DI CHI SONO LE ALPI? Appartenenze politiche, economiche e culturali nel mondo alpino contemporaneo WHOSE ALPS ARE THESE? Governance, ownerships and belongings in contemporary Alpine regions a cura di/edited by Mauro Varotto, Benedetta Castiglioni 7(+6=(<50=,9:0;@79,:: Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte: primi risultati di un progetto finalizzato Luca Battaglini1, Marzia Verona1, Michele Corti2 Abstract Sustainability of livestock breeding in Piedmont: preliminary results from a specifically designed study - In 2011, an extensive research project aimed at identifying action policies to promote pastoral livestock breeding in the Piedmont region was begun (The 2011-2013 Propast project, financed by the Piedmont Region). This initiative plans to protect traditional livestock breeding systems by raising awareness of the importance of safeguarding this enterprise and promoting the shepherd figure. Interviews with shepherds in the Piedmont region provided essential information, used during collective and individual debates on the problems and urgencies characterizing the current conditions of the western Alps’ pastoral systems. Additional interviews, conducted directly on mountain pastures, revealed a number of critical issues, among which significant cases of predation by wolves. Preliminary data points to the necessity of developing support systems, reference frames, and economic exploitation of livestock production capable of urging shepherds towards cohabitation measures with the predator. Public opinion must also be informed through a variety of communication actions so as to counterbalance wolves’ popularity, and provide more information relative to shepherds’ life conditions and the resources (e.g. landscape, products and traditions) deriving from traditional livestock breeding activities. During research, the protagonists have gained minor – although quite important - visibility, broadening insight into the sociopsychological impact on major subjects and allowing for considerations that may increase overall 1 2 Dipartimento Scienze Zootecniche, Università di Torino. Dipartimento Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente, Università di Milano. Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti 133 sustainability. Thanks to this initiative, the Piedmont livestock breeding system aims to recover not only economically, but also ecologically and culturally, from conditions that have been depressed for decades. Ultimately, the research project aims to propose the creation of professional profiles which would support the livestock breeding activity and its strategic development (in line with the “French” model, e.g. shepherd school), and build a reference frame for the modern livestock breeding system. 1. Introduzione: finalità di un progetto per la difesa della pastorizia Le attività pastorali rivestono ancora oggi sul territorio alpino funzioni di estrema importanza per il mantenimento di habitat peculiari ma anche per la “cura” di aree di confine tra la dimensione urbanizzata e quella rurale, tra la montagna e la pianura (Battaglini, 2007). La presa di coscienza dell’importanza di queste realtà zootecniche fa scaturire l’esigenza di attenzioni in grado di controbilanciare le gravi difficoltà che un’attività con radici storiche così profonde come la pastorizia (Vezzani, 1930; Pastorini et al., 1980) sta attualmente subendo (dai divieti di pascolo e transito al mercato degli affitti delle superfici pastorali, dalla scarsa idoneità dei ricoveri destinati ai pastori alla preoccupante pressione predatoria da parte dei grandi carnivori, etc.). Il progetto Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte: individuazione e attuazione di linee di intervento e supporto (ProPast) elaborato dal Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino risponde ad una delibera della Giunta Regionale del Piemonte che intende riconoscere all’attività pastorale un ruolo agricolo, sociale, ecologico e culturale fondamentale per la conservazione dei territori collinari e montani3. Tale riconoscimento rappresenta un passo importante, che può preludere a protocolli con altre regioni alpine, per assegnare al settore pastorale un suo statuto tenendo conto che esso non è assimilabile ad una attività agricola fine a se stessa e che la sua importanza va molto al di là della limitata rilevanza economica. L’individuazione di soluzioni atte a rimuovere, o quantomeno a ridimensionare, i diversi elementi di difficoltà e la loro messa in essere, sia nell’ambito dello stesso progetto che di una complessiva azione di sostegno della Regione, ha la finalità si rafforzare la sostenibilità del sistema pastorale ma anche di metterlo in condizione di poter meglio fronteggiare nuovi problemi come la predazione da lupo, recentemente ricomparsa sulle Alpi occidentali (Verona et al., 2010). Il progetto si prefigge in definitiva di concorrere alla definizione di linee di intervento e di strumenti operativi a sostegno della pastorizia prendendo in consideIl progetto Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte: individuazione e attuazione di linee di intervento e supporto (ProPast) 2011-2013 è finanziato dalla Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura. 3 134 Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte razione l’insieme dei fattori di criticità sia sotto il profilo giuridico e amministrativo che tecnico-organizzativo, economico-produttivo e socio-culturale. Sono previste: iniziative di sostegno nei confronti dei pastori operanti nei territori montani e collinari; indicazioni gestionali e di sostegno socio-economico per individuare e definire la figura dell’allevatore come fruitore del territorio d’alpe; la realizzazione di linee guida per un più dettagliato ed equo protocollo di affitto degli alpeggi di proprietà pubblica; studi degli effetti della predazione dal punto di vista zootecnico e sociale; la valutazione del “danno ambientale potenziale” derivante dalla scarsa o nulla propensione delle aziende agricole a perseguire indirizzi produttivi incentrati sull’allevamento; attività di informazione ai fruitori della montagna su tutti gli aspetti della gestione zootecnica in ambiente montano; la sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti della figura del pastore, della sua attività e dell’importanza che questa riveste nella gestione del territorio, anche per gli aspetti storici, antropologici etc.; la creazione di figure professionali idonee al monitoraggio dell’attività pastorale e all’esigenza di sviluppo strategico della stessa (modello francese, scuola del pastore); la realizzazione di una rete di centri di riferimento per la pastorizia. 2. Primi risultati: i protagonisti e le loro difficoltà L’attività d’indagine svoltasi nel corso del primo anno del progetto ha consentito di ottenere un ampio quadro sulle problematiche che interessano l’odierno mondo della pastorizia piemontese. Nel corso del 2011, sono state effettuate interviste/incontri con allevatori delle valli Ellero, Pesio, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita, Po, Pellice, Chisone, Germanasca, Sangone, Susa, Lanzo (province di Cuneo e Torino) con aziende caratterizzate dalla presenza di ovicaprini e, in alcuni casi, in copresenza di mandrie di bovini. Si è anche presentata l’opportunità di scambi di opinione con allevatori di altra provenienza regionale nel corso di tradizionali manifestazioni fieristiche zootecniche, al fine di confrontare le problematiche rilevate e raccogliere le criticità del settore. Sono state infine raccolte ulteriori testimonianze “dal vivo” nell’ambito di numerose visite direttamente in alpeggio. Indagando sulle diverse realtà pastorali, sono stati messi in luce alcuni aspetti concernenti le figure dei fruitori dell’alpe, le modalità di affitto, lo stato dei fabbricati, le modalità di raggiungimento degli alpeggi, la presenza di energia elettrica, acqua, servizi igienici etc. (Fig. 1, inserto centrale p. XII). Per quanto riguarda i fruitori delle risorse d’alpeggio, gli ultimi decenni hanno visto una progressiva differenziazione nelle tipologie di affittuari delle superfici e conduttori degli armenti. Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti 135 Se la pratica dell’alpeggio fa risalire le sue origini documentate a partire dal Medioevo, sicuramente la necessità di utilizzare i pascoli è coincisa con l’aumento demografico nelle vallate alpine. Gli insediamenti sulle “terre alte” sono stati, a seconda dei periodi e del contesto politico-amministrativo, in parte stabili ed in parte transumanti, in stretto legame con l’andamento altimetrico e vegetazionale, ma anche con le esigenze di sopravvivenza della popolazione. Solo in tempi più recenti si è avuta una netta distinzione tra insediamenti permanenti di fondo e media valle, pascoli “di casa” da utilizzare in primavera e in autunno, prati “da sfalcio” e alpi di alta quota, con tramuti periodici al loro interno. Nel momento di massima densità di popolazione insediata nelle zone montane, l’alpeggio ha costituito una vera e propria azienda, dotata di una sua autonomia. Nelle vallate dove la pressione umana è stata più forte o dove la superficie ha permesso una distribuzione della popolazione più equilibrata, l’alpeggio è invece stato considerato un elemento integrativo dell’economia delle aziende collocate a quote inferiori. Con la massima densità demografica e con lo sfruttamento pastorale più marcato, in passato, si dovette intervenire per limitare il carico degli alpeggi: ad esempio, nel 1877 il comune di Bobbio Pellice insistette nel non concedere pascoli “a forestieri” né direttamente, né indirettamente, al fine di non aggiungere ulteriore “carico” a quello locale (Roletto, 1918). Verso la metà dell’Ottocento era però già iniziata la crisi dell’economia agricola montana: si venne così ad accentuare l’uso integrativo del pascolo alpino, con il fenomeno della transumanza estiva dalla pianura alla montagna (Aime et al., 2001; Lebaudy e Albera, 2001). Vi fu una riduzione graduale dell’altitudine degli insediamenti umani, i pascoli più scomodi vennero abbandonati, i prati “da sfalcio” situati in quota, che richiedevano un lavoro particolarmente duro per il loro utilizzo e per il trasporto del fieno, si trasformarono in pascoli e molti “pascoli di casa” si integrarono in “alpi” vere e proprie (Pastorini et al., 1980). Per quanto concerne il possesso di queste superfici, fino al principio del XVI secolo la gran parte degli alpeggi era quasi completamente di proprietà monastica. Dai cartari si rileva invece che nell’Alto Medioevo i pascoli erano sfruttati, dietro pagamento di un canone, in comune dagli abitanti del luogo e dai pastori dei signori feudali o dei monasteri. In seguito, la proprietà degli alpeggi fu maggiormente diversificata: comunali, consortili e privati. Ad ulteriore conferma di quanto i pascoli alpini fossero importanti, negli archivi restano numerose testimonianze delle contese apertesi tra le comunità per l’utilizzo di territori confinanti in alta montagna (Roletto, 1929). Gli usi civici di pascolo sono tra i più antichi diritti di usufrutto e consistevano nell’impiego del foraggio per l’alimentazione degli animali, nell’uso delle acque per l’abbeverata animale, di fontane di acqua potabile e di ripari per il pernottamento dei pastori durante il periodo di permanenza al pascolo, di utilizzo di legna “morta” e di frasche per la cottura degli alimenti e di attività di caseificazione. Era previsto il pagamento di un compenso al Comune, regolamentato in base all’epoca, la stagione, 136 Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte i tempi di utilizzo, il tipo di animale e l’area utilizzabile. La maggior parte di questi diritti si è mantenuta fino al giorno d’oggi. Il pascolo in ogni alpeggio era generalmente diviso in alp ’d la vaca, riservato esclusivamente ai bovini (zone più facilmente accessibili), e alp ’d la féia, riservato agli ovini. Alcune vallate, più povere di pascoli, come la valle Gesso nel cuneese, erano tradizionalmente destinazione di sole greggi, mentre altrove venivano lasciate alle greggi solo le porzioni dei pascoli più impervie, non sfruttabili dai bovini (chiamate përdù, sempre in provincia di Cuneo). In certe valli con maggiore evidenza ancora oggi si trovano i segni delle antiche consuetudini, mantenute nel corso dei secoli, con particolari forme di utilizzo o di pagamento dei canoni d’affitto. È possibile fare alcune distinzioni tra le figure di utilizzatori dell’alpeggio che, attualmente, hanno perso parte delle loro caratteristiche originarie: i marghè (margari), i bergè (pastori) ed i particular (piccoli allevatori/contadini). Il termine margaro indicava un allevatore transumante originario delle vallate alpine che, per provvedere all’alimentazione dei capi allevati (in prevalenza bovini), aveva abbandonato il paese di montagna per cercare nuove zone in pianura dove trascorrere l’inverno. Il margaro non possedeva terre o fabbricati, ma “comprava il fieno”, cioè stipulava un contratto per una certa quantità di fieno necessario a trascorrere la cattiva stagione fino alla successiva risalita in alpe. Insieme al fieno otteneva la stalla per le vacche, “l’alloggio” per la famiglia (spesso di infima qualità e non di rado consistente in una stanza o poco più, quando non un angolo della stessa stalla) ed una quantità di legname per il riscaldamento. Ancora oggi esistono le figure dei margari che affittano le cascine annualmente o con contratti di durata maggiore, acquistando il foraggio per gli animali. Oggi, con l’eccezione di casi sempre più isolati, le condizioni di vita per questi allevatori sono notevolmente migliorate. Il margaro possiede quasi esclusivamente capi bovini: questo specialmente nelle vallate dove è ricomparso, con un impatto più evidente, il lupo. Tradizionalmente i margari hanno sempre praticato la mungitura e la caseificazione, ma allo stato attuale molti di loro, specialmente allevatori di bovini di razza Piemontese, seguono la linea vacca-vitello, attraverso l’allevamento di vacche-nutrici, privilegiando la produzione di vitelli da destinare successivamente all’ingrasso. I pastori sono invece allevatori di ovicaprini ma all’interno della categoria è necessario distinguere: t pastori vaganti con grandi greggi: praticano il pascolo vagante con greggi da carne di grosse entità (da 500 ad oltre 2500 capi). Solitamente non possiedono una cascina o delle strutture per ricoverare gli animali, anche se negli ultimi anni alcuni hanno affiancato al gregge anche una mandria e questa, almeno nella parte centrale dell’inverno, viene mantenuta in stalla; t pastori vaganti con greggi di medie dimensioni: spesso trascorrono l’inverno nelle Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti 137 aree di pianura limitrofe alle vallate di origine, talvolta associandosi ad altri. Salgono in alpeggio prendendo animali in affitto, sempre con indirizzo “carne”, dai particolar, ovvero piccoli allevatori, contadini ed “amatori” della pianura o dei comuni della valle; t pastori transumanti: hanno una sede invernale di proprietà o in affitto dove ricoverano gli animali. Il loro gregge è di dimensione variabile, monticano con animali di proprietà ed eventualmente ne prendono in affitto. Alcuni di loro restano in fondovalle d’inverno, altri si spostano verso la pianura (Figura 2, inserto centrale p. XII). In questo gruppo sono compresi anche i pastori che praticano la mungitura, con produzioni casearie di peculiare interesse (Calleri, 1966; Verona, 2006). Come particolar si definiscono i piccoli proprietari, spesso agricoltori e allevatori nel contempo, che possiedono terre ed un limitato numero di animali. Vivono tutto l’anno in montagna ed affidano vacche, capre o pecore ai pastori transumanti che salgono in alpeggio; greggi di capre in purezza sono prevalentemente affiancate a mandrie di bovini e sono destinate alla produzione di latte. A fianco di queste figure che fanno maggior richiamo alla tradizione storica, è possibile trovare nuove realtà. In alcuni casi gli alpeggi sono affittati da allevatori che monticano solo animali giovani o improduttivi, lasciati incustoditi o affidati a salariati ed i titolari restano in fondovalle per occuparsi della restante parte della mandria (ad es. soggetti in lattazione). Altri vengono affittati da allevatori che monticano animali di proprietà (bovini o ovicaprini) e affidati ad uno o più salariati, consentendo ai titolari di occuparsi personalmente delle attività aziendali nell’azienda di fondovalle di proprietà (per attività colturali, fienagione, irrigazione etc.). In altre situazioni le superfici pastorali sono affittate a commercianti di bestiame che collocano i propri animali (bovini o ovicaprini) spesso con l’esclusivo fine di percepire contributi. Infine, alcuni alpeggi vengono affittati da allevatori di pianura: questi o conducono in alpeggio una minima percentuale dei capi posseduti (solitamente animali da carne) o subaffittano i pascoli ad altri allevatori che non sono riusciti ad affittare un alpeggio a loro nome o non hanno superfici sufficienti per completare la stagione di pascolo. Quest’ultima tipologia di allevatori, beneficiando dei contributi erogati dalla Comunità Europea sovente acquisiscono in modo scorretto superfici d’alpe che precedentemente erano utilizzate proprio da margari e da pastori così contribuendo a far lievitare il prezzo d’affitto degli alpeggi, grazie anche alle loro maggiori disponibilità finanziarie. Sempre a proposito di affitti, attraverso l’indagine si evince come vi siano forti differenze di canoni a seconda delle zone e delle consuetudini locali. L’affitto da privati avviene mediante accordo diretto tra le parti, mentre gli alpeggi comunali vengono spesso messi all’asta. In alcuni casi anche per il comune vi è una trattativa diretta con rinnovo del contratto al medesimo locatario. I pastori vaganti 138 Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte con greggi di grossa entità utilizzano generalmente più territori d’alpe lungo la valle, molti dei quali sprovvisti di strutture abitative. Dalle dichiarazioni ricevute in sede d’intervista emerge come solo per limitata parte di queste superfici venga stipulato un regolare contratto d’affitto. Tra gli intervistati vi sono soggetti che hanno cambiato frequentemente sede d’alpeggio ed altri che, sia in proprietà, sia in affitto, monticano sulla stessa “montagna” fin dalla nascita. Gli alpeggi utilizzati sono pubblici, privati o consortili. La gran parte dei pastori, che effettuano una stagione d’alpe più prolungata, anche nel caso di affitto di un alpeggio comunale integrano con pascoli privati a quote inferiori (di proprietà o in affitto). Dall’analisi incentrata sugli allevatori di soli ovicaprini, emerge come questi ultimi spesso utilizzino i territori più marginali e alpeggi con meno servizi, anche se negli ultimi decenni sono stati apportati miglioramenti per quanto concerne la viabilità, almeno per il raggiungimento della parte inferiore delle superfici di pascolo (Figura 3, inserto centrale p. XIII). In questo quadro di criticità fortemente influenti sulle condizioni di vita e di lavoro in alpeggio, ma anche sull’economia aziendale, negli ultimi 10-15 anni si è inserito il ritorno del lupo, un predatore che era assente in Piemonte da quasi ottant’anni. Da queste prime indagini scaturisce con evidenza la necessità di una opportuna valutazione dell’impatto della predazione stessa, sia a breve che a lungo termine, e l’efficacia delle soluzioni (modalità di indennizzo, mezzi di difesa passivi) messe sin qui in atto per mitigarlo attraverso altre iniziative regionali come il Progetto Lupo Regione Piemonte (Regione Piemonte, 2010). Da questo punto di vista l’inchiesta e il censimento promossi nell’ambito del progetto ProPast (con il coinvolgimento dei diretti interessati, ma anche di altri soggetti locali) mira a valutare ed approfondire “tutti” gli aspetti del danno determinato dal predatore. Tra questi sono emerse una serie di conseguenze che arrivano alla cessazione dell’attività aziendale, all’abbandono di aree di pascolo o di intere “montagne”, alla profonda modificazione dei sistemi gestionali. Queste trasformazioni non mancano di ripercuotersi su un peggioramento della produttività zootecnica, legato allo scadimento delle risorse pastorali e della relativa biodiversità vegetale ma anche a deteriorate condizioni di benessere e salute degli animali con l’emergenza di nuove patologie, nonché con la recrudescenza di quelle già presenti. Pesanti appaiono poi i costi economici indotti dalle nuove pratiche pastorali forzatamente adottate e dalla messa in atto delle stesse difese passive dal predatore. Oltre ai costi economici (spese per personale aggiuntivo, attrezzature, materiali, mantenimento dei cani da guardiania, maggiori costi di alimentazione per il mancato trasferimento in alpeggio di categorie di animali più a rischio, maggiori costi per l’acquisto di foraggio e per la fienagione) vi sono anche evidenti costi sociali (ansia, peggioramento della qualità di relazioni, frustrazione). Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti 139 Un aspetto qualificante del progetto è rappresentato dall’intento di una lettura più completa e puntuale degli impatti della predazione, sulla base di caratteristiche ambientali e socio-economiche delle diverse realtà pastorali. Analoga valutazione ha riguardato l’efficacia delle misure di protezione precedentemente proposte (Regione Piemonte, 2010) che, in relazione alle molteplicità e complessità degli ambienti pastorali, sovente non si sono dimostrate soluzioni idonee e definitive. Il progetto ProPast intende fornire indicazioni supplementari per una difesa passiva più efficace in quanto basata su una maggior considerazione delle specificità dei contesti, meno onerosa dal punto di vista economico e gestionale, ma anche elementi oggettivi in termini di quantificazione della rilevanza del danno sofferto dai sistemi pastorali regionali; ciò a sostegno delle richieste di attuazione delle misure di controllo della popolazione di lupo in deroga alla Convenzione di Berna (relativa alla Conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979) già inoltrate al Ministero dell’Ambiente dal precedente governo regionale e reiterate dall’amministrazione in carica. Il progetto intende infine elaborare linee d’intervento e di supporto anche mediante una serie di azioni “pilota” nel campo della formazione, della divulgazione, della valorizzazione delle produzioni, alla luce della necessità di garantire un supporto permanente alla pastorizia. Viene a tal fine esplicitamente prevista la creazione di una Scuola per la formazione di pastori. Le attività di formazione come quelle di divulgazione indirizzate al pubblico e a soggetti specifici (attraverso campagne di comunicazione sui media, opuscoli e cartellonistica, eventi sugli alpeggi e in città, convegni) saranno coordinate da un Centro di referenza per la pastorizia che si avvarrà di un portale web e del supporto di una rete di collaborazione con vari soggetti pubblici e privati. A questo Centro faranno riferimento anche iniziative per la valutazione dell’efficacia delle azioni di difesa dalla predazione e dei danni subiti ponendosi come soggetto di riferimento “dalla parte dei pastori” in grado di riequilibrare la gestione del conflitto lupo-pastore. 3. Conclusioni Il panorama emerso nel primo anno d’indagine del progetto è risultato assai variegato e con molti punti sui quali sarà necessario focalizzare l’attenzione in quanto assai rilevanti per lo sviluppo del territorio pastorale piemontese. Sono già state evidenziate gravi problematicità relative alle attribuzioni degli alpeggi, ai relativi prezzi d’affitto e più in generale si è rilevata una preoccupante diminuzione di alpeggi disponibili e difficoltà nell’applicare regolari contratti anche come conseguenza di una eccessiva frammentazione fondiaria. Altre difficoltà derivano 140 Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte dalla carenza di infrastrutture adeguate e inefficienza o mancanza di opportune vie di accesso agli alpeggi medesimi. Eccessi di burocrazia, limitata disponibilità di manodopera opportunamente formata, aumento dei costi in genere e difficoltà nella valorizzazione dei prodotti rappresentano ulteriori gravi criticità delle aziende pastorali. Anche il ritorno del predatore si è presentato come un problema non secondario per le molteplici problematiche conseguenti. In definitiva si è riscontrata una scarsa attenzione nei confronti del settore dell’allevamento di montagna in generale e di quello pastorale in particolare. Le risorse pastorali rappresentano un bene prezioso, ma attualmente alquanto disperso e poco conosciuto, nonostante le diversificate opportunità che esse potrebbero offrire in ambito produttivo, ambientale e culturale. Il progetto ProPast intende predisporre e collaudare schemi di iniziative che possano trovare poi ulteriore sviluppo ed estensione nei diversi ambiti locali. Ci si prefigge di stimolare, anche attraverso una informazione e promozione più efficiente e capillare, le varie attività del settore con implicazioni di ordine ecologico, culturale, turistico, fornendo modelli e supporti anche per una valorizzazione conveniente dei diversi prodotti (carni, formaggi, lana) e delle svariate potenzialità della pastorizia, presso un più vasto pubblico, al fine di determinare un atteggiamento favorevole a questa attività, al tempo stesso antica e “postmoderna”. Bibliografia Aime M., Allovio S., Viazzo P.P., Sapersi muovere. Pastori transumanti di Roaschia, Meltemi Editore, Roma 2001. Battaglini L., “Sistemi ovicaprini nelle Alpi occidentali: realtà e prospettive”, in Quaderni SoZooAlp, 4 (2007), pp. 9-23. Calleri G., Alpeggi biellesi. Tecniche casearie tradizionali, terminologia, arte pastorale Biella, Centro Studi Biellesi, Biella 1966. Lebaudy G., Albera D., La routo. Sulle vie della transumanza tra le Alpi e il mare Pontebernardo di Pietraporzio (Cn), Associazione culturale primalpe, Costanzo Martini/Ecomuseo della pastorizia, Cuneo 2001. Pastorini F.M., Salsotto A., Bignami G.R., Alpicoltura in Piemonte. Indagini e ricerche sull’attività pastorale e ricensimento dei pascoli montani, Unione Camere Commercio Industria Artigianato del Piemonte, Torino 1980. Regione Piemonte, Il lupo in Piemonte: azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame domestico e per l’attuazione di un regime di coesistenza stabile tra lupo ed attività economiche. Rapporto 1999-2010, Torino 2010. Roletto G.B., “Ricerche antropogeografiche sulla Val Pellice”, in Memorie Geografiche di Giotto Dainelli - Supplemento alla “Rivista Geografica Italiana”, Firenze 1918. Roletto G.B., “Considerazioni geografiche sull’economia della Valle Germanasca (Bacino del Chisone)”, in Annuali della R. Università degli Studi Economici e Commerciali di Trieste, vol. I, 1929, pp. 3-27. Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti 141 Verona M., Dove vai pastore? Pascolo vagante e transumanza nelle Alpi Occidentali agli albori del XXI secolo, Quaderni di cultura alpina 84-85, Priuli e Verlucca Editori, Torino 2006. Verona M., Corti M., Battaglini L.M., “L’impatto della predazione lupina sui sistemi pastorali delle valli cuneensi e torinesi”, in Bovolenta S., Zootecnia e Montagna quali strategie per il futuro? Quaderni Sozooalp, Trento 2010, pp. 149-167. Vezzani V., Le pecore piemontesi, L’Italia Agricola, Piacenza 1930. Vincent M., Les alpages à l’épreuve des loups, Editions de la Maison des Sciences de l’homme. Editions Quæ, Paris 2011. XII Fig. 1 (Battaglini et al.) − Mancanza di adeguate strutture in alpeggio pubblico. L’affittuario tenta di ovviare con mezzi di fortuna per le condizioni precarie delle abitazioni presenti (Alpe Giulian, Val Pellice, Torino) [Foto M. Verona]. Lack of adequate structures on public mountain pastures. The tenant tries to compensate with whatever he can find – here a caravan – since the onsite dwellings are now unusable (Alpe Giulian, Val Pellice, Torino) [Photo M. Verona]. Fig. 2 (Battaglini et al.) − Pastori vaganti nella stagione invernale con gregge di oltre 2000 capi (dintorni di Chivasso, Torino) [Foto M. Verona].Transhumant shepherds during wintertime along with a flock of over 2,000 heads (near Chivasso, Torino) [Photo M. Verona]. XIII Fig. 3 (Battaglini et al.) − Alpeggio utilizzato esclusivamente da ovicaprini, caratterizzato da pendii a forte acclività, mancanza di viabilità e strutture abitative in condizioni estremamente precarie (Alpe Infernet, Val d’Angrogna, Torino) [Foto M. Verona]. Mountain pasture exploited only by sheep. It is marked by steep slopes, no paths and poor dwellings (Alpe Infernet, Val d’Angrogna, Torino) [Photo M. Verona].