Anno 3 - numero 8 (12)
Mensile a carattere divulgativo
e ufficiale per gli atti della Curia
e pastorale per la vita della Diocesi
di Velletri-Segni
Registrazione al Tribunale
di Velletri n. 9/2004
del 23.04.2004 - Redazione:
C.so della Repubblica 343 00049 VELLETRI RM 06.9630051 - fax 96100596
[email protected]
Chiesa Suburbicaria
Settembre 2005
? Andrea Maria Erba
Ispirandomi alla nota pastorale della commissione episcopale per la Dottrina della Fede, emanata dalla Cei
nel maggio scorso, desidero mettere in rilievo, in modo
sintetico, un aspetto importante del documento, precisamente il capitolo secondo intitolato “Comunicare
il Vangelo oggi”. Si tratta di un obiettivo urgente e
indifferibile.
Dato il nuovo contesto culturale che caratterizza la
società odierna è indispensabile usare un modo diverso di annunciare il Vangelo, di testimoniarlo e di viverlo, tenendo conto delle situazioni che si presentano.
Il carattere essenziale del lieto annuncio è l’affermazione
ALL’INTERNO
Un anno: chi lo avrebbe detto?
Don Angelo Mancini a pag. 2
SPECIALE CONVEGNO DIOCESANO
Mons. Luigi Vari, Don Angelo Mancini, Don Giorgio
Cappucci,Don Franco Diamante, Stanislao Fioramonti,
Sara Bianchini, Guido Basile, Nicolino e Dorina Tartaglione,
Don Dario Vitali e Sara Gilotta
alle pagine 3,4,5,6,7,8,9 e 10
SPECIALE GMG DI COLONIA
I Giovani della Diocesi alle pagine 11,12 e 13
Alla scuola di Maria, donna ‘eucaristica’
Don Dario Vitali a pag. 14
La dottrina eucaristica dal II al XIII secolo
Stanislao Fioramonti (parte V) a pag. 15
Il diacono permanente: prete mancato
o laico maggiorato?
Diac. Giorgio Safina a pag. 16
Papa Benedetto XVI incontra i ragazzi
della Prima Comunione
Mons. Paolo Picca e don Roberto Mariani a pag. 17
Il Centro Diocesano Vocazioni e la
Pastorale Vocazionale
Don Leonardo D’Ascenzo a pag. 18
‘Buen camino’: da Velletri a Compostela
Mara Della Vecchia a pag. 19
Se anche il matrimonio diventa ‘artificiale’
Pier Giorgio Liverani a pag. 20
che Gesù Cristo è il Signore, l’unico Salvatore del
mondo. Questa nota di assolutezza è strettamente congiunta con l’aspetto salvifico, mentre è di fondamentale
importanza la dimensione storica della fede e il carattere sorprendente della rivelazione cristiana.
Quanto allo stile dell’annuncio, è la testimonianza della vita cristiana la via privilegiata dell’evangelizzazione, la sua forma primaria e insostituibile, senza
trascurare la professione pubblica della fede con la
proclamazione esplicita che Dio ci dona la salvezza
in Gesù Cristo.
Grande valore ha il dialogo, a partire dalla consapevolezza della propria identità e dall’attenzione ai “semi
del Verbo” ovunque si trovino. “Ogni verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo” (S.
Tommaso).
La Chiesa ha bisogno soprattutto di santi, di gente
che viva la radicalità evangelica nel vissuto quotidiano.
La santità è tutta questione di amore verso il Signore,
come risposta ad un amore gratuito e smisurato. S.
Paolo e S. Benedetto ci sono maestri.
E’ responsabilità dei laici cristiani proclamare ogni
giorno la fede nei vari ambienti di vita sociale: è compito dei fedeli annunciare il Vangelo in famiglia, nei
luoghi di lavoro, nel mondo della cultura, della politica ecc.; è compito di tutta la comunità cristiana.
Al magistero di Giovanni Paolo II riassunto nelle indimenticabili parole: “Non abbiate paura, aprite, anzi
spalancate le porte a Cristo”, si aggiunge l’invito di
Papa Benedetto XVI: “Chi fa entrare Cristo non perde nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. Egli non toglie nulla e dona tutto”.
Il cristiano autentico è il missionario del Risorto,
inviato a predicare il Vangelo ad ogni creatura.
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Settembre 2005
Società
Don Angelo Mancini*
Il 13 settembre dello scorso anno “vedeva la luce”,
usciva il primo numero di “Ecclesìa in C@mmino”,
in occasione del Convegno Pastorale Diocesano che
vide, tra i relatori, anche l’allora Card. J. Ratzinger,
il Card. S. Piovanelli e il biblista G. Florio.
Il mensile, nella volontà primigenia, doveva essere un periodico di collegamento all’interno della Diocesi
nonché rappresentare una delle innumerevoli possibilità, offerteci dalla tecnologia oggi, peraltro sempre in continua evoluzione, di ampliare la comunicazione e le relazioni. Un mezzo di dialogo sui temi
pastorali, socio-culturali e le nuove problematiche
della realtà delle comunità insomma, oltreche a diffondere gli atti ufficiali della Curia.
All’inizio si era pensato che il tutto dovesse “viaggiare via internet” per essere successivamente stampato ”in proprio” solo da chi lo desiderava ma, al
suo primo incontro con il pubblico, è nata una simpatia reciproca e incontenibile. Infatti è passato dalla opzione iniziale per l’on-line, alla stampa a colori e dalle sedici pagine del primo numero, si è passati alle venti e, in occasione della morte di Giovanni
Paolo II e l’elezione di Papa Benedetto XVI, siamo
arrivati alla 24 pagine.
Ci domandiamo, al termine di questo primo anno,
se il compito che ci eravamo proposti di collegare
ed informare le realtà esistenti all’interno della nostra
diocesi, stato assolto a dovere.
Di certo possiamo dire che “Ecclesìa”, stampato in
circa duemiladuecento copie, distribuito peraltro gratuitamente nelle parrocchie, la Casa Circondariale,
gli Ospedali e le Cliniche ma, anche in alcune edicole del territorio e in qualche negozio e bar, ha raggiunto tutte le comunità della diocesi e ha varcato
i confini delle stesse. Spesso ha raggiunto i vescovi del Lazio, gli uffici delle Congregazioni Romane
e dei Comuni della diocesi ecc.
Molto ancora rimane da fare, per questo la redazione chiede collaboratori per la distribuzione capillare nelle città della diocesi. E ancora di più rimane da fare per far uscire allo scoperto tutto il lavorio prezioso che nel campo pastorale, nel campo
della solidarietà, del sociale ma anche dell’impegno nella formazione teologica, spirituale, culturale e politica ferve in diocesi e che spesso rimane
patrimonio per i pochi addetti che vi partecipano.
Gli orientamenti della redazione della testata sono
quelli di non correre dietro alla cronaca spicciola
della vita diocesana, ma di entrare nel tessuto degli
eventi per evidenziarne i contenuti essenziali e presentarli al pubblico dei lettori.
E’ da questo versante che “Ecclesìa” deve crescere
ancora, occorrono più voci, più collaboratori disposti
a guardare dentro l’evento pastorale, per rilevarne
le linee, le finalità e offrire al lettore forse una con-
ferma , forse un spunto, un’analisi o forse la voglia
di sentirsi partecipe di una Chiesa, quella locale di
Velletri-Segni, che è in C@mmino.
Tornando all’anno trascorso, possiamo dire che “Ecclesìa”
si è affacciata spesso “fuori dalle mura”, ha guardato al terzo mondo con i suoi problemi, grazie alla
collaborazione di Don Franco Diamante e di M. Vandelli
che, nel numero di luglio, ci ha regalato in esclusiva il risultato fotografico di una sua esperienza in
Kenia.
Ha guardato dentro la discussione inerente il referendum sulla vita. Ha offerto, grazie all’apporto del
Dott. Pierluigi Liverani, un serio e prezioso excursus sul tema della difesa della vita nascente, sbocciato anche in un convegno sul tema, organizzato
dal nostro mensile.
Con i contributi del teologo Don Dario Vitali, del Dott.
Steni Fioramonti, di Don Giorgio Cappucci e del biblista Mons. Luigi Vari abbiamo percorso, dal punto
di vista teologico, storico, liturgico e pastorale, il cammino dell’Anno dell’Eucaristia. Si è avvalso dell’apporto
fel prof.ssa S. Gilotta.
Con gli interventi della Caritas Diocesana e del suo
direttore Don Cesare Chialastri, abbiamo contribuito
a far conoscere i problemi e i progetti diocesani del
mondo della solidarietà e della carità.
Con l’aiuto di tanti altri collaboratori, abbiamo cercato di dare informazioni culturali, statistiche, sulle novità apparse nel campo dell’editoria, del cinema e della musica. Ma anche notizie su musei, archivi, manifestazioni e storia della chiesa locale.
Ecclesìa ha svolto un compito importante anche nelle pagine che, graficamente, forse risultano meno
attraenti, là dove vengono riportate le notizie della CEI, della Curia Diocesana e del calendario del
mese con tutti gli impegni. Così abbiamo camminato insieme con la Chiesa diocesana.
Non ci nascondiamo però che Ecclesìa deve crescere nel dialogo con i lettori, deve saper scendere anche nella discussione, per fare incontrare le
esigenze della fede con quella della vita, quella vissuta giorno dopo giorno.
Questo presuppone una volontà precisa dell’editore
(del vescovo e diocesi) e una altrettanto ferma linea
di conduzione. Presuppone, però, sia un presbiterio che un laicato più disponibile a collaborare. Ma
anche un laicato “popolo di Dio” più vivace, che frema dalla gioia di vivere la sua fede e sia desideroso di conoscere i luoghi, i tempi e i modi con cui
la sua fede può renderlo partecipe della vita della
Chiesa, che significa quindi della vita in Cristo. Questo
popolo di Dio vogliamo raggiungere, questo popolo d Dio vogliamo che raggiunga Ecclesìa, che lo
senta come un luogo proprio per aprirsi alla discussione.,
Questo popolo Dio potrà rendere più interessante
e fruibile Ecclesìa.
*Direttore di Ecclesìa in C@mmino
L’ultima fatica di Pier Giorgio Liverani
LA SOCIETÀ MULTICAOTICA
Andrea M. Erba
Ecco un volume difficile,
in apparenza, da decifrare
nella sua terminologia,
ma in realtà limpido e
coraggioso nel denunciare,
con stile accattivante e
vena polemica, le storture del nuovo linguaggio, soprattutto in campo morale (interessante in appendice un corposo
Dizionario
dell’Antilingua).
Pier Giorgio Liverani è
un giornalista cattolico
di lungo corso, corsivista di Avvenire, condirettore Si alla Vita e anche
nostro illustre collaboratore.
Con grande competenza e sicura dottrina
denuncia il caos in cui è caduta la moderna
torre di Babele della società, che stravolge il
significato di termini come matrimonio, figli,
famiglia ecc. mettendo a
rischio la stessa idea di uomo
e creando una nuova antropologia. Le leggi sull’eutanasia, sull’aborto, sulla
fecondazione artificiale, sulle manipolazioni genetiche,
sulla clonazione … arrivano a concepire l’uomo faida-te, che si fa signore di se
stesso e nega la propria somiglianza con Dio.
La questione antropologica
si intreccia con quella teologica. Viene posto in gioco anche il modello di
società che diventa sempre
più multietnica, multiculturale e multireligiosa .
L’autore mette in guardia dal
pericolo del relativismo etico che porta alla caotica, cioè
al caos.
Ringraziamo e sosteniamo
il nostro Autore nella difesa della visione cristiana del
mondo e dell’uomo e auguriamo al suo volume il suc-
cesso che merita.
La società multicaotica, Pier Giorgio Liverani
Ed. Ares, Milano 2005, pp. 432, Euro 17
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Settembre 2005
Speciale Convegno
E così siamo diventati analfabeti...
Mons. Luigi Vari*
on un vero e proprio analfabetismo ci si incontra ogni volta che
ci si trova a parlare di fede oppure se di fede si sente parlare.
e televisioni, anche quelle che si
presentano con il carisma della
scientificità quando parlano di fede
o di Chiesa fanno rabbrividire; e moltissimi
si trovano ad assorbire contenuti raccapriccianti sulla fede e sulla vita della Chiesa con
la stessa fiducia con la quale assumono quelli che riguardano le foche, o i coccodrilli o i
leoni marini. il motivo sta nel fatto che sia nell’uno che nell’altro argomento sono degli analfabeti.
ualcuno dirà che non è colpa delle televisioni, dei conduttori delle radio, di qualche giornalista
estivo se la gente non sa più niente della propria fede, e certamente ha ragione.
uello che, però appare immergendosi nei mass media è che
la religione è attaccata in
maniera massiccia ed ormai si nega che essa
possa avere una qualche utilità nella vita dell’uomo moderno, anzi essa è un impiccio che
impedisce il sorgere dell’unica vera fede ammessa dai governi e dalle costituzioni; una specie di fede laica, una nebulosa di ovvietà che
sembra svilupparsi attorno al nulla
ertamente non sono estranee alla
crisi politica e sociale dell’Europa
questi tentativi dii costruire una
specie di religione contenitore che vada bene
per tutti, convinti che la religione marca troppo le identità per essere veramente utile alla
costruzione di un uomo nuovo, non più immagine di Dio, ma di questi burocrati che si propongono come modelli.
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uesta ostilità alla fede non è nuova ed è, paradossalmente, confortante perché mostra come resista ancora per l’uomo comune un angolo inviolabile di libertà e di affermazione del proprio
sentire, del proprio linguaggio e del proprio
sentimento. Si è ostili ad un mondo che non
può essere controllato da chi pensa di poter
controllare tutto.
i dirà che ogni epoca ha conosciuto
questo tipo di attacco alla fede; bisogna anche riconoscere, però che
ogni epoca ha saputo reagire con intelligenza ed eroismo,
a nostra epoca deve anche essa
essere capace di reagire alla continua emarginazione della fede. La
prima possibilità di reagire è quella di essere capaci di dare ragione della propria fede,
di conoscerla, di non essere degli analfabeti.
a colpa dell’analfabetismo è tutta interna alla comunità cristiana ed i mezzi per superarlo sono
tutti da ricercare all’interno della comunità.
Il problema, se di problema si tratta è che la
fede passa da una persona all’altra, è un linguaggio che si apprende come si succhia il
latte dalla mammella; ognuno deve nutrirsi
, non ci si nutre in massa e nemmeno uno mangia a nome di tutti.
a trasmissione della fede, restando nel paragone, è fatta di
sostanza, è , come ricorda Paolo,
prima latte, poi cibo più solido fino al completo svezzamento.
enedetto XVI in un intervista fatta da prefetto della Congregazione
della fede, notava come ad un certo punto non ci si è curati più di trasmettere
la sostanza della fede, ma ci si è persi a vedere il modo di presentare le cose, a calcolare
l’impatto del messaggio, a misurare l’opportunità
di alcuni contenuti; e, credo sia questo il centro del nostro convegno di settembre , ritro-
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vare la convinzione e l’impegno nel trasmettere
la fede. I luoghi della trasmissione sono naturali come quelli della famiglia e della parrocchia,
altri possono essere riscoperti o riproposti.
È urgente, però rimettere a fuoco questo dovere della comunità cristiana che fin dalle origini ha vissuto con impegno il confronto con
quelli che le erano esterni attraverso l’annuncio
e si è curata di quelli che la costituivano non
si perdessero attraverso una catechesi ed un’azione liturgica convincenti ed intense.
olti padri della Chiesa che noi
leggiamo con venerazione
spesso scrivevano proprio per
insegnare, confortare, confermare quelli che
già facevano parte della comunità. Molte pagine bellissime e testimonianze di fede nascono nella tradizione cristiana proprio dalla preoccupazione che la fede continuasse a trasmettersi
e che quindi le persone non perdessero.
l convegno che stiamo per celebrare
è utile per confortarci in questo impegno, per apprendere dai nostri fratelli quale cammino sia più efficace, per ascoltare dalla testimonianza di persone esterne parole che aiutino.
infine il nostro convegno una festa
della Chiesa locale che quest’anno
vive un momento particolare
del suo cammino per le annunciate dimissioni
del vescovo Andrea per raggiunti limiti di età.
ualcuno poteva pensare che non
ci sarebbe stato nessun convegno, invece è parso naturale a
tutti ritrovarsi con entusiasmo e convinzione,
ancora, in questo Settembre con mons. Erba
e poi con chi Dio vorrà. Anzi proprio questo
momento di trasmissione apostolica da un pastore all’altro illustra più di molte altre considerazioni il tema del nostro incontro.
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Vicario episcopale per la Pastorale
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Settembre 2005
Speciale Convegno
Don Angelo Mancini
E’ da tre anni che, ad annunciare il Convegno
Diocesano e, soprattutto, a descriverne
il tema, l’Ufficio per le Comunicazioni Sociali
della diocesi ha scelto delle immagini di
Masaccio e Masolino da Panicale che troviamo nel ciclo della famosa Cappella
Brancacci in Santa Maria del Carmine a
Firenze. In particolare, le scene descrittive sono quelle riferite alle storie di San
Pietro.
Nell’anno 2003, il tema del convegno, partendo dal battesimo, richiamava il cristiano
a sentirsi come in «Un solo corpo» riferendosi a quanto afferma san Paolo, al
cap. 4 della Lettera agli Efesini. Proprio
nel cercare l’unione di questo corpo nasce
la “vocazione e la missione del laico”.
L’immagine portante, in questo caso, era
quella che ritrae S. Pietro mentre battezza
un neofita, collocata nel registro centrale
della parete di fondo della cappella. Questa
immagine si lega perfettamente a quella scelta lo scorso anno 2004, ovvero la
predica di San Pietro, di Masolino da Panicale
che, insieme a Masaccio, ha decorato la
splendida cappella. La scena, scelta per
questo anno, è contigua alla precedente e si trova sempre nel registro centrale ma nella parete di sinistra. Entrambi
questi due affreschi si concentrano sull’azione salvifica della Chiesa e del suo
pastore: l’annuncio che porta al battesimo. L’annuncio, cioè «La comunicazione
del vangelo» era il tema del convegno
2004. La forza evocatrice della scena dipinta di Pietro che predica ad un gruppo di
persone, bene ha espresso la frase biblica scelta per il convegno: «… e come
potranno sentirne parlare senza uno
che lo annunzi…» (Rm 10,15).
Il tema dell’annuncio si innesta nel solco degli Orientamenti Pastorali della
Conferenza Episcopale Italiana, dal
tema: «Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia».
Questo anno la trilogia di temi, accompagnata dalle scene delle storie di San
Pietro, si completa. Il tema, scelto per il
XIV Convegno Pastorale Diocesano
che avrà luogo nei giorni 16, 17 e 18 settembre, è quello della “trasmissione del
contenuto di fede”.
Cioè i tempi, i modi, i protagonisti e le
esigenze di un trasmettere tale contenuto
da persona a persona. Perché, è oramai
cosa assodata, la trasmissione del contenuto della fede passa attraverso il singolo credente che, nei vari campi della
vita personale, sociale ed ecclesiale, come
un ingranaggio mosso da un motore, consegna,
a volte anche inconsapevolmente, all’altro tale contenuto. Allora qui entra in gioco la persona del battezzato nella sua totalità, con tutto il suo bagaglio
culturale, con i ruoli che ricopre nella società, nella famiglia e nella Chiesa in un preciso contesto
storico: quello in cui vive attualmente . Questi sono
i “luoghi” in cui la trasmissione si realizza. Da qui
la scelta dell’immagine, che annuncia e accompagna il Convegno: si tratta della famosissima scena ad opera di Masaccio, (1427 circa) che ritrae
la Distribuzione dei beni e la morte di Anania. La
scena che si trova nel registro inferiore della parete di fondo, rimanda a quanto raccontato negli Atti
degli Apostoli, 4,32;5,1-11. In essa troviamo molti elementi che supportano e dilatano il tema del
convegno. Troviamo, innanzitutto, una ambientazione urbana. La nuova evangelizzazione e gli orientamenti descrivono una situazione di scristianizzazione dell’Europa, cioè di un continente antico,
carico di tradizioni, cultura, storia e luoghi come
le sue città, cariche di testimonianze di una fede
vissuta al passato, ma che al presente
sembrano mute e vuote. Nella scena dipinta abbiamo ancora uno spaccato di popolo ma con la presenza di evidenti situazioni di disagio; non ci sembra che nelle nostre città del terzo millennio, così
tecnologiche, frenetiche, mosse dal
consumismo e dal mondo degli affari, sia
stata eliminata la povertà, anzi ne registriamo sempre di nuove.
La testimonianza, e quindi la trasmissione, ad opera in particolare dell’apostolo Pietro, accompagnato da Giovanni,
muove sulla capacità di condivisione, solidarietà con i bisogni dell’uomo e il gesto,
che identifica tutto questo, è un gesto
di carità. Pietro compie questo gesto di
carità ad una donna, con un bambino in
braccio, in un modo che potremmo anche
definire plateale. Guardando la scena dalla prospettiva del tema del convegno, possiamo dire che quel gesto semplice si
espande e genera un prolungamento.
Dapprima, rileviamo come uno dei
campi in cui il battezzato deve sentirsi
impegnato a trasmettere la sua fede è
proprio la carità. Successivamente,
notiamo come questo gesto sia sotto
gli occhi di tutti i presenti e, pertanto, è
capace di generare un effetto a catena, una sorta di benefico contagio ottenendo, appunto, la trasmissione da persona a persona. Infine, il bambino nella braccia della donna (forse ritrae il volto della madre dello stesso Masaccio)
chiama in causa la mamma e quindi il
determinante ruolo dei genitori nella trasmissione del contenuto della fede. Dietro
questa donna se ne scorge un’altra, in
evidente stato di gravidanza. Nessuno
può dirsi escluso dal compito della testimonianza della fede. In questa scena i
personaggi destinatari del gesto di
Pietro, nonostante la evidente situazione di indigenza e malattia, raffigurati
in piedi, sembrano essere ravvivati
dalla testimonianza di fede degli apostoli.
Essi appaiono come figure che si stagliano sull’ambiente cittadino e che, a
loro volta, lo ravvivano. Solo chi come
Anania, che ha mentito contro Dio, è raffigurato steso a terra, inerme, quasi privo di vita. Il messaggio che fuoriesce dall’osservazione attenta dei personaggi (sembra dirci non solo l’autore degli Atti degli
Apostoli ma anche l’autore dell’opera pittorica Masaccio) è che ogni individuo che
non sa dare una testimonianza di vita
e per la vita non vive.
Anania, ricordiamo, era venuto meno alla
scelta della comunione dei beni in cui
tutti vivevano della solidarietà dei componenti della comunità. Egli aveva venduto un terreno
dichiarando una somma inferiore a quanto ricavato: rimproverato da Pietro, cadde a terra morto. Stessa sorte toccò alla moglie Saffira, in quanto complice dell’inganno.
Questa rappresentazione pittorica diventa quindi
un prezioso aiuto per comprendere come la trasmissione verace della fede che coinvolge in prima persona chi la trasmette e chi la riceve è fonte di vita.
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Settembre 2005
Speciale Convegno
L’impegno liturgico
per la trasmissione della fede
Don Giorgio Cappucci*
“Sebbene avessi già battezzato un figlio
dodici anni fa, non avevo ben chiaro il significato
del battesimo. Lo avevo vissuto come una delle tante cose che si fanno perché si devono fare, ma senza una adeguata preparazione e senza capire cosa
significassero quelle parole, quei gesti. Con la nascita del secondo e poi del terzo figlio il battesimo è
stato per me un’esperienza nuova, un riavvicinarmi alla fede e questo grazie agli incontri di preparazione
che avevamo avuto con il parroco, il quale ci aveva spiegato scrupolosamente e nei minimi dettagli cosa significasse ogni parola, ogni gesto che
veniva fatto durante il rito. Questo mi ha aiutata
molto a vivere più intensamente, con gioia, con attenzione, con una accurata preparazione, questo sacramento così importante e mi sono sentita più vicina a Dio di quanto non fossi mai stata, soprattutto in quei momenti di preghiera che avevamo ogni
giorno in famiglia durante la settimana che precedeva
il battesimo. È stata un’esperienza meravigliosa”
(Daniela).
Ho riportato la testimonianza di questa
mamma perché in fondo riassume le mie convinzioni.
Quando si parla di trasmissione della fede
si pensa subito alle nuove generazioni.
Ed è giusto. Pensando però a come tanti momenti della nostra religione vengono vissuti
ho l’impressione che sono fatti forse più per tradizione e per abitudine che per partecipazione intima, profonda. E forse qui troviamo una delle cause dell’allontanamento della gente e in particolare delle nuove generazioni dalla pratica religiosa.
I giovani sono i meno propensi a fare cose di cui
non ne colgano il significato, ma che si devono fare
solo perché si son sempre fatte. Possiamo prendere ad esempio un albero di quercia. Quando è
sano resiste a tutte le intemperie. Ma se un tarlo
lo svuota fino a far rimanere solo la corteccia esterna al primo colpo di vento, anche non forte, cade
giù
La testimonianza di Daniela, una delle tante cristiane dalla pratica religiosa molto saltuaria, ci insegna che quando ha avuto la possibilità di fare capolino sul mistero che stava per compiersi attraverso la
presentazione dei gesti e delle preghiere
la sua partecipazione è stata profonda.
Credo che la prima cosa
perché ci possa essere la trasmissione della fede alle nuove generazione
sia celebrare con consapevolezza.
È quanto è raccomandato nella ‘Sacrosanctum Concilium’: “È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione
alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia…A
tale piena e attiva partecipazione di tutto il popolo va dedicata una specialissima cura nel quadro della riforma e della
promozione della liturgia. Essa infatti è la
prima e indispensabile fonte dalla quale i fedeli possono attingere il genuino spirito cristiano, e perciò i pastori d’anime in tutta la loro attività pastorale devono sforzarsi di
ottenerla attraverso un’adeguata formazione”
(n. 14).
Oltre alla conoscenza del mistero che si
celebra penso sia importante conoscere anche come
la preghiera entra nella vita e la vita nella preghiera.
Qualche mese fa facendo un incontro con
i genitori dei bambini della Messa di Prima
Comunione facevo notare come in quei momenti
a Roma circa mezzo milione di persone stava manifestando per chiedere ai governi la pace. Dato che
era a Roma, la stragrande maggioranza di loro saranno stati battezzati, e forse molti di loro sono anche
di quelli che dicono di non andare a messa perché si annoiano. Ma la messa è piena di preghiere per ottenere da Dio la pace. Forse non ci avranno mai pensato, o forse mai nessuno s’è presa la
briga di mettere in evidenza queste preghiere. Cosi
partono da ogni parte d’Italia per manifestare a Roma
e chiedere a degli uomini la pace, e non vanno alla
chiesa dietro l’angolo per chiederla a Dio!
Tra le varie occasioni da creare per ottenere la “consapevolezza” la Chiesa consiglia, anzi
addirittura “ordina ai pastori e a tutti quelli che hanno cura d’anime di soffermarsi frequentemente, nel
corso della celebrazione della Messa, o personalmente o per mezzo di altri, su questo o quel testo
della Messa, e di spiegare, tra le altre cose, il mistero di questo santissimo Sacrificio, specialmente nelle domeniche e nei giorni festivi” (Principi e norme del Messale romano, n.11).
Conclusione: tanta catechesi liturgica, alla
gente che già frequenta. Quella catechesi che con
parola difficile chiamiamo mistagogica: cioè guidare
i fedeli a vivere bene ciò che già fanno.
Oltre alla consapevolezza penso sia importante un altro
ele-
mento: lo splendore! Un antico detto afferma: “Non
c’è niente nell’intelletto che non sia prima nei sensi”. Nessun gesto, nessuna architettura, nessuno
vestito può adeguatamente tradurre la grandezza
di Dio. Però……….
Ricordo ancora, e sono passati due anni,
l’emozione che ho provato nel duomo di Monreale
quando, di notte, con la chiesa al buio, un fascio
di luce illuminava il mosaico dell’abside e un coro
di oltre cento persone, sostenuto da un organo di
20.000 canne, cantava “Santo, Santo, Santo il Signore
Dio Pantocrátor”. Ho “percepito”, a livello non solo
intellettuale, ma globale, la maestà di Dio.
Anche nelle nostre piccole realtà parrocchiali
si può fare qualcosa per aiutare in qualche modo
i fedeli a fare esperienze similari.
Prendiamo ad esempio l’inizio della
messa. Pensate che sia la stessa cosa, per il coinvolgimento dei fedeli, se colui che presiede in nome
di Cristo entra in presbiterio direttamente dalla sacrestia, da solo, nel silenzio assoluto o se invece, preceduto dalla croce astile, immersa in una nube profumata, tra due ceri, passa in mezzo ad una assemblea che canta, come per raccogliere dietro di sé
un popolo e condurlo all’incontro con Dio (rileggiamo
il salmo 23!)?.
Qualcosa del genere si può dire quando viene presa l’Eucaristia dal tabernacolo per portarla all’altare dove verrà esposta per l’adorazione. Sarà la stessa cosa, sempre come impatto sulla gente, se chi la trasporta è vestito in abiti quotidiani o se invece indossa il camice, la stola, il velo
omerale ed è preceduto da due ceri?. O che il sacerdote che presiede una funzione vesta solo del camice, del cingolo e della stola o che indossi anche
il piviale?
Un ultimo esempio. È la stessa cosa, per
i fedeli, che il sacerdote confessi in abiti giornalieri e non con la veste e la stola, senza premettere la lettura della Parola di Dio e tutte le altre attenzioni rituali? È vero, non sono cose essenziali per
il sacramento. Anche io ho confessato in jeans,
ma sulle montagne o a stazione Termini. Però
un conto è l’eccezione e un conto una prassi.
Mentre scrivo i TG stanno dando le notizie dell’ammaraggio dell’aereo che portava i turisti da Bari in Tunisia. Per i parenti delle vittime si è fatto ricorso al sostegno degli psicologi. Perché non si è fatto ricorso ai sacerdoti? I motivi saranno senz’altro tanti. Ma
tra di essi ci fosse per caso anche il fatto che troppe volte il prete confessa dovunque, vestito in borghese, senza nessuna ritualità, senza premettere la lettura
della Parola di Dio ecc., come si trattasse di un colloquio tra uomini? Allora
a questo punto è meglio ricorrere ai professionisti della psiche umana, che come
psicologi sono più preparati dei preti!
Sono soltanto degli esempi. Ma
credo che un po’ di mistagogia e un po’
di “splendore” potrebbero rendere un buon
servizio alle nuove generazioni che hanno e amano la ritualità e comunicano attraverso di essa. A questo punto, però, si dovrebbe cominciare tutta un’altra serie di considerazioni che non è questo il momento di affrontare.
* Direttore Ufficio Liturgico Diocesano
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Settembre 2005
Speciale Convegno
messaggio da
trasmettere (la
sorpresa).
Don Franco Diamante*
Il processo per una corretta trasmissione di
un messaggio deve tener conto di almeno quattro fattori: l’emittente, il messaggio (sia il contenuto, sia la forma), il contesto (consenso o
disturbi e interferenze), il ricevente.
Anche la trasmissione della fede, fatta salva
la fantasia imprevedibile della Grazia, dipende dalla buona salute dei fattori in questione:
un’ emittente che emetta con chiarezza, un messaggio attraente nel contenuto e nella forma,
un contesto approvante, un ricevente ben sintonizzato. Quando, insomma, i fattori funzionano in modo ottimale, la trasmissione del messaggio è assolutamente efficace. Pensiamo, ad
esempio, alla catechesi domestica nel contesto della celebrazione pasquale ebraica, o al
Discorso della montagna o al primo annuncio
di Paolo ai Corinzi: quando un predicatore santo che, in un contesto propizio, annuncia in modo
affascinante la Buona Notizia a persone assetate di salvezza, la trasmissione della fede è
sicura. Purtroppo nell’ordinaria esperienza pastorale queste concause raramente funzionano in
modo adeguato allo scopo, e neppure tutte dipendono dagli sforzi di chi vuole trasmettere. Infatti
un contesto sfavorevole e un ricevente impermeabile non sempre possono essere superati
dagli sforzi dell’apostolo e dall’oggettiva bontà della proposta. Non è ciò che sperimentiamo quotidianamente nella trasmissione della
fede ai nostri giovani, tanto per fare un esempio?
Delle tante cose di cui tener conto vorrei sottolinearne due, una riguardo all’emittente (la
convertibilità), l’altra riguardo alla forma del
La convertibilità pastorale
Non è vero che il precedente Convegno
non abbia lasciato
tracce e che gli incontri con Giuseppe Florio
si siano dissolti nel nulla. Chi ha preso sul
serio l’uno e gli altri
ha imparato molto. Un
punto ricorrente del professore era l’opzione
di rivolgersi, nella
comunicazione del
Vangelo in generale e
nella formazione di
gruppi della Parola in
particolare, a persone
“convertibili”.
Gli Inconvertibili
sarebbero quelli che
già sanno tutto, che hanno tutte le ricette
pronte e sicure, che
dicono e fanno sempre le stesse mille cose,
che sono soddisfatti del
loro ruolo nella comunità qualunque esso sia.
Prendendo spunto da
questa categoria mi permetterei di suggerire
agli “emittenti” della
fede una maggiore
“convertibilità”. La
conversione è un concetto spirituale e morale, e rientra nella sfera personale; la convertibilità è un concetto operativo e funzionale
e riguarda l’efficienza e l’efficacia della
pastorale. La conversione è un valore supremo, la convertibilità pastorale ne è solo una
forma attuativa. Ma in questi tempi difficili per
la trasmissione della fede, la convertibilità diventa probabilmente una priorità.
Una fabbrica che fa buoni prodotti ma non riesce
a trasmetterli al mercato, cioè a venderli, o si
“riconverte” o almeno diversifica la produzione
se vuole continuare a proporre il prodotto originale. Qualcosa di simile dovrebbe fare “l’emittente” della fede. Se non cambiare, almeno dovrebbe arricchirsi di nuove esperienze,
tentare nuovi linguaggi, incursionare in aree
in cui non si era avventurato prima, proporsi
una capacità di adattamento a più servizi e a
più destinazioni.
San Paolo scriveva ai Corinzi: Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo
con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come
uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro
che sono sotto la legge. Con coloro che non
hanno legge sono diventato come uno che è
senza legge, pur non essendo senza la legge
di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per
guadagnare coloro che sono senza legge. Mi
sono fatto debole con i deboli, per guadagnare
i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio
per il vangelo, per diventarne partecipe con
loro. (1Cor 9,19-23)
“Mio padre è il miglior pescatore che cono-
sca. Se c’è anche un solo pesce in un
lago o in un ruscello, lui lo prende. Questo
mi ha sempre stupito. Potevamo essere in dieci a pescare nello stesso lago
ed era mio padre a prendere tutti i pesci.
Come faceva? Era magia? Dio preferiva lui?
Crescendo ho capito il segreto: mio padre capiva i pesci. Poteva “leggere” un lago e calcolare esattamente dov’erano i pesci; sapeva a
che ora del giorno a loro piaceva mangiare; sapeva che tipo di esca o richiamo usare secondo
il tipo di pesce; sapeva quando cambiare l’esca se mutava la temperatura; sembrava che
sapesse anche a quale profondità doveva lanciare. Rendeva più facile ed attraente per i pesci
ingoiare l’amo – infatti abboccavano! Prendeva
i pesci alle loro condizioni.
Io invece non ho mai avuto una strategia andando a pescare. Mi sistemavo ovunque nel lago
sperando che qualcosa abboccasse. I pesci raramente sceglievano il mio amo, perché il mio
atteggiamento era “o così o niente”. (Rick
Miller)
Lo stile della sorpresa
Una storiella narra come un circo viaggiante
in Danimarca fosse un giorno caduto in preda ad un incendio. Il direttore mandò il clown,
già abbigliato per la recita, al villaggio. Il clown
corse affannato al villaggio, supplicando i paesani di accorrere al circo in fiamme, per dare
una mano a spegnere l’incendio. Ma essi presero le grida del pagliaccio unicamente per un
astutissimo trucco del mestiere, tendente ad attrarre la più grande quantità possibile di gente alla
rappresentazione; per cui lo applaudivano, ridendo fino alle lacrime. Il povero clown aveva più
voglia di piangere che di ridere e tentava inutilmente di scongiurare gli uomini ad andare,
spiegando loro che non si trattava affatto di una
finzione, di un trucco, bensì di un’amara realtà. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate: si trovava che egli recitava la
sua parte in maniera stupenda...La commedia
continuò così finché il fuoco s’appiccò realmente al villaggio ed ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché villaggio e circo andarono entrambi distrutti dalle fiamme. (Soren Kierkegaard)
Se la trasmissione della fede è difficile, è inutile alzare il volume dell’emittente, o prendersela
con la gente che è prevenuta e vanifica il messaggio; forse bisognerebbe ovviare alle chiusure preconcette sviluppando una maggiore fantasia nella presentazione della fede. Sorprendere
i giovani, i lontani indifferenti, gli antagonisti e i risentiti, rinunciando a fraseologie bollite, a atteggiamenti apologetici o proselitisti,
a certe pretese di misurare l’identità cristiana
in base alla tonaca o all’uso dell’organo nella liturgia. Il Catechismo della Chiesa cattolica e il suo Compendio,
le catechesi di Radio Maria e le “finctions” religiose della televisione, trasmettono la fede solo
a chi già ce l’ha; gli altri non vanno neppure
oltre i titoli, si chiudono con noia. Senza cadere nel camaleontismo furbesco, bisogna trovare
gli aditi non fortificati per inserirsi nelle cittadelle ammuragliate. Questo richiede uscire
dagli schemi abitudinari, tentare metodologie
nuove, linguaggi nuovi, rischiare anche di sbagliarsi, vestirsi di fiducia, di simpatia, di accoglienza e di libertà di spirito. Rileggiamo in
Atti 8 l’esperienza di Filippo, messo sulla strada dall’Angelo del Signore, perché l’eunuco
arrivasse a chiedere a un incontrato per caso
di spalancargli le porte della fede e del battesimo. Le mura di Gerico crollarono non perché fosse assordante il suono delle trombe, ma
perché mai i resistenti avrebbero pensato di doversi difendere da armi tanto insolite.
* Direttore Ufficio Missionario Diocesano
7
Settembre 2005
Speciale Convegno
LORENZO LOPPA
Di mons.
Lorenzo Loppa,
Vescovo
di
Anagni-Alatri, riteniamo superfluo
riportare note
biografiche perché conosciutissimo in quanto già
appartenete alla
nostra Diocesi. A
lui toccherà il
compito di tracciare il cammino dell’annuncio del Vangelo
degli ultimi sedici anni, cioè del ministero episcopale di Mons. Andrea M. Erba.
A fare gli onori di casa ovviamente il
nostro Vescovo e il responsabile della
Pastorale diocesana mons. Luigi Vari, a lato
ritratti al convegno dello scorso anno insieme all’allora Cardinale Ratzinger, oggi Papa
Benedetto XVI.
I RELATORI DEL CONVEGNO
ALDO MARIA VALLI
organizzato dalla Comunità
di Sant’Egidio a Lione sul
dialogo ecumenico.
Nel primo giorno
del nostro convegno
diocesano avrà il compito di analizzare le
modalità della trasmissione del contenuto della fede
Giornalista ‘vaticanista’ del Tg3, ha
scritto testi sul pontificato di Giovanni Paolo II.
Ha collaborato con l’associazione genitori cattolici nell’ambito dei testi di riferimento e degli
incontri. Ha scritto sui temi inerenti la pace. Inviato
Rai al seguito delle celebrazioni pontificie, da
ultimo la Gmg di Colonia e poi il Meeting di
Comunione e Liberazione a Rimini e il Meeting
DON GENNARO MATINO
Stanislao Fioramonti
Don Gennaro Matino nasce a Napoli nel
1956, secondo di sei figli di una famiglia “bella,
unita e povera”; è stato ordinato sacerdote
nel 1981 ed ha due lauree.
Nella sua città insegna Teologia alla Pontificia
Università “S. Tommaso”, Storia del Cristianesimo
all’Università “Suor Orsola Benincasa” e Etica di
Impresa alla Facoltà di Economia della Università
statale “Federico II”.
Dal 1989 è parroco della Santissima Trinità,
diecimila abitanti nei centralissimi quartieri Chiaia
e Vomero, che doveva essere smembrata ma che
invece si è trasformata in un centro vivacissimo
di vita pastorale, di cultura e soprattutto di solidarietà.
“La parola di un sacerdote – dice don
Gennaro – deve esprimersi con le braccia, tradursi in condivisione, compassione, speranza”.
Da qui l’ambulatorio medico parrocchiale per i poveri e gli extracomunitari, con 60 medici volontari;
da qui l’assistenza legale a chi subisce ingiustizie; da qui il finanziamento di una mensa giornaliera in una parrocchia marginale della città, e
aiuti di altro tipo in altre zone simili; di qui ancora le duemila adozioni a distanza in India e in Africa
“accese” dai parrocchiani; da qui l’affido da parte del parroco di due giovani, uno indiano e uno
albanese, per tutto il periodo dei loro studi universitari; da qui infine l’impegno missionario del-
FRANCESCO LAMBIASI
la parrocchia, che invia nei continenti “poveri” molti volontari per periodi di collaborazione a tempo
determinato.
Don Gennaro è “vesuviano” anche nella produzione letteraria; oltre a scrivere per la pagina napoletana di molti giornali (Il Mattino,
Repubblica …), ha pubblicato per le Edizioni Dehoniane
di Bologna diversi titoli di teologia o di pastorale
(Le parrocchie, una fontana senza più acqua?;
Aspettando Natale; Nostalgia del cielo; La tenerezza di un Dio diverso), mentre nel 2005 sono
usciti da Feltrinelli due suoi titoli: Testimoni d’amore e Mestieri all’aria aperta: pastori e pescatori nell’Antico e nel Nuovo Testamento, quest’ultimo
scritto insieme allo scrittore napoletano Erri De
Luca.
Nel nostro prossimo convegno don Matino
parlerà sabato 17 settembre della comunità parrocchiale come centro di evangelizzazione, attingendo soprattutto dalla sua realtà.
S. F.
E’ nato a Bassiano, in provincia e diocesi di Latina, il 6 settembre 1947 ed è stato
ordinato sacerdote il 25 settembre 1971; si è poi
laureato in Teologia alla Gregoriana di Roma.
Per sette anni (1993-1999) è stato
Rettore del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni,
per gli studi superiori dei futuri sacerdoti
dell’Italia Centro-Meridionale. Il 6 marzo 1999
da Giovanni Paolo II fu eletto vescovo di AnagniAlatri, e il 23 maggio ricevette la consacrazione episcopale dal card. Camillo Ruini nella cattedrale anagnina. Il 28 giugno 2002 fu nominato
Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione
Cattolica Italiana, e successivamente è stato nominato anche Presidente della Commissione
Episcopale per la Dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi; in questa veste ha firmato la
nota pastorale sul primo annuncio del Vangelo
(“Questa è la nostra fede”), che la nostra rivista ha pubblicato nel mese di Luglio e dalla quale prende lo spunto il prossimo convegno diocesano.
Tra le pubblicazioni di mons. Lambiasi
ricordiamo almeno: L’autenticità storica dei Vangeli
(1978); Lo Spirito Santo, mistero e presenza (1987)
e tre opuscoli pubblicati nel 2004 dall’Azione Cattolica
Italiana: Fu crocifisso: perché? Alla scuola di Gesù;
In compagnia di Gesù.
Mons. Lambiasi chiuderà il nostro
Convegno Diocesano domenica 18 settembre,
parlando delle attuali tendenze nella Chiesa circa l’annuncio.
8
Settembre 2005
Speciale Convegno
Trasmissione:
stile,
“cosa”
e come
Sara Bianchini *
«La comunità ecclesiale è pienamente inserita nel tessuto sociale, contribuendo, con la
sua presenza, a testimoniare valori che aiutino la crescita dell’uomo. Se questo certamente
costituisce un vantaggio, poiché permette un’azione incisiva nella trasmissione del messaggio
evangelico, d’atro canto non si possono
negare i limiti costituiti da una “immersione”
totale nel mondo che ci circonda: ne subiamo l’influenza, talvolta assorbendo stili e mentalità che stridono con l’insegnamento della
Bibbia»1.
L’idea centrale da cui prendere le mosse è quella della trasmissione della fede su cui
si incentreranno i lavori del convegno diocesano.
L’inserimento nel tessuto sociale è ciò che dà
incisività alla trasmissione del messaggio evangelico. Allo stesso tempo è ciò che pone dei
limiti e mette a rischio il contenuto, la fedeltà del messaggio lanciato.
Cosa trasmettere? Come trasmettere? Ritengo
che per un animatore della Carità le due domande siano inscindibili, fino ad essere una stessa domanda. Il compito di una Caritas parrocchiale
è quello di incoraggiare dei cammini formativi perché tutti coloro che partecipano alla
vita parrocchiale possano comunicare la
carità secondo la propria particolarità e le diverse esigenze della comunità e del suo territorio. Il primo “cosa” non è dunque tanto un contenuto, quanto un modo di essere: accompagnare ogni uomo perché egli stesso e in prima persona possa esprimere “la carità”. E questo vale per gli operatori, come per ogni persona incontrata.
Qui si fa più chiaro perché il “cosa” e il
“come” vengano a coincidere: noi crediamo
innanzitutto all’incarnazione, e questa fede trasmettiamo. Allora vivere la carità è trasmettere innanzitutto che il Signore si è fatto uomo
ed è vicino, con noi fino alla fine dei tempi.
Questa “legge dell’incarnazione” ha una sua
precisa “traduzione”, cioè uno «stile di prossimità che privilegia la relazione umana, la
compagnia, la presa in carico, la condivisione: il Dio in cui crediamo, che è in sé relazione trinitaria, ci raggiunge attraverso relazioni che ce ne rivelano l’amore »2.
Evidentemente questo è anche un “come”,
un modo, uno stile di trasmissione che veicola in opera uno specifico “cosa”, contenuto.
Ed è uno stile in base a cui si può muovere
chiunque sia parte della comunità parrocchiale:
mettere in comune il “sapere” intorno alla Sacra
Scrittura, rendere più partecipi e dunque attivi nelle liturgie, condividere un tempo e un
bene materiale per farsi carico di una situazione di difficoltà e di solitudine. È anche però
una modalità di trasmissione che mette maggiormente in gioco le persone, perché si basa
sulla relazione e non sul mero scambio “darericevere”; di conseguenza è una modalità più
problematica per entrambi i soggetti che la vivono, fossero anche l’animatore della carità e
il povero che lo cerca.
Questo è però, probabilmente, quello che
resta: perché al di là della bella liturgia, al di
là degli indumenti avuti, restano delle sottili relazioni che svelano un volto di vicinanza, anzi più di uno… Innanzitutto perché questo tipo di testimonianza, dovrebbe costruirsi secondo i canoni di una “Pedagogia dei Fatti”,
cioè partire dai problemi e dalle sofferenze delle persone per aiutare la comunità tutta a costruire risposte di solidarietà allargando il costume della partecipazione e della corresponsabilità. È dunque una trasmissione comunitaria; e sostanzialmente può essere il modo in
cui ci raggiunge Dio.
È il “come trasmettiamo” perciò che mette in evidenza il “cosa trasmettiamo”. Per questo è importante un altro concetto. La Caritas
non deve farsi carico direttamente di servizi
da gestire: ma può succedere che in via provvisoria che lo faccia; in tal caso «alcuni criteri imprescindibili dovranno essere: un tipo
di intervento non assistenziale, ma promozionale…;
servizi come opere-segno, segno per i poveri di un Dio che è amore, accoglienza e perdono; segno per i cristiani di come essere fedeli al Vangelo, segno per il mondo di che cosa
sta a cuore alla Chiesa; un’azione che riesca
davvero a sviluppare la funzione pedagogica, aprendo parrocchie, gruppi e famiglie a gesti
di condivisione e accoglienza»3.
Questa idea della “opera-segno” ci aiuta ad approfondire, a non accontentarci solo
dei gesti che compiamo, anche se gesti positivi, di sostegno, di promozione; e ci aiuta in
quanto ci ricorda che ogni atto che poniamo
ha un significato e una possibilità concreta di
agire sulla realtà: ogni animatore della carità, come ogni persona presente in parrocchia
deve domandarsi sempre quale sia la valenza educativa per la comunità e per le singole persone della sua azione, del suo servizio,
quale messaggio stia trasmettendo.
Dal novembre scorso le nostre parrocchie
cercano di vivere, mediante un’opera-segno,
questo tipo di vicinanza nei confronti dei detenuti e delle loro famiglie: per ora sono iniziati (o meglio si sono potenziati) la preghiera,
la raccolta dei fondi, il richiamo dell’attenzione sulle problematiche inerenti alla vita dei
reclusi. La Casa di Accoglienza “San Lorenzo”
che aprirà i suoi battenti il 23 settembre, è nata
e cerca di vivere con questo spirito. È la casa
stessa ad avere bisogno di una rete di attenzione e presa in carico che la sostenga nel suo
esistere quotidiano: perché ci siano persone,
famiglie, comunità che si rendano disponibili ad accompagnare i detenuti e le loro famiglie anche al di fuori del carcere.
« Se nella solitudine si sperimenta la mancanza di comunicazione e l’incapacità di stabilire rapporti umani che non siano strumentali e finalizzati a ottenere un proprio vantaggio,
lo stile cristiano della disponibilità personale e dell’offerta gratuita del proprio tempo offrono una nuova prospettiva, insolita per chi è
abituato a guardare ai rapporti in senso esclusivamente utilitaristico. Relazioni autentiche
ricche di accoglienza e attenzione, permettono di capire i problemi, di cogliere i bisogni
e di scoprire le potenzialità che ogni uomo possiede»4.
* Caritas Diocesana
1CARITAS ITALIANA, Liberare la pena. Comunità
cristiana e mondo del carcere, Percorsi
Pastorali, Bologna 2004, 18.
2 CARITAS ITALIANA, «Da questo vi riconosceranno…» (Gv 13,35): La CAritas Parrocchiale,
EDB, Bologna 2003, 25.
3 CARITAS ITALIANA,Lo riconobbero nello spezzare il pane. Caritas Italiana – Carta
Pastorale; EDB, Bologna 1996, 29-30.
4 C ARITAS I TALIANA , Liberare la pena.
Comunità cristiana e mondo del carcere, Percorsi
Pastorali, Bologna 2004, 15.
Da una generazione all’altra...
Breve riflessione personale
Guido Basile
Cristo è risorto per la nostra salvezza. Questa
la sintesi del nostro credo cristiano. Ed il sunto
più immediato di questa nostra fede è racchiuso
nel segno della croce:
“Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo”. Tre Persone un solo Dio !
Non è che tutti i giorni – finchè mio padre è vissuto- mi capitasse spesso di parlare con lui di
argomenti trascendentali e dell’esigenza delle nostre
anime di una ricerca oltre le cose del mondo. In
famiglia c’erano comunque mille occasioni per riflettere sulla presenza di Dio nella nostra esistenza e credere con cuore sincero. In tutti gli anni
vissuti assieme, tante volte mi è accaduto di incontrare il suo sguardo: a volte benevolo, a volte accigliato, altre volte molto esigente o più o meno soddisfatto circa i miei comportamenti e la mia complessiva condotta. In tante occasioni, indagando
sui suoi come sui miei pensieri più profondi, era
facile incrociare un sorriso o scoprire piccoli reciproci smarrimenti per alimentare quel bene che
alla fine trovavamo essere sempre più grande.
Il tempo, gli anni, le stagioni della vita mi hanno
offerto non poche esperienze che ho condiviso con
i miei genitori. Momenti ricchi di felicità ma pure
dure prove del vivere quotidiano. I miei primi passi da bambino, la scuola , lo studio, i risultati che
andavo ottenendo, le inquietudini da adolescente, e poi le prime scelte ( quelle che si fanno crescendo e forse comuni a tanti giovani che intendono stravolgere ogni insegnamento tradizionale) e poi ancora da adulto il lavoro e tutte le prove della vita. Quando sei solo e devi decidere tra
le possibili soluzioni. Ogni tua decisione determina una data conseguenza. Scelte ( non sempre le migliori) e risultati rapportati spesso all’impegno profuso.
(continua alla pagina seguente)
9
Settembre 2005
Speciale Convegno
Nicolino e Dorina Tartaglione
Le "famiglie cristiane" sono aiutate ad essere Chiesa
domestica, il loro ruolo principale di trasmissione
della fede è considerato un fatto privato o ecclesiale, la prassi pastorale mette in evidenza il legame strutturale essenziale che lega la Chiesa alla
famiglia? Nel documento "comunione e comunità" del 1980 i vescovi precisano che la COMUNIONE è quel dono dello Spirito Santo per il quale l'uomo non è più solo né lontano da Dio, ma è
chiamato ad essere parte della stessa comunione che lega fra loro il Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, quindi il tutto nasce dalla comunione Trinitaria,
e si concretizza nella comunità, ovvero la Chiesa
nelle sue strutture.
Tra questa comunione sorgiva e la Chiesa nel territorio (diocesi, parrocchia, …), la famiglia, come
chiesa domestica, dove si colloca?
La famiglia non si regge unicamente sulla volontà di comunione degli sposi, ma ha la sua ultima
matrice, nel Mistero Trinitario. Se voglio capire l'intimo della famiglia, devo far riferimento alla Trinità,
per cui l'istituzione Chiesa non può entrare in col(sugue dalla pagina precedente)
La valigia dei tuoi sogni sempre piena ed il mondo attorno con cui confrontarti sempre più di
frequente. Il mondo con le sue contraddizioni
ed i suoi interrogativi ogni momento più
inquietanti. Oggi , nella nostra epoca, è più vasto
lo scenario aperto sull’umanità, riconosciamo
facilmente il diffuso bisogno religioso, le nostre
ambiguità e incertezze, la nostra fragilità.
Di giorno in giorno, lentamente, ho modo di
apprezzare quello che mio padre e mia madre
hanno fatto per me e per la mia famiglia.
Nell’esistenza che ho sin qui vissuta ho fatto
esperienza non solo di libertà, di giustizia e di
amore, ma anche di sacrificio , sofferenza e dolore.
Quando perciò mi domandano se ho fede nell’insegnamento dell’annuncio cristiano, riscopro con gioia l’impegno dell’uomo e tutta la complessità di ogni giorno della vita. Non mi rima-
lisione, ma in coesistenza. A questo va aggiunto
che la famiglia è fondata sul sacramento delle nozze. E questa grazia sacramentale non è mai approfondita abbastanza, cosi come il rapporto tra Eucaristia
e Matrimonio."La famiglia è la concretizzazione del
Cristo Chiesa" Comunione e comunità nella storia al n° 5.
Tuttavia occorre evitare il rischio dell'autosufficienza:
la famiglia non può darsi la Parola, l'Eucaristia,
non può darsi tutta l'autorevolezza. Anche la famiglia ha bisogno dell'autorità del Vescovo, del pastore. Questo legame strutturale rende la famiglia un
soggetto indispensabile.
La pastorale considera oggi la famiglia come un
coefficiente essenziale?
La famiglia non può e non deve essere un settore della pastorale, perché la famiglia è trasversale.
Il problema non è organizzativo, ma di crescita della famiglia nella sua identità. Nella Familiaris Consortio
n. 13 Giovanni Paolo II diceva "Gli sposi sono il
richiamo permanente di ciò che è avvenuto sulla
croce.". Ecco cosa vuol dire essere annunciatori
della Pasqua: gli sposi sono via al mistero di Cristo
per la Chiesa. Sono il primo Vangelo per i figli, è
ne difficile comprendere l’importanza di ogni ora
di questa vita terrena e da dove origina la ferma speranza che mi sostiene anche nei
momenti più difficili .
Così come ricordo l’amore di mio padre e di mia
madre ( che ancora vive) per noi figli, allo stesso modo mi rallegro del messaggio che lo stesso Gesù di Nazaret ha proclamato: “ Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.
Tra gli insegnamenti di vita trasmessi già dai
genitori dei miei genitori e con essi sino a me
distinguo la bontà e l’umiltà, il rispetto del prossimo, il decoro e l’onestà. Tutte le mie speranze
sono custodite nel cuore e trovo nuovo coraggio nel giorno che viene.
Per questa fede che sento racchiusa nel segno
della Croce vivo , come tanti, la mia Pasqua
personale e partecipo a quanti con me, nella
comunità della Chiesa, lodano la
Parola di Dio.
annuncio di nuzialità, è annunzio che Dio vuol fare
famiglia con tutti.
La famiglia è strumento pastorale in sé. Prima
del fare, c'è l'essere: la famiglia in sé, crescendo
in se stessa, diventa efficace. La vita è dentro. Per
cui la comunicazione primaria della famiglia di questo Mistero pasquale è vita da vita, una vita dalla nostra vita.
La fedeltà alla vocazione al matrimonio dipende
da come gli sposi vivono nelle restanti ore al di
là della pastorale: cioè la famiglia, il matrimonio
non può mai by-passare la sua vita, il suo vissuto, perché il suo annuncio è annuncio carne, è annuncio vita, è fermento di vita.
Questi sposi oltre a vivere del mistero di Cristo
che continua in loro, non possono non essere attirati dalla vita parrocchiale, là dove tutti siamo un
solo Corpo in Cristo. Le celebrazioni domestiche,
semplici, richiamano alle celebrazione della
Chiesa, ma non possono sostituirla. La famiglia
è chiamata a dare alla Chiesa quella struttura naturale dentro la quale si può impiantare l'annuncio
evangelico: Cristo. La parrocchia è una rete aggregativa fatta nel nome del Signore; la società è formata da una rete aggregativa naturale che è fatta da Dio: il rischio è di fare, in parrocchia, una
rete aggregativa alternativa a quella naturale. Costruire
Chiesa non è soltanto fare iniziativa, ma essere
talmente coppia, famiglia, da essere un noi che
da anima ai rapporti, che intensifica le relazioni,
fino a far scorrere il sangue di Cristo: questo è carità che non è più una circostanza, ma è l'anima
della Chiesa.
La casa è il luogo del celebrare e dell'intensificare le relazioni, la casa dei cristiani è accogliente
tutti i giorni, e non una corazza di autodifesa, di
autogiustificazione. Bisogna far entrare la Pasqua
qui, altrimenti il cristianesimo non è più l'anima della nostra vita, diventa un formalismo: perché è il
concreto della vita che deve essere il primo conduttore del Vangelo: è nella casa che gli sposi
visibilizzano il mistero di Cristo, non nel fare pastorale. La famiglia è un dono speciale per la pastorale: gli sposi sono un dono specifico di comunione,
ma devono essere capaci di portarla fuori casa,
sostenuti dalla comunità ecclesiale.
10
Settembre 2005
Speciale Convegno
Trasmettere non è solo
‘comunicare’ la fede
Don Dario Vitali
Per rendersi conto dell’importanza del termine, basta richiamare
quanto dice la costituzione del concilio Vaticano II sulla divina
Rivelazione: «Ciò che fu trasmesso
dagli apostoli comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa e all’incremento della fede del
popolo di Dio. Così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel
suo culto, perpetua e trasmette a
tutte le generazioni tutto ciò che
essa è, tutto ciò che essa crede»
(Dei Verbum, n. 8/a).
Ora, ciò che è stato trasmesso
una volta ai santi (Gd 3) deve continuare ad essere trasmesso di generazione in generazione, «finché – come si esprime ancora la Dei Verbum
– giungano a compimento le parole di Dio».
Ora, questo «dinamismo», che include ogni atto
di comunicazione della fede, non dipende anzitutto dall’uomo. Sempre la Dei Verbum chiarisce che «questa tradizione, che trae origine
dagli apostoli, progredisce nella Chiesa sotto
l’assistenza dello Spirito santo». È lo Spirito,
infatti, che conduce la Chiesa a tutta intera la
verità (cfr Gv 16,14) e fa crescere la comprensione
‘Trasmissione’
è più profondo
e più ampio
di ‘comunicazione’
e abbraccia tutta
la storia
della fede
del popolo di Dio
Il Convegno diocesano, che lo
scorso anno ha riflettuto sulla «comunicazione della fede», quest’anno proverà ad approfondire la «trasmissione della fede». Per quanto simili, e spesso usati come sinonimi, i due termini dicono qualcosa di profondamente diverso. Il
primo focalizza soprattutto la parola come strumento di comunicazione e chiarisce il rapporto tra chi
parla e chi ascolta e le condizioni perché tale parola conduca l’«uditore» alla fede: in ultima analisi, la formula verte sull’evangelizzazione e i suoi dinamismi.
«Trasmissione», invece, è termine più profondo e più ampio, che travalica l’atto del solo
comunicare e abbraccia tutta la storia della fede
del popolo di Dio. In italiano il vocabolo, peraltro distorto dall’immagine della «catena di trasmissione», non rende la complessità e la pregnanza del tradere latino, che rimanda alla Tradizione
della Chiesa, tanto in senso oggettivo (il depositum fidei) quanto soggettivo (la Chiesa che
trasmette la Rivelazione affidatale da Cristo).
Sara Gilotta
Che cos’è la fede? Sembra una domanda persino
banale, la cui risposta non può che essere assai semplice: la fede è la capacità di credere (per quanto
riguarda la religione) in un Essere infinito e trascendente
chiamato Dio.
Ma, appena pronunciata la parola Dio, si comprende
tutta la difficoltà di parlare di fede e, soprattutto, di
comprendere il significato profondo e misterioso che
è insito in questo concetto, sul quale hanno scritto
e discusso i più importanti tra i filosofi e pensatori
di tutti i tempi, non solo cristiani, giacché il rapporto con la divinità è nato con l’uomo, abita nel profondo del suo spirito e lo accompagna per tutta la
vita, anche quando egli crede di essere assolutamente alieno da simili preoccupazioni.
Del resto, come dice San Bonaventura, “ab ipsa creatione animae intellectus habet lumen, quod dirigit ipsum
intellectum in cognoscendis et in appetendis”, una
luce, dunque, conduce l’intelletto verso un naturale sentimento del bene e una altrettanto naturale scelta del bene, che è già di per sé qualcosa che conduce verso Dio. Perché il bene è suggerito dalla voce
della coscienza e dalla voce del cuore, che sono poi
la voce stessa di Dio, ubbidire alla quale significa
trovare la vera libertà e la vera dignità.
Ma se Dio è in noi, nel nostro cuore, perché avere
fede sembra diventato, oggi come non mai, tanto
difficile? Ebbene la mia esperienza di insegnante che
ha sempre cercato di essere vicina ai giovani, mi
suggerisce una risposta semplice, ma credo veritiera e concreta fondata sulla speranza, ma anche
sulla consapevolezza che la naturale bontà dei giovani, per essere davvero illuminata dalla fede, ha
bisogno di essere coltivata, ha bisogno di comprendere
bene che la fede non è affatto una limitazione della libertà, ma, semmai, la conquista della vera libertà, quella non sottoposta ai capricci e alle imposizioni del mondo, ma quella davvero individuale, in
cui il senso del retto contiene tutto quanto di bello
c’è nella vita e nella coscienza. Tanto più se si sente vicino Cristo, che non solo vitam resurgendo reparavit, ma che ha saputo per tutto il suo cammino terreno connotare positivamente la vita, aprendo il suo
cuore agli altri, senza passare per la via impervia
del giudizio, ma accogliendo con comprensione ed
affetto chiunque gli si avvicinasse, per chiedere aiuto e conforto.
D’altra parte sono convinta che il messaggio cristiano
si adatta particolarmente ai giovani, che sentono forte il bisogno di qualcosa che dia valore alla vita, li
faccia sentire vivi e attivi nel mondo, per avvicinarsi con maggiore consapevolezza a Dio. Le giornate mondiali della gioventù hanno confermato,
secondo me, la necessità della Chiesa e dei credenti
di sentirsi parte della stessa realtà, quella capace
di coniugare insieme la gioia di vivere che alberga
forte nel cuore dei giovani con le certezze della fede,
La fede si può
insegnare?
Forse,
ma come?
nella quale devono confluire, per trovarvi nuovi significati, i valori terreni e umani nei quali ciascuno esprime e cerca se stesso. La fede, dunque, non deve
essere avvertita come un qualcosa che mortifica e
allontana dalla bellezza della vita, ma come quel principio che è capace di esaltare la libertà personale,
donando dignità e consapevolezza di sé e degli altri.
In questo senso mi sembra importante che il Cristianesimo
e la civiltà in cui esso agisce crescano e si evolvano insieme per perseguire la realizzazione dell’uomo secondo quella totalità dinamica, per cui le scelte che egli compie, giorno dopo giorno, significhino
la ricerca di un orientamento che conduca semplicemente e liberamente alla scelta della Verità.
«tanto delle realtà quanto delle parole trasmesse» (DV 8/b).
La Chiesa ha sempre avuto chiaro questo dinamismo, quando parlava di «custodire»
e «trasmettere» il deposito della fede, vale a
dire le verità rivelate. E se per il passato riservava rigidamente questo compito al solo
magistero, nel Vaticano II ha chiarito, senza peraltro rinnegare la dottrina tradizionale, che tale
compito spetta alla Chiesa intera. E perché l’affermazione non si risolvesse in un nulla di fatto, ha precisato anche chi è a titolo pieno soggetto di questa trasmissione della fede. Ecco
il testo: «la comprensione tanto delle realtà quanto delle parole trasmesse cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che deriva dalle realtà spirituali che sperimentano, sia con la predicazione di coloro che,
con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità» (Dei Verbum,
8/b).
Come si può vedere, la trasmissione della fede
non è «faccenda» per soli preti, e nemmeno per
soli «addetti ai lavori»: per ben due volte sono
menzionati i credenti, e solo per ultimo il magistero della Chiesa. E se la contemplazione e lo
studio può rimandare alla funzione della teologia nella Chiesa, la conoscenza che nasce dall’esperienza chiama tutti a questo dinamismo
ecclesiale della trasmissione della fede. Che sarà
tanto più credibile ed efficace, quanto più sarà
compiuta da una Chiesa che sia «un cuor solo
e un’anima sola» (cfr At 4,32).
In tale ambito sarà chiaro allora che alle domande
urgenti di realizzazione degli scopi fondamentali della vita, si risponderà con quelle scelte che meglio
si confanno con l’ideale cristiano scelto e sempre
basato su un progetto di vita capace di informarsi
continuamente sul rifiuto del male e sulla scelta del
bene. Allora l’adesione alla fede cristiana non sarà
mai un dato come acquisito per sempre, abbandonato nei recessi sconosciuti dell’essere, incapace
di progresso e di effettiva vitalità, ma crescerà insieme all’individuo, a costo di momenti di dubbio e di
debolezza, a costo di momenti di solitudine, soprattutto quando il mondo invita e spinge verso una vita
fatta di apparenze e di facili soddisfazioni che non
vogliono tenere in nessun conto il fatto che non si
può sfuggire per sempre ai richiami della coscienza positiva.
Non si può, infatti, vivere per sempre rifiutando le
esigenze morali e spirituali che spingono verso una
fede libera, a cui si può giungere soltanto educando la persona alla libertà piena e vera, che, poi, è
l’unico mezzo per condurla alla opzione fondamentale,
in cui dice sì a Dio. Allora si può persino prescindere dai singoli comportamenti superficiali che per
motivi contingenti possono sembrare non corrispondere
alla libera scelta di entrare a far parte della storia
della salvezza, così come si deve comprendere che
non si può, nell’educazione, trascurare le condizioni difficili e talora disperate in cui troppi uomini sono
costretti a vivere, ma impegnarsi per costruire i presupposti concreti nei quali dare a tutti la possibilità
di scegliere al meglio il cammino esistenziale e religioso da intraprendere.
Se si vuole, dunque, che la fede sia l’aspirazione
centrale della vita, si deve, secondo me, iniziare dalle condizioni e dagli aspetti inerenti la realtà immanente, che non può contrastare con quella trascendente,
la quale, al contrario, troverà la sua vera realizzazione lì dove l’uomo diventerà capace di amare liberamente. E i giovani tra tutti meglio rispondono a questa esigenza, perché sono capaci di maggiore spontaneità e generosità ed hanno bisogno di andare oltre
le apparenze e la superficialità spesso dannose e
sempre insoddisfacenti in cui il nostro tempo li costringe a vivere e ad agire.
11
Settembre 2005
Speciale Giornata Mondiale della Gioventù
Colonia 2005: Noi giovani siamo venuti
per adorarlo
Gruppo Giovani di Gavignano
Lunedì 15 Agosto 2005 ore 20,00 Dusseldorf
(Garath): dopo la proiezione di un breve filmato sulla GMG, noi giovani della diocesi ci
siamo ritrovati sotto la pioggia alla ricerca dei
nostri alloggi: iniziò così la caccia al tesoro!
Ore 22,00: chi bene chi male un posto dove dormire l’ha trovato!
Martedì 16 Agosto 2005: è iniziata la preparazione per incontrare il Papa sulla spianata di
Marienfeld.
Ogni giorno ci si alternava tra preghiere, catechesi, celebrazione eucaristica e momenti in cui
potevamo avvicinarci al sacramento della
Riconciliazione.
Interessanti ed emozionanti si sono
rivelati i due incontri di catechesi
tenuti dai vescovi di Reggio Emilia
e Novara.
Il tema del primo incontro è stato: “L’EUCARISTIA” sviluppato
attraverso la riflessione su i tre
verbi: VEDERE, INCONTRARE e ADORARE.
La seconda catechesi invece, noi
giovani, l’abbiamo ritenuta più
interessante: non è stato soltanto un “monologo”, ma un vero
e proprio dialogo. Infatti il
vescovo di Novara, dopo aver scosso le nostre coscienze portandoci
a riflettere su una fede da vivere più che da conoscere, ha lasciato ampio spazio alle testimonianze
di noi giovani sul come abbiamo incontrato Cristo nella quotidianità.
Tra le tante testimonianze quella che ancora risuona nelle nostre menti è stata quella della sorella di Luca, un ragazzo affetto dalla sindrome
di Down, che grazie al dono della fede è riuscito ad accettare la diversità del fratello e a vivere con maggiore impegno le sue scelte.
La GMG non è stato soltanto questo, non sono
mancati infatti anche i momenti di festa.
Il primo è stato la celebrazione eucaristica di
benvenuto da parte del cardinale di Dusseldorf,
che purtroppo abbiamo potuto seguire solo attra-
verso la radio.
Non possiamo dimenticare l’emozione che
ha suscitato il meeting
tra noi e i giovani di
origine italiana residenti in Germania
tenutosi nello stadio
di Colonia con la
presenza di artisti,
gruppi musicali, e
introdotto da un
momento di preghiera
presieduto dal cardinale Camillo Ruini che
ha consegnato, a nome dei giovani della Chiesa
Italiana, la croce di S. Damiano e la statua della Madonna di Loreto, alla chiesa di Colonia.
Finalmente è arrivato il tanto atteso giovedì 18
agosto: in massa ci siamo ritrovati lungo le sponde del fiume Reno per accogliere il Santo Padre.
Grande è stata la nostra gioia nel vedere su un
battello “un puntino bianco” che salutava la folla che lo acclamava dicendo: “Viva il Papa”.
Eccoci finalmente arrivati al giorno del pellegrinaggio e come i Magi ci siamo messi in cammino per incontrare il successore di Pietro. Dopo
qualche ora di cammino siamo
giunti alla spianata Marienfeld
dove è iniziata l’attesa per
incontrare Benedetto XVI e
vivere gli ultimi momenti della GMG: la veglia di preghiera
e la celebrazione Eucaristica.
Forti sono state le parole che il
Papa ha rivolto a noi giovani durante la Veglia: “…la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazaret nascosto nell’Eucaristia…”.
Queste parole del papa sono parole che devono diventare per noi
un impegno a far vivere nelle nostre
parrocchie le emozioni e le esperienze che abbiamo provato in questi giorni.
Grande è stata la nostra gioia nel vedere tanti giovani come noi provenienti da tutte le parti del mondo accomunati dallo stesso desiderio: “Incontrare Gesù”.
Vogliamo credere che questa esperienza sia stata una crescita nella fede per tutti i giovani così
da poter vivere le parole che il Papa ci ha affidato alla fine della GMG, di essere noi i Magi
di questo tempo, che ritornati nelle nostre realtà possiamo testimoniare la bellezza del
Vangelo.
12
Settembre 2005
Speciale Giornata Mondiale della Gioventù
Le mie GMG
Patrizio Fanfoni (Valmontone)
Tutto è iniziato nel 1997, per me, con la GMG di Parigi, per caso, o
forse provvidenzialmente. Avevo ventun anni e certo non mi aspettavo un’ accoglienza come quella che abbiamo ricevuto:una città come
Parigi non era pronta, almeno all’inizio, ad essere invasa e sconvolta
da tanti giovani insieme. Piano piano però il suo atteggiamento è
cambiato, anche i francesi sono stati conquistati dalla gioia travolgente dei giovani e del Papa.
Roma è stata ancora diversa, era la mia seconda GMG ed ero
volontario nel mio paese che ha accolto giovani di nazionalità diverse; è stata vissuta così più nel mio paese che a Roma
ma indimenticabili sono state le confessioni al Circo Massimo
e la veglia con Giovanni Paolo II.
“Se sarete quello che dovete essere metterete fuoco in
tutto il mondo”ancora risuonano nel mio cuore frasi
come queste. Il Papa sembrava parlare ad ognuno di
noi personalmente.
Di Toronto ricordo la gioia della condivisione con
il mio gruppo, i cori nelle strade, il calore delle famiglie che mi hanno ospitato. La cosa che
mi ha colpito è stata la capacità della gente
canadese di aprire il proprio cuore e la propria casa completamente: ognuno con le
sue possibilità, ma senza risparmio di energie, con spirito di sacrificio, in nome
di un amore più grande che unisce tutti i popoli al di là della nazionalità.
Infine Colonia un’esperienza fuori dal comune, con il nuovo Papa
che ha una personalità forte, che
è imponente e parla con la sicurezza di chi sa vedere cosa accade nel mondo. Questa ultima GMG mi ha deluso
rispetto a tanti fronti,
soprattutto per l’organizzazione ma tutto
sommato il vero
scopo della GMG
è adorare Cristo
presente in mezzo a noi e questo nessuno
può togliercelo.
I superstiti della GMG (da Valmontone)
Finalmente sani e salvi!Da
che cosa? Dalla XX
Giornata mondiale
della
Gioventù
a Colonia,
siamo giunti a
questa conclusione: la prima,
e più importante, è
che il nostro Papa ha
saputo rispondere alle
aspettative di noi giovani.
Il pellegrinaggio è cominciato con ben 24 ore di pullman per arrivare a destinazione, rispetto alle 18 previste,
accompagnati dalla gentile voce
del computer satellitare che ripeteva invano la strada agli autisti stremati, mai quanto noi! Dopo aver attraversato in lungo e in largo l’Europa centrale siamo finalmente giunti nell’isola felice del Granducato del Lussemburgo, dove
tutti sanno dove devono andare e come poterci arrivare (tram, autobus, treni…). Dopo una
settimana piacevole trascorsa con i nostri amici lussemburghesi, è arrivato il momento di partire per la Germania.
15 Agosto. Arrivo a Dusseldorf che ci ha ospitato
per la settimana della GMG. Il tempo ha cominciato
a dare segni di squilibrio, presagio di quanto sarebbe
avvenuto: una pioggia torrenziale ha inzuppato tutti noi,
rovinando la misera
cena che ci era stata
consegnata.
Pur essendo a soli 25
Km di distanza da
Colonia, Dusseldorf ci
ha fatto capire subito che
lo spostamento sarebbe stata una vera e propria caccia al tesoro.
Stazioni affollate; treni piccoli e rari, in grado di cambiare binario in meno di un secondo, proprio mentre il tuo
piede sta per salire e
sei ormai convinto di
avercela
fatta.
Capistazione inesistenti
che appaiono solamente per farti sbagliare strada. Metropolitane numerate come ad un’estrazione del lotto,
dove era impossibile non rimanere incastrati tra la folla scalpitante.
21 Agosto. Partenza da Marienfield, luogo dell’incontro con il Santo Padre. Un milione di giovani si sposta in massa verso la stazione di Colonia, ignaro del fatto che gli “organizzatissimi”
tedeschi l’avessero tempestivamente chiusa, per evitare che fosse tutto troppo semplice.
Così, alcuni gruppi, tra cui il nostro, su suggerimento della polizia tedesca, sono stati dirottati verso un paesino, vicinissimo per loro, ma in realtà a 15 Km di distanza per noi!
Stremati per le difficoltà tecniche, abbiamo intrapreso il viaggio di ritorno verso casa, contenti di portare nel cuore le parole piene di speranza di Benedetto XVI.
In
viaggio
cercando
di arrivare
a Colonia
13
Settembre 2005
Speciale Giornata Mondiale della Gioventù
Le immagini riportate
nello speciale Giornata
Mondiale della Gioventù
riguardano l’accoglienza
dei giovani della nostra
Diocesi
in Lussemburgo
(ricambiando
il gemellaggio
con la folta
comunità ospitata
a Valmontone
per la GMG del
2000 a Roma),
poi a Dusseldorf
e, infine,
alcuni momenti
della giornata
finale
sulla spianata
di Marienfield
a Colonia
Un piccolo
paese
con un
grande
cuore...
I giovani della Concattedrale di
Segni
Sì, è questa la prima definizione che ci
viene in mente pensando al Lussemburgo,
all’apparenza piccolo ma con un grande cuore che, per sei giorni, ha pulsato per noi.
Dopo 24 ore su un autobus, le gambe indolenzite, le borse sotto gli occhi, arriviamo in
Francia: una sosta per il pranzo,la Messa e
si riparte.
Mercoledì 10, ore 19.00: eccoci finalmente alla
nostra fermata, Pontpierre nel sud del
Lussemburgo.Carichi dei nostri zaini veniamo
accolti da flash, applausi e grida di benvenuto,
nonché da una tavola imbandita solo per
noi.Veniamo poi assegnati alle famiglie e inizia
l’avventura!
Consiglio pratico: per andare in Lussemburgo occorre sapere molte lingue, ultima delle quali l’italiano.
Noi l’abbiamo imparato a nostre spese, comunicando a gesti e mescolando lingue diverse, pur di farci
capire!
In questi giorni la diocesi è stata divisa in tre gruppi:
oro, incenso e mirra (riferendosi ai doni che i Magi hanno offerto a Gesù Bambino).Tali gruppi hanno svolto varie
attività alternandosi in tre città differenti: Lussemburgo,
Clervaux e Esch sur Alzette. Si passa dal sepolcro dei Granduchi
alla miniera dismessa, dall’abbazia benedettina alla capitale versione notturna…ma ognuno ha scelto la propria attività nell’insieme variegato di proposte. Giovedì 11, durante la cerimonia d’apertura, i gruppi ospitati si sono presentati ognuno a proprio modo, e anche noi, tra danze e canti
multietnici, abbiamo avuto l’occasione di mostrare il nostro
entusiasmo. In tale turbinio di cose da fare, c’è sempre tempo per entrare in chiesa e inginocchiarsi per l’adorazione eucaristica. E poi la messa internazionale, dove magari ti sfugge il
senso della lettura perché è in giapponese o ti perdi tra il francese e il lussemburghese, ma al Padre Nostro ti ritrovi ad essere parte di un unico corpo in cui ognuno, nella propria lingua, innalza la preghiera al Padre; capisci così che, quell’unico Pane spezzato è ciò che veramente ci “internazionalizza”. Si finisce per condividere anche le cose più semplici come ad esempio la preghiera
di ringraziamento per il pasto quotidiano…e si impara in questo modo
che il “Buon appetito” in giapponese è “Ittadakimass”!…Ma anche
gli altri hanno imparato qualcosa da noi, come ad esempio giocare a
carte…e quando mangiamo, balliamo, cantiamo, preghiamo insieme,
ci si sente tutti fratelli. Storia di un gemellaggio che, lunedì 15 giunge al termine. La cerimonia conclusiva ad Echternach è una grande festa:
dopo la messa si entra nel duomo a passo di danza, come vuole la tradizione lussemburghese, per visitare e pregare sul sepolcro di S.Villibrordo,
patrono del Granducato.
Occorre aggiungere dopo tutto, che senza la generosità e la disponibilità
delle famiglie ospitanti non avremmo avuto un soggiorno tanto piacevole…le ringraziamo calorosamente perché dal loro esempio abbiamo compreso il vero senso dell’ “accoglienza” e possiamo dire, senza retorica: “eravamo forestieri e ci hanno accolto”.
GRAZIE LUSSEMBURGO!!
14
Settembre 2005
«Alla scuola di Maria, donna “eucaristica”»
L’ultimo capitolo dell’enciclica ECCLESIA DE EUCHARISTIA
Don Dario Vitali*
Il sesto e ultimo capitolo dell’enciclica (nn. 53-58) tratta un
tema inusuale per la pubblicistica teologica, non per papa
Wojtyla: Maria e l’Eucarestia.
È il pontefice stesso a rimarcare questo fatto, rilevando che
«a prima vista il vangelo tace
su questo tema. Nel racconto
dell’istituzione, la sera del
Giovedì Santo, non si parla di
Maria».
Come è possibile, allora, affermare che «Maria ci può guidare
verso questo Santissimo
Sacramento, perché ha con
esso una relazione profonda»?
Che consistenza può avere il titolo di «donna eucaristica» tributato
a Maria?
Le «prove» addotte dall’enciclica sembrano, sostanzialmente, tre. Una, dedotta dal
Nuovo Testamento, argomenta a partire dal fatto che «Maria
era presente tra gli Apostoli, “concordi nella preghiera”, nella prima comunità radunata dopo
l’Ascensione in attesa della
Pentecoste»; presenza che si estendeva alle celebrazioni eucaristiche della prima comunità, dal
momento che i primi cristiani
erano “assidui nella frazione del
pane”.
Un’altra si appoggia a
un’argomentazione di carattere dottrinale: esistendo un nesso inscindibile tra Eucaristia e
Chiesa, ma anche tra Chiesa e
Maria, deve darsi anche un rapporto tra Maria e l’Eucarestia.
Si può riscontrare questo ragionamento proprio in apertura del
capitolo: «Se vogliamo riscoprire in tutta la sua ricchezza
il rapporto intimo che lega Chiesa
ed Eucaristia, non possiamo
dimenticare Maria, Madre e modello della
Chiesa»; al n. 57 ribadirà poi che, «se Chiesa
ed Eucaristia sono un binomio inscindibile,
altrettanto occorre dire del binomio Maria
ed Eucarestia». D’altronde, Giovanni Paolo
II amava queste «saldature» teologiche
audaci, soprattutto nel campo della mariologia: basta pensare a come, nella Redemptoris
Mater, ripropone l’idea di una mediazione
di Maria in forza della relazione unica della Madre con il Figlio, parlando di «mediazione materna»; o a quando, per la stessa ragione, ha sostenuto che nella fede Maria “non
poteva non sapere” della resurrezione del Figlio
già prima del suo annuncio, benché i testi
del Nuovo Testamento nulla dicano sull’argomento.
La terza si muove sul registro dell’esemplarità,
ed è quella sulla quale maggiormente insiste l’enciclica: «Al di là della sua partecipazione al convito eucaristico, il rapporto di
Maria con l’Eucarestia si può indirettamente
delineare dal suo atteggiamento interiore. Maria
è donna “eucaristica” con l’intera sua vita.
La Chiesa, guardando a Maria come a suo
modello, è chiamata ad imitarla anche nel
suo rapporto con questo mistero santissimo».
I nn. 54-58 scandiscono in che cosa consista questa esemplarità di Maria per la Chiesa
anche riguardo all’Eucarestia. Anzitutto, «se
l’Eucarestia è mistero di fede che supera tanto il nostro intelletto da obbligarci al più puro
abbandono alla parola di Dio, nessuno
come Maria può esserci di sostegno e di guida in simile atteggiamento». Il «fate questo
in memoria di me» può essere meglio com-
preso alla luce dell’invito di
Maria: «Fate quello che vi
dirà» (Gv 2,5).
Il carattere “mariano”
dell’Eucarestia è approfondito poi alla luce del mistero dell’Incarnazione: in
ragione di tale evento, nel
quale ella è diventata “tabernacolo” della presenza di Dio,
«Maria ha esercitato la sua
fede eucaristica prima ancora che l’Eucarestia fosse istituita»: ella, infatti, «concepì
nell’Annunciazione il Figlio
divino nella verità anche fisica del corpo e del sangue,
anticipando in sé ciò che in
qualche misura si realizza
sacramentalmente in ogni credente che riceve, nel segno
del pane e del vino, il corpo e il sangue del Signore».
Per questo il suo fiat è modello e misura dell’amen che
ogni fedele pronuncia quando riceve il corpo del
Signore.
D’altra parte, «Maria fece
sua, con tutta la vita accanto a Cristo, la dimensione
sacrificale dell’Eucarestia»:
«preparandosi giorno per giorno al Calvario, Maria vive
una sorta di “Eucaristia
anticipata” si direbbe una
“comunione spirituale” di desiderio e di offerta che avrà
il suo compimento nell’unione con il Figlio nella passione».
Ma è sul Calvario che trova compimento la dimensione
“mariana” dell’Eucarestia.
Infatti, se «nel memoriale
del Calvario è presente tutto ciò che Cristo ha compiuto
nella sua passione e nella sua
morte», in questo memoriale
è compreso il dono di Maria alla Chiesa: «Maria
è presente, con la Chiesa e come Madre della Chiesa, in ciascuna delle nostre celebrazioni eucaristiche».
Per questo la Chiesa, se vuole vivere pienamente l’Eucarestia, deve «fare suo lo spirito di Maria» espresso nel Magnificat. Rileggere
quel cantico in chiave eucaristica significa
scoprirvi la lode e il rendimento di grazie,
la memoria delle meraviglie compiute da Dio,
la tensione escatologica: tutte dimensioni eucaristiche. «Se il Magnificat esprime la spiritualità di Maria – conclude Giovanni Paolo
II – nulla più di questa spiritualità ci aiuta
a vivere il mistero eucaristico. L’Eucarestia
ci è data perché la nostra vita, come quella
di Maria, sia tutta un magnificat!».
* Parroco e teologo
15
La dottrina Eucaristica
dal II al XIII secolo
SINTESI STORICA - Parte Quinta
Stanislao Fioramonti
IX. Nella seconda metà del XII secolo l'elaborazione della dottrina eucaristica maturata ulteriormente con GRAZIANO, monaco camaldolese e professore di Diritto a Bologna, il cui "Decretum"
(circa 1140) - redatto sulla base delle Scritture,
dei canoni conciliari e delle decretali pontificie
- rappresentò la base del Diritto canonico medievale; e con PIETRO LOMBARDO, professore
e poi vescovo di Parigi, autore di una raccolta
di "Sentenze" dei maggiori teologi, che fu il testo
di riferimento per gli studi futuri fino al
Rinascimento e che ebbe grande influenza anche
su Innocenzo III. Altre "Sententiae" compilò il
senese ROLANDO BANDINELLI, professore
di Diritto a Bologna prima di diventare papa Alessandro
III e coniatore del termine eucaristico di transustanziazione; e altre ancora furono raccolte da
ROBERTO DI MELUN, inglese, professore di
Dialettica dopo Abelardo e poi di Teologia a Parigi,
vescovo di Herford, avversario dei Vittoriani e
di Pier Lombardo e difensore di Abelardo in una
questione trinitaria. Infine BALDOVINO arcivescovo di CANTERBURY scrisse due trattati
sull'Eucaristia.
Anche la fine del secolo fu turbata dalle eresie:
quella dei "Poveri di Lione", fondati da Pietro
Valdez, un mercante che nel 1174 dette tutto ai
poveri e si mese a predicare il Vangelo. E predicò anche (predica già sentita, n.d.C.) che gli
atti compiuti da un sacerdote indegno sono invalidi, mentre ogni fedele che osserva il Vangelo
è sacerdote. I VALDESI si diffusero nel nordItalia e durarono nel tempo fino ai nostri giorni, benché condannati da Lucio III a Verona (1184)
e poi dal Concilio Lateranense IV di Innocenzo
III (1215).
L'eresia del piacentino UGO SPERONI, professore
di Diritto Romano a Bologna e console "ghibellino"
di Piacenza (1164-71), si dirige anch'essa contro i sacerdoti e la religione: i primi incapaci per
la loro indegnità di purificare i fedeli e quindi
anche di realizzare i sacramenti, che egli respinge, contando per lui solo la santità di vita. Quanto
all'Eucaristia, egli la rifiuta come Comunione,
sacrificio e culto, considerandola una materializzazione idolatria; ammette però il banchetto
commemorativo dell'Ultima Cena e sostiene che
il pane benedetto da Gesù non è il suo corpo ma
solo il segno di esso. Vi saranno "SPERONISTI"
fino alla fine del '200 (cf Ilarino da Milano in
Enciclopedia Cattolica, XI, 1114, Città del vaticano, 1953).
X. Il secolo XIII è il secolo di INNOCENZO
III: sedici dei diciotto anni del suo grande pontificato occupano il primo quarto del Duecento
e segnano fortemente gli altri tre quarti, soprattutto dal punto di vista religioso ed ecclesiale,
a dispetto della maggior parte dei suoi critici che
ne evidenziano soprattutto le imprese temporali e la attività politica. Vedremo più avanti in modo
approfondito il contributo da lui portato alla que-
stione eucaristica, sia dal punto di vista teologico che liturgico. Dobbiamo però anticipare che,
ancora da cardinale e poi da pontefice appena
eletto, dimostrò la sua "passione" eucaristica con
quel "De Sacro Altaris Mysterio" in sei parti o
libri il quarto dei quali, il più ricco dottrinalmente,
è interamente dedicato al sacramento dell'Eucaristia;
un trattato definito da M. Mignone (in
Enciclopedia Liturgica, Ed. Paoline, Alba 1957,
cap. 18) "uno dei più importanti libri di liturgia
del Medioevo". Un trattato occasionato probabilmente come risposta alle numerose eresie allora presenti nella compagine ecclesiastica: Valdesi
e Catari soprattutto, chiamati Albigesi in Francia
e "Patarini" in Lombardia, Emilia-Romagna e perfino nel cuore delle terre pontificie, a orvieto e
a Viterbo, nemici dichiarati dell'Ostia consacrata.
E C'erano poi i seguaci di GIOACHINO DA FIORE, l'abate calabrese predicatore di una Chiesa
nuova in un'epoca nuova, quella dello Spirito Santo,
caratterizzata dalla pienezza della grazia e
governata dall'"Evangelo eterno", ma la cui dottrina trinitaria INNOCENZO III dovette condannare
in Concilio nel 1215. Nella stessa sede "anatemizzò" pure la dottrina di AMALRICO DI BENE,
maestro di Dialettica e poi di Teologia a Parigi,
assertore di un panteismo che prescindeva, ansi
svalutava, ogni rito e ogni sacramento, e che rifiutava il paradiso perché convinto di vivere nell'età dello Spirito Santo (come Gioachino), tanto che i suoi seguaci, gli eretici Amalriciani, erano noti come i "Fratelli del Libero Spirito".
Ma il XIII è anche il secolo che vide nascere i
due maggiori Ordini Mendicanti della Chiesa,
Predicatori e frati Minori. Il fondatore dei primi, DOMENICO DI GUZMAN, in un periodo
in cui la celebrazione quotidiana della messa da
parte dei sacerdoti non era affatto un'abitudine,
"celebrava la messa con devozione, molto
spesso e anche ogni giorno" e "all'elevazione e
alla comunione appariva come "trasportato" e particolarmente al Canone e al Pater Noster si vedevano sempre i suoi occhi e il suo volto inondarsi
di lacrime (…), cosicché la sua devozione balzava agli occhi di tutti i presenti" (G. Bedouelle,
Domenico, la grazia della parola, Borla, 1984,
p. 209).
FRANCESCO D'ASSISI poi, nelle "Fonti
Francescane", ci dà continui esempi di venerazione dell'Eucaristia e dei sacerdoti che la celebravano (egli era un semplice diacono); si comunicava spesso e amava la Francia perché era devota del Corpo del Signore, e desiderava morire
in quella terra per la venerazione che aveva dei
sacri misteri (FF 789). Noi abbiamo visto il decisivo contributo dei teologi francesi per lo sviluppo della teologia eucaristica; e forse Francesco
aveva avuto quelle impressioni nei suoi giovanili viaggi d'affari col padre, prima della sua conversione; ma forse quel suo entusiasmo era ancor
più recente, determinato dal rifiorire del culto eucaristico in Francia e in Belgio all'inizio del secolo, come gli raccontò forse il vescovo Giacomo
di Vitry, già artefice di quel rifiorire quando era
Settembre 2005
parroco di Argenteuil e poi canonico di Oignies
presso Namur, la cittadina da cui proveniva Maria
di Oignies, una delle più zelanti adoratrici eucaristiche nella chiesa di S. Cristoforo a Liegi. Francesco
e Giacomo di Vitry si incontrarono a metà luglio
del 1216 a perugina in occasione dei funerali di
Innocenzo III, il pontefice che dette il "primo sigillo" alla "religione" francescana (cf Divina Commedia,
Paradiso, XI, 91).
IX. Come erano stati devoti dell'Eucaristia Francesco
e Domenico, così lo furono i loro figli spirituali; in primo luogo CHIARA DI ASSISI, che proprio adorando le sacre specie riuscì per due volte a scongiurare l'invasione del convento di S.
Damiano da parte delle truppe imperiali di passaggio ad Assisi (FF 3201, 3203); e che alle sue
"Povere Dame", prescriveva la Comunione sette volte l'anno (Natale, Giovedì Santo, Pasqua,
Pentecoste, Assunzione, S. Francesco, Ognissanti)
(FF 2770), lei che invece a imitazione del suo
padre Francesco si comunicava spesso (FF 1164).
Era francescano ANTONIO DI PADOVA, originario di Lisbona, che all'età di 27 anni, nel 1222,
fu protagonista di un miracolo eucaristico
straordinario; predicava a Rimini, importante città dell'Adriatico con una forte presenza di catari che lo contestavano, "ma egli confutò le loro
astute affermazioni più luminose del sole" e "l'efficacia della sua parola e la sua luminosa dottrina misero così profonde radici nel cuore degli
oppositori che, eliminata l'impurità dell'errore,
una piccola turba di credenti si riaccostarono fedelmente al Signore". Non tutti, però: un certo Bonvillo,
che non credeva alla presenza reale di cristo nelle specie consacrate, sfidò Antonio che avrebbe creduto solo se avesse visto una mula, affamata da alcuni giorni di digiuno, inginocchiarsi davanti all'Ostia santa anziché davanti a un mucchio di biada. Antonio accettò e gli dette appuntamento in quella stessa piazza dopo tre giorni:
lui avrebbe retto l'ostensorio, Bonvillo la mula,
e in mezzo alla piazza il mucchio di biada. Il giorno della sfilata l'animale si piegò subito davanti al frate e il perdente cambiò vita.
Se Antonio di Padova, pur dottissimo, spese la
sua breve vita (36 anni) nella predicazione al popolo, due suoi confratelli rifulsero per sapienza nella facoltà teologica di Parigi, pur non trascurando
l'evangelizzazione degli umili. Se Antonio fu il
"Doctor Evangelicus", ALESSANDRO DI
HALES fu "Doctor Irrefragabilis" per la sua "Summa
Theologiae" forse meno nota ma non meno profonda di quella dell'Aquinate; e BONAVENTURA
DA BAGNOREGIO, "Doctor Seraphicus", non
a caso è considerato il secondo fondatore
dell'Ordine Francescano e uno dei pilastri della filosofia e teologia scolastica per la quantità
e il valore delle sue opere.
Sul versante domenicano, in un Ordine che si
definiva "dei Predicatori" e che sottintendeva "dell'ortodossia contro l'eresia", la preparazione culturale e teologica era un carattere predominante;perciò appartenevano a quest'Ordine alcune
delle più grandi menti nella storia del pensiero
mondiale. Pensiamo solo, in campo teologico,
al beato PIETRO DI TARANTASIA, che fu il
primo papa domenicano della storia (Innocenzo
V); ad ALBERTO DI COLONIA, professore a
Parigi significativamente soprannominato
“Magno”, il Grande; e in campo eucaristico al
più grande di tutti, TOMMASO D'AQUINO, “Doctor
Angelicus”.
16
Settembre 2005
Chiesa
Il diacono permanente:
prete mancato o laico maggiorato?
Diacono Giorgio Safina
Il Concilio vaticano II ha ripristinato il diaconato
permanente dando ai vescovi la possibilità di poterlo conferire, in forma permanente, pure a uomini
sposati. Prima del Concilio era rimasta la figura del
diacono transeunte che, dopo circa sei mesi dall'ordinazione diaconale, veniva ordinato sacerdote. Il
diacono permanente, con
la sua ordinazione, viene
inserito nell'ambito del clero, anche se sposato e con
eventuali figli. Leggiamo
infatti alla fine del n° 29
della Costituzione sulla
Chiesa: "Col consenso
del Romano Pontefice
questo diaconato potrà
essere conferito a uomini di matura età anche viventi nel matrimonio e così
pure a giovani idonei,
per i quali però deve
rimanere ferma la legge del
celibato". Il diacono permanente, lungi dall'essere un "laico maggiorato"
o un "prete mancato", fa parte del clero in quanto, con l'ordinazione, viene legittimamente incardinato nella diocesi di appartenenza. I suoi compiti sono elencati sempre al n. 29 della citata Costituzione:
"…E' ufficio del diacono…amministrare solenne-
mente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il viatico ai moribondi,
leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera
dei fedeli, amministrare i sacramenti, dirigere il rito
funebre e della sepoltura…". Il ruolo del diacono
non abbraccia comunque
solo l'ambito descritto,
essendo ancora tutto da
scoprire, a oltre quarant'anni dalla sua reintroduzione. Chi ha scelto di diventare diacono
lo ha fatto nella consapevolezza di essere diacono per sempre, per servire il Signore, rispondendo alla Sua chiamata non per il sacerdozio,
ma per il ministero, in
umiltà, con amore e
dedizione, senza pretendere nulla. Con l'unico desiderio di dedicare al Signore e al prossimo il tempo condiviso tra l'impegno del lavoro
e la famiglia. In passato, uomini che potevano accedere al sacerdozio hanno preferito restare diaconi
per sempre, come san Francesco d'Assisi. E' una
scelta che va rispettata e che deve far riflettere e,
per quanto possibile, compresa.
23 ottobre - Giornata Missionaria Mondiale
La COLLETTA IMPERATA del
giorno deve essere destinata - integra - al fondo universale delle
Pontificie Opere Missionarie, a cui
attingono tante realtà missionarie che non hanno benefattori propri.
Ad ogni messa la colletta una sola,
appunto quella per le Missioni.
Le assemblee eucaristiche siano
opportunamente motivate mediante affissione di manifesti, monizioni e la stessa omelia.
Le regole di cui sopra valgono non
solo le parrocchie ma per tutte le
chiese e oratori che di fatto siano abitualmente aperti ai fedeli.
(can 1266 CIC)
Venticinquesimo
della professione
religiosa
di suor Virginia
e suor Carola
Nel giorno della festa di Maria Santissima Assunta in cielo, nella
Cappella della casa di cura S.
Raffaele di Velletri, si è svolta una
solenne celebrazione Eucaristica, presieduta da Monsignor Andrea Maria
Erba, per il 25° anniversario di
Professione religiosa di due sorelle:
Suor Virginia e Suor Carola della
Congregazione “Suore Ancelle
dell’Immacolata”.
Erano presenti Mons. Michele Basso,
Cappellano del S. Raffaele in Roma,
il Cappellano Mons. Giovanni
Ghibaudo e tante consorelle venute per l’occasione. La Cappella, ornata di tanti fiori bianchi e di luci, emanava gioia di paradiso. I canti, eseguiti dalle consorelle nella lingua polacca, ispiravano armonia e pace.
Nell’omelia Sua Ecc.za si è congratulato
con le festeggiate che hanno risposto « SI », come Maria ed ha augurato loro di essere sempre più unite a Dio nell’amore, nel rispetto di ogni
persona, specialmente dei poveri, come
il fondatore ha raccomandato e ha
augurato che, al più presto, sia scritto nell’album dei Santi. La cerimonia si è conclusa con il canto alla
Madonna: possano le nostre Sorelle,
sotto la Sua materna protezione, trascorrere tutta la vita nelle opere di
bene e per portarne tante al Signore.
17
Settembre 2005
Chiesa
Gli incaricati Mons. Paolo Picca
e don Roberto Mariani
Durante la recita dell’Angelus
di domenica 12 giugno 2005 il
Santo Padre Benedetto XVI, ricordando con gratitudine il Congresso
Eucaristico Nazionale di Bari,
ha invitato ad un incontro con
lui tutti i bambini che quest’anno
hanno ricevuto la Prima
Comunione.
Riportiamo, di seguito il testo del
discorso del Papa:
“Prosegue l’Anno dell’Eucaristia,
voluto dall’amato Papa Giovanni
Paolo II per ridestare sempre più
nelle coscienze dei credenti lo
stupore verso questo grande
Sacramento. In questo singolare tempo eucaristico, uno dei temi
ricorrenti è quello della Domenica,
il Giorno del Signore, tema che
è stato al centro anche del recente Congresso Eucaristico italiano,
svoltosi a Bari. Durante la
Celebrazione conclusiva, io
pure ho sottolineato come la partecipazione alla Messa domenicale
debba esser sentita dal cristiano non come un’imposizione o
un peso, ma come un bisogno e
una gioia. Riunirsi insieme con
i fratelli e le sorelle, ascoltare
la Parola di Dio e nutrirsi di Cristo,
immolato per noi, è una bella esperienza che dà senso alla vita, che
infonde pace al cuore. Senza la
domenica noi cristiani non possiamo vivere.
Per questo i genitori sono chiamati a far scoprire ai loro figli
il valore e l’importanza della risposta all’invito di Cristo che convoca l’intera famiglia cristiana
alla Messa domenicale. In tale
cammino educativo, una tappa
quanto mai significativa è la Prima
Don Augusto Fagnani e Mons. Luigi Vari,
25 anni al servizio del Signore
Il 13 settembre
Mons. Luigi
ricorre il 25°
Vari
anniversario di
Don Augusto
Fagnani e Mons.
Luigi Vari.
Don Augusto
Fagnani parroco a Montelanico, licenziato Don Augusto
in teologia mora- Fagnani
le, insegna religione presso
Colleferro, in passato ha ricoperto diversi incarichi diocesani l’ultimo dei quali come direttore dell’Ufficio Catechistico. Amante della montagna e buon cercatore di funghi.
Mons. Luigi Vari parroco alla Collegiata di Valmontone, Vicario episcopale per la pastorale, licenziato al Pontifico Istituto Biblico è
docente di S. Scrittura all’Ist.to Teologico Leoniano di Anagni e a
Roma presso l’Ist. della S. Croce.
Giungano ai due sacerdoti gli auguri di Mons. Vescovo, dei confratelli della redazione di Ecclesìa e della comunità diocesana.
Comunione, una vera festa per
la comunità parrocchiale, che accoglie per la prima volta i suoi figli
più piccoli alla Mensa del
Signore. Per sottolineare l’importanza di questo evento per la
famiglia e per la parrocchia, il
15 ottobre prossimo, a Dio piacendo, terrò in Vaticano uno speciale incontro di catechesi con
i bambini, in particolare di Roma
e del Lazio, che durante quest’anno hanno ricevuto la
Prima Comunione. Questo
festoso raduno verrà a cadere
quasi alla fine dell’Anno
dell’Eucaristia, mentre sarà in
corso l’Assemblea Ordinaria del
Sinodo dei Vescovi incentrata sul
mistero eucaristico. Sarà una circostanza opportuna e bella per
ribadire il ruolo essenziale che
il sacramento dell’Eucaristia riveste nella formazione e nella crescita spirituale dei fanciulli.
Affido fin d’ora questo incontro alla Vergine Maria, perché
ci insegni ad amare sempre più
Gesù, nella costante meditazione
della sua Parola e nell’adorazione della sua presenza eucaristica, e ci aiuti a far scoprire
alle giovani generazioni la
“perla preziosa” dell’Eucaristia,
che dà senso vero e pieno alla
vita.”
La nostra Diocesi si è già attivata attraverso l’Ufficio Catechistico
e l’Ufficio Pellegrinaggi per organizzare questo incontro. Ci auguriamo che tutti i bambini che in
quest’anno hanno ricevuto la Prima
Comunione accolgano l’invito
del Papa e siano presenti in S.
Pietro insieme alle loro famiglie.
18
Settembre 2005
Vocazioni
Don Leonardo
D’Ascenzo*
«Suole dirsi
che, in una ipotetica fine dell’umanità,
l’ultimo a spegnersi
sarà un sacerdote,
perché nessuno potrà
essere privato, per promessa
divina, della sua assistenza.
In quest’affermazione che potrebbe apparire enfatica è presente certamente una verità, vale a dire che
la messe di Dio avrà sempre i suoi
operai, che il Signore potrà chiamare
alla prima come alla ventiquattresima ora, se ad ogni ora sapremo
invocarlo affinché il campo sterminato del suo Regno non sia privato della necessaria mietitura».
Concludendo in questo modo il
suo libro “Pastorale delle vocazioni”, Vito Magno mette in risalto una
certezza e un impegno. La certezza che Dio non farà mai mancare
gli operai per la sua messe, ma anche
l’impegno da parte nostra, “ad
ogni ora”, nell’invocare-pregare il padrone della messe che mandi operai
nella sua messe (Mt 9,38).
A proposito di questo impegno,
anche se inquadrato in un contesto più ampio, nel “Documento
Conclusivo” del II Congresso
Internazionale di Vescovi e altri
Responsabili delle vocazioni ecclesiastiche del 1981 si vedeva la necessità di alcuni organismi per promuovere
una pastorale delle vocazioni. Tra
le altre cose si prevedeva in ogni
diocesi un Centro Diocesano
Vocazioni (CDV) «per favorire una
pastorale vocazionale unitaria che
svolga un costante ed efficace ser-
vizio
di animazione» (n. 58).
Un altro importante documento, il “Piano Pastorale per le
Vocazioni in Italia” (PPVI) al numero 54, dice che il CDV «esprime l’impegno della chiesa particolare per
l’animazione vocazionale, promuovendo e coordinando le attività di orientamento vocazionale
nelle parrocchie e nelle comunità cristiane della diocesi, sotto la guida
e la responsabilità del Vescovo».
Il CDV è formato da un Direttore
e dai rappresentanti di tutte le categorie vocazionali, i suoi compiti sono:
programmazione e verifica; stile comunionale; presenza nei centri operativi
diocesani; proposte di spiritualità;
formazione degli animatori; animazione
parrocchiale…
Con un occhio rivolto a questi
documenti e con l’altro all’esperienza
vissuta, possiamo dire che la
pastorale delle vocazioni, la quale
nasce dal mistero della Chiesa e si
pone a servizio di essa, è chiamata a vivere un passaggio: dall’essere interesse di pochi, deve diven-
tare,
sempre
più, un impegno
di tutti i battezzati. Inoltre,
anche se in questi anni si sono fatti passi avanti, la pastorale vocazionale
deve essere sempre più unitaria, cercando di creare uno stile di comunione tra i diversi settori della pastorale. In questa linea possiamo
citare il rapporto, da maturare
sempre di più, tra pastorale vocazionale e pastorale giovanile: «La
pastorale specifica delle vocazioni
trova nella pastorale giovanile il suo
spazio vitale. La pastorale giovanile
diventa completa ed efficace quando si apre alla dimensione vocazionale»
(PPVI n. 43).
Non possiamo dimenticare che
l’impegno del CDV e l’impegno di
ogni battezzato nella promozione vocazionale deve essere prima di tutto
quello della preghiera. A questo proposito basterà citare il Vaticano II,
il primo Concilio Ecumenico che nella storia della chiesa si è dovuto interessare del problema delle vocazioni,
quando nell’Optatam totius, al
numero 2, parlando dei mezzi del-
la pastorale
vocazionale,
chiede a tutto il
popolo cristiano
di collaborare con
una fervente preghiera. Una preghiera
affinché sorgano nuove vocazioni ma anche in
ordine alla qualità delle
vocazioni, alla varietà secondo i doni dello Spirito, alla
fecondità apostolica e alla perseveranza
delle vocazioni e, infine, perché si
possa realizzare una pastorale
vocazionale di comunione.
In questi ultimi anni, il CDV della Diocesi di Velletri-Segni ha elaborato e proposto un programma le
cui attività più significative sono le
seguenti:
“Monastero Invisibile”: ogni primo venerdì del mese a tutte le parrocchie e comunità religiose vengono
offerti dei sussidi per la preghiera
a favore delle vocazioni;
Terza domenica di Quaresima
“Giornata del Seminario”: è una giornata di preghiera e di raccolta di offerte per sostenere il nostro seminario, a questo proposito vengono preparati dei sussidi per l’animazione
della Messa;
In occasione della Giornata
Mondiale di Preghiera per le
Vocazioni (quarta domenica di
Pasqua) si propone una “Settimana
vocazionale” in una parrocchia
della diocesi e la “Veglia di preghiera
diocesana per le vocazioni”;
Nel periodo estivo un “Campo
scuola vocazionale” per giovanissimi al Centro di Spiritualità Santa
Maria dell’Acero.
* Direttore Centro Diocesano Vocazioni
19
Settembre 2005
Pellegrinaggi
Mara Della Vecchia
“Buen camino” è l’augurio
che ti accompagna durante il
cammino verso Santiago;
“buen camino” ti gridano i ciclisti, mentre ti superano in velocità, “buen camino” ti lancia
qualcuno dall’auto, mentre passi sul ciglio di una strada; “buen
camino” ti augura qualche abitante che ti vede passare un
po’ affaticato.
Camminare, camminare, sembra naturale, addirittura banale, ma nel cammino di
Santiago non è solo un semplice camminare: così c’è il
cammino del percorso storico; il cammino monumentale delle cattedrali medioevali; il cammino attraverso il
paesaggio bello e affascinante,
che ogni giorno cambia lentamente ad ogni passo;
c’è il cammino dei piedi e delle gambe afflitti spesso da vesciche, tendiniti e altre amenità che capitano ai pellegrini; c’è il cammino con lo zaino che è
già troppo pesante dopo pochi chilometri; c’è il cammino degli incontri tanti, diversi, interessanti, divertenti; c’è il cammino del pane e del vino, cioè del
cibo con i sapori tipici spagnoli, c’è il cammino degli
albergues (gli ostelli dove si pernotta) e degli ospitaleros cioè le persone che gestiscono gli albergues:
un po’ di riposo, ma non troppo! C’è il cammino del
silenzio grande e profondo, in alcuni tratti invadente. E poi il desiderio di arrivare, lontano quasi latente in principio, si ingigantisce quando la distanza si
va accorciando e assume dimensioni a due cifre, a
portata di “piede”. E la fatica, il sudore, la stanchezza.
Dunque si sceglie di andare a fare il cammino di Santiago,
poi quando si è lì è il Cammino che ti prende e decide se e come portarti fino a Santiago. Dal momento che cominci a seguire la “flecha amarilla” (la freccia gialla che indica il percorso), entri nel flusso dei
pellegrini e davvero sei come una goccia d’acqua del
fiume che deve scorrere fino al mare.
Io ho intrapreso il pellegrinaggio con molti dubbi,
non ero sicura di farcela: tanti chilometri al giorno,
il caldo, il peso dello zaino, l’eventuale disagio durante le soste negli ostelli, allora ho cercato di immaginare le situazioni più difficili e come affrontarle prima di decidere di andare. Poi, dall’inizio del cammino, mi sono affidata con fiducia una difficoltà alla
volta e godendo della bellezza del viaggio. E allora, eccomi sana e salva alla meta, felice e gioiosa insieme ad altri cento e cento pellegrini, ognuno con la
sua conchiglia, simbolo del pellegrino. Abbracciare
la statua dell’apostolo Giacomo sull’altare maggiore della cattedrale di Santiago è come riabbracciare
finalmente un vecchio amico, rivederlo dopo una lunga attesa; serafico e splendente ti accoglie come un
ospite di riguardo e, tutta la fatica delle gambe scompare nella soddisfazione e nella gioia di essere arrivato. Si arriva a Santiago e per prima cosa si compiono tutti i riti che da sempre fanno i pellegrini e
allora finalmente si prende la “Compostela”, vale a
dire il documento, redatto in latino, che attesta l’avvenuto pellegrinaggio “ad limina Sancti Jacobi”, si
entra emozionati nella grande cattedrale attraverso
il mitico Portico della Gloria, ponendo la mano
sotto la statua del Salvatore, proprio nell’impronta lasciata da tutti i pellegrini che hanno
portato la loro personale preghiera fino a lì e
si tocca per tre volte con la testa, il capo della scultura del Maestro Mateo, architetto della cattedrale, la tradizione dice che questo serva a diventare più saggi, poi la visita nella cripta dove sta l’urna contenente il corpo dei san
Giacomo. A mezzogiorno la messa dedicata ai
pellegrini che hanno fatto il cammino e se si
è fortunati si può assistere alla cerimonia del
botafumeiro, il grande incensiere che, manovrato da ben cinque uomini, volteggia come
un acrobata tra le navate della chiesa, mentre
le suore intonano l’inno all’apostolo.
Per giorni la vita è stata camminare, camminare, arrivare e ripartire, in viaggio. Poi di colpo tutto cambia, a meno che non si decida di tornare a casa piedi come qualcuno fa. Il cammino è finito, di nuovo
automobile, treno, aereo prendono il posto degli scarponi e tutti i chilometri percorsi in giorni diventano
minuti di volo.
Tutto finito? No, il cammino prosegue nel cuore e
nella mente e passano diversi giorni e diverse notti
prima di sentirsi di nuovo fermi in un luogo. Il cammino non ha cambiato la mia vita, come mi è capitato di leggere in testimonianze lasciate da pellegrini, ma mi ha lasciato una gioia, una contentezza nuova, una fiducia più sincera nelle capacità mie e degli
altri, mi ha lasciato la consapevolezza più profonda
del vivere, del piacere del vivere. Forse è per questo che in tanti ripetono più volte il cammino nonostante la fatica e i vari dolori muscolari , articolari
sempre in agguato. La gioia viene senz’altro dall’aver realizzato un proprio desiderio, dalla soddisfazione di aver compiuto un’esperienza non proprio usuale, ma questo
non è sufficiente a spiegarla. Occorre parlare della libertà vera che si prova quando si va soli con le proprie forze e la propria fede per chi ce la possiede, in giro
per mondo senza mediazioni, liberi dalle proprie consuetudini, dalle proprie cose, delle quali
abitualmente sembra non poterne farne a meno, liberi da sé
stessi. La gioia viene dai contatti immediati e spontanei
con gente diversa sia pellegrini, sia persone del luogo
con le quali ci si sofferma
a chiedere informazioni e scopri che hanno tutto in mondo da raccontarti sul cammino e su altre cose. Tante
le persone che semplicemente
ti danno una parola di incoraggiamento. La gioia, semplice e ingenua viene da ogni
timbro posto sulla creden-
ziale (documento, rilasciato
all’inizio del pellegrinaggio
che attesta la condizione di
pellegrini), il timbro (el sello) si mette negli ostelli, nelle chiese, nei luoghi di ristoro ed è la traccia personale
che ciascuno lascia sul percorso. La gioia viene dal sentirsi partecipe di un cammino lungo secoli, pensando alle
migliaia di uomini e donne
e durante il Medioevo, lasciavano le loro case, mettendo
in gioco i loro averi e la loro
vita, per avventurarsi lungo
vie incerte e pericolose alla
ricerca delle più preziose reliquie, simbolo della cristianità,
appunto la tomba dell’apostolo Giacomo a Santiago, o
la tomba dell’apostolo Pietro
a Roma e il Sacro sepolcro
a Gerusalemme. Evidentemente le intenzioni non erano sempre così chiare e definite, ma l’andare è il medesimo allora come oggi. E un tempo come adesso tante sono le ragioni che spingono così tanta gente a coprire chilometri e chilometri a piedi. Lo scopo principale e per il quale molti sono sul cammino è quello
religioso del pellegrinaggio ad un luogo sacro della
cristianità, può essere preghiera e meditazione, ma
forte è anche la spinta spirituale di quelli che scelgono di camminare per ricercare qualcosa, per fare
ordine un sé stessi, forse per acquisire una migliore
conoscenza di sé, per scoprire una via di cambiamento
o anche per sfuggire alla monotonia quotidiana, può
essere un’ottima occasione per pensare con calma senza distrazioni o condizionamenti; la curiosità intellettuale costituisce anch’essa una buona motivazione, si può fare il cammino per una vacanza diversa
e più consapevole e rispettosa dell’ambiente e a costi
ridotti, lo scopo può essere solamente sportivo in particolare per quelli che lo compiono in bicicletta, oppure il cammino è
un’occasione per
vivere un’esperienza importante, particolare con un’altra
persona, molti sono
i genitori, in coppia,ma
soprattutto da soli, in
viaggio con il loro
figlio adolescente.
Quello che comunque è fondamentale,
in qualsivoglia motivazione, è propriamente il cammino,
cioè il camminare
Sopra la credenziale,
seguendo il ritmo
a lato Mara durante
dei passi e del respiil cammino e in basso
ro, l’esperienza spiun particolare del
documento raffigurante rituale o intellettuale o religiosa o altro,
la vestizione
passa attraverso l’edei pellegrini
sperienza fisica del
camminare, del percorrere una strada. Non conta solo la meta,
anche se è nella mente di tutti i pellegrini,
ma è importante anche la via percorsa e come
si è percorsa, come è stato l’andare della mente, e delle gambe. Penso che possa esistere
per tutti, o almeno per molti, una giusta ragione per mettersi in cammino, certo è necessaria una dose di entusiasmo per decidere di
intraprenderlo a contrastare la massiccia dose
di scetticismo che proviene da tanti amici e
conoscenti, che non possono credere che resisterai alla lunga marcia, amici e conoscenti che al ritorno, guardano divertiti i tuoi piedi, per scoprirne l’usura, come se fossero i
pneumatici di un fuoristrada: davvero abbiamo dimenticato il senso delle nostre dimensioni?!
20
Settembre 2005
Società
Pier Giorgio Liverani
guaggio fatto di “parole dette per non dire quello che si
ha paura di dire”.
Dedichereremo prossimamente un articolo
all’Antilingua. Per ora limitiamoci a lanciare l’allarme per
l’uso di “eterosessuale”,
che è un termine privo di senso logico, o, meglio, una parola “ideologica” inventata per
assicurare una pari dignità
etica e per normalizzare, legittimare e legalizzare l’omosessualità. Nella parola
“sesso” è contenuta la radice “sec” (sexus) del verbo
latino secare, cioè tagliare,
dividere. Il sesso è ciò che,
allo stresso tempo, divide,
distingue e riunisce, perché
diversi, l’uomo dalla donna.
ci hanno informaIvarogiornali
to che in Spagna, dopo il
della legge Zapatero,
che ha aperto il matrimonio
anche agli omosessuali,
soltanto sessanta coppie di
gay ne hanno fratto richiesta. Qualcuno ha poi precisato che forse si arriverà a
cento. La Spagna conta più
di quaranta milioni di abitanti:
centoventi o duecento persone rappresentano una
percentuale fra lo 0,0003 oppure lo 0,0005 per cento della popolazione: una quantità statisticamente, civilmente e politicamente irrilevante. Il che conferma che
quella legge non rispondeva ad alcuna reale necessità del Paese, neppure alle aspirazioni
di quella che, forzando i termini, si potrebbe chiamare la comunità degli omosessuali. È la conferma che si è trattato di un artificio fondato esclusivamente su un pretesto ideologico:
minare la famiglia. Tant’è vero che già
due tribunali spagnoli hanno bloccato quattro “matrimoni” di questo nuovo tipo e hanno spedito la legge Zapatero
all’esame della Corte Costituzionale.
onostante ciò anche in Italia già
N
si parla di seguire l’esempio della Spagna (ma anche dell’Olanda e del
Belgio). Così, dopo la fecondazione artificiale, c’è da aspettarsi l’arrivo del matrimonio e della famiglia artificiali (o ideologicamente assistiti) nelle loro due forme già praticate in Europa: il “matrimonio” tra omosessuali e il Pacs, ovvero il “Patto di civile solidarietà”, istituito
in Francia per qualsiasi tipo di coppia.
Artificiali, questi “matrimoni”, perché nulla hanno di naturale e nulla in comune con quelli veri. Non sono, infatti, un
impegno per la vita; quelli “gay” sono
sterili per definizione e per scelta e,
dunque, senza futuro e senza speranza;
manca ad essi il matris munus, cioè
il “compito” o l’“ufficio” della madre, quello suo tipico di generare e di allevare i figli, che dà il nome al matrimonio medesimo; e manca loro anche il
patris munus, vale a dire l’ufficio paterno, che un tempo comprendeva, oltre
ai compiti educativi, quello di provvedere con i beni materiali ai bisogni della famiglia (da cui il nome di patrimonio). E non hanno neppure il bisogno
di essere riconosciuti dallo Stato, giacché alla società non rendono alcun servizio, non hanno con essa alcuna relazione.
i tratta di un matrimonio esclusiS
vamente ideologico: quale famiglia
può instaurarsi su una simile scimmiottatura
di matrimonio? Il vero matrimonio, infatti – e qui ci limitiamo agli aspetti civili e giuridici dando per scontata la realtà del sacramento – è regolato e tutelato dallo Stato perché destinato, in linea
di principio, alla procreazione e, dunque, a istituire una serie importante di
rapporti giuridici. La famigli dona alla
società nuovi cittadini, che hanno diritti (a un nome, a una famiglia, al mantenimento, all’educazione, al lavoro, all’assistenza ecc.) e doveri (soprattutto quelli di solidarietà); e perché il marito e
la moglie assumono precisi doveri verso i figli e verso la società. Allo stesso tempo, si vedono riconosciuti alcuni diritti, tra cui la tutela pubblica. Per
lo Stato, dunque, il “matrimonio” tra due
uomini o tra due donne non ha alcun
senso né interesse: equivale a un rapporto privato che può intercorrere tra
due persone qualsiasi (due amici, due
parenti, due soci…).
gay, nonostante ciò, lo reclamano come
Idiritto
un loro particolare diritto. Falso. L’unico
che essi hanno ragione di esi-
gere in quanto persone omosessuali
è di non venire disprezzati o emarginati in ragione del loro orientamento
sessuale. Ma il rispetto della persona,
perché di questo si tratta, è dovuto a
chiunque: lo dice l’articolo 3 della
Costituzione, che vieta ogni discriminazione basata sul sesso e sulle condizioni personali. Dunque la “condizione
personale” dei gay non può generare nuovi o ulteriori diritti particolari specifici, diversi ed esclusivi. Certamente
il diritto a sposarsi spetta a tutti, purché si sposi una persona dell’altro sesso: ma se a qualcuno venisse concesso
di sposare un proprio uguale in virtù
della sua “condizione personale”, ciò
vorrebbe dire che costui (o costei) avrebbe un diritto o una scelta inutili e in più.
Ciascuno – valutazioni etiche a parte – può, privatamente, comportarsi come
crede, se non viola la legge, ma non
può pretendere di trasformare il suo
comportamento in un diritto tutelato dallo Stato. Altrimenti, per esempio,
anche l’orientamento sessuale pedofilo dovrebbe, allo stesso modo, generare un diritto specifico in più.
ediante il “matrimonio”, infine, i gay
M
pretendono di concorrere alla successione ereditaria, alla pensione di
reversibilità, all’usufrutto dell’abitazione dopo la morte del “coniuge” proprietario. Se ciò accadesse, perché mai
due amici o due parenti o due anziani pensionati (parliamo di normosessuali), che vivono insieme - magari solo
per risparmiare sulle spese - non dovrebbero vedersi riconosciuti gli stessi diritti? E come escludere che qualcuno si
“sposi” (magari solo sulla carta) per godere, pur non essendo gay, gli stessi benefici? E come, quando, su che base dovrebbe essere accertata burocraticamente la condizione omosessuale dal momento che gli esseri umani sono soltanto maschi o femmine? O basterà
una sorta di autocertificazione? O dovremmo istituire un’anagrafe con sei o magari nove generi: maschio,femmina,
gay, lesbica, bisessuale, transessuale? E perché non anche pedofilo, zoofilo, necrofilo?
questo punto sembra necessaria
A
una importante precisazione linguistica.
Ormai per indicare le persone sessualmente normali si usa l’espressione eterosessuale. Questa è, però, una
parola di “Antilingua”, cioè di un lin-
uando si parla di una unione sesQ
suale si pensa automaticamente
all’altro sesso come completamento di
sé. L’idea di alterità, insomma, è contenuta nella sessualità. Il termine omosessuale è nato per indicare l’unione
di due persone del medesimo sesso:
una cosa diversa dalla normalità. Allora
dire eterosessuale (“etero” uguale “altro”)
è come dire altero-alterità. Per indicare
la normalità sessuale dovrebbe bastare la parola “sessuale” o, al massimo,
“normosessuale”: quella che ho usato poco fa, ma questo farebbe giustamente
apparire la omo-sessualità,come qualche cosa di non normale e la cosiddetta “correttezza politica” oggi non lo
ammette. Fateci caso: da quando la
“eterosessualità” è entrata nel,linguaggio anche ufficiale come indicazione di un possibile orientamento sessuale, l’omosessualità è stata accettata come una delle manifestazioni normali della sessualità umana. Uno dei
segni più evidenti della crisi morale dei
nostri tempi.
21
Settembre 2005
Diocesi
Si venera nella parrocchia di S. Maria in Trivio in Velletri
Madonna della Salute,
note storiche
Tonino Parmeggiani
Nella chiesa di S. Maria Maddalena in Roma,
tenuta dall’Ordine dei Ministri degli Infermi,
da quasi quattro secoli è oggetto di tenera e filiale devozione, da parte dei
Religiosi e del popolo romano, un mirabile quadro della Madonna col santo Bambino,
una pittura su tela del sec. XVI.
I1 quadro fu donato, nell’anno 1616, dalla signora Settimia Nobili affinché fosse esposto alla pubblica venerazione, sopratutto da parte dei sofferenti, nella loro chiesa. La bella immagine fu subito circondata di particolare favore da parte del popolo; fu invocata, specialmente, in conformità alla vocazione e all’apostolato dei
Ministri degli Infermi (l’ordine religioso fondato da S. Camillo), col titolo di
“Salus infirmorum”, cioè Salute degli infermi.
Numerose furono le grazie attribuite alla
Sua intercessione, per cui il suo altare
ben presto si arricchì di molti ex voto. Nel
novembre 1668, la taumaturga immagine fu incoronata dal Capitolo Vaticano.
Tra i devoti della Madonna della Salute
nacque poi spontanea l’idea di una pia unione, o confraternita, allo scopo di accrescerne, diffonderne la devozione e tradurla
in atto con opere di carità, corrispondenti
al bel titolo di “Salute degli Infermi”. Il
Pontefice Pio IX, con Breve del 30 luglio
1860, concesse alla confraternita non poche
indulgenze: questa cominciò a diffondersi
anche fuori Roma. La città di Velletri fu
una delle prime in cui la devozione alla
Madonna della Salute si diffuse più prontamente. La Pia Unione, sotto il titolo della Madonna della Salute, venne infatti istituita dall’allora parroco di S. Maria in Trivio,
D.Giuseppe Morza ed ebbe l’erezione canonica, con Decreto del Vescovo Suffraganeo
e Vicario Generale, in data 20 gennaio 1864.
Pochi mesi dopo S.S. Pio IX, con Breve
del 19 luglio 1864, concedeva a tutti gli
iscritti alla Pia Unione di Velletri, le stesse indulgenze e grazie spirituali già concesse alla Pia Unione nella citata chiesa
di S. Maria Maddalena in Roma.
La festa venne stabilita nella Domenica
che cade fra l’ottava della Natività di Maria,
l’8 settembre. Venendosi, negli anni
seguenti, sempre più diffondendosi la devozione alla Madonna della Salute, fu deciso di collocare 1’immagine della Madonna
in una Cappella tutta per se e venne scelta la prima Cappella “a cornu epistolae”,
cioè l’attuale, la terza a destra guardando l’altare che, al tempo era di patronato della nobile famiglia veliterna dei Filippi,
era già dedicata ai Ss. Filippo e Giacomo
Apostoli, a S. Francesco d’Assisi e a S.
Gaetano. Con una convenzione, stipulata il 25 febbraio 1870, tra il parroco Morza,
Presidente della Pia Unione e i Signori
Giuseppe e Lorenzo Filippi, questi benevolmente accondiscesero alla richiesta, con
opportuni patti. Così, a spese della Pia Unione,
la Cappella venne chiusa con balaustra
e un cancello, mantenendo la famiglia Filippi
i suoi diritti di juspatronato questo, oltre
che mostrare lo stemma nobiliare degli
stessi, doveva sempre essere chiuso a chiave, tranne nei giorni di festa della titolare. Ma, poco dopo, si verificarono due
fatti che determinarono un duro contraccolpo
al fiorire della Pia Unione di Velletri: la
soppressione delle corporazioni religiose che si avviò dopo il 1870 e la morte,
avvenuta il 15 febbraio1873, de1 parroco Morza. Anche la Pia Unione di
Roma, frattanto, nell’anno 1866 eretta in
Arciconfraternita, arrestò la sua attività.
Comunque, se negli ultimi anni dell’800,
sappiamo che la Pia Unione non esisteva più, tuttavia la festa annuale continuava
a svolgersi a cura della Parrocchia.
Bisogna perciò aspettare fino agli anni trenta del secolo scorso per veder rifiorire il
culto della Madonna della Salute: con Breve
del 21 maggio 1927, S.S. Pio XI riconfermò i privilegi e le indulgenze già concesse all’Arciconfraternita Romana, centro promotore della devozione alla Salus
Infirmorum. In questi decenni và ricordata la figura della Presidente della Pia
Unione di Velletri, Sig.ra Italia Gratta.
Con le vicende belliche ogni forma di associazionismo dovette naturalmente interrompersi; inoltre dei soldati tedeschi rubarono il quadro della Madonna della
Salute, opera pittorica del XVII sec., del
pittore Gagliardi.
Ma pochi anni dopo, dal 1951, 1a Pia Unione
riprese la sua attività promuovendo
anche alcuni lavori di
restauro nella Cappella.
Da alcuni anni una pregevole ed antica immagine di
Maria ha preso posto nell’altare della Cappella:
proviene dalla vecchia
Cappella del seminario di
Norma a cui fu regalata dal
Card. Basilio Pompili nell’anno 1922. Dal 1951 ad
oggi gli iscritti alla Pia
Unione sono stati circa 1000;
presidente attuale è la
Sig.ra Maura Priori.
Nell’anno 1981, a cura di
un devoto, Eusebio Gabrielli,
la Cappella venne restaurata.
Nella sua originaria accezione, la salute degli infermi era, probabilmente, da
interpretarsi quasi esclusivamente come salute del
corpo; d’altronde erano
allora sempre vivi, nell’animo della gente, i timori
e le paure di epidemie, in
una società in cui la vita
media era di 30 anni, la mortalità infantile, nel primo
anno di vita, pari al 20%
e le malformazioni fisiche
di certo molto diffuse.
Oggigiorno che la vita si è molto allungata e le scoperte della medicina e della
scienza hanno contribuito molto a migliorarla, tanto che oramai si parla di ‘quarta età’, in cui il materialismo pervade sempre più la nostra vita e coloro che frequentano
la chiesa sono sempre più una fascia ristretta, emerge un altro tipo di povertà, quella spirituale, dell’animo. Accanto alle povertà storiche se ne affiancano così delle altre,
dettate da cause socio-culturali, esistenziali. Oggi molti non sanno rispondere alla
domanda essenziale sul senso della loro
vita, ancor più se vista alla luce della parola del Vangelo.
Esistenze che si trascinano sull’effimero, su cose marginali, sulle tendenze del
momento e che proprio quando entrano
in crisi ci si decide ad andare dallo psicanalista: la causa, forse, è ancora più a
monte e riguarda i valori della vita che
si vogliono condividere ed il cristianesimo ancora oggi è pronto ad offrire a tutti il proprio messaggio.
Tra le povertà materiali, emergono nuove realtà, legate al sesso, prostituzione,
disoccupazione, solitudine sociale, tossicodipendenze e criminalità sempre più
giovanile.
Per tutte queste povertà e vuoti dell’animo la chiesa è sempre disposta ad offrire il proprio aiuto, la propria disponibilità ad affrontare i problemi particolari di
ognuno. La prima e vera salute è quella
di essere riconciliati con la chiesa e con
gli altri: preghiamo la Madonna della Salute
che ci conceda questo dono. Quest’anno,
la festa, giunta al 142mo anno di vita, cade
domenica 18 settembre, con S. Messa celebrata dal Vescovo con amministrazione
di prime comunioni e di cresime; il triduo verrà predicato dal sacerdote novello Don Fabrizio Marchetti, vice-parroco
della Cattedrale di S. Clemente.
22
Settembre 2005
Cinema/Libri
Anno: 1990 - Regista: Jean Paul Rappenau - Interpreti:
Gerard Depardieu
Travolgente successo, commedia nata a teatro, per
la penna del talentuoso Edmond Rostand,
autore francese che volle rivalutare il
Romanticismo. La prima rappresentazione risale al 28 dicembre 1897 a Parigi al
Thèatre de la Porte de Saint Martin. Guardando
la trasposizione cinematografica non si può infatti fare a meno di pensare quanto proprio il cinema
abbia contribuito a “spettacolizzare” sia l’opera che
le didascalie dell’autore che solo a teatro trovava divulgazione e successo. Quando l’opera esordì gli scarni elementi suggestivi erano affidati unicamente alle intuizioni ed alla fantasia dell’autore che si confrontava con la scarsità dei mezzi a
disposizione .Ma le suggestioni di allora superano le convenzioni ed oggi costituiscono comunque
patrimonio della teatralità più moderna. Il film con
la sua ricchezza scenografica arriva ad una punta
massima e finisce per risultare un delizioso capolavoro artistico. Così il nostro “nasuto” eroe si fa
centro nella trama e si ricava un posto nelle nostre
memorie. Cirano, esperto spadaccino di Guascogna
, coraggioso poeta e scrittore vive il suo amore per
Roxane, sua cugina, attraverso un altro uomo Cristiano.
Questi, è un giovane timido, neo cadetto nella compagnia d’arme e poco avvezzo alle lettere ed al fine
parlare. La storia avvince per l’elogio della parola e per la finezza con cui i protagonisti a poco a
poco svelano i loro animi. Cirano innamorato nel
profondo del cuore di sua cugina non si è mai manifestato per timore di un diniego per via del suo “maledetto naso che lo precede di un quarto d’ora ovunque”. Cristiano di Neuvillette, impacciato giovane cadetto, “spirito pronto da moschettiere ma davan-
Prossimamente su questo schermo
piccola rubrica di cinema a cura di Guido Basile
Cirano Di Bergerac
ti alle donne non buono che a tacere” e che “ si
perde se le scrive”, è “ un di quelli che sa far all’amore ma parlar non sanno”. Amato per il bell’aspetto da Roxane Maddalena Robin, irresistibile bellezza e d’animo gentil. Il conte De Guiche, nipote del Cardinale Richelieu, ammogliato ed invaghito
anch’egli di Rossana tenta con tutto il suo potere
di insidiare la donna. Così, come a teatro, i personaggi si offrono al pubblico sul palcoscenico della vita. Cirano di Bergerac si presta di scrivere lettere d’amore in luogo di Cristiano per fascinare il
cuore di Roxane che è molto sensibile alle parole
ammalianti. Cristiano accetta l’amicizia di Cirano
che gli permetterà di raggiunger il suo scopo : sposare l’amata. Poi la guerra con gli spagnoli, la compagnia di Guascogna sul fronte più pericoloso, il
coraggio, la morte. Con la morte di Cristiano, muore anche la “voce” del cuore di Cirano. Lei si ritirerà nel convento delle Dame della Croce a Parigi,
nel suo lutto inestinguibile per un amore le cui magnifiche parole durano negli anni e rimangono scritte nell’ultima lettera, presa dalle mani di Cristiano
morente. Ora quella lettera (segnata da lacrime e
sangue) è appesa in un sacchetto al suo collo per
sempre. Come le tante lettere indirizzate a nome
di Cristiano “ ogni foglietto un petalo staccatosi
dal fiore del tuo cuore. In ciascuna parola ci si sente l’amore, l’amor possente, schietto”. E Cirano con-
Il libro del mese - UN
In un saggio illuminante, la lettura viene descritta come
“un tentativo di capire come avessero potuto i suoi
amici poeti vivere in questa valle e forgiarsi un’anima”.
E in un altro: “Incontrare un altro – o magari anche
solo un’opera – è trovare la porta di sé stessi”.
Infatti allo scrittore dovremmo chiedere una sola cosa,
unica ed irripetibile: che faccia luce sul mistero del
vivere, sul destino.
Sono altresì convinto che passare gran parte del proprio tempo libero a leggere sia la forma più perfetta di dialogo. Chi non è stato infatti toccato, sia pure
in qualche sporadica frase o capitolo, da una luce,
un bagliore, una, mi si permetta la libertà di dirlo,
illuminazione, quel miracoloso istante – lungo o breve che sia poco importa – in cui due esseri umani
– autore e lettore – vengono a trovarsi sulla punta
di una eternità?
Cercare un libro. Ecco il primo passo. Dove trovarlo? E, soprattutto, come cercarlo? I più, oggi, rimandano questo lavoro ai soliti giornalisti che intervistano
i soliti autori che rilasciano le medesime dichiarazioni. D’altra parte i loro libri vendono bene. Perché
affaticarsi a trovare un altro lavoro quando questo
rende?
Ma l’arte della scrittura è ben altra cosa. Oggi nel
tempio della letteratura si aggirano autori che fra qualche decennio non saranno neppure ricordati. Ma in
quel tempo, in quel medesimo tempio, saranno incoronati autori che oggi pochissimi leggono.
Scoprire un autore richiede la massima attenzione.
Ma è l’unico strumento in grado di distinguere un
Bevilacqua da un Eugenio Corti, la Tamaro da Cristina
Campo. E mi perdonino Corti e la Campo se li associo a due bestellerissimi mediocri e illeggibili.
Abbiamo parlato di attenzione.
C’è di più: attesa, lavoro, diligenza. Severità,
anche. Tutto ciò che è nei libri che stiamo cercando, è già dentro di noi e … ATTENDE.
Lettura e vita sono dunque sinonimi: la lettura non
ANNO DI
aiuta a vivere se non in virtù della bellezza della lettura. Da cosa dunque riconosceremo se quella lettura attendeva di essere scoperta?
Dalla gioia che proviamo quando la pagina ci parla, dialoga, ci sorprende, ci isola, amplia il nostro pensiero, ci raggiunge in profondità che non sospettavamo che esistessero.
Necessità di leggere. Purezza di intenzione.
Indifferenza verso il mercato, verso il salotto dove
si è costretti a parlare di quel libro, di quell’autore.
Ogni altro tipo di commercio con la letteratura rischia
di seppellire l’ansia, la tensione, il desiderio della scoperta.
Totale dedizione. Vocazione. Genialità. Ogni lettore, visto in questa prospettiva, è un genio.
Amicizia. Contemplazione. Intransigenza.
Prendere un libro dalla biblioteca, quel libro che abbiamo già letto e riletto, dove sappiamo cosa troveremo, non è forse simile alla telefonata che in un momento di bisogno facciamo al nostro migliore amico in
cerca di un colloquio capace di trasmettere quel calore in grado di sciogliere il gelo della solitudine?
Non è guardare con gli occhi del cuore e della mente, quel mondo di cui sentiamo nostalgia?
Non è forse mettere una volta per tutte dei paletti
laddove oggi tutti passeggiano, corrono, ignorano,
accettano, tollerano, spinti dalla necessità di non isolarsi, di greggerarsi (Diomio, mi è venuto così spontaneo scriverlo! Volevo parlare del gregge che si uniforma, del gregge che segue il pastore insulso di turno. Infatti sul vocabolario non esiste, ma la lascerò, non farà male a nessuno.)
O la lettura tornerà ad essere cosa viva e non morta e non telecomandata e la grandezza e la bellezza dei libri torneranno ad essere cosa grande e meravigliosa o le nostre librerie diventeranno un serraglio di banalità e forse anche un deserto di parole
vuote e morte.
E’ questo tipo di bellezza che ci permette di scoprire
grandi letture:
tinuerà a farle metodicamente visita, ancora per quattordici anni, da amico e confidente faceto dei fatti del mondo. Sempre
più povero e più fiero per quel suo carattere impavido che non desidera raccomandazioni,
attacca i falsi nobili, le probità fittizie, i falsi coraggiosi, i plagiari. Ed infine l’epilogo finale, con l’imboscata a Cirano mentre, in una sera d’autunno, si
reca a far visita a Roxanne. La trave sganciata proditoriamente dagli avversari, la botta in testa che
lo riduce in fin di vita. Nell’ultimo appuntamento
con Rossana e nel tenero colloquio, mentre scende la sera e cadono le foglie, si appresta la morte
di Cirano. Egli finalmente si rivela all’amata, recitando a memoria proprio quell’ ultima lettera che
aveva scritto a nome di Cristiano. Rossana allora
capisce , ma purtroppo è troppo tardi per consumare l’amore sognato.
Guardando questo film mi è sembrato di leggere
il libro di Rostand, allora ho ripreso il libro che era
finito non so dove , l’ho letto di nuovo e ne ho trovato maggior piacere. Mentre leggevo mi tornavano in mente le belle scene del film. Tanto da non
saper suggerire se migliore il libro o il film. Provare
per credere! Anche la mia penna ora che sto terminando di scrivere mi sembra (celebrando le ultime parole di Cirano) “Il pennacchio mio!”. E’ vero
che l’arte a volte ci suggestiona! Oggi non tiriamo, come il nostro eroe all’ultima scena, colpi di
sciabola al vento? I nemici nostri? Sempre gli stessi (come quelli di Cirano di Bergerac) : Menzogna,
Viltà, Compromessi, Pregiudizi.
LETTURE
a cura di
Alessandro Gentili
“La Principessa di Clevès”
di Madame Lafayette, l’epistolario di Alessandra Macinghi
Strozzi, “Il libro degli amici”
di Hoffmansthal, “Il Gattopardo”
di Giuseppe Tomasi, “Gli imperdonabili” di Cristina
Campo, le poesie e le lettere di Emily Dickinson, Le
Fiabe di Andersen o di Perrot.
E’ riconoscere gente del nostro paese, della nostra
anima, amici che ci accompagneranno per tutta la
vita.
Costruitevi, a casa, una nicchia nel muro accanto
al vostro letto e infilateci i libri che vorreste leggere continuamente. Non si può più dimorare nella circonferenza. Occorre andare diritti al centro e stabilire lì la nostra dimora.
Ne ho già parlato in altri articoli: in questi tempi dominati, apparentemente, dall’orrore, il lettore che legge sulla metropolitana, o in attesa nello studio medico, appare come una visione.
Ma se in quelle mani, anziché l’ennesima fatica dell’autore più venduto, trovassimo un titolo che non
fa notizia, subito la nostra curiosità sarebbe allertata.
Sorprenderà, allora, la qualità della scelta e la trasparenza della certezza. Abituati come siamo non
tanto a dubitare quanto a interrogare, procedendo
di domanda in domanda, fino a quando la domanda si farà risposta. Là è il banale.
In questo altro tipo di lettura, tale procedimento non
esiste, è estraneo: non domande, ma un dialogare
fluido, concreto, che di balzo in balzo (cioè di parola in parola) ci porterà ai confini di noi stessi.
Là troveremo la nostra anima, umile, profonda, certa.
“ Lo splendore dello stile non è un lusso ma una necessità “(Lèon Bloy).
23
Settembre 2005
Documenti
Agenda diocesana del mese
Prossimamente
SETTEMBRE
11 domenica - XXIV Domenica T.O. A
IV sett.
Sir 27,30-28,9; Sal 102,1-4.9-12; Rm
14,7-9; Mt 18,21-35
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Claudio Sammartino, (12.09.1981)
- Landi (Genzano di Roma): Parr. SS.mo
Nome di Maria, Festa Patronale
12 lunedì- SS.mo Nome di Maria
- Landi (Genzano di Roma): Parr. SS.mo
Nome di Maria: Festa Patronale della
Titolare
- Velletri, Suore Serve di Maria Riparatrici: Cappella della Comunità, Ora di
preghiera mariana
13 martedì - S. Giovanni Crisostomo (m)
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Mons. Luigi Vari, (13.09.1980)
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Augusto Fagnani (13.09.1980)
14 mercoledì - Esaltazione della Santa
Croce (f)
- Festa dell’Esaltazione della Croce:
- Artena: Festa patronale della Parrocchia
di S. Croce
- Velletri e Artena: Suore Serve del Signore
e della Vergine di Matarà: Festa nelle
comunità dell’Istituto
1 5 giovedì - B.V.M. Addolorata (m)
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Silvestro Mazzer, (15.09.1963)
-B.V. Maria Addolorata: Festa nella comunità delle Suore di N.S. del Monte Calvario,
Velletri
Serve di Maria Riparatrici,Velletri
16 venerdì - Ss. Cornelio e Cipriano
(m)
- Convegno Pastorale Diocesano
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Cesare Chialastri, (17.09.1988)
17 sabato - S. Roberto Bellarmino
(mf)
- Convegno Pastorale Diocesano
18 domenica - XXV Domenica T.O. A
I sett.
Is 55,6-9; Sal 144,2-3.8-9.17-18; Fil
1,20c-27a;Mt20,1-16
- Convegno Pastorale Diocesano
– Velletri, Parr. S. Maria in Trivio: Festa
della “Madonna della Salute”
– Montelanico: “Scoprimento” e processione
della Madonna del Buon Consiglio”
19 lunedì - S. Gennaro
(mf)
- Velletri: USMI/CISM: Incontro nella sala
della Curia Vescovile, h. 17.00
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Franco Diamante, (19.09.1981)
23 venerdì - San Pio da Pietralcina (m)
Ss. Elisabetta e Zaccaria
– Consiglio Presbiterale Diocesano
24 sabato - B.V. Maria della Mercede
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di P. Pasquale Veglianti o.f.m.,(24.09.1983)
25 domenica - XXVI Domenica T.O.
A
II sett
- Montelanico: Processione in onore di
S. Michele arc.
- Valmontone, Processione in onore di
S. Luigi Gonzaga
2 7 martedì - San Vincenzo de’ Paoli
(m)
- Festa nelle tre Comunità delle Suore
Figlie della Carità in Valmontone e Artena
- Velletri, Parr. San Martino: Festa Madonna
degli Orfani
28 mercoledì - S. Venceslao
(mf)
- Anniversario di Ordinazione Presbiterale
di Don Marco Fiore, (29.09.1996)
2 9 giovedì - Ss. Michele, Gabriele e
Raffaele (f) P
- Anniversario di Professione Solenne
di Fr. Gianfranco Vicini, barnabita,
(29.09.1967)
OTTOBRE
1 sabato - S. Teresa di Gesù Bambino
(m)
- Ufficio Liturgico Diocesano: Incontro
di Formazione dei Cori Parrocchiali della Diocesi
- Ufficio Missionario Diocesano:
Landi (Genzano di Roma), Incontro gruppi missionari (ore 19.00)
– Gavignano: processione di S. Maria
delle Grazie.
Bollettino Diocesano
Con decreto Prot. VSC 04/2005
del 13 giugno 2005
Mons. Vescovo ha dato il
Consenso (can 609§1) affinché
venga eretta la Comunità di
“Nostra Signora di Lourdes”
dell’Istituto Serve del Signore
e della Vergine di Matarà presso l’Opera Mons. Sagnori
DEL REV. MARCHETTI
DON FABRIZIO
- Prot. VSC 05/2005
Velletri,
16.07.2005
ATTESTATO DI ORDINAZIONE PRESBITERALE
- Prot. VSC 06/2005
DECRETO DI NOMINA A
VICARIO PARROCCCHIALE
DELLA PARROCCHIA CATTEDRALE DI SAN CLEMENTE I p.m. IN VELLETRI
Secondo quanto disposto dal
can. n° 547 del C.D.C. , volendo rispondere alle attese della Parrocchia Cattedrale di S.
Clemente che attende un collaboratore del parroco nel
lavoro pastorale della più grande e importante delle parrocchie della diocesi, con il presente
decreto che ha immediato
vigore,
nomino te
Don Fabrizio MARCHETTI
nato a Roma il 05.08.1977; ordinato sacerdote il 16.07.2005
Vicario Parrocchiale
della Basilica Cattedrale,
Parrocchia San Clemente I
p.m. in Velletri
Nell’attuare quanto richiesto dai
cann. 545§1, 548 e ss. ti assistano i Santi Patroni Clemente
e Bruno e la mia paterna benedizione.
- Prot. VSC 07/2005
Rev.ma Sr. Bice Priori, Visitatrice
Provinciale delle Figlie della Carità
di San Vincenzo de’Paoli - Via
F. Albergotti, 75 00167 ROMA
Rev.ma Madre
A seguito della sua richiesta, Prot.
N° 65/05 del 06,08.2005
a norma del can. 1292 dichiaro che nihil obstat alla vendita dell’immobile sito in Valmontone,
Colle Belvedere, Via dei Tigli
n° 10, gia casa del vs. Istituto
nella nostra Diocesi.
L’occasione mi è gradita per porgerle cordiali saluti e augurare alla sua Comunità i migliori auspici e frutti caritativi e spirituali.
- Mons. Vescovo ha incaricato il Rev.do Mons. Paolo Picca
per l’organizzazione diocesana dei ragazzi della Prima
Comunione che andranno
all’incontro con Papa Benedetto
XVI il 15 ottobre p.v.
- Mons. Vescovo ha indicato quale responsabile della delegazione
che parteciperà al Convegno
Ecclesiale di Verona nel 2006
il rev.do Mons. Luigi Vari, vicario ep.le per la pastorale.
? Andrea Maria Erba
Il cancelliere vescovile
Mons. Angelo Mancini
- Velletri: Parr. Madonna del Rosario,
Festa della Titolare.
2 domenica - XXVII Domenica T.O.
A III sett.
Is 5,1-7; Sal 79,9.12-16.19-20; Fil
4,6-9; Mt 21,33-43
- Velletri: Parr. Madonna del Rosario:
Festa della Titolare
– Gavignano: Festa di S. Maria delle
Grazie
- A.C.I. C.S.M. dell’Acero: Convegno Unitario
Diocesano
4 martedì - S. Francesco d’Assisi (f) P
Velletri- Festa nell’omonima rettoria
Festa nelle Comunità francescane della diocesi
7 venerdì - B.V. Maria del Rosario (m)
- Monastero invisibile
- Colleferro: Istituto Pie Operaie: Ora
di Adorazione per tutte le vocazioni
9 domenica - XXVIII Domenica T.O. A
IV sett.
Is 25,6-10a; Sal 22,1-6; Fil 4,12-14.1920; Mt 22,1-14
- USMI/CISM: lectio divina: Velletri, Centro
S. Maria dell’Acero, Suore Apostoline
- Azione Cattolica Italiana: Artena Settore
A.C.R., FESTA DEL CIAO
Colleferro: Parr. S. Bruno: Festa dell’esultanza, Processione del Patrono
Ecclesia in cammino
Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia
Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per
gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni
Direttore Responsabile
Don Angelo Mancini
Vicedirettore
Fabio Ciarla
Collaboratori
Stanislao Fioramonti
Tonino Parmeggiani
Proprietà
Diocesi di Velletri-Segni
Registrazione del Tribunale di Velletri n.
9/2004 del 23.04.2004
Stampa: Tipolitografia Edizioni Anselmi s.r.l.
- Marigliano (NA)
Stampato il: 2 settembre 2005
Redazione
C.so della Repubblica 343
00049 VELLETRI RM
06.9630051 fax 96100596
[email protected]
Per questo numero hanno collaborato
inoltre: S.E. Andrea Maria Erba, Mons. Luigi
Vari, Sara Gilotta, d. Giorgio Cappucci Guido
Basile, d. Cesare Chialastri, Pier Giorgio Liverani,
Nicolino e Dorina Tartaglione, diac. Giorgio
Safina, d. Leonardo D’Ascenzo, d. Dario Vitali,
Mara Della Vecchia, d. Franco Diamante, Tonino
Parmeggiani, Alessandro Gentili, Sara
Bianchini, Alessandra Di Tondo, i Giovani della Diocesi presenti alla GMG di Colonia
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