I L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI SAGGI CRITICI, ANTOLOGIA DELLE LETTERE E INDICE DEI MITTENTI a cura di CRISTINA DE BENEDICTIS MARIA GRAZIA MARZI Testi di CARMELA CARDONE CRISTINA DE BENEDICTIS MARIA CHIARA ELIA FIORINA FIGOLI ELENA FINO CLARA GAMBARO LUIGI LAVIA MARIA GRAZIA MARZI LAURA MILANESI SARA REDENTI FIRENZE UNIVERSITY PRESS 2004 II L’epistolario di Anton Francesco Gori : saggi critici, antologia delle lettere e indice dei mittenti / a cura di Cristina De Benedictis, Maria Grazia Marzi. – Firenze : Firenze university press, 2004. http://digital.casalini.it/8884531225 Stampa a richiesta disponibile su: http://epress.unifi.it/ ISBN 88-8453-122-5 (online) ISBN 88-8453-121-7 (print) 016.9375 (ed. 20) Gori, Antonio Francesco – Lettere e carteggi In copertina: Antonio Selvi, Anton Francesco Gori, medaglia, recto. Editing: Baldo Conti e Leonardo Raveggi Impaginazione: Fulvio Guatelli © 2004 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press Borgo Albizi, 28 50122 Firenze, Italy http://epress.unifi.it Printed in Italy III INDICE Presentazione MONICA MARIA ANGELI V Introduzione CRISTINA DE BENEDICTIS e MARIA GRAZIA MARZI IX Contributo alla conoscenza del “Museo Gorio” CRISTINA DE BENEDICTIS 1 L’epistolario di Anton Francesco Gori: nuove prospettive di ricerche MARIA GRAZIA MARZI 11 Gian Domenico Bertoli nel carteggio Gori CARMELA CARDONE 27 Il Carteggio tra Anton Francesco Gori e Alessandro Gregorio Capponi: scavi, antiquaria, collezionismo e Accademie nella prima metà del Settecento tra Roma e Firenze MARIA CHIARA ELIA 49 Contenuti di interesse storico-archeologico emersi dalla ricostruzione del carteggio intercorso tra Ottavio Bocchi e Anton Francesco Gori FIORINA FIGOLI 69 Il Carteggio tra Anton Francesco Gori e Paolo Maria Paciaudi: ricostruzione e studio ELENA FINO 85 I “Vasi etrusci” di Juan Tomaso de Peralta. Notizie su una collezione di ceramica della prima metà del Settecento CLARA GAMBARO 101 Francesco de’ Ficoroni e l’ambiente antiquario romano nella prima metà del Settecento LUIGI LAVIA 131 IV INDICE I rapporti di Anton Francesco Gori con i fratelli Venuti LAURA MILANESI 151 Il Carteggio tra Anton Francesco Gori e Andrea Pietro Giulianelli SARA REDENTI 167 L’epistolario Gori on line CLARA GAMBARO 175 APPENDICE 179 Antologia di lettere Trascrizione di ELENA CARRADORI e CLARA GAMBARO 181 Indici dell’epistolario A cura di CLARA GAMBARO 223 V PRESENTAZIONE I MANOSCRITTI DI ANTON FRANCESCO GORI Non immaginava di certo Anton Francesco Gori che la ricca farrago delle sue carte, con tutti gli studi, le ricerche, i progetti a cui ha dato e darà vita, avrebbe eternato il suo nome più delle grandi imprese editoriali in cui aveva profuso, durante il corso della vita, tutto il proprio ingegno oltre che i propri denari. I manoscritti, considerati uno strumento per completare le edizioni non concluse, dovevano esser collocati, per sua volontà testamentaria1, non in una biblioteca, ma nell’Accademia Etrusca di Cortona, che egli stesso, nel secondo volume delle Inscriptiones, aveva definito un publicae utilitati museum2. Giuseppe, suo erede, non rispettò, però, le volontà del fratello, e mise in vendita la biblioteca di Anton Francesco. Già nel febbraio del 17593, Angelo Maria Bandini, bibliotecario della giovane Marucelliana, acquistava per la libreria, da poco aperta4, opere a stampa fondamentali: il Museum Etruscum exhibens insignia veterum etruscorum monumenta (Firenze, 1737-1743), Sonetti e canzoni toscane di Bartolomeo Casaregi (Firenze, 1740), le Satire toscane del Soldani (Firenze, 1751), le Osservazioni critiche sopra alcuni paragrafi del Ragionamento degli Itali primitivi di Scipione Maffei (Firenze, 1740), il Thesaurus gemmarum antiquarum astriferarum (Firenze, 1750) e l’edizione romana delle Symbolae litterariae opuscula varia philologica scientifica antiquaria …complectentes (Roma, 1751-1754). Nel frattempo il Consiglio di Reggenza aveva incaricato Giovanni Lami di esaminare e valutare i manoscritti; nella sua relazione il Lami proponeva un ribasso del prezzo, in considerazione del fatto che in buona parte si trattava di originali “imperfetti e informi” di opere edite, e che molti manoscritti erano costituiti da “fogli sciolti e cartucce volanti” e affermava che la raccolta era “degna d’esser 1 A proposito delle volontà testamentarie di Anton Francesco Gori a favore dell’Accademia Etrusca cfr. G. Mancini, L’accademia etrusca e la libreria pubblica di Cortona, Cortona 1974, p. 36. Le vicende dell’acquisizione del fondo alla Marucelliana sono documentate nell’Archivio storico della Biblioteca (BMF, Archivio Storico, LIX/54) e brevemente descritte in M. M Angeli, I manoscritti di Anton Francesco Gori nella biblioteca Marucelliana di Firenze, in La scoperta degli Etruschi. Quaderno di documentazione, Roma 1992, pp. 152-188. 2 A. F. Gori, Inscriptiones antiquae Graecae et Romanae in Etruriae Urbibus exstantes... adiecta appendice, Florentiae 1734, II, p. 398. 3 BMF, Archivio Storico, XXIX; LIX/37. 4 La Biblioteca Marucelliana era aperta al pubblico solo dal settembre del 1752. VI PRESENTAZIONE collocata in qualche pubblica Libreria”, perché, nonostante la quarta parte fosse formata di “codici assai deboli”, tutto il resto conteneva “cose assai pregevoli”5. Con un motuproprio del 7 maggio del 1761, infatti, il Consiglio di Reggenza, imponendo al bibliotecario l’acquisto con le rendite della Libreria, assicurò alla Biblioteca Marucelliana i manoscritti di una delle personalità che meglio aveva interpretato, con le sue ricerche e le sue pubblicazioni, la politica culturale della “Nuova Etruria” lorenese. Se Angelo Maria Bandini fu inizialmente riluttante, soprattutto per problemi economici, in più occasioni poi si mostrò orgoglioso di aver garantito alla Marucelliana i manoscritti del Gori. Nella Rappresentanza fatta dal canonico Bandini a S.A.R. per la mancanza delle entrate della Biblioteca Marucelliana … del marzo 17986, Angelo Maria esprime l’intenzione di lasciare alla Marucelliana i suoi manoscritti ed il suo “carteggio letterario, che unito a quello del celebre antiquario Proposto Anton Francesco Gori da me acquistato doppo la sua morte, si avranno le mani originali dei più grand’uomini vissuti nel cadente secolo XVIII.” Qualche anno più tardi, nel 1802, nella Breve rappresentanza del principio e progresso della regia Biblioteca Marucelliana, indirizzata a Giulio Piombanti7, il bibliotecario ricorda l’impulso dato alla biblioteca e il suo contributo all’incremento delle raccolte sottolineando, fra gli acquisti più significativi, “i manoscritti da me acquistati dei celebri letterati Giovan Batta Doni, senator Filippo Buonarroti, dei fratelli Salvini, dei fratelli Averani e Anton Francesco Gori…”. Ancora, pochi mesi prima di morire nel 1803, nella Memoria sullo Stabilimento e Apertura della Biblioteca Marucelliana, Bandini ricorda l’acquisto con queste parole: “A me pure si deve la preziosa raccolta dei manoscritti adunati dal celebre Antiquario Anton Francesco Gori morto il 27 febbraio 1757…”8. Il motuproprio imponeva anche che i manoscritti fossero inseriti a catalogo; Bandini inizialmente obiettò che per i “codici Goriani”, fra i primi ad arrivare in biblioteca, subito dopo quelli di Francesco e Alessandro Marucelli, doveva esser allestito un indice “a parte non costumandosi di mescolare i manoscritti colli stampati, tanto più che abbiamo delle stanze da poterli disporre come si usa nell’altre biblioteche…”9. Nonostante la disponibilità dello spazio, solo nel 1769 furono acquistati gli scaffali10 e fu predisposto il primo catalogo per il 5 BMF, Archivio Storico, LIX/54. BMF, Archivio Storico, XXI/10 Rappresentanza fatta dal canonico Bandini a S.A.R. per la mancanza delle entrate della Biblioteca Marucelliana costituite nei luoghi di monti di Roma, doppo l’invasione de’ francesi … 7 BMF, Archivio Storico, XXI./2. 8 BMF, Archivio Storico, VII bis/3. 9 BMF, Archivio Storico, LIX/54. 10 BMF, Archivio Storico, LIX/94. 6 PRESENTAZIONE VII quale Angelo Maria adottò un sistema “short title” di spoglio dei soli testi contenuti; ancora nel 1798, Angelo Maria si dimostra consapevole di non aver sistemato i manoscritti, e lascia al suo successore il compito dell’ordinamento e della catalogazione11. I successori del Bandini, però, non hanno mai messo mano ad un nuovo inventario, limitandosi a qualche spostamento negli scaffali, ad inserire le voci di spoglio via via che arrivavano nuove opere, e a far ricopiare in bella l’indice di Angelo Maria. I manoscritti di Anton Francesco Gori furono catalogati con la segnatura che ancor oggi li identifica: manoscritti A per le carte, manoscritti B per il carteggio, manoscritti C per alcuni della sua Biblioteca. Fra i manoscritti A hanno trovato posto, oltre a quelli riconducibili alla paternità del Gori, anche i manoscritti dei fratelli Salvini, degli Averani, di Giovan Battista Doni, di Filippo Buonarroti; del fondo infatti facevano parte i seguenti nuclei corrispondenti a cinque elenchi, redatti da Giuseppe Gori ed allegati alla relazione del Lami. Catalogo A – 122 manoscritti di Anton Francesco suddivisi in 9 sezioni: 1) Antichità etrusche; 2) Antichità romane e greche; 3) Inscrizioni antiche; 4) Gemme antiche; 5) Varia e erudizione in confuso con studi di antiquaria; 6) Istoria letteraria e bibliografia; 7) Elogii ed Inscrizioni; 8) Teologia ed ascetica; 9) Carteggio letterario. Catalogo B – 55 manoscritti di Anton Maria Salvini. Catalogo C – 48 manoscritti di Salvino Salvini. Catalogo D – 7 manoscritti del senator Filippo Buonarroti. Catalogo E – 70 manoscritti di diversi autori e di varie materie suddivise in 10 classi parte dei quali è stata collocata fra i manoscritti C12: 1) Codici antichi manoscritti anteriori all’A. 1500; Manoscritti posteriori all’Anno 1500: 2) Teologia e Materie Sacre; 3) Giurisprudenza; 4) Istoria Civile; 5) Genealogia; 6) Antiquaria; 7) Istoria Letteraria; 8) Oratoria; 9) Poesie; 10) Varia Erudizione. Occorre osservare che oggi non c’è, però, sempre corrispondenza fra i volumi descritti negli elenchi e le collocazioni; infatti, in alcuni casi, tomi molto corposi sono stati divisi ed hanno ricevuto due segnature contigue, in altri, unità codicologiche costituite da poche carte sono state riunite in un unico volume ricevendo un’unica collocazione. A questo si deve aggiungere che i 11 12 BMF, Archivio Storico, XXI/10 Rappresentanza fatta dal canonico Bandini a S.A.R. … BMF, Archivio Storico, LIX, 54. VIII PRESENTAZIONE “fogli sciolti e cartucce volanti” sono stati rilegati in filze in Biblioteca con un ordinamento molto sommario, ed una conseguente indicizzazione generica. Il carteggio, disposto in ordine alfabetico di mittente, è in linea di massima collocato fra i manoscritti B; tuttavia, è frequente trovare lettere all’interno dei manoscritti A; Gori aveva infatti riunito le proprie carte per nuclei di interesse raccogliendo in un unico volume anche la corrispondenza relativa all’argomento trattato; non è raro, tuttavia, il caso inverso, ossia che l’antiquario avesse inserito nel volume preparatorio disegni e incisioni estraendoli dalle lettere a cui erano originariamente allegati. Da questa breve panoramica della situazione credo si possano ben comprendere le difficoltà di ricerca nel fondo; la genericità dell’indice comporta sempre la collaborazione fra l’esperienza del bibliotecario e il bagaglio cognitivo del ricercatore, ora archeologo, ora storico dell’arte, ora restauratore etc. Inoltre, anche dopo la consultazione di molti manoscritti, non si può essere mai sicuri della esaustività dei dati raccolti. Consapevole di queste difficoltà, non solo la Biblioteca ha visto con favore l’iniziativa dell’Università di Firenze, ma ha richiesto il finanziamento di un progetto complementare consistente nella creazione di una base dati costituita da immagini, con una loro specifica descrizione, e dalle schede catalografiche di tutti i manoscritti. Lo scopo finale del progetto è quello di rendere fruibile via internet il ricchissimo patrimonio di osservazioni, lavori preparatori, immagini di reperti, di oggetti d’arte etc. e, nello stesso tempo, di utilizzare la rete quale strumento d’incontro e di colloquio delle diverse professionalità che avranno la possibilità, non solo di accedere alle immagini e alle schede, ma anche di contribuire fattivamente all’accrescimento e alla correzione del database. Monica Maria Angeli IX INTRODUZIONE Questo volume raccoglie alcuni saggi dedicati alla figura di Anton Francesco Gori, insostituibile punto di riferimento degli studi antiquari toscani della metà del Settecento e stimolo cogente della nascente disciplina dell’etruscheria. Il Gori non fu soltanto come lo definì il Muratori “un solipso dell’erudizione”, ma il perno organizzativo della cultura fiorentina come delle principali iniziative bibliografiche e pubblicistiche del tempo. La sua fama è ancorata a due trattazioni di grande respiro che gli assicurarono la considerazione internazionale: i sei volumi del Museum Florentinum (1731-1743) e i tre volumi del Museum Etruscum (1737), in cui è la prima rivendicazione dell’autonomo carattere locale dell’antichità etrusca che aprì un fondamentale capitolo nella storia della disciplina archeologica; trattazioni riccamente illustrate da incisioni caratterizzate da un’esemplare fedeltà restitutiva. Oltre alle numerose opere pubblicate e conosciute rimane da indagare l’ingente corrispondenza del Gori comprendente le sue carte manoscritte e l’immensa mole di lettere a lui inviate, raccolte nell’Epistolario conservato alla Biblioteca Marucelliana di Firenze. Epistolario che è stato oggetto di un “Progetto strategico” finanziato dall’Università degli Studi di Firenze, finalizzato alla catalogazione, studio, informatizzazione e immissione in rete di un materiale eterogeneo di straordinario interesse multidisciplinare. L’ingente Epistolario raccolto in 40 volumi comprende più di diecimila lettere, corredate da incisioni, disegni ed epigrafi, coinvolge 732 corrispondenti italiani e stranieri che furono in relazione col Gori; eruditi, naturalisti, antiquari, letterati e artisti noti agli studi come ancora da riscoprire e valutare. Il “Progetto”, svolto nell’arco di tre anni, (1998-2001) sotto la direzione delle scriventi, realizzato da tre giovani archeologhe e storiche dell’arte, Elena Carradori, Fiorina Figoli e Clara Gambaro, ha permesso la creazione di un repertorio computerizzato, facilmente accessibile on line, sul quale si potrà operare a seconda dei diversi settori d’interesse che comprendono molteplici campi interconnessi e multidisciplinari relativi alle aree storico-artistiche, museologichemuseografiche, antiquarie, archivistiche, archeologiche, numismatiche ed epigrafiche. Il “Progetto”, che ci auguriamo di poter completare con un successivo finanziamento, ha preso in esame 26 volumi dell’Epistolario contrassegnati dalla sigla BVII con trascrizione integrale e il ms. BVIII limitatamente agli indici. Il carteggio del Gori che è sostanzialmente inedito, è stato infatti indagato solo parzialmente; un esauriente repertorio dei corrispondenti è stato oggetto di una pubblicazione di Ljuba Giuliani a cura del CNR. Singole figure di antiquari e X INTRODUZIONE collezionisti sono state indagate da tesi di laurea in Storia dell’archeologia classica e in Museologia seguite dalle sottoscritte. Il carteggio è stato inoltre rapsodicamente, parzialmente analizzato da ricerche settoriali intraprese da studiosi di varia estrazione che ne hanno peraltro già segnalato l’importanza e lo straordinario valore di repertorio di notizie ancora non accessibili nella loro interezza. Tale documentazione rappresenta a tutt’oggi una fonte insostituibile per la ricostruzione del panorama culturale e antiquario di primo Settecento non limitato all’area toscana, ma esteso a tutta la penisola e oltre. Il progetto di computerizzazione dell’Epistolario mira quindi alla restituzione di un materiale ancora largamente sconosciuto che consentirà ad un’utenza diversificata di studiosi, oltre a tutelare un materiale cartaceo fragile e deperibile, la conoscenza integrale e l’utilizzazione critica a più livelli della documentazione esistente. Siamo perciò grate a quanti hanno partecipato e collaborato al “Progetto strategico”, il quale non sarebbe stato possibile senza la costante collaborazione e la preziosa disponibilità della Biblioteca Marucelliana nella persona della direttrice Maria Prunai Falciani e della Dr. Monica Maria Angeli; siamo parimenti riconoscenti ad alcuni docenti dell’Università di Firenze che ci hanno confortato con le loro diverse competenze; Ignazio Becchi, Mario Citroni, Giuliano Ercoli, Giovanni Leoncini, Enrica Neri Lusanna, Roberta Roani Villani, Vincenzo Saladino, Giancarlo Savino. Il presente volume, nato quindi come completamento ideale ed esplicativo del suesposto “Progetto strategico”, comprende alcuni saggi dedicati alla collezione del Gori come alle figure di alcuni dei suoi importanti corrispondenti, una succinta, ma significativa antologia delle lettere, prova della varietà e della eterogeneità degli argomenti trattati e infine un elenco completo dei destinatari. “Progetto strategico” di computerizzazione dell’Epistolario e volume correlato di saggi che ambedue a buon diritto si ispirano ad un’espressione di un erudito fiorentino “Veder in fonte, non istarsene alla fede di chi gli cita” che ben connota il metodo analitico-sperimentale e la classificazione sistematica dei reperti che hanno animato l’opera di Anton Francesco Gori. Cristina De Benedictis Maria Grazia Marzi 1 CRISTINA DE BENEDICTIS CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL “MUSEO GORIO”* Anton Francesco Gori, punto di riferimento degli studi antiquari toscani della metà del Settecento e stimolo insostituibile della nascente disciplina dell’ etruscheria, ha scritto moltissimo, su di lui si è scritto molto. Poco invece è noto della sua collezione; sparse, avare notizie tratte dagli spogli dell’Accademia Colombaria accuratamente vagliati dal Dorini, una lettera pubblicata da Giuseppe De Julijs e due studi di Lucia Battista1. Approfondire su queste basi l’assetto e la consistenza della raccolta del Gori potrà costituire un ulteriore strumento per indagare la sua personalità che in questa si invera e si riflette alla luce delle sue inclinazioni storicistiche e letterarie, secondo un nesso stretto di causa effetto che lega direttamente la storiografia al collezionismo. Collezionismo che costituisce una essenziale chiave di lettura, anche se non esclusiva, dei suoi interessi di erudito. Da una lettera del Gori, resa nota dal De Julijs, inviata nel 1738 ad un ignoto destinatario, si comprende come il taglio della sua raccolta dovette essere prevalentemente antiquario: “Io non cerco di questi (pesi antichi) perché ne ho nel mio Museo moltissimi, ma di quelli fo ricerche, che non sono mai stati stampati dagli antiquari, e grossi e con figure rilevanti … per sua istruzione sappia che se mai Ella vorrà soldi belli, e di buona maniera, Gemme antiche intagliate e Cammei, compro ancor questi, e similmente bacherozzoli e Scarabei, come piattole, con intagli che sono rozzi e cattivi sotto la pancia. E compro ancora manoscritti antichi …”2. A questa data dunque il Gori aveva già adunato una considerevole quantità di reperti antichi di piccole dimensioni. Tali reperti dovettero essere – visto il tono e il valore delle sue dissertazioni antiquarie che, pur non disdegnando verifiche sul campo e ricognizioni archeologiche, si concentravano in studi classificatori e comparativistici – pretesto e supporto per dotte disquisizioni tipologiche come per erudite identificazioni iconografiche. Impensabili e ancora inattua* Per l’amichevole aiuto nella stesura del presente articolo, ringrazio Ada Labriola, Giovanni Leoncini, Andrea Marmori, Enrica Neri Lusanna, Olga Pujmanova, Marzia Ratti. 1 U. DORINI, La Società Colombaria, Firenze 1935; G. DE JULIJS, Anton Francesco Gori collezionista, in “Firme Nostre”, XVIII, 1976, pp. 3, 16; L. BATTISTA, Anton Francesco Gori e la sua collezione, Relazione per la Fondazione Roberto Longhi, 1992-1993; EAD, La collezione di gemme dell’abate Andreini, in “Antichità Viva”, XXXII, 1993, pp. 53-60. 2 G. DE JULIJS 1976, p. 3. 2 CRISTINA DE BENEDICTIS bili alla metà del Settecento erano infatti vasti inquadramenti storici come apprezzamenti estetici e qualitativi dei materiali. Reperti antichi quelli del Gori che furono progressivamente incrementati da scambi e da doni di illustri studiosi toscani e non toscani, dall’acquisizione della collezione di epigrafi dell’abate Andreini e dell’ingente Museo, pervenutogli per lascito testamentario, del letterato pratese Giovan Battista Casotti3. Una raccolta disposta in cinque stanze visitata da molti letterati ed artisti che già nel 1746 non stava più nella casa a lui assegnata come Proposto del Battistero di San Giovanni tanto che dovette cambiarla con una più capiente in via Larga. Oltre a oggetti antichi di piccole dimensioni; cammei, iscrizioni, medaglie, gemme, il Gori possedeva due frammenti di mosaico, inrintracciabili, provenienti dalla villa Adriana a Tivoli che donò alla Colombaria, di cui dal 1735 fu un illustre, infaticabile socio promotore col nome di Adescato. Possedeva anche una copia seicentesca di una scena del grande mosaico di Palestrina raffigurante Banchettanti sotto una pergola, acquistata casualmente a Firenze nel 1742 sulla piazza del Duomo, già di proprietà di Francesco Maria de’ Medici, e poi rivenduta e passata da Bayreuth a Berlino4. Un’attenzione specifica dunque per la tecnica del mosaico che è testimoniata anche da una dotta dissertazione sul dittico musivo di arte bizantina del XIV secolo raffigurante Le dodici grandi festività cristiane del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, da lui pubblicata nell’opera uscita postuma nel 1759, Thesaurus veterum Dypticorum5. Il Gori che in gioventù si era dedicato alla pittura e col mondo dell’arte intratteneva intensi rapporti anche in virtù della sua stretta parentela col pittore e suo ritrattista Giovan Domenico Ferretti, per il quale aveva steso il programma iconografico della decorazione di S. Domenico del Maglio, possedeva anche dipinti e sculture di epoca medievale e moderna6. Nel nucleo di opere di arte medievale recuperabili soltanto attraverso le fonti e lo spoglio della sua immensa mole di documenti, epistole e incisioni conservate alla Biblioteca Marucelliana di Firenze7, si segnalano un dittico d’avorio di arte bizantina, un dittico a bassorilievo proveniente da Bologna, una croce stazionale proveniente dalla Pieve di 3 C. CAGIANELLI, La collezione di antichità di Giovan Battista Casotti fra Prato e Impruneta, in “Annuario dell’Accademia Etrusca di Cortona”, XXVI, 1994, pp. 197-223. 4 Sul mosaico di Palestrina P. ROMANELLI, Palestrina, Roma 1967, pp. 66-67. S. AURIGEMMA, Il restauro del mosaico Barberini, in “Rendiconti. Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia”, XXX-XXXI, 1957-1959, pp. 60-62. 5 Sul dittico musivo del Museo dell’Opera del Duomo, L. BECHERUCCI – G. BRUNETTI, Il Museo dell’Opera del Duomo, II, Milano s.d., pp. 279-281. 6 F. BALDASSARI, Giovan Domenico Ferretti, Milano 2002, p. 178. 7 Sulla consistenza e sulla configurazione dei manoscritti del Gori: M.M. ANGELI, I manoscritti di A.F. Gori nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, in M. CRISTOFANI, La scoperta degli Etruschi, Roma 1992, pp. 152-188. CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL MUSEO GORIO 3 Grasciano, un Crocifisso antico su tavola proveniente dal Duomo che sarebbe tentante riconoscere nella Croce di Pacino di Bonaguida di proprietà della Società Colombaria alla quale il Gori lasciò per eredità i suoi beni. Possedeva inoltre otto mensole trecentesche, salvate dalla distruzione dell’antico altare del Battistero, smembrato nel 1732 per far posto alla monumentale struttura barocca del Ticciati; quattro di queste, ora conservate nell’omonimo Museo di Fiesole, furono poi vendute ad Angelo Maria Bandini che provvide nell’Oratorio di Sant’Ansano, annesso alla sua abitazione, ad assemblarle disinvoltamente con un rilievo del Giambologna componendo la mensa d’altare (Fig. 1)8. A questo nucleo di arte medievale va aggiunto un bel trittico di scuola fiorentina della metà del Trecento raffigurante l’Incoronazione della Vergine (Fig. 2), che reca sul retro la scritta “Comprato da me A. F. Gori / questo dì consacrato a S. Gio. Gualberto /12 luglio 1740”. Il trittico, recentemente e convincentemente ascritto dal Boskovits all’attività giovanile di Giovanni del Biondo, dovette pervenire, forse all’atto della morte del Gori e alla dispersione della sua raccolta, quindi dopo il 1757 e prima del 1803, anno della morte di Tommaso Obizzi, nel suo straordinario museo enciclopedico ubicato nella villa del Catajo presso Padova. Questo, esposto con altri dipinti di arte fiorentina gotica in una saletta dedicata ai primitivi nell’anticamera del Museo; Giotto, Jacopo del Casentino e Spinello Aretino, si può identificare grazie alla descrizione della raccolta fornita dal Campori, che usa il termine dittico per trittico, nel “dittico in legno in altezza c. 2 palmi dipinto sopra la doratura di greco rito colla Coronazione della B.ma Vergine”, identificazione avvalorata dall’altezza del dipinto, cm. 54,5 corrispondente all’incirca a 2 palmi. L’altarolo per complesse vicende ereditarie e patrimoniali pervenne a Vienna e poi al castello di Konopiste per approdare infine alla Galleria Nazionale di Praga9. Il trittico, insieme ai bei rilievi di arte toscana dei primi decenni del 8 Per queste opere; L. BATTISTA 1992-1993; per la Croce di Pacino di Bonaguida della Società Colombaria, acquisita per lascito Rivani nel 1835; M. SALMI, Un cimelio artistico della Società Colombaria, in “Atti della Società Colombaria di Firenze”, 1930-1931, pp. 259-264; sulla figura del Bandini, sulle sculture trecentesche del distrutto altare del Battistero di Firenze, vedi: Il Museo Bandini a Fiesole, a cura di M. Scudieri, Firenze 1993 e nello stesso volume l’esauriente ricostruzione di E. NERI LUSANNA, La scultura, pp. 157-160; e inoltre EAD, L’antico arredo presbiteriale e il fonte del Battistero. Vestigia e ipotesi, in Il Battistero di S. Giovanni a Firenze, a cura di A. Paolucci, Modena 1984, pp. 189-193. 9 Sul trittico della Galleria Nazionale di Praga vedi O. PUJMANOVA, Italienische Tafelbilder in der Nationalgalerie Prag, Berlin 1984, n. 2 (con bibl. precedente, come cerchia di B. Daddi, c. 1350); M. FRINTA, A Portable Coronation Tryptych and a Carved Enthroned Madonna in the National Gallery at Prague: a Few Observation, in “Bulletin of the National Gallery in Prague”, II, 1992, pp. 5-9, che l’ascrive al Maestro di S. Lucchese; L. BELLOSI, Giottino e la pittura di filiazione giottesca intorno alla metà del Trecento, in “Prospettiva”, 101, 2001, p. 34, crea con altre opere ad esso connesse il Maestro dell’altarolo di Praga, ma si veda da ultimo: M. BOSKOVITS, Ancora su Stefano fiorentino e su qualche altro fatto pittorico di Firenze verso la metà del Trecento, in “Arte Cristiana”, 4 CRISTINA DE BENEDICTIS Trecento del Museo Bandini di Fiesole, acquista singolare importanza; costituisce l’unico reperto ancora esistente e quindi visivamente recuperabile; queste opere denunciano scelte non banali, attente alla qualità, all’interno di una raccolta lasciata per espressa volontà del Gori alla Società Colombaria, ma di cui oggi non resta più alcuna traccia. Se per queste opere medievali appare ancora impensabile da parte del proprietario una rivalutazione critica come uno specifico apprezzamento estetico, avvenuti un secolo più tardi, il significato assunto da tali acquisizioni può riconoscersi invece nella riscoperta progressiva delle tradizioni locali e delle proprie radici culturali toscane – ne è prova la dissertazione del Gori sulle Osservazioni istoriche sopra la Cronica di Dino Compagni – che cresce e si afferma in parallelo al recupero della civiltà degli etruschi10. Ciò sembra documentato anche dal possesso di un calco della maschera di Dante come del dito indice della mano di Galileo, asportato nel 1737, durante la traslazione delle ossa dello scienziato dalla cappella Medici al monumento sepolcrale di Santa Croce; maschera dantesca e cimelio galileiano che sembrano assumere il significato di simboli e feticci di un passato avito da venerare più che da comprendere11. Accanto a tale nucleo di arte medievale sono documentate anche importanti opere di arte rinascimentale e moderna; calchi della base “all’antica”, già creduta del Ghiberti e ora ascritta a Girolamo Lombardo e della statua dell’Idolino di Pesaro allora esposto agli Uffizi, disegni e acquerelli, un rilievo del Tempio degli Scolari del Brunelleschi, un modello in terracotta ritenuto del Cellini con la testa della Medusa preparatorio per il Perseo, che si aggiungerebbe così ai due già conosciuti in cera e in bronzo, ora al Bargello e una non identificabile Madonna di Carlo Dolci12. Non registrata inoltre dalla letteratura specialistica la mediazio- 816, 2003, p. 176; la descrizione del Museo del Catajo si trova in G. CAMPORI, Documenti inediti per servire alla storia dei Musei d’Italia, III, Firenze-Roma 1880, p. 29; sulla dispersione del Museo del Catajo e sul nucleo di primitivi del Castello di Konopiste; M. MEISS, Primitives at Konopiste, in “The Art Bulletin”, XXVIII, 1946, pp. 1-16. 10 Sulla figura e le opere del Gori; M. DEZZI BARDESCHI , Archeologismo e neoumanesimo nella cultura architettonica fiorentina sotto gli ultimi Medici, e G. CRUCIANI FABOZZI, Le ‘Antichità figurate etrusche’ e l’opera di A.F. Gori, in Kunst des Baroch in der Toskana, München 1976, pp. 245-267 e 275-288; F. BORRONI SALVADORI, Tra la fine del Granducato e la Reggenza: Filippo Stosch a Firenze, in “Annali della Scuola Normale di Pisa”, III, VIII, 1978, pp. 565-614; M. CRISTOFANI, Accademie, esplorazioni archeologiche e collezioni nella Toscana granducale 1730-60, in “Bollettino d’Arte”, LXVI, 1981, pp. 59-82; M. CRISTOFANI 1992, passim; M. FILETI MAZZA – B. TOMASELLO, Antonio Cocchi primo antiquario della Galleria Fiorentina, Modena 1996; F. VANNINI, A.F. Gori, s. v., in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 58, Roma 2002, pp. 25-28, (con altra bibl.). 11 Sulla reliquia di Galileo: Museo di Storia della Scienza, a cura di M. Miniati, Firenze 1991, p. 62. 12 Sull’Idolino vedi, “Quale era tutto rotto”. L’enigma dell’Idolino di Pesaro. Indagini per un restauro, a cura di M. Iozzo, Firenze 1998. Su queste opere; U. DORINI 1935; L. BATTISTA 1992- CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL MUSEO GORIO 5 ne del Gori nell’acquisizione da parte di Ferdinando Carlo Capponi di un’importante opera di Donatello; il busto di Niccolò da Uzzano che l’antiquario, istitutore dei figli di Ferrante fece comprare al Capponi nel 1736, come si legge negli spogli dell’Accademia Colombaria L’Intrepido (Ferdinando Carlo Capponi) ha mostrato nella casa di via de’ Bardi il busto di Niccolò, fatto dal celebre Donatello, Uzzano somigliante al ritratto in asse nella Galleria e nella casa Capponi, il senatore Ferrante Capponi, padre dell’Intrepido, acquistò parte per compra e parte per eredità il busto procuratogli dal nostro Adescato, (Gori) collocatolo sulla propria base vi aggiunse l’iscrizione dettata dal detto Adescato “Magno et spectato viro/harum aedium primo conditori/Nicolao de Uzano Ferrantes Capponius maiori suo”13. L’attribuzione a Donatello, a lungo rifiutata e ora riconfermata dal restauro recente, è attestata qui per la prima volta, forse frutto di una tradizione orale, venendo poi registrata dalla quinta edizione della Guida Fiorentina di Carlo Carlieri del 174514. I casi del mosaico di Palestrina e del busto di Donatello mostrano il Gori in veste di intermediario e di commerciante, attività a quel tempo inscindibilmente connesse a quelle di collezionista e di conoscitore. L’intensa attività commerciale da lui praticata che mal conciliabile con la carica di canonico del Battistero gli precluse l’ambito ruolo di conservatore della Galleria degli Uffizi, per la quale, in anticipo sui tempi e trenta anni prima delle classificazioni disciplinari e museografiche del Lanzi, aveva progettato una sala etrusca15. In questi anni la passione per la raccolta erudita era già divenuta anche a Firenze fatto di costume e moda culturale tanto da suscitare reazioni e critiche divertite che sembrano anticipare l’‘anticomanie’ che a Parigi vedeva animosamente contrapposte le ragioni degli antiquari, schiavi di classificazioni pedanti dell’antico a quelle dei filosofi, tesi vitalmente all’interpretazione del presente16. Già nel 1715 Filippo Buonarroti, una delle voci più innovative a Firenze nel campo dell’antiquaria e dell’etruscheria, scrivendo al Gori irrideva alla già dila- 1993; sui modelli del Cellini vedi; D. TRENTO, Benvenuto Cellini. Opere non esposte e documenti notarili, Firenze 1984, pp. 34-40; J. POPE-HENNESSY, Cellini, London 1985, p. 306. 13 U. DORINI 1935, p.186. 14 Sulla provenienza del busto di Donatello; L. BATTISTA 1992-1993, il ruolo di intermediario del Gori non è registrato dalla letteratura specialistica, si vedano ad esempio; “Omaggio a Donatello”, catalogo della mostra, Firenze 1985, p. 246; J. POPE HENNESSY, Donatello scultore, Torino 1993, pp. 140-143. 15 M. FILETI MAZZA – B. TOMASELLO 1996, p. XXXIV; sulla Galleria al tempo del Gori; P. BAROCCHI, La storia della galleria e la storiografia artistica, in Gli Uffizi quattro secoli di una galleria, Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di P. Barocchi e G. Ragionieri, Firenze 1983, pp. 49-150; P. BOCCI PACINI, La Galleria delle statue nel granducato di Cosimo III, in “Rivista dell’Istituto Nazionale d’archeologia e Storia dell’arte”, XII, 1989, pp. 221-255. 16 Sull’anticomanie, vedi, J. SEZNEC, Essais sur Diderot et l’antiquité, Oxford 1957; A. OTTANI CAVINA, Il Settecento e l’antico, in Storia dell’arte italiana, VI**, Torino 1982, pp. 629-633. 6 CRISTINA DE BENEDICTIS gante mania collezionistica “ne’ pensiate che io esageri e che questo sia un effetto dell’amore che io porto all’antichità, quasi sia uno di quelli tanto sfegatati e che raccogliamo ogni cosa purché abbia l’apparenza d’esser antica, non badando se vene sia l’occasione ed il fondamento, ed empiono il museo con cocci rotti e di fresche e medagliacce consumate e distrutte e che non vi si vede ne meno un segno di lettera, o di uso, con gran danno degli ottonai, che ne potrebbero aver costruito per farne campanelli e viene loro l’acquolina alla bocca ogni qual volta vedano simili gerarchie serrate a sette chiavi. Io non sono di questi, e di tali cosacce da me non ne potrei cavare qualche erudizione, io non ne darei il peggio quattrino che io avessi, perché altrimenti a mano a mano bisognerebbe esibire nelle gallerie pezzi del nostro Monte Ceceri e di Monte Morello, che sono degli anni ben assai che sono in essere e che si trovarono a vedere il diluvio”17. Una tale accesa, irrazionale passione per l’antico pareva connotare anche l’atteggiamento del Gori; ciò si evince da Carlo Goldoni che nelle sue “Memorie” lo ricorda durante suo soggiorno fiorentino del 1742 come famoso conoscitore ed insigne etruscologo, prendendolo poi a modello sette anni dopo per tracciare nella “Famiglia dell’antiquario”, il ritratto di un collezionista, il conte Anselmo, maniaco raccoglitore di tutto ciò che sembra antico o raro, che fidandosi di Arlecchino mette insieme un ridicolo museo18. Il Museo Gorio, come documentano queste note, che seppure fortemente connotato sull’antico sembra acquistare anche una fisionomia eterogenea. Se la raccolta di reperti antichi che pare comunque prevalente, assume valore significante e uso strumentale subordinandosi alla sua attività di conoscitore e di antiquario, quella di oggetti d’arte moderna e contemporanea sembra invece rivestire un carattere diverso, più casuale e non programmatico incarnandosi su valori d’arredo; la Madonna del Dolci, oppure storico o devozionale; i dittici, i dipinti e le sculture trecentesche. Una raccolta che appare dunque funzionale alla diffusione della sua immagine di studioso e di letterato che viene parallelamente supportata e consegnata visivamente anche ai ritratti. Nel 1742 il Gori viene raffigurato dal cugino Ferretti come poligrafo (Fig. 3), in un intenso, naturalistico ritratto in cui, in veste di canonico del Battistero, mostra il quarto volume del suo “Museum Florentinum” dedicato alle gemme delle collezioni granducali; genere artistico nel quale aveva acquisito competenza indiscussa a livello europeo documentata dai cataloghi da lui redatti delle dattiloteche dei Riccardi e del Console Smith19. Nell’incisione del 1745 che 17 L. BATTISTA 1992-1993. C. GOLDONI, “Memoires”, Paris 1787, I, p. 269; A. MOMIGLIANO, Le opere di Carlo Goldoni, Torino 1966, p. 57. 19 Sul ritratto del Gori si veda; G. LEONCINI, Giovan Domenico Ferretti; contributi alla ritrattistica fiorentina del Settecento, in “Paragone”, 329, 1977, pp. 58-72; F. BALDASSARI 2002, p. 200, pubblica in collezione privata un’altra versione di più ridotte dimensioni del ritratto del Gori 18 CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL MUSEO GORIO 7 Gaetano Vascellini derivò da un ulteriore, perduto ritratto eseguito dal Ferretti (Fig. 4), nella scritta sottostante qualificato come “sacerdote, antiquario e letterato e dell’istoria etrusca grande illustratore”, si mostra invece, in semplice abito talare, imbolsito nei tratti del volto, in veste di collezionista, o meglio di conoscitore in grado di valutare e apprezzare oggetti antichi; alcune monete, un bronzetto, un’anfora con figure20. La medaglia incisa da Antonio Selvi nel 1751, sei anni prima della morte, fusa in occasione del suo cinquantesimo anno, recante sul recto il suo ritratto (Fig. 5) e sul rovescio l’Etruria seduta attorniata da un leone che riceve da Minerva un serpente, simbolo di eternità, e da un putto su una pila di libri, (Fig. 6), la scritta “sic fortis etruria crevit”, tratta dal secondo libro delle Georgiche, celebra invece la fama imperitura acquisita dalla Toscana grazie ai suoi studi sull’arte antica21. Nel bel busto-ritratto del suo monumento funebre, opera di uno sconosciuto, pregevole scultore toscano, nel primo chiostro del convento di San Marco, l’epitaffio composto dallo stesso Gori, ribadisce, questa volta solo a beneficio dei posteri, i suoi meriti; conoscenza della teologia e della storia, padronanza della letteratura sacra e profana, greca e latina, della cultura antica in special modo di quella etrusca sconosciuta e dispersa, costituzione di un’ingente biblioteca e di un museo (Fig. 7)22. Queste immagini al pari della sua raccolta ci restituiscono ciò che il Gori voleva progressivamente comunicare di se stesso ai contemporanei come ai posteri. Nel cruciale momento di passaggio dalla costituzione di categorie astratte all’analisi autoptica del reperto, dall’erudizione allo studio scientifico dell’antico di cui Anton Francesco Gori fu uno dei protagonisti e un importante catalizzatore, la sua figura incarna emblematicamente i molteplici interessi della cultura toscana della metà del Settecento. Poligrafo, storiografo e divulgatore del patrimonio patrio antico e moderno, il Gori si pone poi come conoscitore, competenza specifica che all’epoca includeva le attività strettamente connesse del collezionista, dell’intermediario e del commerciante, accreditandosi infine, con uno scarto di significato, velleitario e autocelebrativo ad un tempo, come fondatore dell’etruscheria. eseguita dal Ferretti; sulle raccolte di gemme e le competenze del Gori; K. ASCHENGREEN PIACENTI, Consul Smith’s Gems, in “The Connoisseur”, CXCV, 1977, pp. 79-83; G. DE JULIJS, La storia del medagliere Riccardi: primi risultati, in La medaglia neoclassica in Italia e in Europa, Atti del quarto convegno internazionale di studio (giugno 1981), Udine 1984, pp. 237-243. 20 Sull’incisione tratta da un ritratto del Ferretti, G. LEONCINI 1977, pp. 58-72. 21 Sulla medaglia eseguita da Antonio Selvi (1679-1753) che reca sul recto la scritta «A.F. GORIUS TH; D. HISTORIAR. P. PROF. BAPTIST . FLOR. PRAEP-A.S. MDCCLI» e sul verso «SIC FORTIS ETRURIA CREVIT», vedi: C. AVERY, Sculture, bronzetti, placchette, medaglie, La Spezia, Museo Civico Amedeo Lia, Milano, 1998, n. 234, pp. 318-319. 22 Sul monumento funebre del Gori vedi, G. LEONCINI 1977, pp. 70-71; M. DE LUCA SAVELLI, La scultura, in La chiesa e il convento di San Marco a Firenze, II, Firenze 1990, pp. 291-292. 8 CRISTINA DE BENEDICTIS Fig. 1 – Scultore toscano dei primi decenni del Trecento, Rilievo scultoreo, Fiesole, Museo Bandini Fig. 2 – Giovanni del Biondo, Incoronazione della Vergine, Praga, Galleria Nazionale CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DEL MUSEO GORIO 9 Fig. 3 – Giovan Domenico Ferretti, Ritratto di Anton Francesco Gori, Firenze, collezione privata Fig. 4 – Gaetano Vascellini, Anton Francesco Gori, incisione 10 CRISTINA DE BENEDICTIS Fig. 5 – Antonio Selvi, Anton Francesco Gori, medaglia, recto Fig. 6 – Antonio Selvi, L’Etruria e Minerva, medaglia, verso Fig. 7 – Scultore toscano della metà del XVIII secolo, Monumento funebre, Firenze, chiostro di San Marco 11 MARIA GRAZIA MARZI L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI: NUOVE PROSPETTIVE DI RICERCHE Affrontare lo studio metodico dell’ingente materiale raccolto da Anton Francesco Gori nei volumi conservati presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze1 non sarebbe stata impresa da condursi singolarmente. Per questa ragione da vari anni insieme a Cristina De Benedictis ed altri colleghi abbiamo indirizzato le ricerche sull’epistolario del Gori coinvolgendo gli studenti per le loro tesi. Non è stato facile all’inizio far capire l’importanza di questo tipo di ricerche a prima vista di taglio ottocentesco, perché il giovane che desidera intraprendere la carriera dell’archeologo romanticamente sogna di partecipare a scavi sul terreno piuttosto che affrontare in biblioteca il complesso “scavo” di archivi cartacei. La convergenza di interessi con gli storici dell’arte medievale e moderna ha contribuito a percorrere una strada meno seguita dagli archeologi e affrontare in maniera sistematica questo studio. Attraverso lo spoglio e la trascrizione dell’epistolario del Gori è stato possibile così recuperare dati sconosciuti, tracciare la storia di scoperte archeologiche, di collezioni e edizioni di testi e di ripercorrere le vicende delle vaste problematiche affrontate e dibattute nella prima metà del secolo XVIII. Gli scambi epistolari costituivano all’epoca insostituibili vettori di informazione su ogni circostanza e avvenimento; rappresentavano il mezzo di comunicazione più accessibile per mantenere rapporti di studio, di ricerca e di amicizia, fornendo notizie di interesse molteplice sia a livello scientifico e accademico sia a livello politico. I più noti eruditi dell’epoca e gli studiosi di antichità ricorrevano con frequenza alle vaste conoscenze del Gori per consigli e pareri, che reciprocamente mittenti e destinatario si scambiavano con regolarità e frequenza. Dopo la morte del Gori la sua intera collezione, che comprendeva pezzi antichi e moderni, è andata dispersa2, mentre il voluminoso epistolario si è conservato perché collocato subito nella “pubblica libreria Marucelliana”3. Attraverso questo copioso epistolario possiamo non solo leggere la vita del Gori, ma anche entrare 1 Ved. L. GIULIANI, Il carteggio di Anton Francesco Gori, Roma 1987; M.M. ANGELI, I manoscritti di A.F. Gori nella Biblioteca Marucelliana di Firenze, in La scoperta degli Etruschi, Quaderno di documentazione a cura di M. CRISTOFANI, Roma 1992. In un volume dell’epistolario, BMF, ms. A194, cc. 442-443, è conservata l’autobiografia del Gori. 2 C. DE BENEDICTIS, Contributo alla conoscenza del “Museo Gorio”, in questo volume. 3 “Novelle Letterarie”, 33, 1770, p. 534. 12 MARIA GRAZIA MARZI nell’ambiente culturale di un complesso periodo storico poiché i suoi numerosi corrispondenti appartengono a territori, culture e ambienti sociali diversi. Nelle lettere scritte al Gori molte delle notizie riguardano non solo nuove scoperte archeologiche, ma anche il commercio e il collezionismo delle antichità, cui questi dotti si dedicavano; non è semplice seguire l’iter degli oggetti e la storia delle collezioni, soprattutto per l’impossibilità di consultare le risposte inviate dal Gori ai suoi corrispondenti4. Recentemente però sono state ottenute notizie al riguardo grazie al recupero del carteggio con Ottavio Bocchi5 e con Paolo Maria Paciaudi6. Inoltre negli ultimi anni ricerche mirate su singoli personaggi, anche di minor prestigio storico e culturale, hanno fatto emergere fatti nuovi e interessanti che riguardano non solo il mondo etrusco, ma anche le antichità greche e romane. L’interesse attuale verte soprattutto sulla raccolta di prima mano di questa immensa mole di dati, che ci offre un completo quadro dell’Italia antica. Abbiamo così programmato una suddivisione del materiale in relazione ai corrispondenti residenti nei vari centri dell’Italia, da nord a sud, cioè dal Veneto fino alla Sicilia7. Da Venezia il Gori ha come corrispondente Anton Maria Zanetti8; le lettere attestano una collaborazione che porta alla genesi e alla pubblicazione della collezione di gemme di Anton Maria Zanetti nel catalogo pubblicato a Venezia nel 1751, La Dactyliotheca Zanettiana9. I contatti fra Gori e Zanetti riguardano anche il periodo in cui lo Zanetti sta lavorando insieme al cugino Anton Maria Zanetti all’opera Delle Antiche Statue greche e romane che nell’antisala della Libreria di San Marco e in altri luoghi pubblici di Venezia si trovano, Venezia, I-II, 1740-1743. Per l’opera Delle Antiche Statue gli Zanetti si rivolgono al Gori per avere indicazioni esatte sul modo in cui impostare le spiegazioni volte a fornire l’esegesi di ogni statua. Infatti il Gori, grazie alla pubblicazione del terzo tomo del Museum Florentinum (Statuae antiquae deorum, 1734), si sta procurando una notorietà “archeologica” a livello europeo. Da questa corrispondenza10 emer4 M. CRISTOFANI, Introduzione, in L. GIULIANI 1987, pp. 1 ss. F. FIGOLI, Il carteggio fra Anton Francesco Gori e Ottavio Bocchi, Tesi di Laurea in Storia dell’Archeologia, Anno Acc. 1996-97, Università di Firenze. 6 E. FINO, Il carteggio tra Anton Francesco Gori e Paolo Maria Paciaudi: ricostruzione e studio, Tesi di Laurea in Storia dell’Archeologia, Anno Acc. 1999-2000, Università di Firenze. 7 Prezioso aiuto è stato fornito dal catalogo di L. GIULIANI 1987. 8 BMF, ms. BVIII 13 e ms. A246, 16, cc. 142-146; ved. F. BORRONI SALVADORI, I due Anton Maria Zanetti, Firenze 1956. 9 R. BANDINELLI, La formazione della dattilioteca di Anton Maria Zanetti (1680-1767), in Congresso Internazionale “Venezia, l’archeologia e l’Europa”, in “Rivista di Archeologia”, Suppl. 17, 1996, p. 59 ss. in cui sono state messe in luce tutte le informazioni relative alla collezione glittica dello Zanetti. 10 La corrispondenza copre un arco di tempo assai ampio e precisamente dal 1735 al 1754. 5 L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 13 ge anche un panorama completo della città veneta culturalmente attiva e tappa fondamentale del Grand Tour. Interessanti notizie riguardano poi gli argomenti più disparati: scavi di antichità, polemiche letterarie, mondo dell’editoria, figure di librai come l’Albrizzi e il Pasquali, collaborazione del Gori al catalogo delle gemme di Joseph Smith e anche innovazioni del teatro goldoniano. L’interesse del Gori nel ricercare materiali particolari e preziosi per accrescere la sua collezione colpì Carlo Goldoni che incontrò il Gori durante il soggiorno a Firenze nel 1744, ne fu affascinato e ne fece il prototipo per il personaggio dell’antiquario in molte sue commedie11. Anche dalla zona di Aquileia il Gori ha frequenti notizie di scavi e di scoperte tramite il canonico Gian Domenico Bertoli, nativo di Mereto12. Il Bertoli era interessato in particolare a iscrizioni, monete, medaglie, gemme e bronzetti, reperti in parte confluiti nel Museo di Aquileia. Attraverso una serie di scavi egli riuscì a raccogliere molti materiali, circa mille pezzi, che voleva pubblicare nelle Antichità di Aquileia, di cui verrà edito soltanto il primo volume, mentre rimarranno manoscritti gli altri due. Da Adria Ottavio Bocchi informava il Gori di tutto ciò che avveniva nel territorio. Recentemente è stato ricostruito il carteggio Gori-Bocchi13, correlando cronologicamente le lettere della Marucelliana con quelle del Gori al Bocchi conservate nella Biblioteca Comunale di Treviso14. Sono documentati i rapporti epistolari del Bocchi con eruditi, antiquari e collezionisti dell’epoca come Apostolo Zeno, Scipione Maffei, Carlo Silvestri; il Bocchi sempre aggiornato sui ritrovamenti nel territorio adriese, voleva “stendere la storia di Adria”, ma il progetto non fu portato a compimento. È stato riordinato cronologicamente anche il carteggio fra Gori e Paolo Maria Paciaudi15, correlando ciascuna lettera con la relativa risposta; le lettere indirizzate al Gori si collocano in un arco cronologico compreso tra il 1741 e il 175516; le lettere indirizzate dal Gori al Paciaudi, conservate nella Biblioteca Palatina di Parma, comprendono gli anni dal 1742 al 1757. Il Paciaudi, personaggio itinerante per la sua attività di predicatore e spesso al centro di polemiche politiche, deve la sua fama soprattutto all’opera Monumenta Peloponnesia ex Museo Jacobi Nanii 11 C. GOLDONI, Le memorie, a cura di R. Guastalla, Firenze 1933, p. 148. BMF, ms. BVII 4 e ms. A245. La corrispondenza copre un arco di tempo di dieci anni e precisamente dal 1745 al 1755. Recentemente sono state recuperate altre lettere oltre quelle già note e alcuni disegni: C. CARDONE, Gian Domenico Bertoli nel carteggio Gori, in questo volume. 13 Le lettere di Ottavio Bocchi al Gori si trovano in BMF, ms. BVII 2 e mss. A11; 13, 1-2. Ved. sopra nota 5 e F. FIGOLI, Contributi di interesse storico-archeologico emersi dalla ricostruzione del carteggio fra Ottavio Bocchi e Anton Francesco Gori, in questo volume. 14 Biblioteca Comunale di Treviso, ms. 160. 15 Ved. sopra nota 6. 16 BMF, ms. BVII 23 e alcune inserite in ms. A. 12 14 MARIA GRAZIA MARZI commentariis Explicata17. Oltre a informazioni su numerosi e vari materiali il carteggio rivela grande importanza documentaria per il recupero di notizie sulla ceramica antica, presente in grande quantità nelle collezioni che il Paciaudi visita durante il suo soggiorno a Napoli nel 1743, come la collezione Valletta e la collezione Mastrilli, di cui riesce ad inviare al Gori un buon numero di disegni18. È in questa occasione che il Paciaudi vuole assecondare in modo particolare i desideri del Gori ma “pochi mi vorran permettere il farli (i vasi) calare per trarne il disegno”19 e risalta l’influenza del Gori sul Paciaudi riguardo all’interpretazione dei soggetti rappresentati sui vasi. Sono stati presi in considerazione anche alcuni collezionisti ed eruditi stranieri che gravitavano nell’ambiente milanese e che avevano formato raccolte di antichità fino ad oggi poco note, come la collezione di Juan Tomaso de Peralta20. Tra i corrispondenti del Gori l’ambiente romano è molto bene rappresentato da personalità quali Giovanni Gaetano Bottari, Alessandro Gregorio Capponi, Francesco Ficoroni, Pietro Fourier e Francesco Vettori. Dalle lettere di questi eruditi e antiquari emerge un quadro molto vario che spazia dall’acquisto e dalla vendita di antichità allo scambio di libri e dissertazioni e allo studio di collezioni, ma soprattutto investe le attività di rinvenimenti e di scavi verificatisi a Roma nella prima metà del XVIII secolo. Vengono infatti registrati i seguenti scavi: Farnese sul Palatino21, presso Porta Maggiore, che portano alla scoperta del Colombario degli Arrunzi22, a Tivoli nella villa di Adriano23, sul Celio24 e nella zona di San Cesareo25. Quasi tutti i corrispondenti inviano al Gori continuamente notizie, spesso corredate da disegni, su epigrafi, rilievi, sarcofagi, bronzetti e statue. Alcune lettere recano impronte in ceralacca di gemme, preziosi oggetti da collezione che interessavano particolarmente per le dimensioni e per l’iconografia dalla rilevanza storica. Si riferisce anche dell’invio 17 Opera pubblicata a Roma nel 1761. Il Paciaudi, nato a Torino nel 1710, muore a Parma nel 1785, ebbe frequenti rapporti con il conte de Caylus e pubblicò molte opere e dissertazioni prima di questo suo lavoro più famoso. Per il suo rapporto con l’arte greca L. BESCHI, La scoperta dell’arte greca ,in Memoria dell’antico nell’arte italiana, III, Torino 1986, p. 344. 18 BMF, ms. BVII 23, cc. 29-30: lettera del 9 settembre 1743. 19 BMF, ms. A245 9, cc. 162 e 167: lettera del 3 gennaio 1745. 20 C. GAMBARO, I “vasi etrusci”di Juan Tomaso De Peralta. Notizie su una collezione di ceramica nella prima metà del Settecento, in questo volume. 21 BMF, ms. BVII 9, c. 69: lettera di Thomas Dereham a Filippo Buonarroti. 22 BMF, ms. A62, cc. 31, 35, 37; ms. A213, cc. 333-336; ms. BVII 11, c. 111 (lettere di Ficoroni al Gori). 23 BMF, ms. A63, c. 27 (lettera di Bottari al Gori); ms. BVII 7, cc. 112, 120, 122 (lettere di Capponi al Gori); ms. BVII 11, cc. 57, 60, 275 (lettere di Ficoroni al Gori). 24 BMF, ms. BVIII 7, c. 11. 25 BMF ms. A62, c. 65. L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 15 di piccole cassette contenenti monete, gemme, bronzetti, da potere osservare direttamente26. Ampia inoltre è la parte dedicata alla edizione e alla sottoscrizione di libri e opuscoli che servivano a documentare i materiali delle collezioni che all’epoca erano ancora poco accessibili. Poiché il collezionismo di antichità era ormai divenuto una passione comune, quasi tutti questi corrispondenti possedevano una piccola o grande collezione27. A Roma in questo periodo assistiamo ad una frenetica attività di scavo, che alimenta il collezionismo e il commercio antiquario; la città diventa una meta obbligata per i numerosi eruditi stranieri durante il Grand Tour, che raccoglievano manoscritti greci e latini, spartiti musicali e oggetti archeologici, come l’austriaco Ernesto de Haver, la cui collezione risulta catalogata e illustrata nelle carte del Gori28 o come l’accademico inglese Thomas Dereham29, che visse a lungo in Italia e scrisse al Gori, documentandolo sul rinvenimento del Colombario dei Liberti di Livia e sugli scavi degli Horti Farnesiani. Gli stranieri venivano anche per organizzare campagne di scavo e tornavano in patria portando con sé i materiali rinvenuti, come il cardinale Melchiorre de Polignac30. È il periodo in cui si recupera la più grande quantità di reperti, ma è anche il periodo della maggiore dispersione delle opere d’arte: i materiali spesso vengono arbitrariamente restaurati e anche contaminati o addirittura falsificati31. Per motivi economici le famiglie nobili cominciano a vendere le collezioni e si assiste quindi alla dispersione delle raccolte. Uno dei protagonisti del periodo è il cardinale Alessandro Albani32, è uno dei maggiori collezionisti e antiquari, ma anche un personaggio che favorì l’esportazione. L’antiquario infatti è una figura 26 BMF ms. BVII 11, c. 57; poiché questo sistema non poteva essere adottato sempre, sorse l’esigenza di pubblicazioni, opuscoli e dissertazioni corredate di disegni che mettessero a disposizione anche altri materiali delle collezioni. 27 Il Museum Etruscum nasce infatti dallo studio compiuto su collezioni messe a disposizione da privati. 28 Ved. BMF, ms. A73. 29 Ved. sopra nota 21. 30 Nel 1732 ritorna a Parigi portando con sé le sculture rinvenute negli scavi condotti in Italia fra il 1723 e il 1732: L. GUERRINI, Marmi antichi nei disegni di Pier Leone Ghezzi, Città del Vaticano 1971. 31 Ampia documentazione nell’epistolario anche sull’argomento falsi e falsari, argomento che sarà oggetto di prossime ricerche. 32 La fama del cardinale è legata alla sua attività di collezionista e alla sua passione per le antichità. Per notizie particolareggiate G. SOFRI – L. LEWIS, Albani Alessandro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma 1960, pp. 595-598; Alessandro Albani patrono delle arti, architettura pittura e collezionismo nella Roma del ‘700, in Studi sul Settecento Romano, Roma 1993; D. GALLO, Per una storia degli antiquari romani nel Settecento, in “Mélanges de l’École française de Rome, Antiquité”, 111, 1999, p. 827 ss. 16 MARIA GRAZIA MARZI tipica della prima metà del XVIII secolo, punto di riferimento per chi vuole acquistare e vendere antichità, ricercato dai visitatori stranieri che spesso fanno affari con personaggi che possiedono una propria collezione e hanno acquisito tanta esperienza da diventare veri e propri esperti e studiosi delle antichità, come viene documentato per il Ficoroni, collezionista e antiquario33. Il Ficoroni è in stretto rapporto con i commercianti romani procacciatori di materiali per gli eminenti personaggi stranieri, specialmente inglesi, come si deduce anche dalla pubblicazione delle carte di Antonio Cocchi34. Il Ficoroni assume un ruolo determinante nel commercio delle opere d’arte, tanto da ottenere la denominazione di “un cicerone al servizio degli inglesi”35. Il Ficoroni dà notizie al Gori delle scoperte che suscitano grande entusiasmo nell’ambiente romano, come il colombario dei Liberti di Livia e il colombario degli Arrunzi; di queste notizie il Gori farà tesoro nella sua pubblicazione Monumentum sive Columbarium libertorum et servorum Liviae Augustae36. Dalla corrispondenza Ficoroni-Gori emerge anche la storia della complessa trattativa condotta dal Ficoroni per fare acquistare al cardinale Filippo Antonio Gualtieri la collezione napoletana dell’avvocato Giuseppe Valletta37, composta di vasi per lo più dell’Italia meridionale che il Ficoroni aveva potuto vedere a Napoli ventiquattro anni prima della data della lettera inviata al Gori il 31 luglio 1734. Grazie alla sua intermediazione la collezione sarà acquistata dal cardinale Gualtieri, ma dopo il 1710 anziché nel 1688; contrariamente a quanto è stato finora interpretato il passo della lettera inviata dal Ficoroni al Gori dice “e 24 anni in circa che fui in Napoli” e non “a 24 anni in circa”38. 33 BMF, ms. A62 e ms. BVII 11. La corrispondenza del Ficoroni con il Gori si colloca in un arco di tempo dal 1727 al 1746. 35 L. LAVIA, Francesco De’ Ficoroni e l’ambiente antiquario romano nella prima metà del Settecento, in questo volume, in cui viene messo in evidenza l’ambiente internazionale, soprattutto quello inglese. 36 Opera del Gori pubblicata a Firenze nel 1727. Nel Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona è conservata una tabella di colombario proveniente dal sepolcreto dei liberti di Livia sulla via Appia, dono di Marcello Venuti (P. BOCCI PACINI, in Il Museo dell’Accademia Etrusca di Cortona, Firenze 1992, p. 63); il Gori ricorda nel Museum Etruscum che il sepolcreto fu scoperto nel 1727 quando il Venuti si trovava a Roma e che il Venuti, tornato a Cortona, donò all’Accademia alcune lucerne fittili che il Gori vede a Cortona nel maggio del 1733 durante il suo viaggio in Etruria. 37 La trattativa per l’acquisto della collezione Valletta fu condotta dal Ficoroni che comprò 40 vasi pagandoli seicento ducati napoletani. I vasi Valletta sono quasi tutti italioti e soprattutto apuli, editi alcuni anni più tardi dal Montfaucon e dal Buonarroti. La collezione viene acquistata alla morte del Gualtieri dal papa Clemente XII nel 1730 ed è esposta nella Biblioteca Vaticana; M.G. MARZI, Giovan Pietro Bellori e la ceramica antica, in L’idea del bello. Viaggio per Roma nel Seicento con Giovan Pietro Bellori, Catalogo della mostra , Roma 2000, p. 530 38 BMF, ms. A62, c. 109; ms. BVII 11 cc. 13, 186, 192 e 207. Il passo è stato così interpretato da L. Lavia che ha decifrato la grafia non facile del Ficoroni, dopo aver letto tutto l’epistolario del Ficoroni. 34 L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 17 Riguardo all’ambiente romano sono da rilevare i frequenti contatti con Giovanni Gaetano Bottari, Alessandro Gregorio Capponi, Pietro Forier e Francesco Vettori che danno notizie dell’ambiente pontificio e della creazione dei musei pubblici Capitolino39 e Vaticano40. Il Bottari41 scrive molte lettere al Gori dal 1731 al 1755, inviandogli iscrizioni provenienti dai recenti scavi di Roma42, che interessavano particolarmente l’abate. Dal carteggio si hanno notizie relative al ritrovamento nel 1741 delle sculture della Villa di Adriano a Tivoli cioè delle statue di Arprocrate, di Hermes e di un idolo egizio43. Nel 1747 il Bottari invia al Gori il disegno del sarcofago attico della bottega del Maestro di Dioniso di San Lorenzo44 e in un’altra occasione parla del sarcofago di Giunio Basso del Vaticano, soffermandosi a descrivere i lati corti con scene di putti45. Nelle lettere di Pietro Forier46, uno dei curatori del Museo Capitolino, vengono descritti i monumenti che vanno ad arricchire le collezioni del Museo da poco istituito, come il rilievo con sacerdote di Cibele rinvenuto vicino a Civita Lavinia47, la statua di Apollo in riposo48, un’ara votiva49, un’erma replica del ritratto di Antistene 39 Il Museo Capitolino fu istituito nel 1734: F. HASKELL – N. PENNY, L’antico nella storia del gusto, Torino 1984, p. 81; C. DE BENEDICTIS, Per la storia del collezionismo italiano. Fonti e documenti, Firenze 1995, pp. 129 e 138 40 Il Museo Vaticano fu istituito dal papa Benedetto XIV nel 1756, vi confluirono la raccolta Carpegna e la collezione del Vettori. C. DE BENEDICTIS 1995, p. 130. 41 Il Bottari, nato a Firenze nel 1689, studiò sotto la guida di Anton Maria Biscioni e Anton Maria Salvini; fu direttore della stamperia granducale e collaboratore del Buonarroti all’edizione del Dempster, prima al seguito dei Corsini a Firenze e poi cappellano a Roma sotto Clemente XII, dal 1737 fu nominato custode della Biblioteca Vaticana. 42 BMF, ms. BVII 5, cc. 17, 40, 139. 43 BMF, ms. A63, c. 27: “si son trovate tre statue molto singulari. La prima è un Arpocrate tutto intiero … La seconda è un Antinoo, ma più vestito del solito … La terza è un idolo egiziano …”. La prima statua ricordata è quella di Arpocrate del Museo Capitolino (W. HELBIG, Führer durch die öffentlichen Sammlungen Klassischer Altertümer in Rom, II, n. 1389), la seconda è la statua di Hermes che appoggia il piede su una roccia che entrò al Museo Capitolino all’epoca di Benedetto XIV nel 1742 (HELBIG II, n. 386), la terza statua è una figura maschile caratterizzata da abbigliamento e attributi egiziani prima portata al Museo Capitolino ora ai Musei Vaticani (HELBIG I, n. 485) 44 BMF, ms. A63, cc. 45 e 47; A. GIULIANO – B. PALMA, La maniera ateniese di età romana. I maestri dei sarcofagi attici, in Studi Miscellanei 24, Roma 1978, p. 52, n. 6, tavv. 66-67. 45 BMF, ms. BVII 5, c. 59. Il sarcofago cristiano di Giunio Basso del Vaticano fu trovato in S. Pietro tra il 1595 e il 1597, il Bottari descrive i lati corti del sarcofago, che ha fatto disegnare. 46 BMF, ms. BVII 12. 47 BMF, ms. BVII 12, c. 271; HELBIG II, p. 25, n. 1176. Il rilievo si trova attualmente al Museo dei Conservatori. 48 BMF, ms. BVII 12, c. 291; HELBIG II, p. 232, n. 1426. 49 BMF, ms. BVII 12, c. 291; HELBIG II, p. 30, n. 1182. 18 MARIA GRAZIA MARZI rinvenuta nel 174150, un’erma con Epicuro e Metrodoro scoperta nel 174251, e il vaso cosiddetto di Mitridate oggi al Museo dei Conservatori52 (Fig. 1). Informa inoltre il Gori che Clemente XII ha acquistato da poco per il museo il Galata morente delle collezione Ludovisi53, e gli invia il disegno del torques. Viene ricordato anche l’ingresso nel Capitolino del documento più importante della cartografia antica cioè la Forma Urbis, descritta da G.P. Bellori54. Per quanto riguarda gli scavi a Tivoli, oltre alle statue ricordate anche dal Bottari, egli tratta della cosiddetta Flora rinvenuta nel 174455 e del Fauno in marmo rosso rinvenuto nel 1736 dal Furietti nel Ninfeo della villa, trasferita al Capitolino da Benedetto XIV nel 174656. Francesco Vettori, conservatore del Museo Vaticano57, letterato e antiquario era anche collezionista di eccezionale spessore; aveva formato una grande raccolta di cui facevano parte gemme, cammei, monete, vetri, bronzi, avori, oreficerie e dipinti oltre a materiali meno preziosi come lucerne, di cui ottiene nella sua assidua corrispondenza con Gori spiegazioni e precisazioni. Il Vettori era soprattutto un esperto di numismatica, di cui è testimonianza il volume Il Fiorino d’oro che illustra le sue monete. La sua collezione sarà da lui stesso donata al Museo Vaticano, mentre la sontuosa biblioteca alla sua morte sarà acquistata dal duca di Baviera per la città di Mannheim. Molte delle lettere del Vettori sono corredate da disegni eseguiti dall’amico Girolamo Odam58. Il Vettori invia al Gori anche notizie sugli scavi intrapresi dalla famiglia Casali dopo aver ottenuto un regolare permesso governativo e su monumenti rinvenuti a Roma dal 1727 al 1730, come la statua di Dioniso con Pan, attualmente conservata al Museo Chigi di Siena59. La ricerca sulla corrispondenza di Alessandro Gregorio Capponi60 è stata svolta utilizzando anche i materiali custoditi nei fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana che hanno offerto dati importanti sulla storia del collezionismo 50 BMF, ms. BVII 12, c. 310; C. PIETRANGELI, in “Bollettino dei Musei Comunali”, XI, 1964, p. 52. 51 BMF, ms. BVII 12, c. 310; HELBIG II, p. 164, n. 1342. 52 BMF, ms. BVII 12, c. 310; HELBIG II, p. 276, n. 1453. Un disegno del cratere è in BMF, ms. A275, c. 215. 53 BMF, ms. BVII 12, c. 273: “… è il renomato Marmillone o sia Gladiatore …”; HELBIG II, p. 240, n. 1436. 54 BMF, ms. BVII 12, c. 303; M.P. MUZZIOLI, Bellori e la pubblicazione dei frammenti della pianta marmorea di Roma antica , in L’idea del bello 2000, p. 580 ss. 55 BMF, ms. BVII 12, c. 328; HELBIG II, p. 239, n.1435. 56 BMF, ms. BVII 12, c. 328; HELBIG II, p. 226, n. 1420. 57 BMF, ms. BVIII 8, 9, 10, 11 e 12 oltre a varie lettere nel ms. A. La corrispondenza copre un lungo periodo, dal 1726 al 1756. 58 BMF, ms. BVIII 9 , cc. 100-103. 59 R. SANTOLINI GIORDANI, Antichità Casali, Roma 1989, p. 98, n. 5 e pp. 54-55 tav. 1. 60 BMF, ms. BVII 7, cc. 64-165; ms. A245, cc. 140-145. L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 19 come l’allestimento dei vasi nella Biblioteca Vaticana, l’acquisto della collezione Albani e la figura del Capponi come presidente del Museo Capitolino61. Nell’epistolario sono documentate varie raccolte di antichità etrusche a Perugia, il maggiore centro culturale dell’Umbria, sede di un Ateneo e di numerose Accademie. Vengono descritte non solo collezioni note come quella Oddi e Ansidei, ma anche quelle meno conosciute come la Crispolti, la Meniconi, la Vincioli, la Graziani e la Montemellini. Fra i collezionisti e studiosi di antichità emergono le figure di Giacinto Vincioli62 e Diamante Montemellini63. Molte di queste raccolte furono visitate dal Gori nel 1733 e alcuni oggetti inseriti nel Museum Etruscum. Connotazioni regionali erano comuni a tutti i collezionisti; soltanto il Vincioli e il Montemellini sembrano aver acquisito interessi più ampi, seguendo l’esempio del Buonarroti e del Gori e anche a causa dei numerosi contatti che ebbero con l’ambiente fiorentino. Gli oggetti presenti nelle raccolte sembrano provenire generalmente dal territorio perugino; non è attestato infatti un mercato antiquario, dato importante che attesta la provenienza dei materiali, come le urne che erano anche di difficile e costoso trasporto (Figg. 23). Sappiamo che Maffei infatti, per riuscire ad avere nel suo Museo Lapidario qualche urna perugina, fece segare la faccia anteriore, facilitandone il trasporto. Il Gori ebbe anche frequenti contatti con l’ambiente campano, soprattutto in merito agli scavi di Ercolano e di Pompei, corrispondendo fra gli altri con Matteo Egizio, Ferdinando Galiani, Giacomo Martorelli64. La grande scoperta di Ercolano trova nell’epistolario del Gori la prima esposizione tramite le lettere inviate dai Venuti65. Come in altri suoi lavori il Gori si serve di queste notizie nella dissertazione Notizie del memorabile scoprimento dell’antica città d’Ercolano avute per lettera da vari celebri letterati, Firenze 1748, che non ebbe buona accoglienza dai contemporanei, soprattutto presso il Paciaudi66. La corrispondenza e i rapporti dei fratelli Venuti con Gori è stata oggeto di studio e di ricerche anche per una ipotesi di ricostruzione della collezione Venuti67. 61 M.C. ELIA, Il carteggio tra Anton Francesco Gori e Alessandro Gregorio Capponi. Scavi, antiquaria, collezionismo e Accademie nella prima metà del Settecento tra Roma e Firenze, in questo volume. 62 BMF, ms. BVIII 6 63 BMF, ms. BVII 19 e ms. A216, c. 201 64 Ved. L. GIULIANI 1987, pp. 34, 39, 59. 65 Lo scavo regolare del teatro fu iniziato nel 1738 anche grazie alla sollecitudine di Marcello Venuti che in quel periodo rivestiva la carica di sovrintendente alla biblioteca ed alle collezioni farnesiane (Lettere di Marcello Venuti al Gori nel 1738: BMF, ms. A54, cc. 9, 15, Lettera di Ridolfino Venuti al Gori nel 1739: BMF, ms. A54, c. 18); P. BAROCCHI – D. GALLO, L’Accademia etrusca, Milano 1985, p. 58. 66 Il Paciaudi, fu responsabile del ritiro in Napoli di tutte le copie delle Notizie del Gori, libro “scellerato”: BMF, ms. BVII 23, cc. 197-198. 67 L. MILANESI I rapporti di Anton Francesco Gori con i fratelli Venuti, in questo volume. 20 MARIA GRAZIA MARZI Un altro argomento oggetto di studio è stato quello relativo alle collezioni di ceramica che si stavano formando nella prima metà del XVIII secolo nell’ambiente napoletano, a seguito delle quali si costituirà la collezione Hamilton68, argomento trattato grazie non solo alla corrispondenza ma anche ai disegni inviati al Gori. Sono state prese in esame anche le lettere indirizzate al Gori da corrispondenti siciliani69, che offrono un panorama piuttosto ampio dell’attività antiquaria e delle scoperte archeologiche nella prima metà del secolo XVIII. In questo periodo l’isola rimane ancora ai margini del dibattito culturale rispetto ai grandi centri di Roma, Firenze e Venezia. Da questa corrispondenza apprendiamo che non sono soltanto gli eruditi siciliani a chiedere consigli e pareri al Gori, ma sarà lo stesso Gori a chiedere notizie, spiegazioni e disegni dei materiali ritrovati, come afferma Domenico Schiavo nell’Orazione funebre in lode del pre. A. F. Gori recitata all’Accademia del Buon Gusto di Palermo70. Al Gori interessava particolarmente avere una documentazione sulla zona “greco-sicula” che stava emergendo in quegli anni. A proposito infatti della ceramica figurata che veniva fuori in gran quantità dalle necropoli dell’Italia meridionale il Gori si mostra d’accordo con il Di Blasi ammettendo che non si poteva più parlare soltanto di ceramica etrusca, ma piuttosto di ceramica italiota se non addirittura greca71. Gli antiquari siciliani che ebbero frequenti contatti col Gori furono da Palermo il principe di Torremuzza Gabriele Lancellotto Castello, Domenico Schiavo, Salvatore Maria Di Blasi, Giuseppe Maria Gravina e da Catania il principe di Biscari Ignazio Paternò Castelli e Vito Maria Amico. Sappiamo anche che il principe di Biscari e Vito Maria Amico conobbero personalmente il Gori e furono anche suoi ospiti a Firenze. È nel 1748 che il Principe di Biscari inizia a scavare a Catania e il Principe di Torremuzza si dedica a ricerche nella zona di Palermo. Dalla corrispondenza sappiamo che navi cariche di reperti partivano con una certa frequenza da Palermo, per raggiungere il porto di Li68 M.G. MARZI, Dagli archivi fiorentini notizie sul collezionismo di ceramica apula nel XVI secolo, in Congresso Internazionale “Venezia, l’archeologia e l’Europa”, in “Rivista di Archeologia”, Suppl. 17, 1996, p. 131 ss.; C. GAMBARO, La ceramica greca e italiota nella collezioni napoletane del settecento, IIII, Tesi di Dottorato in Archeologia, Università di Pisa. 69 R. TESTA, Gli antiquari siciliani nel carteggio di Anton Francesco Gori, Tesi di Laurea in Storia dell’Archeologia, Anno Acc. 1998-99, Università di Firenze. 70 In Nuova raccolta d’opuscoli, a cura di A. CALOGERÀ, Venezia 1760, VII, pp. 309-337. Per notizie particolari inerenti D. Schiavo ved. M.G. MARZI, Materiali da Veio nel Gabinetto delle Terre di Pietro Leopoldo, in Atti del Convegno “Depositi votivi e culti dell’Italia antica dal periodo arcaico a quello tardo-repubblicano” (Perugia 2000), in corso di stampa. 71 BMF, ms. BVII 6, cc. 143-148; S. DI BLASI, Dissertazione V sopra un vaso greco-siculo figurato nel Museo Martiniano, in Saggi di dissertazioni dell’Accademia palermitana del Buon Gusto, Palermo 1755, I, pp. 197-226. L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 21 vorno da dove arrivavano a Firenze. Il Gori inoltre si adoperava affinché molti di questi corrispondenti entrassero a far parte della Accademia fiorentina della Colombaria come soci e a Palermo viene creata una succursale dell’Accademia fiorentina, creando così un mezzo di scambio per informazioni e notizie sempre aggiornate. Gli interessi etruscologici, che a partire da Filippo Buonarroti72 avevano attirato tutta l’Italia, ma soprattutto l’ambiente toscano, ricoprono un ruolo di fondamentale importanza nell’epistolario. Vengono segnalate le scoperte di grandi ipogei, di corredi funerari, di tombe dipinte ed anche resoconti di vere e proprie campagne di scavo, come quella eseguita a Volterra da Mario Guarnacci nella necropoli del Portonaccio nel 173873. L’eco di queste scoperte richiamò sul luogo eruditi e collezionisti da tutta Italia e viene istituita una Deputazione Comunale al fine di evitare falsificazioni. Riguardo a Volterra, che fu la sede di uno dei primi musei pubblici, sono da segnalare nuovi dati emersi dall’epistolario per la collezione del Museo di Volterra con lo studio della raccolta del Monastero dei Camaldolesi74. Il Gori intratteneva una capillare corrispondenza con gli studiosi dei centri della Toscana, dove il gusto per il collezionismo si diffondeva in maniera massiccia. In molte città toscane sono presenti eruditi e antiquari che si erano dati allo studio e raccolta di antichità, come Andrea Giulianelli attivo nel territorio volterrano75 e i fratelli Venuti a Cortona76. Questi personaggi erano puntualmente tenuti al corrente sui rinvenimenti e sui reperti provenienti dagli scavi, che entravano a far parte di collezioni già esistenti o in via di formazione e divenute più tardi il primitivo nucleo di musei locali. Inoltre, secondo l’usanza del Grand Tour, le osservazioni sui reperti dovevano essere fatte “sul luogo” sia per le “figure” sia per gli “emblemi delle urne e dei sarcofagi” e lo studioso quindi doveva visionare personalmente gli oggetti e portarsi al seguito un abile disegnatore. 72 F. BUONARROTI, Ad monumenta etrusca operi Dempsteriano addita explicationes et conjecturae, III, Firenze 1726. 73 Il Gori ha una fitta corrispondenza con il Guarnacci; si reca a Volterra nel 1733, compila l’elenco della collezione Guarnacci e ne pubblicherà il catalogo corredato di 40 tavole: Musei Guarnaccii antiqua monumenta Etrusca, Firenze 1744. Il Guarnacci rappresenta in questo periodo l’ambiente etruscologico per eccellenza. Fra la imponente bibliografia si ricorda E. FIUMI, Per la cronaca dei ritrovamenti archeologici nel Volterrano, in “Studi Etruschi”, XIX, 1946-47, p. 349 ss.; M. CRISTOFANI, La scoperta degli Etruschi. Archeologia e antiquaria nel ‘700, Roma 1983, pp. 53 ss. e 64 ss. e recentemente Atti del Convegno di Studi “Mario Guarnacci (1707-1785).Un erudito toscano alla scoperta degli Etruschi”, Volterra 2002, con un contributo relativo all’epistolario Gori di G. CAMPOREALE, Mario Guarnacci: etruscologo nel Settecento, p. 7 ss. 74 C. GAMBARO, “Vasi, et altre robe antiche ritrovate”. La raccolta di antichità del Monastero dei Camaldolesi a Volterra, in corso di pubblicazione. 75 S. REDENTI, Il carteggio tra Anton Francesco Gori e Andrea Pietro Giulianelli, in questo volume. 76 Ved. L. MILANESI, nota 67. 22 MARIA GRAZIA MARZI Nello stesso anno in cui viene fondata la Società dei Dilettanti, che dà inizio al fenomeno del Grand Tour, il Gori compie un viaggio nelle zone dell’Etruria alla ricerca di dati per la realizzazione del Museum Etruscum77 che rappresenta la summa delle notizie relative alle antichità etrusche. Se il Gori è stato considerato l’etruscomane per eccellenza nel periodo dell’Etruscheria, è pur vero che i suoi volumi sul Museum Etruscum con le illustrazioni delle collezioni che si stavano formando, dà un importante avvio alla scienza etruscologica e amplia la prima veduta d’insieme del Buonarroti, offrendo un quadro complessivo del patrimonio archeologico coevo. L’interesse per le antichità etrusche era più diffuso fra gli eruditi che a livello granducale; infatti le insistenze del Gori per la costituzione di una sala della Galleria degli Uffizi dedicata esclusivamente alle antichità etrusche furono sempre respinte e il Museum Florentinum78 nella divisione dei materiali in classi non riconosce autonomia agli Etruschi. Nell’epistolario è interessante la corrispondenza con Sebastiano Bianchi79, allora custode della Galleria. La corrispondenza attesta la collaborazione intercorsa tra i due eruditi per la pubblicazione del Museum Florentinum. Sebastiano Bianchi come il Gori si era formato nell’ambito del circolo del Buonarroti. Il Bianchi si occupò dell’impianto iconografico dell’opera, selezionando i monumenti da riprodurre nelle illustrazioni, la disposizione all’interno dei volumi, coordinando l’operato dei disegnatori in Galleria. Sebastiano Bianchi, per il suo ruolo di custode, ebbe l’incarico dal Granduca di far disegnare i pezzi che dovevano essere pubblicati80. Il Gori curò nel Museum Florentinum il commento alle illustrazioni; il Campiglia si occupò delle incisioni; molti artisti che erano stati collaboratori del Buonarroti parteciparono alla realizzazione del lavoro. Il Gori realizzò questa impresa potendo contare, a causa dei suoi intensi rapporti epistolari, su molti sottoscrittori, prima di tutti il Buonarroti. A causa del gravoso impegno finanziario decise di rivolgersi a Thomas Coke, che aveva patrocinato la stampa del De Etruria Regali, ma la richiesta non andò a buon fine81. Venne effettuata una cernita dei pezzi da illustrare, come possiamo verificare confrontando gli appunti manoscritti del Gori rispetto al materiale edito. 77 A.F. GORI, Museum Etruscum exhibens insignia veterum Etruscorum monumenta, I-III, Firenze 1737-1743. 78 A.F. GORI, Museum Florentinum exhibens insigniora vetustatis monumenta quae Florentiae sunt, I-X, Firenze 1731-1765. 79 Per i rapporti con Sebastiano Bianchi ved. BMF, ms. BVI 20 con attestati a favore della nomina del Gori “… non v’è certamente né Firenze, né in tutt’Italia, non dico chi lo superi, ma nemmeno chi lo eguagli”. 80 M. FILETI MAZZA – B. TOMASELLO, Antonio Cocchi primo antiquario delle Galleria fiorentina, Modena 1996, p. XI ss. 81 G. CRUCIANI FABOZZI, Le “antichità figurate etrusche” e l’opera di Anton Francesco Gori, in Kunst des Barok in der Toskana, Monaco 1976, p. 283. L’EPISTOLARIO DI ANTON FRANCESCO GORI 23 Dopo la morte di Sebastiano Bianchi uno dei candidati alla successione di antiquario regio della Galleria fu il Gori, non solo a causa del suo impegno negli studi antiquari, ma soprattutto per la conoscenza delle collezioni medicee82. Tuttavia nel 1738 il nuovo granduca Francesco Stefano di Lorena nominò direttore Antonio Cocchi. Gori e Cocchi rappresentano due diverse metodologie di studio e di approccio ai materiali antichi; da una parte il Gori esponente della scuola tradizionale, dall’altra parte il Cocchi medico, il quale a causa dei suoi studi scientifici rappresentava una nuova tendenza culturale nell’ambiente fiorentino di quegli anni, tesa a considerare ogni oggetto con rigore analitico, cioè con metodo sperimentale83. Dobbiamo però osservare che il Gori, anche se non ottiene la direzione della Galleria, riesce a pubblicare la grandiosa opera del Museum Florentinum, catalogo illustrato della Galleria, che è servito ed anche oggi serve per studiare le collezioni della Galleria84. Gli interessi del Gori quindi non furono limitati alle antichità toscane ed etrusche ma risultano assai più vasti perché comprendono anche tutte le altre scoperte archeologiche avvenute nella penisola, soprattutto per mezzo della fitta rete di corrispondenti. Il Gori, inserendosi nella tradizione di Giovanni Lami, che nelle “Novelle letterarie” riceveva notizie di rinvenimenti e scoperte dai vari corrispondenti, sembra anticipare quelle che saranno un secolo più tardi le idee promosse dall’Instituto di Corrispondenza Archeologica con l’istituzione di una rete di corrispondenti che dovevano rendere conto all’Instituto delle scoperte e dei ritrovamenti. Il Gori, di cui è ampiamente nota la polemica con il Maffei85, non fu molto apprezzato dai contemporanei e neppure dai suoi “successori” nella seconda metà del Settecento, prima di tutti il Winckelmann, che così si esprime: “Gori ... ha pubblicata eziandio l’iscrizione d’una di queste urne; ma siccome il suo racconto parvemi sospetto ...” e ancora a proposito di vasi “l’autorità del Gori non è altronde qui d’alcun peso”86. Anche la pubblicazione del Museum Florentinum e del Museum Etruscum suscitarono polemiche fra gli i più importanti personaggi dell’epoca e anche 82 M. FILETI MAZZA – B. TOMASELLO 1996, pp. XV ss. G.A. MANSUELLI, Galleria degli Uffizi, Le sculture I, Firenze 1958; I ritratti, II, Firenze 1961. 84 M. CRISTOFANI, Per la storia del collezionismo archeologico nella Toscana granducale, II, La Musa di Atticiano, in “Prospettiva”, 20, 1980, p. 69 ss.; P. BOCCI PACINI, La Galleria delle statue nel Granducato di Cosimo III, in “Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’arte”, S. III, XII, 1989, p. 221 ss. 85 Mentre all’epoca della pubblicazione dell’opera Inscriptiones Antiquae in Aetruriae urbibus extantes, 1726-1743, il Gori è d’accordo con Scipione Maffei riguardo alla questione della lingua etrusca, in seguito la diatriba fra i due diventerà molto accesa e pesante. 86 J.J. WINCKELMANN, Storia delle arti del disegno presso gli antichi, a cura di Edizioni Librerie siciliane, 1991, I, pp. 138 e 153. 83