CHIESA DI MILANO VIA F. ARMATE 338 incontri amo la Parola SOLO LA VERITA’ CI RENDE LIBERI Partecipiamo attivamente al culto cristiano evangelico Consigli per vincere, parte settima ……………………………………………..……………………...….. “…offriamo a Dio un culto gradito, con riverenza e timore!” (Ebrei 12:28) ………………………………………………………………………………………………………… Facciamo un altro passo avanti con i consigli della Parola di Dio per vincere nella vita cristiana. L’argomento ci riguarda tutti, ogni settimana… Il significato di culto in altre realtà cristiane Letteralmente “culto” è quel tributo d’onore e di venerazione che si rende a Dio, con atti di adorazione e con preghiere. Il rito della Chiesa Cattolica, della Chiesa Ortodossa, delle Comunità Anglicane di tradizione anglo-cattolica e di alcune Comunità Luterane in cui si celebra l’Eucaristia, si chiama “Celebrazione Eucaristica” o “Santa Messa”. Il termine “messa”, deriva dalla parola latina “missa” che viene pronunciata dal sacerdote nel rito in latino, quando congeda i fedeli dicendo: “Ite missa est”. Tradotta letteralmente significa “Andate, [l’offerta] è stata mandata” e si può riferire all’offerta sacrificale inviata a Dio oppure all’eucaristia inviata ai malati e agli assenti, secondo l’uso della Chiesa antica. Altri interpretano: “Andate, [l’assemblea] è stata congedata”. Secondo le Chiese sopra citate, l’Eucaristia è l’azione sacrificale durante la quale il sacerdote offre il pane e il vino a Dio, che, per opera dello Spirito Santo, diventerebbero realmente il corpo e il sangue di Cristo, lo stesso corpo e lo stesso sangue offerti da Gesù sulla croce. L’altare è la croce sul quale in ogni messa si avvera lo stesso e identico sacrificio (in questo caso incruento) della stessa vittima: l’agnello pasquale, cioè Gesù. Con la distribuzione della Comunione, in cui sarebbero presenti il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Gesù (transustanziazione), i fedeli entrano in comunione con Dio e pregustano i suoi beni, chiedono espiazione dei propri peccati, implorano la benedizione di Dio e chiedono il suffragio per le anime dei defunti. I cristiani Protestanti ed Evangelici, che – secondo l’insegnamento della Parola di Dio – non credono che la messa sia il rendersi presente del sacrificio della croce, e non credono nella transustanziazione, usano chiamarla col nome di “Santa Cena” o “Cena del Signore”. Riassumendo, la messa rappresenta il rinnovamento quotidiano del sacrificio della croce. La Bibbia sostiene invece che “… Cristo non è entrato in un luogo santissimo fatto da mano d’uomo… ma nel cielo… non per offrire se stesso più volte, come il sommo sacerdote… In questo caso, egli avrebbe dovuto soffrire più volte dalla creazione del mondo; ma ora, una volta sola, alla fine dei secoli, è stato manifestato per annullare il peccato con il suo sacrificio” (Ebrei 9:24-26). Il significato di culto nella realtà Cristiana Evangelica Biblicamente il vero culto è cristiano perché si basa su Cristo, ed evangelico in quanto segue fedelmente l’insegnamento dei Vangeli. Può essere definito un tributo offerto a Dio (un sacrificio vivente di persone santificate) (1 Pietro 2:9), mosso dalla riconoscenza per l’opera compiuta da Cristo (Ebrei 12:28), reso per mezzo dello Spirito Santo, anche con tutto il corpo di ogni credente (Romani 12:1), con riverenza e timore, perché Dio, che è anche un “fuoco consumante”, lo possa accettare (Ebrei 12:29). Inoltre, nell’occuparsi del culto cristiano, svolto pubblicamente da un gruppo di fedeli che costituiscono la Chiesa locale, è bene ricordare qual era l’atteggiamento di unità dei credenti dei tempi apostolici: “Ed erano perseveranti nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nella comunione fraterna, nel rompere il pane e nelle preghiere…. E ogni giorno andavano assidui e concordi al tempio, rompevano il pane nelle case e prendevano il loro cibo insieme, con gioia e semplicità di cuore, lodando Dio…” (Atti 2:42,46,47). 2 Per un buon culto c’è bisogno di una saggia preparazione Dato che ogni credente può offrire a Dio il culto, ne deriva che il culto pubblico è il risultato dell’insieme dei “sacrifici viventi” che ciascuno porta con sé (o per meglio dire in sé) quando si reca in chiesa: per offrire e per ricevere. È di fondamentale importanza ricordare che il nostro culto comincia a casa nostra prima di venire in chiesa, continua in auto o sull’autobus, finché si esprimerà nella collettività: sotto la guida del Signore e nella Sua gioia, oppure con le tensioni e il nervosismo, a seconda del caso. Accogliamo i visitatori come gradiremmo essere accolti Se per ciascun credente il culto comincia già a casa propria, quello dei visitatori che entrano per le prime volte nella chiesa “comincia nell’atrio” della sala di culto. È importante che qui (se non sono già ospiti di qualche credente) trovino qualcuno, addetto a questo specifico e importante servizio, che si prenda cura di loro, dando qualche breve spiegazione su ciò che si svolge nella chiesa, invitandoli a prendere posto, offrendo loro un opuscolo con la presentazione della nostra fede e un innario. Questo compito richiede molto tatto e discernimento, perché anche dalla prima impressione potrà dipendere l’accettazione o il rifiuto di quanto ascolteranno successivamente. L’atteggiamento nella chiesa, prima dell’inizio del culto È importante ricordare a tutti noi l’importanza di mantenere un atteggiamento di ordine e comunione mentre attendiamo puntuali l’inizio del culto. Se useremo l’accortezza di rinviare al suo termine il momento per scambiare qualche parola con gli altri, utilizzeremo sicuramente meglio il tempo che precede il culto, a favore di noi tutti. Se il pastore si lascia guidare il culto è presieduto dall’Alto Necessariamente sarà il pastore a presiedere il culto della propria comunità. Però il suo compito non consiste nel “fare ogni cosa”, ma è piuttosto quello di far procedere ogni cosa “con ordine”. Anche se alcuni credono che un servizio a Dio ben pianificato non permetta allo Spirito Santo di agire come Egli vuole, l’ordine fa parte dei piani di Dio. E Lui sarà ben capace, se lo vorrà, di modificare l’ordine prestabilito, a seconda delle necessità della comunità. Il pastore dovrà allora lasciarsi guidare dal movimento dello Spirito, al fine di essere uno strumento valido nelle mani del suo Maestro; dovrà ricercare il discernimento per comprendere ciò che Dio vuole compiere nella vita delle persone. Tra i suoi compiti vi è anche quello di far prendere coscienza ad ogni singolo credente della presenza spirituale di Cristo Gesù (Matteo 18:20), guidandolo nell’adorazione, che è il vero scopo del frequentare la Casa del Signore. L’adorazione è un sussulto dell’anima che riconosce la presenza del suo Dio Adorare Dio vuol dire rendergli onore, rispetto e riverenza, in quanto ne è degno, per quello che Egli è. La vera adorazione implica una continua conversione del pensiero e del comportamento, passando da un atteggiamento basato su se stessi a uno centrato su Dio. Gesù insegna che “Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Giovanni 4:24), mentre l’apostolo Paolo così esorta: “…istruitevi ed esortatevi gli uni gli altri con ogni sapienza; cantate di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali.” (Colossesi 3:16). La vera adorazione deve quindi essere centrata su Cristo. In essa non può esservi spazio per la ritualità, la ripetizione di litanie, il formalismo: piuttosto deve svolgersi sotto l’impulso (o la spinta) della grazia, e nel nome di Gesù. L’adorazione conferisce alla comunità un aspetto riverente a Dio e prepara i cuori a ricevere ciò che Egli vuole donare, inducendoci così a ringraziarlo, lodarlo, glorificarlo, permettendo nel contempo allo Spirito Santo di compiere la Sua opera. 3 Durante l’adorazione doniamo tutto noi stessi al Signore, il quale fa “scendere dal cielo il fuoco che brucia l’offerta”, che “ci scalda il cuore” e ci procura quel bene interiore che noi definiamo “benedizione”. Come risultato dell’adorazione, Dio provvede fede, una visione cristiana degli eventi della vita, una maggiore sensibilità per le cose spirituali, potenza e amore divino. Il re Davide ci fa una ulteriore raccomandazione, che comprende in sé l’evidenza della possibilità di farlo: “…adorate il Signore, con santa magnificenza” (Salmo 29:2). I non credenti, osservando, conosceranno il Signore anche a seconda della vitalità, della ricchezza e della sincerità dell’adorazione dei credenti stessi. La lode sincera rallegra il cuore di Dio Oltre ad adorare il nostro Signore, siamo invitati a rendere gioiosamente lode a Dio per ciò che Egli ha compiuto nel passato, per quel che sta compiendo nel presente e per quanto ci aspettiamo possa compiere nel futuro. Secondo la Scrittura, la lode viene considerata un “sacrificio” (un’offerta): “Come sacrificio offri a Dio il ringraziamento, e mantieni le promesse fatte al Signore; poi invocami nel giorno della sventura; io ti salverò, e tu mi glorificherai” (Salmo 50:14,15);… “Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome” (Ebrei 13:15). La Bibbia è oltremodo ricca di riferimenti alla lode. Ad esempio: perché lodare: Dio è degno (2 Samuele 22:4); per la Sua giustizia (Salmo 7:17); il Suo nome è grande e tremendo (Salmo 99:3); il Signore è buono (Salmo 135:3); come lodare: con gioia (Salmo 63:5); con canti di gioia e di lode (RIV. giubilo) (Salmo 42:4); chi può lodare: ogni creatura che respira (Salmo 150:6); chi è vivente (Isaia 38:18,19); quando lodare: finché viviamo (Salmo 146:2); dove lodare: nell’assemblea dei fedeli (Salmo 149:1; 22:25; Ebrei 2:12). È infine interessante sottolineare la volontà di Gesù, espressa profeticamente da Isaia (61:3) di sanare lo spirito abbattuto dell’uomo che ricerca il Signore, ricoprendolo del “mantello di lode”: quale migliore alternativa? I gesti esteriori dell’adorazione e della lode: spontaneità e non surrogati Nell’Antico Testamento gli Ebrei esprimevano i loro sentimenti di riverenza e lode anche attraverso molti gesti esteriori (danzavano, battevano le mani, acclamavano, si inchinavano, mandavano grida di gioia, ecc.), in base agli usi e costumi del tempo. Oggi, la pratica in alcune chiese degli applausi, delle mani alzate, della danza insegnata e altro ancora, rischia di essere più influenzata dalla moda e dall’emotività, dalla emulazione di culture che non ci riguardano, che dalla vera libertà dello Spirito. Equilibrio e buon senso uniti a vera spontaneità dovrebbero invece regolare queste manifestazioni, nel culto pubblico. In privato possono esservi altre libertà: per fare un esempio, una donna conosciuta come peccatrice, in casa di un fariseo, arrivò a rigare di lacrime i piedi di Gesù, li asciugò coi capelli, li baciò mentre li ungeva con olio odorifero… (Luca 7:36-50). Musica e canto per onorare il Re e ispirare i credenti L’Antico Testamento contiene numerosi riferimenti al ruolo della musica e del canto nella lode e nell’adorazione. Il re Davide, che si autodefinisce “il dolce cantore di Israele” (2 Samuele 23:1), è un magnifico esempio per chi vuole lodare il Signore sia col canto sia con gli strumenti musicali. Nel primo libro delle Cronache troviamo la descrizione dell’orchestra, composta di strumenti di ogni genere, e dell’organizzazione del coro levitico. 4 Il coro era composto da ben 288 cantori, tutti “istruiti nel canto in onore del Signore”, chiamati a servirlo “maestrevolmente” (RIV), guidati da chi “era competente in questo” (1 Cronache 15:16-24; cap. 25). Come abbiamo già visto, l’apostolo Paolo ci esorta a cantare a Dio col cuore, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni, e cantici spirituali (Colossesi 3:16). Musica e canto dovrebbero sempre costituire un’offerta a Dio, per lodarlo con uno spirito di gioia e di preghiera, per edificare i credenti. Chi canta o suona, singolarmente o collegialmente, non sia mai animato da volontà di esibizionismo, e conosca praticamente il significato della santificazione. La preghiera comunitaria è potenza che chiama in causa il Nome di Gesù La preghiera, oltre che nella vita privata, ha una grande importanza nel culto cristiano, laddove diviene momento di condivisione pubblica dei sentimenti del popolo di Dio. Anche delle situazioni di interesse della comunità. La preghiera (vedi Salmo 95:6,7) comprende il ringraziamento: “…in ogni cosa fate conoscere le vostre richieste a Dio in preghiere e suppliche, accompagnate da ringraziamenti” (Filippesi 4:6); comprende anche l’intercessione: “Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini…” (1 Timoteo 2:1). Chi prega pubblicamente, si rivolge a Dio il Padre, nel nome di Cristo Gesù, per mezzo dello Spirito Santo, in rappresentanza della comunità. Ma per cosa pregare? L’esempio di preghiera lasciato da Gesù, noto come il Padre nostro, ci invita a pregare per il ritorno di Cristo, perché la volontà di Dio prevalga in ognuno di noi (manifestando così fiducia nel fatto che Lui opererà per il meglio), perché non manchi il cibo quotidiano sulle nostre tavole, per il perdono, per benedire il nome di Dio, per la vittoria sulla tentazione e sul tentatore. Ma, in particolare nella preghiera pubblica, consideriamo come altri motivi la crescita spirituale della Chiesa, l’avanzamento dell’opera di Dio nel mondo, la salvezza di tutti gli uomini a cominciare da quelli che Dio ha messo “sulla nostra strada”, le autorità (1 Timoteo 2:1-4), l’unità del Corpo di Cristo, i conduttori (1 Timoteo 5:17). L’apostolo Giacomo (5:14-16) invita a pregare per gli infermi e in particolare per coloro che si affidano alle preghiere della comunità (e quindi sono consapevoli che la Chiesa prega per loro). Come pregare? Di pari sentimento, guidati dallo Spirito secondo la volontà di Dio, come indica l’apostolo Paolo: “…lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Romani 8:26,27). Poi, con fede, sapendo che Dio è il rimuneratore di quelli che lo cercano (Ebrei 11:6). La stessa fede che crede con fermezza alle parole di Gesù: “…tutte le cose che voi domanderete pregando, credete che le avete ricevute, e voi le otterrete” (Marco 11:24); “…se due di voi sulla terra si accordano a domandare una cosa qualsiasi, quella sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (Matteo 18:19). Inoltre, occorre che le nostre preghiere siano specifiche. Rivolte con umiltà: “Nel pregare non usate troppe parole come fanno i pagani, i quali pensano di essere esauditi per il gran numero delle loro parole. Non fate dunque come loro, poiché il Padre vostro sa le cose di cui avete bisogno, prima che gliele chiediate” (Matteo 6:7,8). Avendo prima perdonato altri, perché la preghiera stessa sia doppiamente efficace: “Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro, che è nei cieli vi perdoni le vostre colpe. Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà le vostre colpe” (Marco 11:25,26). 5 Tutti possono pregare: brevemente, vincendo con l’aiuto del Signore la timidezza, non sempre gli stessi, senza gridare perché Dio “ci sente bene”, ma altrettanto chiaramente perché tutti possano udire, riconoscersi nel contenuto e alla fine esprimere il proprio “amen”. Quando la preghiera della fede ci fa chiedere nella volontà di Dio, Egli che è fedele non può non rispondere. In altri casi potrà dire: “Aspetta!”. Oppure potrà dire di no. Quanto a noi, chiediamo insieme al Signore: insegnaci a pregare! La predicazione della Parola, Dio che parla al cuore e alla mente del Suo popolo In molte cosiddette Chiese cristiane, all’annuncio della Parola di Dio si attribuisce sempre minore importanza. Ci aiuti il Signore a mantenere fede alla nostra vocazione evangelica, basata su tutte le Scritture. E quindi sulla Parola eterna (perché Gesù ha detto che “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” - Matteo 24:35), e quindi a mantenere la predicazione come centro di ogni culto cristiano. Per la sua notorietà, non ci dilungheremo oltre, salvo ricordare che l’annuncio del Vangelo ha lo scopo di cibare, esortare, edificare, consolare, far crescere, alimentare la fede, riprendere, insegnare, invitare a prendere una buona posizione rispetto alle proposte del Signore (Deuteronomio 30:19). La manifestazione dei Doni Spirituali nel culto cristiano: vitalità dinamica I Doni Spirituali vengono illustrati nei capitoli 12, 13 e 14 della Prima lettera ai Corinzi. Qui ci limiteremo a esplorare brevemente le Scritture per provare a delineare alcune semplici regole comportamentali nella manifestazione di quei tre Doni, detti “di parola”, che rispondono al nome di Diversità di lingue, Interpretazione delle lingue e Profezia. Il loro scopo fondamentale viene riassunto dal dono di Profezia: edificare, esortare e consolare (1 Corinzi 14:3). Mentre tramite la Diversità di lingue (se non è seguita da interpretazione) il credente battezzato nello Spirito Santo parla a Dio e nello spirito proferisce misteri per la propria edificazione (14:2,4), chi a seguito di un messaggio dato in Altre lingue ne presenta l’interpretazione tramite il relativo Dono, oppure presenta un messaggio divino direttamente nella nostra lingua tramite il Dono di Profezia, edifica la Chiesa, oltre a se stesso. Per maggior chiarezza, l’apostolo Paolo esorta: “…fratelli, desiderate il profetare, e non impedite il parlare in altre lingue…” (14:39); e aggiunge: “Non spegnete lo Spirito. Non disprezzate le profezie; ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene” (1 Tessalonicesi 5:1921). Ma per evitare un uso disordinato dei Doni, e in particolare di quello della Diversità di lingue, l’apostolo Paolo precisa la necessità, durante il culto pubblico, di perseguire la comune edificazione, lasciando al momento dell’adorazione privata, a casa nostra, l’opportunità di lodare il Signore in altre lingue, a propria discrezione e come vuole lo Spirito di Dio, ma pur sempre con equilibrio. Per approfondire questo aspetto, vedere 14:9-19, passo che conclude con le famose parole: “…nella chiesa preferisco dire cinque parole intelligibili per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua”. Sarà sempre l’apostolo Paolo, pochi versi dopo, a stabilire in due o tre il limite dei messaggi in altre lingue (che devono essere necessariamente seguiti da interpretazione – 14:27,28), e dei messaggi profetici (14:29). Egli precisa infine che “Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti, perché Dio non è un Dio di confusione ma di pace” (14:32,33), e che “…ogni cosa sia fatta con dignità e con ordine” (14:40). 6 Per quanto riguarda il cantare nello Spirito, la Bibbia non dice molto. Questo è un fenomeno tipico dell’adorazione pentecostale, che può apportare grandi benedizioni e che può avvenire sia in lingue sconosciute, sia cantando al Signore nella nostra lingua ma sotto una particolare unzione dello Spirito di Dio. I versi più significativi sono sempre di Paolo: Efesini 5:18,19; Colossesi 3:16. Indubbiamente la discesa dello Spirito Santo ha creato una nuova dimensione nell’adorazione, come aveva anticipato Gesù: “Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità” (Giovanni 4:23,24). Lo stesso Antico Testamento ammoniva a guardarsi dall’offrire al Signore “profumo straniero” (Esodo 30:9) e “fuoco estraneo” (Levitico 10:1,2), figure di un’adorazione fasulla, contraffatta, finalizzata a scopi umani. Così oggi i tentativi di taluni di suscitare nei credenti sentimenti forzati e caratterizzati esclusivamente dall’emotività, possono essere paragonati al fuoco estraneo, il quale anziché purificare, distrugge. Provando a riassumere, le Scritture esortano ogni credente a non fare un cattivo uso della propria libertà nel culto cristiano, e a guardarsi dal cadere negli eccessi del fanatismo da un lato o di un freddo formalismo dall’altro. D’altronde, dove regna la morte spirituale, difficilmente potrà esservi disordine; dove è presente la vita, potrà invece esservi necessità di fare ordine. Disponiamoci pertanto, con semplicità e umiltà, a lasciarci guidare dalla Parola di Dio che non smentisce lo Spirito Santo, e dallo Spirito Santo che non smentisce la Parola di Dio, avendo sempre davanti la motivazione principale dello stare insieme: la comune edificazione. Le testimonianze efficaci mettono in mostra quello che fa Dio in noi e per noi Non troviamo un insegnamento specifico sulle testimonianze nel culto cristiano, che erano e sono però una consuetudine e una caratteristica della viva realtà evangelica. Le testimonianze dell’opera del Cristo nel credente possono essere una benedizione per la Chiesa, in quanto rafforzano la fede di chi ascolta. Perché anche questo si svolga con ordine e per l’edificazione, i credenti potranno preventivamente contattare il pastore per chiedergli di condividere una certa esperienza con gli altri membri della comunità. In altri casi il pastore potrà dare spazio alla testimonianza spontanea di alcuni credenti; in altri casi ancora potrà invitare qualcuno a farlo, sotto la guida del Signore. In tutti i casi, siano le testimonianze concrete, sincere, brevi. Teniamo conto che molti dettagli, magari importanti per noi, di fatto possono essere del tutto ininfluenti per gli altri. L’offerta è un servizio sacro per Dio Il credente adora il suo Creatore, e gli dona le primizie di ciò che da Lui ha ricevuto. Non il superfluo. Chiaramente Dio non ha bisogno del nostro sostegno economico, ma la Sua Opera sì. Il momento dell’offerta è una parte importante del culto; anche gli addetti alla raccolta ne devono essere consci. L’apostolo Paolo presenta l’offerta come un’esperienza essenziale per tutti i credenti: “Così, arricchiti in ogni cosa, potrete esercitare una larga generosità, la quale produrrà rendimento di grazie a Dio per mezzo di noi” (2 Corinzi 9:11). Nei versi successivi, Paolo continua sottolineando l’importanza di offrire con generosità e non per obbligo, e l’edificazione che essa procura al credente, perché “…l’adempimento di questo servizio sacro non solo supplisce ai bisogni dei santi ma più ancora produce abbondanza di ringraziamenti a Dio” (9:12). La Parola ci istruisce ancora in 1 Corinzi 16:1,2: “Quanto poi alla colletta per i santi… Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi, a casa, metta da parte quello che potrà secondo la prosperità concessagli…”; e in Malachia 3:10: “Portate tutte le decime alla casa del tesoro, perché ci sia cibo nella mia casa; poi mettetemi alla prova in questo”, dice il Signore degli eserciti; “vedrete se io non vi aprirò le cateratte del cielo e non riverserò su di voi tanta benedizione che non vi sia più dove riporla”. Quella del donare, è una delle grandi espressioni dell’amore. Dio infatti ama un donatore allegro, mosso dall’amore e dalla fede, mai dal calcolo! 7 La Santa Cena, occasione di comunione per chi è in comunione All’inizio di queste pagine abbiamo presentato la differenza sostanziale che esiste tra l’Eucaristia rispetto alla Cena del Signore secondo l’insegnamento evangelico. Gesù istituì la Santa Cena personalmente (Matteo 26:20-29) per i discepoli. Mangiare insieme è indice di comunione (Apocalisse 3:20). Stando insieme si evidenzia l’unità o la divisione di spirito. I Vangeli descrivono ripetutamente questo rito. Nel pane e nel vino sono simboleggiati il corpo che Cristo ha offerto sulla croce e il sangue (Vita) che Egli ha versato per espiare (Numeri 28:22; Ebrei 2:17), purificare (Ebrei 9:14; 1 Giovanni 1:7) e vivificare (Giovanni 5:21; Efesini 2:1,5) i credenti (battezzati in acqua nell’età della ragione). Lo scopo primario della celebrazione della Santa Cena è commemorare con riconoscenza il più grande sacrificio d’amore della storia (Luca 22:19; 1 Corinzi 11:23-25). La Santa Cena è anche un promemoria dell’imminente ritorno di Gesù Cristo nel mondo e dell’evangelizzazione che nel frattempo deve essere svolta (cfr. 1 Corinzi 11:26; Matteo 24:14). Allo stesso tempo è un’occasione per esaminare se stessi, prima di parteciparvi. Infatti, nella comunione dei fedeli va ravvisato il Corpo di Cristo (la Chiesa), verso il quale va attuato l’amore, abolendo ogni egoismo, ogni individualismo (1 Corinzi 11:27-30; Giovanni 17:20-23). Verso questo Corpo vi sono chiare responsabilità. Quindi, se non si è in comunione con Cristo e con i fratelli, occorre astenersi dalla Santa Cena e presto trovare il rimedio, per non incorrere nel giudizio divino. La chiusura del culto non è soltanto una formula Alla conclusione di ogni culto, il pastore chiede la benedizione di Dio sulla Chiesa, ricorrendo alle parole con le quali termina la Seconda lettera ai Corinzi: “La grazia del Signore Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi”. Che questa, piuttosto che mera ripetizione di parole, sia vissuta come la richiesta per fede della continua partecipazione delle tre Persone della Trinità alla vita di ogni credente! Presentiamo a Dio i nostri bambini fin dai primi giorni di vita La presentazione dei neonati per chiedere la benedizione di Dio su di loro (e i relativi genitori), e come segno di riconoscenza per il dono di una nuova vita, non è una parte del culto, ma è comunque una pratica della Chiesa conforme alle Scritture. In diverse occasioni nei Vangeli si incontrano madri che portano i propri figli fra le braccia di Gesù (Marco 10:13-16; Luca 18:15-17). È importante però ricordare che ciò non ha nulla a che vedere con e non è sostitutivo del battesimo dei neonati. Una parola sul dopo culto Una raccomandazione esce frequentemente dal cuore di chi scrive: quando usciamo dalla chiesa non lasciamoci portar via quello che il Signore ci ha dato! Per nulla al mondo! Custodiamolo con cura nel “buon deposito” e mettiamolo in pratica! In conclusione, si impara di più vivendo il culto che parlandone Terminiamo con un’ultima considerazione sul titolo: partecipiamo attivamente. Nella Chiesa c’è la ricchezza di tanti credenti che sono arrivati a Cristo da strade molto diverse, per poi camminare insieme sulla via della fede comune. Partecipare attivamente produce lo scambio di queste ricchezze a beneficio di chi riceve e di chi dà, per la gloria di Dio e l’edificazione del Suo popolo! Oltre al cuore apriamo per fede anche la bocca… e il Signore ce la riempirà… Anche questo semplice consiglio ci permetterà di vincere… Elio Varricchione giovedì 25 settembre 2014 Questa dispensa è un aggiornamento di uno studio presentato il 18 settembre 2008. 8