Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Mensile del Corso di Laurea in Sociologia e Ricerca Sociale, Aprile 2004. Anno 1. Numero 4. Direttore Mario Cardano. Redazione Mario Cardano, Michele Manocchi Scrivi alla redazione >> [email protected] Alla redazione di questo numero hanno contribuito con articoli o segnalazioni: Arianna Radin, Eva Lorenzoni, Donatella Simon, Rosalba Altopiedi Michele Manocchi e Mario Cardano. [email protected] Questo è l’indirizzo al quale iscriversi: mandaci una e-mail e riceverai ogni mese il numero della Newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale. Dillo anche ai tuoi amici, perché la Newsletter è dedicata a voi ed è grazie a voi che può crescere e migliorare. Sommario Àgora: iscriviti al prossimo focus group di maggio 2 Àgora: i vostri messaggi e le vostre impressioni sul focus group di marzo 2 Ricerca Sociale: intervista a Mario Cardano sul Progetto Alphaville 6 Ricerca Sociale: intervista a Chiara Saraceno sul CIRSDe 9 Professione Studente: presentazione del Forum permanente sulle tesine triennali 11 Professione Sociologo. Intervista a Paola Torrioni sulla sua tesi di dottorato: Omosessualità al maschile e al femminile: teorie e ricerche sociologiche 12 Professione Sociologo. Intervista a Giovanni Chiabotto, uno dei primi triennali 15 La Facoltà dà i numeri 17 Professione Sociologo: presentazione dei lavori dell’Osservatorio del Nord Ovest Professione Sociologo. Convegno: Violenze Urbane. 18 La città di Torino contro la violenza alle donne – CIRSDe e Città di Torino 19 Professione Sociologo. I Seminari del Dipartimento 20 Sociologie: L’Europa torna in missione, di Zygmunt Bauman 21 Sociologie: Il trionfo dell’individuo, di Alain Touraine 22 Sociologie: il progetto editoriale della rivista trimestrale on-line m @ g m @ 24 Sociologie: Prime Teatro, a cura di Rosalba Altopiedi e Eva Lorenzoni 25 Sociologie: Prime Cinema, a cura di Ar ianna Radin e Eva Lorenzoni 25 Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Àgora 2 Àgora Le cose finalmente si (s)muovono! Siete ormai diversi a mandarci messaggi e a interagire con noi, e questo ci fa un gran piacere. Certo, se fossimo di più, potremmo anche divertirci di più, ma come inizio non c’è male. Ecco i messaggi giunti in redazione. Aspettiamo commenti e impressioni da parte di tutti. Inoltre, è sempre valido l’invito: se avete piacere di collaborare con noi in maniera più intensa, mandateci i vostri pezzi o inviateci le vostre idee e saremo felici di farvi partecipi della redazione. Buona lettura a tutti. Prossimo focus group: giovedì 6 oppure venerdì 7 maggio. Iscrivetevi numerosi mandandoci una E-Mail e specificando il vostro nome, un recapito telefonico o di posta elettronica e il giorno che preferite tra i due!! Salve, frequento Sociologia e Ric. Sociale. Oggi mi sono recata in Dipartimento per la conferenza del prof. Gershuny (Le indagini longitudinali per lo studio dei mutamenti sociali) in quanto la ritenevo molto interessante MA ho scoperto solo pochi minuti prima che era tutta in INGLESE! Nemmeno in dipartimento dove avevo chiesto sapevano di questo particolare tra l'altro.. Naturalmente non ho potuto capire nulla in quanto per seguire una conferenza di questo tipo occorre un livello linguistico piuttosto elevato e "professionale" e inoltre ho perso un intero pomeriggio in quanto abito fuori. Non mi sembra assolutamente giusto che un'iniziativa così utile e interessante possa essere fruita da un numero ristretto di persone (soprattutto docenti) e che gli studenti SIANO TAGLIATI FUORI. Penso comunque che le conferenze e gli incontri culturali siano un ottimo supporto per integrare lo studio e soprattutto un'occasione per conoscere le ricerche più attuali e sentire la voce dei ricercatori, quindi secondo me bisognerebbe anche incrementarne l'offerta. Vi ringrazio per l'attenzione e spero riuscirete a dar voce al mio commento sul prossimo newsletter. Cordiali saluti Alessia ciao Alessia, sono Michele la tua mail avrà la massima visibilità sul prossimo numero. Questo della lingua è un problema sentito anche dai docenti, nel senso che si rendono perfettamente conto che così facendo solo uno stretto numero di persone può seguire la cosa. Purtroppo, però, ci sono due aspetti: da una parte l'inglese è la lingua dominante nelle scienze sociali, Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> sociologia.new [email protected] 3 per cui tutti gli studenti dovrebbero essere spinti a conoscere questa lingua; dall'altra, i costi di una traduzione simultanea sono molto elevati, e i dipartimenti difficilmente hanno queste risorse. Comunque ti chiedo scusa per l’inconveniente, nel preparare l’annuncio ci siamo dimenticati di assumere che la conferenza si sarebbe tenuta in inglese. ciao e a presto Michele Ciao, grazie per la risposta sui seminari del dipartimento, sono d'accordo che l'inglese sia una lingua fondamentale oggigiorno (io pensa che l'inglese non l'avevo mai studiato ma ho dovuto impararlo da sola in quanto a gennaio ho dovuto sostenere un esame in facoltà, non tra i più facili, ma sono contenta di averlo superato!) comunque la preparazione che può avere uno studente di medio livello non è sufficiente per seguire una conferenza in lingua credo. Anche se può essere un buon esercizio… Magari anziché un traduttore potrebbe essere un professore a fare dei brevi riassunti ogni tanto o fornire materiale in italiano perché rimanga da consultare (visto che non è facilissimo prendere appunti in un'altra lingua). Vi ringrazio per l'ascolto e colgo l'occasione per farvi i complimenti per la newsletter! Cordiali saluti Alessia Ciao sono Sonia e vi scrivo dopo aver letto l'ultimo numero della newsletter. Volevo suggerire a tutti quelli che, come me, hanno À g o r a qualche lacuna in Statistica un sito della facoltà di scienze della formazione dove si possono trovare spiegazioni a mio avviso abbastanza chiare e test di autovalutazione. Eccovi il link: www.cisi.unito.it/ progetti/leda /present.htm#corsi Complimenti a tutta la redazione perché il nostro CdL aveva proprio bisogno di visibilità! Ah! Un'ultima cosa: perché nei prossimi numeri non ci date qualche informazione sulla prova finale? Ci sono così poche notizie in giro! Un saluto a voi tutte/i. Sono Marco, ho 28 anni e sono iscritto al secondo anno del Corso di Laurea in SRS; attualmente sono uno studente- lavoratore, tuttavia ho la possibilità di frequentare quasi la totalità delle ore di lezione. Desidero innanzitutto complimentarmi e ringraziare quante/i collaborano alla stesura della newsletter, uno strumento di comunicazione ed informazione davvero valido, necessario: ho dunque accolto con grande soddisfazione la sua comparsa! Avete sollecitato impressioni sul focus group, seguono le mie. Concordo sugli aspetti positivi (diffusa disponibilità dei docenti e sulla didattica) e negativi (burocratici ed organizzativi, in particolare sono da perfezionare la circolazione delle informazioni e l’articolazione dei corsi tra Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] 4 le varie sedi); apprezzerei l’introduzione di attività collaterali (come l’espansione dei Laboratori di ricerca; luoghi e momenti di incontro tra docenti e studenti, durante i quali concordare temi da affrontare in cicli di conferenze - numerosi spunti sono offerti dai corsi istituzionali: argomenti, anche d’attualità, accennati e poi sacrificati per mancanza di tempo -) e di iniziative simili alla newsletter, finalizzate a stimolare, diffondere e soddisfare la curiosità, ed utili a contribuire alla formazione, di quante/i hanno scelto questo corso di studi. Infine suggerisco anch’io l’introduzione di un corso di storia della sociologia, lamento cioè la “dispersione” dei maestri della disciplina (credo però che questo possa dipendere anche dalle scelte dei singoli docenti del corso base di Sociologia: non tutti infatti includono i classici nel programma). Sono disponibile a partecipare al prossimo focus group di maggio, preferibilmente il venerdì. Mi permetto qualche ulteriore osservazione. Ho seguito il corso di Statistica della prof.ssa Carota: i manuali da lei adottati, comuni a quelli scelti dagli altri docenti, sono effettivamente carenti di esercizi; inoltre credo che sarebbero ben accolti i testi delle prove d’esame passate con le relative soluzioni. Da ultimo, fino ad ora a me è risultato utile assistere alle prove orali (ovviamente questo è un suggerimento valido per ogni corso). Concludo citando il dottorando Lorenzo Todesco: “..la Sociologia è la disciplina delle persone curiose..”; ho sentito ripetere più volte dai docenti questa affermazione, unitamente alla necessità di porsi grandi interrogativi. Personalmente, sto affrontando questo percorso di studi con la À g o r a disposizione ad imparare a gestire la mia curiosità, individuare gli interessi prevalenti, analizzare le questioni in profondità; sento, nel fare ciò, il bisogno, desiderio di confrontarmi. In questo senso, sottolineo ancora l’importanza della newsletter e accoglierò con piacere eventuali iniziative future. Marco Bella la newsletter... Tanto per la cronaca, persone che l'anno scorso non hanno preso voti di statistica bassini ce ne sono: ci siamo sentiti tutti punti sul vivo, dato l'impegno che c'abbiamo messo. A presto e vi prego, fate qualcosa per farci capire che ne sarà di noi dopo la triennale: tra i corridoi di via Plana, non si parla che di questo! Arianna Sono contento che ti piaccia. La mini polemica quelli su statistica serve proprio a spronare gli studenti. Comunque io mi sono riferito solo a dell'ultima sessione d'esami. Scusami con i tuoi amici. Sulla Specialistica… stiamo lavorando per voi. ciao e a presto. Michele Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] 5 È molto interessante la Newsletter. Complimenti! Mi chiamo Barbara, lavoro e sono iscritta al corso triennale dell'Amministrazione e dell'Organizzazione. Sarei interessata a partecipare al focus group per studenti lavoratori, che si terrà un sabato mattina. Il tema sarà sempre quello del corso di laurea? Sarei inoltre molto interessata a partecipare attivamente a dei progetti di ricerca condotti dall'università. È possibile avere quale notizia in merito? Grazie Barbara Cara Barbara la Newsletter è pensata per gli studenti di Sociologia e Ricerca Sociale, per cui, purtroppo, il focus group sarà incentrato su questo corso di laurea e non su altri, per i quali non possiamo certo esprimere nostri giudizi. Mi fa molto piacere che tu trovi la Newsletter interessante e stimolante, e certamente riceverai anche tutti gli altri numeri, però il focus group non credo che riesca a catturare la tua attenzione, non riguardando il tuo corso di studi. Per quanto riguarda le attività di ricerca dell'università, il discorso non è così lineare. Le attività di ricerca vengono svolte per lo più a livello di Dipartimenti. Quando l'università vuole fare una ricerca, si affida a ricercatori e docenti dell'università stessa, i quali hanno le loro "squadre di lavoro", o ad altri organismi À g o r a pubblici o privati che fanno ricerche per professione. Praticamente tutti i docenti universitari svolgono attività di ricerca, ma queste non sono direttamente collegate alla vita dell'università alla quale appartengono. Una cosa che puoi fare è parlare di questi tuoi interessi con i docenti dei corsi che ti sono piaciuti di più, o, se sei già in procinto, con il docente che ti segue per la tesi. In ogni caso, ti può aiutare, nel presentarti come potenziale ricercatrice, avere sempre un curriculum aggiornato a disposizione e capire un po' meglio quali ambiti ti interessano, per poter dire ad un docente verso quali temi ti senti più portata. Infine, fai un giro sul sito dell'università www.unito.it, ci sono delle cose interessanti anche in termini di concorsi ai quali si può partecipare. Per ora non so dirti altro. In bocca al lupo per tutto. Continua a leggerci e a scriverci ogni volta che vuoi: se possiamo essere utili... Grazie ancora e a presto, Michele Grazie mille per l'aiuto. Ho trovato il sito del dipartimento di sociologia http://www.dss.unito.it/index.htm, dove sono elencate le ricerche in corso. Mi sembra utilissimo. Grazie ancora per l'attenzione. Barbara Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricerca Sociale Ricerca Sociale Intervista a Mario Cardano 6 un’attività lavorativa e 25 pazienti che invece non ce l’hanno che magari la stanno cercando. I due gruppi, occupati Mario Cardano insegna Metodologia e disocupati, sono resi il più posdelle Scienze Sociali A presso il nostro sibile simili per quanto attiene il corso di laurea, Disegno della ricerca e genere, l’età e il profilo psichiaMetodi e tecniche dello studio di caso trico, la gravità della patologia presso il corso di laurea specialistica con la quale devono convivere. interfacoltà di Sociologia. Il confronto fra occupati e disocQui ci racconta della ricerca che sta cupati fornirà alcune indicazioni conducendo, con il gruppo «Alphaville» sui fattori che facilitano o ostasu lavoro e disagio psichico. colano la partecipazione di queste persone al mercato del lavoro. D: Professor Cardano, potrebbe illustrarci i suoi attuali ambiti di ricerca? R: Il mio lavoro di ricerca, in questo periodo, si muove su due terreni. Il primo, che frequento ormai da alcuni anni, è di tipo metodologico ed è quello della ricerca etnografica. Si tratta prevalentemente di un lavoro di ricerca teorico-metodologica che conduco partecipando all’attività di un gruppo di colleghi, di studiosi, che si riunisce quattro, cinque volte l’anno, per discutere i problemi metodologici ed epistemologici della ricerca etnografica. Sull’altro terreno trova collocazione una ricerca che ho avviato da poco più di un anno sulla malattia mentale e in particolare sulla conciliazione tra il disagio psichico e lavoro. La ricerca è condotta dall’Università di Torino, attraverso la mia persona e altri colleghi, insieme ad un cartello composto da ASL, Dipartimenti di Salute Mentale, cooperative sociali, associazioni che si occupano della cura delle malattie mentali e che sono raccolte all’interno del progetto Alphaville. Questa ricerca è stata promossa potendo contare su un finanziamento europeo. È una ricerca qualitativa, perché è questo l’ambito di ricerca su cui sto lavorando ultimamente e si articola in diverse fasi. D: Come avete individuato i pazienti da intervistare? R: I pazienti sono stati selezionati dai Dipartimenti di Salute Mentale, dapprima in modo anonimo. Le persone disponibili sono state scelte considerando la coerenza con le nostre richieste, ovvero con le caratteristiche che volevamo fossero presenti nelle persone da intervistare. Nei Dipartimenti di Salute Mentale hanno scartabellato negli archivi e hanno individuato i casi che avevano i requisiti appropriati e tra questi hanno individuato quelli per i quali un’intervista non poteva essere ragione di pregiudizio per la loro salute. D: C’è stato quindi un primo filtro… R: Sì, esatto. Sono quindi state escluse persone che magari, chiamate a raccontare la loro storia, avrebbero avuto disagi di varia natura. I soggetti che abbiamo interpellato sono tutti pazienti seguiti dai Dipartimenti di Salute Mentale (d’ora in poi DSM), per cui dal punto di vista del profilo del campione, ovvero per come è stato costruito, non possiamo dire nulla circa gli orientamenti e le caratteristiche dei “pazienti” cosiddetti ribelli, di coloro cioè che non riconoscono alle istituzioni sanitarie alcuna capacità, competenza nel gestire il loro problema di salute, e quindi non si rivolgono a questi servizi. Abbiamo ascoltato alcune voci ribelli ma non così tante come avremmo potuto fare usando un’altra strategia di campionamento. D: Torniamo alle fasi della ricerca. R: Una prima fase, già conclusa, ci ha visto impegnati nella conduzione di 50 interviste a pazienti psichiatrici, seguiti dai DSM dell’area torinese. Si tratta di un campione a scelta ragionata, ispirato al disegno casocontrollo. Per cui ci sono 25 pazienti che hanno D: Quali tecniche di ricerca sono state adottate? R: Questa indagine è stata condotta utilizzando la tecnica delle interviste ripetute. Le interviste le ho condotte io insieme a un gruppo di altri 8-9 intervistatori. Dapprima abbiamo effettuato una prima intervista biografica in cui abbiamo chiesto a queste persone di raccontarci la storia della loro vita e in queste storie, ovviamente, ci sono narrazioni di malattia. Il tema che spesso viene affrontato è il passaggio drammatico, la transizione, dalla condizione di salute a quella di malattia con l’esordio di queste patologie che in alcuni casi è veramente drammatico. Concluso il ciclo delle prime 50 interviste, abbiamo analizzato i materiali raccolti e abbiamo individuato un insieme di temi che meritavano di essere approfonditi e li abbiamo ordinati in una traccia. Armati di questa traccia, di questa griglia, abbiamo ripetuto le interviste, approfondendo caso per caso i temi che non erano emersi nel primo colloquio e che meritavano ulteriori sviluppi. Quindi, nella seconda intervista, abbiamo affrontato in alcuni casi in modo più specifico il tema del lavoro, in altri casi quello del rapporto con i servizi di cura, in altri ancora le relazioni con i familiari, in modo da ricostruire un quadro completo. D: Quindi quello che veniva fuori dalla prima intervista, ma anche il non detto… R: Diciamo che la prima intervista è stata analizzata per capire come le persone raccontavano la loro esperienza. Poi, a partire dalla lettura di queste prime interviste, sono emersi ulteriori spunti, elementi, che sono stati affronta ti con il secondo colloquio. Un altro aspetto interessante, almeno dal mio punto di vista, di questa prima fase del lavoro riguarda il coinvolgimento, nella fase di conduzione delle interviste, di pazienti psichiatrici. D: In che modo sono stati coinvolti? R: Si tratta tecnicamente di interviste condotte in tandem, dove, accanto a un intervistatore professionista, il ricercatore sociale, contribuiva alla conduzione dell’intervista una persona che aveva o che aveva avuto seri problemi di salute mentale, la quale porgeva alcune domande e in alcuni casi svolgeva un ruolo di mediatore. Questo anche su un piano affettivo-relazionale, sostenendo ad esempio i nostri interlocutori nei passaggi particolarmente drammatici del loro racconto, come l’esordio, il primo ricovero, la consapevolezza del proprio disagio. Allora, in questi casi il collaboratore entrava nella discussione raccontando la propria esperienza, creando una situazione di condivisione. Questo è stato fatto sia per la prima intervista sia per la seconda intervista e a questi intervistatori aggiuntivi abbiamo chiesto di redigere un Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] diario delle loro esperienze di intervista, senza nessun mandato particolare, e quindi di raccontare la loro esperienza utilizzando, questo è quello che spesso è accaduto, il racconto della persone che avevamo intervistato come specchio, come stimolo per ripercorrere la propria personale esperienza. Chiusa questa fase di interviste, il passo successivo è stato la conduzione di due focus group sempre con questi pazienti, in cui i medesimi temi, quelli del lavoro e della salute mentale, sono stati discussi facendo sedere attorno a un tavolo sette, otto dei nostri interlocutori che hanno continuato questo confronto, questa discussione non più solo con gli intervistatori ma anche tra di loro, facendo emergere temi, anche in questo caso, di estremo interesse. D: Come sono stati selezionati questi sette, otto? Sono stati selezionati in base alla loro disponibilità, perché non tutti erano disponibili, e poi abbiamo considerato le caratteristiche delle storie, la capacità di offrire alla discussione un contributo interessante. Di nuovo un campionamento a scelta ragionata, disponendo di molti elementi per scegliere le persone perché le abbiamo tutte quante ascolta te un paio di volte con interviste che duravano anche un paio d’ore ciascuna. D: In cosa è consistita la seconda fase? R: La seconda fase ha riguardato lo studio dei familiari dei pazienti psichiatrici. Anche in questo caso, per ragioni di delicatezza del tema, certamente sensibile, abbiamo chiesto ai pazienti la loro autorizzazione a metterci in contatto con i familiari, per discutere dell’esperienza che loro avevano vissuto, ascoltando un’altra campana, confrontandoci con un altro punto di vista. In questo caso abbiamo interpellato 20 familiari, cercando di nuovo di riprodurre questa struttura del campione per cui familiari di pazienti uomini e donne, familiari di pazienti giovani e maturi, familiari di pazienti occupati e non occupati, cercando di far quadrare il cerchio per quanto possibile. D: Su cosa verteva questa intervista? R: Ai familiari abbiamo chiesto di raccontarci la loro esperienza di convivenza con un paziente psichiatrico, il loro rapporto con i servizi e, visto che il tema del lavoro era rilevante, le loro aspettative e aspirazioni nei confronti del loro caro. In modo analogo a quanto fatto per i pazienti, all’interno dei familiari abbiamo selezionato due gruppi di persone che sono stati coinvolti in altrettanti focus group nei quali, di nuovo, i temi affrontati nelle interviste individuali sono stati oggetto di una discussione collettiva. E con questo si è conclusa la seconda fase. D: E poi la terza fase… R: Sì. La terza fase era pensata per affrontare le esperienze di lavoro per coloro che hanno o hanno avuto una collocazione nel mercato del lavoro. Di nuovo, anche in questo caso, abbiamo chiesto dapprima l’autorizzazione ai nostri interlocutori per prendere contatto con le aziende presso le quali lavoravano o avevano lavorato. Da questo punto di vista i consensi ottenuti sono stati estremamente limitati, solo un paio di persone ci hanno autorizzato a prendere contatti con le aziende. Allora abbiamo deciso di cambiare strategia, come spesso accade nella ricerca qualitativa, dove li disegno deve adattarsi all’evolvere della ricerca. Abbiamo ricostruito, con la collaborazione degli enti che a Torino si occupano dell’inserimento lavorativo dei pazienti psichiatrici, una piccola banca dati di aziende che avevano al proprio interno lavoratori disabili, con una disabilità psichica, Sociologia e Ricerca Sociale 7 inseriti ai sensi della legge 68 del 1999 che stabilisce per le aziende che hanno una dimensione uguale o superiore ai 15 dipendenti l’obbligo di assumere un disabile. A noi interessava il caso dei disabili psichici, con problemi di salute mentale, e quindi abbiamo condotto una quindicina di studi di caso. In questo caso abbiamo condotto interviste con aziende e con cooperative sociali di tipo B che sono le cooperative che si occupano dell’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati, tra i quali rientrano anche i pazienti psichiatrici. In ciascuno dei casi studiati, aziende o cooperative, abbiamo interpellato il responsabile del personale, ovvero la persona che si è occupata della selezione e dell’inserimento lavorativo; il caporeparto, ovvero la persona immediatamente sovraordinata al lavoratore assunto; e poi un collega. In tutti questi casi abbiamo condotto le interviste tutelando l’anonimato delle persone. I pazienti assunti non sono stati in alcun modo contattati e abbiamo condotto anche studi di caso riferiti alle aziende o cooperative presso le quali avevano lavorato quei due pazienti che ci avevano dato la loro autorizzazione. D: Cosa è emerso? R: Nel caso delle cooperative sociali ci siamo soprattutto concentrati sui casi di insuccesso, proprio perché le cooperative sociali sono aziende che hanno come obiettivo quello di inserire pazienti psichiatrici e quindi, almeno sulla carta, quello dovrebbe essere il contesto nel quale l’inserimento lavorativo è più facile. Allora, in questo contesto, abbiamo cercato di esaminare gli insuccessi per imparare, perché un aspetto rilevante di questa ricerca riguarda il suo orientamento pratico, pragmatico. Accanto all’impegno alla ricostruzione dell’esperienza dei pazienti psichiatrici e delle modalità nelle quali riescono a conciliare il lavoro con il disagio mentale, c’è anche l’esigenza di definire linee guida di buona pratica, utili a chi si occupa di questi temi, come ad esempio i DSM o i Centri per l’Impiego. D: Ora a che punto siete? R: Conclusa questa fase, ci stiamo ora apprestando a concludere l’ultima parte del lavoro che ha come obiettivo quello di ricostruire dapprima la rete delle agenzie e degli attori che nel contesto torinese si occupano di promuovere la partecipazione al mercato del lavoro dei pazienti psichiatrici, e in questo caso i nostri interlocutori saranno gli operatori dei DSM, gli operatori dei Centri per l’Impiego, la Commissione Medico-integrata, che è la commissione che si occupa di riconoscere, laddove è legittimo, l’invalidità ai pazienti psichiatrici, invalidità in forza della quale diventa possibile chiedere il collocamento obbligatorio. D: Come procederete? R: Contiamo, anche in questo caso, di fare interviste e poi di condurre alcune consensous conference, gruppi di discussione nei quali gli interlocutori verranno chiamati a discutere delle politiche di conciliazione di lavoro e disagio mentale avendo in mente due situazioni: la prima, quella più standard, è quella dell’inserimento lavorativo di pazienti psichiatrici e più in generale di conciliazione tra lavoro e malattia mentale per le persone che sono utenti dei DSM; l’altro gruppo di discussione invece avrà come obiettivo quello di studiare i casi di insorgenza di seri problemi di salute mentale all’interno delle aziende, cioè di persone che, assunte come sane e abili, nel corso della loro esperienza lavorativa vedono compromettersi seriamente il loro stato di salute e devono convivere con questo disagio in una situazione che è diversa da quella dei pazienti Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> sociologia.newsletter@ unito.it seguiti dai DSM, perché in alcuni casi i problemi sono, come si dice, sub-clinici, ovvero non sono ancora stati diagnosticati, o magari le persone rifiutano di conoiderare il loro come un problema di salute mentale e quindi non si rivolgono ai DSM o altrove per avere le atte nzioni necessarie. Questo tema è emerso in maniera rilevante nel corso delle interviste condotte alle aziende, in specifico un’intervista che ho condotto io in un’azienda torinese, grande, oltre 5000 dipendenti, dove ci hanno detto che per loro il vero problema è questo, il burnout, cioè il fatto che alcune persone a un certo punto vanno seriamente in crisi e si tratta di gestire questo tipo di pro-blemi. Questa sarà la parte conclusiva della ricerca. D: Si è prima accennato alle aspettative delle famiglie circa l’inserimento in strutture aziendali… R: Sì. Questa ricerca nasce con obiettivi sia cognitivi sia operativi, favorire cioè gli inserimenti lavorativi. Purtroppo la ricerca è stata progettata e poi realizzata in un periodo in cui la città di Torino è entrata in una grave crisi occupazionale e, se nella definizione originaria del progetto - alla quale peraltro io non ho partecipato - si pensava di associare alla conduzione della ricerca la realizzazione di alcuni stage per l’inserimento lavorativo di pazienti psichiatrici in vista di una loro eventuale assunzione, la crisi, le difficoltà dell’economia torinese, hanno sensibilmente ridimensionato questa parte del progetto per cui verranno forse fatti alcuni tirocini senza tuttavia poter garantire, contrariamente a quanto progettato, uno sbocco occupazionale alle persone coinvolte. D: Immagino, sentendo i suoi racconti, che sia stata un’esperienza provante ascoltare queste storie, ricostruire i momenti drammatici. Da questo punto di vista, come si è trovato, cosa ha appreso? R: Io mi sono occupato con una psichiatra, Barbara Martini, di gestire la progettazione e la realizzazione della ricerca, e mi sono posto come vincolo quello di non fare semplicemente il responsabile della ricerca che decide il piano di campionamento, che addestra gli intervistatori, che li recluta e li sorveglia, ma di contribuire in maniera rilevante a tutte le fasi della ricerca. Quindi io ho condotto tutti i focus group e ho condotto diverse interviste con i pazienti e alcune interviste con i familiari e con le aziende. Dal punto di vista dell’esperienza personale, l’incontro con la malattia mentale, con le narrazioni di queste persone è stato effettivamente un’esperienza molto toccante, con alcuni momenti drammatici, di condivisione della loro sofferenza, ma anche rilevante perché le persone con le quali ho condotto l’intervista, molte volte mi hanno sorpreso per la loro lucidità. D: Perché sorpreso? R: Perché forse muovevo da un pregiudizio nei confronti della malattia mentale, che fa pensare a queste persone come disturbate, in difficoltà nell’organizzazione di un discorso, difficoltà di autoanalisi, invece le persone che io ho interpellato, e non mi sono limitato alle persone con patologie meno gravi, ma ho intervistato persone con problemi molto seri, quelli che nella classificazione diagnostica sono i più seri problemi di salute mentale, mi hanno profondamente sorpreso per la loro capacità di analisi, per la consapevolezza, per il senso critico che hanno mostrato nel raccontare la loro vita, nel raccontare la loro esperienza e trarre alcune conclusioni su come, più in generale, va il mondo. E poi mi ha colpito il fatto di raccogliere io stesso e attraverso gli altri inter- Sociologia e Ricerca Sociale 8 vistatori, perché io comunque poi ho letto tutte le interviste fatte, vedere come, per i casi che abbiamo considerato, molto spesso la malattia mentale si innesta all’interno di storie di disagio, di estrema povertà, storie di immigrazione drammatica, insomma, insieme anche a storie, questo va detto, in cui la malattia mentale sorge come qualcosa di inatteso all’interno di un milieu sociale caratterizzato da benessere, da agio, nella maniera più ampia possibile. Quindi raccogliere queste narrazioni è stata sicuramente un’esperienza dal punto di vista emotivo molto profonda ma non onerosa, non è stata una cosa che mi ha fatto soffrire, che mi ha messo alla prova, anzi sono state un modo per entrare in un mondo … il paziente psichiatrico è, insieme ad altre figure, l’espressione di una forma radicale di alterità. D: Cosa intende dire? Le persone che hanno una malattia mentale hanno un modo di vivere e di rappresentarsi il mondo che in alcuni momenti è assolutamente altro, quindi confrontarsi con questa alterità così profonda è qualcosa che ti invita a riflettere, e pensare a quelle che sono invece le caratteristiche che contraddistinguono la cosiddetta normalità. A proposito del lavoro, la cosa che emerge chiara nei discorsi che fanno queste persone, soprattutto quelle che lavorano, è il fatto che noi tutti si vive in una società in cui il valore della competizione, il valore del rendimento professionale ad altissimo livello, la gara a essere in cima, è la prima è più importante regola del gioco e loro di fatto, vuoi per le terapie che devono assumere vuoi per le difficoltà che hanno, non possono partecipare a questa corsa con gli stessi strumenti. Le loro difficoltà mettono in luce in maniera chiara le caratteristiche del gioco, un gioco in cui c’è un elemento quasi darwiniano, di selezione, che è estremamente drammatico e dal punto di vista etico profondamente discutibile, io credo: se non sei un fuoriclasse, se hai delle difficoltà, ecco che non c’è più spazio per te, non c’è più spazio per ascoltare o per accettare una persona che ha un rendimento lavorativo più basso degli altri. Un altro aspetto che così, in maniera disordinata, mi viene da segnalare. Durante un’intervista ad un caporeparto, ho scoperto una cosa di estremo interesse. Questa persona mi ha raccontato come lui, nella sua piccola azienda riusciva a contrastare questa tendenza a escludere le persone che hanno minori capacità in questa gara competitiva perché lui diceva, con estrema lucidità, che ci sono tanti modi di fare volontariato e ci sono persone che decidono di fare il volontariato fuori dal contesto nel quale lavorano, fuori dal loro ambiente di vita quotidiana; lui invece aveva scelto di disporsi con un atteggiamento etico simile a quello del volontariato, nel luogo di lavoro, quindi considerando il sostegno che lui dava a queste persone in difficoltà non come qualcosa che potesse configurarsi come uno sfruttamento da parte del disabile nei suoi confronti, o come un carico aggiuntivo: «arriva questa persona, non sa fare bene il suo lavoro, e a me tocca fare un pezzo del suo»; ma dicendo io faccio questo perché questo è il modo in cui io aiuto nella mia quotidianità, senza dovermi iscrivere a una qualche associazione di volontariato, ma esprimo il mio impegno civile accettando una persona che ha delle difficoltà, aiutandola a fare questo lavoro, in questo modo. E questo mi ha fatto pensare al fatto che ci siano risorse di solidarietà anche all’interno dell’ambiente aziendale inattese che forse andrebbero incoraggiate. D: Grazie, tutto questo fa pensare a quanto possa essere bello, umanamente interessante fare ricerca…. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricerca Sociale Ricerca Sociale 9 Intervista a Chiara Saraceno CIRSDe in quanto tale, Nasce come Centro Interdiconvegni e seminari in cui ci partimentale di Ricerche e Il CIRSDe (Centro Interdisciplinare di Ricerche e si confronta con i dibattiti Studi delle Donne. Da Giugno Studi delle Donne) è stato costituito nella scientifici che su questi temi 2002, con un passaggio primavera del 1991, su proposta di un gruppo di si sviluppano a livello fortemente voluto docenti e ricercatrici dell'Università di Torino, nazionale e internazionale. dall’attuale Rettore, diventa come struttura di riferimento per iniziative di Centro di interesse d’ateneo, ricerca, di didattica avanzata e sperimentale, di D: Quali altri obiettivi si consolidando quindi la sua formazione e di incontro culturale tra le vogliono raggiungere? presenza istituzionale nelstudiose e gli studiosi che, nella ricerca R: Valorizzare le compel’Università . scientifica e nel lavoro didattico, adottano la tenze intellettuali e profesQuesto è stato il primo differenza di genere come questione e come sionali delle donne, innanzicentro universitario in Italia punto di vista. tutto nel campo della ricerca di questo tipo. E, rispetto scientifica. agli altri che sono sorti Abbiamo intervistato la prof.ssa Saraceno. Esistono a questo proposito successivamente in altre degli spassosissimi esperiuniversità, mantiene una menti condotti da gruppi di forte specificità interdisciplinare, che riguarda non ricerca, prevalentemente statunitensi, che hanno solo le scienze umane, storiche, sociali e giuridiindagato la discriminazione di genere nel valutare i che, ma anche le scienze mediche e biologiche. prodotti di ricerca. Si è rilevato che i valutatori Il Centro fa parte dell' Associazione europea reagivano diversamente a seconda del sesso “imputato” AOIFE e aderisce alla banca dati "Lilith". agli autori dei prodotti. Ed è ahimè noto che donne e Ma andiamo con ordine. uomini hanno diverse possibilità di carriera scientifica, D: Professoressa Saraceno, quali sono gli scopi che il CIRSDe si prefigge? R: Innanzitutto quello di sviluppare ricerche, studi, percorsi formativi avanzati attorno all’analisi della esperienza, pratiche sociali e culturali, saperi, sviluppati dalle donne, all’analisi delle relazioni tra i generi, ai modi di definire il maschile e il femminile nelle diverse culture, ma anche nelle pratiche istituzionali e nel mercato del lavoro. I campi in cui mettere a fuoco le dimensioni di genere e le specifiche esperienze maschili e femminili produce un arricchimento della conoscenza sono potenzialmente molti: dalla storia alla sociologia alla economia alla letteratura alla scienza politica fino alla medicina. Esiste ormai una letteratura ampia e consolidata che ne può offrire testimonianza e, soprattutto al di fuori dell’Italia, l’adozione di una prospettiva di genere è ormai ritenuta se non indispensabile certamente auspicabile per mettere a punto strategie di ricerca e modelli esplicativi efficaci. Ciò è avvenuto più facilmente nelle scienze storicosociali, economiche e umanistiche. Più recentemente se ne è iniziata a cogliere l’importanza anche nel campo della ricerca medica: non vi sono solo malattie che colpiscono diversamente uomini e donne – per motivi che hanno a che fare con la fisiologia, ma anche con gli stili di vita. I corpi maschili e femminili sembra reagiscano diversamente ai dosaggi standard dei farmaci, laddove viceversa spesso si assume la “media maschile” come standard di riferimento. Mettere a tema le differenze, ma anche le disuguaglianze, tra uomini e donne da un lato consente di sollevare il velo dell’ovvio, del dato per scontato – una premessa indispensabile per ogni intrapresa intellettuale e di ricerca scientifica. Dall’altro lato, proprio per questo, consente di arricchire la conoscenza scientifica stessa. Scopo del Centro è appunto mantenere aperto e sviluppare questo terreno di riflessione e gli interrogativi da cui nasce, mettendo anche in comunicazione tra loro i diversi approcci disciplinari. Lo strumento sono, oltre ad attività di ricerca vera e propria effettuate dal indipendentemente dal loro valore. È un fenomeno particolarmente evidente in Italia, nell’Università ma anche negli istituti di ricerca extrauniversitari. Questi temi, per altro, sono oggetto di particolare attenzione a livello di Unione Europea, ove esiste una linea di intervento definita Women and Science e dove si è creato un gruppo di consultazione detto il gruppo di Helsinki che ha prodotto documenti interessanti in argomento. D: Tra le vostre attività, presentate sul sito dell’università si parla anche di formazione. R: Sì, il Centro si occupa anche di offrire percorsi formativi nel campo degli studi di genere. Certo, non essendo una facoltà, non abbiamo la possibilità di organizzare attività formative in nostre strutture facendo vere e proprie lezioni, ma abbiamo creato un’offerta formativa trasversale alle varie facoltà dell’Ateneo torinese. In particolare da un lato forniamo sostegno materiale e visibilità alla formazione di una sensibilità e competenza per questa prospettiva all’interno delle varie facoltà e corsi di laurea, dall’altro lato offriamo iniziative che possono essere utilizzate da più corsi. D: In cosa consiste? R: Pubblichiamo ormai da anni una Guida degli studenti e delle studentesse che riporta i corsi, sempre a livello di tutto l’Ateneo, nei quali vengono trattati temi che possono interessare chi si dedica agli studi di genere. È una guida che è nata anni fa dalla volontà e dal lavoro di un gruppo di studentesse “150 ore”, le quali hanno raccolto informazioni sui corsi, hanno parlato coi docenti e hanno prodotto questo opuscolo. Ora è divenuta una attività istituzionale del CIRSDe. Come lei sa, col nuovo ordinamento e il sistema dei crediti, per gli studenti è possibile accumulare crediti formativi anche partecipando a seminari, parti di corso e moduli vari, e questo favorisce il nostro lavoro, perché ci consente di indirizzare studenti e studentesse interessati verso quei corsi che prevedono parti inerenti con lo studio di genere e che possono essere utilizzate per accumulare Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Sociologia e Ricerca Sociale Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricordiamo a tutte le studentesse e a tutti gli studenti interessati, che il CIRSDe ha un suo sito Internet all’interno di quello dell’Università torinese. L’indirizzo è: http://hal9000.cisi.unito.it/wf/CENTRI_E_L/CIRSDe/index.htm. crediti formativi. Quest’anno poi, all’interno del progetto UNIGENERE che è finanziato dal Fondo Sociale Regionale proprio sull’asse delle pari opportunità, il CIRSDe ha finanziato tutor d’aula dedicati che hanno coadiuvato le/i docenti di vari corsi e di diverse facoltà in attività seminariali ed esercitazioni specificamente sulle tematiche di genere. D: Parlavamo prima anche di seminari tematici… R: Sì, organizziamo seminari interdisciplinari di approfondimento, all’interno dei quali affrontiamo la letteratura specifica, oppure temi che vengono proposti dagli stessi docenti. Quest’anno l’offerta è stata molto ricca, date le possibilità finanziarie offerte dal progetto UNIGENERE, ed ha permesso di ampliare l’offerta formativa dei vari corsi interessati. L’obiettivo è quello di mettere insieme studenti e studentesse che arrivano da percorsi di studi diversi, da facoltà diverse, e affrontare con loro i temi legati alle dimensioni di genere. Gli studenti e le studentesse hanno così la possibilità di confrontarsi sia con docenti che con studenti provenienti da alte esperienze, di altre facoltà e corsi, approfondendo temi che altrimenti potrebbero non incontrare in altro modo all’interno della propria formazione. D: Immagino che Internet sia per voi uno strumento importante… R: Sul sito del Centro è attivo, infatti, il corso on-line, anche questo modulare e interdisciplinare. Il corso si rivolge a studenti di vari livelli, da quelli all’inizio del proprio percorso fino ai laureandi, che possono trovare in questo corso bibliografie aggiornate, dati, spunti di ricerca, e strumenti utili pensati proprio per soddisfare le richieste provenienti da diversi percorsi di studio. Il sito è anche una importante fonte di informazione sia sulle attività del CIRSDe sia sulle attività e iniziative di altri centri, anche a livello europeo. Tra l’altro ogni anno noi finanziamo studenti che vanno a summer schools o convegni su temi di genere. D: Il Centro si occupa anche di fare ricerca. Quali temi in specifico trattate? R: Negli ultimi anni c’è stato un incremento delle ricerche eseguite su commissione, sia per aziende pubbliche che private sui temi dei bisogni di conciliazione tra attività lavorativa e responsabilità familiari e su progetti di azioni positive. Sono temi entrati nella agenda pubblica europea e italiana. E vi sono fondi dedicati all’interno del Fondo Sociale o all’interno di alcune leggi specifiche, ad esempio la legge 125 sulle pari opportunità, o la legge 53/200 sui congedi genitoriali. Anche noi abbiamo visto un incremento delle nostre attività in questo settore, sia con una domanda di formazione sia con l’esecuzione di ricerche. Ad esempio abbiamo collaborato con ENAIP (con il coordinamento della prof.ssa Piccardo, una psicologa) e CSEA (con il coordinamento della prof.ssa Naldini, una sociologa) e stiamo concludendo una ricerca-azione (coordinata dalla prof.ssa Adriana Luciano), insieme a Poliedra tesa alla definizione di un percorso di formazione on line teso all’empowerment di giovani donne che si mettono in una prospettiva di carriera, con particolare attenzione per le condizioni di lavoro atipiche. Con il Comune di Torino, all’interno di un progetto URBAN, è stata effettuata una ricerca- 10 azione sul tema della violenza contro le donne, coordinata dalla prof.ssa Balsamo. Altre ricerche che abbiamo effettuato hanno riguardato la rappresentazione delle donne nei media, o la presenza delle donne nello sport. Quest’ultima è stata una ricerca commissionata dalla provincia di Torino, in vista delle Olimpiadi. Non va infine dimenticato che entro il CIRSDe vi è una tradizione di studi e ricerche-azione sui temi dello sviluppo, in collaborazione con la facoltà di agraria (prof.sse Donini e Calvo). In questo ambito negli anni passati alcune studentesse hanno avuto l’opportunità di recarsi in Mali per lavorare sul campo. D: Sono in previsione ulteriori sviluppi? R: Pensiamo di consolidare e mettere ulteriormente a punto le linee di lavoro che abbiamo sviluppato negli ultimi anni ed in particolare nell’ultimo, con il progetto UNIGENERE. Credo che l’esperienza di collaborazione con i corsi ufficiali, in diverse facoltà, sia stata importante e veramente nell’ottica del mainstreaming che è la parola d’ordine a livello europeo: formare in modo diffuso all’utilizzo della prospettiva di genere, perché sia utile e spendibile in diverse attività professionali. Anche il rafforzamento delle attività on-line è un nostro obiettivo, con l’ampliamento dei moduli, l’inserimento di un tutor in linea e il potenziamento del già presente forum dedicato agli studenti, dove è possibile inviare domande e richieste di approfondimento, interagendo con docenti e ricercatrici. Contiamo infine di continuare e rafforzare la pubblicazione di estratti di tesi di laurea particolarmente significative sui temi di pertinenza del CIRSDe. Qui occorre che sia i docenti sia le/i laureate/i facciano più proposte e soprattutto vi diano seguito una volta che sono approvate. Insomma, stiamo facendo molte belle cose, delle quali vado fiera, anche se il lavoro da fare è sempre molto. Diamo anche lavoro a molte persone, per la gestione del sito, per il reperimento dei materiali, per le attività di insegnamento; a tanti giovani che grazie al Centro possono cimentarsi con esperienze di insegnamento, geste ndo ad esempio un seminario; a laureati che hanno determinate competenze e che pur non avendo avuto contatti precedenti col CIRSDe vengono reclutati proprio grazie alle competenze che hanno acquisito. Pensi che a volte abbiamo più richieste di quante siamo in grado di soddisfare, per cui il lavoro non manca, specie per i sociologi/e. D: Quindi gli studi di genere stanno avendo un forte sviluppo? R: Sì, anche se questa attenzione, questa ampia disponibilità di fondi, porta con sé il pericolo di un abbassamento della qualità dei lavori con l’obiettivo di raccogliere quanti più soldi possibile. Sarà nostro compito vigilare su questo rischio e mantenere alto il livello qualitativo delle offerte che produrremo. D: La ringrazio per questa intervista. R: Anche io ringrazio la Newsletter e colgo l’occasione per ricordare a tutti che è possibile iscriversi alla mailing list del CIRSDe, per avere regolarmente informazioni sia sulle attività che sui bandi per borse di studio o per incarichi di lavoro. Naturalmente è anche possibile utilizzare il corso on-line: basta chiedere la password. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 11 PRESENTAZIONE DEL FORUM PERMANENTE SULLE TESINE DI LAUREA Cari lettori, in queste ultime settimane sono molti quelli di voi che ci hanno segnalato dubbi e perplessità circa il tema delle cosiddette tesine. Come sanno molto bene quelli tra di voi che stanno per finire gli esami e quindi si stanno avvicinando alla laurea, per concludere il percorso di studi triennale occorre produrre una tesi di circa 50 pagine, su un argomento a scelta, condordato con un docente che, in questo caso, ricopre la funzione di relatore. Gli aspetti interessanti che emergono dai vostri messaggi sono molti. Pare non ci sia molta informazione su quello che l’università e, più in particolare, i docenti, possono attendersi dalla tesina. Gli studenti lamentano la scarsità di informazioni reperibili in merito e sottolineano le difficoltà nella scelta del tema. Inoltre, dicono che non è molto chiaro quale sia l’impegno richiesto, soprattutto in termini di quantità di lavoro da produrre e testi da leggere e analizzare. Abbiamo cominciato a parlarne, a margine delle nostre interviste in altre occasioni informali, con alcuni docenti che hanno avuto esperienze sia di vecchie tesi quadriennali, sia delle nuove tesine triennali. E anche in questo caso emergono interessanti spunti. In effetti, le differenze con le vecchie tesi hanno portato i docenti a interrogarsi su quale possa essere il ruolo della tesina nell’economia delle lauree triennali. Non è più prevista la figura del contro-relatore, di colui cioè che aveva il compito nelle lauree quadriennali di fare “l’avvocato del diavolo”, ovvero di analizzare le tesi dei candidati da un punto di vista diverso da quello del relatore, e proporre in sede di laurea le sue osservazioni, più o meno critiche, dando vita a un confronto che consentiva al candidato, il più delle volte, di approfondire ulteriormente il suo discorso e la presentazione del suo lavoro. L’eliminazione di questa figura ha portato ad una considerevole riduzione dei tempi. Inoltre, le tesine si devono attestare su circa 50 pagine finali, mentre le vecchie tesi raramente scendevano sotto le 100-150 pagine. Questo cambiamento comporta che non solo gli studenti devono condensare in queste pagine il loro lavoro, ma anche che i docenti devono aiutare gli studenti in questo, ad esempio con la scelta di argomenti trattabili in 50 pagine. Se è vero che alcune delle vecchie tesi venivano forse eccessivamente dilatate per raggiungere gli standard di lunghezza richiesti, è altrettanto probabile che attuali lavori di studenti triennali debbano subire forti tagli per mantenersi nelle pagine assegnate. Insomma: come uscirne? Aggiungiamo che il peso dato dalla riforma alla tesina, ovvero 5 crediti formativi, costituisce un ulteriore elemento di incertezza. Da una parte, il lavoro richiesto per 5 cfu dovrebbe essere contenuto, e comunque, anche se in linea teorica, dovrebbe impegnare uno studente circa la metà del tempo che questi ha investito nella preparazione di un esame da 10 cfu. Quindi, se ci mettessimo a fare i calcoli matematici delle ore a disposizione per la tesina, ne risulterebbe che tra lettura dei testi, loro analisi e scrittura, il tempo per trattare un qualsivoglia argomento sarebbe ben poco. Certo, concludere il triennio con una tesina di questo tipo aiuta gli studenti a rimanere nei tempi, cosa molto difficile per le vecchie quadriennali, perché un lavoro così ipotizzato potrebbe essere condotto durante l’ultima sessione di esami e quindi portare alla laurea nel mese di luglio. Tuttavia, sono molti gli studenti a cui piacerebbe condurre una tesi di ricerca, che necessariamente comporta un maggior investimento di tempo e di energie. È vero che per dire cose interessanti non occorrono 150 pagine, e forse 50 sono più che sufficienti. È vero anche, però, che la tesi, fino a qualche tempo fa, era vista come una delle ultime occasioni per produrre un lavoro scritto di un certo rilievo scientifico e formale, che fosse il risultato di letture, indagini, analisi, ricerche vicine agli interessi dello studente: certo questa è una provocazione, ma forse, con 5 cfu e 50 pagine finali, potrebbe nascere un po’ di demotivazione e voglia di fare qualcosa di sbrigativo, tanto poi, se si continua, ci sarà la tesi della Specialistica. Come vedete, gli argomenti trattabili sono molti, e non solo gli studenti ma anche i docenti sentono la necessità di affrontarli in modo più sistematico. È per queste ragioni che la Newsletter ha deciso di proporsi come forum sempre aperto, dove i lettori possono inviare i propri commenti, le proprie idee e i propri suggerimenti. Da parte nostra, intervisteremo vari docenti su questi temi, e mensilmente daremo un resoconto dello stato della discussione. Faremo lo stesso con voi studenti: vi chiediamo infatti da subito di rispondere a questo progetto, mandandoci le vostre impressioni, domande e curiosità. Daremo vita, quindi a un ciclo di attività, interviste, sondaggi i cui risultati verranno riportati sulla Newsletter. Ci auguriamo, in questo modo, di venire incontro alle vostre richieste ed esigenze, ma anche di costituire un mezzo grazie al quale docenti e studenti possano confrontarsi su questo tema. Grazie a tutti per i contributi Che arriveranno, siamo convinti, numerosi. A presto. La redazione. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 12 Intervista a Paola Torrioni D: La prima confidenza verso chi D: Ciao Paola. Puoi parlarci viene rivolta? Paola Torrioni ha concluso da della tua tesi di dottorato? R: In genere verso un amico etero poco il triennio di dottorato di Su quale tema hai lavorato? (60%), o omosessuale (35%) poi a ricerca presso il Dipartimento di R: Ciao. Mi sono dedicata al tema genitori, fratelli, e una piccola Scienze Sociali dell’Università di dell’omosessualità con una tesi dal percentuale si rivolge ad altri, come Torino, e continua a collaborare titolo, Omosessualità al maschile e medici o ministri della chiesa. Io non al femminile: teorie e ricerche sociocon il Dipartimento per varie mi sono soffermata sulla specificità logiche. Ha come oggetto di studio attività di ricerca. dell’interlocutore, perché su questo l’omosessualità e nello specifico un tema c’è già molta letteratura. Quello aspetto in particolare che è il moL’abbiamo intervistata sulla sua che a me interessata era evidenziare mento in cui uomini e donne arrile tappe del percorso: a che età si tesi di dottorato. vano a dichiararsi omosessuali, scoprono i primi desideri omoerotici? quindi si identificano in un modello di identità omoQuando vi è la prima sperimentazione sessuale e con sessuale. chi? Persone dello stesso sesso oppure no? Chi ha Ho cercato di mettere in luce questo processo andando rapporti sessuali con persone dello stesso sesso ma a individuare quali sono le tappe salienti dell’esperienza anche dell’altro sesso, ha percorsi diversi rispetto a chi omosessuale, che è caratterizzata dal fatto che avviene è, diciamo, sessualmente stabile? molto spesso in silenzio, in segreto, in un ambiente, Quest’ultima domanda sembrerebbe portare ad un altro potremmo dire, ostile, in quanto non c’è socializzazione elemento di distinzione, nel senso che persone, sia all’essere omosessuali, anzi i modelli con i quali i ragazzi uomini che donne, che hanno un percorso sessuale più si devono confrontare oggi sono modelli di una sessastabile, quindi con partner dello stesso sesso, arrivano lità essenzialmente ed esclusivamente etero, in cui tutte al coming-out prima, dal punto di vista anagrafico, le altre forme di sessualità sono sbagliate, devianti e rispetto a chi invece è più fluido e quindi ha rapporti sia problematiche. con lo stesso che con l’altro sesso. Ho cercato di individuare le tappe e di metterle in Oltre a questi due elementi, ho cercato anche di situare relazione con le fasi della vita, perché quello che in il momento della confidenza, il momento dell’autoletteratura molto spesso si riscontra è che, più nel definizione che si connota in modo diverso per uomini e passato che oggi, si arrivava ad una piena consapevodonne. lezza e ad una più o meno completa accettazione della propria omosessualità molto spesso in età adulta: D: Ecco, hai detto prima che hai fatto attenzione a questo comportava il rivivere tutte le proprie esperienze mantenere le differenze di genere… sessuali e affettive secondo una nuova logica e quindi R: Sì, la prospettiva di genere è presente in tutti i secondo una nuova ottica sessuale e anche di identità, capitoli della mia tesi. Io ho lavorato su due campioni: ma significava anche scontrarsi con delle difficoltà uno nazionale, che ho avuto grazie alla gentilezza del maggiori nel poter modificare alcuni aspetti della propria professor Barbagli e di Asher Colombo, i quali hanno identità, già decisamente formata. Oggi è forse un po’ lavorato dal 1995 al 2000 ad una survey nazionale con più ‘semplice’ per i ragazzi e le ragazze, anche se non questionario, che ha consentito di ottenere più di 3000 dico certo che sia facile o un cammino senza ostacoli, questionari, ma non equamente suddivisi tra uomini e raggiungere la consapevolezza di provare desideri donne, in quanto il 75% del loro campione era costituito omoerotici. Quindi, ho cercato di capire come coorti da uomini; nel 2001 a Torino è stata effettuata un’altra diverse e come uomini e donne – perché la mia tesi è indagine, coordinata da Chiara Saraceno e Alessandro molto attenta alle differenze tra i generi – hanno Casiccia, per indagare l’esperienza omosessuale di gay affrontato le stesse tappe, come le hanno vissute, e e lesbiche torinesi grazie alla quale si è ottenuto un come sono arrivati a definirsi omosessuali. campione di più di 500 casi, equamente suddiviso tra D: Quindi, ti sei concentrata proprio sul momento in cui le persone si palesano omosessuali, avendo però già un percorso di esperienze omosessuali alle spalle. R: Sì, la maggior parte del campione era arrivata al coming-out (momento dello svelamento) con famiglie e amici dopo un certo percorso. Io ho analizzato una parte peculiare del coming-out, ovvero il momento della prima confidenza, che sicuramente non esaurisce in toto il momento del coming-out perché è solo una delle prime fasi di questo percorso di svelamento, ma che risulta proficuo da un punto di vista analitico. Ad esempio, da come avviene la prima confidenza, si tratteggiano ampie differenze tra gay e lesbiche: i gay la vivono come una prima e vera presentazione; le lesbiche invece come una confidenza, e quindi un primo palesare dei dubbi. uomini e donne; sottolineo equamente, perché molto spesso la letteratura propone un’esperienza prettamente maschile dell’omosessualità, e come si vede, invece, confermato dagli studi nord-europei e come ritorna anche nel nostro caso, l’omosessualità vissuta dalle donne è diversa. È diverso il concetto di sessualità, è diverso il modo di identificarsi nell’identità, appunto, gay o lesbica: questo mi ha portato a utilizzare la differenza di genere come uno strumento di differenziazione, utilizzando invece come strumenti analitici, teorici, il concetto di identità sessuale e il concetto di carriera morale, che consente di recuperare il senso di continuità che esiste nelle vicende biografiche e introduce la possibilità di allargare la prospettiva e Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] quindi di indagare quali significati assumono per le persone omosessuali, nei diversi processi di ricostruzione del sé, la presenza (o l’assenza) di determinati eventi: come ad esempio il coming-out, il rapporto eterosessuale o la convivenza con il/la partner dello stesso sesso. Quindi, in che modo gay e lesbiche modificano il loro pensare a se stessi come esseri sessuati nel mondo in base alle tappe che raggiungono, o non raggiungono, di questa ipotetica carriera, che io ho standardizzato in tappe per ragioni legate alla confrontabilità dei casi, ma che ovviamente è variegata e con specificità proprie dei singoli casi. D: Sei ricorsa anche ad altri strumenti di analisi? R: Sì, oltre a questa parte più quantitativa, costituita dall’analisi dei dati raccolti con le survey, ho utilizzato anche una trentina di interviste in profondità, che sono sempre il frutto del lavoro fatto qui a Torino tra il 2000 e il 2001 e che aveva dato vita anche a un convegno specifico su questi temi e sulla transessualità. Io ho utilizzato questi dati per aprire una nuova prospettiva, guardando a determinate fasi in un’ottica di carriera, dando quindi un po’ di dinamicità ai dati. D: Potresti indicarci alcuni dei risultati più interessanti ai quali sei giunta? R: Beh, un primo risultato importante è legato a come gay e lesbiche percepiscono la propria identità sessuale: se non ricordo male, circa il 70-75% (dipende da quale campione consideriamo) dei gay si definisce esclusivamente omosessuale; la percentuale cala drasticamente tra le donne: se consideriamo il campione nazionale sono il 60% quelle che si dichiarano esclusivamente omosessuali , mentre nel campione torinese la percentuale scende ancora di più assestandosi al 35%. In più in entrambi i campioni femminili circa il 20% delle donne si dichiara tendenzialmente bisessuale. Questo può significare che nell’universo femminile una certa fluidità sessuale è più contemplata, possibile, è più diffusa, a discapito di una identificazione esclusivamente omosessuale, pur in donne che vivono con compagne e che si sentono lesbiche omosessuali. Mentre, la stessa cosa in ottica maschile, il fatto cioè di considerarsi bisessuali, è vista da alcuni intervistati come una patetica cortina di fumo, una scusa per non affrontare le difficoltà che nel cammino di svelamento ovviamente ci sono, un modo per tenere il piede in due staffe: insomma, un elemento estremamente negativo. Un altro elemento sicuramente interessante è la struttura delle carriere, in cui notiamo, ad esempio, che negli uomini c’è una fase abbastanza immediata di sperimentazione sessuale dai 14 ai 17 anni, anche della sessualità con persone dello stesso sesso; mentre nelle donne la sperimentazione sessuale con altre donne è posticipata intorno ai 20 anni, quindi c’è una prima fase di esperienze eterosessuali e solo dopo omosessuali. Solo un 15-20% delle donne non ha avuto rapporti etero, mentre ben il 40% dei maschi non ha avuto rapporti eterosessuali, quindi anche qui notiamo una forte componente di genere. Inoltre, si nota nelle carriere maschili in cui non vi sono state esperienze sessuali con donne la propensione a raggiungere l’autodefinizione come gay subito dopo le prime esperienze omosessuali, verso i 17 anni, quasi come se il fatto di provare sentimenti e attrazione, sperimentare fisicamente questa attrazione, fosse una specie di propulsore per arrivare a dichiararsi più facilmente omosessuali. Chi invece, sempre tra i maschi, ha un Sociologia e Ricerca Sociale 13 percorso più fluido in cui vi sono sia esperienze etero che esperienze omosessuali, raggiunge verso i 19 anni il momento dell’auto -identificazione. Un’altra interessante differenza di genere riguarda il fatto che il momento “conclusivo”, (tra virgolette perché in una prospettiva di carriera non esiste un vero e proprio momento conclusivo), per gli uomini sia il coming-out, mentre per le donne è l’auto-definizione. Quindi per le donne arrivare a definirsi lesbiche richiede un processo un po’ più lungo di quello intrapreso dagli uomini. Dicevo che non si tratta del momento conclusivo, anche perché io ho cercato di inserire nella ricerca un rapporto tra i momento della conoscenza del partner e il momento della nascita della coppia, perché sono altri elementi che aiutano a completare il quadro di questa carriera affettivo-relazionale. In questo, uomini e donne si differenziano un po’ meno, rispetto alle altre tappe. Quello che comunque è interessante è che tra il momento della confidenza, il coming-out per gli uomini, l’auto-definizione per le donne, e il momento del raggiungimento di una relazione stabile, passano molti anni, circa otto. Quindi c’è tutto un periodo di limbo, se vogliamo, di altra sperimentazione su se stessi, sulla propria vita, che ritarda, rispetto alle coppie etero, il momento della convivenza e del rapporto di coppia. D: Immagino che dal momento del coming-out, inizi un altro periodo della vita, dove ci si vede nel mondo in modo diverso, cambiano i rapporti con gli altri, intraprendendo, credo, nuovi percorsi di socializzazione ed entrando in modo diverso nei contesti abituali. R: È interessante notare come il rapporto di coppia abbia effetti diversi su uomini e donne, nel senso che nel momento in cui gli uomini hanno un compagno tendono a entrare nella comunità, ancora di più; le donne invece usano il rapporto di coppia come se potessero finalmente entrare appieno nella loro sfera privata, e quindi la comunità da mezzo per conoscere la propria compagna, diventa marginale e loro tendono a viversi il rapporto in modo più intimo, rispetto ai gay che invece tendono ad essere più coinvolti. D: Quindi per i gay la coppia tende a diventare un volano di socializzazione, mentre per le lesbiche è il contrario. R: Sì esatto, per le donne ha un altro tipo di funzione. Del resto lesbiche e donne etero sono molto più simili tra di loro di quanto lo siano le donne e gli uomini etero. Le donne, in generale, e anche in letteratura si riscontra questo, sono molto più attente alla relazione, la vivono coinvolgendosi completamente, per cui è come se questa relazione diventasse il riferimento centrale del loro mondo. Anche le donne lesbiche vivono in questo modo il rapporto di coppia. Una parte che ho cercato di sviluppare nell’ultimo capitolo della tesi riguarda proprio il ruolo della comunità all’interno dell’esperienza omosessuale. L’identità sessuale è socialmente costruita, e anche quella omosessuale risente di questi processi sociali. Ho cercato di vedere se uomini e donne sono coinvolti all’interno delle diverse comunità e se c’è qualche legame con la visibilità esterna della propria omosessualità. Qui tornano le differenze di genere: come dicevamo prima, gli uomini tendono ad essere più coinvolti, quindi a frequentare di più, a essere più iscritti alle associazioni omosessuali. In questo incide anche il fatto che le associazioni omosessuali maschili sono Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Social e Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] storicamente più radicate, anche nella realtà torinese, per cui hanno una visibilità più diffusa, riconosciuta e sono maggiormente integrate. Nell’immaginario femminile, invece, c’è più la visione di luoghi chiusi, ghettizzanti, e quindi non così frequentabili, se non in situazioni particolari in cui si desideri stare in luoghi protetti e uscire da una logica etero che implica la negazione di una qualsiasi altra forma di sessualità e quindi la negazione della propria vita affettiva e interiore. C’è un ulteriore tema, che è quello della visibilità, del farsi vedere e lasciarsi identificare come gay o lesbiche. Per queste ultime è più “semplice” essere visibili, perché, se vogliamo, sulla sessualità femminile c’è una sorta di indifferenza o di maggior accettazione di comportamenti affettuosi in pubblico, che ovviamente non è estesa all’omosessualità maschile. C’è anche una diversa percezione sociale dell’omosessualità femminile, che probabilmente è vista come meno “pericolosa” di quanto lo possa essere l’omosessualità maschile; questo a causa di tutti i retaggi e i pregiudizi legati proprio al rapporto sessuale tra due uomini, che molto spesso finisce per toccare terreni assolutamente impropri come la pedofilia o le violenze. Cosa potrà mai succedere tra due donne? Nulla, non hanno armi, non possiedono organi per penetrarsi… di conseguenza sono percepite come inoffensive, con giudizi di valore screditanti. Questo potrebbe essere uno dei motivi per i quali le donne lesbiche possono permettersi di essere più visibili, però i percorsi non sono così lineari e si vedono degli intrecci tra coinvolgimento nelle comunità sessuali e visibilità che richiedono necessariamente degli approfondimenti, così come andrebbe sviluppato l’approccio attraverso le carriere, per vedere, ad esempio come a seconda del cambiamento della carriera omosessuale ci sono dei cambiamenti nelle altre carriere: lavorativa, professionale, amicale, abitativa. Spesso viene fuori dalle storie di vita che al momento del coming-out si va a vivere da soli o comunque si va fuori dalla famiglia di origine. Così come un proficuo terreno di indagine è quello legato alle prime scoperte della propria omosessualità, che spesso avvengono nella delicata età dell’adolescenza, e che quindi si sovrappongono a tutte le problematiche tipiche dell’età. D: Una cosa interessante sarebbe indagare a quali discriminazioni sociali sono andati incontro gay e lesbiche. R: Dalle interviste in profondità, (che poi io chiamo storie di vita, perché una delle cose che ho scoperto durante la ricerca è il fatto che gli intervistati e le intervistate tendono ad ancorare con precisione le tappe della loro carriera omosessuale a determinati periodi della loro vita, dando alla fine un quadro storico delle loro esperienze, all’interno del quale sentono l’esigenza di collocarsi) emerge, proprio in relazione alla scoperta della loro attrazione per o l stesso sesso, come molti uomini e donne si definiscano “non previsti”, degli adolescenti non previsti dalla famiglia, dalla società… D: In che senso “non previsti”? R: Nel senso che loro sono portatori di una sessualità non prevista, e non sanno neanche dare un nome a questa cosa che provano, perché magari hanno dei modelli di omosessualità, soprattutto maschile, che non si confanno a quello che loro sentono. Nella logica sociale dell’omosessualità, che si porta dietro tutta una serie di pregiudizi e stereotipi, l’omosessuale maschile è Sociologia e Ricerca Sociale 14 un effeminato, che ha atteggiamenti da donna, che parla e si muove in certi modi, che ha una grande e incontrollata fame sessuale, per cui potrebbe tranquillamente abusare di qualsiasi uomo che incontra… È ovvio che un ragazzo che invece si sente assolutamente uomo, quindi non nega la sua identità di genere, non si sente diverso nella sua identità di genere ma è diverso nella sua identità sessuale per cui non prova attrazione per le donne ma per gli uomini, assolutamente non si ritrova nel modello ste reotipato di omosessualità che oggi circola nella nostra società. I ragazzi di adesso hanno uno strumento in più dalla loro parte, che è Internet: in modo anonimo è possibile rintracciare notizie, confrontarsi con altri, avere spiegazioni da esperti che possono interpretare la situazione. Per uomini che adesso hanno 50-70 anni e che quindi non hanno avuto questo supporto ulteriore, si riproponeva in modo ancora più amplificato il fatto di vivere emozioni che erano incomprensibili, non avevano alcun modello di riferimento, il tutto in un momento di crescita particolare, dove esperienze negative possono avere ripercussioni nella formazione della propria identità, che poi si protraggono negli anni, interiorizzando quei giudizi negativi e stereotipati che la società rimanda. Il momento della scuola è molto delicato, perché senza una famiglia in grado di supportare e accompagnare percorsi di svelamento della propria identità sessuale, senza insegnanti di riferimento, o senza una forte rete amicale in grado di contenere le tensioni tipiche dell’età, diventa difficile affrontare bene la situazione. D: Cosa ti ha dato questa ricerca? R: È stata un’esperienza arricchente perché mi ha fatto scoprire quanto sia socialmente costruita una parte di noi che consideriamo biologicamente determinata. Quanto noi, come uomini e come donne, etero o omosessuali, siamo poi il frutto di determinazioni sociali, in cui se si cambia cultura, modello, paio di occhiali, quello che prima non era permesso lo diventa, quello che prima non era concepitolo lo diventa, e viceversa. E questo mi ha aiutato a capire molto di più gli eterosessuali di quanto mi aspettassi potesse accadere da un lavoro fatto su una condizione che è, appunto, considerata deviante. Poi è stato un lavoro molto impegnativo, molto lungo, che mi ha anche fatto capire quanta umiltà… quanto sia necessaria la passione per portare a termine una ricerca: è un continuo scavare, un continuo mettersi alla prova, anche su quello che si dava per assodato, per acquisito. Mi sono dovuta confrontare con concetti molto impalpabili, come l’identità sessuale, ad esempio, e confrontarmi con diverse discipline: la sociologia, la psicologia, l’antropologia. Ti trovi a confrontarti con dei concetti enormi, che difficilmente si possono rendere operativi, e quindi, insomma, tocchi diversi tuoi limiti. Ma allo stesso tempo mi ha arricchito perché questo continuo confronto dà grandi prospettive, ti aiuta a entrare in modo più specifico all’interno di concetti che in apparenza possono sembrare semplici ma che in realtà non lo sono. Io vengo da un background di stampo più quantitativo, e mi sono appassionata tantissimo delle interviste in profondità, delle storie di vita: mi sono resa conto di quanto questo materiale così ricco sia difficilmente comprimibile all’interno di un lavoro di tesi. Era quasi un peccato dover selezionare dei temi, perché emergevano così tanti spunti che era difficile lasciar cadere delle idee di analisi e di ricerca in favore di altre. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 15 Intervista a Giovanni Chiabotto Infine ho preso un articolo di un autore americano, il quale ha seguito per un anno una squadra di hockey professionistico. D: Dunque, tu ti sei laureato Quindi un’osservazione pienadopo aver fatto il passaggio mente partecipante… dalla vecchia quadriennale Sì. Tra l’altro una cosa alla triennale in Scienze Sociali interessante è proprio il suo Comparate: come mai questo Lo abbiamo intervistato per farci racconto del percorso che ha cambio? raccontare come sono andati questi intrapreso in questo anno, dove R: Sì, sono uno dei primissimi all’inizio era guardato con quasi due anni, cosa fa adesso nella della triennale. I motivi sono sospetto dai giocatori, mentre vita e quali progetti futuri vuole vari: mi interessava perché c’era alla fine si era talmente integrato mettere in campo. la possibilità di fare la specialistica da sentirsi lui stesso un membro in Sociologia, e visto che già a della squadra. Non mancano Scienze Politiche avevo intrapreso il percorso Sociale e anche gli episodi divertenti: dopo qualche tempo, la sociologia mi interessava molto, ho optato per questo quando i giocatori hanno iniziato a fidarsi di lui, durante cambio. Inoltre, ho potuto laurearmi prima, perché le trasferte si recavano nella sua stanza d’albergo per avevo già registrato molti crediti frequentando il vecchio fare uso di sostanze stupefacenti, in quanto le loro corso di studi quadriennale. E poi credo che, nel mondo stanze erano tutte sorvegliate. del lavoro, ormai una laurea quadriennale non abbia molto valore in più rispetto alle nuove lauree triennali. D: Questo lavoro, quanto te mpo ti ha preso? D: Ciao Giovanni. R: Ciao. Giovanni si è laureato nel 2002 in quello che allora era denominato Corso di Laurea in Scienze Sociali Comparate, oggi Sociologia e Ricerca Sociale. D: Con che tesi si sei laureato? R: Con una tesi sull’etnografia dello sport. Ho analizzato tre volumi e un paper in inglese, comparando le ricerche in essi riportate e proponendo un quadro integrativo. Devo dire che una delle prime sensazioni che ho provato appena conclusa la stesura della tesi è stata la voglia di ricominciare da capo, perché approfondendo i temi sei portato ad un livello di maturazione che non ti aspettavi all’inizio del lavoro e ti piacerebbe poter riprendere il tutto alla luce delle conoscenze che sei andato acquisendo. D: Guardando questi tesi, vedo che ti sei concentrato su football, fitness e hockey. R: Sì, sono partito analizzando Sociologia dello sport, a cura di Roversi e Triani, Edizioni Scientifiche Italiane. Da qui ho tratto alcune indicazioni sulla storia della sociologia dello sport e ho preso spunto per delineare in maniera più specifica l’oggetto della mia tesi, che era l’etnografia dello sport. Ho quindi analizzato di Alessandro Dal Lago, Descrizione di una battaglia. I rituali del calcio, Edizione Il Mulino, che è un testo che riporta le esperienze etnografiche dell’autore, il quale si è mischiato a gruppi di ultras di varie squadre di calcio professionistico, cercando poi, nei comportamenti e nelle interazioni sociali osservate, alcune linee guida con le quali affrontare il tema del tifo calcistico. Poi ho studiato Anatomia della palestra. Cultura commerciale e disciplina del corpo, di Roberta Sassatelli, Il Mulino: la ricercatrice ha studiato due palestre differenti dal punto di vista dell’immagine che queste volevano dare di sé, dove la prima può considerarsi una palestra à la page, diciamo alla moda, con frequentatori di ceti sociali elevati; l’altra è una palestra “di borgata”, con una frequentazione diciamo più alla buona. L’intento della Sassatelli è quello di analizzare due mondi che apparentemente sono molto distanti l’uno dall’altro e rintracciarvi, invece, tutti gli elementi comuni, le caratteristiche che consentono una continuità tra le due palestre. R: È difficile rispondere in modo preciso. Sai, magari ci sono delle settimane in cui riesci a lavorare molto e altre dove hai un po’ meno tempo, oppure dove il lavoro necessariamente va’ a rilento. C’è anche da considerare che il professore deve avere il tempo di leggere il materiale che si produce per la tesi, correggerlo e commentarlo col candidato. Comunque, volendo fare una stima, diciamo che ho impiegato un mese di lavoro intenso, anche se i testi ho iniziato a leggerli e studiarli prima. C’è anche da considerare che la tesina richiede una cinquantina di pagine finali, per cui non c’è molto spazio per allargare il discorso e di conseguenza la mole di lavoro da affrontare diminuisce. È stato intenso, ma non faticoso, anche perché ero molto interessato all’argomento. D: E dopo la tesi, cosa è successo? R: Io mi sono laureato a luglio, per cui il mese successivo non ho fatto granché. Poi, da settembre, ho iniziato a inviare curricula e domande a molte aziende, pubbliche e private, e devo essere sincero l’ho fatto un po’ alla cieca, perché volevo capire quale riscontro potesse avere la mia laurea e quindi quale fosse la sua spendibilità sul mercato del lavoro. Sempre a settembre ho incominciato anche ad allenare una squadra di pallacanestro, visto che comunque avevo del tempo e che questa poteva diventare una prima ma non certo esaustiva fonte di guadagno. Devo dire che non ho avuto molti riscontri positivi, in realtà mi hanno risposto in pochi e ho fatto qualche colloquio nel settore assicurativo, ma non ho intrapreso quella strada perché non mi interessava. Ho guardato anche ai concorsi pubblici, ma in quel momento non c’erano molte offerte per la mia laurea. Poi, attraverso un amico, ho conosciuto un grossista di abbigliamento sportivo che cercava agenti ai quali affidare parti della sua clientela, e ho iniziato a collaborare con lui. Questa è un’attività che svolgo tuttora. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] 16 Seguo in particolare due marchi nel settore sportswear, e faccio fronte ad un impegno che vede periodi di intensa attività alternati a periodi più tranquilli. L’attività si intensifica quando escono le nuove collezioni, che seguono l’andamento della moda, presentando prodotti nuovi ad ogni stagione, primavera-estate e autunnoinverno. Oggi l’abbigliamento sportivo è entrato a far parte del corredo di tutti, al di là di un utilizzo specifico per le attività sportive. Per cui si può parlare di vera e propria moda sportiva. D: Quando ti sei laureato? R: Nel 2002. questo lavoro l’ho iniziato effettivamente dal gennaio del 2003. Ho comunque continuato a cercare altro, ma non ho trovato qualcosa che mi attirasse così tanto da lasciare questa occupazione. Sinceramente non guadagno molto, però occorre anche considerare che ho molto tempo libero, perché, come dicevo, il lavoro è concentrato nel tempo e legato alle campagne stagionali. In realtà sono sempre alla ricerca di un lavoro che rientri in un ambito di carattere più umanistico, perché sarebbe più vicino alle mie aspirazioni. D: Cosa ti piacerebbe fare? R: Guarda, sto pensando di frequentare un corso per diventare counselor, solo che è della durata di tre anni, quindi sono un po’ in dubbio, anche perché un conto è farlo a 22 anni e un conto alla mia età: io finirei il corso a 31 anni, per cui vorrei capire se ci possono essere dei P r o f e s s i o n e cerchi in qualche modo di conquistare la sua fiducia e di aprirti un varco attraverso il quale conquistarla come cliente. Insomma, ti fa maturare, anche se è dura, perché a volte prendi delle grandi facciate, soprattutto i primi tempi. Certo, con l’esperienza le cose cambiano. Il mio capo ha il suo giro, è rispettato, ha venduto cose negli anni grazie alle quali i negozianti hanno rimpinguato le casse, per cui è visto anche come colui che ha saputo vendere prodotti efficaci. Quando parti, invece, è più difficile, magari hai prodotti nuovi che non hanno una solida base di clienti, alcuni di questi che non vogliono più il marchio diventato prestigioso perché fanno fatica a pagarlo, eccetera. Diciamo che è un’esperienza formativa, questo sicuramente, anche se io nella vendita non trovo moltissime soddisfazioni. Ci sono venditori che amano fare questo lavoro, contrattare con il cliente per piazzare un nuovo prodotto, conquistare nuove nicchie di mercato, riuscire a chiudere un ordine un po’ più grande di quello che voleva all’inizio il cliente: sono cose attraverso le quali queste persone si esaltano e che non abbandonerebbero per nessun altro lavoro al mondo. D: L’idea del counselor come ti è venuta in mente? R: Negli anni, dopo l’università, mi sono tenuto in contatto con un ragazzo che lavora nel campo della formazione e quindi conosce meglio queste figure, di origine anglosassone, molto simili a quelle del tutor, e che da noi stanno arrivando adesso. Conoscendomi, mi ha suggerito di indirizzarmi verso questa professione, perché secondo lui ho le caratteristiche per intraprenderla. Inoltre, il mercato è in espansione, per cui ci sono molte possibilità di impiego. Quindi sto seriamente pensando di fare il corso, anche perché, a differenza di molti altri corsi per laureati, alla fine di questo si acquisisce una vera e propria qualifica professionale, quella di counselor, appunto, che ha una sua precisa spendibilità nel mondo del lavoro. Avere una qualifica significa anche poterti proporre in modo diverso e intraprendere sia la strada del lavoro dipendente, in strutture pubbliche come in quelle private, sia fare qualcosa per conto tuo, mettere insieme un progetto e lavorare autonomamente. Certo è una scommessa, perché nel corso dei tre anni possono cambiare molte cose, per cui potrei cambiare prospettive. S o c i o l o g o concreti sbocchi professionali in questo settore. Poi mi piacerebbe non abbandonare la pallacanestro. Sto tentando di costruire dei progetti, anche se è impossibile che diventi un lavoro vero e proprio, perché non ci sono abbastanza risorse. Poi sai, un conto è avere una copertura familiare pressoché totale, per cui ti puoi buttare in un progetto e, anche se va male, a 35 anni puoi sempre permetterti di tornare indietro, ma questo non è il mio caso e comunque sarebbe alquanto azzardato investire tutto nella pallacanestro, dove di soldi non ne girano molti. Il mio ideale sarebbe trovare un lavoro in ambito sociale, anche senza grosse pretese economiche, e poi affiancarvi la pallacanestro, come attività part-time, divertente e compensativa a livello economico. D: Quindi punti a trovare un’occupazione gratificazione dal punto di vista dei contenuti, e cerchi di tornare alla tua passione per la sociologia… R: Sì, soprattutto ho capito, grazie all’attuale lavoro che svolgo, che vorrei cambiare settore. Faccio una puntualizzazione. Il lavoro del venditore mi è servito moltissimo e sono convinto che sia una grande palestra innanzitutto di vita, che aiuterebbe in maniera significativa ogni studente appena laureato. Ti “sgrossa”, ti rende più malleabile alla vita, ti insegna ad avere a che fare con la gente, cosa che io ritengo molto importante. Ad esempio, prendere il telefono, chiamare una persona che non hai mai conosciuto e che sai benissimo che ti risponderà con dei no le prime volte che lo andrai a trovare… eppure ci vai, perché fa parte del tuo lavoro, ti presenti, D: Tu Giovanni hai già avuto diverse esperienze nel mondo del lavoro, e hai progetti che nascono da una maturazione avvenuta dopo e al di là del tuo percorso di studi. Noi ci rivolgiamo soprattutto agli studenti, quindi a persone che, nella maggior parte dei casi, hanno un’età tra i 19 e i 23 anni, molti dei quali non hanno ancora avuto esperienze lavorative continuative e/o significative. Quali sono, secondo il tuo parere, le competenze sulle quali gli studenti e le studentesse dovrebbero investire di più per proporsi in modo competitivo una volta laureati/e? R: Ce ne sono di banali, come la conoscenza di lingue straniere, prima fra tutte l’inglese, e una buona Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] 17 conoscenza nell’utilizzo del computer e dei più diffusi programmi. Banali ma fondamentali, quindi da non prendere sottogamba… Questo è sicuro. Diciamo che sono considerate competenze basilari per un laureato, verso le quali non ci si pone neanche il problema di domandarle, salvo poi il verificarle nella pratica quotidiana. Per questo è davvero necessario farle proprie. Un consiglio che mi sento di dare è quello di arrivare il prima possibile alla laurea, e comunque rimanere nei tempi, perché poi ci si pente del tempo perso. Arrivare per secondi sul mercato del lavoro, a parità di competenze e di età anagrafica, significa trovare sulla propria strada tutti quelli che si sono laureati prima di noi, e questo significa anche minori opportunità di lavoro. Mi sembra che la riforma delle lauree triennali voglia andare in questa direzione, e credo che l’opportunità di laurearsi in tre anni sia da cogliere. Con le vecchie quadriennali, era difficile rimanere nei tempi: molti esami erano eccessivamente impegnativi, mentre credo P r o f e s s i o n e andare a lavorare per uno o due anni, così poi si hanno molti più elementi, e molto più concreti, per scegliere quale Master si adatta di più alle proprie caratteristiche e aspirazioni. L’università ti porta molto lontano dal mondo del lavoro, dai ritmi, dalle esigenze che esistono sul mercato. Non so se questo sia giusto oppure no, però è così, e un laureato, nei primi tempi, e facile che si trovi in difficoltà. Iniziare un’attività lavorativa, che magri può anche non essere vicina ai propri interessi, fornisce senz’altro la possibilità di conoscersi meglio e di capire con più cognizione di causa cosa ci piacerebbe “fare da grandi”. Se oggi dovessi decidere di intraprendere un Master, avrei già criteri di scelta molto più concreti di quelli che avevo a disposizione appena laureato. Al corso di counselor, per esempio, avevo già pensato qualche tempo fa, ma poi ho trovato il lavoro nell’abbigliamento e mi sono detto che potevo provare a vedere come andava, disinteressandomi di fatto del corso. Oggi so che andrò a frequentare il corso, pur avendo alcuni dubbi, perché so che costituirà certamente un’ulteriore risorsa spendibile, oltre che una arricchente esperienza personale. L’ambiente di lavoro serio, intendendo con questo escludere i lavoretti che tutti noi abbiamo fatto durante l’università, ti insegna molto e ti fa pensare alla tua vita e a quello che desideri in modo più completo. S o c i o l o g o che ora i programmi siano stati asciugati, e la tesi finale poteva portarti via anche molto tempo. Oggi è più semplice stare nei tempi, per cui occorre rispettarli. E poi lanciarsi subito alla ricerca di lavori. Uso il plurale perché credo che sia importate fare varie esperienze di lavoro, non essere troppo esigenti all’inizio, anche perché questo ha una ricaduta positiva sulla propria esperienza personale ed è di sicuro aiuto nello scegliere ed affrontare poi lavori più impegnativi o ai quali si tiene in maggior misura. Ad esempio, diciamo che mi laureo a 23 anni: prima di iniziare un Master consiglierei di D: Grazie Giovanni: credo che gli spunti di riflessione per i nostri lettori siano molti. R: Me lo auguro, e grazie a voi. I Numeri Utili I Numeri Utili Sede centrale Via Verdi, 25 – 10124 Torino tel. 011.6703096 fax. 011.6703249 [email protected] Segreteria di Presidenza Referente orientamento per la Facoltà Referente tutorato Prof. Alessandro Guala Tel. 011.6702646 - Fax 011.6702612 e-m@il: [email protected] Prof. Aldo Enrietti Tel. 011.6702728 - Fax 011.6702762 e-m@il: [email protected] Dott.ssa Elena Bosco Tel. 011.6703104 - Fax 011.6703249 e-m@il: [email protected] Referente job placement Segreteria Studenti Sig. Salvatore Paolella Tel. 011.6703140 - Fax 011.8122176 e-m@il: [email protected] Orario: dal lunedì al venerdì 9-11; martedì, mercoledì e giovedì anche 13.30-15 Prof. Claudio Grua Tel. 011.6703010 - Fax 011.2363010 e-m@il: [email protected] Referente disabili Dott.ssa Mabel Olivieri Tel. 011.6703368 - Fax 011-8174911 e-m@il: [email protected] Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 18 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI Incontro Mercoledì 21 aprile 2004 – ore 11.00 Salone d’Onore della Fondazione CRT, via XX Settembre, 31 Abbiamo il piacere di invitarla alla presentazione del quarto rapporto focalizzato realizzato dall’Osservatorio del Nord Ovest nei mesi di gennaio febbraio 2004 e promosso dalla Fondazione CRT, su “L’immagine della transizione torinese e piemontese”, previsto il 21 aprile p.v. alle ore 11,00 presso il Salone d'Onore della Fondazione CRT, in via XX Settembre 31, Torino. L’Osservatorio del Nord Ovest, avviato nell’autunno del 2002 con il sostegno di Regione Piemonte, Provincia di Torino, Comune di Torino, Fondazione CRT, Compagnia di San Paolo e Camera di Commercio ha lo scopo di raccogliere con regolarità – ogni quadrimestre – informazioni sugli atteggiamenti e i comportamenti della popolazione in alcune aree tematiche quali Demografia, Politica, Economia, Cultura, Sistema sociale, Religione e secolarizzazione. L’ampiezza del campione dell’Osservatorio, un panel di circa 4500 individui, rende possibili – oltre ai confronti nel tempo – varie comparazioni fra i comportamenti e gli atteggiamenti delle popolazioni residenti in nove aree principali: Comune di Torino, Area Metropolitana di Torino, Provincia di Torino, Regione Piemonte, Nord Ovest (Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta), Triangolo industriale (Nord Ovest + Lombardia), Nord, Italia, e infine le grandi città italiane (esclusa Torino). Oltre a garantire, attraverso la realizzazione di tre indagini l’anno, la redazione di un “Rapporto annuo sul mutamento sociale”, l’Osservatorio del Nord Ovest si configura come uno strumento conoscitivo a disposizione del sistema locale per la realizzazione di indagini mirate su temi di interesse settoriale. Le prime indagini del 2003 e i relativi rapporti focalizzati hanno riguardato “La crisi Fiat”, “Senso di sicurezza e propensione al lavoro autonomo” e “G li Italiani, l'Europa e il Semestre Europeo”. A partire dal 21 aprile le nuove informazioni saranno disponibili sul sito Internet www.nordovest.org. Il sito permette di accedere sia al testo delle domande rivolte agli intervistati nelle varie indagini, sia alle distribuzioni delle risposte (tanto a livello locale quanto a livello nazionale). Certi del Suo interesse verso il progetto, e in attesa di incontrarLa alla presentazione dell’iniziativa, Le inviamo i nostri più cordiali saluti. Luca Ricolfi Responsabile Osservatorio del Nord Ovest Giuseppe Bonazzi Direttore del Dipartimento di Scienze Sociali Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo CIRSDe, Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne 19 Città di Torino Presentano Violenze Urban e La città di Torino contro la violenza alle donne Ricerca azione nell’area Urban di Torino 26 e 27 aprile 2004 presso Torino Incontra via Nino Costa, 8 Per informazioni: CIRSDe 011.670.31.29 – [email protected] Polie dra 011.347.37.74 int. 264 – [email protected] Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 20 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO DIPARTIMENTO DI SCIENZE SOCIALI Seminari di Dipartimento Gennaio – Giugno 2004 Giovedì 29 Gennaio Giuseppe Bonazzi: “Teorie dell’impresa e ricerca sociologica: prospettive e problemi di un incontro”, discussants M. Vaira, F. Barbera. Giovedì 12 Febbraio Dario Melossi: “Stato, controllo sociale e devianza”, discussants A. Cottino, F. Prina. Giovedì 1 Aprile Luca Ricolfi – Diego Gambetta: “Spiegare le missioni suicide”, discussants M. Buttino, M. Ferrero. Giovedì 20 Maggio Davide Barrera: “La fiducia: un’analisi sperimentale”, discussants G. Ortona, M. Follis. Giovedì 17 Giugno Sonia Bertolini: “Strumenti concettuali per l’analisi del lavoro atipico: riflessioni ed esperienze di ricerca”¸ discussants N. Negri, A. Luciano. Aula seminari del Dipartimento, Via S. Ottavio 50, Torino ore 14,30 Copie dei testi presentati saranno disponibili in Dipartimento qualche giorno prima della data di discussione, rivolgendosi al Sig. Fabio Pallavicino (011.670.2606) Tutti i seminari sono in italiano. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Articolo segnalato da Donatella Simon Tratto da “Avvenire”, del 19 marzo 2004 L’Europa torna in missione Un polemico intervento del filosofo di origine polacca rilancia il ruolo del Vecchio Continente nel processo di «giustizia globale» di Zygmunt Bauman A proposito della risposta spagnola agli attentati terroristici di Madrid, il segretario di Stato alla difesa americano ha fatto ricorso all’apologo dei vicini di casa chiamati a decidere se unirsi o no nella caccia ai criminali che rappresentano una minaccia mortale per tutti loro. Il tacito presupposto era che l’attacco all’Afghanistan e all’Iraq guidato dagli americani e, a priori, attacchi simili che in futuro potrebbero essere guidati dagli americani, rappresentano l’unica e autentica risposta appropriata. Di conseguenza, coloro che – ritenendo simili iniziative illegittime, controproducenti e fuori bersaglio – cercano altri e più efficaci modi di lotta, si starebbero in realtà tirando indietro nella guerra contro il terrorismo. Ma l’apologo di Rumsfeld, e il presupposto che si cerca di presentare come evidente in se stesso, rappresentano soltanto l’ulteriore sintomo di un programma pericolosamente contorto. Contrariamente a quanto suggerisce l’apologo, il vero argomento del contendere non sta nel chiedersi se lo sforzo per vincere il terrorismo sia un dovere per l’Europa così come lo è per gli Stati Uniti, ma se la «guerra al terrorismo», alla quale l’America vuole che l’Europa si unisca, sia la forma giusta per dare realizzazione a un simile progetto. La vera alternativa, invece, consiste nel mantenere le condizioni che fanno del pianeta una terra di frontiere priva di regole, oppure nell’intraprendere una riforma planetaria che impedisca ai semi del terrorismo di mettere radici e di germogliare. La vera «guerra al terrorismo» sarebbe dunque uno sforzo concentrato per rendere la Terra un luogo ospitale per l’umanità e inospitale per i suoi nemici. Una «guerra» di questo tipo, tuttavia, richiederebbe molto di più che non inviare aerei a bombardare l’Iraq, l’Afghanistan o qualunque altro obiettivo. E non è affatto certo, inoltre, che l’invio di aerei sarebbe considerato una scelta adeguata da quanti detengono potere decisionale in termini di strategia. A giudicare dagli effetti sinora ottenuti, si può anzi fondatamente sospettare che la strategia di Rumsfeld ci distolga dall’obiettivo dichiarato di «guerra contro il terrorismo» più ancora di quanto ci avvicini all’obiettivo di una pace mondiale. Se davvero lo scopo di al-Qaeda consisteva nel far vivere l’Occidente nella paura, indebolendone la capacità di mantenere gli standard di libertà, democrazie e dignità umana (valori che i leader e i seguaci di al-Qaeda sono stati ripetutamente e giustamente accusati di voler distruggere), si può dire che il raggiungimento di tale scopo sia oggi molto più prossimo di quanto la stessa al-Qaeda avrebbe potuto sperare facendo affidamento soltanto sulle proprie forze. Sociologie 21 Il pungente commento sulla guerriglia fatto da Robert Taber (l’americano che combatté a fianco di Castro a Playa Giron) ha trovato una sinistra conferma nell’attuale ondata di violenza terroristica. Per Taber, la guerriglia (o il terrorismo) combatte come una pulce e il suo nemico, l’apparato militare, soffre gli stessi svantaggi del cane: un campo troppo vasto da difendere, un nemico troppo piccolo e onnipresente, troppo agile per essere catturato… Una volta portata a termine, la «guerra al terrorismo» stile Rumsfeld non lascia agli apparati militari dell’antiterrorismo altro compito se non quello di verificare un’altra pungente osservazione, quella del grande storico romano Cornelio Tacito: fanno un deserto e lo chiamano pace. È questo deserto a rendere remota a sfuggente la prospettiva della pace. Madeleine Bunting, giornalista straordinariamente acuta del «Guardian», ringrazia la Spagna per «averci dato la possibilità di scegliere», opinione che mi trova completamente d’accordo. Scegliere tra i politici (che sano a malapena promettere alla gente spaventata e confusa un’«indignata vendetta» con altro sangue da spargere) e la «donna spagnola che diceva di non provare odio, ma soltanto tristezza». I politici, suggerisce la Bunting, «farebbero bene ad ascoltare, mostrando la propria civiltà, piuttosto che ricorrere alla squallida e vuota metafora di una guerra contro il terrore»… Non si sconfigge il fuoco con il fuoco, era questo il messaggio implicito lanciato dalle folle silenziose nelle strade delle città spagnole. La scelta sta fra il trasformare le nostre città in luoghi di terrore, «dove lo sconosciuto è da temere e tenere in sospetto», e l’accogliere l’eredità di una civiltà condivisa dai cittadini e di una «solidarietà fra stranieri», una solidarietà rafforzata dall’uscire vittoriosi dalla più dura delle prove. La logica della responsabilità e delle aspirazioni globali, se adottata e anteposta alla logica del trincerarsi a livello locale, potrebbe aiutare l’Europa a prepararsi per la sua prossima avventura, che forse sarà più grande di tutti le precedenti. Nonostante l’enorme mole di avversità, tutto questo potrebbe ancora una volta rilanciare il ruolo dell’Europa come creatrice di tendenze globali, potrebbe darle la possibilità di impegnare i valori e l’esperienza etico-politica acquisita mediante l’autogoverno democratico, in modo da contribuire all’affermazione di una comunità umana universale e accogliente, che sappia sostituire le attuali entità trincerate, impegnate in un mero gioco di sopravvivenza. Soltanto se riusciremo a creare una comunità del genere, la missione dell’Europa potrà dirsi compiuta. Soltanto all’interno di una simile comunità i valori che illuminano le ambizioni e gli obiettivi dell’Europa potranno dirsi davvero al sicuro. Il futuro che ci attende è stato espresso in modo profetico da Franz Kafka, come in una premonizione, un avvertimento, un incoraggiamento: «Se non trovi niente nei corridoi, apri le porte; se non trovi niente dietro le porte, ci sono altri piani; se non trovi niente lassù, non ti preoccupare, sali semplicemente al prossimo piano. Finché non smetti di salire, le scale non finiranno e sotto i tuoi piedi che salgono continueranno a crescere verso l’alto». Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 22 Articolo segnalato da Donatella Simon Tratto da “La Repubblica” Il trionfo dell’individuo I valori nell’età dei consumi Pubblichiamo l’intervento che il sociologo francese Alain Touraine ha letto alla Terza Università di Roma. Traduzione di Anna Bissanti Per parecchi secoli, senza andare ad un passato ancor più remoto, abbiamo utilizzato nella vita sociale categorie di rappresentazione e di azione che non erano di mera natura sociale quanto politica. Si tratta di una constatazione elementare, diventata uno dei pilastri delle scienze sociali. Il dissolversi di una concezione religiosa del mondo ha determinato la ricerca di un principio unitario dell’esperienza individuale e collettiva, e l’inizio stesso della modernità è contrassegnato dall’affermazione secondo cui questo principio di unità e di integrazione della vita sociale è la politica, considerata come la creazione stessa della società. Nel periodo compreso tra il XV e il XVIII secolo… le realtà più incontrovertibili, identificate come le più determinanti in assoluto, sono state espresse in termini politici: la nascita dello Stato moderno, della burocrazia in senso weberiano, delle monarchie assolute e dei dispotismi illuminati, e in seguito le rivoluzioni democratiche, antimonarchiche o antiaristocratiche che sconvolsero l’Olanda e l’Inghilterra prima di diventare la Rivoluzione all’origine dell’Indipendenza americana e infine la Rivoluzione francese…, sono altrettanti elementi costitutivi della storia di più secoli, costituitisi in maniera del tutto coerente in termini di potere. Come la filosofia politica aveva interpretato la prima tappa della nostra modernità, la sociologia si è costituita come interpretazione di questa visione «sociale» della società. L’apporto principale della sociologia definibile classica non è stato quello di considerare il concetto di società, tanto da un punto di vista descrittivo quanto normativo, in quanto noi abbiamo parlato di utilità sociale, di funzioni e disfunzioni e siamo arrivati al punto di denominare socializzazione l’educazione, per dimostrare che tutti glia spetti della vita personale e sociale dovevano essere analizzati in termini di interesse collettivo… È pur vero che questa sociologia classica non si è mai imposta veramente…, ciò nonostante per lungo tempo essa è stata sorretta dall’apporto di un pensiero postmarxista, che ha assunto forme estreme in molti paesi per un lungo periodo, e che affermava che occorreva prendere in considerazione tutti gli aspetti della vita sociale, ivi compresa la funzione che questi rivestivano nell’instaurare e mantenere un potere sociale, fosse quello di una classe dirigente, della superiorità maschile oppure dei paesi dominanti. Siamo talmente abituati a queste categorie tradizionali, persino quanti tra voi le hanno pervicacemente combattute, che ci sembra estremamente difficile compiere oggi la medesima operazione che fecero Marx e altri in pieno XIX secolo, ovvero sostituire con un altro il contesto di riferimento, di analisi e di azione. È pur tuttavia questo l‘interrogativo che dobbiamo porci: non siamo forse pervenuti all’epilogo, all’esaurimento del modello di rappresentazione e di azione che considerava la vita sociale come se fosse interamente costituita da categorie e da relazioni di natura propriamente sociale? Se abbiamo tanto parlato di classi, di gerarchie, di autorità, di gestione dell’evoluzione, di trasmissione delle conoscenze e delle convenzioni e di tanti altri temi di ogni tipo, non sarà che credevano all’esistenza di una società le cui esigenze ci consentono di definire il bene e il male? Ed il bene non è forse, in questa visione classica, tutto ciò che consolida la vita collettiva e fortifica l’interesse generale, mentre il male è tutto ciò che minaccia l’ordine, la pace e la capacità di evoluzione delle nostre istituzioni, delle nostre mentalità e della natura delle nostre decisioni? Ebbene… come non constatare che il declino, o la dissoluzione, di queste forme di pensiero e di azione è divenuto ovunque quanto mai palese? … Siamo entrati – dicono gli studiosi – in una società di produzione, di consumo e di comunicazione di massa; molti di loro parlano altresì di globalizzazione e tutto ciò, al di là di una connotazione quasi geografica, sottintende il concetto ben più importante di una perdita di controllo di tutti i centri decisionali e dunque di tutti gli obiettivi, i valori, i possibili criteri relativi alle varie forme di produzione, di consumo e di comunicazione che ci impongono la loro propria logica, che è quella del mercato, e meno fortemente e ciò nonostante già fin troppo, la ricerca del massimo profitto possibile. Tutti questi sconvolgimenti sono generalmente riassumibili in una parola: le nostre società che contavano su forme di organizzazione collettiva, stanno diventando sempre più individualiste. Nell’accezione migliore e peggiore che il termine include. Le categorie di appartenenza si indeboliscono, che si tratti della famiglia, del vicinato o anche solo della classe d’età cui si appartiene, e noi siamo quanto mai sempre più influenzati dai programmi televisivi o da altro, il cui successo si deve al fatto stesso di aver sempre meno riferimenti sociali reali… Ritroviamo qui il problema più tipico delle riflessioni sulla modernità. Il passaggio dal religioso al politico, dal politico al sociale e da quest’ultimo ad un individualismo orientato al consumo, tutto ciò può essere considerato come la nuova espressione – di poco differente dalle precedenti – dell’impressionante dislocazione verso la strumentalità e il piacere, dunque all’empirismo di un universo comportamentale da cui si sono a poco a poco allontanati tutti i principi di trascendenza, tutto ciò che io ho definito le garanzie metasociali dell’ordine sociale. È difficile, però, recepire una spiegazione così semplice, così Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] 23 terra, terra. Perché, in fin dei conti, che fine fanno questi inviti a trovare un significato, che sia più o meno al di sopra dell’interesse e del piacere individuali? Questa coscienza politica, che ha stimolato così tante nazioni per molti secoli è semplicemente scomparsa, una volta portata a termine la sua funzione, che sarebbe stata solo quella di essere una tappa nel processo di secolarizzazione e di trionfo della razionalità strumentale che deve necessariamente fare il suo corso fino in fondo? E parimenti, quando parliamo di una visione «sociale» della realtà sociale, che cosa vogliamo dire esattamente? In un caso come nell’altro è necessario riconoscere che nelle parole che abbiamo impegnato, noi così come tanti altri prima di noi, sono mescolate almeno due realtà. Quando parliamo di modello politico della realtà sociale, in effetti vogliamo dire che per un lungo periodo la priorità fu data alla formazione dello Stato, di un sistema giuridico di organi deputati al mantenimento dell’ordine e alla repressione della devianza, ma – e l’abbiamo già detto – vediamo P r o f e s s i o n e come autocostituitasi, come principio di definizione del bene e del male e del giudizio morale, siamo già molto più lontani dall’ambito in cui si evolvono le lotte di classe, la trasformazione delle istituzioni, l’azione collettiva a favore dell’eguaglianza e della giustizia. Perché dunque non pensare che allorché entriamo in una rappresentazione individualista della vita sociale, assistiamo ad un distacco ancor più considerevole, estremo forse, tra il mondo del consumo, dell’interesse e del piacere e dall’altra parte il richiamo non più ad una società ideale, ad un ordine o a dei valori come la giustizia, bensì a quello che è il senso più profondo dell’individualismo, ovvero affermare il soggetto come fine a se stesso e fare di lui, invece della società, il principio di definizione del bene e del male? Tra l’individuo soggetto e l’individuo consumatore, la distanza è abissale, immensa. Tanto l’individualismo consumatore conteneva in sé l’inappagata rivendicazione a nuovi legami sociali, di modo che – come ho già detto – l’autostima e lo spirito di comunità si presentavano come complementari al fine di conseguire quel grandioso obiettivo che è la ricostruzione dei legami sociali, tanto il soggetto che si analizza e si riconosce in se stesso fine della propria azione non può che schierarsi contro ciò che non è nemmeno più un ordine sociale, quanto piuttosto un campo di interessi in competizione gli uni contro gli altri, in antagonismo tra loro. Quanto più la vita sociale è manovrata da movimenti impersonali, incontrollabili come quelli del mercato o degli scontri armati, tanto più, dall’altra parte, l’individuo si impadronisce direttamente di se stesso, nella sua soggettività potremmo dire, senza doversi incarnare nelle istituzioni politiche e tanto meno in movimenti sociali. S o c i o l o g o anche affacciarsi in quello stesso periodo il problema della legittimità del potere, e soprattutto il costituirsi di un attore collettivo, di un insieme di movimenti sociali che, attraverso svariati tipi di rivoluzione, diede origine a ciò che ancor oggi noi chiamiamo la nazione, il popolo, la repubblica, che non sono modalità di ordine sociale bensì… dei movimenti di liberazione… Ora possiamo dunque considerare in una maniera del tutto nuova il passaggio da una rappresentazione della vita sociale ad un’altra. Ciò che accade… è in effetti un dilatarsi crescente delle due facce della medesima rappresentazione. Quando noi parliamo di creazione dello Stato e di quella della nazione, che nella maggioranza dei casi è o vuole essere uno Statonazione, la distanza tra questi due orientamenti è esigua. Quando invece noi parliamo della visione sociologica della vita sociale, della concezione di società Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 24 Vi presentiamo una interessante rivista on-line. Si intitola Magma, è dedicata alle Scienze Umane e Sociale ed è stata fondata dal sociologo Orazio Maria Valastro. Sul sito Internet http://www.analisiqualitativa.com/magma/index.htm, sono reperibili tutte le informazioni, e anche l’articolo di cui riportiamo un abstract. Buona lettura. IL PROGETTO EDITORIALE m @ g m @, rivista elettronica trimestrale di Scienze Umane e Sociali, è il progetto editoriale dell'Osservatorio dei Processi Comunicativi, fondata e diretta dal Sociologo Orazio Maria Valastro nel luglio del 2002. La rivista è pubblicata e diffusa su Internet e si propone di promuovere la collaborazione e la partecipazione di esperti e cultori delle metodologie e degli approcci qualitativi, in vari ambiti delle scienze umane e sociali, contribuendo alla produzione di un insieme complessivo di conoscenze e di pratiche, caratterizzandosi inoltre come uno strumento d'approfondimento e perfezionamento. UNO SPAZIO INTERDISCIPLINARE DI COMUNICAZIONE E COLLABORAZIONE I contenuti della rivista trattano essenzialmente di tematiche e problematiche connesse alla teoria ed alla metodologia dell'analisi qualitativa applicata nelle scienze umane e sociali, facilitando un confronto ed uno scambio d'esperienze e di conoscenze per suscitare e sviluppare delle connessioni nei diversi settori in cui trovano applicazione le metodologie qualitative, dal campo della ricerca a quello della formazione, favorendo inoltre un aggiornamento professionale ed una formazione continua rispetto ai metodi dell'analisi empirica applicati in differenti ambiti professionali e contesti sociali. La rivista, specializzata nelle metodologie e negli approcci qualitativi nelle scienze umane e sociali, pubblica dal 2002, con una periodicità trimestrale, delle rubriche permanenti e delle rubriche tematiche i cui contenuti sono disponibili integralmente sul sito web di m @ g m @. La rivista è navigabile in modalità on-line, le pagine web ad accesso libero permettono la lettura full text degli articoli pubblicati che sono diffusi in formato .html e in formato .pdf, facilitandone il loro download e al tempo stesso permettendone la loro archiviazione e lettura off-line. Si vuole privilegiare essenzialmente l'approccio qualitativo nelle scienze umane e sociali, caratterizzato da diverse modalità e metodologie, per realizzare un confronto ed uno scambio d'esperienze e di conoscenze; suscitare e sviluppare delle connessioni nei diversi settori in cui trovano applicazione le metodologie qualitative, dall'ambito della ricerca a quello della formazione, dallo studio delle problematiche sociali a quello dell'intervento professionale nei contesti sociali. LA LOGICA DI / DEL M @ G M @. Il m @ g m @ simboleggia un insieme caotico e indistinto, una realtà in continuo movimento, e rappresenta similarmente la complessità sociale caratterizzata da processi culturali che si modellano nella temporalità delle nostre società contemporanee, dove questi stessi processi fluiscono come occorrenze e forme emergenti, determinando la necessità di comprendere ed integrare degli approcci adeguati in grado di considerare l'intersoggettività e l'esperienza intima degli individui e dei gruppi sociali. La rivista m @ g m @ vuole quindi rappresentare questo particolare interesse verso gli approcci e le metodologie qualitative, adeguate per accedere all'esperienza sociale e comprenderla recuperando proprio quelle dimensioni sociali, mitiche, reali e storiche del pensare e dell'agire, che richiedono proprio questa pluralità delle prospettive e degli orientamenti che si cerca di valorizzare con la rivista. m @ g m @ è una rivista che intende promuovere essenzialmente il ruolo sempre più pregnante degli approcci e delle metodologie qualitative in un'ottica multi-referenziale e multi-disciplinare, i contributi pubblicati sostengono questa trasversalità proponendo delle analisi, delle riflessioni e degli studi che interessano molteplici settori e discipline delle scienze umane e sociali. Si cerca inoltre di coniugare teoria e pratica, approcci teorici e analisi empirica, concependo l'intervento professionale, dalla ricerca sociale agli interventi formativi, dall'analisi all'intervento nei contesti sociali e culturali, come osservazione, interpretazione critica e cambiamento partecipato della vita quotidiana. [m@gm@- FORUM] Approcci qualitativi e applicazioni nell'intervento professionale Il ruolo dei professionisti orientati verso il qualitativo: partecipate alla sezione del forum di discussione dedicata alla rubrica tematica diretta da Lucio Luison. Lucio Luison: Responsabile Relazioni Pubbliche ASL n.2; Esperto in Metodi e Tecniche della Ricerca Sociale; Presidente dell'AsEU, Associazione di Sociologi dell'Unione Europea; Presidente di Mediatores, Associazione Italiana per la Mediazione Sociale; Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia Professionale. Abstract: "In questo quadro, a nostro avviso, l'approccio qualitativo può mostrare tutte le potenzialità conoscitive della propria strategia e tutta la rilevanza dei suoi metodi, a partire dal porre l'unicità e la peculiarità dei casi a fondamento del proprio agire conoscitivo. Se, come abbiamo accennato sopra, ciò che soprattutto sembra avere importanza è dare un senso - complessivo o sintetico che sia - alle conoscenze di cui disponiamo il ruolo che i professionisti orientati al qualitativo possono svolgere dovrebbe risultare più che evidente. Nelle pagine che seguono autori diversi per ambiti di interesse e per modalità di approccio svolgeranno una serie di riflessioni che ben esemplificano queste potenzialità." Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Aprile 2004, Anno 1, Numero 4 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 25 Prime Teatro Anime schiave Testo di Beppe Rosso e Filippo Tarocco Con Beppe Rosso, Olga Makovska, Franco Barbaro Teatro Gobetti, marzo 2004 Recensione a cura di Rosalba Altopiedi e Eva Lorenzoni Lo spettacolo, liberamente ispirato all’omonimo libro-inchiesta del giornalista Marco Neirotti e al romanzo Sole bruciato di Elvira Dones, si cimenta con un argomento difficile da esplorare e rappresentare senza cadere in atteggiamenti pietosi e/o moralisti: la prostituzione. È la storia, narrata attraverso un diario, di una giovane ragazza albanese attirata in Italia con l’inganno e costretta a battersi sulle nostre strade. Il vero protagonista è una figura maschile, Richard (lo stesso Beppe Rosso), un presentatore che guida gli spettatori nel mondo dei night notturni e dei club privati. A lui si alternano sul palcoscenico Franco Barbaro, cantante e musicista, e due giovani ragazze dell’est, molto brave nel mostrare i retroscena di questo universo semi-sommerso, fino a mettere in scena un languido strip-tease, che avrà forse turbato il pubblico benpensante (sicuramente ha scosso le tre anziane signore sedute davanti a noi!). Con questo lavoro, Beppe Rosso, come già nella precedente stagione con Seppellitemi in piedi, è riuscito a dare vita ad uno spettacolo coraggioso, per nulla moralista, capace di far sorridere ma anche di far riflettere su storie di ordinario sfruttamento ed emarginazione. Prime Cinema A/R – Andata e ritorno Regia di Marco Ponti Recensione a cura di Arianna Radin Che Torino sia una città grigia, almeno nella mente dei più, non c’è dubbio. Che stia diventando sempre più multietnica, forse qualcuno se lo immagina. Che sia la casa di personaggi tanto grotteschi, nessuno se lo aspettava. Marco Ponti nel suo secondo film dopo “Santa Maradona” (diventato subito vero cult movie giovanile) porta in scena vite strampalate che tentano di andarsene da Torino, ma che non ci riescono mai. Così ognuno di loro sfrutta al meglio le occasioni che la città propone. Il viaggio turistico nella città non è scontato : i magazzini del museo Egizio, il complesso alberghiero del Lingotto, via Roma vista dai tetti, il centro storico radical chic. La storia è piccola piccola, molto simile a “I soliti ignoti”, ma questa volta il colpo gobbo (che va oltre ogni aspettativa) è un puro pretesto per sentirsi meno soli, per solidarizzare ed anche per innamorarsi. Ottimo il cast: Libero De Rienzo, Vanessa Incontrada (che dimostra di essere un’attrice anche senza occhiali scuri e doppiaggio), Kabir Bedi, Remo Girone…e poi,ovviamente, gli storici attori della realtà torinese, quelli che vedi protagonisti in teatro o nei “corti” dei registi emergenti. Insomma, questo film ti regala un pezzo di Torino, quella silenziosa, che aspetta muta in sala l’arrivo degli imprevedibili titoli di coda. Sapendo perfettamente che nella vita le cose capitano quando meno te le aspetti. Coffee & Cigarettes Regia di Jim Jarmusch Al cinema dal 12 marzo 2004 Recensione a cura di Eva Lorenzoni Coffee & Cigarettes è un film politicamente scorrettissimo, in cui tutti fumano una sigaretta dietro l’altra, alla faccia di tutte le misure che sempre più spesso i ministri della salute europei ed americani adottano per ghettizzare coloro che non riescono, o non vogliono, rinunciare al vizio. Il film è una raccolta di 11 cortometraggi, i cui protagonisti, seduti ad un tavolo, fumano e bevono dal primo all’ultimo fotogramma, discorrendo degli argomenti più disparati, dai ghiaccioli al caffè ai complotti sulla morte di Elvis Presley, dall’uso della nicotina come insetticida alle invenzioni di Nikola Tesla. Ad interpretare i personaggi, un cast eterogeneo di attori e cantanti, da Roberto Benigni a Tom Waits e Iggy Pop, da Cate Blanchet a Bill Murray, dai White Stripes a Steve Buscemi. Sebbene indipendenti l’uno dall’altro, i singoli episodi sono legati da un comune filo conduttore visivo: riprese in bianco e nero (i colori di sigarette e caffè) e scenografie semplici e minimaliste. Il risultato è un piccolo film destinato a rimanere al di fuori del circuito commerciale, godibilissimo e con episodi di puro divertimento (davvero irresistibili quelli con Alfred Molina e Bill Murray) …ma in certi momenti, davvero non si vede l’ora che finisca per potersi finalmente accendere una sigaretta! Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale