Iuav : 110
Cronache dai Tolentini
studenti, docenti, luoghi 1964-1975
giornale edito in occasione
della presentazione del volume
Officina Iuav, 1925-1980. Saggi
sulla scuola di architettura di Venezia
a cura di
Guido Zucconi e Martina Carraro
Iuav Marsilio, Venezia 2011
giornale a cura di
Martina Carraro
Michela Maguolo
Martina e Michela
dedicano il giornale a
Maria (Pupa) Zaghini
a lato:
Il gioco del voto [1968]
(Archivio progetti, Fondo Egle Renata
Trincanato, 2.Attività scientifica/2/033)
Università Iuav di Venezia
Santa Croce 191 Tolentini
30135 Venezia
tel 041 257 1826-1414
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©Iuav 2012
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iscritto al n. 1391
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a cura del
servizio comunicazione
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ISSN 2038-7814
direttore
Amerigo Restucci
stampa
Grafiche Veneziane, Venezia (VE)
Cronache dai Tolentini
studenti, docenti, luoghi 1964-1975
«Chi ha vissuto in questi anni nell’Iuav
ha potuto assistere a radicali mutamenti nella sua struttura, tanto che se confronta la situazione attuale a quella immediatamente successiva alle lotte del
‘67, trae conclusioni di diversità quasi
completa», Bollettino del Gruppo di Base del movimento studentesco «Venezia
architettura», 1974
«Gli studenti, un po’ per simpatia un po’
per contestazione, li chiamano i “baroni
rossi”. Sono i figli, spesso karamazoviani, di Samonà: i cattedratici di architettura che, da anni, stanno anticipando
nella prassi, all’Iuav veneziano, una riforma universitaria che tarda a venire»,
Architettura: nasce l’idea del dipartimento, «Il Gazzettino», 11.11.1975
Non è la proiezione nazionale degli
eventi Iuav che qui interessa, né le riflessioni teoriche sui nuovi statuti disciplinari, di cui peraltro questi anni sono
ricchi. La prospettiva, in questo caso,
è tutta interna. Il racconto è ancorato
alla materialità delle strutture fisiche e
alla concretezza del vivere quotidiano
allo Iuav: teatro delle cronache è l’ex
convento dei Tolentini e protagonisti
dell’intreccio sono gli operatori culturali dell’università, studenti e docenti.
Certo, non si tratta di uno spaccato di
vita ordinaria. Gli anni “caldi” qui affrontati non ammettono aggettivi quali
“normale” e “consueto”, proprio perché
a caratterizzarli è la ricerca di un nuovo
modello di università.
2
Iuav : 110
1964 Iuav anno zero
Calle Amai, 197
«…noi ci auguriamo di potere trasferire la nostra Sede ai Tolentini entro la
metà del venturo Anno Accademico»,
afferma Giuseppe Samonà nella sua
prolusione del 1948. La ricerca di una
nuova sede, necessaria data l’esiguità
di spazi a San Trovaso (palazzo Giustinian), è stata finora infruttuosa: sono
sfumate le opzioni Fondaco dei Turchi,
Papadopoli, Rio Novo. L’ex convento ed
ex caserma dei Tolentini, ora asilo per
profughi, pare la soluzione più consona alle esigenze dello Iuav. Ancor più
dal momento in cui la polizia, prima
intenzionata a condividere il complesso, decide di insediarsi a Santa Chiara.
Non sarà però questione di mesi o di
qualche anno. La formale consegna
in uso gratuito e perpetuo dell’intero
compendio demaniale dei Tolentini
avverrà infatti il 14 ottobre 1964. Fino al 1959 non v’è neppure assoluta
certezza che i Tolentini saranno sede
dell’Istituto. È già pronto da anni, è
vero, il laboratorio prove materiali, costretto però all’inattività per mancanza dell’autorizzazione ministeriale (che
arriverà nel 1961 con la legge 553) ma
parti del complesso sono occupate
dall’Intendenza di Finanza e dalle famiglie dalmate e istriane. E nel 1959,
di fronte al lentissimo procedere dei
lavori da parte del Genio Civile, competente per le proprietà dello Stato,
alla mancata erogazione di fondi da
parte del Ministero dei Lavori Pubblici
e alle generiche promesse del Ministero della Pubblica Istruzione, è persino
prospettata la possibilità di insediarsi a Sant’Elena, alla Marina Militare.
Idea presto abbandonata per la cifra
richiesta dalla Gioventù Italiana, proprietaria dell’area e per il concretizzarsi delle promesse ministeriali. In vista
del piano decennale per la scuola (poi
mai varato nonostante i due disegni di
legge in discussione al Parlamento) arrivano, nel 1960, 30 milioni che rimettono in moto il cantiere e convincono
che si può procedere a un progetto definitivo da parte di una commissione
formata da Giuseppe Samonà, Franco
Albini, Lodovico Barbiano di Belgiojoso e dagli assistenti Giorgia Scattolin
e Lavinio Bellemo. Nonostante un così
prestigioso gruppo di progettisti, il pia-
Laboratorio di Scienza delle costruzioni;
prova di «Betonrapid», 1965 e prova di
carico, 1964 (Iuav, Servizi comunicazione Comesta);
laboratorio prove materiali, primi anni
sessanta (Archivio storico Iuav, Ufficio
Tecnico Edilizia)
«Venezia architettura», prima pagina del n.4,
1960
no inviato al Ministero per accedere a
un finanziamento più sostanzioso, che
avrebbe permesso di portare a compimento i lavori, è redatto dal Genio.
«Venezia architettura», la rivista studentesca che nel 1960 affronta la questione, elenca comitati e commissioni
nominati per occuparsi del progetto: il
comitato per la nuova sede (Albini, Samonà, Belgiojoso, Gardella, Piccinato),
il sotto-comitato per il progetto (Albini e Belgiojoso), la commissione di
assistenza al sotto-comitato (Scattolin,
Bellemo, Pastor, Semerani).
Nel frattempo, per la mancanza di spazi a San Trovaso (il numero degli iscritti
continua a salire) gli studenti frequentano i seminari estivi di materie artistiche in alcune delle stanze concesse
dal Genio, ancorché prive di infissi e
pavimenti (CdA, 17.7.1959 e 8.3.1960).
In vista di un utilizzo d’emergenza anche nei mesi invernali, l’Istituto decide di fare installare il riscaldamento.
Nel 1961 la situazione si presenta così:
«gli allievi sono accampati in sale non
complete di finiture, senza pavimenti
e senza infissi di finestre, con scarsa
illuminazione elettrica e con un certo
pericolo che deriva dal fatto che i lavori di fabbrica si svolgono in locali adiacenti a quelli da essi occupati» (CdA,
15.5.1961).
Sulla scorta di rassicurazioni e promesse del Ministro della Pubblica Istruzione per un finanziamento consistente,
si procede alla stesura del progetto
esecutivo, affidato all’ingegnere Mario
Bacci, tecnico di fiducia dell’amministrazione, al professor Daniele Calabi e
all’assistente Leonberto della Toffola.
Finalmente (grazie alla legge 158 del
1961 erogatrice di miliardi per l’edilizia
scolastica e universitaria in attesa di
una riforma strutturale dell’istruzione)
arrivano 307 milioni con cui si potrà
completare il restauro, arredare aule
e uffici, acquistare attrezzature scientifiche e didattiche (CdA, 31.10.1961). I
lavori in carico all’Istituto hanno così
inizio e i primi due lotti, relativi all’ex
convento, sono terminati alla fine del
1963. Il terzo lotto, riguardante la palazzina dell’Intendenza di Finanza verso il campazzo dei Tolentini iniziato
alla fine del 1963 sarà completato nei
primi mesi del 1965. Non previsto nei
primi progetti, l’edificio è preso in considerazione come parte della sede nel
1961, forse con una più precisa messa
a fuoco delle necessità dell’Istituto e
la sicurezza di disporre di fondi. L’accordo con l’Intendenza per la cessione
della palazzina, anch’essa demaniale, è raggiunto l’anno successivo con
uno scambio: appena liberato palazzo Giustinian il Comune, proprietario
dell’immobile, cederà i locali necessari
e gli uffici tributari potranno trasferirvisi. I 100 milioni necessari alla ristrutturazione della palazzina arriveranno
con la legge 17 del 1962. L’immobile
è radicalmente ristrutturato, con spostamento dei solai e delle aperture,
per allinearlo all’ex convento e con la
realizzazione della scala in calcestruzzo armato, incuneata nel raccordo fra
i due corpi di fabbrica.
Più lunga è la trattativa, avviata nel
1962, con la Curia per la cessione di
un piccolo ambiente, un vano scala di
nessuna utilità per la Parrocchia dei
Tolentini, ma cruciale per il distributivo
della scuola, permettendo l’accesso dal
piano terreno alla scala sud-ovest. Nel
1965 si procede finalmente all’acquisto, comprensivo del diritto a edificare
sulla terrazza dell’ala sud confinante
con la chiesa.
Qualche anno dopo, nel 1968, un altro pezzo si aggiungerà al mosaico,
casa Palma, accanto al laboratorio
prove materiali e con strategico accesso diretto al canale da fondamenta
Minotto. Accesso indispensabile per il
trasporto dei materiali al «migliore dei
laboratori delle facoltà di architettura
in Italia», come lo descrive Franco Levi (CdA, 22.12.1967). Il piccolo edificio
non costituisce certo la soluzione al
problema che da subito si manifesta:
la carenza di spazi. Lo Iuav cerca, nel
1962, di acquistare un immobile, approfittando dei nuovi fondi messi a disposizione per l’edilizia scolastica dalla
legge 1073 del 1962, che proroga fino
al 1965 i provvedimenti per lo sviluppo della scuola, sempre in attesa della
Grande Riforma. La distribuzione di
denari, finché questi abbondano, è il
sistema politicamente meno impegnativo per procrastinare i cambiamenti.
Ricerche infruttuose e richieste esose
inducono l’Istituto a desistere, rinunciando così al contributo.
Ai Tolentini, fra il passaggio sulla
terrazza, il restauro di casa Palma, sistemazioni e finiture interne, i lavori
proseguiranno per anni e lo spazio
antistante l’ingresso principale fungerà da deposito dei materiali. Così,
per lungo tempo, fino all’apertura del
varco nel “fortino”, l’accesso è su calle
Amai, indirizzo ufficiale anche nei documenti. (m.m.)
La grande illusione.
Cogestire la facoltà
È il segretario dell’assemblea generale degli studenti Raffaele Panella ad
usare l’efficace formula «Venezia anno
zero» per annunciare sulle pagine di
«Casabella Continuità» (n. 284, 1964)
l’accordo raggiunto fra docenti, assistenti e studenti il 22 gennaio 1964, per
una gestione congiunta della facoltà.
Il risultato è ottenuto dopo i pionieristici scioperi attivi (1960-61), seminari
introduttivi e commissioni paritetiche (1961-62), preceduti, nel 1959-60,
dall’altrettanto avanguardistica riforma dei piani di studio avviata da Samonà e seguiti, nel 1963, dagli scioperi
nelle altre facoltà di architettura per
ottenere analoghe azioni di riforma
e democratizzazione. Il giudizio degli
studenti veneziani su queste esperienze è dubbioso. Valutano positivamente
i seminari introduttivi, fondamentali momenti di trasmissione e comunicazione fra studenti di anni diversi e
di sistematizzazione delle esperienze
dei corsi, ma bocciano, per la scarsa
incisività avuta, le commissioni paritetiche, caratterizzate dal «riformismo
spicciolo» dei docenti e dall’assenza
di contenuti nelle rivendicazioni degli
studenti. E si dichiarano scettici nei
confronti delle altre proteste, ritenendo localistiche e disarticolate le richieste dei colleghi delle altre facoltà, laddove l’urgenza è per azioni coerenti e
coordinate: il movimento studentesco,
l’unico a svolgere una «funzione rivoluzionaria all’interno dell’università»
deve chiarire «in termini di alternativa
le proprie rivendicazioni». Alle proteste
del 1963 comunque seguono, in un
clima di notevole aspettativa politica
per il primo governo di centro-sinistra,
dibattiti e inchieste: nelle università
(il convegno al teatro Roxy di Roma)
e sulla stampa («Casabella Continuità»
dedica il n. 287 del 1964 al Dibattito
sulle scuole di architettura in Italia,
con le voci degli studenti), con chiare prese di posizione da parte di molti
docenti.
Ma proprio alla fine del 1963 e in diretta conseguenza di quei movimenti, lo
Iuav si trova scompaginato: tre docenti
fra i più attivi sostenitori delle riforme
si trasferiscono a Roma e Milano. La
“crisi” che ne segue (tale era per gli
studenti, allora e anche a distanza di
anni: crisi d’identità, venir meno di un
assetto che differenziava lo Iuav dalle
altre scuole, compensandone la perifericità) viene assunta come occasione per provare a “rifondare” l’Istituto,
rilanciare su basi più avanzate il rinnovamento e sperimentare una nuova
struttura basata su ricerca e didattica.
Convinti che la ricerca implichi ruoli
e non gerarchie, che assistenti e studenti possano intellettualmente e culturalmente contribuire ad essa e non
essere semplice manodopera al suo
servizio, che debba esservi relazione
fra ricerca e didattica, gli studenti ritengono che sia raggiungibile «l’obiettivo di trasformare la stessa struttura
delle discipline, degli istituti interni e
quindi della Facoltà nel suo complesso». Spingono quindi per un accordo in
cui anche assistenti e studenti abbiano un peso nelle decisioni sul futuro
assetto dello Iuav.
L’accordo, motivato dalla necessità
di una «profonda e meditata sperimentazione della riforma di strutture
nelle Facoltà di Architettura», prevede
la formazione di tre organi: Consiglio
d’istituto, Consiglio didattico, Giunta
esecutiva, per la definizione, nell’ordine, dei programmi di ricerca, delle modalità della didattica, delle proposte e
richieste da presentare a Consiglio di
facoltà e Consiglio d’amministrazione. In quanto non istituzionali e non
sottoponibili al controllo ministeriale,
tali organi sono composti pariteticamente da docenti, assistenti e studenti
e hanno una relativa libertà d’azione.
La loro efficacia tuttavia dipende dalla
capacità propositiva degli studenti e
dalla volontà di collaborare dei docenti. Entrambe non così scontate. Mentre
gli studenti, infatti, si cimentano in riflessioni sul ruolo degli istituti, sull’autonomia della ricerca e la libertà dei
corsi, i docenti nel Consiglio di facoltà
stabiliscono, senza consultare studenti
o Giunta esecutiva, il sostituto di Daniele Calabi, improvvisamente scomparso. Gli studenti chiedono, allora,
la firma di una convenzione ufficiale
che, oltre a confermare i tre nuovi organi, ne stabilisca finalità e funzioni,
regolamentando le modalità di scelta
dei membri (eleggibili ed elettori sono
i soli firmatari della convenzione) e la
frequenza di riunione. Il tutto a partire
dal 1 dicembre 1964. (m.m.)
3
Iuav : 110
Effetti migratòrî
18 novembre 1963, «Paese sera» lancia
l’allarme: L’esodo dei docenti mette in
crisi l’Istituto di Architettura di Venezia. Stando all’articolo, il passaggio ad
altra sede di alcuni docenti di ruolo
avrebbe messo a rischio ben otto cattedre. In realtà saranno “solo” quattro. Ciò non toglie però che si tratti di
“esodo” in piena regola, vista anche la
coincidenza dei trasferimenti. A fare
le valigie, dal 1 novembre 1963, sono
Bruno Zevi, Luigi Piccinato, Lodovico
Barbiano di Belgiojoso. Il Consiglio di
facoltà, formato allora di soli ordinari,
è dimezzato: passa da otto membri a
cinque e poi a quattro per la partenza anche di Franco Albini (1 novembre
1964). Tuttavia definire, questa, una
situazione di “crisi” appare forse eccessivo. È innegabile che tali distacchi
segnino, per la scuola veneziana, la fine di una stagione; una stagione che
probabilmente vale la pena chiudere
se lo scopo è assecondare i fermenti di
rinnovamento culturale in atto (finalmente) anche altrove.
Confronto di idee, sperimentazione di-
dattica e pluralismo di metodi erano i
principi su cui Samonà aveva costruito
lo Iuav del dopoguerra, convocandovi
un gruppo di intellettuali e professionisti di primo piano. Gli stessi principi
invece non facevano parte, non ancora, dell’orizzonte culturale delle altre
facoltà italiane, per lo più costrette
entro le maglie di un conservatorismo
di retroguardia, duro da scalfire. Che
però qualcosa stesse cambiando era
ormai più che una sensazione. All’origine dei quattro trasferimenti, verso
Roma e verso Milano, c’è innanzitutto l’ondata di agitazioni che all’inizio
del 1963 investe il mondo universitario. Dunque quella “democrazia della
cultura” caratteristica della scuola di
Samonà diviene nelle altre facoltà una
conquista di lotta alla quale i quattro
“veneziani adottivi” non rifiutano il loro appoggio. Date le premesse, nessuno allo Iuav pone veti alle “chiamate”,
semmai le incoraggia come nel caso di
Zevi (CdF, 19.2.1964).
A Roma l’azione di studenti e assistenti aveva già prodotto qualche novità
durante il biennio accademico 1961-63.
Mancava però la garanzia della conti-
nuità. L’occupazione del 1963 permette
di correggere la rotta con l’ingresso
di tre esterni, i cosiddetti (e non a
caso) “professori democratici”: Zevi e
Piccinato da Venezia, titolari di Storia
dell’architettura e di Urbanistica, e
Ludovico Quaroni da Firenze per Composizione architettonica. A Milano, nel
settembre del 1963, il Consiglio di facoltà approva il programma per il futuro triennio di attività. Il primo punto
del documento stilato da Gio Ponti dichiara imprescindibile arricchire «la Facoltà di persone di prestigio culturale
riconosciuto in Italia e fuori, di provato
impegno e carattere, affinché il corpo
accademico rappresenti una élite, che
attragga presso la Facoltà le forze migliori» (Rivoluzione, 2009). È così che
Belgiojoso lascia la cattedra di Caratteri distributivi degli edifici, per ricoprire a Milano quella di Composizione
architettonica e assumere la direzione
dell’omonimo istituto scientifico. Anche Albini, titolare di Architettura degli interni, arredamento e decorazione,
prende servizio a Milano fin da quello
stesso anno accademico (1963-64). Con
il benestare del Consiglio di facoltà ve-
neziano (CdF, 22.1.1964), Albini accetta
l’incarico di Composizione architettonica, insegnamento che dall’anno successivo terrà in via permanente come
professore di ruolo.
Ai Tolentini nulla di tutto questo giunge inaspettato, anzi, è giusto “in previsione” di eventuali trasferimenti che si
elabora lo schema dei nuovi incarichi.
Scontata è la sostituzione di Piccinato
con Giovanni Astengo che, allo Iuav
dal 1949, assume ora il doppio incarico
di Urbanistica 1 e 2. Altrettanto naturale è l’avvicendamento tra Albini e
Carlo Scarpa, entrato in ruolo nel 1962
dopo il concorso per la cattedra di Architettura degli interni. Al momento,
la presunta “crisi” va piuttosto derubricata come accorta politica di gestione
delle forze residuali (che non sono
comunque poche) con l’introduzione
di qualche importante novità “alla Samonà”: tra queste la chiamata “brevi
manu” di Carlo Aymonino (libero docente di Architettura e Composizione
architettonica e già impegnato sul
fronte del rinnovamento alla facoltà
romana) come incaricato di Caratteri
distributivi degli edifici e, quanto me-
no, il consenso all’ingresso di Leonardo Benevolo, libero docente di Storia
e stili dell’architettura (prima a Roma,
poi a Firenze) e incaricato della stessa
materia al posto di Zevi.
Consolidata la didattica, non resta che
avviare le pratiche per ricostituire l’organico ufficiale e assicurare stabilità
agli istituti scientifici: tre dei quattro
erano infatti diretti dai professori usciti di scena. Le nuove nomine sono obbligate, dato che questa funzione spettava solo ai professori di ruolo rimasti
in quattro.
L’istituto-laboratorio di Scienza delle
costruzioni, guidato da Franco Levi,
straordinario di Scienza, non ha motivo di subire modifiche. L’istituto di
Urbanistica, creato nel 1962, passa
formalmente a Samonà, ma il vero
deus ex machina appare fin da subito Astengo. L’istituto di Tecnologia
della progettazione (non Tecnologia
dell’edilizia come talvolta si legge) è
una creatura di Albini che con lui nasce (1962) e muore: il passaggio della
carica a Gardella provocherà un totale
cambiamento di rotta.
Infine a dirigere l’istituto di Storia
dell’architettura è designato Scarpa,
l’unico altro ordinario disponibile. Si
trattava evidentemente di una soluzione tampone.
Dal 1964 sarà infatti Egle Renata
Trincanato a prendere le redini della
struttura, dopo il suo ingresso in ruolo
come titolare di Elementi di architettura e rilievo dei monumenti. Sebbene
frutto di una scelta più coerente, la
sua nomina nasconde alcune insidie
che non tarderanno a trasformarsi in
un vero e proprio problema. (m.c.)
Ex Intendenza di Finanza, planimetria di
piano terra e ammezzato, prospetti e sezioni,
novembre 1963 (ASIuav, UTE);
ex convento dei Tolentini, opere completate
(aree in rosso): piano ammezzato, , agosto
1961 e piano primo, maggio 1962 (ASIuav,
UTE);
cantiere nell'ala sud, 1963 (ASIuav, UTE).
4
Iuav : 110
1965-67 Nuovi protagonisti
Tolentini, spazi e servizi
Pezzo a pezzo, fra il 1962 e il 1965, lo
Iuav trasloca ai Tolentini: prima i corsi del triennio, poi l’istituto di Storia
dell’architettura, i corsi del biennio,
gli altri due istituti, gli studi dei docenti, la biblioteca. Per ultima l’amministrazione, nell’ex Intendenza, con
la riconsegna ufficiale al Comune di
palazzo Giustinian (CdA, 31.3.1965). Si
sistemano negli spazi assegnati dai
piani elaborati da Bacci e Calabi, con
l’assistenza di Fernanda Valle: i laboratori (scienza, riproduzione, plastica)
al piano terra, gli studi dei professori e
gli istituti al primo piano, dov’è anche
l’aula “miracolo”, con modelli e prototipi del corso di Albini, le aule al secondo, la biblioteca nell’ammezzato, a
est. L’alloggio del custode (si rinuncia
ad averne due, per problemi di spazio)
è nel cortile su calle Amai. Per l’Aula
Magna si prevede un nuovo volume
sulla terrazza dell’ala sud, ma qui sarà in realtà realizzato nel 1967-68 un
semplice collegamento fra le ali ovest
e est (rinunciando all’idea scarpiana
di una copertura trasparente sospesa),
nel rispetto dell’accordo raggiunto con
la Curia nel 1965. Al terzo piano, sotto
le falde rialzate del tetto, sono lo studio di scenografia a nord e di composizione a ovest. Quest’ultimo è subito
ribattezzato “Vajont”, dal progetto di
piano per la valle di Longarone, elaborato dall’Istituto dopo la tragedia. Ma
il distributivo non è dato una volta per
tutte, molti locali (ad eccezione degli
studi dei docenti) cambieranno più
volte destinazione, per far fronte ad
esigenze in costante mutazione. Così,
il piano degli arredi, affidato ad Albini
e Calabi nel maggio ‘64 non vedrà la
luce e tavoli, sedie, poltroncine sono
acquistate mano a mano che se ne
manifesta la necessità. Oltre a tavoli
da disegno con relativi sgabelli, si acquistano a più riprese centinaia di sedie con leggio disegnate da Albini per
la ditta Poggi. Sempre di Albini sono
le lampade a specchio obliquo. Poco
o nulla degli arredi della vecchia sede
verrà recuperato e l’immagine dei Tolentini, nella sua fluidità, per non dire
provvisorietà, sarà decisamente opposta a quella statica di San Trovaso. Già
nel gennaio ‘65 si procede a una prima
riorganizzazione. Ne è incaricata, probabilmente a seguito della scomparsa
di Calabi, Egle Trincanato che stabilisce alcuni cambi di destinazione per le
esigenze dei laboratori e per la biblioteca e il ricavo di nuovi ambienti nel
sottotetto per altri studi. La biblioteca,
in particolare, ha bisogno di maggior
spazio, relegata com’era nel locale accanto all’ex refettorio. Quest’ultimo,
destinato a sala da disegno, è quindi
adattato a sala di lettura e mostre. La
riorganizzazione della biblioteca è affidata al neolaureato Franco Mancuso,
alla fine del 1964. La piccola rivoluzione introdotta da Mancuso riguarda: la
disposizione di libri e riviste in scaffali aperti (vista con preoccupazione
dall’amministrazione, per il rischio di
sparizione dei volumi, rischio che lo
Iuav decide di correre pur di avere una
biblioteca funzionante e frequentata),
l’introduzione di una macchina per
xerocopie (che, gettonatissima, por-
terà anche un aumento delle entrate
per lo Iuav), l’avvio di un Centro di
documentazione la cui apertura, sempre richiesta e auspicata, non avverrà
prima del 1974. Ma i problemi di spazio si ripropongono quando la sala di
lettura-mostre diventa, nel 1966, Aula
Magna e la biblioteca è ricostretta nei
due angusti locali adiacenti. Nel 1974
la biblioteca approderà finalmente al
secondo piano dell’ala nord. Questa
collocazione era stata suggerita nel
lontano 1961 dagli studenti in un loro
progetto per fare dello Iuav un luogo
per la «produzione di cultura». Biblioteca, Centro di documentazione, laboratorio tipografico, fotografico, libreria
erano state pensate come strutture
agenti in stretta comunicazione e in
un blocco autonomo e isolabile, per
permettere l’accesso anche in orari di
chiusura della scuola. L’organizzazione della nuova sede avrebbe dovuto
rispecchiare, per gli studenti, il nuovo
assetto dell’università: «Il trasferimento, ormai prossimo, alla nuova sede
dei Tolentini, pensiamo costituisca
una ottima occasione per dare ai corsi
un carattere nuovo; per costituire gli
istituti; i gruppi interni, gli internati,
la cooperativa libraria; per realizzare,
in altri termini, una facoltà capace di
produrre cultura» (Editoriale, 1962). Le
cose non andranno esattamente così:
otterrano grandi aule per seguire le lezioni, ma non spazi e attrezzature per
fare ricerca e gli istituti rimarranno a
loro interdetti. Durante l’occupazione
del 1967, prepareranno uno studio
sulla distribuzione degli spazi ai Tolentini, evidenziando come i locali da
loro utilizzabili sono relativamente
pochi: mentre i docenti dispongono di
40 metri quadrati ciascuno (fra studi
e istituti) il rapporto studente/spazi
accessibili è di 1 metro quadrato soltanto. La condizione, comune ad altre
facoltà, è illustrata nell’editoriale di
«Casabella» del dicembre ’66, in cui si
esprime comprensione per le proteste
degli studenti, costretti ad accalcarsi
in cinema dismessi per una lezione, e
si auspica il rapido varo del piano per
l’edilizia universitaria, ancorché staccata dalla riforma. Ma, allo Iuav, la
situazione anziché migliorare, peggiorerà negli anni a venire, come si vedrà
in seguito. (m.m.)
Produrre cultura. La Cluva
L’11 settembre 1962, si costituisce la
società cooperativa a responsabilità
limitata denominata Libreria Universitaria Veneziana di Architettura (Cluva),
con sede presso lo Iuav. Soci fondatori
sono 9 studenti e scopi principali la
pubblicazione e la vendita di libri, dispense, ricerche nonché la rivendita di
libri editi da terzi.
L’idea di una tipografia interna è
nell’aria da anni, almeno dal 1954,
quando Astengo e Samonà lanciano
l’idea di pubblicare in proprio gli scritti
dei docenti. Nel 1959, la proposta riemerge, ma è necessario costituire una
società esterna allo Iuav, il quale non
può esercitare attività commerciali;
nessun docente però prende l’iniziativa. Ci pensano gli studenti alla fine del
1961, sulla scorta di un documento (Per
una produzione di cultura, allegato a
«Venezia architettura», n. 9, 1961) dov’è
prefigurata un’università organizzata
per istituti di ricerca e con un centro
di programmazione e coordinamento
della ricerca e della pubblicazione guidato da docenti, assistenti, studenti.
La libreria sarebbe stata l’organo tecnico di questa nuova struttura con sede
nell’ala nord dei Tolentini. Ovviamente, di tutto ciò sarà realizzata la sola
cooperativa libraria cui saranno assegnati, nel 1965, tre locali al piano terra
dell’ex Intendenza di Finanza, dove ancora oggi la libreria si trova. Non senza
strascichi economici, che confluiranno
nei motivi delle proteste del 1973.
Dopo due anni di attività precaria, date anche la scarsa collaboratività dei
docenti e la “concorrenza sleale” dei
bidelli, l’iniziativa comincia a prendere
piede e si consolida nel 1965 con l’ingresso, in qualità di socio, dell’Opera
Universitaria (CdA, 18.12.1964, CdA
Opera, 4.2.1965). Fra 1964 e 1965 sono
venduti libri per 15 milioni di lire e realizzate 14 pubblicazioni. Fra queste, le
Lezioni di Scienza delle Costruzioni di
Levi, la Relazione Generale dello Schema di Piano del Vajont di Samonà,
Aspetti e problemi della tipologia edilizia di Aymonino, le Ricerche di metodo
per il disegno urbano di De Carlo.
Fra l’aprile 1966 e il luglio 1968, la Cluva riesce anche a pubblicare 7 numeri
del bollettino bibliografico «Architettura libri». Redatto da Stelio Caravella, Clemente di Thiene e, per l’ultimo
numero, Giuseppe Susani, il bollettino
è inizialmente affidato per la parte
distributiva e amministrativa alla Marsilio Editore. Sarà poi curato anche
sotto questi aspetti dalla cooperativa.
Alle informazioni su libri italiani e stranieri si accompagnano segnalazioni di
articoli su riviste specializzate, recensioni, bibliografie ragionate e schede
bibliografiche, non senza riferimenti
polemici alle carenze della biblioteca
Iuav. L’ultimo numero, dedicato interamente alla metodologia della progettazione (nei primi 6 prevale invece la
pianificazione urbana), indirizzava il
bollettino verso una maggiore dimensione critica ed epistemologica, con
scelte bibliografiche non strettamente
disciplinari.
Assunta a emblema del diritto allo studio, la Cluva si troverà coinvolta nelle
contestazioni del 1973, incentrate sulla
richiesta d’incremento dell’assistenza
universitaria. Una serie di circostanze
è letta dagli studenti come un “attacco” proprio a quel diritto e un mezzo
indiretto di selezione. Tali circostanze
sono: la sospensione di contributi e
prestiti alle cooperative universitarie
(giustificata dal Ministero in termini
di equa concorrenza); la conseguente richiesta da parte del commissario
prefettizio dell’Opera della restituzione di un prestito accordato nel 1969;
l’esazione da parte dell’Intendenza
di Finanza del canone d’affitto per i
locali occupati; la richiesta da parte
dello Iuav degli stessi locali, per poter
ampliare gli uffici amministrativi (con
l’offerta di spazi alternativi). Si giungerà, più tardi, a un accordo per il quale
lo Iuav si sarebbe accollato parte dei
debiti in cambio della gestione delle
dispense. (m.m.)
In questa pagina:
ex convento dei Tolentini:
sezioni verso nord e verso sud, dicembre
1968 (ASIuav, UTE);
piano terra, progetto distributivo, novembre
1965 (ASIuav, UTE);
piano terzo, progetto distributivo, novembre
1965 (ASIuav, UTE).
Pagina a fronte:
lavori per la realizzazione della terrazza sul
lato sud, 1967-68 (ASIuav, UTE);
schema per la collocazione del centro ricerca
e pubblicazione elaborato dagli studenti (Per
una produzione di cultura, 1961);
«Architettura libri», copertine dei numeri 1,
2-3 del 1966 e 2 del 1968.
5
Iuav : 110
Un piano per gli istituti e il
“pasticcio” dei posti di ruolo
Dopo un biennio accademico condizionato dalla preoccupazione di dare continuità alla gestione della scuola, quello
successivo è caratterizzato dalla volontà
di introdurre decisi cambiamenti.
Alcuni resteranno mere intenzioni, altri
invece sono destinati ad incidere non
poco sulla formazione degli studenti e
in generale sul futuro della scuola (tra
questi l’ampliamento del settore urbanistico). Altri ancora riusciranno a malapena ad essere avviati prima di finire
travolti dalla contestazione studentesca che ne farà bersaglio della protesta; ragione per cui opportunamente
Samonà li accantona. Il riferimento è
al piano di riassetto complessivo degli
istituti scientifici che, pur attivato, non
sarà mai registrato ufficialmente nello
statuto dello Iuav e decadrà con la fine dell’a.a 1967-68.
Tra i mesi di febbraio e novembre del
1966 matura l’idea di istituire prima
uno, poi due nuovi istituti scientifici.
L’iniziativa è ritenuta indispensabile
«visto che gli interessi didattici e di
ricerca, specifici di alcune discipline
sono spesso divergenti per cattedre
che appartengono al medesimo istituto, e visto che un numero eccessivo di
materie gravano con risultati contrari
rispetto ad un agile processo di lavoro
e di scambi di esperienze nell’ambito
dell’istituto stesso» (CdF, 24.11.1966).
La prima necessità riguarda l’ambito
della progettazione: sotto esame è l’istituto di Tecnologia della progettazione.
Da direttore, Albini aveva impresso alla
struttura un preciso indirizzo operativo
strettamente aderente ai suoi specifici
interessi, realizzando quanto egli stesso
si era proposto fin dal 1958. A prescindere dai giudizi di merito, l’attività che
vi si svolgeva era comunque redditizia.
Al pari dell’istituto-laboratorio di Scienza delle costruzioni (che però fatturava
5-6 volte tanto), la struttura eseguiva
prestazioni per conto terzi con ricavi rilevanti. Il consuntivo dell’ultimo anno
della sua gestione (1963-64) certifica
introiti per poco meno di 900 mila lire,
derivanti dalla realizzazione di disegni,
modelli e prototipi di mobili, secondo
il contratto stipulato nel 1962 con la
Camera di Commercio della provincia
di Udine.
Con la direzione di Gardella, l’istituto
rivede le proprie attribuzioni e Samonà
valuta l’opportunità di creare un istituto attorno alla sua cattedra (Composizione architettonica) rimasta finora
indipendente e gestita da lui stesso in
totale autonomia. Si passa dunque da
una a due strutture.
Scopo del rinnovato istituto di Tecnologia è approfondire le relazioni tra
progettazione architettonica e tecnica delle strutture, riunendovi materie
quali Caratteri distributivi degli edifici,
Elementi costruttivi, Elementi di composizione, e Impianti tecnici, oltre a
Decorazione. Significativamente l’insegnamento di Architettura degli interni
(Scarpa), fulcro della precedente esperienza albiniana, confluisce invece nel
nuovo istituto di Progettazione, diretto
da Samonà e indirizzato allo studio di
argomenti teorico-compositivi.
All’apertura dell’a.a. 1966-67 questo
quinto istituto è già in funzione benché il Ministero della Pubblica Istruzione non ne abbia ancora dichiarato la
legittimità. Lo farà più tardi (13 maggio
1967), giudicando positiva l’istituzione
della nuova struttura ma superflua la
presenza anche dell’istituto di Tecnologia, le cui funzioni possono essere
assolte congiuntamente dagli istituti di Progettazione e di Scienza delle
costruzioni. Sul giudizio ministeriale
incide non poco il nuovo assetto dato
da Franco Levi proprio a quest’ultimo
istituto.
Subito dopo la sua nomina a ordinario (1965), Levi richiede l’istituzione
dell’insegnamento di Tipologia strutturale (in calendario dal 1966-67 ma
attivato nel 1967-68 e assegnato a
Giorgio Macchi), ritenendolo un indispensabile anello di congiunzione
fra gli insegnamenti scientifici di teoria delle strutture e quelli compositivi. L’orientamento conferito da Levi
all’istituto appare dunque marcatamente applicativo. Non a caso fanno
capo alla struttura gli insegnamenti
di Meccanica razionale e statica grafica, Tecnologia dei materiali e tecnica
delle costruzioni, Tipologia strutturale
(che a differenza degli altri è un insegnamento complementare) e Scienza
delle costruzioni. Ne sono escluse invece le altre materie scientifiche che
formano due distinti raggruppamenti,
fisico e matematico.
Il Ministero invece non ha nulla da
eccepire circa il secondo nuovo istituto, quello di Elementi di architettura
e rilievo dei monumenti, gestito da
Egle Trincanato. Creato per dare unità
e riconoscimento alle discipline della
rappresentazione, vi confluiscono gli
insegnamenti di Geometria descrittiva,
Disegno, Plastica e Scenografia oltre
all’omonima cattedra di Elementi.
In questo caso però l’attivazione non
è immediata; avviene solo ad anno
accademico inoltrato. La ragione del
ritardo è da imputare in buona parte alla condizione ancora precaria in
cui si trova l’istituto di Storia dell’architettura. È chiaro infatti che, con la
creazione della “sua” nuova struttura,
Trincanato avrebbe smesso i panni di
direttore supplente dell’istituto di Storia, lasciando scoperta una carica che al
momento nessuno poteva ricoprire. Al
vaglio c’era l’ipotesi della candidatura
di Giuseppe Mazzariol, ma si sarebbe
trattato solo di un ennesimo “rimedio
tampone” dato che l’area storica era
ancora priva di professori di ruolo. In
effetti il piano di riassetto degli istituti doveva fare i conti con un proble-
ma ancora aperto: quello dei posti di
ruolo vacanti dopo i trasferimenti del
1963-64. La situazione del settore urbanistico si era risolta in via definitiva
proprio nel 1966 con l’ingresso in ruolo
di Astengo (16.12.1966), primo ternato
al concorso bandito allo Iuav.
Purtroppo una soluzione altrettanto
immediata non era pensabile per l’ambito storico e la responsabilità di questo stato di cose era da ascrivere interamente al Consiglio di facoltà che,
dopo Zevi, anziché chiedere l’apertura
di un concorso per Storia e stili dell’architettura, aveva preferito (16.12.1963)
trasferire questo posto di ruolo alla
cattedra di Elementi di architettura per
poter chiamare subito uno dei vincitori
del concorso di Torino: per l’appunto,
Egle Trincanato.
La possibilità di ampliare l’organico ufficiale istituendo nuovi posti di ruolo
si presenta solo nel marzo del 1967.
Ancora una volta, l’attenzione non
si concentra sulla cattedra di Storia
e stili dell’architettura, ma su quella
di Caratteri stilistici e costruttivi dei
monumenti, un insegnamento che,
almeno secondo gli orientamenti ministeriali, pareva destinato a svolgere
una funzione cardine nel quadro della
riforma degli studi di architettura, in
quanto materia “mediatrice” tra la storia dell’architettura e la composizione
architettonica. Per questa cattedra lo
Iuav «intende attingere alla terna del
concorso di Storia dell’architettura,
testé effettuato per la Facoltà di Milano, chiamando il prof. Manfredo Tafuri, unico ternato ancora disponibile»
(CdF, 8.3.1967). Inoltre, per velocizzare
la pratica, viene decisa un’ulteriore
mossa che sfrutta il passaggio di Giulio Pizzetti ad un’altra sede universitaria. Arrivato allo Iuav nel 1959, Pizzetti
entra in ruolo nel novembre del 1966
come secondo ternato al concorso
bandito dallo Iuav per la cattedra di
Tecnologia dei materiali e tecnica delle
costruzioni. Dal 1 novembre 1967 passa
al Politecnico di Torino, liberando così
un posto di ruolo che viene trasferito
alla cattedra di Caratteri stilistici (CdF,
19.10.1967). In tal modo i tempi per la
chiamata di Tafuri si sarebbero ridotti
ai soli 20 giorni stabiliti per legge. In
effetti la chiamata ufficiale è deliberata il 30 novembre 1967. Purtroppo però
l’intera procedura soffriva di un vizio
d’origine. Fin dall’inizio il Consiglio di
facoltà aveva commesso un errore di
valutazione confidando sul fatto che,
come già dichiarato in passato, «la Storia dell’Architettura […fosse] comprensiva dei Caratteri stilistici e costruttivi
dei monumenti» (CdF, 8.3.1967). In realtà il Ministero della Pubblica Istruzione non è della stessa opinione e,
nelle more tra l’ordinamento didattico
esistente e quello nuovo allo studio,
sceglie di non riconoscere l’affinità tra
le due materie (dicembre 1967). Poco
male, la decisione ministeriale può ormai essere aggirata in scioltezza con
l’ennesimo e ultimo trasferimento del
posto di ruolo da Caratteri stilistici alla
cattedra di Storia e stili dell’architettura che Manfredo Tafuri ricoprirà solo a
partire dal 10 gennaio del 1968.
Il fatto che l’insegnamento di Caratteri distributivi degli edifici non fosse al centro di uno specifico istituto
scientifico e che quindi avesse scarso
peso nel quadro del riassetto complessivo delle strutture, non rende meno
urgente la nomina di un suo titolare.
Trattandosi di una cattedra convenzionata di ruolo, istituita come tale da
un apposito decreto presidenziale (dpr
n.1192 del 10.11.1959), non era possibile
e nemmeno legale coprirla stabilmente per incarico. Dunque riconsegnare
la materia ad un titolare avrebbe dovuto essere una priorità e invece….
Su proposta di Gardella, il Consiglio
di facoltà sceglie (CdF, 19.2.1964) di
ignorare gli esiti di un primo concorso
e attendere che la terna dei vincitori
trovi sistemazione presso altre sedi
universitarie, per chiedere l’apertura di
un nuovo bando. Esaminata l’ulteriore
terna di vincitori del concorso richiesto
dallo Iuav (1965), si delibera di rinviare di un anno ogni decisione, confermando per il terzo anno consecutivo
(1965-66) l’incarico ad Aymonino. Nel
frattempo «si avviano delle intese con
le altre Facoltà per sondare a fondo se
sia possibile sistemare la terna dei vincitori secondo i criteri che il Consiglio
ritiene più confacenti alla struttura e
all’indirizzo culturale dello Iuav per
quel che riguarda il professore designato a diventare di ruolo nell’Istituto
stesso» (CdF, 7.12.1965). Quale fosse il
senso dall’operazione è presto detto e
quale il ruolo assegnato ad Aymonino
è altrettanto intuitivo.
Il primo della terna è Giovanni Klaus
Koenig; il secondo è chiamato a Torino; il terzo è Carlo Aymonino. Nel
luglio del 1966 nessuna scelta è ancora presa. L’attribuzione del corso
resta sospesa e intanto Samonà cede
ad Aymonino l’incarico di Composizione 1 (a.a. 1966-67). La situazione si
sblocca quando lo Iuav chiama Koenig
sulla base di un esplicito accordo con
la facoltà di Firenze, presso la quale
Koenig teneva per incarico il corso di
Storia e stili dell’architettura. L’intesa
prevede il suo trasferimento definitivo
alla cattedra di Storia a Firenze entro
il luglio del 1967. In tal modo lo Iuav
può dar corso alla chiamata ufficiale
di Aymonino alla cattedra di Caratteri.
Alla fine la manovra riesce malgrado
gli alti margini di rischio dovuti ai ritardi burocratici (per cui Koenig si
trasferirà solo dal 1 febbraio 1968) e ai
tempi di validità legale dei risultati del
concorso (un triennio) che costringono
Aymonino ad un anno di straordinariato a Palermo (1967-68), pena la perdita
del diritto alla chiamata. In tutto questo non sfugge che dal trasferimento
di Koenig all’effettivo rientro di Aymonino (1.11.1968), il corso di Caratteri
distributivi resterebbe per più di un
semestre senza “timoniere” se non fosse richiamato a Venezia Aldo Rossi che
in realtà, anche dopo l’abortito corso
su L’architettura della città (corso di
Elementi di architettura 2 coordinato
a quello di Trincanato per il 1965-66),
non se ne era mai del tutto andato a
Milano. (m.c.)
6
Iuav : 110
1965-67 Gu(a)i in vista
Dopo due anni di lavoro di una commissione parlamentare d’indagine e
la presentazione in parlamento delle
linee direttive del piano pluriennale
di sviluppo della scuola, il 4 maggio
1965 il ministro Luigi Gui (secondo
governo Moro, Dc-Psi-Psdi-Pri) illustra
alla Camera il ddl 2314, sulle Modifiche
all’ordinamento universitario. Subito
deferito in Commissione Istruzione e
Belle Arti, il disegno passa al Senato
solo nel dicembre 1967. Oltre a questo ddl, il governo appronta sempre
nel 1965 altre leggi in merito all’edilizia universitaria (approvata nel luglio
1967) l’incremento del personale insegnante e non, il diritto allo studio (che
vedranno la luce parecchi anni più
tardi). Evitando ogni riferimento alla
“riforma”, il piano apporta una serie di
modifiche alla normativa allora vigente, che, spiega il relatore, senza imporre soluzioni ai problemi dello studio,
consentono alle singole università di
adottarle. I capisaldi del piano sono:
l’istituzione di tre diversi titoli di studio con percorsi distinti; la possibilità
di introdurre, fermi restando cattedre
e istituti scientifici, i dipartimenti, per
il coordinamento delle attività di ricerca, fra più istituti, cattedre e facoltà;
l’inclusione negli organi accademici di
docenti aggregati e incaricati e di assistenti di ruolo; l’inclusione nei soli consigli d’amministrazione di due studenti
con voto solo consultivo; l’istituzione
del Consiglio nazionale universitario
con funzione consultiva del Ministro
che mantiene tutte le prerogative in
ordine a nuovi istituti, titoli di studio,
cattedre, piani di studio. L’opposizione
al piano, in aula e soprattutto fuori, contesta l’assenza di risposte alle
questioni avanzate dal mondo studentesco, da una piccola parte di quello
accademico e dalla sinistra in merito
ad autonomia universitaria, crescente
numero degli studenti, qualità e libertà d’insegnamento e di ricerca.
I 100 giorni degli studenti
Ci è ignoto il destino della convenzione
di fine 1964, se sia stata firmata e da
chi, ma è certo che, nei due anni successivi, le decisioni continuano ad essere prese dal Consiglio di facoltà (CdF)
e, se i consigli d’istituto hanno in qual-
che caso luogo, la Giunta esecutiva, nel
1965, non viene nemmeno nominata e
l’interdisciplinarietà rimane sulla carta.
Perché ciò che sulla carta pareva realizzabile, nella realtà poneva di fronte
alla rinuncia di ruoli e poteri “faticosamente” raggiunti. Infine, sul fronte studenti, l’esautoramento dell’organismo
di rappresentanza studentesco (Orsav)
e l’attribuzione dei “poteri” all’Assemblea Generale (per aumentare il coinvolgimento della base) si dimostra, in
quel momento, inefficace e l’Orsav è
presto riesumato. Svanisce così quello
che Giulio Obici, dalle pagine di «Paese Sera» (1966) definisce «Il tentativo
massimo che il mondo studentesco abbia compiuto per una riorganizzazione
dell’università che anticipasse la legge».
Il senso di disillusione e smarrimento in
fondo rispecchia la situazione nazionale, dove le aspettative riposte nel primo
governo di centro-sinistra si vengono
raffreddando con l’affossamento della
riforma urbanistica e l’impaludamento
in commissione di quella universitaria.
All’inizio del 1967, per contestare il
2314, gli studenti universitari di tutta
Italia indicono uno sciopero. A questo,
seguono proteste e occupazioni per affermare il ruolo sociale dello studente
(Pisa), per ottenere diritti (Milano), ma
anche per opporsi alla guerra in Vietnam (Trento). Chiaro sintomo di una ribellione non più confinabile all’ambito
universitario. Ma a tutto questo lo Iuav
rimane pressoché estraneo e, forse per
ciò, quando giunge il momento, la sua
protesta sarà clamorosa e radicale.
21 marzo: per il finanziamento dei 6
istituti scientifici, dei laboratori e delle esercitazioni pratiche fornite dagli
assistenti volontari, il Consiglio di
amministrazione, su proposta del CdF
(8.3.1967), delibera di chiedere a tutti
gli studenti un contributo di almeno
32.000 lire, ridotto a 18.000 per gli studenti a basso reddito familiare. In precedenza era di 7.500, 15.000, 25.000
lire in base alle fasce di reddito.
18 aprile: l’assemblea degli studenti
convocata dall’Orsav si oppone al pagamento della tassa, perché contraria
al diritto allo studio e mera “controparte” per essere ammessi in organi paritetici: «la storia della nostra università
è costellata di organismi paritetici e
della loro inutilità». Rinnega tutte le
lotte condotte in precedenza, in nome
della cultura e definisce il ruolo dello
studente «di opposizione globale alla
realtà universitaria».
19 aprile: alle proposte conciliatorie di
Samonà che giustifica la richiesta delcontributo come necessaria a finanziare le esercitazioni svolte dagli assistenti
(le “propine d’esame”) si risponde con
l’occupazione e la sospensione di ogni
dialogo. Docenti e assistenti presenti
all’assemblea sono invitati a lasciare
l’aula.
21 aprile: l’assemblea produce un documento «come linea di rivendicazione
immediata» con dichiarazioni e richieste. Sono espressi giudizi spietati sullo Iuav (cattiva amministrazione, crisi
della biblioteca, “provincialità” della
scuola, istituti scientifici come feudi,
occasioni perdute: casa dello studente
ai Ragusei, Fondazione Masieri, mensa)
ed è ribadita l’insostituibile presenza
degli studenti come «forza propulsiva della vita universitaria». Si chiede
inoltre l’ammissione degli studenti agli
organi decisionali, l’accesso ai verbali
dei consigli, relazioni su corsi, bibliote-
In senso orario:
prima pagina di «Cronache
dell'occupazione», 21 aprile 1967 (ASIuav);
scontri fra studenti e polizia dopo lo
sgombero forzato, «Il Gazzettino», 23 giugno
1967;
studenti scrivono manifesti di protesta, «Il
Gazzettino», 23 giugno 1967;
sit-in di studenti e docenti per l'intervento
delle forze dell'ordine, al centro Giuseppe
Samonà, «Il Gazzettino», 24 giugno 1967;
lo steccato del "fortino"(RIuav, prov.
Santacroce);
assemblea in calle Amai, «Il Gazzettino», 24
giugno 1967.
7
Iuav : 110
ca, servizi, ricerca. La questione tasse è
subito superata da una contestazione
globale. Emergono diverse posizioni: il
gruppo dei 14, poi 11, poi di Tendenza
(denuncia dei rapporti università-sistema capitalistico, e, più tardi, della «fine
del mito veneziano»), il gruppo Cronache dell’occupazione (analisi delle
strutture di potere dell’università, per
potersene impadronire), il gruppo Occupazione permanente (occupazione
come presa di coscienza del proprio
ruolo, da parte degli studenti e condizione di lotta e ricerca). Tutte queste,
anche dopo la “vittoria” della “mozione
Boato” (dare un volto all’occupazione
avanzando richieste precise), alimenteranno la protesta, coinvolgendo un
gran numero di studenti, soprattutto
dei primi anni.
27 aprile: il CdF (Samonà, Gardella,
Astengo, Levi, Koenig, Trincanato, assenti Scarpa e Pizzetti) chiede pubblicamente, con un manifesto murale, la
restituzione della segreteria e la cessazione dell’occupazione.
2 maggio: un gruppo di 12 assistenti dichiara il proprio appoggio agli studenti e condanna il manifesto dei docenti.
Essi rifiutano di essere indicati come la
causa della richiesta del contributo.
5 maggio: l’Associazione assistenti Iuav
solidarizza con gli studenti.
11 maggio: pubblico dibattito a Ca’ Giu-
stinian organizzato dai partiti di sinistra
e dalla Fgci. Gli studenti partecipano
solo a titolo personale per evitare
possibili strumentalizzazioni politiche
dell’occupazione.
13 maggio: il CdF delibera di chiedere la restituzione della sede entro il
22 maggio e di prolungare i corsi fino
al 18 giugno per spostare gli appelli
d’esame impegnandosi a stilare un documento programmatico da discutersi
in seminario aperto nella seconda metà di luglio e a cercare soluzioni per i
servizi didattici e assistenziali.
15 maggio: il Consiglio comunale discute il sostegno alla protesta studentesca (appoggiato da Dc, Psu, Pci e
Psiup, rispettivamente nelle persone di
Gagliardi, De Michelis, Perinelli, Federici) e l’eventuale offerta di mediazione fra le parti.
17 maggio: gli studenti, di fronte alla
vaghezza delle proposte dei docenti,
decidono di proseguire l’occupazione.
Stendono un documento in cui, oltre
a elaborare una puntuale disamina
della riforma universitaria, ribadiscono
le richieste del 21 aprile, indicando i
modi e i mezzi per la loro soddisfazione all’interno di norme e regolamenti
esistenti. Denunciano quindi come
inconsistente alibi l’asserita illegalità
delle richieste.
19 maggio: il CdF dichiara di voler ri-
prendere le lezioni il 22 maggio anche
in sedi di fortuna.
22 maggio: il Consiglio dei professori,
con repentino cambio di linea d’azione (possibilmente influenzato dalle dichiarazioni del Ministro Gui in merito
alla ripresa dei lavori per l’esame del
ddl 2314 e all‘approvazione dell’articolo relativo alla composizione del CdF
allargabile ai docenti incaricati), afferma di condividere «la necessità di un
profondo rinnovamento della struttura
dell’Università italiana, delle Facoltà di
Architettura e dell’Istituto di Venezia»
e illustra il programma che si è dato in
ordine a: riorganizzazione della scuola
con «individuazione e scelta delle tendenze verso cui orientare il lavoro della
facoltà»; esame delle diverse proposte
di riforma; modifica dell’ordinamento
universitario, con evidenti riferimenti
al documento studentesco.
7-8-9 giugno: l’assemblea dei docenti
e degli assistenti produce una serie
di documenti come piattaforma di discussione. A una prima dichiarazione
di principi (il rigetto del 2314 in quanto
mancante di riferimenti all’autonomia
universitaria e alla sua democratizzazione), fanno seguito enunciazioni
programmatiche delle aree compositivo-architettonica, urbanistica, matematico-scientifica e la descrizione
di un Istituto per la documentazione,
incaricato di raccogliere tutte le informazioni necessarie a didattica e ricerca per i vari istituti.
14 giugno: il presidente del gruppo
neo-fascista Ordine Nuovo presenta
esposto alla Procura contro gli occupanti, chiedendo l’intervento dell’autorità giudiziaria.
21 giugno: la polizia durante la notte
procede allo sgombero della facoltà
e, in assenza di Samonà, invita Trincanato a riprenderne possesso. Quattro
studenti sono identificati e denunciati
a piede libero.
22 giugno: gli studenti decidono di
proseguire l’agitazione con manifestazioni improvvisate in più punti della
città. Al rifiuto di Samonà di entrare
nella sede, Ordine Nuovo presenta
esposto contro il direttore e minaccia
l’intervento di “squadre di ragazzi”.
23 giugno: dopo uno scontro con la
polizia, gli studenti organizzano un sitin davanti al cancello della facoltà e
in campo dei Tolentini. Al tentativo di
sgombero da parte delle forze dell’ordine, Samonà e alcuni docenti siedono
a terra fra gli studenti.
26 giugno: Samonà entra ufficialmente ai Tolentini. Una commissione
voluta dal Ministero ispeziona i locali
per quantificare i danni. Certifica che
i sigilli a studi e uffici sono integri, la
biblioteca in ordine. Mancano solo al-
In senso orario:
dopo l'occupazione: aule e corridoi;
l'accesso all'istituto di Scienza ostruito con
materiali da cantiere; cartello rinvenuto
nell'atrio; cartello contro lo sgombero
forzato (ASIuav, UTE);
l'Aula Magna dopo l'occupazione (ASIuav,
UTE);
Utilizzazione degli spazi nell'Istituto
Universitario di Architettura - Venezia, a cura
degli studenti occupanti lo Iuav, luglio 1967
(AP, FET, 2.Attività scientifica/2/033).
cuni tavoli e materiali da cantiere.
Gli studenti proseguono la protesta, lo
sciopero e l’attività di studio, iniziata
durante l’occupazione, in locali appositamente assegnati. Il direttore, in un
telegramma al Ministro Gui, dichiara
l’estraneità del CdF rispetto all’azione
della Procura, denuncia l’interruzione
della trattativa, esprime solidarietà agli
studenti e la necessità di riforme radicali e di autonomia per l’università.
4 luglio: il seminario dei docenti per
discutere della riforma fallisce per
scarsa partecipazione.
6 luglio: l’Assemblea Generale denuncia la ripresa delle attività in conto terzi
degli istituti di Scienza e Urbanistica.
7 luglio: il CdF annuncia la ripresa delle normali attività accademiche.
8 luglio: Gui emana una circolare che
consente «una cauta sperimentazione» dei
piani di studio in corso di formulazione.
14 luglio: il CdF approva uno Schema
per il programma di riforma dello Iuav.
Per la conduzione “politica” della facoltà è previsto che siano predisposti
all’inizio di ogni anno i programmi
dei corsi e dell’attività amministrativa
e culturale da discutersi in seminari
aperti. Per la nuova strutturazione della didattica si prevedono piani differenziati, corsi di base e corsi di ricerca,
nuovi tipi di prestazioni per docenti e
assistenti, non più legati in modo univoco a una sola cattedra.
18 luglio: l’Orsav è ufficialmente sostituito dall’Assemblea Generale. Nei
mesi successivi gli organismi di rappresentanza saranno aboliti in tutto il
paese.
21 luglio: gli studenti bollano lo Schema come «puramente organizzativo
senza implicazioni di carattere politico
e culturale», definiscono “gattopardiana” (Boato, Sarto, 1967) la proposta
di riforma, negando al documento il
valore di base per una discussione sul
nuovo assetto. Espongono le richieste
sulla riforma universitaria (da rimandarsi a una nuova legislatura) e sulla
sperimentazione (attuabile solo con il
consenso degli studenti). Nello specifico dello Iuav, chiedono: una Segreteria
Tecnica per la pubblicizzazione degli
atti, la definizione dei ruoli dei tre
operatori dell’università (docenti, assistenti, studenti), il Centro di documentazione. Elaborano un’analisi dell’uso
degli spazi ai Tolentini chiedendone
la riorganizzazione a partire dall’unificazione delle biblioteche e dal libero
accesso a istituti e laboratori.
Con la pausa estiva, tutto viene rimandato a settembre e anche l’occupazione si ferma, concludendo i suoi 100
giorni a fine luglio. (m.m.)
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1967-69 Richieste? Riforme!
Occupazione continua,
contestazione permanente
Com’era già accaduto nel 1963, mentre
le altre università insorgono, allo Iuav
si valutano i risultati ottenuti. Così,
l’autunno caldo del 1967, che a Venezia vede anche Ca’ Foscari occupata,
è relativamente tiepido ai Tolentini, in
attesa del nuovo ordinamento che la
commissione per la riorganizzazione
sta approntando. La Segreteria Tecnica
che pubblica atti e documenti della vita dello Iuav (verbali dei consigli di facoltà e dei professori, i resoconti delle
assemblee) lavora a pieno ritmo, anche
se non arriverà a produrre tutto quanto previsto dal suo statuto (negli anni
successivi scomparirà, forse sopraffatta anch’essa dagli eventi tumultuosi).
Il Centro di documentazione sembra
in via di allestimento: il Consiglio di
facoltà del 6.10.1967 gli assegna le
somme previste per viaggi, conferenze,
biblioteca e una parte dei fondi destinati agli istituti è dirottata sulla sua
costituzione. Senza esiti, visto che se
ne discute di nuovo nel 1971 arrivando
anche ad allestirlo. Ma ancora una volta non accade nulla: è probabile che
la condivisione delle informazioni, che
il Centro di documentazione presuppone, non incontri la disponibilità di
tutti i docenti che la vedono come una
forma di controllo e ingerenza sulle attività del proprio istituto o del proprio
corso. Se ne riparlerà quindi nel 1974,
quando il centro assumerà anche un
ruolo politico (CdF, 18.4.1974).
Aspettando le proposte dei docenti, non mancano nell’ottobre 1967 le
proteste: le matricole si rifiutano di
svolgere le esercitazioni d’ingresso, gli
studenti del primo corso contestano
Trincanato per le “inutili” esercitazioni.
Ma già a dicembre, constatato l’immobilismo delle istituzioni, il Movimento
Studentesco dello Iuav preannuncia
la ripresa delle proteste, ribadendo la
“contestazione permanente” elaborata
durante l’occupazione. La contestazione non è solo permanente, è diffusa e
organizzata. Il Movimento Studentesco
comincia a coordinarsi a livello nazionale: a luglio ’67, gli studenti di Venezia, Torino, Milano avevano dato vita al
Comitato nazionale di agitazione degli
studenti, in dicembre da Venezia si lancia l’idea che il movimento si costituisca come forza politica autonoma.
Nel 1968, si occupa dal 30 gennaio al
2 febbraio, dal 2 al 3 marzo, dal 5 marzo al 27 aprile, dal 3 al 10 dicembre.
Nel 1969, dal 26 giugno al 16 luglio.
Le assemblee si susseguono, tanto che
l’Aula Magna diventa spazio assegnato agli studenti, come afferma Samonà
nel marzo 1970 in una lettera al Ministero, in seguito a una interrogazione
parlamentare sulle attività svolte allo
Iuav. In un primo momento, all’inizio
del ’68, l’occupazione serve a contestare gli esiti dei seminari per la riorganizzazione e conduce alla realizzazione,
in parallelo con la sperimentazione del
nuovo ordinamento, dei corsi-contro:
non “normali” contro-corsi, come in
altre sedi universitarie, ma corsi che si
oppongono a tutto e non possono essere riassorbiti “dalla logica dei corsi”.
Poi, con i fatti di Valle Giulia (gli scontri del 1 marzo a Roma fra studenti e
poliziotti, la guerriglia urbana, la chiusura fino a nuovo ordine della Facoltà
di Architettura), che vedono gli stessi
docenti protestare, autosospendersi,
di fatto unirsi agli studenti contro il
Ministro, il governo, lo Stato, l’occupazione diventa “autogestione”. E poiché
il “nemico” non è più rappresentato
dal potere accademico ma dal sistema,
l’occupazione è aperta, lascia cioè libero accesso a docenti e personale. Consentirà anche la laurea di 10 studenti,
fra cui Marino Folin e Donatella Calabi
(19 marzo 1968) con il “nuovo rito”: la
discussione pubblica con proiezione
di diapositive delle tavole di progetto,
in nome di quella condivisione delle
informazioni, ritenuta imprescindibile
in una università democratica. Tutto
accade a ridosso della fine legislatura
con il tentativo in extremis, dopo il naufragio del ddl 2314, di approvare una
legge sull’integrazione del Consiglio
di facoltà con rappresentanti di liberi
docenti e assistenti e la sperimentazione dei nuovi ordinamenti. Ne risulterà
invece una circolare del Ministro (n.
1231 del 18.3.1968) con “suggerimenti”
in ordine a consigli di facoltà allargati,
dipartimenti, nuovi piani, colloqui di
verifica. Così, in aprile, allo Iuav come
in altre facoltà (fra cui Milano, dove
si arriverà allo scontro preside-rettore,
all’annullamento di corsi e verifiche,
alla sospensione di docenti) ha inizio
la sperimentazione.
Fra piani liberi (nuova forma organizzativa della ricerca in totale sostituzione della tradizionale struttura didattica), corsi-contro, lavori di gruppo
(con minimo 10 studenti di tutti gli
anni e operatori interni ed esterni),
fiscalizzazione senza esame (seminari
di verifica conclusivi in forma assembleare) e nessun obbligo di frequenza
ai corsi, la sperimentazione del nuovo
ordinamento viene approvata e convalidata. Ma quando, a metà del 1969,
si tratta di ufficializzare il tutto in un
nuovo ordinamento e nuovo statuto,
applicando i correttivi necessari al funzionamento di corsi, lavori, esami, gli
studenti si trovano davanti al rinvio
a novembre di verifiche ed esami per
“insufficiente maturità” dei piani di
studio. L’occupazione parte automaticamente e, alla proposta di Samonà
di una “regolarizzazione” a luglio del
giudizio su alcune materie, «poiché la
convalida della maturità globale può
essere risolta per gradi», si risponde
rammentando assenza dei docenti nel
corso dell’anno e autodidattismo degli
studenti. Si chiedono quindi abolizione degli esami in quanto controllo repressivo e fiscalizzazione estesa anche
alle materie scientifiche.
A subire le conseguenze di questa protesta sono soprattutto i 22 nuovissimi
box in pannelli di legno, collocati al
secondo piano, nelle grandi aule da
disegno, ritenute ormai inutili poiché
spiega Samonà, «la Facoltà, ora, col
nuovo indirizzo dato agli studi, non ha
più bisogno di grandi aule ma di piccole stanze capaci di ospitare un gruppo di studio» (CdA, 4.3.1969).
I box, al di là dei danni subiti, dureranno comunque poco, spazzati via
dalla moltitudine di studenti che cominceranno ad affollare la facoltà. Le
grandi aule, negli anni ’70 e ’80, non
si dimostreranno tali. In attesa di poter disporre delle nuove sedi, si prenderanno in affitto per tre anni, alcuni
locali in corte Canal. (m.m.)
Parola d’ordine: transitorio
Nella primavera del 1967, il dissenso
contro il piano di riforma Gui (il famigerato “23-14”) aveva visto solidali
nella protesta docenti e studenti. Ma,
se era legittimo e doveroso insorgere,
bloccare tutto per più di due mesi era
da incoscienti!
Durante il periodo in cui i Tolentini
erano stati prima pacificamente occupati, poi vilmente sequestrati, docenti
e assistenti si erano giocoforza riuniti
altrove. Il Consiglio di facoltà si era
trasferito a Palazzo Ducale (ex “ufficio/casa” di Trincanato) e alla Querini,
ospite di Mazzariol.
Da qui aveva messo a punto un’agenda di lavoro per la ripresa delle attività
e deliberato alcune misure di risarcimento utili a sedare gli animi: aveva riconosciuto come necessaria la presenza di rappresentanze studentesche in
tutti gli organi di governo della scuola
e aveva abolito il deliberato aumento
delle tasse universitarie, sospendendo
anche l’obbligo di pagamento delle
rate per il periodo successivo al mese
di aprile (inizio dell’occupazione e fine
forzata dell’anno accademico).
L’8 luglio 1967, il Ministero invia la
circolare n. 1434: «le facoltà, ove lo ritengano opportuno, possono iniziare
[…] una cauta sperimentazione che
consenta, nel rispetto delle norme in
vigore, di recepire elementi utili alla
impostazione dei piani di studio». A
quella data lo Iuav ha già pubblicato,
sottoforma di opuscolo, lo Schema per
il programma di riforma dell’Istituto
Universitario di Architettura di Venezia: una piattaforma già ben definita
ma ulteriormente precisata nel mese
di ottobre, al rientro dalla pausa estiva
e dopo altre pressioni degli studenti.
La proposta riguarda un nuovo ordinamento degli studi correlato a un diverso concetto di piano di studio. Si parla
infatti di “piani di studio differenziati”,
ovvero piani ad indirizzo.
L’indirizzo è dato dai raggruppamenti
che costituiscono l’insieme degli studi
della facoltà: compositivo-architettonico, urbanistico, storico e scientificomatematico-strutturale. Esistono dunque quattro indirizzi e perciò quattro
diverse possibilità per la tesi di laurea:
«non è sulla progettazione di laurea
che convergono tutti gli interessi di un
allievo, ma nella scelta di un piano di
studi in cui la progettazione resta inclusa come parte validissima ma non
totale di una più vasta problematica di
ricerche e soluzioni, che, con il piano,
si offrono alla cultura e a successive
elaborazioni di metodo e di tendenza»
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(Samonà, in Raccolta 1, 10.10.1967).
Se esistono quattro indirizzi, non esistono però solo quattro tipi di piani.
Il piano di studio infatti identifica un
percorso di ricerca personale e originale che lo studente costruisce liberamente sulla base dell’offerta didattica
esistente o, in relazione alle necessità
della propria ricerca, proponendone
l’estensione con l’inclusione di nuovi
approfondimenti. Tra piano di studi e
offerta didattica si istituisce così un
rapporto di mutuo scambio e di reciproca crescita.
Quest’impostazione si fonda su due
elaborazione culturale che riguarda
i contenuti delle singole discipline, i
rispettivi campi d’azione e le relazioni
interne ed esterne ai quattro macroraggruppamenti.
La fase di messa a punto si chiude nel
dicembre del 1967.
Il 22 febbraio 1968, dopo un mese e
mezzo di rodaggio, il Nuovo ordinamento del programma è ufficialmente
approvato ed entra in funzione da subito ma, naturalmente, in via transitoria.
“Transitorio” è aggettivo destinato ad
accompagnare, da qui in avanti, la storia dello Iuav seppure con accenti di
criteri integrati: la semplificazione
della struttura degli studi e un diverso
ruolo per la docenza.
Il nuovo ordinamento abolisce le
materie istituzionali (statutarie), sostituendovi un’articolazione per discipline: Architettura (quinquennale),
Storia dell’architettura (triennale, con
la proposta di renderla quinquennale),
Urbanistica, Restauro…. Dai 32 corsi
obbligatori (tra annuali e biennali) si
passa a 20 in base ad una tabella di
“conversione-integrazione” che doveva
aiutare a gestire il transito dal vecchio
al nuovo sistema durante il cosiddetto “anno-ponte”, il 1967-68. Solo per
quest’anno il numero dei corsi complementari (arrivato a 9) sarebbe rimasto
inalterato; poi anche questi sarebbero
sottostati alle nuove regole.
Il passaggio impone anche nuovi compiti ai docenti che, in base a questo
nuovo assetto “sintetico”, non sono più
legati in modo univoco a una materia,
ma possono fornire prestazioni didattiche lungo l’intero arco della disciplina
di riferimento.
L’intera impalcatura si regge su un
necessario coordinamento dei programmi di insegnamento, in vista del
quale si apre una fase di profonda
volta in volta diversi. Adesso funziona
da rassicurante terreno d’incontro tra
le parti, non troppo impegnativo né
troppo rischioso.
In questa fase, dunque, tutto è “transitorio” proprio perché tutto è sottoposto a “continue” verifiche e revisioni,
derivanti da un “permanente” confronto dialettico tra le due componenti.
Assemblee, seminari e riunioni, convocate a ritmo serrato, innescano un
meccanismo di azione e reazione per
cui a richiesta corrisponde risposta.
Questa modalità di discussione collettiva, formalizzata a partire dal luglio
1967, era considerata da entrambe le
parti condizione sine qua non per la
ripresa delle attività, tanto che fino a
dicembre questa sarà l’unica forma di
“didattica” consentita allo Iuav.
Lo svolgimento dell’anno accademico
1967-68 segue perciò una tempistica
del tutto anomala, coincidente con
l’anno solare; articolato in due semestri, si apre con le lezioni a gennaio
per chiudersi a dicembre con gli ultimi
esami. Del resto, l’occupazione aveva
mandato all’aria calendari e scadenze
e, pur di salvare l’anno accademico, si
ammettono sovrapposizioni e slittamenti di ogni genere.
Malgrado i tentativi di ripristinare una
certa normalità, si continua in realtà
a “vivere in altalena”, tutti partecipi,
consapevoli e volontari, degli eventi
esterni.
Alla sospensione delle attività proclamata d’ufficio dal Consiglio di facoltà in seguito alle repressioni di Valle
Giulia, segue una formale richiesta al
governo affinché approvi almeno un
decreto legge che dichiari decaduti gli
ordinamenti vigenti (proposta di legge
4999 del 7-8.3.1968, cfr. CdF, 4.3.1968).
Giunge invece un’ulteriore circolare
ministeriale (n. 1231 del 18.3.1968) che
ribadisce i consueti concetti: possibilità di integrazione degli organi accademici e di costituzione di altri organismi
consultivi, opportunità di organizzare
la didattica in forma seminariale e di
costituire raggruppamenti di insegnamenti affini.
Ma dove non arriva la circolare, vorrebbe invece spingersi la bozza per un
nuovo statuto della facoltà stilata dagli studenti (marzo 1968) e sulla quale
Samonà chiama tutti a riflettere (30
marzo 1968).
Le mozioni relative a modifiche strutturali degli organi di governo sono
in gran parte rigettate: in particolare
è giudicato inammissibile il ruolo totalizzante dell’Assemblea Generale
Allargata (a tutte le componenti della
scuola), proposta come unico organo
deliberante in tema di gestione dei
fondi, assegnazione degli incarichi e
regolamentazione d’uso delle attrezzature di ateneo. In pratica, pensata
come una sorta di sostituto del Consiglio di facoltà.
È su questo genere di argomenti che
corre la frontiera tra studenti e corpo
docente: tra chi, nella logica del “tutto, qui e subito” pretende il “rovesciamento del sistema” e chi, pur concorde con lo spirito delle rivendicazioni,
risponde invece che «qualsiasi tipo di
riforma globale della Facoltà sarebbe
oggi una finzione, dato che nessuna
delle condizioni oggettive che fanno
dell’università italiana un anello della
struttura classista della società è stata
rimossa» (Proposte, 4.12.1968).
Tutt’al più resta valida, ancora una volta, l’opportunità di firmare una convenzione ad uso interno (23.4.1968)
che formalizzi i rispettivi ruoli all’interno dei tre organi direttivi ufficiali e
permanenti della facoltà: il Consiglio
di facoltà (integrato con rappresentanti degli studenti e degli assistenti),
l’Assemblea Generale (l’organo studentesco con potere decisionale circa
la condotta politica, culturale, didattica e di ricerca della facoltà) e appunto
l’Assemblea Generale Allargata, riconosciuta solo come organo consultivo.
Al contrario, il Consiglio di facoltà
condivide alcune delle proposte di
organizzazione didattica contenute
nella bozza di statuto e si impegna a
seguirle. Delibera infatti di includerle
nel nuovo indirizzo sperimentale per
verificarne subito la validità prima di
passare all’approvazione ufficiale (CdF,
7.5.1968 e 15.5.1968). Così, sfruttando
tutti i margini di libertà concessi dalla circolare del Ministero, diventano
realtà: i “gruppi di ricerca verticali”, il
“piano libero” e la cosiddetta “fiscalizzazione” del piano di studi.
I gruppi di ricerca verticali (formati
da docenti e studenti di tutti i cinque
anni di studio) diventano l’elemento
base di una nuova impostazione didattica. In un’ottica di integrazione
delle diverse fasi di apprendimento
e di interdisciplinarità dei contributi
culturali, ogni gruppo può esaurire al
suo interno l’intero programma di insegnamento della facoltà. Il gruppo
gestisce il proprio lavoro attraverso
un piano di studi libero (grossomodo
l’equivalente odierno di un progetto di
ricerca), soggetto annualmente ad una
verifica dello stato di avanzamento (fiscalizzazione) che avviene nel corso di
un seminario pubblico cui partecipano
studenti e docenti.
Questo tipo di struttura diventa il cardine del Nuovo ordinamento della facoltà, ratificato il 12 dicembre 1968 e
pronto per essere applicato con l’a.a.
1968-69, ma ovviamente in via transitoria: «piuttosto che come “modello didattico”, si propone come esperimento
provvisorio, da verificare e trasformare
successivamente» (Proposte, 4.12.1968).
In sostanza, si tratta di una modifica
dello schema del 1967, in direzione
però di forme di sperimentazione più
radicali.
Il nuovo assetto si regge sul raggruppamento (secondo la libera scelta dei
docenti) delle cattedre esistenti in
quattro “unità di insegnamento e di ricerca” (architettura, urbanistica, storia
e scienza), aperte ad indirizzi culturali
differenziati.
Nella logica dei gruppi di ricerca e del
piano libero, il compito dei docenti è
quello di fornire “contributi di servizio”: il loro apporto, infatti, è funzionale allo svolgimento della ricerca.
Con ciò le tradizionali denominazioni
delle materie sono definitivamente
abolite. I contenuti reali degli insegnamenti non hanno più alcuna corrispondenza con la qualifica amministrativa
del corso. A titolo d’esempio, Italo Insolera, incaricato di Disegno dal vero
2, ha in programma per il 1968-69 un
corso intitolato Ricerche storiche sulla
città moderna. Inoltre, a conferma che
si trattava ora di convalidare una pratica già in atto dall’anno precedente, il
suo corso per il 1967-68 aveva riguardato l’Analisi progettuale del territorio
compreso tra la III zona industriale e
Tessera (Insolera all’Assemblea Generale, 24.3.1968).
Questa prassi crea non poche incomprensioni con il Ministero. L’organo
centrale, infatti, si ostina a chiedere
di poter approvare gli elenchi degli incaricati che però regolarmente lo Iuav
non invia, obiettando come, all’interno
del nuovo corso, non vi siano più parametri su cui poter basare un valido
giudizio di idoneità.
Sul fronte della didattica, il biennio
iniziale si articola per “corsi base” estesi sui due anni, ovvero con durata di
quattro semestri. La verifica, espressa
solo con un giudizio di merito, è prevista solo alla fine del secondo anno di
studio e consiste in tre prove (progettazione architettonica e urbanistica,
storia e scienze) che hanno lo scopo di
orientare il successivo piano di studi.
Nel triennio l’insegnamento si organizza per seminari e laboratori per i quali
non c’è l’obbligo della frequenza, né di
un esame conclusivo. Solo alla fine di
ogni anno, come detto, il piano libero
è sottoposto a verifica.
Il tentativo di studiare un regolamento
per la gestione di questo nuovo corso
didattico evidenzia alcuni grossi limiti
d’impostazione (CdF, 29.1.1969). Uno
su tutti (e forse non il più grave) è di
facile comprensione: l’abolizione degli
esami (per il triennio) e la valutazione
di merito concessa solo alla fine del
biennio significano assenza di voti sul
libretto. Dunque, cosa succede ad uno
studente che da Venezia decide di trasferirsi in un’altra università?
Il paradosso vale per segnalare il rischio tangibile di una deriva verso
l’ingovernabilità del sistema, anzi,
verso «il baratro dell’anarchia» secondo l’opinione tutt’altro che secondaria di Franco Levi (Levi ad Astengo,
21.10.1968). Levi infatti risulta essere
uno, o forse l’unico, candidato a prendere il posto di Samonà che, ormai
fuori ruolo (1.11.1968), è pronto a rimettere il mandato di direttore dell’Istituto. Com’è noto, almeno in quest’ambito, non ci sarà alcun cambiamento:
Samonà, sostituito come docente da
Guido Canella, accetterà il prolungamento dell’incarico di direttore (196972), vincolandolo però alla creazione
di alcune commissioni di rincalzo (in
pratica ci sono più vicedirettori e tra
questi Scarpa e Trincanato) dato che la
sua permanenza a Venezia si limiterà,
d’ora in avanti, a soli cinque giorni al
mese (CdF, 2.12.1969).
Nel bene e nel male, la logica del transitorio finora aveva retto, consentendo, tra intese e frizioni, di iniziare un
percorso di riforma che però giunge al
capolinea allo scadere del 1969, quando è ormai chiaro che “transitorio” non
si sarebbe trasformato in “definitivo”:
«dopo due anni di fare e disfare continuo era prevedibile dover essere nei
guai», ammette Tafuri (CdF, 28.1.1970).
La pubblicazione della cosiddetta “miniriforma” delle facoltà di architettura
(dpr n. 995 del 31.10.1969, pubblicato il
3.1.1970) mette un freno alle sperimentazioni in atto un po’ dovunque, disponendo un nuovo ordinamento ufficiale
degli studi e concedendo cinque anni di
tempo per adeguarvisi. Lo Iuav decide
di adottarlo subito (anche se con qualche correttivo), mettendo fine all’esperienza interdisciplinare delle quattro
“unità di insegnamento e di ricerca”. Di
queste però non dimentica né lo spirito,
né le ragioni che restano una preziosa
eredità per i futuri dipartimenti. (m.c.)
Pagina a fronte, in senso orario:
i Tolentini dopo l'occupazione del 1969:
le "stazioni" della Via Crucis con i nomi dei
docenti;
il Centro di documentazione, aperto ma
inattivo, nel locale ora sede del bar. Sopra, si
intravede la "sede" di Radio Iuav Libera,
i "box" danneggiati (ASIuav, UTE).
In questa pagina:
Schema per il programma di riforma
dell'Istituto Universitario di Architettura di
Venezia, Venezia 1967 (AP, FET, 2.Attività
scientifica/2/024).
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Iuav : 110
1967-69 0ltre i Tolentini
Anno accademico 1967-68: 1364 iscritti (fuori corso compresi) di cui il 21%
provenienti da Venezia e provincia
(pendolari giornalieri), il 22% dalle
provincie di Padova e Treviso (ancora
pendolari giornalieri). Il 57% è invece
costituito da studenti provenienti da
altre provincie d’Italia e dall’estero:
più della metà della popolazione Iuav
ha bisogno di risiedere a Venezia. In
cifre sono circa 780 persone.
Il 28 luglio 1967 è approvata la legge
641 (Nuove norme per l’edilizia scolastica e universitaria) che stanzia fondi
per «l’acquisto di aree, per la costruzione, l’ampliamento, l’adattamento e il
completamento di edifici, nonché per
l’arredamento e le attrezzature». In via
eccezionale la legge vale anche «per
l’acquisto di edifici, sempreché questi
rispondano a criteri di funzionalità didattica e ambientale e [il loro] acquisto sia economicamente conveniente»:
inutile sottolinearne l’importanza per
Venezia. Il piano finanziario, di durata
quinquennale, si articola in due fasi:
una biennale (1967-68) e una triennale
(1969-71). L’erogazione dei fondi è subordinata all’approvazione da parte
del Ministero della Pubblica Istruzione
di un piano-programma che ciascun
ateneo è tenuto a redigere.
Il provvedimento riguarda sia l’edilizia
a scopo didattico sia l’edilizia cosiddetta assistenziale destinata alla residenzialità degli studenti: case dello
studente, collegi, mense, attrezzature
sportive e aree verdi. Le aree vanno
scelte all’interno dei piani regolatori o
comunque in accordo con le prescrizioni di piano. Nel caso, il riferimento per
Venezia è alla zonizzazione contenuta
nello strumento urbanistico della città
approvato il 17 dicembre 1962.
Nel quadro della legge, l’Istituto veneziano invia al Ministero tre distinti
piani, redatti da Giovanni Battista Stefinlongo e Lavinio Bellemo, all’epoca
assistenti Iuav.
Il piano biennale per l’edilizia
assistenziale e calle dei Ragusei
Considerata l’assoluta insufficienza di
servizi e strutture per gli studenti, la
facoltà si impegna subito su questo
versante, stilando un piano biennale
di interventi.
L’idea iniziale (peraltro non contemplata dalla legge ma solo da una successiva circolare ministeriale) prevedeva di
istituire un consorzio con Ca’ Foscari.
Era allo studio un progetto comune
per un complesso di opere assistenziali
da localizzare sul terreno di proprietà
della Gioventù Italiana, compreso tra
fondamenta Briati e fondamenta dei
Cereri (oggi sede dell’Esu).
Lì esisteva già un gruppo di edifici costruito nel 1930 come sede dell’Opera
Nazionale Balilla e poi, appunto, della Gioventù Italiana del Littorio. Ma,
«non avendo ottenuto da Ca’ Foscari
ferme assicurazioni circa un’azione
comune, l’Istituto ha dovuto ripiegare
su una nuova area libera», procedendo in autonomia (Samonà al Ministero, 27.10.1967). Il piano (inviato il
27.10.1967) si articola in tre parti: punta
all’acquisto di un’area dove costruire
una casa dello studente (2), individua
altri terreni limitrofi per gli impianti
sportivi (5) e propone anche un’altra
operazione che mira a chiudere una
lunga vicenda cominciata almeno
quindici anni prima. La vicenda è quella di calle dei Ragusei, dove l’Opera
Universitaria Iuav ha la sua casa dello
studente (3). L’edificio, progettato da
Lavinio Bellemo (ex studente Iuav), è
il risultato di una vertenza iniziata nel
1953 che vede partecipi: il proprietario dell’area, lo Iuav che la compera,
il Ministero della Pubblica Istruzione
che deve autorizzarne la costruzione e
il Consiglio Superiore delle Antichità e
Belle Arti che invece la vincola a verde
come parco pubblico.
Nel 1956, il Consiglio Superiore cambia
avviso a patto che si modifichi il progetto, ma le risorse sono troppo scarse
per sostenere i costi della realizzazione e l’Opera Universitaria decide di
vendere il terreno al miglior offerente
(1957). D’accordo con il Ministero e in
nome delle finalità morali dell’operazione, l’area è alienata a favore della Società Immobiliare Ragusei con
l’obbligo da parte di quest’ultima di
cedere all’Opera Universitaria quattro
dei cinque piani dell’immobile che co-
struirà a sue spese (18.5.1958). L’edificio misto, un po’ condominio un po’
casa dello studente, entra in funzione
nel 1961 ma resta privo del giardino di
pertinenza che era, appunto, quanto il
Consiglio Superiore aveva a suo tempo suggerito di realizzare. Proprio per
questo lo Iuav inserisce nel piano del
1967 l’acquisto e la sistemazione a verde dell’area (mq. 2000) adiacente alla
casa dello studente (4).
Quanto al finanziamento del piano,
la complessa operazione di calle dei
Ragusei, era per lo Iuav un punto di
forza: nessuno dei posti letto allora
realizzati era costato una sola lira allo
Stato al quale non si era domandato
finora nessun altro contributo in tema
di servizi agli studenti.
Adesso però quei soli 19 letti sono
davvero irrisori. La nuova zona scelta
per l’espansione è un terreno all’Angelo Raffaele lungo calle dei Guardiani
(oggi sede del complesso scolastico
Zambelli).
Il piano contempla l’acquisto del terreno di proprietà comunale (circa mq.
6300) e la costruzione di una casa dello
studente con 170 posti letto. L’edificio
si articola in tre corpi di fabbrica corrispondenti ad altrettante fasi esecutive
in sé concluse che dovevano garantire
di volta in volta l’effettiva agibilità del
costruito.
Nel biennio è prevista la realizzazione
e l’arredo dei corpi A e B (ciascuno di
mc. 3000): il primo con 50 posti letto,
il secondo da destinare agli ambienti
collettivi. La costruzione del corpo C
(mc. 8000, 120 posti letto) è programmata per il successivo triennio. Al contrario, la messa in opera degli impianti
sportivi non è considerata urgente e
può essere posticipata. Al momento ci
si limita a indicarne la localizzazione
nella vicina zona portuale di San Basilio, già destinata dal piano regolatore
a verde pubblico.
La scelta delle aree segue criteri quali
la vicinanza ai Tolentini (1)e la compatibilità con le prescrizioni di piano (che
individuano in Santa Marta una zona
di futuro sviluppo), ma anche la prossimità ad un altro immobile, incluso nel
piano pur senza chiarire a che titolo: si
tratta dell’ex convento delle Terese (6).
(m.c)
Il piano triennale per l’edilizia
universitaria e l’ex convento delle
Terese
Contrariamente all’azione immediata
impostata per l’edilizia assistenziale,
il Consiglio di facoltà decide di non
chiedere subito i contributi per l’edilizia didattica (CdF, 19.10.1967), rinviando
lo studio di un programma completo e
dettagliato al successivo triennio.
In effetti ad ottobre del 1967 le trattative con il Comune per l’acquisizione
delle Terese erano appena iniziate. Si
concluderanno nell’aprile del 1968 con
la delibera (Giunta n. 722 del 2.4.1968)
di cessione del complesso in uso perpetuo e gratuito allo Iuav, dopo che
una precedente concessione limitata a 29 anni (delibera Giunta n. 573
del 8.3.1968) era stata respinta dal
Ministero in quanto condizione non
ammissibile nelle transazioni tra enti
pubblici e università.
Le Terese diventano allora il perno del
piano di sviluppo per l’edilizia universitaria. Ormai assillato dalla carenza
di spazi («in conseguenza della forte
attrattiva che il prestigioso Istituto
11
Iuav : 110
cittadino esercita sulla massa degli
studenti che vi confluiscono numerosi», delibera n. 573 cit.), lo Iuav intende
elevare almeno al doppio il rapporto
superficie-studente, attestato ora a
mq. 5. Le sole Terese però non bastano. Serve un vero e proprio nuovo polo
da affiancare ai Tolentini.
Considerata la situazione urbanisticoedilizia veneziana (che non offre certo
aree libere di sufficiente estensione),
lo Iuav è alla ricerca sia di complessi
edilizi di grandi dimensioni, sia di aree
su cui insistano manufatti di scarso
interesse storico-artistico e in pessimo
stato di conservazione così da poter
intervenire progettualmente in modo
più disinvolto e, soprattutto, contenere i costi di acquisizione. Con questi
parametri si individuano quattro aree
adiacenti: due sono laterali (ad est e
ovest delle Terese), una è di fronte (alle spalle della chiesa di San Nicolò dei
Mendicoli), l’altra è giusto dietro, sul
rio di Santa Maria Maggiore. Per tutte,
l’ipotesi è demolizione dell’esistente e
nuova edificazione. Inoltre, per assolvere completamente ai dettami del
provvedimento, l’area a Santa Maria
Maggiore è ufficialmente destinata
a «edilizia dipartimentale»: cosa sia e
a cosa debba servire, in realtà ancora nessuno lo sa, dato che la riforma
Gui non è stata ancora varata (e non
lo sarà mai). Eppure la presente legge
sull’edilizia universitaria (che si configura perciò come una sorta di legge
“attuativa” di un provvedimento inesistente) dispone che almeno due quinti
dei contributi statali siano destinati
alle esigenze edilizie dei dipartimenti.
Particolare urgenza riveste però l’adeguamento delle Terese: il solo complesso consentirebbe infatti di sopperire
alle necessità immediate, commisurate
alla popolazione studentesca esistente.
C’è però un problema. L’ex convento è
abitato da trenta famiglie di sfrattati.
Ci sono poi un deposito comunale,
un’opera pia, un asilo notturno e una
scuola materna. L’idea di Samonà di
utilizzare una parte modesta dei contributi statali per affiancare il Comune
nell’opera di sgombero e ricollocazione degli occupanti, è tassativamente
respinta dal Ministero perché i fondi
erogabili sono destinati, per legge,
esclusivamente alla realizzazione di
opere edilizie.
Malgrado il “piccolo” ostacolo (che
avrà lentissima soluzione e in tempi
lunghissimi) lo Iuav persevera: invia
il piano al Ministero (10.4.1968) che lo
finanzia (22.10.1969) con 1 miliardo e
200 milioni (a fronte di un preventivo
globale di più di 2 miliardi) e autorizza
l’acquisizione delle Terese sottoforma
di donazione (dpr. n. 191 del 11.3.1970); di
seguito l’Istituto stipula con il Comune
l’atto di cessione gratuita (27.11.1970).
Purtroppo quando il piano nasce, nasce già inutile e non solo per la difficoltà di utilizzo dell’ex convento. Come riportato nella Relazione generale
(1968), il programma di opere e acquisizioni è dimensionato sulla base di
un presunto aumento costante degli
studenti, «per cui nei prossimi 10 anni
la popolazione scolastica totale dovrebbe raggiungere all’incirca le 2500
unità». Peccato però che già nel 1970
le unità siano 2876 … e non a causa di
previsioni sbagliate. (m.c.)
Il piano triennale per l’edilizia
assistenziale e casa Masieri
Pagina a fronte in senso orario:
piano biennale per l'edilizia assistenziale:
dettaglio della planimentra e particolare
dell'area di calle dei Guardiani, 1967 (ASIuav,
UTE);
piano triennale per l'edilizia assistenziale:
dettaglio della planimetria, 1968
(ASIuav, UTE);
piano triennale per l'edilizia universitaria:
dettaglio della planimetria generale, 1968
(ASIuav, UTE).
In questa pagina, in senso orario:
piano triennale per l'edilizia assistenziale:
particolare dell'area di calle dei Ragusei,
1968 (ASIuav, UTE);
ex convento delle Terese (ASIuav, UTE);
casa Masieri in volta di Canal (ASIuav, UTE);
casa dello Studente in calle dei Ragusei,
«L'Architettura cronache e storia», n. 67 del
1961.
Come da legge, al piano biennale fa
seguito quello triennale. Dunque per
l’edilizia assistenziale si elabora un
secondo strumento che però non puntualizza gli obiettivi del precedente, né
lo precisa nei contenuti, ma ne modifica l’impostazione adottando una nuova logica d’azione.
Due sono le ragioni che giustificano
la modifica del programma: una implicita, l’altra esplicita; una di metodo,
l’altra di merito.
Quanto al metodo, il primo progetto
scontava una grave scorrettezza procedurale. La legge (art. 47) stabiliva l’obbligo di approvazione del programma
da parte di tutte le categorie universitarie, riunite in un Consiglio d’amministrazione allargato cui spettava
l’ultima parola. La componente studentesca accusa invece di essere stata
estromessa dalla fase di elaborazione
per essere poi chiamata solo a ratificare le decisioni prese da altri: perciò
si astiene dalla votazione negando
l’esistenza stessa del piano (CdA,
20.10.1967). L’incidente rientrerà in occasione dell’approvazione di questo
secondo programma (CdA, 9.5.1968).
L’altro invece è un problema sostanziale. L’area su calle dei Guardiani, fulcro del piano originario, era stata nel
frattempo acquistata dall’Enel. Inoltre
potendo contare su un contributo statale di soli 50 milioni (a fronte dei 335
richiesti) era del tutto irragionevole
anche solo pensare ad un eventuale
acquisto.
Serve dunque un nuovo progetto (inviato a Roma il 14.5.1968) ma, considerati i mezzi e il particolare ambiente
urbano in cui ci si trova, serve anche
un cambio di strategia operativa. Appare decisamente più realistico abbandonare la ricerca di aree (di difficile
reperibilità, con alti costi di acquisizione e basso indice di fabbricazione) per
puntare l’attenzione invece sugli edifici. L’operazione assume così una doppia valenza, affiancando all’indubbio
risparmio economico un significativo
contributo sul piano culturale legato
al recupero di importanti complessi di
architettura cittadina.
Nello specifico la scelta cade su palazzo
Foscarini e palazzo Vendramin che, oltre
ad essere in discreto stato di conservazione e possedere un’idonea cubatura,
confinano con la casa dello studente
di calle dei Ragusei (4-5), affacciandosi
sull’area da destinare a verde già individuata nel piano antecedente. L’operazione di adattamento e restauro consentirebbe di ottenere, in quattro fasi,
280 posti letto.
Ciò che appare sottostimato è proprio
la superficie a giardino che resta quella dei 2000 metri quadri già previsti.
A questa carenza avrebbe dovuto sopperire in parte l’area a verde attrezzato
localizzata a San Basilio (e confermata
anche in questa nuova versione) dove
sarebbero sorti una palestra, una piscina, diversi impianti sportivi e attrezzature per la nautica (6). Il costo totale
(comprensivo dei 315 milioni per l’area
sportiva attrezzata) ammonta a 917 milioni, ma, anche in questo caso, il finanziamento statale si ferma a 50 milioni.
Da ultimo, benché non menzionata
nella Relazione, la planimetria generale include la casa della fondazione
Masieri (3).
Nel 1955, lo Iuav è investito per legato testamentario di Paolo Masieri del
compito di realizzare, attraverso una
fondazione appositamente costituita
in ricordo del figlio Angelo, una casa
a Venezia per dare alloggio a studenti
poveri e meritevoli dell’Istituto stesso.
La sede sarà la palazzina in “volta di
Canal”, di proprietà dei Masieri, per
la quale era già stato commissionato
il progetto a Frank Lloyd Wright, notoriamente bocciato dalle istituzioni veneziane. Ci vorranno quasi trent’anni e
cinque progetti per dare una sede alla
Fondazione, ma non alla casa per studenti. Costituita la fondazione nel 1959
con Samonà presidente, il primo progetto di Valeriano Pastor è approvato
nel 1967, ma ingenti carenze strutturali
venute alla luce con l’inizio dei lavori
obbligano a demolire l’intero edificio,
ad esclusione della facciata. Ciò impone una revisione del progetto. Carlo
Scarpa, membro della commissione
per l’esecuzione delle opere, elabora
allora una nuova proposta, presentata
in seconda stesura agli organi competenti che però la respingono (1969).
Una terza versione riceve l’approvazione del Comune e della Soprintendenza
(1971)ma non quella del Magistrato alle Acque. Infine una quarta e ultima
stesura, curata dall’ingegnere Lorenzo Fanello, capo dell’Ufficio tecnico
Iuav, ottiene l’autorizzazione nel 1972
e il nullaosta della sezione urbanistica
regionale nel 1973. I lavori sono finalmente ripresi nel gennaio 1974, seguiti,
dopo la morte di Scarpa nel 1978, da
Franca Semi e Carlo Maschietto. La
scarsità di fondi costringe a rinunciare
ad alcune parti del progetto Scarpa e
allo studentato, optando per un centro
studi. (m.c.)
12
Iuav : 110
1969-73 Grandi numeri, piccole cifre
Articolo 1: «Fino all’attuazione della riforma universitaria possono iscriversi
a qualsiasi corso di laurea: i diplomati
degli istituti di istruzione secondaria di
secondo grado di durata quinquennale
[… e] i diplomati degli istituti magistrali
e dei licei artistici che abbiano frequentato […] un corso annuale integrativo»
(legge n. 910 del 11.12.1969, Provvedimenti urgenti per l’Università).
Progressione matricole: 248 (1968-69),
505 (1969-70), 1288 (1970-71), 1411 (197172), 1400 (?) (1972-73).
Totale studenti: 1447 (1968-69), 1567
(1969-70), 2876 (1970-71), 3480 (197172), 4256 (1972-73).
Sdoppia e raddoppia
Per l’elevato numero di studenti il Consiglio di facoltà (CdF, 9.4.1970 e 6.5.1970)
chiede lo sdoppiamento dei corsi di:
Composizione 1, 2, 3; Urbanistica 1 e 2 e
Restauro dei monumenti (divenuto Restauro urbano nei due anni di sperimentazione). Si introduce quindi il sistema
di identificazione a lettere alfabetiche
(1A/1B, 2A/2B…) dato che “sdoppiare”
significa aumentare gli incarichi di insegnamento della materia relativamente
ad uno stesso anno di corso.
Comincia così una sorta di gara a tamponare l’emergenza, rincorrendo l’onda d’urto.
Per evitare le lentezze burocratiche
del Ministero (che deve convalidare
gli incarichi) si delibera l’invio di una
richiesta di autorizzazione preventiva
allo sdoppiamento (CdF, 27.7.1971),
prevedendo, per il 1971-72, il quadruplicamento di alcuni corsi del primo anno
(il più congestionato visto il numero
delle matricole) e lo sdoppiamento di
tutti i corsi del secondo anno, alcuni
dei quali avevano dovuto gestire, nel
1969-70, un carico di circa 600 studenti ciascuno. In più si stabiliscono
parametri-soglia oltre i quali debba
scattare lo sdoppiamento d’ufficio: un
massimo di 250 iscritti per i corsi obbligatori (ma solo 100 per le composizioni) e 500 per i complementari.
La progressione negli anni seguenti
è notevole. Il 1973-74 si apre con la richiesta del quinto sdoppiamento (A,
B, C, D, E) degli insegnamenti per il
primo anno di corso; si attiva il quarto
degli insegnamenti fondamentali per
il secondo anno; si richiede il quarto
per i corsi del terzo anno, mentre il terzo sdoppiamento riguarda i corsi del
quarto e quinto anno (CdF, 20.2.1974).
Ormai ci sono 108 corsi, di cui 93 fondamentali (nel 1966 erano 41 di cui 32
fondamentali): e il conteggio vale solo
per il Corso di laurea in Architettura.
Infatti, parallelamente a questa moltiplicazione, va in porto nel 1970 anche il
sogno che Astengo inseguiva da tempo: dedicare all’urbanistica uno spazio
disciplinare autonomo. Con il nuovo
Corso di laurea in Urbanistica, primo
del genere in Italia, lo Iuav raddoppia.
Scinde l’unità teorico-concettuale di
architettura-urbanistica (oggetto di
molte discussioni soprattutto nei precedenti due anni di sperimentazione),
creando per ciascuna disciplina una
nuova struttura.
Questa, in sintesi, è la situazione che
vede, nell’ottobre del 1973, l’entrata in
vigore del decreto sulla stabilizzazione
degli incaricati (n. 580 del 1.10.1973)
che riconosce il diritto, ai professori in
servizio, di «conservare l’incarico a domanda fino all’entrata in vigore della
legge di riforma universitaria» (art. 4).
Per questa via entra nei ranghi Iuav un
folto gruppo di nuovi docenti: il primo
Consiglio di facoltà allargato (come da
legge) conta 8 ordinari e già 41 stabilizzati (CdF, 14.11.1973). (m.c.)
Dai piani ai palazzi: il dramma
della didattica
Tra il 1971 e il 1973 lo Iuav richiede al
Ministero (che le accorda) tre variazioni ai piani per l’edilizia universitaria
(didattica e dipartimentale). Non sono
però “varianti di piano” perché non si
parla più di uno strumento preliminare
di pianificazione. Si tratta solo di semplici redistribuzioni dei contributi già
assegnati, funzionali a mettere in atto
una nuova “strategia” di espansione di
tipo immobiliare, fondata sul rapporto
tra offerta del mercato e disponibilità
finanziaria, come dimostrerà la localizzazione relativamente occasionale delle sedi Iuav nel centro storico.
La prima variazione (CdA, 29.4.1971)
precisa i motivi del cambio di direzione (tempi troppo lunghi per l’utilizzo
delle Terese e difficoltà di comperare
a prezzo equo le aree già incluse nei
piani), deliberando di destinare i tre
quarti dei fondi disponibili all’acquisto
e all’adattamento di edifici «di cui sia
possibile l’utilizzo a breve termine». La
modifica coincide con i primi sopralluoghi per l’acquisto di Ca’ Tron ma, tra
perizie di stima, contrattazioni con la
società proprietaria e firma del contratto di compravendita (17.6.1972, costo
360 milioni) passa un anno e mezzo.
Comunque l’edificio è in parte occupato e la consegna dei locali, per fasi, si
conclude solo nel febbraio del 1974.
All’inizio del 1972 risalgono le trattative per l’acquisto di palazzo Pemma,
deliberato nel giugno del 1972 (CdA,
22.6.1972) e perfezionato nel 1973 (costo 163 milioni). Anche in questo caso
l’edificio non è sgombro e tra alterne
vicende si ricomincerà a parlare di un
avvio dei lavori solo alla fine del 1976,
benché ancora occupato da abusivi.
Quanto alle destinazioni d’uso, si apre
un valzer delle ipotesi che fa vacillare
una volta di più l’idea di una ponderata pianificazione. Solo nel 1973 si tenta
di «individuare una linea programmatica generale di sviluppo dell’edilizia
universitaria» (CdA, 25.5.1973, relatore
Astengo) attraverso un piano di riassetto degli insediamenti.
Con l’acquisto di palazzo Belloni-Battaglia, adiacente e collegabile a Ca’
Tron (pratica avviata, non conclusa) si
sarebbe formato un unico complesso
per soddisfare il fabbisogno del Corso
di laurea in Architettura, sistemandovi i corsi del quarto e quinto anno
(gli altri restavano ai Tolentini). Palazzo Pemma avrebbe ospitato gli uffici
amministrativi, scartando così l’idea di
farne sede dell’istituto di Storia e della
biblioteca centrale (CdA, 22.6.1972).
Il piano resterà una mera congettura
anche perché retto dall’ipotesi (improbabile data la situazione) di istituire
due nuovi corsi di laurea con un consistente (altrettanto improbabile) incremento immobiliare: le Terese sarebbero
diventate sede di un eventuale Corso
di laurea in Ingegneria del territorio,
mentre a Comune e Demanio si sarebbe proposta la cessione degli Incurabili
e dei Magazzini del Sale (presunta sede del Corso di laurea in Urbanistica)
e di palazzo Vendramin-Calergi che,
con il trasferimento del casinò, avrebbe ospitato un Corso di laurea in Restauro. Completano l’opera due o tre
mense nei dintorni dell’Accademia e a
palazzo Badoer, l’unico tra quelli citati
ad essere realmente proprietà Iuav.
L’acquisto di palazzo Badoer è reso
possibile da un éscamotage. Già scuola-collegio, l’edificio è idoneo ad ospitare la nuova casa dello studente, ma
il costo (320 milioni) non è sostenibile
con i soli fondi per l’edilizia assistenziale (100 milioni). L’unica possibilità
è acquistarlo come immobile ad uso
misto (un po’ per gli studenti, un po’
per la didattica) pagandolo così anche con i finanziamenti per l’edilizia
universitaria. Consegnato allo Iuav a
dicembre del 1971, l’edificio potrebbe
in parte funzionare da subito, quanto
meno per avere dei locali dove poter
fare lezione.
Infatti, la condizione della didattica
è al limite del collasso. Tra aumento
13
Iuav : 110
degli studenti, incremento dei corsi e
mancanza di spazi, comporre un quadro con gli orari delle lezioni è un’opera di ingegneria: dove e come poterle
svolgere è un rompicapo ancora più
complesso.
Questa è la situazione all’inizio del
1973-74: ai Tolentini ci sono 5 aule, a
Badoer e Ca’ Tron nessuna (Pemma
è fuori gioco) ma si può raggiungere
quota 19 (10 ai Tolentini, 4 a Ca’ Tron, 5
a Badoer) con l’ausilio di pannelli divisori e circa 2000 sedie (CdF, 22.11.1973).
(m.c.)
Da Venezia a Preganziol
Il Corso di laurea in Urbanistica trova
un suo spazio indipendente solo grazie ad un provvedimento nazionale
urgente con cui il Ministero permette
di impiegare parte dei fondi destinati all’edilizia per l’affitto di locali
(24.9.1969). Così, nel gennaio 1971, si
arriva a disporre del piano nobile e
dell’ammezzato di palazzo Civran, sito
nelle vicinanze di Rialto (CdA, 9.1.1971,
canone mensile 335 mila lire). Si tratta
comunque di un “fuoco di paglia” (la
didattica comincia ad aprile, la locazione scade a luglio, con proroga solo
fino ad ottobre) che obbliga ad una
corsa contro il tempo per individuare
una seria alternativa.
Venezia non offre opzioni praticabili:
lo Stucky, un complesso alle Zitelle o
eventualmente l‘Arsenale sono da restaurare, così come Ca’ Tron che, secondo Astengo, ha anche dimensioni
insufficienti. È utile dunque orientarsi
verso la terraferma. Tra le possibilità
prese in esame (villa Farsetti a Mirano,
villa Nani a Monselice, due ville a Vicenza), quelle offerte dall’amministrazione provinciale di Treviso sembrano
le più concrete (alcune ville ad Asolo
e lungo il Terraglio): in particolare
Pagina a fronte, in senso orario:
Tolentini, occupazione di aprile-maggio 1971
(ASIuav, UTE);
un'aula alla fine dell'occupazione (ASIuav,
UTE);
il cortile su calle Amai con bandiere e drappi
rossi (ASIuav, UTE);
studenti acquistano riviste da "Bepi"
Trevisanello, 1971 (RIuav, prov. Trevisanello).
In questa pagina, in senso orario:
palazzo Badoer, la casa dello studente in
calle de la Laca (ASIuav, UTE);
palazzo Tron (ASIuav, UTE);
palazzo Pemma (ASIuav, UTE);
palazzo Badoer, schema di distribuzione di
casa dello studente, mensa e spazi didattici,
1971 (ASIuav, UTE).
Astengo ritiene villa Albrizzi a Preganziol la soluzione migliore e la presenta
(trionfalmente) come «sezione staccata dello Iuav in provincia di Treviso»
(CdF 27.7.1971). La definizione, in sede
di Consiglio di amministrazione, genera perplessità e sospetto nei rappresentanti degli enti locali veneziani che
vedono nella “delocalizzazione” l’anticamera di un trasferimento in pianta
stabile (CdA, 17.9.1971). Fondato o meno che fosse, il timore contribuisce ad
aprire un più diretto canale di dialogo.
Nell’ottica che lo sviluppo di ogni attività culturale legata a Venezia debba
restare nel centro storico, il Sindaco
formula alcune altre proposte (tra cui
i cantieri navali alla Giudecca), impegnandosi in prima persona per favorire il rientro del Corso di laurea (CdA,
28.9.1971) e ribadendo il concetto che
la scelta di Preganziol può solo essere
momentanea. Con questa promessa
anche il Consiglio d’amministrazione
vota il “trasloco” in villa: la cessione in
uso per 29 anni è firmata nel marzo
del 1972. L’inizio dei corsi è del 18 gennaio 1972. (m.c.)
Commissari all’Opera. Diritto di
studio nello Iuav di massa
Il 29 aprile 1971, nel rimettere dopo 6
mesi il proprio mandato di commissario governativo dell’Opera Universitaria Iuav, Angelo Scattolin disegna per
Samonà la situazione dell’assistenza
nella Facoltà. Un quadro sconfortante: non disponendo di una propria
mensa si è concluso un accordo con
le Ferrovie dello Stato ma solo per 20
mila pasti, contro i 100 mila necessari,
si dispone di soli 19 posti letto nella
casa dello studente, si sono distribuiti
384 assegni di studio, a fronte di 833
aventi diritto. L’unica nota positiva è
l’istituzione dell’ambulatorio, operan-
te da febbraio, con personale medico
convenzionato e dotazione completa
(per neurologia, ginecologia e medicina interna, è specificato nell’opuscolo distribuito in novembre dal nuovo
commissario Carlo Doglio).
Fino al 1977, quando il dpr 616 trasferirà alle Regioni fra le altre competenze
anche quelle in materia di assistenza
universitaria, questa è di responsabilità dell’Opera Universitaria, istituto
varato nel 1933 ma divenuto elemento chiave nella vita universitaria con
le lotte per l’affermazione del diritto
allo studio, sancito dalla Costituzione. Ogni sede universitaria dispone
della propria Opera con un Consiglio
di amministrazione di cui fanno parte
anche tre studenti nominati dall’organismo rappresentativo. La definitiva
abolizione dell’Orsav nel 1968, impedisce l’elezione dei tre membri studenti
e l’Opera viene commissariata. Prima
di Scattolin, l’incarico annuale è assegnato a Franco Levi e a Carlo Aymonino, i quali riescono ad amministrare
l’assistenza senza grossi problemi. Levi
appoggia nel ’68 le richieste degli studenti in merito a presalario generalizzato, abolizione di tasse e contributi,
assistenza sanitaria. Il presalario o
assegno di studio, accolto con soddisfazione da un embrionale Movimento
Studentesco, era stato introdotto con
la legge 80 del 1963 per studenti con
redditi bassi e in regola con gli esami. La rivendicazione del diritto allo
studio, l’equiparazione dello studio al
lavoro, la considerazione degli studenti come operatori all’interno dell’università al pari di docenti e assistenti,
spingono già durante le contestazioni
del ‘67 a chiedere la corresponsione del presalario a tutti gli studenti.
Cosa, anche a considerarla equa, di
difficilissima attuazione, soprattutto
con l’avvio ufficiale dell’università di
massa, nell’a.a. 1970-71. Scattolin si
trova infatti a gestire una somma invariata di denaro di fronte a un numero quasi raddoppiato di iscritti (2876
contro i 1567 dell’anno precedente) e
al raddoppio dell’ammontare di ogni
singolo assegno, stabilito dalla legge
162 del 1969. Gli studenti occupano
l’Ufficio assistenza il 22 aprile e Scattolin, dichiarandosi impotente a risolvere i problemi, si dimette. Gli occupanti
lasceranno libera la sede il 18 maggio,
dopo le rassicurazioni del Consiglio di
facoltà di trovare al più presto una via
d’uscita. Non prima, comunque, di riallestire il chiostro con: vera da pozzo,
basi dei pilastri e chiavi di volta degli
archi dipinti in rosso ed enormi scritte
sul pavimento. L’Istituto si attiva subito, almeno sul fronte vitto e alloggio,
con l’acquisto di palazzo Badoer dove
pensa di sistemare in breve tempo
50 posti letto e la mensa. In effetti,
la nuova casa dello studente è attiva
dall’anno accademico 1971-72 (e lo sarà fino al 1985, con un’interruzione nel
1976 per restauri urgenti), mentre per
la mensa si deve attendere il maggio
1973, per gli imprevisti lavori di consolidamento dell’edificio (Ca’ Badoer non
era proprio nelle buone condizioni in
cui sembrava all’acquisto). La porzione
del palazzo contenente la mensa sarà
venduta dallo Iuav all’Opera nel 1977.
Nel frattempo, le difficoltà dell’Opera
non diminuiscono, anzi: dopo l’anno
di Carlo Doglio, in assenza di commissari interni allo Iuav, il 4 luglio 1972 è
nominato il viceprefetto Giorgio Diaz
deciso a far quadrare i conti dell’Opera e riportare l’ordine nelle due case.
Ingiunge alla Cluva la restituzione di
un prestito di 8 milioni (concesso dal
commissario Aymonino nel 1969),
impone il rispetto del regolamento
delle case, raddoppia le rette, ignora
le proteste degli studenti e gli inviti a
partecipare ad assemblee per discutere il problema, denuncia gli studenti
che occupano gli uffici dell’Opera nel
febbraio ’73. A nulla valgono un’altra
occupazione e l’offerta del direttore
di nominare un commissario interno.
Solo alla conclusione dell’anno, si
potrà riassegnare l’incarico ad Aymonino e solo nel 1974, in seguito al dl
580/1973, è ripristinato il Consiglio
d’Amministrazione dell’Opera, ma i
problemi restano i medesimi, tanto da
far ipotizzare una fusione con l’Opera
di Ca’ Foscari. (m.m.)
A tasche vuote
Il triennio accademico 1970-73 è in
assoluto il più difficile: lo Iuav arriva
realmente a sfiorare la chiusura. Le
cause sono molte e, purtroppo, i nodi
giungono al pettine tutti insieme.
La prima e la più evidente è la creazione del Corso di laurea in Urbanistica che, su promessa del Ministero,
avrebbe dovuto “portare in dote” un
consistente incremento del contributo
statale (50 milioni) e invece così non è:
il contributo ordinario è fermo da anni
a 120 milioni malgrado la triplicazione
della popolazione scolastica.
Sul fronte urbanistico, dunque, si registrano solo uscite (molte uscite), ma
anche quello architettonico si riorganizza, aumentando il numero degli istituti scientifici e con questo le spese di
gestione.
L’edilizia incide non poco. Se è facile
immaginare che più sedi significano
anche più personale, meno immediato
è capire che si riducono di molto anche
gli interessi sui depositi finanziari: sebbene i contributi siano statali, lo Stato
non li anticipa ma li rimborsa.
Alla crescita esponenziale degli studenti non corrisponde una analoga crescita
delle entrate derivanti dalle iscrizioni:
la legge 910 liberalizza gli accessi ma
concede anche maggiori esoneri.
Già il bilancio del 1970-71 era considerato «appena sufficiente ad una gestione di stretta sopravvivenza», quello
successivo costringe a zero alcuni capitoli di spesa, tagliando le uniche voci
che ancora possono essere tagliate:
didattica, ricerca, esercitazioni, conferenze, viaggi e spese per la biblioteca.
Così lo Iuav è ridotto ad «una macchina che alimenta se stessa ma non può
produrre nulla a servizio degli studenti
che ne costituiscono la ragion d’essere» (CdF, 26.1.1972).
Per raggiungere il pareggio, nel bilancio preventivo del 1971-72, si iscrive alla
voce entrate un contributo straordinario da parte del Ministero e degli altri
enti pubblici locali «del quale tuttavia
non vi è fino ad oggi alcun concreto
accertamento [… né] vi è agli atti alcun
documento di valida assicurazione, né
la futura previsione può essere ottimista» (CdA, 29.10.1971) e infatti resterà
puramente ipotetico. Il Consiglio di facoltà approva perciò azioni di protesta
(dalla sospensione dell’attività all’occupazione dei Tolentini) e promuove conferenze stampa. Alla fine, in assenza di
interventi statali, non resta che sanare
il deficit con mezzi propri attraverso il
prelievo una tantum (62 milioni e mezzo) dal fondo patrimoniale (202 milioni) (CdA, 26.5.1972).
La vittima più illustre di questo stato
di cose è Carlo Scarpa che, subentrato
a Samonà nella direzione dello Iuav,
decide di presentarsi dimissionario a
causa «di una situazione che mi ha tolto la serenità necessaria per svolgere
il mio mandato di cui non posso oltre
sopportare il peso» (Scarpa al Consiglio
di Facoltà, 16.7.1973). (m.c.)
14
Iuav : 110
1973-75 Architettura “rossa”
Conflitti interni. Dal sindacato
alla politica
Le proteste del maggio 1971, culminate
nell’occupazione dell’Ufficio assistenza, mettono in luce le ripercussioni
della massificazione dello Iuav sugli
studenti: ritorno a lezioni ex-cattedra
(ora teletrasmesse data la scarsa capienza delle aule), ripristino di corsi
propedeutici e sbarramenti orizzontali.
Operazioni che, insieme alla dissuasione e al possibile ritorno all’obbligo
di frequenza e di verifica, sono per gli
studenti evidenti azioni selettive.
Alla crisi dei servizi e della didattica si
aggiunge quella dell’indirizzo politicoculturale dello Iuav derivata dall’incomprensibile e inutile fondazione del
Corso di laurea in Urbanistica, non solo costoso ma con chiare ripercussioni
sugli iscritti ad Architettura: «architettura università umanistica generica,
priva di potenzialità innovative, priva
di sbocchi professionali e quindi priva
e privata di qualsiasi investimento. Urbanistica oggi scuola di riqualificazione, tutta interessata alla ricerca, nata
per creare direttamente ricerca applicata, catalizzatrice di investimenti»
(Iuav, 1971). La protesta così si allarga
e, coinvolgendo gli studenti del nuovo
corso di laurea, porta all’interruzione
delle lezioni appena iniziate a palazzo
Civran, provvisoria sede del neonato
corso.
Ma dalla protesta-occupazione emergono due importanti questioni riguardanti gli studenti: da un lato l’estraneità della maggior parte di essi a queste
lotte, dall’altro il conflitto interno al
movimento. Quello della difficoltà di
captare l’interesse della base, coinvolgere quest’ultima nelle discussioni,
nelle attività e nelle proteste è problema costante, da sempre denunciato.
Assiduità e continuità sono difficili da
riscontrare in un gruppo dai contorni
così incerti e mutevoli qual è la categoria studentesca i cui stessi leader
dopo uno o due anni lasciano, spesso
per essere reclutati nella docenza. Con
il passaggio dall’Orsav alla Assemblea
Generale nel 1964, si tenta di sanare lo
scollamento, ottenendo invece dispersione e smarrimento. Probabilmente,
l’occupazione del 1967 rappresenta, almeno nelle sue fasi iniziali, il momento
di massima partecipazione della base,
ma le fasi di lotta successive vedono
aumentare il disinteresse e la diffidenza verso leader e gruppi sempre più politicizzati e rivolti all’esterno. Richieste
sindacali e proteste mirate evolvono
in contestazioni globali, coglibili negli
slogan e nelle scritte, prima rivolte contro docenti e amministratori, poi invece inneggianti ai miti del comunismo.
Come accade nell’occupazione del 1971
da cui emerge anche la conflittualità
fra gruppi di sinistra e di base. L’occupazione, infatti, cambia a un certo
punto “gestione” e i nuovi conduttori
“disoccupano” gli uffici, accusando i
loro predecessori di essere emanazione della sezione universitaria del Pci e
in stretta relazione con “certi” docenti.
I contrasti si acuiscono raggiungendo
forme di aperta contrapposizione fra la
fine del 1973 e il 1974. In una situazione già di per sé complicata. Sul piano
nazionale, la coalizione Dc-Psi mostra
tutta la sua debolezza nel succedersi
di brevi governi, uno dei quali riesce
comunque a varare le Misure urgenti,
il dl 580 del 1973, che stabilizza gli
incaricati, cancella gli assistenti volontari, concede agli studenti il diritto di
parola ma non di voto nei consigli di
facoltà e di amministrazione. Sul fronte interno, si registrano la conclamata
crisi economica e culturale dello Iuav e
le “lotte” per la guida dell’Istituto e dei
corsi di laurea. Quattro gruppi sono a
capo delle proteste studentesche allo
Iuav: Pci, Lotta Continua, Manifesto
e Gruppi di Base. I primi tre sono riconducibili a gruppi politici nazionali,
dentro o fuori del Parlamento. L’ultimo
rifiuta qualsiasi identificazione partitica e mira esclusivamente alle rivendicazioni studentesche. Mentre gli
studenti legati al Pci e alla Cgil-Scuola
riconoscono all’esterno della facoltà le
cause della crisi, sintonizzandosi con
parte dei docenti, per i Gruppi di Base
compito della contestazione è ancora
quello di smascherare le connivenze
fra università e sistema capitalistico,
denunciando i giochi di potere all’interno della facoltà. Caso esemplare è
la politica “immobiliarista” intrapresa dallo Iuav. Questa non è altro che
un’operazione speculativa e di consolidamento del potere degli istituti ai
quali i diversi palazzi saranno assegnati. Così i seminari politici, momenti di verifica e razionalizzazione della
didattica, devono diventare occasioni
di crescita politica, di consapevolezza
dell’uso capitalistico del territorio, cui
lo Iuav partecipa.
Il Gruppo di Base ricostruisce, nel suo
«Bollettino», le vicende che hanno portato all’interno dello Iuav alla vittoria
del Pci sul Psi e quindi all’elezione di
Aymonino. Su tale vittoria, pesa il ruolo della “cellula studenti Pci”, la cui
“azione agitatoria” contro il Consiglio
di facoltà ha permesso di ottenere nel
dicembre precedente alcuni benefici,
come nuovi spazi didattici e dispense
gratis, ma ha soprattutto rafforzato la
componente Pci del Consiglio di facoltà. In tutto questo, le rivendicazioni
degli studenti sono essenzialmente
strumentali.
Il conflitto fra gli studenti giunge al
punto che, di fronte alle elezioni dirette dei rappresentanti degli studenti nei
consigli di facoltà, d’amministrazione,
dell’Opera, previste dal 580 e accettate dagli studenti Pci, i gruppi di base
scelgono di non partecipare, facendo
mancare il numero minimo e quindi i
membri studenti dei consigli di facoltà
e di amministrazione. (m.m.)
due facoltà?). Come sia finita è chiaro a tutti: molti propositi (forse più da
parte Iuav che di Ca’ Foscari) ma poco
o nulla sul piano pratico.
Da direttore, Aymonino si muove lungo il palinsesto già tracciato. Lo schema, di cui era in larga parte responsabile, riconosceva, quale base istitutiva
di qualsiasi cambiamento, il «rapporto
scuola-società». Il concetto-guida (totalizzante nella sua brevità) investe
l’intero sistema Iuav, ne rimette in discussione tutti i gangli: coinvolge temi di contesto e questioni specifiche,
intreccia costantemente elaborazione
I servizi vanno unificati e ristrutturati
in funzione dell’insegnamento ma anche delle esigenze e delle richieste provenienti dall’esterno. In questo quadro
è giudicato più che mai indispensabile passare finalmente alla creazione
dell’agognato Centro di documentazione, finora vittima solo di alterne
sventure. L’unità di servizio avrebbe
dovuto diventare uno degli strumenti
(se non il principale) di attuazione della nuova politica culturale dello Iuav,
assumendo il ruolo cardine di “ponte”
tra università e città, tra università e
territorio. L’attività si sarebbe infatti
concettuale e azione pratica, comporta simultanee riflessioni su più livelli
nell’esigenza di correlare il particolare
al generale, l’interno (università) con
l’esterno (mondo reale) e viceversa.
Accanto alle consuete commissioni di
studio (servizi, didattica e ricerca), altre se ne formano per esaminare temi
nuovi: sbocchi professionali (in relazione ai contenuti da dare ai due corsi di
laurea riformati), dimensione operativa
dell’ateneo veneziano (gli interlocutori
e la scala di riferimento: città e regione), entità e qualifica della domanda
interna ed esterna (programmazione
degli ambiti e dei temi di ricerca in
rapporto alla domanda sociale).
Didattica, ricerca e ruolo dell’università
sono tre termini della stessa equazione.
coordinata a quella degli altri centri di
studio e di ricerca esterni, citando tra
questi: la Biennale, la Fenice, le Soprintendenze.
Gli insegnamenti vanno riordinati e
indirizzati verso i problemi concreti
sollevati dal mondo reale che si assumono come elementi sperimentali della didattica. Su questo fronte si lavora
a una diversa articolazione del sistema
fondata su un piano di studi libero e
su “blocchi” di insegnamenti, dove per
“blocco” si intende un gruppo di materie riunito attorno ad un problema specifico e di particolare urgenza sociale e
politica: le trasformazioni dell’assetto
produttivo nell’aera veneta e a Venezia
(sistemazione della laguna, ristrutturazione di Porto Marghera, infrastruttu-
Riforma: atto ultimo, scena prima
Seminari e assemblee sono diventati,
nel corso degli ultimi anni, luoghi di
discussione collettiva.
Ora però tra le questioni all’ordine del
giorno compare un tema nuovo, radicato nella convinzione che la riforma
dello Iuav non sia una mera operazione tecnica ma debba essere prima di
tutto un compito politico-culturale.
Emerge, cioè, l’esigenza di un progetto
che sia condiviso da tutte le componenti dello Iuav e sul quale fondare il
futuro assetto.
Per questa ragione Scarpa aveva rinviato di un po’ le proprie dimissioni
da direttore Iuav ma, stilata una prima
bozza di intenti (novembre 1973), non
c’era più motivo di prolungare l’“interregno”. Poteva così aprirsi il primo vero
“dopo Samonà” che vede contrapposti
Giovanni Astengo e Carlo Aymonino.
L’elezione di quest’ultimo (CdF, 8.3.1974)
è il risultato di un insieme di fattori.
Rappresenta senz’altro la vittoria di
uno schieramento politico: attorno alla
figura di Aymonino si ricompatta infatti la sfaccettata componente universitaria del Pci, per giunta minoritaria a
fronte di una maggioranza di area Psi
alla quale aderiva Astengo. Dunque, al
di là della stretta appartenenza partitica, pesano anche altri fattori di tipo
culturale legati al nuovo ruolo che si
voleva disegnare per lo Iuav. Se da un
lato era ancora aperta la ferita provocata dalla separazione tra Architettura
e Urbanistica, dall’altro si discuteva di
un’ipotetica confluenza dell’Istituto
con Ca’ Foscari: ci si confrontava sulle
ragioni dell’operazione (mera contingenza o compito politico-culturale?) e
sulle forme in cui attuarla (assetto a
15
Iuav : 110
re…), le loro conseguenze sugli insediamenti umani (problema della casa,
tema della legge speciale, destino del
centro storico…) e gli strumenti necessari alla loro gestione (piani, finanziamenti, leggi, intervento pubblico…).
Se questi sono almeno in parte gli obbiettivi, lo strumento più idoneo per
raggiungerli è il “dipartimento” che
deve diventare la struttura fondamentale dell’università (“cancellando” tra
l’altro gli istituti scientifici) per permettere l’unità tra ricerca e didattica
con lo sviluppo di programmi a carattere interdisciplinare.
In pratica la ristrutturazione globale
dello Iuav è pensata come modello di
riforma alternativo a quello che si andava studiando in sede ministeriale.
Il percorso verso i dipartimenti non
è semplice ma procede a ritmo serrato: tra luglio 1974 e settembre 1975 si
susseguono diverse proposte (articolazioni a 3, 4, 5, 9 dipartimenti) per
giungere poi a quattro. In mancanza di
una riforma nazionale che arriverà solo
nel 1980, lo Iuav è pronto per aprire
la fase di transizione sperimentale già
il 1° novembre 1975: in realtà slitterà
alla stessa data dell’anno successivo.
(m.c.)
L’università come soggetto urbano
Il 25 aprile 1975 ricorre il trentesimo anniversario della liberazione dal fascismo.
Ai Tolentini le celebrazioni si tengono nella nuova Aula Magna, inaugurata per l’occasione. L’aula è sempre
la stessa ma si presenta in un nuovo
allestimento voluto da Aymonino e realizzato con il contributo di una serie
di artisti veneziani (nonché amici e in
più di un caso “compagni”). Sul fondo
spicca l’opera di Emilio Vedova montata da Scarpa su un pannello asimmetrico rosso, mentre dal soffitto scendo-
no sulla sala i pannelli decorati con le
pitture di Vittorio Basaglia, Mario De
Luigi, Alberto Gianquinto, Armando
Pizzinato e una frase di Gramsci ricorda quali strumenti siano necessari ad
affrontare i compiti e le sfide del futuro. Il monito gramsciano non riguarda
solo gli studenti ma si rivolge a tutti,
così come l’aula diventa ora spazio
assembleare pubblico, offerto gratuitamente a tutte le forze sociali.
Se l’idea di rinnovarne l’aspetto è accolta di buon grado, la nuova destinazione, auspicata da Aymonino, suscita
perplessità e opposizioni da parte di
molti, Scarpa compreso che la pensa
come sala conferenze solo per la facoltà. Alle difficoltà gestionali (assicurazione, sorveglianza, calendario d’uso)
si aggiungono resistenze di ordine
politico-ideologico: il rischio è di ospitare «riunioni volte alla trattazione di
problemi in contrasto con gli indirizzi
e le direttive dello Stato […per esempio] “la liberalizzazione dell’aborto”,
“il boicottaggio delle elezioni…”» (CdA,
26.3.1975). Tant’è, alla fine se ne approva un uso regolamentato ma aperto.
Il primo anno di attività si chiuderà
con un bilancio di: 43 manifestazioni
pubbliche (di cui 23 organizzate da
vari gruppi politici), 6 confereze e 4
riunioni sindacali. L’Aula Magna diventa dunque spazio civico e simbolo
dell’apertura dello Iuav alla città. Certo, non è facile scalfire l’immagine di
chiusura dell’ex convento (rafforzata
purtroppo dalla presenza del “fortino”), ma se la forma non aiuta, provvede la sostanza: la “riqualificazione
funzionale” della sala fa dello Iuav una
“attrezzatura urbana” di servizio cittadino (1973-1978 Annuario).
Tutto questo si svolge poco prima delle
amministrative del giugno 1975. Dalle
consultazioni esce una nuova giunta di
sinistra formata da socialisti e comuni-
sti. Nella lista del Pci lo Iuav era rappresentato non solo da Edoardo Salzano, futuro assessore all’urbanistica,
ma anche da Carlo Aymonino che, con
438 voti, risulta il primo dei non eletti.
C’erano dunque tutte le premesse per
costruire con l’amministrazione locale
un dialogo più disteso di quanto fosse
successo in precedenza, anche durante
l’era Samonà come ricorda Trincanato
(Carullo, 2009). Del resto, lo stesso Aymonino aveva salutato l’evento come
una positiva occasione di estendere il
campo di intervento operativo (Aymonino, 1975).
Di possibili sinergie tra Iuav e Comune
parla l’esposizione Università e città.
Documentazione dei problemi urbanistici - edilizi a Venezia e Mestre, allestita dallo Iuav alla Bevilacqua La Masa
(novembre 1975). Attraverso cartografie e tabelle comparative si affronta
il tema dell’edilizia universitaria con
l’intento di far conoscere a tutti (amministratori, cittadini, utenti) le reali
dimensioni del problema. Con l’incremento della popolazione studentesca
(stimata in più del 10% dell’intera popolazione insulare) e il conseguente
sviluppo immobiliare dei due atenei,
la presenza universitaria ha ormai assunto proporzioni tali da non poter
più essere ignorata in sede di pianificazione urbanistica del centro storico.
È diventata cioè un soggetto urbano
con il quale l’amministrazione e gli
strumenti di piano devono necessariamente misurarsi; il pubblico dibattito,
a chiusura dell’evento, funge appunto
da stimolo in questa direzione.
Tavole tematiche e grafici di raffronto
sono in parte redatti dall’Istituto di
Composizione architettonica (propongono i progetti di coordinamento con
riferimento ai piani particolareggiati
per il centro storico), in parte espongono i risultati di alcune tesi di laurea.
Date le implicazioni, la mostra non propone facili soluzioni ma offre elementi
di valutazione analitica, realizzando
così l’idea di un ateneo che si vuole
“servizio”; che, cioè, senza sostituirsi a
organi tecnici e politici può contribuire, nell’ambito delle proprie specifiche
competenze, alla conoscenza del problema. Ma la «nuova linea programmatica dello Iuav, che vuole fattivamente
collaborare come strumento al servizio
della città, della Regione, del Territorio» (CdA, 13.2.1975) trova anche altri
canali per concretizzarsi: per esempio,
quello offerto dalla legge speciale per
Venezia, attraverso la quale lo Iuav ha
l’opportunità di realizzare quantomeno il restauro di un palazzo e di partecipare direttamente al risanamento
del centro storico. È questo il caso di
Ca’ Tron il cui restauro è realizzato con
i finanziamenti (600 milioni) ottenuti
dal secondo programma annuale di interventi per la salvaguardia (adozione
30.11.1974, 240 milioni) e dal terzo (adozione 28.10.1975, 360 milioni).
Nel febbraio del 1975 lo Iuav formalizza i rapporti con l’Istituto di Composizione architettonica, incaricato
della redazione del progetto esecutivo
firmato da Franca Semi e Lavinio Bellemo. Sempre nel 1975, in ragione di
una migliore utilizzazione dei servizi,
del personale docente, dei percorsi
didattici e della ricerca, si decide il rientro in laguna del Corso di laurea in
Urbanistica che, diviso fra Preganziol
e Venezia fin dall’a.a. 1976-77, dovrà
attendere ancora tre anni per il trasferimento completo e definitivo nella
nuova sede di Ca’ Tron. (m.c.)
Pagina a fronte, in senso orario:
frontespizio del «Bollettino del Gruppo di
Base del movimento studentesco» (AP, FET,
2.Attività scientifica/2/033);
vedute dell'Aula Magna, 1973-1978
Annuario, Milano [1979 ?].
In questa pagina, in senso orario:
manifesto per il trentennale della
Liberazione e copertina di 1973-1978
Annuario;
manifesto della mostra Università e città,
1975;
Iuav- Comune di Venezia, tavola grafica per
la mostra Università e città (ASIuav, UTE);
studenti in Aula Magna dopo l'occupazione
del 1977 (RIuav, prov. Cucciniello);
un momento della celebrazione del
trentennale della Liberazione, 24 aprile 1975
1973-1978 Annuario.
Iuav : 110
16
Abbreviazioni
AP, Archivio Progetti
ASIuav, Archivio storico Iuav
FET, fondo Egle Renata Trincanato
RIuav, Raccolta iconografica Iuav
(consultabile in AP)
UTE, partizione Ufficio Tecnico
Riferimenti a documenti e pubblicazioni
citati nei testi
CdA, Archivio storico Iuav, serie dei verbali
del Consiglio di Amministrazione, 1948-76
(alla relativa data)
CdF, Archivio storico Iuav, serie dei verbali
del Consiglio di Facoltà, 1948-76 (alla
relativa data)
1948
G. Samonà, Prolusione in Iuav, Annuario a.a.
1948-49, 1949-50, [Venezia]
1960
A. Foscari, Le nuove sedi dell’istituto di
architettura, in «Venezia architettura», n. 4, p. 3
A. Foscari, I milioni dei Tolentini, in «Venezia
architettura», n. 5, p. 3
1966
G. Obici, Studenti e assistenti nella
«gestione» universitaria a Venezia.
L’eccezionale esperimento dell’Istituto di
Architettura, in «Paese sera», 12 maggio;
Università in crisi, in «Casabella», n. 311, p. 11;
1967
S. Boato, G. Sarto, La lotta studentesca
a Venezia - Architettura e le riforme dei
gattopardi, in «Questitalia», n. 111-112, pp. 66-70
G. Samonà al Ministero della Pubblica
Istruzione, lettera del 27.10.1967 (ASIuav,
UTE);
G. Samonà, Nota introduttiva, in Raccolta 1
(cfr. riferimenti in nota 2)
1968
I. Insolera all’Assemblea Generale degli
studenti, lettera del 24.3.1968 (AP, FET, 2.
Attività scientifica/2/033)
F. Levi a G. Astengo, lettera del 21.10.1968
(AP, fondo G. Astengo, Corr/01/028)
Proposte per il nuovo ordinamento della
facoltà, 4.12.1968 (AP, FET, 2.Attività
scientifica/2/033)
1971
Iuav, Segreteria Tecnica, Documento
proposto all’Assemblea Generale del 22.4.1971
dalla Commissione allargata che occupa
l’ufficio assistenza (AP, FET, 2.Attività
scientifica/2/033)
1973
C. Scarpa al Consiglio di Facoltà,
lettera del 16.7.1973, (AP, FET, 2.Attività
scientifica/2/052)
1975
C. Aymonino, Relazione introduttiva al
seminario del consiglio di facoltà dell’Istituto
universitario di architettura di Venezia
(ottobre 1975), in Gestione del territorio,
supplemento a «L’architetto», n. 2, 1976,
pp. 369-375
2009
La rivoluzione culturale. La Facoltà di
Architettura del Politecnico di Milano, 19631974, a cura di F. Vanini, Milano
R. Carullo, Iuav. Didattica dell’architettura
dal 1926 al 1963, Bari
Note
1. Per l’edilizia Iuav: disegni e documenti su
Badoer, Ca’ Tron, Pemma, Terese, Tolentini,
sono in ASIuav, UTE, ai relativi fondi. Le
foto dei Tolentini “occupati”, i documenti e
i disegni dei piani edilizi (1967-69) e degli
altri edifici sono in ASIuav, UTE ma privi di
riferimenti perché non ordinati.
2. Per l’intera vicenda studentesca e il
“botta e risposta” tra studenti e Iuav sulle
riforme (cfr. 1967-69, Richieste? Riforme!)
sono stati fondamentali: le tre Raccolte (1,
2, allegati) di documenti sulla riforma (1967)
in AP, fondo G. Polesello, C.1/03, F.16 e il
fondo Trincanato, in particolare le circa mille
carte di documenti in AP, FET, 2.Attività
scientifica/2/033.
3. Molte notizie relative a Opera
Universitaria, Fondazione Masieri, bilanci
Iuav, minute dei Consigli di facoltà del 1969
e del 1975 (la serie dei verbali purtroppo
non è completa) provengono da varie buste
conservate in ASIuav ma non ordinate
e spesso con titolazioni esterne non
rispondenti al contenuto.
L'Aula Magna nel 1977 (RIuav, prov.
Cucciniello)
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