MONDO CINESE
RIVISTA TRIMESTRALE
SOMMARIO
Politica internazionale
Noemi Lanna
Il “problema dei libri di testo” e le relazioni
sino-giapponesi
pag. 4
Economia e diritto
Maddalena Sorrentino
La sfida cinese nel campo dell’ICT
pag. 12
Cultura e società
Alessandra C. Lavagnino
Il “mercato” degli studenti cinesi e l’Italia
pag. 23
La pubblicità sociale in Cina: un quadro generale
pag. 33
Giovanna Puppin
Documenti
La funzione della “Legge anti-secessione” secondo la
teoria dei giochi
pag. 41
Perchè premiare i funzionari che richiamano investimenti
stranieri?
pag. 52
Commemorazione di (Zhao) Ziyang in occasione della
festa Qingming - Al più grande riformatore cinese
contemporaneo
pag. 54
Rapporti
Valentina Pedone
Una panoramica sulla stampa cinese a Roma
pag. 60
FAR EAST FILM 7: L’anno della Cina
pag. 65
Cina, pittura contemporanea
pag. 69
Cattura l’ombra 1
pag. 73
Corrado Neri
Valentina Casacchia
n. 123
Aprile-Maggio 2005
Patrizia Bonanzinga
ISTITUTO Vittorino Colombo per lo sviluppo delle relazioni culturali,
economiche e politiche con la Repubblica Popolare Cinese.
Presidente onorario: Giulio Andreotti
Presidente: Cesare Romiti
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"MONDO CINESE"
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Direttore responsabile: Marco Del Corona
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Segretaria di redazione: Elisa Giunipero
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APRILE/GIUGNO - ANNO XXXIII - N. 123
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2
Patrizia Bonanzinga, fotografa, residente per tre anni in Cina
Valentina Casacchia, laureata in Scienze Storico-artistiche e
specializzanda in Storia dell’Arte contemporanea presso l’Università
degli Studi di Roma “La Sapienza”
Federica Casalin, dottore di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Miriam Castorina, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia
Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Eva D’Amico, dottore di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale
presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Noemi Lanna, dottore di ricerca in “Asia Orientale e Meridionale”
presso la Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”
Alessandra C. Lavagnino, professore ordinario di Lingua e cultura
cinese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di
Milano
Marina Miranda, professore associato di Istituzioni politiche e sociali
dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Federico II” di Napoli
Corrado Neri, dottorando di ricerca in Civiltà dell’India e dell’Asia
Orientale presso il Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia
Valentina Pedone, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia
Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Giovanna Puppin, laureata in Traduzione e Interpretariato e specializzata in Traduzione Tecnico-scientifica dal cinese, presso l’Università
Ca’ Foscari di Venezia
Maddalena Sorrentino, ricercatore di Informatica presso la Facoltà
di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano
3
Politica Internazionale
Il “problema dei
libri di testo”
e le relazioni
sino-giapponesi
tre l’atteggiamento cinese è stato
interpretato come una legittima
manifestazione di orgoglio nazionalistico, ovvero come una
strumentalizzazione dell’opinione
pubblica
da
parte
dell’establishment, a molti osservatori è sembrato che il Giappone confermasse, ancora una volta, una delle immagini usate per
descriverlo: quella di un paese incapace di fare i conti con il proprio passato, che non ha mai
del tutto ripudiato i suoi trascorsi
militaristici.
In realtà, la recente controversia
sino-giapponese è molto più complessa ed anche meno nuova di
quel che appare. I manuali di storia giapponesi sono stati per la
prima volta causa di attriti tra la
Cina ed il Giappone nel 1982,
quando il “problema dei libri di
testo” (kyôkasho no mondai) si è
internazionalizzato2. Nell’estate
di quell’anno, il governo cinese
accusò il Ministero dell’Istruzione
giapponese di aver fatto pressione sugli autori dei libri di testo
sotto scrutinio affinché modificassero alcuni passaggi dei manuali
per presentare gli eventi storici,
in particolare quelli relativi all’invasione e dominazione giapponese della Cina, con toni meno critici nei confronti del Giappone.
Successivamente emerse che, per
NOEMI LANNA
1. Una questione vecchia e complessa
L
e decisioni del Ministero dell’Istruzione giapponese
(Monbukagakushô) relative
allo scrutinio dei manuali di storia, rese note agli inizi di aprile,
hanno suscitato proteste all’interno ed all’esterno del Giappone.
Tra i testi approvati dal ministero
figurano infatti libri dai toni e dal
contenuto inequivocabilmente
revisionistici1. Come è noto, imponenti manifestazioni si sono
avute in particolare nella Repubblica Popolare Cinese, dove lo
sdegno per la questione dei libri
di testo e l’andamento del
concomitante dibattito sulla riforma dell’ONU (segnatamente
l’aspirazione del Giappone ad un
seggio permanente in seno al
Consiglio di Sicurezza) hanno creato una potente convergenza di
sentimenti anti-giapponesi. Men4
Politica Internazionale
quanto esistenti, le pressioni non
erano avvenute nei termini descritti dal governo e dalla stampa cinese (che si era peraltro basata
su indiscrezioni riportate da alcuni quotidiani giapponesi), ma
il caso era ormai esploso ed altri
paesi asiatici si unirono presto alle
proteste della Cina3. Quattro anni
dopo, il problema si ripropose in
termini analoghi. Il Giappone stava vivendo un periodo di eccezionale prosperità e crescita economica ed il ritrovato orgoglio nazionale si manifestava anche sotto forma di un compiaciuto nazionalismo che sollecitava ricostruzioni della storia nazionale sempre più auto-celebrative e
revisionistiche. Non a caso, risale
a questi anni, al 15 agosto 1985
(quarantesimo anniversario della
sconfitta del Giappone) per l’esattezza, anche la prima visita ufficiale di un Primo Ministro giapponese al famigerato santuario
shintoista Yasukuni. Prima di
Nakasone Yasuhiro, l’allora
premier, altri primi ministri si erano recati al tempio, ma mai nessuno aveva dato carattere ufficiale
e pubblico alla sua visita, sfidando l’ira di parte dell’opinione
pubblica giapponese e dei paesi
asiatici vittime del colonialismo
nipponico. Visitare il tempio
Yasukuni significava infatti rende-
re omaggio ai giapponesi caduti
per la patria dalla metà del XIX
secolo in poi ed ivi sepolti ed onorati: non solo a quelli immolatisi
nella guerra sino-giapponese
(1894-95) e nippo-russa (190405), ma anche ad alcuni leader
giapponesi condannati come “criminali di guerra” dal Tribunale
Militare Internazionale per l’Estremo Oriente 4 . L’esempio di
Nakasone è stato seguito dall’attuale Primo Ministro Koizumi
Junichirô che si è recato in visita
al santuario più volte, noncurante delle proteste interne ed esterne generate dal suo gesto provocatorio.
L’ultimo ed immediato precedente della attuale controversia sui
libri di testo si è avuto nel 2001,
in un clima di pieno revival
neonazionalistico, stimolato dalle cosiddette “tre fini”: la fine della
Guerra fredda, il decesso dell’imperatore Shôwa e lo scoppio della bolla speculativa che aveva causato l’inizio di una lunga recessione economica. Quell’anno, tra
i manuali di storia approvati dal
Ministero dell’Istruzione giapponese figurava anche un testo dai
toni
inequivocabilmente
negazionistici, il “Nuovo manuale di storia” (Atarashii rekishi
kyôkasho)5. In questa, come nelle
altre occasioni, i passaggi
5
Politica Internazionale
problematici dei libri sotto accusa sono quelli relativi alla storia
del Giappone successiva alla Restaurazione Meiji (1868), soprattutto quelli che descrivono gli anni
del militarismo giapponese (sebbene in alcuni testi, il maquillage
revisionistico colpisca anche la
storia antica). La tendenza comune a molti dei testi criticati è di
presentare le guerre combattute
dal Giappone, da quella sinogiapponese in poi, come una risposta difensiva e necessaria alla
minaccia dell’imperialismo occidentale. Una risposta narrata al
netto delle atrocità compiute dal
Giappone: dalla deportazione
coatta di lavoratori cinesi e
coreani, al sistematico sfruttamento sessuale di donne asiatiche, le
tristemente note “donne conforto” (ianfu), alle efferatezze di cui
si resero responsabili le truppe
giapponesi a Nanchino nel 1937.
nella guerra combattuta dal 1937
al 1945. Peraltro, un nazionalismo radicato in una cultura della
“vergogna”
ed
in
una
particolaristica esaltazione dell’unicità nipponica ha contribuito a rendere ancora più esasperate le forme della negazione e
della revisione del passato, come
le inopportune e reiterate visite
del Primo Ministro Koizumi al tempio Yasukuni ben testimoniano6.
Tuttavia, è altrettanto vero che
l’atteggiamento del Giappone, e,
nello specifico, i problemi relativi
ai manuali di storia e la recente
controversia, non possono essere
liquidati come mera espressione
di una univoca e totalizzante volontà negazionistica dello stato
giapponese. Sia perché non sono
mancate le occasioni in cui il Giappone ha ufficialmente riconosciuto le proprie colpe e si è esplicitamente scusato con i suoi vicini
asiatici7. Sia perché l’atteggiamento dei burocrati del Ministero
e dei leader politici non è
riducibile ad una isolata ed unilaterale manifestazione di nazionalismo revisionistico.
Il “problema dei libri di testo” è il
prodotto di una pluriennale battaglia per la riscrittura della storia nazionale che è stata combattuta dai conservatori e dai
progressisti giapponesi a vari li-
2. I manuali e la guerra della
memoria nel Giappone postbellico
Il “problema dei libri di testo” è
stato visto come uno dei segni
evidenti dell’incapacità del Giappone di fare i conti con il proprio
passato. È innegabile che il Giappone è stato riluttante a riconoscere le proprie responsabilità
6
Politica Internazionale
velli: nell’arena della politica interna (ed in quella della politica
estera), sul terreno della cultura
popolare ed infine nelle accademie. Obiettivo degli storici e degli intellettuali conservatori era
confutare la prospettiva storica di
matrice progressista affermatasi
negli anni dell’occupazione del
Giappone (1945-1952). È quella
che gli storici revisionisti giapponesi chiamano spregiativamente
“prospettiva storica del processo
di Tokyo”: una visione fortemente influenzata dalla cosiddetta
“storiografia postbellica” giapponese (egemonizzata dagli storici
marxisti) e dall’azione del Tribunale Militare Internazionale per
l’Estremo Oriente (attraverso il
processo da esso istruito dal 1946
al 1948, comunemente noto come
“processo di Tokyo”). Essa interpreta la storia moderna del
Giappone come una sequenza di
eventi negativi c ulminanti nelle
atrocità prodotte dal militarismo
espansionistico giapponese.
Contro questo genere di
storiografia, “masochistica”
(jigyakuteki),
“tenebrosa”
(ankokuteki) ed “antigiapponese”
(hannichiteki) nelle parole dei
revisionisti, i conservatori giapponesi sferrano i loro attacchi, già
a partire dagli anni Cinquanta.
Tra i più significativi quello del
1955, per mano del conservatore
Partito Democratico giapponese
che solleva il “problema dei libri
di testo preoccupanti” (ureu beki
kyôkasho no mondai). Vale a dire
dei testi scolastici, quelli di storia
in particolare, viziati da “pregiudizi” e finalizzati a stregare gli
indifesi lettori con il “potere diabolico rosso” (akai mashu), ovvero con le tesi della storiografia
marxista8. Inoltre, quello del romanziere Hayashi Fusao che dal
1963 al 1965 pubblica a puntate
sulla rivista Chûô kôron la sua
“Apologia della Guerra della
grande Asia Orientale”: una esplicita difesa della Guerra del Pacifico (che l’autore significativamente indica con la denominazione
in uso dal 1941 al 1945, “Guerra
della grande Asia Orientale”)
considerata l’ultima fase di un
centennale conflitto combattuto
dal Giappone contro le potenze
occidentali9. L’ultima grande offensiva dei conservatori si ha nel
dopo Guerra fredda ed ha nel
“Centro di studi per una visione
liberale della storia” (Jiyûshugi
shikan kenkyûkai) uno dei suoi
principali protagonisti10.
3. Aprile 2005: un copione che
si ripete?
È fin troppo chiaro che in questa
7
Politica Internazionale
lunga crociata contro la
storiografia marxista, il cui ultimo atto si è consumato di recente, la posta in gioco non è semplicemente la storia. Non è la storia, per quanto vincolante con il
suo ingombrante ed oggettivo fardello di atrocità, a muovere le
masse cinesi in protesta o i capi
di stato cinesi e giapponesi. Né
gli attriti sino-giapponesi sono
riducibili ad uno scontro tra due
nazionalismi diversi e contrapposti: quello giapponese radicato
nella consapevolezza della “eccezionalità” nipponica, come abbiamo accennato, e quello cinese che
affonda le radici nel “secolo delle
umiliazioni” e, in particolare, nella
memoria traumatica delle umiliazioni subite durante gli anni della dominazione giapponese.
Da un lato, le recenti frizioni sinogiapponesi si inseriscono all’interno di dinamiche di confronto tra
le due potenze nella regione asiatica: la posizione del Giappone,
che ambisce ad ottenere l’assegnazione di un seggio permanente in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, mette in discussione alcuni dei presupposti su cui si
è fondato negli ultimi anni l’equilibrio regionale del Nordest asiatico (un Giappone che concentra
il suo potere globale nel settore
economico, rinunciando alla
“normalizzazione”). Dall’altro,
l’atteggiamento adottato dalla
Cina nei confronti del Giappone
si presenta come la continuazione di una pluriennale tradizione
diplomatica che utilizza il passato coloniale del Giappone come
leva per ottenere concessioni economiche, la cosiddetta “diplomazia del fumie”11. Una strategia che
la Cina ha selettivamente e
sapientemente adottato nel corso degli anni. Non negli anni Settanta, ad esempio, in occasione
dei negoziati per la stipula del
trattato di pace sino-giapponese.
All’epoca, poiché la Cina voleva
che il riavvicinamento con Tokyo
avvenisse in tempi brevi e senza
intoppi, si astenne dal sollevare
le questioni legate alla dominazione giapponese12 (a differenza
di quanto fatto anni prima dalla
Corea del Sud, ad esempio)13. Tuttavia, negli anni Ottanta, quando le priorità nell’agenda cinese
erano cambiate, la controversia
sui libri di testo è stata trasformata in occasione per la richiesta e l’ottenimento di concessioni
economiche14.
Nel 2005, il copione sembra ripetersi. Dopo aver osato tanto, il
Giappone riconosce le sue colpe
passate, porgendo scuse che la
Cina accetta con qualche riserva.
Tuttavia, il finale non sarà neces8
Politica Internazionale
Tokyo, 1998.
3) I passaggi contestati dalla Cina riguardavano l’eccidio di Nanchino, descritto come una reazione alla “fiera resistenza” giapponese, e l’invasione
della Cina settentrionale: secondo le
indiscrezioni trapelate, gli autori dei libri di testo in questione erano stati invitati a sostituire il termine “invasione”
(shinryaku) con il più neutro e
deresponsabilizzante “avanzata”
(shinkô o shinshutsu). In realtà, come
emerse in seguito a due indagini condotte separatamente e parallelamente
dal Ministero dell’Istruzione giapponese e dal quotidiano Asahi Shinbun, il
processo di scrutinio e di approvazione dei testi non era stato “pilotato” dai
funzionari del ministero nel modo descritto dalla stampa giapponese. Cfr.
Caroline Rose, “The Textbook Issue:
Domestic Sources of Japan’s Foreign
Policy”, Japan Forum, 11 (2), pp. 205-8.
4) Tra i condannati come “criminali di
guerra” dal Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente sepolti nel
tempio Yasukuni, figura anche il generale Tôjô Hideki, Primo Ministro all’epoca dell’attacco a Pearl Harbour. Le spoglie dei criminali di guerra furono segretamente traslate nel tempio nel 1978
e solo nel 1979 emerse che erano custodite nel santuario.
5) Nishio Kanji et alii, Atarashii rekishi
kyôkasho (Nuovo manuale di storia),
Fusôsha, Tokyo, 2001.
6) Il particolarismo culturale, cioè quel
tratto caratteristico della cultura
nipponica che porta a concepire il proprio sistema di valori come particolare
e non estensibile ad altri contesti, si trasforma talvolta in una celebrazione
della eccezionalità del Giappone. D’altro canto, la centralità della “vergogna”,
piuttosto che della “colpa”, all’interno
sariamente analogo a quello degli anni precedenti. Questa volta
tutto avviene in un clima molto
più teso, tra mobilitazioni popolari cinesi massicce e, soprattutto, in un mutato contesto regionale e globale che vede la Cina
godere di un potere senza precedenti negli ultimi lustri.
1) È il caso, ad esempio, della nuova
edizione del manuale Atarashii rekishi
kyôkasho (Nuovo libro di storia), edito
dalla Fusôsha. Vedi nota n. 5.
2) Il “problema dei libri testo” è strettamente legato al sistema di scrutinio
ministeriale dei manuali scolastici in vigore in Giappone dagli anni Cinquanta. Pur avendo acquisito visibilità internazionale nel 1982, proprio in seguito
alle proteste della Cina e di altri paesi,
il problema esisteva già da anni. Il Ministero dell’Istruzione giapponese è stato criticato per aver approvato manuali
tendenti a minimizzare o negare le responsabilità nipponiche negli anni del
militarismo, ovvero per aver respinto
testi che, al contrario, descrivevano ed
enfatizzavano quelle stesse responsabilità. Emblematico il caso dello storico
Ienaga Saburô impegnato in una
pluriennale disputa legale con lo stato
giapponese per il rigetto della edizione
riveduta del suo Shin Nihonshi (Nuova
storia del Giappone). Sul problema dei
libri di testo, cfr. Tokutake Toshio,
Kyôkasho no sengoshi (Storia postbellica dei libri di testo), Shin Nihon
shuppansha, Tokyo, 1995; sul caso
Ienaga, cfr., ad esempio, Ienaga
Saburô, Takashima Nobuyoshi,
Kyôkasho saiban wa tsuzuku (I processi
sui libri di testo continuano), Iwanami,
9
Politica Internazionale
della cultura giapponese rende difficile
un confronto con il passato basato sui
meccanismi della confessione e del perdono. La combinazione di questi due
fattori contribuisce a rendere il nazionalismo dei “falchi” e dei revisionisti
giapponesi provocatorio e radicale nelle
sue manifestazioni. Sull’argomento, cfr.
F. Mazzei, “Il vulnus e la percezione: i
bombardamenti atomici nella cultura
giapponese”, Giano, n. 21 (1995), pp.
59-76.
7) Ad esempio, il Primo Ministro
Nakasone, in un discorso tenuto alla
Dieta giapponese nel febbraio 1983,
ha ufficialmente riconosciuto che la
guerra contro la Cina era stata una
“guerra di aggressione”; il riconoscimento della natura “aggressiva” della
guerra è stato ribadito dal Primo Ministro Hosokawa Morihiro, nel 1993 ed
accompagnato da scuse; Murayama
Tomiichi ha inaugurato l’inizio del suo
governo con un appello alla necessità
di riflettere sulla “responsabilità del
Giappone” nel produrre “grande sofferenza” durante la guerra. Scuse esplicite per gli anni del dominio coloniale
sono state porte dal Giappone alla
Corea del Sud nel 1998 ed alla Corea
del Nord nel 2002, in occasione della
storica visista di Koizumi a Pyongyang.
8) La controversia prende il nome dal
titolo dei tre opuscoli in cui il Partito Democratico giapponese si scagliò con
toni polemici contro i “pregiudizi”
marxisti da cui riteneva fossero viziati i
libri di testo. Cfr. Nihon Minshutô, “Ureu
beki kyôkasho no mondai (ichi) “ (Il
problema dei libri di testo preoccupanti, uno), “Ureu beki kyôkasho no mondai (ni)” (Il problema dei libri di testo
preoccupanti, due), “Ureu beki
kyôkasho no mondai (san)” (Il problema dei libri di testo preoccupanti, tre),
riprodotti in Sengo Nihon kyôiku shiryô
shûsei iinkai (a cura di), Sengo Nihon
kyôiku shiryô shûsei (Raccolta di documenti relativi all’istruzione nel Giappone postbellico), vol. 5, San’ichi shobô,
Tokyo, 1982.
9) La corposa “apologia”, che fu al centro di un acceso dibattito nella fase
della sua pubblicazione, fu poi
ripubblicata sotto forma di libro. Cfr.
Hayashi Fusao, “Dai tô-A sensô
kôteiron” (Apologia della guerra della
grande Asia Orientale), in Hayashi Fusao
chosakushû (Opere di Hayashi Fusao),
vol. 1, Tsubasa shoin, Tokyo, 1968.
10) Il Centro, fondato da Fujioka
Nobukatsu nel 1995, si proponeva di
sostituire la storiografia “masochistica”,
cioè quella di matrice marxista, predominante nel Giappone postbellico, con
una storiografia “liberale” di nome, ma
di fatto revisionistica. Dall’iniziativa dei
suoi membri è nato il “Comitato per la
redazione dei nuovi manuali di storia”
(Atarashii rekishi kyôkasho wo tsukuru
kai), a cui si deve la redazione del controverso e già menzionato “Nuovo
manuale di storia”. La letteratura sulle
attività delle due associazioni e sul
revisionismo negli anni Novanta è abbondante. Per una sintetica, ma efficace descrizione del fenomeno, cfr. A.
Nanta, “L’actualité du révisionnisme
historique au Japon (Juillet 2001)”,
Ebisu, n. 26 (2001), Maison FrancoJaponaise Tokyo, pp. 127-153.
11) Il termine fumie (letteralmente, “immagine da calpestare”) indica le immagini utilizzate dalle autorità giapponesi
per identificare i cristiani, nel periodo
in cui il cristianesimo era bandito in
Giappone. Le persone sospette erano
costrette a calpestare immagini sacre
per dimostrare di non essere credenti.
Per analogia, la “diplomazia del fumie”
10
Politica Internazionale
è quella che costringe il Giappone a
“calpestare” il suo passato militarista
per dimostrare che lo ha interamente
rinnegato. Come è stato rilevato, si tratta di una strategia vincente vista l’impossibilità formale dell’ethos giapponese di rapportarsi al passato coloniale e
militarista secondo il “meccanismo della colpa-confessione-perdono”. Cfr. F.
Mazzei, “Il ruolo internazionale del
Giappone prima e dopo l’11 settembre”, Sc.-Pol.-IUO, materiale didattico,
Napoli, 2002, pp. 59-60.
12) Cfr. G. Hook et alii, Japan’s
International Relations. Politics, Economics
and Security, Routledge, London, New
York, 2001, pp. 166-67.
13) Durante i negoziati per la
normalizzazione delle relazioni diplomatiche, la Corea del Sud ha
reiteratamente posto la questione del
passato coloniale allo scopo di ottenere scuse dal Giappone ed anche di accrescere il suo potere negoziale. Anche
per questo motivo, la firma del trattato
tra Giappone e Corea del Sud (il “Trattato sulle relazioni di base tra Giappone e Corea del Sud”) si ebbe dopo ben
13 anni di negoziati. Cfr. Matsuo
Takayoshi, “Kokusai kokka he no
shuppatsu” (Verso lo stato internazionale), in Nihon no rekishi, vol. 21, Shûeisha,
Tokyo, 1993, pp. 289-94.
14) C. Rose, op. cit., pp. 208-9.
11
Economia e diritto
La sfida cinese nel
campo dell’ICT
Communications of the ACM 3 ,
prestigiosa rivista internazionale
di computer science, ha dedicato
a questi argomenti gran parte del
numero di aprile 2005. L’avere
raggruppato sette articoli sotto il
titolo “Transforming China” riflette
chiaramente l’importanza attribuita ai fenomeni in atto.
MADDALENA SORRENTINO
Premessa
L
a Cina si sta preparando per
diventare la prossima, grande frontiera della tecnologia
a livello mondiale. È difficile prevedere quando ciò avverrà, ma
non sembrano esservi dubbi sul
fatto che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione
(abbreviate in ICT, Information and
Communication Technologies), e
segnatamente la Rete, hanno già
consentito al gigante cinese non
solo di competere su scala globale, ma di diventare in breve tempo una forza trainante del cambiamento. I dati1 sono eloquenti:
94 milioni di utenti Internet a fine
2004 (+18,2% rispetto all’anno
precedente), 334 milioni di
utilizzatori di telefoni cellulari;
flussi di esportazione relativi a
prodotti ad alto contenuto tecnologico cresciuti a ritmi del 40-60%
nell’ultimo decennio. Nel 2004 è
avvenuto il sorpasso, nel ranking
mondiale, della Cina ai danni del
Giappone, in termini di numero
di utenti Internet2.
1. Modelli di diffusione di
Internet nelle imprese cinesi
Internet è stata introdotta ufficialmente in Cina alla fine del 1992.
Sin dal primo momento, la diffusione della “rete di reti” si è accompagnata ad una crescita progressiva
del
grado
di
informatizzazione del tessuto economico. Ma, a differenza di quanto avvenuto in altri paesi, i manager cinesi hanno dovuto affrontare questa sfida potendo contare su un patrimonio di esperienza in campo informatico quasi
inesistente, su infrastrutture poco
diffuse in un territorio sconfinato
e su un livello medio di sviluppo
economico alquanto modesto. Per
molte organizzazioni il salto è stato notevole, e spesso ha comportato il passaggio diretto e repentino da prassi operative tradizionali, essenzialmente di tipo manuale, a sistemi informativi basati sul paradigma Internet. D’altro
12
Economia e diritto
canto, l’essersi affacciati relativamente tardi sul mercato ICT si è
accompagnato a interessanti opportunità per le imprese cinesi, tra
cui: poter scegliere tra una gamma di applicazioni e strumenti più
avanzati, perché di nuova generazione; imparare dall’esperienza degli altri e, quindi, evitare le
trappole e i rischi che tipicamente si associano con l’adozione di
tecnologie poco conosciute; e, infine, essere meno assillati dal problema che invece attanaglia le
aziende che hanno alle spalle una
lunga storia di automazione, ossia la necessità di far convivere i
nuovi sistemi con le tecnologie e
applicazioni preesistenti (cosiddetti legacy systems).
Ma come si sta diffondendo
Internet tra le imprese cinesi? Una
ricerca di Guo e Chen4 ha analizzato un campione formato da 94
aziende operanti a Pechino,
Guangzhou e altre grandi città
situate nelle regioni orientali del
paese, dimostrando l’esistenza di
una correlazione tra l’ammontare della spesa ICT (ossia relativa
all’acquisto di hardware, software
e servizi informatici) e il tasso di
diffusione di Internet tra gli operatori economici. L’andamento di
queste due grandezze nel periodo 1992-2004 rivela la presenza
di uno sviluppo per fasi:
Avvio (1993-1995). Internet fu
implementata ufficialmente tra la
fine del 1992 e l’inizio del 1993.
Il primo backbone nazionale (ossia la linea “dorsale” che funge
da percorso principale per il flusso del traffico verso e da altre reti
di telecomunicazioni) è il risultato di un progetto congiunto tra
l’Accademia cinese delle scienze
e le università di Pechino e
Qinghua. Grazie al supporto governativo, le prime imprese poterono realizzare proprie reti
aziendali che consentirono l’avvio dei servizi di posta elettronica. Le reti ChinaNet e China
Education and Research Network
diventarono operative nel 1994.
Contagio (1995-2000). La realizzazione di soluzioni basate sulle
tecnologie di comunicazione ha
contribuito a innalzare in misura
considerevole la spesa ICT. A partire dal 1997 è stato soprattutto
lo sviluppo dell’e-commerce a
guidare
le
scelte
di
informatizzazione delle imprese.
Nel 1998 nasce il primo motore
di ricerca in lingua cinese (Sohu),
sviluppato da Sohu.com, società
quotata al Nasdaq nel 2000 (fondata da Charles Zhang, noto anche come il Bill Gates cinese5). In
termini di volumi di traffico,
Sohu.com oggi si colloca tra i primi 5 portali a livello mondiale.
13
Economia e diritto
Congelamento (2000-2004).
Molte imprese hanno iniziato a
porre sotto controllo i propri investimenti in tecnologia. In parallelo è cresciuto il ricorso a servizi
di consulenza strategica offerti da
grandi società internazionali. In
questo periodo oltre la metà delle imprese considerate dallo studio di Guo e Chen hanno ridotto
i loro budget per l’acquisto di tecnologie, mentre, in parallelo, è
cresciuta la spesa per servizi di
consulenza e outsourcing di attività informatiche.
Diffusione (dal 2004). La tecnologia assume un ruolo importante in tutte le maggiori imprese, e
nel frattempo si consolidano applicazioni ICT di nuova generazione, basate cioè sull’uso del telefono
cellulare
(mobile
commerce) e dell’analisi strategica dei dati (business intelligence).
Secondo il China Internet Network
Information Center, i Website presenti sul territorio cinese sono
668.900. L’area di Pechino e quella di Shanghai presentano la
maggiore diffusione di utenti
Internet: rispettivamente 27,6% e
25,8% in rapporto alla popolazione residente6.
Lo studio di Guo e Chen procede
dimostrando come la redditività
delle imprese cinesi sia correlata
positivamente con l’intensità di
adozione delle tecnologie
Internet. L’influenza esercitata da
altre variabili, quali ad esempio
il settore economico e le dimensioni aziendali, non sembra invece ugualmente significativa. In
altri termini, non sempre le grandi organizzazioni cinesi sono quelle che adottano Internet con maggiore convinzione. Inoltre, le realtà di minori dimensioni mostrano un atteggiamento più convinto verso la Rete rispetto a realtà
omologhe presenti in paesi occidentali. Ciò, probabilmente, è
dovuto al fatto che il livello minimo di investimenti necessari per
integrare Internet nelle attività
aziendali risulta accessibile anche
da chi detiene minori risorse finanziarie. In genere, le aziende
cinesi più aggressive sul versante
della Rete sono quelle che mettono a segno i migliori risultati in
termini di utili.
2. I vantaggi delle tecnologie
Tutto bene, dunque? Un articolo
di Quan et al.7 apparso sullo stesso
numero di Communications of the
ACM mette in guardia da conclusioni affrettate e semplicistiche. I
risultati messi a segno dalla Cina
nell’arco di pochissimi anni testimoniano sì le dimensioni assunte
dai processi di trasformazione in
14
Economia e diritto
atto, tuttavia - affermano gli autori - sarebbe fuorviante ritenere
l’ICT come l’unico fattore che ha
determinato il cambiamento. Piuttosto, le tecnologie sono un elemento necessario per lo sviluppo
economico e sociale, ma non sufficiente a sostenerlo. Occorre poi
considerare che le infrastrutture
(non solo tecnologiche) a disposizione sono ben lungi dall’aver
raggiunto uno stadio di diffusione omogeneo. Barriere tecnologiche e finanziarie (dall’accesso
a Internet all’uso di carte di credito e altri strumenti sostitutivi del
contante) caratterizzano tuttora
molte aree del paese.
Quan et al. osservano inoltre che
le tecnologie dell’informazione
non sono ancora diventate una
commodity, questo significa che a differenza di quanto avviene in
contesti più avanzati - chi le adotta per primo può sperare di ottenere vantaggi competitivi duraturi. In questo senso, l’ICT può rappresentare un mezzo per differenziarsi dalla concorrenza. Tra gli
esempi più significativi di imprese
che sono riuscite a coniugare alti
livelli di utilizzo con elevata
profittabilità figurano certamente i due maggiori portali cinesi
(Sina e Sohu) che offrono una
vasta gamma di servizi informativi e legati al commercio elettro-
nico.
D’altro canto, l’ICT non è necessariamente vantaggiosa per tutte
le imprese operanti in Cina. In tale
realtà, non dimentichiamolo, l’offerta di manodopera è abbondante e relativamente a basso
costo8. Inoltre, mentre nei contesti sviluppati la scelta di sostituire
la forza lavoro con strumenti ICT
assume un significato preciso in
termini di convenienza economica, nella realtà cinese questo genere di decisioni si giustifica solo
se rapportato a specifiche condizioni, quali ad esempio le dimensioni aziendali e il tipo di orientamento al mercato.
Per le aziende che competono a
livello globale e che devono puntare sulla qualità dei prodotti e
sulla convenienza dell’offerta,
l’ICT rappresenta certamente un
fattore
strategico
di
differenziazione e produttività. In
presenza di accordi con operatori stranieri, l’investimento in tecnologie dell’informazione diventa una scelta ineludibile. Ad esempio Huawei, costruttore cinese di
apparati di rete, e l’omologo statunitense 3Com hanno sottoscritto un contratto di cooperazione
per presidiare congiuntamente il
mercato nordamericano. A seguito di tale accordo, Huawei ha
dovuto affrontare notevoli inve15
Economia e diritto
stimenti per rendere i propri sistemi informativi compatibili rispetto a quelli del proprio partner9. Un sofisticato sistema di automazione delle attività produttive ha invece consentito a Lenovo
(precedentemente conosciuta
come Legend Computer) di diventare il costruttore leader in Cina.
Lenovo, come noto, nel dicembre
2004 ha acquisito la divisione PC
dell’IBM.
Per le imprese di medie dimensioni che competono nel mercato
domestico cinese, le decisioni di
investimento in ICT sono influenzate soprattutto dalle caratteristiche del settore di appartenenza.
Maggiore è l’intensità informativa di quest’ultimo, maggiore è il
potenziale vantaggio che può essere ottenuto dagli investimenti
tecnologici. Per Centaline, gruppo immobiliare che conta 6.300
addetti e oltre 350 filiali sparse
nel paese, la condivisione e diffusione delle informazioni sono un
fattore chiave di successo. La recente adozione di un sistema informativo gestionale unico a livello di gruppo ha consentito di
creare un ambiente integrato e
accessibile a tutti, orientato alla
collaborazione a distanza. E gli
esempi potrebbero continuare.
Resta comunque il fatto che mol-
te imprese presenti in Cina hanno dimensioni relativamente esigue e operano in modo esclusivo
su un mercato (quello domestico)
che sta conoscendo anni di crescita ininterrotta e tumultuosa. Per
questo genere di operatori i requisiti di qualità dell’offerta sono
certamente meno stringenti rispetto ai livelli medi che, invece, contrassegnano le economie più
avanzate. In molti casi, dunque,
la messa in atto di nuovi investimenti ICT difficilmente rappresenta una strada obbligata. E infatti, la stragrande maggioranza
delle imprese attive sul mercato
cinese sceglie di fronteggiare le
sfide della concorrenza nel modo
più tradizionale e immediato, ricorrendo cioè all’impiego di nuova manodopera.
3. La Cina e il Networked
Readiness Index
Gli indicatori quantitativi di diffusione dell’ICT appaiono sempre
meno idonei ad apprezzare la situazione di un paese sia in termini assoluti che relativi. Inoltre,
considerata la dinamicità che contrassegna il mondo delle tecnologie, diventa altresì necessario tenere conto della dimensione temporale dei fenomeni osservati.
16
Economia e diritto
Da alcuni anni è emersa la necessità di considerare altri fattori
e condizioni che favoriscono un
uso delle risorse tecnologiche efficace, tale cioè da influenzare
positivamente la crescita del sistema economico e sociale. Risulta
in questo senso interessante il calcolo del cosiddetto “Networked
Readiness Index (NRI)”10 che, nelle intenzioni degli ideatori, si propone di consentire a ciascun paese di disporre di elementi utili per
valutare la propria situazione anche in rapporto con altri tipi di
realtà. Ma, forse, l’aspetto maggiormente significativo fa riferimento alle indicazioni che possono scaturire dall’NRI in termini di
capacità di un determinato sistema-paese di avvalersi delle opportunità tecnologiche. Tali capacità
derivano da una combinazione di
fattori, tra cui i principali risultano essere: l’alfabetizzazione informatica della popolazione, il grado di diffusione delle tecnologie
nel tessuto economico e il livello
di informatizzazione del settore
pubblico.
Il Networked Readiness Index è
dunque un indice composito, costruito aggregando un sistema di
ben 78 indicatori quantitativi e
qualitativi che sono stati scelti allo
scopo di permettere analisi com-
parate e multidimensionali. Il NRI
comprende tre macro categorie di
variabili, relative al contesto ambientale (environment), al grado
di adeguatezza (readiness) e all’utilizzo (usage) dell’ICT nel paese considerato. È interessante
osservare come ciascuno degli ultimi due indicatori consideri tre
diverse classi di destinatari delle
tecnologie, vale a dire gli individui residenti, le aziende e la pubblica amministrazione.
La classifica assoluta 2004/2005,
stilata su un totale di 104 paesi,
colloca ai vertici Singapore, seguito da Islanda, Finlandia. Danimarca e Stati Uniti. La Cina si
posiziona al 41° posto (nel 2002/
2003 era 51esima). L’Italia perde
notevolmente terreno rispetto agli
anni precedenti e, passando dal
28° al 45° posto, viene superata
da tutti i grandi paesi europei, ma
anche da alcuni paesi emergenti,
quali ad esempio l’Estonia, la Tunisia, la Giordania, la Tailandia e
così via.
Scomponendo ulteriormente le tre
macrovariabili, la Cina risulta
46esima con riferimento al “contesto ambientale” (tale voce comprende, a propria volta, il contesto di mercato, quello politiconormativo e quello infrastrutturale).
Con riferimento al grado di ade17
Economia e diritto
guatezza e al livello di utilizzo
delle tecnologie, invece, la Cina
guadagna posizioni rispetto all’indice NRI, occupando rispettivamente il 39° e il 38° posto della
graduatoria mondiale.
Il ruolo del settore pubblico risulta decisivo nel determinare tali
risultati positivi. Ad esempio, le
performance cinesi sono di assoluto
rilievo
rispetto
al
Government Readiness. Infatti su
tale fronte il paese conquista la
17esima posizione, grazie al varo
dei grandi piani nazionali di eGovernment che si sono susseguiti
a partire dal 1999, e grazie altresì all’utilizzo di sistemi di acquisto di beni e servizi in Rete (cosiddetto e-procurement) da parte
delle amministrazioni pubbliche.
L’indicatore
denominato
Government Readiness fa riferimento alla capacità di un paese
di avvalersi delle tecnologie ICT
(prima fra tutte Internet) come
strumento per il policy making.
Ne sono un esempio i provvedimenti di politica industriale e finanziaria, la presenza di una
strategia di innovazione tecnologica basata su una visione unitaria, articolata con precise politiche di settore.
Con riferimento al Government
Usage, indicatore che può offrire
elementi significativi per valutare
il peso dell’ICT sia in termini di
supporto ai processi amministrativi interni al settore pubblico, sia
in termini di fornitura di servizi
on-line a favore dei cittadini e
delle imprese, la Cina si piazza
nella 22esima posizione. Ancora
una volta emerge con tutta evidenza il ruolo che il governo attribuisce alla modernizzazione e
al potenziale innovativo collegato alla società dell’informazione.
Tuttavia,
nonostante
gli
indubitabili progressi degli ultimi
anni, molta strada resta ancora
da percorrere. Ecco quali sono –
per ciascun componente del
Networked Readiness Index – i
due aspetti che in Cina risultano
maggiormente problematici:
- Environment Component Index
(livelli di sicurezza dei server
Internet e numero di grandi sistemi di elaborazione, cosiddetti
host);
- Readiness Component Index (sviluppo delle reti telefoniche destinate agli utenti business e agli
utenti residenziali);
- Usage Component Index (disponibilità di telefoni cellulari e tasso di penetrazione di Internet tra
la popolazione).
Come ovvio, il lettore interessato
potrà fare riferimento al docu18
Economia e diritto
Appendice
mento originale per avere un
quadro completo dello scenario
rappresentato nelle pagine del
“Global Information Technology
Report”. Gli stessi autori ammettono di aver intrapreso un cammino difficile e ambizioso, decidendo di non limitarsi a considerare variabili di tipo hard, quali
ad esempio il reddito pro-capite
o il numero di utenti Internet presenti nei paesi analizzati.
Modellizzare fenomeni complessi
e in continua evoluzione come
quelli legati allo sviluppo tecnologico di una nazione, sintetizzandola mediante un solo indicatore
numerico porta con sé inevitabili
semplificazioni e compromessi
metodologici.
Tuttavia non si tratta di un mero
esercizio accademico, per quanto affascinante esso sia. Finora il
Networked Readiness Index si è
dimostrato uno strumento utile
soprattutto per i paesi decisi a
puntare all’eccellenza mediante
l’uso delle tecnologie ICT, disposti a confrontarsi con i migliori
della classe e a mettere in campo
iniziative concrete per eliminare
singoli punti di debolezza che
potrebbero rivelarsi decisivi nello
scenario globale. Sarà interessante seguire gli sviluppi di questa
grande corsa.
a. La Cina nel rapporto
Assinform 2005
Il mercato dell’informatica mondiale è caratterizzato da un notevole divario tra paesi sviluppati, paesi emergenti e paesi in via
di sviluppo. Nel 2004 l’area asiatica si è confermata la più dinamica in termini assoluti, secondo
l’ultimo Rapporto sull’informatica,
le telecomunicazioni e i contenuti
multimediali uscito lo scorso giugno a cura di Assinform11.
Nel 2004 l’economia mondiale è
cresciuta del 5% in termini di PIL,
mentre il commercio globale è
cresciuto del 9% rispetto al 2003.
Le economie emergenti dell’Asia
hanno dato un importante contributo a tale risultato, facendo
registrare nel 2004 un aumento
del 7,6% del PIL aggregato. Tra i
paesi asiatici, la Cina mette a segno il miglior risultato dal 1996,
con una consistente crescita del
PIL, pari al 9,5%, e degli investimenti (+26% in termini nominali). Nonostante il notevole incremento delle importazioni, l’attivo
commerciale ha raggiunto nel
2004 i 32 milioni di dollari, contro i 26 dell’anno precedente.
Analoga situazione dell’India,
dove la crescita economica pro19
Economia e diritto
segue a ritmi sostenuti (+6,4%).
Nel 2004 la spesa e gli investimenti relativi al mercato mondiale
ICT (informatica e telecomunicazioni) sono stati pari a 2.433 miliardi di dollari. Rispetto all’anno
precedente si è registrato un aumento del 5,9%, superiore di 0,9
punti percentuali a quello dell’economia mondiale. A fare da
traino sono stati soprattutto i paesi che hanno conseguito le migliori performance. Ciò dimostra
ulteriormente l’elevata correlazione tra andamento del mercato ICT
e quello dell’economia in generale. Nel 2004, dunque, l’ICT si
conferma come uno dei settori
economici più importanti a livello
mondiale, con una quota sul PIL
pari al 7,1%.
siede il maggior numero di linee
(58 milioni) dall’altro perché registra il più elevato tasso di crescita. Inoltre, si tratta di un mercato che si presta bene alla diffusione dei servizi multimediali grazie alla maggiore velocità delle
connessioni (circa 10 volte superiori a quelle europee) e per i costi più bassi rispetto al resto del
mondo. La Cina detiene il primato degli accessi DSL12: 13,8 milioni su un totale di 23 milioni di
linee.
Nel 2004 l’Asia ha confermato la
prima posizione assoluta in termini di numero di utenti di telefonia mobile. La Cina, nella quale il sorpasso della telefonia mobile sulla telefonia tradizionale è
avvenuto già nell’ottobre 2003,
risulta il paese dominante nell’area con la cifra record di 334
milioni di linee mobili e un tasso
di penetrazione del 24,8%. Per il
2005 gli osservatori prevedono
grandi cambiamenti per il settore
cinese delle telecomunicazioni, a
seguito dell’accelerazione del processo di liberalizzazione e del probabile rilascio delle licenze relative ai cellulari di terza generazione.
b. Il mercato delle telecomunicazioni
Nel 2004 il mercato mondiale
delle telecomunicazioni è cresciuto del 6,9%, che rappresenta il
miglior risultato degli ultimi tre
anni. Analizzando l’andamento
per macroarea geografica, risulta evidente il contributo dell’Asia
allo sviluppo complessivo. Ad
esempio, il comparto asiatico della connettività a banda larga si
conferma il più importante al
mondo, da un lato perché pos-
c. Il mercato dell’informatica
Il settore dell’informatica nel 2004
20
Economia e diritto
è cresciuto del 4,4% rispetto al
2,6% dell’anno precedente. Il peso
attuale del Nord America, dell’Europa e del Giappone è pari
all’80,6% del totale. È facile prevedere che se la crescita messa a
segno nell’ultimo biennio dalla
Cina, dall’India e da altri paesi
emergenti del Sud Est asiatico
proseguirà o si intensificherà, la
distribuzione delle quote di mercato nei prossimi anni subirà una
variazione considerevole.
Gli osservatori concordano nel
prevedere che lo sviluppo ulteriore dell’industria informatica cinese
(che genera un sesto del PIL nazionale) potrebbe fungere da
propulsore del mercato. Perché ciò
avvenga, è necessario che in parallelo si sviluppino il comparto
del software e quello dei servizi.
Storicamente forte nella produzione e nella esportazione di elettronica di consumo, da qualche
anno la Cina sta perseguendo
anche un’espansione del mercato informatico. Esso vale all’incirca 30 miliardi di dollari (dati a
fine 2004) ed è destinato a crescere a tassi del 15% annuo per il
prossimo quadriennio. L’orientamento del governo verso un’economia aperta non potrà che accelerare l’adozione di sistemi informativi in grado di supportare i
processi di internazionalizzazione
e l’efficienza delle imprese.
Un fenomeno destinato a consolidarsi nei prossimi anni riguarda
lo sviluppo del mercato del
software, a seguito della crescita
delle vendite di personal computer che ha portato la Cina a minacciare il Giappone come secondo mercato mondiale nella vendita di sistemi di elaborazione.
L’evoluzione del comparto del
software sarà guidata, da un lato,
dall’espansione domestica, trainata cioè dalle esigenze delle imprese cinesi che devono organizzare le proprie attività nel modo
più efficiente; e, dall’altro, dalla
delocalizzazione e dall’export verso altri paesi. Ad esempio, la Cina
rappresenta per il Giappone il
partner più importante per quanto
riguarda l’outsourcing (ossia
l’esternalizzazione) della progettazione del software.
Sono altresì destinate a intensificarsi le relazioni di partnership tra
Cina e India che hanno portato
quest’ultima a delocalizzare parte della propria produzione di
software e servizi. L’India, infatti,
da un lato vede la Cina come un
potenziale cliente molto interessante per le proprie esportazioni
di software e servizi di outsourcing
(a causa della crescente domanda proveniente dalle aziende cinesi, soltanto in parte soddisfatta
21
Economia e diritto
fettuato il 24 giugno 2005). China
Internet Network Information Center è
l’ente che dal 1998 effettua, per conto
del governo cinese, rilevazioni statistiche su base semestrale, riguardanti la
diffusione di Internet nel paese.
7) J. Quan, Q. Hu e X. Wang, “IT is not
for everyone in China”, Communications
of the ACM, 48(4), 2005, pp. 69-72.
8) Secondo il Research Focus “China
and India” di UBS, August 2004, p. 14,
nonostante l’abbondanza di manodopera, in Cina la situazione del mercato
del lavoro è destinata a complicarsi a
causa del progressivo invecchiamento
della popolazione (frutto, quest’ultimo,
della politica di: “un figlio per famiglia”).
9) L’aumento dei progetti di
informatizzazione condotti su scala
transnazionale solleva nuove sfide e
suscita complessi problemi anche di
tipo culturale. Si veda, ad esempio, G.
Walsham Making a world of difference.
IT in a global context, Wiley, 2001.
10) S. Dutta e A. Jain, “An analysis of
the diffusion and usage of information
and communication technologies of
nations”, in S. Dutta e A. Lopez-Claros
(Eds.), The Global Information Technology
Report, Palgrave, 2005, pp. 3-27.
11) Assinform (www.assinform.it) è l’associazione, aderente a Confindustria,
che raggruppa le principali aziende del
settore. Da 36 anni il Rapporto analizza puntualmente l’evoluzione della domanda e dell’offerta di tecnologie
dell’informatica e delle telecomunicazioni.
12) Le tecnologie DSL (Digital
Subscriber Line) operano utilizzando le
normali linee telefoniche per trasportare voce, dati e immagini ad alta velocità.
dai prodotti e dal know-how dei
fornitori locali), dall’altra la ritiene un ponte verso gli altri paesi
emergenti dell’area Asia-Pacifico.
Infine la Cina è considerata la
sede ideale per allocare attività
di supporto. Grazie alla presenza
di un numero elevato di giovani
ingegneri a salari molto bassi anche rispetto all’India, ma con una
scarsa conoscenza della lingua
inglese, la Cina offre ottime opportunità per delocalizzare le attività caratterizzate da maggior
componente tecnologica e da minore componente di servizio.
1) M. Martinsons, “Transforming China”, Communications of the ACM, 48(4),
2005, pp. 44-48.
2) Assinform, Rapporto sull’informatica,
le telecomunicazioni e i contenuti
multimediali, Milano, 2005, p. 181.
3) ACM (www.acm.org) è l’Association
for Computing Machinery che dal 1947
costituisce il riferimento più importante
per gli studiosi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
4) X. Guo e G. Chen, “Internet diffusion
in
Chinese
companies”,
Communications of the ACM, 48(4),
2005, pp. 54-58.
5) M. Martinsons, “The Internet
enlightens and empowers Chinese
society”, Communications of the ACM,
48(4), 2005, pp. 59-60.
6) Vedi www.cnnic.net.cn (15 th
Statistical Survey Report, accesso ef-
22
Cultura e Società
Il “mercato” degli
studenti cinesi e
l’Italia
si recheranno in Cina a partecipare alla mostra saranno più di
dieci, questa si può considerare
una novità che colma un vuoto.
Dopo anni di letargo, alla fine le
grandi porte dell’istruzione italiana si aprono alla Cina, e anche
gli atenei italiani cominciano a
darsi da fare per ‘accaparrarsi’
studenti nel ‘mercato degli studenti cinesi all’estero’ (Zhongguo
liuxuesheng shichang)”2. L’articolo del giornalista cinese, da anni
corrispondente a Roma dell’organo del Partito comunista cinese e
profondo conoscitore della realtà italiana, prende spunto dalla
partecipazione all’evento cinese di
un buon numero di Atenei italiani (24), sotto l’egida della CRUI
(Conferenza dei rettori delle università italiane), per fare il punto
sulla situazione attuale. Se da un
lato mette in evidenza la quasi
totale assenza del nostro Paese in
un qualunque importante progetto formativo cinese, sottolinea per
altri versi come nella spregiudicata Cina di questi ultimi anni
anche la formazione dei giovani,
e in particolare l’istruzione superiore, viene ormai assai
pragmaticamente considerata soprattutto come un aspetto, e molto importante, di quel globale
mercato nel quale bisogna a tutti
i costi, e in tempi rapidi, assicurarsi un posto preminente.
ALESSANDRA C. LAVAGNINO
1. Studenti e “mercato”
L
“
’Italia va in Cina a caccia di
studenti”1, è questo il titolo
di un articolo comparso nel
febbraio di quest’anno su
Huanqiu shibao-Global Times, la
rivista a cura della redazione esteri
del Quotidiano del popolo che
ogni lunedì, mercoledì e venerdì
racconta ai cinesi quello che succede nel mondo. Nell’articolo si
descrive dettagliatamente come,
finalmente, anche i principali
atenei del nostro Paese abbiamo
ritenuto opportuno, per la prima
volta, far conoscere i propri percorsi formativi in Cina attraverso
la partecipazione diretta alla decima edizione della “Mostra
itinerante dell’istruzione cinese”
(Zhongguo
guoji
jiaoyu
xunhuizhan), un evento organizzato proprio in quel periodo dal
Chinese Service Center for
Scholarly Exchange (Zhongguo
liuxue fuwu zhongxin). “A quanto
si dice, le università italiane che
23
Cultura e Società
2. Ieri e oggi
matricole e 151mila dottorati), e
13milioni e 335mila gli universitari di primo livello (inclusi 4milioni 473mila matricole e 2milioni 391mila laureati di primo livello). L’anno accademico appena concluso ha visto, lo scorso
giugno, la partecipazione all’Esame nazionale di ammissione all’università (gaodeng xuexiao
zhaosheng kaoshi, solitamente
abbreviato nella formula Gaokao)
di 8milioni 670mila diplomati delle diverse scuole superiori. E anche se “il programma di allargamento dell’offerta didattica delle
università cinesi iniziato sette anni
fa ha, pur fra opinioni discordi,
notevolmente migliorato le possibilità di accesso, solo il 54% dei
partecipanti all’esame di ammissione potrà quest’anno trovare
posto nelle diverse università del
paese”6.
Resta quindi ancora relativamente bassa la percentuale dei giovani che oggi arrivano a frequentare le università cinesi: si tratta
del 17% dei ragazzi in età tra i
18 e i 22 anni, una percentuale
che rimane molto al di sotto di
altri paesi asiatici, come la Corea
del sud o le Filippine, secondo
quanto le stesse fonti cinesi rilevano7. E tutto questo malgrado il
citato, pur controverso, ampliamento realizzato, a partire dal
Da tempo sono stati archiviati gli
anni dello stretto controllo dello
stato (e del partito) sulla preparazione dei “rossi ed esperti” (you
hong you zhuan), dei “continuatori della causa rivoluzionaria”
(geming shiye jiebanren), di quella ristretta élite che veniva selezionata per frequentare le pochissime università e poi “assegnata”
(fenpei) d’ufficio alle diverse “unità di lavoro” (danwei) in base alle
esigenze della pianificazione centrale. Il sistema di istruzione superiore e universitario è ormai
diventato, in seguito a una serie
di riforme sempre più “radicali”,
una complessa megastruttura che
produce annualmente milioni e
milioni di laureati e diplomati che
si affacciano su un mondo del lavoro ormai estremamente diversificato, e per molti versi difficilmente controllabile3.
Vediamo innanzitutto qualche
dato: nel 1992 erano 2,18 milioni gli studenti universitari, ma già
nel 1998 erano aumentati fino a
7,8 milioni4 e, secondo l’ultimo
Rapporto statistico sullo sviluppo
economico e sociale della RPC a
cura dell’Ufficio Statistico nazionale cinese 5 , nel 2004 erano
820mila gli studenti iscritti ai corsi di dottorato (tra cui 326mila
24
Cultura e Società
1998, attraverso la progressiva
apertura da parte delle istituzioni governative sia dell’offerta didattica nel settore degli atenei e
istituti statali, sia nei confronti
degli investimenti privati, e stranieri; apertura che ha permesso
l’istituzione di diversi tipi di scuole superiori e università
eufemisticamente definite, in cinese, come minban, letteralmente “gestite dal popolo”, ovvero
“non-statali”. Erano, nel 2003 più
di 70mila le scuole di questo tipo,
con un totale di 14milioni e
160mila studenti, 1879 gli istituti
di istruzione di tipo universitario,
con un milione e 900mila studenti,
e di questi solo 197, con 810mila
iscritti, erano autorizzati a conferire diplomi accademici riconosciuti dallo stato8.
nesi avevano potuto recarsi all’estero,
con
accordi
e
finanziamenti regolati su base ufficiale: si trattava di diverse forme
di
cooperazione
intergovernativa, e quindi a spese dello stato, o grazie a borse di
studio erogate dal paese ospitante, e quindi senza alcun onere finanziario per le famiglie. In questo periodo vennero inviati
320mila studenti in Università ed
istituti di ricerca di 103 paesi (nel
1999 solo 100mila di questi erano tornati in Cina)9; nel 1998 vennero inviati all’estero anche i primi 28 studenti delle scuole medie
superiori, sempre su progetti
intergovernativi10.
La graduale ma netta politica di
liberalizzazione che il governo cinese ha intrapreso in questi ultimi anni ha rapidamente provocato un radicale cambiamento
nella tipologia del giovane studente cinese che si reca all’estero. “Today, mainland students are
no longer political tools. They
have become a business”, affermava già nel 1998 il corrispondente da Pechino del South China
Morning Post, fornendo questi
dati: 40mila studenti cinesi già
studiavano nelle Università nord
americane, 23mila in quelle giapponesi, tra 5 e 6mila in Gran
Bretagna, 4mila500 in Francia,
3. Studiare all’estero!
In questo quadro ha assunto
un’importanza sempre più decisa
la possibilità - del tutto nuova per
i cittadini della Repubblica Popolare Cinese - di poter completare, anche a proprie spese, la formazione ed il perfezionamento all’estero. Gioverà ricordare che, a
partire dal 1978, per circa 20
anni era stato soltanto grazie all’autorizzazione, e con il controllo, del governo che i giovani ci25
Cultura e Società
6mila in Germania, 2mila a
Singapore (l’Italia, ovviamente,
non viene neppure menzionata)11.
tenando forum, dibattiti, richieste di consigli, e favorendo successive pubblicazioni di altre analoghe esperienze13.
Dopo l’11 settembre, tuttavia, le
politiche restrittive in merito alla
concessione di visti agli stranieri
hanno prodotto anche il drastico
calo nel numero delle presenze di
studenti cinesi negli Usa14. Contemporaneamente alcuni paesi
europei (tra i quali di sicuro non
il nostro) andavano perfezionando procedure di accoglienza nei
confronti di studenti stranieri, e
cinesi in particolare, che hanno
visto innanzitutto una interessante diversificazione riguardo ai contenuti dell’offerta formativa, oltre alla possibilità, a volte, di condizioni relativamente vantaggiose per gli studenti stranieri. La
Germania, ad esempio, ha dal
2001 investito 6 milioni di euro
l’anno mediante bonus agli Istituti che offrono corsi in inglese, e
oggi sono 500 i master in inglese, con un aumento del 27% degli studenti stranieri, in gran parte cinesi e indiani15.
Rimane comunque imponente il
business degli studenti stranieri
innanzitutto per i paesi anglofoni,
con Inghilterra, Australia, Irlanda, Nuova Zelanda e Canada che
hanno saputo brillantemente colmare eventuali spazi lasciati, for-
4. Dove vanno?
Da allora un numero sempre crescente di giovani e meno giovani
finalmente ha cominciato a potersi muovere autonomamente, e
a proprie spese, in caccia di Corsi di Laurea, Dottorati e Master,
anche costosissimi, ovunque. Fino
a qualche anno fa erano soprattutto gli Stati Uniti la meta favorita per corsi lunghi e brevi, il
grande sogno di centinaia di migliaia di ragazzi, per la cui realizzazione le famiglie si sottoponevano anche a duri sacrifici. Un
successo letterario del 2001 (1milione e 100mila copie vendute) è
stato Liu Yiting, ragazza di
Harvard: la vera storia di un’accurata preparazione12, testo nel quale i genitori della ragazza, fierissimi, descrivono come abbiano
scientificamente preparato la loro
figlia fin dalla nascita per venire
accettata nella più prestigiosa
università americana. E il successo di questo progetto “strategico” che vede la diciottenne Liu
Yiting accettata non solo da
Harvard ma da altre tre
prestigiose sedi americane rimbalza prepotente sulla stampa, sca26
Cultura e Società
se solo momentaneamente, dal
colosso americano. In particolare, nel 2004 le richieste cinesi per
le prestigiose Graduate School
americane sono diminuite del
45%, dirette molto probabilmente in Europa. Gli Stati Uniti, comunque, continuano a tenere ben
stretta in mano la palma delle più
prestigiose università nelle quali
andare a studiare, e le famiglie
cinesi che vogliono investire per il
futuro dei loro ragazzi ben conoscono le graduatorie internazionali dei migliori atenei. A questo
proposito, lo scorso anno l’Università Jiaotong di Shanghai ha
compilato e messo in rete una
classifica delle 500 principali università del mondo16 e delle prime
20 ben 17 sono americane, e 170
su tutte e cinquecento!17
to dei titoli di studio, le procedure per l’ottenimento del visto, le
modalità per iscriversi nei diversi
atenei, e le informazioni sulle
condizioni della vita studentesca.
Si rivela quindi preziosa la documentazione al riguardo che si trova su nuovi periodici come China
Campus - Daxuesheng, un mensile che si pubblica, a cura della
redazione
del
Beijing
qingnianbao, a partire dal settembre 2004, o che facilmente si
scarica da diversi siti dedicati che
fanno capo al Ministero dell’Istruzione cinese il quale, per cercare
di tenere sotto controllo una situazione che potrebbe diventare
davvero esplosiva18, ha autorizzato alcuni centri e un cospicuo numero di Agenzie di servizi alla
gestione ordinata del flusso degli
studenti verso l’esterno19. Tali enti
da tempo organizzano Fiere, Convegni ed Esposizioni20 per promuovere informazioni e contatti
con università e organismi di tutto il mondo, e ordinatamente
canalizzare l’imponente ondata di
giovani che sempre più consapevolmente vuole e può decidere,
finalmente, della propria futura
formazione.
5. La raccolta delle informazioni
Va però ricordato che ancora oggi
in un paese come la Cina dove,
come si è detto, fino a pochi anni
fa era quasi impossibile recarsi
all’estero se non per motivi ufficiali, rimane ancora piuttosto
complesso il reperimento, per chi
voglia andare a studiare all’estero, di informazioni e notizie utili
in merito ai documenti necessari,
l’autenticazione e il riconoscimen-
6. Chi va all’estero?
Si tratta comunque di un investi27
Cultura e Società
per i nuovi ricchi cinesi costituisce
un vero punto di onore. Quello
della educazione. Il nostro Paese
che di arte, musica, creatività e
lusso è la culla, viene completamente ignorato per quello che riguarda il processo di formazione
verso tutto questo, l’istruzione.
mento costoso, quello di mandare un ragazzo a studiare “fuori”,
e che quindi, ad oggi, può riguardare solo una parte decisamente
minima del paese. Tuttavia, secondo un recente studio della Merryl
Lynch, una delle maggiori società
di analisi finanziaria internazionale, se oggi sono “solo” 30 milioni i cinesi che possono permettersi beni di lusso, il 2% della popolazione, nel 2009 la Cina dovrebbe coprire il 20% di questo
importante mercato21. Una interessante fascia di consumatori la
cui rapida e costante espansione
apre, non solo per le imprese di
questo settore tradizionalmente ritenuto “di nicchia”, prospettive
decisamente nuove.
Ma se è vero che i cinesi sanno
ormai tutti scandire i nomi delle
marche che contrassegnano il successo (e sono in gran parte nomi
italiani: famoso il “delirio” per la
Ferrari in occasione del Primo
Gran Premio di formula Uno, a
Shanghai lo scorso autunno, come
famose sono le grandi marche del
Made in Italy), ed altrettanto riconosciuta è la nostra creatività
attraverso l’arte, la musica, il cinema che, nell’immaginario cinese, rappresentano oggi un vero e
proprio mito, appare ancora più
strabiliante la quasi completa
mancanza del nostro Paese proprio in un campo che non solo
7. Che fare?
Rispetto alla situazione di totale
assenza che fin dall’anno scorso
lamentavamo dalle pagine di
questa stessa rivista22 qualche
cosa è stato fatto. Ma lasciamo
che sia ancora il giornalista cinese a parlare: “Non è un segreto
che in questi ultimi anni il numero di persone che la Cina ha
mandato a studiare in Europa è
aumentato costantemente: tuttavia l’Italia, rispetto ai suoi vicini,
pare proprio che in fondo non
avesse capito quanti studenti cinesi poteva accogliere. Finché il
primo ministro Wen Jiabao, recatosi in visita in Italia, ha affermato che non solo gli studenti cinesi
in Gran Bretagna, in Germania e
in Francia sono alcune decine di
migliaia, ma che non sono pochi
neppure in paesi relativamente
piccoli come la Svizzera e il Belgio. Invece, in Italia, ci sono solo
poco più di 500 studenti cinesi.
Ed ecco allora che tutto d’un colpo l’Italia si è svegliata, e final28
Cultura e Società
“Progetto Marco Polo”, che dall’anno scorso la CRUI ha lanciato, coinvolgendo un buon numero di Atenei italiani in iniziative
come la partecipazione all’evento di cui si parlava nell’apertura
di questo articolo24, partecipazione che è stata salutata con grande interesse e simpatia dalla stampa cinese25.
Ma lasciamo ancora una volta la
parola al giornalista cinese: “In
base al Progetto, le università italiane quest’anno si preparano ad
accogliere 2000 studenti e specialisti cinesi di vario livello. A
quanto pare, gli studenti cinesi in
Italia potranno aumentare velocemente. A paragone con quello
di altri paesi europei, il mercato
dello studio all’estero italiano ha
davvero i propri vantaggi.
Innanzitutto, l’Italia non considera l’istruzione come un’industria
che produce reddito: le tasse universitarie sono piuttosto basse (la
retta annuale di un ateneo pubblico è di circa 20-30mila RMB),
e anche il costo della vita non è
alto (servono dai 500 ai 1000
euro al mese). Gli studenti stranieri mentre studiano possono
anche lavorare. Negli istituti di
istruzione superiore italiani, fra le
migliori specialità bisogna contare i corsi di design, come design
di interni, design industriale,
design per l’architettura e così via.
mente si rimbocca le maniche. Da
allora, l’ambasciatore italiano in
Cina si è mosso attivamente tra
Pechino e Roma. E anche il Ministro degli esteri italiano e il Presidente di Confindustria si sono lamentati a gran voce: “L’Italia deve
aprire il mercato degli studenti
stranieri alla Cina!”. Gli italiani,
si sa, fanno sempre le cose all’ultimo momento, ma una volta svegli si danno da fare più di altri. E
così, solamente nella seconda
metà dell’anno scorso più di 300
studenti cinesi sono arrivati in Italia: alcuni frequentano corsi di
laurea di primo livello, altri sono
dottorandi e specializzandi; la
maggior parte di loro è disseminata nelle regioni settentrionali”23.
Si tratta allora di capire fino a
quale punto il nostro Paese vuole
e può entrare all’interno di questo importante circuito internazionale, perfezionando una scelta
strategica che favorisca finalmente
anche presso di noi la formazione di membri di quella che sarà
presto la nuova élite cinese, contribuendo in maniera fattiva a creare preziosi e insostituibili legami
di “fidelizzazione” con le nostre
Università, i nostri istituti di ricerca, le nostre imprese e istituzioni.
8. Il “Progetto Marco Polo”
In questo quadro si inserisce il
29
Cultura e Società
Oltre a questi, le belle arti, la
musica, le arti visive e altre specialità sono molto buone. Ad andare a studiare in Italia, tuttavia,
bisogna essere pronti. Prima di
tutto, quasi nessuno degli atenei
italiani fornisce alloggi agli studenti: alcuni hanno delle “Case
dello studente”, ma il numero è
ridotto e l’offerta non è adeguata alla domanda. Inoltre, quello
relativo alla lingua è un grosso
problema. Le università usano
l’italiano e non l’inglese per tenere lezione. Prima di andare a
studiare in Italia, quindi, è meglio poter avere un po’ di preparazione dal punto di vista linguistico, altrimenti dopo essere entrati in università è molto difficile
tenere il passo con il corso di studi.”26
Si tratta a questo punto di sviluppare concretamente una serie di
iniziative coordinate per favorire
innanzitutto la diffusione dello
studio della nostra lingua e della
nostra cultura in Cina, e non soltanto a livello universitario; potenziare in Cina i servizi di informazione e consulenza riguardo
allo studio nel nostro Paese27, sciogliere gli annosi e complessi nodi
burocratici legati innanzitutto al
riconoscimento dei percorsi di studio, alla concessione del visto, del
permesso di soggiorno per stu-
denti, e poi costituire o potenziare i servizi in loco per rendere
possibile un proficuo soggiorno di
studio per studenti che, ricordiamolo, non stanno cercando condizioni economiche di favore - gli
studenti zifei “a proprie spese”
sono spesso più che benestanti ma un ambiente internazionale
nel quale formarsi per il futuro.
In questo senso ci auguriamo che
il viaggio a Pechino del Ministro
Moratti potrà fornire delle risposte concrete.
1) Shi Kedong, “Yidali dao Zhongguo
qiang liuxuesheng”, in Huanqiu shibao,
23 febbraio 2005, p. 19.
2) Ibid.
3) Sulla nuova redistribuzione delle risorse umane nel mercato del lavoro cfr.
Cooke F.L., HRM, Work and Employment
in China, Londra, Routledge, 2005;
Hanser A., “The Chinese Enterprising
Self: Young, Educated Urbanities and
the Search for Work”, in Link P., Masden
R., e Pickowitz P. (a cura di), Popular
China, Unofficial Culture in a Globalizing
Society, Oxford, Rowman e Littlefield,
2002, pp. 189-206.
4) Cfr. Anonimo, “Graduate
employment: High hopes, low access”,
in China Daily, 11 maggio 2004
(Internet Ed.).
5) Cfr. Guojia tongji ju, 28 febbraio
2005, in www.stats.gov.cn.
6) Cfr. “Policy changes to ease exam
tension”, in China Daily, 7 giugno 2005
(Internet Ed.).
7) Cfr. Anonimo, “Reform curriculum to
30
Cultura e Società
help graduates find jobs”, in China
Daily, 3 giugno 2005 (Internet Ed.).
8) Cfr. Lan Xinzhen, “Private Universities
gain favour”, in Beijing Review, n. 28,
2004, pp. 24-32.
Sono cinque i tipi di “Università non
statali” secondo l’articolo citato: 1)
Università che offrono un’istruzione
professionale di alto livello, e sono autorizzate a conferire diplomi riconosciuti. Gli iscritti debbono aver superato il
Gaokao; 2) Università che preparano
gli studenti per sostenere gli esami nazionali di diploma, non sono autorizzate a conferire titoli riconosciuti, e
quindi non richiedono il superamento
del Gaokao; 3) Università che preparano gli studenti agli esami nazionali
come privatisti, e quindi non danno titoli né richiedono il Gaokao; 4) Università che rilasciano certificati di qualificazione professionale, non diplomi riconosciuti dallo stato, non richiedono
il Gaokao, ma il superamento di una
prova d’ingresso; 5) Università in
cofinanziamento tra partner cinesi ed
esteri, con reclutamento degli studenti
in base a un proprio regolamento, non
richiedono il Gaokao, e conferiscono
titoli validi solo per il perfezionamento
all’estero, e nelle strutture concordate
con i partner stranieri.
9) Cfr. Cui Ning, “More scholars return
from abroad”, in China Daily, 2 aprile
1999 (Internet Ed.). Valga come esempio il testo di Qian Ning, Liuxue Meiguo
(Studiare in America), Nanchino,
Jiangsu wenyi chubanhshe, 1996, nel
quale l’autore, figlio dell’allora ministro
degli esteri, Qian Qichen, racconta la
sua lunga esperienza, dal 1989 al 1995
presso la Michigan University come ricercatore di giornalismo.
10) Cfr. Cui Ning, “More students to go
abroad”, in China Daily, 10 febbraio
1998, p. 6.
11) Cfr. Seidliz P., “Foreign universities
reap rewards from mainland students”,
in South China Morning Post, 8 febbraio
1998, p. 14.
12) Zhang Xinwu e Liu Wenhua (a cura
di), Hafo nuhai Liu Yiting: suzhi peiyang
jishi, Pechino, Zhongguo qingnian
chubanshe, 2000.
13) Cfr. www.gzqg.net.cn/hdhf/szjy.
14) Cfr. Rosenbloom J., “Concern on
U.S. campuses as foreign enrolments
decline”, in International Herald Tribune, 19 ottobre 2004, p. 11.
15) Cfr. Lee J.J., “Europe lures students
once bound for U.S.”, ibid.
16) Si veda il sito dedicato:
ed.sjtu.edu.cn/rank/2004 2004Main.htm.
17) Cfr. Dillon S., “U.S. slips in luring
world’best students”, Ivi, 22 dicembre
2004, p. 5. La prima delle università
italiane è Roma-La Sapienza, al 93°
posto, la seconda è l’Università degli
Studi di Milano, al 123°, la terza è Pisa,
al 156°. Cfr. nota 16.
18) In questi ultimi anni si è avuto un
boom di titoli accademici falsi, rilasciati
da fantomatici istituti e università in diverse zone del paese, e di società di
servizi finalizzati all’espatrio per motivi
di studio, che coprivano traffici clandestini e attività illegali. Cfr. ad esempio,
Cui Ning, “Unqualified teaching
websites shut down”, in China Daily, 20
luglio 2004 (Internet Ed.).
19) Sarebbero ben 370 le Agenzie riconosciute dal Ministero dell’Istruzione
cinese. Nel sito del Ministero
(www.moe.gov.cn) si trovano anche i
link con gli Uffici Istruzione di diverse
ambasciate straniere in Cina: nell’ordine, Stati Uniti, Francia, Germania,
Gran Bretagna, Canada, Russia, Giappone Australia (l’Ambasciata d’Italia
non viene citata poiché non ha un Uf31
Cultura e Società
ficio Istruzione). Tra le strutture che al
Ministero fanno capo si segnala il
Zhongguo liuxue fuwu zhongxin
(Chinese Service center for Scholarly
exchange) (www.csc.edu.cn), che
ripartisce la materia in tre ulteriori link:
per chi vuole andare a studiare all’estero esiste www.chuguo.net.cn (in cinese
e inglese), mentre per attrarre gli studenti cinesi che si trovano all’estero
www.huiguo.net.cn (in cinese e inglese), e per gli studenti stranieri che vogliono studiare in Cina cfr.
www.studyinchina.net.cn (in cinese e
inglese). Al Ministero fanno riferimento
anche il Dongfang Guoji jiaoyu jiaoliiu
zhongxin (Dongfang International
center for educational exchange)
www.csc-studyabroad.net e il
Zhongguo Gaodeng jiaoyu xuesheng
xinxi wang (The National information
and career center for university
students) (www.chsi.com.cn).
20) Cfr. il rapporto di Bulfoni C., “Beijing
International Education Expo 2004”, in
Mondo cinese, n. 121, ottobre-dicembre 2004, pp. 63-68.
21) Cfr. Watts J., “China’s new
consumers get a taste for luxury gods”,
in The Guardian, 18 giugno 2005, p. 3.
22) Cfr. il mio “Dove vanno gli studenti
cinesi’”, in Mondo cinese, n. 119, aprile-giugno 2004, pp. 47-53.
23) Cfr. Shi Kedong, cit., nota 1.
24) In base al progetto, le istituzioni
competenti dei due paesi istituiranno
rispettivamente in Italia e in Cina uffici
di rappresentanza, specialmente per
fornire servizi di consulenza agli studenti cinesi che desiderano andare in Italia per specializzarsi. Agli studenti e
dottorandi cinesi che progettano di recarsi a studiare in università italiane,
verranno fornite informazioni su condizioni di accoglienza, organizzazione
delle specialità, lingua e cultura; la CRUI
e la Confindustria, sviluppando la cooperazione tra Cina e Italia, forniranno facilitazioni agli studiosi di università e istituti di ricerca e permetteranno
a studiosi cinesi di recarsi presso istituti di ricerca scientifica italiani a svolgere attività di ricerca. La Confindustria
farà in modo che alcuni laureati cinesi,
dopo esercitazioni ed esami di lingua,
si rechino in aziende in Italia e in aziende italiane in Cina a fare attività di tirocinio nel loro campo specifico. Ulteriori
dettagli sul progetto e sulle iniziative si
leggono nell’apposito sito www.crui.it/
marcopolo/.
25) Cfr. Wang Zhuoqing, “Ciao! Italy
tries to get into the act”, in China Daily,
14 marzo 2005, p. 5, Anonimo,”Yi
Zhong liangguo you wangniannei
huren xueli”(Entro fine anno ci sarà tra
Italia e Cina il riconoscimento reciproco delle carriere accademiche), in Xin
Jing bao, 28 febbraio 2005, p. D67.
26) Cfr. Shi Kedong, cfr. nota 1.
27) La nostra Ambasciata a Pechino ha
recentemente aperto il sito
www.studyinitaly.cn.
32
Cultura e Società
La pubblicità sociale
in Cina: un quadro
generale
tratta temi diversi appartenenti a
varie sfere una sua attenta analisi può diventare uno strumento
efficace per cogliere i cambiamenti portati in campo sociale
dall’apertura e dalle riforme economiche.
GIOVANNA PUPPIN
1. Terminologia e definizioni
Premessa
Il termine, abbastanza nuovo, ma
ormai comunemente utilizzato in
Cina per indicare la moderna
pubblicità sociale 1 è gongyi
guanggao, letteralmente “pubblicità di pubblica utilità”. Tra le
numerose definizioni emerse dall’acceso dibattito sul fenomeno,
quella data da Gao Ping, autrice
del primo libro sulla pubblicità sociale cinese, risulta essere una
delle più esaustive: “la pubblicità
sociale è una pubblicità non commerciale che opera nell’interesse
pubblico. Si propone di promuovere la costruzione della civiltà
spirituale attraverso la diffusione,
in forma propositiva o ammonitiva, di contenuti di interesse collettivo”2.
Anche in Cina, quindi, la pubblicità sociale viene fatta rientrare
nella categoria della “pubblicità
non
commerciale”
(fei
shangyexing guanggao), assieme
ad altre forme di comunicazione
quali la “pubblicità politica”
(zhengzhi guanggao) e l’advocacy
È
oggi sempre più frequente,
per le strade di Pechino, vedere le lunghe file di cartelloni pubblicitari raffiguranti attrici
e prodotti tecnologici intervallate
da qualche manifesto che ha come
tema la sicurezza stradale. Nelle
fermate della metropolitana di
Pechino le pubblicità di orologi e
cosmetici occidentali sono intercalate da cartelloni per la prevenzione dell’Aids. Allo stesso modo
in televisione, il medium che in
Cina ha avuto lo sviluppo maggiore e più veloce, dal
sovraffollato panorama pubblicitario emergono spot che non agiscono nell’interesse del consumatore, ma in quello del popolo: gli
spot sociali.
Il fenomeno della pubblicità sociale nella Cina del XXI secolo,
nonostante sia ancora nuovo e
poco studiato, ha raggiunto comunque una dimensione che non
può non colpire. Proprio perché
33
Cultura e Società
le tratta temi di natura politica,
ad esempio, la ricorrenza del “cinquantesimo anniversario di fondazione della Repubblica Popolare Cinese” (jianguo wushi
zhounian), il “rafforzamento del
paese attraverso la scienza” (keji
xingguo), il “rispetto della pianificazione delle nascite” (jihua
shengyu) ecc. Le diversità invece
compaiono quando i contenuti
non sono legati alla politica [ad
esempio, il “rispetto per gli anziani e l’amore per i bambini” (zunlao
aiyou), la sicurezza stradale,
(jiaotong anquan), la protezione
dell’ambiente (huanjing baohu),
ecc.] e nella tecnica e nella forma
espressiva (che nella pubblicità
sociale, soprattutto quella televisiva, sono molto più vivaci)6.
(changyi guanggao). La pubblicità sociale e quella commerciale
(shangye guanggao) sono accomunate dal fatto di essere entrambe due forme di comunicazione
di massa e di veicolare messaggi
persuasivi, al fine di raggiungere
un obiettivo prefissato. Ciò che
invece differenzia la pubblicità
sociale dalla pubblicità commerciale è lo scopo, che non risulta
essere il profitto economico, ma
il benessere sociale3. Anche il contenuto delle due forme di comunicazione sarà quindi diverso: la
pubblicità sociale infatti “riguarda la morale, l’educazione, l’ambiente, la salute, i trasporti, i servizi pubblici, tocca le questioni che
stanno a cuore alla società di oggi
e sono strettamente collegate all’interesse pubblico [...]”4.
Se confrontata con la pubblicità
sociale diffusa in altri Paesi, quella cinese appare molto più “politicizzata”5. Ricoprendo un ruolo
fondamentale nel processo di “costruzione della civiltà spirituale
socialista” (shehui zhuyi jingshen
wenming jianshe) la pubblicità
sociale cinese deve agire in completo accordo con le politiche del
Partito Comunista Cinese e spesso quindi ne diffonde gli ordini.
Sostanzialmente, la somiglianza
tra pubblicità sociale e propaganda politica (zhengzhi xuanchuan)
esiste quando la pubblicità socia-
2. Pubblicità sociale e mass
media
Seguendo la classificazione proposta da Ni Ning7, la pubblicità
sociale cinese può comparire nei
seguenti media:
1. media tradizionali, ovvero quotidiani, periodici, radio e televisione. Ci troveremo così di fronte
a:
1.1. pubblicità sociali su stampa
(pingmian gongyi guanggao), ovvero annunci su quotidiani e periodici caratterizzati dall’immediatezza del messaggio;
34
Cultura e Società
1.2. pubblicità sociali radiofoniche
(guangbo gongyi guanggao), che
utilizzano spesso espressioni della lingua parlata, sono semplici e
costano poco;
1.3. pubblicità sociali televisive
(dianshi gongyi guanggao), spot
solitamente della durata di trenta secondi, caratterizzati da un
forte sentimentalismo. Se confrontato con quello esercitato dalle
pubblicità sociali veicolate da altri media, l’impatto sull’audience
che hanno gli spot sociali è maggiore, in quanto uniscono la componente visiva a quella audio, i
costi di produzione e di trasmissione sono quindi più alti;
2. Internet:
2.1. pubblicità sociali in rete
(wangluo gongyi guanggao) che,
grazie anche ad un recente concorso tenutosi nel 20048, hanno
iniziato a far sperare in grandi
possibilità di sviluppo;
3. media minori:
3.1. pubblicità sociali outdoor
(huwai gongyi guanggao) quali
insegne al neon e cartelloni stradali, ma anche insegne sui mezzi
di trasporto (jiaotong gongyi
guanggao).
messa in onda dello spot “usiamo l’acqua con parsimonia”
(jieyue yongshui) trasmesso dalla
Televisione di Guiyang nel 1986.
Secondo le stime, lo spot è riuscito a suscitare una presa di coscienza sociale, facendo diminuire il consumo dell’acqua di ben
470 mila tonnellate rispetto all’anno precedente9.
Un anno dopo (il 26 ottobre) è
iniziato il primo programma di
pubblicità sociale ad appuntamento fisso: Guangergaozhi, trasmesso sul primo canale della CCTV.
L’evento è stato fondamentale in
quanto ha permesso lo sviluppo
successivo delle attività di pubblicità sociale e al contempo è diventato un modello per altre emittenti televisive regionali10. Il programma Guangergaozhi viene
trasmesso ancora oggi: l’appuntamento sulla CCTV1 è fissato dal
lunedì alla domenica, alle 21:45
circa; quello invece sulla CCTV2
è per le 19:35 circa, dal lunedì al
venerdì, e per le 23:05 circa il
sabato e la domenica11.
È stato però a partire dall’anno
1996 che si è assistito ad un proliferare di attività inerenti alla
pubblicità sociale: dai seminari ai
concorsi, dalla regolamentazione
ai controlli. Questo sviluppo è stato possibile soprattutto grazie al
lancio di due campagne sociali,
3. Tappe essenziali e campagne
Il primo esempio di pubblicità sociale cinese viene fatto risalire alla
35
Cultura e Società
nuova varietà di temi si può suddividere nelle seguenti categorie:
1) educazione sociale (shehui
jiaohua). Consiste nel diffondere
valori quali l’aiuto reciproco,
l’onestà, il rispetto per i professori e gli anziani e il contrastare
trend sociali negativi, come ad
esempio la violenza domestica;
2) servizio pubblico (gonggong
fuwu). Pubblicità i cui contenuti
possono essere la salute e l’igiene (come la prevenzione dell’Aids)
e la sicurezza stradale, ma anche
l’ordine nel prendere i mezzi pubblici e la prevenzione dagli incendi
e furti;
3) protezione ecologica (shengtai
baohu). Riguarda temi come il rispetto per le piante e gli animali
e il risparmio delle risorse naturali;
4) aiuti e beneficenza (cishan
jiuzhu). Spesso le pubblicità di
questa categoria riguardano il
prestare soccorso in caso di calamità naturali, ma anche il dimostrare affetto e sostegno nei confronti di portatori di handicap,
gruppi svantaggiati e bambini
poveri;
5) politiche governative (zhengfu
zhengzhi). Lo scopo di queste pubblicità è di aumentare la fiducia
e l’orgoglio dei cinesi, mostrando i progressi ottenuti in vari campi, ma anche rendere noti gli ap-
ciascuna della durata di un mese,
intitolate rispettivamente “le buone usanze della Cina” (Zhonghua
hao fengshang, 1996) e
“l’autorafforzamento genera
splendore” (Ziqiang chuang
huihuang, 1997), incentrate l’una
sulla virtù tradizionale della cultura cinese e l’altra sullo spirito e
gli ideali nazionali.
Il 1998 è stato un anno dedicato
al delicato tema della disoccupazione e alla diffusione dello “spirito del 15° Congresso del Partito” (Shiwuda jingshen), mentre le
pubblicità sociali del 1999 sono
state caratterizzate da un tono
fortemente celebrativo in quanto
legate ad importanti avvenimenti
storici, quali la fondazione della
Repubblica Popolare Cinese e il
ritorno
di
Macao
alla
madrepatria.
Anche nel 2000 è stata lanciata
una campagna monotematica intitolata “nuovo secolo, nuove abitudini” (Shuli xin fengshang,
maixiang xin shiji)12 il cui obiettivo era forgiare cittadini con forti
ideali, un’alta morale, ampia cultura e disciplina.
Negli ultimi anni invece, i temi
affrontati dalla pubblicità sociale
cinese sono passati da valori strettamente nazionalistici a temi più
generici e di ampia portata. Secondo Zhang Mingxin13 questa
36
Cultura e Società
pelli del governo (ad esempio, il
dovere di pagare le tasse, la necessità di collaborare in occasione del censimento, l’importanza
di contrastare la corruzione ecc.).
ventù
Cinese
(Zhongguo
qingshaonian fazhan jijinhui) e
dal suo Progetto Speranza
(Xiwang gongcheng) che ha come
obiettivo far proseguire gli studi
ai bambini bisognosi delle campagne più povere15.
La tendenza attualmente in voga
è il finanziamento della pubblicità sociale da parte delle imprese
(qiye zanzhu gongyi guanggao).
Questo fenomeno costituisce una
sorta di soluzione al problema del
reperimento dei fondi per la pubblicità sociale cinese; allo stesso
tempo, però, è stato fonte di problemi e polemiche: non sono pochi i casi in cui le imprese finiscono per utilizzare la pubblicità sociale come strumento per farsi
pubblicità a basso costo. Da qui
deriva la diffusa preoccupazione
che la pubblicità sociale possa
venir contaminata da interessi
economici, tipici invece della pubblicità commerciale16.
La definizione dei confini tra pubblicità sociale e pubblicità commerciale è infatti molto recente;
alla confusione generatasi nel
frattempo va ad aggiungersi la
mancanza di un’organizzazione
che si occupi esclusivamente di
pubblicità sociale, sullo stampo
dell’Advertising Council americano e di quello giapponese. Per
questo i due enti vengono spesso
4. Soggetti e regolamenti
Vediamo ora quali sono i soggetti e gli organi che si occupano
dell’organizzazione e del controllo della pubblicità sociale cinese,
nonché i regolamenti che sono
stati emessi in questo campo.
I committenti più frequenti di pubblicità sociale sono:
- il governo (zhengfu) o uno dei
suoi ministeri (zhengfu bumen);
- le organizzazioni no profit (fei
yinglixing zuzhi), come ad esempio le organizzazioni internazionali;
- le imprese (qiye)14.
In Cina il governo ha sempre ricoperto un ruolo decisivo all’interno delle attività di pubblicità
sociale: dall’emissione di leggi
all’indizione di concorsi, dal controllo dei contenuti alla
premiazione delle opere migliori.
Paradossalmente, infatti, le poche
organizzazioni no profit cinesi non
possiedono abbastanza fondi per
portare avanti campagne di pubblicità sociale. Una delle poche
eccezioni è costituita dall’Associazione per lo Sviluppo della Gio37
Cultura e Società
la quantità di pubblicità sociale
diffusa dai vari media non deve
essere inferiore al 3% della quantità della pubblicità commerciale
trasmessa. Nel caso in cui siano
le imprese a finanziare la pubblicità sociale, negli spot il nome
dell’impresa e il suo logo possono venire trasmessi al massimo per
5 secondi; nei giornali, periodici
e media outdoor la dimensione del
nome della ditta e del marchio
non può superare 1/5 della superficie dei media stessi. In ogni
caso, non possono comparire né
il nome del prodotto né ulteriori
informazioni circa altri prodotti
facenti capo all’impresa.
La varietà di articoli e saggi sulla
pubblicità sociale pubblicati in
questi ultimi anni in Cina conferma l’esistenza di un forte interesse per questo settore che però,
considerate le numerose contraddizioni e le questioni ancora aperte che lo caratterizzano (tra le
quali spicca la mancanza di fondi)21, assume ancora una volta la
forma di un fenomeno “con caratteristiche cinesi”.
Se inizialmente le attività di pubblicità sociale sono state spronate dal governo, appaiono ora
quasi abbandonate a se stesse e
ciò ha portato al rarefarsi di attività quali seminari e conferenze
e all’irruzione di soggetti privati.
indicati dal mondo accademico
come modelli auspicabili per lo
sviluppo futuro della pubblicità
sociale cinese17.
In Cina è l’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio (SAIC)18, assieme al suo Ufficio Pubblicità, a detenere il potere nel settore della pubblicità sociale. Dal 1996 ad oggi la SAIC,
all’inizio singolarmente in seguito congiuntamente ad altri organi (primo tra tutti l’Ufficio per la
Costruzione Spirituale Socialista),
ha emesso diverse circolari
(tongzhi) con lo scopo di organizzare e regolamentare le attività di pubblicità sociale. Le suddette circolari vanno ad integrare quanto stabilito da una generica Legge sulla Pubblicità (emanata il 27 ottobre 1994) che non
solo si riferisce unicamente alla
pubblicità commerciale (e non a
quella sociale) ma, anzi, spesso è
addirittura in contrasto con il contenuto della pubblicità sociale (si
pensi al divieto di mostrare la
bandiera della Repubblica Popolare Cinese, che invece appare
molto frequentemente negli spot
sociali come simbolo di amor patrio)19.
Il regolamento attualmente in vigore, la “Circolare per una diffusione ancora più efficace della
pubblicità sociale” 20, stabilisce che
38
Cultura e Società
ti sulla pubblicità cinese), Zhongguo
gongshang chubanshe, Beijing, 2004,
pp. 227-28.
4) Ni Ning, Guanggaoxue jiaocheng
(Corso di pubblicità), Beijing, Zhongguo
renmin daxue chubanshe 2001, p. 10.
5) Ad esempio, in Italia la pubblicità sociale si distingue per il suo “carattere
non partigiano”. Sempre secondo
Gadotti “I messaggi di public service non
diffondono infatti parole d’ordine o
opzioni di raggruppamenti partitici o
analoghi a partiti”. Giovanna Gadotti,
op. cit., p. 27.
6) Chen Jiahua, Cheng Hong
“Zhongguo gongyi guanggao:
xuanchuan shehui jiazhi de xin gongju”
(Pubblicità sociale cinese: un nuovo
strumento per diffondere valori sociali), Xinwen yu chuanbo yanjiu (Giornalismo e comunicazione), 2003.4, pp. 1819.
7) Ni Ning, Guanggao de xin tiandi:
Zhongri gongyi guanggao bijiao (Il nuovo
mondo della pubblicità: pubblicità sociale cinese e giapponese a confronto), Beijing, Zhongguo qinggongye
chubanshe, 2003, pp. 61-63.
8) Si tratta del “Concorso cinese di pubblicità sociale FLASH” (Zhongguo
FLASH gongyi guanggao dasai), si
veda il sito internet: http://
www.chinaflashad.com.
9) Gao Ping, op. cit., p. 54.
10) Wang Yun, Shu Yang,
“«Guangergaozhi» zai Zhongguo
gongyi guanggaoshi shang de yiyi” (Il
ruolo del programma Guangergaozhi
nella storia della pubblicità sociale cinese), Xinwen Daxue (Università di Giornalismo), 2000.3, pp. 103-04.
11) Le informazioni sono tratte dal nuovissimo opuscolo per il 2005:
Zhongyangdianshitai di ’yitao, di ’ertao
«Guangergaozhi» gongyi guanggao
Il rischio che corre la pubblicità
sociale cinese è quello di venir “inquinata
spiritualmente”,
regredendo o a una forma modificata di propaganda politica o
tramutandosi in una forma di
pubblicità
sociale
commercializzata (shangyexing
gongyi guanggao). Considerato il
ruolo sempre più importante ricoperto dalla Cina a livello internazionale, dall’entrata nella WTO
alla vittoria per ospitare le Olimpiadi del 2008 e all’importanza
sempre maggiore riservata al settore sociale, è presumibile che,
anche in questo caso, si riuscirà
a trovare una “via cinese”, che
permetta al governo di utilizzare
la pubblicità sociale per mantenere il consenso e per garantire il
progresso sociale, oltre che per
acquisire maggior visibilità.
1) Gadotti definisce la pubblicità sociale “una comunicazione persuasoria che
presenta come caratteristica saliente
quella di fornire, nell’interesse collettivo, un’informazione imparziale su
tematiche di interesse collettivo”, cfr.
Giovanna Gadotti, Pubblicità sociale. Lineamenti, esperienze e nuovi sviluppi, Milano, FrancoAngeli, 20037, p. 27.
2) Gao Ping, Gongyi guanggao chutan
(Sulla pubblicità sociale), Zhongguo
shangye chubanshe, Beijing, 1999, p.
11.
3) Tang Zhongpu, Zhongguo bentu
guanggao luncong (Raccolta di interven39
Cultura e Società
il Commercio con l’Estero e la Cooperazione Economica (MOFTEC) e dal
Consiglio degli Affari di Stato. Si veda il
sito internet: http://www.saic.gov.cn.
19) Si veda l’articolo 7 della Legge sulla Pubblicità della Repubblica Popolare
Cinese (Zhonghua renmin gongheguo
guanggaofa), riportata in Ni Ning,
Guanggaoxue jiaocheng (Corso di pubblicità), op. cit., p. 326. Lo spot sociale
a cui si fa riferimento è il famoso
“Alzabandiera” (Shengqi pian), che si è
piazzato primo in occasione del concorso “Selezione nazionale per le migliori opere di pubblicità sociale”, annata 2001-2002.
20) “Guanyu jinyibu zuohao gongyi
guanggao xuanchuan de tongzhi”,
apparsa in Xiandai guanggao (Pubblicità moderna), 2003.2, p. 109. La circolare è stata emessa dal Dipartimento
Centrale di Propaganda e dall’Ufficio
per la Costruzione Spirituale del Comitato Centrale, dall’Ufficio Generale dell’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio, dal Ministero per
la Radio, il Cinema e la Televisione e
dall’Ufficio Generale per la Stampa e
l’Editoria.
21) Zhang Mingxin, op. cit., pp. 35-38.
lanmu” (Opuscolo illustrativo del programma di pubblicità sociale
Guangergaozhi sulla CCTV1 e CCTV2).
12) Guojia gongshangju guanggaosi (Ufficio Pubblicità della SAIC), “Zhongguo
gongyi guanggao huodong wu nian huigu”
(Cinque anni di pubblicità sociale in
Cina), Xiandai Guanggao (Pubblicità moderna), 2000.8, p. 17.
13) Zhang Mingxin, Gongyi guanggao
de aomi (I segreti della pubblicità sociale), Guangzhou, Guangdong jingji
chubanshe, 2004, pp. 33-34.
14) Ibidem, pp. 14-15.
15) Si veda il sito internet della Fondazione, http://www.cydf.org.cn.
16) Zheng Mingbo, “Gongyi guanggao
shangye xianxiang pipan yu kongzhi”
(Critiche
e
controlli
sulla
commercializzazione della pubblicità
sociale), Xiandai guanggao (Pubblicità
moderna), 2001.5, pp. 56-58.
17) Li Dongjin, Xiandai guanggao – yuanli
yu tansuo (Pubblicità moderna – teorie
e approfondimenti), Qiye guanli
chubanshe, Beijing 2000, pp. 380-81.
18) La SAIC (acronimo dall’inglese State
Administration for Industry and
Commerce) dipende dal Ministero per
40
Documenti
La funzione
della “Legge
anti-secessione”
secondo la teoria
dei giochi
tro” e “a tre” in un gioco “a due a
somma diversa da zero”.
(M.M.)
*******
L’approvazione della “Legge antiecessione”, avvenuta il 14 marzo
2005 da parte dell’Assemblea
Nazionale del Popolo, dal punto
di vista della teoria dei giochi,
costituisce una mossa dell’”agente” Cina nel gioco “a più
parti” della politica nell’area AsiaPacifico. Sebbene sia gli Stati Uniti che la Repubblica Popolare Cinese ritengano che Taiwan sia parte della Cina, tuttavia, dal punto
di vista della teoria dei giochi,
Taiwan è un “agente” dotato di
capacità d’azione autonoma. Il
gioco incentrato sul problema
dello Stretto di Taiwan può configurarsi come un gioco “a due”,
“a tre” o “a quattro” elementi, in
base al diverso numero degli
agenti territoriali che vi partecipano, suddivisi in questo articolo
in “agenti nazionali” e “non nazionali”. La teoria non esclude
però il possibile intervento di altri
soggetti.
YAN JIAQI
[“Cong boyilun kan ‘fan fenlie fa’
de gongneng”, Zheng ming, n. 4
(330), aprile 2005, pp. 83-86.]
U
n’interessante chiave interpretativa della situazione
venutasi a creare nello Stretto di Taiwan in seguito all’approvazione della “Legge antisecessione”1 è fornita da questo
lavoro di Yan Jiaqi, noto accademico e politologo, oppositore al
regime dopo la repressione di
Tian’anmen e attualmente residente negli Stati Uniti. Questo saggio,
utilizzando un modello della teoria dei giochi, ipotizza che nello
Stretto si svolga un gioco a più
agenti, cui prendono parte anche
gli Stati Uniti e il Giappone. Tuttavia questa legge potrebbe modificare l’impostazione del gioco, trasformandolo da un gioco “a quat-
Il gioco “a somma zero” e “a
somma diversa da zero”
La teoria dei giochi presuppone
che ogni persona e ogni agente
41
Documenti
relazioni diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, gli Stati
Uniti, pur riconoscendo il principio di “una sola Cina”, hanno
spesso
svolto
un
ruolo
equilibratore e di bilanciamento
tra la Cina continentale e Taiwan.
Poiché la prima supera la seconda per popolazione, superficie e
forza militare, gli Stati Uniti hanno costantemente aggiunto
“peso” sulla parte più debole,
Taiwan.
La politica equilibratrice americana tra le due sponde dello Stretto
poggia su tre grandi pilastri: il
primo consiste nel riconoscimento del principio di “una sola Cina”,
in base al quale Taiwan è parte
della Cina stessa e il governo della
Repubblica Popolare Cinese è
l’unico governo legittimo; il secondo si basa sulla protezione della
sicurezza dell’Isola da parte degli
Stati Uniti, attraverso la fornitura
di armamenti, in conformità al
Taiwan Relations Act del 1979; il
terzo consiste infine nella risoluzione pacifica del problema di
Taiwan.
Nei ventisei anni dalla
stipulazione del Taiwan Relations
Act, la funzione equilibratrice
svolta dagli Stati Uniti è cambiata in base alle diverse situazioni;
nella maggior parte dei casi, comunque, si è trattato di semplici
riaggiustamenti.
partecipante al gioco possieda
una propria tattica e persegua i
propri obiettivi, ispirandosi a criteri di razionalità. I modelli di gioco si suddividono in due tipi: il
gioco “a somma zero” e “a somma diversa da zero”. Nel primo
tipo alla vittoria di un agente corrisponde la sconfitta dell’altro,
cosicché la somma risulta uguale
a zero. E’, per esempio, il caso di
numerose crisi internazionali, dello scontro di due armate, della
contesa tra due candidati o di una
partita a scacchi. Quando, invece, nel confronto fra due o più
“agenti”, la vittoria di uno non
comporta la sconfitta dell’altro,
la somma finale non è nulla, per
cui si parla di gioco “a somma
diversa da zero”. In questo tipo
di gioco, in cui il conflitto e la
cooperazione sono entrambi possibili, si verifica spesso una vittoria bilaterale.
Il gioco tra la Repubblica Popolare Cinese, Taiwan, gli Stati Uniti
e il Giappone può essere descritto come un gioco “a somma diversa da zero” fra quattro soggetti, le cui coordinate sono mutate in seguito all’approvazione
della “Legge anti-secessione”.
La strategia dell’equilibrio delle forze
Dopo il ripristino ufficiale delle
42
Documenti
Il Taiwan Relations Act
pacifici” (seconda sezione, secondo comma, terzo punto). Il punto
successivo dello stesso comma
chiariva che gli Stati Uniti avrebbero considerato “ogni sforzo volto a influenzare il futuro di Taiwan
con mezzi diversi da quelli pacifici, incluso il boicottaggio e
l’embargo, come motivo di seria
preoccupazione”. Il sesto punto
aggiungeva che l’America si impegnava a “sostenere la capacità
di resistere all’uso della forza o
di altre forme di coercizione che
possano mettere a rischio la sicurezza o il sistema sociale e economico degli abitanti di Taiwan”3.
Nel riallacciare i rapporti diplomatici con gli Stati Uniti, Pechino, pur non essendosi impegnata
a “non usare la forza”, ha manifestato tuttavia con chiarezza il
desiderio di risolvere il problema
di Taiwan in modo pacifico. Il 9
gennaio del 1979, di fronte a
quattro senatori americani2 Deng
Xiaoping riconosceva il diritto del
popolo di Taiwan a scegliere la
propria forma di governo e l’impegno della Cina a non interferire in tale decisione. Sei giorni
dopo, il Segretario di Stato Cyrus
Vance si faceva portavoce di una
comunicazione del Presidente degli Stati Uniti, in base alla quale
Washington si impegnava a mantenere relazioni diplomatiche con
Pechino solo a condizione che esse
non ledessero il benessere degli
abitanti di Taiwan e non riducessero la possibilità di una risoluzione pacifica del problema dell’Isola.
Cento giorni dopo veniva approvato dal Congresso ed entrava
ufficialmente in vigore il Taiwan
Relations Act, in base al quale: “la
decisione degli Stati Uniti di stabilire rapporti diplomatici con la
Repubblica Popolare Cinese è fondata sull’aspettativa che il futuro
di Taiwan venga deciso con mezzi
“L’operazione freccia” induce
gli Stati Uniti a rafforzare il
proprio peso
Essendo gli Stati Uniti uno stato
di diritto, finché resteranno in vigore i tre comunicati congiunti
con la Cina4 e non verrà abolito
il Taiwan Relations Act, non vacilleranno i tre grandi pilastri su cui
poggia la politica statunitense di
“una sola Cina” e del mantenimento dell’equilibrio tra le due
sponde dello Stretto. Per quanto
riguarda i rapporti diplomatici tra
gli USA e la RPC, la politica americana di “una sola Cina” potrebbe essere messa in discussione o
abbandonata solo a condizione
43
Documenti
che nello Stretto si verificasse uno
scontro o un conflitto su ampia
scala che contrapponesse i cinesi
ai cinesi.
Nel 1996, prima che a Taiwan
avessero luogo le prime elezioni
presidenziali dirette, l’esercito cinese svolse esercitazioni di lancio
di missili terra-terra in direzione
dello spazio marittimo a nord e a
sud dell’Isola, a una distanza non
superiore a 50 miglia marine dai
due porti di Gaoxiong e Jilong.
Tale operazione non era volta solo
a intimidire una qualsivoglia “forza per l’indipendenza di Taiwan”,
quanto piuttosto a minacciare l’intera popolazione dell’Isola.
In conformità alla seconda sezione del Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti inviarono immediatamente due armate navali capitanate
dalle portaerei ammiraglie
Indipendence e Nemis nelle acque
internazionali in prossimità dell’Isola. Il quinto giorno di esercitazioni missilistiche dell’Esercito
Popolare di Liberazione, gli Stati
Uniti annunciarono la fornitura a
Taiwan di 150 aerei da guerra F16 prodotti appositamente dalla
Società di aviazione Lockheed per
un valore di 1.150.000.000 dollari. Lo stesso giorno, il comandante della Settima Flotta, Archie
Clemins dichiarò che, nel caso in
cui la Cina fosse passata all’at-
tacco, in base al Taiwan Relations
Act l’America avrebbe “reagito duramente”.
Il sesto giorno di esercitazioni, il
Congresso adottò la Risoluzione
comune n. 148, che impegnava
gli Stati Uniti a contribuire alla
difesa di Taiwan, di modo che
essa non subisse l’attacco della
Cina. Lo stesso giorno gli USA
approvarono la vendita di missili
guidati terra-aria di tipo Stinger
e di numerosi altri armamenti all’esercito taiwanese.
“L’operazione freccia” voluta da
Jiang Zemin nel 1996 di fatto
modificò la politica nei confronti
di Taiwan adottata nel periodo di
Deng Xiaoping. Il giorno dopo il
lancio missilistico verso le acque
internazionali prospicienti la città di Gaoxiong, il quotidiano
Minzhong ribao della stessa città
sulla prima pagina non scrisse che
una parola, “combattere!”. Da
allora, la situazione all’interno
dell’isola è progressivamente cambiata a favore del Partito Democratico Progressista, che alla fine
è andato al potere, mentre ad
una settimana dai lanci
missilistici, Li Denghui veniva eletto Presidente.
Sebbene gli Stati Uniti sapessero
che le esercitazioni effettuate dall’Esercito Popolare di Liberazione
nelle vicinanze di Taiwan non co44
Documenti
stituivano ancora una “minaccia
incombente”, si trattava pur sempre di una vera e propria “minaccia armata”; essi incrementarono quindi il loro peso su Taiwan,
secondo
la
politica
di
bilanciamento delle forze nello
Stretto.
una flotta da combattimento nelle vicinanze di Taiwan come era
stato fatto nel 1996. In seguito
all’adozione della “Legge antisecessione” da parte di Pechino,
il “peso equilibratore” degli Stati
Uniti è stato solo “leggermente
ricalibrato”.
A Pechino piace confrontare la
“Legge anti-secessione” con le
“Risoluzioni anti-secessione” adottate in America nel 1861. La differenza principale tra tale “Legge” e le “Risoluzioni” americane
risiede nel fatto che, mentre queste ultime erano rivolte a gruppi
o a individui con scopi
secessionisti, la legge cinese è rivolta all’intera isola di Taiwan e
non a gruppi specifici o singoli
individui.
La “Legge anti-secessione” induce gli USA a calibrare il proprio peso
Dal momento che i lanci missilistici
del 1996 avevano chiaramente
superato la “linea rossa” del
Taiwan Relations Act, gli Stati Uniti avevano avuto una reazione
immediata.
Tale “linea rossa” non è stata, invece, superata dalla “Legge antisecessione”, approvata da Pechino nel 2005. Infatti, sebbene la
sua adozione abbia posto tre premesse per “l’uso della forza contro Taiwan” e per la “soluzione
non pacifica” del problema5, ciò
di per sé non equivale all’”uso
della forza”, né costituisce una
“minaccia armata” diretta. Il Dipartimento di Stato e la Casa
Bianca si sono pertanto limitati a
descrivere l’evento come “infausto, increscioso e inopportuno”,
reiterando l’invito ad un “dialogo pacifico” tra le due parti, senza per questo decidere di inviare
Il gioco “a tre” diventa un gioco “a due”
Il politologo americano Karl
Deutsch, nell’opera The Analysis
of International Relations, illustra
un modello di gioco in cui due
automobili avanzano ad alta velocità sulla stessa strada, l’una in
direzione dell’altra. Prima di partire i due conducenti hanno stabilito, come regola di gara, che
quello che sterza per primo per
evitare la collisione venga chiamato “fifone”, mentre il più te45
Documenti
merario, che rifiuta di lasciar passare l’altro, venga considerato un
“eroe”.
In questo gioco, l’iniziativa di sterzare per evitare l’impatto é una
strategia “di cooperazione”, mentre quella di andar diritto a dispetto di tutto può essere considerata una strategia “di scontro”.
Se entrambi i conducenti adottano nello stesso istante una strategia “di scontro”, essi segnano la
propria rovina; qualora ambedue
optino invece per la cooperazione, avranno salva non solo la vita,
ma anche l’onore, perché non
saranno oggetto di derisione;
questa può dirsi una “vittoria
bilaterale a somma diversa da
zero”. Nel caso in cui uno dei due
scelga la strategia della “cooperazione” e l’altro quella dello
“scontro”, si salveranno entrambi, ma il primo dei due sarà considerato un “fifone” e perderà la
faccia, mentre l’altro diverrà un
“eroe”. Per Deutsch “quando uno
scontro in politica internazionale
viene ad assomigliare ad un gioco del fifone, gli statisti razionali,
secondo questa teoria, dovrebbero
scegliere una politica ‘morbida’,
piuttosto che una ‘linea dura’”.6
Nel confronto sullo Stretto, la
Cina continentale e Taiwan non
possono certo dirsi due veicoli di
dimensioni simili; il loro rapporto
può piuttosto essere descritto
come quello tra un imponente tir
a diciotto ruote e un’utilitaria. In
questo caso parlare di “fifone” e
di “eroe” perde ogni senso, si tratta di un confronto assolutamente
impari, nel quale all’utilitaria non
rimane che una scelta ragionevole, ovvero la strategia della “cooperazione”, senza che per ciò
essa possa essere considerata alla
stregua di un “fifone”. Nel caso
in cui anche il tir sia indotto a
frenare e non avanzi diritto travolgendo quanto incontra, questo tipo di gioco condurrebbe ad
una “vittoria bilaterale”. In una
situazione in cui tutti, a Taiwan,
conoscono l’esistenza della “Legge anti-secessione”, malgrado si
organizzino continuamente cortei,
marce, manifestazioni di protesta
ed altre attività simili per invocare l’indipendenza dell’Isola, è sufficiente che Taiwan come unità
“agente” distinta non mostri di
voler oltrepassare le “tre linee rosse” della “Legge anti-secessione”
perché la situazione sullo Stretto
si mantenga di fatto inalterata.
Taiwan, la Cina continentale, gli
Stat Uniti e gli “agenti” simili non
sono come gli esseri umani, che
possono tenere nascoste le proprie mosse e non far capire all’avversario la strategia adottata.
Gli agenti dotati della “caratteri46
Documenti
dall’isola di Taiwan, ha subito una
notevole evoluzione.
Nel periodo di Deng Xiaoping, sia
che si trattasse di un gioco “a due”
tra le opposte sponde, sia che si
trattasse di un gioco “a tre” tra
la Cina continentale, Taiwan e gli
Stati Uniti, ogni parte ha generalmente adottato la strategia
della “cooperazione”, dando così
luogo ad un gioco “a somma diversa da zero” con “vittoria
bilaterale” o “trilaterale”.
Nel periodo di Jiang Zemin, in
particolar modo dopo “l’operazione freccia” del marzo 1996, il
gioco “a tre” si è fatto progressivamente più aggressivo. Poiché il
“peso equilibratore” degli Stati
Uniti è andato spesso a poggiare
sulla parte taiwanese, quest’ultima ha di volta in volta scelto strategie di “divergenza” o di “opposizione”; l’influenza del Movimento indipendentista di Taiwan si è
fatta via via maggiore. Li Denghui
e Chen Shuibian hanno tratto
vantaggio dall’”operazione freccia” per essere eletti, mentre il
principio “un paese, due sistemi”
perdeva rilevanza.
L’adozione della “Legge antisecessione” ha posto una limitazione al potere dell’esercito cinese; anche le interferenze di alti
ufficiali nella politica e le loro sollecitazioni ingiustificate per “l’uso
della forza contro Taiwan” verran-
stica distintiva di un territorio”
non possono celare completamente la loro tattica; dalla decisione
dell’attacco all’azione è infatti generalmente necessario incrementare la capacità bellica effettiva e
dispiegare le forze; tale processo, che richiede tempo, viene
chiamato “tempo morto tra la decisione e l’azione”. A causa di
questo tempo morto, tramite ricognizioni, i preparativi dell’attacco possono essere scoperti. Mentre nel modello di gioco di Deutsch
il “tempo morto” è uguale a zero,
nel gioco tra le due parti dello
Stretto non è tale, ma può anzi
estendersi a diversi giorni o addirittura a diversi mesi. Qualora gli
Stati Uniti scoprissero che la Cina
continentale, violando la “Legge
anti-secessione” da essa stessa
adottata, avesse compiuto o intendesse compiere un’aggressione armata contro Taiwan, il gioco “a due” nello Stretto diverrebbe immediatamente un gioco “a
tre”.
Tre periodi, tre tipi di gioco
Nel periodo di Deng Xiaoping, in
quello di Jiang Zemin e in quello
successivo all’entrata in vigore
della “Legge anti-secessione”, il
gioco tra i due “agenti nazionali”
Cina e America e “l’agente territoriale non nazionale”, costituito
47
Documenti
bilaterale. Perché ciò si realizzi è
importante che, dopo che il gioco “a tre” sarà diventato un gioco “a due”, il conducente dell’utilitaria, andando incontro all’imponente tir, faccia una scelta sola,
ovvero quella di trasformare lo
“scontro” in “cooperazione”.
no messe a freno. Gli Stati Uniti
potrebbero ancora in qualsiasi
momento esprimere preoccupazione per la pace nello Stretto e
utilizzare il metodo della
“calibrazione” per mantenere
l’equilibrio nell’area. Certo, Pechino non può ancora impegnarsi verbalmente a “non usare la
forza contro Taiwan”, ma di fatto
le norme restrittive della “Legge
anti-secessione” avranno il loro effetto: finché Taiwan ha fede nel
principio della non aggressione,
le clausole della “Legge antisecessione” sull’”assorbimento
pacifico” (heping xiaohua) potrebbero essere per la maggior parte
accettate dalla stessa; l’assorbimento pacifico unilaterale potrebbe allora divenire una “fusione
pacifica” bilaterale (heping
ronghe). Con la conclusione ufficiale dello stato di ostilità tra le
due parti in causa, l’unificazione
pacifica troverà una nuova strada, sia essa all’interno di un
reinterpretato schema “un paese,
due sistemi” oppure in base ad
un modello federale. Ma ciò a
condizione che, nel caso in cui
Taiwan superi le “linee rosse” della
“Legge anti-secessione”, Pechino
non arrivi a sanzionare il fatto
come una violazione.
Il gioco “a due” nello Stretto potrebbe così condurre alla collaborazione e alla vittoria
Il gioco “a quattro” stenta a trovare una composizione
Il 19 febbraio di quest’anno gli
USA e il Giappone hanno annunciato di aver inserito la risoluzione pacifica del problema di Taiwan
tra gli obiettivi strategici comuni;7 é questa la prima volta che
Tokyo gioca in alleanza con gli
Stati Uniti la “carta di Taiwan”.
Nella partita dello Stretto, il Giappone ha per lungo tempo operato dietro le quinte; il comunicato
congiunto della Commissione
Consultiva per la Sicurezza di Stati
Uniti e Giappone ha fatto per la
prima volta uscire quest’ultimo
allo scoperto. Il gioco “a tre” del
problema dello Stretto è così diventato un gioco “a quattro”.
Per motivi storici e geografici, gli
obiettivi strategici di Tokyo e di
Washington in tale gioco coincidono solo parzialmente: entrambi desiderano che Taiwan conservi la situazione attuale. Gli Stati
Uniti si oppongono fermamente
all’annessione dell’Isola da parte
48
Documenti
ti Uniti e l’amicizia sino-americana creerebbe un ambiente internazionale favorevole per l’ascesa
pacifica della Cina nel XXI secolo.
Dal 19 febbraio anche il Giappone è entrato nominalmente a far
parte del gioco dello Stretto. Finché Taiwan conserverà la pace, gli
Stati Uniti potranno al massimo
venderle armamenti senza però
poter effettuare azioni militari; il
Giappone è ancor meno autorizzato ad intervenire. Nell’Isola potranno farsi sentire voci
indipendentiste, senza però che
vengano oltrepassate le “tre linee
rosse” della “Legge antisecessione”; sul problema dello
Stretto, il gioco “a quattro” stenta a trovare una composizione.
della Cina continentale attraverso l’uso della forza, senza però
con questo contrastare l’unificazione pacifica delle due parti; il
Giappone, invece, non desidera
affatto che ciò avvenga.
Un punto chiave della politica
nipponica del XXI secolo nei confronti della Cina consiste nell’opporsi strenuamente alla sua
riunificazione, ma ancor più nell’impedire che essa, una volta
unificata, diventi il Paese forte del
Pacifico occidentale. Il problema
centrale dello scontro sino-giapponese di questo secolo risiede nel
fatto che Tokyo intende affermare la sua posizione egemonica
nell’area del Pacifico occidentale, indebolendo il più possibile la
Cina. Una ragione fondamentale
della mancata partecipazione del
Giappone al gioco “a tre” nello
Stretto per così lungo tempo è dipeso proprio dal suo desiderio di
vedere non solo le due sponde
scontrarsi, combattere ed uscirne
entrambe danneggiate, ma anche
gli Stati Uniti perdere influenza
nel Pacifico occidentale attraverso un conflitto con la Cina, con
la speranza di trarre vantaggio
dalle perdite cui sarebbero andati
incontro i partecipanti del gioco
“a tre”. Per contro, con l’unificazione pacifica verrebbe meno
l’antagonismo di fondo tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Sta-
Problemi interpretativi nel futuro della “Legge antisecessione”
Le tre premesse dell’articolo 8
della “Legge anti-secessione” contengono diversi punti ambigui.
Qualora a Taiwan si verificassero
“incidenti gravi” e l’opinione pubblica delle due sponde ne fornisse letture completamente diverse,
a Pechino il Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del
Popolo potrebbe “interpretare la
Legge”. Se l’interpretazione portasse a rilevare una violazione, la
49
Documenti
situazione potrebbe complicarsi.
Il gioco “a due” dello Stretto di
Taiwan potrebbe in un attimo diventare un gioco “a quattro”: gli
Stati Uniti sarebbero forse indotti
ad intervenire come fecero nel
marzo del 1996 - se non addirittura in modo ancor più massiccio
- e anche il Giappone, in base al
meccanismo consultivo per la sicurezza nippo-americano, potrebbe entrare in scena.
L’ambiguità della “Legge antisecessione” consiste nel fatto che
essa lascia un margine di spazio
alla guerra, spazio che dovrebbe
invece essere colmato. Un conflitto
su ampia scala tra la Cina e gli
Stati Uniti porterebbe grandi vantaggi al Giappone. Sebbene anche il Movimento Indipendentista
taiwanese possa subire un grave
colpo, non appena nella Cina
continentale dovessero verificarsi
disordini, la sua influenza tornerebbe certo a farsi sentire. Tutto
ciò potrebbe non solo condurre
alla reale indipendenza di Taiwan
(si tratterebbe di una “reazione
inversa”, simile a quella verificatasi nel 1996, quando “l’operazione freccia” portò all’elezione di
Li Denghui e al rafforzamento del
Movimento Indipendentista), ma
anche far sì che la Cina venga
relegata dal Giappone ai margini del Pacifico occidentale. L’ascesa
pacifica di Pechino nel XXI secolo
subirebbe così un grave ritardo.
(traduzione dal cinese e note di
Federica Casalin)
1) Si veda il precedente numero 122 di
Mondo Cinese, (Gennaio-Marzo 2005),
pp.14-21.
2) L’invio di tale delegazione, guidata
da Sam Nunn, precedette di circa tre
settimane la prima visita ufficiale di
Deng Xiaoping negli Stati Uniti, svoltasi tra il 28 gennaio e il 4 febbraio 1979.
Sulla delegazione, cfr. Dreyer June
Teufel, “China’s Attitude toward the
Taiwan Relations Act”, intervento
all’International Conference on UnitedStates-Taiwan Relations: Twenty Years
after the Taiwan Relations Act, patrocinato dall’Academia Sinica, Taipei, 9-10
aprile 1999 [ndt].
3) Il testo della legge, varata il 10 aprile
1979, è reperibile sul sito del Consolato generale degli Stati Uniti di Hong
Kong
e
Macao,
(www.usconsulate.org.hk). La traduzione qui riportata è tratta dalla versione inglese [ndt].
4) Oltre al Taiwan Relations Act, tre documenti vengono citati di frequente
come costituenti la base giuridica della
politica americana nei confronti della
Repubblica Popolare Cinese, ovvero il
comunicato di Shanghai del 28 febbraio 1972, il comunicato congiunto del
15 dicembre 1978 e quello del 17 agosto 1982. Cfr. Hung Chien-chao, A
history of Taiwan, Il Cerchio, Rimini,
2000, pp. 317-18. Il primo comunicato, redatto in occasione della visita del
Presidente Nixon a Pechino, impegnava in primo luogo le due parti a non
50
Documenti
ze sociali, la prima premessa fa riferimento all’adozione, da parte di Taiwan,
di norme di legge che sanciscano l’esistenza di “due Cine”, la seconda a fatti
e azioni significative, come l’elezione di
un Presidente con dichiarati scopi
separatisti, la terza al rifiuto dichiarato, da parte delle autorità taiwanesi,
del percorso di riunificazione. L’analisi
di Wu Xianbin, contenuta in un’intervista pubblicata con il titolo di “Cao’an
suiping he sandao hongxian heran” sul
Xianggang shangbao del 9 marzo 2005,
è consultabile in rete sul sito http://
bbs.cctv.com.cn [ndt].
6) Karl Deutsch, Le relazioni internazionali, ed. it. a cura di Gianfranco
Pasquino, traduzione di Cristina Cerchio, Il Mulino, Bologna, 1970, p. 186
[ndt].
7) Sabato 19 febbraio, il Segretario di
Stato Condoleeza Rice e il Segretario
del Dipartimento della Difesa Donald
Rumsfeld hanno ospitato a Washington,
in un incontro a quattro, il Ministro degli
Affari Esteri del Giappone Nobutaka
Machimura e il Direttore Generale dell’Agenzia per la Difesa Oshinori Ohno.
In seguito all’incontro, la Commissione Consultiva per la Sicurezza di Stati
Uniti e Giappone ha rilasciato un Comunicato congiunto. Secondo tale Comunicato le due parti concordano sulla necessità di rinforzare la loro alleanza bilaterale sulla sicurezza in base
a una serie di nuovi obiettivi, tra i quali
quello di “incoraggiare la risoluzione
pacifica delle questioni concernenti lo
Stretto di Taiwan attraverso il dialogo”
e di “incoraggiare la Cina ad aumentare la trasparenza sugli affari militari”. Il testo del Comunicato può essere
consultato sul sito del Consolato degli
Stati Uniti presso Hong Kong,
www.hongkong.usconsulate.gov [ndt].
perseguire politiche egemoniche nella
regione dell’Asia-Pacifico e a non operare per la divisione del mondo in blocchi; in merito a Taiwan dichiarava che
gli Stati Uniti prendevano atto che “tutti
i cinesi, da ambo i lati dello Stretto di
Taiwan sostengono che non esiste che
una Cina e che Taiwan ne fa parte”.
Anticipando di poco il Taiwan Relations
Act, il secondo comunicato dichiarava,
con toni molto più fermi e netti del precedente, che “gli Stati Uniti riconoscono il governo della Repubblica Popolare Cinese come l’unico governo legittimo della Cina e accettano la posizione
cinese secondo la quale non c’è che
una Cina e Taiwan ne fa parte”. Il terzo comunicato toccava il tema degli armamenti, affermando che gli Stati Uniti “intendono ridurre gradualmente le
vendite di armi a Taiwan, per arrivare
in un certo periodo di tempo ad una
risoluzione conclusiva”. Cfr. Jonathan
D. Pollack, “The Opening to America”,
in The Cambridge History of China, a cura
di Denis Twitchett, John K. Fairbank,
vol. 15, Cambridge University Press,
Cambridge, 1991, pp. 402-72, in particolare pp. 423, 442 e 465 [ndt].
5) Tali premesse - successivamente indicate nel testo come “le tre linee rosse” della Legge anti-secessione - prevedono la possibilità di una soluzione
non pacifica del problema dello Stretto
qualora, per azione del Movimento
indipendentista taiwanese 1) “a qualsiasi titolo e in qualsiasi maniera si producesse l’effettiva separazione di
Taiwan dalla Cina”, 2) “si verificassero
incidenti gravi (zhongda shishi) capaci di
condurre alla separazione”, 3) “venissero completamente a mancare le condizioni per l’unificazione pacifica”. Secondo l’analisi di Wu Xianbin, Ricercatore dell’Accademia cinese delle scien51
Documenti
Perché premiare i
funzionari che
richiamano
investimenti
stranieri?
straniero e stimolare l’entusiasmo
e l’iniziativa dei funzionari, è stato quello di premiare i quadri dell’amministrazione del partito e
del governo sulla base di un ammontare predefinito d’investimenti
stranieri ottenuti. Grazie alla promessa dei premi, si è assistito
ovunque a un fiorire di tentativi
per attirare tali investimenti. Alcuni quadri sono corsi a Taiwan,
Hong Kong e Macao; altri ancora sono volati all’estero; i quadri
delle regioni occidentali si sono
precipitati sulle coste, quelli del
nord nelle zone del delta del
Changjiang e del Zhujiang; i capi
dell’amministrazione di partito e
di governo, tutti presi in questa
febbrile attività, si sono precipitati in ogni dove.
Sebbene lo sviluppo economico
non possa procedere senza il richiamo di capitale straniero, e
sebbene questa attività abbia prodotto degli effetti notevoli, tuttavia l’utilizzo dei premi in denaro
per indurre i quadri ad impegnarsi in ogni modo a tal fine ha causato un buon numero di effetti
negativi e una serie di gravi problemi. Il risultato è stato che i funzionari hanno pensato unicamente ad avanzamenti di carriera e a
grosse ricompense in denaro, arrivando persino alla frode, dando luogo a casi di corruzione e
arrivando a cedere dietro compenso il proprio potere.
(Zhang Hongqing, “Guanyuan
zhaoshang weihe na jiangjin?”,
Renmin ribao, 3.1.2005, p.2)
D
i recente, il comitato di
partito e il governo provinciale del Zhejiang hanno diramato un comunicato congiunto, intitolato “Restrizioni riguardanti i premi elargiti a quadri dell’amministrazione di partito e di governo che attirano investimenti stranieri”. Il comunicato
stabilisce che, da questo momento in avanti, i suddetti quadri non
potranno più, senza eccezione di
sorta, usufruire dei premi dovuti
all’acquisizione di capitale derivante da investimenti stranieri.
Gli sforzi per attirare investimenti
e progetti dall’estero sono presi
in considerazione nella valutazione di fine anno dai dirigenti e vengono incoraggiati. Negli ultimi
anni, in molte località cinesi, uno
degli escamotage per l’incremento delle acquisizioni di capitale
52
Documenti
mente in contraddizione con le
regole dell’economia di mercato.
In base ai termini dell’economia
di mercato, quello del nostro governo deve essere un ruolo di servizio. Il fondamento di ogni governo di questo genere è il pubblico, il suo obiettivo deve essere
ciò che è di pubblica utilità, e il
governo, attraverso l’offerta al
pubblico di servizi e merci, deve
migliorare la qualità della vita
delle masse e promuovere interessi sociali comuni. Il governo
non deve attirare, per interessi
personali, finanziamenti derivanti da investimenti stranieri; non
deve sottovalutare i costi delle
delegazioni che si recano a Hong
Kong o all’estero; non deve spendere enormi somme di denaro
duramente guadagnato dalla
gente, in qualunque occasione si
presenti per viaggiare all’estero.
Ruolo di un governo non è, per
ottenere un qualche progetto,
quello di diventare una potente
squadra organizzata che corre
dentro e fuori il paese e che corrompe con i soldi pubblici; ancor
di più non è quello di “seminare
il campo degli altri e abbandonare il proprio” e, attraverso
l’acquisizione d’investimenti stranieri, causare dei danni e poi pavoneggiarsi….
E’
da
sottolineare
che
l’acquisizione di capitali e di progetti dall’estero, che contribuisce
allo sviluppo economico del territorio, è già di per sé un dovere
dei quadri a capo dell’amministrazione del partito e del governo.
Perché allora questi ultimi vogliono anche ricevere un premio e ottenere una ricompensa in denaro? Come mai questo escamotage
poco ortodosso per attirare capitali, è stato in molti luoghi irragionevolmente legittimato?
La realtà è che i politici della provincia del Zhejiang hanno emanato dei documenti che legittimano la pratica di acquisizione di
capitali stranieri da parte dei quadri, dal momento che questa è
utile per mettere ciascuno al proprio posto, e favorisce inoltre la
creazione di un’atmosfera ed un
ambiente ottimi per lo sviluppo.
Tuttavia, perché “l’emanazione di
comunicati che normalizzano la
partecipazione dei quadri dell’amministrazione del governo e del
partito ad atti di acquisizione di
investimenti stranieri, è un processo ancora così poco visibile
nelle province del paese”?
Non si dovrebbe ignorare un fatto del genere: attirare capitale
straniero è, in origine, qualcosa
che riguarda il mondo dell’impresa, ma, in molti luoghi della Cina,
esso è realizzato dal governo in
prima persona. Ciò è evidente-
(traduzione dal cinese di Miriam
Castorina)
53
Documenti
Commemorazione
di (Zhao) Ziyang in
occasione della festa
Qingming1 - Al più
grande riformatore
cinese
contemporaneo
nostro avviso senza dubbio interessante, in quanto effettuata da un
autorevole personaggio che non
smette di richiedere la revisione del
giudizio sui fatti di Tian’anmen; un
problema politico che il Pcc non
potrà forse permettersi ancora a
lungo di ignorare.
(M.M.)
*******
Le ragioni per cui Zhao Ziyang
ha superato Mao
Nel corso degli anni ‘80 Zhao
Ziyang occupò importanti incarichi sia nel Partito che nel governo: dal 1980 al 1987 fu prima
Vice-Primo ministro e poi Primo
ministro; dal 1987 al 1989 fu
Vice-Segretario generale e successivamente Segretario generale del
Pcc. Tuttavia, più che per i suoi
incarichi politici, Zhao Ziyang è
entrato nella storia per il contributo fornito al processo di riforma. Sono appunto le riforme da
lui promosse che dimostrano la
sua superiorità rispetto a Mao
Zedong e Deng Xiaoping. E’ la
loro politica ciò che Zhao voleva
riformare: infatti, per tale motivo
Deng Xiaoping, sebbene all’inizio
fosse un sostenitore di Zhao, in
seguito divenne un suo avversario e, senza troppi scrupoli, con
la risposta di sangue di
BAO TONG
[“Qingming ji Ziyang - Xian gei
dangdai Zhongguo zui weida de
gaigezhe”, Zheng ming, n. 4
(330), aprile 2005, pp. 36-38.]
P
ubblichiamo questo ricordo
di Zhao Ziyang, a pochi mesi
dalla morte 2, a firma di Bao
Tong, uno dei suoi più stretti collaboratori, alla fine degli anni ‘80
Vice-direttore del Comitato per la
Riforma del Sistema Economico,
imprigionato per sette anni e rilasciato solo nel 1996, attualmente,
pur risiedendo a Pechino, uno dei
maggiori attivisti in materia di diritti umani.
Sebbene quest’analisi del ruolo
svolto da Zhao non sia forse
condivisibile da molti, rimane a
54
Documenti
nere vantaggi per il Partito e per
il governo, al contrario in modo
chiaro e risoluto ordinò alle amministrazioni locali ai diversi livelli
di “allentare i vincoli”, “diminuire
il fardello” e “concedere potere”
e “profitti” alle unità produttive
industriali e agricole, al fine di
indebolire il peso dello Stato e
rafforzare il mercato e la società.
Mentre molti ritenevano che preservare la posizione di potere dello
Stato fosse essenziale per salvaguardare le condizioni economiche del paese, Zhao comprese che
il ruolo principale spettava agli
operatori economici nei settori
industriale e agricolo, non allo
Stato, che aveva solo il compito
di servire questi ultimi. A suo avviso, non riconoscere il ruolo da
essi svolto avrebbe significato perdere di vista il quadro generale.
In Cina il problema fondamentale del sistema politico è che il Partito comunista controlla ogni
aspetto della società e della vita
di centinaia di milioni di cittadini. Se Mao aveva istituito il sistema in base al quale il Partito costituiva la guida politica di tutti
gli strati sociali, […] Deng non si
rese conto che la sua missione
sarebbe dovuta essere quella di
guidare la Cina verso una società governata dalla legge, entro i
cui limiti il Partito Comunista
avrebbe dovuto agire per non
Tian’anmen, interruppe la via che
avrebbe portato la Cina verso la
democrazia. […]
Zhao voleva riformare anche il
modello di socialismo perseguito
da Mao a partire dagli anni ’50,
basato sul controllo totale del
paese attraverso la dittatura del
partito unico e attraverso la gestione da parte del governo di
ogni tipo di attività economica.
I problemi fondamentali del sistema economico e politico
Negli anni ’80 in Cina il sistema
economico era caratterizzato dal
controllo totale dello Stato su ogni
tipo di attività economica. Già in
qualità di Primo segretario del
Comitato Provinciale del Partito
nel Sichuan, Zhao Ziyang aveva
diretto alcuni progetti pilota per
la riforma del sistema economico. Dopo essere entrato a far parte del governo centrale, come Primo Ministro, in materia economica si attestò su posizioni diverse
da quelle del suo predecessore.
Mentre il Partito considerava irrinunciabile rafforzare la posizione dello Stato alla guida delle
imprese statali, Zhao proponeva,
invece, di ridurre tale posizione
di forza, al fine di razionalizzare
i rapporti fra lo Stato e le imprese. Nell’affrontare le questioni
dell’economia, non cercò di otte55
Documenti
nerale, Zhao ritenne che la situazione andasse affrontata in modo
democratico e utilizzando strumenti legali, attraverso il colloquio e le negoziazioni tra tutte le
parti sociali; non ritenne, invece,
giusto che il Comitato Centrale
del Partito prendesse decisioni a
tale riguardo basandosi su principi che non potevano essere messi in discussione. […] Per Zhao un
partito non ha futuro se non rispetta la volontà del popolo, […]
il quale per lui era più importante del Partito stesso. […]
perdere con il passare del tempo
la propria legittimazione.
In qualità di Segretario generale
Zhao portò avanti le sue opinioni, che non erano finalizzate a
rafforzare né il proprio potere
personale, né quello del Partito.
Nel programma di riforma del sistema politico, si adoperò per ridurre il ruolo dello Stato centralizzato e il potere del Partito, limitando la funzione di quest’ultimo alla sola guida politica.
In qualità di Vice-Segretario generale, propose che il Comitato
Permanente dell’Ufficio Politico
non pronunciasse sentenze in casi
giudiziari, né si occupasse (della
censura) di opere letterarie e artistiche. Dopo la nomina a Segretario generale, richiese che il sistema delle riunioni e delle votazioni negli organismi del Partito
ai diversi livelli fosse standardizzato e si diffondesse progressivamente il principio secondo cui le
elezioni avvenissero in base alle
votazioni. Per quanto riguarda la
riforma delle imprese statali, Zhao
fece approvare una risoluzione che
stabiliva che il centro delle attività delle imprese non era più il
Segretario del Comitato di Partito, ma il rappresentante legale
dell’impresa. Per quanto riguarda gli inaspettati incidenti verificatisi durante le manifestazioni di
massa, in qualità di Segretario ge-
Un politico che pianificava per
il proprio governo
In sintesi, la riforma elaborata da
Zhao prevedeva l’introduzione
dell’economia di mercato e la realizzazione di una politica democratica. […]. Un esempio dell’acutezza delle sue capacità di osservazione e di analisi […] si può
ritrovare nell’opera “Zhao Ziyang
e la riforma politica” (Zhao Ziyang
he zhengzhi gaige), scritto dal
dott. Wu Guoguang, in cui vengono registrate le critiche avanzate da Zhao, fra il 1986 e il
1987, ai reiterati mali del sistema politico e le sue considerazioni per il futuro delle riforme.
In occasione del XIII Congresso del
Pcc3, Zhao proclamò che lo scopo delle riforme in Cina era quello
56
Documenti
dell’adozione di una “politica democratica”; tale convinzione era
la conclusione di riflessioni approfondite di un uomo politico responsabile, che pianificava per il
proprio governo. Egli non era né
un teorico né un agitatore, […] e
non desiderava vantaggi immediati. […] Serio, responsabile e
corretto, […] severo nei confronti
di se stesso, non chiedeva agli altri di abbandonare le proprie opinioni, comprendendo il punto di
vista altrui. Sperando di collaborare con quante più persone nella realizzazione delle riforme, sapeva ascoltare cortesemente e con
interesse chi analizzava in modo
sistematico possibili sviluppi futuri, chi esprimeva proposte o idee
anche se allora difficilmente
realizzabili. Persino chi manifestava opinioni completamente diverse o eterodosse, poteva essere certo che non sarebbe stato da lui
etichettato come un pericoloso
nemico del Partito.
Dopo aver assistito ai risultati concreti del “socialismo reale” in
Cina, nel suo rapporto al XIII
Congresso del Partito, Zhao presentò una nuova concezione,
quella dello “stadio iniziale del socialismo”, secondo la quale per
la realizzazione del socialismo
sarebbero stati necessari almeno
cento anni: [in tal modo veniva
così estesa la fase di transizione
durante la quale sarebbero state
possibili le riforme.] Sebbene nelle argomentazioni di alcuni la teoria dello “stadio iniziale del socialismo” fosse solo vuota retorica, tuttavia essa divenne un manifesto completamente diverso dal
modello di socialismo perseguito
da Mao Zedong. […] Nel 1987,
dopo l’allontanamento di Hu
Yaobang, la situazione cominciò
a deteriorarsi irrimediabilmente,
[…] finchè nel 1989, dopo essersi
scontrato con gli studenti, Deng
Xiaoping mise a rischio il futuro
della Cina capeggiando un colpo
di stato militare. Di conseguenza
Zhao venne condannato agli arresti domiciliari […] e il processo
di riforma fu stroncato prematuramente.
Zhao Ziyang intraprese le riforme in una congiuntura particolare
Zhao Ziyang intraprese le riforme in una congiuntura particolare, ma non perse mai di vista gli
obiettivi in cui credeva fermamente. La via da percorrere non fu
tracciata da lui, ma determinata
dalla situazione contingente.
Con un voto d’onore Zhao è
entrato nell’eternità
Zhao Ziyang era un superiore mite
e gradevole, disponibile nei rap57
Documenti
porti con gli altri, con cui si poneva su di un piano di parità. […]
Per quanto riguarda la sua formazione politica, comprendo il
suo percorso, avendo lavorato
con lui per dieci anni. Alla giovane età di tredici anni, sotto la minaccia del terrore bianco, era
entrato a far parte della Lega
della Gioventù Comunista e poi
delle forze di guerriglia
antigiapponese. Prima degli anni
’60 fu per lungo tempo Segretario del Comitato provinciale del
Partito nel Guangdong. […] Successivamente il bagno di sangue
della Rivoluzione Culturale, per
utilizzare le sue stesse parole, “lo
fece risvegliare completamente”.
Da allora considerò l’obiettivo
delle riforme come lo scopo principale della sua vita, come il criterio guida delle sue scelte politiche.
Comprendendo che è necessario
fare delle deviazioni per raggiungere la meta prefissata e pur rendendosi conto che la linea tracciata da Deng perseguiva le riforme economiche e non quelle politiche, in momenti cruciali Zhao
non poté fare a meno di esprimere le sue più profonde convinzioni. […] Diversamente da Deng, egli
riteneva che non era possibile portare avanti le riforme economiche
prescindendo da quelle politiche.
[…] Avendo a cuore queste ulti-
me, a suo avviso l’obiettivo finale
era racchiuso nella promessa, sottoscritta e mai onorata da Deng
Xiaoping, di attuare nel paese un
processo di “legalizzazione e
istituzionalizzazione in senso democratico”. Quando il 17 maggio 1989 Deng, contravvenendo
alle decisioni dell’Ufficio Politico
del Comitato Centrale, decise oltraggiosamente di inviare l’esercito in risposta alle manifestazioni degli studenti, Zhao Ziyang non
poté fare a meno di manifestare
le proprie opinioni e con un voto
d’onore entrò nell’eternità.
Il verdetto sui meriti e i demeriti
viene pronunciato dopo la
morte
Deng Xiaoping, Hu Yaobang e
Zhao Ziyang avrebbero potuto
far sì che la Cina imboccasse
agevolmente la via della
modernizzazione, ma Deng fece
naufragare le riforme, distruggendo l’immagine della Cina e la propria. […] Non curandosi dell’ammonimento di Zhao Ziyang secondo cui “non si possono portare avanti le riforme economiche
senza quelle politiche”, diede nuovamente impulso, dopo una fase
di stallo, alle riforme economiche,
che, intraprese in alcuni casi in
modo poco trasparente, […] fecero aumentare in maniera
58
Documenti
incontrollata la corruzione. […] Le
riforme che seguirono il viaggio
di Deng Xiaoping nel ’92 nelle
Zone Economiche Speciali a sud
del paese, in breve tempo trasformarono la Cina in un paradiso
della corruzione, facendo aumentare enormemente il divario fra
aree povere e ricche.
Si dice che il verdetto sui meriti e
i demeriti sia pronunciato dopo
la morte. Il merito principale di
Deng Xiaoping è stato quello di
aver sostenuto le riforme economiche, di cui Zhao Ziyang fu portavoce; il suo errore è stato quello di aver soffocato le riforme
politiche, sostenute invece da
Zhao. […]
Dopo la morte di
Deng, si può pronunciare un giudizio definitivo su Zhao, il cui operato, unitamente a quello di Hu
Yaobang è stato di grande utilità
alla vita reale del paese.
Allo stesso modo in cui non è possibile correggere gli errori del
passato e far cadere nell’oblio i
criteri di verità, così l’avanzamento dell’economia di mercato non
può essere arrestato né cancellata la necessità di una politica democratica.
Il fatto che il corso delle riforme
sia stato stroncato prematuramente non ha permesso a Hu
Yaobang e Zhao Ziyang di morire serenamente. Sta ora a noi
che siamo rimasti realizzare l’ultimo desiderio dei nostri predecessori. Il successo finale delle riforme in Cina necessita di tenacia, coraggio, decisione e perseveranza da parte dell’intera popolazione. […]
Sebbene il Partito ritenga che le
due personalità più illustri della
Cina siano state Mao e Deng, ai
quali recentemente è stata aggiunta una terza4, ritengo, e lo
scrivo a chiare lettere, che in Cina
il più grande riformatore contemporaneo non sia uno di loro, ma
Zhao Ziyang, il quale fu condannato agli arresti domiciliari a vita,
essendo inviso ad alcuni e che oggi
non è celebrato in pompa magna
dal Partito. […]
Eterna gloria a Ziyang!
(traduzione dal cinese e adattamento in italiano di Eva D’Amico)
1) Qingming (lett. Pura Luce) è uno dei
ventiquattro periodi solari, che ha inizio attorno al 5 aprile, durante il quale
ci si reca in visita alle tombe.
2) Zhao Ziyang, nato il 17 ottobre
1919, è morto il 17 Gennaio 2005.
3) Il XIII Congresso Nazionale del PCC
si svolse a Pechino dal 25 ottobre al 1
novembre 1987.
4) Il riferimento è a Jiang Zemin, il cui
“importante pensiero delle tre
rappresentatività” è stato inserito nello
Statuto del Partito e nella Costituzione
del paese.
59
Rapporti
Una panoramica sulla stampa cinese
a Roma
VALENTINA PEDONE
L
a produzione di testate giornalistiche in lingua cinese è un fenomeno che caratterizza le comunità d’oltremare da circa 150 anni.
Il primo giornale di questo tipo, il San Francisco News, comparve
nel 18541, aprendo la via ad una forma espressiva il cui successo è
cresciuto in maniera continua fino ai nostri giorni. Oggi la stampa
cinese all’estero è così prolifica da aver registrato, solo all’inizio degli
anni ’90 un volume di circa 300 diversi organi di stampa in tutto il
pianeta2. Non stupisce dunque che anche Roma, con i suoi circa 8000
residenti di origine cinese3, abbia visto nascere dal 1997 una discreta
mole di materiale di questo tipo. I caratteri generali degli organi di
stampa romani, due giornali bisettimanali e tre riviste, rientrano nel
profilo tipico di questo settore per come si manifesta nel resto del
pianeta: sono infatti mirati ad informare la comunità circa i principali
eventi che hanno luogo nel paese ospitante e all’interno della comunità stessa, cercano di guidare, spesso in modo molto pratico, alla vita
nel contesto d’accoglienza e servono da strumento per mantenere un
legame con il paese di origine, sia attraverso le informazioni relative
agli avvenimenti in patria, sia mantenendo vivo il contatto con la cultura di origine proponendo pagine di svago ed intrattenimento concepite
in un’ottica marcatamente cinese4.
La presentazione schematica che segue vuole sottolineare in maniera
sintetica le peculiarità della produzione romana in seno a questo genere. Considerata l’instabilità e la scarsa continuità nelle uscite, risulta
evidente che la descrizione si riferisce alla situazione attuale e pur
sforzandosi di essere esaustiva nell’immediato, non può ambire a previsioni per il futuro. Nell’analisi vengono presentati due bisettimanali,
il Tempo Europa Cina e La Nuova Cina, che escono con il classico formato tabloid e tre periodici, Cina in Italia, Europa Cina e Mondo Cinese, che appaiono come riviste in carta patinata con copertina in
quadricromia. Viene infine incluso l’Elenco Telefonico Cinese, in quanto
60
Rapporti
anch’esso manifestazione in lingua cinese delle esigenze della comunità di Roma. I titoli sono riportati in italiano e pinyin nella loro forma
originale, come proposta dalle testate stesse (non sono dunque traduzioni)5.
Il Tempo Europa Cina (Ouhua shibao)
Dati generali. Nato nel 1997, numero delle pagine 24, costo 1,50
euro, frequenza bisettimanale (lunedì e giovedì).
Fonti per il materiale pubblicato. Prevalentemente copie di articoli
di testate cinesi (ad es. Zhongguo ribao, Dongfang zaobao, Xinjing bao)
e traduzioni delle testate italiane (ad es. Messaggero, Repubblica); agenzia stampa cinese Xinhua she; sporadici articoli originali riguardanti
perlopiù avvenimenti che coinvolgono la comunità cinese immigrata.
Organizzazione dei contenuti. Le pagine sono organizzate con uno
schema ricorrente piuttosto regolare. Tra le pagine più significative si
rilevano: “notizie dall’Italia” (Yidali xinwen), “notizie dal mondo” (shijie
xinwen), “notizie dalla Cina” (Zhongguo xinwen), “notizie dal Zhejiang”
(Zhejiang xinwen), “cinesi d’oltremare” (haiwai huaren), “speciale Italia
centrale” (zhongbu zhuanban), “speciale Italia settentrionale” (beibu
zhuanban). Le ultime due sezioni riportano notizie di interesse generale per la comunità immigrata cinese delle zone interessate.
La Nuova Cina (Xinhua shibao)
Dati generali. Nato nel 1999, numero delle pagine fluttuante ma
oltre le 20, costo 1,50 euro, frequenza bisettimanale (martedì e venerdì).
Fonti per il materiale pubblicato. Soprattutto copie di articoli di
testate cinesi (ad es. Zhongguo ribao, Renmin ribao); le traduzioni di
articoli provenienti da testate italiane (anche qui Il Messaggero, La
Repubblica etc.) trattano quasi esclusivamente questioni legate all’immigrazione; molte elaborazioni da notizie dell’agenzia di stampa cinese Xinhua She; se si escludono gli articoli in prima pagina, gli interventi
originali rimangono estremamente rari e quasi sempre anonimi.
Organizzazione dei contenuti. Le pagine non sono organizzate con
un ordine ricorrente. Sono presenti: una pagina di “notizie dall’Italia”
61
Rapporti
(Yidali xinwen) che tratta principalmente fatti di cronaca e di costume,
2-3 pagine su questioni internazionali di vario peso, 2-3 pagine relative al contesto cinese di origine con notizie di diversa rilevanza, una
pagina dedicata ai “cinesi d’oltremare” di tutto il mondo (haiwai huaren)
e la pagina “integrazione in Italia” (rongru Yidali) con consigli pratici
ed una rubrica volta all’insegnamento di frasi in italiano di immediata
utilità. Molte, in proporzione, sono le pagine dedicate all’intrattenimento,
con rubriche di moda, cucina, costume, spettacolo e sport.
Cina in Italia (Yidali shenghuo)
Dati generali. Nato nel 2001, circa 50 pagine, costo 2 euro, frequenza non regolare (circa 5 numeri all’anno).
Fonti per il materiale pubblicato. Il materiale incluso appare essere
originale e gran parte degli articoli sono firmati (molti risultano essere
gli articoli a cura dell’editore stesso).
Organizzazione dei contenuti. Non si riscontra un ordine definito
per gli articoli e le rubriche, che a volte tuttavia, vengono raccolti in
aree tematiche, ad esempio “la vita dei cinesi d’oltremare” (huaqiao
shenghuo), “la guida del migrante” (yimin zhinan), “benessere” (jiankang
jianshen). Caratteristici di questa testata sono, da un lato la presenza
saltuaria di articoli originali in italiano e di articoli dedicati a diversi
aspetti della cultura italiana, dall’altro l’attenzione ad aspetti pratici
della vita dei cinesi sul nostro territorio. In generale l’impostazione
della rivista rivela un approccio incline a promuovere lo scambio tra il
migrante ed il paese ospite anche ad un livello culturale.
Europa Cina (Ouhua)
Dati generali. Nato nel 2003, circa 70 pagine, gratuito perché allegato al giornale Tempo Europa Cina, frequenza quindicinale.
Fonti per il materiale pubblicato. Gran parte degli articoli sono
tratti da internet e quindi non originali; a differenza del giornale Tempo Europa Cina, tuttavia, sono presenti anche contributi dei lettori su
tematiche di varia natura.
Organizzazione dei contenuti. Neppure per questa rivista si registra
un ordine stabilito nella scelta e distribuzione degli articoli. Da un
62
Rapporti
punto di vista contenutistico il materiale copre soprattutto argomenti
di carattere ludico, le tematiche più comuni riguardano attualità, spettacolo, moda, cronaca. Sono anche presenti brevi racconti di fiction,
parole crociate, test e altro materiale di intrattenimento. Quasi inesistenti sono i riferimenti all’Italia, mentre abbondano articoli su vari
aspetti della società cinese contemporanea, presentati comunque con
un taglio leggero e ricreativo. Come già accennato, una caratteristica
di questa testata sono i numerosi interventi dei lettori che partecipano
alla rivista raccontando le proprie esperienze di vita.
Mondo cinese (Qiaojie)
Dati generali. Nato nel 2004, 24 pagine, gratuito, frequenza mensile.
Fonti per il materiale pubblicato. Come per Cina in Italia buona
parte degli articoli a cura della redazione appare originale, d’altra
parte sono presenti anche diversi interventi dei lettori. Non è comunque da escludere la presenza di scritti attinti da internet.
Organizzazione dei contenuti. A differenza delle altre due riviste si
riscontra una certa costanza nella ripartizione degli articoli. Tra le sezioni in cui è suddiviso il materiale ricorrono: “primo piano” (jiaodian
guangzhu), “inserirsi in Italia” (zoujin Yidali), “prospettiva sulla Cina”
(zhanwang zhongguo), “orme oltreoceano” (haiwai zuji), ciascuna contenente circa due o tre articoli in tema. Come si evince dai titoli delle
sezioni, le aree di interesse della rivista coprono quasi unicamente l’universo dei migranti cinesi. Non mancano tuttavia articoli di carattere
più leggero, come la rubrica dedicata al turismo in Italia, recensioni
dei film nelle sale italiane, test e articoli di moda.
Elenco telefonico cinese (Yidali huashang huangye)
Dati generali. Nato nel 2000, l’edizione del 2005 conta 310 pagine,
gratuito, frequenza annuale.
Fonti per il materiale pubblicato. Le aziende che desiderano essere
inserite nell’elenco contattano direttamente l’editore.
Organizzazione dei contenuti. Sulla falsariga delle Pagine Gialle italiane, di cui riprende il colore ed il formato, l’elenco è diviso per categorie merceologiche e per capoluoghi (la copertura è nazionale). Nella
63
Rapporti
maggior parte dei casi i nominativi delle aziende vengono riportati sia
in caratteri che in alfabeto (a volte in pinyin altre in traduzione italiana). Ogni voce presenta il nominativo, l’indirizzo ed il recapito telefonico. Sono presenti intere pagine in quadricromia ad uso pubblicitario.
E’ interessante che alla fine del volume siano presenti alcuni articoli di
carattere pratico mirati ad indirizzare i cinesi in Italia su questioni
quali, ad esempio, come iscriversi all’università, come lavorare legalmente, come risparmiare elettricità, come disporre il proprio ufficio in
accordo con il fengshui etc.
1) Fang Hanqi, “Chinese People, Chinese Language and Chinese Publications”,
Communication Research Newsletter, dicembre 1995.
2) Fang Jigeng e Hu Wenying, “A Review of the Present Condition and Prospects for
Chinese Press Abroad”, Proceedings of the 1995 International Conference on the
Chinese-Language Press and Communication of Culture (Wuhan, Huazhong
University of Science and Technology Press, 1995).
3) Anagrafe del Comune di Roma, dati aggiornati al 31/12/2004. Il numero complessivo dei residenti di origine cinese (Repubblica Popolare Cinese ed Hong Kong)
a Roma risulta essere 7930 unità.
4) Casey Man Kong Lum, “Communication and Cultural Insularity: the Chinese
Immigrant Experience”, Critical Studies in Mass Communication (n°1, 1991), pp.
95-96.
5) Per questa descrizione mi sono basata sui seguenti numeri delle testate in analisi: Tempo Europa Cina, n°615, 616, 617; La Nuova Cina, n°726, 727; Cina in
Italia, n°2 2002, n°3 2004, n°4 2005; Europa Cina, n°28, 29; Mondo Cinese, n°6,
7, 9, 10, 11 2004; Elenco Telefonico Cinese, 2003, 2004, 2005.
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Rapporti
FAR EAST FILM 7: L’anno della Cina
CORRADO NERI
L
a settima edizione del Far East Film Festival (tenutosi a Udine dal
22 al 29 aprile), confermandosi la più importante vetrina europea
sulle cinematografie asiatiche, testimonia la crescente importanza
della Cina popolare nel mondo culturale. È significativo infatti che il
festival apra con l’ultima opera di Feng Xiaogang, celeberrimo attore e
regista dei più grandi successi commerciali degli ultimi anni. A World
Without Thieves (Tianxia wuzei, 2004) è stata la pellicola più vista in
Cina, battendo record di botteghino e soprattutto superando la concorrenza hollywoodiana. Il film racconta di un lungo viaggio in treno
che parte dal Tibet: sui vagoni affollati due bande di ladri si contendono la borsa di un innocente e giovane lavoratore che torna a casa per
sposarsi e porta con sé anni di stipendio. Si alternano sequenze d’azione di matrice hongkonghese, avventura di classica influenza americana e melodramma – drammi morali, redenzione, sacrificio, spiritualità
e morte. Questa mescolanza di generi è coerente con l’ibridazione a
livello produttivo e ideologico: gli attori rappresentano un’utopia
“transnazionale” in cui le tre Cine si uniscono armoniosamente per
creare uno spettacolo a grande budget, previsto per una diffusione
capillare. Si incontrano infatti i corpi carismatici di Ge You, monumento del cinema cinese; Andy Lau, stella hongkonghese sdoganato da
tempo ormai in madrepatria; René Liu, taiwanese – che non per niente
nel film si redime e porta in grembo il figlio di una nuova Cina moderna, commerciale, iperdinamica, e ormai concorrente di spicco anche
nel mondo della cultura popolare di intrattenimento. La dinamicità del
cinema della Cina popolare è testimoniata anche dal fiorire dei generi
e sottogeneri: il festival ha presentato il primo “horror” cinese, nonché
melodrammi storici, commedie e film d’autore. Per quanto riguarda il
primo genere (Suffucation/Zhixi, Zhang Bingjian, 2005), si tratta d’una
pellicola illuminata – ancora una volta – dalla imprescindibile presenza
di Ge You; il suo personaggio è un fotografo che ha ucciso la moglie ed
è tormentato dal fantasma di lei; si tratta, in realtà, della sua coscienza che lo tormenta con un atroce senso di colpa. Lo stile fiammeggian65
Rapporti
te, fatto di montaggio rapido e ritmico, colori saturi e immagini deformate, giochi di rumori e suoni veicola un profondo malessere e descrive l’inesorabile discesa nella follia del protagonista, sulla falsariga di
classici come Repulsion (Polanski, 1965) oppure Spider (Cronenberg,
2002). Con il ripescaggio di teorie freudiane – invero, all’occhio occidentale, abusate – un tempo espulse dal panorama dell’ermeneutica
cinese in quanto sintomo di decadenza borghese, il regista (che ha
studiato con tutta evidenza negli Stati Uniti ove ha appreso le più
moderne tecniche alla MTV) riesce a ovviare al divieto che ancora vige
in Cina di rappresentare storie di fantasmi, in quanto “superstiziose”: i
fantasmi altro non sono che proiezioni dell’inconscio. La scomparsa
dei fantasmi nella recente produzione hongkonghese deriva dallo stesso motivo: il divieto cinese di mostrare il soprannaturale, e la necessità
da parte dei registi hongkonghesi di entrare nel mercato della
madrepatria; è interessante notare gli abili stratagemmi grazie ai quali
si aggira la censura, ed infine anche come quest’ultima si stia rilassando e chiuda gli occhi di fronte all’imperativo commerciale. Il melodramma è stato rappresentato da due pellicole dirette da registe: White
Gardenia (Bai zhizi, Jiang Lifen, 2005) e Letter From an Unknown Woman
(Yi ge mosheng de nuren lai xin, Xu Jinglei, 2004). Il secondo è interessante esempio di dialogo culturale, e dimostra come le teorie psicanalitiche, più o meno direttamente, entrino nella cultura popolare: il film
della celeberrima attrice Xu Jinglei infatti è una trasposizione nella
Cina degli anni ‘30 di una novella di Stephen Zweig, impregnata di
decadente atmosfera viennese. Una donna, interpretata dalla stessa
Xu, in punto di morte scrive una lettera all’uomo (un sornione Jiang
Wen) di cui è sempre stata innamorata, che le ha pure dato un figlio,
ma che, dongiovanni impenitente, non si ricorda nemmeno del volto di
lei. Il film, esteticamente impeccabile, fonde la struttura psicoanalitica,
che mette in scena lapsus e dimenticanze, vuoti di memoria e compulsioni
a ripetere, ad una estetica strettamennte locale, che ricostruisce la
mitica epoca repubblicana con ampie citazioni della cinematografia
del periodo – più volte il trucco e i costumi di Xu ricordano la diva Ruan
Lingyu. La presenza di una vasta paletta di generi favorisce anche le
sperimentazioni più “autoriali”, di cui il festival mostra i due aspetti più
rilevanti: il film indipendente girato con pochi mezzi che fotografa
idiosincrasie della Cina urbana contemporanea (The Last Level/Shang
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Rapporti
dian, Wang Jing) e la saga familiare nella Cina rurale (Peackcock/
Kongque, 2005), che ha ottenuto il premio del pubblico. Quest’ultimo,
premiato a Berlino, segna il debutto alla regia di Gu Changwei, storico
direttore della fotografia di classici quali Sorgo rosso (Hong gaoliang,
Zhang Yimou, 1987) e Addio mia concubina (Bawang bieji, Chen Kaige,
1993). Peakcock, con uno stile fatto di ellissi temporali, lunghi piani
sequenza, immagini poetiche e allegoriche, racconta la storia di tre
fratelli alla fine degli anni ‘70. Gu descrive, con sguardo apparentemente freddo, la crudeltà dei rapporti umani, l’oppressione della famiglia, il rinnovarsi quasi autonomo di un sistema repressivo, tanto sociale quanto psicologico. Bisogna infine ricordare l’importante mattinata
dedicata ai classici ritrovati del cinema cinese: Marco Müller presenta,
dal suo archivio personale, due film supercensurati e di conseguenza
quasi invisibili, entrati nondimeno nella storia del cinema cinese: il
primo film della quinta generazione (Uno e otto/Yi ge he ba ge, Zhang
Junzhao, 1983) e l’unico film girato da Wang Shuo, altrimenti noto
come romanziere e sceneggiatore (Padre/Baba, 2000). Per quanto riguarda Hong Kong, si è già segnalato il livellarsi di alcuni dei suoi
caratteri precipui, su tutti la massiccia iniezione di elementi sovrannaturali e la mescolanza caotica dei generi. In parte per questioni legate
alla necessità di ottenere una distribuzione anche in Cina popolare, e
in parte per più complessi movimenti artistici di ibridazione culturale
che portano le cinematografie (ivi comprese quella giapponese e
sudcoreana) ad assomigliarsi sempre più per competere con Hollywood
sul suo stesso terreno, anche la un tempo sovversiva e vulcanica produzione hongkonghese addolcisce i toni e uniforma il linguaggio per
favorire una comprensione globale. Ciò non toglie che, tra le pellicole
presentate a Udine, non mancassero opere di rilievo. Segnaliamo qui
innanzi tutto due commedie del giovane e promettente Pang Ho-cheung:
AV (id., 2005) e Beyond Our Ken (Gongzhu fuchou ji, 2004). La prima
racconta la storia di un gruppo di sfaccendati giovanotti che chiamano
ad Hong Kong una giovanissima attrice di porno (Adult Video) giapponese, fingendo di essere importanti produttori. Nonostante il tema leggero il film è innervato da una leggera malinconia, sottolineata dai
frequenti rimandi alla storia dell’isola, e ai confronti con la gioventù
ribelle e engagé degli anni ‘70, paragonata a quella contemporanea
priva di valori, il cui unico ideale è realizzare una fantasia erotica
67
Rapporti
adolescenziale. Beyond Our Ken è interessante, al di là di una trama
ben oliata sulla gelosia, poiché contrappone due attrici, Gillian Cheung
e Tao Hong. La prima, hongkonghese, parla in cantonese; la seconda,
cinese, parla in mandarino: lo scambio di maestranze, registi e volti
non avviene solo nell’ambito del cinema della Cina popolare ma anche
nell’ex-colonia britannica. Il protagonista maschile di Beyond Our Ken,
Daniel Wu, è protagonista anche della pellicola honkonghese più interessante del festival: One Nite in Mongkok (Wangjiao heiye, Derek Yee,
2004). Tesissimo racconto morale, si svolge tutto in una notte nella
zona più popolosa del mondo e descrive un intreccio di destini – poliziotti, assassini potenziali e innocenti, prostitute da redimere – con
precisa cronometria di tempi e dialoghi, suspense ottenuta grazie a
silenzi e sguardi, ed infine scoppi di violenza improvvisi e impressionanti proprio perché inscritti in un contesto estremamente realista.
68
Rapporti
Cina, pittura contemporanea 1
VALENTINA CASACCHIA
L
a mostra, organizzata dalla Fondazione Carisbo, curata da Vittoria Coen e ospitata nelle due importanti sedi di San Giorgio in
Poggiale e Palazzo Saraceni di Bologna fino allo scorso 6 marzo, è
giunta ora nel Palazzo Monte di Pietà di Padova, dove resterà fino al
25 maggio 2005.
Le circa quaranta opere presentate raccolgono diciassette artisti compresi fra i trenta e quaranta anni, maggiori esponenti di quella tendenza chiamata “pittura fotografica cinese”. Tale tendenza si esprime
attraverso un apparente “realismo descrittivo”, dato da una minuziosa
riconoscibilità del soggetto rappresentato con la realtà e un taglio
fotografico da reportage. “Dipingo come si scatta una foto” dichiara
Xie Wanxing nei suoi paesaggi urbani sfocati e scarni.
Ma la “pittura fotografica cinese” non è che un atteggiamento di fondo sul quale si costruiscono questioni profonde.
Nella prima grande esposizione storica, China Avant Garde, inauguratasi nel febbraio del 1989 al Museo di Belle Arti di Pechino, facevano la
loro comparsa due linee di ricerca dominanti: il “Realisme cynique”2 e
la “pop politique”3. Entrambe dirigevano la loro protesta contro il realismo socialista dell’arte di regime, desumendone le forme per poi
distorcerle e sbeffeggiarle tramite nonsense e decontestualizzazioni4.
Queste tendenze si sono poi arricchite di nuovi aspetti, come il “vulgairekitsch”5, in altre parole il trattamento di immagini porno-erotiche tratte dai mass-media enfatizzandone l’aspetto patinato, o il citazionismo,
la rivisitazione, a volte esplicita, di certe invenzioni dell’arte contemporanea, soprattutto occidentale.
Lo sperimentalismo di cui è ora protagonista l’arte contemporanea
cinese si muove su due fronti. Uno trova spazio nelle accademie stesse,
dove l’istituzione di corsi sugli attuali mezzi artistici, dal video al digitale, ha in qualche modo inserito gli artisti nel dibattito culturale del
concettuale: la tendenza che considera l’arte come idea, come lin69
Rapporti
guaggio, come definizione dell’arte, come conoscenza attraverso il pensiero anziché attraverso l’immagine. L’altro si muove invece al di fuori
delle accademie, nelle ex-fabbriche riconvertite a spazi espositivi, nei
neonati quartieri degli artisti, e fa oggetto della propria ricerca il mondo ai margini, il disagio esistenziale, il ruolo della contemporaneità su
quello dell’artista.
Ciò che qui, nelle opere esposte appare, è soprattutto la trama di tutte
queste relazioni, un miscuglio di generi e atteggiamenti.
“Realizzo corrispondenze tra la realtà delle immagini e quella sperimentata personalmente”6: Fu Hong lavora sulla documentazione,
sull’archiviazione d’immagini per creare una sorta di database della
fantasia.
Wang Xingwei lavora appunto sui riferimenti espliciti, citando, non
senza ironia, Courbet, Hopper, e Fischl, rispettivamente in Untitled
(2003), in The Night of Shangai (2004) e in The Decadence and Emptiness
of Capitalism 2 (2000).
“Sono molto interessato a ciò che è astratto”. Gli individui di Zeng
Fanzhi sono immobilizzati tra due emisferi dell’azione: il volontario e
l’involontario. Ricordano gli Attendants di Bacon, disperati e muti, fermi immobili nell’esatto istante dell’insensatezza. Yang Qian è invece
interessata all’erotismo nascosto nel gesto quotidiano. Le sue donne si
svelano a frammenti di corpo, nella nebbia del vapore che le avvolge
nel bagno. Ed è nel diradarsi improvviso di quella nebbia fitta, quando
si scopre un lembo di nudità, che l’osservatore, voyeur esclusivo, ha un
sussulto.
Le figure di Wu Yiming, sagome spettrali, dal volto bianco senza tratti, si
muovono in un’atmosfera surreale. Hanno la freschezza del tratto degli
antichi scrolls cinesi, e un fare inquietante che ricorda i volti di Munch.
Sul fronte della provocazione c’è Zhou Thiehai che ripropone, dipinti a
spray, i capolavori dell’arte rinascimentale, da Leda e il cigno di Correggio,
alla Dama dell’ermellino di Leonardo coronati dal volto di Joe Camel,
cammellino antropomorfo, protagonista della campagna pubblicitaria
della Camel; e Shi Xinning nelle cui opere Mao Zedong è ritratto in
cinquanta anni di storia occidentale, da Yalta al funerale di Che Guevara;
accanto alla coppia Mastroianni-Ekberg della Dolce Vita di Fellini; di
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Rapporti
fronte all’Orinatoio di Duchamp. O ancora i volti cyborg-copertina delle
bellissime donne di Feng Zhengjie e i fluttuanti preservativi sopra un
fondo ricoperto di figurine kamasutra, di Zhang Xiaotao.
Di matrice quasi informale, per il trattamento della pittura, i quadri di
Li Songsong. A differenza del descrittivismo dominante negli altri, azzarda la percezione di una sensualità del mezzo, di un contatto voluto
con la materia.
Un ultimo elemento individuabile in queste opere è quello del perturbante, la categoria freudiana del senso di spaesamento e disagio
proveniente dal contatto, anche solo visivo, con quanto normalmente si è abituati a vedere; contatto che squarcia improvvisamente
un’abitudine costituita e insinua il sospetto che qualcosa non sia
effettivamente come appare. Il perturbante prorompe nei ritratti grotteschi di Ma Liuming, dove l’artista si ritrae col volto adulto sul
corpo di bambina o nei personaggi ambigui di Zhang Xiao Gang,
dove i volti o le mani che scrivono un messaggio sono invasi da
piccole macchie come nelle Memorie di Magritte. Le macchie che
solcano il presente sono la dolorosa ombra del passato, il ricordo
delle sofferenze del regime.
La necessità dell’opera d’arte di sfuggire alla propria organicità, al
proprio status di organismo interpretabile, la necessità di aprire i propri confini a infinite relazioni per disperdersi nei contesti, annientando
la possibilità di ritrovare una primigenia identità e ammettendo come
effettivo solo lo spostamento da un senso all’altro di qualsivoglia campo semantico, è da diverso tempo l’avventura dell’arte contemporanea. Rilke diceva che “le opere d’arte sono sempre il prodotto di un
rischio in corso”. Ora, la rottura con la tradizione e l’impatto con le
innumerevoli suggestioni del mondo occidentale, seppure riconoscibili,
non sono che ipotesi di lettura. Rimangono l’importanza del rischio in
atto, del confronto, del fermento della creazione che fanno di un gesto, qualunque esso sia, un’opera d’arte.
Il panorama offerto da questa mostra, curata da Vittoria Coen, costituisce un importante approfondimento nei confronti del vivo interesse
per l’arte contemporanea cinese, per poterne godere al di là di ogni
interpretazione.
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Rapporti
1) Cina, Pittura Contemporanea, a cura di Vittoria Coen. Catalogo a cura di Lorenzo
Sassola de Bianchi, ediz. Damiani con testi di Lorenzo Sassola de Bianchi, Vittoria
Coen, Eleonora Battiston, Shu Yuang.
2) Pia Camilla Copper, “Le chat e le souris: l’art contemporain en Rpc”, Monde
Chinois, n. 2, Eté- Automne 2004, p. 72.
3) Ibid.
4) Intendo qui la rappresentazione di immagini consuetamente relative ad un determinato ambito, che per provocazione viene riferita ad un ambito opposto. Cfr.
Andy Wahrol, Campbell’s Soup Can.
5) P.C. Copper, op.cit.
6) Le frasi citate si riferiscono alle didascalie della mostra di Bologna, dove comparivano alcuni pensieri degli artisti.
72
Rapporti
Cattura l’ombra
PATRIZIA BONANZINGA
È
innegabile che dal 1998, quando si è aperta a New York la
mostra Inside Out: New Chinese Art1, gli artisti cinesi hanno avuto
grande spazio sulle testate dei giornali internazionali e all’interno
di numerose mostre che sono state proposte ovunque nel mondo occidentale.
Questa prima ed importante mostra internazionale, curata da Gao
Minglu2, celebrità nell’ambito del movimento dell’avanguardia cinese,
era stata organizzata con l’intento di esplorare l’impatto degli enormi
cambiamenti economici, sociali e culturali, apparsi in ogni provincia
della Cina a partire dall’inizio degli anni ’90, sulla produzione artistica
contemporanea. Inutile dire che quella frenesia di cambiamento, che
ha investito tutti gli strati sociali cinesi, ha causato una incredibile
esplosione di creatività tanto tra gli artisti della Repubblica Popolare, di
Hong Kong e di Taiwan, quanto tra quelli emigrati in occidente già
dalla fine degli anni ’80.
D’altra parte l’apertura e la disponibilità del mondo occidentale a
capire l’arte contemporanea cinese, e a crearne un mercato, ha rappresentato senza dubbio per gli artisti cinesi uno stimolo a nuove ed
incessanti produzioni.
Dalla metà degli anni ’90, e dal ’98, cioè in soli sette anni da quella
prima ed importante mostra, si sono visti progredire a velocità sostenuta autori già affermati e si continua, esterrefatti, ad osservare il germogliare di nuove firme.
In questo dinamico mondo di produzione artistica, ci accorgiamo che il
mezzo prediletto dagli autori contemporanei cinesi per esprimere la
propria arte è la macchina fotografica, tendenza questa assai diffusa
anche in altre parti del mondo, ma l’esperienza cinese è ancora una
volta molto interessante: durante i primi trent’anni di Repubblica Popolare, la fotografia era ridotta a puro strumento di propaganda, e solo
alla fine degli anni ’80 comincia ad essere utilizzata come un importante strumento espressivo diventando immediatamente molto attraente per un vasto pubblico. In seguito, nella seconda metà degli anni ’90,
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Rapporti
la fotografia cinese entra in una nuova fase strettamente legata al
movimento artistico dell’avanguardia cinese. Da allora, la fotografia è
riconosciuta da critici ed esperti, come “fotografia sperimentale” shiyan
sheying. In effetti, ciò che osserviamo sono spesso lavori ambiziosi che
posseggono una natura tipicamente sperimentale. Probabilmente, ciò
può essere interpretato come il risultato di una serie di risposte, per lo
più individuali, che i singoli autori hanno trovato per sostenere quei
cambiamenti sociali così radicali e repentini.
L’attenzione del mondo occidentale per questo nuovo fenomeno si è
concretizzata con Between Past and Future: New Photography and video
from China3, la prima grande mostra, un totale di 130 lavori di 60
artisti cinesi, alcuni dei quali per la prima volta esibiti negli Stati Uniti,
che ha raggruppato autori significativi, impegnati già a partire dalla
seconda metà degli anni ’90, e fornito una visione piuttosto completa
della produzione di fotografia e video degli autori cinesi.
Anche Roma è interessata alle nuove tendenze e, dopo l’edizione del
2003 che ha visto la mostra collettiva di fotografi cinesi dal titolo Collettività Cinesi, la quarta edizione del festival internazionale FotoGrafia,
che si è svolto tra maggio e giugno 2005, ha proposto una collettiva di
fotografi cinesi dal titolo Cattura l’Ombra. Del resto Marco Delogu,
direttore artistico del festival, per questa quarta edizione ha scelto
come titolo Orient-ed. Uno sguardo ad oriente, con la ed finale in
corsivo per sottolineare la volontà di un festival sempre più “orientato”
e dunque implicato a comprendere i grandi temi dell’uomo contemporaneo.
Cattura l’Ombra è stata curata da Filippo Salviati, della Facoltà di Studi
Orientali di Roma “La Sapienza”, che ha raccolto 11 autori cercando
nel ritratto, elemento espressivo storicamente presente nella cultura
cinese, il comune denominatore tra le produzioni dei vari artisti.
Scatti dal sapore antropologico, come quelli di Jin Yongquan che presenta un estratto del suo lavoro sulla minoranza Nuo del villaggio di
Shiyou al confine tra le province dello Jiangxi e del Fujian; o come
quelli di Li Lang che indaga la minoranza Yi a nord della provincia
dello Yunnan; o ancora come quelli di Jiang Jian che si sofferma sui
contadini Han evidenziando i simboli della loro cultura (ritratti di Mao
sbiaditi dal tempo, scritte augurali tradizionali fanno da cornice ai
nuovi idoli della televisione), sono affiancati ai “nuovi soggetti” della
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Rapporti
società cinese, come i cinesi di Zheng Nong colti nell’esercizio di turismo interno, i freaks di Han Lei o i transessuali di Jia Yuquan.
Ma lo spirito sperimentale che anima gli autori cinesi è da ricercare
soprattutto nei lavori di Liu Yiwei, fotografo assai noto al mondo occidentale, che usando un formato tipico della tradizione cinese, quello
dello scroll montato in orizzontale, ci racconta la vita contemporanea
dei cinesi consumata tra centri commerciali e luoghi di spettacoli musicali, oppure nel lavoro di Wang Ningde che espone, con tonalità quasi
pittoriche, ritratti di personaggi addormentati, immersi nell’oblio. Enigmatica anche l’ultima serie di Weng Fen, per la prima volta esposta in
Europa, che reiterando con sistematicità formale il tema a lui caro di
personaggi solitari affacciati sulla nuova realtà, questa volta propone
gruppi di persone fotografate di spalle che osservano orizzonti lontani
e ben definiti. Paesaggi urbani fanno da sfondo anche alle fotografie
di Aniu che ritrae gruppi di persone che sembrano passare il loro tempo libero inconsapevoli di ciò che sta accadendo intorno a loro.
Il lavoro di Shi Guorui si differenzia dagli altri anche per la tecnica
usata nella sua ricerca sulla luce: una tecnica molto antica che si basa
su un principio ottico della “camera obscura” e che l’autore adatta a
grandi strutture. Già famosa è la fotografia, ottenuta dopo ore di
esposizione, che riuscì a creare trasformando una delle torri della Grande Muraglia in un ambiente tale da permettere l’uso di tale tecnica.
Infine, merita forse una particolare attenzione il lavoro di Chen Nong,
un autore che da poco usa la fotografia come espressione artistica. La
serie proposta è composta da scatti bianconero acquerellati dove tradizione ed innovazione trovano un giusto equilibrio sostenuto da una
cornice composta da vera calligrafia tutta manuale. Il risultato è un
insieme di immagini quasi surreali dove l’onirico e la realtà si confondono creando una narrazione estetica in cui l’individuo si trasforma in
figura divina.
A cura di Mary Angela Schroth, il festival di Roma ha, infine, proposto
un’altra interessante mostra di due giovani autori cinesi Shao Yinong &
Mu Chen, una coppia che vive a Pechino e che ha presentato The
Assembly Hall: un lavoro che mette in moto meccanismi che fanno leva
sulla sfera della memoria e della documentazione. Le sale delle assemblee erano dei luoghi di riunione nei quali, specialmente durante il
periodo della Rivoluzione Culturale, si svolgevano incontri anche pieni
75
Rapporti
di passione, zelo, responsabilità. Ci possiamo immaginare quanti sentimenti di dolore e di gioia si siano animati in quelle sale quanto rumore abbiano contenuto. Oggi restano delle strutture abbandonate, degli
scheletri silenti. Gli autori hanno viaggiato a lungo in svariate province
della Cina per poter ritrovare questi luoghi e poterli fotografare con
colori accesi dandone una visione piena di dignità. Questa serie è stata
esposta alla biennale di Shanghai del 2004.
1) Inside Out: New Chinese Art prima ed importante mostra internazionale di arte
contemporanea aperta all’Asia Society di New York City nel gennaio del 1998
(www.asiasociety.org). Un vasto numero di opere di artisti della Repubblica Popolare Cinese, di Taiwan, di Hong Kong e di artisti emigrati all’estero già da una
decina di anni, sono state selezionate con la collaborazione del San Francisco
Museum of Modern Art, dove la mostra è stata esposta l’anno successivo.
2) Gao Minglu ha curato anche il catalogo della mostra: Inside Out: New Chinese
Art, 1998, 224 pp.
3) Between Past and Future: New Photography and video from China è stata organizzata, in collaborazione con l’Asia Society, all’International Center of Photography
(ICP) di New York tra giugno e settembre 2004. La mostra è stata curata da Wu
Hung, professore di storia dell’arte cinese all’università di Chicago, dallo Smart
Museum e da Chisptopher Phillips, curatore del ICP.
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