Punto Omega
Rivista quadrimestrale
del Servizio Sanitario
del Trentino
Nuova serie
Anno III/2001
numero 7
Registrazione del Tribunale
di Trento n. 1036
del 6.10.1999
© copyright 2001
Provincia Autonoma
di Trento
Tutti i diritti riservati.
Riproduzione consentita
con citazione obbligatoria
della fonte
Direttore
Mario Magnani
Direttore responsabile
Alberto Faustini
Coordinamento redazionale
ed editoriale
Vittorio Curzel
Redazione e impaginazione
a cura del Servizio
Programmazione e ricerca
sanitaria
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Hanno scritto per questo
numero:
Guido Baldessarelli,
Massimiliano Colombo,
Valerio Costa,
Vittorio Curzel,
Renzo De Stefani,
Paolo Facchinelli,
Fabrizio Fontana,
Dario Janes,
Graziano Manfrini,
Renzo Nardelli,
Gabriele Noro,
Elio Ottaviano,
Roberto Pancheri,
Giuseppe Penasa,
Monica Pisetta,
Ugo Pitton,
Maria Gemma Pompei,
Luciano Pontalti,
Giuseppa Russo,
Tiziano Vecchiato,
Francesco Venturini.
Progetto grafico
Giancarlo Stefanati
Editing
Attilio Pedenzini
Stampa
Tipografia Alcione
Trento
Stampato su carta ecologica
Fedrigoni Vellum white
Indirizzo
Provincia Autonoma
di Trento
Servizio Programmazione
e Ricerca sanitaria
Via Gilli, 4
38100 Trento
tel. +39.0461.494037
fax +39.0461.494073
e-mail:
[email protected]
“Punto Omega” è consultabile
on line sul sito web:
www.provincia.tn.it/sanita
nella sezione
“Centro Documentazione Salute/
Emeroteca”
3
Mario Magnani
Editoriale
Luciano Pontalti
La valorizzazione del
territorio nel nuovo
assetto istituzionale del
servizio sanitario
provinciale
Fabrizio Fontana
14 Dall’ospedale al territorio
5
L’integrazione tra sanità e
attività socio-assistenziali
Tiziano Vecchiato
19 Assistenza territoriale
e integrazione
socio-sanitaria
Monica Pisetta
31 Il punto di vista della
sanità
Paolo Facchinelli
42 Il punto di vista delle
attività socio-assistenziali
Aspetti economico-finanziari
e marketing dei servizi
Guido Baldessarelli
47 Lo spostamento del
baricentro assistenziale
dall’ospedale al territorio:
aspetti economicofinanziari
Vittorio Curzel
61 L’azione di marketing e i
servizi per la salute
Esperienze di assistenza
socio-sanitaria territoriale
nel Trentino
Giuseppe Penasa, Elio Ottaviano,
Renzo Nardelli, Francesco
Venturini, Ugo Pitton
82 L’assistenza domiciliare
integrata nei distretti
sanitari del Trentino
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
7
anno tre numero sette
Massimiliano Colombo
112 RSA: lavori in corso
per un nuovo servizio
socio-sanitario
Gabriele Noro
123 L’unità di valutazione
multidisciplinare
Dario Janes
133 I servizi per le persone
disabili
Maria Gemma Pompei
139 I consultori per il singolo,
la coppia e la famiglia
Renzo De Stefani
147 I servizi per la salute
mentale
Valerio Costa
161 La tossicodipendenza:
fenomeni e risposte
Roberto Pancheri
170 I servizi di alcologia
Giuseppa Russo
179 La partecipazione degli
utenti al miglioramento
della qualità dei servizi
socio-sanitari territoriali
Graziano Manfrini
183 Scheda: Ci vorrebbero
dei dati...
Editoriale
L
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
a sfida forse più importante dei
processi di riforma sanitaria na­
zionale e provinciale che si sono
susseguiti dal 1978 ad oggi, quel­
la che configura l’identità, l’orga­
nizzazione e l’operatività del nuo­
vo Servizio sanitario nazionale e
provinciale, ha riguardato e ri­
guarda la “territorializzazione
dei servizi”.
Considerare ed affermare nei ser­
vizi territoriali (che trovano la
loro unità nell’articolazione orga­
nizzativa del Distretto) il punto
cardine e strategico del sistema
sanitario, significa in primo luo­
go instaurare un nuovo e qualifi­
cante rapporto con i cittadini, per
quanto concerne la loro principa­
le dimensione vitale, quella del­
la salute.
Tale rapporto si concretizza nel
contatto diretto del sistema con
il bisogno così come viene
espresso, nella sua interezza e
complessità, nell’interpretazione
dello stesso e nella composizio­
ne della risposta più consona ed
efficace, utilizzando sia l’appor­
to dei vari livelli di assistenza sa­
nitaria, che, quando necessario,
quello dei servizi direttamente
correlati e complementari riferiti
alla dimensione del “sociale”. Il
distretto assicura quindi una pre­
sa in carico totale, che accompa­
gna l’intero percorso assistenzia­
le della persona-utente.
Ma, soprattutto, il riferimento al
bisogno di salute complessivo
della persona, implica una nuo­
va e qualificante concezione del­
la salute e della sanità: è in que­
sta sede che inizia spontanea­
mente il processo di umanizza­
zione e personalizzazione delle
cure riferito all’individuo nella
sua identità e integrità e conse­
guentemente l’instaurazione di
un rapporto di fiducia fondato
sull’informazione e il consenso
informato.
In una parola, il distretto, nelle
sue caratteristiche costitutive, fa
riferimento alla nuova concezio­
ne globale della salute, conside­
rando la persona con i suoi biso­
gni al centro del processo assi­
stenziale. E tale istanza costitui­
sce un principio inderogabile,
non solo dal punto di vista etico,
ma anche operativo, per assicu­
rare l’efficacia e l’appropriatezza
della risposta.
L’affermazione della centralità del
territorio nell’organizzazione sa­
nitaria, nonostante l’unanime
condivisione esistente e i pro­
gressi graduali che si sono veri­
ficati nel passato a partire dal­
l’istituzione del Servizio sanita­
rio nazionale, rimane a tutt’oggi
un problema aperto, che sconta
ritardi e alcune carenze a tutti i
livelli (politico, gestionale e ope­
rativo), imputabili principalmen­
te a motivazioni culturali, ma
anche all’oggettiva e sempre
maggiore complessità del mon­
do della sanità e dell’intero siste­
ma sociale. Queste difficoltà, tut­
tavia, se da una parte evidenzia­
no la grande portata innovativa
e quindi gli ostacoli lungo il per­
corso di questa trasformazione,
dall’altra incoraggiano ad unire
le forze di tutti per realizzarla
completamente.
3
Questa consapevolezza ha indot­
to, nell’elaborazione del disegno
di legge di Piano sanitario pro­
vinciale 2000-2002, a ricercare
modalità per assicurare e valoriz­
zare lo sviluppo dell’assistenza
distrettuale integrata, compresa
la previsione di una ridistribuzio­
ne tra i livelli di assistenza delle
risorse finanziarie, che favorisca
la componente territoriale e che
permetta una sostanziale ricon­
versione delle attività sanitarie
verso i distretti.
Questo nuovo numero di “Pun­
to Omega” la rivista del Servizio
sanitario del Trentino, offre lo
spazio per un confronto aperto
sullo stato dell’arte e sulle pro­
spettive riferite al tema della cen­
tralità del territorio per migliora­
re l’efficacia e la qualità degli in­
terventi per la salute.
Editoriale
Mario Magnani
Assessore provinciale
alle Politiche sociali
e alla Salute
4
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
La valorizzazione
del territorio: condizioni
e prospettive
Luciano Pontalti
Verso un progetto di salute condiviso con
la comunità, per una sanità centrata sulla
persona.
Nel dibattito sulle politiche sanita­
rie è ricorrente il richiamo alla va­
lorizzazione del territorio intesa
come potenziamento dei servizi e
degli interventi sanitari, al di fuori
dei centri di ricovero e cura e là,
invece, dove la gente vive e lavora.
A sostenere questo orientamen­
to nelle scelte di sviluppo del Ser­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
vizio sanitario concorrono molteplici
motivazioni.
Il ribaltamento in positivo del
concetto di salute e la estensione
del suo significato, sino a compren­
dervi il complessivo stato di benes­
sere fisico, psichico e sociale, met­
tono in rilievo come preminenti le
azioni, da esplicare sul territorio,
di promozione della salute e di pre­
venzione della malattia.
L’insostenibile concentrazione nei
centri specialistici e ospedalieri di
ogni tipo di prestazione diagnosti­
co-curativa, con effetti dirompenti
sulle liste di attesa, invoca un’or­
ganizzazione dei servizi sanitari ter­
ritoriali, che eserciti una vigorosa
azione di filtro.
La forte domanda di superamen­
to degli svantaggi della periferia
nell’accesso alle prestazioni sanita­
rie, già per definizione contraria ad
ogni progetto di razionalizzazione
5
La valorizzazione del territorio
6
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
verticale, preme per il rafforzamen­
to della rete territoriale dei servizi.
L’esplosione dei bisogni di assi­
stenza per un numero crescente,
grazie ai progressi medici, di perso­
ne anziane e di pazienti cronici gravi
impone la creazione di un insieme
integrato sul territorio di servizi
socio-sanitari.
Da ultimo i processi in atto di
devoluzione alle regioni di più am­
pie potestà in materia sanitaria, ne
aumentano la responsabilità sul
contenimento della spesa, obietti­
vo questo ottenibile, si crede, solo
attraverso il consenso su un chiaro
programma di salvaguardia di sod­
disfacenti servizi sanitari di base sul
territorio.
Ma la necessità di valorizzare il
territorio poggia su una ragione più
profonda, che sopravanza e contie­
ne tutte quelle esposte. Se lo sco­
po di un sistema sanitario consiste
nel miglioramento dello stato ge­
nerale di salute di una popolazio­
ne, la crescita di qualità del siste­
ma nel suo complesso è in funzione
necessaria, diretta e proporzionale
all’aumento della qualità reale e
percepita dei servizi di assistenza
sanitaria territoriali.
In chi gestisce gli interventi sa­
nitari il binomio “salute-territorio”
evoca istintivamente la visione di
sevizi dislocati in periferia, strut­
turalmente bene organizzati, dota­
ti di risorse sufficienti a fornire dia­
gnosi e cure per i malesseri ordina­
ri, capaci di selezionare e orientare
verso i poli specialistici e ospeda­
lieri i pazienti gravi, attrezzati, in­
fine, a svolgere, nelle zone di com­
petenza, funzioni di presidio e di
sorveglianza sanitari in conformità
alle direttive impartite dal centro.
La prospettiva è, dunque, quella
di una tutela santaria sapientemente
programmata al vertice e attuata con
efficacia sul campo.
L’aspettativa che nutrono dal bas­
so i cittadini beneficiari degli in­
terventi sanitari sembrerebbe a pri­
ma vista speculare alla visione de­
gli operatori sanitari. I primi, in de­
finitiva, aspirano a un’assistenza di
base vicina e rapida e vogliono es­
sere validamente supportati nell’ac­
cesso alle prestazioni specialistiche.
Ma le due aspettative appaiono
solo in superficie congruenti. Le
motivazioni alla loro base, infatti,
e la valutazione dei bisogni che ne
deriva sono spesso divergenti e fonti
di conflitto.
Dal punto di vista del gestore
degli interventi sanitari la preoccu­
pazione prevalente è quella di ga­
rantire una equa distribuzione delle
prestazioni sanitarie attraverso una
presenza diffusa dei centri di ero­
gazione.
D’altra parte un servizio sanita­
rio di natura universalistica deve
poter offrire a tutti i cittadini ri­
sposte uniformi e di pari livello in
ogni punto del sistema.
Diviene perciò naturale il riferi­
mento a parametri quantitativi e a
standard oggettivi quando si loca­
lizzano le strutture, si dimensiona­
no gli interventi e si assegnano per­
sonale e mezzi.
Appare inoltre del tutto conse­
guente che le attività nei vari di­
stretti, nei quali viene suddiviso il
renziazione nei servizi e di soddi­
sfazione delle differenziate esigen­
ze espresse.
A chi obietta che sussistono og­
gettivi ostacoli a concretizzare si­
mile prospettiva, quali i limiti di
spesa o le priorità da rispettare per
l’ordinato funzionamento dell’inte­
ro sistema, prontamente si rispon­
de che basta eliminare gli sprechi
della macchina organizzativa e ri­
conoscere “autonomia” decisionale
a chi, sul posto, può valutare quali
servizi e interventi siano prioritari
e necessari.
territorio servito da una azienda
sanitaria, siano ispirate a comuni
criteri di funzionalità e di produtti­
vità, e ciò nell’attesa di raggiunge­
re e mantenere una soglia minima
di prestazioni garantite a tutta la
popolazione. Sembra logico pertanto
che l’incremento dei servizi sul ter­
ritorio avvenga per “ decentramen­
to” ossia mantenendo in capo alle
direzioni amministrative e sanita­
rie aziendali il potere di graduare il
trasferimento dei compiti e comun­
que di coordinare l’esercizio delle
attività decentrate.
Il cittadino, per contro, invocan­
do risposte pertinenti al suo biso­
gno particolare, è principalmente at­
tento alla qualità della prestazione
ricevuta, che viene giudicata tanto
più valida quanto più essa è mirata,
accessibile e tempestiva.
Da questo angolo di visuale l’ef­
ficienza di un sistema sanitario è
misurabile dal grado raggiunto di
flessibilità delle strutture, di diffe­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Benché vi sia una evidente for­
zatura teorica nel contrapporre pun­
to su punto le aspettative dall’alto
dell’operatore sanitario e quelle dal
basso del cittadino, lo spaccato ot­
tenuto con questa analisi offre non­
dimeno l’opportunità di riflettere
non solo sui possibili diversi approc­
ci organizzativi al tema “salute-ter­
ritorio”, ma ancor prima sul possi­
bile diverso significato attribuibile
alla regola comportamentale della
cosiddetta centralità della persona.
Porre la persona al centro del­
l’azione sanitaria richiede certamen­
te all’operatore uno sforzo di con­
centrazione sulle necessità dell’as­
sistito qui e ora presenti e l’adatta­
mento continuo degli interventi da
intraprendere ai variegati e variabi­
li quadri clinici rilevati.
Tuttavia anche una attenzione
focalizzata sulle situazioni singola­
ri, può non essere sufficiente a far
sentire l’assistito al centro, fino a
tanto che egli si senta confinato nel
ruolo di oggetto, privo di voce in
capitolo.
7
La valorizzazione del territorio
8
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Anche il cosiddetto consenso in­
formato può apparirgli modesto ri­
medio a fronte di progetti indivi­
dualizzati di assistenza o di piani
terapeutici sui quali non convenga
per intima convinzione, sia quest’ul­
tima il prodotto di un rapporto di
fiducia verso l’operatore sanitario o
di personali conoscenze o creden­
ze.
Stabilire ciò che è buono e utile
e preferibile per la propria salute è
una prerogativa che sempre meno
vuole essere delegata ed è sulla sen­
sazione di essere esclusi dalle deci­
sioni al riguardo che si allarga un
conflitto etico e politico che né l’au­
torità della scienza, né la ingegne­
ria delle istituzioni riescono a me­
diare.
Non si tratta, o non più, di posi­
zioni isolate di pochi eterodossi, ma
di movimenti di opinione che cor­
rono sulle reti informative e si ma­
nifestano in gruppi di pressione sul
territorio, seguiti con attenzione e
di tanto in tanto opportunisticamente sostenuti dagli organi di co­
municazione. Ne nascono prese di
posizione e iniziative per ora circo­
scritte ad alcuni aspetti di sicurez­
za ambientale o alla libertà di scel­
ta di specifiche metodiche di pre­
venzione o di cura, ma indiscutibi­
le sintomo di una crisi del rapporto
tra istituzioni sanitarie – intese
nella più larga accezione di strut­
ture politiche, amministrative e tec­
niche - e cittadino.
La periferia del sistema sanitario
ovvero i distretti in quanto artico­
lazioni territoriali per l’assistenza di
base sono il terreno di elezione dove
le volontà di protagonismo e parte­
cipazione ai processi decisionali
giungono a maturazione sociale,
vengono tradotte in pressioni da
gruppi di pari e cercano di essere
interpretate e soddisfatte dalle isti­
tuzioni locali.
Non ci si nasconde che nelle esi­
genze, cui viene data voce, si me­
scolano legittime e fondate richie­
ste con egoistiche pretese di stam­
po assistenzialistico e che ragione­
voli rivendicazioni si confondono
con immotivati contenziosi, tutta­
via è sul territorio, più che altrove,
che può prendere avvio la ricerca di
un progetto condiviso di salute,
dove sia definita e accettata una
ripartizione dei ruoli rispettosa dei
diritti e delle responsabilità di cia­
scun attore e attraverso cui venga
attuato un funzionale riequilibrio
delle funzioni sanitarie tra le strut­
ture secondo il principio di sussi­
diarietà.
La condivisione è l’elemento dif­
ferenziale su cui va richiamata l’at­
tenzione, perché, infatti, un proget­
to di salute esiste e si dipana dallo
Stato giù fino alle più piccole real­
tà locali con le migliori intenzioni
di offrire a tutti i cittadini senza
distinzione uguali livelli di assisten­
za, ma è un progetto che parados­
salmente risulta incapace di con­
cretizzare esiti corrispondenti alle
attese1 .
Anche a tener conto del fatto che
nella popolazione aspettative cre­
scenti sono alimentate dai sorpren­
denti successi della scienza medica
e che esigenze nuove si propagano
a macchia d’olio ogniqualvolta mi­
gliora l’erogazione dei servizi sanitari in un punto del sistema, ciò
non spiega a fondo il distacco per­
sistente, anche là dove i servizi sa­
nitari sono più efficienti, tra offer­
ta e domanda né dà ragione del ma­
lessere diffuso alla radice dei com­
portamenti di fuga dalla medicina
ufficiale, delle rimostranze per la
frammentazione dell’assistenza a
fronte della unitarietà dei bisogni
nella persona, delle pressioni per
mantenere punti di cura, che se pure
irrazionali nell’ottica generale dei
servizi, sono ritenuti essenziali per
la comunità.
La condivisione con la comunità
del progetto di salute è pertanto il
passaggio obbligato per colmare la
distanza tra attese e risultati, dato
che nemmeno una perfetta program­
mazione ispirata a principi avanza­
ti e a moderne tecniche potrebbe
per sé stessa scavalcarla. In altri
termini la popolazione, oggetto di
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
tutela da parte dei servizi sanitari
organizzati sul territorio, deve pri­
ma poter essere, attraverso le co­
munità di cui fa parte, soggetto le­
gittimato a interloquire sul proget­
to di salute che la riguarda2.
Simile distinzione è presente nel
disegno di legge per la revisione
dell’attuale disciplina del servizio
sanitario in provincia di Trento
(d.d.l. n. 96 del 29 settembre 2000),
là dove colloca in due capi diversi
nel testo dello schema di legge - in
ciò diversamente da quanto avvie­
ne nella vigente normativa - le nome
regolanti i comitati di distretto e i
distretti sanitari.
Infatti nel capo titolato “Strut­
tura e funzionamento del Servizio
sanitario provinciale” viene discipli­
nata l’istituzione e il funzionamen­
to dei comitati di distretto, quali
organismi rappresentativi della po­
polazione, che partecipano alla fun­
zione politica della programmazio­
9
La valorizzazione del territorio
10
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ne sanitaria; viceversa nel capo ti­
tolato “Organizzazione dell’azienda
sanitaria provinciale” è normata la
costituzione dei distretti sanitari,
quali articolazioni organizzative sul
territorio dell’azienda, preposte alla
erogazione delle prestazioni assi­
stenziali di base a favore della po­
polazione che vi risiede.
Dunque è ben chiara al proponen­
te il disegno di legge l’importanza
di annoverare tra i soggetti del Ser­
vizio sanitario le comunità, con un
ruolo attivo di partecipazione alla
formazione del piano provinciale per
la salute dei cittadini e alla valuta­
zione sull’andamento dei servizi sa­
nitari e sui risultati ottenuti non­
ché con la potestà di proporre so­
luzioni operative per il coordina­
mento e l’integrazione dei servizi.
Si noti, di passaggio, la scelta,
nel disegno di legge sopra richia­
mato, di denominare il piano sani­
tario provinciale come “piano per
la salute dei cittadini “ a significa­
re che le scelte di programmazione
sono prima di tutto indicazioni su­
gli esiti attesi e voluti in un dato
contesto e con le risorse disponibi­
li e, solo secondariamente e di con­
seguenza, indirizzi per il buon fun­
zionamento del sistema che deve
ottenere tali esiti: come dire che le
logiche e le convenienze del “go­
verno” devono improntare la “ge­
stione”, non il contrario.
Non sembri questa un’esclusione
dal tavolo proprio di quegli addetti
ai lavori, che grazie alle loro com­
petenze scientifiche e tecniche ren­
dono realizzabile il progetto di sa­
lute, per far sedere al loro posto
portatori di interessi a volte confu­
si e spesso contraddittori.
Molto semplicemente, invece, si
deve riconoscere che alla razionali­
tà scientifica e tecnica, per quanto
si voglia considerarla in sé perfetta
e congruente, si oppone una fattua­
lità discontinua e condizionata: la
attuazione pratica di un disegno
teoricamente coerente viene comun­
que costretta nei limiti delle risor­
se umane e dei mezzi a disposizio­
ne.
Ma se è in ogni caso utopico, con
tutto il rispetto per la fondamenta­
le forza trainante delle utopie, che
il migliore dei piani possibili possa
mantenere all’atto della sua pratica
traduzione operativa tutta la coe­
renza interna di cui godeva in teo­
ria, occorre aggiungere che lungo
la strettoia di passaggio dall’astratto
al pratico si annida la possibilità di
errori di valutazione dei fattori rea­
li, che dovrebbero rendere possibile
il risultato desiderato.
Si prenda ad esempio l’obiettivo
di garantire a tutti i medesimi li­
velli di assistenza.
Il perseguimento di simile obiet­
tivo di equità mediante una politi­
ca sanitaria di omogeneizzazione
quantitativa dei servizi e di omolo­
gazione procedurale degli interven­
ti, oltre un certo grado può rivelar­
si produttiva di disfunzioni e dise­
conomie ed essere percepita come
una iniqua parificazione dei biso­
gni.
In realtà la varietà dei bisogni
genera priorità diverse cui dovreb­
bero conseguire scelte differenzia­
te e le comunità sono il soggetto
che può esprimere tali esigenze e
integrare con ciò il quadro delle
conoscenze necessarie per agire.
Che alle comunità sia formalmen­
te garantito il diritto di parola è
peraltro condizione necessaria, ma
non sufficiente per la partecipazio­
ne alle scelte. Deve contestualmente
crescere la capacità di analisi e di
comunicazione e, abbandonati i ves­
silli del localismo, si devono atti­
vare invece concrete azioni di me­
diazione e di cooperazione.
Molte indagini e studi vengono
condotti sulle innovazioni in atto
nei modelli organizzativi dei distret­
ti sanitari volte a dare una migliore
risposta alle esigenze della popola­
zione3. In essi grande attenzione è
riservata a ciò che fa o dovrebbe
fare un’azienda sanitaria per otti­
mizzare la propria capacità di rispo­
sta. Meno spazio è dedicato al come
possa o deva interrelarsi con la po­
polazione per comprenderne a fon­
do le richieste, tanto che gli uffici
per i rapporti con il pubblico e le
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
carte dei servizi sono comunemen­
te concepiti come strumenti di in­
formazione per il cittadino e non
anche come canali di raccolta di
preziose informazioni per l’azienda.
Ma affinché possa stabilirsi con
la comunità il confronto dialettico
indispensabile alla costruzione di un
progetto di salute condiviso, è ne­
cessario che chi sul territorio (dal
semplice cittadino al rappresentan­
te di associazioni, dall’operatore
socio-sanitario all’amministratore
pubblico) si fa interprete e porta­
voce delle esigenze della popolazio­
ne produca nuove conoscenze, in­
dividui azioni convenienti e propon­
ga soluzioni creative. Conoscenza,
convenienza e creatività sono in
vero essenziali per qualsivoglia azio­
ne di cambiamento e costituiscono
le condizioni fondamentali per una
partecipazione ai processi decisio­
nali incisiva ed efficace.
Punto di partenza per ogni inter­
vento è la conoscenza, che nulla
concede a facili generalizzazioni e
a luoghi comuni, ma si radica nella
attenta analisi delle componenti
critiche dei fenomeni connessi allo
stato di salute di una data popola­
zione.
Il contributo della comunità alla
conoscenza può essere rilevante
solo se viene consapevolmente so­
stenuta e potenziata la comunica­
zione su obiettivi, attività e risul­
tati del servizio sanitario4; se di­
viene pratica ordinaria, mediante la
virtuosa intesa tra le famiglie, i me­
dici e gli altri operatori socio-sani­
tari di base e le strutture distret­
tuali, la rilevazione e la registrazio­
11
La valorizzazione del territorio
ne degli eventi clinici e delle con­
dizioni di contesto ambientale per
poter garantire continuità assisten­
ziale al singolo cittadino5 e inter­
venti di salvaguardia per la comu­
nità nel caso di accertate e signifi­
cative tendenze a morbilità diffu­
se; se viene, infine, accettato il con­
fronto con la comunità in qualun­
que modo e luogo sia richiesto, pre­
tendendo dall’interlocutore chiarez­
za e consequenzialità, ma rinuncian­
do a pregiudizi tecnici e a valuta­
zioni autoreferenziali.
12
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Per essere interlocutore credibi­
le, tuttavia, la comunità deve espri­
mere proposte, oltre che fondate,
convenienti. Definiamo convenien­
te ogni proposta di miglioramento
che raccolga il massimo grado di
adesione da ciascuna delle parti in
gioco. Quella economica non è per­
tanto che una delle tante compo­
nenti che, secondo la definizione
data, può contribuire a rendere una
proposta conveniente. Anzi la pre­
valenza della componente economi­
ca può talvolta ridurre se non an­
che distorcere la convenienza com­
plessiva di una proposta come nel
caso dell’applicazione nelle strutture
ospedaliere del sistema di finanzia­
mento a prestazione, metodo rite­
nuto idoneo a conseguire tra l’altro
l’appropriatezza clinica, il conteni­
mento della spesa ospedaliera e il
trasferimento di risorse dall’ospedale
al territorio. La durata delle degen­
ze si è drasticamente ridotta, ma gli
obiettivi richiamati non sono stati
raggiunti6 .
Una proposta conveniente tende
a massimizzare le utilità, non esclu­
se quelle legate a valori immateria­
li quali la dignità o il prestigio, di
tutti gli attori. In questo senso è
conveniente, ad esempio, una pro­
posta di snellimento burocratico che
riesce a contemperare i dovuti ac­
certamenti medico legali con la sem­
plificazione delle procedure di con­
trollo; così come è conveniente in­
trodurre percorsi di cura clinicamen­
te validi, ma facilmente accessibili
e prima ancora riconoscibili dall’as­
sistito come logici.
L’associazionismo dei medici di
medicina generale è stato incenti­
vato sia dall’accordo nazionale che
da quello provinciale nella convin­
zione che da esso potranno scaturi­
re servizi di assistenza più conve­
nienti per i cittadini così come per
i medici e per il sistema sanitario
nel suo complesso. Sta anche alla
comunità dare sostanza a questa
possibilità di miglioramento.
Il concorso pieno della comunità
al miglioramento dei servizi sanita­
ri si realizza, tuttavia, quando dal
piano delle suggestioni si passa a
quello della discussione delle scel­
te e più ancora a quello della coo­
perazione.
Non è pensabile d’altronde che
azioni di razionalizzazione delle
strutture e dei servizi basate sulla
appropriatezza delle prestazioni
possano avere successo senza un
largo consenso e senza la parteci­
pazione attiva della comunità né
che si attui una valida integrazione
dei servizi sanitari e dei servizi so­
ciali senza la sua collaborazione.
Ed è su questo terreno che la co­
munità può manifestare una creati­
vità progettuale che non va ignora­
ta o mortificata. Se la soddisfazio­
ne di esigenze crescenti a fronte di
risorse insufficienti impone scelte
severe sulla intensità e sulla esten­
sione dei livelli assistenziali, è il­
lusorio credere che il mantenimen­
to e l’incremento della qualità dei
servizi si possa ottenere con prov­
vedimenti unilaterali e unicamente
improntati a principi di razionalità
tecnica. Anziché la contrapposizio­
ne tra necessità di tenuta del siste­
ma e la tutela di interessi locali,
che facilmente porta all’immobili­
smo, è certo preferibile un contrad­
dittorio dove siano valutate le di­
verse facce dei problemi e dove la
comunità, abbandonate le posizio­
ni di difesa, potrà anche individua­
re e proporre soluzioni conformi a
criteri di razionalità sociale, ma tut­
tavia sostenibili.
NOTE
[1] Vedi Carla Collicelli, “Un Paese
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
che non c’è”, in Il Sole 24 Ore,
18 giugno 2001.
[2] Cfr. Ivan Cavicchi, “La riforma
neocomunitaria per un nuovo
universalismo sanitario”, in
Kéiron n.6/2001.
[3] Cfr. Germana Di Falco, “Il ruolo
dei distretti e altre rilevanti ten­
denze nell’articolazione delle
strutture e dei servizi: analisi di
alcuni casi aziendali”, in
“L’aziendalizzazione della Sani­
tà in Italia – Rapporto Oasi
2000” , Milano, 2000.
[4] Vedi, in questo senso, le indi­
cazioni di attività per rafforza­
re l’azione della comunità in
“Programma di sviluppo strate­
gico” dell’Azienda provinciale
per i servizi sanitari, Trento,
2001.
[5] Cfr. Sandro Albini e Marco Tra­
bucchi, “La continuità assisten­
ziale”, in Tendenze Nuove n. 2/
2001.
[6] Vedi Alberto Donzelli, “Il pa­
gamento a prestazione ha falli­
to la maggior parte degli obiet­
tivi dichiarati”, in ASI nn.17 e
18/1999.
Luciano Pontalti è Dirigente il Servizio
Attività di gestione sanitaria della
Provincia Autonoma di Trento.
13
Dall’ospedale al territorio
Fabrizio Fontana
L’assistenza sanitaria primaria
e la continuità assistenziale
come elementi che favoriscono la salute
del cittadino e della comunità
Dalla Conferenza di Alma Alta (OMS­
1978) in poi, la gran parte dei do­
cumenti delle Agenzie internazionali
e nazionali, le risoluzioni di gover­
ni centrali e regionali, i piani sanitari nazionali e regionali, afferma
la centralità della Assistenza Sani­
taria Primaria come elemento da
sviluppare per fornire la tutela del­
14
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
la salute. Questa scelta condivisa
per lo più a livello scientifico oltre
che politico, ha trovato nella prati­
ca scarsi e –a nostro parere- non
sufficienti riscontri oggettivi. È le­
cito quindi tentare di evidenziare
le ragioni e ripensare in modo criti­
co il mancato decollo dei “servizi
territoriali”.
Appare subito evidente (e giusti­
ficata?) la considerazione che la
destinazione di risorse al sistema
ospedaliero ha reso spesso residuale la quantità delle risorse per il “ter­
ritorio”. Di questo si parlerà in sen­
so più stretto e compiuto in un al­
tro articolo di questa pubblicazio­
ne, ma in questa situazione non si
può trascurare di ricordare l’enorme
impatto che l’introduzione di tec­
nologie sempre più sofisticate ha
prodotto nell’uso dei servizi ospe­
dalieri. Ogni anno, nelle varie di­
scipline della medicina, nuove tec­
nologie diagnostiche e terapeutiche
vengono sperimentate ed introdot­
te nella pratica clinica, proponen­
dosi anche al pubblico dei consu­
matori attraverso giornali, conferen­
ze, tam-tam, trasmissioni radiote­
levisive, internet, ecc.
Se tutto ciò è in parte da inten­
dersi come pressione positiva verso
il miglioramento delle opportunità
mediche, esiste anche –ed è prepon­
derante- un rischio di inutile con­
sumo di risorse senza che siano ge­
nerati vantaggi per la popolazione
in termini di salute.
I ragionamenti intorno al riorien­
tamento del sistema, alla valoriz­
zazione degli investimenti nelle at­
tività di prevenzione, alla modifi­
cazione degli stili di vita come vera
chiave per migliorare la salute della
comunità, rischiano di scadere a li­
vello di dichiarazioni ideologiche
vuote nella loro incapacità, nel bre­
ve termine, di dimostrare al singolo
i vantaggi che si producono. Ben
altro impatto emotivo e di coinvol­
gimento personale producono le so­
fisticate applicazioni della chirur­
gia laparoscopica (percepita come
quasi atraumatica) o della diagno­
stica per immagini digitalizzate!
Non è peraltro da sottovalutare,
né da perdere come opportunità, il
poter ricorrere a tecniche sofistica­
te ancorchè costose, ad un patto:
che se ne faccia ricorso solo a con­
dizioni che ne garantiscono l’uso ap­
propriato.
La regolazione del sistema
Se dunque l’ospedale –nel confron­
to con il territorio- rappresenta la
sede dove la tecnologia più spinta
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
e i saperi più specialistici (e perciò
più specifici) si esercitano, purtrop­
po tanto spesso in modo inappro­
priato con conseguente spreco e
distrazione di risorse, come ricon­
durre in equilibrio l’insieme, crean­
do meccanismi di regolazione vir­
tuosi, vantaggiosi per il cittadino e
per la comunità?
Per ciò che concerne i professio­
nisti della salute la risposta appare
ovvia, e si attesta sul rinforzo delle
analisi che consentono di esprime­
re decisioni fondate sulla appropria­
tezza, corredandosi di valutazioni
sui rapporti costo/benefici, appog­
giandosi sulla dimostrazione della
medicina basata sulle prove di effi­
cacia, etc.
Ma a fronte di pubblicazioni di
linee guida e di prese di posizione
di società scientifiche si assiste
comunque a comportamenti nelle
scelte cliniche che appaiono spes­
so disancorate da solidi assunti te­
orico-metodologici ed ispirate ad
una variabilità di comportamenti di
difficile giustificazione.
Questo è un problema di governo
clinico che se non è risolvibile per
intero può almeno essere affronta­
to in modo sistematico.
Trascuriamo per ora di occuparci
del problema complessivo della tu­
tela della salute, in una accezione
ampia, per concentrarci sul versan­
te di diagnosi e cura della malattia,
ambito al quale l’ospedale dedica
per intero i suoi sforzi e di cui i
servizi di Assistenza primaria si oc­
cupano solo in parte.
Il superamento dello squilibrio tra
ospedale e territorio con i susse­
guenti svantaggi per la salute non
15
Dall’ospedale al territorio
fiche patologie, genera non solo
tensioni tra professionisti, ma scon­
certo nei cittadini/pazienti che ma­
turano spesso sfiducia nel Servizio
Sanitario nel suo insieme.
Buona prova di ciò è il prolifera­
re negli ospedali di centri per la cura
di patologie ad alta diffusione so­
ciale, quali l’ipertensione e il dia­
bete, le malattie reumatiche, etc.,
che spesso tendono a “catturare” i
pazienti assumendoli in cura peren­
ne anziché svolgere il ruolo consu­
lenziale su invio del curante.
16
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
può venire che da una visione che
consenta una presa in carico dei
pazienti dentro e fuori l’ospedale.
Ciò che va garantito è il continu­
um assistenziale, assicurato dallo
sviluppo delle interfacce tra profes­
sionisti diversi che nel fornire la loro
opera si relazionano in modo effi­
cace avendo a mente il reale inte­
resse del paziente. Talvolta la sepa­
razione di visione del singolo pro­
fessionista o l’attenzione alla pro­
pria autotutela medico-legale tur­
bano la linearità dei rapporti o fan­
no assumere il rilievo più importante
a questi aspetti.
L’attuale sistema di separazione
di interessi tra MMG (generalisti, tra
l’altro liberi professionisti in con­
venzione con il Servizio Sanitario
Nazionale) e medici specialisti ospe­
dalieri dipendenti, caratterizzato
anche dal tentativo dei primi di sot­
trarsi alle prescrizioni dei secondi e
dal tentativo di questi ultimi di far
entrare nei cicli di diagnosi e trat­
tamento i pazienti affetti da speci­
Perché le persone
amano l’ospedale
Nessuno nega la necessità di ridi­
mensionare il sistema di offerta rap­
presentato dagli ospedali, come solo
mezzo per spostare risorse riorien­
tandole in modo più produttivo ver­
so il territorio.
Perché, dunque, ciò non avviene
e si assiste piuttosto ad un raffor­
zamento e a una espansione degli
ospedali?
Lasciamo da parte le visioni che
attribuiscono ai fornitori di tecno­
logie sanitarie costose la responsa­
bilità e la facoltà di influenzare il
dilatarsi delle spese dedicate.
È indiscutibile che la gente “ami”
l’ospedale: una sorta di assicurazio­
ne che si vede e si tocca conferisce
una patente di intangibilità alle
strutture ospedaliere.
Per molti riconoscere il diritto a
livelli assistenziali predefiniti, esi­
gibili nell’ambito territoriale di vita,
assume un carattere di incertezza e
di aleatorietà perché è ritenuto di­
chiarazione di intenti, più che con­
creta possibilità di fruibilità per la
popolazione. La credibilità delle
strutture pubbliche –messa a dura
prova tutti i giorni anche attraver­
so il martellante intervento dei me­
dia- è sostenuta nel campo sanita­
rio dalla presenza fisica di edifici ,
attrezzature, medici, tecnici ed in­
fermieri localizzati in un punto pre­
ciso: l’ospedale.
L’ovvia considerazione che sposta­
re risorse da un comparto costoso e
usato in gran parte in modo inap­
propriato (l’ospedale) verso forme
di assistenza territoriale consente,
anche nel breve-medio termine di
allargare e migliorare l’assistenza,
non fa facilmente presa. Solo la con­
creta esperienza diretta della pre­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
senza di modalità alternative –qua­
litativamente apprezzabili- alla por­
tata di ognuno può spostare l’asse
dall’ospedale al territorio.
L’impianto e lo sviluppo di alcu­
ne sperimentazioni sta dando i pri­
mi frutti. Gli accordi con i MMG, di
recente stipulati, vanno a porre basi
su cui costruire. Alcune iniziative
come l’attivazione del Servizio per
le cure palliative a livello distret­
tuale sono pregevoli esempi di come
si possa vantaggiosamente assiste­
re pazienti –in questo caso per lo
più terminali- ad un livello qualita­
tivamente migliore e ad un costo
sicuramente inferiore rispetto al tra­
dizionale ricovero ospedaliero.
17
Tab. 1 OSPEDALE
*I costi elevati
VANTAGGI
sono collegati non
tanto, o non solo,
alla parte medica,
ma sono dovuti alla - Ambiente protetto
necessità di - Rapidità di azione diagnostico­
mantenere un
apparato di offerta
terapeutica.
ospedaliera
ipertrofico (si pensi - uso immediato di tecnologia
agli immobili e alla - integrazione professionale
loro manutenzione,
oltre che al - . . . . . . . . . . . . .
personale!). TERRITORIO
OSPEDALE
SVANTAGGI
-
costi elevati *
-
sradicamento - disorientamento del
paziente
-
infezioni ospedaliere
-
affidamento/delega
-
.............
DOMICILIO
SVANTAGGI
VANTAGGI
-
costi minori
-
familiari
assistenza dei
familiari
-
migliore interazione con l’ambiente
-
maggiore personalizzazione
Dall’ospedale al territorio
dell’assistenza
18
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
-
-
maggiore difficoltà ad ottenere esami
strumentali e consulenze specialistiche
-
minore confronto professionale tra
operatori sanitari
-
.............
necessità di accudimento da parte di
familiari
-
senso di insicurezza da parte di
pazienti e familiari
-
L’andamento epidemiologico –il
prevalere delle patologie cronico
degenerative- spinge a far ritenere
sempre più auspicabili queste for­
me di assistenza a domicilio. L’ospe­
dale riservato alla diagnosi e cura
delle forme acute (o al riaccendersi
periodico di condizioni morbose ad
andamento subcronico) non può che
avvantaggiarsi di una “scrematura”
che lo liberi dai ricoveri e dalle pre­
stazioni inutili o inappropriate.
Allo scopo di offrire spunti di ri­
flessione si presenta la tabella (Tab.
1) che è volutamente aperta ed in­
completa. Essa è costruita nell’in­
tento di mettere in luce aspetti che
.............
devono essere tenuti in conto se si
vuole veramente far transitare, nei
fatti , attenzioni e risorse dall’ospe­
dale al territorio.
Fabrizio Fontana è Responsabile della
Direzione Cura e riabilitazione
dell’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari - Trento.
Assistenza territoriale
e integrazione
sociosanitaria
Tiziano Vecchiato
Il distretto del futuro: una nuova modalità
organizzativa a supporto dei servizi
socio-sanitari territoriali e domiciliari
Le radici e le difficoltà
Le premesse culturali del nostro si­
stema di welfare sono facilmente
riconoscibili nel patto costituziona­
le basato sull’incontro tra diritti e
doveri sociali, sull’impegno per con­
trastare le disuguaglianze, sulla pro­
mozione di pari opportunità per una
più efficace tutela dei soggetti de­
boli. Quello delineato dalla costi­
tuzione è cioè un welfare universa­
listico e solidale, che ha trovato
espressioni concrete nel sistema
sanitario, in quello formativo e nel
più generale sistema di protezione
sociale.
È stato l’avvio di un percorso che
ha visto crescere nel territorio i ser­
vizi alle persone e alle famiglie. La
riforma sanitaria (con la L. 833/78)
e la scuola per tutti sono state
l’apertura del cantiere dei diritti di
cittadinanza, dove la salute è stata
considerata un bene primario da
tutelare e promuovere perché dirit­
to della persona e interesse rilevante
della comunità. Non quindi soltan­
to bene individuale, privatizzabile,
ma strategia sociale consapevole
che molti risultati di salute non
sono conseguibili solo grazie a buo­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ne strategie di protezione individua­
le, ma anche investendo sui deter­
minanti ambientali e sociali della
salute, identificabili ad esempio ne­
gli stili di vita, nelle abitudini ali­
mentari, nella prevenzione primaria,
nella sicurezza degli alimenti, nella
salute animale.
Lo sostiene anche il Rapporto
mondiale sulla salute 2000 (WHO,
2000), a partire dal confronto tra
risultati di salute dei diversi paesi,
evidenziando come i paesi con wel­
fare universalistici, cioè con servizi
sanitari articolati nel territorio per
funzioni di prevenzione, cura e ria­
bilitazione, finanziati con la soli­
darietà fiscale, e articolati per li­
velli essenziali di assistenza, garan­
tiscano risultati migliori rispetto a
sistemi di welfare di natura assicu­
rativa, e con un più vantaggioso
rapporto costi/efficacia.
Per questo la L. 833/78 ha investi­
to sul “collegamento ed il coordina­
19
Territorio e integrazione socio-sanitaria
20
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mento con le attività e con gli inter­
venti di tutti gli altri organi, centri,
istituzioni e servizi, che svolgono nel
settore sociale attività comunque
incidenti sullo stato di salute degli
individui e della collettività.”
Con largo anticipo essa delinea­
va il patto di solidarietà per la salu­
te proposto dal Piano sanitario na­
zionale 1998-2000 come strategia
organica per realizzare il passaggio,
da molti auspicato, dalla “sanità alla
salute”.
Non si può tuttavia comprendere
la portata innovativa della riforma
sanitaria se non si tiene conto di
un elemento strategico che la ca­
ratterizza e cioè la differenziazione
dei centri di responsabilità nel go­
verno delle risorse e delle risposte
con riferimento all’assistenza terri­
toriale e a quella ospedaliera, fra
loro integrate, ma nello stesso tem­
po valorizzate nelle loro autonomie.
Questa scelta, peraltro necessaria,
è stata spesso male interpretata, ali­
mentando atteggiamenti difensivi
da parte degli ospedali e da parte
dei loro gestori e, stranamente, an­
che da parte di molte amministra­
zioni locali. Sono atteggiamenti che
persistono tuttora, pur essendoci
oggi nuove condizioni per integra­
re in modo positivo le funzioni del­
l’assistenza territoriale con quelle
dell’assistenza ospedaliera.
Ad esempio sul piano tecnico non
potrà esserci l’ospedale del futuro,
ad alta tecnologia, ad alta capacità
diagnostica e terapeutica, a degen­
za breve, ad elevata flessibilità e
complessità gestionale, ad alto tas­
so di utilizzazione…, senza quello
che per analogia potrebbe essere
chiamato il distretto del futuro, cioè
una nuova organizzazione dell’assi­
stenza territoriale, delle cure prima­
rie e domiciliari, capaci di garanti­
re elevata qualità tecnica, continui­
tà assistenziale, integrazione ope­
rativa, personalizzazione dei percor­
si assistenziali, tecnologie adegua­
te a supporto dell’offerta di servizi
intermedi e domiciliari.
Prima di affrontare queste que­
stioni è però opportuno capire per­
ché le ragioni dell’integrazione, che
erano tra gli obiettivi primari della
L. 833/78, hanno trovato tanti osta­
coli e difficoltà e solo negli anni
recenti si stanno ricreando le con­
dizioni per affrontare i problemi in
modo adeguato.
Le ragioni che hanno portato al­
l’inizio degli anni ‘90 a modificare
la L. 833/78 con l’approvazione dei
decreti legislativi n. 502/92 e n.
517/93 sono sostanzialmente ricon­
ducibili alla mancata attuazione di
altre riforme, strutturalmente neces­
sarie per la costruzione di un mo­
derno stato sociale (la riforma delle
autonomie locali, la trasformazione
regionalistica dello Stato, la rifor­
ma fiscale e della finanza locale, la
riforma dei servizi sociali). A que­
sto va aggiunta l’incapacità di mol­
ti centri di responsabilità (politica,
amministrativa, professionale) di
realizzare i cambiamenti necessari.
Ma il fattore dirompente è stato il
difficile governo della spesa che è
andata via via fuori controllo. Su
queste premesse era difficile pen­
sare ad un effettivo sviluppo del­
l’assistenza territoriale, che è rima­
sta ai margini delle attenzioni isti­
tuzionali e gestionali. Questo ha
significato essenzialmente l’assor­
bimento delle risorse da parte dei
centri tradizionali di spesa, in pri­
mo luogo l’ospedale, senza che que­
sto comportasse un suo effettivo mi­
glioramento. Al contrario si sono ac­
centuate le rendite di posizione, le
cronicità organizzative, l’incapaci­
tà di governare in modo appropria­
to i ricoveri e la loro durata, anche
perché quasi mai le unità sanitarie
locali sono riuscite a dimensionare
l’offerta rispetto agli effettivi biso­
gni del territorio, con effetti di in­
duzione di domanda impropria e pro­
liferazione di risposte inaproppria­
te.
A perdere sono stati gli enti lo­
cali, dichiarati incapaci di assolve­
re le loro responsabilità nel gover­
no delle unità sanitarie locali, a vin­
cere sono state le regioni chiamate
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
a rimettere ordine nel servizio sani­
tario nazionale, cioè a rendere so­
stenibili gli obiettivi di salute con
le risorse disponibili, riportando la
spesa sotto controllo.
Col senno di poi è facile ricono­
scere che tra i fattori determinanti
dei mancati risultati c’è stata la si­
stematica confusione tra titolarità
politica e gestione.
Il fatto di non riconoscere que­
sta differenza e quindi la difficoltà
di distinguere i tavoli delle deci­
sioni politiche e tecniche senza con­
fonderli ha generato molte contrad­
dizioni, rendendo poco trasparente
l’esercizio delle responsabilità. È
inoltre mancato un forte investi­
mento nell’assistenza sanitaria pri­
maria. La prevenzione e la promo­
zione della salute sono rimaste nell’ombra. Il medico di medicina ge­
nerale non è entrato attivamente nei
21
Territorio e integrazione socio-sanitaria
processi di trasformazione del siste­
ma di offerta. Il prevalere di logi­
che burocratiche ha ostacolato lo
sviluppo della managerialità neces­
saria per promuovere i cambiamenti
auspicati.
22
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Le strategie recenti per affronta­
re questi problemi sono riconosci­
bili nel Piano sanitario nazionale
1998-2000 con la proposta di pat­
to di solidarietà per la salute, nel
federalismo fiscale, nel patto di sta­
bilità, nella recente riforma sanita­
ria, nel forte impulso al federalismo
sanitario, nei nuovi approcci alla
programmazione (Vecchiato T.,
1999c)
I contenuti della riforma (Dlgs n.
229/99) privilegiano una logica di
trasformazione per gradi del servi­
zio sanitario nazionale, radicato sui
principi della promozione della sa­
lute, della garanzia dei livelli es­
senziali e uniformi di assistenza,
della valorizzazione del processo di
aziendalizzazione, del potenziamen­
to del ruolo dei comuni nella pro­
grammazione sanitaria, del poten­
ziamento dei distretti, della promo­
zione dell’integrazione sociosanita­
ria, della valorizzazione dei medici
di medicina generale e dei pediatri
di libera scelta.
Le scelte fatte in tema di assi­
stenza distrettuale danno un forte
impulso alla programmazione loca­
le e chiedono di mettere in rappor­
to i bisogni della comunità con i
risultati di salute da perseguire su
scala distrettuale.
Lo strumento di sintesi unitaria
è il “programma delle attività terri­
toriali” (art. 3 quater comma 3) cioè
il piano di salute della comunità
locale, dove si delineano i bisogni,
i risultati attesi, le condizioni per
conseguirli, integrando diversi cen­
tri di responsabilità, interni al di­
stretto e nei rapporti tra ospedale e
territorio.
L’integrazione
Nel decreto n. 229/99 vengono de­
finite le prestazioni sociosanitarie
con riferimento alle aree che già il
Psn 1998-2000 aveva caratterizza­
to sotto questa luce e cioè le aree
materno-infantile, anziani, handi­
cap, patologie psichiatriche, dipen­
denza da droga alcool e farmaci,
patologie derivate da HIV, patolo­
gie oncologiche (particolarmente
per la fase terminale) inabilità o di­
sabilità derivanti da patologie cro­
nico-degenerative.
Alla base c’è un approccio cultu­
rale che vede l’integrazione delle
politiche per la salute in “uno stret­
to rapporto tra prevenzione, cura e
riabilitazione”, che privilegia la con­
tinuità assistenziale tra ospedale e
territorio, che valorizza i diversi
centri di responsabilità, che quali­
fica i rapporti tra soggetti pubblici
e privati, che promuove la solida­
rietà e valorizza gli investimenti di
salute nelle comunità locali.
Nel Psn 1998-2000 si definisco­
no tre livelli di integrazione socio­
sanitaria: quello istituzionale, ge­
stionale e professionale.
“L’integrazione istituzionale si
basa sulla necessità di promuovere
collaborazioni fra istituzioni diverse
(in particolare aziende sanitarie,
amministrazioni comunali, ecc.) che
si organizzano per conseguire comuni
obiettivi di salute. Può avvalersi di
un’ampia dotazione di strumenti giu­
ridici quali le convenzioni e gli ac­
cordi di programma.
L’integrazione gestionale si collo­
ca a livello di struttura operativa: in
modo unitario nel distretto e in modo
specifico nei diversi servizi che lo
compongono, individuando configu­
razioni organizzative e meccanismi
di coordinamento atti a garantire l’ef­
ficace svolgimento delle attività, dei
processi e delle prestazioni.
Condizioni necessarie dell’integra­
zione professionale sono: la costitu­
zione di unità valutative integrate,
la gestione unitaria della documen­
tazione, la valutazione dell’impatto
economico delle decisioni, la defini­
zione delle responsabilità nel lavoro
integrato, la continuità terapeutica
tra ospedale e distretto, la collabo­
razione tra strutture residenziali e
territoriali, la predisposizione di per­
corsi assistenziali appropriati per ti­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
pologie d’intervento, l’utilizzo di in­
dici di complessità delle prestazioni
integrate”.
A questo impianto culturale la
riforma (il Dlgs n. 229/99) aggiun­
ge elementi ulteriori per affrontare
i problemi dell’integrazione nel ter­
ritorio, articolando le tipologie di
intervento, precisando le responsa­
bilità per finanziarla, definendo le
condizioni per garantire i livelli es­
senziali di assistenza sociosanita­
ria.
Per quanto riguarda il primo pun­
to si definiscono prestazioni socio­
sanitarie “tutte le attività atte a
soddisfare, mediante percorsi assi­
stenziali integrati, bisogni di salu­
te della persona che richiedono uni­
tariamente prestazioni sanitarie e
azioni di protezione sociale in gra­
do di garantire, anche nel lungo
periodo, la continuità tra le azioni
di cura e quelle di riabilitazione”.
Le prestazioni sociosanitarie
comprendono (art. 3 septies, com­
ma 3) “le prestazioni sanitarie a ri­
levanza sociale, cioè le attività fi­
nalizzate alla promozione della sa­
lute, alla prevenzione, individuazio­
ne, rimozione e contenimento di
esiti degenerativi o invalidanti di
patologie congenite e acquisite e
le prestazioni sociali a rilevanza sa­
nitaria, cioè tutte le attività del si­
stema sociale che hanno l’obiettivo
di supportare la persona in stato di
bisogno, con problemi di disabilità
o di emarginazione condizionanti lo
stato di salute”.
Le difficoltà nascono quando non
si sa come quantificare la prevalen­
za sanitaria o sociale e l’impegno
economico a carico delle aziende
23
Territorio e integrazione socio-sanitaria
24
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
sanitarie e dei comuni. Nell’ambito
del primo gruppo di prestazioni in­
tegrate (sanitarie a rilevanza socia­
le) sono comprese le “prestazioni
ad elevata integrazione sanitaria”,
caratterizzate da particolare rilevan­
za terapeutica e intensità della com­
ponente sanitaria, a totale carico
del fondo sanitario e quindi assicu­
rate dalle azienda sanitarie locali.
Con il Psn 1998-2000 erano stati
ridefiniti i livelli di assistenza, ri­
comprendendo all’interno del livel­
lo di assistenza sanitaria distrettua­
le i precedenti livelli 2, 3 e 5 del
Psn 1994-96, relativi all’assistenza
sanitaria di base, all’assistenza spe­
cialistica, semiresidenziale territo­
riale e all’assistenza residenziale.
Si è voluto in questo modo ga­
rantire al distretto una identità stra­
tegica all’interno dell’azienda sani­
taria locale per facilitare il coordi­
namento e l’integrazione di tutte le
attività di assistenza sanitaria di
carattere extraospedaliero.
Più in specifico sono stati defi­
niti tre macro livelli essenziali di
assistenza, afferenti alle attività del
dipartimento di prevenzione del­
l’ospedale e del distretto. In sostan­
za dipartimento di prevenzione,
ospedale e distretto dovrebbero ero­
gare (solo) prestazioni e interventi
di prevenzione, cura e riabilitazio­
ne di provata efficacia. La loro se­
lezione non è facile ed è in corso
un acceso dibattito tra stato, re­
gioni e provincie autonome su que­
sto tema, con riferimento ai criteri
di esclusione e quelli di inclusione
nei livelli. In forza dei primi si pro­
cede eliminando le prestazioni di cui
sia provata la dannosità e la non
efficacia. L’obiettivo dei secondi è
più ambizioso: individuare elenchi
positivi per selezionare le presta­
zioni di provata efficacia, e tra que­
ste privilegiare quelle che, a parità
di risultati, rispondono al principio
Tab. 1
Ripartizione del
fondo sanitario
nazionale 2000
per livelli di
assistenza (Fonte:
Ministero della
Salute)
Livello assistenza
Pro capite
Val. ass. (mld)
%
Dip. Prevenzione
99.458
5.730
5,0
Ospedale
915.007
52.716
46,0
Distretto
974.683
56.154
49,0
1.989.148
114.600
100,0
Totale
dell’efficienza produttiva, riescono
cioè a garantire un uso migliore delle
risorse.
La condizione per perseguire que­
sto obiettivo è insita nel sistema di
finanziamento, ora basato sulla quo­
ta capitaria, pensata come valore
medio nazionale per assicurare la
copertura del fabbisogno finanzia­
rio dei livelli, e nel meccanismo oggi
utilizzato per il riparto del fondo
sanitario nazionale, concordato tra
stato, regioni e provincie autono­
me, che correla il finanziamento per
quota capitaria ai livelli essenziali
di assistenza (Tab. 1).
L’allocazione delle risorse dovreb­
be cioè attenersi a questi macroparametri, che tra l’altro prevedono
un potenziamento dell’assistenza
territoriale, grazie ad un incremen­
to dei ricoveri diurni in alternativa
alla degenza ordinaria, la qualifica­
zione degli interventi di lungoassi­
stenza domiciliare in alternativa ad
analoghe prestazioni residenziali, la
qualificazione delle cure domicilia­
ri e dell’assistenza domiciliare in­
tegrata, spostando dall’ospedale al
territorio i processi assistenziali ero­
gabili in modo più appropriato nel
distretto.
Per l’anno 2001 il finanziamento
dei livelli è stato definito in £
130.843 miliardi, con variazioni preProvincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
viste per gli anni 2002, 2003 e
2004, rispettivamente nella misura
del 3,5%, del 3,45% e del 2,9% (con
una quota capitaria media per il
2001 di £ 2.216.370).
Entrando più in specifico nel rap­
porto tra livelli di assistenza e in­
tegrazione sociosanitaria il Dlgs n.
229/99 prevede che le regioni de­
terminino (sulla base dei criteri po­
sti dall’atto di indirizzo e coordina­
mento sull’integrazione sociosani­
taria) il finanziamento per le pre­
stazioni sanitarie a rilevanza socia­
le, sulla base di quote capitarie cor­
relate ai livelli essenziali di assi­
stenza, in sostanza decidendo la
quota percentuale di finanziamen­
to dell’assistenza distrettuale da ri­
servare all’integrazione.
L’atto di indirizzo sull’integrazio­
ne sociosanitaria da poco pubbli­
cato (G.U. 6.6.2001, n. 129) affron­
ta poi quattro questioni:
- gli interventi da ricondurre alle
tipologie “prestazioni sanitarie
a rilevanza sociale” e “prestazio­
ni sociali a rilevanza sanitaria”;
- i criteri di finanziamento delle
une e delle altre, specificando le
quote a carico delle unità sani­
tarie locali e dei comuni;
- le prestazioni a elevata integra­
zione sanitaria;
- i criteri e le condizioni per defi­
nire i livelli uniformi di assisten­
25
Territorio e integrazione socio-sanitaria
za per le prestazioni sociali a ri­
lievo sanitario, esplicitando
come i comuni possono garanti­
re un corrispondente finanzia­
mento dei livelli di assistenza so­
ciosanitaria per la parte di pro­
pria competenza.
26
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Nell’affrontare questi temi l’atto
di indirizzo non si limita a questo,
ma definisce anche una metodolo­
gia per caratterizzare gli interventi
integrati basata su tre criteri: la
natura del bisogno, la complessità
e l’intensità dell’intervento assisten­
ziale, la sua durata.
Per caratterizzare la natura del bi­
sogno si utilizzano i parametri de­
finiti dall’ ICIDH-2: International
Classification of Functioning and
Disability1 .
Per quanto riguarda l’intensità as­
sistenziale si fa riferimento alle fasi
intesiva, estensiva e di lungoassi­
stenza, mentre per quanto riguarda
la complessità dell’intervento i ri­
ferimenti vanno alla composizione
dei fattori produttivi utilizzati (pro­
fessionali e/o di altra natura) da ri­
comporre nel progetto personaliz­
zato.
Il momento di sintesi è rappre­
sentato proprio dal progetto perso­
nalizzato che, partendo dall’analisi
del bisogno si concretizza nella de­
finizione dei centri di responsabili­
tà necessari per il conseguimento
dei risultati attesi e quindi anche
dei costi da sostenere per raggiun­
gerli.
La legge quadro sugli interventi
e servizi sociali non fa che assume­
re questa impostazione e potenziar­
la, invitando i comuni, le regioni e
le provincie autonome a definire i
livelli essenziali di assistenza so­
ciale e sociosanitaria negli ambiti
territoriali di gestione dei servizi
(art. 8) e a caratterizzarne le mo­
dalità di finanziamento sulla base
di criteri di equità e di giustizia
sociale (Vecchiato T., 2001)
Il distretto sociosanitario
Il dlgs n. 220/99 caratterizza il di­
stretto con riferimento a funzioni
strategiche e a funzioni operative,
entrambe finalizzate alla promozio­
ne della salute nella comunità lo­
cale (Vecchiato T., 2000a, 2000b).
Le funzioni strategiche
del distretto.
Il distretto esprime le proprie fun­
zioni strategiche quando finalizza le
risorse proprie e di altri settori al
conseguimento dei risultati di sa­
lute definiti dalla programmazione
locale (il programma delle attività
territoriali, previsto dall’art. 3 qua­
ter del Dlgs n. 229/99 e il piano di
zona, previsto dall’art. 19 della L.
n. 328/00). Esprime funzioni stra­
tegiche quando promuove coordina­
mento e integrazione delle attività
extraospedaliere di assistenza sani­
taria di base e specialistica, eroga­
te con modalità residenziali, inter­
medie, ambulatoriali e domiciliari.
Lo stesso accade quando, più in
generale, garantisce l’erogazione di
tutte le attività di assistenza previ­
ste dall’art. 3 quinquies e cioè:
a) assistenza specialistica ambula­
toriale;
b) attività o servizi per la preven­
zione e la cura delle tossicodi­
pendenze;
c) attività o servizi consultoriali per
la tutela della salute dell’infan­
zia, della donna e della famiglia;
d) attività o servizi rivolti a disa­
bili ed anziani;
e) attività o servizi di assistenza
domiciliare integrata;
f) attività o servizi per le patolo­
gie da HIV e per le patologie in
fase terminale.
Il distretto soddisfa inoltre le pro­
prie funzioni strategiche quando
promuove l’integrazione sociosani­
taria con particolare riferimento alle
attività ad elevata integrazione sa­
nitaria2 e alle attività sanitarie a
rilevanza sociale, di cui all’art. 3
septies, e cioè le attività finalizza­
te alla promozione della salute, alla
prevenzione, individuazione, rimo­
zione e contenimento di esiti dege­
nerativi o invalidanti di patologie
congenite e acquisite.
Appartengono alle funzioni stra­
tegiche anche la riduzione delle di­
suguaglianze nell’accesso, la valu­
tazione dei bisogni della comunità,
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
la personalizzazione delle risposte,
la continuità assistenziale, la crea­
zione di alternative positive ai ri­
coveri, la qualificazione delle cure
intermedie e domiciliari, l’integra­
zione nel distretto dei medici di
medicina generale e dei pediatri di
libera scelta.
Per fare questo il direttore di di­
stretto è chiamato ad operare in
stretto rapporto con altri centri di
responsabilità: interni all’azienda e
quindi l’ospedale, il dipartimento di
prevenzione, eventuali altri dipar­
timenti a carattere funzionale, ed
esterni all’azienda, in primo luogo
gli enti locali, gli altri enti pubblici
presenti nel territorio, il volonta­
riato, nonché i soggetti privati (non
profit e profit) che sono parte atti­
va del sistema di offerta e hanno
responsabilità dirette o indirette sui
determinanti di salute nel territo­
rio.
La gestione qualitativa dell’offerta
distrettuale.
I principali fattori di qualità del­
l’assistenza distrettuale sono rappre­
sentati anzitutto dalla garanzia di
accessibilità alle prestazioni e ai
servizi, dalla capacità di accogliere
e di orientare la domanda, dalla va­
lutazione integrata del bisogno as­
sistenziale, dalla predisposizione di
progetti personalizzati di assisten­
za, dalla continuità assistenziale,
dall’integrazione operativa, dalla
valutazione evolutiva degli esiti.
Per quanto riguarda il tema del­
l’accessibilità, il principale parame­
tro, per capire se e in che misura
essa viene garantita alla popolazio­
ne, è l’esistenza o meno di ostacoli
27
Territorio e integrazione socio-sanitaria
28
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
e di disuguaglianze nell’accesso ai
servizi, che penalizzano soprattut­
to i soggetti deboli, in particolare
le persone non autosufficienti, le
persone con svantaggi e disabilità
e che, proprio per questo, fanno fa­
tica a riconoscere i percorsi di ac­
cesso, le scelte possibili e che so­
prattutto non sono in grado di espri­
mere una efficace contrattualità per
ottenere soluzioni appropriate ai
loro bisogni (Vecchiato T., 1999a,
1999b).
Per questo il problema dell’acces­
so è considerato, anche in altri pa­
esi europei, una delle principali sfide
dei sistemi di welfare che intenda­
no essere universalisti nell’offerta e,
nello stesso tempo, selettivi cioè
capaci di dare priorità a chi ha più
bisogno.
Spesso il giudizio negativo dei
cittadini sui servizi sanitari si basa
su alcuni fattori di difficoltà di ac­
cesso (emblematiche sono le liste
di attesa), e molto meno sul rap­
porto tra accoglienza della doman­
da ed effettiva qualità ed efficacia
delle risposte ricevute.
La capacità di accoglienza e di
riconoscimento dei problemi è in­
fatti un fattore su cui si misura la
capacità del distretto di garantire
una porta di ingresso unitaria alla
domanda delle persone e delle fa­
miglie. Questo non significa soltan­
to buoni punti informativi o centri
unificati di prenotazione, significa
soprattutto capacità tecnica di en­
trare nel merito delle domande, di
riconoscere i problemi e di garanti­
re un incontro efficace tra bisogni
e risposte.
Sul piano organizzativo non man­
cano le soluzioni. Possono essere
individuate nella qualità professio­
nale di chi accoglie la domanda,
nell’allargamento dei tempi di ac­
cesso (da cinque a sette giorni alla
settimana, soprattutto per servizi
quale l’assistenza domiciliare inte­
grata), nella continuità operativa
durante la giornata, che tenga con­
to dei tempi di lavoro delle persone
e quindi con un arco orario più am­
pio degli usuali orari di ufficio, nell’utilizzo delle soluzioni telemati­
che utili ad andare “verso” le per­
sone e le famiglie e non viceversa.
Integrazione e continuità
assistenziale.
Molte domande rivolte ai servizi di­
strettuali sono di natura comples­
sa, non possono cioè essere affron­
tate adeguatamente da parte di sin­
goli professionisti o di singoli ser­
vizi. Richiedono valutazioni multi­
dimensionali e multiprofessionali, ri­
chiedono capacità di fare sintesi
sulla definizione del problema (con
valutazioni integrate), richiedono
capacità di elaborare progetti per­
sonalizzati, richiedono capacità di
individuare i diversi centri di respon­
sabilità e di esercitarli in modo ef­
ficace. Servono pertanto soluzioni
organizzative idonee a facilitare
l’analisi della domanda, la predispo­
sizione dei programmi di assisten­
za, la loro attuazione e valutazio­
ne. Per questo negli ultimi anni ha
avuto un forte impulso l’azione di
unità multiprofessionali capaci di
dimensionare la propria azione ri­
spetto alla natura dei bisogni da af­
frontare. Queste unità comprendo­
no il medico di medicina generale,
l’infermiere professionale, l’assisten­
te sociale e altri specialisti chia­
mati a dare il loro apporto per la
soluzione dei problemi.
Talora l’offerta distrettuale si ca­
ratterizza invece per percorsi paral­
leli, che comunicano fra loro in
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
modo burocratico, con professioni­
sti che operano come se non fosse­
ro parte della stessa organizzazio­
ne di servizio, che fanno della spe­
cializzazione uno scudo protettivo
per evitare le collaborazioni neces­
sarie per la presa in carico efficace
dei bisogni.
Queste patologie organizzative
sono facilmente riconoscibili nelle
carenze di continuità assistenziale
che caratterizzano soprattutto i rap­
porti tra ospedale e distretto, in
particolare nei casi di dimissioni
non concordate e programmate che
spesso espongono a gravi carichi as­
sistenziali le famiglie e a rischio di
ricoveri ripetuti le persone interes­
sate a queste forme di abbandono.
Per superare queste contraddizio­
ni è necessario contrastare la buro­
cratizzazione dei rapporti e dare il
giusto valore a tutte le professioni
implicate nel lavoro territoriale. È
necessario inoltre promuovere il la­
voro sanitario e sociosanitario per
progetti personalizzati di assisten­
za, dove il valore della persona, ol­
tre che nelle opzioni etiche, trova
riscontro anche nelle soluzioni tec­
niche e metodologiche utilizzate,
trova riscontro nella condivisione
delle decisioni con i destinatari del
servizio, a partire da “contratti in­
formati”, che vedano operatori e
utenti cointeressati e corresponsa­
bili nel raggiungimento dei risulta­
ti attesi.
Il dibattito su questi temi è aper­
to da tempo, anche se non sempre
sono stati raggiungi i traguardi spe­
rati. Oggi però è più facile rispetto
al passato trovare esempi positivi,
in diverse regioni, di come si può
29
Territorio e integrazione socio-sanitaria
30
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
realizzare tutto questo, di come cioè
il distretto e l’integrazione socio­
sanitaria possono garantire risulta­
ti di efficacia e di efficienza talora
inaspettati.
In parte questo si accompagna
alla trasformazione dell’epidemiolo­
gia e della domanda prevalente, cioè
nello spostamento del baricentro
dall’acuzie alla cronicità e alla lun­
goassistenza. È anche frutto del­
l’aziendalizzazione, quando ha sa­
puto produrre una più matura capa­
cità di gestione strategica delle ri­
sorse, riequilibrando l’offerta ospe­
daliera e quella distrettuale, con
benefici a vantaggio di entrambi i
centri di responsabilità, e, soprat­
tutto, con migliori risultati di salu­
te per la comunità locale a cui i
servizi sono rivolti.
NOTE
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Vecchiato T. (1999a), L’integra­
zione sociosanitaria nei servizi
per l’età adulta e la marginali­
tà, in Geddes M., Berlinguer G.,
La salute in Italia. Rapporto
1999, Ediesse, Roma.
[2] Vecchiato T. (1999b), I sogget­
ti deboli nel Piano sanitario na­
zionale 1998-2000, in Bedetti
C., Geraci S., Guerra R., Le nuo­
ve povertà: un problema com­
plesso di sanità pubblica, Se­
rie Relazioni 3/99, Istituto Su­
periore di Sanità, Roma.
[3] Vecchiato T. (1999c), N uovi
contenuti e metodi della pro­
grammazione sanitaria, Annali
Sanità pubblica, vol. IV, fasc.
1, 2, 3/1999, Ministero della
Sanità, Roma.
1
Versione Beta-2 draft, Geneva,
World Health Organization,
1999.
[4] Vecchiato T. (2000a), Il distret­
to e l’integrazione sociosanita­
ria, Sanità pubblica, n. 5/2000.
2
Le prestazioni sociosanitarie ad
elevata integrazione sanitaria
sono caratterizzate da partico­
lare rilevanza terapeutica e in­
tensità della componente sani­
taria e attengono prevalente­
mente alle aree materno-infan­
tile, anziani, handicap, pato­
logie psichiatriche e dipenden­
ze da droga, alcool e farmaci,
patologie per infezioni da HIV
e patologie in fase terminale,
inabilità o disabilità conse­
guenti a patologie cronicodegenerative.
[5] Vecchiato T. (2000b), L’integra­
zione sociosanitaria nel distret­
to dopo il Psn 1998-2000 e il
Dlgs n. 229/99, Studi Zancan
6/2000.
[6] World Health Organization, The
World Health Report 2000, Ge­
neva.
Tiziano Vecchiato è Direttore della
Fondazione “E. Zancan” di Padova.
L’integrazione
tra sanità e attività
socio-assistenziali:
il punto di vista
della sanità
Monica Pisetta
L’integrazione e il coordinamento
degli interventi di assistenza sanitaria
e socio-assistenziale per rispondere
efficacemente ai bisogni di salute
della popolazione
La persona come
“luogo” di ricomposizione
degli interventi
Il concetto di unità e centralità della
persona si è recentemente imposto,
almeno a livello teorico, all’interno
dei sistemi sanitari; esso, oltre ad
essere un’imprescindibile esigenza
etica (e in quanto tale frutto di evo­
luzioni di pensiero avvenute in molti
campi, che hanno coinvolto anche
il sistema della salute), diviene an­
che un punto di riferimento valido
ed indiscutibile su cui far conver­
gere le risposte del sistema sanita­
rio e per assicurare risultati in ter­
mini di efficacia e di efficienza de­
gli interventi.
Avere un punto di riferimento
univoco, quale la persona umana
nella sua identità individuale, risul­
ta infatti, anche da una prospettiva
concreta, l’unico possibile approc­
cio a fronte della complessità e della
diversificazione dei bisogni che con­
vergono nel sistema sanitario, a loro
volta resi tali sia dall’affermarsi della
nuova concezione olistica della sa­
lute, sia dal mutato quadro epide­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
miologico, così come dall’estensio­
ne della domanda e dalla conseguen­
te specializzazione tecnico-profes­
sionale della risposta sanitaria.
Se quindi la domanda concerne
l’espressione di un bisogno di salu­
te unitario e complessivo della per­
sona, mentre la risposta si manife­
sta parcellizzata, da diverse parti
con contenuti, organizzazioni e mo­
dalità autoreferenziali, risulta evi­
dente che dal lato dell’offerta deve
avvenire il mutamento e l’adatta­
mento teso a coniugare e a com­
porre le esigenze oggettive di spe­
cializzazione e specificità delle pre­
stazioni con le esigenze di coeren­
za, completezza e convergenza de­
gli interventi sulla persona-utente.
Il “sociale” come riferimento
privilegiato per rispondere
ai bisogni di salute
È dunque qui che nasce il concetto
e la necessità dell’integrazione; in
senso lato, come specificato altro­
31
L’integrazione: il punto di vista sanitario
32
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ve (v. PuntOmega Nuova Serie n. 5/
6, “La promozione della salute”,
agosto 2001) si potrebbe meglio
parlare di intersettorialità, in quanto
ciascun settore della politica (am­
biente, trasporti, casa, cultura ecc.)
concorre a definire e a determinare
lo stato di salute del singolo e del­
la collettività.
Si ritiene comunque prioritario
focalizzare l’attenzione ed occuparsi
specificatamente dell’integrazione
con il settore socio-assistenziale
perché esso rappresenta quello più
direttamente collegato al concetto
di salute, essendo coinvolto nella
cura delle patologie più diffuse e in
aumento nei contesti sociali avan­
zati, che si inseriscono nel quadro
tendenziale caratteristico della cro­
nicità e del disagio. Inoltre, i servi­
zi socio-assistenziali costituiscono
l’anello di congiunzione, da una
parte, con le risorse del volontaria­
to presenti sul territorio (che han­
no progressivamente assunto un ruo­
lo sempre più importante, a suppor­
to e a completamento del servizio
pubblico) e, dall’altra -ove la situa­
zione patologica lo richiede-, con
l’intera gamma degli attori coinvol­
ti nell’ambito dei più generali “ser­
vizi sociali” rivolti alla persona
(casa, scuola, lavoro ecc.).
Ponendosi sempre nella prospet­
tiva della sanità, c’è da notare che
l’integrazione dovrebbe essere già
un concetto almeno teoricamente
acquisito e intrinseco alla pratica
sanitaria, perché, nella quasi tota­
lità dei casi, la trattazione e la ri­
sposta a un problema di salute non
si esaurisce nell’ambito di un per­
corso univoco, ma coinvolge, se non
l’ambito socio-assistenziale, alme­
no più di un livello di assistenza o
diverse professionalità interne; que­
sto dovrebbe comportare una con­
sultazione e una progettazione co­
mune tra gli ambiti coinvolti, non­
ché un interscambio informativo di
andata e di ritorno tra i vari livelli
interessati. Ma, pur esistendo già
da tempo questa consapevolezza,
così come i tentativi di intervento
per favorire questa integrazione, i
risultati concreti sono spesso ab­
bastanza deludenti, per una serie di
motivi. È comunque interessante
analizzare questi aspetti problema­
tici dell’integrazione interna al si­
stema sanitario, perché tali difficol­
tà si ritrovano anche quando allar­
ghiamo l’orizzonte dell’integrazione
a settori esterni alla sanità, con ul­
teriori complicazioni dovute al fat­
to che l’interazione avviene tra si­
stemi, con storia, tradizioni, mo­
dalità comportamentali, organizza­
tive e operative sostanzialmente
diverse.
Le difficoltà strutturali
per l’integrazione
Innanzitutto, a livello generale,
l’approccio alla persona presuppo­
ne condizioni per molti versi non
del tutto compatibili con l’attuale
strutturazione e l’organizzazione del
servizio pubblico; in particolare, in
relazione alle dimensioni della vita
quotidiana (le esigenze di un sog­
getto esprimono una realtà differen­
te rispetto ai criteri normativi di una
pubblica amministrazione), della
continuità (le esigenze soggettive
non sono sempre sintonizzabili agli
orari di un ufficio pubblico) e della
globalità (le esigenze soggettive
non esprimono solo richieste con­
tingenti, ma rientrano in un proget­
to personale che attende una mol­
teplicità di apporti da sviluppare nel
tempo).
Tenuto sullo sfondo questo tipo
di problema c’è comunque da chie­
dersi quali altre ragioni ostano allo
sviluppo dell’integrazione e alla sua
realizzazione sul piano tecnico, con­
siderando che ormai da tempo que­
sto è un concetto analizzato, con­
solidato e condiviso, invocato da
entrambe le parti in causa (per mo­
tivi diversi, da parte della sanità per
disporre di un necessario supporto,
dall’assistenza sociale per avere la
legittimazione di un ruolo) e che
dispone di un consenso politico
generalizzato.
Esistono di fatto tre ordini di
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ostacoli intrinseci, presenti anche
nel nostro contesto:
1. L’appartenenza dei due comparti
(sanitario e socio-assistenziale)
a ambiti istituzionali diversi e
le conseguenti difficoltà di de­
finizione dei riferimenti gerarchi­
ci, di responsabilità e di coordi­
namento, così come di imputa­
zione della spesa degli interven­
ti;
2. La diversità di impianto struttu­
rale dei bilanci dei due settori,
quello sanitario fondato sui li­
velli di assistenza e sulla meto­
dologia di gestione per centri di
costo, quello socio-assistenzia­
le ancora tradizionalmente rife­
rito al costo dei fattori produt­
tivi e basato sulla logica entra­
te-uscite;
3. La differenza di approccio ai pro­
blemi da parte dei due compar­
ti: il sistema sanitario risponde
di norma con modelli standardiz­
zati, mentre l’erogazione dei ser­
vizi sociali avviene secondo mo­
dalità più flessibili.
Le difficoltà derivanti dal
concetto stesso di integrazione
Vi sono peraltro ulteriori elementi
di complessità:
I contesti dell’integrazione
Innanzitutto, l’integrazione tra sa­
nità e assistenza può avvenire in
più contesti di riferimento: essa
infatti può coinvolgere sia un aspet­
to più generale di carattere siste­
mico (quello finora descritto a li­
vello teorico), sia le funzioni e le
attività di un determinato livello di
assistenza (es. l’assistenza domici­
33
L’integrazione: il punto di vista sanitario
34
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
liare integrata), sia quelle che ri­
guardano una determinata area (es.
anziani, salute mentale, malattie
croniche, ecc.) e, all’interno di cia­
scuna di esse, parte o tutti i mo­
menti assistenziali che costituisco­
no la risposta per il singolo proble­
ma dell’area. Pertanto, la sua attua­
zione implica il contatto e il coor­
dinamento tra sistemi o sottosiste­
mi organizzativi diversi, un diverso
grado di complessità dipendente sia
dalla problematica generale sia dal
singolo caso considerato e conse­
guentemente modalità di soluzione
anche altamente differenziate, tali
da rendere praticamente impropo­
nibili modalità di coordinamento e
di integrazione standardizzate e
valide per tutte le situazioni.
Le modalità dell’integrazione
A sottolineare la complessità della
situazione, si deve inoltre tener pre­
sente un altro aspetto, che riguar­
da le modalità di realizzazione del­
l’integrazione, che può avvenire at­
traverso strumenti e fasi di caratte­
re formale (di diversa natura e gra­
do di formalismo), oppure principal­
mente informale (con diverso carat­
tere e intensità), in un continuum
di sfumature in cui i confini tra
questi due aspetti sono difficilmente
definiti o assoluti (esiste l’aspetto
informale anche nelle decisioni for­
mali e viceversa).
I livelli dell’integrazione
Sempre analizzando e sviscerando la
questione dal punto di vista teori­
co, notiamo che esistono vari livel­
li di integrazione: si parte da quel­
la istituzionale-normativa che defi­
nisce il quadro generale e le moda­
lità di legge per attuare l’integra­
zione, per poi passare per quella
funzionale e programmatoria, tra le
rispettive funzioni dirigenziali tec­
niche, fino a giungere a quella pret­
tamente organizzativa-operativa,
dove avviene concretamente l’inte­
grazione. Ognuno di questi livelli
può essere a sua volta strutturato
in varie fasi e comportare modalità
e scelte differenziate.
Quello che si intende sottolinea­
re in questa sede è che più che si
scende in basso nella scala deline­
ata, verso l’operatività concreta, più
aumenta il grado e l’importanza del­
l’aspetto informale nel determinare
l’integrazione. Questo aspetto è dif­
ficilmente incanalabile e controlla­
bile, perché comprende come prin­
cipale elemento il cosiddetto “fat­
tore umano”, riassumibile in que­
sto caso nella propensione e nella
volontà del singolo operatore di of­
frire un servizio integrato all’uten­
te. A questo livello infatti, se l’in­
tegrazione funziona, l’utente non
dovrebbe nemmeno percepire il la­
voro connesso a questo aspetto, ma
vedere solo il risultato in termini di
risposta completa e unitaria al suo
bisogno.
È questo dunque il punto più pro­
blematico dell’integrazione, so­
prattutto dal punto di vista della
sanità come mondo storicamente
autoreferenziale. Una buona norma­
tiva per l’integrazione, un buon li­
vello di coordinamento tra i vertici
tecnici costituiscono una condizio­
ne necessaria, ma non sufficiente
per assicurare un’operatività inte­
grata e una conseguente gestione
complessiva e unitaria dei casi e dei
problemi; essa può quindi essere ri­
cercata solo analizzando le modali­
tà di lavoro e il percorso effettuato
dai casi assistenziali.
Dall’analisi dei problemi
alle proposte: per una politica
attiva dell’integrazione
Dopo aver elencato le principali dif­
ficoltà per raggiungere l’integrazio­
ne, s’impone un salto di qualità del
discorso, passando dal ragionamen­
to astratto a una proposta di poli­
tica dell’integrazione, che identifi­
chi e tenga conto, oltre che dei vin­
coli e degli ostacoli, delle risorse e
delle possibilità.
A questo proposito, la logica im­
pone di partire da appropriate solu­
zioni a livello istituzionale per po­
ter poi arrivare al raccordo operati­
vo: è infatti l’esistenza di presup­
posti formalizzati che sancisce pre­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
liminarmente l’orientamento e la
competenza del servizio nel senso
di fornire una risposta integrata.
Inoltre, più complesso e grave è il
problema sanitario da affrontare,
maggiore è l’esigenza che il siste­
ma sia predisposto ad agire in modo
coordinato ed integrato.
Da parte della sanità trentina, la
prima, vera ricerca di una politica
dell’integrazione che andasse al di
là delle mere enunciazioni o propo­
siti teorico-astratti, è stata compiu­
ta al momento dell’elaborazione del
disegno di legge di Piano sanitario
provinciale 2000-2002, proprio per­
ché l’impostazione e i contenuti del
nuovo documento di programmazio­
ne non potevano prescindere -vista
la loro natura innovativa e diretta­
mente discendente dal principio
della centralità della persona -dalla
definizione di questo fondamentale
aspetto.
35
L’integrazione: il punto di vista sanitario
36
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Considerando le premesse fatte,
sono stati a questo proposito di­
stinti e analizzati i diversi livelli ed
aspetti dell’integrazione per defini­
re i possibili strumenti per la sua
realizzazione, individuando in tal
senso i più adatti e rispondenti alla
peculiare situazione istituzionale ed
organizzativa locale, ferma restan­
do l’applicazione di quanto stabili­
to a livello nazionale e che riguarda
in particolare la specificazione pun­
tuale delle materia dell’integrazio­
ne attraverso l’identificazione delle
attività e prestazioni sanitarie a
contenuto misto e del grado di que­
sta “contaminazione” con il sociale
(cfr. a tal proposito, il Piano sani­
tario nazionale 1998-2000, le spe­
cificazioni contenute nel D. Lgs.
229/99, la c.d. “Riforma Bindi” ed
il previsto, successivo atto di indi­
rizzo e di coordinamento in materia
di prestazioni socio-sanitarie ­
D.P.C.M. 14.02.01-, che giunge a
precisare -anche se non nel detta­
glio- le aree di integrazione, le fun­
zioni/prestazioni, le leggi di riferi­
mento e le rispettive percentuali di
distribuzione della spesa tra sanità
e assistenza).
Si sottolinea come l’approvazio­
ne dei citati provvedimenti ha co­
stituito un’azione determinante per
l’affermazione dell’integrazione so­
cio-sanitaria, in quanto tali atti
sanciscono l’esplicita e attiva presa
in carico della questione, spingen­
dosi al di là delle enunciazioni teo­
riche e di principio, che hanno ca­
ratterizzato il dibattito su questo
tema fino a poco tempo prima.
Ma, come l’esperienza sempre in­
segna, le disposizioni normative,
soprattutto quelle fortemente inno­
vative, hanno bisogno del concorso
di azioni di mutamento e di rinno­
vamento sui vari versanti del pro­
blema: solo queste azioni concor­
date possono riuscire ad incanalare
nella direzione prefissata i compor­
tamenti concreti degli attori in gio­
co. È quello che si è tentato ap­
punto di fare a livello provinciale
attraverso il Piano sanitario.
Come raggiungere l’integrazione
socio-sanitaria: la proposta
contenuta nel disegno di legge
di Piano sanitario provinciale
2000-2002
Nel progetto di Piano, si è stabilito
di esaminare i vari livelli dell’inte­
grazione, seguendo una sequenza
logico-temporale che parte dai mo­
menti istituzionali e scende verso
quelli più strettamente operativi.
Aspetto normativo, istituzionale
e programmatorio
Esistono attualmente specifici stru­
menti amministrativi di intese tra
Enti previsti dalla normativa vigen­
te e in particolare dalla Legge
n.142/90 “Ordinamento delle auto­
nomie locali”, attualmente in fase
di revisione, e dallo stesso D. lgs.
n.502/92 di riforma sanitaria. La più
interessante e fattibile di tali inte­
se formali per creare i presupposti
per l’integrazione riguarda gli Ac­
cordi di programma (v.art.27 della
L.142), in cui l’organo o gli organi
politici di governo interessati pos­
sono assicurare, sulla base del prin­
cipio di unitarietà della persona e
degli obiettivi di salute stabiliti, il
coordinamento delle azioni dei set­
tori interessati, in conseguenza del­
la competenza primaria o prevalen­
te.
Questo presuppone la definizio­
ne preliminare della natura e delle
tipologie delle prestazioni socio-sa­
nitarie, che può essere conseguita
attraverso l’attuazione della succi­
tata normativa nazionale. Conside­
rata la specificità del contesto lo­
cale, caratterizzato dalla dipenden­
za dei due settori, sanitario e so­
cio-assistenziale, da un unico rife­
rimento politico-amministrativo, ma
da due normative separate, è pen­
sabile che l’accordo istituzionale
possa risolversi in una dichiarazio­
ne d’intenti nei rispettivi documenti
programmatori e da una successiva
direttiva comune in cui si delinea­
no i casi, il peso delle due compo­
nenti e le modalità d’integrazione
nelle diverse aree d’intervento, te­
nendo conto di quanto previsto in
merito dalla normativa nazionale.
Aspetti economico-finanziari
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Nella sopracitata direttiva, che fun­
gerebbe nel nostro contesto come
atipico Accordo di programma, si
stabiliscono le quote di cofinanzia­
mento degli interventi da attribuire
rispettivamente ai due settori, in
misura proporzionale all’intensità
della presenza di ciascuna compo­
nente nell’ambito di ogni tipologia
di intervento; deve essere pertanto
costruito un “tariffario” preceden­
temente concordato, sulla base di
modalità che superino la diversità
strutturale dei due bilanci di setto­
re, sopra evidenziata. A prescindere
dal fatto che la definizione del ta­
riffario è una delle previsioni prin­
cipali della normativa nazionale e
degli atti ad essa riferiti, si sottoli­
nea che la Provincia Autonoma di
Trento e l’Azienda provinciale per i
servizi sanitari stanno partecipan­
do, come realtà pilota, al Program­
ma di sperimentazione e ricerca sul
tema “Tipologie di prestazioni e
servizi socio-sanitari e valutazione
dei relativi costi” coordinato dalla
Fondazione Zancan e finanziato dal
Ministero della Salute ex art.12
D.lgs.502. Tale ricerca ha l’obietti­
vo di concretizzare e validare sul
campo i contenuti dell’atto di indi­
rizzo e coordinamento di cui sopra,
affrontando così anche i problemi
relativi alla diversità di approccio
dei due settori su questo aspetto.
Aspetto della programmazione
operativa
Sulla base degli accordi istituzio­
nali e sugli aspetti di finanziamen­
to dell’attività, l’integrazione socio­
sanitaria avviene tramite una pro­
gettazione comune o attraverso pro­
37
L’integrazione: il punto di vista sanitario
38
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
grammi coordinati tra Enti (nel caso
provinciale, Azienda provinciale per
i servizi sanitari e Enti gestori) in
termini di obiettivi da raggiungere,
che costituiscono una versione più
dettagliata delle previsioni conte­
nute nella direttiva di indirizzo co­
mune emanata dalla Giunta provin­
ciale.
Lo strumento più adatto per que­
sto scopo, in considerazione della
specificità dell’assetto locale, è il
Programma annuale delle attività
territoriali, previsto dall’art.3, qua­
ter, del D. Lgs. n.229/99 ed elabo­
rato dai distretti sanitari in colla­
borazione con gli Enti gestori. Esso
dovrà contenere:
- l’individuazione analitica (v. diret­
tiva provinciale) degli obiettivi
comuni da raggiungere;
- la predisposizione di progetti per
il raggiungimento dell’obiettivo
prefissato, con l’individuazione
delle competenze di ciascun Ente;
- l’individuazione delle risorse
(umane, economiche, ecc.) che
ciascun Ente rende disponibile per
il raggiungimento dell’obiettivo,
comprese le risorse informali e del
volontariato sociale;
- la definizione di protocolli ope­
rativi che consentano di verifica­
re la sinergia delle azioni prodot­
te dai due enti.
A livello di direzione aziendale,
sarà possibile curare il raccordo e
l’omogeneizzazione dei vari piani di­
strettuali, mentre successivamente
il Programma annuale delle attività
territoriali dovrà essere valutato
dall’organo politico, in merito alla
congruenza del suo contenuto con
gli obiettivi di salute e con gli in­
dirizzi di integrazione previsti dai
Piani dei due settori e dalla conse­
guente direttiva comune.
Aspetto dell’operatività concreta
L’integrazione socio-sanitaria “vera
e propria” è attribuita alla fase più
strettamente operativa e va letta
come erogazione contestuale sullo
stesso soggetto di prestazioni che
si compenetrano per rispondere in
termini complessivi ai bisogni
espressi dal soggetto. Anche tenu­
to conto di quanto espresso al pun­
to precedente, si individua nel di­
stretto l’ambito ottimale per la ge­
stione dei servizi integrati, in quan­
to esso anche tradizionalmente pre­
senta un modello organizzativo di
aggregazione e di coordinamento
delle risorse socio-sanitarie e come
tale viene riconfermato dal Decreto
Bindi. È quindi in questo contesto
che può esistere una predisposizio­
ne “naturale” allo sviluppo del co­
siddetto “lavoro di rete”, che chia­
ma in causa le risorse non struttu­
rali ed informali. Infatti, vista la
dinamicità e la flessibilità intrinse­
ca ad ogni processo di integrazione
(alcuni autori parlano di “direzio­
nalità aperta”), si pone come ne­
cessario il supporto coordinato di
queste istanze. A questo livello l’in­
tegrazione deve avvenire sulla base
di linee guida o percorsi assisten­
ziali concordati che, a seconda del­
la problematica da affrontare, po­
tranno essere concordati a livello
aziendale o distrettuale, oppure nell’ambito dei Dipartimenti funziona­
li riguardanti le aree che necessita­
no di interventi integrati (minori,
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
anziani, salute mentale, dipenden­
ze, handicap, ecc.). Il modello di­
partimentale, infatti, può essere
inteso proprio come “luogo” privi­
legiato di raccordo tra la rappresen­
tanza delle professionalità coinvol­
te nella gestione integrata e di ela­
borazione di modalità di intervento
concordate e omogenee.
Il controllo dell’aspetto
informale dell’integrazione:
un contributo della teoria
dell’organizzazione
Questo l’aspetto formale; ma come
già detto in precedenza, a livello
operativo acquista una grande rile­
vanza anche l’aspetto informale,
quello meno controllabile e visibile
all’esterno. L’efficacia dell’integra­
zione si gioca quindi sull’effettiva
realizzazione di un’operatività inte­
grata che si sviluppi secondo pro­
getti assistenziali alla persona. È
evidente che per facilitare e favori­
re questa operatività integrata, de­
vono essere sviluppati, per quanto
possibile, meccanismi di influenza
sul fattore umano, per quanto riguar­
da le motivazioni e il comportamen­
to degli operatori.
Per affrontare questo aspetto,
cruciale per il realizzarsi di una ef­
fettiva ed efficace integrazione,
l’analisi organizzativa più recente
propone l’ipotesi della reinterpreta­
zione del mandato professionale alla
luce dei problemi che si presenta­
no, superando in questo modo il
divario e l’inadeguatezza derivante
dalla rigidità del compito istituzio­
nale (tipico della sanità più che del­
l’assistenza) e i meccanismi di au­
totutela che ne derivano, a fronte
39
persona presuppone inoltre l’adozio­
ne sistematica del metodo della “ge­
stione del caso” attraverso il lavoro
d’equipe, che implica, fatte salve le
varie competenze e responsabilità
operative della singola professiona­
lità, verifiche di gruppo per valuta­
re, anche in termini critici e corret­
tivi formulati d’intesa, l’operatività
complessiva e i suoi esiti. Condi­
zione preliminare e facilitante lo
sviluppo concreto di questa moda­
lità dell’agire diviene la formazione
preliminare di un’equipe multipro­
fessionale (ad es. nel modello di
Consultorio per il singolo, la coppia
e la famiglia).
Ancora più specificatamente, la
presa in carico del caso che avviene
all’interno di questa valutazione
multidimensionale comprende ten­
denzialmente le seguenti fasi:
- definizione del contesto della ren
e
m
i
t
r
a
Piano sanitario
Piano sociale e
provinciale
assistenziale
Direttiva
per
2000 - 2002
2002 - 2003
Tutela
Sanitaria
l’integrazione
s
Bi
og
Obiettivi di salute
Ambiti di integrazione
Tipologia prestazioni “miste” e modalità di finanziamento
ni
p
Programma delle attività territoriali
Tutela
“Sociale”
te
rv
Obiettivi assistenziali
Progetti, risorse, protocolli operativi
Integrazione operativa
• lavoro di rete
• lavoro di èquipe
en
ti i
nt
(presa in carico e
gestione del caso)
eg
ra
ti
Distretto
• coordinamento
• protocolli/linee guida
• ridefinizione informale
dell’organizzazione e
dell’operatività
D
In
Tutela
Socio
assistenziale
(Azienda/Distretto - Enti gestori)
Persona
o
Famiglia
o
Gruppo
i
L’integrazione: il punto di vista sanitario
t
40
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
della realtà multiforme costituita dai
vari soggetti per i quali gli opera­
tori agiscono. Costruire quindi in
modo dinamico, con un processo in
continua ridefinizione, il lavoro dei
servizi, è la soluzione per superare
tale discrasia. Per lo stesso motivo,
l’individuazione preliminare di obiet­
tivi comuni permette di costruire
una rappresentazione condivisa del
problema e delle possibilità di in­
tervento, consentendo su questa
base la formalizzazione delle pro­
cedure di lavoro e del ruolo di coor­
dinamento.
In quest’ottica deve essere per­
tanto individuato il “responsabile di
progetto”, come riferimento funzio­
nale, non gerarchico, a cui compe­
te la valutazione dell’andamento
delle attività e del risultato com­
plessivo dell’intervento svolto.
Il progetto di intervento sulla
lazione d’aiuto;
- definizione con l’interessato, o
con i supporti familiari o esterni,
della rete di risorse per un pro­
getto personalizzato d’intervento,
curandone l’attuazione e la veri­
fica secondo modalità e tempi pre­
ordinati;
- attivazione degli interventi di
appoggio medico-psico-sociale;
- attivazione delle risorse persona­
li, familiari e del volontariato,
scegliendo le più efficaci;
- monitoraggio del progetto com­
plessivo, anche rispetto ai diver­
si soggetti istituzionali che inte­
ragiscono sul caso.
Responsabili del settore socia­
le e sanitario, Associazione
“Prospettive”, Trento, 20 otto­
bre 1998
[5] T. Vecchiato, La filosofia dell’in­
tegrazione, dagli Atti del Con­
vegno “Le politiche di integra­
zione socio-sanitaria nei servi­
zi territoriali”, Ivano Fracena,
8 ottobre 1999.
[6] T. Vecchiato, L’integrazione so­
ciosanitaria nel distretto dopo
il PSN 1998-2000 e il D.lgs.
229/99, in Studi Zancan, n.6/
2000
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Fig. 1
Il processo
d’integrazione
socio-sanitaria
in provincia
di Trento: sintesi
della proposta.
(Fonte:
Provincia
Autonoma di
Trento, Servizio
Programmazione
e Ricerca
sanitaria).
[1] F. D’Angella e A. Orsenigo (a
cura di), La progettazione luo­
go di cambiamento, inserto di
Animazione Sociale, dicembre
1997
[2] P.L. Guaducci, Manuale di dirit­
to sanitario, Angeli, 1999
[3] Ministero dell’interno, Direzio­
ne generale dei servizi civili,
Integrazione dei servizi sociali
e sanitari, Studio condotto dal­
l’Istituto per la Ricerca Sociale
(IRS), 1985
[4] F. Olivetti Manoukian, La rein­
terpretazione del mandato isti­
tuzionale, in “Progetto di ricer­
ca e formazione all’intervento
integrato tra professioni e isti­
tuzioni diverse per le famiglie
problematiche”, Seminario per
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Monica Pisetta è Funzionario del Servizio
Programmazione e Ricerca sanitaria
della Provincia Autonoma di Trento
41
L’integrazione
tra sanità e attività
socio-assistenziali:
il punto di vista
delle attività
socio-assistenziali
Paolo Facchinelli
Favorire l’autonomia delle persone
anziane, non autosufficienti o disabili,
attraverso interventi socio-assistenziali e
sanitari coordinati
L’integrazione dei servizi socio-as­
sistenziali con gli altri servizi ope­
ranti nell’area sociale, in particola­
re con quelli sanitari, è una condi­
zione essenziale per la realizzazio­
ne di una rete di opportunità e di
garanzie per chi si trova in situa­
zioni di bisogno e di svantaggio per­
sonale e sociale ed è il presupposto
necessario per assicurare una rispo­
sta unitaria e globale ai bisogni
della persona.
Già nel primo piano provinciale
socio-assistenziale 1993/95, in
coerenza con i principi di fondo
della L.P. 14/91 “Ordinamento dei
servizi socio-assistenziali in provin­
cia di Trento”, veniva posta parti­
colare attenzione all’integrazione
degli interventi erogati dai servizi
socio-assistenziali con quelli diret­
ti in primis alla promozione della
salute ma anche con quelli degli
altri comparti delle politiche socia­
li, della casa, dell’ambiente, del­
l’istruzione, della cultura, della for­
42
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mazione professionale, del lavoro,
dei trasporti.
Solo attraverso l’integrazione tra
servizi è possibile infatti dare rispo­
ste efficaci alla complessità dei bi­
sogni, incidendo sulle cause che li
determinano, promovendo nel con­
tempo interventi che favoriscono
l’autonomia della persona.
A fronte però di una necessità
forte e universalmente riconosciu­
ta di coordinamento e di integra­
zione degli interventi, si lamenta
ancora, dopo tanti anni che se ne
sente parlare, una altrettanto forte
frustrazione per l’inadeguatezza dei
risultati sul piano pratico.
E gli ostacoli che spesso si in­
contrano non dipendono solo dal
grado di disponibilità dei singoli
operatori a collaborare e a mettersi
in gioco ma, anche e soprattutto,
dalle difficoltà poste dal contesto
istituzionale e organizzativo nel
quale essi si trovano ad operare.
Come ormai da tempo e ampia­
mente viene argomentato dagli ad­
detti ai lavori e dagli studiosi esperti
della materia, l’integrazione non si
realizza solo in riferimento all’azio­
ne dei soggetti operativi, ma pre­
suppone la condivisione delle fina­
lità con altri soggetti e delle re­
sponsabilità, sia a livello gestiona­
le di servizio che a livello d’indiriz­
zo di governo.
L’integrazione si realizza se si
pongono contestualmente in cam­
po oltre alla spinta motivazionale,
strumenti operativi che favoriscono
l’integrazione, come gli accordi di
programma, i piani territoriali d’in­
tervento sul piano politico, i proto­
colli d’intesa sul piano gestionale
di servizio, oltre alle diverse proce­
dure di lavoro integrato a livello
tecnico-professionale.
Spesso queste tre dimensioni di
responsabilità non comunicano tra
loro e si muovono in parallelo con
visioni proprie e autoreferenziali,
mentre è indispensabile che nelle
strutture di coordinamento queste
tre culture o responsabilità siano
compresenti, non solo nella fase
ideativa iniziale, ma anche in quel­
la realizzativa e di verifica.
Confronto e dialogo, tra mondo
professionale e politico, oltre che
con la società civile, che dovrebbe
essere continuo, per saper proget­
tare insieme strumenti d’intervento
nelle politiche sociali e per saper
poi verificare la qualità (e non solo
la quantità prestazionale dei servi­
zi erogati)1.
Oggi, le nuove linee di politica
sociale e sanitaria possono contare
su migliori condizioni sia negli as­
setti normativi che organizzativi,
per realizzare un effettivo sistema
integrato di servizi alla persona.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
A livello nazionale
Con l’approvazione della tanto at­
tesa riforma nazionale dell’assisten­
za L. 328/2000 e del relativo Piano
sociale nazionale 2001/03 unita­
mente al Dlgs 229/99 (riforma ter
della sanità e al piano sanitario
nazionale), ci troviamo di fronte ad
un quadro normativo che riequili­
bra i rapporti del comparto sociale
con la sanità, dando modo ad en­
trambi i settori di ispirarsi alle stes­
se idee guida in tema di integrazio­
ne, superando le vicissitudini sotto
il profilo istituzionale e organizza­
tivo che dalla legge di Riforma
sanitaria, L. 833/78, alla rifor­
ma dell’Assistenza, L. 328/2000,
hanno interessato i due comparti,
rendendo sempre più difficile il dia­
logo tra loro.
La legge di riforma socio assisten­
ziale e la legge ter di riforma sani­
taria, con i relativi piani, trattano
con particolare cura il tema della
integrazione fra sociale e sanitario,
individuando i tre livelli, interdipen­
denti e indispensabili: istituziona­
le, gestionale e professionale. Indi­
viduano poi nel piano di zona il pia­
no regolatore dei servizi alle perso­
ne, per dare cioè risposte unitarie
ai bisogni della comunità, senza
disperdere le responsabilità e le ri­
sorse e senza alimentare gli inte­
ressi settoriali. Nel Piano sanitario
così come nella legge quadro na­
zionale sugli interventi e servizi
sociali si attribuisce grande impor­
tanza all’integrazione (vedi legge
328/2000 , art. 8 comma 3 lettera
a), art. 18 comma 6, art. 19 comma
1).
La scelta dell’integrazione carat­
43
L’integrazione: il punto di vista socio-assistenziale
44
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
parto sanitario e quello sociale
sono: materno-infantile, anziani,
handicap, patologie psichiatriche e
dipendenze da droga, alcool e far­
maci, patologie per infezioni da HIW
e patologie in fase terminale, ina­
bilità o disabilità conseguenti a
patologie cronico-degenerative”.
Un’area di integrazione che si va
sempre più estendendo, rispetto
allo specifico dell’area sanitaria e
socio-assistenziale.
terizza altresì il Dlgs 229/99 a par­
tire dal riequilibrio delle responsa­
bilità nelle politiche per la salute,
attribuendo un nuovo ruolo agli enti
locali e prevedendo nuove condizio­
ni di rapporto tra regioni, provincie
autonome, comuni e aziende, unità
sanitarie locali. I punti fondamen­
tali sono così sintetizzabili:
- l’integrazione socio-sanitaria ri­
guarda tutte le attività atte a
soddisfare i bisogni di salute
della persona che richiedono
unitariamente prestazioni sani­
tarie e azioni di protezione so­
ciale;
- le prestazioni socio-sanitarie
vengono classificate sulla base
della prevalenza dei bisogni e
delle risorse implicate nei pro­
cessi assistenziali.
Tutti questi principi guida vengono
ribaditi dalla legge quadro 328/2000
(art. 19 Piano di zona):
“Le aree di bisogno dove si rende
necessaria l’integrazione tra il com­
A livello provinciale
L’integrazione socio-sanitaria è am­
piamente trattata sia nella L.P. 10/
93 di riforma sanitaria locale e nel
piano provinciale 2000/02, sia nel­
la legge d’ordinamento dei servizi
socio-assistenziali, la citata L.P. 14/
91 e nella pianificazione socio-as­
sistenziale ad essa collegata.
Successivamente la L.P. 28/05/
98 n. 6, “Interventi a favore di an­
ziani e delle persone non autosuffi­
cienti o con gravi disabilità” ha
contribuito a dare concreta visibili­
tà all’integrazione. In particolare
con le disposizioni all’art. 4 per l’in­
tegrazione degli interventi a favore
dei soggetti non autosufficienti, che
prevedono come strumento opera­
tivo l’unità valutativa multidiscipli­
nare (UVM).
L’UVM sta alla base di un lavoro
integrato per la corretta definizio­
ne del bisogno e per l’individuazio­
ne delle risorse di servizio più op­
portune da mettere in campo, fa­
cendo per l’appunto leva sull’inte­
grazione socio-sanitaria.
La L.P. 14/91 e il piano triennale
socio-assistenziale sono in sintonia
con i concetti d’integrazione con­
tenuti nella normativa locale in
materia sanitaria, ovvero con la ne­
cessità imprenscindibile di costrui­
re interdipendenze funzionali tra
servizi sanitari e sociali, per rispon­
dere all’unitarietà e alla complessi­
tà dei bisogni e delle attese delle
persone.
Il comparto sociale per la verità
ha ormai da tempo maturato la pre­
sa d’atto che la conoscenza dei bi­
sogni e l’attuazione degli interven­
ti di promozione del benessere e di
aiuto alle persone vanno letti e
praticati in un’ottica sistemica di
interrelazione, non solo con il com­
parto sanitario, ma anche con i com­
parti delle politiche sociali del­
l’istruzione e formazione professio­
nale, della giustizia, del lavoro, dei
trasporti. La questione, al giorno
d’oggi, è ormai di comune cogni­
zione fra gli addetti ai lavori. Lo è
anche in termini legislativi, dopo
l’emanazione della legge quadro del­
l’assistenza, la quale, giova segna­
larlo, riprende e rilancia a livello
nazionale quanto in proposito la
legge provinciale 14/91 aveva già
prefigurato.
In riferimento al futuro assetto
istituzionale che la P.A.T. andrà a
definire, merita considerare il tema
dell’integrazione fra area sociale e
area sanitaria anche dal punto di
vista della dimensione territoriale.
Secondo la legge di Riforma n.
328/2000, gli ambiti territoriali di
intervento sociale e sanitario devo­
no coincidere ed avere una dimen­
sione sufficiente e adeguata allo
svolgimento degli interventi di ri­
cerca, di programmazione, di pro­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mozione, di informazione, di cura e
di assistenza (vedi art. 8 comma 3,
punto a L. 328/2000).
Infatti, per l’efficace azione in
alcune aree di bisogno (minori e
famiglia, salute mentale…) c’è la
necessità di ambiti demografici tali
da coprire una casistica significativa e “trattabile” in contesti profes­
sionali integrati. Come pure per al­
tre problematiche (anziani non au­
tosufficienti, povertà economica…)
non può mancare un’adeguata ca­
pacità di flessibilità operativa, im­
possibile altrimenti in contesti de­
mografici ridotti.
C’è da dire inoltre che, taluni ser­
vizi, necessitano di un bacino di
utenza congruo per essere anche
economici (es. centri diurni, siste­
ma informativo, assistenza domici­
liare integrata, valutazione degli
interventi, servizi residenziali…)
Al momento attuale, nella nostra
provincia, gli ambiti di gestione dei
servizi alle persone e quelli dei ser­
vizi sanitari coincidono perfetta­
mente in quanto i distretti sanitari
sono uguali agli ambiti sociali dei
Comprensori (tranne quello della
Valle dell’Adige, nel quale i distretti
sanitari sono sottomultipli del Com­
prensorio). Ed è proprio su questa
coincidenza di ambiti che è possi­
bile costruire un sistema informati­
vo integrato, un processo di analisi
epidemologica e dei bisogni sociali
e sanitari integrati e confrontabili.
E’ possibile far dialogare tra loro la
molteplicità e variabilità dei sog­
getti posti al servizio della popola­
zione, per costruire progetti unitari
di intervento, misurare i risultati,
favorire la partecipazione dei citta­
45
L’integrazione: il punto di vista socio-assistenziale
46
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
dini agli interventi di promozione,
prevenzione e cura. La stessa attua­
zione completa degli indirizzi del
primo piano sociale nazionale fa leva
sulla coincidenza di ambiti territo­
riali.
Va osservato ancora che, dal pun­
to di vista istituzionale, la norma­
tiva nazionale e provinciale attual­
mente presente sia in campo socia­
le, sia in campo sanitario, attribui­
sce ai Comuni, all’interno delle aree
distrettuali e degli ambiti compren­
soriali, precise funzioni e compiti
di proposta, promozione, program­
mazione e valutazione riguardo ai
servizi e agli interventi nei due com­
parti. Sono cioè attribuiti a tutti i
Comuni secondo una logica di pari
dignità, compiti fondamentali di
governo del sistema delle politiche
socio-sanitarie, in termini di pro­
gettazione, indirizzo, controllo, an­
che se non necessariamente in ter­
mini gestionali.
Inoltre va ricordato il principio
(in campo sanitario e per tutti i set­
tori compreso quello sociale) che
stabilisce la netta separazione tra
il livello politico programmatorio e
il livello gestionale operativo. Sot­
to questo aspetto, però, le distin­
zioni sono significative, quanto a
poteri e autonomia dei comuni, e
non va dimenticato che per il com­
parto socio-assistenziale si tratta
attualmente solo di delega di fun­
zioni della Provincia Autonoma di
Trento ai singoli Comuni, funzioni
esercitate obbligatoriamente dai
Comprensori (eccezion fatta per
Trento e Rovereto).
La legge nazionale di riforma del­
l’assistenza innova anche in questo
campo, riconoscendo la titolarità
della competenza comunale nel set­
tore dei servizi alla persona.
Allo stato attuale, quindi, c’è una
convergenza significativa tra com­
parto sanitario e comparto socioassistenziale, caratterizzata da un
primato del pubblico non solo al li­
vello di programmazione e di indi­
rizzo, ma anche a quello di gestio­
ne degli interventi, svolti da sog­
getti pubblici, che agiscono nel
quadro della programmazione e del­
le direttive provinciali, in sinergia
con altri soggetti, pubblici e priva­
ti (con varie configurazioni: profit,
non profit, di volontariato).
Nella normativa provinciale emer­
ge forte, in definitiva, il concetto
di bene “sociale” inteso come pri­
maria responsabilità dell’autorità
pubblica nel garantire a tutti i cit­
tadini (o abitanti) uguali opportu­
nità, uguali prestazioni, uguali qua­
lità della vita su tutto il territorio
provinciale.
La nuova legge quadro nazionale
di “Riforma dell’assistenza”, confer­
ma questo principio, come pure
quelli ormai diffusi in provincia, di
sussidiarietà orizzontale e solidarie­
tà sociale.
NOTE
1
Vedi Atti Convegno Politiche e
servizi alla persone: quali pro­
spettive per il Trentino, pag 18,
Ediz. OSIRIDE, settembre 2000.
Paolo Facchinelli è Responsabile del
Servizio Attività Socio-Assistenziali del
Comprensorio Valle di Sole.
Lo spostamento
del baricentro
assistenziale dall’ospedale
al territorio: aspetti
economico-finanziari
Guido Baldessarelli
Il riequilibrio dei livelli assistenziali come
condizione per lo sviluppo dell’assistenza
sanitaria territoriale
La deospedalizzazione è da sempre
l’imperativo categorico in sanità, ma
è dai primi anni ’90 che il concetto
si fa strada con decisione, sul piano
normativo, programmatico e con
concrete applicazione organizzati­
ve.
Il riordino organizzativo e fun­
zionale degli ospedali è stato disci­
plinato da tempo da specifiche nor­
mative1 e lo stesso Piano sanitario
nazionale 1998-2000, delinea fra le
proprie azioni strategiche più im­
portanti il potenziamento dell’assi­
stenza distrettuale in generale e
territoriale in particolare, a fianco
dell’evoluzione del ruolo dell’ospe­
dale.
Anche nelle leggi finanziarie dello
Stato degli ultimi anni sono conte­
nute sistematicamente specifiche
disposizioni che riguardano l’utiliz­
zo dell’ospedale, attraverso i tassi
programmati di ospedalizzazione, gli
indirizzi strutturali e le disposizio­
ni per la riqualificazione dell’assi­
stenza sanitaria2 . In questo scena­
rio la proposta di Piano sanitario
nazionale 2001-2003 - attualmente
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
fermo presso la Conferenza per i rap­
porti fra lo Stato e le Regioni, in
attesa di specifiche indicazioni del
nuovo Ministro Sirchia - pone l’in­
dice sulla necessità di riqualificare
gli ospedali puntando sul c.d. “De­
calogo” in cui spiccano il nuovo
profilo organizzativo, la correttez­
za delle cure e dell’uso delle risor­
se, il concetto di interattività, per
cui “l’ospedale deve essere aperto
per facilitare al massimo sia il dia­
logo con il territorio, in particolare
con il medico di famiglia, sia lo
scambio di competenze ed informa­
zioni con le strutture specialistiche
ambulatoriali”.
Il Piano sanitario provinciale
2000-2002, approvato con provve­
dimento della Giunta provinciale
1354/2000 e attualmente in discus­
sione per la conversione in legge,
si pone in perfetta sintonia con le
linee strategiche perseguite all’uni­
sono nell’ambito del Servizio sani­
tario nazionale, recando però anche
un fattore di forte novità.
Infatti, come si dirà più diffusa­
mente di seguito, è posto fra gli
obiettivi più qualificanti della poli­
tica di Piano anche il processo di
riequilibrio e di potenziamento dei
livelli assistenziali attualmente
meno favoriti (Assistenza sanitaria
collettiva ed Assistenza distrettua­
le), per puntare allo sviluppo di for­
me alternative al ricovero quali l’as­
sistenza domiciliare integrata,
l’ospedalizzazione a domicilio, l’as­
sistenza infermieristica domiciliare.
Ma, e questo è il punto, il pro­
cesso di potenziamento viene ora
garantito con la previsione di asse­
gnare specifici finanziamenti3 già
47
Aspetti economico-finanziari
48
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
individuati nel loro ammontare con
stime di massima e non, come si è
sempre disposto nei documenti pro­
grammatici delle precedenti legisla­
ture, ipotizzando di recuperare le
necessarie disponibilità finanziarie
dalla conversione dei fattori produt­
tivi, dallo snellimento, dalla razio­
nalizzazione e dal recupero di effi­
cienza del settore ospedaliero. Tale
ultima ipotesi ha infatti scontato
fino ad oggi le rigidità del sistema
sanitario per cui, risultando rallen­
tato il processo evolutivo dell’assi­
stenza ospedaliera, ne è consegui­
to solo un moderato rafforzamento
dell’assistenza territoriale rispetto
alle modalità auspicate. In questo
senso, le risorse aggiuntive iniziali
potranno garantire l’avvio del pro­
cesso della riorganizzazione delle
risorse assegnate ai livelli assisten­
ziali.
Il presente contributo tratta in
forma sintetica tre aspetti connessi
allo “spostamento del baricentro”
assistenziale. Nell’ordine, sono di
seguito riassunti alcuni obiettivi
sottesi al processo di riequilibrio,
dando una certa enfasi alle riper­
cussioni finanziarie. Si passa quin­
di ad un esame dei provvedimenti
di finanziamento della spesa corren­
te del Servizio sanitario provinciale
dal 1997 al 2001, per mettere in
evidenza l’evoluzione della spesa
complessiva per il livello ospeda­
liero e per quello territoriale/distret­
tuale. Viene, infine, riprodotta la
sintesi di un lavoro di approfondi­
mento sull’appropriatezza delle pre­
stazioni di ricovero erogate nel 2000
dalle Strutture pubbliche e private
del Servizio sanitario provinciale,
applicando le scelte metodologiche
condivise dalla componente medi­
ca del tavolo tecnico interregionale
per la compensazione della mobili­
tà sanitaria interregionale.
Gli obiettivi del processo
di riequilibrio
Quello economico è forse l’aspetto
più discusso e su cui vi è una certa
attenzione da parte delle istituzio­
ni, anche se, in realtà, lo sposta­
mento del baricentro tra il livello
ospedaliero e quello distrettuale ri­
sponde anche ad almeno altri tre
obiettivi: dare risposte alle esigen­
ze degli assistiti, favorire la specia­
lizzazione dell’attività ospedaliera,
contenere il fenomeno delle malat­
tie nosocomiali.
L’enfasi posta sulla riduzione dei
costi imputabile al riequilibrio vie­
ne alimentata, da un lato, dalla di­
mensione che ha raggiunto il Fon­
do Sanitario Nazionale con le con­
nesse manovre finanziarie – ormai
sistematiche - per il ripiano dei di­
savanzi delle Regioni, dall’altro,
dalla notevole entità dei margini di
risparmio collegati all’utilizzo ap­
propriato del livello assistenziale a
parità degli esiti sulla salute del
paziente.
È ormai risaputo che le cure ero­
gate con modalità alternative al ri­
covero, (ospedalizzazione domicilia­
re, RSA a sede ospedaliera, RSA a
sede territoriale, ADI, …4) ove, si
badi, ciò sia realmente possibile ri­
spetto allo specifico caso, possono
costare fino al 50% delle cure ospe­
daliere, per arrivare mediamente ad
un decimo, quando il caso viene ri­
solto attraverso l’assistenza domi­
ciliare integrata o con l’erogazione
di prestazioni specialistiche ambu­
latoriali.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
La tariffa prevista per le presta­
zioni in hospice ospedaliero in pro­
vincia di Trento ammonta, infatti a
lire 300.000, a cui si aggiungono
lire 40.000 per l’accompagnatore; la
quota sanitaria pro die nelle RSA
territoriali si aggira intorno a lire
100.000; una giornata in ADI può
raggiungere l’importo a carico del
Servizio sanitario di lire 60.0005 ,
mentre nei casi più gravi non supe­
ra le 130 mila lire. La tariffa giorna­
liera più elevata corrisposta dal Ser­
vizio sanitario provinciale per l’as­
sistenza residenziale ai soggetti
tossicodipendenti, ammonta a 152
mila lire, e riguarda i soggetti “a
doppia diagnosi” cioè soggetti tos­
sicodipendenti con patologia pre­
psicotica e psicotica conclamata. La
tariffa per la riabilitazione ex art.
26 legge 833/1978 in regime resi­
denziale ammonta mediamente a lire
231.000.
49
Aspetti economico-finanziari
MDC DESCRIZIONE
50
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
N. DI
CASI
N. DI GG.
DEG.
TARIFFA
MEDIA
GIORNALIERA
1 MALATTIE E DISTURBI DEL SISTEMA NERVOSO
5020
50102
544.991
2 MALATTIE E DISTURBI DELL'OCCHIO
1568
5466
937.634
3 MALATTIE E DISTURBI DELL'ORECCHIO, DEL NASO,
DELLA BOCCA E DELLA GOLA
4 MALATTIE E DISTURBI DELL'APPARATO
RESPIRATORIO
5 MALATTIE E DISTURBI DELL'APPARATO
CARDIOCIRCOLATORIO
6 MALATTIE E DISTURBI DELL'APPARATO DIGERENTE
3567
14528
951.936
5192
56545
557.777
11515
84216
947.235
7831
53917
700.223
7 MALATTIE E DISTURBI EPATOBILIARI E DEL
PANCREAS
8 MALATTIE E DISTURBI DEL SISTEMA MUSCOLO­
SCHELETRICO E DEL TESSUTO CONNETTIVO
9 MALATTIE E DISTURBI DELLA PELLE, DEL TESSUTO
SOTTO-CUTANEO E DELLA MAMMELLA
10 MALATTIE E DISTURBI ENDOCRINALI,
NUTRUZIONALI E METABOLICI
11 MALATTIE E DISTURBI DEL RENE E DELLE VIE
URINARIE
12 MALATTIE E DISTURBI DELL'APPARATO
RIPRODUTTIVO MASCHILE
13 MALATTIE E DISTURBI DELL'APPARATO
RIPRODUTTIVO FEMMINILE
14 GRAVIDANZA, PARTO E PEURPERIO
2814
27860
617.809
7613
42395
996.409
2645
16044
724.347
1505
11148
596.482
2628
20169
715.832
1025
4937
894.449
2993
14209
872.534
7649
29272
725.952
15 MALATTIE E DISTURBI DEL PERIODO NEONATALE
5111
23353
472.244
675
6924
639.889
1290
15096
768.869
585
5591
625.749
2054
26450
369.879
20 ABUSO DI ALCOOL/FARMACI E DISTURBI MENTALI
ORGANICI INDOTTI
21 TRAUMATISMI, AVVELENAMENTI ED EFFETTI TOSSICI
DEI FARMACI
22 USTIONI
419
2797
454.518
873
4001
743.376
70
599
1.110.967
23 FATTORI CHE INFLUENZANO LO STATO DI SALUTE ED
IL RICORSO AI SERVIZI SANITARI
24 TRAUMATISMI MULTIPLI RILEVANTI
357
2017
587.867
123
1584
1.300.394
25 INFEZIONI DA H.I.V.
115
1530
725.725
75.237
520.750
720.437
16 MALATTIE E DISTURBI DEL SANGUE , DEGLI ORGANI
EMOPOIETICI E DEL SISTEMA IMMUNITARIO
17 MALATTIE E DISTURBI MIELOPROLIFERATIVI E
NEOPLASIE SCARSAMENTE DIFFERENZIATE
18 MALATTIE INFETTIVE E PARASSITARIE (SISTEMICHE
O DI SEDI NON SPECIFICATE)
19 MALATTIE E DISTURBI MENTALI
TOTALE
Tab. 1: tariffa
media giornaliera
dei ricoveri
del Servizio
sanitario
provinciale
anno 2000
A fronte di tali tariffe, si osserva
un’altra dimensione assunta dai co­
sti dell’assistenza ospedaliera, per i
fattori e i servizi che vengono ef­
fettivamente utilizzati nel corso del
ricovero: l’importo giornaliero me­
diamente osservato nel 2000 per i
ricoveri per acuti6 (in regime ordi­
nario, con l’esclusione delle presta­
zioni di lungodegenza e di riabili­
tazione), nell’ambito delle Struttu­
re pubbliche e private del Servizio
sanitario provinciale è risultato ben
più impegnativo, come si evince
dalla tabella a fianco, articolata per
le grandi categorie diagnostiche
(MDC), con un valore medio sull’at­
tività complessiva di circa lire
720.000.
Proseguendo, fra le finalità me­
ritevoli di segnalazione vi è anche
il fatto che la deospedalizzazione
risponde ad un maggiore rispetto
della dimensione psichica degli as­
sistiti. In particolare, nella ricerca
dello stato di benessere residuo i
malati cronici predilogono infatti la
propria casa rispetto all’ospedale e
ciò richiede una gestione integrata
dei rapporti fra le diverse figure pro­
fessionali sanitarie coinvolte (spe­
cialisti, referenti ospedalieri, medi­
ci di medicina generale, infermieri
ed assistenti) al fine di stringere e
coordinare più stretti legami di re­
ciproca sussidiarietà con la rete
delle strutture territoriali.
La predetta propensione richiede
però anche di affrontare le proble­
matiche connesse con le difficoltà
date dal peso assistenziale che ri­
cade sulla famiglia, in uno scenario
che vede aumentare la quota di ul­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
trasessantacinquenni e diminuire sia
la dimensione delle famiglie sia la
propensione all’assistenza dei paren­
ti.
Inoltre, non deve essere sottova­
lutato l’obiettivo di accentuare la
specializzazione dell’attività erogata
dai reparti ospedalieri , concentran­
do l’attenzione sulle cure che richie­
dono alta tecnologia, cui deve fare
da contrappeso lo sviluppo delle
aree funzionali e dei dipartimenti e
in sostanza una forte integrazione
degli ospedali fra di loro.
Da ultimo, la rivisitazione del
ruolo dell’ospedale ha anche lo sco­
po di evitare il ricovero - ed il rico­
vero dell’anziano in particolare –
nelle strutture per acuti quando la
persona non presenti condizioni di
emergenza in atto, in quanto la de­
genza è fonte di pericolo in relazio­
ne alle complicanze iatrogene delle
c.d. malattie nosocomiali.
Vi sono studi che segnalano che
il 40% delle complicazioni che su­
bentrano nel corso dei ricoveri è
imputabile alle infezioni nosocomia­
li. Nei reparti di lungodegenza, con
pazienti anziani - e che perciò pre­
sentano una più accentuata fragili­
tà cutanea e una cattiva cicatrizza­
zione - i tassi di infezione riportati
in letteratura sono prossimi a 10
infezioni ogni 1000 giornate di de­
genza.
Inoltre, pur con tutte le cautele
che richiede la comparazione di stu­
di condotti in epoche e con meto­
dologie diversificate, vi sono delle
indagini epidemiologiche accredita­
te in materia che segnalano come
51
Aspetti economico-finanziari
negli ospedali per acuti considerati
di grandi dimensioni (con un nu­
mero di posti letto maggiore di 500)
l’incidenza dei pazienti infettati è
risultata superiore al 15% in Belgio
e prossima al 4% in Germania. Fra
questi due valori risultano colloca­
ti altri Paesi europei come la Fran­
cia (8%) e la Svizzera (11,5%).
52
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
I risvolti finanziari
delle strategie adottate
in provincia di Trento
dal 1997 al 2001
La spesa di parte corrente che la
Giunta provinciale approva in sede
di riparto del Fondo sanitario pro­
vinciale viene anche riclassificata
dal Servizio Economia Sanitaria della
Provincia, rispetto agli aggregati di
Assistenza ospedaliera in degenza
1998
1999
2000
Importi in milioni di lire
1997
Personale
Beni e servizi
Altre spese
Entrate proprie
Spesa netta
Variazione %
-
295.821
120.780
70.106
5.984
480.723
-
-
179.012
53.140
257.363
41.848
447.667
1997
Personale
Beni e servizi
Altre spese
Entrate proprie
Spesa netta
Variazione %
-
474.833
173.920
327.469
47.832
928.390
305.220
128.030
96.150
6.575
522.825
8,8%
-
300.602
171.279
77.101
8.390
540.592
3,4%
-
314.265
180.152
88.028
11.552
570.893
5,6%
2001
-
Assistenza distrettuale e collettiva
1998
1999
2000
1997
Personale
Beni e servizi
Altre spese
Entrate proprie
Spesa netta
Variazione %
interesse per il presente contribu­
to: assistenza ospedaliera ed assi­
stenza distrettuale (comprensiva
dell’assistenza collettiva in ambienti
di vita e di lavoro, per un importo
sostanzialmente costante che oscilla
fra il 3 e il 4% della spesa totale).
L’attività di riclassificazione è
decisamente complessa e viene ese­
guita, in particolare, per verificare
la congruità dei sistemi di finan­
ziamento prospettico delle presta­
zioni ospedaliere (le tariffe dei c.d
DRG) e specialistiche ambulatoria­
li, di diagnostica per immagini e di
laboratorio.
Di supporto decisivo in tale ri­
classificazione risultano i dati di
contabilità analitica predisposti
annualmente in specifici report dal
-
184.700
53.483
303.241
44.791
496.633
10,9%
1998
489.920
181.513
399.391
51.366
1.019.458
9,8%
-
181.904
79.921
324.922
50.670
536.077
7,9%
Totale
1999
482.506
251.200
402.023
59.060
1.076.669
5,6%
-
190.175
77.959
358.405
55.713
570.826
6,5%
2000
504.440
258.111
446.433
67.265
1.141.719
6,0%
344.780
199.043
89.408
8.060
625.171
9,5%
2001
-
208.639
86.503
394.649
49.006
640.785
12,3%
2001
553.419
285.546
484.057
57.066
1.265.956
10,9%
Tab. 2: dati
di contabilità
analitica
dell’Azienda
provinciale
per i servizi
sanitari
1997-2001
(I dati dell’anno
2001 non sono
definitivi e
saranno adeguati
a seguito
dell’assestamento
del bilancio
provinciale per il
corrente anno con
l’assegnazione di
ulteriori 70 MLD
circa)
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Servizio di Controllo di Gestione
dell’Azienda provinciale per i servi­
zi sanitari.
Negli ultimi cinque anni i dati di
sintesi sono i seguenti, con la pre­
cisazione che gli importi sono al
netto delle spese dirette della Pro­
vincia. Ciò che risulta in piena evi­
denza sono i trend di crescita dei
due aggregati, sempre positivi,
come è facile immaginare, ma con
saggi sempre superiori per l’assi­
stenza distrettuale e per la preven­
zione. L’anno 2000 è l’anno in cui
la spesa si equivale (570 miliardi
circa in ciascun settore) mentre l’an­
no 2001 sancisce, in via previsio­
nale, il definitivo “sorpasso” dei
costi dell’assistenza distrettuale ri­
spetto all’aggregato degenze.
Di fatto va chiarito che, se si iso­
lano i dati relativi all’assistenza
nelle RSA7, il tasso di crescita della
spesa dell’assistenza territoriale ri­
sulta molto più omogeneo e conte­
nuto fino all’anno 2000, per mani­
festare solo nel 2001 un incremen­
to di qualche punto percentuale
superiore all’area dell’assistenza
ospedaliera.
Preme anche osservare che, sullo
scenario nazionale, il Trentino vie­
ne elencato a pieno titolo fra le re­
gioni “di buon esempio”8 in cui si è
verificata una riduzione percentua­
le del peso dell’ospedale rispetto al
territorio.
Con l’anno 2002, in forza delle
risorse specifiche richiamate in pre­
messa che consentiranno di conso­
lidare il tasso di crescita della spe­
sa del settore dell’assistenza distret­
tuale, sarà visibile, in tutta eviden­
za, l’effetto prodotto dalla politica
di riequilibrio avviata concretamente
con il Piano sanitario provinciale
2000-2002.
Non va nemmeno sottaciuto che
si nutre una certa attesa dal conse­
guimento dei primi risultati del Pro­
gramma di sviluppo strategico del­
l’Azienda provinciale per i servizi sa­
nitari, in relazione all’obiettivo di
riorientare i servizi sanitari per fare
spazio alle iniziative rivolte alla
promozione della salute, vicino alle
attività di prevenzione diagnosi,
cura e riabilitazione “tradizionali”.
Il grado di successo dipenderà,
in buona misura, anche dall’effetti­
vo utilizzo nel Servizio sanitario
provinciale dei supporti tecnologi­
ci quali la telemedicina, che il Tren­
tino sta sperimentando da alcuni
anni proprio per favorire e svilup­
pare il concetto di integrazione so­
pra accennato.
Infine si ritiene che buoni mar­
gini di manovra in termini finan­
ziari discendano dalla verifica di
quanto viene oggi eseguito negli
ospedali. La parte finale del presente
contributo offre in tal senso alcuni
spunti.
I margini di manovra
Al tavolo tecnico dei referenti della
compensazione della mobilità sani­
taria, è stato condotto nel corso
dell’anno 2000 e perfezionato nei
primi mesi del 2001 uno studio in­
terdisciplinare per approfondire la
problematica dei comportamenti op­
portunistici degli erogatori delle
prestazioni sanitarie, anche al fine
di precostituire le modalità di veri­
fica delle prestazioni che hanno ti­
tolo alla stessa compensazione.
53
Aspetti economico-finanziari
54
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Fermo restando, infatti, il potere
decisionale delle Regioni nell’ambito
dei rispettivi Servizi sanitari in or­
dine alle modalità di verifica del­
l’appropriatezza sanitaria delle pre­
stazioni, è risultato comunque di
interesse controllare il grado di ade­
guatezza delle prestazioni di rico­
vero annualmente compensate, se­
condo uno schema che nel trade off
fra grado di certezza e semplicità
di metodo predilige sicuramente
quest’ultima, scontando così la pos­
sibilità, peraltro sufficientemente
remota, di segnalare “falsi positi­
vi”.
Allo scopo la componente medi­
ca del tavolo tecnico ha individua­
to (con una certa difficoltà doven­
do acquisire la condivisione di tut­
ti i partecipanti) due gruppi di pro­
cedure e di interventi. Nel primo ri­
sultano comprese 68 interventi9 che
producono DRG essenzialmente chi­
rurgici, nel secondo 164 procedu­
re10 che producono DRG essenzial­
mente medici. Si tratta di presta­
zioni che, nel caso rappresentino la
procedura o l’intervento principale
del singolo episodio di ricovero per
acuti (sia ordinario, sia di day ho­
spital, sia di day surgery) e si ac­
compagnino eventualmente ad al­
tre procedure di “miscellanea” pos­
sono fare qualificare il ricovero come
“tendenzialmente” inappropriato,
perché la prestazione sanitaria sa­
rebbe risultata eseguibile, genera­
lizzando, in sede ambulatoriale.
L’applicazione delle metodologia
non affronta, come detto, la pro­
blematicità e la specificità dei sin­
goli casi. Per cui i risultati devono
essere assunti “cum grano salis”,
non sottovalutando il fatto che il
vero processo per l’analisi dell’ap­
propriatezza dei ricoveri non può
avvenire se non in base a specifici
protocolli di valutazione dei dati
recati dalle cartelle cliniche11.
RICOVERI PER ACUTI TOTALI ANNO 2000 EROGATI DAL SERVIZIO SANITARIO PROVINCIALE
REGIME DI RICOVERO
N. CASI
N. GG. DEGENZA
TOTALE FATTURATO DRG
ORDINARIO
75.237
520.750
375.167.631.900
DAY HOSPITAL/SURGERY
20.322
103.138
70.833.470.200
TOTALE
95.559
623.888
446.001.102.100
RICOVERI MEDICI CON PRESTAZIONI EROGABILI IN AMBULATORIO
REGIME DI RICOVERO
N. CASI
ORDINARIO
DAY HOSPITAL
TOTALE
N. GG. DEGENZA
TOTALE FATTURATO DRG
2.497
20.301
11.502.675.300
833
1.333
917.562.400
3.330
21.634
12.420.237.700
RICOVERI CHIRURGICI CON PRESTAZIONI EROGABILI IN AMBULATORIO
REGIME DI RICOVERO
N. CASI
N. GG. DEGENZA
TOTALE FATTURATO DRG
ORDINARIO
194
1.507
1.133.382.300
DAY SURGERY
491
519
1.044.144.800
TOTALE
685
2.026
2.177.527.100
TOTALE RICOVERI CON PRESTAZIONI EROGABILI IN AMBULATORIO
REGIME DI RICOVERO
N. CASI
N. GG. DEGENZA
TOTALE FATTURATO DRG
ORDINARIO
2.691
21.808
12.636.057.600
DAY HOSPITAL/SURGERY
1.324
1.852
1.961.707.200
TOTALE
4.015
23.660
14.597.764.800
INCIDENZA PERCENTUALE DEI RICOVERI CON PRESTAZIONI EROGABILI IN AMBULATORIO RISPETTO
AI RICOVERI PER ACUTI TOTALI
REGIME DI RICOVERO
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
N. CASI
N. GG. DEGENZA
TOTALE FATTURATO DRG
ORDINARIO
3,6%
4,2%
3,4%
DAY HOSPITAL/SURGERY
6,5%
1,8%
2,8%
TOTALE
4,2%
3,8%
3,3%
55
Aspetti economico-finanziari
56
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Pur con queste premesse, la me­
todologia applicata ai ricoveri per
acuti erogati dagli ospedali trenti­
ni nell’anno 2000 ha fornito infor­
mazioni di tutto interesse.
I dati riassunti nelle tabelle del­
la pagina precedente si prestano in­
fatti ad alcune considerazioni im­
portanti. L’aspetto di maggior rilie­
vo che emerge dalle tabelle è il co­
sto complessivo dei ricoveri che non
hanno superato il filtro del metodo
di ricerca, ammontante a circa 14,6
miliardi di lire. La somma è ingente
e, solo per dare un’idea, tale impor­
to corrisponde al “fatturato” dei ri­
coveri dell’anno 2000 di un ospe­
dale come Cavalese (111 posti let­
to nel 1999) o Tione (122).
È interessante però rilevare che:
1) l’area più problematica sotto il
profilo finanziario è (ovviamen­
te) quella dei ricoveri medici, che
comprende oltre l’85% del fat­
turato “critico”;
2) in generale l’incidenza percen­
tuale di casi di ricovero “inap­
propriati” rispetto al totale dei
ricoveri, secondo la metodologia
sopra descritta, è superiore per i
ricoveri diurni (6,5%), proprio
laddove ci si poteva invece
aspettare la maggiore efficienza
ed organizzazione in termini sa­
nitari;
3) nell’ambito dei ricoveri comples­
sivi inappropriati dell’area chi­
rurgica, quelli erogati in regime
di day surgery risultano oltre il
77% del totale (491 su 685).
Per dare un’idea della possibilità di
manovra, ipotizzando la possibilità
di reimpiegare nell’assistenza di­
strettuale le risorse corrispondenti
al risparmio “netto” conseguente al
trattamento in regime ambulatoria­
le dei 4015 casi di ricovero proble­
matici, stimabile in almeno 13 mi­
liardi di lire, si potrebbero garanti­
re, alternativamente, 216.000 gior­
nate circa di assistenza in ADI nel
modulo standard, 65.000 giornate
circa di ospedalizzazione domicilia­
re, 78.000 TAC torace, 125.000 gior­
nate di assistenza in RSA (corrispon­
denti a 340 nuovi posti letto).
Peraltro, il numero di casi com­
plessivi segnalati per il basso livel­
lo assistenziale si ritiene che rap­
presenti solo “la punta dell’iceberg”,
se si osservano le percentuali di
inappropriatezza dichiarate in altri
Servizi sanitari regionali12 e quindi
particolare attenzione dovrà essere
dedicata al tema in parola.
Conclusioni
A livello nazionale i dati di precon­
suntivo dell’anno 2000 segnalano
una spesa sanitaria nazionale di
parte corrente di almeno 131 mila
miliardi (+ 7 mld rispetto alla spesa
preventivata) malgrado l’accordo del
3 agosto 2000 fra Regioni e Gover­
no per la stabilità e la responsabi­
lizzazione nella gestione della sa­
nità, con la necessità di ripianare
almeno altri 10 miliardi di maggio­
re spesa. Inoltre, le prime proiezio­
ni dei dati sull’andamento della
medesima spesa per l’anno 2002
indicano un fabbisogno prossimo a
150 mila miliardi di lire. Di fatto,
con l’accordo Stato-Regioni dell’8
agosto 2001, il Governo si è impe­
gnato a mettere a disposizione fino
ad un massimo di 2,7 miliardi di lire
a ripiano per l’anno 2000, mentre
per l’anno 2002 lo stanziamento del
Fondo sanitario nazionale è concor­
dato in lire 146.376 miliardi di lire,
di cui lire 2.000 miliardi finalizzate
al riequilibrio fra regioni in relazio­
ne agli accordi sui livelli essenziali
di assistenza LEA13 .
A fronte di tale scenario ed in
relazione agli impegni di “stabili­
tà” assunti con le intese dell’8 ago­
sto u.s., diventa imperativo cate­
gorico e generalizzato la verifica
della corretta modalità di utilizzo
delle risorse nei processi di eroga­
zione delle prestazioni sanitarie.
In proposito si è visto che alcuni
concetti che possono apparire an­
titetici (come l’assicurazione di
maggiore qualità nell’assistenza con
un impiego minore di fattori pro­
duttivi) di fatto risultano invece
conciliabili, con piena soddisfazio­
ne degli stessi pazienti perché il
recupero avviene riducendo i costi
della non qualità.
Si è anche argomentato sulla
modalità perseguita in Trentino per
conseguire concretamente lo spo­
stamento del baricentro assistenzia­
le dall’ospedale al distretto, secon­
do un processo virtuoso che può ri­
sultare di esempio per le altre Re­
gioni, per le novità di impostazio­
ne e per la modalità di integrazione
dei servizi.
Si è infine osservato che è ne­
cessario un richiamo all’utilizzo ap­
propriato delle Strutture ospedalie­
re. Con vantaggi di sicuro interesse
in termini prestazionali per gli as­
sistiti ed in termini economici per
la collettività trentina che, non di­
mentichiamolo, finanzia il Servizio
sanitario provinciale con risorse pro­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
prie, essendo la Provincia di Trento
esclusa dal riparto del Fondo sani­
tario nazionale.
NOTE
1
Si veda, per gli aspetti salienti
e per una ricostruzione esau­
stiva, dopo la legge 132/1968,
la legge 833/1978, la legge
595/1985, la legge 549/1995
nonché le disposizioni recate
dalla normativa di riordino del
Servizio sanitario nazionale di
cui al decreto legislativo 502/
1992 e successive modifiche (in
particolare il d. legs. 513/1993
e il d. lgs. 229/1999 (c.d. ri­
forma ter). Da ultimo il decre­
to legge 347/2001 che ha sta­
bilito i nuovi obiettivi di stan­
dard di dotazione media di po­
sti letto per acuti (4 p.l. per
mille abitanti) e per lungode­
genza e riabilitazione (1 p.l. per
mille abitanti).
2
L’art. 32 co. 9, della legge 449/
1997 (misure per la stabilizza­
zione della finanza pubblica)
dispone che le Regioni e le ASL
devono eseguire il monitorag­
gio dell’attività ospedaliera sot­
to il profilo della qualità, del­
l’appropriatezza, dell’accessibi­
lità e dei costi. Inoltre l’art. 72,
co. 3 delle legge 449/1998
(legge finanziaria 1999) obbli­
ga le Regioni al controllo sul­
l’uso corretto delle risorse in
modo da realizzare una riduzio­
ne dell’assistenza ospedaliera
erogata in regime di ricovero
57
Aspetti economico-finanziari
58
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ordinario, anche attraverso il
potenziamento di forme alter­
native alla degenza ordinaria
“nella misura non inferiore
all’1% dei ricoveri e della spe­
sa complessiva”. Proseguendo,
risulta ancora più incisivo l’art.
88 della legge 388/2000 che
reca disposizioni per l’appro­
priatezza nell’erogazione del­
l’assistenza sanitaria, concen­
trandosi, ancora una volta, sul­
l’assistenza ospedaliera per cui
le Regioni devono eseguire un
controllo analitico annuo di
“almeno il 2% delle cartelle cli­
niche e delle schede di dimis­
sione ospedaliera, in conformi­
tà a specifici protocolli di va­
lutazione”.
3
In particolare, all’area dell’as­
sistenza distrettuale il Piano
sanitario prevede di destinare
una somma aggiuntiva di lire
17 miliardi annui (pari ad oltre
il 60% delle maggiori risorse
previste in disponibilità), men­
tre l’importo di lire 11 miliardi
(corrispondenti al restante
40%) risulta destinato all’area
della prevenzione collettiva.
4
RSA: Residenza Sanitaria Assistenziale. ADI: Assistenza Do­
miciliare Integrata.
5
Gli standard assistenziali per
assistito, su base annua, che
hanno costituito riferimento
per la ricostruzione del costo
giornaliero del servizio A.D.I.,
in relazione alle esperienze ef­
fettuate in alcune Regioni (Ve­
neto e Toscana in particolare)
sono stati i seguenti:
- 150 ore di assistenza domi­
ciliare di tipo socio-assisten­
ziale (aiuto domestico, puli­
zie personali, altre forme di
assistenza);
- 120 ore di assistenza infer­
mieristica;
- 50 ore di assistenza riabili­
tativa;
- 50 accessi del medico di medicina generale;
- 8 consulenze medico-specia­
listiche o di altri operatori
(psicologo);
- altri servizi, secondo il biso­
gno (assistenza religiosa).
6
Con l’introduzione del paga­
mento prospettico delle presta­
zioni ospedaliera raggruppate
in base ai DRG-ROD, avvenuta
in provincia di Trento a decor­
rere dal 1 gennaio 1997, si è
superata la modalità di finan­
ziamento del ricovero per acuti
in base alle rette giornaliere.
Pertanto, nell’ambito degli stu­
di di economia sanitaria del li­
vello ospedaliero, l’indicatore
del costo medio per giornata di
degenza ha perso gran parte
della sua portata informativa,
lasciando il posto alla tariffa
forfettaria omnicomprensiva per
caso trattato.
Per il presente studio il costo
medio giornaliero riacquista
però un interesse proprio perché consente l’analisi compa­
rativa fra i livelli assistenziali,
per i casi in cui la prestazione
sanitaria beneficiata dal pa­
ziente viene di fatto impropria­
mente erogata in diverse e più
onerose modalità assistenziali.
7
Nel 1998, con l’avvio dell’intro­
duzione della scheda BINA di
valutazione del grado di non
autosufficienza degli anziani in
RSA si è altresì decisa una ri­
qualificazione dell’assistenza
sanitaria con un forte impatto
sul fronte della spesa sanitaria
a sgravio dell’intervento assi­
stenziale. In applicazione del­
l’art. 25 della legge provinciale
6/1998 sono stati infatti ese­
guiti i trasferimenti di fondi dal
settore socio-assistenziale al­
l’area della sanità, con la spe­
sa di quest’area che nel 1997
era pari a circa 71 miliardi di
lire ed è passata nel 1998 agli
oltre 105 miliardi (+ 47%).
8
Insieme a Veneto, Emilia Roma­
gna, Friuli Venezia Giulia, To­
scana e Marche (cfr. Agenzia Sa­
nitaria Italiana, n. 25 del 21
giugno 2001).
9
A titolo di esempio:
Codice
0811
0820
2502
3421
3992
……
Totale
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Descrizione intervento
Biopsia
della palpebra
Rimozione
di lesione della palpebra,
NAS
Biopsia a cielo aperto della
lingua
Toracoscopia transpleurica
Iniezione intravenosa di
sostanze sclerosanti
……
68 procedure
ed interventi tipicamente
erogabili in ambulatorio
10 A titolo di esempio:
Codice
Descrizione intervento
2100
Controllo di epistassi
2121
Rinoscopia
2751
Sutura di lacerazione del
labbro
Iniezione nella cavita' toracica
3492
5593
8623
9751
……
Totale
Sostituzione di drenaggio
nefrostomico
Rimozione di unghia, matrice
ungueale o plica ungueale
Rimozione di tubo di
gastrostomia
……
154 procedure ed interventi
tipicamente erogabili in
ambulatorio
11 Uno dei protocolli più applica­
ti è il c.d. PRUO ( Protocollo di
Revisione dell’Uso dell’Ospeda­
le) che, come noto, consente
di classificare come appropria­
te e non appropriate sia la gior­
nata di ammissione in ospeda­
le che le singole giornate di
degenza attraverso l’analisi di
specifici indicatori osservabili
nella documentazione clinica
disponibile (cartella clinica e
scheda di dimissione ospeda­
liera).
12 In Friuli Venezia Giulia, che rap­
presenta punto di riferimento
certo per l’esperienza maturata
dalla Agenzia Regionale della
Sanità nel campo dei protocol­
li di appropriatezza, risultano
dichiarate le seguenti percen­
tuali di ammissioni inappropria­
te:
Ammissione
inapp.
1995 1996 1997 1998 1999
36 31,3 19,4 13,4 12,7
%
%
%
%
%
(fonte periodico dell’Agenzia R.S. marzo 2001
n. 9 AA.VV.)
59
Aspetti economico-finanziari
60
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
13 Peraltro, sempre nell’ambito
dell’Accordo Stato – Regioni
dell’8 agosto 2001 il Governo è
impegnato a verificare l’oppor­
tunità di rivedere i rapporti fi­
nanziari con le Regioni Friuli e
Valle d’Aosta e le Province Au­
tonome di Trento e Bolzano, al
fine di pervenire a finanziamen­
ti coerenti con le intese raggiunte con le altre Regioni a
statuto ordinario.
Per quanto riguarda i LEA, il Go­
verno ha già predisposto un do­
cumento con la collaborazione
tecnica della Regioni (anche in
relazione all’impegno assunto
per il 30 novembre 2001) in cui
la ricerca dell’appropriatezza è
condizione per la razionalizza­
zione della spesa del SSN. E’
probabile che tale documento
sia presentato come stralcio del
Piano sanitario nazionale e che
contenga già un elenco dei
DRGs a più alto rischio di ap­
propriatezza per cui non si do­
vrà più eseguire il ricovero in
regime ordinario ma, se proprio
non è possibile il passaggio al
livello della specialistica, lo
stesso dovrà essere eseguito in
day hospital o in day surgery.
[3] AA.VV, Swiss-noso, infezioni
nosocomiali e igiene ospedalie­
ra, volume 7, n. 1 marzo 2000.
[4] Rapporto Ministero Sanità sui
ricoveri ospedalieri anno 1999.
[5] Moruzzi M., Comunicazioni e reti
informatiche, in “Tendenze Nuo­
ve” n. 4/1999
[6] AA.VV, L’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri in Friuli Ve­
nezia Giulia, Foglio di informa­
zione dell’Agenzia regionale
della sanità, n.9 marzo 2001.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] Longo F., ASL, distretto, medi­
co di base. Logiche e strumenti
manageriali, EGEA Milano 1998.
[2] Ottone G., Le linee guida: qua­
lità clinica, organizzativa e gestionale, Mecosan 1997.
Guido Baldessarelli è Dirigente sostituto
il Servizio Economia sanitaria della
Provincia Autonoma di Trento.
L’azione di marketing
e i servizi per la salute
Vittorio Curzel
Liste di attesa troppo lunghe, screening
con adesioni inferiori alle aspettative.
Può il marketing dei servizi contribuire
a orientare i servizi all’utenza e l’utenza
ai servizi?
Servizi pubblici per la salute
“marketing oriented”?
Non vi è alcun dubbio sul fatto che
la salute sia un bisogno ampiamen­
te diffuso e condiviso. Ci si dovreb­
be dunque aspettare che gran parte
della popolazione, se non tutta,
adotti, nei comportamenti della vita
quotidiana, atteggiamenti favorevoli
alla salute. In realtà sappiamo che
non è sempre così.
Fra le cause di questa contraddi­
zione vi è anche una scarsa consa­
pevolezza degli effetti negativi per
la salute di determinati comporta­
menti.
Parlando poi della fruizione dei
servizi sanitari si può constatare
come non sempre vi sia un bilan­
ciamento ideale fra domanda e of­
ferta. Talvolta ci si trova di fronte a
liste d’attesa insostenibilmente lun­
ghe, tal altra a iniziative, come scre­
ening per la prevenzione di deter­
minate patologie, che non otten­
gono l’auspicata adesione della cit­
tadinanza.
I motivi di questo mancato in­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
contro fra domanda e offerta andreb­
bero forse cercati in errate analisi
dei bisogni, espressi o potenziali,
ma potrebbe esservi anche un in­
sufficiente o inefficace orientamen­
to dell’utenza alla fruizione dei ser­
vizi.
A queste due prime osservazioni
dovremmo aggiungere l’esigenza di
un progressivo passaggio della Pub­
blica Amministrazione da un model­
lo “burocratico”, rivolto al mero
adempimento di norme, a un mo­
dello “economico-aziendale”, indi­
rizzato al conseguimento dei risul­
tati e alla soddisfazione degli uten­
ti1 .
Tale esigenza si basa sulla con­
statazione che l’approccio burocra­
tico-istituzionale, per quanto riguar­
da l’offerta di servizi pubblici (sto­
ricamente e tendenzialmente indi­
visibili, generali e collettivi) mostra
tutta la sua inadeguatezza a fronte
di una domanda che si diversifica,
si sviluppa o si riduce, passando da
una richiesta di carattere indistinto
e generalista ad una di servizi divi­
sibili, e, per quanto possibile, for­
nibili “on demand” e modulabili “ad
personam” in un quadro complessi­
vo di efficienza, efficacia e traspa­
renza amministrativa.
Tale significativa modificazione
nelle condizioni di cessione dei ser­
vizi pubblici ha varie cause. Fra que­
ste vi è senza dubbio il fatto che,
se pur con variazioni anche note­
voli nei vari contesti territoriali, il
servizio pubblico opera oggi in una
situazione di concorrenza, potendo
il cittadino/cliente scegliere fra va­
rie alternative nell’ambito della stes­
61
Marketing dei servizi per la salute
62
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
sa offerta pubblica nonché fra pub­
blico e privato.
Il cittadino inoltre ha preso co­
scienza del suo ruolo di finanziato­
re in quanto contribuente e sa di
essere a pieno titolo parte interes­
sata (“stakeholder”) nel funziona­
mento e nel successo di un servizio
pubblico così come lo sarebbe un
azionista.
Nel contempo sa di avere un ruo­
lo necessario e attivo nel rapporto
di scambio di valore con la pubbli­
ca amministrazione che egli sostie­
ne. Tale scambio si concretizza sia
con il pagamento di un prezzo (ana­
logamente a quanto accade per la
fruizione di un servizio erogato da
privati), che con un corrispettivo
tariffario2 (per lo più per servizi in­
dividuali e divisibili) o tramite il ver­
samento di tributi (per la copertura
finanziaria di servizi collettivi e in­
divisibili).
Queste considerazioni hanno sug­
gerito a vari studiosi l’opportunità
di ricercare le possibili analogie fra
l’azione della pubblica amministra­
zione e quella delle aziende com­
merciali, per avvalersi (nelle fasi di
produzione, promozione e distribu­
zione di beni e servizi), pur con le
opportune modifiche, delle cono­
scenze ed esperienze sedimentate
nel marketing d’impresa.
Si noti che l’adozione di strumenti
di marketing appare necessaria an­
che nei casi in cui persista una si­
tuazione monopolistica del servizio
pubblico, sia per regolare o rivita­
lizzare la domanda di alcuni servi­
zi, che per adeguare ed equilibrare
l’offerta alla domanda, per indivi­
duare e realizzare possibili econo­
mie di scala e sviluppare curve di
esperienza al fine di migliorare l’ef­
ficienza.
Parlando di marketing applicato
all’operare della Pubblica Ammini­
strazione è necessario peraltro evi­
denziare alcune differenze. Nel con­
tempo si terrà anche conto che al­
cune organizzazioni come le Azien­
de sanitarie, pur non avendo fini di
lucro, svolgono alcune attività pro­
duttive che, dal punto di vista del
marketing, le rendono del tutto si­
mili ad aziende private e potrebbe­
ro pertanto essere interessate, in
alcuni casi, ad utilizzare, per la pro­
mozione della propria immagine e
delle proprie attività, anche tecni­
che tipiche del marketing tradizio­
nale.
Se ci riferiamo ai prodotti di im­
prese commerciali, sappiamo che ciò
che orienta l’acquirente è il biso­
gno di qualcosa che viene percepi­
to come indispensabile, necessario
o quantomeno utile per sé, sia nel­
la dimensione individuale che nella
vita sociale3 .
Tale bisogno si traduce in uno
stato di tensione verso la soddisfa­
zione del bisogno stesso, capace di
organizzare la percezione della re­
altà e di orientare il ragionamento
al fine di risolvere la situazione di
mancanza. Bisogni fondamentali
(come quello di nutrirsi) possono
tradursi nel desiderio di qualcosa di
specifico che possa soddisfarli (quel
dato alimento piuttosto di un al­
tro).
Riferendoci al marketing d’impre­
sa, potremmo dunque dire che i bi­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
sogni sono preesistenti e che il
marketing cerca di influenzare i de­
sideri.
A sua volta l’impresa, il cui sco­
po principale è di ottenere un pro­
fitto attraverso la produzione e lo
scambio di beni e servizi, viene
orientata dal mercato, nel senso che
è il cliente, attraverso i suoi acqui­
sti (di beni e servizi capaci di sod­
disfare i suoi bisogni) a determina­
re il successo economico di
un’azienda.
Ne deriva che il raggiungimento
degli obiettivi d’impresa presuppo­
ne tanto l’individuazione dei biso­
gni espressi dal mercato (inteso
come insieme dei potenziali com­
pratori che condividono lo stesso
genere di bisogni fondamentali e di
desideri specifici), quanto la defi­
nizione dell’ampiezza di tali biso­
gni e la determinazione dei prodot­
ti e dei servizi (e piani d’azione per
realizzarli) idonei a soddisfarli in
modo più efficace ed efficiente del­
la concorrenza.
In un processo produttivo di que­
sto tipo l’attività di marketing pre­
cede e accompagna la creazione del
prodotto (bene o servizio) e deve
proseguire anche oltre il momento
della vendita, onde consentire i con­
trolli (di qualità del prodotto e di
soddisfazione del cliente) e le even­
tuali modifiche.
Si può dunque asserire che il con­
sumatore/utente di fatto condizio­
na l’intero processo di scambio: pri­
ma, durante e dopo.
In questo senso il marketing è
una modalità dell’azienda di rappor­
tarsi al mercato, un atteggiamento
che prevede anche un particolare
63
Marketing dei servizi per la salute
64
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
modello di organizzazione e di ge­
stione aziendale. Certo non è l’uni­
co modo possibile.
Infatti, a fianco dell’orientamento
al marketing, che oggi tende a dif­
fondersi sempre più anche per
l’espandersi della cosiddetta “e-eco­
nomy”4 e per la forte competizione
presente nel mercato globale, sto­
ricamente si distinguono almeno
altri tre tipi di orientamento azien­
dali: l’orientamento alla produzio­
ne (ispirato dalla convinzione che
il consumatore preferisca prodotti
standardizzati, diffusi, a basso co­
sto), l’orientamento al prodotto
(dove si pensa che il cliente chieda
soprattutto qualità e continui mi­
glioramenti del prodotto) e infine
l’orientamento alla vendita (secon­
do il quale si ritiene il cliente vada
convinto con azioni di promozione
e di vendita aggressiva).
L’orientamento al marketing dif­
ferisce da questi tre modelli in quan­
to non si basa su convinzioni pre­
concette, ma assume la centralità
del cliente come principio guida
delle politiche e delle decisioni
aziendali. La soddisfazione del clien­
te diviene così lo strumento per
conseguire gli obiettivi d’impresa
(profitto) mentre la capacità di ri­
levarne e interpretarne correttamen­
te i bisogni e i desideri, cioè di as­
sumerne il punto di vista e di ascol­
to, diviene il presupposto del suc­
cesso aziendale.
Certamente per una Pubblica
Amministrazione l’obiettivo del pro­
prio esistere e operare non può es­
sere quello del profitto, ma piutto­
sto quello di raggiungere risultati
di interesse generale, come un buo­
no stato di salute dei cittadini, nel
rispetto dei principi fondamentali di
eguaglianza, imparzialità, continui­
tà, diritto di scelta, partecipazio­
ne, efficienza ed efficacia nell’ero­
gazione dei servizi5.
L’ “orientamento al marketing”
può interessare un ente pubblico la
cui azione sia finalizzata al conse­
guimento dei risultati e alla soddi­
sfazione degli utenti. In tal senso
la Pubblica Amministrazione dovreb­
be apprendere e far propria la filo­
sofia e, almeno in parte, il processo
gestionale caratteristici di un’impre­
sa “marketing oriented”, pur con
tutti gli adattamenti necessari.
Potremmo così riassume gli aspet­
ti principali di tale processo: i bi­
sogni del cittadino/cliente diven­
gono il punto di riferimento prima­
rio nella formazione di programmi e
piani; l’ente si dota delle strutture
e del personale idoneo a eseguire
azioni di marketing (raccolta infor­
mazioni, analisi, pianificazione, at­
tuazione, verifica); l’ente è in gra­
do di elaborare strategie e piani in­
novativi anche per obiettivi di lun­
go periodo.
Peraltro una Pubblica Amministra­
zione “marketing oriented” non si
limiterà ad assumere come centrali
i bisogni dell’utenza, ma attraverso
il processo gestionale di marketing
(marketing management) non solo
produrrà analisi, pianificazione,
realizzazione e controllo di pro­
grammi volti alla soddisfazione della
domanda, ma potrà anche influen­
zare il livello, i tempi di manifesta­
zione e la composizione della do­
manda stessa.
riscono l’opportunità di un approc­
cio “marketing oriented”.
Per quanto riguarda l’ambito del­
la sanità pubblica, per comprende­
re quanto la gestione della doman­
da sia importante per il buon fun­
zionamento di un servizio sanita­
rio, basterà ricordare, a titolo di
esempio, il problema delle liste di
attesa oppure l’opportunità di in­
centivare un corretto utilizzo dei
servizi della medicina di base sul
territorio come pure la necessità di
ridurre la spesa farmaceutica dovu­
ta ad un utilizzo non appropriato
dei farmaci.
In senso più generale, anche la
scelta di porre la persona al centro
degli interventi del Servizio sanita­
rio così come la necessità di elabo­
rare e promuovere progetti di salu­
te condivisi dalla comunità sugge­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Può il marketing d’impresa
funzionare come modello
per il marketing dei servizi
pubblici?
Cambiamenti cognitivi e d’azione
rientrano certamente fra gli obiet­
tivi tradizionali del marketing d’im­
presa così come possono rappresen­
tare obiettivi da perseguire nel
marketing dei servizi pubblici.
L’opportunità di avvalersi del
“know how” acquisito dal marketing
e dalla comunicazione d’impresa non
diminuisce peraltro la necessità di
integrare tali conoscenze con ricer­
che ed esperienze maturate sul cam­
po della progettazione, produzione
e promozione dei servizi da parte
della pubblica amministrazione.
È infatti necessario pervenire al­
l’elaborazione di strategie e stru­
menti specifici per il marketing dei
servizi pubblici, pena la possibilità
di mettere in atto iniziative tanto
superficiali quanto costose, tanto
inutili quanto irresponsabili, per gli
effetti dannosi che possono avere.
La valenza anche etica di tutte
le attività connesse con la tutela
della salute delle persone e della
comunità, impone evidentemente
un’attenzione ancor maggiore quan­
do si tratti di porre in atto iniziati­
ve di marketing pubblico in campo
sanitario.
Nell’ambito della funzione di
marketing il momento conoscitivo
(sistema informativo di marketing)
assume un ruolo rilevante e preli­
65
Marketing dei servizi per la salute
66
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
minare al processo decisionale.
Nel marketing d’impresa (e, te­
nendo conto delle specificità, delle
similitudini e delle differenze, an­
che nel marketing dei servizi) le informazioni da raccogliere riguarde­
ranno tanto aspetti interni all’azien­
da (vendite, clientela, costi, scorte
e risultati economici) quanto aspetti
inerenti il macro-ambiente (situa­
zione economico, politico, sociale,
etc.) e il micro-ambiente di riferi­
mento (concorrenza, domanda, di­
stribuzione). Saranno inoltre con­
dotte approfondite ricerche di mer­
cato (quantitative e/o qualitative)
riguardanti il prodotto (studi sull’immagine, la confezione, prove sui
prodotti propri e della concorrenza,
etc.), il mercato (quote di mercato
effettive e potenziali, mercati di
prova, canali di distribuzione), la
pubblicità (ricerche sui media, sul­
l’efficacia delle campagne, sulle mo­
tivazioni d’acquisto dei consumatori, etc.).
-
-
L’attività di pianificazione (pia­
no di marketing), attraverso la quale un’azienda commerciale definisce,
da questo punto di vista, le linee
generali del proprio sviluppo (e la
propria collocazione nel mercato) si
svolge attraverso varie fasi:
a) fasi della pianificazione strategi­
ca:
- analisi retrospettiva circa i risul­
tati delle attività pregresse;
- analisi del macro-ambiente ri­
guardante le variabili esterne all’impresa e non direttamente
controllabili, quali variabili so­
cio-culturali (stili di vita, cam­
biamenti culturali e nuovi valo­
-
-
ri, etc.), variabili tecnologiche
(innovazioni dei processi produt­
tivi o dei prodotti, fasi del ciclo
di vita del prodotto, …), variabili economiche (andamento dei
consumi e degli investimenti,
tassi di inflazione e di interes­
se, …) e variabili politiche e legislative (nuove leggi o regolamenti, norme che possono in­
fluenzare l’attività aziendale quali limitazioni o divieti, …);
analisi del micro-ambiente ine­
rente la domanda (bisogni, pre­
ferenze, fasi del mercato), la
concorrenza (prodotti, prezzi,
iniziative pubblicitarie), la distribuzione (struttura, organiz­
zazione e localizzazione della
forza vendita o dei punti di erogazione, copertura del merca­
to,...);
analisi delle risorse disponibili,
cioè delle risorse finanziarie,
delle capacità produttive, dei
mezzi logistici e commerciali;
definizione della “mission”, vale
a dire individuazione del ruolo
dell’azienda nel mercato e nel­
l’ambiente di riferimento, in relazione allo sviluppo dell’attivi­
tà e all’identificazione dei biso­
gni che i suoi prodotti soddisfano;
determinazione degli obiettivi, in
scala di priorità e a partire dalla
conoscenza dei punti di forza e
di debolezza dell’azienda, in rap­
porto all’ambiente (compresa la
concorrenza) e alle risorse dispo­
nibili;
definizione delle strategie, in una
prospettiva di medio-lungo pe­
riodo, per quanto riguarda i pro­
dotti (modifica o ritiro di pro­
dotti esistenti, lancio di nuovi),
dopo aver suddiviso il mercato
in gruppi di consumatori/utenti
omogenei (segmentazione) 6 ,
aver scelto i segmenti- obietti­
vo (target-group) ed aver posi­
zionato il prodotto sul mercato
(anche con riferimento ai pro­
dotti concorrenti);
b) fasi inerenti la realizzazione ope­
rativa:
- sviluppo dei programmi d’azione,
per l’attuazione delle scelte stra­
tegiche sul breve periodo (un
anno o meno) e definizione del
”marketing mix” (prodotto, prez­
zo, distribuzione, promozione);
- valutazione dell’efficacia, trami­
te controlli sull’attuazione dei
programmi strategici e dei piani
operativi annuali, feed back sulle
varie fasi e attivazione di even­
tuali azioni correttive.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Il marketing dei servizi:
le sue specificità
Sebbene la produzione di servizi rap­
presenti il principale comparto del
sistema economico dei paesi avan­
zati, soltanto in tempi relativamente
recenti lo studio e la riflessione
teorica si sono estesi anche al
marketing dei servizi ed hanno ini­
ziato a considerare le attività svol­
te anche da organizzazioni senza
fini di lucro, pubbliche o private.7
Pur riconoscendo che sia i beni
materiali che i servizi possono in­
tendersi come prodotti, in quanto
capaci di soddisfare un bisogno
(cioè in quanto “offerta” rispetto ad
una “domanda” esistente o poten­
ziale) e tenendo conto che ogni or­
ganizzazione cerca gli strumenti e
le azioni più efficaci per accrescere
il consenso verso la propria attività
e l’interesse verso i propri prodotti,
va tuttavia evidenziato che un ap­
67
Marketing dei servizi per la salute
68
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
proccio di marketing ai servizi ri­
chiede l’elaborazione di strategie e
un utilizzo del “marketing mix” par­
ticolari e specifici.
Così come si dovranno conside­
rare le diverse situazioni, interne e
di mercato, che ogni singolo ente
si troverà ad affrontare, nel perse­
guire i propri specifici obiettivi, a
seconda, per esempio, che si tratti
di organizzazione di carattere pub­
blico o privato, che tale organizza­
zione produca o meno servizi fina­
lizzati alla vendita, che vi sia da
parte del cittadino un esborso di­
retto al momento dell’erogazione del
servizio, piuttosto che indiretto e
spostato nel tempo attraverso il si­
stema della tassazione.
È chiaro che l’estensione del con­
cetto di marketing a tutte le orga­
nizzazioni pubbliche o private, profit
o no-profit8, da una parte moltipli­
ca i soggetti e i prodotti che pos­
sono essere interessati da attività
di marketing, ma dall’altra compor­
ta la necessità di individuare i com­
piti che di volta in volta il marke­
ting viene ad assumere.
Nel caso delle organizzazioni sen­
za fine di lucro l’ambito di azione
(ma anche di studio e di ricerca)
riguarderà, fra gli altri, ambiti come
l’acquisto e la fruizione di beni o di
servizi pubblici da parte del consu­
matore, le politiche di prodotto, di
prezzo, di distribuzione e di promo­
zione, il quadro istituzionale e nor­
mativo inerente la produzione di
beni pubblici e la loro promozione,
l’impatto della pubblicità sociale
(come, in Italia, le campagne “Pub­
blicità Progresso”) sui comporta­
menti o della pubblicità politica sul
voto, l’efficienza dei sistemi distri­
butivi, la valutazione e i limiti del­
le azioni di marketing.
Per quanto riguarda il tema af­
frontato in questo scritto, tornan­
do al ragionamento su similitudini
e differenze fra marketing d’impre­
sa e marketing dei servizi pubblici,
possiamo in ogni caso dire che nell’uno e nell’altro caso i soggetti pro­
duttori di beni e servizi:
- devono fare i conti con risorse a
disposizione (di personale e finan­
ziarie) limitate;
- la loro gestione deve essere effi­
cace ed efficiente;
- devono cercare di raggiungere i
propri obiettivi;
- operano in un ambiente competi­
tivo.
Le caratteristiche che invece con­
traddistinguono nello specifico le
organizzazioni no-profit (come
un’azienda sanitaria locale) sono
essenzialmente le seguenti:
- operano in un contesto in cui
coloro che forniscono i finanzia­
menti non sempre coincidono, in
maniera diretta, con coloro che
fruiscono dei servizi. A essi si ag­
giungono peraltro altri pubblici
che possono influenzare comun­
que le attività dell’organizzazio­
ne9 ;
- lo scopo primario non è il profit­
to, ma finalità diverse e non sem­
pre convergenti come, per esem­
pio, soddisfare contemporanea­
mente un bisogno sociale, l’esi­
genza di contenimento della spe­
sa e un indirizzo politico;
- la struttura organizzativa ha spes­
so un carattere burocratico con
una gerarchia di ruoli complessa,
non di rado con difficoltà di defi­
nizione delle responsabilità e vin­
coli amministrativi che rallenta­
no i processi decisionali e l’ope­
ratività.
Ricordando anche che l’erogazio­
ne di un servizio potrà essere lega­
ta o meno a un prodotto fisico e
che un servizio potrà essere offerto
anche insieme ad altri “servizi au­
siliari” in un “pacchetto di servi­
zi”10, si dovrà sottolineare il fatto
che la produzione e fruizione di ser­
vizi ha caratteristiche del tutto pe­
culiari quali ad esempio l’intangi­
bilità (o immaterialità), l’insepara­
bilità, la grande eterogeneità, l’im­
possibilità di creare stock di magaz­
zino.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Ciò rende possibili, innanzi tut­
to, le seguenti tipologie di azioni
di marketing dei servizi:
- adattare il servizio alle esigenze
degli utenti: la contestualità tra
produzione e fruizione di un ser­
vizio rende possibili “servizi su mi­
sura”, personalizzati anche in base
ad una “profilazione” 11 del clien­
te. Il controllo del livello di sod­
disfazione dell’utenza, così come
la capacità di ascolto e la raccol­
ta di suggerimenti e reclami sono
in ogni caso strumenti importan­
ti per migliorare la qualità del ser­
vizio;
- prestare attenzione agli elementi
tangibili associati al servizio: l’am­
biente in cui il servizio viene ero­
gato, l’abbigliamento, l’atteggia­
mento e la capacità dell’operato­
re di comunicare con l’utente e
altri elementi tangibili possono
essere considerati dal cittadino
come aspetti su cui valutare la
qualità della prestazione. E’ dun­
que importante una loro accurata
gestione;
- rappresentare tangibilmente il ser­
vizio: attività di comunicazione
che illustrino i benefici che si pos­
sono trarre dalla fruizione, crea­
zione di marchi di prodotto, ela­
borazione di strategie di diffe­
renziazione anche attraverso la
distribuzione di beni tangibili
(come pubblicazioni, opuscoli il­
lustrativi o gadget) possono in­
crementare la fiducia del cittadi­
no/cliente;
- riequilibrare domanda e offerta:
l’impossibilità di immagazzinare
servizi comporta la necessità di
regolare per quanto possibile il
69
Marketing dei servizi per la salute
70
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
flusso della domanda e nel con­
tempo di rendere più flessibile la
produzione. Azioni di riequilibrio
possono essere intraprese sia dal
lato della domanda sia dal lato
dell’offerta (vedi paragrafo succes­
sivo).
È interessante notare come in tale
prospettiva l’utente può essere par­
te attiva nella produzione-erogazio­
ne del servizio (controllo di quali­
tà, definizione di servizi persona­
lizzati, self-service). Questa integra­
zione delle funzioni consumatore/
produttore va nell’auspicata direzio­
ne dell’empowerment della popola­
zione e della corresponsabilizzazio­
ne del cittadino-utente nella gestio­
ne della propria salute e nella ge­
stione del servizio sanitario pubbli­
co12.
Ciò peraltro implica una maggio­
re attenzione alla formazione e al­
l’aggiornamento del personale che
opera a contatto con l’utenza, al
quale dovrebbe essere fornita una
preparazione almeno di base nell’ambito della comunicazione e del
marketing dei servizi. Nel contem­
po l’Ente, nell’ottica del marketing
interno, dovrà considerare i propri
dipendenti come acquirenti del si­
stema dei valori aziendali, poiché
solo se essi condivideranno tali va­
lori, saranno invogliati a svolgere
le proprie mansioni nel modo mi­
gliore.
Il marketing e la gestione
della domanda di servizi
pubblici per la salute
Come è noto il marketing si propo­
ne prima di tutto di influenzare le
caratteristiche e i tempi di manife­
stazione della domanda.
Così come in qualsiasi altro am­
bito della fornitura di beni e servi­
zi, anche nel campo della salute ci
si potrà trovare di fronte a queste
tipologie di domanda:
a) domanda negativa, assente o in­
sufficiente: quando la popolazione
tendenzialmente rifiuta il prodotto/
servizio oppure manifesta disinte­
resse (come talvolta succede, per
esempio, nel caso di campagne di
vaccinazione o di screening). Una
domanda insufficiente rispetto alla
capacità di erogazione produce un
sottoutilizzo del servizio, con con­
seguente spreco di risorse (e possi­
bili danni a carico della salute). Le
ragioni di una domanda insufficiente
possono essere molteplici: mancan­
za di un’informazione adeguata (dal
punto di vista del messaggio, del
mezzo, del luogo o del tempo della
comunicazione); sopravvalutazione
della domanda o errata interpreta­
zione delle aspettative; qualità in­
sufficiente del servizio offerto e
conseguente allontanamento del­
l’utenza.
Si cercherà quindi di analizzare e
comprendere i motivi del rifiuto o
dell’indifferenza, per produrre poi
azioni che favoriscano modifiche in
positivo delle conoscenze e degli
atteggiamenti dei cittadini. Se ne­
cessario si dovrà anche procedere
ad una “revisione” del servizio, per
poi avviare una campagna promo­
zionale come se si trattasse di un
“nuovo” servizio;
b) domanda latente: quando nessun
prodotto/servizio esistente soddisfa
una domanda diffusa fra la popola­
zione. Misurate le dimensioni di
questo mercato potenziale si valu­
terà l’opportunità di sviluppare i
servizi per soddisfare tale doman­
da. Un’attenzione particolare va
evidentemente rivolta alla eventua­
le domanda latente di servizi nel
campo della salute, trattandosi di
un ambito di prioritario interesse
pubblico, in quanto coerente con
l’obiettivo generale del raggiungi­
mento di più elevati livelli di quali­
tà della vita della cittadinanza;
c) domanda eccessiva: quando la ri­
chiesta supera, sistematicamente o
quantomeno per periodi piuttosto
lunghi, il livello di capacità di ero­
gazione e quindi le possibilità di
soddisfarla. Se, per vari motivi strut­
turali (insufficienti risorse umane,
tecnologiche, economico-finanzia­
rie, etc.), non si ritiene possibile
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
aumentare la produzione di quel
dato bene o servizio, o qualora si
valuti che la domanda sovrabbon­
dante sia impropria rispetto alle fun­
zioni istituzionali della pubblica
amministrazione, si dovranno adot­
tare azioni di “demarketing” (anche
selettive, rivolte cioè a quei gruppi
di consumatori che si ritiene pre­
sentino minori necessità di quel
servizio) per ridurre la domanda. Gli
strumenti utilizzabili possono essere
l’aumento dei prezzi/tariffe (per
tutti o solo per alcune categorie di
utenti), una riduzione delle attività
di promozione o un’attività di co­
municazione finalizzata a illustrare
eventuali alternative nell’offerta o
a persuadere gli utenti a verificare
autonomamente se la propria richie­
sta corrisponda ad un effettivo bi­
sogno. Si dovrà in ogni caso consi­
derare che ogni tentativo di ridu­
71
Marketing dei servizi per la salute
72
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
zione della domanda, qualora non
si abbiano (o non si sia capaci di
comunicare) ragioni inoppugnabili
per motivarla, tenderà comunque a
riverberarsi negativamente sull’im­
magine dell’ente. Sarebbe pertanto
opportuno valutare possibilità alter­
native quali: sviluppo di servizi com­
plementari che permettano di ge­
stire meglio la domanda sovrabbon­
dante riducendo i costi non mone­
tari (per es. diminuzione dei tempi
d’attesa); azioni volte a coinvolge­
re l’utente nella coproduzione del
servizio (qualora vi sia la possibili­
tà di semplificare alcune fasi del­
l’erogazione attraverso procedure
automatizzate o self service, per es.
nella prenotazione o nel pagamen­
to del servizio); azioni di coinvol­
gimento della cittadinanza in ero­
gazioni aggiuntive (per es. attraver­
so il ricorso al volontariato, là dove
possibile);
d) domanda irregolare: quando si
verificano ricorrenti momenti di sot­
toutilizzo e/o di sovrautilizzo del
servizio, perché la domanda si pre­
senta con intensità diversa (in rap­
porto a differenti fasi orarie, gior­
naliere, stagionali, annuali) o co­
munque in modo non sincronico con
l’andamento fisiologico della orga­
nizzazione dell’offerta, solitamente
regolare e poco flessibile. Si attue­
ranno allora attività di “syncro­
marketing” per influenzare i tempi
di consumo, attraverso azioni di
comunicazione persuasiva/dissuasi­
va per indurre nuovi comportamen­
ti nell’utenza (per es. illustrando i
vantaggi ottenibili dal fruire il ser­
vizio in periodi di minore richiesta);
attraverso efficienti sistemi di pre­
notazione; attraverso l’uso flessibi­
le del prezzo/tariffa o attraverso la
proposizione di incentivi o la crea­
zione di pacchetti di servizi aggiun­
tivi al servizio base, per utenti che
decidono di usufruire del servizio nei
periodi di minore afflusso (con la
possibilità di attirare così anche
nuovi segmenti di utenza). E’ chia­
ro che, per quanto riguarda i servizi
per la salute, buona parte di tali
strategie potranno essere applicate
soltanto nei casi in cui la soddisfa­
zione della domanda potrà essere
trasferita in momenti di minor af­
follamento del servizio senza dan­
no per l’utente. Certo non è questo
il caso di molti servizi connessi con
la diagnosi e la cura (nonostante
sia proprio in tali ambiti che non di
rado si hanno liste d’attesa inso­
stenibilmente lunghe), ma può es­
serlo efficacemente per esempio nel
caso di alcune attività di preven­
zione e di riabilitazione.
Esiste evidentemente anche il
caso di una domanda nociva: quan­
do la domanda si rivolge a prodotti
nocivi per la salute come le droghe,
il fumo, l’alcool, etc. Azioni di “con­
tromarketing” avranno come obiet­
tivo la riduzione o, per quanto pos­
sibile, l’azzeramento di tale doman­
da.
Per quanto riguarda la fonte del­
la domanda di servizio potremo tro­
varci di fronte a:
a) domande individuali: quando il
servizio è richiesto da un cit­
tadino o da un qualsiasi sog­
getto pubblico o privato (per
esempio un’azienda zootecnica
nel caso della medicina veteri­
naria);
b) domande collettive: quando la
richiesta attiene a servizi di cui
la comunità fruisce in modo in­
distinto (per es. il controllo
della potabilità dell’acqua o
dell’inquinamento ambientale);
c) domande socialmente organiz­
zate: quando i servizi sono ri­
chiesti da particolari gruppi di
popolazione, da rappresentan­
ze organizzate o di categoria o
da gruppi di interesse colletti­
vo (per es. visite sanitarie di
routine o campagne di sicurez­
za dell’ambiente di lavoro per
particolari gruppi di lavorato­
ri);
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
d) domande a carattere misto:
quando la domanda proviene
dalla collettività e riguarda fa­
sce estese della popolazione,
ma il servizio viene fruito indi­
vidualmente (per es. il servizio
di assistenza domiciliare per gli
anziani o l’invio di informazio­
ni mirate a segmenti della po­
polazione come i portatori di
handicap).
Nell’ambito del marketing appli­
cato ai servizi sanitari appare di par­
ticolare interesse l’analisi dei costi
che il pubblico percepisce come
valore da pagare per acquisire un
dato servizio e il correlato benefi­
cio.
Tali costi potranno essere non
soltanto economici, ma anche psi­
cologici (come quando è richiesto
di cambiare opinioni e/o compor­
tamenti abituali o profondamente
radicati, per es. rispetto ai farma­
ci), di tempo e di energia (distanza
dell’ambulatorio, difficoltà burocra­
tiche, etc.).
In generale i benefici ricevuti in
cambio saranno fondamentalmente
di tre tipi: economici (beni e servi­
zi), sociali (stima, approvazione,
riconoscenza,…) e psicologici (au­
tostima, gratificazione, sicurez­
za...). Nel caso dei servizi per la
salute un beneficio di carattere ge­
nerale quale il ristabilire o il con­
servare uno stato di benessere fisi­
co e psicologico, si antepone e rias­
sume tutti gli altri benefici.
Il marketing dei servizi farà dun­
que leva sull’aumento del livello di
soddisfazione e sulla diminuzione
dei costi percepiti, in un contesto
73
Marketing dei servizi per la salute
di gestione efficace ed efficiente,
tendendo al miglior utilizzo possi­
bile delle risorse in relazione agli
obiettivi, alle opportunità offerte
dal mercato (inteso come anche
macro ambiente di riferimento) e ai
fattori ambientali contingenti.
74
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Nell’ambito delle attività finaliz­
zate a favorire l’incontro fra doman­
da e offerta di servizi sanitari non­
ché la riduzione dei costi percepiti
da parte dei cittadini, appaiono di
grande interesse le iniziative sperimentali adottate da alcuni studi
associati di medicina generale, sia
nella città capoluogo che nelle val­
li trentine. Tali iniziative consento­
no agli assistiti, per esempio, di
prenotare le visite ambulatoriali via
e-mail oppure di fruire di un ambu­
latorio aperto otto ore al giorno,
grazie alla rotazione dei medici. Si
noti come ciò possa non solo mi­
gliorare il servizio, ma anche com­
portare un minor ricorso al pronto
soccorso (con beneficio sia per gli
utenti che per le strutture ospeda­
liere) e possa favorire in prospetti­
va una maggior integrazione fra i
medici associati, con un proficuo
continuo scambio di esperienze e
competenze professionali, a vantag­
gio anche della precisione della dia­
gnosi e della appropriatezza della
cura.
Nel marketing dei servizi pubbli­
ci la comunicazione con il pubblico
ha un ruolo determinante. Sulla base
delle ricerche di marketing e delle
scelte strategiche successive si de­
termineranno infatti gli obiettivi
della comunicazione e il mix pro­
mozionale, individuando i destinatari, elaborando il messaggio, sce­
gliendo i canali, i tempi e i luoghi
della comunicazione.
Sono essenzialmente tre gli obiet­
tivi che si possono assegnare ad
un’attività di comunicazione:
accrescere la conoscenza e la con­
sapevolezza, stimolare modifiche di
opinioni/atteggiamenti, indurre
particolari comportamenti desidera­
ti.
Le attività di comunicazione an­
dranno pianificate seguendo queste
fasi:
- analisi della situazione e segmen­
tazione: si segmenta il mercato
per poter individuare nella popo­
lazione i gruppi obiettivo (target)
più appropriati in relazione alle
caratteristiche demo-socio-psico­
grafiche degli utenti, alla perce­
zione del prodotto e della concor­
renza, alla fase del ciclo di vita
del prodotto/servizio, alle poten­
zialità del mercato13, agli obiet­
tivi dell’ente o dell’azienda, al­
l’ambiente socio-economico, ai
vincoli normativi, alle risorse fi­
nanziarie disponibili per la cam­
pagna di comunicazione;
- definizione del target e degli obiet­
tivi: viene precisato l’obiettivo, il
grado di cambiamento atteso, i
tempi necessari;
- definizione delle strategie: vengo­
no individuati gli strumenti da
utilizzare (mix promozionale: pub­
blicità, pubbliche relazioni, pro­
mozione vendite, etc.) e le relati­
ve scelte tattiche (p.es nel caso
della pubblicità: elaborazione del
contenuto e della forma del mes­
saggio, dei supporti per veicolar­
Infosanità 12:
“Guida ai servizi
per le persone
in situazione
di handicap”,
a cura di Sergio Poli
La Collana
Infosanità
è dedicata
all’informazione
istituzionale
nell’ambito
del Progetto
“Comunicazione
per la salute” della
Provincia Autonoma
di Trento.
lo, dei canali e dei tempi per la
diffusione…);
- valutazione: vengono effettuati
test ex-ante su scala ridotta, sul­
l’efficacia della campagna (del
messaggio, dei canali, etc) in iti­
nere, ex-post per valutare i risul­
tati complessivi. Nonostante com­
portino costi notevoli tali valuta­
zioni sono di grandissima utilità
per consentire correzioni tempe­
stive nel caso si riscontrino risul­
tati insoddisfacenti della campa­
gna.
Non si deve comunque sottova­
lutare il fatto che anche gli altri
strumenti del marketing (prodotto,
prezzo, distribuzione) svolgono di
fatto, funzioni comunicative.
Il prodotto infatti non è solo qual­
cosa di tangibile (con particolari
caratteristiche sostanziali e forma­
li, un livello qualitativo, una “mar­
ca” e una “confezione”), ma è al
contempo “metaprodotto” capace di
comunicare al consumatore anche
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
un insieme di aspetti intangibili
(concetti, valori simbolici, associa­
zioni psicologiche, modi di vedere
il mondo…) che derivano non solo
dal prodotto, ma anche dai servizi
offerti dall’azienda, dall’immagine
della stessa, etc.
Il prezzo incide sulla valutazione
del prodotto, è o può essere inter­
pretato come indice della sua qua­
lità, ma anche come segno di sta­
tus o di potere per il consumatore.
Il prezzo può essere inoltre consi­
derato eccessivo, ancor più se som­
mato ad altri costi della transazio­
ne (tempi, distanze, etc.).
Infine nell’ambito della distribu­
zione il personale di contatto inte­
ragisce con l’utente con modalità
verbali e non verbali: può comuni­
care o meno efficienza e competen­
za, fiducia e disponibilità, mentre
l’ambiente può essere più o meno
confortevole, accogliente e funzio­
nale, influenzando così l’immagine
di affidabilità dell’azienda.
Non si deve dunque trascurare
l’importanza delle connotazioni sim­
boliche che la comunicazione di
marketing può veicolare. La maggior
parte degli scambi implica infatti
sia aspetti utilitaristici che aspetti
simbolici fra loro difficilmente se­
parabili. Le motivazioni che muo­
vono il consumatore all’acquisto o
il cittadino alla fruizione di un ser­
vizio, generalmente non dipendono
soltanto dalle caratteristiche tan­
gibili del prodotto, ma anche da
valori simbolici connessi allo stes­
so o al suo utilizzo. Il prodotto vie­
ne così ad assumere, accanto a fun­
zioni d’uso, anche funzioni di
espressione del sé nonché di me­
75
Marketing dei servizi per la salute
76
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
diazione, rinforzo o sostituzione di
interazioni sociali14. Tanto che, in
una prospettiva semiologica, i beni
e i servizi, connotati anche dai mol­
teplici significati loro attribuiti dalle
attività di promozione e da altri pro­
cessi culturali e sociali, si presen­
tano “soprattutto come un sistema
di comunicazione per la produzio­
ne, la trasmissione e lo scambio di
messaggi”15. In questo senso tutti
i prodotti sono portatori di un si­
gnificato la cui interpretazione ed
esplicitazione (attraverso gli stru­
menti della semiotica) potrebbe
consentire una più efficace scelta
dei concetti da veicolare in una cam­
pagna promozionale e potrebbe fa­
cilitare l’individuazione degli ele­
menti - da utilizzare nella comuni­
cazione - che costituiscono l’origi­
nalità e la “peculiarità semantica”
di un dato bene o servizio nonché
le differenti espressioni di senso
(complementari e non contraddit­
torie) utilizzabili sui vari media per
promuoverlo.
Pur nella loro evidente specifici­
tà d’ambito i servizi per la salute
non possono essere ritenuti del tut­
to esenti da queste considerazioni.
Si pensi per esempio al fatto che
determinate richieste di attivazio­
ne di servizi sul territorio, quali
ambulatori specialistici, reparti
ospedalieri o altre strutture socio­
sanitarie, da parte di amministra­
tori e comunità locali, potrebbero
talvolta derivare da cause diverse
da un effettivo bisogno (a cui tal­
volta si può comunque più effica­
cemente rispondere con strutture
centralizzate o comunque in un con­
testo di “rete” territoriale), dato che
la presenza di tali strutture può es­
sere connotata anche con valori
simbolici connessi al prestigio po­
litico di un amministratore, al con­
senso sociale, a questioni di cam­
panilismo e di localismo esaspera­
to.
Va anche detto che parte del si­
gnificato di cui un dato prodotto è
portatore può derivare dalle relazioni
instauratesi con altri prodotti, che
potrebbero anche non essere di tipo
funzionale, ma costituirsi in rap­
porto di complementarità simboli­
ca nell’ambito di determinati ruoli
o situazioni sociali16. Questo, nella
elaborazione di una strategia di
marketing può suggerire di tenere
conto di quali siano i legami di con­
sumo, cioè dell’insieme di prodotti
(beni e/o servizi) utilizzati per sod­
disfare un determinato bisogno e le
regole di combinazione che li col­
legano, come pure quali caratteri­
stiche di un determinato prodotto
rimandino alla categoria dei prodotti
simili. La comprensione di tali rela­
zioni può risultare di grande utilità
nella segmentazione del mercato e
nella definizione del target, così
come nel design e nel posizionamen­
to o riposizionamento di un prodotto
e nella definizione delle strategie
di comunicazione.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Il marketing come strumento
di legittimazione e di equilibrio
economico nella gestione
dei servizi.
La legittimazione di un ente pub­
blico, si è detto, non può più fondarsi soltanto sulla coerenza formale
dell’operare amministrativo con le
norme vigenti, ma anche sul rispet­
to sostanziale di un contratto pat­
tuito con il cittadino “cliente” (in
quanto dotato di capacità sogget­
tiva di scegliere fra enti erogatori
diversi, pubblici e privati) e “azio­
nista” (in quanto contribuente),
circa l’erogazione di servizi, in un
rapporto fra produttore e utente di
convenienza, utilità e soddisfazio­
ne.
Se si è d’accordo con tale enun­
ciato di principio allora si dovrà gio­
coforza convenire che la capacità
di fornire servizi pubblici adeguati
(qualitativamente e quantitativa­
mente) alla domanda dei vari seg­
menti della popolazione, passa ne­
cessariamente attraverso la capaci­
tà della pubblica amministrazione
di leggere, interpretare e prevedere
(e se necessario orientare) i biso­
gni della cittadinanza, nonché di
progettare e implementare i servizi
idonei, tenendo conto anche del­
l’evoluzione dei connessi assetti
istituzionali, organizzativi, produt­
tivi.
L’azione di marketing applicata ai
servizi erogati dall’ente pubblico,
anche nel campo della salute e del­
l’assistenza sanitaria, risponde dun­
que a questa specifica esigenza di
legittimazione.
Nel contempo l’introduzione de­
77
Marketing dei servizi per la salute
78
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
gli strumenti previsionali e di ana­
lisi della domanda propri del marke­
ting può contribuire significativa­
mente alla razionalizzazione dei ser­
vizi e a un loro corretto dimensio­
namento, riducendo inefficienze e
sprechi e promuovendo l’equilibrio
economico.
Anticipando la domanda tali stru­
menti consentono, per esempio, di
attrezzare per tempo le strutture con
le tecnologie, la formazione del per­
sonale e le modifiche organizzative
necessarie per un miglioramento
nell’erogazione dei servizi (si pensi
a questo proposito alla rilevanza e
nel contempo alle difficoltà incon­
trate nell’introduzione delle tecno­
logie telematiche in ambito sanita­
rio), così come possono contribuire
a una redistribuzione guidata della
domanda e all’adozione di modalità
di erogazione dei servizi più flessi­
bili (per esempio per quanto riguar­
da la gestione delle liste di attesa).
Tutto questo nell’ambito di un
miglioramento continuo della qua­
lità che, d’altra parte, per quanto
riguarda il Trentino, l’Azienda pro­
vinciale per i Servizi sanitari, indi­
ca come una delle tre direttrici stra­
tegiche aziendali17, accanto alla pro­
mozione della salute e alla gestio­
ne aziendale, anch’essi, spazi di
auspicabile azione del marketing dei
servizi, che si configura pertanto
come strumento trasversale nelle
varie fasi di progettazione, produ­
zione, promozione, distribuzione e
valutazione18, strumento della cui
utilità ormai nessuno più dubita e
a cui non ha davvero senso rinun­
ciare.
NOTE
1
Su questo tema e sulle sue im­
plicazioni nelle attività di co­
municazione pubblica nell’am­
bito della salute, vedi anche
V.Curzel, Information & Commu­
nication Technology nella Comu­
nicazione per la salute, in Pun­
to Omega, Nuova Serie, Anno
I, n.1, Provincia Autonoma di
Trento, 1999
2
La “tariffa” si applica a uno
scambio laddove, per scelte di
carattere politico-economico­
sociale (in considerazione di
priorità imprescindibili connes­
se ai bisogni della popolazio­
ne), i ricavi per la P.A. sono
uguali o inferiori ai costi so­
stenuti. La logica sottesa è
quella del rapporto costi-bene­
fici. Il “prezzo” è l’espressione
di una transazione ove i ricavi
sono uguali o maggiori rispet­
to ai costi. In tal caso il rap­
porto di scambio si basa sullo
stretto calcolo economico e sul
confronto fra i prezzi di servizi
analoghi offerti da enti pubblici
e/o privati concorrenti.
3
Secondo la nota teoria di Maslow possiamo raggruppare i bi­
sogni in cinque grandi catego­
rie, in ordine gerarchico cre­
scente: fisiologici, di sicurez­
za, di appartenenza, di stima,
di autorealizzazione. Man mano
che vengono soddisfatti i biso­
gni appartenenti a un dato li­
vello l’individuo sente la neces­
sità di soddisfare quelli appar­
(vol. 35, luglio 1971) dello
stesso Journal of Marketing si
occupa del ruolo che il marke­
ting può assumere in riferimento ai cambiamenti sociali e am­
bientali, riportando anche un
articolo di P.Kotler e G.Zaltman
(“Social Marketing: An Approa­
ch to Planned Social Change”,
pagg. 3-12) dove si introducono il concetto di marketing so­
ciale e le possibili applicazioni
per la soluzione di problemi so­
ciali.
A testimonianza della crescen­
te diffusione, in primis nel Nord
America, del marketing dei ser­
vizi anche in ambito sanitario
si può citare la nascita negli
anni ’80 di riviste specializza­
te come il Journal of Health Care
Marketing o il Journal of Ho­
spital Marketing.
tenenti al livello gerarchico
superiore.
4
Vedi D.F.Aldrich, P.Masera, Il
Mercato digitale. Strategie e mo­
delli per dominare la nuova eco­
nomia, Ed. Il Sole 24 ORE, Mi­
lano, 2000.
5
Cfr. Direttiva del Presidente del
Consiglio dei Ministri 27.1.1994
“Principi sull’erogazione dei ser­
vizi pubblici”, G.U. 22.2.1994,
n.43
6
Per una sintesi del concetto di
segmentazione, con particola­
re riferimento alla comunicazione e al marketing pubblico per
la salute, si veda V.Curzel, “Pro­
mozione della salute e Marke­
ting sociale”, in Punto Omega
– Quadrimestrale del Servizio
sanitario del Trentino, anno 3,
n. 5/6, Provincia Autonoma di
Trento, 2001, pagg. 46-47. Per
un approfondimento vedi G.
Fiorentini, “Il Marketing dello
Stato”, Editrice Bibliografica,
Milano 1995, pagg. 39-78
7
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
L’estensione del campo di ap­
plicazione del marketing oltre
il mondo dell’impresa viene proposta per la prima volta da
P.Kotler e S.J.Levy in un arti­
colo (“Broadening the concept
of marketing”) pubblicato nel
1969 sul Journal of Marketing
(vol.33 – January, pagg. 10­
15). Al tema viene dedicato un
convegno dell’American Marke­
ting Association dell’anno suc­
cessivo e un intero numero
8
“opera secondo una logica di
marketing ogni organizzazione
che cerchi di conseguire una
risposta nei confronti di una
qualche offerta”, P.Kotler,
Marketing Management, ISEDI,
Torino 1986. Secondo lo stesso
Autore l’essenza del marketing
è nello scambio di valori tra due
parti. La transazione non necessariamente è di tipo econo­
mico e la risposta all’offerta
potrebbe essere anche intangi­
bile come una modifica com­
portamentale o l’adesione a una
determinata idea, o un senti­
mento di gratitudine o di con­
senso, etc.
9
J.L. Crompton e C.W. Lamb
79
Marketing dei servizi per la salute
80
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
(Marketing Government and So­
cial Services, J.Wiley & Sons,
New York, 1986) distinguono gli
interlocutori di un servizio pubblico in pubblici primari (i
clienti e i dipendenti del servi­
zio, i sostenitori, l’opinione
pubblica), secondari (responsa­
bili amministrativi e politici,
concorrenti e fornitori) e ter­
ziari (mass media, organizzazio­
ni sindacali e di categoria,
gruppi d’interesse, etc.)
10 Per esempio, parlando di servi­
zi sanitari, il servizio centrale
in un ospedale sarà costituito
dalla prestazione terapeutica,
mentre saranno servizi periferi­
ci l’atteggiamento degli opera­
tori sanitari e la loro capacità
di comunicare con il paziente/
utente, il servizio “alberghie­
ro”, il comfort dell’ambiente, il
servizio prenotazioni, il servi­
zio reclami... Si noti che nelle
situazioni competitive in cui i
servizi centrali offerti da diver­
si enti pubblici e/o privati sono
sostanzialmente simili, la dif­
ferenziazione (il vantaggio
competitivo) e la preferenza
degli utenti potrebbero giocar­
si proprio sui servizi periferici.
11 Per esempio, nella erogazione
di servizi interattivi on line da
parte di portali web, è sempre
più diffusa la possibilità di ac­
cedere a servizi personalizzati,
sulla base di un profilo cliente
costruito con i dati raccolti nel
corso delle precedenti visite al
medesimo sito da parte di quel
dato utente. Ciò apre peraltro
non pochi interrogativi nell’am­
bito della tutela della privacy
e dell’utilizzo dei dati personali
in tal modo raccolti.
12 Il concetto di “empowerment”
ricorre in numerosi documenti
OMS. Cfr. “Health21: La salute
per tutti nel 21° secolo” (1998),
“Carta di Ottawa per la promo­
zione della salute” (1986), “Di­
chiarazione di Atene sulle Città
Sane” (1998), “Carta di Lubia­
na sulle Riforme della Sanità”
(1996) ed altri precedenti documenti OMS, pubblicati, nella
versione italiana”, sui numeri
2/3 (Agosto 2000) e 5/6 (Ago­
sto 2001) di “Punto Omega –
Quadrimestrale del Servizio sa­
nitario del Trentino, Provincia
Autonoma di Trento. Lo svilup­
po della consapevolezza e del­
le capacità dei singoli e del­
l’azione della comunità verso
comportamenti favorevoli alla
salute è peraltro un obiettivo
generale del Piano Sanitario Na­
zionale, del Piano Sanitario del­
la Provincia Autonoma di Tren­
to, del Programma di Sviluppo
Strategico dell’Azienda Provin­
ciale per i Servizi Sanitari del
Trentino.
13 Si può dire che anche per le opi­
nioni, le abitudini, gli atteg­
giamenti e i comportamenti vi
siano delle “tendenze di mer­
cato”, e quindi che il successo
di un’azione di marketing sia
condizionato dalla presenza di
una domanda latente coerente
con i contenuti di una deter­
minata campagna. Ad esempio
una campagna per il corretto
utilizzo dei farmaci in casa avrà
maggiori probabilità di succes­
so in un contesto sociale già
positivamente orientato ad un
comportamento proattivo nei
confronti della salute e al rispetto dell’ambiente.
tonoma di Trento, “Programma
di Sviluppo Strategico”, Trento,
2001, pagg. 29 e segg.
18 Vedi anche Serena Cascioli, Il
Marketing strategico nei Servizi
sanitari – La filosofia e gli stru­
menti operativi, Franco Angeli,
Milano, 1999.
14 Vedi R.H. Holman, Advertising
and Emotionality, in W.D. Hoyer
& W.R.Wilson e & R.A.Peterson,
The Role of Affect in Consumer
Bahavior, Lexington Books,
Lexington, Massachussetts –
Toronto, 1986
15 V. Codeluppi, Consumo e comu­
nicazione, Franco Angeli, Mila­
no, II ed. 1990, cit. in S. Tam­
borini, Marketing e Comunica­
zione sociale, Editori di Comu­
nicazione – Lupetti, Milano,
1996
16 Secondo M.R. Solomon e
H.Assel (The Forest or the Tre­
es?: A Gestalt Approach to Sym­
bolic Consuption, in J.U.Sebeok,
a cura di, Marketing and Semio­
tics. New Directions in the Stu­
dy of Signs for Sale, Mouton de
Gruyter, Berlin-New York-Am­
sterdam, 1987) i consumatori
definiscono, rappresentano e
comunicano i propri ruoli so­
ciali attraverso gruppi di pro­
dotti (“product costellation”),
marche e/o attività di consu­
mo complementari.
17 Cfr. Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari – Provincia AuProvincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Vittorio Curzel è Direttore con incarico
speciale per la comunicazione e
l’informazione presso il Servizio
Programmazione e ricerca sanitaria della
Provincia Autonoma di Trento.
81
L’assistenza domiciliare
integrata nei distretti
sanitati del Trentino
Giuseppe Penasa, Elio Ottaviano,
Renzo Nardelli, Francesco Venturini,
Ugo Pitton
Le esperienze nelle diverse realtà
territoriali della provincia di Trento
L’Assistenza Domiciliare
Integrata nel Distretto Sanitario
di Trento - Valle dei Laghi
L’inquadramento teorico e normati­
vo del concetto di integrazione so­
ciosanitaria.
Senza addentrarsi in maniera appro­
fondita nel tema dell’integrazione
sociosanitaria, o meglio dell’integra­
zione fra assistenza sanitaria e at­
tività socio-assistenziali appaiono
opportune, per la comprensione del­
le esperienze svolte nel Trentino,
alcune considerazioni di carattere
generale.
Con la costituzione delle unità
sanitarie locali, di cui alla riforma
sanitaria del 1978, l’integrazione tra
assistenza sanitaria e attività so­
cio-assistenziali, veniva perseguita
in Trentino attraverso la “scelta isti­
tuzionale”, affidando cioè alla USL
anche la gestione di parte del com­
parto assistenziale in un contesto,
comunque, di carenza programma­
toria specifica.
Con la riforma provinciale dell’as­
sistenza – L.P.14/91 – si è decisa
82
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
la separazione istituzionale e gestio­
nale dei due comparti senza tutta­
via introdurre, al di là di generiche
previsioni normative, strumenti e
meccanismi di integrazione tra as­
sistenza sanitaria e attività socioassistenziali.
Anche la legislazione provinciale
di riforma del servizio sanitario pro­
vinciale – L.P. 10/93 – non intro­
duce elementi innovativi e propul­
sivi per lo sviluppo dell’integrazio­
ne socio – sanitaria, al di là di una
generica enunciazione di principio
e della previsione di periodici in­
contri, a livello distrettuale, fra i
repsonsabili dei servizi sanitari e
quelli dei servizi sociali (art. 40).
La svolta in questo settore viene
da due documenti nazionali: il Pia­
no sanitario 1998-2000 e il D. Lgs.
229/99.
Il primo, oltre ed enfatizzare la
finalità dell’integrazione come rispo­
sta unitaria ai bisogni complessivi
della persona, individua i tre livelli
basilari dell’integrazione - istituzio­
nale, gestionale e professionale – e
gli strumenti per realizzarla.
Il secondo individua e regolamen­
ta le prestazioni sociosanitarie
(scritto senza trattino per sottoli­
nearne l’unitarietà) definendo come
tali “…tutte le attività atte a sod­
disfare , mediante percorsi assisten­
ziali integrati, bisogni di salute
della persona che richiedono unita­
riamente prestazioni sanitarie e
azioni di protezione sociale in gra­
do di garantire anche nel lungo pe­
riodo, la continuità tra le azioni di
cura e quelle di riabilitazione” (D.
Lgs. 229/99 art. 3 – septies).
In perfetta sintonia e coerenza
con detti documenti si colloca la
L.P: 6/98 che ha istituito e codifi­
cato un importante strumento di
integrazione sociosanitaria: l’Unità
Valutativa Multidisciplinare (UVM)
concretamente attivata a partire dal
1.7.2001.
La situazione in Provincia di Trento.
Con riferimento alla classificazione
introdotta dal Piano sanitario 1998­
2000, è possibile affermare che fino
al più recente passato, se da un lato
era diffusa sul territorio nel modo
di operare dei professionisti sanita­
ri e sociali una sufficiente propen­
sione all’integrazione professionale
ed operativa, dall’altro questa era
frutto molto frequentemente della
iniziativa personale degli operatori
stessi e non trovava ancora un chia­
ro ed esplicito inquadramento isti­
tuzionale e organizzativo-gestiona­
le.
IL primo passo per ovviare a tale
carenza è costituito, come già ri­
cordato, dalla Unità Valutativa Mul­
tidisciplinare attraverso la quale i
servizi sanitari territoriali e quelli
socio-assistenziali effettuano con­
giuntamente la valutazione dei bi­
sogni complessi della persona ed
organizzano in maniera coordinata
le relative risposte assistenziali.
cordi di programma e protocolli or­
ganizzativi con i gestori dei servizi
socio-assistenziali.
Particolarmente intensa, sotto
questo profilo, è stata l’azione por­
tata avanti con il comune di Trento
nella sua duplice funzione di ente
gestore dei servizi socio-assisten­
ziali e, soprattutto, di ente rappre­
sentativo della comunità locale.
Di significativa importanza sono
cinque iniziative presenti nel Di­
stretto di Trento.
La prima è rappresentata dal “Pro­
tocollo programmatico e di collabo­
razione fra APSS e Comune di Trento
relativo all’area della salute menta­
le”. Con questo strumento, concor­
dato ed elaborato nel corso del 1998
e sottoscritto il 10.11.1999, ricon­
ducibile all’area degli accordi di pro­
gramma previsti dal piano sanitario
nazionale 1998-2000, Azienda sa­
nitaria-Distretto di Trento e Comu­
ne di Trento hanno definito una
L’esperienza nel Distretto di Trento.
Il Distretto di Trento, fin dalla sua
costituzione con l’avvio dell’Azien­
da provinciale per i servizi sanitari,
ha operato con l’obiettivo di pro­
muovere l’integrazione sociosanita­
ria cercando di definirla ed organiz­
zarla sia a livello istituzionale che
a livello gestionale, attraverso ac­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
83
Le esperienze territoriali in Trentino
84
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
politica unitaria nell’area della sa­
lute mentale individuando progetti
e modalità di intervento integrati.
Queste le aree di intervento con­
cordate:
- prevenzione finalizzata al miglio­
ramento della qualità complessi­
va delle relazioni sociali, interper­
sonali e personali, in quanto determinanti di salute mentale, con­
cernenti la popolazione generale;
- gestione integrata dei casi;
- collaborazione strutturata nelle
aree di utenza a particolare de­
bolezza psico-sociale (extracomu­
nitari, nomadi, senza fissa dimo­
ra) e nelle situazioni multiproble­
matiche;
- definizione e cogestione di un cir­
cuito di residenzialità a prevalen­
te bisogno assistenziale in cui
sono presenti problematiche psi­
chiatriche;
- implementazione del progetto
“Consulta per la salute mentale”;
- progetto organico finalizzato a
offrire occasioni lavorative a sog­
getti con problematiche psichia­
triche.
Al documento programmatico, che
inquadra a livello istituzionale l’in­
tegrazione fra il servizio di salute
mentale del Distretto e quello so­
cio-assistenziale del Comune, han­
no fatto seguito protocolli gestio­
nali specifici e soprattutto azioni
concrete integrate.
Ricordiamo nel campo della pre­
venzione l’iniziativa promossa con­
giuntamente da Azienda e Comune
denominata “La mia città – vivere
tutti meglio a Trento”, che vede
coinvolte anche decine di organiz­
zazioni e di associazioni di volon­
tariato e del mondo della produzio­
ne.
Per la gestione integrata dei casi
sono stati definiti e vengono appli­
cati protocolli operativi concorda­
ti, che consentono interventi coor­
dinati dei servizi di salute mentale
e di quelli socio-assistenziali.
Uno specifico protocollo d’intesa
fra Azienda e Comune di Trento re­
lativo alle strutture per persone con
problemi psichiatrici ha consentito
la creazione, a fianco del circuito
delle strutture residenziali psichia­
triche sanitarie, di un secondo cir­
cuito, gestito dal Comune, a valen­
za socio-assistenziale, che rappre­
senta un’ulteriore opportunità per
l’inserimento delle persone con pro­
blemi di salute mentale nel conte­
sto sociale. In base a tale accordo
il Servizio Sociale del Comune ge­
stisce due strutture residenziali
avendo garantita l’assistenza sani­
taria specifica da parte del Servizio
di salute mentale del Distretto.
Puntuali progetti di reinserimen­
to lavorativo vengono predisposti
congiuntamente fra Servizio di sa­
lute mentale e Servizio sociale.
Un’ulteriore esperienza significa­
tiva è stata quella relativa al “Pro­
getto di integrazione tra servizi so­
ciali e sanitari nell’assistenza domi­
ciliare in dimissione ospedaliera”,
realizzato nel 1998/99 in collabo­
razione tra Distretto di Trento, Ospe­
dale di Trento e Servizio sociale del
Comune di Trento.
Il progetto perseguiva tre finali­
tà:
- ricercare la collaborazione fra ser­
vizi sanitari territoriali e
ospedale;
- sviluppare la collaborazione fra
servizi sanitari del territorio e ser­
vizi sociali;
- dare soluzione ai bisogni assisten­
ziali alle persone non autosuffi­
cienti nel momento critico della
dimissione ospedaliera.
L’iniziativa ha consentito di speri­
mentare modalità e strumenti orga­
nizzativi per lo sviluppo dell’ADI,
con particolare riferimento alle si­
tuazioni di bisogni complessi sanitari e socio-assistenziali in dimis­
sione ospedaliera.
L’esperienza acquisita con il pro­
getto di cui al punto precedente ha
favorito la successiva formalizzazio­
ne ed adozione a partire dall’autun­
no 1999, da parte del Distretto sa­
nitario di Trento e dei Servizi socia­
li del Comune di Trento e del Com­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
prensorio Valle dell’Adige, di “Linee
guida per l’interazione e la collabo­
razione fra i servizi sanitari e i ser­
vizi sociali nel territorio del Comune
di Trento e del Comprensorio Valle
dell’Adige”.
Scopo delle linee guida adottate
è quello di sviluppare, secondo una
metodologia concordata formalmen­
te, l’interazione e la collaborazione
fra i servizi sanitari e sociali del
Distretto, sia nella fase di valuta­
zione dei bisogni che in quella di
organizzazione ed erogazione del­
l’assistenza domiciliare alla perso­
na.
Altra importante esperienza di
integrazione sociosanitaria nel ter­
ritorio del Distretto di Trento è quel­
la relativa al progetto “Cure pallia­
tive”, in corso di attuazione, in via
sperimentale, nella città di Trento,
85
Le esperienze territoriali in Trentino
86
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
secondo quanto prevede il “Program­
ma nazionale di cure palliative” di
cui alla legge 39/99 e agli obiettivi
assegnati all’APSS dalla Giunta Pro­
vinciale di Trento.
Le cure palliative, finalizzate ad
assicurare un’adeguata assistenza ai
pazienti affetti da patologia neo­
plastica nella fase avanzata della
malattia, per scelta strategica della
PAT e dell’APSS, si configurano so­
prattutto come un servizio territo­
riale e quindi come una forma par­
ticolare di Assistenza Domiciliare
Integrata (A.D.I.) che coinvolge i
medici di medicina generale, medi­
ci specialisti palliatori, operatori sa­
nitari del territorio (medici di di­
stretto, infermieri, riabilitatori),
psicologi, operatori sociali, volon­
tariato.
La forza del servizio sta quindi
nell’integrazione fra tutti gli opera­
tori che operano secondo un pro­
getto assistenziale formulato in base
ai bisogni della persona ed in ac­
cordo con la famiglia del paziente.
Nei primi sei mesi di attività sono
stati assistiti 75 pazienti oltre ad
altri 68 in ADI.
Ultima, ma prima in ordine di
tempo e quindi maggiormente spe­
rimentata forma di integrazione so­
ciosanitaria nel Distretto di Trento,
è l’Unità Valutativa Geriatrica di
Trento.
Sorta nel 1994 vede la parteci­
pazione di operatori dei servizi so­
ciali del Comune di Trento e di ope­
ratori sanitari dell’Ospedale e del
Distretto. Benché scopo dell’UVG sia
quello di valutare le domande di
accesso alle case di riposo della cit­
tà di Trento formando una gradua­
toria, di fatto l’azione di valutazio­
ne integrata innesta un processo che
può esplicarsi anche in risposte di­
verse da quella dell’istituzionalizza­
zione in casa di riposo.
L’attività dell’UVG verrà assorbi­
ta e garantita dalla neo istituita
Unità Valutativa Multidimensionale.
L’Assistenza Domiciliare
Integrata nel Distretto Sanitario
della Vallagarina
Il progetto Obiettivo Anziani, ap­
provato dal Consiglio dei Ministri il
30 gennaio 1991, indicava già allo­
ra quale prioritario intervento da
realizzare per gli anziani non auto­
sufficienti con compresenza di pro­
blematiche sanitarie e sociali, an­
che l’attivazione dell’ A.D.I.
Alla luce di questo, negli anni
’94-’95 venne sperimentato nel Com­
prensorio della Vallagarina un pro­
getto A.D.I. con la compartecipa­
zione dell’allora USL C10, il Comune
di Rovereto, la Casa Soggiorno An­
ziani di Rovereto e l’Università Cat­
tolica di Roma. Nella fase prelimi­
nare l’USL ed il Comune avevano
fornito gli elenchi degli anziani che
usufruivano in genere di assistenza
domiciliare; da tali elenchi gli sta­
tistici dell’Università Cattolica di
Roma eseguirono un procedimento
di randomizzazione per dividere 200
anziani assistiti in 100 trattati e 100
controlli. I trattati sarebbero stati
seguiti con il nuovo modello di
A.D.I. più il coordinatore del caso;
i controlli sarebbero stati seguiti nel
modo usuale.
Senza entrare nei dettagli, va
osservato come la sperimentazione
abbia evidenziato un contenimento
del consumo delle risorse ed in par­
ticolare una netta riduzione del­
l’ospedalizzazione, un minor ricor­
so al pronto soccorso ed alla istitu­
zionalizzazione nei casi trattati, ri­
spetto ai controlli. Tutto questo ha
significato un risparmio complessi­
vo nel gruppo trattato, rispetto ai
controlli, del 23% della spesa com­
plessiva annua.
In un secondo tempo il program­
ma di attività dell’Azienda Provin­
ciale per i Servizi Sanitari di Tren­
to, obiettivi ’97-’98, ha indicato tra
le priorità il potenziamento del­
l’A.D.I., promuovendo a tal fine l’av­
vio di una nuova sperimentazione
nei distretti della Vallagarina, di
Trento e di Fiemme e Fassa, secon­
do un modello organizzativo elabo­
rato da gruppi di lavoro precostitu­
iti.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
L’Assistenza Domiciliare Integra­
ta costituisce pertanto a tutti gli
effetti un obiettivo strategico del
Distretto Vallagarina. Su questo ver­
sante i medici di base e gli opera­
tori sanitari del territorio hanno
profuso uno sforzo notevole in ter­
mini di impegno e di dedizione,
garantendo, in tal modo, una inte­
riorizzazione del progetto che ap­
pare trasformato in una realtà di
servizio continuativa e propria del­
l’organizzazione distrettuale.
L’obiettivo dell’Assistenza Domi­
ciliare Integrata è quello di miglio­
rare la qualità di vita dell’ammalato
limitando l’ospedalizzazione e/o
l’istituzionalizzazione, dando una
risposta multidisciplinare e coordi­
nata ai bisogni di tipo sanitario e
socio-assistenziale.
Il nuovo modello organizzativo di
assistenza a domicilio è decollato
nell’agosto del 1997 e dopo una
prima fase di sperimentazione si è
consolidato in modalità operativa
alternativa (quanto meno per le ca­
tegorie di pazienti inseribili in tale
progetto) a forme di ricovero ospe­
daliero dai costi economici e socia­
li sicuramente molto consistenti.
Si presentano, di seguito, alcuni
dati che riassumono l’esperienza
dell’ADI nel periodo settembre 1998
- novembre 1999, che derivano da
uno specifico studio statistico; detta
elaborazione viene inoltre integra­
ta con un aggiornamento dei casi
seguiti nel periodo ottobre 1999 –
dicembre 2000 nonché da specifi­
che tabelle relative ai casi ADI at­
tivati nel biennio 1999 – 2000.
Nel periodo considerato (settem­
bre ’98 – novembre ’99) sono stati
87
Le esperienze territoriali in Trentino
88
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
assistiti a domicilio 21 pazienti:
12 residenti a Rovereto, 5 nella zona
di Ala e Avio e 4 negli altri comuni
del C10. Nel successivo mese di di­
cembre sono stati attivati ulteriori
3 casi (con provenienza Villa Laga­
rina, Rovereto ed Avio). Nel corso
del 2000 le nuove attivazioni di
Assistenza Domiciliare Integrata
sono state 24 (il 58% delle quali
provenienti dal comune di Rovere­
to), portando quindi il totale pro­
gressivo, a partire dal mese di set­
tembre 1998, a 48 casi seguiti ed
assistiti a domicilio.
I medici di base impegnati in
questa forma di assistenza, nell’ar­
co del biennio 1999 – 2000, sono
stati 22 (pari al 35% dei medici di
medicina generale operanti nel ter­
ritorio del Distretto). Va peraltro
sottolineato come tale forma di as­
sistenza comporti un impegno fat­
tivo e diretto del personale infer­
mieristico afferente al Distretto,
tanto da coinvolgere un buon nu­
mero di operatrici del Servizio In­
fermieristico Territoriale (quasi il
50% dell’équipe infermieristica).
Notevole è stata l’integrazione fra
medici ed infermieri, anche in fase
di predisposizione del piano assi­
stenziale. A domicilio del paziente
sono stati inoltre assicurati, laddo­
ve necessari, interventi dei medici
specialisti convenzionati (nel bien­
nio di osservazione statistica 1998
– 1999 si sono osservati n° 8 casi
su 21) e talvolta è stato assicurato
l’intervento del medico del Servizio
di Continuità assistenziale.
La durata media dei casi ADI è
stata nel primo biennio di osserva­
zione statistica di circa 73 giorni
(tab. 1) per un totale di 1525 gior­
nate di assistenza, al netto da epi­
sodi di ricovero ospedaliero (5 casi).
Per quanto riguarda i casi ADI atti­
vati nei dodici mesi del 2000 si pos­
sono osservare n° 1724 giornate di
assistenza, con una durata media
che si attesta in poco più di tre
mesi.
Più di un quarto dei pazienti ha
meno di 65 anni (tab. 2), in consi­
derazione anche della rilevante in­
cidenza delle patologie tumorali
(tab. 4), mentre l’età media dell’as­
sistito in ADI corrisponde ad un’età
pari a 68 anni. E’ interessante no­
tare che più della metà delle atti­
vazioni di Assistenza Domiciliare
Integrata si registra nel corso dei
mesi estivi (maggio - agosto).
La segnalazione del caso da in­
serire nel progetto ADI è tenden­
zialmente attribuibile al Medico di
Durata Assistenza Domiciliare Integrata
Elaborazione settembre 1998 – dicembre 1999
Durata media in giorni
Durata massima in giorni
Totale giornate ADI
N° gg. degenza in corso ADI
N° pazienti ospedalizzati in corso ADI
73
365
1755
81
5
Durata media in giorni – casi attivati nel 2000
Totale giornate ADI – casi attivati nel 2000
101
1724
Tab. 2
Classe d’età
Distribuzione dei pazienti per classe d’età e sesso
settembre 1998 – dicembre 2000
F
M
Totale
<65 anni
6
7
13
27%
65 – 80 anni
12
19
31
65%
>80 anni
3
1
4
8%
Totale
21
27
48
100%
Medicina Generale mentre più rare
appaiono quelle attribuibili ad uni­
tà operative dell’ospedale (2 casi nel
biennio 1998 – 1999 e 4 nel corso
del 2000). Appare quindi opportu­
no operare al fine di consolidare e
migliorare i rapporti, pur positivi,
tra medicina del territorio e ospe­
dale.
Nella tab. 3 si descrive la caden­
za degli accessi a domicilio da par­
te del medico di base nel corso del
periodo settembre 1998 – dicembre
2000. Per quanto riguarda i medici
di base, nel 40% dei casi la presen­
za a domicilio è quotidiana (talvol­
ta si tratta di presenze di lunga
durata: anche parecchie ore nell’ar­
co della giornata). In ogni caso nell’
80% dei casi ADI è stata assicurata
un presenza del MMG a domicilio con
Tab. 3
una cadenza minima di 3 accessi
settimanali. L’assistenza infermie­
ristica è garantita da infermieri pro­
fessionali che per più del 50% dei
casi accedono a domicilio una o più
volte al giorno.
Va rilevato poi il significativo
contributo dei servizi sociali del Co­
mune di Rovereto e del Comprenso­
rio Vallagarina. Un discreto numero
di pazienti ha infatti usufruito del
Servizio di Assistenza Domiciliare
(SAD) e di quello di telesoccorso.
Si riportano 2 elaborazioni stati­
stico - epidemiologiche relative a
diversi periodi di assistenza, che
riguardano le patologie dei pazien­
ti seguiti in ADI.
La tab. 4 mette in rilievo una
netta prevalenza delle patologie tu­
morali confermata, peraltro, dalla
Cadenza accessi domiciliari del medico di medicina generale
settembre 1998 – dicembre 2000
Frequenza
N° Casi
%
Giornaliera
19
40%
Quadrisettimanale
4
8%
Trisettimanale
16
33%
Bisettimanale
7
15%
Settimanale
1
2%
Quindicinale
1
2%
Totale
48
100%
Tab. 1
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
%
89
Le esperienze territoriali in Trentino
90
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Distribuzione delle Patologie per classe d'età
Periodo settembre 1998 – dicembre 1999
Patologie (per ogni paziente si rilevano fino < 65 65 – 80 > 80
Totale
anni
anni
a 3 patologie)
anni
Tumori maligni dell'apparato digerente e
4
4
1
9
del peritoneo
Tumori maligni dell'apparato respiratorio e
4
4
degli organi intratoracici
Tumori maligni delle ossa, del tessuto
3
3
connettivo, della pelle e della mammella
Tumori maligni degli organi genitourinari
1
3
4
Tumori maligni di altre e non specificate
5
10
15
sedi
Malattie del sistema nervoso
4
4
Malattie ischemiche del cuore
1
3
4
Malattie del circolo polmonare ed altre
1
1
2
4
malattie del cuore
Altre malattie del sistema circolatorio
3
3
Malattie dell'apparato urinario
1
2
1
4
Sintomi, segni e stati morbosi mal definiti
1
1
1
3
Malattie del sangue e degli organi
1
1
ematopoietici
1
Disturbi psichici
1
Disturbi circolatori dell'encefalo
1
1
2
Altre malattie dell'apparato respiratorio
1
1
Patologia principale all’attivazione ADI
Casi attivati nel 2000
< 65
65 – 80
> 80
Patologia principale
anni
anni
anni
Altre malattie extrapiramidali
0
1
0
Altri tum. mal. Tessuto linfoide
0
1
0
Cardiomegalia
0
0
1
Cistifellea
0
1
0
Colon discendente
0
0
1
Mieloma multiplo e tumori immu.
1
0
0
Ossa del bacino, sacro coccige
1
0
0
Tum. mal. Prostata
0
1
0
Tum. mal. Vescica
1
0
0
Tum. mal. Del pancreas
1
1
0
Tum. mal. Dell'encefalo
0
2
0
Tum. mal. Dell'esofago
0
1
0
Tum. mal. Dello stomaco
0
1
0
Tum. mal. ovaio e altri annessi
2
1
0
Tum. mal. rene altri organi urinari
0
1
0
Tum. mal. retto giunzione rettos
1
0
0
Tum. mal. trachea, bronchi polmon
1
3
0
Totale
8
14
2
% paz.ti
43%
14%
10%
19%
67%
19%
19%
19%
14%
19%
14%
5%
5%
10%
5%
Totale
% paz.ti
1
1
1
1
1
1
1
1
1
2
2
1
1
3
1
1
4
24
4%
4%
4%
4%
4%
4%
4%
4%
4%
8%
8%
4%
4%
13%
4%
4%
17%
100%
Tab. 4
Tab. 5
seconda elaborazione relativa ai casi
attivati nel corso del 2000.
Nello studio effettuato sul bien­
nio 1998 – 1999 è inoltre emersa
una interessante informazione sul
versante dei costi riferibili all’Assi­
stenza Domiciliare Integrata, infor­
mazione che peraltro si ritiene vali­
da anche per il successivo periodo
di attività. È stato infatti stimato
che una giornata di ADI costa circa
Lire 87.000 (considerando i costi del
medico di medicina generale, del
personale infermieristico, materia­
le di medicazione e presidi etc.).
Pertanto è verosimile che l’assisten­
za a domicilio dei 21 pazienti se­
guiti in ADI, nel sopra citato perio­
do, sia costata Lire 132.675.000
(con riferimento alle 1525 giorna­
te).
Il costo di 1525 giornate in una
struttura per lungodegenza è cal­
colabile in Lire 308.457.600. È di
tutta evidenza quindi il vantaggio
economico dell’Assistenza Domici­
liare Integrata secondo un pura lo­
gica di comparazione economica fra
alternative di cura.
Infine è da evidenziare che il su­
peramento del mansionario degli
infermieri ha permesso di imposta­
re specifici protocolli di integrazio­
ne con il medico di base per l’effet­
tuazione di interventi ad alta com­
plessità tecnica nei confronti dei
singoli pazienti in ADI. Tra le pre­
stazioni complesse vanno annove­
rate in particolare terapie iniettive
endovenose con posizionamento di
ago-cannula e l’alimentazione pa­
renterale.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
L’Assistenza Domiciliare
Integrata nei Distretti Sanitari
di Fiemme e Fassa.
Nel presente articolo viene descrit­
ta l’esperienza di elaborazione e di
sperimentazione di un modello di
Assistenza Domiciliare Integrata
presso i Distretti sanitari di Fiemme
e Fassa, una realtà periferica della
provincia di Trento con una popola­
zione limitata a ca. 27.000 residen­
ti.
Una buona assistenza al pazien­
te, in particolare se anziano o ma­
lato terminale, non può fare a meno
di una forte integrazione fra terri­
torio ed ospedale e tra servizi sanitari e sociali. E’ stato questo uno
dei principi informatori dell’azione
della Direzione dei Distretti di
Fiemme e Fassa, fin dall’avvio del­
l’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari. Peraltro tale orientamento
non è casuale, ma risulta espressa­
mente richiamato nel Piano Sanita­
rio Nazionale per il triennio 1998 –
2000, il quale prevede che vada
“attuata la programmazione degli
interventi sociosanitari a livello di­
strettuale con intese programmati­
che tra le Direzioni Generali delle
Aziende Sanitarie e le rappresentan­
ze dei Comuni associati”. In parti­
colare l’integrazione socio sanita­
ria va attuata e verificata, secondo
il P.S.N., a tre livelli: istituzionale,
gestionale e professionale.
“L’integrazione istituzionale
(aziende sanitarie, amministrazioni
comunali, ecc.)” si avvale di “stru­
menti giuridici, quali le convenzio­
ni e gli accordi di programma.
Sul piano gestionale vanno incre­
91
Le esperienze territoriali in Trentino
92
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mentati gli approcci multidimensio­
nali e le modalità operative basate
sulla metodologia di lavoro per pro­
getti.
Condizioni necessarie dell’inte­
grazione professionale sono: la co­
stituzione di unità valutative inte­
grate, la gestione unitaria della do­
cumentazione, la valutazione del­
l’impatto economico delle decisio­
ni, la definizione delle responsabi­
lità nel lavoro integrato, la conti­
nuità terapeutica tra ospedale e di­
stretto, la collaborazione tra strut­
ture residenziali e territoriali, la pre­
disposizione di percorsi assistenziali
appropriati per tipologie d’interven­
to, l’utilizzo di indici di complessi­
tà delle prestazioni integrate.”
Passando ad analizzare i diversi
livelli di integrazione nello specifi­
co dei Distretti di Fiemme e Fassa
va rilevato che sono mancati gli
strumenti per l’integrazione istitu­
zionale, richiamati dal P.S.N., e pur
in carenza di tale livello di integra­
zione, è stata assicurata l’integra­
zione gestionale e professionale.
Tutto ciò è spiegabile con il fatto
che fino a luglio ’91 i servizi sanitari e sociali erano gestiti dagli stes­
si Enti: Comprensorio Valle di
Fiemme – U.S.L. C1 e Comprensorio
Ladino di Fassa – U.S.L. C11, quin­
di con il massimo di integrazione
istituzionale e gestionale possibi­
le, facendo riferimento i diversi ser­
vizi allo stesso organo politico
(Giunta Comprensoriale – Comitato
di Gestione) e allo stesso organo
direzionale, l’Ufficio di Direzione
(composto dai responsabili dei ser­
vizi sanitari e amministrativi e dal
responsabile del servizio sociale).
Tale eredità ha consentito che
l’integrazione gestionale e profes­
sionale potesse continuare a svilup­
parsi anche in assenza di integra­
zione istituzionale e in carenza di
atti convenzionali e di rapporti for­
malizzati e ha fatto si che da parte
degli operatori sanitari e sociali non
sia mai stato messo in discussione
il processo di integrazione, in quan­
to ormai bagaglio della propria cul­
tura professionale. Si può sicuramen­
te affermare che la collaborazione
fra gli operatori dei due settori è
continua, a partire dalle segnalazio­
ni reciproche dell’utenza, fino allo
scambio di informazioni riguardan­
te ogni variazione delle singole si­
tuazioni e alla predisposizione di
interventi, raccordati anche con riu­
nioni periodiche.
Un progetto di sperimentazione di
Assistenza Domiciliare Integrata.
L’A.D.I. ha rappresentato il punto di
arrivo di una esperienza plurienna­
le di integrazione e collaborazione
sul territorio dei servizi sociali e
sanitari. Nell’avvio del servizio di
assistenza domiciliare (allora defi­
nito assistenza aperta), regolato
con le leggi Provinciali n. 38/73 e
n. 40/74, i Comprensori e Consorzi
sanitari hanno rilevato immediata­
mente la necessità di una integra­
zione tra servizi sociali e sanitari.
Nel tempo la coesione tra i due
servizi è progressivamente aumen­
tata e ha rappresentato sempre più
una risorsa molto importante per il
raggiungimento di obiettivi quali il
favorire e il mantenere la persona
anziana nel proprio ambiente, il per­
mettere l’assunzione in carico di
situazioni con patologie sempre più
gravi.
Attualmente i pazienti in carico
al servizio infermieristico territoriale
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
e seguiti in collaborazione con il
servizio di assistenza domiciliare del
Comprensorio rappresentano circa il
70% dell’attività con una sempre più
alta incidenza di situazioni assisten­
ziali complesse. Questo graduale
aumento di complessità assistenzia­
le ha definito la necessità di met­
tere in campo uno strumento ag­
giuntivo di integrazione, l’A.D.I.
La sperimentazione dell’A.D.I. nei
Distretti di Fiemme e Fassa è stata
realizzata nell’ambito di un più
ampio progetto d’integrazione tra
servizi sanitari territoriali ed ospe­
dalieri, finalizzato alla gestione pro­
grammata dei ricoveri e delle dimis­
sioni (obiettivo 6.3 anno 1996,
obiettivo 6.2 anno 1997 e obietti­
vo 5.2 anno 1998 del piano di atti­
vità dell’Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari).
Tale progetto era stato ipotizza­
to potendo contare essenzialmente
su due presupposti positivi, vale a
dire il buon livello di integrazione
professionale tra servizi sanitari ter­
ritoriali e servizi sociali e l’esisten­
za presso l’Ospedale di Cavalese di
una U.O. di medicina ben orientata
e aperta ai bisogni della popolazio­
ne e con un primario estremamente
sensibile alle problematiche dell’in­
tegrazione con i servizi territoriali.
Queste due condizioni favorevoli
facevano sperare di poter superare
il punto debole della realtà locale e
cioè l’estrema carenza di personale
medico nell’U.O. di assistenza ter­
ritoriale, che avrebbe dovuto svol­
gere l’importante ruolo di coordina­
mento e di raccordo tra servizi ospe­
dalieri e territoriali. Ciò ha deter­
minato la necessità di elaborare un
93
Le esperienze territoriali in Trentino
94
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
modello di sperimentazione del­
l’A.D.I. diverso da quello esistente,
sempre in via sperimentale, presso
i Distretti diTrento – Valle dei Laghi
e della Vallagarina.
Si è costituito un gruppo di la­
voro composto dal Direttore di Di­
stretto, dal Primario dell’U.O. di
medicina, dal Responsabile medico
dell’U.O. di assistenza territoriale,
dal Responsabile del Servizio infer­
mieristico, dai Coordinatori dei ser­
vizi infermieristici territoriali, dai
Responsabili dei servizi sociali dei
Comprensori di Fiemme e Fassa e da
una rappresentanza dei medici di
medicina generale. Con tale gruppo
di lavoro ci si prefiggeva il duplice
scopo di coinvolgere i servizi e gli
operatori interessati allo svolgimen­
to dell’A.D.I. e di adattare il model­
lo già sperimentato e funzionante
in altre realtà alla situazione speci­
fica dei Distretti di Fiemme e Fassa.
In una serie di incontri si proce­
deva ad elaborare un progetto se­
condo il modello assistenziale inte­
grato con le finalità di:
- migliorare la qualità di vita del­
l’utente, favorendo l’assistenza al
domicilio e garantendo una rispo­
sta multidisciplinare e coordina­
ta ai bisogni assistenziali del pa­
ziente tale da poter limitare
l’ospedalizzazione e/o l’istituzio­
nalizzazione;
- assicurare la continuità assisten­
ziale dei pazienti dimessi dal­
l’ospedale, grazie all’apporto mul­
tidisciplinare degli operatori sa­
nitari e socio-assistenziali;
- individuare ulteriori forme di co­
ordinamento e di integrazione tra
ospedale e territorio e tra servizi
sanitari e servizi sociali e facili­
tare la reciproca comunicazione.
I vantaggi di tale modello rileva­
ti dal gruppo di lavoro risultavano
essere ben evidenti:
- il venir meno della necessità del
ricovero ospedaliero o il reinseri­
mento più rapido del malato nell’ambiente familiare, con riduzio­
ne degli effetti negativi della
ospedalizzazione (particolarmen­
te evidenti negli anziani);
- l’integrazione tra territorio e ospe­
dale e tra sanità e sociale rappre­
sentano il “valore aggiunto del­
l’assistenza”, che differenzia una
sommatoria di prestazioni tra loro
isolate dalla presa in carico glo­
bale del paziente e valorizzano nel
contempo la partecipazione del
personale di assistenza del terri­
torio, della famiglia e del pazien­
te stesso;
- la riduzione della spesa per il
mancato ricovero o l’anticipo del­
la dimissione e la liberazione di
risorse per i servizi territoriali;
- la crescita professionale e cultu­
rale degli operatori coinvolti in
questo tipo di assistenza ed una
riqualificazione della funzione del
medico di medicina generale;
- la possibilità di superare gli im­
pedimenti normativi restrittivi per
l’acquisizione in tempi ridotti di
farmaci, ausili e presidi sanitari e
tecnici, normalmente destinati al
solo uso ospedaliero;
- l’azione di educazione sanitaria
diffusa derivante dal coinvolgi­
mento del paziente e della fami­
glia alla costruzione del piano di
trattamento.
Infine veniva elaborato il mo­
dello organizzativo di integrazione
per la valutazione dei bisogni se­
condo le rispettive competenze, per
formulare un piano assistenziale e
per attivare le risorse necessarie per
il singolo utente. Tale modello ri­
sultava differenziato con possibili­
tà di attivazione dell’A.D.I. sia da
parte delle UU.OO. ospedaliere, sia
da parte dei medici e pediatri di
base. Viene di seguito riportato il
modello con riferimento all’assisten­
za domiciliare post-ricovero, in
quanto più complesso (Tab. 6, a pag.
96).
Appare chiaramente come il mo­
dello organizzativo risulti differen­
ziato rispetto a quello operante
presso i Distretti di Trento e della
Vallagarina in più punti, ma in par­
ticolare in quello in cui si prevede­
va che le funzioni di coordinamen­
to e autorizzative della procedura
dell’A.D.I., nonché la validazione del
piano di assistenza, fossero svolte
dal Primario dell’U.O. di medicina,
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
non disponendo in loco, se non con
una presenza saltuaria ogni due set­
timane, del Responsabile dell’U.O.
di Assistenza territoriale.
Tale surroga ha permesso comun­
que di avviare il progetto prima in
via sperimentale, nel maggio del
1998, poi in modo definitivo, con
buoni risultati. Peraltro dal 1° mag­
gio 2001, il ruolo di coordinamento
e autorizzativo è stato assegnato al
Responsabile dell’U.O. di Assisten­
za territoriale, in un nuovo conte­
sto organizzativo nel quale lo stes­
so assicura una presenza bisettima­
nale.
Qui occorre aprire una parentesi
per una riflessione di carattere ge­
nerale. In particolare nelle realtà
periferiche, con disponibilità ridot­
ta di risorse umane, si rende neces­
sario in qualche caso attivare dei
nuovi servizi con modalità e proce­
dure difformi da un modello otti­
male definito in via teorica. Spesso
il dover discostarsi da tale modello
risulta essere la condizione per l’av­
vio dell’attività stessa. Ciò non to­
glie che il modello teorico resti come
punto di riferimento verso il quale
tendere e al quale ricondursi non
appena se ne verifichino le condi­
zioni.
Terminato il processo di defini­
zione del modello A.D.I. si è avvia­
to un momento formativo con due
incontri per tutti gli operatori sa­
nitari e sociali coinvolti nel progetto
stesso. Si è proceduto quindi ad un
coinvolgimento delle associazioni di
volontariato, con più incontri fina­
lizzati ad illustrare il progetto stes­
so e ad acquisire la disponibilità a
collaborare attivamente alla buona
95
Le esperienze territoriali in Trentino
ASSISTENZA DOMICILIARE POST RICOVERO
(compresa A.D.I.)
MODELLO ORGANIZZATIVO
96
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
REPARTO OSPEDALE
Medico – capo Sala
accerta presupposti sanitari e socio-assistenziali dimissione protetta
di norma almeno 4 – 5 giorni prima della dimissione
medico di reparto contatta medico di base del paziente
capo sala reparto contatta capo sala servizi infermieristici territoriali
elabora proposta di intervento
SERVIZIO INFERMIERISTICO
TERRITORIALE
contatta medico curante e servizio sociale (se necessario)
organizza accesso ospedale per valutazione caso
EQUIPE OPERATIVA TERRITORIALE
Medico- Capo Sala – Ass. Sociale (se necessario)
valuta bisogni paziente
verifica esistenza condizioni igienico-sanitarie assistenza a domicilio
definisce piano assistenziale, avvalendosi, se necessario,
di consulenze specialistiche
concorda con familiari modalità intervento
individua operatore equipe con compiti di coordinamento funzionale
SERVIZIO DI ASSISTENZA
TERRITORIALE
organizza attività infermieristica
organizza fornitura materiale
sanitario, presidi, ecc.
attiva consulenze richieste
da equipe operativa
SERVIZIO SOCIALE
avvia pratica per concessione
assistenza domiciliare
organizza assistenza domiciliare
attiva volontariato sociale.
EQUIPE OPERATIVA
Medico – infermiere – Assistente sociale e domiciliare (se necessari)
effettua controlli clinici periodici (m. di base)
richiede consulenze specialistiche (m. di base)
effettua prestazioni mediche (P.I.P.) (m. di base)
effettua prestazioni infermieristiche (I.P.)
effettua prestazioni di assistenza domiciliare (ass. domiciliare)
effettua riunione periodica per analisi e verifica caso
compila diario al domicilio paziente
Tab. 6. Modello
organizzativo
Assistenza
Domiciliare post
ricovero - Distretti
sanitari di Fiemme
e Fassa (TN).
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
riuscita della sperimentazione e ri­
cercando una maggior collaborazio­
ne con i servizi sociali ed un mi­
gliore coordinamento tra le associa­
zioni stesse.
L’esperienza maturata in tre anni
di A.D.I. consente di effettuare un
bilancio dell’attività, che risulta
essere positivo, confermando tutti
i vantaggi/punti di forza individuati a priori nel modello, compreso il
coinvolgimento dei medici di base,
che si valuta sia avvenuto in circa
il 70% del totale degli stessi. I dati
di attività sono i seguenti: 7 casi
(giugno – dicembre 1998), 11 casi
nel ’99 e 22 casi nel 2000. La tipo­
logia neoplastica ha rappresentato
l’80% ca. della casistica seguita in
A.D.I.
Sono comunque emersi, e non
poteva essere altrimenti trattando­
si di processi assistenziali complessi
sia dal lato tecnico che organizza­
tivo e relazionale, alcuni aspetti
critici o punti di debolezza:
- la tipologia di utenti proposti per
l’A.D.I. non si è rivelata sempre
corrispondente ai requisiti definiti
nel progetto;
- la difficoltà di coinvolgere nell’A.D.I. alcuni medici di base nel
rispetto delle procedure previste
dal progetto (integrazione con
altre figure professionali – auto­
rizzazione del coordinatore – de­
finizione piano assistenziale);
- l’insufficiente garanzia di conti­
nuità assistenziale il sabato, la
domenica e i giorni festivi;
- la difficoltà di disporre in tempo
utile dell’assistenza domiciliare da
parte dei Servizi socio-assisten­
ziali Comprensoriali.
Sicuramente l’analisi dei punti cri­
tici e la ricerca delle possibili cau­
se, permetteranno di mettere in atto
alcune azioni al fine di migliorare il
processo assistenziale.
L’attivazione dell’U.V.M. è la pri­
ma azione concreta per dare solu­
zione ad alcuni degli aspetti critici
evidenziati.
L’Unità di Valutazione Multidiscipli­
nare (U.V.M.).
L’U.V.M. è uno strumento operativo
per la valutazione dei bisogni com­
plessi, sanitari e socio-assistenzia­
li, e per l’individuazione, nell’ambi­
to delle risorse disponibili, degli
interventi che meglio rispondono ai
bisogni della persona, da attuarsi
in modo integrato e coordinato da
parte della rete dei servizi esisten­
ti.
Avviata positivamente l’esperien­
za A.D.I. si è ritenuto di dover con­
tinuare nella direzione tracciata
puntando alla attivazione dell’U.V.M.
Si è ricostituito a fine 1999 il
gruppo di progetto A.D.I., con l’al­
largamento ai rappresentanti delle
due Case di Riposo (R.S.A.) esistenti
sul territorio di Fiemme e Fassa. Si
sono avuti numerosi incontri, si è
elaborata un’ipotesi di lavoro, si
sono coinvolti tutti i medici di me­
dicina generale, i Presidenti ed i
Consigli d’Amministrazione delle
R.S.A. con l’obiettivo di superare la
modalità storica di accesso alle stes­
se (data di presentazione della do­
manda).
Tutto questo ha consentito di
avviare in via sperimentale l’U.V.M.
contemporaneamente all’approva­
zione da parte della Giunta Provin­
97
Le esperienze territoriali in Trentino
98
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ciale di Trento degli indirizzi appli­
cativi.
Nella fase di sperimentazione
l’U.V.M. valuta il bisogno di natura
socio-assistenziale e sanitaria ai fini
dell’accesso all’A.D.I., alle residen­
ze sanitarie assistenziali ed ai rico­
veri ospedalieri per lungo degenti.
Momento qualificante della valuta­
zione multidisciplinare è la formu­
lazione di un piano assistenziale
integrato, in relazione ai bisogni
dell’utente, con l’indirizzo verso la
rete d’offerta più appropriata.
In conclusione nei Distretti di
Fiemme e Fassa, partendo da un pro­
getto di integrazione tra ospedale
e territorio, si è passati attraverso
la sperimentazione dell’A.D.I. ed il
rinforzo dell’integrazione tra servi­
zi sanitari e sociali, per approdare
a un ulteriore e più impegnativo
strumento di integrazione qual’è
l’U.V.M.
L’Assistenza Domiciliare
Integrata nei Distretti Sanitari
di Pergine Valsugana,
Borgo Valsugana e Primiero.
Nell’illustrare le esperienze di A.D.I.
nei Distretti di Pergine Valsugana,
Borgo Valsugana e Primiero ci si è
soffermati su tre punti ritenuti più
significativi all’interno di un isti­
tuto sempre più diffuso e utile alla
popolazione più anziana, anche se
non solo a quella.
Nel primo sono riportate le pro­
cedure attualmente adottate per
l’attivazione dell’Assistenza Domici­
liare Integrata, che sono state se­
guite nel corso dell’anno 2000 a li­
vello distrettuale e che, a partire
dal secondo semestre del 2001, non
saranno più applicate con la suc­
cessiva introduzione dei procedi­
menti operativi previsti dalla me­
todologia applicativa delle Unità
Valutative Multidisciplinari.
Nel secondo è stata effettuata
una valutazione generale sull’atti­
vità svolta con l’indicazione dei dati
numerici in assoluto, la tipologia
dei pazienti e la loro distribuzione
territoriale, la distribuzione per
Medico, il coinvolgimento dell’uten­
za e/o dei familiari ed i costi com­
plessivi del servizio erogato nel ter­
ritorio del Distretto.
Nel terzo è stata avanzata una
sintetica proposta migliorativa del
servizio in termini di qualità, delle
caratteristiche e della consistenza
dei servizi di assistenza sanitaria
resa a livello di Distretto.
Distretto di Pergine Valsugana
Numero Medici di base: 36
Numero Medici che hanno attivato
l’ADI: 24
Numero totale di casi di A.D.I.: 80
Numero totale degli accessi:
2.577
Numero verifiche fatte: >20%
Distretto di Borgo Valsugana
Numero Medici di base: 19
Numero Medici che hanno attivato
l’ADI: 4
Numero totale di casi di A.D.I.: 6
Numero totale degli accessi: 128
Numero verifiche fatte: >50%
Distretto di Primiero
Numero Medici di base: 8
Numero Medici che hanno attivato
l’A.D.I.: 5
Numero totale di casi di A.D.I.: 11
Numero totale degli accessi: 658
Numero verifiche fatte: 100% (le ve­
rifiche sono state effettuate in tut­
ti i casi di attivazione A.D.I. a do­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
micilio dei pazienti interessati).
Procedure attuali
di attivazione dell’A.D.I.
Non esistono particolari difficoltà
collegate alla procedura di attiva­
zione dell’A.D.I. Il Medico si può
presentare personalmente presso la
sede delle varie Unità Operative con
il relativo modulo già predisposto;
è cura della Segreteria apporre su
quest’ultimo il timbro a data “Arri­
vato” e si può definire subito il per­
corso assistenziale. Un’altra moda­
lità, abbastanza seguita dai Medici
di base, è quella di spedire via fax
all’Unità Operativa la richiesta di
attivazione dell’A.D.I.
In questa seconda eventualità si
possono verificare due situazioni:
- la prima eventualità si riferisce ad
un nuovo caso di attivazione
A.D.I. per cui la richiesta viene
valutata direttamente dal Respon­
sabile o da un Medico del Servizio
per la definizione immediata del­
la richiesta del Medico;
- la seconda eventualità si riferisce
invece ad una persona già in
A.D.I. per la quale il Medico di
base propone variazioni del piano
assistenziale.
Procedure burocratiche.
1.a fase
Da quanto sopra detto, all’inizio
dell’attività proposta in A.D.I. si
hanno comunque le stesse fasi am­
ministrative:
- Sia che si tratti di richiesta pre­
sentata direttamente dal Medico
di base sia che la stessa richiesta
sia pervenuta via fax, la prima
fase dell’atto amministrativo con­
99
Le esperienze territoriali in Trentino
100
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
siste semplicemente nell’apporre
sopra la richiesta di attivazione
un timbro a data con la dizione
“Arrivato”;
- Una volta definita la parte riser­
vata ai Medici del Servizio, la Se­
greteria trattiene l’originale e
provvede a rimettere al Medico
proponente, sia che sia presente
oppure via posta normale, la co­
pia firmata e definita dal Medico
del Servizio.
2.a fase
Dal lato burocratico – amministra­
tivo il Medico di base presenta en­
tro il giorno 15 di ogni mese il rie­
pilogo delle prestazioni del mese
precedente che, debitamente valu­
tate, vengono poi liquidate nel mese
successivo.
Procedure operative.
1.a parte - la proposta di attivazio­
ne dell’A.D.I.
Come già detto sopra e in attesa di
applicare la metodologia e il per­
corso operativo di cui all’UVM, il
Medico di base presenta all’Unità
Operativa la proposta di attivazio­
ne dell’assistenza domiciliare inte­
grata. Su un unico foglio viene ri­
portata la diagnosi, la descrizione
clinica, la causa di non ambulabili­
tà, la terapia in atto, gli obiettivi
proposti come programma individua­
le di assistenza. Lo stesso Medico
di base propone quindi l’attivazio­
ne dell’assistenza domiciliare inte­
grata con accessi definiti e con la
valutazione del tempo medio di as­
sistenza per ogni accesso.
Ancora viene indicata, sempre da
parte del medico di base, la richie­
sta per l’attivazione del Servizio in­
fermieristico territoriale e per il Ser­
vizio Assistenza domiciliare.
2.a parte – l’autorizzazione all’assi­
stenza domiciliare integrata.
Sempre con l’attuale procedura, non
appena ricevuta la richiesta, sarà
cura del Responsabile dell’Unità
Operativa o di un altro Medico de­
legato predisporre la necessaria au­
torizzazione definendo il periodo di
assistenza ed i seguenti obiettivi
assistenziali:
- Monitoraggio dello stato di salu­
te: indicato per seguire le condi­
zioni generali dell’utente e per
definire una valutazione del tem­
po medio di assistenza;
- Indicazioni circa il trattamento
dietetico: per la determinazione
della dieta dell’utente è oppor­
tuna una valutazione medica al
riguardo;
- Prescrizione farmaci e terapia far­
macologica: è evidentemente uno
dei punti più importanti dell’as­
sistenza all’utente;
- Integrazione con il Servizio infer­
mieristico: è un momento assolu­
tamente indispensabile dell’assi­
stenza in quanto il Medico neces­
sariamente deve dare le relative
indicazioni al personale infermie­
ristico, il quale organizzativamen­
te sarà coordinato dal Capo Sala
delle attività infermieristiche ter­
ritoriali;
- Integrazione con il Servizio socia­
le: è un punto fondamentale del­
l’assistenza domiciliare integrata
e si esplica correntemente nell’erogazione dei pasti a domici­
lio, nelle attività relative all’igie­
ne personale dell’utente e altro
ancora;
- Predisposizione di un programma
individuale di assistenza a carat­
tere riabilitativo: è appunto la
base per definire il trattamento di
utenti che hanno avuto partico­
lari patologie per le quali è pres­
soché indispensabile procedere ad
una riabilitazione motoria.
Valutazioni generali.
Vengono di seguito illustrate le ca­
ratteristiche principali dell’A.D.I. del
Distretto Alta Valsugana, perchè più
significative dal punto di vista quan­
titativo, rispetto ai Distretti Bassa
Valsugana e Primiero
I dati numerici complessivi.
1. Nel corso dell’anno 2000, nel Di­
stretto Alta Valsugana, sono sta­
te attivate n° 225 A.D.I. da parte
di 24 Medici di base.
Il numero totale di accessi per
gli stessi Medici, e sempre per
lo stesso anno è stato di 2.577.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
La media generale per Distretto
e per Medico è stata di 10,73
accessi.
2. Nel corso dell’anno 2000, nel Di­
stretto Bassa Valsugana, sono
state attivate n° 6 A.D.I. da
parte di 4 Medici di base.
Il numero totale di accessi per
gli stessi Medici e sempre per lo
stesso anno è stato di 128.
La media generale per Distretto
e per Medico è stata di 21,33
accessi.
Tipologia dei pazienti
e loro distribuzione.
1. Tipologia dei pazienti.
Alla fine dell’anno 2000 si è rileva­
to una prevalenza di utenti di ses­
so femminile del 61% rispetto agli
utenti di sesso maschile.
2. Distribuzione utenti.
La distribuzione per zona: partico­
lari considerazioni possono essere
101
Le esperienze territoriali in Trentino
102
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
svolte per questo argomento. Si as­
siste ad una prevalenza in partico­
lari zone del territorio del Distretto
nelle quali sussistono anche evi­
denti risvolti di carattere sociale.
- Zona del Pinetano: nel corso del­
l’anno 2000 complessivamente
529 accessi;
- Zona di Pergine Valsugana: nel
corso dell’anno 2000 complessi­
vamente 629 accessi;
- Zona di Civezzano: nel corso del­
l’anno 2000 complessivamente
144 accessi;
- Zona di Levico Terme: nel corso
dell’anno 2000 complessivamen­
te 232 accessi;
- Zona della Valle dei Mocheni: nel
corso dell’anno 2000 complessi­
vamente 842 accessi;
- Altre zone del Distretto hanno
comportato nel corso dell’anno
2000 un numero di 201 accessi.
I numeri indicati mostrano valo­
ri considerati elevati nella zona del
Pinetano e nella zona della Valle dei
Mocheni. Solo in quest’ultima real­
tà sussistono particolari ed eviden­
ti condizioni sociali ed ambientali
che hanno determinato l’alto nu­
mero raggiunto. In più, sempre per
gli utenti della Valle dei Mocheni, è
stato già attuato un particolare pro­
getto di assistenza coordinato dal
Servizio Sociale del Comprensorio
Alta Valsugana.
3. Distribuzione per Medico.
Valori percentuali:
- zona del Pinetano. L’A.D.I. è sta­
ta attivata nel corso dell’anno
2000 da parte di 3 Medici di Base
su 4 (percentuale dei Medici 75%);
- zona di Pergine Valsugana. L’A.D.I.
-
-
-
-
è stata attivata nel corso dell’an­
no 2000 da parte di 7 Medici di
Base su 14 (50%);
zona di Civezzano. L’A.D.I. è sta­
ta attivata nel corso dell’anno
2000 da parte di 2 Medici di Base
su 3 (66%);
zona di Levico Terme. L’A.D.I. è
stata attivata nel corso dell’anno
2000 da parte di 3 Medici di Base
su 7 (43%);
zona Val dei Mocheni. L’A.D.I. è
stata attivata nel corso dell’anno
2000 da parte di 2 Medici di Base
su 2 (100%);
zona indistinta. L’A.D.I. è stata at­
tivata nel corso dell’anno 2000 da
parte di 2 Medici di Base su 6
(33%).
4. Le patologie prevalenti.
Da una valutazione sanitaria delle
schede conservate presso l’Unità
Operativa risultano prevalentemen­
te tre grandi gruppi di patologie che
hanno determinato l’attivazione
della stessa A.D.I.
I tre citati gruppi di malattie
coesistono molto spesso tra di loro.
Il primo fa comunque riferimento
alle malattie tumorali e insiste da
solo per oltre il 60% dei casi valu­
tati. Il secondo gruppo fa riferi­
mento alle malattie cardiovascolari
ed incide per oltre il 70% dei casi
attivati mentre il terzo gruppo ri­
guarda le patologie cardiorespirato­
rie e incide per circa il 30%.
Difficoltà organizzative riscontrate.
Non sono state riscontrate partico­
lari difficoltà nell’erogazione del
servizio da parte dei Medici di base
e tanto meno dell’Unità Operativa.
Da parte dell’Unità Operativa, non
appena giunge la richiesta di atti­
vazione dell’A.D.I. per un determi­
nato utente, oltre a tutti i passaggi
amministrativi sopra ricordati, vie­
ne immediatamente informata la
Capo Sala del Servizio Infermieristi­
co per l’erogazione concordata con
il Medico di base di tale attività.
Risultati.
I numeri in assoluto.
1. Alla data del 31 dicembre 2000
risultavano attivate n° 80 A.D.I.
nel Distretto Alta Valsugana rese
a favore di n° 31 maschi e di n°
49 femmine;
2. Nel corso dell’intero anno 2000
sono state attivate ex novo n°
20 A.D.I.
3. Nel corso dell’intero anno 2000
sono deceduti n° 17 maschi e
n° 21 femmine.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Grado di collaborazione
con altri soggetti istituzionali.
Il grado di collaborazione raggiun­
to con altri soggetti istituzionali è
indubbiamente buono. Il Distretto
fa riferimento al Servizio Sociale del
Comprensorio ed al Comune di resi­
denza dell’utente per avere la mas­
sima collaborazione possibile per la
parte di reciproca competenza e
soprattutto nell’ottica di integrazio­
ne e di razionalizzazione dei servizi
resi alla persona.
Coinvolgimento dell’utenza
e/o dei familiari.
In attesa dell’applicazione delle pro­
cedure di ammissione in A.D.I. se­
condo la metodologia U.V.M., attual­
mente l’attivazione della medesima
A.D.I. viene a comportare la firma,
per conoscenza, del soggetto che
usufruisce di tale particolare tipo
di assistenza.
È quasi ovvio ricordare che fre­
quentemente il modulo di attivazio­
ne della stessa A.D.I., predisposto
dal Medico di base, viene di regola
controfirmato da un familiare del­
l’utente in quanto spesso le condi­
zioni cliniche di quest’ultimo po­
trebbero anche non permettere ciò.
Gli stessi familiari vengono poi
coinvolti dal Medico di base o dagli
Operatori del Servizio infermieristi­
co territoriale affinché manifestino
al Servizio sociale di riferimento le
necessità di avere un sostegno as­
sistenziale domiciliare, sia dal pun­
to di vista dell’igiene personale che
da quello dell’ambiente confinato.
Costi.
Considerato che la spesa per ogni
103
Le esperienze territoriali in Trentino
104
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
accesso è stata quantificata com­
plessivamente, si ha la seguente
situazione:
1. per il Distretto di Pergine Valsu­
gana il costo complessivo per
l’A.D.I. prestata dai Medici di
Base per l’anno 2000 è stato di
L. 132.973.200;
2. per il Distretto di Borgo Valsu­
gana il costo complessivo per
l’A.D.I. prestata dai Medici di
base per l’anno 2000 è stato di
L. 6.604.800;
3. per il Distretto di Primiero il co­
sto complessivo per l’A.D.I. pre­
stata dai Medici di base per l’an­
no 2000 è stato di L.
33.952.800.
Proposte migliorative del Servizio,
in termini di qualità, delle caratte­
ristiche e della consistenza dei ser­
vizi di assistenza sociale e sanita­
ria per gli anziani resa a livello di
Distretto.
Con le nuove modalità di attiva­
zione dell’Assistenza Domiciliare
Integrata, previste da una apposita
deliberazione della Giunta Provin­
ciale e seguendo le direttive azien­
dali, si procederà con decorrenza dal
secondo semestre dell’anno 2001 a
prevedere a livello distrettuale un
nuovo progetto indubbiamente mi­
gliorativo in termini di qualità.
Detto progetto si articolerà in tre
fasi distinte così identificate:
1. studio osservazionale sulla con­
sistenza del servizio in A.D.I.;
2. analisi della qualità del servizio
in A.D.I. con gli stessi indicato­
ri scaturiti dallo studio osserva­
zionale;
3. analisi della qualità del servizio
in A.D.I. in base ad altri indica­
tori.
Schematicamente per ognuna delle
tre fasi sopra indicate si possono
identificare diversi punti per com­
piere successivamente un’analisi
progettuale al riguardo:
1. studio osservazionale sulla con­
sistenza del servizio in A.D.I. È par­
ticolarmente importante eseguire
quanto indicato con l’intento di
verificare le principali caratteristi­
che del servizio reso.
Gli indicatori che verranno uti­
lizzati riguardano in primis la tipo­
logia delle prestazioni erogate e
cioè:
- l’assistenza infermieristica;
- l’assistenza sociale;
- gli interventi di riabilitazione;
- la tipologia del servizio reso al­
l’interno di ogni singolo Distret­
to;
- le professionalità coinvolte;
- l’integrazione tra il Medico di
medicina generale e gli altri ser­
vizi coinvolti;
- l’integrazione tra il Medico di
medicina generale e gli Speciali­
sti di riferimento;
- la partecipazione del Medico di
medicina generale all’attività della
Unità Valutativa Multidisciplina­
re.
2. Analisi della qualità del servizio
in A.D.I. utilizzando gli stessi ido­
nei indicatori sopra riportati, in
quanto ritenuti idonei per compiere
un’accurata valutazione e cioè:
- l’assistenza infermieristica;
- l’assistenza sociale;
- gli interventi di riabilitazione;
- la tipologia del servizio reso,
all’interno di ogni singolo
Distretto;
- le professionalità coinvolte;
- l’integrazione tra il Medico di
medicina generale e gli altri ser­
vizi coinvolti;
- l’integrazione tra il Medico di
medicina generale e gli Speciali­
sti di riferimento;
- la partecipazione del Medico di
medicina generale all’attività della
Unità Valutativa Multidisciplina­
re.
3. Analisi della qualità del servizio
in ADI in rapporto ad altri indica­
tori. In particolare si possono indi­
care le seguenti voci:
- La durata del servizio;
- La mortalità;
- Le variazioni degli indici di disa­
bilità;
- Il deterioramento cognitivo;
- Il numero dei ricoveri nel loro
complesso o nel singolo;
- Le giornate di degenza in
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ospedale;
- I risultati conseguiti.
L’assistenza domiciliare
integrata nel Distretto sanitario
Giudicarie e Rendena
Il sistema dei servizi sanitari e so­
cio-assistenziali nell’ambito del Di­
stretto non raggiungerebbe la sua
massima efficacia senza una inte­
grazione continua tra gli Enti Isti­
tuzionali che perseguono gli stessi
obiettivi di promozione e di aiuto
ai soggetti che vivono in situazioni
di bisogno o svantaggio sanitario e
sociale.
L’ambito territoriale coincidente
con il Comprensorio ed il Distretto
sanitario risulta ottimale per lo svi­
luppo di forme integrate di inter­
vento in grado di offrire all’utente
risposte globali e servizi meno fram­
105
Le esperienze territoriali in Trentino
106
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mentati in un’ottica che dovrebbe
portare al superamento dell’aspetto
assistenzialistico e custodialistico
del sociale e dell’approccio medica­
lizzante e curativo per l’ambito sa­
nitario.
Attualmente i campi d’azione in
cui è maggiormente applicabile una
strategia di integrazione che con­
senta risposte efficaci da parte dei
due comparti sono:
- L’Assistenza Domiciliare Integrata:
avviata dall’Azienda sanitaria, in
via sperimentale con un progetto
nel 1997, e consolidatasi nel cor­
so degli anni. È rivolta a persone
affette da patologie terminali o
gravemente invalidanti, che ri­
chiedono un investimento di cure
sanitarie, non necessariamente
erogabili in presidi ospedalieri o
Residenze Sanitarie Assistenziali,
ma fornite a domicilio, opportu­
namente coordinate con i servizi
socio-assistenziali;
- Il Consultorio Familiare: pur non
formalizzato in una sede autono­
ma, opera attualmente in relazio­
ne a casi di utenza con particola­
ri malattie e gravi situazioni fa­
miliari sulla base di modalità ope­
rative concordate tra i vari servi­
zi;
- La collaborazione tra Ospedale e
servizi sociali e sanitari territoria­
li: per ovviare al mancato coordi­
namento degli interventi tra il li­
vello sanitario ospedaliero e quel­
lo sociale territoriale, dal 1999 il
Servizio Sociale ha concordato con
la Direzione Medica di Presidio una
modalità di programmazione
delle dimissioni protette di pa­
zienti soli ed in condizioni preca­
rie, per assicurare a questi la con­
tinuità dell’intervento al rientro a
casa da parte dei servizi sociali e
sanitari di base;
- I protocolli operativi tra servizi so­
ciali e sanitari: in questi ultimi
anni è stato fatto uno sforzo co­
mune, in particolare con i servizi
specialistici ospedalieri, per por­
re in essere forme di collabora­
zione che consentano interventi
più coordinati e mirati, evitando
azioni isolate e poco coerenti agli
obiettivi;
- I rapporti tra Neuropsichiatria In­
fantile e Servizio Sociale: nel 1995
è stato elaborato un protocollo
operativo per la presa in carico
comune di soggetti e nuclei con
disabilità di vario grado o diffi­
coltà individuali accertate, con
l’obiettivo di privilegiare gli ef­
fettivi bisogni e le aspettative del
minore e della sua famiglia, supe­
rando la dicotomia di intervento.
Tale protocollo ha avuto succes­
sivi aggiustamenti in seguito a
verifiche congiunte;
- I rapporti tra Servizio di Alcologia
e Servizio Sociale: nel 1998 si sono
definite alcune linee comuni di
azione a favore di soggetti con
problemi alcoolcorrelati e com­
plessi che richiedono l’intervento
di entrambi i servizi, per arrivare
a concordare nel settembre 1999
un protocollo di intesa tra i due
servizi;
- I ricoveri definitivi o temporanei
nelle Residenze Sanitarie Assisten­
ziali: con la trasformazione delle
Case di Riposo in R.S.A. l’acco­
glienza va subordinata ad una va­
lutazione complessiva del pazien­
te fatta dal nuovo organismo che
è l’Unità di Valutazione Multidi­
sciplinare. L’obiettivo dell’U.V.M.
è di realizzare un progetto perso­
nalizzato e globale del paziente,
che valutando i bisogni sanitari
ed assistenziali utilizzi tutte le
risorse a disposizione;
- I Centri Diurni per anziani: sono
stati realizzati a Villa Rendena ed
a Roncone. In queste strutture do­
vrebbero essere erogati servizi
socio-assistenziali e sanitari a fa­
vore di persone anziane non au­
tosufficienti o con gravi disabili­
tà al fine di favorire il più possi­
bile la loro permanenza nel pro­
prio ambiente di vita e di soste­
nere le famiglie di appartenenza.
Sono in corso contatti tra gli Enti
titolari del servizio per definire le
modalità di intervento ed utilizzo
anche di queste risorse esistenti
nel territorio.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Breve sistesi storica
delle esperienze.
Per comprendere pienamente le rea­
lizzazioni fatte e i problemi ancora
aperti è necessario ripercorrere bre­
vemente la storia degli ultimi anni
dell’integrazione socio-sanitaria re­
alizzatasi soprattutto con l’avvio
dell’Assistenza Domiciliare Integra­
ta (A.D.I.).
Nel corso del 1996 è stata fatta
una serie di incontri con alcuni
medici di base, il servizio sociale e
le Case di Riposo per l’esame della
situazione. La proposta conclusiva
per il 1997 era di avviare la speri­
mentazione al fine di definire le pa­
tologie, le modalità di intervento e
soprattutto le disponibilità di per­
sonale medico e paramedico, con­
statato che il Servizio Sociale ave­
va dato la sua piena adesione.
Tale obiettivo specifico é stato
assegnato, dal punto di vista del
coordinamento, ai medici dell’Uni­
tà Operativa Territoriale. È stato co­
stituito uno specifico gruppo di la­
voro, composto di tutte le profes­
sionalità necessarie, che dopo aver
verificato nel Distretto di Vittorio
Veneto ed in quello di Rovereto la
sperimentazione in atto e raccolto
tutto il materiale necessario, ha
definito le modalità applicative.
Ha agevolato, inizialmente, la
realizzazione del progetto la stipu­
la di una convenzione con la Coo­
perativa “D & F Care” per un utiliz­
zo flessibile del personale infermie­
ristico, anche nelle giornate di sa­
bato e domenica. Dal luglio 1998,
però, a seguito della rescissione del
contratto di appalto, il personale in­
fermieristico territoriale ha garan­
107
Le esperienze territoriali in Trentino
108
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
tito la continuità assistenziale di­
mostrando la massima disponibilità
e consentendo che la sperimenta­
zione si realizzasse, superando così
le iniziali resistenze, consistenti
nella mobilità del personale medico
ospedaliero e nella preoccupazione
del medico di medicina generale di
perdere il suo ruolo di centralità.
Il dato positivo per il 1997 é stata
la sperimentazione alla fine dell’an­
no di alcuni casi seguiti da tutte le
componenti necessarie, con la no­
vità di un diretto coinvolgimento
del Servizio di fisioterapia, che ha
redatto un apposito protocollo di
intervento.
Nel corso del 1998 sono stati
attivati n.15 casi.
Le finalità dichiarate del progetto
erano:
- Migliorare la qualità della vita
delle persone;
- Qualificare l’intervento del medi­
co di medicina generale;
- Migliorare i rapporti ospedale-ter­
ritorio;
- Consolidare i rapporti infermierimedici;
- Diminuire i ricoveri impropri in
Ospedale;
- Diminuire i ricoveri impropri in
Casa di Riposo.
I destinatari del progetto:
- Dimessi o dimissibili da strutture
ospedaliere;
- Soggetti terminali;
- Pazienti con gravi patologie cro­
niche degenerative (diabete, ma­
lattie respiratorie, malattie vasco­
lari, malattie psico-geriatriche,
ecc.) a rischio di ricovero in strut­
ture residenziali od ospedaliere.
Le prestazioni da fornire ai soggetti
in A.D.I.:
- Assistenza medica dal medico di
medicina generale;
- Assistenza specialistica;
- Assistenza infermieristica;
- Assistenza riabilitativa;
- Fornitura di farmaci, presidi e pro­
tesi;
- Igiene alla persona;
- Aiuto domestico;
- Pasti a domicilio;
- Servizio di lavanderia;
- Supporto economico;
- Telesoccorso;
- Trasporti.
La realizzazione del progetto,
nettamente positiva per i risultati
ottenuti, è servita anche per far
emergere tutta una serie di proble­
mi e di difficoltà organizzative di
non facile soluzione, alcune delle
quali sono state superate negli anni
successivi, mentre altre dovranno es­
sere tenute presenti nella fase di
avvio e di funzionamento a regime
della Unità di Valutazione Multidi­
sciplinare:
- Evitare, innanzi tutto, un ecces­
sivo carico burocratico per il Me­
dico di medicina generale;
- Garantire la presenza dell’infermie­
re professionale anche al di fuori
del normale orario di lavoro, nel
tardo pomeriggio e nei giorni pre­
festivi e festivi, per le situazioni
di urgenza e necessità;
- Difficoltà di integrazione con gli
specialisti, al fine di garantire
l’uscita del medico ospedaliero nei
casi di richiesta documentata;
- Difficoltà ad utilizzare le notevo­
li potenzialità e disponibilità di
tutte le Case di Riposo delle Giu­
dicarie, per mancanza di una pre­
cisa normativa che preveda uno
specifico compenso per le presta­
zioni erogabili;
- Mancanza nelle Giudicarie di una
R.S.A., che consentisse di acco­
gliere temporaneamente pazienti
gravi dopo la fase acuta di rico­
vero in Ospedale;
- Gestione e utilizzo dei Centri Diur­
ni e degli appartamenti protetti
gestiti da Enti diversi (Compren­
sorio e Comuni) con modalità di
utilizzo diverse.
Il problema del carico burocra­
tico del medico di medicina gene­
rale esiste ed è di difficile soluzio­
ne in quanto per realizzare un pro­
getto complessivo del paziente e
venire incontro alle sue necessità
si deve conoscere esattamente la sua
situazione sanitaria, che solo il me­
dico curante è in grado di documen­
tare adeguatamente.
Per l’assistenza infermieristica
continua, l’Azienda aveva realiz­
zato, solo per i primi otto mesi del
1998 con la Cooperativa “D & F Care”
di Trento, un appalto del servizio a
chiamata, secondo le necessità. At­
tualmente il servizio del sabato e
dei festivi viene svolto egregiamente
dal personale dipendente, che ha
dato la sua disponibilità a chiama­
ta, con una presenza nei quattro
ambiti del Distretto (Condino, Pon­
te Arche, Tione, Spiazzo).
Difficile da raggiungere, e non
sempre realizzato, è stato l’obietti­
vo di integrare lo specialista nelle
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
valutazioni del paziente e nelle cure
a domicilio. Tale difficoltà è stata
progressivamente superata sia per
la disponibilità di alcuni speciali­
sti, che inizialmente in maniera vo­
lontaria si sono resi disponibili, ed
utilizzando poi lo strumento con­
trattuale del budget (anno 1999 e
2000) delle varie Unità Operative
ospedaliere, attraverso il quale si è
concordata la possibilità, a chiama­
ta, ad uscire dalla struttura ospe­
daliera per effettuare consulenze o
prestazioni a domicilio.
Le Case di Riposo delle Giudicarie hanno sempre dato la massima
disponibilità ad utilizzare le loro
risorse infermieristiche, riabilitati­
ve e strutturali, con una espressa
volontà di aprirsi al territorio. Nel
corso del 1997 nella prima fase di
realizzazione del progetto A.D.I. non
è stato possibile usufruire delle pre­
stazioni infermieristiche per man­
canza dello strumento giuridico di
una compensazione tariffaria. Suc­
cessivamente la crisi infermieristi­
ca, ha interrotto tale possibilità e
le Case di Riposo sono utilizzate dal
servizio infermieristico soprattutto
per gli ausili ai pazienti del loro
territorio.
Tra le risorse a disposizione del
Distretto Giudicarie e Rendena è
stata aperta dal 12 marzo 2001 la
R.S.A. di 24 posti presso l’Ospedale
di Tione. Sono insufficienti tre mesi
per giudicare l’utilizzo effettivo della
struttura, non ancora a regime com­
pleto per problemi di organico. Ri­
sulta, comunque come un dato im­
portante che i ricoveri complessivi
sono stati 32, di cui 22 temporanei
(il 68,75%) e 10 definitivi (il
109
Le esperienze territoriali in Trentino
110
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
31,25%), mentre la provenienza è
del 62,5% dall’Ospedale di Tione, il
25% dal domicilio ed il 12,5% da
altre strutture.
Sulla base di questo dato, che è
estremamente significativo, la
R.S.A. dell’Ospedale di Tione è ve­
nuta incontro soprattutto alle ne­
cessità temporanee ed immediate di
pazienti gravi, ma non acuti, che in
precedenza non avevano possibili­
tà di risposta immediata da parte
delle Case di Riposo.
Negli ultimi anni alcuni Comuni
nel Comprensorio hanno realizzato
Centri Servizi, Centri Diurni ed Ap­
partamenti protetti; un problema da
risolvere è quello dell’utilizzo inte­
grato delle risorse, certamente in via
prioritaria per gli abitanti del Co­
mune o della zona, sempre con la
finalità di mantenere l’anziano nel­
la sua abitazione e di impedire o
comunque rinviare la collocazione
futura in R.S.A.
Conclusioni
La realizzazione dell’Assistenza Do­
miciliare Integrata (A.D.I.) dal 1997
è stata la chiave di volta per proce­
dere progressivamente nella integra­
zione dei due servizi. Negli ultimi
anni la media dei pazienti assistiti
si è sempre attestata tra le 14 e 15
persone, gravissime, soprattutto ter­
minali, con bisogni in prevalenza
sanitari.
Gli elementi positivi riscontrabi­
li oggi sono:
a) la ricchezza delle risorse a di­
sposizione. Nell’anno 2000 i dati
di attività sono i seguenti:
- il Servizio Sociale ha seguito n.
391 casi in Assistenza Domici­
liare;
- ha distribuito i pasti a 168 per­
sone;
- ha curato interventi di lavande­
ria per 44 persone;
- ha seguito n. 37 utenti che han­
no ricevuto il Telesoccorso e Te­
lecontrollo;
- ha assistito n. 11 persone pres­
so i Centri Diurni;
- in totale ha assistito n. 425 nu­
clei familiari e n. 526 utenti.
L’assistenza infermieristica ha
curato n. 1.416 utenti:
ha effettuato n. 15.253 accessi;
ha eseguito n. 51.302 prestazio­
ni, di cui n. 34.227 per pazienti
cronici;
b) la piena volontà di collaborazio­
ne dei due Servizi e di tutti gli
Enti che dispongono di risorse;
c) l’ottima qualificazione del servi­
zio infermieristico territoriale,
confermata dalla partecipazione
al progetto di formazione-inter­
vento per la qualità delle cure
infermieristiche domiciliari;
d) la disponibilità dei medici di me­
dicina generale, vista come oc­
casione per recuperare un ruolo
di centralità nell’assistenza sa­
nitaria.
Certamente molta strada è comun­
que ancora da fare perché:
- esistono liste differenziate di as­
sistenza e sanità con interventi
non coordinati per i casi meno im­
pegnativi;
- non tutte le risorse sono disponi­
bili e la carenza improvvisa di
personale può a volte incidere pe­
santemente sull’efficienza dei Ser­
vizi.
Importante e fondamentale è che si
sia creata tra tutti gli operatori una
cultura dell’integrazione tra medico
di medicina generale e Servizi. Per
questo motivo si può ritenere che
nel Distretto esistono in questo
momento tutte le premesse per un
avvio efficace e produttivo dell’Unità
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
di Valutazione Multidisciplinare
(U.V.M.).
Giuseppe Penasa è Direttore dei Distretti
sanitari Valle di Cembra, RotalianaPaganella, Trento-Valle dei Laghi, Valle
di Non e Valle di Sole dell’Azienda
provinciale per i servizi sanitari.
Elio Ottaviano è Direttore dei distretti
sanitari Vallagarina e Alto Garda e Ledro
dell’Azienda provinciale per i servizi
sanitari.
Renzo Nardelli è Direttore dei Distretti
sanitari di Fiemme e Ladino di Fassa
dell’Azienda provinciale per i servizi
sanitari.
Francesco Venturini è Direttore dei
Distretti sanitari Bassa Valsugana e
Tesino, Alta Valsugana e Primiero
dell’Azienda provinciale per i servizi
sanitari.
Ugo Pitton è Direttore del Distretto
sanitario Giudicarie e Rendena
dell’Azienda provinciale per i servizi
sanitari.
111
RSA: lavori in corso
per un nuovo servizio
sociosanitario
Massimiliano Colombo
Verso un modello di assistenza
socio-sanitaria orientata ai nuovi
bisogni della popolazione
in una società che cambia
Uno dei segni più significativi del­
l’evoluzione che ha caratterizzato
negli anni recenti il sistema sani­
tario trentino è stata la trasforma­
zione, ancora in corso, delle case
di riposo – servizio socio-assisten­
ziale - in residenze sanitarie assi­
stenziali (RSA) - servizio sociosa­
nitario.
L’investimento per lo sviluppo
qualitativo e quantitativo delle RSA
profuso sul piano politico, norma­
tivo ed economico da soggetti isti­
tuzionali e sociali diversi, è stato
davvero consistente, anche se mol­
ti problemi, che mi propongo di di­
scutere in questo contributo, atten­
dono ancora una adeguata soluzio­
ne.
È opportuno chiedersi preliminar­
mente perché le RSA siano state e
siano tutt’oggi oggetto di questo
forte investimento, nonostante i più
importanti documenti di politica
sociale e sanitaria di fonte istitu­
zionale sottolineino giustamente la
priorità e la centralità degli inter­
venti domiciliari e l’esigenza di ri­
112
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
servare i servizi residenziali ai soli
casi in cui non siano efficaci e so­
stenibili altre forme di intervento.
La nostra società sta comincian­
do a misurarsi in modo forte con il
problema storicamente nuovo del­
l’invecchiamento della popolazione
e della progressiva diminuzione della
capacità assistenziale della famiglia,
e mentre da un lato, con i successi
della medicina, sfida i limiti biolo­
gici della nostra specie offrendo una
speranza di vita anche a persone
gravemente malate e non autosuf­
ficienti, dall’altro vede aumentare il
numero delle persone e delle fami­
glie in situazione di grave bisogno
assistenziale, che cercano nella RSA
una risposta adeguata alla loro dif­
ficile condizione.
È un dato il fatto che in Trentino
sia prevista l’apertura nei prossimi
anni di nuove RSA e che – specie in
alcune zone della provincia – le li­
ste di attesa siano purtroppo anco­
ra consistenti, nonostante si assi­
sta ad un significativo aumento
dell’offerta privata di assistenza do­
miciliare continua da parte di ope­
ratori extracomunitari – certamen­
te da valorizzare e qualificare - che
contribuisce al contenimento della
domanda per i casi meno impegna­
tivi sul piano sanitario. Possiamo
quindi affermare che le RSA sono
attualmente investite da forti sol­
lecitazioni ed attese, che giustifi­
cano il processo di sviluppo e di
qualificazione che le investe.
L’evoluzione in atto evidenzia un
altro processo significativo: la di­
versificazione della domanda di as­
sistenza rivolta alle RSA sotto il
profilo delle patologie da curare,
delle forme di disabilità da gestire,
dei problemi personali e sociali da
prendere in carico. Il requisito di
accesso alla RSA tracciato dal legi­
slatore – persona non autosufficien­
te non assistibile a domicilio – è
infatti generale e include problema­
tiche assistenziali differenziate, che
richiederebbero ciascuna ambienti di
servizio, prestazioni e competenze
organizzative e professionali speci­
fiche.
Il concetto stesso di non auto­
sufficienza fonde - e confonde - due
dimensioni diverse: la disabilità
(che non necessariamente è asso­
ciata alla presenza di malattie e pro­
ietterebbe la RSA verso una dimen­
sione prevalentemente socio-assi­
stenziale) e la presenza di stati pa­
tologici, in particolare polipatolo­
gie ad andamento cronico-degene­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
rativo (che caratterizzerebbero la
RSA in senso sanitario).
Analizzando l’attuale utenza del­
le RSA, si osserva infatti che essa
risulta articolata in diversi segmen­
ti: disabili fisici con elevati biso­
gni assistenziali, ma in condizioni
di salute relativamente buone e sta­
bili; disabili che convivono con mol­
teplici malattie croniche, che richie­
dono cure mediche ed infermieristi­
che continue; dimessi dall’ospedale
in fase terminale; malati psichici;
persone in stato di coma; disabili
psico-fisici che diventati adulti si
sono trovati senza supporti familia­
ri, ed infine (e in misura sempre più
rilevante) persone non autosuffi­
cienti che presentano in forme più
o meno gravi uno stato di demen­
za.
Al quadro vanno aggiunti anche
gli ospiti che stanno attraversando
113
Le esperienze territoriali in Trentino
114
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
una malattia che in altri contesti
richiederebbe un ricovero ospeda­
liero, ricovero che spesso in RSA,
d’intesa con l’ospite ed i familiari
viene evitato, intensificando l’inter­
vento sanitario interno.
Questa proliferazione dei tipi di
non autosufficienza oggi in carico
alle RSA è anche conseguenza dello
sviluppo del sistema dei servizi so­
ciali e sanitari nel suo complesso,
e in particolare della riduzione del­
l’intervento ospedaliero alla sola
cura della fase acuta della malattia
e del potenziamento dei servizi do­
miciliari. Questi processi evolutivi
hanno permesso di ridurre i ricoveri
impropri in RSA, riservando alle stes­
se le situazioni in cui il bisogno
assistenziale è più intenso, e di
abbassare drasticamente la doman­
da per l’accesso alla casa di sog­
giorno, riservata a persone autosuf­
ficienti.
Per completare l’analisi dell’uten­
za delle RSA, si consideri anche il
fatto che gli ospiti delle RSA non
sono necessariamente persone an­
ziane, anche se tra la popolazione
di persone ricoverate gli anziani
sono prevalenti. La RSA infatti è un
servizio rivolto alle persone non
autosufficienti, indipendentemente
dalla loro età.
Sul piano sociologico è importan­
te osservare che l’utenza delle RSA
non è più costituita, come avveni­
va in passato nelle vecchie case di
riposo, da persone di prevalente
estrazione sociale medio-bassa o
comunque provenienti da un’epoca
storica caratterizzata culturalmen­
te da aspettative limitate verso
l’istituzione. Gli anziani di oggi non
sono quelli di ieri e lo stato di non
autosufficienza ed il bisogno di ri­
covero in RSA possono colpire
chiunque. Spesso anche le famiglie
benestanti, che disporrebbero di ri­
sorse economiche per gestire a do­
micilio il proprio congiunto non
autosufficiente, non riescono ad
auto-organizzare in forma privata
una assistenza continua risponden­
te in modo adeguato ai bisogni di
salute dello stesso.
Un altro fenomeno di grande
rilevanza è rappresentato dalla si­
gnificativa presenza nella vita quo­
tidiana di una RSA dei familiari del­
l’ospite, soprattutto del coniuge e
dei figli. Si potrebbe dire che l’uten­
te della RSA, quando la famiglia c’è,
non è l’ospite, ma il sistema fami­
liare di cui egli è parte. Il sistema
familiare diventa a tutti gli effetti
da un lato il beneficiario del servi­
zio e dall’altro un co-produttore
dello stesso, in partnership con
l’istituzione. La vitalità della fami­
glia nelle RSA è testimoniata anche
dalla capacità di auto mutuo aiuto,
che spesso nasce spontaneamente
tra i familiari, e dall’emergere di for­
me di rappresentanza per la tutela
degli interessi che alimentano do­
mande di partecipazione alle deci­
sioni politico-amministrative e ge­
stionali.
Questi processi rendono eviden­
te il fatto che le RSA, lungi dall’es­
sere luoghi di esclusione sociale,
sono istituzioni partecipate, aperte
al controllo sociale quotidiano,
strutturalmente orientate alla
ricerca continua di un’alleanza as­
sistenziale-terapeutica complessa e
di lunga durata con l’ospite ed i fa­
miliari.
Le RSA sono di conseguenza
aziende di servizi particolarmente
complesse e delicate, fisiologicamente esposte al conflitto, insta­
bili nei loro delicati equilibri orga­
nizzativi e sociali, tanto più se si
considera il fatto che l’esperienza
dell’accesso e del ricovero in RSA è
attraversata da forti investimenti
affettivi dell’ospite e dei familiari.
Insomma, se dovessimo dire oggi
in sintesi cosa sono le RSA dovrem­
mo riconoscere che sono ambienti
di servizio contenitori di problemi
familiari e sociali assai differenziati, che a volte faticano a convivere
sotto lo stesso tetto, esposti – per
fortuna – ad un forte controllo so­
ciale, dal quale a volte emergono
forme di sussidiarietà e di solida­
rietà efficaci sul piano della difesa
della salute ed esemplari anche sul
piano civile, ma altre volte emergo­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
no tensioni e conflitti la cui gestio­
ne richiede a tutti i soggetti in cam­
po un difficile investimento di fi­
ducia e un paziente riconoscimento
comune dei limiti e delle possibili­
tà dell’istituzione.
In questo quadro di evoluzioni in
atto nella società e nel sistema di
protezione sociale e sanitaria, le RSA
vanno considerate un servizio nuo­
vo, giovane, ancora alla ricerca del­
la sua identità e delle sue specifici­
tà nella rete territoriale dei servizi,
eppure già fortemente presente e
radicato sul territorio ed esposto a
richieste diverse e poco riducibili.
Sollecitate dai tanti bisogni emer­
genti e dalle diverse aspettative
delle parti interessate con le quali
sono in rapporto, le RSA rischiano
di diventare contenitore di situazio­
ni molto diverse, poco integrabili,
che in altri servizi non hanno tro­
vato risposta.
Di fronte al delicato ed in parte
nuovo compito sociale di essere il
riferimento sociosanitario per la cura
delle gravi non autosufficienze, le
RSA sono purtroppo aiutate solo in
parte dalla loro storia. Il loro pas­
sato remoto di ricoveri dedicati ad
un’accoglienza minima essenziale di
poveri e balordi, o il loro passato
prossimo di case di riposo per an­
ziani soli con difficoltà di autono­
mia, ha sedimentato una rappresen­
tazione culturale negativa di que­
ste istituzioni, che pone ancora oggi
non pochi problemi a chi si vede
costretto a ricorrervi. Ancora oggi
l’accedere ad una RSA spesso non
viene vissuto come una risposta
necessaria ed opportuna ai proble­
115
Le esperienze territoriali in Trentino
116
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
mi della persona e della famiglia,
grazie alla quale preservare le iden­
tità personali, i ruoli familiari ed i
legami relazionali ed affettivi, messi
in crisi dall’irrompere insostenibile
della non autosufficienza. Il retag­
gio culturale dei vecchi ricoveri
spesso, nel momento dell’accesso in
RSA, induce sentimenti di fallimen­
to e produce conflitti personali e
familiari che si riverberano nel modo
di costruire le aspettative verso
l’istituzione e le forme di parteci­
pazione al processo di presa in ca­
rico e di cura della persona.
Grazie al loro percorso storico di
ex-ricoveri ed ex-case di riposo, le
RSA hanno tuttavia saputo svilup­
pare una competenza nella cura del­
le persone capace di integrare ed
armonizzare nelle pratiche quotidia­
ne approcci disciplinari e culture
professionali diversi: sociale, sani­
tario, assistenziale, riabilitativo,
animativo, alberghiero.
Le case di riposo si sono infatti
misurate, soprattutto negli ultimi
vent’anni, con il compito istituzio­
nale di offrire non solo prestazioni
assistenziali e sanitarie, ma un am­
biente di vita sensibile alla varietà
dei bisogni che l’uomo esprime nel
suo risiedere. In altre parole, la cul­
tura organizzativa di una RSA co­
struita su una precedente casa di
riposo è spesso marcatamente so­
ciosanitaria – senza trattino sepa­
ratore -, cioè capace di utilizzare
linguaggi, valori e logiche di azio­
ne diverse per leggere e sostenere
la complessità dei bisogni (fisici,
affettivi, sociali, spirituali, cultu­
rali, ecc.) che la persona e la fami­
glia esprimono in un servizio resi­
denziale di lunga durata.
Ma il problema centrale da porre
a questo punto, dopo l’analisi in­
troduttiva fin qui condotta, riguar­
da la missione ed i ruoli specifici
da affidare alle RSA nel sistema pro­
vinciale dei servizi sociali e sanita­
ri. In altre parole, è matura in que­
sta fase storica l’esigenza di model­
lizzare il servizio RSA. Questo pro­
blema sta emergendo in ogni regio­
ne ed ogni regione - nel nostro con­
testo la Provincia Autonoma – ha
sviluppato o sta sviluppando un
modello locale di RSA spesso signi­
ficativamente diverso da quello in
uso nelle regioni limitrofe.
Desta preoccupazione assistere
nel nostro paese ad un proliferare
non coordinato di modelli regionali
di RSA molto diversi tra loro quanto
a numero di posti letto RSA program­
mati in rapporto alla popolazione,
articolazione di diversi tipi di ser­
vizio residenziale, figure professio­
nali previste e relative parametra­
zioni, modalità ed intensità della
copertura della spesa sanitaria da
parte del fondo sanitario regionale,
consistenza delle rette residenziali
a carico degli utenti e dei familiari,
forme di partecipazione dei comuni
al pagamento delle stesse. Alla luce
di questa babele, diventa difficile
comparare le esperienze che vanno
maturando in regioni diverse ed è
fuorviante valutare le politiche pro­
vinciali relative a questo servizio
semplicemente mettendo a confron­
to la relativa spesa sanitaria, previ­
sta nel bilancio provinciale, con
quella delle altre regioni.
Il difficile passaggio dalle vec­
chie case di riposo alle nuove RSA,
avviato in Trentino nel 1998, che
può essere ripercorso consultando
la documentazione ufficiale indica­
ta in calce, si è basato su alcune
scelte di fondo. Quella più signifi­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
cativa è la possibilità concessa alle
strutture di caratterizzarsi nel loro
territorio come centri di produzio­
ne di servizi territoriali diversi, cia­
scuno con un proprio centro di co­
sto e di ricavo: strutture dedicate
non solo alla RSA quindi, ma anche
alla casa di soggiorno per ospiti
autosufficienti, al centro diurno per
l’erogazione di prestazioni assisten­
ziali, alla produzione di pasti da
consegnare a domicilio.
La possibile polivalenza delle
strutture rappresenta una risorsa
fondamentale per la diversificazio­
ne dell’offerta nella rete locale dei
servizi socio-assistenziali e socio­
sanitari, per la continuità della presa
in carico nel passaggio da un servi­
zio all’altro e per consolidare il le­
game con la comunità locale.
Un altro elemento fondativo del
modello trentino di RSA è la perdi­
ta da parte dell’ospite del medico
117
Le esperienze territoriali in Trentino
118
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
di medicina generale e la gestione
del servizio sanitario interno (ser­
vizio medico, infermieristico, riabi­
litativo, di assistenza generica) af­
fidata ad operatori collaboratori di­
retti dell’ente gestore della RSA, con
la possibilità che lo stesso possa
ottenere finanziamenti per acquisi­
re sul mercato le prestazioni di me­
dicina specialistica che l’Azienda
Sanitaria Provinciale non sia in gra­
do di assicurare.
Altri importanti elementi in gra­
do di caratterizzare il modello tren­
tino di RSA sono tuttavia ancora
oggetto di studio e di definizione,
sia nei tavoli di lavoro previsti dal
protocollo di intesa del 09.04.01 in
materia di assistenza agli ospiti
delle RSA, sia attraverso l’attuazio­
ne del regolamento provinciale per
l’autorizzazione e l’accreditamento
sanitario delle RSA.
Rileggendo ed interpretando la
legge provinciale istitutiva delle
RSA, la legge provinciale n. 6 del
1998, alla luce dei problemi sociali
ai quali le RSA cercano oggi di dare
risposta, possiamo riconoscere, as­
sumendo una prospettiva di analisi
propria degli amministratori, le se­
guenti funzioni delle RSA, diverse
sotto il profilo delle aspettative del­
l’utente, della domanda di servizio
e dell’utilizzo delle risorse, delle
competenze dell’istituzione.
La funzione forse più comune
della RSA – la chiameremo per co­
modità di esposizione RSA1 - è il
ricovero continuo di non autosuffi­
cienti, non assistibili a domicilio,
stabilizzati sul piano sanitario, con
una speranza di vita relativamente
ampia, fortemente impegnativi sul
piano assistenziale ed impegnativi
in misura discreta sul piano infer­
mieristico o medico. Sono queste le
situazioni nelle quali, potremmo
dire, è forte la disabilità ma mode­
sto il bisogno sanitario inteso in
senso stretto. Per queste persone la
RSA si configura tendenzialmente
come una nuova casa in cui risiede­
re per un tempo indeterminato e
poter esprimere e soddisfare, entro
i vincoli della vita comunitaria,
un’ampia varietà di bisogni umani
e di desideri, con la garanzia di una
adeguata assistenza alla persona. La
missione della RSA in questi casi è
offrire una nuova casa con adegua­
te sicurezze e protezioni assisten­
ziali, in cui la persona possa ritro­
vare, insieme all’assistenza perso­
nalizzata, legami affettivi e relazioni
con la propria storia e con il pro­
prio ambiente, per poter continuare
a vivere con dignità, pur nei vincoli
posti dalla malattia e dalla non au­
tosufficienza. Il servizio di base con
il quale una RSA si misura quotidia­
namente è quello di garantire ade­
guate prestazioni assistenziali in­
dividualizzate, ma il fattore di suc­
cesso del servizio è in questo caso
la capacità di ricercare condizioni
di protagonismo degli ospiti e delle
famiglie (sottraendoli al ruolo pas­
sivo di paziente e di visitatore) com­
binata con la capacità di co-evolu­
zione del servizio con i bisogni ed i
desideri emergenti dagli stessi e con
la capacità di sostenere reti di rela­
zioni in grado di mobilitare energie
per la salute e di riprodurre senso e
legame sociale.
Insomma, la RSA intesa non come
un ospedale di serie B, ma come una
casa in cui poter vivere nel senso
più ricco del termine, con adeguate
garanzie di assistenza e ricerca del­
la salute.
Una seconda funzione della RSA
– la definiremo RSA2 – si differen­
zia dalla precedente per una doman­
da forte non solo di assistenza ge­
nerica, ma anche di assistenza in­
fermieristica e medica. Questa fun­
zione viene attivata per gestire ospi­
ti più delicati ed impegnativi sul
piano sanitario, pur se relativamente
stabilizzati e con speranze di vita
significative. A differenza della
RSA1, la RSA2 richiede una presen­
za più intensa di personale medico
ed infermieristico e di tecnologie e
di competenze sanitarie specifiche,
nonché una maggiore capacità di
collaborazione ed integrazione con
i servizi sanitari. RSA2 dovrà perciò
avere standard di personale sanita­
rio e tariffe sanitarie maggiori di
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
RSA1.
Per alcune tipologie di ospiti –
per esempio pazienti in stato di
coma – che non utilizzano molti dei
servizi qualificanti la RSA1 o la RSA2
(per esempio servizi alberghieri,
sociali e di animazione) ci si chie­
de se non vada previsto un servizio
residenziale ad hoc (per esempio
una RSA3 attivata all’interno di un
ospedale che in quanto tale ha mo­
desti standard strutturali, sociali e
residenziali – peraltro non richiesti
e non valorizzati da questo tipo di
utente - ma è in grado di garantire
una forte integrazione con servizi
sanitari qualificati).
Per le persone in stato di non
autosufficienza, che passata la fase
acuta della malattia hanno davanti
a sé un periodo di convalescenza o
di riabilitazione, oppure affrontano
una fase terminale, si pone l’esigen­
za di un ricovero temporaneo, limi­
tato nel tempo, nel quale siano pre­
119
Le esperienze territoriali in Trentino
120
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
valenti le istanze sanitarie su quel­
le sociali e residenziali. Il legisla­
tore provinciale prevede che anche
per queste tipologie di situazioni le
RSA siano un riferimento. Attual­
mente non risulta tuttavia distinta
in modo sufficientemente articola­
to la lungodegenza ospedaliera (in­
teramente a carico del servizio sa­
nitario) dalla RSA (con retta resi­
denziale a carico dell’ospite) così
come non sono ancora differenzia­
te le RSA site all’interno di un ospe­
dale dalle RSA territoriali.
Questa tipologia di situazioni
assistenziali - il ricovero tempora­
neo di convalescenza, riabilitazio­
ne o in fase terminale - configura
una ulteriore funzione delle RSA, che
definiremo RSA4.
Infine il legislatore provinciale ha
previsto due forme di ricovero tem­
poraneo in RSA di persone non au­
tosufficienti normalmente assistite
dai propri familiari: il ricovero d’ur­
genza che si verifica quando improv­
visamente viene meno la capacità
assistenziale della famiglia e la per­
sona non autosufficiente non può
essere lasciata sola nel proprio do­
micilio – una sorta di pronto soc­
corso assistenziale – e il ricovero
per dare sollievo alla famiglia e per­
mettere alla stessa di recuperare
energie e capacità assistenziali. Il
ricovero d’urgenza è imprevedibile
ed implica la presenza di alcuni
posti letto liberi da occupare al bi­
sogno, il ricovero per dare sollievo
alla famiglia è invece programmabile per tempo e reiterabile. Queste
due modalità temporanee d’uso della
RSA, da parte di persone non auto­
sufficienti stabilizzate sul piano
sanitario, configurano due servizi ­
RSA5 ed RSA6 - diversi dai prece­
denti. Le esperienze acquisite met­
tono in evidenza quanto sia delica­
to, nella gestione di questi casi, rac­
cordare operatori, servizi ed istitu­
zioni per garantire la continuità as­
sistenziale nel transito della perso­
na attraverso questo servizio. Le
esperienze acquisite evidenziano
anche che questi ospiti, se da un
lato sono più impegnativi degli al­
tri sotto il profilo della programma­
zione e del coordinamento degli
operatori e delle prestazioni, dal­
l’altro, proprio a causa della tem­
poraneità del ricovero, utilizzano
solo in parte i servizi tipicamente
previsti per gli ospiti in regime di
ricovero continuo.
Dal nostro punto di vista di am­
ministratori di RSA, la differenzia­
zione delle funzioni assistenziali
riconducibili alle RSA sopra propo­
sta è utile e necessaria su piani di­
versi: la politica relativa al ruolo
delle RSA nel sistema dei servizi, la
modellizzazione delle RSA provincia­
li e infine la definizione per ogni
funzione RSA di adeguati requisiti
di accreditamento, standard di per­
sonale e politiche tariffarie.
Una chiara distinzione delle fun­
zioni attribuite alle RSA è utile an­
che per le Unità di Valutazione Mul­
tidisciplinare chiamate a gestire la
domanda e gli accessi.
In sede di programmazione dei
servizi andrebbero in futuro defini­
ti per ogni distretto quanti posti
letto prevedere per ogni funzione
RSA, sapendo che una stessa strut­
tura può entro certi limiti attrez­
zarsi per gestire simultaneamente
funzioni diverse.
Il protocollo di intesa firmato il
9.4.2001 in materia di assistenza
agli ospiti delle RSA prevede che con
il 2002 sia introdotta in via speri­
mentale la distinzione tra RSA1 ed
RSA2. Si dovrà successivamente ve­
rificare se le strutture che verranno
attrezzate per far fronte al servizio
RSA2 possano farsi carico anche
delle situazioni di cui alla RSA3 ed
RSA4. Si dovrebbe quindi avviare un
confronto per dare una giusta col­
locazione anche alle altre qualifi­
canti funzioni RSA, la RSA5 e la
RSA6, relative ai ricoveri tempora­
nei di immediato soccorso o di sol­
lievo, già in corso di sperimenta­
zione in alcune zone del Trentino.
È inoltre aperto un dibattito sul­
l’opportunità di istituire nelle RSA
nuclei assistenziali specializzati per
la cura di particolari forme di non
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
autosufficienza, per esempio lega­
te alla demenza e alla malattia di
Alzheimer. Su queste opportunità
debbono evidentemente esprimersi
in prima istanza i tecnici e solo in
seconda gli amministratori.
I confronti avuti finora in sedi
diverse fanno tuttavia ritenere che
le RSA possano entro certi limiti
essere generaliste, cioè possano farsi
carico di una certa varietà di forme
di non autosufficienza e di patolo­
gie senza attivare nuclei specializ­
zati, purché il mix dei casi in carico
sia compatibile con le risorse e le
competenze istituzionali, gli abbi­
namenti degli ospiti siano ben cali­
brati e per ogni ospite sia prevista
un’assistenza basata su un piano
assistenziale individualizzato.
Per concludere, per evitare che le
RSA siano un contenitore indiscri­
minato e fuori controllo di tutti i
121
Le esperienze territoriali in Trentino
122
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
problemi assistenziali che altrimenti
non avrebbero soluzione, vanno di­
stinte le funzioni assistenziali ad
esse attribuite, come ho cercato di
proporre, prevedendo per ogni fun­
zione un modello di servizio ed una
politica tariffaria, ben sapendo che
ogni funzione può rappresentare il
riferimento assistenziale per una
certa varietà di forme di non auto­
sufficienza.
Al fine di garantire una corretta
valorizzazione ed utilizzazione del­
le RSA, in sede di programmazione
e di accordo contrattuale dovrebbe
essere definito il numero dei posti
letto da attivare per ognuna delle
funzioni RSA, mentre in sede di ge­
stione l’Unità di Valutazione Multidimensionale dovrebbe gestire gli
accessi monitorando e tenendo sem­
pre sotto controllo il mix dei casi
dati in carico ad una RSA, in modo
che risulti sempre compatibile con
le funzioni assistenziali alla stessa
attribuite e con le potenzialità as­
sistenziali dalla stessa assicurate.
Molti sono i modelli e gli stru­
menti di gestione già sperimentati
nei paesi più sviluppati dai quali
attingere per andare a definire un
adeguato sistema provinciale di RSA.
Il cantiere è aperto ed i lavori sono
in corso.
sone non autosufficienti o
con gravi disabilità”;
[2]
deliberazione della Giunta
Provinciale n. 130 del 24 gen­
naio 2001, recante approva­
zione delle direttive per l’as­
sistenza ai non autosufficien­
ti in RSA e finanziamento del­
la spesa per l’anno 2001;
[3]
deliberazione della Giunta
Provinciale n. 3634 del
29.12.2000, recante discipli­
na delle Unità di valutazione
multidisciplinare da costitu­
ire a livello territoriale e di­
sposizioni per la loro attiva­
zione.
Per una sintesi dei lavori in
corso per lo sviluppo delle
RSA in Trentino vedi:
[4]
il protocollo di intesa firma­
to il 09.04.01 da Provincia,
Consorzio dei Comuni, Unio­
ne Provinciale Istituzioni per
l’Assistenza (U.P.I.P.A.), Or­
ganizzazioni Sindacali, Rap­
presentanze degli ospiti e dei
familiari.
Copia della documentazione può
essere richiesta alla segreteria del­
l’U.P.I.P.A, [email protected].
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Per una analisi dell’attuale assetto
del servizio RSA in Trentino vedi:
[1]
legge provinciale 28 maggio
1998 n. 6 “Interventi a favo­
re degli anziani e delle per­
Massimiliano Colombo è presidente
dell’U.P.I.P.A. (Unione Provinciale
Istituzioni per l’Assistenza).
L’unità di valutazione
multidisciplinare
Gabriele Noro
Uno strumento per rendere più
appropriati ed efficienti gli interventi nei
confronti delle persone non autosufficienti
Nell’attuale fase politico-istituzio­
nale, in relazione al riassetto dei
Servizi sociali e al processo di com­
pletamento del Sistema sanitario, si
riscontra un momento culturale ca­
ratterizzato dall’integrazione socio­
sanitaria come elemento qualifican­
te.
Due sono gli aspetti ideologici e
di consenso su cui si fonda.
Il primo è il concetto di salute,
in riferimento alle indicazioni del­
la Organizzazione Mondiale della
Sanità, che alla fine degli anni ’50
affermava: “La salute degli anziani
è misurabile molto meglio in termi­
ni di funzione” e “..il grado di effi­
cienza, piuttosto che la diffusione
di una patologia, può essere usato
come misura della quantità dei ser­
vizi che gli anziani richiedono alla
comunità. Con una visione dinami­
ca della salute nel quale l’evento
malattia cronica non rappresenta
che una variabile in continuo movi­
mento.” La salute dell’anziano ri­
chiede il tradizionale approccio cli­
nico della malattia, ma anche un
modello che tiene conto delle com­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
plessità e delle specificità dell’an­
ziano.
Il secondo aspetto è stata la di­
mostrazione “scientifica” che la re­
visione della risposta sanitaria a
questa realtà, porta alla integrazio­
ne sociale e sanitaria, atta a favori­
re una rete territoriale in grado di
garantire maggiore qualità e forse
minori costi nel soddisfare le esi­
genze di una crescente popolazio­
ne con patologie croniche, plurime
e disabilitanti.
In definitiva le scelte politiche
compiute in questi anni si sono
sempre più orientate a riconoscere
il ruolo e la funzione degli elementi
di natura sociale nell’assistenza sa­
nitaria nei settori degli anziani, dei
disabili, delle patologie psichiatri­
che, delle dipendenze. Parlerò degli
aspetti riguardanti l’anziano convin­
to che l’U.V.M. sia peraltro utile in
vari settori.
L’anziano e la salute
Chi si occupa dell’anziano non può
prescindere da questa complessità,
all’interno della quale l’atto medi­
co non è limitato alla sola ricerca
della malattia, ma deve tener conto
contemporaneamente anche degli
aspetti funzionali, psichici, relazio­
nali e sociali. Lo stato di benesse­
re, la qualità della vita, la dignità
individuale e il livello di autono­
mia sono il poker della salute del­
l’anziano. Tutti questi aspetti sono
condizionati dall’interazione tra pro­
blemi di ordine medico, psicologi­
co, economico e sociale. Ognuno di
questi presenta nell’età avanzata ca­
ratteristiche specifiche che lo dif­
ferenziano da quelle del soggetto
123
Le esperienze territoriali in Trentino
124
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
adulto.
Proprio come un bambino non è
la semplice versione giovane di un
adulto così l’anziano non può esse­
re considerato semplicemente un
adulto vecchio: si è infatti svilup­
pato un processo di complessifica­
zione sia a livello della funzione
encefalica e somatica in generale,
sia a quello delle interazioni tra re­
altà personale e realtà ambientali.
La malattia cronica, caratterizzata
da continue oscillazioni della con­
dizione generale che devono attri­
buirsi a motivi d’ordine sociale, psi­
cologico e biologico in strettissima
interdipendenza, esige una intelli­
gente rilevazione dei vari parame­
tri, allo scopo di identificare even­
tuali punti di attacco per un inter­
vento, abbandonando il fatalismo
colpevole che si accompagna allo
scarso impegno di approfondimen­
to di situazioni pur molto comples­
se.
Gli stessi interventi sanitari
avrebbero un valore limitato se non
si integrassero con misure socioassistenziali e se non partissero dal
concetto di salute come recupero
della funzione residua su diversi gra­
di di abilità; su come l’anziano in
particolari condizioni riesca a ge­
stire il quotidiano e quindi sulle
patologie e sui problemi di salute,
ma anche sulle potenzialità residue,
su ciò che c’è e che può essere re­
cuperato a funzione.
Gli interventi per l’anziano
Solamente una strategia che si fon­
di sulla valutazione globale dei bi­
sogni può fornire informazioni com­
plete sui problemi dell’anziano e può
conseguentemente essere garanzia
di un piano finalizzato alla conser­
vazione della massima autonomia
personale e sociale.
Su questa linea la ricerca geron­
tologica ha sviluppato, soprattutto
negli ultimi anni, modalità specifi­
che di studio della salute, che pren­
dono in esame i vari aspetti delle
funzioni che concorrono a determi­
narla. Tali modalità, indicate col
termine di “assessment geriatrico”,
sono costituite da una serie di sca­
le (“strumenti”) in grado di valuta­
re quantitativamente l’entità del
deterioramento dei diversi “domini”
considerati (ovvero di quantificare
l’entità delle funzioni residue), di
permettere la schematizzazione dei
dati clinici e la misurazione delle
eventuali modificazioni nel tempo.
Nel 1992 il Progetto obiettivo
anziani si affida all’Unità valutati­
va che chiama “geriatrica” per rea­
lizzare l’integrazione come gruppo
multidisciplinare e per provvedere
alla gestione (intra ed extra ospe­
daliera) del paziente anziano fragi­
le. Si ispira ai principi della valuta­
zione funzionale multidimensiona­
le, seleziona anziani che hanno ne­
cessità di assistenza continuativa,
individua l’intervento più opportu­
no, programma e controlla la quali­
tà dell’assistenza geriatrica nella
rete, assicura un monitoraggio con­
tinuo attraverso l’informatizzazione
dell’attività.
Il termine “assessment multidi­
mensionale”, derivato dalla lettera­
tura anglosassone, indica l’insieme
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
di strumenti che sono stati utiliz­
zati per raggiungere una conoscen­
za oggettiva. La metodologia della
valutazione multidimensionale co­
stituisce una delle conquiste più
significative dell’approccio clinico
al paziente anziano fragile. Nella
gestione semplicità ed operatività
devono essere i criteri di riferimen­
to.
Ciò si riflette a livello decisiona­
le e terapeutico; l’”assessment glo­
bale” costituisce la guida per qual­
siasi terapia razionale, che può va­
riare da un intervento limitato alla
prescrizione di un farmaco, fino a
farsi carico delle dinamiche psico­
logiche e sociali, oltre che biologi­
che.
Per esempio, nella valutazione di
un soggetto per cui si prende in esa­
me l’ammissione ad una struttura di
lungodegenza, dovremmo conside­
rare il rischio indotto da questa de­
cisione in termini di accelerazione
del decadimento funzionale e con­
frontarlo con il rapporto rischio-be­
neficio di altre possibili opzioni.
Nella valutazione clinica di un sog­
getto anziano che si reca dal pro­
prio medico è possibile ipotizzare
la rilevazione sistematica di una
serie di indicatori semplici che per­
mettano di monitorizzare nel tem­
po lo stato globale di “vitalità” e
di identificare in una fase precoce i
soggetti a rischio elevato di disa­
bilita. In nessuno di questi esempi,
la valutazione della fragilità ha un
carattere certificativo ma ha piut­
tosto un significato di prevenzione
e di promozione della qualità della
vita.
Il Piano Sanitario Nazionale 1998­
125
Le esperienze territoriali in Trentino
126
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
2000 riprende il “Progetto Obietti­
vo Anziani” del 1992 e indica tra
le priorità per il cambiamento una
profonda revisione organizzativa dei
servizi sanitari e sociali, in modo
da realizzare un’effettiva integrazio­
ne a tre livelli: istituzionale, gestio­
nale e professionale. Uno dei campi
dove è maggiormente sentita la ne­
cessità di tale integrazione è quel­
lo riguardante l’assistenza continua­
tiva all’anziano “fragile”, resa più
complessa dalla coesistenza di pro­
blematiche sociali e psico-compor­
tamentali. Le azioni che intende re­
alizzare il Piano Sanitario Naziona­
le sono la presenza delle unità di
valutazione geriatrica (U.V.G.), atte
a fornire un’analisi globale dei bi­
sogni dell’anziano e a favorire un’as­
sistenza personalizzata e continua­
tiva.
L’insieme delle strutture atte a
proteggere gli anziani in funzione
del grado di autonomia e della fra­
gilità della rete sociale viene defi­
nita come rete dei servizi (C.N.R.
1995).
In un tentativo di esprimere in
maniera sintetica i nodi della rete
in cui è necessario implementare ad
esempio nella nostra realtà uno scre­
ening della fragilità, dovremo fare
riferimento ad almeno 5 setting:
1) il domicilio con eventuale asse­
gno di cura alle famiglie; la me­
dicina di base;
2) l’assistenza domiciliare integra­
ta;
3) l’ospedale per acuti (ospedale
tecnologico);
4) i luoghi dove si attua la degen­
za nel periodo post-acuto;
5) le strutture di lungodegenza per
gli anziani (residenziali e
semiresidenziali).
Le strutture sanitarie, i Comuni e
le Regioni in Italia hanno risposto
a questa problematica con soluzio­
ni differenti, sia dal punto di vista
della filosofia di riferimento che sul
piano strettamente tecnico degli
strumenti e delle procedure, più
come risposta alle istanze contin­
genti che come tentativo di piani­
ficare il futuro dell’assistenza degli
anziani. Esistono infatti sperimen­
tazioni differenti e poco confronta­
bili oltre ad una rete di servizi non
uniforme e rappresentata in modo
incompleto.
La valutazione multidimensiona­
le e multidisciplinare come strumen­
to guida nella rete integrata dei
servizi di assistenza continuativa
parte proprio da quello che si è detto
e ha come obiettivo finale la mes­
sa a punto di un set di regole, stru­
menti e procedure per la valutazio­
ne dell’anziano fragile nella rete dei
servizi, improntati alla uniformità.
Interventi sporadici e/o settoriali
nei confronti di questo paziente, ad
elevato rischio di non autosufficien­
za o già disabile, sono infatti de­
stinati inesorabilmente a fallire.
La valutazione multidimensiona­
le è un metodo di lavoro e uno stru­
mento operativo che garantisce l’in­
tegrazione, che coinvolge più figu­
re professionali e che permette una
corretta analisi del “bisogno”, con­
dizione preliminare per la definizio­
ne del progetto assistenziale così
inteso, che non può passare per un
semplice ufficio di risposte alle va­
rie richieste o ai vari problemi da
Tab. 1
Elementi essenziali della valutazione multidimensionale
1. Attività della vita quotidiana
- mobilità
- attività fisiche della vita quotidiana;
principali attività per la cura della persona
- partecipazione attiva alla vita della comunità;
capacità di svolgere i lavori domestici
2. Funzione fisica
- valutazione soggettiva dello stato di salute
- sintomi fisici e malattie diagnosticate
- ricorso ai servizi sanitari
- grado di attività e indicatori di disabilita (es. giorni a letto)
3. Funzione mentale
- capacità cognitiva
- presenza di sintomi psichiatrici
4. Funzione psicosociale o benessere affettivo in un determinato
contesto sociale e culturale
5. Risorse sociali
- presenza di familiari ed amici
- disponibilità delle risorse quando richieste
6. Risorse economiche
- valutazione in base a standard di riferimento
(es. livello di povertà)
7. Risorse ambientali
- alloggi adeguati
- ubicazione idonea rispetto a servizi pubblici, negozi.
evadere né attraverso una struttura
burocratico-amministrativa. Il Distretto è la sede ideale, tramite
l’U.V.M., dove questo metodo può
essere applicato, in quanto funge
da sportello più vicino ai bisogni e
al territorio. La valutazione multiProvincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
dimensionale esplora più settori uti­
lizzando strumenti di misura (scale
di valutazione) che analizzano le
aree critiche per l’utente e ne descrivono il grado di autonomia. La
valutazione di quest’ultima condi­
zione deriva dalla somma di com­
127
Le esperienze territoriali in Trentino
ponenti diverse e prevede l’esperien­
za di vari professionisti, sia della
sfera sociale che di quella sanitaria
(vedi tab. 1 a pag. 127).
128
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Uso degli strumenti
Un modello unitario rappresenta
pertanto un punto di arrivo ideale e
di riferimento che potrebbe essere
un codice unico in mano ad orga­
nizzazioni diverse. Potrebbe servire
dalla semplice comunicazione alla
programmazione, dalla formazione di
attività alla formazione del perso­
nale, dal monitoraggio del paziente
al controllo dell’attività. I dati di
“salute” (come valutazione com­
plessiva) sono così utilizzabili per:
- la programmazione:
- gestione Regioni e Provincie;
- Distretti e servizi territoriali in­
terni;
- RSA – Case protette – Centri
diurni ecc.;
- le esigenze finanziarie:
- per chi deve ricercare strumenti
di ripartizione delle quote sani­
tarie ed alberghiere;
- le esigenze gestionali:
- per i Distretti e le Unità valuta­
tive (per i piani di attività ter­
ritoriali);
- per le strutture (per la program­
mazione dei Nuclei interni e le
esigenze di riscontro dei cari­
chi di lavoro);
- gli interventi sul singolo paziente:
- per identificare i soggetti fragi­
li, comprendere le determinanti
della loro fragilità e costruire un
profilo;
- per identificare chi ha bisogno
di un ricovero diagnostico, te­
rapeutico, sociale o riabilitati­
vo;
- per monitorare il paziente al­
l’interno della rete dei servizi at­
traverso il “responsabile del
caso”;
- per stabilire la strategia di ge­
stione e le procedure in base ai
bisogni;
- per valutare le varie opzioni di­
sponibili a fronte di una richie­
sta di ricovero.
La letteratura italiana e straniera
conferma l’efficacia della valutazio­
ne multidimensionale nella valuta­
zione e nella cura del paziente an­
ziano in confronto all’approccio
medico tradizionale in diversi set­
tings, sin dall’articolo di Rubenstein
apparso sul New England Journal of
Medicine nel 1984, che è conside­
rato una pietra miliare in questo
ambito di ricerca, anche come rap­
porto costo-beneficio, quando ap­
plicata ad una particolare popola­
zione “target”.
Modello
Il set di base deve pertanto com­
prendere le aree descrittrici dello
stato di salute che rappresentano
le aree cardine della valutazione
della stessa. A questo set di base
che quindi è utilizzabile a vari li­
velli, si possono aggiungere degli
elementi valutativi (scale) che ri­
spondono a programmi e gestioni
differenti esempio: dementi in nu­
clei di RSA ecc.
Le aree ritenute necessarie per
costruire una rappresentazione del­
la salute sono costituite da:
1) Area fisica – sanitaria (carico in­
fermieristico e riabilitativo);
2) Area cognitiva;
3) Area funzionale (attività di base
della vita quotidiana e mobili­
tà);
4) Area sociale.
Per ciascuna di queste aree sono
previste delle graduazioni di gravi­
tà il cui risultato finale porterà alla
definizione di un profilo del sog­
getto in esame; si tratta in altre pa­
role di una definizione della carat­
teristiche individuali rispetto a que­
ste dimensioni ritenute fondamen­
tali.
Le scale di valutazione misure­
ranno in particolare le funzioni co­
gnitive e le attività fisiche legate
all’attività del vivere quotidiano.
Nell’area funzionale si usano le
ADL di Katz e gli indici di Barthel,
per una valutazione della mobilità;
per la valutazione delle attività più
complesse si possono usare le scale
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
che misurano le IADL (attività con
strumenti della vita quotidiana). Per
la valutazione dell’area cognitiva si
possono usare l’SPMSQ di Pfiffer o
MMSE di Folstein; il primo è più sem­
plice e utilizzabile anche in pazienti
con disturbi visivi e sufficiente per
individuare il fabbisogno assisten­
ziale; il secondo è uno strumento
più complesso e più funzionale a
screening cognitivi.
Per la valutazione fisico-sanita­
ria si procede anche a:
a) valutazione della attitudine po­
sturale e motorie (clinostatismo,
ortostatismo, modalità di trasfe­
rimento, attività manuali);
b) altre disabilità (deficit sensoriali
uditivi-visivi, nutrizione trami­
te sondino nasogastrico – gastro­
enterostomia percutanea –cate­
tere venoso centrale, uretero­
colon stomie, linguaggio pato­
logico, disturbo notturno, peri­
colo di fuga o incolumità in de­
mente);
c) presenza o rischio di ulcere da
pressione.
La valutazione, effettuata dall’As­
sistente Sociale, esplora l’area so­
ciale:
a) familiari e medici di Medicina
Generale referenti – motivazioni
della richiesta di attivazione del­
la rete dei servizi;
b) reddito dell’utente e del nucleo
familiare, eventuali integrazioni
fornite da enti;
c) situazione familiare in relazione
alla “capacità” di gestire il caso;
d) rete di supporto;
e) interventi e servizi istituzionali
socio-assistenziali (telesoccorso,
129
Le esperienze territoriali in Trentino
130
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
fornitura pasti ecc.) distinti in:
appropriati per l’utente, già at­
tivati, proposti ma rifiutati, esi­
stenti ma non attivabili per il
caso specifico, non esistenti;
f) urgenza sociale.
I risultati ottenuti definiscono il
“profilo della disabilità” che pertan­
to comprende i determinanti prin­
cipali della non-autosufficienza
stratificati in più livelli di gravità:
capacità di spostamento, demenza,
disturbo notturno, pericolo di fuga
o incolumità. Il “profilo” viene uti­
lizzato come strumento per la ana­
lisi-confronto delle caratteristiche
ambientali minime necessarie e
compatibili (persone e luoghi) con
la corretta gestione dell’utente.
L’analisi della riproducibilità del­
lo strumento di valutazione clini­
co-funzionale (ripetibilità intraos­
servatore tra osservatori diversi) è
pari a un coefficiente di correlazio­
ne di Spearman di 0.98 (p<0.001
G.Valerio 1999).
Ai singoli settori delle aree clini­
co-funzionale e sociale, sopra de­
scritti, vengono attribuiti dei pun­
teggi la cui somma orienta la pre­
cedenza da attribuire al caso; tale
metodo, nella scelta delle priorità,
è ritenuto obbligatorio in un siste­
ma a risorse economiche definite.
Le valutazioni, effettuate sepa­
ratamente a seconda dei bisogni da
figure professionali diverse (medi­
co di medicina generale, assistente
sociale, geriatra per gli anziani, in­
fermiere, responsabile del distretto
ed altri eventuali) mediante il col­
loquio e gli strumenti descritti ven­
gono riunite in sede distrettuale
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
dove viene definito il progetto as­
sistenziale, comparabile con le esi­
genze dell’utente e la disponibilità
di risorse. L’attivazione dell’ADI ad
esempio, se esistono i criteri mini­
mi per realizzarla, è una delle ri­
sposte possibili anche in presenza
di una richiesta dell’utente rivolta
ad ottenere un’altra tipologia di
servizi socio-sanitari quale, ad
esempio, l’istituzionalizzazione
(orientamento della domanda).
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Conclusioni
Riassumendo, l’implementazione
dello screening della fragilità etàassociata, con procedure e strumenti
confrontabili nelle varie realtà re­
gionali, ha lo scopo di attivare nel­
la rete dei servizi una sorveglianza
attiva e piani terapeutici speciali
con valenza preventiva, nei confron­
ti della disabilità e per la promo­
zione della qualità della vita nell’anziano. Il futuro sarà pertanto
quello di passare da un semplice
screening a un uso di strumenti pro­
grammati “ad personam”.
Le indicazioni che scaturiscono
dall’applicazione dell’U.V.M dovran­
no essere interpretate come tenta­
tivo di omogeneizzare i comporta­
menti o avere modelli confrontabili
almeno in provincia di Trento. Solo
così sarà possibile capitalizzare
l’esperienza quotidiana e operare
dinamicamente i necessari correttivi verso l’appropriatezza, l’efficacia
e una maggiore efficienza. Ciò po­
trà essere infine un punto di par­
tenza per acquisire conoscenze e
fronteggiare le nuove esigenze che
l’invecchiamento e le modificazioni
demografiche ci presentano.
[3] M.F. Folstein, Mini Mental State
Examination: a practical method
for grading the cognitive state
of patients for the clinical, Jour­
nal of Psychiatric research 12:
189, 1975.
[1] The Public Health Aspects of the
Aging of the Population, WHO,
Copenhagen 1959.
[2] L.Z. Rubenstein, et al., Impacts
of geriatric evaluation and ma­
nagement programs on defined
outcomes: overview of the evi­
dence, J. Am. Geriatrics Soc. 39
(Supple.): 85, 1991.
[4] S. Katz, Progress in the develop­
ment of the index of ADL, Ge­
rontologist 1:20-30, 1970.
[5] S. Katz, Functional assessment
in geriatrics, JAGS 37:267-271,
1989.
[6] Progetto Obiettivo, Tutela della
salute degli anziani: Piano Sa­
nitario Nazionale per il quin­
quennio 1991-1995, Ministero
della Sanità – Servizio centrale
di programmazione sanitaria.
Roma 1991.
[7] Carbonin P.U., Conquiste e svi­
luppi della Gerontologia e Geria­
tria: Stato dell’arte, 1996. Giorn.
Geront. 1996; 44, 461.
[8] Cucinotta D. et al., La Valuta­
zione multidimensionale geriatri­
ca, Giorn. Geront. 1997; 5, 747.
131
[9] Ministero della Sanità, Piano
Sanitario Nazionale 1998-2000,
Roma 1998.
Le esperienze territoriali in Trentino
[10]Legge Reg. Veneto D.G.R. 561/
98.
132
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
[11]Applegate W.B., Blass J.P., Wil­
liams T.F., Instruments for the
functional assessment of older
patients, N. Engl. J. Med. 322,
1207, 1990.
[12]L. Ferrucci ed al., La valutazio­
ne multidimensionale geriatrica
come strumento guida nella rete
integrata dei servizi di assisten­
za continuativa per l’anziano
fragile, Giorn. Geront. Suppl. 1
Vol. XI-VII, 1999.
[13]Rubenstein R. Bernabei, Geria­
tric assessment technology: sta­
te of the art, Kurtis 1995.
[14]Rubinstein L.Z.ed al., Effective­
ness of a geriatric evaluation
unit: a randomized clinical trial,
N.Engl. J. Med. 311, 1664,
1984.
deficit in elderly patients, Jour­
nal of the America Geriatrics
Society, oct 1975, vol. 23 n.10,
433-441.
[18]Aldo E. Tàmmaro, Manuale di
Geriatria e Gerontologia – McGraw-Hill – 2° edizione; capp.
11-12.
[19]Bernabei R. ed al., Il sistema
di valutazione multidimensiona­
le VAOR come strumento per il
controllo di qualità dell’assisten­
za degli anziani istituzionaliz­
zati, Giorn. Geron. 1994, 42;
320-325.
[20]Abate G., Assistenza domicilia­
re integrata, C.N.R. Roma 1995.
[21]G. Valerio ed al., La sperimen­
tazione vicentina, Giorn. Ge­
ront. Vol. 47 pag 323-326
1999.
[22]www.adiveneto.it/progetto.
[15]Fabio Vidotto, in Dalla qualità
totale alla Carta dei Servizi, Ed.
Vega a cura di A. Cester pag.
219.
[16]Shah S. J. Clin, Improving sen­
sitivity of the Barthel Index for
stroke rehabilitation, J.Clin.
Epidemiol 1989; 8, 703.
[17]Pfeiffer (E.), A short portable
mental status questionnaire for
the assessment of organic brain
Gabriele Noro è Direttore dell’Unità
Operativa di Geriatria dell’Ospedale
Santa Chiara di Trento.
I servizi
per le persone disabili
Dario Ianes
L’integrazione delle risorse pubbliche e del
volontariato per affrontare in modo più
efficace i problemi della disabilità
e del disagio
Esaminando gli ultimi dieci anni
di vita della comunità trentina, nei
suoi aspetti di risposta pubblica e
del privato sociale alla variegata
realtà delle disabilità, balzano im­
mediatamente agli occhi due aspet­
ti, credo abbastanza tipici delle pic­
cole comunità in un territorio alpi­
no, con qualche difficoltà di comu­
nicazione e con una forte matrice
socioculturale cattolica: una forte
disomogeneità tra i servizi presenti
nel capoluogo e a Rovereto, rispet­
to a quelli presenti nelle valli peri­
feriche, che sono molto meno ric­
che di risposte specifiche, e una
grande presenza di servizi organiz­
zati e gestiti da realtà del privato
sociale (Associazioni, cooperative
sociali e simili) che monopolizzano
quasi il quadro dei servizi, non ap­
pena la persona disabile assolve al­
l’obbligo scolastico e diventa adul­
ta.
Ci troviamo dunque con alcune
realtà territoriali ben presidiate di
servizi e altre molto meno, con una
grande frattura tra due periodi di
vita della persona disabile: l’età evo­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
lutiva, in cui il presidio è quasi
esclusivamente pubblico (Azienda
sanitaria e Scuola pubblica) ed età
adulta, in cui i servizi pubblici la­
sciano il campo al privato sociale.
Un esempio emblematico è costitu­
ito dall’ANFFAS (Associazione nazio­
nale famiglie di disabili intellettivi
e relazionali), realtà associativa for­
tissima in Trentino, che ha il quasi
monopolio della gestione di Centri
socioeducativi diurni, centri occu­
pazionali e cooperative di lavorolaboratori protetti. Naturalmente
questa situazione di delega dell’am­
ministrazione pubblica al privato
sociale, se è potenzialmente inte­
ressante per la possibilità del pri­
vato sociale di creare nuove rispo­
ste al bisogno, in questa situazione
di quasi monopolio, viene a creare
alcune difficoltà per le piccole real­
tà di privato sociale che non rie­
scono a “competere” ad armi pari,
ad esempio nel reclutamento degli
operatori, dal momento che l’ANF­
133
Le esperienze territoriali in Trentino
134
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
FAS riesce a pagare meglio i propri
dipendenti. Si crea così una situa­
zione di non equità, perché per uno
stesso lavoro vengono utilizzate re­
munerazioni sensibilmente diverse.
E qui si ravvisa un’altra caratteri­
stica del sistema trentino, che ha
visto scarsamente presente l’ente
pubblico nel ruolo necessario di re­
golatore e perequatore delle diffe­
renze, sia in termini territoriali, che
di politiche retributive degli opera­
tori del comparto socioassistenzia­
le. La politica dell’accreditamento
e del controllo di qualità sui servizi
erogati per conto dell’ente pubbli­
co è ormai giunta a una svolta non
più procrastinabile in questa realtà
territoriale ricca di partnership pub­
blico-privato.
In questi dieci anni abbiamo vi­
sto crescere in Trentino alcune di­
mensioni di sviluppo e di moder­
nizzazione del sistema di risposte
alla disabilità che vale la pena evi­
denziare.
Il ruolo protagonistico
delle famiglie
Sempre di più la famiglia si rende
consapevole delle sue risorse posi­
tive, esce da un vissuto di colpa e
di autoisolamento e cerca attiva­
mente di migliorare la propria si­
tuazione e quella delle altre fami­
glie, in un’ottica promozionale e non
più clientelare-assistenziale.
Dalle
prime
esperienze
dell’ANFFAS, associazione costitui­
ta da familiari di persone disabili,
che si è impegnata direttamente
nella gestione di servizi alla perso­
na, alla Cooperativa sociale “La
Rete”, fondata per iniziativa di un
gruppo misto di familiari, operatori
e volontari, con l’obiettivo di raf­
forzare il nucleo familiare con varie
iniziative di supporto, alle altre ini­
ziative associative di familiari, tra
queste la sezione locale dell’ANGSA
(Associazione nazionale genitori
soggetti autistici), che si attivano
sia nella direzione mutuale (ad
esempio con gruppi di auto mutuo
aiuto) sia in quella di una preziosa
opera di pressione sull’amministra­
zione pubblica per l’attivazione di
nuovi servizi o per l’estensione e il
miglioramento di quelli esistenti.
In questo senso, è cresciuta
senz’altro la possibilità, per l’ente
pubblico, di disporre di partner por­
tatori di interessi forti e legittimi
in grado di contribuire alla proget­
tazione, realizzazione e verifica di
importanti settori di servizi. Si pensi
ad esempio al tema della residen­
zialità, e cioè al bisogno di assicu­
rare un luogo dignitoso, indipenden­
te e integrato, di vita alla persona
disabile quando la sua famiglia non
sarà, per l’età o condizioni di salu­
te, più in grado di convivere con
lei: le famiglie sono diventate atti­
ve nell’analisi dei bisogni e nell’in­
dividuazione di risposte di buon li­
vello qualitativo. Questa partnership
di qualità non sarebbe stata pensa­
bile dieci anni fa.
Il consolidamento
dell’integrazione scolastica
a tutti i livelli
Grazie all’autonomia e a un buon
livello di risorse economiche, il Tren­
tino è riuscito a garantire, in questi
quasi 25 anni di integrazione sco­
lastica, delle risposte della scuola
efficaci, generalmente, sia a livello
pedagogico-didattico che dal pun­
to di vista del rapporto numerico
insegnanti alunni disabili, che è
nettamente migliore che nel resto
d’Italia.
Si è venuta poi anticipando la at­
tuale tendenza alla responsabilizza­
zione degli enti locali, che ha visto
la Provincia e i Comprensori dotare
le scuole di personale proprio (Edu­
catori) per rispondere, accanto al­
l’insegnante di sostegno, ai biso­
gni di carattere educativo e assi­
stenziale degli alunni con disabili­
tà più grave e con ridotta autono­
mia. L’Università di Trento è poi al­
l’avanguardia nei processi di acco­
glienza e di integrazione di studen­
ti disabili, utilizzando studenti nel
ruolo di tutor, obiettori di coscien­
za specificamente formati e dotan­
dosi di appartamenti senza barrie­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
re. Il Trentino, dalla metà degli anni
ottanta, è diventato un laboratorio
riconosciuto a livello nazionale per
quanto riguarda lo sviluppo delle
strategie di integrazione e di lavoro
psicologico didattico sulle difficol­
tà di apprendimento, ospitando il
Centro Studi Erickson, con le sue
attività formative e editoriali.
Il blocco
dell’istituzionalizzazione
Dieci anni fa gli istituti presenti in
Trentino erano tre e non ospitavano
più di 200 persone adulte. A tut­
t’oggi la situazione è rimasta la stes­
sa, pur aumentando il numero di per­
sone disabili adulte e anziane. Que­
sto aumento di persone che hanno
bisogno di una soluzione residen­
ziale è stato assorbito dalle comu­
nità alloggio, che si stanno diffon­
dendo con un buon ritmo sul terri­
135
Le esperienze territoriali in Trentino
torio, accompagnate da una ormai
forte presa di coscienza da parte dei
familiari che l’istituto non costitu­
isce più una risposta buona per il
loro figlio. Dei tre istituti, soltanto
uno si è ingrandito, mentre gli altri
due sopravvivono, uno stancamen­
te e uno con qualche prospettiva di
innovazione e di cambiamento.
136
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
L’espansione dei Centri Diurni
Dopo la scuola dell’obbligo molti
disabili trovano una collocazione nei
tanti centri socioeducativi, occupa­
zionali o lavorativi presenti in Tren­
tino. In questi anni si è assistito a
una rapida espansione di queste ri­
sposte che hanno supplito a due
grandi carenze nel sistema comples­
sivo di risposte alla disabilità: l’in­
tegrazione nella scuola media su­
periore e l’integrazione lavorativa e
sociale. La scuola media superiore
si è sempre deresponsabilizzata per
la presenza di un sistema forte e
pervasivo di Centri di Formazione
professionale, che però non sono
riusciti, anche per carenze dell’Agen­
zia del Lavoro, a garantire sbocchi
lavorativi agli alunni disabili che
hanno frequentato i corsi.
Accade allora che le persone di­
sabili giovani, dopo un lungo per­
corso di integrazione scolastica, a
contatto con compagni normali,
anche nella formazione professiona­
le, si trovino catapultati in un cen­
tro socioeducativo e occupazionale
frequentato esclusivamente da per­
sone disabili, con un calo dramma­
tico nei livelli di integrazione.
Questo è dunque un problema che
rimane aperto e che rimanda anche
all’annoso, e tuttora irrisolto, pro­
blema dell’integrazione lavorativa.
Il cambiamento culturale
Il Trentino è cambiato in questi ul­
timi anni, passando da una visione
della disabilità cupa e assistenzia­
le, caritatevole e misericordiosa,
sostanzialmente segregante, ad una
più equilibrata, moderna, in cui si
sa distinguere tra disabilità e han­
dicap, in cui si sanno valorizzare le
differenze, non solo accettarle, ed
in cui la persona disabile si può
sentire un cittadino attivo a tutti
gli effetti, anche se “diversamente
abile”. Ne sono la prova le sempre
più frequenti ed efficaci iniziative
di presenza attiva di persone disa­
bili nella scuola per sensibilizzare
alle diversità e far crescere la cul­
tura della disabiltà, il ruolo attivo
di persone disabili nella gestione di
servizi e di iniziative editoriali.
Questo riconoscimento del valore
personale e dei diritti nasce anche
dalle lotte, a volta disperate e vio­
lente, di qualche persona disabile
che, nonostante gli eccessi condan­
nabili, ha saputo risvegliare dal tor­
pore la comunità trentina.
L’evoluzione
e la differenziazione dei bisogni
Come è accaduto in tanti altri cam­
pi del vivere sociale e dei servizi
alla persona, anche nel campo del­
la disabiltà i bisogni si sono rami­
ficati, evoluti e differenziati sem­
pre più. Le persone disabili adulte
hanno elaborato il bisogno di vive­
re indipendentemente e perciò sono
necessari servizi di assistenza do­
miciliare, di trasporti personalizza­
ti anche nelle ore serali (Cooperati­
ve specializzate o l’uso facilitato di
buoni taxi), si pone con sempre
maggiore forza il bisogno di vivere
costruttivamente il tempo libero,
con iniziative forti di integrazione
nella comunità, con soggiorni esti­
vi.
Le famiglie elaborano sempre più
a fondo la loro situazione e hanno
bisogni sempre più sfumati e com­
plessi: la “tregua”, e cioè tirare il
fiato dai loro stressanti compiti as­
sistenziali continui, la formazione
di competenze educative, che li
potenzino nel loro difficile ruolo, il
mutuo aiuto, l’incontrarsi e lo scam­
biarsi reciprocamente forza, consi­
gli e suggerimenti in percorsi di cre­
scita in piccoli gruppi.
Il lavoro di rete tra enti
La comunità trentina è molto pic­
cola e percorsa, per alcuni aspetti,
da forti legami solidali, ma, pur es­
sendo molte le realtà che operano
nel settore della disabilità, i rap­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
porti in rete non sono stati facili e
spontanei. Le occasioni di reale
collaborazione non sono state mol­
te, e ognuno preferiva coltivare il
proprio orticello. La Cooperativa “La
Rete” ha promosso, per prima, nel
1989, una mostra incontro “Spazio
Aperto” che ha visto la partecipa­
zione di più di 40 realtà del pubbli­
co e del privato sociale, con una
serie di manifestazioni rivolte alla
cittadinanza e realizzate in accor­
do e sinergia tre le varie associa­
zioni e servizi rivolti alla disabili­
tà. Successivamente, un certo ruo­
lo di attivatore e coordinatore di
sinergie tra enti è stato giocato dal
Comune di Trento, con un tavolo di
lavoro e di concertazione con le
realtà del suo territorio, che ha dato,
anche se con qualche difficoltà, dei
risultati tangibili sul fronte dei tra­
sporti liberi da barriere e dell’assi­
stenza domiciliare.
Le cooperative sociali si sono poi
consorziate nel Consolida, che le
raccoglie e ne cura la formazione,
la rappresentanza e la certificazio­
ne di qualità. Anche in questo cam­
po si è sentita la mancanza di un
ruolo forte, di programmazione e
controllo, da parte dell’amministra­
zione pubblica, che molto spesso si
è limitata a finanziare senza opera­
re funzioni di governo.
Il volontariato
e l’attivazione comunitaria
Alcune realtà cooperative, soprat­
tutto quelle piccole e orientate
metodologicamente alla “Communi­
ty Care” e al lavoro sociale di co­
munità hanno impostato il loro la­
voro anche verso la cosidetta co­
137
Le esperienze territoriali in Trentino
138
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
munità sana, cioè non direttamen­
te coinvolta nel problema disabili­
tà, cercando di sensibilizzare la cit­
tadinanza e di corresponsabilizzar­
la al tema della disabilità. Questo
ha prodotto in alcuni casi dei risul­
tati interessanti, con l’attivazione
di numerosi volontari, in gran par­
te giovani (la Cooperativa La Rete
nel 2001 utilizza quasi 200 volon­
tari, che operano a fianco degli 11
operatori professionali), con la na­
scita di specifici corsi di formazio­
ne per volontari, di iniziative di rac­
cordo e supervisione. La qualità
stessa dell’essere volontario è cam­
biata: da un fare volontariato in
modo pietistico e assistenziale si è
passati ad un volontariato di pro­
mozione umana consapevole, di
potenziamento dell’autonomia del­
la persona disabile e di rivendica­
zione e affermazione dei suoi dirit­
ti.
Ci troviamo dunque in una situa­
zione complessivamente interessan­
te e che tutela sufficientemente le
persone disabili, anche se rimango­
no molte sacche di ritardo e di scar­
sa creatività e professionalità dei
vari soggetti, pubblici e privati, che
concorrono a costruire il nostro si­
stema misto di risposte.
Dario Ianes è Condirettore del Centro
Studi Erickson e professore incaricato
presso il Diploma Universitario in
Servizio Sociale - Università di Trento.
I consultori per il singolo,
la coppia e la famiglia
Maria Gemma Pompei
Il rilancio di una funzione, fra compiti
tradizionali e nuove prospettive
La storia
Il Consultorio è nato più di vent’anni
fa ed ha sostenuto la cultura dell’
essere genitori come scelta respon­
sabile: si è misurato inizialmente e
necessariamente con il controllo
delle nascite e con la prevenzione e
diminuzione dell’abortività.
Ha cercato di proteggere le ado­
lescenti dal rischio di essere mam­
me prima di diventare donne, di
perdere bambini prima di sapere
come nascono i bambini.
Ha lavorato sulle fasce deboli
della popolazione per offrire, nei
modi opportuni, le notizie neces­
sarie a poter esercitare un diritto e
onorare un dovere; ha ricercato il
dialogo soprattutto con l’area ma­
terno-infantile, l’area giovanile,
l’area delle culture minoritarie …
Ha svolto il suo compito facendo
registrare una diminuzione dell’abor­
tività nelle fasce di popolazione in
cui era più presente.
Si è proposto su diversi fronti ( il
singolo, la coppia, la famiglia…)
con una offerta attiva di informa­
zioni e cure, cercando di sollecitare
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
gli accessi spontanei, sapendo di
dover raggiungere chi non aveva
capacità di domanda o la esprimeva
con modalità poco riconoscibili,
originali, estranee.
Si è misurato con la necessità di
ridurre l‘incidenza degli eventi e
delle condizioni sfavorevoli alla sa­
lute e al benessere dei bambini e
dei loro genitori e per farlo ha defi­
nito misure di prevenzione.
E poiché non ci sono teorie che
concettualizzino adeguatamente i
complessi percorsi di reciproca or­
ganizzazione tra ambienti di vita e
processi di sviluppo, ha faticato a
orientarsi nelle scelte di priorità
psicosociale. Ha definito sistemi di
valutazione del proprio operato con
indicatori di esito e di processo, sul­
la scorta di analisi del contesto della
comunità locale senza trovare il
coraggio di scelte organiche capaci
di incidere significativamente su
popolazioni povere, emarginate nel­
la multiproblematicità; ha individua­
to la popolazione bersaglio cui ap­
plicare le strategie, ma gli sono man­
cate le risorse per raggiungerla; ha
costruito procedure operative di
offerta attiva delle misure di pre­
venzione, avendo cura di sensibi­
lizzare e mettere in rete tutte le ri­
sorse professionali direttamente o
indirettamente interessate, ma non
è stato sostenuto nel progetto; ha
sistematizzato le procedure di ge­
stione delle misure di prevenzione,
in modo da garantirne l’efficacia
nella pratica, ha ricercato un modo
per stimare i fattori di rischio della
non rispondenza ai suoi interventi
e l’incidenza dei fenomeni indesi­
derati nella popolazione non rag­
139
Le esperienze territoriali in Trentino
140
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
giunta; ha compreso che l’offerta at­
tiva di promozione della salute è
una competenza multidisciplinare
ed una sfida aperta ai limiti della
comunicazione, ma non ha ottenu­
to sufficienti destinazioni di risor­
se.
Ha optato per la scelta etica di
migliorare l’autonomia della perso­
na e liberarla dai divieti arcaici ali­
mentati dall’ignoranza; ha lavora­
to, con spirito a tratti missionario,
per vedere nuovi orizzonti e oggi
ha obbiettivamente raggiunto nuo­
vi territori, andando oltre il prag­
matismo e la semplificazione della
causalità lineare, ai prodromi del
disagio, considerando sia i fattori
di rischio che quelli di protezione.
Misurandosi con la diversità ha
acquisito più saggezza; ha ben me­
ritato, ma non ha ancora ottenuto
investimenti adeguati.
Ha conosciuto la recessione.
In Provincia di Trento non si è dif­
fuso sul territorio: ha rischiato lo
sbandamento vocazionale, la disper­
sione patrimoniale, il depaupera­
mento tecnico, il nome.
Ha subito una forte pressione a
ridursi a uno sportello d’informazio­
ne, a una rotatoria di passaggio di
consulenze, a una sorta di sanità
minore rispetto ai privilegiati ser­
vizi di diagnosi e cura.
Ha rischiato dapprima di essere
un luogo abbandonato poi, come
dicono gli architetti, un non-luogo
destinato al transito senza acco­
glienza.
Questa sorte è stata ben docu­
mentata anche dalla letteratura
scientifica, che a poco a poco ha
visto scomparire le pubblicazioni
dedicate.
Eppure le ricerche sulla famiglia,
sulla genitorialità e sull’area della
salute mentale infantile si sono
moltiplicate ed hanno posto con
forza alla società civile il vecchio
interrogativo sul perché la cono­
scenza dei fenomeni non è un suf­
ficiente agente di trasformazione.
Questo passaggio richiede un
consenso impegnato a vincolare le
risorse per la prevenzione.
Una lettura attenta dei servizi
offerti alla famiglia, all’infanzia, ai
giovani e alla persona mostra in­
certezze e disconnessioni nel siste­
ma dell’assistenza sociale e sanita­
ria e indica la necessità di rideline­
are la fisionomia di un progetto di
salute, capace di esprimere strate­
gie efficaci a introiettare nei com­
portamenti organizzativi dei servizi
la flessibilità necessaria a stare al
passo con le trasformazioni sociali,
gli incontri con culture diverse, la
complessità dei modelli esplicativi
dei fenomeni e le acquisizioni scien­
tifiche.
I processi di cambiamento, se si
esce dall’insidia della semplificazio­
ne lineare a variabili note, compor­
tano sempre la tolleranza di una
quota d’incertezza e di caos. Gli
imprevisti non possono essere ste­
rilizzati se si lavora con eventi com­
plessi, vitali, processuali, la cui
natura sfida l’attuale ricerca scien­
tifica e la impegna ad essere più
precisa ed affidabile nella lettura dei
contesti di vita.
La crisi e la rigenerazione del
Consultorio e dei servizi territoriali
è un’inevitabile segno dei tempi:
comporterà una nuova prassi, sol­
leciterà verso altre popolazioni, ri­
fletterà ancora sull’etica dei com­
portamenti di vecchia e nuova ori­
gine, s’impegnerà in modo più
esperto nel dialogo con le famiglie,
con i gruppi,con le etnie, con le
discipline…
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Forse avrà una nuova sede.
Riconquisterà un diritto di residen­
za sociosanitaria ed avrà anche bi­
sogno di altri spazi, informali, for­
se un po’ caotici e un po’ non- luo­
ghi, per permettere alle nuove
espressioni di marginalità di trovarvi
un alloggio.
Gli anni più recenti
Cinque anni fa un gruppo di lavoro
ha provato a rileggere la normativa
e le disposizioni di legge sulle fun­
zioni consultoriali ed ha puntato
l’obbiettivo sulla ristrutturazione
delle attività di consultorio. Un ap­
profondito dibattito sull’analisi della
realtà consultoriale in Provincia di
Trento ha segnalato la carenza di
sedi e l’opportunità di ridefinire
utenza e competenze su indicazio­
ni di nuove sensibilità legislative,
focalizzando gli obbiettivi e supe­
rando la vecchia tentazione di pro­
getti omnicomprensivi a vocazione
generica.
Sono stati individuati gli opera­
tori, le funzioni attribuite alle va­
rie figure professionali e le presta­
zioni garantite. È stato sperimenta­
to il nuovo modello con risultati
positivi. Rimane da costruire la rete
dei Consultori sul territorio provin­
ciale.
Occorre ancora leggere gli indi­
rizzi organizzativi e le modalità di
attuazione dei servizi con freschez­
za di pensiero innovando, ove op­
portuno, la manualità quotidiana,
per rigenerare la promozione della
sanità e la prevenzione della malat­
tia senza avere idee semplicistiche
e senza incoraggiare idee semplici­
stiche sulla salute.
141
Le esperienze territoriali in Trentino
142
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
La responsabilità degli individui
nella costruzione della propria sa­
nità si misura con l’idea di normali­
tà e l’ideologia della normalità con
i concetti di natura e di cultura, con
la tolleranza o l’intolleranza della
diversità, con l’esser maschio o fem­
mina, padre o madre, famiglia tra­
dizionale o monoparentale , con le
convinzioni religiose, con l’etica
dello stato laico, nella distinzione
tra senso di colpa e reato penale…e
si muove elaborandosi e confrontan­
dosi con la divisione dei poteri che
contraddistingue la storia dell’Oc­
cidente.
Gli utenti
Per quali persone si è organizzato il
Consultorio?
La normativa del servizio li indi­
ca nel “singolo”, nella “coppia”,
nella “famiglia”.
Le parole sono precise ma la loro
referenza si evolve nel tempo come
tutto ciò che vive.
I termini non si riferiscono solo
a una condizione, a uno status, ma
anche a un processo e non hanno
solo un significato personale, han­
no anche un ambiente culturale d’in­
terpretazione.
Il concetto di “single” trascina
oggi una serie di variabili sociali,
decisionali ed economiche non con­
template vent’anni fa nel vocabola­
rio del “singolo”; l’esser coppia ha
alcune nuove declinazioni, com­
prensioni che interrogano il deside­
rio di stare insieme, il senso e la
durata dei legami, l’immagine della
famiglia, l’identità di genere, le scel­
te sessuali; l’immagine della fami­
glia è a più dimensioni: nucleare,
monoparentale, allargata, separata,
plurinucleata; la rappresentazione
del diventare genitori, dell’esser
genitori, del rimanere genitori è
sempre più articolata e complicata.
La possibilità di scegliere come
unirsi, stare insieme, separarsi, il
diverso significato che attinge la
meta della realizzazione personale
e della qualità delle relazioni di cop­
pia, il valore della sessualità non
più indissolubilmente legata alla
procreazione, l’esistenza della con­
traccezione possibile e della fecon­
dazione assistita, la richiesta di ri­
muovere le difficoltà sessuali, di
prolungare la capacità sessuale…
hanno prodotto pur nei vecchi am­
biti, nuovi utenti.
Il senso della tradizione e dei le­
gami intergenerazionali, che appa­
re affievolito nei comportamenti
quotidiani, rimane attivo e misco­
nosciuto nelle fondamenta e nelle
abitudini delle nuove famiglie.
Oggi riconosciamo meglio le pre­
senze dei fantasmi del passato sul­
le nuove culle e numerose ricerche
riambientano scientificamente vec­
chie storie di fate e di streghe.
La maledizione che ha imposto
alla fanciulla di diventare una bella
addormentata nel bosco con blocco
di sviluppo non è qualcosa che ap­
partiene alla potenza fatale delle
madrine offese, non è un destino
che viene da esseri sovrannaturali,
è qualcosa che arriva da una gene­
razione precedente, qualcosa che
non è convocato ma tramandato
attraverso i modelli operativi inter­
ni che plasmano rappresentazioni e
comportamenti. La rimozione del
sortilegio ha sempre le armi del pro­
prio tempo ed oggi gli interventi
del principe azzurro sono laicamen­
te affidabili ai processi socioassi­
stenziali.
Su tutti questi fronti si dissolvo­
no e riorganizzano le frontiere del
consultorio.
I suoi utenti sono in provincia di
Trento soprattutto femmine, con
picchi d’accesso tra i 20 e i 40 anni,
attorno alla menopausa ed oltre i
50 anni.
I maschi, meno dell’1 % della
popolazione femminile hanno pic­
chi d’accesso dopo i 30 anni ed ol­
tre i 50.
I consultori maggiormente fre­
quentati sono attivi nella sperimen­
tazione di un’offerta propositiva,
non d’attesa e le consultazioni più
numerose sono nell’area ostetrica e
ginecologica, seguono quelle del­
l’area psicologica e sociale.
Circa il 13 % delle richieste gra­
vitano attorno al disagio familiare
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
e circa il 3% al disagio giovanile.
Tra le problematiche giovanili, c’è
ancora, troppo insidioso il rischio
di gravidanze indesiderate.
Le violenze e gli abusi sono ad
ogni età, un “tabù” di cui si teme
di parlare, per mortificazione, per
vergogna, per colpa, per timore di
ritorsioni, per paura di perdere la
famiglia. Se ne parla poco e se ne
tramandano gli esiti di generazione
in generazione, coi fatti.
Vecchi impegni
e nuove prospettive
C’è in Italia un osservatorio nazio­
nale per l’infanzia, un Centro na­
zionale di documentazione e di ana­
lisi per l’infanzia, una Commissione
parlamentare per l’infanzia, una
giornata italiana per i diritti del­
l’infanzia, il 20 novembre di ogni
anno.
La politica ha ricominciato ad
interessarsi ai bambini! Quale etica
la spinge?
Ha scritto Bowlby, grande inno­
vatore nella ricerca e assistenza al­
l’infanzia, che una società che vuo­
le aiutare i bambini deve trovare il
modo di aiutare i loro genitori.
Sappiamo che ogni bambino con
un problema, ha anche un proble­
ma di adattamento e ha una fami­
glia con problemi di adattamento.
Occorre imparare a vedere oltre
l’immediato visibile ed avere pro­
getti che contino i successi nel
presente con la proiezione della loro
incidenza sul futuro.
Un bambino che cresce male è
danneggiato nel suo potenziale di
sviluppo e ciò costituisce un grave
danno non solo al bambino e alla
143
Le esperienze territoriali in Trentino
144
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
sua famiglia, ma all’intero sistema
sociale.
I traumi della prima infanzia sono
fattori di rischio per molte malattie
psichiatriche, per molti comporta­
menti antisociali, per molti distur­
bi psicopatici: una scelta autorevo­
le, nel senso etimologico della pa­
rola, è un’opzione che fa crescere.
Il consultorio ha maturato il sa­
pere per progettare interventi ca­
paci di ridurre o anche eliminare le
conseguenze di condizioni negati­
ve e li può attuare nei luoghi natu­
rali di vita e nei momenti critici di
sviluppo, utilizzando la forza di
cambiamento posseduta dagli eventi
cruciali della vita.
Sostegno e cura
della genitorialità a rischio
La capacità di essere genitore ha
aspetti fisici, psichici e sociali. E’
una funzione che si organizza e si
modifica negli scorrimenti di signi­
ficato dell’esser uomo, donna, cop­
pia, famiglia. I modelli che regola­
no l’identità di genere, le emozioni
e i comportamenti relazionali si co­
struiscono ed internalizzano fin dai
più precoci scambi con i genitori,
tendono a rimanere stabili nel tem­
po e vengono trasmessi ai propri
figli. La catena intergenerazionale
veicola dunque una doppia eredità.
I processi di comunicazione af­
fettiva tra madre/padre/bambino
costituiscono il legame tra il nuovo
nato e la cultura del suo ambiente
di vita, gli agi ed i disagi della sua
comunità, la storia familiare dei suoi
genitori. Questi primi scambi e for­
me di accudimento presentano il
mondo al bimbo e gli rappresenta­
no ciò che egli si può attendere dalla
vita.
Proteggere questo momento ini­
ziale dell’esistenza dagli assalti di
eventi negativi vuol dire promuove­
re la salute del neonato, dei geni­
tori e della società.
Questo obiettivo non può essere
affidato ai tradizionali corsi di pre­
parazione al parto, ma deve essere
perseguito in una visione prospet­
tica e in azioni intervallate, prolun­
gate ed innestate sui compiti evo­
lutivi dell’essere genitori ed essere
bambini e sui servizi preposti a
prendersi cura delle problematiche
dell’area materno-infantile.
È stato quindi necessario speri­
mentare, con la cooperazione di di­
verse professionalità:
- un nuovo modello di corsi di pre­
parazione alla nascita con un
progetto di assistenza post par­
to e nei primi mesi di vita del
bambino;
- una metodologia di analisi e trat­
tamento dei casi a rischio di
maltrattamento e abuso sui mi­
nori.
Gli interventi, formativi e terapeu­
tici, ambulatoriali e domiciliari, a
sostegno della relazione madre/pa­
dre/bambino e a sostegno della for­
mazione dei legami di attaccamen­
to sicuro hanno mirato a prevenire
il manifestarsi di condotte attive
(violenze, eccessi di cure…) o omis­
sive (carenze, incurie, abbandoni…)
e a rimuovere con azioni idonee le
situazioni di pregiudizio.
La sperimentazione-pilota è sta­
ta condotta su un campione limita­
to con buon successo nella modifi­
ca dei comportamenti, sia sul pia­
no della collaborazione interprofes­
sionale che dei casi trattati.
Si tratta ora di aumentare a li­
vello aziendale e socio assistenzia­
le le competenze del personale in
grado di intervenire nel campo spe­
cifico su tutto il territorio e di pro­
muovere un’azione di coordinamen­
to dei servizi che operano per la
famiglia e per i bambini.
La salute degli adolescenti
Qual è l’età dell’adolescenza? L’ini­
zio ha una soglia visibile nelle tra­
sformazioni della pubertà, il termi­
ne invece è più criptico: non è iden­
tificabile con un’età o un evento
come all’epoca in cui il rito d’ini­
ziazione segnava il cammino dell’ap­
partenenza sociale. I processi del­
l’adolescenza si risolvono nell’acqui­
sizione di una sufficiente autono­
mia personale: i nostri giovani com­
pletano tardi gli studi ed hanno dif­
ficoltà a raggiungere un’indipenden­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
za economica. La nostra cultura ge­
nerosa con i giovani nel privato delle
famiglie, è avara di risorse nell’of­
ferta di formazione e lavoro e di fat­
to predilige la dipendenza protratta
dei ragazzi.
Di ciò si è tenuto conto nel pro­
gettare una proposta per i giovani
fino ai 24 anni d’età, con l’obietti­
vo di promuovere un maggior be­
nessere ed una migliore qualità del­
la vita con interventi di educazone
alla salute, di prevenzione dei com­
portamenti a rischio fisico, psichi­
co e sociale e con consulenze su
richiesta per problemi sessuali, re­
lazionali, personali.
Per un contatto più informale c’è
uno spazio “ Consultorio Giovani “
ad accesso libero, senza obbligo di
prenotazione, nelle cui fasce-orario
sono presenti più specialisti che ri­
spondono rapidamente in modo mi­
rato.
Sono stati anche predisposti
moduli di interventi brevi, sensibili
a cogliere ed elaborare situazioni
percepite come disagevoli dall’ado­
lescente stesso e percorsi coordi­
nati coi servizi specialistici territo­
riali nei casi in cui è opportuno e/o
necessario prevedere un programma
di cure per la presenza di una pato­
logia individuale o famigliare.
A tale area è stato dato più am­
pio respiro coordinandola con due
iniziative, una del Dipartimento
Materno infantile, per i più piccoli
(che ha monitorato la predisposi­
zione dei bilanci di salute a 13 anni)
e uno per i più grandi con un Pro­
getto Giovani attivo presso le UUOO
di Psicologia, che mira a semplifi­
care l’accesso ed offrire le prime cure
145
Le esperienze territoriali in Trentino
146
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
e gli orientamenti per difficoltà psi­
cologiche o psicosociali.
Le coppie, le separazioni
di coppia
C’è una domanda, ancora timida, che
spontaneamente sceglie il consul­
torio come interlocutore d’acco­
glienza per problemi coniugali o di
separazioni coniugali. È una doman­
da che meriterebbe di essere soste­
nuta con prestazioni diversificate
compresa la mediazione familiare.
Ma sulla famiglia mancano pro­
getti di salute.
La menopausa
È un’età d’incertezze, di grandi mu­
tamenti fisici che in genere fa i
conti anche con mutamenti dell’as­
setto famigliare: i figli sono cresciuti
e prossimi a varie forme di distacco
più o meno definitivo.
Non è solo un evento fisico, è un
processo psichico e sociale che spes­
so si accompagna a varie espressio­
ni di disagio.
Anche su questo fronte manca un
progetto di salute
Conclusioni
Il Consultorio è uno spazio di ac­
coglienza per progetti di prevenzio­
ne. Che cosa si vuole prevenire?
Il metodo è necessariamente fun­
zionale all’oggetto. C’è un persona­
le addestrato, motivato, non in at­
tesa: verso quali destinazioni può
muoversi?
Maria Gemma Pompei è Direttore
dell’Unità Operativa di Psicologia clinica
di Trento dell’Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari. È stata coordinatrice del
progetto di riorganizzazione della rete
dei consultori della Provincia autonoma
di Trento.
I servizi
per la salute mentale
Renzo De Stefani
Approcci territoriali per la promozione
e la tutela della salute mentale
I Servizi per la salute mentale sono
da sempre, un po’ per vocazione un
po’ per necessità, collegati alle più
diverse attività socio-assistenziali
presenti sul territorio.
Quando 25 anni fa si chiusero i
manicomi la dimensione sociale e i
relativi servizi ne furono protagoni­
sti essenziali. Oggi, il DPR 10 no­
vembre 1999, Progetto obiettivo per
la tutela della salute mentale, chia­
rissimo documento esplicativo di
cosa sono chiamati a fare i Servizi
per la salute mentale, richiama più
volte l’importanza di collaborazio­
ni, reti, integrazioni, tra dimensio­
ne sanitaria e dimensione sociale,
tra servizi per la salute mentale e
servizi sociali. E naturalmente con
tutto quanto nella dimensione or­
ganizzata del territorio si intreccia
con quei beni essenziali per la pro­
mozione della salute mentale che
sono le “relazioni affettive, il lavo­
ro, l’abitare”.
In questo contributo ho scelto di
dare quasi tutto lo spazio al testo
di un protocollo di lavoro sottoscrit­
to nell’aprile 1999 tra Azienda sa­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
nitaria e Comune di Trento concer­
nente “Salute mentale, assistenza
psichiatrica e bisogni sociali” e ri­
guardanti nel dettaglio tutti i rap­
porti di collaborazione in essere e
da costruire tra i Servizi per la salu­
te mentale e i Servizi sociali pre­
senti sul territorio del Comune di
Trento.
Questa scelta è legata a 2 moti­
vi. Questo protocollo, frutto eviden­
temente di collaborazioni e di sin­
tonie decennali, è stato apprezzato
anche al di fuori dei confini provin­
ciali e utilizzato come riferimento
operativo. Nella nostra realtà ha co­
stituito un momento di riflessione
importante nella sua costruzione
nella sua presentazione, a cui è stata
dedicata una giornata di lavoro congiunta tra i due servizi. È diventato
poi la linea guida per confrontare
l’operatività quotidiana, anche at­
traverso la creazione di gruppi di
lavoro per le varie azioni previste e
di ulteriori momenti di riflessione e
confronto allargati.
147
Le esperienze territoriali in Trentino
148
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Alla presentazione del protocol­
lo farà seguito una breve illustra­
zione dello stato dell’arte dei diver­
si progetti in esso contenuti.
Un’ultima nota di “colore”. Il pro­
tocollo presenta sia sul suo fronte­
spizio che nello scorrere del testo
alcuni disegni a colori. La scelta
vuole rendere un atto amministra­
tivo più immediatamente fruibile e
appetito. Superate le comprensibili
perplessità di qualcuno il protocol­
lo è stato approvato in questa ve­
ste “colorata” dal Consiglio comu­
nale di Trento e dal Direttore gene­
rale dell’Azienda sanitaria e la cosa
ha contribuito a farlo maggiormen­
te conoscere, leggere e da qualcu­
no anche apprezzare.
SALUTE MENTALE
ASSISTENZA PSICHIATRICA
E BISOGNI SOCIALI.
PROTOCOLLO DI LAVORO
TRA AZIENDA PROVINCIALE
PER I SERVIZI SANITARI
E COMUNE DI TRENTO
Una collaborazione forte
tra Azienda sanitaria
e Comune di Trento
Nel presente protocollo, in riferi­
mento alle tematiche della salute
mentale e alle problematiche con­
nesse all’assistenza psichiatrica e ai
bisogni sociali, sono richiamate due
azioni fondamentali. Su queste due
azioni, opportunamente tarate sul­
la realtà della città di Trento, si in­
tende far convergere, nel chiaro ri­
spetto delle rispettive competenze,
le attività programmatorie ed ope­
rative dell’Azienda provinciale per i
servizi sanitari e del Comune di Tren­
to, al fine di dare alla popolazione
risposte convergenti e ben visibili:
- in tema di promozione e prote­
zione della salute mentale;
- in risposta al disagio, soprattut­
to a quello grave che implica im­
portanti difficoltà nei rapporti
interpersonali e nello svolgimen­
to dei ruoli sociali abituali.
Nel corso degli ultimi anni la ri­
sposta al disagio psichico si è sem­
pre più caratterizzata come espres­
sione integrata di istituzioni ed enti
diversi, rappresentativi non solo
delle realtà istituzionali sanitarie
deputate classicamente alla cura e
alla riabilitazione della malattia
mentale. In questo senso particola­
re sviluppo ha assunto il ruolo del
privato sociale e di alcune associa­
zioni di volontariato. Senza nulla
togliere all’importanza di questi pro­
cessi, che hanno avuto e continue­
ranno ad avere un ruolo molto im­
portante nel favorire il coinvolgi­
mento attivo ed allargato della co­
munità verso le problematiche del­
la malattia mentale e la sua accet­
tazione, appare scontato che vi sono
Enti che sono chiamati in tali am­
biti ad assumere un ruolo e una ti­
tolarietà del tutto privilegiata.
In questo senso appaiono parti­
colarmente significative la collabo­
razione e i protocolli d’intesa e di
lavoro che si possono stabilire tra
l’Azienda provinciale per i servizi sa­
nitari e le municipalità, nella fatti­
specie quella di Trento. La ragion
d’essere di tale collaborazione pri­
vilegiata si sostanzia in quelle che
sono le finalità istituzionali dei due
Enti che, pur con competenze di­
verse, riassumono al proprio inter­
no un ruolo primario sia a livello di
promozione di salute che di offerta
e gestione di servizi.
Il presente protocollo discende da
tali premesse e si pone l’obiettivo
di integrare al meglio risorse e com­
petenze dei due Enti per poter for­
nire risposte più attente e qualifi­
cate in tema di salute mentale e di
disagio psichico.
La posizione dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS)
La protezione e la promozione della
salute mentale e l’offerta di servizi
attenti a prendersi cura del disagio
psichico, considerato nella sua giu­
sta dimensione comunitaria, costi­
tuisce da sempre uno degli obietti­
vi ritenuti prioritari dall’OMS per
dare corso a corrette e complessive
politiche di salute.
Nel Suo documento fondamenta­
le “La strategia della salute per tut­
ti entro l’anno 2000” l’obiettivo 12
è riferito alla “Riduzione dei distur­
bi mentali e dei suicidi”.
Secondo l’OMS tale obiettivo può
essere raggiunto attraverso:
- il miglioramento dei fattori sociali
che causano tensioni, come la
disoccupazione e l’emarginazione
sociale;
- il miglioramento dell’accesso ad
interventi di sostegno che metta­
no in grado la popolazione di af­
frontare gli eventi e le situazioni
che provocano angoscia e stress;
- il miglioramento degli interventi
a favore dei soggetti affetti da
turbe mentali e di coloro che, in
modo formale o informale, si pren­
dono cura di essi, in particolare
di coloro che sono affetti da de­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
menza;
- l’organizzazione di servizi integra­
ti di salute mentale basati sulle
comunità locali e con il coinvol­
gimento dei servizi sanitari di
base;
- la realizzazione di iniziative spe­
cifiche finalizzate alla prevenzio­
ne dei comportamenti dannosi per
la salute come l’abuso di sostan­
ze pericolose;
- programmi volti alla prevenzione
del suicidio.
Da questo documento risultano
due azioni strategiche su cui inve­
stire con l’obiettivo di ridurre inci­
denza e prevalenza dei disturbi men­
tali e dei suicidi.
La prima azione è volta alla po­
polazione generale ed è finalizzata
ad alleviare e/o a risolvere le situa­
zioni che sono fonte di tensione
sociale, interpersonale e personale.
La seconda azione è volta a qua­
lificare l’offerta di prestazioni ai
soggetti affetti da turbe mentali, ai
149
Le esperienze territoriali in Trentino
150
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
loro familiari e a quanti se ne pren­
dono cura, attraverso Servizi di sa­
lute mentale radicati a livello terri­
toriale, espressione di sinergie dif­
fuse con le risorse che la comunità
esprime, a partire dai servizi sanitari di base e dalle municipalità.
È evidente che le due azioni sono
pensate e indicate come tra loro
strettamente correlate e interdipen­
denti e in tal senso vanno proposte
e realizzate.
Principali ambiti
del protocollo di lavoro
I principali ambiti di collaborazio­
ne tra Azienda provinciale per i ser­
vizi sanitari e Comune di Trento van­
no ricondotti alle due azioni fonda­
mentali richiamate in premessa:
- Prima azione fondamentale
Obiettivo generale: miglioramen­
to della qualità complessiva delle
relazioni sociali, interpersonali e
personali, in quanto determinan­
ti di salute mentale, concernenti
la popolazione generale.
- Seconda azione fondamentale
Obiettivo generale: qualificazione/
ottimizzazione delle prestazioni
dei servizi nei confronti delle per­
sone portatrici di disagio psichi­
co grave in presenza di difficoltà
significative nei rapporti interper­
sonali e nei bisogni sociali, e dei
loro familiari.
Prima azione fondamentale
Obiettivo generale.
Miglioramento della qualità com­
plessiva delle relazioni sociali, in­
terpersonali e personali, in quanto
determinanti di salute mentale, con­
cernenti la popolazione generale.
Titolo provvisorio.
Trento mendismen
(mendismen=menodisturbimentali)
Obiettivi specifici.
- mettere in rete le disponibilità e
le risorse di persone fisiche e di
gruppi variamente organizzati e
rappresentativi dei mondi istitu­
zionali, sociali, economici, cultu­
rali e del volontariato;
- promuovere, per il tramite di que­
sta rete, iniziative volte a infor­
mare tutta la popolazione sull’esi­
stenza dell’azione e a sensibiliz­
zarla circa la tematica del distur­
bo mentale;
- promuovere, per il tramite di que­
sta rete, iniziative concrete volte
a coinvolgere ogni anno diretta­
mente una quota parte significa­
tiva della popolazione;
- finalizzare tutte le iniziative al
miglioramento della qualità com­
plessiva delle relazioni sociali, in­
terpersonali e personali concer­
nenti la popolazione generale, in
quanto determinanti di salute
mentale.
L’azione persegue obiettivi di pre­
venzione primaria in termini di mi­
glioramento della qualità di vita dei
cittadini e delle loro famiglie e di
riduzione del disagio psico-sociale.
L’azione si avvale di un sostegno
forte da parte dell’Azienda, in ter­
mini di promozione nel momento
dell’avvio, e di una partnership chia­
ra da parte del Comune. Successiva­
mente deve diventare proprietà for­
temente condivisa da parte delle
rappresentanze variamente organiz­
zate della popolazione generale.
Sono da valutare possibili colla­
borazioni/sinergie con la stessa
OMS, il circuito Città Sane, l’acces­
so ai Fondi europei sulla prevenzio­
ne, etc.
In relazione a questa azione è in­
teressante anche il documento del­
l’OMS sulla “Salute per tutti nel 21°
secolo”, che al target 6 si occupa
di Miglioramento della salute men­
tale.
In particolare appare significati­
vo riprendere questi passaggi:
“Migliorare la salute mentale – ed
in particolare ridurre i suicidi – ri­
chiede attenzione alla promozione
e alla protezione della salute per
tutta la vita, particolarmente nei
gruppi socialmente ed economica­
mente svantaggiati.
Definire bene programmi di salu­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
te da realizzarsi negli ambienti di
vita e di lavoro può aiutare la po­
polazione a migliorare il senso del­
la propria identità, a costruire e
mantenere relazioni sociali di reci­
proco aiuto, a superare le situazio­
ni e gli eventi stressanti”.
Per rendere operativa tale azione
verrà individuata un’unità di lavoro
Azienda/Comune al fine di appro­
fondire e definire gli strumenti di
lavoro, la metodologia di riferimen­
to, gli indicatori di processo e i re­
ciproci ambiti di competenza.
Seconda azione fondamentale
Obiettivo generale.
Qualificazione/ottimizzazione delle
prestazioni dei servizi nei confronti
delle persone portatrici di disagio
psichico grave in presenza di diffi­
coltà significative nei rapporti in­
terpersonali e sociali e dei loro fa­
miliari
Obiettivi specifici.
- Presa in carico congiunta delle
situazioni di utenti in cui sono
compresenti problematiche psi­
chiatriche e bisogni socioassisten­
ziali significativi e che sono se­
guiti a livello domiciliare da en­
trambi i servizi.
- Collaborazione strutturata nelle
aree di utenza a particolare debo­
151
Le esperienze territoriali in Trentino
152
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
lezza psico-sociale (extracomuni­
tari, nomadi, senza fissa dimora)
e nelle situazioni multiproblema­
tiche (disagio psichico + disagio
sociale + uso di sostanze, etc).
- Definizione e cogestione di un
circuito di residenzialità protetta
per situazioni a prevalente biso­
gno assistenziale in cui sono pre­
senti problematiche psichiatriche
tali da non richiedere l’inserimento
in specifiche strutture sanitarie.
- Implementazione del progetto già
in essere con la Consulta per la
salute mentale “Sensibilizzazione
del quartiere Centro Storico”, fi­
nalizzato al coinvolgimento sulle
tematiche del disagio psichico del­
le rappresentanze significative del
quartiere e dei suoi opinion lea­
der e ad una maggiore accetta­
zione della persona problematica
e della sua famiglia da parte delle
reti informali della comunità.
- Definizione di un progetto orga­
nico finalizzato a offrire occasio­
ni occupazionali e lavorative a
utenti che incontrano difficoltà si­
gnificative di inserimento nel
mondo del lavoro in relazione a
problematiche di ordine psichia­
trico e sociale, anche in relazione
con quanto posto in essere dalla
Consulta per la Salute mentale e
comunque d’intesa con la compe­
tente Agenzia del Lavoro e con le
rappresentanze del mondo del la­
voro.
L’andamento dell’azione, sia in re­
lazione all’obiettivo generale che in
relazione agli obiettivi specifici,
viene verificata semestralmente dai
responsabili dei due Enti e dei loro
Servizi.
Obiettivi specifici
e azioni programmate
1. Presa in carico congiunta delle
situazioni di utenti in cui sono compresenti problematiche psichiatriche
e bisogni socioassistenziali signifi­
cativi e che sono seguiti a livello
domiciliare da entrambi i servizi.
L’esperienza di lavoro di questi
anni ha evidenziato che problema­
tiche psichiatriche importanti e bi­
sogni sociali significativi sono spes­
so compresenti in riferimento a
molte situazioni in carico ai servizi
dei due Enti.
Attualmente sono già in essere
buoni livelli di collaborazione tra
operatori del Servizio psichiatrico e
operatori del Comune per molte di
tali situazioni. In una quota parte
minoritaria di situazioni manca an­
cora il coinvolgimento di uno dei
due Servizi.
Per migliorare quanto si sta fa­
cendo e al fine di arrivare a “prese
in carico congiunte” occorre defi­
nire meglio il metodo operativo di
riferimento e il modello organizza­
tivo:
a) il metodo operativo comune
- si ispira ai principi dell’integra­
zione, della complementarietà,
dell’interdisciplinarietà degli “in­
terventi sanitari e socio-assisten­
ziali territoriali”;
- opera nell’ottica della globalità
dell’intervento in risposta a biso­
gni complessi, attivando il lavoro
per progetti individualizzati e per
fasi (accertamento dei presuppo­
sti, analisi del bisogno, progetta­
zione, verifica, implementazione);
- valorizza le risorse formali e in­
formali incluso il volontario dispo­
nibile;
- coinvolge attivamente la persona
interessata all’intervento e la sua
famiglia per fornire le necessarie
informazioni sull’intervento e per
acquisirne il maggior consenso
possibile;
b) il modello organizzativo
- la presa in carico congiunta di un
caso avviene, previa segnalazione
di uno dei due Servizi, nell’ambito di un incontro dei propri ope­
ratori territoriali di riferimento, a
seguito di un accordo sull’oppor­
tunità della presa in carico congiunta;
- gli operatori territoriali di riferi­
mento costituiscono il gruppo di
lavoro a cui compete la program­
mazione, l’attivazione, la verifica
periodica di uno specifico Proget­
to individualizzato e si incontrano con frequenza quanto meno bi­
mestrale;
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
- la responsabilità del Progetto è di
tutti gli operatori facenti parte del
gruppo di lavoro;
- la responsabilità medica, infermie­
ristica, educativa e socio-assisten­
ziale è propria delle specifiche fi­
gure professionali;
- il coordinamento funzionale (non
gerarchico) può essere attribuito
ad una specifica figura professio­
nale e viene definito in sede di
Progetto;
- il gruppo di lavoro contatta di
norma il medico di medicina ge­
nerale che ha in carico l’utente
per acquisirne tutte le possibili
informazioni e l’eventuale parte­
cipazione attiva al gruppo medesimo;
- il gruppo di lavoro può essere in­
tegrato al bisogno da altre figure
(I.T.E.A., Servizio Casa Comune,
Cooperativa Privato Sociale, Associazione di Volontariato, Agenzia
del Lavoro, ecc.).
153
Le esperienze territoriali in Trentino
154
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
2. Collaborazione strutturata nelle
aree di utenza a particolare debo­
lezza psico-sociale (extracomunita­
ri, nomadi, senza fissa dimora) e
nelle situazioni multiproblematiche
(disagio psichico + disagio sociale +
uso di sostanze etc).
In base all’esperienza maturata in
questi anni si è visto che vi sono
aree di utenza debole (extracomu­
nitari, nomadi, senza fissa dimora)
e la maggioranza delle situazioni
così dette multiproblematiche dove
coesistono molto spesso disturbi di
interesse psichiatrico e disagi so­
ciali importanti.
Fermo restando che in relazione
a specifiche situazioni è possibile
e/o auspicabile e/o necessario at­
tivare i protocolli di lavoro previsti
all’obbiettivo n. 1, si ritiene utile
attivare un più generale tavolo di
lavoro nel cui ambito affrontare in
termini più complessivi le proble­
matiche qui richiamate.
Considerato che entrambi i servi­
zi hanno già al proprio interno ope­
ratori specificatamente attivati su
tali problematiche o possono co­
munque dotarsene, si conviene di
attivare più unità di lavoro con ope­
ratori di entrambi i servizi per oc­
cuparsene.
3. Definizione e cogestione di un
circuito di residenzialità protetta per
situazioni a prevalente bisogno as­
sistenziale in cui sono presenti pro­
blematiche psichiatriche tali da non
richiedere l’inserimento in specifiche
strutture sanitarie.
Attualmente ai bisogni di residen­
zialità protetta per utenti con pro­
blematiche psichiatriche importan­
ti e livelli di autonomia assenti o
insufficienti viene data risposta at­
traverso un circuito di strutture re­
sidenziali che afferiscono alla re­
sponsabilità del Servizio di salute
mentale, sotto il profilo sanitario,
mentre sono gestite da un Consor­
zio di Cooperative, sotto il profilo
della quotidianità riabilitativa. Al
momento tale circuito comprende 4
unità abitative (Via della Collina,
Piazza della Mostra, Piazza Garzet­
ti, Viale Trieste) per un totale com­
plessivo di 18 posti letto.
Al di fuori di tale utenza esisto­
no numerose situazioni che presen­
tano bisogni di pertinenza psichia­
trica più limitati, esprimono livelli
di autonomia quantomeno parziali
in presenza di bisogni prioritari di
natura socio-assistenziale. Inoltre è
negli obiettivi degli Enti che il mag­
gior numero di utenti inseriti nel
circuito della residenzialità sanita­
ria possano nel medio periodo mi­
gliorare la propria situazione psichi­
ca e recuperare maggiori livelli di
autonomia. Per tali utenti è auspi­
cabile in questi casi un passaggio
dal circuito della residenzialità sa­
nitaria a quello della residenzialità
socio-assistenziale.
Per tale utenza va previsto un
circuito di residenze diversificate
per impegno assistenziale, numero
di posti letto, titolarietà del con­
tratto di affitto.
L’ingresso nel circuito di residen­
zialità protetta per situazioni a pre­
valente bisogno assistenziale avvie­
ne con le seguenti modalità:
- la situazione deve essere seguita
dal gruppo di lavoro previsto al­
l’obiettivo specifico n. 1;
- il gruppo di lavoro formula un Pro­
getto comprensivo del bisogno di
residenzialità protetta specifican­
done le principali caratteristiche;
- per il tramite degli appositi ser­
vizi del Comune si individua la
soluzione abitativa più confacen­
te;
- il Servizio Attività Sociali del Co­
mune eroga i servizi socio-assi­
stenziali, secondo i criteri previ­
sti dalle Determinazioni provincia­
li, ad integrazione delle parziali
capacità di gestione della vita
quotidiana (assistenza economi­
ca, assistenza domiciliare, pasti,
ecc.);
- il Servizio di salute mentale ga­
rantisce un costante monitorag­
gio dei casi, fornendo la propria
assistenza per tutti i bisogni psi­
chiatrici ancora presenti;
- il gruppo di lavoro provvede alla
verifica periodica del Progetto,
con particolare riferimento al­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
l’obiettivo di mettere in grado
l’utente di fruire di soluzioni abi­
tative a ulteriore o totale auto­
nomia.
Ferma restando la gestione delle
singole situazioni da parte dei grup­
pi di lavoro di cui all’obiettivo 1, a
cui afferiscono per competenza ter­
ritoriale, si costituisce un’unità di
lavoro, composta da operatori di
entrambi i Servizi, che provvede a
curare gli aspetti generali e com­
plessivi del circuito e a garantirne
le corrette caratteristiche di perme­
abilità, sia in entrata che in uscita.
4. Implementazione del progetto,
già in essere con la Consulta per la
salute mentale, “Sensibilizzazione
del Quartiere Centro Storico”, fina­
lizzato al coinvolgimento sulle tema­
tiche del disagio psichico delle rap­
presentanze significative del quartie­
re e dei suoi opinion leader e ad una
maggiore accettazione della perso­
155
Le esperienze territoriali in Trentino
156
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
na problematica e della sua fami­
glia, da parte delle reti informali del­
la comunità.
Da due anni è in essere un pro­
getto finalizzato al coinvolgimen­
to, sulle tematiche del disagio psi­
chico, delle rappresentanze signifi­
cative del quartiere Centro Storico
e ad una maggiore accettazione del­
la persona problematica e della sua
famiglia da parte delle reti informa­
li della comunità.
Tale progetto afferisce alla Con­
sulta per la salute mentale, aggre­
gazione funzionale di tutte le Isti­
tuzioni e gli Enti, pubblici, di pri­
vato sociale e del volontariato, che
a vario titolo sono attivi nel campo
del disagio psichico nella città di
Trento.
Della Consulta fanno ovviamente
parte, con ruolo di ovvia particola­
re preminenza, sia il Servizio di sa­
lute mentale che il Comune di Tren­
to.
Stante la significatività e l’impor­
tanza strategica del progetto, con­
siderato che i due Enti ne sono di
fatto i principali animatori, in rela­
zione all’opportunità di dar corso
al Progetto “Mendismen” che pre­
senta evidenti sinergie col progetto
sensibilizzazione, appare opportu­
no che, pur nel pieno rispetto della
logica che ha dato vita alla Consul­
ta per la salute mentale, l’unità di
lavoro chiamata ad occuparsi del
Progetto “Mendismen” sia chiama­
ta anche a seguire più da vicino il
Progetto sensibilizzazione, per fa­
vorirne al massimo l’implementazio­
ne e lo sviluppo.
5. Definizione di un progetto orga­
nico finalizzato a offrire occasioni
occupazionali e lavorative a utenti
che incontrano difficoltà significati­
ve di inserimento nel mondo del la­
voro, in relazione a problematiche
di ordine psichiatrico e sociale, an­
che in relazione con quanto posto in
essere dalla Consulta per la Salute
mentale e comunque d’intesa con la
competente Agenzia del Lavoro e con
le rappresentanze del mondo del la­
voro.
Da due anni è in essere presso la
Consulta per la salute mentale un
progetto finalizzato all’inserimento
lavorativo di utenti del Servizio di
salute mentale che incontrano dif­
ficoltà significative nell’ingresso nel
mondo del lavoro.
Su tale progetto concorre tra l’al­
tro l’impegno dell’Agenzia del Lavo­
ro e delle Cooperative di tipo B, im­
pegnate negli inserimenti lavorativi di persone disabili.
Nel novembre 1998 la Consulta
ha dato vita ad una Commissione di
Valutazione Integrata che, nelle in­
tenzioni dei sottoscrittori e perciò
anche dell’Azienda sanitaria e del Co­
mune di Trento, dovrebbe costitui­
re una sorta di “Sportello unico di
ingresso” per tutta l’utenza psichia­
trica per cui sono da prevedere pro­
getti di inserimento lavorativo.
Stante la significatività e l’impor­
tanza strategica del progetto, con­
siderato che i due Enti ne sono di
fatto i principali animatori, si ren­
de opportuno prevedere delle valu­
tazioni semestrali circa la funzio­
nalità di quanto posto in essere a
livello di Consulta, al fine di appor­
tarvi gli eventuali necessari corret­
tivi.
Lo stato dell’arte dell’attuazione
del protocollo al settembre 2001
Prima azione fondamentale concer­
nente il miglioramento complessivo
delle relazioni interpersonali nella
città di Trento.
L’ambizioso progetto contenuto in
questa prima azione fondamentale
è stato oggetto di un lavoro parti­
colarmente intenso e stimolante da
parte di alcuni operatori del Servi­
zio di salute mentale e del Comune
di Trento.
Anzitutto sono state coinvolte
nel progetto le principali realtà rap­
presentative dei mondi economici,
sociali e culturali della città a cui è
stato proposto di partecipare. Alla
fine del ’99 il progetto è stato com­
piutamente messo a punto e vi han­
no aderito più di 30 realtà cittadi­
ne. Si è creato un gruppo di lavoro
che ha predisposto una prima serie
di iniziative che sono partite uffi­
cialmente nel giugno 2000.
Nel corso dei lavori preparatori
si è modificato il nome da “mendis­
men” a “amicittà” successivamente
divenuto “lamiacittà”, per dare una
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
connotazione sulla salute, sulla ami­
calità e sulla città e non sul distur­
bo.
Le prime iniziative hanno riguar­
dato il materiale di presentazione,
pieghevoli sulla comunicazione pen­
sati per stimolare interesse verso il
pensiero positivo, appuntamenti
periodici in piazza con dei gazebo
per coinvolgere la gente nell’inizia­
tiva, un appuntamento settimana­
le, il laboratorio del lunedì, dove
approfondire con gli interessati le
possibili collaborazioni, la parteci­
pazione ad iniziative organizzate da
altre realtà, una tessera tipo ban­
comat dei soci.
L’Indice QRI è stata l’iniziativa
che ha più fatto conoscere “lamia­
città”. Si tratta di rilevare mensil­
mente in 10 luoghi della città di
Trento, con una scala numerica e
con indicatori prestabiliti, la Quali­
tà delle Relazioni Interpersonali.
Nella rilevazioni sono state coinvolti
gli studenti di alcune scuole, coe­
rentemente con l’obiettivo genera­
le di “lamiacittà”, che è quello ren­
dere sempre e comunque i cittadini
protagonisti primi delle sue inizia­
tive.
Sono in partenza altre proposte:
serate organizzate con le associa­
zioni interessate per coinvolgere
quanti vogliono partecipare alla vita
de “lamiacittà”, un questionario da
inviare ad un campione di 1000 cit­
tadini di Trento sulle relazioni in­
terpersonali e su quello che ciascu­
no può fare in termini attivi, una
catena di negozi che dotati di ap­
posito marchio saranno particolar­
mente attenti alla qualità delle re­
lazioni, una collaborazione più
157
Le esperienze territoriali in Trentino
strutturata con le scuole. E natural­
mente tutto quello che maturerà
dalle proposte dei soci. Con l’anno
prossimo si comincerà a studiare gli
strumenti di misura dell’intervento
che costituiscono, da sempre, in
queste iniziative, l’aspetto più de­
licato.
158
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Seconda azione fondamentale con­
cernente il miglioramento nell’eroga­
zione dei servizi in 5 ambiti specifi­
ci.
1° ambito: la presa in carico congiunta delle situazioni in cui coesi­
stono problematiche psichiatriche e
bisogni sociali.
Questo ambito rappresenta il “quo­
tidiano” nell’operatività dei 2 Ser­
vizi ed è fondamentale per dare
coerenza a ogni altra iniziativa.
La presa in carico congiunta è in
essere praticamente da sempre e
l’obiettivo dell’azione è quello di
qualificarne i contenuti.
Un gruppo di lavoro ha approfon­
dito le aree critiche e valorizzato
quelle positive, con particolare ri­
guardo a quel lavoro di rete intorno
alla situazione problematica e che
vede sempre più coinvolte altre fi­
gure significative (medico di base,
privato sociale, volontariato) e fi­
nalmente anche il “malato”, i suoi
familiari, i suoi amici.
2° ambito: collaborazione struttu­
rata nelle aree di utenza particolar­
mente debole (extracomunitari, sen­
za fissa dimora) e/o nelle situazio­
ni multiproblematiche.
Questo ambito rappresenta un’area
di attenzione particolare rispetto ai
più generali e ordinari rapporti di
presa in carico congiunta previsti
dal 1° ambito.
Particolare attenzione è stata ri­
volta alla popolazione extracomu­
nitaria con operatori dedicati da
parte di entrambi i Servizi e con 2
occasioni formative particolarmen­
te importanti e curate da Comune e
Azienda sanitaria, una nel 2000, una
nell’autunno 2001, aperte a tutti i
servizi interessati.
Per quanto concerne le situazio­
ni multiproblematiche ci si è colle­
gati anche ad altri gruppi di lavoro
già esistenti e si sono consolidati i
rapporti di collaborazione con l’Al­
cologia e le Associazioni dei Club
degli alcolisti in trattamento, men­
tre andranno migliorati quelli con il
Ser.T.
3° ambito: cogestione di un circuito
di residenzialità per situazioni con
problemi psichici in evoluzione po­
sitiva e in presenza di problemi di
inserimento sociale.
È l’ambito che si è reso maggior­
mente visibile in quanto ha dato vita
nell’arco di pochi mesi al passaggio
di 2 strutture residenziali dall’Azien­
da sanitaria al Comune, mettendo
le premesse per la creazione nella
città di Trento di una rete di allog­
gi a bassa protezione socio-assisten­
ziale per utenti dei servizi psichia­
trici che hanno già fatto un percor­
so riabilitativo nelle strutture sani­
tarie psichiatriche e che possono
però trovare ulteriori importanti sti­
moli in strutture a più bassa prote­
zione, in un contesto depsichiatriz­
zato.
Coi primi mesi del 2002 saranno
4 le unità abitative di questo nuo­
vo circuito per un totale di 12 posti
letto. La positività dell’esperienza
ha determinato la decisione dell’As­
sessorato provinciale e dell’Azienda
sanitaria di estendere questa pro­
gettualità in tutto il territorio pro­
vinciale e notevole è stata l’atten­
zione suscitata in diverse
realtà italiane interessate a copiar­
ne il modello.
Il gruppo di lavoro che ha segui­
to questo ambito è stato partico­
larmente attivo e si è mosso anche
per favorire la nascita e il consoli­
damento di un altro circuito abita­
tivo caratterizzato da livelli di mag­
giore autonomia, con unità abitati­
ve reperite sul libero mercato o nell’abito dell’edilizia abitativa, sup­
portate dallo spirito della mutuali­
tà.
4° ambito: implementazione del pro­
getto di sensibilizzazione del Centro
Storico sulle tematiche del disagio
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
psichico per contrastare i pregiudizi
e coinvolgere la comunità.
Il progetto di questo ambito, già a
partire dalla fine del ’99, si è am­
pliato a tutta la città di Trento e ha
successivamente coinvolto con un
ruolo di particolare importanza
utenti e familiari.
Questo sviluppo ha determinato
un cambiamento significativo ri­
spetto all’impianto iniziale che an­
drà ripensato nella giornata di la­
voro congiunto tra i 2 Servizi che si
terrà a fine 2001. In quella sede si
valuterà come rilanciare la parteci­
pazione di operatori del Comune, in
particolare vigili di quartieri e assi­
stenti sociali, ma anche come rimo­
dellare il progetto per quanto riguar­
da i collegamento con il piano so­
ciale del Comune di Trento.
5° ambito: impegno organico in
tema di inserimento lavorativo a
partire da quanto in essere presso la
Consulta per la salute mentale.
159
Le esperienze territoriali in Trentino
160
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Dal ’99 ad oggi la Commissione di
Valutazione Integrata, come costru­
ita in sede di Consulta per la salute
mentale, si è consolidata e ha ope­
rato regolarmente garantendo un
numero significativo di inserimenti
lavorativi, soprattutto nelle Coope­
rative di tipo A e B. Nella Commis­
sione la presenza di operatori dei 2
Servizi è costante e fondamentale.
Peraltro nella giornata di lavoro
congiunto che si terrà a fine 2001
questo ambito andrà ripensato so­
prattutto in relazione ad alcune va­
riabili costituite dalla nuova legge
sul collocamento obbligatorio, dal­
le iniziative sorte recentemente in
tema di lavoro mutualistico, dalla
difficoltà ancora in essere a coordi­
narsi con il mondo del lavoro ordi­
nario.
Il protocollo che abbiamo esami­
nato in queste pagine costituirà an­
cora per qualche anno il riferimen­
to obbligato di ogni attività congiunta tra i 2 Servizi.
Ciò non toglie che si apriranno
nuove frontiere e nuovi campi di
intervento che oggi rispetto a qua­
si 3 anni fa hanno maturato una loro
presenza importante.
Ne cito uno solo a titolo esem­
plificativo. Riguarda il coinvolgi­
mento sempre più significativo di
utenti e familiari e anche di citta­
dini nei processi di “cura”. È una
frontiera di importanza evidente­
mente strategica e che si colloca
con forza nello spirito di quel wel­
fare di comunità che costituisce un
riferimento obbligato nei ragiona­
menti sulle politiche sociali di que­
sti anni, ma che ancora troppo spes­
so è poco visibile a livello operati­
vo. Dipende da tutti noi coniugare
il dire con il fare dandone indispen­
sabile testimonianza, unica garan­
zia per operare quei cambiamenti
che affermiamo di volere.
NOTE
La stesura del Protocollo è stata
curata oltre che dal sottoscritto
dalla dott.ssa Augusta Rosati, Capo
ufficio dei Servizi sociali del Comu­
ne di Trento. I contenuti di alcuni
degli ambiti della seconda azione
fondamentale hanno ripreso mate­
riale ed esperienze già in essere e a
cui hanno dato il loro contributo
diversi operatori del Servizio di sa­
lute mentale e dei Servizi sociali del
Comune.
Renzo De Stefani è Direttore dell’Unità
Operativa di Psichiatria di Trento
dell’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari.
La tossicodipendenza:
fenomeni e risposte
Valerio Costa
Un excursus storico della lotta
alla tossicodipendenza in Trentino
Il fenomeno tossicodipendenze in
Trentino, nasce, come su gran parte
del territorio nazionale, alla fine
degli anni sessanta, legato all’as­
sunzione di cannabici, acidi e amfe­
tamine, per passare velocemente,
nei primi anni settanta, all’uso di
oppiacei, in particolare morfina ed
eroina.
Tale nuovo fenomeno si connota
di mistero, di clandestinità, di op­
posività al sistema, di avventura
sfidante ed eroica da una parte, e,
per contro, di paura, di imprepara­
zione, di rifiuto dall’altra.
La legge nazionale vigente, vec­
chia e anacronistica, non poteva,
ispirata ad una filosofia meramente
repressiva e indiscriminatamente
criminalizzante, sia per l’uso che per
lo spaccio, che confermare e fomen­
tare tali posizioni.
In questo contesto e nel deserto
delle risposte istituzionali, ma an­
che private, s’avvia, per volontà di
un ristretto gruppo di professioni­
sti (farmacisti, commercialisti, me­
dici, avvocati, sacerdoti) un tenta­
tivo di risposta a Trento, che, ag­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
gregandosi in un’associazione deno­
minata “ Centro Antidroga “ inizia,
nel 1974 la propria attività.
La legislazione allora vigente,
fortemente criminalizzante l’uso di
qualsiasi sostanza illecita, imponen­
do ai medici l’obbligo della denun­
cia penale per ogni paziente si fos­
se loro rivolto e il conseguente man­
dato di arresto e carcerazione per
lo stesso, ha suggerito un intervento
senza reclamizzanti clamori (non si
è messo nemmeno l’etichetta nella
prima sede in via Santa Maria Mad­
dalena 22 a Trento, nell’Oratorio di
San Pietro) con l’intento, peraltro
riuscito, di privilegiare il rapporto
con questi giovani tossicodipenden­
ti da oppiacei.
È stato quel Centro in Trentino
un ponte tra l’opposività e l’acco­
glienza, un riferimento, una speran­
za rispetto alla disillusione e all’in­
differenza, un cuneo sottile e ini­
zialmente impercettibile, via via più
forte e dirompente rispetto ad un
mondo chiuso in una propria cultu­
ra o meglio sottocultura, diffiden­
te, arrogante e disperata come quel­
la della tossicodipendenza da op­
piacei e il mondo altrettanto chiu­
so e ottuso della cultura ufficiale
che, col disprezzo, la paura, l’osti­
lità e il giudizio morale non faceva
che convalidare l’irreversibilità del­
la strada tossicomanica.
Tale accenno di microstoria loca­
le era indispensabile per capire l’as­
setto organizzativo nel settore in
provincia di Trento negli anni set­
tanta e ottanta, costituito da un
particolare connubio pubblico - pri­
vato che ha permesso, in quegli
anni, un’esperienza pilota felice,
161
Le esperienze territoriali in Trentino
pienamente positiva, funzionale e
anche, per la pubblica amministra­
zione, vantaggiosa.
162
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Il contesto legislativo
Il 22 dicembre 1975 veniva promul­
gata l’attesa legge nazionale n° 685
relativa alla “disciplina degli stu­
pefacenti e sostanze psicotrope.
Prevenzione, cura e riabilitazione dei
relativi stati di tossicodipendenza“.
Essa, agli articoli 2 e 90 demanda­
va alle Regioni le funzioni di cura e
riabilitazione dei “soggetti che fan­
no uso non terapeutico di sostanze
stupefacenti, di svolgere funzioni di
indirizzo e programmazione, di isti­
tuire servizi di assistenza medica e
sociale, di realizzare iniziative di
recupero e risocializzazione“.
Tale legge, nei primi mesi del
1976 venne impugnata, sia dalla
Provincia Autonoma di Trento che
da quella di Bolzano, avanti la Cor­
te Costituzionale perché lesiva dei
rispettivi statuti di autonomia spe­
ciale. Da ciò ne conseguiva “l’im­
possibilità di pratica attuazione della
legge n° 685 già citata, in sede pro­
vinciale, almeno in quei punti in cui
esisteva discrepanza con i principi
generali che regolano la Provincia Au­
tonoma di Trento”. (cfr. Deliberazio­
ne n° 2289 del 01/04/1977)
In attesa quindi che la Corte Co­
stituzionale si esprimesse sull’im­
pugnativa proposta dalla Provincia
e nell’impossibilità pertanto di le­
giferare in materia, si ritenne di
dover provvedere alla soluzione dei
problemi immediati e urgenti pro­
mulgando alcuni indirizzi operativi
nel campo.
In tale situazione la Giunta pro­
vinciale di Trento ha prima appog­
giato l’opera dell’Associazione Cen­
tro Antidroga e poi, con la sopra
citata deliberazione, “demandato al
sunnominato Centro Antidroga di
Trento, provvisoriamente e fino a
definizione dell’impugnativa in pen­
denza presso la Corte Costituziona­
le, i compiti affidati dagli art. 90
n°2 e 92 della citata legge sui cen­
tri medici e di assistenza sociale“,
assumendo direttamente la compe­
tenza in materia di direzione e pro­
grammazione degli interventi nel
settore.
Il Centro Antidroga ha svolto l’at­
tività di Centro medico e di Assi­
stenza sociale fino al 31 dicembre
1984, allorquando la Provincia di
Trento, in attuazione della propria
legge n° 34 del 29 ottobre 1983
assumeva, a far data dal 1 gennaio
1985, anche operativamente le fun­
zioni pubbliche, assorbendo, previo
concorso interno, il personale ope­
rante al Centro con funzioni pub­
bliche, nonché l’organizzazione, il
materiale (cartelle cliniche, archi­
vio ecc.) e i mobili dello stesso.
Come sopra accennato, tale pe­
culiare esperienza ha garantito l’as­
setto organizzativo della risposta
alle tossicodipendenze in Trentino
sia sul versante medico-farmacolo­
gico (con un rapporto convenzio­
nale con un gruppo di medici ospe­
dalieri, in particolare dell’ospedale
Santa Chiara di Trento, operanti
presso il Centro, e nel rapporto col­
laborativo di tutti gli ospedali del­
la Provincia), sia sul versante psi­
co-sociale.
Di fatto l’ottica della Provincia e
del Centro è stata quella di non set­
torializzare o peggio ancora ghet­
tizzare il problema tossicodipenden­
ze, con l’inevitabile rischio del se­
questro del sintomo, cercando tut­
tavia di offrire, ove necessario, ri­
sposte specifiche e specialistiche.
La non medicalizzazione del pro­
blema ha anche favorito e richie­
sto, in alternativa al facile ricorso
al farmaco sostitutivo, la nascita di
strade alternative come la Comuni­
tà Terapeutica di Camparta (1977),
direttamente dipendente dal Centro
pubblico e con funzioni pubbliche,
pur con gestione di carattere priva­
tistico, che si è collocata come un
servizio integrato nel territorio ac­
cogliendo esclusivamente pazienti
residenti in provincia di Trento.
Sono inoltre stati da subito coin­
volti, sia in forma diretta che indi­
retta, tutti i servizi sanitari e so­
ciali della provincia per gli aspetti
di loro competenza.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
La legge provinciale n°34
del 29/10/1983.
Nel gennaio 1983 finalmente, dopo
sette anni, la Corte Costituzionale
dà risposta, peraltro positiva, al ri­
corso proposto dalla Provincia Au­
tonoma di Trento nel 1976. Ciò ha
permesso la stesura e la promulga­
zione della legge provinciale n° 34
del 29/10/1983 “Norme per la pre­
venzione, cura e riabilitazione de­
gli stati di tossicodipendenza e al­
colismo“.
Tale legge, tuttora vigente, col­
locata nel quadro riorganizzativo dei
servizi sanitari e socio-assistenzia­
li previsti dalla legge 23/12/1978
n° 833, riprendeva di fatto i princi­
pi stabiliti dalla legge n° 685/1975
con l’intento di promuovere la co­
noscenza della realtà socio econo­
mica, culturale, sociale e sanitaria
in relazione ai fenomeni di tossico­
dipendenza e alcolismo, ed elabo­
rare e attuare interventi finalizzati
alla prevenzione, cura e riabilitazio­
ne degli stati di tossicodipenden­
za, nonché “ in coordinamento con
le altre iniziative per la lotta alle cau­
se di emarginazione e di disadatta­
mento: di sviluppare nel campo una
adeguata coscienza sanitaria e, in­
fine, programmare e attuare inizia­
tive per la formazione e aggiorna­
mento degli operatori del settore “.
La filosofia ispiratrice, mutuata
anche dal lavoro quasi decennale sul
campo, risponde ad alcuni principi
che la qualificano:
- Il problema tossicodipendenza e
alcolismo viene allocato in un
contesto culturale in cui la lettu­
ra del sintomo porta all’analisi
delle cause e concause socio eco­
163
Le esperienze territoriali in Trentino
164
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
nomiche, culturali e relazionali
che lo determinano;
- viene dato impulso alla preven­
zione, alla ricerca e alla prepara­
zione degli operatori del settore;
- in campo operativo, non preven­
tivo, il settore delle tossicodipen­
denze e quello dell’alcolismo sono
distinti, pur in un’ottica di colla­
borazione;
- viene evitata ogni tendenza alla
ghettizzazione del fenomeno e dei
pazienti e incentivata una filoso­
fia di politica sanitaria non di
delega, ma di corresponsabilizza­
zione;
- pur nell’attenzione ai singoli pro­
blemi e situazioni personali, lo
sforzo è volto al superamento di
ogni stato di tossicodipendenza;
- viene valorizzata e promossa
l’azione di volontariato e del pri­
vato sociale e si concedono con­
tributi ai Comuni per sostenere
iniziative da essi programmate,
volte al reiserimento di ex tossi­
codipendenti ed ex alcolisti;
- mantiene, a differenza del restante
territorio nazionale, a sé (Provin­
cia) anche funzioni operative at­
tribuite ai Centri medici e di assi­
stenza sociale “ tali funzioni, re­
cita la legge, sono esercitate di­
rettamente dalla Provincia”.
Questo assetto organizzativo ha
permesso una unitarietà di interven­
ti, in un mondo frantumato e mani­
polatorio come quello della tossi­
codipendenza, certamente positiva.
Il tentativo inoltre di una lettura
del sintomo droga come risposta a
problemi diversi al di là della ma­
scheratura d’abuso, ha permesso ri­
sposte differenziate sia nel servizio
pubblico che nelle iniziative, soprat­
tutto a carattere comunitario, del
privato sociale e del volontariato.
La separazione con l’alcolismo
non ha allora complicato i problemi
anche se oggi è sicuramente matu­
ro il tempo per un dipartimento per
tutte le dipendenze patologiche.
Nel campo della salute mentale è
nato, fin da subito, un rapporto
collaborativo, pur evitando inizial­
mente un facile ricorso alla psichia­
tria, come naturale riferimento, so­
prattutto per i medici, di fronte a
scarse patologie organiche e all’im­
pazienza e arroganza di questi stra­
ni pazienti. La stessa supervisione
sul servizio e in particolare sull’equi­
pe medica del Centro da parte del
coordinatore dei servizi psichiatrici
provinciali, prof. Ferlini, ha favori­
to una capacità di lettura e di dia­
gnosi delle situazioni personali e in­
sieme ha aiutato la formulazione
motivata di intervento nelle situa­
zioni, non infrequenti, di intreccio
tra tossicodipendenza e problema­
tiche psichiatriche, che oggi, con
qualche perplessità da parte di chi
scrive, vengono definite doppia dia­
gnosi o comorbilità. Ovviamente il
tutto dentro un percorso di ricerca
e sperimentazione non lineare, ta­
lora contraddittorio e conflittuale,
ma attento e critico, dove la flessi­
bilità della gestione privatistica e
la presenza di un unico servizio spe­
cifico, pur con articolazioni perife­
riche per tutta la Provincia, e il con­
seguente coordinamento su tutto il
territorio, hanno evitato dispersio­
ni e fallimenti, permettendo un co­
stante confronto e monitoraggio con
il fenomeno sempre in evoluzione,
sia per quanto concerne i parametri
quantitativi che, soprattutto, qua­
litativi. Va sottolineata inoltre, an­
che nel confronto con realtà limi­
trofe, l’efficacia degli interventi e
l’economicità nella gestione.
L’AIDS
IL Fenomeno tossicodipendenze che
ha avuto una crescita, com’era ov­
vio, nel corso degli anni settanta
esponenziale; nel corso degli anni
ottanta ha avuto un calo di nuovi
assuntori e un certo assestamento,
e, a partire dagli anni novanta, ha
ripreso una tendenziale crescita.
Ciò che drammaticamente però
connota questo mondo negli anni
ottanta e novanta è l’avvento tragi­
co dell’infezione da HIV e l’AIDS con
tutto il carico di ansia, sofferenza e
morte che, in particolare tra questa
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
categoria di pazienti, ha comporta­
to.
Sul versante della risposta c’è sta­
ta una forte capacità sensibilità e
capacità organizzativa, sia da parte
istituzionale, che privata. Mi riferi­
sco in particolare al reparto infetti­
vologico dell’ospedale S.Chiara di
Trento e al Centro trasfusionale, al
reparto di Rovereto, all’intervento
del Ser.T sul piano pubblico e al­
l’opera della Caritas diocesana nel­
la formazione di un’assistenza qua­
lificata di volontari dentro e fuori
l’ospedale e con la comunità di Casa
Lamar.
La Prevenzione
Ciò che in Italia ha evidenziato il
bisogno prima e ha dato poi impul­
so e forza alla prevenzione e’ stato
proprio il fenomeno della tossico­
dipendenza giovanile (allora), al
165
Le esperienze territoriali in Trentino
166
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
punto da condizionarne le modalità
di approccio. In altre parole i mo­
delli adottati sono stati interdipen­
denti dalla lettura del fenomeno
droga e dai diversi stereotipi via via
attribuiti al tossicodipendente.
Certamente tale modalità ha con­
dizionato anche la realtà trentina
che, nel campo, nonostante grandi
possibilità di offerta dalla propria
autonomia e dalle risorse economi­
che, non ha avuto, politicamente,
la capacità di una progettualità pre­
ventiva coordinata e mirata, pur a
fronte di un osservatorio privilegia­
to, anche se non esclusivo, del ser­
vizio per le tossicodipendenze. Com­
plessivamente pertanto la preven­
zione è stata fatta a pioggia e non
sempre mirata alla specificità del
quartiere e della vallata e con quel­
la continuità e metodicità indispen­
sabili.
Pur tuttavia alcuni indirizzi han­
no trovato risonanza e significato
sia nell’ambito della scuola che nelle
linee di indirizzo provinciale. In par­
ticolare:
- lo sforzo di superamento del sin­
tomo in funzione di una lettura e
analisi delle cause;
- nella scuola specialmente c’è sta­
to fin da subito, fin dalla secon­
da parte degli anni settanta, l’im­
pegno di informazione e formazio­
ne dei docenti come indispensa­
bili protagonisti della prevenzio­
ne, sia specifica che aspecifica.
In tal senso anche il ruolo degli
esperti ha trovato, nell’ottica della
non delega e del “primum non
nocere”, un ambito di intervento
più sui docenti che sugli alunni.
La legge 162 del 26/06/1990 ­
DPR 309/90
Certamente ciò che ha realmente
mobilitato in modo decisivo l’impe­
gno preventivo, almeno dentro la
scuola, è stata la legge 162 del 26/
06/1990 convertita in DPR 309/90,
dando a questo impegno un carat­
tere di obbligatorietà, di ordinarie­
tà e quindi di continuità dell’azio­
ne educativa e preventiva.
L’approccio che ne è emerso ha
confermato la continuità della linea
precedente, suggerendo di “ evitare
la prassi di fornire solo informazio­
ni sul disagio o sulle patologie, ma
di stimolare una mentalità aperta,
la valorizzazione di sé, lo stile di
vita e le relazioni positive e il lavo­
rare per progetti” (Linee guida del­
la Sovrintendenza scolastica).
Ciò che può dare corpo ad un in­
tervento mirato e organizzato trova
strumento, oltre che nelle indica­
zioni del Ministero della Pubblica
Istruzione, nel “Protocollo d’intesa
di educazione sanitaria e prevenzio­
ne” (1995) tra la Sovrintendenza
Scolastica provinciale e L’Azienda
provinciale per i servizi sanitari.
Per la verità numerosi tentativi
precedenti, anche ad opera del
Ser.T., di mobilitazione e coinvol­
gimento di più istituzioni e servizi
in una comune ancorché differen­
ziata progettualità (Assessorato alla
Sanità e Attività sociali, Assessora­
to all’Istruzione, Assessorato al La­
voro e alla Formazione professiona­
le e relativi servizi) non hanno sor­
tito, al di là di linee programmati­
che, molto riscontro e possibilità
operative. Ci sono state da parte di
pochi Comuni lodevoli iniziative, ma
non molto di più.
Il protocollo d’intesa individua
nell’ambito scolastico due aspetti
di prevenzione educativa: uno di
tipo informale (ricerca del benesse­
re relazionale nei confronti dei gio­
vani) e l’altro informale, affidato “ai
docenti in base alle diverse compe­
tenze, con il compito di progettare
situazioni formative finalizzate a
dare consapevolezza delle respon­
sabilità individuali e sociali e delle
possibilità culturali, politiche e tec­
nico scientifiche per il consegui­
mento del benessere“.
Si avviano inoltre per le scuole
di secondo grado i Centri di infor­
mazione e consulenza CIC.
L’assetto dei servizi
Va ripreso qui, dopo la parentesi
sulla prevenzione e promozione della
salute, il filo storico sul Servizio per
le tossicodipendenze trentino. Il
DPR 309/90 sopra citato aveva pre­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
visto una modalità organizzativa dei
servizi pubblici per le tossicodipen­
denze profondamente diversa da
quella fino allora attuata dalla Pro­
vincia di Trento. La nuova legge in­
fatti prevedeva un Ser.T. in ogni Uni­
tà Sanitaria Locale, pur distinguen­
do tra alta, media e bassa utenza.
Inoltre prevedeva un orario di aper­
tura addirittura, per i Ser.T. ad alta
utenza, di 24 ore su 24.
A fronte dei dettati della nuova
legge e del Decreto Ministeriale n°
444/90 la Provincia ha emanato una
propria deliberazione, la n° 7541 del
14/06/1991 relativa alle “ disposi­
zioni attuative e norme regolamen­
tari in ordine alle caratteristiche
organizzative e funzionali del Cen­
tro medico e di assistenza sociale “.
“Nella provincia di Trento, recita
la stessa, rispetto ad una popola­
zione contenuta in 446.000 abitanti
e rispetto ad una utenza media an­
nua di soggetti non superiore a 400
unità, esistono peraltro, al momen­
to n° 11 Unità sanitarie locali per
la scelta allora operata di far coin­
cidere le Unità sanitarie stesse con
i Comprensori, già istituiti nel ter­
ritorio provinciale quali enti di di­
ritto pubblico. Posta la particolare
situazione, appare evidente che la
costituzione di 11 servizi per le tos­
sicodipendenze, una per ogni unità
sanitaria locale, comporta una rile­
vante dispersione di risorse, senza
tuttavia che a ciò vada a corrispon­
dere migliore qualità ed efficienza,
stanti le anzidette contenute dimen­
sioni dell’utenza. Si reputa anzi che,
in rapporto a tale utenza, da ge­
stioni eccessivamente frazionate
deriverebbero esiti di disfunziona­
167
Le esperienze territoriali in Trentino
168
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
lità”.
Alla luce di quanto esposto si
opta per la soluzione di manteni­
mento della gestione unitaria esi­
stente. Viene peraltro, in ottempe­
ranza al decreto ministeriale cita­
to, previsto un nuovo organico del
personale, sia qualitativo, che quan­
titativo in riferimento ad un’aper­
tura del servizio più ampia, così da
comprendere anche il sabato e mag­
giormente articolata sul territorio
provinciale.
A tal fine viene aperta, accanto
a quella già da anni esistente di
Rovereto, la sede decentrata di Riva
del Garda e creato un recapito set­
timanale di tipo ambulatoriale pres­
so le Unità sanitarie locali di Tione,
Cles, Cavalese, Borgo Valsugana e
Fiera di Primiero.
Nel giugno 1992 il Centro medi­
co e di assistenza sociale diventa,
per intervento legislativo della Pro­
vincia (L.P. n° 15 del 19/05/1992,
art. 20), un servizio provinciale a
tutti gli effetti.
Prima di tale evento il personale
del CMAS consisteva in un diretto­
re, due funzionari in materie socia­
li, due assistenti sociali, un assi­
stente sanitario e uno amministra­
tivo. Accanto a questi una psicolo­
ga a consulenza e l’equipe medica
in rapporto convenzionale per com­
plessive 10 ore settimanali.
I decreti 502/93 e 517 di riorga­
nizzazione del servizio sanitario
nazionale non hanno di per sé cam­
biato il panorama sanitario trenti­
no.
Ciò che invece, per quanto attie­
ne in particolare alle tossicodipen­
denze, ha modificato i riferimenti
di competenza giuridico ammini­
strativa e operativa è stata, in loco,
la legge provinciale n° 10 del 1/4/
1993 “Nuova disciplina del Servizio
Sanitario Provinciale”.
Il primo aprile 1995, data di av­
vio dell’Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari il Ser.T. e relativa
organizzazione transitano nel loro
alveo naturale, cioè sanitario, del­
l’Azienda stessa. Vengono scorpora­
te e distinte le funzioni prima con­
globate tutte nel Ser.T.: in altri ter­
mini, restano, come nel territorio
nazionale, al Ser.T. le funzioni sa­
nitarie e invece, quelle demandate
alle Regioni rimangono in capo alla
Provincia Autonoma di Trento.
L’articolo 60 della legge provin­
ciale 10/93 cancella l’articolo 20
della L.P. n° 15/92 con cui si isti­
tuiva il Ser.T. all’interno dei servizi
della Provincia.
Nell’Azienda provinciale per i ser­
vizi sanitari il Ser.T. viene ad essere
un’Unità Operativa all’interno della
Direzione Cura e riabilitazione.
Poi è storia recente. Permane l’ot­
tica dell’integrazione tra servizi e
l’utilizzo delle risorse del privato
sociale. Viene adottata una politica
della riduzione del danno intesa nel
senso di prendersi cura dei pazienti
e delle loro contingenti situazioni,
senza persecuzioni terapeutiche, ma
anche senza facili e automatiche
sostituzioni farmacologiche.
Lo sforzo è quello di fare del ser­
vizio un centro di “memoria” tale
da permettere ai diversi e non sem­
pre lineari itinerari del paziente, un
riferimento, una valorizzazione, una
custodia non dispersiva.
Il Nucleo Operativo Antidroga
(NOA) del Commissariato del Go­
verno.
La legge nazionale sopra citata ha
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
istituito un servizio presso il Com­
missariato del Governo denomina­
to appunto Nucleo Operativo Anti­
droga. E’ l’ufficio deputato alla rac­
colta delle segnalazioni di soggetti
assuntori e detentori di sostanze
stupefacenti da parte delle forze
dell’ordine, con la proposta in al­
ternativa alle sanzioni, nei casi pre­
visti, di un percorso terapeutico da
concordare con il Ser.T. È stato ed è
tuttora un riferimento importante
non solo di monitoraggio del feno­
meno, ma anche di dissuasione dal­
l’uso e propedeutico a programmi
terapeutici.
Valerio Costa è stato Dirigente del
Servizio per le tossicodipendenze
dell’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari - Trento.
169
I servizi di alcologia
Roberto Pancheri
I servizi di alcologia in Trentino:
le attività, i punti di forza e di debolezza
I problemi derivanti dal consumo di
alcol nella nostra provincia sono da
sempre fonte di disagi di primaria
importanza, sia per le sofferenze
umane che esso comporta, sia per
gli alti costi sociali e sanitari che
ne derivano. Il Trentino è sempre
stato ai primi posti nelle statisti­
che nazionali per quanto riguarda il
consumo di alcolici, assieme a Val­
le d’Aosta e Friuli, ed è dimostrato
(come anche la stessa Organizzazio­
ne Mondiale della Sanità afferma)
che a elevati consumi corrispondo­
no altrettanto elevati valori percen­
tuali di problemi alcolcorrelati. Que­
sto fa sì che nella nostra provincia
le patologie e i disagi derivati dal­
l’uso di alcol assumano notevole ri­
levanza: si stima che in Trentino si­
ano più di 10.000 le famiglie che al
loro interno debbono affrontare quo­
tidianamente problemi derivanti dal­
l’uso di alcol. Ma l’alcolismo - al
contrario di quanto comunemente ri­
tenuto - non è la causa più impor­
tante di problemi alcolcorrelati: è
stato dimostrato che il maggior co­
sto per una comunità - sia in termi­
170
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ni economici che umani - è rappre­
sentato dai problemi alcolcorrelati
causati dal gruppo infinitamente più
vasto dei cosiddetti bevitori mode­
rati (vedi incidenti stradali, lavora­
tivi e domestici o violenze causati
da persone in occasionale stato di
ebbrezza). Di qui la necessità di una
azione di prevenzione a vasto rag­
gio che includa un serio programma
per la promozione e protezione del­
la salute e che si uniformi al pro­
getto dell’Organizzazione Mondiale
della Sanità sulla riduzione dei con­
sumi di alcol del 25%, e alle sue
linee guida dei 21 obiettivi per il
21° secolo.
Storia dei programmi
alcologici in Trentino
Fino al 1984 nella nostra provincia
l’ente pubblico mai si era occupato
di problemi alcolcorrelati in prima
persona: quel poco che veniva fat­
to era delegato ai gruppi di Alcoli­
sti Anonimi (A.A.).
La storia dei programmi alcolo­
gici pubblici in Trentino è stretta­
mente legata alla metodologia “eco­
logico-sociale”, ideata dal profes­
sor Vladimir Hudolin che ha trovato
in un gruppo di operatori sanitari
trentini una forte convinzione circa
la validità del metodo proposto.
Nel 1984 nasce il primo Servizio
pubblico di Alcologia a Cles (chia­
mato Dispensario di Alcologia) e in
seguito, nel giro di pochi mesi, si
aprono “Dispensari di Alcologia” in
tutte le U.S.L. della provincia, atti­
vati sempre da personale medico
dipendente o convenzionato che
autonomamente aveva maturato una
propria sensibilità verso il proble­
ma. Parallelamente nascono in tut­
to il Trentino i Club degli Alcolisti
in Trattamento (associazione priva­
ta al pari di A.A.) e si iniziano a
porre le basi per una solida, profi­
cua e duratura collaborazione tra
pubblico e privato.
Dalle attività dispensariali si pas­
sa in seguito alla costituzione dei
Centri di Alcologia strutturati con
modalità dipartimentale (figure pro­
fessionali diverse appartenenti a
varie Unità Operative collaborano in
orario di servizio all’attività di al­
cologia). I Centri di Alcologia, ol­
tre alla figura di un responsabile me­
dico, si avvalgono della collabora­
zione di un operatore di rete che
svolge il compito di collegamento
tra i vari servizi socio-sanitari e del
privato sociale e si occupa della re­
alizzazione dei vari programmi di
prevenzione.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
A tutt’oggi in provincia di Trento
esiste un Centro o Servizio di Alco­
logia in ogni distretto ed è proprio
nella capillare diffusione territoria­
le che possiamo identificare il pun­
to di forza dei programmi alcologi­
ci della nostra provincia.
Nel 1991 nasce, presso l’Assesso­
rato alla Sanità, il Centro Provin­
ciale di Riferimento per le attività
alcologiche con il compito di coor­
dinare le attività dei Centri e delle
strutture alcologiche delle allora
U.S.L. nonché di assicurare l’assi­
stenza, controllo e verifica sugli in­
terventi attivati e da attivare da
parte di ogni singola U.S.L.
Bisogna altresì rilevare che al
momento della istituzione del­
l’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari le varie realtà dell’Alcolo­
gia (sia i Servizi di Alcologia che il
Centro di Riferimento Provinciale per
171
le attività Alcologiche) non veni­
vano previste nel Regolamento del­
la stessa Azienda e che solo nel
maggio 2001 si è giunti ad una
modifica del Regolamento in tal
senso.
Le esperienze territoriali in Trentino
Attività specifiche
dei Servizi di Alcologia
172
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
1) Attività di promozione e di edu­
cazione alla salute.
L’obbiettivo dichiarato dei Servizi di
Alcologia è quello di occuparsi so­
prattutto di prevenzione, promo­
zione ed educazione alla salute, al­
meno per un 70% della propria at­
tività. Tale attività, al momento at­
tuale si attua attraverso varie ini­
ziative, inserite all’interno di una
strategia globale:
a) progettazione e realizzazione di
attività preventive sul territorio
con la comunità in generale e
con gruppi specifici di popola­
zione: parroci, sindaci e ammi­
nistratori, altre figure significa­
tive e carismatiche della comu­
nità, Associazioni presenti sul
territorio (es. associazioni spor­
tive, alpini, pro-loco, ecc..);
b) progettazione e realizzazione di
incontri con operatori sociali e
sanitari, dell’Azienda o di altri
Enti. Questi incontri si propon­
gono di sensibilizzare e informare
le figure sanitarie e sociali sui
problemi alcolcorrelati, sull’esi­
stenza e le attività del Servizio
di Alcologia e del privato-socia­
le in materia alcologica, al fine
di definire anche possibili cana­
li di collaborazione funzionali
alla crescita dei programmi al­
cologici e quindi all’aumento del
benessere di comunità. Per quan­
to riguarda i Medici di Medicina
generale è stato realizzato un
progetto particolare: visto che ad
incontri di sensibilizzazione par­
tecipavano solo medici in qual­
che modo già sensibili al pro­
blema, si è attuato un progetto
di incontri individuali per spie­
gare le finalità del Servizio, le
modalità di contatto e l’approc­
cio ai problemi alcolcorrelati;
c) realizzazione di incontri con i
rappresentanti delle forze dell’or­
dine, con l’Agenzia del Lavoro,
del Tribunale, della Casa circon­
dariale, delle Comunità terapeu­
tiche e di accoglienza, delle As­
sociazioni e delle Cooperative del
privato-sociale;
d) progettazione e realizzazione di
interventi nelle scuole: sono sta­
ti realizzati per anni interventi
nelle classi, sempre preceduti da
momenti di sensibilizzazione e
preparazione con gli insegnanti.
Successivamente sono stati at­
tivati progetti specifici per cer­
care di formare i formatori:
- progetto per insegnanti delle
quinte elementari e delle secon­
de medie, in atto da tre anni:
dopo un lavoro di sensibilizza­
zione su salute, problemi alcolcorrelati e fumo si propone agli
insegnanti un modello didatti­
co da sviluppare durante tutto
l’anno con i bambini delle V ele­
mentari e i ragazzi delle II me­
die;
- progetto per insegnanti delle
medie superiori: lo scopo di tale
progetto è di formare insegnan­
ti che possano farsi carico degli
interventi di sensibilizzazione su
alcol e fumo all’interno della
loro scuola;
- progetto per la formazione di
“opinions leaders” tra pari: con­
sci della difficoltà di far giun­
gere e far recepire messaggi sa­
lutistici alla fascia giovanile, in
particolar modo se tali messag­
gi provengono dal mondo degli
adulti, si sta cercando di realiz­
zare un progetto per formare
piccoli gruppi di giovani che
possano fungere da riferimento
positivo nel gruppo dei pari;
e) progetto Scuole Guida: partendo
dalla forte presenza di inciden­
talità alcolcorrelata tra i giova­
ni si è pensato ad un intervento
da realizzare presso tutte le
Scuole Guida della provincia. Gli
istruttori e gli insegnanti di tutte
le autoscuole sono stati sensi­
bilizzati e formati ed è stato for­
nito del materiale didattico (opu­
scoli e video) da usare nelle le­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
zioni di teoria. La stragrande
maggioranza di essi si è attivata
con entusiasmo e alla maggior
parte dei ragazzi che, nella pro­
vincia di Trento, frequentano una
Scuola Guida viene fatta una le­
zione su alcol e guida;
f) progetti di comunità per la ridu­
zione dei consumi: secondo
quanto indicato nel progetto eu­
ropeo dell’OMS per la riduzione
dei consumi, sono in corso pro­
getti locali di comunità che pre­
vedono interventi capillari su
comunità preventivamente indi­
viduate (rione e/o comune), allo
scopo di sensibilizzare ad una ri­
duzione dei consumi che viene
documentata con una rilevazio­
ne dei consumi stessi. Tale pro­
getto rientra in una ricerca mul­
ticentrica a livello nazionale;
g) progetto alcol e mondo del la­
voro: è in fase di realizzazione
un progetto di monitoraggio e
sensibilizzazione sul fenomeno
dell’uso di alcol nel mondo del
lavoro in collaborazione con le
Associazioni Industriali e Arti­
giani e delle Confederazioni Sin­
dacali.
2) Attività di diagnosi, cura
e riabilitazione.
La filosofia ispiratrice che da sem­
pre ha mosso i Servizi di Alcologia
è sempre stata quella della neces­
sità di andare incontro alle famiglie
con disagi dovuti al consumo di al­
col e di non limitarsi ad attenderle
seduti alla scrivania. Tale strategia
si concretizza con la realizzazione
di vari interventi sulla persona e la
famiglia con problemi alcolcorrela­
173
Le esperienze territoriali in Trentino
174
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ti:
a) colloquio alcologico motivazio­
nale che si pone come scopo
principale quello di delineare la
situazione e il disagio della per­
sona e della famiglia, di appro­
fondire la motivazione al cam­
biamento, di tracciare insieme le
possibili strade risolutive percor­
ribili, di puntare all’inserimento
in un programma alcologico di
riabilitazione (Club degli Alcoli­
sti in Trattamento, Gruppi di Al­
colisti Anonimi) o, quando ne­
cessario, di ricorrere al ricovero
in ospedale - in accordo con il
medico curante - nelle situazio­
ni in cui la situazione psico-fi­
sica è seriamente compromessa.
Nelle situazioni particolarmente
complesse vengono realizzati
successivi incontri di verifica e
supporto, allo scopo di verifica­
re con la persona e la famiglia
l’andamento del progetto con
loro attivato, ricorrendo anche
all’attivazione di un lavoro di
rete che veda coinvolti, oltre al
Servizio di Alcologia, altri Ser­
vizi o Associazioni del privatosociale;
b) visite sul territorio e a domici­
lio: qualora non sia possibile per
il soggetto raggiungere la sede
del servizio o lo stesso sia restio
a farlo, è importante effettuare
il colloquio direttamente a casa
della famiglia interessata o in
altre particolari strutture (casa
circondariale, comunità di acco­
glienza, casa di riposo, ecc.);
c) colloqui alcologici in ospedale:
vengono effettuati con persone
ricoverate nei diversi reparti
ospedalieri.
Nel 1994 è stata realizzata un’in­
dagine sulla presenza di bevito­
ri problematici tra i degenti ne­
gli ospedali del Trentino. Tale in­
dagine ha dimostrato che tra i
ricoverati il 17% ha problemi al­
colcorrelati e di questi solo al
20% viene posta una diagnosi
adeguata di tale problematica e
minima è la percentuale di quel­
li segnalati ai Servizi di Alcolo­
gia;
d) consulenze varie sul territorio:
sono previsti incontri di consu­
lenza, consiglio, supporto anche
a livello informativo sulle pro­
cedure e sulle metodologie pos­
sibili, con altre figure professio­
nali e della comunità. In situa­
zioni complesse le diverse figu­
re coinvolte si trovano a lavora­
re in un rapporto di équipe mi­
rato alla realizzazione di un pro­
getto riabilitativo il più possi­
bile efficace e coerente ai biso­
gni della persona e della fami­
glia;
e) consulenze per la Commissione
Patenti: si tratta di consulenze
inserite nel protocollo d’intesa
con la Commissione Provinciale
Patenti, rivolte a quelle persone
a cui è stata ritirata la patente
per problematiche alcolcorrela­
te. Quando dalla visita medica
risultino evidenziati problemi al­
colcorrelati il colloquio può di­
ventare l’occasione e lo stimolo
per inserire la persona in un pro­
gramma riabilitativo.
Il protocollo con la Commissio­
ne Provinciale Patenti prevede
anche che la persona inviata per
guida in stato di ebbrezza, fre­
quenti un ciclo di tre incontri di
un ora e mezzo su “alcol e gui­
da” che viene realizzato presso
il Servizio di Alcologia;
f) contatti e collaborazioni con le
Associazioni private: pur nella
chiarezza delle diverse compe­
tenze del servizio pubblico (Ser­
vizi di Alcologia) e delle asso­
ciazioni del privato sociale (Club
degli Alcolisti in Trattamento e
gruppi di Alcolisti Anonimi) è
fondamentale la massima colla­
borazione, scambio e confronto
fra queste realtà;
g) realizzazione di corsi di disas­
suefazione dal fumo: constatato
che nessuna altra realtà del pub­
blico si occupava di tale proble­
ma, da diversi anni i Servizi di
Alcologia organizzano anche i
corsi per smettere di fumare in
collaborazione con l’Associazio­
ne AMA.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
3) Monitoraggio del fenomeno, pro­
grammazione, ricerca e verifica, al­
tre attività.
Fin dalla loro nascita i Servizi di
Alcologia hanno tenuto una regi­
strazione informatizzata dei dati re­
lativi alle principali attività al fine
di poterne misurare e confrontare
l’efficacia nel tempo.
Questa attività comprende, oltre
alla raccolta di informazioni sulle
persone prese in carico dal Servizio
di Alcologia, l’identificazione dei bi­
sogni, la preparazione di program­
mi di promozione e protezione del­
la salute, il monitoraggio dei pro­
blemi legati all’uso di alcol, la veri­
fica degli interventi di sensibilizza­
zione e di informazione, la verifica
sull’adesione e l’efficacia dei pro­
grammi alcologici e di disassuefa­
zione da fumo, le indagini per il
miglioramento della preparazione
degli stessi operatori e della quali­
tà del servizio nonché la prepara­
175
zione di materiale didattico e di
pubblicazioni.
Le esperienze territoriali in Trentino
Caratteristiche dei Servizi
di Alcologia: punti di forza
e di debolezza
176
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
1) Punti di forza
Vari sono i punti di forza dell’orga­
nizzazione e dell’attività dei Servi­
zi di Alcologia. La diffusione terri­
toriale, l’apporto di figure profes­
sionali diverse, la cultura e l’impor­
tanza data al lavoro di rete, alle si­
nergie tra pubblico e privato, alle
collaborazioni molto strette con le
associazioni del privato e alla cul­
tura dell’importanza della preven­
zione sono tutti elementi positivi.
Elementi che derivano anche dal
fatto che i Servizi di Alcologia sono
servizi “giovani” e quindi poco bu­
rocratizzati, che contano su perso­
nale giovane e abituato a rappor­
tarsi in un’ottica di collaborazione
anche per la sua stessa formazione
professionale (educatori professio­
nali, assistenti sociali e infermieri
professionali) e cultura, per la qua­
le la persona e la famiglia con pro­
blemi di alcol non è vista come un
problema, bensì come una possibi­
le risorsa.
Le caratteristiche positive che
meglio contraddistinguono i Servizi
di Alcologia possono essere così
brevemente accennate:
- la capillare diffusione territoria­
le: questa caratteristica ha fatto
sì che in così pochi anni i pro­
grammi alcologici abbiano potu­
to svilupparsi su tutto il territo­
rio provinciale. In Trentino, al
-
-
-
-
giorno d’oggi, esiste un gruppo
di auto mutuo aiuto per i proble­
mi alcolcorrelati ogni 2722 abi­
tanti e ogni famiglia con proble­
mi alcolcorrelati può trovare un
gruppo di auto mutuo aiuto ad una
distanza massima di 10 chilome­
tri dalla porta di casa;
la pluriprofessionalità: l’organiz­
zazione funzionale dei Servizi di
Alcologia con l’apporto di profes­
sionalità diverse rende possibile
una visione d’insieme più comple­
ta dei problemi alcolcorrelati del­
la persona, della famiglia e della
comunità:
il lavoro di rete: già fin dall’inizio
della loro attività i Servizi di Al­
cologia si sono mossi in un’ottica
di rete, intrecciando rapporti pro­
ficui di collaborazione con le va­
rie agenzie del pubblico e del pri­
vato;
la sinergia tra pubblico e privato:
la stessa natura del tipo di inter­
vento dei Servizi di Alcologia ha
fatto sì che da sempre sia esistita
una stretta collaborazione con le
associazioni private attive sui pro­
blemi legati all’uso di alcol;
l’importanza data alla prevenzio­
ne: una cultura sanitaria che par­
ta da un’ottica preventiva e di pro­
tezione e promozione della salute
permette di affrontare anche i pro­
blemi alcolcorrelati e la loro riso­
luzione in una dimensione più
ampia e non solo centrata sull’al­
col.
2) Punti di debolezza
I problemi più importanti con cui
quotidianamente si scontra il lavo­
ro dei Servizi di Alcologia sono
senz’altro originati dalla cultura
generale della nostra comunità ri­
guardo all’alcol: il bere alcolici è
socialmente accettato se non addi­
rittura incentivato; ci si rende con­
to che questo comporta enormi problemi, ma non vengono accettati gli
strumenti volti a prevenirli.
Sono dunque punti di debolezza:
- l’insensibilità culturale al proble­
ma: è dimostrato e ribadito an­
che dall’OMS che l’unico metodo
per prevenire i problemi alcolcor­
relati di una comunità è rappre­
sentato dalla riduzione dei con­
sumi. Però qualsiasi iniziativa di
prevenzione indirizzata in tal sen­
so è notevolmente ostacolata dalla cultura generale sull’alcol. Si
arriva all’assurdo che ogni anno i
sindaci della nostra provincia indicano come uno dei problemi
prioritari della loro comunità il
problema alcol, ma poi in quasi
nessun comune viene attuata una
politica di prevenzione al riguar­
do. Per arrivare al grottesco di una
Amministrazione comunale “illu­
minata” che pur ammettendo che
nella loro comunità i problemi legati al consumo di alcol erano
estremamente gravi, non accettava un nostro programma di intervento preventivo capillare per pa­
ura dello scontro con le cantine
che gravitano sul territorio comu­
nale;
- il problema giovani: dai dati di
ricerca a disposizione e dall’espe­
rienza dei Servizi di Alcologia si
evidenzia che nella popolazione
giovanile della nostra provincia è
diffuso un uso elevato di bevan­
de alcoliche e soprattutto che
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
sempre più precoce è l’età in cui
viene usato l’alcol: già sui 13-14
anni. Una delle grosse difficoltà
del momento attuale è rappresen­
tata dalla possibilità di avviare
una efficace prevenzione dell’uso
di alcol nelle fasce d’età più gio­
vani. Ci risulta difficile portare
avanti una prevenzione efficace
senza il sostegno non soltanto
della scuola (che negli ultimi anni
si è dimostrata molto collaborati­
va), ma soprattutto della famiglia
e della comunità. E’ difficile chie­
dere ai ragazzi di comportarsi in
maniera difforme a come si comportano gli adulti di riferimento:
finché la cultura condivisa sull’al­
col sarà quella attuale non potre­
mo aspettarci che i ragazzi siano
diversi;
- i pochi investimenti sulla preven­
zione: frutto di questa cultura è
anche il fatto che pochi sono i
fondi destinati alla prevenzione
dei problemi derivati dal consu­
mo di alcol;
- la carenza di personale: a causa
di tale carenza di fondi e del fat­
to che esistono da poco, i Servizi
di Alcologia si trovano a lavorare
con un numero di operatori dav­
vero misero. Ogni Servizio ha un
solo operatore e in due situazioni
esiste un operatore che copre due
distretti. Si pensi che il Servizio
di Alcologia di Trento, cui fa rife­
rimento una popolazione di più di
150.000 persone conta solo su un
operatore a tempo pieno e uno
parte time.
- la contraddizione tra le agenzie
pubbliche: questo aspetto è l’as­
surdo più macroscopico con il
177
Le esperienze territoriali in Trentino
178
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
quale dobbiamo fare quotidiana­
mente i conti. La nostra comuni­
tà, attraverso l’Assessorato alle
Politiche sociali e alla salute e
l’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari, investe nella prevenzio­
ne dei problemi alcolcorrelati e
spende fior di quattrini per le spe­
se sanitarie e sociali provocate
dall’uso di alcol. Nel contempo
un’altra agenzia della nostra stessa
comunità (Assessorato all’Agricol­
tura) spende altrettanti fior di
quattrini per finanziare la pubbli­
cità e quindi l’incremento dell’uso
dell’alcol. Se fosse un privato si
direbbe che ha un comportamen­
to evidentemente schizofrenico…
A tale proposito, a livello interna­
zionale, si sta prendendo posizio­
ne contro la pubblicità di tutte le
sostanze nocive per la salute, com­
preso l’alcol e si sta arrivando alla
convinzione che non è etico per una
struttura pubblica investire denaro
della collettività in tali forme pub­
blicitarie.
Forse è giunto il momento per
iniziare una riflessione globale sul­
l’entità del problema alcol nella
nostra realtà, sulle strategie sinora
seguite e sulle scelte strategiche per
il futuro e, infine, ma non ultimo,
sulle coerenze etiche della nostra
società e della sua amministrazione
locale di fronte al fenomeno.
correlati. Trento, 1994
[2] OMS, Ufficio Regionale per l’Eu­
ropa, Carta Europea sull’alcol,
Provincia Autonoma di Trento,
Punto Omega; 7, Trento, 1996
[3] OMS, Ufficio Regionale per l’Eu­
ropa, HEALTH21 ventuno obiet­
tivi di salute per il ventunesimo
secolo, Provincia Autonoma di
Trento, Punto Omega; 15, Tren­
to, 1999
[4] Hudolin V., De Stefani R., Fol­
gheraiter F., Pancheri R., a cura
dei Club degli Alcolisti in Trat­
tamento, Applicazione del Pro­
gramma Alcologico di Vladimir
Hudolin in Trentino, Edizioni
Centro Studi Erickson, Trento,
1987
[5] Pellegrini L., Zorzi C., a cura di,
Le attività alcologiche in Tren­
tino dal 1984 al 1994, Provin­
cia Autonoma di Trento, Docu­
menti per la Salute; 6, Trento
2000
SITI WEB
[1]
[2]
[3]
[4]
[5]
www.who.dk
www.who.int
www.irsrs.tn.it/csdpa/index
www.alcolonline.org
www.eurocare.org
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
[1] OMS, Ufficio Regionale per l’Eu­
ropa, Alcol: piano d’Azione per
l’Europa, Centro Studi e Docu­
mentazione sui Problemi Alcol-
Roberto Pancheri è responsabile del
Servizio di Riferimento per le Attività
Alcologiche dell’Azienda Provinciale per
i Servizi Sanitari.
La partecipazione degli
utenti al miglioramento
della qualità dei servizi
socio-sanitari territoriali
Giuseppa Russo
L’esperienza dell’Associazione degli Ospiti
delle Case di riposo e dei loro familiari
(Cen.T.O.Ca.Ri.)
Cen.T.O. Ca.Ri. (Centro Tutela Ospi­
ti delle Case di Riposo Trentine) è
l’associazione degli ospiti delle case
di riposo e dei familiari. Nata come
movimento di protesta contro gli
aumenti che le rette di ospitalità
subivano ogni anno e che non tro­
vavano riscontro nel livello qualita­
tivo dei servizi erogati agli ospiti,
l’Associazione ha partecipato con
suoi rappresentanti ai tavoli di la­
voro istituiti nel 1997 presso l’As­
sessorato provinciale alla sanità,
allo scopo di elaborare una propo­
sta di riorganizzazione del sistema
di assistenza agli anziani non au­
tosufficienti ospiti di strutture re­
sidenziali, ed ha collaborato, sot­
tofirmandolo, alla stesura del pro­
tocollo di intesa nel quale sono det­
tate le direttive per l’avvio della ri­
forma della disciplina in materia di
assistenza agli anziani, siglato il 22
dicembre 1997 dal Presidente della
Giunta Provinciale, dall’Assessore
provinciale alla sanità, dalle Orga­
nizzazioni sindacali, dall’UPIPA.
Tali direttive sono diventate nor­
ma di legge in sede di approvazio­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
ne della L.P. 6/98, recante “Inter­
venti a favore degli anziani e delle
persone non autosufficienti o con
gravi disabilità”.
L’associazione, nel rispetto delle
norme statutarie, è attualmente
impegnata a collaborare con le isti­
tuzioni provinciali, affinché sia data
piena attuazione alla L.P. 6/98, so­
prattutto perché si completi il pro­
cesso vero di riforma, quello che tra­
sforma le Case di Riposo in Resi­
denze Sanitarie Assistenziali, diffe­
renziandole per tipologia e livello
di assistenza. Sono infatti queste
ultime che possono garantire l’ero­
gazione dei servizi sanitari neces­
sari a coprire tutto il fabbisogno di
cure mediche di base e specialisti­
che, riabilitative, assistenziali e
socio-ricreative. Questo per noi è
obiettivo primario, che una volta
raggiunto, da una parte consentirà
agli ospiti in condizioni psicofisi­
che non ancora gravemente compromesse di disporre della casa di
179
Le esperienze territoriali in Trentino
Provincia Autonoma di Trento
Punto180
Omega n. 7
soggiorno intesa come struttura re­
sidenziale che eroga servizi alber­
ghieri, sanitari e riabilitativi, fina­
lizzati a mantenere e recuperare l’au­
tonomia e la capacità di rapporto
sociale, dall’altra permetterà di cre­
are reparti destinati ad ospitare an­
ziani con maggiore fabbisogno di
cure sanitarie specifiche, i reparti
protetti per la cura delle neuropa­
tologie e i reparti per l’assistenza
ai malati terminali.
Non è difficile indicare a quali
condizioni una RSA consegue
l’obiettivo di migliorare la qualità
delle prestazioni: basta dotarle delle
risorse che le consentano di eroga­
re assistenza medica di base e spe­
cialistica, infermieristica e riabili­
tativa, ed assistenza in misura tale
da soddisfare il reale fabbisogno di
cure. Più difficile è indicare come e
dove reperire le risorse umane.
In aggiunta, quindi, alle pressioni
costantemente esercitate sul gover­
no provinciale dalle organizzazioni
di categoria, sui tavoli dell’Asses­
sorato giunge anche la nostra pre­
occupazione per le difficoltà riscon­
trate nel risolvere la carenza di per­
sonale qualificato.
I costi, inevitabili e in crescita,
che il raggiungimento dei parame­
tri necessari può determinare, de­
stinati a diventare insostenibili an­
che per il nostro servizio sanitario
provinciale, non possono essere
semplicemente posti a carico degli
utenti, soprattutto se sostenuti per
assicurare funzioni sanitarie vere e
proprie o servizi assistenziali a va­
lenza sanitaria erogati a persone alle
quali uno stato di salute gravemen­
te compromesso non consente più
di svolgere le normali attività quo­
tidiane, a maggior ragione se tito­
lari solo di pensioni minime e del­
l’assegno di accompagnamento.
Siamo impegnati anche nel grup­
po di lavoro cui compete l’elabora­
zione del regolamento unico di com­
partecipazione al pagamento della
retta residenziale, che dovrà poi
essere adottato dai comuni consen­
tendo di definire in modo omoge­
neo sul territorio provinciale la mi­
sura della partecipazione alla spesa
da parte dei familiari e le modalità
di rivalsa dopo il decesso per il re­
cupero dei crediti.
È inoltre utile la partecipazione
dei familiari ai lavori istituzionali
per sottolineare che, se anche l’as­
sistenza sanitaria erogata nelle RSA
fosse di altissimo livello (essendo
state garantite una dotazione di
personale tale da assicurare cura,
recupero e mantenimento dell’auto­
nomia a persone anziane che non
possono più essere assistite in fa­
miglia) ciò non sarebbe comunque
sufficiente ad assicurare una buona
qualità di vita, se si trascurasse di
considerare la struttura residenzia­
le come un domicilio, una casa spe­
ciale nella quale le prestazioni ero­
gate (siano esse squisitamente me­
diche o semplicemente assistenzia­
li) devono essere permeate da tan­
ta umanità da somigliare il più pos­
sibile alle cure che ogni anziano ri­
ceverebbe se potesse vivere ancora
in famiglia.
Gli stessi interventi socio-riabi­
litativi ci aspettiamo siano esegui­
ti con il rispetto dovuto, oltre che
all’età, anche al patrimonio di espe­
rienze e di conoscenze che ogni
ospite porta con sé.
Poiché un vecchio, anche se
utente a vita di un servizio residen­
ziale, resta fino all’ultimo dei suoi
giorni una persona con affetti pro­
fondi, è da ricercare il coinvolgi­
mento dei familiari perché essi pos­
sono non solo fornire collaborazio­
ne in alcune attività, limitando gli
effetti della cronica carenza di per­
sonale, ma soprattutto perché pos­
sono raccontare la storia di una vita
che conoscono meglio di chiunque
altro, trasmettendo ogni informazio­
ne utile a capire alcuni atteggia­
menti nel momento in cui gli orga­
ni che operano nella residenza van­
no ad impostare gli interventi per­
sonalizzati.
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
L’associazione è impegnata anche
a creare una rete di rapporti tra i
familiari e gli ospiti di tutte le Case
di Riposo trentine. Il nucleo opera­
tivo dell’associazione infatti è for­
mato dai Comitati degli ospiti e dei
familiari costituiti presso le singole
Case di Riposo, rappresentati in
seno agli organi di Cen.T.O Ca.Ri.
da due delegati. Ad essi compete di
segnalare i problemi riscontrati nell’erogazione dei servizi di assisten­
za presso ciascuna casa di riposo,
il mancato rispetto delle direttive
emanate dagli organi politici da cui
dipendono, le iniziative assunte al­
l’interno delle singole strutture per
assicurare servizi di ottima qualità
al prezzo più conveniente, riducen­
do gli sprechi e gli investimenti
poco produttivi. Informazioni che
l’associazione poi trasmette regolar­
181
Le esperienze territoriali in Trentino
mente ai tavoli di lavoro ed alle
commissioni di studio organizzate
a vario titolo dagli enti pubblici
competenti.
Provincia Autonoma di Trento
Punto182
Omega n. 7
Anche l’esame degli atti ammi­
nistrativi, per cui l’Associazione sol­
lecita i Comitati, non è più mirato
ad esercitare azione di controllo, che
peraltro compete ad altri e non a
noi, quanto piuttosto a conoscere
e condividere le difficoltà di gestio­
ne di strutture costrette in misura
sempre maggiore, per l’aggravamen­
to delle condizioni di salute dei pro­
pri ospiti, ad erogare prestazioni sa­
nitarie con risorse limitate.
Non conviene più quindi ritenere
invadente la partecipazione degli
utenti alla gestione di strutture così
complesse quali le Case di Riposo,
da tacitare con offerte di servizi a
basso costo ma insufficienti, piut­
tosto che considerarla una risorsa
propositiva, che sa offrire idee e
collaborazione.
Informazioni sulle modalità di
adesione all’associazione Cen.T.O.
Ca.Ri., sulla costituzione dei Comi­
tati degli ospiti e dei familiari pres­
so le singole Case di Riposo, sullo
stato dei lavori per l’attuazione delle
riforma dell’assistenza agli anziani
non autosufficienti, sulle norme e
le direttive emanate dagli organi
provinciali competenti e copia del­
lo Statuto possono essere richieste
presso la sede dell’associazione:
c/o Giuseppa Russo, 38052 Caldo­
nazzo, via Lago 23; tel e fax
0461723253.
E-mail: [email protected]; o sul
sito internet al seguente indirizzo:
http://space.tin.it/associazioni/
cclbe/centocari.
Giuseppa Russo è presidente
dell’associazione Cen.T.O. Ca.Ri.
Ci vorrebbero dei dati...
a cura di Graziano Manfrini
(Servizio Programmazione e Ricerca Sanitaria della Provincia Autonoma di Trento)
Quante volte nel corso dell’ennesima riunione che mai voleva arrivare a conclusione
abbiamo sentito qualcuno dei partecipanti uscire con un’affermazione di questo tipo,
che più che denunciare l’insufficiente conoscenza dei problemi in discussione dava la
sensazione della ricerca di un alibi per non ammettere apertamente la difficoltà di
ottenere risultati soddisfacenti? D’altra parte siamo consapevoli della necessità, quando
si affronta un problema, di conoscere e di tenere nella giusta considerazione alcuni
indicatori che ne esprimano la complessità e la rilevanza. Ecco perché a fronte di ogni
tema che verrà affrontato di volta in volta in questa rivista, cercheremo di individuare
una serie di indicatori minima, ma speriamo sufficiente, per rendere l’idea degli aspetti
quantitativi degli argomenti affrontati e per delinearne qualche elemento particolar­
mente interessante, degno di riflessione o forse, perché no, solamente curioso.
Gli ambiti in cui si esercita l’assistenza territoriale sono estremamente vasti e vari, per cui
è impensabile, in uno spazio come questo, riuscire ad esprimere in maniera completa le
dinamiche che caratterizzano questo settore della sanità. Cercheremo pertanto di rendere
l’idea solamente delle quantità più significative, facendo presente che, non essendo que­
sto un compendio statistico, è nostra intenzione riportare l’ordine di grandezza dei feno­
meni (“all’incirca”) e non la loro puntuale dimensione. I dati che abbiamo ritenuto di
esporre sono stati ricavati dall’elaborazione delle basi informative che sono il fondamento
del Sistema informativo sanitario provinciale.
Assistenza di base
Il numero dei medici di medicina generale presenti sul territorio provinciale varia media­
mente fra le 370 e le 380 unità, attivi in poco meno di 700 ambulatori, con un numero
medio di assistiti pro capite di poco superiore a 1100. Oltre l’80% di questi medici
effettua assistenza programmata/integrata.
I pediatri di libera scelta sono all’incirca 70, in circa 130 ambulatori, con in carico
mediamente 800 bambini ciascuno. La popolazione di età inferiore ai 7 anni seguita
direttamente dai pediatri è all’incirca del 95%.
La continuità assistenziale di base è garantita da circa 150 medici distribuiti in una
184
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
trentina di ambulatori di guardia medica, che producono più di 60.000 visite annuali fra
domiciliari ed ambulatoriali.
Sono più di 150 gli ambulatori infermieristici aperti al pubblico dove operano circa 130
infermieri professionali, i quali effettuano quasi 200.000 accessi ai domicili di 14.000
utenti, con una media di più di 2 prestazioni per accesso (le più frequenti sono il moni­
toraggio dei parametri vitali, medicazioni semplici e complesse, visite di controllo, prelie­
vi venosi, terapie, pulizia personale).
Assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro
Durante la stagione estiva sono attive una trentina di sedi di guardia medica turistica con
altrettanti operatori, che diventano all’incirca 20 durante l’inverno. L’attività complessiva
può essere quantificabile in circa 23.000 viste all’anno, sia ambulatoriali che domiciliari.
I medici incaricati con competenze di carattere fiscale sono poco meno di 20, e comples­
sivamente effettuano più di 10.000 visite all’anno tra ambulatoriali (1.500) e domicilia­
ri.
Assistenza specialistica semiresidenziale e territoriale
I consultori ginecologici in provincia sono poco meno di 50 con circa 30 ambulatori di
servizio ostetrico territoriale ove operano ginecologi e ostetriche. Le visite colloquio, tra
domiciliari e ambulatoriali, sommano complessivamente a più di 10.000 all’anno.
I consultori familiari sono 5, vi lavorano una ventina di assistenti sociali, altrettanti
infermieri professionali e psicologi, e poco meno di 30 pediatri e ostetriche. Sono orga­
nizzati corsi di preparazione al parto (poco meno di 100 all’anno con più di 1.100
partecipanti), e post parto (meno di 40 con circa 400 partecipanti).
Salute mentale
Le unità operative di psichiatria sono 5 con un’utenza di circa 5.500 pazienti (escluse le
consulenze e i ricoveri in reparti di degenza), dei quali poco più di 1.100 con un solo
contatto in un anno (più di 1.700 i nuovi pazienti all’anno). Il 90% di tutti gli utenti è
stato visto almeno una volta in ambulatorio, il 16% e/o a domicilio. Circa 250 all’anno
sono coloro che frequentano il centro diurno, più di 300 coloro che svolgono attività
riabilitativa, e meno di 90 sono ospiti di strutture residenziali. Le prestazioni complessive
erogate sono più di 60.000 delle quali la metà sono visite, colloqui psichiatrici e psico­
terapie in ambulatorio.
Dipendenze
I centri di alcologia sono 11 (uno per comprensorio), mentre i club di alcolisti in tratta­
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
185
mento e i gruppi di alcolisti anonimi sono più di 170, più di 20 le associazioni di
volontariato, una cinquantina gli operatori fra dipendenti e volontari. I colloqui sono
1400 all’anno e 1500 circa le famiglie in trattamento.
Il Servizio tossicodipendenze è articolato su 3 sedi (Trento, Rovereto e Riva del Garda). Gli
utenti in carico complessivamente sono poco più di 850 (di cui l’80% maschi), con circa
150 nuovi casi all’anno, che complessivamente usufruiscono annualmente di circa 60.000
accessi alla struttura.
Residenze sanitarie assistenziali
Le case di riposo in provincia sono 46 con 4.280 posti letto, ed una presenza media
giornaliera pari a 4.145 ospiti. Di questa utenza, circa il 95% è classificato, a vario
livello, come non autosufficiente.
186
Provincia Autonoma di Trento
Punto Omega n. 7
Scarica

Le esperienze territoriali in Trentino