Mare
monstrum 2002
I NUMERI E LE STORIE
DELL’ASSALTO ALLE COSTE
Roma, 27 giugno 2002
IL "CHI E'" DI LEGAMBIENTE
LEGAMBIENTE è l'associazione ambientalista italiana con la diffusione più capillare sul territorio
(1000 gruppi locali, 20 comitati regionali, 110000 tra soci e sostenitori). Nata nel 1980 sull’onda
delle prime mobilitazioni antinucleari, LEGAMBIENTE è un'associazione apartitica, aperta ai
cittadini di tutte le idee politiche, religiose, morali, che si finanzia con i contributi volontari dei soci
e dei sostenitori delle campagne. E' riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente come associazione
d'interesse ambientale, fa parte del "Bureau Européen de l'Environnement", l'unione delle principali
associazioni ambientaliste europee, e della “International Union for Conservation of Nature”.
Campagne e iniziative
Tra le iniziative più popolari di LEGAMBIENTE vi sono grandi campagne di informazione e
sensibilizzazione sui problemi dell’inquinamento: "Goletta Verde", il “Treno Verde”, l'"Operazione
Fiumi", che ogni anno "fotografano" lo stato di salute del mare italiano, la qualità dell'aria e la
rumorosità nelle città, le condizioni d'inquinamento e cementificazione dei fiumi; "Salvalarte",
campagna di analisi e informazione sullo stato di conservazione dei beni culturali; “Mal’Aria”, la
campagna delle lenzuola antismog stese dai cittadini alle finestre e ai balconi per misurare i veleni
presenti nell’aria ed esprimere la rivolta del “popolo inquinato”.
LEGAMBIENTE promuove anche grandi appuntamenti di volontariato ambientale e di gioco che
coinvolgono ogni anno centinaia di migliaia di persone (“Clean-up the World/Puliamo il Mondo”
l’ultima domenica di settembre, l’operazione “Spiagge Pulite” l’ultima Domenica di maggio, i
campi estivi di studio e recupero ambientale, “Caccia ai tesori d’Italia” all’inizio della primavera),
ed è fortemente impegnata per diffondere l'educazione ambientale nelle scuole e nella società (sono
migliaia le Classi per l'Ambiente che aderiscono all'associazione e molte centinaia gli insegnanti
che collaborano attivamente in programmi didattici, educativi e formativi).
Per una globalizzazione democratica
LEGAMBIENTE si batte contro l’attuale modello di globalizzazione, per una globalizzazione
democratica che dia voce e spazio alle ragioni dei poveri del mondo e che non sacrifichi le identità
culturali e territoriali: rientrano in questo impegno le campagne “Clima e Povertà”, per denunciare e
contribuire a combattere l’intreccio tra problemi ambientali e sociali, e “Piccola Grande Italia”, per
valorizzare il grande patrimonio di “saperi e sapori” custodito nei piccoli comuni italiani.
L’azione sui temi dell’economia e della legalità
Da alcuni anni LEGAMBIENTE dedica particolare attenzione ai temi della riconversione ecologica
dell’economia e della lotta all’illegalità: sono state presentate proposte per rinnovare profondamente
la politica economica e puntare per la creazione di nuovi posti di lavoro e la modernizzazione del
sistema produttivo su interventi diretti a migliorare la qualità ambientale del Paese nei campi della
manutenzione urbana e territoriale, della mobilità, del risanamento idrogeologico, della gestione dei
rifiuti; è stato creato un osservatorio su “ambiente e legalità” che ha consentito di alzare il velo sul
fenomeno delle “ecomafie”, branca recente della criminalità organizzata che lucra migliaia di
miliardi sullo smaltimento illegale dei rifiuti e sull'abusivismo edilizio.
Gli strumenti
Strumenti fondamentali dell'azione di LEGAMBIENTE sono il Comitato Scientifico, composto di
oltre duecento scienziati e tecnici tra i più qualificati nelle discipline ambientali; i Centri di Azione
Giuridica, a disposizione dei cittadini per promuovere iniziative giudiziarie di difesa e tutela
dell'ambiente e della salute; l'Istituto di Ricerche Ambiente Italia, impegnato nel settore della
ricerca applicata alla concreta risoluzione delle emergenze ambientali. LEGAMBIENTE pubblica
ogni anno "Ambiente Italia", rapporto sullo stato di salute ambientale del nostro Paese, e invia a
tutti i suoi soci il mensile “La Nuova Ecologia”, “voce” storica dell’ambientalismo italiano.
MARE MONSTRUM 2002
INDICE
1. Premessa
1
2. La sporca dozzina: le bandiere nere 2002 di Legambiente ai "pirati" del mare e delle coste
8
3. I numeri del mare illegale
12
4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti”
16
5. Cemento in spiaggia
18
6. L’ultima spiaggia
61
7. Fronte del porto
66
8. L’erosione della costa
85
9. La pesca “miracolosa”
105
10. Il mare inquinato
132
11. L’onda nera
155
12. 20.000 bombe in fondo al mar
166
Il dossier “Mare monstrum 2002” è stato realizzato dall’Ufficio Ambiente e Legalità, dall’Ufficio
Aree Protette e Territorio, dall’Ufficio Campagne, dall’Ufficio Scientifico e dall’Ufficio Stampa di
Legambiente Nazionale.
Hanno collaborato: Pio Acito, Simone Andreotti, Francesca Biffi, Riccardo Biz, Michele
Buonomo, Adolfo Cavallo, Stefano Ciafani, Nunzio Cirino Groccia, Leo Corvace, Milena
Dominici, Luca Fazzalari, Lucia Fazzo, Domenico Fontana, Enrico Fontana, Salvatore e Tiziano
Granata, Lidia Liotta, Angela Lobefaro, Angelo Mancone, Maurizio Manna, Umberto Mazzantini,
Giuseppe Mele, Giuseppe Messina, Rossella Muroni, Luzio Nelli, Antonio Nicoletti, Carla
Quaranta, Luca Ramacci, Luigi Rambelli, Peppe Ruggiero, Stefano Sarti, Sandro Scollato,
Tommaso Tedesco, Vincenzo Tiana, Sebastiano Venneri, Lucia Venturi.
Si ringraziano per i contributi forniti: il Comando generale delle Capitanerie di Porto, il
Comando generale dell’Arma dei Carabinieri, il Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente,
il Comando generale della Guardia di Finanza, il Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni
Sardegna e Sicilia, che hanno fornito i dati statistici relativi alle attività di controllo in materia di
tutela ambientale;
Maria Cristina Gambi e Maria Cristina Buia della Stazione zoologica “Anton Dohrn” Laboratorio di
ecologia del benthos, Ischia;
la Prof.ssa Teresa Crespellani dell’Università di Firenze;
Fias di Lecce e Lega Pesca;
Ezio Amato, ricercatore Icram; Roberto Giangreco, Legambiente Sub; Enzo Incontro, Legambiente
Sub; Alberico Simioli, direttore dell’Area Protetta di Punta Campanella; Alberto Vignali,
giornalista de La Nazione de La Spezia; Andrea Costantini, Fias Gallipoli; Dante Matelli, de
L’Espresso; Giancarlo Bussetti; Giulietta Rak; Chiara Della Mea, Franco Mancusi de Il Mattino;
Giuseppe Contini e Giuseppe Fanelli;
Il paragrafo Onda nera è tratto dal dossier “I traffici marittimi petroliferi - Regole, strumenti,
soluzioni - Riflessioni a dieci anni dall’incidente Haven”, realizzato da Legambiente e WWF.
Ecomostro (comp. di eco- (1) e mostro (2), 1999) s.m.
Costruzione che suscita repulsione sul piano estetico
e dal punto di vista ambientale
(lo Zingarelli 2002 Vocabolario della lingua italiana)
Legambiente - Mare monstrum 2002
1. Premessa
La “pianificazione urbanistica contrattata”, ovvero come ridisegnare il
territorio, il profilo delle nostre coste, secondo le proprie volontà e i propri
desideri. Contrattando, appunto, con le amministrazioni locali deroghe,
soppressioni di vincoli, aumento di cubature e quant’altro. E’ questo, in sintesi,
il sogno di ogni speculatore immobiliare. Ed è proprio quello che si sta
materializzando in tante parti del nostro Paese, soprattutto lungo le coste, i
territori più pregiati della nostra penisola. Basti pensare a quanto sta accadendo
nei 150 chilometri di litorale delle province di Taranto e Matera. Si tratta di
una delle più cospicue trasformazioni di un territorio costiero che sia mai
avvenuta in Italia, più consistente della Costa Smeralda, paragonabile piuttosto
alla realizzazione dei grossi insediamenti costieri nell’Alto Adriatico. Decine di
migliaia di nuovi posti letto, centinaia e centinaia di posti barca in porti turistici
nuovi di zecca, e poi discoteche, centri per la talassoterapia, ipermercati, campi
da golf (immancabili!) ed altro ancora. Il tutto spalmato su una stretta fascia di
costa omogenea che un tempo era una zona umida fra le più importanti del
nostro Paese e ora è una striscia di sabbia e dune, protetta da una pineta e da
vincoli comunitari che si stanno rivelando velleitari almeno quanto la nostra
legge Galasso.
Ai pirati del golfo di Taranto è andata, non a caso, una delle dodici
bandiere nere assegnate nel dossier Mare Monstrum di Legambiente. La
nomination forse è un po’ generica, ma in questo caso era difficile stabilire
delle priorità o gradi diversi di responsabilità fra gruppi imprenditoriali,
amministratori locali, organi di controllo e quanti altri stanno contribuendo a
cambiare i connotati ad uno dei tratti di costa più significativi del nostro Paese.
A partecipare a questa discutibile impresa urbanistica nella culla della
Magna Grecia sono i principali gruppi imprenditoriali del settore. Sono loro
che stanno ridisegnando l’intero golfo di Taranto costruendo una vera e propria
città lineare che vivrà per qualche settimana all’anno, ospitando centinaia di
migliaia di persone, per poi chiudere i battenti a ogni fine di stagione. Due
accordi di programma siglati con il Ministero del Tesoro per centinaia di
miliardi pubblici sono stati destinati a cofinanziare lo scempio. I sigilli della
magistratura, intanto, hanno già chiuso i cantieri dell’intervento più
significativo perché, neanche a dirlo, le norme in materia di sicurezza del
lavoro non erano rispettate per nulla. Operai in fuga all’arrivo dei Carabinieri,
subappalto utilizzato come norma, in una provincia in cui quasi la metà degli
operai impiegati nell’edilizia lavorano in nero. Tornano, insomma, le
caratteristiche di un fenomeno che poco ha da spartire con i toni pretenziosi e
manageriali di quanti a parole reclamano la necessità di interventi di questa
natura per dare sviluppo a queste regioni, ma nella realtà ne saccheggiano il
territorio, comprano manodopera poco qualificata a buon mercato pagandola
con i soldi pubblici e magari non riescono neppure a portare a compimento
l’intervento.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
E’ l’imprenditoria “arruffona” che avevamo già evidenziato nel dossier
dello scorso anno, capitanata da personaggi come Mario Bertelli, titolare della
società bresciana che ha realizzato il Bagaglino a Stintino (un intervento su uno
dei tratti più belli della costa sarda per il quale il sig. Bertelli, insignito della
“bandiera nera” di Legambiente proprio lo scorso anno, qualche settimana fa è
stato arrestato). O come quella che su uno dei più bei promontori del Salento,
nel Comune di Santa Cesarea, ha preteso di realizzare ben due piscine, un
intervento, anche questo segnalato da Legambiente lo scorso anno con una
bandiera nera, che se non fosse diventato oggetto d’interesse per la locale
Procura (sette avvisi di garanzia per reati urbanistici), sarebbe sicuramente
stato al centro delle attenzioni di qualche psicopatologo. Costruire piscine a
pochi metri da uno dei mari più belli e più puliti del Mediterraneo fa il paio con
quanti, solo nelle barzellette, pretendono di costruire congelatori al Polo Nord.
O magari posti barca in un’area sperduta dell’Abruzzo, alla foce di un fiume, a
chilometri di distanza dal primo centro abitato. E’ successo anche questo, a
Fossacesia, bandiera nera nel 2000, tanto che l’Unione Europea, sollecitata dal
ricorso delle associazioni ambientaliste, ha aperto un procedimento contro la
Regione Abruzzo. Nel frattempo il porticciolo è stato portato a termine, e i 400
posti barca sono ancora lì, belli e invenduti.
Valutazioni sbagliate, conti approssimativi, decisioni discutibili
sembrano caratterizzare le scelte di un’imprenditoria scellerata che vuole
devastare le parti più pregiate del nostro Paese. A cominciare dalla Sardegna,
dove gli angoli più pittoreschi saranno oggetto di contrattazione fra privati
facoltosi e amministratori locali se passerà la norma messa a punto
dall’assessore all’Urbanistica e sponsorizzata fortemente dal Presidente della
Regione, già pupillo del Presidente Berlusconi. Una norma in base alla quale
gli accordi per la realizzazione di interventi urbanistici significativi potranno
andare in deroga alla legge vigente. Siamo in presenza anche qui, insomma, di
una pianificazione fatta caso per caso, tratto di costa per tratto di costa, con
buona pace di quanti pensavano a norme vincolanti su tutto il territorio
nazionale o almeno regione per regione.
Sempre sulla Sardegna incombe la minaccia del Master Plan: quasi due
milioni di metri cubi rischiano di finire sulle coste più pregiate dell’isola e
diventare oggetto di contrattazione fra grossi gruppi privati da un lato e piccoli
sindaci dall’altro.
Se le coste della Sardegna piangono, quelle della Sicilia non ridono. Un
patrimonio inestimabile di spiagge e litorali è anche in questo caso al centro di
un attacco massiccio sferrato dai vertici della Regione, che dietro un disegno di
legge dal rassicurante titolo sul “riordino delle coste” nasconde in realtà
l’obiettivo di condonare gli abusi edilizi consumati sul demanio marittimo:
quindicimila costruzioni illegali che neppure i due precedenti condoni erano
mai riuscite a sanare.
Il tentativo di vendere il demanio marittimo che non è andato in porto
con il famoso articolo 71 della Finanziaria, cancellato dal Governo dopo le
proteste degli ambientalisti, rischia di riproporsi, insomma, regione per regione
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Legambiente - Mare monstrum 2002
grazie a provvedimenti che nei fatti si traducono in condoni o svendita dei tratti
di litorale ai privati.
Come se non bastassero le iniziative locali, a peggiorare la situazione
delle nostre coste contribuiscono anche i provvedimenti del governo centrale.
Ultimo in ordine d’arrivo quello del Ministro dell’Economia Tremonti che
prevede l’alienazione di parte del nostro patrimonio, ivi compresi alcuni
immobili sul demanio marittimo sorprendentemente sopravvissuti ai tentativi di
speculazione degli anni passati.
Ad aggravare ulteriormente una realtà così difficile contribuisce,
inoltre, il passaggio delle competenze in materia di gestione del demanio dalle
Regioni ai Comuni. Una norma che doveva servire a semplificare le procedure
in termini di affidamento delle concessioni rischia di tradursi in un pericoloso
strumento discrezionale nelle mani di amministratori e tecnici locali, ansiosi di
utilizzare, in molti casi, la nuova competenza per aumentare le cubature sulla
costa o cambiare la destinazione d’uso di qualche immobile. E’ quanto sta
accadendo sul tratto di costa adriatico del Salento, dove i piani di utilizzo della
costa messi a punto dai Comuni rischiano di dare il via ad un’altra indigestione
di cemento.
Dal sud al nord la musica non cambia: in Veneto l’area presa di mira è
quella di Caorle, un chilometro e mezzo di spiaggia rischia di scomparire a
favore di una nuova strada litoranea. Ancora più consistente il progetto messo a
punto dalla Regione Veneto nella zona lagunare cara ad Hemingway subito a
ridosso della cittadina costiera: qui si prevede di tirare su qualcosa come un
milione e mezzo di metri cubi di cemento, per un totale di 18.000 posti letto e
3.500 posti barca su 450 ettari supervincolati.
Appetiti speculativi anche sull’ultimo tratto di litorale romagnolo
scampato finora alla cementificazione. Le mani dei grandi gruppi immobiliari
sono arrivate fin sulle dune del ravennate e nell’area del Delta del Po.
Situazione analoga sul versante opposto a Sanremo, in Liguria, dove
due ecomostri nuovi di zecca hanno sostituito il vecchio panorama di cui si
poteva godere passeggiando sul lungomare.
Alla pressione del cemento “legale”, o che perlomeno così si presenta,
si sommano i fenomeni d’illegalità vera e propria, come emerge dai dati
raccolti dalle forze dell’ordine e riportati in questo dossier. Si tratta di numeri
in costante crescita che definiscono un trend in aumento del numero dei reati
consumati ai danni di mare e coste italiane. Sicilia, Puglia, Campania e
Calabria sono le quattro regioni che guidano la classifica delle illegalità che si
consumano sul mare; la Sicilia in particolare svetta in testa alle classifiche per
tutti i tipi di reati, che si parli di abusivismo edilizio o di pesca illegale, di reati
da inquinamento o contro il codice della navigazione.
Per completare il quadro del “mare monstrum” Legambiente ha
selezionato dodici casi esemplari di saccheggio del territorio: una “sporca
dozzina”, come è stata definita, di pirati della costa cui Legambiente ha
assegnato la bandiera con teschio e tibia incrociate. Tanti amministratori locali,
ma anche imprenditori grandi e piccoli, nomi noti e altri conosciuti solo
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Legambiente - Mare monstrum 2002
localmente, accomunati dalle iniziative ai danni della fascia costiera. Sono loro
i pirati del terzo millennio, quelli che partono all’arrembaggio saccheggiando il
futuro degli abitanti della fascia costiera. Contro questi nuovi pirati viaggerà la
campagna di Goletta Verde di quest’anno, per riconquistare alla legalità anche
questo pezzo di territorio, per restituire una possibilità di futuro ai suoi abitanti.
I numeri del mare illegale
Sono state 23.474 le infrazioni lungo la fascia costiera rilevate dalle
forze dell’ordine nel corso del 2001, 501 in più rispetto a quelle rilevate nel
2000. Nel merito di ciascuna tipologia di reato le violazioni al codice della
navigazione e alla normativa da diporto restano al primo posto fra i reati
consumati in questo territorio con 9.009 reati accertati (pari al 43,4% del
totale). A seguire nella classifica del demerito sono i reati contestati per pesca
di frodo (7.207) pari al 34,8% del totale e quelli per abusivismo edilizio sulle
aree demaniali costiere (3.898). A guidare incontrastata la classifica del mare
illegale la Sicilia, con 4.648 infrazioni accertate, seguita da Puglia (2.513),
Campania (2.442) e Calabria (1.992). L’ordine cambia se si considerano invece
i reati in rapporto ai chilometri di costa: in questo caso al primo posto sale il
Veneto con più di 8 reati per chilometro di costa, seguito dall’Emilia Romagna
(6,9 reati) e dalle Marche (6,36).
I frutti di mare della malavita organizzata
In Campania è la camorra. Ma anche in Veneto sono vere e proprie
organizzazioni criminali a tenere le fila della pesca illegale delle vongole e del
commercio dei frutti di mare. La spiegazione è abbastanza semplice: il giro
d’affari garantito da queste attività. Si spiegano così episodi clamorosi, dalla
vera e propria guerra che si combatte fra le forze dell’ordine e i cosiddetti
“caparozzolanti” nelle aree della laguna vietate alla pesca dei molluschi ai dati
della Guardia Costiera napoletana, secondo i quali a marzo 2002 su 10 controlli
effettuati solo uno è risultato in regola. E se il Procuratore Generale di Venezia
ha ritenuto, nella relazione in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, di
doversi soffermare diffusamente sull’illegalità che caratterizza il settore della
pesca delle vongole, a Napoli secondo una denuncia avanzata da numerosi
ristoratori la camorra impone i propri fornitori di frutti di mare ai ristoranti del
capoluogo. E’ comunque la costa campana a detenere i record in questo settore:
da quello delle denunce per violazione delle norme igienico sanitarie (12.000
procedimenti giudiziari nella sola provincia di Napoli) a quelle sugli
allevamenti abusivi (su duemila quintali di cozze sequestrate in Campania
1.500 vengono coltivate alla foce del Sarno, un fiume noto per l’alto livello
d’inquinamento.
Quest’anno inoltre si è andata affermando ulteriormente la pratica del
pesce all’acqua pazza, così come è stata battezzata nello scorso dossier Mare
Monstrum, ovvero l’abitudine tutta napoletana di rinfrescare pesce e frutti di
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Legambiente - Mare monstrum 2002
mare con acqua inquinata, invalidando la pratica della stabulazione. Per questa
ragione in sei mesi sono stati sequestrati e distrutti, sempre in provincia di
Napoli, oltre 45 quintali di frutti di mare.
Il governo va a pesca
Se questi sono risultati che possono essere archiviati come esempi
d’illegalità, non meno preoccupanti sono, per l’ambiente marino, i
provvedimenti messi in campo dal nostro Governo in materia di pesca. A
cominciare dalla famigerata circolare sul cianciolo: un regalo di Natale fatto
dal Ministero delle Politiche Agricole a poche imbarcazioni che, in virtù del
provvedimento, possono calare le proprie reti fin sulle praterie di Posidonia
distruggendo uno dei più importanti habitat di riproduzione delle specie
marine. Con la decisione di liberalizzare la pesca dei piccoli pelagici in
Adriatico, invece, è stata fatta piazza pulita dei timidi tentativi di gestione
comune della risorsa che si stavano tentando in quell’area.
Nel frattempo proprio quest’anno sono stati pubblicati i risultati di una
ricerca dell’Università di Siena che evidenziano le quantità considerevoli di
diossina e Pcb accumulate dai grandi pelagici, tonno e pesce spada in primo
luogo. I valori riscontrati sono allarmanti: si va dai 990 ai 2070 pg/kg p.f.
(picogrammi per chilogrammo di peso fresco) nei tonni ai 1470 e 1660 pg/kg
p.f. nei pesce spada, concludendo che è consigliabile un’assunzione settimanale
di questi prodotti che non superi i 500 g. a persona.
I nuovi “ecomostri”
I “pirati” del cemento selvaggio continuano l’assalto alle nostre coste.
Dall’abusivismo sulle aree demaniali marittime (monitorato dalle forze
dell’ordine e dalle Capitanerie di Porto) agli “ecomostri”.
Nel corso del 2001 la Sicilia è diventata la prima regione italiana per
reati relativi all’abusivismo sulle aree demaniali costiere. E non solo: i reati per
abusivismo edilizio sul demanio marittimo siciliano sono passati dai 480 del
2000 agli 857 del 2001, per un aumento percentuale di oltre il 78%.
Coincidenza o conseguenza dei proclami a favore del condono da parte del
Governatore siciliano? I dati storici sul fenomeno dell’abusivismo edilizio in
Italia fanno ovviamente propendere per la seconda ipotesi.
La classifica, per il secondo anno consecutivo, non si discosta affatto
per quanto riguarda il quadro emerso lo scorso anno. I primi quattro posti sono
ben presidiati: Sicilia, Calabria, Campania e Puglia primeggiano per numero di
infrazioni accertati sul demanio costiero. La Calabria scende al secondo posto
con 654 reati (più o meno gli stessi consumati nel 2000), mentre Campania
(557 reati) e Puglia (554) si confermano in terza e quarta posizione. Da
segnalare il passo in avanti compiuto dall’Emilia Romagna, che
dall’undicesimo posto del 2000 sale al quinto nel 2001, e quello all’indietro
delle Marche, che dalla settima posizione scendono all’undicesima.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Accanto ai tanti episodi di illegalità perpetrati da privati, ci sono i casi
più eclatanti, i simboli dell’aggressione selvaggia del cemento al nostro
patrimonio costiero: quelli che Legambiente definisce “ecomostri”. Anche
quest’anno abbiamo voluto evidenziare diverse storie esemplari di aggressione
alle coste del Belpaese: dall’abusivismo nella riserva di Capo Rizzuto a quello
nella Baia di Copanello, sempre in Calabria; dalle minacce speculative sul
Golfo di Taranto al “sacco del Salento”; dalla “saracinesca” di Punta Perotti
all’Hotel Castelsandra a Castellabate fino all’ecomostro “legalizzato” di
Pozzano a Castellammare di Stabia. Vere e proprie ferite sulle nostre coste
contro le quali la Goletta Verde di Legambiente lancerà, anche quest’anno, i
“Demolition day”, i blitz per fermare l’abusivismo e lo scempio sulle coste.
Non sono mancati, fortunatamente, segnali diversi. Come
l’abbattimento del Villaggio Sindona, sull’Isola di Lampedusa, o quello ancora
più recente degli scheletri di Montecorice, nel Parco Nazionale del Cilento e
Vallo di Diana. Ma tanti, troppi ecomostri da tempo attendono l’accensione dei
motori delle ruspe demolitrici.
Il diluvio dei porti
Continua il diluvio di porti turistici lungo la costa, incrementato dalla
semplificazione delle procedure autorizzative. Basti pensare che se in 50 anni
si erano realizzati appena 44 porti turistici, negli ultimi 5 anni ne sono stati
realizzati ben 36, altrettanti sono in fase di realizzazione e una quarantina
aspettano di concludere l’iter autorizzativo. Al termine i posti barca lungo la
nostra penisola aumenteranno di 30.000 unità. A questi si andrebbero ad
aggiungere tutte le altre infrastrutture progettate al di fuori di qualsiasi
pianificazione regionale, ad esempio la miriade di porticcioli previsti per gli
insediamenti progettati sulla costa jonica lucana, o le marine che si prevede di
realizzare all’interno del progetto Palalvo (3.500 posti barca).
E’ la solita storia: i porti turistici si progettano e si realizzano al di fuori
di qualsiasi logica programmatoria. Gli stessi piani regionali dei porti,
approvati peraltro solo da pochissime regioni, sembrano essere una pura e
semplice dichiarazione d’intenti, senza alcun valore vincolante.
L’erosione che avanza
Legambiente lo sostiene da anni: l’erosione procede a ritmo implacabile
sottraendo un metro di spiaggia all’anno. E il risultato perverso di una serie di
concause riconducibili alla mano dell’uomo, sia che si parli di
cementificazione delle coste, di realizzazione di strade litoranee, di costruzione
di moli a mare o di opere che impediscono l’apporto di materiale solido dai
fiumi. E ogni metro di spiaggia in meno si traduce in una riduzione di introiti: è
stato calcolato che i problemi d’erosione hanno comportato solo sull’isola di
Ischia un mancato introito pari a circa 75 milioni di euro mentre per Procida i
quattrini persi nella sabbia ammonterebbero a circa 13 milioni.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Non stupisce quindi che stiano proliferando le operazioni di
ripascimento lungo le nostre coste con effetti, in certi casi, peggiori del male
cui si sperava di porre rimedio. E’ quanto accaduto lungo la spiaggia del
Poetto, a Cagliari, teatro di uno scellerato tentativo di ripascimento che si è
concluso con la cancellazione della vecchia spiaggia bianca e la sostituzione
con un litorale grigio scuro, più simile alle spiagge dell’alto adriatico che a
quelle della Sardegna. O quello che è accaduto a Ischia, dove l’operazione di
ripascimento ha determinato la distruzione di numerosi ettari della prateria di
Posidonia che proteggeva la spiaggia.
La depurazione
Nulla di nuovo sul fronte della qualità delle acque di balneazione e
della depurazione: secondo i dati del Ministero della Salute nel nostro Paese
risultano vietati alla balneazione oltre 400 chilometri di costa, 270 dei quali lo
sono in modo permanente. Maglia nera per il cattivo stato di salute delle acque
di balneazione è la regione Campania, con 84,1 km inquinati, seguita dal Lazio
(36,1 km). Tra le province la più inquinata risulta essere Caserta dove quasi un
chilometro su due risulta inquinato (47,5% del litorale).
Il depuratore che avrebbe dovuto servire la provincia di Napoli,
intanto, è stato al centro di un’inchiesta giudiziaria che ha portato al sequestro
dell’impianto, all’esautoramento della ditta privata che ne curava la gestione e
all’affidamento dell’impianto al Presidente della regione Campania.
Ma i guai della depurazione nel nostro Paese non si limitano a quelli
della Regione Campania. Tutta la penisola è caratterizzata da un grave deficit
di depurazione che oscillerebbe dai 29 ai 41 milioni di abitanti equivalenti, da
Milano a Palermo, per citare due capoluoghi che ancora attendono la
realizzazione di un completo impianto di depurazione.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
2. La sporca dozzina: le bandiere nere 2002 di
Legambiente ai “pirati” del mare e della costa
Al sindaco di Sanremo per la realizzazione di due ecomostri che hanno
chiuso le passeggiate della città dei fiori. Fine delle passeggiate a Sanremo. A
decretarla è stato il sindaco Giovenale Bottini, da 8 anni a capo del Comune
ligure, che ha proceduto alla realizzazione di due incredibili ecomostri, un
albergo e un teatro, che bloccano la visuale a mare nei due tratti di passeggiata
della città dei fiori. Un mega albergo a Portosole che supera di due metri il
livello della strada sostituendo con la vista sui piani alti dell’albergo il
panorama a mare della passeggiata. Poco oltre un imponente teatro ha cambiato
il paesaggio di uno dei tratti più caratteristici della località della riviera, proprio
di fronte al Casinò e nei pressi della Chiesa Russa. Anche in questo caso il
fronte a mare del teatro di una trentina di metri ha sostituito il precedente
panorama della passeggiata.
Al Presidente della Provincia di Cagliari per l’opera di ripascimento
della spiaggia del Poetto che ha compromesso una delle spiagge più belle del
Mediterraneo. 370.000 metri cubi di sabbia scura, color cemento, sono stati
riversati nel giro di poche settimane sulla spiaggia bianchissima del Poetto,
cambiando un paesaggio unico nel Mediterraneo, punto di riferimento per
migliaia di cagliaritani. Nessuna valutazione di impatto ambientale e nessuna
gradualità in un’operazione che la Provincia di Cagliari ha portato avanti con
arroganza a fronte delle preoccupazioni espresse dalla cittadinanza e da buona
parte della comunità scientifica. Legambiente ha raccolto 11.000 firme di
protesta indirizzate al Presidente della Provincia, in calce ad una petizione che
chiede un intervento di ripristino del paesaggio ferito.
Al Presidente della Regione Veneto, Carlo Galan, per il progetto
Palalvo. La Regione Veneto ha elaborato e si appresta ad approvare un
colossale piano urbanistico conosciuto come Palalvo (Piano di area delle
lagune e dell’area litorale del Veneto Orientale) che produrrà effetti devastanti
sulla costa del Veneto orientale e sui valori ambientali che ancora essa
conserva. Sul territorio di Bibione e Caorle, due località già gravate dal peso
dell’urbanizzazione degli anni '60, il progetto Palalvo prevede la realizzazione
di 7 nuovi porti turistici (3.500 posti barca che si andranno a sommare ai 1200
attuali) ed edificazioni di strutture turistico ricettive per 1.500.000 di metri cubi
(18.000 posti letto) su 450 ettari. Il tutto su zone straordinarie, vere e proprie
oasi di naturalità quali la piccola e preziosa laguna di Caorle resa famosa da
Hemingway, il selvaggio litorale di Valle Vecchia, le valli arginate di Bibione
e quel prodigioso serbatoio di biodiversità che è la foce del Tagliamento. Tutte
queste aree sono state designate dall’Unione Europea come Siti di Importanza
Comunitaria e Zone di Protezione Speciale.
8
Legambiente - Mare monstrum 2002
Ai pirati del Golfo di Taranto. 150 chilometri di villaggi e porti
turistici ridisegneranno il profilo di due intere province costiere, quella di
Taranto e quella di Matera. Migliaia di posti letto e posti barca all’interno di
zone umide e Siti di Importanza Comunitaria. A cominciare dal megaprogetto
Nuova Concordia a Castellaneta Marina, oggetto di uno specifico Accordo di
Programma che ha previsto un investimento iniziale di 520 miliardi di lire per
un complesso di alberghi, villaggi turistici, edilizia residenziale, parchi a tema,
campi da golf, infrastrutture commerciali e sportive su un’estensione di circa
1000 pregiatissimi ettari di territorio a ridosso di una riserva biogenetica. A
seguire, nel territorio di Castellaneta Marina, il piano di lottizzazione
Perronello – Catalano, con un investimento di 50 miliardi per la realizzazione
di un albergo, villette ed il raddoppio del villaggio turistico di Riva dei Tessali.
Senza soluzione di continuità sono previsti tre villaggi turistici da realizzare a
ridosso del Lago Salinella di Ginosa Marina, un’area vincolata come sito di
importanza comunitaria. Nelle zone a mare di Massafra, nella radura della
pineta Marinella, è stato approvato anche un progetto di villaggio turistico di
6000 metri cubi. Questa quantità impressionante di progetti mette a rischio la
tenuta della pineta, già dichiarata riserva biogenetica e che per 37 km ricopre il
versante occidentale del litorale tarantino.
Stessa situazione anche a levante della città di Taranto, un’area già
gravata da un diffuso abusivismo edilizio, a cominciare dal villaggio turistico
con annesso porticciolo in località Blandamura a Talsano, e proseguendo con i
villaggi turistici delle società Kira e Ondablu a Lido Silvana e a Torretta, fino
ad arrivare al progetto di porto turistico a Baia Colimena e al raddoppio del
porticciolo turistico di Campomarino, una località sulla quale si concentrano
numerosi progetti speculativi, dal Progetto Mirante (180 miliardi di lire in
strutture ricettive su 40 ettari di costa con retroduna ancora intatta) al Messapia
Golf club & resort, 120 miliardi di lire in alberghi, minialloggi, villaggi
turistici per un totale di oltre 300.000 metri cubi da realizzare all’interno della
riserva naturale della foce del fiume Chidro. La cementificazione delle coste
richia di accentuare il già avanzato fenomeno di erosione delle spiagge.
E un altro accordo di programma apre la strada alla realizzazione di
altrettanti villaggi e porti turistici sulla costa jonica lucana. E’ quello siglato tra
il Ministero del Tesoro e la Cit Holding per oltre 200 miliardi di lire (la metà a
carico dello Stato) per realizzare quattro progetti di villaggi turistici e alberghi
su oltre 200 ettari di territorio del Comune di Scanzano Jonico. Ma villaggi
turistici sono previsti lungo tutti i 37 km di costa lucana, a cominciare dai due
porticcioli turistici a Lido di Metaponto e dall’ampliamento dei villaggi
Argonauti, Ti Blu e Le Dune nelle vicinanze di Marina di Pisticci, proseguendo
con un altro porto turistico e il villaggio Marinagri a Lido di Policoro, per
concludere a Nova Siri, al confine con la Calabria, con il villaggio turistico
Akiris, in parte già realizzato e un ulteriore porto turistico. Tirando le somme si
prevede di realizzare 15.000 nuovi posti letto e 1.650 posti barca in poche
9
Legambiente - Mare monstrum 2002
decine di chilometri sui quali già esistono 11.500 posti letto, 4 Siti di
Importanza Comunitaria e una Zona di Protezione Speciale.
All’Immobiliare Medusa srl per la realizzazione del Villaggio Elisea a
Porto Garibaldi (FE). Duemilacinquecento posti letto in una delle ultime aree
rimaste sorprendentemente libere nella zona compresa fra Ravenna e il Delta
del Po, nel territorio del Comune di Comacchio. Titolare della ditta è
l’imprenditore Tomasi, già noto per aver costruito e venduto buona parte delle
seconde case realizzate recentemente nei lidi comacchiesi. L’intervento in
questione, per la mole della cementificazione proposta, per le caratteristiche
delle costruzioni e per i problemi che arrecherebbe alla mobilità in un’area già
congestionata, si presenta come una vera e propria struttura urbana spalmata su
39 ettari in un’area del Parco del Delta del Po (area di Preparco) a due passi
dalla spiaggia, dal sistema dunale e dalla pineta. Il tutto nel silenzio, e in alcuni
casi il benestare, degli enti locali.
Ai vandali delle dune dell’ex colonia Varese a Milano Marittima
(RA). Anche in questo caso uno splendido tratto di duna miracolosamente
scampato all’urbanizzazione massiva di quest’area è vittima di una serie di
interventi vandalici e oggetto di mire speculative che sembrano preludere ad
interventi di speculazione sull’area. Per ora le dune vengono utilizzate come
pista di motocross.
Al polo chimico di Ravenna (ex stabilimento Enichem) per l’impatto
inquinante sull’ecosistema pinete, valli, canale e litorale di Ravenna in termini
di inquinamento delle acque superficiali e di falda; per il contributo al
fenomeno della subsidenza con l’emungimento delle acque di falda; per il
carico inquinante nell’aria e nel suolo; per la gestione degli impianti che negli
anni ha provocato danni all’ecosistema ed alla salute di lavoratori e cittadini.
Al Sindaco di Campofelice di Roccella (PA) per l’approvazione di un
progetto che prevede la realizzazione di un megaalbergo nella fascia dei 150
metri dal mare. Sulla costa tirrenica siciliana, tra Termini Imerese e Cefalù, su
una lunga spiaggia di sabbia finissima, l’amministrazione comunale di
Campofelice di Roccella ha dato il via libera a uno pseudo intervento di
recupero di un antico insediamento medievale dietro il quale si nasconde in
realtà la costruzione di un mega albergo entro la fascia dei 150 metri. C’è da
considerare che la precedente amministrazione comunale, caduta per le
improvvise dimissioni del Sindaco vittima pochi giorni prima di un’atto
d’intimidazione mafiosa, non volle mai approvare il progetto in questione, e
stava lavorando invece per l’acquisiszione dell’area e il recupero della torre
castello e del borgo.
Alla Società Italo-Belga per la realizzazione di una baraccopoli di
lusso sulla spiaggia di Mondello (PA). Una splendida spiaggia di sabbia fine e
10
Legambiente - Mare monstrum 2002
bianca dentro la città di Palermo per tre mesi si trasforma in una vera e propria
baraccopoli grazie all’edificazione stagionale di 1600 cabine che invadono
completamente la spiaggia impedendo qualsiasi utilizzo del litorale. Il canone
irrisorio pagato dalla societa immobiliare (poco meno di venti milioni di
vecchie lire) consente ricavi astronomici alla società (oltre tre miliardi di lire) e
deturpa uno dei paesaggi più belli della costa palermitana.
Al Sindaco di Siracusa per la "generosa” variante urbanistica che
consentirebbe la realizzazione di un villaggio turistico a Punta Asparano, uno
dei pochi tratti di litorale siracusano miracolosamente scampato all’abusivismo
edilizio. Un investimento complessivo di 48 milioni di Euro, realizzato da
un’azienda del gruppo Alpitour su 66 ettari di superficie per un totale di oltre
1500 posti letto. Il tutto su aree ricadenti in massima parte entro la fascia di
rispetto dei 150 metri dal mare e come tali vincolate per legge al divieto
assoluto di edificazione.
Alla Regione Campania per vent’anni di malfunzionamento del
depuratore di Cuma e per i ritardi accumulati sulla depurazione in generale
lungo tutta la fascia costiera. 300 miliardi di lire spesi per una struttura che
avrebbe dovuto servire i Comuni della provincia a nord e a sud di Napoli,
compreso il capoluogo. Dal 1976 l’opera è affidata in gestione alla Regione
Campania, ma non ha mai funzionato passando da un’emergenza all’altra, da
un’inchiesta giudiziaria all’altra, fino a quella dello scorso gennaio che ha
portato al sequestro dell’impianto, sottraendolo alla gestione della società
privata e affidandolo al Presidente della Regione Campania. Secondo stime
attendibili il 30% degli scarichi fognari in provincia di Napoli sfocia a mare
senza alcun tipo di trattamento.
Ad Aurelio Misiti, Assessore ai Lavori Pubblici della Regione
Calabria e Presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, per il
caparbio impegno pluriennale a favore del Ponte sullo Stretto di Messina,
coronato da successo con l’avvio della progettazione esecutiva. Per lo sperpero
di denaro pubblico in un’opera improbabile per la quale sono evidenti le
caratteristiche di diseconomicità, le riserve sulla fattibilità, gli impatti
ambientali e, in definitiva, l’inutilità.
11
Legambiente - Mare monstrum 2002
3. I numeri del “mare illegale”
“Avanti tutta!”. E’ questo il motto che sembra spingere i nuovi “pirati”
a minacciare i nostri mari con ogni tipo di illegalità. A confermarlo anche
quest’anno sono i numeri elaborati da Legambiente sulle infrazioni (scarichi
fognari non trattati, pesca illegale, violazioni alla normativa da diporto e
costruzioni di case abusive sulle aree demaniali costiere) accertate lo scorso
anno dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto. Nel 2001, infatti, sono
stati 23.474 i reati accertati in mare, per i quali sono state denunciate o arrestate
10.278 persone e sono stati effettuati 8.954 sequestri.
Confrontando i dati sui più ricorrenti illeciti consumati nei mari italiani
nel 2001 con quelli relativi all’anno 2000, tutti i numeri risultano in crescita.
Aumentano, infatti, sia le infrazioni (501 in più) che le denunce (+1.399, pari
ad un incremento di quasi il 16%). Ma il dato più rilevante è quello relativo ai
sequestri che tra il 2000 e il 2001 aumenta di 2.536 unità, per un aumento
percentuale del 39,5%.
IL QUADRO GENERALE DEL “MARE ILLEGALE” IN ITALIA NEL 2001
Cta-CC* Gdf** Cfs - Cfr*** Capitanerie TOTALE
di porto
Infrazioni accertate
2.852
5.296
647
14.679
23.474
Persone denunciate o 3.428
1.294
801
4.755
10.278
arrestate
Sequestri effettuati
1.489
4.377
141
2.947
8.954
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente,
Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e Capitanerie di
porto.
*: i dati del Comando Carabinieri tutela ambiente sono relativi al periodo
01/05/2001 - 30/09/2001.
**: i dati della Guardia di finanza si riferiscono ai settori Pesca e Codice della
navigazione ed all’abusivismo su aree demaniali.
***: i dati dei Cfr si riferiscono a Sicilia e Sardegna.
Per il secondo anno consecutivo si conferma il trend in aumento del
numero dei reati consumati ai danni di mare e coste italiane, già riscontrato nel
precedente dossier “Mare monstrum 2001” (erano infatti stati 19.324 nel 1999
e 22.973 nel 2000). Lo stesso si può dire del dato relativo ai sequestri compiuti:
4.744 nel ’99 e 6.418 un anno dopo. Per quanto riguarda invece le persone
denunciate o arrestate, se dal 1999 al 2000 il dato era risultato in diminuzione
(da 10.159 a 8.879), il 2001 con 10.278 denunciati o arrestati ha visto superare
entrambi i dati precedenti.
Analizzando i numeri per singola forza dell’ordine, il dato dei sequestri
del Comando Carabinieri tutela ambiente quasi si quadruplica, passando dai
400 del 2000 ai 1.489 del 2001. In forte aumento anche il numero delle
infrazioni accertate dalla Guardia di finanza (da 4.077 a 5.296) e dei denunciati
12
Legambiente - Mare monstrum 2002
o arrestati dal Corpo forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale
(414 nel 2000 contro gli 801 dell’anno appena trascorso). Il numero maggiore
di reati accertati ai danni del mare è stato riscontrato anche quest’anno dalle
Capitanerie di porto (14.679, pari al 62,5% del totale).
Analizzando la classifica delle regioni per numero di reati, la Sicilia si
conferma al primo posto con 4.648 infrazioni, 1.437 persone denunciate o
arrestate e 864 sequestri. La Puglia sale al secondo posto, con 2.513 reati,
scavalcando la Campania. Il Lazio dal quarto posto del 2000 scende al settimo
nel 2001. Da segnalare il numero elevato di sequestri compiuti in Sardegna
(ben 1.888), riconducibile soprattutto all’azione di contrasto delle forze
dell’ordine nei confronti dei pescatori di frodo. Chiudono la classifica, come lo
scorso anno, Friuli Venezia Giulia, Molise e Basilicata
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: VALORI ASSOLUTI (2001)
Infrazioni
Persone denunciate
Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↔
4.648
1.437
864
Puglia ↑
2.513
907
921
Campania ↓
2.442
924
844
Calabria ↑
1.992
993
414
Toscana ↑
1.377
363
442
Liguria ↔
1.348
239
161
Lazio ↓
1.337
310
486
Veneto ↓
1.302
607
495
Marche ↓
1.101
155
527
Sardegna ↔
906
372
1.888
Emilia Romagna ↔
904
419
132
Abruzzo ↔
393
105
135
Friuli Venezia Giulia ↔
250
54
65
Molise ↔
193
13
103
Basilicata ↔
10
15
2
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e
Capitanerie di porto.
Anche la classifica dei reati per chilometro di costa vede la conferma
della “leadership” dello scorso anno: il Veneto con 8,19 infrazioni per Km
(contro i 9,31 del 2000). A seguire l’Emilia Romagna con 6,90 reati per
chilometro di costa (questa regione scala la classifica passando dal quinto posto
del 2000 al secondo del 2001) e le Marche che scendono dal secondo posto
dello scorso dossier all’attuale terzo, con 6,36 reati per Km. Da segnalare il
balzo in avanti del Molise che dall’ottavo posto sale al quarto di quest’anno e
quello all’indietro fatto dal Lazio che dal quarto del 2000 scende al settimo del
13
Legambiente - Mare monstrum 2002
2001. Chiude la classifica di quest’anno la Basilicata con 0,16 reati per
chilometro.
LA CLASSIFICA DEL MARE ILLEGALE IN ITALIA: INFRAZIONI PER KM DI COSTA (2001)
Infrazioni
Km di costa
Infrazioni
accertate
per Km
Veneto ↔
1302
158,9
8,19
1
Emilia Romagna ↑
904
131
6,90
2
Marche ↓
1101
173
6,36
3
Molise ↑
193
35,4
5,45
4
Campania ↓
2442
469,7
5,20
5
Liguria ↑
1348
349,3
3,86
6
Lazio ↓
1337
361,5
3,70
7
Sicilia ↑
4648
1483,9
3,13
8
Abruzzo ↓
393
125,8
3,12
9
Puglia ↓
2513
865
2,91
10
Calabria ↑
1992
715,7
2,78
11
Toscana ↑
1377
601,1
2,29
12
Friuli Venezia Giulia ↓
250
111,7
2,24
13
Sardegna ↑
906
1731,1
0,52
14
Basilicata ↓
10
62,2
0,16
15
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e
Capitanerie di porto.
Entrando nel merito di ciascuna tipologia di reato ai danni del mare le
violazioni al codice della navigazione e alla normativa da diporto restano al
primo posto con 9.009 reati accertati, pari al 43,4% del totale (in aumento
rispetto alle 8.524 dello 2000). Seguono la pesca di frodo con 7.207 reati
(erano stati 4.885 nel 2000), pari al 34,8% delle infrazioni totali, e i reati di
abusivismo edilizio sulle aree demaniali costiere (3.898 contro i 2.829 del
2000). In calo, infine, i reati di inquinamento riscontrati dalle forze dell’ordine
(602 nel 2001 contro i 2.616 del 2000).
14
Legambiente - Mare monstrum 2002
I PRINCIPALI REATI NEL 2001
Reato
Infrazioni
accertate
Abusivismo edilizio
3.898
sul demanio
Depuratori, scarichi fognari,
602
inquinamento da idrocarburi
Pesca
7.207
di frodo
Codice navigazione e
9.009
Nautica da diporto
Totale
20.716
Persone denunciate
o arrestate
3.973
Sequestri
effettuati
504
% sul
totale
18,8
504
50
2,9
1.164
5.769
34,8
1.022
1.156
43,5
6.663
7.479
-
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela
ambiente, Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e
Capitanerie di porto.
15
Legambiente - Mare monstrum 2002
4. E la nave va: l’illegalità del “popolo dei naviganti”
Non gli piace indossare il giubbotto salvagente. Naviga dove non è
consentito e a velocità sostenuta. Usa l’acquascooter dove non può. Non si
preoccupa delle aree protette marine. Sembra questo l’identikit del “popolo dei
naviganti” del Belpaese, stando ai numeri sulle infrazioni alla normativa da
diporto fornite a Legambiente da forze dell’ordine e Capitanerie di porto.
I reati in questo settore sono per il secondo anno consecutivo in netta
crescita: 9009 in totale nel 2001, mentre erano state 7.440 nel ’99 e 8524 nel
2000. Anche i numeri delle persone denunciate o arrestate (1.022) e dei
sequestri (1.156) sono in forte aumento rispetto all’anno precedente (nel 2000
erano state rispettivamente 603 e 752).
Nella classifica regionale la Sicilia si conferma al primo posto con
1.919 infrazioni accertate, 66 tra denunciati e arrestati e 65 sequestri compiuti
dalle forze dell’ordine. La Campania è al secondo posto con 1.202 reati (era
terza nel 2000), mentre la Liguria sale sul podio dell’illegalità della
navigazione in mare con 877 infrazioni alla normativa da diporto (si era
classificata quinta nel 2000). Il Lazio scende dal secondo posto del 2000 al
sesto dell’anno scorso, mentre la Calabria sale al settimo posto con 641 reati
(era undicesima nello scorso dossier).
LA CLASSIFICA DELL’ILLEGALITÀ DELLA NAVIGAZIONE IN MARE NEL 2001
Regione
Infrazioni Persone denunciate Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↔
1.919
66
65
1
Campania ↑
1.202
99
405
2
Liguria ↑
877
83
46
3
Veneto ↔
818
418
29
4
Puglia
↑
815
88
86
5
Lazio ↓
723
22
167
6
Calabria ↑
641
67
105
7
Toscana ↓
587
66
16
8
Marche ↓
391
18
5
9
Emilia Romagna ↔
375
66
4
10
Sardegna ↓
324
3
206
11
147
18
13
12 Friuli Venezia Giulia ↔
Abruzzo ↔
133
8
7
13
Molise ↔
57
0
2
14
Basilicata ↔
0
0
0
15
Totale
9.009
1.022
1.156
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.
16
Legambiente - Mare monstrum 2002
Stilando la classifica delle tipologie di infrazione alla normativa da
diporto, prima con oltre 3.600 reati accertati la mancanza dell’attrezzatura di
sicurezza a bordo. Seguono la navigazione in zona non consentita (3.153
infrazioni) e il mancato pagamento della tassa di stazionamento (901).
Chiudono, con 1.351 reati, il trasporto di un numero eccessivo di persone a
bordo, il mancato rispetto dei limiti di velocità, la pratica dell’attività
subacquea e dello sci nautico non a norma di legge.
I REATI AL CODICE DELLA NAVIGAZIONE E NAUTICA DA DIPORTO NEL 2001
Reato
Numero di
%
infrazioni
3.604
40%
Mancanza di attrezzatura di sicurezza
(giubbotto salvagente, razzi segnalatori,
autogonfiabili)
Navigazione in zona non consentita
3.153
35%
(sottocosta, aree marine protette)
Mancato pagamento tassa di
901
10%
stazionamento
1.351
15%
Altro (p.es. trasporto di persone non
consentito, sci nautico non
regolamentare, eccesso di velocità,
violazioni nell’attività subacquea)
Fonte: elaborazione Legambiente su dati delle Capitanerie di porto
17
Legambiente - Mare monstrum 2002
5. Cemento in spiaggia
Dai numeri sul demanio costiero preda del cemento selvaggio alla
rassegna degli ecomostri d’Italia, vecchi e nuovi. Ma anche degli ecomostri
finalmente abbattuti dopo le battaglie di Legambiente e i blitz “Demolition
day” di Goletta verde. Tutto in un paragrafo interamente dedicato al cemento
illegale e non che deturpa i paesaggi costieri d’Italia.
5.1 La classifica regionale dell’abusivismo costiero
Nel 2001 la Sicilia è diventata la prima regione italiana per reati relativi
all’abusivismo sulle aree demaniali costiere. E non solo: i reati per abusivismo
edilizio sul demanio marittimo siciliano sono passati dai 480 del 2000 agli 857
del 2001, per un aumento percentuale di oltre il 78%. A tal proposito vale la
pena sottolineare come proprio lo scorso anno la Giunta regionale siciliana di
Totò Cuffaro ha presentato un disegno di legge sul condono edilizio che,
sebbene non sia ancora stato approvato, ha prodotto i suoi effetti malefici in
termini di ripresa del fenomeno. E del resto i dati storici sul fenomeno
dell’abusivismo edilizio in Italia dimostrano che gli abusi edilizi progrediscono
dopo il semplice annuncio di un ipotetico condono.
La classifica, per il secondo anno consecutivo, vede le quattro regioni a
tradizionale presenza mafiosa (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia)
primeggiare in reati di abusivismo demaniale costiero. La Calabria scende al
secondo posto con 654 reati (più o meno gli stessi consumati nel 2000), mentre
Campania (557 reati) e Puglia (554) si confermano in terza e quarta posizione.
Da segnalare il passo in avanti compiuto dall’Emilia Romagna, che
dall’undicesimo posto del 2000 sale al quinto nel 2001, e quello all’indietro
delle Marche, che dalla settima posizione scendono all’undicesima.
18
Legambiente - Mare monstrum 2002
LA CLASSIFICA DELL’ABUSIVISMO EDILIZIO SUL DEMANIO NEL 2001
Regione
Infrazioni Persone denunciate Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
Sicilia ↑
857
793
93
1
Calabria ↓
654
702
76
2
Campania ↔
557
601
124
3
Puglia ↔
554
554
52
4
Emilia Romagna ↑
241
248
21
5
Toscana ↓
229
244
30
6
Sardegna ↑
219
313
22
7
Lazio ↑
172
143
27
8
Liguria ↓
163
100
33
9
Abruzzo ↔
83
83
5
10
Marche ↓
78
93
8
11
Veneto ↔
60
61
6
12
15
16
5
13 Friuli Venezia Giulia ↑
Molise ↓
8
8
2
14
Basilicata ↔
8
14
0
15
Totale
3.898
3.973
504
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.
5.2 Ecomostri: abusivismo edilizio, cemento legale, progetti
insensati, storie esemplari di aggressione al Belpaese
Anche quest'anno gli attivisti di Goletta Verde daranno vita a numerosi
“demolition day”: ville, villaggi turistici, alberghi e lottizzazioni abusive e non,
verranno “assaltate” simbolicamente dagli equipaggi del Pietro Micca e della
Catholica. Bliz anti-ecomostro verranno organizzati inoltre nelle zone in cui
progetti insensati minacciano di distruggere e deturpare cornici paesaggistiche
e naturali uniche al mondo.
Una campagna che, oltre a denunciare vecchi e nuovi attacchi al
patrimonio ambientale del Belpaese, vuole dare un segnale preciso per quanto
riguarda la lotta agli ecomostri e all’abusivismo edilizio. Dopo la demolizione
del Fuenti, quelle nell’Oasi del Simeto a Catania, Eboli, la collina del disonore
di Pizzo Sella a Palermo, la Valle dei Templi di Agrigento, sul lungomare di
Rossano, e l’Hotel Baia delle Ginestre a Porto Malu a pochi chilometri da
Teulada, le ruspe demolitrici, dopo una fase di stallo, hanno riacceso i motori
proprio in questi ultimi mesi, andando all’attacco di altri due ecomostri storici.
Gli scheletri in cemento armato di Baia Punta Licosa a Montecorice in
provincia di Salerno, oggetto di numerosi bliz di Goletta Verde, che da oltre un
decennio deturpavano la baia, sono finiti sotto i cingoli delle ruspe. Il Villaggio
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Sindona che dal 1973 sfregiava una delle aree costiere più belle ed interessanti
di tutta l’isola, edificato in piena zona A della Riserva Marina. Anche sull’Isola
di Lampedusa, quindi, si può cantare vittoria, almeno per quanto riguarda un
altro ecomostro. Infine, anche dalla Calabria arriva qualche timido segnale
nella lotta all’abusivismo edilizio, in una regione che continua a vantare numeri
da primato nazionale nelle costruzioni di nuove case illegali. Il 12 giugno
scorso, infatti è stato abbattuto una struttura abusiva costruita sullo scoglio in
località Fosso Lamia, nel comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, grazie
anche all’intervento economico del ministero dell’Ambiente. “Abbiamo
cancellato così una ferita inferta al paesaggio italiano” ha commentato il
Ministro Altero Matteoli. Ma la speranza è che quest’intervento straordinario
non rimanga un fatto isolato, episodico ma si trasformi ben presto nel nostro
paese in “ordinario”, e che la lotta all’abusivismo edilizio e agli scempi
ambientali diventi finalmente una priorità per gli organismi istituzionali.
Tuttavia gli altri segnali raccolti in quest’ultimo anno non sono stati
incoraggianti, per usare un eufemismo. A cominciare dai progetti che aleggiano
sulle rovine del "mostro" di Fuenti, che fanno pensare a quei mostri che …a
volte ritornano. E poi i ritardi della legge anti-abusivismo, che consentirebbe di
rendere più efficace e tempestivo l’intervento dello Stato, ma che non è riuscita
a vedere la luce nella precedente legislatura e, sebbene sia stata ripresentata in
questa attuale (primo firmatario Ermete Realacci), rimane intrappolata nelle
secche parlamentari. E come se non bastasse la Giunta regionale siciliana di
centro-destra ha rilanciato la proposta di sanatoria per tutte le costruzioni che si
affacciano entro la fascia dei 300 metri dal mare camuffandola come “riordino
delle spiagge”. Il provvedimento, passato all’esame dell’Assemblea Regionale,
sebbene non sia stato approvato ha già prodotto effetti negativi. L’iniziativa ha
scatenato un duro attacco da parte di tutte le associazioni ambientaliste alla
Giunta Siciliana e rischia di aprire una falla insanabile nel nostro Paese nella
lotta all’abusivismo edilizio e nel ripristino della legalità.
L'abusivismo, intanto, continua ad “erodere” territorio e paesaggi, si è
interrotto immediatamente il ciclo virtuoso che sembrava esservi avviato
nell’anno 2000, vale la pena ricordare che nel precedente Rapporto
Maremonstrum, avevamo segnalato una brusca inversione di tendenza nelle
costruzioni di case illegali nel nostro Paese, ben 4.663 ossia in altre parole una
flessione percentuale del 13,8%, con punte superiore al 15% nel Mezzogiorno:
nel 2001, invece, la “ritirata” del cemento selvaggio si è fermata al 2,3%; non
siamo ancora all’inversione di tendenza, che pure si è registrata in alcune
regioni, ma l’abusivismo, continua a rimanere su livelli inaccettabili per un
Paese civile. Secondo le stime elaborate dal Cresme, nel 2001 sono state
immesse sul mercato edilizio del nostro Paese ben 28.276 case abusive (tra
nuove costruzioni e trasformazioni d’uso illegali) rispetto alle 28.938 del 2000,
per un valore immobiliare di 1.785 milioni di euro. In un anno è stata ricoperta
di cemento una superficie complessiva di 3,8 milioni di metri quadrati. Il
53,6% di questa enorme massa di cemento illegale, ovvero 15.150 case
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Legambiente - Mare monstrum 2002
abusive, si concentra, e non è un caso, nelle quattro regioni a tradizionale
presenza mafiosa: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.
Soltanto negli ultimi tre anni, grazie alla martellante campagna di
Legambiente contro gli ecomostri, sono stati demoliti almeno mille edifici
fuorilegge, una cifra forse superiore alle demolizioni realizzate negli ultimi 20
anni.
Di seguito vengono riassunte delle storie esemplari di pezzi di Belpaese
aggrediti dal cemento selvaggio.
…le new entry
Le villette di Campobello di Mazara
Venti villette sequestrate, per un valore di circa 6 miliardi di vecchie
lire e sei persone denunciate, è questo il risultato di un operazione
antiabusivismo condotta dai carabinieri della Compagnia di Mazara, in
contrada Tonnara di Tre Fontane, un area ad alte potenzialità turistiche, nel
comune di Campobello. Ad essere finiti sotto i riflettori degli inquirenti, sono
stati, oltre al proprietario accusato di aver violato le prescrizioni previste dagli
strumenti urbanistici comunali nonché le normative statali e regionali, anche
cinque funzionari dell’ufficio tecnico comunale, accusati di aver rilasciato
concessioni edilizie illegittime. In particolare è stato accertato che una parte
delle villette è stata edificata in una area che il Prg comunale destinava ad
“zona verde di rispetto del litorale”, dove è consentita soltanto la realizzazione
di strutture a carattere temporaneo di supporto alle attività balneari, dove il
proprietario a pensato bene di costruire delle vere e proprie villette in cemento
armato. Inoltre quest’area ricade interamente all’interno dei 150 metri della
battigia, dove è vietato ogni genere di costruzioni. La questione, adesso, è in
mano alla magistratura, sperando che al più presto venga risanata la grave
ferita inferta all’ambiente siciliano.
All’assalto del Tempio di Hera Lacinia (Crotone)
E’ partito il 19 gennaio scorso l’assalto all’ultima colonna dorica
superstite del Tempio di Hera Lacinia sul promontorio di Capocolonna a
pochissimi chilometri a sud di Crotone. A sferrare l’orribile attacco è stato il
derrick, una torre alta una sessantina di metri di supporto alle attività estrattive,
realizzato dall’Agip a pochissimi metri dall’insediamento archeologico.
Vedendo il danno oggettivo che il derrick con la imponente struttura in acciaio
compie, sorge spontanea una domanda: come può il Ministero per i Beni e le
Attività Culturali consentire tale scempio? Come può non intervenire per
scongiurare questo assalto al patrimonio archeologico? Senza entrare nel
merito della validità o meno della concessione mineraria, ma l’interesse alla
tutela e alla salvaguardia del nostra storia, della nostra cultura non è tra le
fondamenta della nostra Costituzione? E se questo non bastasse, il derrick
dell’Agip si trova in prossimità della zona A della Riserva naturale marina di
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Capo Rizzuto e per giunta in piena area del istituendo Parco Archeologico di
Capo Colonna. La ripresa estrattiva sul promontorio non solo è incompatibile,
quindi, con la presenza del futuro parco, ma anche con la situazione ambientale
e geologica dell’area, caratterizzata da una particolare fragilità che rischierebbe
di minare la stabilità e l’equilibrio non solo dei resti del Tempio di Hera
Lacinia, ma dell’intero promontorio.
Legambiente, in considerazione della gravità della situazione rivolge un
appello accorato al Ministero per i Beni e le Attività Culturali affinché
scongiuri l’assalto del derrick dell’Agip all’ultima colonna superstite del
Tempio di Hera Lacinia.
L’ecomostro “legalizzato” di Pozzano a Castellammare di Stabia
“Un intervento di tipo conservativo delle strutture preesistenti
rappresentando ciò … un obiettivo principale .. capace di garantire l’identità
del complesso”: sono questi alcuni dei passaggi della Relazione descrittiva
dell’intervento di recupero, approvata dalla Conferenza dei servizi il 30 ottobre
1998, dello stabilimento "Calce e Cemento" in località Pozzano a
Castellammare di Stabia. Il complesso industriale costituito da un edificio a
volte e da due torri dei forni si trova a 10 metri dalla statale per Sorrento e a
due passi dal bagnasciuga, nella splendida cornice della penisola Sorrentina.
Venne presentato come un progetto di recupero archeologico-industriale, di
fatto del vecchio edificio a volte non è rimasto nulla, le due torre sono state
solamente puntellate, al loro posto sono stati costruiti due edifici ex novo che
diventeranno ben presto dei lussuosi alberghi, categoria quattro stelle, oltre 250
posti letti e come corollario una sala congresso e una paninoteca. Inoltre, il
parcheggio è stato ottenuto dall’altra parte della strada sotto la montagna
franata il 10 gennaio 1997, che ha causato la morte di quattro persone, in una
zona ad altissimo rischio idrogeologico. L’intera operazione di “recupero” del
vecchio cementificio grava come un macigno sul paesaggio dell’intera penisola
Sorrentina, realizzato in un area di inedificabilità assoluta come regolamentato
dal Piano paesistico della Penisola Sorrentina. Il grimaldello utilizzato è
contenuto nella delibera del Consiglio regionale della Campania, la n. 53/1 del
18 novembre 1998, con la quale venne concessa una deroga al P.u.t. (Piano
Urbanistico Territoriale della penisola Sorrentina) approvato con legge
regionale n. 35 del 27 giugno 1987, che garantiva la permanenza dello
stabilimento "Calce e Cemento" e il suo riutilizzo a fini turistici privato,
nonostante le innumerevoli contestazioni mosse dall’opinione pubblica e dalle
associazioni ambientaliste in prima fila Italia Nostra, Wwf e Legambiente,
sull'opportunità di sottrarre al pubblico godimento uno dei più bei tratti di costa
Sorrentina.
Il gigante di cemento di Bassano a Torre del Greco
Sono più di trent’anni, ormai, che il gigante di cemento di Bassano a
Torre del Greco (Na) continua a fare bella mostra di sé, proprio oscurando la
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Legambiente - Mare monstrum 2002
torre saracena del 1600. L’albergo a forma di alveare, in parte realizzato
illegittimamente su area demaniale (circa 20 metri in larghezza), con la sua
imponente mole di sette piani, due in più rispetto ai cinque autorizzati, domina
il bagnasciuga torrese. Sono queste alcune violazioni riscontrate nel maggio
2001 dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata.
La vicenda prende le mosse nel 1965 con il rilascio da parte del comune
della concessione edilizia per la realizzazione di una serie di opere di edilizia
residenziale e di un albergo sul mare.
Nel 1972 il comune di Torre del Greco si pronuncia sui manufatti
dichiarando che l’albergo può essere realizzato mentre sorgono una serie di
problemi per ciò che riguarda le case residenziali.
Nel corso del 1998 un’altra società subentra ai vecchi proprietari, la
quale viene autorizzata dal comune a compiere solo lavori di ordinaria
manutenzione, mentre la società di fatto lavora per ultimare l’albergo. Nel
1999 la Capitaneria di porto ha emanato un’ordinanza nella quale ha intimato
alla proprietà della struttura di transennare la zona per pericoli di frana.
Ci troviamo davanti ad una situazione, da tempo già denunciata dai
Circolo locale di Legambiente e dal Wwf, sempre più ingarbugliata, con
l’ecomostro che continua a dominare imponentemente il litorale.
L’assalto di cemento alla Baia di Campese (Isola del Giglio)
Una colata di cemento ha sommerso la baia di Campese davanti alla
Torre Medicea sull’isola del Giglio. L’albergo realizzato lungo la via
Provinciale in prossimità del centro abitato è arrampicato sul pendio che
scende dolcemente a mare, rappresenta sicuramente uno scempio non solo
visivo, ma soprattutto ambientale. Il cantiere, non ancora ultimato, è stato
oggetto di numerosi sopralluoghi dell’Ufficio Tecnico comunale che hanno
ravvisato notevoli violazioni urbanistiche in merito alle previsioni perimetrali e
all’eccedenza di volumetria, ma soprattutto una difformità del progetto alle
previsioni del Piano regolatore generale. Grazie, infatti, ad alcuni articifici
tecnici, varianti, perizie geologiche ed ad una serie di sviste, è stata consentita
la realizzazione di volumi notevolmente superiori rispetto alle indicazioni
contenute nel PRG comunale. La questione ora è in mano al Tribunale
amministrativo che dovrà pronunciarsi sulla regolarità delle procedure seguite.
Il sipario sul lungomare di Sanremo
Cala il sipario sul lungomare di Sanremo. E’ questo il triste destino che
incombe su di un tratto della passeggiata a mare denominata Trento-Trieste,
uno dei pezzi più suggestivi e caratteristici della riviera ligure. Il rischio per gli
appassionati frequentatori potrebbe ben presto trasformarsi in realtà se venisse
ultimato l’albergo in fase di costruzione sul lungomare sanremese. Lo scempio
prende le mosse da una errata rilevazione del dislivello, ormai acclarato
tecnicamente, esistente tra le aree di sedime dove sono state impiantate le
fondamenta dell’albergo e il livello della passeggiata. La differenza riscontrata
è superiore ai due metri. Ma davanti a tali fatti, denunciati dal Circolo
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Legambiente di Sanremo, l’amministrazione comunale fa finta di nulla,
considerando, anche, che non è il primo caso. Nel gennaio 1996, infatti, dopo
la realizzazione di un primo lotto delle opere a terra del porto privato di
Portosole, scoppia il precedente: una interpellanza consiliare solleva la
questione dirompente delle altezze per un’altra infrastruttura di servizio al
porto. I controlli successivi rilevarono che l’altezza del volume realizzato
superava l’altezza della passeggiata e dei giardini di circa 1 metro, per un
errore nelle tavole del Piano Particolareggiato e precisamente nell’indicazione
della quota della passeggiata. Intanto la Soprintendenza sollecita
l’Amministrazione Comunale ad “adottare provvedimenti cautelativi” e davanti
all’inerzia della Giunta Comunale nell’agosto del 1997 esprime un severo
giudizio di irregolarità delle opere eseguite e caldeggia il ripristino delle
inquadrature panoramiche alterate. Inoltre, lo stesso Piano Particolareggiato L1
Portosole, per la realizzazione delle opere a terra a completamento del porto
privato, prescrive esplicitamente la necessità di salvaguardare il litorale
prevedendo che la localizzazione delle nuove volumetrie deve tener conto delle
visuali godibili sia da mare che da terra nei confronti dei giardini di Villa
Ormond.
Dall’Amministrazione comunale ancora nulla; anzi alla richiesta del
Circolo di Legambiente di rivedere il Piano risponde affidando un incarico per
un parere tecnico ad uno noto professionista, il quale - pur riconoscendo
l’errore - arriva a sostenere che l’interesse pubblico attuale è quello di
mantenere ciò che è costruito, seppure viziato. La storia si ripete, sperando che
in questo caso, alla fine non cali il sipario.
Teatro del Mare: l’ecomostro 2 di Sanremo
E’ li tronfio ed imponente, oscura oscenamente il paesaggio da tutte le
angolazioni, occupa prepotente una zona di libero accesso al mare, fiero della
ingombrante modernità. Una scelta scellerata, contro ogni regola e buon gusto.
Sono queste alcune delle considerazioni fatte sul Teatro del Mare, l’Ecomostro
2, come è stato immediatamente etichettato, costruito in riva al mare di fronte
alla Passeggiata Imperatrice, davanti ai Grandi Alberghi, al Casinò, Chiesa
Russa, sul lungomare sanremese. La stessa Soprintendenza per i Beni
ambientali di Genova ha dichiarato, fermo restando la provvisorietà che “la
costruzione è molto avanzata sul mare, particolarmente vistosa, ingombrante e
tipologicamente anomala, in contrasto con vincolo ambientale”. Di fronte a
tale scempio la città si è indignata e mobilitata, come dimostrano le oltre
tremila firme raccolte dal Circolo locale di Legambiente, in prima linea contro
l’ecomostro, su di un esposto trasmesso alla magistratura e agli organismi
regionali di controllo, per verificare la regolarità della struttura. Di fronte a
tanto fervore, l’amministrazione comunale si affretta a dichiarare che si tratta
di una struttura che non necessità di concessione edilizia, visto che è
caratterizzata dalle condizioni di precarietà, eccezionalità, e di provvisorietà. I
tecnici comunali ribadiscono che la struttura è “precaria” in quanto smontabile
senza “atti demolitori”; la rete di putrelle sarebbe imbullonata e il basamento in
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Legambiente - Mare monstrum 2002
cemento armato separato da fogli di pvc, quindi non ancorato al suolo. Le
verifiche effettuate e documentate evidenziano che le putrelle sono saldate e
non imbullonate, plinti e cordoli in cemento armato senza alcuna traccia di
fogli di pvc di separazione, riempimenti di terra e pietrisco, rampe di accesso
asfaltate. Gli stessi controlli effettuati dalla Regione hanno riscontrato delle
difformità rispetto all’autorizzazione regionale.
La vicenda, inoltre, presenta notevoli zone d’ombra, ambiguità ed
incertezze da chiarire, anche rispetto al rientro dei costi della struttura, in
rapporto alla temporaneità dell’opera.
Sanremo e la sua costa, finalmente liberati dalla ferrovia, meritavano
sicuramente altri destini.
…. le vecchie conoscenze
L’abusivismo edilizio nella Riserva marina di Capo Rizzuto
Ben 57 costruzioni abusive (10 nel comune di Crotone e 47 in quello di
Capo Rizzuto) per 48.600 metri cubi, sono state individuate dalla Capitaneria
di porto di Crotone, nell’area di demanio costiero della Riserva di Capo
Rizzuto e nella fascia di rispetto.
Una morsa di cemento illegale, fatto di moli che si protendono in mare,
porticcioli, fabbricati, muri di recinzione, piattaforme in cemento armato,
porticati, che stringe e avvolge la stupenda riserva marina di Capo Rizzuto, in
provincia di Crotone. Tutte le gare fatte finora per demolire gli immobili sono
andate deserte e nessuno, a cominciare dall’Ente gestore della Riserva, ha
risposto alla stessa Capitaneria di Porto, che aveva dato la propria disponibilità
a provvedere agli abbattimenti. E ancora oggi non si registrano novità volte a
liberare questi luoghi.
Baia di Copanello
Siamo nel Comune di Stalettì, in provincia di Catanzaro, sulla costa
ionica della Calabria. In uno scenario di straordinaria bellezza, “convivono” i
due estremi, negativi e positivi, di tante aree del Mezzogiorno: l'ecomostro di
cemento di Villaggio Lo Pilato, che con i suoi 16mila metri cubi deturpa la
baia da oltre vent'anni; la tomba di Cassiodoro, il grande senatore e letterato
romano del Vivarium, abbandonata a sé stessa nella più totale incuria e a pochi
metri da un “illuminante” caso di scempio urbanistico. Sul Villaggio pende una
ordinanza di demolizione del 1987, mai eseguita, e una gara di demolizione
andata deserta. Alcuni mesi fa Legambiente ha presentato una denuncia le cui
indagini sono ancora in corso.
Capo Rossello
Capo Rossello è una baia nel tratto più bello della costa meridionale
della Sicilia, nel comune di Realmonte (Agrigento). E’ un luogo di grande
suggestione, reso unico da uno scoglio, chiamato, per via di una antica
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Legambiente - Mare monstrum 2002
leggenda, “Do zitu e da zita”, cioè del fidanzato e della fidanzata, che si trova
nel mare a trecento metri dalla spiaggia. La spiaggia di Capo Rossello, proprio
per la sua straordinaria bellezza, è stata al centro delle mire speculative di un
gruppo di politici e di imprenditori, denunciati e condannati dopo la
pubblicazione di un dossier di Legambiente Sicilia. Nei primi anni Novanta,
utilizzando uno strumento urbanistico scaduto ed in violazione del vincolo
paesistico, alcuni assessori del Comune di Realmonte rilasciarono a sé stessi
una serie di concessioni edilizie per realizzare palazzine in riva al mare,
piantando i piloni nella sabbia e sbancando la costa di pietra bianca che
completava il tratto costiero. Nel febbraio ’94, dopo la denuncia di
Legambiente, l’intera Giunta Municipale, la commissione edilizia ed alcuni
imprenditori furono tratti in arresto, processati e condannati. Si attende ancora,
che il Comune demolisca lo scempio, fortunatamente bloccato.
Assalto alla baia dei Turchi
Sempre in territorio di Realmonte (Ag), a pochi chilometri da Capo
Rossello, in località Baia dei Turchi, si trova un altro monumento alla
speculazione edilizia, realizzato illegalmente da un altro gruppo di palazzinari
grazie a concessioni edilizie compiacenti. Si tratta del progetto di un albergo
sul mare, su quel tratto di costa dove, come dice il nome, un millennio fa
sbarcarono gli ottomani. L’intervento di Legambiente, obbligò la Regione ad
annullare la concessione ed a bloccare i lavori. Anche in questa baia ancora
oggi si attende l’arrivo delle ruspe demolitrici.
Vico Equense
Gli scheletri dell'ecomostro di Alimuri, uno schiaffo all'immagine e al
paesaggio naturalistico della penisola sorrentina, dal 1971 presidia maestoso
una delle conche più belle del golfo di Napoli. Nel 1964 viene rilasciata la
licenza per costruire, sulla spiaggia della conca di Alimuri, un albergo di 100
vani. Nel 1967 la licenza viene rinnovata per la costruzione di 50 vani più
accessori per un altezza massima di 5 piani. Nel 1971 la Soprintendenza ordina
la sospensione dei lavori ma il ministero della Pubblica Istruzione accoglie il
ricorso proposto dal titolare della licenza. Nel 1976 la Regione Campania
annulla le licenze rilasciate dal Comune perché in contrasto con il Programma
di Fabbricazione, ma il Tar Campania nel 1979 ed il Consiglio di Stato nel
1982 annullano gli atti adottati dalla Regione. Nel 1986 i lavori sono sospesi
dal Comune di Vico Equense perché si rendono necessari lavori di
consolidamento del costone roccioso retrostante. Da allora, lo scheletro
dell’albergo diventa un punto di ritrovo per la piccola delinquenza locale e per
lo spaccio di stupefacenti, mentre tra i pilastri di cemento armato sorge
spontanea una vera e propria discarica. Completare l'ecomostro di Alimuri
avrebbe un duplice “effetto”: dare corso all'ennesimo assalto al patrimonio
ambientale della penisola sorrentina e rendersi responsabili di un’opera a
rischio, costruita alle pendici di un costone roccioso fragile, inserito nella zona
rossa, quella a maggior rischio, dell'ultimo piano d’intervento per il dissesto
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Legambiente - Mare monstrum 2002
idrogeologico realizzato dall'Autorità di Bacino del Sarno. Basti pensare che i
solai del complesso di Alimuri risultano attualmente sfondati da numerosi
"fori" del diametro anche superiore al metro provocati da ripetuti crolli di
blocchi lapidei staccatisi dal costone. L'amministrazione comunale di Vico
Equense ha fatto rientrare l'area tra quelle di maggior pericolosità, censite nel
nuovo Piano di Protezione Civile Comunale. Il passaggio successivo è quello
di predisporre tutte le procedure amministrative per arrivare all'abbattimento.
L’isola dei Ciurli di Fondi
L’isola dei Ciurli, un'area agricola di grande valore paesistico, 21
scheletri in cemento armato illegali aspettano da decenni di essere demoliti. Il
Tar di Latina con una sentenza dell’ottobre 1997 ha giudicato l'intero
complesso abusivo. Il Comune di Fondi, anziché avviare le procedure per
l’acquisizione della lottizzazione al patrimonio pubblico e prevedere un piano
di demolizione degli edifici, ha invitato i titolari della lottizzazione a
sospendere i lavori e a presentare una proposta di lottizzazione. Il 29 settembre
1998 il Consiglio comunale di Fondi ha approvato il “progetto di lottizzazione
convenzionato e relativo schema di convenzione”. Questo è l’ultimo passaggio
di una lunga storia iniziata nel 1968 che attraverso provvedimenti di
sospensione dei lavori, sequestri giudiziari e ordinanze di sanatorie si è
trascinata fino ai nostri giorni. Il Circolo Legambiente di Fondi, da tempo in
prima linea contro l’ecomostro, ha presentato contro la decisione del Comune
un esposto alla Procura della Repubblica di Latina.
Gli scheletri di Agrigento
Dopo la demolizione di uno degli edifici di proprietà di un mafioso che,
da tempo deturpavano una delle aree archeologiche più importanti e suggestive
d’Italia e del mondo, si è aperta agli inizi di quest’anno una nuova stagione di
abbattimenti. Il Ministero dei Lavori Pubblici e il comitato istituito presso il
provveditorato per le Opere Pubbliche della Sicilia, con il positivo contributo
dell’Assessore ai Beni Culturali e Ambientali regionale, Fabio Granata, e
dell’allora Sottosegretario ai Lavori Pubblici, Antonio Mangiacavallo, hanno
dato il via libera all’abbattimento di altri sei scheletri nella Valle dei Templi,
sbloccando una situazione di stallo che si protraeva da tempo. Purtroppo resta
ancora tanto da fare per liberare il Parco archeologico dal cemento selvaggio.
Sono circa 600, infatti, le abitazioni realizzate illegalmente nell'area sottoposta
a vincolo di inedificabilità assoluta.
Simeto: un'oasi a rischio
Complessivamente sono 550 le case abusive da demolire, realizzate
all’interno dell’Oasi del Simeto in Provincia di Catania. Ad oggi ne sono state
abbattute, dalla precedente amministrazione guidata da Enzo Bianco, circa 60.
Una colata di cemento per un totale di 250mila metri cubi, ossia 6 volte la
volumetria del Fuenti. Un altro segnale positivo nella vicenda è arrivato dal Tar
siciliano, che ha sospeso il Decreto regionale con il quale si riduceva
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Legambiente - Mare monstrum 2002
drasticamente la zona B di pre-riserva, determinando di fatto la sanatoria anche
delle costruzioni abusive assolutamente incompatibili con i valori naturalistici
della riserva. Sono passati due anni dallo stop agli abbattimenti imposto dalla
nuova amministrazione comunale, mentre si era in attesa dei procedimenti di
autodemolizione da parte dei proprietari, in virtù dei quali dovevano essere
abbattute 40 costruzioni, per 20 è stato presentato ricorso, mentre delle restanti
20 ne sono state abbattute 3 o 4. L’Oasi del Simeto, alla foce dell’omonimo
fiume, è una delle aree umide di maggior pregio ambientale d’Italia, dove
ancora oggi transitano e nidificano rare specie di uccelli migratori.
Legambiente chiede che si prosegua, senza ripensamenti, l’opera di
abbattimento delle costruzioni illegali e di recupero dell’Oasi.
Le ville di Pizzo Sella
Un milione di metri quadri di collina scoscesa e rocciosa sottoposta a
vincolo idrogeologico e paesaggistico lottizzati abusivamente, 314 concessioni
edilizie rilasciate illegittimamente dal Comune di Palermo in una zona
destinata a verde agricolo, l59 unità immobiliari realizzate, il tutto corredato da
opere di urbanizzazione primaria, strade, fognature, impianto di illuminazione,
ecc. Si tratta delle ville di Pizzo Sella, a Palermo, un altro ecomostro il cui caso
è quasi chiuso: le case abusive costruite sul promontorio palermitano di Pizzo
Sella, ribattezzata la collina del disonore, vanno confiscate e il danno
ambientale prodotto deve essere risarcito. Lo ha stabilito la sentenza emessa il
29 gennaio 2000 dal giudice Lorenzo Chiaramonte, che ha condannato dieci
tecnici, funzionari comunali e imprenditori, accusati di aver partecipato a vario
titolo ad un’enorme speculazione edilizia. Diversi lotti di terreno con rispettiva
villetta sono stati "donati" ad alcuni tecnici e funzionari comunali, per facilitare
e rendere possibile il rilascio delle concessioni. In particolare, il progettista del
complesso edilizio allo stesso tempo faceva parte della commissione edilizia
che dava il parere sulle concessioni e naturalmente aveva esercitato la sua
influenza affinché i progetti fossero approvati senza problemi. Particolare non
trascurabile, infine, le concessioni edilizie figuravano intestate alla sorella del
noto boss mafioso Michele Greco il "papa della mafia". Una colossale
speculazione immobiliare che nasconde un’imponente operazione di
riciclaggio di denaro “sporco” da parte di Cosa Nostra. Dopo la demolizione
dei primi scheletri, la sentenza apre adesso una pagina completamente nuova in
questa vicenda, premessa indispensabile per la demolizione delle oltre 300
costruzioni illegali che da più di vent'anni deturpano la collina.
La “saracinesca” di Bari
Il 29 gennaio 2001 la Corte di Cassazione ha reso definitiva la sentenza
emessa nel 1999 dal giudice per le indagini preliminari di Bari, Maria Mitola:
l’ecomostro di Punta Perotti, 300mila metri cubi di cemento costruiti sul
lungomare di Bari, è abusivo, annullando, così la sentenza della Corte
d’Appello di Bari che aveva assolto gli imputati perché il fatto non sussisteva e
restituito l’ecomostro di Punta Perotti ai proprietari. La sentenza, definitiva,
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Legambiente - Mare monstrum 2002
prevede l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dei due grattacieli e
delle aree di sedime in cui sono stati realizzati e, soprattutto, non lascia margini
di equivoco sul futuro della Saracinesca: le costruzioni devono essere
abbattute. Spetta ora all’amministrazione comunale dare corso all’ultimo atto
di una lunga vertenza, che ancora tarda a venire.
Nel frattempo Legambiente, in collaborazione col Ministero dei beni
culturali, ha inserito Punta Perotti tra le aree oggetto di un concorso
internazionale di progettazione, al fine di promuovere idee per la
riqualificazione del tratto costiero violato dalla “Saracinesca”.
Una vertenza cominciata, grazie anche all’impegno dei Centri di azione
giuridica di Legambiente Puglia, subito dopo l’avvio dei cantieri, nei primi
anni Novanta, e che è proseguita, tra alti e bassi fino al gennaio scorso: prima
la decisione del Gip di Bari, poi la revoca della sentenza in Corte di appello;
infine la decisione della Terza sezione penale della Cassazione, che ha posto la
parola fine a questa sorta di “telenovela” giudiziaria. Resterà comunque alta, in
attesa della demolizione dei due grattacieli, l’attenzione verso le scelte che la
Regione Puglia e l’amministrazione comunale di Bari porteranno avanti sotto il
profilo urbanistico. Troppo a lungo, infatti, in questa terra, accanto ai fenomeni
squisitamente illegali, è prevalsa la logica delle cementificazioni a tutti i costi,
anche in barba ai vincoli previsti dalle normative nazionali, legge Galasso in
testa.
La “Pietra” di Polignano a Mare
Nel febbraio del 1998 è scattata l'operazione “Pietra Igea”, condotta
dagli uomini del Coordinamento provinciale del Corpo forestale di Bari su
delega del sostituto procuratore Roberto Rossi contro una lottizzazione abusiva
nel Comune di Polignano a Mare. L'area, in località Ripagnola, si estende su
quattro ettari, e al momento del blitz già ospitava un volume complessivo di
oltre 20.000 metri cubi di cemento: un complesso turistico, con albergo e villini
annessi. Diciannove i “corpi di fabbrica” già sequestrati nell'area soggetta a
vincolo paesaggistico, sette gli avvisi di garanzia emessi nei confronti dei
responsabili di questo scempio.
Villaggio Coppola: un paese abusivo
Dune mobili e una splendida pineta di proprietà demaniale costituivano
la cornice di uno stupendo paesaggio unico nel suo genere: si presentava così il
litorale domiziano in provincia di Caserta. Ora su quella dune c'è un “paese
privato” di oltre 15.000 abitanti, il Villaggio Coppola “Pinetamare”, un mostro
di pietre e cemento lungo quattro chilometri costituito da otto grattacieli
identici di dodici piani, con almeno ottanta appartamenti l'uno, 1300 posti auto,
hotel e residence, pizzerie e rosticcerie, un porto privato per seicento posti
barca, una chiesa e un cinema.
La lottizzazione risale ai primi anni '60. A realizzarla fu la Società
immobiliare Fontana Blu di proprietà dei fratelli Coppola, di Aversa. Nel 1995
scattano i sequestri disposti dal sostituto procuratore Donato Ceglie, inizio di
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Legambiente - Mare monstrum 2002
una lunga vicenda giudiziaria che non ha ancora visto la parola fine. Nel
frattempo le ruspe (pagate da chi aveva costruito abusivamente) hanno
terminato d’abbattere la sopraelevata del Parco Saraceno, 800 metri di asfalto
abusivo che collegavano la darsena con le strade principali. Una nuova
primavera per il Villaggio Coppola, sul quale pendono ben 165 procedimenti
penali, è iniziata. Questa accelerazione è dovuta, in buona parte,
all'insediamento dell’allora Commissario Straordinario di Governo per le aree
del territorio di Castel Volturno, il Prefetto Mario Ciclosi. Finalmente si passa
ad una nuova fase, più incisiva, nella gestione della vicenda: sono nominati due
Comitati operativi, nazionale e periferico, per coordinare le diverse attività e
gli interventi. Nel frattempo 101 ettari della Pineta Grande, sopravvissuti al
degrado, sono stati affidati al Corpo Forestale per un periodo sperimentale di
tre anni, in modo che siano garantiti manutenzione e ripristino del verde. Ma il
progetto di recupero del Villaggio Coppola non si deve fermare: una torre è già
stata abbattuta, ma occorre demolire le altre sette torri abusive e dare corso al
progetto di riqualificazione dell’intera area. Gli interventi per il ripristino della
legalità in una zona già tanto danneggiata, passa necessariamente attraverso il
rigoroso rispetto della legge sull’abusivismo e il divieto assoluto di nuove
concessioni.
Lo Spalmatoio di Giannutri
Una lunga fila di fatiscenti immobili in cemento armato per circa
11.000 metri cubi, fa bella mostra di sé da oltre 10 anni nell'insenatura dello
Spalmatoio a Giannutri, isola che fa parte del Parco nazionale dell'Arcipelago
Toscano. Delle costruzioni, iniziate negli anni '80 dalla società Val di Sol e poi
interrotte, rimangono oggi alcuni scheletri in cemento e qualche villetta in
completo stato di abbandono. Dopo oltre 10 anni di oblio, la nuova società che
ha acquisito gli immobili ha chiesto al Consiglio direttivo dell'Ente Parco il
nulla-osta per “recuperare” il complesso. L'Ente Parco è in attesa di
documentazione aggiuntiva dal Comune del Giglio (nel cui territorio rientra
Giannutri) per chiarire una vicenda che presenta diversi lati oscuri.
Il complesso residenziale di Fossa Maestra
"A trenta metri dall'incantevole spiaggia di Marina di Carrara, la
Società Casa Fiorita 2 sta costruendo un complesso immobiliare denominato
Residence Paradiso, formato da tre piccoli gruppi di ville a schiera immersi nel
verde": così nel dicembre del '92 veniva pubblicizzato su alcuni giornali la
costruzione del complesso residenziale di "Fossa Maestra", in un'area dove il
Piano regolatore prevedeva "attrezzature collettive balneari". Il circolo
Legambiente di Carrara nell'aprile '93 ha presentato un esposto alla
magistratura; nel luglio '95 il pretore ha condannato i responsabili a 20 milioni
di multa "per aver realizzato un albergo in contrasto con quanto previsto dal
Prg e per aver realizzato l'edificio in difformità rispetto alla concessione
edilizia rilasciata dal comune". La sentenza è stata successivamente confermata
in Cassazione. Sono passati quattro anni ma lo scheletro è ancora in piedi,
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Legambiente - Mare monstrum 2002
impedendo ogni possibilità di ripristino e recupero dell'area umida, prevista dal
Piano strutturale in vigore. Quest’anno Legambiente Carrara ha organizzato
nella stessa spiaggia l’operazione spiagge pulite per chiedere al Comune di
abbattere, che continua a fare “orecchie da mercante”.
Lo "scheletrone" di Palmaria
Circa 10.000 metri cubi di cemento incombono sul paesaggio del Parco
Regionale delle Cinque Terre. Uno scheletro abusivo alto 30 metri nel Comune
di Portovenere di cui Legambiente chiede la demolizione e il recupero
dell'area, tra le più suggestive di Palmaria.
La vicenda inizia nel 1975 quando il Sindaco di Portovenere rilascia
una concessione edilizia per la realizzazione di un albergo e di un residence di
45 appartamenti, con annessi servizi e infrastrutture. Nello stesso anno la
Pretura blocca la speculazione, mette sotto sequestro il manufatto e rinvia a
giudizio i titolari della società lottizzatrice, il Sindaco e l'impresa. La sentenza
è poi confermata anche in appello. Si attende ancora un intervento della Giunta
regionale. La Giunta comunale di Portovenere ha votato una delibera che
rigetta definitivamente la richiesta di condono presentata dai proprietari. Il 23
maggio scorso è stato raggiunto un accordo tra la regione Liguria, il Comune di
Portovenere e la Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio
della Liguria che dovrebbe portare all’abbattimento dello scheletrone di
Palmaria che da oltre 30 anni sfregia uno dei tratti di costa più belli della
Liguria.
L’Hotel Castelsandra nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diana
(Comune di Castellabate – Salerno)
Un vasto complesso immobiliare a destinazione alberghiera costruito su
di una collina, nel cuore del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diana.
Siamo nel comune di Castellabate in provincia di Salerno dove, a partire dalla
meta degli anni ’80, in assenza di qualsivoglia lecito titolo concessorio, in una
zona incontaminata soggetta a vincolo di inedificabilità e destinato all’uso
civico boschivo, è stato costruito l’Hotel Castelsandra. Il complesso
alberghiero è stato confiscato perché ritenuto oggetto di reinvestimento e di
riciclaggio di attività illecite e criminali da parte del clan camorristico dei
Nuvoletta.
Sull’annosa vicenda che va avanti ormai da un decennio sembrerebbe
comparire la parola fine. Il Sottosegretario di stato per l’economia e la finanza
Maria Teresa Armosino, nella seduta della Camera dei deputati del 28
novembre 2001 ha espressamente risposto in merito all’interrogazione
parlamentare sull’Hotel Castelsandra che: “l’area interessata dalla costruzione
e contraddistinta da un vincolo di inedificabilità assoluta, prevista dal Piano
regolatore generale adottato dal Comune di Castellabate. Di conseguenza
l’edificazione realizzata non è neppure suscettibile di un provvedimento di
sanatoria edilizia”. Inoltre, “Il soggetto giuridicamente tenuto a procedere ad
ogni attività occorrente per la demolizione secondo le regole tipiche dettate in
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Legambiente - Mare monstrum 2002
argomento dalla legge n.47/85 è il Comune di Castellabate. Solo in caso di
inerzia ingiustificata del comune, l’ente parco nazionale potrà ad esso
sostituirsi, attivando le procedure di demolizione e rivalendosi,
successivamente, sul comune per i costi sostenuti”.
Le villette abusive di Piscina Rey a Muravera
Dopo una lunga vicenda giudiziaria fatta di appelli e riforme parziali di
sentenze, il 9 aprile 1999 la Corte di Cassazione ha confermato l’ordinanza di
demolizione per un complesso immobiliare di villette a schiera per migliaia di
metri cubi costruito in un’area ad uso civico lungo la costa di Muravera. Dopo
sette pronunce giurisdizionali non è stato ancora demolito nulla.
Il “moncone in cemento armato” a Mondragone
Lungo il lungomare di Mondragone continua a fare bella mostra di se
da oltre vent’anni un moncone di cemento armato mai ultimato, un pontile
d’attracco che parte dalla terra ferma, attraversa l’intero arenile e si protrae per
qualche decina di metri nel mare. Il progetto originario risalente al 1971,
prefigurava un pontile di attracco per piccole imbarcazioni, che si sarebbe
dovuto addentrare per oltre 256 metri nel mare e consentire così, anche, una
gradevole passeggiata panoramica. I lavori partiti agli inizi degli anni ’80 non
sono mai stati ultimati, non solo per lungaggini tecnico-burocratiche, ma
soprattutto per lo stop decretato il 20 settembre 1990 dall’allora Ministro dei
Beni Culturali e Ambientali che ritenne l’opera incompatibile con la vocazione
turistico-balneare dell’area. Una colata di cemento senza futuro che continua a
sfregiare e deturpare il litorale: dopo la pronuncia del Consiglio comunale per
l’abbattimento si attende, auspichiamo al più presto, l’emissione dell’ordinanza
di demolizione per liberare il litorale dal moncone di cemento.
5.3 L’assalto alle coste: i casi esemplari
5.3.1 Il cemento nel Golfo di Taranto
Centocinquanta chilometri di villaggi e porti turistici ridisegneranno il
profilo di due intere province costiere, quella di Taranto e quella di Matera.
Decine di migliaia di nuovi posti letto e posti barca all’interno di zone umide e
Siti di Importanza Comunitaria, una vera e propria città distesa lungo il litorale,
viva solo per qualche settimana e poi abbandonata e deserta per il resto
dell’anno. Stiamo parlando del progetto di trasformazione forse più rilevante,
per numeri ed estensione territoriale, che si sia mai verificato nel nostro paese.
Paragonabile a quanto accaduto qualche decennio fa sulla Costa Smeralda, con
risvolti socioeconomici da non sottovalutare. Il risultato sarà il completo
stravolgimento di un territorio omogeneo, caratterizzato da un fronte a mare
basso e sabbioso, da dune e da un entroterra con una fitta pineta interrotta dal
passaggio di numerosi corsi d’acqua e da quanto rimane di quella che una volta
era una delle più importanti zone umide della nostra penisola.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Sono due gli elementi di punta di questo megainsediamento: per la
provincia di Taranto il progetto Nuova Concordia a Castellaneta Marina,
mentre sulla costa materana a fare da apripista ci pensa la Cit Holding con un
megaprogetto a Scanzano Jonico.
Ma procediamo con ordine: il progetto Nuova Concordia, all’interno
del quale insiste il famoso villaggio Valentino, è stato addirittura oggetto di
uno specifico Accordo di Programma che ha previsto lo stanziamento di ben
520 miliardi da parte del Cipe per un’opera che interesserà 300 pregiatissimi
ettari di territorio a ridosso di una riserva biogenetica. Proprietario dell’intera
struttura è il gruppo imprenditoriale Putignano, una delle imprese più quotate
del settore nel Sud Italia. Qualche settimana fa i carabinieri hanno apposto i
sigilli al cantiere per le irregolarità riscontrate in materia di sicurezza sul posto
di lavoro. Ancora una volta quindi l’imprenditoria arruffona e fuorilegge, che
dietro il doppiopetto nasconde in realtà atteggiamenti che di manageriale hanno
poco o nulla. Il blitz dei Carabinieri ha riscontrato che la pratica del sub
appalto era la norma all’interno del cantiere, alla vista delle forze dell’ordine
buona parte degli operai si sono dati addirittura alla fuga. Secondo quanto
denunciato dalla Fillea Cgil di Taranto, più del 41% dei lavoratori del settore
edile di Taranto e provincia sarebbe irregolare, per 2500 operai quindi non ci
sarebbe alcuna forma di tutela contrattuale.
Procedendo sempre in provincia di Taranto si incontrano due villaggi
turistici progettati e approvati a Ginosa Marina, a ridosso del Lago Salinella, al
centro di una storica battaglia di Legambiente. Nei pressi dell’ex alveo del
fiume Bradano, il lago Salinella è considerato la più importante zona umida
della provincia di Taranto, meta di circa 150 specie diverse di uccelli, tra i
quali esemplari di airone cinerino e cigno reale. Nonostante i numerosi vincoli
esistenti sull’area il P.R.G. del Comune di Ginosa prevede proprio qui la
realizzazione di villaggi turistici. E ancora, proseguendo lungo la costa, la
lottizzazione Perronello Catalano e i villaggi turistici progettati all’interno della
pineta Marinella sulla spiaggia di Chiatona. La situazione non cambia a levante
della città di Taranto: qui si comincia con il villaggio turistico con annesso
porticciolo in località Blandamura a Talsano, e si prosegue con i villaggi
turistici delle società Kira e Ondablu a Lido Silvana e a Torretta, fino ad
arrivare a Baia Colimena dove è progettato un porticciolo turistico. A poca
distanza un altro porto turistico, in questo caso si tratta del raddoppio di quello
già realizzato a Campomarino, una località sulla quale si concentrano numerosi
progetti speculativi, dal Progetto Mirante (180 miliardi di lire in strutture
ricettive su 40 ettari di costa con retroduna ancora intatta) al Messapia Golf
club & resort, 120 miliardi di lire in alberghi, minialloggi, villaggi turistici per
un totale di oltre 300.000 metri cubi da realizzare all’interno della riserva
naturale della foce del fiume Chidro.
Altrettanto critica la situazione lungo il tratto di costa jonico lucana. E’
un altro accordo di programma ad aprire qui la strada alla realizzazione di
villaggi, porti turistici e divertimentifici vari. E’ quello siglato tra il Ministero
del Tesoro e la Cit Holding per oltre 200 miliardi di lire (la metà a carico dello
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Stato) per realizzare quattro progetti di villaggi turistici e alberghi su oltre 200
ettari di territorio del Comune di Scanzano Jonico. Ma villaggi turistici sono
previsti lungo tutti i 47 km di costa lucana, a cominciare dai due porticcioli
turistici a Lido di Metaponto e dall’ampliamento dei villaggi Argonauti, Ti Blu
e Le Dune nelle vicinanze di Marina di Pisticci, proseguendo con un altro porto
turistico e il villaggio Marinagri a Lido di Policoro, per concludere a Nova Siri,
al confine con la Calabria, con il villaggio turistico Akiris, in parte già
realizzato e un ulteriore porto turistico. Tirando le somme si prevede di
realizzare 15.000 nuovi posti letto e 1.650 posti barca in poche decine di
chilometri sui quali già esistono 11.500 posti letto, 4 Siti di Importanza
Comunitaria e una Zona di Protezione Speciale.
La costa jonica ha già subito, nel volgere di un secolo, il grave
stravolgimento passando da zona umida ad area agricola (con le bonifiche ed i
rimboschimenti degli inizi del ‘900), perdendo importanti biotopi di foresta
planiziaria (Policoro), sostituendo le molteplici varietà vegetazionali tipiche
delle zone umide con monospecie resinose e conifere, eliminando le aree di
laminazione ed espansione delle foci dei fiumi lucani, modificando i regimi dei
venti di costa con la pineta e spostando più a monte i trasporti eolici salini,
alterando la falda acquifera sottocosta, accentuando le modificazioni della linea
di costa con le canalizzazioni e le idrovore.
Con la riforma agraria sorgono anche i primi insediamenti urbani
(Scanzano, Metaponto Borgo) e si creano le premesse per le espansioni di
nuovi abitati (Policoro, Nova Siri), mentre nascono i primi insediamenti
balneari (Metaponto, Ginosa Marina, Castellaneta, e più recentemente Pisticci).
Il grande reticolo viario esistente in tutta l’area, le reti e servizi
realizzati negli ultimi decenni per servire gli insediamenti agricoli sparsi o
concentrati sono un ottimo supporto per la crescita insediativa nel metapontino.
Più recentemente si espandono gli insediamenti balneari di Castellaneta (Il
Valentino e Nova Yardinia che occuperà oltre mille ettari con fondi europei per
il 50% su 600miliardi); Ginosa (lottizzazione alle Salinelle), Metaponto Borgo
e Lido (numerose lottizzazioni e villaggi in costruzione), 48 (Porto degli
Argonauti-Nettis Resort e complesso residenziale alla foce del Basento),
Scanzano, Policoro (porto alla foce dell’Agri e numerosi complessi turistici) e
Nova Siri con il rafforzamento di complessi residenziali turistici più o meno
riservati. Nascono i complessi mimetizzati direttamente nella pineta: Riva dei
Tessali, Club Med, il Valentino, etc. e si moltiplicano i campeggi e gli
stabilimenti balneari che perdono sempre più la caratteristica di removibilità,
diventando dei veri insediamenti in cemento direttamente sulle spiagge.
Qui dunque si stanno realizzando oltre cinque milioni di metri cubi di
fabbricati, una grande città, senza essere una città, con l’accordo stretto tra
amministratori e funzionari regionali, imprenditori, sindaci. Insediamenti
turistici per almeno 300mila persone, con un forte turn over e richiamo in tre
mesi di almeno tre milioni di turisti su un rettangolo di 45 km x 6.
Tre, quattro o cinque porti turistici, uno per ogni foce di fiume (porto
canale sul Bradano a Metaponto, porto degli Argonauti alla foce del Basento,
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Legambiente - Mare monstrum 2002
porto turistico all’ittica val d’Agri, etc.), e poi ipermercati, acqua park, mega
discoteche, parcheggi di scambio, centri benessere. Tutta roba che richiede
tanta energia, da fornire di acqua potabile, da dotare di depuratori, di
discariche, di strade, fogne, pubblica illuminazione, sistemi di sicurezza; con
flussi concentrati nel tempo e nello spazio, con modificazioni territoriali
irreversibili, con perdita secca del valore paesaggistico ed ambientale.
Tutto questo senza essere una città, di fatto vuota per più di 9 o 10 mesi
l’anno, ma costando alle comunità per tutto l’anno.
Questa nuova città sta sorgendo in un posto di grande sensibilità almeno
sotto altri due profili, oltre quelli paesaggistici ed ambientali, quello storico e
quello della sicurezza.
La Magna Grecia ha lasciato importanti segni della sua storia sulle
popolazioni locali, sugli insediamenti urbani esistenti, sul territorio e
sull’agricoltura, tracce che sono percepibili e che arricchiscono i viaggiatori
curiosi.
Mentre sulla costa si costruiscono nuovi pseudo villaggi, all’interno si
spopolano i centri storici di tutti i paesi lucani. Il recupero e la rivitalizzazione
dei paesi della collina e dell’Appennino lucano possono rappresentare un
investimento positivo ed una seria diversa prospettiva per il turismo e la
ospitalità diffusi. I paesi della collina e dell’Appennino sono situati giusto a
corona della fascia jonica, con tempi di percorrenza raramente superiori ai 30
minuti. Questi centri necessitano solo di interventi diffusi ed attenti.
Il rischio idrogeologico della fascia jonica
Il Piano provinciale di emergenza della Protezione Civile predisposto
dalla Prefettura di Matera indica la fascia jonica come ad altissimo rischio
idrogeologico. L’evento di riferimento è quello accaduto nel novembre del
1959. Solo tre giornate di intense pioggie, con max di 300 mm. nelle basse
valli dei fiumi lucani, furono sufficienti, accanto ad un persistente vento
sciroccale, perché l’intera area metapontina, da Ginosa a Nova Siri, finisse
sott’acqua e ci fossero anche delle vittime. Nessuno dei fiumi lucani riusciva a
sfociare in mare, i livelli di guardia furono superati a partire dal medio corso
degli stessi fiumi, furono interrotte le comunicazioni viarie e ferroviarie su tutta
la linea jonica per molti giorni, l’energia elettrica mancò per due settimane,
l’acqua potabile per oltre un mese. A Metaponto Borgo il livello dell’acqua
raggiunse i secondi piani delle case appena costruite dall’Ente Riforma; parte
della linea ferroviaria fu sepolta da oltre due metri di fango e limo per una
lunghezza di circa venti chilometri. Nel novembre del 1959 i danni furono
limitatissimi in confronto a quelli che si verificherebbero oggi ed insignificanti
rispetto a quelli che si potrebbero verificare in futuro a fronte di un evento
simile. Alla fine degli anni ’50 nel metapontino vivevano meno di 10mila
persone (oggi sono quasi 40mila), l’agro era ancora in grado di assorbire
discreti scrosci di pioggia (fino a 20 mm/h), le foci dei fiumi erano
sostanzialmente libere mentre oggi sono tutte “urbanizzate” o regimentate da
varia viabilità. Si può stimare che la superficie impermeabilizzata della fascia
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Legambiente - Mare monstrum 2002
jonica fosse meno del 5% del totale nel 1960, che sia del 10% oggi e che sarà
del 25-30% se si dovessero realizzare i diversi complessi edilizi e turistici
previsti.
Proviamo ad immaginare quale effetto avrebbe sul territorio un evento
come quello del novembre del 1959. Le capacità di intervento della Protezione
Civile sono aumentate, ma non si potrebbe evitare l’esondazione dei fiumi, che
siano investite le strutture, travolti i porti canali, sepolti i servizi ed i sotto
servizi, che un numero di molte migliaia di cantine, appartamenti sotterranei,
garage, depositi siano investiti dal fango, che le falde superficiali producano
sommovimenti ai fabbricati. Possiamo sperare che la crescita del livello
dell’acqua ed il suo deflusso avvengano in tempi medio lunghi, avremmo danni
solo dall’acqua e dal fango, se i deflussi dovessero essere repentini, per via del
calo improvviso dello Scirocco, avremo un importante fenomeno di
trascinamento verso il mare con grave accentuazione dei danni.
Tutto ciò considerato crediamo che l’utilizzo a fini turistici della costa
jonica debba essere fatto con grande attenzione, evitando di incrementare le
impermeabilizzazioni, investendo sull’esistente dei centri storici, con una scelta
di discrezione, di rispetto e non di omologazione a modelli che non
appartengono alla nostra storia e che fanno solo danni al nostro territorio.
5.3.2 Sicilia
Il condono edilizio
Affrontando il tema della crisi della pianificazione e dei rischi della
deregulation urbanistica in Italia, in Sicilia non si può non soffermarsi sul
fenomeno dell’abusivismo edilizio che, lungi dall’essere in una fase recessiva
come qualcuno sostiene, come un virus mutante sta cambiando forma,
diventando sempre più aggressivo e devastante non solo dal punto di vista
paesaggistico-ambientale, ma soprattutto da quello sociale. E’ un’aggressione
“stabilizzata” potremmo dire: nell’anno appena trascorso sono andate infatti
deluse le aspettative di chi puntava su un’ulteriore marcia indietro del
fenomeno. Nel 2000 infatti la costruzione di nuove case abusive in Italia ha
visto una flessione del 13,8%, rispetto al 1999, con punte fino al 15,7% nel
Mezzogiorno e nelle Isole. Era l’epoca degli abbattimenti: Valle dei Templi,
parchi del Vesuvio e del Cilento; e poi nel 1999 era venuto giù il Fuenti.
Insomma la comparazione tra il trend dell’abusivismo e l’attività demolitoria
segnava un processo virtuoso che ora è stato interrotto. Non si abbatte più e
allora ecco che nell’ultimo anno quella flessione nell’attività abusiva che era
stata del 13,8%, si è ridotta ad appena il 2,3%: un segnale importante che
dovrebbe allarmare tutti.
In Sicilia, nel 2001, sono state costruite 4.494 nuove case abusive, un
dato che in realtà è ben più grave visto che ai censimenti sul patrimonio
edilizio abusivo, sfuggono quasi tutti gli abusi, ed oggi ne rappresentano una
parte consistente, che vengono realizzati nelle aree rurali attraverso l’uso di
concessioni fasulle, formalmente rilasciate per la realizzazione di manufatti
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Legambiente - Mare monstrum 2002
legati alla produzione agricola (magazzini agricoli ed opifici per la
trasformazione dei prodotti agricoli), ma in realtà finalizzate alla costruzione di
ville e villette da usare come residenze stagionali.
Solo in pochi casi tali abusi vengono denunciati e pertanto difficilmente
possono essere censiti. Nonostante la sottovalutazione di questo fenomeno,
possiamo senza retorica affermare che si tratta della nuova frontiera di un
abusivismo edilizio contro il quale, purtroppo, si fa sempre meno.
Anzi, va denunciato il fatto che proprio questa nuova recrudescenza
dell’abusivismo edilizio trova negli uffici tecnici comunali coperture e
complicità, come sta venendo a galla nell’inchiesta giudiziaria relativa alla
lottizzazione abusiva denunciata da Legambiente ad Agrigento, in località
“Timpa dei Palombi”.
Si tratta di un caso veramente emblematico: in un’area di particolare
pregio a ridosso della fascia costiera, zona agricola del PRG vigente, negli anni
che vanno dal 1997 al 2000, quattro grandi lotti di terreno sono stati frazionati
in oltre cento particelle di circa 2.500 mq ognuna. Dimensione certamente poco
adatta alla localizzazione di aziende agricole, ma coincidente con il lotto
minimo comunale.
Con una solerzia mai vista prima, l’Ufficio tecnico ha rilasciato nel
periodo a cavallo tra la fine del 1999 e l’anno 2000 oltre settanta concessioni
ricadenti su questi lotti. Le concessioni hanno formalmente ad oggetto la
costruzione di magazzini agricoli ed opifici per la trasformazione dei prodotti
agricoli, ma come è facile immaginare, basta dare un’occhiata agli elaborati
grafici per rendersi conto che si tratta di ville, in molti casi anche di lusso.
Alla denuncia di Legambiente è seguito il sequestro da parte
dell’Autorità Giudiziaria di trenta cantieri già aperti ed in fase di ultimazione.
Nonostante tutto però, nemmeno in un momento in cui l’attenzione era
massima, il fenomeno si è arrestato. Nelle zone limitrofe a Timpa dei Palombi,
nelle ultime settimane, sono stati aperti decine di cantieri per la costruzione di
ville al mare o meglio, come recitano le concessioni, di “manufatti per la
trasformazione di prodotti agricoli”.
Questo fenomeno, ormai diffusissimo in tutta la Regione, sta
stravolgendo il paesaggio rurale ed il fisiologico equilibrio tra aree urbane,
periurbane ed agricole, urbanizzando di fatto l’intero territorio.
Le motivazioni che spingono l’abusivismo verso questa “nuova
frontiera” sono strettamente connesse alle complicità degli uffici comunali, non
solo perché questi rilasciano scientemente concessioni fasulle, ma soprattutto
perché la presenza di una concessione crea comunque un alibi per la completa
assenza di controlli sulle reali destinazioni d’uso degli immobili.
Questo fenomeno è stato peraltro incoraggiato anche dal Governo
regionale, che con la finanziaria 2001 ha emendato la legge regionale 17/94
che escludeva la possibilità di variare la destinazione d’uso degli immobili
costruiti in zona agricola, trasformandola in “abitativa, alberghiera o ricettiva
in genere”. L’Art. 89 della finanziaria, infatti, sopprimendo le parole
alberghiera o ricettiva in genere, ha di fatto sanato surrettiziamente tutti quegli
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Legambiente - Mare monstrum 2002
abusi edilizi che, almeno formalmente, verranno trasformati in strutture
ricettive.
Ed è appunto questo il nocciolo della questione. Quali politiche di
prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio sono state messe in campo
dagli ultimi governi regionali e dalle amministrazioni comunali?
Il quadro è desolante! Gli unici sforzi, infatti, vanno nella direzione
opposta.
Oltre a favorire l’abusivismo nelle zone rurali, da anni ormai si tenta di
sanare anche gli abusi insanabili realizzati sulla fascia costiera ed oggi esiste
addirittura un DDL approvato dalla giunta regionale dal titolo altisonante,
“Norme per il governo del territorio e il riordino delle coste”, ma che otterrà
come unico risultato una nuova sanatoria nella fascia costiera.
Spiegare questa scelta semplicemente con un tentativo
d’accaparramento dei consensi elettorali degli abusivi attuali e di coloro che si
preparano a diventarlo, è riduttivo. Esistono anche altre motivazioni. In primo
luogo occorre considerare il deficit politico-culturale che impedisce il
dispiegarsi di una azione di governo capace di elaborare un progetto di reale
sviluppo della Sicilia basato sugli indirizzi ormai consolidati dell’Unione
Europea. Uno sviluppo realmente sostenibile che punti sui beni culturali, sulla
qualità ambientale e sul pregio naturalistico di molti comprensori del territorio
siciliano, come risorse da tutelare e valorizzare, nell’ambito di un credibile
progetto di rilancio del settore turistico che, solo a parole, tutti riconoscono
come essenziale per la crescita economica dell’Isola.
Questo deficit è stato chiaramente esplicitato nel confronto sul
famigerato DDL “Norme per il governo del territorio e il riordino delle coste”.
La Legambiente non si è sottratta al confronto col Governo ed anzi ha
ritenuto opportuno fornire anche il proprio contributo di contenuti e proposte
alla luce sia del rilievo che questa norma potrebbe avere sulla gestione
complessiva del territorio siciliano ma anche della condivisione di quegli
obiettivi che il Governo in un primo momento aveva presentati come
principali:
Un riordino del sistema costiero siciliano, che tenesse conto di
tutti i fattori di degrado che negli anni hanno sconvolto un equilibrio già di per
sé piuttosto fragile.
Il potenziamento della ricettività turistica legata alla fruizione
del mare, nell’ambito di uno sviluppo equilibrato dalle esigenze di tutela.
Entrambi gli obiettivi rivestono un’importanza strategica per lo
sviluppo socio-economico della Sicilia e vanno certamente considerati
interconnessi sia nella fase di analisi che nella ricerca di possibili soluzioni.
Anzi, il riordino della fascia costiera non può che costituire la precondizione di
un reale potenziamento ricettivo.
Il contributo che Legambiente ha fornito, però, non ha trovato
accoglimento da parte dell’Assessorato Territorio e Ambiente che ha
predisposto, invece, un DDL dai contenuti inaccettabili e che rischia di
pregiudicare per sempre la possibilità di uno sviluppo sostenibile della Sicilia.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
“Un atto di responsabilità”, così lo ha definito il Presidente Cuffaro,
peccato però che il DDL approvato non è funzionale al riordino della costa né
tanto meno allo sviluppo turistico.
In che modo la sanatoria edilizia di quindicimila case costruite sulla
spiaggia, seppur filtrata da strumenti di pianificazione (sulla cui efficacia ci
soffermeremo appresso), possa innescare un processo di riqualificazione della
fascia costiera sfugge ai più. Come questo, poi, possa conciliarsi con lo
sviluppo di un turismo legato alla fruizione del mare non ci resta che farcelo
spiegare da coloro che, con straordinaria creatività , hanno redatto questo
articolato di legge.
Chi può credere veramente che il riordino di un agglomerato abusivo
costruito sulla spiaggia e la riqualificazione della costa si possano ottenere
semplicemente dotando di fogne ed acqua le case abusive?
In Sicilia gli agglomerati abusivi ancora oggi, dopo due sanatorie
edilizie ed il completo fallimento dei piani di recupero del patrimonio abusivo,
per qualità urbana, somigliano più alle bidonvilles terzomondiali che a pezzi di
città europee, e ciò che li rende molto simili alle favelas brasiliane o
venezuelane non è tanto il ceto sociale d’appartenenza o le condizioni socioeconomiche di chi vi abita, ma il disordine urbanistico. Bisogna però fare una
distinzione essenziale: le bidonvilles sono nate come risposta spontanea ad un
fenomeno di massiccio inurbamento originato dalla fame e dalla speranza in
una vita migliore di enormi masse di diseredati; in Sicilia, molto più
banalmente, l’origine è da ricercare in un consumismo sfrenato che fa sentire la
seconda o la terza casa come un fabbisogno essenziale e comunque “il
mattone” come un investimento sicuro.
Si tratta di una sub-cultura fondata sull’interesse particolaristico e sul
disprezzo del bene comune, ma che purtroppo trova nelle nostre regioni, non
solo in Sicilia e non solo nel Meridione, molti sostenitori. E ciò anche tra
quelle classi dirigenti che, invece, dovrebbero sentire come propria la
responsabilità dell’emancipazione culturale e della crescita di una reale
coscienza civile delle popolazioni che rappresentano.
Non possiamo dunque prendere seriamente le analisi che ci presentano
l’abusivismo come un fenomeno legato alle rimesse di poveri emigranti che
investono tutti i loro risparmi o alla carenza degli strumenti urbanistici generali
e del quale ci si deve limitare a prendere atto.
Il fenomeno dell’abusivismo edilizio, infatti, si basa su valutazioni
economiche molto precise è ha in ogni caso una natura speculativa: anche una
piccola casa abusiva è frutto di un progetto speculativo con il quale si vuole
ricavare una rendita che decuplichi il capitale investito. Si compra un terreno
inedificabile e per ciò stesso molto conveniente; si edifica in nero e quindi con
un costo di costruzione ridotto di circa il 40%; se si riesce a conseguire la
concessione in sanatoria si ottiene la stessa rendita di una casa regolarmente
costruita ad un costo nettamente più basso. Ovviamente vanno attentamente
valutati e minimizzati i rischi, e per questo, nella maggior parte dei casi, si
evita di costruire nelle aree già escluse dalle due sanatorie del 1985 e del 1994.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Un caso esemplare è quello della Valle dei Templi di Agrigento: la
speculazione abusiva la aggredì negli anni settanta e nella prima metà degli
anni ottanta; dal 1986 (anno successivo alla sanatoria nazionale L.47/85 che
escludeva tale area) il fenomeno si è sostanzialmente arrestato.
Ciò è avvenuto in quasi tutte le aree escluse dalle sanatorie, compresa
la fascia d’inedificabilità assoluta di 150 dalla battigia, oggi oggetto del DDL
del Governo.
Ed è appunto questo il dato di partenza su cui occorre riflettere.
L’insanabilità blocca l’abusivismo, le
nuove sanatorie creano grandi
aspettative criminose. Così si spiega lo spostamento dei massicci interessi
speculativi illegali verso le aree rurali: si ritiene tanto semplice evitare
l’acquisizione o la demolizione in queste aree che le case abusive vengono
regolarmente vendute dalle agenzie immobiliari.
Cosa avverrebbe se si approvasse una nuova sanatoria sulla fascia
costiera, cioè in un’area dove il fenomeno si è sostanzialmente arrestato?
La risposta è scontata, ed infatti è stata sufficiente la sola approvazione
in giunta per fare ripartire l’assalto alle nostre coste. La notizia del sequestro di
alcune ville in costruzione e addirittura di un’intera lottizzazione in provincia
di Trapani è più che significativa.
E certamente non sono credibili le rassicurazioni di chi ritiene di grande
importanza avere fissato come limite per la sanabilità il 31 dicembre 1993. La
storia ci ha insegnato che questo non serve a nulla, ma ancora meno servono le
sanzioni previste, di solito negli ultimi articoli come corollario della sanatoria,
per chi non vigilerà in futuro.
Anche su questo fronte infatti ci sono novità. "Con l’approvazione di
questa legge – ha dichiarato Cuffaro – nessuno potrà più fare lo struzzo perché
le sanzioni colpiranno il responsabile del provvedimento se non reprime
l’abuso. Se esiste inerzia nell’adottare gli atti, l’assessorato regionale al
territorio e ambiente comunicherà l’inadempienza all’autorità giudiziaria e al
sindaco che è tenuto a rimuovere il funzionario dall’ufficio. Se il sindaco non
provvede a questo adempimento, prima viene diffidato, e poi rimosso".
L’art.13 dunque prevede che i sindaci da responsabili diretti si
trasformino in semplici controllori dell’operato dei funzionari ed in caso
d’inerzia possano sollevare dall’incarico i funzionari negligenti; e si parla
anche dei fantomatici poteri sostitutivi della Regione che può arrivare anche
alla rimozione del Sindaco. Chi non ha la memoria corta, certamente ricorderà
che quest’ultima sanzione è già prevista da molti anni dalle attuali norme e,
ovviamente, non è mai stata irrogata. Forse perché tutti i Sindaci siciliani
hanno combattuto con solerzia l’abusivismo edilizio? Crediamo debbano essere
cercate altre spiegazioni.
In realtà si tratta di un film già visto e, come è sempre avvenuto nella
storia del cinema, i numeri 2 o 3 di film di grande successo sono molto più
scadenti degli originali.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
L’intera questione del risanamento della costa siciliana non può essere
ricondotta ad un semplice ed ennesimo ricorso a strumenti di riqualificazione
come fa il DDL approvato dalla giunta regionale.
"I comuni siciliani – ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia
– dovranno dotarsi di un moderno e aggiornato strumento di programmazione e
risanamento, il cosiddetto Prua, all’interno del quale nell’ambito di interventi
di riqualificazione ben più ampi potrà anche trovare spazio l’attività di
recupero e risanamento di immobili compatibili con gli indirizzi del Prua e,
comunque, realizzati non oltre il 31 dicembre 1993. Tutto il resto verrà
acquisito al patrimonio comunale solo in quanto compatibile con gli obiettivi
dello stesso Piano di riqualificazione urbanistica e ambientale, e destinato
eventualmente a forme di ricettività alberghiera. Tutto ciò che risulta
incompatibile con gli obiettivi del Prua sarà, in ogni caso, demolito".
I piani di recupero degli agglomerati abusivi previsti dalle norme
vigenti hanno completamente fallito il loro obiettivo ed il tentativo di trovare
strumenti leggermente diversi come i Prua, ci conferma come tale fallimento
sia inconfutabilmente ammesso dallo stesso Governo regionale.
Il mancato recupero degli agglomerati abusivi però non può essere
esclusivamente spiegato con la povertà dei finanziamenti disponibili (a
proposito, quante migliaia di miliardi costerebbe il riordino previsto dalla
proposta del Governo?? Quante decine d’anni occorreranno per averli?), cosa
peraltro assolutamente reale, ma anche con le caratteristiche tipologiche di
tessuti edilizi che, per come si sono sviluppati, difficilmente potranno assumere
un aspetto diverso.
Il fatto che poi anche questi ultimi piani siano affidati ai Comuni, le cui
responsabilità sulla crescita del fenomeno dell’abusivismo edilizio sono sotto
gli occhi di tutti, ci dà il senso pieno della strumentalità della proposta.
Entrando nel merito del DDL, vale la pena di sottolineare due punti
significativi:
•
I Prua dovrebbero essere “redatti sulla base dei contenuti
dell’Atto di indirizzo del PTUR” e non su quelli del Piano vero e proprio.
Questo Atto d’indirizzo, inoltre, dovrebbe essere redatto entro novanta giorni
dalla data di entrata in vigore della legge “nel rispetto dei principi delle Linee
guida del Piano territoriale paesistico”. In buona sostanza si dovrebbe
provvedere alla redazione dei PRUA in totale assenza di criteri oggettivi
costruiti su una fase di analisi propedeutica, dignitosamente approfondita. In
queste condizioni ovviamente verrebbe sanato tutto ciò che non ricadrebbe
all’interno di aree protette. Potrebbe, infatti, essere questo l’unico criterio
oggettivo adottabile.
•
I Prua potranno prevedere il recupero solo per quegli abusi già
oggetto di richiesta di concessione in sanatoria ai sensi delle precedenti leggi di
condono. Cioè potranno sanare esclusivamente coloro che, pur non avendone
titolo ma essendo dotati di sconfinata fiducia nelle classi dirigenti che si sono
alternate alla guida della Regione, hanno comunque richiesto il condono
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Legambiente - Mare monstrum 2002
edilizio. Saranno premiati quindi coloro che pensano: “tanto prima o poi
arriverà una nuova sanatoria”, gli altri abusivi resteranno a guardare.
Ma è ancor più evidente l’altro profilo d’incostituzionalità di questo
DDL. Non si fa una nuova sanatoria, ma si riaprono i termini delle precedenti
sanatorie nazionali. Onestamente sfugge come possa l’Assemblea Regionale
Siciliana riaprire i termini di una sanatoria approvata dal Parlamento nazionale
che escludeva la possibilità di sanare gli abusi commessi in aree vincolate.
Legambiente è stata richiamata dal Governo ad un più sano realismo. E’
stato spiegato che non è credibile pensare alla demolizione di tutte e
quindicimila le case in questione. Proprio in nome del realismo sono state
dunque proposte due soluzioni alternative:
•
L’acquisizione al demanio di tutte le case e la concessione in
uso, in applicazione delle norme attualmente vigenti;
•
L’acquisizione al demanio di tutte le case e il successivo
riutilizzo di questo patrimonio, in termini di cubatura, da parte di quegli
imprenditori turistici che vorranno realizzare strutture ricettive sulla fascia
costiera, anche all’interno dei 150 metri dalla battigia, facendosi carico della
riqualificazione dell’area. Questa previsione, riguardando ovviamente quei
grossi agglomerati che hanno ormai cancellato ogni possibilità di
rinaturalizazione del sito originario, avvierebbe un reale processo di recupero
ambientale, paesaggistico ed urbanistico di questi, garantendo la sostenibilità
ambientale di un nuovo sviluppo turistico, in un equilibrio attivo con quelle
parti di costa ancora perfettamente conservate che dovrebbero rimanere
intangibili. Tali interventi dovrebbero essere inseriti in specifici piani o progetti
di comparto d’iniziativa privata. Il processo di riqualificazione potrebbe così
realisticamente avviarsi, essendo affidato in gran parte alla finanza privata.
Quest’ultima proposta, peraltro ritenuta di grande interesse anche dagli
industriali siciliani, denuncia uno sforzo reale di tenere insieme diverse
esigenze ma soprattutto di raggiungere i due obiettivi già citati e sbandierati dal
Governo per giustificare la redazione di questo testo di legge.
Non è stata presa minimamente in considerazione dal Governo ma è
servita a smascherare il vero obiettivo della legge e cioè la sanatoria edilizia.
A questo punto è il caso di riflettere su un’altra tanto grave quanto
significativa contraddizione. Uno degli atti contenuti del Prua inseriti nell’art.4
del DDL e quindi approvati dalla giunta è il ripristino del demanio. La stessa
giunta ha però proposto nello stesso periodo, per l’approvazione delle
commissioni competenti, l’art.1 di un altro DDL collegato alla finanziaria, il
n.298. Questo articolo si intitola “Sdemanializzazione di aree e manufatti
demaniali marittimi” e guarda caso prevede la sdemanializzazione anche per le
“opere realizzate in assenza o in difformità dalla concessione” cioè per le case
abusive. Appare superfluo ogni commento!
Se non si volesse regalare ai siciliani l’ennesima sanatoria ed al
contrario si puntasse su uno sviluppo turistico “possibile”, sarebbe
indispensabile fugare ogni dubbio in proposito e partire dall’assunto che è
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Legambiente - Mare monstrum 2002
prioritario bloccare i meccanismi socio-economici che alimentano l’abusivismo
edilizio.
Questo è necessariamente il presupposto per qualunque discussione
seria sul riordino delle coste e per questo è comunque essenziale arrivare
all’acquisizione delle case abusive. Solo così si può scoraggiare il nuovo
abusivismo edilizio.
Tutte le leggi di sanatoria non hanno ottenuto alcun risultato in termini
di risanamento ed hanno di converso rilanciato l’abusivismo edilizio.
Queste constatazioni portano ad una conclusione quasi banale: I
contenuti degli artt. 4-5-6 (sanatoria e deregulation), contraddicono gravemente
i principi generali e gli obiettivi che presiedono alla formulazione dello stesso
DDL: infatti la norma prevede il potenziamento della strumentazione
urbanistica generale attraverso la creazione del Piano regionale nonché
consentendo ai comuni di far scattare le norme di salvaguardia solo dopo
l’approvazione dello schema di massima del Prg. In estrema sintesi il DDL
proposto è una pericolosissima mina: dietro l’apparenza di un condivisibile
rafforzamento della disciplina urbanistica in Sicilia, nasconde una volgare
sanatoria edilizia promessa in campagna elettorale ed un regalo ai peggiori
interessi speculativi che da venticinque anni aspettano di poter ripartire
all’assalto della fascia costiera.
L’assalto dei nuovi barbari
Sono decine i casi che in questi anni Legambiente ha fatto conoscere
anche attraverso il viaggio di Goletta Verde. Segnalazioni, vertenze, blitz,
conferenze stampa, convegni: un tam tam ininterrotto per difendere un
territorio dalle mille bellezze ma in continuo pericolo. E purtroppo anche
quest’anno registriamo alcune new entry nella saga della mala gestione del
territorio. Ne segnaliamo alcune: storie diverse che raccontano, meglio di tante
parole, qual è il futuro che gli amministratori locali riservano a quest’Isola.
Campofelice di Roccella (Pa)
Sulla costa tirrenica della Sicilia, tra la zona industriale di Termini
Imerese e la rinomata città normanna di Cefalù, a due passi dall’antica città di
Himera, c’è, nel territorio del comune di Campofelice di Roccella, una lunga
spiaggia di sabbia finissima.
Il litorale è interrotto da una roccia isolata, dove, pare fin dai tempi
degli arabi, si erge una torre fortificata, chiamata dal geografo Edrisi, Saharat
al hadid, la rupe di ferro.
I resti adesso rimasti sono d’origine medievale: insieme alla torre, ben
visibile, ci sono quelli di un antico casale, con annessi diversi ambienti e locali.
Alcuni mesi fa, l’Amministrazione Comunale di Campofelice di
Roccella ha approvato un progetto presentato da una ditta privata che,
ipotizzando un pseudo intervento di recupero dell’antico insediamento, vuole
in realtà nascondere il suo vero obiettivo: la costruzione di un mega-albergo,
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Legambiente - Mare monstrum 2002
entro la fascia dei 150 metri, con spregio totale della testimonianza storica
esistente.
Sarebbe così cancellata una delle poche testimonianze storicomonumentali della zona, diventata, nel tempo, simbolo della comunità di
Campofelice, non a caso sottoposto a vincolo di tutela e salvaguardia.
Inoltre, il progetto è in palese e netto contrasto con gli strumenti
urbanistici in vigore in quel territorio.
Questo vergognoso e speculativo progetto di cementificazione ha fatto
scattare la reazione dei cittadini, che, con una petizione, si sono rivolti a
diverse Istituzioni, compresa la Procura della Repubblica di Termini Imerese,
che, di recente, ha disposto il sequestro di tutto l’incartamento e bloccato
l’inizio dei lavori.
La ditta privata presentatrice del progetto è, però, già riuscita a recintare
i luoghi, impedendo, tra l’altro, il più frequentato degli accessi al mare
utilizzato dagli abitanti di Campofelice di Roccella.
La precedente Amministrazione Comunale, caduta per le improvvise
dimissioni del Sindaco, vittima alcuni giorni prima di un vile atto
d’intimidazione mafiosa, non volle mai approvare questo progetto e stava,
invece, già lavorando per l’acquisizione dell’intera zona interessata, il restauro
conservativo del bastione e della torre-castello, una campagna di scavi
archeologici e la ricostruzione del borgo circostante per il suo utilizzo per
finalità socio-culturale.
Nella zona sono state già sequestrate altre speculazioni edilizie molto
simili a quelle proposte: nate come strutture alberghiere con villini a schiera e
realizzati con cubature difforme e superiori, sono stati poi lottizzati e messi in
vendita singolarmente.
Sos Punta Asparano (Sr)
Iniziano i saldi di fine stagione per l’Amministrazione comunale di
Siracusa e per la maggioranza che la sostiene in Consiglio. Oggetto della
svendita, però, non sono beni e servizi di largo consumo, ma interi pezzi del
territorio della città.
Dopo la Tonnara di S. Panagia, sacrificata alle previsioni di assurdi
programmi costruttivi, dopo l’Epipoli e la riserva Ciane – Saline, minacciate
dagli interventi previsti nei PRUSST, un altro pezzo del patrimonio ambientale
della città rischia di cadere sotto i colpi di uno sviluppo urbanistico
irresponsabile: l’area dell’Asparano. Più precisamente quell’area ricompresa
tra Punta Arenella e Punta Asparano, una delle poche miracolosamente
risparmiata dall’abusivismo edilizio, sino ad oggi ancora fruibile dalla
collettività.
Il “partito del mattone” e degli interessi privati è venuto nuovamente
allo scoperto con l’approvazione di una variante urbanistica che rischia di
privare tutti i cittadini siracusani della libera fruizione di questo splendido
tratto di costa, riservandolo ad un esclusivo uso privato.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
In cambio della generosa variante urbanistica, la società “Blumarin
Hotels Sicilia S.p.A.” del gruppo Alpitour, che nella stessa zona ha ottenuto
l’autorizzazione per costruire un villaggio turistico, cederebbe gratuitamente al
Comune una quota dell’area nella quale, a proprie cura e spese realizzerebbe
una serie di opere di pertinenza della struttura alberghiera medesima.
Con l’opportuna variazione di alcune destinazioni urbanistiche si
raggiungerebbero 3 risultati:
1) nell’area a ridosso dell’insediamento turistico, e sino alla linea dei
150 mt. dal mare, la suddetta società potrebbe realizzare: campi da tennis,
piscine, campo di calcetto, centro fitness polifunzionale, palestre con spogliatoi
e depositi annessi, posti di ristorazione, attrezzature per lo spettacolo, teatri,
spogliatoi, piste da ballo, strutture ludiche con cubature fino ad ieri
irrealizzabili;
2) la zona all’interno della fascia dei 150 mt. verrebbe destinata ad uso
esclusivo del villaggio turistico;
3) si aprirebbe una maglia larghissima nelle previsioni di tutela delle
coste siracusane: verrebbero vanificati anni di battaglie civili per la
salvaguardia del patrimonio costiero e per uno sviluppo economico
ecosostenibile.
In cambio della variazione di destinazione urbanistica la società
costruttrice, come si diceva, cederebbe al Comune un’area nella quale, in
mancanza della suddetta variazione, non potrebbe fare quasi niente; ma
sostanzialmente si tratta di aree ricadenti in massima parte entro la fascia di
rispetto dei 150 m dalla linea di costa e come tali vincolate per legge dal
divieto assoluto di edificazione o comunque tutte a destinazione di pubblica
fruizione, nelle quali – è il caso di ripeterlo - il privato avrebbe potuto fare ben
poco. Insomma non proprio un atto così generoso.
Il Consiglio comunale avrebbe potuto correggere la proposta di variante
assicurando ai cittadini la piena fruizione almeno del golfetto dell’Asparano,
ma non lo ha fatto preferendo assecondare l’amministrazione in una scelta che
potrà avere gravi conseguenze per il litorale siracusano, soprattutto nelle
infinite more dell’approvazione del PRG.
E’ pertanto auspicabile assistere ad una nuova levata di scudi da parte
dell’opinione pubblica e di quella parte della classe dirigente che appena pochi
mesi fa si è opposta alla realizzazione di un massiccio impianto di tonnicultura
a largo della Penisola Maddalena. Oggi il pericolo non è meno grave, è in
gioco, ancora una volta, il patrimonio ambientale della città.
“Giù le mani dalla costa, giù le mani dall’Asparano!”, è lo slogan
scelto dai numerosi cittadini che chiedono la tutela del golfetto dell’Asparano
da vecchi e nuovi progetti speculativi.
L’invito rivolto al Consiglio comunale di Siracusa è perchè riveda la
variante urbanistica proposta dalla “Blumarin Hotels S.p.A.” per un progetto
che sottrarrebbe ai siracusani un’area così bella e cancellerebbe la rigogliosa
macchia mediterranea che la interessa.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Nelle osservazioni che le associazioni faranno pervenire fra breve al
Consiglio comunale verrà chiesto, da un lato, di garantire ai cittadini la libera
fruizione del mare nell’area oggetto dello scambio tra Comune e “Blumarin” e
dall’altro, di definire con precisione quali attrezzature la società potrà
realizzare all’interno delle altre aree. La maggiore preoccupazione degli
ambientalisti è che, una volta realizzate le attrezzature previste nella variante, il
Comune dia in concessione le aree costiere alla stessa società, che
prevedibilmente ne riserverà l’accesso ai soli ospiti del complesso turistico.
Insomma anziché riqualificare un area degradata e realizzarvi un parco urbano
come previsto dal Piano Regolatore, il Comune pensa di mutarne la
destinazione urbanistica e darla in concessione ai proprietari del villaggio
turistico.
Quello che si ritiene sbagliato è il modello di sviluppo economico
sotteso a queste scelte urbanistiche: a dividere non è tanto la prospettiva di
investimenti nel settore del turismo quanto la scelta di privilegiare solo quegli
investimenti che anziché valorizzare i beni paesaggistici del territorio li
mortificano. Ora l’approvazione della tanto contestata variante aprirebbe un
varco pericoloso anche per futuri progetti: se passasse questa variante, si
creerebbe un precedente pericolosissimo. Sorprende infine che la
Soprintendenza non si sia pronunciata su un progetto di tale fatta, in uno dei
più importanti siti del neolitico e in un’area che, quanto a ricchezza della
macchia mediterranea, non è inferiore a Capo Murro di Porco su cui invece ha
posto il vincolo paesaggistico.
I numeri del megavillaggio “Bluemarin Hotels Sicilia Spa”:
48 milioni di euro l'investimento complessivo.
66 ettari la superficie interessata, così distribuita:
17 ettari destinati a costruzioni.
10 ettari per la creazione di una azienda agricola per produzioni biologiche.
11 ettari per attività di servizi del villaggio.
9 ettari per le spiagge.
4 ettari per un parco verde.
15 ettari è la quota ceduta al Comune per la costruzione di un nuovo parco
naturalistico attrezzato dalla stessa Blumarin ma aperto alla fruizione della
collettività.
1553 i posti letto totali.
460 le camere da letto.
2 anni il tempo previsto per il completamento della struttura .
maggio 2002 l'inizio dei lavori.
aprile 2004previsione fine-lavori.
200 le persone impiegate per la costruzione della struttura con picchi fino alle
500 unità.
150 i posti di lavoro stabili che si creeranno nel villaggio con picchi fino a 300
unità considerando l'indotto.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
La baraccopoli di Mondello (Pa)
In Sicilia, nel cuore di Palermo, si può trovare un angolo di tropici: qui
la sabbia bianca e fine si incontra con un mare splendido, dal colore azzurro; è
il Golfo di Mondello, la spiaggia dei palermitani, il luogo dove da sempre i
cittadini si ritrovano per inaugurare la stagione balneare e dove da sempre si
svolge un pezzo importante della vita cittadina.
Come spesso accade però qualcuno ha ben pensato che le tradizioni e le
ricchezze ambientali e naturali debbono fruttare, insomma nulla ha valore se
non diventa business.
Ecco allora che lo splendido scenario del golfo di Mondello, nei mesi
estivi, cambia completamente aspetto: la spiaggia di sabbia bianca scompare,
letteralmente cancellata da una moltitudine di “capanne” di legno, accostate
l’una
all’altra,
in
una
frenesia
di
angusti
cortili.
Assi bianche, assi rosse, assi arancio, assi verdi… Le “capanne” si riuniscono
in “cortili”, i “cortili” in “settori”. Il tutto rigorosamente sigillato da una
cancellata in ferro, che solo da pochi giorni è stata alleggerita da paurosi
spuntoni metallici. Pochi varchi consentono al cittadino comune l’accesso
all’arenile e quindi al mare, che da Hemingway in poi è sinonimo di libertà.
Tutto questo dicevamo è questione di business, anche se da straccioni,
visto che la società “immobiliare Italo-Belga” ha ricevuto i diritti di
concessione, compreso lo Stabilimento in muratura sede permanente del
ristorante Charleston per venti anni – dal 1992 - , del demanio al costo di circa
diecimila euro (circa 20milioni di vecchie lire) per impedire alla collettività di
poter utilizzare pubblicamente una grande porzione della città di Palermo.
L’accesso è consentito, certo, ma solo agli estremi di una lunga spiaggia.
All’insegna del business a tutti i costi, una società – l’immobiliare
italo-belga – reclama i suoi diritti e, contestualmente, azzera i diritti
fondamentali del resto del mondo sotto gli occhi distratti delle autorità
cittadine. Il tutto con ricavi esorbitanti (oltre tre miliardi di vecchie lire) a
fronte di un canone irrisorio. E già, perché ogni “utente” munito di tessera
sborsa cifre esorbitanti che non possono essere giustificate dai servizi resi, né
danno giustizia alla anomala privatizzazione di un bene pubblico prezioso non
soltanto per i palermitani ma per l’intera nazione. Una situazione questa
contestata da tutti gli schieramenti politici. Legambiente ha trasmesso alle
autorità competenti - Capitaneria di Porto di Palermo, Assessorato Territorio ed
Ambiente e Comune di Palermo - la richiesta di revocare la concessione, un
atto legale finalizzato ad innescare un procedimento amministrativo destinato a
fare luce sulle inadempienze consumate prima e dopo il 1992 fino ai nostri
giorni relativamente alla gestione dell’arenile di Mondello.
La lottizzazione Pantarei nel comune di Gioiosa Marea (Me)
Lo scorso anno il Circolo Legambiente Nebrodi ha presentato un
esposto amministrativo per segnalare che l’approvazione della lottizzazione da
parte del Consiglio Comunale è avvenuta in violazione dei vincoli preposti alla
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Legambiente - Mare monstrum 2002
tutela della costa. In particolare, in violazione della legge regionale che vieta
qualsiasi costruzione entro la fascia dei 150 metri, ad eccezione delle opere
dirette alla fruizione del mare. Nel caso, la lottizzazione prevede una strada
carrabile in zona vincolata.
Nell’esposto si chiedeva al Consiglio Comunale di revocare la delibera
in autotutela ed al Sindaco di non procedere alla firma della convenzione
urbanistica. In occasione del passaggio di Goletta Verde 2001, venne attribuita
la Bandiera Nera al Sindaco ed al Consiglio Comunale di Gioiosa Marea.
Il Sindaco ha mantenuto l’impegno di non sottoscrivere la
Convenzione; il Consiglio Comunale, invece, non ha revocato la deliberazione.
Per questo motivo, il Circolo Nebrodi ha indirizzato un formale esposto alla
Procura della Repubblica di Patti. La nuova amministrazione eletta nel maggio
2002 ha assicurato che non consentirà alcuna iniziativa in violazione dei
vincoli ambientali.
La Lottizzazione “Torre delle Ciavole” a Piraino (Me)
Nessuna novità dall’anno scorso, quando venne consegnata al Sindaco
di Piraino la Bandiera Nera. La lottizzazione è stata approvata dal Consiglio
Comunale e la Società immobiliare proprietaria si appresta a richiedere le
concessioni per la realizzazione di diversi alberghi in un pendio molto ripido.
Nel suo parere, la Soprintendendenza ai Beni Culturali e Ambientali di
Messina ha limitato l’altezza dei muri di sostegno. Ciò può offrire la possibilità
di un ridimensionamento dell’intervento. Il Circolo di Legambiente vigilerà a
riguardo.
5.3.3 Il Salento in vendita
Basterà l’antico sistema difensivo delle torri di avvistamento ad
allontanare l’arrivo dei barbari all’assalto delle coste salentine? Ma ora anche
le torri costiere rischiano di scomparire, dopo secoli di assalti dei pirati,
lasciando il varco al violento saccheggio dei nuovi barbari….
Il Salento è in vendita. Al mercato ulivi millenari, muretti a secco,
pietre storiche, tratturi, grotte, capitelli, aie e macine di frantoi ipogei che
saranno forse suppellettili alla moda di giardini, locali e soggiorni privati dei
predatori di buon gusto.
Intanto milioni di turisti provenienti da tutt’Italia e dal mondo, non a
caso scelgono la Puglia e in particolare le coste salentine per trascorrere le loro
vacanze. La costa “di eccezionale bellezza paesaggistica costituita da uno dei
pochi esempi di costa alta” (L.R. 19/97) del tratto Otranto S. Maria di Leuca è
vista come una delle ultime roccaforti che tentano di resistere alla
cementificazione selvaggia. E neanche la costa jonica, con i suoi nove Sic (Siti
di Interesse Comunitario), una Zona a Protezione Speciale, un’Area Marina
Protetta istituita e sei Parchi Regionali ancora da istituire, riesce a sottrarsi alle
brame speculative.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Il Salento piace e la formula natura/turismo sembra essere quella
vincente per rilanciare il turismo di qualità e vincere la sfida dello sviluppo
sostenibile. E mentre il Comune di Otranto portavoce di questa scelta politica
di sviluppo sostenibile riceve le cinque vele di Legambiente come premio a
questo impegno, ancora rimane sulla carta il Parco Otranto - S.Maria di Leuca,
(L.R. 19/97 sulle aree protette) con una Regione Puglia che è in vetta ai primi
posti nella classifica del cemento selvaggio affianco solo a Sicilia, Calabria e
Campania.
E’ tutto sommato recente la revoca da parte della Regione Puglia della
legge scandalo 3/98 che ha inaugurato la stagione della deregulation totale
sulla pianificazione territoriale e consegnato alla memoria illustri ecomostri.
Ma la storia continua: in assenza di strumenti urbanistici e di ogni
logica di programmazione territoriale, altre leggi meno note, come quella
regionale n 13/2001, hanno previsto forme di semplificazione e accelerazione
amministrativa per consentire ai Comuni di andare in deroga ai propri
strumenti urbanistici finendo per affidare al solo buon senso degli Enti locali
la destinazione e l’uso del proprio territorio.
Strade aperte quindi alle speranze degli speculatori delusi, la Regione
Puglia raddoppia e rilancia: un Piano Generale Regionale delle Coste che, in
attesa della sua approvazione definitiva, deroga ai Comuni la gestione delle
concessioni demaniali, così come previsto dalla legge, ma che rischia in questo
modo di mettere all’asta il patrimonio costiero.
E le danze sono aperte: un valzer di ruspe a ritmo di deroghe e
violazioni sulle coste dei Comuni di Santa Cesarea Terme, quest’ultimo già
entrato nella hit parade delle bandiere Nere riconosciute ai nuovi pirati del
mare da Legambiente, seguono il comune di Salve, Castrignano del Capo e
Nardò .
Non rimangono a guardare gli altri comuni come Diso, Castro,
Gagliano del Capo, Patù, Gallipoli, Ugento che vedono nella delega della
Regione un occasione per rilanciare un improbabile turismo locale a favore di
lobby imprenditoriali senza scrupolo. Le direttive del Piano Regionale delle
coste, che dovrebbero ispirare le istruttorie dei Comuni per l’affidamento o il
rinnovo delle concessioni demaniali marittime, di fatto prevedono meccanismi
derogatori ai vincoli di salvaguardia ambientale, scatenando una vera e propria
vendita all’asta al miglior offerente!
Sembra definitivamente bloccato sul tavolo delle trattative l’iter per
l’istituzione del parco Otranto - Santa Maria di Leuca, che pure nel tentativo di
fare salvi gli strumenti urbanistici comunali vigenti e/o programmati con
assurdi stralci, su tutto il perimetro costiero, di fatto già disattende i veri
obiettivi della legge regionale sulle aree protette, inabissando le numerose
grotte marine che caratterizzano il paesaggio costiero salentino e ogni azione
volta alla sua conservazione e promozione.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
S.O.S…grotte a rischio!!!
Lungo il tratto di costa Otranto-Santa Maria di Leuca spiccano le
“Cipolliane” (insediamento paleolitico e neolitico), la “Grotta Grande del
Ciolo” (paleolitico medio e superiore-neolitico), la grotta delle “Prazziche”
(paleolitico, neolitico,bronzo). Da queste grotte, studiate fin dagli anni ’60
provengono moltissimi reperti archeologici ora esposti presso il Museo
Castromediano di Lecce ed il Museo Paleontologico di Maglie.
Solo alcune grotte sono state già oggetto di studi propriamente di tipo
biologico ritenute importanti anche da un punto di vista turistico, per esempio,
la grotta Zinzulusa che per la sua eccezionale diversità biologica è l’unica
grotta italiana inserita dal KWI (Karst Water Intitute, Charles Town Wv, USA)
tra i primi sistemi carsici mondiali meritevoli di tutela.
Molte, poiché difficili da raggiungere in quanto situate lungo costoni
di roccia inaccessibili via terra, non sono state ancora censite e studiate .
Il Salento occupa una posizione cruciale nel bacino del Mediterraneo,
crocevia naturale tra il Mediterraneo Occidentale e quello Orientale e tra i mari
settentrionali dell’Adriatico e quelli meridionali della costa africana. Per
questa ragione l’area salentina è probabilmente il crocevia anche per forme di
vita ed associazioni di organismi di diversa provenienza. Se le grotte marine si
dovessero rivelare, alla pari di quelle “continentali”, ambienti del tutto
particolari per il tipo di organismi che ospitano, è verosimile supporre che le
grotte salentine possano offrire non poche sorprese ancora tutte da svelare.
I pirati salentini
In seguito un elenco dei casi più significativi censiti da Legambiente di
aggressione alla fascia costiera salentina: patrimoni culturali, segni e tracce
della storia ancora inesplorate che rischiano di sparire insieme all’unico
modello di sviluppo possibile per il Salento, quello sostenibile.
1) Niente di nuovo o di buono sul litorale del Comune di Gagliano del
Capo. Il villaggio “Quadrifoglio”, nella località “Ciolo”, rimane nei progetti
del Comune che ha convocato nel novembre scorso una Conferenza di Servizi
per la sua realizzazione in variante al P.d.F. vigente dell’insediamento turistico.
Dieci ettari in area soggetta a vincolo paesaggistico e idrogeologico, adiacenti
all’alveo del canale naturale della caletta del Ciolo consegnati all’industria del
cemento fino al suo sbocco naturale.
Tutto il tratto costiero del Comune di Gagliano del Capo presenta
elementi di notevole interesse: dal punto di vista geomorfologico, essendo un
territorio roccioso ricco di fenomeni carsici, che lo hanno intessuto di grotte
spesso ricoperte di stalattiti, dal punto di vista paesaggistico, essendo una delle
zone panoramiche più belle del Salento, con alte scogliere a picco sul mare,
con profonde insenature, canali naturali e innumerevoli grotte marine…messe a
rischio da un impunito abusivismo a macchia di leopardo. Si segnalano inoltre,
nella zona denominata “delle Mannute” (dal nome della prestigiosa Grotta
detta appunto “delle Mannute” per la ricchezza di stalattiti che pendono
50
Legambiente - Mare monstrum 2002
dall’ampia volta) interventi per l’ampliamento dei tratturi e nuove vie di
accesso al mare che lasciano presagire voglie espansive sulla costa. Inutile dire
quanto rovinosa può essere la distruzione già in atto dei tipici muretti a secco di
Gagliano del Capo, tipici e unici di questo tratto di territorio, più stretti sopra e
spessi sotto, quasi a merletto dei vari terrazzamenti rocciosi e legati ad una
originale funzione di recupero di risorse idriche dal vento umido del clima
salentino.
2) Ancora nel mirino la gravina del Ciolo con la grotta delle Prazziche
che suscita, in un clima di roventi polemiche sulla carta stampata, un
interrogazione consiliare in merito allo stato di conservazione e tutela della
Grotta considerata un sito paleontologico ed archeologico di rilevante interesse.
Al centro della polemica ancora il Comune di Gagliano del Capo. Le
numerose denunce lamentano interventi di grave manomissione, quali la
sostituzione del pavimento e l’installazione di punti-luce (faretti), che lasciano
pensare ad una diversa e impropria destinazione d’uso dell’ambiente della
grotta. Questo intervento ha già in parte compromesso lo stato di conservazione
e l’aspetto tipico di un habitat proprio della vita e della cultura dell’uomo
preistorico, che mal si concilia con pavimentazioni moderne e lampade
elettriche.
3) Tra i Comuni di Castrignano del Capo e Patù esiste un canalone
naturale di notevole pregio paesaggistico-ambientale in area sottoposta a
vincolo di tutela ai sensi della Legge n.1497/1939 denominato “Canale di
Volito”, dove già sono stati avviati lavori di sbancamento con mezzi meccanici
finalizzati all’allargamento di un tratto di circa 200 metri della carreggiata
stradale che, dal “pozzo di Volito” sito nell’alveo torrentizio del canale, risale
il costone destro del canalone in direzione sud verso “Felloniche”.
I lavori stradali hanno comportato una notevole trasformazione dello
stato naturali dei luoghi, con asportazione di macchia mediterranea ed
alterazione e danneggiamento del costone roccioso. Tali lavori hanno
determinato un parziale colmamento dell’alveo del canale con grave
compromissione del flusso naturale delle acque dalle riconosciute proprietà
terapeutiche .
4) Demanio marittimo a rischio in località San Gregorio Patù : due
tratti di strutture murarie megalitiche si trovano a pochi metri dalla linea di
battigia e fanno parte dell’impianto dell’antico porto della Città di Vereto,
l’attuale baia di San Gregorio. L’originario progetto di una passeggiata
panoramica a soli due metri dalla battigia è oggi solo parcheggiato nei cassetti
del Comune di Patù e grazie soprattutto agli innumerevoli esposti degli
ambientalisti che chiedono di inserire il tratto di costa nell’istituendo parco
costiero.
Il via libera agli enti locali nella gestione del demanio marittimo
potrebbe rappresentare un rischio in più per le sorti di questa meravigliosa
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Legambiente - Mare monstrum 2002
scoperta che andrebbe piuttosto approfondita e salvaguardata quale risorsa
culturale e paesaggistica preziosa per la comunità di Patù.
5) A rappresentare la politica urbanistica scellerata del Comune di Diso
si erge ancora “il Colosseo” il famigerato centro di servizi dalle incongrue
dimensioni, una mega opera, che di fatto inaugura una serie di scelte scellerate
per il destino del territorio costiero del piccolo comune marittimo. L’Ente
Locale infatti, con la approvazione in Consiglio Comunale della proposta di un
Piano di utilizzo delle aree demaniali marittime realizzata dalla Società E.T.A.
CONS. s.r.l. stravolge ora, in modo irreversibile, buona parte del tratto costiero
e successivamente, il rimanente tratto con le previsioni del P.R.G. Sull’intera
fascia costiera del comune di Diso sono presenti vincoli paesaggistici,
ambientali, idrogeologici ed inoltre è inserita nel tratto costiero Otranto-Santa
Maria di Leuca quale sito destinato a Parco dalla Legge Regionale 19/97.
“Area di eccezionale bellezza paesaggistica costituita da uno dei pochi
esempi di costa alta…” (L.R. 19/97) è inserita nei Siti di Importanza
comunitaria, la cui normativa mira alla conservazione degli Habitat naturali e
seminaturali della flora e della fauna selvatica. Inoltre in particolare il Comune
di Diso è classificato come comune ad elevato rischio idrogeologico. Il comune
di Diso già nel 1999 è stato costretto a rivedere il progetto della fognatura
previsto a confine del demanio a seguito del parere negativo della
Soprintendenza che già in relazione al piano di recupero annullato poi dal
Co.Re.Co. poneva l’accento sulla non compatibilità della proposta progettuale
con la tutela ambientale. Nonostante ciò l’Ente Locale programma nuove
discese a mare e vari percorsi pedonali fissi sul demanio, oltre ad
“infrastrutture di supporto per allargare la nostra offerta balneare”, recita così
la delibera di approvazione del P.C.C.
6) Porto Miggiano (Comune di Santa Cesarea Terme). Nonostante
l’allarme lanciato da Legambiente lo scempio ai danni di uno dei paesaggi
cartolina del Salento si è compiuto. A fermare i lavori sono stati i sigilli della
Guardia di Finanza su ordine dei sostituti procuratori della Repubblica. Iscritti
nell’elenco degli indagati per i lavori relativi alla costruzione del complesso
turistico dotato di ristorante, bar, due piscine di acqua salata, appartamenti e
parcheggi su circa 45mila metri quadri: i fratelli Merico della Società turistico
Alberghiera che ha realizzato la struttura, l’imprenditore Montinari e l’ex
Assessore di Lecce Fausto Giancane, rispettivamente responsabile e tecnico per
la Sis immobiliare proprietaria del comparto interessato; Aldo Bleve direttore
dei lavori; Giuseppe Maroccia della “Maroccia Costruzioni” e il responsabile
del Piano urbanistico Pietro Paolo Maggio.
L’intervento di Porto Miggiano rappresenta in pieno la logica di
sviluppo che sembra avere la meglio nel Salento, a dare questo infausto ed
esclusivo riconoscimento contribuisce il sopraggiungere della originale
sentenza del Tribunale Amministrativo che accoglie il ricorso del Comune di
Santa Cesarea Terme che in persona del sindaco chiedeva l’annullamento del
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Legambiente - Mare monstrum 2002
provvedimento con cui il soprintendente dei Beni A.A.S.S. della Puglia
annullava il nulla-osta rilasciato dallo stesso Sindaco per la realizzazione del
complesso incriminato ricadente nel piano di lottizzazione del comparto 19/S.
Nella complicata vicenda una cosa sembra essere chiara: la proposta del
sindaco di santa Cesarea di stralciare dal perimetro dell’istituendo Parco
costiero proprio la porzione di territorio destinata alla realizzazione del
complesso incriminato.
7) Comune di Porto Cesareo: una vicenda complessa di segnalazioni e
carte bollate ad oggetto un villaggio albergo di circa 50.000 mc nella zona di
Punta Prosciutto. L’iter di approvazione in variante al Piano Regolatore è
ritenuto illegittimo per vari ed articolati motivi tant’è che il TAR Lecce con
propria sentenza annulla la Deliberazione del Consiglio Comunale con la
quale si approvava l’insediamento in un’area di straordinaria valenza
naturalistica.
In particolare l’intervento proposto dall’Immobiliare F.P.S. di
Melendugno, previsto all’interno di area di pregevole rilievo naturalistico
designata dalla Regione Puglia quale Riserva Naturale Regionale, ha
conseguito il parere favorevole della Conferenza di servizi convocata dal
Comune di Porto Cesareo, senza aver preventivamente conseguito la
Valutazione di Impatto Ambientale positiva.
Il Tar Lecce accoglie le argomentazioni proposte da Legambiente,
sostenendo che “quando ci si trovi in cospetto di interventi edilizi di notevoli
dimensioni e di forte significato per l’ambiente e quando s’adotti la procedura
di variante urbanistica prevista dall’art. 5 del D.P.R. n° 447/1998 (la tanto
abusata norma sullo Sportello Unico della Attività produttive) la procedura di
V.I.A. deve necessariamente trovare il suo spazio prima – o al più durante – la
conferenza di servizi, convocata al fine di decidere circa la realizzazione
dell’impianto produttivo in variante al PRG”.
Ora la palla ritorna al Comune di Porto Cesareo, presso il quale
pendono altre istanze di approvazione di villaggi turistici e residence in zone
tutelate dalla UE (SIC) su cui le Conferenze di Servizi già convocate devono
pronunciarsi definitivamente: l’auspicio è che invece si apra finalmente il
procedimento per l’istituzione delle Riserve Naturali Regionali previste dalla
Legge Regionale n° 19/1997, quale richiamo turistico per Porto Cesareo
insieme al Parco marino, che finalmente pare decollare.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
8) E siamo nel Comune di Salve, dove ben tre progetti, con iter
autorizzativo già avanzato, da realizzarsi a cavallo della litoranea, minacciano
uno degli ultimi tratti di costa salentina in cui sono ancora visibili i caratteri
paesaggistici naturali ed antropici storicizzati, ed è ancora evidente il rapporto
con l’immediato retroterra, splendido e denso di angoli dimenticati dal tempo,
nonostante il quotidiano lavorio di ruspe e betoniere.
9) Ed infine di Comune di Nardò, dove la ormai storica battaglia per la
tutela della costa sotto Serra Cicora e contro la realizzazione di un porto
turistico è giunta ad un punto cruciale: la sospensione della Conferenza di
Servizi per l’approvazione del porto turistico proposto dalla ICOS, se da una
parte darà il tempo ai proponenti dell’opera di affinare i mezzi e le strategie per
superare gli ostacoli tecnici cui fino ad ora si è ricorso, dall’altra sposta sul
piano più propriamente politico, “delle scelte”, anche sull’onda degli impegni
presi durante la campagna elettorale appena conclusa, il livello dell’approccio
al problema.
5.3.4 Il cemento illegale su Posillipo
La Legambiente ha fatto un’analisi delle richieste di condono delle
opere abusive realizzate sulle coste di Napoli nella zona di Posillipo. Il dato
rilevato consente di conoscere il numero minimo di abusi edilizi commessi sul
litorale partenopeo, in un’area soggetta a vincolo ambientale in cui buona
parte delle opere realizzate, secondo la normativa vigente, non potrebbero mai
essere condonate. Nell’analisi condotta, gli abusi sono stati distinti per
tipologie, secondo lo schema che si riepiloga sinteticamente di seguito:
all’abuso di tipo “A” appartengono: le opere realizzate in assenza o in
difformità della licenza e non conformi alle norme urbanistiche; le opere
realizzate in assenza o difformità della licenza ma conformi alle norme
urbanistiche alla data di entrata in vigore della legge 47/85; opere realizzate in
assenza o difformità della licenza ma conformi alle norme urbanistiche al
momento dell’inizio dei lavori;
all’abuso di tipo “B” appartengono: opere che non comportino aumento
di superficie e volume; opere di restauro;
all’abuso di tipo “C” appartengono le opere di manutenzione
straordinaria o opere non valutabili in termini di superficie o volume;
all’abuso di tipo “D” appartengono le opere realizzate in luoghi di
attività non residenziale.
Il totale degli abusi è di 1.757, di cui 1059 del tipo “A”, 320 del tipo
“B”, 171 del tipo “C”, 207 del tipo “D”.
Abusi di
Abusi di
Abusi di
Abusi di
Tipo A
Tipo B
Tipo C
tipo D
1059
320
171
207
Fonte Comune di Napoli Elaborazione Legambiente
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Totale Abusi
1757
Legambiente - Mare monstrum 2002
In particolare:
in zona Marechiaro gli abusi sono 70, di cui 46 del tipo “A”, 16 del tipo “B”, 8
del tipo “C”;
in zona discesa Gaiola gli abusi sono 66, di cui 31 di tipo “A” 11 di tipo “B”, 3
di tipo “C”, 21 di tipo “D”;
in zona via Posillipo gli abusi sono 1057, di cui 651 di tipo “A”, 186 di tipo
“B”, 97 di tipo “C”, 123 di tipo “D”;
in zona via Ferdinando Russo gli abusi sono 150, di cui 87 di tipo “A”, 35 di
tipo “B”, 17 di tipo “C”, 11 di tipo “D”;
in zona S. Pietro ai due Frati gli abusi sono 38, di cui 31 di tipo “A”, 4 di tipo
“B”, 3 di tipo “C”;
in zona via Salvatore di Giacomo gli abusi sono 125, di cui 75 di tipo “A”, 22
di tipo “B”, 13 di tipo “C”, 15 di tipo “D”;
in zona via Santo Strato gli abusi sono 62 di cui 38 di tipo “A”, 11 di tipo “B”,
5 di tipo “C”, 8 di tipo “D”.
5.3.5 Emilia Romagna 2002…le mani sulle dune
120 km stretti tra una forte urbanizzazione ed il mare che in questa
Regione rappresenta da sempre un pezzo importante dell’identità culturale e
dell’economia locale: questa è la costa romagnola dove quel che rimane di
"naturale" è ben poco anche se significativo. Sottoposta a forti pressioni dalle
attività umane ha progressivamente perso il suo aspetto originario, sabbioso e
regolare, cedendo il passo a una serie ininterrotta di costruzioni.
E così se si decide di fare una gita in barca lungo la costa da Cervia
verso sud, quello che si vede è davvero impressionante: un muro lungo 50 Km
di palazzoni, una vera e propria barriera che impedisce di ammirare i rilievi
appenninici che sempre di più si avvicinano alla linea di costa fino a giungervi
finalmente a Gabicce ormai nelle Marche. E' il "San Bartolo" un sistema
montuoso costiero ricco di strapiombi a mare, baie e insenature deliziose che si
prolunga fino a due passi da Pesaro e che rappresenta una parentesi felice fra la
costa romagnola e l'altro gioiello del medio Adriatico: il Monte Conero. Da
queste parti l'uomo si è dato da fare fin dagli anni '50 per lasciare i segnali non
sempre positivi della propria presenza. Nonostante questo delirio di cemento,
meta di vacanzieri italiani e stranieri, proprio qui ha preso avvio una delle
esperienze migliori: gli alberghi consigliati per l'impegno in difesa
dell'ambiente. Questa spinta a cercare di porre riparo - per quel che si può - ai
danni provocati sull'ecosistema urbano, tentando un alleggerimento
dell'impatto ambientale del modello, si nutre di una presa di coscienza della
necessità di cambiare. Acqua e spiaggia pulite, assenza di rifiuti, contenimento
dell'effetto città, sono le richieste più importanti dei turisti tedeschi diretti in
Italia.
55
Legambiente - Mare monstrum 2002
Tutti i rapporti degli ultimi anni parlano chiaro: WTO, UNEP, DOXA,
CISET e da ultima REISEANALISE 2002, prodotto dal Progetto VISIT in
collaborazione con la ITB ( la prestigiosa Fiera del Turismo di Berlino), sono
concordi nel segnalare la qualità ambientale come elemento primario nella
scelta delle destinazioni turistiche in tutto il mondo e particolarmente in
Europa.
Uno studio presentato dalla DOXA realizzato alle frontiere italiane su turisti in
uscita dall'Italia basato su un campione di 60.000 interviste fatte nel 2001 a
turisti di ritorno dall'Italia, dice l'Emilia Romagna sta perdendo colpi rispetto
alla media nazionale nel grado di soddisfazione avuto durante il viaggio. Tra i
punti deboli i turisti hanno indicato il paesaggio e l'ambiente naturale.
Segnali importanti registrati negli ultimi anni e al centro dell'anno
dell'ecoturismo indicano inoltre l'importanza della salvaguardia degli elementi
naturali, dei residui di testimonianze sulla storia dei luoghi sia per dare voce
alla memoria e ai ricordi, per conoscere ambienti che non riproducano la
situazione caotica delle città di provenienza. Questo consiglia di salvare e
recuperare quanto è oggi possibile di storia, cultura, paesaggio. E' un tema
questa caro a chi ama la propria terra e le proprie radici e allo stesso tempo
tutelare l'interesse pubblico consolidando un sicuro sviluppo economico per i
comuni costieri. Anche il turista italiano o straniero che sia, secondo le più
recenti indagini di mercato, cerca un mare pulito, strutture che si sviluppano in
armonia con l'ambiente circostante, cibi sani, luoghi di interesse naturalistico e
storico da visitare e da vivere.
Queste tendenze sempre più accentuate possono essere presenti anche
nelle aree dedicate al turismo di massa specie se si considera che sempre più il
turista non rimane fermo nella località scelta ma si rivolge alle offerte presenti
in territori allargati: il retroterra, la provincia , la regione. Le nuove domande
turistiche possono essere recepite e dare vita ad un nuovo modello solo se si
prende coscienza dei limiti evidenziati dal logorio del modello fin qui
perseguito. Recupero dell'identità, della storia e della cultura locale, sono
possibili perfino nelle situazioni più compromesse sul piano ambientale ma
trovano piena realizzazione soprattutto facendo tesoro del capitale ambientale e
territoriale dei luoghi di grande pregio naturalistico e di grande importanza non
solo per la conservazione dell'ecosistema, ma per l'identità stessa del luogo e
di chi lo abita.
E' paradossale che mentre avanzano nuove tendenze, gli ultimi lembi di
costa dell’Emilia Romagna, che si sono salvati dalla speculazione immobiliare
e dalla cementificazione imperante negli anni dal 50 all'80, corrano rischi assai
seri. Nel mirino di speculatori che non hanno valutato neppure quanto possono
valere gli stessi immobili situati nei pressi di aree naturali conservate e tutelate
sono finite aree vincolate dal Piano Paesistico (colonie, aree agricole residue,
sistemi costieri con la presenza di dune, pinete, spiagge libere). In particolare
sono prese di mira le ultime spiagge libere e le aree costiere del Parco
Regionale del Delta del Po del ravennate e del ferrarese, dalla Foce del Po di
Goro a quella del Savio. Aree protette, sistemi dunali, pinete, prati umidi e
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Legambiente - Mare monstrum 2002
zone rurali sono sotto il tiro di egoismi privati che spingono per la
realizzazione di grandi insediamenti (villaggi turistici, campi da golf, Centri
Commerciali, Stabilimenti Balneari invasivi e quant'altro). Tra coloro i quali
ignorano che le aree naturali costituiscono un elemento di forza per una
proposta turistica che voglia avere un futuro possono essere collocate anche
alcune amministrazioni pubbliche che si stanno dimostrando deboli e incapaci
di tutelare il loro patrimonio, cedendo a progetti di imprenditori poco
lungimiranti.
Gli esempi
1) la spiaggia dell'ex- Colonia CRI di Marina di Ravenna
Il caso più eclatante è offerto dalle vicende della spiaggia dell'exColonia CRI di Marina di Ravenna, divenuta il simbolo delle battaglie contro il
nuovo assalto di speculatori privati ai beni demaniali, fenomeno ormai presente
non solo in zone ad alta intensità di abusivismo come le coste meridionali. La
spiaggia in questione è un luogo riconosciuto come Sito di Importanza
Comunitaria, 450 metri di spiaggia libera non attrezzata di estremo interesse
naturalistico per le sue dune alte fino a 2-3 metri intensamente vegetate. Nel
tratto di spiaggia libera l'arenile mantiene un'ampiezza media sui 70-80 m. a
riprova che le dune - come recentemente dimostrato - sono l'unico vero
baluardo anche per la tenuta della linea di costa a fronte dell'erosione e quindi
anche uno strumento importante di protezione civile degli abitanti. La pineta
che protegge la duna - lungo il lato mare della vicina litoranea la pineta è
ampia sui 70 - 80 m e risulta in buone condizioni - vede una vegetazione
boschiva a prevalenza di Tamerici e con alcuni bei esemplari di Olivella - e
rappresenta una tregua fra la linea di spiaggia e le strade di accesso al mare. E'
ancora sufficientemente vasta da permettere lunghe passeggiate in un contesto
di grande pregio ambientale. Proprio in questo angolo di paradiso, fiore
all'occhiello del litorale ravennate, la società Villa Marina dell'industriale
modenese Giacobazzi (altrimenti noto per produrre vino), ha chiesto e ottenuto
di costruire una struttura balneare che cancellerà per sempre il ricordo di uno
degli ultimi sistemi dunosi ancora intatti. Gli ultimi sviluppi della vicenda
raccontano di un grave imbarazzo della Giunta Comunale di Ravenna al centro
ora di un maldestro tentativo di retromarcia. L'imponente iniziativa dei cittadini
animata da una petizione lanciata da Goletta Verde qualche anno fa, non è però
riuscita ad ottenere finora un necessario atto di coraggio del Comune.
Dichiarare esplicitamente – come sembrava si volesse fare in occasione delle
scorse elezioni - di aver sottovalutato il grave errore potrebbe porre le basi per
recuperare la fiducia dei cittadini (oltre 13 mila) di ogni parte politica che si
sono mobilitati per evitare nuove vicende simili in altre aree della zona costiera
del ravennate, dove incombono interventi di vario genere (campi da golf e
strutture) che replicano un modello turistico già considerato fallito dai suoi
stessi protagonisti.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
2) A Milano Marittima: la spiaggia e il parco dell'ex colonia Varese
stanno correndo lo stesso rischio?
Altra vicenda analoga si sta rischiando in una delle località conservate a
Milano Marittima nel territorio del Comune di Cervia. Qui il soggiorno
turistico non è solamente imperniato sull'arenile, ma sul binomio
spiaggia/pineta, di cui restano tratti non edificati. L'edificio dell'ex colonia,
oggetto di Salvalarte, una campagna di Legambiente, rappresenta uno dei
complessi più interessanti dell'architettura degli anni '30. Il Parco circostante e
la spiaggia sono state lasciate incolte e naturali e sono però in balia dei barbari
che fanno delle spiagge e delle dune piste per motocross. Nelle dune di fronte
alla ex colonia Varese, si possono trovare: il granaccio delle sabbie, l'assenzio
vero, il ravastrello marittimo, il vilucchio marittimo, la carota spinosa, la
salsola erba-cali, l'enagra comune e una pungentissima graminacea, la nappola
delle spiagge, presente un tempo su tutte le dune che fronteggiavano il litorale
cervese. La tutela dell'area ha consentito il permanere di condizioni ideali per
un auspicabile recupero conservativo che ne impedisca interventi devastanti
anche se le autorità preposte non hanno ancora provveduto a mettere in opera
le tutele (recinzioni e vigilanza) che possano evitare vandalismi e danni. Nel
frattempo si addensano voci di corposi appetiti di grandi società alimentari
multinazionali.
3) Il Villaggio Elisea di Porto Garibaldi
Tra i progetti in itinere per la realizzazione di nuovi insediamenti
immobiliari e Villaggi Turistici nelle aree finora rimaste libere nell'area tra
Ravenna e il Delta del Po c'è quello sul quale si è già aperta una procedura
formale da parte del Comune di Comacchio. Qui si è votato un nuovo sindaco,
il pittore Giglio Zarattini (DS) eletto nel maggio 2002, già vicesindaco nella
precedente amministrazione, che ha fatto della realizzazione di questo
insediamento uno dei punti forti della sua campagna elettorale. Il capo della
precedente amministrazione comunale (l'Avv. Pierotti) anche lui grande
sostenitore di questo progetto, è al momento candidato a fare l'assessore
provinciale al turismo.
Sul piano normativo c'è da dire che già la Giunta Regionale intervenne
verso la fine degli anni 80 bloccando l'espansione edilizia nell'area. I
protagonisti politici dell'epoca sono scomparsi dalla scena anche per opera
della magistratura, ma restano gli appetiti. Oggi c'è un piano regolatore
comunale approvato da pochi mesi che prevede 34 ettari di urbanizzazione.
Il nuovo progetto privato da esaminare - non compreso nel PRG occuperebbe altri 39 ettari in un'area del Parco del Delta del Po (area di
Preparco) a due passi dalla spiaggia, dal sistema dunale e dalla Pineta. Il
villaggio vacanze "Elisea" (2.500 posti letto) proposto dall'impresa Turistica
immobiliare Medusa srl, dovrebbe insediarsi appunto in questa zona (area del
Podere Forbino) una delle aree bloccate dalla Giunta Regionale all'epoca. Il
costruttore Tomasi, proprietario dell'immobiliare (anche lui sostenitore
dell'elezione del sindaco nelle ultime elezioni), è noto per aver costruito e
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Legambiente - Mare monstrum 2002
venduto (anche grazie all'uso della pubblicità televisiva) buona parte delle
seconde case di ultima generazione realizzate nei Lidi Comacchiesi.
L'intervento, per la mole di cementificazione proposta, per le caratteristiche
delle costruzioni, per i problemi che arrecherebbe alla mobilità in un'area già
congestionata, presenta tutte le caratteristiche di una vera e propria struttura
urbana con tutti i difetti che i turisti trovano già nelle loro città. Si tratta
dell'ennesima operazione speculativa diretta a catturare investimenti in "beni
rifugio" di risparmi in fuga dai BOT e dai CCT. Gli argomenti usati dai
proponenti a difesa del loro progetto, criticato con dovizia di argomenti da
Legambiente e dal WWF, sono stati assai deboli: una generica disponibilità a
mitigare le cose più aberranti insieme al sostegno della tesi che le 2500 persone
che arriveranno al villaggio Elisea useranno l'aereo e quindi non si
sommeranno altre automobili! Non ci sarebbe nessun pericolo quindi né sul
fronte del temuto aumento della mobilità, né per le dune e gli altri elementi di
naturalità che hanno a suo tempo fatto sì che l'area scelta del Podere Forbino
fosse prima inserita nel perimetro del Parco del Delta del Po e che oggi venga
proposta per una nuova colata di cemento "nelle immediate vicinanze del Parco
del Delta".
Legambiente ha fatto appello ai cittadini, al Parco, al Comune, alla
Provincia e alla Regione perché siano bloccati questo ed altri progetti che si
pongono in netto contrasto con le tendenze turistiche in atto e con la dignità e
l'orgoglio di chi ama il proprio territorio e desidera difendere le sue zone più
preziose da uno sviluppo dalle gambe corte. Purtroppo fino ad ora molti hanno
preferito tacere. La Regione balbetta, il Parco del Delta del Delta del Po appare
finora in una posizione abulica, il Comitato Scientifico presieduto da Giorgio
Celli non si è ancora pronunciato. Purtroppo l'unica a parlare è stata la
Provincia di Ferrara, organo di controllo per quanto riguarda gli strumenti
urbanistici, e lo ha fatto con una delibera nella quale la Giunta Provinciale
capeggiata da un esponente della Margherita, con un Vicepresidente DS (l'ex
capogruppo alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati On.
Zagatti,) e un assessore verde all'ambiente, ha deliberato la costituzione di una
"cabina di regia" con l'intento di garantire un esito favorevole alla procedura
per la costruzione del villaggio sostenendo che questo rientra negli obiettivi del
piano d'area. Una situazione che desta allarme.
La situazione non è rosea, nonostante che il 15 giugno sia stato
insediato dalla Regione Emilia Romagna il Comitato Istituzionale del Piano per
la Gestione Integrata delle Zone Costiere. Ne fanno parte i 4 presidenti delle
province e i 14 sindaci dei comuni costieri.
Legambiente ha preso atto della dichiarazione - fatta dal Presidente
della Regione Vasco Errani in quella occasione - di volere una gestione
integrata delle zone costiere che punti sulla qualità ambientale e che concorda
con l'invito rivolto agli amministratori e alle categorie economiche a puntare
sulla qualità delle produzioni, sulla valorizzazione dell'identità e su una
gestione che non consumi ambiente e territorio, dato che l'ambiente
rappresenta, specie per il turismo, un vero e proprio patrimonio economico,
59
Legambiente - Mare monstrum 2002
oltre che una risorsa culturale. E' sperabile che all'assenso formale degli
esponenti di Province, Comuni, Parchi ed altri enti presenti all'incontro,
seguano i fatti e che la Regione faccia uso dei poteri sostitutivi nei confronti di
chi continua a dichiarare intenzioni e a fare il contrario di quanto dichiarato. Le
prime verifiche si potranno avere proprio sulle questioni denunciate da
Legambiente: l'intervento edilizio che si sta tentando con il Villaggio Elisea a
Porto Garibaldi, la tutela di dune, pinete e zone umide residue nel litorale
ravennate e cervese, l'assalto in atto in alcune località ai terreni collinari e della
pianura rimasti finora liberi dal cemento.
60
Legambiente - Mare monstrum 2002
6. L’ultima spiaggia
Per alcune spiagge e località costiere italiane, l’estate 2002 potrebbe
essere l’ultima occasione. O meglio: per noi, cittadini e turisti, potrebbe essere
l’ultima opportunità di visitare e vivere questi luoghi ancora belli e
incontaminati, prima che scelte scellerate e politiche miopi li trasformino
irrimediabilmente. Nuove costruzioni abusive, sbancamenti di dune, strade
illegali o altre azioni criminali perpetrate dall’uomo, minacciano infatti alcuni
dei gioielli delle coste italiane. Gioielli sui quali Legambiente vuole attirare
l’attenzione affinché questi interventi destinati a soddisfare le esigenze
(economiche) di pochi, non danneggino per sempre un patrimonio di tutti.
E’ il caso della spiaggia di Galenzana all’isola d’Elba, isolata e
selvaggia, attualmente meta ambita per chi vuole godersi un angolo di paradiso
in tutta tranquillità. Un gioiello naturale che presto potrebbe sparire per fare
posto ad un porticciolo per 650 posti barca.
Nella splendida zona dell’area marina protetta di Capo Rizzuto in
Calabria, invece, la bella e frequentata spiaggia del Soverito rischia di venire
inglobata nell’opera di ampliamento urbanistico di un villaggio vacanze posto
nelle vicinanze: al posto dell’arenile turisti e residenti potranno trovare
bungalow e piscine per vacanze “tutto compreso”, anche lo scempio del
paesaggio.
L’estate del 2002 potrebbe essere l’ultima occasione anche per vedere
ed apprezzare il litorale di Metaponto e Policoro in Basilicata: 37 chilometri di
costa quasi incontaminata minacciati da un mega-progetto di nuovi
insediamenti turistici per 30mila posti letto e 5mila posti barca. E tutto questo
in un’area Sic (Sito d’Interesse Comunitario). Così, a Sanremo, rischia la
pregiata costa dei Tre Ponti. Un delizioso tratto di litorale caratterizzato da
scogli a picco sul mare intervallati da spiagge sabbiose, potrebbe sparire e
trasformarsi da attuale paradiso dei surfisti in una lunga e dritta pista
aeroportuale.
Scendiamo allora in Campania, in una delle zone più belle e famose in
tutto il mondo: Positano, la perla della costiera Amalfitana. Qui, ogni giorno,
incessantemente, l’erosione mangia centimetri di battigia minacciando
pesantemente la spiaggia libera di Fornillo, dove il processo di sfaldamento è
stato favorito e sostenuto dai lavori di realizzazione del nuovo pontile per
l’attracco degli aliscafi. Vediamo allora se va meglio altrove, in Veneto per
esempio, nell’affascinante laguna di Caorle, dove anche Hemingway amava
fermarsi a scrivere e dove un altro imponente progetto rischia di distruggere la
Valle Vecchia, unica oasi rimasta: un chilometro e mezzo di spiaggia, pari a 6
ettari di arenile, scompariranno seppelliti dalla nuova strada litoranea prevista
davanti alla fascia degli alberghi. Al posto della vecchia litoranea, alle spalle
degli hotel, nuove piscine e strutture turistiche.
Ma le perle da salvare non sono solo queste. Gli 8mila chilometri di
costa italiana, costellati di calette preziose e baie belle da togliere il fiato, sono
costantemente minacciate dall’uomo: a volte dalle sue mire speculative, altre
61
Legambiente - Mare monstrum 2002
semplicemente dall’incuria, spesso da piccoli e grandi atti di illegalità. Qui
presentiamo solo i primi 12 casi segnalati dai circoli di Legambiente e dai
singoli cittadini.
Se andate in vacanza in Emilia Romagna allora, non perdete l’occasione
di visitare la spiaggia dell’ex-colonia della Croce Rossa Italiana a Marina di
Ravenna, dove la società “Villa Marina” ha chiesto e ottenuto la concessione
per la costruzione di una mega-struttura balneare che, se realizzata,
stravolgerebbe questo unico tratto di spiaggia libera rimasto con i caratteristici
cordoni dunosi. Ovviamente si tratta di un’area tutelata paesaggisticamente e
ambientalmente ricadendo, in parte, in un Sic. Non sfugge allo scempio
nemmeno l’Abruzzo, dove la spiaggia della foce del Sangro a Fossacesia è a
rischio sparizione grazie alla nuova darsena per 400 barche, costruita
all’interno dell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina. Qui
Legambiente è già intervenuta con i blitz di Goletta Verde, la consegna al
sindaco della Bandiera Nera, simbolo della peggiore gestione della costa e con
una denuncia all’Unione Europea, che ha attivato un procedimento di
infrazione contro la Regione Abruzzo, visto che lo scempio avverrebbe in
un’altra zona Sic.
Ma i casi eclatanti per assurdità non risparmiano nessuna regione. In
Sicilia, l’orrore riguarda la spiaggia più famosa di Palermo: Mondello. Qui la
fascia costiera, già danneggiata dall’estensione degli stabilimenti balneari e
sbarrata da una lunga inferriata metallica che la divide dalla strada, sta per
sparire, cancellata alla vista da centinaia di cabine di legno che un
concessionario affitterà ai turisti.
La spada di Damocle di una “villettopoli di cemento” minaccia invece il
litorale marchigiano: la spiaggia di Sant’Elpidio, nota soprattutto per quel
pregiato pezzo di archeologia industriale dell’ex fabbrica Fim che la sovrasta,
rischia di essere completamente trasformata in area densamente costruita con
palazzine, alberghi e centri commerciali, per un totale di 70mila metricubi di
cemento senza alcuna destinazione pubblica. Un bel progettino realizzabile
attraverso la demolizione della struttura della Fim, sottoposta ovviamente a
vincolo da parte della Soprintendenza. Della spiaggia del Poetto, in Sardegna,
si è molto parlato ma vale la pena ricordare il danno: oltre otto chilometri di
sabbia bianca finissima dai riflessi luminosi, che costituisce un grande
monumento naturale e che caratterizza la zona cagliaritana, ha subito i più
svariati interventi di devastazione con indiscriminati e ricorrenti prelievi che
hanno fortemente ridotto i sistemi dunali. Eppure, sebbene fortemente
ridimensionata, la spiaggia era rimasta viva, bianca e luminosa, fino a quando
un recente intervento di ripascimento con massiccio apporto di sabbia scura,
totalmente inadeguata al contesto, ne ha stravolto il paesaggio.
Ma non sfugge alla logica della devastazione nemmeno una terra che
della corretta gestione del mare potrebbe fare il volano dello sviluppo turistico
ed economico: la Puglia. Nella rinomata zona del Salento, dopo la recente e
pericolosa opera di distruzione della Piana di Porto Miggiano (Santa Cesarea
Terme), devastata e resa pericolante dalla realizzazione di infrastrutture
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Legambiente - Mare monstrum 2002
turistiche (tra cui una piscina a picco sul mare), è attualmente in via di
realizzazione il porto turistico di ”Marina di Torre Inserraglio” a Serracicora
(Lecce). In un’area prossima ad un Sic, vicina alla zona A (massima
protezione) dell’Area Protetta Marina di Porto Cesareo e al Parco Regionale
Attrezzato di Porto Selvaggio, ai piedi di un pregiato sito archeologico ancora
oggetto di scavo, è previsto un porticciolo di 72mila metri quadrati che
cancellerebbe la bellissima scogliera da sacrificare in cambio di un bacino
interrato di 42mila mq con un lungo e ampio canale d’accesso.
63
Legambiente - Mare monstrum 2002
regione
VENETO
LIGURIA
EMILIA
ROMAGNA
TOSCANA
MARCHE
ABRUZZO
l'ultima
spiaggia
spiaggia di
Caorle
visitarla perché…
sacrificata per…
si affaccia su un suggestivo
tratto di laguna che affascinò
anche Hemingway
un km e mezzo di spiaggia (6 ha di
arenile) verranno seppelliti dalla
nuova strada litoranea prevista
davanti alla fascia degli alberghi
delizioso tratto di costa
caratterizzato da scogli a picco rischia di trasformarsi - a causa di
Spiaggia dei
sul mare intervallati da spiagge un progetto insensato - in una lunga
Tre Ponti
sabbiose, è uno dei pochi
e dritta pista aeroportuale.
paradisi italiani per surfisti
la società Villa Marina ha chiesto e
ottenuto la concessione per una
area tutelata paesaggisticamente
mega-struttura balneare che, se
e ambientalmente che ricade, in
Marina di
realizzata, stravolgerebbe l’unico
parte, in un Sito di Importanza
Ravenna
tratto di spiaggia libera sulla quale
Comunitaria (SIC)
si sono ancora mantenuti intatti i
cordoni dunosi.
ha ripreso insistentemente a
spiaggia selvaggia rimasta
spiaggia di
circolare l’ipotesi di un porto
finora intatta, che non a caso
Galenzana
turistico per oltre 600 barche a
Legambiente ha piazzato al
all'Isola
Marina di Campo, da realizzarsi a
terzo posto tra quelle più belle
d'Elba
spese della costa di Galenzana.
della nostra penisola.
minacciata dal sinistro progetto di
una "villettopoli di cemento" a soli
incantevole spiaggia libera
50 metri dalla spiaggia (11
caratterizzata dalla presenza, a
palazzine e poi alberghi e
poche centinaia di metri dalla supermercati per un totale di 70.000
Spiaggia di S.
mc senza alcuna destinazione
linea di costa, di uno splendido
Elpidio
esempio di archeologia
pubblica). Naturalmente anche la
industriale riconosciuta dalla
FIM, vincolata dalla
Soprintendenza, la FIM
Soprintendenza, verrebbe
rimpiazzata da cemento fresco
fresco.
l’amministrazione regionale, dopo
aver riconosciuto il valore
uno degli ultimi tratti di costa
naturalistico della zona, in un
non cementificata del litorale
secondo momento, l’ha declassata
adriatico. A due passi dalla
per consentire la realizzazione di un
Lecceta di Torino di Sangro, è
foce del
porticciolo turistico per circa 400
un Sic interessato da flussi
Sangro
imbarcazioni. Per questo si è già
(Fossacesia) migratori avi faunistici e ricade
meritata, l'anno scorso, la Bandiera
perciò all’interno
nera di Legambiente. Il porto oltre
dell’istituendo Parco Nazionale
ai posti barca prevede bar, ristoranti,
della Costa Teatina
minimarket, negozi.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
CAMPANIA
spiaggia di
Fornilo a
Positano
CALABRIA
spiaggia del
Soverito
PUGLIA
Serracicora
(Lecce)
BASILICATA
litorale di
Policoro e
Metaponto
SARDEGNA
spiaggia del
Poetto
SICILIA
Mondello
sta del tutto scomparendo a causa
dell’erosione marina: la sabbia è
quasi del tutto sparita ed i lidi degli
stabilimenti si sono visti ridurre di
una delle più grandi ed
quasi tre metri la battigia.
importanti spiagge di Positano,
perla della costiera Amalfitana L'accelerazione del fenomeno è in
gran parte attribuibile alla
realizzazione del nuovo pontile per
gli aliscafi.
bella e frequentatissima, si
rischia di venire inglobata nell'opera
trova nella Riserva marina di
di ampliamento urbanistico di un
Isola Capo Rizzuto
limitrofo villaggio vacanze
area prossima ad un Sic, vicina
è prevista la realizzazione di un
alla zona A (massima
porticciolo di 72mila metri quadrati
protezione) dell’Area Protetta
che cancellerebbe la bellissima
Marina di Porto Cesareo e al
scogliera sacrificata per
Parco Regionale Attrezzato di
l’escavazione di un bacino interrato
Porto Selvaggio, ai piedi di un
di 42mila mq con un lungo e ampio
pregiato sito archeologico
canale d’accesso
ancora oggetto di scavo
minacciato da un mega-progetto di
37 km di costa quasi
nuovi insediamenti turistici per
incontaminata in un Sito
30mila posti letto e 5mila posti
d'Interesse Comunitario (SIC)
barca
appare adesso agli occhi increduli
rinomata per la sua sabbia
dei visitatori nera. La causa del
bianchissima, accoglie da
cambiamento è il ripascimento,
maggio ad ottobre i cagliaritani
necessario ma realizzato in modo
che lì vanno a godersi i loro
discutibile, commissionato dalla
bagni di sole
Provincia.
l’accesso al mare è impedito dagli
stabilimenti balneari, che lungo i tre
chilometri di litorale hanno lasciato
aperti solo due varchi, invece di uno
da secoli è la spiaggia dei
palermitani
ogni 150 metri come prescritto dalla
normativa. Arrivano poi ogni estate
centinaia di cabine di legno a
nascondere la dolce vista sul mare.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
7. Fronte del porto
In epoca antica, i porti marittimi rappresentavano una risorsa
importante per i territori che li ospitavano, essendo il crocevia dei percorsi dei
mercanti, depositari di beni e conoscenze di difficile reperibilità in un mondo
tutt’altro che globalizzato. Con l’avvento della società contemporanea questo
ruolo è andato progressivamente sbiadendo, ma i porti per molte località del
litorale italiano continuano a costituire una ricchezza molto importante. Non
solo dal punto di vista commerciale, ma anche, e soprattutto, come volano
dell’industria che ruota attorno al turismo.
Dietro a questo scenario idilliaco, però, spesso si cela una realtà ben
diversa. Una realtà in cui i porti si trasformano nell’ennesima occasione per
speculazioni a molti zeri, ai danni delle casse pubbliche, e in una vera e propria
aggressione ai danni del patrimonio naturale. Così in alcuni casi decine di porti
e porticcioli spuntano lungo la costa a poche decine di chilometri l’uno
dall’altro come funghi dopo un temporale, in barba alla logica e a qualsiasi
seria valutazione di impatto ambientale. In altri casi, invece, strutture portuali
progettate per rispondere a reali o presunte esigenze finiscono impantanate
nella palude della burocrazia e dei ritardi incomprensibili, che trasformano
vaste porzioni di territorio in un cantiere in pianta stabile. In altri casi ancora,
porti realizzati facendo ricorso a stanziamenti dell’erario finiscono
inspiegabilmente nelle mani di privati che li gestiscono a proprio piacimento. Il
risultato è quasi sempre lo stesso: fiumi di denaro pubblico gettati al vento e
nelle tasche degli speculatori, mentre il mare e i litorali agonizzano, insidiati
sempre di più dal cemento. E’ quanto avvenuto, per esempio, in Sardegna,
dove, in assenza di un adeguato controllo, gli interessi di progettisti e imprese
costruttrici hanno spinto verso la realizzazione di infrastrutture
sovradimensionate, spesso inadatte al loro ruolo.
Se da un lato il diporto nautico va considerato come una componente
significativa dell’economia turistica delle aree costiere, dall’altro è evidente
che le proposte di piani per la portualità turistica presentati fino ad oggi sono
condizionati da alcune presunte esigenze che tendono ad appesantire più del
necessario il livello delle infrastrutture presenti lungo il litorale. E’ opinione
comune, infatti, che i porti turistici debbano avere una grande dimensione, pari
ad almeno 700-800 posti barca, per ragioni di economia di gestione. Accettare
indiscriminatamente questo principio significa ignorare la netta distinzione di
funzione tra i porti stanziali, destinati a servire da basi logistiche permanenti,
ed i porti di scalo, da utilizzare su base stagionale come semplici punti di tappa
durante le crociere estive. I porti del secondo tipo non richiedono, in realtà, né
le dimensioni, né l’insieme di servizi che devono essere presenti nei porti
stanziali. Deve essere sfatata anche la presunta esigenza di attrezzare l’intero
sviluppo costiero del nostro paese con una catena ininterrotta di porti da
disporre a distanze di 20-30 miglia, vale a dire ad una normale giornata di
navigazione l’uno dall’altro. Già oggi, infatti, è molto elevato il numero delle
imbarcazioni che dai porti della Liguria, della Toscana e del Lazio migrano per
66
Legambiente - Mare monstrum 2002
le vacanze verso la Corsica e la Sardegna, coprendo tratte in mare aperto anche
nell’ordine del centinaio di miglia, così come è considerato normale
nell’Adriatico un trasferimento verso le coste della Dalmazia, di lunghezza
poco inferiore.
E’ essenziale, perciò, che dagli sforzi volti ad avviare un processo di
sviluppo della nautica nel nostro paese non emerga un approccio simile a
quello proposto in passato con il progetto Bonifica per il Ministero della
Marina Mercantile (“Sistema di Approdi nel Mezzogiorno”), che accettava in
modo acritico i due postulati appena messi in discussione, vale a dire quello
della dimensione dei porti, considerati tutti obbligatoriamente di grandi
dimensioni, e quello delle distanze tra loro. Un simile modo di procedere si
tradurrebbe in un’ulteriore cementificazione della fascia costiera o in uno
spreco di risorse pubbliche. Appena ci si allontana dai principali bacini di
utenza, infatti, la possibilità di realizzare dei porti turistici utilizzando
esclusivamente capitali privati sussiste solo quando alla realizzazione di porti
vengono abbinate grosse operazioni immobiliari. Un esempio chiaro in questo
senso è rappresentato da quanto accaduto nelle isole Baleari, ed in particolare a
Mallorca, dove i numerosissimi porti turistici sono, in realtà, soltanto i “garage
da barche” dei complessi turistici realizzati a filo di costa.
Anche se lo sviluppo della nautica può avere delle ripercussioni
positive dal punto di vista economico, c’è dunque il rischio concreto che dietro
l’obiettivo ufficiale di tale sviluppo possano nascondersi interessi non
dichiarati per operazioni immobiliari sul litorale o per la costruzione di porti
inutili a carico di tutta la collettività. Innanzitutto è necessario fare chiarezza
sui numeri: si è spesso parlato di 800mila barche, ma le dimensioni reali della
flotta da diporto italiana si aggirano tra le 80-90mila unità. Il resto è composto
da gommoni, lancette, derive e pattini, che con i porti non hanno nulla a che
fare. La “densità nautica media” non è unque di una barca ogni 70 abitanti, ma
di una ogni 700. La domanda di posti barca permanenti potrà dunque registrare
una certa crescita ma sarà sempre difficile convincere i diportisti a scegliere
come porti di armamento delle località lontane dalla loro residenza, e magari
anche difficili da raggiungere.
E invece negli ultimi quattro anni sono stati realizzati nel nostro Paese
36 nuovi porti turistici contro i 44 costruiti nei cinquant’anni precedenti. Sono
35 i progetti (per un totale di 17mila posti barca) che hanno già ottenuto
l’autorizzazione, mentre altre 50 richieste (altri 20mila posti barca) attendono il
sì definitivo dalle Conferenze di servizi. Il tutto si andrà a sommare ai 110mila
posti barca già esistenti.
Senza riportare documenti di fede ambientalista, che potrebbero essere
sospettati di faziosità, vale la pena riportare quanto contenuto nel Documento
sulla portualità turistica nel Mezzogiorno, curato dall’Ucina, l’organismo della
Confindustria che raggruppa gli imprenditori della nautica. A detta dell’Ucina
su intere regioni del nostro Paese la disponibilità attuale dei posti barca sarebbe
più che sufficiente a soddisfare le esigenze della domanda: è il caso del Lazio,
dell’Abruzzo e della Puglia. Al contrario, se si legge il Piano porti della
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Regione Lazio si scopre la volontà di realizzare nel prossimo periodo ben
10mila nuovi posti barca. In Abruzzo, se si portassero in porto, è il caso di dire,
i progetti presentati, si conterebbe un approdo ogni 13 chilometri, senza
considerare quanto sta accadendo in Puglia dove si prevede di realizzare un
porticciolo, quello di Serra Cicora, a due passi da due aree protette, ma
soprattutto a tre chilometri da un porto già esistente (porto Cesareo).
Queste valutazioni devono anche tenere in considerazione il tenore di
vita che caratterizza le diverse aree della penisola: non a caso la grande
maggioranza della flotta è concentrata nel mar Ligure, nell’Alto Tirreno e
nell’Alto Adriatico. Lo sviluppo del turismo nautico nel Mezzogiorno
dipenderà dunque in misura significativa dalla capacità o meno di attirare una
clientela proveniente dall’Italia settentrionale e dal Nord Europa. Ciò implica
l’abilità nell’attirare una clientela disposta a lasciare permanentemente la
propria imbarcazione nel sud, dato che la maggior parte dei diportisti durante le
crociere estive non si allontana più di 150-200 miglia dal porto di armamento.
L’acquisizione di una clientela stanziale può però venire solo a
rimorchio di un massiccio sviluppo turistico a terra, oppure da un reale
interesse nautico delle coste, come in Grecia, Turchia o in Croazia. Una
prospettiva che, sulla scorta di quanto avvenuto in passato, può far venire i
brividi: è auspicabile, infatti, che nell’Italia meridionale non si ripeta la
tentazione di costruire più abitazioni sulla costa nella speranza di attirare più
barche, e la demolizione di Coppola Pinetamare sembra dare un segnale
positivo in questo senso. D’altra parte, molti tratti della costa del Mezzogiorno,
per quanto dotati di grande potenziale turistico, hanno caratteristiche che le
rendono poco attraenti da un punto di vista nautico, a causa soprattutto del
carattere lineare e poco articolato delle coste. Si giustifica così un approccio
più selettivo, che concentri l’attenzione sulle zone più interessanti come bacini
di vacanze nautiche, rifiutando la tesi del porto di grandi dimensioni ogni 20 o
30 miglia lungo il litorale.
Abruzzo: nel 2000 bandiera nera per Fossacesia
Il Comune abruzzese di Fossacesia due anni fa si è meritato una delle
bandiere nere di Legambiente. Il motivo? La realizzazione di un porticciolo
turistico per circa 400 imbarcazioni di lunghezza variabile dai sei ai 12 metri,
su uno degli ultimi tratti di costa non cementificata del litorale adriatico, in
prossimità della foce del fiume Sangro, all’interno dell’istituendo Parco
Nazionale della Costa Teatina.
Gli strali congiunti di Legambiente, Wwf e Italia Nostra, che si sono
mobilitati per impedire la costruzione del porto, non sono serviti a bloccare i
lavori, estesi su una superficie di 100mila metri quadrati ad un centinaio di
metri dalla foce del Sangro e a due passi dalla Lecceta di Torino di Sangro, in
un'area Sito di importanza comunitaria. Al contrario, l’ennesimo attentato
all’ambiente, in un’area interessata da flussi migratori avi faunistici, è stato
favorito dall’atteggiamento pilatesco dell’amministrazione regionale, che dopo
aver riconosciuto il valore naturalistico della zona, in un secondo momento, per
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Legambiente - Mare monstrum 2002
consentire la realizzazione del porto, l’ha declassata. Il tutto per fare spazio ad
un porto che oltre ai posti barca prevede bar, ristoranti, minimarket, negozi e
stutture di pronto intervento. La denuncia degli ambientalisti a Bruxelles ha
sortito i suoi effetti e l'Unione europea ha avviato un procedimento di
infrazione nei confronti della Regione Abruzzo per l'intervento.
Come testimoniato dai dati dell’Ucina, l’unione di cantieri, industrie
nautiche e affini che aderisce a Confindustria, la domanda della navigazione da
diporto poteva essere soddisfatta dalle vicine strutture di Pescara, Ortona e
Vasto, ma grazie al furore cementificatorio di Regione ed enti locali, il litorale
abruzzese rischia di raggiungere in un brevissimo arco di tempo una densità di
aree portuali da Guinness dei Primati: una ogni 13 chilometri. Nella stessa
fascia di litorale, infatti, è già in programma la costruzione di nuovi attracchi,
sebbene gli stessi operatori economici del settore abbiano già espresso la
propria perplessità rispetto a nuovi progetti.
Calabria: il porto “fantasma” di Crotone
Il porto di Crotone si va progressivamente spegnendo. Paradossalmente,
proprio ora che Crotone può contare su un porto attrezzato e su chilometri di
banchine, non ci sono più imbarcazioni, mentre in passato spesso si creava la
fila di quelle costrette ad attendere il proprio turno per poter sbarcare e
imbarcare il proprio carico. Due anni fa è stato registrato un calo del 23,56 per
cento del movimento delle merci, con un valore in assoluto pari a meno 73.507
tonnellate. Il maggior calo è stato registrato nelle merci sbarcate, meno 33,37
per cento, mentre quelle imbarcate, i cui volumi però sono inferiori, hanno
fatto registrare un incremento del 17,86 per cento. A quest’ultimo risultato ha
contribuito la chiusura dello stabilimento Pertusola: circa 50mila tonnellate di
ferriti, 4.600 di cemento di rame e 1.550 di calamina calcinata, rappresentano
infatti, i residui di lavorazione dello stabilimento metallurgico e costituiscono
da sole poco meno dell’80 per cento del totale delle merci imbarcate.
Il crepuscolo del porto di Crotone si stava delineando da almeno un
decennio, e si è aggravato ulteriormente negli ultimi tre anni, senza che ci fosse
alcuna iniziativa per attrarre un volume di traffici più consistente. La soluzione
del problema, come spesso accade, sembra dover passare ancora una volta dal
cemento. La dotazione delle banchine, infatti, è destinata ad aumentare di 570
metri lineari, facendo del sistema portuale crotonese una struttura di notevoli
dimensioni. Il tutto ad un costo complessivo pari a circa 32 miliardi. Altri
ingenti investimenti, dunque, come se l’ampliamento di un porto già
scarsamente utilizzato bastasse di per sé a rilanciare l’economia locale.
In effetti, a questa eventualità non sembrano credere in molti, tanto che
già si punta sul turismo per lo sviluppo del territorio. Così fioriscono nuovi
progetti, a cominciare da quello del porto turistico nel bacino sud (porto
Vecchio), che prevede la sistemazione dell’intera area con l’apertura verso il
quartiere marina e la costruzione di edifici per servizi. In questo contesto si
inserisce anche la richiesta della società Aeroporto Sant’Anna di utilizzare una
parte del bacino nord, banchina di riva e radice dell’attiguo molo foraneo,
69
Legambiente - Mare monstrum 2002
come approdo turistico riservato ad imbarcazioni di maggiore stazza. Sta
prendendo corpo, inoltre, l’ipotesi della realizzazione di un approdo per navi da
crociera, inserendo la città negli itinerari turistici.
Tutti questi progetti sembrano preludere all’ulteriore esborso di
quattrini pubblici per la realizzazione di opere la cui effettiva utilità resta tutta
da dimostrare. Visti gli errori compiuti in passato, sarebbe dunque preferibile
cercare di far funzionare una volta per tutte le strutture già realizzate. A meno
che non si pensi di rilanciare l’economia locale attraverso la continua apertura
di nuovi cantieri fini a se stessi.
Lazio: il caso di Tarquinia…
La teoria che sia sufficiente costruire un porto per promuovere lo
sviluppo turistico di una zona sembra aver fatto proseliti anche nel Lazio. E’ il
caso, almeno, di Tarquinia, culla della civiltà etrusca, dove è in progetto la
realizzazione di una struttura portuale per imbarcazioni da diporto all’altezza
della foce del fiume Marta. Un vasto terreno, distante circa due chilometri alla
foce del fiume, è infatti oggetto da tempo di una tentata variante urbanistica per
trasformare 43 ettari di zona agricola ad alto valore paesaggistico in zona
portuale, in grado di ospitare più di mille imbarcazioni.
Contro il progetto si sono schierate le principali associazioni
ambientaliste, che hanno sottolineato come sulla costa di Tarquinia siano già
stati costruiti in passato un milione e mezzo di metri cubi di cemento in
seconde case ed alberghi, mentre l’amministrazione comunale si è già attivata
per consentire altre operazioni simili nelle lottizzazioni di San Giorgio, del
Lido di Tarquinia e di Marina Velca.
Il progetto di Tarquinia non tiene conto, inoltre, dell’estrema vicinanza
di un altro porto, progettato alla foce del fiume Fiora e inserito nel Piano dei
Porti della Regione Lazio nel contratto d’area Tarquinia-Montalto di Castro.
L’aver progettato due strutture portuali alla distanza di circa 10 chilometri
l’una dall’altra, per di più insistenti su pianure alluvionali e servite da fiumi
con scarso apporto idrico, sembra preludere alla distruzione delle due foci
fluviali. Le dimensioni della variante sono anche del tutto incompatibili con
l’attività balneare delle spiagge del Lido, a causa dell’inquinamento
atmosferico e acustico, e dell’intorbidimento delle acque derivante dalla
presenza del porto.
Il sospetto è che il progetto del porto possa in realtà rappresentare uno
stratagemma per cambiare la destinazione d’uso dei terreni interessati. Il solo
passaggio da zona agricola a zona portuale, infatti, ha determinato un aumento
istantaneo del valore dei terreni pari a 40 miliardi di lire. Così, se il progetto
della nuova area portuale sarà bocciato, basterà una piccola variante per dare il
via alla costruzione di nuove seconde case.
…e quello di San Felice Circeo (Lt)
La Delibera del Consiglio Regionale (n. 491 del 22/12/1998) prevedeva
un ingrandimento “non eccessivo” del porto di San Felice Circeo, viste le
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Legambiente - Mare monstrum 2002
“difficoltà di collegamento stradale, la ripidità delle pendici incombenti e la
limitata disponibilità delle aree terrestri”. Consigliava, inoltre, di studiare
provvedimenti per l’eliminazione della barra sabbiosa che si forma presso
l’imboccatura portuale, e auspicava che il Comune assumesse iniziative decise
per una razionalizzazione del porto esistente.
Quello che nella Delibera era un'ampliamento "non eccessivo" nella
realtà è diventato il raddoppio secco dei posti barca.
Nel corso del mese di maggio 1999 la PENTA Srl presenta al Ministero
dei Trasporti e della Navigazione – Capitaneria di Porto di Gaeta – un progetto
per l’ampliamento del porto turistico di San Felice Circeo che andrà ad
occupare un’area demaniale marittima di circa mq 56.650, comportando un
incremento di oltre 200 posti barca, rispetto ai 250 già esistenti.
Tale progetto, pur ponendosi in contrasto con le direttive del Nuovo
Piano di Coordinamento dei Porti della Regione Lazio, ha visto recentemente
l’approvazione delle autorità competenti.
Oltre alla compromissione irreversibile degli ecosistemi marini e
terrestri, tale opera comporterà un notevole aggravamento della già precaria
situazione urbana dell’abitato di San Felice Circeo, soprattutto con riferimento
al traffico veicolare, il rischio dell’incremento del fenomeno di erosione delle
coste, già in atto, lungo il litorale fino a Terracina e la distruzione di una
prateria di posidonia.
Liguria: molti progetti, molti dubbi
Anche sul litorale ligure la situazione della portualità minore presenta
alcune situazioni a rischio. Una di queste è quella di Levanto, dove il Piano
Regionale della Costa prevede un porto con funzioni di rifugio, a mezza via tra
il Tigullio e il Golfo della Spezia. Le caratteristiche della baia di Levanto
implicano però dei costi elevatissimi a causa della necessità di fissare la diga su
fondali oltre i 10 metri. Dato che il porto sarebbe molto piccolo, con 200-250
posti barca, il solo modo per realizzare l’opera sarebbe quello di abbinarla ad
un’operazione immobiliare, contraddicendo così uno dei principi alla base del
Piano: niente condomini con la scusa che servono a coprire i costi dei porti. In
attesa che si chiarisca la fattibilità del porto rifugio, il Comune ha autorizzato la
costruzione di un miniporto, realizzato con mezzi di fortuna, che rappresenta
una vera e propria baraccopoli nautica.
Procedendo verso Genova, va segnalato il caso di Chiavari-Lavagna, da
citare come esempio classico delle cose da non fare, con due porti collocati ai
lati della foce del fiume che alimentava le spiagge circostanti. Oggi le spiagge
sono in crisi e i due porti si insabbiano. L’unica attenuante è costituita dal fatto
che si tratta di opere realizzate da tempo, prima che i problemi dell’equilibrio
costiero fossero tenuti nella dovuta attenzione. Per lo meno a Chiavari il
Comune ha preso in carico un’opera abbozzata dal Genio Civile Opere
Marittime e lo ha trasformato in un porto ben gestito ed accogliente. Tutto
sbagliato, invece, a Lavagna: localizzazione, progetto, costruzione (i pontili
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Legambiente - Mare monstrum 2002
stanno sprofondando e la diga è in cattive condizioni), e modalità di gestione
(la società realizzatrice è fallita clamorosamente). La “fame” di posti barca in
questo tratto di litorale è nota, ma si sarebbe potuto provvedere ricorrendo a
soluzioni più rispettose del contesto costiero.Sempre nel Tigullio sta montando
una grossa polemica sull’ipotesi di sistemazione del porto di Santa Margherita.
Le obiezioni, in particolare, si concentrano sulla realizzazione di una diga di
sottoflutto a ridosso del castello, che gli autori del progetto ritengono
indispensabile per garantire la tranquillità dello specchio d’acqua protetto.
L’ammissibilità del progetto dovrà dunque essere valutata alla luce dei risultati
della valutazione di impatto ambientale.
Merita attenzione anche il progetto di Noli-Spotorno, che ha messo
d’accordo le aspirazioni dei due Comuni proponendo un porto a cavallo tra i
loro territori. In quel punto, però, i fondali scendono rapidamente, tanto da
limitare drasticamente la larghezza del bacino, nonostante la presenza di una
diga posta in più di 10 metri d’acqua. Quattrini pubblici a disposizione non ce
ne sono e il valore stimato dei posti d’acqua difficilmente arriverà a bilanciare
il costo della costruzione. Ancora una volta, dunque, c’è il rischio concreto che
per far quadrare i conti alla realizzazione del porto venga abbinata una
speculazione edilizia sulle colline retrostanti.
La situazione non è rosea neppure a Loano. Il porto, infatti, sembra
destinato a creare problemi reali alle spiagge di Pietra Ligure. Per di più, i
lavori di Loano sono rimasti a metà per molti anni, con risultati paesaggistici
facilmente immaginabili. A Diano Marina, invece, è in progetto un
ampliamento del porticciolo attuale che, a causa del suo rilevante aggetto dalla
linea di costa, rischia di bloccare i flussi di sedimenti che provengono da un
torrente e alimentano la spiaggia a ponente del porto. Al termine della spiaggia,
già sotto Capo Berta, è possibile “ammirare” uno dei migliori mostri litoranei
della Liguria, costituito da un’orrenda roulottopoli sovrastata dai resti
incompiuti di un complesso immobiliare abbarbicato alla falesia sovrastante.
Sospiro di sollievo per Imperia, il cui piano regolatore portuale
inizialmente prevedeva l’occupazione di tutto il tratto di costa tra Oneglia e
Porto Maurizio. Fortunatamente, trattandosi di un porto anche commerciale, la
procedura di Via era di competenza nazionale ed il gruppo di valutazione lo ha
bocciato. La revisione del piano che ne è conseguita ha notevolmente ridotto
l’impatto delle opere previste. Va segnalato anche il caso di Sanremo, dove si
vorrebbe saldare completamente Portosole con il vecchio porto pubblico,
eliminando il tratto di spiaggia che si colloca tra i due bacini. Sebbene la
spiaggia non abbia più un ruolo dal punto di vista balneare, dal punto di vista
urbanistico è il solo elemento che evita la completa chiusura della città sul lato
a mare, e dunque meriterebbe di essere conservata.
Puglia: cresce il rischio speculazione
La Regione Puglia, pur priva di un piano organico dei porti e degli
approdi turistici, ha inserito una serie di opere portuali in delibere funzionali
all’accesso ai fondi strutturali (ex POP, ora POR), che per la provincia di Lecce
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Legambiente - Mare monstrum 2002
comprendono, tra le altre, strutture portuali incongrue sia dal punto di vista
dell’impatto paesaggistico e ambientale, sia per il loro dimensionamento. Si
tratta dei porti di Santa Cesarea Terme, Ugento e Gallipoli.
Nel caso della struttura di Ugento-Torre San Giovanni i posti barca
previsti sono ben 733. Il progetto, però, dopo essere stato approvato dal
Consiglio Comunale è stato bocciato dalla Regione. Per quanto riguarda
Gallipoli, invece, la tipologia di intervento prevede una stazione marittima in
grado di ospitare 650 imbarcazioni, affiancata da spazi espositivi, aggregativi e
di servizio. Nel complesso banchine e moli avranno un’estensione di 2.500
metri e le opere foranee di mille metri. Il contratto di programma per la
realizzazione del porto è in via di completamento, ma il progetto è ancora privo
della valutazione di impatto ambientale. Considerato che i porti di Sibari e
Leuca sono già sottoutilizzati e ultrastagionali, e che ad essi si aggiungerà
quello in programma a Taranto, queste strutture appaiono del tutto slegate da
logiche di mercato, ma volte piuttosto ad alimentare una logica tutta affaristica
e a valorizzare singoli insediamenti privati.
Al di là di questa bozza di pianificazione fioriscono poi, su istanza di
ogni singola frazione “balneare”, tutta una serie di altri approdi di cui pullulano
le coste salentine. Create quasi sempre come semplici scali d’alaggio con
frangiflutti, in seguito queste strutture si trasformano di fatto in porti “abusivi”
da condonare. In altri casi, come quello ormai tristemente famoso del porto
turistico “Marina di Torre Inserraglio”, da realizzarsi nel Comune di Nardò, in
località Serra Cicora, la società che possiede un villaggio turistico propone un
porto per cui l’amministrazione comunale indice immediatamente una delle
famigerate conferenze di servizi, tuttora in corso, per valorizzare la sua
struttura e creare il precedente infrastrutturale per l’urbanizzazione turistica di
un tratto di costa incantevole, non a caso tutelato dall’Unione Europea. Il
progetto del porto di Serra Cicora prevedeva un’area totale d’intervento di
72mila metri quadrati, l’escavazione di un bacino interno di 42mila metri
quadrati, un canale di accesso di 55 metri di lunghezza per 35 metri di
larghezza, due dighe foranee a mare lunghe rispettivamente 148 e 15 metri,
oltre ad infrastrutture a terra che comprendono un’area parcheggio per oltre
300 posti auto, strade di collegamento e due edifici per servizi. L’impatto che
una struttura simile avrebbe avuto sull’ambiente circostante sarebbe stata senza
dubbio devastante, e per questa ragione in molti tra associazioni ambientaliste,
politici e privati cittadini si sono attivati per impedirne la realizzazione.
Sardegna: troppi soldi gettati a mare
L’amministrazione regionale sarda negli ultimi 20 anni ha erogato
finanziamenti a fondo perduto corrispondenti a più di 600 miliardi di lire di
oggi per la realizzazione di porti turistici, senza riuscire tuttavia ad innescare
un reale processo di sviluppo. Forse in nessuna regione come in questa, infatti,
i soldi pubblici sono stati sperperati in decine di interventi inutili nella migliore
delle ipotesi, ma spesso dannosi e convenienti solo per chi doveva speculare
sulla costa. Un’indagine curata dall’ingegner Bussetti, un esperto del settore
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Legambiente - Mare monstrum 2002
nautico e nella progettazione di opere portuali, ha portato a conclusioni
sconfortanti: secondo Bussetti, infatti, il costo complessivo di un porto di
medie dimensioni (500 posti barca) è di circa 30 miliardi, ovvero 60 milioni a
posto barca, assumendo di operare in situazioni estreme, ovvero in litorali
aperti e privi di ridossi naturali, anche se il costo medio di costruzione di un
posto barca lungo il Tirreno non supera di norma i 50 milioni. Con queste cifre
di riferimento, i 600 miliardi spesi in Sardegna avrebbero dovuto produrre
qualcosa come 10-13mila posti barca. Se le cose fossero andate davvero così,
l’isola italiana avrebbe doppiato la disponibilità offerta dai vicini corsi, sempre
invidiati per i loro 5.900 posti barca ben distribuiti lungo tutto il litorale. In
realtà, i posti barca messi insieme dal piano di intervento pubblico in Sardegna
sono soltanto 2.500 e spesso di qualità discutibile. In pratica, dunque, ogni
posto barca pubblico in Sardegna è costato alla Regione 240 milioni, quasi
cinque volte il costo medio sul Tirreno. Dopo 15 anni di lavori, tutti i porti
avviati sull’isola sono ancora cantieri in costruzione, secondo una pratica
diffusa fatta di varianti in corso d’opera, contenziosi fra imprese e
amministrazioni locali, e altri giochi di prestigio a spese dell’erario. In effetti,
l’estrema frammentazione dei centri d’investimento sembra un meccanismo
creato ad arte per mantenere costantemente aperti i canali di erogazione dei
fondi pubblici. Un cantiere aperto, infatti, è il modo migliore per far continuare
a scorrere i rubinetti dei finanziamenti.
Se da un lato i porti del nord-est dell’isola sono cresciuti al seguito di
un’escalation immobiliare simile a quella delle Baleari, dall’altro i centri
maggiori sono ancora privi di basi nautiche di buone dimensioni e di buon
livello qualitativo. Cagliari, Alghero, Porto Torres e Olbia, infatti, dispongono
solo di strutture precarie, di dimensione limitata ed incapaci di attirare una
clientela qualificata. In compenso lungo il litorale dell’isola sono stati
progettati, e spesso realizzati magari in forma incompiuta, porti disegnati come
se dovessero sorgere in Liguria o in Costa Azzurra. Gli esempi di questo tipo
non mancano. Alla Maddalena il Comune spinge per un porto con più di mille
posti barca e c’è chi pensa di trasformare l’arsenale della Marina in un centro
di manutenzione per grandi unità da diporto. Resta però da spiegare come un
progetto di questo genere possa conciliarsi con il parco marino.
A Palau, invece, è prevista un’espansione del porto che finirebbe per
eliminare tutta la spiaggia e la pineta ad est dell’abitato. E’ probabile che in
questo caso la domanda di ormeggi sia reale, ma la loro realizzazione non può
prescindere dalla valutazione dell’impatto delle infrastrutture sull’ambiente.
Sulla costa di levante esiste effettivamente un buco di copertura tra Siniscola
(La Caletta) e la zona di Arbatax, in quanto Cala Gonone è caratterizzata da
dimensioni ridotte e durante la stagione è strapiena, tanto da essere stata
ribattezzata Cala Gommone. Un’espansione del porto sul lato nord sarebbe
però demenziale dal punto di vista dei costi, mentre a sud i danni alle spiagge
recentemente risistemate sarebbero quasi certi. Se non si trova un’alternativa
migliore dalle parti di Orosei sarebbe dunque preferibile lasciare le cose come
stanno.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Un vero e proprio caso di follia pianificatoria è quello di Porto Corallo.
Realizzare un porto da quasi 700 posti barca con grandi piazzali ed altre
infrastrutture di supporto, in una zona lontana da qualunque centro abitato, è
stata un’operazione priva di qualunque significato. Il sospetto è che il porto sia
stato utilizzato come grimaldello per far saltare i vincoli urbanistici della zona,
ma la questione merita di essere approfondita. A Villasimius il porto è stato
completato, ma stenta a trovare clienti. Evidentemente invece di costruire un
porto stanziale da 650 posti sarebbe stato più ragionevole realizzare uno scalo
stagionale di minore impatto, ma in tal caso non si sarebbero potuti spendere
gli oltre 70 miliardi che si mormora siano stati investiti nella struttura di
Villasimius. Che sia questa la ragione che ha fatto propendere per il porto
stanziale?
Sulla costa meridionale non emergono casi macroscopici a proposito
della portualità turistica. Spicca soltanto l’assenza a Cagliari di una base
nautica importante, che dovrebbe diventare uno dei poli portanti dell’ipotetico
sistema regionale. Sempre a Cagliari bisogna però ricordare il Porto Canale,
opera ciclopica destinata a diventare una sorta di Porto Marghera della chimica,
che invece col passare del tempo si è trasformata in un porto di trasbordo per
contenitori. Il porto, infatti, è finito, con tanto di gru di banchina e mezzi di
piazzale, ma di navi non se ne vede traccia, se si escludono le unità di
cabotaggio della Tarros che ne utilizzano solo una piccola porzione. Una
considerazione che sicuramente non interessa a chi attorno al Porto Canale è
riuscito a spendere centinaia di miliardi di denaro pubblico. A Oristano la
situazione è simile: il porto industriale, diventato famoso negli anni Ottanta
come unico porto italiano sottratto al monopolio delle compagnie portuali, è
una struttura macroscopica che sta manifestando in pieno la sua inutilità.
Tornando alle strutture turistiche, quella di Porto Teulada è stata
lasciata a metà, e potrebbe forse essere completata in modo più congruo
rispetto a quanto previsto dal progetto iniziale. Il porto è in una zona deserta,
col paese a parecchi chilometri nell’entroterra, tanto che sulla diga già
completata sono stati rubati rubinetti dell’acqua, lampade, fili elettrici degli
impianti e quant’altro potesse servire ai costruttori di casette abusive della
zona. Girato l’angolo si giunge a Carloforte, dove il piano regolatore del porto
commerciale prevede un bacino protetto di dimensioni faraoniche, come se
invece dei traghetti locali si dovesse accogliere tutto il traffico del porto di
Genova. Il traffico commerciale è stato incredibilmente sopravvalutato, ed è
dunque auspicabile che la realizzazione del piano regolatore venga bloccata.
Un altro caso eclatante è quello di Buggerru, una piccola località del
Fluminese, sulla costa occidentale della Sardegna, in provincia di Cagliari.
Collegata al resto del mondo da poche stradine tortuose, Buggerru non dispone
di alberghi, né e facile trovare da dormire nel raggio di una ventina di
chilometri. Eppure proprio qui,15 anni fa, la Regione decise di avviare i lavori
di realizzazione di un porticciolo turistico. Avrebbe dovuto ospitare 150
barche, ma neppure nei periodi di maggiore affluenza turistica si registra il
tutto esaurito. Anzi, chi conosce il porto lo evita: l’entrata, in caso di mare
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Legambiente - Mare monstrum 2002
mosso, rappresenta un’ardua impresa anche per i marinai più esperti. Per non
parlare dell’uscita: una volta entrati, infatti, non è raro ritrovarsi insabbiati.
Nessuno sa come rimediare, ma in attesa di trovare una soluzione si è
provveduto ad avviare la pavimentazione delle banchine con quadrotti di
granito lucidato. Ovvero, quando l’apparenza conta più della sostanza...
Un altro caso di “faraonismo progettuale” è quello di Bosa, a metà
strada tra Oristano e Alghero. L’idea è quella di trasformare l’attuale porto
fluviale in una struttura importante e agibile in ogni condizione meteo. Con
questo obiettivo, è stata ipotizzata la realizzazione di una di una diga
monumentale che dovrebbe sorgere a ridosso di tutta la zona della foce del
Temo, con implicazioni paesaggistiche ed economiche del tutto sproporzionate
rispetto alla possibile utilità dell’opera. E’ evidente, infatti, che Bosa non può
rappresentare altro che un porto di scalo, oltre che una base per i natanti leggeri
dei villeggianti. Per il primo scopo sarebbe sufficiente proteggere meglio il
porto esterno già esistente, mentre per il secondo non è necessario alcun
intervento. Anche nel caso di Bosa, però, la spinta a spendere quattrini pubblici
è difficilmente contrastabile.
La febbre dell’espansionismo ha colpito anche sulla costa settentrionale
dell’isola. A Stintino, infatti, la situazione è a rischio perché come al solito si
ipotizza un’espansione di Porto Mannu di dimensioni e caratteristiche
esagerate. Il caso più clamoroso rimane comunque quello di Porto Torres, dove
il porto industriale non è mai entrato in servizio e apparentemente non è
neppure convertibile in porto turistico. Il piano regolatore portuale prevede,
infatti, una grande espansione del vecchio porto commerciale.
Sicilia: il cantiere di Capo d’Orlando compie 30 anni
Il cantiere del porto di Capo d’Orlando, aperto da più di un quarto di
secolo, è riuscito nella poco invidiabile impresa di coniugare lo spreco di
risorse pubbliche (10 i miliardi spesi finora) con il degrado dell’ambiente
circostante. I lavori per la costruzione del porto, infatti, hanno determinato lo
sconvolgimento di tutto il litorale nella zona di sottoflutto: a Brolo, a Piraino e
a Gioiosa Marea intere spiagge sono state spazzate via dalla realizzazione del
molo, che ha interrotto il trasporto litoraneo della sabbia e ridisegnato il profilo
della costa, portando le onde fino a lambire le case e la litoranea. Anche in
questo caso la soluzione al problema nelle menti degli amministratori locali
prende corpo sotto forma di un raddoppio del progetto esistente. Così, invece di
creare le condizioni per ultimare una buona volta i lavori avviati nel 1972, il
Comune di Capo d’Orlando vorrebbe ampliare il porto.
Pochi chilometri più in là ecco Sant’Agata di Militello, 13mila abitanti
per buona parte dediti alla pesca artigianale. Le barche tirate faticosamente a
secco sulle spiagge convinsero l’Amministrazione Comunale della necessità di
avviare anche qui la realizzazione di un porticciolo. I lavori sono partiti nel
lontano 1979 e non se ne vede ancora la fine. Nel frattempo la realizzazione del
molo ha determinato l’erosione della spiaggia. Oggi la spiaggia non c’è più e i
pescatori sono costretti a tirare a secco le loro barche direttamente sulla strada.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
A Giardini Naxos la costruzione di un porticciolo avrebbe dovuto ospitare i
diportisti, attirati magari dalla prospettiva di prendere il sole sulla spiaggia con
lo sfondo del teatro greco, ma anche qui la costruzione del molo ha cancellato
la spiaggia ed ora chi attracca nel porto va a fare il bagno a Taormina, portando
i quattrini altrove e lasciandosi alle spalle le case abusive di Giardini. Nelle
intenzioni dell’amministrazione provinciale, però, il futuro continua ad essere
pieno di approdi.
Anche in Sicilia, dunque, la febbre dei Comuni per i porti è altissima:
ognuno reclama il proprio approdo, ogni frazione confida nelle potenzialità di
riscatto rappresentate dal cemento di una banchina. Eppure uno studio
elaborato dal mensile Nautica qualche anno fa fra i 67 porti e approdi dell’isola
ne aveva individuati 14 che avrebbero potuto essere attrezzati da subito con
pontili galleggianti all’interno, creando così circa 3.500 posti barca a fronte di
un investimento di circa 15 miliardi, meno del costo di realizzazione di un
singolo porto. Si tratta dei cosiddetti “porti verdi”, ovvero dell’aumento di
capacità dei porti esistenti realizzata attraverso strutture mobili o mediante la
razionalizzazione ed il recupero delle vecchie strutture. Una soluzione
abbondantemente praticata all’estero, ma ancora lontana da entrare nella
mentalità dei nostri amministratori, forse perché il giro d’affari creato dalla
costruzione di un porto è troppo ghiotto per essere ignorato.
Toscana: sull’isola d’Elba progetti ad alto impatto ambientale
Un progetto che desta grande preoccupazione dal punto di vista
ambientale, paesaggistico e idrogeologico è quello che prevede la creazione di
un porto turistico nel Comune di Marciana, vicino al confine con Campo
dell’Elba e nelle immediate vicinanze del Parco Nazionale dell’Arcipelago
Toscano. L’area portuale, in base a quanto previsto dal Piano Strutturale del
Comune, dovrebbe essere ottenuta scavando il fondo granitico della foce del
fosso di Pomonte, fino a spingersi nell’entroterra con un canale. Oltre a non
rispondere ad alcuna necessità di carattere economico, questa infrastruttura
rappresenterebbe un danno per l’ambiente e non è contenuta né nel Piano dei
Porti e degli Approdi Turistici della Regione Toscana né nell’accordo di
Programma Quadro per lo sviluppo locale delle Isole Minori, che sottolinea
come l’obiettivo sia quello di potenziare le strutture esistenti, dotandole di tutti
i servizi richiesti dall’utenza. I nuovi progetti per il diportismo nautico,
secondo quanto previsto dal Programma Quadro, possono essere presi in
considerazione solo se fattibili economicamente e di basso impatto ambientale.
Il porto canale di Pomonte, al contrario, sarebbe devastante per l’ambiente e
incomprensibile dal punto di vista economico: si tratterebbe, infatti, di
investire diversi miliardi per realizzare una piccola struttura adatta solo ad
imbarcazioni di dimensioni ridotte e per un esiguo numero di utenti, con una
ricaduta occupazionale irrisoria. Del resto, i vicini porti di Campo nell’Elba e
di Marciana Marina rappresentano già rifugi sicuri per le piccole imbarcazioni
in difficoltà. Lo stesso Piano Strutturale di Marciana riconosce che “poiché
l’intervento ricade in area definita a rischio idraulico molto elevato (v. misure
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Legambiente - Mare monstrum 2002
di salvaguardia, ai sensi della L. 183/89) per la sua attuabilità ne deve essere
riconosciuta l’importanza essenziale e la non delocalizzabilità, a seguito della
quale l’intervento deve essere realizzato in condizioni di sicurezza idraulica e
purché la sua realizzazione non precluda la possibilità di attenuare o eliminare
le cause che determinano le condizioni di rischio, e risulti comunque coerente
con la pianificazione di interventi di emergenza di protezione civile, previo
parere favorevole del Comitato tecnico di Bacino competente”. Meglio,
dunque, avere il coraggio di rinunciare ad un porto irrealizzabile e dannoso per
l’ambiente, e puntare invece su strutture leggere (scalo d’alaggio per le piccole
imbarcazioni locali, campi boe), che potrebbero più facilmente ottenere il
consenso della Regione Toscana e dell’opinione pubblica.
Quello di Pomonte non è, però, l’unico porto canale progettato
all’interno del Comune di Marciana. Alla foce del Fosso del Gualdarone, nei
pressi di un relitto di una nave romana del II secolo, è prevista infatti la
costruzione di un porto turistico e dei servizi connessi, oltre a 47 nuove
abitazioni. Il progetto prevede la realizzazione di un molo che, partendo dal
territorio del promontorio della Guardiola, dovrebbe chiudere lo specchio
d’acqua ad est dell’imboccatura del porto canale. Anche in questo caso, però, il
nuovo porto, che in base ai dati del Documento Unico Programmatico Isole
Minori dovrebbe ospitare una cinquantina di piccole imbarcazioni, non è
contemplato dal Piano dei Porti e degli Approdi Turistici della Regione
Toscana. Le previsioni non sembrano tenere conto né dell’altissimo pregio
ambientale e paesaggistico dell’area del promontorio della Guardiola,
interamente inserita nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, né della
grande importanza dei reperti archeologici presenti nella zona, sottoposta a
precisi vincoli da parte della Soprintendenza e della Capitaneria di Porto di
Portoferraio. Il porto canale alla foce del Fosso del Gualdarone presenterebbe,
dunque, costi altissimi se rapportati alla modesta funzione di ricovero di
piccole imbarcazioni, anche perché nelle vicinanze sono presenti l’attrezzato
porto rifugio di Marciana Marina, nel quale è prevista la prossima realizzazione
di un approdo turistico per 350 barche, e un frequentato campo boe. Senza
dimenticare che la presenza del porto canale e del molo della Guardiola
comprometterebbero la balneazione, vietata nelle aree portuali e nelle
immediate vicinanze, in tutta la zona orientale della spiaggia di Procchio.
Anche in questo caso sarebbe dunque preferibile rinunciare al progetto e optare
per soluzioni più leggere, individuando per esempio un’area per il rimessaggio
delle imbarcazioni facilmente raggiungibile dalla spiaggia di Procchio.
Come se non bastasse, ha ripreso insistentemente a circolare l’ipotesi,
già bocciata in passato, di un porto turistico per oltre 600 barche a Marina di
Campo, nel territorio del Comune di Campo nell’Elba. Di fatto il porto
dovrebbe essere realizzato distruggendo l’intera costa di Galenzana, spese di
una spiaggia selvaggia rimasta finora intatta, che non a caso Legambiente ha
piazzato al terzo posto tra quelle più belle della nostra penisola. La Regione
Toscana, in ogni caso, non ha incluso questa ipotesi nel Piano dei Porti e degli
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Legambiente - Mare monstrum 2002
Approdi Turistici, e prevede solo un piccolo approdo turistico all’interno del
porto già esistente.
Il Dupim 2000-2006: un mare di porti nelle isole minori
Si chiama Dupim, acronimo che sta per Documento Unico
Programmatico Isole Minori, è stato redatto a cura dell’Ancim, l’Associazione
Nazionale Comuni Isole Minori, ed è la lettura preferita di tutti coloro che
sognano un mare pullulante di strutture portuali. Dalla lettura di questo
documento si rileva, infatti, che quasi tutte le piccole isole del nostro paese
dovrebbero essere dotate di almeno un approdo turistico.
Nella prima prima parte di analisi del fenomeno, le considerazioni del
Dupim sono del tutto condivisibili. E’ vero, cioè, che si assiste ad un
progressivo spopolamento delle isole minori italiane e che per controbilanciare
questa tendenza si devono opporre una serie di misure che puntino a
valorizzare le risorse tipiche di queste aree, quali il turismo, l’agricoltura e la
pesca. Le misure da intraprendere dovranno perciò favorire processi di
“destagionalizzazione” dei flussi turistici, di qualificazione in questo senso
degli operatori economici locali, di individuazione di interventi che aumentino
la qualità dei servizi per i residenti, e di valorizzazione delle risorse locali.
Le misure concrete individuate dal Dupim per mettere in atto questo
progetto sembrano però contraddire clamorosamente le premesse iniziali. In
primo luogo va sottolineato un deficit insito nel metodo che ha portato alla
definizione del documento. L’Ancim, che pure è firmataria del documento in
questione, si è limitata infatti a registrare le esigenze dei singoli Comuni, ma
non ha provveduto a fare uno sforzo per inserire in un ambito più generale le
richieste da essi avanzate. Le singole iniziative vanno approfondite una ad una
e richiedono una valutazione più puntuale che il Ministero dell’Ambiente
dovrebbe riservarsi di effettuare a cura di propri tecnici.
In ogni caso balza agli occhi uno squilibrio evidente a favore degli
approdi turistici. Uno squilibrio che suscita più di una perplessità perché se da
un lato è opportuno mettere a punto misure di “destagionalizzazione”,
dall’altro è evidente che infrastrutture come i porti turistici rappresentano un
forte elemento di “stagionalizzazione” dei flussi del turismo, tanto più che non
viene neppure presa in considerazione l’ipotesi di porti di transito. Nel
complesso gli stanziamenti necessari per la realizzazione o l’ampliamento dei
porti delle isole minori ammontano a più di mille miliardi, 600 per le strutture
di tipo turistico e 400 per quelle commerciali e da pesca. Un vero e proprio
inno alla cementificazione, che rappresenta il leit-motiv del documento curato
dall’Ancim, condito da alcune stravaganze, come la realizzazione di un
ippodromo a Sant’Antioco o il campo da gol da 27 buche a Campo nell’Elba.
Brillano invece per l’esiguità dei fondi previsti a loro favore, l’attività di
formazione (23 miliardi) e gli interventi sociali (56 miliardi, 40 dei quali per
una struttura sanitaria alla Maddalena). Davvero un modo bizzarro di bloccare
l’esodo dei residenti, tanto più che nel documento non è contenuto alcun
riferimento a progetti per la realizzazione di marchi o per il varo di altri
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Legambiente - Mare monstrum 2002
strumenti di qualificazione dei prodotti e delle risorse delle isole minori
italiane.
Una politica volta a promuovere il turismo di qualità per avere successo
deve creare prima di tutto gli strumenti per la qualificazione e la valorizzazione
delle risorse locali, ma gli estensori del Dupim sembrano non essersene accorti.
O forse si illudono che basterà qualche colata di cemento per trattenere gli
abitanti sulle isole e attirare frotte di turisti.
Dupim (Documento Unico Programmatico Isole Minori) 2000-2006
Interventi per la portualita’ turistica
Descrizione sintetica dei progetti
Costo previsto
ARCIPELAGO TOSCANO
COMUNE DI CAMPO NELL’ELBA
Porto di Marina di Campo: costruzione del molo di sottoflutto
Realizzazione del Porto turistico (750 imbarcazioni )
COMUNE DI CAPRAIA
Isola di Capraia: Sistemazione area portuale commerciale e realizzazione del porto turistico
COMUNE DI ISOLA DEL GIGLIO
Giglio Porto: ristrutturazioni porti e approdi turistici
COMUNE DI MARCIANA
Patresi: ripristino del molo e dello scalo di alaggio
S. Andrea, Chiessi: realizzazione dello scalo di alaggio
Procchio: porto canale foce fosso Gualderone ( 50 barche )
Pomonte: porto canale alla foce del fosso di Pomonte
COMUNE DI MARCIANA MARINA
Approdo turistico di Marciana Marina ( 350 imbarcazioni )
COMUNE DI PORTO AZZURRO
Approdo turistico di Porto Azzurro ( 400 imbarcazioni )
COMUNE DI PORTOFERRAIO
Ristrutturazione della Rada di Portoferraio (600 imbarcazioni)
Approdo turistico di Magazzini (150 imbarcazioni)
Approdo turistico del Grigolo (150 imbarcazioni)
COMUNE DI RIO MARINA
Approdo turistico di Rio Marina (350 imbarcazioni)
Approdo turistico di Cavo (350 imbarcazioni)
3.500.000.000
40.000.000.000
8.500.000.000
10.500.000.000
700.000.000
7.300.000.000
12.500.000.000
8.000.000.000
30.000.000.000
2.500.000.000
2.700.000.000
4.500.000.000
14.500.000.000
ISOLE PARTENOPEE
COMUNE DI ANACAPRI
Strutture per la nautica da diporto
COMUNE DI CAPRI
Completamento del Porto turistico
Porto turistico: Separazione funzioni commerciale e turistica
COMUNE DI FORIO
Completamento del porto turistico-peschereccio
COMUNE DI ISCHIA
Ischia Ponte: realizzazione del porto turistico
5.400.000.000
13.500.000.000
33.500.000.000
11.900.000.000
28.000.000.000
80
Legambiente - Mare monstrum 2002
COMUNE DI PROCIDA
M. Chiaiolella: ampliamento del porto turistico
M. Grande: completamento funzionale del porto turistico
18.000.000.000
7.000.000.000
ISOLE SARDE
COMUNE DI CALASETTA
Completamento del porto turistico (500 imbarcazioni)
COMUNE DI CARLOFORTE
Sistemazione Darsena Nord e miglioramento Canale Saline
COMUNE DI S.ANTIOCO
Approdi turistici in località Calalunga e Maladroxia
15.000.000.000
13.000.000.000
60.000.000.000
ISOLE SICILIANE
COMUNE DI FAVIGNANA
Marettimo e Levanzo: realizzazione porti turistico-commerciali
COMUNE DI LENI
Molo Lazzaro: Completamento struttura e infrastrutture nautico
COMUNE DI LIPARI
Marina Corta: ristrutturazione ampliamento struttura portuale
Porto Pignattaro: ristrutt. e ampliamento struttura portuale
Approdo di Ponticello: Opere di funzionalizzazione e arredo
loc. Acquacalda: arredo strutture e realizzazione porto turistico
Vulcano: arredo, funzionalizzazione e adeguamento approdi
Scari, Ficogrande, Ginostra: arredo strutture; difesa della costa
Filicudi –funzion. e arredo Filicudi Pecorini e di Filicudi Porto
Alicudi –funzion. e arredo Alicudi Porto e difesa costiera
Panarea – funzion. e arredo approdo S.Pietro e Iditella
COMUNE DI MALFA
Scalo Galera – Opere di miglioramento fruizione mare
COMUNE DI PANTELLERIA
Completamento porto turistico di Pantelleria
COMUNE DI S. MARINA SALINA
Lavori di completamento della Darsena
COMUNE DI USTICA
Realizzazione della diga foranea di Levante
Realizzazione di uno scalo di alaggio
TOTALE
81
21.000.000.000
5.000.000.000
30.700.000.000
29.000.000.000
1.500.000.000
10.000.000.000
12.000.000.000
15.000.000.000
10.000.000.000
2.000.000.000
12.000.000.000
4.530.000.000
110.000.000.000
2.100.000.000
9.827.000.000
500.000.000
625.657.000.000
Legambiente - Mare monstrum 2002
I 39 PORTI AI NASTRI DI PARTENZA
Le strutture già approvate
Località
N. Posti barca
Liguria
Genova porto antico
280
Toscana
Scarlino
650
Porto Azzurro
250
Salivoli
450
Porto Ercole
300
Porto S. Stefano
330
Talamone
600
Castiglioncello
650
Sardegna
Castelsardo
300
Santa Teresa di Gallura
400
Porto Corallo
800
Porto Scuso
387
Palau (Ampliamento)
290
S. Maria Navarrese
300
Villa Simius
270
Punta Aldia
385
Portisco Raddoppio in costruzione
300
Lazio
S. Marinella
800
Ostia
800
Campania
Castellamare di Stabia
1.300
Ischia Porto
120
Calabria
Belvedere Marittimo
280
Gizzera Lido
531
Badolato
222
Amantea
360
Vibo Valentia Marina
450
Puglia
Melendugno
427
Maruggio
300
Polignano
440
Vieste
600
Bisceglie
420
Molise
82
Legambiente - Mare monstrum 2002
Campomarino
Emilia-Romagna
Misano Adriatico
Rimini
Ravenna
Veneto-Friuli Venezia Giulia
Porto Levante
Chioggia
Monfalcone
Trieste (Porto S. Rocco)
Totale
280
800
1.500
600
250
370
550
18.342
Fonte: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
I 41 PORTI ANCORA SOTTO ESAME
Le strutture che hanno le conferenze di servizio aperte
Località
Situazione
N. Posti barca
Liguria
Bordighera
Approvato progetto preliminare
400
Ospitaletti
Approvato progetto preliminare
Ventimiglia
Approvato progetto preliminare
750
Diano Marina
Approvato progetto preliminare
500
Varazze
In discussione
843
Spotorno e Noli
La Regione ha convocato la conferenza
Toscana
Monte Argentario
Respinta
Sardegna
Porto Rotindo
Conclusa la prima conferenza servizi
40
Sa Marinedda
Conclusa la prima conferenza servizi
S. Teodoro
In discussione
Lazio
S. Marinella
In discussione
132
S. Severa
In discussione
Anzio
Respinta
Fiumicinio-Fiumara
Approvato progetto preliminare
1.500
Grande
Passo Scuro
In discussione
Fiumicino Porto Nord
Respinta
Gaeta Darsena
Conclusa con contenzioso con il
320
Montesecco
Comune
Ladispoli
Contenzioso con il Comune
605
S. Felice Circeo
In discussione
218
Civitavecchia
Da stabilire
292
83
Legambiente - Mare monstrum 2002
Tarquinia
Ponza
Circeo
Pozzuoli
Maiori
Casal Velino
Casamicciola Ischia
Capri
Anacapri
Crotone
Paola
Pisticci
Peschici
Nardò Marina di Torre
In.
Policoro
Taviano
Barletta
Castrignano del Capo
San Nicandro Garganico
S. Vito Chientino
Vasto
Termoli
Cattolica Porto Canale
Cattolica Squero
Comune di Muggià lo.
S. Bartolomeo
Totale
In discussione
Respinta
Verbale
Campania
Contenzioso con il Comune
Conferenza da svolgersi
In discussione
In discussione
Respinta
Respinta
Calabria
In discussione
In discussione
Puglia
In discussione
In discussione
In discussione
In discussione
4 anni per costruzione
In discussione
In discussione
In discussione
Abruzzo
Respinta
In attesa di variazione societaria
Molise
In via di convocazione
Emilia-Romagna
In discussione
In discussione
Veneto-Friuli Venezia Giulia
In discussione
600
305
70
250
650
480
188
737
180
98
446
280
197
67
210
10.790
Fonte: Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
84
Legambiente - Mare monstrum 2002
8. L’erosione della costa
Un metro di spiaggia in meno ogni anno. E’ questo il ritmo implacabile
con cui procede l’erosione di gran parte dei circa 7.500 chilometri di coste
della nostra penisola. Un fenomeno che assume ormai dimensioni
drammatiche, determinato da un utilizzo delle aree costiere da parte dell’uomo
spesso eccessivo e traumatico. La destabilizzazione dell’ambiente costiero è il
frutto bacato di diversi fattori, a partire dall’intensa antropizzazione a fini
turistici e industriali, e dall’impoverimento dell’apporto di materiale solido dei
fiumi al mare, determinato dalla massiccia estrazione di materiale dagli alvei e
dagli interventi di regimazione dei corsi d’acqua, che in molti casi si sono
rivelati inutili o dannosi.
Normalmente, infatti, l’azione continua delle onde sulla riva viene
bilanciata dalla formazione di nuove spiagge e banchi di sabbia, a seguito dei
sedimenti trasportati dai fiumi e quindi deposti dal mare sulla costa, oppure
dall’interazione di onde e vento con gli ambienti dunali e rocciosi. Questo
processo naturale di reintegrazione viene però notevolmente ostacolato dalle
attività umane. Quando si costruisce una diga lungo un fiume, per esempio, i
sedimenti un tempo trasportati fino al mare vengono trattenuti nel bacino
artificiale. Sul banco degli imputati, dunque, la cementificazione dissennata del
territorio che in molti tratti ha interrotto, o ridotto in misura drastica, il
processo naturale di ripascimento delle spiagge. L’attacco alle coste procede
simultaneamente dalla terra ferma e dal mare: all’effetto delle infrastrutture
realizzate sui fiumi e delle escavazioni condotte nei loro letti, infatti, si somma
l’impatto di porti e porticcioli protesi sull’acqua, che modificando il gioco delle
correnti marine hanno privato delle loro spiagge zone tradizionalmente ricche
di sabbia. Fanno eccezione alcuni tratti in ripascimento, il più delle volte a
scapito di altri tratti di litorale, come conseguenza della realizzazione di opere
artificiali che hanno modificato la dinamica dei sedimenti.
Questa vera e propria aggressione ai danni dei litorali italiani si traduce
in una costante riduzione delle aree umide della costa e delle dune sabbiose.
Così dei circa 700mila ettari di paludi costiere esistenti in Italia all’inizio del
XX secolo, nel 1972 ne restavano 192mila e nel 1994 meno di 100mila. Stesso
discorso sul fronte dei sistemi dunari, la cui perdita è stata altissima in tutti gli
Stati che si affacciano sul Mediterraneo, Italia in testa: quattro quinti delle dune
della penisola, infatti, nel periodo compreso tra il 1900 e il 1990 sono state
perdute. L’erosione delle coste interessa tutte le regioni bagnate dal mare, ma
la situazione risulta essere particolarmente grave in Calabria e Campania, dove
la maggioranza della fascia costiera è caratterizzata da un rischio molto
elevato. Arenili che in passato godevano di notevoli spazi in profondità per
stabilimenti balneari e file di ombrelloni, infatti, a distanza di pochi decenni
sono ridotti a strette lingue di sabbia.
Di fronte a questo quadro a tinte fosche, le istituzioni, come troppo
spesso accade, invece di svolgere il ruolo di vigilanza di loro competenza, in
85
Legambiente - Mare monstrum 2002
molti casi hanno finito per avallare facili speculazioni, contribuendo alla
distruzione di un patrimonio naturale di valore inestimabile. Nonostante la
gravità della situazione, si continua così ad assistere alla realizzazione di
interventi di regimazione idraulica in piena contraddizione con le indicazioni
prodotte dalle stesse amministrazioni pubbliche.
Oppure si è intervenuti in modi quantomeno proditori con ripascimenti
dei litorali del tutto sbagliati , quando non gravemente dannosi per l’ambiente.
Nell’ultimo anno sono da segnalare due casi davvero eclatanti: quello della
spiaggia del Poetto a Cagliari e quello dell’Isola di Ischia.
Nel caso del Poetto la situazione ha raggiunto vertici tragicomici, tanto
che i cagliaritani hanno visto la loro spiaggia più famosa mutare colore nel giro
di pochi giorni. La sabbia bianchissima, appare adesso agli occhi increduli dei
visitatori nera, o grigio topo, secondo l’opinione dei più ottimisti. La causa del
cambiamento, temporaneo secondo alcuni – l’amministrazione provinciale –
definitivo secondo altri – gli ambientalisti e larga parte della popolazione – è il
ripascimento commissionato dalla Provincia. La spiaggia del Poetto soffriva di
progressiva riduzione della mole sabbiosa, fatto che ha saggiamente motivato
l’intervento, meno saggio dice qualcuno, della Provincia: è stato messo in atto
un piano di ripascimento della spiaggia servendosi di sabbia dragata a largo.
Ma ecco la sorpresa: scaricata al Poetto, questa sabbia è risultata di un colore
(grigio topo, appunto) e di una composizione notevolmente diversi da quelli ai
quali i cagliaritani e i turisti erano affezionati.
Quello che può sembrare un colorito fatto di cronaca locale è invece
un’imbarazzante esempio di quell’improvvisazione che tanto male fa al nostro
territorio. Lo sversamento sull’arenile delle sabbie (dragate con autorizzazione
del Ministero dell’Ambiente nel Golfo degli Angeli ad una profondità di 45
metri), per il quale non risulta presentato alcuno studio di valutazione di
impatto ambientale, è cominciato l’8 marzo scorso ed è proseguito per tutto il
mese depositando sull’arenile 370.000 mc di sabbia nera. Né l’evidenza che si
tratta di trattava di sabbie più scure e più grossolane rispetto a quelle
preesistenti, né le proteste e le preoccupazioni della cittadinanza sono servite a
bloccare quest’opera che ha trasformato il litorale cagliaritano.
Episodio analogo, se non addirittura più grave, quello accaduto alla
Baia dei Maronti nell’isola di Ischia, dove intere praterie di posidonia oceanica
sono stati distrutte da ripascimenti sbagliati del litorale.
86
Legambiente - Mare monstrum 2002
Per dovere di cronaca, riportiamo di seguito due relazioni tecniche sui
due episodi che illustrano chiaramente quanto accaduto.
8.1 Relazione sullo stato ambientale della prateria di Posidonia
oceanica della Baia dei Maronti Isola di Ischia a seguito degli
interventi di ripascimento del litorale.
a cura di Maria Cristina Gambi, Maria Cristina Buia (Stazione zoologica
“Anton Dohrn” Laboratorio di ecologia del benthos, Ischia)
Riportiamo una sintesi della relazione tecnico-scientifica che è stata di
recente trasmessa al Ministero dell’Ambiente, alla Regione Campania, al
Circomare di Ischia e ai sindaci di tutti i comuni delle isole flegree, sullo stato
ambientale di una prateria di Posidonia oceanica di fronte al litorale dei
Maronti (isola d’Ischia), fortemente danneggiata a seguito degli interventi di
ripascimento del litorale della spiaggia omonima. La Stazione Zoologica "A.
Dohrn" di Napoli, ed in particolare lo staff del Laboratorio di Ecologia del
Benthos di Ischia, è da anni impegnato in un monitoraggio continuo
dell'ambiente costiero delle isole flegree (Ischia, Procida e Vivara), ed in
particolare dei sistemi a fanerogame marine, tra le quali Posidonia oceanica che
è ampiamente distribuita in quest'area.
A seguito di opere di lavoro a mare, collegate con il prelievo di sabbia
per il ripascimento della spiaggia dei Maronti, sono stati da noi registrati alcuni
profondi cambiamenti nella distribuzione e struttura delle formazioni a
Posidonia presenti lungo questo tratto di costa, e riteniamo doveroso
denunciare l'accaduto al Ministero dell'Ambiente e ad altri soggetti istituzionali
interessati, al fine anche di aggiornare la situazione rispetto al recente Rapporto
di Attività da noi prodotto aùl Ministe dell’Ambiente stesso relativo allo studio
pilota per l’istituzione dell’Area Marina Protetta del “Regno di Nettuno” (isole
di Ischia, Procida e Vivara) (Data Report, 2001).
Ricordiamo che l'ecosistema a Posidonia oceanica è soggetto a
specifiche misure di salvaguardia, protezione e studio ai sensi della normativa
sulle "Disposizioni in campo ambientale" della 426/98, più recentemente
riprese dalla legge n.93/2001.
Con la presente relazione vorremmo focalizzare l'attenzione sullo
scempio ambientale verificatosi nella Baia dei Maronti a carico soprattutto di
una formazione a Posidonia oceanica, rilevata da noi, nell'ambito dello studio
pilota sopra menzionato e di recente mappata nell’ambito di uno studio del
Geomare Sud (Istituto di Gelogia marina del CNR, Napoli) finanziato dalla
Regione Campania (Data Report, 2000; Marsella et al., 2001).
Questa formazione a Posidonia non era infatti riportata in una
mappatura precedente della zona (Colantoni et al., 1982). L’area di fronte ai
Maronti è una zona molto esposta al moto ondoso e con una notevole
dinamicità nel trasposto sedimentario litoraneo (De Pippo et al., 2000), queste
87
Legambiente - Mare monstrum 2002
caratteristiche dinamiche limitano la presenza di Posidonia oceanica ad una
stretta cintura distribuita solo nel versante più orientale della Baia dei Maronti,
grosso modo delimitato a terra tra Cava Olmitello e le Fumarole,
probabilmente favorita dal ridosso offerto dal promontorio di S. Angelo e dalla
geomorfologia del fondo, che presenta una ampia piattaforma a debole
pendenza.
Le osservazioni dirette in immersione effettuate durante lo studio pilota
hanno mostrato una prateria ed un habitat particolarmente interessanti sia per
quanto riguarda i popolamenti animali associati che in relazione alle
caratteristiche geomorfologiche del fondale.
La prateria di Posidonia oceanica si distribuiva tra 18 e 24-25 m circa di
profondità, ed era insediata su matte avente limite inferiore eroso e netto posto
a circa 24 m di profondità. In alcune zone era osservabile l’esposizione di una
matte alta anche oltre 2 m, in altre la medesima è degradante verso la sabbia.
Sulla sabbia erano presenti macchie limitate di Posidonia oceanica con i rizomi
sepolti da evidenti ripple-marks dovuti all’elevato idrodinamismo della zona.
Il limite superiore della prateria era posto a circa 18 m di profondità e
pur rimanendo molto netto presentava uno spessore della matte inferiore
(alcune decine di cm).
Tra i popolamenti avevamo segnalato numerosi individui di Pinna
nobilis (grosso bivalve protetto), anche di grandi dimensioni, presenti nelle
numerose radure inframezzate alla prateria. La fauna sessile dei rizomi era
particolarmente abbondante e varia (poriferi, briozoi e tunicati). Dalla
mappatura disponibile in Marsella et al. (2001) si rilevava la presenzza di una
discontinuità a circa metà dello sviluppo di questa formazione. Le misure di
densità dei fasci, condotte tra 19 e 23 m di profondità hanno fornito un dato
medio di 221 fasci/m2 ed una copertura del fondale tra 60 e 80% (Dappiano et
al., in stampa).
Il 26 marzo 2002 iniziavano i lavori di ripascimento dell’arenile dei
Maronti, condotti tramite il pompaggio sulla spiaggia di sedimento prelevato
sui fondali prospicienti la costa dalla Nave-draga "Antogoon", specializzata per
questo tipo di operazioni.
Durante la tarda mattinata del 26 marzo la presenza di ingenti ammassi
di foglie di Posidonia galleggianti nel tratto di mare a levante del porticciolo di
Sant’Angelo, dove stava lavorando la Nave-draga, destava l’allarme di
operatori locali della pesca e della subacquea sportiva. In seguito alle
segnalazioni ricevute e all’interessamento della Capitaneria di Porto di Ischia,
il personale del Laboratorio di Ecologia del Benthos effettuava nella mattinata
del 27 c.m. ispezioni del materiale spiaggiato sia sulla spiaggetta interna al
porto di Sant’Angelo che lungo il litorale dei Maronti.
La situazione risultava essere la seguente:
- lungo buona parte della spiaggetta di Sant’Angelo erano depositati
ammassi di foglie singole e fasci fogliari di Posidonia evidentemente rimossi il
giorno precedente, dato l’aspetto verde e vitale dei lembi foliari e l’assenza di
segni di necrosi avanzata a carico delle basi delle foglie adulte;
88
Legambiente - Mare monstrum 2002
- verso l’estremità occidentale della stessa spiaggetta dominavano i
residui di rizomi e radici di Posidonia, strappate evidentemente dallo strato
superficiale del substrato;
-nello specchio d’acqua interno al porticciolo galleggiava un numero
notevole di foglie verdi di Posidonia;
- lungo un buon tratto del litorale dei Maronti (perlomeno di quello
accessibile all’atto dell’ispezione, visto che era in corso il pompaggio del
sedimento) era rilevabile una fascia più o meno continua di rizomi di
Posidonia, in prevalenza privi del ciuffo fogliare ma comunque ancora vitali.
Dal quadro descritto, risultava evidente che:
1)
l’impatto sulle formazioni di Posidonia oceanica era stato cospicuo;
2)
il danno era da attribuirsi alle operazioni di dragaggio svoltesi il giorno
precedente; ciò anche per successiva ammissione del direttore dei lavori
all’atto dell’esame del materiale spiaggiato;
3)
l’azione della draga aveva provocato una frammentazione delle piante,
per cui gli organi epigei (le foglie) erano stati in larga misura separati
dai rizomi in un qualche momento delle operazioni di dragaggio;
4)
considerata l’estensione dell’area di intervento della nave-draga, il sito
che aveva subito l’impatto era quello localizzato di fronte alla spiaggia
dei Maronti.
Da una riunione tenutasi nel primo pomeriggio presso il Circolare di
Ischia con il Comandante Tomas e la direzione dei lavori (Ing. L.
Carbucicchio) si veniva a conoscenza che le operazioni si svolgevano in alcuni
poligoni predefiniti in base ad uno studio di progetto, indicati come “cave” e
dislocati in alcune zone, tra cui la cava A sita in prossimità della formazione a
Posidonia. Raggiunta la ragionevole certezza, da accordi con il Circomare e la
direzione dei lavori, che le operazioni sulla cava A, sospese già dalla mattinata
del 27, non sarebbero state più riprese e si sarebbe attinta la sabbia dalle altre
“cave” site in zone prive di formazioni a Posidonia, si rimandava a data da
destinarsi l’ispezione in situ; ciò anche in previsione delle condizioni operative
che sarebbero state verosimilmente difficili per i subacquei fin quando fossero
proseguiti i lavori di ripascimento e le acque fortemente intorbidite non fossero
tornate limpide, permettendo una ricognizione ed una documentazione ottimale
dell'accaduto. Era difatti ovvio che il danno maggiore, di qualsiasi entità esso
fosse, era già stato prodotto.
In data 7 e 15 maggio 2002 il personale del Laboratorio di Ecologia del
Benthos effettuava ispezioni in immersione in varie porzioni di prateria in
vicinanza alla zona operativa della nave "Antigoon" del 267 marzo. Le
ispezioni subacquee sono state effettuate da Lorenti Maurizio, Dappiano
Marco, Gambi Maria Cristina, Iacono Bruno e Raffaele Di Martino, con il
supporto di videocamera digitale e macchina fotografica subacquee. L'area
ispezionata si estende lungo la costa per tutto lo sviluppo della prateria stessa e
in una fascia batimetrica variabile tra 18 e 27 m. L'osservazione del fondale nel
tratto in cui la formazione a Posidonia era più esteso, nella parte grosso modo
di fronte a Olmitello, ha messo immediatamente in evidenza la sostanziale
89
Legambiente - Mare monstrum 2002
alterazione della morfologia del fondo sia per quanto riguarda batimetria e
topografia, che per gli habitat bentonici presenti. Il dato più drammatico era la
sostanziale scomparsa delle formazioni a Posidonia oceanica (e di tutte le
comunità animali e vegetali ad esse associate) nelle ampie aree e nella zona a
copertura continua prima colonizzate dalla pianta. Il fondale era invece
caratterizzato da ampi solchi profondi da 2 a 5-6 m, a seconda del numero di
passaggi dello strumento di aspirazione, tutti orientati in direzione est-ovest.
Lungo i versanti di questi avvallamenti affiorava nella porzione superiore
"matte" di Posidonia che in alcuni punti raggiungeva 3-4 m di spessore seguita
da uno strato di sabbia ben classata ed infine, nella parte inferiore non
interessata dalla ricaduta di sabbia e detrito di Posidonia, fango e pelite più o
meno compattati su cui erano evidenti i segni dell'intervento meccanico degli
attrezzi di prelievo della sabbia. Nel fondo degli avvallamenti era presente
sabbia, verosimilmente da apporto limitrofo, e cospicua quantità di fasci
eradicati e zolle di matte scalzata di Posidonia di varia grandezza. Intervallati a
tali avvallamenti erano presenti elevazioni del fondale in forma di dune o
costoni di sabbia alla sommità dei quali emergevano residui di matte morta o di
limitate formazioni residuali vive di prateria. Verosimilmente tali formazioni
rappresentano residui di prateria a volte ricoperti dai sedimenti risospesi
durante lo scavo e rideposti nelle vicinanze. Alcune di queste formazioni
assumevano l'aspetto di pinnacoli e lenti di matte erosa delimitate dalle
alterazioni indotte dallo scavo. Molti dei fasci vivi residui, rimasti in posto,
presentavano, inoltre, foglie eziolate (prive del pigmento naturale verde) e
andamento prostrato che faceva supporre l'intervento di un qualche
meccanismo di copertura e scopertura alternata della prateria da parte del
sedimento mobilizzato. Risultava impossibile effettuare qualsiasi misura di
densità dei fasci e copertura del fondale da parte della prateria, che fosse
rapportabile ad una situazione a noi nota, anche in siti sottoposti a forte
degrado, o alla situazione rilevata nelle osservazioni precedenti.
Per quanto riguarda il popolamento associato alla prateria, si notava la
totale assenza di qualsiasi facies riconoscibile, associata anche ai pochi fasci
superstiti, la cospicua presenza sul fondo, frammista alla sabbia, di resti di
organismi associati, quali ascidie (Halocynthia), gorgonacei (Eunicella
cavolinii) e molluschi (Venus, Callista, Pecten). La fauna ittica risultava
assente sia sul fondo che lungo la colonna d'acqua, e appariva incongrua ai fini
della pesca la presenza di filari di nasse osservata lungo il transetto da noi
effettuato.
La porzione di prateria localizzata verso l’estremità occidentale della
Baia, grosso modo all’altezza delle Fumarole appariva invece meno
danneggiata rispetto a quella più orientale prima descritta. La prateria di
Posidonia, quantomeno al di sopra della batimetrica dei 20 metri manteneva
una sua fisionomia sia in termini di copertura che di densità dei fasci foliari.
Tuttavia, i segni di un forte impatto meccanico erano molto evidenti,
specialmente verso la parte più profonda osservata (21-22 m).
90
Legambiente - Mare monstrum 2002
Infine, per completare la documentazione e a conferma di quanto
osservato, abbiamo riportato sulla carta batimetrica 1:3000 prodotta dal
Geomaresud per lo studio della regione, il poligono di lavoro (definito come
area di cava A) in cui la nave-draga "Antigoon" era autorizzata al prelievo di
materiale, ed in cui ha operato nella giornata del 26 marzo, riportando le esatte
coordinate che la direzione dei lavori aveva dato al Circomare di Ischia. Come
si evince dalla cartina, larga parte del poligono rientra al di sotto della
batimetrica dei 25 m e coincide con la distribuzione delle formazioni a
Posidonia oceanica e con il danno alle medesime da noi documentato e che
possiamo stimare nell'ordine di circa 3,6 ettari di prateria alterata o distrutta in
varia misura. Riteniamo quindi che la definizione "a monte" del poligono di
prelievo e la sua approvazione nell'ambito della valutazione del progetto, non
abbiamo tenuto conto della possibile presenza di P. oceanica nella zona.
Riteniamo che la non attenta conoscenza, integrazione e considerazione
reciproca dei risultati ottenuti durante i diversi studi effettuati in questa zona
(studio del Geomaresud per la Regione Campania, studio della Stazione
Zoologica per il Ministero Ambiente, studio del progetto per il ripascimento),
unita allo sfalsamento temporale nella consegna e valutazione dei diversi studi,
ed alla procedura "di emergenza" che ha seguito la pratica di ripascimento (la
quale non ha previsto uno studio di impatto ambientale), abbiamo giocato un
ruolo determinate nella dinamica di quanto si è verificato.
I diversi soggetti che hanno valutato ed approvato lo studio relativo
all'intervento di ripascimento, da quanto ci risulta presentato in Aprile 2000,
ma approvato a Settembre 2001, tra i quali anche il Ministero dell'Ambiente
stesso, avrebbero dovuto valutare che gli studi e le conoscenze su quest'area
erano in alcuni casi ancora in corso (es. quello relativo al Parco Marino "Regno
di Nettuno"), e avrebbero dovuto tenere in maggiore considerazione gli
inevitabili aggiornamenti ed integrazioni, soprattutto quelli relativi alla
componente biotica dei fondali, che da tali indagini sarebbero derivati.
In conclusione, non ci resta che constatare l'alterazione morfobatimetrica del fondale e la sostanziale, rapida e drastica rimozione di questa
formazione a Posidonia nella zona che corrispondeva alla porzione più
cospicua di quella che era la prateria nella Baia dei Maronti; ed una sensibile
riduzione della copertura nella zona più occidentale, dove il danno massivo ha
riguardato solo la porzione al di sotto dei 20 m.
Nella zona più impattata, non ci sembra realistico che i pochi residui di
matte vitale rimasti (stimati al di sotto del 5% della formazione originale),
siano in grado di innescare una ricolonizzazione, dati i lenti ritmi di crescita di
questa pianta e la notevole dinamica dell'area, in cui la formazione prima
presente aveva trovato un delicato equilibrio che ne permetteva la persistenza.
Testimone di ciò è la notevole estensione verticale della matte (4-5 m) prima
dell'impatto verificatosi.
Non da ultimo, a parte il danno provocato alla pianta ed alle comunità
associate, non va dimenticato il potenziale danno ambientale indotto dalla
scomparsa di una struttura, prateria-matte (che in questa area raggiungevano
91
Legambiente - Mare monstrum 2002
sviluppo notevole), che notoriamente ha una funzione di attenuazione del moto
ondoso, e stabilizzazione del fondale e della linea di riva. A tale proposito
ricordiamo che alcuni studi (Boudouresque e Meinesz, 1982; Jeudy de Grissac,
1984) hanno stimato che la perdita di un solo metro di matte di Posidonia
provoca un arretramento di circa 10 m di arenile antistante, possiamo ipotizzare
che quello che rimane della prateria davanti a buona parte della spiaggia dei
Maronti, non sarà in grado di contrastare come prima l'erosione del litorale in
modo naturale. Considerando che ai Maronti un solo m2 di arenile produce un
indotto di ca 400 Euro in una stagione, l'arretramento provocato dalla
distruzione della prateria antistante, avrà sicuramente ripercussioni economiche
evidenti.
Ci auguriamo che la documentazione sopra riportata, oltre e denunciare
e documentare un grave danno ambientale, possa essere utile ad evitare futuri
errori di valutazione sui rischi ecologici che interventi di ripascimento, o
comunque di pesante intervento sul litorale, e che possono avere comunque
conseguenze a medio-lungo termine per gli habitat marini costieri. In tal senso
auspichiamo per il futuro la necessità che vengano effettuati studi di impatto
ambientale, come peraltro in genere prevede la legge anche nel caso dei
ripascimenti.
In tale contesto, il nostro Laboratorio, che da oltre 25 anni studia e
effettua monitoraggi sui sistemi biotici costieri del nostro territorio, è a
disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento e supporto tecnico-scientifico
finalizzato ad una migliore conoscenza e gestione futura dei litorali e fondali
delle isole flegree.
8.2 Il ripascimento della Spiaggia del Poetto: un risultato
“certo” e molti interrogativi
A cura della Prof.ssa Ing. Teresa Crespellani - Università di Firenze
Prescindendo dagli aspetti estetici, di impatto ambientale e di
accettabilità sociale dell’intervento di ripascimento della Spiaggia del Poetto,
può essere utile soffermarsi su alcuni risvolti ingegneristici del problema, che,
benchè non servano a ripristinare l’incanto della magica spiaggia, dovrebbero
renderci più avvertiti in futuro, in modo da evitare il ripetersi di altri episodi di
violenza ambientale (peraltro già preannunciati) sulle spiagge della Sardegna.
Premetto che da più di vent’anni non sono più residente a Cagliari e che
le mie considerazioni e i tanti interrogativi scientifici che l’intervento mi pone
nascono da due elementi: l’osservazione diretta in sito e la lettura di un
opuscolo informativo, a cura della Provincia, dal titolo “Il Poetto, una spiaggia,
una storia”, diffuso il giorno della processione di S. Efisio o per tal via
pervenutomi.
La progettazione degli interventi di difesa dei litorali è, in campo
mondiale, un settore molto specialistico, che, anche se si avvale di conoscenze
92
Legambiente - Mare monstrum 2002
scientifiche che ricadono
in altri settori disciplinari (sedimentologia,
geomorfologia, difesa del suolo, ingegneria geotecnica, ecc.) è di esclusiva
competenza dell’ingegneria idraulica marittima.
Per il numero di fattori che governano l’equilibrio dei litorali, per la
complessità dei fenomeni idrodinamici e per l’”ignoranza” associata ad una
loro previsione, il principio “Cautela” è alla base della progettazione
ingegneristica delle opere di difesa, che deve perciò basarsi sui risultati di
modelli analitici e numerici, di modelli fisici in piccola e grande scala in
laboratorio, di sperimentazioni in scala reale in “campi prova” opportunamente
attrezzati con strumenti di monitoraggio idraulico e geotecnico. Oltre al
confronto tecnico-economico e di efficienza di diverse soluzioni alternative,
già in fase di progetto si deve prevedere una “gradualità” nella realizzazione,
l’esecuzione di controlli di efficacia in corso d’opera, la disposizione di
un’adeguata strumentazione per il controllo dell’intervento in opportune
finestre temporali. Occorre perfino prevedere la possibilità di modifica e/o di
interruzione dell’intervento nel caso in cui gli effetti osservati si discostino da
quelli ipotizzati nella progettazione.
Nei testi ingegneristici di idraulica marittima e di difesa dei litorali,
sono spesso riportati e descritti in dettaglio, per l’alto valore didattico implicito
in un modello negativo, numerosi casi in cui gli interventi di difesa hanno
prodotto effetti contrari a quelli desiderati.
Il ripascimento della spiaggia del Poetto potrebbe rientrare utilmente tra
tali esempi negativi per almeno queste ragioni:
sproporzione dell’intervento
carenza di progettazione ingegneristica
mancanza di gradualità nell’esecuzione
assenza di misure di “sperimentazione” preventiva e di controllo
ingegneristico.
L’opuscolo citato porta molti argomenti “oggettivi” a sostegno di tale
ipotesi.
Il semplice buon senso che avrebbe suggerito un intervento più
misurato se in 60 anni la linea di costa è arretrata di 25 metri (valore massimo)
il tratto di riempimento dell’intervento avrebbe dovuto, al massimo,
raggiungere questo valore. Perché è stato superato tale limite? Questa è la
prima domanda, che, almeno nell’opuscolo, non trova risposta scientifica.
Ammesso che ci siano delle ragioni per un intervento “smisurato” (ma
quali? Un fenomeno di subsidenza accelerato? Un movimento eustatico
anomalo? Urgenza di terreno edificabile come in Giappone?), che sarebbe stato
bene esporre in un libretto informativo (dato che si tratta, oltretutto, di un
intervento di protezione civile), c’è un’altra domanda. Perché l’alimentazione
della spiaggia con il materiale di riempimento è stata effettuata in un’unica
soluzione, in tempi ridottissimi (15 giorni) e non è stata distribuita nel tempo?
La gradualità è strenuamente raccomandata da tutti i testi specialistici come
elemento indispensabile per il controllo obiettivi – risultati.
93
Legambiente - Mare monstrum 2002
Anche negli stessi esempi citati a modello da uno degli estensori
dell’opuscolo, il prof. Leopoldo Franco, consulente alla progettazione e
direzione lavori, il ripascimento è stato effettuato in modo graduale. Si dice ad
esempio che la spiaggia di Miami “viene periodicamente ripasciuta”. Perché
allora tanta urgenza?
La soluzione adottata viene poi presentata come l’unico intervento
“moderno” possibile. Non solo non è ingegneristicamente corretto dire, come
dice il prof. Atzeni, che la sola alternativa siano le barriere rigide longitudinali
e trasversali emerse, quali pennelli e frangiflutti (esiste oggi una grande
quantità di soluzioni ingegneristiche non tradizionali, più rispettose e
naturalistiche, che utilizzano elementi “soffolti”, sommersi e invisibili, capaci
di mantenere in sito il materiale di erosione e di ridurre in misura apprezzabile
il potere erosivo del flutto sottocosta), ma l’affermazione del prof. Franco (ma
ribadita nel concetto anche dai proff. Orrù e Atzeni) che al Poetto è stata scelta
una soluzione “senza alcun’opera di ingegneria, quindi un puro di versamento
di materiale” è di una gravità senza precedenti. E’ comico invece che poco
oltre il prof. Franco dica che questo riempimento è stato fatto con metodi
moderni (“rifluimento idraulico con draga”, cioè non con secchielli e palette) e
– visto che nessuna operazione di cantiere sarebbe più semplice – si affermi
che è stato fatto con “professionalità nel rispetto delle indicazioni di progetto”
(sic!).
Quanto al progetto in che cosa possa consistere non è chiaro. Secondo
la procedura di VIA avrebbe dovuto essere esposto per la raccolta delle
osservazioni dai cittadini. Vivendo fuori dalla Sardegna non so se tale
procedura sia stata eseguita e ci sia stato un controllo pubblico del progetto. Ma
in ogni caso, l’osservazione diretta in situ conferma che si è realmente trattato
di un “puro versamento di materiale”, alla rinfusa e senza selezione, e che la
superficie è stata spianata orizzontalmente come per la realizzazione di una
pista di atterraggio.
Un progetto di ripascimento “ingegneristicamente corretto” avrebbe
invece dovuto comprendere, oltre allo studio della distribuzione nel tempo del
ripascimento, almeno altri due elementi:
1)
una disposizione per strati, con rinterri selezionati del materiale
di riempimento;
2)
uno studio delle pendenze, sia della superficie di spiaggia sia
degli altri strati.
Si tratta di elementi che non possono essere lasciati al caso o alla natura
(spesso matrigna) perché solo attraverso un’appropriata selezione e
distribuzione spaziale dei materiali di ripascimento e l’assegnazione di idonee
pendenze è possibile realizzare una libera circolazione di flutti, una riduzione
dell’erosione negli strati superficiali, un’omogeneità dell’intervento nella sua
estensione (evitando lo sfrangimento del profilo costiero per piccoli crolli
locali da sifonamento) e soprattutto l’attivazione di processi naturali controllati.
Per una disposizione stratigrafica selettiva dei materiali e
l’assegnazione di pendenze idonee esistono oggi procedure di calcolo
94
Legambiente - Mare monstrum 2002
scientificamente sperimentate, che vengono generalmente associate (soprattutto
laddove gli interventi hanno un’estensione elevata) a una sperimentazione
diretta su modello (in laboratorio e/o in scala reale su piccoli tratti di costa),
Nell’opuscolo si insiste invece sui controlli fatti sulla dimensione dei grani, ma
il problema non è effettuare analisi granulometriche in quantità (come pare sia
stato fatto), bensì l’uso “ingegneristico” che se ne fa.
Quanto poi al monitoraggio del ripascimento gli interrogativi sono
ancora maggiori. Come viene controllata l’efficacia del ripascimento? Quali
sono gli strumenti? Il sospetto che sia lasciato al solo rilevamento aereo e
topografico, e non siano stati installati strumenti idraulici e geotecnici è grande.
Nell’opuscolo informativo non se ne parla; sul posto non si nota la presenza di
strumenti (generalmente protetti da ripari visibili).
Per concludere, la realizzazione di interventi di difesa dei litorali
richiede, come tutti gli interventi ingegneristici sul territorio, conoscenza,
sperimentazione, modellazione, calcoli, ricerca di soluzioni alternative, cautela.
Nel caso specifico. Il libretto informativo, non solo non tranquillizza gli animi,
ma suscita molti interrogativi, per non dire inquietudini
8.3 L’erosione in Italia, regione per regione
Abruzzo
I tratti di costa abruzzese minacciati dal rischio di erosione più elevato
sono quelli all’altezza del settore centrale e delle foci dei fiumi. Il litorale è
costituito da brevi tratti di costa alta, ubicati nella parte più meridionale, e da
un centinaio di chilometri di spiagge, in molti casi letteralmente assediate da
insediamenti turistici, centri urbani, vie di comunicazione di interesse
nazionale, e impianti industriali, realizzati a ridosso della battigia. Per questa
ragione, il 25 per cento del litorale è a rischio molto elevato e un altro quarto a
rischio elevato.
Basilicata
Gli insediamenti turistici, realizzati sfruttando tutto lo spazio
disponibile, rappresentano il fattore più grave all’origine dell’erosione del
tratto tirrenico del litorale della Basilicata. Il 92 per cento della costa situata su
questo versante risulta così essere a rischio elevato. Si tratta, in ogni caso, di
una piccola porzione di territorio. La costa tirrenica della regione, estesa per 17
chilometri, si compone infatti soprattutto di coste alte, mentre le spiagge
occupano solo due settori, a nord e a sud, per circa quattro chilometri.
Radicalmente diversa la situazione del settore ionico, costituito quasi
esclusivamente da spiagge (36 chilometri su 38), alimentate dai numerosi
fiumi che scorrono lungo la “Fossa bradanica”. I tratti a rischio elevato e molto
elevato sono pari a circa 24 chilometri, con un’erosione che provoca un
arretramento della linea di riva di oltre cinque metri all’anno. Tale fenomeno è
dovuto all’impoverimento degli apporti solidi per i pesanti interventi antropici
95
Legambiente - Mare monstrum 2002
sui bacini fluviali e all’asporto di sedimenti che dalle spiagge, attraverso
canyon sottomarini, raggiungono fondali molto profondi.
Calabria
Il litorale della Calabria che si affaccia sul mare Tirreno si estende per
246 chilometri, 188 dei quali di costa bassa, ed è in condizioni piuttosto
precarie. Il 64 per cento delle spiagge, infatti, è a rischio molto elevato di
erosione per la realizzazione, a breve distanza dalla battigia, di strutture
connesse ad insediamenti urbani. Lungo il versante ionico, costituito da 56
chilometri di costa alta e da 384 di spiagge, il fenomeno erosivo risulta essere
meno diffuso e più recente: i tratti a rischio molto elevato, pari al 44 per cento
dei litorali sabbiosi, sono concentrati nella zona più meridionale, dove le
spiagge sono fortemente irrigidite dagli insediamenti urbani e dalle vie di
comunicazione, mentre nella zona settentrionale la situazione è più tranquilla.
In questa area, caratterizzata da una scarsa diffusione di insediamenti urbani, il
30 per cento delle spiagge è, infatti a rischio basso.
Emilia Romagna
La riduzione del trasporto solido fluviale e dei fenomeni di subsidenza
si sono sommati lungo il litorale romagnolo agli effetti provocati da
manomissioni profonde dell’assetto naturale della costa. Ben 77 chilometri dei
130 di litorale sono difesi da opere di vario tipo, e la Regione ha stanziato di
recente quasi 20 miliardi per finanziare il piano di interventi elaborato dalle
province di Ferrara e Ravenna allo scopo di combattere l’arretramento delle
spiagge, che in alcuni punti procede ad un ritmo preoccupante. Il 13 per cento
dei litorali è considerato a rischio molto elevato e i tratti che suscitano più
timori sono quelli in corrispondenza delle Valli di Comacchio, fra i fiumi Savio
e Rubicone e a nord del fiume Conca. Nel complesso, sono 32 i chilometri di
costa interessati dall’arretramento, ma d’altro canto altri 98 chilometri sono
stabili o, addirittura, in accrescimento. All’erosione contribuisce anche
l’estrazione del gas al largo dell’Adriatico, che interessa diversi punti davanti
alle coste romagnole.
Friuli Venezia Giulia
Il rischio erosione in Friuli Venezia Giulia riguarda principalmente la
fascia costiera che si estende dai litorali lagunari al lembo più occidentale della
regione. Lungo tutto il litorale della regione, costituito da una quindicina di
chilometri a costa alta, nel settore orientale, e da 90 chilometri di costa bassa e
sabbiosa, non sono comunque presenti tratti a rischio molto elevato. La
modesta intensità di rischio, che a est delle lagune di Marano e Grado è
addirittura nullo o basso, è dovuta al fatto che i due maggiori centri urbanoportuali, vale a dire Trieste-Muggia e Monfalcone, sono protetti rispetto alle
mareggiate più violente, mentre i centri turistici possono contare sull’ampiezza
della spiaggia, è il caso di Lignano, o su opere quali frangiflutti e dighe, come
avviene a Grado. I lidi delle lagune, inoltre, sono pressoché disabitati e
96
Legambiente - Mare monstrum 2002
comunque dissipativi nei confronti dell’energia del moto ondoso grazie alla
presenza di estesi banchi sabbiosi sui fondali antistanti.
Lazio
Nel Lazio i fenomeni erosivi e l’arretramento degli arenili si presentano
con caratteristiche generalizzate su tutto il litorale, anche se con forme e
connotati diversificati. Si tratta di una situazione che, oltre a compromettere
grandi valori ambientali, mette a rischio porzioni rilevanti dell’economia
costiera, che nel turismo balneare ha uno dei suoi punti di forza, e talvolta pone
dei problemi anche per la salvaguardia delle infrastrutture e degli abitati.
L’estensione del litorale è di circa 290 chilometri, suddivisi in 70 chilometri di
coste rocciose e in 220 di spiagge. Per quanto riguarda quest’ultime, il 18 per
cento è minacciato da un rischio molto elevato e il 42 per cento da un rischio
elevato. Tra i tratti più esposti, i settori costieri a cavallo della foce del Tevere:
nel tratto Fregene-Fiumicino l’erosione interessa il 76 per cento della costa, e
tra Fiumicino e Ostia questa percentuale sale all’87 per cento. Punte
significative si registrano anche tra Nettuno e Sabaudia, e tra San Felice Circeo
e Sperlonga. Il fenomeno erosivo e l’arretramento dell’ arenile si manifesta
anche su tutta la costa del Comune di Ladispoli. Particolarmente critica è la
situazione che riguarda il tratto antistante Torre Flavia, sottoposta alla
salvaguardia dei Beni Culturali, dove i problemi derivanti dal fenomeno di
erosione della costa hanno raggiunto un livello tale che richiede interventi
urgenti per contenere il fenomeno. Le cause di questa situazione e del suo
progressivo aggravamento in tutto il litorale laziale spaziano dalle opere che
determinano erosioni localizzate, strutture e moli portuali prima di tutto, alla
edificazione incontrollata di ampie zone costiere. La causa decisiva, tuttavia,
va individuata nella drastica diminuzione degli apporti solidi fluviali, quelli del
Tevere in testa, dovuta alle escavazioni in alveo, alle dighe, e agli stessi
interventi di controllo dei fenomeni erosivi dell’entroterra. Il deficit di
ripascimento, nel complesso dello sviluppo costiero laziale, oscilla così tra un
minimo di 600mila metri cubi all’anno ed un massimo di oltre un milione di
metri cubi.
Liguria
In Liguria su un totale di 211 chilometri di spiagge, sono 32 quelli a
rischio molto elevato, concentrati in misura prevalente a sud-ovest di Capo
Noli e lungo le spiagge del settore appenninico (Lavagna e Marinella).
L’alternanza di scogliere e piccole spiagge comporta una grande ricchezza e
varietà sia paesaggistica che naturalistica. Purtroppo, però, questo patrimonio è
stato pesantemente influenzato e modificato dall’attività umana, tanto che oggi
alcuni problemi risultano strettamente legati alla presenza di infrastrutture e
alle modifiche ambientali del passato: molte delle spiagge liguri, infatti, sono
soggette ad erosione a causa della modifica della linea di costa, della
diminuzione degli apporti solidi causata dallo stravolgimento degli alvei
fluviali, della artificialità delle spiagge stesse, talvolta costruite per scopi
97
Legambiente - Mare monstrum 2002
turistici. L’instabilità delle falesie richiede continuamente nuovi interventi a
causa delle opere, viarie e insediative, da cui sono state colonizzate. I fenomeni
erosivi sono dunque direttamente legati ai processi di intensa urbanizzazione
che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, tanto più che oggi oltre l’80 per
cento della popolazione vive in permanenza in prossimità del litorale. Lungo le
scogliere della regione sono stati rilevati numerosi fenomeni di instabilità, il
più delle volte generati dall’azione erosiva del moto ondoso. Una delle vicende
più note è quella del crollo quasi totale della Grotta di Byron, che costituisce il
logico riferimento di tutti gli aspetti culturali e turistici del Comune di
Portovenere.
Marche
Nonostante la presenza di opere di difesa di vario tipo, in particolare
quelle realizzate per proteggere la Strada Statale 16 e la linea ferroviaria, la
situazione lungo il litorale marchigiano continua a destare preoccupazione.Con
la sola esclusione dei promontori di Gabicce e Ancona, la fascia litoranea,
ampia 200 metri a ridosso delle spiagge, presenta infatti un tasso di
urbanizzazione media pari a circa il 45 per cento. I 145 chilometri di spiagge
della regione presentano dunque alcune situazioni dove il rischio di erosione è
molto elevato. E’ il caso, per esempio, delle zone a nord delle foci dei fiumi
Tronto, Potenza, Esino e Cesano e, nel complesso, l’intensità più grave del
fenomeno interessa il 14 per cento delle coste basse.
Sardegna
L’assenza di insediamenti e di vie di comunicazione lungo la costa ha
reso quasi immune al fenomeno erosivo il versante occidentale della Sardegna.
Le spiagge nell’isola coprono solo 457 dei quasi duemila chilometri di costa, e
quelli a rischio molto elevato sono solo sette sulla costa orientale e nove sulla
costa meridionale, mentre le spiagge del versante occidentale, malgrado siano
battute spesso dal maestrale, restano quasi immuni dai processi erosivi per
l’assenza d’insediamenti e di vie di comunicazioni lungo la costa.
Sicilia
Il litorale siciliano si estende per un totale di 998 chilometri, isole
escluse, ed è caratterizzato dall’alternanza di coste alte, pari a 375 chilometri, e
di spiagge sia sabbiose che ciottolose, che raggiungono i 621 chilometri di
lunghezza. Lungo la costa settentrionale i tratti a rischio molto elevato si
estendono per 73 chilometri e sono localizzati soprattutto nel settore centrale e
in quello orientale. Sul versante a est e a sud dell’isola, invece, i chilometri a
rischio molto elevato sono rispettivamente 32 e 29.
Toscana
Dei 190 chilometri di spiagge della Toscana, circa la metà è soggetta a
erosione. I tratti in cui il rischio è molto elevato sono pari al 17 per cento e si
concentrano soprattutto sulle ali deltizie dei fiumi Arno e Ombrone, e in
98
Legambiente - Mare monstrum 2002
corrispondenza delle foci dei fiumi minori. Un caso esemplare è quello
rappresentato dalla spiaggia dell’Uccellina a Marina di Alberese, nel Parco
Regionale della Maremma, dove il mare sta erodendo la costa penetrando nella
pineta: in questo stesso punto, dove i gli alberi cadono sotto l’azione delle
onde, fino a pochi decenni fa c’erano alcune centinaia di metri di terreno in più.
Nel bacino superiore dell’Ombrone si continua infatti ad intervenire negli alvei
e a sottrarre materiale inerte. Materiale che viene dunque sottratto a questa
stessa spiaggia.
Veneto
Le spiagge del litorale veneto, caratterizzato dalla totale assenza di
coste alte, si estendono per circa 160 chilometri, 12 dei quali a rischio di
erosione molto elevato: due chilometri immediatamente a sud della foce del
Tagliamento e 10 chilometri in prossimità del lido di Pellestrina, all’estremità
meridionale della Laguna Veneta. Nel primo tratto le mareggiate hanno
destabilizzato l’area protetta del delta, che continua a subire l’aggressione
marina. Il litorale di Pellestrina mostra invece segni di cedimento dei murazzi
dal 1966. Il recente intervento di ripascimento artificiale della spiaggia
potrebbe abbassare il livello del rischio, ma molto dipenderà dall’efficacia
dell’opera successiva di manutenzione. Da alcuni anni si sta inoltre verificando
e intensificando il processo di erosione di tutti gli scanni del Delta del Po.
Prima era un fenomeno che si localizzava in qualche parte, in relazione alla
mobilità delle terre nuove (gli scanni), che sono in continua evoluzione per il
gioco di correnti e di carichi di materiali portati dal fiume. Ora il processo è
visibile a occhio nudo e vede, da un anno all’altro, la sparizione di pezzi
rilevanti di spiaggia. Lo scorso anno il faro di Goro era lontano dal mare 15-20
metri. Alla fine dell’estate sono stati installati i tubi che Regione, Magistrato
del Po e Consorzi di Bonifica (ente operativo) ritengono la tecnologia
risolutiva da più di 20 anni. Risultato: dopo due mesi sabbia non se ne era
accumulata, i tubi erano o sommersi o strappati, e il faro oggi ha il mare che gli
batte sul muro di cinta. In 10 anni circa sono spariti 50-100 metri di spiaggia.
Sempre a sud c’è il caso dello scanno di fronte alla sacca di Goro: in
espansione in passato, perché la sabbia sottratta a nord si accumulava a sud, da
due-tre anni subisce anch’esso una forte erosione. Risalendo a nord, è
semidistrutto lo scanno di fronte alla Sacca di Scardovari, alla foce del Po delle
Tolle. I tubi messi 20 anni fa sono stati un vero e proprio fallimento
tecnologico e finanziario. Per di più, con una decisione assurda, lo scanno è
stato tagliato per aumentare l’ossigenazione della sacca che pure gode di
un’entrata dieci volte più larga. L’ossigenazione, invece, non è aumentata, le
mareggiate si sono mangiate più sabbia e lo scanno si è ridotto. D’altro canto,
la Sacca non riesce ad alimentare le colture di mitili perché non riceve più
sabbia dal fiume e il fondo si copre di strati sempre più spessi di materiale
organico che aumenta l’anossia delle acque. Gli scanni intorno alle Bocche di
Pila erano fino a poco tempo fa i più riforniti di sabbia, oggi non lo sono più.
La velocizzazione del fiume, in seguito alle rettifiche del suo corso, spinge
99
Legambiente - Mare monstrum 2002
infatti i materiali più a largo e li sottrae così alla costa. A nord la spiaggia di
Boccasette è sparita per i due terzi in due anni, ovvero qualcosa come venti
metri circa di sabbia. L’erosione alle bocche dell’Adige è in atto da molti anni
e divora ormai la base delle dune, una volta retrostanti la spiaggia. Destino o
sottrazione fraudolenta di milioni di metri cubi di ghiaia e sabbia dal bacino del
Po? Un altro caso particolare e molto dibattuto è quello relativo alla laguna di
Venezia, dove si registra un aumento progressivo delle acque alte, dovuto
all’innalzamento del livello del mare, pari a 8,8-10,5 centimetri nel corso del
XX secolo, e al fenomeno della subsidenza, nella misura di 9,5-13 centimetri,
indotta soprattutto dalla grande estrazione di acqua dal sottosuolo per le
industrie di Marghera, sospesa dopo l’alluvione del 1966. Ogni intervento in
un’area vasta rischia di provocare un’ulteriore subsidenza che rischia di
comportare l’allagamento permanente di piazza San Marco. Ulteriori
conseguenze sarebbero rappresentate dall’indebolimento delle “difese a mare”
e dall’innesco di processi di erosione della costa più consistenti, oltre al
dissesto delle fondazioni degli edifici di Venezia e Chioggia, e allo
sconvolgimento del sistema delle valli da pesca. Alla luce di queste
considerazioni, risulta dunque necessario valutare l’impatto dell’estrazione di
gas sull’assetto di questa area. Da quasi 50 anni, infatti, l’Eni ha acquisito
l’esclusiva di ricerca ed estrazione di idrocarburi in Alto Adriatico, ed ha
previsto l’installazione di 15 piattaforme di produzione insieme alla
perforazione di 79 pozzi produttori di metano. Le preoccupazioni per il destino
della costa comportarono nel 1995 l’obbligo dello studio di impatto
ambientale, che l’Agip presentò l’anno seguente. Lo studio è stato però
bocciato da un gruppo di lavoro nominato dal Comune di Venezia, perché i
parametri scelti non tenevano nel debito conto gli effetti di subsidenza lungo le
coste. Il lavoro di una commissione di esperti e l’esame della commissione Via
hanno portato al decreto del 5 dicembre 1999, che vieta l’attività di
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro 12 miglia nautiche dalla linea
di costa, pari a circa 22 chilometri. Il provvedimento legislativo non prende
però in considerazione la concatenazione di eventi che un inizio di estrazione
metterebbe in moto: non solo quelli evidenti e misurabili di abbassamento del
suolo, ma anche gli “effetti imbuto” che si ripercuoterebbero sugli equilibri
costieri anche in tempi più lontani. D’altro canto, il modello ingeneristico
adottato dall’Agip è troppo semplificato. Tace, perché non può certificarlo,
sulle dimensioni del cono di subsidenza, ma soprattutto non tiene conto che gli
effetti continuerebbero anche dopo la sospensione delle estrazioni. Questo
perché la scelta compiuta dall’Agip è quella di estrarre acqua metanifera in
strati di sabbia pliocenica non consolidata, che inevitabilmente finirà per
comportare un effetto di compattazione, conseguente all’estrazione di acqua e
non di metano secco. Infine, nessun cenno alla mappa del Cnr di Trieste del
1987, che prova la presenza di discontinuità tettoniche che dalla pianura veneta
si prolungano in laguna e nel golfo di Venezia. Queste faglie, tra l’altro,
attraversano i giacimenti, dove si rilevano pure epicentri di sismi avvenuti nella
zona dell’Alto Adriatico. Il “gioco” non sembra valere la candela. La posta
100
Legambiente - Mare monstrum 2002
energetica in palio, infatti, ammonta secondo l’Agip a 30 miliardi di metri cubi
da estrarre in 25 anni, con investimenti di 1.200 miliardi. L’apporto di questa
attività, frazionata in un quarto di secolo, non sembra compensare il prezzo
ambientale, economico e sociale che la comunità nazionale sarebbe costretta a
pagare. E’ senza dubbio preferibile, dunque, dirottare le stesse risorse verso
investimenti di risparmio energetico e di potenziamento delle fonti di energia
rinnovabili.
REGIONE
TOTALE KM DI
COSTA
125
53
690
350*
130
100
290
355
145
1.900
996*
470
160
5764
COSTA A RISCHIO
MOLTO ELEVATO
25%
57%
67%
58%
13%
4,2%
18%
15%
16%
1,5%
12%
17%
7,5%
-
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Emilia Romagna
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Marche
Sardegna
Sicilia
Toscana
Veneto
Totale
* isole escluse
Fonte: dati tratti da uno studio di Leandro D’Alessandro, del dipartimento di
Scienze della Terra dell’Università di Chieti, e di Giovanni Battista La Monica, del
dipartimento di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma.
8.4
Un caso esemplare: la Campania
Spiagge risucchiate dal mare, costruzioni di cemento armato piegate
dalle onde, alberghi come palafitte. Sono 95 i chilometri di costa campana a
rischio di erosione molto elevato. Dei 350 chilometri di litorale della regione
(escluse le isole) 170 sono di costa alta e 162 di spiagge, cui vanno sommati
altri 16 chilometri coperti da banchine e strutture portuali. Una accentuata
spinta all’urbanizzazione, la costante tendenza alla violazione delle leggi e
all’abusivismo edilizio, la preferenza per la infrastrutturazione trasportistica in
aree costiere, se non addirittura sulla linea di costa, dai porti all’uso
sconsiderato del territorio. Dalla fine degli anni ’50 ad oggi, la fascia costiera
101
Legambiente - Mare monstrum 2002
campana è stata utilizzata come un bene inesauribile ed indistruttibile su cui
fosse possibile gravare con un numero illimitato di opere, senza curarsi delle
conseguenze, invece di amministrarlo come un bene prezioso che doveva
durare nel tempo per permettere una migliore resa economica. Spesso i
successivi interventi, con la costruzione delle più svariate opere di difesa, sono
stati spesso del tipo “ tampone” sotto la spinta dell’urgenza. Opere realizzate in
tempi diversi, in aree limitate, che hanno rimandato la soluzione del problema
senza risolverlo. Le strutture portuali a difesa della costa (Pinetamare,
Casalvelino, Policastro, Ischia, foce del Volturno, Monte di Procida) e gli
interventi realizzati lungo le aste fluviali (Traversa di Ponte Annibale sul
Volturno, Traversa di Persano sul Sele, diga del fiume Alento) hanno
contribuito negli ultimi anni a modificare gli equilibri naturali creando locali
vantaggi e diffusi scompensi ai litorali. L'emergenza riguarda in particolar
modo la costa salernitana, il litorale domizio flegreo e l'isola di Ischia e
Procida. Secondo uno studio della Provincia di Salerno, i salernitani ogni anno
perdono circa un metro di spiaggia all'anno. A rischio il litorale sabbioso, che
va da Salerno a sud, con maggiori problemi verso Eboli, dove in alcuni punti il
mare lambisce la strada provinciale costiera mentre nel Cilento, dove i ritmi di
erosione, superano sicuramente di gran lunga i valori di un metro all'anno. Nel
tratto salernitano compreso tra piazza della Concordia fino alla foce del fiume
Fuorni, negli ultimi 25 anni, si è assistito ad un arretramento generalizzato con
punte massime di 15 metri. Qui sotto accusa il consistente prelievo di "inerti".
Nella zona di Mercatello, sistemando una scogliera davanti all’omonimo lido
nel ’90, si è determinato un tombolo sabbioso che ha accentuato l’erosione
nelle zone adiacenti. Andando verso la litoranea, caso emblematico ai confini
del comune di Pontecagnano dove il mare lambisce addirittura la strada
provinciale che va verso Paestum. Meno grave il problema nella costiera
amalfitana, dove nelle insenatura in cui sono presenti le spiagge, il fenomeno
esiste ma in misura minore anche perché i torrenti a monte non riforniscono più
come un tempo le spiagge stesse. Significativi arretramenti si registrano nel
tratto Casalvelino - Ascea, alla foce del fiume Mingardo, a Palinuro, e da capo
San Marco al promontorio del castello di Agropoli, dove in quest'ultimo tratto
vi è pericolo di crolli di prismi rocciosi. Risultato di tutto ciò, danno
all'ambiente, distruzione del territorio, perdite ingenti dal punto di vista
occupazionale e di indotto economico. Secondo una proiezione della
Confcommercio di Salerno si stima, che nel caso di interventi migliorativi solo
sulle spiagge cittadine, si potrebbe avere un aumento occupazionale del 114%.
Basti pensare che sono circa 600 le aziende balneari che operano lungo la costa
salernitana. Oltre al danno ecologico, molte imprese rischiano di chiudere. In
base ai dati dell'Università degli Studi di Napoli e dell'Autorità di Bacino del
Liri-Garigliano e Volturno risulta che ogni anno dalle spiagge alla foce del
fiume Volturno spariscono circa 200.000 mc di materiale. Negli ultimi 30 anni
questa zona ha perso 6 milioni di mc di spiaggia, con arretramenti di varie
centinaia di metri ed una sostanziale modifica morfologica della linea di costa.
Ad alto impatto ambientale le opere di difesa messe in atto che riducono di
102
Legambiente - Mare monstrum 2002
molto l'appetibilità turistica della zona e i cui effetti sono visibilmente
discutibili. Le radicali modificazioni di questa fascia costiera risalgono a
partire dagli anni'70. In particolare alla destra della Foce del Volturno, in
un'area pari a 3 milioni di mq, vengono realizzati circa 5.000 piccoli fabbricati.
Le modificazioni sono dovute oltre all'intensa urbanizzazione anche alla
realizzazione di opere portuali e di difesa costiera. Il litorale di Pinetamare, a
sud della foce del Volturno, mostra una costante progradazione. Con la
realizzazione nel 1974, del porto turistico di Pineta Mare, i materiali sabbiosi
trasportati dalla zona di foce Volturno verso sud-est vengono intercettati dal
molo foraneo del porticciolo causando nel volgere di tre anni un ripascimento
di oltre 30 metri. Nello stesso periodo le spiagge sottoflutto entrano in erosione
con una perdita di arenile nell’ordine di 20.000 mq. Allo scopo di difendere la
linea di riva dall’azione erosiva innescata dalla costruzione del porto sono stati
realizzati dei pennelli trasversali, i cui risultati di queste realizzazioni sono
diventati visibili nel 1989 con un sostanziale arrestarsi del processo erosivo e
con un incremento della superficie totale del litorale di circa 12.000 mq.
Interessate dal fenomeno la piana del Sele e le foci dei fiumi Alento, Mingardo
e Bussento. In queste aree la riduzione delle superfici a spiaggia è avvenuta a
partire dalla fine degli anni '70 con un'accelerazione repentina del fenomeno
negli anni '90. Gli arretramenti complessivi sono stati anche di 80 metri, come
si è verificato alla foce del fiume Alento e, in particolare nel corso degli ultimi
cinque anni, sono state registrate riduzioni dell'ordine dei sei metri per anno. Il
disastro dell' erosione delle coste non è un processo naturale: è un danno
provocato dalla cattiva gestione del territorio. Un primo attacco viene da terra
con la cementificazione dei fiumi, il prelievo sfrenato ed illegale di sabbia e
ghiaia che determina lo sconvolgimento di un percorso dell'acqua naturale. Ma,
non basta. In mare è stato creato un secondo ordine di problemi. Il dilagare di
porti e porticcioli, di colate di cemento, di costruzioni pretese sull'acqua ha
modificato anche il gioco delle correnti marine facendo sì che zone ricche di
sabbia si trovassero all'improvviso senza più spiaggia. Una delle aree più
pregiate della nostra regione viene lentamente ma inesorabilmente limata. In
questo modo si ha non solo una ovvia diminuzione dell'offerta turistica nella
zona colpita, ma più in generale danno d'immagine per una Regione che si
dimostra incapace di difendere uno dei suoi tesori più preziosi. Non secondario
l'effetto dell'urbanizzazione selvaggia della fascia costiera con la realizzazione
di mega- villaggi turistici, spesso costruiti in deroga a qualsiasi licenza edilizia,
della subsidenza accelerata dei suoli, dell'errata progettazione di opere
marittime e di porti, porticcioli, lingue di cemento che hanno modificato il
gioco delle correnti marine facendo si che zone ricche di sabbia si trovassero
all'improvviso senza più spiaggia. Di fronte ad una situazione di queste
proporzioni, si avverte l’esigenza di provvedimenti drastici in grado di invertire
la tendenza in atto. Servono misure capaci di intervenire sui vari fronti del
problema, ovvero il dissesto idrogeologico, l’avanzata del mare, le frane e il
danno paesaggistico. Un imponente piano di difesa del territorio da cui
potrebbe derivare anche un consistente rilancio dal punto di vista
103
Legambiente - Mare monstrum 2002
occupazionale. Il danno per tutta la Campania oltre che ambientale è anche
economico: nel caso delle località più rinomate, infatti, è stato calcolato che le
perdite derivanti dall’abbruttimento del paesaggio possono raggiungere i due
milioni di lire per metro quadrato. Moltiplicando questa cifra per le centinaia di
migliaia di metri quadrati di superfici erose in tutta la regione, l’impatto del
fenomeno emerge nella sua interezza, quantificabile nell’ordine di decine di
miliardi. Critica anche la situazione dell'Isola di Ischia e di Procida dove i
fenomeni di erosione stanno mettendo a dura prova l'economia turistica locale.
In prossimità di queste aree si sono verificate riduzioni cospicue delle
superficie a spiaggia. A Procida la conseguenza più evidente è stato lo
smantellamento e la continua demolizione della scarpata costituita da depositi
vulcanici degradabili. Pertanto l’isola è afflitta da continui crolli di roccia che
mettono in pericolo sia la vita dei bagnanti che i manufatti attigui.
Emblematica può essere considerata anche l’attuale situazione dell’Isola
d’Ischia. Il fenomeno d’arretramento coinvolge tutto il litorale: a seguito della
scomparsa di intere spiagge è aumentato il rischio legato alle frane di crollo nei
versanti a falesia, che ora risultano essere assolutamente indifesi dall’azione
erosiva del moto ondoso. Ad Ischia particolarmente a rischio è la località Punta
Molino, ad est di Ischia Porto, dove una marcata erosione ha provocato
l’asportazione della sabbia e l’affioramento di massi che hanno reso difficile la
fruizione della spiaggia e l’ormai famoso caso della spiaggia dei Maronti (una
lingua di sabbia lunga 2 km) al centro degli studi da circa 25 anni e dove il lido
in questione è per metà scomparso. Il danno economico derivante dalla
diminuzione della superficie delle spiagge va dai 3 € a mq per semplici
concessioni demaniali a danni economici indiretti dovuti all'imbruttimento del
paesaggio delle località più rinomate come quelle di Ischia, dove il valore della
perdita economica può raggiungere i 1.000 € a mq. Dunque, perdite
notevolissime, dell'ordine delle decine-centinaia di miliardi se si considera che
per la sola costa cilentana sono circa 500.000 mq le superfici erose.
104
Legambiente - Mare monstrum 2002
9. La pesca “miracolosa”
Vongole alla diossina, datteri illegali, specie catturate sottotaglia,
metodi di pesca devastanti per l’ambiente costiero. Sono queste alcune delle
tante facce che animano l’immenso e variegato panorama del mondo della
pesca nel nostro Paese. Un panorama che vede agire fianco a fianco, piccoli
operatori che lavorano ancora con metodi artigianali, a professionisti armati di
sofisticatissimi attrezzi, a veri e propri malviventi che devastano e fanno man
massa di ogni risorsa. Il tutto, in barba alla salute dei consumatori, del lavoro
degli onesti e soprattutto del mare.
Se si amplia poi il discorso alla gestione complessiva della risorsa mare
non resta che constatare che le misure del nostro Governo a proposito di pesca
sono poche e contraddittorie. Le ultime trovate del Ministero delle Politiche
Agricole poi sono tutte all’insegna del liberismo sfrenato e rischiano di
scatenare una guerra fra marinerie. Qualche esempio può servire a chiarire la
situazione. In Adriatico dopo anni di regolamentazione della pesca dei piccoli
pelagici che costringeva le marinerie del sud a rispettare le regole che si erano
date in quelle della zona, ora, grazie all’introduzione di nuove normative
ognuno è più o meno libero di pescare dove, quando e quanto gli pare. Una
norma che smantella quei timidi tentativi di gestione dell’attività di pesca da
parte delle marinerie attuati negli anni passati, i soli strumenti in grado di
legare le marinerie al proprio territorio di pesca obbligandole, di conseguenza,
a definire politiche di gestione delle risorse. Oppure il caso della pesca con il
cianciolo, una vera e propria strage “legalizzata” dal nostro Governo di cui si
parla più diffusamente in un capitolo dedicato. O ancora, la nuova proposta di
fermo biologico di pesca per il triennio 2002-2004, che di “biologico” ha assai
poco, dal momento che per la prima volta da quando esiste questo
provvedimento, si lascia la facoltà alle singole imprese di effettuare il fermo
come e quando si crede e non in relazione al ciclo riproduttivo delle specie
pescate. Anche in questo si potrebbe tristemente titolare l’iniziativa in “come
smantellare l’unica misura vigente di tutela delle risorse biologiche del mare”.
9.1 La pesca di frodo
Ancora una volta è la Sicilia la “prima della classe” nella pesca illegale
in Italia con ben 1.707 infrazioni accertate (erano state 1.039 nel 2000). In
seconda posizione si conferma la Puglia (1.127 reati), mentre Campania e
Marche si scambiano la posizione dello scorso anno, piazzandosi nel 2001
rispettivamente terza e quarta. Da evidenziare il numero dei sequestri operati in
Sardegna, ben 1.656. Chiudono la classifica, come nel 2000, Molise, Friuli
Venezia Giulia e Basilicata.
105
Legambiente - Mare monstrum 2002
LA CLASSIFICA DELLA PESCA DI FRODO NEL 2001
Regione
Infrazioni Persone denunciate Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
1.707
218
701
1
Sicilia ↔
1.127
248
783
2
Puglia ↔
643
189
309
3
Campania ↑
623
35
514
4
Marche ↓
587
111
213
5
Calabria ↑
525
17
396
6
Toscana ↑
411
118
458
7
Veneto ↓
390
101
283
8
Lazio ↓
317
8
1.656
9
Sardegna ↓
274
91
107
10
Emilia Romagna ↑
235
14
78
11
Liguria ↓
166
4
123
12
Abruzzo ↓
123
0
99
13
Molise ↔
77
9
47
14 Friuli Venezia Giulia ↔
2
1
2
15
Basilicata ↔
Totale
7.207
1.164
5.769
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Guardia di finanza, Corpo forestale
dello Stato e regionale e Capitanerie di porto.
9.2 La “miniera” datteri
Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un mollusco bivalve
perforatore che colonizza le rocce calcaree, fino a 35 metri di profondità. Ad
eccezione di alcune zone in cui è divenuto una vera rarità, non è una specie in
via di estinzione, ma la sua cattura provoca la distruzione delle scogliere in cui
vive: i datteri vengono raccolti spaccando e sminuzzando la roccia con picconi,
scalpelli e addirittura martelli pneumatici. Il risultato è la completa rimozione
della copertura biologica dei substrati duri superficiali (da 0 a 15 metri di
profondità), con conseguente desertificazione dei fondali. Si tratta di uno dei
più gravi fenomeni di erosione della biodiversità in Mediterraneo. Il dattero
vive nel suo cunicolo scavato nella roccia, in gallerie fusiformi che
costituiscono dei veri e propri microhabitat popolati da un gran numero di
organismi. Gli ambienti più minacciati dalla cattura del dattero sono quelli
litoranei di falesia calcarea, particolarmente abbondanti proprio nelle aree
prescelte per l’istituzione di riserve marine e risultato di processi evolutivi
particolarmente lunghi e complessi. Le zone più battute dai datterai nel nostro
paese sono le coste della penisola sorrentina, in particolare i fondali dell’area
marina protetta di Punta Campanella, le coste pugliesi, quelle delle Cinque
Terre e del litorale spezzino e le coste sud orientali della Sicilia.A causa della
106
Legambiente - Mare monstrum 2002
pesca del dattero, siti caratterizzati dalla presenza di comunità complesse e che
svolgono un’attiva funzione filtratrice dell’acqua, si trasformano in deserti
rocciosi. Un dattero raggiunge 5 cm di lunghezza dopo circa 20 anni: una
crescita così lenta costringe i pescatori di datteri (datterai) a cambiare
continuamente luogo di raccolta, distruggendo ettari di fondale e riducendo al
tempo stesso la produzione di nuove larve. Le tecniche di immersione
subacquea consentono oggi a chiunque di accedere ai banchi, senza difficoltà e
senza limitazioni di tempo e profondità. Per prelevare i datteri vengono
utilizzati piccozze, scalpelli, martelli pneumatici e persino piccole cariche
esplosive, una vera catastrofe ambientale, uno dei più gravi fenomeni di
erosione della biodiversità in Mediterraneo paragonabile solo ai disastri
ecologici causati dal naufragio delle petroliere.
Il divieto di raccolta, detenzione e commercio di dattero di mare vige
nel nostro paese sin dal 1988. Più recentemente il decreto del 16 ottobre 1998
ha prorogato questo divieto. Una circolare del Ministero delle Politiche
Agricole ha chiarito infine che è perseguita allo stesso modo anche
l’importazione dall’estero di datteri di mare. Dunque chi offre datteri, sia in
pescheria che al ristorante, è di sicuro fuori legge.
Nonostante tutto, ogni anno in Italia vengono raccolte tra le 80 e le 180
tonnellate di datteri, equivalenti a 6-15 milioni di individui e a 4-10 ettari di
fondali desertificati. Ogni consumatore di datteri contribuisce in maniera
sostanziale a questo scempio: basti pensare che un piatto di linguine ai datteri
ne contiene circa 200 grammi, pari a 16 individui: pochi rispetto ai milioni di
cui si è detto, molti se si considera che per raccoglierli si è distrutto un
quadrato di fondale di 33 centimetri di lato.
Le cifre del disastro
15-25 kg: il prelievo giornaliero da parte di un datteraio “professionista”
500 kg: il prelievo giornaliero di datteri lungo la penisola sorrentina
30.000 mq i fondali desertificati dai datterai ogni anno nel Salento
70.000 mq di fondali desertificati ogni anno lungo la penisola sorrentina
2 milioni di euro: il giro d’affari annuale dei datterai nella sola penisola
sorrentina
1000 cmq: le dimensioni dell’area distrutta per un piatto di linguine ai datteri
9.3.1 Datteri: i casi esemplari
La Penisola Sorrentina: Punta Campanella
Un vero e proprio disastro ecologico è in atto sotto i nostri occhi nella
Riserva Naturale di Punta Campanella che si estende tra i golfi di Napoli e
Salerno, dal Capo di Sorrento a Punta San Germano a due passi da Positano. I
datterai usano gli stratagemmi più inverosimili, affilano le armi in prossimità
delle festività natalizie e si adeguano facilmente allo sviluppo tecnologico delle
attrezzature subacquee. Il decreto che ne vieta la pesca e la
107
Legambiente - Mare monstrum 2002
commercializzazione si è dimostrato insufficiente a preservare i fondali dalla
“catastrofe ecologica”, come viene definita dall’Enciclopedia Britannica. Un
motivo, questo, che garantisce ai datterari una certa immunità e la motivazione
a proseguire nella loro azione devastatrice senza che qualcuno intervenga ad
interromperne gli interessi a nove zeri.
Sia nella Penisola Sorrentina che nella Costiera Amalfitana la modalità
di estrazione del dattero di mare ha subito, negli anni, cambiamenti determinati
dagli avvicendamenti dei quadri preposti al controllo ed in dipendenza dello
sviluppo tecnologico delle attrezzature subacquee. Ed è proprio con il
miglioramento delle tecniche e la diffusione sempre maggiore dell'immersione
subacquea, che un gran numero di persone si dedicano a questa lucrosa e
distruttiva attività. Oggi nella sola area della Penisola Sorrentina e Costiera
Amalfitana sono circa 50 quelli che, ogni giorno, armati dei loro arnesi da
lavoro (scalpello e martello) distruggono le meraviglie e la vita dei nostri mari.
Questa pesca indiscriminata oltre che distruggere gran parte della biodiversità,
vanto del nostro mare, danneggia tra l'altro, l'intera economia del comparto
della piccola pesca, in quanto il distacco di intere pareti di roccia desertifica
l'area allontanando da essa alcune specie ittiche.
La giornata dei "datterai" inizia alle prime luci dell'alba. Provvisti di
piccoli scafi veloci, con tutte le dotazioni di sicurezza in perfetta regola,
partono da Castellammare di Stabia (Na) nell'area denominata "acqua della
madonna" ed approdano lungo tutto la costa: da Castellammare di Stabia a
Salerno, isola di Capri compresa. Ma anche nei residenti non mancano quelli
che si dedicano a questa criminosa attività, come nel caso di località rinomate
della penisola sorrentina e costiera amalfitana: Seiano, Massa Lubrense
(Recommone) e Praiano. Ogni scafista lascia uno o due subacquei sotto costa,
quindi si allontana, anche per centinaia di metri ed aspetta l'ora concordata per
il loro recupero che avviene di solito dopo 4/5 ore. Il datteraio, si inabissa nei
fondali marini ed armato di un pesante martello bipenna, ma anche di picozze e
martelli, frantuma indisturbato la parete rocciosa. E per non essere visti in
superficie, lo stratagemma è semplice ed efficace: affondano il recipiente in cui
sono conservati i datteri. Nella loro azione criminale, non poteva mancare il
ruolo dei bambini. Infatti spesso, a bordo degli scafi, al fine di disorientare le
forze dell'ordine, vi sono minorenni e signore. Un quadro perfetto per una bella
gita in barca, ma con obiettivo non la tintarella o qualche tuffo in mare bensì i
datteri. Il giro di affari è notevole, i rischi vicini allo zero. Ciascun datteraio
preleva in media 10 kg al giorno (valore sottostimato) di prodotto che rivende
al 40 mila al Kg per un guadagno di 400.000. Il periodo di attività, che un
tempo era di sei mesi l’anno, ora non conosce sosta. Una colonia di datteri
conta in media 150 individui per mq, ma può arrivare fino a 300 per mq. In
termini ecologici questo significa la desertificazione di una fascia di costa dai 4
ai 6 km per una profondità di 15 m. Un dato allarmante se si considera, per
esempio, che le falesie della penisola sorrentina amalfitana si estendono per
non più di 100 km di costa.
108
Legambiente - Mare monstrum 2002
E per ironia della sorte l'istituzione della Riserva Marina, se da un lato
rappresenta un maggior controllo dell'area, dall'altro ha determinato un
aumento vertiginoso del prezzo dei datteri sul mercato nero. Infatti nelle
festività natalizie ed in quelle pasquali e durante il mese di agosto, il prezzo dei
datteri oscilla dalle 70.000 alle 150.000 al chilo. Compiuto il saccheggio, i
predoni del mare ritornano alla base scaricano la preziosa merce praticamente
indisturbati. Tranne le limitate ma efficaci operazioni condotte dall'Arma dei
Carabinieri con nuclei subacquei ed elicotteristi, i controlli effettuati dalla
Capitaneria di Porto si limitano alla richiesta di accertamento dei documenti
dell'imbarcazione e delle dotazioni di sicurezza. A questo clima di illegalità
diffusa, va aggiunta, poi, la mancanza di controlli e repressione nei luoghi di
vendita, basti pensare che nei pressi di Porta Nolana, a Napoli, i datteri di mare
vengono venduti alla luce del sole!! Molti datterai, annusato l’affare, si sono
organizzati con veri e propri depositi, attrezzature e strutture di vendita. Ecco
che nei periodi precedenti le festività indicate, comincia la conservazione dei
datteri in apposite vasche (vere e propri impianti di stabulazione). I datteri sono
poi venduti a prezzi vertiginosi sia al dettaglio che all'ingrosso ai ristoratori.
Dietro questa organizzazione gli inquirenti
sospettano la presenza
dell'immancabile longa manus della camorra. E in questa grande operazione di
distruzione dell'ecosistema marino, c'è anche la complicità e la responsabilità
indiretta di ognuno di noi. Basti pensare che quando un ristorante ci offre nel
menù il raffinato e prelibato piatto di linguine ai datteri, in quel momento
dobbiamo ricordarci che quel piatto significa la distruzione di un quadrato di
fondale di 33 cm di lato. Che questo meccanismo perverso e illegale stia
diventando un affare interessante è noto alle Forze dell’ordine. Nel dicembre
di due anni fa un'operazione condotta dalla Procura di Torre Annunziata
insieme ai Carabinieri ed agli uomini della Capitaneria di Porto di
Castellammare di Stabia, ha portato a quattro arresti ed al sequestro di ben 20
quintali di datteri di mare. Il reato ipotizzato, per la prima volta in Italia in un
caso del genere è di associazione a delinquere finalizzata al danneggiamento
aggravato ed continuato del patrimonio ecomarino dello Stato. Nel mirino della
legge sono finiti, questa volta anche i ristoratori della zona: i veri committenti
del prezioso frutto di mare, coloro che non vogliono far mancare sulla tavole
imbandite di Natale un ingrediente tradizionale e molto richiesto dai clienti. Per
procurasi le prove dei bottini proibiti gli investigatori hanno usato mezzi
sofisticatissimi, seguendo per mesi gli equipaggi dei "predoni". Armati di
microcamere hanno filmato i sub fuorilegge. I datterai arrestati sono stati
quattro. Secondo gli inquirenti, questi bracconieri del mare avevano addirittura
lottizzato la costa sorrentina, dividendola in quattro pezzi. Ognuno ne gestiva
uno. Alle indagini è seguito un blitz della Guardia di Finanza di Napoli che ha
sequestrato tonnellate di preziosi ricci, frutti fragili e delicati del nostro mare.
Denunciati sei pescatori clandestini che rifornivano con regolarità i mercati
pugliesi (qui i ricci rappresentano una specialità gastronomica irrinunciabile).
Dopo appostamenti ed indagine durati mesi, non è stato difficile risalire
ad una sorta di "ponte commerciale" fra le scogliere napoletane ed i mercati
109
Legambiente - Mare monstrum 2002
ittici di Bari, Barletta, Brindisi, dove ogni mattina finivano i costosissimi ricci
di mare, prelibati come condimento per gli spaghetti, nonché come antipasto.
Di qui la decisione di procedere ad un blitz combinato terra-mare: in azione
due vedette, che hanno sorpreso sei subacquei intenti a scippare molluschi dalle
scogliere, ed alcune pattuglie mobili che hanno bloccato un furgone dei
commercianti pugliesi.
Grazie agli sforzi profusi attualmente la pesca illegale dei datteri è
diminuita del 20% circa, ma c’è ancora molto da fare.
La costa di Siracusa
Il fenomeno della pesca di frodo del dattero di mare, in Sicilia assume
proporzioni devastanti soprattutto in provincia di Siracusa a causa della
conformazione geologica della costa, costituita da roccia calcarea. Anche se
sono aumentati i controlli da parte degli organi di sorveglianza preposti alla
repressione del consumo del mollusco nei ristoranti, il prelievo doloso del
dattero è ancora molto praticato.
Si stimano fra i 15 e i 25 bracconieri che quotidianamente (dati non
ufficiali scaturiti da notizie fornite dalle stazioni di ricarica), armati di mazza e
pinzette, in un tratto di mare che va da Brucoli – Augusta a Capo Murro di
Porco, in provincia di Siracusa, praticano la pesca distruttiva del bivalve,
riuscendo a raccogliere dagli 8 ai 15 chili di molluschi al giorno, su una
batimetrica che va dai 3 ai 10 metri di profondità. Attraverso l’utilizzo di una
bibombola di 20 litri, i datterai riescono a rimanere sott’acqua per oltre due ore,
distruggendo un tratto di fondale procapite di oltre 50 metri. Da questo calcolo
sono esclusi i “dilettanti”, datterai dell’ultima ora che pescano, seppur
occasionalmente, con metodi molto più sbrigativi e distruttivi quali
compressori e martelletti pneumatici. Gli organi di vigilanza, Capitaneria di
Porto, Polizia, Guardia di Finanza ecc., sono in assoluta difficoltà nel
fronteggiare tale fenomeno, anche perché, oltre al fatto che i bracconieri del
mare svolgono la loro “attività” dalle sette alle dieci del mattino, mentre le
motovedette cominciano la perlustrazione di turno routinaria dopo le ore 9, la
pesca del dattero avviene su un fondale abbastanza basso dove le motovedette
delle forze dell’ordine non possono giungere. Nel 1999 sono stati colti in
fragranza di reato appena tre bracconieri e sequestrati solo 60 kg di datteri,
oltre alle attrezzature subacque ( dati Questura di Siracusa). Ad oggi non ci
sono novità di rilievo.
Il quadro già di per sé sconfortante, si completa se si aggiunge alla
pesca al mollusco la pesca di frodo con l’autorespiratore, praticata e a volte
“tollerata”, e la pesca con gli esplosivi.
Da Porto Cesareo a Gallipoli
La pesca dei datteri è uno dei problemi più gravi che interessa la zona
che va da Porto Cesareo a Gallipoli, in Puglia. L’area in questione è stata
oggetto di una vera e propria spartizione, cosicchè ogni pescatore di dattero ha
il suo perimetro dove operare. Sembra che i datterai utilizzino circa 20
110
Legambiente - Mare monstrum 2002
pescherecci che arrivano a raccogliere, più o meno, 25 kg di datteri a barca. La
modalità di pesca è simile a molte altre zone d’Italia: due sub si immergono
servendosi di una barca o di un gommone di appoggio che li recupera ad
un’orario stabilito. Uno dei blitz effettuati dalla Capitaneria di Porto di
Gallipoli, dietro segnalazione del circolo Legambiente di Porto Cesareo, ha
portato al sequestro di 70 chili di datteri e 6 quintali di ricci. Durante la
perquisizione delle barche i militari non riuscivano a trovare nulla: poi hanno
scoperto che i recipienti con i datteri già pescati erano stati affondati e
sarebbero stati trasferiti in seguito a bordo di un camion parcheggiato distante
dalla riva. La manodopera era albanese. Numerose azioni si sono susseguite a
questa. Nonostante la coscienza da parte delle Forze dell’ordine del problema e
la volontà di contrastarne gli effetti devastanti all’ambiente marino, i mezzi a
disposizione non sono ancora sufficienti per opporre una resistenza decisiva
alla determinazione dei pescatori “fuori legge”.
Datteri di mare? No grazie
Sebbene la pesca illegale di datteri di mare rappresenti a tutt’oggi vero e
proprio flagello per l’ecosistema marino, negli ultimi tempi sono state avviate
alcune iniziative per limitare questo fenomeno.
1. Non rompeteci gli scogli
E’ una campagna promossa dalla provincia di Bari, dalla Riserva
naturale marina di Punta Campanella, da Legambiente in collaborazione con il
Parco Nazionale delle Cinqueterre, Lega Pesca e Ipercoop, che hanno messo
insieme le loro forze per denunciare le gravi conseguenze prodotte dal plelievo
dei datteri di mare nel nostro paese. La campagna si propone di fare una diffusa
opera d’informazione sui danni causati dal plelievo di datteri di mare rivolta a
tutti i cittadini ed in particolare ai clienti delle pescherie e ristoranti, quelli che
più frequentemente entrano in contatto con il commercio abusivo di datteri di
mare. L’iniziativa prevede anche il coinvolgimento attivo delle marinerie
locali, dei ristoratori, delle pescherie, delle forze dell’ordine e dei mezzi di
informazione per dare più forza e incisività al messaggio.
2. L'Osservatorio Ambiente e Legalità della Riserva Naturale Marina di
Punta Campanella
Quello di Punta Campanella è il primo Osservatorio Ambiente e
Legalità istituito presso una Riserva naturale marina. L’istituzione
dell’Osservatorio è stata deliberata dal Consorzio di Gestione il 2 aprile 2001
(delibera numero 7) e, con successiva convenzione firmata il 7 agosto 2001, ne
è stata affidata la gestione a Legambiente. L’Osservatorio si caratterizza
innanzitutto come uno strumento a servizio del territorio, attraverso il quale
migliorare la diffusione della cultura della legalità e del rispetto dell’ambiente,
contribuire all’attività di analisi, monitoraggio, prevenzione e contrasto dei
fenomeni di illegalità ambientale in stretta collaborazione con le forze
dell’ordine impegnate sul territorio, nel rispetto dei rispettivi ruoli istituzionali,
111
Legambiente - Mare monstrum 2002
promuovere e valorizzare lo straordinario patrimonio ambientale e naturale
dell’area marina protetta.
L’Osservatorio è stato dotato di un numero verde, per raccogliere
segnalazioni dei cittadini su fenomeni di illegalità ambientale, per fornire
informazioni sulla riserva naturale e consulenze sulle normative di riferimento.
Accanto al numero verde è stato istituito il Consiglio direttivo, che vede la
presenza di tutti i soggetti istituzionali e sociali interessati (forze dell’ordine,
magistratura, rappresentanti degli enti locali, sindacati, associazioni, ecc.),
come tavolo di lettura ed analisi dei dati e delle informazioni raccolte, sia a fini
preventivi che a fini repressivi, creando una reale sinergia tra soggetti diversi
nel rispetto dei ruoli specifici di ognuno. Inoltre l’Osservatorio, proprio per la
sua unicità, svolgerà un ruolo nevralgico per la realizzazione di una serie di
iniziative a carattere nazionale sul tema del “mare legale”.
Gli obiettivi dell’Osservatorio possono essere così riassunti: elevare ed
ottimizzare il sistema di controllo e prevenzione dei fenomeni delle illegalità
ambientali nell’area protetta; diffondere una più attenta cultura della legalità e
del rispetto dell’ambiente; rappresentare l’elemento di collegamento tra
cittadini e istituzioni; realizzare momenti di incontro tra i vari soggetti
istituzionali e non (prefetture, forze dell’ordine, enti locali, sindacati,
associazioni, etc.) deputati alle attività di controllo e repressione dei fenomeni
illegali e alla valorizzazione e promozione delle straordinarie bellezze che
caratterizzano il territorio della Riserva marina e della penisola sorrentina più
in generale; monitorare costantemente i settori a maggior rischio ambientale e i
principali fattori di aggressione; delineare, in collaborazione con le istituzioni
competenti, le migliori strategie d’intervento.
9.4 Il caso Campania, ovvero… pesce all’acqua pazza atto II
Sembra il titolo di un film di cui si prospetta una lunga serie. Noi ci
auguriamo il contrario, ma dopo la denuncia nello scorso dossier il fenomeno
della vendita abusiva ed illegale di frutti di mare in condizione igienico
sanitarie assenti, a Napoli e provincia, non ha subito cambiamenti sostanziali.
Alcuni numeri per rendere chiaro la gravità del fenomeno. Tra Napoli e
provincia nel periodo che va da dicembre 2001 a maggio 2002 si stima,
secondo le principali operazioni di Polizia, che siano stati sequestrati e distrutti
oltre 45 quintali di frutti di mare (cozze, vongole, novellame, ostriche e datteri)
coltivati abusivamente e venduti privi di qualsiasi elementare requisito igienico
sanitario. Spigole ed orate scongelate con acqua torbida, mitili, cozze e
calamari decorati con spicchi di limone sulle bancarelle di mezza città ma
immersi in acqua di dubbia provenienza. E lo sfizio di regalarsi una spaghettata
o magari la famosa impepata per i cittadini diviene un rischio. Infatti epatite A,
quella alimentare, viene spesso associata al consumo di frutti di mare, che nella
maggior parte dei punti di vendita cittadini, soprattutto quelli abusivi, che
particolarmente in estate si moltiplicano e sorgono come funghi, vengono
112
Legambiente - Mare monstrum 2002
sistemati in bacinelle piene d’acqua marina. Con questo procedimento che i
pescatori chiamano “rinfrescata”, il prodotto - anche dopo il trattamento di
purificazione effettuato in uno stabulario - ridiventa infetto se cozze, vongole,
tartufi, fasolari vengono immesse in bacinelle piene di acqua di mare raccolta
in zone in cui è vietata la balneazione. La situazione è particolarmente grave
soprattutto a Napoli, dove solo nel periodo tra marzo ed maggio 2002 sono
state sequestrate dalla Nucleo di Polizia Giudiziaria della Guardia Costiera di
Napoli, congiuntamente al personale dell’ Asl Na1 Distretto 51, ben 15 quintali
di prodotti ittici ed effettuate verbali amministrativi per quasi 165mila euro.
Sotto controllo non solo venditori abusivi ma anche ristoranti di zone
rinomate come Posillipo e Mergellina. Secondo una nota della Guardia
Costiera, i risultati del mese di maggio sono incoraggianti perché mostrano una
tendenza alla riduzione delle violazioni della legge: a marzo infatti su 10
controlli 9 erano non in regola, mentre a maggio la quota è scesa a circa 5 su
dieci. A Napoli, quindi più che mucca pazza, sono i frutti di mare infetti a
preoccupare. Del resto secondo gli ultimi dati registrati presso i principali
ospedali specializzati in malattie infettive a Napoli e provincia si registrano
numeri da record per contagi da epatite A, una malattia endemica la cui
diffusione sarebbe tornata a livelli della metà degli anni ’80 dopo dieci anni di
relativo calo.
Ma a Napoli, dove la fantasia e gli affari non finiscono mai, nel
febbraio 2002 un altro tassello si aggiunge ad un quadro, già di per se molto
preoccupante. Se vai al ristorante e ordini cozze, gamberi e fasolari, sappi che
li sceglie per te "mamma" camorra. Infatti, secondo una denuncia dei
commercianti dei quartieri Chiaia, Mergellina e Santa Lucia presso la questura
di Napoli, gli "scagnozzi" si presentano in alcuni ristoranti, anche tra i più
rinomati della città, ed impongono la lista dei cosidetti “fornitori di fiducia”.
Vendono frutti di mare. E anche spigole. Ed alla fine il cittadino, colui che
paga non ha possibilità di scelta, si ritrova nel piatto quello che i clan hanno
deciso di fargli trovare.
Non diversa è la situazione in provincia di Napoli, soprattutto nel
triangolo Torre del Greco, Torre Annunziata, Castellammare di Stabia. Qui è
un continuo stillicidio di notizie di sequestri. Non c’è bisogno di aspettare
l’estate. Infatti il 14 febbraio 2002, oltre 10 tonnellate di mitili fuorilegge, del
valore commerciale di circa 40mila euro vengono sequestrati e distrutti nello
specchio antistante il cantiere navale e la corderia di Castellammare di Stabia.
L’operazione è stata effettuata dalla locale Capitaneria di Porto in
collaborazione con il secondo nucleo subacqueo della Guardia Costiera. Il blitz
è scattato alle ore 9. Distrutti centinaia di filari di cozze. Uno sterminato
allevamento di mitili, privo di autorizzazione e non controllato e
potenzialmente infetto. Nel luglio del 2001, sull’asse Torre del GrecoErcolano, un operazione dei Carabinieri del servizio navale di Torre del Greco
con la collaborazione della Guardia di Finanza, porta al sequestro di una
tonnellate di frutti di mare, tenuti in pessime condizioni igienico sanitarie e
messi sul mercato dai commercianti senza scrupoli. Cozze, tartufi, vongole e
113
Legambiente - Mare monstrum 2002
mitili vari: sui banchetti improvvisati, gli uomini del gruppo speciale hanno
ritrovato di tutto e tutto conservato male. L’organizzazione della task force si è
resa necessaria in seguito all’esame dei dati in possesso della Procura di Torre
Annunziata, secondo i quali la città del Corallo sarebbe il comune con il più
alto numero di ammalati di epatite virale di quanti se ne possano contare in
tutto Napoli e provincia. È il fiume più inquinato d'Europa, è la causa di tutti i
mali del Golfo di Napoli, è la prima ragione per cui il turismo da Pozzuoli a
Castellammare fa tanta fatica a decollare. Eppure, proprio qui, alla foce del
fiume Sarno, c'è chi ha pensato di allevare frutti di mare e filari di cozze (il
sequestro ha riguardato circa 15 quintali). E se non fosse che all'alba del 26
luglio 2001, il comando provinciale dei Carabinieri, in collaborazione con gli
uomini del Nas, avesse provveduto a rompere quei filari e a sequestrare tutto
quanto di abusivo vi era coltivato, con ogni probabilità quelle cozze sarebbero
finite sulle nostre tavole. E magari anche sulle tavole di qualche
insospettabilissimo ristorante. Non è una novità. È già accaduto in passato. Non
è un caso, d'altra parte, nello stesso mese di luglio, la Procura di Torre
Annunziata, per violazione alle norme igienico sanitarie in fatto di
alimentazione, denunciava la provincia di Napoli come la più "sporca" d'Italia,
con dodicimila procedimenti giudiziari avviati nei confronti di ristoratori,
ambulanti e commercianti.
I quindici quintali di mitili sequestrati nella foce del fiume Sarno, sono
tanti, tantissimi, niente, tuttavia, se rapportati ai duemila messi sotto chiave in
tutta la costa da Pozzuoli fino a Massalubrense, in seguito all'operazione «a
tavola sicuri» è cominciata nel mese di giugno 2001. E si è avvalsa della
collaborazione dei carabinieri subacquei e di tutte le motovedette dell'Arma.
Dai risultati dello screening marino è emerso un dato che la dice lunga su come
vengono rispettate le norme igienico sanitarie soprattutto nell'area stabiese e
torrese e come da queste parti sia particolarmente facile restare vittime di
malattie infettive. La costa di Torre Annunziata e Castellammare vanta, infatti,
il record dell'allevamento abusivo: su duemila quintali di cozze sequestrate,
millecinquecento vengono, infatti, coltivate proprio dove sorge la foce del
fiume Sarno. Appena settanta quintali a Pozzuoli, qualche decina in penisola
Sorrentina e nel porto di Napoli, sparso qua e là qualche filare anche nella
provincia di Caserta, tra Teverola e Casaluce. I mitili sono stati distrutti, portati
in alto mare e gettati nei fondali. Nessuna denuncia.
Restano i consigli da dare ai consumatori: i mitili vanno comprati in
confezioni sigillate, garantiti dal cartellino ove sono indicate le norme Cee.
Perchè per chi non lo sapesse ancora le cozze vanno coltivate esclusivamente
in acque depurate. Altro, allora, che fiume Sarno, con tutto il suo carico di
veleni. Guai, dunque, ad affidarsi ai venditori ambulanti. E se oltre a stare
attenti alla salute qualcuno volesse anche rendersi utile alla società,
denunciando qualsiasi violazione delle norme igienico sanitarie, l'Asl Napoli 5
quest'anno ha istituito il numero verde 800/306042, al quale oltre alle denunce
si possono anche chiedere consigli su come tutelarsi da alimenti a rischio
infezioni. Lo scorso settembre è stata violata anche la Riserva di Punta
114
Legambiente - Mare monstrum 2002
Campanella. Con un operazione ad ampio raggio, gli uomini della Capitaneria
di porto di Castellammare di Stabia hanno portato a termine una serie di colpi
non solo contro i pescatori di frodo ma anche contro le pescherie dell’area
stabiese e della penisola sorrentina.
Oltre a mezza tonnellata di mitili, cozze, vongole e a dieci quintali di
novellame sono stati sequestrati anche dieci chili di datteri marini che da soli
sui mercati ittici valgono cifre da capogiro. I 500 kg di mitili, cozze e lupini
erano messi in vendita senza il previsto bollino sanitario, mentre i 10 kg di
datteri di mare, prelibati frutti di mare, erano stati prelevati da datterai, veri
esperti subacquei che per l’estrazione hanno utilizzato martelli idropneumatici.
Alla fine del blitz denunciati all’autorità giudiziaria i titolari di sei pescheria,
elevato 10 verbali amministrativi per circa 40 milioni di vecchie lire.
Oltre 20 kg di datteri di mare e 26 nasse sono state sequestrate dalla
Sezione Operativa navale di Salerno della Guardia di Finanza nel febbraio
scorso durante un operazione di pattugliamento nella riserva marina di Punta
Campanella. I finanzieri hanno notato un gommone con a bordo due persone
che alla vista dei militari sono fuggiti, lanciando a mare un sacchetto.
Nell’involucro, 20 kg di datteri di mare. Nel corso della stessa operazione, nel
tratto di acqua ricadente nel comune di Postano, i militari hanno notato dei
palloncini galleggianti. Issati a bordo i singoli segnalatori di reti, i finanzieri
hanno scoperto le 26 nasse, brulicanti di pesci di ogni tipo, compreso polpi e
seppie, tutti vivi, per oltre 30 kg di peso. Sotto Natale, quando la richiesta dei
datteri di mare aumenta, entrano in azione datterai senza scrupoli. Lo scorso 21
dicembre, la Capitaneria di Porto di Castellammare di Stabia sequestra 700 kg
di prodotti ittici, tra cui 200 kg di datteri di mare. Al blitz, avvenuto dopo mesi
di appostamenti e videoriprese hanno preso parte circa 50 uomini con mezzi
navali e terrestri. Sono state denunciate 8 persone, sequestrati cinque
autoveicoli e attrezzature utilizzate per la pesca (mute, bombole, erogatore,
mazzole) per un valore pari a circa 800 milioni.
Infranto anche il mare della costiera amalfitana. Lo scorso marzo, scatta
l’operazione “Coast Guard Two” eseguita dalla Guardia costiera di Salerno.
Oltre 100mila euro di multa, numerosi sequestri e 16 persone denunciate.
Messi sotto controllo ristoranti e rivendite di prodotti ittici. Oltre 200 persone
identificate, sessanta pescherie controllate, 25 ristoranti e diciotto ipermercati.
Sotto controllo l’area costiera tra Positano e Sapri. Distrutti oltre 150 kg di
specie ittica protetta e messa in vendita senza ottemperare alle norme sanitarie.
L’acqua di mare veniva prelevata dalle banchine del porto turistico “Masuccio
Salernitano”. E’ stata anche sequestrata una elettropompa che veniva utilizzata
per il prelievo d’acqua che veniva successivamente utilizzata per il rinfresco e
lo scongelamento della specie ittica.
La strage dei piccoli
Una battaglia portata avanti dal quotidiano “Il Mattino” in difesa del
novellame nel golfo di Napoli. Spadini scheletrici di 1 kg., tonnetti appena
abbozzati di 700-800 grammi, ricciole nate da poche settimane. Non c’è pace
115
Legambiente - Mare monstrum 2002
per il malcapitato novellame presente nei fondali del Golfo di Napoli. Sono
tantissimi i cosiddetti “predoni” del mare, pescatori dilettanti o con “licenza”
che tutto l'anno, approfittando dalla benevolenza del clima, delle condizioni di
vento e di correnti, danno la caccia e distruggono quintali di minuscoli capi di
pesce che nel giro di pochi mesi potrebbe diventare pesci di taglia e di prelibata
specie. Nel mese di ottobre dello scorso anno, sono stati pescati quintali di
spadini e connetti, venduti poi a prezzi stracciati nei mercati all’ingrosso e
nelle pescherie e ristoranti. Centinaia di piccole imbarcazioni, soprattutto nei
giorni del week-end si addensano sulle secche e nelle zone di passaggio armati
di coffe, lenze a traino, sardine ed esche per fare incetta di novellame. Il
bottino viene poi rivenduto a Pozzuoli, Portici, Procida, Ischia ma anche sui
pontili di Mergellina, 10-15 € a capo, senza procedere al peso per far presto e
non dare troppo nell’occhio. Ma il tutto è stato sequestrato in seguito ad un
operazione disposta dall’ammiraglio Ubaldo Scarpati e affidata al
coordinamento del comandante Francesco Cammarota, responsabile della
sezione Unità Navali della Capitaneria di Porto di Napoli. Controlli a tappeto:
motovedette in azione da un capo all’altro del golfo; contemporaneamente,
blitz nei mercati e nelle cucine di molti ristoranti. Operazione che testimonia la
crisi del settore. Per far quadrare bilanci sempre più magri, le piccole imprese
sono costrette a raschiare il fondo del barile, ad impiegare strumenti sempre più
pesanti di pesca e razziare quantità sempre più elevata di novellame, senza
porsi minimamente il problema degli equilibri biologici e della salvaguardia
della specie pregiata. Ed ecco che nei mesi ancora più caldi dell’autunno, inizia
la strage di piccoli spadini, la distruzione di mini ricciole, proseguendo nel
tempo con la pesca delle fravaglie e del bianchetto. Un giro questo del
novellame, fiorito per il vezzo dei ristoranti e ristorantini marini sorti come
funghi sul litorale flegreo. Per pescarli gli armatori non esitano ad impiegare
attrezzature micidiali: reti con maglie strettissime o anche con il famoso
“panno” finale, con un coppo che stringe e distrugge non soltanto pascetti
piccolissimi ma anche larve appena abbozzate. Del resto il novellame viene a
costare molto di più del pesce adulto. Un esempio? Gli spadini da un chilo e
mezzo possono essere venduti anche a 12 euro l’uno. Un pesca illegale che
incide anche sul pescato futuro. Gli stessi spadini nel giro di qualche mese
riescono a crescere sino a 12 chili complessivi. L’unico novellame legale sono
i rossetti (in napoletano i cosiddetti cicicielli). Ma nonostante il divieto, il
novellame lo si può trovare facilmente. Pignasecca, Mergellina, piazza
Mercelli fino alla Sanità. A venderlo soprattutto i pescivendoli abusivi, quelli
che girano con il “tre ruote”. Contro venditori e pescatori si susseguono
controlli e blitz. Oltre i sequestri, i titolari di esercizio trovati in possesso di
novellame proibito rischiano forte multe. Ma poiché il fenomeno è diffuso, che
riguarda la gran parte di ristoranti e pescherie napoletane, è difficile da
combattere e da arginare. Ed alla fine il novellame rimane uno dei piatti tipici
della cucina napoletana.
116
Legambiente - Mare monstrum 2002
9.5 La pesca abusiva di molluschi nella Laguna di Venezia
di Luca Ramacci (Sostituto Procuratore della Repubblica di Venezia e CoPresidente nazionale dei Centri di Azione Giuridica di Legambiente)
(www.lexambiente.com)
L’esercizio dell’attività di pesca dei molluschi nella laguna di Venezia
rappresenta un serio problema non solo per l’integrità dell’ambiente, ma anche
per la tutela della salute dei consumatori e non interessa soltanto i veneziani.
Sono infatti di dominio pubblico le condizioni di gravissimo
inquinamento in cui versa l’area lagunare a causa della compresenza di diversi
fattori inquinanti rappresentati non solo dalle immissioni in atmosfera (che
determinano la ricaduta di polveri) e dagli scarichi del vastissimo polo
industriale di Marghera, ma anche dalle numerose vetrerie della zona di
Murano – con il loro contributo di arsenico superiore anche decine di migliaia
di volte rispetto ai limiti di legge - e dalla caotica circolazione di imbarcazioni
a motore unita agli scarichi delle abitazioni e degli insediamenti artigianali,
alberghieri, ospedalieri e di altro tipo esistenti nelle zone abitate della laguna.
I dati dell’inquinamento lagunare, diffusi anni addietro e relativi
all’inchiesta che portò alla chiusura dello scarico SM15 del Petrolchimico, se
confrontati con i valori di inquinamento del mare Adriatico – che pure non
gode di ottima salute – sono impressionanti e superano ogni immaginazione.
E’ importante ricordarli per avere un’idea dell’habitat in cui nascono e
crescono le vongole pescate.
117
Legambiente - Mare monstrum 2002
Ecco i dati ripartiti secondo le “aree virtuali” individuate dai consulenti:
VALORI MINIMI E MASSIMI DEI DIVERSI INQUINANTI NEI SEDIMENTI
SUPERFICIALI (primi 20 cm) DELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL PRIMO
STUDIO PERITALE (GIUGNO 1996)
AREE
VIRTUALI
AREA 1
(INDUSTRIAL
E)
AREA 2
(URBANA)
LOCALITA’
PORTO
MARGHERA
VENEZIA,
MURANO
Min
1600
min
8000
IPA (ng/g)
max
54000
AREA 3
(MISTA)
S. ANGELO,
CHIOGGIA,
FOCE DESE
E
OSELLINO
max min max
4800 150 1300
0
610
3.1
77
PCB (ng/g)
220
720
71
PCDD+PCD
F (pgTE/g)
23
570
4.8
23
0.48
DDE (ng/g)
3.4
10
1.3
27
0.78
DDT (ng/g)
0.3
5.2
0.51
24
< 0.3
HCB (ng/g)
35
470
0.33
5
0.097
2.56
22.9 0.723 5.69 0.184
Cd (µg/g)
97.1
247
36.2 297 10.7
Cu (µg/g)
1.52
14.2
0.531
2.08 0.023
Hg (µg/g)
58.1
282
47.8 109 7.22
Pb (µg/g)
248
1820
104
592 2.31
Zn (µg/g)
n.d. dati non disponibili
N.B. Tutti i valori sono riferiti al sedimento secco
8.5
19
10
6.2
1.87
42.3
1.94
37.4
70.1
118
AREA 4 (BASSA
ESPOSIZIONE,
PESCA)
ALBERONI,
MALAMOCCO,
PELLESTRINA,
BURANO, S.
CRISTINA
min
max
62
660
ARE
A5
VALORI DI
RIFERIMENTO
VALL
I DA
PESC
A
MARE
ADRIATICO
n.d.
min
99
Max
2500
0.47
8.3
n.d.
2.5
27
0.8
0.55
0.059
0.059
0.099
9.99
0.194
9.44
2.03
1.8
1.3
1.3
0.29
1.73
33.2
3.33
20.3
64.6
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
0.16
0.59
0.5
0.039
0.488
9.09
0.021
10.4
10.1
17
0.94
0.52
44
0.721
13.9
0.534
26.2
90.2
Legambiente - Mare monstrum 2002
VALORI MINIMI E MASSIMI DEI DIVERSI INQUINANTI NEI SEDIMENTI
SUPERFICIALI (primi 20 cm) DELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL SECONDO
STUDIO PERITALE (LUGLIO 1997)
AREE
VIRTUALI
AREA 1
(INDUSTRIAL
E)
AREA 2
(URBANA)
LOCALITA’
PORTO
MARGHERA
VENEZIA,
MURANO
IPA (ng/g)
PCB (ng/g)
PCDD+PCD
F (pgTE/g)
DDE (ng/g)
DDT (ng/g)
HCB (ng/g)
Cd (µg/g)
Cu (µg/g)
Hg (µg/g)
Pb (µg/g)
Zn (µg/g)
Min
1000
56
max
46000
9800
14000
790
1
1.5
< 0.5
33
0.18
41
0.26
47
350
230
17
10
2400
6.6
1200
50
190
860
14
18
7.1
5.5
4.2
195
4.0
120
700
AREA 3
(MISTA)
AREA 4 (BASSA
ESPOSIZIONE,
PESCA)
S. ANGELO,
ALBERONI,
CHIOGGIA,
MALAMOCCO,
FOCE DESE E PELLESTRINA,
OSELLINO
BURANO, S.
CRISTINA
min max
140
390
130
15
23
9.8
25
25
3.3
0.057 < 5
< 0.05
0.080 < 5
< 0.05
0.28
20
< 0.05
2.2
2.2
0.61
46
46
24
2.0
2.0
0.60
49
49
29
390
390
180
n.d. dati non disponibili
N.B. Tutti i valori sono riferiti al sedimento secco
ARE
A5
VALORI DI
RIFERIMENT
O
VALL
I DA
PESC
A
MARE
ADRIATICO
n.d.
n.d.
min
6.4
1.6
max
2300
26
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
0.6
< 0.05
< 0.05
< 0.05
0.06
2.4
0.053
5.4
10
10
0.98
0.74
17
0.77
17
2.6
55
100
NOTA: i risultati dei due studi peritali indicano che, allontanandosi dall’area
industriale (AREA 1) verso il mare, i valori di contaminazione dei sedimenti
diminuiscono. Va segnalata l’inattesa contaminazione di alcuni campioni di sedimento
marino prelevati nella zona di mare antistante il litorale del Lido, presumibilmente
dovuta allo scarico dei fanghi industriali avvenuto nel periodo 1950 - 1980.
119
Legambiente - Mare monstrum 2002
Ecco, infine, quello che venne trovato all’interno del pescato, sempre nelle
varie zone:
VALORI MEDI DEI DIVERSI INQUINANTI RILEVATI NEI REPERTI DI BIOTA (MITILI,
VONGOLE, OSTRICHE) PRELEVATI NELLE AREE VIRTUALI NEL CORSO DEL
SECONDO STUDIO PERITALE (LUGLIO 1997)
AREE
VIRTUALI
AREA 1
(INDUSTRIALE)
AREA 2
(URBANA)
AREA 3
(MISTA)
AREA 4 (BASSA
ESPOSIZIONE,
PESCA)
LOCALITA’
PORTO
MARGHERA
Zona Nuovo
Petrolchimico
134 (mitili)
31(vongole)
160 (mitili)
12 (vongole)
3.2 (mitili)
1.2 (vongole)
VENEZIA,
MURANO
S. ANGELO,
CHIOGGIA,
FOCE DESE
E OSELLINO
DDE (ng/g)
21.2 (mitili)
1.06 (vongole)
n.d.
DDT (ng/g)
0.32 (mitili)
0.067 (vongole)
n.d.
HCB (ng/g)
13.7 (mitili)
12 (vongole)
n.d.
Cd (µg/g)
1.05 (mitili)
0.37 (vongole)
n.d.
Cu (µg/g)
3.15 (mitili)
5.5 (vongole)
n.d.
Hg (µg/g)
0.1 (mitili)
0.070 (vongole)
n.d.
Pb (µg/g)
0.9 (mitili)
0.79 (vongole)
n.d.
IPA (ng/g)
PCB (ng/g)
PCDD+PCD
F (pgTE/g)
Zn (µg/g)
n.d.
n.d.
n.d.
34 (mitili)
17 (vongole)
245 (mitili)
13 (vongole)
2.3 (mitili)
0.56
(vongole)
17 (mitili)
0.47
(vongole)
0.59 (mitili)
0.097
(vongole)
10 (mitili)
3.95
(vongole)
0.80 (mitili)
0.39
(vongole)
2.45 (mitili)
5.68
(vongole)
0.053 (mitili)
0.040
(vongole)
0.46 (mitili)
0.45
(vongole)
34 (mitili)
21 (vongole)
AREA
5
VALORI DI
RIFERIMENTO
ALBERONI,
MALAMOCCO,
PELLESTRINA,
BURANO, S.
CRISTINA
50 (mitili)
VALL
I DA
PESC
A
n.d.
MARE
ADRIATICO
40 (mitili)
n.d.
0.68 (mitili)
n.d.
2.1 (mitili)
n.d.
2.9 (mitili)
2.2 (ostriche)
0.25 (mitili)
n.d.
0.89 (mitili)
0.44 (ostriche)
4.4 (mitili)
n.d.
5.3 (mitili)
16 (ostriche)
0.56 (mitili)
n.d.
0.31 (mitili)
0.9 (ostriche)
2.7 (mitili)
n.d.
2.5 (mitili)
38 (ostriche)
0.042 (mitili)
n.d.
0.030 (mitili)
0.039 (ostriche)
0.23 (mitili)
n.d.
0.25 (mitili)
0.22 (ostriche)
7 (mitili)
14 (ostriche)
35 (mitili)
25 (ostriche)
0.27 (mitili)
0.66 (ostriche)
30 (mitili)
n.d.
33 (mitili)
n.d.
29 (mitili)
21 (vongole)
520 (ostriche)
n.d. dati non disponibili
N.B. Tutti i valori sono riferiti alla matrice fresca. Il prelievo dei mitili è avvenuto sulla colonna d’acqua, mentre
vongole ed ostriche sono state raccolte nel sedimento.
NOTA: i risultati di questa tabella indicano che i mitili e le vongole raccolti in prossimità della zona industriale (AREA 1)
sono mediamente più contaminati rispetto a quelli raccolti in altre zone, secondo un fattore variabile da 2 a 10 volte. Va
segnalata inoltre l’elevata contaminazione delle ostriche prelevate sul fondale marino antistante il litorale del Lido. In tali
organismi sono stati registrati, per alcuni inquinanti, valori di contaminazione nettamente superiori a quelli presenti nelle
vongole raccolte nel tratto lagunare antistante la zona industriale. Tale risultato, oltreché dalla contaminazione del fondale,
potrebbe dipendere da una diversa capacità di accumulo dei due tipi di organismi.
120
Legambiente - Mare monstrum 2002
Fornita dunque un’idea, peraltro incompleta, della situazione esistente
va poi ricordato con quali modalità viene esercitata la pesca dei molluschi.
L’attività avviene a bordo di imbarcazioni che utilizzano diverse tecniche. Le
imbarcazioni di maggiori dimensioni utilizzavano dapprima il sistema del c.d.
turbosoffiante, costituito da una sorta di grosso aspirapolvere che risucchia i
molluschi devastando in modo irreparabile i fondali, come può osservarsi in
alcune foto aeree che evidenziano la presenza di lunghi solchi sotto la
superficie delle acque. A questo sistema, che elimina praticamente ogni forma
di vita vegetale ed animale nel sedimento lagunare, si è poi sostituito quello
analogo e asseritamente meno dannoso del “rastrello vibrante”, tuttora in uso.
Altra tecnica di pesca, non meno pericolosa per i fondali, è quella della
“rasca” o “giostra” effettuata con i c.d. barchini. Si tratta di imbarcazioni molto
piccole (poco più di 4 – 5 metri) e leggere dotate di un potente motore
fuoribordo (spesso anche di 200 Hp) e talvolta di radar, modificate mediante
l’apposizione di un braccio trasversale con due supporti laterali ai quali
vengono applicati altri due motori fuoribordo di minore potenza. Questi piccoli
motori vengono montati in modo tale che le eliche possano girare toccando il
fondo e smovendo così il sedimento lagunare. Una gabbia di ferro (la “rasca”)
viene trascinata dall’imbarcazione in movimento e raccoglie le vongole.
Anche in questo caso è facile intuire quali conseguenze subisca il fondo
della laguna.
Ma, come accennato in precedenza, l’attività di pesca non determina
soltanto la progressiva distruzione dei fondali poiché costituisce quasi sempre
un vero e proprio attentato alla salute dei consumatori. Vediamo perché.
Quasi mai le imbarcazioni che esercitano la pesca abusiva svolgono la
loro attività nelle aree destinate a tale scopo. Le zone preferite sono infatti
quelle in cui la pesca è vietata perché interessate da vasti fenomeni di
inquinamento. Non è raro vedere, passando sul ponte che collega Mestre a
Venezia, numerosi barchini “al lavoro” in prossimità degli scarichi industriali
di Marghera.
Le vongole così pescate non sono, ovviamente, sottoposte ad alcun
controllo di carattere sanitario e, seppure lo fossero, il controllo riguarderebbe
solo parametri presi in esame dalle indagini di routine (ad esempio quelli
relativi ai coliformi) e non anche quelli tesi ad individuare le sostanze presenti
nelle acque dell’area industriale che, per fortuna, non si trovano normalmente
nei prodotti destinati all’alimentazione umana.
Il pescato viene quasi sempre immesso sul mercato nazionale attraverso
canali paralleli a quelli della normale distribuzione dei prodotti utilizzando,
molto spesso, documentazione sanitaria di accompagnamento contraffatta.
E’ un grossissimo guadagno “in nero” per i pescatori abusivi che
traggono così notevoli vantaggi da questa attività incuranti del danno che
arrecano agli ignari consumatori. Secondo una stima approssimativa della
Guardia di Finanza, ogni camion di vongole pescate abusivamente frutta un
121
Legambiente - Mare monstrum 2002
guadagno conseguente all’evasione della sola I.V.A. pari a circa 150 - 200
milioni di lire.
Le cifre ricavate dalla vendita al dettaglio sono ancora più elevate e
parlano da sole. Possono essere citati, a titolo di esempio, i dati relativi ad
un’operazione del Nucleo Antisofisticazione dei Carabinieri di Treviso.
In un procedimento che vede coinvolte poco più di dieci persone per
una serie di reati connessi alla pesca abusiva delle vongole, poi distribuite per il
consumo con documentazione sanitaria falsa costituita da bollettari recanti un
timbro oggetto di furto in danno di una USL o, in altri casi, recanti l’impronta
di altro timbro ULS falsificato, si è calcolato che in un periodo di pochissimi
mesi sono stati commercializzati - lo si ripete, soltanto da una decina di
persone - oltre 600.000 Kg di vongole per un corrispettivo di circa due miliardi
e cinquecento milioni di lire proveniente dalla vendita al dettaglio!
L’operazione condotta dai NAS, per quanto importante, rappresenta
solo una parte quasi insignificante nel giro complessivo di affari dei c.d.
caparozzolanti.
Il ricavato di queste attività illecite è talmente elevato che, nonostante il
sistema delle bolle contraffatte sia stato scoperto, i pescatori abusivi
continuano imperterriti ad utilizzarlo come dimostrano le decine di denunce
provenienti anche da province limitrofe ed i recenti arresti per associazione a
delinquere ai quali la stampa nazionale ha dato ampio risalto.
Questa attività illecita, che rappresenta un danno evidente non solo
economico ma anche di immagine per i pescatori “regolari”, non viene
esercitata soltanto la notte quando i controlli sono resi più difficoltosi dalla
scarsa visibilità, ma anche senza particolari problemi anche durante il giorno.
Spesso gruppi organizzati di pescatori dispongono di “vedette” munite
di apparecchi radio o cellulari per dare l’allarme in caso di intervento delle
forze dell’ordine ed i barchini, in particolare, grazie ai potentissimi motori
utilizzati ed alla conoscenza della laguna di chi li conduce possono sfuggire
agli inseguimenti rifugiandosi sulle numerose secche dove le imbarcazioni
delle forze di polizia non possono raggiungerli.
Forse l’indifferenza al problema o, peggio, la tacita comprensione delle
autorità preposte ai controlli ha per lungo tempo consentito lo sviluppo
incontrollato di questo fenomeno che solo da pochi anni riceve la dovuta
attenzione con interventi decisi da parte delle forse di polizia e della
magistratura.
Va poi precisato che gli interventi delle forze dell’ordine non
presentano facilità di esecuzione non solo per le ragioni in precedenza
illustrate, ma anche perché l’area da controllare è particolarmente vasta e,
molto spesso, l’intervento non può essere portato a termine con successo se
non con l’appoggio determinante degli elicotteri.
A rendere ancor più difficoltosi i controlli contribuisce anche la
assoluta mancanza di rispetto delle regole da parte degli equipaggi delle
imbarcazioni e dei loro familiari i quali assumono atteggiamenti non solo di
sfida alle autorità, ma anche estremamente violenti.
122
Legambiente - Mare monstrum 2002
Per dare un’idea di cosa può succedere quando l’intervento delle forze
dell’ordine – come spesso avviene – comporta non solo il sequestro del pescato
e degli attrezzi (di valore contenuto) utilizzati per la pesca, ma anche
dell’intera imbarcazione, è sufficiente ricordare alcuni episodi di cronaca.
Uno dei più significativi avvenne qualche anno fa a seguito del
sequestro di un “turbosoffiante” che pescava in zona di divieto in ore notturne.
L’imbarcazione, sequestrata dal personale intervenuto, venne collocata presso
la Capitaneria di Porto, dunque in zona militare. Immediatamente, in piena
notte, si radunarono sul posto altri pescatori unitamente a loro familiari
nonostante la distanza tra le isole ove gli stessi risiedono ed il luogo dove si
trovava l’imbarcazione in sequestro. La Capitaneria venne assaltata da un
numero considerevole di persone ed i locali vennero letteralmente devastati
(furono distrutte le suppellettili, divelti i termosifoni, e compiuti altri atti di
vandalismo).
Il fatto fu talmente grave che il Procuratore Generale di Venezia ritenne
di doverlo ricordare nella relazione sull’amministrazione della giustizia
presentata il 15 gennaio 2000 in occasione della inaugurazione dell’anno
giudiziario (pag. 13).
Sempre in quell’occasione vennero ricordati altri episodi più recenti,
pure verificatisi sempre in occasione di interventi delle forze dell’ordine.
Si fece così riferimento agli innumerevoli atti di resistenza e tentativi di
speronamento da parte dei pescatori abusivi ed, ancora, ad un altro
significativo episodio avvenuto nell’isola di Pellestrina, una delle roccaforti dei
pescatori abusivi.
Si doveva, infatti, procedere al sequestro di 84 imbarcazioni
“turbosoffianti” disposto dal G.I.P. per violazione dell’articolo 1231 del codice
della navigazione, trattandosi di imbarcazioni che – per la presenza di
caratteristiche costruttive particolari non erano in possesso dei requisiti in tema
di sicurezza della navigazione.
L’operazione, pianificata da tempo dalla Prefettura e dalla Questura,
vide impegnati oltre 300 uomini appartenenti alla Polizia di Stato, la Guardia di
Finanza e l’Arma dei Carabinieri provenienti anche da altre parti d’Italia.
Nonostante l’imponente spiegamento di forze, i pescatori ed i loro familiari
scatenarono una vera e propria azione di guerriglia urbana consentendo ai
pescherecci di mollare gli ormeggi e prendere il largo.
Vennero sequestrate solo 4 imbarcazioni su 84, mentre gli altri
pescherecci dell’isola formarono un blocco navale che impedì alle
imbarcazioni delle forze dell’ordine di rientrare nelle sedi di appartenenza
(dovettero farlo uscendo in mare aperto ed aggirando, con un lungo percorso, il
blocco che interessava l’area lagunare).
I sequestri vennero effettuati solo nei giorni successivi.
Spesso i “barchini” – forti del loro numero – occupano
minacciosamente lo specchio d’acqua antistante la Stazione Navale della GdF
nell’isola della Giudecca, praticamente di fronte a San Marco, quale reazione al
123
Legambiente - Mare monstrum 2002
sequestro di un natante dopo aver praticamente inseguito fino alla base
l’imbarcazione militare che li aveva precedentemente sorpresi.
Il Procuratore Generale di Venezia, nella relazione di cui si è detto, così
commentava questi avvenimenti: “Tali episodi, che richiamano altri
particolarmente violenti che hanno visto protagonisti in Puglia gruppi di
contrabbandieri, sono emblematici di una certa cultura dell’illegalità e delle
conseguenze cui porta. Sottrarsi ripetutamente con tali modalità all’Autorità
delle decisioni giudiziarie è indicativo dei rilevanti guasti prodotti nel sistema
da tale “cultura”.
Non sorprenderà certo il lettore apprendere che tali affermazioni non
sono state affatto gradite dai pescatori e dai loro familiari tanto che gli stessi si
sono sentiti in dovere di rilasciare dichiarazioni fortemente critiche alla stampa
locale.
Costoro non perdono inoltre occasione per concedere interviste o
lanciare appelli attraverso i mezzi di informazione rivendicando un proprio
diritto ad esercitare la pesca con le modalità descritte e trovando talvolta,
purtroppo, anche chi ne giustifica l’operato.
Il fenomeno è stato oggetto di attenzione, anche recentemente, da parte
dei mass media in generale e, in particolare, di un noto programma televisivo
ed è assolutamente necessario che sia costantemente presente a tutti coloro che
si occupano di tutela dell’ambiente e della salute non solo perché chi svolge
l’attività illecita di pesca possa comprendere che non esistono “aree di
extraterritorialità” dove la presenza dello Stato viene avvertita come una
fastidiosa intrusione, ma anche per le gravi conseguenze che potrebbe
determinare il diffondersi di un commercio clandestino di molluschi destinati al
consumo umano senza i dovuti controlli sanitari.
Fortunatamente, l’attività di repressione esercitata (seppure con i limiti
in precedenza evidenziati) dalle forze di polizia comincia a fornire i primi
risultati. Pesanti sanzioni sono state inflitte all’equipaggio di un “barchino” che
aveva opposto resistenza ad una imbarcazione della Guardia di Finanza in
occasione di un controllo effettuando evoluzioni pericolose e diversi
speronamenti.
Oltre al reato di resistenza a pubblico ufficiale, sanzionato dall’articolo
337 C.P., in casi del genere risultano perfezionati anche gravi reati previsti dal
codice della navigazione che si aggiungono a quelli contemplati dallo stesso
codice e conseguenti alle modifiche effettuate sulle imbarcazioni per esercitare
la pesca abusiva.
Le imbarcazioni utilizzate dalle forze di polizia sono infatti qualificate
come “navi da guerra” essendo dotate dei requisiti richiesti per tale categoria di
natanti. Le attività finalizzate all’elusione dei controlli possono dunque
configurare anche l’ipotesi di resistenza o violenza a nave da guerra punita
dall’articolo 1100 con una pena da tre a dieci anni di reclusione per il
comandante della nave, ovvero il meno grave reato previsto dall’articolo 1099
(rifiuto di obbedienza a nave da guerra). Inoltre, quando i tentativi di
speronamento sono tali da impedire il galleggiamento o la regolare navigazione
124
Legambiente - Mare monstrum 2002
del natante delle forze di polizia, può anche configurarsi il reato di naufragio,
anch’esso pesantemente sanzionato.
Nell’anno in corso, per meglio contrastare il fenomeno e verificarne in
modo più incisivo la portata, la Procura della Repubblica ha organizzato il
lavoro dei magistrati in modo tale da concentrare tutti i procedimenti in capo
ad alcuni magistrati tanto per gli aspetti relativi alla pesca abusiva quanto per
quelli riguardanti l’immissione in commercio di molluschi pesantemente
inquinati. La soluzione consente, inoltre, una più meditata valutazione delle
richieste di patteggiamento e dissequestro che puntualmente pervengono dopo
l’azione delle forze dell’ordine al solo scopo di rientrare in possesso delle
costose attrezzature sequestrate per riprendere l’attività ed evitare l’onere di
gravose spese di custodia delle imbarcazioni.
Va detto, infine, che reati sopra menzionati consentono anche l’arresto
in flagranza dei responsabili ed a tale misura si è più volte fatto ricorso per
reprimere un fenomeno ormai eccessivamente diffuso e che merita, da parte di
tutti, una continua attenzione in quanto terreno fertile per possibili infiltrazioni,
sinora fortunatamente solo paventate dagli organi di stampa, da parte della
criminalità organizzata.
9.6 Tonno, un patrimonio da depredare
Davanti alle coste di Siracusa, da qualche tempo si può assistere ad una
strana processione sull’acqua. Sei rimorchiatori vanno su e giù poche miglia al
largo trascinando notte e giorno enormi gabbie piene di tonni. Non possono
fermarsi perché non hanno ancora ottenuto una concessione demaniale per
l’installazione delle gabbie e così sono costretti a navigare con il loro strano
carico, a bassissima velocità. Il sabato e la domenica l’area attorno alle gabbie
si affolla di barche di pescatori sportivi che buttano le lenze in acque dove la
presenza dei tonni richiama un gran numero di pesci. Qualche furbo è riuscito
addirittura, nottetempo, a gettare l’amo con successo anche dentro le gabbie. I
tonni all’ingrasso nelle gabbie sono l’ultima trovata della pesca al tonno, forse
la pesca più redditizia del Mediterraneo. E’ stato calcolato che ognuna delle sei
gabbie che navigano nelle acque siracusane frutta ai proprietari, una società
siculo-giapponese, circa 50 miliardi di vecchie lire. In Spagna ci sono già 40
gabbie per l’ingrasso dei tonni (m.50x70) mentre altre ne sono state realizzate
in Marocco, Croazia e Malta. Il nostro Paese sta provvedendo. Il tonno, una
volta ingrassato, arriva sul mercato di Tokio spuntando prezzi superiori al
milione di lire al chilo. Chi non si è attrezzato con le gabbie vende il pescato
alle navi giapponesi, taiwanesi o coreane che stazionano nel Mediterraneo, lo
acquistano in acque internazionali pagandolo da 12$ ad oltre 26$ al chilo, per
gli esemplari meno traumatizzati. La preparazione sapiente dei macellatori
giapponesi e il viaggio in aereo fino a Tokio riesce insomma a moltiplicare il
valore del tonno anche per cinquanta volte.
125
Legambiente - Mare monstrum 2002
Nelle vecchie tonnare costiere, quelle di Favignana o di Carloforte, la
cattura dei tonni e la relativa mattanza è ormai solo una messa in scena per
turisti annoiati e dallo stomaco forte. In realtà sono pochissimi i tonni che
dall’Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra, riescono ad arrivare fino alle
coste di Sicilia e Sardegna. La prima pesca la fanno gli aerei che intercettano i
branchi di tonni al largo, ne segnalano la posizione alle tonnare volanti che
stendono le grandi reti a circuizione. Cattura e vendita avvengono al largo, in
acque internazionali, con buona pace dei tentativi di regolamentazione di
questo tipo di pesca.
Qualche anno fa la Commissione Europea (obbligata dall’ICCAT,
l’organismo della Fao per la conservazione dei tunnidi) adottò per il tonno la
politica delle quote, nel tentativo di salvaguardare lo stock del tonno rosso.
Sulla base dei dati prodotti dagli stessi pescatori l’UE assegnò alle
imbarcazioni italiane un tetto massimo di 5000 tonnellate ritenendo che quella
fosse la capacità di pesca della nostra flotta, salvo poi scoprire, secondo stime
più verosimili, che i pescatori tiravano su in realtà oltre 12.000 tonnellate di
tonno. E lo sforzo di pesca sul tonno del Mediterraneo continua ad aumentare e
del resto non potrebbe essere altrimenti, dal momento che i Paesi tenuti a
rispettare le norme comunitarie sono solo 4 dei 22 che si affacciano sul bacino
del Mediterraneo: la flotta tunisina nel giro di qualche anno è passata da 10 a
80 tonnare, la Turchia ha riconvertito alla pesca del tonno i ciancioli utilizzati
per le acciughe, in Marocco proliferano le società miste che utilizzano le reti
derivanti per la cattura dei tonni. Fuori dalle norme ICCAT anche la pesca
praticata dai Paesi terzi, Corea, Taiwan, Belize, Panama, ecc., che seguono i
branchi di tonni con le grandi navi palangriere o da trasporto. I giapponesi
stendono normalmente due palangari in parallelo lunghi oltre 100 chilometri,
spesso oggetto di furti del pescato da parte di imbarcazioni italiane e maltesi
che, in classico stile levantino, recuperano i tonni e provvedono a rivenderli ai
derubati. Nella pesca del tonno ci sta anche questo.
La vicenda del tonno è emblematica: lo stock del tonno è una risorsa
comune per tutti i Paesi del Mediterraneo, ma i tentativi di gestione della
risorsa vengono praticati solo da pochi Paesi. La politica delle quote ha
difficoltà reali d’applicazione. I controlli cartacei vengono elusi facilmente, è
difficile controllare quello che avviene al largo, senza considerare l’impatto
ambientale che le gabbie pare stiano generando. Se c’era bisogno poi di una
conferma sui problemi della politica delle quote, basterebbe andare a vedere
cosa è successo nei Mari del Nord con merluzzo e baccalà per i quali,
nonostante i drastici tagli dello sforzo di pesca, si parla di almeno dieci anni
prima di poter recuperare i danni subiti dagli stocks. Come è già accaduto per il
pesce spada, l’estrema specializzazione verso un tipo di pesca porta alla
progressiva diminuzione della risorsa.
La confusione sopra il mare insomma è grande, ma la situazione non è
affatto eccellente. La politica di quote e demolizione per ridurre lo sforzo di
pesca praticata dall’UE diminuisce le flotte, ma non intacca la capacità di
pesca. E del resto non poteva essere altrimenti per strumenti di gestione che
126
Legambiente - Mare monstrum 2002
sono stati trasferiti tal quali dai Mari del Nord al Mediterraneo senza tararli
sulle specificità e le caratteristiche delle flotte mediterranee.
9.7 Il cianciolo, una strage a norma di legge
Nei primi mesi dell’anno è stato fatto passare in sordina un
provvedimento vergognoso che rischia di danneggiare in modo gravissimo
l’ecosistema marino, soprattutto le praterie di posidonia,
nonché
compromettere seriamente l’economia di molte zone costiere d’Italia, in cui si
vive di piccola pesca praticata con attrezzi artigianali. Si tratta di un
provvedimento del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che
consentirà di pescare con un tipo specifico di rete a circuizione anche
sottocosta, fino ai 30metri di profondità, provocando gravi danni ai fondali
marini. In breve, nel nostro paese esiste una legge che dal 1965 vieta la pesca
con le reti a strascico, le sciabiche o reti analoghe fino ai 50 metri di
profondità. In questa norma rientra anche un tipo di pesca a circuizione detta
con il cianciolo, una grande rete che può arrivare a misurare 800 metri
lunghezza e 300 metri di altezza, usata per la pesca dei banchi di pesce
pelagico in mare aperto. In Italia, e in particolare nel napoletano, questo tipo di
pesca viene effettuata anche sottocosta, adagiata sul fondo con l’ausilio di pesi
e catene, e quando il sacco viene chiuso imprigiona tutta la colonna d’acqua
dalla superficie al fondale e ara il fondo come una rete a strascico. Questa
pratica è altamente distruttiva per i fondali, - le praterie di Posidonia oceanica
vengono danneggiate in modo gravissimo - affatto selettiva per il tipo di specie
pescata e grazie al provvedimento voluto dal Ministero delle Politiche
Agricole, diventerà legale. La “trovata” del Ministero è stata quella di applicare
una normativa europea che consente questo tipo di pesca fino ai 30 metri, con
la motivazione che la normativa comunitaria prevale sempre su quella
nazionale. Motivazione priva di ogni senso, perché essendo la legge nazionale
più restrittiva e migliorativa per la tutela dell’ambiente di quella europea, in
realtà il Ministero non aveva nessun obbligo ad emanare questa nuova norma.
Nasce forte il sospetto che si tratti di un “favore” per compiacere l’interesse di
pochi, con scarso interesse alle gravi conseguenze dei danni all’ambiente e
delle persone.
9.8 L’allarme diossina
La valutazione qualitativa e quantitativa della presenza di sostanze
chimiche contaminanti e di altri materiali di origine antropica nei prodotti ittici
rappresenta uno degli aspetti emergenti da tenere sotto osservazione in
un’ottica di controllo e certificazione della qualità dei prodotti del mare e
dell’acquacultura. Studi recenti evidenziano come differenti tecniche di
allevamento ed ambienti marini caratterizzati da livelli diversi di inquinamento
127
Legambiente - Mare monstrum 2002
determinano condizioni di bioaccumulo di sostanze inquinanti nei tessuti. In
particolare è proprio l’alimentazione attraverso mangimi artificiali e trattamenti
con ormoni e farmaci a rappresentare uno dei fattori in gradi di condizionare la
qualità del pesce. Secondo uno studio dell’Università di Siena, le analisi sui
pesci italiani dicono che i valori di tossici equivalenti alla diossina nel
Mediterraneo sono bassi, mentre è evidente che l’emergenza riguarda
prevalentemente i prodotti provenienti dai Mari del Nord, dove i dati mostrano
presenza di sostanze inquinanti molto superiori a quelle della nostra penisola.
Il discorso cambia se si prendono in analisi le grandi specie pelegiche
(tonni e pesce spada) che per le grandi dimensioni che raggiungono e per le
loro caratteristiche alimentari predatorie sono le specie più a rischio diossina e
PCB. Recenti studi sulle specie ittiche del Mediterraneo dimostrano infatti che
in queste due specie sono state trovate notevoli quantità di queste sostanze
inquinanti, (da 990 a 2070 pg/kg p.f nei tonni e da 1470 a 1660 pg/kg p.f. nei
pesce spada) tanto che si consiglia di non superare un assunzione settimanale
superiore ai 500g di prodotto fresco (la quantità di assunzione tollerata per
settimana secondo l’Organizzazione mondiale della sanità è di 700pg per donne
di 50Kg e di 1120pg per uomini di 80 Kg di peso).
9.9 Allevamento ittico, una fotografia a chiaro scuri
La stragrande maggioranza di pesce consumato sulle nostre tavole
proviene dagli allevamenti. Ma si può davvero essere sicuri del pesce che
finisce nei nostri piatti? Quali sono le garanzie per i consumatori di non
trovarsi a mangiare una bella spigola, allevata ad antibiotici, nutrita con
mangimi di dubbia provenienza e cresciuta in vasche pulite con sostanze
tossiche, se non addirittura cancerogene? Se è vero, infatti, che la produzione
italiana per la maggior parte è garantita, altrettanto non si può dire per quella
che arriva dall’estero - più del 60% del pesce che finisce sulle nostre tavole dove regna, soprattutto negli allevamenti dei paesi extra-europei una totale
deregulation. Per scongiurare il rischio di una nuova emergenza alimentare, è
necessario che il nostro Paese si doti perciò urgentemente di una normativa più
rigorosa e precisa per garantire la sicurezza dei consumatori. Da una legge che
non ammetta frodi e sofisticazioni, ad una sorta di “vademecum del buon
allevamento” per certificare ogni passaggio della filiera produttiva, dalla
preparazione del mangime all’arrivo del prodotto sui banchi di vendita..
L’import di prodotti ittici
Si stima che una quota superiore al 60% dei prodotti ittici arrivi da oltre
frontiera. In cifre questo vuol dire che nel primo semestre del 2001 sono state
importate più di 400mila tonnellate di pesce, provenienti per più del 56% dai
paesi dell’UE (Spagna, Danimarca, Olanda, Francia, Grecia, Regno Unito e
Germania) e per il restante 44% (più di 177mila tonnellate) da altri paesi fra cui
Argentina, Marocco, Thailandia e Colombia.
128
Legambiente - Mare monstrum 2002
E’ nell’importazione, soprattutto quella dai paesi extra-europei, che
risiede il rischio maggiore per il pesce che consumiamo sulle nostre tavole. La
garanzia di un prodotto “di qualità” in questi casi è assolutamente aleatoria e il
rischio per il consumatore italiano, risiede proprio nel fatto che al momento
dell’acquisto, nella maggioranza dei casi, non è assolutamente possibile
distinguere il prodotto nostrano da quello proveniente da altri paesi.
Ma quali sono i maggiori rischi evidenziati? In primo luogo, in molti
dei paesi extra-europei importatori vige un regime da far-west, in cui è
consentita qualunque frode, purché venga garantito il profitto economico.
Alcuni esempi:
- si utilizzano antibiotici nella fase larvale del pesce che conseguentemente
finiscono nel piatto del consumatore;
- per la disinfestazione delle vasche vengono adoperate sostanze tossiche o
addirittura cancerogene come il furaltadone, il furazolidone (sostanze
potenzialmente tossici), il verde malachite (nocivo per esposizione acuta,
presenta gravi rischi per la salute se ingerito, inalato o portato a contatto
con la pelle), la formalina. Anche in questo caso la catena alimentare porta
queste sostanze direttamente dalle carni del pesce al piatto di chi mangia;
- negli impianti di maricoltura per la protezione delle reti vengono utilizzate
vernici antifouling, che contengono stagno, altri metalli pesanti e PCB,
Policlorobifenile (cancerogeno)
- si utilizzano mangimi scadenti, in alcuni casi vere e proprie concentrazioni
di veleni.
Provenienza delle principali specie di importazione dell’acquacoltura
Spigole ed orate dalla Grecia, Turchia, Malta e Tunisia
Salmone dalla Norvegia, Scozia e Cile
Mitili dalla Spagna e dalla Grecia
Ostriche dalla Francia
Cozze dalla Grecia e dell’Albania
La situazione italiana
La garanzia dei prodotti ittici allevati nel nostro paese arriva
principalmente dall’autocontrollo da parte delle cooperative di pescatori. Non
solo, grazie all’introduzione della normativa Haccp destinata a tutti i produttori
(Analisi del Rischio e Controllo dei Punti Critici) periodicamente gli impianti
di maricoltura e pescicoltura vengono sottoposti alle ispezioni da parte delle
Asl locali, dei Nas che una volta l’anno controllano i mangimi, dei Laboratori
di Igiene e profilassi che due volte l’anno controllano le acque reflue.
Ma la buona volontà e lo spontaneismo dei produttori non bastano. Nel
nostro paese, infatti, ancora non esiste una reale garanzia per fermare la frode e
le incertezze e il potenziale di rischio legati all’emergenza alimentare,
dimostrano che non è possibile abbassare la guardia. Attualmente in Italia non
esiste una legge in materia. E’ perciò urgentissimo che si istituisca un quadro
normativo preciso e rigoroso che fissi, senza possibilità di deroga, quelle
129
Legambiente - Mare monstrum 2002
norme di sicurezza e garanzia irrinunciabili. Attraverso il rafforzamento dei
sistemi di prevenzione ed un controllo esteso a tutta la catena produttiva,
attraverso procedure di tracciabilità del prodotto, attraverso l’etichettatura di
origine e adeguate clausole di cautela.
Allo stato attuale l’unico provvedimento in tal senso riguarda l’utilizzo
di farine animali ed è previsto nell’emendamento alla Legge Finanziaria a
favore dell’agricoltura biologica, approvato alla camera lo scorso novembre.
Nell’emendamento si stabilisce che gli animali da allevamento devono essere
nutriti compatibilmente con l’alimentazione naturale ed etologica della singola
specie, e pertanto ai pesci vanno somministrate solo farine di pesce.
Le regole del buon allevamento
E’ necessario istituire una piattaforma su cui impostare una normativa
rigorosa in materia di allevamento ittico e che garantisca al consumatore
l’acquisto di un prodotto sano e garantito e, soprattutto, scongiuri il rischio di
un’emergenza alimentare. Le linee guida dovrebbero ricalcare quelle del codice
FAO dell’acquacoltura responsabile. In particolare:
- certificare e controllare ogni passaggio della filiera produttiva, dalla
preparazione del mangime all’arrivo del prodotto sui banchi di vendita;
- vietare l’utilizzo di qualunque sostanza o procedura nell’allevamento
pericolosa per la salute del consumatore (antibiotici, sostanze tossiche,
vernici antifouling, etc);
- utilizzo di mangimi selezionati e di cui si conosca la provenienza e la
produzione;
- imporre la riconoscibilità del prodotto nazionale, attraverso l’etichettatura
del pescato;
- garantire la catena del freddo (+4° costanti) dal momento della pesca, al
trasporto, fino a quello della vendita;
- per la tutela dell’ambiente impedire l’introduzione di specie alloctone, che
rischiano di compromettere l’ecosistema marino ed imporre la VIA
(Valutazione di Impatto Ambientale) per la realizzazione degli impianti di
maricoltura.
Prodotti ittici a rischio: come difendersi
La repressione del fenomeno della vendita abusiva di prodotti ittici
resta la strategia principale ma deve essere necessariamente accompagnata
dall’informazione e la profilassi per combattere la diffusione del virus
dell’epatite e di malattie gastroenteriti ed intossicazione alimentari. L’invito ai
consumatori resta sempre quello di diffidare dalle rivendite abusive e di
affidarsi solo a commercianti di fiducia. Recentemente si è molto parlato di
etichettatura del pesce per certificare la provenienza del prodotto e garantire la
salute dei consumatori. La lodevole iniziativa del Ministero delle Politiche
Agricole, a parte il merito di aver riempito le pagine dei giornali, desta qualche
perplessità sulla reale efficacia per la garanzia dei consumatori. Sull’etichetta,
infatti, vengono indicate soltanto il nome della specie, se il prodotto è di
130
Legambiente - Mare monstrum 2002
allevamento o pescato in mare libero, la zona di provenienza in modo
assolutamente generico: Italia se si tratta di allevamento, Mediterraneo se si
tratta di pescato. Come, da queste specifiche si possano evincere delle garanzie
di qualità e di freschezza del pesce rimane un mistero, affiancato però alla
speranza che questa iniziativa sia solo un primo passo e non un’occasione
mancata.
Il fenomeno della vendita abusiva si intensifica con l’arrivo dell’estate e nelle
prossimità delle festività natalizie.
Legambiente propone un piccolo
vademecum per i consumatori per un acquisto all'insegna della sicurezza
alimentare:
1) in prossimità dell’estate, venditori di cozze ed altri mitili sorgono come
funghi, si moltiplicano e ne trovi uno ad ogni angolo La prima regola è non
comprare mai frutti di mare da rivenditori che non conoscete. Rivolgetevi solo
alle vostre pescherie di fiducia e diffidate dell’aspetto sano( per farle diventare
lucide basta un po’ d’acqua).
2) i mitili devono essere acquistati nelle reti con etichettatura e devono essere
muniti di bollo sanitario che va conservato per 60 giorni;
3) i mitili vanno sempre consumati cotti, con una cottura di almeno 15 minuti;
evitare di mangiare cozze che rimangono chiuse dopo la cottura; odorare il
frutto di mare prima di acquistarlo. Ricordatevi che il limone non disinfetta i
frutti di mare crudi e non salva da infezioni pericolose;
4) spigole, orate devono avere branchie rosso vivo, devono avere aspetto
lucente, l'occhio vivo;
5) non comprare e ordinare al ristorante piatti con datteri di mare: è fuori legge
e per pescare la quantità di datteri di mare necessaria per preparare tre piatti di
linguine un metro quadrato di fondale marino viene ridotto a deserto roccioso
privo di qualsiasi forma di vita.
131
Legambiente - Mare monstrum 2002
10. Il mare inquinato
Un dato in contro tendenza quello sui reati per inquinamento del mare
(erano stati 2.616 nel 2000 e sono diminuiti a 602 nel 2001) rispetto al quadro
generale delle illegalità in Italia. Questo risulta dalle elaborazioni di
Legambiente sui dati delle forze dell’ordine e delle Capitanerie di porto.
La Sicilia sale al primo posto anche in questa classifica, con 165 reati,
spodestando la Calabria che “vanta” 110 infrazioni accertate. Grande balzo in
avanti della Liguria (dall’ottavo posto del 2000 sale sul podio nel 2001) e del
Lazio in quarta posizione che nella classifica precedente era invece decimo.
Scendono invece di diverse posizioni la Puglia, l’Abruzzo e le Marche.
LA CLASSIFICA DEL MARE INQUINATO NEL 2001
Regione
Infrazioni Persone denunciate Sequestri
accertate
o arrestate
effettuati
165
110
5
1
Sicilia ↑
110
113
20
2
Calabria ↓
68
42
0
3
Liguria ↑
52
44
9
4
Lazio ↑
46
48
4
5
Sardegna ↔
40
35
6
6
Campania ↓
36
36
0
7
Toscana ↑
17
17
0
8
Puglia ↓
16
11
4
9
Friuli Venezia Giulia ↑
14
14
0
10
Emilia Romagna ↑
13
10
2
11
Veneto ↔
11
10
0
12
Abruzzo ↓
9
9
0
13
Marche ↓
5
5
0
14
Molise ↔
0
0
0
15
Basilicata ↔
Totale
602
504
50
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Comando Carabinieri tutela ambiente,
Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e regionale e Capitanerie di
porto.
132
Legambiente - Mare monstrum 2002
10.1 I dati del Ministero della Salute sulle acque di balneazione
All’inizio del mese di maggio, come ogni anno, il Ministero della
Salute ha presentato il Rapporto annuale sulla qualità delle acque di
balneazione, valido per la stagione balneare di quest’anno. Dei 7.375 km totali
ne risultano balneabili 5017,1, pari al 68%. Analizzando i singoli dati
l’aumento della costa balneabile di quest’anno rispetto all’anno precedente
(5017 contro i 4842,6 del 2001) non è dovuto ad un miglioramento della
qualità delle acque, ma semplicemente ad un aumento dei controlli: la
percentuale della costa balneabile rispetto al totale della costa controllata si
attesta intorno al 97,5% (97,3% nell’anno scorso). Sono invece 400,5 i km di
costa che risultano inquinati, rappresentando un rischio per la salute dei
bagnanti. 269,7 di questi lo sono in maniera permanente tanto che su di essi
non viene più fatto alcun tipo di monitoraggio.
Esaminando i dati a livello regionale, ancora una volta la “maglia nera”
spetta alla Campania, come regione con la maggiore percentuale di chilometri
costieri non idonei alla balneazione per inquinamento (84,1km, pari al 17,9%),
seguita dal Lazio (36,15km, pari al 10%). Tra le province, la più inquinata è
Caserta con il 47,5% di costa non balneabile, seguita da Napoli (22,9%) e
Roma con il 16,2%.
Nel 2001 circa 129 km di costa sono risultati balneabili facendo ricorso
alla deroga per quanto riguarda i limiti della percentuale di saturazione
dell’ossigeno disciolto (regioni Sardegna, Veneto, Emilia-Romagna, Marche,
Toscana e Lazio), registrando una diminuzione rispetto ai circa 250 km
dell’anno scorso, determinata soprattutto dai 140km in meno della costa sarda.
Come punti negativi riguardo al ricorso alla deroga di questo parametro, è da
registrare che l’anno passato la Toscana non aveva richiesto tale deroga, che
invece quest’anno ritorna per 2,2 km della costa lucchese, e che il Lazio
aumenta i km di costa complessivi che fanno ricorso a tale deroga, pari a 23,2
nella sola provincia di Roma (nella stessa l’anno scorso erano 4,4), la costa
soggetta a deroga aumenta anche nelle Marche e nel Veneto (di circa 1 km in
entrambi i casi).
E’ da chiedersi ancora una volta il senso delle continue deroghe che ad
inizio di ogni stagione balneare vengono date ad alcune regioni. Sembra
mancare del tutto la consapevolezza che per dare un futuro alla vocazione
balneare dell’Italia, bisognerebbe concedere meno deroghe e impegnarsi di più
per migliorare davvero la qualità ambientale delle coste, delle spiagge, del
mare. Sarebbe inoltre molto utile capire quali sono le principali cause
dell’inquinamento delle coste, e quindi oltre a fare i campionamenti delle acque
di mare, è necessario avere il quadro di cosa succede nell’entroterra. Questo è
stato l’approccio utilizzato dalla scorsa Commissione sulle acque di
balneazione (decaduta a settembre 2000) che ha portato alla redazione e
all’inserimento nel rapporto annuale sulle acque di balneazione anche di un
resoconto delle acque interne, della depurazione ecc. , di cui non c’è più traccia
nel rapporto del Ministero.
133
Legambiente - Mare monstrum 2002
Tali rapporti ambientali, di relazione tra i dati sulla qualità delle acque
di balneazione e le pressioni antropiche presenti sul territorio, sono peraltro
necessari per le azioni di risanamento già previsti dal testo unico sulle acque
152/99, e rientrano nelle indicazioni della commissione europea di revisione
della direttiva comunitaria sulla qualità delle acque di balneazione, in quanto
strumenti utili anche ai fini della tutela delle acque a scopo ricreativo.
A partire da quest’anno è in vigore l’art.17 della legge 422 del
dicembre 2000, che prevede alcune modifiche al Dpr.470/82, rese necessarie
per rendere il nostro ordinamento omogeneo alla direttiva comunitaria
d’origine. Le principali modifiche riguardano la definizione della qualità delle
acque di balneazione e il numero di prelievi minimi da effettuare nell’arco di
tempo dei sei mesi previsti come periodo di riferimento, in pratica i 12 prelievi
divengono il minimo possibile, per cui attualmente non è possibile rivedere il
giudizio di balneabilità del Rapporto del Ministero durante la stagione balneare
in corso.
In base a questa legge di modifica le competenze dei controlli della
qualità delle acque di balneazione passano alle Agenzie regionali di protezione
ambientale (che non esistevano al momento della stesura del Dpr.470/82).
Inoltre, tale legge risulta maggiormente restrittiva, in particolare:
l’art. 7 è completamente sostituito e non esiste più la possibilità
di definire un punto “temporaneamente non balneabile” e durante la stagione
balneare in corso in caso di risultati sfavorevoli, non esiste più la chance dei 5
prelievi consecutivi favorevoli, infatti nel caso in cui : “i risultati dei campioni
routinari prelevati in uno stesso punto dimostrino la non idoneità alla
balneazione con un numero di campioni non conformi superiori ad un terzo di
quelli effettuati, la zona interessata dovrà essere vietata alla balneazione”.
La zona sarà nuovamente aperta alla balneazione qualora, rimosse la
cause di inquinamento, i campioni effettuati negli ultimi sei mesi (anche a
cavallo di due stagioni balneari ) diano esito favorevole.
qualora i parametri coliformi totali e coliformi fecali superino i
valori di 10.000/100ml e 2000/100 ml, la percentuale dei campioni conformi
per detti parametri è aumentata al 95 per cento (anziché all’80 %);
se nella stagione balneare precedente sono stati effettuati
campionamenti in numero inferiore a quelli minimi previsti, la zona dovrà
essere vietata alla balneazione e il divieto potrà essere rimosso solo a seguito
dell’esito favorevole di analisi eseguite per un intero periodo di
campionamento.
Particolarmente importante è l’inserimento degli obblighi per le
Regioni di adottare misure di miglioramento, nel rispetto delle disposizioni del
decreto legislativo 152/99 (con obbligo di comunicazione al Ministero
dell’Ambiente ogni anno), quindi non è più possibile vietare in maniera
permanente alla balneazione tratti di costa per inquinamento, ma è necessario
rimuovere i fattori d’impatto che ne hanno determinato la non balneabilità.
134
Legambiente - Mare monstrum 2002
RAPPORTO QUALITA’ DELLE ACQUE DI BALNEAZIONE
REGIONE
PROVINCIA
Imperia
Savona
Genova
La Spezia
LIGURIA
Forlì
Ravenna
Ferrara
Rimini
EMILIA
ROMAGNA
Rovigo
Venezia
VENETO
Udine
Gorizia
Trieste
FRIULI
VENEZIA
GIULIA
Massa
Carrara
Lucca
Pisa
Livorno
Grosseto
TOSCANA
Viterbo
Roma
Latina
LAZIO
Chieti
Pescara
Teramo
ABRUZZO
Campobasso
COSTA TEMP.
VIETATA PER
INQUIN.
(KM)
COSTA
PERMAN.
VIETATA PER
INQUIN. (KM)
COSTA NON
CONTROLLATA O INSUFF.
CAMPIONATA
(KM)
COSTA
CON
DEROGHE
(KM)
COSTA
BALNEABILE (KM)
3,1
2,2
5,0
0.4
10,7
0.0
0.0
0.0
0.3
0.3
0.0
0.0
0.8
0.3
1.1
0.2
2.0
0.0
0.5
2.7
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
1,5
6,5
16.3
0.0
24,3
54.0
69,0
77,3
76.2
276,5
8,8
36,3
21,8
32,1
99,0
0,0
3,4
3,4
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
13.6
0.0
13.6
0.0
0.0
0.0
0.0
13,6
89,5
103,1
12.5
25.3
24.6
62.4
0,1
0.5
0.0
0.0
10.1
0,1
0,0
0,4
0.0
0,6
0,0
3,9
5,0
8,9
0.2
1.4
0.0
1,6
0.0
0.0
4.4
1,0
4.8
10,7
2.2
19.1
6.1
27.4
3.9
0.6
1.2
5.7
0.7
0.0
0.0
72.6
55.2
127.8
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
2,2
0.0
0.0
0.0
2,2
0.0
23,2
0,0
23,2
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
19.7
25,1
195,9
136,2
387.0
25.5
89,5
162,8
277,8
60.9
10,5
43,4
114,8
34,4
135
Legambiente - Mare monstrum 2002
MOLISE
0.0
0.7
Ascoli Piceno
0.6
3,2
Macerata
1,6
1.5
Ancona
0,0
2,6
Pesaro
0.1
1,0
MARCHE
2,3
8,3
Caserta
21.4
0.0
Napoli
35.7
15,1
Salerno
11.8
0.0
CAMPANIA
68,9
15,1
Potenza
0.0
0.0
Matera
0.0
1.6
BASILICATA
0.0
1.6
Catanzaro
1,9
5.8
Cosenza
1,1
14.4
Crotone
0.0
2,0
Reggio
3,0
4.9
Calabria
Vibo
0,0
2.7
Valentia
CALABRIA
6,0
29.8
Foggia
12,9
6.7
Bari
6,7
16,3
Taranto
0.0
0.8
Brindisi
0.0
4.3
Lecce
0.0
13.4
PUGLIA
19,6
41,5
Trapani
0.0
7.2
Palermo
2,5
22.9
Messina
0.6
19.1
Agrigento
0.0
3,8
Caltanissetta
2.4
0.9
Catania
0.8
3.8
Ragusa
0.4
0.6
Siracusa
0.6
5.6
SICILIA
7,3
63.9
Sassari
0,1
38,0
Nuoro
1,1
4.6
Cagliari
0.0
12.9
Oristano
0.0
5.7
SARDEGNA
1,2
61.2
Totale Nazionale
130,8
269.7
Fonte: Ministero della Sanità, 2002
136
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
2.2
0.0
2.2
1.3
0.0
1.3
0,0
2.2
2.5
2.1
0.0
2,2
0.0
0.0
17.1
19.3
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
34,4
42.5
18.1
47.5
42.8
150.9
22,3
149,8
181,3
354,0
22,3
36.3
58,6
94,5
205.3
100,0
174,6
0.9
0.0
63,5
7.7
8,7
8.5
23.5
1.8
29,8
72,3
168.0
23,9
22,5
76,1
0.0
3,1
8.4
2.9
304,9
330,0
70.0
140.5
15.7
557.0
1.073,2
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
0.0
20,2
5,6
3,8
16,7
46,3
128,9
637,9
192,8
108,5
85.5
83,0
212,8
682,6
145.4
98,0
320,8
108.5
24.9
43.0
83.5
105.9
930,0
352,6
151,1
271,8
72,6
848.1
5017,1
Legambiente - Mare monstrum 2002
10.2 Le analisi di Goletta Verde 2001
Da un paio di anni è in discussione in sede europea la revisione della
direttiva 76/160/CEE, sulla qualità delle acque di balneazione, da cui discende
il Dpr.470/82, che dovrà tener conto della direttiva quadro sulle acque, che
l’Italia ha recepito con il Dlgs. 152/99.
Nell’ultima comunicazione della Commissione europea al Parlamento e
al Consiglio (dicembre 2000), si fanno presente i limiti della normativa attuale,
rilevando che, seppure vi sia stato un miglioramento rispetto ad una decina di
anni fa, negli ultimi anni la qualità delle acque di balneazione costiere è
migliorata in maniera meno consistente, risultando così la direttiva attuale non
più capace di contribuire a migliorare ulteriormente le condizioni delle acque
di balneazione. La prossima direttiva dovrà dunque contenere strumenti più
sofisticati e attribuire maggiore importanza all’utilizzo delle informazioni e alla
partecipazione dei cittadini. Alcuni limiti dell’attuale direttiva evidenziati dalla
Commissione sono:
alcuni parametri sono obsoleti e non significativi;
il monitoraggio serve solo a verificare la conformità delle acque e
non a comprendere la situazione e quindi le cause;
le sole analisi microbiologiche non prevengono i rischi sanitari che
possono esserci durante il tempo di analisi
mancano indicazioni di gestione e garanzia della qualità delle
acque.
Limiti che ormai da anni Legambiente sottolinea e che ha cercato di
mettere in evidenza con l’azione svolta da Goletta Verde, che già da qualche
edizione sta effettuando sperimentazioni su nuovi parametri da usare quali
indicatori microbiologici.
In particolare dal 2001, da quando cioè è in corso a livello europeo la
discussione sulla nuova direttiva, Legambiente oltre ad aver dato il proprio
contributo presentando osservazioni e partecipando alle riunioni tecniche,
svolge la campagna di monitoraggio di Goletta Verde seguendo le indicazioni
della Commissione, sui nuovi parametri microbiologici che nel 2001 per la
prima volta (quest’anno verrà ripetuto) sono stati sperimentati su oltre 400
campioni di acqua marina costiera.
Sono stati quindi inseriti tra i parametri microbiologici analizzati come
indicatori della qualità delle acque di balneazione, gli Enterococchi, indicati
dalla Commissione come migliori indicatori di inquinamento fecale e quindi di
rischio sanitario per i bagnanti, così come riportato anche nelle linee guida
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2001. Nel documento dell’Oms
vengono indicate classi di qualità delle acque di balneazione per le diverse
concentrazioni di Enterococchi, sulla base di dati e di indicazioni
epidemiologiche riguardo al rischio di contrarre gastroenteriti.
La Commissione europea propone gli Enterococchi come unico
parametro da utilizzare quale indicatore microbiologico di contaminazione
137
Legambiente - Mare monstrum 2002
fecale, ma Goletta Verde ha affiancato a questo parametro anche l’analisi dei
batteri fecali “classici”, i coliformi fecali e gli streptococchi fecali, previsti
dalla normativa vigente (Dpr 470/82) anche per una valutazione della
significatività e della correlazione tra i tre parametri di origine fecale.
Rispetto, dunque, ai parametri microbiologici previsti dall’attuale
normativa non sono stati analizzati i coliformi totali, vista l’ormai accertata
loro poco significatività come indicatori di possibile rischio sanitario delle
acque di balneazione, così come affermato anche nella proposta della
Commissione europea.
In base, dunque alle classi di qualità delle acque di balneazione presenti
nelle linee guida dell’Oms, definite in base alle concentrazioni di Enterococchi
(Ufc/100ml) e ai limiti del Dpr 470/82 dei coliformi fecali e degli streptococchi
fecali, Legambiente ha elaborato la seguente tabella, che è stata utilizzata per la
definizione del grado di qualità delle acque di balneazione durante l’edizione
2001 di Goletta Verde, e che verrà riproposta anche per l’attuale edizione:
* Non inquinato (Coliformi fecali e streptococchi fecali entro i limiti del Dpr
470/82 e Enterococchi < 50ufc/100ml)
* * Leggermente inquinato (almeno uno dei due parametri CF e SF oltre i
limiti del Dpr470/82 e/o Enterococchi tra 50 e 200 ufc/100 ml)
* * * Inquinato (uno o entrambi i due parametri CF e SF almeno 5 volte oltre i
limiti del Dpr 470/82 e/o Enterococchi tra 200 e 1000 ufc/100ml)
* * * * Gravemente Inquinato (uno o entrambi i due parametri CF e SF
almeno 10 volte oltre i
ufc/100 ml)
limiti del Dpr470/82 e/o Enterococchi > 1000
Limiti Dpr 470/82:
Coliformi fecali: 100 Unità Formanti Colonia in 100 millilitri (100 Ufc/100 ml)
Streptococchi fecali: 100 Unità Formanti Colonia in 100 millilitri (100 Ufc/100
ml)
10.3 Lo stato della depurazione in Italia
La connessione alle reti fognarie interessa circa l’80% del carico
inquinante, mentre solo il 65% risulta collegato a impianti di depurazione.
Nell’ultimo decennio è proseguita, sia pure con ritmi più lenti rispetto ai primi
anni ‘90, l’attuazione dei Piani Regionali di Risanamento, attuati in
ottemperanza alla L. 319/76, ormai superata dalla L.152/99.
138
Legambiente - Mare monstrum 2002
Il numero complessivo di impianti e di popolazione equivalente servita
è quasi raddoppiato dall’inizio degli anni ‘90 a oggi1. Oltre alla progressiva
estensione della rete di depurazione ad aree via via più marginali del territorio,
spesso gli interventi di questo periodo hanno anche comportato l’adozione di
fasi di trattamento terziarie negli impianti già esistenti (in particolare nei bacini
dell’Alto Adriatico).
Nonostante questi sforzi, tuttavia, l’Italia ha tutt’altro che risolto i
problemi di degrado qualitativo dei corpi idrici superficiali (Ministero
dell’Ambiente 1998; Irsa-Cnr 1999), in parte per il mancato completamento dei
sistemi di depurazione (questo deficit interessa alcuni capoluoghi di provincia e
perfino di regione, come Firenze2, Milano3, Palermo e Catania, alcune aree a
sviluppo industriale intensivo, e in modo diffuso i centri minori) e in parte per
la cattiva gestione dei depuratori: in particolare, molti impianti medio-piccoli
funzionano male o non funzionano affatto.
La speranza di colmare queste carenze è affidata sia ad un’effettiva e
corretta attuazione della legge Galli, con il passaggio delle gestioni inefficienti
a nuovi enti gestori, sia ad un cambio di orientamento quanto alle scelte
tecnologiche. Oggi quasi tutte le reti fognarie italiane sono di tipo “misto”
(227.230 km su 310.000), il che comporta inevitabili malfunzionamenti dei
depuratori 4; inoltre gran parte degli impianti è del tipo “a fanghi attivi”,
sebbene in molti casi sarebbero molto più efficaci ed economiche soluzioni
depurative di tipo naturale (fitodepurazione o lagunaggi)5.
Un altro problema deriva dall’aumento delle reti fognarie che
recapitano gli scarichi nei corpi idrici senza passare per alcun sistema
depurativo (circa il 20% degli abitanti equivalenti allacciati alle reti non è
servito da depuratore): in tal modo, liquami che in precedenza venivano
almeno in parte depurati “naturalmente” (nel suolo o nella rete idrografica
minore), adesso si concentrano nei corpi idrici che così devono sopportare
carichi superiori alla propria capacità autodepurativa.
Infine, un terzo fattore che incide negativamente sulla qualità delle
acque superficiali è la scarsità d’acqua. Molti fiumi e torrenti italiani hanno,
soprattutto nei mesi estivi, portate minime, per cui sono alimentati quasi del
1
La dotazione di impianti di depurazione ha raggiunto nel 1996 il numero di circa 10.000
unità, per una capacità di trattamento totale di 70 milioni di abitanti equivalenti. All’inizio
degli anni 90, gli impianti erano circa 5.000 e la capacità di 35 milioni di ab.eq.
2
Il primo lotto depuratore di S.Colombano, che tratterà circa un terzo del carico previsto a
completamento dell’impianto, è entrato in funzione nell’ottobre 2000.
3
Finalmente la situazione dovrebbe migliorare con la approvata realizzazione di 3 impianti.
4
Le ampie oscillazioni di carico organico caratteristiche delle reti miste provocano stress nelle
popolazioni batteriche che sono il «motore» dei depuratori: da qui la perdita di efficienza degli
impianti.
5
Si tratta dei centri di piccole dimensioni (inferiori ai 5000 abitanti equivalenti) e di quelli che
presentano ampie oscillazioni del carico idraulico e organico in ingresso (tipicamente i centri
turistici). Per questo motivo il D.L. 152/99 suggerisce, in queste situazioni, il ricorso a
tecnologie naturali.
139
Legambiente - Mare monstrum 2002
tutto da scarichi che, sebbene depurati, non possono certo garantire al corso
d’acqua una qualità accettabile.
Si deve poi sottolineare che molte forme di inquinamento hanno un
carattere diffuso, e richiederebbero perciò, più che interventi di tipo
infrastrutturale o soluzioni tecnologiche puntuali, azioni a monte capaci di
ridurre i carichi inquinanti e di recuperare la capacità depurativa dei corsi
d’acqua attraverso interventi di rinaturalizzazione o mediante altre tecniche di
prevenzione quali l’utilizzo delle cosiddette fasce tampone o il recupero del
terreno agricolo lungo gli argini per l’allagamento in caso di piene.
Il testo unico sulle acque (il decreto legislativo 152/99), che recepisce la
direttiva europea 91/271, definisce anche gli obblighi per l’adeguamento delle
infrastrutture idrauliche di raccolta e smaltimento delle acque reflue urbane.
Per il nostro Paese, l’adeguamento agli standard imposti dall’Unione europea è
anche l’occasione per completare e rendere finalmente efficiente la rete di
depurazione delle acque reflue. Fino ad oggi il problema della depurazione è
stato affrontato con la realizzazione di impianti di depurazione sempre più
grandi e costosi, senza tenere conto delle necessità e delle peculiarità del
territorio italiano: le carenze delle reti fognarie, le esigenze di manutenzione e
di separazione tra acque bianche e nere, un approccio basato su un modello
“diffuso”, che comprenda anche impianti di minori dimensioni soluzioni di
fitodepurazione.
In questo settore così delicato, la prima lacuna da colmare è
l’insufficienza di dati su estensione, stato di conservazione e funzionalità sia
delle reti fognarie che degli impianti di depurazione. L’ultimo censimento
nazionale disponibile è quello effettuato nel 1993 dall’Istat, pubblicato nel
1996, da cui risultavano 9806 impianti di depurazione, comprese le fosse
Imhoff e gli impianti privati al servizio di insediamenti turistici e residenziali.
Di questi ben 1236, pari al 12,6% degli impianti e al 6,1% della popolazione
servita totale, al momento del censimento non erano in esercizio. Alla data del
censimento, risultavano in via di realizzazione 1412 nuovi impianti, che una
volta completati avrebbero servito una popolazione equivalente complessiva di
14 milioni di abitanti equivalenti.
Le uniche indagini più recenti sono quella effettuata da Proaqua,
l’istituto di ricerche sui servizi idrici che fa capo a Federgasacqua, riferita a
solo 14 regioni (mancano i dati su Basilicata, Calabria e Val d’Aosta, Liguria,
Sardegna e Sicilia, regioni per le quali si dispone solo di una stima, e il
censimento commissionato dal Ministero dell’Ambiente al Nucleo operativo
ecologico dei Carabinieri che ha interessato il 60% dei Comuni italiani (4899),
corrispondenti però a circa il 93% della popolazione totale residente.
Malgrado la disomogeneità dei dati più aggiornati, tutti gli studi
concordano su una stessa conclusione: l’Italia è caratterizzata da un grave
deficit depurativo, che oscilla dai 29 milioni di abitanti equivalenti stimati dal
censimento Istat, ai 41 milioni dell’indagine di Proaqua. In particolare, secondo
Proaqua 16 milioni di abitanti equivalenti sono allacciati alla rete fognaria ma
non depurati, e i restanti 25 milioni non sono neanche allacciati alla rete. Ciò
140
Legambiente - Mare monstrum 2002
significa, in termini generali, che solo il 77% della popolazione equivalente è
allacciata alle fognature, e che la popolazione trattata da impianti in esercizio è
il 63% della popolazione equivalente totale.
Tabella 1. Impianti di depurazione delle acque reflue urbane per regione
(dati aggiornati al dicembre 1993)
Regione
Piemonte
Val d’Aosta
Lombardia
Liguria
Trentino A.Adige
Veneto
Friuli V.Giulia
E.Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Italia
Totale presenti
1807
146
887
436
283
797
520
1193
574
313
433
417
378
96
304
181
129
335
246
331
9806
In esercizio
n
1677
142
815
392
267
725
474
1148
530
238
386
341
310
77
204
170
67
168
150
289
8570
%
92,3%
97.3%
91.9%
89.9%
94.3%
91%
91.2%
96.2%
92.3%
76%
89.1%
81.8%
82%
80.2%
67.1%
94%
52%
50.1%
61%
87.3%
87.4%
Totale non in
esercizio
n.
130
4
72
44
16
72
46
45
44
75
47
76
68
19
100
11
62
167
96
42
1236
%
7.2%
2.7%
8.1%
10.1%
5.7%
9%
8.8%
3.8%
7.7%
24%
10.9%
18.2%
18%
19.8%
32.9%
6%
48%
49.9%
39%
12.7%
12.6%
In corso di
esecuzione,
appalto e in
progetto
237
9
68
70
56
50
49
73
115
35
61
114
96
63
86
11
24
77
80
38
1412
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Istat (1996)
Un altro aspetto da considerare riguarda il tipo di trattamento dei
liquami effettuato da ogni singolo impianto. Il Dlgs. 152/99 prevedeva
scadenze scaglionate per la progressiva diffusione dei trattamenti secondari o
equivalenti entro il 2000 per gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre
15000 abitanti equivalenti, entro il 2005 per gli scarichi provenienti da
agglomerati tra 10000 e 15000 (o da agglomerati tra 2000 e 10000 abitanti che
recapitano le acque reflue in acque dolci e di transizione). Inoltre, venivano
fissati precisi criteri di qualità per le zone sensibili: abbattimento dell’80% del
fosforo totale e del 70-80% dell’azoto totale (standard che richiedono un
trattamento terziario).
141
Legambiente - Mare monstrum 2002
In effetti, in base alle tipologie di trattamento adottate le acque reflue
vengono depurate totalmente o parzialmente. Nell’indagine Istat, gli impianti
sono raggruppati in tre differenti categorie, corrispondenti a tre differenti
tipologie di trattamento:
Trattamento primario: rimozione di buona parte dei solidi
sospesi sedimentabili per decantazione meccanica in bacini di sedimentazione,
con o senza uso di sostanze chimiche (Flocculanti);
Trattamento secondario: processi di ossidazione biologica della
sostanza organica biodegradabile sospesa e disciolta nelle acque di scarico
utilizzando batteri aerobi;
Trattamento terziario: processi adottati a valle dei trattamenti
primari e secondari quando, in considerazione del corpo idrico recettore, in
base alla Legge Merli (319/76) si deve procedere alla rimozione dei nutrienti,
nitrati e fosfati.
Dai dati del censimento del ’93, risulta che il 43,1% degli impianti
allora in esercizio utilizzava il trattamento più semplice, consistente in una
griglia manuale o meccanica per la sola rimozione dei solidi e da un
sedimentatore; si tratta generalmente di piccoli impianti, che soddisfano solo il
4,1% della popolazione servita. In particolare, nell’Italia settentrionale quasi la
metà degli impianti in esercizio era di tipo primario, anche se la popolazione
servita da tali impianti si attestava sul 4%.
Gli impianti di trattamento secondario erano invece 4325, il 44% del
totale, distribuiti più o meno equamente su tutto il territorio nazionale.
Infine, gli impianti del tipo più moderno e tecnologicamente più
avanzato (terziario) erano solo 242, concentrati nelle regioni settentrionali e
centrali dove servivano quasi il 50% degli abitanti equivalenti.
142
Legambiente - Mare monstrum 2002
Tabella 2. Impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio
secondo la tipologia di trattamento, per regione (dati aggiornati al dicembre
1993)
Regione
Primario
n.
A.E.S.
Piemonte
1.012 289.767
Val d’Aosta
126
38.351
Lombardia
130
93.864
Liguria
243
232.678
Trentino A.A. 130
102.831
Veneto
316
126.607
Friuli V.G.
269
409.619
E.Romagna
651
143.272
Toscana
140
99.511
Umbria
134
36.770
Marche
159
36.207
Lazio
55
36.824
Abruzzo
149
35.452
Molise
26
4.765
Campania
26
642.322
Puglia
28
297.913
Basilicata
8
26.434
Calabria
41
61.293
Sicilia
17
86375
Sardegna
32
36.710
Italia Nord
1.511 654.660
Occidentale
Italia Nord
1.366 782.329
Orientale
Italia
488
209.312
Centrale
Italia
278 1.068.189
Meridionale
Italia
49
123.085
Insulare
Italia
3.692 2.837.565
Secondario
n.
A.E.S.
626
3.120.471
14
185.920
585
4.770.115
139
1.309.612
114
840.509
372
2.267.367
197
932.229
414
2.993.671
337
2.667.153
86
325.394
210
729.249
146
2.449.580
148
743.158
47
169.763
167
6.239.244
111
3.631.541
38
342.412
113
1.412.972
125
2.606.359
236
1.148.051
1.364 9.386.118
Terziario
n.
A.E.S.
13 3.489.842
1
3.060
82 3.754.319
8
909.107
23
559.996
36 3.719.760
7
448.710
72 3.984.574
36 4.324.808
17
201.311
17
610.100
38 2.128.650
6
288.100
4
26.800
9
10.185
30
729.634
20
164.587
5
80.387
6
206.230
20 1.137.659
104 8.156.328
2
1
1
9
2
1
47
57.245
Totale
n.
A.E.S.
1.677 6.919.920
142
227.346
815 8.653.988
392 2.453.097
267 1.503.336
725 6.113.734
474 1.790.958
1.148 7.126.317
530 7.096.172
238
563.535
386 1.375.556
341 4.702.554
310 1.067.066
77
201.328
204 6.891.761
170 4.659.388
67
535.433
168 1.587.928
150 2.908.239
289 2.322.420
3.026 18.254.351
1.097
7.033.776
138
8.713.040
13
5.200
2.614 16.534.345
879
6.221.376
108
7.264.869
20
42.260
1.495 13.737.817
624
12.548.090
74
1.299.693
20
26.932
996
14.942.904
361
3.754.410
26
1.343.889
3
9.275
439
5.230.659
4.325
Non indicata
n.
A.E.S.
26
19.840
1
15
18
35.690
2
1.700
1
1
11
17
1
400
4.800
4.700
60
2
7
37.500
356
38.934.770 450 26.777.819 103
300
2.000
24.276
9.275
140.912
8.570 68.700.076
Fonte: elaborazione Legambiente su dati Istat (1996)
Come già detto, dati più aggiornati si ricavano dallo studio di Proaqua
del 1996. In base a questo studio, che per alcune regioni si affida a stime, la
domanda complessiva di depurazione supera i 111 milioni di abitanti
equivalenti, con una capacità di trattamento degli impianti di depurazione di
69,9 milioni di abitanti equivalenti e un conseguente deficit depurativo di circa
41 milioni di abitanti equivalenti, di cui 16 milioni risultano allacciati alle reti
fognarie e non depurati e 25 milioni non sono neanche allacciati alle reti.
143
Legambiente - Mare monstrum 2002
Tabella 3. Popolazione allacciata e trattata in abitanti equivalenti (AE), per
Regione (dati aggiornati al dicembre 1996)
Regione
Popolazione
AE totali
AE allacciati
AE trattati
residente
milioni
milioni
% tot
milioni
% tot
Piemonte
4.302.565
10,8
10,3
95%
6,8
63%
(1)
115.938
0,1
0,1
77???
0,1
73??
Val d’Aosta
Lombardia
8.856.074
16,2
14,6
90%
9,5
59%
(1)
1.676.282
5,3
2,7
51%
2,4
46%
Liguria
Trentino A.A.
890.360
1,9
1,8
95%
1,5
79%
Veneto
4.380.797
13,1
11,3
86%
11,3
86%
Friuli V.G.
1.197.666
2,9
2,4
83%
2,4
83%
E.Romagna
3.909.512
6,1
5,4
89%
3,8
62%
Toscana
3.529.945
8
7,3
91%
6,8
85%
Umbria
811.831
1
0,7
70%
0,7
65%
Marche
1.429.205
1,7
1,3
76%
1,2
71%
Lazio
5.140.371
6,6
5,7
86%
5,1
77%
Abruzzo
1.249.054
2,9
1,9
66%
1,9
66%
Molise
330.900
0,4
0,4
100
0,3
57%
Campania
5.630.280
10,7
6,5
61%
3,5
33%
Puglia
4.031.885
5
4,7
94%
4,7
92%
(1)
610.528
0,7
0,6
77%
0,5
73%
Basilicata
2.070.203
2,5
2
80%
1,9
76%
Calabria (1)
4.966.386
8,5
2,9
34%
2,6
30%
Sicilia (1)
1.648.248
6,8
3,3
48%
3
44%
Sardegna (1)
Italia
56.778.030
111,2
85,9
77%
69,9
63%
(1)
Valori stimati
Fonte: Proaqua (1996)
144
Legambiente - Mare monstrum 2002
Il deficit depurativo di oltre 41 milioni di abitanti equivalenti viene
confermato anche dalle stime riportate nell’ultima “Relazione sullo stato
dell’ambiente” del Ministero dell’Ambiente (2001).
Tabella 4. Stima del deficit depurativo
Regione
Popolazione equivalente AE (migliaia)
Allacciata rete Trattata rete
Deficit
Totale(*)
civile
(**)
depurativo
civile
Piemonte
12.866
10.800
6.800
4.000
Valle d’Aosta
258
100
100
0
Lombardia
31.054
16.200
9.500
6.700
Trentino Alto Adige
2.450
1.900
1.500
400
Veneto
14.027
13.100
11.300
1.800
Friuli Venezia Giulia
3.202
2.900
2.400
500
Liguria
3.484
5.300
2.400
2.900
14.224
6.100
3.800
2.300
Emilia Romagna
Toscana
10.598
8.000
6.800
1.200
Umbria
2.498
1.000
700
300
Marche
4.527
1.700
1.200
500
Lazio
10.597
6.600
5.100
1.500
Abruzzo
3.369
2.900
1.900
1.000
Molise
787
400
300
100
Campania
10.280
10.700
3.500
7.200
Puglia
8.099
5.000
4.700
300
Basilicata
1.253
700
500
200
Calabria
3.376
2.500
1.900
600
Sicilia
8.784
8.500
2.600
5.900
Sardegna
3.555
6.800
3.000
3.800
Italia
149.288
111.200
70.000
41.200
(*) La popolazione equivalente totale è ottenuta dalla somma della popolazione
residente e della popolazione equivalente industriale al 1991
(**) Dati Federgasaqua (1995) e Istat (1998)
Fonte: Relazione sullo stato dell’ambiente, Ministero dell’Ambiente (2001)
Le politiche per la depurazione
Nel settore della fognatura e della depurazione, occorre da un lato far
fronte alle esigenze di completamento della rete, anche alla luce degli
impegnativi traguardi imposti dal Dlgs152/99. Più in generale occorre, tra
l’altro, abbandonare la logica dello “scarico puntuale”, fin qui dominante, per
intercettare fonti di inquinamento più “diffuse”; introdurre tecnologie
appropriate per i piccoli centri; promuovere il riuso delle acque reflue per
145
Legambiente - Mare monstrum 2002
l’irrigazione e il riuso e il ricircolo dell’acqua nei cicli di lavorazione
industriale.
Infatti, con l’approvazione del D.Lgs 152/99 che recepisce la Direttiva
Comunitaria 91/271, tutti gli scarichi degli insediamenti urbani (inclusi quelli
turistici) dovranno essere provvisti di reti fognarie e di sistemi di trattamento
entro i seguenti termini:
entro il 31 dicembre 2000 quelli con un numero di abitanti
equivalenti (a.e.) superiore a 15.000;
entro il 31 dicembre 2005, quelli con un numero di abitanti
equivalenti compreso tra 2.000 e 15.000 che scarichino in acque interne e
quelli con un numero di abitanti equivalenti compreso tra 10.000 e 15.000 che
scarichino in acque costiere.
L’attuazione del D.Lgs potrebbe essere un'ottima occasione per
affrontare seriamente il problema dell'inquinamento delle nostre acque, ma
potrebbe trasformarsi in una ennesima corsa alla realizzazione di nuove opere
che spesso restano inutilizzate. Infatti il problema della depurazione è stato
affrontato fino ad oggi in Italia con la realizzazione di reti di collettamento e
impianti di depurazione sempre più grandi e costosi, trasferendo al nostro
territorio approcci e tecnologie importate dall’estero. A tale proposito
un’importante documento del Ministero dei Lavori Pubblici uscito nel 1998
sostiene: “Se sicuramente necessari sono gli interventi per il completamento
del trattamento nelle aree urbane e nelle concentrazioni industriali, numerose
perplessità sorgono circa l’opportunità di estendere il medesimo modello di
ragionamento anche ai piccoli centri. In altri Paesi, come la Francia, si cerca di
ridiscutere certi aspetti della direttiva 91/271 - e in particolare il suo
appiattimento su una situazione insediativa e climatica di tipo «nordeuropeo»
mettendone in discussione il «cuore», rappresentato dall’accoppiata fognaturaimpianto di depurazione, e sostenendo invece l’equiparabilità in termini di
risultati e la superiorità schiacciante in termini di costi di un approccio basato
su un modello «diffuso», basato sull’ingegneria naturalistica e la
fitodepurazione su piccola scala.”
L’applicazione del D.Lgs 152/99, che consentirà l'adeguamento del
sistema di depurazione italiano alla Direttiva Comunitaria, rappresenta dunque
un importante banco di prova per verificare la politica di tutela delle acque nel
nostro Paese.
La Stoppani di Cogoleto
Un tuffo in un mare di cromo. Questo è quello che si rischia facendo un
bagno nel mare antistante le spiagge di Arenzano e Cogoleto, a causa delle
lavorazioni della Luigi Stoppani S.p.A.. Un’azienda chimica che produce
bicromati e che è presente da oltre 100 anni nella Val Lerone.
Durante il suo lungo periodo di attività, e soprattutto negli ultimi
decenni, sono stati accertati gravi situazioni di inquinamento di aria, suolo,
sottosuolo, sabbie delle spiagge delle due località ed oltre, a ponente sino a
146
Legambiente - Mare monstrum 2002
Varazze nonché nei sedimenti e nella catena alimentare (pesci, molluschi,
crostacei) dovuti a Cromo esavalente (cancerogeno), Zinco nella discarica dei
fanghi di risulta in località Molinette), polveri, SO2, ecc. in atmosfera.
Recentemente (Febbraio 2001) la Stoppani, attraverso un emendamento
alla finanziaria del Governo Amato, è stata inserita nei siti da bonificare
indicati dalla legge 426/98.
Questo obbiettivo era stato richiesto a gran voce da Legambiente
Liguria, e raccolto dalla Regione, dalla Provincia di Genova, e da alcuni
consiglieri regionale e deputati liguri.
Infatti, numerosi sono le indicazioni che indicano uno stato ambientale
a dir poco allarmante della Val Lerone.
Dati della Regione Liguria parlano di 92000 m3 di fanghi tossici
stoccati nella discarica di Pian di Masino contenenti elevatissime quantità di
metalli pesanti, mentre l’agenzia regionale protezione ambiente (Arpal) ha
trovato concentrazioni di cromo esavalente nelle acque di falda 64000 volte
superiore ai valori consentiti nelle acque sotterranee in siti da bonificare (Dati
ARPAL).
Per quanto riguarda l'area dello stabilimento la concentrazione media
nei suoli ritrovata nel'99 è stata di 28 milligrammi per chilo, quantità 140 volte
più alta del limite previsto per gli scarichi industriali e 5 mila volte superiore ai
limiti per le acque sotterranee. La concentrazione minore è stata rilevata sotto il
silos soda; mentre i livelli più preoccupanti sono stati registrati sotto le vasche
e il reparto acido cromico (rispettivamente 3l2 e 322 milligrammi per chilo).
All'esterno della fabbrica le quantità di cromo diminuiscono, anche se
restano molto preoccupanti. Sotto il viadotto dell'Aurelia i milligrammi di
cromo esavalente presenti nel suolo risultano 2,03 per chilo. Vale a dire 10
volte in più che in uno scarico industriale e 400 volte in più del limite per le
acque sotterranee.
Per quanto riguarda le acque di battigia in 16 casi negli ultimi tre anni
sono state rilevate concentrazioni di cromo superiori a 0,30 milligrammi per
chilo.
Preoccupante anche l’inquinamento della discarica di Molinetto per la
presenza di metalli pesanti, soprattutto zinco, presente in quantità fino a 24
volte i limiti consentiti nelle acque che filtrano dalla discarica. La sostanza
nociva non rientra nel processo produttivo della Stoppani ma non era presente a
Molinetto prima dell'arrivo dei camion dell'azienda di Cogoleto (fonte:
Provincia di Genova). Il cromo, pur in concentrazioni altissime, non supera i
limiti consentiti per la discarica, 100 milligrammi su chilogrammo.
I limiti di legge sono stati invece superati più volte per quanto riguarda i
valori di cromo esavalente nell'aria della zona abitata prospiciente lo
stabilimento. Tali esuberi, di cui si è venuto a sapere solo di recente, sono stati
registrati tra il settembre del 1998 e I'aprile del 1999 con punte massime
risalenti alla primavera dell'anno passato.
147
Legambiente - Mare monstrum 2002
Recentemente sono stati diffusi dati sui campionamenti delle spiagge
del ponente ligure, dai quali si deduce che il litorale, sino al comune di Varazze
è interessato a inquinamento da cromati.
Un accordo, mai trasformato in vero e proprio accordo di programma,
tra Regione, Comuni di Cogoleto e Arenzano, Sindacati e Azienda, prevedeva
la chiusura della fabbrica e la bonifica del sito entro il 2001, ma dopo un breve
periodo di ristrutturazione (da agosto a dicembre 1999), vi è stata una
consistente ripresa delle attività a partire dal 1 gennaio 2000.
Nel 1997 è stato approvato un progetto di bonifica (Envireg) con
finanziamento europeo di 7 miliardi a Stoppani con scadenza entro il 2000, per
il trattamento dei fanghi tossici e conseguente inertizzazione; bonifica del
torrente e dei canali di gronda per acque piovane, nonché la bonifica
dell’arenile. Di tali attività nessuna è stata portata al termine e tranne l’ultima
nemmeno iniziata.
Recentemente, nel 2001, l’azienda ha aperto l’esercizio di un forno
sperimentale, cosa che ha provocato reazioni negative da parte delle
associazioni ambientaliste, delle amministrazioni locali e dei cittadini
E’ altresì notizia di questi giorni l’accordo raggiunto tra Regione
Liguria, Provincia di Genova, Comuni di Arenzano e Cogoleto per arrivare al
più presto ad un accordo di programma con la società Stoppani per la chiusura,
entro il 1/1 2003 e la successiva messa in sicurezza, e bonifica del sito
produttivo.
L’azienda contesta questa data proponendo scenari più prolungati (2005
o addirittura 2006).
Legambiente chiede la chiusura nei tempi più rapidi possibili dello
stabilimento Stoppani, ormai palesemente incompatibile con la zona e con le
vocazioni economiche specifiche che non sono certo quelle della produzione
chimica, ma semmai turismo e tutela dell’ambiente e valorizzazione del
territorio.
Bisognerà arrivare ad un accordo di programma che contempli la
chiusura totale entro il 1/1/2003 e l’avvio di un progetto di messa in sicurezza e
bonifica, ai sensi del Dm 471/99.
Comunque bisognerà da subito sospendere l’attività del forno
sperimentale e chiudere il forno 70, per la produzione di cromati, il più
inquinante secondo i dati di Provincia e Arpal.
La depurazione e l’inquinamento del mare in Campania
L'intero golfo di Napoli, da Via Caracciolo a Castellammare di Stabia,
continua a rimanere un sogno per i bagnanti. Uno specchio di mare chiuso tra
due fonti di inquinamento a cinque stelle, da un lato il Sarno e dall'altro
Volturno e Garigliano. Scarichi fognari, più o meni abusivi, più o meni
"avvelenati", foci dei fiumi da livelli di inquinamento da record, interi comuni
privi di allacciamento alle fogne. Sono tante le cause da mettere sul banco degli
imputati per la mancata balneazione di interi tratti di costa della Campania. In
148
Legambiente - Mare monstrum 2002
Campania siamo in presenza da anni ad un danno ambientale diretto, cagionato
dallo scarso grado di concentrazione dei reflui agli impianti di trattamento.
Secondo il I Rapporto Ambientale dell' Arpac (Agenzia Regionale per la
Protezione Ambientale della Campania) su un campione rappresentativo, che
include quasi l'intero comune di Napoli, e che rappresenta il 48% del totale
della popolazione regionale ed il 52% dell'acqua erogata, si riscontra un
coefficiente di ritorno globale in fognatura, con collettamento sino all'ingresso
negli impianti di trattamento, pari ad appena al 44% dell' immesso in rete con
un valore aerale minimo del 31% per il comprensorio Acerra- Pomigliano.
All'interno del dato complessivo, inoltre, esistono comuni per i quali non è
ancora realizzato il collegamento alla rete dei collettori intercomunali di
collegamento agli impianti, cioè comuni per i quali il coefficiente di ritorno
alla rete di depurazione è nullo. Basti pensare che i cittadini di Portici, San
Giorgio a Cremano, Ercolano in provincia di Napoli e circa 300 mila
napoletani sversano nei propri wc quotidianamente nel giro di pochi minuti
giunge tal quale in mare. A tal proposito bisogna terminare al più presto il
collegamento di queste aree con il depuratore di Napoli est. Basti pensare che
circa 8000 mc/h che tratta tale depuratore vengono attualmente sversati
attraverso un alveo sul litorale di S. Giovanni. Il depuratore di Napoli Est,
secondo stime dell’assessore alla difesa del suolo del Comune di Napoli,
Ferdinando Di Mezza, sarà in grado di filtrare cinquecento litri di liquami al
secondo. Il depuratore sarà ingrandito anche qui con un operazione di project
financing (quasi 75milioni di euro) il cui promotore sarà presto individuato
ufficialmente. A Napoli, l’ultimo impianto di sollevamento (che pompa i
liquami nei collettori fino ai depuratori) è stato inaugurato poco tempo fa nel
rione Pazzigno. Ma non basta, oggi almeno 300mila abitanti del capoluogo fra
il Ponte dei Francesi e Via Duomo, sversano quotidianamente reflui che
arrivano in mare tal quale attraverso le vecchie fogne. La regione Campania,
attraverso il Commissariato per l'emergenza rifiuti, bonifiche e tutela delle
acque si è impegnato ad intervenire con un piano articolato che prevede il
completamento del depuratore Napoli Est (entro il 2003), di un vero e proprio
lifting alle fognature ed al sistema di depurazione del litorale fino alla foce
Sarno ed il riordino dei collettori principali nella zona oprientale di Napoli.Non
diversa la situazione del Golfo di Napoli. Non diversa la situazione nell’intera
provincia di Napoli, Infatti, dopo due anni di pazienza ricerca, la Provincia di
Napoli ha presentato uno studio completo della situazione, un vero e proprio
catasto degli scarichi inquinanti che vanno dalla Campanella a Capo Misero.
Un dossier allucinante: con 500 sbocchi inquinanti rilevati da Cuma a Foce del
Sarno. Ben 96 sono risultati i casi che sono stati definiti “significativi” ossia ad
alto rischio inquinante. Napoli è in testa con il censimento di ben90 scarichi a
maree, seguito da Pozzuoli e Castellammare con 41 scarichi, segue Forio
d’Ischia con 35 e Torre del Greco con 32. Di ogni scarico la Provincia di
Napoli ha dati precisi di rilevamento, caratteristiche inquinanti, tipologia e
volume annuo di refluo. Nel complesso della regione, dunque, dei circa 714
milioni mc/anno prelevati a scopo civili ed industriali, ben 385 milioni
149
Legambiente - Mare monstrum 2002
raggiungono il ricettore finale privi di trattamento, o comunque risultano
dispersi sul territorio. Per ciò che attiene la consistenza di impianti di
trattamento esistenti si ricorda che dei 549 Comuni della regione ben 192 fanno
capo a 9 impianti comprensoriali più 4 in corso di realizzazione. Per la
rimanente parte risultano esistenti ed operanti altre 202 unità di trattamento per
totale complessivo di 394 municipalità servite su 549 (72%). Sempre secondo
lo studio dell'Arpac, sul campione degli impinati di trattamento, riferibile al
48% della popolazione regionale, si rileva che le tecnologie utilizzate sono
ancora aggiornate anche se sono affetti da problemi di obsolescenza dei
componenti elettromeccaniche e strumentali, nonchè del mancato
aggiornamento alle recenti normative sulla sicurezza dei lavoratori. Nessun
impianto in servizio, tranne piccoli casi particolari, è in grado di provvedere
all'abbattimento dei nutrienti. Con l'entrata in vigore del d.lgs. 152/99 che fissa
nuovi parametri qualitativi per lo scarico delle acque provenienti da impianti di
trattamento, la situazione diventa peggiore con quasi la totale assenza di
impianti che si sono adeguati ai nuovi riferimenti legislativi. Se ci trasferiamo
al salernitano, uno studio dell'Ato4 che comprende ben 144 comuni di cui 141
della provincia di Salerno la copertura della rete di depurazione è pari al 76%
della popolazione, ma appena il 59% è servita da impianti funzionanti mentre il
24% non è allacciata ad alcun impianto. Senza contare che dei 208 impianti di
depurazioni solo 161 sono in esercizio. Nello scorso febbraio il Commissariato
di governo per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque della Regione
Campania ha presentato il più grande ed importante project financing fino ad
oggi attuato in Italia. Protagonisti dell’impegnativa esperienza un “tris d’assi”
composto da Arin, Acea e Acquedotto Pugliese. Questo pool d’imprese si è
aggiudicato la gara per il potenziamento e la gestione della fognatura, del
collettore e della depurazione di tutta l’area napoletana. Il raggruppamento
d’imprese gestirà il servizio per 15 anni: l’attività interesserà ben 72 comuni
campani, compresa Napoli per un totale di oltre 2 milioni di abitanti. L’appalto
è finalizzato all’adeguamento ed alla realizzazione di collettori ed impianti di
depurazione in alcuni degli “snodi” fondamentali dell’inquinamento della
Regione: Acerra, Cuma, foce Regi Lagni, Marcianise e Napoli Nord. Oggi la
gestione di un impianto di depurazione di medie dimensioni, destinato a servire
circa 50mila persone , costa oltre 1 milione di euro l’anno.
Cuma: inchiesta sul depuratore che non funziona
Una macchina infernale di miasmi e veleni. Un mostro d’acciaio e
ingranaggi di macchine e vasche in esercizio da oltre vent’anni. Stiamo
parlando del depuratore di Cuma, costato circa 300 miliardi di vecchia lire.
Dagli inizi degli anni ’80 ad oggi serve tutti i comuni della provincia a nord e
sud di Napoli, compreso il capoluogo. L’impianto sorge a Licola di fronte al
mare. Lo scorso 8 gennaio il procuratore della Repubblica Agostino Cordova,
firma il dispositivo di sequestro dell’impianto, strappandolo dalle mani della
società che da anni, si occupa della manutenzione e della gestione
dell’impianto e affidandolo al Presidente della Regione Campania.Il sistema di
150
Legambiente - Mare monstrum 2002
purificazione delle acque reflue, nel contempo continueranno a funzionare,
anche se a singhiozzo, in attesa di opere di ristrutturazione.In questo modo il
provvedimento se da un lato cerca le responsabilità del mancato
funzionamento, dall’ altra tenta di evitare disagi a tutti i comuni dell’hinterland
a Napoli che qui scarica i liquami di un milione di abitanti. Sotto accusa le
anomalie tecniche, il mancato funzionamentodi una parte dell’impianto,
l’inquinamento dell’aria e del mare della costa di Licola. La procura , insieme
con la Polizia ambientale della Provincia di Napoli, ha accertato che a non
funzionare sono le macchine che servono alla grigliatura e alla “di sabbiatura “
dei rifiuti. In pratica i liquami una volta arrivati al depuratore, finiscno in
vasche, che per la scarsa manuetenzione non permette il primo processo di
purificazione, attraverso semplici paratie e griglie. Si stima che il 30% degli
scarichi fognari sfocia a mare, senza nessuno tipo di trattamento. Questa
macchina, perfetta sulla carta, è oggi superata da ingegni molto più complessi,
che la rendono antiquata ed inefficace. Per questro motivo la Regione
Campania ha indetto il project financing che prevede la ristrutturazione di
cinque depuratori compreso Cuma. Il mostro che ingoia liquami per
trasformarli in fango non ha mai funzionato a dovere. Sarà anche una casualità,
ma secondo dati scientifici,il tasso di mortalità per cancro, nella zona del
depuratore sono sopra la media. Nel provvedimento della magistratura si
impone di copmpiee una serie di interventi urgenti, ben 13, entro e non oltre l’8
luglio 2002. Ora i tecnici della Regione Campania stanno facendo la corsa
contro il tempo per adempiere al compito. Si va dal”ripristino di funzionalità
del sistema di sollevamento esterno dell’alveo dei Camaldoli” a quello “del
sistema di sollevamento esterno della stazione di Licola Mare” dal “ripristino
della fase di “grigliatura a quello dei “sistemi di sollevamento interno ,
primario e secondario”; ancora si chiede il ripristino “ della funzionalità della
stabilizzazione dei fanghi, i cui silos di stoccaggio sono risultati fuori
esercizio”.
Sarno: un fiume di veleni
Anche quest'anno il mare non bagna Napoli e provincia. Infatti quasi
del tutto off limits alla balneazione il tratto di mare che va da Via Caracciolo a
Pozzano, vicino Castellamare di Statbia. Sul banco degli imputati l'ecomostro
per eccellenza. Si scrive Sarno, si legge sversatoio per ogni genere di rifiuti:
sulle sue acque navigano le scorie prodotte dalle industrie conserviere e dalle
concerie dell'entroterra. Il fiume scorre lungo 24 km. Il bacino idrografico ha
un estensione di circa 500 kmq, pari a circa il 4% della superficie regionale.
Interessa tre province: Napoli, Avellino e Salerno e comprende 39 comuni.
Interessa una popolazione di circa 750mila residenti, pari al 13% di quella
intera regione Campania, con una densità urbana media pari a circa 1300
ab/kmq con punte di oltre 2000ab/kmq nelle zone costiere. Un fiume ormai
tristemente famoso per essere diventato l'emblema del degrado in cui dono
ridotti numerosi corsi d'acqua. I prelievi effettuati a più riprese dai vari Enti,
dalla stessa Legambiente delineano un quadro a dir poco allarmante: le acque
151
Legambiente - Mare monstrum 2002
del fiume e quelle dei suoi affluenti sono un concentrato di acqua di fogna e
reflui industriali. Dichiarato "area ad elevato rischio ambientale" nell'agosto
1992, il bacino del Sarno secondo un ultimo censimento Istat, ospita
complessivamente oltre 5000 imprese. Di particolare interesse per l'impatto
ambientale, sono il settore conciario, che si concentra nel polo Solofrano in
provincia di Avellino, che comprende circa 120 concerie, e quello conserviero,
di trasformazione del pomodoro, con altre 100 imprese (oltre la metà dei quali
ha i propri stabilimenti nei Comuni di Scafati ed Angri e Sant'Antonio Abate).
Attualmente la incompletezza della rete fognaria, la dotazione episodica di
impianti di depurazione a livello comunale e la loro scarsa efficienza, i lavori a
rilento del sistema depurativo predisposto dal Ministero dell'Ambiente ed
infine, la esiguità delle industrie che applicano il pretattamento delle acque
reflue, hanno trasformato il reticolo idrografico in una fogna a cielo aperto con
basse capacità dell'ecosistema fluviale di autodepurarsi vista la scarsa portata
del fiume, il suo breve corso e la esiguità dei tratti di vegetazione naturale e
perifluviale presenti lungo il percorso. Secondo dati del Noe, negli ultimi anni
sono stati effettuati nell'area circa 1500 ispezioni, accertate circa 1000
violazioni e posti sigilli a quasi 100 piccole imprese. Secondo un' analisi della
Prefettura sulla copertura della rete fognaria dei 39 comuni del Bacino del
Sarno, ben 19 comuni rientrano in una fascia di copertura di fognature tra l’0
ed il 33%, 7 comuni tra il 34 ed il 66% e solo 13 presentano una copertura di
rete fognaria pari ad una fascia tra il 67 ed 100%. Del resto la maggior fonte di
inquinamento delle acque marine-costiere viene da terra, attraverso le acque
dei fiumi. In Campania, dai dati della Goletta Verde su sei foci dei fiumi, 5
risultano gravemente inquinato (uno o più parametri almeno 10 volte oltre i
limiti di legge) e il rimanente considerato inquinato. Un eccesso significativo di
mortalità, per le cause non tumorali per malattie cerebrovascolari (+11%
rispetto alla media regionale pari a 997 casi), un aumento di mortalità anche
per malattie dell’apparato respiratorio totali e croniche pari +27% (745 casi)
+36% (582 casi). Tra le donne preoccupanti gli eccessi di mortalità nelle
malattie dell’apparato respiratorio con +15% rispetto alla media regionale (369
casi). Per quanto riguarda l’intera area a rischio, in cui è presente un’intensa
attività agricola legata alle industrie conserviere del pomodoro, si segnalano,
tra le cause tumorali, nelle femmine, rischi molto elevati per i linfomi non –
Hodgkin (+53% pari a 51 casi), malattia associata in “letteratura” alle
esposizioni di pesticidi. Questi i dati di uno studio dell’OMS (Organizzazione
Mondiale della Sanità) per conto del Ministero dell’Ambiente sulle 15 aree a
rischio ambientale, tra le quali rientar l’area del fiume Sarno. “La zona
maggiormente a rischio, secondo lo studio dell’Oms sono i quattro comuni
(Mercato san Severino- Monitoro Inf-Montoro Sup e Solfora) del polo
conciario, dove negli uomini i valori delle stime di rischio, collegati a malattie
totali e croniche dell’apparato respiratorio sono superiori all’intera area con un
aumento del 47% pari a 112 casi”. Infatti nel commento finale dello studio
dell’OMS viene scritto: “che la concentrazioni dei rischi più alti è situata nei
pressi del polo conciario di Solfora, dove si registrano rischi in crescita
152
Legambiente - Mare monstrum 2002
statisticamente significativa tra i maschi ed i rischi cumulativi per le
generazioni più giovani tendenzialmente elevati in contrasto con i trend della
mortalità regionale.
In sette mesi, dal luglio del 2001 fino al 31 gennaio del 2002 sono state
scoperte e denunciate ben 61 aziende che indisturbate inquinavano il fiume
Sarno. Su 284 sopralluoghi presso le aziende della Provincia di Napoli, Salerno
ed Avellino, ben il 21,4% delle visite ha portato a riscontri di violazione di
legge. Questi alcuni dati anticipati da Legambiente sull’attività di controllo
della task-force dell’Arpac della Regione Campania. I dati sono emblematici:
in totale sono stati effettuati 255 sopralluoghi lungo l’intero tratto di fiume
mentre 284 sono state quelle mirate presso le industrie dove sono state
comminate 29 sanzioni amministrative, 22 denunce presso la Procura della
Repubblica e 10 segnalazioni fatte dal Corpo Forestale. Visitate 99 aziende in
provincia di Napoli, 54 ad Avellino e 131 a Salerno, Secondo il monitoraggio
dell’Arpac soprattutto nel periodo estivo sono state le industrie conserviere e
quelle conciarie i principali rei dell’attività inquinante del fiume. Gli
inquinatori farla da padrone, ad inquinare indisturbati. E’ necessario
intensificare i controlli da parte di tutti gli enti preposti, colpirli nelle tasche
infliggendo loro forti sanzioni pecuniarie e parallelamente completare la
realizzazione dei collettori e reti fognarie, senza la quale ogni partita è persa.
Lo schema depurativo del Sarno e lo stato di realizzazione dell'opera
Ad oggi sono stati realizzati i progetti do solo 9 comuni, sono in fase di
gara l’affidamento dei progetti per altri 9, 3 dovrebbero essere nella fase di
progettazione diretta da parte dei comuni, mentre allo stato attuale, per i
collettori del medio Sarno esistono solo i progetti. La storia della depurazione
del fiume, è una leggenda lunga 20 anni. La storia inizia con il progetto
speciale per il disinquinamento del Golfo di Napoli(PS3) elaborato negli anni
'70 dalla Cassa del Mezzogiorno. Sin dall'inizio avversato dagli ambientalisti e
cittadini. Dopo varie vicissitudini, azioni giudiziarie, nel 1996 viene affidato
all'ISMES lo studio di fattibilità delle proposte di rimodulazione del vecchio
progetto- che accoglieva anche le istanze territoriali degli ambientalisti. Nel
gennaio '97 il Ministro dell'Ambiente Edo Ronchi approva il progetto
annunciando lo stanziamento di 800 miliardi per il risanamento dell'intero
bacino del Sarno
Ai fini della depurazione, il bacino del Sarno viene suddiviso in tre
comprensori Alto, Medio e Foce Sarno.
1) Comprensorio Alto Sarno: previsto un impianto di depurazione
centralizzato a Mercato San Severino destinato al trattamento di tutti i
reflui urbani ed industriali prodotti nel comprensorio. L'impianto è in
funzione dall'aprile 1999, ma attualmente è in corso la realizzazione delle
opere di adeguamento alla normativa comunitaria che prevede un
affinamento degli affluenti.; un impianto di pretrattamento degli scarichi
del polo conciario nel Comune di Solofra, in funzione dall 'agosto del 1997;
153
Legambiente - Mare monstrum 2002
una rete di collettori comprensoriali costituita dalle canalizzazione fognarie
principali, in cui è previsto il recapito degli emissari delle reti fognarie
interne di ciascun comune. I collettori recentemente sono stati oggetto di
lavori di manutenzione straordinari al fine di ripristinare l'efficienza. Le reti
fognarie dei singolo comuni già ultimati
2) Comprensorio Medio Sarno: l'intero comprensorio è allo stato attuale privo
di impianti di depurazione. Si prevedono la realizzazione di 4 impianti di
piccole e medie dimensioni così ubicati:
a)Impianto di depurazione localizzato nei Comuni di Scafati- Sant'Antonio
Abate a servizio di circa 367.000 abitanti;
b)Impianto localizzato a Poggiomarino- Striano a servizio di 145.000
abitanti
c)Impianto localizzato ad Angri a servizio di 355.000 abitanti
d) Impianto localizzato a Nocera Inferiore a servizio di 311.000 abitanti
Nell'aprile 1999 si è svolta la consegna dei lavori alle imprese
aggiudicatarie delle gare d'appalto. Per il completamento dei lavori sono
stati concessi 35 mesi ed i lavori dovrebbero essere ultimati sulla carta
entro marzo 2002. Per quanto attiene alla rete dei collettori, ad oggi
anch'essi mancanti, si prevede il completamento delle opere entro la metà
di aprile 2002. Le reti fognarie dei singoli comuni risultano affette da gravi
carenze, dovute sia a deficienza funzionali che alla completa inesistenza.
Per la fine di quest'anno previsto il completamento dei progetti esecutivi
per passare, poi, alla fase realizzativa.
3) Comprensorio Foce Sarno: prevede un impianto di depurazione
centralizzato, ubicato nel comune di Castellammare. In esercizio dalla metà
del 1999, attualmente oggetto dei lavori di adeguamento alla normativa
comunitaria il cui termine è previsto per il terzo trimestre del 2002; una rete
di collettori comprensoriali suddivisa in sistema sinistra Sarno, dove
saranno realizzati un collettore che raccoglie gli scarichi di Castellammare,
ad oggi ultimato, ma che richiede lavori di manutenzione straordinaria per
la messa in esercizio, ed uno a Gragnano a servizio dei comuni interni a
sinistra idraulica del Sarno, in corso di realizzazione e sistema a destra
Sarno costituito da un unico collettore il cui tratto iniziale si sviluppa in
galleria sotto il centro storico di Torre Annunziata. Realizzato interamente,
la messa in esercizio è tuttora condizionata da interferenze con la rete
idrografica secondaria locale. Per quanto riguarda la rete fognaria urbana è
in corso di completamento in alcuni comuni ed in fase di progettazione
esecutiva per altri.
154
Legambiente - Mare monstrum 2002
11. L’onda nera
Era stato salutato appena un anno fa dalle stesse associazioni
ambientaliste come l’accordo più avanzato in materia di trasporto di petrolio e
sostanze pericolose che fosse stato mai sottoscritto. Stiamo parlando
dell’accordo volontario siglato in extremis dall’ex Ministro dell’Ambiente
Willer Bordon con il suo omologo ai Trasporti, Confindustria, Sindacati,
associazioni ambientaliste, Assoporti ed altri soggetti, che prevedeva una serie
di misure volontarie che l’industria italiana si era impegnata a rispettare ed un
calendario di phasing out per l’eliminazione delle “carrette dei mari” che
avrebbe anticipato di alcuni anni quanto previsto a livello internazionale. Per
parte sua l’Amministrazione Centrale avrebbe provveduto a predisporre una
serie di provvedimenti ed iniziative per facilitare le iniziative dell’industria. Il
tutto con la benedizione di sindacati e associazioni ambientaliste.
In particolare l’accordo prevedeva l’anticipo di ben 4 anni delle
scadenze fissate dall’Unione Europea e dall’IMO (International Maritime
Organization), per quanto riguarda l’eliminazione delle carrette dei mari . Tra i
vari punti cruciali stabiliti nell’accordo, l’impegno da parte di armatori e
utilizzatori di bandire entro il 31 Dicembre 2003, le navi preMarpol per il
trasporto di greggio e entro il 31 Dicembre 2005 di preMarpol adibite al
trasporto di sostanze pericolose. L’accordo prevedeva inoltre che l’industria
italiana inserisse nei contratti di noleggio la clausola che vieta il transito delle
petroliere, qualunque sia la bandiera di appartenenza, nelle Bocche di
Bonifacio, area di notevolissimo pregio naturalistico.
A un anno di distanza nessuna delle iniziative previste dall’accordo
volontario è stata avviata. Le firme dei soggetti che hanno sottoscritto
l’impegno sono rimaste chiuse nei cassetti del Ministero dell’Ambiente, cui
spettava il compito di dare seguito agli impegni presi istituendo in primo luogo
un comitato di monitoraggio dell’accordo.
E così si è persa un’occasione per allontanare le carrette dai nostri mari
e per modernizzare l’industria nazionale. Un anno passato inutilmente.
Ne sono passati 11, invece, di anni dall’incidente che ha portato
all’affondamento della Haven e allo sversamento di decine di migliaia di
tonnellate di idrocarburi nel mare Ligure. La carcassa della Haven giace tuttora
sul fondo marino e tonnellate di catrame e petrolio ricoprono i fondali. Dieci
anni dopo quello che è considerato il più grave disastro ambientale del
Mediterraneo si sta cominciando a rimettere mano alle regole che governano il
traffico marittimo petrolifero. Ci sono voluti altri incidenti, dalla Erika alla
Ievoli Sun, perché l’Unione Europea cominciasse a prendere in considerazione
la possibilità di dotarsi di una normativa più avanzata in questo settore ed è
tuttora all’esame il cosiddetto pacchetto “Erika 1”, che prevede una serie di
misure per rendere più sicuro il trasporto di prodotti petroliferi lungo le coste
europee. Anche l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) sta
lavorando in questa direzione per estendere al naviglio internazionale una
155
Legambiente - Mare monstrum 2002
regolamentazione più severa, ma i tempi degli accordi internazionali rischiano
di non tener conto delle tante emergenze che quotidianamente si consumano
nei mari del pianeta.
11.1 Alcuni dati sul bacino del Mediterraneo
Il mare Mediterraneo è un mare semi chiuso circondato da tre
continenti, Europa, Asia ed Africa. Su di esso si affacciano oltre venti stati, di
condizione politica, economica e sociale molto diversa per un totale di 360
milioni di abitanti, di cui un terzo abita nelle aree costiere. All’interno del
bacino interagiscono numerosissime attività, sia i Paesi rivieraschi sviluppati
sia quelli in via di sviluppo dipendono in gran parte dalle sue risorse. L’area
totale è di 2.5 milioni di km2, che costituisce lo 0,8% della superficie totale
degli oceano. La lunghezza totale tra Gibilterra e la costa della Siria è di 3,800
chilometri, e la larghezza massima tra Francia ed Algeria è di 900 km. La
massima distanza di un punto dalla costa è di 370 km, ma oltre il 50% della
superficie del Mediterraneo è a meno di 100 km dalla costa più prossima. La
profondità media è di 1500 m, con punte di oltre 4000 m.
Negli ultimi decenni si è assistito ad un continuo flusso di nuovi
abitanti lungo le coste. Questo trend è particolarmente evidente sulla riva nord,
dove in certe aree il livello di urbanizzazione ha quasi raggiunto il 100%, come
nell’area tra Mentone e Marsiglia in Francia, la riviera Ligure e la zona intorno
a Napoli in Italia. Alla pressione abitativa, si deve poi aggiungere lo sviluppo
del settore turistico. Il Mediterraneo è sempre stato una delle destinazioni
preferite a livello mondiale. Un terzo dei turisti mondiali, quasi 150 milioni di
persone, sceglie annualmente il Mediterraneo come destinazione per le loro
vacanze, attratto da mare, spiagge e sole.
La pesca nel Mediterraneo è ancora in gran parte portata avanti con
metodi “artigianali”, utilizzando imbarcazioni di piccole e medie dimensioni, e
da pescatori individuali o in cooperative, con una produzione in gran parte
indirizzata al mercato interno. Il settore della pesca è molto importante a livello
sociale oltre che economico, in quanto da esso dipendono non solo i pescatori,
ma anche gli occupati dei settori collegati della trasformazione, distribuzione e
cosi via, con un rapporto tra gli addetti di quasi 1:2,5. Solo in Italia, il settore
della pesca marittima in quanto tale occupa 43,757 addetti (dati dal IV Piano
Triennale della pesca e acquacultura 2000-2002), cui si devono aggiungere
17,000 addetti nei settori dell’acquacultura, trasformazione e cantieristica, e
circa 46,000 addetti nelle attività correlate (come ad esempio distribuzione,
commercializzazione e servizi portuali), per un totale di occupati di circa
107,000 unità. In caso di incidenti con sversamento di idrocarburi, i danni
subiti da queste attività pregiudicherebbero in maniera determinante la
situazione economica di un altissimo numero di famiglie.
156
Legambiente - Mare monstrum 2002
Operazioni Offshore
Nel Mediterraneo esistono una serie di aree di piattaforma continentale
piuttosto vaste, come l’Adriatico, che nella parte settentrionale non è mai più
profondo di 200 metri, il Golfo del Leone, l’Egeo settentrionale e lo stretto di
Sicilia. In queste aree sono già partite attività di esplorazione e sfruttamento
delle risorse dei fondali, soprattutto gas, ma anche petrolio. Anche se queste
attività sono limitate a poche aree, il rischio di impatti negativi sull’ambiente
marino e sulle altre risorse ed attività economiche che vi si basano è comunque
molto alto, ed aumenta con lo sviluppo di tali attività.
Trasporto Marittimo
Fin dall’apertura del Canale di Suez, il Mediterraneo è tornato alla
ribalta come canale preferenziale per il trasporto di merci di ogni genere. Ogni
anno il bacino è attraversato da centinaia di navi che trasportano merci di ogni
genere, dal petrolio greggio alle merci manufatte. Ma è il trasporto di petrolio
greggio e dei prodotti della raffinazione che rappresenta la voce principale del
trasporto marittimo nel Mediterraneo.
11.2 Il traffico marittimo di idrocarburi
A livello mondiale il petrolio è la merce maggiormente trasportata via
mare. Secondo fonti EUROSTAT e OECD/IEA, nel 1998 sono stati trasportati
via mare petrolio greggio e prodotti della raffinazione per un totale di 2.000
milioni di tonnellate che in termini di peso rappresentavano il 40% dell’intero
trasporto via mare. Il trasporto di greggio rappresenta tre quarti del trasporto
mondiale di prodotti petroliferi (1.590 milioni di tonnellate), mentre i prodotti
raffinati sono il restante quarto (430 milioni di tonnellate).
Traffico marittimo mondiale di materie prime (1995)
Materia prima
Totale trasportato (milioni di tonnellate)
1.415
Petrolio greggio
Carbone
423
Minerali di ferro
402
Granaglie
196
Fonte: Confitarma
Le vie di traffico principali sono quelle che vanno dai paesi produttori,
dal Medio Oriente e Golfo Persico, verso Asia, Europa e Stati Uniti, dal Nord
Africa verso l’Europa, e dai Carabi verso gli Stati Uniti. Lungo queste direttrici
il petrolio prodotto in Africa occidentale e nel mare del Nord viene trasportato
in navi di 130-150000 tonnellate (cosiddette Suezmax), quello prodotto dai
Paesi Arabi è trasportato in VLCC di dimensioni superiori alle 250.000 t,
mentre dai Caraibi, dal Mediterraneo e dal Mar Nero il greggio è trasportato in
navi di 80-100,000 tonnellate (cosiddette Aframax). Nel caso di trasporto
157
Legambiente - Mare monstrum 2002
intraregionale, come quello che si svolge all’interno del Mediterraneo, le navi
utilizzate superano raramente le 50,000 tonnellate.
La flotta mondiale di petroliere e chimichiere è composta da 8.720 navi
per un totale di 324,340,718 tonnellate di stazza lorda (dati OMI). Di queste
1.780 sono petroliere e 6.940 trasportano invece prodotti raffinati. Da notare
comunque che al maggior numero di chimichiere non corrisponde una stazza
complessiva più elevata, in quanto le petroliere sono generalmente di maggiori
dimensioni.
Secondo stime recenti, più del 60% della flotta circolante ha più di
17/18 anni di età, mentre sarebbe addirittura del 90% la percentuale delle
grandi petroliere (con stazza superiore alle 200.000 tonnellate) che hanno
superato i 16 anni di età. Unasituazione oltremodo allarmante, se si considera
che una petroliera dovrebbe essere avviata al disarmo tra i 15 e i 20 anni di età.
Il traffico di petrolio all’interno dell’Unione Europea rappresenta il
27% del traffico mondiale ed il 90% del trasporto di petrolio viene effettuato
via mare, mentre gli Stati Uniti da soli importano il 25% del totale.
Il traffico petrolifero nel Mediterraneo, che costituisce lo 0,8% della
superficie delle acque mondiali, rappresenta più del 20% del traffico mondiale
marittimo del petrolio, ed ammonta a 360 milioni di tonnellate annue (fonte
Rempec), di cui:
300 milioni entrano nel Mediterraneo diretti verso Paesi del bacino stesso
180 milioni di tonnellate di petrolio greggio e condensato partono dal
Medio Oriente (125 milioni di tonnellate attraverso il Canale di Suez e la
condotta di Sumed, 50 milioni attraverso il Bosforo, e 5 milioni dalla
Turchia) principalmente verso l’Italia;
100 milioni di tonnellate di petrolio greggio e condensato partono dal Nord
Africa (60 milioni dalla Libia, 40 milioni dall’Algeria) principalmente
verso la Francia;
20 milioni di tonnellate partono da Paesi mediterranei verso altri Paesi del
bacino (8 milioni di prodotti della raffinazione dalla Francia all’Algeria).
20 milioni di tonnellate lasciano il Mediterraneo,
10 milioni attraverso lo stretto di Gibilterra (prodotti raffinati, soprattutto
in partenza dalla Francia);
10 milioni attraverso il canale di Suez (prodotti raffinati).
40 milioni di tonnellate attraversano il Mediterraneo
20 milioni di petrolio greggio e condensato partono dal Mar Nero
attraverso il Bosforo e lo stretto di Gibilterra
20 milioni dall’Egitto (canale di Suez e condotta di Sumed) e attraverso lo
stretto di Gibilterra.
In media, 250/300 petroliere sono in circolazione nel Mediterraneo ogni
giorno.
158
Legambiente - Mare monstrum 2002
Dal 1996 per effetto della MARPOL, le navi cisterna devono essere
costruite con scafo doppio o con tecnologia equivalente, mentre quelle
monoscafo andranno gradualmente dismesse.
La MARPOL però non fissa una tempistica rigorosa e celere per
l’eliminazione delle petroliere monoscafo. Dati INTERTANKO danno al 1
gennaio 2000 una percentuale di cisterne a doppio scafo in servizio nel mondo
del 20,8%, che sale al 42,8% per i tankers tra le 80.000 e le 200.000 tonnellate
ed al 33.3% per quelli superiori alle 200.000 tonnellate, percentuale che in
Mediterraneo sembra essere molto più bassa.
L’Oil Polluction Act americano del 1990, approvato in seguito al
disastro dell’Exxon Valdez, e che stabilisce un calendario per vietare
totalmente l’accesso nelle acque territoriali americane alle petroliere
monoscafo, ha iniziato a concentrare la parte più vecchia della flotta cisterne,
che non potrebbe più accedere ai porti americani, verso le destinazioni
asiatiche o mediterranee. Solo poche petroliere a doppio scafo agiscono
abitualmente nel Mediterraneo, su 250-300 con stazza lorda oltre le 100 GRT.
Nel 1998 (fonte UPI) sono transitate nei porti Italiani 123.800.000 di
tonnellate di petrolio greggio, in gran parte movimentate nei porti
dell’Adriatico. Nel 1999 (fonte U.P.I.) sono state importate nel nostro paese
80.369.000 tonnellate di greggio, con una movimentazione di circa 2.000.000
di barili al giorno, di cui il 65% nei porti maggiori.
11.3 Gli incidenti
Secondo una definizione del GESAMP, l’inquinamento marino è
l’“Introduzione diretta o indiretta da parte umana, di sostanze o energia
nell’ambiente marino... che provochi effetti deleteri quali danno alle risorse
viventi, rischio per la salute umana, ostacolo alle attività marittime compresa la
pesca, deterioramento della qualità dell’acqua per gli usi dell’acqua marina e
riduzione delle attrattive”
Si possono quindi inquadrare tre differenti tipi di inquinamento:
- Inquinamento sistematico: causato dall’immissione continua nel
tempo di inquinanti (scarichi fognari, reflui industriali, dilavamento
terreni, e così via).
- Inquinamento operativo: causato dall’esercizio di natanti
(lavaggio cisterne, scarico delle acque di zavorra e di sentina,
ricaduta fumi, vernici antivegetative, e così via).
- Inquinamento accidentale: causato da incidenti: naufragi,
operazioni ai terminali, blow-out da piattaforme, rottura condotte).
Secondo fonti OMI tra le fonti di inquinamento delle acque marine solo
il 23% sono costituite da sorgenti marine e tra queste la percentuale del 12% è
quella legata all’inquinamento dovuto al trasporto marittimo, il resto è dovuto a
cause di origine terrestre, ad attività di dumping e off-shore ed al trasporto
aereo.
159
Legambiente - Mare monstrum 2002
Principali sversamenti di petrolio in mare
DATA
LOCALITA'
Luglio 1979
Trinidad
Novembre 1987
Iran
Maggio 1991
Angola
Marzo 1978
Francia
Settembre 1985
Iran
Agosto 1983
Sud Africa
Aprile 1991
Italia
Maggio 1988
Iran
Novembre 1991
Terranova
Marzo 1967
Gran Bretagna
Dicembre 1972
Golfo di Oman
Febbraio 1980
Grecia
Maggio 1976
Spagna
Luglio 1985
Iran
Febbraio 1977
Pacifico del Nord
Novembre 1979
Bosforo
Gennaio 1993
Gran Bretagna
Dicembre 1987
Oman
Gennaio 1975
Portogallo
Dicembre 1992
Spagna
Agosto 1979
India
Dicembre 1985
Iran
Dicembre 1989
Marocco
Febbraio 1971
Sud Africa
Febbraio 1996
Gran Bretagna
Maggio 1983
Iran
Febbraio 1985
Iran
Maggio 1975
Porto Rico
Dicembre 1960
Brasile
Gennaio 1983
Oman
Agosto 1974
Stretto di Magellano
Novembre 1974
Giappone
Ottobre 1987
Iran
Maggio 1988
Iran
Dicembre 1978
Spagna
Dicembre 1983
Qatar
Giugno 1968
Sud Africa
Gennaio 1975
Nord Pacifico
Aprile 1979
Francia
Febbraio 1968
Oregon
Gennaio 1975
Delaware
Dicembre 1978
Stretto di Hormuz
Novembre 1979
Texas
Giugno 1973
Cile
Dicembre 1982
Iran
Marzo 1989
Alaska
Dicembre 1999
Francia
Fonte: Bilardo e Mureddu 1992, Intertanko
NAVE
Atlantic Express
Fortuneship
Abt Summer
Amoco Cadiz
Son Bong
Castillo de Belver
Haven
Barcelona
Odissey
Torrey Canion
Sea Star
Irenes Serenade
Urquiola
M.Vatan
Hawaian Patriot
Independenta
Braer
Norman Atlantic
Jacob Maersk
Aegeum Sea
World Protector
Nova
Khark V
Wafra
Sea Empress
Panoceanic Fama
Neptunia
Epic Colocotroni
Sinclail Petrolone
Assimi
Metula
Yuyo Marn
Shinig Star
Seawise Geant
Andros Patria
Pericles G C
World Glory
British Ambassade
Gino
Mandoil 2
Corinthos
Todotzu
Burmah Agate
Napier
Scapmount
Exxon Valdez
Erika
160
SVERSAM.(tonn.)
276.000
260.000
260.000
228.000
200.000
190.000
144.000
140.000
140.000
121.000
115.000
102.000
101.000
100.000
95.000
95.000
85.000
85.000
84.000
80.000
70.000
70.000
70.000
63.000
60.000
60.000
60.000
57.000
56.000
54.000
53.000
50.000
50.000
50.000
47.000
46.000
45.000
45.000
42.000
40.000
40.000
40.000
40.000
38.000
37.000
35.000
31.000
Legambiente - Mare monstrum 2002
Nel Mediterraneo, secondo le statistiche OMI, la percentuale degli
inquinamenti da idrocarburi dovuti a sversamenti da navi è del 10%. Si tratta
ovviamente di statistiche relative agli sversamenti accidentali che non tengono
conto delle operazioni illegali, quali il lavaggio delle cisterne. Secondo una
stima dell’Unione Petrolifera il Mediterraneo riceverebbe ogni anno circa 1
milione di tonnellate di idrocarburi provenienti da varie fonti (sversamenti
intenzionali e accidentali, fonti endogene, apporto dai fiumi, ecc.).
Analizzando le cause di questi incidenti, è possibile riscontrare che per
il 64% dei casi esse sono imputabili ad errore umano, il 16% a guasti
meccanici ed il 10% a problemi strutturali della nave, mentre il restante 10%
non è attribuibile a cause certe.
Per avere un quadro più vicino alla realtà bisogna tenere presente come
la gran parte delle percentuali attribuibili agli errori umani e alle cause non
determinate possono senz’altro essere ascritte ai problemi connessi alla
presenza di vecchie imbarcazioni con equipaggi improvvisati e impreparati che
percorrono in gran numero il Mediterraneo.
Secondo statistiche elaborate dall’ITOPF, l’associazione di categoria
dei trasportatori di idrocarburi, le cause degli sversamenti si manifestano
secondo le seguenti proporzioni:
- durante le operazioni di carico e scarico circa il 35%,
- durante il bunkeraggio circa il 7%,
- per collisioni circa il 2%,
- per arenamento circa il 3%
- per falle nello scafo circa il 7%,
- in seguito a incendi o esplosioni (come nel caso della Haven) per il
2%,
- per altre cause non meglio determinate il 29%,
- per altre operazioni di routine il 15%.
Nel 1999 sono stati compiuti oltre 100 interventi per oil spill superiori
alle 500 tonnellate, un record per gli ultimi anni. Di questi, una consistente
parte è avvenuta in Mediterraneo. La media annuale di spill superiori a 500
tonnellate si aggira per il nostro bacino sulle 21.000 tonnellate annue.
Negli ultimi 20 anni, 550.000 tonnellate di idrocarburi sono state
sversate in mare in seguito a tre soli incidenti, per un totale del 75% della
quantità totale (Cavo Cambanos nel 1981, Sea Spirit ed Hesperus nel 1990,
Haven nel 1991). Dati REMPEC.
Per quanto rilevanti tuttavia, gli sversamenti accidentali dovuti ad
idrocarburi, rappresentano solo una piccola quota del totale degli scarichi
dovuti al traffico marittimo, la maggior parte di essi infatti, dall’80 al 95% a
seconda dei criteri di stima è infatti determinata da operazioni di routine, in
particolare dallo zavorramento e dal lavaggio delle cisterne, con uno spill
medio a livello mondiale, valutabile da 8 a 20 milioni di barili, con 1 milione di
barili nel solo Mediterraneo.
161
Legambiente - Mare monstrum 2002
Densità del catrame pelagico negli oceani mondiali
Mediterraneo
Mar dei Sargassi
Sistema giapponese
Corrente del Golfo
Atlantico nord-occidentale
Golfo del Messico
Caraibi
Pacifico nord orientale
Pacifico sud occidentale
Fonte: Bilardo e Mureddu
Catrame trovato in media (mg/m3 )
38
10
3,8
2,8
1
0,8
0,6
0,4
< 0,01
11.4 Inquinamento da petrolio, cause ed effetti sull’ambiente
La maggioranza degli sversamenti accidentali di idrocarburi si ha in
seguito all’arenamento (grounding) della nave. È proprio in seguito a questa
constatazione che negli anni ottanta e novanta fu sviluppato il sistema del
doppio scafo come mezzo più sicuro per evitare lo sversamento degli
idrocarburi direttamente in mare in caso di arenamento o collisione. Il doppio
scafo infatti, pur non aumentando in assoluto la sicurezza della navigazione,
minimizza gli effetti negativi in caso di incidente, garantendo la presenza di
uno strato intermedio tra le cisterne e l’esterno, per evitare che l’eventuale
scontro causi la dispersione in mare di tutto il carico.
Nella grande maggioranza dei casi, gli incidenti sono generalmente
imputabili ad errore umano, come evidenziato nel grafico seguente.
Il M editerraneo: cause di sversam enti a ccid e ntali
d i id rocarburi da navi cisterna
10 %
10 %
16 %
6 4 %
P r o b le m i s t r u t t u r a l i d e lla n a v e
G u a s t i m e c c a n ic i
E r r o r i i m p u t a b i li a ll ' e le m e n t o u m a n o
C a u s e n o n id e n t if ic a t e
D o tt. E . A m a to
162
Legambiente - Mare monstrum 2002
Fonte: Ezio Amato - Icram
L'impatto degli sversamenti di petrolio nell'ecosistema marino
dipendono da molti fattori concomitanti: quantità di petrolio sversato, modalità
dell'incidente (l'incendio del petrolio può trasferire parte degli idrocarburi in
atmosfera), distanza e morfologia della costa, condizioni meteorologiche.
In generale, uno sversamento consistente produce effetti acuti nel breve
termine e cronici nel lungo periodo sugli organismi marini (in particolare sulle
uova o sui piccoli pesci), sui crostacei (ad esempio lo zooplancton, che
rappresenta la principale fonte di cibo per i pesci), sugli invertebrati filtratori
(coralli, spugne, anemoni di mare, bivalvi, etc.) e sull'avifauna che viene a
contatto con gli strati oleosi galleggianti. Quando le chiazze raggiungono il
litorale, i danni colpiscono anche gli organismi stanziali, siano essi alghe,
piante o animali.
In particolare, per quanto riguarda gli effetti acuti, il petrolio forma una
sottile pellicola che:
- impedisce gli scambi gassosi provocando condizioni di anossia;
- limita la penetrazione della luce con ripercussioni sull’attività
fotosintetica di alghe, fanerogame marine, fitoplancton e quindi
provoca una diminuzione della produzione primaria;
- aderisce agli organismi che vivono o interagiscono all’interfaccia
aria/acqua (mammiferi marini, uccelli, organismi bentonici
intertidali, alghe, stadi larvali, gameti, ecc.) impedendone le normali
funzioni vitali.
Gli effetti cronici, si verificano per gli organismi quando la tossicità
rimane ad un livello sub-letale ma, la presenza delle sostanze inquinanti
provoca alterazioni sostanziali delle condizioni chimico-fisiche che, con tempi
più o meno lunghi si ripercuotono sulla comunità, presentandosi come:
alterazioni fisiologiche, fisiche e comportamentali;
modificazioni della composizione in specie;
modificazioni delle interazioni ecologiche (es. preda-predatore).
Il petrolio nell’ambiente marino subisce una serie di trasformazioni
chimico-fisiche e biologiche, in percentuale variabile a seconda del tipo di
greggio. Il petrolio evaporato viene fotossidato in alcune ore o in alcuni giorni
producendo emissioni di anidride carbonica, ossido di carbonio, composti
organici ossigenati ed aerosol secondari. La fotossidazione interessa anche il
petrolio galleggiante.
Il petrolio che sedimenta sul fondo è quello più dannoso per
l'ecosistema marino: analisi condotte sui sedimenti di una spiaggia inquinata
hanno evidenziato che alcune componenti idrocarburiche rimanevano
assolutamente inalterate per molti anni. Il petrolio sedimentato nei fondali può
interferire con la vita sia degli organismi superiori che dei microrganismi.
Goletta Verde ha effettuato una ricerca sulla presenza di idrocarburi nei
sedimenti dei fondali marini. L’indagine ha riguardato principalmente i fondali
del Tirreno e dell’alto Adriatico, e ha sostanzialmente confermato la situazione
163
Legambiente - Mare monstrum 2002
già rilevata in precedenti occasioni: un inquinamento da idrocarburi forte e
diffuso, con valori molto superiori a quelli registrati dall'Unep in altre aree del
Mediterraneo. Particolarmente significativi i picchi rilevati lungo la costa del
Friuli Venezia Giulia, in prossimità del porto di Trieste e della centrale Enel di
Monfalcone, e davanti al litorale di Reggio Calabria.
Oltre agli sversamenti, ci sono altri danni che una petroliera può causare
all'ambiente. Particolarmente rilevante è il problema dell'introduzione di specie
esotiche nell'ecosistema marino attraverso le acque di zavorra. Infine, un
rischio collegato all'attività delle petroliere è quello dell'inquinamento
atmosferico: a differenza di tutti gli altri mezzi di trasporto, infatti, le navi
usano carburanti in cui il contenuto in zolfo non è sottoposto ad alcuna
limitazione.
11.5 Le proposte: le dieci regole per cambiare il mondo del
trasporto marittimo delle sostanze pericolose
1) Via le vecchie carrette dai nostri mari. Eliminazione entro il 2005 delle
cosiddette “petroliere Premarpol” (costruite prima del 1982) e prive di doppio
scafo e accorgimenti protettivi da tutti i porti italiani. Fissazione della durata
massima di attività per una nave addetta al trasporto di idrocarburi o sostanze
pericolose in 23 anni dal varo.
2) Stop al lavaggio delle cisterne in mare. Chiediamo che vengano intraprese
iniziative a livello di bacino del Mediterraneo per la piena applicazione dello status
di area speciale ai sensi dell’annesso I della MARPOL e per l’efficace repressione
degli inquinamenti volontari. Chiediamo un impegno per l’adozione delle
reception facilities e di misure che consentano di rendere economicamente
conveniente lo scarico delle acque delle cisterne presso i depositi costieri e
rischioso e svantaggioso il lavaggio a mare e misure serie per l’armonizzazione e
l’applicazione delle sanzioni.
3) Basta con gli “equipaggi babele” e privi di capacità professionale. E’
necessario intervenire sempre più sulla formazione degli equipaggi e dei
comandanti, chiediamo un controllo continuo sulla composizione e sulla
professionalità degli equipaggi delle navi che trasportano merci pericolose.
4) Basta con le navi insicure. Chiediamo controlli severi e stringenti sulla
adeguatezza delle navi e il blocco di quelle che non offrono garanzie adeguate di
sicurezza.
5) Stop al rischio tempesta. Chiediamo venga imposto il divieto di navigazione
alle navi che trasportano sostanze pericolose e inquinanti in condizioni
meteomarine particolarmente avverse.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
6) Anche il bunker uccide il mare. Chiediamo l’introduzione di misure relative al
bunker (combustibile di bordo) trasportato dalle navi sia a livello assicurativo che
costruttivo.
7) Chi inquina deve pagare. Chiediamo l’allargamento della responsabilità in
solido per tutti i soggetti coinvolti nel trasporto delle sostanze pericolose e nel
viaggio della nave, dall’armatore, al noleggiatore, al trasportatore e così via.
Chiediamo la piena applicazione del principio “chi inquina paga”, perché il mare
non sia più l’unico soggetto costretto a pagare.
8) Anche l’ambiente ha un costo. Chiediamo il pieno riconoscimento e
risarcimento del danno ambientale in ambito IOPCF, superando la definizione
escludente contenuta nel Fondo 1992, e un conseguente adeguato innalzamento del
massimale. Ci rivolgiamo all’Unione Europea perché contribuisca in tutte le sedi
internazionali a individuare una definizione precisa di “danno ambientale” e
promuova strumenti e forme anche integrative di risarcimento.
9) Stop al traffico nelle Bocche di Bonifacio. Chiediamo un impegno italiano ed
europeo, anche in sede IMO, per giungere all’eliminazione del traffico dalle
Bocche di Bonifacio, cominciando con l’adesione volontaria degli Stati U.E. e di
quelli che hanno richiesto di entrare nella Comunità alle iniziative italo-francesi di
limitazione dei traffici del naviglio di bandiera.
10) Il petrolio non è solo un problema di trasporto, ma soprattutto ambientale
Chiediamo che il trattamento delle questioni relative alle problematiche del
trasporto marittimo di sostanze pericolose venga svolto a livello UE
congiuntamente dalle Commissioni Ambiente e Trasporti e che si faccia chiarezza
sui ruoli e sulle competenze dei ministeri nei rapporti internazionali e
sovranazionali prevedendo anche la tempestiva comunicazione alle autorità
ambientali di situazioni di crisi o di pericolo. È necessario che gli obiettivi
ambientali vengano sempre più integrati all’interno delle disposizioni sulla
sicurezza in mare proposte dall’Unione Europea che, pur condivisibili, finora
hanno mantenuto un’accezione prettamente trasportistica.
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Legambiente - Mare monstrum 2002
12.
20.000 bombe in fondo al mar
Bombe a grappolo, bombe a mano, da aereo, da mortaio, mine, un
arsenale quasi interamente caricato con agenti chimici altamente tossici,
proiettili all’uranio impoverito: la guerra continua in fondo al mare.
Tutto è cominciato durante la prima guerra mondiale quando alcuni
paesi belligeranti iniziarono una grande produzione di armi chimiche.
Nonostante il trattato di Versailles del 1922 e la convenzione di Ginevra del
’25 misero al bando il loro uso, molte nazioni, tra cui l’Italia, continuarono a
produrne. I centri di stoccaggio e costruzione degli armamenti furono allestiti
tra Bari e Lecce. Dopo la guerra tutto il materiale bellico inutilizzato finì
nell’Adriatico. Molti residuati del secondo conflitto mondiale seguirono la
stessa sorte e comunque fino a una trentina di anni fa, come riferisce l’Istituto
per la ricerca scientifica e tecnologia applicata al mare (ICRAM), la pratica
corrente di smaltimento per il munizionamento militare obsoleto era
l’affondamento in mare. Nel 1999 sono arrivate le famigerate “bombe a
grappolo” sganciate in Adriatico dalla NATO dopo la guerra in Kossovo e
l’urgenza di bonificare le zone interessate a fatto riemergere un arsenale
sommerso: l’Icram ha individuato per il momento, in quattro aree al largo
delle coste di Molfetta, 20 mila ordigni a “caricamento speciale”. Un’enorme
discarica sommersa che rilascia sostanze letali come l’iprite e composti di
arsenico. Quante altre ce ne sono nel resto dell’Adriatico? Impossibile saperlo:
le autorità militari non forniscono informazioni che sono “riservate”. Si
sospetta inoltre la presenza di proiettili all’uranio impoverito utilizzati sempre
dalle forze NATO. “Non sono pericolosi” avevano assicurato i militari, ma un
manuale Nato dice l’esatto contrario. Il dato certo è che il caricamento dei
20.000 ordigni stimati dall’Icram è composto da 24 diverse sostanze, 18 di
queste sono persistenti e in grado di esercitare effetti nocivi sull’ambiente e
sull’uomo. Costituiscono un pericolo per i pescatori e per tutti coloro che a
vario titolo esercitano le loro attività in mare. Solo nel basso Adriatico sono più
di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni
sprigionatesi da ordigni a carica chimica salpati con le reti. Le sostanze
rilasciate provocano la distruzione delle cellule umane, attaccano gli occhi,
pelle e apparato respiratorio, alterano la trasmissione degli stimoli nervosi. Ne
conseguono congiuntiviti, bruciori, edemi, danni polmonari cronici e asfissia.
“Esposizioni gravi producono la morte per insufficienza respiratoria e
polmonite. E soprattutto, tumori.” Queste le notizie drammatiche che ci
giungono da studi approfonditi condotti dal Professor Assennato
dell’Università di Bari su 232 pescatori pugliesi vittime di incidenti tra il 1946
e il ’94. Anche l’ecosistema marino non se la passa bene. Dalle prime indagini
compiute dall’Icram, nonostante la letteratura sull’argomento sia ancora scarsa,
non c’è da stare allegri: i pesci dell’Adriatico sembrano essere particolarmente
soggetti all’insorgenza di tumori, subiscono danni all’apparato riproduttivo e
sono esposti a mutazioni genetiche che portano a generare esemplari mostruosi.
Quali saranno le conseguenze per la salute dei consumatori? Lo sapremo
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Legambiente - Mare monstrum 2002
quando avranno fatto studi specifici. L’Icram, su richiesta del Ministero
dell’Ambiente, ha presentato un “piano per la valutazione dei rischi ambientali
e delle opzioni per minimizzarli”, dove sottolinea la complessità e l’urgenza di
affrontare il problema: “l’individuazione ed esplorazione delle aree
d’affondamento, l’identificazione delle sorgenti di rischio ambientale e del loro
potenziale nocivo e l’esperimento di attività di bonifica, richiede la
collaborazione di enti civili e militari, di società specializzate, di ecologi
marini, ecotossicologi, oceanografi, sedimentologi, chimici, biochimici,
modellisti, storici ed esperti di armamenti. La tutela della sicurezza degli
operatori, minacciata dalla pericolosità delle sostanze studiate, è priorità
imprescindibile e richiede anch’essa la collaborazione di specialisti.”
I dati sulla bonifica rimangono lacunosi. Lo sganciamento di bombe a
grappolo, ognuna delle quali conteneva 202 bombe lunghe qualche decina di
centimetri, fa supporre che una bonifica completa dell’Adriatico dagli ordigni
sarà difficile da conseguire con le tecnologie oggi a disposizione.
E l’emergenza, purtroppo, potrebbe estendersi anche oltre l’Adriatico:
si sospetta la presenza di armi chimiche nel Mar Ligure. Finora solo ipotesi ma
la nascita del Parco nazionale delle Cinque Terre ha riacceso la memoria, sino
a farla giungere agli anni cinquanta. Proprio in quel periodo, alla fine della
guerra, alcuni pescatori recuperarono degli strani contenitori di metallo rivestiti
in piombo, erano in gran parte stati già intaccati dalla corrosione e l’acqua era
penetrata all’interno. Il piombo era un ottimo materiale da commercializzare e
quindi alcuni pescatori pensarono di fare a pezzi uno di questi contenitori e
rivenderlo come ferro vecchio. Uno di questi contenitori venne tagliato in un
cantiere navale del golfo spezzino: conteneva iprite. Vi furono diversi feriti,
fortunatamente l’acqua infiltrata nell’ordigno aveva diluito la terribile sostanza.
Racconti di incidenti simili si tramandano di generazione in generazione e sono
stati raccolti anche dall’Icram. All’epoca però non c’erano verbali quindi si
deve fare affidamento solo sulle testimonianze orali dei vecchi pescatori. Si
parla di un vero e proprio deposito di ordigni situato sul fondo del mare: si
tratta in gran parte di rifiuti o smaltimenti d’emergenza fatti durante le ultime
due guerre mondiali, in particolare negli anni quaranta. Nella zona ci sono
anche quantitativi di munizioni tedesche gettate in mare dopo l’8 settembre.
Fino agli anni ’70 poi anche nelle relazioni della Marina Militare erano
segnalati i depositi ufficiali di questi ordigni, in seguito ogni riferimento è
misteriosamente scomparso.
Per anni questa “storia” è stata trascurata perché in quelle aree non ci si
pescava nemmeno. Ma ora con l’arrivo del parco ed il possibile incremento
dell’attività subacquea questo segreto è inevitabilmente “venuto a galla”.
Bombe di ieri e di oggi. Tutte egualmente pericolosissime per l’uomo e
dannosissime per l’ambiente. Oggi e domani.
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