risorsa estremamente preziosa quando si parla di problemi di salute. Essere coscienti dei fattori di rischio, dei sintomi e delle cure ottenibili può aiutare a rendere l’esperienza di un problema psicologico più gestibile e meno stressante. Questo è vero sopratutto per problemi psicologici, che sono stati e continuano ad essere segnati da stigmatizzazione e mancanza di consapevolezza. Si stima che ogni anno in Australia una persona su cinque soffra di una forma di malattia mentale e che circa il 3 per cento ne sia seriamente affetto, con depressione e ansia tra le forme più comuni di problemi psicologici. Confrontando questo dato con le statistiche ottenute dal sondaggio nazionale sulla salute condotto nel 20042005, nel quale al 3.6% degli australiani è stato diagnosticato il diabete, si può dedurre che le malattie mentali sono piuttosto diffuse. Informazioni su vari problemi di salute sono diventate istantaneamente accessibili tramite l’internet. Basta semplicemente inserire il nome della malattia e premere”ricerca”. Molti siti con informazioni relative alla salute forniscono materiale informativo scaricabile, che si può anche stampare, su una vasta gamma di problemi psicologici o fisici. Per informazioni di carattere generale si può consultare il sito del Ministero statale della sanità www.health. nsw.gov.au o per informazioni in altre lingue si può provare il sito del servizio di informazione multiculturale www.mhcs. health.nsw.gov.au. L’Associazione per la salute mentale riporta sul suo sito www. mentalhealth.asn.au una vasta gamma di informazioni sulla salute mentale e si può avere accesso a simili informazioni in altre lingue sul sito del servizio sanitario multiculturale www.mmha.org.au. Se non avete accesso con internet, potete chiedere aiuto ai vostri figli oppure fissare un appuntamento con il vostro medico, che probabilmente avrà degli opuscoli da leggere su vari problemi di salute. Se sospettate di avere un problema di salute, il vostro medico è il primo punto di contatto. Spesso, il dottore può fornire informazioni, prescrivere medicine per trattare la vostra malattia, o riferirvi ad un altro specialista con più esperienza nel campo. Per chi soffre di malattie mentali, a volte può essere opportuno prendere delle medicine, ma in molti casi può essere utile parlare ad uno psicologo o assistente socio-psicologico. In alcuni casi la tariffa pagata allo psicologo può venire rimborsata dal Medicare, se vengono usate strategie terapeutiche che si sono dimostrate efficaci, tra cui la più comune è la terapia cognitivo-comportamentale, che comprende la gestione dei propri pensieri e la pratica di specifiche attività che ci aiutano a guarire dalla propria malattia. È importante sapere che mentre la terapia cognitivo-comportamentale ha un alto livello di successo nel trattamento di alcune malattie mentali, esistono una varietà di alternative per quel che riguarda i trattamenti psicologici e varie cure “alternative” che possono più efficacemente venir incontro ai vostri bisogni. Queste comprendono sostegno di base in gruppo, medicinali a base di erbe, agopuntura e massaggio. Può essere utile informarsi per trovare quelle più adatte per voi. In alcuni casi questi trattamenti possono anche essere in parte coperti da un’assicurazione sanitaria privata. Inverno 2009 - essere & benessere È confortante sapere che ci sono dei trattamenti ottenibili nell’eventualità che ne abbiate bisogno, ed è persino meglio sapere cosa possiamo fare per evitare questi tipi di malattia. Sebbene non esistano prove definitive che suggeriscono che i fattori genetici o ambientali possano esserne la causa, la maggior parte delle ricerche concorda sul fatto che sia più probabile che si soffra di una malattia mentale quando questa è parte della storia. Questo fattre è stato individuato come “fattore rischio”, il che però non significa che si debba necessariamente sviluppare una malattia mentale. Così come mantenere una dieta equilibrata, riposare a sufficienza e fare regolare esercizio fisico può aiutarci a fortificare il sistema immunitario e ad evitare una malattia fisica, questi fattori legati al ritmo di vita possono anche aiutarci ad evitare una malattia mentale. Può essere anche utile avere una rete di sostegno: amici, familiari e organizzazioni a cui rivolgersi quando i tempi sono duri o semplicemente per contribuire ad arricchire la nostra vita e a soddisfare il fondamentale bisogno umano di contatti sociali. Fonti: www.mentalhealth.asn.au www.aihw.gov.au Arm Yourself with Information for Good Health Anyone who has ever caught a cold will know that there are many things you can do to treat it. Having an occasional cold is an accepted and acceptable part of life, which most of us face year after year. If you were to ask a sample of ten people how they would treat a cold, each of them might give a different response. Some may say that they get plenty of fluids and bed rest, another may say to go to a doctor for a prescription or take over-the-counter cold and flu remedies, while others may say that the best cure is prevention and suggest that one take herbal supplements such as Echinacea to ward off any nasty bugs. If however, you asked a range of people about how they would choose to treat a mental health issue such as depression, the diversity of their answers might not be so great. Unfortunately due to the stigma associated with a mental illness, many people may want to avoid seeking help altogether, or they may not know how to recognise the symptoms of depression as they would recognise that a runny nose and sore throat means that they may have a cold. Therefore, there are many people who may be battling with an undiagnosed mental health issue due to lack of awareness. Information is an invaluable resource when it comes to dealing with any health issue. Being aware of the risk factors, symptoms and treatments available can help make the experience of a health issue more manageable and less stressful. Early detection can possibly lead to successful treatment or management for some health issues. This is especially true for mental health issues, which have been and continue to be surrounded in stigma and lack of understanding. It is estimated that about one in five Australians will experience some form of mental illness every year and that about three percent of Australians will be seriously affected, with depression and anxiety being the most commonly experienced mental illnesses. Comparing this to the statistic obtained by the National Health Survey conducted in 20042005, in which 3.6% of Australians reported they have been diagnosed with diabetes, we can see that mental illness is rather prevalent. Health information has become instantaneously accessible via the internet. It can be as simple as typing the name of the condition and clicking “search”. Many health-related sites have downloadable fact sheets, which you can also print, on a range of mental and physical health issues. For general health information you can go to the NSW Government Health site www. health.nsw.gov.au or for health information in other languages you can try the Multicultural Health Communication Service site www. mhcs.health.nsw.gov.au . The Mental Health Association www.mentalhealth.asn.au has a wealth of information on mental health issues but you can also access similar information in other languages from the Multicultural Mental Health website www.mmha.org.au . If you don’t have access the internet, you may be able to ask your children to help you or make an appointment with your GP, who might have pamphlets you can read on such health issues. If you suspect that you may have a health issue, a GP is a good first point of call. Often, the GP can either provide information, prescribe some medication to treat the illness, or refer you to another health professional that has more expertise in the area. For someone experiencing a mental illness, sometimes prescription medication can be appropriate, but in many cases it may also be helpful to speak to a psychologist or counsellor. Psychologists’ fees can now be claimed through Medicare in some circumstances if they use therapeutical strategies that have been proven to work, the most common being cognitive behavioural thereapy (CBT), which involves managing your essere & benessere - Inverno 2009 thoughts and doing chosen activities to help you recover from your illness. It is important to know that whilst CBT has a very good success rate in treating certain mental illnesses, there are a wide variety of psychological and “alternative” treatment options that may suit your needs better. These could include things like group based support, herbal treatments, acupuncture or massage. It can be useful to ask around or do some research into the available treatments in order to find something that works for you. In some cases, these treatments may even be partly covered by private health insurance. Knowing that there are treatments available in the event you ever need them is reassuring, however knowing what we can do to avoid these illness is even better. Although there is no conclusive evidence to suggest that it either genetic or environmental factors are the cause, most of the research does agree that the likelihood of an individual developing a mental illness increases when there is a history of mental illness in their family. Having a family history of mental illness has been identified as a “risk factor”, however it does not mean that one will inevitably develop a mental illness. In the same way that eating a well balanced diet, getting plenty of rest and exercising regularly can help boost your immune system and help you avoid physical illness, these lifestyle factors can also help you to avoid mental illness. It can also help to have a network of support in place – friends, family members and organisations that you can turn to when times are tough, and to simply help enrich your life and fulfill the basic human need for social contact. Resources: www.mentalhealth.asn.au www.aihw.gov.au Meditazione Tuffarsi dentro ~ e salute ~ prima parte A giudicare dal numero degli articoli e libri che vengono pubblicati quantificando i suoi benefici terapeutici, sembra che la scienza stia cominciando ad accettare quello che coloro che la praticano hanno sostenuto per millenni: la meditazione può avere un effetto profondo sulla salute e sul benessere della persona. Inoltre, agli occhi della scienza, l’atto del meditare si è gradatamente liberato di quel velo di mistero, svincolandosi dagli impacci del misticismo, della spiritualità e della religione. In parole povere, la meditazione è il pensare o il riflettere, è prestare attenzione al pensiero. Etimologicamente deriva dalla parola di radice indo-europea “med”: misurare, considerare, da cui viene anche “mens”, pensare, e che appare in latino come “mens, mentis” e più tardi in inglese come “mind”. Nel greco antico “med” appare come “médomai” ed in latino come “meditari”: entrambi i termini significano “pensare, riflettere, tenere a mente”, ecc. Meditare significa dunque “essere cosciente, consapevole della mente”. Come espressione verbale, si potrebbe descrivere come “riflettere sulla mente”, “pensare sul pensiero”.. In sintesi, quindi, la meditazione è ben lontana dall’idea che se ne ha comunemente, frutto di errate concezioni culturali, connotazioni religiose, moda o semplice ignoranza, la meditazione non ha a che fare con “spegnere la mente”, “non pensare a nulla”, “ripetere Om”, neppure semplicemente col “rilassarsi”. Al contrario, far meditazione significa attivamente e volontariamente impegnare la mente ad osservare il pensiero. Usare la mente per osservare la mente o, come spesso indicato nella tradizione buddista, accendere la luce della mente dentro, per osservare la mente. L’idea di meditazione, questo invito a riflettere su se stessi, per evitare che venga erroneamente considerato (seguendo un approccio occidentale di razionalizzazione in cui i pensieri, piuttosto che usati come strumenti del pensare vengono invece analizzati) deve essere brevemente contestualizzato. Prima di tutto mentre ci sono trace di forme di meditazione nella cultura indiana e orientale almeno a partire da circa 5000 anni fa, il più grande contributo alla pratica della meditazione è stato dato dalla figura storica di Siddhartha Gautama, che ha usato la meditazione per diventare “il Budda”, “ il Risvegliato”, e dalla tradizione da lui generata. Essendo la meditazione il mezzo attraverso il quale uno può “risvegliarsi”, un punto fondamentale da cogliere da parte di ogni occidentale che si avvicini alla meditazione, è che secondo il buddismo le persone sono dotate di sei sensi, non cinque come viene insegnato in Occidente. Il sesto senso è proprio la mente. Un organo di senso viene definito come qualcosa che viene in contatto con oggetti esterni e che permette di percepirli e farne esperienza. Da questa definizione segue che la mente è un organo di senso perché viene in contatto con oggetti mentali. Per esempio, gli occhi possono vedere un bambino affamato, ma è la mente che viene in contatto con l’oggetto mentale della sofferenza, della fame, della empatia, della tristezza, della compassione e così via. Siccome la mente è forse il più attivo di tutti i sensi, che a tutti gli effetti elabora costantemente tutta una serie di oggetti mentali e che, attraverso l’interpretazione, crea la realtà con cui siamo in relazione, sembra logico prestare attenzione a questo organo così importante. Mentre la tradizione occidentale possiede una sua propria tradizione di meditazione, evidente nella contemplazione religiosa e nella preghiera e più implicita nel motto “conosci te stesso”, scolpito nel tempio di Apollo a Delfi, la relazione con il pensiero e la parola nell’Occidente si è sviluppata decisamente in una diversa direzione che nell’Oriente. Infatti, la fissazione occidentale sugli Assoluti (verità, giustizia Dio, ecc) e la tesi che razionalità e mente riflettano quasi fedelmente il divino, ha fatto sì che la mente venisse considerata sede del sapere e padrona dei sensi. Nella tradizione buddista, tale distinzione non avviene. Ogni organo di senso deve essere trattato per le sue funzioni e per il suo valore in se`. Il primo passo è quello di osservare “com’è”. Un diretto, cosciente contatto con ogni senso permette all’osservatore di osservarne la funzione e di notare quando non funziona bene. Diventiamo molto coscienti del nostro senso dell’odorato, per esempio, quando sentiamo qualcosa con l’olfatto. Questa facoltà esiste indipendentemente dal fatto che ne siamo coscienti ma diventa acuta solo quando vi prestiamo attenzione. È quando la notiamo che ne cogliamo le qualità. Osserviamo come funziona, quando funziona e se funziona bene e creiamo un comportamento per far sì che funzioni al meglio delle nostre capacità. Questo vale per il rapporto con tutti i nostri sensi. La meditazione non è altro che questol tipo di attenzione diretto alla mente. Funziona sulla base al’assunto che c’è in noi una facoltà che è cosciente dei pensieri e che poi reagisce in qualche modo a questi pensieri. Prestando attenzione ai pensieri, e semplicemente osservando la natura, la qualità e la durata dei pensieri, chi medita inizia a notare la voce della mente che interagisce con questi pensieri. Piuttosto che lasciare che questi pensieri abbiano il controllo, la meditazione insegna a chi la pratica a chiedersi “chi” stia osservando questi pensieri. Veniamo quindi guidati a renderci conto che così come l’odorato, la vista, il gusto, il tatto e l’udito funzionano in contatto con dati sensitivi, anche per la mente questo modo di funzionamento è parte delle sue funzioni naturali. I pensieri vanno e vengono nello stesso modo in cui il respiro va e viene. Tutto ciò che esiste sono i pensieri e un organo sensoriale che viene in contatto con essi. Inoltre, così come la consapevolezza del respiro, una tipica tecnica di meditazione per i principianti, ci permette di esercitare, affinare e rafforzare questa funzione, nello stesso modo la mediazione è uno strumento che permette un intelligente regolamento della mente come organo sensoriale. Tralasciando millenni di pratica che ne prova i benefici, studi più recenti che usano tecnologie d’avanguardia, tra cui risonanza magnetica ed ecografie, hanno dimostrato che una regolare meditazione porta enormi benefici alla salute e benessere di chi la pratica. Studi specifici hanno mostrato che una regolare meditazione riduce significativamente l’ipertensione, con uno studio su adolescenti che mostra una riduzione media di 3.5mm nella pressione sanguigna sia sistolica che diastolica. (1)Altri studi hanno indicato una riduzione del battito cardiaco e un deciso rafforzamento del sistema immunitario. (2) Osservando l’attività cerebrale di soggetti che stanno meditando, gli scienziati hanno notato che nello stato di profonda meditazione, il lobo frontale del cervello, responsabile della maggior parte dei nostri processi razionali, della pianificazione e dell’auto coscienza, l’attività è notevolmente rallentata, cosa che genera uno stato di maggiore gratificazione. Si verifica anche un Inverno 2009 - essere & benessere rallentamento delle attività del lobo parietale, che elabora informazioni dei sensi dal mondo circostante. Si ipotizza che “chiudendo” alle influenze esterne il lobo parietale, si possa perdere il senso dei propri limiti e sentirsi maggiormente “all’unisono” con l’universo, il che porterebbe ad una esperienza simile alla “beatitudine” riportata da molte persone che meditano. (3) Uno studio condotto dall’Università di Wisconsin rivela inoltre che la meditazione trasferisce l’attività cerebrale nella corteccia prefrontale (proprio dietro la fronte) dalla sfera destra a quella sinistra. Questo spostamento genera un cambiamento da una modalità stressante di funzionamento del tipo “combatti o scappa” ad un atteggiamento di accettazione che porta ad un aumento di gratificazione. È interessante notare che le persone che hanno una tendenza ad essere negative tendono ad avere una modalità di funzionamento cerebrale di tipo “destro-prefrontale”; le persone sinistro-prefrontali sono invece dotate di maggior entusiasmo, più interessi, si rilassano maggiormente e tendono ad essere più contente. (4) Scoperte di questo tipo vengono rivelate continuamente e la ricerca continua. Nei prossimi numeri di “Essere Benessere” continueremo ad illustrare i diversi aspetti della meditazione, dai suoi provati benefici terapeutici alle sue diverse forme e applicazioni. Visto che la meditazione sta diventando sempre più a far parte del vocabolario e trova sempre più seguaci, compresi coloro che ne sostengono l’uso nelle scuole, è questo un argomento degno di ulteriore analisi. Alla prossima! 1. Brian Reed, meditation inspires Health benefits, www.dailytrojan.com – 04/05/2004 2. Joel Stein, Just say OM, TIME Magazine, August 4, 2003, pp.49ff. 3. Stein, Op.Cit., p.52. 4. Stein, Op.Cit., p.52-53. Diving Within - Meditation and Health Pt.1 Judging from the number of articles and books being published quantifying its therapeutic benefits, it appears that science is beginning to accept what practitioners have been claiming for millennia: meditation can profoundly affect one’s health and well-being. Moreover, through the looking-glass of science, the act of meditation is gradually being liberated from a shroud of mystery, releasing it from the shackles of mysticism, spirituality and religion. Plainly speaking, meditation is to think or reflect. To pay attention to thought. Etymologically, it derives from the Indo-European root word med – “to measure or consider”. This then gives rise to mens – to think, appearing in Latin as mens, mentis and later in English as mind. In ancient Greek med directly appears as médomai and in Latin as meditari, both meaning “to think, reflect, have in mind” etc. world of mental objects and, through interpretation, creating the reality which we relate to, it appears logical to pay attention to such an important organ. While the western tradition has its own tradition of meditation, explicit in religious contemplation and prayer and implicit in the appeal to “know thyself”, inscribed into the Temple of Apollo in Delphi, the relationship to thought and word in the West developed in a decisively different direction to that in the East. In fact, the Western fixation with Absolutes – truth, justice, God etc and the contention that rationality and Mind reflected the divine almost literally has meant that Mind is considered the seat of knowledge and the master of the senses. In the Buddhist tradition, no such distinction is made. In essence, then, far from misguided notions caused by cultural misconceptions, religious attachment, fashion or plain ignorance, meditation is not concerned with “switching off the mind”, “thinking about nothing”, “saying Om”, or even just “relaxing”. Meditation is actively, and willfully, engaging the mind to observe thought. Using mind to observe mind or, as it is generally put in the Buddhist tradition, turning the light of mind inward to observe mind. Each sense organ is to be treated according to its function and merits. It is also to be addressed directly in order to allow for it to function efficiently. We become acutely aware of our sense of smell, for example, when we smell something pleasant or unpleasant. We perhaps become even more acutely aware of it when we smell nothing at all! In any case, if we were to cultivate, enhance or preserve its function we would engage it directly, paying attention to its workings, ensuring it was not exposed to harm, noticing how it is and being mindful of changes. This appeal towards self-reflection requires a little contextualization, lest it be mistaken for a more typically Western approach of rationalization, where thoughts rather than the instrument of thought are analysed. First of all, while meditation in some form can be attributed to Eastern culture spanning from India to China and Japan and dates back at least some 5000 years ago, appearing in the Vedic tradition of India, the greatest contribution to the practice of meditation was made by the historical figure known as the Buddha and the tradition he spawned. A major and fundamental point to be understood by any westerner approaching meditation is that Buddhism considers humans as having six sense organs, not five as we in the West are taught. Meditation is just that kind of attention directed to mind. It works on the premise that there is a faculty in us which produces, or is aware of, thoughts and then reacts in some way to these thoughts. Rather than allowing these thoughts to have free rein, meditation teaches the practitioner to contemplate the question of “who” is riding these thoughts. Ultimately, the more one seeks the “who” in question, the Subject, the more elusive that subject becomes. What we are led to is the realization that in the same way that smell, sight, taste, touch and hearing function in contact with sensory data, the mind does this as part of its natural function. Thoughts come and go in the same way a breath goes in and out. The sixth sense organ is mind. A sense organ is defined as something that comes into contact with objects outside of itself and allows for perception and experience. By this definition it follows that mind is a sense organ because it comes into contact with mental objects. For example, the eyes may see a hungry child but it is mind which comes into contact with the mental objects of suffering, hunger, pathos, sadness, compassion and so on. But in the same way that contemplation, or mindfulness of breath (or any other sense) allows one to train, refine and strengthen that function, it follows that meditation is a tool which allows for the intelligent regulation of mind as sense organ. Given that mind is arguably the most active of all senses and in effect is constantly engaging a Leaving aside millenia of anecdotal evidence affirming its benefits, more recent studies employing state of the art technology, including MRIs and EEGs, have shown that regular meditation brings enormous benefits in the area of health and wellbeing to its practitioners. Controlled studies essere & benessere - Inverno 2009 have shown that regular meditation significantly reduces hypertension, with one study of teenagers showing an average drop of 3.5mm in both systolic and diastolic blood pressure . (1) Other studies have indicated a drop in heart rate and a marked boost in the immune system. (2) By viewing the brain activity of subjects in meditation, scientists have noted that in the state of deep meditation, the frontal lobe of the brain, responsible for much of our reasoning, planning and self-conscious awareness, decreases activity markedly, allowing for a deeper state of contentment. There is also a slowing down in the parietal lobe, which processes sensory information about the surrounding world. It is speculated that by shutting down the parietal lobe, you can lose your sense of boundaries and feel more “at one” with the universe, leading to an experience akin to the “bliss” reported by many meditators. (3) A study conducted at the University of Wisconsin further revealed that meditation shifts activity in the prefrontal cortex (right behind our foreheads) from the right hemisphere to the left. This constitutes a shift from the stressful “fight-or-flight” mode to one of acceptance, leading to an increase in contentment. Interestingly, people who have a negative disposition tend to be right-prefrontal oriented; left-prefrontals have more enthusiasms, more interests, relax more and tend to be happier. (4) Findings of this kind are increasingly being brought to the fore and research continues. In coming issues of EssereBenessere, we will continue to discuss the many facets of meditation, from its proven therapeutic benefits to its applications. With meditation increasingly entering our vocabulary and finding more adherents, including many who advocate its use in schools, it is a relevant topic worthy of further analysis. Stay tuned! 1. Brian Reed, meditation inspires Health benefits, www.dailytrojan.com – 04/05/2004 2. Joel Stein, Just say OM, TIME Magazine, August 4, 2003, pp.49ff. 3. Stein, Op.Cit., p.52. 4. Stein, Op.Cit., p.52-53. L’esercizio fisico Un modo diverso per curare la depressione La depressione è una forma di disturbo mentale purtroppo molto diffusa, come abbiamo avuto modo di dire spesso su queste pagine. Si tratta, detto in maniera semplice, di un insieme di sentimenti e pensieri che incatenano l’individuo in una gabbia fatta di tristezza, malinconia e mancanza di motivazione e speranza. L’intensità di questo problema varia da individuo, perciò si parla di depressioni più o meno gravi. Molti tra coloro che ne soffrono cercano aiuto e una guarigione affidandosi al proprio medico, ad uno psicologo o ad uno psichiatra. Moltissimi prendono dei farmaci (gli psicofarmaci) alla ricerca di un sollievo dai “brutti” sentimenti e pensieri che la depressione porta con se. Ma c’è un altro modo per sentirsi meglio, per ricominciare a vivere in alcuni casi. Un modo più semplice e naturale che ingerire pillole o parlare con un professionista. Si tratta dell’esercizio fisico. Un’attività fisica, anche moderata, non stiamo parlando di un allenamento per partecipare alle prossime olimpiadi, ha un effetto molto positivo sull’umore e chi la fa, così almeno dicono gli esperti, soffre meno di depressione e ansia. I benefici del movimento fisico sembrano però essere ancora più profondi: ci sono degli studi che portano a pensare che una forma moderata, regolare e costante, di attività fisica sia di per se una cura per almeno quelle forme di depressione non troppo forti. Alcuni esperti sostengono addirittura che 16 settimane di esercizi abbiano lo stesso potere curativo di alcuni psicofarmaci in quegli adulti depressi che non svolgono regolare attività fisica. Insomma, essere attivi, muoversi per così dire, fa bene, ha il potenziale di curare la depressione e non importa il tipo di attività fisica che si fa. La ragione per cui essere attivi fa bene, solleva l’umore, sembra risiedere nel cervello. Il movimento fisico aumenta la presenza di una sostanza chimica presente nel cervello chiamata serotonina, una sostanza che molti studi legano alla depressione e che in una giusta quantità aiuta il sonno, favorisce l’appetito e “tira su”. L’esercizio sembra anche favorire nel cervello lo sviluppo delle endorfine, altre sostanze che pare possano avere un effetto positivo sui nostri stati d’animo, sui nostri sentimenti. Non bisogna inoltre dimenticare che spesso il fare esercizio da un senso di controllo su se stessi e ci calma, portandoci lontani dai pensieri ricorrenti, che spesso per una persona che soffre di depressione sono fonte di ansia. Insomma, l’essere attivi ci può offrire dei momenti di calma, delle opportunità per guardare le cose con maggiore serenità. Il problema nell’iniziare a fare esercizio regolarmente è quello di trovare la motivazione. Il discorso vale ancor di più per una persona depressa, perché proprio la mancanza di motivazione è uno dei sintomi della malattia. Esistono tuttavia dei modi di affrontare i momenti iniziali, che sono poi i più difficili, che possono aiutare a risolvere il problema “mancanza di motivazione”. Per esempio, qualsiasi attività va bene: camminate a ritmo sostenuto, l’andare in bicicletta, fare del giardinaggio, portare a spasso il cane, tutto è utile, tutto fa brodo. Se le possibilità di scelta sono molto ampie, cosi lo è lo scegliere quando e dove. Gli esperti raccomandano almeno mezz’ora di attività fisica moderata (come il camminare a velocità sostenuta per esempio) al giorno tutti, o quasi tutti, i giorni della settimana. Ma gli esperti dicono anche che questa mezz’ora non deve necessariamente essere fatta in maniera continuativa, l’importante è farla per almeno dieci minuti alla volta, fino a raggiungere la mezz’ora. Non porsi degli obbiettivi irrealistici è un altro modo per favorire la motivazione all’attività fisica. Si deve, in altri termini, cercare di non strafare. Ripetiamolo ancora una volta, non stiamo parlando di allenarsi per le olimpiadi. Bene è quindi iniziare lentamente, con calma, consapevoli, soprattutto se non si è fatta tanta attività fisica prima o se si ha una certa età, che bisogna osservare come il nostro corpo reagisce e trattarlo con rispetto e delicatezza. Per esempio, se l’obbiettivo che ci siamo fissati è quello di arrivare ad un punto in cui si camminerà per mezz’ora ogni giorno, cominciamo con dieci-quindici minuti alla volta, aumentando gradualmente il tempo fino a raggiungere la mezz’ora. Infine ricordiamoci sempre che, come dice il proverbio, “la pazienza è la virtù dei forti” e che i benefici di una regolare attività fisica richiedono tempo per farsi sentire. Cerchiamo perciò di non abbatterci, se non ci sentiamo meglio subito ma andiamo avanti, anche accettando i momenti di sconforto, perché i benefici più prima che poi si faranno sentire e non solo sul corpo ma anche sulla mente: non a casa i romani parlavano di “mens sana in corpore sano” (“sani di mente in un corpo sano). Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono tratte dall’opuscolo illustrativo “Exercise and Depression” pubblicato dal Black Dog Institute. Lo scopo di questo articolo è puramente illustrativo. Prima di prendere decisioni a livello personale sulla materia trattata si consiglia di consultare un esperto. Inverno 2009 - in Contatto 7 I fruttivendoli italiani di Sydney. La storia della gente comune Ci sono due tipi di storia: la Storia (con la esse maiuscola) e la storia (con la esse minuscola). La Storia la fanno i grandi e i potenti, gli eserciti con la guerra e i popoli con le rivoluzioni. La storia piccola la fa invece la gente comune nella loro vita quotidiana, lavorando, creando un futuro per se e per i propri cari, emigrando. I fruttivendoli italiani di Sydney, con i loro negozietti pieni di cose che molti australiani, fino a non troppo tempo fa, non avevano mai visto, come zucchine, melanzane, aglio e spaghetti, hanno fatto la storia piccola, quella di noi tutti ed anche la storia di città come Sydney, perchè sono stati parte della grande storia della emigrazione italiana in questo continente ed hanno rivoluzionato il modo di mangiare di una nazione. La storia di questa rivoluzione comincia agli inizi del 900 con giovani uomini in cerca di avventura e giovani famiglie in cerca di un futuro che sbarcano a Sydney pronti a lavorare fino a diciotto ore al giorno nel loro piccolo negozietto. Questa gente viene predominantemente dalla 8 in Contatto - Inverno 2009 Sicilia, le isole Eolie e la Calabria e rappresenta in un certo senso l’avamposto dell’emigrazione italiana degli anni futuri. La Grande Depressione, la crisi economica del 1929, ha un effetto terribile su queste piccole attività, spesso sorte per sfamare una famiglia o un piccolo gruppo di famiglie legate tra loro da legami di parentela: molti dei piccoli negozi di fruttivendoli italiani che avevano cominciato a dare colore ai quartieri di Sydney debbono chiudere. E per quelli che sopravvivono le cose non sono destinate ad andare meglio con lo scoppio della seconda guerra mondiale. È questo un periodo terribile per la comunità italiana di Sydney. Molti italiani, “nemici di guerra”, sono spediti in campi di internamento e per coloro che rimangono fuori, continuando il loro lavoro nei loro amati negozietti, le cose non vanno meglio: sassi tirati sulle vetrine e razzismo e discriminazione gli rendono la vita difficile. Ma loro resistono é vanno avanti, circondati anche da tanta solidarietà e amicizia. Come racconta un testimone di quei tempi, “C’erano persone che volevano i nostri negozi chiusi. Ma abbiamo avuto anche meravigliosi vicini australiani che la sera bussavano alle nostre porte per chiederci se avevamo bisogno di aiuto o se avevamo bisogno che ci facessero la spesa”. Che bella descrizione della duplicità umana! Poi la guerra finisce e con il dopo guerra inizia l’epoca della grande migrazione italiana in Australia, migliaia di italiani giungono in questa terra e molti di loro aprono altri negozi di frutta, i quartieri di Sydney si riempiono di nuovo di odori e colori tipicamente italiani e la vita ricomincia. Le cose vanno bene per almeno altri vent’anni poi, negli anni 70, la peste che rovina tutto: i grandi centri commerciali. Tantissimi negozi debbono chiudere, anche se alcuni rimangono e ci sono tutt’ora e con loro tramonta un altro capitolo della storia sociale non solo degli italiani in Australia, ma di quartieri interi in cui il fruttivendolo italiano era diventato una caratteristica fissa. Ritrovare le tracce di questa storia, le sue immagini, i racconti ad essa collegati è un qualcosa cui il Co.As.It., specialmente il suo settore Patrimonio culturale, tiene molto. Per questo motivo l’associazione ha deciso di partecipare ad un progetto chiamato “I negozi di frutta italiani di Sydney- La nostra memoria collettiva”. Il progetto, frutto di una collaborazione tra il Co.As. It. e il Centro australiano di storia sociale (Australian Centre for Public History in inglese) della University of Technology, si propone di organizzare una mostra fotografica sul tema, da inaugurarsi presso la NSW Parliament House e di creare un “Elenco in rete dei negozi di frutta italiani di Sydney”. Finora il progetto è riuscito a raccogliere ben 40 racconti intervista, 150 fotografie e svariati oggetti legati al tema. Ma si vuole fare di più, affinché questa bellissima storia collettiva non sparisca per sempre. E per fare questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti voi, cari lettori di In Contatto. Per cui, se avete storie da raccontare, fotografie o siete semplicemente interessati a saperne di più e contribuire al successo del progetto, siete caldamente invitati a contattare Linda Nellor, responsabile del settore Patrimonio Culturale del Co.As.It., al numero 02 95640744. Violenza sugli anziani Come la legge può proteggere Violenza e abuso sono parole che molti anziani conoscono bene, perché sono loro stessi a soffrirne, sapendo bene come spesso violenza e ansia si impossessino rapidamente del cuore della vittima, paralizzandolo. A volte la violenza, soprattutto se ripetuta, non attanaglia solo il cuore ma anche il cervello, la nostra capacità di ragionare chiaramente. Al punto che le vittime (mai i carnefici) sono rose dai dubbi, cercano delle giustificazioni per le violenze e gli abusi subiti o, cosa ancor peggiore, si danno esse stesse la colpa di quello che succede. E così chi ha preso le botte o chi è stato trattato male si rinchiude in se stesso e viene spinto a non far niente, a non cercare una soluzione al problema, viene spinto all’inazione. Mentre invece c’è sempre una via d’uscita, solo che il terrore che le cose possano andare ancora peggio, o la triste convinzione che non ci sia nulla da fare, c’impediscono di vederla. Un primo passo è quello di capire cosa si intende, anche legalmente, per violenza ed abuso. Violenza ed abuso non sono solo botte o percosse o comunque violenza fisica ma anche violenza psicologica, fatta di umiliazioni, offese, urla, intimidazioni e tutte quelle cose che sono fatte con l’intenzione di sminuire, rendere deboli, insicuri. Violenza e abuso avvengono anche quando si cerca di fare alle vittime cose contro la loro volontà o quando, avendo promesso di prendersi cura di una persona, non lo si fa. Insomma si fa violenza non solo con le mani ma anche con i gesti, le parole o il non far niente. Un secondo passo è capire che nell’affrontare il problema non si è soli, che il macigno da sollevare e da gettare alle spalle è enorme ma il peso non deve necessariamente essere tutto sulle nostre spalle. In Australia ci sono molti servizi statali che possono fornire aiuto e sostegno in situazioni di violenza ed abuso e tutti questi servizi sono gratuiti. Infine, è importante capire cosa può fare la legge per difenderci e punire i violenti. Innanzitutto è bene ricordare che alcuni tipi di comportamento come la violenza fisica e la violenza sessuale sono dei crimini che possono essere denunciati alla polizia. Uno strumento che le vittime hanno tra le mani è quello che in inglese si chiama Apprehneded Violence Order (in italiano si chiama diffida penale) che praticamente significa che un giudice ha, per fondati motivi, il potere di ordinare ad una persona di stare lontana da un altra o anche, nel caso le due persone vivano assieme, di cambiare i suoi atteggiamenti, pena l’essere accusato di un reato penale, un reato molto serio per cui si può andare in prigione. Questo è uno strumento fondamentale per le vittime di violenza perchè gli da la possibilità di proteggersi, creando una specie di barriera legale tra loro e i cattivi: insomma se un giudice emette un Apprendhed Violence Order contro qualcuno e a vostro favore, se questo qualcuno lo viola (ovvero va contro la legge) si può chiamare la polizia. La legge non permette solamente di difendersi dalla violenza, ma offre alle vittime anche la possibilità di ricevere un risarcimento o di intraprendere una terapia psicologica. Esiste infatti un tribunale speciale chiamato Victims Compensation Tribunal (Tribunale di valutazione delle richieste di risarcimento danni delle vittime di violenza e abuso) che si occupa di vagliare caso per caso se è possibile legalmente offrire un risarcimento economico per le violenze subite. È importante tenere a mente che, anche se esistono eccezioni, esiste un massimo di due anni di tempo, dal momento della violenza per fare richiesta di risarcimento al tribunale. Numerose sono poi le associazioni che, come detto prima, possono aiutarvi nel caso siate vittime di violenza ed abusi. Queste organizzazioni sono aperte a tutti e se si hanno problemi con l’inglese si può utilizzare il Telephone Interpreter Service (TIS) al numero 131 450. Tra queste organizzazioni si possono citare: telefonica gratuita che fornisce assistenza, legale e consulenza psicologica (Tel 1800656463). Lawaccessnsw Ancora un servizio telefonico che fornisce informazioni e consulenza legale gratuita. Lawaccess può anche riferire il vostro caso, ovviamente col vostro consenso, ad altri servizi tra cui il Legal Aid NSW più vicino o un Community Legal Centre (tutte organizzazioni che vi possono aiutare da un punto di vista legale) ma anche ad avvocati privati o altre organizzazioni (Tel 1300 888 529, al costo di una chiamata locale, o linea TTY 1300889529). The Older Person’s Legal Service (A service of the aged-care rights service) Servizio che offre assistenza e consulenze gratuite per gli anziani su vari aspetti legali (tel 02-92813600 o la linea gratuita 1800424079). Women’s Domestic Violence Advocacy Service Questo è un servizio specifico per le vittime di violenza domestica che vi può aiutare in tutti i vostri bisogni, da quelli psicologici a quelli materiali come trovare un luogo dove stare se si è subita violenza, passando per quelli legali, come l’ottenimento di un AVO contro una persona. Ci sono 33 di questi centri sparsi nel NSW. Lawaccess può mettervi in contatto con il centro più vicino. Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono tratte dalla brochure “Are You Experiencing Violence or Abuse?” pubblicata da Lawacess. Lo scopo di questo articolo è puramente illustrativo. Prima di prendere decisioni a livello personale sulla materia trattata si consiglia di consultare un esperto. Domestic Violence Hote Line Una linea Inverno 2009 - in Contatto 9 Benessere e felicità Così vicini eppur così lontani “Stare bene”,“essere felici”. Concetti all’apparenza molto semplici, quasi scontati, il cui significato è ovvio, non c’è bisogno di spiegarlo. In realtà non è proprio cosi. Stare bene, per esempio, non significa semplicemente non essere malati ma, come vedremo, molto, molto di più. E per quel che riguarda quella che potrebbe essere definita la “sorella maggiore” dello stare bene, “la felicità” questa non significa solamente avere tutto il giorno un sorriso stampato sulla faccia! Cominciamo innanzitutto col chiederci: cosa ci fa sentire bene, cosa ci rende più felici? Se ci pensate bene vedrete che alla fine queste cose si possono dividere in due categorie principali. Da una parte ci sono le cose che facciamo noi da soli o in compagnia. Sto parlando per esempio dei nostri passatempi, ovvero di attività che ci piace fare, decidendo noi quando e per quanto tempo. Spesso nel fare queste cose ritorniamo bambini e riscopriamo il piacere del giocare, senza limiti di tempo. Giocare a carte con gli amici, passeggiare, mangiare, sono tutte attività che rientrano in questa categoria e ci danno un senso di benessere, di felicità che gli psicologi chiamano “felicità edonica”, una felicità magari molto intensa ma altrettanto temporanea che passa una volta terminata l’attività o poco dopo. Alla seconda categoria invece appartiene il mondo delle relazioni, dei rapporti che abbiamo con gli altri. Il rapporto con gli altri può potenzialmente essere un’enorme fonte di serenità e di forza mentale. Il rapporto con i nostri familiari è in questo senso fondamentale. Attraverso la relazione con i nostri cari traiamo forza, e la nostra vita ha un senso. Ma non sono solo i familiari ad essere importanti. Anche gli amici, quelli veri, sono importantissimi. Perché è agli amici che ci rivolgiamo nei momenti di bisogno, sono gli amici le persone cui si possono rivelare cose di cui magari non possiamo parlare in famiglia e sono ancora gli amici ad offrirci preziosi momenti di distrazione dai nostri quotidiani assilli. Forse troppo concentrati sulle relazioni familiari spesso dimentichiamo che ci sono anche gli altri e che le nostre relazioni con questi altri (amici ma anche colleghi) ci offrono spesso vie di fuga e prospettive diverse sul come affrontare la vita, prospettive di cui abbiamo altrettanto bisogno. Per molte persone queste due cose, attività piacevoli e relazioni, bastano a dargli un senso di benessere stabile e duraturo. Ma siamo sicuri che tutto ciò basti? E qui ci viene in aiuto la psicologia, in particolare quella branca recente della psicologia che si chiama “psicologia della felicità” Questi “psicologi della felicità” si sono posti le stesse domande che ci siamo posti noi all’inizio di questo articolo (cosa ci fa sentire bene? Cosa ci rende più felici?) e hanno cercato di rispondere facendo queste domande alla gente, e soprattutto a coloro che, almeno in apparenza, sembrano essere particolarmente felici. Quello che hanno scoperto è estremamente interessante. Innanzitutto, sia lo svolgere attività piacevoli che l’avere relazioni significative, ci dicono questi psicologi, sono cose fondamentali. Ma non bastano. E qui viene il bello, perché questi psicologi che studiano la felicità hanno anche scoperto che, per raggiungere uno stato di benessere e felicità più stabile e permanente (che viene chiamato “eudemonico”) le “persone felici” fanno altre cose. Innanzitutto queste persone sono coinvolte nella vita della comunità in cui vivono, sono attivi socialmente, fanno volontariato, aiutano gli altri contribuendo al loro benessere. In altri termini, queste persone sembrano avere scoperto che per stare bene non basta solo ricevere, ma bisogna anche imparare a dare! Dare agli altri, fare del bene, ci fa sentire meglio, da un senso alla nostra esistenza, creando al contempo un ambiente migliore per continua a pagina 11 10 in Contatto - Inverno 2009 continua da pagina 10 tutti. Alcune persone che ritengono di essere felici o perlomeno di stare bene, hanno anche un’altra risorsa da cui attingere, la spiritualità, che è il credere in un qualcosa di buono e di superiore a noi che ci guida nella nostra vita dandoci coraggio nei momenti difficili, offrendoci protezione e riposo nei momenti di fatica. Questa credenza in un essere superiore, che alcuni chiamano Dio, può avere un effetto molto potente sul nostro benessere, perché ci da due cose fondamentali, difficilissime da ottenere e mantenere: la fede e la speranza. A questo punto qualche lettore, forse un po’ cinicamente, potrebbe chiedersi: “tutte queste cose che ho letto sono interessanti, le passioni, le relazioni, l’aiutare gli altri, la spiritualità, tutto molto bello...ma i soldi dove sono finiti? Forse che il benessere materiale, una bella casa, una bella macchina, non conta?”. Ebbene, numerosi studi hanno dimostrato che in realtà, i soldi, sorpresa sorpresa, non danno la felicità. I ricchi non sono necessariamente più felici dei poveri e anche chi diventa ricco all’improvviso, per esempio vincendo la lotteria, magari ha un picco di felicità momentaneo ma che dura poco: dopo un anno è già passato. I soldi e il benessere materiale non aumentano, in altre parole il nostro benessere. Né la felicità è legata al livello di intelligenza o al fatto di aver studiato o meno, o all’età: molte ricerche sembrano indicare che spesso gli anziani sono più felici dei giovani. Insomma benessere e felicità sono concetti più complessi di quello che si può pensare e richiedono anche un certo impegno forse, la voglia di uscire dai nostri piccoli recinti, di andare verso gli altri, di contribuire al sogno di un mondo migliore, impegnandosi, sorretti, dalla fede e consapevoli che oggetti e soldi non ci porteranno dove vorremmo andare. Parte delle informazioni contenute in questo articolo sono tratte dai seguenti siti web: www.ppc.sas.upenn.edu, www.centreconfidence.co.uk e www.news.bbc.co.uk Gruppi di sostegno per malati di cancro. Una iniziativa di Lifeforce in collaborazione col Co.As.It. Lifeforce è una piccola organizzazione senza scopo di lucro fondata sedici anni fa con l’obbiettivo di fornire sastegno psicologico ed emotivo a persone che soffrono di cancro, tramite l’organizzazione e la conduzione di gruppi di sostegno. Giulia Priante fa parte di Lifeforce, e lavora per l’organizzazione come consulente psicologica gestendo gruppi di sostegno per malati.Giulia è in procinto di organizzare per la seconda volta, vista la scarsa risposta alla stessa iniziativa pochi mesi fa, dei gruppi in italiano per i membri della nostra comunità affetti da questa malattia, grazie al contributo di Lifeforce, del Co.As.It. e della Mamma Lena Foundation. La filosofia di approccio al problema cancro di Lifeforce si potrebbe definire olistica. In altri termini le iniziative dell’organizzazione si occupano della persona intera, non solo della persona in quanto “malata”. I gruppi hanno la funzione di aiutare la persona nel percorso di guarigione lavorando con lei e con il gruppo su quelli che sono i suoi sentimenti e paure e il suo rapporto con gli altri. Il gruppo è un luogo dove si può essere capiti e condividere tutte queste emozioni con altri che stanno vivendo la stessa situazione, senza paura di essere giudicati o di disturbare. Nel gruppo tutte queste emozioni si possono tirare fuori liberamente e nel gruppo si possono esaminare, grazie all’aiuto degli altri e di chi il gruppo lo facilita. In altri termini, ci si libera dalle emozioni guardandole in faccia, assieme. Il gruppo può aiutare a ritrovare una normalità che la malattia toglie, si può tornare ad essere “normali” e acquistare la capacità di affrontare il presente, la vita quotidiana con più serenità E poi c’è anche la socializzazione, la possibilità di conoscere gente, di fare amicizie, anche questa è una funzione molto importante del gruppo. I gruppi di sostegno avranno un costo di 10 dollari ad incontro che serviranno a coprire le spese amministrative. Per avere ulteriori informazioni o per iscriversi ci si può rivolgere al Co.As.It allo 02 95640744. Informazioni utili sulle organizzazioni grazie a cui questa iniziativa é possibile o sul Cancer Council si possono trovare nei seguenti siti web: www.lifeforce.org.au, http://mammalena.info/index.htm, www.nswcc.org.au Inverno 2009 - in Contatto 11 If undeliverable return to: SURFACE MAIL Italian Association of Assistance Community Services - Education - Heritage Casa d’Italia 67 Norton Street Leichhardt NSW 2040 Print Post Approved PP 255003/07331 Postage Paid Australia Addressee: CERCHI UN’ATTIVITA’ CHE TI FACCIA SENTIRE UTILE ? • Hai un pó di tempo ogni due settimane ? • Parli italiano e inglese? • Ti senti particolarmente sensibile alle esigenze e bisogni delle persone anziane ? • Guidi e hai una patente valida ? Allora chiama Lisa o Claudia al Co.As.It., al numero 9564 0744 e chiedi di far parte del gruppo di volontari del progetto. Visitatori comunitari (Community Visitors) Partecipando a questo progetto ti verra’ fornita una formazione continua e il sostegno dei due coordinatori. Published by Co.As.It. Casa d’Italia 67 Norton Street Leichhardt NSW 2040 Tel (02) 9564 0744 Fax (02) 9569 6648 www.coasit.org.au 12 in Contatto - Inverno 2009 design & printed by www.prografica.com.au Sapere che si sta migliorando la qualitá di vita di chi vive in un centro per anziani puó farci sentire molto utili.