ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 5, Gennaio - Marzo 2010
Direttore
FRANCO SALVATI
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PAOLO MATTIA,GIOVANNI MINARDI (Coordinatore),
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GIUSEPPE RICCI, GIANDOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO, ELISABETTA TARQUINI
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Coordinatore ROBERTO CANOVA
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Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini
Roma
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Direttore responsabile: Franco Salvati
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Finito di stampare nel mese di Marzo 2010
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ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 5, Gennaio - Marzo 2010
Contenuto
EDITORIALE
La Cooperazione ospedaliera per il "peace building" nel Corno d'Africa: l'impegno
dell'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini
G. DE VITO, C. RESTI,G. GASPARETTI, M. COSSUTTA
Hospital cooperation for "peace builging" in the Horn of Africa: the commitment
of the San Camillo-Forlanini Hospital
ARTICOLI ORIGINALI
Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per
carcinoma mammario
L. BOCCARDI, G. MINARDI, P.G. PINO, G. PULIGNANO, C. MANZARA. S. LEONETTI, L. BERNARDI,
A.M. PARISI, C. CAPRISTO
Cardiac management in women receiving chemioterapy for breast cancer
La gestione percutanea delle fistole artero-venose per la dialisi: nostra esperienza con
l'angioplastica percutanea transluminale
S. PIERI, P. AGRESTI, G. REGINE, A. CORNABUCI, S. PIZZARELLI, V. PENSALFINI, S. DI GIULIO, L. DE' MEDICI
Percutaneous management of hemodialysis fistulas: our experience with transluminal
percutaneous angioplasty
EVIDENZE A CONFRONTO
LA DIAGNOSTICA IN ALLERGOLOGIA PEDIATRICA TRA NOVITÀ E TRADIZIONE
Il pediatra e il bambino allergico
E. TARQUINI
Il pediatra e la "tradizione" in allergologia
B. PAGGI
Il pediatra e le "novità" in allergologia
C. ALESSANDRI
RASSEGNE
Calprotectina fecale: nuovo marcatore biologico dell'attività infiammatoria
nelle patologie enterocoliche
C. GIANNELLI, G. PARISI, V. GIANNELLI
Fecal calprotectin: new biological marker of inflammatory activity in enterocolic
diseases
Ipogonadismo nell'anziano
F. VALENTINI
Hypogonadism in elderly
Malattia ossea di Paget
G. COPPI, P. ZUPPI, E. FIDOTTI
Paget's bone disease
GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA
Organizzazione e struttura funzionale del Gruppo Operativo Interdisciplinare "Scompenso
Cardiaco": la risposta sostenibile di un moderno sistema di cure a un problema emergente
di Sanità pubblica
G. PUGLIGNANO, G. MINARDI, M.D. TINTI, L. MONZO, L. GASBARRONE, F. MUSUMECI
Structure and function on the Interdisciplinary Operating Group for Heart failure:
a reliable answer of a modern care system to an emergent public health problem
5
10
18
27
28
29
33
39
44
49
RECENSIONI
"Alla scoperta dell'ipertensione arteriosa. Una storia lunga alcuni secoli"
L. GASBARRONE
"Nutrizione e patologia gastro-intestinale"
F. SALVATI
59
NOTIZIARIO
G. MINARDI
F. SALVATI
61
63
60
La Rivista è stata selezionata da
ELSEVIER BV BIBLIOGRAPHIC DATABASES
per l’indicizzazione nei databases EMBASE, SCOPUS,
COMPEDEX, GEOBASE, EMBIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE,
FLUIDEX E WORLD TEXTILES
www.scamilloforlanini.rm.it
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Editoriale
LA COOPERAZIONE OSPEDALIERA PER IL “PEACE
BUILDING” NEL CORNO D’AFRICA: L’IMPEGNO
DELL’AZIENDA OSPEDALIERA SAN CAMILLO-FORLANINI
HOSPITAL COOPERATION FOR PEACE BUILDING
IN THE HORN OF AFRICA: THE COMMITMENT
OF THE SAN CAMILLO-FORLANINI HOSPITAL
GIANLUCA
DE
VITO, CARLO RESTI, GIANLUIGI GASPARETTI, MAURA COSSUTTA
UO Sanità Internazionale e Cooperazione
Direzione Generale Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma
Parole chiave: Cooperazione allo sviluppo. Cooperazione sanitaria. Salute globale. Peace building, Diplomazia sanitaria
Key words: Development cooperation. Health cooperation. International Health. Peace building.
Health Diplomacy
L’Unità Operativa Sanità Internazionale e Cooperazione ospedaliera con i Paesi
in Via di Sviluppo, in staff alla Direzione
Generale, è stata costituita nel 2006, dopo
una proficua esperienza biennale condotta
presso l’ Ufficio Centrale Formazione.
Il programma di cooperazione ospedaliera e di Educazione allo Sviluppo per i
professionisti ospedalieri mira a valorizzare l’ impegno umanitario e professionale, in linea con gli Obiettivi del Millennio
(Millennium Development Goals) di lotta
alle povertà e di sviluppo sostenibile,
sanciti dalle Nazioni Unite e dalla società
civile e si ispira altresì ai principi di efficacia degli aiuti sanitari contenuti nella
Dichiarazione di Parigi del 2005.
Le attività in capo a questa unità, in staff
alla Direzione Generale, comprendono:
• collaborazione con la ONG VPM, idonea Ministero Affari Esteri (MAE), finalizzata alla realizzazione di progetti
co-finanziati da donatori pubblici e privati, con la partecipazione di altre Ong,
Onlus ed Associazioni in rappresentanza della società civile.
• assistenza tecnica, consulenza e forma-
•
•
•
•
zione sul campo, nei PVS ed educazione
allo sviluppo per il personale ospedaliero aziendale e regionale;
rapporti internazionali con istituzioni e strutture sanitarie di altri Paesi
e gemellaggi con ospedali dell'Africa
Sub-Sahariana (internazionalizzazione
della A.O.);
rapporti con le Istituzioni cittadine e con
Enti locali per progetti di cooperazione
decentrata e con altre Istituzioni che regolano il servizio civile internazionale;
rapporti con la Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del
Ministero degli Affari Esteri (MAE),
Unità Tecnica Centrale e Locali, Uff.
VII e Uff. territoriale IV;
rapporti con le istituzioni del S.S.N. e
del Ministero della Salute che svolgono
attività di cooperazione sanitaria ed
ospedaliera per il diritto alla salute e
la lotta alla povertà e promuovono e
tutelano la salute dei migranti (es. Istituto Nazionale per la promozione della
salute delle popolazioni Migranti e per
il contrasto delle malattie della Povertà
– INMP).
6
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
L’Azienda Ospedaliera San Camillo
• Comune di Roma;
– Forlanini (AOSCF) ha firmato una de• Conferenza episcopale - CEI;
libera di accordo quadro con l’ Organismo
• Fondazione Banca Nazionale delle CoNon Governativo Voci di Popoli del Mondo
municazioni - BNC;
– (Ong Vpm), per lo sviluppo di progetti
• Nando Peretti Foundation;
sanitari sostenuti da donatori Pubblici
• Fund Raising interno - Gift Matching
e Privati a cui partecipa anche la Onlus
Aziendale e 5x1000.
Milena per la cardiologia. Un membro
L’unità operativa è una struttura sneleffettivo e dirigente medico ospedaliero,
la, che si avvale del supporto amministrapartecipa alle attività del Osservatorio
tivo della Direzione Generale con 4 aree
Italiano sulla Salute Globale (OISG) e soindipendenti, ciascuna con un suo refeno state avviate nel 2009 le attività legate
rente come illustrato nel funzionigramma
al Forum salute delle donne italiane e mi(Fig.1).
granti (Convegno nazionale “I diritti delle
donne e la salute globale per lo sviluppo”,
Il progetto di cooperazione ospeISS, Roma 9-10 marzo 2009). Nel 2008-09
daliera e di internazionalizzazioè stato attivato un percorso di formazione
ne dell’ospedale
ed aggiornamento continuo (ECM) degli
operatori professionali sulla salute globale
Il Corno d’Africa è una delle aree geoe la cooperazione allo sviluppo in rete con
grafiche più povere e tormentate del piaaltre strutture ospedaliere di Roma co-fineta, prioritarie per interventi di coopenanziato dal MAE- DGCS.
razione allo sviluppo della cooperazione
Le attività di cooperazione ospedaliera
italiana ed europea. In questo contesto,
condotte da AOSCF - Ong Vpm e partners
caratterizzato da crisi belliche recenti con
sono concentrate in gemellaggi e progetti
migliaia di rifugiati e sfollati, dispute di
nell’ area geografica prioritaria del Corconfine e questioni di geopolitica di diffino d’ Africa (Eritrea, Etiopia), contricile risoluzione, è stato localizzato l’interbuendo attraverso buone prassi mediche
vento sanitario dell’ Azienda Ospedaliera
condotte in loco ma anche presso le UOC
S. Camillo - C. Forlanini (AOSCF) rivolto
della AOSCF al peace building nell’area,
a popolazioni povere, con indirizzo fora cui partecipano operatori sanitari azienmativo degli omologhi locali ospedalieri e
dali e regionali. L’azione di pace indiretta,
ministeriali e con l’obiettivo di contribuire
attraverso il rapporto tra le Istituzioni
attraverso buone prassi mediche al procesnosocomiali di cui è capo fila del programso di “peace building” nell’ area, in accordo
ma l’ AOSCF, sia a livello primario che di
riferimento specialistico, rappresenta anche un contributo di diplomazia sanitaria
favorendo un approccio specifico del diritto
alla salute e della sanità pubblica, come priorità per uno sviluppo
sostenibile endogeno dei paesi beneficiari, nelle agende internazionali di politica estera ma anche
attività relazionali significative a
livello di governi locali.
I progetti di cooperazione
ospedaliera sono sostenuti da
contributi istituzionali e/o privati:
• Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo del Ministero
Affari Esteri;
Fig.1 - Funzionigramma essenziale
• Regione Lazio;
G. de Vito et al.: La cooperazione ospedaliera per il “peace building” nel Corno d’Africa
ad una azione innovativa di diplomazia
della salute, siglata dal Ministero Affari
Esteri e Ministero della Salute Italiani nei
convegni di Roma del 8.2.07 e 11.12.07.
Dal 2003 l’Azienda Ospedaliera San
Camillo – Forlanini ha avviato un programma di internazionalizzazione, dove
la cooperazione ospedaliera ha un ruolo
prioritario. Una Delibera Aziendale (n°
999 del 21 maggio 2003) ha siglato un accordo con la Ong Voci di Popoli del Mondo
(VPM), www.ongvpm.org avente idoneità
con il Ministero degli Affari esteri e con
la Onlus Milena, focalizzando la propria
azione di assistenza clinica e formativa in
questa regione africana, in particolare in
Eritrea e in Etiopia.
I progetti prevedono essenzialmente
interventi di assistenza clinico-chirurgica e formazione ospedaliera, attraverso
l’invio in missione di professionisti ospedalieri adeguatamente formati, in qualità
di Cooperanti Ong Vpm-AOSCF, suddivisi
in diversi Team specialistici.
Essendo l’AOSCF un presidio nazionale
di alta specializzazione, da sempre dedito
al trattamento di patologie specialistiche
e complesse (Ematologia, Cardiochirurgia,
Chirurgia Generale, Radiologia interventistica, politrauma etc.), gli interventi
hanno compreso anche il trattamento di
pazienti vulnerabili e non residenti in
paesi in via di sviluppo, grazie al piano di
Umanizzazione della Regione Lazio, sostenuto anche da Associazioni partner ed/o
attraverso accordi bilaterali siglati tra
AOSCF e Ministeri della Salute locali.
Il programma di cooperazione ospedaliera è stato avviato nel 2003 in forma benevola e spontanea con il coinvolgimento del
personale dipendente, strutturandosi progressivamente, con una visibilità crescente
per l’ AOSCF, che nel 2006 ha costituito l’
Unità Operativa di Sanità Internazionale e Cooperazione, ritenuta di interesse
strategico per il suo valore umanitario e
solidale e considerata un ramo dell’ “albero
del Bilancio Sociale” dell’ AOSCF.
Politiche e strategie
L’ AOSCF ha siglato nel 2006 un accordo
con il Ministero della Sanità Eritreo e nel
7
2007 con il “Tigray Health Bureau” in Etiopia, per realizzare progetti di cooperazione
sanitaria congiunti, e promossi da donatori
nazionali ed internazionali, attraverso la
collaborazione gestionale della Ong Vpm.
Pertanto risulta capofila di attività sanitarie anche con il coinvolgimento di altre AO
e ASL Regionali e nazionali.
Coinvolgimento del personale
Il coinvolgimento del personale è stato
l’elemento qualificante di questo progetto.
Il progetto di cooperazione ospedaliera
in atto, oltre ad offrire know how clinico-formativo in loco, favorisce un’ azione
di educazione allo sviluppo (EaS) per il
personale ospedaliero di ruolo, con effetto moltiplicatore di sostegno ai Team di
espatriati. Inoltre il progetto ha consentito di motivare in modo a volte inaspettato
personale spesso demotivato dalla routine
della sanità pubblica, con ritorno in termine di comportamenti etici e professionali
sostenibili, con un incremento motivazionale ed in ogni caso come elemento di
aggregazione interna per azioni concrete
e solidali.
Dal Gennaio 2006 al Aprile 2009 l’
Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini
con la Ong Vpm ha inviato in missione un
totale di 212 Cooperanti espatriati, suddivisi in 32 Team specialistici presso Orotta
Hospital di Asmara e 23 Team presso
Ghindae Referral Hospital, in Eritrea,
per le specialità della Chirurgia Pediatrica,
Chirurgia Generale e Laparoscopica, Chirurgia Toracica, Endo-Urologia, Radiologia,
Neonatologia, Anestesia e Rianimazione,
specialità Internistiche, Malattie Infettive,
Pediatria, Ortopedia, Radiologia, Chirurgia
Generale. Per quanto riguarda l’Etiopia
sono stati inviati in missione 12 cooperanti
presso Hewo Hospital in Etiopia per Chirurgia Generale e Anestesia in collaborazione con l’ Associazione Lazio Chirurgia ;
inoltre nei 2 paesi (Eritrea ed Etiopia) 28
(14+14) cooperanti per un progetto clinico
specialistico Cardiologico e sul Pap test e
le mutilazioni genitali femminili e che ha
previsto attività ospedaliera e territoriale
di prevenzione delle cardiopatie reumatiche
con trasferimento dei pazienti pediatrici
8
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
gravi presso UOC CardioChirurgia e Radiologia Interventistica dell’ AOSCF con
piano di Umanizzazione sostenuto dalla
Regione Lazio e di adulti e bambini presso
Selam Hospital di Kartoum, Sudan (Ong
Emergency).
L’ AOSCF ha sempre curato i rapporti
con l’ associazionismo di base, espressione della società civile nei diversi aspetti
clinici del sociale, come evidenziato nella
pagina del sito sul Bilancio Sociale: www.
scamilloforlanini.rm.it. Nel 2008 in partenariato con ONG VPM, la AOSCF ha vinto il premio di solidarietà per istituzioni
pubbliche “SODALITAS AWARD”.
L’evoluzione del progetto di cooperazione ospedaliera in Corno d’ Africa ha poi
permesso di comprendere le potenzialità
dell’ azione umanitaria in un contesto internazionale e di confronto con l’approccio
trans-culturale per l’ accoglienza interna.
L’ONG VPM è idonea dal 1988 per
Decreto Ministeriale presso il Ministero
Affari Esteri (MAE), è Membro Fondatore
del Comitato Cittadino della Cooperazione
Decentrata del Comune di Roma (CCCD)
e da oltre 25 anni è presente in Africa con
progetti di cooperazione allo sviluppo. In
particolare, coordina e gestisce alcuni progetti ospedalieri co-finanziati da donatori
istituzionali e privati nell’ area del Corno
d’ Africa (Eritrea ed Etiopia, ma anche in
Benin) dove l’ AOSCF è presente attraverso propri professionisti esperti.
La Onlus Milena è operativa in Etiopia
nel settore cardiologico ed è inoltre insediata presso il Dipartimento Cardioscienze dell’AOSCF, come altre associazioni ed
istituzioni tra cui l’ Università La Sapienza e l’ INMP S.Gallicano - Onlus IISMAS,
partecipano al programma con progetti
specifici.
Il programma di cooperazione ospedaliera per il peace building in Corno d’
Africa, è sostenuto da donatori privati e
pubblici e prevede l’ invio in breve e lunga missione di cooperazione ospedaliera
attraverso la Legge Regionale (Lazio) di
Bilancio n° 2 del 2 Febbraio 2004. art 71,
su richiesta della Ong Vpm, di operatori
sanitari di ruolo. Il programma ha attivi,
in modalità di cooperazione decentrata
(Regione Lazio, Comune di Roma e Fon-
dazione BNC) 4 progetti ospedalieri di
assistenza tecnica e formazione e di sanità
territoriale in ambito Materno Infantile in
Eritrea presso Orotta Hospital di Asmara
e presso Ghindae Referral Hospital. In
Etiopia sono operativi 2 progetti, il primo
di cooperazione istituzionale (Ministero
degli Affari Esteri) per un progetto triennale Ospedaliero (aid n. 8442) a Mekellè
con la costruzione di un Centro specialistico per il potenziamento delle attività
cliniche e formative in ambito alle malattie dermatologiche-infettive e di lotta
all’ AIDS con associati l’INMP, la Onlus
IISMAS e la ong Missione Futuro. Due
altri progetti di cooperazione decentrata sono operativi nei 2 Paesi (Eritrea e
Etiopia) per le specialità cardiologiche ed
il materno infantile, sostenuti dalla Regione Lazio, dal Comune di Roma e dalla
Nando Peretti Foundation. Le difficoltà
presenti al momento in Somalia (progetto
aid n.8094 MAE) non garantiscono la sicurezza ai cooperanti espatriati. Un altro
progetto nutrizionale operativo e sostenuto dalla CEI è operativo in Benin.
Processi
Questa attività specifica di Cooperazione Ospedaliera Internazionale a fini
umanitari è stata documentata attraverso
alcuni Eventi organizzati presso l’ Aula
Magna Forlanini (AOSCF) e progetti formativi interni (PFA) accreditati ECM ed
inseriti in manifestazioni nazionali specifiche: “Italia Africa” del Comune di Roma, “Giornate della Cooperazione Italiana
allo Sviluppo” e Forum Cooperazione del
MAE, o presentati a convegni nazionali ed
internazionali: Agenzia di Sanità Pubblica
2005; Società Italiana Chirurgia 20062007; CNR Convegni 2006-2007; “Sanit
2007”; Ministero della Salute 2007, etc.
In ambito di formazione e aggiornamento
professionale è anche operativo dal 2008
il progetto aid 8972 sostenuto dal MAE
per la costituzione di una rete ospedaliera dedicata, con la realizzazione di corsi
formativi specifici per l’Educazione allo
Sviluppo (EaS) di operatori sanitari.
Questi gli eventi formativi organizzati
ed accreditati ECM:
G. de Vito et al.: La cooperazione ospedaliera per il “peace building” nel Corno d’Africa
• n. 11 eventi dal 2003 al 2009 specifici
in tema di cooperazione ed internazionalizzazione alcuni inseriti in Manifestazione Nazionali, di cui alcuni accreditati ECM;
• n. 1 Progetto Formativo Aziendale
(PFA) accreditato ECM in 6 Edizioni
per 120 operatori AOSCF;
• n. 2 corsi ed eventi di aggiornamento
in ospedale per 50 operatori per un totale di 56 ore di formazione e 49 crediti
ECM certificati per l’anno 2009;
• dal 2004 sono regolarmente svolti meeting settimanali del venerdì di cui l’ultima edizione 2009, accreditato ECM.
Con la realizzazione dei suddetti percorsi di formazione ed aggiornamento il personale ha acquistato motivazione e senso
di appartenenza all’ AOSCF in qualità di
soggetto organizzatore del progetto di cooperazione ospedaliera internazionale. Oltre
ad aver garantito assistenza e formazione
ospedaliera in loco, con la partecipazione di
Direttori di U.O.1 ha contribuito a migliorare i rapporti interpersonali interni anche
con il coinvolgimento dell’ utenza, che vede
nell’ azione clinica svolta dai cooperanti
ospedalieri un elemento qualificante per
una professionalità sanitaria dedicata ai
temi della lotta alle povertà ed al diritto
universale alla salute.
Conclusioni
Il programma in corso, oltre al valore
clinico umanitario, ha rappresentato un
efficace ritorno di immagine per l’ AOSCF,
per i partner e per gli operatori coinvolti.
Il programma ha anche permesso la costruzione di una prima rete consortile di
formazione ed attività cliniche gemellate
tra strutture diverse nel settore sanitario
che si sta diffondendo a livello regionale,
ma anche nazionale attraverso la partecipazione a network di Salute Globale come
quella dell’ Osservatorio Italiano – OISG.
A. Calisti (Chirurgia Pediatrica), Ignazio Majolino
(Ematologia), S. Petrolati (Cardiologia), R. Pisa
(Anatomia Patologica), G. Scassellati Sforzolini
(Ostetricia e Ginecologia).
1
9
Tale processo di cross fertilization di esperienze, nuove tecniche ed approcci manageriali all’ assistenza sanitaria in contesti
a risorse limitate sta producendo un vivo
interesse negli operatori con ricadute utili
nella qualità dell’assistenza in loco e sul
campo.
In ambito locale gli accordi siglati tra
AOSCF e le istituzioni in loco, hanno
previsto anche l’erogazione di prestazioni
sanitarie e di cure transfrontaliere presso
Dipartimenti ospedalieri di pazienti stranieri anche di livello istituzionale elevato,
creando così rapporti di fiducia utili a
favorire relazioni diplomatiche e a incentivare una crescita democratica ed uno
sviluppo umano sostenibile in loco.
Bibliografia essenziale
United Nation. The Millennium Development Goals
Report 2008. New York, 2008 http://www.un.org/
millenniumgoals/pdf
World Health Organization. Aid effectiveness and
Health. Working Paper n. 9 WHO /HSS/healthsystems/2007.2. Geneva, 2007
Chan M, Stǿre JG, Kouchner B. Foreign policy and
global public health: working together towards
common goals. Bulletin of the World Health
organization. 2008; 86 (7)
ONG VPM. Orotta Teaching Hospital Asmara – Eritrea 2006-2008. Fondazione BNC. Roma, 2009
Sodalitas Social Award. Il libro d’oro della Responsabilità Sociale d’Impresa. Sesta edizione. La
cooperazione ospedaliera per il Peace Building
in Corno d’Africa. 2008; 501-02, www.sodalitas.
socialsolution.it
Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. Salute
Globale e Aiuti allo sviluppo. Diritti, ideologie
e inganni. Pisa, ETS 2008. http://www.saluteglobale.it/
L’Ospedale Glocale. Le giornate dell’etica della cura
presso Aula Magna San Camillo. 16 aprile 2009.
Bilancio Sociale, AOSCF, 2009. http://www.bilanciosocialesancamilloforlanini.net/
Corrispondenza e richiesta estratti:
Dott. Gianluca de Vito
e-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Articoli originali
VALUTAZIONE E MONITORAGGIO CARDIOVASCOLARE NELLE
DONNE IN CHEMIOTERAPIA PER CARCINOMA MAMMARIO
CARDIAC MANAGEMENT IN WOMEN RECEIVING
CHEMIOTERAPY FOR BREAST CANCER
LIDIA BOCCARDI1, GIOVANNI MINARDI1, PAOLO GIUSEPPE PINO1, GIOVANNI PULIGNANO1, CARLA
MANZARA1, STEFANIA LEONETTI1, LEDA BERNARDI1, ANNA MARIA PARISI2, COSTANZA CAPRISTO2
1
UO Cardiologia I, Cardiodiagnostica non invasiva, Dipartimento Cardiovascolare;
2
Ambulatorio e DH Oncologia della Mammella, Dipartimento Materno-infantile,
Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma
Parole chiave: Cardiotossicità. Carcinoma mammario. Ecocardiografia. Chemioterapici
Key words: Breast cancer. Anticancer drugs. Cardiotoxicity. Echocardiography
Riassunto – Identificare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare cardiotossicità da farmaci antineoplastici rappresenta un obiettivo primario sia per il cardiologo che per l’oncologo; il fine della valutazione è
quello di personalizzare quanto più possibile il programma chemioterapico, di utilizzare cardioprotettori, di
pianificare un più stretto monitoraggio della funzione cardiaca e di introdurre, in fase precoce, una terapia
di prevenzione o di supporto.
Vengono descritti gli effetti sul sistema cardiovascolare delle moderne terapie instaurate per il trattamento
della neoplasia mammaria, ed il percorso cardiologico specifico utilizzato nel nostro Centro in osservanza
alle Linee Guida Oncologiche e cardiologiche internazionali, le valutazioni clinico-strumentali cardiologiche
da eseguire in base al tipo di trattamento praticato, all’età, alle patologie cardiologiche pre-esistenti, o che
si manifestano in corso di trattamento, e la loro tempistica.
Abstract – Anticancer drugs have been reported to cause cardiac side effects including cardiomyopathy,
ischemia, arrhythmias, and myocardial necrosis.
The severity of cardiotoxicity depends on many factors such as the molecular site of action, the immediate
and cumulative dose, the method of administration and the presence of any underlying heart disease.
Nevertheless anticancer drugs side effects, usually, are at least partially reversible and responsive to medical management.
For this reason in our echo-lab we perform a follow up based upon a precise assessment of anticancer drug
possible side effect with clinical and echocardiographic instrumentations to enhance life quality and life
expectance of our patients.
Le malattie cardiovascolari sono patologie
a etiologia multifattoriale in cui il peso relativo dei diversi fattori di rischio determina precocità e gravità della manifestazione clinica di
malattia. Nelle donne gli ormoni sessuali, in
particolare gli estrogeni1, assumono un ruolo
protettivo importante, attenuando l’influenza
dei fattori di rischio.
Dopo la menopausa il deficit estrogenico
causa alterazioni della omeostasi metabolica
in senso aterogenetico: variazioni dell’assetto
lipidico (aumento delle LDL e dei trigliceridi,
riduzione delle HDL), della glicemia, della insulinemia, del grasso addominale2. La
funzione vascolare risulta danneggiata3, con
aumento delle resistenze vascolari, ridotta risposta vasomotoria e sviluppo di ipertensione
arteriosa.
Nelle donne in menopausa gli effetti tossici sul sistema cardiovascolare di una tera-
L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario
pia anti-tumorale, accentuano gli effetti della
menopausa stessa, con un ulteriore aumento
del rischio cardiovascolare. In donne giovani
sottoposte a terapie per neoplasia mammaria,
o precocemente ovariectomizzate, l’incidenza
di malattie cardiovascolari aumenta progressivamente.
Negli ultimi 20 anni sono stati compiuti
importanti progressi nella terapia antineoplastica, con un rilevante aumento della sopravvivenza delle pazienti4. Per raggiungere tale
risultato però è stato pagato un prezzo elevato
in termini di effetti avversi o di danni associati
all’aggressività del trattamento
Non esiste una univoca definizione di cardiotossicità da chemioterapia (CT).
La comparsa di eventi cardiaci avversi quali
fenomeni aritmici di diversa gravità, episodi
di ischemia miocardica acuta, compromissione
della funzione contrattile miocardica, riduzione
asintomatica della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) scompenso cardiaco acuto
(CHF), come pure semplici e, spesso aspecifiche,
alterazioni della ripolarizzazione ventricolare
evidenziate all’ECG, vengono tutti considerati
come espressione di cardiotossicità da CT.
I dati epidemiologici recenti dimostrano
che nelle donne con carcinoma mammario la
sopravvivenza a 5 anni libera da eventi è del
90%, del 77% se hanno linfonodi positivi, e
del 50% se hanno metastasi a distanza5. La
mortalità a 5 anni nei pazienti con scompenso
cardiaco è pari al 50%, sovrapponibile quindi
alle neoplasie a prognosi peggiore.
Il tempo di comparsa dell’evento clinico può
essere molto variabile: dall’insorgenza già durante la somministrazione del farmaco si può
arrivare a molti anni dopo la fine dell’intero
trattamento.
Ne consegue che l’incidenza della cardiotossicità è enormemente variabile nei differenti studi (dal 5% fino al 65%) a seconda della
definizione clinica utilizzata e della durata del
follow up considerato.
Effetti cardiovascolari delle
moderne terapie antiblastiche
Numerosi farmaci anti-neoplastici, sia gli
usuali chemioterapici che i più recenti agenti
biologici, sono associati ad effetti collaterali
cardiaci e vascolari che differiscono da farma-
11
co a farmaco6. La cardiotossicità della moderna
terapia antitumorale include problematiche
differenti: aritmie, ischemia miocardia e/infarto, disfunzione contrattile ventricolare, tromboembolismo, ipertensione arteriosa7 (Tab. 1).
1. Antracicline
Tra i CT le antracicline (ADM) sono le più
cardiotossiche e provocano in genere una cardiomiopatia ipocinetica. Il danno cardiaco da
antracicline è stato attribuito ad un aumento,
dose-dipendente, dello stress ossidativo (SO)
intracellulare, che modifica l’equilibrio tra la
sintesi e la degenerazione proteica.
Lo SO si viene a creare quando vi è uno sbilanciamento tra i processi ossidativi di origine
energetica, metabolica e reattiva in relazione alla capacità antiossidante dell’organismo.
Questo porta ad una disorganizzazione delle
proteine, con perdita della funzionalità. Lo SO
porta inoltre all’induzione di morte dei miociti,
sia per apoptosi, sia per necrosi del miocardio
e ciò determina un danno irreversibile8.
La cardiotossicità da antracicline è dose-dipendente, correlata al dosaggio cumulativo. Dosaggi cumulativi di 400-500 mg/mq sono sicuri,
con una incidenza di cardiotossicità intorno al
5%. Uno studio retrospettivo9ha indicato che la
dose cumulativa totale è il fattore di rischio più
importante per scompenso cardiaco.
L’incidenza di scompenso cardiaco è bassa fino alla dose cumulativa di 300 mg/mq
(3%) ed aumenta a dosi più elevate: 7% a
550 mg/mq; 18% a 700 mg/mq5. Gli outcome
di sopravvivenza valutati nei pazienti con
cardiomiopatia indotta da antracicline e nei
pazienti con cardiomiopatie di altra origine
(HIV, ischemica, idiopatica) hanno dimostrato
che le cardiomiopatie da antracicline hanno
una prognosi peggiore, con un tempo medio di
sopravvivenza di 2 anni e mezzo.
Altri fattori di rischio per la cardiotossicità da antracicline sono la CT combinata, la
radioterapia mediastinica precedente o concomitante, l’età, l’ipertensione. L’epirubicina
è impiegata perché significativamente meno
cardiotossica sia come agente singolo, che
combinato: differisce strutturalmente dalla
doxorubicina (epimerizzazione del gruppo ossidrile) pur mantenendo in molti trial10 analoga attività anti-neoplastica nel tumore mammario metastatizzato.
12
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
Tabella 1 - Farmaci e tossicità
Farmaco
Dose tossica
Eventi
Incidenza
Chemioterapici
Anthracicline
- Doxorubicina
- Epirubicina
>450 mg/mq
>720 mg/mq
Scompenso(CHF) cardiomiopatie,
aritmie
2-12%
4-15%
Dose standard
Bradicardia, CHF in combinazione
Dose standard
Angina/infarto
2-3%
Trastuzumab (Herceptin®)
Dose standard
CHF, cardiomiopatie
3-28%
Bevacizumab (Avastin ®)
Dose standard
CHF, trombosi
cardiomiopatie
5-20%
Taxani
- Paclitaxel
- Docetaxel
Antimetaboliti
- 5-Fluorouracile
- Capecitabine
Anticorpi monoclonali
Vengono elencati i vari farmaci utilizzati nella chemioterapia oncologica della mammella, la dose cardiotossica, gli eventi
cardiovascolari e la loro incidenza.
Il metodo pressoché uniformemente utilizzato negli studi presenti in letteratura per
la valutazione della cardiotossicità è il monitoraggio ecocardiografico della frazione di
eiezione (FEVS): i pazienti che all’inizio della
terapia presentano una FEVS normale, devono sospendere il trattamento se la FEVS si
riduce >10% fino a <50% (Tab. 2); nei pazienti
in cui la FEVS è compresa tra 30% e 50% la
terapia va sospesa se la FEVS scende >10% o
se comunque è < 30%.
2. 5-Fluorouracile
Il 5-fluorouracile è un farmaco che si fissa
rapidamente nei tessuti, l’eliminazione nel
miocardio può richiedere anche 72h: cardiotossicità si può manifestare anche 2-3 giorni dopo
la fine della terapia.
Tabella 2 - Cardiotossicità e trattamento
Cardiotossicità
antracicline
FEVS >50%
FEVS <50%
Interruzione
trattamento
Riduzione >10%
Controind/sospensione
Indicazione al proseguimento o alla sospensione del trattamento in base agli effetti cardiotossici delle antracicline
basata sulla riduzione della funzione ventricolare sinistra
(FEVS) valutata con ecocardiografia.
La capecitabina (Xeloda) è un analogo orale
che viene trasformato a livello epatico in 5-FU
e può causare cardiotossicità: l’incidenza di
cardiotossicità varia dall’1,6% al 20%, mentre
la mortalità è tra il 2 e il 13%.
Tra gli effetti più rilevanti si possono annoverare angina, infarto, aritmie, morte improvvisa di solito di tipo vasospastico.
In presenza di sintomi sospetti vanno effettuati adeguati accertamenti (ecostress, test
ergometrico). I comuni farmaci anti-anginosi
non si sono dimostrati in grado di prevenire
l’ischemia miocardica, per cui l’unico provvedimento da prendere è la sospensione della
terapia11.
Gli effetti cardiovascolari del Paclitaxel
sono rappresentati prevalentemente da alterazioni del ritmo che possono insorgere in forma
acuta durante l’infusione o subacuta dopo 14
giorni dal trattamento; quando somministrato
in associazione ad antracicline può indurre un
aumento del rischio di scompenso congestizio.
Il Docetaxel ha un rischio minore di indurre tossicità cardiaca, ma, per la sua capacità
di alterare la permeabilità delle membrane
cellulari,può provocare ritenzione idrica con
versamento pericardio, pleurico e peritoneale.
Tutti i pazienti che devono effettuare CT
vanno sottoposti ad ecocardiogramma, per
valutare la funzione sistolica e diastolica del
ventricolo sinistro ed escludere la presenza
di anomalie della cinesi parietale e/o valvulo-
L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario
patie. A tutti, inoltre, è necessario effettuare
visita cardiologica+ECG, per valutare la eventuale concomitanza di altri fattori di rischio
cardiovascolare (dislipidemia, diabete, ipertensione, ecc).
3. Anticorpi monoclonali
Tra i farmaci antitumorali diretti contro
uno specifico bersaglio molecolare, gli anticorpi
monoclonali hanno modificato la storia naturale del carcinoma mammario. In particolare
l’anticorpo che si lega ad uno specifico recettore per un fattore di crescita extracellulare, il
recettore di membrana ErbB2, il TRASTUZUMAB, (Herceptin, HER), è elettivo per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario
con iperespressione del recettore HER-2.
L’iperespressione del recettore HER-2 nei
tumori mammari è associata ad una prognosi
peggiore e ad un aumento della mortalità. Il
trattamento con tanstuzumab si è dimostrato
efficace nel prolungare l’intervallo libero da
malattia quando usato in terapia adiuvante e
nel prolungare il tempo di progressione quando usato nella fase metastatica.
La cardiotossicità è motivata dal fatto
che i recettori target della molecola presenti
sulle cellule tumorali sono espressi anche nel
cuore. Il segnale attraverso il recettore ErbB2
può modulare lo stress ossidativo ed il danno
strutturale.
Il danno cardiaco da trastuzumab12 è reversibile in un’alta percentuale di casi, perché
l’effetto sembra essere dovuto al cambiamento
della struttura terziaria dei miociti, e non alla
loro morte. Senza la somministrazione concomitante di antracicline, il trastuzumab non
induce un significativo rischio di cardiotossicità (<3%).
Tuttavia, i trial clinici condotti con tale
farmaco hanno dimostrato una elevata incidenza di effetti collaterali cardiaci, tra cui il
principale è lo sviluppo di una disfunzione
ventricolare sinistra con evoluzione verso lo
scompenso13.
Per evitare quindi che la CT possa peggiorare la prognosi delle pazienti e vanificare gli
effetti positivi della terapia antineoplastica
è fondamentale un adeguato monitoraggio
cardiovascolare. Il cardiologo deve conoscere
questi farmaci ed il loro potenziale effetto, per
dare adeguate indicazioni alla terapia.
13
La visita cardiologica preliminare alla terapia con trastuzumab serve ad identificare le
pazienti con maggior rischio di tossicità o nelle
quali l’impiego di tale farmaco sia controindicato: fattori di rischio sono età (>70 anni),
precedenti cardiopatie (valvolari o ischemica)
ipertensione arteriosa di grado 3.
La maggioranza degli studi utilizza la FEVS per la valutazione della cardiotossicità; come indicato nella tabella 3, nelle donne asintomatiche la gestione della terapia con trastuzumab deve essere effettuata ponendo estrema
attenzione alle variazioni della FEVS.
La FEVS, é un parametro non invasivo,
semplice da rilevare, ma può risentire di limitazioni metodologiche e interpretative, se
utilizzato in modo non ottimale e risultare,
quindi, un indice con risvolti dannosi per le pazienti, perché costringe a sospensioni precoci
della terapia (Tab. 3); può essere infine un parametro che si modifica troppo tardivamente.
Nuovi parametri ecocardiografici14 sono
stati individuati alla ricerca di diagnosi precoce di disfunzione cardiaca: valutazione FEVS
tridimensionale, studio della funzione diastolica con Doppler di flusso e valutazioni della
funzione sistolica e diastolica con il Doppler
Tissutale. Le nuove tecniche15 ecocardiografiche (Doppler e TDI) hanno dimostrato che
la valutazione della funzione diastolica può
fornire un indice precoce di disfunzione e permettono di iniziare un trattamento preventivo
della disfunzione16 globale de ventricolo sinistro e dello scompenso cardiaco.
La diagnosi precoce di disfunzione permette di attuare un trattamento farmacologico
come previsto dalle Linee-Guida Oncologiche
Tabella 3 - Gestione della terapia con trastuzumab in base alla riduzione della FEVS
in pazienti asintomatiche
FEVS
Trattamento
Stabile
Continua trastuzumab
Riduzione 1-5%
Continuare trastuzumab
Riduzione del
10-15%
Sospendere trastuzumab
e ripetere eco a 4settimane
Riduzione >15%
Sospendere trastuzumab
e ripetere eco a 4settimane
Gestione della terapia con transuzumab in pazienti
asintomatiche in relazione alle variazioni della funzione
ventricolare sinistra (FEVS)
14
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
vigenti; la Società Europea di Cardiologia raccomanda l’interruzione della terapia con trastuzumab e la somministrazione di ace-inibitori (o ARBs) in tutte le pazienti sintomatiche
o meno in cui sia riscontrata una FE <40%; la
somministrazione di beta-bloccanti ed eventualmente di glucosidi digitalici è raccomandata per le pazienti in classe NYHA II-IV.
Un altro anticorpo monoclonale in uso nella
terapia della fase metastatica del carcinoma
mammario e dotato di effetti collaterali cardiovascolari importanti è il Bevacizumab, che
ha come bersaglio il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGRF), il fattore chiave nella
proliferazione delle cellule endoteliali e nella
regolazione della permeabilità vascolare.
Studi clinici hanno dimostrato che il Bevacizumab in combinazione con i taxani ha
prodotto un miglioramento sia delle risposte
obiettive sia del tempo di progressione.
Gli eventi avversi più comuni che si associano all’utilizzo del Bevacizumab in combinazione
con chemioterapici sono l’ipertensione arteriosa
(incidenza massima del 23,6%), il danno renale
(proteinuria) e gli eventi trombo-embolici.
L’ipertensione può essere facilmente gestita da personale esperto e con l’impiego di
antiipertensivi di uso comune: calcio-antagonisti, beta-bloccanti, ace-inibitori; questi ultimi
possono essere particolarmente utili anche in
presenza di proteinuria.
La terapia anti-ipertensiva può essere proseguita se la PA < 150/90, la sospensione del
Bevacizumab va effettuata nei casi di crisi
ipertensiva o di ipertensione non controllabile
con le comuni associazioni e in presenza di proteinuria > 2 g nelle 24 h. L’incidenza di cardiomiopatia è del 3-15%. Le donne con precedenti
cardiopatie, sottoposte a radiazioni, ipertese,
anziane hanno uno stress ossidativo aumentato e sono ad alto rischio di tossicità cardiaca.
Bisogna poi ricordare che esistono fenomeni di interazione con altri farmaci cardiologici:
Dasatinib e Nilotib non possono essere associati a farmaci che allunghino il QT. Molti farmaci sono inoltre metabolizzati dal citocromo
P450, per cui bisogna valutare eventuali interazioni metaboliche; sono induttori del citocromo P450 le statine (tranne la pravastatina),
l’amiodarone, i calcio-antagonisti (tranne la
lacidipina), il warfarin, il losartan, la doxazosin, la torasemide, il carvedilolo, la flecainide,
il propafenone, il propanololo.
4. Radioterapia
La radioterapia mediastinica effettuata in
associazione alla CT può causare danni cardiaci
acuti o cronici. Tra i fattori di rischio vi è l’età
(inferiore a 20 anni all’epoca della irradiazione), il trattamento concomitante con antracicline, la dislipidemia, la dose totale di radiazione
(superiore a 30Gy)17. Gli effetti dannosi sul cuore si manifestano con pericarditi, con forme di
pericardite attinica, che spesso evolvono nella
forma costrittiva, ma anche con valvulopatie e
con coronaropatie (con lesioni spesso calcifiche
nel primo tratto delle coronarie).
I tempi di latenza per le manifestazioni
cliniche sono lunghi (> 8 anni), con manifestazioni cliniche di coronaropatia anche dopo
15-20 anni.
È raccomandabile la modifica dei fattori di
rischio (dislipidemia, ipertensione etc.) e un
follow-up prolungato completo di ecocardiogramma color Doppler, ECG da sforzo entro
qualche mese dalla fine della terapia radiante
e dopo 2-5 anni).
Biomarcatori cardiospecifici
Le valutazioni clinico strumentali vanno
eseguite in ottemperanza alle vigenti LineeGuida nazionali ed internazionali, allo scopo
di prevenire e trattare precocemente le varie
forme di cardiomiopatie eventualmente indotte a potenziale evoluzione verso lo scompenso.
Non tutte le pazienti necessitano di un monitoraggio eco frequente; la FEVS da sola non
è un indice sensibile né specifico di disfunzione
cardiaca, perché identifica il danno solo quando è già avvenuto vanificando una possibile
strategia di prevenzione.
Come valida alternativa alla FEVS, capace
di identificare il danno miocardio in fase preclinica, la valutazione dei markers biochimici
di danno miocardico può costituire una utile e
moderna strategia18: TroponinaI, Mioglobina,
CK MB massa, NT-proBNP.
Uno studio italiano19 prospettico ha dosato
la troponina I in 700 pazienti sottoposti a chemioterapia prima, durante ogni ciclo, e 1 mese
dopo il termine; contemporaneamente venivano effettuati controlli seriati della FEVS.
Una stretta correlazione è stata trovata tra
troponina I elevata e cardiotossicità (83%);
L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario
tale correlazione scendeva al 37% tra quelli
che avevano troponina elevata durante il trattamento, ma normalizzata dopo (p<0.001). I
soggetti con valori sempre normali hanno avuto una incidenza 1% di eventi cardiaci.
Dai risultati dello studio emerge che:
1. La TnI identifica i pazienti a rischio di
cardiotossicità in una fase estremamente
precoce, subito dopo la CT, in anticipo di 3
mesi rispetto alla FEVS, con elevata sensibilità e specificità.
2. La concentrazione di troponina correla con
il grado e la severità della disfunzione
(83%), il valore scende a 37% nei casi si riscontri un rialzo della troponina I durante
il trattamento con una successiva normalizzazione delle concentrazioni del marker al
termine della terapia.
3. la persistenza di aumentati livelli di troponina I 1 mese dopo l’ultima somministrazione correla con una probabilità di
insorgenza di eventi cardiaci maggiori pari
all’85% nel primo anno di follow up.
4. Un mancato aumento della concentrazione
di troponina I ha un valore predittivo negativo di eventi cardiaci maggiori del 99% nel
primo anno di follow up.
I soggetti troponina-negativi possono essere esclusi dal monitoraggio cardiologico a
lungo termine.
Il BNP fa parte di un gruppo di Peptidi
Natriuretici Cardiaci (PNC) studiati, e quindi
dosati, in seguito alla scoperta della funzione
endocrina del cuore, e che si sono rivelati utili
indicatori di disfunzione ventricolare sia in pazienti asintomatici che sintomatici. Si preferisce determinare l’NT–proBNP in quanto offre
analogo valore diagnostico e clinico, rispetto
al BNP, ma una minore variabilità biologica
intraindividuale e una migliore stabilità analitica. L’ NT-proBNP e i peptidi natriuretici
cardiaci sono stati identificati come indici di
tossicità cardiaca:
– un valore ematico < 300 correla con l’assenza di tossicità cardiaca;
– concentrazioni plasmatiche >450 in pazienti di età <50 aa e > 900 in donne di età
>50 aa sono da considerare indicativi di
tossicità cardiaca (elevata correlazione con
disfunzione diastolica, JClin Onc 2001);
– un aumento persistente (ancora presente
alla 72° ora) è correlato ad una significativa
riduzione della FE e ad una significativa
disfunzione diastolica durante il follow up
di un anno.
15
Cardioprotettori
La cardioprotezione è, in teoria, il metodo
più efficace per ridurre il danno cardiaco da
chemioterapici. Si basa sull’impiego di scavengers (“spazzini”) di radicali liberi,antiossidanti
quali il dexrazoxano.
Tale approccio terapeutico non è entrato
nella pratica clinica abituale.
Una meta analisi di 7 studi clinici20 randomizzati ha valutato tale farmaco come cardioprotettore per prevenire la CHF: gli eventi
sono stati 11 nei pazienti trattati e 67 in
quelli non trattati con dexrazoxano, senza una
evidente interferenza sulla efficacia della CT
(p<0.00001). Inoltre, l’impiego del farmaco ha
permesso di aumentare il numero dei cicli di
chemioterapia con antracicline senza aumento
della cardiotossicità21.
Esistono altri farmaci che posseggono una
attività antiossidante: steroidi, statine, FANS,
ACE-inibitori, sartani.
Percorsi e strategie
La prevenzione può essere utilizzata dall’ oncologo e dal cardiologo:
• l’oncologo deve individuare una strategia
terapeutica opportuna caso per caso e cercare di ridurre la dose di picco;
• il cardiologo attraverso un attento e preciso
monitoraggio della funzione cardiaca, deve ricercare i segni precoci di disfunzione
ventricolare, per iniziare un trattamento
cardioprotettore tempestivo e permettere la
continuazione della CT programmata.
Il rapporto di collaborazione tra cardiologi
ed oncologi è aumentato notevolmente negli
ultimi anni; sarebbe auspicabile la presenza di
figure professionali di cardiologi “dedicati” all’oncologia, anche per far crescere la “cultura”
di questi argomenti.
È fondamentale che le donne che effettuano
tali trattamenti vengano seguite regolarmente
in un ambiente cardiologico con esperti sia della diagnostica cardiologica ed ecocardiografica,
in particolare, che della clinica della cardiopatia ischemica e /o ipertensiva , nonché della
diagnosi e del trattamento dello scompenso
cardiaco.
I controlli cardiologici, dunque, dovrebbero
essere effettuati in centri cardiologici dedicati,
dove operano ecocardiografisti certificati.
16
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
Tra questi rientra sicuramente Il nostro
echolab dove operano cardiologi esperti sia in
ecocardiografia di Alta Specialità (certificati
dalla Società Italiana di Ecografia cardiovascolare (SIEC22), sia in prevenzione e terapia dello
scompenso cardiaco membri dell’Associazione
Nazionale Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)23.
È altresì importante che le donne possano eseguire esami diagnostici sempre in uno
stesso centro, con elevata esperienza in ecocardiografia, elevata riproducibilità intra-interosservatore, con dotazione di strumentazioni
adeguate, per eseguire esami ecocardiografici
all’avanguardia (comprensivi di eco 3D e TDI),
Ecostress, nonché ECG da sforzo.
Nel nostro Ospedale abbiamo adottato un
protocollo clinico-strumentale per seguire queste pazienti in collaborazione con l’U.O.S.D.
Oncologia della mammella.
Il protocollo da noi utilizzato è quello suggerito dalle attuali Linee Guida internazionali
oncologiche11:
– Controllo clinico ed ECG pre-trattamento
per valutare il rischio di cardiotossicità e
verificare se esistono controindicazioni al
transuzumab o ad altri farmaci;
– valutazione della FEVS e della funzione
diastolica con Doppler e TDI;
– All’inizio del trattamento;
– Dopo la somministrazione di metà della
dose totale prevista;
– Prima di ogni dose successiva;
– Follow-up a 3, 6 e 12 mesi dalla fine del
trattamento se le pazienti sono asintomatiche e senza variazioni FEVS;
– In presenza di sintomi e/ segni di scompenso;
– Trattamento farmacologico tempestivo
(Tab. 4);
– Controlli clinici settimanali fino a raggiungimento del target farmacologico,successiv
amente ogni 4 mesi;
– Controllo ecocardiografico a 4 settimane e
valutazione cardiologica.
Al fine di identificare il danno miocardico
in fase preclinica è prevista l’integrazione
delle informazioni clinico-strumentali con la
valutazione di biomarcatori cardiospecifici.
In particolare è pianificato un prelievo ematico per la valutazione dei livelli di troponina:
• Prima della chemioterapia
• Subito dopo la chemioterapia
• 24hh dopo la chemioterapia
• 48hh dopo la chemioterapia
• 72 hh dopo la chemioterapia
• 1 mese dopo l’ultima somministrazione
Conclusioni
Identificare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare cardiotossicità da farmaci
antineoplastici rappresenta un obiettivo primario sia per il cardiologo che per l’oncologo;
il fine è quello di personalizzare, quanto più
possibile, il programma chemioterapico, di utilizzare cardioprotettori, di pianificare un più
stretto monitoraggio della funzione cardiaca
e di introdurre, in fase precoce, una terapia
di prevenzione o di supporto per prevenire il
danno cardiologico.
Tabella 4 – Tipo di farmaci cardiologici in caso di disfunzione Vs
Farmaco
Dose iniziale
(mg)
Target dose
(mg)
Captopril
6.25–12.5 ×3
25–50 ×3
Enalapril
1.25–2.5 ×2
10 ×2
Ramipril
1.25–2.5 ×2
5 ×2
Lisinopril
2.5–5 ×1
20–35 ×1
Carvedilolo
3.125 ×2
25×2
Bisoprololo
1.25 ×1
10 ×1
ACE
Piano terapeutico ottimale
inibitori
BETA
-
BLOCCANTI
•
•
•
Aumento dose a intervallo 1-2 settimane
Monitoraggio funzione renale and elettroliti ogni
7 gg o 15 gg
Mantenere PA normale con trattamento farmacologico
•
Titolare in 4 settimane
•
Raggiungere il dosaggio ottimale in 4 settimane
Trattamento farmacologico per prevenire o curare lo scompenso nelle donne con disfunzione ventricolare sinistra asintomatiche o paucisintomatiche
L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario
Le donne in trattamento per neoplasia
mammaria devono seguire un percorso cardiologico specifico in osservanza alle Linee Guida
Oncologiche e cardiologiche internazionali, ed
eseguire una serie di valutazioni clinico-strumentali cardiologiche in base al tipo di trattamento praticato, all’età, alle problematiche
cardiologiche pre-esistenti, o che si manifestano in corso di trattamento, per trattarle tempestivamente e prevenire l’evoluzione verso lo
scompenso cardiaco.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr.ssa Lidia Boccardi, Roma
E-mail:[email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
LA GESTIONE PERCUTANEA DELLE FISTOLE ARTERO-VENOSE
DA DIALISI: NOSTRA ESPERIENZA CON L’ANGIOPLASTICA
PERCUTANEA TRANSLUMINALE
PERCUTANEOUS MANAGEMENT OF HEMODIALYSIS FISTULAS:
OUR EXPERIENCE WITH TRANSLUMINAL PERCUTANEOUS ANGIOPLASTY
STEFANO PIERI1, PAOLO AGRESTI1, GIOVANNI REGINE2, ANTONIO CARNABUCI3,
STEFANIA PIZZARELLI3, VENERIO PENSALFINI3, SALVATORE DI GIULIO3, LORENZO DE’ MEDICI3
1
3
U.O.C. Radiologia Vascolare ed Interventistica; 2Radiologia Centrale D.E.A.;
U.O.S. Nefrologia interventistica, Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma
Parole chiave: Accessi per dialisi. Fistola artero-venosa. Angioplastica
Key words: Vascular access for dialysis. Arterio-venous native fistula. Percutaneous angioplasty
Riassunto - Introduzione: La fistola artero-venosa è l’accesso raccomandato per effettuare l’emodialisi,
grazie alla maggiore affidabilità nel tempo e alle minori morbilità ed ospedalizzazione. In virtù del continuo
traumatismo, anche le fistole possono andare incontro a malfunzionamenti, la cui soluzione, fino a pochi
anni fa, era esclusivamente riservata alla revisione chirurgica, con il progressivo depauperamento del patrimonio vascolare. Scopo del lavoro è valutare la sicurezza e l’efficacia dell’opzione endovascolare, con la
sola PTA, nella gestione percutanea delle fistole artero venose malfunzionanti, per prolungare il periodo di
sopravvivenza delle fistole.
Materiali e metodi: In relazione a problematiche cliniche di malfunzionamento di una fistola artero-venosa,
è stata posta indicazione per un trattamento endovascolare in 34 pazienti, con età media di 58,2 anni (range
28-74), in un arco temporale compreso tra il 2002 e il 2008.
Dopo aver effettuato lo studio completo della fistola artero-venosa, è stata effettuata la procedura di angioplastica percutanea transluminale, con cateteri a palloncino scelti sulla base delle caratteristiche della lesione. Il controllo flebografico ci ha consentito di verificare il successo emodinamico, oltre che quello tecnico,
della procedura.
I pazienti venivano quindi seguiti nel tempo, con accertamenti clinici e strumentali, sulla base dei quali veniva riproposta una nuova procedura endovascolare all’insorgere dei sintomi clinici di malfunzionamento.
Risultati: Il successo tecnico è stato del 100%, essendo riusciti a superare la stenosi responsabile del malfunzionamento ed a portare a termine il trattamento, sia a livello periferico che a livello centrale. Mentre il
successo morfologico è stato conseguito nel 92% dei casi, quello clinico nel 100% dei pazienti: tutti sono stati
in grado di sottoporsi ad una dialisi valida, già 24 ore dopo il trattamento percutaneo.
Non si sono registrate complicanze maggiori, mentre si sono avute solo 3 complicanze minori.
Discussione: L’angioplastica percutanea transluminale rappresenta la soluzione ideale per la gestione dei
malfunzionamenti delle fistole artero venose, in grado di poter assicurare una maggiore longevità all’accesso
vascolare e un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Abstract – Introduction: Native arteriovenous fistula is the recommended vascular access for dialysis, for
major reabilitation, lower morbidity and hospitalization over the time. Owing to continous traumatism,
fistulas may be subject to malfunctioning; until few years ago, their solution exclusively was by surgery
revision, with progressive depletion of vascular patrimony.
The purpose of the article is to value the safeness and effectiveness of endovascular treatment, with only
PTA, in the percutaneous management of malfunctionig artero-venous fistulas, in order to prolong their
survival.
Materials and methods: Owing to clinical event of arteriovenous fistula’s malfunctioning, an endovascular
treatment in 34 patients, of average age 58,2 (range 28-74), between 2002-2008 was indicated.
S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi
19
After complete fistulography, PTA of the stenosi was done, with balloon catheters chosen by anatomical
lesion’s characteristic. Final phlebographic control let us value hemodynamic, and technical success of the
procedure.
Patients were followed over the time, by clinical and instrumental controls; according to the results a new
endovascular procedure was proposed in the presence of malfunctiong’s clinical symptoms.
Results: Technical success was 100%, being able to solve the stenosis and complete the procedure in the peripheral and central veins. While the morphological success was 92%, the clinical was 100%: all the patients
were able to undergo a valid dialysis, 24 hours after the endovascular treatment. There were not major, but
only three minor complications.
Conclusion: Transluminal percutaneous angioplasty is the ideal solution for management of fistula’s malfunctioning, able to prolong the life of the vascular access and to garantee the quality of life of the patient.
Introduzione
Il trattamento di emodialisi richiede un
accesso vascolare ben funzionante, capace
di consentire un flusso di sangue di 500
ml/min. Questo può essere ottenuto con
un temporaneo catetere venoso centrale o
un duraturo accesso vascolare chirurgico,
costruito sinteticamente con le protesi
(PTFE) o utilizzando le vene native1,2.
La fistola artero-venosa nativa è la
forma raccomandata di accesso vascolare per emodialisi3, perché consente una
più lunga pervietà con minori morbilità4,
ospedalizzazione e costi, rispetto agli altri
accessi vascolari5. Per queste ragioni, la
comunità nefrologica aveva già stimolato
la diffusione della creazione delle fistole
nei pazienti da sottoporre a dialisi6, arrivando a modificare significativamente il
comportamento negli USA, storicamente
più affezionati all’utilizzo delle protesi7.
Tradizionalmente, i malfunzionamenti
delle fistole native, conseguenti al continuo traumatismo cui sono settimanalmente sottoposte, venivano affrontati con la
trombectomia e la revisione chirurgica: ciò
determinava la progressiva diminuzione
del patrimonio venoso oltre alla necessità
di creare un nuovo accesso vascolare.
Dagli inizi degli anni ’80, sono cominciati ad apparire in letteratura i primi lavori sulla gestione percutanea delle fistole
artero venose, con l’angioplastica percutanea transluminale9, con la trombolisi10,
gli stent11 e la trombectomia meccanica12,
contribuendo così a modificare la strategia
terapeutica13. Durante gli ultimi 10 anni,
i radiologi interventisti sono stati progressivamente coinvolti nella valutazione angiografica e nel trattamento di accessi per
emodialisi malfunzionanti o occlusi, in un
quadro sempre più multidisciplinare14,15.
Scopo del lavoro, nel riportare la nostra
esperienza, è quello di valutare la sicurezza e l’efficacia dell’opzione di radiologia
interventistica, in particolare dell’angioplastica percutanea (PTA) nei malfunzionamenti delle fistole native.
Materiale e metodi
I 34 pazienti inclusi in questo studio,
con età media di 58,2 anni (range 28-74),
provenienti da varie strutture di dialisi
della Regione Lazio, sono giunti alla nostra osservazione nel periodo 2002-2008,
per eseguire uno studio flebografico della
fistola artero venosa, dopo che era stata
accertata una sua disfunzione, sulla base
di vari criteri: la fistola nativa garantiva un flusso ematico inferiore a 250
ml/min; il flusso era inferiore del 20%
al valore base, insieme al fatto che il ricircolo della fistola era superiore al 5%;
era difficile eseguire l’incannulamento,
oppure la pressione venosa dinamica
eccedeva il livello di riferimento per tre
volte consecutive, con difficoltà a tamponare gli accessi utilizzati per la dialisi,
oppure erano presenti altri elementi clinici o emodinamici che suggerivano la
presenza di una fistola malfunzionante
o insufficiente (ingrossamento dell’arto, dolore alle estremità). Dallo studio
sono stati esclusi i pazienti portatori di
un’ostruzione della fistola, di una stenosi
o di un’ostruzione della vena succlavia o
della vena cava superiore.
La conferma strumentale che la disfunzione avesse origine dalla presenza di una
stenosi lungo il circuito venoso era stata
ottenuta solo con l’eco-color-Doppler (9
20
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
pazienti), la RM (7 pazienti), la TC (10 pazienti) e la flebografia nei rimanenti casi.
Dopo aver ottenuto il consenso informato, e fatto disporre il paziente in posizione
supina, con la mano in supinazione, la
fistolografia diagnostica veniva eseguita
mediante puntura dell’accesso venoso con
un ago 18G, successiva iniezione di mezzo
di contrasto (Optyray 300, Tycohealthcare
Spa, Milano, Italia), con iniettore automatico. La progressione della colonna ematica opacizzata veniva seguita per tutto il
circuito venoso, fino allo scarico in atrio
destro. Successivamente, l’insufflazione di
un manicotto per la pressione, a livello del
braccio in esame, consentiva il reflusso del
mezzo di contrasto e quindi la visualizzazione e lo studio dell’anastomosi arteriosa
della fistola.
Ritenuto esauriente lo studio del circuito della fistola artero-venosa per svalutarne il suo malfunzionamento, venivano
analizzate le caratteristiche delle stenosi,
per potere selezionare l’appropriato catetere a palloncino con cui trattarle (Fig. 1,
a,b). Superate con un filo guida idrofilico
[0,035”, lungo 180 cm, punta J, Terumo,
Gamma International, Roma, Italia], le
stenosi venivano trattate con cateteri a
palloncino non complianti (Mini Ghost,
AB Medica S.p.A., Milano, Italia) di appropriate lunghezze e dimensioni: per lesioni
stenotiche in vicinanza dell’anastomosi, il
catetere selezionato era di calibro compreso tra 4 e 7 mm; per lesioni localizzate nel
tratto di deflusso cefalico, il calibro scelto
era 6-8mm; per stenosi venose centrali,
il calibro selezionato era 10-12 mm. Previa somministrazione di 1 cc di eparina,
il catetere d’angioplastica veniva posto
a cavaliere della stenosi, dilatato fino a
perdere la caratteristica incisura, determinata esternamente dalla stenosi (Fig.
1c), ma sempre nei limiti di rottura segnalati dalla casa costruttrice; veniva lasciato
generalmente gonfio per un periodo minimo di 30-60”; per lesioni particolarmente
resistenti, che non subivano una rapida
modificazione dell’incisura esterna, il periodo d’insufflazione arrivava a 3’; per stenosi che non recedevano nemmeno dopo
tale periodo di tempo sono stati impiegati
cateteri con microlame (Cutting Balloon,
Boston Scientific, Nanterre, Francia).
Al termine della procedura di angioplastica percutanea, veniva effettuato il controllo flebografico, per valutare il grado
di stenosi residua, le modalità di scarico
del circuito artero venoso, la scomparsa di
eventuali circoli collaterali in precedenza
visualizzati, specie a livello centrale, il
successo tecnico della procedura.
Il follow-up di tali pazienti è avvenuto,
in parte tramite contatto telefonico (22 casi), in parte con eco-color-Doppler, in parte
con gli esiti delle visite cliniche successive.
Fig. 1 a
Fig. 1 b
21
S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi
1c
Fig. 1 – Lo studio del circuito della fistola
arterovenosa del braccio destro evidenzia la
presenza di una stenosi nel terzo superiore
del braccio, con un restringimento anche a
livello dello sbocco della vena succlavia destra in vena cava superiore. Quest’ultimo non
viene considerato significativo, anche per la
assenza di uno sviluppo dei circoli collaterali
venosi (a). La sintomatologia clinica, dolore
e tensione nel solo avambraccio, difficoltà a
tamponare gli accessi utilizzati per la dialisi,
ci hanno orientato a trattare solo la lesione
più periferica. È stato impiegato un catetere a
palloncino compliante, 7 mm per 4 cm, con un
periodo d’insufflazione di 2’ (b); il risultato al
termine della procedura (c) è stato considerato positivamente sia a livello morfologico che
funzionale.
lico oltre il gomito, a livello dell’arco della
vena cefalica e in una vena centrale; sono
state segnalate anche il numero di stenosi
per fistola, il tipo di fistola e la sede dove
era confezionata]. Sono state inoltre valutate la pervietà primaria, definita come il
periodo di tempo tra il confezionamento
della fistola e la sua trombosi o il periodo
di tempo tra due interventi radiologici;
la pervietà secondaria, identificata come
la pervietà nell’intervallo di tempo tra
il primo intervento e la prima revisione
chirurgica (per trombectomia, riconfezionamento dell’anastomosi o abbandono),
del trapianto renale o il tempo fino alla
perdita del paziente durante i controlli
successivi.
Risultati
Nei 34 pazienti, sono state trattate 27
fistole brachiocefaliche e 7 radiocefaliche;
15 erano a sinistra e 19 a destra. Su queste
fistole artero venose sono state effettuate,
nel tempo, 125 procedure interventistiche
di angioplastica percutanea transluminale (Tab. 1).
Tabella 1 – Caratteristiche delle fistole e dei
risultati
Fistole
Sono stati considerati il successo tecnico,
definito come la capacità ad effettuare la
procedura interventistica, in grado di assicurare la risoluzione della problematica
responsabile del malfunzionamento della
fistola, il successo anatomico, definito come la capacità a ristabilire il flusso nella
fistola con una eventuale stenosi residua
inferiore al 30%, il successo clinico, definito come l’abilità della fistola a garantire
un’adeguata dialisi per almeno una sessione, il tempo di effettuazione delle procedure, considerato dal momento dell’inizio
della puntura percutanea al completamento della fistolografia di controllo, la
localizzazione delle lesioni [arteria radiale
o altra, nell’anastomosi artero-venosa, nel
segmento di 3 cm dopo l’anastomosi venosa della fistola, nel tratto di deflusso cefa-
Brachiocefaliche
27
Radiocefaliche
7
1 (3,5%)
4 (14,2%)
9 (32,1%)
0
0
1 (14%)
5 (17,8%)
9(32,1%)
0
6 (86%)
13 mesi
11 mesi
Pervietà primaria:
a 3 mesi
a 12 mesi
72,5%
39%
72%
58%
Pervietà secondaria:
a 3 mesi
a 12 mesi
Tempo della procedura
94,5%
83,4%
72’
86%
72%
64’
Sede
Stenosi:
anastomosi arteriosa
anastomosi venosa
entro 10 cm
dall’anastomosi
vena basilica
vena succlavia
Tempo tra creazione
e 1° intervento
22
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
Nelle 27 fistole brachiocefaliche, la localizzazione della stenosi era a livello
dell’anastomosi arteriosa in un paziente
(3,5%), a livello dell’anastomosi venosa
in 4 pazienti (14,2%), entro 10 cm dall’anastomosi venosa in 9 pazienti (32,1%),
lungo la vena basilica in 4 (22%), a livello
della succlavia in 9 pazienti (32,1%). Nelle
7 fistole radio cefaliche, la localizzazione
delle stenosi non è stata mai riscontrata
sia a livello dell’anastomosi arteriosa, sia
venosa, mentre una è stata evidenziata
entro i primi 10 cm del circuito venoso
dopo la fistola (14%) e 6 erano a livello
della succlavia (86%). Tutti i pazienti che
presentavano stenosi della vena succlavia
avevano portato, in precedenza, un catetere venoso centrale, per garantire la dialisi
e favorire la maturazione della fistola.
Tutte le stenosi erano lesioni isolate,
tranne in un paziente, dove coesisteva una
doppia stenosi associata a pseudoaneurismi (Fig 2a, b, c); tutte le stenosi erano
emodinamicamente significative, con un
livello di gravità compreso tra il 75 e il
90%; tutte erano eccentriche, di una lunghezza compresa tra 1 e 2 cm.
Il successo tecnico è stato conseguito
nel 100% dei casi: in tutti i pazienti si
è, infatti, riusciti a superare la stenosi,
sia nelle lesioni più periferiche], sia in
quelle centrali, dove la subostruzione del
circuito era funzionalmente mascherata
da un intenso circolo collaterale, in grado
di scaricare ancora efficacemente in vena
cava superiore.
Il successo anatomico o morfologico,
desunto dalla flebografia al termine della
procedura interventistica, è stato del 92%:
in 2 pazienti, la persistenza di una stenosi
eccentrica e la stenosi serrata dopo il secondo pseudoaneurisma (Fig. 2d) hanno
creato seri dubbi interpretativi sulla necessita o meno di proseguire la procedura
interventistica, aumentando ulteriormente il tempo d’insufflazione del catetere a
palloncino o il calibro dello stesso, prima
di ipotizzare l’impiego di un catetere “cutting balloon”. La ricomparsa del tipico
frullio della fistola artero venosa, nel giro
di pochi minuti dall’effettuazione della
procedura, ci ha convinto ad accettare il
risultato conseguito; nei giorni successivi,
la conferma che i pazienti si erano sotto-
Fig. 2 a
Fig. 2 b
23
S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi
Fig. 2 c
Fig. 2 d
Fig. 2 – Lo studio della fistola artero venosa, attraverso la puntura e l’iniezione di mezzo di contrasto all’interno del primo pseudoaneurisma, consente di evidenziare la presenza di due stenosi
emodinamicamente significative (a). Tali lesioni limitano enormemente la dialisi, favoriscono la
puntura degli operatori nelle stesse sedi che, essendo sotto pressione, richiedono molto tempo per
la loro chiusura al termine della dialisi. Previo accesso retrogrado, dopo aver posizionato il filo
guida idrofilico in arteria basilica, vengono eseguite le procedure di angioplastica a carico delle
due lesioni (b, c). Il controllo al termine della procedura mostra una risoluzione completa della
stenosi più prossimale all’anastomosi, e una risoluzione al 70% della stenosi più craniale. Anche
in questo caso, a fronte di un dato morfologico non completamente soddisfacente, ha corrisposto
un dato emodinamico e clinico di ripresa funzionale della fistola.
posti a dialisi senza nessun problema e
la risoluzione dei sintomi che li avevano
condotti alla nostra osservazione, hanno
rafforzato la nostra convinzione che in
questo particolare settore, a differenza di
quello arterioso, è il dato emodinamico che
ha più importanza di quello morfologicoanatomico. Solo in un paziente abbiamo
impiegato il catetere “cutting balloon”, ma
i risultati conseguiti non sono stati considerati decisamente migliorativi rispetto a
quelli ottenuti con il normale catetere per
angioplastica.
Il successo emodinamico e clinico è
stato conseguito nel 100% dei casi. Ogni
procedura di angioplastica percutanea
transluminale, indipendentemente dalla
sede della stenosi, dal tipo di fistola, ha
risposto magnificamente alla procedura,
con la ricomparsa del tipico frullio nell’arco di qualche minuto e con la regolare
effettuazione delle sedute di dialisi nei
giorni successivi. Si è inoltre registrata
la regressione pressochè totale della sintomatologia, precedentemente segnalata,
nell’arco di 1-2 settimane.
Per le 27 fistole brachiocefaliche, il
tempo medio tra la creazione e il primo
intervento è stato di 13 mesi; la pervietà
primaria a 3 e a 12 mesi è stata rispettivamente del 72,5% e del 39%, mentre quella
secondaria è stata del 94,5% e dell’83,4%;
il tempo medio di procedura è stato di 72’.
Per le 7 fistole radiocefaliche, il tempo medio tra la creazione e il primo intervento è
stato di 11 mesi; la pervietà primaria a 3
24
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
e 12 mesi è stata rispettivamente dell’72%
e del 58%, mentre la secondaria è stata del
86% e del 72%; il tempo medio di procedura è stato di 64 minuti.
La pervietà primaria e secondaria per
le fistole radiocefalica e brachiocefalica
non sono state influenzate dalla localizzazione della stenosi nel caso del primo
intervento.
Non si sono registrate complicanze
maggiori, né rotture di vene dopo l’angioplastica, né perdita di fistole; non abbiamo
registrato reazioni a mezzo di contrasto,
edema polmonare o infezioni. Viceversa
abbiamo avuto 3 piccoli ematomi nella
sede di puntura della fistola.
Discussione
Grazie all’eccellente durata e della bassa percentuale di complicanze1-5, la fistola
artero venosa nativa è l’accesso vascolare
preferito per l’emodialisi16. La configurazione classica, la fistola Brescia-Cimino17,
è costruita al polso, tra l’arteria radiale e
la vena cefalica, con un’anastomosi termino-laterale; un’altra configurazione comune è tra l’arteria brachiale e la vena cefalica alla piega del gomito1: in tutti i casi
si tratta di vene superficiali, per facilitare
l’inserzione degli aghi per emodialisi18.
Tuttavia, il continuo traumatismo della
parete arterializzata, determinato dalle sedute di dialisi porterà inevitabilmente, nel
tempo, alla creazione di stenosi e/o formazione di pseudoaneurismi, responsabili a
loro volta di un progressiva riduzione della
funzionalità dell’accesso vascolare2,4,5.
Tradizionalmente, i malfunzionamenti
delle fistole native e delle protesi sono state curati con la trombectomia e soprattutto
con la revisione chirurgica, entrambe effettuate in assenza di una diretta visualizzazione della causa del malfunzionamento e
dell’anatomia venosa. Anche se la morbilità connessa a queste soluzioni era abbastanza contenuta, tuttavia il risultato era
la progressiva diminuzione del già limitato
patrimonio venoso del paziente19,20.
Inizialmente applicate negli anni ‘80, le
tecniche percutanee, in particolare l’angioplastica percutanea transluminale, hanno
consentito il trattamento della stenosi e
della trombosi della fistola, senza dover
ricorrere alla chirurgia21. Durante gli ultimi 10 anni, i radiologi interventisti sono stati progressivamente coinvolti nella
valutazione angiogafica e nel trattamento
di accessi per emodialisi malfunzionanti o
occlusi, in un quadro sempre più multidisciplinare22-24.
La gestione percutanea delle fistole
è spesso più difficile delle protesi, come
descritto da Tourmel Rodriguez 25: le pareti della vena sono esili e mobili, per cui
sono difficili da palpare e vengono infisse
senza opporre la resistenza delle protesi.
La nostra esperienza pluridecennale nell’
interventistica nel territorio venoso forse
può spiegare il basso numero di complicazioni riscontrate nella gestione di questi
casi clinici.
Per quanto riguarda la localizzazione
delle stenosi, la distribuzione anatomica è
abbastanza costante24,26-28. Anche la nostra
pur limitata esperienza ha evidenziato
una sostanziale corrispondenza di valori con la letteratura internazionale per
quanto riguarda la localizzazione delle
stenosi; solo nelle fistole radiocefaliche
abbiamo registrato una percentuale maggiore di stenosi a livello della vena succlavia. Tale valore è legato probabilmente
ad una maggiore permanenza del catetere
venoso centrale, in pazienti dove le vene
della fistola artero venosa hanno tardato
a maturare.
Per quanto riguarda le caratteristiche
delle stenosi, circa l’85-90% è compresa
tra i 5 e i 20 mm di lunghezza, mentre,
per quanto riguarda la severità, ben il
67% delle stenosi riportate in letteratura
è superiore al 75% (emodinamicamente
significative)24,26-28. Anche noi abbiamo registrato caratteristiche di stenosi sostanzialmente sovrapponibili.
La percentuale di successo tecnico della
procedura di angioplastica percutanea,
intesa come la possibilità di risoluzione
della stenosi, è quasi sempre molto elevata. Si va dall’ 82% di Haage23, al 92 % di
Kanterman27, al 93% di Turmel24 al 94% di
Beatard22 e di Clark28. Il nostro gruppo di
pazienti ha presentato un indice di successo tecnico molto elevato, presumibilmente
S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi
per un maggiore rigore nella selezione dei
pazienti e per un più precoce trattamento
con angioplastica. Solo 2 pazienti (8%) non
hanno visto completamente risolta la loro
stenosi alla prima procedura di angioplastica.
Talvolta si può osservare una difformità tra il successo tecnico o anatomico e il
successo clinico: anche noi abbiamo registrato in 2 pazienti (8%) un risultato non
soddisfacente dal punto di vista tecnico.
Tuttavia, la comparsa del caratteristico thrill nell’arco di 5’ dall’effettuazione
della procedura, dovuto ad un passaggio
veloce del sangue, e l’effettuazione senza
problemi della seduta di dialisi, il giorno
dopo la procedura di angioplastica percutanea transluminale, sono state l’ulteriore conferma della maggiore validità del
risultato emodinamico e clinico su quello
tecnico.
Per valutare l’efficacia dell’intervento
percutaneo nel tempo, si ricorre a due indici: la percentuale di pervietà primaria e
di pervietà secondaria. Nella nostra esperienza, la prima, definita come il tempo
tra l’iniziale confezionamento della protesi
e l’intervento percutaneo teso a conservarne la pervietà, a livello dell’avambraccio
è stata del 72,5% a 3 mesi e del 39% a
1 anno per le fistole brachio cefaliche; è
stata rispettivamente del 72 e 58% per le
radiocefaliche. Viceversa, la percentuale
di pervietà secondaria, intesa come tempo
cumulativo tra il confezionamento e l’abbandono della fistola è stata del 94,5% a
tre mesi e dell’83,4% a 1 anno per le fistole
brachiocefaliche; è stata rispettivamente
dell’ 86 e 72% per quelle radiocefaliche.
Pur essendo riportate in letteratura29,30, le
rotture venose dopo PTA , tali da compromettere il flusso e la validità della fistola,
trattabili con stent, non sono stati registrati nella nostra esperienza.
Per un confronto con i risultati chirurgici, Hodges 31 ha riportato i dati della
pervietà dopo la creazione di una fistola.
Con l’esclusione delle fistole che hanno
tardato a maturare, la pervietà primaria
è stata del 54%, mentre la secondaria del
55% ad 1 anno.
Pur con i limiti derivanti dall’esperienza di una singola istituzione e dalla natu-
25
ra retrospettiva e non randomizzata dello
studio, senza confronti con una revisione
chirurgica, questo lavoro conferma che la
tecnica percutanea di angioplastica transluminale è meno invasiva nel preservare, nel tempo, la funzionalità degli accessi
vascolari nativi. L’approccio radiologico
ha molti vantaggi: visione di tutta il circuito di cui si compone la fistola, dall’arteria alla vena cava superiore;immediato
ripristino della funzione della fistola per
la dialisi, che non si verifica dopo l’intervento chirurgico, per la presenza di
edema; migliore preservazione del già
limitato capitale di vene a disposizione
dell’individuo.
Con una continua ed attenta sorveglianza e con la ripetizione degli interventi32, la pervietà di fistole malfunzionanti
può essere prolungata nel tempo, senza
dover, necessariamente, ricorrere al sacrificio di segmenti venosi, come accade,
invece, nella soluzione chirurgica.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dott. Stefano Pieri
E-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Evidenze a confronto
LA DIAGNOSTICA IN ALLERGOLOGIA PEDIATRICA
TRA NOVITÀ E TRADIZIONE
DIAGNOSTICS IN PEDIATRIC ALLERGOLOGY:
NEWS OR TRADITION?
Parole chiave: Allergia. Test allergologici. Pediatria
Key words: Allergy. Allergy Tests. Pediatrics
IL PEDIATRA E IL BAMBINO ALLERGICO
ELISABETTA TARQUINI
U.O. Pediatria ed Ematologia Pediatrica
Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma
Pur migliorando negli anni lo stato
di salute in età pediatrica, le patologie
allergiche hanno subito un netto incremento.
Parallelamente progressi straordinari
si sono verificati nella conoscenza dei
meccanismi eziopatogenetici delle allergie, orientando l’allergologia pediatrica
verso la prevenzione e il trattamento
precoce.
In quest’ottica ruolo chiave è svolto dalla diagnostica.
Molteplici sono infatti i test che il pediatra ha a disposizione spaziando dai
tradizionali test più conosciuti (Prick test,
RAST) ad esami all’avanguardia, effettuabili solo in centri di eccellenza. Questi ultimi utilizzano tecniche tratte dalla biologia
molecolare: prelevando una sola goccia di
sangue, lo specialista riesce a trovare la
molecola responsabile tra oltre 100 molecole allergiche.
La novità di questa tecnica consiste
nell’identificare non solo l’alimento a cui
il bambino è allergico ma a quale proteina
contenuta nell’alimento è allergico, permettendo di eseguire una diagnosi mirata,
prescrivere la terapia adatta e il vaccino
specifico.
Quando il pediatra si trova di fronte
ad un bambino allergico o sospetto tale,
quindi, come orientarsi?
Tale quesito non si riferisce certamente
alla terapia della patologia allergica ormai
standardizzata secondo linee guida internazionali, ma alle implicazioni diagnostiche e terapeutiche che comporta il definire
un bambino “allergico”
Infatti molteplici sono gli interrogativi
dei genitori a cui il pediatra dovrà rispondere:
– è a rischio di shock anafilattico?
– può mangiare tutto?
– può andare in vacanza da solo?
– esiste un vaccino?
– sarà allergico a vita?
– l’alimento eliminato potrà essere reintrodotto?
Appare inoltre evidente che a causa
delle molteplici cross-reattività tra le sostanze allergeniche, non è sempre chiaro
in primis quale è l’allergene responsabile
della sintomatologia del paziente.
Per tale motivo risulta fondamentale
dopo una accurata anamnesi e attento
esame obiettivo, affida alla collaborazione dello specialista allergologo per scegliere l’indagine strumentale più appropriata: la “tradizionale”, o la “novità”.
28
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
IL PEDIATRA E LA “ TRADIZIONE” IN ALLERGOLOGIA
BARBARA PAGGI
U.O. di Pediatria ed Ematologia Pediatrica
Azienda Ospedale S. Camillo - Forlanini, Roma
I test allergologici sono un importante
prerequisito a favore di una terapia antiallergica perchè indicano i bambini a
rischio di malattia allergica e la terapia
specifica (misure preventive, farmaci idonei, desensibilizzazione specifica).
La scelta degli allergeni da testare è
effettuata sulla base della storia clinica,
dei sintomi e dell’età del bambino.
Nei bambini di età inferiore a 3 anni
vengono testati più frequentemente allergeni alimentari (latte, uovo), nei bambini
più grandi, con sintomi respiratori, allergeni inalanti (acari, epiteli animali, pollini). I test in vivo si possono suddividere in
test cutanei (prick test, atopy patch test)
e test in vitro (ricerca IgE totali e specifiche).1
Prick Test
Gli skin prick test ( SPT ) rappresentano, se correttamente eseguiti il più
conveniente, specifico ed economico test
di screening per le allergopatie. Costituiscono un utile strumento diagnostico
dotato di elevata accuratezza, semplicità
di esecuzione e di interpretazione, scarsa
invasività con ridottissimo rischio e costi
moderati.
Tuttavia è necessario che il test sia
eseguito ed interpretato correttamente,
secondo metodi standardizzati che devono
essere conosciuti dall’ operatore.
In una sola seduta è possibile testare
più allergeni. La scelta degli allergeni da
testare è basata sull’anamnesi, l’età del
paziente, frequenza con la quale il singolo
allergene induce sensibilizzazione nella
popolazione residente nell’area geografica
del paziente.
Per il lattante si testano il latte e le sue
frazioni proteiche, uovo e successivamente
grano, pesce, soia. Nell’età prescolare e
scolare gli allergeni inalanti (acari, epiteli
animali, pollini). La tecnica di esecuzione
consiste nel porre una goccia dell’estratto
allergenico sulla faccia volare dell’ avambraccio a distanza di 3 cm l’una dall’altra.
Pungere la pelle sottostante con un ago
sterile, asportare la goccia con cotone o
garza sterile entro 60 secondi.
Il test è considerato positivo se il diametro del pomfo è superiore ai 3 mm.
La lettura va eseguita dopo 15 minuti.
I test possono risultare falsamente positivi se:
– non rispettando la distanza l’uno dall’altro, avviene una contaminazione tra
2 allergeni vicini;
– se si verifica un’ insufficiente penetrazione dell’ ago;
– se il reagente è scaduto;
– se eseguiti durante terapie con farmaci
anti H1 (una sospensione di 3 gg è sufficiente per eseguire il test).
Per superare la limitazione derivante dalla ridotta qualità e potenza degli
estratti allergenici in commercio (soprattutto nei confronti di frutta e verdura),
è stata introdotta la pratica di utilizzare
gli alimenti freschi nei quali intingere la
punta della lancetta prima di eseguire
la “priccata” (prick by prick). L’utilizzo
di alcuni alimenti freschi, in particolare
quelli di origine vegetale, conferisce allo
STP maggiore sensibilità rispetto a quanto si osserva con l’impiego dei rispettivi
estratti.
È estremamente affidabile poiché esiste una correlazione netta tra positività
del test e test di scatenamento. Inoltre
questa tecnica inizialmente impiegata solo con frutta e verdura, offre la possibilità
di studiare qualsiasi alimento in condizioni diverse (es . crudo o cotto) e di saggiare
alimenti non disponibili tra gli estratti in
commercio (es. latti idrolisati).
I prick test possono essere effettuati fin
dai primi mesi di vita.1
29
Evidenze a confronto
Patch test
Test epicutaneo d’ipersensibilità ritardata la cui utilità è stata confermata in caso di dermatite atopica. Si esegue ponendo
l’ allergene in forma liquida su carta da
filtro e applicandolo sulla cute non lesa
per 48 ore.
La lettura del risultato va fatta dopo 30
minuti dalla rimozione del patch test.
Una risposta positiva è caratterizzata
da un eritema con infiltrazione. Il limite
maggiore di questo tipo di indagine è soprattutto metodologico dal momento che
la tecnica non viene giudicata ancora sufficientemente standardizzata.
Dosaggio IgE specifiche (RAST)
Test basato sul legame delle IgE al
l’ estratto allergenico adsorbito su una fase
solida e disponibile in soluzione. La ricerca delle IgE in vitro verso un determinato
allergene rimane il più utile tra i test di
laboratorio per la diagnosi delle malattie
allergiche da ipersensibilità immediata. Si
basa su metodiche immunoenzimatiche.
Si utilizza soprattutto in situazioni di non
concordanza tra anamnesi e test cutanei
e/o di sensibilità multiple.
La ricerca delle IgE nel siero rappresenta un test non influenzato dal grado di
cooperazione e da eventuale somministrazione di farmaci.
Esso trova indicazione principalmente
in patologie cutanee tali da impedire l’esecuzione degli STP, quando vi sia necessità di terapia antiistaminica o steroidea
continuativa per via sistemica o locale in
sede di esecuzione. Di contro esso risulta
tecnicamente più complesso (necessita di
un laboratorio analisi) e anche più costoso
rispetto agli STP.
Risultati falsamente positivi si possono
ottenere in presenza di:
– alti livelli di IgE totali ( >2000UI/l)
– legami monovalenti delle IgE per esempio in presenza di determinanti crossreattivi dei carboidrati (CCD)
– basso livello delle IgE specifiche in rapporto alle IgE totali.
La specificità e sensibilità del test per
differenti allergeni è superiore all’ 85%.
In generale i test in vitro presentano
una buona affidabilità diagnostica rispetto a quelli cutanei anche se in studi nei
quali il STP è stato accettato come gold
standard diagnostico, i test in vitro sono generalmente risultati meno sensibili,
specie per allergeni alimentari come la
soia o il grano.
sIgE e STP sono entrambi utili ed i loro
risultati sono in parte interscambiabili.
Tuttavia sebbene la presenza di un prick test positivo o le IgE nel siero indichino
che una persona ha le IgE specifiche (cioè
sensibilizzazione) ciò non significa che
l’esposizione all’allergene in questione
causi sintomi IgE mediati.
Nella pratica clinica si possono trovare
bambini con sensibilizzazione di basso
grado senza allergia clinicamente evidente.
Come per gli SPT i risultati devono
sempre essere interpretati in rapporto
alla storia clinica del paziente.2
IL PEDIATRA E LE “LE NOVITÀ” IN ALLERGOLOGIA
CLAUDIA ALESSANDRI
Centro di Allergologia Clinica e Sperimentale IDI - IRCC
Le malattie allergiche, in continuo aumento, interessano circa il 30% della popolazione italiana. L’obiettivo della diagnostica allergologica è identificare precocemente i pazienti allergici per attuare un’
idonea prevenzione, la migliore terapia
farmacologia secondo linee guida internazionali e, se indicata, l’ immunoterapia
specifica desensibilizzante.
L’algoritmo diagnostico nei confronti
di una reazione allergica IgE mediata
inizia con la raccolta di una storia clinica
30
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
dettagliata seguita da un attento esame
obiettivo, prosegue con l’ esecuzione di test
diagnostici in vivo e in vitro, se indicati, e
termina con la dimostrazione di un chiaro
rapporto causa effetto tra esposizione all’
allergene e comparsa dei sintomi.3
Gli estratti diagnostici finora utilizzati per l’ esecuzione di test in vivo (Prick
test) e in vitro (RAST) provengono da
fonti allergeniche definite. Gli estratti
possono presentare differente concentrazione di proteine allergeniche tra un lotto
e l’ altro, concentrazione che non viene
determinata né quantificata (µg/ml). Solo recentemente alcune aziende hanno
provveduto a fornire la concentrazione
di alcuni allergeni maggiori presenti, ma
non di tutti. Infine il limite insuperabile
di tale diagnostica consiste nell’ impossibilità di stabilire in un paziente con apparente polisensibilizzazione, se questa
sia dovuta ad una sensibilizzazione a più
allergeni diversi (cosensibilizzazione) o al
contrario ad una sensibilizzazione ad una
stessa molecola allergenica contenuta in
tutti gli allergeni testati (co - riconoscimento).
Diagnostica allergologica molecolare
Negli ultimi anni sono state caratterizzati a livello molecolare circa 700 organismi o tessuti tra i più importanti in quanto fonti allergeniche (www.allergome.org).
Il processo di identificazione e caratterizzazione delle fonti allergeniche ha portato
alla produzione e commercializzazione di
allergeni naturali estremamente purificati
e prodotti con tecnologia del DNA ricombinante. In tale modo la produzione dei reagenti base della diagnostica allergologica
può essere standardizzata, tramite la quantificazione ottimale di un unico preparato
(peso in grammi) potendo inoltre essere
prodotte grandi quantità di allergeni.
Le molecole allergeniche sono divise
in “genius” vere marcatrici di una determinata fonte (CUP 1 è la marcatrice
della allergia al polline del cipresso) e in”
panallergeni”, proteine condivise da fonti allergeniche anche tassonicamente tra
loro correlate responsabili di apparente
polisensibilizzazione ai test eseguiti con
estratti (es. la profilina è un panallergene
condiviso da pollini ed alimenti vegetali, il
suo riconoscimento da parte di un paziente allergico ai pollini causerà positività a
tutti i tipi di pollini e alimenti vegetali
testati, senza che necessariamente il paziente accusi sintomi alla loro esposizione). I test diagnostici con molecole possono
essere eseguiti in singleplex (una sola molecola per un singolo esame) o in multiplex
(più molecole allergeniche per un singolo
esame).
Vantaggi e svantaggi del test in singleplex/multiplex con molecole allergeniche
Ogni singola determinazione di IgE
specifiche, eseguita tramite estratto allergenico o allergene molecolare, richiede 50
microlitri di siero. Fornisce un dosaggio
delle IgE specifiche di tipo semi-quantitativo. Anche in questo caso la quantità
viene misurata secondo standard interni
non paragonabili tra loro, a seconda delle
aziende produttrici. Ogni determinazione in multiplex (microarray: più di una
proteina allergenica per un singolo esame) necessita solamente di 20 microlitri
di siero anche per testare 103 molecole
allergeniche come avviene con ISAC 103
della VC- Genomics (Vienna, Austria). In
questo caso ogni determinazione avviene
in triplicato viene cioè ripetuta tre volte
per un singolo allergene. Il costo complessivo di uno di questi esami è meno
elevato rispetto alle singole determinazioni eseguite con un sistema in singleplex
volto a testare ugual numero di allergeni,
fornisce una determinazione delle IgE
di tipo semiquantitativo determinate in
base a una specifica curva di riferimento.
Come accennato una fonte allergenica può
contenere allergeni “genius”, panallergeni
e proteine allergeniche minori che se pur
di scarsa importanza allergologica per la
maggior parte dei pazienti, potrebbero
rappresentare un importante allergene
per il nostro singolo paziente.
Nell’eseguire i test cutanei si esegue
un test in multiplex (più di un prick test
sullo stesso braccio) usando un gruppo
31
Evidenze a confronto
di estratti allergenici che per convenzione sono considerati statisticamente più
rilevanti. A volte caso per caso in base
all’anamnesi si testano inoltre altre fonti
allergeniche.
Con l’avvento della biologia molecolare
e della “Component Resolved Diagnosis”
4,5
si è capito come le fonti allergeniche, da
cui venivano elaborati gli estratti, contengono definiti gruppi di proteine con simili
identità di sequenza aminoacidica. Solo
identificando e testando le singole proteine presenti nelle fonti, si può delineare
l’esatta reattività allergologica (allergogramma) del paziente.
Se un paziente, infatti riconoscesse nella fonte proteica due gruppi diversi di proteine, non sapremo mai, testando la fonte,
a quale proteina è effettivamente allergico.
Tale conoscenza ha un’enorme importanza
dal punto di vista della prognosi e terapia,
in tal modo l’immunoterapia delle forme
respiratorie potrà divenire sempre più
mirata e tagliata su misura per il paziente. Relativamente all’allergia alimentare,
non solo è possibile comprendere quali
alimenti contengono proteine allergeniche
in grado di indurre anafilassi nel nostro
paziente, ma potrebbe rendere possibile
eliminare/modificare le singole proteine
allergeniche contenute in alcune fonti alimentari.6 Non va inoltre dimenticato come
la suddivisione in allergeni “maggiori” e
“minori” sia arbitraria, limitata a studi
statistici condotti in singoli paesi su un
limitato campione di pazienti.
Solo lo studio di vaste popolazioni, abitanti in più parti del mondo e pertanto
esposte a fonti allergeniche disparate e
a condizioni climatiche e di vita diverse,
potrà un giorno portarci a dichiarare quali
siano realmente gli allergeni maggiori e
minori e quale importanza epidemiologica
rivestano. In questi ultimi quattro anni
presso il centro di Allergologia Clinica e
Sperimentale dell’IDI di Roma, sono stati
esaminati e raccolti su uno specifico database, i dati clinici relativi a più di 41000
pazienti con problematiche allergologiche,
provenienti da tutto il territorio nazionale. I dati statistici relativi a un gruppo di
23000 pazienti testati tramite una tecno-
logia in multiplex per 76 molecole allergeniche sono in corso di pubblicazione.
Proprio in base alla nostra esperienza
fondata su una delle più ampie casistiche mai apparse in letteratura, possiamo
affermare che la diagnostica allergologica molecolare, condotta usando un sistema in multiplex (allergen microarray)
rappresenta oggi, un mezzo diagnostico
scarsamente invasivo, in grado non solo
di fornire un preciso profilo di sensibilizzazione del singolo paziente ma contemporaneamente in grado di fornire una
precisa valutazione epidemiologica della
popolazione studiata.
Conclusioni
L’aumento esponenziale delle patologie
allergiche in età pediatrica ha determinato un notevole incremento delle visite ambulatoriali pediatriche per bambini
presunti allergici.
Infatti ben nota è l’ansia dei genitori
di fronte alla possibilità di avere un figlio
allergico.
Inoltre differentemente da altre patologie pediatriche, la gestione del bambino
allergico risulta estremamente complessa .
Il bambino allergico deve essere curato , ma
soprattutto trattato a 360° gradi per la molteplicità degli interventi che, trascendendo
da quello strettamente farmacologico, si
intersecano a più livelli (ambiente, scuola,
alimentazione, stile di vita della famiglia).
Alla luce di queste considerazioni, il
pediatra svolge un ruolo cardine nell’iter
diagnostico. Infatti osservatore privilegiato della storia clinica e familiare del piccolo paziente sin dai primi giorni di vita,
è in grado di riconoscere precocemente le
manifestazioni allergiche e indirizzare tali
pazienti al collega allergologo.
Tale collaborazione permette di effettuare un approccio diagnostico specifico
per il singolo paziente, scegliendo per lui
il/i test allergologici più idonei alla luce
della anamnesi e della sintomatologia
clinica (riducendo cosi eventuali errori interpretativi) e conseguentemente un programma terapeutico personalizzato.
32
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr.ssa Elisabetta Tarquini,
U.O. Pediatria ed Ematologia Pediatria
Az. Osp. S. Camillo-Forlanini,
P.le Forlanini, 1
00151 - Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Rassegne
CALPROTECTINA FECALE: NUOVO MARCATORE BIOLOGICO
DELL’ATTIVITÀ INFIAMMATORIA NELLE PATOLOGIE ENTEROCOLICHE
FECAL CALPROTECTIN: NEW BIOLOGICAL MARKER
OF INFLAMMATORY ACTIVITY IN ENTEROCOLIC DISEASES
CLAUDIO GIANNELLI1, GABRIELLA PARISI2, VALERIO GIANNELLI3
1
UOC Gastroenterologia Riabilitativa 2 UOC Microbiologia e virologia AO S.Camillo-Forlanini,
Roma; 3Gastroenterologia II Università degli Studi “Sapienza”, Roma
Parole chiave: Calprotectina. Marcatore biologico.Attività infiammatoria. Malattie enterocoliche
Key words: Calprotectin. Biological marker. Inflammatory activity. Enterocolic diseases
Riassunto – Dolori addominali,distensione gassosa e diarrea sono i più comuni sintomi che i gastroenterologi possono osservare.Il principale problema è distinguere, in questi sintomi, la causa funzionale (intestino
irritabile) da quella organica come la malattia di Crohn, la colite ulcerosa o la diverticolite.
In queste situazioni per raggiungere la diagnosi possono essere eseguiti numerosi esami, delle feci,del sangue, indagini radiografiche ed infine la colonscopia. Queste tecniche risultano costose e come nel caso della
colonscopia invasive e non ben tollerate dai pazienti.Vi è quindi la ricerca di un test semplice, specifico e non
invasivo per determinare i segni dell’infiammazione intestinale.
Fra i test biologici quelli fecali hanno il vantaggio di aver la più alta specificità in quanto non modificati da
patologie extradigestive come avviene per quelli ematici e possono evitare l’esecuzione di esami invasivi.
La calprotectina, recentemente, si è dimostrata essere il più utile marker fecale della infiammazione, discriminando fra malattia funzionale ed organica, valutando l’attività di malattia nelle malattie infiammatorie
intestinali croniche (MICI) e monitorizzando la risposta al trattamento.
Abstract – Abdominal pain, bloating and diarrhoea are the most common disorders that are reported to
gastroenterologist. The main problem in these symptoms is the differentiation between functional (irritable
bowel syndrome, IBS) and organic gastrointestinal diseases such as Crohn’s disease, ulcerative colitis and
diverticulitis. In these situations many tests may be performed to assess the diagnosis: stool sample tests,
blood tests, x-rays and finally colonoscopy. These techniques are expensive and, as endoscopy, invasive and
not well tolerated by patients. Thus, there is a research of a simple, sensitive, specific and non invasive
marker to detect signs of intestinal inflammation and organic diseases.
Among biological tests, the fecal markers have the advantage of higher specificity for gastrointestinal diseases because their levels are not raised by extra-digestive diseases, as it is for serological tests and can avoid
invasive procedures. The calprotectin, recently, appears the most useful fecal marker of inflammation for
discrimination between organic vs functional disorders, to estimate disease activity in inflammatory bowel
diseases (IBD) and to check response to treatment.
Il quadro clinico caratterizzato da dolori addominali, meteorismo e modificazione
dell’alvo con prevalenza della diarrea,
costituisce la situazione che più frequen-
temente richiede la consultazione del gastroenterologo.
Purtroppo questo complesso sintomatologico è comune in molte patologie non
34
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
solo organiche, come la colite ulcerosa, la
malattia di Crohn e le flogosi acute del
tratto gastroenterico, ma anche funzionali
come la sindrome dell’intestino irritabile.
Soprattutto quest’ultima sindrome, definita nella tabella 1 secondo i criteri di
Roma del 20071 costituisce la situazione di
maggiore impegno, in quanto, priva di esami biologici o di immagine assolutamente
specifici, e costringe spesso ad un iter
diagnostico lungo ed articolato, costoso in
termini di impegno del paziente e spesso
anche in termini economici. Si calcola infatti che nel mondo industrializzato la sua
frequenza raggiunga il 30% della popolazione con una prevalenza quasi doppia nel
sesso femminile, interessando soprattutto
la fascia di età fra i 30 ed i 45 anni, peraltro caratterizzata da un notevole impegno
lavorativo2. In una recente indagine italiana, condotta dalla Associazione Italiana Gastroenterologi Ospedalieri, a cui l’
Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia Riabilitativa dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini di Roma ha
preso parte, circa il 70% degli intervistati
ha ammesso che tali sintomi modificavano
nettamente in senso peggiorativo la loro
qualità di vita.
Nonostante le classificazioni e gli iter
diagnostici proposti questo gruppo di pazienti necessita di una numerosa serie di
indagini biologiche e strumentali mirate
all’esclusione di una patologia organica responsabile della sintomatologia o ad essa
associata (Tab. 1).
Sotto la spinta di tale necessità si è cercato, negli anni più recenti, di individuare
test biologici che permettessero di discernere, senza ricorrere ad indagini invasive (endoscopia) anche in senso biologico
(radiologia), l’esistenza di una patologia
Tabella 1 – Criteri di Roma III (2007)
Discomfort addominale ricorrente per almeno tre gg
al mese negli ultimi tre mesi associato a 2 o più dei
seguenti sintomi:
A) Miglioramento con l’evacuazione
B) Comparsa associata a variazioni della frequenza
delle evacuazioni
C) Comparsa associata a variazioni della consistenza
delle feci
organica da quella funzionale del colon
irritabile.
Negli ultimi anni l’attenzione si è rivolta a marcatori fecali della flogosi, per
la facile disponibilità del campione in
questi malati e per la loro specificità, non
essendo influenzate da patologie di altri
organi come può invece avvenire per la
velocità di eritrosedimentazione (VES) o
la proteina C reattiva (PCR). Si sono quindi sottoposte a verifica clinica la determinazione della lattoferrina, dell’elastasi
e della calprotectina fecale. Soprattutto
quest’ultima appare essere il marcatore
biologico fecale di maggiore interesse.per
le sue caratteristiche di sensibilità e specificità non solo nella discriminazione fra
patologia organica e funzionale ma anche
per la possibilità di monitorizzare l’evoluzione della flogosi in rapporto alle terapie
messe in atto.
Caratteristiche biologiche della
calprotectina
La calprotectina è una proteina contenuta principalmente nei leucociti neutrofili (rappresenta il 60% delle proteine del
citosol), da cui viene secreta o rilasciata
con la morte cellulare.Composta da due
subunità ha capacità di legare il calcio
e lo zinco e svolge contemporaneamente
una azione batteriostatica ed immunomodulante sulle risposte Th1 con azione
similcitochinine3. Essa aumenta in varie
condizioni flogistiche ed è rilevabile nel
plasma, nelle urine, nelle feci, nel liquor,
nel liquido ascitico e nelle biopsie coliche.
Rappresenta un ottimo marker di infiammazione, particolarmente a livello
intestinale, nelle feci, per la sua termostabilità (permane per 6-7 gg a temperatura
ambiente) e per la sua resistenza alle
degradazioni batteriche4. Si correla con il
turnover dei leucociti nella parete e con il
loro passaggio nel lume intestinale come
dimostrano le esperienze comparate con
l’escrezione fecale di leucociti marcati con
Indio 1315.
Tra i tests in commercio sono disponibili due kits in ELISA che differiscono tra
loro per il tipo di anticorpo usato (mono-
C. Giannelli et al.: Calprotectina fecale
clonale versus policlonale). Esiste infatti
Calprotectina ELISA (Buhlmann, Basel,
Svizzera)che usa un anticorpo monoclonale e Calprotectina ELISA(Biopharm,
Darmstadt, germania) che usa anticorpi
policlonali.I due kits, secondo studi recenti, mostrano una buona correlazione e
accuratezza, anche se il test monoclonale
ha dimostrato una più alta specificità e
sensibilità.
Esiste, infine, un nuovo test di tipo
semiquantitativo immunocromatografico
(CalDetect Sophar) che permette una rilevazione estremamente rapida del risultato differenziato in tre soglie: T1 per valori
fino a 15 Microgrammi/gr (negativa) T2
per valori fra 15 e 60 indicativa di presenza di infiammazione e T3 oltre i 60
microgrammi indicativa di infiammazione
di grado elevato.
Uso clinico
Come già esposto, una delle maggiori esigenze, nell’ambito dell’attività gastroenterologica, è rappresentata dalla
possibilità di poter discriminare senza
ricorrere ad esami invasivi fra patologia
funzionale ed infiammatoria. Ciò assume
maggior risalto in considerazione dell’elevato impatto numerico della patologia funzionale intestinale nella pratica clinica.In
tal senso la calprotectina si rivela un test
particolarmente utile nell’individuazione
dei pazienti con malattie infiammatorie
intestinali croniche raggiungendo soglie di
sensibilità oltre il 90% e di specificità del
100%.(Schroder6. Anche Tibble7 ha dimostrato nelle sue esperienze, con un cut-off
di 30mg/L, una sensibilità del 100% ed
una specificità del 97%, nel distinguere
pazienti con malattia funzionale da quelli
affetti da malattia di Crohn, dimostrandone un miglior potere discriminante nei
confronti della PCR e della VES. Ciò è stato dimostrato anche con test di paragone
con l’escrezione fecale di leucociti marcati
con Indio 111. Anche una recentissima
esperienza di Langhorst8, dedicata al confronto della capacità discriminante fra
markers fecali (calprotectina, lattoferrina
ed elastasi leucocitaria) e PCR e VES, ne
conferma la validità con una accuratezza
35
diagnostica dell’80% versus il 64% della
PCR nelle malattie infiammatorie croniche intestinali.Particolarmente significativa appare anche l’esperienza di Sipponen9 che ha dimostrato in 77 pazienti la
superiorità del dosaggio fecale della calprotectina (con un cut-off di 200 microg/g),
nel predire la malattia endoscopicamente
attiva, CDEIS (Crohn’s Disease Endoscopic Index of Severity ) rispetto alla PCR e
al CDAI (Crohn’s Disease Activity Index).
In effetti la sensibilità, la specificità e il
valore predittivo positivo (PPV) sono risultate per la calprotectina dell’70%, 92%
e 94% versus l’48%, 91% e 91% della PCR.
La correlazione globale con il CDEIS ha
mostrato un p < 0.001.Un ulteriore dimostrazione di questa capacità discriminante
fra IBD (inflammatory bowel diseases) ed
IBS(irritable bowel sindrome) si è avuta
nel lavoro condotto da Seibold10 che in uno
studio prospettico condotto in 64 pazienti
con IBD, 30 con IBS e 42 controlli sani,
ponendo a confronto la calprotectinae la
lattoferrina fecale con il test del sangue
occulto immunologico, la PCR, ed il pattern ASCA e p-ANCA ha dimostrato una
accuratezza diagnostica nei primi due test
dell’89 e 90% versus il 74% del sangue
occulto, il 73% della PCR e del 49-55% dei
pattern ASCA e p-ANCA.
Il dosaggio fecale della calprotectina si
rivela particolarmente utile nello studio
delle popolazioni pediatriche con sintomi
gastrointestinali, ove il ricorso alle metodiche radiologiche ed endoscopiche risulta particolarmente gravoso. Nello studio
pubblicato da Fagerberg11 nel 2005, in cui
la determinazione fecale è stata confrontata, in 36 pazienti fra i 4 ed i 17 anni, con
i risultati istologici delle biopsie coliche, il
test ha rivelato una sensibilità del 95%,
una specificità del 93%, un valore predittivo positivo del 95% e predittivo negativo
del 93%, nel determinare l’infiammazione
colorettale. Una recente revisione della
letteratura, pubblicata da Gisbert12 per
un complessivo di 754 pazienti fra il 2000
ed il 2006, la calprotectina ha dimostrato
una capacita discriminante fra l’IBS e
l’IBD con una sensibilità totale dell’80% e
specificità del 76%. Una più approfondita
analisi dei dati ha dimostrato, inoltre, una
36
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
maggiore accuratezza diagnostica nella
malattia di Crohn rispetto alla colite ulcerosa con una sensibiltà dell’83% versus
il 72% ed una specificità dell’85% versus
il 74% . Anche l’esperienza condotta da
un gruppo spagnolo13 nel 2006 su un complessivo di 190 pazienti ha dimostrato una
elevata sensibilità (83%) e VPN (93%) nel
far prevedere una colonscopia patologica.
con livelli assolutamente più elevati nelle
malattie infiammatorie intestinali.Inoltre
da questo studio emerge che l’uso di antinfiammatori non steroidei può elevare le
concentrazioni fecali in assenza di lesioni
coliche.
Dato questo già anticipato in ambito
radiologico dall’esperienza di Hawthorne14 nel 2004, in cui la determinazione
della calprotectina fecale permise di predire in 73 pazienti consecutivi studiati
con clisma opaco tutti i casi con clisma
patologico. I pazienti in cui, pur essendo
la calprotectina patologica, il clisma non
aveva evidenziato lesioni, furono sottoposti ad una successiva indagine radiologica
sull’intestino tenue con evidenza di una
malattia di Crohn tenuale in 5 casi ed una
malattia celiaca nel restante caso. Infine
Van Roon15, nel 2007, ha pubblicato una
metanalisi su nove lavori di tipo prospettico, per un complessivo di 1210 pazienti,
dimostrando una capacità discriminante
della calprotectina fra IBS ed IBD con una
sensibilità del 95% ed una specificità del
91% con una maggiore accuratezza per la
malattia di Crohn.
Già nel 2000 Tibble7 aveva dimostrato
una ulteriore utilità della calprotectina
nella gestione delle malattie infiammatorie intestinali dimostrandone una elevata
sensibilità e specificità per il rischio della riacutizzazione.Peraltro, in un recente
lavoro di Costa16, pur venendo confermata l’elevata sensibilità di questo marker
per il rischio di recidiva in entrambe le
malattie, emerge una ridotta specificità
per la malattia di Crohn (43%) rispetto
alla colite ulcerosa 882%). Ciò può trovare
spiegazione in una analoga esperienza
italiana di Sturniolo17 condotta su 97 coliti
ulcerose e 65 malattie di Crohn, controllate per un anno, in cui si mantiene una elevata correlazione fra la calprotectina ed il
rischio di recidiva per la colite ulcerosa.
Nel caso della malattia di Crohn tale tipo
di correlazione si mantiene solo nel caso
delle localizzazioni coliche.
Ciò ha trovato ulteriore conferma in un
recente lavoro di Gisbert18 in cui 163 pazienti (89 m. di Crohn, 74 colite ulcerosa)
sono stati seguiti per oltre un anno dopo
un prelievo basale di calprotectina , effettuato dopo sei mesi di remissione clinica.
La concentrazione fecale di calprotectina
risultò estremamente più elevata nei pazienti che presentarono recidiva rispetto a
quelli ancora in remissione (239 microg/gr
vs 158). Inoltre il rischio di riacutizzazione risultò del 30% nei pazienti con calprotectina elevata e solo del 7% in quelli
con valori normali.Pertanto la sensibilità
e la specificità della dell’alterazione della
calprotectina oltre i 150 microg/gr risultarono essere entrambe del 69%. Un ulteriore e più dettagliato contributo al ruolo
che la determinazione di questa proteina
può rappresentare nella gestione clinica
della malattie infiammatorie intestinali,
si evince dall’ esperienza di Seibold19 pubblicata nel Maggio 2009.
In questa esperienza condotta su 134
pazienti affetti da colite ulcerosa, con
gruppo di controllo di 48 pazienti sani,
la calprotectina fu valutata assieme alla
PCR e alla conta dei globuli bianchi nei
confronti dello score endoscopico di Rachmilewitz. I livelli di calproteina risultarono estremamente bassi nei pazienti con
colite inattiva (42 microgr/gr), più elevati
(210 e 392 microgr) nelle forme lievi e
moderate per raggiungere valori oltre 10
volte più elevati nelle forme gravi (730
microgrammi). L’accuratezza totale risultò pertanto dell’89% per la calprotectina,
versus il 73% del Clinical Activity Index e
del 62% per la PCR.
Infine sempre nell’ambito della colite
ulcerosa l’esperienza di Satsangi20 in 90
pazienti con colite ulcerosa acuta grave
ha dimostrato nei 31 pazienti (34%) , non
responder al cortisone ed infliximab, e
che hanno richiesto la colectomia, valori
di calprotectina significativamente più
elevati (1200 microgr) che nei pazienti
responder (887 microgr) con un p=0.04.
Questa differenza di valori si presentava
37
C. Giannelli et al.: Calprotectina fecale
sia nel gruppo dei non responder al cortisone (1100 mcgr) vs i responder (863
mcgr), sia nel gruppo dei non responder
all’infliximab (1795 mcgr vs 920 mcgr). Il
complessivo di queste esperienze dimostra
che la determinazione fecale della calprotectina è utile oltre che nello screening
anche nella gestione clinica delle malattie
infiammatorie intestinali, permettendo di
prevederne il rischio di recidiva, e nell’ambito della colite ulcerosa il grado di gravità
clinica e di risposta alla terapia medica
con cortisonici e biologici.
Recenti esperienze del 2008 e 2009,
rispettivamente di Stein21 e di Aiello22, ne
dimostrano l’utilità anche nellea diagnosi
delle diarree di origine infettiva con una
sensibilità e specificità dell’83 e 87% e nel
campo della patologia diverticolare ove
livelli elevati di calprotectina sono stati rilevati nelle diverticoliti acute e nelle forme
sintomatiche non complicate, ma non nei
soggetti con diverticolosi asintomatica.
In considerazione dell’elevato impatto
numerico dei pazienti affetti da queste
patologie è evidente la notevole utilità
di questo test nel discriminare l’origine
infettiva nelle diarree acute e l’esistenza
dell’infiammazione in quelli affetti da diverticolosi.
Infine l’esperienza condotta da Hille23
su 20 pazienti sottoposti a terapia radiante pelvica, ha permesso di rilevare l’alterazione della sua concentrazione fecale nel
73% dei pazienti con documentata proctite
(p=0.04 vs assenza di proctite) con alterazione progressiva nel corso della terapia
e nelle 2 settimane successive al termine.
Anche in questo campo, seppur numericamente meno significativo, la calprotectina
fecale può rappresentare elemento di monitoraggio per la comparsa della complicanza proclitica e della sua evoluzione nel
tempo.
Conclusioni
La determinazione della concentrazione fecale della calprotectina con metodo
quantitativo ed ancora più recentemente
con metodo rapido semiquantitativo costituisce un valido ausilio nella pratica
clinica per discernere le enterocolopatie
organiche da quelle funzionali. La sua
validità dimostrata con esperienze specifiche nelle diarree infettive e nella malattia
diverticolare può implicare, data l’elevata
diffusione di queste patologie, un notevole risparmio economico nella gestione di
questi pazienti. La sua determinazione
si rivela, noltre, utile della gestione delle malattie infiammatorie intestinali, soprattutto in quelle a localizzazione colica,
permettendo di valutarne il grado di attività e la risposta alle terapie anche nelle
forme di maggiore gravità in cui tassi oltre
i 1000 mcgr sono fortemente suggestivi
per pazienti non responder candidati alla
colectomia.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr.Claudio Giannelli
E-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
IPOGONADISMO NELL’ANZIANO*
HYPOGONADISM IN ELDERLY
FERDINANDO VALENTINI
Parole chiave: Ipogonadismo. Anziani
Key words: Hypogonadism. Elderly
Epidemiologia
L’Andropausa è la condizione di progressiva riduzione dei livelli ematici del
testosterone che si verifica con il progredire dell’età. Attualmente esistono evidenze inconfutabili che l’invecchiamento
determina una riduzione dei livelli di
testosterone e in generale degli androgeni circolanti. Fin dal 1980, infatti, studi
epidemiologici hanno evidenziato questo
aspetto della fisiopatologia della gonade
maschile. Ne sono un esempio lo studio
promosso dall’Istituto Nazionale dell’Invecchiamento statunitense, the Baltimore
Longitudinal Study del 1980 ,uno studio
australiano del 1976 , uno studio europeo
di Vermeulen del 1991 ed un recentissimo
studio longitudinale americano, the Massachusetts male aging study del 2002 (1).
Fisiopatologia ed eziopatogenesi
L’Ipogonadismo con bassi livelli di Testosterone che viene descritto con l’invec-
chiamento (ADAM: Androgen Deficiency
in Aging Male), può essere il risultato sia
di una insufficienza primaria testicolare
che di una insufficienza secondaria ipotalamo-ipofisaria.
Nei soggetti maschi sani i testicoli producono il 95% degli Androgeni circolanti
ed in particolare del Testosterone. La
quantità è pari a 5-10 mg. di Testosterone al giorno. Il corticosurrene produce il
restante 5%, sotto forma principalmente
di Deidroepiandrosteone (DHEA). L’ adenoipofisi produce l’ormone luteinizzante
(LH) che regola la sintesi e la secrezione di
testosterone testicolare e l’ormone follicolostimolante (FSH) che invece governa la
maturazione degli spermatozoi a partire
dagli spermatogoni. Il testosterone a sua
volta viene metabolizzato in diidrotestosterone (DHT) da parte dell’enzima 5α
reduttasi e aromatizzato ad estradiolo ad
opera della aromatasi. Nell’Andropausa
come abbiamo già osservato i livelli di
testosterone si riducono in modo graduale
a differenza della menopausa dove invece
*Relazione tenuta al Convegno “Ormoni e Invecchiamento”.Aula Magna Ospedale Forlanini, Roma, 2 Ottobre 2008
40
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
la riduzione dei livelli di estrogeni è sicuramente più netta con una finestra temporale più ridotta. Inoltre la produzione
di spermatozoi, regolata principalmente
dell’FSH, non è parallelamente compromessa e così anche la fertilità che può rimanere integra con il passare degli anni .
La deprivazione a lungo termine degli Androgeni determina effetti simili a quella
degli estrogeni nella donna. Quindi osteoporosi, riduzione della massa muscolare,
variazioni cognitive, sono eventi frequenti
nell’Andropausa.
La tabella 1 sintetizza le alterazioni
anatomiche e le variazioni ormonali testicolari associate all’invecchiamento maschile.
Manifestazioni cliniche della
Adam
Come per la menopausa, anche per
l’andropausa, vi è una grande variabilità
Tabella 1 - Alterazioni anatomiche e ormonali
testicolari nell’invecchiamento maschile
Anatomia
*Riduzione della grandezza e del peso dei testicoli
*Riduzione del numero delle cellule di Leydig
*Vacuolizzazione e accumulo di lipofuscina nella cellule di
Leydig
*Aterosclerosi dei vasi testicolari
*Degenerazione non uniforme dei tubuli seminiferi
*Fibrosi peritubulare
*Riduzione della maturazione degli spermatozoi
*Alterazione della morfologia degli spermatozoi
*Ispessimento della membrana basale dei tubuli seminiferi
*Riduzione del numero delle cellule di Sertoli
Fisiologia
*Riduzione del Testosterone totale
*Aumento della SHBG
*Riduzione del Testosterone libero e del Testosterone le
gato all’Albumina
*Riduzione minima del Diidrotestosterone
*Riduzione del DHEA e del suo Solfato (DHEAS)
*Minime variazioni del livelli di Estradiolo ed Estrone
*Ridotta risposta dell’LH al GnRH
*Livelli di LH invariati
*Ridotti livelli di Inibina testicolare
*Aumento dei livelli di FSH
dell’intensità della sintomatologia. I sintomi transitori comprendono modificazioni
del tono dell’umore, come ad esempio del
“livello di energia” e della sensazione di
benessere, nonché modifiche della funzione sessuale in termini sia di libido che di
attività erettile peniena. I potenziali effetti a lungo termine del deficit di androgeni
comprendono osteoporosi, riduzione della
massa muscolare ed alterazioni cognitive.
La correlazione tra sintomi e loro gravità
e livelli ematici di testosterone è molto
variabile ed è tuttora oggetto di ricerche
nell’ambito del cosiddetto “ipogonadismo
relativo”o sindrome PADAM (Partial Deficiency Androgen in Aging Male) (2).
Quindi la maggioranza dei soggetti affetti
da sindrome ADAM in realtà consulterà
il proprio medico di base per problemi
inerenti la sfera sessuale o per sintomi
“vaghi e generici” quali:astenia e debolezza muscolare, facilità all’affaticamento o
per disturbi inerenti la sfera psichico-cognitiva. Il più delle volte l’osteoporosi è un
problema ignorato dal paziente che quasi
mai si sottopone volontariamente (come di
solito fa la donna in menopausa) ad una
valutazione della densità ossea con una
MOC.
Esami di laboratorio
La maggior parte dei laboratori considera normali livelli di testosterone totale
compresi tra 260 e 1.000 ng/dL e livelli
di testosterone libero tra 50 e 210 ng/Dl.
Nel 2005 le principali Società scientifiche
europee (ISA-ISSAM e EAU) e nel 2006
l’’Endocrine Society statunitense nel tracciare le linee-guida per la terapia ormonale sostitutiva hanno sottolineato con forza
la necessità di eseguire il dosaggio del
testosterone totale rispetto a quello libero,
in quanto nessun metodo commerciale
attualmente a disposizione dei laboratori
è affidabile. Infatti i kits commerciali per
la determinazione del testosterone libero,
sottostimano i valori circolanti fin anche
del 100% e l’unica metodologia valida è
quella che utilizza l’equilibrio alla dialisi e
che è appannaggio esclusivo di laboratori
di ricerca clinica.(3-4) Il valore inferiore
F. Valentini: Ipogonadismo nell’anziano
di testosterone totale, al di sotto del quale
porre diagnosi di ADAM, è stato fissato
in 200 ng/dL. La determinazione dei livelli di FSH e LH è utile per la diagnosi
differenziale tra ipogonadismi primitivi
da danno testicolare con elevati livelli di
FSH e/o LH ed ipogonadismi secondari a
danno ipotalamo-ipofisario con livelli bassi o inappropriatamente normali di FSH
e/o LH. In quest’ultima evenienza è utile
anche la determinazione della Prolattina
(3 prelievi, 1 ogni 20 minuti, dopo almeno
2 ore dal risveglio), del TSH, dell’FT4,
del cortisolo al mattino al risveglio ed,
eventualmente, una RMN della regione
ipotalamo-ipofisaria con mezzo di contrasto paramagnetico (Gadolinio). La tabella
2 sintetizza le patologie da considerare
nella diagnosi differenziale.
Valutazione clinica e questionari
per lo screening
Una raccolta anamnestica ed un esame
obiettivo accurato costituiscono importanti aspetti della valutazione clinica di un
paziente con ADAM. Nel corso dell’anamnesi è importante indagare circa la diminuzione della libido, distinguendo questa
condizione dal deficit erettile. Una perdita
della capacità di erezione al mattino al
risveglio può essere indicativa di ipogona-
41
dismo. Le condizioni cliniche che entrano
in diagnosi differenziale sono già state
sintetizzate nella tabella 2.
L’esame obiettivo deve comprendere
la determinazione del peso e dell’altezza,
dell’indice di massa corporea, il rapporto
fianchi-anche, la misurazione del “giro-vita” e la eventuale valutazione del rapporto
massa magra/massa grassa. La cute va
esaminata alla ricerca di segni d’iperestrinismo (ad es. presenza di teleangectasie
tipo “spider nevi”). Il volto, le ascelle e
il pube vanno osservati per valutare la
perdita di peli. Le dimensioni dei testicoli
possono essere misurate con l’orchidometro di Prader. Anche un esame rettale per
la valutazione della prostata dovrebbe far
parte dell’esame obiettivo iniziale. Per la
individuazione del deficit di androgeni nel
maschio anziano sono stati proposti molti
questionari più o meno validati. Tra gli
altri ricordiamo:
* Geriatric Depression Scale.
* Folstein Mini-Mental State Examination.
* St.Louis University ADAM Questionniare (5).
In tabella 3 il questionario che attualmente sembra essere il metodo più
sensibile per la valutazione clinica della
sindrome ADAM.
Tabella 3 - The St. Louis university androgen
deficiency in aging male questionniare
Tabella 2 - Diagnosi differenziale di sindrome
Adam
*Obesità
*Malattie croniche quali: diabete mellito, insufficienza
renale cronica, cirrosi epatica, anemia
*Depressione
*Diminuzione dei livelli di albumina in caso di: denutrizione, etilismo cronico
*Stress acuti: interventi chirurgici maggiori, gravi ustioni, infarto miocardio acuto
*Altre malattie endocrine: sindrome di Cushing, ipotiroidismo
*Farmaci in grado di interferire con sintesi, secrezione e
metabolismo degli androgeni
*Tumori della regione ipotalamo-ipofisaria: macroadenomi ipofisari, craniofaringiomi, meningiomi
*Malattie infiltrative croniche della regione ipotalamoipofisaria: emocromatosi, istiocitosi X
*Sindrome di Kallmann, sindrome di Klinefelter
01. Hai notato una riduzione della libido e/o dell’erotismo?
02. Hai notato una riduzione o assenza di energia fisica?
03. Hai notato una riduzione della forza muscolare e/o
della resistenza alla fatica fisica?
04. Hai notato una riduzione della tua altezza?
05. Hai notato una sensazione di una ridotta “gioia di
vivere”?
06. Ti senti “infelice” e/o “di cattivo umore”?
07. Hai notato erezioni meno potenti o deficit di erezione
o perdita di erezioni durante il rapporto?
08. Hai notato una recente difficoltà nella tua capacità
fare sport?
09. Hai notato la comparsa di insonnia?
10. Hai notato una recente incapacità a svolgere correttamente il tuo lavoro?
**Risposte affermative alla domanda 1 o 7 o a 3 delle
altre suggeriscono un deficit di androgeni nell’anziano
42
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
Tabella 4 - Controindicazioni assolute e relative della terapia ormonale sostitutiva con
testosterone nella Adam
Controindicazioni assolute
*Cancro della prostata pregresso o in fase attiva (ricercare un eventuale cancro “occulto”)- Ipertrofia prostatica
benigna
*Cancro della mammella
*Sleep Apnea Syndrome
*Valori preterapia di Ematocrito > al 50%
*Valori preterapia di PSA totale > 4 ng /mL
Controindicazioni relative
*Scompenso cardiaco congestizio non emodinamicamente stabile (Classe III/IV NYHA)
*Insufficienza renale cronica con VFG < al 50% della
norma
*Insufficienza epatica grave
*Obesità grave (BMI > 35)
*Diabete mellito in terapia con insulina e/o in scarso
compenso metabolico
*Pazienti in terapia con anticoagulanti orali dicumarolici
*Pazienti in terapia con dosi farmacologiche di corticosteroidi
*Pazienti con storia familiare o personale di malattie
tromboemboliche
Terapia ormonale sostitutiva del
deficti di androgeni con testosterone
La Tabella 4 sintetizza le controindicazioni assolute e relative, da valutare nel
singolo caso clinico, alla terapia ormonale
sostitutiva della sindrome ADAM.
Quale testosterone utilizzare nella terapia
La tabella 5 sintetizza i farmaci in
commercio in Italia utilizzati per la terapia sostitutiva delle sindromi da deficit di
androgeni.
Attualmente il farmaco più “fisiologico”
è rappresentato dall’Undecanoato di Testosterone iniettabile veicolato in olio di
castoro (Nebid®) che è in grado di mantenere livelli costanti di Testosterone ematico in un range di normalità per l’intero
intervallo di somministrazione compreso
tra 90 e 45 giorni. I preparati di Esteri di
Testosterone “più datati” infatti presentano tutti lo stesso problema,alti livelli
plasmatici di testosterone durante i primi
Tabella 5 - Farmaci in commercio in Italia per
la terapia del deficit di androgeni
Via Orale (Undecanoato di testosterone)
ANDRIOL®
compresse 40 mg.
Via Intramuscolare (Esteri del testosterone)
TESTO ENANT®
fiale 100 e 200 mg.
TESTOVIS®
fiale 100 mg.
TESTOVIRON ®
fiale 100 e 250 mg.
SUSTANON®
fiale 250 mg.
NEBID®
fiale 1000 mg
Via Transdermica (Testosterone)
ANDRODERM®
cerotti 2.5 mg./24 ore
ANDROGEL®
bustine 50 mg.
TESTOGEL®
bustine 50 mg.
TESTIM®
dose 50 mg
giorni dopo la somministrazione e bassi
valori al termine del periodo iniettivo.
Monitoraggio della terapia con
testosterone
Si consigliano controlli a 3-4 mesi dall’inizio della terapia sostitutiva e successivamente ogni 6-12 mesi. Gli esami
indispensabili per un buon follow-up del
paziente sono rappresentati da:
*Dosaggio del Testosterone totale
Esteri iniettabili
Prelievo al medio-periodo: valori ideali
tra 400 e 600 ng/dL
Prelievo al nadir: valori ideali tra 250
e 300 ng/dL
Preparati transdermici in gel
Prelievo al mattino del XVI giorno
dall’inizio della somministrazione: valori
ideali > 300 ng/dL.
*Monitoraggio del PSA totale
I livelli di PSA totale dovrebbero essere
determinati prima della terapia e successivamente a 3, 6, 12 mesi. I controlli
successivi devono essere effettuati ogni 6
mesi. I fattori da considerare sono: percentuale di variazione del PSA e livelli assoluti raggiunti dal PSA. Se i livelli di PSA
aumentano più di 1.5 ng/mL l’anno o se il
valore assoluto raggiunto dal PSA supera
i 4 ng/mL si deve effettuare una ecografia
prostatica transrettale. Utile comunque un
esame rettale dopo 3 e 6 mesi di terapia.
*Ematocrito
L’incremento dell’ematocrito, meno
evidente con i preparati transdermici ri-
43
F. Valentini: Ipogonadismo nell’anziano
spetto alle preparazioni iniettabili, deve
essere mantenuto inferiore al 50% con
valori di testosterone nel range medio di
normalità.
*Esami di chimica clinica
*AST / ALT
*Colesterolo totale/HDL/LDL/Trigliceridi
*Fibrinogeno / PTT / INR / Antitrombina III.
2.
3.
4.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr.Ferdinando Valentini
U.O. Endocrinologia
Az. Osp. S. Camillo-Forlanini,
P.le Forlanini, 1 - 00151 Roma
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
MALATTIA OSSEA DI PAGET*
PAGET’S BONE DISEASE
GIOVANNI COPPI, PAOLO ZUPPI, ENRICO FIDOTTI
U.O. Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Specialistica
Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma
Parole chiave: Malattia ossea di Paget. Bisfosfonati
Key words: Paget’s bone disease. Bisphosphonates
Descritta per la prima volta dall’inglese sir James Paget nel 1877 come “Osteitis
deformans”, è una malattia cronica dello
scheletro caratterizzata da un esagerato riassorbimento osseo da parte degli
osteoclasti, con irregolare neoformazione
ossea osteoblastica.Ha decorso lento, spesso asintomatico, che può determinare ingrandimento e deformazione di uno o più
distretti scheletrici, dolore, fratture e nei
casi più gravi compromissione neurologica
e cardiovascolare1,2.
nel 15-40% dei pazienti pagetici c’è una
familiarità positiva per l’affezione, ma
non è stata identificata alcuna mutazione nelle famiglie studiate e neppure nei
casi sporadici6. Nonostante il riscontro
negli osteoclasti di microfilamenti simili
ad inclusioni virali riferibili alla famiglia
dei Paramyxovirus, l’eziologia virale non
è stata confermata7. Probabilmente è in
gioco un’alterata risposta infiammatoria
ad una infezione da virus lenti, dovuta ad
una predisposizione genetica.
Epidemiologia
Fisiopatologia
Poiché solo il 5-10 % dei casi è sintomatico, è verosimile che i dati epidemiologici
attuali ne sottostimino la prevalenza3. È
abbastanza rara nelle popolazioni asiatiche, meno rara nella razza afro-americana, comune nella caucasica con ampia
variabilità geografica: in Europa, in soggetti di età superiore ai 50 anni d’ambo i
sessi, si passa dallo 0,5% della Grecia al
5% dell’Inghilterra. In Italia la prevalenza
delle forme sintomatiche si aggira intorno
all’1%4. I pazienti giungono all’osservazione clinica quasi sempre dopo i 40 anni,
con prevalenza crescente con l’età; la patologia prevale nel sesso maschile con rapporto che varia da 1,4 a 3 uomini /donna a
seconda delle diverse casistiche5.
La malattia è caratterizzata da un accresciuto riassorbimento osseo, con osteoclasti aumentati di numero e di volume,
cui fa seguito un incremento della formazione con rimodellamento caotico operante
al di fuori dei meccanismi fisiologici di regolazione, quali carico meccanico ed omeostasi minerale. L’Osteite di Paget è un
caso paradigmatico di disaccoppiamento
tra riassorbimento e neoformazione ossea,
infatti se prendiamo in esame le unità
multicellulari di base (BMU) presenti nei
siti scheletrici di rimodellamento possiamo osservare la corrispondenza dei due
processi nell’unità di luogo. In altre parole
in ogni BMU si realizza prima il riassorbimento, piuttosto rapido, ad opera degli
osteoclasti e successivamente, nella stessa
sede, la formazione, più lenta, di nuovo
osso da parte degli osteoblasti. Il risultato
è il pieno ripristino della trabecola ossea se
gli osteoblasti colmano la lacuna creata da-
Etiopatogenesi
L’eziologia è tuttora sconosciuta. Studi epidemiologici hanno evidenziato che
*Relazione tenuta al Convegno “Ormoni e Invecchiamento”. Aula Magna Ospedale Forlanini, Roma, 2 Ottobre 2008
45
G. Coppi et al.: Malattia ossea di Paget
gli osteoclasti, oppure perdita di sostanza
ossea se il ripristino non è completo, come
nell’Osteoporosi. L’osso pagetico, sebbene
abbia un volume superiore alla norma e
sia riccamente vascolarizzato, a causa del
sovvertimento della struttura architettonica e della mineralizzazione, ha una scarsa
efficienza biomeccanica. Tali alterazioni
possono condurre alla compressione delle
strutture presenti all’interno e all’intorno
dell’osso, a deformazioni, ad alterazione
dei carichi articolari con osteoartrite secondaria e a fragilità con fratture8.
Sebbene il processo patologico si sviluppi come un “continuum”, vengono schematicamente individuate 3 fasi:
1. osteolitica: numerosi osteoclasti presenti sulle superfici trabecolari e nell’osso corticale determinano un intenso
riassorbimento; contemporaneamente
osteoblasti cominciano a produrre matrice ossea la cui architettura non è ben
organizzata in ordinate lamelle ma ha
2. aspetto cotonoso, disorganizzato, a cellularità mista ed elevato turnover che
prelude alla
3. fase sclerotica, caratterizzata da trabecole rarefatte e ispessite con aspetto “a
mosaico”.
Diagnosi
Nella maggioranza dei casi la malattia
decorre in modo asintomatico ed è sospettata per il riscontro occasionale di livelli
elevati di fosfatasi alcalina, oppure per il
rilievo di lesioni ossee nel corso di indagini
radiografiche eseguite per altri motivi. Le
forme sintomatiche, non più del 5 –10%,
sono caratterizzate da dolore osseo generalmente moderato, persistente e poco influenzato dal carico, presente nel 50-60%
dei casi, da dolore articolare nel 40-50%,
da tumefazione calda nel 30%, da deformità scheletrica nel 20-30%. Meno frequenti
sono l’aumento di volume del cranio, l’interessamento di strutture nervose con dolore di tipo radicolare, cefalea, sordità. Il
tipo di presentazione clinica cosi’ sfumata
e proteiforme rende ragione della sottostima dell’affezione, facilmente confusa con
patologia degenerativa osteoarticolare o
neurologica La sintomatologia dolorosa
può essere dovuta a cause diverse: al-
l’aumentata vascolarità, alle alterazioni
periostali dovute ad esagerato rimodellamento osseo, a microfratture o a mialgia
dovuta alle angolazioni abnormi delle ossa
deformate. Le deformità del cranio possono riguardare la volta con prominenza
delle bozze frontali o dei corpi mascellari, oppure la base cranica con possibile
impegno del foro occipitale (idrocefalo,
compressione del tronco). L’osso pagetico
può comprimere i nervi cranici all’emergenza dai rispettivi forami: a rischio sono
soprattutto il nervo ottico e l’acustico. Il
rigonfiamento progressivo delle ossa lunghe, quando presente, interessa quelle
maggiormente sottoposte a carico (femore,
tibia), è generalmente monolaterale, ricoperto da cute più calda ed è per solito così
lento che spesso neanche il paziente riesce
a notarlo. La stessa deformità pagetica
può danneggiare i distretti articolari adiacenti con risultato in artrosi.9,10
Indagini di laboratorio e strumentali
La fosfatasi alcalina (ALP) e l’isoenzima
osseo (Ostase) consentono di confermare
il sospetto clinico o di individuare forme
asintomatiche, sebbene l’ALP possa risultare nei limiti della norma nel 15% dei casi.
La calcemia e il PTH non sono alterati.
Fra i marcatori del turnover osseo PINP
(peptide N-terminale del procollagene di
tipo I) marker di formazione e Cross Laps
(telopeptide C-terminale del collagene di
tipo I) marker di riassorbimento, sembrano
possedere un discreto grado di sensibilità.
Le radiografie ossee generalmente sono diagnostiche, dimostrando lesioni di
tipo osteolitico con il peculiare fronte di
riassorbimento a “V” più frequentemente
riscontrabile a livello tibiale, alternate
ad aree di sclerosi per eccesso di attività osteoblastica. Altre caratteristiche del
Paget sono l’aumento di volume dell’osso,
l’ispessimento della corticale, l’aspetto cotonoso, le aree di sclerosi focale o diffusa
(vedi Fig.1). Sono soprattutto le lesioni di
tipo esclusivamente sclerotico a porre serie difficoltà diagnostiche (vedi Tab.1).
La scintigrafia ossea utilizza come tracciante un bisfosfonato marcato con 99Tc o
18
F, ha minore specificità e maggiore sensibiltà rispetto alla radiologia, consente
46
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
Tabella 1 - Affezioni che pongono problemi di
diagnostica differenziale con il Paget
Osteoslerosi
generalizzata
Metastasi
ossee*
Mielosclerosi
Osteodistrofia
renale
fluorosi
Displasie
ossee:
1.iperfosfatasia
2.displasia
fibrosa
poliostotica
Osteosclerosi
focale
Metastasi ossee*
Linfoma
Mielosclerosi
Ipotiroidismo
Osteomielite
Emangioma
Tumore osseo
Displasia fibrosa
monostotica
Spondilite
anchilosante
Osteite
condensante
Osteolisi focale
Metastasi
Mieloma
Cisti
Displasia fibrosa
monostotica
Tumore a cellule
giganti
Sarcoma
Tumore bruno
Da SIOMMMS: linee guida della M. di Paget ossea.
* = Prostata, Mammella, Polmone, Pancreas
Fig. 1 - Quadro radiografico delle lesioni pagetiche
del cranio. (Da Gennari C., Avioli L.V)12
di valutare l’estensione della malattia e
fornisce indicazioni sulla sua attività. Particolari elaborazioni delle metodiche scintigrafiche (quantitativa, semiquantitativa)
hanno importanza scientifica o per singoli
casi, ma non offrono vantaggi sostanziali
sulla valutazione dell’attività di malattia.
RMN e TC trovano applicazione nella
valutazione delle complicanze neurologiche
o nel sospetto di evoluzione sarcomatosa.
La biopsia ossea, utile in caso di diagnosi incerta, può comportare problemi di
diagnostica differenziale con l’ Osteosarcoma paraosteale e l’Osteosarcoma centrale
“low grade”.
Complicanze
Oltre a deformità, osteoartrosi ed alterazioni neurologiche, la peculiare architettura dei siti colpiti rappresenta un elemento
di fragilità che espone a frattura; il relativo callo osseo presenta quasi sempre le caratteristiche anatomo-patologiche proprie
del Paget, rendendo la guarigione molto
lenta con il rischio di mancata saldatura.
Nel paziente pagetico l’evento fratturativo,
al pari di altre patologie che impongano un
lungo periodo di immobilizzazione, espone
al rischio di ipercalcemia ed ipercalciuria,
possibili cause di danno renale. Poiché il
tessuto pagetico è riccamente vascolarizzato, in caso di malattia poliostotica si può
realizzare una sindrome ad alta gittata
che può rivelare una cardiopatia fino ad
allora asintomatica o in buon compenso.
Altre complicanze dell’elevato turnover
osseo sono l’iperuricemia e la gotta le cui
manifestazioni artritiche pongono difficoltà diagnostiche con la gotta primaria e con
altre artropatie. Infine l’aumentata incidenza di neoplasie, stimata globalmente
intorno al 10%, con forme maligne in netta
minoranza (0,7-1%) rappresentate per lo
più da osteosarcomi, da fibro e condrosarcomi. Sono più frequenti nel sesso maschile e nelle forme poliostotiche, interessano
maggiormente la pelvi, il femore e l’omero,
e sono caratterizzati da una netta accentuazione della sintomatologia dolorosa e
da lesioni radiologiche di tipo osteolitico.
Terapia
È basata sull’uso di farmaci capaci di
normalizzare l’attività degli osteoclasti pagetici al fine di ridurre il turnover osseo e
di mantenerlo stabilmente nei limiti, con
conseguente attenuazione del dolore e riduzione del rischio di complicanze11. In virtù
di questa considerazione e dell’incremento
dell’aspettativa di vita, la tendenza attuale
è di trattare tempestivamente i pazienti, anche se manca l’evidenza di trial clinici dimostrativi della riduzione delle complicanze
dopo riduzione del turnover osseo.
In sintesi il trattamento deve essere
riservato ai pazienti:
1. più giovani, per il più alto lifetime risk
di sviluppare complicanze;
2. con elevato grado di attività (+++ fosfatasi alcalina, estensione e gravità delle
lesioni ossee);
3. nei quali i siti scheletrici coinvolti sono in prossimità di capi articolari o di
strutture nervose (base cranica) oppure
riguardano distretti sottoposti al carico.
Il trattamento si fonda su vari agenti;
la Tab. 2 indica quelli di cui è stata dimostrata l’efficacia.
47
G. Coppi et al.: Malattia ossea di Paget
La Calcitonina agisce riducendo il turnover osseo di circa il 50%, indipendentemente dalla dose impiegata, ma solo per
pochi mesi. Possiede un effetto antidolorifico dal meccanismo ancora sconosciuto,
e poiché non sono stati ancora adeguatamente valutati i risultati ottenuti tramite
la via nasale è opportuno somministrarla
per via sottocutanea alla posologia di almeno 50 UI/die. Gli effetti collaterali (nausea, flushing) relativamente frequenti e
le considerazioni precedenti ne limitano
l’uso alle forme più lievi. La Calcitonina in
fiale è prescrivibile con nota 41 AIFA13.
I Bisfosfonati (BPs) sono potenti inibitori dell’attività osteoclastica e del turnover
osseo; l’efficacia e la durata di remissione
dipendono dalla dose totale somministrata
piuttosto che dalla modalità di somministrazione e la sensibilità generalmente rimane invariata nel tempo, senza resistenza
crociata tra i vari BPs. Nonostante abbiano
più o meno tutti dimostrazioni di efficacia
per il M. di Paget, in Italia solo l’ac. etidronico, risedronnico, neridronico, pamidronico, zoledronico. hanno attualmente l’indicazione per questa malattia e solo l’Etidronato è prescrivibile con nota 42 AIFA.
I BPs vantano una diversa potenza. L’ac.
etidronico è in grado di ridurre il turnover
osseo di circa il 40-60%, deve essere assunto per via orale al dosaggio di 400 mg/die
(5 mg/kg) per 6 mesi, seguiti da almeno 6
mesi di sospensione per evitare difetti di
mineralizzazione responsabili di Osteomalacia e fratture, dovuti alla stretta finestra
terapeutica di questo farmaco che, per tali
motivi, va riservato alle forme lievi.
L’ac. pamidronico, circa 100 volte più
potente, è somministrato per via e.v. 30
mg la settimana per 6 settimane (dose
totale 180 mg), oppure 60 mg e.v. ogni 15
giorni (dose totale 210 mg); per le forme
di grado severo il dosaggio complessivo è
di 360 mg, per quelle di grado moderato
possono essere sufficienti dosi minori14.
L’infusione endovenosa, deve essere
eseguita con 500 ml di soluzione fisiologica o glucosata al 5% in non meno di 2 ore,
al fine di evitare che microaggregati di
bisfosfonato di calcio precipitino nei tubuli
renali innescando un’insufficienza renale
acuta o una sindrome ipocalcemica. Si può
presentare una “reazione di fase acuta”
caratterizzata da febbre ed artromialgie
che abitualmente non supera le 48 ore e
che per solito è limitata alla prima somministrazione. L’ac. risedronico è oltre 1000
volte più potente dell’etidronato, viene
somministrato per via orale alla dose gior-
Tabella 2 - Farmaci attivi nel trattamento del M. Paget e in commercio in Italia
Posologia
Calcitonina
50-100 IU/die im o sc
Durata
Controindicazioni
Effetti collaterali
Indefinita
Ipersensibilità
Nausea, vomito,flushing
Ac. etidronico
400 mg/die per os (5mg/kg)
6 mesi
Ipersensibilità
Osteomalacia
(reversibile all’interruzione)
Diarrea, Nausea, ↑ PO4
Ac. pamidronico
300 mg/settimana
e.v. infusione [*] 500 ml salina
o glucosata 5%
60 mg/15giorni i.v. come
-sopra
Ac. risedronico
30 mg/die per os
6 settimane
Ipersensibilità
dose totale mg Ins. Renale
180
Dose totale
mg 210
2-3 mesi
ripetibile
Ipersensibilità
Ins. Renale
Reazione di fase acuta
Ipocalcemia [*]
Ins. renale [*]
Idem
Disturbi gastroenterici
Ac. zoledronico
5mg e.v. in ≥ 15 min. previa Una tantum
Ipersensibilità
Reazione di fase acuta (molto comuni),cefalea,le
idratazione +
Ins. renale
targia,dispnea,diarrea, nausea, dispepsia, dolore
Calcio mg 1000 /die + vit. D
osseo, artralgia, mialgia, ipocalcemia (comuni)
Ac. neridronico
100 mg/die 2gg. consecuitvi 2 mg/kg p.c.
Ipersensibiltà,
Precauzioni generiche per i bisfonati
in ml 250-500 e.v. lenta
ogni 3 mesi
Ins. Renale
(>2 ore)
[*] della durata di 3 ore; l’uso in bolo può provocare ipocalcemia e danno tubulare acuto
48
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
naliera di 30 mg per 2-3 mesi, da ripetere
qualora non si normalizzasse il turnover
osseo. Per tutti i BPs l’insufficienza renale
costituisce controindicazione (creatininemia >2 mg%, creatinina clearance <35
ml/min), inoltre per quelli somministrati
per os è necessario osservare le accortezze
e limitazioni indicate per l’Osteoporosi.
Uno studio recente ha dimostrato che l’ac.
zoledronico dopo singola somministrazione e.v., da effettuarsi in almeno 15 minuti
a velocità di somministrazione costante,
previa adeguata idratazione e con supplemento calcico di mg 500 due volte al
giorno e vit.D, mostra risultati molto lusinghieri: 1) normalizzazione dei livelli di
fosfatasi alcalina dal 63° giorno, 2) assenza di recidive per 26 mesi nel 98% dei casi,
3) significativo miglioramento dei sintomi
e della cenestesi rispetto a risedronato15.
Per quanto attiene alle controindicazioni,
agli effetti indesiderati o avversi ed alle
avvertenze vale quanto noto per l’Osteoporosi.
L’ac. neridronico: la dose più comunemente raccomandata è di 100 mg al giorno
per 2 giorni consecutivi per infusione lenta (almeno 2 ore); dosi inferiori possono
essere sufficienti per forme meno severe
di malattia. Studi recenti16 indicano che
l’infusione singola di neridronato e zoledronato ha la stessa efficacia nel conseguire la remissione biochimica in più del 90%
dei non responders a pamidronato. Il farmaco ha un buon profilo di tollerabilità’e
sicurezza per cui è sufficiente osservare le
precauzioni generalmente riservate alla
terapia con bisfosfonati.
Follow up
A 3 mesi dall’inizio del trattamento eseguire il dosaggio della fosfatasi alcalina, o
meglio dell’isoenzima osseo: nei pazienti
responsivi alla terapia si riduce di oltre il
25% per collocarsi al di sotto del 50% del
basale dopo 6 mesi. Se dopo 6 mesi tale
decremento non si è realizzato ed i valori
di fosfatasi alcalina sono al di sopra della
normalità, nel ciclo successivo si adotterà
una posologia più elevata o, in alternativa, un agente più potente. Una risposta
insoddisfacente da BPs per os suggerisce
un assorbimento inadeguato del farmaco e
consiglia il ricorso alla via endovenosa. La
maggior parte dei pazienti presenta una
recidiva a distanza di tempo variabile da
alcuni mesi a qualche anno: livelli di fosfatasi alcalina superiori del 25% ai valori
di normalità indicano la necessità di un
diverso trattamento.
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Corrispondenza e richiesta estratti:
Dr.Giovanni Coppi
E-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Gestione e organizzazione sanitaria
ORGANIZZAZIONE E STRUTTURA FUNZIONALE DEL GRUPPO
OPERATIVO INTERDISCIPLINARE “SCOMPENSO CARDIACO”:
LA RISPOSTA SOSTENIBILE DI UN MODERNO SISTEMA
DI CURE A UN PROBLEMA EMERGENTE DI SANITÀ PUBBLICA
STRUCTURE AND FUNCTION OF THE INTERDISCIPLINARY
OPERATING GROUP FOR HEART FAILURE: A RELIABLE ANSWER OF
A MODERN CARE SYSTEM TO AN EMERGENT PUBLIC HEALTH PROBLEM
GIOVANNI PULIGNANO1, GIOVANNI MINARDI1, MARIA DENITZA TINTI2
LUCA MONZO2 LAURA GASBARRONE3, FRANCESCO MUSUMECI4
A NOME DEI REFERENTI DEL GOI SCOMPENSO CARDIACO
1
I Unità Operativa Cardiologia/UTIC, Dipartimento Cardiovascolare; 2Cardiologia II, Università, Studi “Sapienza”, Roma; 3Divisione di Cardiochirurgia, Dipartimento Cardiovascolare;
4
U.O. Medicina I, Dipartimento di Medicina; Az.Osp. S.Camillo-Forlanini Roma
Parole chiave: Scompenso cardiaco. Management
Key words: Heart failure. Management
Riassunto – Lo scompenso cardiaco (SC) è una delle patologie croniche a più alto impatto sulla sopravvivenza, sulla qualità di vita dei pazienti e sull’assorbimento di risorse. La risposta globale del sistema ai bisogni
di questi pazienti non è tuttora ottimale, per le eterogeneità culturali, professionali, organizzative che si
riverberano in un’assistenza spesso discontinua e frammentaria.
Il percorso diagnostico terapeutico (PDT) del paziente con SC è incentrato sul principio della rete integrata,
che consente di decentrare le attività e creare interazioni di competenze, ottimizzando l’impiego delle risorse
in stretta correlazione tra ospedale e territorio. Il modello gestionale proposto prevede l’esplicitazione dei
processi di cura, attraverso la definizione dei percorsi diagnostici e terapeutici, dei profili assistenziali, dei
ruoli e delle responsabilità dei diversi operatori sanitari, a livello territoriale, all’interno dell’ospedale, e in
collaborazione tra diverse strutture ospedaliere.
Obiettivi del percorso assistenziale sono ritardare la comparsa e la progressione della disfunzione ventricolare sinistra e dello SC, prevenire le riacutizzazioni ed i ricoveri, garantire assistenza specifica al paziente
anziano fragile e di tipo palliativo al paziente con SC terminale. Questo documento descrive l’organizzazione
funzionale e i processi di cura del Gruppo Operativo Interdisciplinare Scompenso Cardiaco (GOI), che rappresenta un modello innovativo di assistenza per la messa in atto di PDT specifici per il paziente con SC,
finalizzata al raggiungimento di elevati standard di cura e costo-efficacia, che pone il paziente al centro del
sistema e lo prende in carico in un sistema che garantisce continuità e appropriatezza di cura.
Abstract – Heart failure (HF) is a highly prevalent, chronic disease that impacts heavily on patient survival, quality of life and results in escalating healthcare costs. Despite the considerable burden imposed by
HF on healthcare systems, fragmented, uncoordinated care is still common. In order to redefine the role and
responsibility of each health professionals involved, a novel, integrated and multidisciplinary in-hospital
network, targeted to improve patient care is considered as mainstay of the HF management. This document
reports the organization and process-of-care of an Interdisciplinary Working Group (GOI) implemented
under the coordination of the Heart Failure Clinic. The role of in-hospital and out-of-hospital services and
health professionals in different clinical scenarios and specific pathways are defined. The implementation
50
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
of education, improved communication and telemonitoring is recommended. This document is intended as
guidance for health professionals involved in the care of HF patients, whose support will be crucial to implement the proposed management strategies.
Premessa
L’invecchiamento della popolazione e i
progressi terapeutici nel trattamento delle più gravi patologie acute determinano
un incremento delle patologie croniche.
È recente l’allarme dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità sulla necessità di
preparare i Servizi Sanitari ad assorbire
l’impatto delle patologie croniche (scompenso cardiaco, broncopneumopatie, diabete mellito, tumori) che rischiano di
determinarne il collasso se non si avvierà in tempo una efficace prevenzione.
Nell’immediato futuro, infatti lo scenario
della Sanità Pubblica sarà dominato dalla
sfida di conciliare contenimento della spesa sanitaria e risposta ai bisogni di salute
del cittadino in un contesto normativo e
finanziario ancora impreparato.
Lo Scompenso cardiaco (SC), che interessa una popolazione eterogenea, ma
prevalentemente anziana e con comorbilità, rappresenterà la patologia cronica più
onerosa sul piano economico e sociale1-4
con elevata mortalità e morbilità. Si stima
che in Italia i pazienti affetti siano oltre
1 milione, con 200.000 ricoveri all’anno
– prima causa di ricovero per malattia
– di cui oltre il 75% costituito da ultrasettantenni. I costi diretti per i soli ricoveri
sono intorno ai 600 milioni di euro, per un
impatto complessivo del 2% della spesa
sanitaria totale, e una cifra altrettanto
elevata per i costi indiretti, derivanti dalle
giornate di lavoro perse dal paziente e dai
conviventi e dai costi dell’assistenza. I ricoveri ripetuti sono frequenti e contribuiscono al totale nella misura del 20-30%. Di
questi, circa il 30-50% sono ritenuti evitabili, perlopiù dovuti a instabilizzazioni che
possono essere prevenute con un Modello
coordinato di assistenza. Inoltre, circa il
30% di questi ricoveri è in Cardiologia e il
70% è in Medicina Interna. Questa distribuzione asimmetrica, dettata dalla scarsa
disponibilità di posti letto cardiologici
rispetto alla domanda elevatissima e alla
complessità clinica dei pazienti si associa
a una distribuzione non omogenea delle
risorse e dei livelli di qualità di cura.
Per i pazienti con SC refrattario di età
inferiore ai 65 anni il Trapianto Cardiaco
(TC), insieme dall’assistenza ventricolare meccanica, rimane il golden standard
dei trattamenti ma, la discrepanza tra
donatori e riceventi, richiede una corretta
allocazione degli organi (ottimizzando il
bilancio rischio/beneficio) nell’ambito di
una struttura dedicata come il DH TC. La
maggioranza dei pazienti con SC severo
o refrattario, tuttavia, non è candidabile
a TC, per età avanzata e/o comorbidità
severa, e rappresenta una popolazione ad
elevata complessità clinica, con necessità
di assistenza intensiva, specialistica e
multidisciplinare2-4.
Molteplici sono gli snodi che complicano la gestione di questi pazienti. Una
prima criticità è rappresentata dal sistema di rimborso a DRG, che privilegia la
prestazione della fase acuta e non favorisce modalità assistenziali come il consulto
ambulatoriale e telematico, penalizzando
la continuità assistenziale, che invece ha
l’obiettivo di stabilizzare la fase cronica e
prevenire gli eventi acuti. In secondo luogo il mai risolto problema della continuità
assistenziale nell’ospedale e nel territorio,
per mancanza di Percorsi Diagnostico Terapeutici (PDT), linee guida e formazione
del personale. Infine, l’eterogeneità dei
livelli qualitativi di cura per il fatto che,
oltre al diverso case-mix, ogni realtà locale
opera in base a criteri di gestione non solo
clinici, ma anche logistici e organizzativi
in cui è più spesso la disponibilità del posto letto e/o della procedura/terapia a porre l’indicazione e non il contrario. Inoltre,
è noto che il MMG e l’internista ospedaliero seguono rispettivamente la maggioranza dei pazienti con SC de-ospedalizzati
e ospedalizzati, ma hanno la competenza,
gli strumenti necessari e sono supportati
adeguatamente in termini di formazione
specifica, disponibilità di peptidi natriuretici, accesso al consulto specialistico,
Ecocardiografia, PDT, integrazione ospe-
51
G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management
dale-territorio? All’opposto, è proprio vero
che tutti i Cardiologi hanno la formazione,
la disponibilità di PN e PDT, la disponibilità di tempo, posti letto e integrazione
ospedale-terrirorio per tutti i pazienti o la
competenza per gestirne le comorbidità?
La risposta al quesito si chiama multidisciplinarietà e condivisione, ma come
applicarle?
Mentre nella maggior parte dei Paesi
industrializzati si va verso una riqualificazione della risposta ospedaliera, nel
nostro Paese questo processo stenta a
decollare, poiché il sistema è ancora incentrato prevalentemente sulla gestione
della fase acuta a scapito di quella cronica.
Quasi sempre ciò si ritorce contro l’Ospedale stesso, che deve conciliare la mission
dell’alta specializzazione (high-tech) con la
necessità di erogare assistenza globale di
qualità (high-touch) a una patologia di dimensioni epidemiche5. Si impone all’ospedale di ridisegnare percorsi di cura efficaci
e finalizzati a garantire appropriatezza e
uniformità. La ricerca di nuove soluzioni
organizzative rappresenta quindi il requisito per una corretta gestione di risorse,
posti letto e liste di attesa. Inoltre, solo un
riordino del percorso intra-ospedaliero può
consentire il coinvolgimento delle Cure
Primarie, con presa in carico dei pazienti
meno complessi e più stabili da parte del
MMG e riduzione della “pressione” da parte degli stessi sull’Ospedale.
Assistenza al paziente con scompenso
cardiaco
Il modello di gestione più idoneo dovrebbe basarsi su un programma di cura
che tenga presente età, eziologia, gravità
di malattia e stato funzionale, costruito su
4 requisiti: 1) continuità assistenziale; 2)
valutazione multidimensionale; 3) multidisciplinarietà; 4) rete di servizi. Nell’insieme, i Modelli di assistenza basati su
questi principi hanno consentito una riduzione delle ospedalizzazioni, della mortalità e dei costi e un miglioramento della
qualità di vita e della capacità funzionale6,7. Nel complesso l’obiettivo principale
di questo Modello di assistenza è quello
di identificare il paziente ad alto rischio e
Tabella 1 - Domini del GOI “Scompenso
Cardiaco”
1.
2.
3.
4.
Disease management
Assessment funzionale multidimensionale
Valutazione della Qualità della vita
Terapia medica e valutazione dei farmaci
(con esplicitazione di eventuali controindicazioni
a terapie previste dalle Linee Guida)
5. Valutazione per impianto di Device
6. Valutazione Nutrizionale
7. Follow-up personalizzato
8. Planning avanzato
9. Comunicazione efficace
10. Educazione dei provider
11. Registrazione dati e Verifica di Qualità
(Modificata da Cit. 9)
inserirlo in un modello di cura finalizzato
alla prevenzione delle instabilizzazioni e
rallentare la progressione della malattia
attraverso interventi pre-definiti (Tabella
1). I recenti progressi delle telecomunicazioni hanno reso disponibili, inoltre,
sistemi di Telecardiologia in grado di
semplificare e intensificare il follow-up dei
pazienti a costi accettabili8-10.
Nel “Documento di Consenso Nazionale: I percorsi assistenziali del paziente con Scompenso Cardiaco”8, si auspica
l’organizzazione in rete dei centri per lo
SC. Nella rete dovrebbero essere definiti e
condivisi i criteri di invio dei pazienti alle
varie strutture, per rispondere ai bisogni
specifici e garantire l’equo accesso a tutte
le risorse disponibili. In ogni Ospedale dovrebbero essere realizzati:
1. un Ambulatorio dedicato centralizzato,
possibilmente multidisciplinare, eventualmente affiancato da Day-Hospital
o Day Service;
2. una équipe multidisciplinare di medici (Internisti, Cardiologi e Geriatri) e
infermieri, responsabile della cura del
paziente con SC;
3. PDT per profilo di paziente condivisi
fra le diverse strutture, dal PS/DEA
ai reparti di Medicina e Cardiologia,
all’UTIC e/o Terapia Intensiva/ Semintensiva;
4. Programmi di integrazione Ospedale
– Territorio.
Questa organizzazione, permette di ottimizzare le cure nella fase di ricovero
e instaurare efficacemente un percorso
post-dimissione. La necessità di contenere
52
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
la durata della degenza induce spesso a
dimettere pazienti ancora relativamente
instabili. In questo contesto, i pazienti
anziani rappresentano un gruppo con caratteristiche particolari2,5 che dovrebbero
essere sottoposti a valutazione multidimensionale (VMD)8,11 che definisca stato
funzionale, stato cognitivo e bisogni assistenziali. Solo la VMD permette una distinzione obiettiva tra età biologica e anagrafica (a prescindere dalla soggettività
del singolo medico) e quindi l’appropriata
scelta di un determinato PDT nel singolo
paziente. È auspicabile che il MMG venga
informato del percorso ospedaliero del
malato, mediante appropriata lettera di
dimissione e/o contatto diretto. Particolarmente importante è il riconoscimento
di quegli aspetti di educazione sanitaria
alla consapevolezza della malattia e all’autocura che consentono al paziente di
assumere un ruolo attivo nella gestione
della patologia (empowerment).
La possibilità di riferire a un Ambulatorio dedicato i pazienti ad alto rischio rappresenta uno dei punti qualificanti di un
percorso di gestione integrata dello SC6-8.
Per i casi più complessi, con SC severo,
con gravi comorbilità e anziani fragili, è
auspicabile un controllo specialistico precoce dopo 7-30 giorni dalla dimissione, per
verifica della stabilità clinica, monitoraggio e ottimizzazione terapeutica, e risoluzione di problematiche aperte (stratificazione prognostica, procedure diagnostiche
e interventistiche di alta specializzazione,
lista d’attesa per Trapianto Cardiaco (TC)
o fase terminale). L’Ambulatorio dello SC
dovrebbe quindi rappresentare il centro
per la continuità assistenziale per pazienti con SC grave e svolgere attività di
consulenza per altri reparti di degenza
e per le strutture territoriali8. La gestione dovrebbe essere multidisciplinare, ma
le caratteristiche organizzative saranno
funzione della tipologia della struttura,
del case-mix e della complessità clinica8. I
pazienti candidabili a TC o in prospettiva
di soluzioni chirurgiche non tradizionali
devono essere sotto la cura del Day Hospital TC. L’Ambulatorio dello SC dovrebbe
mantenere stretti rapporti con il DEA, i
Reparti di degenza, i Laboratori di Emo-
dinamica ed Elettrofisiologia-Elettrostimolazione, il DH Trapianto Cardiaco di
riferimento e collaborare a progetti di ADI
e Telemedicina. Gli Ambulatori possono
avvalersi di competenze specialistiche in
campo genetico, dedicato allo screening
delle patologie del miocardio a genesi familiare8.
Il Gruppo Operativo Interdisciplinare
Come riportato nel “Documento di Consenso Nazionale: I percorsi assistenziali
del paziente con scompenso cardiaco” 8, “…
per una ottimale gestione di questa sindrome, l’attuale modello di cura deve essere
sostituito da un approccio che recuperi la
centralità del paziente stesso nel processo
di cura, attraverso la definizione di precisi PDT, sia intra- che extraospedalieri,
e basati sulla continuità assistenziale e
una stretta collaborazione tra specialisti,
medici di medicina generale, infermieri
e operatori sociali”. In questo contesto,
obiettivo del Governo Clinico è quello di
“assicurare continuità assistenziale, appropriatezza, miglioramento della qualità,
massima aderenza al trattamento e alle
misure di prevenzione e utilizzo ragionato
delle risorse con ricerca e neutralizzazione
di sprechi ed errori”. Tre sono gli snodi
critici di un siffatto Modello assistenziale:
a) composizione del Team assistenziale;
b) tipologia dell’intervento e del paziente
“target”; c) finalità e costo-efficacia del
modello. Non riconoscere questi problemi
porta inevitabilmente al fallimento. Per
affrontare questa complessa problematica
organizzativa e gestionale, alcuni Professionisti dell’Azienda S. Camillo-Forlanini,
che già operano con uno spirito interdisciplinare nella gestione del paziente con SC
hanno riconosciuto nei Gruppi Operativi
Interdisciplinari (GOI) una appropriata
definizione. I GOI (Art. 20 Atto Aziendale) hanno come finalità la diffusione e
applicazione delle conoscenze in medicina
e nell’assistenza, il miglioramento della
qualità, della diffusione delle migliori pratiche cliniche e assistenziali e del governo
clinico e il supporto per i dipartimenti, le
aree funzionali e le UUOO. Sono costituiti da un insieme di singoli professio-
53
G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management
nisti appartenenti a discipline e/o UUOO
differenti in relazione alla necessità di
raggiungere specifici obiettivi e finalità
assistenziali, organizzative, di studio e
ricerca, da perseguire in via transitoria
o permanente. Tra i GOI potranno essere
compresi gruppi formalmente costituiti in
Azienda per la diffusione e l’applicazione
delle conoscenze relative agli strumenti
del Governo Clinico. I GOI sono proposti
dalla Direzione Sanitaria Aziendale o dai
Direttori di Dipartimento e istituiti formalmente dal Direttore Sanitario Aziendale, che ne valida le finalità, i requisiti di
funzionamento, l’ambito e gli obiettivi.
Obiettivi del GOI “Scompenso cardiaco”
Presso la I Unità Operativa Cardiologica/UTIC è attivo dal 1995 un Ambulatorio
specializzato per la cura del paziente con
SC. La mission è quella di garantire un
programma di diagnosi, terapia e followup post-dimissione fondato su strumenti
di governo clinico e basato su un modello
di assistenza continuativa in stretta collaborazione con i Reparti dell’Azienda e
con le Cure Primarie, e finalizzato al raggiungimento del migliore livello qualitativo
di cura ed un controllo dei costi. L’attività è svolta nell’ambito della Rete IN-HF
(Italian Network on Heart Failure) dell’
Associazione Nazionale Medici Cardiologi
Ospedalieri (ANMCO). Al Dicembre 2008
risultavano in carico oltre 300 pazienti, di
cui 118 arruolati nel 2008 stesso. I pazienti
provenienti da altre province del Lazio e da
altre Regioni sono circa 60 (20%). L’ attività clinica e assistenziale è affiancata da:
• attività di Formazione con Corsi ECM
per Specialisti dell’Azienda e del territorio, Infermieri e MMG;
• attività di Ricerca Scientifica, con partecipazione a studi clinici con altri Istituti e produzione di oltre 250 pubblicazioni con impact factor ISI di oltre 60;
• attività Congressuale con partecipazione a Congressi Nazionali e Internazionali;
• attività di Programmazione dei Servizi
Sanitari con partecipazione alla stesura
del “Documento di Consenso Nazionale:
i Percorsi assistenziali del paziente con
scompenso cardiaco”8 e attraverso la
partecipazione ai lavori del Direttivo
Nazionale Area SC e del Direttivo Regionale dell’ANMCO.
Una analisi di costo-efficacia dell’attività dell’Ambulatorio SC della I UO è stata
condotta in collaborazione con l’UOS SC
dell’IRCCS INRCA12 e ha dimostrato un
risparmio netto medio di 942€/paziente,
conseguito soprattutto attraverso la riduzione del 42% dei ricoveri per SC.
Gli Scopi del GOI SC consistono essenzialmente in: a) Eseguire una corretta
valutazione clinica del paziente e conseguente impostazione terapeutica per
migliorare la qualità di vita e allungare la
sopravvivenza; b) Permettere al paziente
di raggiungere una consapevolezza della
malattia, fargli conoscere le problematiche che possono insorgere, la corretta
percezione e riconoscimento dei sintomi e
delle limitazioni funzionali, come assumere e autogestire la terapia farmacologica;
c) Implementare un modello di assistenza
integrata che contenga i PDT in tutte le
fasi evolutive della malattia e che quindi
includa componenti ospedaliere a diverso
livello di intensità di cure e una rete assistenziale territoriale con coinvolgimento
della ASL (Tabella 2).
Gli strumenti del governo clinico adottati comprendono: a) Linee Guida ESC
200813, Linee Guida ACC/AHA 200914,
il Documento Consensus Conference8; b)
Protocolli di gestione del paziente con SC
acuto e cronico; d) Disease Management.
I Referenti del GOI condividono un lavoro volto essenzialmente a definire PDT e
una pratica comune di disease management. In questo ambito il GOI concorre
Tabella 2 - Obiettivi del GOI “Scompenso
Cardiaco”
•
•
•
•
•
•
•
•
empowerment del paziente
miglioramento della classe funzionale (NYHA)
miglioramento della prognosi (riduzione delle
ospedalizzazioni)
miglioramento dell’appropriatezza e qualità delle cure
miglioramento dell’accessibilità all’assistenza;
miglioramento del livello di soddisfazione per
l’assistenza
miglioramento della Qualità della vita
miglioramento del grado di autonomia.
54
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
allo sviluppo professionale attraverso: a)
coinvolgimento attivo dei Medici di diverse UO; b) formazione continua; c) implementazione di Linee Guida; d) lavoro di
equipe multidisciplinare con supporto di
tecnologie avanzate.
Pertanto, il GOI migliora l’organizzazione attraverso il miglioramento della:
a) qualità lavorativa e produttività individuale; b) gestione dei posti letto per
l’Emergenza/Urgenza (dimissione precoce)
e l’utilizzo di risorse strumentali; c) operatività delle UO coinvolte; e) dei rapporti
ospedale-territorio attraverso coinvolgimento e responsabilizzazione del MMG.
Ne consegue che il GOI porta a un migliore
impiego di risorse attraverso: a) riduzione
della degenza e delle ri-ospedalizzazioni;
b) riduzione dei costi dell’assistenza; c)
riduzione degli sprechi mediante appropriatezza nell’indicazione a procedure e
terapie ad elevato costo. Un ulteriore
importante vantaggio del GOI è quello di
adottare programmi di miglioramento nel
rapporto con l’Utente, quali: a) educazione
sanitaria; b) distribuzione di opuscoli e
materiale educazionale; c) questionari di
soddisfazione; d) sito internet informativo:
www.cardio1scamillo.cardionet.it/home; e)
disponibilità alla comunicazione mediante
Fig. 1 - Flow-chart
teleconsulto ed e-mail dedicata: [email protected].
Attività e organizzazione del PDT GOI
“Scompenso Cardiaco”
L’attività del GOI si articola su tre livelli che comprendono l’Ambulatorio, il Day
Service e il ricovero ospedaliero (Fig. 1).
Il controllo ambulatoriale è un momento fondamentale nel percorso di cura dei
pazienti con SC. Esso può avvenire secondo due modalità: controllo programmato e
non programmato, richiesto dal Paziente o
dal MMG. Il Controllo programmato, dopo
i controlli iniziali a uno e tre mesi per l’inquadramento diagnostico-terapeutico, viene prenotato ogni sei mesi con visita, ECG
e se necessario un’indagine strumentale
(Ecocardiogramma, Holter, Test ergometrico, funzionalità renale e quadro elettrolitico). Alcuni controlli potranno essere
programmati presso altri Ambulatori Specialistici afferenti al GOI (Fig. 1). Una volta concluso l’iter diagnostico-terapeutico e
stabilizzato il paziente, quest’ultimo viene
affidato al MMG e i controlli successivi in
pazienti paucisintomatici (classe NYHA
II) avvengono ogni 9-12 mesi. Nei pazienti
che restano sintomatici in NYHA III-IV
il follow-up viene personalizzato (Fig. 2)
Controllo non programmato o
su richiesta:la struttura sarà
disponibile garantendo il controllo entro un tempo massimo
di 7-10 giorni.
Il Day Service, situato presso la Cardiodiagnostica non invasiva, rappresenta una modalità innovativa e costo-efficace
per l’erogazione appropriata di
visite e indagini diagnostiche
mirate, in genere effettuate
in tempi brevi, nell’ambito
del Pacchetto Ambulatoriale
Complesso (PAC) Scompenso
Cardiaco, che prevede 3-4 accessi. All’interno del PAC si
possono eseguire sia valutazioni cliniche che strumentali, finalizzate alla conferma e
approfondimento diagnostico e
alla impostazione di terapia
55
G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management
Procedura
Dimissione
Arruolamento
Giorni 7-14
Mese 1-3
Mese 6-12
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
X
Qn
Qn
Qn
qn
Esame Obiettivo
X
X
X
X
Educazione Compliance e Auto-cura
X
X
Qualità di vita (Euro QoL)
X
X
Valutazione Multidimensionale ( se età >70 anni)
X
X
Parametri Vitali
X
Consenso Informato e presa in carico
Anamnesi/Raccordo anamnestico e relazione al
medico curante
Criteri di arruolamento
Revisione Terapia Farmacologica
Prescrizione terapia (farmaci; dieta; devices, chirurgia, esercizio)
Consulenza Specialistica
X
X
X
X
Test da sforzo *
X
X
X
X*
Telemonitoraggio e/o intervista telefonica
Settimanale
ECG 12 derivazioni
X
Laboratorio
X
X
X
X
X
X
X
NT-pro BNP (quando disponibile)
X
X
Ecocardiogramma
X
X**
Holter ECG con HRV
Registrazione eventi
Discussione del caso
X
X
X
X
X
X
* in caso di rivalutazione funzionale per rivascolarizzazione o inserimento in lista TC ; ** in caso di FE<35% per rivalutazione per indicazione a impianto di ICD o CRT o per indicazione a cardiochirurgia; Qn: quando necessaria
Fig. 2 - Piano operativo del Follow-up nel GOI
ottimizzata. L’appropriatezza è garantita
dal fatto che lo stesso Cardiologo gestore
del PAC seleziona le procedure (minimo
5) da un elenco deliberato dalla Regione
Lazio in base alle reali necessità del paziente in quel determinato momento. Il
Day Service viene effettuato in una seduta
settimanale con l’ausilio dell’ Infermiere
addetto all’esecuzione degli Holter e dei
Test ergometrici della Cardiodiagnostica
non invasiva e rappresenta quindi una ulteriore ottimizzazione dell’uso di risorse.
La fase Ospedaliera interessa principalmente le strutture di ricovero, quali la
I UO di Cardiologia/ UTIC, con una stretta interazione con le altre UO di Cardiologia (II e III, Cardiologia Interventistica),
la Cardiochirurgia, la Medicina d’Urgenza
e le UO di Medicina (Fig. 1). Tale interazione trova la sua giustificazione nel fatto
che il paziente con SC, nella sua “Odissea”
transita per UO diverse in base alla disponibilità del posto letto, al profilo di rischio
e allo specifico piano terapeutico. Si distinguono tre tipologie di ricoveri: a) Pazienti
instabili con segni clinici e strumentali
severi di disfunzione ventricolare sinistra;
b) Pazienti stabili che richiedono ricovero
per ottimizzare la terapia farmacologica,
trattare comorbilità severe (insufficienza
renale, infezioni gravi, aritmie), diagnostica invasiva, procedure interventistiche,
impianto di dispositivi, valutazione per
eventuale procedura cardiochirurgica; c)
56
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
rischio vengono inquadrati sul
piano diagnostico-terapeutico e
avviati a follow-up prevalentemente territoriale con possibilità di Teleconsulto. Vanno a
follow-up intensivo e presi in
carico pazienti complessi ad alto rischio in III-IV classe NYHA
che abbiano: a) programma
aperto di implementazione terapeutica farmacologica e non
farmacologica (indicazione a
chirurgia, procedure interventistiche, impianto di dispositivi; b) comorbidità rilevanti; c)
problemi organizzativo-sociali
(pazienti anziani, con difficoltà
di deambulazione che ne ostacolano l’accesso agli ambulatori
territoriali); SC avanzato o terminale ad elevata instabilità
Fig. 3 - Algoritmo per pazienti complessi e sintomatici nonoemodinamica da avviare al DH
stante ottimizzazione terapeutica
Trapianti; d) pazienti con quadri di SC associato a broncopPazienti con SC acuto de novo moderatoneumopatie, malattie ematologiche (ad
severo in fase di diagnosi e valutazione
es: talassemie) e chemioterapia.
clinica (Sindrome coronarica acuta, shock
• Follow-up personalizzato: presa in cacardiogeno, NYHA avanzata, miocardite
rico con pianificazione del piano di diacuta, CMP severa di recente riscontro,
missione, attuazione di follow-up la cui
aritmie instabili, versamento pericardico
intensità viene personalizzata in base
tamponante, congestione severa resistente
alle necessità.
a trattamento standard). La necessità di
• Facilità di accesso: registro per gli apricovero in Cardiologia è stabilita in base
puntamenti a visita “programmata” o
alla necessità di monitoraggio, procedure
“non programmata”, con ridotti tempi
diagnostiche invasive, terapia infusionale
di attesa. Ambulatorio facilmente acinotropa/diuretica ad alto dosaggio. La
cessibile dal piano stradale con Pernecessità di ricovero in Area Critica Carsonale sanitario disponibile a favorire
diologica (UTIC/SubUTIC, TI Cardiochil’accesso di pazienti con problemi di
rurgica) è stabilita in base alla presenza e
deambulazione.
severità di instabilità emodinamica, elet• Educazione sanitaria di paziente e catrica (aritmica) o ischemica, necessità di
regiver.
monitoraggio invasivo, assistenza mecca• Diagnostica strumentale: Ecocardionica (contro pulsatore aortico/VAD), dialigrafia di base, Transesofagea, Tridisi/ultrafiltrazione, impianto di Pacemaker
mensionale e da Stress, Ergometria,
temporaneo, assistenza respiratoria non
Holter ECG, effettuata presso la Carinvasiva/invasiva (Fig. 3).
diodiagnostica non invasiva/I UO per
Modalità operative: Riassumendo,
garantire qualità, appropriatezza e ril’attività del GOI è regolata da Procedure
durre sprechi e duplicazioni con lista
standardizzate (di Processo) che comprendi prenotazione selettiva. Il Test Cardono:
diopolmonare vien eseguito in genere
• Approccio interdisciplinare
presso la III UO di Cardiologia.
• Valutazione Multidimensionale dei pa• Valutazione dei dispositivi: I pazienzienti >70 anni
ti con infarto miocardico o scompen• Criteri di Selezione: I pazienti a basso
57
G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management
•
•
•
•
so acuto eleggibili vengono valutati
con Ecocardiogramma TDI/3D e Holter
HRV a distanza di 40 giorni dall’evento
per verificare le indicazioni a impianto
di defibrillatore e/o PMK biventricolare
con invio al Centro di Aritmologia-Elettrostimolazione della II UO di Cardiologia che provvede a completare l’iter e
a ri-inviare il paziente all’Ambulatorio
dopo la procedura.
Programma di consulenze Specialistiche per ottimizzare il trattamento delle
patologie associate: Cardiochirurgo (DH
PO Cardiochirurgica) per indicazione
chirurgica, Nefrologo per la gestione
dei casi di sindrome cardio-renale,
Pneumologo per l’insufficienza cardiorespiratoria, la valutazione funzionale
e dei disturbi del sonno, Radiologo e
Radiologo vascolare per la diagnostica
avanzata di imaging e la gestione delle
vasculopatie periferiche e polmonari,
Diabetologo, Psicologo e Dietista.
Interazione con i Reparti di Cardiologia
e Medicina per gli episodi di ricovero.
Interazione con le Cure Primarie: Medico di Medicina Generale, ADI e Servizi territoriali.
Strumenti informatizzati di archiviazione e fornitura al paziente di un Opuscolo educativo “Scompenso Cardiaco:
consigli per la pratica quotidiana”, un
diario dei parametri clinici e un Rapporto dettagliato della visita che sintetizza
diagnosi, quadro clinico, strumentale
e di laboratorio, problematiche aperte,
breve epicrisi per il Medico Curante,
sintesi delle misure di educazione sanitaria, griglia della terapia con nome,
dosaggio ora di somministrazione e note prescrittive di ogni farmaco e istruzioni di accesso all’Ambulatorio stesso
con numeri di telefono dedicati e orari.
• Teleassistenza (consulenza telefonica
infermieristica/cardiologica): il paziente
(o il suo Medico Curante) può contattare in caso di necessità (appuntamenti,
comunicazione risultati di laboratorio,
monitoraggio parametri, segnalazione
nuovi sintomi e di eventi, counselling)
il Cardiologo e gli Infermieri dell’Ambulatorio per 6 ore al giorno per 6 giorni
la settimana.
• Telemonitoraggio: in pazienti selezionati
trasmissione telefonica dell’ECG (Card
Guard), parametri emodinamici e peso
corporeo con Centrale operativa h 24
situata e gestita dallo staff dell’UTIC.
• Verifica dei risultati: riunioni di audit
per consulto su casi particolari e verifica del raggiungimento degli obiettivi
mediante indicatori di qualità (Tab. 3).
Tabella 3 - Indicatori di qualità di cura
Indicatori di struttura
• Disponibilità di PDT condivisi
• Monitoraggio dell’assistenza
• Presenza di Ambulatorio specialistico
Indicatori di Processo
• Relazione di dimissione e di visita ambulatoriale (100%)
• Valutazione Multidimensionale in pazienti anziani >70 anni (almeno 70%)
• Registrazione della Frazione di Eiezione (FE) del ventricolo sinistro (100%).
• Prescrizione di ACE-inibitori se FE<40% o documentata controindicazione ad ACE-i (in alternativa Inibitori
dell’AII) (almeno 80%)
• Prescrizione di betabloccanti se non controindicati (almeno 65%)
• Prescrizione di Warfarin in pazienti con Fibrillazione Atriale senza controindicazioni (almeno 60%)
• Educazione sanitaria al paziente e ai conviventi fornitori di assistenza (almeno 90%).
• Programma di dimissione: relazione di dimissione dettagliata, teleconsulto con il medico curante, programmazione del follow-up post-dimissione secondo uno schema personalizzato, teleassistenza post-dimissione: 70%
• Pazienti eleggibili che ricevono terapia elettrica con impianto di ICD o CRT (almeno 50%).
Indicatori di esito (Outcome)
• Ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e per tutte le cause (riduzione del 30%)
• Capacità funzionale e autosufficienza (classe NYHA, ADL-IADL score)
• Qualità della vita (Euro QoL)
• Livello di consapevolezza e auto-cura (European Self-care behaviour scale)
• Soddisfazione per l’assistenza
• Mortalità post-dimissione per tutte le cause e per SC
58
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
In conclusione, il GOI SC è un modello
innovativo di assistenza per la messa in
atto di PDT specifici per pazienti con SC,
finalizzato al raggiungimento di elevati
standard di cura e costo-efficacia, che
pone il Paziente al centro del sistema e
lo prende in carico con continuità e appropriatezza. Recentemente l’assistenza
è stata estesa a pazienti oncologici ed
ematologici con cardiomiopatia. Il GOI ha
un assorbimento iso-risorse la cui attività
è stata resa possibile da un netto incremento della produttività (e dei carichi di
lavoro) da parte di tutti i suoi componenti,
e può essere proposto e condotto anche da
Dirigenti con incarico professionale Alfa
3. Le risorse per lo sviluppo e il miglior
funzionamento di questo Modello sono necessarie, ma si possono ottenere con poca
spesa vantaggi per i Pazienti e l’Azienda
che superano di gran lunga i costi.
Bibliografia
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epidemiology of heart failure: the Framingham
Study. J Am Coll Cardiol 1993; 22: (Suppl A):
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paziente anziano con scompenso cardiaco nelle
strutture cardiologiche ospedaliere (The elderly
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failure: from the “high tech” to the “high touch”
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Acute and Chronic Heart Failure 2008 of European Society of Cardiology, ESC Guidelines for
the diagnosis and treatment of acute and chronic heart failure 2008: the Task Force for the
Diagnosis and Treatment of Acute and Chronic
Heart Failure 2008 of the European Society of
Cardiology. Eur Heart J 2008; 29: 2388-442
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Heart Association. 2009 Focused update incorporated into the ACC/AHA 2005 Guidelines
for the Diagnosis and Management of Heart
Failure in Adults A Report of the American College of Cardiology Foundation/American Heart
Association Task Force on Practice Guidelines.
J Am Coll Cardiol 2009; 53(15): e1-e90
Corrispondenza e richiesta estratti:
Dott. Giovanni Pulignano
E-mail: [email protected]
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Recensioni
“ALLA SCOPERTA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA.
UNA STORIA LUNGA ALCUNI SECOLI”
Nel suo affascinante viaggio attraverso le tappe che hanno condotto, dalle
prime intuizioni, alle attuali conoscenze
sull’ipertensione arteriosa, Vito Cagli ci
descrive contemporaneamente le nozioni
scientifiche e i personaggi che le hanno portate alla ribalta. Il libro di Vito
Cagli (CIC Edizioni Internazionali,
Roma 2010, € 25,00) assume quindi per
alcuni versi le caratteristiche di un trattato di storia della medicina, per altri è un
vero trattato scientifico. Infatti per ogni
argomento non manca di citare nomi di
illustri medici, pionieri della medicina, e
di raccontare i risultati relativi degli argomenti oggetto delle loro ricerche. Nella
ricostruzione della storia dell’ipertensione
Cagli usa un approccio sistematico, partendo da quella che lui stesso definisce la
“preistoria” dei tempi di Aristotele, Ippocrate e Galeno, solo per citare i più noti. Il
libro si compone di dieci capitoli nei quali
vengono affrontati i concetti cardine dell’ipertensione che mano a mano nel tempo
emergevano dagli studi. Vengono spesso
riportate le affermazioni autentiche degli
studiosi che ne sono stati i veri protagonisti, così da rendere la storia raccontata più
vissuta e partecipata, come se ci fosse la
viva voce degli stessi protagonisti e il libro
fosse in una qualche maniera scritto insieme a loro. Iniziando dalle prime intuizioni
di Giovan Battista Morgagni nel 1735, si
passa attraverso la storia delle prime classificazioni dell’ipertensione effettuate negli anni da Luisada, Page e Pickering, alla
storia del ruolo del rene nell’ipertensione.
Nel tempo si fa strada la necessità di sco-
prire una causa, si scoprono i “meccanismi
nervosi”, il sistema renina-angiotensina
e viene proposta la teoria del mosaico di
Page, che introduce il moderno concetto
della genesi multifattoriale dell’ipertensione. Anche nel caso dell’ipertensione,
l’attribuzione pubblica di meriti scientifici
non è sempre veritiera: infatti nel libro si
scopre che la teoria dell’ipertensione renovascolare attribuita a Goldblatt nel 1934
era in realtà stata già pubblicata da Loesch nel 1927 e nel 1933. Poi attraverso la
storia dei trias clinici e, storia nella storia,
l’evoluzione degli apparecchi per la misurazione e le metodiche di misurazione della pressione arteriosa, si arriva ai giorni
nostri e a definire quella che ancora oggi
costituisce l’ipertensione essenziale, così
etichettata perché non ha ancora una vera
storia. L’Autore non manca di ricordare
le tappe della diagnostica di laboratorio
e di radiologia, che hanno dato contributi
fondamentali alle conoscenze dell’ipertensione e delle sue complicanze.
In ultimo la storia delle varie classi di
farmaci antipertensivi, che a loro volta
hanno cambiato la storia naturale della
malattia, o meglio, come viene giustamente affermato, di questo fattore di rischio
cardiovascolare.
In conclusione una lettura scientifica
ricca di dati e piacevolmente scorrevole,
che non solo ricostruisce la storia dell’ipertensione arteriosa ma consente al lettore
una conoscenza completa e sistematica
degli aspetti che la caratterizzano.
Laura Gasbarrone
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
“NUTRIZIONE E PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE”
Di fronte a casi di patologia gastrointestinale di non facile interpretazione
diagnostico-differenziale tornerà certamente in mente, quanto meno a colleghi
di età non più verde l’espressione, un
tempo assai corrente “l’addome è la tomba del clinico”, espressione con la quale
si intendevano sottolineare le difficoltà
diagnostiche e conseguentemente terapeutiche in questo particolare campo della
Medicina Generale. Attualmente, potendoci avvalere di tecnologie sempre più
avanzate (e contestualmente – purtroppo
– ad un sempre più obsolescente ricorso
al completo ed accurato esame clinico
delle zone sottodiaframmatiche) è quasi
una sorpresa l’individuare nella lettura
del volume “Nutrizione e patologia gastro-intestinale” di Lucio Lucchin e
Fausto Chilovi (Il Pensiero Scientifico
Editore 2009, pagg.195, Euro 35,00) che
quelle difficoltà interpretative rimangono
sostanzialmente complesse: è da ascrivere
a merito dei 25 Co-autori l’essersi dedicati
all’approfondimento del fattore “nutrizione” nella lunga cascata dei processi a cui
è deputato il tratto gastro-intestinale del
nostro organismo, il che è evidente sin dai
primi capitoli del volume.
Si tratta di un fattore che – come sottolineano nell’Introduzione Lucchin e Chilovi
– “può rivestire un non trascurabile ruolo
come causa di patologia digestiva” non soltanto sotto il profilo diagnostico-terapeutico,
ma anche sotto il profilo della prevenzione.
Sulla scorta di tale impostazione gli
Autori hanno proceduto ad una opportuna
selezione di alcuni argomenti che, più di
tutti gli altri, abbracciassero sia gli aspetti
inerenti l’alimentazione intesa come possibile causa di patologia digestiva sia gli
aspetti di essa correlabili con la prevenzione e con il trattamento terapeutico. Il
volume si articola in 18 capitoli (compresa
una Appendice di Raccomandazioni nutrizionali) improntati tutti alla notevole
concretezza di fornire risposte quanto più
possibile esaurienti su tematiche per lo più
controverse nelle quali spesso il fondamento scientifico è peraltro di difficile definizione. Che in tutti i capitoli del volume tali
difficoltà interpretative vengano approntate con onesta correttezza è dimostrato in
modo paradigmatico nel capitolo sul “ Ruolo dell’alimentazione nella produzione dei
gas nel tratto gastro-intestinale “allorchè
viene richiamata l’attenzione – nel riferimento a meteorismo e flatulenza postprandiale – sulla complessa rete di interazioni
che si svolgono tra assorbimento, secrezione, motilità, rilascio ormonale, interattività con il Sistema Nervoso Centrale e ruolo
esplicato da un effetto placebo (la cui sede
centrale è situata nel nucleo accubens): si
tratta di interazioni che finiscono con rendere problematica una chiara definizione
diagnostica e di conseguenza una altrettanto chiara strategia terapeutica.
Sobriamente coordinato, essenziale,
ricco di dati e di riferimenti bibliografici,
il volume offre una panoramica, seppur
selezionata, della patologia gastro-intestinale legata alla nutrizione: la sua attenta
lettura non può che essere di ausilio nella
pratica clinica anche ai non addetti alla
specialità, in considerazione dei riflessi
che i disturbi della sfera digestiva possono esercitare su altri organi ed apparati
come, ad esempio, per quanto concerne il
reflusso-gastroesofageo, sull’Apparato Respiratorio ed a livello cardiaco attraverso
il reflusso neuro-mediato di tipo vagale.
Forse non avevano poi mal pensato quei
nostri colleghi che coniarono l’espressione
“ sindrome gastro-cardiaca”!
Franco Salvati
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Notiziario 1
“CORSO ECM SULL’INTERVENTO PSICOLOGICO
IN AREA CRITICA”
Dal 13 al 15 giugno 2009 presso la
nostra Azienda, in collaborazione con il
Ministero della Salute, si è svolta la IV
edizione dell’evento formativo ECM dal
titolo “Intervento psicotraumatologico in
fase acuta e post traumatica da stress. Approccio al paziente critico, dagli incidenti
quotidiani alle maxi – emergenze. Modalità e Tecniche di gestione del trauma psichico”. Tale evento proposto e coordinato,
da un punto di vista organizzativo e scientifico, dalla Responsabile del Servizio di
Psicologia Area Crisi ed Emergenza, Raffaella Gorio con la collaborazione di Anna
Carderi di Stefania Guarrasi, rappresenta
la continuazione di un percorso formativo,
effettuato annualmente dal 2006 ad oggi,
grazie al notevole interesse e al buon livello di partecipazione di operatori sanitari
psicologi, medici e infermieri per l’argomento trattato. Gli stessi hanno, infatti,
ritenuto che dall’evento formativo può
derivare competenza professionale mirata, sensibilizzazione e uniformità di protocollo per l’intervento psicologico grazie,
soprattutto, allo spazio dedicato ai Role
– Playing ed alla Supervisione clinica.
L’intervento psicologico in area critica
rappresenta un argomento che sta assumendo un ruolo sempre più importante
data la valenza del percorso assistenziale
specificamente rivolto al trattamento del
dolore psichico di qualsiasi origine traumatica. Una più efficace gestione del dolore psichico in fase di criticità migliora la
qualità di vita del paziente influenzando
favorevolmente la prognosi della malattia.
Un percorso multidisciplinare che vede
la partecipazione di nomi importanti della
psicologia che si confrontano sulla neces-
sità di un cambiamento e sulla ricerca e
adozione di un modello peculiare e mirato
in tema di accoglienza, osservazione, monitoraggio, valutazione, trattamento, diagnosi e prognosi del paziente critico.
L’intento dei curatori è stato quello di
proporre un modello tecnico – clinico e organizzativo per l’intervento psicologico in
emergenza nell’approccio al paziente critico fruibile attraverso tecniche e modalità
ad orientamento psicotraumatologico.
Psicologi, psicoterapeuti, docenti universitari, operatori internazionali e sanitari, tutti indistintamente, hanno dato il
loro contributo riconoscendo da una parte
che l’attuale offerta di cure mirate è a volte carente, aspecifica e poco empatica, presentando dall’altra indagini approfondite
di modelli relazionali adeguati, riabilitativi, di conoscenze scientifiche, tecniche e
comunicative che diano l’avvio ad un approccio sistematico in grado di favorire e
mantenere standard di qualità elevati e il
continuo miglioramento nella “prevenzione e cura psicologica” del paziente critico.
Dall’esame di queste esperienze emerge
la necessità di definire i ruoli e attribuire
le competenze ai diversi operatori sopra
citati al fine di favorire un approccio integrato che ponga al centro dell’intervento
la persona e i suoi bisogni, che sia meno
centrato sulla patologia e più rivolto all’adozione di un modello di intervento che
preveda anche il sostegno psicosociale al
paziente, alla sua famiglia e all’operatore
sanitario nella promozione e nella ricerca
del benessere psicologico e della salute
psichica dell’individuo stesso.
I temi hanno spaziato dalla comunicazione terapeutica in situazioni di emergen-
62
Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010
za alla necessità di un approccio integrato,
basato sui bisogni del paziente critico in
fase acuta e post traumatica da stress.
Particolarmente enfatizzato è stato il
ruolo della relazione e della qualità professionale da parte dell’équipe curante
che prevede, come requisito fondamentale,
che tutti gli operatori sanitari contestualmente e in modo integrato siano in grado
di monitorare i bisogni fisici ma anche
quelli emotivi, cognitivi e relazionali del
paziente critico e dell’operatore che presta
la propria opera in aree sanitarie di maggiore rischio psicologico.
Spazio è stato dato anche all’intervento
d’urgenza ad opera di organismi internazionali che da anni operano sul campo
come Amnesty International, Medici contro la tortura e Médicins Sans Frontières.
L’intento dell’equipe dei professionisti,
esperti nel campo della psicotraumatologia è quello di costituire un gruppo di
formazione, di ricerca e di intervento collaudato e stabile tanto da prevedere ogni
anno una riedizione dello stesso evento.
Giovanni Minardi
ANNALI DEGLI OSPEDALI
San Camillo e Forlanini
Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010
Notiziario 2
FORLANINI DAY 2010
Dal 19 a la 20 si è svolta a Roma l’annuale edizione del Forlanini Day configurata con la collaborazione dei Geriatri
con i quali da lungo tempo gli Pneumolgi
condividono argomenti e problematiche
di comune interesse. È noto a tutti come
tanta parte dei pazienti con patologie
respiratorie siano soggetti anziani che,
fra l’altro, non raramente soffrono di patologie extra-polmonari alla cui soluzione
i geriatri contribuiscono spesso in modo
determinante.
L’evento si è articolato in quattro sezioni nelle quali, durante le tradizionali
relazioni, l’esposizione di Casi Clinici e
nel corso della Tavola Rotonda si sono
cimentati qualificati oratori (Antonelli Incalzi, Puglisi, Le Donne, Benassi, Pasqua,
Portalone, Failla, Cilenti, Saltini, Altieri,
ecc.). Si è avuto costantemente l’intervento dell’uditorio il che ha consentito di
approfondire e condividere le soluzioni
clinico-terapeutiche più idonee per la gesione del paziente anziano con patologie
polmonari.
I temi svolti sono stati innovativi nel
senso che comunemente non vengono specificamente dibattuti durante le manifestazioni scientifiche dagli pneumologi il
che ha reso molto interessante l’evento.
Particolare attenzione è stata rivolta agli
aspetti assistenziali specie nella fase domiciliare che notoriamente è particolarmen-
te complessa per una serie di motivazioni
che sono emerse nel corso delle relazioni e
nel corso di una dedicata Tavola Rotonda
moderata da V. Cilenti, Presidente della
Sezione Regionale AIPO del Lazio.
Anche nell’edizione di questo anno 2010
il Forlanini Day ha riscosso un diffuso
consenso ed un rilevante successo. I temi
delle quattro sessioni sono stati:
1) La Valutazione Multidimensionale e le
comorbilità nel paziente pneumopatico
anziano.
2) Aspetti terapeutici e problemi clinicoassistenziali nel paziente pneumopatico anziano.
3) Paziente Anziano e aspetti chirurgici in
pneumologia.
4) Il Paziente Anziano e le infezioni respiratorie.
In particolare nella III^ sessione presieduta dal presidente Onorario della Forza Operativa Nazionale Interdisciplinare
Contro il Carcinoma Polmonare (FONICAP) sono stati trattati da Galluccio, Lopergolo e Valente temi inerenti la patologia neoplastica broncopolmonare quali la
disostruzione bronchiale, la chirurgia toracica mininvasiva e la radioterapia quale
fonte di rischio di fibrosi post-attinica.
Franco Salvati
Società Editrice Universo S.R.L.
Via G.B. Morgagni 1 - 00161 Roma
Tel. 064402053/4 - 0644231171 - 0664503500 – Fax 064402033
E-mail: [email protected] - Indirizzo Web: http://www.seu-roma.it
GRUPPO PERIODICI
LA CLINICA TERAPEUTICA: Rivista bimestrale di clinica e terapia medica, diretta da Pietro Cugini e Massimo Lopez.
MEDICINA PSICOSOMATICA: Rivista trimestrale di medicina psicosomatica, psicologia clinica e psicoterapia,
diretta da Massimo Biondi, redatta da Roberto Delle Chiaie.
ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITà: Rivista bimestrale, diretta da G.M. Fara, A.
Gullotti, V. Leoni, A. Panà, A. Simonetti D’Arca.
ZACCHIA - Archivio di Medicina Legale, sociale e criminologica: Rivista trimestrale, diretta da Ferdinando
Antoniotti, Paolo Arbarello, Luigi Macchiarelli, Silvio Merli.
La clinica termale: Rassegna trimestrale di idrologia e climatologia medica, fondata da Mariano Messini.
SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE: Rivista trimestrale, diretta da V. M. Saraceni.
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES: Rivista quadrimestrale di ricerca infermieristica, diretta da
Paola Binetti.
ANNALI DEGLI OSPEDALI SAN CAMILLO E FORLANINI: Rivista trimestrale, diretta da Franco Salvati.
ABBONAMENTI ANNO 2010
Italia
Euro
LA CLINICA TERAPEUTICA
56,00
LA CLINICA TERAPEUTICA ... on-line 45,16 + Iva 20%
MEDICINA PSICOSOMATICA 45,00
MEDICINA PSICOSOMATICA ... on-line 38,00 + Iva 20%
ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITÀ 69,00
ANNALI DI IGIENE .... on-line 55,16 + Iva 20%
ZACCHIA
50,00
ZACCHIA ...... on line 39,00 + Iva 20%
LA CLINICA TERMALE 32,00
SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE 39,00
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES 33,00
INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES ..... on line
24,00 + Iva 20%
ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (Istituzionale)
100,00
ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (privato)
73,00
Estero + sp.Postali
Euro
112,00 +
45,16
90,00 +
38,00
138,00 +
55,16
100,00 +
39,00
64,00 +
78,00 +
66,00 +
24,00
200,00 +
146,00 +
Euro
32,00
20,00
32,00
32,00
20,00
20,00
17,00
20,00
20,00
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