Interventi psicologici con
famiglie con pazienti affetti da
gravi patologie croniche:
il caso della demenza di
Alzheimer
• Il paziente con demenza non ha bisogno
esclusivamente di assistenza sanitaria
• Dipendenza
• Difficoltà di comunicazione
• Esposizione a rischi
• Bisogno di tutela
• Diversi tipi di demenza implicano diversi
gradi e tipi di necessità assistenziali
• Demenza diAlzheimer 50% dei casi,
progressiva, scarsa consapevolezza
• Demenza vascolare 30% dei casi
insorgenza acutissima, reazioni
catastrofiche, ricordo doloroso delle
condizioni precedenti, alta
consapevolezza, lento recupero parziale
delle capacità cognitive
Demenze guaribili
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•
Pseudodemenza
Carenza vitamine
Ipotiroidismo
Idrocefalo normoteso
ALTRI TIPI DI DEMENZA
• Dovuta ad intossicazione (ecstasy, CO,
fenilciclidina, ketamina)
• Condizioni mediche (parkinson, meningiti,
insufficienze renali ed epatiche, AIDS)
• Vedere che la madre, non riconosce più i
figli, o ha bisogno di essere assistita per
mangiare o per lavarsi, suscita reazioni
emotive del tutto particolari in chi la
assiste
• Sulla famiglia grava gran parte del peso
assistenziale
• Malattia attualmente inguaribile
• Ma che può essere curata
LO PSICOLOGO E LA
MALATTIA DI ALZHEIMER
• Programmi di stimolazione ed orientamento alla
realtà dei pazienti
• Sostegno alla famiglia
• Formazione ed informazione
• Agevolare comunicazione tra famiglia e rete
assistenziale
• Sostegno alle associazioni di utenti e familiari
• Intervento e sostegno a favore della equipe
PSICOLOGO E FAMIGLIA
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Informazione
Assistenza emotivo relazionale
Gestione del lutto
Ascolto non giudicante
Coordinazione tra familiari
Interfaccia famiglia equipe
A volte anche psicoterapia
LUTTO
• Prime avvisaglie (è invecchiato, non è più
lui/lei/
• Diagnosi
• Inversione di ruoli(non ho più nessuno su
cui appoggiarmi)
• Dimenticanze (lui perde la autonomia, io
perdo la autonomia)
• Ed inoltre
LUTTO
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Progressività della patologia
Progressiva perdita di comunicazione
Mancato riconoscimento
Ricovero
Morte
Perdita dell’oggetto da accudire
Perdita di parte di sé
IL CONCETTO DI CAREGIVING
• Il verbo inglese to care può essere tradotto
in italiano come “prendersi cura di
qualcuno”,
• Preoccupazione
• Accudimento
• Dimostrazione affetto
• Protezione
• ASSISTENZA SANITARIA + AFFETTO
COSTI ASSISTENZIALI
DEMENZA
• Caregiving prevalentemente svolto da
donne (74%)
• Assistenza a lungo in casa
• In media ¾ della giornata passata ad
assistere
Family bourdain
• Il peso della assistenza ha portato a
definire la malattia come una “malattia
familiare” (naturalmente in senso
sociologico e non dal punto di vista
della trasmissibilità della patologia).
• La famiglia è coinvolta in modo totale,
forte e in alcuni momenti anche
drammatico.
• il 30,6% di familiari di pazienti con
demenza severa è impegnato più di 10 ore
al giorno nell’assistenza diretta e
• il 31,7% oltre quindici ore nella
sorveglianza.
• Per il 40% dei casi in cui il malato è ad
uno stadio avanzato di malattia, il tempo
libero del caregiver non supera le 4 ore in
media a settimana.
• un malato di demenza di Alzheimer
richiede 18 ore a settimana di servizi
assistenziali a pagamento e 45 ore a
settimana di cure personali fornite da un
caregiver informale (un familiare).
• il ritorno nella forza lavoro dopo un lungo
periodo dedicato all’assistenza può
riservare svantaggi in termini retributivi e
pensionistici.
• l’allungamento delle aspettative di vita, la
riduzione del numero di figli, la maggiore
occupazione extradomestica delle donne,
da una parte aumenta il numero di anziani
dementi in famiglia, dall’altra impone un
riesame delle tradizionali forme di
assistenza
• Non vi è proporzionalità lineare tra la
gravità del caso e la pesantezza della sua
assistenza
• A volte il carico sulla famiglia non si
annulla col ricovero del paziente (possono
ad esempio aumentare sensi di colpa, di
abbandono e le difficoltà logistiche
imposte dagli spostamenti).
• A) Modificazione della routine familiare
(ritmi, gestione vita quotidiana, necessità
di sostenere, sostituire, assistere e
controllare).
• B) Modificazione della qualità delle
relazioni familiari.
Possono infatti emergere vissuti di abbandono aperti o sopiti.
• C) Modificazione delle relazioni sociali: la
famiglia si chiude, emergono invidie e
critiche gli amici spariscono.
• D) Insorge una riduzione del tempo libero
e dei tempi di riposo
• E) Emergono difficoltà sul piano lavorativo,
finanziario, di carriera
• F) Importanti sono le conseguenze per i
figli del caregiver che possono sentirsi
trascurati o provare vergogna per la
presenza in casa di un paziente tanto
scomodo. In alcuni casi anche i figli
vengono coinvolti come assistenti alla
cura,
• In altri casi invece può essere un
momento di crescita ed aumentare la
solidarietà intergenerazionale.
• G) possono emergere forti conflitti con gli
altri parenti meno coinvolti nella attività
assistenziale
• H) Le condizione psicopatologiche
precedentemente illustrate possono
favorire la comparsa di somatizzazioni.
• I) Sono evidenti inoltre le conseguenze
dello stress dell’assistenza a livello
psicologico e psicopatologico. 1/3 dei
familiari manifesta grave ansia o
depressione; il 77% manifesta condizioni
di stress
• L) La consapevolezza della comune base
genetica con il malato può favorire
aspettative di malattia ed una tendenza ad
interpretare in senso patologico ogni
proprio momento di confusione o ogni
sintomo difficile da comprendere (es.
“tanto lo so che finirò anch’io come lui”).
GLI EFFETTI DELL’ASSISTENZA
SULLA FAMIGLIA
• In genere peggiora il rapporto tra chi si
prende più carico dei problemi del malato
e gli altri componenti del nucleo familiare.
BISOGNI DEI FAMILIARI
• 1) Stabilire relazioni di collaborazione e
non conflittuali tra professionisti e familiari
• Aiutare familiari a comprendere natura
della malattia
• Aiuto per soluzione problemi
• Sostegno emotivo
• Gruppi di autoaiuto
• 5) Assicurare una continuità di cura. Si nota in
molti casi un alto turnover
• 6) Mettere in grado il caregiver di pensare anche
un po’ a se stesso senza sensi di colpa o
conflitti.
• 7) Rispettare il bisogno di una tregua, in molti
casi vengono effettuati dei ricoveri
• 8) Prendere in considerazione anche i bisogni
dei familiari meno coinvolti nella assistenza
Una larga parte dell’assistenza e della
sorveglianza all’anziano disabile sarà
sempre più gestita da operatori a
pagamento provenienti da altri Paesi.
Probabilmente sarà necessario fornire a
questi operatori (“badanti”) una adeguata
formazione e risorse adeguate, affinché
siano preparati a fornire un’assistenza
competente, anche per il lungo periodo.
• Unità molto preparate nell’assistenza al
paziente con demenza si stanno
diffondendo nel nostro paese. Si tratta di
unità interdisciplinari in cui collaborano
medici di varia specializzazione, psicologi,
assistenti sociali, infermieri specializzati.
Molte di queste attività sono coordinate e
sollecitate da associazioni costituite dai
parenti dei malati.
• Il caregiver quindi può essere anche impegnato in un volontariato
particolarmente preparato e motivato.
• Il carico assistenziale non è direttamente correlato alla gravità del
caso.
• Il carico, soprattutto quello emotivo, può non esaurirsi neppure con
la morte del paziente.
• In alcuni casi, rapporti conflittuali con le equipe assistenziali o con
gli altri familiari più o meno coinvolti, costituiscono fattori di stress di
entità paragonabile a quella imposta dalla assistenza diretta al
malato.
• L’informazione deve riguardare la natura
della malattia, la capacità affettiva del
malato, il coinvolgimento nelle attività
quotidiane e le modifiche da apportare
all’ambiente domestico.
• La formazione deve riguardare tutto quello
che il familiare può fare per migliorare la
qualità dell’assistenza al suo congiunto, e
la propria qualità di vita.
• I familiari:
• 1) Evitano i rapporti sociali perché sono
polarizzati sulla cura. Prevale un
atteggiamento di "autosacrificio".
• 2) Provano vergogna o disagio
• 3) Il pregiudizio e la stigmatizzazione nei
confronti della malattia e del malato può
essere esteso anche alla famiglia
•
•
4) Possono emergere carenze di sostegno socio sanitario.
Questa è una delle maggiori fonti di rischio per la salute mentale dei
familiari dei malati.
• In alcuni casi emergono ostilità e risentimento, nei confronti dei
centri e dei servizi assistenziali.
• A tali sentimenti si associa spesso un vissuto di colpa. La famiglia in
alcuni casi percepisce una mancanza di informazione e di
considerazione.
• Lamentano la mancanza di contatti, sono frequenti le esperienze
traumatiche legate all'emergenza, così come è molto intenso lo
stress cronico. Spesso non si sentono creduti, di solito trovano
troppo burocratici gli approcci del servizio.
• . Manca tempo di recupero, il faccia a faccia quotidiano, con la sua
logorante e ripetitiva continuità, è fattore di stress.
• . Le difficoltà economiche si manifestano specialmente se il malato
era il produttore di reddito, ma emergono anche quando il produttore
di reddito deve dedicarsi all'assistenza pratica. Devono essere
anche tenute presenti le spese di assistenza (farmaci, visite private,
ricoveri, esami ecc.). Difficile mantenere i ritmi di lavoro, spesso
viene scelto un impegno a tempo parziale o aspettative non
retribuite. In alcuni casi si ricorre al pensionamento anticipato. Tutto
ciò può far saltare ogni prospettiva di carriera, rende assai difficile
un eventuale ritorno al tempo pieno, limita l’importo della pensione.
• in alcuni casi si tratta di un ruolo inadeguato e dannoso se assunto
precocemente.
• Discussioni in merito alla gestione della pensione e delle proprietà
del malato ed anche dell’eredità sono un triste correlato di numerosi
casi. Spesso queste liti familiari costituiscono una parte rilevante del
carico conseguente l’ assistenza al paziente malato e derivano
soprattutto da difficoltà di comunicazione oltre che da dinamiche
emotive particolarmente difficili e conflittuali.
• Anche sotto questi aspetti sia lo psicologo sia il gruppo di mutuo
aiuto possono rivelarsi preziosi. Si notano gravi e frequenti
conseguenze sulla salute fisica della persona più coinvolta
(frequenti manifestazioni psicosomatiche, insonnia, astenia, cefalea,
disturbi alimentari, e cardiaci).
• evidenziabile caratterizzato da tensione emotiva con ansia,
irritabilità, oscillazioni dell’ umore con frequenti fasi depressive,
senso di impotenza, assenza di speranza. Esiste un grave peso
anche nei parenti dei pazienti istituzionalizzati (e ciò anche per
schizofrenia ed altre patologie croniche)
• Questo elenco non esaurisce certamente tutte le possibili
conseguenze del carico dell’assistenza sul paziente. È comunque
chiaro che lo psicologo che sappia modulare il proprio intervento a
seconda delle necessità che emergono e che sappia ascoltare ed
interagire con la rete assistenziale può fornire un aiuto prezioso.
Un’altra preziosa fonte di sostegno può essere costituita dai gruppi
di mutuo aiuto. In molti casi i familiari possono inoltre rivolgersi al
personale sanitario ed assistenziale della rete che segue il malato
facendo presente, in modo collaborativo, le proprie necessità.
•
•
Per fornire assistenza alla famiglia è importante:
considerare il loro punto di vista, non attendere ricadute prima di
intervenire, utilizzare la loro capacità di identificare i segni di
ricaduta.
• 2) Soddisfare il bisogno dei familiari di comprendere le
caratteristiche della malattia.
• 3) Fornire aiuto per la risoluzione di problemi.
• 4) Fornire sostegno emotivo. Per assicurare una assistenza
adeguata sono particolarmente utili i gruppi di auto aiuto, costano
assai meno rispetto all’assistenza formale, contribuiscono a ridurre il
senso di isolamento e fanno sentire compresi. In alcuni casi i gruppi
prevedono l’intervento dello psicologo e dello psicoterapeuta.
• 5) Assicurare una continuità di cura. Si nota in molti casi un alto
turnover del personale che fa parte dello staff assistenziale, e
carenze nella trasmissione di informazioni. Questa disgregazione
dell’intervento può aggravare il senso di solitudine.
• 6) Mettere in grado il caregiver di pensare anche un po’ a se stesso
senza sensi di colpa o conflitti. Questi parenti rischiano l’isolamento,
impoverimento e la reciproca dipendenza. In molti casi si sentono
senza alternative, sfruttati. Hanno spesso necessità di pause.
• 7) Rispettare il bisogno di una tregua, in molti casi vengono effettuati
dei ricoveri o delle permanenze in comunità protette per assicurare
una indispensabile decompressione sia alla famiglia, sia al malato.
Anche questi periodi di distacco sono però impegnativi sul piano
psicologico. C’è chi continua ad assistere il congiunto come fosse in
casa, chi si sente in colpa, chi matura l’idea di mollare tutto.
• 8) Prendere in considerazione anche i bisogni dei familiari meno
coinvolti nella assistenza. Ad esempio, i fratelli ed i figli possono
provare rabbia e risentimento o anche gelosia per le cure date
all'altro. Possono anche provare paura per la possibile ereditarietà.
Possono emergere ambivalenza ed evitamento. Alcuni di essi vanno
incontro ad un allontanamento precoce da casa per evitare di farsi
carico del familiare malato e delle tensioni connesse alla sua
presenza, con conseguenti sensi di colpa che facilmente assumono
forma aggressiva.
• COMUNICAZIONE ALL’INTERNO DELLE FAMIGLIE CON
DEMENTE.
• Di solito prevale la cooperazione, l’amore la condivisione. A volte
però le cose sono un po’ più complicate. È stato messo in luce il
ruolo della emotività espressa nelle comunicazioni interpersonali tra
membri della famiglia. L’alta emotività espressa si manifesta
soprattutto con i seguenti stili di comunicazione:
• 1) molte critiche espresse sia verbalmente che non verbalmente.
Frequenti anche le critiche sul comportamento del malato, degli
altri parenti, della equipe assistenziale..
• 2) Ostilità diretta alla persona. L’atteggiamento dei familiari oscilla
tra la protezione e l’accusa. In qualche occasione il congiunto viene
compreso e trattato da malato irresponsabile, in altri casi viene
accusato di “farlo apposta”. In alcuni casi viene lanciato il
messaggio che se non ci fosse lui la famiglia sarebbe felice e senza
problemi.
• 3) Sovraccarico emotivo, che si manifesta con continue risposte
iperprotettive, frequente uso di termini assolutistici, estremizzati ed
eccessivi.
• 4) Si tratta comunque di famiglie capaci di trasmettere affetto e di
fare osservazioni positive. Proprio questo intenso, imprevedibile ed
estremizzato rapporto emotivo costituisce un ambiente difficilmente
sopportabile per un soggetto predisposto a reazioni di tipo psicotico
quale può essere il soggetto demente in fase medio-grave.
• È stata messo a questo proposito in luce il ruolo della
comunicazione a doppio legame esistente in queste famiglie. I
messaggi inviati sono tali da lasciare il paziente sostanzialmente
nella impossibilità di reagire senza esporsi a critiche (se parla viene
criticato per quello che dice, se sta zitto viene criticato perché non
partecipa e si isola ecc.).
• Spesso la famiglia è assestata sul membro malato. Le fasi di
peggioramento del congiunto demente, o il suo decesso possono
• Spesso la famiglia è assestata sul
membro malato. Le fasi di peggioramento
del congiunto demente, o il suo decesso
possono scompensare una famiglia che
aveva trovato una fittizia unità strumentale
attorno alla sua assistenza. Anche la
gestione del “dopo” richiede a volte un
intervento che faciliti una comunicazione
non più centrata sulla assistenza .
LE FASI DEL CAREGIVING
• L’assistenza è spesso un carico a lungo termine. Dalla diagnosi fino
al trasferimento in residenza sanitaria del malato, il paziente viene
curato al domicilio per un periodo medio di 6,5 anni. Questo dato è
molto indicativo e dipende da numerose variabili. Il carico
assistenziale può modificarsi, ma non necessariamente aumentare,
con la progressione della demenza. È stata anche dimostrata
un’associazione inversa per cui alla maggiore durata del caregiving
corrisponde un minore livello di carico percepito.
• Il coinvolgimento oggettivo e soggettivo nell’assistere un familiare
affetto da demenza è importante e muta nel corso dell’intero periodo
d’accudimento, dall’esordio delle prime responsabilità fino al
trasferimento in residenza sanitaria o al decesso del malato.
• La “carriera del caregiver”, evolve dall’acquisizione di ruolo (inizio
del caregiving),
• al riconoscimento di ruolo (cure al domicilio e assistenza nelle
strutture sanitarie) e
• all’abbandono del ruolo (decesso del paziente o rinuncia
all’accudimento). Tipicamente, i familiari passano dall’iniziale
supervisione del malato nelle funzioni superiori, come la gestione
delle finanze e la guida, ad un successivo aumento di responsabilità
per la gestione di problemi comportamentali e per le attività della
vita quotidiana, fino ad un ultimo stadio in cui si trovano a gestire il
paziente allettato o totalmente dipendente, con le implicazioni etiche
che ciascuna fase comporta.
ABBANDONO DI RUOLO
•
•
•
•
•
•
quattro fattori in grado di predire l’abbandono del ruolo da parte del
caregiver e il conseguente trasferimento del malato in residenza per
anziani:
i disturbi comportamentali del malato,
la precedente sintomatologia depressiva dell’accudente,
l’uso di servizi domiciliari,
il ricorso al ricovero di sollievo.
I familiari che usufruiscono del ricovero di sollievo, in molti casi
sperimentano, almeno temporaneamente, una riduzione delle
responsabilità e dei doveri e talvolta iniziano a prendere in
considerazione l’istituzionalizzazione del malato come un’alternativa
al caregiving domiciliare.
• Alcune ricerche indicano che, rispetto ai familiari che continuavano
ad assistere il malato al domicilio, i caregiver che avevano trasferito
il paziente in residenza per anziani, anche se temporaneamente,
erano più depressi, più tesi, avevano maggiore probabilità di usare i
servizi domiciliari, e dedicavano globalmente più ore all’assistenza.
Diventa quindi importante, per la ricerca sugli interventi di sostegno,
riuscire ad identificare i soggetti a maggiore rischio d’abbandono del
caregiving, dal momento che, anche dopo il trasferimento del malato
in residenza sanitaria, possono essere esposti a rischi per la salute
fisica e spesso manifestano di un incremento del carico psicologico.
• L’istituzionalizzazione definitiva del paziente non rappresenta infatti
la conclusione dei doveri dell’assistenza: i familiari riferiscono
ancora un coinvolgimento nelle responsabilità assistenziali, per una
media di 9 ore la settimana. L’istituzionalizzazione non è neppure un
sollievo all’angoscia. La percezione del carico quotidiano e del
sovraccarico di ruolo diminuisce leggermente, ma aumentano i
sentimenti di colpa ed il ricovero non ha effetti positivi sulla
depressione del caregiver. Inoltre, i familiari spesso rimangono
pesantemente coinvolti nell’assistenza del proprio caro e, invece
che ad una riduzione dei livelli di stress, si assiste all’insorgenza di
nuovi fattori stressanti creati dall’ambiente istituzionale.
•
In molti casi i coniugi manifestavano gli stessi livelli elevati di
depressione per diversi anni dopo la morte del paziente. Dopo il
decesso del paziente sono stati anche riferiti: un sollievo dal
sovraccarico di ruolo, un aumento delle attività sociali e di svago e
una maggiore percezione di controllo sugli eventi. I familiari
rimangono però a rischio di depressione prolungata, dato il lungo e
difficile percorso del caregiving. In alcuni casi, la percezione del
sollievo legato al decesso del congiunto, e della conseguente
maggiore disponibilità di tempo, di denaro e di libertà, di movimento
e di socializzazione, si associa ad intensi sentimenti di colpa. A volte
è utile fare presente loro come, se il lutto per il decesso di un
genitore è grande, loro, negli anni, hanno affronato elaborato
superato un lutto enorme e terribilmente prolungato.
• C’è stato un lutto al momento della diagnosi, altri innumerevoli lutti
quando il genitore ha cominciato a comportarsi in modo bizzarro, è
divenuto sempre meno autosufficiente, ha smesso di riconoscere e
di parlare. La morte finale è solo un’episodio di un distacco durato
anni. Non si tratta neppure l’episodio più tragico. Legittimo quindi
non riuscire a piangere o magari piangere a scoppio molto ritardato,
quando si sarà in grado di rielaborare tutto quello che è successo.
• Molti caregivers finiscono col continuare il loro impegno
partecipando ad associazioni di assistenza a pazienti cronici, in
particolare a dementi.
• La ricerca futura dovrà concentrare sempre più la sua attenzione sui
problemi delle persone con demenza che vivono sole, in particolare
quelle senza una rete d’aiuto informale. Si tratta di una realtà per
ora molto più diffusa all’estero, ma i trend demografici e sociali
fanno prevedere una analoga te
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Interventi psicologici con famiglie con pazienti affetti da gravi