ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 5, Gennaio - Marzo 2010 Direttore FRANCO SALVATI Comitato di Redazione ALFONSO ALTIERI, ROBERTO BARTOLUCCI, FRANCESCO BELLI (Redattore capo), GIUSEPPE CARDILLO, PAOLO DE PAOLIS, GIUSEPPE FAMULARO, PAOLO MATTIA,GIOVANNI MINARDI (Coordinatore), FABRIZIO NESI, BRUNO NOTARGIACOMO, STEFANO PIERI, ELIO QUARANTOTTO, GIUSEPPE RICCI, GIANDOMENICO SEBASTIANI, ALESSANDRO SEVERINO, ELISABETTA TARQUINI Segreteria di Redazione: RITA VESCOVO, ALMERINDA ILARIA Comitato Scientifico-Editoriale Coordinatore ROBERTO CANOVA LOREDANA ADAMI, MARIO GIUSEPPE ALMA, CATERINA AMODDEO, DONATO ANTONELLIS, GIANLUCA BELLOCCHI, FRANCO BERTI, FRANCO BIANCO, ELSA BUFFONE, ALESSANDRO CALISTI, ILIO CAMMARELLA, PIERGIORGIO CAO, ALBERTO CIANETTI, ENRICO COTRONEO, FRANCESCO CREMONESE, ALBERTO DELITALA, FILIPPO DE MARINIS, SALVATORE DI GIULIO, CLAUDIO DONADIO, VITTORIO DONATO, GIUSEPPE MARIA ETTORRE, LAURA GASBARRONE, CLAUDIO GIANNELLI, EZIO GIOVANNINI, PAOLA GRAMMATICO, LUCIA GRILLO, MASSIMO LENTINI, ANDREA LEVI DELLA VIDA, ANNA LOCASCIULLI, IGNAZIO MAJOLINO, CARLO MAMMARELLA, LUCIO MANGO, LAURO MARAZZA, PIERLUIGI MARINI, MASSIMO MARTELLI,ANTONIO MENICHETTI, GIOVANNI MINISOLA, CINZIA MONACO, FRANCESCO MUSUMECI, REMO ORSETTI, PAOLO ORSI, GIOVACCHINO PEDICELLI, BRUNO ANDREA PESUCCI, VINCENZO PETITTI, LUCA PIERELLI, ROBERTO PISA, LUIGI PORTALONE, GIOVANNI PUGLISI, SANDRO ROSSETTI, ENRICO SANTINI, GIOVANNI SCHMID, CLAUDIO STAZZI, CORA STERNBERG, GIUSEPPE STORNIELLO, PIERO TANZI, ROBERTO TERSIGNI, ANNA RITA TODINI, MIRELLA TRONCI, MAURIZIO VALENTINI, ROBERTO VIOLINI Segreteria: GIOVANNA DE PAOLA Società Editrice Universo R OMA Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini Roma Direttore Generale: Luigi Macchitella Direttore Sanitario: Diamante Pacchiarini Direttore Amministrativo: Antonino Giliberto Società Editrice Universo R OMA Abbonamenti 2010 Italia: istituzionali € 100,00; privati € 73,00 Estero: istituzionali € 200,00; privati € 146,00 Il prezzo di ogni fascicolo (solo per l'Italia) è di € 20,00, se arretrato € 40,00 Per la richiesta di abbonamenti e per la richiesta di inserzioni pubblicitarie rivolgersi a Società Editrice Universo s.r.l., Via G.B. 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Giustino (PG) I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i paesi. ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 5, Gennaio - Marzo 2010 Contenuto EDITORIALE La Cooperazione ospedaliera per il "peace building" nel Corno d'Africa: l'impegno dell'Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini G. DE VITO, C. RESTI,G. GASPARETTI, M. COSSUTTA Hospital cooperation for "peace builging" in the Horn of Africa: the commitment of the San Camillo-Forlanini Hospital ARTICOLI ORIGINALI Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario L. BOCCARDI, G. MINARDI, P.G. PINO, G. PULIGNANO, C. MANZARA. S. LEONETTI, L. BERNARDI, A.M. PARISI, C. CAPRISTO Cardiac management in women receiving chemioterapy for breast cancer La gestione percutanea delle fistole artero-venose per la dialisi: nostra esperienza con l'angioplastica percutanea transluminale S. PIERI, P. AGRESTI, G. REGINE, A. CORNABUCI, S. PIZZARELLI, V. PENSALFINI, S. DI GIULIO, L. DE' MEDICI Percutaneous management of hemodialysis fistulas: our experience with transluminal percutaneous angioplasty EVIDENZE A CONFRONTO LA DIAGNOSTICA IN ALLERGOLOGIA PEDIATRICA TRA NOVITÀ E TRADIZIONE Il pediatra e il bambino allergico E. TARQUINI Il pediatra e la "tradizione" in allergologia B. PAGGI Il pediatra e le "novità" in allergologia C. ALESSANDRI RASSEGNE Calprotectina fecale: nuovo marcatore biologico dell'attività infiammatoria nelle patologie enterocoliche C. GIANNELLI, G. PARISI, V. GIANNELLI Fecal calprotectin: new biological marker of inflammatory activity in enterocolic diseases Ipogonadismo nell'anziano F. VALENTINI Hypogonadism in elderly Malattia ossea di Paget G. COPPI, P. ZUPPI, E. FIDOTTI Paget's bone disease GESTIONE E ORGANIZZAZIONE SANITARIA Organizzazione e struttura funzionale del Gruppo Operativo Interdisciplinare "Scompenso Cardiaco": la risposta sostenibile di un moderno sistema di cure a un problema emergente di Sanità pubblica G. PUGLIGNANO, G. MINARDI, M.D. TINTI, L. MONZO, L. GASBARRONE, F. MUSUMECI Structure and function on the Interdisciplinary Operating Group for Heart failure: a reliable answer of a modern care system to an emergent public health problem 5 10 18 27 28 29 33 39 44 49 RECENSIONI "Alla scoperta dell'ipertensione arteriosa. Una storia lunga alcuni secoli" L. GASBARRONE "Nutrizione e patologia gastro-intestinale" F. SALVATI 59 NOTIZIARIO G. MINARDI F. SALVATI 61 63 60 La Rivista è stata selezionata da ELSEVIER BV BIBLIOGRAPHIC DATABASES per l’indicizzazione nei databases EMBASE, SCOPUS, COMPEDEX, GEOBASE, EMBIOLOGY, ELSEVIER BIOBASE, FLUIDEX E WORLD TEXTILES www.scamilloforlanini.rm.it ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Editoriale LA COOPERAZIONE OSPEDALIERA PER IL “PEACE BUILDING” NEL CORNO D’AFRICA: L’IMPEGNO DELL’AZIENDA OSPEDALIERA SAN CAMILLO-FORLANINI HOSPITAL COOPERATION FOR PEACE BUILDING IN THE HORN OF AFRICA: THE COMMITMENT OF THE SAN CAMILLO-FORLANINI HOSPITAL GIANLUCA DE VITO, CARLO RESTI, GIANLUIGI GASPARETTI, MAURA COSSUTTA UO Sanità Internazionale e Cooperazione Direzione Generale Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma Parole chiave: Cooperazione allo sviluppo. Cooperazione sanitaria. Salute globale. Peace building, Diplomazia sanitaria Key words: Development cooperation. Health cooperation. International Health. Peace building. Health Diplomacy L’Unità Operativa Sanità Internazionale e Cooperazione ospedaliera con i Paesi in Via di Sviluppo, in staff alla Direzione Generale, è stata costituita nel 2006, dopo una proficua esperienza biennale condotta presso l’ Ufficio Centrale Formazione. Il programma di cooperazione ospedaliera e di Educazione allo Sviluppo per i professionisti ospedalieri mira a valorizzare l’ impegno umanitario e professionale, in linea con gli Obiettivi del Millennio (Millennium Development Goals) di lotta alle povertà e di sviluppo sostenibile, sanciti dalle Nazioni Unite e dalla società civile e si ispira altresì ai principi di efficacia degli aiuti sanitari contenuti nella Dichiarazione di Parigi del 2005. Le attività in capo a questa unità, in staff alla Direzione Generale, comprendono: • collaborazione con la ONG VPM, idonea Ministero Affari Esteri (MAE), finalizzata alla realizzazione di progetti co-finanziati da donatori pubblici e privati, con la partecipazione di altre Ong, Onlus ed Associazioni in rappresentanza della società civile. • assistenza tecnica, consulenza e forma- • • • • zione sul campo, nei PVS ed educazione allo sviluppo per il personale ospedaliero aziendale e regionale; rapporti internazionali con istituzioni e strutture sanitarie di altri Paesi e gemellaggi con ospedali dell'Africa Sub-Sahariana (internazionalizzazione della A.O.); rapporti con le Istituzioni cittadine e con Enti locali per progetti di cooperazione decentrata e con altre Istituzioni che regolano il servizio civile internazionale; rapporti con la Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Affari Esteri (MAE), Unità Tecnica Centrale e Locali, Uff. VII e Uff. territoriale IV; rapporti con le istituzioni del S.S.N. e del Ministero della Salute che svolgono attività di cooperazione sanitaria ed ospedaliera per il diritto alla salute e la lotta alla povertà e promuovono e tutelano la salute dei migranti (es. Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà – INMP). 6 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 L’Azienda Ospedaliera San Camillo • Comune di Roma; – Forlanini (AOSCF) ha firmato una de• Conferenza episcopale - CEI; libera di accordo quadro con l’ Organismo • Fondazione Banca Nazionale delle CoNon Governativo Voci di Popoli del Mondo municazioni - BNC; – (Ong Vpm), per lo sviluppo di progetti • Nando Peretti Foundation; sanitari sostenuti da donatori Pubblici • Fund Raising interno - Gift Matching e Privati a cui partecipa anche la Onlus Aziendale e 5x1000. Milena per la cardiologia. Un membro L’unità operativa è una struttura sneleffettivo e dirigente medico ospedaliero, la, che si avvale del supporto amministrapartecipa alle attività del Osservatorio tivo della Direzione Generale con 4 aree Italiano sulla Salute Globale (OISG) e soindipendenti, ciascuna con un suo refeno state avviate nel 2009 le attività legate rente come illustrato nel funzionigramma al Forum salute delle donne italiane e mi(Fig.1). granti (Convegno nazionale “I diritti delle donne e la salute globale per lo sviluppo”, Il progetto di cooperazione ospeISS, Roma 9-10 marzo 2009). Nel 2008-09 daliera e di internazionalizzazioè stato attivato un percorso di formazione ne dell’ospedale ed aggiornamento continuo (ECM) degli operatori professionali sulla salute globale Il Corno d’Africa è una delle aree geoe la cooperazione allo sviluppo in rete con grafiche più povere e tormentate del piaaltre strutture ospedaliere di Roma co-fineta, prioritarie per interventi di coopenanziato dal MAE- DGCS. razione allo sviluppo della cooperazione Le attività di cooperazione ospedaliera italiana ed europea. In questo contesto, condotte da AOSCF - Ong Vpm e partners caratterizzato da crisi belliche recenti con sono concentrate in gemellaggi e progetti migliaia di rifugiati e sfollati, dispute di nell’ area geografica prioritaria del Corconfine e questioni di geopolitica di diffino d’ Africa (Eritrea, Etiopia), contricile risoluzione, è stato localizzato l’interbuendo attraverso buone prassi mediche vento sanitario dell’ Azienda Ospedaliera condotte in loco ma anche presso le UOC S. Camillo - C. Forlanini (AOSCF) rivolto della AOSCF al peace building nell’area, a popolazioni povere, con indirizzo fora cui partecipano operatori sanitari azienmativo degli omologhi locali ospedalieri e dali e regionali. L’azione di pace indiretta, ministeriali e con l’obiettivo di contribuire attraverso il rapporto tra le Istituzioni attraverso buone prassi mediche al procesnosocomiali di cui è capo fila del programso di “peace building” nell’ area, in accordo ma l’ AOSCF, sia a livello primario che di riferimento specialistico, rappresenta anche un contributo di diplomazia sanitaria favorendo un approccio specifico del diritto alla salute e della sanità pubblica, come priorità per uno sviluppo sostenibile endogeno dei paesi beneficiari, nelle agende internazionali di politica estera ma anche attività relazionali significative a livello di governi locali. I progetti di cooperazione ospedaliera sono sostenuti da contributi istituzionali e/o privati: • Direzione Generale Cooperazione e Sviluppo del Ministero Affari Esteri; Fig.1 - Funzionigramma essenziale • Regione Lazio; G. de Vito et al.: La cooperazione ospedaliera per il “peace building” nel Corno d’Africa ad una azione innovativa di diplomazia della salute, siglata dal Ministero Affari Esteri e Ministero della Salute Italiani nei convegni di Roma del 8.2.07 e 11.12.07. Dal 2003 l’Azienda Ospedaliera San Camillo – Forlanini ha avviato un programma di internazionalizzazione, dove la cooperazione ospedaliera ha un ruolo prioritario. Una Delibera Aziendale (n° 999 del 21 maggio 2003) ha siglato un accordo con la Ong Voci di Popoli del Mondo (VPM), www.ongvpm.org avente idoneità con il Ministero degli Affari esteri e con la Onlus Milena, focalizzando la propria azione di assistenza clinica e formativa in questa regione africana, in particolare in Eritrea e in Etiopia. I progetti prevedono essenzialmente interventi di assistenza clinico-chirurgica e formazione ospedaliera, attraverso l’invio in missione di professionisti ospedalieri adeguatamente formati, in qualità di Cooperanti Ong Vpm-AOSCF, suddivisi in diversi Team specialistici. Essendo l’AOSCF un presidio nazionale di alta specializzazione, da sempre dedito al trattamento di patologie specialistiche e complesse (Ematologia, Cardiochirurgia, Chirurgia Generale, Radiologia interventistica, politrauma etc.), gli interventi hanno compreso anche il trattamento di pazienti vulnerabili e non residenti in paesi in via di sviluppo, grazie al piano di Umanizzazione della Regione Lazio, sostenuto anche da Associazioni partner ed/o attraverso accordi bilaterali siglati tra AOSCF e Ministeri della Salute locali. Il programma di cooperazione ospedaliera è stato avviato nel 2003 in forma benevola e spontanea con il coinvolgimento del personale dipendente, strutturandosi progressivamente, con una visibilità crescente per l’ AOSCF, che nel 2006 ha costituito l’ Unità Operativa di Sanità Internazionale e Cooperazione, ritenuta di interesse strategico per il suo valore umanitario e solidale e considerata un ramo dell’ “albero del Bilancio Sociale” dell’ AOSCF. Politiche e strategie L’ AOSCF ha siglato nel 2006 un accordo con il Ministero della Sanità Eritreo e nel 7 2007 con il “Tigray Health Bureau” in Etiopia, per realizzare progetti di cooperazione sanitaria congiunti, e promossi da donatori nazionali ed internazionali, attraverso la collaborazione gestionale della Ong Vpm. Pertanto risulta capofila di attività sanitarie anche con il coinvolgimento di altre AO e ASL Regionali e nazionali. Coinvolgimento del personale Il coinvolgimento del personale è stato l’elemento qualificante di questo progetto. Il progetto di cooperazione ospedaliera in atto, oltre ad offrire know how clinico-formativo in loco, favorisce un’ azione di educazione allo sviluppo (EaS) per il personale ospedaliero di ruolo, con effetto moltiplicatore di sostegno ai Team di espatriati. Inoltre il progetto ha consentito di motivare in modo a volte inaspettato personale spesso demotivato dalla routine della sanità pubblica, con ritorno in termine di comportamenti etici e professionali sostenibili, con un incremento motivazionale ed in ogni caso come elemento di aggregazione interna per azioni concrete e solidali. Dal Gennaio 2006 al Aprile 2009 l’ Azienda Ospedaliera S. Camillo - Forlanini con la Ong Vpm ha inviato in missione un totale di 212 Cooperanti espatriati, suddivisi in 32 Team specialistici presso Orotta Hospital di Asmara e 23 Team presso Ghindae Referral Hospital, in Eritrea, per le specialità della Chirurgia Pediatrica, Chirurgia Generale e Laparoscopica, Chirurgia Toracica, Endo-Urologia, Radiologia, Neonatologia, Anestesia e Rianimazione, specialità Internistiche, Malattie Infettive, Pediatria, Ortopedia, Radiologia, Chirurgia Generale. Per quanto riguarda l’Etiopia sono stati inviati in missione 12 cooperanti presso Hewo Hospital in Etiopia per Chirurgia Generale e Anestesia in collaborazione con l’ Associazione Lazio Chirurgia ; inoltre nei 2 paesi (Eritrea ed Etiopia) 28 (14+14) cooperanti per un progetto clinico specialistico Cardiologico e sul Pap test e le mutilazioni genitali femminili e che ha previsto attività ospedaliera e territoriale di prevenzione delle cardiopatie reumatiche con trasferimento dei pazienti pediatrici 8 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 gravi presso UOC CardioChirurgia e Radiologia Interventistica dell’ AOSCF con piano di Umanizzazione sostenuto dalla Regione Lazio e di adulti e bambini presso Selam Hospital di Kartoum, Sudan (Ong Emergency). L’ AOSCF ha sempre curato i rapporti con l’ associazionismo di base, espressione della società civile nei diversi aspetti clinici del sociale, come evidenziato nella pagina del sito sul Bilancio Sociale: www. scamilloforlanini.rm.it. Nel 2008 in partenariato con ONG VPM, la AOSCF ha vinto il premio di solidarietà per istituzioni pubbliche “SODALITAS AWARD”. L’evoluzione del progetto di cooperazione ospedaliera in Corno d’ Africa ha poi permesso di comprendere le potenzialità dell’ azione umanitaria in un contesto internazionale e di confronto con l’approccio trans-culturale per l’ accoglienza interna. L’ONG VPM è idonea dal 1988 per Decreto Ministeriale presso il Ministero Affari Esteri (MAE), è Membro Fondatore del Comitato Cittadino della Cooperazione Decentrata del Comune di Roma (CCCD) e da oltre 25 anni è presente in Africa con progetti di cooperazione allo sviluppo. In particolare, coordina e gestisce alcuni progetti ospedalieri co-finanziati da donatori istituzionali e privati nell’ area del Corno d’ Africa (Eritrea ed Etiopia, ma anche in Benin) dove l’ AOSCF è presente attraverso propri professionisti esperti. La Onlus Milena è operativa in Etiopia nel settore cardiologico ed è inoltre insediata presso il Dipartimento Cardioscienze dell’AOSCF, come altre associazioni ed istituzioni tra cui l’ Università La Sapienza e l’ INMP S.Gallicano - Onlus IISMAS, partecipano al programma con progetti specifici. Il programma di cooperazione ospedaliera per il peace building in Corno d’ Africa, è sostenuto da donatori privati e pubblici e prevede l’ invio in breve e lunga missione di cooperazione ospedaliera attraverso la Legge Regionale (Lazio) di Bilancio n° 2 del 2 Febbraio 2004. art 71, su richiesta della Ong Vpm, di operatori sanitari di ruolo. Il programma ha attivi, in modalità di cooperazione decentrata (Regione Lazio, Comune di Roma e Fon- dazione BNC) 4 progetti ospedalieri di assistenza tecnica e formazione e di sanità territoriale in ambito Materno Infantile in Eritrea presso Orotta Hospital di Asmara e presso Ghindae Referral Hospital. In Etiopia sono operativi 2 progetti, il primo di cooperazione istituzionale (Ministero degli Affari Esteri) per un progetto triennale Ospedaliero (aid n. 8442) a Mekellè con la costruzione di un Centro specialistico per il potenziamento delle attività cliniche e formative in ambito alle malattie dermatologiche-infettive e di lotta all’ AIDS con associati l’INMP, la Onlus IISMAS e la ong Missione Futuro. Due altri progetti di cooperazione decentrata sono operativi nei 2 Paesi (Eritrea e Etiopia) per le specialità cardiologiche ed il materno infantile, sostenuti dalla Regione Lazio, dal Comune di Roma e dalla Nando Peretti Foundation. Le difficoltà presenti al momento in Somalia (progetto aid n.8094 MAE) non garantiscono la sicurezza ai cooperanti espatriati. Un altro progetto nutrizionale operativo e sostenuto dalla CEI è operativo in Benin. Processi Questa attività specifica di Cooperazione Ospedaliera Internazionale a fini umanitari è stata documentata attraverso alcuni Eventi organizzati presso l’ Aula Magna Forlanini (AOSCF) e progetti formativi interni (PFA) accreditati ECM ed inseriti in manifestazioni nazionali specifiche: “Italia Africa” del Comune di Roma, “Giornate della Cooperazione Italiana allo Sviluppo” e Forum Cooperazione del MAE, o presentati a convegni nazionali ed internazionali: Agenzia di Sanità Pubblica 2005; Società Italiana Chirurgia 20062007; CNR Convegni 2006-2007; “Sanit 2007”; Ministero della Salute 2007, etc. In ambito di formazione e aggiornamento professionale è anche operativo dal 2008 il progetto aid 8972 sostenuto dal MAE per la costituzione di una rete ospedaliera dedicata, con la realizzazione di corsi formativi specifici per l’Educazione allo Sviluppo (EaS) di operatori sanitari. Questi gli eventi formativi organizzati ed accreditati ECM: G. de Vito et al.: La cooperazione ospedaliera per il “peace building” nel Corno d’Africa • n. 11 eventi dal 2003 al 2009 specifici in tema di cooperazione ed internazionalizzazione alcuni inseriti in Manifestazione Nazionali, di cui alcuni accreditati ECM; • n. 1 Progetto Formativo Aziendale (PFA) accreditato ECM in 6 Edizioni per 120 operatori AOSCF; • n. 2 corsi ed eventi di aggiornamento in ospedale per 50 operatori per un totale di 56 ore di formazione e 49 crediti ECM certificati per l’anno 2009; • dal 2004 sono regolarmente svolti meeting settimanali del venerdì di cui l’ultima edizione 2009, accreditato ECM. Con la realizzazione dei suddetti percorsi di formazione ed aggiornamento il personale ha acquistato motivazione e senso di appartenenza all’ AOSCF in qualità di soggetto organizzatore del progetto di cooperazione ospedaliera internazionale. Oltre ad aver garantito assistenza e formazione ospedaliera in loco, con la partecipazione di Direttori di U.O.1 ha contribuito a migliorare i rapporti interpersonali interni anche con il coinvolgimento dell’ utenza, che vede nell’ azione clinica svolta dai cooperanti ospedalieri un elemento qualificante per una professionalità sanitaria dedicata ai temi della lotta alle povertà ed al diritto universale alla salute. Conclusioni Il programma in corso, oltre al valore clinico umanitario, ha rappresentato un efficace ritorno di immagine per l’ AOSCF, per i partner e per gli operatori coinvolti. Il programma ha anche permesso la costruzione di una prima rete consortile di formazione ed attività cliniche gemellate tra strutture diverse nel settore sanitario che si sta diffondendo a livello regionale, ma anche nazionale attraverso la partecipazione a network di Salute Globale come quella dell’ Osservatorio Italiano – OISG. A. Calisti (Chirurgia Pediatrica), Ignazio Majolino (Ematologia), S. Petrolati (Cardiologia), R. Pisa (Anatomia Patologica), G. Scassellati Sforzolini (Ostetricia e Ginecologia). 1 9 Tale processo di cross fertilization di esperienze, nuove tecniche ed approcci manageriali all’ assistenza sanitaria in contesti a risorse limitate sta producendo un vivo interesse negli operatori con ricadute utili nella qualità dell’assistenza in loco e sul campo. In ambito locale gli accordi siglati tra AOSCF e le istituzioni in loco, hanno previsto anche l’erogazione di prestazioni sanitarie e di cure transfrontaliere presso Dipartimenti ospedalieri di pazienti stranieri anche di livello istituzionale elevato, creando così rapporti di fiducia utili a favorire relazioni diplomatiche e a incentivare una crescita democratica ed uno sviluppo umano sostenibile in loco. Bibliografia essenziale United Nation. The Millennium Development Goals Report 2008. New York, 2008 http://www.un.org/ millenniumgoals/pdf World Health Organization. Aid effectiveness and Health. Working Paper n. 9 WHO /HSS/healthsystems/2007.2. Geneva, 2007 Chan M, Stǿre JG, Kouchner B. Foreign policy and global public health: working together towards common goals. Bulletin of the World Health organization. 2008; 86 (7) ONG VPM. Orotta Teaching Hospital Asmara – Eritrea 2006-2008. Fondazione BNC. Roma, 2009 Sodalitas Social Award. Il libro d’oro della Responsabilità Sociale d’Impresa. Sesta edizione. La cooperazione ospedaliera per il Peace Building in Corno d’Africa. 2008; 501-02, www.sodalitas. socialsolution.it Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. Salute Globale e Aiuti allo sviluppo. Diritti, ideologie e inganni. Pisa, ETS 2008. http://www.saluteglobale.it/ L’Ospedale Glocale. Le giornate dell’etica della cura presso Aula Magna San Camillo. 16 aprile 2009. Bilancio Sociale, AOSCF, 2009. http://www.bilanciosocialesancamilloforlanini.net/ Corrispondenza e richiesta estratti: Dott. Gianluca de Vito e-mail: [email protected] ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Articoli originali VALUTAZIONE E MONITORAGGIO CARDIOVASCOLARE NELLE DONNE IN CHEMIOTERAPIA PER CARCINOMA MAMMARIO CARDIAC MANAGEMENT IN WOMEN RECEIVING CHEMIOTERAPY FOR BREAST CANCER LIDIA BOCCARDI1, GIOVANNI MINARDI1, PAOLO GIUSEPPE PINO1, GIOVANNI PULIGNANO1, CARLA MANZARA1, STEFANIA LEONETTI1, LEDA BERNARDI1, ANNA MARIA PARISI2, COSTANZA CAPRISTO2 1 UO Cardiologia I, Cardiodiagnostica non invasiva, Dipartimento Cardiovascolare; 2 Ambulatorio e DH Oncologia della Mammella, Dipartimento Materno-infantile, Ospedale S.Camillo-Forlanini, Roma Parole chiave: Cardiotossicità. Carcinoma mammario. Ecocardiografia. Chemioterapici Key words: Breast cancer. Anticancer drugs. Cardiotoxicity. Echocardiography Riassunto – Identificare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare cardiotossicità da farmaci antineoplastici rappresenta un obiettivo primario sia per il cardiologo che per l’oncologo; il fine della valutazione è quello di personalizzare quanto più possibile il programma chemioterapico, di utilizzare cardioprotettori, di pianificare un più stretto monitoraggio della funzione cardiaca e di introdurre, in fase precoce, una terapia di prevenzione o di supporto. Vengono descritti gli effetti sul sistema cardiovascolare delle moderne terapie instaurate per il trattamento della neoplasia mammaria, ed il percorso cardiologico specifico utilizzato nel nostro Centro in osservanza alle Linee Guida Oncologiche e cardiologiche internazionali, le valutazioni clinico-strumentali cardiologiche da eseguire in base al tipo di trattamento praticato, all’età, alle patologie cardiologiche pre-esistenti, o che si manifestano in corso di trattamento, e la loro tempistica. Abstract – Anticancer drugs have been reported to cause cardiac side effects including cardiomyopathy, ischemia, arrhythmias, and myocardial necrosis. The severity of cardiotoxicity depends on many factors such as the molecular site of action, the immediate and cumulative dose, the method of administration and the presence of any underlying heart disease. Nevertheless anticancer drugs side effects, usually, are at least partially reversible and responsive to medical management. For this reason in our echo-lab we perform a follow up based upon a precise assessment of anticancer drug possible side effect with clinical and echocardiographic instrumentations to enhance life quality and life expectance of our patients. Le malattie cardiovascolari sono patologie a etiologia multifattoriale in cui il peso relativo dei diversi fattori di rischio determina precocità e gravità della manifestazione clinica di malattia. Nelle donne gli ormoni sessuali, in particolare gli estrogeni1, assumono un ruolo protettivo importante, attenuando l’influenza dei fattori di rischio. Dopo la menopausa il deficit estrogenico causa alterazioni della omeostasi metabolica in senso aterogenetico: variazioni dell’assetto lipidico (aumento delle LDL e dei trigliceridi, riduzione delle HDL), della glicemia, della insulinemia, del grasso addominale2. La funzione vascolare risulta danneggiata3, con aumento delle resistenze vascolari, ridotta risposta vasomotoria e sviluppo di ipertensione arteriosa. Nelle donne in menopausa gli effetti tossici sul sistema cardiovascolare di una tera- L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario pia anti-tumorale, accentuano gli effetti della menopausa stessa, con un ulteriore aumento del rischio cardiovascolare. In donne giovani sottoposte a terapie per neoplasia mammaria, o precocemente ovariectomizzate, l’incidenza di malattie cardiovascolari aumenta progressivamente. Negli ultimi 20 anni sono stati compiuti importanti progressi nella terapia antineoplastica, con un rilevante aumento della sopravvivenza delle pazienti4. Per raggiungere tale risultato però è stato pagato un prezzo elevato in termini di effetti avversi o di danni associati all’aggressività del trattamento Non esiste una univoca definizione di cardiotossicità da chemioterapia (CT). La comparsa di eventi cardiaci avversi quali fenomeni aritmici di diversa gravità, episodi di ischemia miocardica acuta, compromissione della funzione contrattile miocardica, riduzione asintomatica della frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) scompenso cardiaco acuto (CHF), come pure semplici e, spesso aspecifiche, alterazioni della ripolarizzazione ventricolare evidenziate all’ECG, vengono tutti considerati come espressione di cardiotossicità da CT. I dati epidemiologici recenti dimostrano che nelle donne con carcinoma mammario la sopravvivenza a 5 anni libera da eventi è del 90%, del 77% se hanno linfonodi positivi, e del 50% se hanno metastasi a distanza5. La mortalità a 5 anni nei pazienti con scompenso cardiaco è pari al 50%, sovrapponibile quindi alle neoplasie a prognosi peggiore. Il tempo di comparsa dell’evento clinico può essere molto variabile: dall’insorgenza già durante la somministrazione del farmaco si può arrivare a molti anni dopo la fine dell’intero trattamento. Ne consegue che l’incidenza della cardiotossicità è enormemente variabile nei differenti studi (dal 5% fino al 65%) a seconda della definizione clinica utilizzata e della durata del follow up considerato. Effetti cardiovascolari delle moderne terapie antiblastiche Numerosi farmaci anti-neoplastici, sia gli usuali chemioterapici che i più recenti agenti biologici, sono associati ad effetti collaterali cardiaci e vascolari che differiscono da farma- 11 co a farmaco6. La cardiotossicità della moderna terapia antitumorale include problematiche differenti: aritmie, ischemia miocardia e/infarto, disfunzione contrattile ventricolare, tromboembolismo, ipertensione arteriosa7 (Tab. 1). 1. Antracicline Tra i CT le antracicline (ADM) sono le più cardiotossiche e provocano in genere una cardiomiopatia ipocinetica. Il danno cardiaco da antracicline è stato attribuito ad un aumento, dose-dipendente, dello stress ossidativo (SO) intracellulare, che modifica l’equilibrio tra la sintesi e la degenerazione proteica. Lo SO si viene a creare quando vi è uno sbilanciamento tra i processi ossidativi di origine energetica, metabolica e reattiva in relazione alla capacità antiossidante dell’organismo. Questo porta ad una disorganizzazione delle proteine, con perdita della funzionalità. Lo SO porta inoltre all’induzione di morte dei miociti, sia per apoptosi, sia per necrosi del miocardio e ciò determina un danno irreversibile8. La cardiotossicità da antracicline è dose-dipendente, correlata al dosaggio cumulativo. Dosaggi cumulativi di 400-500 mg/mq sono sicuri, con una incidenza di cardiotossicità intorno al 5%. Uno studio retrospettivo9ha indicato che la dose cumulativa totale è il fattore di rischio più importante per scompenso cardiaco. L’incidenza di scompenso cardiaco è bassa fino alla dose cumulativa di 300 mg/mq (3%) ed aumenta a dosi più elevate: 7% a 550 mg/mq; 18% a 700 mg/mq5. Gli outcome di sopravvivenza valutati nei pazienti con cardiomiopatia indotta da antracicline e nei pazienti con cardiomiopatie di altra origine (HIV, ischemica, idiopatica) hanno dimostrato che le cardiomiopatie da antracicline hanno una prognosi peggiore, con un tempo medio di sopravvivenza di 2 anni e mezzo. Altri fattori di rischio per la cardiotossicità da antracicline sono la CT combinata, la radioterapia mediastinica precedente o concomitante, l’età, l’ipertensione. L’epirubicina è impiegata perché significativamente meno cardiotossica sia come agente singolo, che combinato: differisce strutturalmente dalla doxorubicina (epimerizzazione del gruppo ossidrile) pur mantenendo in molti trial10 analoga attività anti-neoplastica nel tumore mammario metastatizzato. 12 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Tabella 1 - Farmaci e tossicità Farmaco Dose tossica Eventi Incidenza Chemioterapici Anthracicline - Doxorubicina - Epirubicina >450 mg/mq >720 mg/mq Scompenso(CHF) cardiomiopatie, aritmie 2-12% 4-15% Dose standard Bradicardia, CHF in combinazione Dose standard Angina/infarto 2-3% Trastuzumab (Herceptin®) Dose standard CHF, cardiomiopatie 3-28% Bevacizumab (Avastin ®) Dose standard CHF, trombosi cardiomiopatie 5-20% Taxani - Paclitaxel - Docetaxel Antimetaboliti - 5-Fluorouracile - Capecitabine Anticorpi monoclonali Vengono elencati i vari farmaci utilizzati nella chemioterapia oncologica della mammella, la dose cardiotossica, gli eventi cardiovascolari e la loro incidenza. Il metodo pressoché uniformemente utilizzato negli studi presenti in letteratura per la valutazione della cardiotossicità è il monitoraggio ecocardiografico della frazione di eiezione (FEVS): i pazienti che all’inizio della terapia presentano una FEVS normale, devono sospendere il trattamento se la FEVS si riduce >10% fino a <50% (Tab. 2); nei pazienti in cui la FEVS è compresa tra 30% e 50% la terapia va sospesa se la FEVS scende >10% o se comunque è < 30%. 2. 5-Fluorouracile Il 5-fluorouracile è un farmaco che si fissa rapidamente nei tessuti, l’eliminazione nel miocardio può richiedere anche 72h: cardiotossicità si può manifestare anche 2-3 giorni dopo la fine della terapia. Tabella 2 - Cardiotossicità e trattamento Cardiotossicità antracicline FEVS >50% FEVS <50% Interruzione trattamento Riduzione >10% Controind/sospensione Indicazione al proseguimento o alla sospensione del trattamento in base agli effetti cardiotossici delle antracicline basata sulla riduzione della funzione ventricolare sinistra (FEVS) valutata con ecocardiografia. La capecitabina (Xeloda) è un analogo orale che viene trasformato a livello epatico in 5-FU e può causare cardiotossicità: l’incidenza di cardiotossicità varia dall’1,6% al 20%, mentre la mortalità è tra il 2 e il 13%. Tra gli effetti più rilevanti si possono annoverare angina, infarto, aritmie, morte improvvisa di solito di tipo vasospastico. In presenza di sintomi sospetti vanno effettuati adeguati accertamenti (ecostress, test ergometrico). I comuni farmaci anti-anginosi non si sono dimostrati in grado di prevenire l’ischemia miocardica, per cui l’unico provvedimento da prendere è la sospensione della terapia11. Gli effetti cardiovascolari del Paclitaxel sono rappresentati prevalentemente da alterazioni del ritmo che possono insorgere in forma acuta durante l’infusione o subacuta dopo 14 giorni dal trattamento; quando somministrato in associazione ad antracicline può indurre un aumento del rischio di scompenso congestizio. Il Docetaxel ha un rischio minore di indurre tossicità cardiaca, ma, per la sua capacità di alterare la permeabilità delle membrane cellulari,può provocare ritenzione idrica con versamento pericardio, pleurico e peritoneale. Tutti i pazienti che devono effettuare CT vanno sottoposti ad ecocardiogramma, per valutare la funzione sistolica e diastolica del ventricolo sinistro ed escludere la presenza di anomalie della cinesi parietale e/o valvulo- L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario patie. A tutti, inoltre, è necessario effettuare visita cardiologica+ECG, per valutare la eventuale concomitanza di altri fattori di rischio cardiovascolare (dislipidemia, diabete, ipertensione, ecc). 3. Anticorpi monoclonali Tra i farmaci antitumorali diretti contro uno specifico bersaglio molecolare, gli anticorpi monoclonali hanno modificato la storia naturale del carcinoma mammario. In particolare l’anticorpo che si lega ad uno specifico recettore per un fattore di crescita extracellulare, il recettore di membrana ErbB2, il TRASTUZUMAB, (Herceptin, HER), è elettivo per il trattamento di pazienti con carcinoma mammario con iperespressione del recettore HER-2. L’iperespressione del recettore HER-2 nei tumori mammari è associata ad una prognosi peggiore e ad un aumento della mortalità. Il trattamento con tanstuzumab si è dimostrato efficace nel prolungare l’intervallo libero da malattia quando usato in terapia adiuvante e nel prolungare il tempo di progressione quando usato nella fase metastatica. La cardiotossicità è motivata dal fatto che i recettori target della molecola presenti sulle cellule tumorali sono espressi anche nel cuore. Il segnale attraverso il recettore ErbB2 può modulare lo stress ossidativo ed il danno strutturale. Il danno cardiaco da trastuzumab12 è reversibile in un’alta percentuale di casi, perché l’effetto sembra essere dovuto al cambiamento della struttura terziaria dei miociti, e non alla loro morte. Senza la somministrazione concomitante di antracicline, il trastuzumab non induce un significativo rischio di cardiotossicità (<3%). Tuttavia, i trial clinici condotti con tale farmaco hanno dimostrato una elevata incidenza di effetti collaterali cardiaci, tra cui il principale è lo sviluppo di una disfunzione ventricolare sinistra con evoluzione verso lo scompenso13. Per evitare quindi che la CT possa peggiorare la prognosi delle pazienti e vanificare gli effetti positivi della terapia antineoplastica è fondamentale un adeguato monitoraggio cardiovascolare. Il cardiologo deve conoscere questi farmaci ed il loro potenziale effetto, per dare adeguate indicazioni alla terapia. 13 La visita cardiologica preliminare alla terapia con trastuzumab serve ad identificare le pazienti con maggior rischio di tossicità o nelle quali l’impiego di tale farmaco sia controindicato: fattori di rischio sono età (>70 anni), precedenti cardiopatie (valvolari o ischemica) ipertensione arteriosa di grado 3. La maggioranza degli studi utilizza la FEVS per la valutazione della cardiotossicità; come indicato nella tabella 3, nelle donne asintomatiche la gestione della terapia con trastuzumab deve essere effettuata ponendo estrema attenzione alle variazioni della FEVS. La FEVS, é un parametro non invasivo, semplice da rilevare, ma può risentire di limitazioni metodologiche e interpretative, se utilizzato in modo non ottimale e risultare, quindi, un indice con risvolti dannosi per le pazienti, perché costringe a sospensioni precoci della terapia (Tab. 3); può essere infine un parametro che si modifica troppo tardivamente. Nuovi parametri ecocardiografici14 sono stati individuati alla ricerca di diagnosi precoce di disfunzione cardiaca: valutazione FEVS tridimensionale, studio della funzione diastolica con Doppler di flusso e valutazioni della funzione sistolica e diastolica con il Doppler Tissutale. Le nuove tecniche15 ecocardiografiche (Doppler e TDI) hanno dimostrato che la valutazione della funzione diastolica può fornire un indice precoce di disfunzione e permettono di iniziare un trattamento preventivo della disfunzione16 globale de ventricolo sinistro e dello scompenso cardiaco. La diagnosi precoce di disfunzione permette di attuare un trattamento farmacologico come previsto dalle Linee-Guida Oncologiche Tabella 3 - Gestione della terapia con trastuzumab in base alla riduzione della FEVS in pazienti asintomatiche FEVS Trattamento Stabile Continua trastuzumab Riduzione 1-5% Continuare trastuzumab Riduzione del 10-15% Sospendere trastuzumab e ripetere eco a 4settimane Riduzione >15% Sospendere trastuzumab e ripetere eco a 4settimane Gestione della terapia con transuzumab in pazienti asintomatiche in relazione alle variazioni della funzione ventricolare sinistra (FEVS) 14 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 vigenti; la Società Europea di Cardiologia raccomanda l’interruzione della terapia con trastuzumab e la somministrazione di ace-inibitori (o ARBs) in tutte le pazienti sintomatiche o meno in cui sia riscontrata una FE <40%; la somministrazione di beta-bloccanti ed eventualmente di glucosidi digitalici è raccomandata per le pazienti in classe NYHA II-IV. Un altro anticorpo monoclonale in uso nella terapia della fase metastatica del carcinoma mammario e dotato di effetti collaterali cardiovascolari importanti è il Bevacizumab, che ha come bersaglio il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGRF), il fattore chiave nella proliferazione delle cellule endoteliali e nella regolazione della permeabilità vascolare. Studi clinici hanno dimostrato che il Bevacizumab in combinazione con i taxani ha prodotto un miglioramento sia delle risposte obiettive sia del tempo di progressione. Gli eventi avversi più comuni che si associano all’utilizzo del Bevacizumab in combinazione con chemioterapici sono l’ipertensione arteriosa (incidenza massima del 23,6%), il danno renale (proteinuria) e gli eventi trombo-embolici. L’ipertensione può essere facilmente gestita da personale esperto e con l’impiego di antiipertensivi di uso comune: calcio-antagonisti, beta-bloccanti, ace-inibitori; questi ultimi possono essere particolarmente utili anche in presenza di proteinuria. La terapia anti-ipertensiva può essere proseguita se la PA < 150/90, la sospensione del Bevacizumab va effettuata nei casi di crisi ipertensiva o di ipertensione non controllabile con le comuni associazioni e in presenza di proteinuria > 2 g nelle 24 h. L’incidenza di cardiomiopatia è del 3-15%. Le donne con precedenti cardiopatie, sottoposte a radiazioni, ipertese, anziane hanno uno stress ossidativo aumentato e sono ad alto rischio di tossicità cardiaca. Bisogna poi ricordare che esistono fenomeni di interazione con altri farmaci cardiologici: Dasatinib e Nilotib non possono essere associati a farmaci che allunghino il QT. Molti farmaci sono inoltre metabolizzati dal citocromo P450, per cui bisogna valutare eventuali interazioni metaboliche; sono induttori del citocromo P450 le statine (tranne la pravastatina), l’amiodarone, i calcio-antagonisti (tranne la lacidipina), il warfarin, il losartan, la doxazosin, la torasemide, il carvedilolo, la flecainide, il propafenone, il propanololo. 4. Radioterapia La radioterapia mediastinica effettuata in associazione alla CT può causare danni cardiaci acuti o cronici. Tra i fattori di rischio vi è l’età (inferiore a 20 anni all’epoca della irradiazione), il trattamento concomitante con antracicline, la dislipidemia, la dose totale di radiazione (superiore a 30Gy)17. Gli effetti dannosi sul cuore si manifestano con pericarditi, con forme di pericardite attinica, che spesso evolvono nella forma costrittiva, ma anche con valvulopatie e con coronaropatie (con lesioni spesso calcifiche nel primo tratto delle coronarie). I tempi di latenza per le manifestazioni cliniche sono lunghi (> 8 anni), con manifestazioni cliniche di coronaropatia anche dopo 15-20 anni. È raccomandabile la modifica dei fattori di rischio (dislipidemia, ipertensione etc.) e un follow-up prolungato completo di ecocardiogramma color Doppler, ECG da sforzo entro qualche mese dalla fine della terapia radiante e dopo 2-5 anni). Biomarcatori cardiospecifici Le valutazioni clinico strumentali vanno eseguite in ottemperanza alle vigenti LineeGuida nazionali ed internazionali, allo scopo di prevenire e trattare precocemente le varie forme di cardiomiopatie eventualmente indotte a potenziale evoluzione verso lo scompenso. Non tutte le pazienti necessitano di un monitoraggio eco frequente; la FEVS da sola non è un indice sensibile né specifico di disfunzione cardiaca, perché identifica il danno solo quando è già avvenuto vanificando una possibile strategia di prevenzione. Come valida alternativa alla FEVS, capace di identificare il danno miocardio in fase preclinica, la valutazione dei markers biochimici di danno miocardico può costituire una utile e moderna strategia18: TroponinaI, Mioglobina, CK MB massa, NT-proBNP. Uno studio italiano19 prospettico ha dosato la troponina I in 700 pazienti sottoposti a chemioterapia prima, durante ogni ciclo, e 1 mese dopo il termine; contemporaneamente venivano effettuati controlli seriati della FEVS. Una stretta correlazione è stata trovata tra troponina I elevata e cardiotossicità (83%); L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario tale correlazione scendeva al 37% tra quelli che avevano troponina elevata durante il trattamento, ma normalizzata dopo (p<0.001). I soggetti con valori sempre normali hanno avuto una incidenza 1% di eventi cardiaci. Dai risultati dello studio emerge che: 1. La TnI identifica i pazienti a rischio di cardiotossicità in una fase estremamente precoce, subito dopo la CT, in anticipo di 3 mesi rispetto alla FEVS, con elevata sensibilità e specificità. 2. La concentrazione di troponina correla con il grado e la severità della disfunzione (83%), il valore scende a 37% nei casi si riscontri un rialzo della troponina I durante il trattamento con una successiva normalizzazione delle concentrazioni del marker al termine della terapia. 3. la persistenza di aumentati livelli di troponina I 1 mese dopo l’ultima somministrazione correla con una probabilità di insorgenza di eventi cardiaci maggiori pari all’85% nel primo anno di follow up. 4. Un mancato aumento della concentrazione di troponina I ha un valore predittivo negativo di eventi cardiaci maggiori del 99% nel primo anno di follow up. I soggetti troponina-negativi possono essere esclusi dal monitoraggio cardiologico a lungo termine. Il BNP fa parte di un gruppo di Peptidi Natriuretici Cardiaci (PNC) studiati, e quindi dosati, in seguito alla scoperta della funzione endocrina del cuore, e che si sono rivelati utili indicatori di disfunzione ventricolare sia in pazienti asintomatici che sintomatici. Si preferisce determinare l’NT–proBNP in quanto offre analogo valore diagnostico e clinico, rispetto al BNP, ma una minore variabilità biologica intraindividuale e una migliore stabilità analitica. L’ NT-proBNP e i peptidi natriuretici cardiaci sono stati identificati come indici di tossicità cardiaca: – un valore ematico < 300 correla con l’assenza di tossicità cardiaca; – concentrazioni plasmatiche >450 in pazienti di età <50 aa e > 900 in donne di età >50 aa sono da considerare indicativi di tossicità cardiaca (elevata correlazione con disfunzione diastolica, JClin Onc 2001); – un aumento persistente (ancora presente alla 72° ora) è correlato ad una significativa riduzione della FE e ad una significativa disfunzione diastolica durante il follow up di un anno. 15 Cardioprotettori La cardioprotezione è, in teoria, il metodo più efficace per ridurre il danno cardiaco da chemioterapici. Si basa sull’impiego di scavengers (“spazzini”) di radicali liberi,antiossidanti quali il dexrazoxano. Tale approccio terapeutico non è entrato nella pratica clinica abituale. Una meta analisi di 7 studi clinici20 randomizzati ha valutato tale farmaco come cardioprotettore per prevenire la CHF: gli eventi sono stati 11 nei pazienti trattati e 67 in quelli non trattati con dexrazoxano, senza una evidente interferenza sulla efficacia della CT (p<0.00001). Inoltre, l’impiego del farmaco ha permesso di aumentare il numero dei cicli di chemioterapia con antracicline senza aumento della cardiotossicità21. Esistono altri farmaci che posseggono una attività antiossidante: steroidi, statine, FANS, ACE-inibitori, sartani. Percorsi e strategie La prevenzione può essere utilizzata dall’ oncologo e dal cardiologo: • l’oncologo deve individuare una strategia terapeutica opportuna caso per caso e cercare di ridurre la dose di picco; • il cardiologo attraverso un attento e preciso monitoraggio della funzione cardiaca, deve ricercare i segni precoci di disfunzione ventricolare, per iniziare un trattamento cardioprotettore tempestivo e permettere la continuazione della CT programmata. Il rapporto di collaborazione tra cardiologi ed oncologi è aumentato notevolmente negli ultimi anni; sarebbe auspicabile la presenza di figure professionali di cardiologi “dedicati” all’oncologia, anche per far crescere la “cultura” di questi argomenti. È fondamentale che le donne che effettuano tali trattamenti vengano seguite regolarmente in un ambiente cardiologico con esperti sia della diagnostica cardiologica ed ecocardiografica, in particolare, che della clinica della cardiopatia ischemica e /o ipertensiva , nonché della diagnosi e del trattamento dello scompenso cardiaco. I controlli cardiologici, dunque, dovrebbero essere effettuati in centri cardiologici dedicati, dove operano ecocardiografisti certificati. 16 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Tra questi rientra sicuramente Il nostro echolab dove operano cardiologi esperti sia in ecocardiografia di Alta Specialità (certificati dalla Società Italiana di Ecografia cardiovascolare (SIEC22), sia in prevenzione e terapia dello scompenso cardiaco membri dell’Associazione Nazionale Cardiologi Ospedalieri (ANMCO)23. È altresì importante che le donne possano eseguire esami diagnostici sempre in uno stesso centro, con elevata esperienza in ecocardiografia, elevata riproducibilità intra-interosservatore, con dotazione di strumentazioni adeguate, per eseguire esami ecocardiografici all’avanguardia (comprensivi di eco 3D e TDI), Ecostress, nonché ECG da sforzo. Nel nostro Ospedale abbiamo adottato un protocollo clinico-strumentale per seguire queste pazienti in collaborazione con l’U.O.S.D. Oncologia della mammella. Il protocollo da noi utilizzato è quello suggerito dalle attuali Linee Guida internazionali oncologiche11: – Controllo clinico ed ECG pre-trattamento per valutare il rischio di cardiotossicità e verificare se esistono controindicazioni al transuzumab o ad altri farmaci; – valutazione della FEVS e della funzione diastolica con Doppler e TDI; – All’inizio del trattamento; – Dopo la somministrazione di metà della dose totale prevista; – Prima di ogni dose successiva; – Follow-up a 3, 6 e 12 mesi dalla fine del trattamento se le pazienti sono asintomatiche e senza variazioni FEVS; – In presenza di sintomi e/ segni di scompenso; – Trattamento farmacologico tempestivo (Tab. 4); – Controlli clinici settimanali fino a raggiungimento del target farmacologico,successiv amente ogni 4 mesi; – Controllo ecocardiografico a 4 settimane e valutazione cardiologica. Al fine di identificare il danno miocardico in fase preclinica è prevista l’integrazione delle informazioni clinico-strumentali con la valutazione di biomarcatori cardiospecifici. In particolare è pianificato un prelievo ematico per la valutazione dei livelli di troponina: • Prima della chemioterapia • Subito dopo la chemioterapia • 24hh dopo la chemioterapia • 48hh dopo la chemioterapia • 72 hh dopo la chemioterapia • 1 mese dopo l’ultima somministrazione Conclusioni Identificare precocemente i pazienti a rischio di sviluppare cardiotossicità da farmaci antineoplastici rappresenta un obiettivo primario sia per il cardiologo che per l’oncologo; il fine è quello di personalizzare, quanto più possibile, il programma chemioterapico, di utilizzare cardioprotettori, di pianificare un più stretto monitoraggio della funzione cardiaca e di introdurre, in fase precoce, una terapia di prevenzione o di supporto per prevenire il danno cardiologico. Tabella 4 – Tipo di farmaci cardiologici in caso di disfunzione Vs Farmaco Dose iniziale (mg) Target dose (mg) Captopril 6.25–12.5 ×3 25–50 ×3 Enalapril 1.25–2.5 ×2 10 ×2 Ramipril 1.25–2.5 ×2 5 ×2 Lisinopril 2.5–5 ×1 20–35 ×1 Carvedilolo 3.125 ×2 25×2 Bisoprololo 1.25 ×1 10 ×1 ACE Piano terapeutico ottimale inibitori BETA - BLOCCANTI • • • Aumento dose a intervallo 1-2 settimane Monitoraggio funzione renale and elettroliti ogni 7 gg o 15 gg Mantenere PA normale con trattamento farmacologico • Titolare in 4 settimane • Raggiungere il dosaggio ottimale in 4 settimane Trattamento farmacologico per prevenire o curare lo scompenso nelle donne con disfunzione ventricolare sinistra asintomatiche o paucisintomatiche L. Boccardi et al.: Valutazione e monitoraggio cardiovascolare nelle donne in chemioterapia per carcinoma mammario Le donne in trattamento per neoplasia mammaria devono seguire un percorso cardiologico specifico in osservanza alle Linee Guida Oncologiche e cardiologiche internazionali, ed eseguire una serie di valutazioni clinico-strumentali cardiologiche in base al tipo di trattamento praticato, all’età, alle problematiche cardiologiche pre-esistenti, o che si manifestano in corso di trattamento, per trattarle tempestivamente e prevenire l’evoluzione verso lo scompenso cardiaco. Bibliografia 1. Colditz GA, Willet WC, Stampfer MJ, et al. Menopause and the risk of coronary heart disease in women. N Engl J Med 1987; 316: 110510 2. DeNino WF, Tchernof A, Dionne IJ, et al. Contribution of abdominal adiposity to age-related differences in insulin sensitivity and plasma lipids in healty non-obese women. Diabetes care 2001; 24: 925-32 3. Mercuro G, Zoncu S, Saiu, et al. 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Percutaneous angioplasty Riassunto - Introduzione: La fistola artero-venosa è l’accesso raccomandato per effettuare l’emodialisi, grazie alla maggiore affidabilità nel tempo e alle minori morbilità ed ospedalizzazione. In virtù del continuo traumatismo, anche le fistole possono andare incontro a malfunzionamenti, la cui soluzione, fino a pochi anni fa, era esclusivamente riservata alla revisione chirurgica, con il progressivo depauperamento del patrimonio vascolare. Scopo del lavoro è valutare la sicurezza e l’efficacia dell’opzione endovascolare, con la sola PTA, nella gestione percutanea delle fistole artero venose malfunzionanti, per prolungare il periodo di sopravvivenza delle fistole. Materiali e metodi: In relazione a problematiche cliniche di malfunzionamento di una fistola artero-venosa, è stata posta indicazione per un trattamento endovascolare in 34 pazienti, con età media di 58,2 anni (range 28-74), in un arco temporale compreso tra il 2002 e il 2008. Dopo aver effettuato lo studio completo della fistola artero-venosa, è stata effettuata la procedura di angioplastica percutanea transluminale, con cateteri a palloncino scelti sulla base delle caratteristiche della lesione. Il controllo flebografico ci ha consentito di verificare il successo emodinamico, oltre che quello tecnico, della procedura. I pazienti venivano quindi seguiti nel tempo, con accertamenti clinici e strumentali, sulla base dei quali veniva riproposta una nuova procedura endovascolare all’insorgere dei sintomi clinici di malfunzionamento. Risultati: Il successo tecnico è stato del 100%, essendo riusciti a superare la stenosi responsabile del malfunzionamento ed a portare a termine il trattamento, sia a livello periferico che a livello centrale. Mentre il successo morfologico è stato conseguito nel 92% dei casi, quello clinico nel 100% dei pazienti: tutti sono stati in grado di sottoporsi ad una dialisi valida, già 24 ore dopo il trattamento percutaneo. Non si sono registrate complicanze maggiori, mentre si sono avute solo 3 complicanze minori. Discussione: L’angioplastica percutanea transluminale rappresenta la soluzione ideale per la gestione dei malfunzionamenti delle fistole artero venose, in grado di poter assicurare una maggiore longevità all’accesso vascolare e un miglioramento della qualità di vita dei pazienti. Abstract – Introduction: Native arteriovenous fistula is the recommended vascular access for dialysis, for major reabilitation, lower morbidity and hospitalization over the time. Owing to continous traumatism, fistulas may be subject to malfunctioning; until few years ago, their solution exclusively was by surgery revision, with progressive depletion of vascular patrimony. The purpose of the article is to value the safeness and effectiveness of endovascular treatment, with only PTA, in the percutaneous management of malfunctionig artero-venous fistulas, in order to prolong their survival. Materials and methods: Owing to clinical event of arteriovenous fistula’s malfunctioning, an endovascular treatment in 34 patients, of average age 58,2 (range 28-74), between 2002-2008 was indicated. S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi 19 After complete fistulography, PTA of the stenosi was done, with balloon catheters chosen by anatomical lesion’s characteristic. Final phlebographic control let us value hemodynamic, and technical success of the procedure. Patients were followed over the time, by clinical and instrumental controls; according to the results a new endovascular procedure was proposed in the presence of malfunctiong’s clinical symptoms. Results: Technical success was 100%, being able to solve the stenosis and complete the procedure in the peripheral and central veins. While the morphological success was 92%, the clinical was 100%: all the patients were able to undergo a valid dialysis, 24 hours after the endovascular treatment. There were not major, but only three minor complications. Conclusion: Transluminal percutaneous angioplasty is the ideal solution for management of fistula’s malfunctioning, able to prolong the life of the vascular access and to garantee the quality of life of the patient. Introduzione Il trattamento di emodialisi richiede un accesso vascolare ben funzionante, capace di consentire un flusso di sangue di 500 ml/min. Questo può essere ottenuto con un temporaneo catetere venoso centrale o un duraturo accesso vascolare chirurgico, costruito sinteticamente con le protesi (PTFE) o utilizzando le vene native1,2. La fistola artero-venosa nativa è la forma raccomandata di accesso vascolare per emodialisi3, perché consente una più lunga pervietà con minori morbilità4, ospedalizzazione e costi, rispetto agli altri accessi vascolari5. Per queste ragioni, la comunità nefrologica aveva già stimolato la diffusione della creazione delle fistole nei pazienti da sottoporre a dialisi6, arrivando a modificare significativamente il comportamento negli USA, storicamente più affezionati all’utilizzo delle protesi7. Tradizionalmente, i malfunzionamenti delle fistole native, conseguenti al continuo traumatismo cui sono settimanalmente sottoposte, venivano affrontati con la trombectomia e la revisione chirurgica: ciò determinava la progressiva diminuzione del patrimonio venoso oltre alla necessità di creare un nuovo accesso vascolare. Dagli inizi degli anni ’80, sono cominciati ad apparire in letteratura i primi lavori sulla gestione percutanea delle fistole artero venose, con l’angioplastica percutanea transluminale9, con la trombolisi10, gli stent11 e la trombectomia meccanica12, contribuendo così a modificare la strategia terapeutica13. Durante gli ultimi 10 anni, i radiologi interventisti sono stati progressivamente coinvolti nella valutazione angiografica e nel trattamento di accessi per emodialisi malfunzionanti o occlusi, in un quadro sempre più multidisciplinare14,15. Scopo del lavoro, nel riportare la nostra esperienza, è quello di valutare la sicurezza e l’efficacia dell’opzione di radiologia interventistica, in particolare dell’angioplastica percutanea (PTA) nei malfunzionamenti delle fistole native. Materiale e metodi I 34 pazienti inclusi in questo studio, con età media di 58,2 anni (range 28-74), provenienti da varie strutture di dialisi della Regione Lazio, sono giunti alla nostra osservazione nel periodo 2002-2008, per eseguire uno studio flebografico della fistola artero venosa, dopo che era stata accertata una sua disfunzione, sulla base di vari criteri: la fistola nativa garantiva un flusso ematico inferiore a 250 ml/min; il flusso era inferiore del 20% al valore base, insieme al fatto che il ricircolo della fistola era superiore al 5%; era difficile eseguire l’incannulamento, oppure la pressione venosa dinamica eccedeva il livello di riferimento per tre volte consecutive, con difficoltà a tamponare gli accessi utilizzati per la dialisi, oppure erano presenti altri elementi clinici o emodinamici che suggerivano la presenza di una fistola malfunzionante o insufficiente (ingrossamento dell’arto, dolore alle estremità). Dallo studio sono stati esclusi i pazienti portatori di un’ostruzione della fistola, di una stenosi o di un’ostruzione della vena succlavia o della vena cava superiore. La conferma strumentale che la disfunzione avesse origine dalla presenza di una stenosi lungo il circuito venoso era stata ottenuta solo con l’eco-color-Doppler (9 20 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 pazienti), la RM (7 pazienti), la TC (10 pazienti) e la flebografia nei rimanenti casi. Dopo aver ottenuto il consenso informato, e fatto disporre il paziente in posizione supina, con la mano in supinazione, la fistolografia diagnostica veniva eseguita mediante puntura dell’accesso venoso con un ago 18G, successiva iniezione di mezzo di contrasto (Optyray 300, Tycohealthcare Spa, Milano, Italia), con iniettore automatico. La progressione della colonna ematica opacizzata veniva seguita per tutto il circuito venoso, fino allo scarico in atrio destro. Successivamente, l’insufflazione di un manicotto per la pressione, a livello del braccio in esame, consentiva il reflusso del mezzo di contrasto e quindi la visualizzazione e lo studio dell’anastomosi arteriosa della fistola. Ritenuto esauriente lo studio del circuito della fistola artero-venosa per svalutarne il suo malfunzionamento, venivano analizzate le caratteristiche delle stenosi, per potere selezionare l’appropriato catetere a palloncino con cui trattarle (Fig. 1, a,b). Superate con un filo guida idrofilico [0,035”, lungo 180 cm, punta J, Terumo, Gamma International, Roma, Italia], le stenosi venivano trattate con cateteri a palloncino non complianti (Mini Ghost, AB Medica S.p.A., Milano, Italia) di appropriate lunghezze e dimensioni: per lesioni stenotiche in vicinanza dell’anastomosi, il catetere selezionato era di calibro compreso tra 4 e 7 mm; per lesioni localizzate nel tratto di deflusso cefalico, il calibro scelto era 6-8mm; per stenosi venose centrali, il calibro selezionato era 10-12 mm. Previa somministrazione di 1 cc di eparina, il catetere d’angioplastica veniva posto a cavaliere della stenosi, dilatato fino a perdere la caratteristica incisura, determinata esternamente dalla stenosi (Fig. 1c), ma sempre nei limiti di rottura segnalati dalla casa costruttrice; veniva lasciato generalmente gonfio per un periodo minimo di 30-60”; per lesioni particolarmente resistenti, che non subivano una rapida modificazione dell’incisura esterna, il periodo d’insufflazione arrivava a 3’; per stenosi che non recedevano nemmeno dopo tale periodo di tempo sono stati impiegati cateteri con microlame (Cutting Balloon, Boston Scientific, Nanterre, Francia). Al termine della procedura di angioplastica percutanea, veniva effettuato il controllo flebografico, per valutare il grado di stenosi residua, le modalità di scarico del circuito artero venoso, la scomparsa di eventuali circoli collaterali in precedenza visualizzati, specie a livello centrale, il successo tecnico della procedura. Il follow-up di tali pazienti è avvenuto, in parte tramite contatto telefonico (22 casi), in parte con eco-color-Doppler, in parte con gli esiti delle visite cliniche successive. Fig. 1 a Fig. 1 b 21 S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi 1c Fig. 1 – Lo studio del circuito della fistola arterovenosa del braccio destro evidenzia la presenza di una stenosi nel terzo superiore del braccio, con un restringimento anche a livello dello sbocco della vena succlavia destra in vena cava superiore. Quest’ultimo non viene considerato significativo, anche per la assenza di uno sviluppo dei circoli collaterali venosi (a). La sintomatologia clinica, dolore e tensione nel solo avambraccio, difficoltà a tamponare gli accessi utilizzati per la dialisi, ci hanno orientato a trattare solo la lesione più periferica. È stato impiegato un catetere a palloncino compliante, 7 mm per 4 cm, con un periodo d’insufflazione di 2’ (b); il risultato al termine della procedura (c) è stato considerato positivamente sia a livello morfologico che funzionale. lico oltre il gomito, a livello dell’arco della vena cefalica e in una vena centrale; sono state segnalate anche il numero di stenosi per fistola, il tipo di fistola e la sede dove era confezionata]. Sono state inoltre valutate la pervietà primaria, definita come il periodo di tempo tra il confezionamento della fistola e la sua trombosi o il periodo di tempo tra due interventi radiologici; la pervietà secondaria, identificata come la pervietà nell’intervallo di tempo tra il primo intervento e la prima revisione chirurgica (per trombectomia, riconfezionamento dell’anastomosi o abbandono), del trapianto renale o il tempo fino alla perdita del paziente durante i controlli successivi. Risultati Nei 34 pazienti, sono state trattate 27 fistole brachiocefaliche e 7 radiocefaliche; 15 erano a sinistra e 19 a destra. Su queste fistole artero venose sono state effettuate, nel tempo, 125 procedure interventistiche di angioplastica percutanea transluminale (Tab. 1). Tabella 1 – Caratteristiche delle fistole e dei risultati Fistole Sono stati considerati il successo tecnico, definito come la capacità ad effettuare la procedura interventistica, in grado di assicurare la risoluzione della problematica responsabile del malfunzionamento della fistola, il successo anatomico, definito come la capacità a ristabilire il flusso nella fistola con una eventuale stenosi residua inferiore al 30%, il successo clinico, definito come l’abilità della fistola a garantire un’adeguata dialisi per almeno una sessione, il tempo di effettuazione delle procedure, considerato dal momento dell’inizio della puntura percutanea al completamento della fistolografia di controllo, la localizzazione delle lesioni [arteria radiale o altra, nell’anastomosi artero-venosa, nel segmento di 3 cm dopo l’anastomosi venosa della fistola, nel tratto di deflusso cefa- Brachiocefaliche 27 Radiocefaliche 7 1 (3,5%) 4 (14,2%) 9 (32,1%) 0 0 1 (14%) 5 (17,8%) 9(32,1%) 0 6 (86%) 13 mesi 11 mesi Pervietà primaria: a 3 mesi a 12 mesi 72,5% 39% 72% 58% Pervietà secondaria: a 3 mesi a 12 mesi Tempo della procedura 94,5% 83,4% 72’ 86% 72% 64’ Sede Stenosi: anastomosi arteriosa anastomosi venosa entro 10 cm dall’anastomosi vena basilica vena succlavia Tempo tra creazione e 1° intervento 22 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Nelle 27 fistole brachiocefaliche, la localizzazione della stenosi era a livello dell’anastomosi arteriosa in un paziente (3,5%), a livello dell’anastomosi venosa in 4 pazienti (14,2%), entro 10 cm dall’anastomosi venosa in 9 pazienti (32,1%), lungo la vena basilica in 4 (22%), a livello della succlavia in 9 pazienti (32,1%). Nelle 7 fistole radio cefaliche, la localizzazione delle stenosi non è stata mai riscontrata sia a livello dell’anastomosi arteriosa, sia venosa, mentre una è stata evidenziata entro i primi 10 cm del circuito venoso dopo la fistola (14%) e 6 erano a livello della succlavia (86%). Tutti i pazienti che presentavano stenosi della vena succlavia avevano portato, in precedenza, un catetere venoso centrale, per garantire la dialisi e favorire la maturazione della fistola. Tutte le stenosi erano lesioni isolate, tranne in un paziente, dove coesisteva una doppia stenosi associata a pseudoaneurismi (Fig 2a, b, c); tutte le stenosi erano emodinamicamente significative, con un livello di gravità compreso tra il 75 e il 90%; tutte erano eccentriche, di una lunghezza compresa tra 1 e 2 cm. Il successo tecnico è stato conseguito nel 100% dei casi: in tutti i pazienti si è, infatti, riusciti a superare la stenosi, sia nelle lesioni più periferiche], sia in quelle centrali, dove la subostruzione del circuito era funzionalmente mascherata da un intenso circolo collaterale, in grado di scaricare ancora efficacemente in vena cava superiore. Il successo anatomico o morfologico, desunto dalla flebografia al termine della procedura interventistica, è stato del 92%: in 2 pazienti, la persistenza di una stenosi eccentrica e la stenosi serrata dopo il secondo pseudoaneurisma (Fig. 2d) hanno creato seri dubbi interpretativi sulla necessita o meno di proseguire la procedura interventistica, aumentando ulteriormente il tempo d’insufflazione del catetere a palloncino o il calibro dello stesso, prima di ipotizzare l’impiego di un catetere “cutting balloon”. La ricomparsa del tipico frullio della fistola artero venosa, nel giro di pochi minuti dall’effettuazione della procedura, ci ha convinto ad accettare il risultato conseguito; nei giorni successivi, la conferma che i pazienti si erano sotto- Fig. 2 a Fig. 2 b 23 S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi Fig. 2 c Fig. 2 d Fig. 2 – Lo studio della fistola artero venosa, attraverso la puntura e l’iniezione di mezzo di contrasto all’interno del primo pseudoaneurisma, consente di evidenziare la presenza di due stenosi emodinamicamente significative (a). Tali lesioni limitano enormemente la dialisi, favoriscono la puntura degli operatori nelle stesse sedi che, essendo sotto pressione, richiedono molto tempo per la loro chiusura al termine della dialisi. Previo accesso retrogrado, dopo aver posizionato il filo guida idrofilico in arteria basilica, vengono eseguite le procedure di angioplastica a carico delle due lesioni (b, c). Il controllo al termine della procedura mostra una risoluzione completa della stenosi più prossimale all’anastomosi, e una risoluzione al 70% della stenosi più craniale. Anche in questo caso, a fronte di un dato morfologico non completamente soddisfacente, ha corrisposto un dato emodinamico e clinico di ripresa funzionale della fistola. posti a dialisi senza nessun problema e la risoluzione dei sintomi che li avevano condotti alla nostra osservazione, hanno rafforzato la nostra convinzione che in questo particolare settore, a differenza di quello arterioso, è il dato emodinamico che ha più importanza di quello morfologicoanatomico. Solo in un paziente abbiamo impiegato il catetere “cutting balloon”, ma i risultati conseguiti non sono stati considerati decisamente migliorativi rispetto a quelli ottenuti con il normale catetere per angioplastica. Il successo emodinamico e clinico è stato conseguito nel 100% dei casi. Ogni procedura di angioplastica percutanea transluminale, indipendentemente dalla sede della stenosi, dal tipo di fistola, ha risposto magnificamente alla procedura, con la ricomparsa del tipico frullio nell’arco di qualche minuto e con la regolare effettuazione delle sedute di dialisi nei giorni successivi. Si è inoltre registrata la regressione pressochè totale della sintomatologia, precedentemente segnalata, nell’arco di 1-2 settimane. Per le 27 fistole brachiocefaliche, il tempo medio tra la creazione e il primo intervento è stato di 13 mesi; la pervietà primaria a 3 e a 12 mesi è stata rispettivamente del 72,5% e del 39%, mentre quella secondaria è stata del 94,5% e dell’83,4%; il tempo medio di procedura è stato di 72’. Per le 7 fistole radiocefaliche, il tempo medio tra la creazione e il primo intervento è stato di 11 mesi; la pervietà primaria a 3 24 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 e 12 mesi è stata rispettivamente dell’72% e del 58%, mentre la secondaria è stata del 86% e del 72%; il tempo medio di procedura è stato di 64 minuti. La pervietà primaria e secondaria per le fistole radiocefalica e brachiocefalica non sono state influenzate dalla localizzazione della stenosi nel caso del primo intervento. Non si sono registrate complicanze maggiori, né rotture di vene dopo l’angioplastica, né perdita di fistole; non abbiamo registrato reazioni a mezzo di contrasto, edema polmonare o infezioni. Viceversa abbiamo avuto 3 piccoli ematomi nella sede di puntura della fistola. Discussione Grazie all’eccellente durata e della bassa percentuale di complicanze1-5, la fistola artero venosa nativa è l’accesso vascolare preferito per l’emodialisi16. La configurazione classica, la fistola Brescia-Cimino17, è costruita al polso, tra l’arteria radiale e la vena cefalica, con un’anastomosi termino-laterale; un’altra configurazione comune è tra l’arteria brachiale e la vena cefalica alla piega del gomito1: in tutti i casi si tratta di vene superficiali, per facilitare l’inserzione degli aghi per emodialisi18. Tuttavia, il continuo traumatismo della parete arterializzata, determinato dalle sedute di dialisi porterà inevitabilmente, nel tempo, alla creazione di stenosi e/o formazione di pseudoaneurismi, responsabili a loro volta di un progressiva riduzione della funzionalità dell’accesso vascolare2,4,5. Tradizionalmente, i malfunzionamenti delle fistole native e delle protesi sono state curati con la trombectomia e soprattutto con la revisione chirurgica, entrambe effettuate in assenza di una diretta visualizzazione della causa del malfunzionamento e dell’anatomia venosa. Anche se la morbilità connessa a queste soluzioni era abbastanza contenuta, tuttavia il risultato era la progressiva diminuzione del già limitato patrimonio venoso del paziente19,20. Inizialmente applicate negli anni ‘80, le tecniche percutanee, in particolare l’angioplastica percutanea transluminale, hanno consentito il trattamento della stenosi e della trombosi della fistola, senza dover ricorrere alla chirurgia21. Durante gli ultimi 10 anni, i radiologi interventisti sono stati progressivamente coinvolti nella valutazione angiogafica e nel trattamento di accessi per emodialisi malfunzionanti o occlusi, in un quadro sempre più multidisciplinare22-24. La gestione percutanea delle fistole è spesso più difficile delle protesi, come descritto da Tourmel Rodriguez 25: le pareti della vena sono esili e mobili, per cui sono difficili da palpare e vengono infisse senza opporre la resistenza delle protesi. La nostra esperienza pluridecennale nell’ interventistica nel territorio venoso forse può spiegare il basso numero di complicazioni riscontrate nella gestione di questi casi clinici. Per quanto riguarda la localizzazione delle stenosi, la distribuzione anatomica è abbastanza costante24,26-28. Anche la nostra pur limitata esperienza ha evidenziato una sostanziale corrispondenza di valori con la letteratura internazionale per quanto riguarda la localizzazione delle stenosi; solo nelle fistole radiocefaliche abbiamo registrato una percentuale maggiore di stenosi a livello della vena succlavia. Tale valore è legato probabilmente ad una maggiore permanenza del catetere venoso centrale, in pazienti dove le vene della fistola artero venosa hanno tardato a maturare. Per quanto riguarda le caratteristiche delle stenosi, circa l’85-90% è compresa tra i 5 e i 20 mm di lunghezza, mentre, per quanto riguarda la severità, ben il 67% delle stenosi riportate in letteratura è superiore al 75% (emodinamicamente significative)24,26-28. Anche noi abbiamo registrato caratteristiche di stenosi sostanzialmente sovrapponibili. La percentuale di successo tecnico della procedura di angioplastica percutanea, intesa come la possibilità di risoluzione della stenosi, è quasi sempre molto elevata. Si va dall’ 82% di Haage23, al 92 % di Kanterman27, al 93% di Turmel24 al 94% di Beatard22 e di Clark28. Il nostro gruppo di pazienti ha presentato un indice di successo tecnico molto elevato, presumibilmente S. Pieri et al.: La gestione percutanea delle fistole artero-venose da dialisi per un maggiore rigore nella selezione dei pazienti e per un più precoce trattamento con angioplastica. Solo 2 pazienti (8%) non hanno visto completamente risolta la loro stenosi alla prima procedura di angioplastica. Talvolta si può osservare una difformità tra il successo tecnico o anatomico e il successo clinico: anche noi abbiamo registrato in 2 pazienti (8%) un risultato non soddisfacente dal punto di vista tecnico. Tuttavia, la comparsa del caratteristico thrill nell’arco di 5’ dall’effettuazione della procedura, dovuto ad un passaggio veloce del sangue, e l’effettuazione senza problemi della seduta di dialisi, il giorno dopo la procedura di angioplastica percutanea transluminale, sono state l’ulteriore conferma della maggiore validità del risultato emodinamico e clinico su quello tecnico. Per valutare l’efficacia dell’intervento percutaneo nel tempo, si ricorre a due indici: la percentuale di pervietà primaria e di pervietà secondaria. Nella nostra esperienza, la prima, definita come il tempo tra l’iniziale confezionamento della protesi e l’intervento percutaneo teso a conservarne la pervietà, a livello dell’avambraccio è stata del 72,5% a 3 mesi e del 39% a 1 anno per le fistole brachio cefaliche; è stata rispettivamente del 72 e 58% per le radiocefaliche. Viceversa, la percentuale di pervietà secondaria, intesa come tempo cumulativo tra il confezionamento e l’abbandono della fistola è stata del 94,5% a tre mesi e dell’83,4% a 1 anno per le fistole brachiocefaliche; è stata rispettivamente dell’ 86 e 72% per quelle radiocefaliche. Pur essendo riportate in letteratura29,30, le rotture venose dopo PTA , tali da compromettere il flusso e la validità della fistola, trattabili con stent, non sono stati registrati nella nostra esperienza. Per un confronto con i risultati chirurgici, Hodges 31 ha riportato i dati della pervietà dopo la creazione di una fistola. Con l’esclusione delle fistole che hanno tardato a maturare, la pervietà primaria è stata del 54%, mentre la secondaria del 55% ad 1 anno. Pur con i limiti derivanti dall’esperienza di una singola istituzione e dalla natu- 25 ra retrospettiva e non randomizzata dello studio, senza confronti con una revisione chirurgica, questo lavoro conferma che la tecnica percutanea di angioplastica transluminale è meno invasiva nel preservare, nel tempo, la funzionalità degli accessi vascolari nativi. L’approccio radiologico ha molti vantaggi: visione di tutta il circuito di cui si compone la fistola, dall’arteria alla vena cava superiore;immediato ripristino della funzione della fistola per la dialisi, che non si verifica dopo l’intervento chirurgico, per la presenza di edema; migliore preservazione del già limitato capitale di vene a disposizione dell’individuo. Con una continua ed attenta sorveglianza e con la ripetizione degli interventi32, la pervietà di fistole malfunzionanti può essere prolungata nel tempo, senza dover, necessariamente, ricorrere al sacrificio di segmenti venosi, come accade, invece, nella soluzione chirurgica. Bibliografia 1. Gessaroli M. Accessi vascolari per emodialisi. Torino, Ed Minerva Medica 2001; II Edizione pag IX-XII 2. Saad T, Vesely T. Venous access for patients with chronic kidney disease. JVIR 2004; 15: 1041-5 3. Eknoyan G, Levin NW, Eschbach JW, et al. Continuous quality improvement: DOQI becomes K/DOQI and is updated. National Kidney foundation dialysis outcomes quality initiative. Am J Kidney Dis 2001; 37: 179-94 4. Chazan JA, London MR, Larris F, et al. Long term survival of vascular access in a large chronic hemodialysis population. Nephron 1995; 69: 228-33 5. Porile JL, Richter M. Preservation of vascular access. J Am Soc Nephrol 1993; 4: 997-1003 6. 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Stefano Pieri E-mail: [email protected] ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Evidenze a confronto LA DIAGNOSTICA IN ALLERGOLOGIA PEDIATRICA TRA NOVITÀ E TRADIZIONE DIAGNOSTICS IN PEDIATRIC ALLERGOLOGY: NEWS OR TRADITION? Parole chiave: Allergia. Test allergologici. Pediatria Key words: Allergy. Allergy Tests. Pediatrics IL PEDIATRA E IL BAMBINO ALLERGICO ELISABETTA TARQUINI U.O. Pediatria ed Ematologia Pediatrica Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini, Roma Pur migliorando negli anni lo stato di salute in età pediatrica, le patologie allergiche hanno subito un netto incremento. Parallelamente progressi straordinari si sono verificati nella conoscenza dei meccanismi eziopatogenetici delle allergie, orientando l’allergologia pediatrica verso la prevenzione e il trattamento precoce. In quest’ottica ruolo chiave è svolto dalla diagnostica. Molteplici sono infatti i test che il pediatra ha a disposizione spaziando dai tradizionali test più conosciuti (Prick test, RAST) ad esami all’avanguardia, effettuabili solo in centri di eccellenza. Questi ultimi utilizzano tecniche tratte dalla biologia molecolare: prelevando una sola goccia di sangue, lo specialista riesce a trovare la molecola responsabile tra oltre 100 molecole allergiche. La novità di questa tecnica consiste nell’identificare non solo l’alimento a cui il bambino è allergico ma a quale proteina contenuta nell’alimento è allergico, permettendo di eseguire una diagnosi mirata, prescrivere la terapia adatta e il vaccino specifico. Quando il pediatra si trova di fronte ad un bambino allergico o sospetto tale, quindi, come orientarsi? Tale quesito non si riferisce certamente alla terapia della patologia allergica ormai standardizzata secondo linee guida internazionali, ma alle implicazioni diagnostiche e terapeutiche che comporta il definire un bambino “allergico” Infatti molteplici sono gli interrogativi dei genitori a cui il pediatra dovrà rispondere: – è a rischio di shock anafilattico? – può mangiare tutto? – può andare in vacanza da solo? – esiste un vaccino? – sarà allergico a vita? – l’alimento eliminato potrà essere reintrodotto? Appare inoltre evidente che a causa delle molteplici cross-reattività tra le sostanze allergeniche, non è sempre chiaro in primis quale è l’allergene responsabile della sintomatologia del paziente. Per tale motivo risulta fondamentale dopo una accurata anamnesi e attento esame obiettivo, affida alla collaborazione dello specialista allergologo per scegliere l’indagine strumentale più appropriata: la “tradizionale”, o la “novità”. 28 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 IL PEDIATRA E LA “ TRADIZIONE” IN ALLERGOLOGIA BARBARA PAGGI U.O. di Pediatria ed Ematologia Pediatrica Azienda Ospedale S. Camillo - Forlanini, Roma I test allergologici sono un importante prerequisito a favore di una terapia antiallergica perchè indicano i bambini a rischio di malattia allergica e la terapia specifica (misure preventive, farmaci idonei, desensibilizzazione specifica). La scelta degli allergeni da testare è effettuata sulla base della storia clinica, dei sintomi e dell’età del bambino. Nei bambini di età inferiore a 3 anni vengono testati più frequentemente allergeni alimentari (latte, uovo), nei bambini più grandi, con sintomi respiratori, allergeni inalanti (acari, epiteli animali, pollini). I test in vivo si possono suddividere in test cutanei (prick test, atopy patch test) e test in vitro (ricerca IgE totali e specifiche).1 Prick Test Gli skin prick test ( SPT ) rappresentano, se correttamente eseguiti il più conveniente, specifico ed economico test di screening per le allergopatie. Costituiscono un utile strumento diagnostico dotato di elevata accuratezza, semplicità di esecuzione e di interpretazione, scarsa invasività con ridottissimo rischio e costi moderati. Tuttavia è necessario che il test sia eseguito ed interpretato correttamente, secondo metodi standardizzati che devono essere conosciuti dall’ operatore. In una sola seduta è possibile testare più allergeni. La scelta degli allergeni da testare è basata sull’anamnesi, l’età del paziente, frequenza con la quale il singolo allergene induce sensibilizzazione nella popolazione residente nell’area geografica del paziente. Per il lattante si testano il latte e le sue frazioni proteiche, uovo e successivamente grano, pesce, soia. Nell’età prescolare e scolare gli allergeni inalanti (acari, epiteli animali, pollini). La tecnica di esecuzione consiste nel porre una goccia dell’estratto allergenico sulla faccia volare dell’ avambraccio a distanza di 3 cm l’una dall’altra. Pungere la pelle sottostante con un ago sterile, asportare la goccia con cotone o garza sterile entro 60 secondi. Il test è considerato positivo se il diametro del pomfo è superiore ai 3 mm. La lettura va eseguita dopo 15 minuti. I test possono risultare falsamente positivi se: – non rispettando la distanza l’uno dall’altro, avviene una contaminazione tra 2 allergeni vicini; – se si verifica un’ insufficiente penetrazione dell’ ago; – se il reagente è scaduto; – se eseguiti durante terapie con farmaci anti H1 (una sospensione di 3 gg è sufficiente per eseguire il test). Per superare la limitazione derivante dalla ridotta qualità e potenza degli estratti allergenici in commercio (soprattutto nei confronti di frutta e verdura), è stata introdotta la pratica di utilizzare gli alimenti freschi nei quali intingere la punta della lancetta prima di eseguire la “priccata” (prick by prick). L’utilizzo di alcuni alimenti freschi, in particolare quelli di origine vegetale, conferisce allo STP maggiore sensibilità rispetto a quanto si osserva con l’impiego dei rispettivi estratti. È estremamente affidabile poiché esiste una correlazione netta tra positività del test e test di scatenamento. Inoltre questa tecnica inizialmente impiegata solo con frutta e verdura, offre la possibilità di studiare qualsiasi alimento in condizioni diverse (es . crudo o cotto) e di saggiare alimenti non disponibili tra gli estratti in commercio (es. latti idrolisati). I prick test possono essere effettuati fin dai primi mesi di vita.1 29 Evidenze a confronto Patch test Test epicutaneo d’ipersensibilità ritardata la cui utilità è stata confermata in caso di dermatite atopica. Si esegue ponendo l’ allergene in forma liquida su carta da filtro e applicandolo sulla cute non lesa per 48 ore. La lettura del risultato va fatta dopo 30 minuti dalla rimozione del patch test. Una risposta positiva è caratterizzata da un eritema con infiltrazione. Il limite maggiore di questo tipo di indagine è soprattutto metodologico dal momento che la tecnica non viene giudicata ancora sufficientemente standardizzata. Dosaggio IgE specifiche (RAST) Test basato sul legame delle IgE al l’ estratto allergenico adsorbito su una fase solida e disponibile in soluzione. La ricerca delle IgE in vitro verso un determinato allergene rimane il più utile tra i test di laboratorio per la diagnosi delle malattie allergiche da ipersensibilità immediata. Si basa su metodiche immunoenzimatiche. Si utilizza soprattutto in situazioni di non concordanza tra anamnesi e test cutanei e/o di sensibilità multiple. La ricerca delle IgE nel siero rappresenta un test non influenzato dal grado di cooperazione e da eventuale somministrazione di farmaci. Esso trova indicazione principalmente in patologie cutanee tali da impedire l’esecuzione degli STP, quando vi sia necessità di terapia antiistaminica o steroidea continuativa per via sistemica o locale in sede di esecuzione. Di contro esso risulta tecnicamente più complesso (necessita di un laboratorio analisi) e anche più costoso rispetto agli STP. Risultati falsamente positivi si possono ottenere in presenza di: – alti livelli di IgE totali ( >2000UI/l) – legami monovalenti delle IgE per esempio in presenza di determinanti crossreattivi dei carboidrati (CCD) – basso livello delle IgE specifiche in rapporto alle IgE totali. La specificità e sensibilità del test per differenti allergeni è superiore all’ 85%. In generale i test in vitro presentano una buona affidabilità diagnostica rispetto a quelli cutanei anche se in studi nei quali il STP è stato accettato come gold standard diagnostico, i test in vitro sono generalmente risultati meno sensibili, specie per allergeni alimentari come la soia o il grano. sIgE e STP sono entrambi utili ed i loro risultati sono in parte interscambiabili. Tuttavia sebbene la presenza di un prick test positivo o le IgE nel siero indichino che una persona ha le IgE specifiche (cioè sensibilizzazione) ciò non significa che l’esposizione all’allergene in questione causi sintomi IgE mediati. Nella pratica clinica si possono trovare bambini con sensibilizzazione di basso grado senza allergia clinicamente evidente. Come per gli SPT i risultati devono sempre essere interpretati in rapporto alla storia clinica del paziente.2 IL PEDIATRA E LE “LE NOVITÀ” IN ALLERGOLOGIA CLAUDIA ALESSANDRI Centro di Allergologia Clinica e Sperimentale IDI - IRCC Le malattie allergiche, in continuo aumento, interessano circa il 30% della popolazione italiana. L’obiettivo della diagnostica allergologica è identificare precocemente i pazienti allergici per attuare un’ idonea prevenzione, la migliore terapia farmacologia secondo linee guida internazionali e, se indicata, l’ immunoterapia specifica desensibilizzante. L’algoritmo diagnostico nei confronti di una reazione allergica IgE mediata inizia con la raccolta di una storia clinica 30 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 dettagliata seguita da un attento esame obiettivo, prosegue con l’ esecuzione di test diagnostici in vivo e in vitro, se indicati, e termina con la dimostrazione di un chiaro rapporto causa effetto tra esposizione all’ allergene e comparsa dei sintomi.3 Gli estratti diagnostici finora utilizzati per l’ esecuzione di test in vivo (Prick test) e in vitro (RAST) provengono da fonti allergeniche definite. Gli estratti possono presentare differente concentrazione di proteine allergeniche tra un lotto e l’ altro, concentrazione che non viene determinata né quantificata (µg/ml). Solo recentemente alcune aziende hanno provveduto a fornire la concentrazione di alcuni allergeni maggiori presenti, ma non di tutti. Infine il limite insuperabile di tale diagnostica consiste nell’ impossibilità di stabilire in un paziente con apparente polisensibilizzazione, se questa sia dovuta ad una sensibilizzazione a più allergeni diversi (cosensibilizzazione) o al contrario ad una sensibilizzazione ad una stessa molecola allergenica contenuta in tutti gli allergeni testati (co - riconoscimento). Diagnostica allergologica molecolare Negli ultimi anni sono state caratterizzati a livello molecolare circa 700 organismi o tessuti tra i più importanti in quanto fonti allergeniche (www.allergome.org). Il processo di identificazione e caratterizzazione delle fonti allergeniche ha portato alla produzione e commercializzazione di allergeni naturali estremamente purificati e prodotti con tecnologia del DNA ricombinante. In tale modo la produzione dei reagenti base della diagnostica allergologica può essere standardizzata, tramite la quantificazione ottimale di un unico preparato (peso in grammi) potendo inoltre essere prodotte grandi quantità di allergeni. Le molecole allergeniche sono divise in “genius” vere marcatrici di una determinata fonte (CUP 1 è la marcatrice della allergia al polline del cipresso) e in” panallergeni”, proteine condivise da fonti allergeniche anche tassonicamente tra loro correlate responsabili di apparente polisensibilizzazione ai test eseguiti con estratti (es. la profilina è un panallergene condiviso da pollini ed alimenti vegetali, il suo riconoscimento da parte di un paziente allergico ai pollini causerà positività a tutti i tipi di pollini e alimenti vegetali testati, senza che necessariamente il paziente accusi sintomi alla loro esposizione). I test diagnostici con molecole possono essere eseguiti in singleplex (una sola molecola per un singolo esame) o in multiplex (più molecole allergeniche per un singolo esame). Vantaggi e svantaggi del test in singleplex/multiplex con molecole allergeniche Ogni singola determinazione di IgE specifiche, eseguita tramite estratto allergenico o allergene molecolare, richiede 50 microlitri di siero. Fornisce un dosaggio delle IgE specifiche di tipo semi-quantitativo. Anche in questo caso la quantità viene misurata secondo standard interni non paragonabili tra loro, a seconda delle aziende produttrici. Ogni determinazione in multiplex (microarray: più di una proteina allergenica per un singolo esame) necessita solamente di 20 microlitri di siero anche per testare 103 molecole allergeniche come avviene con ISAC 103 della VC- Genomics (Vienna, Austria). In questo caso ogni determinazione avviene in triplicato viene cioè ripetuta tre volte per un singolo allergene. Il costo complessivo di uno di questi esami è meno elevato rispetto alle singole determinazioni eseguite con un sistema in singleplex volto a testare ugual numero di allergeni, fornisce una determinazione delle IgE di tipo semiquantitativo determinate in base a una specifica curva di riferimento. Come accennato una fonte allergenica può contenere allergeni “genius”, panallergeni e proteine allergeniche minori che se pur di scarsa importanza allergologica per la maggior parte dei pazienti, potrebbero rappresentare un importante allergene per il nostro singolo paziente. Nell’eseguire i test cutanei si esegue un test in multiplex (più di un prick test sullo stesso braccio) usando un gruppo 31 Evidenze a confronto di estratti allergenici che per convenzione sono considerati statisticamente più rilevanti. A volte caso per caso in base all’anamnesi si testano inoltre altre fonti allergeniche. Con l’avvento della biologia molecolare e della “Component Resolved Diagnosis” 4,5 si è capito come le fonti allergeniche, da cui venivano elaborati gli estratti, contengono definiti gruppi di proteine con simili identità di sequenza aminoacidica. Solo identificando e testando le singole proteine presenti nelle fonti, si può delineare l’esatta reattività allergologica (allergogramma) del paziente. Se un paziente, infatti riconoscesse nella fonte proteica due gruppi diversi di proteine, non sapremo mai, testando la fonte, a quale proteina è effettivamente allergico. Tale conoscenza ha un’enorme importanza dal punto di vista della prognosi e terapia, in tal modo l’immunoterapia delle forme respiratorie potrà divenire sempre più mirata e tagliata su misura per il paziente. Relativamente all’allergia alimentare, non solo è possibile comprendere quali alimenti contengono proteine allergeniche in grado di indurre anafilassi nel nostro paziente, ma potrebbe rendere possibile eliminare/modificare le singole proteine allergeniche contenute in alcune fonti alimentari.6 Non va inoltre dimenticato come la suddivisione in allergeni “maggiori” e “minori” sia arbitraria, limitata a studi statistici condotti in singoli paesi su un limitato campione di pazienti. Solo lo studio di vaste popolazioni, abitanti in più parti del mondo e pertanto esposte a fonti allergeniche disparate e a condizioni climatiche e di vita diverse, potrà un giorno portarci a dichiarare quali siano realmente gli allergeni maggiori e minori e quale importanza epidemiologica rivestano. In questi ultimi quattro anni presso il centro di Allergologia Clinica e Sperimentale dell’IDI di Roma, sono stati esaminati e raccolti su uno specifico database, i dati clinici relativi a più di 41000 pazienti con problematiche allergologiche, provenienti da tutto il territorio nazionale. I dati statistici relativi a un gruppo di 23000 pazienti testati tramite una tecno- logia in multiplex per 76 molecole allergeniche sono in corso di pubblicazione. Proprio in base alla nostra esperienza fondata su una delle più ampie casistiche mai apparse in letteratura, possiamo affermare che la diagnostica allergologica molecolare, condotta usando un sistema in multiplex (allergen microarray) rappresenta oggi, un mezzo diagnostico scarsamente invasivo, in grado non solo di fornire un preciso profilo di sensibilizzazione del singolo paziente ma contemporaneamente in grado di fornire una precisa valutazione epidemiologica della popolazione studiata. Conclusioni L’aumento esponenziale delle patologie allergiche in età pediatrica ha determinato un notevole incremento delle visite ambulatoriali pediatriche per bambini presunti allergici. Infatti ben nota è l’ansia dei genitori di fronte alla possibilità di avere un figlio allergico. Inoltre differentemente da altre patologie pediatriche, la gestione del bambino allergico risulta estremamente complessa . Il bambino allergico deve essere curato , ma soprattutto trattato a 360° gradi per la molteplicità degli interventi che, trascendendo da quello strettamente farmacologico, si intersecano a più livelli (ambiente, scuola, alimentazione, stile di vita della famiglia). Alla luce di queste considerazioni, il pediatra svolge un ruolo cardine nell’iter diagnostico. Infatti osservatore privilegiato della storia clinica e familiare del piccolo paziente sin dai primi giorni di vita, è in grado di riconoscere precocemente le manifestazioni allergiche e indirizzare tali pazienti al collega allergologo. Tale collaborazione permette di effettuare un approccio diagnostico specifico per il singolo paziente, scegliendo per lui il/i test allergologici più idonei alla luce della anamnesi e della sintomatologia clinica (riducendo cosi eventuali errori interpretativi) e conseguentemente un programma terapeutico personalizzato. 32 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Bibliografia 1. Host A, Andrae S, Charkin S, et al. Allergy testing in children : why, who, when and how. Statement of the Section on Pediatrics European. Allergy 2003; 58: 559-69 2. Williams PB. Usefulness of specific IgE antibody testes: A progress report . Ann. Allergy Asthma Immunol. 2003; 91: 518- 24 3. Matsson PNJ, Hamilton RG, Esch RE, et al. 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Camillo-Forlanini, P.le Forlanini, 1 00151 - Roma ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Rassegne CALPROTECTINA FECALE: NUOVO MARCATORE BIOLOGICO DELL’ATTIVITÀ INFIAMMATORIA NELLE PATOLOGIE ENTEROCOLICHE FECAL CALPROTECTIN: NEW BIOLOGICAL MARKER OF INFLAMMATORY ACTIVITY IN ENTEROCOLIC DISEASES CLAUDIO GIANNELLI1, GABRIELLA PARISI2, VALERIO GIANNELLI3 1 UOC Gastroenterologia Riabilitativa 2 UOC Microbiologia e virologia AO S.Camillo-Forlanini, Roma; 3Gastroenterologia II Università degli Studi “Sapienza”, Roma Parole chiave: Calprotectina. Marcatore biologico.Attività infiammatoria. Malattie enterocoliche Key words: Calprotectin. Biological marker. Inflammatory activity. Enterocolic diseases Riassunto – Dolori addominali,distensione gassosa e diarrea sono i più comuni sintomi che i gastroenterologi possono osservare.Il principale problema è distinguere, in questi sintomi, la causa funzionale (intestino irritabile) da quella organica come la malattia di Crohn, la colite ulcerosa o la diverticolite. In queste situazioni per raggiungere la diagnosi possono essere eseguiti numerosi esami, delle feci,del sangue, indagini radiografiche ed infine la colonscopia. Queste tecniche risultano costose e come nel caso della colonscopia invasive e non ben tollerate dai pazienti.Vi è quindi la ricerca di un test semplice, specifico e non invasivo per determinare i segni dell’infiammazione intestinale. Fra i test biologici quelli fecali hanno il vantaggio di aver la più alta specificità in quanto non modificati da patologie extradigestive come avviene per quelli ematici e possono evitare l’esecuzione di esami invasivi. La calprotectina, recentemente, si è dimostrata essere il più utile marker fecale della infiammazione, discriminando fra malattia funzionale ed organica, valutando l’attività di malattia nelle malattie infiammatorie intestinali croniche (MICI) e monitorizzando la risposta al trattamento. Abstract – Abdominal pain, bloating and diarrhoea are the most common disorders that are reported to gastroenterologist. The main problem in these symptoms is the differentiation between functional (irritable bowel syndrome, IBS) and organic gastrointestinal diseases such as Crohn’s disease, ulcerative colitis and diverticulitis. In these situations many tests may be performed to assess the diagnosis: stool sample tests, blood tests, x-rays and finally colonoscopy. These techniques are expensive and, as endoscopy, invasive and not well tolerated by patients. Thus, there is a research of a simple, sensitive, specific and non invasive marker to detect signs of intestinal inflammation and organic diseases. Among biological tests, the fecal markers have the advantage of higher specificity for gastrointestinal diseases because their levels are not raised by extra-digestive diseases, as it is for serological tests and can avoid invasive procedures. The calprotectin, recently, appears the most useful fecal marker of inflammation for discrimination between organic vs functional disorders, to estimate disease activity in inflammatory bowel diseases (IBD) and to check response to treatment. Il quadro clinico caratterizzato da dolori addominali, meteorismo e modificazione dell’alvo con prevalenza della diarrea, costituisce la situazione che più frequen- temente richiede la consultazione del gastroenterologo. Purtroppo questo complesso sintomatologico è comune in molte patologie non 34 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 solo organiche, come la colite ulcerosa, la malattia di Crohn e le flogosi acute del tratto gastroenterico, ma anche funzionali come la sindrome dell’intestino irritabile. Soprattutto quest’ultima sindrome, definita nella tabella 1 secondo i criteri di Roma del 20071 costituisce la situazione di maggiore impegno, in quanto, priva di esami biologici o di immagine assolutamente specifici, e costringe spesso ad un iter diagnostico lungo ed articolato, costoso in termini di impegno del paziente e spesso anche in termini economici. Si calcola infatti che nel mondo industrializzato la sua frequenza raggiunga il 30% della popolazione con una prevalenza quasi doppia nel sesso femminile, interessando soprattutto la fascia di età fra i 30 ed i 45 anni, peraltro caratterizzata da un notevole impegno lavorativo2. In una recente indagine italiana, condotta dalla Associazione Italiana Gastroenterologi Ospedalieri, a cui l’ Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia Riabilitativa dell’Azienda Ospedaliera S. Camillo-Forlanini di Roma ha preso parte, circa il 70% degli intervistati ha ammesso che tali sintomi modificavano nettamente in senso peggiorativo la loro qualità di vita. Nonostante le classificazioni e gli iter diagnostici proposti questo gruppo di pazienti necessita di una numerosa serie di indagini biologiche e strumentali mirate all’esclusione di una patologia organica responsabile della sintomatologia o ad essa associata (Tab. 1). Sotto la spinta di tale necessità si è cercato, negli anni più recenti, di individuare test biologici che permettessero di discernere, senza ricorrere ad indagini invasive (endoscopia) anche in senso biologico (radiologia), l’esistenza di una patologia Tabella 1 – Criteri di Roma III (2007) Discomfort addominale ricorrente per almeno tre gg al mese negli ultimi tre mesi associato a 2 o più dei seguenti sintomi: A) Miglioramento con l’evacuazione B) Comparsa associata a variazioni della frequenza delle evacuazioni C) Comparsa associata a variazioni della consistenza delle feci organica da quella funzionale del colon irritabile. Negli ultimi anni l’attenzione si è rivolta a marcatori fecali della flogosi, per la facile disponibilità del campione in questi malati e per la loro specificità, non essendo influenzate da patologie di altri organi come può invece avvenire per la velocità di eritrosedimentazione (VES) o la proteina C reattiva (PCR). Si sono quindi sottoposte a verifica clinica la determinazione della lattoferrina, dell’elastasi e della calprotectina fecale. Soprattutto quest’ultima appare essere il marcatore biologico fecale di maggiore interesse.per le sue caratteristiche di sensibilità e specificità non solo nella discriminazione fra patologia organica e funzionale ma anche per la possibilità di monitorizzare l’evoluzione della flogosi in rapporto alle terapie messe in atto. Caratteristiche biologiche della calprotectina La calprotectina è una proteina contenuta principalmente nei leucociti neutrofili (rappresenta il 60% delle proteine del citosol), da cui viene secreta o rilasciata con la morte cellulare.Composta da due subunità ha capacità di legare il calcio e lo zinco e svolge contemporaneamente una azione batteriostatica ed immunomodulante sulle risposte Th1 con azione similcitochinine3. Essa aumenta in varie condizioni flogistiche ed è rilevabile nel plasma, nelle urine, nelle feci, nel liquor, nel liquido ascitico e nelle biopsie coliche. Rappresenta un ottimo marker di infiammazione, particolarmente a livello intestinale, nelle feci, per la sua termostabilità (permane per 6-7 gg a temperatura ambiente) e per la sua resistenza alle degradazioni batteriche4. Si correla con il turnover dei leucociti nella parete e con il loro passaggio nel lume intestinale come dimostrano le esperienze comparate con l’escrezione fecale di leucociti marcati con Indio 1315. Tra i tests in commercio sono disponibili due kits in ELISA che differiscono tra loro per il tipo di anticorpo usato (mono- C. Giannelli et al.: Calprotectina fecale clonale versus policlonale). Esiste infatti Calprotectina ELISA (Buhlmann, Basel, Svizzera)che usa un anticorpo monoclonale e Calprotectina ELISA(Biopharm, Darmstadt, germania) che usa anticorpi policlonali.I due kits, secondo studi recenti, mostrano una buona correlazione e accuratezza, anche se il test monoclonale ha dimostrato una più alta specificità e sensibilità. Esiste, infine, un nuovo test di tipo semiquantitativo immunocromatografico (CalDetect Sophar) che permette una rilevazione estremamente rapida del risultato differenziato in tre soglie: T1 per valori fino a 15 Microgrammi/gr (negativa) T2 per valori fra 15 e 60 indicativa di presenza di infiammazione e T3 oltre i 60 microgrammi indicativa di infiammazione di grado elevato. Uso clinico Come già esposto, una delle maggiori esigenze, nell’ambito dell’attività gastroenterologica, è rappresentata dalla possibilità di poter discriminare senza ricorrere ad esami invasivi fra patologia funzionale ed infiammatoria. Ciò assume maggior risalto in considerazione dell’elevato impatto numerico della patologia funzionale intestinale nella pratica clinica.In tal senso la calprotectina si rivela un test particolarmente utile nell’individuazione dei pazienti con malattie infiammatorie intestinali croniche raggiungendo soglie di sensibilità oltre il 90% e di specificità del 100%.(Schroder6. Anche Tibble7 ha dimostrato nelle sue esperienze, con un cut-off di 30mg/L, una sensibilità del 100% ed una specificità del 97%, nel distinguere pazienti con malattia funzionale da quelli affetti da malattia di Crohn, dimostrandone un miglior potere discriminante nei confronti della PCR e della VES. Ciò è stato dimostrato anche con test di paragone con l’escrezione fecale di leucociti marcati con Indio 111. Anche una recentissima esperienza di Langhorst8, dedicata al confronto della capacità discriminante fra markers fecali (calprotectina, lattoferrina ed elastasi leucocitaria) e PCR e VES, ne conferma la validità con una accuratezza 35 diagnostica dell’80% versus il 64% della PCR nelle malattie infiammatorie croniche intestinali.Particolarmente significativa appare anche l’esperienza di Sipponen9 che ha dimostrato in 77 pazienti la superiorità del dosaggio fecale della calprotectina (con un cut-off di 200 microg/g), nel predire la malattia endoscopicamente attiva, CDEIS (Crohn’s Disease Endoscopic Index of Severity ) rispetto alla PCR e al CDAI (Crohn’s Disease Activity Index). In effetti la sensibilità, la specificità e il valore predittivo positivo (PPV) sono risultate per la calprotectina dell’70%, 92% e 94% versus l’48%, 91% e 91% della PCR. La correlazione globale con il CDEIS ha mostrato un p < 0.001.Un ulteriore dimostrazione di questa capacità discriminante fra IBD (inflammatory bowel diseases) ed IBS(irritable bowel sindrome) si è avuta nel lavoro condotto da Seibold10 che in uno studio prospettico condotto in 64 pazienti con IBD, 30 con IBS e 42 controlli sani, ponendo a confronto la calprotectinae la lattoferrina fecale con il test del sangue occulto immunologico, la PCR, ed il pattern ASCA e p-ANCA ha dimostrato una accuratezza diagnostica nei primi due test dell’89 e 90% versus il 74% del sangue occulto, il 73% della PCR e del 49-55% dei pattern ASCA e p-ANCA. Il dosaggio fecale della calprotectina si rivela particolarmente utile nello studio delle popolazioni pediatriche con sintomi gastrointestinali, ove il ricorso alle metodiche radiologiche ed endoscopiche risulta particolarmente gravoso. Nello studio pubblicato da Fagerberg11 nel 2005, in cui la determinazione fecale è stata confrontata, in 36 pazienti fra i 4 ed i 17 anni, con i risultati istologici delle biopsie coliche, il test ha rivelato una sensibilità del 95%, una specificità del 93%, un valore predittivo positivo del 95% e predittivo negativo del 93%, nel determinare l’infiammazione colorettale. Una recente revisione della letteratura, pubblicata da Gisbert12 per un complessivo di 754 pazienti fra il 2000 ed il 2006, la calprotectina ha dimostrato una capacita discriminante fra l’IBS e l’IBD con una sensibilità totale dell’80% e specificità del 76%. Una più approfondita analisi dei dati ha dimostrato, inoltre, una 36 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 maggiore accuratezza diagnostica nella malattia di Crohn rispetto alla colite ulcerosa con una sensibiltà dell’83% versus il 72% ed una specificità dell’85% versus il 74% . Anche l’esperienza condotta da un gruppo spagnolo13 nel 2006 su un complessivo di 190 pazienti ha dimostrato una elevata sensibilità (83%) e VPN (93%) nel far prevedere una colonscopia patologica. con livelli assolutamente più elevati nelle malattie infiammatorie intestinali.Inoltre da questo studio emerge che l’uso di antinfiammatori non steroidei può elevare le concentrazioni fecali in assenza di lesioni coliche. Dato questo già anticipato in ambito radiologico dall’esperienza di Hawthorne14 nel 2004, in cui la determinazione della calprotectina fecale permise di predire in 73 pazienti consecutivi studiati con clisma opaco tutti i casi con clisma patologico. I pazienti in cui, pur essendo la calprotectina patologica, il clisma non aveva evidenziato lesioni, furono sottoposti ad una successiva indagine radiologica sull’intestino tenue con evidenza di una malattia di Crohn tenuale in 5 casi ed una malattia celiaca nel restante caso. Infine Van Roon15, nel 2007, ha pubblicato una metanalisi su nove lavori di tipo prospettico, per un complessivo di 1210 pazienti, dimostrando una capacità discriminante della calprotectina fra IBS ed IBD con una sensibilità del 95% ed una specificità del 91% con una maggiore accuratezza per la malattia di Crohn. Già nel 2000 Tibble7 aveva dimostrato una ulteriore utilità della calprotectina nella gestione delle malattie infiammatorie intestinali dimostrandone una elevata sensibilità e specificità per il rischio della riacutizzazione.Peraltro, in un recente lavoro di Costa16, pur venendo confermata l’elevata sensibilità di questo marker per il rischio di recidiva in entrambe le malattie, emerge una ridotta specificità per la malattia di Crohn (43%) rispetto alla colite ulcerosa 882%). Ciò può trovare spiegazione in una analoga esperienza italiana di Sturniolo17 condotta su 97 coliti ulcerose e 65 malattie di Crohn, controllate per un anno, in cui si mantiene una elevata correlazione fra la calprotectina ed il rischio di recidiva per la colite ulcerosa. Nel caso della malattia di Crohn tale tipo di correlazione si mantiene solo nel caso delle localizzazioni coliche. Ciò ha trovato ulteriore conferma in un recente lavoro di Gisbert18 in cui 163 pazienti (89 m. di Crohn, 74 colite ulcerosa) sono stati seguiti per oltre un anno dopo un prelievo basale di calprotectina , effettuato dopo sei mesi di remissione clinica. La concentrazione fecale di calprotectina risultò estremamente più elevata nei pazienti che presentarono recidiva rispetto a quelli ancora in remissione (239 microg/gr vs 158). Inoltre il rischio di riacutizzazione risultò del 30% nei pazienti con calprotectina elevata e solo del 7% in quelli con valori normali.Pertanto la sensibilità e la specificità della dell’alterazione della calprotectina oltre i 150 microg/gr risultarono essere entrambe del 69%. Un ulteriore e più dettagliato contributo al ruolo che la determinazione di questa proteina può rappresentare nella gestione clinica della malattie infiammatorie intestinali, si evince dall’ esperienza di Seibold19 pubblicata nel Maggio 2009. In questa esperienza condotta su 134 pazienti affetti da colite ulcerosa, con gruppo di controllo di 48 pazienti sani, la calprotectina fu valutata assieme alla PCR e alla conta dei globuli bianchi nei confronti dello score endoscopico di Rachmilewitz. I livelli di calproteina risultarono estremamente bassi nei pazienti con colite inattiva (42 microgr/gr), più elevati (210 e 392 microgr) nelle forme lievi e moderate per raggiungere valori oltre 10 volte più elevati nelle forme gravi (730 microgrammi). L’accuratezza totale risultò pertanto dell’89% per la calprotectina, versus il 73% del Clinical Activity Index e del 62% per la PCR. Infine sempre nell’ambito della colite ulcerosa l’esperienza di Satsangi20 in 90 pazienti con colite ulcerosa acuta grave ha dimostrato nei 31 pazienti (34%) , non responder al cortisone ed infliximab, e che hanno richiesto la colectomia, valori di calprotectina significativamente più elevati (1200 microgr) che nei pazienti responder (887 microgr) con un p=0.04. Questa differenza di valori si presentava 37 C. Giannelli et al.: Calprotectina fecale sia nel gruppo dei non responder al cortisone (1100 mcgr) vs i responder (863 mcgr), sia nel gruppo dei non responder all’infliximab (1795 mcgr vs 920 mcgr). Il complessivo di queste esperienze dimostra che la determinazione fecale della calprotectina è utile oltre che nello screening anche nella gestione clinica delle malattie infiammatorie intestinali, permettendo di prevederne il rischio di recidiva, e nell’ambito della colite ulcerosa il grado di gravità clinica e di risposta alla terapia medica con cortisonici e biologici. Recenti esperienze del 2008 e 2009, rispettivamente di Stein21 e di Aiello22, ne dimostrano l’utilità anche nellea diagnosi delle diarree di origine infettiva con una sensibilità e specificità dell’83 e 87% e nel campo della patologia diverticolare ove livelli elevati di calprotectina sono stati rilevati nelle diverticoliti acute e nelle forme sintomatiche non complicate, ma non nei soggetti con diverticolosi asintomatica. In considerazione dell’elevato impatto numerico dei pazienti affetti da queste patologie è evidente la notevole utilità di questo test nel discriminare l’origine infettiva nelle diarree acute e l’esistenza dell’infiammazione in quelli affetti da diverticolosi. Infine l’esperienza condotta da Hille23 su 20 pazienti sottoposti a terapia radiante pelvica, ha permesso di rilevare l’alterazione della sua concentrazione fecale nel 73% dei pazienti con documentata proctite (p=0.04 vs assenza di proctite) con alterazione progressiva nel corso della terapia e nelle 2 settimane successive al termine. Anche in questo campo, seppur numericamente meno significativo, la calprotectina fecale può rappresentare elemento di monitoraggio per la comparsa della complicanza proclitica e della sua evoluzione nel tempo. Conclusioni La determinazione della concentrazione fecale della calprotectina con metodo quantitativo ed ancora più recentemente con metodo rapido semiquantitativo costituisce un valido ausilio nella pratica clinica per discernere le enterocolopatie organiche da quelle funzionali. La sua validità dimostrata con esperienze specifiche nelle diarree infettive e nella malattia diverticolare può implicare, data l’elevata diffusione di queste patologie, un notevole risparmio economico nella gestione di questi pazienti. La sua determinazione si rivela, noltre, utile della gestione delle malattie infiammatorie intestinali, soprattutto in quelle a localizzazione colica, permettendo di valutarne il grado di attività e la risposta alle terapie anche nelle forme di maggiore gravità in cui tassi oltre i 1000 mcgr sono fortemente suggestivi per pazienti non responder candidati alla colectomia. Bibliografia 1. Drossman DA, moderator. AGA Clinical Symposium, Rome III: New Criteria for the Functional GI Disorders. Program and abstracts of Digestive Disease Week, Los Angeles, California 2006; 20-25: 461-9 2. Mansi C. Sindrome dell’intestino irritabile. Close conference. Progressi in Gastroenterologia 12-13 Novembre 2004 Rapallo Genova 3. Johne B., Fagerhol MK, Lyberg T, et al. Functional and clinical aspects of the myelomonocytic protein calprotectin. J Clin Pathol 1997; 50: 11323 4. Roseth AG, Fagerhol MK, Aadland E.et al. Assessment of the neutrophil dominating protein calprotectin in feces.A metholodogic study. Scand J Gastroenterol 1992; 27: 793-8 5. Roseth AG, Schmidt PN, Fagerhol MK. Correlation between fecal excrection of Indium 111-l labelled granulocites and calprotectin, a granulocyte marker protein, in patients with inflammatory bowel disease. Scand J Gastronterol 1999; 34: 50-4 6. Schroder O, Naumann N, Shastri Y, et al. 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Elderly Epidemiologia L’Andropausa è la condizione di progressiva riduzione dei livelli ematici del testosterone che si verifica con il progredire dell’età. Attualmente esistono evidenze inconfutabili che l’invecchiamento determina una riduzione dei livelli di testosterone e in generale degli androgeni circolanti. Fin dal 1980, infatti, studi epidemiologici hanno evidenziato questo aspetto della fisiopatologia della gonade maschile. Ne sono un esempio lo studio promosso dall’Istituto Nazionale dell’Invecchiamento statunitense, the Baltimore Longitudinal Study del 1980 ,uno studio australiano del 1976 , uno studio europeo di Vermeulen del 1991 ed un recentissimo studio longitudinale americano, the Massachusetts male aging study del 2002 (1). Fisiopatologia ed eziopatogenesi L’Ipogonadismo con bassi livelli di Testosterone che viene descritto con l’invec- chiamento (ADAM: Androgen Deficiency in Aging Male), può essere il risultato sia di una insufficienza primaria testicolare che di una insufficienza secondaria ipotalamo-ipofisaria. Nei soggetti maschi sani i testicoli producono il 95% degli Androgeni circolanti ed in particolare del Testosterone. La quantità è pari a 5-10 mg. di Testosterone al giorno. Il corticosurrene produce il restante 5%, sotto forma principalmente di Deidroepiandrosteone (DHEA). L’ adenoipofisi produce l’ormone luteinizzante (LH) che regola la sintesi e la secrezione di testosterone testicolare e l’ormone follicolostimolante (FSH) che invece governa la maturazione degli spermatozoi a partire dagli spermatogoni. Il testosterone a sua volta viene metabolizzato in diidrotestosterone (DHT) da parte dell’enzima 5α reduttasi e aromatizzato ad estradiolo ad opera della aromatasi. Nell’Andropausa come abbiamo già osservato i livelli di testosterone si riducono in modo graduale a differenza della menopausa dove invece *Relazione tenuta al Convegno “Ormoni e Invecchiamento”.Aula Magna Ospedale Forlanini, Roma, 2 Ottobre 2008 40 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 la riduzione dei livelli di estrogeni è sicuramente più netta con una finestra temporale più ridotta. Inoltre la produzione di spermatozoi, regolata principalmente dell’FSH, non è parallelamente compromessa e così anche la fertilità che può rimanere integra con il passare degli anni . La deprivazione a lungo termine degli Androgeni determina effetti simili a quella degli estrogeni nella donna. Quindi osteoporosi, riduzione della massa muscolare, variazioni cognitive, sono eventi frequenti nell’Andropausa. La tabella 1 sintetizza le alterazioni anatomiche e le variazioni ormonali testicolari associate all’invecchiamento maschile. Manifestazioni cliniche della Adam Come per la menopausa, anche per l’andropausa, vi è una grande variabilità Tabella 1 - Alterazioni anatomiche e ormonali testicolari nell’invecchiamento maschile Anatomia *Riduzione della grandezza e del peso dei testicoli *Riduzione del numero delle cellule di Leydig *Vacuolizzazione e accumulo di lipofuscina nella cellule di Leydig *Aterosclerosi dei vasi testicolari *Degenerazione non uniforme dei tubuli seminiferi *Fibrosi peritubulare *Riduzione della maturazione degli spermatozoi *Alterazione della morfologia degli spermatozoi *Ispessimento della membrana basale dei tubuli seminiferi *Riduzione del numero delle cellule di Sertoli Fisiologia *Riduzione del Testosterone totale *Aumento della SHBG *Riduzione del Testosterone libero e del Testosterone le gato all’Albumina *Riduzione minima del Diidrotestosterone *Riduzione del DHEA e del suo Solfato (DHEAS) *Minime variazioni del livelli di Estradiolo ed Estrone *Ridotta risposta dell’LH al GnRH *Livelli di LH invariati *Ridotti livelli di Inibina testicolare *Aumento dei livelli di FSH dell’intensità della sintomatologia. I sintomi transitori comprendono modificazioni del tono dell’umore, come ad esempio del “livello di energia” e della sensazione di benessere, nonché modifiche della funzione sessuale in termini sia di libido che di attività erettile peniena. I potenziali effetti a lungo termine del deficit di androgeni comprendono osteoporosi, riduzione della massa muscolare ed alterazioni cognitive. La correlazione tra sintomi e loro gravità e livelli ematici di testosterone è molto variabile ed è tuttora oggetto di ricerche nell’ambito del cosiddetto “ipogonadismo relativo”o sindrome PADAM (Partial Deficiency Androgen in Aging Male) (2). Quindi la maggioranza dei soggetti affetti da sindrome ADAM in realtà consulterà il proprio medico di base per problemi inerenti la sfera sessuale o per sintomi “vaghi e generici” quali:astenia e debolezza muscolare, facilità all’affaticamento o per disturbi inerenti la sfera psichico-cognitiva. Il più delle volte l’osteoporosi è un problema ignorato dal paziente che quasi mai si sottopone volontariamente (come di solito fa la donna in menopausa) ad una valutazione della densità ossea con una MOC. Esami di laboratorio La maggior parte dei laboratori considera normali livelli di testosterone totale compresi tra 260 e 1.000 ng/dL e livelli di testosterone libero tra 50 e 210 ng/Dl. Nel 2005 le principali Società scientifiche europee (ISA-ISSAM e EAU) e nel 2006 l’’Endocrine Society statunitense nel tracciare le linee-guida per la terapia ormonale sostitutiva hanno sottolineato con forza la necessità di eseguire il dosaggio del testosterone totale rispetto a quello libero, in quanto nessun metodo commerciale attualmente a disposizione dei laboratori è affidabile. Infatti i kits commerciali per la determinazione del testosterone libero, sottostimano i valori circolanti fin anche del 100% e l’unica metodologia valida è quella che utilizza l’equilibrio alla dialisi e che è appannaggio esclusivo di laboratori di ricerca clinica.(3-4) Il valore inferiore F. Valentini: Ipogonadismo nell’anziano di testosterone totale, al di sotto del quale porre diagnosi di ADAM, è stato fissato in 200 ng/dL. La determinazione dei livelli di FSH e LH è utile per la diagnosi differenziale tra ipogonadismi primitivi da danno testicolare con elevati livelli di FSH e/o LH ed ipogonadismi secondari a danno ipotalamo-ipofisario con livelli bassi o inappropriatamente normali di FSH e/o LH. In quest’ultima evenienza è utile anche la determinazione della Prolattina (3 prelievi, 1 ogni 20 minuti, dopo almeno 2 ore dal risveglio), del TSH, dell’FT4, del cortisolo al mattino al risveglio ed, eventualmente, una RMN della regione ipotalamo-ipofisaria con mezzo di contrasto paramagnetico (Gadolinio). La tabella 2 sintetizza le patologie da considerare nella diagnosi differenziale. Valutazione clinica e questionari per lo screening Una raccolta anamnestica ed un esame obiettivo accurato costituiscono importanti aspetti della valutazione clinica di un paziente con ADAM. Nel corso dell’anamnesi è importante indagare circa la diminuzione della libido, distinguendo questa condizione dal deficit erettile. Una perdita della capacità di erezione al mattino al risveglio può essere indicativa di ipogona- 41 dismo. Le condizioni cliniche che entrano in diagnosi differenziale sono già state sintetizzate nella tabella 2. L’esame obiettivo deve comprendere la determinazione del peso e dell’altezza, dell’indice di massa corporea, il rapporto fianchi-anche, la misurazione del “giro-vita” e la eventuale valutazione del rapporto massa magra/massa grassa. La cute va esaminata alla ricerca di segni d’iperestrinismo (ad es. presenza di teleangectasie tipo “spider nevi”). Il volto, le ascelle e il pube vanno osservati per valutare la perdita di peli. Le dimensioni dei testicoli possono essere misurate con l’orchidometro di Prader. Anche un esame rettale per la valutazione della prostata dovrebbe far parte dell’esame obiettivo iniziale. Per la individuazione del deficit di androgeni nel maschio anziano sono stati proposti molti questionari più o meno validati. Tra gli altri ricordiamo: * Geriatric Depression Scale. * Folstein Mini-Mental State Examination. * St.Louis University ADAM Questionniare (5). In tabella 3 il questionario che attualmente sembra essere il metodo più sensibile per la valutazione clinica della sindrome ADAM. Tabella 3 - The St. Louis university androgen deficiency in aging male questionniare Tabella 2 - Diagnosi differenziale di sindrome Adam *Obesità *Malattie croniche quali: diabete mellito, insufficienza renale cronica, cirrosi epatica, anemia *Depressione *Diminuzione dei livelli di albumina in caso di: denutrizione, etilismo cronico *Stress acuti: interventi chirurgici maggiori, gravi ustioni, infarto miocardio acuto *Altre malattie endocrine: sindrome di Cushing, ipotiroidismo *Farmaci in grado di interferire con sintesi, secrezione e metabolismo degli androgeni *Tumori della regione ipotalamo-ipofisaria: macroadenomi ipofisari, craniofaringiomi, meningiomi *Malattie infiltrative croniche della regione ipotalamoipofisaria: emocromatosi, istiocitosi X *Sindrome di Kallmann, sindrome di Klinefelter 01. Hai notato una riduzione della libido e/o dell’erotismo? 02. Hai notato una riduzione o assenza di energia fisica? 03. Hai notato una riduzione della forza muscolare e/o della resistenza alla fatica fisica? 04. Hai notato una riduzione della tua altezza? 05. Hai notato una sensazione di una ridotta “gioia di vivere”? 06. Ti senti “infelice” e/o “di cattivo umore”? 07. Hai notato erezioni meno potenti o deficit di erezione o perdita di erezioni durante il rapporto? 08. Hai notato una recente difficoltà nella tua capacità fare sport? 09. Hai notato la comparsa di insonnia? 10. Hai notato una recente incapacità a svolgere correttamente il tuo lavoro? **Risposte affermative alla domanda 1 o 7 o a 3 delle altre suggeriscono un deficit di androgeni nell’anziano 42 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Tabella 4 - Controindicazioni assolute e relative della terapia ormonale sostitutiva con testosterone nella Adam Controindicazioni assolute *Cancro della prostata pregresso o in fase attiva (ricercare un eventuale cancro “occulto”)- Ipertrofia prostatica benigna *Cancro della mammella *Sleep Apnea Syndrome *Valori preterapia di Ematocrito > al 50% *Valori preterapia di PSA totale > 4 ng /mL Controindicazioni relative *Scompenso cardiaco congestizio non emodinamicamente stabile (Classe III/IV NYHA) *Insufficienza renale cronica con VFG < al 50% della norma *Insufficienza epatica grave *Obesità grave (BMI > 35) *Diabete mellito in terapia con insulina e/o in scarso compenso metabolico *Pazienti in terapia con anticoagulanti orali dicumarolici *Pazienti in terapia con dosi farmacologiche di corticosteroidi *Pazienti con storia familiare o personale di malattie tromboemboliche Terapia ormonale sostitutiva del deficti di androgeni con testosterone La Tabella 4 sintetizza le controindicazioni assolute e relative, da valutare nel singolo caso clinico, alla terapia ormonale sostitutiva della sindrome ADAM. Quale testosterone utilizzare nella terapia La tabella 5 sintetizza i farmaci in commercio in Italia utilizzati per la terapia sostitutiva delle sindromi da deficit di androgeni. Attualmente il farmaco più “fisiologico” è rappresentato dall’Undecanoato di Testosterone iniettabile veicolato in olio di castoro (Nebid®) che è in grado di mantenere livelli costanti di Testosterone ematico in un range di normalità per l’intero intervallo di somministrazione compreso tra 90 e 45 giorni. I preparati di Esteri di Testosterone “più datati” infatti presentano tutti lo stesso problema,alti livelli plasmatici di testosterone durante i primi Tabella 5 - Farmaci in commercio in Italia per la terapia del deficit di androgeni Via Orale (Undecanoato di testosterone) ANDRIOL® compresse 40 mg. Via Intramuscolare (Esteri del testosterone) TESTO ENANT® fiale 100 e 200 mg. TESTOVIS® fiale 100 mg. TESTOVIRON ® fiale 100 e 250 mg. SUSTANON® fiale 250 mg. NEBID® fiale 1000 mg Via Transdermica (Testosterone) ANDRODERM® cerotti 2.5 mg./24 ore ANDROGEL® bustine 50 mg. TESTOGEL® bustine 50 mg. TESTIM® dose 50 mg giorni dopo la somministrazione e bassi valori al termine del periodo iniettivo. Monitoraggio della terapia con testosterone Si consigliano controlli a 3-4 mesi dall’inizio della terapia sostitutiva e successivamente ogni 6-12 mesi. Gli esami indispensabili per un buon follow-up del paziente sono rappresentati da: *Dosaggio del Testosterone totale Esteri iniettabili Prelievo al medio-periodo: valori ideali tra 400 e 600 ng/dL Prelievo al nadir: valori ideali tra 250 e 300 ng/dL Preparati transdermici in gel Prelievo al mattino del XVI giorno dall’inizio della somministrazione: valori ideali > 300 ng/dL. *Monitoraggio del PSA totale I livelli di PSA totale dovrebbero essere determinati prima della terapia e successivamente a 3, 6, 12 mesi. I controlli successivi devono essere effettuati ogni 6 mesi. I fattori da considerare sono: percentuale di variazione del PSA e livelli assoluti raggiunti dal PSA. Se i livelli di PSA aumentano più di 1.5 ng/mL l’anno o se il valore assoluto raggiunto dal PSA supera i 4 ng/mL si deve effettuare una ecografia prostatica transrettale. Utile comunque un esame rettale dopo 3 e 6 mesi di terapia. *Ematocrito L’incremento dell’ematocrito, meno evidente con i preparati transdermici ri- 43 F. Valentini: Ipogonadismo nell’anziano spetto alle preparazioni iniettabili, deve essere mantenuto inferiore al 50% con valori di testosterone nel range medio di normalità. *Esami di chimica clinica *AST / ALT *Colesterolo totale/HDL/LDL/Trigliceridi *Fibrinogeno / PTT / INR / Antitrombina III. 2. 3. 4. Bibliografia 1. Feldman HA,Longcope C, Derby CA, et al.Age trends in the level of serum testosterone and other hormones in middle-aged men: longitudi- 5. nal results from the Massachusetts male aging study. J Clin Endocrinol Metab 2002; 87: 589 Tan RS. Andropause :introducing the concept of “relative hypogonadism” in aging males.(Letter) Int J Impot Res 2002; 14: 319 Nischlag E, Swerdloff R, Behre HN, et al. Reccomandations:investigation ,treatment and monitirong of late onset hypogonadism in male : ISA,ISSAM,EAU reccomandations. Int J Androl 2005; 28: 125 Bhasin S, Glenn R, Hayes FJ, et al. Testosterone therapy in adult men with androgen deficiency syndromes.An Endocrine Society Clinical Practice Guideline. J Clin Endo Metab, 2006; 91: (6) 1995 Morley JE, Charlton E, Patrick P, et al. Validation of a screening questionnaire for androgen deficiency in aging males. Metabolism 2000; 49: 1239 Corrispondenza e richiesta estratti: Dr.Ferdinando Valentini U.O. Endocrinologia Az. Osp. S. Camillo-Forlanini, P.le Forlanini, 1 - 00151 Roma ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 MALATTIA OSSEA DI PAGET* PAGET’S BONE DISEASE GIOVANNI COPPI, PAOLO ZUPPI, ENRICO FIDOTTI U.O. Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Specialistica Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini, Roma Parole chiave: Malattia ossea di Paget. Bisfosfonati Key words: Paget’s bone disease. Bisphosphonates Descritta per la prima volta dall’inglese sir James Paget nel 1877 come “Osteitis deformans”, è una malattia cronica dello scheletro caratterizzata da un esagerato riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti, con irregolare neoformazione ossea osteoblastica.Ha decorso lento, spesso asintomatico, che può determinare ingrandimento e deformazione di uno o più distretti scheletrici, dolore, fratture e nei casi più gravi compromissione neurologica e cardiovascolare1,2. nel 15-40% dei pazienti pagetici c’è una familiarità positiva per l’affezione, ma non è stata identificata alcuna mutazione nelle famiglie studiate e neppure nei casi sporadici6. Nonostante il riscontro negli osteoclasti di microfilamenti simili ad inclusioni virali riferibili alla famiglia dei Paramyxovirus, l’eziologia virale non è stata confermata7. Probabilmente è in gioco un’alterata risposta infiammatoria ad una infezione da virus lenti, dovuta ad una predisposizione genetica. Epidemiologia Fisiopatologia Poiché solo il 5-10 % dei casi è sintomatico, è verosimile che i dati epidemiologici attuali ne sottostimino la prevalenza3. È abbastanza rara nelle popolazioni asiatiche, meno rara nella razza afro-americana, comune nella caucasica con ampia variabilità geografica: in Europa, in soggetti di età superiore ai 50 anni d’ambo i sessi, si passa dallo 0,5% della Grecia al 5% dell’Inghilterra. In Italia la prevalenza delle forme sintomatiche si aggira intorno all’1%4. I pazienti giungono all’osservazione clinica quasi sempre dopo i 40 anni, con prevalenza crescente con l’età; la patologia prevale nel sesso maschile con rapporto che varia da 1,4 a 3 uomini /donna a seconda delle diverse casistiche5. La malattia è caratterizzata da un accresciuto riassorbimento osseo, con osteoclasti aumentati di numero e di volume, cui fa seguito un incremento della formazione con rimodellamento caotico operante al di fuori dei meccanismi fisiologici di regolazione, quali carico meccanico ed omeostasi minerale. L’Osteite di Paget è un caso paradigmatico di disaccoppiamento tra riassorbimento e neoformazione ossea, infatti se prendiamo in esame le unità multicellulari di base (BMU) presenti nei siti scheletrici di rimodellamento possiamo osservare la corrispondenza dei due processi nell’unità di luogo. In altre parole in ogni BMU si realizza prima il riassorbimento, piuttosto rapido, ad opera degli osteoclasti e successivamente, nella stessa sede, la formazione, più lenta, di nuovo osso da parte degli osteoblasti. Il risultato è il pieno ripristino della trabecola ossea se gli osteoblasti colmano la lacuna creata da- Etiopatogenesi L’eziologia è tuttora sconosciuta. Studi epidemiologici hanno evidenziato che *Relazione tenuta al Convegno “Ormoni e Invecchiamento”. Aula Magna Ospedale Forlanini, Roma, 2 Ottobre 2008 45 G. Coppi et al.: Malattia ossea di Paget gli osteoclasti, oppure perdita di sostanza ossea se il ripristino non è completo, come nell’Osteoporosi. L’osso pagetico, sebbene abbia un volume superiore alla norma e sia riccamente vascolarizzato, a causa del sovvertimento della struttura architettonica e della mineralizzazione, ha una scarsa efficienza biomeccanica. Tali alterazioni possono condurre alla compressione delle strutture presenti all’interno e all’intorno dell’osso, a deformazioni, ad alterazione dei carichi articolari con osteoartrite secondaria e a fragilità con fratture8. Sebbene il processo patologico si sviluppi come un “continuum”, vengono schematicamente individuate 3 fasi: 1. osteolitica: numerosi osteoclasti presenti sulle superfici trabecolari e nell’osso corticale determinano un intenso riassorbimento; contemporaneamente osteoblasti cominciano a produrre matrice ossea la cui architettura non è ben organizzata in ordinate lamelle ma ha 2. aspetto cotonoso, disorganizzato, a cellularità mista ed elevato turnover che prelude alla 3. fase sclerotica, caratterizzata da trabecole rarefatte e ispessite con aspetto “a mosaico”. Diagnosi Nella maggioranza dei casi la malattia decorre in modo asintomatico ed è sospettata per il riscontro occasionale di livelli elevati di fosfatasi alcalina, oppure per il rilievo di lesioni ossee nel corso di indagini radiografiche eseguite per altri motivi. Le forme sintomatiche, non più del 5 –10%, sono caratterizzate da dolore osseo generalmente moderato, persistente e poco influenzato dal carico, presente nel 50-60% dei casi, da dolore articolare nel 40-50%, da tumefazione calda nel 30%, da deformità scheletrica nel 20-30%. Meno frequenti sono l’aumento di volume del cranio, l’interessamento di strutture nervose con dolore di tipo radicolare, cefalea, sordità. Il tipo di presentazione clinica cosi’ sfumata e proteiforme rende ragione della sottostima dell’affezione, facilmente confusa con patologia degenerativa osteoarticolare o neurologica La sintomatologia dolorosa può essere dovuta a cause diverse: al- l’aumentata vascolarità, alle alterazioni periostali dovute ad esagerato rimodellamento osseo, a microfratture o a mialgia dovuta alle angolazioni abnormi delle ossa deformate. Le deformità del cranio possono riguardare la volta con prominenza delle bozze frontali o dei corpi mascellari, oppure la base cranica con possibile impegno del foro occipitale (idrocefalo, compressione del tronco). L’osso pagetico può comprimere i nervi cranici all’emergenza dai rispettivi forami: a rischio sono soprattutto il nervo ottico e l’acustico. Il rigonfiamento progressivo delle ossa lunghe, quando presente, interessa quelle maggiormente sottoposte a carico (femore, tibia), è generalmente monolaterale, ricoperto da cute più calda ed è per solito così lento che spesso neanche il paziente riesce a notarlo. La stessa deformità pagetica può danneggiare i distretti articolari adiacenti con risultato in artrosi.9,10 Indagini di laboratorio e strumentali La fosfatasi alcalina (ALP) e l’isoenzima osseo (Ostase) consentono di confermare il sospetto clinico o di individuare forme asintomatiche, sebbene l’ALP possa risultare nei limiti della norma nel 15% dei casi. La calcemia e il PTH non sono alterati. Fra i marcatori del turnover osseo PINP (peptide N-terminale del procollagene di tipo I) marker di formazione e Cross Laps (telopeptide C-terminale del collagene di tipo I) marker di riassorbimento, sembrano possedere un discreto grado di sensibilità. Le radiografie ossee generalmente sono diagnostiche, dimostrando lesioni di tipo osteolitico con il peculiare fronte di riassorbimento a “V” più frequentemente riscontrabile a livello tibiale, alternate ad aree di sclerosi per eccesso di attività osteoblastica. Altre caratteristiche del Paget sono l’aumento di volume dell’osso, l’ispessimento della corticale, l’aspetto cotonoso, le aree di sclerosi focale o diffusa (vedi Fig.1). Sono soprattutto le lesioni di tipo esclusivamente sclerotico a porre serie difficoltà diagnostiche (vedi Tab.1). La scintigrafia ossea utilizza come tracciante un bisfosfonato marcato con 99Tc o 18 F, ha minore specificità e maggiore sensibiltà rispetto alla radiologia, consente 46 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 Tabella 1 - Affezioni che pongono problemi di diagnostica differenziale con il Paget Osteoslerosi generalizzata Metastasi ossee* Mielosclerosi Osteodistrofia renale fluorosi Displasie ossee: 1.iperfosfatasia 2.displasia fibrosa poliostotica Osteosclerosi focale Metastasi ossee* Linfoma Mielosclerosi Ipotiroidismo Osteomielite Emangioma Tumore osseo Displasia fibrosa monostotica Spondilite anchilosante Osteite condensante Osteolisi focale Metastasi Mieloma Cisti Displasia fibrosa monostotica Tumore a cellule giganti Sarcoma Tumore bruno Da SIOMMMS: linee guida della M. di Paget ossea. * = Prostata, Mammella, Polmone, Pancreas Fig. 1 - Quadro radiografico delle lesioni pagetiche del cranio. (Da Gennari C., Avioli L.V)12 di valutare l’estensione della malattia e fornisce indicazioni sulla sua attività. Particolari elaborazioni delle metodiche scintigrafiche (quantitativa, semiquantitativa) hanno importanza scientifica o per singoli casi, ma non offrono vantaggi sostanziali sulla valutazione dell’attività di malattia. RMN e TC trovano applicazione nella valutazione delle complicanze neurologiche o nel sospetto di evoluzione sarcomatosa. La biopsia ossea, utile in caso di diagnosi incerta, può comportare problemi di diagnostica differenziale con l’ Osteosarcoma paraosteale e l’Osteosarcoma centrale “low grade”. Complicanze Oltre a deformità, osteoartrosi ed alterazioni neurologiche, la peculiare architettura dei siti colpiti rappresenta un elemento di fragilità che espone a frattura; il relativo callo osseo presenta quasi sempre le caratteristiche anatomo-patologiche proprie del Paget, rendendo la guarigione molto lenta con il rischio di mancata saldatura. Nel paziente pagetico l’evento fratturativo, al pari di altre patologie che impongano un lungo periodo di immobilizzazione, espone al rischio di ipercalcemia ed ipercalciuria, possibili cause di danno renale. Poiché il tessuto pagetico è riccamente vascolarizzato, in caso di malattia poliostotica si può realizzare una sindrome ad alta gittata che può rivelare una cardiopatia fino ad allora asintomatica o in buon compenso. Altre complicanze dell’elevato turnover osseo sono l’iperuricemia e la gotta le cui manifestazioni artritiche pongono difficoltà diagnostiche con la gotta primaria e con altre artropatie. Infine l’aumentata incidenza di neoplasie, stimata globalmente intorno al 10%, con forme maligne in netta minoranza (0,7-1%) rappresentate per lo più da osteosarcomi, da fibro e condrosarcomi. Sono più frequenti nel sesso maschile e nelle forme poliostotiche, interessano maggiormente la pelvi, il femore e l’omero, e sono caratterizzati da una netta accentuazione della sintomatologia dolorosa e da lesioni radiologiche di tipo osteolitico. Terapia È basata sull’uso di farmaci capaci di normalizzare l’attività degli osteoclasti pagetici al fine di ridurre il turnover osseo e di mantenerlo stabilmente nei limiti, con conseguente attenuazione del dolore e riduzione del rischio di complicanze11. In virtù di questa considerazione e dell’incremento dell’aspettativa di vita, la tendenza attuale è di trattare tempestivamente i pazienti, anche se manca l’evidenza di trial clinici dimostrativi della riduzione delle complicanze dopo riduzione del turnover osseo. In sintesi il trattamento deve essere riservato ai pazienti: 1. più giovani, per il più alto lifetime risk di sviluppare complicanze; 2. con elevato grado di attività (+++ fosfatasi alcalina, estensione e gravità delle lesioni ossee); 3. nei quali i siti scheletrici coinvolti sono in prossimità di capi articolari o di strutture nervose (base cranica) oppure riguardano distretti sottoposti al carico. Il trattamento si fonda su vari agenti; la Tab. 2 indica quelli di cui è stata dimostrata l’efficacia. 47 G. Coppi et al.: Malattia ossea di Paget La Calcitonina agisce riducendo il turnover osseo di circa il 50%, indipendentemente dalla dose impiegata, ma solo per pochi mesi. Possiede un effetto antidolorifico dal meccanismo ancora sconosciuto, e poiché non sono stati ancora adeguatamente valutati i risultati ottenuti tramite la via nasale è opportuno somministrarla per via sottocutanea alla posologia di almeno 50 UI/die. Gli effetti collaterali (nausea, flushing) relativamente frequenti e le considerazioni precedenti ne limitano l’uso alle forme più lievi. La Calcitonina in fiale è prescrivibile con nota 41 AIFA13. I Bisfosfonati (BPs) sono potenti inibitori dell’attività osteoclastica e del turnover osseo; l’efficacia e la durata di remissione dipendono dalla dose totale somministrata piuttosto che dalla modalità di somministrazione e la sensibilità generalmente rimane invariata nel tempo, senza resistenza crociata tra i vari BPs. Nonostante abbiano più o meno tutti dimostrazioni di efficacia per il M. di Paget, in Italia solo l’ac. etidronico, risedronnico, neridronico, pamidronico, zoledronico. hanno attualmente l’indicazione per questa malattia e solo l’Etidronato è prescrivibile con nota 42 AIFA. I BPs vantano una diversa potenza. L’ac. etidronico è in grado di ridurre il turnover osseo di circa il 40-60%, deve essere assunto per via orale al dosaggio di 400 mg/die (5 mg/kg) per 6 mesi, seguiti da almeno 6 mesi di sospensione per evitare difetti di mineralizzazione responsabili di Osteomalacia e fratture, dovuti alla stretta finestra terapeutica di questo farmaco che, per tali motivi, va riservato alle forme lievi. L’ac. pamidronico, circa 100 volte più potente, è somministrato per via e.v. 30 mg la settimana per 6 settimane (dose totale 180 mg), oppure 60 mg e.v. ogni 15 giorni (dose totale 210 mg); per le forme di grado severo il dosaggio complessivo è di 360 mg, per quelle di grado moderato possono essere sufficienti dosi minori14. L’infusione endovenosa, deve essere eseguita con 500 ml di soluzione fisiologica o glucosata al 5% in non meno di 2 ore, al fine di evitare che microaggregati di bisfosfonato di calcio precipitino nei tubuli renali innescando un’insufficienza renale acuta o una sindrome ipocalcemica. Si può presentare una “reazione di fase acuta” caratterizzata da febbre ed artromialgie che abitualmente non supera le 48 ore e che per solito è limitata alla prima somministrazione. L’ac. risedronico è oltre 1000 volte più potente dell’etidronato, viene somministrato per via orale alla dose gior- Tabella 2 - Farmaci attivi nel trattamento del M. Paget e in commercio in Italia Posologia Calcitonina 50-100 IU/die im o sc Durata Controindicazioni Effetti collaterali Indefinita Ipersensibilità Nausea, vomito,flushing Ac. etidronico 400 mg/die per os (5mg/kg) 6 mesi Ipersensibilità Osteomalacia (reversibile all’interruzione) Diarrea, Nausea, ↑ PO4 Ac. pamidronico 300 mg/settimana e.v. infusione [*] 500 ml salina o glucosata 5% 60 mg/15giorni i.v. come -sopra Ac. risedronico 30 mg/die per os 6 settimane Ipersensibilità dose totale mg Ins. Renale 180 Dose totale mg 210 2-3 mesi ripetibile Ipersensibilità Ins. Renale Reazione di fase acuta Ipocalcemia [*] Ins. renale [*] Idem Disturbi gastroenterici Ac. zoledronico 5mg e.v. in ≥ 15 min. previa Una tantum Ipersensibilità Reazione di fase acuta (molto comuni),cefalea,le idratazione + Ins. renale targia,dispnea,diarrea, nausea, dispepsia, dolore Calcio mg 1000 /die + vit. D osseo, artralgia, mialgia, ipocalcemia (comuni) Ac. neridronico 100 mg/die 2gg. consecuitvi 2 mg/kg p.c. Ipersensibiltà, Precauzioni generiche per i bisfonati in ml 250-500 e.v. lenta ogni 3 mesi Ins. Renale (>2 ore) [*] della durata di 3 ore; l’uso in bolo può provocare ipocalcemia e danno tubulare acuto 48 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 naliera di 30 mg per 2-3 mesi, da ripetere qualora non si normalizzasse il turnover osseo. Per tutti i BPs l’insufficienza renale costituisce controindicazione (creatininemia >2 mg%, creatinina clearance <35 ml/min), inoltre per quelli somministrati per os è necessario osservare le accortezze e limitazioni indicate per l’Osteoporosi. Uno studio recente ha dimostrato che l’ac. zoledronico dopo singola somministrazione e.v., da effettuarsi in almeno 15 minuti a velocità di somministrazione costante, previa adeguata idratazione e con supplemento calcico di mg 500 due volte al giorno e vit.D, mostra risultati molto lusinghieri: 1) normalizzazione dei livelli di fosfatasi alcalina dal 63° giorno, 2) assenza di recidive per 26 mesi nel 98% dei casi, 3) significativo miglioramento dei sintomi e della cenestesi rispetto a risedronato15. Per quanto attiene alle controindicazioni, agli effetti indesiderati o avversi ed alle avvertenze vale quanto noto per l’Osteoporosi. L’ac. neridronico: la dose più comunemente raccomandata è di 100 mg al giorno per 2 giorni consecutivi per infusione lenta (almeno 2 ore); dosi inferiori possono essere sufficienti per forme meno severe di malattia. Studi recenti16 indicano che l’infusione singola di neridronato e zoledronato ha la stessa efficacia nel conseguire la remissione biochimica in più del 90% dei non responders a pamidronato. Il farmaco ha un buon profilo di tollerabilità’e sicurezza per cui è sufficiente osservare le precauzioni generalmente riservate alla terapia con bisfosfonati. Follow up A 3 mesi dall’inizio del trattamento eseguire il dosaggio della fosfatasi alcalina, o meglio dell’isoenzima osseo: nei pazienti responsivi alla terapia si riduce di oltre il 25% per collocarsi al di sotto del 50% del basale dopo 6 mesi. Se dopo 6 mesi tale decremento non si è realizzato ed i valori di fosfatasi alcalina sono al di sopra della normalità, nel ciclo successivo si adotterà una posologia più elevata o, in alternativa, un agente più potente. Una risposta insoddisfacente da BPs per os suggerisce un assorbimento inadeguato del farmaco e consiglia il ricorso alla via endovenosa. La maggior parte dei pazienti presenta una recidiva a distanza di tempo variabile da alcuni mesi a qualche anno: livelli di fosfatasi alcalina superiori del 25% ai valori di normalità indicano la necessità di un diverso trattamento. Bibliografia 1. Paget Foundation for Paget’s Disease of Bone and Related Disorders. Website: www.paget.org 2. Lyles KW, Siris ES, Singer FR, et al. A clinical approach to diagnosis and management of Paget‘s disease of bone. J Bone Miner Res. 2001; 16: 1379-87 3. Tiegs RD, Lohse CM, Wollan PC, et al. Longterm trends in the incidence of Paget‘s disease of bone. Bone 2000; 27: 423-7 4. Linee guida diagnostiche e terapeutiche della malattia ossea di Paget http://www.siommms. it/guida.htm 5. Masi L, Falchetti A, Gennari L, et al. Paget’s disease of bone. In: Martin Duniz (Ed.). Endocrinology in clinical practice. London, UK, 2003; 314-22 6. Laurin N, Brown JP, Morissette J, et al. Recurrent mutation of the gene encoding sequestosome 1 (SQSTM1/p62) in Paget disease of bone. Am J Hum Genet 2002; 70: 1582-8 7. Helfrich MH, Hobson RP, Grabowski PS, et al. A negative search for a paramyxoviral etiology of Paget’s disease of bone: molecular, immunological, and ultrastructural studies in UK patients. J Bone Miner Res 2000;5: 2315-29 8. Franchi A. Pathology of Paget’s disease of bone. Clin Cas Min B Met 2004; 1: 203-7 9. Singer FR. The diagnosis of Paget’s disease of bone. Clin Cas Min B Met 2004; 1: 215-7 10. Davies M, Francis R. Paget’s disease of bone: a review of 889 patients. Bone 1999; 24: 11S-12S 11.Adami S, Rossini M. The treatment of Paget’s disease of bone. Clin Cas Min B Met 2004; 1: 219-22 12. Gennari C, Avioli LV. Atlante delle malattie dell’osso. Chiesi Farmaceutici Spa, Parma, Italia, 1992 13. Testo integrale note AIFA http://www.ministerosalute.it/medicinali/informazioneFarmaci/testo.jsp 14. Agenzia italiana del farmaco. Guida all’uso dei farmaci. 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J Bone Mineral Res 2007; 22: 1510-7 Corrispondenza e richiesta estratti: Dr.Giovanni Coppi E-mail: [email protected] ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Gestione e organizzazione sanitaria ORGANIZZAZIONE E STRUTTURA FUNZIONALE DEL GRUPPO OPERATIVO INTERDISCIPLINARE “SCOMPENSO CARDIACO”: LA RISPOSTA SOSTENIBILE DI UN MODERNO SISTEMA DI CURE A UN PROBLEMA EMERGENTE DI SANITÀ PUBBLICA STRUCTURE AND FUNCTION OF THE INTERDISCIPLINARY OPERATING GROUP FOR HEART FAILURE: A RELIABLE ANSWER OF A MODERN CARE SYSTEM TO AN EMERGENT PUBLIC HEALTH PROBLEM GIOVANNI PULIGNANO1, GIOVANNI MINARDI1, MARIA DENITZA TINTI2 LUCA MONZO2 LAURA GASBARRONE3, FRANCESCO MUSUMECI4 A NOME DEI REFERENTI DEL GOI SCOMPENSO CARDIACO 1 I Unità Operativa Cardiologia/UTIC, Dipartimento Cardiovascolare; 2Cardiologia II, Università, Studi “Sapienza”, Roma; 3Divisione di Cardiochirurgia, Dipartimento Cardiovascolare; 4 U.O. Medicina I, Dipartimento di Medicina; Az.Osp. S.Camillo-Forlanini Roma Parole chiave: Scompenso cardiaco. Management Key words: Heart failure. Management Riassunto – Lo scompenso cardiaco (SC) è una delle patologie croniche a più alto impatto sulla sopravvivenza, sulla qualità di vita dei pazienti e sull’assorbimento di risorse. La risposta globale del sistema ai bisogni di questi pazienti non è tuttora ottimale, per le eterogeneità culturali, professionali, organizzative che si riverberano in un’assistenza spesso discontinua e frammentaria. Il percorso diagnostico terapeutico (PDT) del paziente con SC è incentrato sul principio della rete integrata, che consente di decentrare le attività e creare interazioni di competenze, ottimizzando l’impiego delle risorse in stretta correlazione tra ospedale e territorio. Il modello gestionale proposto prevede l’esplicitazione dei processi di cura, attraverso la definizione dei percorsi diagnostici e terapeutici, dei profili assistenziali, dei ruoli e delle responsabilità dei diversi operatori sanitari, a livello territoriale, all’interno dell’ospedale, e in collaborazione tra diverse strutture ospedaliere. Obiettivi del percorso assistenziale sono ritardare la comparsa e la progressione della disfunzione ventricolare sinistra e dello SC, prevenire le riacutizzazioni ed i ricoveri, garantire assistenza specifica al paziente anziano fragile e di tipo palliativo al paziente con SC terminale. Questo documento descrive l’organizzazione funzionale e i processi di cura del Gruppo Operativo Interdisciplinare Scompenso Cardiaco (GOI), che rappresenta un modello innovativo di assistenza per la messa in atto di PDT specifici per il paziente con SC, finalizzata al raggiungimento di elevati standard di cura e costo-efficacia, che pone il paziente al centro del sistema e lo prende in carico in un sistema che garantisce continuità e appropriatezza di cura. Abstract – Heart failure (HF) is a highly prevalent, chronic disease that impacts heavily on patient survival, quality of life and results in escalating healthcare costs. Despite the considerable burden imposed by HF on healthcare systems, fragmented, uncoordinated care is still common. In order to redefine the role and responsibility of each health professionals involved, a novel, integrated and multidisciplinary in-hospital network, targeted to improve patient care is considered as mainstay of the HF management. This document reports the organization and process-of-care of an Interdisciplinary Working Group (GOI) implemented under the coordination of the Heart Failure Clinic. The role of in-hospital and out-of-hospital services and health professionals in different clinical scenarios and specific pathways are defined. The implementation 50 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 of education, improved communication and telemonitoring is recommended. This document is intended as guidance for health professionals involved in the care of HF patients, whose support will be crucial to implement the proposed management strategies. Premessa L’invecchiamento della popolazione e i progressi terapeutici nel trattamento delle più gravi patologie acute determinano un incremento delle patologie croniche. È recente l’allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla necessità di preparare i Servizi Sanitari ad assorbire l’impatto delle patologie croniche (scompenso cardiaco, broncopneumopatie, diabete mellito, tumori) che rischiano di determinarne il collasso se non si avvierà in tempo una efficace prevenzione. Nell’immediato futuro, infatti lo scenario della Sanità Pubblica sarà dominato dalla sfida di conciliare contenimento della spesa sanitaria e risposta ai bisogni di salute del cittadino in un contesto normativo e finanziario ancora impreparato. Lo Scompenso cardiaco (SC), che interessa una popolazione eterogenea, ma prevalentemente anziana e con comorbilità, rappresenterà la patologia cronica più onerosa sul piano economico e sociale1-4 con elevata mortalità e morbilità. Si stima che in Italia i pazienti affetti siano oltre 1 milione, con 200.000 ricoveri all’anno – prima causa di ricovero per malattia – di cui oltre il 75% costituito da ultrasettantenni. I costi diretti per i soli ricoveri sono intorno ai 600 milioni di euro, per un impatto complessivo del 2% della spesa sanitaria totale, e una cifra altrettanto elevata per i costi indiretti, derivanti dalle giornate di lavoro perse dal paziente e dai conviventi e dai costi dell’assistenza. I ricoveri ripetuti sono frequenti e contribuiscono al totale nella misura del 20-30%. Di questi, circa il 30-50% sono ritenuti evitabili, perlopiù dovuti a instabilizzazioni che possono essere prevenute con un Modello coordinato di assistenza. Inoltre, circa il 30% di questi ricoveri è in Cardiologia e il 70% è in Medicina Interna. Questa distribuzione asimmetrica, dettata dalla scarsa disponibilità di posti letto cardiologici rispetto alla domanda elevatissima e alla complessità clinica dei pazienti si associa a una distribuzione non omogenea delle risorse e dei livelli di qualità di cura. Per i pazienti con SC refrattario di età inferiore ai 65 anni il Trapianto Cardiaco (TC), insieme dall’assistenza ventricolare meccanica, rimane il golden standard dei trattamenti ma, la discrepanza tra donatori e riceventi, richiede una corretta allocazione degli organi (ottimizzando il bilancio rischio/beneficio) nell’ambito di una struttura dedicata come il DH TC. La maggioranza dei pazienti con SC severo o refrattario, tuttavia, non è candidabile a TC, per età avanzata e/o comorbidità severa, e rappresenta una popolazione ad elevata complessità clinica, con necessità di assistenza intensiva, specialistica e multidisciplinare2-4. Molteplici sono gli snodi che complicano la gestione di questi pazienti. Una prima criticità è rappresentata dal sistema di rimborso a DRG, che privilegia la prestazione della fase acuta e non favorisce modalità assistenziali come il consulto ambulatoriale e telematico, penalizzando la continuità assistenziale, che invece ha l’obiettivo di stabilizzare la fase cronica e prevenire gli eventi acuti. In secondo luogo il mai risolto problema della continuità assistenziale nell’ospedale e nel territorio, per mancanza di Percorsi Diagnostico Terapeutici (PDT), linee guida e formazione del personale. Infine, l’eterogeneità dei livelli qualitativi di cura per il fatto che, oltre al diverso case-mix, ogni realtà locale opera in base a criteri di gestione non solo clinici, ma anche logistici e organizzativi in cui è più spesso la disponibilità del posto letto e/o della procedura/terapia a porre l’indicazione e non il contrario. Inoltre, è noto che il MMG e l’internista ospedaliero seguono rispettivamente la maggioranza dei pazienti con SC de-ospedalizzati e ospedalizzati, ma hanno la competenza, gli strumenti necessari e sono supportati adeguatamente in termini di formazione specifica, disponibilità di peptidi natriuretici, accesso al consulto specialistico, Ecocardiografia, PDT, integrazione ospe- 51 G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management dale-territorio? All’opposto, è proprio vero che tutti i Cardiologi hanno la formazione, la disponibilità di PN e PDT, la disponibilità di tempo, posti letto e integrazione ospedale-terrirorio per tutti i pazienti o la competenza per gestirne le comorbidità? La risposta al quesito si chiama multidisciplinarietà e condivisione, ma come applicarle? Mentre nella maggior parte dei Paesi industrializzati si va verso una riqualificazione della risposta ospedaliera, nel nostro Paese questo processo stenta a decollare, poiché il sistema è ancora incentrato prevalentemente sulla gestione della fase acuta a scapito di quella cronica. Quasi sempre ciò si ritorce contro l’Ospedale stesso, che deve conciliare la mission dell’alta specializzazione (high-tech) con la necessità di erogare assistenza globale di qualità (high-touch) a una patologia di dimensioni epidemiche5. Si impone all’ospedale di ridisegnare percorsi di cura efficaci e finalizzati a garantire appropriatezza e uniformità. La ricerca di nuove soluzioni organizzative rappresenta quindi il requisito per una corretta gestione di risorse, posti letto e liste di attesa. Inoltre, solo un riordino del percorso intra-ospedaliero può consentire il coinvolgimento delle Cure Primarie, con presa in carico dei pazienti meno complessi e più stabili da parte del MMG e riduzione della “pressione” da parte degli stessi sull’Ospedale. Assistenza al paziente con scompenso cardiaco Il modello di gestione più idoneo dovrebbe basarsi su un programma di cura che tenga presente età, eziologia, gravità di malattia e stato funzionale, costruito su 4 requisiti: 1) continuità assistenziale; 2) valutazione multidimensionale; 3) multidisciplinarietà; 4) rete di servizi. Nell’insieme, i Modelli di assistenza basati su questi principi hanno consentito una riduzione delle ospedalizzazioni, della mortalità e dei costi e un miglioramento della qualità di vita e della capacità funzionale6,7. Nel complesso l’obiettivo principale di questo Modello di assistenza è quello di identificare il paziente ad alto rischio e Tabella 1 - Domini del GOI “Scompenso Cardiaco” 1. 2. 3. 4. Disease management Assessment funzionale multidimensionale Valutazione della Qualità della vita Terapia medica e valutazione dei farmaci (con esplicitazione di eventuali controindicazioni a terapie previste dalle Linee Guida) 5. Valutazione per impianto di Device 6. Valutazione Nutrizionale 7. Follow-up personalizzato 8. Planning avanzato 9. Comunicazione efficace 10. Educazione dei provider 11. Registrazione dati e Verifica di Qualità (Modificata da Cit. 9) inserirlo in un modello di cura finalizzato alla prevenzione delle instabilizzazioni e rallentare la progressione della malattia attraverso interventi pre-definiti (Tabella 1). I recenti progressi delle telecomunicazioni hanno reso disponibili, inoltre, sistemi di Telecardiologia in grado di semplificare e intensificare il follow-up dei pazienti a costi accettabili8-10. Nel “Documento di Consenso Nazionale: I percorsi assistenziali del paziente con Scompenso Cardiaco”8, si auspica l’organizzazione in rete dei centri per lo SC. Nella rete dovrebbero essere definiti e condivisi i criteri di invio dei pazienti alle varie strutture, per rispondere ai bisogni specifici e garantire l’equo accesso a tutte le risorse disponibili. In ogni Ospedale dovrebbero essere realizzati: 1. un Ambulatorio dedicato centralizzato, possibilmente multidisciplinare, eventualmente affiancato da Day-Hospital o Day Service; 2. una équipe multidisciplinare di medici (Internisti, Cardiologi e Geriatri) e infermieri, responsabile della cura del paziente con SC; 3. PDT per profilo di paziente condivisi fra le diverse strutture, dal PS/DEA ai reparti di Medicina e Cardiologia, all’UTIC e/o Terapia Intensiva/ Semintensiva; 4. Programmi di integrazione Ospedale – Territorio. Questa organizzazione, permette di ottimizzare le cure nella fase di ricovero e instaurare efficacemente un percorso post-dimissione. La necessità di contenere 52 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 la durata della degenza induce spesso a dimettere pazienti ancora relativamente instabili. In questo contesto, i pazienti anziani rappresentano un gruppo con caratteristiche particolari2,5 che dovrebbero essere sottoposti a valutazione multidimensionale (VMD)8,11 che definisca stato funzionale, stato cognitivo e bisogni assistenziali. Solo la VMD permette una distinzione obiettiva tra età biologica e anagrafica (a prescindere dalla soggettività del singolo medico) e quindi l’appropriata scelta di un determinato PDT nel singolo paziente. È auspicabile che il MMG venga informato del percorso ospedaliero del malato, mediante appropriata lettera di dimissione e/o contatto diretto. Particolarmente importante è il riconoscimento di quegli aspetti di educazione sanitaria alla consapevolezza della malattia e all’autocura che consentono al paziente di assumere un ruolo attivo nella gestione della patologia (empowerment). La possibilità di riferire a un Ambulatorio dedicato i pazienti ad alto rischio rappresenta uno dei punti qualificanti di un percorso di gestione integrata dello SC6-8. Per i casi più complessi, con SC severo, con gravi comorbilità e anziani fragili, è auspicabile un controllo specialistico precoce dopo 7-30 giorni dalla dimissione, per verifica della stabilità clinica, monitoraggio e ottimizzazione terapeutica, e risoluzione di problematiche aperte (stratificazione prognostica, procedure diagnostiche e interventistiche di alta specializzazione, lista d’attesa per Trapianto Cardiaco (TC) o fase terminale). L’Ambulatorio dello SC dovrebbe quindi rappresentare il centro per la continuità assistenziale per pazienti con SC grave e svolgere attività di consulenza per altri reparti di degenza e per le strutture territoriali8. La gestione dovrebbe essere multidisciplinare, ma le caratteristiche organizzative saranno funzione della tipologia della struttura, del case-mix e della complessità clinica8. I pazienti candidabili a TC o in prospettiva di soluzioni chirurgiche non tradizionali devono essere sotto la cura del Day Hospital TC. L’Ambulatorio dello SC dovrebbe mantenere stretti rapporti con il DEA, i Reparti di degenza, i Laboratori di Emo- dinamica ed Elettrofisiologia-Elettrostimolazione, il DH Trapianto Cardiaco di riferimento e collaborare a progetti di ADI e Telemedicina. Gli Ambulatori possono avvalersi di competenze specialistiche in campo genetico, dedicato allo screening delle patologie del miocardio a genesi familiare8. Il Gruppo Operativo Interdisciplinare Come riportato nel “Documento di Consenso Nazionale: I percorsi assistenziali del paziente con scompenso cardiaco” 8, “… per una ottimale gestione di questa sindrome, l’attuale modello di cura deve essere sostituito da un approccio che recuperi la centralità del paziente stesso nel processo di cura, attraverso la definizione di precisi PDT, sia intra- che extraospedalieri, e basati sulla continuità assistenziale e una stretta collaborazione tra specialisti, medici di medicina generale, infermieri e operatori sociali”. In questo contesto, obiettivo del Governo Clinico è quello di “assicurare continuità assistenziale, appropriatezza, miglioramento della qualità, massima aderenza al trattamento e alle misure di prevenzione e utilizzo ragionato delle risorse con ricerca e neutralizzazione di sprechi ed errori”. Tre sono gli snodi critici di un siffatto Modello assistenziale: a) composizione del Team assistenziale; b) tipologia dell’intervento e del paziente “target”; c) finalità e costo-efficacia del modello. Non riconoscere questi problemi porta inevitabilmente al fallimento. Per affrontare questa complessa problematica organizzativa e gestionale, alcuni Professionisti dell’Azienda S. Camillo-Forlanini, che già operano con uno spirito interdisciplinare nella gestione del paziente con SC hanno riconosciuto nei Gruppi Operativi Interdisciplinari (GOI) una appropriata definizione. I GOI (Art. 20 Atto Aziendale) hanno come finalità la diffusione e applicazione delle conoscenze in medicina e nell’assistenza, il miglioramento della qualità, della diffusione delle migliori pratiche cliniche e assistenziali e del governo clinico e il supporto per i dipartimenti, le aree funzionali e le UUOO. Sono costituiti da un insieme di singoli professio- 53 G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management nisti appartenenti a discipline e/o UUOO differenti in relazione alla necessità di raggiungere specifici obiettivi e finalità assistenziali, organizzative, di studio e ricerca, da perseguire in via transitoria o permanente. Tra i GOI potranno essere compresi gruppi formalmente costituiti in Azienda per la diffusione e l’applicazione delle conoscenze relative agli strumenti del Governo Clinico. I GOI sono proposti dalla Direzione Sanitaria Aziendale o dai Direttori di Dipartimento e istituiti formalmente dal Direttore Sanitario Aziendale, che ne valida le finalità, i requisiti di funzionamento, l’ambito e gli obiettivi. Obiettivi del GOI “Scompenso cardiaco” Presso la I Unità Operativa Cardiologica/UTIC è attivo dal 1995 un Ambulatorio specializzato per la cura del paziente con SC. La mission è quella di garantire un programma di diagnosi, terapia e followup post-dimissione fondato su strumenti di governo clinico e basato su un modello di assistenza continuativa in stretta collaborazione con i Reparti dell’Azienda e con le Cure Primarie, e finalizzato al raggiungimento del migliore livello qualitativo di cura ed un controllo dei costi. L’attività è svolta nell’ambito della Rete IN-HF (Italian Network on Heart Failure) dell’ Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Al Dicembre 2008 risultavano in carico oltre 300 pazienti, di cui 118 arruolati nel 2008 stesso. I pazienti provenienti da altre province del Lazio e da altre Regioni sono circa 60 (20%). L’ attività clinica e assistenziale è affiancata da: • attività di Formazione con Corsi ECM per Specialisti dell’Azienda e del territorio, Infermieri e MMG; • attività di Ricerca Scientifica, con partecipazione a studi clinici con altri Istituti e produzione di oltre 250 pubblicazioni con impact factor ISI di oltre 60; • attività Congressuale con partecipazione a Congressi Nazionali e Internazionali; • attività di Programmazione dei Servizi Sanitari con partecipazione alla stesura del “Documento di Consenso Nazionale: i Percorsi assistenziali del paziente con scompenso cardiaco”8 e attraverso la partecipazione ai lavori del Direttivo Nazionale Area SC e del Direttivo Regionale dell’ANMCO. Una analisi di costo-efficacia dell’attività dell’Ambulatorio SC della I UO è stata condotta in collaborazione con l’UOS SC dell’IRCCS INRCA12 e ha dimostrato un risparmio netto medio di 942€/paziente, conseguito soprattutto attraverso la riduzione del 42% dei ricoveri per SC. Gli Scopi del GOI SC consistono essenzialmente in: a) Eseguire una corretta valutazione clinica del paziente e conseguente impostazione terapeutica per migliorare la qualità di vita e allungare la sopravvivenza; b) Permettere al paziente di raggiungere una consapevolezza della malattia, fargli conoscere le problematiche che possono insorgere, la corretta percezione e riconoscimento dei sintomi e delle limitazioni funzionali, come assumere e autogestire la terapia farmacologica; c) Implementare un modello di assistenza integrata che contenga i PDT in tutte le fasi evolutive della malattia e che quindi includa componenti ospedaliere a diverso livello di intensità di cure e una rete assistenziale territoriale con coinvolgimento della ASL (Tabella 2). Gli strumenti del governo clinico adottati comprendono: a) Linee Guida ESC 200813, Linee Guida ACC/AHA 200914, il Documento Consensus Conference8; b) Protocolli di gestione del paziente con SC acuto e cronico; d) Disease Management. I Referenti del GOI condividono un lavoro volto essenzialmente a definire PDT e una pratica comune di disease management. In questo ambito il GOI concorre Tabella 2 - Obiettivi del GOI “Scompenso Cardiaco” • • • • • • • • empowerment del paziente miglioramento della classe funzionale (NYHA) miglioramento della prognosi (riduzione delle ospedalizzazioni) miglioramento dell’appropriatezza e qualità delle cure miglioramento dell’accessibilità all’assistenza; miglioramento del livello di soddisfazione per l’assistenza miglioramento della Qualità della vita miglioramento del grado di autonomia. 54 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 allo sviluppo professionale attraverso: a) coinvolgimento attivo dei Medici di diverse UO; b) formazione continua; c) implementazione di Linee Guida; d) lavoro di equipe multidisciplinare con supporto di tecnologie avanzate. Pertanto, il GOI migliora l’organizzazione attraverso il miglioramento della: a) qualità lavorativa e produttività individuale; b) gestione dei posti letto per l’Emergenza/Urgenza (dimissione precoce) e l’utilizzo di risorse strumentali; c) operatività delle UO coinvolte; e) dei rapporti ospedale-territorio attraverso coinvolgimento e responsabilizzazione del MMG. Ne consegue che il GOI porta a un migliore impiego di risorse attraverso: a) riduzione della degenza e delle ri-ospedalizzazioni; b) riduzione dei costi dell’assistenza; c) riduzione degli sprechi mediante appropriatezza nell’indicazione a procedure e terapie ad elevato costo. Un ulteriore importante vantaggio del GOI è quello di adottare programmi di miglioramento nel rapporto con l’Utente, quali: a) educazione sanitaria; b) distribuzione di opuscoli e materiale educazionale; c) questionari di soddisfazione; d) sito internet informativo: www.cardio1scamillo.cardionet.it/home; e) disponibilità alla comunicazione mediante Fig. 1 - Flow-chart teleconsulto ed e-mail dedicata: [email protected]. Attività e organizzazione del PDT GOI “Scompenso Cardiaco” L’attività del GOI si articola su tre livelli che comprendono l’Ambulatorio, il Day Service e il ricovero ospedaliero (Fig. 1). Il controllo ambulatoriale è un momento fondamentale nel percorso di cura dei pazienti con SC. Esso può avvenire secondo due modalità: controllo programmato e non programmato, richiesto dal Paziente o dal MMG. Il Controllo programmato, dopo i controlli iniziali a uno e tre mesi per l’inquadramento diagnostico-terapeutico, viene prenotato ogni sei mesi con visita, ECG e se necessario un’indagine strumentale (Ecocardiogramma, Holter, Test ergometrico, funzionalità renale e quadro elettrolitico). Alcuni controlli potranno essere programmati presso altri Ambulatori Specialistici afferenti al GOI (Fig. 1). Una volta concluso l’iter diagnostico-terapeutico e stabilizzato il paziente, quest’ultimo viene affidato al MMG e i controlli successivi in pazienti paucisintomatici (classe NYHA II) avvengono ogni 9-12 mesi. Nei pazienti che restano sintomatici in NYHA III-IV il follow-up viene personalizzato (Fig. 2) Controllo non programmato o su richiesta:la struttura sarà disponibile garantendo il controllo entro un tempo massimo di 7-10 giorni. Il Day Service, situato presso la Cardiodiagnostica non invasiva, rappresenta una modalità innovativa e costo-efficace per l’erogazione appropriata di visite e indagini diagnostiche mirate, in genere effettuate in tempi brevi, nell’ambito del Pacchetto Ambulatoriale Complesso (PAC) Scompenso Cardiaco, che prevede 3-4 accessi. All’interno del PAC si possono eseguire sia valutazioni cliniche che strumentali, finalizzate alla conferma e approfondimento diagnostico e alla impostazione di terapia 55 G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management Procedura Dimissione Arruolamento Giorni 7-14 Mese 1-3 Mese 6-12 X X X X X X X X X X X Qn Qn Qn qn Esame Obiettivo X X X X Educazione Compliance e Auto-cura X X Qualità di vita (Euro QoL) X X Valutazione Multidimensionale ( se età >70 anni) X X Parametri Vitali X Consenso Informato e presa in carico Anamnesi/Raccordo anamnestico e relazione al medico curante Criteri di arruolamento Revisione Terapia Farmacologica Prescrizione terapia (farmaci; dieta; devices, chirurgia, esercizio) Consulenza Specialistica X X X X Test da sforzo * X X X X* Telemonitoraggio e/o intervista telefonica Settimanale ECG 12 derivazioni X Laboratorio X X X X X X X NT-pro BNP (quando disponibile) X X Ecocardiogramma X X** Holter ECG con HRV Registrazione eventi Discussione del caso X X X X X X * in caso di rivalutazione funzionale per rivascolarizzazione o inserimento in lista TC ; ** in caso di FE<35% per rivalutazione per indicazione a impianto di ICD o CRT o per indicazione a cardiochirurgia; Qn: quando necessaria Fig. 2 - Piano operativo del Follow-up nel GOI ottimizzata. L’appropriatezza è garantita dal fatto che lo stesso Cardiologo gestore del PAC seleziona le procedure (minimo 5) da un elenco deliberato dalla Regione Lazio in base alle reali necessità del paziente in quel determinato momento. Il Day Service viene effettuato in una seduta settimanale con l’ausilio dell’ Infermiere addetto all’esecuzione degli Holter e dei Test ergometrici della Cardiodiagnostica non invasiva e rappresenta quindi una ulteriore ottimizzazione dell’uso di risorse. La fase Ospedaliera interessa principalmente le strutture di ricovero, quali la I UO di Cardiologia/ UTIC, con una stretta interazione con le altre UO di Cardiologia (II e III, Cardiologia Interventistica), la Cardiochirurgia, la Medicina d’Urgenza e le UO di Medicina (Fig. 1). Tale interazione trova la sua giustificazione nel fatto che il paziente con SC, nella sua “Odissea” transita per UO diverse in base alla disponibilità del posto letto, al profilo di rischio e allo specifico piano terapeutico. Si distinguono tre tipologie di ricoveri: a) Pazienti instabili con segni clinici e strumentali severi di disfunzione ventricolare sinistra; b) Pazienti stabili che richiedono ricovero per ottimizzare la terapia farmacologica, trattare comorbilità severe (insufficienza renale, infezioni gravi, aritmie), diagnostica invasiva, procedure interventistiche, impianto di dispositivi, valutazione per eventuale procedura cardiochirurgica; c) 56 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 rischio vengono inquadrati sul piano diagnostico-terapeutico e avviati a follow-up prevalentemente territoriale con possibilità di Teleconsulto. Vanno a follow-up intensivo e presi in carico pazienti complessi ad alto rischio in III-IV classe NYHA che abbiano: a) programma aperto di implementazione terapeutica farmacologica e non farmacologica (indicazione a chirurgia, procedure interventistiche, impianto di dispositivi; b) comorbidità rilevanti; c) problemi organizzativo-sociali (pazienti anziani, con difficoltà di deambulazione che ne ostacolano l’accesso agli ambulatori territoriali); SC avanzato o terminale ad elevata instabilità Fig. 3 - Algoritmo per pazienti complessi e sintomatici nonoemodinamica da avviare al DH stante ottimizzazione terapeutica Trapianti; d) pazienti con quadri di SC associato a broncopPazienti con SC acuto de novo moderatoneumopatie, malattie ematologiche (ad severo in fase di diagnosi e valutazione es: talassemie) e chemioterapia. clinica (Sindrome coronarica acuta, shock • Follow-up personalizzato: presa in cacardiogeno, NYHA avanzata, miocardite rico con pianificazione del piano di diacuta, CMP severa di recente riscontro, missione, attuazione di follow-up la cui aritmie instabili, versamento pericardico intensità viene personalizzata in base tamponante, congestione severa resistente alle necessità. a trattamento standard). La necessità di • Facilità di accesso: registro per gli apricovero in Cardiologia è stabilita in base puntamenti a visita “programmata” o alla necessità di monitoraggio, procedure “non programmata”, con ridotti tempi diagnostiche invasive, terapia infusionale di attesa. Ambulatorio facilmente acinotropa/diuretica ad alto dosaggio. La cessibile dal piano stradale con Pernecessità di ricovero in Area Critica Carsonale sanitario disponibile a favorire diologica (UTIC/SubUTIC, TI Cardiochil’accesso di pazienti con problemi di rurgica) è stabilita in base alla presenza e deambulazione. severità di instabilità emodinamica, elet• Educazione sanitaria di paziente e catrica (aritmica) o ischemica, necessità di regiver. monitoraggio invasivo, assistenza mecca• Diagnostica strumentale: Ecocardionica (contro pulsatore aortico/VAD), dialigrafia di base, Transesofagea, Tridisi/ultrafiltrazione, impianto di Pacemaker mensionale e da Stress, Ergometria, temporaneo, assistenza respiratoria non Holter ECG, effettuata presso la Carinvasiva/invasiva (Fig. 3). diodiagnostica non invasiva/I UO per Modalità operative: Riassumendo, garantire qualità, appropriatezza e ril’attività del GOI è regolata da Procedure durre sprechi e duplicazioni con lista standardizzate (di Processo) che comprendi prenotazione selettiva. Il Test Cardono: diopolmonare vien eseguito in genere • Approccio interdisciplinare presso la III UO di Cardiologia. • Valutazione Multidimensionale dei pa• Valutazione dei dispositivi: I pazienzienti >70 anni ti con infarto miocardico o scompen• Criteri di Selezione: I pazienti a basso 57 G. Pulignano et al.: Scompenso cardiaco, management • • • • so acuto eleggibili vengono valutati con Ecocardiogramma TDI/3D e Holter HRV a distanza di 40 giorni dall’evento per verificare le indicazioni a impianto di defibrillatore e/o PMK biventricolare con invio al Centro di Aritmologia-Elettrostimolazione della II UO di Cardiologia che provvede a completare l’iter e a ri-inviare il paziente all’Ambulatorio dopo la procedura. Programma di consulenze Specialistiche per ottimizzare il trattamento delle patologie associate: Cardiochirurgo (DH PO Cardiochirurgica) per indicazione chirurgica, Nefrologo per la gestione dei casi di sindrome cardio-renale, Pneumologo per l’insufficienza cardiorespiratoria, la valutazione funzionale e dei disturbi del sonno, Radiologo e Radiologo vascolare per la diagnostica avanzata di imaging e la gestione delle vasculopatie periferiche e polmonari, Diabetologo, Psicologo e Dietista. Interazione con i Reparti di Cardiologia e Medicina per gli episodi di ricovero. Interazione con le Cure Primarie: Medico di Medicina Generale, ADI e Servizi territoriali. Strumenti informatizzati di archiviazione e fornitura al paziente di un Opuscolo educativo “Scompenso Cardiaco: consigli per la pratica quotidiana”, un diario dei parametri clinici e un Rapporto dettagliato della visita che sintetizza diagnosi, quadro clinico, strumentale e di laboratorio, problematiche aperte, breve epicrisi per il Medico Curante, sintesi delle misure di educazione sanitaria, griglia della terapia con nome, dosaggio ora di somministrazione e note prescrittive di ogni farmaco e istruzioni di accesso all’Ambulatorio stesso con numeri di telefono dedicati e orari. • Teleassistenza (consulenza telefonica infermieristica/cardiologica): il paziente (o il suo Medico Curante) può contattare in caso di necessità (appuntamenti, comunicazione risultati di laboratorio, monitoraggio parametri, segnalazione nuovi sintomi e di eventi, counselling) il Cardiologo e gli Infermieri dell’Ambulatorio per 6 ore al giorno per 6 giorni la settimana. • Telemonitoraggio: in pazienti selezionati trasmissione telefonica dell’ECG (Card Guard), parametri emodinamici e peso corporeo con Centrale operativa h 24 situata e gestita dallo staff dell’UTIC. • Verifica dei risultati: riunioni di audit per consulto su casi particolari e verifica del raggiungimento degli obiettivi mediante indicatori di qualità (Tab. 3). Tabella 3 - Indicatori di qualità di cura Indicatori di struttura • Disponibilità di PDT condivisi • Monitoraggio dell’assistenza • Presenza di Ambulatorio specialistico Indicatori di Processo • Relazione di dimissione e di visita ambulatoriale (100%) • Valutazione Multidimensionale in pazienti anziani >70 anni (almeno 70%) • Registrazione della Frazione di Eiezione (FE) del ventricolo sinistro (100%). • Prescrizione di ACE-inibitori se FE<40% o documentata controindicazione ad ACE-i (in alternativa Inibitori dell’AII) (almeno 80%) • Prescrizione di betabloccanti se non controindicati (almeno 65%) • Prescrizione di Warfarin in pazienti con Fibrillazione Atriale senza controindicazioni (almeno 60%) • Educazione sanitaria al paziente e ai conviventi fornitori di assistenza (almeno 90%). • Programma di dimissione: relazione di dimissione dettagliata, teleconsulto con il medico curante, programmazione del follow-up post-dimissione secondo uno schema personalizzato, teleassistenza post-dimissione: 70% • Pazienti eleggibili che ricevono terapia elettrica con impianto di ICD o CRT (almeno 50%). Indicatori di esito (Outcome) • Ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e per tutte le cause (riduzione del 30%) • Capacità funzionale e autosufficienza (classe NYHA, ADL-IADL score) • Qualità della vita (Euro QoL) • Livello di consapevolezza e auto-cura (European Self-care behaviour scale) • Soddisfazione per l’assistenza • Mortalità post-dimissione per tutte le cause e per SC 58 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 In conclusione, il GOI SC è un modello innovativo di assistenza per la messa in atto di PDT specifici per pazienti con SC, finalizzato al raggiungimento di elevati standard di cura e costo-efficacia, che pone il Paziente al centro del sistema e lo prende in carico con continuità e appropriatezza. Recentemente l’assistenza è stata estesa a pazienti oncologici ed ematologici con cardiomiopatia. Il GOI ha un assorbimento iso-risorse la cui attività è stata resa possibile da un netto incremento della produttività (e dei carichi di lavoro) da parte di tutti i suoi componenti, e può essere proposto e condotto anche da Dirigenti con incarico professionale Alfa 3. Le risorse per lo sviluppo e il miglior funzionamento di questo Modello sono necessarie, ma si possono ottenere con poca spesa vantaggi per i Pazienti e l’Azienda che superano di gran lunga i costi. Bibliografia 1. Ho KK, Pinsky JL, Kannell WB, Levy D. The epidemiology of heart failure: the Framingham Study. J Am Coll Cardiol 1993; 22: (Suppl A): 6A-14A. 2. Pulignano G, Del Sindaco D, Tavazzi L, et al. on behalf of IN-CHF Investigators. Clinical features and outcomes of heart failure elderly outpatients followed in hospital cardiology units: data from a large, nationwide, cardiological database (IN-CHF Registry). Am Heart J 2002; 143: 45-55 3. Del Sindaco D, Pulignano G, Porcu M, et al. 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UNA STORIA LUNGA ALCUNI SECOLI” Nel suo affascinante viaggio attraverso le tappe che hanno condotto, dalle prime intuizioni, alle attuali conoscenze sull’ipertensione arteriosa, Vito Cagli ci descrive contemporaneamente le nozioni scientifiche e i personaggi che le hanno portate alla ribalta. Il libro di Vito Cagli (CIC Edizioni Internazionali, Roma 2010, € 25,00) assume quindi per alcuni versi le caratteristiche di un trattato di storia della medicina, per altri è un vero trattato scientifico. Infatti per ogni argomento non manca di citare nomi di illustri medici, pionieri della medicina, e di raccontare i risultati relativi degli argomenti oggetto delle loro ricerche. Nella ricostruzione della storia dell’ipertensione Cagli usa un approccio sistematico, partendo da quella che lui stesso definisce la “preistoria” dei tempi di Aristotele, Ippocrate e Galeno, solo per citare i più noti. Il libro si compone di dieci capitoli nei quali vengono affrontati i concetti cardine dell’ipertensione che mano a mano nel tempo emergevano dagli studi. Vengono spesso riportate le affermazioni autentiche degli studiosi che ne sono stati i veri protagonisti, così da rendere la storia raccontata più vissuta e partecipata, come se ci fosse la viva voce degli stessi protagonisti e il libro fosse in una qualche maniera scritto insieme a loro. Iniziando dalle prime intuizioni di Giovan Battista Morgagni nel 1735, si passa attraverso la storia delle prime classificazioni dell’ipertensione effettuate negli anni da Luisada, Page e Pickering, alla storia del ruolo del rene nell’ipertensione. Nel tempo si fa strada la necessità di sco- prire una causa, si scoprono i “meccanismi nervosi”, il sistema renina-angiotensina e viene proposta la teoria del mosaico di Page, che introduce il moderno concetto della genesi multifattoriale dell’ipertensione. Anche nel caso dell’ipertensione, l’attribuzione pubblica di meriti scientifici non è sempre veritiera: infatti nel libro si scopre che la teoria dell’ipertensione renovascolare attribuita a Goldblatt nel 1934 era in realtà stata già pubblicata da Loesch nel 1927 e nel 1933. Poi attraverso la storia dei trias clinici e, storia nella storia, l’evoluzione degli apparecchi per la misurazione e le metodiche di misurazione della pressione arteriosa, si arriva ai giorni nostri e a definire quella che ancora oggi costituisce l’ipertensione essenziale, così etichettata perché non ha ancora una vera storia. L’Autore non manca di ricordare le tappe della diagnostica di laboratorio e di radiologia, che hanno dato contributi fondamentali alle conoscenze dell’ipertensione e delle sue complicanze. In ultimo la storia delle varie classi di farmaci antipertensivi, che a loro volta hanno cambiato la storia naturale della malattia, o meglio, come viene giustamente affermato, di questo fattore di rischio cardiovascolare. In conclusione una lettura scientifica ricca di dati e piacevolmente scorrevole, che non solo ricostruisce la storia dell’ipertensione arteriosa ma consente al lettore una conoscenza completa e sistematica degli aspetti che la caratterizzano. Laura Gasbarrone ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 “NUTRIZIONE E PATOLOGIA GASTRO-INTESTINALE” Di fronte a casi di patologia gastrointestinale di non facile interpretazione diagnostico-differenziale tornerà certamente in mente, quanto meno a colleghi di età non più verde l’espressione, un tempo assai corrente “l’addome è la tomba del clinico”, espressione con la quale si intendevano sottolineare le difficoltà diagnostiche e conseguentemente terapeutiche in questo particolare campo della Medicina Generale. Attualmente, potendoci avvalere di tecnologie sempre più avanzate (e contestualmente – purtroppo – ad un sempre più obsolescente ricorso al completo ed accurato esame clinico delle zone sottodiaframmatiche) è quasi una sorpresa l’individuare nella lettura del volume “Nutrizione e patologia gastro-intestinale” di Lucio Lucchin e Fausto Chilovi (Il Pensiero Scientifico Editore 2009, pagg.195, Euro 35,00) che quelle difficoltà interpretative rimangono sostanzialmente complesse: è da ascrivere a merito dei 25 Co-autori l’essersi dedicati all’approfondimento del fattore “nutrizione” nella lunga cascata dei processi a cui è deputato il tratto gastro-intestinale del nostro organismo, il che è evidente sin dai primi capitoli del volume. Si tratta di un fattore che – come sottolineano nell’Introduzione Lucchin e Chilovi – “può rivestire un non trascurabile ruolo come causa di patologia digestiva” non soltanto sotto il profilo diagnostico-terapeutico, ma anche sotto il profilo della prevenzione. Sulla scorta di tale impostazione gli Autori hanno proceduto ad una opportuna selezione di alcuni argomenti che, più di tutti gli altri, abbracciassero sia gli aspetti inerenti l’alimentazione intesa come possibile causa di patologia digestiva sia gli aspetti di essa correlabili con la prevenzione e con il trattamento terapeutico. Il volume si articola in 18 capitoli (compresa una Appendice di Raccomandazioni nutrizionali) improntati tutti alla notevole concretezza di fornire risposte quanto più possibile esaurienti su tematiche per lo più controverse nelle quali spesso il fondamento scientifico è peraltro di difficile definizione. Che in tutti i capitoli del volume tali difficoltà interpretative vengano approntate con onesta correttezza è dimostrato in modo paradigmatico nel capitolo sul “ Ruolo dell’alimentazione nella produzione dei gas nel tratto gastro-intestinale “allorchè viene richiamata l’attenzione – nel riferimento a meteorismo e flatulenza postprandiale – sulla complessa rete di interazioni che si svolgono tra assorbimento, secrezione, motilità, rilascio ormonale, interattività con il Sistema Nervoso Centrale e ruolo esplicato da un effetto placebo (la cui sede centrale è situata nel nucleo accubens): si tratta di interazioni che finiscono con rendere problematica una chiara definizione diagnostica e di conseguenza una altrettanto chiara strategia terapeutica. Sobriamente coordinato, essenziale, ricco di dati e di riferimenti bibliografici, il volume offre una panoramica, seppur selezionata, della patologia gastro-intestinale legata alla nutrizione: la sua attenta lettura non può che essere di ausilio nella pratica clinica anche ai non addetti alla specialità, in considerazione dei riflessi che i disturbi della sfera digestiva possono esercitare su altri organi ed apparati come, ad esempio, per quanto concerne il reflusso-gastroesofageo, sull’Apparato Respiratorio ed a livello cardiaco attraverso il reflusso neuro-mediato di tipo vagale. Forse non avevano poi mal pensato quei nostri colleghi che coniarono l’espressione “ sindrome gastro-cardiaca”! Franco Salvati ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Notiziario 1 “CORSO ECM SULL’INTERVENTO PSICOLOGICO IN AREA CRITICA” Dal 13 al 15 giugno 2009 presso la nostra Azienda, in collaborazione con il Ministero della Salute, si è svolta la IV edizione dell’evento formativo ECM dal titolo “Intervento psicotraumatologico in fase acuta e post traumatica da stress. Approccio al paziente critico, dagli incidenti quotidiani alle maxi – emergenze. Modalità e Tecniche di gestione del trauma psichico”. Tale evento proposto e coordinato, da un punto di vista organizzativo e scientifico, dalla Responsabile del Servizio di Psicologia Area Crisi ed Emergenza, Raffaella Gorio con la collaborazione di Anna Carderi di Stefania Guarrasi, rappresenta la continuazione di un percorso formativo, effettuato annualmente dal 2006 ad oggi, grazie al notevole interesse e al buon livello di partecipazione di operatori sanitari psicologi, medici e infermieri per l’argomento trattato. Gli stessi hanno, infatti, ritenuto che dall’evento formativo può derivare competenza professionale mirata, sensibilizzazione e uniformità di protocollo per l’intervento psicologico grazie, soprattutto, allo spazio dedicato ai Role – Playing ed alla Supervisione clinica. L’intervento psicologico in area critica rappresenta un argomento che sta assumendo un ruolo sempre più importante data la valenza del percorso assistenziale specificamente rivolto al trattamento del dolore psichico di qualsiasi origine traumatica. Una più efficace gestione del dolore psichico in fase di criticità migliora la qualità di vita del paziente influenzando favorevolmente la prognosi della malattia. Un percorso multidisciplinare che vede la partecipazione di nomi importanti della psicologia che si confrontano sulla neces- sità di un cambiamento e sulla ricerca e adozione di un modello peculiare e mirato in tema di accoglienza, osservazione, monitoraggio, valutazione, trattamento, diagnosi e prognosi del paziente critico. L’intento dei curatori è stato quello di proporre un modello tecnico – clinico e organizzativo per l’intervento psicologico in emergenza nell’approccio al paziente critico fruibile attraverso tecniche e modalità ad orientamento psicotraumatologico. Psicologi, psicoterapeuti, docenti universitari, operatori internazionali e sanitari, tutti indistintamente, hanno dato il loro contributo riconoscendo da una parte che l’attuale offerta di cure mirate è a volte carente, aspecifica e poco empatica, presentando dall’altra indagini approfondite di modelli relazionali adeguati, riabilitativi, di conoscenze scientifiche, tecniche e comunicative che diano l’avvio ad un approccio sistematico in grado di favorire e mantenere standard di qualità elevati e il continuo miglioramento nella “prevenzione e cura psicologica” del paziente critico. Dall’esame di queste esperienze emerge la necessità di definire i ruoli e attribuire le competenze ai diversi operatori sopra citati al fine di favorire un approccio integrato che ponga al centro dell’intervento la persona e i suoi bisogni, che sia meno centrato sulla patologia e più rivolto all’adozione di un modello di intervento che preveda anche il sostegno psicosociale al paziente, alla sua famiglia e all’operatore sanitario nella promozione e nella ricerca del benessere psicologico e della salute psichica dell’individuo stesso. I temi hanno spaziato dalla comunicazione terapeutica in situazioni di emergen- 62 Annali degli Ospedali San Camillo e Forlanini 12, 1, 2010 za alla necessità di un approccio integrato, basato sui bisogni del paziente critico in fase acuta e post traumatica da stress. Particolarmente enfatizzato è stato il ruolo della relazione e della qualità professionale da parte dell’équipe curante che prevede, come requisito fondamentale, che tutti gli operatori sanitari contestualmente e in modo integrato siano in grado di monitorare i bisogni fisici ma anche quelli emotivi, cognitivi e relazionali del paziente critico e dell’operatore che presta la propria opera in aree sanitarie di maggiore rischio psicologico. Spazio è stato dato anche all’intervento d’urgenza ad opera di organismi internazionali che da anni operano sul campo come Amnesty International, Medici contro la tortura e Médicins Sans Frontières. L’intento dell’equipe dei professionisti, esperti nel campo della psicotraumatologia è quello di costituire un gruppo di formazione, di ricerca e di intervento collaudato e stabile tanto da prevedere ogni anno una riedizione dello stesso evento. Giovanni Minardi ANNALI DEGLI OSPEDALI San Camillo e Forlanini Volume 12, Numero 1, Gennaio - Marzo 2010 Notiziario 2 FORLANINI DAY 2010 Dal 19 a la 20 si è svolta a Roma l’annuale edizione del Forlanini Day configurata con la collaborazione dei Geriatri con i quali da lungo tempo gli Pneumolgi condividono argomenti e problematiche di comune interesse. È noto a tutti come tanta parte dei pazienti con patologie respiratorie siano soggetti anziani che, fra l’altro, non raramente soffrono di patologie extra-polmonari alla cui soluzione i geriatri contribuiscono spesso in modo determinante. L’evento si è articolato in quattro sezioni nelle quali, durante le tradizionali relazioni, l’esposizione di Casi Clinici e nel corso della Tavola Rotonda si sono cimentati qualificati oratori (Antonelli Incalzi, Puglisi, Le Donne, Benassi, Pasqua, Portalone, Failla, Cilenti, Saltini, Altieri, ecc.). Si è avuto costantemente l’intervento dell’uditorio il che ha consentito di approfondire e condividere le soluzioni clinico-terapeutiche più idonee per la gesione del paziente anziano con patologie polmonari. I temi svolti sono stati innovativi nel senso che comunemente non vengono specificamente dibattuti durante le manifestazioni scientifiche dagli pneumologi il che ha reso molto interessante l’evento. Particolare attenzione è stata rivolta agli aspetti assistenziali specie nella fase domiciliare che notoriamente è particolarmen- te complessa per una serie di motivazioni che sono emerse nel corso delle relazioni e nel corso di una dedicata Tavola Rotonda moderata da V. Cilenti, Presidente della Sezione Regionale AIPO del Lazio. Anche nell’edizione di questo anno 2010 il Forlanini Day ha riscosso un diffuso consenso ed un rilevante successo. I temi delle quattro sessioni sono stati: 1) La Valutazione Multidimensionale e le comorbilità nel paziente pneumopatico anziano. 2) Aspetti terapeutici e problemi clinicoassistenziali nel paziente pneumopatico anziano. 3) Paziente Anziano e aspetti chirurgici in pneumologia. 4) Il Paziente Anziano e le infezioni respiratorie. In particolare nella III^ sessione presieduta dal presidente Onorario della Forza Operativa Nazionale Interdisciplinare Contro il Carcinoma Polmonare (FONICAP) sono stati trattati da Galluccio, Lopergolo e Valente temi inerenti la patologia neoplastica broncopolmonare quali la disostruzione bronchiale, la chirurgia toracica mininvasiva e la radioterapia quale fonte di rischio di fibrosi post-attinica. Franco Salvati Società Editrice Universo S.R.L. Via G.B. Morgagni 1 - 00161 Roma Tel. 064402053/4 - 0644231171 - 0664503500 – Fax 064402033 E-mail: [email protected] - Indirizzo Web: http://www.seu-roma.it GRUPPO PERIODICI LA CLINICA TERAPEUTICA: Rivista bimestrale di clinica e terapia medica, diretta da Pietro Cugini e Massimo Lopez. MEDICINA PSICOSOMATICA: Rivista trimestrale di medicina psicosomatica, psicologia clinica e psicoterapia, diretta da Massimo Biondi, redatta da Roberto Delle Chiaie. ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITà: Rivista bimestrale, diretta da G.M. Fara, A. Gullotti, V. Leoni, A. Panà, A. Simonetti D’Arca. ZACCHIA - Archivio di Medicina Legale, sociale e criminologica: Rivista trimestrale, diretta da Ferdinando Antoniotti, Paolo Arbarello, Luigi Macchiarelli, Silvio Merli. La clinica termale: Rassegna trimestrale di idrologia e climatologia medica, fondata da Mariano Messini. SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE: Rivista trimestrale, diretta da V. M. Saraceni. INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES: Rivista quadrimestrale di ricerca infermieristica, diretta da Paola Binetti. ANNALI DEGLI OSPEDALI SAN CAMILLO E FORLANINI: Rivista trimestrale, diretta da Franco Salvati. ABBONAMENTI ANNO 2010 Italia Euro LA CLINICA TERAPEUTICA 56,00 LA CLINICA TERAPEUTICA ... on-line 45,16 + Iva 20% MEDICINA PSICOSOMATICA 45,00 MEDICINA PSICOSOMATICA ... on-line 38,00 + Iva 20% ANNALI DI IGIENE, MEDICINA PREVENTIVA E DI COMUNITÀ 69,00 ANNALI DI IGIENE .... on-line 55,16 + Iva 20% ZACCHIA 50,00 ZACCHIA ...... on line 39,00 + Iva 20% LA CLINICA TERMALE 32,00 SCIENZA DELLA RIABILITAZIONE 39,00 INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES 33,00 INTERNATIONAL NURSING PERSPECTIVES ..... on line 24,00 + Iva 20% ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (Istituzionale) 100,00 ANNALI DEGLI OSPEDALI S.CAMILLO E FORLANINI (privato) 73,00 Estero + sp.Postali Euro 112,00 + 45,16 90,00 + 38,00 138,00 + 55,16 100,00 + 39,00 64,00 + 78,00 + 66,00 + 24,00 200,00 + 146,00 + Euro 32,00 20,00 32,00 32,00 20,00 20,00 17,00 20,00 20,00 Il pagamento può essere effettuato mediante versamento sul conto corrente postale N° 925008, a mezzo vaglia postale o assegno bancario intestati alla Società Editrice Universo - via G. B. Morgagni, 1 - 00161 Roma, a mezzo bonifico bancario c/o UNICREDIT Banca di impresa - Via Bari 11 - Roma - IBAN IT51F0322603204000004119717 MONTE DEI PASCHI DI SIENA - AG. 90 - IBAN IT84R0103003268000001001854 o a mezzo carta di credito: Visa - Cartasì - American Express. I supplementi di ogni rivista si spediscono in contrassegno su richiesta al prezzo di euro 25,00 + 5,00 euro di spese spedizione. I fascicoli non pervenuti all'abbonato devono essere richiesti entro 30 giorni dalla ricezione del fascicolo successivo, decorso tale termine si spediscono, se disponibili, soltanto dietro pagamento. Per altre informazioni rivolgersi a: Società Editrice Universo, Via Morgagni 1, 00161 Roma Tel. 064402054 - 064402053 - 0644231171 - 0664503500 - Fax 064402033 - E-mail: [email protected] PER GLI ABBONAMENTI SI RICHIEDE IL PAGAMENTO ANTICIPATO A RICHIESTA SI INVIANO FASCICOLI DI SAGGIO