P. Umberto Chiarello, SCJ
MARZO CON PADRE DEHON
Commissione Generale pro Beatificazione di p. Dehon
Curia Generale SCJ
Roma – 2004
Nota per i lettori
Ecco un altro fascicolo della serie che conterrà articoli, sussidi, ecc… riguardanti la personalità e
la spiritualità di p. Dehon, per dare la possibilità a tutti di una conoscenza più approfondita del
nostro p. Fondatore, in vista della sua Beatificazione – a Dio piacendo.
1. P. Mario Panciera scj: P. Dehon e i Dehoniani. Un profeta dei tempi moderni.
2. P. Umberto Chiarello scj: Il Miracolo attribuito a P. Dehon. Iter processuale.
3. P. Egidio Driedonkx scj: El Padre Dehon y el Clero.
4. P. Manuel Joaquim Gomes Barbosa scj: Padre Dehon homem de Igreja.
5. P. Umberto Chiarello scj: Leone Dehon – Apostolo dei nuovi tempi (1843-1925).
6. PP. Tullio Benini scj – André Perroux scj : Père Dehon, qui êtes-vous ?
7. P. Albert Vander Helst scj: Onze spiritualiteit van Priesters van het H. Hart.
8. P. Juan José Arnaiz Ecker scj: Espiritualidad Dehoniana en la pastoral parroquial.
9. P. Muzio Ventrella scj: Il P. Dehon nomade dell’amore di Dio.
10. P. André Perroux scj: Le Père Dehon et sa famille.
11. P. Eduardo Perales Pons scj: El P. León Dehon y la oración.
12. P. Evaristo Martínez de Alegría scj: La santità e i santi.
13. P. Egidio Driedonkx scj: El Padre Dehon y la formación de los laicos.
14. P. Umberto Chiarello scj: Padre Dehon e la famiglia dehoniana.
15. P. Eduardo Perales Pons scj: El Padre Dehon hombre de oblación.
16. P. Jerzy Bernaciak scj: Sługa boży O. J.L. Dehon świadek wartości, które nie przemijają.
17. P. Egidio Driedonkx scj: El Padre Dehon y las misiones.
18. P. Heiner Wilmer scj: Den Charakter Zuerst Erziehungs-maximen bei Leo Dehon.
19. P. Marcial Maçaneiro scj: A oferta do Coração.
20. P. Angelo Cavagna scj: L’impegno sociale di P. Dehon.
21. P. John Czyzynski scj: Father Dhon - A Man of Oblation trough Love.
22. P. Eugeniusz Ziemann scj: Umiłowanie Kościoła przez o. Jana Leona Dehona.
23. André Perroux scj: Il senso di Chiesa secondo Padre Dehon.
24. Egidio Driedonkx scj: El oratorio diocesano de Soissons.
25. Mirosław Daniluk scj: Ks. Leon dehon, propagator odnowy trzeciego zakonu
franciszkańskiego.
26. Józef Gawel scj: O. Leon Jan Dehon i Eucharystia.
27. Angelo Cavagna scj: Centenario dell’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII.
28. Jan Sypko scj: Eucharystyczne Praktyki.
29. Egidio Driedonkx scj: La dirección espiritual del P. Dehon a Clara Baume, laica consagrada –
1919-1295.
30. Paul McGuire scj: The Role of Spiritual Direction in the unfolding of Leo Dehon’s Charism as
a Founder.
31. Mario Panciera scj: Dalla croce alla vita – Nati dalla Croce.
32. Jan Sypko scj: Koncepcja duchowości wynagradzającej ojca Dehona.
33. Angelo Cavagna scj: P. Dehon e la Madonna.
34. Jan Sypko scj: Specyfika i aktualność Eucharystycznej duchowości Wynagradzającej Ojca
Dehona.
35. Paul McGuire scj: Freedom, Equality, Participation: how Leo Dehon Anticipated Changes in
Official Catholic Social Teachings.
36. Egidio Driedonkx scj: Las tres cartas circulares del Padre Dehon a sus misioneros.
37. Andrea Tessarolo scj: Il Padre Dehon e le Missioni.
38. Valentín Peres Flores scj: El peregrino León Dehon.
39. Joseph Mukuna scj: La Béatification du Père Dehon dans l’imaginaire du Dehonien Africain.
40. Andrea Tessarolo scj : Il Padre Leone Dehon animatore del movimento sociale cristiano.
41. Egidio Driedonkx scj: El Padre Dehon y la Reconciliación.
42. Egidio Driedonkx scj: La devoción del P. Dehon a la Santísima Trinidad.
43. Umberto Chiarello scj: Marzo con Padre Dehon.
MARZO CON PADRE DEHON
Intervista a TeleDehon del marzo 1996,
pubblicata come opuscolo per i benefattori
nella rivista “Piccola Opera Sacro Cuore”
di Vitorchiano, nel marzo 1997
Il mese di marzo è caro a noi religiosi dehoniani, perché esso ci ricorda la nascita del nostro
fondatore, p. Leone Dehon: il padre della nostra vita religiosa.
Questo mese è caro allo stesso p. Dehon, perché gli dava occasione di ricordare, durante la sua
lunga esistenza, la nascita (14 marzo) e il suo battesimo (24 marzo), la morte di sua mamma
(19 marzo 1883).
Per lui e per i dehoniani del suo tempo c’era il ricordo della risurrezione dell’Opera (29 marzo
1884), dopo che il S. Ufficio aveva soppresso, alcuni mesi prima (dicembre 1883), l’Istituto degli
Oblati del S. Cuore. Il mese di marzo ancora, con la festa di S. Giuseppe (19 marzo) e
dell’Annunciazione a Maria (25 marzo), era occasione di meditazione sulle sorgenti della sua
spiritualità d’oblazione riparatrice e della sua vocazione religiosa.
Per questo vogliamo passare insieme questo mese, facendo memoria del Venerabile Leone
Dehon, illustrando con brevi flash giornalieri la sua figura sacerdotale, la sua spiritualità, il suo
impegno apostolico e l’Opera da lui fondata.
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Scheda biografica di p. Dehon
Storia di una vocazione: - Nascita della vocazione
“ “ “ - Vocazione contrastata
“ “ “ - Vocazione rafforzata
“ “ “ - Vocazione religiosa
Spiritualità dehoniana: - Culto e devozione al Cuore di Gesù
“ “ - Spiritualità d’amore
“ “ - Amore solidale per gli uomini
“ “ - Vita d’oblazione
“ “ - L’Eucaristia nella vita di p. Dehon
Apostolo del S. Cuore: - Intuizioni pastorali
“ “ “ - Apostolato sociale in ambito cittadino, diocesano, nazionale, europeo
“ “ “ - Dalla “questione operaia” alla “questione sociale”
Nascita di Leone Dehon
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Apostolo del S. Cuore - “Andare al popolo... Uscire dalle sagrestie”
“ “ “ - Apostolato della stampa
“ “ “ - Impegno politico
“ “ “ - Il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nella società
San Giuseppe, Patrono dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù
Fondatore: - Nascita degli “Oblati del S. Cuore di Gesù”
“ - Il futuro dell’Opera
“ - Morte e resurrezione
“ - Opera di Dio
Battesimo di Leone Dehon
Annunciazione: Festa dell’oblazione
Fondatore: - Lo sviluppo dell’Opera
“ - Slancio missionario
“ - I Dehoniani in Italia
Famiglia Dehoniana: - L’Associazione Riparatrice
“ “ - La Famiglia Dehoniana oggi
Testamento di p. Dehon
1 marzo
In breve una lunga vita
Scheda biografica di P. Dehon
§ Leone Dehon nasce a La Capelle (Francia) il 14 marzo 1843.
§ Compie gli studi, dimostrando un’intelligenza viva e aperta, al Politecnico di Parigi. Ottiene
così il Baccellierato in Lettere (1859) e in Scienze (Parigi, 1860), infine si laurea Dottore in
Legge (Parigi, 1864).
§ I genitori sognavano per lui un avvenire brillante, come avvocato nel Foro di Parigi. Dio invece
aveva altri disegni su di lui: lo voleva Sacerdote del suo Cuore.
§ Il 25 ottobre 1865 lo troviamo seminarista a Roma, presso il Collegio Francese di S. Chiara.
Anche negli studi sacri dimostrò un vivace interessamento, tanto da laurearsi in Filosofia (1866),
in Teologia (1871) e in Diritto Canonico (1871).
§ Ordinato sacerdote nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, il 19 dicembre 1868, il suo futuro
è ormai segnato: tutta la sua vita è quella di un sacerdote animato da un grande amore al S.
Cuore di Gesù e da uno zelo apostolico per le classi sociali più povere.
§ Fonda la Congregazione degli Oblati del Cuore di Gesù, successivamente denominata
Sacerdoti del S. Cuore di Gesù, il 28 giugno 1878, quando emette la sua professione religiosa.
§ I luoghi della sua vita: Parigi e Roma da studente. I primi anni di sacerdozio li trascorre a StQuintin. Superiore della Congregazione religiosa, divide il suo tempo fra Bruxelles e Roma.
§ Muore a Bruxelles il 12 agosto 1925, a 82 anni.
§ “Per Lui vivo e per Lui muoio”: furono le sue ultime parole sul letto di morte, indicando
l’immagine del Cuore di Gesù. E così, come lui stesso ci ha dichiarato, ha vissuto la sua vita
all’insegna dell’amore del Cuore di Gesù.
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2 marzo
Storia di una Vocazione:
Nascita della Vocazione
La vocazione al sacerdozio, prima di essere una scelta umana, è una chiamata del Signore,
perché divenire sacerdote è dono di Dio. Man mano che uno cresce, la chiamata di Dio comincia
a far capolino nella coscienza di un ragazzo, comincia a manifestarsi psicologicamente, a farsi
sentire proprio come chiamata di Dio. Vi sono persone, fatti e circostanze della propria vita, di
cui Dio si serve e che concorrono al manifestarsi del germe vocazionale; ed è bello percepire
dentro il proprio animo questa voce di Dio; è bello ancora, da anziani, il riandare con la
memoria alla storia della propria vocazione.
Ecco come p. Dehon ricorda il nascere della sua vocazione sacerdotale:
Terminate le scuole elementari a La Capelle, suo paese natale, “era venuto il momento di
andare a completare i miei studi lontano. Mio padre pensava a un liceo a Parigi. Ma Nostro
Signore ebbe pietà di me e mi diresse verso una casa che gli era cara” ((NHV, I, p 15).
All’età di 12 anni infatti, assieme a suo fratello Enrico, il 1° ottobre 1855 entrava nel Collegio di
Hazebrouck, distante circa 200 Km da La Capelle. Là trova l’ambiente adatto per il manifestarsi
della sua vocazione. “La vita collegiale era austera... Si mangiava sempre pane nero..; la regola
era dura: levata di mattino presto, poco riscaldamento, molto lavoro e poco riposo: gli studi
erano severi” (NHV, I, p 16). In un ambiente così austero sboccia il fiore di una vocazione.
Come padre spirituale c’è il reverendo Boute, che egli considera come “lo strumento della
Provvidenza per la grazia principale della mia vita”.
“Io resto confuso di riconoscenza, ricorda p. Dehon, quando vedo come il Signore ha preparato
e conservato meravigliosamente la mia vocazione. Egli mi aveva messo in un ambiente
favorevole per farla nascere. La casa di Hazebrouck era sì un collegio, ma di fatto la
maggioranza degli alunni era destinata al seminario. La prima chiamata divina fu oscura. Già dal
primo anno di collegio mi venne a volte di pensare al sacerdozio. Al secondo ritiro spirituale
avevo preso la mia decisione. Ma soprattutto tale decisone si rafforzò nella notte di Natale”
(NHV, I, 35-36). Era il Natale del 1856, mentre assisteva alla Messa di mezzanotte nella chiesa
dei Cappuccini ad Hazebrouck.
“È una meraviglia che da quel giorno la mia decisione non fu mai più scossa. Le crisi
adolescenziali, le tentazioni, le debolezze non mi scoraggiavano. Il Signore mi aveva dato una
tale fermezza nella vocazione, che non era una cosa naturale per me; la sua grazia agiva
fortemente nel mio cuore. La comunione eucaristica e le letture spirituali mi impressionavano
vivamente...
Con quale attrattiva io leggevo i racconti della Propagazione della Fede e della Santa Infanzia.
Già dagli inizi sognavo di donarmi senza riserve. Volevo essere religioso o missionario...; in
momenti di generosità io aspiravo al martirio” (NHV, I, pp 35-36).
È la storia di una vocazione simile a tante altre!
*****
3 marzo
Storia di una Vocazione:
Vocazione contrastata
Leone Dehon conclude 4 anni di studio al Collegio di Hazebrouck, conseguendo il baccellierato
in lettere, il 16 agosto 1859. Terminava così, a 16 anni, una prima tappa della sua vita.
Del Collegio ha conservato questi ricordi: “il gusto e l’abitudine della preghiera, lo zelo per
l’apostolato, una fede illuminata, amicizie fedeli, una conoscenza salda della sua vocazione:
dolci ricordi”, così li chiama (NHV I, pp 36-38).
Rientrato in famiglia, suo papà, felice del successo del figlio, sogna per lui un futuro ambizioso:
decide di inviarlo al Politecnico di Parigi, prevedendo per lui una carriera nella magistratura o
nella diplomazia...
Ben presto però questi sogni vengono infranti. Dopo alcuni giorni di vacanza, Leone manifesta a
mamma e a papà la decisione di diventare sacerdote e chiede di entrare nel Seminario di San
Sulpizio a Parigi. Per papà Alessandro, ambizioso più per il figlio che per se stesso, fu come un
colpo di fulmine, che lo tramortì, facendogli crollare il suo castello...
Uomo retto ma non praticante, si oppose fortemente alla vocazione del figlio e mai gli avrebbe
consentito l’ingresso in Seminario. Da parte sua anche il giovane Leone fece intendere a suo
papà che egli era sicuro della chiamata divina e che vi sarebbe rimasto sempre fedele. Perciò
avrebbe atteso di divenire maggiorenne per seguire liberamente la sua vocazione. Nelle sue
Memorie p. Dehon ricorda come suo papà fu preso da grande tristezza, vedendo la fermezza del
figlio. Oltre a lottare contro la vocazione del figlio, il papà lottava dentro di sé tra la speranza di
realizzare i suoi progetti e il timore che Leone realizzasse la sua vocazione.
Accettando la volontà del padre, Leone si iscrisse al Politecnico di Parigi nell’ottobre del 1859; lo
frequentò per cinque anni, ottenendo il baccellierato in scienze nel luglio del 1861; il dottorato
in diritto civile il 2 aprile 1864. Acconsentendo ancora a suo padre, ma anche con suo grande
piacere, nei periodi estivi si dava ai viaggi all’estero: due in Inghilterra, il primo nel 1861 e il
secondo nel 1862; un viaggio nell’Europa del Nord e in Europa Centrale nel 1863.
Nell’intenzione del padre, questi viaggi dovevano distogliere il figlio dalla vocazione sacra; per il
giovane Leone invece furono occasione di maturazione culturale e spirituale, venendo a
conoscenza delle ricchezze d’arte, della situazione religiosa, morale e sociale delle popolazioni
con le quali veniva a contatto. Compagno di viaggio e guida esperta era Leone Palustre, futuro
scienziato e grande archeologo francese.
Dei suoi viaggi, compiuti anche successivamente, p. Dehon dirà anni più tardi nel 1915: “Io ho
viaggiato molto nella mia vita, e non credo di aver agito male in questo. Non ho viaggiato,
come certuni, per gironzolare o per pura curiosità. I miei viaggi sono stati sempre uno studio e
un pellegrinaggio...
Ho voluto cercare Dio nella natura, nelle arti, nei costumi, nella storia...
Benedite opere tutte del Signore il Signore” (NQ, XXXVII, pp. 59-61).
*****
4 marzo
Storia di una Vocazione:
Vocazione rafforzata
Nei cinque anni passati a Parigi, il giovane studente del Politecnico si preoccupa di mantenere
sempre viva la sua vocazione sacerdotale, frequentando la famosa chiesa di S. Sulpizio: chiesa
e seminario, fucina già dal 1642 di tanti sacerdoti del clero francese. Sceglie come sua guida
spirituale il rev. Prével, vicario a S. Sulpizio, che lo sostiene nella vocazione; lo guida nelle prime
esperienze caritative nelle Conferenze di San Vincenzo; lo incammina come catechista nell’opera
della dottrina cristiana ai poveri del quartiere; gli prospetta Roma come luogo dei futuri studi
ecclesiastici...
Terminati gli studi parigini, si riapre la questione della sua vocazione. Suo padre gli aveva
promesso che lo avrebbe lasciato libero dopo il dottorato; giunto ora il momento, si oppone
ancora alla vocazione del figlio e, per dissuaderlo, gli offre un viaggio in Oriente. Leone vede in
questo viaggio una disposizione della divina Provvidenza per condurlo ai Luoghi Santi, dove la
sua fede e la sua vocazione troveranno forza per la decisione definitiva di entrare in Seminario,
contro ogni opposizione paterna.
È un viaggio fantastico che dura circa un anno, dall’agosto del 1864 al giungo 1865, e percorre
la Foresta Nera, Svizzera, Italia, Dalmazia, Grecia, Turchia, Egitto, Arabia, Palestina, Siria, Cipro,
Costantinopoli, Mar Nero, il Danubio, Ungheria, per concludersi a Roma. “Gerusalemme e
Roma, le due città sante, che mi hanno preparato a dare l’addio al mondo e a entrare nella vita
clericale”. A Roma viene ricevuto in udienza da Pio IX: “un papa che unisce bontà e santità”,
egli ricorda, e lo stesso Pontefice lo consiglia di entrare nel Seminario Francese a Roma.
Sostenuto da questo alto incoraggiamento, il giovane Dehon rientra in famiglia per manifestare
la sua decisione: entrare in Seminario.
I tre mesi di vacanze passate in famiglia furono molto sofferte: da una parte il racconto di
questo lungo viaggio affascinava i suoi genitori; d’altra parte la sua decisione di entrare in
Seminario procurava enorme dispiacere a suo padre e, ora, anche a sua madre. Leone faceva
affidamento su sua madre per avere un appoggio nei riguardi del padre; ma anche sua mamma
lo abbandonò. “Era una donna pia, voleva che anche il figlio fosse pio e devoto, ma... il
sacerdozio del figlio la spaventava enormemente; le sembrava di perdere un figlio, diventando
prete.” Così Leone dovette affrontare una dura lotta contro se stesso per vincere le resistenze
dell’affetto materno e la contrarietà dichiarata della volontà paterna. Ma... la voce di Dio lo
chiamava ed egli era ormai maggiorenne per decidere liberamente.
E partì per Roma: era il 25 ottobre 1865 quando entrò in Seminario.
Aveva scelto di studiare a Roma, perché sapeva che “l’acqua è più pura alla sorgente che non
nei ruscelli e che la dottrina e la pietà devono attingersi più facilmente e con pienezza al centro
della Chiesa che altrove” (NHV I, p 187).
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5 marzo
Storia di una Vocazione:
Vocazione Religiosa
L’inclinazione alla vita religiosa di Leone Dehon è legata alla sua vocazione sacerdotale.
Collegiale ad Hazebrouck, avverte la chiamata divina al sacerdozio e pensa anche di diventare
religioso, missionario e martire; sono sogni da ragazzo, tutto preso dai racconti dei missionari.
Nei suoi ricordi da anziano, ci lascerà scritto: “Avevo la vocazione religiosa fin dalla fanciullezza”
(Ricordi, 14.3.1912, III)
Quando è seminarista a Roma (ottobre 1865 - ottobre 1871), l’ideale di vita religiosa comincia a
rafforzarsi. Frequentando le chiese romane e vedendo come la maggior parte dei santi
canonizzati provenga dai monasteri e dagli ordini religiosi, conclude: “mi farò religioso, non per
essere canonizzato ma per farmi santo e per meglio amare e servire Nostro Signore” (NHV, V,
5). Egli vede nella vita religiosa un cammino di santità e uno stato di maggior servizio del Regno
di Dio.
Nella formazione seminaristica, la sua anima si apre maggiormente a quelle attitudini spirituali,
che costituiranno la spiritualità dehoniana. “Nostro Signore si impossessò ben presto del mio
intimo e vi stabilì le disposizioni che dovevano essere la nota dominante della mia vita: la
devozione al suo Sacro Cuore, l’umiltà, la conformità alla sua volontà, l’unione con lui, la vita
d’amore... Nostro Signore mi preparava così alla missione che mi riservava per l’Opera del suo
Cuore” (NHV, IV).
La vocazione religiosa non è rimasta allo stadio di semplice inclinazione o desiderio, ma tentò,
ancora seminarista, anche qualche progetto. “Ero assillato a Roma dal pensiero di formare una
Congregazione di studi con il suo centro a Roma e col quarto voto di sostenere le dottrine
romane... Ne avevo parlato con diverse personalità; essi approvarono questo progetto... Ma
Nostro Signore non voleva questo da me”.
“Signore, cosa vuoi che io faccia?” si chiedeva sempre il giovane Leone, nel discernimento della
sua vocazione.
Da giovane sacerdote, impegnato nel suo intenso ministero a S. Quintino, era fedele ai ritiri
spirituali; il proposito di questi esercizi era sempre a favore della vita religiosa: “Mi proporrò la
vita religiosa... per praticare meglio i consigli di perfezione”.
Ebbe diverse proposte per entrare in qualche Istituto già esistente: ad esempio dagli
Assunzionisti, per collaborare all’istituzione di università cattoliche in Francia. Il suo padre
spirituale p. Freyd, del Seminario di Roma, lo spingeva ad entrare nella Congregazione dello
Spirito Santo. Un suo amico gesuita, p. Jenner, gli proponeva la Compagnia di Gesù...
Ma il Signore aveva altri progetti su di lui: farlo diventare Sacerdote del suo sacro Cuore; e per
questo lo preparava alla missione di fondatore di una nuova Congregazione religiosa nella
Chiesa.
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6 marzo
Spiritualità Dehoniana:
Culto e Devozione al Cuore di Gesù
P. Dehon, fondatore della Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore, è stato il primo sacerdote
del Cuore di Gesù. Il Cuore di Gesù è stata la passione della sua vita sacerdotale.
Egli aveva succhiato col latte materno l’amore verso il sacro Cuore. Sua mamma, infatti, era
stata educata in collegio dalle suore del sacro Cuore di s. Sofia Barat; ella aveva, come libro
preferito di preghiera, il Manuale del s. Cuore. Per cui fin da fanciullo Leone viene educato a
questa devozione. Andando in Collegio ad Hazebrouck riceve dalla mamma, come regalo, il
Manuale del s. Cuore, che egli utilizza come libro di preghiera e come guida spirituale. Negli
anni di seminario a Roma, in preparazione alle sacre ordinazioni, medita a lungo sui misteri
della vita del Signore, sottolineando le virtù del suo Cuore: la vita d’oblazione, lo spirito di
vittima, che si offre in sacrificio a Dio per la redenzione degli uomini. Egli medita sul suo
sacerdozio innestato in quello di Cristo: insieme sacerdote e vittima. Giovane sacerdote trova a
S. Quintino un ambiente in cui regna una “tradizionale e profonda devozione al S. Cuore”.
Il p. Dehon è vissuto per il Cuore di Gesù. Fondando la Congregazione, cambiò il suo nome di
Leone in quello di Giovanni del S. Cuore: perché la sua vita si modellasse su quella di Giovanni
l’Evangelista che, nell’Ultima Cena, aveva reclinato il capo sul petto del Signore.
Anche p. Dehon, reclinando il capo sul petto del Signore, ne ha ascoltato i palpiti d’amore per i
peccatori. Attraverso il cuore, ha scoperto un Gesù modello d’amore, di immolazione, di
abbandono, di piena disponibilità alla volontà divina. Meditando il Vangelo, ha scoperto questi
atteggiamenti del cuore negli eventi della vita del Signore: nell’incarnazione, nella nascita, nella
vita nascosta di Nazaret, nella sua attività apostolica, nella passione e nell’eucaristia. (cf DS, p.
II, c. I)
Come i mistici del Medioevo, anche p. Dehon ha contemplato il costato aperto del Signore;
penetrando in questa “ferita del s. Cuore”, come una porta aperta, ha avuto accesso nel
cenacolo interiore del Cuore di Gesù, assaporandone l’immensità del suo amore. Dalla
contemplazione della ferita visibile del cuore ha scoperto la ferita invisibile dell’amore di Gesù:
amore ferito dal peccato dell’uomo.
Per p. Dehon, la devozione al s. Cuore non doveva esaurirsi in pratiche devozionali, quanto
doveva costituire il principio di rinnovamento della vita cristiana. Egli stesso ha operato perché il
culto al S. Cuore, iniziato nella vita mistica delle anime, discendesse e penetrasse nella vita
sociale dei popoli.
Per questo, alla Congregazione da lui fondata, diede come ideale quello di essere il Cuore della
Chiesa, come lo è il Cuore di Gesù. È un’immagine plastica di grandissima profondità spirituale:
il cuore del corpo mistico, che è la chiesa, è Gesù stesso; p. Dehon e i Sacerdoti del Sacro
Cuore sono chiamati per vocazione a essere il cuore della chiesa.
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7 marzo
Spiritualità Dehoniana:
Spiritualità d’Amore
Vivendo in intima unione con il Cuore di Gesù, p. Dehon scopre l’immenso amore che il Signore
ha verso Dio, suo e nostro Padre, e verso gli uomini peccatori.
Nel cuore di Gesù palpita l’amore di Dio reso palpabile e visibile dall’uomo. Attraverso il Cuore di
Gesù, p. Dehon legge la creazione come opera dell’amore di Dio più che d’onnipotenza divina.
Dio infatti ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza; ora l’essere di Dio è carità e amore:
per cui la Ss. Trinità ci comunica il suo amore, il suo cuore. Altrettanto per l’opera della
redenzione: Dio ha tanto amato il mondo da darci il suo Figlio unigenito, ci dice S. Giovanni.
Dinanzi a questa donazione d’amore di Dio, che dà all’uomo il suo unico Figlio, lo stesso Signore
Gesù ne rimane stupefatto: commenta p. Dehon. Nell’incarnazione il Verbo di Dio, fattosi carne,
ha assunto un cuore umano. Così nel Cuore di Gesù c’è il cuore stesso di Dio: Dio può amare
l’uomo peccatore non solo con amore divino, ma anche d’amore umano.
Un tanto amore di Dio richiede corrispondenza d’amore da parte dell’uomo. C’è l’amore
spontaneo della creatura verso il suo Creatore: un moto religioso, un timore riverenziale, un
riconoscimento di dipendenza da Dio... Ma c’è un amore come “risposta” voluta, suscitata e
richiesta dal Cuore di Cristo ai cristiani. Questo è il motivo principale per cui il Signore ha
manifestato il suo cuore agli uomini, chiedendone devozione e culto: suscitare una risposta
d’amore all’amore che Dio ha dimostrato per primo verso di noi.
“Abbiamo creduto all’amore: crediamo all’amore di Dio per noi, ne contempliamo il simbolo
perenne che è il divin Cuore di Gesù” (Couronnes d’Amour, II, 148).
È un corrispondere all’amore di Dio stesso con un amore affettuoso, riconoscente, puro e
disinteressato. Un amore dimentico di se stesso, scevro da ogni egoismo, che gioisce del bene
dell’amato; ma anche un amore ardente, generoso, che si rattrista del dolore dell’amato, suscita
zelo per la riparazione del male fino al sacrificio di se stesso.
“Amando il mio cuore, ami me; tu dunque ami Dio, perché io sono Dio”: p. Dehon fa parlare
Gesù in questo termini.
Questa corrispondenza d’amore, tipica della devozione al Sacro Cuore, riguarda principalmente
l’amore del cristiano verso Dio, in sintonia con l’amore di Gesù verso suo Padre, e verso Gesù
stesso. È partecipazione anche all’amore di Dio e del Cuore di Gesù verso gli uomini peccatori;
ed è corrispondenza d’amore altrettanto tipica nella devozione al Cuore di Gesù: amore dei
cristiani verso gli altri, associato all’amore redentore del Cuore di Gesù per i peccatori. È l’amore
che ci fa solidarizzare con i peccatori.
La via dell’amore è la via della santità, ci insegna infine p. Dehon. Nella vita cristiana si può
essere umili, casti, obbedienti, si possono possedere tante altre virtù in sommo grado; ma solo
l’amore ci conduce alla perfezione e alla santità, perché solo l’amore ci unisce a Dio, che è tutta
Carità.
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8 marzo
Spiritualità Dehoniana:
Amore solidale per gli uomini
“Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, eppure dalla maggior parte di essi non riceve
che indifferenza, ingratitudine e oltraggi...”. Inizia così una preghiera di p. Dehon, recitata
tuttora dai suoi figli, e con la quale egli voleva esprimere la nostra corrispondenza d’amore
verso il Cuore di Gesù, il cui amore è offeso, oltraggiato e tradito dal peccato degli uomini.
Il peccato è una realtà sempre presente nella vita dell’uomo: sono fatti e situazioni di superbia e
di orgoglio; di prepotenza e di odio; di lussuria e di amor proprio. Ma prima ancora di essere
un’offesa verso gli altri, il peccato costituisce un’offesa verso Dio.
Ecco perché p. Dehon vuole corrispondere innanzi tutto all’amore tradito di Dio e del Cuore di
Gesù: con un amore riconoscente, filiale, delicato; un amore tenero e affettuoso. Ma un tale
amore sarebbe solo intimistico, se si limitasse a un gesto consolatorio verso il Cuore di Gesù.
Si deve operare a togliere le cause del peccato e delle ingiustizie. E questa opera richiede
innanzitutto amore solidale verso i peccatori. La solidarietà verso i peccatori: è un
atteggiamento tipico della spiritualità di p. Dehon; atteggiamento che ricopia quello del Signore,
che si è fatto in tutto simile all’uomo per liberarlo dal peccato.
Si tratta di collaborare all’opera della redenzione compiuta da Cristo, e che viene attualizzata
oggi nei cristiani e dai cristiani. “Il Cristo è la riparazione perfetta. Dobbiamo essere anche noi i
collaboratori della riparazione con lui, in lui e per lui. Lo domanda la giustizia alla nostra
coscienza, e la carità al nostro cuore”: diceva p. Dehon in un suo discorso.
Ed ancora: Gesù ci ha redenti mediante la croce: egli ha compiuto la redenzione sull’altare
visibile della croce, e più interiormente sull’altare invisibile del suo cuore. Egli ha accettato di
vivere la sua esistenza terrena all’insegna della croce: annientamento nell’incarnazione, povertà
nella nascita, oblio nella vita nascosta, fatiche e persecuzioni nella vita pubblica, umiliazione e
disprezzo nella sua morte. Non deve far meraviglia che Gesù dia la croce, come segno del suo
amore, a coloro che egli ama: a Maria, a san Giuseppe, agli apostoli, a noi cristiani. Noi
partecipiamo all’opera redentrice di Cristo accettando la croce di tutti i giorni come
partecipazione alla croce di Cristo per la redenzione e la salvezza dei peccatori.
Infine p. Dehon ci chiede di operare fattivamente a togliere le cause del peccato, operando per
costruire il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nella società. L’amore solidale verso i
peccatori, oltre a essere una passione del cuore, diviene in p. Dehon un agire concreto fatto di
iniziative apostoliche a favore degli uomini, in particolare verso i più poveri e gli emarginati.
Un tale modo di sentire e di agire si denomina “riparazione” nella devozione al Cuore di Gesù.
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9 marzo
Spiritualità Dehoniana:
Vita d’Oblazione
Sia il salmo 40 come la Lettera agli Ebrei ci dicono che il primo sentimento umano del Figlio di
Dio, incarnandosi, fu di obbedienza: “Entrando nel mondo Cristo dice: Tu o Dio non hai voluto
né sacrificio né offerta; un corpo mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il
peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo, o Dio, per fare la tua volontà” (Eb 10, 5-8).
“Ecco vengo”: p. Dehon è rimasto colpito da questo atteggiamento del Cuore di Gesù e si è
impegnato a farne l’atteggiamento fondamentale e costante della sua vita spirituale. “Ecco
vengo”: divenne come lo slogan della sua esistenza, trasformando così la sua in una vita di
oblazione; una vita offerta a Dio in unione all’offerta che Gesù ha fatto della sua.
Per realizzare questo, p. Dehon ha usato un metodo pratico molto semplice e alla portata di
tutti noi. Ogni mattina offrire la propria giornata al Signore con una preghiera: l’Atto di
oblazione. Durante il giorno: accogliere la volontà di Dio così come ci viene manifestata dalle
circostanze e dai fatti della giornata, attraverso la volontà dei superiori o dei genitori, attraverso
i doveri del proprio stato di vita. Non sfuggire i sacrifici che ci vengono richiesti, ma accettarli
generosamente per vivere uniti al sacrificio di Cristo. In breve: offrire al mattino la propria
giornata, accettare ogni giorno le croci che la Provvidenza ci somministra: così saremo perfetti
discepoli del Cuore di Gesù, che chiede a ognuno di seguirlo per la via della croce.
Questa vita d’oblazione è una caratteristica della spiritualità dehoniana. Non per nulla il titolo
originario della Congregazione fondata da p. Dehon è stato: “Oblati del Cuore di Gesù” per
indicare l’offerta di se stessi al volere di Dio. Ed ancora: agli inizi dell’Istituto vi era un quarto
voto religioso: quello di oblazione o di vittima, come si usava chiamarlo nel secolo scorso. Oltre
ai tre voti religiosi di povertà, castità e obbedienza, i primi religiosi facevano il voto di oblazione:
di consacrazione e di immolazione al Cuore di Gesù, di amore e di espiazione per i peccati. Con
una bella immagine, p. Dehon paragonava i tre voti religiosi ai tre chiodi che attaccano il
religioso alla croce del Salvatore; ma il voto di oblazione era come la lancia che trafisse il
costato e il cuore del Salvatore: era un offrirsi vittima per amore verso Gesù e a favore dei
peccatori.
Con questa vita d’oblazione riparatrice completiamo in noi quanto manca alla passione di Cristo
per la chiesa: come già diceva san Paolo. Veniamo invitati, come ancora Paolo chiedeva ai
cristiani di Roma, a offrire i nostri corpi, e cioè la nostra esistenza, come ostia viva, santa e
gradita a Dio: questo è il nostro culto spirituale.
Manifestando il suo Cuore, Gesù ha chiesto ai suoi devoti di offrire la propria vita come
oblazione per l’attuazione dei suoi disegni d’amore verso l’uomo peccatore; e p. Dehon vi ha
corrisposto, facendo della sua vita un’oblazione gradita a Dio.
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10 marzo
Spiritualità Dehoniana:
l’Eucaristia nella vita di p. Dehon
La vita sacerdotale di p. Dehon fu illuminata dall’Eucaristia. Agli inizi del suo sacerdozio era
tutto preso dalla celebrazione della Ss. Messa: “Durante tutto un anno non sono riuscito a
celebrare una sola volta la Messa senza lacrime. Non volli neppure sentir parlare di stipendio
per la Messa. Mi ripugnava unire la preoccupazione del denaro a un’azione così santa”: dice di
sé nel Diario.
Ai suoi figli insegnerà: “La vita del Sacerdote del S. Cuore deve essere il prolungamento della
sua Messa: adorare, ringraziare, pregare, impetrare misericordia in unione con Gesù, che
s’immola sulla croce e sull’altare, con Maria corredentrice e Regina del clero”.
Nell’Eucaristia ha trovato l’anima del suo apostolato: “L’Eucaristia è il focolare, la base, il centro
di tutta la vita, d’ogni opera di ogni apostolato. L’operaio evangelico che non vive di vita
eucaristica, non ha che una parola senza vita e un’azione inefficace” (NQ, Luglio 1910).
P. Dehon considerava la Ss. Messa non come una pratica di pietà, ma l’atto di culto per
eccellenza. Soleva ripetere, quasi come slogan: “La Messa è la luce di pieno mezzogiorno, che
illumina tutti gli altri esercizi di pietà”, “Il Santo sacrificio della Messa è per tutti i Sacerdoti del
S. Cuore il grande atto della giornata, l’atto principale”. La Ss. Messa infatti celebra l’opera della
redenzione, attualizzando oggi e qui il sacrificio di Cristo. Nella celebrazione eucaristica noi
veniamo associati all’oblazione e al sacrificio di Cristo, e in questo modo collaboriamo con Cristo
a realizzare il suo disegno di onore a Dio e di salvezza dell’uomo.
P. Dehon ha stabilito per il suo Istituto la consuetudine di celebrare Ss. Messe riparatrici, senza
percepirne lo stipendio. Ogni padre dehoniano celebra una Ss. Messa al mese con questa
intenzione riparatrice, e cioè per onorare il Cuore di Gesù e per la salvezza dei peccatori.
Oltre che dalla celebrazione della Ss. Messa, la spiritualità di p. Dehon è caratterizzata anche
dall’Adorazione eucaristica: è il culto di adorazione e d’amore verso Gesù presente nel
tabernacolo. Con una tale presenza eucaristica, le nostre case diventano come Betlem, Nazaret
e Betania. Come allora nella sua vita terrena, così ora nelle nostre cappelle, Gesù vuole
incontrare qui i suoi amici, vuole trovare l’affetto di cui lo circondarono gli apostoli durante la
vita apostolica. Ci si mette in contemplazione dell’eucaristia e da essa si attinge quello spirito di
dedizione e di sacrificio che ci deve animare a lavorare per il Regno del S. Cuore.
Preso da tanto amore per l’Eucaristia, p. Dehon già dagli inizi dell’Istituto volle fondare alcune
case per l’Adorazione perpetua: a S. Quintino e a Bruxelles.
Come l’Eucaristia ha illuminato la sua vita, così lo deve essere per i suoi figli: “La vita del
Sacerdote del S. Cuore deve essere la continuazione della sua Messa e la sua morte un’ultima
santa Messa, con la quale finirà qui sulla terra di adorare e ringraziare, di pregare e implorare
misericordia in unione con Gesù, che si immola sulla Croce e sull’altare” (Lett. Circ. 1919).
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11 marzo
Apostolo del S. Cuore:
Intuizioni pastorali
Leone Dehon inizia a 28 anni, il 16 novembre 1871, il suo ministero sacerdotale alla basilica di
San Quintino come settimo ed ultimo cappellano; era alloggiato per i primi mesi in una
mansarda, non essendo disponibile per lui una stanza. La vita dell’ultimo cappellano, appena
arrivato, era piuttosto pesante. Levata alle 4,30 per fare la meditazione. Gli spettava la prima o
l’ultima messa d’orario, i funerali e i matrimoni di quarta classe, il catechismo in chiesa e alle
scuole, le confessioni, le visite agli ammalati. La parrocchia abbracciava 30.000 anime.
“Era assolutamente il contrario di ciò che avevo desiderato da tanti anni: e cioè una vita di
studio, di raccoglimento e di preghiera”, ci dice nelle sue Memorie (NHV IX, 71). Ed infatti,
fornito di quattro lauree e con una preparazione intellettuale straordinaria, poteva aspettarsi di
meglio dal suo Vescovo: un incarico nella Curia o in Seminario; invece Mons. Dours lo destina
come ultimo cappellano a San Quintino. Fu una prova molto dolorosa, accettata dal novello
sacerdote come volontà di Dio: “Ero inviato a San Quintino dalla sola volontà di Dio” (NHV IX,
70) ci dice; e ce lo conferma un suo amico di seminario, che gli scriveva: “Voi non fate la vostra
volontà; ma mi felicito con voi che facciate la volontà di Dio” (lettera di don J. Dougas del
9.11.1871).
“Mancano a S. Quintino quali mezzi d’azione: un collegio ecclesiastico, un patronato e un
giornale cattolico” (NQ 20.11.1871): è la lucida e immediata analisi pastorale, fatta da L.
Dehon, a solo quattro giorni dal suo insediamento. Ancora critico sarà il suo giudizio sui metodi
pastorali del suo tempo: “L’organizzazione delle nostre grandi parrocchie non permette ai
sacerdoti di fare dell’apostolato. Quando hanno partecipato alla recita dell’ufficio divino, assistito
ai funerali e presieduto gli incontri delle confraternite, il loro tempo e la loro attività sono
pressoché esaurite. Si può vivere per secoli a questo modo senza rifare cristianamente la
società. E poi ci si stupisce che il popolo abbia finito col dire che la religione è fatta per i vecchi
e i bambini... Questa generazione ha cambiato il Cristo: non è il Cristo degli operai, il Cristo che
esercitava il suo apostolato tra i pubblicani e i peccatori”. L’intuizione pastorale di Leone Dehon
è quella di sostituire, a una pastorale esclusivamente sacramentale, una pastorale integrale
spirituale e sociale: di evangelizzazione, diremmo oggi, collegata alla promozione umana.
Ed infatti nel 1872 realizza già un patronato: il Patronato S. Giuseppe per i figli degli operai; nel
1874 fonda un giornale: Le Conservateur de l’Aisne; nel 1877 fonderà anche un Collegio
ecclesiastico: il Collegio San Giovanni, che amerà come la “pupilla dei suoi occhi”.
Come si vede: nel suo primo impatto con la realtà, egli cerca di analizzare la situazione, leggere
i segni dei tempi, come si dice oggi. E le sue intuizioni pastorali non sono rimaste nel libro dei
sogni, ma ha dato loro un seguito concreto; dimostrando così Leone Dehon di essere un uomo
dinamico, un sacerdote impegnato, un apostolo operoso: un contemplativo in azione!
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12 marzo
Apostolo del S. Cuore:
Apostolato Sociale in ambito cittadino,
diocesano, nazionale, europeo
Il “Patronato San Giuseppe” a S. Quintino è il fiore all’occhiello del giovane sacerdote Leone
Dehon. Facendo catechismo ai ragazzi delle scuole comunali, avvertì la necessità di seguirli
anche nel doposcuola; per cui, dopo i primi tre mesi di insegnamento, cominciò a riunire alcuni
ragazzi nella sua stanza, alla domenica dopo i Vespri. Qualche tempo dopo un suo amico, il sig.
Julien, gli mise a disposizione il cortile del suo pensionato per fare giocare i ragazzi, e qualche
aula scolastica per conversazioni e conferenze. Ad agosto 1872 prende in fitto un terreno e vi
costruisce una cappella e alcune sale di riunione. Inizialmente i ragazzi iscritti sono 75, a Natale
del 1872 sono 200, nel 1875 saranno 500. Intorno al Patronato S. Giuseppe fioriscono altre
iniziative ed opere sociali: una “casa famiglia” per operai e apprendisti lontani da casa, dove
possono mangiare e dormire. Vi istituisce il Circolo degli operai (23.10.1873), aggregato
all’Opera dei Circoli cattolici; il Circolo per studenti (dicembre 1875); un corso quindicinale di
studi di etica economica per i padroni e i dirigenti d’industria (1876); una società per la
costruzione di case per gli operai; una società di mutuo soccorso... “Per gli operai non c’è posto
nelle nostre chiese e non ricevono l’istruzione loro adatta. Sono pecore senza pastore. Essi
ritrovano nei patronati un po’ di quelle cure... che la chiesa dovrebbe avere per ciascuno di
loro” (NHV X, 3): così ragionava Leone Dehon.
A livello diocesano promuove l’Ufficio diocesano delle Opere sociali, fondato da mons. Dours
(1874), e ne diviene il segretario. Organizza così, dal 1875 al 1878, tre convegni diocesani per
sensibilizzare il clero alla questione operaia e alla fondazione di associazioni cattoliche per gli
operai.
Anche a livello nazionale, organizza o partecipa attivamente a diversi pellegrinaggi di operai o ai
Congressi dell’Opera dei Circoli cattolici. Nell’agosto 1873, con i suoi giovani operai, partecipa al
grande pellegrinaggio a N. Signora di Liesse, che radunò oltre 1500 operai. Partecipa ai
Congressi annuali: In particolare a Nantes, nell’agosto 1873, conosce Leone Harmel, industriale
cristiano, e col quale collaborerà per la formazione cristiana dei suoi operai nelle industrie di Val
de Bois; nel 1875 a Reims, guida 80 delegati della diocesi di Soissons. Assieme a Leone Harmel
organizza a Val de Bois, nei periodi estivi, incontri per i seminaristi per sensibilizzarli alle
tematiche sociali.
A livello europeo Leone Dehon partecipa ai movimenti operai del Belgio e dell’Italia; organizza
pellegrinaggi di operai alla Cattedra di Pietro a Roma; partecipa all’Opera dei Congressi in Italia;
stringe rapporti con Giuseppe Toniolo, Filippo Crispolti, il conte Soderini, Don Sturzo: tutti
esponenti dell’apostolato sociale cattolico italiano; prepara e predica l’enciclica sociale di Leone
XIII, la “Rerum Novarum”.
La sua partecipazione a questi Congressi, egli ce la spiega così: “li ho sempre considerati come
altrettanto ritiri spirituali sullo zelo: vi si apprendono i metodi per fare il bene”: ha scritto nelle
sue Opere sociali (II, pp 369-370).
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13 marzo
Apostolo del S. Cuore:
dalla “Questione Operaia”
alla “Questione Sociale”
San Quintino era una cittadina industriale del Nord della Francia; il primo impatto del giovane
sacerdote Dehon è con la situazione operaia. Egli scopre tutti i problemi dell’operaio salariato,
senza garanzie da parte dello Stato, con un clero che non ha ancora acquisito una sensibilità
alla “questione operaia”. Egli fa un’analisi lucida della situazione, che ci viene così descritta: “Mi
trovai presto in rapporto col popolo; gli abitanti di S. Quintino vivono col salario quotidiano, il
quale sale e scende come il prezzo degli schiavi... Le abitazioni sono infette, vere topaie. Gli
operai sono vittime della tirannia di padroni esosi e senza scrupoli. Basta una malattia, una
maternità, un incidente sul lavoro, ed è la fame! e mentre i genitori sono in fabbrica da 11 a 14
ore al giorno per guadagnare il necessario alla vita, i figli vagano per le strade, facile preda del
vizio o della delinquenza... In chiesa non vi sono operai: leggono giornali anticlericali, nutrono
odio per la società attuale, antipatia per i padroni, scontento verso il clero che non fa
abbastanza per loro... Questa società è marcia e tutte le rivendicazioni operaie hanno un
fondamento legittimo”. In sintesi osservava che per gli operai vi erano solo “doveri senza diritti”
e per gli imprenditori solo “diritti senza doveri”.
Leone Dehon percepisce le nuove necessità emergenti del popolo e intuisce la risposta che si
deve dare: “I nuovi bisogni esigono procedimenti nuovi. Bisogna che la Chiesa sappia mostrare
che non è solamente atta a formare anime pie, ma ancora a far regnare la giustizia, di cui i
popoli sono avidi. Bisogna perciò che il prete di dedichi a nuovi studi a nuove opere.. La vecchia
teologia (insegnata in Seminario) non basta, bisogna affrontare le questioni sociali.. Non basta
amministrare i sacramenti, bisogna fondare patronati, aprire casse di risparmio, cooperative...”.
Leone Dehon intuisce che per risolvere la questione operaia devono intervenire tutte e insieme
le grandi componenti della società. La Chiesa con la predicazione e la promozione umana,
mediante il regno della giustizia e della carità cristiana. Lo Stato: deve garantire i diritti dei
lavoratori con le riforme, la programmazione, le leggi circa i contratti, i salari, il riposo... Gli
operai stessi: con le cooperative, associazioni, sindacati... Gli Imprenditori, o Padronato come si
chiamavano allora: con la coscienza dei loro doveri verso gli operai, per garantire l’igiene del
lavoro, la cooperazione nella gestione... Questa è stata la grande intuizione pastorale di Leone
Dehon; per cui la “questione operaia” diviene “questione sociale”, nel senso che coinvolge e
interpella tutta la società.
Come è nata questa vocazione sociale, questa missione provvidenziale in p. Dehon? Se lo
chiedeva lui stesso negli ultimi anni della sua vita e rispondeva: “La Provvidenza mi aveva
preparato a questa missione attraverso i miei studi di diritto a Parigi e il mio Patronato a S.
Quintino”; “A Roma avevo sovente orientato le mie letture in tal senso...”. Nonostante fosse di
famiglia borghese e agiata, già da ragazzo ad Hazebrouck e da giovane studente a Parigi,
tramite la Conferenza di san Vincenzo de’ Paoli, fu educato a sentirsi vicino ai poveri.
A chi lo accusava del suo impegno nel sociale, egli rispondeva: “In questo apostolato sociale io
non miravo che a risollevare i piccoli e gli umili, secondo lo spirito del vangelo”.
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14 marzo
Nascita di p. Dehon
“Sono nato il 14 marzo 1843 a La Capelle...”: inizia così le sue Memorie p. Dehon.
La Capelle, piccolo paese della diocesi di Soissons nel dipartimento francese dell’Aisne, contava
in quegli anni circa 1500 abitanti. Così denominato per una cappella costruita in onore di s.
Germana, vergine irlandese, decapitata in quella zona nel V secolo; il suo corpo, gettato in una
fossa profonda, fu ritrovato miracolosamente. In quello stesso luogo sorse una cappella in
onore della martire e intorno vi si sviluppò un primo abitato. Questa chiesetta “non aveva nulla
di attraente per me, ricorda p. Dehon, sembrava una catapecchia. Era triste e disadorna”; ma
era il luogo dove egli fanciullo andava a pregare con sua madre. “Pregavo con lei o piuttosto lei
pregava per me. Non sapevo ancora bene che significasse pregare. Mi conduceva alle funzioni
della domenica e qualche volta alla benedizione durante la settimana” (NHV I, 7v)
Sua madre, Adele Stefania Vandelet, chiamata familiarmente Fanny, ci viene così ricordata da p.
Dehon: “La sua vita è stata una vita di lavoro, di pietà, di virtù. Vera donna forte, era sempre la
prima ad alzarsi e governava meravigliosamente la casa. È sempre stata dolce e paziente.
Dimostrava una grande dignità. Era una matrona cristiana... Era ammirevole nella fedeltà alle
sue pratiche di pietà” (NHV XIV, 148). “Mia madre domina nei miei lontani ricordi. Non la
lasciavo mai. Mentre mio fratello Enrico andava e veniva con mio padre, ne condivideva i gusti
per le colture dei campi e per i cavalli, io rimanevo in casa e seguivo mia madre passo passo”
(NHV I, 6r). P. Dehon considerava sua madre “uno dei più grandi doni di Dio e strumento di
mille grazie... Voglio ringraziare Nostro Signore per avermi dato una tale madre, per avermi
iniziato attraverso lei all’amore del suo divin Cuore..” (NHV I, 4-5).
Suo padre si chiamava Giulio Alessandro Dehon. La famiglia Dehon apparteneva alla ricca
borghesia. Giulio Alessandro era proprietario rurale, allevatore di bovini e di cavalli; produttore e
commerciante di birra. A La Capelle godeva di un certo prestigio: era stato vicesindaco al 1848
al 1857 e poi sindaco dal 1858 al 1861. Anche di lui p. Dehon ci lascerà un ritratto sincero e
affettuoso. Uomo profondamente onesto e di carattere buono, durante gli studi a Parigi aveva
smesso ogni pratica religiosa, senza però perdere “lo spirito di equità e di bontà che caratterizzò
tutta la sua vita”. Per le preghiere incessanti del figlio e della moglie, egli ritornerà alla fede in
occasione dell’ordinazione sacerdotale di Leone Dehon. “Io dovevo trovare nella tenerezza del
suo affetto paterno per me un grande aiuto per lo sviluppo della mia educazione e anche per la
vita cristiana. L’unico contrasto con lui fu per la mia vocazione.. Nostro Signore ha permesso
questo e mi ha sostenuto... Vi rendo grazie, o mio Dio, per avermi dato un tale padre... Il suo
ricordo mi è dolce, mi è d’aiuto e di conforto” (NHV I, 5-6).
Ecco il ritratto familiare, che p. Dehon ci ha lasciato dei suoi genitori e della sua prima infanzia.
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15 marzo
Apostolo del S. Cuore:
“Andare al popolo... Uscire dalle sagrestie”
“Andare al popolo!”: è la parola chiave di p. Dehon nel suo apostolato sociale; è la linea di
condotta che lo ha guidato e secondo cui ha spronato il clero del suo tempo.
“Bisogna andare al popolo! È necessario! Bisogna andare al popolo, perché è infelice, perché
soffre, perché si trova in uno stato di miseria non meritato; perché è senza protezione...
Bisogna andare al suo focolare e nella sua officina. Bisogna chiamarlo alle riunioni e
raggrupparlo in associazioni per istruirlo e confortarlo, per assisterlo nelle sue sofferenze e
sollevarlo nell’abbattimento, per ascoltare i suoi lamenti e i suoi desideri, per dirigerlo nelle sue
rivendicazioni, per condurlo a Cristo, suo Difensore e Salvatore...”
P. Dehon rivolge questo suo appello soprattutto ai preti: “Essi non possono rimanere chiusi nelle
loro chiese e nei loro presbiteri... Uscite dalle sagrestie!” dirà spesso. Faceva sua l’affermazione
di Leone XIII: “La Chiesa non può lasciarsi assorbire talmente dalla cura delle anime da
trascurare quanto interessa la loro vita terrena; in particolare deve fare ogni sforzo per
strappare gli operai dalla loro miseria e per migliorare la loro situazione”
Le “opere sociali”: costituiscono lo sforzo disperato del pastore che fa appello a tutte le risorse
del suo zelo e della sua intelligenza per uscire, malgrado tutto, dal cerchio di impotenza dove lo
si vuole rinchiuderlo, per aprire alle anime nuove strade man mano che si chiudono le vecchie...
Bisogna andare al popolo per le strade che ci vengono aperte dalle nuove opere. Dio lo vuole!”
Il criterio pastorale che p. Dehon dà è quello dell’attualità e della creatività: “A bisogni nuovi si
deve rispondere con azioni nuove..., egli ci dice. Il ministero pastorale, trovandosi dinanzi a
situazioni nuove, deve riflettere sulle necessità del momento e rispondere alle esigenze dei
tempi, come ha fatto in tutte le epoche... Le opere sociali sono la nuova forma speciale
d’apostolato richiesta dai nuovi tempi... Oggi la società attende dalla Chiesa: la promozione
degli operai e l’insegnamento delle leggi della giustizia e della carità, che devono presiedere alla
riforma delle legislazioni e all’organizzazione professionale.”
In questa nuova azione di opere sociali non è sufficiente l’azione del prete, si richiede la
collaborazione in prima persona dei laici cristiani. È un’altra intuizione profetica di Leone Dehon
per l’apostolato dei laici: “...le opere sociali danno all’azione del prete un carattere più
apostolico e permettono ai laici di dargli un contributo sempre utile e a volte indispensabile... I
preti e i laici devono iniziarsi e, con santa emulazione, eccitarsi a questa nuova forma apostolica
di ministero; dedicarsi, con lo studio di mezzi pratici, a creare e a dirigere queste opere che
rispondono direttamente ai bisogni attuali della anime e della società. Allora i pastori non si
consumeranno più in un ministero infruttuoso, non illuminato perché in condizioni di inefficacia.
I laici cristiani impareranno a non scoraggiarsi, rinchiudendosi nella cerchia egoistica dei doveri
domestici, essi diverranno degli ausiliari potenti dei loro pastori per il maggior bene della
nazione e della Chiesa” (Manuel social, Introduzione alla II parte: Oeuvres sociales).
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16 marzo
Apostolo del S. Cuore:
Apostolato della stampa
Un altro campo d’apostolato, nel quale Leone Dehon fu innovativo, è quello della stampa.
A San Quintino vi erano già 6 giornali di diverse tendenze. Il giovane sacerdote Dehon avverte
la mancanza di un giornale cattolico; fonda perciò, nel novembre 1874, “Le Conservateur de
l’Aisne” per spingere al rinnovamento socio-religioso della città.
Aveva intuito, come mezzo moderno di promozione umana e di diffusione dell’annuncio
evangelico, l’importanza della stampa. Dirà più tardi: “Uno dei mezzi più attivi dell’apostolato è
la stampa. Vi si può applicare ciò che dice san Paolo della predicazione: “Annuncia la parola,
insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni
magnanimità e dottrina” (2Tm 4,2). È necessario mettervi uno zelo infaticabile”.
Legati direttamente all’apostolato sociale vi sono numerosi scritti; fra essi:
- Manuale sociale cristiano, pubblicato nel 1894 in 3.000 copie, ebbe cinque edizioni in Francia.
In questo volume il Dehon denuncia l’insufficienza dell’economia liberale e della soluzione
socialista; condanna i profitti esorbitanti del capitalismo; difende la dignità del lavoro umano.
Propone l’intervento simultaneo della chiesa e dello stato, degli operai e degli imprenditori:
ciascuno secondo le sue competenze. “Il Manuale divenne ben presto un classico per chi voleva
impegnarsi nell’azione sociale secondo le direttive papali” (Prélot).
- Catechismo sociale, pubblicato in febbraio 1898, in forma catechistica di domanda e risposta
riprende le tematiche del Manuale sociale per rendere accessibile a tutti la dottrina sociale
cristiana.
- Le Direttive pontificie politiche e sociali, pubblicate nel dicembre 1897, entrano nel vivo della
situazione politica e sociale francese, difendendo e proponendo l’invito di Leone XIII ad aderire
alla terza repubblica francese.
- Il Rinnovamento sociale cristiano pubblica le conferenze romane sulla questione sociale e
politica: cinque conferenze tenute nel gennaio-marzo 1897, tre nel 1898, una nel 1900.
Queste opere, tradotte in diverse lingue, sono state le prime opere cattoliche di divulgazione
della dottrina sociale della Chiesa. Di tutti i suoi scritti in campo sociale, p. Dehon dirà: “Con il
mio Manuale sociale e i miei libri.., non avevo io la missione di propagare fra il clero i principi e
le opere della vita sociale cristiana, come Albert de Mun e La Tour du Pin per le classi dirigenti e
aristocratiche, come Leon Harmel e Vrau per il mondo dell’industria?” (Gennaio 1918)
Vi sono poi le opere di spiritualità per la vita cristiana, centrati particolarmente sul S. Cuore e
sulle componenti della sua spiritualità. Fra le opere più conosciute e tradotte in altre lingue,
voglio citarvi: Il mese del S. Cuore di Gesù (1900), Il mese di Maria (1900), Vita d’amore verso
il S. Cuore (1901), Il Cuore sacerdotale di Gesù (1907), L’anno con il S. Cuore (1919).
Infine la rivista “Il Regno del S. Cuore di Gesù nelle anime e nella società” (25.1.1881), il cui
titolo stesso è espressivo del programma d’apostolato religioso e sociale cui p. Dehon si è
dedicato.
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17 marzo
Apostolo del S. Cuore:
Impegno politico
P. Dehon ha vissuto pienamente il suo tempo, inserito nel tessuto religioso, sociale e politico
della sua epoca, operando attivamente per una trasformazione di esso verso traguardi di
giustizia sociale e di democrazia politica. Mosso da zelo sacerdotale si è impegnato fortemente
nel sociale, per cui era consequenziale anche l’attenzione alla vita politica.
Egli ha vissuto la storia della Francia che va dall’imperatore Napoleone III (1852) alla fine della
Ia Guerra mondiale (1918): dall’impero e dalla monarchia al sorgere della 3a repubblica
francese (1870); dalla nobiltà e borghesia alla nascita dei partiti politici.
L’anticlericalismo repubblicano (1870-1914), oltre a combattere la chiesa, porta nella società
civile un senso di irreligiosità, di materialismo e di ateismo. “Una falsa tattica dei conservatori e
dei cattolici aumentò di molto la forza del partito antireligioso. I cattolici e i conservatori
restavano attaccati ai vecchi partiti politici, benché fosse evidente che non c’era alcuna seria
speranza per il ritorno della monarchia. Era mettere la chiesa in opposizione con le masse
popolari, che volevano la repubblica” (NHV XII, 105). Dalla lettura critica degli eventi, come poi
dagli interventi di Leone XIII, il Dehon, da conservatore e monarchico si convertirà alla
democrazia e alla repubblica.
Leone XIII, nonostante le resistenze del clero francese, tenterà il dialogo e la riconciliazione con
la repubblica francese. Il principio enucleato dal Papa è chiaro e lineare: La chiesa accetta i
governi legalmente costituiti, siano monarchici o repubblicani, e questo per collaborare al bene
comune; l’impegno dei cattolici è di collaborare alla formazione di leggi giuste e di lottare con
forme legale contro le leggi ingiuste.
P. Dehon non si impegna direttamente nell’attività politica, come faranno alcuni preti, ma
propugnerà, con gli scritti e le conferenze, le idee di Leone XIII, portando così il suo contributo
allo sviluppo delle idee democratiche nel clero francese.
P. Dehon parla di “democrazia cristiana” come governo del popolo, e non di una classe sociale,
per il bene del popolo; la cui politica deve ispirarsi ai principi cristiani della giustizia e della
carità; con il programma di realizzare la giustizia sociale. Osserva ironicamente: “I cattolici
conservatori vedono come mezzi di salvezza solo due virtù personali: la beneficenza cristiana da
parte del padrone e la rassegnazione cristiana da parte dell’operaio... al primo posto invece ci
deve essere il compimento della giustizia”.
Commemorando la morte di Leone XIII, nella sua rivista “Le Règne” nell’agosto del 1903, Leone
Dehon getta uno sguardo penetrante sul nostro secolo: “Questo secolo (XX) sarà democratico. I
popoli vogliono una grande libertà civile, politica e comunale. I lavoratori vogliono una parte
ragionevole del frutto delle loro fatiche. Ma questa democrazia o sarà cristiana o non sarà
democrazia. La natura umana è tutta impregnata di egoismo. Tutte le civiltà pagane hanno
visto i deboli oppressi dalla forza. Solo il Vangelo può far regnare la giustizia e la carità... Il
secolo XX farà dei tentativi disastrosi e ritornerà al Vangelo per non perire nell’anarchia”. Così
aveva scritto e fu una profezia per il nostro tempo!
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18 marzo
Apostolo del S. Cuore:
il Regno del Cuore di Gesù
Tutto l’apostolato di p. Dehon, e non solo quello sociale, è stato frutto del suo zelo sacerdotale:
zelo che richiede una forte carica d’amore per Dio e che spinge ad operare, sempre per la gloria
di Dio, a favore dei fratelli. E tutto questo ad imitazione del Cuore di Gesù: nel suo amore filiale
per il Padre e nel suo amore redentore per i peccatori. La virtù dello zelo fa sì che un uomo
fortemente contemplativo, come il p. Dehon, sia altrettanto grandemente impegnato
nell’apostolato: contemplativo in azione.
P. Dehon ha fatte sue le preferenze del Cuore di Gesù a favore dei poveri, dei diseredati ed
emarginati: “Sono stato mandato a evangelizzare i poveri!”, diceva Gesù nella sinagoga di
Cafarnao. E p. Dehon, a chi lo criticava per il suo impegno nel sociale, rispondeva: “In tutto
questo apostolato, non guardavo che a sollevare i piccoli e i semplici secondo lo spirito del
Vangelo” (NQ, feb. 1916). P. Dehon è spinto e animato da questa preferenza evangelica,
dettata dalla sua spiritualità di amore solidale con i peccatori e di oblazione riparatrice. Andare
verso i poveri, andare al popolo: era la sua ansia.
Ancora è dal Cuore di Gesù che p. Dehon deriva gli scopi e le finalità del suo impegno
apostolico: “Costruire il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nella società”: ecco l’obiettivo
che egli si è sempre prefissato. Costruire il “regno del Cuore di Gesù nelle anime”: significa
adoperarsi per suscitare, negli uomini, quella risposta d’amore per il Signore, da lui richiesta nel
manifestare il suo Cuore; ed è stato l’impegno a vivere e a far vivere la sua spiritualità.
Costruire “il regno del S. Cuore nella società” significa adoperarsi e lottare per “il regno della
giustizia, della carità, della misericordia, della pietà per i piccoli, per gli umili e per coloro che
soffrono”; ed è stato il suo impegno apostolico, anche sociale.
Nella Francia del secolo scorso il “regno sociale” del Cuore di Gesù mirava alla consacrazione
individuale e familiare, parrocchiale e diocesana, e della nazione stessa al Cuore di Gesù. P.
Dehon, impegnato a favore degli operai, oltrepassa tale concezione e fa consistere il “regno
sociale” nelle riforme a favore della classe operaia e del popolo. Analizzando le cause dei mali
sociali, egli ne scopre la causa più profonda nel rifiuto di Dio e del suo amore; per ovviare a tali
mali è necessario che “il culto del Cuore di Gesù, iniziato nella vita mistica delle anime, scenda e
penetri nella vita sociale dei popoli” (Le Règne, febbraio 1889).
“Sono stato condotto dalla Provvidenza a tracciare diversi solchi, ma due soprattutto lasceranno
una impronta profonda: l’azione sociale cristiana e la vita d’amore, di riparazione e
d’immolazione al S. Cuore di Gesù” (NQ, aprile 1910): ecco come p. Dehon sintetizzava nel suo
Diario l’azione da lui svolta per costruire il Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nella società.
Per questo egli potrà dire alla fine della sua vita: “L’ideale della mia vita.., un ideale grandioso:
conquistare il mondo a Gesù Cristo..., instaurare il regno del Sacro Cuore” (NQ, gennaio 1925).
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19 marzo
Festa di San Giuseppe
Il 19 marzo è una data cara a p. Dehon per un duplice motivo: è la festa di San Giuseppe,
scelto a patrono della Congregazione e a modello della sua vocazione; in questo giorno ricorre
ancora l’anniversario della morte di sua mamma, avvenuta il 19 marzo 1883. Da sua mamma
infatti aveva imparato a pregare e a coltivare la devozione al Cuore di Gesù, a Maria e a S.
Giuseppe. “Queste devozioni sono nate in me con l’uso della ragione. La bell’anima di mia
madre passava un po’ nella mia...” (NHV I, 6).
Nel Direttorio Spirituale egli ci tratteggia la figura di questo santo, visto come modello della sua
spiritualità: “S. Giuseppe è tutto per Gesù e per Maria. Egli si è dato tutto a loro; egli non vive
che per loro. Tutti e tre non formano che un cuor solo e un’anima sola.
Nel lavoro S. Giuseppe pensa continuamente a Gesù e a Maria, per essi lavora e quando Gesù è
adulto lavora con lui. Il suo riposo è vicino a loro, con loro. I suoi trattenimenti preferiti sono
con Gesù e Maria. E di che cosa ama parlare, se non della bontà di Dio e delle meraviglie della
sua misericordia?
Nella sua vita interiore egli riflette sui gesti e le parole di Gesù e di Maria, sui misteri
dell’Incarnazione e Redenzione. Di lui si può dire come di Maria: “conservava tutte queste cose
nel suo cuore”.
Come è grande il suo spirito di fede! Egli accoglie tutti i messaggi dell’angelo con devozione e
umiltà ed esegue con eroismo tutti gli ordini divini... Nulla gli pesa per corrispondere alla sua
missione. Nessun sacrificio lo scoraggia: va in Egitto e ne ritorna, è sempre pronto a tutto...
subisce l’esilio, la persecuzione, la povertà, ma soffre tutto con gioia per Gesù e per l’opera
della redenzione...
Egli è modello della vita di riparazione. È testimone delle umiliazioni del Salvatore nel presepio,
delle sue sofferenze in Egitto, della povertà a Nazaret. Dovunque con le sue sollecitudini ed il
suo amore cerca di riparare alle sofferenze imposte a Nostro Signore per i nostri peccati. Le
delicate cure prodigate a Gesù in Betlemme, in Egitto e a Nazaret sono tanti atti di riparazione.
È nostro dovere imitarlo in tutto ciò con la nostra unione a Gesù e a Maria, con la nostra
assiduità nel pensare a Gesù, con le delicate nostre premure per tutto quello che concerne il
servizio di Gesù...
S. Giuseppe è modello anche per il sacerdote... Nella Presentazione al Tempio fu per le mani di
Maria e di Giuseppe che Nostro Signore si offrì al suo Padre celeste come vittima di espiazione
per i peccati del mondo! In questo grande giorno S. Giuseppe offrì se stesso in unione al
sacrifico di Gesù e di Maria!
La missione di S. Giuseppe era una specie di sacerdozio e tutta la sua vita non fu che una vita
offerta a Dio” (DS, p. II, c. III).
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20 marzo
Fondatore:
Nascita degli “Oblati del Sacro Cuore di Gesù”
La Congregazione dei Sacerdoti del S. Cuore di Gesù nasce dallo zelo apostolico di Leone
Dehon, di vedere estesa e continuata la sua azione a favore dei poveri e delle classi diseredate;
ed ancora dal suo grande amore al Cuore di Gesù, che egli desidera sia ri-amato anche dagli
altri.
Giovane sacerdote a S. Quintino, egli vi trova l’ambiente adatto per realizzare il sogno
d’apostolato sociale a favore degli operai e dei poveri; vi trova l’ambiente adatto per maturare
quegli atteggiamenti spirituali di amore e riparazione verso il Cuore di Gesù, a cui si era iniziato
da seminarista.
P. Dehon, nei suoi Ricordi (14.03.1912), così racconta la fondazione dell’Istituto. “Avevo la
vocazione religiosa fin dalla mia adolescenza. Era la conclusione di tutti i miei ritiri; ma non
sapevo mai quale istituto preferire. Cercavo e attendevo. Tutta la mia attrattiva era per il Sacro
Cuore e la riparazione. Però nel 1877 non riuscivo più a resistere. Con lettere e viaggi cercai se
qualche Opera già iniziata potesse soddisfare la mia attrattiva per il S. Cuore e per la
riparazione. Sapevo che lo Spirito Santo suscitava un po’ dovunque la stessa attrattiva per la
riparazione eucaristica e sacerdotale”. E qui p. Dehon elenca sei Istituti, dedicati al S. Cuore,
che attiravano il suo interesse; ma... “non trovai niente di ben avviato e, d’altra parte, ero
troppo legato dalle mie opere (sociali) per poter partire.. Che fare?... Giunsi a domandarmi se la
Provvidenza non intendeva indurmi a cominciare io stesso qualche cosa”. Nel febbraio 1877
accompagna a Roma il suo vescovo, mons. Thibaudier, per la visita “ad limina”; ma anche col
segreto intento di scoprire qualche nuovo Istituto che rispondesse a questa sua vocazione. Al
ritorno in Francia, Leone Dehon passa per il Santuario di Loreto, dove celebra la Ss. Messa, e
qui - a suo dire- prende la decisione, forse per illuminazione del Verbo fatto carne in Maria
Vergine, di dare egli stesso vita a una nuova Opera. Infatti in una sua lettera, scritta alcuni anni
dopo (aprile 1894) a un confratello, attestava: “Noi siamo nati a Loreto nel 1877”. Ed infatti
rientrato a S. Quintino, egli rivela il suo progetto al Vescovo.
Ora qui c’è la felice coincidenza di due progetti: uno del Vescovo, che desiderava istituire un
Collegio liceale per la diocesi, da affidare a un piccolo Istituto religioso; l’altro progetto, quello di
Leone Dehon, di fondare un Istituto religioso consacrato al S. Cuore: per la riparazione e il suo
regno. Il Vescovo perciò autorizza Leone Dehon a fondare un nuovo Istituto all’ombra di un
Collegio: era l’8 giugno 1877, festa del S. Cuore. Nascono così gli “Oblati del S. Cuore di Gesù”
e il Collegio San Giovanni. L’anno successivo p. Dehon emette la sua professione religiosa nella
festa del S. Cuore: era il 28 giugno 1878. Sono le due date fatidiche dell’inizio e della nascita
degli Oblati del Sacro Cuore.
Si è scelto il titolo di “Oblati” perché esso esprime chiaramente la spiritualità d’oblazione
riparatrice e la disponibilità apostolica, che caratterizza questo Istituto.
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21 marzo
Fondatore:
il futuro dell’Opera
Quando nasce un bimbo, ci si chiede che cosa gli riserverà l’avvenire; anzi i genitori prospettano
già un futuro e si danno da fare per preparargli un avvenire in grande. Noi siamo a conoscenza
delle previsioni, che furono fatte circa il futuro degli Oblati del Sacro Cuore di Gesù.
Il Vescovo, mons. Thibaudier, pensava a un piccolo istituto diocesano, che potesse fornire
professori e direttori ai Collegi della diocesi e che si dedicasse all’educazione della gioventù.
“Un’istituzione simile egli l’aveva trovata già nella diocesi di Lione, quando era vescovo di quella
città; ed ora voleva realizzarla anche per la diocesi di Soissons”: ricorda p. Dehon (NHV, XIII,
164). La conferma di tale impostazione l’abbiamo quando il S. Ufficio, dopo aver soppresso gli
Oblati, permetterà al Vescovo di Soissons di raggruppare i membri disciolti in una
Congregazione esclusivamente diocesana e sotto la sua autorità e vigilanza.
Una visione opposta è quella di p. Taddeo Captier. Era entrato negli Oblati già da sacerdote e
dopo che era stato espulso dai Missionari del S. Cuore di Issoudun. Presumeva di avere visioni
angeliche e si atteggiava a “confondatore” degli Oblati. Sognava di realizzare l’ “Ordine del
Sacro Cuore”: un grande ordine che avrebbe dovuto assorbire tutti gli altri istituti similari,
maschili e femminili. L’Istituto degli Oblati, appena fondato, doveva divenire il grande Ordine
del S. Cuore.
I progetti di p. Dehon sono invece molto più realistici: meno fantasiosi di quelli di p. Captier, ma
non certo angusti come quelli di mons. Thibaudier. Egli fonda un Istituto religioso con
l’autorizzazione del Vescovo della diocesi, come è nella prassi ecclesiastica; ma subito ne avvia
lo sviluppo accogliendo membri di altre diocesi; aprendo un noviziato, fuori Francia, in Olanda.
Infatti la vocazione ricevuta da Dio e la missione alla quale era chiamato avevano una
dimensione universale. Lo spirito d’amore e di riparazione al Cuore di Gesù deve infiammare più
anime possibili; il regno del Cuore di Gesù deve estendersi in tutto il mondo. Quando nel
febbraio 1882 rivolge al Santo Padre la richiesta di ottenere una prima approvazione della sua
Opera: ciò significava per lui ottenere il pieno inserimento dell’Opera nella chiesa e il
riconoscimento da parte della Chiesta stessa della qualifica di Istituto dedito alla riparazione.
Il futuro dell’Opera, nelle intenzioni di p. Dehon, è affidato alla grazia di Dio più che alle
ambizioni o agli egoismi umani. È legato alla sua fedeltà al carisma ricevuto da Dio, per essere
lui il “padre” di questo bimbo. Il futuro dell’Opera è legato al fervore dei religiosi e alla loro
fedeltà alla vocazione. “Gli Oblati del Cuore di Gesù... non desidereranno di aumentare se non
unicamente per potere moltiplicare gli atti di ossequio e di riparazione al Cuore di Gesù”,
recitava il primissimo testo delle Costituzioni. E nelle spiegazione che ne dava ai Novizi, p.
Dehon diceva: “L’impegno a ricercare vocazioni potrebbe dipendere da motivi umani, come il
desiderio di essere in molti... E invece l’unica ragione per cui crescere di numero è quella di
poter avere un maggior numero di anime riparatrici” (Ai Novizi, 21 aprile 1881).
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22 marzo
Fondatore:
Morte e Resurrezione
Se le attività sociali e quelle di scrittore hanno date molte soddisfazioni al Dehon, la fondazione
della Congregazione è stata per lui occasione di molte prove e sofferenze: ci fu l’abbandono da
parte del clero e di molti altri amici, i disastri finanziari, una grave malattia personale,
incomprensioni da parte di alcuni primi discepoli... fino a giungere alla soppressione degli Oblati
del Cuore di Gesù (8 dicembre 1883), dovuta a calunnie e false informazioni presso la S. Sede.
Ciò fa parte del disegno di Dio. Le opere di Dio hanno bisogno del sacrificio totale; hanno
bisogno di essere sigillate dalla croce. È la testimonianza lasciataci da Gesù: solo accettando la
morte di croce egli è divenuto il salvatore degli uomini e il redentore dei peccatori. Per le Opere
di Dio questo evento si chiama la morte in croce: il “Consummatum est”“.
Anche a p. Dehon, Dio ha chiesto la morte dell’Opera appena fondata.
Una serie di circostanze sfavorevoli attirò l’attenzione del S. Ufficio sul nuovo istituto. Fondata
già l’opera degli Oblati del Sacro Cuore, p. Dehon si sentiva sostenuto dai “lumi d’orazione” di
una santa suora: suor Maria di s. Ignazio, che incoraggiava il padre a proseguire. P. Dehon li
considerava come delle “rivelazioni” da parte di Dio, quasi garanzia della volontà divina. Il
Sant’Ufficio condannò come errore quello di qualificarle come ‘rivelazioni’ e di fondare su di esse
un’opera nella Chiesa. Fra i primi membri degli Oblati fu accolto un sacerdote p. Captier,
neuropatico e megalomane. Egli pretendeva di venir considerato come il “co-fondatore”
dell’Opera. Aveva scritto delle Costituzioni e regole, che finirono al tribunale del S. Ufficio, quasi
fossero le Costituzioni degli Oblati del Cuore di Gesù. Dinanzi a tale documentazione, oltre a
lettere di calunnie contro p. Dehon, il S. Ufficio reagì sopprimendo gli “Oblati del s. Cuore di
Gesù”. P. Dehon riceve questo “decreto di morte nella bella festa dell’Immacolata”: era l’8
dicembre 1883.
Ecco come p. Dehon ha affrontato questa morte in croce: “Anno 1883-1884. È l’anno del
“Consummatum est”, l’anno terribile. Quali angosce! Quali lacerazioni! Avevo lasciato, infranto,
sacrificato tutto per fondare l’opera della riparazione al S. Cuore; tutto: la carriera nel mondo, il
successo, molti amici, le speranze e la pace della mia famiglia.. Dopo mesi d’ansiosa attesa,
arrivava il decreto di morte. Noi siamo rimasti nella tomba, non tre giorni, ma tre mesi, poi
venne una piccola resurrezione; ma durante tutto l’anno è rimasto come un eco la sentenza di
morte, che risuonava ogni giorno. C’era intorno a me lo spavento, lo scoraggiamento, la
delusione come per i discepoli di Emmaus. Io non saprei dire quanto ho sofferto in questo anno,
soprattutto durante l’inverno, prima dell’umile resurrezione del 26 marzo 1884. Certamente, mi
è stato necessario un sostegno soprannaturale perché io non mi scoraggiassi e morissi” (NHV,
VIII, 66).
Il sigillo della croce non si era fatto attendere: erano passati appena cinque anni dalla nascita
degli Oblati del Cuore di Gesù e... sopravvenne improvvisa la morte!
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23 marzo
Fondatore:
Opera di Dio
Il 29 marzo 1884 il S. Ufficio autorizza la ricostituzione dell’Opera, ma sotto un nome nuovo:
“Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù”. Il S. Ufficio riconobbe l’innocenza del padre dalle calunnie
rivoltegli; spiegava che la soppressione era dovuta alla pretesa di poggiare il nuovo istituto su
presunte rivelazioni.
“È la resurrezione!”: così p. Dehon qualifica il nuovo evento seguito al decreto di morte. Decreto
di morte che, nella sofferenza, aveva fatto intuire a p. Dehon che la sua era Opera di Dio,
rimanendo egli fedele al suo carisma e al suo progetto di fondazione.
L’intervento del S. Ufficio non fu un fatto isolato, ma l’ultimo di tutta una serie di prove e di
sofferenze, legate al sorgere dell’Opera. Prove e sofferenze che hanno dato a p. Dehon la
certezza che l’opera da lui fondata era veramente opera di Dio. “Sentivo di prendere la croce
sulle mie spalle, offrendomi a Nostro Signore come sacerdote riparatore e come fondatore di un
nuovo Istituto” (NHV, XIII, 100): così ci dice p. Dehon.
C’è un primo periodo di prove, 1877-1880, legato alla fondazione dell’Istituto:
- lo stato di salute cagionevole del Padre, che aveva sbocchi di sangue e frequenti emorragie;
- la scarsa disponibilità finanziaria per aprire un Collegio liceale e l’apertura di case per l’Istituto;
- i decreti governativi d’espulsione delle Congregazioni religiose;
- la morte di 4 giovani suore, offertesi vittime per la salute del p. Dehon, con relativo scandalo
giornalistico per coinvolgervi la reputazione del Dehon.
- difficoltà interne nella nascente comunità da parte di alcuni discepoli.
Un secondo periodo di prove (1881-1884) succede immediatamente a questo:
- l’incendio del Collegio S. Giovanni (29.12.1881);
- la morte di suo papà, mentre sua mamma era stata colpita da paralisi;
- calunnie da parte di un padre e difficoltà provenienti da p. Captier
- la morte di sua mamma (19.3.1883)
- infine la soppressione dell’Opera da parte del S. Ufficio.
Al termine della sua vita, rievocando gli inizi dell’Opera, p. Dehon potrà constatare: “Durante
sette anni, dal 1877 al 1884, Nostro Signore ha scavato, scavato, scavato. Non ha lasciato
sopravvivere nulla degli strumenti naturali: salute, economia, famiglia, ecc.. Ha operato sul
vivo... Su fondamenta così profondamente scavate, N. S. ha potuto costruire” (NQ, maggio
1924)
La certezza che p. Dehon matura da tutte queste prove è che il Signore stesso ha voluto questa
Congregazione. “Mi chiamano fondatore della Congregazione, mentre non lo sono. Solo Nostro
Signore è il Fondatore. Quanto a me, non ho fatto che mettergli bastoni fra le ruote e quanti!
N.S. ha fatto la sua opera..., usando uno strumento senza valore, come Sansone riportò vittoria
usando una mascella d’asino. Così, quelli che verranno dopo, vedranno bene che non è opera
affatto umana, ma opera tutta soprannaturale!” (NQ giugno 1915)
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24 marzo
Battesimo di P. Dehon
“Sono stato battezzato il 24 marzo nella povera chiesa di La Capelle dal degno e venerabile Mr
Hécart, che sarebbe stato ancora parroco per dodici anni e che mi preparò alla mia prima
comunione.
Il 24 marzo era la festa di un fanciullo martire, S. Simeone. Ma erano soprattutto i primi vespri
della festa dell’Annunciazione. Sono stato più tardi felice di unire il ricordo del mio battesimo a
quello dell’Ecce venio di nostro Signore. Ho attinto una grande fiducia da questo accostamento.
L’Ecce venio del Cuore di Gesù ha protetto e benedetto il mio ingresso nella vita cristiana.
Nostro Signore non sarà certo dispiaciuto, se vedo in questa circostanza un’attenzione
particolare della sua provvidenza in vista della mia attuale vocazione di sacerdote-ostia del
Cuore di Gesù.
Ho sempre avuto un culto per il ricordo del mio battesimo. In Collegio amavo rinnovare le
promesse battesimali. A Roma... amavo rinnovare in me le grazie del mio battesimo. Nelle
vacanze facevo un pio pellegrinaggio al fonte sacro del mio battesimo ed ebbi una stretta al
cuore quando il vecchio fonte fu incorporato in un altare poi sparito.
Mi furono dati i nomi di Leone Gustavo. Ho sempre amato i miei santi patroni e ancora oggi,
dopo trent’anni, li invoco ogni giorno.
Ho scelto per patrono San Leone Magno, che credo sia il più grande fra i santi di questo nome,
e S. Agostino, perché il nome di Gustavo non è di un santo o deriva da quello di Agostino.
Come sono felice d’avere così nobili e così grandi patroni, due fra i più grandi dottori della
Chiesa! Spero che essi mi accoglieranno più tardi come un amico, anch’io ho tante volte
testimoniato loro amicizia e fiducia. Credo d’aver ricevuto da loro tante grazie. Ho letto la loro
vita con gioia e con profonda edificazione... Di San Leone amo soprattutto la sua grande
dottrina teologica, il bel stile, la sua dolcezza e dignità; di S. Agostino amo soprattutto la sua
penitenza e le sue lacrime, di cui vorrei appropriarmene, il suo grande cuore e il suo amore
ardente per Nostro Signore....
Mia madre amava il nome di Leone. Ella me lo aveva dato in ricordo di un angioletto, mio
fratello primogenito, morto all’età di quattro anni alcuni mesi prima della mia nascita. Questo
angioletto era molto amato; era incantevole per precocità, intelligenza e bontà. Mia madre mi
conduceva spesso sulla sua piccola tomba di marmo al vecchio cimitero. Non ho mai visto mia
madre parlare di lui senza che ella piangesse. Ho sempre ricordato anche questo angioletto
come un mio patrono e spesso l’ho invocato.
Mia madre amava ancora il nome di Leone a motivo del santo papa Leone XII, il pontefice della
sua fanciullezza. Ella ha conservato per tutta la vita un rosario da lui benedetto e che le era
stato dato in Collegio” (NHV I, 1-3)
Ecco il ricordo che p. Dehon ci lascia del suo battesimo e la devozione che aveva verso i suoi
santi protettori.
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25 marzo
Festa dell’Annunciazione
“La festa dell’Annunciazione deve essere molto importante per noi. Essa è infatti la festa
dell’oblazione: dell’Ecce venio di Gesù, dell’Ecce ancilla di Maria, del Servus tuus sum ego di S.
Giuseppe; in quel giorno il cuore di Gesù prese forma e l’unione di Maria con lui divenne più
intima” (Ai novizi, 21.3.1881)
P. Dehon utilizza tre tipiche espressioni, quasi tre slogans, per indicare la sua spiritualità
d’oblazione riparatrice: “Ecco vengo” di Gesù, “Ecco la serva del Signore” di Maria, “Servo tuo”
di San Giuseppe. Questa spiritualità trova la sua sorgente nel giorno dell’Annuncio dell’angelo a
Maria. In quel giorno il Verbo si è incarnato ed entrando in questo mondo egli manifestò al
Padre la sua pronta obbedienza: “Ecco vengo o Dio per fare la tua volontà!”. In quello stesso
giorno Maria dichiarò la sua disponibilità ad accogliere la volontà di Dio nella sua vita: “Ecco
sono la serva del Signore, sia fatto in me secondo la tua parola!”; e da quel momento Maria
legò la sua esistenza a quella del Figlio redentore. Anche per San Giuseppe quel giorno costituì
una svolta nella sua esistenza e accettò di entrare e collaborare al disegno di salvezza voluto da
Dio, pronunciando anche lui “Ecco sono il tuo servo!”.
“Gesù è tutto in quell’Ecco io vengo, con tutto il suo cuore, con tutto il suo amore, con tutti i
suoi meriti”. “È un atto d’amore perfetto per mezzo del quale Gesù consacra la propria vita a
Colui da cui la riceve. È un atto di riparazione, di carità verso gli uomini”. “Ecco io vengo: indica
il dono di se stesso, per cui in queste parole “Ecco io vengo, Ecco sono la serva del Signore” è
compendiata tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere, le nostre promesse. In
tutte le circostanze, in tutti gli avvenimenti, presenti e futuri, l’Ecco io vengo basta, purché,
mentre si trova sulle labbra, sia anche nella mente e nel cuore” (DS, p. I, §1).
“Ecco io vengo, è la regola di vita di Gesù; Ecco la serva del Signore, è la regola di vita di Maria.
In queste parole è contenuta tutta la vocazione della anime consacrate al S. Cuore, il loro
scopo, i loro doveri, le loro promesse” (Année avec le S. Coeur, I, pg. 33).
“Ecco la serva del Signore” riassume la vita di Maria, come l’Ecco vengo riassume la vita di
Gesù. Queste parole di Maria furono come la formula della sua professione e del suo voto di
vittima, e solo dopo queste parole il Verbo si è fatto carne”. “Ecco la serva del Signore era sulle
sue labbra, ma più nel suo cuore. Con il suo ‘Ecco la serva’ Maria accettò di essere la madre del
Redentore, agli inizi dell’esistenza umana del Verbo; come pure accettò di essere madre della
Chiesa, al termine dell’esistenza terrena di Gesù” (DS, p.II, c.II).
“Ecco vengo, Ecco la serva”: sono il filo conduttore della vita e degli atteggiamenti interiori di
Gesù e di Maria; riassumono una vita tutta offerta a Dio per realizzare e collaborare al disegno
di salvezza che Dio ha predisposto per l’uomo; disegno di salvezza che inizia ad essere
operativo proprio in questo giorno dell’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine: giorno caro a
p. Dehon.
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26 marzo
Fondatore:
lo sviluppo dell’Opera
Si è fondatore di un Istituto religioso per dono divino, non per scelta personale. Quando uno
percepisce d’aver ricevuto da Dio una tale vocazione, allora è dovere del chiamato
corrispondervi in fedeltà, mettendo in opera quanto si richiede per fondare una nuova
Congregazione nella Chiesa.
In che modo Leone Dehon ha corrisposto a questo suo carisma di fondatore?
A differenza di altri fondatori, che hanno dato vita al loro Ordine religioso assieme ad altri
compagni, Leone Dehon, non trovando un Istituto rispondente alla sua spiritualità, decise di
fondarne uno nuovo, anche se era solo ad iniziare. Cominciò una specie di noviziato per se
stesso, scrivendo le prime Costituzioni. In esse esprimeva la sua esperienza spirituale, la sua
spiritualità da far vivere a chi si sarebbe aggregato e stabiliva le regole disciplinari e le usanze,
secondo il modo di vivere degli Istituti del tempo. Dopo l’anno di noviziato, il 28 giugno 1878
emette la prima professione religiosa nelle mani del delegato del Vescovo: è solo ed è il primo
Sacerdote del S. Cuore. Solo qualche mese dopo, in agosto, giungono l’abbé Rasset e due
fratelli coadiutori; apre così, a settembre, la casa del noviziato “S. Cuore” a San Quintino, e fa
da padre maestro ai primi tre membri. Nel 1879 giungono altri tre membri, di cui cinque
sacerdoti; nel 1880 si aggiungono 11 membri.
Nel 1882 apre la prima scuola apostolica a Fayet (Francia) per il reclutamento delle vocazioni
fra gli adolescenti; apre una scuola apostolica e noviziato, con 17 novizi, a Watersleyde-Sittard
in Olanda. Il reclutamento dei membri viene così programmato con il sistema delle Scuole
Apostoliche, inizialmente a carattere internazionale. Infatti i primi religiosi tedeschi furono
alunni delle Scuole apostoliche dell’Olanda e del Belgio; mentre i primi membri italiani furono
alunni della Scuola Apostolica Fayet di Francia. Successivamente apre Scuole Apostoliche in
altre nazioni per avviare lo sviluppo della Congregazione in quei paesi.
Oltre alla capacità organizzativa di p. Dehon, si deve tenere conto che il suo carisma rispondeva
pienamente alle richieste spirituali del tempo: spiritualità “d’amore e di riparazione”. Si tenga
ancora conto della personalità di Leone Dehon: uomo eccezionale per la sua intelligenza e la
sua vita interiore, la sua capacità di lettura dei segni dei tempi e la risposta apostolica
adeguata.
Fondata da solo l’Opera, a dieci anni dagli inizi, nel maggio 1888, conta 60 religiosi, di cui 25
sacerdoti, provenienti da 25 diocesi; vi erano 7 case situate in Francia, Olanda. Dopo vent’anni,
nel 1897, conta 172 membri con 15 case in Francia, Olanda, Belgio, Lussemburgo, Italia,
Brasile, Congo Belga. Alla morte di p. Dehon, 12 agosto 1925, la Congregazione conta 772
religiosi ed è presente, oltre alle nazioni già dette, anche in Finlandia, Canada, Camerun,
Germania, Austria, Spagna, USA, Sudafrica, Indonesia.
Se il seme non muore non può produrre molto frutto, altrimenti rimane da solo. Lo sviluppo
dell’Opera si deve certo alle capacità organizzative di p. Dehon e alla sua intraprendenza
apostolica, ma soprattutto al fervore iniziale dei suoi membri e alla morte e resurrezione
dell’Opera stessa, che ha impresso il sigillo della croce a p. Dehon e ai Sacerdoti del S. Cuore.
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27 marzo
Fondatore:
Slancio Missionario
Oltre all’apostolato sociale, le missioni costituiscono la seconda caratteristica apostolica dei
Sacerdoti del S. Cuore.
L’apostolato missionario rientra nelle finalità dell’Opera già dagli inizi della fondazione.
“Attingendo dal Cuore di Gesù lo spirito di sacrificio, saremmo felici di essere presenti nelle
missioni”: così scrive p. Dehon nella lettera del 1882 al Santo Padre. Un tale apostolato
risponde alle esigenze della sua spiritualità di oblazione riparatrice. “È evidente che il Sacro
Cuore di Gesù sarà meglio onorato, se lo zelo per la sua gloria si esercita in condizioni difficili,
come nelle lontane missioni. Si compie allora un atto di abnegazione ed è una grande prova
d’amore verso nostro Signore” (Lett. circ., 162). L’apostolato missionario prende talmente
sviluppo e importanza nella Congregazione da venire indicato come finalità caratteristica dei
Sacerdoti del S. Cuore. “Mi restano pochi anni da vivere, scrive nel suo Diario nel 1909, voglio
fissare in modo più preciso il fine della nostra cara opera, perché non si allontanino dopo di me.
Questo fine è duplice: l’apostolato dell’adorazione riparatrice e l’apostolato delle missioni. Il
primo si soddisfa nelle nostre cappelle mediante l’adorazione al Ss. Sacramento... Per
adempiere al secondo fine, siamo missionari in Europa, ma andiamo volentieri anche nelle
missioni lontane, per quanto ardue o pericolose possano essere” (NQ, nov. 1909).
A dieci anni dalla fondazione dell’Istituto, p. Dehon può già aprire la prima missione nell’Ecuador
(1888-1896) con il p. Gabriele Grison e un altro padre. Nel lasciarli partire, p. Dehon si prostrò a
baciare i loro piedi, ricordando il testo di Isaia e di Paolo: “Quanti sono belli i piedi di coloro che
recano un lieto annuncio di bene” (Rm 10, 15).
Sempre con a capo p. Grison apre la missione del Congo Belga (1897), l’attuale Zaire, dando
inizio alla prima evangelizzazione di quella terra dove ancora i dehoniani vi operano. Agli inizi
molti missionari si ammalarono o morirono, a causa del clima micidiale. Nel 1960 nella rivolta
dei Simba, i dehoniani hanno avuto 29 missionari martiri: fra essi il vescovo dehoniano Mons.
Wittebols e l’italiano p. Bernardo Longo.
Nel 1907 aprì la missione della Finlandia per impiantarvi la Chiesa cattolica. Nel 1912 apre una
missione nel Cameroun, dapprima inviandovi padri tedeschi e poi, nel luglio 1920, padri di
lingua francese. Oggi nel Cameroun vi è una Provincia religiosa dehoniana anche con religiosi
camerunesi.
Nel 1923 p. Dehon apre le missioni di Sumatra in Indonesia e nel Sud-Africa. In Indonesia vi è
una fiorente Provincia religiosa dehoniana.
Al termine della sua vita, facendo un bilancio della sua lunga esistenza, parte proprio dalla sua
vocazione missionaria: “L’ideale della mia vita, il voto che formulavo con lacrime nella mia
giovinezza, era di essere missionario e martire. Mi sembra che questo voto si sia adempiuto.
Missionario lo sono con i cento e più missionari che ho in tutte le parti del mondo. Martire lo
sono per le conseguenze che Nostro Signore ha dato al mio voto di vittima, soprattutto dal 1878
al 1884, per gli spogliamenti e annientamenti fino al Consummatum est” (NQ, gennaio 1925).
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28 marzo
Fondatore:
i Dehoniani in Italia
La presenza dei dehoniani in Italia risale allo stesso p. Dehon. Egli amava Roma e la
considerava come la sua seconda patria: vi aveva compiuti gli studi ecclesiastici da seminarista
e desiderava che anche i suoi chierici si specializzassero nelle Università romane. Per questo nel
1891 aprì a Roma una casa in via Giulia: sede per gli studenti e per la Procura generale della
Congregazione. Negli ultimi anni di vita volle edificare a Roma un tempio votivo al Sacro Cuore
di Gesù, il Tempio di Cristo Re in viale Mazzini; e per finanziarne la costruzione (1920), p.
Dehon non disdegnò di chiedere l’elemosina.
Ma p. Dehon desiderava che la sua Opera si sviluppasse anche in Italia. Per realizzare tale
progetto egli ricercò dei ragazzi, aspiranti al sacerdozio, inviandoli alla scuola apostolica di Fayet
in Francia o a quella di Brugelette in Belgio. Fra questi, divenuti sacerdoti, ricordiamo per primo
p. Ottavio Gasparri di Vibo Valentia e poi p. Vincenzo Santulli di Monteforte Irpino.
Successivamente volle fondare una scuola apostolica in Italia, facendo ricerche nel Lazio e in
Liguria; scelse poi Bergamo, quando vi fu nominato vescovo mons. Radini-Tedeschi, suo
vecchio amico. Ad accoglierlo alla stazione vi era il segretario del Vescovo don Roncalli, il futuro
papa Giovanni, e fu questi ad accompagnarlo alla ricerca di una località adatta. La scuola
apostolica fu così aperta ad Albino il 1907.
Anche a Bologna vi era un grande amico di p. Dehon, mons. Giacomo Della Chiesa, poi papa
Benedetto XV; da lui p. Dehon ebbe la chiesa “Madonna dei poveri” in via Nosadella, con
annessa sede per i nostri chierici di filosofia e teologia.
In vista dell’erezione a Provincia religiosa autonoma, era necessario avere un noviziato con dei
novizi. P. Gasparri si assunse l’impegno e in breve tempo aprì (24.08.1919) il Noviziato del S.
Cuore ad Albisola Superiore presso il Santuario Madonna della Pace; vi erano 8 novizi.
Il 2 dicembre 1920 la S. Sede erigeva la Provincia Italiana dei Sacerdoti del S. Cuore. Contava
12 sacerdoti, di cui 5 italiani, e 8 scolastici.
Il piccolo seme ebbe tale sviluppo che il 1 maggio 1960 dava origine alle due Province Italiane:
la Provincia Settentrionale e la Provincia del Centro-sud d’Italia. Il 2 dicembre 1995 le due
Province hanno celebrato il 75mo della nascita della Provincia Italiana.
Le attività dei dehoniani in Italia sono varie e molto conosciute per farne qui un elenco. Voglio
solo ricordare l’azione della Provincia Italiana nello sviluppo stesso della Congregazione nel
mondo. Ai dehoniani italiani si deve la nascita della Provincia Portoghese (1966) e della
Provincia Argentina-Uruguay (1988); le missioni del Mozambico e del Madagascar; oltre ad una
presenza significativa di dehoniani italiani nello Zaire e nel Cameroun. In tempi recentissimi,
alcuni dehoniani italiani, assieme ad altri confratelli esteri, sono nelle Filippine e in Lituania; due
padri italiani operano in Albania. Segno che il carisma di p. Dehon continua ancora a portare
frutto.
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29 marzo
La Famiglia Dehoniana:
l’Associazione Riparatrice
P. Dehon era conscio che il carisma ricevuto da Dio era per l’edificazione della chiesa; che la
spiritualità, alla quale lo Spirito l’avevo condotto, era da condividere con altri: non solo con i
religiosi suoi discepoli, ma anche con i laici e i sacerdoti diocesani.
Forte di queste convinzioni, dopo aver fondato gli Oblati del S. Cuore, p. Dehon fonda anche
l’”Associazione riparatrice del s. Cuore di Gesù”, per aggregare alla sua Opera sacerdoti
diocesani e laici, che condividessero il suo stesso carisma. In data 8.02.1889 mons. Thibaudier
emana il decreto di erezione canonica come associazione diocesana. L’aggregazione avveniva
secondo le modalità liturgiche del tempo: si dava all’aggregato un secondo nome di religione;
essi ricevevano la croce ornata del s. Cuore, come quella che portavano i religiosi;
pronunciavano l’atto di oblazione di se stessi al Cuore di Gesù in unione all’Opera degli Oblati.
P. Dehon ci tramanda l’elenco dei primi aggregati: una trentina di persone, di cui il primo nome
è l’arciprete Mathieu della Basilica di S. Quintino, l’ultimo quello di sua mamma, Stefania Dehon.
Di questi associati dice: “Parecchie di queste persone hanno visto la loro oblazione veramente
accettata e la loro immolazione realizzarsi attraverso croci della Provvidenza. Parecchie erano
considerate tra le persone più edificanti della città” (NHV VII, 219).
In diversi atti ufficiali rivolti alla S. Sede p. Dehon, oltre alla Congregazione, ricorda anche
l’Associazione Riparatrice. In varie circostanze ottiene dalla S. Sede indulgenze e privilegi
spirituali per gli Associati e gli Aggregati. Nella Lettera circolare del 1919, notificando le
decisioni dell’8° Capitolo generale, ricorda pure: “Sviluppiamo la nostra Associazione Riparatrice.
Ricerchiamo degli Associati e degli Aggregati, che lavorino con noi per il Regno del Sacro
Cuore”.
Il 14 marzo 1923 p. Dehon ottiene dalla S. Sede l’erezione canonica dell’associazione “Adveniat
Regnum tuum” in sostituzione della “Associazione riparatrice”. L’Associazione Riparatrice, in
quanto a carattere diocesano, dipendeva direttamente dal Vescovo di Soissons, che poi
nominava p. Dehon a Direttore, come avrebbe potuto nominare anche un sacerdote estraneo
all’Istituto. Invece con questo riconoscimento giuridico, la S. Sede lega la nuova Associazione
direttamente alla Congregazione, così che essa poteva stabilirsi in una diocesi senza bisogno di
ulteriori Decreti del Vescovo del luogo.
L’Associazione “Adveniat Regnum tuum”, consolidata e legata strettamente alla Congregazione,
ha avuto un grande sviluppo nelle Province dell’Europa fino a dopo la seconda guerra mondiale.
La crisi verificatasi nel dopoguerra circa le forme tradizionali della devozione al S. Cuore, come il
rinnovamento ecclesiale promosso dal Concilio Vaticano II, hanno contribuito a riscoprire ora
nuove modalità di partecipazione alla Famiglia Dehoniana.
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30 marzo
Famiglia Dehoniana oggi
A base del rinnovamento conciliare c’è la riscoperta della Chiesa come comunione di vocazioni
nella complementarietà dei doni e dei ministeri. Nessuna vocazione può pretendere di esaurire il
mistero insondabile di Cristo; nessun membro del popolo di Dio riassume in se la totalità dei
carismi e dei ministeri.
Nel rinnovamento della vita religiosa si ha poi la riscoperta che il carisma del proprio Fondatore
è dono per tutta la Chiesa: spiritualità e missione dehoniana sono quindi per la crescita di tutto
il corpo, che è la chiesa.
Si constata ancora un fatto: i laici si stanno accostando alla spiritualità e missione degli Istituti
religiosi, trovando in esse nutrimento e modalità per vivere la propria consacrazione
battesimale. Come pure alcuni religiosi più sensibili promuovono l’adesione dei laici al carisma
del proprio istituto.
Tutto ciò sta avvenendo anche con i Sacerdoti del Sacro Cuore, con noi Dehoniani in Italia e
all’estero... C’è una varietà di gruppi con svariata denominazione e con differente partecipazione
al carisma, che si rifà a p. Dehon: o semplicemente in quanto ex-alunni dei nostri seminari e
collegi o perché partecipi della spiritualità e della missione dehoniana. Sta così nascendo la
Famiglia Dehoniana, man mano che si realizza la comunione di vocazioni attorno al carisma di
p. Dehon. La Famiglia Dehoniana esprime questa aggregazione delle varie componenti ecclesiali
intorno al “progetto dehoniano”
Per appartenere alla Famiglia Dehoniana, non è sufficiente fregiarsi di una scritta o dell’etichetta
“dehoniana” o di portare in vista sul giaccone la “croce dehoniana”. L’appartenenza alla Famiglia
Dehoniana richiede che si realizzino e si verifichino insieme alcune condizioni:
1. Si deve riconoscere p. Dehon come il “padre spirituale” della propria vita nella chiesa. Vivere
quindi la spiritualità dehoniana, con riferimento esplicito all’esperienza di p. Dehon; partecipare
alla missione di p. Dehon, per “fare di Cristo il cuore del mondo”. Da qui l’esigenza di un iter
formativo per essere iniziati e guidati in questo cammino spirituale.
2. Incarnare il carisma (spiritualità e missione) di p. Dehon nello stato di vita nel quale siamo
chiamati: laicale, sacerdotale o religioso. Solo attraverso questa incarnazione nel proprio stato
di vita, ad esempio nella vita laicale, il carisma di p. Dehon si estende qualitativamente nella
Chiesa: e cioè come spiritualità dehoniana laicale.
3. Riconoscere nei “religiosi dehoniani”, ed essere da questi riconosciuti, come “fratelli” della
stessa Famiglia Dehoniana. Infatti, i Sacerdoti del S. Cuore, in quanto prima realizzazione
storica del carisma di p. Dehon, sono portatori e garanti del carisma dehoniano nei confronti
delle altre componenti la Famiglia dehoniana. Si richiede quindi un riferimento a una comunità
religiosa dehoniana o alla Provincia religiosa, con la quale si abbia un certo legame: o di
preghiera o di sostegno o anche di collaborazione nella missione.
E “da (tutti) i suoi figli Padre Dehon si aspetta che siano profeti dell’amore e servitori della
riconciliazione degli uomini e del mondo in Cristo” (RV, 7)
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31 marzo
Testamento di P. Dehon
Ultimo giorno di marzo, chiudiamo questi ricordi quotidiani, narrando la morte di p. Dehon e il
testamento che ci ha lasciato.
Iniziando l’anno 1925, così scrive al primo gennaio nei quaderni del suo Diario: “È l’ultimo
quaderno e forse l’ultimo anno.. Fiat!.. La mia carriera si compie. È il crepuscolo della mia
esistenza...” (NQ XLV, gennaio 1925).
Con questi presentimenti di attesa, p. Dehon vive l’ultimo anno della sua esistenza terrena. Nel
luglio del 1925 si diffonde a Bruxelles un’epidemia di gastroenterite che colpisce molti confratelli
della comunità. P. Dehon li visita tutti fin quando anche lui, il 4 agosto, non cade malato.
All’inizio regge bene la malattia, ma ben presto si aggrava. “Soffro dal mattino alla sera e dalla
sera al mattino” dice a chi lo assiste; e della notte dice: “Ho fatto le quattordici stazioni della via
crucis”. Chi lo assiste è testimone che “la notte diventava una comunione spirituale” in attesa di
ricevere l’Eucaristia al mattino: “Gesù è tutto, è l’amico. Portatemi dunque il mio Gesù”
chiedeva. Aveva fatto mettere accanto al letto una cartolina che riproduceva S. Giovanni che
poggia il capo sul petto di Gesù. Additando questa immagine, diceva ai suoi visitatori: “Ecco il
mio tutto, la mia vita, la mia morte, la mia eternità”. L’11 agosto riceve l’unzione degli infermi e,
prima di ricevere il viatico, rinnova i suoi voti religiosi di “povertà, castità e obbedienza”,
aggiungendo quello di “immolazione”. Chiama per nome tutti i confratelli che lo circondano;
ricorda le persone care e tutti i suoi figli lontani: “Dite loro che penso a tutti in questo
momento”. Ringrazia i presenti per l’assistenza fattagli nella malattia, chiede perdono a Dio e
agli uomini delle sue colpe; infine impartisce la sua benedizione paterna ai presenti e a tutti i
suoi religiosi sparsi nel mondo. Il 12 agosto verso mezzogiorno entra in agonia e indicando
l’immagine del Cuore di Gesù dice “Per lui vivo, per lui muoio”: sono le sue ultime parole; alle
12.10 egli riposa per l’eternità nel Cuore di Gesù.
Dopo la morte di p. Dehon fu trovato fra le sue carte un plico con la scritta: “Patto d’amore”;
all’interno un documento, scritto di suo pugno: “Gesù mio, dinanzi a te e al Padre tuo celeste,
alla presenza di Maria immacolata, mia madre, di san Giuseppe, mio protettore, faccio voto di
consacrarmi per puro amore al tuo sacro Cuore, di dedicare la mia vita e le mie forze all’opera
degli Oblati del tuo Cuore, accettando fin d’ora tutte le prove e tutti i sacrifici che ti piacerà
domandarmi...”. È il patto d’amore stipulato da p. Dehon col Sacro Cuore già dai primi tempi
della sua vita religiosa; un patto segreto custodito gelosamente nel suo cuore.
Anni prima, nel 1914 durante i tristi giorni della guerra, aveva scritto per i suoi figli il suo
Testamento spirituale. Ecco l’eredità che ci ha lasciato: “Vi lascio il tesoro più meraviglioso: il
Cuore di Gesù!
È di tutti, ma ha tenerezze particolari per i sacerdoti che si sono consacrati a Lui, e che si
dedicano interamente al suo culto, al suo amore e alla riparazione che Egli ha chiesto. Devono
però essere fedeli a questa bella vocazione...
Offro ancora e consacro la mia vita e la mia morte al S. Cuore di Gesù, per suo amore e
secondo le sue intenzioni. Tutto per amor tuo o Cuore di Gesù!”
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P. Umberto Chiarello, SCJ MARZO CON PADRE DEHON