GENUS BONONIAE MUSEI NELLA CITTÀ Novembre 2012 VI edizione Per informazioni: 051 275 41 27 e-mail: [email protected] M usica Parrocchia di S.Giuliano e Chiesa di S.Cristina Chiesa di Santa Cristina della Fondazza Piazzetta Morandi - Bologna Marzo 2013 in Santa Cristina Musica in Santa Cristina Le tastiere raccontano L’Accademia pianistica di Imola dà voce a fortepiani e pianoforti antichi D ediche Dal Barocco al Novecento: dieci anniversari da ascoltare GENUS BONONIAE MUSEI NELLA CITTÀ Perché investire nella cultura I nvestire nella cultura, nell’arte e nella musica in un periodo di crisi è segno di speranza, ma anche indice di grande onestà intellettuale. La crisi, infatti, non deve determinare una mortificazione della produzione e della condivisione dei soli valori che regolano la nostra percezione del mondo, dei soli valori che ci permettono una elaborazione consapevole dei fenomeni che si vivono. La cultura, l’arte, la musica ci orientano e ci sostengono nel trovare soluzioni ponderate e adeguate agli ostacoli che oggi appaiono insuperabili, aiutandoci a maturare nuove idee e punti di vista insoliti, suggerendoci di volta in volta livelli molteplici di interpretazione. Anche nella crisi, soprattutto nella crisi, occorre ragionare nell’ottica di una società della conoscenza, della formazione e dello sviluppo. Musica in Santa Cristina è un progetto nato ormai sei anni fa, quando le sorti economiche del mondo non lasciavano presagire nulla di ciò che stiamo vivendo, quando potevamo concederci il lusso di investire nella cultura soltanto per il gusto di offrire alla città eventi di elevato livello culturale. Oggi, invece, abbiamo deciso di investire nella cultura, consapevoli che ciò non è lusso, ma una necessità primaria; l’unica risposta ragionevole alla crisi, la principale arma di cui disponiamo per reagire alla sensibile mutazione storica, sociale e civile in atto. Musica in Santa Cristina raccoglie il consenso di migliaia di bolognesi: i suoi concerti sono molto attesi e sempre seguiti dal pubblico e dalla critica; tanto frequentati e apprezzati da incoraggiarci ad allargare il nostro raggio d’azione a tutti i palazzi del percorso Genus Bononiae, proponendo, a seconda dei luoghi, programmi esecutivi diversi e sempre di buon livello. Quest’anno il programma si arricchisce di una rassegna eseguita dai talenti dell’Accademia pianistica “Incontri col Maestro” di Imola; sono artisti che hanno investito tutto sulla musica, vincendo peraltro, grazie alla loro bravura, i più importati premi internazionali. Anche a loro dobbiamo questa scelta, perché l’affermazione di certi valori sia più forte e decisa in una realtà che talvolta sembra volerli negare, soffocando nel nulla anche le speranze dei nostri giovani e dunque del nostro futuro. Fabio Roversi-Monaco Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna 5 Clima etereo - Armonia delle forme Q 6 uante volte mio marito, buon’anima, rincasando la sera a fine giornata di lavoro, esternava sconsolato il consueto stucchevole lamento: «Ah… quella chiesa nella Fondazza… sempre chiusa… ogni volta che ci passo davanti il cuore spreme lacrime amare». Amante com’è della sua Bologna città natale sua e dei suoi avi, ne conosce strade, piazze, portici, monumenti, chiese. Di Santa Cristina – la chiesa inaccessibile che lo fa soffrire – conosce le vicissitudini dei suoi cinquecentododici anni di vita: dall’origine ad oggi. Ne conosce la storia, le singole opere d’arte incastonate in preziose massicce ancone lignee dorate sovrastanti gli altari laterali, le maestose statue di santi riposte nelle nicchie incavate nelle colonne e… quell’incantevole Ascensione del Carracci che domina l’altar maggiore! Ne venera una copia nel suo angolo nello studio di casa. «Stasera i nostri due passi – mia cara – li faremo in Via Fondazza, così finalmente vedrai questo monumento in abbandono che spreme lacrime amare dal mio cuore e… provoca sorrisi di compatimento sul tuo volto». Fu così che una sera d’autunno, ci bloccammo come due statue di marmo all’ingresso di quel tempio rimesso a nuovo, splendente nell’armonia delle sue forme e ornato di tante opere d’arte. L’intera navata centrale era strapiena di un pubblico devotamente assorto nell’ascolto di esecuzioni musicali travolgenti che ci ammaliarono. Frutto della geniale intuizione del Presidente della Fondazione Carisbo e del parroco di San Giuliano che, accomunando le rispettive responsabilità passione e competenza, coniugarono l’uso sacro saltuario della chiesa alla destinazione ad Auditorium per esecuzioni musicali e iniziative culturali di livello europeo. (dal Diario onirico di una moglie) Ha inizio in ottobre il programma musicale 2012-13 illustrato in questo opuscolo. La sperimentata competenza degli ideatori e organizzatori del programma garantisce l’eccellenza del repertorio, che non mancherà di affascinare gli amanti dell’arte musicale. Potranno per alcuni mesi partecipare a questo banchetto nuziale fra genialità musicale e arte pittorica scultorea architettonica, in un eccezionale contesto museale la cui sacralità assembla il tutto in un clima etereo. Monsignor Niso Albertazzi Rettore di Santa Cristina La Chiesa di Santa Cristina della Fondazza N el 1247 le monache camaldolesi si insediarono entro le mura di Bologna fondando il Convento di Santa Cristina “della Fondazza”. Il vano chiesastico, ad un’unica navata e con quattro cappelle per lato, risale ai lavori di edificazione del 1602 realizzati da Giulio della Torre, architetto della cerchia di Domenico Tibaldi. Tra una cappella e l’altra vi sono delle nicchie che ospitano le statue di Santi opere di Giuseppe Mazza (Bologna, 1653-1741), di Giovanni Tedeschi (Bologna, 1595-1645) e di Guido Reni (Bologna, 1576-1642); queste ultime sono di notevole importanza in quanto unica testimonianza dell’attività scultorea del Reni. All’altezza del presbiterio un’insolita strozzatura dona un assetto originale all’altare maggiore, trasformando l’intera architettura in uno strumento musicale. Ai lati dell’altare, infatti, si trovano due porte sormontate da finestre che aprono sul coro, una stanza retrostante l’area absidale dalla quale il canto delle monache si propagava con stupefacente nitidezza acustica dall’altare fino all’ingresso. Il campanile barocco risale al 1692. Originariamente sulla cima del campanile si stagliava una statua di Santa Cristina in rame dorato e di grandi dimensioni, che girava con il mutare dei venti. Nel 1745, dopo i danni causati da un fulmine, l’architetto Carlo Francesco Dotti sostituì la statua con una palla e una croce, ricostruendo parte del coperto. Nelle cappelle, i dipinti, posti all’interno delle splendide ancone lignee opera di Domenico Maria Mirandola (prima metà XVII sec.), mantengono la loro collocazione originaria, fornendo uno splendido compendio della pittura bolognese dagli inizi del Cinquecento sino alla fine del Seicento. All’interno spicca per particolare pregio L’Ascensione (1597) di Ludovico Carracci (Bologna, 1555-1619). Collocata sull’altare maggiore, doveva in origine essere posta in una cappella laterale in posizione molto alta, da qui il motivo del gigantismo delle figure degli Apostoli, di Maria e della Maddalena raffigurate in primo piano. I colori molto forti e “terreni” sono in contrapposizione alle tonalità della parte superiore del dipinto dove è raffigurato il Cristo mentre sale in Cielo. Tra gli altri capolavori conservati sono da ricordare negli altari di destra: L’adorazione dei pastori di Giacomo Raibolini, L’annunciazione del Passarotti e Santa Cristina aggredita dal padre di Domenico Maria Canuti, mentre nella parte di sinistra meritano di essere citati La salita al calvario, sempre del Passarotti e, soprattutto, La sacra Conversazione di Francesco de’ Rossi detto Salviati (Firenze, 1509 – Roma, 1563), quest’ultima degna di nota in quanto influenzò molto, con il suo tonalismo, la cerchia artistica bolognese, in particolare i Carracci. 7 calendario Le tastiere raccontano L’Accademia pianistica di Imola dà voce a fortepiani e pianoforti antichi Dediche Mercoledì 7 novembre 2012 Lunedì 26 novembre 2012 Duo Pianistico di Firenze Sara Bartolucci – Rodolfo Alessandrini fortepiano Musiche di Schubert, Czerny Mercoledì 5 dicembre 2012 Giuseppe Albanese pianoforte Musiche di Debussy, Liszt, Bellini Mercoledì 30 gennaio 2013 8 Novembre Andrea Bacchetti pianoforte Musiche di Galuppi, Marcello, Paisiello, Soler, Scarlatti, Fano, Rossini Mercoledì 6 febbraio 2013 Stefano Montanari violino barocco Ryoku Yokoyama fortepiano Musiche di Mozart, Beethoven, Schubert Mercoledì 27 febbraio 2013 Malcolm Bilson fortepiano Musiche di Haydn, Beethoven, Chopin Mercoledì 6 marzo 2013 Davide Franceschetti fortepiano, pianoforte Musiche di Mozart, Chopin, Janáček, Debussy Chiesa di Santa Cristina della Fondazza Piazzetta Morandi 2012 • Marzo 2013 Dal Barocco al Novecento: dieci anniversari da ascoltare L’Arte dell’Arco Federico Guglielmo violino Musiche di Geminiani, Corelli Lunedì 21 gennaio 2013 I Solisti dell’Orchestre de la Suisse Romande Musiche di Poulenc, Debussy Lunedì 18 febbraio 2013 Elena Popovskaya soprano Silvia Gasperini pianoforte Musiche di Wagner, Mascagni, Verdi Lunedì 11 marzo 2013 The Brodsky String Quartet Musiche di Wagner, Lutosławski, Britten Lunedì 25 marzo 2013 Sergey Ostrovsky violino Evgeny Brakhman pianoforte Musiche di Poulenc, Britten, Kreisler Ingresso libero Tutti i concerti avranno inizio alle ore 20.30 non è consentito l’ingresso a concerto iniziato 9 Musica in Santa Cristina Le tastiere raccontano L’Accademia pianistica di Imola dà voce a fortepiani e pianoforti antichi S 12 Qui sopra: lo studio di Ludwig van Beethoven nella sua ultima abitazione a Vienna Nella pagina precedente: fortepiano a coda di J. Schanz, Vienna 1820 ca. chott, Schanz, Érard, Steinway: a raccontare la storia della musica, i suoi capolavori, i suoi linguaggi e le sue rivoluzioni, non ci sono in questa rassegna soltanto gli spartiti e i loro interpreti, coadiuvati da uno strumento il più possibile ‘aggiornato’ e docile sotto le loro mani. Anche le tastiere, qui, raccontano la loro storia: storia sociale di uno strumento che proprio a Vienna e Londra, a Parigi e New York, si apprestava nel primo Ottocento a diventare il principe dell’arena concertistica, oltre che dei salotti della borghesia in ascesa; storia industriale di brevetti e innovazioni sempre più avanzati e sorprendenti, al servizio di un mercato in espansione, con una clientela sempre più esigente e una concorrenza sempre più spietata; e storia culturale di un repertorio nato per questa o quella particolare ‘voce’ strumentale, o meglio, per sfidarla, esplorandone e mettendone alla prova ogni potenzialità tecnica e sonora. Accanto alle biografie degli interpreti e dei compositori che andremo ad ascoltare, insomma, ci sono anche le storie degli strumenti che le veicoleranno, e dei loro artefici: quella del viennese Wenzel Schanz (che costruì un pianoforte per Haydn, conquistandolo) e del fratello Johann che ne rilevò l’attività; o del parigino Sébastien Érard, autore nel 1821 di un brevetto fra i più rivoluzionari della storia del pianoforte, quel famoso “doppio scappamento” che consentirà una velocità di esecuzione digitale fino ad allora impensabile; o ancora del migrante Steinweg, che in America seppe costruire l’impero della Steinway & Sons. La ricchissima collezione proveniente dall’Accademia pianistica “Incontri col Maestro” di Imola, recentemente acquisita dalla Fondazione Cassa di Risparmio, ben altro e ben di più che una raccolta museale di reperti storici, comprende strumenti in grado di farci sentire la loro voce originale, restituendoci davvero il suono su cui letteralmente lavoravano Haydn o Beethoven, poi Liszt e Chopin, fino a Debussy e oltre: tutti autori per i quali la ricerca tecnica e sonora costituiva una componente imprescindibile del proprio lavoro. A dar loro la voce, per venire all’ultimo elemento (ma solo in ordine cronologico) della triade autore-strumento-interprete, saranno docenti ed ex allievi della stessa Accademia, che non a caso prevede nella sua preziosa offerta formativa un Master in fortepiano e pianoforte romantico. Dagli incontri coi Maestri di Imola sono nati negli anni i nuovi Maestri che ascolteremo in questa rassegna, come Giuseppe Albanese, Andrea Bacchetti, Ryoku Yokoyama, Davide Franceschetti, non solo laureati ai principali concorsi pianistici internazionali, ma forti altresì di una specializzazione nella prassi esecutiva sugli strumenti storici. Nel caso del Duo Pianistico di Firenze e di Stefano Montanari, poi, quella specializzazione è oggi universalmente riconosciuta, ed in quello di Malcolm Bilson addirittura pionieristica, avendo egli partecipato da protagonista al movimento per l’esecuzione filologica sin dagli anni Sessanta. 13 Le Mercoledì 7 Sara Bartolucci - Rodolfo Alessandrini fortepiano Franz Schubert (1797-1828) Fantasia in fa minore D 947 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca. Carl Czerny (1791-1857) Grande Sonata Brillante in do minore op. 10 su fortepiano M. Schott, Vienna 1830 ca. Due autori viennesi si fronteggiano in questo programma su altrettanti strumenti viennesi a loro coevi. Schubert, emarginato in vita come il povero suonatore d’organetto del suo celebre ciclo liederistico, è oggi fra i compositori più noti ed eseguiti al mondo, e le sue opere, quasi tutte pubblicate soltanto dopo la sua morte, conoscono una fama inespugnabile. Al contrario, Czerny godette in vita di un’indiscussa reputazione come esecutore virtuoso, didatta (fra i suoi allievi vi era anche Franz Liszt), autore di metodi tuttora frequentati dagli studenti di pianoforte di ogni dove (chi non si è cimentato almeno una volta con la sua Scuola della velocità, o con l’agognata Arte di rendere agili le dita?), nonché compositore tanto prolifico da raggiungere il numero d’opus 849; eppure oggi di quella sterminata produzione si rammentano quasi soltanto i pur fondamentali studi tecnici. Vale dunque la pena ascoltare in successione un capolavoro come la Fantasia schubertiana, forse il pezzo più celebre del repertorio per pianoforte a quattro mani, scritta nell’anno della morte e dedicata all’ennesima passione non corrisposta dell’autore, l’allieva Karoline Esterházy, e la Grande Sonata Brillante di Czerny, dove fra turbinii di trilli, scalette, doppie terze e ottave emergono la felicità melodica e il piglio ora appassionato, ora languido della migliore tradizione Biedermeier. A riscoprire Czerny sono chiamati due interpreti e studiosi che proprio della Sonata hanno curato la revisione moderna per Carisch editore: il Duo Pianistico di Firenze, che dopo la vittoria in concorsi internazionali come quelli di Roma e di Stresa, o lo “Schubert” di Dortmund, ha alle spalle vent’anni di concerti fra Europa e Stati Uniti. Un’attività cui il Duo coniuga l’approfondimento della prassi esecutiva su strumenti originali, ottenendo in particolare con Stefano Fiuzzi il Diploma in fortepiano e pianoforte romantico presso l’Accademia di Imola, con il titolo onorifico di Master. tastiere raccontano Mercoledì 5 novembre 2012 Duo Pianistico di Firenze 14 Le tastiere raccontano dicembre 2012 Giuseppe Albanese pianoforte Claude Debussy (1862-1918) Suite bergamasque – Ballade su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864 Pour le Piano su pianoforte Steinway & Sons, 1900 ca. Franz Liszt (1811-1886) Dalle Années de pèlerinage, Première Année, Suisse: Au bord d’une source Dalle Années de pèlerinage, Troisième Année, Italie: Les jeux d’eaux à la Ville d’Este Liebestraum n. 3 in la bemolle maggiore su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864 Vincenzo Bellini (1801-1835) / Franz Liszt Réminiscences de Norma su pianoforte Steinway & Sons, 1900 ca. Liszt e Debussy, ovvero due compositori che hanno ‘ripensato’, ciascuno a suo modo, il pianoforte, risuonano qui su due strumenti nati a loro volta dal più rivoluzionario costruttore della storia: quello Steinweg che dalla Germania partì a metà Ottocento alla conquista dell’America, e da lì del mercato globale, divenendo un brand, lo Steinway & Sons, che ancor oggi rappresenta il pianoforte per antonomasia. Una solidità costruttiva ed un volume di suono ancora inaudito si univano già nei primi Steinway a possibilità timbriche e dinamiche sbalorditive per l’epoca, stimolando a loro volta i compositori a sperimentare. Così se Liszt nelle sue Années de pèlerinage si ripropone di tradurre in suono le sorgenti e i giochi d’acqua, ma anche la contemplazione dei luoghi e le impressioni letterarie, lo fa mettendo le accresciute potenzialità meccaniche dello strumento al servizio di una tecnica altrettanto innovativa. Dal canto suo Debussy rievoca nella Suite bergamasque le forme e il suono dell’antico clavicembalo, ma è capace di alludere a sua volta a fruscii di foglie, chiari di luna, o fuochi d’artificio... L’estetica lisztiana è oggetto di uno studio non soltanto pianistico da parte di Giuseppe Albanese, che le ha dedicato la laurea con lode e dignità di stampa in Filosofia. Conseguito nel 2003 il Master all’Accademia di Imola sotto la guida di nomi come Scala, Rattalino, Lonquich, Lortie, lo stesso anno Albanese trionfa al Concorso “Vendôme”, inaugurando un’intensa carriera concertistica. 15 Le Mercoledì 30 pianoforte Baldassarre Galuppi (1706-1785) Sonata in si bemolle maggiore Benedetto Marcello (1686-1739) Sonata in re minore Giovanni Paisiello (1740-1816) Due Minuetti (dai manoscritti di Pietroburgo per Caterina di Russia) Antonio Soler (1729-1783) Sonata in do maggiore – Sonata in si maggiore Guido Alberto Fano (1875-1961) da Rimembranze (1948): Mestizia – Valzer Improvviso Domenico Scarlatti (1685-1757) Sonata in la maggiore K 322 – Sonata in fa diesis maggiore K 319 Sonata in sol maggiore K 280 – Sonata in do minore K 99 Gioachino Rossini (1792-1868) Da Péchés de vieillesse: Tarantelle pur Sang su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864 Una rete di sottili rimandi interni percorre questo programma incentrato su forme di breve respiro e sul trasferimento al pianoforte delle sonorità clavicembalistiche: fra Venezia e la Pietroburgo di Caterina la Grande s’intrecciano i destini di Benedetto Marcello, del suo protégé Baldassarre Galuppi e di Giovanni Paisiello, che sulla tastiera riversano una cantabilità e un senso dei contrasti tutti teatrali; imbevute di ritmi e moduli armonici della tradizione iberica sono dal canto loro le ben più copiose sonate di Domenico Scarlatti e del suo erede confesso, Padre Antonio Soler, che sottopongono l’esecutore a veri e propri percorsi a ostacoli, fra incroci e scambi di mani, arpeggi, scalette, cluster accordali, inaugurando una nuova scuola dell’agilità. Perciò non stona qui l’inserimento di due autori, come Fano e il Rossini dei Peccati di vecchiaia, il cui uso della tastiera è volutamente (e spesso ironicamente) rétro. Forte dei consigli di Karajan, Magaloff, Berio, dopo il Master a Imola Andrea Bacchetti si esibisce alla Scala come alla Fenice, invitato regolarmente in Giappone e Sud America e protagonista di incisioni accurate, fra cui proprio quelle di Galuppi e Marcello per la Sony. tastiere raccontano Mercoledì 6 gennaio 2013 Andrea Bacchetti 16 Le tastiere raccontano febbraio 2013 Stefano Montanari violino barocco Ryoku Yokoyama fortepiano Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) Sonata in mi minore KV 304 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca. Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata in fa maggiore op. 24 - La primavera su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca. Franz Schubert (1797-1828) Sonatina n. 1 in re maggiore D 384 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca. 17 Trentasei furono le sonate per violino e tastiera di Mozart: in assoluto il catalogo più corposo nella sua produzione strumentale da camera; ma soprattutto un genere che lo accompagnò dall’opera 1, pubblicata nel 1764, agli ultimi anni di vita, segnando il passaggio dalle prime “sonate per clavicembalo con l’accompagnamento del violino”, dov’è la tastiera a condurre il gioco, al rapporto ormai paritario e dialogico dei due strumenti nelle ultime sonate. Un rapporto che Schubert raccolse quasi alla lettera nelle sue tre giovanili Sonatine dedicate al fratello, la prima delle quali (D 384) cita proprio l’incipit della mozartiana Sonata KV 304; e un rapporto che Beethoven raccolse e sviluppò ulteriormente, lasciando capolavori ancor oggi preclari come la Kreutzer, dalla materia incandescente, o la Primavera, il cui segno è al contrario quello di una serena cantabilità, che fluisce come per germinazione naturale. La copiosa letteratura cameristica viennese d’inizio Ottocento, perlopiù dai toni “confidenziali” e disimpegnati, dove il fortepiano la faceva spesso da padrone, rappresenta peraltro la traduzione commerciale del favore di cui godeva la tastiera nelle case borghesi, qui rappresentata da due esemplari costruiti dalla ditta familiare degli Schanz di Vienna. Accanto a Ryoku Yokoyama, ennesimo fiore all’occhiello dell’Accademia imolese, dove si è diplomata in fortepiano nel 2008 sotto le cure di Stefano Fiuzzi, ascolteremo uno specialista riconosciuto della prassi esecutiva su strumenti originali qual è Stefano Montanari, primo violino e maestro concertatore dal 1995 dell’Accademia Bizantina, ospite di ensemble come Les Talens Lyriques e protagonista di pluripremiate incisioni. Le Mercoledì 27 18 Le tastiere raccontano tastiere raccontano Mercoledì 6 febbraio 2013 marzo 2013 Malcolm Bilson fortepiano Davide Franceschetti Joseph Haydn (1732-1809) Sonata in sol maggiore Hob. XVI: 40 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) Rondò in re maggiore KV 485 – Adagio in si minore KV 540 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca. Ludwig van Beethoven (1770-1827) Sonata in re minore op. 31 n. 2 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1800 ca. Fryderyk Chopin (1810-1849) Andante spianato e Grande Polacca brillante op. 22 su pianoforte romantico S. Érard, Parigi metà ’800 Fryderyk Chopin (1810-1849) Impromptu in sol bemolle maggiore op. 51 Mazurka in do diesis minore op. 50 n. 3 Valzer in la bemolle maggiore op. 34 n. 1 su fortepiano J. Schanz, Vienna 1820 ca. Léoš Janáček (1854-1928) Sonata 1. X. 1905 su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864 Della sessantina circa di sonate composte da Joseph Haydn, la maggior parte si colloca nell’interregno fra il clavicembalo e le accresciute possibilità meccaniche e sonore del fortepiano: tanto che lo stesso Haydn, come annota Rattalino nella sua preziosa Storia del pianoforte, acquistato il suo primo Schanz nel 1788, ne divenne ben presto un apostolo dall’ardore quasi commovente, sebbene forse non del tutto disinteressato (parrebbe infatti che simili illustri raccomandazioni venissero ripagate da Schanz con una regolare provvigione...). Ma il progresso costruttivo dei nuovi strumenti era e restava comunque epocale, e chi seppe intuirne le potenzialità finì per trasformare di conseguenza persino la propria scrittura: Beethoven fu tra i primi, e rimane fra i più grandi sperimentatori del suono pianistico, dalla tastiera alla pedaliera. Nella Sonata op. 31 n. 2 (passata alla storia con il sottotitolo La tempesta) egli utilizza il pedale di risonanza in modo quasi impressionistico, mentre il moto perpetuo del finale è al servizio di una sonorità quasi ipnotica. Ecco infine il respiro breve e improvvisativo di certo Chopin, il quale semplicemente parlava attraverso il pianoforte: come nelle Mazurke op. 50, che secondo George Sand «dicono più di quaranta romanzi e valgono più di tutta la letteratura del secolo», o quando, nei Valzer dell’op. 34, trasfigurava ogni pesantezza di martelletti «per far danzare l’anima». Pionieristico nella storia dell’interpretazione è a sua volta il ruolo di Malcolm Bilson, protagonista fin dagli anni Settanta del secolo scorso del movimento per l’esecuzione musicale su strumenti originali, al fianco degli English Baroque Soloists di Gardiner (con un’incisione di riferimento dei Concerti mozartiani) o della Academy of Ancient Music di Hogwood. fortepiano, pianoforte Claude Debussy (1862-1918) La plus que lente su pianoforte Steinway & Sons mod. C corde dritte, 1864 Un caleidoscopio di sonorità e di forme (o meglio di libere reinterpretazioni delle forme ‘canoniche’) si dipana qui in tre secoli di letteratura pianistica, e su strumenti che vanno dal fortepiano viennese al pianoforte a coda “americano” di Steinway & Sons, passando per il modello brevettato da Sébastien Érard, autore nel 1821 di una fondamentale innovazione della meccanica come il “doppio scappamento”, sistema che, permettendo di ribattere una nota prima ancora che il martelletto fosse tornato nella posizione di riposo, aprì nuovi orizzonti sonori ad esecutori e autori. Su questo strumento Chopin – che pure gli preferì sempre il ‘suo’ Pleyel – trova nuovo slancio, specie nelle evoluzioni della giovanile Grande Polacca brillante. Ad aprire il programma, il Rondò KV 485 e l’Adagio KV 540 di Mozart, emblematici di come il loro autore sapesse trasformare brevi pezzi d’occasione in enigmatiche variazioni (nel primo caso) o in un tragico e intenso tombeau (nel secondo). All’antologia si aggiunge l’unica sonata pianistica mai scritta da Janáček, che scelse il suono del pianoforte per denunciare la morte di un operaio per mano delle forze dell’ordine durante una manifestazione, avvenuta proprio il 1° ottobre 1905. Un valzer a modo suo, come sempre in Debussy, è anche La plus que lente, con ironico riferimento alla francesissima voga della valse lente. Dopo il perfezionamento ad Imola con maestri come Scala, Rattalino, Lonquich, Berman, Masi e Fiuzzi, e la vittoria al Concorso internazionale GPA di Dublino nel 1994, Davide Franceschetti è premiato nel 2000 a Leeds, e nel 2001 a Van Cliburn, e da allora le sue tournée toccano le principali sale europee e statunitensi. 19 Musica in Santa Cristina Dediche Dal Barocco al Novecento: dieci anniversari da ascoltare C 22 Qui sopra: i dieci autori protagonisti di Dediche (nell’ordine: Britten, Verdi, Geminiani, Kreisler, Poulenc, Wagner, Lutosławski, Mascagni, Debussy, Corelli) Nella pagina precedente: l’incipit della celebre Follia di Arcangelo Corelli, che conclude le sue Sonate op. 5 on buona pace della numerologia, il biennio 2012/2013 riunisce in sé una costellazione di anniversari musicali che supera il centinaio, e ciò se ci limitiamo ovviamente a quelli più significativi: l’anniversario in sé, si sa, è molto spesso nefasto per il malcapitato protagonista, che i cartelloni concertistici si fanno un dovere di ricordare, magari riesumandone opere giustamente dimenticate nell’urgenza di obbedire al diktat diffuso di omaggiarlo, celebrarlo, eseguirlo. Per noi l’anniversario dev’essere invece un’occasione per dedicare un pensiero e una riflessione ad autori, come i dieci che abbiamo selezionato per questa rassegna, che hanno segnato altrettante pietre miliari sulla strada della musica. Le nostre Dediche percorrono infatti tre secoli di storia musicale europea, da Corelli, morto nel 1713, a Britten e Lutosławski, nati entrambi nel 1913, passando per altri due coetanei come Verdi e Wagner (classe 1813), i cui destini si sono incrociati come sappiamo anche in vita, nell’epoca d’oro del melodramma. La panoramica che le loro opere ci permettono di esplorare non è soltanto temporale e geografica, ma abbraccia anche la storia dei generi musicali; a cominciare da Corelli, padre riconosciuto di quell’arte dell’arco che si tramanderà attraverso un allievo come Francesco Geminiani, e poi esploderà con archi-star come i Paganini e gli Joachim, sino ai funambolismi di Fritz Kreisler, del quale (scomparso nel 1962 alla bellezza di 87 anni dopo aver suonato e inciso fino al 1950) possiamo ancora ascoltare le esecuzioni. Verdi e Wagner (fra i quali va incastonato Pietro Mascagni, wagneriano della prim’ora, apprezzato da Verdi) rappresentano ancor oggi i due numi tutelari dell’opera italiana e tedesca, ma anche di un’arte della vocalità e dell’orchestrazione che emerge come cartina al tornasole proprio nella loro produzione cameristica. E poi il Novecento: l’arte delle nuances di un Debussy o di un Poulenc, autori peraltro affascinati dagli strumenti a fiato (voce compresa), cui hanno dedicato una parte importante della loro produzione; e il quartetto d’archi, immancabile “strumento a sedici corde”, che ascolteremo dalla prospettiva originale di Benjamin Britten e Witold Lutosławski: il primo vi si dedicò per tutta la vita, dai tre Divertimenti degli anni Trenta al Terzo Quartetto, scritto poco prima della morte, mentre il Polacco completerà un unico, emblematico Quartetto nel 1965, dove le note scritte si alternano ad aree di libertà e di improvvisazione. All’arte dell’arco di Federico Guglielmo, che con l’omonimo ensemble da lui formato è interprete di riferimento del repertorio barocco, si affiancherà quella di Sergey Ostrovsky, violinista dalla tecnica sbalorditiva della scuola di Isaac Stern, mentre un atteso ritorno sarà quello del Brodsky Quartet, da ormai quarant’anni fra i più attivi ensemble della scena internazionale. Per gli strumenti a fiato, il repertorio francese sarà affidato a specialisti riconosciuti (dal 1918) come i Solisti dell’Orchestre de la Suisse Romande, mentre la voce wagneriana di Elena Popovskaya sarà protagonista dell’incontro cameristico fra due grandi operisti. 23 Dediche Dediche Lunedì 26 L’ARTE DELL’ARCO Federico Guglielmo violino Francesco Galligioni violoncello Roberto Loreggian cembalo e organo Arcangelo Corelli (1633-1713) Sonata in re maggiore per violino e basso continuo op. 5 n. 1 Francesco Saverio Geminiani (1687-1762) Sonata in do maggiore per violoncello e basso continuo op. 5 n. 3 Arcangelo Corelli Sonata in fa maggiore per violino e basso continuo op. 5 n. 9 24 Lunedì 21 novembre 2012 Francesco Saverio Geminiani Dai Pièces de clavecin: trascrizione dell’autore della Sonata per violino op. 4 n. 1 Sonata in la maggiore per violino e basso continuo op. 1 n. 1 gennaio 2013 I SOLISTI DELL’ORCHESTRE DE LA SUISSE ROMANDE Stephan McLeod voce Dmitry Rasul-Karejev clarinetto Sarah Rumer flauto Christian Chamorel pianoforte Francis Poulenc (1899-1963) Sonata op. 164 per flauto e pianoforte Claude Debussy (1862-1918) Première Rhapsodie per clarinetto e pianoforte Francis Poulenc Sonata op. 184 per clarinetto e pianoforte Claude Debussy Prélude à l’après-midi d’un faune per flauto e pianoforte Arcangelo Corelli Sonata in re minore per violino e basso continuo op. 5 n. 12: La follia Francis Poulenc Selezione di Chansons per voce e pianoforte Arcangelo Corelli, ovvero l’arte dell’arco. Un binomio storico, dal momento che il titolo L’Arte dell’arco fu scelto da Giuseppe Tartini per le sue cinquanta variazioni su una celebre Gavotta di Corelli, così omaggiando il maestro indiscusso di uno strumento che di lì a poco avrebbe monopolizzato le sale da concerto; ma anche un binomio moderno, grazie ad un interprete acclamato dello strumento e della prassi storica qual è Federico Guglielmo, che nel 1994 fonda il suo ensemble proprio allo scopo di dare una personalità e un suono ben definito al repertorio barocco italiano: un’impresa coronata da oltre cinquanta incisioni e collaborazioni con colleghi quali Christopher Hogwood, Gustav Leonhardt, Pieter Wispelwey, Michala Petri. Se Arcangelo Corelli tenne a battesimo, tre secoli or sono, una nuova tecnica strumentale ed insieme la nascente sonata solistica, in particolare con quell’Opera V destinata a fare scuola in tutta l’Europa musicale (e suggellata dalla celeberrima Follia finale), l’allievo Francesco Geminiani seppe mettere a frutto gli insegnamenti e la fama stessa del maestro, facendosi strada a Londra come virtuoso e compositore. Il suo catalogo, qui esaustivamente rappresentato, andava dai pezzi clavicembalistici ai concerti grossi, alle sonate per violoncello, e naturalmente per violino, dove il contemporaneo Hawkins non sapeva decidersi a quale qualità dare la palma dell’eccellenza: se alla «sua finezza come esecutore, alla sua abilità tecnica, oppure al buon gusto del suo stile». Il flauto, il clarinetto, la voce: tre “strumenti a fiato” capaci di infinite sfumature, dal grido più lancinante alla delicatezza di un soffio, oltre che veicoli, specie nel Novecento francese, di una sensualità e di un’ironia capaci di dissimulare qualsiasi “impalcatura pesante”: così è nelle Chansons di Poulenc come nel Prélude o nella Rhapsodie di Debussy, che intorno a un’idée fixe sviluppano le evanescenze di una solida architettura dove l’autore ha però “tolto le colonne”, già ammiccando alle sonorità pre-jazzistiche di New Orleans. Benny Goodman – che avrà in repertorio la Rapsodia – non è lontano, e non a caso sarà lui a commissionare a Francis Poulenc nel 1962 la Sonata per clarinetto. Nelle intenzioni dell’autore, la Sonata doveva appartenere ad una serie dedicata agli strumenti della famiglia dei legni; ma Poulenc riuscì a completarne soltanto tre parti, fra cui la Sonata per flauto (1957), dedicata a sua volta al virtuoso JeanPierre Rampal. Un repertorio dallo stile inconfondibile, ‘timbrato’ dal suono dei fiati e ricco di omaggi e di rimandi interni, è dunque quello del Novecento francese, repertorio del quale specialisti riconosciuti sono i Solisti dell’Orchestre de la Suisse Romande, compagine fondata nel 1918 da Ernest Ansermet, e protagonista di decine di incisioni per l’etichetta Decca, fra cui le prime esecuzioni di molte opere di autori contemporanei, quali lo stesso Debussy, Arthur Honegger e Frank Martin. 25 Dediche Dediche Lunedì 18 febbraio 2013 Elena Popovskaya soprano Silvia Gasperini pianoforte Richard Wagner (1813-1883) Cinque Wesendonck-Lieder WWV 91 Pietro Mascagni (1863-1945) Intermezzo da Cavalleria Rusticana Intermezzo del III Atto da L’Amico Fritz Aria di Suzel “Son pochi fiori” da L’Amico Fritz 26 Giuseppe Verdi (1813-1901) Tre Romanze da camera: “Stornello” – “Ad una stella” – “Lo spazzacamino” “Pace, pace mio Dio” da La Forza del destino Al solo proferirli, i nomi di Giuseppe Verdi e Richard Wagner (fatalmente nati entrambi nel 1813) evocano già a lettere di fuoco le due anime riconosciute dell’opera italiana e tedesca, nonché, aspetto tutt’altro che secondario, della stessa tradizione lirica bolognese. Verdi infatti esordisce nella nostra città già nel 1843 con il Nabucco, e a tutt’oggi i suoi titoli costituiscono l’ossatura delle stagioni liriche bolognesi. Accanto a lui, ecco Richard Wagner, in un incontro-scontro simboleggiato anche visivamente dalle due targhe bronzee dell’Italiano e del Tedesco che si fronteggiano nel foyer del Teatro Comunale. A Wagner Bologna riserverà diverse prime italiane, da Lohengrin nel 1871 – che innescherà proprio la querelle fra sostenitori dell’opera italiana e di quella tedesca, mentre l’anno dopo il suo autore sarà eletto cittadino onorario di Bologna – sino al Parsifal del 1914. Un destino parallelo seguono anche le produzioni non operistiche di entrambi, limitate peraltro a pochi titoli: se infatti i Wesendonck-Lieder sono l’unico lavoro cameristico di Wagner, accanto al Siegfried-Idyll, ad entrare stabilmente in repertorio, la trentina circa di romanze da camera composte da Verdi per voce e pianoforte risale per la maggior parte al periodo precedente la sua consacrazione universale come operista. Se le Cinque poesie per una voce femminile con accompagnamento di pianoforte su testi di Mathilde Wesendonck (da cui il ben più snello titolo di WesendonckLieder con cui sono passate alla storia) prefigurano i cromatismi e le armonie cangianti del Tristano e Isotta, opera cui Wagner stava già lavorando, e della quale i Wesendonck rappresentano veri e propri “studi” preparatori, a loro volta le Romanze verdiane appaiono spesso come traduzioni in veste cameristica di arie accompagnate, dalla vocalità, e dai vocalizzi, squisitamente operistici. Ad intercalare i virtuosismi sopranili, due Intermezzi strumentali celeberrimi anche nella loro trascrizione pianistica: quella Cavalleria rusticana con la quale nel 1890 la fama di Mascagni si rivelerà repentinamente al mondo, e L’Amico Fritz, che conseguirà l’anno dopo un successo trionfale. Interprete ideale di un repertorio tecnicamente impegnativo, quanto drammatico e intenso nell’espressività, è la soprano russa Elena Popovskaya, cui farà da solida ‘spalla’ pianistica l’esperienza (anche direttoriale) di Silvia Gasperini. La Popovskaya, solista della Novaja Opera di Mosca, è ospite regolare al Mariinskij di San Pietroburgo e al Bol’šoj moscovita. Eroina nei principali titoli verdiani, pucciniani e wagneriani, nonché naturalmente nel grande repertorio della sua terra, si è esibita inoltre fra la Monnaie di Bruxelles e il Festival di Torre del Lago, all’Arena di Verona come all’Opera di Roma, e proprio in un ruolo wagneriano sarà ospite del Comunale bolognese: quel Fliegender Holländer che a Bologna appunto ebbe la sua prima rappresentazione italiana, nel 1877. La sala del Teatro Verdi di Busseto, inaugurato nel 1868 27 Dediche Dediche Lunedì 11 THE BRODSKY STRING QUARTET Daniel Rowland violino Ian Belton violino Paul Cassidy viola Jacqueline Thomas violoncello Richard Wagner (1813-1883) Siegfried-Idyll in mi maggiore WWV 103 Witold Lutosławski (1913-1994) Quartetto per archi 28 Lunedì 25 marzo 2013 Benjamin Britten (1913-1976) Terzo Quartetto per archi op. 94 Il 25 dicembre 1870, Richard Wagner offriva alla moglie Cosima un’opera per lui insolitamente intima e ‘privata’: era il Siegfried-Idyll, strenna natalizia ed insieme regalo di compleanno per la madre dei suoi tre figli, l’ultimo dei quali si chiamava proprio Siegfried. Nell’idilliaco rifugio di Tribschen sul Lago di Lucerna, risuonava così un omaggio d’amore ricolmo di riferimenti alla vita familiare di Richard e Cosima: la nascita di Siegfried in una luminosa “alba arancione di giugno”, i temi del mondo e della purezza della seconda giornata della Tetralogia, una ninnananna per la seconda figlia Eva. E proprio in una pagina così raccolta emerge al meglio il Wagner concertatore, capace di scegliere timbri e colori che trasfigurano costantemente la pur solida struttura contrappuntistica. Quasi un secolo dopo, Lutosławski ci offre uno studio timbrico di pari intensità, pur in un contesto del tutto mutato qual è quello dell’“alea controllata”: nel suo unico Quartetto, il compositore polacco prevede infatti quattro parti separate senza sincronizzarle in un’unica partitura, lasciando quindi a ciascuno strumento una sorta di “libertà condizionata” dell’esecuzione. In una altrettanto libera concezione e combinazione strumentale, il Terzo Quartetto di Britten, eseguito ad Aldeburgh poco dopo la sua morte, pare davvero un desolato testamento musicale, percorso dai frammenti dell’ultima sua opera, Death in Venice. A celebrare i tre anniversari, un Quartetto che a sua volta ha raggiunto nel 2012 i quarant’anni di attività: il Brodsky, che proprio per l’incisione dei Quartetti di Britten ha ricevuto il “Diapason D’Or” e lo “Choc du Monde de la Musique”, oltre ad essere insignito del “Royal Philharmonic Society Award” per il suo fondamentale contributo al mondo della musica. Sergey Ostrovsky Evgeny Brakhman marzo 2013 violino pianoforte Fritz Kreisler (1875-1962) Praeludium und Allegro Benjamin Britten (1913-1976) Suite op. 6 per violino e pianoforte Francis Poulenc (1899-1963) Sonata op. 119 per violino e pianoforte Fritz Kreisler La Gitana – Liebesleid – Caprice Viennoise 29 L’austriaco Fritz Kreisler fu una leggenda vivente del violinismo per buona metà del ventesimo secolo: talento tanto precoce (si narra che il suo primo violino fosse ricavato da una scatola di sigari) quanto longevo, sbalordì tutta l’Europa e gli Stati Uniti con la sua tecnica unica, il vigore delle interpretazioni, l’inconfondibile (e imitatissimo) vibrato. E a lui molti virtuosi di oggi devono anche tutta una serie di pezzi di bravura, spesso scritti “alla maniera di” autori e tradizioni musicali della storia: come il Praeludium und Allegro nello stile settecentesco di Gaetano Pugnani, o i suadenti arabeschi de La Gitana. E un efficace pezzo di bravura è anche la giovanile Suite op. 6 di Benjamin Britten , scritta nel 1935 e già forte del “marchio depositato” del suo autore, nella rivisitazione spesso ironica delle forme tradizionali (il valzer, la ninnananna, la marcia…), ma in senso sempre melodico e accattivante. Tanto disimpegnata è la Suite di Britten, quanto disperato è il contesto della Sonata per violino di Poulenc (fra i pochissimi pezzi cameristici per archi composti dall’autore, le cui preferenze andavano dichiaratamente agli strumenti a fiato): completata nel 1943, la Sonata rende un tragico tributo alla memoria di una celebre vittima dello squadrismo franchista, Federico García Lorca. A ripercorrere i fasti del violinismo novecentesco sarà Sergey Ostrovsky, primo violino e fondatore nel 1996 dell’Aviv Quartet, e considerato da Isaac Stern «il maggior simbolo degli straordinari talenti musicali presenti oggi in Israele». Accanto a lui il russo Evgeny Brakhman, il cui pianismo, definito “ipnotico”, è stato premiato in dodici concorsi internazionali, fra cui il “Dino Ciani” 1999 e i Concorsi di Tivoli 2008 e di Cleveland 2009. Per le attività in Santa Cristina: consulente artistico Bruno Borsari responsabile coordinamento e organizzazione Annalisa Bellocchi redazione testi e segreteria organizzativa Fulvia de Colle La Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna si riserva il diritto di apportare variazioni - dovute a motivi tecnici o di forza maggiore ai programmi, agli orari e alle date dei concerti Finito di stampare nel mese di ottobre 2012