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FOLIGNO – Giugno 2015
LA GALLERIA
DELLA FRANCA E IL
CEMENTO CHE MANCA
R
icordate i due operai oscurati che
denunciavano a Report come nelle gallerie della Foligno- Civitanova
Marche ci fosse meno cemento di quello
occorrente? Qualche mese fa all’ inaugurazione di un tratto della quattro corsie –
dove erano presenti tutte le autorità civili
e religiose compresa la riconfermata presidente della Regione Catiuscia Marini - il
presidente dell’Anas, Gianni Armani, con
sussiego e alterigia spiegava come questo
non fosse possibile, che degli operai non
potevano mettere in discussione quanto
attestato da valenti progettisti ed ingegneri,
che era una sorta di vendetta di lavoratori di cui non erano state accettate alcune
richieste. “Comunque” si concludeva “saranno fatti gli opportuni accertamenti”.
Gli accertamenti sono stati fatti ed hanno
sanzionato che nella galleria in questione
di cemento ce n’è meno di quello preventivato. Comunque, concludono i tecnici
della società, le gallerie non crolleranno,
per quanto sia necessario che si facciano verifiche su tutte quelle presenti lungo
il tracciato. Risultato: la strada, di cui si
preannunciava il completamento prima
dell’estate, subirà nuovi ritardi. Morale: una
quattro corsie sostanzialmente inutile, paesaggisticamente e ambientalmente impattante, è naturalmente destinata ad essere,
come ormai avviene per tutte le grandi
opere, criminogena. Per capire. Il committente è la società Quadrilatero MarcheUmbria spa, società interamente pubblica,
che ha affidato la realizzazione del progetto
alla Società Val di Chienti. Quest’ultima
raggruppa alcuni grandi gruppi operanti
nel settore della opere viarie e delle infrastrutture. Nello specifico ne fanno parte la
STRABAG Italia, diramazione di una grande
impresa austrica del settore, attualmente
impegnata non solo nella quattro corsie Foligno - Civitanova, ma nella progettazione
e nella costruzione del secondo lotto della Pedemontana Lombarda, in alcuni lotti
della Grosseto -Siena e la realizzazione del
nuovo Polo CardioVascolare del Policlinico
S.Orsola di Bologna; la onnipresente Cooperativa cementieri e muratori di Ravenna,
impegnata in varie grandi opere a cominciare da quelle collegate all’alta velocità e
implicata in molteplici inchieste; la Grandi
lavori Fincosit per caratterizzare la quale
è utile ricordare che il suo ex presidente
Alessandro Marazzi ha patteggiato più volte
rimborsi allo Stato legati alla vicenda Mose
(dove la Fincosit è stata impegnata come
in altre iniziative di costruzione perlomeno
chiacchierate), l’ultimo nel settembre scorso per 4 miliardi, dopo la sua scarcerazione
dal penitenziario di Parma; dal Consorzio
stabile Centritalia una società del gruppo
Anemone, per intenderci quello coinvolta
nell’inchiesta grandi eventi e in quella che
ha investito Angelo Balducci, l’ex presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici
sodale del ministro Lupi, dimessosi dopo lo
scandalo che ha coinvolto il grand comis
dello Stato. Sull’ amministratore delegato
della società, Diego Anemone, i giudici del
Tribunale di Roma hanno affermato come
si tratti di un soggetto «dedito abitualmente a traffici delittuosi, in relazione al vivere
abitualmente con proventi di attività delittuose, in un particolare contesto criminale
che opera in altissimi ambienti istituzionali”. Ovviamente il raggruppamento è il
contraente generale dell’opera, poi iniziano
gli affidamenti ed i subappalti e tutto quello
che questi comportano. Con simili protagonisti in campo c’è da stupirsi che ci sia
meno cemento del previsto nella galleria la
Franca?
***
CONTRORIFORME
I
l termine “riforma” è forse quello più
abusato e che ha smarrito il suo significato originario. In passato riformare voleva dire introdurre novità di
tipo progressista in contrapposizione a
quanti volevano conservare lo stato di
cose esistente. Oggi il termine riforma
viene attribuito a qualsiasi cambiamento, anche a quelli che fanno retrocedere
i diritti dei lavoratori o vogliono trasformare le scuole pubbliche in aziende
gestite da un manager. In realtà si tratta
di vere e proprie “controriforme”. E tali
sono anche il nuovo sistema elettorale,
il cosiddetto Italicum, divenuto legge
dello Stato, la n. 52 del 2015, e il disegno
di legge governativo che modifica 47
articoli della Costituzione attualmente
all’esame del Senato, il cui effetto congiunto sarà quello di mettere a rischio
la democrazia costituzionale, che è
fondata su un insieme di limiti posti a
chi è titolare del potere politico e sul riconoscimento del ruolo fondamentale
dei corpi intermedi istituzionali (come
il Parlamento), politici (i partiti) e sociali
(sindacati e associazioni).
Intanto le due controriforme seppellirebbero la forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione, la
quale è incentrata sulla derivazione del
Governo non direttamente dal corpo
elettorale, ma dal Parlamento, al quale
l’esecutivo è legato dal rapporto di fiducia, e sulla sua “flessibilità”, che consente la sostituzione del Presidente
del Consiglio nel corso della legislatura
senza che si debba necessariamente
procedere a nuove elezioni se vi è una
maggioranza parlamentare in grado
di sostenere un nuovo governo. Non
vi è dubbio che, in modo crescente
soprattutto nelle ultime legislature, il
ruolo legislativo del Parlamento è stato
fortemente ridimensionato dal ricorso
sistematico e abnorme da parte del
Governo ai decreti legislativi, adottati in
base a leggi di delegazione sempre più
generiche e permissive, e ai decreti legge, approvati senza i presupposti della
straordinaria necessità ed urgenza anche per varare importanti riforme, nonché dalla posizione costante da parte
del Governo della questione di fiducia,
una sorta di ricatto rivolto ai parlamentari della maggioranza che impone
loro di votare a favore di un testo che
non condividono se vogliono evitare
le dimissioni del Governo. Tuttavia la
Costituzione non è stata modificata.
Ed è fallito il tentativo di Berlusconi di
cambiarla, facendo approvare dalla sua
maggioranza una “riforma” costituzionale che introduceva un “premierato
assoluto”, e una legge elettorale orribile, il Porcellum, fondata su un abnorme
premio di maggioranza e su liste bloccate, quindi su parlamentari nominati
più che eletti. Prima è stato il corpo
elettorale nel referendum del 2006 a
bocciare sonoramente la legge costituzionale. Poi la Corte costituzionale alla
fine del 2013 ha dichiarato incostituzionali le previsioni del Porcellum su premi
di maggioranza e liste bloccate.
Al contrario le controriforme in atto
produrrebbero una derivazione popolare del “capo” del Governo. Infatti la
legge elettorale impone che ogni forza politica prima delle elezioni indichi
la persona del proprio “capo”, come
già faceva il Porcellum. Ma qui non si
tratterebbe più del leader di una coalizione, ma del capo di un unico partito,
quello di maggioranza relativa, al quale
la legge assegna artificiosamente almeno il 54% dei seggi al primo turno,
purché raggiunga il 40% dei voti, o
con maggiore probabilità al secondo
turno, riservato solo ai due primi partiti. In questo ballottaggio tra liste, non
previsto in nessun Paese democratico,
il voto degli elettori si concentrerebbe
inevitabilmente sulla scelta tra due leader. Inoltre, poiché al secondo turno
non è prevista nessuna soglia, né di
partecipazione per la sua validità, né
di accesso per le due liste ammesse, la
maggioranza più che assoluta dei seggi
potrebbe essere attribuita ad una lista
che potrebbe aver ottenuto l 30% dei
voti, o anche meno, al primo turno,
cioè, considerando la crescita dell’astensione, il 15% o poco più del corpo
elettorale. Quindi sarebbe ridotto ad
una pura formalità il potere del Presi-
dente della Repubblica di nominare il
Presidente del Consiglio plebiscitato
da una minoranza del popolo, il quale
si approprierebbe di fatto anche del
potere di scioglimento anticipato della
Camera. Infatti egli potrebbe contare
non solo su un maggioranza più che
assoluta, ma su un gruppo parlamentare di fedelissimi, eletti in parte grazie al
premio. Pe di più l’Italicum prevede che
i capilista nelle cento circoscrizioni siano eletti senza preferenza e che si possano presentare ciascuno in dieci circoscrizioni, determinando con l’opzione
per una di queste, anche l’elezione tra
i primi non eletti di un buon numero di
deputati, che saranno quelli più fedeli
al leader supremo. Il rapporto di fiducia
sarebbe di fatto svuotato. E qualora vi
fosse anche una piccola fibrillazione nel
partito di maggioranza su una proposta del Governo, il “capo” non esiterebbe a porre la questione di fiducia imponendo la disciplina di gruppo. È evidente che il Parlamento diverrebbe un
ostaggio nelle mani del Governo e non
avrebbe alcuna possibilità di cambiare
l’esecutivo né un Presidente del Consiglio incapace o pericoloso. Insomma si
realizzerebbe nei fatti quel “premierato
assoluto” tanto sognato da Berlusconi
contro il quale il centro-sinistra e tanti
democratici si sono in passato mobilitati.
L’affossamento della forma di governo
parlamentare sarebbe rafforzato dalla approvazione del disegno di legge
costituzionale. Questo infatti trasforma
il Senato in una Camera debole per la
composizione e per le funzioni. Infatti
esso non sarebbe più eletto dal corpo
elettorale, ma dal ceto politico regionale: dei suoi 100 membri, 74 consiglieri regionali e 21 sindaci sarebbero designati
dalle assemblee regionali (e non si capisce cosa ci starebbero a fare in una assemblea che dovrebbe rappresentare
le Regioni 5 senatori nominati per sette
anni dal Presidente della Repubblica). A
parte le leggi bicamerali (come quelle
costituzionali, ma quale legittimazione
avrebbe un Senato non elettivo per
esercitare una funzione così rilevante?)
i poteri legislativi ordinari esercitati dal
Senato sarebbero comunque aggirabili
dalla Camera a maggioranza semplice
o assoluta (comunque garantita dalla
legge elettorale). Il Senato continuerebbe a partecipare all’elezione di importanti organi di garanzia (Presidente
della Repubblica, un terzo dei giudici
costituzionali e dei componenti del
Consiglio superiore della magistratura).
Ma il numero ridotto dei senatori e la
presenza al Senato di un certo numero di consiglieri regionali e sindaci del
partito in maggioranza alla Camera,
consentirebbe a questo di modificare
liberamente la Costituzione, per cui è
sufficiente la maggioranza assoluta, e di
influenzare in modo determinante l’elezione degli organi di garanzia. In definitiva le due riforme attribuirebbero un
potere enorme al primo partito di minoranza, grazie ad un premio di maggioranza artificiale, e soprattutto al suo
leader, del quale il partito o quel che ne
resta fungerebbe da comitato elettorale, e indebolirebbero i contrappesi e
i poteri di garanzia. La forma di governo non diventerebbe presidenziale, in
quanto mancherebbero i contrappesi
previsti dalla Costituzione degli Stati
Uniti, ma piuttosto presidenzialistica,
in quanto caratterizzata dallo squilibrio
fra i poteri e da una concentrazione di
poteri che pregiudicherebbero la democraticità della forma di Stato.
Alle controriforme occorre quindi opporsi, come intende fare il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, costituito a livello nazionale su iniziativa di varie personalità, di parlamentari
e di un ampio ventaglio di associazioni
e di forze politiche. Anche in Umbria
occorre operare per dare vita ad un’analoga struttura a livello regionale.
L’attacco alla Costituzione e alle regole
democratiche non è un fatto tecnico o
di poca importanza, ma vuole distruggere l’argine che si oppone allo smantellamento dei diritti e dell’intervento
sociale dello Stato e alla creazione di
una gestione del potere verticale, basato sul rapporto diretto tra capo del Governo e popolo, il quale, come scriveva
Rousseau nel Contratto Sociale sarebbe
“libero” solo nel giorno del voto per diventare subito dopo uno “schiavo”, un
“niente”. Anche stavolta il tentativo può
essere respinto in nome non della pura conservazione dell’esistente, ma di
principi e di valori non negoziabili, come quelli che contrassegnano la nostra
Costituzione e sono posti a fondamento dello Stato democratico.
Mauro Volpi
SOMMARIO
I 5 STELLE A FOLIGNO
[pag. 3]
REGIONALI 2015
[pagg. 4-5]
DA TREELLLE A DDL
BREVE STORIA DI UNA
RIFORMA
[pag. 6]
ROTTAMARE L’EUROPA
[pag. 7]
UN SACCO DI GUAI
dal film Nostalghia di Andrej Tarkovskij
[pag. 8]
2
N. 12 – GIUGNO 2015
CULTURA
UNA NUOVA PUBBLICAZIONE:
ARCHEOLOGIA ATTIVA
U
n progetto didattico è stato
portato a compimento, e si
stanno prospettando importanti sviluppi futuri.
Dal marzo del 2012 ha preso il via
una esperienza di scavo e rilievo
archeologico, riservata agli studenti del Liceo Classico Federico
Frezzi e Beata Angela di Foligno, e
conclusasi lo scorso 23 aprile con
l’inaugurazione della mostra permanente nelle Sale della Sezione
archeologica del Museo della città
a Palazzo Trinci e con la presente
pubblicazione.
Sito degli scavi è un’area non occupata dalle attuali sepolture del
Cimitero di Cancelli, scelto grazie
alla collaborazione tra la scuola,
la Comunanza agraria di Cancelli e l’Oratorio della Parrocchia di
Sant’Eraclio. Con l’interessamento
della Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Umbria e degli
uffici del Comune di Foligno l’idea
può essere istituzionalizzata.
Per i giovani studenti “apprendisti” archeologi, gli insegnanti e gli
esperti dei vari settori, durante
l’anno scolastico hanno predisposto lezioni preparatorie, poi nei
mesi estivi, per quattro settimane,
si è tenuta la vera e propria campagna di scavi, in cui si sono alternati
una trentina di studenti dal primo
al quinto anno. Tutte le attività si
sono svolte sotto il controllo degli
insegnanti e di esperti archeologici, geologi e restauratori, fornendo
anche informazioni sulla legislazione dei beni culturali. Infatti una
volta eseguito lo scavo il materiale
ritrovato è stato sottoposto a lavaggio, per essere poi inventariato
con la numerazione fornita dalla
soprintendenza, per poi completare il lavoro con un rilievo eseguito
nel periodo invernale.
La scommessa sulle nuove generazioni ha portato buoni frutti: durante una conversazione tra me e
i giovani che hanno preso parte a
questa particolare attività didattica, mi è sembrato che sia veramente utile investire e approfondire la
conoscenza pratica di argomenti
anche particolari come l’archeologia. Infatti dal racconto appare un
GIOSTRA E ISTITUZIONI
Gazzetta di Foligno n.9 (24/05/2015)
La stampa semi-clandestina
(e le manovre in edicola)
A volte quando acquisto il mio giornale, / ci
trovo dentro un altro giornalino / che s’è infilato come un clandestino / in mezzo al quotidiano abituale. / L’inserimento è sempre repentino / con manovra furtiva o plateale. / Restituirlo subito che vale? / E poi non costa manco
un nichelino. / Vi si spremono sempree acute menti / che ti spiegano il mondo come va
/ con critiche profonde e intelligenti. / Ma sì,
va bene, diamogli una letta! / In fondo è peggio la pubblicità / che ti intasa ogni giorno la
cassetta.
Luciano Cicioni
Zitti tutti, arriva la gazzetta! Ma sì, diamogli
una letta, sorseggiando lentamente magari
una birretta, poiché è risaputo che certe cose
vanno digerite senza fretta, altrimenti l’intoppo
non lo buchi neppure con l’accetta. E se per
caso il dire è in rima perfetta, rimani a bocca
aperta … oh che vergogna, che disdetta! C’è
da scappar via, magari in bicicletta, sperando
che la strada non sia troppo stretta e soprattutto non conduca nei pressi della Gazzetta,
dove, è risaputo, c’è una setta che possiede
una magica bacchetta, destinata in esclusiva
a chi non vuol dar retta e svia con ostinazione dalla strada corretta e per i quali non serve
brandire neppure una crocetta. Povera libertà
di stampa, povera barchetta, credevi di poter
navigare in mare aperto, ma negli stretti ancora vegliano appostati i “saputi” con i vecchi fucili a bacchetta. Va barchetta, va dove ti pare e procedi a zig-zag, per costringerli a qualche faticosa piroetta, affinché al massimo dello sforzo udranno il loro “cul fare trombetta”.
L’INDIRIZZO È:
“[email protected]”,
oppure “[email protected]”.
“QUI”
D
al 2011, a giugno e a settembre,
sfogliamo curiosi “Qui è tempo di Quintana”, un periodico
di formato quadrotto che speriamo
venga raccolto e conservato nella Sezione dei Materiali Grigi della nostra
Biblioteca Comunale a testimoniare
per i posteri il livello scadente (per
non dire di peggio) con il quale l’Ente
Giostra pretende di informare e dunque far parlare di sé. Scadente la selezione dei temi, scadente le modalità
di esposizione, scadente la lingua italiana (una roba da siparietto cinguettante), scadente la grafica, e pensare
che da molti anni ormai vive sulle nostre dolci colline Alfred Hoenegger, un
grafico da dizionario internazionale! Il
confronto tra il “Qui” del settembre
2014 e il “Qui” del giugno 2015 risulta istruttivo.
Di primo acchito i due opuscoli sembrano documenti affini, ma a ben
vedere le diversità sono molte a cominciare dal numero di pagine che nel
secondo volumetto è minore rispetto
a quello del primo; per continuare con
la qualità delle immagini, in qualche
caso buona dal punto di vista tecnico,
ma dai contenuti meno elaborati, per
non dire spenti; quando non siano serializzate in sequenze che fanno pensare agli sbarramenti carcerari. Sarà
frutto della nuova era, contrassegnata
dalla riduzione della spesa. Quanto alle copertine, quella del settembre ’14
metteva in primissimo piano un’ammiccante ed encomiastica caricatura
del cavalier Didì, con faccione sorridente su corpicino miniaturizzato,
manina sinistra salutante, manina
destra sorreggente sfera di cristallo
trasparente (con dentro marteguerriero e cavalier giostrante), sfera da
agitarsi per nebulizzarne l’interno di
magica nebbiolina che tanto ci piace-
grande interesse da parte di tutti e
la partecipazione condivisa di chi
collabora sullo stesso piano, senza
ruoli di superiorità, ma tutti con
l’intento di scoprire e indagare la
storia locale. La campagna di scavi
si è svolta sempre in un clima di
collaborazione tra i partecipanti e
di rispetto del luogo in cui erano
sepolture. L’unica nota negativa, a
detta dei ragazzi, è stata la fatica
di un lavoro manuale al caldo e
al freddo, ma anche questo è un
insegnamento! Questa esperienza è quindi stata completa! Una
vera didattica, che per fortuna la
scuola prosegue ora nella zona di
Nocette di Pale. Aspettiamo nuovi
reperti, ma soprattutto sappiamo
che ci saranno ragazzi che avranno sperimentato positivamente.
Ringrazio per la collaborazione
Daniele Falchi.
Marina Renzini
NOTA BIBLIOGRAFICA: Il santuario umbro-romano a Cancelli
di Foligno: archeologia e scuola.
Esperienza didattica del Liceo
Classico “Federico Frezzi - Beata
Angela” di Foligno. A cura di Maria
Laura Manca, Maria Romana Picuti, Matelda Albanesi. Perugia, Fabrizio Fabbri Editore, 2014
va da piccini (tipo Madonna di Lourdes,
Presepio-Bambinello, ecc. ecc., Rosate
Nudità giammai, ovviamente). Nella sferica palla, il luciferino Cavaliere era in
atto di scrutare (in modo complice guardandoci) “il futuro della Quintana”, un
futuro assai radioso come radiosisissimo
era il presente ed era stato il passato.
Sfogliando poi quelle pagine settembrine era tutto un tripudio. Ve lo lasciamo
immaginare. Tripudio sparito dall’opuscolo del giugno ’15. Scomparso dalla
copertina l’immaginifico Cavaliere, vi
troviamo cavalier Quintanante (la nostra
ignoranza è tale da renderci impossibile
l’identificarlo) con la scritta, banalissima,
“è tempo di Sfida!”. Ohibò.
Nando. Non può essere! Ch’è mai successo, dopo tanto sfavillìo? Domanda
retorica, giacché è accaduto l’incredibile,
il Cavaliere è stato disarcionato, poi, sia
pur malconcio, è rimontato in sella. Baciando basso, è vero, ma facendo finta di
niente. Nulla di questo sconquasso trapela dal “Qui” del giugno ’15. Vi si trova
soltanto una furbesca paginetta con lo
“Speciale Elezioni”, e si legge: “Il 2015 è
iniziato con le elezioni del Comitato Centrale dell’Ente Giostra della Quintana.
Venerdì 6 febbraio il Consiglio dei Cento
si è riunito nel Centro Nazionale di Selezione e Reclutamento dell’Esercito di Foligno (mitico: “l’Esercito di Foligno”!) per
votare il rinnovo delle cariche del Direttivo per il prossimo quadriennio. L’insediamento ufficiale si è tenuto il 16 febbraio
nella sala del Consiglio Comunale dove
(Didì e i suoi in sequenza quintanica)
sono stati ricevuti dal sindaco di Foligno
Nando Mismetti”. Tre foto, manco belle,
e nulla più.
Che ti fa Nando il Disarcionatore nel medesimo opuscolo? “L’edizione 2015 della
Quintana è caratterizzata dal rinnovo del
direttivo” dice, quindi prosegue augurando buon lavoro ai (quasi)nuovi dirigenti
e aggiunge: “Ci aspettano nuove sfide,
da affrontare in un contesto complesso,
segnato da risorse economiche limitate
e dalla necessità di rilanciare la Quintana
aprendo nuove opportunità di sviluppo”.
Ce senti cerqua? osserva il nostro impareggiabile amico dialettologo; e bravo Nando, diciamo più modestamente
NTINGERAI NEI DI’ VENTURI
DI NEBBIA FINE VESTITI
• Ehi tu, che zappi curvo così vicino ai
piedi tuoi, guardiamoci, ti prego, nelle papille gustative. Io sono l’INPS signore tuo. Raddrizzati e ascoltami:
il genere umano è geneticamente
tarlato, manca di previdenza, vive al
fuoco fatuo dell’istante; adora la cicala e il cicaleccio e calpesta la formica e il silenzio. Io, quale Istituto
per di più Nazionale, da poco venuto al mondo per la Salvezza Sociale, ti sforno un’ideona precotta da
leccarsi a vita. Tu mi dai una porzione dei tuoi guadagni (li chiameremo
contributi obbligatori), così io con
una parte di quelli (l’altra mi serve),
quando le tue ombre si allungano, il
passo si accorcia e i figli si squagliano, rendo l’onore sindacale al candore dei tuoi denti, passandoti quanto
basta e non di rado avanza, per masticare a oltranza.
• Guardi, signor Istituto Nazionale, il
sono “il zappatore” che fischiando
riede alla “sua parca mensa”. Ma
fischio solo al sabato sera; gli altri
giorni emetto suoni diversi che non
Le dico, perché io al domani penso anche troppo; che ora, da questo
umano peso Lei mi voglia dispensare a me sembra francamente troppa grazia.
noi: ma quando farai seguire alle parole
i fatti? Sei stato sul punto di trionfare,
poi ti sei fermato. Sei troppo pacioso e
vonaccjone.
Desaparecida. Il tripudiante “Qui” del
settembre ’14 inneggiava ripetutamente al ruolo eminente impersonato
dalla plurinsigne e plurinsignita Maria
Rita Lorenzetti, la nostra Mozzarella, la
quale, essendo la Vice del cavalier Didì,
s’era distinta in molti campi ma soprattutto nella solidarietà quintanica. Nel
“Qui” del giugno ’15, ormai nel rango meno prestigioso di magistrato(a)
quintanico(a), è sparita da ogni aulica menzione. Sic transit gloria mundi!
salmòdia vaticanescamente altro nostro
amico, un latinistico; traducendo alla
lettera: così passa la gloria del mondo!
(Traduzione pedissequa, ma tant’è.)
Dame superbe. Si sa, le “dame superbe
in preziosi broccati” vengono immortalate nel “Qui” di giugno. Dunque eccole,
tutte e dieci! Ne siamo entusiasti. Volti
veri, sorrisi autentici; qualche postura
birichina, qualche sguardo assassino o
ammaliatore: cose che non guastano.
Se di madrina quintanica si dovrà ancor parlare, saluteremmo volentieri la
pur bellissima signora Federica Moro e
la sceglieremmo tra le superbe dieci di
quest’anno; intanto segnaliamo Marina
Bonamici del Cassero e Lara Micanti del
Contrastanga. Difficile scegliere tra le
due signore! Fate voi! Ma il nostro cuore
(anche noi abbiamo un cuore) batte per
Lara. (E poi al suo cognome, ne aggiunge un secondo, maritale: Bartoli! A buon
intenditor, poche parole.)
Popolo. Termine vischioso, come vischioso e magmatico è l’oggetto che
designa. Noi amiamo il “popolo”, ma
quello operaio e del lavoro dipendente
(veniamo dal proletariato urbano e da
quello delle campagne); il “popolo delle
scimmie”, tanto per richiamare A. G., non
è il nostro popolo. Odiamo i capi-popolo
che usano il popolo per i propri fini più o
meno ignobili. I capi-popolo sono d’infiniti formati; ognuno faccia mente locale
su quello che conosce meglio. Tutte le
scritture quintaniche dicono del Popolo
• Oh Signore, Signore, quanto duro è
dissodare le menti dei semplici! Ma
tu, pensionando terroso, non capisci
che ti porterò tra le braccia il giorno
in cui potrai staccare tutti i fili dell’umana vita e diventare puro tubo digerente, praticamente immortale,
perché liberato della vita, avrai sconfitto la morte?
• Va bene, ma a soldi, io, padre putativo e figlio indegno del miracolo italiano, che ci guadagno tra i contributi di oggi e la pensione di domani? Perché cafone sì, ma i conti terra-terra li so fare.
• Il privilegio, uomo di fatica, ci guadagni il privilegio! Basta manovrare un paio di aggettivi! Così, a te,
che sei nato prima, spetterà il sistema “retributivo”, (senti come suona
bene?): prenderai più di quanto hai
versato. E quelli che sono nati dopo
(così imparano!), attraverso il sistema “contributivo” (senti come suona
meglio?), se va bene, avranno di che
comprare solo l’adesivo per dentiera
e masticheranno quello, con le gengive. Ti assicuro che lo spettacolo,
superbo e divorante, andrà in replica fino alla fine dei tempi.
C.C.
(l’iniziale maiuscola, in genere, è d’obbligo). In “Qui”, ci si appella al “Popolo
della Quintana”, si sbandiera la volontà
di “andare incontro alle esigenze della
gente” (il Cavaliere); “Popolo instancabile”, è il popolo quintanico, “senza il quale la Quintana non esisterebbe” (Nando);
un Popolo rapito da una “passione senza
fine” (Mauro il redattor).
Codici linguistici del Capitale. La lingua ufficiale dell’Occidente imperiale è
l’inglese. A Quintanolandia ci si è adeguati. In “Qui” è tutto un anglofilogizzare: Location, Quintana Point, Info,
Facebook, On Line, QR code, Quintana
Channel, Smartphone, Marketing, Ufficio Marketing, Sponsor, Partner, Media
Partners, Media Partnership, Merchandising, ecc. ecc. Alla faccia del Popolo!
(Quello vero che fatica, soffre, si dispera.
E a malapena parla la lingua madre.) Ci si
dirà: sono termini usuali, comuni! Certo
che sì; li potremmo considerare addirittura barocchi, tanta è la maraviglia che
c’infondono; come, del resto, i nomi di
taluni corsieri: Wind of Passion, Edward
England, Pam Hall, Woman in Rose, Review Blanc, Continuity; vuoi mettere,
quanto banale sia, per non dir volgare,
appellar destrieri sì valenti con nomi
come Tirisondola, Agnesotta, Guitto, o,
peggio ancora, Negretti!?
Foligno città del Barocco. Sulla base di
quanto si legge in “Qui”, e di quanto s’è
visto in spazi diversi della città, dire di
Foligno città del “barocco” è come dire
dell’araba fenice: che ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa.
FaBe & RoTa
N. 12 – GIUGNO 2015
SOCIETÀ E POLITICA
FORUM CITTADINO
I 5 STELLE A FOLIGNO
N
ell’ormai celebre streaming dello scorso anno, il neo incaricato
premier Matteo Renzi si rivolse
a Beppe Grillo con la frase cult: “Beppe,
esci da questo blog!”. Pochi mesi prima,
il Movimento 5 stelle aveva sconquassato il quadro politico nazionale, portando
a casa più del 25% dei voti alla Camera,
e poco meno al Senato. Sebbene i cosiddetti “grillini” non si siano più espressi
a tali livelli di consenso elettorale, la loro
presenza nel quadro nazionale è oramai
un dato acquisito. Il Movimento ha deputati, senatori, sindaci, consiglieri regionali, consiglieri e consigliere comunali. In
questo senso, Foligno non fa eccezione.
Nelle elezioni amministrative del 2014 il
candidato sindaco pentastellato Fausto
Savini ha portato a casa il 14,32% dei voti.
Poco forse, rispetto al 20,74% ottenuto a
Foligno nelle elezioni europee svoltesi in
contemporanea. Tanto comunque, per
una formazione politica ancora poco radicata nel territorio, e ancora poco efficace
nella lotta efferata per l’accaparramento
delle preferenze – basti pensare che il più
votato del 5 stelle ha portato a casa poco
più di 170 preferenze, contro le 720 di Elia
Sigismondi, primatista del PD.
Questo trend di ridimensionamento e
consolidamento è stato confermato dalle elezioni regionali, in cui i 5 stelle hanno
raggiunto a Foligno la percentuale del
16,87 %. Gli osservatori politici folignati,
soprattutto quelli di sinistra, assistono
con perplessità a questo fenomeno. Soprattutto perché i “grillini” non sembrano
ancora usciti dal blog. Al contrario, i loro
risultati sembrano fondarsi sulla popolarità mediatica e sull’attività nelle pagine
di Facebook, piuttosto che sulle pratiche standard di contatto con la “gente”:
volantinaggi, porta a porta, visibilità
negli appuntamenti implicitamente o
esplicitamente istituzionali. Se il risultato
nazionale pare compatibile con questa
latitanza dal contatto sociale concreto,
il successo più misurato ma pur sempre
significativo ottenuto a livello locale pare
davvero difficilmente comprensibile da
questo punto di vista. In molti si stanno
così convincendo del fatto che oggi la
popolarità della proposta politica vada
di pari passo con la rinuncia alla visibilità
e all’iniziativa politica in carne ed ossa,
affiancata da una massiccia attività nei
media e nei social networks. Una correlazione che sembra essere confermata
dal recente successo della Lega nella nostra città, dove alle regionali i padani (sic)
si regalano un incredibile 13,22% a fronte
di una presenza nel cosiddetto territorio
pari a zero.
Ma le cose stanno veramente così? Davvero il Movimento 5 stelle folignate esiste solo nel Web? Certo, questa tesi vale
assolutamente per le politiche 2013. In
quell’occasione Grillo ottenne il voto del
28,75% dei folignati, senza che questi
ultimi avessero conoscenza dei rappresentanti del Movimento nel territorio.
Tuttavia, alle regionali del 2015, cioè appena due anni dopo, i pentastellati pur
perdendo quasi il 12% in termini percentuali riescono in un’impresa che quasi
tutti i loro concorrenti politici sognano
invano di realizzare da decenni: l’elezione di un consigliere regionale. E’ notizia
recente che la folignate Maria Grazia Carbonari sarà la rappresentante in regione
del Movimento, in seguito al riconteggio
che le assegna più di mille preferenze.
Poco, rispetto alle 7.171 schede con su
scritto “Barberini”. Tanto, per una formazione politica che non vive di preferenze.
E soprattutto, un risultato che spinge ad
abbandonare l’ipotesi dell’esistenza solamente virtuale dei 5 stelle folignati, visto
che gli elettori stavolta hanno scelto una
persona in carne ed ossa, piuttosto che
il solo simbolo come accaduto in passato. Una scelta che presuppone la conoscenza della candidata, o quantomeno la
fiducia verso le indicazioni elettorali del
Meet up di Foligno.
Per capire la natura di questa presenza
sul territorio, ho contattato direttamente Fausto Savini, candidato sindaco nel
2013 e attuale capogruppo del Movimento in consiglio comunale. Savini non
ha negato il fatto che i loro risultati siano
stati effetto di un grande traino nazionale. Tuttavia, ci tiene a fare presente che il
Movimento a Foligno non esiste soltanto
su Facebook – dove per inciso la loro pagina ha un seguito discreto, ma non straordinario: “In questi ultimi mesi, abbiamo
allestito i banchetti per raccogliere le
firme contro l’E45 e a favore del referendum sull’euro. Ci siamo stati ogni sabato,
e a volte le persone facevano la fila per
firmare o per parlare con noi. C’eravamo anche il giorno della manifestazione
di Casa Pound, quando ci siamo dovuti
spostare nel cortile di Palazzo Trinci. Inoltre, in questa campagna elettorale abbiamo organizzato tre o quattro eventi importanti, con cento persone ad ascoltare.
Il più importante è stato forse quello sui
rifiuti”. Il capogruppo mi racconta anche
della sua esperienza in consiglio. Quando insinuo che la partecipazione dei
cittadini non è quella che uno si aspetterebbe in un’epoca di indignazione come la nostra, Savini dissente: “Sì è vero, le
persone hanno da fare e a volte manca
il passaggio dalla rete al contatto personale. Però ti faccio notare una cosa: la
scorsa consiliatura non c’era mai nessuno a vedere i consigli comunali. Adesso
le sedie sono sempre piene. Le persone
lentamente stanno partecipando, anche
se l’impegno scoraggia qualcuno. I nostri
meet up sono sempre partecipati, c’è l’i-
dea che stiamo costruendo qualcosa”.
Banchetti, pubblico durante i consigli comunali, meet up, iniziative, una consigliera regionale appena eletta: difficile continuare a pensare che i 5 stelle folignati
esistano solo nel blog di Beppe Grillo.
Certo, si tratta di un tipo di partecipazione e impegno politico diverso rispetto a
quello a cui la sinistra era abituata. Poca
istituzionalità, poco contatto con il mondo dell’università, una visione della politica internazionale che spesso si riduce al
complottismo, un rifiuto evidente a fare
i conti con la complessità di alcuni fenomeni, una posizione a volte stranamente
ambigua sulla mafia e la criminalità organizzata, l’incapacità di legare la rabbia,
l’indignazione e la buona volontà con il
lavoro più avanzato della ricerca italiana
– cosa che è invece è riuscita in Spagna
a Podemos. Insomma, sulle proposte e
sui modo di fare dei 5 stelle c’è molto da
dire. Sulla loro esistenza virtuale e reale,
poco da discutere.
In tutto ciò, la sinistra folignate è reduce
da una sconfitta molto seria. Se Atene
Sel- ha preso poco più del 2%, SpartaRifondazione non ride, con il suo 1,85%.,
e non ride neanche la sinistra PD, che in
regione è stata spazzata via dall’ala degli
ex Margherita in tutte le sue manifestazioni. Il che dimostra che la collocazione,
le coalizioni, e via discorrendo sono temi importanti, ma non decisivi. Stavolta
dentro o fuori non ha contato niente.
Conta esserci, ma per esserci bisogna
capire come farlo . E soprattutto capire
perché la platea che, pur in condizioni sociali diverse, in Grecia e Spagna ha scelto
Tsipras e Podemos, in Italia è tendenzialmente orientata verso il Movimento 5
stelle. Perché? Innanzitutto perché la sinistra italiana è schiava dei suoi fantasmi: il
linguaggio ante 1989, l’autoreferenzialità
– il congresso di Rifondazione è finito nel
2008 e non frega più niente a nessuno di
chi avesse ragione -, la chiusura mentale,
l’identità poco comprensibile delle varie
forze della sinistra, l’ossessione comunicativa verso alcuni temi – Salvini, l’immigrazione, i diritti civili – che non dobbiamo mai abbandonare, in quanto sono di
grande importanza e civiltà, ma che non
possono diventare l’unica cosa che la sinistra ha da dire sul mondo di oggi. Questi
fantasmi impediscono o rendono invisibile quella pratica che i 5 stelle, in modo
piacevole o spiacevole, mettono in scena
ogni santo giorno. Per dirlo con una battuta, c’è una cosa che la sinistra dovrebbe
imparare dai “grillini”: il fatto che oggi non
è possibile essere alternativi al sistema se
non si è populisti. Il populismo che tanto
snobbiamo, ma che non conosciamo e
di cui parliamo per sentito dire, è l’unico
modo per diffondere le nostre idee. Se il
5 stelle dice: “reddito di cittadinanza”, le
persone si fermano in strada e firmano. Se
lo dice la sinistra, viene un secondo dopo
accusata di moralismo. Come mai? Cercheremo di scoprirlo insieme nella prossima puntata.
Matteo Santarelli
COORDINAMENTO PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE
Sabato 13 giugno si è costituito a Foligno il “ Coordinamento per la Democrazia Costituzionale “ per l’Umbria
Valle Sud promosso dal Comitato di
Redazione del nostro giornale.
Il 27 di giugno i promotori hanno
indetto una Conferenza stampa che
si terrà alle ore 11 presso l’Università
della terza età in via Oberdan a Foligno per illustrare l’iniziativa con la
partecipazione del prof. Mauro Volpi.
I cittadini, le associazioni, i partiti,
web, giornalisti/TV sono invitati a partecipare.
***
foto di Alice Porcu
L
a novella del BandarLog. Il 14 maggio 1915, anche Foligno ebbe la sua Piazza
di Maggio. In piazza XX Settembre,
anticamente della Spada, gli interventisti indissero una manifestazione per
la guerra. Lì stava, nel palazzo Barnabò, la sede della Camera del Lavoro.
Dirigenti e lavoratori iscritti alla Camera erano membri del Partito Socialista Italiano (Psi) o simpatizzanti
vicini a quel partito, ed erano contro la guerra imperialista. A Foligno
come altrove, formavano il nerbo
militante del neutralismo. A provocare lo scontro di piazza fu la masnada
interventista composta di nazionalisti, di repubblicani, di radicali, di socialisti “riformisti” (espulsi nel 1912 dal
Psi, qui come nel resto d’Italia).
Le ragioni immediate del conflitto
risiedevano in quella serrata successione di eventi che avevano trovato un punto di caduta il 26 aprile,
quando era stato firmato il Patto di
Londra (con il quale l’Italia s’impegnava ad entrare in guerra a fianco
dell’Intesa di lì ad un mese), patto
segreto, che subito era diventato il
“segreto di Pulcinella”; patto che dimostrava la volontà dell’Italia ufficiale
(quella della monarchia, della destra
al potere, di settori nodali del grande
capitale, della stampa ad essi collegata) di muoversi speditamente verso
la guerra. Dopo di che, il diluvio: il
5 maggio, a Quarto s’era inaugurato il monumento ai Mille, e Gabriele
D’Annunzio aveva pronunciato una
concione a dir poco “incendiaria”
dando corpo ad una vera e propria
“retorica” della guerra come rigenerazione italica; il 7 maggio, il governo presieduto da Antonio Salandra
aveva annunciato al Parlamento che
l’Italia si appressava alla guerra; il 9
maggio, Giovanni Giolitti tornato a
Roma per testimoniare la sua contrarietà alla guerra, almeno per il
momento (“Credo, disse, parecchio,
nelle attuali condizioni dell’Europa,
potersi ottenere senza guerra”), aveva di fatto provocato le dimissioni
strumentali di Salandra (il 13), che se
l’era viste respingere dal re il 16 maggio, quando ormai dal 14 le piazze
vivevano quelle giornate di violentissimo interventismo, dette le “radiose
giornate di maggio”. In quelle piazze
vinsero i guerrafondai, alimentando
quel consenso all’Italia imperialista
che comunque occorreva per avviare la guerra guerreggiata.
Gramsci a Torino seguì gli eventi e vi
rifletté sopra. Anni dopo, il 2 gennaio del 1921 (Livorno e il Pcd’I erano
alle porte), pubblicava infatti un articolo dal titolo (a prima vista) singolare: Il popolo delle scimmie, che aveva
3
come oggetto la piccola borghesia
urbana. Con pochi tratti di penna
tracciava il profilo evolutivo di quel
segmento di socierà intrecciandolo
con la dinamica storica del capitalismo, con la crisi dell’assetto statuale
nato nel 1861 e con la correlata crisi
del parlamentarismo liberale. «Il processo di sfacelo della piccola borghesia
- notava Gramsci - si inizia nell’ultimo
decennio del secolo scorso. La piccola borghesia perde ogni importanza e
scade da ogni funzione vitale nel campo della produzione, con lo sviluppo
della grande industria e del capitale
finanziario: essa diventa pura classe
politica e si specializza nel “cretinismo
parlamentare”». Dopo aver rilevato
che il fenomeno appena enunciato
«occupa una gran parte della storia
contemporanea italiana» e «prende diversi nomi nelle sue varie fasi»,
Gramsci passava in rassegna nomi
e fasi: ma non lo seguirò su questa
strada (pur molto interessante) per
arrivare invece al punto che qui interessa. «La piccola borghesia - osservava Antonio - che ha definitivamente
perduto ogni speranza di riacquistare
una funzione produttiva (...) cerca in
ogni modo di conservare una posizione
di iniziativa storica: essa scimmieggia la
classe operaia, scende in piazza. Questa nuova tattica si attua nei modi e
nelle forme consentiti a una classe di
chiacchieroni, di scettici, di corrotti: lo
svolgimento dei fatti che hanno preso
il nome di “radiose giornate di maggio”
con tutti i loro riflessi giornalistici, oratorii, teatrali, piazzaioli durante la guerra, è come la proiezione nella realtà
di una novella della jungla del Kipling:
la novella del Bandar-Log, del popolo
delle scimmie, il quale crede di essere
superiore a tutti gli altri popoli della
jungla, di possedere tutta l’intelligenza,
tutta l’intuizione storica, tutto lo spirito
rivoluzionario, tutta la sapienza di governo ecc., ecc. Era avvenuto questo: la
piccola borghesia, che si era asservita
al potere governativo attraverso la corruzione parlamentare, muta la forma
della sua prestazione d’opera, diventa
antiparlamentare e cerca di corrompere la piazza». Certo, il Bandar-Log, il
“popolo delle scimmie” «non crea la
storia», per dirla con Gramsci; ma, da
strumento qual è, vi può incidere in
modo nefasto. Allora v’incise. E oggi
lo sta ancora facendo.
(f.b.)
A. Gramsci, Il popolo delle scimmie,
in “L’Ordine Nuovo”, I (1921), 2 (2
gennaio), ora in Socialismo e fascismo. L’Ordine Nuovo (1921-1922),
a cura di E. Fubini, Torino, Einaudi,
1966, pp. 9-12.
4
N. 12 – GIUGNO 2015
L’APPROFONDIMENTO
REGIONALI 2015
Gli spostamenti progressivi degli elettori
Analisi del voto
Diminuiscono del 10% i votanti ai quali va aggiunto un aumento percentuale dell’1% delle schede nulle e bianche. Inoltre i voti dati ai candidati
presidenti calano da circa 37.000 a poco meno di 22.000, segno di una forbice partiti – candidati che tende a diminuire. Gli aspiranti all’incarico apicale non tirano più di tanto e i due voti si avvicinano, segno di un diminuito
appeal della personalizzazione della politica.
Passando ai voti di lista il dato si accentua, anche se i confronti risultano più diffiL’analisi del voto è stata a lungo un luogo comune del dibattito politico. In coltosi, data la scomparsa di alcune formazioni politiche e la diversa dislocazione
passato si discuteva sui decimi di percentuale persi o guadagnati, cercando di altre.
di avvalorare improbabili vittorie o giustificare reali sconfitte. Non è il caso
di queste elezioni regionali, come nel passato recente delle elezioni poli- Il Pd perde quasi 25.000 elettori, l’ex Pdl di circa 55.000, la sinistra (senza
tiche del 2013 e delle europee del 2014. Negli ultimi tre anni il sistema po- considerare l’Idv) cala di oltre 25.000 (indipendentemente dalla sua dislolitico istituzionale si sta progressivamente disarticolando sotto l’urto di due cazione o meno nel centro sinistra). Sono la Lega e il Movimento 5 Stelle i
fenomeni concomitanti: la crescente astensione dal voto di quote sempre premiati dal voto con rispettivamente 31.416 voti in più la prima e con un
maggiori dell’elettorato e la crescita di aggregazioni elettorali che vengono bottino di 51.203 suffragi il secondo. Complessivamente i partiti di centrosgenericamente definite populiste (la Lega Nord e Il Movimento 5 Stelle) che inistra e di sinistra perdono circa 85.000 voti, il centro destra, senza la Lega,
più di 65.000.
ormai registrano il gradimento di un terzo di coloro che ancora votano.
Le già regioni “rosse” e l’Umbria
Il risultato in una città media dell’Umbria. Il caso di Foligno
A questo dato generale se ne aggiunge uno specifico nelle regioni in passato
definite rosse, dove tali fenomeni superano o sono analoghi a quelli del resto del centro nord e dove tra il 2005 e il 2015 il voti dei candidati del centro
sinistra sono scesi dal 60,2% al 46,7%. In queste realtà progressivamente
– come sostiene Ilvo Diamanti – l’effetto astensione ha svuotato quello che
definisce il serbatoio dei voti del partito democratico. L’Umbria non fa - sia
pure con le varianti del caso – eccezione. Nella regione in realtà l’astensione
colpisce più il centro destra che il centro sinistra, che perde voti – come hanno sostenuto commentando l’analisi dei flussi Bruno Bracalente e Claudio
Carnieri - a favore delle formazioni “populiste”, come del resto è avvenuto
per la sinistra radicale. Ma quello che emerge è che un sistema politico elettorale, e per quanto riguarda le regioni, istituzionale è ormai al tramonto
ed ancora non si individuano nuovi equilibri. E’ il frutto di molteplici fattori
(modificazione della società, incidenza della crisi con un progressivo aumento della povertà e della precarietà, diminuzione delle coperture sociali)
che non possibile qui analizzare in dettaglio. Insomma l’indissolubilità tra
centro sinistra e elettorato in Umbria sta progressivamente venendo meno,
senza peraltro che il centro destra riesca a aumentare suffragi e determinare nuovi equilibri politici. In altri termini si è entrati in un periodo di instabilità i cui esiti sono difficilmente prevedibili. La regione è contendibile,
come sostengono quasi con entusiasmo, incomprensibile, i dirigenti del Pd
a cominciare dal segretario regionale. È vero, anche se ancora non è chiaro
da chi, con quali programmi, in base a quali progetti.
A Foligno i fenomeni che si segnalano nella regione registrano ulteriori accentuazioni, almeno rispetto alle astensioni. Quest’ultime risultano più alte
rispetto al resto dell’Umbria di circa 2 punti percentuali. Calano, conseguentemente in proporzione, le preferenze per i candidati presidenti. I voti
realizzati da questi ultimi si allineano ai valori delle liste che li appoggiano.
Tabella 3. Foligno. Elettori, votanti, voti validi. Elezioni regionali 2010 e 2015
Valori assoluti
2010
Elettori
Valori percentuali
2015
Differenza 2010
45.208 44.391
2015
-817 100,00
Votanti
29.785 23.907
Bianche e nulla
1.134 1.044
Voti validi per i
28.651 22.863
candidati presidente
Voti validi per le liste 26.572 21.407
Differenza
100.00
-5.878 65,91(100) 53,85(100) -12,06
-90 3,81
4,37
+0,56
-5.788 96,19
95,63
-0.56
5.165 89,21
85,54
-3,67
Analogo è l’andamento delle liste con cali maggiori rispetto a quelli umbri,
soprattutto per quelle raggruppate nelle coalizioni maggiori. Il Pd perde
oltre 2.000 voti e circa un punto percentuale. I partiti della coalizione di
centro sinistra nel 2015 totalizzano il 42,02%. Se ad essi si aggiunge l’1,89%
dell’Umbria per un’altra Europa non si raggiunge il 44%. Nel 2010 la percentuale era pari al 56,42%. Per contro il centro destra comprendendo tutti
Senza andare indietro nel tempo e confrontando i dati delle regionali di i partiti, compresi i centristi che nel 2010 correvano separati, perde quasi
cinque anni fa con quelle del 31 maggio emergono i dati che riportiamo 3000 voti. Il Movimento 5 Stelle ha circa un 3% in più rispetto alla media
regionale., Infine la sinistra radicale raggiunge 893 voti, poco più del 4%,
della tabella 1
rispetto a valori che nel 2010 erano pari a 2.008 suffragi e all’8,31%. Insomma si assiste ad un crollo del centro sinistra e della sinistra non compensaTabella 1. Umbria. Elettori, votanti, voti validi. Elezioni regionali 2010 e 2015
to da una crescita del blocco di destra e determinato dalla criscita sostenuValori assoluti
Valori percentuali
ta dell’astensione. Peraltro il consenso ai “grillini” appare di tutto rispetto.
2010
Elettori
Votanti
Bianche e nulla
Voti validi per i
candidati presidente
Voti valid per le liste
2015
Differenza 2010
713.679 705.819
466.670 391.210
16.888 17.498
449.782 373.673
-7.860
- 75.460
+610
-76.109
412.580
-60.884 88,41
351.696
100.00
65,39(100)
3,62
96,38
2015
Differenza
100.00
55,42 (100)
4,47
95,52
-9,98
+0,85
-0,86
89,90
+1,49
Tabella 2. Umbria. Voti di lista. Elezioni regionali 2010 e 2015
Liste
Partito democratico
Sinistra ecologia e libertà –
Umbria più uguale
Socialisti e riformisti
Civici e popolari
Valori assoluti
Valori percentuali
2010
2015
Differenza 2010
2015
Differenza
149.219 125.777 -23.442
36,17 35,77
-0,40
13.980 9.010
- 4.970
3,39
2,56
-0,83
17.167
Italia dei valori
34.393
Sinistra unita (Prc e Pcd’I)Umbria per un’altra Europa
Popolo della libertà
28.331
12.200
5.172
5.561
133.531
- 4.967
+ 5.172
4,16
-34.393
8,34
- 22.770
6,87
-133.531
32,36
3,46
1,47
-0,70
+1,47
-8,34
1,56
-5,31
-32,36
Forza Italia
30.017
+30.017
8,53
+8,53
Fratelli d’Italia – Alleanza
nazionale
Liste civiche per Ricci
21.931
+21.931
6,33
+6,33
Unione di centro – Umbria
popolare per Ricci
Lega Nord
Movimento 5 Stelle
Altre Liste (Sovranità, Casa
rossa-Pcl, Fronte nazionale,
Alternativa riformista)
Totale
25.158
+25.158
7,14
+7,14
18.072
9.285
- 8.787
4,38
2,64
-1,74
17.887
49.203
51.203
+31.316
+51.203
4,34
13,99
14,55
+9,65
+14,55
7.179
+7.179
2,02
+2,02
100,00
=
412.580 351.696 60.884
100,00
Tabella 4. Foligno. Voti di lista. Elezioni regionali 2010 e 2015
Liste
Valori assoluti
2010
Partito democratico
10.049
Sinistra ecologia e libertà – 1.278
Umbria più uguale
Socialisti e riformisti
936
Civici e popolari
Italia dei valori
Sinistra unita (Prc e Pcd’I)Umbria per un’altra Europa
Popolo della libertà
2015
2015
Differenza
-2.158
-790
37,82
4,81
36,86
2,28
-0,96
-2,53
355
262
-581
+262
3,52
1,66
1,22
-1,86
+1,22
-1.798
6,77
-525
3,50
-9.188
34,58
405
9.188
Forza Italia
Differenza 2010
7.891
488
1798
930
Valori percentuali
-6,77
1,89
-1,61
-34,58
1.718
+1.718
8,03
+8,03
968
+968
4,52
+4,52
1.479
+1.479
6,91
+6,91
1.409
746
-663
5,30
3,48
-1,82
984
2.831
3.720
+1.847
+3.720
3,70
13,22
17,38
+9,52
+17,38
Altre Liste (Sovranità, Casa
544
rossa-Pcl, Fronte nazionale,
Alternativa riformista)
Totale
26.572 21.407
+544
2,55
+2,55
Fratelli d’Italia – Alleanza
nazionale
Liste civiche per Ricci
Unione di centro – Umbria
popolare per Ricci
Lega Nord
Movimento 5 Stelle
5.165
100.00
100,00
=
Se si esamina poi il voto per aree territoriali - i dati diffusi divergono, in
qualche caso significativamente, da quelli aggregati, emerge come sia
soprattutto in centro e nelle frazioni di montagna che la disaffezione al
voto sia più alta, mentre di manifesta in modo meno intenso nei quart-
Octavia Monaco - Visioni in bianco
ieri urbani e a S.Eraclio. Il Pd rag- Tab
giunge le percentuali più alte nelle
frazioni, sia in quelle di pianura
che di montagna. Allo stesso modo El
il Movimento 5 stelle registra valo- Vo
ri più bassi nei quartieri urbani ed Bi
in montagna, mentre la Lega Nord pr
realizza il suo minimo in centro ed Vo
ha percentuali inferiori alla media Pa
nelle frazioni. In generale c’è un U
attaccamento maggiore al voto Ci
espresso cinque anni fa nelle aree So
esterne alla città, dove il dissenso Ce
e la disaffezione non si esprimono Fo
Fr
attraverso l’astensione.
Infine le preferenze. Il dato più
significativo è quello relativo allo
scontro interno al Pd. Dei candidati “bocciani” Barberini realizza
in città 2406 suffragi, staccando
nettamente Rita Zampolini che si
classifica seconda con 1.385 preferenze. Seguono Donatella Porzi
(908) e Mario Bravi (726). Come
si vede la sfida della minoranza
del Pd almeno a Foligno, ma in
generale in tutta la regione, non
ha ottenuto significativi successi.
Da segnalare, infine, che la leader
dell’opposizione in consiglio comunale, Stefania Filipponi, ottiene
331 preferenze, circa un terzo dei
voti realizzati dalla sua lista (Umbria popolare per Ricci).
Le
U
Li
Ce
Um
M
Al
To
No
Qu
è
ne
te
tro
fo
tic
in
N. 12 – GIUGNO 2015
L’APPROFONDIMENTO
Analisi del voto
niani) ed ex comunisti (oggi con
la/e minoranza/e) sia stata vinta
dai primi. Ciò spiega la disillusione
degli elettori che ormai individuano nel governo regionale (e comunale) un qualcosa di estraneo alle
loro aspirazioni ed ai loro interessi
e si orientano o verso altre offerte
politiche o si astengono. Ciò vale
anche per il centro destra e spiega
il successo della Lega tra coloro che
hanno sostenuto Ricci, se si sottrae
al risultato della coalizione del sindaco di Assisi il voto dei seguaci di
Salvini si scende a risultati inferiori del 22% a quelli di cinque anni
fa. Si manifesta, peraltro, un ulteriore elemento di riflessione che
sarebbe sbagliato sottovalutare. Le
strutture intermedie, dal sindacato
all’Associazione industriali - sono
in forte crisi. Nonostante i vantati
successi della meccanica folignate
emerge, anche in questo settore,
come ogni imprenditore tenda a
far da sé, segno di come si siano
andati spappolando anche i gruppi
dirigenti, come trionfi, anche dove
va bene una sorta di darwinismo
sociale, che non ammette e non accetta mediazioni. E’ su questo che
trionfano le cosiddette formazioni
“populiste”, che sono espressione
di un voto che capitalizza paura
e rabbia. Ci vorrebbe, almeno a
sinistra, qualcosa di nuovo e diverso, capace di comprendere i processi in corso e tentare di costruire
una risposta. Al momento non se
ne vede neppure l’ombra. Pur senza illusioni continuiamo a non disperare.
Re.Co.
o
ag- Tab.5. Foligno. Elezioni regionali 2015. Dati assoluti: zone urbane e frazioni. Val. assoluti.
lle
Centro Quartieri S.
Frazioni
Frazioni Totale
urbani
Eraclio periurbane Montane
ra
8.337
16.821 5.146
13.483
3.524 45.208
do Elettori
4.129
9.347 2.804
6.933
1.800 24.359
o- Votanti
449
1.298
339
788
195 2.864
ed Bianche, nulle e voto per
rd presidente
3.680
8.049 2.465
6.145
1.605 21.495
ed Voti validi
1.227
2.994
885
2.112
659 8.031
dia Partito democratico
138
168
43
181
20
493
un Umbria più uguale (Sel)
41
110
21
62
28
271
to Civ. e Pop.
54
115
61
115
33
352
ee Soc. e rif.
1.480
3.387 1.010
2.470
740 9.147
so Centro sinistra
345
649
185
530
157 1.744
no Forza Italia
più
llo
diza
do
si
efrzi
me
za
in
on
si.
er
one
dei
m-
5
Fratelli d’Italia An
Lega Nord
Umbria popolare per Ricci
Liste civiche per Ricci
Centro destra
Umbria per un’altra Europa (Prc)
Movimento 5 Stelle
Altre liste
Totale
194
433
122
275
1.369
85
635
131
3.680
Note a margine
Quello che emerge anche a Foligno
è una crisi degli equilibri raggiunti
nel corso del ventennio precedente con alcune accentuazioni tutt’altro che marginali. In primo luogo le
forze di governo della città e in particolare il Pd stanno configurandosi
in una dimensione in cui dovrebbe
389
1.163
274
641
3.116
150
1.206
190
8.049
101
366
91
160
903
57
437
58
2.465
295
799
213
435
2.272
142
1.072
189
6.145
62
985
220 2.898
42
759
93 1.511
574 7.897
17
451
232 3.534
42
532
1.605 21.495
cambiare tutto per non cambiare
nulla. Più che una presa reale del
“renzismo” si configura una ridislocazione dei notabilati locali che utilizzano come coperta la “lezione”
dello statista di Pontassieve. Insomma trionfano elementi di trasformismo e di gattopardismo che
dimostrano come la guerra tra ex
democristiani (i giovani turchi fioro-
Tab.6. Foligno. Elezioni regionali 2015. Dati assoluti: zone urbane e frazioni. Val. assoluti.
Centro
Quarteri Città
S.Eraclio
Fraz. Periurbane
Montagna
Totale
Elettori
100
100
100
100
100
100
Votanti
49,52 (100)
55,57(100)
54,49(100)
55,17(100)
51,08(100)
53,88(100)
B. N.P
10,87
13,89
12,09
9,28
10,83
11,76
Voti val.
89,13
86,11
87,91
90,72
89,17
88,24
Pd
33,36
37,2
35,9
39,78
41,06
37,36
Sel
3,75
2,09
1,74
2,18
1,25
2,29
Civ. e pop.
1,11
1,37
0,85
1,25
1,74
1,26
Soc. e Rif.
4,47
1,43
2,47
1,56
2,06
1,64
C.S.
39,69
42,08
40,96
44,77
46,11
42,55
FI
9,37
8,06
7,5
7,16
9,78
8,12
Fd'I An
5,27
4,83
4,1
4,2
3,86
4,58
11,77
14,45
14,85
12,57
13,71
13,48
3,31
3,4
3,69
4,04
2,62
3,53
Lega Nord
Umbria pop. per Ricci
L. Civiche per Ricci
C.D.
Umbria A.E.
7,47
7,96
6,49
5,09
5,79
7,04
37,19
38,71
36,63
33,97
35,76
36,75
2,31
1,86
2,31
1,33
1,06
1,79
M5Stelle
17,25
14,98
17,73
17,98
14,45
16,44
Altre liste
3,56
2,36
2,36
1,95
2,62
2,47
100
100
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6
N. 12 – GIUGNO 2015
SOCIETÀ E POLITICA
DA TREELLLE A DdL BREVE
STORIA DI UNA RIFORMA
C
’era una volta “LA BUONA
SCUOLA”
che iniziava la
sua avventura il 15 maggio
2014 con l’apertura dei cosiddetti “Cantieri”, fucine di giovani teste
operose e pensanti, che in soli tre mesi hanno prodotto un libretto di ben
centotrentasei pagine, scritto in bella calligrafia, quasi accattivante, con
quello stile un po’ retrò da réclame
anni ’50.
Il documento già dal titolo “La buona scuola: facciamo crescere il
paese” era in linea con lo stile del
Giovane Leader della Nuova Italia che
Cambia Verso, che, non pago di tanto
sforzo, faceva partire dal 15 settembre al 15 novembre 2014 il progetto
di consultazione popolare online, con
l’ invitante nome di “passodopopasso.italia.it” e con lo scopo di far credere pubblica e trasparente la nuova
“epocale” riforma della scuola.
Tra interviste, sorrisi ministeriali e
slide presidenziali, la strada della
“BUONA SCUOLA” sembrava destinata al successo, a nulla valsero le
voci contrarie e contrariate dei lavoratori della scuola e degli studenti, le
manifestazioni, gli scioperi, le petizioni, le lettere di protesta, la riforma s’aveva da fare!
Prima il libretto di centotrentasei pagine si trasformò in decreto legge,
poi in DdL n. 2994, che dell’iniziale
documento aveva perso l’appeal e la
patina democratica; traspariva ormai
il vero scopo della riforma, come strega mal celata dietro a vesti di regina.
Come previsto dal Giovane Leader
della Nuova Italia che Cambia Verso,
il DdL venne approvato alla Camera e,
con il numero 1934, seguì il suo iter
legislativo al Senato, dove incontrò
un primo ostacolo sul parere di costituzionalità in commissione Affari
Costituzionali; ma non sarà certo un
piccolo incidente di percorso che potrà fermare il decorso della rivoluzione copernicana della scuola!
Mentre tutto questo accadeva una
domanda si affacciava alla mente:
ma da dove viene questa idea così rivoluzionaria, così ben difesa da
tutte le lobby di potere, compresa
Confindustria?
E’ necessario non accontentarsi di
leggere le solite fonti di notizie ed
attualità, si deve seguire il canto delle
sirene e mettere insieme gli indizi, le
citazioni, gli articoli, si deve arrivare
alla genesi di tutte le riforme prodotte negli ultimi quindici anni ed andare indietro al 2004 e poi al 2001.
Tre parole LifeLong Learning rappresentano il Big Bang della nostra
Buona Scuola e del Disegno di Legge
in cui si è evoluta. Dietro a queste tre
parole si cela una lobby che, da almeno quindici anni, sta dettando le regole per scardinare la scuola pubblica
e renderla subordinata alle logiche di
mercato, agli interessi di banche ed
aziende.
Ed ecco svelato l’arcano:
“Lobby TreeLLLe - per una società dell’apprendimento continuo Associazione non profit,…. ha come
(A PROPOSITO DI BILIARDO E DINTORNI)
BEN SCAVATO VECCHIA TALPA!
Mi è capitato tra mano un poetico esercizio del Celeberrimo giopi, intitolato
Proclama di lotta, che trascrivo di séguito;
non tutti, infatti, hanno avuto la ventura
di leggerlo su cartaceo supporto, non
tutti smanettano. Vado:
Mai rimanere senza un ideale, / senza
una meta, senza un gran traguardo / anche se un fato cinico e beffardo / ti portò
al fallimento più totale! / È tramontato il
sogno comunardo? / non s’è stravolto l’ordine mondiale? / È svanita la fede? Poco
male! / Si può sempre sparare sul biliardo!
/ Addio tonaca nera primo amore, metto
da parte le illusioni antiche! / Nuovo il bersaglio identico il furore. / Alra fede, altra
lotta, altro vessillo! / E gettata la tonaca
alle ortiche / mi son messo a strillar: “morte al birillo”! giopi
In margine, il nostro Celeberrimo giopi
mette: aggiornato; ne ricavo che questa
che vi ho trascritto sia una seconda
versione del Proclama: troppa grazia
Sant’Antonio! effebi non avrebbe mai
creduto di meritare tanto onore! Mi
piacerebbe leggerla, un’eventuale prima
versione; come mi piacerebbe leggerne
altre qualora, nel frattempo, il Celeberrimo ne avesse scritte. Che dire del
poetico sollazzo giopico? Quando non
si hanno argomenti, si passa all’offesa
personale, si allude ad esperienze di
vita molto lontane nel tempo e molto
sofferte; s’irride a visioni del mondo, a
ideali che restano tuttora il nucleo fecondo dell’agire quotidiano.
Ricapitoliamo: l’idea biliardobirillesca del
Celeberrimo, lungi dal costituire un biglietto da visita adeguato alla nostra Città, ne mette in ridicolo passato e presente. Un’idea da strapaese resta un’idea
da strapaese. Quella del biliardo-birillo
fu un’operazione di mercato, fondata
sulla volontà di accrescere il valore di
mercato di un’impresa commerciale. Evidentemente chi la pensò ebbe successo
e riuscì a trasformarla in idea-simbolo,
se ancora oggi stiamo a baloccarci con
una panzana (Fulignu centru de lu munnu) grossa come un grattacielo. Ogni
idea-simbolo, peraltro, genera opposte
considerazioni e opposte reazioni: è nelle cose; il problema sorge quando un’idea particolare, di per sé legittima ma
particolare, la si estrae dall’universo del
simbolico, la si cala sulla terra a pretenderne una valenza universale, persino
pretendendone la musealizzazione; fatto
quest’ultimo che si ritiene debba gravare
sul Pubblico e, a gran voce, lo si richiede.
Ne verrebbe che quest’ultimo dovrebbe
affrontare se non le spese di allocazione
(ma ciò non è sicuro che non accadrebbe), gli oneri di promozione, gestione e
manutenzione (ordinari e straordinari).
Ora basta. Una parte di opinione pubblica è sazia di pagliacciate e scemenze
contrabbandate per simboli identitari:
i decisori ne dovrebbero tener conto.
Se il Celeberrimo giopi vuole immortalare biliardo e birillo, lo faccia, ma a
spese proprie!
La signora Isella Remoli, il 20 maggio
obiettivo il miglioramento della qualità
dell’ education (educazione, istruzione,
formazione) nei vari settori e nelle fasi
in cui si articola….”
Così si legge nel sito dell’Associazione: http://www.treellle.org/
Ma chi è che tira le fila di questa
Associazione? Basta chiedere ed è
presto detto:
Lobby TREELLLE: Il Presidente
dell’Associazione è Attilio Oliva (precedentemente era Umberto Agnelli).
Soci Fondatori e Garanti: A. Oliva,
F. Confalonieri, G.C. Lombardi, L.
Maramotti, P. Marzotto.
Leggendo i nomi dei soci fondatori si
vede come Confindustria la faccia da
padrona e, andando a guardare bene anche i nomi dei collaboratori, si
deduce quale sia la politica di fondo
nelle scelte della TreeLLLe.
Tutto è trasparente e fruibile in rete
e l’Associazione TreeLLLe pubblica
periodicamente dei Quaderni, dove
raccoglie le elaborazioni e gli studi di
vari esperti sul mondo della formazione. Per rendere ancor più chiaro di
chi stiamo parlando cito un passaggio indicativo del Treellle pensiero
sull’istruzione pubblica:
La proposta di Treellle si basa su tre
punti fermi:
1) superamento dei concorsi (sia nazionali che regionali);
2) blocco di qualunque sanatoria, comunque denominata, per l’immissione
in ruolo ope legise sterilizzazione delle
graduatorie permanenti;
3) trasferimento progressivo alle scuole
2015, ci ha scritto la seguente lettera,
premettendole il titolo A proposito
del “birillo”. Vado:
Prendersela con un innocuo ciondolo mi
sembra un po’ come cercare il fantasma
dietro al comodino. Mi riferisco al “famigerato” monile con un birillo rosso pendente
nel mezzo di un cerchio che indica il mondo; ha suscitato tanto sdegno da incolpare
chi lo ha ideato e chi lo ha “adottato” di nefasta nostalgia, anzi di deprecabile apologia del lontano ventennio. Considero sterile
polemica quanto scritto a proposito della
banalissima iniziativa di promuovere un
piccolo monile che ci ricorda quel glorioso
ritrovo cittadino che fu il Gran Caffè Sassovivo. Era il salotto della città: tanti gli aneddoti, i personaggi, le memorie legati a quel
luogo.d’incontro che chiuse definitivamente
i battenti negli anni Ottanta del ’900. E
fummo in molti a piangere sulle sue ceneri.
Sulla “storia-leggenda” del birillo rosso e de
“lu centru de lu munnu” abbiamo tutti sorriso, anche negli anni infuocati dal rancore
del secondo dopoguerra. È del tutto inadeguata quindi la furia scatenata nel cuore e
nella mente di alcuni “ben pensanti” che
accusano di dietrologia, di rimpianto per un
regime che appartiene al passato e che
nessuno vuole resuscitare. La Pro Foligno
nel Bollettino mensile informa, promuove
iniziative di tutte le associazioni culturali e
lo fa con modestia, spirito di sevizio; non
si permette di criticare scritti o programmi
di altri sodalizi cittadini. Non è corretto. E
non mi è sembrato corretto neppure il sarcasmo rivolto alla manifestazione organizzata dall’Associazione Mutilati e Invalidi di
Guerra nella “celebrata struttura militare”:
nessuno può né vuole dimenticare i morti,
i feriti, gli invalidi, i prigionieri mai ritornati
dalla Grande Guerra, tutti siamo consape-
della competenza ad assumere i nuovi
docenti, in prospettiva solo attraverso
la formazione universitaria specializzata a numero programmato, l’accesso
alla quale costituisce il concorso (in forma di corso/concorso). […]
“..Il primo passo dovrebbe essere costituito dall’azzeramento radicale, per
legge o per decreto-legge, di tutta l’attuale normativa primaria e secondaria
in materia di supplenze…” […]
“…È imperativo peraltro che sul tema
dell’istruzione pubblica, così strategico per il paese, ai contrasti e alle strumentalizzazioni tra forze politiche si
sostituisca un patto di lungo termine
tra maggioranza e opposizione, e tra
governo e forze sociali, senza il quale
sarà difficile dare efficienza ed efficacia
al nostro sistema scolastico…”
Leggendo i diversi Quaderni prodotti
dalla Lobby TreeLLLe, si desume come tutto l’impianto delle riforme fino
ad oggi prodotte, dalla Moratti alla
Gelmini fino alla Giannini, altro non
ha fatto che introdurre gradatamente, ma inesorabilmente, l’idea di un’educazione neoliberista spinta alla
competizione, dove la meta finale sta
nel togliere spazio e risorse alla scuola pubblica, rendendo gli studenti
ubbidienti a stimoli predefiniti, addestrati al consumo ed al lavoro, utenti
omologati alle richieste dell’OCSE.
Questo ancora non basta? Ecco allora altre prove di come la riforma
della scuola sia stata scritta sulla scia
dei documenti della TreeLLLe, tutti
scaricabili e fruibili dal sito dell’Associazione; così che la trasparenza e la
ridondanza dei dati, non facilmente
comprensibili ai più, renda ancor più
velata la manovra di demolizione della pubblica istruzione:
“…Le enormi risorse attualmente assorbite dal soprannumero di perso-
nale scolastico non potrebbero essere
meglio utilizzate per remunerare i più
capaci e motivati, per l’aggiornamento,
per l’adozione di tecnologie e attrezzature didattiche più adeguate, per la
creazione di un sistema di valutazione
nazionale, per il potenziamento della ricerca educativa, etc.? Insegnare a
scuola nel tempo logora: è ragionevole
pensare che l’insegnamento debba essere un lavoro che dura tutta la vita?..”
[…]
Si ricorderà come lo snodo fondamentale del DdL riguardi la figura del
Dirigente Scolastico, allora si legga
come la Lobby TreeLLLe intende rinnovare tale figura:
“…In questo quadro, un ruolo fondamentale deve essere svolto dal dirigente dell’istituto scolastico, il quale dovrebbe assumere sempre più il ruolo di
responsabile dello sviluppo delle risorse
umane e pianificare gli investimenti del
proprio istituto in questa direzione…”
…” Un problema specifico, di decisiva rilevanza strategica, è costituito da
quella che dovrebbe essere la principale e maggiormente legittimata funzione di leadership, e cioè quella del capo
di istituto-dirigente…”
Non servono altre parole, per chiarire
come alla classe dirigente del nostro
Paese non servano cittadini consapevoli e critici, ma consumatori narcotizzati ed asserviti al potere.
Se il progetto di riforma della Pubblica
Istruzione andrà avanti si avvererà
l’incubo di una Scuola non più libera, che produrrà in massa Studenti/
Utenti privi di pensiero critico, alla
stregua di un’industria manifatturiera, dove Insegnanti/Operai lavoreranno alienati alla catena di montaggio
diretta dal Capo d’Istituto/Dirigente.
voli che fu un’inutile strage. Non dobbiamo
però piangere in ogni momento della nostra esistenza, né indossare perennemente
le vesti luttuose di Elettra; la vita offre tanti
aspetti. Se per un pomeriggio si è guardato
con sporito sereno un elegante abito d’epoca, si è ricordato un aneddoto lontano
dai campi di battaglia ... anche questo accadeva nel primo Novecento. Ci si può concedere un pomeriggio ludico senza rimorsi,
non intendiamo chiedere perdono.
P.S. Ritengo doveroso comunicare che quanto sopra espresso scaturisce da una iniziativa del tutto personale. Facendo parte però
del Consiglio della Pro Foligno, la ultracentenaria Associazione cittadina (fondata nel
1905), e offrendo anche un modesto contributo alla stesura del Bollettino mensile,
ho trovato le invettive comparse in prima
pagina nell’ultimo numero di “al Quadrivio”,
oltreché offensive, molto ingiuste.
ro 10 del nostro mensile (aprile 2015).
Ribadisco, tuttavia, quanto lì scrissi: nella
sostanza e nella forma. Non vogliamo
renderci interpreti e rappresentanti della
Città astrattamente intesa; tentiamo (ripeto: tentiamo) di leggere il momdo che
ci circonda, di rilevarne le linee di frattura, per contribuire (ripeto: contribuire) a
trasformarlo. Diciamo ciò che pensiamo
sapendo che una fetta dell’opinione pubblica folignate si riconosce nelle posizioni
che via via assumiamo. Sarà pure minoritaria, questa fetta, ma è ad essa in primo
luogo che vogliamo esporre la nostra
(ripeto: nostra, dunque parziale) lettura
delle cose. Quanto ai fantasmi del passato, non siamo stati noi ad evocarli: lo
dimostrano tutta la vicenda biliardesca e
la narrazione relativa. Che poi nessuno
voglia evocare i fantasmi più inquietanti
del passato, non è vero: come constatiamo ogni giorno, e abbiamo toccato con
mano nelle elezioni recenti. Le identità,
soprattutto quelle fittizie, non fanno che
alimentare derive autoritarie, xenofobe e
razziste.
Gentile Isella, ci conosciamo da una vita,
abbiamo sempre intrattenuto rapporti
amichevoli e cordialissimi, perciò sono dispiaciuto dell’amarezza e del disappunto
suscitati in Lei dall’articolo Il biliardo, il birillo, il gioiello e il defilé apparso sul nume-
Angela Figoli
effebi
N. 12 – GIUGNO 2015
SOCIETÀ E POLITICA
ECONOMIA E FUTURO
ROTTAMARE L’EUROPA
Di frequente, il filosofo Massimo Cacciari sembra l’oracolo di Delfo. Pertanto, sono rimasto piacevolmente colpito quando,
intervistato sui processi migratori in atto
e incalzato sugli atteggiamenti delle istituzioni europee in merito, se ne è uscito con la folgorante battuta: l’Europa è da
rottamare, accoppiando migranti e Grecia quali nodi focali della rottamazione ormai indilazionabile. Secondo la nostra lingua madre, rottamare significa smantellare. Ebbene, se anche Cacciari è giunto
alla conclusione che l’Europa reale debba
essere smantellata, e, se com’è noto, ogni
sua parola è un dettato oracolare, bisogna
dargli ascolto. Il professore non è un populista alla genovese né un fascio-leghista, ma un moderatissimo democratico. È
probabile che sia convinto, come lo sono
molti, che i Greci siano dei fannulloni gaudenti, dei levantini cialtroni, degli scialacquoni vissuti al di sopra delle loro possibilità, che quel Paese affondi nella corruzione più puzzolente: insomma, che la Grecia, ben nota sentina del demonio, debba
essere punita: ma, anche per il Nostro, c’è
un limite a tutto.
Quelli che non conoscono i limiti sono gli
esponenti del cosiddetto Socialismo Europeo, manutengoli dell’ordo-liberismo tedesco che, non mi stancherò mai di ripeterlo, nasce come dottrina economico-politica durante il nazismo e trova il suo rassodamento nelle concezioni politico-economiche dei cristiano-sociali (sia papisti,
sia luteran-calvinisti). Che Schulz (presidente del parlamento europeo) si sia “rotto le scatole” (testuale) dei delegati greci,
è per lo meno ignobile; che Gabriel (vicepresidente del governo teutonico), dall’alto della sua crassa ignoranza, vada cianciando di un Varoufakis il quale, da economista matematico esperto nella “teoria dei giochi”, starebbe lì a perder tempo
per verificare in vitro la validità delle proprie conoscenze scientifiche è per lo meno indecente; per non dire dell’indecenza
francese (stendiamo un velo sull’impettito presidente che sta regalando la Francia
ai fascisti, mentre di Moscovici l’inutilità è
manifesta) e di quella italiana (lo stentoreo Galletto Toscano e la silente Mogherini altrettanto inutili essendo). I manutengoli sono colpevoli come i loro padroni. Anzi, di più: sono loro che permettono alla Teutonica e al suo araldo Schäuble
d’imperversare e di fronteggiare gli urti di
una crisi strutturale senza precedenti scaricandola sugli anelli deboli della catena
imperialistica secondo logiche ben note a
quanti non hanno buttato a mare né Marx,
né Lenin.
Lo sanno bene anche quelli di Syriza presenti nel parlamento e nel governo espresso dalla greca coalizione nazional-popolare. O, almeno, una buona parte di essi. Tant’è che, in un’ottica di riformismo nobile, di marca keynesiana con
qualche coloritura marxista, i ministri economici di quel governo (con Varoufakis in
testa) hanno proposto sin dall’inizio della
defatigante trattativa con gli ordo-liberisti
dell’Unione Europea (Ue) di spostare le famigerate “riforme strutturali” dal versante
dell’offerta (svalutazione dei salari e degli stipendi, deregolamentazione del co-
siddetto “mercato del lavoro”) al lato della domanda, per arginare il terribile carico sociale dell’austerità, battendo sul tasto della “crescita” e degli investimenti a
livello europeo. (Era tutto scritto nel programma di Salonicco/2, come si è visto
su “al Quadrivio”, 9/2015.)
Sottolineo: a livello europeo: poiché, o si
cresce insieme, o si muore insieme. Coerentemente con questo asse politico-economico (del tutto praticabile nel contesto
dato, sia pure in via teorica), Varoufakis
ha proposto, il 14 marzo a Cernobbio, di
imboccare “una forma alternativa” (sono
parole sue) di Quantitative easing, giacché Grecia e Cipro per varie ragioni, non
ultima quella di essere sottoposti alla revisione del programma economico, sono
esclusi dal Qe dell’ineffabile Draghi. Nel
suo schema logico, il ministro ha ipotizzato che la Banca europea degli investimenti (Bei) proponesse ai governi d’Europa di varare un programma per la ripresa degli investimenti, finanziato al 100 per
cento mediante obbligazioni emesse dalla stessa Bei, con la Banca centrale europea (Bce) in veste di acquirente di detti
bond sui mercati secondari. Aggiunte alcune considerazioni tecnico-finanziarie a
suffragare la bontà della proposta (considerazioni che ometto di riferire), Varoifakis
ha concluso chiosando: “Questo tipo di
Qe in partnership con la Bei trainerà gli investimenti direttamente”. Ineccepibile, e,
in ultima analisi, fattibile: altro che Piano
Juncker (ne ho ho scritto su “al Quadrivio”, 7/2015). Non si parla né di rivoluzione sociale, né di riforma del moloc buro-
cratico europeo, anzi si danno per scontati gli assetti istituzionali esistenti; ma, essendo la chiave di volta di tutto il comportamento greco in questa lunga e durissima guerra di posizione, il concetto esposto dal ministro, concetto di buon senso,
ha ricevuto il no tedesco e nordeuropeo:
l’operazione si sarebbe configurata come
una mutualizzazione della spesa pubblica,
e ciò giammai! Imperterrito, Varoufakis ha
messo altra carne al fuoco dicendo: il nostro radicalismo risiede unicamente nel
fatto che rifiutiamo l’idea “che un programma fallito debba essere accettato e
mantenuto in vita solo perché le regole
sono regole e non devono evolvere; le regole devono seguire gli interessi dell’Europa”. Inaccettabile, da parte degli ordoliberisti che vogliono soltanto politiche di
austerità e controriforme, cioè seguono la
“dottrina Schäuble” ovvero il programma
fallito di cui ha parlato Varoufakis. Le avvisaglie precedenti Cernobbio, e la guerra
dei mesi successivi ruotavano, hanno ruotato e ruotano intorno a questo asse di ragionamento. E quando i greci sostengono
che lo scontro verte sulla politica dell’Europa hanno ragione. Il moloc vuole sconfiggere una linea politica e i suoi possibili effetti a cascata. Una sconfitta di Syriza,
però, non sarà la vittoria di quella “dottrina” ma la rinascita vittoriosa del fascismo.
Lo si ritiene da più parti.
In Grecia e in varie contrade d’Europa,
formazioni politiche comuniste e gruppi
anarchici denunciano i progressivi cedimenti e arretramenti di Syriza, frutto tipico, sostengono, della “sinistra borghese”,
del suo riformismo impossibile. Sarà; ma
è indubitabile un fatto: Syriza ha ficcato
un cuneo nel marchingegno liberista. Ha
suggerito un percorso, ha praticato una
prospettiva per avviare la trasformazione
di un assetto sociale e politico profonda-
7
mente ingiusto. Ha offerto spunti di politica economica di per sé praticabili. Forse
bisognerà approfondire i punti deboli della strategia nonché i tanti punti deboli della tattica. Forse bisognerà dire al popolo
greco quello che una sinistra radicale, dovrebbe dire con nettezza: un’altra Europa
non è possibile!
Che Syriza mantenga un consistente insediamento, sembra tuttavia indiscutibile. Rilevazioni della prima metà di giugno davano i seguenti dati: gradimento di
Tsipras, 68-70 per cento; intenzioni di voto a Syriza, 34,5 per cento (5 per cento al
Partito comunista ellenico, oppositore radicalissimo di Syriza e del suo governo);
permanenza nell’euro: 72 per cento degli elettori. Quanto basta per far scrivere a
Vittorio Da Rold, commentatore assai autorevole del “Sole 24 Ore”: “Chi punta sulla debolezza politica di Tsipras o sulle divisioni interne a Syriza con il leader dell’ala sinistra del partito, Panagiotis Lafazanis, sbaglia i suoi calcoli”. I rilevamenti, si
dirà, lasciano il tempo che trovano; è vero, ma danno un certo orientamento. Tanto per non dimenticare, le intenzioni di voto espresse in vista delle elezioni del 25
gennaio scorso, si tradussero in voti effettivi.
Scrivo questa nota il 15 giugno, quando
sono ormai saltate le trattative del 13-14
ritenute fondamentali per la risoluzione
degli ultimi termini del contenzioso (avanzo primario, iva, pensioni, condizioni del
lavoro dipendente). Sembrerebbe, dunque, che i greci non hanno oltrepassato
quella linea rossa che avevano tracciato quale limite invalicabile entro cui muoversi nella trattativa con l’Unione Europea.
Che resta, comunque, un moloc da rottamare quanto prima.
il Moro
COOP, IMPRESE, DEGRADO FINANZIARIO E CITTÀ
EX ZUCCHERIFICIO, SPECULARE SULL’AREA O SUI SOLDI, O SUI SOLDI E SULL’AREA
Sulla proposta progettuale Coop per
l’area dell’ex zuccherificio si sono raccolti su questo giornale diversi contributi tutti certamente interessanti.
Personalmente vorrei approfondire
un aspetto in qualche modo e misura
inedito. Una sorta di aggiornamento
indispensabile rispetto alle modalità
di approccio al problema. Parto dal
considerare l’attuale commistione tra
impresa produttiva e impresa finanziaria, ancor più se speculativa.
E’ noto che le perdite (sulle piazze speculative) superano le immissioni ordinarie perché il sistema -a parte la crisi- non è più governato da valutazioni
economico-finanziarie che si basino
sui fattori dell’economia reale. Infatti
oggi “il sistema è governato da algoritmi matematici che massimizzano
unicamente il numero delle operazioni
nell’unità di tempo”(1); operazioni che
consentono guadagni enormi a vantaggio dei vertici delle banche stesse
e disastri per le aziende. E’ noto anche
che aumentano gli studi e le ricerche
che affrontano il tema dello “shadow banking”, vale a dire l’esistenza
di clienti talmente privilegiati da far
ritenere che siano essi a controllare
l’attività delle banche stesse. Da tempo la liquidità dei privati si indirizza sia
verso le banche “universali”, destinata
ad attività speculative che causano
perdite maggiori dei flussi di moneta
che pervengono alle stesse banche,
sia verso gli Stati sotto forma di tasse
varie. Gli Stati domandano liquidità se
sono in disavanzo, anche per i soli interessi sul debito, e per i loro fabbisogni
di cassa.
In sintesi e in altri termini “le banche
assorbono e distruggono liquidità; gli
Stati ne ricevono, ma ne domandano di
più, non potendola creare come quando
erano titolari di sovranità monetaria”(1).
Infine le Banche Centrali, private, hanno operato e operano col “quantitative
easing” a favore delle banche universali, solo quando la distruzione di liquidità da parte di queste ultime superava e supera le immissioni di tutti
gli altri operatori verso di esse.
Soprattutto è divenuto chiaro come grazie all’UBE (Unione Bancaria
Europea), anche “le banche viste come
le dominatrici della finanza e dell’economia, si trovano e si troveranno alla mercé dei centri della grande speculazione
internazionale”(1).
Maggiormente
rilevante resta però il fatto -come già
detto- che il controllo della liquidità
o, più precisamente, il suo drenaggio,
appaia funzionale, comunque, alla necessità -per i soggetti che svolgono sia
credito sia finanza speculativa- di destinare tale liquidità unicamente alla
massima quantità di operazioni speculative nell’unità di tempo, piuttosto
che al rendimento agganciato in qualche misura all’economia reale.
Si può capire come il sistema econo-
mico finanziario sia stato colpevolmente “geneticamente modificato”,
facendogli assumere “un corpo” che
ha definitivamente perso tutte le caratteristiche umane.
Che cosa c’entri tutto questo con il
problema dell’investimento finanziario della Coop Centro Italia per l’area
dell’ex zuccherificio è da spiegare, se
non da dimostrare. Si parta dal considerare il “mutamento genetico”, avvenuto negli ultimi decenni nel “DNA”
del sistema cooperativistico. Per i tanti
che ormai ne conoscono il processo,
la metafora non apparirà affatto fuori
luogo; ma non tutti ancora sanno che
il sistema cooperativistico italiano si è
pressoché omologato -nella gestione
finanziaria- alle banche universali: ovvero, raccolgono liquidità dai soci per
fare PRESTITO SOCIALE, ma anche per
fare investimenti finanziari. In questi
ultimi anni diverse cooperative hanno
avuto problemi finanziari, con effetti
a catena, che hanno colpito la stabilità dell’”Istituto della cooperazione” o
dell’”Istituto del prestito sociale”. In tal
senso, in un sistema privato degli strumenti di prevenzione, le cooperative
poco virtuose (certamente meglio dire “meno etiche”) hanno vistosamente
danneggiato quelle virtuose, maggiormente ancorate ai valori del lavoro e della solidarietà sociale, piuttosto
che alle logiche capitalistiche della
speculazione finanziaria.
Tutto questo è successo sotto agli occhi di tutti? Si e no. Si, perché le Coop
raccolgono liquidità dai soci alla luce
del sole; no, perché si fanno affidare i
risparmi chiamandoli “prestito soci”, e
non si sa se spieghino bene a tutti che
il prestito soci è un capitale messo a
rischio nell’impresa, che lo usa per la
sua “attività”, e soprattutto che ne usa
una parte consistente per dedicarsi alla speculazione finanziaria, come fosse
una vera e propria “merchant bank”.
E’ stato pubblicato da Giorgio Meletti
(2) che nel 2012 Unicoop Firenze,
Unicoop Tirreno e Coop Centro Italia,
abbiano perso in tutto oltre 200 milioni, dopo aver segnato in bilancio
313 milioni di svalutazioni delle azioni
possedute, e che la Coop presieduta
da Giorgio Raggi abbia addirittura fatto strike, riuscendo a perdere soldi sia
sul Montepaschi, sia sulla Popolare di
Spoleto. E’ stato scritto che il capolavoro di Raggi sia stato quello di vendere
una ventina di supermercati al Fondo
Etrusco, società immobiliare del Monte
dei Paschi e dell’ex vicepresidente della banca senese, Francesco Gaetano
Caltagirone, per non vendere le azioni
del Monte dei Paschi, considerandole
“strategiche”, e che in conseguenza di ciò
le azioni non valessero quasi più niente,
e che ogni anno la Coop debba pagare
milioni in affitti al Fondo Etrusco, di cui
però ha perso delle quote, tanto da configurarsi il fatto che Coop Centro Italia
partecipi alla speculazione contro se
stessa.
Anche il sistema cooperativistico in sostanza, nonostante le diversificazioni
interne, le sue origini, le sue notevoli
performance economiche e sociali,
sembra aver iniziato da diverso tempo
a far parte di quel “degrado finanziario”,
conseguenza e causa, al tempo stesso,
dell’esercizio dell’egoismo economico
e dell’irresponsabilità sociale, ovvero
di quell’individualismo tanto caro al
sistema capitalistico di ogni tempo,
perché utilissimo alla sua stessa affermazione. Ed allora l’unica risposta che
se ne ricaverebbe dal chiedersi che
cosa ne sarà dell’area dell’ex zuccherificio di Foligno è la seguente: sarà una
speculazione sull’area o sui soldi che
verrebbero investiti “diversamente”, o
sui soldi e sull’area. E se il popolo degli
“investitori” coop, che anche a Foligno
non è piccolo, iniziasse a reinterpretare il proprio ruolo, chiedendo maggiore trasparenza e partecipazione
nella propria organizzazione, nonché
il ritorno - perlomeno graduale- alle
originarie pratiche e finalità sociali, attivandosi in prima persona anche per
una città più completa, equa, solidale e
“cooperativa”? Forse sarebbe ora.
Seguiranno aggiornamenti.
Alessandro Porcu
(1)Antonino Galloni, Il futuro della banca, 2014 ; (2)
Giorgio Meletti, Il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2013
8
N. 12 – GIUGNO 2015
CULTURA DUE
UN SACCO DI GUAI
S
ono in molti a chiedersi come
Burri avrebbe giudicato il
grande agitarsi che sta avvenendo intorno alle celebrazioni per
il centesimo anniversario della sua
nascita avvenuta il 12 marzo 1915
a Città di Castello. Artista noto in
tutto il mondo fin dagli anni ’50 del
secolo scorso era altrettanto conosciuto per la sua riservatezza, per
i suoi silenzi. Nel 1954 dichiarò al
critico statunitense Milton Gendel:
“Le parole non significano niente per me, esse parlano intorno
alla mia pittura. Ciò che io voglio
esprimere appare nella pittura”. E
a giudicare dalla presenza dei suoi
quadri nei più importanti musei del
mondo, Burri ha espresso molto
nelle diverse fasi che hanno caratterizzato i suoi periodi artistici dai
Sacchi ai Legni, dalle Combustioni ai
Ferri e alle Muffe, dalle Plastiche ai
Cretti al Cellotex. Con le sue opere
non con le sue parole. Quando il
12 dicembre 1981 viene inaugurata
la Collezione Burri sono in tanti ad
assistere. I presenzialisti locali, rappresentanti delle istituzioni e critici
d’arte del calibro di Giulio Carlo
Argan, Cesare Brandi e James Johnson Sweeney. Mancava proprio lui
anche se c’è chi giura di averlo visto
fino a poche ore prima curare nei
minimi particolari l’allestimento del
suo museo. Carattere schivo e per
niente amante della mondanità evitava i critici, le loro suggestioni e la
loro verbosità figuriamoci le schiere
degli ammiratori vocianti o incompetenti o interessati. Certamente
Burri non avrebbe gradito il lungo
percorso della Proposta di legge dei
parlamentari umbri avanzata il 26
marzo 2013 e approvata definitivamente nell’aprile 2014. Una legge di
1.395 parole, settantacinque in più
della Dichiarazione di Indipendenza
americana. Come ha fatto notare
Gian Antonio Stella sul Corriere
della Sera la legge una volta approvata in Commissione Cultura è stata inviata al Comitato ristretto poi a
3 Commissioni parlamentari (Affari
Costituzionali, Bilancio e Bicamerale
per gli affari regionali. Un ping pong
tra Camera, Senato, Ragioneria di
Stato, le firme di Napolitano, Renzi, il Guardasigilli Orlando fino alla
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Un delirio procedurale per
sei articoli che hanno l’obiettivo di
istituire un comitato per le celebrazioni del centenario il 13 marzo e
promuovere quel turismo culturale
di cui il Paese ha tanto bisogno. Sei
articoli che non dicono e non stanziano niente. Solo riconoscimenti
formali. Così la Fondazione è costretta a vendere quadri per pagare
le spese dei festeggiamenti sembra
per più di quattro milioni di euro.
Fanno parte del Comitato il ministro Franceschini, il Presidente della
Fondazione, Bruno Corà, Gabriella Belli direttrice della Fondazione
Musei Civici di Venezia, Sandrina
Bandera soprintendente Museo di
Brera, Antonio Natali direttore della Galleria degli Uffizzi, Maria Vittoria
Marini Clarelli responsabile Galleria
Arte Moderna e contemporanea
di Roma, Fabrizio Bracco assessore
uscente alla cultura della Regione
Umbria, l’artista Jannis Kounellis in
rappresentanza della Provincia di
Perugia e il sindaco di Città di Castello Luciano Bacchetta. Franceschini convoca il comitato ai primi
di ottobre 2014 ma la Fondazione
ha già presentato il suo programma a luglio. Chi saprà mai spiegare i
motivi per cui è stata fatta la legge e
il Comitato? L’onorevole Walter Verini non si tiene dalla gioia e lancia
un appello “Deponiamo le armi e
lavoriamo per Burri” Bene ma fino
all’autunno scorso dove era? dove
viveva? E cosa ne pensa dei quindici
anni di scontri legali che sono costati milioni e milioni di euro per estromettere la vedova di Burri, Minsa
Craig da ogni eredità e da ogni
ruolo? Nel 2003 la Craig muore e
con tempismo perfetto, con lo stile
tipico del personaggio, la governatrice Lorenzetti sbarca a Città di
Castello: “Giriamo pagina. La Craig
non c’è più quindi si può procedere e guardare avanti”. Promette un
Centro di arte contemporanea da
realizzare nel Palazzo Vitelli a fianco
di Palazzo Albizzini sede del museo.
In effetti è di parola e il centro viene
realizzato nel 2004 ma a Foligno. Lo
dirige il folignate Italo Tommasoni,
poliedrico personaggio che di volta
in volta riveste varie parti in commedia. Da venti anni nel comitato
esecutivo della Fondazione Burri
non disdegna di indossare la toga di
avvocato per difendere gli interessi
e il ruolo dei suoi colleghi oppure
di insegnare arte ai giovani carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio culturale. Forse un conflitto
di interessi c’è visto che spesso e
volentieri il manager Tommasoni
incaricare l’avvocato Tommasoni di
beghe legali. Ma le ultime vicende
Direttore Responsabile: Cinzia Gubbini.
MENSILE DI MILITANZA CIVILE Periodico iscritto al RegistRo peRiodici
FONDATO DA PIERO FABBRI
del tRibunale di spoleto n. 4 del 19/11/2013
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Luciano Falcinelli, Angela Figoli, Paolo Lupatelli, Marina Renzini, Matteo Santarelli, Mauro Volpi.
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foto di Gabriele Basilico - Alberto Burri
giudiziarie sono una Waterloo per
la Fondazione ma, purtroppo anche
per i Tifernati i veri e unici eredi del
patrimonio culturale e artistico di
Burri. Il testamento di Minsa Craig
che fino a pochi mesi prima della
sua scomparsa era a favore della
Fondazione viene modificato a favore dei parenti americani. Il danno
maggiore per Città di Castello e
l’Umbria è rappresentato dalla perdita dei quadri che Burri custodiva
nella sua casa di Beaulieu alle porte
di Nizza. Una scelta fatta dall’artista
non a caso. I 34 quadri vengono
impacchettati e spediti in America:
potevano rappresentare l’attrazione fondamentale del centenario.
Intanto nell’ottobre scorso si dimette Maurizio Calvesi, Presidente
della Fondazione da 12 anni. Dice
al mensile L’Altrapagina “Lascio perché all’interno c’è un po’ di caos, di
anarchia (…) la Fondazione risente
di una sorta di autoritaria dinastia.
Il figlio di Tiziano Sarteanesi, è ora
titolare di una casa editrice cui vengono (almeno per ora ) affidate tutte le pubblicazioni della Fondazione,
compreso si teme l’importantissimo
e voluminosissimo Catalogo generale del grande Maestro. In occasione della mostra di Kiefer il giovane
Sarteanesi ha presentato un preventivo per il catalogo a mio parere
fuori misura ma alla mia richiesta di
rivedere il prezzo ha detto che era
impossibile(…)”. Nel 2002 il mensile micropolis scriveva “Viene da
pensare che senza la famiglia Sarteanesi non esisterebbe la Fondazione Burri. Ma come si maligna potrebbe essere vero anche l’opposto
(…)” In effetti c’è stato un momento che erano quattro i Sarteanesi
che lavoravano alla Fondazione. Ma
fino alle dimissioni-estromissioni,
Calvesi si è ben guardato da tirar
fuori il problema. Silenzio da parte
della Regione che ha il potere di
controllo in merito e da parte della
politica (salvo qualche consigliere
comunale). Tutti a festeggiare con
eventi mondani come il concerto
che Salvatore Sciarrino dedicherà al
Maestro negli ex Essiccatoi del tabacco, tutti a Gibellina per vedere
i lavori in corso del Grande Cretto,
tutti a Milano per il ricostruito Teatro Continua, tutti a New York per
la mostra che il Museo Guggenheim
ha organizzato fino ai primi giorni di
gennaio 2016 prima di portarla in
Italia. Per ora il centenario di Burri
sembra l’ulteriore occasione persa
dall’Italia per rivendicare un primato artistico di eccellenza. Secondo il
Comitato tutto procede nel modo
migliore: i visitatori delle due sedi
espositive passano dai 2200 dei primi tre mesi del 2014 ai 6400 dello
stesso periodo del 2015. Risultato
incoraggiante ma a pagare il biglietto è il Municipio Tifernate che rimborsa le scuole in visita.
I BARCONI
Paolo Lupatelli
Arrivano di solito su uno sgangherato barcone, / per sfuggire come possono a un crudele destino, / molti stentano a chiamarle,
semplicemente, persone / e preferiscono un più generico e razzista “clandestino”.
Si sa che tirano a campare come possono / e, diciamolo pure, non
danno un gran fastidio / ma per taluni sono un rospo che non
inghiottono / e volentieri li manderebbero all’inferno in nome del
buon Dio.
Qualcuno ragiona così con i poveri diavoli / e con le idee? Senza
alcun pudore / dicono che a merenda van bene anche i cavoli
tanto per loro non ci sarà mai l’indigesto panino / abituati al caviale e al buonumore / della tavola cardinalizia nella mensa del
“Gazzettino”.
Luciano Falcinelli
dal film The weeping meadow di Theo Angelopoulos
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