COMUNIONE E LIBERAZIONE
Palermo
Liturgia penitenziale in preparazione alla Pasqua
Palermo 14 marzo 2013 Parrocchia Sant'Ernesto
Meditazioni tratte dal libro di
Aleksandr Smeman
I PASSI DELLA FEDE
Conversazioni quaresimali
Capitolo VII
RADIOSA TRISTEZZA
La preghiera quaresimale
1. Preghiera di Efrem il Siro
Per la stragrande maggioranza dei fedeli, la Quaresima si identifica innanzitutto con la
breve preghiera nota come “preghiera di Efrem il Siro”, un Padre orientale del IV secolo.
Questa preghiera si recita sia al termine delle celebrazioni liturgiche quaresimali, sia in
casa, durante la preghiera personale. E possiamo dire che essa esprime meglio, con più
semplicità e concisione di ogni altra il senso e lo spirito di ciò che i cristiani da secoli
chiamano Quaresima.
"O Signore e Maestro della mia vita, togli da me lo spirito di ozio, scoraggiamento, brama di potere e vano
parlare. Dona, invece, al tuo servo uno spirito di castità, umiltà, pazienza e amore. Si, Signore e Sovrano,
concedimi di vedere i miei errori. E di non giudicare il mio fratello, perché tu sei benedetto nei secoli dei
secoli. Amen".
Mettiamoci in ascolto di questa elementare supplica dell'uomo, che riconosce d'un tratto il
male della propria vita e ciò in cui questo male consiste: «Togli da me lo spirito di ozio,
scoraggiamento, brama di potere e vano parlare». Ecco la prima cosa: toglimi, tutelami,
difendimi, salvami. Da che cosa? Da difetti apparentemente ordinari, da poco. Lo spirito di
ozio. Ma quale ozio - diranno i nostri contemporanei - se siamo tutti stressati dal lavoro, se
ritmi e tempi della vita non fanno che accelerare, e un po' di ozio sarebbe esattamente
quello di cui abbiamo bisogno! Ma la parola prazdnost' (ozio) non significa affatto
inoperosità e riposo fisico. Prazdnyj (ozioso) significa innanzitutto vacuo, vuoto.
Liberami dallo spirito di vacuità. Ed eccoci additata la malattia più tremenda dello spirito
umano, la vacuità. Sì, noi lavoriamo, corriamo, ci diamo freneticamente da fare giorno e
notte, ma dov'è il senso, l'essenza di tutta questa fretta, frenesia? Non è forse vero che,
non appena ci fermiamo un minuto e si fa silenzio intorno a noi, avvertiamo la vacuità e
l'insensatezza della nostra vita? E terribile nella sua verità e semplicità il verso del poeta:
«Rumoreggia la vita e si dilegua». Forse per questo noi ci stordiamo con il lavoro, e forse
tutto il mondo intorno a noi strepita e rimbomba, perché tutti vogliono nascondere a sé e
agli altri questo vuoto abissale. A che scopo? Dove stiamo andando? E perché?
«Rumoreggia la vita e si dilegua» ...
E allora, rientrando in noi stessi e guardando al dono così breve della vita, chiediamo di
essere salvati e difesi, liberati dall'origine prima di ogni male, e cioè dalla vacuità, dal
nonsenso, dalla tremenda devastazione dell'anima in cui tanto spesso viviamo...
Preghiamo
Accompagna con la tua benevolenza, Padre misericordioso, i passi del nostro cammino
penitenziale, perché all’osservanza esteriore corrisponda un profondo rinnovamento nello spirito..
Per Cristo nostro Signore.
2. L’accidia.
All'ozio e alla vacuità consegue come esito inevitabile l’accidia. Perché tutti i maestri di vita
spirituale, tutti i sapienti che hanno meditato sulla natura dello spirito e della coscienza
umani, hanno sempre ritenuto che fosse lo scoraggiamento, l'accidia il peccato più terribile
e il male più incorreggibile dell'uomo? Che cos'è l'accidia? Non conosce forse ciascuno di
noi questo strano infiacchimento dell'energia interiore, questa inspiegabile tristezza che
improvvisamente permea tutto di sé e tramuta anche la giornata più radiosa e sfolgorante
in un giorno vuoto, inutile, insignificante? Ci sentiamo cadere le braccia, e nell'animo
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scende il crepuscolo. Questa è l'accidia. Bene se ce ne accorgiamo in tempo e
raccogliamo le nostre energie. Invece, spesso ci limitiamo a celare questo scoraggiamento
con la prima cosa che capita - il lavoro, le sbronze o qualsiasi altra cosa... Ma questo
sentimento ritorna, è sempre incombente, aspetta il momento opportuno, è in agguato
dietro l'angolo. Ritorna perché tutti gli uomini, in qualche angolo oscuro e recondito
dell'anima, pur nascondendoselo, conoscono bene l'assurdità di una vita che si conclude
inevitabilmente nella morte. «Noi continuiamo a domandare – scriveva Heine - finché una
manciata di terra non ci tapperà la gola: ma questa è forse una risposta?». E quando
questa consapevolezza emerge in superficie, facendosi strada tra il frastuono e le
faccende della vita, che assurdità, che sterile e inutile vacuità ci sembra tutto quello che ci
circonda. Proprio di qui nasce la supplica: salvaci dall'accidia. Non è debolezza o paura,
come pensano i nemici della religione - al contrario, è l'unica cosa degna dell'uomo:
guardare questo sconforto diritto negli occhi, non nascondersi ma cercare invece di
superarlo...
Preghiamo
O Dio, che salvi i peccatori e li chiami alla tua amicizia, volgi verso di te i nostri cuori e donaci il
fervore del tuo Spirito perché possiamo essere saldi nella fede e operosi nella carità. Per Cristo
nostro Signore.
3. Brama di potere
«Spirito di ozio, scoraggiamento, brama di potere...». La preghiera passa a un altro piano
dell'esistenza umana, a un'altra «chiave» della sua drammaticità. La brama di potere non
è semplicemente sete di comandare, ambizione ad esercitare un potere sugli altri. In
questa forma - pura e semplice - la brama di potere non si incontra tanto spesso. Ma in
un'altra forma, più profonda, essa è propria di ciascuno di noi e costituisce l'origine di un
male terribile della vita umana. La brama di potere è un modo di rapportarsi all'altro per
usarlo. In altre parole, è il piegare interiormente tutti e tutto a sé, il considerare tutti e tutto
in funzione del mio utile, dei miei interessi, di me inteso come il supremo e unico valore.
Preghiamo
O Dio, che nei tuoi sacramenti hai posto il rimedio alla nostra debolezza, fa’ che accogliamo con
gioia i frutti della redenzione e li manifestiamo nel rinnovamento della vita. Per Cristo nostro
Signore.
4. Il “vano parlare”
Il vano parlare può sembrare un difetto da poco, insignificante. Che cosa c’è qui di
terribile? Chiacchiere, frasi ad effetto, vaniloquio... Siamo tutti uomini, esseri umani, tutti
pecchiamo in questo e non c'è dubbio che vi siano peccati ben più gravi. Così ci sembra,
così siamo tutti abituati a pensare. Ma nel Vangelo sta scritto: «Di ogni parola vana che gli
uomini diranno, dovranno rendere conto» (Mt 12,36). E allora cominciamo a riflettere se il
nostro «vano parlare» sia davvero una cosa tanto semplice e innocente... Ciascuno di noi,
se non riflette in astratto ma sulla propria vita, rimettendosela davanti agli occhi, può
convincersi facilmente che probabilmente sono proprio le parole (dette da noi o a noi)
quello che nella vita ci ha recato più dolore, ci ha più amareggiato, ci ha avvelenato di più
minuti, ore e giorni. Diffamazioni, delazioni, tradimenti, menzogne, pettegolezzi sono
fenomeni orribili che si realizzano attraverso le parole e le parole soltanto, e già questo
basterebbe a far sì che noi ne avvertissimo la tremenda forza.
In effetti, mediante la parola si esprimono e si compiono il bene, la bellezza, la saggezza.
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Ma questa stessa parola è anche in grado anche di demolire il bene, la bellezza e la
saggezza. La parola può avvelenare l'anima, riempirla di sospetto, di paura, di astio, di
rancore, di cinismo. E, naturalmente, non solo nella vita privata, personale. Noi viviamo in
un'epoca di vaniloquio davvero universale. Giornali, radio, libri, scuola sono tutti strumenti,
sono tutti come il simbolo di un unico grandioso,
continuo, ininterrotto «vano parlare», che ci infarcisce, ci riempie le teste di idee altrui,
tenta di indurci a pensare come vorrebbero i cosiddetti maìtres à penser. Si può dire senza
tema d'esagerazione che il mondo è malato, avvelenato dal «vano parlare», che in ultima
analisi è sempre una menzogna.
Preghiamo
O Dio, che con il dono del tuo amore ci riempi di ogni benedizione, trasformaci in creature nuove,
per essere preparati alla pasqua gloriosa del tuo regno. Per Cristo nostro Signore.
5. Il dono della parola
Il cristianesimo considera il dono della parola come il dono supremo elargito da Dio
all'uomo. Esso contrappone l'uomo, in quanto essere dotato di parola, agli esseri che ne
sono privi. Chiama Dio stesso «Verbo», dicendo nel Vangelo: «In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1).
Ma proprio perché il cristianesimo attribuisce alla parola un valore così grande, un'energia
creativa così forte, con altrettanto orrore recepisce la parola vacua, il «vano parlare» che
indica un tradimento della parola nei confronti di se stessa, allorché da strumento di bene
e. di luce si tramuta in strumento di male e di tenebre... «Di ogni parola vana che gli uomini
diranno, dovranno rendere conto». E ancora: «In base alle tue parole sarai giustificato e in
base alle tue parole sarai condannato» (Mt 12,36-37).
Ciascuno di noi sarebbe disposto a pagare un alto prezzo, affinché la parola che gli ha
avvelenato la vita non fosse mai stata pronunciata...
Dobbiamo ricordare e far nostro tutto questo, per capire come mai accanto all'ozio, allo
scoraggiamento e alla brama di potere la preghiera di sant'Efrem il Siro metta, come uno
dei quattro peccati capitali, il «vano parlare». «Toglimi lo spirito di vano parlare...».
Dalla purificazione della parola, dalla sua restaurazione nella sua forza originaria comincia
la purificazione e la rinascita della vita. Noi diciamo: «Bisogna pesare ogni parola». Sì,
bisogna proprio pesarla. Ma non semplicemente sulla bilancia della prudenza, dell'utilità e
del calcolo,
bensì sulla bilancia della giustizia, del bene e della verità.
Preghiamo
O Dio, che rinnovi il mondo con i tuoi sacramenti, fa’ che la comunità dei tuoi figli si edifichi con
questi segni misteriosi della tua presenza e non resti priva del tuo aiuto per la vita di ogni giorno.
Per Cristo nostro Signore.
6. La “sapienza integrale”.
Attraverso le parole della preghiera di sant'Efrem il Siro noi chiediamo che il Signore ci
conceda uno spirito di castità, di umiltà, di pazienza e di amore. Fermiamoci su ognuno di
questi concetti, in cui l'esperienza cristiana vede da tempi antichi il fondamento e l'origine
del bene, allo stesso modo in cui nelle richieste in negativo della preghiera essa vede il
fondamento del peccato e del male. Lo spirito di castità. La parola celomudrie, qui usata,
che significa letteralmente «sapienza integrale», è una delle parole più profonde e più
meravigliose del linguaggio umano, ma sembra essere un po' «svaporata», o quantomeno
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ristretta nel suo significato. Per la stragrande maggioranza della gente è diventata quasi
unicamente sinonimo di integrità, purezza sessuale, in contrapposizione alla dissolutezza
di costumi, alla depravazione sessuale. Ma originariamente il significato di questa parola
era incommensurabilmente più ampio e profondo. La chiave per comprenderne il
significato sta nei due concetti qui uniti insieme: «integrità » e «sapienza», quindi
«sapienza integrale». Si può dire senza tema d'esagerazione che è una delle parole più
cristiane, perché vi si esprime l'essenza stessa del cristianesimo. Vi si esprime l'idea,
l'esperienza di bene, di una vita buona, giusta e autentica, vissuta nella sua interezza e
quindi con sapienza. L'integrità si contrappone, infatti, al male, che per sua natura è
sempre disgregatone, divisione, corruzione, dell'integrità originaria, e per questo si allontana
dalla saggezza. Per questo lo spirito di sapienza è l'integrità senza la quale niente è
possibile. È il ritorno alla vita come integrità. E la gioia del ritrovamento dell'integrità, cioè
della pace e dell'armonia dell'anima, della mente, del cuore, del corpo, la gioia della
sapienza, della «sapienza integrale».
Preghiamo
Questo tempo di penitenza e di preghiera disponga, Signore, i tuoi fedeli A vivere degnamente il
mistero pasquale e a recare ai fratelli il lieto annuncio della tua salvezza. Per Cristo nostro
Signore.
7. L’umiltà
Alla castità segue l'umiltà. Anche qui, osserviamo che il termine usato non è
semplicemente smirenie, bensì smirennomudrie, cioè «sapienza dell'umiltà», perché anche
l'umiltà, come la castità, può essere interpretata in diversi modi. Può avere un sfumatura
«servile», esprimere lo spregio
della persona nei confronti di se stessa e dell'umiltà in generale. «Io sono piccolo, vile,
debole...». No, tutta questa autodenigrazione non ha niente a che fare con l'umiltà
cristiana. L'umiltà cristiana si radica nella consapevolezza, nella percezione dell'infinita
profondità della vita, è un'umiltà che nasce da una vibrazione, da una saggezza, da una
comprensione, è un'umiltà che viene*realmente da Dio. Invece l'uomo caduto sperimenta
continuamente un'esigenza di orgoglio, di autocelebrazione, autoaffermazione, ne ha
bisogno come di una densa cortina fumogena che nasconda agli occhi degli altri e di se
stesso i suoi difetti. Al bene autentico, all'autentica saggezza, alla vita autentica l'orgoglio
non serve, perché essi non hanno niente da nascondere, e per questo sono umili. Cristo, il
Figlio di Dio, dice: «Imparate da me che sono umile di cuore» (Mt 11,29). E per questo,
come nell'integrità, anche nell'umiltà si svela, rifulge, trionfa l'autentica sapienza...
Preghiamo
Accetta, Signore, i doni che ci hai dato a sostegno della nostra vita mortale e trasformali per noi in
sorgente di immortalità. Per Cisto nostro Signore.
8. Pazienza
Perché il cristianesimo la stima tanto, in che cosa consiste la virtù della pazienza? Questi
interrogativi sono importanti perché tutti i nemici del cristianesimo e della religione li hanno
sempre accusati di mettere al primo posto la predicazione della pazienza. Predicando la
pazienza, promettendo in cambio della pazienza nell'aldiquà una ricompensa nell'aldilà, voi
credenti distogliete la gente dalla lotta per la liberazione, fate sì che si rassegni al male e
all'ingiustizia, la trasformate in docili schiavi. Ma nella preghiera Quaresimae non si parla
affatto di questa pazienza. Qui la pazienza è un'espressione di fede, fiducia, amore, questa
pazienza è esattamente l'opposto del sentimento per cui la gente si lascia cadere le
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braccia e dice: «L'unica cosa è aver pazienza». No, la pazienza è innanzitutto Dio stesso.
che «non si è lasciato cadere le braccia» nei nostri confronti ma continua a credere in noi;
per questo anche in noi la pazienza può essere solo un frutto della fede che il bene è più
forte del male, che l'amore è più forte dell'odio e, infine, che la vita è più forte della morte...
Noi preghiamo per ottenere questa virtù divina, il dono divino della pazienza; preghiamo
per non vacillare nella nostra fiducia, per non arrenderci interiormente all'indifferenza, al
disprezzo, per non lasciarci cadere le braccia.
Preghiamo
Vieni in nostro aiuto, Signore, perché possiamo vivere e agire sempre in
quella carità che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi. Egli è Dio e
vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei
secoli.
9. Spirito di amore
L’ultimo dono è anche una supplica: <<Dona al tuo servo uno spirito di amore>>.
Sostanzialmente, tutta la preghiera conduce verso questa supplica e in essa si realizza.
Infatti, se noi chiediamo di essere liberati dall'ozio, dall'accidia, dalla brama di potere e dal
vano parlare, è perché si tratta di ostacoli che impediscono all'amore di penetrare nel
nostro cuore.
Invece la castità, l'umiltà, la pazienza sono il fondamento, le radici, il terreno di
germinazione dell'amore. E per questo, quando finalmente ci cade dal ciclo questa parola
- amore - noi sappiamo già che l'amore non solo viene da Dio, ma è Dio stesso, che entra
nel nostro cuore, purificato, ornato dalla castità, dall'umiltà e dalla pazienza, pronto a
diventare tempio, presenza, luce dell'amore divino, della sua forza vittoriosa e trionfante.
Preghiamo
O Dio, che ci hai dato la grazia di purificarci con la penitenza e di santificarci con le opere di
carità fraterna, fa’ che camminiamo nella vita dei tuoi precetti per giungere rinnovati alle feste
pasquali. Per Cristo nostro Signore.
10. Il senso della verità.
Basta pronunciare la parola «umiltà», per sentire immediatamente fino a che punto sia
estranea allo spirito del nostro tempo. Ma quale umiltà, quando tutta la vita di oggi è
costruita unicamente su narcisismo e autoesaltazione, sull'enfatizzazione della forza
esteriore, grandezza, potenza e così via! Questo spirito di autocelebrazione permea da
cima a fondo non solo la vita politica e statale, ma anche quella personale, professionale,
sociale, cioè letteralmente tutti gli aspetti della vita. Noi insegniamo ai bambini ad andare
orgogliosi di alcune cose, ma raramente richiamiamo loro e noi stessi all'umiltà. Anzi, una
delle accuse principali che vengono mosse alla religione da parte degli atei militanti è per
l'appunto l'accusa che la religione insegna l'umiltà e la addita come la virtù cristiana più
importante. La religione – affermano i propagandisti di ateismo - insegna il servilismo e la
sottomissione, umilia e sminuisce l'uomo e la sua dignità, dal momento che si basa tutta
sull'umiltà. Ma la cosa sorprendente è che davanti a queste accuse non c'è mai nessuno
che spieghi che cosa sia l'umiltà. Che cosa insegna il cristianesimo, parlando di umiltà?
Perché, in che senso l'umiltà umilierebbe l'uomo? Cristo dice di se stesso: «Io sono mite e
umile di cuore» (Mt 11,29). Eppure a nessuno verrebbe in mente di dire che questa è una
testimonianza dell'indifferenza di Cristo nei confronti del male, della Sua cieca
sottomissione a chicchessia, un segno di paura di fronte ai potenti di questo mondo. Ad
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esempio, mentre è davanti a Filato gli dice con tutta semplicità: «Tu non avresti alcun
potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto» (Gv 19,11 ). Evidentemente c'è
umiltà e umiltà, e prima di denunciarla bisogna capire di quale umiltà stiamo parlando. Che
cos'è dunque l'umiltà cristiana? Innanzitutto è il senso della verità e in primo luogo della
verità di sé. La verità non umilia né sminuisce mai, ma al contrario eleva e purifica. Inoltre,
l'umiltà significa essere onesti nel dire la verità. Rifiutare di farsi belli, di gettare polvere
negli occhi altrui. L'umiltà implica infine il conoscere il proprio posto, le proprie possibilità e
limiti, il coraggio di accettarsi così come si è... Ecco perché, come la castità, anche l'umiltà
è l'inizio della sapienza, e noi nella preghiera chiediamo che ci venga concessa la sapienza
dell'umiltà. Solo chi non mente, non esagera, non vuole «apparire» anziché «essere», ma
pacatamente, lucidamente e coraggiosamente accetta di fare ciò che deve, solo costui
possiede la sapienza. E certamente, da questo punto di vista il cristianesimo, predicando
l’umiltà, non sminuisce ma esalta e, soprattutto, stima la persona. Infatti, ha bisogno di
autocelebrarsi solo chi si sente in difetto di qualcosa; solo i mostri hanno bisogno di
abbellirsi, solo i deboli esaltano continuamente la propria forza. Laddove c'è libertà non
serve la propaganda, laddove c'è vera forza non servono le minacce, laddove c'è vera
bellezza non serve il «misero gusto di agghindarsi». Per questo l'umiltà è ciò che più
manca al mondo contemporaneo e all'uomo contemporaneo, ciò di cui, senza saperlo lui
stesso, languendo nel mare della menzogna e dell'autocelebrazione, ha più nostalgia...
Preghiamo
O Dio, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo
cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per Cristo
nostro Signore.
11. La perseveranza.
All’umiltà, nella preghiera di sant’Efrem il Siro, segue la pazienza. E di nuovo ci scontriamo
con una delle accuse principali rivolte alla religione: predicando la pazienza, essa
comprometterebbe nell'uomo la capacità di protestare, di lottare, di difendere i propri diritti,
di aspirare a un mondo migliore, più giusto. Anche qui, la cosa migliore è rivolgersi a
Cristo. Sì. Egli ci insegna la pazienza: <<Con la vostra perseveranza salverete le vostre
anime>> (Lc 21,19). Ma ciò che Cristo chiama perseveranza, pazienza, è ben lontano
dalle caricature che ne dipingono gli opuscoli di ateismo, cosi come l'amore cristiano per il
prossimo è remoto dall'amore per il collettivo impersonale, in nome del quale oggi milioni
di uomini sono privi della libertà. La pazienza cristiana non si fonda affatto sull'indifferenza
al male, ma - per quanto strano possa sembrare - comporta un forte senso di fiducia nei
confronti dell'essere umano. Per quanto l'uomo cada, per quanto tradisca ciò che di meglio
ha dentro di sé, il cristianesimo ci invita a credere che non è questo, né il male né l'errore,
l'essenza dell'uomo. Esso crede invece che l'uomo possa sempre rialzarsi, ritornare alla
sua natura originaria di luce...
Ultimamente, la pazienza è la fede nella forza del bene. E infine, nella preghiera di
sant'Efrem il Siro noi chiediamo uno spirito di amore. L'amore è l'accordo finale della
preghiera. E contemporaneamente sia il motore nascosto della nostra vita, sia il suo scopo.
Tutto vive di esso, tutto tende ad esso, e attraverso di esso noi possiamo far esperienza
che Dio è amore.
Preghiamo
Dio Grande e misericordioso, quanto più si avvicina la festa della nostra redenzione, tanto più
cresca in noi il fervore per celebrare santamente la Pasqua del Tuo figlio. Egli è Dio e vive e regna
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con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
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