MONDO CINESE RIVISTA TRIMESTRALE SOMMARIO Politica internazionale Noemi Lanna Il “problema dei libri di testo” e le relazioni sino-giapponesi pag. 4 Economia e diritto Maddalena Sorrentino La sfida cinese nel campo dell’ICT pag. 12 Cultura e società Alessandra C. Lavagnino Il “mercato” degli studenti cinesi e l’Italia pag. 23 La pubblicità sociale in Cina: un quadro generale pag. 33 Giovanna Puppin Documenti La funzione della “Legge anti-secessione” secondo la teoria dei giochi pag. 41 Perchè premiare i funzionari che richiamano investimenti stranieri? pag. 52 Commemorazione di (Zhao) Ziyang in occasione della festa Qingming - Al più grande riformatore cinese contemporaneo pag. 54 Rapporti Valentina Pedone Una panoramica sulla stampa cinese a Roma pag. 60 FAR EAST FILM 7: L’anno della Cina pag. 65 Cina, pittura contemporanea pag. 69 Cattura l’ombra 1 pag. 73 Corrado Neri Valentina Casacchia n. 123 Aprile-Maggio 2005 Patrizia Bonanzinga ISTITUTO Vittorino Colombo per lo sviluppo delle relazioni culturali, economiche e politiche con la Repubblica Popolare Cinese. Presidente onorario: Giulio Andreotti Presidente: Cesare Romiti Direttore: Alcide Luini Sedi: - 20121 MILANO - Via Clerici, 5 - Tel. 02/862325 Fax 02/36561073 - E-mail: [email protected] - 10153 TORINO - Lungo Po Antonelli, 177 - Tel. 011/89.80.406 - Beijing Representative Office - Zijin Guest House, 321 Chongwenmen Xidajie, No. 9 - Beijing 100005, China Tel. 0086/10/65127157 - Fax 0086/10/65127158 "MONDO CINESE" rivista trimestrale Direttore responsabile: Marco Del Corona Redazione: Alessandra Lavagnino - Alcide Luini - Federico Masini Marina Miranda Segretaria di redazione: Elisa Giunipero Comitato scientifico: Piero Corradini - Gabriele Crespi Reghizzi - Alessandra Lavagnino - Federico Masini - Marina Miranda - Guido Samarani - Paolo Santangelo - Giovanni Stary. C.C.P. n. 48885206 "Istituto Italo Cinese", Milano Abbonamento per il 2005 Un numero Numero arretrato ed estero € 31 € 9 il doppio Autorizzazione del Tribunale di Milano n. 193 del 5-5-1973 Iscrizione R.O.C. n. 679 Spedizione in abbonamento postale "La Rivista non è responsabile delle opinioni espresse dagli Autori. Gli articoli non necessariamente coincidono con le opinioni della Direzione". APRILE/GIUGNO - ANNO XXXIII - N. 123 Composizione, stampa e grafica: C.M.C. - Via Costa, 5 - Gallarate (VA) È consentita la riproduzione parziale di singoli testi purchè se ne citi la fonte. L'Istituto Italo Cinese per gli scambi economici e culturali garantisce la massima riservatezza dei dati raccolti per la spedizione di "Mondo Cinese". 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Lavagnino, professore ordinario di Lingua e cultura cinese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano Marina Miranda, professore associato di Istituzioni politiche e sociali dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Federico II” di Napoli Corrado Neri, dottorando di ricerca in Civiltà dell’India e dell’Asia Orientale presso il Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia Valentina Pedone, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Giovanna Puppin, laureata in Traduzione e Interpretariato e specializzata in Traduzione Tecnico-scientifica dal cinese, presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia Maddalena Sorrentino, ricercatore di Informatica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano 3 Politica Internazionale Il “problema dei libri di testo” e le relazioni sino-giapponesi tre l’atteggiamento cinese è stato interpretato come una legittima manifestazione di orgoglio nazionalistico, ovvero come una strumentalizzazione dell’opinione pubblica da parte dell’establishment, a molti osservatori è sembrato che il Giappone confermasse, ancora una volta, una delle immagini usate per descriverlo: quella di un paese incapace di fare i conti con il proprio passato, che non ha mai del tutto ripudiato i suoi trascorsi militaristici. In realtà, la recente controversia sino-giapponese è molto più complessa ed anche meno nuova di quel che appare. I manuali di storia giapponesi sono stati per la prima volta causa di attriti tra la Cina ed il Giappone nel 1982, quando il “problema dei libri di testo” (kyôkasho no mondai) si è internazionalizzato2. Nell’estate di quell’anno, il governo cinese accusò il Ministero dell’Istruzione giapponese di aver fatto pressione sugli autori dei libri di testo sotto scrutinio affinché modificassero alcuni passaggi dei manuali per presentare gli eventi storici, in particolare quelli relativi all’invasione e dominazione giapponese della Cina, con toni meno critici nei confronti del Giappone. Successivamente emerse che, per NOEMI LANNA 1. Una questione vecchia e complessa L e decisioni del Ministero dell’Istruzione giapponese (Monbukagakushô) relative allo scrutinio dei manuali di storia, rese note agli inizi di aprile, hanno suscitato proteste all’interno ed all’esterno del Giappone. Tra i testi approvati dal ministero figurano infatti libri dai toni e dal contenuto inequivocabilmente revisionistici1. Come è noto, imponenti manifestazioni si sono avute in particolare nella Repubblica Popolare Cinese, dove lo sdegno per la questione dei libri di testo e l’andamento del concomitante dibattito sulla riforma dell’ONU (segnatamente l’aspirazione del Giappone ad un seggio permanente in seno al Consiglio di Sicurezza) hanno creato una potente convergenza di sentimenti anti-giapponesi. Men4 Politica Internazionale quanto esistenti, le pressioni non erano avvenute nei termini descritti dal governo e dalla stampa cinese (che si era peraltro basata su indiscrezioni riportate da alcuni quotidiani giapponesi), ma il caso era ormai esploso ed altri paesi asiatici si unirono presto alle proteste della Cina3. Quattro anni dopo, il problema si ripropose in termini analoghi. Il Giappone stava vivendo un periodo di eccezionale prosperità e crescita economica ed il ritrovato orgoglio nazionale si manifestava anche sotto forma di un compiaciuto nazionalismo che sollecitava ricostruzioni della storia nazionale sempre più auto-celebrative e revisionistiche. Non a caso, risale a questi anni, al 15 agosto 1985 (quarantesimo anniversario della sconfitta del Giappone) per l’esattezza, anche la prima visita ufficiale di un Primo Ministro giapponese al famigerato santuario shintoista Yasukuni. Prima di Nakasone Yasuhiro, l’allora premier, altri primi ministri si erano recati al tempio, ma mai nessuno aveva dato carattere ufficiale e pubblico alla sua visita, sfidando l’ira di parte dell’opinione pubblica giapponese e dei paesi asiatici vittime del colonialismo nipponico. Visitare il tempio Yasukuni significava infatti rende- re omaggio ai giapponesi caduti per la patria dalla metà del XIX secolo in poi ed ivi sepolti ed onorati: non solo a quelli immolatisi nella guerra sino-giapponese (1894-95) e nippo-russa (190405), ma anche ad alcuni leader giapponesi condannati come “criminali di guerra” dal Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente 4 . L’esempio di Nakasone è stato seguito dall’attuale Primo Ministro Koizumi Junichirô che si è recato in visita al santuario più volte, noncurante delle proteste interne ed esterne generate dal suo gesto provocatorio. L’ultimo ed immediato precedente della attuale controversia sui libri di testo si è avuto nel 2001, in un clima di pieno revival neonazionalistico, stimolato dalle cosiddette “tre fini”: la fine della Guerra fredda, il decesso dell’imperatore Shôwa e lo scoppio della bolla speculativa che aveva causato l’inizio di una lunga recessione economica. Quell’anno, tra i manuali di storia approvati dal Ministero dell’Istruzione giapponese figurava anche un testo dai toni inequivocabilmente negazionistici, il “Nuovo manuale di storia” (Atarashii rekishi kyôkasho)5. In questa, come nelle altre occasioni, i passaggi 5 Politica Internazionale problematici dei libri sotto accusa sono quelli relativi alla storia del Giappone successiva alla Restaurazione Meiji (1868), soprattutto quelli che descrivono gli anni del militarismo giapponese (sebbene in alcuni testi, il maquillage revisionistico colpisca anche la storia antica). La tendenza comune a molti dei testi criticati è di presentare le guerre combattute dal Giappone, da quella sinogiapponese in poi, come una risposta difensiva e necessaria alla minaccia dell’imperialismo occidentale. Una risposta narrata al netto delle atrocità compiute dal Giappone: dalla deportazione coatta di lavoratori cinesi e coreani, al sistematico sfruttamento sessuale di donne asiatiche, le tristemente note “donne conforto” (ianfu), alle efferatezze di cui si resero responsabili le truppe giapponesi a Nanchino nel 1937. nella guerra combattuta dal 1937 al 1945. Peraltro, un nazionalismo radicato in una cultura della “vergogna” ed in una particolaristica esaltazione dell’unicità nipponica ha contribuito a rendere ancora più esasperate le forme della negazione e della revisione del passato, come le inopportune e reiterate visite del Primo Ministro Koizumi al tempio Yasukuni ben testimoniano6. Tuttavia, è altrettanto vero che l’atteggiamento del Giappone, e, nello specifico, i problemi relativi ai manuali di storia e la recente controversia, non possono essere liquidati come mera espressione di una univoca e totalizzante volontà negazionistica dello stato giapponese. Sia perché non sono mancate le occasioni in cui il Giappone ha ufficialmente riconosciuto le proprie colpe e si è esplicitamente scusato con i suoi vicini asiatici7. Sia perché l’atteggiamento dei burocrati del Ministero e dei leader politici non è riducibile ad una isolata ed unilaterale manifestazione di nazionalismo revisionistico. Il “problema dei libri di testo” è il prodotto di una pluriennale battaglia per la riscrittura della storia nazionale che è stata combattuta dai conservatori e dai progressisti giapponesi a vari li- 2. I manuali e la guerra della memoria nel Giappone postbellico Il “problema dei libri di testo” è stato visto come uno dei segni evidenti dell’incapacità del Giappone di fare i conti con il proprio passato. È innegabile che il Giappone è stato riluttante a riconoscere le proprie responsabilità 6 Politica Internazionale velli: nell’arena della politica interna (ed in quella della politica estera), sul terreno della cultura popolare ed infine nelle accademie. Obiettivo degli storici e degli intellettuali conservatori era confutare la prospettiva storica di matrice progressista affermatasi negli anni dell’occupazione del Giappone (1945-1952). È quella che gli storici revisionisti giapponesi chiamano spregiativamente “prospettiva storica del processo di Tokyo”: una visione fortemente influenzata dalla cosiddetta “storiografia postbellica” giapponese (egemonizzata dagli storici marxisti) e dall’azione del Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente (attraverso il processo da esso istruito dal 1946 al 1948, comunemente noto come “processo di Tokyo”). Essa interpreta la storia moderna del Giappone come una sequenza di eventi negativi c ulminanti nelle atrocità prodotte dal militarismo espansionistico giapponese. Contro questo genere di storiografia, “masochistica” (jigyakuteki), “tenebrosa” (ankokuteki) ed “antigiapponese” (hannichiteki) nelle parole dei revisionisti, i conservatori giapponesi sferrano i loro attacchi, già a partire dagli anni Cinquanta. Tra i più significativi quello del 1955, per mano del conservatore Partito Democratico giapponese che solleva il “problema dei libri di testo preoccupanti” (ureu beki kyôkasho no mondai). Vale a dire dei testi scolastici, quelli di storia in particolare, viziati da “pregiudizi” e finalizzati a stregare gli indifesi lettori con il “potere diabolico rosso” (akai mashu), ovvero con le tesi della storiografia marxista8. Inoltre, quello del romanziere Hayashi Fusao che dal 1963 al 1965 pubblica a puntate sulla rivista Chûô kôron la sua “Apologia della Guerra della grande Asia Orientale”: una esplicita difesa della Guerra del Pacifico (che l’autore significativamente indica con la denominazione in uso dal 1941 al 1945, “Guerra della grande Asia Orientale”) considerata l’ultima fase di un centennale conflitto combattuto dal Giappone contro le potenze occidentali9. L’ultima grande offensiva dei conservatori si ha nel dopo Guerra fredda ed ha nel “Centro di studi per una visione liberale della storia” (Jiyûshugi shikan kenkyûkai) uno dei suoi principali protagonisti10. 3. Aprile 2005: un copione che si ripete? È fin troppo chiaro che in questa 7 Politica Internazionale lunga crociata contro la storiografia marxista, il cui ultimo atto si è consumato di recente, la posta in gioco non è semplicemente la storia. Non è la storia, per quanto vincolante con il suo ingombrante ed oggettivo fardello di atrocità, a muovere le masse cinesi in protesta o i capi di stato cinesi e giapponesi. Né gli attriti sino-giapponesi sono riducibili ad uno scontro tra due nazionalismi diversi e contrapposti: quello giapponese radicato nella consapevolezza della “eccezionalità” nipponica, come abbiamo accennato, e quello cinese che affonda le radici nel “secolo delle umiliazioni” e, in particolare, nella memoria traumatica delle umiliazioni subite durante gli anni della dominazione giapponese. Da un lato, le recenti frizioni sinogiapponesi si inseriscono all’interno di dinamiche di confronto tra le due potenze nella regione asiatica: la posizione del Giappone, che ambisce ad ottenere l’assegnazione di un seggio permanente in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mette in discussione alcuni dei presupposti su cui si è fondato negli ultimi anni l’equilibrio regionale del Nordest asiatico (un Giappone che concentra il suo potere globale nel settore economico, rinunciando alla “normalizzazione”). Dall’altro, l’atteggiamento adottato dalla Cina nei confronti del Giappone si presenta come la continuazione di una pluriennale tradizione diplomatica che utilizza il passato coloniale del Giappone come leva per ottenere concessioni economiche, la cosiddetta “diplomazia del fumie”11. Una strategia che la Cina ha selettivamente e sapientemente adottato nel corso degli anni. Non negli anni Settanta, ad esempio, in occasione dei negoziati per la stipula del trattato di pace sino-giapponese. All’epoca, poiché la Cina voleva che il riavvicinamento con Tokyo avvenisse in tempi brevi e senza intoppi, si astenne dal sollevare le questioni legate alla dominazione giapponese12 (a differenza di quanto fatto anni prima dalla Corea del Sud, ad esempio)13. Tuttavia, negli anni Ottanta, quando le priorità nell’agenda cinese erano cambiate, la controversia sui libri di testo è stata trasformata in occasione per la richiesta e l’ottenimento di concessioni economiche14. Nel 2005, il copione sembra ripetersi. Dopo aver osato tanto, il Giappone riconosce le sue colpe passate, porgendo scuse che la Cina accetta con qualche riserva. Tuttavia, il finale non sarà neces8 Politica Internazionale Tokyo, 1998. 3) I passaggi contestati dalla Cina riguardavano l’eccidio di Nanchino, descritto come una reazione alla “fiera resistenza” giapponese, e l’invasione della Cina settentrionale: secondo le indiscrezioni trapelate, gli autori dei libri di testo in questione erano stati invitati a sostituire il termine “invasione” (shinryaku) con il più neutro e deresponsabilizzante “avanzata” (shinkô o shinshutsu). In realtà, come emerse in seguito a due indagini condotte separatamente e parallelamente dal Ministero dell’Istruzione giapponese e dal quotidiano Asahi Shinbun, il processo di scrutinio e di approvazione dei testi non era stato “pilotato” dai funzionari del ministero nel modo descritto dalla stampa giapponese. Cfr. Caroline Rose, “The Textbook Issue: Domestic Sources of Japan’s Foreign Policy”, Japan Forum, 11 (2), pp. 205-8. 4) Tra i condannati come “criminali di guerra” dal Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente sepolti nel tempio Yasukuni, figura anche il generale Tôjô Hideki, Primo Ministro all’epoca dell’attacco a Pearl Harbour. Le spoglie dei criminali di guerra furono segretamente traslate nel tempio nel 1978 e solo nel 1979 emerse che erano custodite nel santuario. 5) Nishio Kanji et alii, Atarashii rekishi kyôkasho (Nuovo manuale di storia), Fusôsha, Tokyo, 2001. 6) Il particolarismo culturale, cioè quel tratto caratteristico della cultura nipponica che porta a concepire il proprio sistema di valori come particolare e non estensibile ad altri contesti, si trasforma talvolta in una celebrazione della eccezionalità del Giappone. D’altro canto, la centralità della “vergogna”, piuttosto che della “colpa”, all’interno sariamente analogo a quello degli anni precedenti. Questa volta tutto avviene in un clima molto più teso, tra mobilitazioni popolari cinesi massicce e, soprattutto, in un mutato contesto regionale e globale che vede la Cina godere di un potere senza precedenti negli ultimi lustri. 1) È il caso, ad esempio, della nuova edizione del manuale Atarashii rekishi kyôkasho (Nuovo libro di storia), edito dalla Fusôsha. Vedi nota n. 5. 2) Il “problema dei libri testo” è strettamente legato al sistema di scrutinio ministeriale dei manuali scolastici in vigore in Giappone dagli anni Cinquanta. Pur avendo acquisito visibilità internazionale nel 1982, proprio in seguito alle proteste della Cina e di altri paesi, il problema esisteva già da anni. Il Ministero dell’Istruzione giapponese è stato criticato per aver approvato manuali tendenti a minimizzare o negare le responsabilità nipponiche negli anni del militarismo, ovvero per aver respinto testi che, al contrario, descrivevano ed enfatizzavano quelle stesse responsabilità. Emblematico il caso dello storico Ienaga Saburô impegnato in una pluriennale disputa legale con lo stato giapponese per il rigetto della edizione riveduta del suo Shin Nihonshi (Nuova storia del Giappone). Sul problema dei libri di testo, cfr. Tokutake Toshio, Kyôkasho no sengoshi (Storia postbellica dei libri di testo), Shin Nihon shuppansha, Tokyo, 1995; sul caso Ienaga, cfr., ad esempio, Ienaga Saburô, Takashima Nobuyoshi, Kyôkasho saiban wa tsuzuku (I processi sui libri di testo continuano), Iwanami, 9 Politica Internazionale della cultura giapponese rende difficile un confronto con il passato basato sui meccanismi della confessione e del perdono. La combinazione di questi due fattori contribuisce a rendere il nazionalismo dei “falchi” e dei revisionisti giapponesi provocatorio e radicale nelle sue manifestazioni. Sull’argomento, cfr. F. Mazzei, “Il vulnus e la percezione: i bombardamenti atomici nella cultura giapponese”, Giano, n. 21 (1995), pp. 59-76. 7) Ad esempio, il Primo Ministro Nakasone, in un discorso tenuto alla Dieta giapponese nel febbraio 1983, ha ufficialmente riconosciuto che la guerra contro la Cina era stata una “guerra di aggressione”; il riconoscimento della natura “aggressiva” della guerra è stato ribadito dal Primo Ministro Hosokawa Morihiro, nel 1993 ed accompagnato da scuse; Murayama Tomiichi ha inaugurato l’inizio del suo governo con un appello alla necessità di riflettere sulla “responsabilità del Giappone” nel produrre “grande sofferenza” durante la guerra. Scuse esplicite per gli anni del dominio coloniale sono state porte dal Giappone alla Corea del Sud nel 1998 ed alla Corea del Nord nel 2002, in occasione della storica visista di Koizumi a Pyongyang. 8) La controversia prende il nome dal titolo dei tre opuscoli in cui il Partito Democratico giapponese si scagliò con toni polemici contro i “pregiudizi” marxisti da cui riteneva fossero viziati i libri di testo. Cfr. Nihon Minshutô, “Ureu beki kyôkasho no mondai (ichi) “ (Il problema dei libri di testo preoccupanti, uno), “Ureu beki kyôkasho no mondai (ni)” (Il problema dei libri di testo preoccupanti, due), “Ureu beki kyôkasho no mondai (san)” (Il problema dei libri di testo preoccupanti, tre), riprodotti in Sengo Nihon kyôiku shiryô shûsei iinkai (a cura di), Sengo Nihon kyôiku shiryô shûsei (Raccolta di documenti relativi all’istruzione nel Giappone postbellico), vol. 5, San’ichi shobô, Tokyo, 1982. 9) La corposa “apologia”, che fu al centro di un acceso dibattito nella fase della sua pubblicazione, fu poi ripubblicata sotto forma di libro. Cfr. Hayashi Fusao, “Dai tô-A sensô kôteiron” (Apologia della guerra della grande Asia Orientale), in Hayashi Fusao chosakushû (Opere di Hayashi Fusao), vol. 1, Tsubasa shoin, Tokyo, 1968. 10) Il Centro, fondato da Fujioka Nobukatsu nel 1995, si proponeva di sostituire la storiografia “masochistica”, cioè quella di matrice marxista, predominante nel Giappone postbellico, con una storiografia “liberale” di nome, ma di fatto revisionistica. Dall’iniziativa dei suoi membri è nato il “Comitato per la redazione dei nuovi manuali di storia” (Atarashii rekishi kyôkasho wo tsukuru kai), a cui si deve la redazione del controverso e già menzionato “Nuovo manuale di storia”. La letteratura sulle attività delle due associazioni e sul revisionismo negli anni Novanta è abbondante. Per una sintetica, ma efficace descrizione del fenomeno, cfr. A. Nanta, “L’actualité du révisionnisme historique au Japon (Juillet 2001)”, Ebisu, n. 26 (2001), Maison FrancoJaponaise Tokyo, pp. 127-153. 11) Il termine fumie (letteralmente, “immagine da calpestare”) indica le immagini utilizzate dalle autorità giapponesi per identificare i cristiani, nel periodo in cui il cristianesimo era bandito in Giappone. Le persone sospette erano costrette a calpestare immagini sacre per dimostrare di non essere credenti. Per analogia, la “diplomazia del fumie” 10 Politica Internazionale è quella che costringe il Giappone a “calpestare” il suo passato militarista per dimostrare che lo ha interamente rinnegato. Come è stato rilevato, si tratta di una strategia vincente vista l’impossibilità formale dell’ethos giapponese di rapportarsi al passato coloniale e militarista secondo il “meccanismo della colpa-confessione-perdono”. Cfr. F. Mazzei, “Il ruolo internazionale del Giappone prima e dopo l’11 settembre”, Sc.-Pol.-IUO, materiale didattico, Napoli, 2002, pp. 59-60. 12) Cfr. G. Hook et alii, Japan’s International Relations. Politics, Economics and Security, Routledge, London, New York, 2001, pp. 166-67. 13) Durante i negoziati per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche, la Corea del Sud ha reiteratamente posto la questione del passato coloniale allo scopo di ottenere scuse dal Giappone ed anche di accrescere il suo potere negoziale. Anche per questo motivo, la firma del trattato tra Giappone e Corea del Sud (il “Trattato sulle relazioni di base tra Giappone e Corea del Sud”) si ebbe dopo ben 13 anni di negoziati. Cfr. Matsuo Takayoshi, “Kokusai kokka he no shuppatsu” (Verso lo stato internazionale), in Nihon no rekishi, vol. 21, Shûeisha, Tokyo, 1993, pp. 289-94. 14) C. Rose, op. cit., pp. 208-9. 11 Economia e diritto La sfida cinese nel campo dell’ICT Communications of the ACM 3 , prestigiosa rivista internazionale di computer science, ha dedicato a questi argomenti gran parte del numero di aprile 2005. L’avere raggruppato sette articoli sotto il titolo “Transforming China” riflette chiaramente l’importanza attribuita ai fenomeni in atto. MADDALENA SORRENTINO Premessa L a Cina si sta preparando per diventare la prossima, grande frontiera della tecnologia a livello mondiale. È difficile prevedere quando ciò avverrà, ma non sembrano esservi dubbi sul fatto che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (abbreviate in ICT, Information and Communication Technologies), e segnatamente la Rete, hanno già consentito al gigante cinese non solo di competere su scala globale, ma di diventare in breve tempo una forza trainante del cambiamento. I dati1 sono eloquenti: 94 milioni di utenti Internet a fine 2004 (+18,2% rispetto all’anno precedente), 334 milioni di utilizzatori di telefoni cellulari; flussi di esportazione relativi a prodotti ad alto contenuto tecnologico cresciuti a ritmi del 40-60% nell’ultimo decennio. Nel 2004 è avvenuto il sorpasso, nel ranking mondiale, della Cina ai danni del Giappone, in termini di numero di utenti Internet2. 1. Modelli di diffusione di Internet nelle imprese cinesi Internet è stata introdotta ufficialmente in Cina alla fine del 1992. Sin dal primo momento, la diffusione della “rete di reti” si è accompagnata ad una crescita progressiva del grado di informatizzazione del tessuto economico. Ma, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi, i manager cinesi hanno dovuto affrontare questa sfida potendo contare su un patrimonio di esperienza in campo informatico quasi inesistente, su infrastrutture poco diffuse in un territorio sconfinato e su un livello medio di sviluppo economico alquanto modesto. Per molte organizzazioni il salto è stato notevole, e spesso ha comportato il passaggio diretto e repentino da prassi operative tradizionali, essenzialmente di tipo manuale, a sistemi informativi basati sul paradigma Internet. D’altro 12 Economia e diritto canto, l’essersi affacciati relativamente tardi sul mercato ICT si è accompagnato a interessanti opportunità per le imprese cinesi, tra cui: poter scegliere tra una gamma di applicazioni e strumenti più avanzati, perché di nuova generazione; imparare dall’esperienza degli altri e, quindi, evitare le trappole e i rischi che tipicamente si associano con l’adozione di tecnologie poco conosciute; e, infine, essere meno assillati dal problema che invece attanaglia le aziende che hanno alle spalle una lunga storia di automazione, ossia la necessità di far convivere i nuovi sistemi con le tecnologie e applicazioni preesistenti (cosiddetti legacy systems). Ma come si sta diffondendo Internet tra le imprese cinesi? Una ricerca di Guo e Chen4 ha analizzato un campione formato da 94 aziende operanti a Pechino, Guangzhou e altre grandi città situate nelle regioni orientali del paese, dimostrando l’esistenza di una correlazione tra l’ammontare della spesa ICT (ossia relativa all’acquisto di hardware, software e servizi informatici) e il tasso di diffusione di Internet tra gli operatori economici. L’andamento di queste due grandezze nel periodo 1992-2004 rivela la presenza di uno sviluppo per fasi: Avvio (1993-1995). Internet fu implementata ufficialmente tra la fine del 1992 e l’inizio del 1993. Il primo backbone nazionale (ossia la linea “dorsale” che funge da percorso principale per il flusso del traffico verso e da altre reti di telecomunicazioni) è il risultato di un progetto congiunto tra l’Accademia cinese delle scienze e le università di Pechino e Qinghua. Grazie al supporto governativo, le prime imprese poterono realizzare proprie reti aziendali che consentirono l’avvio dei servizi di posta elettronica. Le reti ChinaNet e China Education and Research Network diventarono operative nel 1994. Contagio (1995-2000). La realizzazione di soluzioni basate sulle tecnologie di comunicazione ha contribuito a innalzare in misura considerevole la spesa ICT. A partire dal 1997 è stato soprattutto lo sviluppo dell’e-commerce a guidare le scelte di informatizzazione delle imprese. Nel 1998 nasce il primo motore di ricerca in lingua cinese (Sohu), sviluppato da Sohu.com, società quotata al Nasdaq nel 2000 (fondata da Charles Zhang, noto anche come il Bill Gates cinese5). In termini di volumi di traffico, Sohu.com oggi si colloca tra i primi 5 portali a livello mondiale. 13 Economia e diritto Congelamento (2000-2004). Molte imprese hanno iniziato a porre sotto controllo i propri investimenti in tecnologia. In parallelo è cresciuto il ricorso a servizi di consulenza strategica offerti da grandi società internazionali. In questo periodo oltre la metà delle imprese considerate dallo studio di Guo e Chen hanno ridotto i loro budget per l’acquisto di tecnologie, mentre, in parallelo, è cresciuta la spesa per servizi di consulenza e outsourcing di attività informatiche. Diffusione (dal 2004). La tecnologia assume un ruolo importante in tutte le maggiori imprese, e nel frattempo si consolidano applicazioni ICT di nuova generazione, basate cioè sull’uso del telefono cellulare (mobile commerce) e dell’analisi strategica dei dati (business intelligence). Secondo il China Internet Network Information Center, i Website presenti sul territorio cinese sono 668.900. L’area di Pechino e quella di Shanghai presentano la maggiore diffusione di utenti Internet: rispettivamente 27,6% e 25,8% in rapporto alla popolazione residente6. Lo studio di Guo e Chen procede dimostrando come la redditività delle imprese cinesi sia correlata positivamente con l’intensità di adozione delle tecnologie Internet. L’influenza esercitata da altre variabili, quali ad esempio il settore economico e le dimensioni aziendali, non sembra invece ugualmente significativa. In altri termini, non sempre le grandi organizzazioni cinesi sono quelle che adottano Internet con maggiore convinzione. Inoltre, le realtà di minori dimensioni mostrano un atteggiamento più convinto verso la Rete rispetto a realtà omologhe presenti in paesi occidentali. Ciò, probabilmente, è dovuto al fatto che il livello minimo di investimenti necessari per integrare Internet nelle attività aziendali risulta accessibile anche da chi detiene minori risorse finanziarie. In genere, le aziende cinesi più aggressive sul versante della Rete sono quelle che mettono a segno i migliori risultati in termini di utili. 2. I vantaggi delle tecnologie Tutto bene, dunque? Un articolo di Quan et al.7 apparso sullo stesso numero di Communications of the ACM mette in guardia da conclusioni affrettate e semplicistiche. I risultati messi a segno dalla Cina nell’arco di pochissimi anni testimoniano sì le dimensioni assunte dai processi di trasformazione in 14 Economia e diritto atto, tuttavia - affermano gli autori - sarebbe fuorviante ritenere l’ICT come l’unico fattore che ha determinato il cambiamento. Piuttosto, le tecnologie sono un elemento necessario per lo sviluppo economico e sociale, ma non sufficiente a sostenerlo. Occorre poi considerare che le infrastrutture (non solo tecnologiche) a disposizione sono ben lungi dall’aver raggiunto uno stadio di diffusione omogeneo. Barriere tecnologiche e finanziarie (dall’accesso a Internet all’uso di carte di credito e altri strumenti sostitutivi del contante) caratterizzano tuttora molte aree del paese. Quan et al. osservano inoltre che le tecnologie dell’informazione non sono ancora diventate una commodity, questo significa che a differenza di quanto avviene in contesti più avanzati - chi le adotta per primo può sperare di ottenere vantaggi competitivi duraturi. In questo senso, l’ICT può rappresentare un mezzo per differenziarsi dalla concorrenza. Tra gli esempi più significativi di imprese che sono riuscite a coniugare alti livelli di utilizzo con elevata profittabilità figurano certamente i due maggiori portali cinesi (Sina e Sohu) che offrono una vasta gamma di servizi informativi e legati al commercio elettro- nico. D’altro canto, l’ICT non è necessariamente vantaggiosa per tutte le imprese operanti in Cina. In tale realtà, non dimentichiamolo, l’offerta di manodopera è abbondante e relativamente a basso costo8. Inoltre, mentre nei contesti sviluppati la scelta di sostituire la forza lavoro con strumenti ICT assume un significato preciso in termini di convenienza economica, nella realtà cinese questo genere di decisioni si giustifica solo se rapportato a specifiche condizioni, quali ad esempio le dimensioni aziendali e il tipo di orientamento al mercato. Per le aziende che competono a livello globale e che devono puntare sulla qualità dei prodotti e sulla convenienza dell’offerta, l’ICT rappresenta certamente un fattore strategico di differenziazione e produttività. In presenza di accordi con operatori stranieri, l’investimento in tecnologie dell’informazione diventa una scelta ineludibile. Ad esempio Huawei, costruttore cinese di apparati di rete, e l’omologo statunitense 3Com hanno sottoscritto un contratto di cooperazione per presidiare congiuntamente il mercato nordamericano. A seguito di tale accordo, Huawei ha dovuto affrontare notevoli inve15 Economia e diritto stimenti per rendere i propri sistemi informativi compatibili rispetto a quelli del proprio partner9. Un sofisticato sistema di automazione delle attività produttive ha invece consentito a Lenovo (precedentemente conosciuta come Legend Computer) di diventare il costruttore leader in Cina. Lenovo, come noto, nel dicembre 2004 ha acquisito la divisione PC dell’IBM. Per le imprese di medie dimensioni che competono nel mercato domestico cinese, le decisioni di investimento in ICT sono influenzate soprattutto dalle caratteristiche del settore di appartenenza. Maggiore è l’intensità informativa di quest’ultimo, maggiore è il potenziale vantaggio che può essere ottenuto dagli investimenti tecnologici. Per Centaline, gruppo immobiliare che conta 6.300 addetti e oltre 350 filiali sparse nel paese, la condivisione e diffusione delle informazioni sono un fattore chiave di successo. La recente adozione di un sistema informativo gestionale unico a livello di gruppo ha consentito di creare un ambiente integrato e accessibile a tutti, orientato alla collaborazione a distanza. E gli esempi potrebbero continuare. Resta comunque il fatto che mol- te imprese presenti in Cina hanno dimensioni relativamente esigue e operano in modo esclusivo su un mercato (quello domestico) che sta conoscendo anni di crescita ininterrotta e tumultuosa. Per questo genere di operatori i requisiti di qualità dell’offerta sono certamente meno stringenti rispetto ai livelli medi che, invece, contrassegnano le economie più avanzate. In molti casi, dunque, la messa in atto di nuovi investimenti ICT difficilmente rappresenta una strada obbligata. E infatti, la stragrande maggioranza delle imprese attive sul mercato cinese sceglie di fronteggiare le sfide della concorrenza nel modo più tradizionale e immediato, ricorrendo cioè all’impiego di nuova manodopera. 3. La Cina e il Networked Readiness Index Gli indicatori quantitativi di diffusione dell’ICT appaiono sempre meno idonei ad apprezzare la situazione di un paese sia in termini assoluti che relativi. Inoltre, considerata la dinamicità che contrassegna il mondo delle tecnologie, diventa altresì necessario tenere conto della dimensione temporale dei fenomeni osservati. 16 Economia e diritto Da alcuni anni è emersa la necessità di considerare altri fattori e condizioni che favoriscono un uso delle risorse tecnologiche efficace, tale cioè da influenzare positivamente la crescita del sistema economico e sociale. Risulta in questo senso interessante il calcolo del cosiddetto “Networked Readiness Index (NRI)”10 che, nelle intenzioni degli ideatori, si propone di consentire a ciascun paese di disporre di elementi utili per valutare la propria situazione anche in rapporto con altri tipi di realtà. Ma, forse, l’aspetto maggiormente significativo fa riferimento alle indicazioni che possono scaturire dall’NRI in termini di capacità di un determinato sistema-paese di avvalersi delle opportunità tecnologiche. Tali capacità derivano da una combinazione di fattori, tra cui i principali risultano essere: l’alfabetizzazione informatica della popolazione, il grado di diffusione delle tecnologie nel tessuto economico e il livello di informatizzazione del settore pubblico. Il Networked Readiness Index è dunque un indice composito, costruito aggregando un sistema di ben 78 indicatori quantitativi e qualitativi che sono stati scelti allo scopo di permettere analisi com- parate e multidimensionali. Il NRI comprende tre macro categorie di variabili, relative al contesto ambientale (environment), al grado di adeguatezza (readiness) e all’utilizzo (usage) dell’ICT nel paese considerato. È interessante osservare come ciascuno degli ultimi due indicatori consideri tre diverse classi di destinatari delle tecnologie, vale a dire gli individui residenti, le aziende e la pubblica amministrazione. La classifica assoluta 2004/2005, stilata su un totale di 104 paesi, colloca ai vertici Singapore, seguito da Islanda, Finlandia. Danimarca e Stati Uniti. La Cina si posiziona al 41° posto (nel 2002/ 2003 era 51esima). L’Italia perde notevolmente terreno rispetto agli anni precedenti e, passando dal 28° al 45° posto, viene superata da tutti i grandi paesi europei, ma anche da alcuni paesi emergenti, quali ad esempio l’Estonia, la Tunisia, la Giordania, la Tailandia e così via. Scomponendo ulteriormente le tre macrovariabili, la Cina risulta 46esima con riferimento al “contesto ambientale” (tale voce comprende, a propria volta, il contesto di mercato, quello politiconormativo e quello infrastrutturale). Con riferimento al grado di ade17 Economia e diritto guatezza e al livello di utilizzo delle tecnologie, invece, la Cina guadagna posizioni rispetto all’indice NRI, occupando rispettivamente il 39° e il 38° posto della graduatoria mondiale. Il ruolo del settore pubblico risulta decisivo nel determinare tali risultati positivi. Ad esempio, le performance cinesi sono di assoluto rilievo rispetto al Government Readiness. Infatti su tale fronte il paese conquista la 17esima posizione, grazie al varo dei grandi piani nazionali di eGovernment che si sono susseguiti a partire dal 1999, e grazie altresì all’utilizzo di sistemi di acquisto di beni e servizi in Rete (cosiddetto e-procurement) da parte delle amministrazioni pubbliche. L’indicatore denominato Government Readiness fa riferimento alla capacità di un paese di avvalersi delle tecnologie ICT (prima fra tutte Internet) come strumento per il policy making. Ne sono un esempio i provvedimenti di politica industriale e finanziaria, la presenza di una strategia di innovazione tecnologica basata su una visione unitaria, articolata con precise politiche di settore. Con riferimento al Government Usage, indicatore che può offrire elementi significativi per valutare il peso dell’ICT sia in termini di supporto ai processi amministrativi interni al settore pubblico, sia in termini di fornitura di servizi on-line a favore dei cittadini e delle imprese, la Cina si piazza nella 22esima posizione. Ancora una volta emerge con tutta evidenza il ruolo che il governo attribuisce alla modernizzazione e al potenziale innovativo collegato alla società dell’informazione. Tuttavia, nonostante gli indubitabili progressi degli ultimi anni, molta strada resta ancora da percorrere. Ecco quali sono – per ciascun componente del Networked Readiness Index – i due aspetti che in Cina risultano maggiormente problematici: - Environment Component Index (livelli di sicurezza dei server Internet e numero di grandi sistemi di elaborazione, cosiddetti host); - Readiness Component Index (sviluppo delle reti telefoniche destinate agli utenti business e agli utenti residenziali); - Usage Component Index (disponibilità di telefoni cellulari e tasso di penetrazione di Internet tra la popolazione). Come ovvio, il lettore interessato potrà fare riferimento al docu18 Economia e diritto Appendice mento originale per avere un quadro completo dello scenario rappresentato nelle pagine del “Global Information Technology Report”. Gli stessi autori ammettono di aver intrapreso un cammino difficile e ambizioso, decidendo di non limitarsi a considerare variabili di tipo hard, quali ad esempio il reddito pro-capite o il numero di utenti Internet presenti nei paesi analizzati. Modellizzare fenomeni complessi e in continua evoluzione come quelli legati allo sviluppo tecnologico di una nazione, sintetizzandola mediante un solo indicatore numerico porta con sé inevitabili semplificazioni e compromessi metodologici. Tuttavia non si tratta di un mero esercizio accademico, per quanto affascinante esso sia. Finora il Networked Readiness Index si è dimostrato uno strumento utile soprattutto per i paesi decisi a puntare all’eccellenza mediante l’uso delle tecnologie ICT, disposti a confrontarsi con i migliori della classe e a mettere in campo iniziative concrete per eliminare singoli punti di debolezza che potrebbero rivelarsi decisivi nello scenario globale. Sarà interessante seguire gli sviluppi di questa grande corsa. a. La Cina nel rapporto Assinform 2005 Il mercato dell’informatica mondiale è caratterizzato da un notevole divario tra paesi sviluppati, paesi emergenti e paesi in via di sviluppo. Nel 2004 l’area asiatica si è confermata la più dinamica in termini assoluti, secondo l’ultimo Rapporto sull’informatica, le telecomunicazioni e i contenuti multimediali uscito lo scorso giugno a cura di Assinform11. Nel 2004 l’economia mondiale è cresciuta del 5% in termini di PIL, mentre il commercio globale è cresciuto del 9% rispetto al 2003. Le economie emergenti dell’Asia hanno dato un importante contributo a tale risultato, facendo registrare nel 2004 un aumento del 7,6% del PIL aggregato. Tra i paesi asiatici, la Cina mette a segno il miglior risultato dal 1996, con una consistente crescita del PIL, pari al 9,5%, e degli investimenti (+26% in termini nominali). Nonostante il notevole incremento delle importazioni, l’attivo commerciale ha raggiunto nel 2004 i 32 milioni di dollari, contro i 26 dell’anno precedente. Analoga situazione dell’India, dove la crescita economica pro19 Economia e diritto segue a ritmi sostenuti (+6,4%). Nel 2004 la spesa e gli investimenti relativi al mercato mondiale ICT (informatica e telecomunicazioni) sono stati pari a 2.433 miliardi di dollari. Rispetto all’anno precedente si è registrato un aumento del 5,9%, superiore di 0,9 punti percentuali a quello dell’economia mondiale. A fare da traino sono stati soprattutto i paesi che hanno conseguito le migliori performance. Ciò dimostra ulteriormente l’elevata correlazione tra andamento del mercato ICT e quello dell’economia in generale. Nel 2004, dunque, l’ICT si conferma come uno dei settori economici più importanti a livello mondiale, con una quota sul PIL pari al 7,1%. siede il maggior numero di linee (58 milioni) dall’altro perché registra il più elevato tasso di crescita. Inoltre, si tratta di un mercato che si presta bene alla diffusione dei servizi multimediali grazie alla maggiore velocità delle connessioni (circa 10 volte superiori a quelle europee) e per i costi più bassi rispetto al resto del mondo. La Cina detiene il primato degli accessi DSL12: 13,8 milioni su un totale di 23 milioni di linee. Nel 2004 l’Asia ha confermato la prima posizione assoluta in termini di numero di utenti di telefonia mobile. La Cina, nella quale il sorpasso della telefonia mobile sulla telefonia tradizionale è avvenuto già nell’ottobre 2003, risulta il paese dominante nell’area con la cifra record di 334 milioni di linee mobili e un tasso di penetrazione del 24,8%. Per il 2005 gli osservatori prevedono grandi cambiamenti per il settore cinese delle telecomunicazioni, a seguito dell’accelerazione del processo di liberalizzazione e del probabile rilascio delle licenze relative ai cellulari di terza generazione. b. Il mercato delle telecomunicazioni Nel 2004 il mercato mondiale delle telecomunicazioni è cresciuto del 6,9%, che rappresenta il miglior risultato degli ultimi tre anni. Analizzando l’andamento per macroarea geografica, risulta evidente il contributo dell’Asia allo sviluppo complessivo. Ad esempio, il comparto asiatico della connettività a banda larga si conferma il più importante al mondo, da un lato perché pos- c. Il mercato dell’informatica Il settore dell’informatica nel 2004 20 Economia e diritto è cresciuto del 4,4% rispetto al 2,6% dell’anno precedente. Il peso attuale del Nord America, dell’Europa e del Giappone è pari all’80,6% del totale. È facile prevedere che se la crescita messa a segno nell’ultimo biennio dalla Cina, dall’India e da altri paesi emergenti del Sud Est asiatico proseguirà o si intensificherà, la distribuzione delle quote di mercato nei prossimi anni subirà una variazione considerevole. Gli osservatori concordano nel prevedere che lo sviluppo ulteriore dell’industria informatica cinese (che genera un sesto del PIL nazionale) potrebbe fungere da propulsore del mercato. Perché ciò avvenga, è necessario che in parallelo si sviluppino il comparto del software e quello dei servizi. Storicamente forte nella produzione e nella esportazione di elettronica di consumo, da qualche anno la Cina sta perseguendo anche un’espansione del mercato informatico. Esso vale all’incirca 30 miliardi di dollari (dati a fine 2004) ed è destinato a crescere a tassi del 15% annuo per il prossimo quadriennio. L’orientamento del governo verso un’economia aperta non potrà che accelerare l’adozione di sistemi informativi in grado di supportare i processi di internazionalizzazione e l’efficienza delle imprese. Un fenomeno destinato a consolidarsi nei prossimi anni riguarda lo sviluppo del mercato del software, a seguito della crescita delle vendite di personal computer che ha portato la Cina a minacciare il Giappone come secondo mercato mondiale nella vendita di sistemi di elaborazione. L’evoluzione del comparto del software sarà guidata, da un lato, dall’espansione domestica, trainata cioè dalle esigenze delle imprese cinesi che devono organizzare le proprie attività nel modo più efficiente; e, dall’altro, dalla delocalizzazione e dall’export verso altri paesi. Ad esempio, la Cina rappresenta per il Giappone il partner più importante per quanto riguarda l’outsourcing (ossia l’esternalizzazione) della progettazione del software. Sono altresì destinate a intensificarsi le relazioni di partnership tra Cina e India che hanno portato quest’ultima a delocalizzare parte della propria produzione di software e servizi. L’India, infatti, da un lato vede la Cina come un potenziale cliente molto interessante per le proprie esportazioni di software e servizi di outsourcing (a causa della crescente domanda proveniente dalle aziende cinesi, soltanto in parte soddisfatta 21 Economia e diritto fettuato il 24 giugno 2005). China Internet Network Information Center è l’ente che dal 1998 effettua, per conto del governo cinese, rilevazioni statistiche su base semestrale, riguardanti la diffusione di Internet nel paese. 7) J. Quan, Q. Hu e X. Wang, “IT is not for everyone in China”, Communications of the ACM, 48(4), 2005, pp. 69-72. 8) Secondo il Research Focus “China and India” di UBS, August 2004, p. 14, nonostante l’abbondanza di manodopera, in Cina la situazione del mercato del lavoro è destinata a complicarsi a causa del progressivo invecchiamento della popolazione (frutto, quest’ultimo, della politica di: “un figlio per famiglia”). 9) L’aumento dei progetti di informatizzazione condotti su scala transnazionale solleva nuove sfide e suscita complessi problemi anche di tipo culturale. Si veda, ad esempio, G. Walsham Making a world of difference. IT in a global context, Wiley, 2001. 10) S. Dutta e A. Jain, “An analysis of the diffusion and usage of information and communication technologies of nations”, in S. Dutta e A. Lopez-Claros (Eds.), The Global Information Technology Report, Palgrave, 2005, pp. 3-27. 11) Assinform (www.assinform.it) è l’associazione, aderente a Confindustria, che raggruppa le principali aziende del settore. Da 36 anni il Rapporto analizza puntualmente l’evoluzione della domanda e dell’offerta di tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni. 12) Le tecnologie DSL (Digital Subscriber Line) operano utilizzando le normali linee telefoniche per trasportare voce, dati e immagini ad alta velocità. dai prodotti e dal know-how dei fornitori locali), dall’altra la ritiene un ponte verso gli altri paesi emergenti dell’area Asia-Pacifico. Infine la Cina è considerata la sede ideale per allocare attività di supporto. Grazie alla presenza di un numero elevato di giovani ingegneri a salari molto bassi anche rispetto all’India, ma con una scarsa conoscenza della lingua inglese, la Cina offre ottime opportunità per delocalizzare le attività caratterizzate da maggior componente tecnologica e da minore componente di servizio. 1) M. Martinsons, “Transforming China”, Communications of the ACM, 48(4), 2005, pp. 44-48. 2) Assinform, Rapporto sull’informatica, le telecomunicazioni e i contenuti multimediali, Milano, 2005, p. 181. 3) ACM (www.acm.org) è l’Association for Computing Machinery che dal 1947 costituisce il riferimento più importante per gli studiosi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. 4) X. Guo e G. Chen, “Internet diffusion in Chinese companies”, Communications of the ACM, 48(4), 2005, pp. 54-58. 5) M. Martinsons, “The Internet enlightens and empowers Chinese society”, Communications of the ACM, 48(4), 2005, pp. 59-60. 6) Vedi www.cnnic.net.cn (15 th Statistical Survey Report, accesso ef- 22 Cultura e Società Il “mercato” degli studenti cinesi e l’Italia si recheranno in Cina a partecipare alla mostra saranno più di dieci, questa si può considerare una novità che colma un vuoto. Dopo anni di letargo, alla fine le grandi porte dell’istruzione italiana si aprono alla Cina, e anche gli atenei italiani cominciano a darsi da fare per ‘accaparrarsi’ studenti nel ‘mercato degli studenti cinesi all’estero’ (Zhongguo liuxuesheng shichang)”2. L’articolo del giornalista cinese, da anni corrispondente a Roma dell’organo del Partito comunista cinese e profondo conoscitore della realtà italiana, prende spunto dalla partecipazione all’evento cinese di un buon numero di Atenei italiani (24), sotto l’egida della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), per fare il punto sulla situazione attuale. Se da un lato mette in evidenza la quasi totale assenza del nostro Paese in un qualunque importante progetto formativo cinese, sottolinea per altri versi come nella spregiudicata Cina di questi ultimi anni anche la formazione dei giovani, e in particolare l’istruzione superiore, viene ormai assai pragmaticamente considerata soprattutto come un aspetto, e molto importante, di quel globale mercato nel quale bisogna a tutti i costi, e in tempi rapidi, assicurarsi un posto preminente. ALESSANDRA C. LAVAGNINO 1. Studenti e “mercato” L “ ’Italia va in Cina a caccia di studenti”1, è questo il titolo di un articolo comparso nel febbraio di quest’anno su Huanqiu shibao-Global Times, la rivista a cura della redazione esteri del Quotidiano del popolo che ogni lunedì, mercoledì e venerdì racconta ai cinesi quello che succede nel mondo. Nell’articolo si descrive dettagliatamente come, finalmente, anche i principali atenei del nostro Paese abbiamo ritenuto opportuno, per la prima volta, far conoscere i propri percorsi formativi in Cina attraverso la partecipazione diretta alla decima edizione della “Mostra itinerante dell’istruzione cinese” (Zhongguo guoji jiaoyu xunhuizhan), un evento organizzato proprio in quel periodo dal Chinese Service Center for Scholarly Exchange (Zhongguo liuxue fuwu zhongxin). “A quanto si dice, le università italiane che 23 Cultura e Società 2. Ieri e oggi matricole e 151mila dottorati), e 13milioni e 335mila gli universitari di primo livello (inclusi 4milioni 473mila matricole e 2milioni 391mila laureati di primo livello). L’anno accademico appena concluso ha visto, lo scorso giugno, la partecipazione all’Esame nazionale di ammissione all’università (gaodeng xuexiao zhaosheng kaoshi, solitamente abbreviato nella formula Gaokao) di 8milioni 670mila diplomati delle diverse scuole superiori. E anche se “il programma di allargamento dell’offerta didattica delle università cinesi iniziato sette anni fa ha, pur fra opinioni discordi, notevolmente migliorato le possibilità di accesso, solo il 54% dei partecipanti all’esame di ammissione potrà quest’anno trovare posto nelle diverse università del paese”6. Resta quindi ancora relativamente bassa la percentuale dei giovani che oggi arrivano a frequentare le università cinesi: si tratta del 17% dei ragazzi in età tra i 18 e i 22 anni, una percentuale che rimane molto al di sotto di altri paesi asiatici, come la Corea del sud o le Filippine, secondo quanto le stesse fonti cinesi rilevano7. E tutto questo malgrado il citato, pur controverso, ampliamento realizzato, a partire dal Da tempo sono stati archiviati gli anni dello stretto controllo dello stato (e del partito) sulla preparazione dei “rossi ed esperti” (you hong you zhuan), dei “continuatori della causa rivoluzionaria” (geming shiye jiebanren), di quella ristretta élite che veniva selezionata per frequentare le pochissime università e poi “assegnata” (fenpei) d’ufficio alle diverse “unità di lavoro” (danwei) in base alle esigenze della pianificazione centrale. Il sistema di istruzione superiore e universitario è ormai diventato, in seguito a una serie di riforme sempre più “radicali”, una complessa megastruttura che produce annualmente milioni e milioni di laureati e diplomati che si affacciano su un mondo del lavoro ormai estremamente diversificato, e per molti versi difficilmente controllabile3. Vediamo innanzitutto qualche dato: nel 1992 erano 2,18 milioni gli studenti universitari, ma già nel 1998 erano aumentati fino a 7,8 milioni4 e, secondo l’ultimo Rapporto statistico sullo sviluppo economico e sociale della RPC a cura dell’Ufficio Statistico nazionale cinese 5 , nel 2004 erano 820mila gli studenti iscritti ai corsi di dottorato (tra cui 326mila 24 Cultura e Società 1998, attraverso la progressiva apertura da parte delle istituzioni governative sia dell’offerta didattica nel settore degli atenei e istituti statali, sia nei confronti degli investimenti privati, e stranieri; apertura che ha permesso l’istituzione di diversi tipi di scuole superiori e università eufemisticamente definite, in cinese, come minban, letteralmente “gestite dal popolo”, ovvero “non-statali”. Erano, nel 2003 più di 70mila le scuole di questo tipo, con un totale di 14milioni e 160mila studenti, 1879 gli istituti di istruzione di tipo universitario, con un milione e 900mila studenti, e di questi solo 197, con 810mila iscritti, erano autorizzati a conferire diplomi accademici riconosciuti dallo stato8. nesi avevano potuto recarsi all’estero, con accordi e finanziamenti regolati su base ufficiale: si trattava di diverse forme di cooperazione intergovernativa, e quindi a spese dello stato, o grazie a borse di studio erogate dal paese ospitante, e quindi senza alcun onere finanziario per le famiglie. In questo periodo vennero inviati 320mila studenti in Università ed istituti di ricerca di 103 paesi (nel 1999 solo 100mila di questi erano tornati in Cina)9; nel 1998 vennero inviati all’estero anche i primi 28 studenti delle scuole medie superiori, sempre su progetti intergovernativi10. La graduale ma netta politica di liberalizzazione che il governo cinese ha intrapreso in questi ultimi anni ha rapidamente provocato un radicale cambiamento nella tipologia del giovane studente cinese che si reca all’estero. “Today, mainland students are no longer political tools. They have become a business”, affermava già nel 1998 il corrispondente da Pechino del South China Morning Post, fornendo questi dati: 40mila studenti cinesi già studiavano nelle Università nord americane, 23mila in quelle giapponesi, tra 5 e 6mila in Gran Bretagna, 4mila500 in Francia, 3. Studiare all’estero! In questo quadro ha assunto un’importanza sempre più decisa la possibilità - del tutto nuova per i cittadini della Repubblica Popolare Cinese - di poter completare, anche a proprie spese, la formazione ed il perfezionamento all’estero. Gioverà ricordare che, a partire dal 1978, per circa 20 anni era stato soltanto grazie all’autorizzazione, e con il controllo, del governo che i giovani ci25 Cultura e Società 6mila in Germania, 2mila a Singapore (l’Italia, ovviamente, non viene neppure menzionata)11. tenando forum, dibattiti, richieste di consigli, e favorendo successive pubblicazioni di altre analoghe esperienze13. Dopo l’11 settembre, tuttavia, le politiche restrittive in merito alla concessione di visti agli stranieri hanno prodotto anche il drastico calo nel numero delle presenze di studenti cinesi negli Usa14. Contemporaneamente alcuni paesi europei (tra i quali di sicuro non il nostro) andavano perfezionando procedure di accoglienza nei confronti di studenti stranieri, e cinesi in particolare, che hanno visto innanzitutto una interessante diversificazione riguardo ai contenuti dell’offerta formativa, oltre alla possibilità, a volte, di condizioni relativamente vantaggiose per gli studenti stranieri. La Germania, ad esempio, ha dal 2001 investito 6 milioni di euro l’anno mediante bonus agli Istituti che offrono corsi in inglese, e oggi sono 500 i master in inglese, con un aumento del 27% degli studenti stranieri, in gran parte cinesi e indiani15. Rimane comunque imponente il business degli studenti stranieri innanzitutto per i paesi anglofoni, con Inghilterra, Australia, Irlanda, Nuova Zelanda e Canada che hanno saputo brillantemente colmare eventuali spazi lasciati, for- 4. Dove vanno? Da allora un numero sempre crescente di giovani e meno giovani finalmente ha cominciato a potersi muovere autonomamente, e a proprie spese, in caccia di Corsi di Laurea, Dottorati e Master, anche costosissimi, ovunque. Fino a qualche anno fa erano soprattutto gli Stati Uniti la meta favorita per corsi lunghi e brevi, il grande sogno di centinaia di migliaia di ragazzi, per la cui realizzazione le famiglie si sottoponevano anche a duri sacrifici. Un successo letterario del 2001 (1milione e 100mila copie vendute) è stato Liu Yiting, ragazza di Harvard: la vera storia di un’accurata preparazione12, testo nel quale i genitori della ragazza, fierissimi, descrivono come abbiano scientificamente preparato la loro figlia fin dalla nascita per venire accettata nella più prestigiosa università americana. E il successo di questo progetto “strategico” che vede la diciottenne Liu Yiting accettata non solo da Harvard ma da altre tre prestigiose sedi americane rimbalza prepotente sulla stampa, sca26 Cultura e Società se solo momentaneamente, dal colosso americano. In particolare, nel 2004 le richieste cinesi per le prestigiose Graduate School americane sono diminuite del 45%, dirette molto probabilmente in Europa. Gli Stati Uniti, comunque, continuano a tenere ben stretta in mano la palma delle più prestigiose università nelle quali andare a studiare, e le famiglie cinesi che vogliono investire per il futuro dei loro ragazzi ben conoscono le graduatorie internazionali dei migliori atenei. A questo proposito, lo scorso anno l’Università Jiaotong di Shanghai ha compilato e messo in rete una classifica delle 500 principali università del mondo16 e delle prime 20 ben 17 sono americane, e 170 su tutte e cinquecento!17 to dei titoli di studio, le procedure per l’ottenimento del visto, le modalità per iscriversi nei diversi atenei, e le informazioni sulle condizioni della vita studentesca. Si rivela quindi preziosa la documentazione al riguardo che si trova su nuovi periodici come China Campus - Daxuesheng, un mensile che si pubblica, a cura della redazione del Beijing qingnianbao, a partire dal settembre 2004, o che facilmente si scarica da diversi siti dedicati che fanno capo al Ministero dell’Istruzione cinese il quale, per cercare di tenere sotto controllo una situazione che potrebbe diventare davvero esplosiva18, ha autorizzato alcuni centri e un cospicuo numero di Agenzie di servizi alla gestione ordinata del flusso degli studenti verso l’esterno19. Tali enti da tempo organizzano Fiere, Convegni ed Esposizioni20 per promuovere informazioni e contatti con università e organismi di tutto il mondo, e ordinatamente canalizzare l’imponente ondata di giovani che sempre più consapevolmente vuole e può decidere, finalmente, della propria futura formazione. 5. La raccolta delle informazioni Va però ricordato che ancora oggi in un paese come la Cina dove, come si è detto, fino a pochi anni fa era quasi impossibile recarsi all’estero se non per motivi ufficiali, rimane ancora piuttosto complesso il reperimento, per chi voglia andare a studiare all’estero, di informazioni e notizie utili in merito ai documenti necessari, l’autenticazione e il riconoscimen- 6. Chi va all’estero? Si tratta comunque di un investi27 Cultura e Società per i nuovi ricchi cinesi costituisce un vero punto di onore. Quello della educazione. Il nostro Paese che di arte, musica, creatività e lusso è la culla, viene completamente ignorato per quello che riguarda il processo di formazione verso tutto questo, l’istruzione. mento costoso, quello di mandare un ragazzo a studiare “fuori”, e che quindi, ad oggi, può riguardare solo una parte decisamente minima del paese. Tuttavia, secondo un recente studio della Merryl Lynch, una delle maggiori società di analisi finanziaria internazionale, se oggi sono “solo” 30 milioni i cinesi che possono permettersi beni di lusso, il 2% della popolazione, nel 2009 la Cina dovrebbe coprire il 20% di questo importante mercato21. Una interessante fascia di consumatori la cui rapida e costante espansione apre, non solo per le imprese di questo settore tradizionalmente ritenuto “di nicchia”, prospettive decisamente nuove. Ma se è vero che i cinesi sanno ormai tutti scandire i nomi delle marche che contrassegnano il successo (e sono in gran parte nomi italiani: famoso il “delirio” per la Ferrari in occasione del Primo Gran Premio di formula Uno, a Shanghai lo scorso autunno, come famose sono le grandi marche del Made in Italy), ed altrettanto riconosciuta è la nostra creatività attraverso l’arte, la musica, il cinema che, nell’immaginario cinese, rappresentano oggi un vero e proprio mito, appare ancora più strabiliante la quasi completa mancanza del nostro Paese proprio in un campo che non solo 7. Che fare? Rispetto alla situazione di totale assenza che fin dall’anno scorso lamentavamo dalle pagine di questa stessa rivista22 qualche cosa è stato fatto. Ma lasciamo che sia ancora il giornalista cinese a parlare: “Non è un segreto che in questi ultimi anni il numero di persone che la Cina ha mandato a studiare in Europa è aumentato costantemente: tuttavia l’Italia, rispetto ai suoi vicini, pare proprio che in fondo non avesse capito quanti studenti cinesi poteva accogliere. Finché il primo ministro Wen Jiabao, recatosi in visita in Italia, ha affermato che non solo gli studenti cinesi in Gran Bretagna, in Germania e in Francia sono alcune decine di migliaia, ma che non sono pochi neppure in paesi relativamente piccoli come la Svizzera e il Belgio. Invece, in Italia, ci sono solo poco più di 500 studenti cinesi. Ed ecco allora che tutto d’un colpo l’Italia si è svegliata, e final28 Cultura e Società “Progetto Marco Polo”, che dall’anno scorso la CRUI ha lanciato, coinvolgendo un buon numero di Atenei italiani in iniziative come la partecipazione all’evento di cui si parlava nell’apertura di questo articolo24, partecipazione che è stata salutata con grande interesse e simpatia dalla stampa cinese25. Ma lasciamo ancora una volta la parola al giornalista cinese: “In base al Progetto, le università italiane quest’anno si preparano ad accogliere 2000 studenti e specialisti cinesi di vario livello. A quanto pare, gli studenti cinesi in Italia potranno aumentare velocemente. A paragone con quello di altri paesi europei, il mercato dello studio all’estero italiano ha davvero i propri vantaggi. Innanzitutto, l’Italia non considera l’istruzione come un’industria che produce reddito: le tasse universitarie sono piuttosto basse (la retta annuale di un ateneo pubblico è di circa 20-30mila RMB), e anche il costo della vita non è alto (servono dai 500 ai 1000 euro al mese). Gli studenti stranieri mentre studiano possono anche lavorare. Negli istituti di istruzione superiore italiani, fra le migliori specialità bisogna contare i corsi di design, come design di interni, design industriale, design per l’architettura e così via. mente si rimbocca le maniche. Da allora, l’ambasciatore italiano in Cina si è mosso attivamente tra Pechino e Roma. E anche il Ministro degli esteri italiano e il Presidente di Confindustria si sono lamentati a gran voce: “L’Italia deve aprire il mercato degli studenti stranieri alla Cina!”. Gli italiani, si sa, fanno sempre le cose all’ultimo momento, ma una volta svegli si danno da fare più di altri. E così, solamente nella seconda metà dell’anno scorso più di 300 studenti cinesi sono arrivati in Italia: alcuni frequentano corsi di laurea di primo livello, altri sono dottorandi e specializzandi; la maggior parte di loro è disseminata nelle regioni settentrionali”23. Si tratta allora di capire fino a quale punto il nostro Paese vuole e può entrare all’interno di questo importante circuito internazionale, perfezionando una scelta strategica che favorisca finalmente anche presso di noi la formazione di membri di quella che sarà presto la nuova élite cinese, contribuendo in maniera fattiva a creare preziosi e insostituibili legami di “fidelizzazione” con le nostre Università, i nostri istituti di ricerca, le nostre imprese e istituzioni. 8. Il “Progetto Marco Polo” In questo quadro si inserisce il 29 Cultura e Società Oltre a questi, le belle arti, la musica, le arti visive e altre specialità sono molto buone. Ad andare a studiare in Italia, tuttavia, bisogna essere pronti. Prima di tutto, quasi nessuno degli atenei italiani fornisce alloggi agli studenti: alcuni hanno delle “Case dello studente”, ma il numero è ridotto e l’offerta non è adeguata alla domanda. Inoltre, quello relativo alla lingua è un grosso problema. Le università usano l’italiano e non l’inglese per tenere lezione. Prima di andare a studiare in Italia, quindi, è meglio poter avere un po’ di preparazione dal punto di vista linguistico, altrimenti dopo essere entrati in università è molto difficile tenere il passo con il corso di studi.”26 Si tratta a questo punto di sviluppare concretamente una serie di iniziative coordinate per favorire innanzitutto la diffusione dello studio della nostra lingua e della nostra cultura in Cina, e non soltanto a livello universitario; potenziare in Cina i servizi di informazione e consulenza riguardo allo studio nel nostro Paese27, sciogliere gli annosi e complessi nodi burocratici legati innanzitutto al riconoscimento dei percorsi di studio, alla concessione del visto, del permesso di soggiorno per stu- denti, e poi costituire o potenziare i servizi in loco per rendere possibile un proficuo soggiorno di studio per studenti che, ricordiamolo, non stanno cercando condizioni economiche di favore - gli studenti zifei “a proprie spese” sono spesso più che benestanti ma un ambiente internazionale nel quale formarsi per il futuro. In questo senso ci auguriamo che il viaggio a Pechino del Ministro Moratti potrà fornire delle risposte concrete. 1) Shi Kedong, “Yidali dao Zhongguo qiang liuxuesheng”, in Huanqiu shibao, 23 febbraio 2005, p. 19. 2) Ibid. 3) Sulla nuova redistribuzione delle risorse umane nel mercato del lavoro cfr. Cooke F.L., HRM, Work and Employment in China, Londra, Routledge, 2005; Hanser A., “The Chinese Enterprising Self: Young, Educated Urbanities and the Search for Work”, in Link P., Masden R., e Pickowitz P. (a cura di), Popular China, Unofficial Culture in a Globalizing Society, Oxford, Rowman e Littlefield, 2002, pp. 189-206. 4) Cfr. Anonimo, “Graduate employment: High hopes, low access”, in China Daily, 11 maggio 2004 (Internet Ed.). 5) Cfr. Guojia tongji ju, 28 febbraio 2005, in www.stats.gov.cn. 6) Cfr. “Policy changes to ease exam tension”, in China Daily, 7 giugno 2005 (Internet Ed.). 7) Cfr. Anonimo, “Reform curriculum to 30 Cultura e Società help graduates find jobs”, in China Daily, 3 giugno 2005 (Internet Ed.). 8) Cfr. Lan Xinzhen, “Private Universities gain favour”, in Beijing Review, n. 28, 2004, pp. 24-32. Sono cinque i tipi di “Università non statali” secondo l’articolo citato: 1) Università che offrono un’istruzione professionale di alto livello, e sono autorizzate a conferire diplomi riconosciuti. Gli iscritti debbono aver superato il Gaokao; 2) Università che preparano gli studenti per sostenere gli esami nazionali di diploma, non sono autorizzate a conferire titoli riconosciuti, e quindi non richiedono il superamento del Gaokao; 3) Università che preparano gli studenti agli esami nazionali come privatisti, e quindi non danno titoli né richiedono il Gaokao; 4) Università che rilasciano certificati di qualificazione professionale, non diplomi riconosciuti dallo stato, non richiedono il Gaokao, ma il superamento di una prova d’ingresso; 5) Università in cofinanziamento tra partner cinesi ed esteri, con reclutamento degli studenti in base a un proprio regolamento, non richiedono il Gaokao, e conferiscono titoli validi solo per il perfezionamento all’estero, e nelle strutture concordate con i partner stranieri. 9) Cfr. Cui Ning, “More scholars return from abroad”, in China Daily, 2 aprile 1999 (Internet Ed.). Valga come esempio il testo di Qian Ning, Liuxue Meiguo (Studiare in America), Nanchino, Jiangsu wenyi chubanhshe, 1996, nel quale l’autore, figlio dell’allora ministro degli esteri, Qian Qichen, racconta la sua lunga esperienza, dal 1989 al 1995 presso la Michigan University come ricercatore di giornalismo. 10) Cfr. Cui Ning, “More students to go abroad”, in China Daily, 10 febbraio 1998, p. 6. 11) Cfr. Seidliz P., “Foreign universities reap rewards from mainland students”, in South China Morning Post, 8 febbraio 1998, p. 14. 12) Zhang Xinwu e Liu Wenhua (a cura di), Hafo nuhai Liu Yiting: suzhi peiyang jishi, Pechino, Zhongguo qingnian chubanshe, 2000. 13) Cfr. www.gzqg.net.cn/hdhf/szjy. 14) Cfr. Rosenbloom J., “Concern on U.S. campuses as foreign enrolments decline”, in International Herald Tribune, 19 ottobre 2004, p. 11. 15) Cfr. Lee J.J., “Europe lures students once bound for U.S.”, ibid. 16) Si veda il sito dedicato: ed.sjtu.edu.cn/rank/2004 2004Main.htm. 17) Cfr. Dillon S., “U.S. slips in luring world’best students”, Ivi, 22 dicembre 2004, p. 5. La prima delle università italiane è Roma-La Sapienza, al 93° posto, la seconda è l’Università degli Studi di Milano, al 123°, la terza è Pisa, al 156°. Cfr. nota 16. 18) In questi ultimi anni si è avuto un boom di titoli accademici falsi, rilasciati da fantomatici istituti e università in diverse zone del paese, e di società di servizi finalizzati all’espatrio per motivi di studio, che coprivano traffici clandestini e attività illegali. Cfr. ad esempio, Cui Ning, “Unqualified teaching websites shut down”, in China Daily, 20 luglio 2004 (Internet Ed.). 19) Sarebbero ben 370 le Agenzie riconosciute dal Ministero dell’Istruzione cinese. Nel sito del Ministero (www.moe.gov.cn) si trovano anche i link con gli Uffici Istruzione di diverse ambasciate straniere in Cina: nell’ordine, Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Canada, Russia, Giappone Australia (l’Ambasciata d’Italia non viene citata poiché non ha un Uf31 Cultura e Società ficio Istruzione). Tra le strutture che al Ministero fanno capo si segnala il Zhongguo liuxue fuwu zhongxin (Chinese Service center for Scholarly exchange) (www.csc.edu.cn), che ripartisce la materia in tre ulteriori link: per chi vuole andare a studiare all’estero esiste www.chuguo.net.cn (in cinese e inglese), mentre per attrarre gli studenti cinesi che si trovano all’estero www.huiguo.net.cn (in cinese e inglese), e per gli studenti stranieri che vogliono studiare in Cina cfr. www.studyinchina.net.cn (in cinese e inglese). Al Ministero fanno riferimento anche il Dongfang Guoji jiaoyu jiaoliiu zhongxin (Dongfang International center for educational exchange) www.csc-studyabroad.net e il Zhongguo Gaodeng jiaoyu xuesheng xinxi wang (The National information and career center for university students) (www.chsi.com.cn). 20) Cfr. il rapporto di Bulfoni C., “Beijing International Education Expo 2004”, in Mondo cinese, n. 121, ottobre-dicembre 2004, pp. 63-68. 21) Cfr. Watts J., “China’s new consumers get a taste for luxury gods”, in The Guardian, 18 giugno 2005, p. 3. 22) Cfr. il mio “Dove vanno gli studenti cinesi’”, in Mondo cinese, n. 119, aprile-giugno 2004, pp. 47-53. 23) Cfr. Shi Kedong, cit., nota 1. 24) In base al progetto, le istituzioni competenti dei due paesi istituiranno rispettivamente in Italia e in Cina uffici di rappresentanza, specialmente per fornire servizi di consulenza agli studenti cinesi che desiderano andare in Italia per specializzarsi. Agli studenti e dottorandi cinesi che progettano di recarsi a studiare in università italiane, verranno fornite informazioni su condizioni di accoglienza, organizzazione delle specialità, lingua e cultura; la CRUI e la Confindustria, sviluppando la cooperazione tra Cina e Italia, forniranno facilitazioni agli studiosi di università e istituti di ricerca e permetteranno a studiosi cinesi di recarsi presso istituti di ricerca scientifica italiani a svolgere attività di ricerca. La Confindustria farà in modo che alcuni laureati cinesi, dopo esercitazioni ed esami di lingua, si rechino in aziende in Italia e in aziende italiane in Cina a fare attività di tirocinio nel loro campo specifico. Ulteriori dettagli sul progetto e sulle iniziative si leggono nell’apposito sito www.crui.it/ marcopolo/. 25) Cfr. Wang Zhuoqing, “Ciao! Italy tries to get into the act”, in China Daily, 14 marzo 2005, p. 5, Anonimo,”Yi Zhong liangguo you wangniannei huren xueli”(Entro fine anno ci sarà tra Italia e Cina il riconoscimento reciproco delle carriere accademiche), in Xin Jing bao, 28 febbraio 2005, p. D67. 26) Cfr. Shi Kedong, cfr. nota 1. 27) La nostra Ambasciata a Pechino ha recentemente aperto il sito www.studyinitaly.cn. 32 Cultura e Società La pubblicità sociale in Cina: un quadro generale tratta temi diversi appartenenti a varie sfere una sua attenta analisi può diventare uno strumento efficace per cogliere i cambiamenti portati in campo sociale dall’apertura e dalle riforme economiche. GIOVANNA PUPPIN 1. Terminologia e definizioni Premessa Il termine, abbastanza nuovo, ma ormai comunemente utilizzato in Cina per indicare la moderna pubblicità sociale 1 è gongyi guanggao, letteralmente “pubblicità di pubblica utilità”. Tra le numerose definizioni emerse dall’acceso dibattito sul fenomeno, quella data da Gao Ping, autrice del primo libro sulla pubblicità sociale cinese, risulta essere una delle più esaustive: “la pubblicità sociale è una pubblicità non commerciale che opera nell’interesse pubblico. Si propone di promuovere la costruzione della civiltà spirituale attraverso la diffusione, in forma propositiva o ammonitiva, di contenuti di interesse collettivo”2. Anche in Cina, quindi, la pubblicità sociale viene fatta rientrare nella categoria della “pubblicità non commerciale” (fei shangyexing guanggao), assieme ad altre forme di comunicazione quali la “pubblicità politica” (zhengzhi guanggao) e l’advocacy È oggi sempre più frequente, per le strade di Pechino, vedere le lunghe file di cartelloni pubblicitari raffiguranti attrici e prodotti tecnologici intervallate da qualche manifesto che ha come tema la sicurezza stradale. Nelle fermate della metropolitana di Pechino le pubblicità di orologi e cosmetici occidentali sono intercalate da cartelloni per la prevenzione dell’Aids. Allo stesso modo in televisione, il medium che in Cina ha avuto lo sviluppo maggiore e più veloce, dal sovraffollato panorama pubblicitario emergono spot che non agiscono nell’interesse del consumatore, ma in quello del popolo: gli spot sociali. Il fenomeno della pubblicità sociale nella Cina del XXI secolo, nonostante sia ancora nuovo e poco studiato, ha raggiunto comunque una dimensione che non può non colpire. Proprio perché 33 Cultura e Società le tratta temi di natura politica, ad esempio, la ricorrenza del “cinquantesimo anniversario di fondazione della Repubblica Popolare Cinese” (jianguo wushi zhounian), il “rafforzamento del paese attraverso la scienza” (keji xingguo), il “rispetto della pianificazione delle nascite” (jihua shengyu) ecc. Le diversità invece compaiono quando i contenuti non sono legati alla politica [ad esempio, il “rispetto per gli anziani e l’amore per i bambini” (zunlao aiyou), la sicurezza stradale, (jiaotong anquan), la protezione dell’ambiente (huanjing baohu), ecc.] e nella tecnica e nella forma espressiva (che nella pubblicità sociale, soprattutto quella televisiva, sono molto più vivaci)6. (changyi guanggao). La pubblicità sociale e quella commerciale (shangye guanggao) sono accomunate dal fatto di essere entrambe due forme di comunicazione di massa e di veicolare messaggi persuasivi, al fine di raggiungere un obiettivo prefissato. Ciò che invece differenzia la pubblicità sociale dalla pubblicità commerciale è lo scopo, che non risulta essere il profitto economico, ma il benessere sociale3. Anche il contenuto delle due forme di comunicazione sarà quindi diverso: la pubblicità sociale infatti “riguarda la morale, l’educazione, l’ambiente, la salute, i trasporti, i servizi pubblici, tocca le questioni che stanno a cuore alla società di oggi e sono strettamente collegate all’interesse pubblico [...]”4. Se confrontata con la pubblicità sociale diffusa in altri Paesi, quella cinese appare molto più “politicizzata”5. Ricoprendo un ruolo fondamentale nel processo di “costruzione della civiltà spirituale socialista” (shehui zhuyi jingshen wenming jianshe) la pubblicità sociale cinese deve agire in completo accordo con le politiche del Partito Comunista Cinese e spesso quindi ne diffonde gli ordini. Sostanzialmente, la somiglianza tra pubblicità sociale e propaganda politica (zhengzhi xuanchuan) esiste quando la pubblicità socia- 2. Pubblicità sociale e mass media Seguendo la classificazione proposta da Ni Ning7, la pubblicità sociale cinese può comparire nei seguenti media: 1. media tradizionali, ovvero quotidiani, periodici, radio e televisione. Ci troveremo così di fronte a: 1.1. pubblicità sociali su stampa (pingmian gongyi guanggao), ovvero annunci su quotidiani e periodici caratterizzati dall’immediatezza del messaggio; 34 Cultura e Società 1.2. pubblicità sociali radiofoniche (guangbo gongyi guanggao), che utilizzano spesso espressioni della lingua parlata, sono semplici e costano poco; 1.3. pubblicità sociali televisive (dianshi gongyi guanggao), spot solitamente della durata di trenta secondi, caratterizzati da un forte sentimentalismo. Se confrontato con quello esercitato dalle pubblicità sociali veicolate da altri media, l’impatto sull’audience che hanno gli spot sociali è maggiore, in quanto uniscono la componente visiva a quella audio, i costi di produzione e di trasmissione sono quindi più alti; 2. Internet: 2.1. pubblicità sociali in rete (wangluo gongyi guanggao) che, grazie anche ad un recente concorso tenutosi nel 20048, hanno iniziato a far sperare in grandi possibilità di sviluppo; 3. media minori: 3.1. pubblicità sociali outdoor (huwai gongyi guanggao) quali insegne al neon e cartelloni stradali, ma anche insegne sui mezzi di trasporto (jiaotong gongyi guanggao). messa in onda dello spot “usiamo l’acqua con parsimonia” (jieyue yongshui) trasmesso dalla Televisione di Guiyang nel 1986. Secondo le stime, lo spot è riuscito a suscitare una presa di coscienza sociale, facendo diminuire il consumo dell’acqua di ben 470 mila tonnellate rispetto all’anno precedente9. Un anno dopo (il 26 ottobre) è iniziato il primo programma di pubblicità sociale ad appuntamento fisso: Guangergaozhi, trasmesso sul primo canale della CCTV. L’evento è stato fondamentale in quanto ha permesso lo sviluppo successivo delle attività di pubblicità sociale e al contempo è diventato un modello per altre emittenti televisive regionali10. Il programma Guangergaozhi viene trasmesso ancora oggi: l’appuntamento sulla CCTV1 è fissato dal lunedì alla domenica, alle 21:45 circa; quello invece sulla CCTV2 è per le 19:35 circa, dal lunedì al venerdì, e per le 23:05 circa il sabato e la domenica11. È stato però a partire dall’anno 1996 che si è assistito ad un proliferare di attività inerenti alla pubblicità sociale: dai seminari ai concorsi, dalla regolamentazione ai controlli. Questo sviluppo è stato possibile soprattutto grazie al lancio di due campagne sociali, 3. Tappe essenziali e campagne Il primo esempio di pubblicità sociale cinese viene fatto risalire alla 35 Cultura e Società nuova varietà di temi si può suddividere nelle seguenti categorie: 1) educazione sociale (shehui jiaohua). Consiste nel diffondere valori quali l’aiuto reciproco, l’onestà, il rispetto per i professori e gli anziani e il contrastare trend sociali negativi, come ad esempio la violenza domestica; 2) servizio pubblico (gonggong fuwu). Pubblicità i cui contenuti possono essere la salute e l’igiene (come la prevenzione dell’Aids) e la sicurezza stradale, ma anche l’ordine nel prendere i mezzi pubblici e la prevenzione dagli incendi e furti; 3) protezione ecologica (shengtai baohu). Riguarda temi come il rispetto per le piante e gli animali e il risparmio delle risorse naturali; 4) aiuti e beneficenza (cishan jiuzhu). Spesso le pubblicità di questa categoria riguardano il prestare soccorso in caso di calamità naturali, ma anche il dimostrare affetto e sostegno nei confronti di portatori di handicap, gruppi svantaggiati e bambini poveri; 5) politiche governative (zhengfu zhengzhi). Lo scopo di queste pubblicità è di aumentare la fiducia e l’orgoglio dei cinesi, mostrando i progressi ottenuti in vari campi, ma anche rendere noti gli ap- ciascuna della durata di un mese, intitolate rispettivamente “le buone usanze della Cina” (Zhonghua hao fengshang, 1996) e “l’autorafforzamento genera splendore” (Ziqiang chuang huihuang, 1997), incentrate l’una sulla virtù tradizionale della cultura cinese e l’altra sullo spirito e gli ideali nazionali. Il 1998 è stato un anno dedicato al delicato tema della disoccupazione e alla diffusione dello “spirito del 15° Congresso del Partito” (Shiwuda jingshen), mentre le pubblicità sociali del 1999 sono state caratterizzate da un tono fortemente celebrativo in quanto legate ad importanti avvenimenti storici, quali la fondazione della Repubblica Popolare Cinese e il ritorno di Macao alla madrepatria. Anche nel 2000 è stata lanciata una campagna monotematica intitolata “nuovo secolo, nuove abitudini” (Shuli xin fengshang, maixiang xin shiji)12 il cui obiettivo era forgiare cittadini con forti ideali, un’alta morale, ampia cultura e disciplina. Negli ultimi anni invece, i temi affrontati dalla pubblicità sociale cinese sono passati da valori strettamente nazionalistici a temi più generici e di ampia portata. Secondo Zhang Mingxin13 questa 36 Cultura e Società pelli del governo (ad esempio, il dovere di pagare le tasse, la necessità di collaborare in occasione del censimento, l’importanza di contrastare la corruzione ecc.). ventù Cinese (Zhongguo qingshaonian fazhan jijinhui) e dal suo Progetto Speranza (Xiwang gongcheng) che ha come obiettivo far proseguire gli studi ai bambini bisognosi delle campagne più povere15. La tendenza attualmente in voga è il finanziamento della pubblicità sociale da parte delle imprese (qiye zanzhu gongyi guanggao). Questo fenomeno costituisce una sorta di soluzione al problema del reperimento dei fondi per la pubblicità sociale cinese; allo stesso tempo, però, è stato fonte di problemi e polemiche: non sono pochi i casi in cui le imprese finiscono per utilizzare la pubblicità sociale come strumento per farsi pubblicità a basso costo. Da qui deriva la diffusa preoccupazione che la pubblicità sociale possa venir contaminata da interessi economici, tipici invece della pubblicità commerciale16. La definizione dei confini tra pubblicità sociale e pubblicità commerciale è infatti molto recente; alla confusione generatasi nel frattempo va ad aggiungersi la mancanza di un’organizzazione che si occupi esclusivamente di pubblicità sociale, sullo stampo dell’Advertising Council americano e di quello giapponese. Per questo i due enti vengono spesso 4. Soggetti e regolamenti Vediamo ora quali sono i soggetti e gli organi che si occupano dell’organizzazione e del controllo della pubblicità sociale cinese, nonché i regolamenti che sono stati emessi in questo campo. I committenti più frequenti di pubblicità sociale sono: - il governo (zhengfu) o uno dei suoi ministeri (zhengfu bumen); - le organizzazioni no profit (fei yinglixing zuzhi), come ad esempio le organizzazioni internazionali; - le imprese (qiye)14. In Cina il governo ha sempre ricoperto un ruolo decisivo all’interno delle attività di pubblicità sociale: dall’emissione di leggi all’indizione di concorsi, dal controllo dei contenuti alla premiazione delle opere migliori. Paradossalmente, infatti, le poche organizzazioni no profit cinesi non possiedono abbastanza fondi per portare avanti campagne di pubblicità sociale. Una delle poche eccezioni è costituita dall’Associazione per lo Sviluppo della Gio37 Cultura e Società la quantità di pubblicità sociale diffusa dai vari media non deve essere inferiore al 3% della quantità della pubblicità commerciale trasmessa. Nel caso in cui siano le imprese a finanziare la pubblicità sociale, negli spot il nome dell’impresa e il suo logo possono venire trasmessi al massimo per 5 secondi; nei giornali, periodici e media outdoor la dimensione del nome della ditta e del marchio non può superare 1/5 della superficie dei media stessi. In ogni caso, non possono comparire né il nome del prodotto né ulteriori informazioni circa altri prodotti facenti capo all’impresa. La varietà di articoli e saggi sulla pubblicità sociale pubblicati in questi ultimi anni in Cina conferma l’esistenza di un forte interesse per questo settore che però, considerate le numerose contraddizioni e le questioni ancora aperte che lo caratterizzano (tra le quali spicca la mancanza di fondi)21, assume ancora una volta la forma di un fenomeno “con caratteristiche cinesi”. Se inizialmente le attività di pubblicità sociale sono state spronate dal governo, appaiono ora quasi abbandonate a se stesse e ciò ha portato al rarefarsi di attività quali seminari e conferenze e all’irruzione di soggetti privati. indicati dal mondo accademico come modelli auspicabili per lo sviluppo futuro della pubblicità sociale cinese17. In Cina è l’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio (SAIC)18, assieme al suo Ufficio Pubblicità, a detenere il potere nel settore della pubblicità sociale. Dal 1996 ad oggi la SAIC, all’inizio singolarmente in seguito congiuntamente ad altri organi (primo tra tutti l’Ufficio per la Costruzione Spirituale Socialista), ha emesso diverse circolari (tongzhi) con lo scopo di organizzare e regolamentare le attività di pubblicità sociale. Le suddette circolari vanno ad integrare quanto stabilito da una generica Legge sulla Pubblicità (emanata il 27 ottobre 1994) che non solo si riferisce unicamente alla pubblicità commerciale (e non a quella sociale) ma, anzi, spesso è addirittura in contrasto con il contenuto della pubblicità sociale (si pensi al divieto di mostrare la bandiera della Repubblica Popolare Cinese, che invece appare molto frequentemente negli spot sociali come simbolo di amor patrio)19. Il regolamento attualmente in vigore, la “Circolare per una diffusione ancora più efficace della pubblicità sociale” 20, stabilisce che 38 Cultura e Società ti sulla pubblicità cinese), Zhongguo gongshang chubanshe, Beijing, 2004, pp. 227-28. 4) Ni Ning, Guanggaoxue jiaocheng (Corso di pubblicità), Beijing, Zhongguo renmin daxue chubanshe 2001, p. 10. 5) Ad esempio, in Italia la pubblicità sociale si distingue per il suo “carattere non partigiano”. Sempre secondo Gadotti “I messaggi di public service non diffondono infatti parole d’ordine o opzioni di raggruppamenti partitici o analoghi a partiti”. Giovanna Gadotti, op. cit., p. 27. 6) Chen Jiahua, Cheng Hong “Zhongguo gongyi guanggao: xuanchuan shehui jiazhi de xin gongju” (Pubblicità sociale cinese: un nuovo strumento per diffondere valori sociali), Xinwen yu chuanbo yanjiu (Giornalismo e comunicazione), 2003.4, pp. 1819. 7) Ni Ning, Guanggao de xin tiandi: Zhongri gongyi guanggao bijiao (Il nuovo mondo della pubblicità: pubblicità sociale cinese e giapponese a confronto), Beijing, Zhongguo qinggongye chubanshe, 2003, pp. 61-63. 8) Si tratta del “Concorso cinese di pubblicità sociale FLASH” (Zhongguo FLASH gongyi guanggao dasai), si veda il sito internet: http:// www.chinaflashad.com. 9) Gao Ping, op. cit., p. 54. 10) Wang Yun, Shu Yang, “«Guangergaozhi» zai Zhongguo gongyi guanggaoshi shang de yiyi” (Il ruolo del programma Guangergaozhi nella storia della pubblicità sociale cinese), Xinwen Daxue (Università di Giornalismo), 2000.3, pp. 103-04. 11) Le informazioni sono tratte dal nuovissimo opuscolo per il 2005: Zhongyangdianshitai di ’yitao, di ’ertao «Guangergaozhi» gongyi guanggao Il rischio che corre la pubblicità sociale cinese è quello di venir “inquinata spiritualmente”, regredendo o a una forma modificata di propaganda politica o tramutandosi in una forma di pubblicità sociale commercializzata (shangyexing gongyi guanggao). Considerato il ruolo sempre più importante ricoperto dalla Cina a livello internazionale, dall’entrata nella WTO alla vittoria per ospitare le Olimpiadi del 2008 e all’importanza sempre maggiore riservata al settore sociale, è presumibile che, anche in questo caso, si riuscirà a trovare una “via cinese”, che permetta al governo di utilizzare la pubblicità sociale per mantenere il consenso e per garantire il progresso sociale, oltre che per acquisire maggior visibilità. 1) Gadotti definisce la pubblicità sociale “una comunicazione persuasoria che presenta come caratteristica saliente quella di fornire, nell’interesse collettivo, un’informazione imparziale su tematiche di interesse collettivo”, cfr. Giovanna Gadotti, Pubblicità sociale. Lineamenti, esperienze e nuovi sviluppi, Milano, FrancoAngeli, 20037, p. 27. 2) Gao Ping, Gongyi guanggao chutan (Sulla pubblicità sociale), Zhongguo shangye chubanshe, Beijing, 1999, p. 11. 3) Tang Zhongpu, Zhongguo bentu guanggao luncong (Raccolta di interven39 Cultura e Società il Commercio con l’Estero e la Cooperazione Economica (MOFTEC) e dal Consiglio degli Affari di Stato. Si veda il sito internet: http://www.saic.gov.cn. 19) Si veda l’articolo 7 della Legge sulla Pubblicità della Repubblica Popolare Cinese (Zhonghua renmin gongheguo guanggaofa), riportata in Ni Ning, Guanggaoxue jiaocheng (Corso di pubblicità), op. cit., p. 326. Lo spot sociale a cui si fa riferimento è il famoso “Alzabandiera” (Shengqi pian), che si è piazzato primo in occasione del concorso “Selezione nazionale per le migliori opere di pubblicità sociale”, annata 2001-2002. 20) “Guanyu jinyibu zuohao gongyi guanggao xuanchuan de tongzhi”, apparsa in Xiandai guanggao (Pubblicità moderna), 2003.2, p. 109. La circolare è stata emessa dal Dipartimento Centrale di Propaganda e dall’Ufficio per la Costruzione Spirituale del Comitato Centrale, dall’Ufficio Generale dell’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio, dal Ministero per la Radio, il Cinema e la Televisione e dall’Ufficio Generale per la Stampa e l’Editoria. 21) Zhang Mingxin, op. cit., pp. 35-38. lanmu” (Opuscolo illustrativo del programma di pubblicità sociale Guangergaozhi sulla CCTV1 e CCTV2). 12) Guojia gongshangju guanggaosi (Ufficio Pubblicità della SAIC), “Zhongguo gongyi guanggao huodong wu nian huigu” (Cinque anni di pubblicità sociale in Cina), Xiandai Guanggao (Pubblicità moderna), 2000.8, p. 17. 13) Zhang Mingxin, Gongyi guanggao de aomi (I segreti della pubblicità sociale), Guangzhou, Guangdong jingji chubanshe, 2004, pp. 33-34. 14) Ibidem, pp. 14-15. 15) Si veda il sito internet della Fondazione, http://www.cydf.org.cn. 16) Zheng Mingbo, “Gongyi guanggao shangye xianxiang pipan yu kongzhi” (Critiche e controlli sulla commercializzazione della pubblicità sociale), Xiandai guanggao (Pubblicità moderna), 2001.5, pp. 56-58. 17) Li Dongjin, Xiandai guanggao – yuanli yu tansuo (Pubblicità moderna – teorie e approfondimenti), Qiye guanli chubanshe, Beijing 2000, pp. 380-81. 18) La SAIC (acronimo dall’inglese State Administration for Industry and Commerce) dipende dal Ministero per 40 Documenti La funzione della “Legge anti-secessione” secondo la teoria dei giochi tro” e “a tre” in un gioco “a due a somma diversa da zero”. (M.M.) ******* L’approvazione della “Legge antiecessione”, avvenuta il 14 marzo 2005 da parte dell’Assemblea Nazionale del Popolo, dal punto di vista della teoria dei giochi, costituisce una mossa dell’”agente” Cina nel gioco “a più parti” della politica nell’area AsiaPacifico. Sebbene sia gli Stati Uniti che la Repubblica Popolare Cinese ritengano che Taiwan sia parte della Cina, tuttavia, dal punto di vista della teoria dei giochi, Taiwan è un “agente” dotato di capacità d’azione autonoma. Il gioco incentrato sul problema dello Stretto di Taiwan può configurarsi come un gioco “a due”, “a tre” o “a quattro” elementi, in base al diverso numero degli agenti territoriali che vi partecipano, suddivisi in questo articolo in “agenti nazionali” e “non nazionali”. La teoria non esclude però il possibile intervento di altri soggetti. YAN JIAQI [“Cong boyilun kan ‘fan fenlie fa’ de gongneng”, Zheng ming, n. 4 (330), aprile 2005, pp. 83-86.] U n’interessante chiave interpretativa della situazione venutasi a creare nello Stretto di Taiwan in seguito all’approvazione della “Legge antisecessione”1 è fornita da questo lavoro di Yan Jiaqi, noto accademico e politologo, oppositore al regime dopo la repressione di Tian’anmen e attualmente residente negli Stati Uniti. Questo saggio, utilizzando un modello della teoria dei giochi, ipotizza che nello Stretto si svolga un gioco a più agenti, cui prendono parte anche gli Stati Uniti e il Giappone. Tuttavia questa legge potrebbe modificare l’impostazione del gioco, trasformandolo da un gioco “a quat- Il gioco “a somma zero” e “a somma diversa da zero” La teoria dei giochi presuppone che ogni persona e ogni agente 41 Documenti relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, gli Stati Uniti, pur riconoscendo il principio di “una sola Cina”, hanno spesso svolto un ruolo equilibratore e di bilanciamento tra la Cina continentale e Taiwan. Poiché la prima supera la seconda per popolazione, superficie e forza militare, gli Stati Uniti hanno costantemente aggiunto “peso” sulla parte più debole, Taiwan. La politica equilibratrice americana tra le due sponde dello Stretto poggia su tre grandi pilastri: il primo consiste nel riconoscimento del principio di “una sola Cina”, in base al quale Taiwan è parte della Cina stessa e il governo della Repubblica Popolare Cinese è l’unico governo legittimo; il secondo si basa sulla protezione della sicurezza dell’Isola da parte degli Stati Uniti, attraverso la fornitura di armamenti, in conformità al Taiwan Relations Act del 1979; il terzo consiste infine nella risoluzione pacifica del problema di Taiwan. Nei ventisei anni dalla stipulazione del Taiwan Relations Act, la funzione equilibratrice svolta dagli Stati Uniti è cambiata in base alle diverse situazioni; nella maggior parte dei casi, comunque, si è trattato di semplici riaggiustamenti. partecipante al gioco possieda una propria tattica e persegua i propri obiettivi, ispirandosi a criteri di razionalità. I modelli di gioco si suddividono in due tipi: il gioco “a somma zero” e “a somma diversa da zero”. Nel primo tipo alla vittoria di un agente corrisponde la sconfitta dell’altro, cosicché la somma risulta uguale a zero. E’, per esempio, il caso di numerose crisi internazionali, dello scontro di due armate, della contesa tra due candidati o di una partita a scacchi. Quando, invece, nel confronto fra due o più “agenti”, la vittoria di uno non comporta la sconfitta dell’altro, la somma finale non è nulla, per cui si parla di gioco “a somma diversa da zero”. In questo tipo di gioco, in cui il conflitto e la cooperazione sono entrambi possibili, si verifica spesso una vittoria bilaterale. Il gioco tra la Repubblica Popolare Cinese, Taiwan, gli Stati Uniti e il Giappone può essere descritto come un gioco “a somma diversa da zero” fra quattro soggetti, le cui coordinate sono mutate in seguito all’approvazione della “Legge anti-secessione”. La strategia dell’equilibrio delle forze Dopo il ripristino ufficiale delle 42 Documenti Il Taiwan Relations Act pacifici” (seconda sezione, secondo comma, terzo punto). Il punto successivo dello stesso comma chiariva che gli Stati Uniti avrebbero considerato “ogni sforzo volto a influenzare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, incluso il boicottaggio e l’embargo, come motivo di seria preoccupazione”. Il sesto punto aggiungeva che l’America si impegnava a “sostenere la capacità di resistere all’uso della forza o di altre forme di coercizione che possano mettere a rischio la sicurezza o il sistema sociale e economico degli abitanti di Taiwan”3. Nel riallacciare i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, Pechino, pur non essendosi impegnata a “non usare la forza”, ha manifestato tuttavia con chiarezza il desiderio di risolvere il problema di Taiwan in modo pacifico. Il 9 gennaio del 1979, di fronte a quattro senatori americani2 Deng Xiaoping riconosceva il diritto del popolo di Taiwan a scegliere la propria forma di governo e l’impegno della Cina a non interferire in tale decisione. Sei giorni dopo, il Segretario di Stato Cyrus Vance si faceva portavoce di una comunicazione del Presidente degli Stati Uniti, in base alla quale Washington si impegnava a mantenere relazioni diplomatiche con Pechino solo a condizione che esse non ledessero il benessere degli abitanti di Taiwan e non riducessero la possibilità di una risoluzione pacifica del problema dell’Isola. Cento giorni dopo veniva approvato dal Congresso ed entrava ufficialmente in vigore il Taiwan Relations Act, in base al quale: “la decisione degli Stati Uniti di stabilire rapporti diplomatici con la Repubblica Popolare Cinese è fondata sull’aspettativa che il futuro di Taiwan venga deciso con mezzi “L’operazione freccia” induce gli Stati Uniti a rafforzare il proprio peso Essendo gli Stati Uniti uno stato di diritto, finché resteranno in vigore i tre comunicati congiunti con la Cina4 e non verrà abolito il Taiwan Relations Act, non vacilleranno i tre grandi pilastri su cui poggia la politica statunitense di “una sola Cina” e del mantenimento dell’equilibrio tra le due sponde dello Stretto. Per quanto riguarda i rapporti diplomatici tra gli USA e la RPC, la politica americana di “una sola Cina” potrebbe essere messa in discussione o abbandonata solo a condizione 43 Documenti che nello Stretto si verificasse uno scontro o un conflitto su ampia scala che contrapponesse i cinesi ai cinesi. Nel 1996, prima che a Taiwan avessero luogo le prime elezioni presidenziali dirette, l’esercito cinese svolse esercitazioni di lancio di missili terra-terra in direzione dello spazio marittimo a nord e a sud dell’Isola, a una distanza non superiore a 50 miglia marine dai due porti di Gaoxiong e Jilong. Tale operazione non era volta solo a intimidire una qualsivoglia “forza per l’indipendenza di Taiwan”, quanto piuttosto a minacciare l’intera popolazione dell’Isola. In conformità alla seconda sezione del Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti inviarono immediatamente due armate navali capitanate dalle portaerei ammiraglie Indipendence e Nemis nelle acque internazionali in prossimità dell’Isola. Il quinto giorno di esercitazioni missilistiche dell’Esercito Popolare di Liberazione, gli Stati Uniti annunciarono la fornitura a Taiwan di 150 aerei da guerra F16 prodotti appositamente dalla Società di aviazione Lockheed per un valore di 1.150.000.000 dollari. Lo stesso giorno, il comandante della Settima Flotta, Archie Clemins dichiarò che, nel caso in cui la Cina fosse passata all’at- tacco, in base al Taiwan Relations Act l’America avrebbe “reagito duramente”. Il sesto giorno di esercitazioni, il Congresso adottò la Risoluzione comune n. 148, che impegnava gli Stati Uniti a contribuire alla difesa di Taiwan, di modo che essa non subisse l’attacco della Cina. Lo stesso giorno gli USA approvarono la vendita di missili guidati terra-aria di tipo Stinger e di numerosi altri armamenti all’esercito taiwanese. “L’operazione freccia” voluta da Jiang Zemin nel 1996 di fatto modificò la politica nei confronti di Taiwan adottata nel periodo di Deng Xiaoping. Il giorno dopo il lancio missilistico verso le acque internazionali prospicienti la città di Gaoxiong, il quotidiano Minzhong ribao della stessa città sulla prima pagina non scrisse che una parola, “combattere!”. Da allora, la situazione all’interno dell’isola è progressivamente cambiata a favore del Partito Democratico Progressista, che alla fine è andato al potere, mentre ad una settimana dai lanci missilistici, Li Denghui veniva eletto Presidente. Sebbene gli Stati Uniti sapessero che le esercitazioni effettuate dall’Esercito Popolare di Liberazione nelle vicinanze di Taiwan non co44 Documenti stituivano ancora una “minaccia incombente”, si trattava pur sempre di una vera e propria “minaccia armata”; essi incrementarono quindi il loro peso su Taiwan, secondo la politica di bilanciamento delle forze nello Stretto. una flotta da combattimento nelle vicinanze di Taiwan come era stato fatto nel 1996. In seguito all’adozione della “Legge antisecessione” da parte di Pechino, il “peso equilibratore” degli Stati Uniti è stato solo “leggermente ricalibrato”. A Pechino piace confrontare la “Legge anti-secessione” con le “Risoluzioni anti-secessione” adottate in America nel 1861. La differenza principale tra tale “Legge” e le “Risoluzioni” americane risiede nel fatto che, mentre queste ultime erano rivolte a gruppi o a individui con scopi secessionisti, la legge cinese è rivolta all’intera isola di Taiwan e non a gruppi specifici o singoli individui. La “Legge anti-secessione” induce gli USA a calibrare il proprio peso Dal momento che i lanci missilistici del 1996 avevano chiaramente superato la “linea rossa” del Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti avevano avuto una reazione immediata. Tale “linea rossa” non è stata, invece, superata dalla “Legge antisecessione”, approvata da Pechino nel 2005. Infatti, sebbene la sua adozione abbia posto tre premesse per “l’uso della forza contro Taiwan” e per la “soluzione non pacifica” del problema5, ciò di per sé non equivale all’”uso della forza”, né costituisce una “minaccia armata” diretta. Il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca si sono pertanto limitati a descrivere l’evento come “infausto, increscioso e inopportuno”, reiterando l’invito ad un “dialogo pacifico” tra le due parti, senza per questo decidere di inviare Il gioco “a tre” diventa un gioco “a due” Il politologo americano Karl Deutsch, nell’opera The Analysis of International Relations, illustra un modello di gioco in cui due automobili avanzano ad alta velocità sulla stessa strada, l’una in direzione dell’altra. Prima di partire i due conducenti hanno stabilito, come regola di gara, che quello che sterza per primo per evitare la collisione venga chiamato “fifone”, mentre il più te45 Documenti merario, che rifiuta di lasciar passare l’altro, venga considerato un “eroe”. In questo gioco, l’iniziativa di sterzare per evitare l’impatto é una strategia “di cooperazione”, mentre quella di andar diritto a dispetto di tutto può essere considerata una strategia “di scontro”. Se entrambi i conducenti adottano nello stesso istante una strategia “di scontro”, essi segnano la propria rovina; qualora ambedue optino invece per la cooperazione, avranno salva non solo la vita, ma anche l’onore, perché non saranno oggetto di derisione; questa può dirsi una “vittoria bilaterale a somma diversa da zero”. Nel caso in cui uno dei due scelga la strategia della “cooperazione” e l’altro quella dello “scontro”, si salveranno entrambi, ma il primo dei due sarà considerato un “fifone” e perderà la faccia, mentre l’altro diverrà un “eroe”. Per Deutsch “quando uno scontro in politica internazionale viene ad assomigliare ad un gioco del fifone, gli statisti razionali, secondo questa teoria, dovrebbero scegliere una politica ‘morbida’, piuttosto che una ‘linea dura’”.6 Nel confronto sullo Stretto, la Cina continentale e Taiwan non possono certo dirsi due veicoli di dimensioni simili; il loro rapporto può piuttosto essere descritto come quello tra un imponente tir a diciotto ruote e un’utilitaria. In questo caso parlare di “fifone” e di “eroe” perde ogni senso, si tratta di un confronto assolutamente impari, nel quale all’utilitaria non rimane che una scelta ragionevole, ovvero la strategia della “cooperazione”, senza che per ciò essa possa essere considerata alla stregua di un “fifone”. Nel caso in cui anche il tir sia indotto a frenare e non avanzi diritto travolgendo quanto incontra, questo tipo di gioco condurrebbe ad una “vittoria bilaterale”. In una situazione in cui tutti, a Taiwan, conoscono l’esistenza della “Legge anti-secessione”, malgrado si organizzino continuamente cortei, marce, manifestazioni di protesta ed altre attività simili per invocare l’indipendenza dell’Isola, è sufficiente che Taiwan come unità “agente” distinta non mostri di voler oltrepassare le “tre linee rosse” della “Legge anti-secessione” perché la situazione sullo Stretto si mantenga di fatto inalterata. Taiwan, la Cina continentale, gli Stat Uniti e gli “agenti” simili non sono come gli esseri umani, che possono tenere nascoste le proprie mosse e non far capire all’avversario la strategia adottata. Gli agenti dotati della “caratteri46 Documenti dall’isola di Taiwan, ha subito una notevole evoluzione. Nel periodo di Deng Xiaoping, sia che si trattasse di un gioco “a due” tra le opposte sponde, sia che si trattasse di un gioco “a tre” tra la Cina continentale, Taiwan e gli Stati Uniti, ogni parte ha generalmente adottato la strategia della “cooperazione”, dando così luogo ad un gioco “a somma diversa da zero” con “vittoria bilaterale” o “trilaterale”. Nel periodo di Jiang Zemin, in particolar modo dopo “l’operazione freccia” del marzo 1996, il gioco “a tre” si è fatto progressivamente più aggressivo. Poiché il “peso equilibratore” degli Stati Uniti è andato spesso a poggiare sulla parte taiwanese, quest’ultima ha di volta in volta scelto strategie di “divergenza” o di “opposizione”; l’influenza del Movimento indipendentista di Taiwan si è fatta via via maggiore. Li Denghui e Chen Shuibian hanno tratto vantaggio dall’”operazione freccia” per essere eletti, mentre il principio “un paese, due sistemi” perdeva rilevanza. L’adozione della “Legge antisecessione” ha posto una limitazione al potere dell’esercito cinese; anche le interferenze di alti ufficiali nella politica e le loro sollecitazioni ingiustificate per “l’uso della forza contro Taiwan” verran- stica distintiva di un territorio” non possono celare completamente la loro tattica; dalla decisione dell’attacco all’azione è infatti generalmente necessario incrementare la capacità bellica effettiva e dispiegare le forze; tale processo, che richiede tempo, viene chiamato “tempo morto tra la decisione e l’azione”. A causa di questo tempo morto, tramite ricognizioni, i preparativi dell’attacco possono essere scoperti. Mentre nel modello di gioco di Deutsch il “tempo morto” è uguale a zero, nel gioco tra le due parti dello Stretto non è tale, ma può anzi estendersi a diversi giorni o addirittura a diversi mesi. Qualora gli Stati Uniti scoprissero che la Cina continentale, violando la “Legge anti-secessione” da essa stessa adottata, avesse compiuto o intendesse compiere un’aggressione armata contro Taiwan, il gioco “a due” nello Stretto diverrebbe immediatamente un gioco “a tre”. Tre periodi, tre tipi di gioco Nel periodo di Deng Xiaoping, in quello di Jiang Zemin e in quello successivo all’entrata in vigore della “Legge anti-secessione”, il gioco tra i due “agenti nazionali” Cina e America e “l’agente territoriale non nazionale”, costituito 47 Documenti bilaterale. Perché ciò si realizzi è importante che, dopo che il gioco “a tre” sarà diventato un gioco “a due”, il conducente dell’utilitaria, andando incontro all’imponente tir, faccia una scelta sola, ovvero quella di trasformare lo “scontro” in “cooperazione”. no messe a freno. Gli Stati Uniti potrebbero ancora in qualsiasi momento esprimere preoccupazione per la pace nello Stretto e utilizzare il metodo della “calibrazione” per mantenere l’equilibrio nell’area. Certo, Pechino non può ancora impegnarsi verbalmente a “non usare la forza contro Taiwan”, ma di fatto le norme restrittive della “Legge anti-secessione” avranno il loro effetto: finché Taiwan ha fede nel principio della non aggressione, le clausole della “Legge antisecessione” sull’”assorbimento pacifico” (heping xiaohua) potrebbero essere per la maggior parte accettate dalla stessa; l’assorbimento pacifico unilaterale potrebbe allora divenire una “fusione pacifica” bilaterale (heping ronghe). Con la conclusione ufficiale dello stato di ostilità tra le due parti in causa, l’unificazione pacifica troverà una nuova strada, sia essa all’interno di un reinterpretato schema “un paese, due sistemi” oppure in base ad un modello federale. Ma ciò a condizione che, nel caso in cui Taiwan superi le “linee rosse” della “Legge anti-secessione”, Pechino non arrivi a sanzionare il fatto come una violazione. Il gioco “a due” nello Stretto potrebbe così condurre alla collaborazione e alla vittoria Il gioco “a quattro” stenta a trovare una composizione Il 19 febbraio di quest’anno gli USA e il Giappone hanno annunciato di aver inserito la risoluzione pacifica del problema di Taiwan tra gli obiettivi strategici comuni;7 é questa la prima volta che Tokyo gioca in alleanza con gli Stati Uniti la “carta di Taiwan”. Nella partita dello Stretto, il Giappone ha per lungo tempo operato dietro le quinte; il comunicato congiunto della Commissione Consultiva per la Sicurezza di Stati Uniti e Giappone ha fatto per la prima volta uscire quest’ultimo allo scoperto. Il gioco “a tre” del problema dello Stretto è così diventato un gioco “a quattro”. Per motivi storici e geografici, gli obiettivi strategici di Tokyo e di Washington in tale gioco coincidono solo parzialmente: entrambi desiderano che Taiwan conservi la situazione attuale. Gli Stati Uniti si oppongono fermamente all’annessione dell’Isola da parte 48 Documenti ti Uniti e l’amicizia sino-americana creerebbe un ambiente internazionale favorevole per l’ascesa pacifica della Cina nel XXI secolo. Dal 19 febbraio anche il Giappone è entrato nominalmente a far parte del gioco dello Stretto. Finché Taiwan conserverà la pace, gli Stati Uniti potranno al massimo venderle armamenti senza però poter effettuare azioni militari; il Giappone è ancor meno autorizzato ad intervenire. Nell’Isola potranno farsi sentire voci indipendentiste, senza però che vengano oltrepassate le “tre linee rosse” della “Legge antisecessione”; sul problema dello Stretto, il gioco “a quattro” stenta a trovare una composizione. della Cina continentale attraverso l’uso della forza, senza però con questo contrastare l’unificazione pacifica delle due parti; il Giappone, invece, non desidera affatto che ciò avvenga. Un punto chiave della politica nipponica del XXI secolo nei confronti della Cina consiste nell’opporsi strenuamente alla sua riunificazione, ma ancor più nell’impedire che essa, una volta unificata, diventi il Paese forte del Pacifico occidentale. Il problema centrale dello scontro sino-giapponese di questo secolo risiede nel fatto che Tokyo intende affermare la sua posizione egemonica nell’area del Pacifico occidentale, indebolendo il più possibile la Cina. Una ragione fondamentale della mancata partecipazione del Giappone al gioco “a tre” nello Stretto per così lungo tempo è dipeso proprio dal suo desiderio di vedere non solo le due sponde scontrarsi, combattere ed uscirne entrambe danneggiate, ma anche gli Stati Uniti perdere influenza nel Pacifico occidentale attraverso un conflitto con la Cina, con la speranza di trarre vantaggio dalle perdite cui sarebbero andati incontro i partecipanti del gioco “a tre”. Per contro, con l’unificazione pacifica verrebbe meno l’antagonismo di fondo tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Sta- Problemi interpretativi nel futuro della “Legge antisecessione” Le tre premesse dell’articolo 8 della “Legge anti-secessione” contengono diversi punti ambigui. Qualora a Taiwan si verificassero “incidenti gravi” e l’opinione pubblica delle due sponde ne fornisse letture completamente diverse, a Pechino il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo potrebbe “interpretare la Legge”. Se l’interpretazione portasse a rilevare una violazione, la 49 Documenti situazione potrebbe complicarsi. Il gioco “a due” dello Stretto di Taiwan potrebbe in un attimo diventare un gioco “a quattro”: gli Stati Uniti sarebbero forse indotti ad intervenire come fecero nel marzo del 1996 - se non addirittura in modo ancor più massiccio - e anche il Giappone, in base al meccanismo consultivo per la sicurezza nippo-americano, potrebbe entrare in scena. L’ambiguità della “Legge antisecessione” consiste nel fatto che essa lascia un margine di spazio alla guerra, spazio che dovrebbe invece essere colmato. Un conflitto su ampia scala tra la Cina e gli Stati Uniti porterebbe grandi vantaggi al Giappone. Sebbene anche il Movimento Indipendentista taiwanese possa subire un grave colpo, non appena nella Cina continentale dovessero verificarsi disordini, la sua influenza tornerebbe certo a farsi sentire. Tutto ciò potrebbe non solo condurre alla reale indipendenza di Taiwan (si tratterebbe di una “reazione inversa”, simile a quella verificatasi nel 1996, quando “l’operazione freccia” portò all’elezione di Li Denghui e al rafforzamento del Movimento Indipendentista), ma anche far sì che la Cina venga relegata dal Giappone ai margini del Pacifico occidentale. L’ascesa pacifica di Pechino nel XXI secolo subirebbe così un grave ritardo. (traduzione dal cinese e note di Federica Casalin) 1) Si veda il precedente numero 122 di Mondo Cinese, (Gennaio-Marzo 2005), pp.14-21. 2) L’invio di tale delegazione, guidata da Sam Nunn, precedette di circa tre settimane la prima visita ufficiale di Deng Xiaoping negli Stati Uniti, svoltasi tra il 28 gennaio e il 4 febbraio 1979. Sulla delegazione, cfr. Dreyer June Teufel, “China’s Attitude toward the Taiwan Relations Act”, intervento all’International Conference on UnitedStates-Taiwan Relations: Twenty Years after the Taiwan Relations Act, patrocinato dall’Academia Sinica, Taipei, 9-10 aprile 1999 [ndt]. 3) Il testo della legge, varata il 10 aprile 1979, è reperibile sul sito del Consolato generale degli Stati Uniti di Hong Kong e Macao, (www.usconsulate.org.hk). La traduzione qui riportata è tratta dalla versione inglese [ndt]. 4) Oltre al Taiwan Relations Act, tre documenti vengono citati di frequente come costituenti la base giuridica della politica americana nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, ovvero il comunicato di Shanghai del 28 febbraio 1972, il comunicato congiunto del 15 dicembre 1978 e quello del 17 agosto 1982. Cfr. Hung Chien-chao, A history of Taiwan, Il Cerchio, Rimini, 2000, pp. 317-18. Il primo comunicato, redatto in occasione della visita del Presidente Nixon a Pechino, impegnava in primo luogo le due parti a non 50 Documenti ze sociali, la prima premessa fa riferimento all’adozione, da parte di Taiwan, di norme di legge che sanciscano l’esistenza di “due Cine”, la seconda a fatti e azioni significative, come l’elezione di un Presidente con dichiarati scopi separatisti, la terza al rifiuto dichiarato, da parte delle autorità taiwanesi, del percorso di riunificazione. L’analisi di Wu Xianbin, contenuta in un’intervista pubblicata con il titolo di “Cao’an suiping he sandao hongxian heran” sul Xianggang shangbao del 9 marzo 2005, è consultabile in rete sul sito http:// bbs.cctv.com.cn [ndt]. 6) Karl Deutsch, Le relazioni internazionali, ed. it. a cura di Gianfranco Pasquino, traduzione di Cristina Cerchio, Il Mulino, Bologna, 1970, p. 186 [ndt]. 7) Sabato 19 febbraio, il Segretario di Stato Condoleeza Rice e il Segretario del Dipartimento della Difesa Donald Rumsfeld hanno ospitato a Washington, in un incontro a quattro, il Ministro degli Affari Esteri del Giappone Nobutaka Machimura e il Direttore Generale dell’Agenzia per la Difesa Oshinori Ohno. In seguito all’incontro, la Commissione Consultiva per la Sicurezza di Stati Uniti e Giappone ha rilasciato un Comunicato congiunto. Secondo tale Comunicato le due parti concordano sulla necessità di rinforzare la loro alleanza bilaterale sulla sicurezza in base a una serie di nuovi obiettivi, tra i quali quello di “incoraggiare la risoluzione pacifica delle questioni concernenti lo Stretto di Taiwan attraverso il dialogo” e di “incoraggiare la Cina ad aumentare la trasparenza sugli affari militari”. Il testo del Comunicato può essere consultato sul sito del Consolato degli Stati Uniti presso Hong Kong, www.hongkong.usconsulate.gov [ndt]. perseguire politiche egemoniche nella regione dell’Asia-Pacifico e a non operare per la divisione del mondo in blocchi; in merito a Taiwan dichiarava che gli Stati Uniti prendevano atto che “tutti i cinesi, da ambo i lati dello Stretto di Taiwan sostengono che non esiste che una Cina e che Taiwan ne fa parte”. Anticipando di poco il Taiwan Relations Act, il secondo comunicato dichiarava, con toni molto più fermi e netti del precedente, che “gli Stati Uniti riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legittimo della Cina e accettano la posizione cinese secondo la quale non c’è che una Cina e Taiwan ne fa parte”. Il terzo comunicato toccava il tema degli armamenti, affermando che gli Stati Uniti “intendono ridurre gradualmente le vendite di armi a Taiwan, per arrivare in un certo periodo di tempo ad una risoluzione conclusiva”. Cfr. Jonathan D. Pollack, “The Opening to America”, in The Cambridge History of China, a cura di Denis Twitchett, John K. Fairbank, vol. 15, Cambridge University Press, Cambridge, 1991, pp. 402-72, in particolare pp. 423, 442 e 465 [ndt]. 5) Tali premesse - successivamente indicate nel testo come “le tre linee rosse” della Legge anti-secessione - prevedono la possibilità di una soluzione non pacifica del problema dello Stretto qualora, per azione del Movimento indipendentista taiwanese 1) “a qualsiasi titolo e in qualsiasi maniera si producesse l’effettiva separazione di Taiwan dalla Cina”, 2) “si verificassero incidenti gravi (zhongda shishi) capaci di condurre alla separazione”, 3) “venissero completamente a mancare le condizioni per l’unificazione pacifica”. Secondo l’analisi di Wu Xianbin, Ricercatore dell’Accademia cinese delle scien51 Documenti Perché premiare i funzionari che richiamano investimenti stranieri? straniero e stimolare l’entusiasmo e l’iniziativa dei funzionari, è stato quello di premiare i quadri dell’amministrazione del partito e del governo sulla base di un ammontare predefinito d’investimenti stranieri ottenuti. Grazie alla promessa dei premi, si è assistito ovunque a un fiorire di tentativi per attirare tali investimenti. Alcuni quadri sono corsi a Taiwan, Hong Kong e Macao; altri ancora sono volati all’estero; i quadri delle regioni occidentali si sono precipitati sulle coste, quelli del nord nelle zone del delta del Changjiang e del Zhujiang; i capi dell’amministrazione di partito e di governo, tutti presi in questa febbrile attività, si sono precipitati in ogni dove. Sebbene lo sviluppo economico non possa procedere senza il richiamo di capitale straniero, e sebbene questa attività abbia prodotto degli effetti notevoli, tuttavia l’utilizzo dei premi in denaro per indurre i quadri ad impegnarsi in ogni modo a tal fine ha causato un buon numero di effetti negativi e una serie di gravi problemi. Il risultato è stato che i funzionari hanno pensato unicamente ad avanzamenti di carriera e a grosse ricompense in denaro, arrivando persino alla frode, dando luogo a casi di corruzione e arrivando a cedere dietro compenso il proprio potere. (Zhang Hongqing, “Guanyuan zhaoshang weihe na jiangjin?”, Renmin ribao, 3.1.2005, p.2) D i recente, il comitato di partito e il governo provinciale del Zhejiang hanno diramato un comunicato congiunto, intitolato “Restrizioni riguardanti i premi elargiti a quadri dell’amministrazione di partito e di governo che attirano investimenti stranieri”. Il comunicato stabilisce che, da questo momento in avanti, i suddetti quadri non potranno più, senza eccezione di sorta, usufruire dei premi dovuti all’acquisizione di capitale derivante da investimenti stranieri. Gli sforzi per attirare investimenti e progetti dall’estero sono presi in considerazione nella valutazione di fine anno dai dirigenti e vengono incoraggiati. Negli ultimi anni, in molte località cinesi, uno degli escamotage per l’incremento delle acquisizioni di capitale 52 Documenti mente in contraddizione con le regole dell’economia di mercato. In base ai termini dell’economia di mercato, quello del nostro governo deve essere un ruolo di servizio. Il fondamento di ogni governo di questo genere è il pubblico, il suo obiettivo deve essere ciò che è di pubblica utilità, e il governo, attraverso l’offerta al pubblico di servizi e merci, deve migliorare la qualità della vita delle masse e promuovere interessi sociali comuni. Il governo non deve attirare, per interessi personali, finanziamenti derivanti da investimenti stranieri; non deve sottovalutare i costi delle delegazioni che si recano a Hong Kong o all’estero; non deve spendere enormi somme di denaro duramente guadagnato dalla gente, in qualunque occasione si presenti per viaggiare all’estero. Ruolo di un governo non è, per ottenere un qualche progetto, quello di diventare una potente squadra organizzata che corre dentro e fuori il paese e che corrompe con i soldi pubblici; ancor di più non è quello di “seminare il campo degli altri e abbandonare il proprio” e, attraverso l’acquisizione d’investimenti stranieri, causare dei danni e poi pavoneggiarsi…. E’ da sottolineare che l’acquisizione di capitali e di progetti dall’estero, che contribuisce allo sviluppo economico del territorio, è già di per sé un dovere dei quadri a capo dell’amministrazione del partito e del governo. Perché allora questi ultimi vogliono anche ricevere un premio e ottenere una ricompensa in denaro? Come mai questo escamotage poco ortodosso per attirare capitali, è stato in molti luoghi irragionevolmente legittimato? La realtà è che i politici della provincia del Zhejiang hanno emanato dei documenti che legittimano la pratica di acquisizione di capitali stranieri da parte dei quadri, dal momento che questa è utile per mettere ciascuno al proprio posto, e favorisce inoltre la creazione di un’atmosfera ed un ambiente ottimi per lo sviluppo. Tuttavia, perché “l’emanazione di comunicati che normalizzano la partecipazione dei quadri dell’amministrazione del governo e del partito ad atti di acquisizione di investimenti stranieri, è un processo ancora così poco visibile nelle province del paese”? Non si dovrebbe ignorare un fatto del genere: attirare capitale straniero è, in origine, qualcosa che riguarda il mondo dell’impresa, ma, in molti luoghi della Cina, esso è realizzato dal governo in prima persona. Ciò è evidente- (traduzione dal cinese di Miriam Castorina) 53 Documenti Commemorazione di (Zhao) Ziyang in occasione della festa Qingming1 - Al più grande riformatore cinese contemporaneo nostro avviso senza dubbio interessante, in quanto effettuata da un autorevole personaggio che non smette di richiedere la revisione del giudizio sui fatti di Tian’anmen; un problema politico che il Pcc non potrà forse permettersi ancora a lungo di ignorare. (M.M.) ******* Le ragioni per cui Zhao Ziyang ha superato Mao Nel corso degli anni ‘80 Zhao Ziyang occupò importanti incarichi sia nel Partito che nel governo: dal 1980 al 1987 fu prima Vice-Primo ministro e poi Primo ministro; dal 1987 al 1989 fu Vice-Segretario generale e successivamente Segretario generale del Pcc. Tuttavia, più che per i suoi incarichi politici, Zhao Ziyang è entrato nella storia per il contributo fornito al processo di riforma. Sono appunto le riforme da lui promosse che dimostrano la sua superiorità rispetto a Mao Zedong e Deng Xiaoping. E’ la loro politica ciò che Zhao voleva riformare: infatti, per tale motivo Deng Xiaoping, sebbene all’inizio fosse un sostenitore di Zhao, in seguito divenne un suo avversario e, senza troppi scrupoli, con la risposta di sangue di BAO TONG [“Qingming ji Ziyang - Xian gei dangdai Zhongguo zui weida de gaigezhe”, Zheng ming, n. 4 (330), aprile 2005, pp. 36-38.] P ubblichiamo questo ricordo di Zhao Ziyang, a pochi mesi dalla morte 2, a firma di Bao Tong, uno dei suoi più stretti collaboratori, alla fine degli anni ‘80 Vice-direttore del Comitato per la Riforma del Sistema Economico, imprigionato per sette anni e rilasciato solo nel 1996, attualmente, pur risiedendo a Pechino, uno dei maggiori attivisti in materia di diritti umani. Sebbene quest’analisi del ruolo svolto da Zhao non sia forse condivisibile da molti, rimane a 54 Documenti nere vantaggi per il Partito e per il governo, al contrario in modo chiaro e risoluto ordinò alle amministrazioni locali ai diversi livelli di “allentare i vincoli”, “diminuire il fardello” e “concedere potere” e “profitti” alle unità produttive industriali e agricole, al fine di indebolire il peso dello Stato e rafforzare il mercato e la società. Mentre molti ritenevano che preservare la posizione di potere dello Stato fosse essenziale per salvaguardare le condizioni economiche del paese, Zhao comprese che il ruolo principale spettava agli operatori economici nei settori industriale e agricolo, non allo Stato, che aveva solo il compito di servire questi ultimi. A suo avviso, non riconoscere il ruolo da essi svolto avrebbe significato perdere di vista il quadro generale. In Cina il problema fondamentale del sistema politico è che il Partito comunista controlla ogni aspetto della società e della vita di centinaia di milioni di cittadini. Se Mao aveva istituito il sistema in base al quale il Partito costituiva la guida politica di tutti gli strati sociali, […] Deng non si rese conto che la sua missione sarebbe dovuta essere quella di guidare la Cina verso una società governata dalla legge, entro i cui limiti il Partito Comunista avrebbe dovuto agire per non Tian’anmen, interruppe la via che avrebbe portato la Cina verso la democrazia. […] Zhao voleva riformare anche il modello di socialismo perseguito da Mao a partire dagli anni ’50, basato sul controllo totale del paese attraverso la dittatura del partito unico e attraverso la gestione da parte del governo di ogni tipo di attività economica. I problemi fondamentali del sistema economico e politico Negli anni ’80 in Cina il sistema economico era caratterizzato dal controllo totale dello Stato su ogni tipo di attività economica. Già in qualità di Primo segretario del Comitato Provinciale del Partito nel Sichuan, Zhao Ziyang aveva diretto alcuni progetti pilota per la riforma del sistema economico. Dopo essere entrato a far parte del governo centrale, come Primo Ministro, in materia economica si attestò su posizioni diverse da quelle del suo predecessore. Mentre il Partito considerava irrinunciabile rafforzare la posizione dello Stato alla guida delle imprese statali, Zhao proponeva, invece, di ridurre tale posizione di forza, al fine di razionalizzare i rapporti fra lo Stato e le imprese. Nell’affrontare le questioni dell’economia, non cercò di otte55 Documenti nerale, Zhao ritenne che la situazione andasse affrontata in modo democratico e utilizzando strumenti legali, attraverso il colloquio e le negoziazioni tra tutte le parti sociali; non ritenne, invece, giusto che il Comitato Centrale del Partito prendesse decisioni a tale riguardo basandosi su principi che non potevano essere messi in discussione. […] Per Zhao un partito non ha futuro se non rispetta la volontà del popolo, […] il quale per lui era più importante del Partito stesso. […] perdere con il passare del tempo la propria legittimazione. In qualità di Segretario generale Zhao portò avanti le sue opinioni, che non erano finalizzate a rafforzare né il proprio potere personale, né quello del Partito. Nel programma di riforma del sistema politico, si adoperò per ridurre il ruolo dello Stato centralizzato e il potere del Partito, limitando la funzione di quest’ultimo alla sola guida politica. In qualità di Vice-Segretario generale, propose che il Comitato Permanente dell’Ufficio Politico non pronunciasse sentenze in casi giudiziari, né si occupasse (della censura) di opere letterarie e artistiche. Dopo la nomina a Segretario generale, richiese che il sistema delle riunioni e delle votazioni negli organismi del Partito ai diversi livelli fosse standardizzato e si diffondesse progressivamente il principio secondo cui le elezioni avvenissero in base alle votazioni. Per quanto riguarda la riforma delle imprese statali, Zhao fece approvare una risoluzione che stabiliva che il centro delle attività delle imprese non era più il Segretario del Comitato di Partito, ma il rappresentante legale dell’impresa. Per quanto riguarda gli inaspettati incidenti verificatisi durante le manifestazioni di massa, in qualità di Segretario ge- Un politico che pianificava per il proprio governo In sintesi, la riforma elaborata da Zhao prevedeva l’introduzione dell’economia di mercato e la realizzazione di una politica democratica. […]. Un esempio dell’acutezza delle sue capacità di osservazione e di analisi […] si può ritrovare nell’opera “Zhao Ziyang e la riforma politica” (Zhao Ziyang he zhengzhi gaige), scritto dal dott. Wu Guoguang, in cui vengono registrate le critiche avanzate da Zhao, fra il 1986 e il 1987, ai reiterati mali del sistema politico e le sue considerazioni per il futuro delle riforme. In occasione del XIII Congresso del Pcc3, Zhao proclamò che lo scopo delle riforme in Cina era quello 56 Documenti dell’adozione di una “politica democratica”; tale convinzione era la conclusione di riflessioni approfondite di un uomo politico responsabile, che pianificava per il proprio governo. Egli non era né un teorico né un agitatore, […] e non desiderava vantaggi immediati. […] Serio, responsabile e corretto, […] severo nei confronti di se stesso, non chiedeva agli altri di abbandonare le proprie opinioni, comprendendo il punto di vista altrui. Sperando di collaborare con quante più persone nella realizzazione delle riforme, sapeva ascoltare cortesemente e con interesse chi analizzava in modo sistematico possibili sviluppi futuri, chi esprimeva proposte o idee anche se allora difficilmente realizzabili. Persino chi manifestava opinioni completamente diverse o eterodosse, poteva essere certo che non sarebbe stato da lui etichettato come un pericoloso nemico del Partito. Dopo aver assistito ai risultati concreti del “socialismo reale” in Cina, nel suo rapporto al XIII Congresso del Partito, Zhao presentò una nuova concezione, quella dello “stadio iniziale del socialismo”, secondo la quale per la realizzazione del socialismo sarebbero stati necessari almeno cento anni: [in tal modo veniva così estesa la fase di transizione durante la quale sarebbero state possibili le riforme.] Sebbene nelle argomentazioni di alcuni la teoria dello “stadio iniziale del socialismo” fosse solo vuota retorica, tuttavia essa divenne un manifesto completamente diverso dal modello di socialismo perseguito da Mao Zedong. […] Nel 1987, dopo l’allontanamento di Hu Yaobang, la situazione cominciò a deteriorarsi irrimediabilmente, […] finchè nel 1989, dopo essersi scontrato con gli studenti, Deng Xiaoping mise a rischio il futuro della Cina capeggiando un colpo di stato militare. Di conseguenza Zhao venne condannato agli arresti domiciliari […] e il processo di riforma fu stroncato prematuramente. Zhao Ziyang intraprese le riforme in una congiuntura particolare Zhao Ziyang intraprese le riforme in una congiuntura particolare, ma non perse mai di vista gli obiettivi in cui credeva fermamente. La via da percorrere non fu tracciata da lui, ma determinata dalla situazione contingente. Con un voto d’onore Zhao è entrato nell’eternità Zhao Ziyang era un superiore mite e gradevole, disponibile nei rap57 Documenti porti con gli altri, con cui si poneva su di un piano di parità. […] Per quanto riguarda la sua formazione politica, comprendo il suo percorso, avendo lavorato con lui per dieci anni. Alla giovane età di tredici anni, sotto la minaccia del terrore bianco, era entrato a far parte della Lega della Gioventù Comunista e poi delle forze di guerriglia antigiapponese. Prima degli anni ’60 fu per lungo tempo Segretario del Comitato provinciale del Partito nel Guangdong. […] Successivamente il bagno di sangue della Rivoluzione Culturale, per utilizzare le sue stesse parole, “lo fece risvegliare completamente”. Da allora considerò l’obiettivo delle riforme come lo scopo principale della sua vita, come il criterio guida delle sue scelte politiche. Comprendendo che è necessario fare delle deviazioni per raggiungere la meta prefissata e pur rendendosi conto che la linea tracciata da Deng perseguiva le riforme economiche e non quelle politiche, in momenti cruciali Zhao non poté fare a meno di esprimere le sue più profonde convinzioni. […] Diversamente da Deng, egli riteneva che non era possibile portare avanti le riforme economiche prescindendo da quelle politiche. […] Avendo a cuore queste ulti- me, a suo avviso l’obiettivo finale era racchiuso nella promessa, sottoscritta e mai onorata da Deng Xiaoping, di attuare nel paese un processo di “legalizzazione e istituzionalizzazione in senso democratico”. Quando il 17 maggio 1989 Deng, contravvenendo alle decisioni dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale, decise oltraggiosamente di inviare l’esercito in risposta alle manifestazioni degli studenti, Zhao Ziyang non poté fare a meno di manifestare le proprie opinioni e con un voto d’onore entrò nell’eternità. Il verdetto sui meriti e i demeriti viene pronunciato dopo la morte Deng Xiaoping, Hu Yaobang e Zhao Ziyang avrebbero potuto far sì che la Cina imboccasse agevolmente la via della modernizzazione, ma Deng fece naufragare le riforme, distruggendo l’immagine della Cina e la propria. […] Non curandosi dell’ammonimento di Zhao Ziyang secondo cui “non si possono portare avanti le riforme economiche senza quelle politiche”, diede nuovamente impulso, dopo una fase di stallo, alle riforme economiche, che, intraprese in alcuni casi in modo poco trasparente, […] fecero aumentare in maniera 58 Documenti incontrollata la corruzione. […] Le riforme che seguirono il viaggio di Deng Xiaoping nel ’92 nelle Zone Economiche Speciali a sud del paese, in breve tempo trasformarono la Cina in un paradiso della corruzione, facendo aumentare enormemente il divario fra aree povere e ricche. Si dice che il verdetto sui meriti e i demeriti sia pronunciato dopo la morte. Il merito principale di Deng Xiaoping è stato quello di aver sostenuto le riforme economiche, di cui Zhao Ziyang fu portavoce; il suo errore è stato quello di aver soffocato le riforme politiche, sostenute invece da Zhao. […] Dopo la morte di Deng, si può pronunciare un giudizio definitivo su Zhao, il cui operato, unitamente a quello di Hu Yaobang è stato di grande utilità alla vita reale del paese. Allo stesso modo in cui non è possibile correggere gli errori del passato e far cadere nell’oblio i criteri di verità, così l’avanzamento dell’economia di mercato non può essere arrestato né cancellata la necessità di una politica democratica. Il fatto che il corso delle riforme sia stato stroncato prematuramente non ha permesso a Hu Yaobang e Zhao Ziyang di morire serenamente. Sta ora a noi che siamo rimasti realizzare l’ultimo desiderio dei nostri predecessori. Il successo finale delle riforme in Cina necessita di tenacia, coraggio, decisione e perseveranza da parte dell’intera popolazione. […] Sebbene il Partito ritenga che le due personalità più illustri della Cina siano state Mao e Deng, ai quali recentemente è stata aggiunta una terza4, ritengo, e lo scrivo a chiare lettere, che in Cina il più grande riformatore contemporaneo non sia uno di loro, ma Zhao Ziyang, il quale fu condannato agli arresti domiciliari a vita, essendo inviso ad alcuni e che oggi non è celebrato in pompa magna dal Partito. […] Eterna gloria a Ziyang! (traduzione dal cinese e adattamento in italiano di Eva D’Amico) 1) Qingming (lett. Pura Luce) è uno dei ventiquattro periodi solari, che ha inizio attorno al 5 aprile, durante il quale ci si reca in visita alle tombe. 2) Zhao Ziyang, nato il 17 ottobre 1919, è morto il 17 Gennaio 2005. 3) Il XIII Congresso Nazionale del PCC si svolse a Pechino dal 25 ottobre al 1 novembre 1987. 4) Il riferimento è a Jiang Zemin, il cui “importante pensiero delle tre rappresentatività” è stato inserito nello Statuto del Partito e nella Costituzione del paese. 59 Rapporti Una panoramica sulla stampa cinese a Roma VALENTINA PEDONE L a produzione di testate giornalistiche in lingua cinese è un fenomeno che caratterizza le comunità d’oltremare da circa 150 anni. Il primo giornale di questo tipo, il San Francisco News, comparve nel 18541, aprendo la via ad una forma espressiva il cui successo è cresciuto in maniera continua fino ai nostri giorni. Oggi la stampa cinese all’estero è così prolifica da aver registrato, solo all’inizio degli anni ’90 un volume di circa 300 diversi organi di stampa in tutto il pianeta2. Non stupisce dunque che anche Roma, con i suoi circa 8000 residenti di origine cinese3, abbia visto nascere dal 1997 una discreta mole di materiale di questo tipo. I caratteri generali degli organi di stampa romani, due giornali bisettimanali e tre riviste, rientrano nel profilo tipico di questo settore per come si manifesta nel resto del pianeta: sono infatti mirati ad informare la comunità circa i principali eventi che hanno luogo nel paese ospitante e all’interno della comunità stessa, cercano di guidare, spesso in modo molto pratico, alla vita nel contesto d’accoglienza e servono da strumento per mantenere un legame con il paese di origine, sia attraverso le informazioni relative agli avvenimenti in patria, sia mantenendo vivo il contatto con la cultura di origine proponendo pagine di svago ed intrattenimento concepite in un’ottica marcatamente cinese4. La presentazione schematica che segue vuole sottolineare in maniera sintetica le peculiarità della produzione romana in seno a questo genere. Considerata l’instabilità e la scarsa continuità nelle uscite, risulta evidente che la descrizione si riferisce alla situazione attuale e pur sforzandosi di essere esaustiva nell’immediato, non può ambire a previsioni per il futuro. Nell’analisi vengono presentati due bisettimanali, il Tempo Europa Cina e La Nuova Cina, che escono con il classico formato tabloid e tre periodici, Cina in Italia, Europa Cina e Mondo Cinese, che appaiono come riviste in carta patinata con copertina in quadricromia. Viene infine incluso l’Elenco Telefonico Cinese, in quanto 60 Rapporti anch’esso manifestazione in lingua cinese delle esigenze della comunità di Roma. I titoli sono riportati in italiano e pinyin nella loro forma originale, come proposta dalle testate stesse (non sono dunque traduzioni)5. Il Tempo Europa Cina (Ouhua shibao) Dati generali. Nato nel 1997, numero delle pagine 24, costo 1,50 euro, frequenza bisettimanale (lunedì e giovedì). Fonti per il materiale pubblicato. Prevalentemente copie di articoli di testate cinesi (ad es. Zhongguo ribao, Dongfang zaobao, Xinjing bao) e traduzioni delle testate italiane (ad es. Messaggero, Repubblica); agenzia stampa cinese Xinhua she; sporadici articoli originali riguardanti perlopiù avvenimenti che coinvolgono la comunità cinese immigrata. Organizzazione dei contenuti. Le pagine sono organizzate con uno schema ricorrente piuttosto regolare. Tra le pagine più significative si rilevano: “notizie dall’Italia” (Yidali xinwen), “notizie dal mondo” (shijie xinwen), “notizie dalla Cina” (Zhongguo xinwen), “notizie dal Zhejiang” (Zhejiang xinwen), “cinesi d’oltremare” (haiwai huaren), “speciale Italia centrale” (zhongbu zhuanban), “speciale Italia settentrionale” (beibu zhuanban). Le ultime due sezioni riportano notizie di interesse generale per la comunità immigrata cinese delle zone interessate. La Nuova Cina (Xinhua shibao) Dati generali. Nato nel 1999, numero delle pagine fluttuante ma oltre le 20, costo 1,50 euro, frequenza bisettimanale (martedì e venerdì). Fonti per il materiale pubblicato. Soprattutto copie di articoli di testate cinesi (ad es. Zhongguo ribao, Renmin ribao); le traduzioni di articoli provenienti da testate italiane (anche qui Il Messaggero, La Repubblica etc.) trattano quasi esclusivamente questioni legate all’immigrazione; molte elaborazioni da notizie dell’agenzia di stampa cinese Xinhua She; se si escludono gli articoli in prima pagina, gli interventi originali rimangono estremamente rari e quasi sempre anonimi. Organizzazione dei contenuti. Le pagine non sono organizzate con un ordine ricorrente. Sono presenti: una pagina di “notizie dall’Italia” 61 Rapporti (Yidali xinwen) che tratta principalmente fatti di cronaca e di costume, 2-3 pagine su questioni internazionali di vario peso, 2-3 pagine relative al contesto cinese di origine con notizie di diversa rilevanza, una pagina dedicata ai “cinesi d’oltremare” di tutto il mondo (haiwai huaren) e la pagina “integrazione in Italia” (rongru Yidali) con consigli pratici ed una rubrica volta all’insegnamento di frasi in italiano di immediata utilità. Molte, in proporzione, sono le pagine dedicate all’intrattenimento, con rubriche di moda, cucina, costume, spettacolo e sport. Cina in Italia (Yidali shenghuo) Dati generali. Nato nel 2001, circa 50 pagine, costo 2 euro, frequenza non regolare (circa 5 numeri all’anno). Fonti per il materiale pubblicato. Il materiale incluso appare essere originale e gran parte degli articoli sono firmati (molti risultano essere gli articoli a cura dell’editore stesso). Organizzazione dei contenuti. Non si riscontra un ordine definito per gli articoli e le rubriche, che a volte tuttavia, vengono raccolti in aree tematiche, ad esempio “la vita dei cinesi d’oltremare” (huaqiao shenghuo), “la guida del migrante” (yimin zhinan), “benessere” (jiankang jianshen). Caratteristici di questa testata sono, da un lato la presenza saltuaria di articoli originali in italiano e di articoli dedicati a diversi aspetti della cultura italiana, dall’altro l’attenzione ad aspetti pratici della vita dei cinesi sul nostro territorio. In generale l’impostazione della rivista rivela un approccio incline a promuovere lo scambio tra il migrante ed il paese ospite anche ad un livello culturale. Europa Cina (Ouhua) Dati generali. Nato nel 2003, circa 70 pagine, gratuito perché allegato al giornale Tempo Europa Cina, frequenza quindicinale. Fonti per il materiale pubblicato. Gran parte degli articoli sono tratti da internet e quindi non originali; a differenza del giornale Tempo Europa Cina, tuttavia, sono presenti anche contributi dei lettori su tematiche di varia natura. Organizzazione dei contenuti. Neppure per questa rivista si registra un ordine stabilito nella scelta e distribuzione degli articoli. Da un 62 Rapporti punto di vista contenutistico il materiale copre soprattutto argomenti di carattere ludico, le tematiche più comuni riguardano attualità, spettacolo, moda, cronaca. Sono anche presenti brevi racconti di fiction, parole crociate, test e altro materiale di intrattenimento. Quasi inesistenti sono i riferimenti all’Italia, mentre abbondano articoli su vari aspetti della società cinese contemporanea, presentati comunque con un taglio leggero e ricreativo. Come già accennato, una caratteristica di questa testata sono i numerosi interventi dei lettori che partecipano alla rivista raccontando le proprie esperienze di vita. Mondo cinese (Qiaojie) Dati generali. Nato nel 2004, 24 pagine, gratuito, frequenza mensile. Fonti per il materiale pubblicato. Come per Cina in Italia buona parte degli articoli a cura della redazione appare originale, d’altra parte sono presenti anche diversi interventi dei lettori. Non è comunque da escludere la presenza di scritti attinti da internet. Organizzazione dei contenuti. A differenza delle altre due riviste si riscontra una certa costanza nella ripartizione degli articoli. Tra le sezioni in cui è suddiviso il materiale ricorrono: “primo piano” (jiaodian guangzhu), “inserirsi in Italia” (zoujin Yidali), “prospettiva sulla Cina” (zhanwang zhongguo), “orme oltreoceano” (haiwai zuji), ciascuna contenente circa due o tre articoli in tema. Come si evince dai titoli delle sezioni, le aree di interesse della rivista coprono quasi unicamente l’universo dei migranti cinesi. Non mancano tuttavia articoli di carattere più leggero, come la rubrica dedicata al turismo in Italia, recensioni dei film nelle sale italiane, test e articoli di moda. Elenco telefonico cinese (Yidali huashang huangye) Dati generali. Nato nel 2000, l’edizione del 2005 conta 310 pagine, gratuito, frequenza annuale. Fonti per il materiale pubblicato. Le aziende che desiderano essere inserite nell’elenco contattano direttamente l’editore. Organizzazione dei contenuti. Sulla falsariga delle Pagine Gialle italiane, di cui riprende il colore ed il formato, l’elenco è diviso per categorie merceologiche e per capoluoghi (la copertura è nazionale). Nella 63 Rapporti maggior parte dei casi i nominativi delle aziende vengono riportati sia in caratteri che in alfabeto (a volte in pinyin altre in traduzione italiana). Ogni voce presenta il nominativo, l’indirizzo ed il recapito telefonico. Sono presenti intere pagine in quadricromia ad uso pubblicitario. E’ interessante che alla fine del volume siano presenti alcuni articoli di carattere pratico mirati ad indirizzare i cinesi in Italia su questioni quali, ad esempio, come iscriversi all’università, come lavorare legalmente, come risparmiare elettricità, come disporre il proprio ufficio in accordo con il fengshui etc. 1) Fang Hanqi, “Chinese People, Chinese Language and Chinese Publications”, Communication Research Newsletter, dicembre 1995. 2) Fang Jigeng e Hu Wenying, “A Review of the Present Condition and Prospects for Chinese Press Abroad”, Proceedings of the 1995 International Conference on the Chinese-Language Press and Communication of Culture (Wuhan, Huazhong University of Science and Technology Press, 1995). 3) Anagrafe del Comune di Roma, dati aggiornati al 31/12/2004. Il numero complessivo dei residenti di origine cinese (Repubblica Popolare Cinese ed Hong Kong) a Roma risulta essere 7930 unità. 4) Casey Man Kong Lum, “Communication and Cultural Insularity: the Chinese Immigrant Experience”, Critical Studies in Mass Communication (n°1, 1991), pp. 95-96. 5) Per questa descrizione mi sono basata sui seguenti numeri delle testate in analisi: Tempo Europa Cina, n°615, 616, 617; La Nuova Cina, n°726, 727; Cina in Italia, n°2 2002, n°3 2004, n°4 2005; Europa Cina, n°28, 29; Mondo Cinese, n°6, 7, 9, 10, 11 2004; Elenco Telefonico Cinese, 2003, 2004, 2005. 64 Rapporti FAR EAST FILM 7: L’anno della Cina CORRADO NERI L a settima edizione del Far East Film Festival (tenutosi a Udine dal 22 al 29 aprile), confermandosi la più importante vetrina europea sulle cinematografie asiatiche, testimonia la crescente importanza della Cina popolare nel mondo culturale. È significativo infatti che il festival apra con l’ultima opera di Feng Xiaogang, celeberrimo attore e regista dei più grandi successi commerciali degli ultimi anni. A World Without Thieves (Tianxia wuzei, 2004) è stata la pellicola più vista in Cina, battendo record di botteghino e soprattutto superando la concorrenza hollywoodiana. Il film racconta di un lungo viaggio in treno che parte dal Tibet: sui vagoni affollati due bande di ladri si contendono la borsa di un innocente e giovane lavoratore che torna a casa per sposarsi e porta con sé anni di stipendio. Si alternano sequenze d’azione di matrice hongkonghese, avventura di classica influenza americana e melodramma – drammi morali, redenzione, sacrificio, spiritualità e morte. Questa mescolanza di generi è coerente con l’ibridazione a livello produttivo e ideologico: gli attori rappresentano un’utopia “transnazionale” in cui le tre Cine si uniscono armoniosamente per creare uno spettacolo a grande budget, previsto per una diffusione capillare. Si incontrano infatti i corpi carismatici di Ge You, monumento del cinema cinese; Andy Lau, stella hongkonghese sdoganato da tempo ormai in madrepatria; René Liu, taiwanese – che non per niente nel film si redime e porta in grembo il figlio di una nuova Cina moderna, commerciale, iperdinamica, e ormai concorrente di spicco anche nel mondo della cultura popolare di intrattenimento. La dinamicità del cinema della Cina popolare è testimoniata anche dal fiorire dei generi e sottogeneri: il festival ha presentato il primo “horror” cinese, nonché melodrammi storici, commedie e film d’autore. Per quanto riguarda il primo genere (Suffucation/Zhixi, Zhang Bingjian, 2005), si tratta d’una pellicola illuminata – ancora una volta – dalla imprescindibile presenza di Ge You; il suo personaggio è un fotografo che ha ucciso la moglie ed è tormentato dal fantasma di lei; si tratta, in realtà, della sua coscienza che lo tormenta con un atroce senso di colpa. Lo stile fiammeggian65 Rapporti te, fatto di montaggio rapido e ritmico, colori saturi e immagini deformate, giochi di rumori e suoni veicola un profondo malessere e descrive l’inesorabile discesa nella follia del protagonista, sulla falsariga di classici come Repulsion (Polanski, 1965) oppure Spider (Cronenberg, 2002). Con il ripescaggio di teorie freudiane – invero, all’occhio occidentale, abusate – un tempo espulse dal panorama dell’ermeneutica cinese in quanto sintomo di decadenza borghese, il regista (che ha studiato con tutta evidenza negli Stati Uniti ove ha appreso le più moderne tecniche alla MTV) riesce a ovviare al divieto che ancora vige in Cina di rappresentare storie di fantasmi, in quanto “superstiziose”: i fantasmi altro non sono che proiezioni dell’inconscio. La scomparsa dei fantasmi nella recente produzione hongkonghese deriva dallo stesso motivo: il divieto cinese di mostrare il soprannaturale, e la necessità da parte dei registi hongkonghesi di entrare nel mercato della madrepatria; è interessante notare gli abili stratagemmi grazie ai quali si aggira la censura, ed infine anche come quest’ultima si stia rilassando e chiuda gli occhi di fronte all’imperativo commerciale. Il melodramma è stato rappresentato da due pellicole dirette da registe: White Gardenia (Bai zhizi, Jiang Lifen, 2005) e Letter From an Unknown Woman (Yi ge mosheng de nuren lai xin, Xu Jinglei, 2004). Il secondo è interessante esempio di dialogo culturale, e dimostra come le teorie psicanalitiche, più o meno direttamente, entrino nella cultura popolare: il film della celeberrima attrice Xu Jinglei infatti è una trasposizione nella Cina degli anni ‘30 di una novella di Stephen Zweig, impregnata di decadente atmosfera viennese. Una donna, interpretata dalla stessa Xu, in punto di morte scrive una lettera all’uomo (un sornione Jiang Wen) di cui è sempre stata innamorata, che le ha pure dato un figlio, ma che, dongiovanni impenitente, non si ricorda nemmeno del volto di lei. Il film, esteticamente impeccabile, fonde la struttura psicoanalitica, che mette in scena lapsus e dimenticanze, vuoti di memoria e compulsioni a ripetere, ad una estetica strettamennte locale, che ricostruisce la mitica epoca repubblicana con ampie citazioni della cinematografia del periodo – più volte il trucco e i costumi di Xu ricordano la diva Ruan Lingyu. La presenza di una vasta paletta di generi favorisce anche le sperimentazioni più “autoriali”, di cui il festival mostra i due aspetti più rilevanti: il film indipendente girato con pochi mezzi che fotografa idiosincrasie della Cina urbana contemporanea (The Last Level/Shang 66 Rapporti dian, Wang Jing) e la saga familiare nella Cina rurale (Peackcock/ Kongque, 2005), che ha ottenuto il premio del pubblico. Quest’ultimo, premiato a Berlino, segna il debutto alla regia di Gu Changwei, storico direttore della fotografia di classici quali Sorgo rosso (Hong gaoliang, Zhang Yimou, 1987) e Addio mia concubina (Bawang bieji, Chen Kaige, 1993). Peakcock, con uno stile fatto di ellissi temporali, lunghi piani sequenza, immagini poetiche e allegoriche, racconta la storia di tre fratelli alla fine degli anni ‘70. Gu descrive, con sguardo apparentemente freddo, la crudeltà dei rapporti umani, l’oppressione della famiglia, il rinnovarsi quasi autonomo di un sistema repressivo, tanto sociale quanto psicologico. Bisogna infine ricordare l’importante mattinata dedicata ai classici ritrovati del cinema cinese: Marco Müller presenta, dal suo archivio personale, due film supercensurati e di conseguenza quasi invisibili, entrati nondimeno nella storia del cinema cinese: il primo film della quinta generazione (Uno e otto/Yi ge he ba ge, Zhang Junzhao, 1983) e l’unico film girato da Wang Shuo, altrimenti noto come romanziere e sceneggiatore (Padre/Baba, 2000). Per quanto riguarda Hong Kong, si è già segnalato il livellarsi di alcuni dei suoi caratteri precipui, su tutti la massiccia iniezione di elementi sovrannaturali e la mescolanza caotica dei generi. In parte per questioni legate alla necessità di ottenere una distribuzione anche in Cina popolare, e in parte per più complessi movimenti artistici di ibridazione culturale che portano le cinematografie (ivi comprese quella giapponese e sudcoreana) ad assomigliarsi sempre più per competere con Hollywood sul suo stesso terreno, anche la un tempo sovversiva e vulcanica produzione hongkonghese addolcisce i toni e uniforma il linguaggio per favorire una comprensione globale. Ciò non toglie che, tra le pellicole presentate a Udine, non mancassero opere di rilievo. Segnaliamo qui innanzi tutto due commedie del giovane e promettente Pang Ho-cheung: AV (id., 2005) e Beyond Our Ken (Gongzhu fuchou ji, 2004). La prima racconta la storia di un gruppo di sfaccendati giovanotti che chiamano ad Hong Kong una giovanissima attrice di porno (Adult Video) giapponese, fingendo di essere importanti produttori. Nonostante il tema leggero il film è innervato da una leggera malinconia, sottolineata dai frequenti rimandi alla storia dell’isola, e ai confronti con la gioventù ribelle e engagé degli anni ‘70, paragonata a quella contemporanea priva di valori, il cui unico ideale è realizzare una fantasia erotica 67 Rapporti adolescenziale. Beyond Our Ken è interessante, al di là di una trama ben oliata sulla gelosia, poiché contrappone due attrici, Gillian Cheung e Tao Hong. La prima, hongkonghese, parla in cantonese; la seconda, cinese, parla in mandarino: lo scambio di maestranze, registi e volti non avviene solo nell’ambito del cinema della Cina popolare ma anche nell’ex-colonia britannica. Il protagonista maschile di Beyond Our Ken, Daniel Wu, è protagonista anche della pellicola honkonghese più interessante del festival: One Nite in Mongkok (Wangjiao heiye, Derek Yee, 2004). Tesissimo racconto morale, si svolge tutto in una notte nella zona più popolosa del mondo e descrive un intreccio di destini – poliziotti, assassini potenziali e innocenti, prostitute da redimere – con precisa cronometria di tempi e dialoghi, suspense ottenuta grazie a silenzi e sguardi, ed infine scoppi di violenza improvvisi e impressionanti proprio perché inscritti in un contesto estremamente realista. 68 Rapporti Cina, pittura contemporanea 1 VALENTINA CASACCHIA L a mostra, organizzata dalla Fondazione Carisbo, curata da Vittoria Coen e ospitata nelle due importanti sedi di San Giorgio in Poggiale e Palazzo Saraceni di Bologna fino allo scorso 6 marzo, è giunta ora nel Palazzo Monte di Pietà di Padova, dove resterà fino al 25 maggio 2005. Le circa quaranta opere presentate raccolgono diciassette artisti compresi fra i trenta e quaranta anni, maggiori esponenti di quella tendenza chiamata “pittura fotografica cinese”. Tale tendenza si esprime attraverso un apparente “realismo descrittivo”, dato da una minuziosa riconoscibilità del soggetto rappresentato con la realtà e un taglio fotografico da reportage. “Dipingo come si scatta una foto” dichiara Xie Wanxing nei suoi paesaggi urbani sfocati e scarni. Ma la “pittura fotografica cinese” non è che un atteggiamento di fondo sul quale si costruiscono questioni profonde. Nella prima grande esposizione storica, China Avant Garde, inauguratasi nel febbraio del 1989 al Museo di Belle Arti di Pechino, facevano la loro comparsa due linee di ricerca dominanti: il “Realisme cynique”2 e la “pop politique”3. Entrambe dirigevano la loro protesta contro il realismo socialista dell’arte di regime, desumendone le forme per poi distorcerle e sbeffeggiarle tramite nonsense e decontestualizzazioni4. Queste tendenze si sono poi arricchite di nuovi aspetti, come il “vulgairekitsch”5, in altre parole il trattamento di immagini porno-erotiche tratte dai mass-media enfatizzandone l’aspetto patinato, o il citazionismo, la rivisitazione, a volte esplicita, di certe invenzioni dell’arte contemporanea, soprattutto occidentale. Lo sperimentalismo di cui è ora protagonista l’arte contemporanea cinese si muove su due fronti. Uno trova spazio nelle accademie stesse, dove l’istituzione di corsi sugli attuali mezzi artistici, dal video al digitale, ha in qualche modo inserito gli artisti nel dibattito culturale del concettuale: la tendenza che considera l’arte come idea, come lin69 Rapporti guaggio, come definizione dell’arte, come conoscenza attraverso il pensiero anziché attraverso l’immagine. L’altro si muove invece al di fuori delle accademie, nelle ex-fabbriche riconvertite a spazi espositivi, nei neonati quartieri degli artisti, e fa oggetto della propria ricerca il mondo ai margini, il disagio esistenziale, il ruolo della contemporaneità su quello dell’artista. Ciò che qui, nelle opere esposte appare, è soprattutto la trama di tutte queste relazioni, un miscuglio di generi e atteggiamenti. “Realizzo corrispondenze tra la realtà delle immagini e quella sperimentata personalmente”6: Fu Hong lavora sulla documentazione, sull’archiviazione d’immagini per creare una sorta di database della fantasia. Wang Xingwei lavora appunto sui riferimenti espliciti, citando, non senza ironia, Courbet, Hopper, e Fischl, rispettivamente in Untitled (2003), in The Night of Shangai (2004) e in The Decadence and Emptiness of Capitalism 2 (2000). “Sono molto interessato a ciò che è astratto”. Gli individui di Zeng Fanzhi sono immobilizzati tra due emisferi dell’azione: il volontario e l’involontario. Ricordano gli Attendants di Bacon, disperati e muti, fermi immobili nell’esatto istante dell’insensatezza. Yang Qian è invece interessata all’erotismo nascosto nel gesto quotidiano. Le sue donne si svelano a frammenti di corpo, nella nebbia del vapore che le avvolge nel bagno. Ed è nel diradarsi improvviso di quella nebbia fitta, quando si scopre un lembo di nudità, che l’osservatore, voyeur esclusivo, ha un sussulto. Le figure di Wu Yiming, sagome spettrali, dal volto bianco senza tratti, si muovono in un’atmosfera surreale. Hanno la freschezza del tratto degli antichi scrolls cinesi, e un fare inquietante che ricorda i volti di Munch. Sul fronte della provocazione c’è Zhou Thiehai che ripropone, dipinti a spray, i capolavori dell’arte rinascimentale, da Leda e il cigno di Correggio, alla Dama dell’ermellino di Leonardo coronati dal volto di Joe Camel, cammellino antropomorfo, protagonista della campagna pubblicitaria della Camel; e Shi Xinning nelle cui opere Mao Zedong è ritratto in cinquanta anni di storia occidentale, da Yalta al funerale di Che Guevara; accanto alla coppia Mastroianni-Ekberg della Dolce Vita di Fellini; di 70 Rapporti fronte all’Orinatoio di Duchamp. O ancora i volti cyborg-copertina delle bellissime donne di Feng Zhengjie e i fluttuanti preservativi sopra un fondo ricoperto di figurine kamasutra, di Zhang Xiaotao. Di matrice quasi informale, per il trattamento della pittura, i quadri di Li Songsong. A differenza del descrittivismo dominante negli altri, azzarda la percezione di una sensualità del mezzo, di un contatto voluto con la materia. Un ultimo elemento individuabile in queste opere è quello del perturbante, la categoria freudiana del senso di spaesamento e disagio proveniente dal contatto, anche solo visivo, con quanto normalmente si è abituati a vedere; contatto che squarcia improvvisamente un’abitudine costituita e insinua il sospetto che qualcosa non sia effettivamente come appare. Il perturbante prorompe nei ritratti grotteschi di Ma Liuming, dove l’artista si ritrae col volto adulto sul corpo di bambina o nei personaggi ambigui di Zhang Xiao Gang, dove i volti o le mani che scrivono un messaggio sono invasi da piccole macchie come nelle Memorie di Magritte. Le macchie che solcano il presente sono la dolorosa ombra del passato, il ricordo delle sofferenze del regime. La necessità dell’opera d’arte di sfuggire alla propria organicità, al proprio status di organismo interpretabile, la necessità di aprire i propri confini a infinite relazioni per disperdersi nei contesti, annientando la possibilità di ritrovare una primigenia identità e ammettendo come effettivo solo lo spostamento da un senso all’altro di qualsivoglia campo semantico, è da diverso tempo l’avventura dell’arte contemporanea. Rilke diceva che “le opere d’arte sono sempre il prodotto di un rischio in corso”. Ora, la rottura con la tradizione e l’impatto con le innumerevoli suggestioni del mondo occidentale, seppure riconoscibili, non sono che ipotesi di lettura. Rimangono l’importanza del rischio in atto, del confronto, del fermento della creazione che fanno di un gesto, qualunque esso sia, un’opera d’arte. Il panorama offerto da questa mostra, curata da Vittoria Coen, costituisce un importante approfondimento nei confronti del vivo interesse per l’arte contemporanea cinese, per poterne godere al di là di ogni interpretazione. 71 Rapporti 1) Cina, Pittura Contemporanea, a cura di Vittoria Coen. Catalogo a cura di Lorenzo Sassola de Bianchi, ediz. Damiani con testi di Lorenzo Sassola de Bianchi, Vittoria Coen, Eleonora Battiston, Shu Yuang. 2) Pia Camilla Copper, “Le chat e le souris: l’art contemporain en Rpc”, Monde Chinois, n. 2, Eté- Automne 2004, p. 72. 3) Ibid. 4) Intendo qui la rappresentazione di immagini consuetamente relative ad un determinato ambito, che per provocazione viene riferita ad un ambito opposto. Cfr. Andy Wahrol, Campbell’s Soup Can. 5) P.C. Copper, op.cit. 6) Le frasi citate si riferiscono alle didascalie della mostra di Bologna, dove comparivano alcuni pensieri degli artisti. 72 Rapporti Cattura l’ombra PATRIZIA BONANZINGA È innegabile che dal 1998, quando si è aperta a New York la mostra Inside Out: New Chinese Art1, gli artisti cinesi hanno avuto grande spazio sulle testate dei giornali internazionali e all’interno di numerose mostre che sono state proposte ovunque nel mondo occidentale. Questa prima ed importante mostra internazionale, curata da Gao Minglu2, celebrità nell’ambito del movimento dell’avanguardia cinese, era stata organizzata con l’intento di esplorare l’impatto degli enormi cambiamenti economici, sociali e culturali, apparsi in ogni provincia della Cina a partire dall’inizio degli anni ’90, sulla produzione artistica contemporanea. Inutile dire che quella frenesia di cambiamento, che ha investito tutti gli strati sociali cinesi, ha causato una incredibile esplosione di creatività tanto tra gli artisti della Repubblica Popolare, di Hong Kong e di Taiwan, quanto tra quelli emigrati in occidente già dalla fine degli anni ’80. D’altra parte l’apertura e la disponibilità del mondo occidentale a capire l’arte contemporanea cinese, e a crearne un mercato, ha rappresentato senza dubbio per gli artisti cinesi uno stimolo a nuove ed incessanti produzioni. Dalla metà degli anni ’90, e dal ’98, cioè in soli sette anni da quella prima ed importante mostra, si sono visti progredire a velocità sostenuta autori già affermati e si continua, esterrefatti, ad osservare il germogliare di nuove firme. In questo dinamico mondo di produzione artistica, ci accorgiamo che il mezzo prediletto dagli autori contemporanei cinesi per esprimere la propria arte è la macchina fotografica, tendenza questa assai diffusa anche in altre parti del mondo, ma l’esperienza cinese è ancora una volta molto interessante: durante i primi trent’anni di Repubblica Popolare, la fotografia era ridotta a puro strumento di propaganda, e solo alla fine degli anni ’80 comincia ad essere utilizzata come un importante strumento espressivo diventando immediatamente molto attraente per un vasto pubblico. In seguito, nella seconda metà degli anni ’90, 73 Rapporti la fotografia cinese entra in una nuova fase strettamente legata al movimento artistico dell’avanguardia cinese. Da allora, la fotografia è riconosciuta da critici ed esperti, come “fotografia sperimentale” shiyan sheying. In effetti, ciò che osserviamo sono spesso lavori ambiziosi che posseggono una natura tipicamente sperimentale. Probabilmente, ciò può essere interpretato come il risultato di una serie di risposte, per lo più individuali, che i singoli autori hanno trovato per sostenere quei cambiamenti sociali così radicali e repentini. L’attenzione del mondo occidentale per questo nuovo fenomeno si è concretizzata con Between Past and Future: New Photography and video from China3, la prima grande mostra, un totale di 130 lavori di 60 artisti cinesi, alcuni dei quali per la prima volta esibiti negli Stati Uniti, che ha raggruppato autori significativi, impegnati già a partire dalla seconda metà degli anni ’90, e fornito una visione piuttosto completa della produzione di fotografia e video degli autori cinesi. Anche Roma è interessata alle nuove tendenze e, dopo l’edizione del 2003 che ha visto la mostra collettiva di fotografi cinesi dal titolo Collettività Cinesi, la quarta edizione del festival internazionale FotoGrafia, che si è svolto tra maggio e giugno 2005, ha proposto una collettiva di fotografi cinesi dal titolo Cattura l’Ombra. Del resto Marco Delogu, direttore artistico del festival, per questa quarta edizione ha scelto come titolo Orient-ed. Uno sguardo ad oriente, con la ed finale in corsivo per sottolineare la volontà di un festival sempre più “orientato” e dunque implicato a comprendere i grandi temi dell’uomo contemporaneo. Cattura l’Ombra è stata curata da Filippo Salviati, della Facoltà di Studi Orientali di Roma “La Sapienza”, che ha raccolto 11 autori cercando nel ritratto, elemento espressivo storicamente presente nella cultura cinese, il comune denominatore tra le produzioni dei vari artisti. Scatti dal sapore antropologico, come quelli di Jin Yongquan che presenta un estratto del suo lavoro sulla minoranza Nuo del villaggio di Shiyou al confine tra le province dello Jiangxi e del Fujian; o come quelli di Li Lang che indaga la minoranza Yi a nord della provincia dello Yunnan; o ancora come quelli di Jiang Jian che si sofferma sui contadini Han evidenziando i simboli della loro cultura (ritratti di Mao sbiaditi dal tempo, scritte augurali tradizionali fanno da cornice ai nuovi idoli della televisione), sono affiancati ai “nuovi soggetti” della 74 Rapporti società cinese, come i cinesi di Zheng Nong colti nell’esercizio di turismo interno, i freaks di Han Lei o i transessuali di Jia Yuquan. Ma lo spirito sperimentale che anima gli autori cinesi è da ricercare soprattutto nei lavori di Liu Yiwei, fotografo assai noto al mondo occidentale, che usando un formato tipico della tradizione cinese, quello dello scroll montato in orizzontale, ci racconta la vita contemporanea dei cinesi consumata tra centri commerciali e luoghi di spettacoli musicali, oppure nel lavoro di Wang Ningde che espone, con tonalità quasi pittoriche, ritratti di personaggi addormentati, immersi nell’oblio. Enigmatica anche l’ultima serie di Weng Fen, per la prima volta esposta in Europa, che reiterando con sistematicità formale il tema a lui caro di personaggi solitari affacciati sulla nuova realtà, questa volta propone gruppi di persone fotografate di spalle che osservano orizzonti lontani e ben definiti. Paesaggi urbani fanno da sfondo anche alle fotografie di Aniu che ritrae gruppi di persone che sembrano passare il loro tempo libero inconsapevoli di ciò che sta accadendo intorno a loro. Il lavoro di Shi Guorui si differenzia dagli altri anche per la tecnica usata nella sua ricerca sulla luce: una tecnica molto antica che si basa su un principio ottico della “camera obscura” e che l’autore adatta a grandi strutture. Già famosa è la fotografia, ottenuta dopo ore di esposizione, che riuscì a creare trasformando una delle torri della Grande Muraglia in un ambiente tale da permettere l’uso di tale tecnica. Infine, merita forse una particolare attenzione il lavoro di Chen Nong, un autore che da poco usa la fotografia come espressione artistica. La serie proposta è composta da scatti bianconero acquerellati dove tradizione ed innovazione trovano un giusto equilibrio sostenuto da una cornice composta da vera calligrafia tutta manuale. Il risultato è un insieme di immagini quasi surreali dove l’onirico e la realtà si confondono creando una narrazione estetica in cui l’individuo si trasforma in figura divina. A cura di Mary Angela Schroth, il festival di Roma ha, infine, proposto un’altra interessante mostra di due giovani autori cinesi Shao Yinong & Mu Chen, una coppia che vive a Pechino e che ha presentato The Assembly Hall: un lavoro che mette in moto meccanismi che fanno leva sulla sfera della memoria e della documentazione. Le sale delle assemblee erano dei luoghi di riunione nei quali, specialmente durante il periodo della Rivoluzione Culturale, si svolgevano incontri anche pieni 75 Rapporti di passione, zelo, responsabilità. Ci possiamo immaginare quanti sentimenti di dolore e di gioia si siano animati in quelle sale quanto rumore abbiano contenuto. Oggi restano delle strutture abbandonate, degli scheletri silenti. Gli autori hanno viaggiato a lungo in svariate province della Cina per poter ritrovare questi luoghi e poterli fotografare con colori accesi dandone una visione piena di dignità. Questa serie è stata esposta alla biennale di Shanghai del 2004. 1) Inside Out: New Chinese Art prima ed importante mostra internazionale di arte contemporanea aperta all’Asia Society di New York City nel gennaio del 1998 (www.asiasociety.org). Un vasto numero di opere di artisti della Repubblica Popolare Cinese, di Taiwan, di Hong Kong e di artisti emigrati all’estero già da una decina di anni, sono state selezionate con la collaborazione del San Francisco Museum of Modern Art, dove la mostra è stata esposta l’anno successivo. 2) Gao Minglu ha curato anche il catalogo della mostra: Inside Out: New Chinese Art, 1998, 224 pp. 3) Between Past and Future: New Photography and video from China è stata organizzata, in collaborazione con l’Asia Society, all’International Center of Photography (ICP) di New York tra giugno e settembre 2004. La mostra è stata curata da Wu Hung, professore di storia dell’arte cinese all’università di Chicago, dallo Smart Museum e da Chisptopher Phillips, curatore del ICP. 76