www.archeofoligno.it rcheo Foligno N otiziario bimestrale di C ultura dell ’A rcheo C lub d ’I talia sede di F oligno N. 5 Novembre - Dicembre 07 Spedizione in A.P. art. 1. com. 2/C D.L. 3 n° 353/2003 - DCB/Umbria Un libro e una citta’ “ In copertina: Frontespizio del ”Discorso sopra l’antichità della città di Foligno” di Fabio Pontano. La monumentale architettura che incornicia il titolo presenta, in basso, due putti che sostengono lo stemma della celebre famiglia folignate degli Jacobilli: un leone rampante che brandisce una spada. Archeo Foligno Notiziario bimestrale di Cultura dell’ArcheoClub d’Italia sede di Foligno Autorizzazione Tribunale di Perugia n. 10/2003 del 07-02-2003 Direttore responsabile Marco Morosini Coordinamento di redazione Carla Glingler Grafica: Edicit di Giampiero Badiali Stampa: Grafiche Flaminia s.r.l. Zona industriale Sant’Eraclio - 06034 Foligno (PG) Hanno prestato la loro opera per la stesura del N°5 del bimestre Novembre - Dicembre 2007: Lucia Bertoglio, Luciano Cicioni, Carla Glingler, Elisabetta Marchionni, Sandra Remoli Segreteria Via Nobili 4 - 06034 Foligno Aperta il giovedì dalle ore 16,30 alle ore 17,30 a partire dal 27 -09-07. In qualunque giorno si può fare riferimento ai N°: 0742.351601 0742.379634 - 339.6826526 importante le conferenze avranno luogo presso l’Università 3a Età – via Oberdan 123 Ho voluto scriver in volgare, a finché ogn’uno mi possa intendere”, con questa frase si conclude l’opera di Fabio Pontano, Discorso dell’Antichità di Foligno, data alle stampe nel 1618. In queste parole è racchiusa la caratteristica forse più straordinaria dell’opera del Pontano: la volontà di trasmettere a quanti più lettori possibile, e quindi non solo ad una ristretta élite di eruditi certamente in grado di comprendere il latino, la conoscenza delle antiche origini di Foligno, dimostrate attraverso approfondite testimonianze documentarie: testi letterari antichi, iscrizioni rinvenute nel territorio e “scovate” negli angoli più o meno nascosti della città di allora, elenchi redatti dai vescovi in occasione di sinodi e concili. Una ricerca finalizzata a smentire con rigore scientifico l’idea che la nostra città fosse invece sorta solo successivamente a Forum Flaminii, conferendole così la dignità di un’origine autonoma ed autoctona; ma ancora più degno di riflessione, è il fatto che sia stato il Consiglio della città ad incaricare l’allora maestro di scuola Pontano, originario di Cerreto, ma adottato da Foligno, di realizzare tale impegnativa opera. Da tutto ciò emerge una lungimirante consapevolezza dei governanti nei confronti del ruolo della storia, ma soprattutto del valore delle fonti che la sostengono e l’avvalorano, riconoscendole indiscutibile attendibilità, fonti non solo cartacee ed appannaggio di studiosi, ma anche sotto gli occhi di comuni cittadini, come nel caso di tal Giovanni Santori, detto Ranocchia (Pontano vuole che i lettori individuino bene di chi si sta parlando), nella cui abitazione Pontano scoprì un reperto utile alla propria ricerca: “…sporge in fuori della parete una gran pietra, della quale credo, che la metà stia cacciata dentro la parete, che per ciò non si può vedere”. Ovviamente il Pontano arrivò in luoghi ben più autorevoli della casa del Ranocchia, siamo a Foligno e non poteva certo essere omesso il Palazzo Trinci, allora Palazzo del Governatore, del quale viene presa in esame la raccolta antiquaria. Stranamente non viene menzionata la stele di Amore e Psiche, tuttavia, se tale grave e sorprendente dimenticanza non può essere perdonata, Pontano si redime parlandoci di un pezzo che invece non è più a Foligno, un bassorilievo donato nel 1622 al Cardinale Ludovico Ludovisi dallo zio, Papa Gregorio XV, raffigurante il mito dei Due Cupidi ed ancora oggi conservato nel Casino Ludovisi a Roma (immagine in quarta di copertina). Pontano descrive poi ampiamente il Rilievo del Circo (Piero Lai fa notare come l’argomento si ripresenti in un’altra sua opera, l’opuscolo De Circis), illustra inoltre i sarcofagi e le sette teste, alle quali cerca invano di attribuire un’identità, non pensando alla simbologia delle età dell’uomo. Nella seconda e definitiva edizione del suo Discorso, alla quale, come testimonierebbero 23 nuove pagine, poté probabilmente dedicare più tempo, Pontano decise di presentare ai lettori anche la città di allora, la Foligno seicentesca, scusandosi per la divagazione che evidentemente riteneva quanto mai opportuna e confacente al contenuto del proprio libro. A dispetto di tanto rigore e di tanto accurato lavoro, beffe della sorte, questo testo così degno di lode, è stato per anni parzialmente oscurato da un posteriore Discorso sopra la città di Foligno del 1646, scritto, pensate un po’, proprio da colui al quale Fabio Pontano aveva dedicato il suo Discorso dell’Antichità di Foligno: il celeberrimo Ludovico Jacobilli, che di Pontano scrisse poi, nel 1658, una biografia confluita nel Bibliotheca Umbriae sive de scriptoribus Provinciae Umbriae, sbagliando la data di stampa del Discorso e la data di morte dell’autore, rispettivamente anticipate di uno e di due anni. Sandra Remoli Dietro le quinte Archeoclub d’Italia sede di Foligno Il quinto numero del Notiziario, ultimo del 2007, conclude un anno denso di attività e di soddisfazioni. Con il viaggio all’isola d’Elba, tra archeologia industriale e paesaggi di straordinaria bellezza (10/16 settembre), è terminata la pausa estiva e con la conferenza “La platea vetus tra reale e virtuale” si è inaugurato in modo innovativo il percorso culturale intitolato “Medioevo Oggi” che ruoterà intorno ai “Luoghi e Personaggi” della Foligno quattrocentesca fino al maggio 2008. La sede degli incontri, come già annunciato nel numero precedente, è cambiata, d’ora in poi il nostro punto di riferimento sarà Via Oberdan 123 presso l’Università della Terza Età. Ringrazio il Presidente Dottor Carlo Messini, per averci concesso l’uso dell’aula magna e contemporaneamente esprimo a Don Giovanni Zampa i sensi della gratitudine del Consiglio Direttivo e miei personali per averci ospitato fino al maggio 2007 presso la Parrocchia di San Giacomo. Abbiamo lasciato la vecchia sala, diventata a noi familiare, per esigenze di maggiore spazio ed abbiamo salutato i luoghi e le persone con un pizzico di nostalgia, anche se il trasferimento sta a significare la crescita dell’Archeoclub di Foligno. Guardando al futuro, entro il prossimo dicembre o a gennaio 2008, sarà presentato al pubblico il volume con la copia anastatica del “Discorso sopra l’antichità della città di Foligno” di Fabio Pontano a cura di Luigi Sensi, opera di grande rilievo che segna un traguardo raggiunto. A tale proposito si è ritenuto significativo dedicare il Notiziario del bimestre Novembre - Dicembre 2007 a questo evento perché si faccia, anche visivamente, un punto fermo della memoria nella serie dei Bollettini dell’Associazione. Da un incontro avvenuto il 3 ottobre u.s. con gli Insegnanti coinvolti nell’allestimento della Mostra di maggio “Archeoclub e Scuola” emerge in forma sempre più concreta l’ipotesi ventilata a giugno della compilazione di un Catalogo (non importa se posteriore all’avvenimento) che fissi sulla carta il ricordo di un lavoro didattico nato intorno ai “Segni Disegni Figure” del programma 2006/2007 “Medioevo a Foligno e in Terra d’Umbria”. Per quanto concerne la Sede Nazionale, in data 5 ottobre è giunta la lettera del Presidente Walter Mazzitti con cui si annunciano: 1. i risultati ottenuti in Sicilia, come da Periodico nazionale d’informazione N° 267; 2. l’iscrizione dell’Archeoclub d’Italia nel Registro Nazionale delle Associazioni di promozione sociale con decreto del Direttore Generale del Ministero della Solidarietà sociale; 3. la notizia che presto entrerà in funzione il nuovo sito internet dell’Associazione; 4. e, finalmente… la convocazione per il 6 ottobre del Consiglio nazionale che, da quanto è emerso successivamente, ha indetto l’Assemblea dei soci con il compito di eleggere le cariche sociali per il triennio 2007/2010 fissandola al 16 dicembre p.v. Mentre ci complimentiamo per i punti 1 - 2 - 3, ci pare di poter dire con rincrescimento che il lungo periodo di “vacanza” degli Organismi centrali, oltre i limiti indicati e consentiti dallo Statuto, abbia nuociuto alla coesione del Club. Non ci si rammarichi poi se le singole sedi, private di indicazioni programmatiche orientative e coerenti, si chiudono a riccio, come feudi nei loro territori, perseguendo politiche autonomistiche staccate dal centro con conseguenti dissociazioni e spaccature! La Presidente Carla Glingler ARCHEO FOLIGNO UN’OPERA MISCONOSCIUTA IL ”DISCORSO DI FABIO PONTANO SOPRA L’ANTICHITA’ DELLA CITTA’ DE FOLIGNO” Esce la copia anastatica pubblicata con il sostegno finanziario dell’Archeoclub di Foligno nella Collana dei “Bollettini Storici della Città di Foligno” Cerreto di Spoleto - veduta. Q uando si pensa all’erudizione seicentesca folignate, sono due i nomi che vengono in mente a tutti, quello di Durante Dorio e quello di Ludovico Jacobilli, figure diverse ma a loro modo ingombranti che oscurano tutto il resto. A pochi è noto il “Discorso di Fabio Pontano sopra l’antichità di Foligno”, che al giovane Jacobilli era stato dedicato, anche perché il tempo è stato poco clemente con quest’opera che ebbe due edizioni, entrambe del 1618: pochissime sono infatti le copie giunte fino a noi. Della seconda edizione, quella completa (di cui, fino agli anni Ottanta, gli studiosi ignoravano l’esistenza), un esemplare è stato acquistato di recente grazie all’Assessorato alla Cultura della Regione Umbria. Ciò rende ancora più meritevole la copia anastatica di questa seconda edizione che, grazie al contributo dell’Archeoclub di Foligno e alla disponibilità della Biblioteca comunale di Foligno, viene data alla stampa, a cura di Luigi Sensi. In un’epoca in cui l’erudizione usava spesso il latino, il Pontano usa il volgare, quasi scusandosi, “a finché ogn’uno mi possa intendere”, rendendosi così leggibile (come nota Piero Lai nel suo contributo), anche per il lettore moderno che si volesse avventurare nell’ampio periodare seicentesco. D’altronde il testo si legge con curiosità, sia nella prima parte, quella “archeologica”, che nella seconda, con i veloci ritratti dei folignati che si sono distinti nei diversi campi. Fabio Pontano era folignate solo di adozione, ma amava profondamente la città dove era giunto nel 1591, per assumere la carica di insegnante (magister scholae o praeceptor publicus o magister ludij letterarij, come si diceva allora) presso la scuola pubblica cittadina. Era infatti originario di Cerreto di Spoleto, discendente da una famiglia che aveva dato alla storia della letteratura Giovanni Pontano, poeta alla corte aragonense, che padroneggiava il volgare ed il latino e che ci ha lasciato, fra le altre opere, commoventi epigrammi funebri: una gloria di famiglia di cui ancora nel XIX secolo un discendente, Carlo Pontani, dà notizia in un contributo di cui il volume riporta il testo. Anche la vita di Fabio fu dedicata alla cultura e alla letteratura (oltre al Discorso compose anche un opuscolo su Cerreto ed uno sul rilievo del circo, conservato oggi nel Museo della Città, a Palazzo Trinci). Finora la sua biografia era nota grazie al ritratto che ne fece ARCHEO FOLIGNO Ludovico Jacobilli nella sua Bibliotheca Umbriae e ad un’altra lettera del già citato Carlo Pontani, anch’essa riportata in appendice. Bruno Marinelli, con la consueta cura, ha cercato negli archivi atti e documenti, attraverso i quali tratteggia la storia del Pontano e della sua famiglia, alquanto inquieta in verità. Il ramo di suo fratello Ortenzio, notaio, fu infatti coinvolto in omicidi e delitti (lo stesso Ortenzio morirà per mano del cugino della moglie), di cui il saggio di Marinelli cerca di ricostruire, quasi come in un giallo, i retroscena. Più tranquilla fu la sua vita da maestro di scuola (carica che aveva già rivestito suo padre e che passerà poi a suo figlio), divisa fra lo studio e la famiglia. Colpisce come in un atto del 1627 (si spegnerà sei anni dopo, nel 1633) lasci alla terza moglie, da cui dice di aver ricevuto “multa et grata servitia”, tutti i suoi libri, quegli stessi di cui certo si era servito per le sue ricerche. Molte sono le opere di altri autori che consultò, ma ai suoi tempi non usavano citazioni precise come si usa oggi. Per questo, fra le diverse appendici, piace sfogliare la bibliografia “postuma”, ovvero l’elenco dei testi che studiò e che certo circolavano in città. Nel 1616 era stato invitato dal Consiglio a raccogliere le antichità del territorio da cui potesse emergere l’“antichitatem seu vetustatem” della città. Di questa ricerca, egli dà conto nel primo libro del Discorso, una sorta di “guida retrospettiva”, come la definisce felicemente Fabio Bettoni. Leggendo le pagine del Pontano, sembra di percorrere con lui le vie di Foligno, le sue case e le sue chiese, all’interno e fuori dalle mura, quasi in una caccia al tesoro delle tracce rimaste dell’epoca romana. Oggi molti di questi oggetti sono stati spostati dalle sedi nelle quali il Pontano li vide, alcuni sono scomparsi, altri sono conosciuti. Figlio del suo tempo, poi, Fabio Pontano affianca letture, “archeologia” ed epigrafia, in un mélange affascinante ma che per il lettore moderno non è sempre semplice da valutare criticamente: pubblicare il testo originario senza degli studi di commento e approfondimento sarebbe stato lasciare il lavoro a metà. In questo la presente edizione si mostra opera di pregio: Fabio Bettoni e Piero Lai introducono il lettore nella città e nel contesto culturale nel quale egli scrisse e visse, Bruno Marinelli ne racconta la vita, Rossana Landi analizza le varianti fra le due edizioni. Il denso saggio di Luigi Sensi inserisce l’opera nel più ampio discorso dell’antiquaria folignate fra XV e XVII secolo, approfondisce le fonti a cui il Pontano poteva accedere e ne valorizza le indubbie qualità di studioso. Sarebbe stato fargli un inutile torto rilevarne puntualmente le imprecisioni (e Sensi non lo fa, sebbene non tralasci di segnalarne i limiti): la cultura di Fabio rispecchia quella della sua epoca e noi siamo in vantaggio di altri quattrocento anni di studi e di ricerche. Le immagini e le appendici arricchiscono un volume ricco di notizie per gli studiosi, ma anche per chi sia attento alla storia della nostra città. Di fatto il Discorso è un libro a tema: il Pontano vuole dimostrare come Foligno sia città antica, dotata di una propria identità, ricca e importante. Nasce da un profondo amore per la cultura e per Foligno ed è forse in questo la sua attualità, nell’invitare chi oggi vi abita a camminare per le sue vie con gli occhi all’insù a cercare il dettaglio di una cornice, il decoro di una finestra, a individuare fra le pietre quella che porta le tracce di un uso precedente, perché il volto di una città è fatto anche dai dettagli. Il suo amore è attento ai segni, alle storie dimenticate che gli edifici raccontano, ai personaggi che per noi oggi sono solo il nome di una via e che invece costituiscono l’eredità che dobbiamo conoscere, per poterla conservare e trasmettere a nostra volta alle generazioni future. Lucia Bertoglio Sarcofago a lenos, Foligno, Palazzo Trinci, raccolta archeologica. ARCHEO FOLIGNO I pregi di un’opera invito alla lettura dal testo di Fabio Bettoni Acquaforte - Rielaborazione grafica di Rolando Dominici P rendiamolo in mano questo libro, come una guida retrospettiva, come uno spazio della memoria, e andiamo a cercare ciò che resta delle testimonianze lì menzionate. (....) Le pagine di Luigi Sensi che introducono il lettore al Discorso pontaniano chiariranno la qualità di questa guida archeologica ante litteram, diranno di ciò che resta, di ciò che è andato perduto, di ciò che ha preso altri lidi. Sta di fatto che nessuno mai prima di Fabio si era cimentato con l’individuazione sistematica di siti ed oggetti che parlassero dell’antichità di Foligno o con la descrizione anch’essa sistematica di reperti del remoto passato conservati nella città. In lui, la sensibilità verso l’Antico aveva tratto alimento certamente dai sedimenti culturali che una consolidata tradizione familiare aveva via via depositato, ma, come si vedrà, si era arricchita e si arricchiva tuttora grazie a frequentazioni alte: di letterati, di libri, di documenti, di monumenti; ne deriva che alcuni passaggi del Discorso, discutibili quanto si voglia alla luce delle conoscenze odierne, sembrano scritti a bella posta per dimostrare quanta scienza storico-archeologica si condensasse nella sua testa (...). Vi è, perciò, nel Discorso un intento didascalico e didattico, una voglia di spiegare, di far conoscere per suscitare l’amore verso il passato e verso il presente vitale di una città. Che Pontano ami Foligno è molto evidente in ogni riga della sua trattazione; e questo amore lo spinge a redigere un testo esemplare. (...) Foligno, scrive Pontano, non è città moderna, come alcuni scrivevano, né che fusse edificata dopo la distruttione di Foroflaminio né meno da i Folignati che abitavano appresso Todi overo da Todini, come dicono il Biondo e ’l Volaterrano e alcun’altri; ma bene assai antica e avanti la nascita di nostro Signore e di Cicerone e d’ogni altro autore antico che habbia scritto, e, a loro tempo, città nobile ed onorata. Una chiave di volta; una premessa, fondativa dell’intera dimostrazione, e, come vedrà il lettore, conclusivamente argomentata nelle ultime due pagine dell’opera. La città ha una identità sua propria, non è il frutto di fondazioni eterogenee, semmai è l’esito di stratificazioni successive, di innesti che hanno accresciuto un popolamento originario. La città antica, secondo Pontano, sorge “dove sta ora”; passata la furia distruttiva dei longobardi, che avrebbe implicato un esodo massiccio delle popolazioni locali, e, una volta rientrate queste “nella patria loro”, l’ampliarono, arricchendone il sito con le rovine di Foroflaminio e di Campi, un “castellotto” di cui restano “vestigij di antichità” nella zona di Santa Maria in Campis. Ma il tema, che oggi appassiona molti (e che per la totalità degli studiosi è superato, nel senso che intorno a Santa Maria in Campis va ricercato il sito della Fulginia romana), non lo coinvolge più di tanto; per lui conta sopra tutto sottolineare che Foligno, la Foligno dove vive ed insegna, la Foligno sommamente amata, qualunque ne fosse stato il sito dell’originario insediamento, ha una configurazione sua propria che le era stata riconosciuta dagli autori classici e una dimensione territoriale vasta, o, ARCHEO FOLIGNO per lo meno, un’area d’influenza assai ampia, che si protendeva verso Nocera a nord-est e verso le sorgenti del Clitunno a sud; la Foligno di Pontano, insomma, è città eminente nella Valle Topina e nella Valle Umbra anche perché lo era stata in passato. Potremmo dunque dire di un rovesciamento: non solo l’antichità di Foligno è autentica, ma, rovesciando appunto il parere dei detrattori, è un’antichità ornata di una invidiabile egemonia territoriale. Sappiamo che non era stato così, che anzi fino alla fine del Quattrocento Foligno aveva dovuto difendere una territorialità costantemente minacciata; ma se antichità si coniuga con nobiltà, antichità e nobiltà senza territorio ampio, fertile, ricco di risorse e di popolazione sarebbero ornamenti del tutto irrilevanti; tant’è che il Discorso, alla proposizione dell’Antico, fa seguire l’esposizione di quanto, in maniera altrettanto esemplare, ha lasciato di sé il Medio Evo. E la lunghissima età medievale (...) è un’età ricca di uomini illustri in tutti i campi, soprattutto nella santità. Ma quanta religione civica, cittadina, in questo elenco lunghissimo di santi e di beati, modello di cataloghi ben più ponderosi a cui Iacobilli avrebbe abituato i suoi lettori non solo in vita ma anche post mortem! La lettura dell’Antico partiva dal substrato civico da porre a fondamento della città attuale (…). Civico, cioè di città nella quale si manifesta il protagonismo dell’aristocrazia e della cittadinanza magnatizia, di città gelosa detentrice delle prerogative di ceto e di classe; civico nel senso di peculiare ad una parte di città dunque, non ad una, impossibile, città di tutti. Civico, in quanto la città è strenua sostenitrice, - al di là dell’ossequio formale al sovrano pontefice e ai suoi rappresentanti temporali-, di una identità istituzionale propria, autonoma, incardinata nel Consiglio Centumvirale aristocratico, nelle magistrature e prefetture municipali (ordinarie e straordinarie), prima fra tutte il Magistrato dei Priori, nel privilegio precipuo della Presidenza di una Fiera famosa e antichissima, appannaggio durevole del patriziato. Come il substrato civico era antico, anche quello economico lo era; si veda quanto dice sul numero cospicuo degli abitanti e dei luoghi dipendenti, sull’abbondanza delle acque, sulle “ricchezze di terra”, sull’aria resa ormai salubre da benefiche bonifiche, sulla qualità delle produzioni agricole e artigianali, sull’intensità dei commerci, sulla formazione culturale come fattore qualitativo primario. Una floridezza insomma, quella del tempo suo, che altro non era se non un prolungamento della floridezza del passato. Veduta di Foligno dl Piccolpasso Acquaforte, acquatinta - Rielaborzione grafica di Rolando Dominici ARCHEO FOLIGNO ontano un profilo biografico Un personaggio di ieri in una città che oggi lo ricorda. E nella città di oggi la ricerca del luogo in cui il personaggio visse. Se non della casa, cancellata dalla memoria, il lettore volenteroso può andare alla scoperta della via, che c’è ancora, incuneata tra la piazza del mercato e le vecchie Conce, a fianco del signorile Palazzo Barnabò. Si chiama Via delle Vergini ed appare più vicolo che strada aprendosi e districandosi nel reticolo medievale del centro storico, con un aspetto un po’ logoro, un po’ rimbellettato, ma con qualche traccia ancora leggibile di una passata secolare distinzione. Correva allora tra “il rione Spada e il rione Feldenghi”, come ricorda Bruno Marinelli nel suo saggio, in una Foligno del tardo cinquecento ancora strettamente serrata dentro mura salde e compatte (vedi i disegni di Ascensidonio Spacca e del Piccolpasso alle pag. 6 e 7). Per questa strada, tra il 1615 e il 1633, immaginiamo passasse con abitudinaria frequenza il maestro di scuola Fabio Pontano uscendo ogni giorno da casa sua, o meglio da casa di sua moglie Sabatina di Giovanni Maria da Orvieto, sposata in terze nozze. In questo arco di tempo risulta che il maestro non possedesse beni immobili, ma oggetti e libri accumulati in anni di studio e di ricerca per amore di conoscenza, per necessità professionale, per passione personale. Li reputa preziosi al punto che li destina alla moglie in un atto di donazione del 1627 per “multa et grata servitia” da lei ricevuti, ma riservandosene l’uso vita natural durante. Sabatina sarà libera di tenerli o di venderli soltanto dopo la morte del marito. Dovevano passare appena sei anni prima che quest’uomo onorato e stimato, ma ormai fiaccato nell’animo e nel corpo, morisse il giorno 11 marzo del 1633. Non era stata un’esistenza facile e felice la sua e merita qui la pena di ripercorrerla sulle ali leggere della sintesi liberando la storia dai tanti ed intricatissimi orpelli documentari e rileggendola come una sorta di romanzo. Fabio Pontano era nato a Cerreto di Spoleto ed era approdato a Foligno il 21 agosto 1591 nella veste autorevole di “praeceptor publicus” eletto dal Consiglio comunale con 51 voti favorevoli e 15 contrari. Vedovo e con (almeno) due figli (Riccardo ed Elena) avuti dalla prima moglie Settimia Pollio di Orvieto, nel 1593 sposerà in seconde nozze la folignate Arsilia di Sante Belli, anche lei vedova, ma senza figli. Fu matrimonio d’interesse? Di comodo? D’amore? Fu sicuramente un’unione breve in quanto il 19 ottobre 1600 Arsilia morì lasciando l’usufrutto dei propri beni a Fabio, “suum dilectum maritum”, e la proprietà degli stessi ai figli di lui Riccardo ed Elena. Si apre senza dubbio per il nostro personaggio un periodo d’instabilità emotiva caratterizzato da in- ARCHEO FOLIGNO certezze, da decisioni imprevedibili, da ripensamenti, da ombre. Di lì a due anni concede in sposa la figlia a un tal Pietro Paolo Dotti, perugino, di professione “calzettaro”, subito dopo rinuncia al posto di maestro di scuola, poi torna inutilmente a concorrere per riottenere l’incarico e, non riuscendoci, lascia la città. E’ perciò lontano da Foligno quando il fratello Ortenzio Pontano – notaio, sposato con la nobildonna Viginia del ramo dei Boncompagni di Foligno e Visso – viene assassinato da un cugino della moglie, forse per motivi di interesse. Fabio tornerà a Foligno solo nel 1615, eletto nuovamente e definitivamente “magister scholae”. E’ in questo periodo che, ormai uomo maturo e dotto, riacquistata la desiderata stabilità nel lavoro e negli affetti domestici, può dedicarsi alla passione per l’antiquaria e all’esplorazione del territorio per incarico ufficiale del Comune che gli ha commissionato di cercare le origini antiche della città. E’ il preludio della stesura del Discorso che verrà pubblicato in due edizioni nel 1618. Poi sopraggiungerà il tramonto reso cupo da un nuovo delitto e rattristato dalla progressiva consapevolezza del maestro di essere arrivato al traguardo della vita e della carriera. Il 25 luglio 1625 i nipoti Riccardo, Pietro, Alessandro e Agostino, figli del defunto notaio Ortenzio, avevano ucciso l’abate Ercole Boncompagni, presumibilmente per vendetta. Nel febbraio del 1633, appena un mese prima della morte, il vecchio maestro, indebolito da tante dolorose traversie, aveva chiesto al Comune di essere affiancato a proprie spese da un secondo ripetitore, oltre quello ordinario, perché “desse a’ scolari maggior timore” di quello che lui personalmente potesse incutere. Morirà l’11 marzo e sarà sepolto nella cattedrale cittadina. Si chiude così tra luci ed ombre, la storia di un uomo rispettabile. Notizie tratte dal saggio di Bruno Marinelli, narrazione di Carla Glingler. 10 ARCHEO FOLIGNO Pensando a Federico Flavio Un personaggio di cui, sicuramente, Fabio Pontano avrà sentito parlare Luciano Cicioni L e ruote della bicicletta emettono un dolce ronzio, le pedivelle girano senza sforzo, la collina di san Sebastiano davanti a me e i campi intorno mostrano varie tonalità di verde: cipressi, olivi, querce, qualche pioppo, il grano che già spunta. La pianeggiante via dei Trinci si presta bene ad una salutare passeggiata. Alla mia destra, tra via “P. Barbati” e via “N. Tignosi”, scorgo un’altra traversa con il suo bravo cartello indicatore : “via F. Flavio”. “F. Flavio” sta per Federico Flavio o, a dirla tutta, per Federico dei Bacerotti Flavio da Foligno, (circa 1470 – 1540) anche lui come tanti altri condannato all’oblio da una toponomastica troppo frettolosa. Federico Flavio fa parte di quella schiera di intellettuali, come Tignosi, Cantalicio, Barbati, De Comitibus, Venturi, Bandoli, ed altri ancora, che fecero di Foligno uno dei centri più vivaci, seppure minori, dell’umanesimo. Era non solo un eccellente epistolografo, un dottissimo compositore di versi latini in vario metro in gran parte di contenuto amoroso, ma anche uomo di guerra e negoziatore politico e persino frutticoltore e agronomo. Dal 1532 fino al termine della sua vita fu priore della cattedrale di Foligno, carica cui era giunto dopo essere stato parroco e poi arciprete a Belfiore. La sua carriera ecclesiastica, intrapresa a trentacinque anni, si esplicò in tante munifiche attività, massime in restauri di chiese, cappelle e cimiteri. Fu una vita assai intensa la sua. Come scriverà nel 1725 il suo biografo Claudio Bolognini “… si cacciò in imprese guerresche di terra e di mare e, fatto preda di corsari, si ridusse a salvamento sulle coste di Napoli. Poi, adoperatosi in maneggi diplomatici, fu oratore di principi alle varie corti d’Italia”. Un vero uomo del rinascimento insomma, che dopo molto girare per l’Italia e per la Francia, ritiratosi definitivamente nella sua città, amava circondarsi di amici ed anche di uomini illustri in cenacoli e convegni di alto livello culturale. Fu anche, come dicevo, frutticultore e agronomo e questo è per me l’aspetto più interessante della sua multiforme personalità. Un affresco che si trova in una sua casa di Foligno, lo ritrae in abiti ecclesiastici seduto su una scranna in mezzo ad un prato; a terra alcuni codici, sullo sfondo qualche cipresso. Ha la postura di chi impartisce una dotta lezione: lo sguardo leggermente distaccato, la mano sinistra mollemente abbandonata sul bracciolo mentre l’indice della mano destra è disteso ad indicare il tronco di un albero che un contadino, in abiti da lavoro, tiene con entrambe le mani. Il villano è ritratto di profilo con lo sguardo attento, ha posato a terra la falce e sta tutto proteso verso il maestro come per attendere un responso. Dai rami dell’albero pende un cartiglio con la dicitura : Flavius cultor mediocritatis. Federico Flavio sta certamente dando prova della sua “moderazione” sentenziando non solo sul modo di coltivare le piante ma anche, da eccellente umanista e maestro del bello, sulla loro collocazione, sull’armonico accostamento delle varie essenze. Penso a questa scena mentre, pedalando, guardo i campi e le colline intorno a me. E’un paesaggio dolcissimo, non ancora devastato dall’edilizia di tanti sedicenti creativi che dimostrano poca “mediocritas” nel senso latino e molta “mediocritas” nel senso comune. E’ un paesaggio la cui bellezza non nasce dal semplice accostamento casuale dei suoi elementi perché un paesaggio agrario non è naturale. Anzi, per dirla con Leopardi “E’ piuttosto artificiale. I campi lavorati, gli alberi e le altre piante educate e disposte in ordine, i fiumi stretti infra certi termini e indirizzati a certo corso non hanno quello stato e quella sembianza che avrebbero naturalmente. In modo che la vista di ogni paese abitato da qualunque generazione di uomini civili, è cosa artificiata e diversa molto da quella che sarebbe in natura.” Dov’è allora la chiave di tanta bellezza, di tanta armonia? Mi piace pensare che stia nella cultura umanistica di persone come Federico Flavio, letterato e agricoltore, agricoltore e letterato dai cui consigli è nato un paesaggio tanto poetico ed illustre da essere scelto per fare da sfondo a tanti capolavori della pittura italiana del Rinascimento. 11 ARCHEO FOLIGNO La “nobile e pomposa mascherata” di Arlecchino Elisabetta Marchionni I n uno spazio aperto e mobile, non destinato al teatro, il favoloso spettacolo itinerante “Un Arlecchino d’Oriente”, allestito dal Teatro Tascabile di Bergamo e dal Teatro Due Mondi, ha aperto la ventottesima edizione del Festival dei Segni Barocchi. Piazza Piermarini, Corso Cavour, Largo Carducci, Piazza della Repubblica e la Corte di Palazzo Trinci sono stati scenario di una “nobile e pomposa mascherata”. A dominare la messa in scena la forza espressiva dell’attore, un Arlecchino alla scoperta del leggendario Oriente dei grandi viaggiatori. Arlecchino è il personaggio che, nascosto dietro la fissità della maschera, esprime le passioni con il corpo, dialoga con il pubblico, segue il canovaccio, ma improvvisa anche parti recitate e battute che lasciano spazio ad una libera interpretazione, seppure del repertorio classico, sia recitativa che corporea. Lo vediamo attraversare scenari esotici e rutilanti: carri addobbati formano un grande palcoscenico sulla piazza ed evocano l’Oriente dorato di leggere danzatrici, di maschere aristocratiche e popolari che sfilano sotto gli occhi meravigliati degli astanti. Poi scimmiette e servitori, ampi costumi del Kathakali, musica turkmena, fiori ed oro. Ma anche giganteschi samurai sui trampoli che rincorrono indifesi contadini, in una vorticosa battaglia sul ritmo incalzante di una marcia stravinskiana. Dopo i fasti, il richiamo alla falce della morte accenna alle origini antichissime della figura di Arlecchino, legate alla ritualità agricola. Arlecchino era il nome di un demone ctonio. Già nel XII secolo Oderico Vitale narra nella sua “Historia Ecclesiastica” della apparizione di una “Familia Herlechini”, corteo di anime dei morti guidato da un grande demone. Compare un “Alichino” anche nell’Inferno dantesco, come capo di una stirpe diabolica. La maschera seicentesca dal ghigno nero evoca qualcosa di demoniaco, come la stessa radice germanica del nome Hölle König (“re dell’inferno”), traslato in Helleking, poi in Harlequin. Tutti gli arlecchini, come sempre i servi delle commedie a partire da Plauto, hanno in comune un certo spirito villanesco, a volte arguto, come il “Bertoldo” di Giulio Cesare Croce, più spesso stolto e sprovveduto. L’aspetto comico origina invece dal Medioevo, quando i demoni delle sacre rappresentazioni si aggiravano sulla scena con atteggiamento burlesco, tentativo di esorcizzare la paura del soprannaturale, ma anche di deridere quei demoni pagani che difficilmente il Cristianesimo riusciva a sradicare, ancora così vivi nell’immaginario popolare (presenta tratti burleschi anche l’“Alichino” di Dante). Da qui dunque la figura dell’Arlecchino del teatro, apparso ad un certo punto della storia della Comme- dia dell’Arte come un alter ego dello Zanni, il servo inurbato presente nelle incisioni di Jacques Callot, dalla cui figura mutua la maschera demoniaca e l’ampia tunica del contadino veneto-bergamasco, con pezze colorate sparse. Per ogni epoca restano soltanto alcuni accenni di ciò che accadeva sul palcoscenico, leggibili attraverso i canovacci. Ma l’evocazione creata dagli attori del Teatro Tascabile di Bergamo e del Teatro Due Mondi, ricca anche di elementi di novità, permette di assistere idealmente alla messa in scena di tutti gli artisti che nel tempo si sono passati il testimone nel ruolo di Arlecchino, tra i più noti l’attore di origine bergamasca Alberto Naselli, conosciuto come “Zan Ganassa”, che nel Cinquecento portò il personaggio anche in Spagna ed in Francia e Tristano Martinelli, che nel 1600 fu inviato dal Duca di Mantova alla corte di Francia per allietare le nozze di Enrico IV di Francia e Maria de’ Medici. Poi Antonio Sacco, l’ultimo grande Arlecchino della Commedia dell’Arte, per l’espressività del quale Carlo Goldoni ha scritto le sue grandi opere. Segni Barocchi - Spettacolo “Arlecchino d’Oriente” (foto Saulo Stoppini) 12 ARCHEO FOLIGNO Artisti Umbri (1981-2000) P ittura, videoarte, arte digitale, installazione che si affianca e si fonde alla scultura, oggetti d’arte distinguibili dalla loro controparte della realtà per il fatto di creare una particolare esperienza in un determinato ambiente - impronta concettuale che ha un precedente nel ready-made di Marcel Duchamp – tutto fa parte della sesta sessione della rassegna delle arti visuali del Novecento in Umbria, allestita dal 5 agosto al 28 ottobre nello spazio della Limonaia e nel Parco di Villa Fidelia a Spello. Curata da Antonio Carlo Ponti, Giorgio Bonomi, Fedora Boco e Paolo Nardon, ha messo in mostra 147 artisti umbri ed altrettante opere. Opere contemporanee, senza per forza averne il marchio: ci sono spazi che derivano dall’arte antica, dall’attenzione alla tradizione trasportata nelle scelte innovative, senza forzatamente porsi in atteggiamento distruttivo nei confronti del passato. Ad eccepire la contemporaneità Vittorio Sgarbi, presente alla cerimonia di inaugurazione, che ha tracciato il confine tra area figurativa ed area sperimentale, confine destinato a dissolversi nell’immediato. Contemporanea è la reazione dell’artista di fronte alla realtà, come di fronte all’astrazione di un pensiero. Passando in rassegna in maniera rapsodica le opere esposte, come solo rapsodico può essere il metodo applicabile ad una materia tanto complessa, per ragioni logistiche ma anche di concetto (scegliere di privilegiare la pura idea, la tecnica, la diffusione dell’artista), ecco l’assemblaggio in ferro “Acuto” di Edgardo Abbozzo, tra i maggiori artisti della sua generazione. Chiara Armellini espone un’acquaforte, acquatinta su carta rosaspina, dal segno grafico, su fondale pittorico monocromatico. Roberto Banfi Rossi utilizza nella sua “Terra” (1) un linguaggio figurativo pervaso da percezioni irreali. Sandro Bini è presente con “Terni, zona centro”, olio su tela dall’atmosfera atona, soffusa. Lucilla Candeloro ritrae “Mattia” con un segno compiaciuto ed efficace, che attraversa l’emotività del soggetto. Bruno Ceccobelli accosta con versatilità materiali diversi nell’opera “L’uovo del mattino” (2), di teak, legno, zolfo e porcellana, spingendosi verso un simbolismo spirituale. Angelo Cucciarelli allestisce “Basculante”, “Idolo” fatto di lamiere di ferro assemblate con ti- ranti e colorate. I “Grandi cipressi” (3) di Luigi Frappi, olio su tela, propone un paesaggio intenso e visionario. Giuseppe Gallo (4) presenta un’opera fatta da forme di figure allegoriche come sospese. Francesca Greco lascia intravedere con “Ugo”, acrilico e pastello su carta colorata, un mondo trasognato, che tende al surrealismo decorativo. Paolo Grimaldi, nell’opera “La sentinella e l’ascesi” (5) che appartiene ai suoi “Borghi onirici”, fa coesistere la memoria ed il sogno con la realtà e l’apparenza. Il “Paesaggio-Luce”, pannelloscultura di Elfrida Gubbini, fatto di gesso, pigmenti e corde su tavola, dà origine ad un gioco sottile e raffinato. Ugo Levita, con “Tea legge”, (6) attraversa il mondo immaginario delle suggestioni surrealiste. Colpisce l’attenzione il gesto plastico del “Corpus Domini” di Marco Mariucci, intaglio in legno di ciliegio. Bruno Marcelloni propone una definitiva, essenziale “Nevicata”. Armando Moriconi crea con “Totem materno” la percezione tattile della materia che cede in un drappo antropomorfo di marmo statuario. Giuseppe Riccetti, nell’opera “Personae”, acrilico e sabbia su tavola, interpreta pittoricamente un’immagine elaborata. Virginia Ryan espone “Child Soldiers”, installazione fatta in ceramica di Deruta e mattoni di Marsciano. Il “Gonfiatore di palloni. Evo XXXVII” (7) di Fausto Segoni si riferisce ad una ricerca psicologica tesa a mettere a nudo le tensioni dell’ individuo che lotta per cercare la propria essenza interiore. Marcello Sforna compie un’accurata ricerca della forma in “Nudo di donna”, dal sapore classico. “Ciotola” (8), di Xavier Vantaggi, mostra un oggetto quotidiano che, isolato, fuoriesce dal fondo scuro in un gioco di luci ed ombre. Testimoniare i fenomeni artistici del Novecento attraverso i Maestri ed il loro legame con la Terra ospitante, l’Umbria, dalle esperienze più isolate alle attività delle Scuole: questo lo scopo delle sei sessioni di Terra dei Maestri. Sgarbi si riferisce proprio alle molteplici forme espressive del Novecento per giungere alla risoluzione: tanti stili, nessuno stile. Ecco che “se Dio non esiste tutto è permesso” di dostoevskijana memoria diviene “se l’arte non esiste, o non esiste più, allora tutto è permesso”. Elisabetta Marchionni 13 ARCHEO FOLIGNO 1. Roberto Banfi Rossi Terra 1992 4. Giuseppe Gallo Senza titolo 2004 7. Fausto Segoni Il Gofiatore di palloni Evo XXXVII 2003 5. Paolo Grimaldi La sentnella e l’ascesi 6. Ugo Levita Tea legge 1998 2. Bruno Ceccobelli L’Uovo del Mattino 1980 3. Luigi Frappi Grandi cipressi 1994 8. Xavier Vantaggi Ciotola 2000 14 ARCHEO FOLIGNO ABBIAMO PERCORSO L’ISOLA D’ELBA U n’isola verde di boschi, ondulata di pendii che scendono al mare dove i rari vigneti, ritagliati sulle pendici assolate dei rilievi o nel ventre accogliente delle valli, tracciano precise geometrie bicromatiche con i filari paralleli allineati tra il marrone rossiccio delle zolle. Una terra rimasta padrona della sua armonia e della sua bellezza dove le case appaiono nelle misure e nelle proporzioni antiche, dove il cemento non afferma l’arroganza della modernità e i tanti alberghi affondano e mascherano la loro presenza nella vegetazione abbondante e fiorita dei giardini. La strada principale corre sopra la costa smerlata e il viaggiatore curioso, allungando il collo e abbrividendo nelle curve a strapiombo, spia dall’alto i porticcioli costellati di barche e le mille insenature, dorate di sassi arrotondati dall’acqua, brune di ghiaie ferrose, bianche di sabbia morbida e fine, accavallate di rocce granitiche, sovrapposte come gusci scuri, dove i villeggianti si arrostiscono al sole. Un viaggio punteggiato di sorprese alla ricerca dell’ordinario e dello straordinario: sfidando il monte Capanne in cabinovia per vedere il panorama dell’arcipelago toscano fino alla Corsica ed incontrando invece soltanto nubi trascorrenti tra squarci di luce e capre selvatiche in bilico tra picchi e dirupi nel profumo silvestre portato dal vento; scoprendo i fondali marini attraverso i cristalli immersi del battello “Nautilus” in attesa d’individuare la presenza annunciata di un relitto disteso sul fianco tra alghe fluttuanti e guizzi argentei di pesci; raggiungendo Pianosa e percorrendo, tra muri a secco e ciuffi di ginestra, di cisto e rosmarino, le diramazioni della colonia agricola penale ormai fatiscente con l’occhio attento a cogliere al di là del muro “Dalla Chiesa” l’immagine tetra del carcere di massima sicurezza isolato nella piatta campagna. Un viaggio progettato sulle tracce dell’archeologia industriale, dalla miniera dismessa di Gavorrano nelle Colline Metallifere toscane, ai cantieri in disuso della terra del ferro nella zona “nera” dell’Elba, tra Rio Marina e Cavo. In quest’area disseminata di cespugli invadenti, allargata verso l’azzurro del mare, le cave a cielo aperto mostrano i rossi degli ossidi mescolati ai gialli della limonite tra presenze intatte e ombrose di grigio. Qui Annigoni veniva a cercare i colori per i suoi quadri, qui la natura, sventrata dall’uomo, si è divertita a creare le sue opere d’arte composte da venature, da striature, da luccichii metallici, da macchie bizzarre dove le pozze d’acqua hanno l’opacità dell’ocra e qualche vecchia escavatrice arrugginita segna il cielo con la rigidità dei bracci in muta melanconica astratta gestualità di addio e di abbandono. La ricchezza mineraria ormai improduttiva ha determinato da tempo immemorabile la fortuna e la sfortuna dell’isola. Alla ricerca del prezioso metallo popoli diversi sono approdati alle sue sponde per grattare e setacciare i filoni metalliferi in invasioni e dominazioni successive che hanno fatto fuggire gli abitanti verso gli anfratti delle montagne in cerca di salvezza. Ecco, dunque, i paesi arroccarsi sui fianchi dei monti, ecco, dunque, spiegarsi la presenza di torri di avvistamento e di fortezze lungo la linea costiera. Un viaggio ad anello che si è annodato e snodato dentro lo splendore di un’isola per chiudersi all’approdo nel golfo di Baratti dove tra i cumuli delle scorie dei forni fusori etruschi, diventati colline tra il mare e l’acropoli di Populonia, si allarga la necropoli di San Cerbone. In questa zona, una volta inquinata dai fumi delle fornaci, il turista moderno si aggira fra erbe basse e infiorescenze ruvide e spinose alla scoperta delle tombe a tumulo, poi s’inerpica nel bosco alla ricerca delle camere funerarie scavate dentro la roccia. Una visione si apre: la parete rossa di una cava di pietra bucata in cunicoli e stanze non accessibili riporta alla memoria un frammento di Petra. Oriente e occidente si toccano, ma, si sa, ogni viaggio regala le sue suggestioni… Carla Glingler Aperte le ISCRIZIONI per l’anno 2008 L’iscrizione dà diritto a partecipare ad ogni attività dell’Associazione, a ricevere il Notiziario bimestrale ARCHEO/FOLIGNO e il Notiziario nazionale bimestrale ARCHEOCLUB D’ITALIA, inoltre, mostrando la tessera Archeoclub d’Italia 2008 si possono ottenere agevolazioni in alcuni punti di vendita. Informazioni più dettagliate sono a disposizione c/o la segreteria - V. Nobili n°4 aperta il giovedì dalle ore 16,30 alle ore 17,30. In qualunque giorno sono attivi i numeri 0742 379634 – 0742 351601 – 339 6826526. Quote associative: Socio ordinario euro 40,00 - socio familiare euro 20,00 - socio iunior (fino ai 14 anni) euro 3,00, socio studente (dopo i 14 anni) euro 15,00. IL CONSIGLIO DIRETTIVO E LA REDAZIONE DEL GIORNALE AUGURANO A TUTTI UN FELICE NATALE PROGRAMMA Novembre Martedì 6 Ore 16,30 “Organizzazione e funzione delle botteghe medievali” Prof. F. Franceschi Università della 3a Età – Via Oberdan 123 Domenica 18 Alla ricerca dei luoghi della famiglia Pontano Partenza ore 8,30 Visita guidata: Ponte - Cerreto di Spoleto – Vajda Pontani c/o Hotel Holiday Pranzo presso il ristorante tipico “La Cantina” Prenotazione obbligatoria Martedì 20 Ore 16,30 “L’infografica come sussidio alla ricerca storico-artistica e al restauro” Tavola rotonda: P. Belardi, F. Bettoni, L. Lametti, B. Sperandio Palazzo Trinci – Sala didattica Dicembre Sabato 1 Ore 11,30 Celebrazione in lingua latina e canto gregoriano Celebra il Vescovo S. E. Mons. Arduino Bertoldo Coro: Ensemble S. Michele Arcangelo diretto da Padre Maurizio Verde Cattedrale di San Feliciano – Cripta Per ragioni di sicurezza numero massimo consentito: 100 persone. Pertanto è necessario ritirare in segreteria una contromarca numerata i giorni 22 e 29 nov. ore 16,30 - 17,30 Seguirà il Pranzo degli Auguri presso l’Hotel Italia – Piazza Matteotti Martedì 4 Ore 16,30 Assemblea dei soci (importante!) dedicata alle iscrizioni per l’anno 2008 e alle votazioni per il rinnovo delle cariche sociali nazionali. Bilancio preventivo 2008. Università della 3a Età - Via Oberdan 123 Mercoledì 4 Ore 16,00 Presentazione del catalogo “Archeoclub e Scuola” Palzzo Trinci - Sala didattica. Domenica 16 ASSEMBLEA NAZIONALE: votazioni per il rinnovo delle cariche sociali triennio 2007/2010 Le schede elettorali devono essere spedite alla segreteria nazionale entro il 10 dicembre. Per maggiori informazioni consultare il Notiziario nazionale Gennaio 2008 Martedì 15 Ore 16,30 “Nicolò Alunno al presente. Una esperienza pedagogica dell’Arte” Prof.ssa E. Guglielmi Università della 3a Età – Via Oberdan 123 ARCHEOCLUB D’ITALIA - SEDE DI FOLIGNO Trono di Apollo, particolare dei putti con faretra, Roma, Casino Ludovisi. GRAFICHE FLAMINIA Comune di Foligno