DI CHI SONO LE ALPI?
Appartenenze politiche, economiche e culturali nel mondo alpino contemporaneo
WHOSE ALPS ARE THESE?
Governance, ownerships and belongings in contemporary Alpine regions
a cura di/edited by
Mauro Varotto, Benedetta Castiglioni
7(+6=(<50=,9:0;@79,::
Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte:
primi risultati di un progetto finalizzato
Luca Battaglini1, Marzia Verona1, Michele Corti2
Abstract
Sustainability of livestock breeding in Piedmont: preliminary results from a specifically designed
study - In 2011, an extensive research project aimed at identifying action policies to promote
pastoral livestock breeding in the Piedmont region was begun (The 2011-2013 Propast project,
financed by the Piedmont Region). This initiative plans to protect traditional livestock breeding
systems by raising awareness of the importance of safeguarding this enterprise and promoting the
shepherd figure. Interviews with shepherds in the Piedmont region provided essential information, used during collective and individual debates on the problems and urgencies characterizing
the current conditions of the western Alps’ pastoral systems. Additional interviews, conducted
directly on mountain pastures, revealed a number of critical issues, among which significant cases
of predation by wolves. Preliminary data points to the necessity of developing support systems,
reference frames, and economic exploitation of livestock production capable of urging shepherds
towards cohabitation measures with the predator. Public opinion must also be informed through
a variety of communication actions so as to counterbalance wolves’ popularity, and provide more
information relative to shepherds’ life conditions and the resources (e.g. landscape, products and
traditions) deriving from traditional livestock breeding activities. During research, the protagonists have gained minor – although quite important - visibility, broadening insight into the sociopsychological impact on major subjects and allowing for considerations that may increase overall
1
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Dipartimento Scienze Zootecniche, Università di Torino.
Dipartimento Scienze per gli Alimenti, la Nutrizione e l’Ambiente, Università di Milano.
Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti
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sustainability. Thanks to this initiative, the Piedmont livestock breeding system aims to recover
not only economically, but also ecologically and culturally, from conditions that have been depressed for decades. Ultimately, the research project aims to propose the creation of professional
profiles which would support the livestock breeding activity and its strategic development (in
line with the “French” model, e.g. shepherd school), and build a reference frame for the modern
livestock breeding system.
1. Introduzione: finalità di un progetto per la difesa della pastorizia
Le attività pastorali rivestono ancora oggi sul territorio alpino funzioni di estrema
importanza per il mantenimento di habitat peculiari ma anche per la “cura” di aree
di confine tra la dimensione urbanizzata e quella rurale, tra la montagna e la pianura
(Battaglini, 2007). La presa di coscienza dell’importanza di queste realtà zootecniche
fa scaturire l’esigenza di attenzioni in grado di controbilanciare le gravi difficoltà
che un’attività con radici storiche così profonde come la pastorizia (Vezzani, 1930;
Pastorini et al., 1980) sta attualmente subendo (dai divieti di pascolo e transito al
mercato degli affitti delle superfici pastorali, dalla scarsa idoneità dei ricoveri destinati ai pastori alla preoccupante pressione predatoria da parte dei grandi carnivori,
etc.). Il progetto Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte: individuazione
e attuazione di linee di intervento e supporto (ProPast) elaborato dal Dipartimento di
Scienze Zootecniche dell’Università di Torino risponde ad una delibera della Giunta
Regionale del Piemonte che intende riconoscere all’attività pastorale un ruolo agricolo, sociale, ecologico e culturale fondamentale per la conservazione dei territori
collinari e montani3. Tale riconoscimento rappresenta un passo importante, che può
preludere a protocolli con altre regioni alpine, per assegnare al settore pastorale un
suo statuto tenendo conto che esso non è assimilabile ad una attività agricola fine a
se stessa e che la sua importanza va molto al di là della limitata rilevanza economica.
L’individuazione di soluzioni atte a rimuovere, o quantomeno a ridimensionare,
i diversi elementi di difficoltà e la loro messa in essere, sia nell’ambito dello stesso
progetto che di una complessiva azione di sostegno della Regione, ha la finalità si
rafforzare la sostenibilità del sistema pastorale ma anche di metterlo in condizione di
poter meglio fronteggiare nuovi problemi come la predazione da lupo, recentemente
ricomparsa sulle Alpi occidentali (Verona et al., 2010).
Il progetto si prefigge in definitiva di concorrere alla definizione di linee di intervento e di strumenti operativi a sostegno della pastorizia prendendo in consideIl progetto Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte: individuazione e attuazione di linee di
intervento e supporto (ProPast) 2011-2013 è finanziato dalla Regione Piemonte, Assessorato Agricoltura.
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Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte
razione l’insieme dei fattori di criticità sia sotto il profilo giuridico e amministrativo
che tecnico-organizzativo, economico-produttivo e socio-culturale. Sono previste:
iniziative di sostegno nei confronti dei pastori operanti nei territori montani e collinari; indicazioni gestionali e di sostegno socio-economico per individuare e definire
la figura dell’allevatore come fruitore del territorio d’alpe; la realizzazione di linee
guida per un più dettagliato ed equo protocollo di affitto degli alpeggi di proprietà
pubblica; studi degli effetti della predazione dal punto di vista zootecnico e sociale; la valutazione del “danno ambientale potenziale” derivante dalla scarsa o nulla
propensione delle aziende agricole a perseguire indirizzi produttivi incentrati sull’allevamento; attività di informazione ai fruitori della montagna su tutti gli aspetti
della gestione zootecnica in ambiente montano; la sensibilizzazione dell’opinione
pubblica nei confronti della figura del pastore, della sua attività e dell’importanza che
questa riveste nella gestione del territorio, anche per gli aspetti storici, antropologici
etc.; la creazione di figure professionali idonee al monitoraggio dell’attività pastorale
e all’esigenza di sviluppo strategico della stessa (modello francese, scuola del pastore);
la realizzazione di una rete di centri di riferimento per la pastorizia.
2. Primi risultati: i protagonisti e le loro difficoltà
L’attività d’indagine svoltasi nel corso del primo anno del progetto ha consentito
di ottenere un ampio quadro sulle problematiche che interessano l’odierno mondo
della pastorizia piemontese.
Nel corso del 2011, sono state effettuate interviste/incontri con allevatori delle
valli Ellero, Pesio, Gesso, Stura, Grana, Maira, Varaita, Po, Pellice, Chisone, Germanasca, Sangone, Susa, Lanzo (province di Cuneo e Torino) con aziende caratterizzate
dalla presenza di ovicaprini e, in alcuni casi, in copresenza di mandrie di bovini.
Si è anche presentata l’opportunità di scambi di opinione con allevatori di altra
provenienza regionale nel corso di tradizionali manifestazioni fieristiche zootecniche,
al fine di confrontare le problematiche rilevate e raccogliere le criticità del settore.
Sono state infine raccolte ulteriori testimonianze “dal vivo” nell’ambito di numerose
visite direttamente in alpeggio.
Indagando sulle diverse realtà pastorali, sono stati messi in luce alcuni aspetti concernenti le figure dei fruitori dell’alpe, le modalità di affitto, lo stato dei fabbricati,
le modalità di raggiungimento degli alpeggi, la presenza di energia elettrica, acqua,
servizi igienici etc. (Fig. 1, inserto centrale p. XII).
Per quanto riguarda i fruitori delle risorse d’alpeggio, gli ultimi decenni hanno
visto una progressiva differenziazione nelle tipologie di affittuari delle superfici e
conduttori degli armenti.
Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti
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Se la pratica dell’alpeggio fa risalire le sue origini documentate a partire dal Medioevo, sicuramente la necessità di utilizzare i pascoli è coincisa con l’aumento demografico nelle vallate alpine. Gli insediamenti sulle “terre alte” sono stati, a seconda
dei periodi e del contesto politico-amministrativo, in parte stabili ed in parte transumanti, in stretto legame con l’andamento altimetrico e vegetazionale, ma anche con
le esigenze di sopravvivenza della popolazione. Solo in tempi più recenti si è avuta
una netta distinzione tra insediamenti permanenti di fondo e media valle, pascoli “di
casa” da utilizzare in primavera e in autunno, prati “da sfalcio” e alpi di alta quota,
con tramuti periodici al loro interno. Nel momento di massima densità di popolazione insediata nelle zone montane, l’alpeggio ha costituito una vera e propria azienda,
dotata di una sua autonomia. Nelle vallate dove la pressione umana è stata più forte
o dove la superficie ha permesso una distribuzione della popolazione più equilibrata, l’alpeggio è invece stato considerato un elemento integrativo dell’economia delle
aziende collocate a quote inferiori. Con la massima densità demografica e con lo
sfruttamento pastorale più marcato, in passato, si dovette intervenire per limitare il
carico degli alpeggi: ad esempio, nel 1877 il comune di Bobbio Pellice insistette nel
non concedere pascoli “a forestieri” né direttamente, né indirettamente, al fine di
non aggiungere ulteriore “carico” a quello locale (Roletto, 1918).
Verso la metà dell’Ottocento era però già iniziata la crisi dell’economia agricola
montana: si venne così ad accentuare l’uso integrativo del pascolo alpino, con il
fenomeno della transumanza estiva dalla pianura alla montagna (Aime et al., 2001;
Lebaudy e Albera, 2001). Vi fu una riduzione graduale dell’altitudine degli insediamenti umani, i pascoli più scomodi vennero abbandonati, i prati “da sfalcio” situati
in quota, che richiedevano un lavoro particolarmente duro per il loro utilizzo e per il
trasporto del fieno, si trasformarono in pascoli e molti “pascoli di casa” si integrarono
in “alpi” vere e proprie (Pastorini et al., 1980).
Per quanto concerne il possesso di queste superfici, fino al principio del XVI
secolo la gran parte degli alpeggi era quasi completamente di proprietà monastica.
Dai cartari si rileva invece che nell’Alto Medioevo i pascoli erano sfruttati, dietro
pagamento di un canone, in comune dagli abitanti del luogo e dai pastori dei signori
feudali o dei monasteri. In seguito, la proprietà degli alpeggi fu maggiormente diversificata: comunali, consortili e privati. Ad ulteriore conferma di quanto i pascoli
alpini fossero importanti, negli archivi restano numerose testimonianze delle contese
apertesi tra le comunità per l’utilizzo di territori confinanti in alta montagna (Roletto, 1929). Gli usi civici di pascolo sono tra i più antichi diritti di usufrutto e consistevano nell’impiego del foraggio per l’alimentazione degli animali, nell’uso delle acque
per l’abbeverata animale, di fontane di acqua potabile e di ripari per il pernottamento
dei pastori durante il periodo di permanenza al pascolo, di utilizzo di legna “morta”
e di frasche per la cottura degli alimenti e di attività di caseificazione. Era previsto il
pagamento di un compenso al Comune, regolamentato in base all’epoca, la stagione,
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Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte
i tempi di utilizzo, il tipo di animale e l’area utilizzabile. La maggior parte di questi
diritti si è mantenuta fino al giorno d’oggi.
Il pascolo in ogni alpeggio era generalmente diviso in alp ’d la vaca, riservato
esclusivamente ai bovini (zone più facilmente accessibili), e alp ’d la féia, riservato
agli ovini.
Alcune vallate, più povere di pascoli, come la valle Gesso nel cuneese, erano tradizionalmente destinazione di sole greggi, mentre altrove venivano lasciate alle greggi
solo le porzioni dei pascoli più impervie, non sfruttabili dai bovini (chiamate përdù,
sempre in provincia di Cuneo). In certe valli con maggiore evidenza ancora oggi si
trovano i segni delle antiche consuetudini, mantenute nel corso dei secoli, con particolari forme di utilizzo o di pagamento dei canoni d’affitto.
È possibile fare alcune distinzioni tra le figure di utilizzatori dell’alpeggio che, attualmente, hanno perso parte delle loro caratteristiche originarie: i marghè (margari),
i bergè (pastori) ed i particular (piccoli allevatori/contadini).
Il termine margaro indicava un allevatore transumante originario delle vallate
alpine che, per provvedere all’alimentazione dei capi allevati (in prevalenza bovini),
aveva abbandonato il paese di montagna per cercare nuove zone in pianura dove
trascorrere l’inverno. Il margaro non possedeva terre o fabbricati, ma “comprava il
fieno”, cioè stipulava un contratto per una certa quantità di fieno necessario a trascorrere la cattiva stagione fino alla successiva risalita in alpe. Insieme al fieno otteneva la stalla per le vacche, “l’alloggio” per la famiglia (spesso di infima qualità e non di
rado consistente in una stanza o poco più, quando non un angolo della stessa stalla)
ed una quantità di legname per il riscaldamento. Ancora oggi esistono le figure dei
margari che affittano le cascine annualmente o con contratti di durata maggiore, acquistando il foraggio per gli animali. Oggi, con l’eccezione di casi sempre più isolati,
le condizioni di vita per questi allevatori sono notevolmente migliorate. Il margaro
possiede quasi esclusivamente capi bovini: questo specialmente nelle vallate dove è
ricomparso, con un impatto più evidente, il lupo.
Tradizionalmente i margari hanno sempre praticato la mungitura e la caseificazione, ma allo stato attuale molti di loro, specialmente allevatori di bovini di razza
Piemontese, seguono la linea vacca-vitello, attraverso l’allevamento di vacche-nutrici,
privilegiando la produzione di vitelli da destinare successivamente all’ingrasso.
I pastori sono invece allevatori di ovicaprini ma all’interno della categoria è necessario distinguere:
t pastori vaganti con grandi greggi: praticano il pascolo vagante con greggi da carne di grosse entità (da 500 ad oltre 2500 capi). Solitamente non possiedono
una cascina o delle strutture per ricoverare gli animali, anche se negli ultimi
anni alcuni hanno affiancato al gregge anche una mandria e questa, almeno
nella parte centrale dell’inverno, viene mantenuta in stalla;
t pastori vaganti con greggi di medie dimensioni: spesso trascorrono l’inverno nelle
Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti
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aree di pianura limitrofe alle vallate di origine, talvolta associandosi ad altri.
Salgono in alpeggio prendendo animali in affitto, sempre con indirizzo “carne”,
dai particolar, ovvero piccoli allevatori, contadini ed “amatori” della pianura o
dei comuni della valle;
t pastori transumanti: hanno una sede invernale di proprietà o in affitto dove
ricoverano gli animali. Il loro gregge è di dimensione variabile, monticano con
animali di proprietà ed eventualmente ne prendono in affitto. Alcuni di loro
restano in fondovalle d’inverno, altri si spostano verso la pianura (Figura 2,
inserto centrale p. XII). In questo gruppo sono compresi anche i pastori che
praticano la mungitura, con produzioni casearie di peculiare interesse (Calleri,
1966; Verona, 2006).
Come particolar si definiscono i piccoli proprietari, spesso agricoltori e allevatori
nel contempo, che possiedono terre ed un limitato numero di animali. Vivono tutto
l’anno in montagna ed affidano vacche, capre o pecore ai pastori transumanti che
salgono in alpeggio; greggi di capre in purezza sono prevalentemente affiancate a
mandrie di bovini e sono destinate alla produzione di latte.
A fianco di queste figure che fanno maggior richiamo alla tradizione storica, è
possibile trovare nuove realtà. In alcuni casi gli alpeggi sono affittati da allevatori che
monticano solo animali giovani o improduttivi, lasciati incustoditi o affidati a salariati ed i titolari restano in fondovalle per occuparsi della restante parte della mandria
(ad es. soggetti in lattazione). Altri vengono affittati da allevatori che monticano animali di proprietà (bovini o ovicaprini) e affidati ad uno o più salariati, consentendo ai
titolari di occuparsi personalmente delle attività aziendali nell’azienda di fondovalle
di proprietà (per attività colturali, fienagione, irrigazione etc.). In altre situazioni le
superfici pastorali sono affittate a commercianti di bestiame che collocano i propri
animali (bovini o ovicaprini) spesso con l’esclusivo fine di percepire contributi. Infine, alcuni alpeggi vengono affittati da allevatori di pianura: questi o conducono in
alpeggio una minima percentuale dei capi posseduti (solitamente animali da carne) o
subaffittano i pascoli ad altri allevatori che non sono riusciti ad affittare un alpeggio
a loro nome o non hanno superfici sufficienti per completare la stagione di pascolo.
Quest’ultima tipologia di allevatori, beneficiando dei contributi erogati dalla Comunità Europea sovente acquisiscono in modo scorretto superfici d’alpe che precedentemente erano utilizzate proprio da margari e da pastori così contribuendo a far
lievitare il prezzo d’affitto degli alpeggi, grazie anche alle loro maggiori disponibilità
finanziarie.
Sempre a proposito di affitti, attraverso l’indagine si evince come vi siano forti
differenze di canoni a seconda delle zone e delle consuetudini locali.
L’affitto da privati avviene mediante accordo diretto tra le parti, mentre gli alpeggi
comunali vengono spesso messi all’asta. In alcuni casi anche per il comune vi è una
trattativa diretta con rinnovo del contratto al medesimo locatario. I pastori vaganti
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Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte
con greggi di grossa entità utilizzano generalmente più territori d’alpe lungo la valle,
molti dei quali sprovvisti di strutture abitative. Dalle dichiarazioni ricevute in sede
d’intervista emerge come solo per limitata parte di queste superfici venga stipulato un
regolare contratto d’affitto.
Tra gli intervistati vi sono soggetti che hanno cambiato frequentemente sede d’alpeggio ed altri che, sia in proprietà, sia in affitto, monticano sulla stessa “montagna”
fin dalla nascita.
Gli alpeggi utilizzati sono pubblici, privati o consortili. La gran parte dei pastori,
che effettuano una stagione d’alpe più prolungata, anche nel caso di affitto di un
alpeggio comunale integrano con pascoli privati a quote inferiori (di proprietà o in
affitto).
Dall’analisi incentrata sugli allevatori di soli ovicaprini, emerge come questi ultimi
spesso utilizzino i territori più marginali e alpeggi con meno servizi, anche se negli
ultimi decenni sono stati apportati miglioramenti per quanto concerne la viabilità,
almeno per il raggiungimento della parte inferiore delle superfici di pascolo (Figura 3,
inserto centrale p. XIII). In questo quadro di criticità fortemente influenti sulle condizioni di vita e di lavoro in alpeggio, ma anche sull’economia aziendale, negli ultimi
10-15 anni si è inserito il ritorno del lupo, un predatore che era assente in Piemonte
da quasi ottant’anni.
Da queste prime indagini scaturisce con evidenza la necessità di una opportuna
valutazione dell’impatto della predazione stessa, sia a breve che a lungo termine, e
l’efficacia delle soluzioni (modalità di indennizzo, mezzi di difesa passivi) messe sin qui
in atto per mitigarlo attraverso altre iniziative regionali come il Progetto Lupo Regione
Piemonte (Regione Piemonte, 2010).
Da questo punto di vista l’inchiesta e il censimento promossi nell’ambito del progetto ProPast (con il coinvolgimento dei diretti interessati, ma anche di altri soggetti
locali) mira a valutare ed approfondire “tutti” gli aspetti del danno determinato dal
predatore. Tra questi sono emerse una serie di conseguenze che arrivano alla cessazione
dell’attività aziendale, all’abbandono di aree di pascolo o di intere “montagne”, alla
profonda modificazione dei sistemi gestionali. Queste trasformazioni non mancano di
ripercuotersi su un peggioramento della produttività zootecnica, legato allo scadimento delle risorse pastorali e della relativa biodiversità vegetale ma anche a deteriorate
condizioni di benessere e salute degli animali con l’emergenza di nuove patologie,
nonché con la recrudescenza di quelle già presenti. Pesanti appaiono poi i costi economici indotti dalle nuove pratiche pastorali forzatamente adottate e dalla messa in atto
delle stesse difese passive dal predatore. Oltre ai costi economici (spese per personale
aggiuntivo, attrezzature, materiali, mantenimento dei cani da guardiania, maggiori
costi di alimentazione per il mancato trasferimento in alpeggio di categorie di animali
più a rischio, maggiori costi per l’acquisto di foraggio e per la fienagione) vi sono anche evidenti costi sociali (ansia, peggioramento della qualità di relazioni, frustrazione).
Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti
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Un aspetto qualificante del progetto è rappresentato dall’intento di una lettura
più completa e puntuale degli impatti della predazione, sulla base di caratteristiche
ambientali e socio-economiche delle diverse realtà pastorali. Analoga valutazione ha
riguardato l’efficacia delle misure di protezione precedentemente proposte (Regione
Piemonte, 2010) che, in relazione alle molteplicità e complessità degli ambienti pastorali, sovente non si sono dimostrate soluzioni idonee e definitive. Il progetto ProPast
intende fornire indicazioni supplementari per una difesa passiva più efficace in quanto
basata su una maggior considerazione delle specificità dei contesti, meno onerosa dal
punto di vista economico e gestionale, ma anche elementi oggettivi in termini di
quantificazione della rilevanza del danno sofferto dai sistemi pastorali regionali; ciò
a sostegno delle richieste di attuazione delle misure di controllo della popolazione di
lupo in deroga alla Convenzione di Berna (relativa alla Conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa del 19 settembre 1979) già inoltrate al Ministero
dell’Ambiente dal precedente governo regionale e reiterate dall’amministrazione in
carica.
Il progetto intende infine elaborare linee d’intervento e di supporto anche mediante una serie di azioni “pilota” nel campo della formazione, della divulgazione,
della valorizzazione delle produzioni, alla luce della necessità di garantire un supporto
permanente alla pastorizia. Viene a tal fine esplicitamente prevista la creazione di una
Scuola per la formazione di pastori. Le attività di formazione come quelle di divulgazione indirizzate al pubblico e a soggetti specifici (attraverso campagne di comunicazione
sui media, opuscoli e cartellonistica, eventi sugli alpeggi e in città, convegni) saranno
coordinate da un Centro di referenza per la pastorizia che si avvarrà di un portale web e
del supporto di una rete di collaborazione con vari soggetti pubblici e privati.
A questo Centro faranno riferimento anche iniziative per la valutazione dell’efficacia delle azioni di difesa dalla predazione e dei danni subiti ponendosi come soggetto
di riferimento “dalla parte dei pastori” in grado di riequilibrare la gestione del conflitto
lupo-pastore.
3. Conclusioni
Il panorama emerso nel primo anno d’indagine del progetto è risultato assai variegato e con molti punti sui quali sarà necessario focalizzare l’attenzione in quanto assai
rilevanti per lo sviluppo del territorio pastorale piemontese.
Sono già state evidenziate gravi problematicità relative alle attribuzioni degli alpeggi, ai relativi prezzi d’affitto e più in generale si è rilevata una preoccupante diminuzione di alpeggi disponibili e difficoltà nell’applicare regolari contratti anche come
conseguenza di una eccessiva frammentazione fondiaria. Altre difficoltà derivano
140
Sostenibilità dell’allevamento pastorale in Piemonte
dalla carenza di infrastrutture adeguate e inefficienza o mancanza di opportune vie di
accesso agli alpeggi medesimi.
Eccessi di burocrazia, limitata disponibilità di manodopera opportunamente formata, aumento dei costi in genere e difficoltà nella valorizzazione dei prodotti rappresentano ulteriori gravi criticità delle aziende pastorali. Anche il ritorno del predatore
si è presentato come un problema non secondario per le molteplici problematiche
conseguenti. In definitiva si è riscontrata una scarsa attenzione nei confronti del settore dell’allevamento di montagna in generale e di quello pastorale in particolare. Le
risorse pastorali rappresentano un bene prezioso, ma attualmente alquanto disperso
e poco conosciuto, nonostante le diversificate opportunità che esse potrebbero offrire
in ambito produttivo, ambientale e culturale. Il progetto ProPast intende predisporre e collaudare schemi di iniziative che possano trovare poi ulteriore sviluppo ed
estensione nei diversi ambiti locali. Ci si prefigge di stimolare, anche attraverso una
informazione e promozione più efficiente e capillare, le varie attività del settore con
implicazioni di ordine ecologico, culturale, turistico, fornendo modelli e supporti
anche per una valorizzazione conveniente dei diversi prodotti (carni, formaggi, lana)
e delle svariate potenzialità della pastorizia, presso un più vasto pubblico, al fine di
determinare un atteggiamento favorevole a questa attività, al tempo stesso antica e
“postmoderna”.
Bibliografia
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Dainelli - Supplemento alla “Rivista Geografica Italiana”, Firenze 1918.
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Chisone)”, in Annuali della R. Università degli Studi Economici e Commerciali di Trieste, vol.
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Luca Battaglini, Marzia Verona, Michele Corti
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Editions Quæ, Paris 2011.
XII
Fig. 1 (Battaglini et al.) − Mancanza di adeguate strutture in alpeggio pubblico. L’affittuario tenta di ovviare
con mezzi di fortuna per le condizioni precarie delle abitazioni presenti (Alpe Giulian, Val Pellice, Torino)
[Foto M. Verona]. Lack of adequate structures on public mountain pastures. The tenant tries to compensate with
whatever he can find – here a caravan – since the onsite dwellings are now unusable (Alpe Giulian, Val Pellice,
Torino) [Photo M. Verona].
Fig. 2 (Battaglini et al.) − Pastori vaganti nella stagione invernale con gregge di oltre 2000 capi (dintorni
di Chivasso, Torino) [Foto M. Verona].Transhumant shepherds during wintertime along with a flock of over
2,000 heads (near Chivasso, Torino) [Photo M. Verona].
XIII
Fig. 3 (Battaglini et al.) − Alpeggio utilizzato esclusivamente da ovicaprini, caratterizzato da pendii a
forte acclività, mancanza di viabilità e strutture abitative in condizioni estremamente precarie (Alpe Infernet, Val d’Angrogna, Torino) [Foto M. Verona]. Mountain pasture exploited only by sheep. It is marked
by steep slopes, no paths and poor dwellings (Alpe Infernet, Val d’Angrogna, Torino) [Photo M. Verona].
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