4 CORRIERE REGIONE Lunedì 16 Maggio 2011 Il conte nel 1836 fu eletto Gonfaloniere della sua città e la salvò dall’assalto dei briganti L’eroe dimenticato di Amelia Olimpiade Racani combattè per la patria fino a diventare generale Combattente scrittore Oltre ad alcuni manifesti, il conte firmò anche libri Andrea Giardi D a una delle più antiche e nobili famiglie di Amelia, quella dei conti Racani, nel 1793 nacque Olimpiade. Gli venne imposto un nome comune un tempo tra gli amerini, in ricordo del prefetto romano Olimpiade, convertito alla religione cristiana da San Fermina e che nel 304 fu martirizzato in Amelia, dove il corpo è venerato in cattedrale. Spirito ribelle, invaghito dal mito dell’epopea napoleonica, a soli 15 anni, Olimpiade Racani fuggì di casa per andarsi ad arruolare tra i soldati francesi. Fu ripreso dal padre, il quale, vista la sua caparbia insistenza, nel 1808 lo mandò alla scuola militare di Sant-Cyr, in quella scuola fondata da Napoleone nel 1802 dove, al pari di quella italiana di Modena, si istruivano gli ufficiali di fanteria e cavalleria francesi. Uscitone nel 1811 con il grado di sottotenente del Genio, l’anno dopo venne promosso tenente di fanteria e seguì la Grande Armata di Napoleone nella Campagna di Russia, rimanendo ferito in vari scontri, meritando la Croce della Legione d’onore. Scampato al gelido inverno russo, al comando del generale Louis Nicolas Davoust, andò nel 1813 in Germania al presidio della città di Amburgo. Dovendosi fare un piano di difesa di quella piazza, il Racani ne presentò uno che fu preferito a quello degli stessi ufficiali del genio, ma dovendogli affidare la direzione dei lavori, il Davoust, nel vederlo così giovane e imberbe, ebbe il timore che di fronte ai più anziani ufficiali, potesse riscuotere poco prestigio e gli ordinò di mettersi dei baffi posticci: il che fu causa di vari curiosi e imbarazzanti incidenti. Durante l’assedio a cui venne sottoposta la città da parte di russi e svedesi, rimase nuovamente ferito e fu promosso capitano nel 111˚ reggimento Fanteria. Caduta la città con la sconfitta delle truppe napoleoniche, nel 1814 rimpatriò e, dopo il congresso di Vienna, ripristinato il Governo Pontificio, nel 1816 passò come luogotenente dei Carabinieri Pontifici, distinguendosi subito nella lotta contro il brigantaggio, che infestava anche il nostro territorio. Trasferito poi a Viterbo al comando di una compagnia, per gravi dissapori con il suo comandante (colonnello Ruvinetti), nel 1823 si dimise dal servizio e tornò a vivere ad Amelia. Entrato a contatto con gli affiliati alla Carboneria, quando scoppiarono i moti rivoluzionari liberali nel febbraio del 1831, il governo provvisorio nazionale di Bologna gli affidò il comando dei Carabinieri e diventò aiutante di campo del generale Sercognani, che aveva posto il suo quartier generale nel palazzo delle Poste dei signori Borzacchini in Terni. Con la caduta in mano agli austriaci di Ancona e lo scioglimento dell’Avanguardia Nazionale del Sercognani, nel mese di aprile emigrò, restando in esilio per quattro anni. Quando fece ritorno in Amelia ormai amnistiato, nel 1836 fu eletto gonfaloniere della sua città e durante il suo mandato salvò la città dall’assalto di una banda di briganti; ciò gli valse la Croce di San Silvestro. L’anno dopo infierendo il colera a Roma, il cardinale Lambruschini lo nominò capitano, affidandogli il comando di una compagnia scelta di Carabinieri. Nel 1840 raggiunse il grado di capitano quartier mastro in capo dei Carabinieri pontifici, quindi la carica di presidente del Consiglio di guerra, per il quale gli fu assegnata la Croce di S. Gregorio. Con l'avvento di Pio IX, facendosi strada le idee giobertiane, nel 1846 pubblicò un volume dal titolo “Piccola Guerra”, seguito nel 1847 da un opuscolo sulla “Eventualità di una guerra in Italia”, ancora nel 1848 un discorso “Sulla economia militare” dedicato alle Camere dei pari e deputati degli Stati Romani, recentemente ripubblicato in Inghilterra (2009). Per spirito di disciplina non poté partire con le truppe pontificie per la guerra d’Indipendenza contro l’Austria, nella quale, invece, combatterono i nipoti Antonio ed Eugenio Racani. Alla caduta del governo del papa Pio IX, il 15 gennaio 1849 fu promosso capo del 2˚ squadrone nel 3˚ reggimento Carabinieri stanziato a Macerata, dove ebbe a coordinare i legionari di Garibaldi che, presente in città, venne eletto deputato alla Costituente Romana nelle elezioni del 21 gennaio 1849. Proclamata la Repubblica, si distinse prima nella lotta contro i reazionari dell’Ascolano, poi, dopo l’attacco dei francesi a Roma, il 9 maggio su incarico del generale Antonio Arcioni, venne nominato comandante ed organizzatore dei Corpi Franchi dello Stato a Macerata. Pubblicò allora un manifesto per l’arruolamento affermando: “Giovani repubblicani, io non cercherò d’infiammarvi con parole, che credo inutili nell’attuale stato di cose, e che forse io soldato dall’infanzia neppure saprei dirvi… E' la Patria che conta su di voi: vorrete voi mancare a questo appello solenne?”. Promosso colonnello, il 10 giugno entrò a Roma con il generale Arcioni e dal combattimento del 12 giugno gli fu affidata la difesa dei Monti Parioli, l’ispezione di Porta del Popolo e della via Flaminia, ottenendo negli ultimi giorni di giugno la promozione a generale. Caduta la Repubblica ed escluso dall’amnistia, poté, come ex ufficiale napoleonico e cavaliere della Legione d’Onore, emigrare in Francia. Si stabilì a Marsiglia dove visse in povertà, finché, con l’aiuto dei fuoriusciti italiani e principalmente del concittadino Antonio Cansacchi, ex deputato della Repubblica Romana in esilio a Genova, trasferitosi nella città ligure, vi morì nel 1853. Pochi anni dopo, suo nipote Eugenio Racani, continuava la battaglia per la libertà ed indipendenza della patria, arruolandosi nel settembre del 1860 nei volontari Cacciatori del Tevere. Liberata l’Umbria fu mandato come comandante della 6.a compagnia a Norcia per controllare il confine con il Regno di Napoli, quando, giuntagli notizia dell’avanzarsi di truppe reazionarie in Arquata, dopo una faticosa marcia fra le nevi di S. Pellegrino e Capo d’Acqua, il 25 gennaio 1861, attaccò 150 rivoltosi in Arquata del Tronto, che dopo alcune ore di combattimento ripiegarono e furono inseguiti fino ad Acquasanta. Il colonnello Masi lo ricompensò allora, con una menzione onorevole. Con regio decreto del 15 maggio 1862, firmato da Vittorio Emanuele II entrò a far parte del 2˚ battaglione della Legione Cacciatori del Tevere, fin quando con lo scioglimento del corpo nell'agosto del 1863, venne assegnato come tenente applicato al comando della Divisione militare in Ancona, dove ebbe modo di distinguersi durante l’epidemia di colera del 1865 nella città marchigiana, ottenendo un’altra menzione onorevole (equivalente alla medaglia di bronzo). Estinta la famiglia, nessuno più ricorda in Amelia questi uomini, che si batterono per l’onore e l’unità d’Italia. Traiano Porcello, conte di Carbonana, discendeva da una delle più famiglie più nobili di Gubbio Una vita sempre in prima linea NellevotazioniperlacostituentedellaRepubblicaromanafuvicepresidentedellacommissioneelettorale Fabrizio Cece T raiano Porcello, conte di Carbonana, discendente da una delle famiglie nobili più celebri di Gubbio, nacque il 15 settembre 1799 da Raffaele e da Barbara Carocci. Rimasto subito orfano del padre, Porcello fu affidato alle cure del canonico Giuseppe Pecci il quale, nel 1812, propose al podestà di Gubbio di metterlo in seminario. Il vice prefetto Locatelli si oppose: il patrimonio di famiglia era più che sufficiente per far educare il giovane in un istituto. Porcello aderì alla Carboneria. Scoperte le sette nel 1826 egli fu tra i primi ad essere catturato assieme a Geremia Galeotti e a Paolo Mezzetti. L'arresto dei carbonari eugubini, per la maggior parte appartenenti ad aristocratica famiglia, destò mosto scalpore nella cittadinanza. Porcello, dopo un periodo di detenzione, Traiano Porcello Aderì alla Carboneria fu rimesso in libertà. Durante i moti del 1831 il conte di Carbonana comando della truppa Provinciale locale. tornò ad essere protagonista. Fece parte del Nel maggio 1847, "quando la polizia ebbe sengoverno provvisorio cittadino (10 febbraio), tore d'un banchetto in cui i liberali più ardenti della Soprintendenza dell'amministrazione mi- - il conte tra essi - avevano acclamato con litare (17 febbraio) e, dal 1˚ marzo, prese parte troppo fervido zelo patriottico a Pio IX in alla spedizione dei circa venticinque volontari mezzo a grida 'austriacamente scandalose'", la eugubini comandati da Francesco Tondi. Il moglie di Porcello, Barbara Bartolini, per evitapiccolo contingente militare, dopo essere pas- re che la polizia potesse trovare in casa delle sata per Perugia, avrebbe dovuto raggiungere carte compromettenti bruciò una "segreta corle forze del generale Sercognani già avviatesi rispondenza". alla volta di Roma. L'intervento degli austria- Nelle votazioni per la costituente della Repubci, però, pose fine ad ogni sogno di riscatto e i blica romana Porcello fu vice presidente della volontari se ne tornarono mesti mesti alle loro commissione elettorale. Un gesto, questo, di abitazioni. Francesco Carbonana, cugino di non comune coraggio e carico di conseguenze Porcello, definito "d'attaccamento il più fedele giacché Pio IX aveva minacciato la scomunica al Santo Padre, anzi Papalissimo", fu posto al per chiunque si fosse immischiato nella faccen- da. Dei 6.000 eugubini aventi diritto al voto si presentarono alle urne solo in 155, compresi 18 di Scheggia e di Costacciaro. Oggi che siamo chiamati alle urne una volta all'anno la cosa non desta tanto interesse, ma la prospettiva cambia di colpo se si considera che la popolazione di Gubbio non aveva mai partecipato ad una votazione perché nello Stato Pontificio questa forma di espressione del consenso popolare non era mai esistita. L'enorme influsso che la Chiesa cattolica esercitava sulle masse cittadine e, soprattutto, rurali impedì una più larga partecipazione di popolo a questa straordinaria esperienza politica. Il 31 marzo 1849 entrò in attività anche il circolo popolare di Gubbio: presidente fu nominato proprio il conte Porcello. Nelle elezioni amministrative locali il Carbonana denunciò presunti brogli. Ma i necessari controlli non poterono essere compiuti e per la verità neanche il nuovo consiglio comunale ebbe il tempo di entrare in funzione: gli austriaci da nord e i Francesi da sud si erano assunti l'onere di porre fine alla Repubblica romana. Ai primi di giugno, quale "consultore governativo", Porcello si recò in Cagli per incontrare il presidente della provincia di Urbino e Pesaro: gli austriaci erano stati segnalati a Perugia e prudenza consigliò di rimuovere gli alberi della libertà. Nel 1850 sua figlia Agesistrata sposò Angelico Fabbri; nel 1858 gli morì la moglie, Barbara Bartolini; si risposò quindi con Anna Franciarini. Il conte Porcello di Carbonana, ultimo maschio di questa nobile ed illustre famiglia eugubina, morì il 22 marzo 1886. Direttore responsabile: ANNA MOSSUTO Vicedirettori: STEFANO BISI - RICCARDO REGI Editrice: INIZIATIVE EDITORIALI LOCALI s.r.l. Sede legale: Gubbio, Corso Garibaldi, 81 - Tel. (075) 52731 - Fax 5273400/430 Edizioni: UMBRIA - Perugia: Via Pievaiola, 166 F-2 - Tel. (075) 52731 - Fax 5273400/430 UMBRIA - Foligno/Spoleto: Via del Campanile, 12 - Tel. (0742) 6951 - Fax 359123 Foligno Via Nuova, 1 - Tel. (0743) 223361 e Fax Spoleto UMBRIA - Terni: Piazza del Mercato, 8 - Tel. 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