N.15 INVERNO 2004
Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c
legge 662/96 così come modificata
da artt.1E2del D.P.C.M.
del 27.11.2002 n.294
(G.U. n.1 del 2.1.2003)
Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001
11° C.R.O.I.
Conference on Retroviruses and
Opportunistic Infections
S.Francisco
febbraio 2004
IN QUESTO NUMERO
EDITORIALE
pag 1
MIGLIORANDO LA QUALITA' DELLA VITA
pag 2
LA TERAPIA CON TESTOSTERONE PREVIENE...
pag 3
...MA ALTRI LA PENSANO DIVERSAMENTE
pag 3
AUMENTO DEL RISCHIO DI INFARTO
DEL MIOCARDIO
pag 3
PREVENZIONE: I MICROBICIDI, LIMITI
E PROSPETTIVE
pag 4
INFEZIONE DA HIV E TIROIDE
pag 5
HIV E ONCOLOGIA
pag 6
11° C.R.O.I.
pag 9
DONNE E HIV: IL PROGETTO PHILOS
pag 14
EMEA: L’AGENZIA EUROPEA PER LA
REGISTRAZIONE DEI MEDICINALI
pag 15
ISTITUZIONI E SOCIETA' CIVILE
pag 16
Osorio
Osorio
Osorio
Osorio
Schloesser/Marcotullio
Granata
Marcotullio
Osorio/Schloesser/Marcotullio/Guarinieri
Giocattoli
Guarinieri
Schloesser/Marcotullio
2004:
SUL FILO DEL RASOIO
A lla fine dello scorso 2003, Abbott ha annunciato un
aumento del 400% del prezzo del Norvir (ritonavir).
Tale decisione per il momento riguarda solo gli Stati
Uniti e apre nuovamente la polemica sul prezzo dei
farmaci salvavita. La decisione di Abbott ha scatenato le reazioni furiose di medici ed attivisti USA in
quanto l'aumento del prezzo del Norvir, ampiamente utilizzato come booster degli inibitori della proteasi, influenza notevolmente il costo della terapia
delle persone trattate con IP boosterato: tutti gli IP
boosterati diventano più costosi del Kaletra (cfr.
tabella pag. 8)! Molti clinici e ricercatori sostengono
anche che la decisione di Abbott potrebbe avere una
ripercussione negativa a livello mondiale sullo sviluppo e sulla commercializzazione di nuovi inibitori
della proteasi. Ad esempio il costo di una terapia
che prevede l'uso del tipranavir (Boehringer Ingelheim) che sarà somministrato con 400 mg/giorno di Norvir e quello del TMC 114 (Tibotec) potrebbe
aumentare di circa 9.000 dollari all'anno per l'aumento del prezzo di Norvir. Ciò potrebbe influenzare le scelte terapeutiche per alcuni pazienti. Inoltre
i bilanci preventivi della spesa sanitaria non saranno mai pianificabili se i prezzi dei prodotti farmaceutici già in commercio aumentano inopinatamente… fino alla possibilità che anche i paesi occidentali si vedranno costretti a denunciare gli accordi sui brevetti e aprire ai generici.
P ochi giorni dopo l'annuncio di Abbott, Roche e Trimeris che stavano sviluppando il nuovo inibitore della fusione, il T-1249, hanno dichiarato che il programma di sviluppo del farmaco è stato interrotto "perché il prodotto si è rivelato difficile da formulare". Secondo Roche infatti la decisione è dovuta alle
difficoltà di produzione di grandi quantità del principio attivo, argomento già utilizzato nel 2000 per lo sviluppo del T-20. Alcuni analisti ritengono che le
ragioni siano altre: Fuzeon ha incontrato molte resistenze da parte di medici e pazienti, non solo per il prezzo elevato, ma per le difficoltà di assunzione
(due sottocutanee al giorno), ridimensionando le aspettative di mercato del prodotto. Mentre l'efficacia del T-1249 non è mai stata messa in discussione, l'eliminazione del farmaco potrebbe aiutare Roche a rilanciare il Fuzeon, unico farmaco della classe degli inibitori di fusione.
A lla fine del 2002 Chiron, con un annuncio laconico si è ritirata dallo studio SILCAAT "per motivi esclusivamente economici" legati al costo, alla complessità e alla durata dello studio, nonostante la validità dell'IL-2 non sia mai stata messa in discussione. Decisione che privilegia interessi finanziari
rispetto a quelli dei pazienti e che conferma una disastrosa mancanza di pianificazione finanziaria e progettuale. Lo studio SILCAAT continua grazie
all'impegno di medici e ricercatori che si sono impegnati a portarlo a termine nell'interesse delle persone che possono trovare giovamento dall'IL-2.
S i sta prospettando una situazione di conflitto tra industrie farmaceutiche da una parte e clinici, governi e consumatori finali dall’altra.
Le responsabilità morali delle industrie farmaceutiche che sviluppano molecole per la sopravvivenza debbono essere ripensate ed è indispensabile ed
urgente l'apertura di un tavolo di discussione che coinvolga il sistema pubblico e quello privato, partendo dalla riflessione che anche qualsiasi azionista, un giorno, può diventare paziente.
Nadir
N.15 I nve rno 2004
MIGLIORANDO LA QUALITA' DELLA VITA
Le terapie ARV hanno dimostrato di poter migliorare le condizioni virologiche e immunologiche delle persone con HIV, ma come succede con qualsiasi terapia
farmacologica, soprattutto se mantenuta per molti anni, vi sono effetti collaterali che incrinano la qualità della vita. I seguenti articoli rafforzano il concetto di
quanto sia importante il miglioramento della qualità della vita delle persone con HIV attraverso una sostenuta risposta antivirale, attraverso il controllo dei
disordini lipidici e dei problemi fisici legati alla lipoatrofia.
RISULTATI A CINQUE ANNI CON KALETRA
IN PAZIENTI NON PRE-TRATTATI
L’ACIDO POLILATTICO (New-Fill)
RIPARA LA WASTING FACCIALE
Le terapie antiretrovirali hanno dato risposte virologiche potenti, ma bisogna avere dati
di lungo termine per valutarne la durata. Il 28 novembre scorso è stato presentato uno
studio di efficacia del lopinavir/r a cinque anni.
I primi rapporti sull'uso del New-Fill per riparare efficacemente e con sicurezza la
lipoatrofia facciale fornisce una speranza per molti pazienti a cui è stata applicata
questa tecnica che, nel contesto di tutte le terapie dell'HIV, risulta molto economica. La lipoatrofia facciale è la perdita del grasso del viso che provoca un'apparenza di dimagramento progressivo e che è causa di notevole stress, minacciando la qualità della vita.
La paura per la lipoatrofia è uno dei motivi principali per cui molti pazienti ritardano l'uso della terapia e la scoperta più recente di dott. Nolan e colleghi suggerisce che il meccanismo nascosto di alterazione degli adipociti e l'aumento di
apoptosi, è legata alla tossicità mitocondriale correlata all'uso dei nucleosidici. I
risultati sull'uso del New-Fill sono stati presentati per la prima volta durante il II
Seminario sulla Lipodistrofia nel 2000, e da allora sono stati presentati negli incontri più importanti sul tema, ma l'accesso al New-Fill rimane limitato in quanto il
sistema sanitario nazionale non ne prevede il rimborso ed il trattamento è molto
costoso. Nello studio VEGA, uno studio pilota in aperto a braccio unico, sono stati
trattati 50 pazienti dell'ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi con gravi problemi di
lipoatrofia facciale che avevano ricevuto trattamento antiretrovirale per >3 anni
(una media di 8.9 anni) e con carica virale <5000 copie/ml. Alla baseline, la media
dello spessore del grasso facciale, misurato con l'ultrasonografo e con doppler era
di zero (tra 0.0-2.1mm).
Questa accurata ed obiettiva misurazione dei cambiamenti dermici, epidermici e
dello spessore del grasso dalla stessa radiografia per tutti i pazienti è un aspetto
importante dello studio ed è stato supportato da fotografie. I pazienti sono stati
studiati alla settimana 6, 24, 72 e 96. I pazienti hanno ricevuto un set di iniezioni
(una fiala di New-Fill, 0.15g di polvere secca da diluire con 3-4 ml di acqua) alla
baseline ed ogni due settimane. La quinta iniezione poteva essere somministrata
se lo spessore cutaneo totale (TCT) era <8 mm dopo la quarta iniezione.
Ogni trattamento comportava fino a 20 iniezioni dentro ed intorno la zona dermica profonda di ogni guancia. La lidocaina è stata iniettata localmente ed il massaggio della zona trattata è stato fondamentale per assicurare una migliore distribuzione della soluzione. Sono state forniti 3, 4 e 5 gruppi di iniezioni a 4, 26 e 20
pazienti rispettivamente. Il risultato è stato che il TCT aumentato in millimetri
dalla baseline era di +5.1 (2.2-8.6), +6.4 (3.1-9.1), +7.2 (4.2-9.6), +7.2 (3.5-9.6) e
+6.8 (3.9-10.1) alle settimane 6, 24, 48. 72 e 96, rispettivamente. Si è riscontrato,
quindi, un effetto sostenuto per 18 mesi dopo l'ultima iniezione e almeno qualche
livello di risposta positiva tra tutti i pazienti.
Solo il 40% dei pazienti ha raggiunto l'endpoint primario dello studio con TCT più
elevato di 10 mm alla settimana 24, che è stato mantenuto alla settimana 96
(p<0.001). La media di cambiamento nella qualità della vita dei 44 pazienti è stata
progressiva dall'inizio a +8.0 (-2.9 - +10.0) alla settimana 48 ed è stato l'endpoint
secondario dello studio (p=0.021), anche se è diminuito a +0.4 alla settimana 96
ed ha perso significato statistico. E' stato osservato edema leggero e localizzato nel
sito dell'iniezione in quasi tutti i pazienti, ma comunque il problema è stato risolto entro le 24-48 ore. 5 pazienti hanno sviluppato ecchimosi leggera, che si è risolta spontaneamente entro 2-3 giorni.
22 pazienti hanno riportato micronoduli sottocutanei palpabili ma non visibili che
si sono dissolti in 6 pazienti alla settimana 96. (L'esperienza clinica ulteriore ha suggerito che questo rischio si può minimizzare con il massaggio dopo l'iniezione e
che questa pratica è fondamentale come parte della cura).
E' interessante il commento fatto dall'editoriale del giornale AIDS ove è stato pubblicato lo studio e che sottolinea l'importanza che il New-Fill sia somministrato da
uno specialista formato specificamente nel trattamento della lipoatrofia correlata
all'HIV e conclude dicendo "finalmente abbiamo risultati chiari da offrire ai nostri
pazienti". Gli autori hanno commentato l'importanza di questi risultati nell'assenza di altre strategie efficaci per affrontare il problema della lipoatrofia facciale ed
hanno detto che i dati dovrebbero dare ai sistemi sanitari dati sufficienti e sicuri
per considerare il rimborso.
Lo studio: cento pazienti non pre-trattati hanno ricevuto Kaletra (lopinavir/ritonavir,LPV/r) con d4T e 3TC due volte al giorno.
La media della carica virale e del numero di CD4 iniziali era, rispettivamente, di 4.9
log 10 copie/ml e di 338 cell/mm.
Prima della settimana 252, 32 pazienti hanno interrotto la terapia somministrata in
questo studio a causa di eventi avversi (13%) o per altri motivi quali perdita del follow-up, non aderenza, motivi personali (19%).
Al quinto anno di terapia (settimana 252), 67/68 pazienti (il 99%) e 67/100 pazienti (intent-to-treat, 67%) avevano carica virale <400 copie/ml. Il 64% (intent to treat,
ovvero il 94% as treated) aveva carica virale <50 copie. L'unica misurazione >400
copie/ml alla settimana 252 si è osservata durante una interruzione della terapia
prolungata. In cinque anni non sono state osservate mutazioni in pazienti con fallimento virologico. L'aumento medio dei CD4 dall'inizio alla settimana 252 è stato
di 505 cell/mm3 tra i pazienti che hanno continuato la terapia. Anche i 17 pazienti con uno stadio di infezione molto avanzato (CD4 <50 all'inizio) hanno mostrato un aumento medio di 519 cellule/mm3. Gli effetti collaterali moderati/gravi più
comuni correlati al farmaco alla settimana 252 sono stati diarrea (28%), nausea
(16%), dolori addominali (10%) e perdita dell'appetito (9%).
Rispettivamente 16 e 13 pazienti hanno dovuto assumere farmaci per abbassare i
lipidi (LLA) in presenza di colesterolo totale >240 mg/dl o di trigliceridi >400mg/dl
(misurati senza fare attenzione al digiuno); dal momento dell'inizio con i LLA al
valore finale disponibile alla settimana 252, il colesterolo totale ed i trigliceridi
erano diminuiti di una media del 24% e 32%, rispettivamente. Le statine usate sono
state: pravastina (11 pazienti), atorvastatina (9 pazienti) ed ambedue (4 pazienti che
presentavano dislipidemie di grado 3); 9 pazienti hanno ricevuto un fibrato, 8 di
loro hanno ricevuto fenofibrati. 3 pazienti hanno ricevuto statine ed un fibrato.
L'inizio della terapia con LLA dipendeva dalla decisione del ricercatore e non faceva parte dei criteri dello studio. "L'aumento dei lipidi è relativamente comune con
il lopinavir/ritonavir", ha detto il dott. Hicks, "ma il fatto più importante al rispetto
è che la terapia standard per abbassare i lipidi può avere un impatto molto positivo, almeno in questo piccolo gruppo di pazienti". Il Prof. Moroni ha affermato che
questo studio a cinque anni documenta "una buonissima efficacia del farmaco e la
sua tollerabilità".
La terapia con LPV/r dimostra un'attività antiretrovirale sostenuta ed è stata generalmente ben tollerata dai pazienti non pre-trattati in cinque anni di terapia. E'
stata osservata una diminuzioni del colesterolo totale e dei trigliceridi nei pazienti che hanno iniziato la terapia con farmaci per il controllo dei lipidi. Il limite
dello studio, i cui obiettivi erano legati esclusivamente all'efficacia della terapia, è
quello di non riportare precisi dati sugli eventi di lipodistrofia e non menziona le
alterazioni morfologiche che le persone in trattamento hanno affrontato. Pertanto
non è dato sapere quale sia il grado di alterazione morfologica subito dai cento
pazienti in studio.
Tale aspetto dovrebbe essere affrontato in tutti gli studi in quanto, come afferma
il Prof. Massimo Galli "la correzione delle alterazioni morfologiche è complessa,
soprattutto quando si è instaurata l'atrofia".
A tale proposito la redazione di Delta desidera richiamare
l'attenzione dei propri lettori sul fatto che in Italia il trattamento per la lipoatrofia facciale non è riconosciuto e rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale e conferma che Nadir
Onlus intende iniziare una campagna rivolta ad ottenere tale
riconoscimento.
LA TERAPIA CON TESTOSTERONE
PREVIENE...
...MA ALTRI LA PENSANO
DIVERSAMENTE
I livelli bassi di testosterone sono comuni sia nelle donne che negli uomini con HIV
e possono contribuire alla perdita della massa magra ed alla sindrome da wasting.
Sono molte e complesse le cause dei livelli bassi di testosterone e possono includere malattia cronica, l'infezione da HIV e le sue complicazioni, i farmaci usati per
trattare l'HIV, le malattie opportunistiche e la normale diminuzione dovuta all'invecchiamento.
Nella maggior parte degli studi che promuovono l'uso del testosterone per trattare i pazienti con HIV si è dimostrato che tale ormone aiuta a prevenire la perdita di massa magra.
La ragione per cui la combinazione dell'attività fisica e la somministrazione di
testosterone siano più efficaci nel prevenire la perdita di massa magra, piuttosto
che la terapia da sola, non è ancora chiara e necessita di ulteriori studi.
Oltre ai suoi effetti sulla composizione della massa corporea, i risultati dei trattamenti con testosterone dimostrano un miglioramento dell'umore e della libido
nelle donne con HIV ed un aumento della densità minerale ossea negli uomini
HIV+.
Il trattamento con testosterone può, quindi, offrire un contributo molto prezioso
al trattamento delle persone con HIV.
Malgrado l'idea ampiamente diffusa che il supplemento di testosterone aumenti il
rischio di malattia cardiaca da arterosclerosi, mancano delle evidenze che supportino questa premessa. Anche se i dosaggi fisiologici di testosterone, come quelli
usati dagli atleti/sportivi ed i body builders, diminuiscono le concentrazioni plasmatiche di colesterolo HDL, i supplementi di testosterone hanno avuto soltanto un
modesto effetto o nessuno sul plasma di HDL negli studi controllati con placebo.
Negli studi epidemiologici , il siero totale e le concentrazioni di testosterone libero sono stati inversamente correlati con massa grassa intra-addominale, rischio di
malattia coronarica e diabete mellitus di tipo 2. La somministrazione di testosterone a uomini di età media è stata associata alla diminuzione del grasso viscerale e
delle concentrazioni di glucosio e ad un aumento della sensibilità all'insulina. Le iniezioni di testosterone aumentano il flusso sanguigno coronarico. Comunque, i rischi
ed i benefici a lungo termine della somministrazione di testosterone in uomini
HIV+ colpiti con la sindrome della resdistribuzione dei grassi non è stato verificato in studi clinici randomizzati. L'ipotesi che il supplemento fisiologico di testosterone possa migliorare la sensibilità all'insulina e ritardare l'artereosclerosi negli
uomini con HIV con sindrome da redistribuzione dei grassi, dovrebbe essere analizzata in studi clinici prospettivi e controllati con placebo.
Rif.: S Bhasin. Effects of Testosterone Administration on Fat Distribution, Insulin Sensitivity, and Atherosclerosis
Fonte: HIVandHepatitis.com
Progression. Clinical Infectious Diseases 37:S142-S149. September 1, 2003.
Fonte: www.hivandhepatitis.com
http://www.hivandhepatitis.com/recent/ois/082903e.html
AUMENTO DEL RISCHIO DI INFARTO DEL MIOCARDIO (IM) ASSOCIATO
ALLA DURATA DELLA TERAPIA CON GLI INIBITORI DELLA PROTEASI
È ormai confermato che la terapia ARV riesce ad
allungare la vita delle persone con HIV. Sono sempre
di più le persone che riescono a condurre una vita
abbastanza normale e che con l'arrivo degli IP hanno
potuto superare un momento cruciale nella storia dell'epidemia, quando sembravano non esservi più opzioni per quelli il cui stato di salute era in pericolo.
Adesso, però, il problema da affrontare è quello della
gestione degli effetti collaterali dei farmaci, soprattutto quando la terapia include gli inibitori della proteasi
a cui sono stati sottoposti per molti anni. Sono molti
gli studi che hanno affrontato il problema legato al
possibile aumento di rischio di malattie cardiovascolari dovuto alla terapia ARV. I risultati del più grande di
questi studi, il DAD (con quasi 24.000 pazienti e
36.000 anni/paziente), hanno dimostrato che vi è un
piccolo ma significativo aumento del rischio di malattia cardiovascolare associato ad ogni anno di terapia
antiretrovirale. Anche se il rischio assoluto è ancora
molto basso per la maggioranza delle persone HIV
positive, questa scoperta è molto rilevante per quelli
che hanno già fattori tradizionali di alto rischio, e l'importanza delle modifiche degli stili di vita come smettere di fumare, la dieta e l'esercizio fisico è più
importante che per le persone HIV negative. Sono
appena stati pubblicati tutti i risultati di questo studio
nel New England Journal of Medicine. Lo studio
French Hospital Database on HIV (FHDH), pubblicato
nel numero del 21 novembre di AIDS, ha anche riportato un aumento del rischio di IM correlato all'uso
della terapia con inibitori della proteasi (IP).
I risultati provengono da quasi 35,000 pazienti
maschi che avevano iniziato la terapia ARV tra il 1996
ed il 1999, con un follow-up corrispondente a più di
88,000 anni/paziente. I dati dell'FHDH includono tutti
i pazienti HIV positivi di un network di 68 ospedali
universitari francesi. I dati sono stati raccolti prospettivamente dal 1992 con un modulo di follow-up completato almeno ogni sei mesi, e nel 1999 più di 73.000
pazienti sono stati inclusi con una media di follow-up
di 32 mesi. L'entrata nello studio è cominciata da gennaio 1996, quando la terapia con gli IP stava appena
Arianna Amato
diventando disponibile in Francia, e sono stati esclusi
i pazienti con una storia previa di IM. Le donne non
sono state incluse in questo studio perché il numero
molto basso di eventi cardiovascolari (n=6) registrati
nel database in questo periodo non avrebbe confermato i risultati finali.
E' stato diagnosticato IM a 60 uomini, compresi 49
casi di uomini in terapia con IP. Nel modello Cox,
l'uso degli IP è stato associato a un rischio maggiore
di IM [pericolo relativo (RH), 2.56; 95%CI, 1.03-6.34].
L'incidenza attesa nella popolazione generale maschile francese (FGMP) è stata di 10.8/10,000 P/A. Il
razionale della morbilità standardizzata relativo al
FGMP è stata di 0.8 (95% CI, 0.5-1.3) per uomini
esposti agli IP per <18 mesi (G1), 1.5 (95% CI, 0.8-2.5)
per gli uomini esposti per 18-29 mesi (G2) e 2.9 (95%
CI, 1.5- 5.0) per quelli esposti per >30 mesi (G3).
Usando come riferimento il G1, il razionale della
morbilità standardizzata è stato di 1.9 (95% CI, 1.03.1) per il G2 e 3.6 (95% CI, 1.8-6.2) per il G3.
Nell'analisi multivariata, la quantità iniziale di CD4, l'esposizione ai NRTI ed ai NNRTI non ha influenzato il
rischio di IM. E' sembrato più probabile il rischio di IM
nei pazienti più anziani ed in quelli esposti agli IP. Il
rischio di IM è aumentato del 42% ogni dieci anni di
aumento di età e più di due volte nei pazienti esposti
agli IP. In un commento dell'editoriale nello stesso
giornale, Peter Reiss ha enfatizzato che questo incremento del rischio, anche se esigeva un follow-up
molto preciso, rimaneva molto basso se paragonato al
chiaro beneficio fornito dalla terapia di combinazione.
Ha anche confermato l'importanza dei cambiamenti
degli stili di vita per modificare i rischi cardiovascolari e "l'uso precauzionale di agenti anti-diabetici e per
abbassare i lipidi secondo le linee guida disponibili".
Una delle raccomandazioni del rapporto del Forum
for HIV Collaborative Research citato in precedenza,
che ha anche sempre consigliato includere pazienti
con rischio di IM, tra cui quelli con storia di IM, è stata
quella di centrarsi nel rischio assoluto invece che in
quello relativo.
Fonte: i-Base n.4-10
Filippo von Schloesser
e Simone Marcotullio
N.15 I nve rno 2004
PREVENZIONE: I MICROBICIDI, LIMITI E PROSPETTIVE
La Trasmissione
La mucosa
La trasmissione sessuale dell'HIV è la fonte primaria
di infezioni e, nonostante storicamente le più comuni
siano state quelle tra uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini, oggigiorno la maggior parte
delle infezioni è dovuta ai rapporti eterosessuali.
Si stima che avvengano 14.000 nuove infezioni al giorno e la prevenzione delle infezioni tra uomo e donna
rappresenta il problema emergente già da anni.
Le campagne di prevenzione, la formazione sul corretto uso del preservativo e l'astinenza, non hanno
risolto il problema soprattutto tra i giovani.
Altrettanto grave è l'impatto epidemiologico nelle
aree povere o con minore accesso all'informazione. Si
stima che circa il 40% della popolazione di ogni paese
sia a rischio di infezione e non vi sono ancora strumenti vaccinali a disposizione per prevenire l'impatto
catastrofico dell'AIDS.
La biologia dei tessuti della mucosa determina la capacità o resistenza alla trasmissione di HIV. La mucosa è
composta di cellule epiteliali a strati o verticali. La vagina, la cervice esterna, l'ano ed il prepuzio sono coperti
di strati sovrapposti di epitelio del tipo a scaglie di pesce
chiamati mucosa pluristratificata. La cervice superiore ed
il retto sono in sequenza con un unico strato di epitelio
verticale detto mucosa monostratificata. Un'altra regione infettabile della mucosa è quella della bocca e della
gola, nonostante la saliva effettui una prevenzione naturale da microbicida e l'infezione di tali tessuti appare più
rara. In mucose sane e intatte pluristratificate, come la
vagina, il meccanismo di infezione sembra usi una delle
cellule immunitarie chiamata cellula dendritica che giace
negli strati al di sotto della mucosa e manda i propri dendriti (come braccia di un polipo) nell'epitelio stratificato
a cercare patogeni estranei. Le cellule dendritiche hanno
un recettore di superficie capace di legarsi alla glicoproteina 120 dell'HIV. Il processo della fusione e dell'infezione avviene quando vi è l'attaccamento dell'involucro del
virus al CD4, obiettivo principale dell'HIV. Ma nelle cellule dendritiche, l'attaccamento con l'HIV fa sì che le particelle del virus si trasferiscano all'interno della vescica
della cellula ove la cellula dendritica continua la sua funzione immunitaria. Dopo che la cellula dendritica lascia
la mucosa e ritorna all'interno del proprio sistema nei
linfonodi vicini, lascia il virus dell'HIV disponibile all'ispezione di altre cellule immunitarie. Quando arriva la cellula CD4 e riconosce il virus come estraneo, avviene il
contatto. Sfortunatamente, l'HIV usa tale contatto di
auto difesa per entrare nel CD4 ed usarlo per produrre nuove copie di virus. Appena il virus dell'HIV esce
dalla cellula infettata, avvicina altri CD4 e inizia l'infezione primaria. Entro pochi giorni, milioni di cellule immunitarie sono infettate distribuendo il virus in tutto il
corpo. Il tessuto mucoso raramente è intatto e ferite
microscopiche nella mucosa possono permettere un
contatto diretto tra l'ambiente esterno e le cellule
immunitarie del sistema della mucosa. Le cellule monostratificate del retto sono particolarmente vulnerabili
durante il rapporto sessuale.Infezioni vaginali quali la clamidia o l'herpes possono rompere la mucosa protettiva
ed aumentare la trasmissione dell'HIV attraendo cellule
immunitarie nella regione infiammata. Se l'HIV entra
nella mucosa, qualsiasi barriera ha fallito. La sfida è quella di arrestare l'infezione nella fase preliminare.
Varie ipotesi
Un microbicida altamente efficace potrebbe proteggere dalla trasmissione dell'HIV ed agire contro altri
tipi di microbi. Inizialmente si era pensato ad applicare
un liquido o un gel prima del rapporto sessuale per
bloccare l'infezione con uno strumento chimico, fisico
o medicinale.
L'idea iniziale era data dai prodotti per la prevenzione
della gravidanza già sul mercato (il nonoxenolo-9 si
pensava avesse proprietà anti-HIV finché si è scoperto che ne aumentava il rischio).
Nonostante il potenziale che presentano i microbicidi,
la ricerca si è trovata di fronte agli stessi problemi di
studio che hanno rallentato lo sviluppo dei vaccini, ad
esempio, il metodo di applicazione, il rischio collegato
ai criteri di informazione e l'uso del placebo come
controllo. Tra le possibilità legate allo sviluppo di un
prodotto microbicida vi sono il gel e le schiume da
applicare alla vagina o al retto con ingredienti attivi.
Ma prima che un prodotto possa essere dichiarato
efficace, bisogna controllare che sia tollerabile, non
tossico ed accettabile. Un gel, ad esempio, non dovrebbe essere troppo appiccicoso né troppo liquido, né
troppo secco.Vi sono inoltre le proprietà chimiche da
considerare, ad esempio l'acidità naturalmente protettiva della vagina.
Un altro tipo di gel potrebbe avere un principio attivo
che distrugge la membrana lipidica dell'HIV.
Un altro criterio potrebbe essere quello di trasferire
anticorpi in modo da penetrare negli strati della
mucosa ed attivarsi, ma non dovrebbe causare irritazioni, soprattutto se ve ne rimangono tracce per lungo
tempo. Inoltre, un gel non dovrebbe causare alterazioni della risposta immunitaria ed infine, il problema più
complesso è legato alla certezza che il prodotto non
deve essere nocivo.
Vi è una lunga lista di candidati microbicidi, mentre
solo alcuni di essi sono arrivati alla fase di studio clinico e potrebbero rendersi disponibili in un periodo di
circa cinque anni.
Il problema principale è la mancanza di investimenti da
parte delle industrie e dei governi.
> Dal 28 marzo al 1 aprile 2004 si terrà
a Londra una Conferenza Internazionale
sui Microbicidi.
Criteri
di ricerca
Alcune aree di interesse
della ricerca sui microbicidi si sovrappongono
a quelle dei vaccini. Alla
passata conferenza sui
vaccini (New York, 2003
cfr. Delta 14) sono state
presentate alcuni modi
di ingresso dell'HIV nel
corpo interessanti per
capire lo sviluppo di
metodi topici per la prevenzione della trasmissione
sessuale attraverso l'uso di anticorpi neutralizzanti.
Da tempo si sa che il recettore CCR5 del CD4 per l'ingresso è maggiormente presente nel virus delle persone infettate da poco. Si riteneva che le barriere epiteliali o le cellule dendritiche filtrassero la CXCR4 utilizzando l'HIV al momento della trasmissione. In ogni
caso, il virus ricevuto era del tipo che utilizzava il CCR5
anche se la regione dell'involucro che riceveva il virus
non assomigliava a quella del virus infettante. Il virus
dell'infettato era sensibile alla neutralizzazione con
anticorpi specifici, mentre il virus dell'infettante era
immune a tali anticorpi. Ciò potrebbe significare che il
virus da trasmissione sessuale potrebbe essere particolarmente sensibile alla neutralizzazione anticorpale.
Tuttavia tale interpretazione del meccanismo di ingresso del virus non è accolta in maniera univoca e vi sono
diverse interpretazioni del processo di fusione a favore di differenti densità di diverse tipologie di recettori
a seconda dello stadio della malattia. Possiamo dunque
affermare che le scoperte finora realizzate non sono
sufficienti a confermare che i microbicidi in via di sviluppo possano essere la soluzione che si spera. Bisogna
ancora imparare molto sull'infezione da HIV e la speranza dell'uso dei microbicidi come metodo di prevenzione rimane ancora lontana.
Lo stato dell'arte
In assenza di una massiccia partecipazione dell'industria
farmaceutica, alcune università e piccole società biofarmaceutiche si stanno attivando nella ricerca.
Ma per ottenere i fondi adeguati, vi è bisogno di finanziamenti pubblici e di capitali.Al momento la ricerca per
i microbicidi è troppo lenta. Un rapporto della
Fondazione Rockefeller afferma che, a livello attuale, i
fondi mondiali dedicati alla ricerca di microbicidi tra il
2001 ed il 2005 è di circa 230 milioni di dollari.Tale cifra
lascia scoperti i costi per lo sviluppo di un microbicida
efficace di almeno circa 545 milioni di dollari. Anche la
donazione recente della Fondazione Bill & Melinda
Gates, pur essendo utile, non copre le necessità. Sono
stati identificati oltre 60 microbicidi potenziali fermi alla
fase di studio pre-clinico per mancanza di fondi. Nel
2003 i pochi prodotti che hanno provato di essere efficaci e non tossici non sono andati avanti a causa dell'assenza di supporto finanziario per la fase III. Tra gli
studi più avanzati vi è da menzionare quelli che utilizzano Tenofovir (candidato anche per gli studi di PREP) e il
PMPA, ambedue di proprietà Gilead Sciences.
Attualmente l'Istituto Nazionale della Salute degli USA
investe solo il 2% dei fondi per la ricerca AIDS in microbicidi… e l'Europa?…assente come sempre.
Antonio Granata
INFEZIONE DA HIV E TIROIDE
Lo studio della funzione tiroidea in pazienti con
infezione da HIV non è stato condotto in modo
sistematico sino a pochi anni or sono, tuttavia
una alterazione della funzione tiroidea sembra
essere presente in questi soggetti con una incidenza sovrapponibile a quella della popolazione
generale. Con riferimento specifico ai lettori che
non abbiano una cultura medica, prima di entrare nei dettagli di questo articolo è opportuna una
introduzione alla funzione della tiroide.
La funzione della tiroide
La tiroide produce prevalentemente l'ormone tetraiodotironina (T4) come risposta allo stimolo dell'ormone tireotropo (TSH) prodotto dall'ipofisi; una
ridotta funzione della tiroide (ipotiroidismo) promuove un aumento di TSH circolante con il significato di un tentativo di compenso funzionale, così
come una aumentata funzione della tiroide (ipertiroidismo) si associa ad una diminuzione di TSH; una
quota del T4 presente nel sangue in forma libera
(fT4), cioè non legata a proteine di trasporto, viene
trasformata in tri-iodotironina (T3) dopo essere
stata liberata in circolo dalla tiroide; la quota di T3
libera (fT3) rappresenta l'ormone tiroideo principalmente attivo sulle cellule bersaglio; tra le proteine di
trasporto è da ricordare la proteina legante gli
ormoni tiroidei (TBG), che partecipa all'equilibrio
tra la quota di ormoni tiroidei circolanti in forma
libera e attiva e la quota di ormoni tiroidei circolanti in forma legata e inattiva; gli ormoni tiroidei promuovono un aumento della produzione di calore ed
un aumento del metabolismo di carboidrati, grassi e
proteine, su queste ultime esercitando una prevalente funzione catabolica, che sinteticamente può essere indicata come una funzione distruttiva; infine, nei
soggetti con grave decadimento fisico a causa di una
qualsiasi patologia è frequente una condizione chiamata "sindrome della T3 invertita", che è caratterizzata da un quadro clinico di normale funzione tiroidea (eutiroidismo) e da bassi livelli circolanti di fT3
per via della conversione di parte della fT4 in una
sostanza, la T3 invertita (rT3), che non presenta attività ormonale e che quindi riduce con significato
protettivo l'attività catabolica tiroidea.
La funzione tiroidea nei
soggetti HIV positivi
Nei soggetti HIV positivi sono più frequenti alterazioni asintomatiche della funzione tiroidea piuttosto
che quadri di distiroidismo clinico. Esiste una stretta
correlazione tra i livelli di ormoni tiroidei circolanti e
lo stato di nutrizione dei soggetti infetti. Tuttavia,
spesso in soggetti HIV-positivi i livelli totali di T3 e T4
restano invariati anche in presenza di un quadro clinico positivo, a differenza di ciò che si verifica in soggetti gravemente debilitati per altre patologie nei
quali si ha invece la riduzione dei livelli di T3 ed
aumento della sintesi di rT3. Nei soggetti HIV-positivi solo la comparsa di anoressia e calo ponderale si
associa ad una diminuzione di T3, con conseguente
riduzione del catabolismo proteico e del consumo di
energia. Altra caratteristica del soggetto HIV-positivo
è l'aumento dei picchi secretivi di TSH anche in assenza di alterazione dei livelli di fT3 ed fT4, il che è stato
interpretato come un meccanismo di compenso di un minimo ipotiroidismo ancora non clinicamente evidente.
Un altro dato peculiare del soggetto HIV-positivo è che anche in assenza di un quadro clinico positivo è documentabile un aumento dei livelli di TBG, che si elevano progressivamente con l'aggravarsi dell'immunosoppressione, infatti i livelli di TBG si correlano inversamente con la conta dei linfociti CD4. Comunque l'aumento dei
livelli di TBG, che caratterizza il soggetto HIV-positivo sin dalle fasi asintomatiche della malattia, non ha alcun
significato clinico mentre potrebbe rappresentare un fattore prognostico dell'infezione.
Molti dei medicinali impiegati per le patologie correlate con l'infezione da HIV possono influenzare i livelli degli
ormoni tiroidei liberi e/o totali, pertanto in caso di ipotiroidismo è spesso necessario impiegare dosi di T4 più
elevate rispetto a soggetti ipotiroidei non HIV-positivi. Ketoconazolo, rifampicina e fentoina possono aggravare
un ipotiroidismo già presente; invece l'interferone a può associarsi a diverse forme di distiroidismo, come la
patologia tiroidea autoimmune, l'ipertiroidismo, l'ipotiroidismo ed una riduzione asintomatica dei livelli di T4.
Le infezioni tiroidee in pazienti HIV positivi
Per ciò che riguarda le infezioni tiroidee in pazienti HIV-positivi, la maggior parte dei dati deriva da casistiche
numericamente limitate. E' da segnalare che molti dei casi autoptici di infezione tiroidea non si associano ad
una patologia tiroidea clinicamente evidente nel soggetto vivo. In questi soggetti l'agente infettivo più frequentemente responsabile di tiroidite è il Pneumocystis carinii, ma anche agenti responsabili di estese infezioni
opportunistiche (in particolare cytomegalovirus, Cryptococcus neoformans, Aspergillus fumigatus,
Rhodococcus equi) possono infettare la tiroide. Lesioni neoplastiche come il sarcoma di Kaposi ed il linfoma
possono interessare, sebbene raramente, la tiroide di soggetti HIV-positivi e possono promuovere ipertiroidismo o ipotiroidismo. Infine, è rarissima una compromissione della funzione tiroidea a seguito di una alterazione
dei livelli di TSH come espressione di una infezione o di un tumore dell'ipofisi, tuttavia studi autoptici hanno evidenziato la non rarità di vari gradi di infarcimento e necrosi dell'ipofisi, oltre che il coinvolgimento da parte di
Pneumocystis carinii, cytomegalovirus, Cryptococcus neoformans,Aspergillus fumigatus,Toxoplasma. Non sono
invece state identificate neoplasie maligne primitive ipofisarie nei soggetti sieropositivi.
Conclusioni
Da quanto detto, sebbene la funzione tiroidea risulti normale nella maggior parte dei soggetti HIV-positivi, in
questi pazienti lo studio di parametri tiroidei quali TSH, fT3, fT4,TBG ed anticorpi-anti-tiroide dovrebbero essere eseguiti sistematicamente sia per impostare eventuali terapie sia per il significato prognostico che i livelli di
TBG sembrano ricoprire.
Dr. Antonio R. M. Granata
Servizio di Endocrinologia
Centro di Endocrinologia Andrologia
Policlinico di Modena
Via Del Pozzo 71 - 41100 Modena
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Simone Marcotullio
N.15 I nve rno 2004
HIV e ONCOLOGIA
Introduzione
Il mondo dell'HIV/AIDS ed il mondo dei tumori sono
strettamente correlati da ragioni storiche e di incidenza. Proponiamo ai nostri lettori, in questo numero di Delta, un articolo di rassegna rivisitato (Jennifer
Newcomb-Fernandez, PhD) che permette l'inquadramento della dimensione del problema, focalizzando
soprattutto sull'incidenza delle varie patologie tumorali e sull'influenza dell'introduzione della HAART,
evidenziando cause, impatto della terapia e limiti di
queste analisi.
Nel prossimo numero di Delta, a completamento del
tema, tratteremo la parte clinica sull'utilizzo della terapia HAART e sul trattamento neoplastico specifico.
HIV e oncologia: incidenza,
cause, impatto della HAART
SK aumenta in presenza di bassi CD4 (6) e le persone con il sistema immunitario intatto tendono a non
sviluppare SK quando anche infette con HHV-8 (10).
Prima dell'introduzione della HAART, l'SK era molto
diffuso nelle persone HIV-positive; senza entrare
troppo nel dettaglio (10,12,13) molti studi ne hanno
dimostrato l'inequivocabile diminuzione dell'incidenza
dopo l'introduzione della terapia (1,2,4,11).
Uno studio recente ha inoltre dimostrato che i regimi HAART contenenti inibitori delle proteasi (IPs) e
inibitori della transcriptasi inversa non nucleosidici
(NNRTIs) sono ugualmente protettivi per lo sviluppo
di SK.Al momento, coloro che sviluppano SK in corso
di assunzione di HAART, mostrano evidenza di fallimento virologico (11). Fondamentale il fatto che la
HAART possa avere anche un ruolo nel trattamento
di SK, quindi un ruolo antineoplastico, specialmente in
pazienti senza malattia viscerale (10).
La patologia tumorale rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità per le persone HIV
positive (1): dal 30 al 40% delle persone HIV positive
sviluppano durante la loro vita una patologia di questo tipo (2).
I tipi di tumori più comuni che affliggono le persone
HIV infette sono quelli definiti "AIDS-correlati": il sarcoma di Kaposi (SK), i linfomi non Hodgkin (NHL) ed
il carcinoma invasivo della cervice uterina (CIC) (3,4).
Tuttavia, recentemente, anche altri tipi di tumori sembrano essere più comuni nelle persone affette da HIV,
anche se non propriamente classificati come AIDScorrelati, ma piuttosto come "tumori AIDS-associati"
(1,5) o "tumori opportunistici" (2): il linfoma di
Hodgkin (HD) e i cosiddetti tumori solidi, fra cui il
carcinoma dell'ano, il carcinoma del polmone e il carcinoma ai testicoli. Analisi epidemiologiche hanno
mostrato un aumento di 2-3 volte del rischio dello
sviluppo di queste tipologie di tumori opportunistici
nelle persone con HIV (3,5,6). L'introduzione della
terapia antiretrovirale altamente attiva (HAART) ha
permesso la diminuzione drastica di mortalità e morbilità (7), di conseguenza la maggior parte delle persone nei paesi in cui la HAART è accessibile hanno
"episodi tumorali" lievi o moderati (8).Tuttavia è lecito domandarsi se l'utilizzo della HAART abbia alterato l'incidenza di tumori nelle persone con HIV, oppure, per alcuni tipi di tumore, ne abbia addirittura
aumentato la prevalenza.
Il carcinoma invasivo della cervice uterina
Arianna Amato
I linfomi non Hodgkin
I tumori AIDS-correlati
Il sarcoma di Kaposi
Nella popolazione HIV negativa il sarcoma di Kaposi
(SK) è un tumore raro che affligge tipicamente la
popolazione anziana o coloro che ricevono immunosoppressivi dopo un trapianto d'organo (2).
Le persone infette con HIV possono presentare SK
con una incidenza dalle 100 alle 300 volte superiore
(3,5,6,9). In presenza di HIV, l'SK è associato con l'herpes virus umano 8 (HHV-8, anche chiamato KSHV per
l'herpes virus SK associato).Anche se esiste una forte
correlazione tra la sieropositività all'HHV-8 e le
popolazioni che sviluppano SK, non esiste prova definitiva che l'HHV-8 causi SK. L'esatta causa di SK al
momento non è chiara: probabilmente si tratta di una
molteplicità di concause (2,10). Il rischio e la gravità di
sviluppo di NHL, in particolar modo PCNSL (6,18),
aumenta con il diminuire dei CD4 (6,10) e la progressione dell'HIV (1).
Inoltre NHL è più presente nelle donne HIV positive
che nelle donne HIV negative ad alto rischio (19),
indicando che l'immunosoppressione, piuttosto che
altri fattori di rischio, sia associata con l'aumento di
incidenza di NHL nelle donne HIV positive.
Non è possibile trarre nessuna conclusione in merito
all'effetto della HAART sull'incidenza di NHL, ancora
una delle forme tumorali più comuni nelle persone
HIV (1,10,17).
Alcuni studi hanno dimostrato un significativo calo
nell'incidenza di NHL dopo l'introduzione della
HAART: la percentuale di incidenza diminuirebbe di
circa la metà (4) e nei pazienti HIV in terapia antiretrovirale ci sarebbe una diminuzione di circa 5 volte
dell'incidenza rispetto ai pazienti HIV naive (12).
Tuttavia, altri studi hanno concluso in modo contrastante ed anche leggermente inverso rispetto alla
situazione tra pazienti naive e pazienti in terapia
(13,14).
In particolare, l'effetto della HAART nell'incidenza di
PEL è sconosciuto, causa rarità del tumore (16). Studi
mostrano la diminuzione dell'incidenza di PCNSL
dopo l'introduzione della HAART (1,4,12,14) e l'associazione con un prolungamento della vita (18).
I pazienti con NHL sistemico, che hanno ricevuto
HAART e hanno risposto bene, erano più soggetti ad
avere miglior prognosi per NHL, suggerendo dunque
un potenziale effetto della HAART nella prognosi
positiva tumorale (15). Non è tuttavia stata registrata
una diminuzione drastica di NHL dopo l'introduzione
della HAART.
Il rischio di linfomi non Hodgkin (NHL) è più alto
nella popolazione HIV positiva, dalle 40 alle 400 volte
superiore rispetto alla popolazione normale, a seconda della tipologia di NHL. In media si può parlare di
un aumento del rischio dalle 100 alle 200 volte
(2,3,5,6,9,14,15).
NHL comprende vari tipi di linfomi, tra cui NHL sistemico, NHL al sistema nervoso centrale primario
(anche detto PCNSL, o linfoma celebrale) ed il PEL
(primary effusion lymphoma), una rara ed aggressiva
forma di NHL (10,14,16).Tra il 1982 ed il 1990, a San
Francisco, l'incidenza di NHL, in percentuale, è cresciuta circa dell'800% tra gli uomini di età compresa
fra i 20 e i 59 anni (17).
Tra le persone HIV, inoltre, il grado di linfoma è più
alto rispetto alle persone non HIV (14).
Molti sono d'accordo nell'affermare che il rischio di
Anche se il carcinoma invasivo della cervice uterina
(CIC) è considerato una condizione che definisce
l'AIDS, la sua associazione con l'HIV è in qualche
modo non consistente (16,20,21). Alcune analisi
riportano in merito ad un non aumento dell'incidenza nell'era epidemica dell'AIDS (16,20) e nessuna correlazione tra immunosoppressione ed il rischio di sviluppare il tumore (6,16). Le donne HIV positive con
CIC tendono ad avere più alti CD4 rispetto a pazienti HIV positivi con altri tipi di tumori (20). Invece altri
studi riportano un aumento dell'incidenza che oscilla
tra le 5 e le 9 volte rispetto alle donne HIV negative
(3,6,19). In alcuni settings questo tumore risulta essere il 55% dei tumori AIDS-correlati (22). Inoltre il
decorso clinico sembra essere più aggressivo in presenza di bassi CD4 (23). L'HPV (human papillomavirus) è coinvolto in quasi tutti i casi di tumore alla cervice, indipendentemente dallo status HIV della persona, ed è fortemente associato alle neoplasie intraepiteliali della cervice uterina (CIN) ed alle lesioni
intraepiteliali squamose (LIS), entrambe precursori di
CIC (20,24). Le donne con HIV sono più soggette ad
avere coinfezione con HPV rispetto alle donne HIV
negative (25), questo per varie ragioni (20,16). La
diminuzione di CD4 è associata all'aumento della
possibilità di acquisire HPV (26,27).
Da notare che i livelli di viremia non sono associati
alla persistenza dell'HPV (27). Mentre la relazione tra
HIV e CIC è controversa, non è così per le relazioni
tra HIV da una parte e CIN e LIS dall'altra.
L'immunosoppressione è infatti più associata alle
displasie cervicali (24,27). Nelle donne HIV, in contrasto a quelle HIV negative (28), è più probabile che la
risoluzione delle lesioni lievi si abbia grazie all'aiuto di
un trattamento specifico piuttosto che senza esso
(20,21). Un ampio studio ha riportato che non ci
sono stati significativi cambiamenti nell'incidenza del
CIC tra l'era pre-HAART e l'era HAART (4). Sono
invece conflittuali i dati in merito a CIN e LIS
(24,27,29,30), sempre rispetto ad un confronto tra
era pre-HAART ed era HAART. Importante la riduzione dell'incidenza di HPV-16 e HPV-18 (tipi oncogenici di HPV) nelle donne in terapia HAART, suggerendo un effetto della HAART su HPV acuta, ma non
sull'infezione avanzata (27).
I tumori non AIDS-correlati
Il linfoma di Hodgkin
Al momento questo tipo di tumore (HD) non è considerato un tumore AIDS-correlato, tuttavia nelle persone HIV positive l'incidenza della sua presenza è
maggiore (dalle 7.6 alle 11.5 volte) rispetto alla popolazione generale (3,5,6,8,9,14).Alcuni studi lo ritengono il principale tumore non AIDS correlato nelle persone HIV (2), altri sostengono che invece sia il tumore al polmone (6,13,19).Alcuni ricercatori propongono che sia classificato tra i tumori AIDS correlato (3).
Il rischio di HD tra la popolazione HIV positiva è, in
base a molti studi, maggiore (3,5,6,8,9,14), ma una
connessione causale tra l'HIV e HD non è ancora
stata stabilita e l'effetto di immunosoppressione sull'incidenza di HD è molto controverso (in 3,8,9 esiste
correlazione, in 6 non esiste correlazione). Alcuni
studi (2) mostrano come HD possa presentarsi con
CD4 alti, addirittura in infezione da HIV precoce,
avvallando dunque l'ipotesi di tumore non AIDS correlato. Pochi studi hanno preso in esame l'effetto della
HAART su HD, tutti però non hanno trovato cambiamenti dovuti alla terapia (31) o cambiamenti di incidenza tra era pre-HAART ed era HAART (4).
Tumore all'ano
Simile al tumore alla cervice, il tumore anale è fortemente associato all'HPV e alla presenza di lesioni anali
pre-cancerogene: si parla anche in questo caso di
lesioni intraepiteliali squamose (LIS) e neoplasie anali
intraepiteliali (NAI) (21,26). Le forme più gravi di queste lesioni tendono a contenere i tipi oncogenici di
HPV, in particolare HPV-16 e HPV-18 (23).
Molti studi hanno dimostrato che coloro che sono
infetti con HIV hanno incidenza dalle 30 alle 50 volte
maggiore di avere cancro all'ano (3,5,6,8) rispetto alla
popolazione normale, in particolare si passa rapidamente anche fino alle 60 volte in popolazione maschile omosessuale o bisessuale (32). La progressione
verso alti gradi di displasia è maggiore in presenza di
infezione da HIV (16). Indipendentemente dallo status
dell'HIV, l'infezione da HPV e LIS sono estremamente comuni in uomini bisessuali e omosessuali (26,33).
Interessante anche il dato che mostra percentuali più
alte di HPV e LIS in uomini HIV+ non bisessuali e non
omosessuali, ma fruitori di droghe iniettive, suggerendo l'ipotesi che l'infezione anale da HPV possa essere
acquisita non soltanto per via sessuale (32).
Al momento non è chiaro se fattori di rischio, quali
sesso anale, storia di malattie sessualmente trasmesse o alto consumo di tabacco, siano responsabili di
una incidenza maggiore di cancro anale nelle persone
HIV positive. Un'ipotesi alternativa è che l'immunosoppressione HIV-indotta possa far sviluppare neoplasie anali e conseguentemente cancro anale.
L'incidenza di LIS anale è più alta negli uomini HIV+
più immunosoppressi (26) ed inoltre la regressione
delle lesioni è associata ad alto numero di CD4 al
momento dell'inizio della HAART (e progrediscono di
più gli uomini HIV+ con bassi CD4, 26).Altre analisi in
proposito però non sono riuscite a dimostrare questa
relazione (6). Inoltre uno studio ha mostrato la maggior incidenza in fase precoce di HIV, suggerendo la
non necessaria relazione tra immunosoppressione e
cancro anale (8). Nessuna conclusione anche sul possibile beneficio della HAART sull'incidenza del cancro
anale o delle lesioni pre-cancerogene. Le analisi svolte
evidenziano come la HAART non abbia regredito l'incidenza o aumentato la regressione di queste lesioni
(21,26). Nessuna differenza tra le percentuali di incidenza in era pre-HAART ed in era HAART (4).
Tumore al polmone
Nelle persone HIV positive l'incidenza di tumore polmonare è maggiore dalle 2.5 alle 7.5 volte rispetto alla
popolazione normale (3,5,6,9). Il tumore ai polmoni
era il tipo di tumore non AIDS-correlato più frequentemente osservato in molti studi (6,13,19).
Uno studio tuttavia non è riuscito a dimostrare un
aumento significativo di incidenza di tumore al polmone in persone HIV+ (8). Molti studi hanno riportato
una significativa correlazione tra immunosoppressione
e tumore polmonare (3,9). Risultati su comportamenti a rischio specifici sono conflittuali: uno studio riporta il fatto che le persone HIV positive con tumore al
polmone fumano il doppio delle persone non HIV+
con tumore al polmone (34), un altro studio riporta
invece che, a parità di sigarette, l'incidenza di tumori al
polmone nelle donne HIV positive è doppia rispetto
alle donne HIV negative (19). Prima dell'introduzione
della HAART, le percentuali di tumore al polmone
erano più basse nella popolazione HIV: in una analisi
recente si parla di un aumento di incidenza di nove
volte rispetto all'era pre-HAART (35).
Tumore testicolare
Il tumore testicolare (o testicular germ cell tumors,
GCTs) è il tumore solido più comune negli uomini
(popolazione generale) di età compresa tra 15 e 34
anni (36). Negli uomini HIV positivi l'incidenza aumenta dalle 1.4 alle 8.2 volte (3,5,6,9,23,27). Uno studio
invece ha fallito nel dimostrare questa conclusione (8).
Anche se nessun oncogene virale è implicato nel
tumore testicolare HIV-associato, alcuni virus, come
l'HPV, EBV, il retrovirus endogeno umano K10, sono
associati al tumore testicolare nelle persone HIV
negative e potrebbero dunque essere coinvolte nell'evoluzione dello stesso nella popolazione HIV positiva
(36,37). Modesta l'associazione tra immunosoppressione e GCTs (3). Sembra che non vi sia una particolare differenza nell'incidenza dei GCTs tra l'era preHAART e l'era post-HAART (37).
Discussione
Le prognosi tumorali per le persone HIV positive tendono ad essere peggiori rispetto a quelle delle persone sieronegative, indipendentemente dalla tipologia di
tumore. Il decorso clinico sembra infatti più aggressivo
(10,19,23,34), forse a causa del sistema immunitario
debilitato dall'HIV. La diagnosi di qualunque tipologia
tumorale, in generale, nella popolazione HIV positiva
viene fatta a stadi più avanzati (34), anche l'età media
della diagnosi risulta essere inferiore (38), in particolar
modo nel tumore testicolare e polmonare (34,37).
Potenziali cause tumorali nell'HIV/AIDS
Anche se non è ancora chiaro se l'HIV funzioni da
agente oncogenico, esso contribuisce attivamente allo
sviluppo tumorale attraverso vari meccanismi.
La sorveglianza immunitaria alterata, l'alterazione della
regolazione dei cammini (meccanismi di azione) delle
citochine e la produzione di fattore di crescita, l'inabilità a combattere l'instabilità genomica, la stimolazione cronica delle cellule B e il non bilanciamento tra la
proliferazione cellulare e la differenziazione, possono
essere tutti fattori che contribuiscono alla prevalenza
di tumori HIV/AIDS-associati (2,6,10,13,14).
I tumori AIDS-correlati sono associati a virus oncogenici (EBV, HPV, HHV-8). Anche l'infezione virale non
controllata potrebbe giocare un ruolo causale rispetto a questa tipologia di tumori.Alcuni ricercatori pensano che la ripetuta esposizione a virus o altri organismi infettivi possa essere responsabile dello sviluppo
di tumori, visto comunque che la maggior parte dei
tumori prevalenti nella popolazione HIV positiva è
situata in parti del corpo a contatto con l'ambiente
(cervice, cavità orale, pelle, ano, ecc…).
La densità maggiore di cellule del sistema immunitario
e la coincidente elevata concentrazione di HIV in queste zone potrebbe portare a difese compromesse
localmente e al conseguente sviluppo di tumori (38).
In alternativa, anche fattori di rischio, particolarmente
presenti nella popolazione HIV positiva, quali il consumo d'alcol, le sigarette, più partners sessuali, l'utilizzo
di droghe, potrebbero essere responsabili dell'aumento dell'incidenza.
L'impatto della HAART
Dati preliminari suggeriscono che, ad eccezione
dell'SK, la HAART non ha avuto un impatto significativo sull'incidenza tumorale nella popolazione HIV
positiva, anche se al momento questa conclusione
potrebbe essere prematura. In linea teorica, se l'immunosoppressione fosse un fattore chiave di sviluppo
dei tumori, grazie alla HAART, l'immuno-ricostruzione potrebbe essere il fattore inverso per contrastarne l'aumento di incidenza.
Purtroppo questo non è il caso: l'NHL, come precedentemente discusso, ne è purtroppo la contro-prova
sperimentale (1,4,12,14). Alcuni ricercatori hanno
speculato che il prolungamento di vita grazie alla
HAART, in congiunzione con una ricostruzione incompleta del sistema immunitario, potrebbe essere la
causa di alcuni tumori (26). La prolungata esposizione
a oncogeni virali, la soppressione immunitaria moderata e l'instabilità genomica potrebbero essere co-fattori di sorveglianza immunitaria alterata e conseguente sviluppo tumorale (26,35,37). Un'altra possibile let-
N.15 I nve rno 2004
tura potrebbe essere che, prima dell'introduzione
della HAART, le persone HIV positive tipicamente
morivano di infezioni opportunistiche o altre complicanza HIV-correlate, prima dello sviluppo di tumori.Al
momento non è ancora chiaro se la HAART sarà mai
in grado di fornire ai pazienti HIV+ una ricostruzione
perfetta del sistema immunitario, situazione che
potrebbe essere necessaria per la diminuzione dell'incidenza tumorale.Alcuni ricercatori speculano addirittura che alcuni tipi di linfomi aumenteranno nell'area
geografica di diffusione della HAART (17), altri sono di
parere opposto (4). Molti dati presi in considerazione
in queste analisi sono riferiti alla decade 1990-2000.
Sarà interessante vedere i dati retrospettivi della successiva decade. Indipendentemente dal fatto che questi tumori siano direttamente correlati alla immunosoppressione HIV-indotta, trattare il cancro nelle persone HIV positive risulta complesso, in quanto sono da
prendersi in seria considerazione le interazioni tra i
farmaci, la somma di effetti collaterali, il potenziale
effetto della chemioterapia sulle cellule CD4 e sulla
carica virale (36,37,39). L'aderenza, inoltre, tra i pazienti HIV positivi con tumori, è abbastanza scarsa (36),
probabilmente questo è dovuto alla somma dell'assunzione di terapie per due patologie. La questione se
sospendere la HAART o meno durante la chemioterapia dipende da numerosi fattori, in particolare dallo
stadio tumorale, e dallo status dell'infezione da HIV
(40). Queste tematiche saranno trattate nel dettaglio
nel successivo numero di Delta.
Limiti delle analisi proposte e conclusioni
Molti degli studi retrospettivi qui utilizzati si riferiscono a due banche dati differenti, registri di casi
tumorali e registri di casi di AIDS: potenzialmente esiste dunque una possibilità di non avere dati competi
(14,17). Inoltre, nei registri di casi di AIDS, sono
appunto, per definizione, inclusi solo i tumori iniziali
per i quali si dichiara lo stato di AIDS.
Vi è dunque il limite di non avere a disposizione la
storia clinica successiva e di eventuali altri tumori
successivi. Alcuni tumori potrebbero essere non stati
registrati in caso di morte in quanto non si pensava
fossero collegati all'HIV/AIDS (es: HD o tumore polmonare).Vi è inoltre il limite delle banche dati utilizzate, a volte legate a particolari categorie (omosessuali). Questo limite potrebbe impedire conclusioni
generalizzate.
Quando inoltre si parla di effetto della HAART, molti
studi dividono i dati secondo il criterio di era pre-
HAART ed era post-HAART: questa divisione potrebbe essere troppo semplicistica perché non rispecchia
la reale assunzione della terapia da parte di un paziente, ma classifica secondo era storica, ed inoltre non
tiene conto del successo terapeutico.
Per esempio, solo il 71% dei pazienti diagnosticati con
NHL nell'era post-HAART riceve realmente la terapia
(15). Bisognerebbe si considerassero studi con una
effettiva storia terapeutica dei pazienti, aspetto abbastanza difficoltoso per le grandi coorti. In conclusione,
comunque, si può affermare che vi è una tendenza dell'incidenza di tumori maggiore nella popolazione HIV
positiva ed anche una maggior aggressività. Il cambiamento della fascia di età è anche un dato importante. Risulta dunque imperativo che gli oncologi e gli
infettivologi lavorino assieme per la gestione dell'infezione da HIV, dei tumori e delle varie infezioni
opportunistiche.
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PREZZI DEL REGIME ARV CON COMBIVIR
PRIMA E DOPO L'AUMENTO DEL PREZZO NORVIR
In virtù di questa operazione di chirurgia plastica sul prezzo del Norvir,
il Kaletra negli USA diventa l'inibitore della proteasi boosterato meno
costoso sul mercato.
Pur consapevoli del fatto che in
Italia un simile aumento di prezzo
non sarebbe di facile attuazione,
esprimiamo la nostra preoccupazione in quanto alcuni centri clinici
potrebbero essere obbligati a rivedere le scelte terapeutiche per molti
pazienti, in vista di un contenimento
della spesa farmaceutica.
11° C.R.O.I.
David Osorio
e Filippo von Schloesser
8-11 febbraio 2004 San Francisco
La conferenza, organizzata dall'American Medical Society, affronta i temi specifici dei retrovirus e delle infezioni opportunistiche.Anche quest'anno ha confermato di essere uno degli eventi di informazione scientifica ed epidemiologica tra i più validi ed interessanti del settore. All'apertura, sono stati messi in
evidenza preoccupanti dati epidemiologici, sottolineando il fallimento delle strategie di prevenzione, il generale aumento delle trasmissioni nei paesi sviluppati, e l'aumento della mortalità tra le persone sieropositive in trattamento. Dalla conferenza sono emersi nuovi dati sulla coinfezione HCV/HIV, sulle
resistenze, sui nuovi agenti antiretrovirali, sugli effetti collaterali e sulla trasmissione materno-fetale, che riportiamo di seguito. I pochi spunti sui vaccini e
alcuni poster che descrivono nuove molecole saranno riportati nel prossimo numero di Delta.
Resistenze
Nel recente passato molti studi affrontavano il problema delle strategie ottimali
per evitare l'utilizzo di inibitori della proteasi, a favore degli NNRTI.Tali strategie,
che permettono di diminuire gli effetti collaterali e di semplificare la terapia, in
questa conferenza hanno subito un cambio di rotta: sono stati presentati vari studi
sulle resistenze (da trasmissione, da switch, ecc.) agli NNRTI ed in particolare si è
parlato della 103 e della frequenza delle resistenze a tale classi di farmaci.
La trasmissione di ceppi resistenti dovuta a rapporti sessuali non protetti è in continua crescita (Kozal, abs 35LB). I ricercatori americani hanno riscontrato nella ricerca su 395 soggetti che almeno il 24% delle persone intervistate tra
il 2000 ed il 2002 aveva rapporti sessuali non protetti esponendo i propri partners
a ceppi resistenti di HIV.
È stato presentato uno studio (36LB) per valutare la persistenza delle varianti resistenti trasmesse in persone non in trattamento antivirale e con
infezione primaria. Le 11 persone in studio a 65 giorni dalla data stimata di infezione, avevano almeno una mutazione principale conferente resistenza ad un farmaco, con conferma di test fenotipico. Sette delle 11 persone in analisi avevano
una resistenza al NNRTI (103N con o senza la 181C); due avevano mutazioni NRTI
(70R, 74V/I184V, 215Y) e resistenza agli IP (46I, 84V,82A, 90M) ed una a IP (30N)
e NNRTI (188L) ed infine una aveva resistenze a tutte le classi di farmaci. Il tempo
medio di reversione della mutazione NNRTI a ceppo selvaggio è stato di 375 giorni ed in tutti i pazienti si è presentato entro 512 giorni. Uno di essi non ha presentato ceppo selvaggio all'IP. Il primo ceppo selvaggio, a prescindere dalla mutazione presente all'inizio, è stato riscontrato al 362esimo giorno. La reversione
resta comunque incompleta e/o graduale dato che si mescolano varianti resistenti e ceppo selvaggio nel plasma HIV RNA. Nella presentazione di S Palmer (abs
37), si è affermato che la mutazione 103 persiste oltre 5 anni dopo aver abbandonato la terapia con NNRTI e la persistenza dura variabilmente tra i 6 mesi ed i 6
anni. Secondo J Mellors (abs 39), esistono delle varianti minori non definite e anco-
ra non riportate nell'osservazione clinica che possono contribuire al fallimento dei
regimi con efavirenz.Tali mutazioni sfuggono all'analisi, non è chiaro il significato clinico, ma possono giocare un ruolo negativo nell'efficacia della terapia.
Effetti collaterali
Neuropatia
D Simpson (abs 34) ha effettuato una lettura sulle neuropatie ed ha affermato
che ancora il 73% delle persone con questo problema ha una diagnosi tardiva.
Viceversa, almeno un terzo delle persone con HIV soffre di tale patologia e che la
tipologia, la frequenza ed i meccanismi variano a seconda dell'avanzamento dell'HIV.
L'immunosoppressione e l'eta' giocano un ruolo nell'aggravamento della patologia,
cosi' come l'aumento dell'RNA virale, della frequenza del dolore, dell'abuso di
alcool, del diabete e dell'epatite C.
Mentre è chiaro che alcuni farmaci "d" hanno un effetto neurotossico, la riduzione
dell'HIV RNA prodotto da tali farmaci potrebbe migliorare gli effetti di sensazione
termica e si necessitano ulteriori studi per tradurre tali approcci in miglioramenti
clinici. Vi sono evidenze che la neuropatia da nucleosidici è dovuta alla tossicita'
mitocondriale e che numerosi agenti paliativi sono stati studiati per ridurre il dolore.Tra di essi l'agopuntura, il gel di lidocaina, la marijuana terapeutica, (vedi
articolo pag 13) la lamotrigina ed in particolare di recente si è iniziato uno studio
con "braccio di controllo" che esamina la tossicita' e l'efficacia di alte concentrazioni di capsaicina in cerotto.
Dai primi risultati sembra che dopo 27 giorni da una singola applicazione di cerotto con capsaicina si nota una diminuzione della sensibilità dovuta principalmente a
fattori termici. Dalle prime valutazioni sembra che tale applicazione possa alleviare
anche il dolore da herpes zoster. L'ormone della crescita è uno dei farmaci che
ha prodotto diminuzione del dolore nella neuropatia e in uno studio ACTG si sta
valutando l'utilizzo di una nuova molecola, il prosaptide, che potrebbe dare risultati anche sulla neuropatia da diabete.
Lipodistrofia e tossicità mitocondriale
D Kotler ha presentato uno studio multicentrico (abs 80) su 142 persone HIV+ per
valutare l'efficacia del Serostim (rhGH, ormone della crescita) in terapia di manutenzione ad 1 o 2 mg al giorno per la riduzione del grasso troncale e delle concentrazioni colesterolo.
Nel precedente studio STARS (con braccio di controllo) presentato al Congresso
Mondiale di Barcellona e rassegnato in Delta, Serostim era stato somministrato a 4
mg/giorno per 12 settimame e mostravba una riduzione significativa di grasso troncale, di tessuto adiposo viscerale, di colesterolo totale ed di colestrolo non HDL.
Alla settimana 60, si sono verificate diminuzioni del grasso troncale (-1,1 a - 1,4 kg),
di colestrelo non HDL (-21,2 a - 23,8) e di colesterolo totale (-16,9 a -18,5).
Non si è notato alcun cambiamento sulla tolleranza al glucosio ne’ alcuna incidenza di eventi avversi, salvo l'artralgia, nelle 24 settimane di osservazione.
Nella lipoatrofia facciale una delle tecniche utilizzate come trattamento paliativo è quella delle iniezioni di acido polilattico. Molina (poster 726) ha presentato uno studio su 94 pazienti tra i 30 ed i 60 anni di età con una media di CD4 di
500 e HIV RNA <200 copie. Sono state somministrate ad ogni paziente 5 iniezioni di acido polilattico (2,5 ml per guancia). Lo spessore medio della pelle è aumentato di 2mm dopo 2 iniezioni e di 2,3 alla misurazione effettuata 7 mesi dopo l'ultima iniezione. Dopo 12 mesi dall'ultima somministrazione, è stato confermato
l'aumento dello spessore misurato nei primi mesi.
N.15 I nve rno 2004
Il rosiglitazone, studiato su 108 pazienti con lipoatrofia in uno studio in doppio
cieco presentato da Martin (poster 729) non ha mostrato alcun cambiamento ne’
reversione a livello endoteliale.
È stata studiata la reversibilità della disfunzione mitocondriale nella lipoatrofia
da ARV. Sono state studiate 112 persone a cui è stata sostituita la stavudina
(d4T) con abacavir o zidovudina (poster 711). Nonostante sia migliorato il contenuto di grasso a livello muscolare, i livelli mtDNA e l'apoptosi di grasso, si è
notato solo un miglioramento parziale della funzione mitocondriale a 48 settimane. I ricercatori interpretano che ciò potrebbe essere dovuto a tre ragioni quali la
gravità della disfunzione mitocondriale, solo parzialmente irreversibile, alla necessità di un periodo maggiore per tornare ai valori basali, o al mtDNA che potrebbe non essere l'unico meccanismo coinvolto nella disfunzione mitocondriale. In
tutti i casi, sono necessari ulteriori studi per valutare gli elementi in gioco per la
normalizzazione di tale disfunzione. È stato presentato uno studio (poster 717)
ove si valutavano in doppio cieco i cambiamenti corporei, il profilo metabolico e l'incidenza di eventi avversi tra l'emtricitabina (FTC) e la stavudina (d4T) con ddI ed EFV in pazienti non pre-trattati durante 72 settimane di terapia. Tra gli aspetti piu' importanti emersi da tale studio vi sono che i trigliceridi sono aumentati in ambedue i bracci ma maggiormente nel braccio con
d4T, che il colesterolo totale è aumentato in ambedue i gruppi e che i pazienti con
FTC avevano valori di colesterolo HDL maggiori alla settimana 72. I ricercatori
hanno riportato che il braccio con d4T ha prodotto un grado di lipodistrofia maggiore nel 6% dei pazienti mentre nel braccio con FTC solo l'0,4% aveva sviluppato
tale evento. Mentre nelle prime settimane ambedue i bracci avevano permesso un
aumento dell'indice di massa corporea, alla settimana 72 solo il braccio con FTC
aveva confermato tale aumento. Sono stati riferiti eventi di lipodistrofia maggiori nel
braccio con d4T. Inoltre, da un punto di vista virologico, il braccio con FTC ha
mostrato una soppressione virale maggiore alla settimana 72 rispetto al braccio con
d4T (79,4% vs 62,8%).
Lo studio TORO (poster 715) ha fornito ulteriori dati a 48 settimane sulla composizione corporea e sulla lipidemia in persone in trattamento con T-20 (enfuvirtide, Fuzeon). I dati sono stati rilevati con DEXA e con tomografia computerizzata
all'inizio della terapia, alla settimana 24 e alla 48. I risultati di laboratorio sul glucosio, sul colesterolo e sui trigliceridi sono stati rilevati alle settimane 8,16, 24, 32 e
48 ed erano maggiori nel braccio senza T-20. I dati sull'insulina mostravano deviazioni cosi' ampie da permettere di interpretarle come variazioni individuali. A 48
settimane, i risultati della composizione corporea rilevati con DEXA e tomografia
computerizzata mostravano nel braccio con T-20 >0,06 di grasso alle arti e 0,00 di
grasso troncale, mentre il braccio con altri farmaci mostrava, rispettivamente, -0,62
e +0,36. In relazione alle misurazioni antropometriche e come risultato delle analisi DEXA e TAC, l'uso di enfuvirtide non sembra produrre alcun evento avverso sulla
distribuzione di grasso corporeo rispetto ai pazienti che utilizzano altri farmaci.
Risultato analogo si è avuto nella valutazione dei parametri lipidici e glicemici.
Farmacologia e nuovi agenti antiretrovirali
Lo studio STOP ha confermato che le concentrazioni plasmatiche di EFV
durano fino a 15 giorni oltre l'interruzione della terapia con tale farmaco. Lo
studio (abs 131, S Taylor), è stato effettuato su 25 pazienti.
I dati di farmacocinetica hanno mostrato che alcuni pazienti hanno avuto presenza di farmaco a livello plasmatico fino a 228 ore dopo l'interruzione. Nonostante
nella pratica clinica si suggerisca la prosecuzione della terapia per 7
giorni oltre l'interruzione dell'NNRTI, sarebbe piu' prudente aumentare a due settimane tale finestra onde evitare la selezione di mutanti
resistenti. Il ricercatore si chiede, però, come coprire la "coda" di EFV.
L'ACTG 5095/5097 (abs 132) ha studiato 1.147 pazienti per 96 settimane per
esplorare gli effetti collaterali al sistema nervoso centrale (CNS). Sono stati
arruolati 100 bianchi, 61 neri e 29 ispanici. Si è scoperto che il fattore raziale si
associava in maniera esplicita con la clearance dell'EFV. Viceversa, non vi
era alcuna associazione con il fattore sesso nè con la farmacocinetica dell'EFV e l'incidenza della tossicita' a livello di CNS.
La presentazione successiva (abs 133) ha riferito che l'EFV è metabolizzato dal
citocromo CYP2B6 e che la variante allelica di tale citocromo è maggiormente presenta nella razza nera che in quella bianca e ciò aumenta di
tre volte la concentrazione plasmatica dell'EFV all'inizio del trattamento. Si
nota che il citocromo CYP2B6 è lo stesso che metabolizza la nicotina, la diazepina,
la lorazepina, l'ecstasy.
Un ulteriore studio di farmacologia è stato presentato da Abbott (abs 134) per
confermare che il quoziente inibitorio predice la risposta virologica in
persone pre-trattate con HAART che ricevono un dosaggio elevato di
lopinavir/ritonavir. Sono stati valutati 17 pazienti sottoposti a 400/300mg di
LPV/r e 19 pazienti con 667/167 mg di LPV/r. Lo studio ha dimostrato che aumentando il dosaggio di LPV/r aumentano le concentrazioni di farmaco e le probabilita' di raggiungere HIV RNA <400 copie. Oltre il 64% dei pazienti in studio ha raggiunto tale nadir e non si è notata una grande differenza tra i due bracci, ma gli
effetti collaterali erano minori nel braccio con dosaggio di ritonavir più basso.
Le università di Berlino, Chicago, Atlanta e Virginia hanno studiato un nuovo
NRTI, il Reverset (abs 137), che in vitro aveva dimostrato potente efficacia antivirale sui ceppi resistenti all'AZT e al 3TC. La molecola è stata
somministrata in tre dosaggi: 50 mg, 100 mg, 200 mg e con placebo, rispettivamente, in 8, 8, 8 e 6 in persone non pre-trattate, in monoterapia, per studiare
tollerabilita', farmacocinetica ed efficacia. A 10 giorni, la media di riduzione
dell'HIV RNA era di 1,6 log, con un picco di 1,77 nel braccio a 200 mg, senza differenza significativa tra i 3 dosaggi e vi è stato un aumento dei CD4 in tutti e tre
i gruppi. Non sono stati rilevati eventi avversi a breve nè tossicita' mitocondriale e nessun paziente ha dovuto interrompere la terapia. Le università coinvolte
stanno iniziando l'arruolamento nella fase 2b in pazienti pre-trattati.
Una nuova molecola in fase pre-clinica, l'SPD754,
analogo deoxicitidinico, è stata presentata da
Bethell, della Shire Biochem (abs 138).
Tale molecola, con grande potenza antivirale
contro il ceppo selvaggio, pur condividendo il
percorso intracellulare del 3TC e dell'AZT, è attiva
anche in presenza di M184V.
In vitro ha dimostrato interazione intracellulare
positiva con altre molecole della stessa classe e agisce tramite fosforilazione. La molecola è stata somministrata a 21 pazienti naive in monoterapia per 10
giorni ed ha mostrato una diminuzione di -1,4 log di
HIV RNA, mentre in vitro sembrava 50 volte meno
potente del 3TC.
Le curve PK di associazione tra 3TC e SPD754
sono sovvraponibili.
Il 3TC abbassa le concentrazioni intracellulari di
SPD754 sia in vitro che in vivo. Attualmente sono
corso di randomizzazione tre bracci per la valuta-
zione del dosaggio: 600 mg BID, 300 BID e 600 mg BID + 3TC.
GSK ha presentato il nuovo CCR5 in fase di studio, con biodisponibilita'
orale. Il GW874140, che aveva mostrato potente efficacia contro l'HIV in vitro, si
lega al CCR5 umano mostrando un'inibizione selettiva degli anticorpi monoclonali.
Di recente è stato effettuato uno studio, con braccio di controllo, su dosaggi multipli in 70 soggetti a digiuno.
I dosaggi erano (200, 400, 600, 800 mg) in una sola dose giornaliera o in 2 volte al
giorno per 7 giorni. I dati preliminari mostrano una ottima tollerabilita' e nessun evento avverso di terzo o quarto grado.
Gli effetti collaterali erano crampi, nausea e diarrea. Non si è notato alcun cambiamento dei parametri
di laboratorio né clinici
con ECG. La somministrazione di cibo aumentava la concentrazione
massima di farmaco.
L'emivita di questo
CCR5 sembra mantenersi legata al recettore
per un periodo fino alle
12 ore dopo multipli
dosaggi.
Altro CCR5 è quello
della Schering-Plough,
SCH D (abs 140 LB),
biodisponibile oralmente e con una potenza
in vitro molto superiore a quella di SCH
C. In monoterapia per
14 giorni su 48 pazienti
a cui sono stati somministrati 0 mg, 10 mg, 25 mg e 50 mg due volte al giorno si
è verificata una diminuzione della carica virale, rispettivamente, di 1.08, 1.56 e
1.62 log. Nella presentazione non sono stati riportati effetti collaterali degni di
menzione.
È stata presentata una piccola molecola di una nuova classe, gli "inibitori di
adesione" (definizione coniata dal Dott.Andrea De Luca), il BMS 488043 (abs 141).
Tale molecola blocca l'ingresso del virus legando l'involucro della proteina
gp120 ai ricettori della cellula CD4.
Sono stati studiati 2 gruppi di 15 soggetti a cui sono stati somministrati 800 o 1800
mg di farmaco ogni 12 ore per 8 giorni con un pasto grasso. I dati preliminari sui
pazienti che avevano mediamente 4,66 log di HIV RNA e 403 CD4 mostrano una
diminuzione dell'HIV RNA mediamente di 0,7 log nel braccio con 800 mg e di 1,01
nel braccio con 1800 mg. In particolare, il 67% dei pazienti ha raggiunto una diminuzione >1 ed il 42% >1,5. Tale molecola, con biodisponibilitá orale non ha mostrato
particolari tossicità o problemi di tollerabilità.
Un poster (547) sui risultati dello studio BMS AI424-045 ha valutato il successo virologico dell'atazanavir con ritonavir o saquinavir in pazienti in
fallimento virologico a 48 settimane. Sono stati arruolati 358 pazienti pretrattati in 3 bracci: ATV/RTV 300/100 QD (1), ATV/SQV 400/1200 QD (2) o
LPV/RTV 400/100 BID (3) con TDF e un NRTI.
I soggetti avevano una media di 4,45 log HIV RNA e circa 290 CD4. A 48 settimane il braccio 1 mostrava una diminuzione di HIV RNA di 1,93 log e un aumento di 110 CD4; il braccio
2 una diminuzione di
1,55 log ed un aumento
di 72 CD4 ed il braccio 3
una diminuzione di 1,87
log ed un aumento di
121 CD4.
I profili lipidici era
migliori nei due bracci
con atazanavir, pertanto i
ricercatori hanno concluso che ATV 300 con
RTV 100 QD dimostra
un'efficacia simile al
braccio con LPV.
Commento
Tutte le nuove molecole elencate sono ancora in fase di studio preliminare.
Alcune di esse potrebbero anche non essere mai commercializzate in quanto,
come si e' visto nella storia degli antiretrovirali, la tossicita', le resistenze crociate
o le difficolta' di formulazione possono apparire nel corso degli studi clinici che
sono effettuati su un numero piu' ampio di persone.
Altre molecole sono state presentate nella sessione dei posters e riporteremo nel
prossimo numero di Delta i dati che appaiono piu' promettenti. Ci riferiamo in
particolare al PA-457 (Inibitore della Maturazione), all'UK 427, al TNX 355 ed a
uno studio sull'effetto antivirale della clorochina.
A San Francisco, durante i giorni della conferenza, ha avuto luogo anche l'investigators meeting degli studi SILCAAT e ESPRIT che sara' oggetto di un articolo nel
prossimo numero di Delta in distribuzione a fine aprile.
N.15 I nve rno 2004
Simone Marcotullio
Coinfezione HIV/HCV: tre studi
interessanti a 72 settimane
Il 30-40% delle persone con HIV sono anche coinfette con HCV; in alcune popolazioni questa percentuale aumenta considerevolmente. In persone con sola
infezione da HCV, la risposta virologica sostenuta
(SVR) utilizzando interferone pegilato più ribavirina
(RBV), oramai standard of care, è, in generale, superiore al 50%, con picchi verso l'80% per i genotipi 2 e
3 e circa del 45% nel genotipo 1, il più difficoltoso da
trattare.Tuttavia, basse SVR sono state spesso osservate in pazienti HIV/HCV coinfetti, circa il 40-60% per
il genotipo 2-3 e meno del 25% per il genotipo 1. Di
seguito tre studi interessanti sull'argomento.
Studio APRICOT
(The AIDS Pegasys Ribavirin International Co-infection Trial): risultati finali a 72 settimane. I dati riguardano 868 pazienti in 19 paesi. I pazienti eligibili erano
positivi all'HCV RNA e agli anticorpi anti-HCV, con
funzione epatica compensata,ALT elevate, CD4 >100
cells/mm3 e infezione da HIV stabile, con o senza l'ausilio della ART. I partecipanti allo studio sono stati
randomizzati, a 48 settimane di trattamento, nei
seguenti tre bracci: interferone alfa-2a (IFN) 3 MIU, 3
volte alla settimana più 800 mg al giorno di RBV, 285
soggetti; interferone peg-alfa-2a (40 kD),180 mg alla
settimana (PEGASYS, prodotto da Roche) più placebo, 286 soggetti; PEGASYS 180 mg alla settimana più
800 mg al giorno di RBV, 289 soggetti. Le caratteristiche al basale erano simili nei tre bracci: 81% maschi,
79% caucasici, età media 40 anni, 60% con genotipo 1,
5% genotipo 2, 27% genotipo 3 e 7% genotipo 4 (40%
genotipo non-1). HIV RNA media < 50 cp/mL e CD4
medi sopra 500 cells/mm3, l'85% era in terapia antiretrovirale. 16% con fibrosi o cirrosi. La SVR è stata
definita come HCV RNA < 50 IU/mL [determinata
con COBAS AMPLICOR HCV Test v 2.0] dopo il follow-up seguente le 24 settimane di trattamento.
Risultati: la SVR è stata raggiunta da 40% dei pazienti
del terzo braccio (Pegasys + RBV), 20% dal braccio
trattato solo con Pegasys e 12% dal braccio con IFN
standard + RBV (le rispettive risposte a fine trattamento erano 49%, 33%, e 14%). Per i genotipi 2 e 3 le
SVR sono state, nei tre bracci, sempre rispettivamente il 62%, 36%, 20%, per il genotipo 1, il più difficoltoso, 29%, 14% e 7%. Forse positivo l'impatto della terapia per l'HCV sull'HIV. La ribavirina potrebbe svolgere, lo si evince dai dati, un ruolo di prevenzione della
ricaduta. Interruzione dei trattamenti: 39% con IFN
standard, 31% con Pegasys monoterapia e 25% con
Pegasys + RBV. Effetti collaterali gravi: 5%, 10%, 8%,
rispettivamente. Più comune la neutropenia nei bracci con Pegasys:12%. Effetti collaterali e anomalie di
laboratorio: 15% nei tre bracci.
Studio A5071:
questo studio americano ha messo a confronto l'interferone standard con l'interferone pegilato in persone coinfette, con l'aggiunta di ribavirina. I dati presentati sono a 72 settimane. I pazienti eligibili avevano
almeno 100 cells/mm3 di CD4 e HIV RNA < 10.000
cp/mL, terapia antiretrovirale stabile da almeno 12
settimane oppure erano pazienti naive con una conta
dei CD4 di almeno 300 cells/mm3. 133 partecipanti
sono stati randomizzati nel ricevere interferone alfa2a, tre volte a settimana, 6 milioni di IU standard per
12 settimane seguite da 3 milioni di IU standard per
24 settimane, sempre 3 volte a settimana (67 soggetti) oppure interferone peg-alfa-2a (40 kD),180 mg alla
settimana (PEGASYS), per 48 settimane (66 soggetti).
I soggetti in entrambi i bracci ricevevano ribavirina
quotidianamente in dosi da 600 a 1000 mg. I pazienti
che non azzeravano l'HCV a 24 settimane hanno fatto
biopsia epatica. Caratteristiche al basale: 80% uomini,
la metà afro-americani, CD4 medi 400 cells/mm3,
75% genotipo 1. Score di fibrosi medio: 2.0, score HAI
medio: 5.0. Risultati: a 24 settimane, in generale, la
risposta virologica (HCV RNA < 60 IU/mL) si è vista
nel 44% dei pazienti nel braccio con Pegasys a confronto con 15% nel braccio con IFN normale. La
risposta a fine trattamento, dopo 48 settimane, è stata
rispettivamente del 41% e del 12%. Nel braccio con
IFN Peg, la risposta a fine trattamento è stata dell'80%
nel genotipo non-1 e del 29% nel genotipo 1. A 72
settimane, la SVR è stata del 27% nel braccio con IFN
messi a confronto interferone standard con quello
pegilato, però è stato utilizzato l'interferone peg alfa2b (Peg-Intron, prodotto da Schering Plough). Le persone eligibili avevano al basale HCV RNA detectabile,
istologia epatica non normale, conta di CD4 di almeno 200 cells/mm3, HIV RNA stabile, stabile infezione
da HIV, con o senza ART. Le persone sono state randomizzate a ricevere 3 milioni di IU di IFN standard
3 volte alla settimana (207 soggetti) o 1.5 mcg/Kg di
interferone peg una volta alla settimana (205 soggetti). Entrambi i bracci hanno ricevuto 800 mg di ribavirina al giorno. Simili le caratteristiche al basale nei due
bracci: 74% maschi, 79% fruitori di droghe iniettive,
età media 40 anni. CD4 medi 500 cells/mm3, 66% non
detectabile all'HIV RNA (< 400 cp/mL) e l'82% in
terapia ART. Il 58% aveva genotipo 1 o 4, il 34% genotipo 3 e l'8% altri genotipi. Il 40% aveva fibrosi allo stadio F3-F4, di questi il 17% aveva ALT normali. Risultati:
a 72 settimane la SVR è stata raggiunta dal 19% dei
soggetti trattati con IFN standard e dal 27% con IFN
Peg (analisi ITT). Considerando solo coloro che sono
stati in terapia (as-treated analysis), le percentuali di
risposta, rispettivamente, sono state del 12% versus
20% alla settimana4, 34% versus 41% alla settimana12,
41% versus 54% alla settimana 24, 34% versus 52%
alla settimana 48, 26% versus 35% alla settimana 72.
SVR nei pz. con genotipo 1: 5% versus 15%. SVR nei
pz. con genotipo non-1: 40% versus 45%. L'EVR (early
virological response) alla settimana 4 è fortemente
predittiva della SVR, mentre la mancanza di risposta
alla settimana 12 è predittiva di una mancata SVR.
Alcuni miglioramenti istologici visti nei responders. Il
40% ha interrotto lo studio in entrambi i bracci, il 30%
ha avuto effetti collaterali seri (compreso 6 casi di
iperlattatemia). Diminuzione dell'emoglobina.
Commento:
Peg e del 12% nel braccio con IFN normale. Da notare la diminuzione, nel braccio con Pegasys, della percentuale di risposta a fine trattamento e di quella
invece a 72 settimane (SVR): dal 41% al 27% ! SVR per
genotipo (rispettivamente Pegasys e IFN standard):
genotipo non-1, 73% e 33%; genotipo 1: 14% e 6%.
Nessuno dei pazienti che alla 12-esima settimana
aveva fallito nel raggiungere almeno due log di riduzione di HCV RNA ha avuto una SVR. La SVR inoltre
è stata associata con l'assenza di storia di tossicodipendenza iniettiva e con la non detectabilità all'HIV
RNA all'ingresso dello studio. La risposta istologica si
è vista nel 52% di coloro che hanno risposto virologicamente e nel 36% di chi non ha risposto. Ben tollerati entrambi i regimi, simili effetti collaterali.
Studio Ribavic:
risultati a 72 settimane dello studio francese ANRS
HC02-RIBAVIC. Soggetti 412. Anche qui si sono
non è chiaro come mai la SVR delle persone che
hanno ricevuto interferone Peg sia stata così alta
nello studio APRICOT rispetto agli altri due studi.
Nell'ACTG A5071, braccio Peg, nonostante una
buona risposta a fine trattamento, ci sono state molte
ricadute. Il dosaggio dell'interferone era più basso, per
cercare di migliorare la tollerabilità. Se questo è vero,
anche il tempo di assunzione della RBV potrebbe giocare un ruolo importante. La popolazione dello studio Ribavic era più difficile da trattare: molti fruitori di
droghe iniettive, più soggetti con ALT normali, più
avanzata malattia epatica. Qualcuno dice però che
questo studio riflette di più il mondo reale. Più alti
anche gli effetti collaterali e le percentuali di abbandono, differenti i tipi di interferone Peg. Non omogeneità sui CD4 al basale. I dati sono dunque non consistenti. Concludiamo evidenziando i dati positivi: alta
SVR nell'APRICOT ed alta EVR nell'ACTG A5071.
Riferimenti:
Torriani FJ et al. Final results of APRICOT: a randomized, partially blinded, international trial evaluating peginterferon-alfa-2a + ribavirin vs interferon-alfa-2a +
ribavirin in the treatment of HCV in HIV/HCV co-infection. Eleventh Conference
on Retroviruses and Opportunistic Infections, San Francisco, abstract 112, 2004.
Chung R et al.A randomized, controlled trial of PEG-interferon-alfa-2a plus ribavirin vs interferon-alfa-2a plus ribavirin for chronic hepatitis C virus infection in
HIV-co-infected persons: follow-up results of ACTG A5071. Eleventh Conference
on Retroviruses and Opportunistic Infections, San Francisco, abstract 110, 2004.
Perronne C et al. Final results of ANRS HC02-RIBAVIC: a randomized controlled trial of pegylated-interferon-alfa-2b plus ribavirin vs interferon-alfa-2b plus
ribavirin for the initial treatment of chronic hepatitis C in HIV co-infected
patients. Eleventh Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, San
Francisco, abstract 117B, 2004.
Mauro Guarinieri
La terapia HAART
sarebbe associata ad un
maggior rischio di diabete
L'esposizione alla terapia HAART sembra essere
associata ad un maggiore rischio di diabete tra le persone sieropositive. Secondo gli autori dello studio
[Study title: Prevalence and Incidence of Pre-Diabetes
and Diabetes in the Multicenter AIDS Cohort Study.
Abstract 73] "La resistenza all'insulina e l'iperlipidemia sarebbero ormai comuni tra le persone sieropositive, e potrebbero essere direttamente associate alla
terapia HAART". Per meglio stabilire quale sia la
reale incidenza di diabete ed iperlipedemia tra le persone sieropositive, e valutare i fattori associati all'aumento del rischio di diabete, i ricercatori hanno
preso in esame 1,278 uomini arruolati nel
Multicenter AIDS Cohort Study, utilizzando dati relativi al periodo compreso tra il mese di Aprile 1999 ed
il Settembre 2002. Dopo avere escluso i soggetti con
valori di glucosio superiori a 105 mg/dL, coloro che
usavano farmaci per il trattamento del diabete, o che
auto-riportassero una diagnosi di diabete, la coorte si
è ridotta a 765 soggetti, 407 dei quali HIV-. Delle 358
persone sieropositive, 272 erano in trattamento con
terapia HAART. L'iperglicemia era definita sulla base
di livelli di glucosio uguali o superiori a 110 mg/dL,
mentre il diabete era definito sulla base di valori di
glucosio uguali o superiori a 126 mg/dL. Lo studio ha
dimostrato che le persone sieropositive hanno una
probabilità 2.61 volte maggiore di sviluppare iperglicemia rispetto alle persone sieronegative, anche se, a
causa del numero insufficiente di soggetti, non è stato
possibile stabilire quale ruolo giochi esattamente la
terapia HAART. Considerando i soggetti presi in
esame, gli uomini sieropositivi hanno una probabilità
4.57 volte maggiore di sviluppare diabete, rispetto ai
soggetti sieronegativi. Dopo avere corretto il dato
per età e massa corporea, le persone sieropositive
avrebbero una probabilità di sviluppare diabete 2.16
volte maggiore rispetto ai controlli HIV-.
Considerando il tipo di farmaci utilizzati, l'esposizione
agli inibitori della proteasi sembrerebbe associata ad
una probabilità 2.38 volte maggiore, l'esposizione a
stavudina ad una probabilità 2.77 volte maggiore,
mentre l'esposizione ad efavirenz sarebbe associata
ad un aumento di rischio di 3.16 volte.
La nevirapina per la
riduzione della trasmissione
materno-fetale
La riduzione
del dolore
Nel corso della prima giornata sono stati presentati i
dati relativi ad uno studio condotto in Sud Africa ed in
Tailandia sull'uso di nevirapina per la riduzione della
trasmissione materno-fetale. Sulla base dello studio
una singola dose di nevirapina potrebbe indurre, infatti, resistenza all'intera classe degli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa in un numero significativo di casi. Considerato che la nevirapina rappresenta
uno dei farmaci chiave nelle strategie di prima linea
raccomandate dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità per combattere la diffusione dell'AIDS nei paesi
in via di sviluppo, i risultati presentati a San Francisco
potrebbero portare ad una revisione delle strategie
utilizzate nel sud del mondo. Sulla base dello studio,
l'uso di una singola dose di nevirapina, somministrata
alla madre durante il travaglio, per la riduzione della
trasmissione materno fetale, sarebbe associata all'emergenza delle resistenze K103N e Y181C nel 40%
dei casi. La dott.sa Mary Glenn Fowler, del centro per
il controllo delle malattie di Atlanta, ha definito i risultati dello studio "drammatici". Sulla base dello studio
le donne che avevano sviluppato resistenza a nevirapina, in seguito all'esposizione ad una singola dose, e che
più tardi iniziano il trattamento antiretrovirale, avrebbero minori probabilità di ottenere una risposta ottimale al trattamento. Ciononostante, l'Organizzazione
Mondiale della Sanità ha già annunciato che non intende, per il momento, modificare le linee guida, ritenendo i dati dello studio "non-conclusivi". Anche secondo la dott.sa Fowler, considerato che lo studio prevedeva il monitoraggio della madre e del bambino per
soli sei mesi, saranno necessari ulteriori studi.
Un poster ampiamente citato nelle presentazioni
orali, ha confermato che l'uso di marijuana
(tetrahydrocannabinol, THC) garantirebbe una
significativa riduzione del dolore associato alla
neuropatia periferica nelle persone sieropositive
(poster 496).
Il 63% dei 16 partecipanti ha riportato una riduzione del dolore del 30% (14 pazienti hanno
riportato una riduzione del dolore sensibilmente
superiore al 30%).
Lo studio, condotto presso l'Università della
California, San Francisco, prevedeva l'uso di sigarette di marijuana con una concentrazione di
THC del 3,56%, per 7 giorni, dopo un periodo di
induzione di 2 giorni.
Ai pazienti era richiesto di quantificare il dolore
associato alla neuropatia periferica utilizzando
una scala composta da 10 punti. Secondo la
dott.sa Cheryl Jay,
Professore associato di Neurologia presso
l'Università della California, e autrice dello studio,
le sigarette di marijuana sarebbero associate ad
una maggiore riduzione del dolore rispetto all'uso di Marinol - una versione sintetica del THC,
tipicamente associato ad effetti disforici (depressione, e mancanza di riposo) e sarebbero più gradite ai pazienti.
La metà dei pazienti arruolati nello studio utilizzava abitualmente marijuana prima dello studio,
sia a scopo ricreativo, sia a scopo terapeutico, ma
prima di essere arruolati hanno dovuto interromperne l'uso per 30 giorni.
Andrea Giocattoli
N.15 I nve rno 2004
DONNE E HIV: IL PROGETTO PHILOS
La denuncia è secca: donne "mal curate" da una medicina a "misura d'uomo" che
non tiene conto delle differenze di genere. A farla è Elvira Reale, primario psicologo della Asl Napoli 1 e componente della Commissione salute donna del ministero della salute, che ha presentato lo scorso dicembre una ricerca sull'argomento al
convegno "Donne nella Scienza: rafforzare le pari opportunità nello spazio europeo
della ricerca", ospitato all'università Roma tre. Se c'è un settore della medicina in
cui più che in altri si è affrontata la questione della necessità di uno specifico
approccio alla donna e in generale alle differenze di genere in modo non "ideologico", questo è proprio l'AIDS. Sono moltissimi i dati che mostrano un aumento delle
infezioni da HIV nelle donne e la necessità di un approccio specifico alla questione:
già nel 2001 la Kaiser family Foundation aveva richiamato l'assoluta necessità di specifiche iniziative - sia per la prevenzione sia per la clinica - per affrontare la questione, data la maggiore vulnerabilità anche sociale delle donne all'infezione e recentissimamente, il primo Morbidity and Mortality Weekly Report di quest'anno indica che nella città di New York oltre un terzo delle nuove infezioni sono a carico
delle donne. In Italia circa la metà delle infezioni da HIV sono conseguenti a rapporti eterosessuali e circa il 30% delle infezioni sono a carico delle donne.
Ma, come ha mostrato lo studio Icona la probabilità di iniziare una prima terapia
con tre farmaci è nettamente superiore negli uomini rispetto alle donne. E' noto
che tra i medici vi sia una certa riluttanza a somministrare terapie potenti alle
donne per paura di effetti collaterali. In vari studi è stato dimostrato che un elevata percentuale di pazienti sospende, nell'arco di un anno, almeno uno dei farmaci a
causa della tossicità e che le femmine presentano un rischio significativamente
superiore di interruzione
della terapia. La constatazione del minor accesso
delle donne alle terapie
potenti e il maggior
rischio di sospendere la
terapia per tossicità sono
le ragioni all'origine del
varo del progetto Philos,
acronimo che sta per
"Procedure
in
HIV
Infected women Life
Cicle:
Observational
Study" . Sotto questo
nome si è raccolto un
gruppo multidiscipliare
composto quasi esclusivamente di ricercatrici
mosso dalla consapevolezza che nell'AIDS le
donne incontrano più difficoltà, non è riconosciuto loro un processo specifico di
presa in carico che muova dalla loro peculiarità biologica e mancano procedure codificate che entrino nella gestione ordinaria. Con il coordinamento della Prof.
Antonella D'Armino Monforte e del Dr. Giuseppe Ippolito, infettivologhe, ginecologhe, psicologhe e rappresentanti dell'associazionismo hanno affrontato la questione
donne e HIV con l'obiettivo fotografare la realtà italiana dell'assistenza alle donne
sieropositive e produrre un manuale che delineasse le linee essenziali di assistenza
alle donna con infezione da HIV. Il Progetto Philos ha previsto la distribuzione di un
questionario a donne infettivologhe di 27 Centri Clinici distribuiti omogeneamente su tutto il territorio nazionale alla fine del 2002. Il questionario era strutturato
in modo tale da verificare le strutture di ciascun centro clinico, gli aspetti epidemiologici della popolazione afferente e il management dell'infezione da HIV nella
donna. In media, nei centri partecipanti al progetto erano presenti giornalmente 4
medici e di questi circa il 40% erano donne e psicologi, assistenti sociali, e associazioni/gruppi di auto-aiuto erano presenti rispettivamente nel 48%, 48%, e 44% dei
casi. Il numero di pazienti afferenti ai diversi centri nel 2001 era pari a 18.209 e di
questi il 25.5% erano donne.
L'incidenza della coinfezione HIV-HCV, pur con variazioni da centro a centro, è
risultata presente in circa il 50% delle donne e la percentuale di donne straniere
afferenti ai diversi centri è risultata maggiore nel Nord e nel Centro Italia. In circa
il 40% dei centri erano disponibili supporti per le donne extracomunitarie sotto
forma di opuscoli, mediatori culturali, associazioni, video e filmati.
Dal punto di vista della terapia è emerso, positivamente, il dato che la maggior parte
degli infettivologi intervistati nel decidere quando iniziare la terapia antiretrovirale
non prende in considerazione né il sesso né la nazionalità del paziente, mentre tiene
conto della eventuale infezione da HCV. Sul piano della frequenza degli effetti collaterali in relazione al sesso i risultati del questionario hanno confermato ampiamente i dati della letteratura. Interessante è quanto emerso dall'indagine relativamente alle malattie a trasmissione sessuale e agli screening: il 60% delle donne che
afferivano ai centri partecipanti non aveva mai effettuato un PAP-test, nonostante
l'infettivologo raccomandasse di eseguire il PAP-test. Dinnanzi a questa raccomandazione assolutamente corretta sta il dato, in netta contraddizione, che mostra
come nel 2001, solo il 30-35% delle donne ha effettuato un' indagine ginecologica
suggerendo che, malgrado le raccomandazioni del medico, la donna sieropositiva
non esegua gli accertamenti richiesti. Relativamente al test per HPV, è emerso che
nello stesso periodo di tempo preso in considerazione, in genere è stato eseguito
nell'80% delle donne con esame citologico anormale e solamente nel 40% delle
donne con esame citologico normale. Il questionario ha poi preso in esame quanto l'infettivologo sia disponibile ad affrontare alcuni aspetti della vita della donna,
come ad esempio i problemi delle malattie a trasmissione sessuale, della contraccezione, del desiderio di maternità e dell'utilizzo del condom. I risultati mostrano
che mentre lo stato sierologico per HIV del partner veniva richiesto dalla quasi
totalità degli infettivologi, così come viene correttamente consigliato l'utilizzo del
profilattico in caso di sieropositività del partner (al fine di evitare la trasmissione di
possibili altre infezioni e di possibili ceppi virali diversi), al contrario le tematiche
relative alla contraccezione e al desiderio di
maternità sono poco
discusse. Dato molto
interessante il fatto che
praticamente
nessun
infettivologo pone ostacoli all'accesso delle
donne sieropositive ad
un programma di riproduzione assistita in caso
di discordanza e di infertilità
della
coppia.
Relativamente alla questione gravidanze, durante il 2001 nei centri partecipanti al Progetto
Philos, sono state portate a termine 155 graviEdward Hopper
danze, sono stati 34 gli
aborti spontanei e 91 le interruzioni volontarie di gravidanza. La percentuale di
donne che ha portato a termine una gravidanza è progressivamente aumentata nel
tempo (1.4% nel 1999 e 2.5% nel 2001) e le tossicodipendenti attive giunte al
parto sono state poco meno dell'8%, una situazione ben diversa da quella dei primissimi anni dell'infezione da HIV in cui vi era un problema di assuefazione agli
oppiacei. A fronte di una corretta informazione fornita alla donna sia sul rischio di
trasmissione verticale sia sui rischi connessi all'allattamento, dai risultati emerge
però che nella maggioranza dei centri al momento della rilevazione non era presente una procedura standardizzata per l'invio della donna all'ostetrico e al neonatologo. Sono inoltre emerse incertezze sull'atteggiamento da assumere, circa la
terapia antiretrovirale, in caso di gravidanza. Nel 48% dei casi si decideva di sospendere la terapia se la durata della gravidanza era inferiore alle 12 settimane, mentre
nel 52% dei casi si sospendevano i farmaci potenzialmente teratogeni, riflettendo i
coni d'ombra che sull'argomento sussistono anche nelle linee guida. Concordanza
di atteggiamento tra tutti i centri interpellati invece sull'inizio della terapia nella
donna naive, collocato tra la 12esima e 24esima settimana gestazionale, con un controllo virologico periodico ogni 1.5-2 mesi. In tutti i centri la modalità di parto adottata è risultato il parto cesareo. Il quadro che emerge è sostanzialmente una foto
dinamica della gestione dell'infezione da HIV nelle donne, la prima mai fatta nel
nostro paese. Una base solida di partenza su cui articolare i futuri interventi per di
definire iter diagnostico-clinici uniformi su tutto il territorio e rispettosi della specificità della donna.
Mauro Guarinieri
: L’AGENZIA EUROPEA PER LA REGISTRAZIONE DEI MEDICINALI
Fino alla fine degli anni '90 l'autorizzazione al commercio dei farmaci era prerogativa dei singoli stati europei. Poi, con la nascita dell'EMEA e l'adozione del
documento "Good clinical practice" (GCP), la responsabilità è passata all'Unione Europea. Che l'EMEA, con i suoi 78 milioni di euro di bilancio annuale, in forte
crescita rispetto ai 61 milioni del 2002, agisca e influenzi quanto accade nei singoli stati, è un fatto tangibile. Una maggiore conoscenza dei meccanismi che regolano la commercializzazione dei farmaci in Europa e dell'agenzia che coordina e controlla l'intero processo è dunque essenziale per medici ed attivisti.
Un po' di storia
La costituzione dell'EMEA rappresenta il passo finale di un processo iniziato trent'anni prima.
Nel 1965, la direttiva del Consiglio Europeo
n. 65/65/EEC fu la prima legislazione europea ad affermare il concetto secondo il quale un' attenta valutazione di sicurezza, qualità ed efficacia, deve precedere ogni autorizzazione al commercio relativa a prodotti medicinali.
Nel 1975, gli stati membri dell'Unione Europea si
accordarono su una serie di principi comuni relativi
alla sperimentazione e sull'autorizzazione al commercio dei farmaci, e più avanti, nei primi anni '90, nel contesto di un' operazione generale che aveva lo scopo
di completare la creazione del mercato unico europeo, vennero approvati altri pezzi del complesso legislativo che allargò ulteriormente il campo di azione
dell'Unione Europea, estendendolo ad ogni prodotto
farmaceutico, vaccini inclusi, emoderivati, farmaci
omeopatici e radioterapici.
Il risultato di tale operazione ha fatto in modo che le
procedure per l'immissione in commercio di un farmaco siano ora rigidamente codificate attraverso il
Comitato permanente per i medicinali per uso
umano (CPMP), organo tecnico della European
Agency for the Evaluation of Medicinal Products
(EMEA), creata nel 1993, operativa dal 1995, con sede
a Londra.
L'Agenzia
L'EMEA è composta da un consiglio direttivo, tre
comitati scientifici, ed un segreteria sotto la responsabilità del direttore esecutivo.
Due dei comitati scientifici si occupano di farmaci per
uso umano: Il Committee for Proprietary Medicinal
Products (CPMP) è responsabile della valutazione dei
prodotti farmaceutici per uso umano, mentre il comitato per i farmaci orfani (COMP) è responsabile della
designazione dei farmaci orfani utilizzati per il trattamento di malattie rare. Il terzo comitato si occupa di
farmaci per uso veterinario.
Dal 1995 l'EMEA ha preso in esame 316 domande di
autorizzazione al commercio e ha fornito consulenza
tecnica in 355 occasioni approvando 231 prodotti farmaceutici. Il ruolo dell'EMEA non si esaurisce alla sola
approvazione del farmaco. L'Agenzia è infatti responsabile del monitoraggio di tutti i prodotti farmaceutici presenti sul mercato, controlla il comportamento
di un farmaco attraverso le reti di farmacovigilanza
nazionali e internazionali e può "richiedere" il ritiro di
un prodotto farmaceutico dal mercato qualora ne
ravvisi la necessità.
La registrazione del farmaco
Allo stato attuale sono due le vie che un'azienda farmaceutica può seguire per ottenere l'autorizzazione
all'immissione in commercio di un farmaco.
Con la procedura centralizzata è l'EMEA a pronunciarsi. L'azienda sottopone alla valutazione del
comitato la documentazione sugli studi clinici, sulle
caratteristiche del principio attivo, sui modi di som-
ministrazione e di fabbricazione, sugli obiettivi terapeutici, sugli aspetti etici, e sui criteri di pubblicazione.
In base a tale documentazione l'EMEA, che è costituita da 35 membri nominati dai 15 stati dell'Unione e ha
a disposizione una rete di 2.300 esperti, decide attraverso il meccanismo della maggioranza qualificata. Pur
non essendo prevista l'unanimità non è mai successo
che un farmaco passasse senza un accordo tra tutti i
membri.
Il tempo massimo per l'approvazione di un farmaco da
parte del comitato è di 210 giorni, un limite che
l'Agenzia generalmente rispetta. Prendendo in considerazione l'anno 2002 il tempo medio per la valutazione
è stato infatti di 192 giorni, mentre il tempo necessario
all'iter successivo all'opinione da parte dell'EMEA è
rimasto stabile a 31 giorni.
Dopo che il medicinale ha ottenuto il via libera, è obbligatorio, per tutti i 15 paesi membri, metterlo in commercio "entro 60 giorni dalla richiesta". E' a questo
punto che interviene la legislazione dei singoli stati, ciascuna con le proprie procedure amministrative.
In Italia, dal momento in cui il medicinale è approvato dall'EMEA al momento in cui il Ministero della
Salute ne autorizza la commercializzazione, trascorrono generalmente ben più dei 60 giorni concessi.
Secondo Farmindustria si andrebbe da sei mesi a più
di un anno, fino a record negativi di quattro anni. Nel
frattempo, visto che in Italia la legge prevede che un
medicinale, prima di essere venduto, sia sottoposto
alla classificazione nelle fasce di rimborsabilità e alla
fissazione del prezzo (una trattativa tra azienda produttrice e Ministero della Salute che può durare
anche molto a lungo), i pazienti non possono accedere al farmaco se non in casi eccezionali.
La seconda via che l'azienda può intraprendere è
quella del mutuo riconoscimento, che non riguarda
farmaci innovativi ma prodotti che hanno un prevalente interesse commerciale. E' la corsia preferenziale per raggiungere nuovi mercati quando un farmaco
è già commerciabile all'interno di uno stato
dell'Unione. In questo caso l'azienda si fa forte della
presenza in un paese per ottenere l'autorizzazione
negli altri. Il mutuo riconoscimento si avvia su richiesta dell'azienda produttrice e si basa sullo scambio
d'informazioni tra gli organismi nazionali coinvolti.
Nel caso in cui questi non riescano a trovare l'accordo o che non si possa risalire al cosiddetto "stato di
riferimento", vale a dire il primo che ha messo in
commercio il farmaco e che deve fornire la valutazione sul medicinale, il contenzioso è sottoposto al giudizio inappellabile dell'EMEA.
Solo nel corso del 2002, a fronte dei 39 pareri positivi emessi dall'EMEA attraverso il sistema centralizzato, sono state ben 420 le richieste di mutuo riconoscimento che hanno ottenuto esito positivo. In
alcuni casi, considerati più delicati anche da un punto
di vista politico, l'azienda è obbligata a servirsi della
procedura centralizzata.
Questo vale per i farmaci che derivano da procedimenti biotecnologici, per i quali il parere dell'EMEA è
indispensabile.
Alcuni punti deboli
La creazione dell'EMEA ha rappresentato un passaggio cruciale verso l'armonizzazione delle procedure
europee ed è il risultato di 30 anni di cooperazione
tra gli stati membri nella registrazione dei prodotti
farmaceutici.
Rivolgersi all'EMEA è conveniente per l'azienda che
deve autorizzare un farmaco innovativo, visto che
ricorrere a essa significa sottoporre il medicinale a
un'unica procedura che vale per 15 paesi, invece che
affrontare tanti esami quanti sono gli stati in cui si fa
richiesta. E' anche vero che armonizzare il sistema
farmaceutico in Europa non può che giovare ai cittadini, che possono in tal modo contare su standard di
controllo e qualità omogenei.
Esistono tuttavia alcuni punti deboli che non hanno
ancora trovato soluzione. Ad esempio, non è logico
che l'EMEA sia tuttora sotto il controllo della
Direzione generale che si occupa dell'industria, e non
dipenda invece dalla Direzione generale della sanità
pubblica. Non è logico che, allo stato attuale, l'industria
farmaceutica possa ritirare il suo dossier in qualsiasi
momento della procedura (soprattutto se le cose
vanno male), sottraendo in tal modo dati importanti
alla comunità. Non è logico che l'EMEA non possa
richiedere studi comparativi perché vale soltanto il
principio dell'efficacia, della sicurezza e della qualità,
rendendo possibile in tal modo la registrazione di farmaci che hanno un'attività minore rispetto ad altri già
in commercio. E, a differenza di quanto accade per la
FDA statunitense (vedi riquadro), non è logico che
l'EMEA non abbia la possibilità di condurre ricerche
proprie per verificare l'attendibilità dei dati presentati.
L'ultima limitazione all'autorità dell'EMEA è anche,
probabilmente, il freno più pesante all'autonomia ed
efficacia del suo lavoro. Essa, infatti, non ha ancora il
potere di ritirare i farmaci dal commercio e, quando
l'ha fatto, è stata bocciata dalla Corte di Giustizia.
Fare della giovane Agenzia europea un organismo in
grado di garantire il prevalere dell'interesse della salute
pubblica su quello commerciale è tra gli obiettivi del
processo di revisione relativo a tutta la materia inerente
il commercio e la registrazione dei farmaci nell'Unione,
tuttora in corso presso le istituzioni dell'Unione
Europea, e sulla quale Delta vi terrà informati.
Il modello a stelle e strisce
La Food and Drug Administration nasce nel 1938 con il Food,
Drug and Cosmetic Act. A convincere il governo statunitense a
istituire un organismo di controllo sui farmaci, i cosmetici e il
cibo è un fatto di cronaca: nel 1937 muoiono negli Stati Uniti più
di 100 persone per avere fatto uso di un prodotto, l'elixir sulfanilamide, presente sul mercato senza garanzie di sicurezza.
All'interno della FDA è il CDER (Center for Drug Evaluation
and Research) che segue il farmaco dalla scoperta alla commercializzazione e che valuta l'efficacia della sperimentazione. I
medicinali considerati più urgenti, come quelli per il trattamento dell'AIDS, sono sottoposti a una procedura accelerata e in sei
mesi possono già arrivare sul mercato. Gli esperti del CDER,
chimici, farmacologi, fisici, statistici, e microbiologi, sottopongono ogni nuovo farmaco a un meticoloso esame sulla base della
documentazione depositata dall'azienda. L'FDA ha anche il potere di imporre il ritiro di farmaci dal mercato: dal 1980 è accaduto tre volte in caso di sostanze rivelatesi pericolose per la
salute umana.
ISTITUZIONI e SOCIETA' CIVILE
Incontro con il Presidente della CUF il 9 dicembre 2003
Filippo von Schloesser
Simone Marcotullio
Dopo poco più di un mese dall'incontro che il Presidente della CUF ha concesso all'ICAB (Delta 3 pag.1),
Delta ha ottenuto un nuovo incontro per conoscere alcuni aspetti che i cittadini coinvolti nell'introduzione di farmaci innovativi
affronteranno l'anno prossimo. Il Dr. Martini ci ha ricevuto al Ministero ed ha confermato la propria disponibilità
a mantenere aperto il rapporto con le associazioni che partecipano all'ICAB.
L'Agenzia Unica per il Farmaco
Come già avvenuto nel precedente incontro, siamo stati ricevuti con cordialità ed è stata confermata la stima e
l'apprezzamento per le attività svolte da ICAB. Il Dr. Martini si è riservato di darci ulteriori precise informazioni sulla
costituenda Agenzia, non appena vi saranno indicazioni precise da parte del Ministro. Infatti l'istituzione di tale entità è ancora
in fase preliminare e non è dato sapere se è prevista la partecipazione delle associazioni in permanenza, per area di patologia
o su specifica richiesta ministeriale. Attualmente, o almeno a breve termine, non è prevista la costituzione di un
organismo analogo all'EMEA per la negoziazione a livello paneuropeo dei prezzi dei farmaci sul territorio dell'Unione.
Istituzioni ed associazioni
Il Dr. Martini ha tenuto a sottolineare che comunque è auspicabile che il rapporto tra associazioni, pazienti ed istituzioni cambi in
maniera sostanziale e che i cittadini, soprattutto quelli coinvolti nelle attività no-profit legate al tema della salute, inizino
a comprendere che il Ministero e le istituzioni non svolgono un ruolo antagonista, ma di garanzia e di tutela per il paziente.
Il Ministero tiene a sviluppare un ruolo privilegiato con le associazioni in un clima di totale trasparenza e il Dr. Martini
raccomanda, in particolare, di preservare le associazioni dal rischio di diventare interlocutrici privilegiate e portavoci
inconsapevoli, come a volte accade, delle industrie farmaceutiche che sviluppano nuovi farmaci: le organizzazioni di difesa
delle persone con patologie debbono mantenere chiaro il proprio ruolo. Abbiamo chiesto al Presidente della CUF
se ritiene che, nell'ambito di tale relazione privilegiata con le istituzioni, le associazioni potranno prevedere un supporto
anche economico che le possa svincolare dal rapporto diretto con l'industria, tradizionalmente legata al profitto.
Attualmente, ha affermato il Dr. Martini, non è previsto alcun supporto alle associazioni no-profit da parte ministeriale.
La direttiva Europea del 27 novembre 2003
In relazione alla direttiva del Parlamento Europeo, emendamento 91 del 27 novembre scorso, abbiamo chiesto se il Ministero della
Salute ritiene inopportuno il fatto che i singoli pazienti possano riportare direttamente, anche via fax, eventi avversi a causa di
farmaci assunti. Il Dr. Martini ci ha risposto che tale direttiva lo preoccupa, in quanto il cittadino non sempre ha una preparazione
specifica per riconoscere se tali eventi possano essere legati a nuovi farmaci e ritiene più opportuno che le informazioni
sugli eventi avversi arrivino al Ministero attraverso un filtro che potrà essere definito in seguito, quale ad
esempio un medico con conoscenze specifiche.
Strategie di contenimento dei prezzi
Abbiamo rivolto al Dr. Martini la domanda specifica sulle possibili strategie per non danneggiare i cittadini nell'accesso a farmaci
innovativi e, allo stesso tempo, fronteggiare il continuo aumento dei prezzi richiesto dalle industrie farmaceutiche. Questi ci ha
risposto che già nella legge finanziaria per il 2004 sono previste strategie di carattere generale ed in particolare, laddove si
presenti uno sforamento del budget della spesa farmaceutica, sarà richiesta la copertura da parte dell'industria farmaceutica per
un 60% del surplus non in preventivo, mentre il restante 40% sarà coperto dalle Regioni. Quindi non sarà più possibile un costante
superamento del bilancio preventivo e l'attività di controllo si baserà sul monitoraggio del bilancio consuntivo dell'anno precedente.
Ancora sul Fuzeon
Per quanto concerne il problema del prezzo del Fuzeon, oggetto della precedente riunione, il Dr. Martini ha confermato
che Roche, incontratasi con la CUF il 5 novembre scorso, non ha dichiarato la propria disponibilità a ridurre il prezzo del farmaco
se non di un 3% e pertanto la fascia C sembra l'unica possibilità accettabile da parte delle istituzioni italiane.
La trattativa con Roche, al 9 dicembre, è tuttora in corso.(*)
Il prossimo incontro
Tenuto in conto che la composizione della futura Agenzia e la sua operatività sono ancora in fieri(**), abbiamo chiesto al Dr. Martini
di poter tornare sul tema nel corso del mese di Febbraio 2004, quando si auspica che le decisioni al riguardo saranno conosciute in
seno al Ministero e di conseguenza, sarà possibile divulgarne il contenuto.
* Con decreto pubblicato in G.U. n. 40 del 18/02/2004 il Ministero della Salute ha
autorizzato l’immissione in commercio del Fuzeon.
RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’HIV
N.15 Inverno 2004
Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c legge 662/96 - Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001
Direttore Responsabile: Filippo Schloesser
Redazione: Mauro Guarinieri, Simone Marcotullio, David Osorio
Comitato scientifico: Dr. Ovidio Brignoli, Dr. Claudio Cricelli,
Francois Houyez (F), Dr. Martin Markowitz (USA), Dr. Simone Marcotullio,
Dr. Filippo Schloesser, Prof. Fabrizio Starace, Dr. Stefano Vella
Grafica a cura di: Stefano Marchitiello
Collaboratori di redazione: Roberto Biondi, Valentina Biagini, Simone Marchi
Stampa: Arte della Stampa-Roma
Editore: NADIR ONLUS via Panama 88 - 00198 Roma
Per ricevere una copia della rivista ritagliare il riquadro,compilarlo in ogni voce
e spedirlo al seguente indirizzo: Nadir Onlus, via Panama 88 - 00198 Roma
** Al momento di andare in stampa è stata avviata la costituzione della nuova Agenzia.
Ci riserviamo di aggiornare le informazioni nel prossimo numero di Delta.
Ringraziamo Abbott S.p.A.
per il contributo per la stampa e la grafica del
n.15 di Delta.
Le fotografie presenti in questo numero di Delta non sono sono soggette a royalties o pagate ove dovute.
Le fotografie di S.Francisco sono di David Osorio.
La rivista Delta rientra tra le attività istituzionali dell'associazione Nadir ONLUS, attività di utilità sociale
non a fini di lucro, il cui scopo primo è l'informazione/formazione a favore delle persone sieropositive.
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Il n umero 15 di Delta è dedicato alla memoria di
VALENTINO MONTEFUSCO
antiquario
F oggia, 7 giugno 1947 - Roma, f ebbraio 1991
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