n15 Anno 2011 Nov.-Dic. Periodico bimestrale · “Poste Italiane SpA - Spediz. abb. post. - 70% Aut.: CBPA-SUD/CS/240/2009” val. dal 21/07/09 Trasporti Turismo Energia Ambiente 150º Corruzione in Italia Storia Costume Dissesto idrogeologico Libri Ingegneria Edilizia green Tempi del ’43 - amlire Moda movie Isolamento sismico Impianti di risalita di Camigliatello Silano (CS) http://nuke.silasviluppo.com Ai nostri lettori Auguri di Buon Anno 2012 come tutte le pubblicazioni di iniziativa personale ha bisogno di un allargato sostegno. L’impegno è di mantenerlo e di migliorarlo. Il periodico si sostiene con il ricavato di abbonamenti e pubblicità. Invito i lettori ad abbonarsi. 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Vi è un tutto di varie provenienze che sovrasta il mondo produttivo con effetti negativi e vi è uno specifico non meno preoccupante che è riferito alle varie zone. Le misure governative di recente adottate, e quelle che verranno, sembrano dirette a sacrifici da cui ripartire, anche se le previsioni di crescita si presentano ancora nebulose e comunque differenziate tra nord e sud. Come sempre, d’altronde, per le note cause che caratterizzano il nostro ambiente,. Si avverte però la consapevolezza che il modo di amministrare deve essere rivisto, attraverso un utilizzo razionale delle risorse economiche. Certamente nel privato ma specialmente nella amministrazione pubblica e quindi smuovere ciò che sempre è stato immanente, anche nellimmaginario collettivo. Un esempio. La diminuizione delle entrate delle amministrazioni pubbliche locali hanno provocato reazioni e proteste, ma poi ci si è dovuto accorgere che occorre una nuova dinamica organizzativa ormai lontana da quella inveterata che ravvisava normale un risultato di bilancio negativo, in quanto pubblico. Un’acquiescenza allargata e colpevole, agli occhi di oggi, ma che ha caratterizzato un andazzo per decenni, senza nessuno sbocco di promozione sociale che non fosse la politica di sistemazione dei posti di lavoro. Tale accenno esemplifica quanta nuova forza è richiesta per per poter affrontare il disagio su diversi fronti che si avverte rispetto ad altre zone. Un maggiore senso del dovere amministrativo da parte pubblica ed un affermarsi della coscienza civile nel privato debbono accompagnare lo sforzo e l’impegno richiesto ai cittadini. La nostra società ha sempre conosciuto ristrettezze e sacrifici, sopportati talvolta con rassegnazione, ma ha utilizzato un bene ancora molto vivo e sentito quale è lamore per la famiglia e lamicizia. Unamica calabrese che vive in Toscana dice che è inevitabile il confronto con altre realtà meglio organizzate, ma che poi trova impossibile rinunciare a quel modo di vivere pieno di persone legate tra loro con un forte interesse reciproco, che chi sta altrove vede benissimo e che trova molto,molto speciale Oggi questo bene può essere maggiormente utilizzato in senso collettivo, estendendo interesse e solidarietà nel proprio ambiente e in ogni manifestazione sociale, con lo scopo di migliorare il nostro vivere comune perché valga contro interessi criminali e collegati, ingiustizia ed inefficienza. Nei nostri programmi di sviluppo sarà bene tenerne conto valorizzando meglio, a tutti i livelli, la nostra qualità. 3 150º Quali cambiamenti profondi, quali dinamiche, quali interventi strutturali, hanno portato allo stato delle cose? Massimo Veltri * N el mese di agosto del 1961, cin- opolitico strategico e quindi delicato; e il partito comuquant’anni fa, mi recai giovinetto a To- nista più forte d’occidente dove lo mettiamo? rino, dopo un breve passaggio a Bordighera e a San Remo, per il matrimonio d’un parente, emigrato. Visitai Strambino, Ivrea, la Fiat, il Valentino, la Mole. Juventino lo ero già. Era, all’epoca, il viaggio più lungo che avessi fatto. Era il centenario dell’Unità d’Italia e Torino era sobriamente pavesata, in festa, per l’occasione. Mi portarono, ricordo, al Museo Egizio e alla sede del primo parlamento italiano: quei velluti, quel rosso, quell’austerità, molto mi colpirono. Come pure il caffè dove Cavour lavorava. L’evento era però Torino ‘61. Uno spazio molto grande con padiglioni, mostre, la monorotaia, il circarama, questa specie di cinematografo a 360 gradi con tanto di occhiali utili a una visione corretta dei filmati. Una specie di lunapark, in un’italietta da quindici anni uscita dal fascismo e dalla guerra, l’anno prima c’erano state le Olimpiadi a Roma, s’avvertivano i segnali del boom che da lì a poco avrebbe attraversato il paese. Un Italia povera, sobria, raccolta, con i calabresi, insieme ai tanti altri di tante altre regioni, chiamati dal bisogno nel triangolo industriale, ammucchiati in enormi e decadenti caseggiati a schiera, guardati, almeno, con il naso all’insù. Son tornato di recente, a Torino. E le piazze, i monumenti, i palazzi mostravano bandiere tricolore, corolle di fiori, motivi di addobbo legati alla repubblica unitaria. In un territorio ora in preda a convulsioni legiste, in cui l’operaio fiat pare svaporato, Pavese, Einaudi, Gramsci, Gobetti sono ombre fantasmatiche. Che cosa è successo, in centocinquanta anni, e negli ultimi cinquanta in particolare, al nostro paese, al mezzogiorno, alla Calabria? Quali cambiamenti profondi, quali dinamiche, quali interventi strutturali, hanno portato allo stato delle cose, con una spaccatura profonda fra le parti dell’Italia, la perdita di un senso d’appartenenza unitario ch’era alla base della nostra convivenza civile, le incertezze, le paure, provocate da un mondo globalizzato, sempre più povero, sempre più eterodiretto? Davver basta dire che la politica è solo emanazione dei mercati, ormai? E’ sufficiente cavarsela con: Italia-sede del Papato; e: siamo una repubblica giovane; e ancora: la collocazione nel Mediterraneo - con decenni di guerra fredda, poi... - ci identifica come snodo ge- 4 Intendiamoci: tutto questo, e altro ancora, c’entra, c’entra, eccome, ma io ritengo che nel contempo siano intervenute presenze, e assenze, che hanno distorto il senso delle cose. Una politica onnivora, una questione meridionale irrisolta, l’insorgere, simmetrico, della questione settentrionale..., un non sapere, non volere elaborare con nettezza e schiettezza la storia che avevamo alle spalle, una vocazione antropologica, ma non per questo immodificabile, al compromesso, all’inciucio, e da noi all’indolenza, all’attendismo, al fatalismo, all’omertà. Prendiamo come casi paradigmatici la reazione alla Lega e il riinnamoramento borbonico. La Lega sappiamo bene che cose esprime e che cosa persegue. Ma alla Lega non si è, nei fatti, in grado di rispondere altro se non: Veniamo da civiltà millenarie mentre voi stavate sulle palafitte; oppure: Le risorse che avete voi vi permettono d’ingrassare, ah... se le avessimo noi... Mai una riflessione sul come li spendiamo, i milioni a disposizione; sul nostro deficit di intrapresa e di protagonismo; sulla qualità delle cose che facciamo e proponiamo. I Borboni: lunga, tesa, è stata la discussione sul fatto ch’era meglio se rimaneva il re di Napoli, centocinquanta anni fa. Che si stava meglio allora; che i sabaudi ci hanno fatto a pezzi. Con elementi storici che attingono in parte alla realtà delle cose, ma solo in parte, mentre tutto confluisce in quella deleteria cultura meridionalista connotata quasi esclusivamente dal rivendicazionismo, e basta. Parlare oggi, con un devastante attacco all’economia nazionale, con un governo che s’è dovuto affidare in mano a tecnici, stante la crisi, speriamo non irreversibile, della politica in Italia, di nuove condizioni per il sud, di invitare a scrivere nuove pagine d’un meridionalismo responsabile..., può apparire in qualche misura eccentrico o addirittura secondario rispetto alle urgenze del momento. Ma a parer mio non lo è: il paese risorge se è unito, risorge dal basso, risorge con il contributo di tutte le parti del suo corpo sociale, e risorge se l’intelighenzia esce dall’afasia e non abdica al suo ruolo. * Professore ordinario di Idraulica, Presidente Nazionale dell’Associazione Idrotecnica Italiana dissesto idrogeologico Il dissesto idrogeologico del nostro territorio continua a provocare disastri con conseguenze gravi in termini di vite umane, distruzione di case e strade, sconvolgimenti della vita e dell’economia di interi paesi. Alluvioni politica di gestione del territorio Ci siamo interessati dell’argomento con vari articoli e continuiamo a farlo dando voce a valutazioni, giudizi e analisi di accademici, tecnici e professionisti del settore N.d.D. Q uando un ciabattino, dopo aver professionalmente corretto la riproduzione di una scarpa in un dipinto di Apelle, volle spingersi ad altre considerazioni sul resto del dipinto, il grande pittore lo ammonì dicendo: Ne supra crepidam sutor indicaret (che il calzolaio non giudichi su qualcosa al di sopra della calzatura) Questo episodio mi torna in mente quando sempre più frequentemente sono costretto ad assistere in televisione e non solo alle dissertazioni sull’idraulica fluviale di altri colleghi tecnici, specialmente geologi. Probabilmente i giornalisti che li intervistano hanno a disposizione una lunga lista di tecnici pronti alla bisogna, ma ciò non toglie che se parlano di alluvioni dovrebbero possedere esperienza e strumenti tecnici professionali del tutto assenti nei loro corsi universitari. Essi, peraltro, suscitano anche le lamentele di colleghi specializzati in geologia applicata, i quali lavorando a stretto contatto con gli ingegneri, sono abituati in un fecondo lavoro interdisciplinare rispettoso delle competenze. Trattare di alluvioni, in realtà, richiede conoscenze legate a tante altre discipline ingegneristiche connotate da una basilare preparazione matematica, a volte anche di complessa impostazione. Il Corriere della Sera in data 25 Novembre 2011 parla Giuseppe Frega * di un pianista, al sud, consulente sulle frane. Forse il Corriere della Sera non sa che in Calabria si irride di norma al dilettantismo, in campi non propri, dei “musicanti”. Gli eventi catastrofici che hanno come protagonista l’acqua non sono soltanto eccezionali, perché hanno addirittura segnato la vita e la mentalità dei calabresi. Alvaro e Perri, Strati e Gambino, meridionalisti come Nitti, studiosi come Isnardi e Lambi, storici e antropologi, il folklore e le tradizioni orali si sono occupati dell’eccesso o la carenza delle acque, la siccità, le piogge improvvise, i piccoli torrenti che diventano mostri perfidi, gli sbalzi climatici, ecc. Questi fenomeni naturali hanno segnato l’organizzazione dello spazio, l’economia, le culture e la religiosità delle popolazioni. L’assetto del territorio calabrese è praticamente fragile ed esposto ai pericoli di dissesto(1) e di eventi catastrofici. Ma gli effetti di questa fragilità sono esasperati da una politica di gestione del territorio totalmente dissennata, per alcuni versi dolosa e per altri incompetente. Per le alluvioni ormai va resa operativa l’amplificazione dell’alveo fluviale con le aree di pertinenza fluviale attraverso un presidio costante del territorio attraverso azioni di polizia idraulica. Si deve inoltre recuperare la cultura della manutenzione ordinaria. Gli interventi strutturali, da taluni definiti anche ingegneristici, consistono nelle sistemazioni idrauliche. Il loro ruolo nella manutenzione del territorio, può essere determinante nell’ambito di un piccolo bacino idrografico, dove più stretto è il rapporto di interazione fra alveo e ver>>> Nota 1 Forse è proprio l’abuso del termine improprio “dissesto idrogeologico” a spingere i giornalisti generalisti a far capo prioritariamente ai geologi quando si verificano le alluvioni. Però è stato coniato ora un nuovo termine “dissesto geoidrologico” nel quale prevalendo per lunghezza di lettere l’idrologia potrebbe essere favorito l’ingresso degli idrologi in interviste di vario tipo. 5 dissesto idrogeologico >>> santi. In questa logica la costruzione di briglie, contrariamente a diffuse opinioni superficiali che l’avversano, genera ambiti di stabilità dell’ecosistema con il ritorno della vegetazione nelle zone in dissesto, con l’attivazione della pedogenesi, con l’aumento della capacità di infiltrazione nel suolo, con la ricomparsa della fauna. Inoltre le briglie, come altre sistemazioni idraulico-forestali, sono sinergiche sia con le sistemazioni fluviali sia con le opere di stabilizzazione dei versanti. Pertanto tali sistemazioni devono essere eseguite in modo coordinato, con visione unitaria. Circa il criterio da seguire nella scansione cronologica dei lavori, se dare cioè precedenza ai lavori sul bacino di raccolta o sull’asta del torrente, si sono riscontrate, specie nel passato, due tendenze volte a favorire o l’aspetto prevalentemente biologico o quello ingegneristico. Secondo la tendenza di carattere biologico dovrebbe essere data precedenza assoluta ai lavori di sistemazione forestale con particolare riguardo ai versanti ed al loro rimboschimento. Solo nel caso di insuccesso di quest’azione si procederà alla costruzione di opere murarie o di briglie. Nella logica ingegneristica, invece, partendo dal concetto che la dinamica del corso d’acqua è essenzialmente legata alle sue caratteristiche idrologiche e geomorfologiche, si dovrebbe eseguire dapprima la sistemazione del- le frane e delle zone in dissesto del bacino idrografico e, contemporaneamente la sistemazione dell’asta del torrente, da cui spesso prendono origine le frane. Solo dopo aver sistemato in tal modo il bacino idrografico si darebbe inizio al rimboschimento dei versanti. L’applicazione rigida dell’uno o dell’altro dei due criteri suindicati non di rado ha impedito di ottenere i migliori risultati, quando non ha portato addirittura all’insuccesso della sistemazione. Oggi sembra prevalere il criterio secondo cui ogni bacino idrografico rappresenta un’entità con caratteri propri, con caratteristiche particolari, per cui la priorità dei lavori dovrà essere stabilita di volta in volta, con una conseguente gradazione dei lavori nel tempo e nello spazio su basi logiche e funzionali. Solo così sara raggiunto l’obiettivo di mantenere, sia pure artificialmente, uno stato di discreto equilibrio nel bacino idrografico complessivo e non solo in quello montano, dove in prevalenza le sistemazioni idraulico-forestali sono localizzate. È importante, per il fine che si vuole così raggiungere, una continua osservazione degli effetti che i lavori eseguiti provocano anche lontano. * Presidente dell’Associazione Idrotecnica Italiana Sezione Calabria Dissesto idrogeologico: fatalità o altro? O rmai, a qualche settimana dai dolorosi eventi verificatisi, vanno ribadite e precisate alcune questioni che ritengo centrali e intorno alle quali, se non si manifesta una immediata presa di coscienza con conseguente svolta sulle politiche di gestione del territorio, non è pensabile avviare una reale cesura col passato. Il rischio idrogeologico in Italia esiste ed è alto; secondo i dati della Protezione civile, i Comuni a rischio idrogeologico sono circa il 70% del totale. Regioni co- 6 Giancarlo Principato * me la Calabria, la Valle d’Aosta e l’Umbria hanno circa il 100% dei Comuni a rischio. Insomma, siamo il paese delle catastrofi potenziali. Ma la natura del nostro paese è quella e non si può cambiare: al massimo si può provare a governarla. E qui sorgono i problemi. Perché quel che manca è la prevenzione. Una concreta politica di gestione, manutenzione e messa in sicurezza dell’esistente c’è solo sulla carta. In montagna la manutenzione è andata a farsi benedire a causa dello spopolamento che c’è stato nel tempo. L’elenco impietoso degli eventi catastrofici verificatisi ad oggi ed il relativo numero di vittime ci dice che finché dissesto idrogeologico Frana di Maierato (CZ) la gestione del territorio non diventa una vera e strategica priorità nazionale si continuerà a finanziare esclusivamente le emergenze e gli indennizzi post-calamità. Nasce qui la consapevolezza dei ritardi e delle difficoltà di applicazione della “Legge quadro sulla difesa del suolo” che, emanata nel 1989, è stata, ad oggi, caratterizzata da ritardi e lunghi tempi morti che “di fatto” hanno finito con renderne poco evidente e tangibile la grande portata. Quello che sta caratterizzando la legge in questione è che viene riportata alla ribalta solo in occasione dei disastri che continuano a verificarsi. Ma a nulla servono i rimedi tecnici se non c’è la volontà politica di finanziarli e se manca un cambiamento culturale nel concepire lo sfruttamento del territorio. Nel novembre 2010 il Ministro dell’Ambiente rivendicava un piano straordinario per combattere il dissesto idrogeologico. Due miliardi circa per mettere in sicurezza un paese martoriato dall’abusivismo e dall’incuria. Purtroppo il piano annunciato non è mai decollato, come ha avuto modo di dire lo stesso Ministro Prestigiacomo qualche giorno dopo l’alluvione delle Cinque Terre. Inoltre, è opportuno evidenziare che negli ultimi 4 anni gli stanziamenti ordinari del Ministero Ambiente relativi al dissesto idrogeologico sono passati da 550,6 milioni di euro nel 2008 a 408 nel 2009 per scendere a 147 nel 2010 e a 83,9 nel 2011. Un taglio di circa l’85% perpetrato senza incontrare decise opposizioni e registrando l’indifferenza di Stato e Regioni e l’ignavia delle Amministrazioni Comunali, responsabili di Piani Regolatori con previsioni di interventi di espansione indiscriminate e spesso caratterizzate da lucrose variazioni di destinazione d’uso e di permissività di cui in alcuni casi non ci si riesce a rendere conto. Eppure Uffici Tecnici e Sindaci, sono quelli che dovrebbero conoscere bene il territorio e relative problematicità e sono quelli cui spetterebbe far rispettare le leggi che ci sono. Purtroppo, in alcuni casi, sono proprio loro ad avere più difficoltà nel rifiutare un’autorizzazione, un permesso di edificabilità, un cambio al Piano Regolatore. Allo stesso tempo sono anche i primi a chiudere l’occhio sull’abuso quotidiano: sulla casa costruita sulla frana o alle falde del vulcano, sul campeggio nell’alveo del fiume. Vittime e carnefici, fino a che punto inconsapevoli non si sa. Perché i paesi sono piccoli, e dire no non sempre paga in termini elettorali. Il bilancio dei danni delle ultime inondazioni, dalla colata di acqua e fango che ha travolto nell’ottobre 2009 Giampilieri e Scaletta Zanclea (Messina) agli ultimi eventi in Lunigiara e nella provincia di La Spezia, a Messina ancora e in Calabria, secondo Legambiente, sarebbe di circa 640 milioni di euro, ovvero 875 mila euro al giorno, cifre che debbono far riflettere. Quando si parla di pericoli probabili, di previsioni preoccupanti non sono invenzioni. Sono i geologi che ci avvertono, gli idraulici esperti di idrologia, gli scienziati veri, quelli che studiano e ricercano, non quelli che vanno in televisione disposti a raccontare le più improbabili storielle pur di svendere la propria scienza per un po’ di popolarità e/o altro. Probabilmente quanto si registra è dovuto ad una gestione sbagliata del territorio, alla scarsa considerazione delle aree considerate a elevato rischio idrogeologico, a permessi di costruire rilasciati illegittimamente in suddette aree, mancata predisposizione di adeguati sistemi di allertamento e piani di emergenza per mettere in salvo la popolazione; tutto ciò insieme ad un territorio che non è più in grado di ricevere precipitazioni così intense. Si pensi che, per quanto concerne i dati meteo del 25 e 26 ottobre relativi a Cinque Terre e Lunigiana, ci si è trovati di fronte ad una perturbazione durata complessivamente 30 ore ma che ha avuto una fase acuta di otto ore tra le 11,00 e le 19,00 del 25 ottobre e con una cadenza tipica di una tempesta tropicale. >>> 7 >>> dissesto idrogeologico Il volume d’acqua transitato alla foce del Magra è stato di 150.000.000 di metri cubi contro i 4.320.000 abituali, ossia circa trenta volte superiore alla norma. La precipitazione massima caduta in 6 ore sulle Cinque Terre è pari a circa un terzo della media annuale. Tutto ciò ha certamente dello straordinario con cui dobbiamo cominciare a fare i conti. Ma un paese non può specializzarsi nelle emergenze. Deve anche imparare a gestire il quotidiano. Sfida difficile ma che si può vincere. Si pensi che fino a trent’anni fa la protezione civile non esisteva e nei terremoti e nei disastri le perdite erano assai maggiori. Se abbiamo fatto moltissimo sul piano dell’organizzazione e della gestione dell’emergenza e la nostra protezione civile è diventata la più esperta al mondo, ciò è avvenuto perchè lo Stato ha creduto e investito in quell’ambito, non si capisce perchè non si debba fare lo stesso nel campo della prevenzione e dell’educazione. La politica dovrebbe adoperarsi perchè i cittadini siano sempre più consapevoli relativamente alla salvaguardia del territorio. Avviare grandi campagne di sensibilizzazione. Io credo che una moderna gestione del territo- rio, collegata allo sviluppo sostenibile, non è certo una richiesta che possa appartenere più a una componente politica che ad altre; essa deve avere, innanzitutto, il valore di una chiara scelta di civiltà, perché rispondente agli interessi reali non solo delle popolazioni di oggi, ma anche di quelle di domani. Ma il problema non è solo economico, a parer mio, la cosa fondamentale è stabilire in modo preciso “chi deve fare” e “che cosa deve fare”, spesso ci si trova in presenza di incomprensibili sovrapposizioni di competenze e/o in alcuni casi alla mancanza totale di competenze specifiche. In conclusione si può dire che il superamento di conflitti e confusioni di competenze, il passaggio dalla pratica dell’intervento straordinario a quello della manutenzione ordinaria, attenta e mirata, potranno migliorare la tenuta del territorio e soprattutto la capacità di usarlo, abitarlo e viverlo con la necessaria intelligenza, conoscenza e rispetto delle caratteristiche naturali. Solo così si potrà avere una riduzione dei rischi ma non certamente un loro annullamento. * Professore Associato Facoltà di Ingegneria - UNICAL Reggio Calabria come Genova Disastri alluvionali - analogie geoformologiche I recenti disastri alluvionali al nord come al sud sono motivo di riflessione sui problemi connaturati alla “storia delle popolazioni”. Va premesso che il territorio italiano, segnatamente quello calabrese, ha catene montuose in rapido sollevamento e pertanto in forte erosione. I corsi d’acqua, in particolare le fiumare, sono ancora alla ricerca del loro profilo d’equilibrio. Le pianure alluvionali, specialmente quelle costiere ancora in subsidenza, hanno bisogno di continui apporti di sedimenti da parte dei fiumi per non essere nuovamente sommerse. A tal proposito è bene rammentare che: a) la linea di costa non è un limite immutabile fra terra e mare, ma è solo un temporaneo momento di un delicato equilibrio tra processi geomorfologici di erosione e di sedimentazione; 8 Alessandro Guerricchio * b) esiste un’ incalcolabile, poderosa e terribile energia nel sottosuolo che si scarica di continuo sotto forma di attività vulcanica e di terremoti, e con superficialità si è edificato in aree ad alto rischio sismico: città ampliate oltre ogni cautela e lungimiranza, invadendo le pianure periodicamente minacciate dalle piene dei corsi d’acqua che hanno rotto gli argini innaturali nei quali sono stati intrappolati; c) quartieri e infrastrutture ricadono su corpi di frane antiche ed in atto; d) vaste aree, strappate al mare e da questo minacciate, un tempo utilizzate ad uso agricolo, sono ora sedi di alberghi e residence, allineati per chilometri lungo le fasce costiere. Le immagini satellitari dei bacini idrografici dei Torrenti Bisagno e Polcevera, alle cui foci si è sviluppata la città di Genova e di quelli delle Fiumare S. Agata, Calopinace e dell’Annunziata, i cui coni di deiezione nella fascia costiera, amalgamatisi ormai in un unico esteso elemento dissesto idrogeologico geografico, sono da tempo totalmente occupati dalla città di Reggio Calabria, evidenziano analogie geomorfologiche tra i due territori, divenendo emblematici della generalità di situazioni antropizzate del bel Paese (Figg. 1 e 2). Ciò induce a considerare che non è sempre la Natura che ostacola l’ Uomo nel suo progresso, ma è lo stesso essere umano che cerca di giustificare il suo scriteriato uso del territorio attribuendo le “catastrofi naturali” ad una Natura “matrigna”. Quale studioso da oltre un cinquantennio e quindi esperto della natura geologica del nostro Paese, sono spinto a considerarne i mutamenti nell’arco anche di poche generazioni, dovuti ai processi geodinamici, quali terremoti, frane, alluvioni, subsidenze, ecc.. Ho potuto sperimentare, pertanto, che sono i comportamenti usuali degli stessi esseri umani il motivo principale dei cosiddetti “disastri ambientali”. In effetti, dove non c’è una scriteriata antropizzazione del suolo i “disastri naturali” sono limitati o del tutto ininfluenti. Gli errori ormai irreversibili commessi dagli uomini sono evidenti ancor più da quanti siano riusciti a scampare drammaticamente a un’alluvione, salvandosi malgrado l’ubicazione delle loro abitazioni in aree golenali di sola “appartenenza” fluviale, od anche negli spazi strappati a versanti instabili, o in aree costiere di pertinenza marina. La popolazione, d’altra parte, del tutto impreparata a far fronte agli eventi naturali “eccezionali”, fa cieco e totale affidamento su quanto realizzato da tecnici esperti a protezione della loro incolumità e della sicurezza delle loro case. Eppure basterebbe solo il buon senso e una minima capacità di osservazione, percorrendo i corsi d’acqua dalle sorgenti alle foci, per comprendere che i disastri sono preparati dagli stessi uomini. Troppe sono, infatti, le costruzioni, di qualsiasi tipologia, a forte rischio di essere travolte o allagate dalle piene dei medesimi corsi d’acqua man mano che si proceda verso le pianure alluvionali, come nei casi delle due città, del nord e del sud, succitate (Figg. 1 e 2); tanto più ai giorni nostri, allorchè è ormai chiaro che gli eventi metereologici “ecce>>> Fig. 1. Immagine satellitare Google (le altezze del rilievo sono esaltate 3 volte) dei vasti bacini idrografici dei torrenti Bisagno e Polcevera, alle cui foci e nei cui alvei, oggi in parte tombati, è andata sviluppandosi la città di Genova. E’ intuibile la condizione idraulica molto delicata di tutti i quartieri ricadenti nell’area golenale di tali corsi d’acqua, in cui convergono pure tutte le acque dei vari tributari (frecce blu), per gran parte “cementati” dalla recente espansione edilizia. Durante le mareggiate, poi, possono verificarsi fenomeni di rigurgito verso monte delle acque defluenti alle foci dei corsi d’acqua (freccia rossa), ostacolate dalle forze marine di verso opposto. Fig. 2. Immagine satellitare Google dell’abitato di Reggio Calabria che sorge nell’ampio conoide di deiezione formatosi alle foci degli estesi bacini idrografici delle fiumare S. Agata, Calopinace e dell’Annunziata, i cui alvei sono oggi in gran parte tombati. Persino una pista aeroportuale (destra foto in basso) scavalca il Calopinace. Le frecce blu schematizzano i percorsi idrici, dall’Aspromonte e dai versanti, convergenti verso le aree edificate. E’ intuibile, al pari della situazione di Genova, la condizione molto precaria di tutti i quartieri ricadenti nelle aree golenali “cementate” dalla più recente espansione edilizia Durante le mareggiate, poi, possono verificarsi fenomeni di rigurgito verso monte delle acque fluviali causati dalle forze contrastanti marine, di verso opposto a quello delle prime (frecce rosse). 9 >>> dissesto idrogeologico zionali” di un tempo sono ormai la norma. La furia delle acque non si potrà evitare o minimizzare con operazioni della pur necessaria “pulizia degli alvei”, troppo spesso invocate quali soluzioni dai disastri alluvionali. A tal proposito ci si chiede spesso, assistendo a talune interviste televisive, se gli “esperti”, chiamati a esprimersi su certi eventi naturali disastrosi, abbiano una reale contezza della Forza della Natura, se abbiano mai osservato attentamente, in diretta, le gigantesche portate d’acqua che i fiumi scaricano a valle e con quale velocità, allorchè dichiarano che per incuria non sono state eseguite le suddette “operazioni di pulizia degli alvei”, ecc., quasi che la causa dei disastri sia determinata da tale incuria e non piuttosto dalle richiamate Forze della Natura. Si deve, pertanto, amaramente concludere che si è pervenuti nel corso del tempo, incuranti di qualsiasi avvertimento, a condizioni ambientali di irreversibilità, di non ritorno. Nelle due citate città del nord e del sud, emblematiche delle realizzazioni di opere di ogni genere ed in qua- lunque parte del loro territorio, è arduo pensare, ormai, ad interventi che ridiano “respiro” al naturale deflusso dei fiumi in caso di piena, o alla protezione da eventi franosi rapidi ed imponenti, o ancora da mareggiate. Bisognerebbe, infatti, eseguire lavori che risulterebbero, oltre che costosissimi, anche molto impopolari, fin dalla eliminazione di tutte le opere per “tombare” i corsi d’acqua, abbattendo contestualmente anche i numerosissimi edifici realizzati nelle stesse aree golenali, ecc.. Interventi questi praticamente irrealizzabili, come è fin troppo ovvio. E patetiche e inutili suonano le pur doverose esortazioni sulla prevenzione, da parte di chi ci guida, all’alba dell’ennesimo “disastro ambientale”, che ha pure provocato lutti, enfatizzate anche dai mezzi di comunicazione tutti. Del resto il “progresso” ti richiede un prezzo! (*) Già Professore Ordinario di Geologia Applicata presso la Facoltà d’Ingegneria Frane monitoraggio avanzato Carlo Tansi * Il sistema CNR-AMAMiR G li eventi alluvionali negli ultimi tre anni hanno martoriato il territorio del nostro Paese e quello calabrese in particolare, segnando e lasciando pesanti ferite sia al Nord, come al Centro e al Sud, creando danni incalcolabili nell’economia delle Istituzioni pubbliche, degli Enti locali, come nei cittadini che ne sono stati coinvolti. La Calabria ciclicamente, nell’arco della sua storia geologica, ha vissuto e subito eventi alluvionali e dissesti idrogeologici di piccola, media e grossa consistenza, caratterizzando e cambiando, per molteplici aspetti, anche il sistema di vita sociale delle comunità coinvolte, a causa delle deformazioni degli edifici e delle infrastrutture viarie, per non parlare dei danni economici. Nella nostra Regione, insomma, prende corpo sempre più la consapevolezza che bisogna essere più incisivi 10 in materia di monitoraggio, ricerca e protezione idrogeologica, materie queste affrontate e tenute sotto osservazione dal sistema universitario e dall’IRPI – CNR, utilizzando sofisticate apparecchiature ad alta tecnologia. E’ il caso del sistema di monitoraggio avanzato delle frane CNR AMAMiR - Azioni di Monitoraggio Avanzato per la Mitigazione del Rischio Idrogeologico. Il progetto è stato avviato alla luce di una convenzione stipulata tra il CNR-IRPI Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica ed il Comune di San Martino di Finita (CS), il cui centro storico rappresenta uno tra gli abitati, in Italia, più esposti al rischio idrogeologico, poiché ricade quasi interamente in un vasto movimento franoso del quale si hanno notizie già dai primi del ‘900, classificato dall’Autorità di Bacino Calabria “R4”, cioè a “rischio molto elevato”, dove la stessa Autorità indica pericolo di perdita di vite umane. dissesto idrogeologico Il sistema utilizza a pieno gli ultimi sviluppi della tecnologia, tra i quali sofisticati software di analisi consentendo il monitoraggio in continuo delle frane, ovvero istante per istante permette di tenere sotto controllo e di restituire in tempo reale su un sito internet, tutti i parametri che influenzano la stabilità dei versanti in frana ed i relativi spostamenti, facendo percepire i segni che preannunciano i franamenti, come le deformazioni di edifici e di infrastrutture, o di misurare le deformazioni nel sottosuolo delle frane, o di misurare il grado di saturazione dei terreni. In sostanza tale apparecchiatura fornisce agli addetti-ai-lavori in tempo reale preziose informazioni sul grado di rischio, contemporaneamente, di più centri abitati in dissesto: indica se e di quanto si muovono la frane, indica quanta acqua piove e quanta di questa si infiltra nel sottosuolo provocando instabilità, e se la stessa acqua si intorbidisce o aumenta di portata nelle sorgenti, preannunciando così possibili situazioni di rischio idrogeologico, indica il livello di danneggiamento di edifici ed infrastrutture. Infine, è possibile monitorare non solo spostamenti legati ai dissesti gravitativi, ma anche movimenti indotti dalla presenza di faglie sismogenetiche (cioè generatrici di sismi) e, quindi, fornisce anche utili indicazioni sulle condizioni di rischio sismico del territorio. Il sistema di monitoraggio costituisce un valido strumento nello studio del territorio e nell’opera di prevenzione trovando nell’Amministrazione Provinciale di Cosenza una sensibilità ed un sostegno convinto, tanto che nel novembre 2008 ha inteso estenderlo a 14 paesi ricadenti nella fascia pedemontana della Catena Costiera cosentina1, rappresentando il primo caso in Italia di monitoraggio in tempo reale applicato contemporaneamente a più abitati instabili. Quest’area rappresenta un settore ad elevato rischio idrogeologico su cui ricadono numerosi nuclei abitativi a rischio “R4”. Il rischio è determinato dalla presenza di una importante frattura della crosta terrestre - denominata “Faglia San Fili - San Marco Argentano” (figura 1) - lunga 25 km e profonda fino a 10 km, fonte dei numerosi terremoti che in epoche passate hanno raso al suolo molti abitati del cosentino e che ancora oggi continua ad originare sismi. La faglia rende fragili e scadenti i terreni ed attira cospicue aliquote di acqua sotterranea, predisponendo i versanti alle frane. I dissesti possono raggiungere notevoli dimensioni, mettendo in serie condizioni di rischio tutti i paesi della fascia pedemontana; primi fra tutti: Cavallerizzo di Cerzeto, distrutta il 7 marzo 2005 da una grande frana che supera il chilometro di lunghezza e i 40 metri di profondità, e San Martino di Finita, il cui centro storico ricade su una frana ancora più imponente, estesa oltre 2 km2 e profonda oltre 50 metri. In questo contesto di grave rischio idrogeologico ricade anche la strada provinciale, più volta interrotta in vari tratti dai dissesti. L’unica via percorribile nella mitigazione del rischio Fig. 1 - La diffusa franosità lungo la faglia “San Fili-San Marco Argentano”, che coinvolge 14 paesi e la Strada Provinciale idrogeologico è il monitoraggio che, consentendo di valutare l’evoluzione in tempo reale delle frane, preannunciano imminenti collassi fornendo alle strutture di soccorso mediante SMS di allerta (Protezione Civile, Vigili del Fuoco, ecc.) indispensabili per provvedere ad eventuali sgomberi di edifici e all’interruzione di arterie stradali particolarmente a rischio. Il monitoraggio consente anche di verificare, nel tempo, l’efficacia e la calibratura degli interventi di stabilizzazione dei versanti. Durante la drammatica emergenza alluvionale delle ultime tre stagioni invernali il sistema AMAMiR ha concretamente supportato - nella delicata gestione dell’emergenza - i paesi della provincia di Cosenza maggiormente colpiti dai dissesti: su richiesta dei sindaci, la rete di monitoraggio è stata estesa anche ad altri paesi interessati da frane che minacciavano seriamente alcuni nuclei abitativi ed infrastrutture; tra questi: Cassano, Cetraro, Lattarico, Roggiano Gravina, Mongrassano, Montalto Uffugo Rossano, San Marco Argentano. Il sistema, quindi, trovatosi a fronteggiare un’emergenza determinata da una delle maggiori calamità che hanno colpito la regione negli ultimi sessant’anni, ha evidenziato la sua concreta utilità ed affidabilità. * Geologo Ricercatore presso l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del C.N.R. Nota 1 Cerzeto, San Martino di Finita, San Marco Argentano, Mongrassano, Cervicati, Roggiano Gravina, San Benedetto Ullano, Rota Greca, Montalto Uffugo, Lattarico, Rende, San Vincenzo La Costa, San Fili, Roggiano Gravina. 11 L’Italia la corruzione e il 69º posto nella classifica mondiale Giovanni Russo * 69º Sessantanovesimo posto su 183 paesi. L’Italia è al sessantanovesimo posto nella classifica mondiale sulla percezione della corruzione, secondo l’annuale ricerca realizzata dall’associazione Transparency International (www.transparency.it), basata sul CPI (Indice di Percezione della Corruzione), che determina la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica in numerosi paesi nel mondo, attribuendo a ciascuna nazione un voto che varia da 0 (massima corruzione) a 10 (assenza di corruzione). Si tratta di un indice composito “ottenuto sulla base di varie interviste/ricerche somministrate ad esperti del mondo degli affari e a prestigiose istituzioni”, quali Università o Centri di Studio. Come detto l’Italia risulta sassan- tanovesima (nel 2010 era nella 67° posizione) con un punteggio identico a quello dello scorso anno: 3.9, equivalente a quello del Ghana. Se non sorprende ritrovare Danimarca, Finlandia, Svezia e Norvegia nei primissimi posti, la Svizzera all’ottavo o la Germania al quattordicesimo, al contrario suscita notevole sorpresa (contraddicendo quindi un “comune sentire” evidentemente superficiale ed infondato) il 21° posto delle Bahamas, il 32° del Botswana o addirittura il 49° del Rwanda. Da evidenziare una costante e deprecabile progressione negativa, se si considera che quindici anni fa eravamo al 33° posto. Superata la fase di sconcerto derivante dalla lettura del puro dato numerico, si rende necessaria una seria e profonda riflessione sulla sua “portata sociale”. Ma che cos’è la corruzione? Nel nostro ordinamento giuridico Note: all materials under strict embargo until 01.12.2011 at 00:01 GMT SCORE VERY CLEAN 9 - 10 8 - 8.9 7 - 7.9 6 - 6.9 CORRUPTION PERCEPTIONS INDEX 2011 5 - 5.9 4 - 4.9 3 - 3.9 2 - 2.9 HIGHLY CORRUPT 1 - 1.9 0 - 0.9 No data THE PERCEIVED LEVELS OF PUBLIC-SECTOR CORRUPTION IN 183 COUNTRIES/TERRITORIES AROUND THE WORLD RANK 12 COUNTRY/TERRITORY SCORE RANK COUNTRY/TERRITORY SCORE RANK COUNTRY/TERRITORY SCORE RANK COUNTRY/TERRITORY SCORE 1 New Zealand 9.5 25 France 7.0 46 Mauritius 5.1 69 Samoa 3.9 95 India 3.1 120 Bangladesh 2.7 143 Belarus 2.4 168 Angola 2.0 2 Denmark 9.4 25 Saint Lucia 7.0 49 Rwanda 5.0 73 Brazil 3.8 95 Kiribati 3.1 120 Ecuador 2.7 143 Comoros 2.4 168 Chad 2.0 2 Finland 9.4 25 Uruguay 7.0 50 Costa Rica 4.8 73 Tunisia 3.8 95 Swaziland 3.1 120 Ethiopia 2.7 143 Mauritania 2.4 168 Sweden 9.3 28 United Arab Emirates 6.8 50 Lithuania 4.8 75 China 3.6 95 Tonga 3.1 120 Guatemala 2.7 143 Nigeria 2.4 Democratic Republic of the Congo 2.0 4 Estonia 6.4 50 Oman 4.8 75 Romania 3.6 100 Argentina 3.0 120 Iran 2.7 143 Russia 2.4 168 Libya 2.0 5 Singapore 9.2 29 6 Norway 9.0 30 Cyprus 6.3 50 Seychelles 4.8 77 Gambia 3.5 100 Benin 3.0 120 Kazakhstan 2.7 143 Timor-Leste 2.4 172 Burundi 1.9 7 Netherlands 8.9 31 Spain 6.2 54 Hungary 4.6 77 Lesotho 3.5 100 Burkina Faso 3.0 120 Mongolia 2.7 143 Togo 2.4 172 Equatorial Guinea 1.9 8 Australia 8.8 32 Botswana 6.1 54 Kuwait 4.6 77 Vanuatu 3.5 100 Djibouti 3.0 120 Mozambique 2.7 143 Uganda 2.4 172 Venezuela 1.9 Haiti 1.8 8 Switzerland 8.8 32 Portugal 6.1 56 Jordan 4.5 80 Colombia 3.4 100 Gabon 3.0 120 Solomon Islands 2.7 152 Tajikistan 2.3 175 10 Canada 8.7 32 Taiwan 6.1 57 Czech Republic 4.4 80 El Salvador 3.4 100 Indonesia 3.0 129 Armenia 2.6 152 Ukraine 2.3 175 Iraq 1.8 11 Luxembourg 8.5 35 Slovenia 5.9 57 Namibia 4.4 80 Greece 3.4 100 Madagascar 3.0 129 Dominican Republic 2.6 154 Central African Republic 2.2 177 Sudan 1.6 12 Hong Kong 8.4 36 Israel 5.8 57 Saudi Arabia 4.4 80 Morocco 3.4 100 Malawi 3.0 129 Honduras 2.6 154 Congo Republic 2.2 177 Turkmenistan 1.6 36 Uzbekistan 1.6 13 Iceland 8.3 14 Germany 8.0 14 Japan 8.0 16 Austria 7.8 39 38 60 Malaysia 4.3 80 Peru 3.4 100 Mexico 3.0 129 Philippines 2.6 154 Côte d´Ivoire 2.2 177 61 Cuba 4.2 80 Thailand 3.4 100 Sao Tome and Principe 3.0 129 Syria 2.6 154 Guinea-Bissau 2.2 180 Afghanistan 1.5 5.7 61 Latvia 4.2 86 Bulgaria 3.3 100 Suriname 3.0 134 Cameroon 2.5 154 Kenya 2.2 180 Myanmar 1.5 Malta 5.6 61 Turkey 4.2 86 Jamaica 3.3 100 Tanzania 3.0 134 Eritrea 2.5 154 Laos 2.2 182 Korea (North) 1.0 Puerto Rico 5.6 182 Somalia 1.0 Saint Vincent and the Grenadines 5.8 Bhutan 16 Barbados 7.8 39 64 Georgia 4.1 86 Panama 3.3 112 Algeria 2.9 134 Guyana 2.5 154 Nepal 2.2 16 United Kingdom 7.8 41 Cape Verde 5.5 64 South Africa 4.1 86 Serbia 3.3 112 Egypt 2.9 134 Lebanon 2.5 154 Papua New Guinea 2.2 19 Belgium 7.5 41 Poland 5.5 66 Croatia 4.0 86 Sri Lanka 3.3 112 Kosovo 2.9 134 Maldives 2.5 154 Paraguay 2.2 19 Ireland 7.5 43 Korea (South) 5.4 66 Montenegro 4.0 91 Bosnia and Herzegovina 3.2 112 Moldova 2.9 134 Nicaragua 2.5 154 Zimbabwe 2.2 Brunei 5.2 21 Bahamas 7.3 44 66 Slovakia 4.0 91 Liberia 3.2 112 Senegal 2.9 134 Niger 2.5 164 Cambodia 2.1 22 Chile 7.2 44 Dominica 5.2 69 Ghana 3.9 91 Trinidad and Tobago 3.2 112 Vietnam 2.9 134 Pakistan 2.5 164 Guinea 2.1 22 Qatar 7.2 46 Bahrain 5.1 69 Italy 3.9 91 Zambia 3.2 118 Bolivia 2.8 134 Sierra Leone 2.5 164 Kyrgyzstan 2.1 24 United States 7.1 46 Macau 5.1 69 FYR Macedonia 3.9 95 Albania 3.1 118 Mali 2.8 143 Azerbaijan 2.4 164 Yemen 2.1 © 2011 Transparency International. All rights reserved il concetto di corruzione è riconducibile a diverse fattispecie criminose, disciplinate nel Codice Penale; in senso generico, può essere definita come la condotta propria del pubblico ufficiale che riceve, per sé o per altri, denaro od altre utilità che non gli sono dovute. Al di là degli aspetti giuridici, delle cause e delle sue diverse forme di manifestazione, bisogna allora prestare la massima attenzione alle conseguenze della corruzione intesa in senso ampio, per quanto concerne ingiustificati ed illeciti aumenti dei costi dell’apparato statale ed effetti distorsivi della vita democratica del Paese, soprattutto in un momento storico particolarmente delicato in cui - ora più che mai - si richiedono significativi sacrifici e rinunce ai cittadini prima ancora che alle istituzioni. Basti ricordare che secondo le stime effettuate dal servizio Anticorruzione e trasparenza del ministero della Funzione pubblica, la corruzione nel nostro paese ammonta a circa 50/60 miliardi di euro all’anno. Leonardo Sciascia sosteneva che “… il dato più probante e preoccupante della corruzione italiana non tanto risieda nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e nella privata, quanto nel fatto che si rubi senza l’intelligenza del fare e che persone di assoluta mediocrità si trovino al vertice di pubbliche e private imprese … In una società bene ordinata non sarebbero andati molto al di là della qualifica di “impiegati d’ordine”; in una società in fermento, in trasformazione, sarebbero stati subito emarginati – non resistendo alla competizione con gli intelligenti – come poveri “cavalieri d’industria”; in una società non società arrivano ai vertici e ci stanno fin tanto che il contesto stesso che li ha prodotti non li ringoia …”. Vi è un’unica soluzione per evitare il definitivo sopravvento di una “società non società”: il contrasto allo spreco, al malaffare, alle mafie, alle rendite di posizione, all’economia sommersa, all’evasione fiscale, allo sfruttamento del lavoro, ed anche alla corruzione, attraverso un unitario sforzo innanzitutto morale, in cui a lottare in prima linea dovranno essere le tante e ancora numerose forze positive del nostro paese. * Avvocato in Cosenza L’ingegneria oggi fra scienza e tecnologia Paolo Veltri * L’ ingegnere è, nell’immaginario collettivo, colui che risolve problemi – problems solver Il progresso tecnologico coincide con quello della società civile? quella americana (Los Alamos, il pessimismo di tanti, buon ultimo Philip Roth, testimoniano il disincanto e l’uscita dal sogno americano). Alla domanda non è facile dare risposta e non perché oggi si viva peggio di ieri, come spesso si dice “il mondo è peggiorato, dove andremo a finire di questo passo?” e via discorrendo. No. La risposta è difficile perché non è da tutti condivisa la consapevolezza che l’operato del tecnico non solo interagisce con il resto del mondo in tematiche che sempre più esulano dalla tecnologia “pura” – si consideri, per esempio, la forza dell’ambientalismo, che ormai permea ogni nostro comportamento e, anche nelle valutazioni dell’ingegneria, è elemento imprescindibile – ma è l’operato dell’ingegneria che per sua intrinseca natura è limitato. Risale agli anni ’60 l’allarme lanciato dal Club di Roma sui limiti dello sviluppo. Le scuole di ingegneria devono riuscire a coniugare arte e scienza – “tutto ciò che la scienza oggi non registra…. dovrebbe registrarlo la poesia”, profeticamente scriveva Sinisgalli (ingegnere e scrittore, Rivista Finmeccanica) – e “formare ingegneri dell’anima”, come scriveva Westermann, ingegnere idraulico olandese. Forse, descrivendo il travaglio nei percorsi umani di chi è stato al contempo tecnologo e umanista, si individuano utili indicazioni su dove portano le strade in cui domina una tecnologia inconsapevole. Il tema è affascinante e si può qui solo introdurlo, sulla scorta tra l’altro delle riflessioni del presidente della Conferenza dei presidi di Ingegneria, Vito Cardone, (Atti del 3° Convegno sulla Storia dell’Ingegneria, Napoli, 2010). Nel mondo della letteratura, sono numerosi i casi di ingegneri o mancati ingegneri che hanno abbandonato la tecnologia per arrivare ad approdi letterari in cui, spesso, prevale lo sconforto se non la sfiducia nelle aspirazioni in una storia umana progressiva e in un avvenire improntato all’ottimismo. Alcuni casi: il nostro C.E. Gadda, R. Musil, assistente di ingegneria meccanica al Politecnico di Brno, H. Melville, che non completò gli studi di ingegneria civile per scrivere quel capolavoro che è Moby Dick, F. Dostoevsky, ingegnere militare, A. Platonov. Prevale in questi au- Dobbiamo avere piena contezza dei traguardi limitati che si possono raggiungere quando la tecnologia non è consapevole del suo operato e dei suoi limiti – e all’ingegnere ci si rivolge riconoscendogli doti e capacità di analisi e sintesi: il suo modo di operare è un po’ a cavallo fra la scienza e la tecnologia, pendendo di più verso quest’ultima. L’equilibrio è complesso e i rischi sono enormi quando la tecnologia prevale sulla scienza, come mostra chiaramente quanto è accaduto nel lungo Medio Evo: la civiltà occidentale, prevalentemente basata su quelle greca e romana, ha attinto dalla prima per la capacità di astrazione e deduzione e dalla seconda per le doti di pragmatismo e duttilità di adattamento a diverse condizioni. Ma la seconda, pur ereditando dalla prima un inestimabile patrimonio di conoscenze e metodi, non fu altrettanto prolifica nell’introdurne di nuovi e, soprattutto, rinunciò spesso a chiedersi il perché delle cose, mentre fu bravissima nel perfezionare manufatti, marchingegni, regole pratiche, istruzioni, tecnologie. Il risultato fu che alla caduta dell’Impero romano seguì il buio totale, furono dimenticati principi, metodi, sistemi per ricostruire gli stessi pezzi della tecnologia che andavano a corrodersi con il tempo, fino a giungere alla vera e propria spoliazione dei templi e delle architetture preesistenti per costruire i nuovi edifici. Fu un lungo Medio Evo e ci volle il Rinascimento, con la ripresa delle regole e dell’armonia del mondo antico, per rimettere l’orologio della scienza di nuovo al punto di partenza. Dunque, dobbiamo avere piena contezza dei traguardi limitati che si possono raggiungere quando la tecnologia non è consapevole del suo operato e dei suoi limiti. Né la scienza, né la tecnologia possono essere sufficienti a sé stesse. Ma anche quando scienza e tecnologia camminano di pari passo, la complessità del mondo contemporaneo e l’interdisciplinarietà crescente ci richiedono altri e più difficili equilibri e scelte. Intanto, è vero che il progresso tecnologico coincide con quello della società civile? E’ quello che credevano i padri fondatori del Nuovo Mondo alla fine del ‘700, ma la prima società a entrare in crisi rispetto a questo modello di fiducia incondizionata nella tecnologia è stata proprio >>> 13 >>> tori insoddisfazione, pessimismo, verrebbe di dire che in essi maturò fortissima la coscienza che l’uomo non si può nutrire di tecnologia. E’, il loro, un sentire più generale del fallimento della tecnologia ma anche della scienza nel riuscire a risolvere i problemi della gente. E quanto più ciò è avvenuto in epoche di sviluppo industriale, di esaltazione del razionalismo e del positivismo, tanto più è in essi lucida la lettura dei limiti e delle contraddizioni della tecnologia. Ed è più radicale la critica perché è proprio l’ingegnere il depositario – verrebbe da dire il sacerdote – di una tecnologia che egli dovrebbe generare e veicolare. Del resto, le Scuole di ingegneria, antesignane dei Politecnici e delle Facoltà di Ingegneria, poggiavano sul motto ”credere avanti tempo che l’uomo scoprirà le leggi della natura”. Insomma, riusciremo a costruire la “Città del sole” e a inverare il diritto dell’uomo a essere felice, come pretendevano i padri fondatori nella Carta della Costituzione americana? A sentire gli ingegneri diventati scrittori, ciò è arduo e dubbio. Dostoevsky, nelle “Memorie del sottosuolo”, chiede a noi “… perché voi siete intimamente convinti che non opporsi ai veri, normali vantaggi garantiti dai risultati raggiunti dalla ragione e dalla aritmetica sia davvero sempre vantaggioso per l’uomo e che esiste una legge per tutta l’umanità?”. Musil, ne “L’uomo senza qualità”, mette in bocca al matematico e ingegnere Ulrich il dubbio “ …. Non so alla fine cosa resterà di noi quando tutto sarà razionalizzato …” e, ancora, riflette “… le conquiste …. impediscono all’epoca da esse illustrate di produrre uomini veri, buoni, normali”. Platonov, che nella macchina trasfigurava il futuro dell’umanità, era affascinato dalla semplicità di questa in contrasto alla complessità della seconda …. “…. Perché l’uomo è così cosi, né buono né cattivo, ma le macchine sono sempre ottime?” e sembra riecheggiare il disincanto dello stesso Musil “.. nella scienza tutto è forte, disinvolto e splendido come nei racconti di fate …. “, non così nella realtà “… che è un sistema complesso e inestricabile come un labirinto (C.E. Gadda)”. Il discorso potrebbe continuare, ma pare evidente che è errato ritenere che esista un rapporto biunivoco tra sviluppo materiale – connesso all’avanzamento della tecnologia – e sviluppo umano e sociale. L’ingegnere deve continuare a svolgere il suo ruolo nella società quale portatore di razionalità e detentore di saperi risolutivi, ma la sua formazione non deve avere relegati in posizioni marginali – se non addirittura assenti – i valori dell’etica e dell’umanesimo. Non si tratta tanto di inserire altri e nuovi insegnamenti di “Etica dell’Ingegneria”, quanto di rendere tutti noi stessi più permeati di una cultura improntata ai valori dell’umanesimo e in grado di trasferire questi nell’agire quotidiano. * Preside Ingegneria Unical Tempi di fame e di borsa nera Le Amlire degli americani Franco Michele Greco * I soldi, intesi come immagine cartacea o di altro più nobile conio, si agganciano ad eventi di rilievo della storia economica e dunque anche civile e politica d’Italia e hanno la capacità di richiamare alla mente un ben definito contesto, una rivoluzione, oltre che valutaria, anche sociale. Come quella cominciata il 24 settembre di 68 anni fa, quando le forze alleate americane che occupavano l’Italia meridionale sostituirono la valuta nazionale italiana con banconote stampate ex novo. All’inizio dell’autunno del 1943, il paese viveva una 14 svolta storica. L’8 settembre era stata diffusa la notizia dell’armistizio con gli Alleati, firmato il 3 a Cassibile (presso Siracusa). La nazione era uno sfacelo e anche spaccata in due; il re, il maresciallo Pietro Badoglio e gli Alleati al Sud, il re- gime fascista di Benito Mussolini e i tedeschi al Nord. Il re, Vittorio Emanuele III, era a Brindisi e quella mattina, sei giorni prima della firma dei documenti dell’armistizio a Malta (29 settembre 1943), aveva emesso un bando con il quale sanciva il diritto degli Alleati di pagare qualunque cosa con moneta cartacea denominata Allied Military Currency (Moneta militare alleata). In altre parole, le Amlire. Inaspettatamente, da quel mattino del 24 settembre, gli italiani si trovarono privati delle loro banconote, a vantaggio di pezzetti di carta piuttosto orrendi e di forma quadrata. Erano tagli da 1, 2, 5 e 10 lire, con una scritta in inglese che diceva “Issued in Italy” (emesso in Italia): c’erano poi banconote di forma rettangolare, pressappoco simili al dollaro da 100, 500 e 1000 lire ma pochi potevano sostenere di averle viste, se non nelle mani degli inglesi e americani, segnatamente degli ufficiali La disgregazione del paese era assai più profonda di quanto non dicesse la divisione in due del suo territorio. Particolarmente nel Mezzogiorno la disarticolazione sociale e politica era più intensa e drammatica, traducendosi in livelli di vita inferiori a ogni vicina memoria popolare, in un’economia elementare contrassegnata dalla norma del mercato nero e dagli espedienti. Passato il primo momento di entusiasmo, che aveva accompagnato la marcia degli Alleati e la ribellione ai tedeschi, il popolo del Sud appariva prostrato e abbandonato più che mai a se stesso, in grado di esercitare unicamente la forza che veniva dalla sopportazione e dalla speranza, in attesa di tempi migliori. “Ha da passà a’ nuttata”: così Eduardo De Filippo concludeva la sua commedia dedicata alla Napoli di quegli anni, sintetizzando con efficacia una dimensione psicologica di massa. Sofferenza, disperazione, fame, paura fanno parte di una realtà ancora viva nell’animo di chi ha vissuto quel periodo storico. Sono invece una realtà lontana, forse persino difficile da comprendere, per chi è nato e cresciuto nella società del benessere. Ed è comunque insolito ascoltare un testimone di quegli anni che ne parla con incisività e lucidità, a dispetto dei suoi 101 anni di età. E’ quanto fa Francesco De Franco, mentre tira fuori dal taschino della camicia, con una punta di orgoglio e di emozione, la sua patente di guida datata 1937. “Ho fatto l’autista per tutta la vita e ricordo perfettamente il periodo delle lire alleate e della miseria più nera che regnava nella maggior parte delle famiglie. Quella lira fu motivo di tribolazione per tutti, dalla gente umile ai grandi proprietari terrieri. Durante i viaggi che mi portavano in giro per lavoro, sulla mia vecchia balilla sedevano passeggeri che mi raccontavano di contrabbando e di delinquenza, di come gli americani vendevano la merce ai grossisti e solo a camion interi; e i grossisti poi la distribuivano ai capiparanza che a loro volta la consegnavano ai venditori al dettaglio. C’era gente che per sopravvivere ricorreva alla tessera del pane mentre c’era chi si arricchiva con il contrabbando, con le furberie e con la disonestà. Solo alla fine della guerra ho visto i bambini felici correre lungo le strade accanto ai camion americani, protendendo entrambe le mani per afferrare il cioccolato, le barrette di gomma da masticare, i pacchetti di pane che i soldati lanciavano al volo”. Nel Mezzogiorno sconvolto dalla guerra e dalla fame si cercava di sopravvivere, e comprarsi da mangiare non era certo facile con i prezzi che si praticavano. Silvio Fiorino, classe 1913, di professione stagnino e che oggi rappresenta insieme a De Franco la memoria storica della comunità dipignanese, ricorda che 1 Kg di pane costava 15 Amlire, 1 Kg di riso 50, 10 uova 150, mentre un paio di scarpe con suola in finta gomma costava ben 500 Amlire. Questi erano i prezzi ufficiali, perché se gli acquisti avvenivano alla borsa nera, molto più rifornita delle solite botteghe, i prezzi salivano alle stelle. Tuttavia si doveva sopravvivere, a qualunque costo e pagando lo scotto di pesanti mortificazioni. Mancava tutto, c’erano gli Alleati: che possedevano beni di consumo – si direbbe oggi - di cui avevamo perduto memoria. Per ottenerne, si era pronti a perdere qualunque dignità: lo racconterà con arte magistrale Curzio Malaparte ne “La pelle. Le forze alleate americane avevano anche le Amlire: in senso stretto e traslato, nel senso che potevano stamparne a seconda delle loro esigenze, senza controllo alcuno. Lo fecero per due anni. Le Amlire significarono degrado economico e sociale. E separazione tra settentrione e meridione dell’Italia: fino alla linea gotica (il nome dato dagli angloamericani alla linea di difesa dell’esercito tedesco da Rimini a Viareggio) la moneta circolò in grande quantità, con i poverissimi da inflazione e i ricchissimi da mercato nero. Occupato anche il resto dell’Italia, gli americani stabilirono di non diffondere in modo generalizzato le Amlire in tutto il Nord. Ponendo un sigillo sulla divisione. A partire dal 12 dicembre 1946, le Amlire cessarono di essere moneta d’occupazione e passarono sotto la gestione della Banca d’Italia, che le riconobbe come cartamoneta propria fino al 30 giugno 1950, quando furono dichiarate fuori corso. * Studioso di storia e antropologia 15 Rapporto sull’educazione in Europa L a crisi economica continua a mantenere l’Europa nella sua stretta. La disoccupazione, soprattutto quella giovanile, ha raggiunto livelli estremamente elevati nei diversi Stati membri. Contemporaneamente si sta vivendo la transizione verso un’economia basata sulle conoscenze che comporterà per la sua forza lavoro sfide nuove e diversificate dove l’istruzione e la creatività, sono essenziali per la crescita e l’occupazione. La Commissione europea ha presentato, recentemente un nuovo rapporto “Education at a Glance 2011” sulle tendenze nell’insegnamento in Europa che evidenzia la necessità di finanziare in maniera efficace le scuole e le università, sia in termini di strutture e servizi che stipendi agli insegnanti. Il rapporto raccoglie i dati delle statistiche sugli investimenti nell’educazione, relazioni studenti-docenti, ore di docenza, il numero dei diplomati e i risultati, in 21 Stati dell’Unione europea. Tutti gli Stati apparsi nel rapporto affrontano le stesse sfide di miglioramento nell’insegnamento nonostante le loro risorse pubbliche vengono, in molti casi tagliate. Nell’analisi viene dimostrato che il miglioramento nella qualità dei sistemi di insegnamento fornisce alte ricompense a livello economico e sociale e vengono messe a confronto i dati dell’UE con l’OCSE e nel resto del mondo. 16 Franco Mollo * Dall’esame emerge che gli Stati europei hanno migliori risultati di altri Paesi nell’Educazione nella prima infanzia: Ue 76% e OCSE 70%; alunni diplomati nella scuola media superiore: Ue 85% e OCSE 82%. I Paesi OCSE hanno, invece, una migliore performance rispetto agli Stati Ue: Adulti (25-64) laureati: Ue 27%, OCSE 30%. La scelta del proseguimento negli studi, dopo la scuola dell’obbligo, di quasi la metà di tutti i giovani europei gode, soprattutto nel settore della formazione professionale, di un’immagine generalmente positiva presso la maggior parte delle fasce di età grazie all’elevata qualità dell’insegnamento offerto e alle buone prospettive di lavoro che aprono. A tale scopo per migliorare la qualità per meglio rispondere alle esigenze del mercato del lavoro, la Commissione europea ha adottato uno specifico pacchetto di misure che consiste nella cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale come il programma Leonardo da Vinci che già fin dal 1995 ha consentito a più di 600.000 giovani di svolgere un periodo di formazione all’estero. Un secondo aspetto del rapporto riguarda gli stipendi degli insegnati in Europa nel settore pubblico, dei 27 Stati membri, dell’Islanda, del Liechtenstein, della Norvegia e della Turchia, relativamente all’anno scolastico 2009/10. Dai dati disponibili tenendo conto sia del livello de- gli stipendi che delle indennità, gli insegnanti più pagati nell’Unione europea sono quelli di Lussemburgo, Danimarca e Austria. I meno pagati sono quelli di Bulgaria e Romania. I 27 paesi dell’UE impiegano attualmente sei milioni di insegnanti. La relazione evidenzia, inoltre, che solo in tre paesi (Cipro, Portogallo e Romania) gli insegnanti possono vedere raddoppiati i propri stipendi nell’arco della loro carriera. Gli stipendi attuali degli insegnanti, incluse le indennità aggiuntive, si avvicinano ai massimi livelli della scala retributiva in molti paesi e ciò è dovuto all’età avanzata del corpo insegnante e alle indennità di cui potenzialmente beneficiano. In Danimarca (E 61.804), Grecia (E 22.817), Finlandia (E 44.775) e Inghilterra (E 35.580), in Italia (E 23.000/28.000). In generale, gli insegnanti in Europa hanno mantenuto inalterato il loro potere d’acquisto nel 2009 e nel 2010. La crisi economica ha avuto notevoli ripercussioni sui loro stipendi, in Irlanda, Grecia, Spagna e in particolare in Italia (retribuzioni ferme dal 2008 con imposizione fiscale in netto aumento). Nello stesso periodo, i Paesi Bassi e la Polonia hanno aumentato gli stipendi degli insegnanti. Misure di austerità più recenti e imminenti in molti paesi potrebbero ripercuotersi ancor di più sugli stipendi degli insegnanti e sulla spesa complessiva per l’istruzione. Tuttavia, diversi governi europei hanno sempre riservato e riservano al settore dell’istruzione un posto privilegiato all’interno dei loro programmi di riforma tranne l’Italia. Nel 2003 in un incontro con il Ministro dell’Educazione in Irlanda del Nord a Belfast, durante un meeting di presentazione del progetto Comenius tra il Liceum di Limavady Grammar School, Liceo Scientifico “Scorza” di Cosenza e il Liceo della Escola Secundaria di Setubal (Portogallo) lo stesso ministro ebbe a dire che “nel piano finanziario del suo governo la Scuola e la formazione, l’Università erano al primo posto in quanto costituiscono il motore principale di sviluppo del paese”. Qualche settimana fa il Commissario europeo A. Vassiliou, responsabile per l’Istruzione, la cultura, ha dichiarato che: “Nutro una sincera ammirazione per i nostri insegnanti, che contribuiscono in maniera essenziale alla vita dei ragazzi e alla nostra società. Danno forma ai nostri talenti futuri ed occupano un ruolo centrale negli sforzi profusi dalla Commissione per aiutare gli Stati membri a migliorare la qualità dei loro sistemi di istruzione e formazione. Dobbiamo incoraggiare i laureati più brillanti ad abbracciare e portare avanti la professione dell’insegnamento. Gli stipendi e le condizioni di lavoro sono di primaria importanza se vogliamo attirare e conservare gli insegnanti migliori”. Speriamo che questo invito venga accolto anche in Italia e che segni un cambiamento culturale nel nostro paese dove la scuola, la formazione, l’Università e la ricerca hanno avuto sempre poca considerazione dai vari governo e non ultimo dal Governo Monti,o dei “Professori” che è quanto dire. * Giornalista pubblicista Parco della Sila Conferenza Stampa L a Presidente Sonia Ferrari ha illustrato il programma svolto nel triennio del suo mandato 2009-2011, che ha trovato una sintesi nella mostra fotografica e nella presentazione del libro “Sila Dono Sovrano”, ed ha reso noto che con l’apporto del Consiglio Direttivo insediato di recente verrà avviato l’iter di approvazione del Piano del Parco, strumento programmatorio che è stato redatto dall’Università della Calabria e dall’Università Mediterranea di Reggio Calabria per la parte relativa agli aspetti selvicolturali, alle linee di gestione forestali e alla cartografia del Parco. A parte la gestione del territorio del Parco, nella relazione sono state evidenziate le attività di educazione ambientale rivolte alle scuole e di valorizzazione di opere di interesse pubblico,quali il restauro dell’opificio dell’antica segheria del centro Visite Cupone, splendido esempio di archeologia industriale, e la realizzazione degli ecomusei. Altre iniziative hanno interessato l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile e la partecipazione del Parco a fiere ed eventi di settore, nonché la tutela e la conservazione della biodiversità. Molto è stato fatto – ha aggiunto la Presidente Ferrari - circa il marketing e la comunicazione allo scopo di far conoscere ed apprezzare il Parco oltre i confini regionali, grazie alla sensibile attenzione dei mass media locali e nazionali ed all’effetto di convegni e mostre, tra cui il Convegno dei Parchi d’Italia e d’Europa, svoltosi a Cosenza, e la partecipazione alla BIT di Milano e alla BMT di Napoli. Il merito di maggiore valore e prestigio per il Parco della Sila è stata la consegna da parte di Europark della Carta Europea per il Turismo Sostenibile nelle Aree Protette (ECTS), che contribuirà a scrivere una nuova pagina di sviluppo del Parco grazie alla creazione di una rete di collaborazione e progettualità nel mondo imprenditoriale. 17 L’isolamento sismico un’idea moderna, anzi antica… e spesso pure economica !!! Raffaele Zinno * prima parte - 1/2 R ecentemente si è letto su molti quotidiani e settimanali, ma anche su riviste tecnico-scientifiche del settore, che a L’Aquila è stato sollevato, attraverso 32 martinetti idraulici, con una tecnologia innovativa della CONSTA SpA (società che nasce dalla fusione di aziende storiche del settore: Mattioli, Soles, Isoedil, che lavorano insieme da molti anni) e nell’ambito dell’iniziativa denominata “up sollevamento in corso”, un edificio in cemento armato, danneggiato dal terremoto del 6 Aprile del 2009, per collocare al di sotto dell’edificio stesso degli isolatori sismici che lo renderanno sismicamente sicuro. Ma cosa sono questi fantomatici e tanto innovativi “isolatori sismici” e come funzionano? In effetti non sono né fantomatici, né innovativi, atteso che il loro funzionamento si basa su un’intuizione di ben 2500 anni fa. Nella Historia naturalis, infatti, Plinio il Vecchio racconta che il tempio di Diana, a Efeso, era scampato alle più violente scosse telluriche perché le sue fondamenta erano protette da “uno strato di frammenti di Il tempio di Artemide/Diana carbone e da un altro ad Efeso (ricostruzione) 18 Dal tempio di Diana ad Efeso ai moderni edifici antisismici, una tecnologia che rende le strutture sismicamente sicure, riducendone spesso anche il costo di costruzione di velli di lana”. Quando arrivavano le scosse, l’edificio sacro non ondeggiava paurosamente: scivolava dolcemente sul terreno, e rimaneva indenne. Ma anche in Cina, nella provincia di Sanxi, nel 313 d.C., con tecniche analoghe, era stato costruito un monastero che, insieme con un tempio eretto nell’anno 1056, ha sfidato terremoti disastrosi, di cui uno di grado 8,2 della scala Richter. Ed ancora, il ponte Zhauzhou, nella provincia cinese di Herbei, costruito nel 581 d.C. é ancora in ottimo stato, pur avendo subito tre violenti terremoti. Finanche in Italia un ponte, molto meno antico, si é fatto onore: il Viadotto Somplago, in Friuli, il solo a restare in piedi, dopo il tremendo sisma del 1976. Gli ingegneri e gli architetti “moderni”, invece, fidando sulle grosse risorse in termini di resistenza dei materiali a loro disposizione (acciaio, calcestruzzo, in primo luogo), hanno scelto una via “convenzionale” che è stata quella di rinforzare e rendere particolarmente robusti gli edifici da loro pro- Edificio isolato sismicamente (Centro Regionale della Protezione Civile dell’Umbria) gettati. Danno cioè praticamente per scontato che l’energia del terremoto debba entrare e scaricarsi all’interno delle costruzioni. Riprendendo, invece, l’intuizione degli “antichi” e “saggi” progettisti, si può intervenire a monte: si cerca cioè di impedire che l’energia del terremoto penetri nell’edificio e vi si scarichi in modo “distruttivo”, o comunque dannoso. Si inseriscono, così, fra il terreno e la struttura, o meglio fra le sottofondazioni e le fondazioni, dei dispositivi che “isolano” la struttura dal terreno, evitando così che le accelerazioni indotte dal terremoto passino sull’edificio. E’ un po’ come una roulotte che poggia sul terreno attraverso le ruote, gli ammortizzatori e le sospensioni, e può prendere buche, sopportare le asperità del terreno e quant’altro, senza che la “casa mobile” ne subisca danni, in quanto si muove rigidamente e non subisce deformazioni e tensioni che potrebbero indurre la rottura di qualche sua parte. Ovviamente, se la buca è consistente potrebbe cadere qualcosa dagli scaffali e qualcuno all’interno potrebbe perdere l’equilibrio. Come sono fatti, allora, questi isolatori sismici? I più antichi (per modo di dire, visto che sono utilizzati da pochi decenni) sono costituiti da pacchetti di gomma armata con piastre di acciaio. Altri sono costituiti interamente in acciaio inossidabile e sfruttano lo scarso attrito fra le parti in contatto. Ci sono quelli che dopo l’evento sismico non ritornano nella posizione originaria, altri che hanno capacità autocentranti e, quindi, “ricordano” la posizione iniziale. Attraverso vari sistemi si fa in modo che entrino in funzione solo per sollecitazioni sismiche di una certa entità, oppure possono ridurre gli spostamenti rigidi della parte superiore assorbendo buona parte dell’energia trasmessa dal sisma. Sono questi, però, tutti dettagli tecnici in cui non ci si addentra ulteriormente, per consentire di focalizzare l’attenzione sulla loro capacità di ridurre i danni su una struttura e, soprattutto, di contribuire a prevenire la perdita di vite umane ed il grave ferimento, con esiti spesso permanenti, delle persone colpite dall’evento sismico. Ridurre, cioè, gli enormi costi sociali che un terremoto comporta, senza trascurare che gli edifici isolati sismicamente rientrano quasi sempre e rapidamente in esercizio dopo sempli- ci controlli ed eventuale sostituzione (previo sollevamento dell’edificio) dei dispositivi che si fossero danneggiati. Per ritornare all’esempio dell’automobile o della roulotte, per prima cosa salvaguardiamo l’integrità delle persone che la buca poteva mettere in pericolo, poi portiamo il mezzo dal meccanico che, al massimo, ci suggerirà di sostituire l’ammortizzatore o la sospensione danneggiata. Con sistemi di questo genere si è protetta la Basilica di San Francesco ad Assisi, colpita dal terremoto del 1997. Risultato: con le nuove tecnologie, l’effetto di un sisma viene fortemente attenuato; di cinque-dieci volte se si ricorre all’isolamento sismico. Perciò non é neanche più necessario rendere “extra- Un opuscolo sul venerabile clausi L’ Associazione “Padre Bernardo Maria Clausi” con la Confraternita dell’Immacolata di San Sisto dei Valdesi e l’Amministrazione Comunale di San Vincenzo La Costa stanno lavorando per dare lustro a due figure che fanno parte della storia di questo territorio e che rientrano nei festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Si tratta di un piccolo lavoro editoriale, curato dal giornalista Franco Bartucci dedicato alla figura del Venerabile Padre Bernardo Maria Clausi, dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, nato a San Sisto dei Valdesi (Comune di San Vincenzo La Costa) il 26 novembre 1789 e morto nel Santuario di Paola il 20 dicembre 1849 in odore di santità. Una figura di religioso considerata, per il periodo storico in cui è vissuto e per il rapporto che ha intrattenuto con le personalità politiche e religiose del tempo in ogni parte del territorio del nostro Paese, un precursore dell’Unità d’Italia. Una pubblicazione, apprezzata anche dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, attraverso una regolare lettera fatta pervenire all’autore, tenendo conto che comprende anche una breve nota biografica su Ferdinando Vercillo (1825/1892), considerato a tutti gli effetti un animatore del Risorgimento italiano, il quale ha dato anch’esso lustro, come laico, al territorio del Comune di San Vincenzo La Costa. resistenti” (e molto più costose) le costruzioni da proteggere. Rispetto a un edificio normale, un palazzo munito di isolamento sismico costa al massimo 3-10% in più. Ma, in molti casi, costa il 3-10% in meno, come, per esempio, è avvenuto per cinque grandi palazzi del Centro regionale Telecom Italia di Ancona e per una palazzina restaurata a Fabriano, danneggiati dal terremoto del 1997. Fonti bibliografiche: L. dell’Aglio - articoli su “Il Sole 24 ore” del 7.6.2002 e su “La Repubblica del 21.11.2005. D. Foti, M. Mongelli - Isolatori sismici per edifici esistenti e di nuova generazione * Professore Scienza delle Costruzioni - Unical Un religioso ed un laico che in periodi diversi hanno dato testimonianza della loro fede, religiosa e sociale il primo, laica patriottica il secondo, il tutto nell’ottica di un attaccamento ai valori di una sorgente nuova patria, che a partire dal 17 marzo 1861 tutti conosciamo come “Italia”. Il libretto, composto di 36 pagine, comprende una biografia sintetica sul Venerabile Padre Bernardo Maria Clausi, con una presentazione del Correttorio Provinciale Padre Rocco Benvenuto, ed una introduzione di Padre Ottavio Laino, Postulatore Generale dell’Ordine dei Minimi di San Francesco di Paola, che arricchiscono e approfondiscono la conoscenza del Venerabile Padre Bernardo Maria Clausi, riconoscendo il merito a Franco Bartucci di avere posto all’attenzione dell’opinione pubblica ed in particolare della comunità cristiana l’opera e la missione del Padre Minimo sansistese per accentuarne e portare a conclusione il processo di beatificazione in un momento in cui l’Italia è chiamata a dare prova della Sua unità e, soprattutto, di attaccamento ai valori della solidarietà e dell’amore avendo come punto di riferimento il valore della “Charitas”. Il libretto sarà presentato quanto prima nel corso di una manifestazione che si svolgerà a San Sisto dei Valdesi, su iniziativa dell’Associazione “Padre Bernardo Maria Clausi”, nonché della confraternita dell’Immacolata di San Sisto e dell’Amministrazione Comunale di San Vincenzo La Costa, guidata dal Sindaco, Vincenzo Leonetti; per estenderlo successivamente in altre località lì dove, soprattutto il Venerabile Padre Bernardo Maria Clausi è ben conosciuto, come a Paola, Cosenza, Paterno, Rogliano, Roma, Torino e così via. Una iniziativa che ha trovato una particolare e sensibile attenzione da parte anche del Periodico “Doppia Corsia”, della Banca Sviluppo di San Vincenzo La Costa,, delle ditte, Francesco Perrotta ed Acqua Fontenoce. 19 Storia delL’Università della Calabria Secondo volume N Aldo Bonifati 20 el quarantennale dell’esistenza dell’Università della Calabria, è stato pubblicato dalla Luigi Pellegrini Editore di Cosenza e sponsorizzato dalla Banca Popolare del Mezzogiorno, il secondo volume del libro “Un sogno che si avvera”, di Aldo Bonifati, che prosegue il racconto storico della nascita e dello sviluppo dell’Ateneo di Arcavacata. Un quarantennale che trova spiegazione con l’avvio delle attività amministrative, nonché con la elezione e insediamento del primo Rettore nella persona del prof. Beniamino Andreatta, che portò alla scrittura e all’approvazione dello Statuto dell’Università della Calabria, con il DPR 1° dicembre 1971, n° 1329. Il secondo volume inizia il racconto, da dove si concludeva il primo, dall’anno accademico 1976/1977, fino ad arrivare all’anno accademico 1991/1992, racchiudendo complessivamente quindici anni accademici dell’Università. In 445 pagine l’autore ci porta a rivivere momenti che mettono a fuoco anzitutto l’evoluzione della fase di realizzazione delle strutture dipartimentali, didattiche e scientifiche, di cui al progetto Gregotti, rivisitato nei calcoli ed elaborati tecnici dall’arch. Maurizio Bonifati, nonché del complesso residenziale Martensson. Un racconto che si arricchisce dei vari eventi che via via l’Università ha trovato sul suo cammino, sia sotto l’aspetto amministrativo che politico, quanto anche culturale e sociale, nel senso di una partecipazione attiva della stessa comunità universitaria (docenti, studenti e non docenti), autori e soggetti primari nella crescita numerica e strutturale dei servizi, quanto anche delle rappresentanze politiche e sindacali del contesto territoriale locale, regionale e nazionale, che pure hanno condizionato o contribuito alla sua affermazione a dimensione finanche internazionale, sotto la guida dei Rettori: Beniamino Andreatta, Cesare Roda, Pietro Bucci, Rosario Aiello e Giuseppe Frega. Nelle pagine c’è spazio delle lotte della comunità universitaria per sancire il diritto alla residenzialità previsto dalla legge istitutiva e dallo statuto, penalizzato dal decreto istitutivo del Centro Residenziale; come pure degli sforzi che portarono al progetto di riforma del sistema universitario italiano e alla scrittura degli Statuti da parte di tutte le Università con la costituzione del Ministero dell’Univer- Franco Bartucci * sità nel nostro Paese. Anni in cui l’Università viene a trovarsi sotto tiro con l’accusa di ospitare i cervelli delle brigate rosse, a seguito del rapimento e uccisione del Presidente, on. Aldo Moro (9 maggio 1978), che culmina con il blitz degli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto nella nottata del 28 giugno 1979. Ma poi ci sono le belle pagine scritte per dare lustro e merito agli incontri con il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini (3 marzo 1982), nell’aula “Umberto Caldora”, ed alle splendide parole dedicate all’Università della Calabria da Giovanni Paolo II, in occasione della visita fatta alla città di Cosenza nella giornata del 6 ottobre 1984, in cui affermava: “L’Università della Calabria sia il punto più alto dell’interesse degli amministratori di questo capoluogo, poiché con uno studio serio che avvii ad una professionalità qualificante si crei quella classe dirigente di cui la Calabria ha bisogno per risolvere i suoi problemi”. Da segnalare pure un bel primato dell’Università della Calabria con l’arrivo, ad inizio dell’anno accademico 1979/80, di un primo nucleo di studenti e laureati cinesi grazie ad un rapporto di convenzione stipulato con la Repubblica Popolare Cinese. Chi si addentra nella lettura di questo secondo volume troverà moltissimi altri squarci di memoria della storia dell’Università della Calabria, arricchito di molte immagini fotografiche e istogrammi che descrivono l’evoluzione della crescita della popolazione studentesca e dei propri laureati. A tal proposito in appendice trova spazio una ricerca condotta dall’Associazione Internazionale “Amici dell’Università della Calabria” sui laureati dell’Università della Calabria ripartiti per Facoltà e territorio di appartenenza (oltre 54 mila) iscritti nei registri tra il 1976 e l’inizio del 2011. Per Aldo Bonifati: “Ciò ch’è stato strutturalmente realizzato – ha scritto nella introduzione – è il segno tangibile del nostro operato, a sostegno di una istituzione che supera la debolezza umana per essere luce nel percorso della vita delle generazioni passate, presenti e future”. Un lavoro utile che fissa bene nella memoria e su carta parte della storia quarantennale dell’Università della Calabria. * Giornalista Idee d’azienda calabresi Vincitrici al Premio Nazionale dell’Innovazione con il premio speciale da 1milione di euro messo a disposizione da Quantica Sgr Giulia Fresca * M igliaia di progetti per cambiare l’Italia. Migliaia di persone scatenate pronte a provare, assaltare, sperimentare. Creare aziende dal nulla, costruire e immaginare, fare soldi con le idee e le tecnologie. È quello che si è verificato alle Officine Grandi Riparazioni di Torino in occasione del “Working Capital- Premio Nazionale per l’Innovazione 2011” che il 18 novembre ha chiuso il sipario dell’Edizione 2011. Un’occasione fantastica per tantissime idee imprenditoriali, nate dalla creatività di giovani menti e che hanno visto vincitrice anche la Calabria. Il cerchio si è così chiuso: • 16 progetti di ricerca premiati con una sovvenzione (grant) da 30mila euro, • 4 startup premiate con un investimento di avvio (seed) da 100mila euro, • 1 startup premiata con un premio speciale da 1milione di euro in quote (equità) messo a disposizione dalla venture capital dell’innovazione, Quantica Sgr. A vincere il premio speciale è stata proprio l’idea cosentina “Ecocloud” di Agostino Forestiero, Raffaele Giordanello, Carlo Mastroianni, Giuseppe Papuzzo e Ivana Pellegrino che consiste nella realizzazione di un software per l’ottimizzazione dei sistemi informatici complessi capace di produrre risparmio energetico per le società che gestiscono data center attraverso i server. La tecnologia alla base di EcoCloud è stata sviluppata da ricercatori del Cnr e dell’Università della Calabria che è anche proprietaria del brevetto messo a Un successo del Startup calabrese disposizione con una licenza. Ma come se non bastasse Quantica Sgr, ha inteso raddoppiare il suo impegno ed ha premiato una seconda azienda, Altilia srl, di Massimo Ruffolo e Ermelinda Oro, una startup che realizza tecnologie semantiche basate su algoritmi che imitano il comportamento umano per la comprensione del testo e della colloca- zione dei contenuti. La soddisfazione maggiore oltre ai diretti interessati è dell’Università della Calabria ed in particolar modo del professore Riccardo Barberi che, grazie alla sua visione rivolta al futuro dell’innovazione si è reso ideatore e promotore delle edizioni della Start Cup Calabria da cui sono nate le idee vincitrici che oggi possono vantare un primato regionale a livello nazionale. Tutto nasce – ha dichiarato Riccardo Barberi – nell’incubatore TechNest dell’Università della Calabria che si sta confermando l’idea vincente del nostro Ateneo. Aggiungo che ben 5 proposte del nostro circuito di trasferimento tecnologico hanno partecipato alla finale del premio nazionale dell’innovazione e si sono classificate tra i 150 finalisti delle 2139 proposte, oltre ad EcoCloud ed Altilia, ci sono state anche Notredame, Condomani e CalBat. È un grande successo, ma è soprattutto la dimostrazione che si può fare ottima innovazione in ogni parte d’Italia. Le due idee di impresa premiate sono poi il risultato di un’ottima ricerca pubblica, in sinergia tra Università e CNR-ICAR. La Calabria delle idee ha vinto e non è un caso. Negli ultimi 10 anni sono state create tutte le precondizioni affinché un risultato come questo fosse possibile. L’Università della Calabria ha messo in opera il proprio ufficio di trasferimento tecnologico, il Liaison Office, il parco scientifico, Calpark, sono stati realizzati cinque acceleratori di impresa di cui tre sotto l’egida del Premio Nazionale Innovazione, con le Start Cup Calabria, supportate negli anni scorsi con lungimiranza, dalla Provincia di Cosenza e dalla Fondazione Carical e oggi anche da Fincalabra e dalla Banca Sviluppo di San Vincenzo La Costa. Soddisfazione è stata espressa anche dal Rettore dell’Università della Calabria, Giovanni Latorre e dal presidente della Fondazione Carical Mario Bozzo che ha sostenuto per due anni la Start Cup Calabria contribuendo insieme alla Provincia di Cosenza a generare opportunità di crescita consentendo di aprire le porte ai giovani che fanno delle loro idee motivo di sviluppo e business. Le idee vincenti avranno la sede nell’incubatore TechNest. Una nuova sfida contro la fuga dei cervelli. * Giornalista 21 storia Sette i colli di Cosenza S ette i colli e due i fiumi: come Roma o Roma come Cosenza? E’ questa la domanda un po’ impertinente che con un pizzico di ironia condita di un mal celato provincialismo all’inizio del seicento Sertorio Quattromani pone al Cardinale Pietro Bembi in una lettera che accredita Lucrezia della Valle al mondo scintillante della Roma papalina. Sette sono i colli e due i fiumi di una città che era capitale di una confederazione allorquando un’altra città era un cumulo di baracche ed i bambini erano nutriti da una lupa. Bando alle facezie. Sette sono i colli che come una verdeggiante corona fitta di alberi circondano a semicerchio la Città dove il Crati ed il Busento, che è come dire il ricco ed il pezzente, si incuneano nella valle che fa da trampolino alla possente Sila. Vista dall’alto questa corona appare come la scalinata di un teatro o più romanticamente come le braccia aperte di una madre ai figli tese a stringerli al petto. A pensarci bene i sette colli sembrano far la guardia alla città e ne celano il tesoro che è l’anima della sua gente. Sette i colli: Guarassano, Gramazio, Triglio, Mussano, Veneri, Pancrazio e Torrevetere, a destra ed a sinistra del Crati. Guarassano è l’antico Aradisus e come un tronco, un cono rovesciato, nella coscienza collettiva è chiamato Montechirico e ricorda lo strapotere dei Gesuiti che l’anno “scucuzzato” quando si sono accorti che la vetta impediva al sole di illuminare il loro convento, così arricchendo l’acqua della fontana Paradiso. Accanto al Guarassano svetta il Gramazio, nome composta da due voci: Crati e malesio che è come identificare la presenza di un popolo, il primo che abitò a Cosenza, sulla riva destra del Crati. Ciò accredita l’ipotesi che sulle pendici di questo colle gli abitanti passarono dallo stato nomade a quello stanziale. A stringere il semicerchio fa la guardia il Mussano, sulla destra del fiume. Ha un riferimento religioso. La teologia osca venera dodici Dei Consenti: l’Amor proprio, l’Onestà, il Bello, l’Agricoltura, la Caccia, la Scienza, il Valore, il Commercio,le Arti, le Lettere e il Diritto di saper conservare. A chiudere il semicerchio vigila il Triglio che prende nome dalla Triade Osca composta da tre divinità identifica- 22 Coriolano Martirano * te in una sola, la Divinità Una e Trina venerata in un tempio che è il maggiore della città. Anche questo altro colle, il Veneri, ha un riferimento religioso. Sulla sommità è eretto il Tempio, piccolo ed amato non solo per il suo splendore, dedicato alla Divinità della bellezza. La Venere della religione Osca non è la Venere dei greci e dei romani che esalta la bellezza fisica ma è l’espressione della bellezza densa di innocenza, di candore e di leggiadria. E’ la bellezza dell’animo non del corpo. Il sesto colle è il Pancrazio che non vanta l’antichità, quella delle origini, della città ma che testimonia l’apertura di Cosenza ai nuovi ricchi arrivati sullo Jonio. I Bruzi pur non avendo contatti con la Magna Grecia dedicano un Tempio alla civiltà. E su questo colle innalzano un Tempio ai giochi olimpici: pugilato, lotta, corsa, altalena e disco. Il Tempio luccica per un vasto basamento lastricato di pietre a mosaico con al centro la cella circondata da grossi dadi quadrilunghi di tufo con venature verdi provenienti da una cava di Mendicino. Ed ora il settimo, il più modesto ma forse il più significativo della millenaria storia di Cosenza: Torrevetere, che è come dire Turris Vetruri, ossia la Torre di Vetruvio che è questo il nome del console romano sconfitto dall’esercito della Confederazione nel 556 dalla fondazione di Roma. E’ su questo colle che i Bruzi mettono in fuga la legione romana comandata da due consoli eccelsi: Vetruvio e Quinto Cecilio. I romani subiscono la sconfitta che sarà determinante per le future controversie che dovranno affrontare. Il popolo dei Bruzi ancora una volta ha lottato ed ha vinto, così come sarà in un prossimo e futuro avvenire alla luce di un antico amore per la libertà e la indipendenza. E’ la forza dell’anima che rende forti i cosentini. Che son forti non solo perchè vincono ma anche perché nei secoli ricordano il valore dei nemici. I sette colli han fatto e fanno la guardia alla Città. Dal 1222 rappresentano l’emblema di Cosenza. E’ la loro una corona concava a nord e racchiusa ad est e ad ovest, una corona che apre Cosenza sulla valle del Crati. Sono i sette colli i testimoni della storia della Città e di un popolo nella gioia e nel dolore, nella fortuna benigna ed in quella avversa animata da una tradizione che chiede al passato la forza per andare avanti verso un avvenire quello che ha per confine l’eterno e l’infinito. * Giornalista libri ALì VOLEVA VOLARE Un libro di Annarosa Macrì Abramo editore collana Le Onde pagg.164 Annarosa Macrì I Recensione di Giovanna Baglione nizia con una invettiva questo piccolo-grande libro della Macrì. Con indignazione e tanta energia, conoscenza dei fatti e carattere battagliero, nell’introduzione l’autrice si autoproclama “extracomunitaria ad honorem”, prendendo le distanze dall’oscurantismo di chi vede negli extracomunitari degli invasori pericolosi da tenere alla larga e utilizzare solo per i lavori più umili ed estenuanti, pura manovalanza senza anima. Sono i fatti di Rosarno, la “guerriglia urbana di neri contro bianchi, ex emigrati in mezzo mondo contro immigranti da un altro mondo”, che hanno dato stura a questo sfogo traboccante. Troppo triste e disumano per non reagire, e la Macrì lo fa con la scrittura, nero su bianco, per lasciare un segno, per fare riflettere. La sua professione le ha dato l’opportunità di incontrare molte persone, di vivere tante storie attraverso i loro racconti e le loro vite. In questo libro le restituisce al lettore, condividendo esperienze ed emozioni. Alì, 10 anni, che voleva volare dalla nonna malata, e lo fa mettendosi le ali ai piedi, pedalando per decine di chilometri sotto una pioggia battente in mezzo al traffico veloce. Alì che pensa alla sua vita in un paese non suo, che studia ed impara, che è uguale ai suoi compagni, che da grande vuole volare, su un aereo, per tornare in Marocco. Victor Flyer, anche lui voleva volare, e ci è riuscito, è diventato pilota di elicottero per la Protezione Civile; dal Vietnam a Cavallerizzo, da mercenario spietato ad angelo soccorritore. La figlia di Teresa, Angiolina Spadafora, il cui più grande tesoro da recuperare è un fascio di lettere, che la legano a persone e momenti della sua vita. Leggendole assieme a lei, il lettore conosce altri luoghi e persone, ne condivide umiliazioni e miserie, ripercorrendo le tappe di un’emigrazione scelta ma sofferta. Fiorenza, piccolo diavolo nero, emigrata senza rimpianti e nostalgie, ora donna realizzata e di successo. E poi Liliana, Bianca, Joana, Justina, Bogena, Petra, Alice, donne giovani, belle, “capelli di grano e negli occhi l’azzurro del Baltico”, polacche emigrate in Italia per lavoro, per badare a bambini ed anziani, ciascuna con una storia da raccontare. I ricordi si intrecciano, sfumano l’uno nell’altro, mescolandosi a quelli dell’autrice. Tutti i protagonisti si muovono in scenari diversi, ma accomunati da un senso di spaesamento. Vengono e/o vanno, sono immigranti che fuggono da povertà e conflitti, alla ricerca di un benessere intravisto altrove. Affiorano immagini di paesi svuotati, di luoghi inospitali. Indimenticabile la descrizione di Cavallerizzo durante e dopo la frana, che ha trascinato il paese a valle. Realtà, dolore, dura quotidianità, trasformate in letteratura grazie ad un attento spirito d’osservazione, non disgiunto da sensibilità profonda e uno stile raffinato arricchito da riferimenti colti. Convivenza, accoglienza, adattamento, integrazione, in una sola parola, rispetto, questi i concetti chiave che potranno forse salvare l’umanità da un futuro inquietante e molto incerto. 23 L’edilizia green a basso costo Efficienza energetica Come stiamo a green economy nel settore dell’edilizia in Italia? Quanto sono “sostenibili” le nostre case, quanta energia consumano, quali tecnologie all’avanguardia vengono utilizzate per costruirle, mirando a comfort e risparmio energetico? C ostruire case con i principi del risparmio energetico e dell’eco-compatibilità non è più un sogno per pochi. I costi di costruzione per unità abitative di classe A sono stati abbattuti drasticamente, al punto da avvicinare oggi anche le committenze pubbliche. Si, parliamo proprio di edilizia popolare, di quelli che un tempo venivano chiamati con disprezzo “casermoni”, e che invece ora possono tramutarsi in un esempio da seguire per tutto il settore. Parliamo sulla base di fatti concreti, progetti e linee guida approvate dalle amministrazioni locali. A Firenze, ad esempio, è stato presentato di recente il Piano per la costruzione di un edificio ERP (Edilizia Residenziale Pubblica) considerato “ad energia zero”, o quasi. Dotato di mura in legno a limitata dispersione (si tratta di 21 alloggi), qui il materiale naturale combinato a logge solari e torri di ventilazione dovrebbe garantire una gestione ottimale della temperatura negli ambienti, d’estate come in inverno. La struttura risulta classificata come A+, e dichiara un fabbisogno di 12,04 kWh/mq annui. Per la gestione, a partire dal 2014, tutto verrà coman- 24 dato “da remoto” attraverso dispositivi di domotica. Analoga iniziativa, e analoghi intenti, si segnalano a Castefranco di Sotto (Pisa). Qui l’Amministrazione comunale ha di recente consegnato alla collettività 12 nuovi alloggi popolari, in grado di garantire risparmi sui consumi energetici fino al 70%. In media ogni nucleo abitativo verrebbe a spendere 150 euro, esclusi gas e illuminazione. Merito di interventi edilizi strutturali e ottimizzazioni dell’impianto termico operati a partire dal progetto originale, realizzato con il contributo della Regione Toscana. Un iniziativa che avrà seguito: entro la primavera ne arriveranno altri. Queste sono soluzioni ideali per i giovani e le nuove famiglie che cercano di barcamenarsi in questo momento di crisi che stiamo tutti viven- Angelo Saponaro * do. Lo sanno bene anche al Nord. Nel piccolo centro di Carugate, nei pressi di Milano, si segnala la realizzazione di altri 10 alloggi popolari “green”. Anche qui, occhi sempre attenti al risparmio, cercando di ottimizzare al meglio le risorse offerte dall’ambiente: sistemi solari attivi e passivi, serre e collettori, ventilazione naturale, materiali e sistemi costruttivi finalizzati al costruire sano per un benessere totale dell’individuo. Una mano importante, anche qui, è arrivata dalle casse della Regione Lombardia. L’iniziativa non è né sarà isolata ma si inserisce all’interno di un regolamento edilizio che ha portato Carugate a divenire un modello anche per altri contesti urbani. Per chi non lo sapesse, tra i confini di questa tranquilla comunità trova spazio un parco fotovoltaico, mentre per gli asfalti delle strade si prevede l’utilizzo esclusivo di Noi cinquantenni Patrizia Piro * Flessibilità: s. f. inv. adattabilità, prontezza nell’adeguarsi alle situazioni (De Mauro. Il dizionario della lingua italiana) Precarietà: s. f. inv. L’esser precario, instabile; provvisorietà (De Mauro. Il dizionario della lingua italiana) materiali ecologici. Questi solo alcuni esempi di come l’edilizia eco-sostenibile stia diventando per tutti, e non solo per pochi. La tendenza è sempre più accentuata: costruire con accorgimenti che riducano il fabbisogno energetico e con tecnologie derivate dalla bio-architettura permette una migliore qualità del manufatto edilizio, un notevole risparmio sulla sua manutenzione, e sul suo consumo sia in termini di riscaldamento che di raffrescamento, con evidenti benefiche ricadute sui costi di gestione. In più, l‘abbattimento dei costi di costruzione, la diffusione sul mercato dei prodotti specifici, la divulgazione delle tecniche costruttive alle maestranze, hanno reso possibile adottare anche nell’edilizia convenzionata, a basso costo e in quella popolare, i principi della bio-archietttura. In un periodo di crisi e di tagli ai bilanci locali, le iniziative di questo tipo sono le benvenute. Costruire nel rispetto dell’ambiente e della sostenibilità non è più un’impostazione di chi ha maggiore sensibilità verso tematiche ambientali o si può permettere di abitare in case più costose, ma diventa una nuova formula il cui ultimo risultato è la riduzione negli anni dei costi delle bollette. Flessibilità –> Precarietà = imbroglio culturale Noi, quarantenni e cinquantenni, che siamo figli di genitori con posto fisso, o “alla giornata”, ma certi che alla fine giornata ci sarebbe stata la giusta ricompensa. Noi, quarantenni e cinquantenni, cresciuti con la certezza del posto fisso e con educazione familiare non certo incline alla flessibilità. A noi che nessuno ha insegnato come si inventa, giorno dopo giorno, un lavoro, o come si cambia, giorno per giorno il lavoro, o come si deve essere disponibili a cambiarlo, giorno dopo giorno questo lavoro. A noi, figli di chi per comprarsi una casa, la prima casa, si “faceva il mutuo” alle “condizioni migliori” rispetto al proprio stipendio mensile, ma orfani di uno stato che non ha spiegato come sia possibile, nella precarietà, che diventa assoluta certezza di non sapere mai con sicurezza se a fine mese avrai almeno “un rimborso spese”, comprarsi una casa ma neanche una roulotte, più precaria, ma anch’essa con un costo fisso e non flessibile. Uno stato che non spiega come possa coniugarsi la precarietà di uno stipendio/lavoro con la assoluta certezza di dover pagare i debiti, che non diventano precari, o flessibili, ma aumentano, e conducono alle porte degli usurai… A noi, che vogliono a tutti i costi farci credere nella bontà di un modello flessibile che di buono non ha niente: ma quando mai nella precarietà, nell’incertezza, nella instabilità, si è vissuto con equilibrio, con serenità, si è raggiunto un seppur minimo risultato rispettoso della dignità dell’uomo? Perché risultati se ne sono prodotti, e molti: squilibri personali e collettivi, famiglie smembrate, uso e abuso di alcol e sostanze che possano anche temporaneamente distrarti e “sollevarti dalle miserie quotidiane”; perché solo se sei fortemente attrezzato, spiritualmente e culturalmente, riesci a cogliere il buono della flessibilità: possibilità di incontri sempre nuovi, di conoscere sempre nuovi posti, di arricchirti dalla condivisione e dalla permeazione con nuove realtà, altrimenti sei schiacciato, nella consapevolezza di non essere riconosciuto nella tua dignità. …e la storia che uno della nostra generazione è presidente degli Stati Uniti d’America mi riempie di gioia …sarà merito del DNA? O di qualche situazione al contorno lievemente diversa da quella italiana?.... intanto dal modello americano abbiamo scimmiottato anche la flessibilità, così le generazioni future italiane saranno in grado in futuro di essere rappresentative a 20 anni tra n anni….ma ancora crediamo alla favola che l’Italia sia un paese per i giovani? E, come se non bastasse, noi, quarantenni e cinquantenni, abbiamo la responsabilità di inventare le modalità di un lavoro nuovo per proporlo a chi viene dopo di noi con il peso di essere credibili, con il peso di convincere gli altri a fidarsi di noi, di inventare una proposta di progetto futuro che non ha niente di certo, niente di prestabilito, ma che dev’essere altrettanto delineata e costituita al punto di essere credibile. Certo, abbiamo esempi di uomini di “affari” illustri, e di meno illustri imprenditori, ma quello che manca è la coniugazione tra l’interesse privato e l’interesse collettivo. E su questa coniugazione dovremo lavorare, ma solo se sapremo “soddisfare” il nostro io con quello che (non) abbiamo, ripartendo dalle certezze valoriali, dalle stabilità affettive, dai saldi vincoli di comunità, dalle leali alleanze, che nulla hanno a che spartire con le precarie amicizie, con le “collaborazioni flessibili” e temporanee, che tanto hanno il sapore di intrallazzi viscidi e di accordi personali, di corto respiro e certo non rispettosi della comunità. * Architetto * Professore Ordinario Facoltà Ingegneria - Unical 25 Moda Movie Denise Ubbriaco * P Bellezza e Prevenzione nel calendario 2012 er l’anno 2012 l’Associazione “Creazione e Immagine”, per il secondo anno consecutivo, ha voluto realizzare per Moda Movie un calendario dedicato, questa volta, al benessere e alla prevenzione dando spazio alla bellezza, in collaborazione con la Lega Italiana per la Lotta ai Tumori di Cosenza (LILT). Un progetto dedicato al sociale che ha coinvolto gli Assessorati alle attività sociali del Comune e della Provincia di Cosenza, la cui lavorazione di lancio è stata fatta nel centro storico cosentino per meglio difenderne e promuoverne la sua immagine, il valore urbanistico ed architettonico. Per Moda Movie, presente in ambito cittadino da ben sedici anni spendendosi nel valorizzare i talenti emergenti nel campo della moda e del cinema, l’impegno per il calendario 2012 non è stato da meno, riuscendo a coinvolgere tante modelle, tecnici della fotografia e della comunicazione per dare lustro al tema “Bellezza è Prevenzione” con al centro l’immagine femminile, che presenta come dato eccezionale e particolarmente originale quello di accostare a sfondi raffinati, che evocano sensualità e femminilità, le ecografie di alcune parti del corpo. Attraverso i fogli del calendario si discorre del male del secolo: il cancro. Il denominatore comune è il timore della sofferenza, delle deturpazioni fisiche, della morte. La salute ha un ruolo fondamentale perché è sinonimo di benessere fisico, psichico e relazionale. La salute diventa OMS (Organizzazione Mondiale Sanità), assenza di malattia, benessere. Citando un aforisma di Woody Allen: “Le due parole che uno desidera di più sentirsi dire: “Ti amo. Assolutamente no. È benigno”. Il progetto, infatti, ha lo scopo di valorizzare la figura della donna nella società in funzione della promozione del proprio benessere, sollecitando azioni educative in merito ai fattori di rischio, all’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce. La diagnosi precoce di un tumore equivale, nella maggioranza dei casi, a salvare la vita di una persona. “Il progetto di MODA MOVIE – ha dichiarato il dott. Gianfranco Filippelli, Oncologo e Presidente della LILT di Cosenza - è 26 un chiaro esempio di come i concetti della prevenzione oncologica ben si coniugano con la moda in generale e con la bellezza femminile in modo particolare. La diagnosi precoce è al centro del messaggio della prevenzione oncologica per riuscire ad azzerare ogni deformazione fisica e garantire ad un tempo una migliore qualità della vita”. Nel calendario, accanto alle modelle viene riportata, mese per mese, una raccomandazione per mantenere un corretto stile di vita. Sono indicati consigli pratici per effettuare la prevenzione delle più frequenti forme di tumore e messaggi scritti che rappresentano i dodici comandamenti del Codice Europeo contro il cancro. Bisogna dar merito al Presidente di Moda Movie, Sante Orrico, che attraverso la promozione dell’arte, l’amore, la passione, l’entusiasmo profusi in tutte le manifestazioni e in tutti i progetti ha realizzato un ottimo veicolo per la promozione del nostro territorio senza pensare ad un ritorno di natura economica. C’è infine da dire che l’iniziativa è da classificare e considerare innovativa ed efficace nella scelta avendo saputo coniugare alla bellezza ed al benessere la “cosentinità” attraverso un’accurata selezione dello sfondo del calendario 2012: la meravigliosa cornice del centro storico di Cosenza, gli affascinanti e preziosi scorci della Villa Vecchia. Le energie e sinergie hanno indotto alla realizzazione di un appuntamento annuale atteso con entusiasmo dallo staff coinvolto nel progetto. Oltre a “Creazione Immagine” la produzione ha visto la partecipazione attiva di un ampio staff composto dalla società di comunicazione Plane, dal fotografo Emilio Arnone, dall’Agenzia SIM per la selezione delle modelle e dall’istituto Orrico Style, che ha curato trucco e parrucco. Gli abiti destinati a fare da sfondo per il calendario 2012 sono le creazioni dei fashion designers calabresi: Giovanni Percacciuolo (vincitore MODA MOVIE 2011), Rosita Trifilio, Annalisa Di Lazzaro. * Studentessa iscritta al corso di laurea magistrale di Giurisprudenza Inaugurato il Parco degli Enotri L a Fondazione Carical (Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania) ha presentato il nuovo Centro Eventi “Parco degli Enotri”, realizzato nell’area dell’ex Sporting di contrada Rosario a Mendicino, a poca distanza da Cosenza. All’inaugurazione, avvenuta con larga partecipazione di autorità locali, di rappresentanti della stampa e di pubblico, il Presidente della Fondazione Mario Bozzo ha illustrato le qualità del nuovo Centro: “E’ con grande emozione ed un pizzico di motivato orgoglio che presento il Parco degli Enotri, E’ il vecchio Sporting che nasce a nuova vita, quella struttura che ha rappresentato per tanti un punto di riferimento e che oggi si candida ad essere una nuova porta della Calabria rivolta alla qualità. Con i suoi duemila metri quadrati di interni, le due piazze, il parcheggio, il verde e le attrezzature sportive, sarà luogo di iniziative, molte delle quali le sosterremo noi attraverso la presentazione di libri, films, attività di cineforum ed incontri al fine di creare sempre più momenti che abbiano come filo conduttore “l’ozio culturale” ovvero Il Presidente Mario Bozzo, Ugo Piscitelli, Sindaco di Mendicino e Mario Oliverio, Presidente della Provincia il divertimento, riempiendo di contenuti veri il tempo. Altre iniziative saranno proposte e curate da parte di attori esterni che vorranno usare questa struttura per meeting, congressi e manifestazioni varie tra cui anche matrimoni e feste d’elite. Il Presidennte Mario Bozzo Il nostro obiettivo e il Direttore Generale Luigi Morrone è che si facciano solo cose belle e di qualità affinchè possa nascere un vero polmone di attività al di fuori dell’Università, che spesso rimane nel chiuso delle sue stanze, anche con essa e mai contro”. Il nuovo Centro Eventi presenta un punto di incontro di attività e di interessi culturali, non disgiunti da quelli sportivi, le cui strutture predispongono a più ampie relazioni sociali. 27 Sull’Autostrada Salerno - Reggio Calabria area di servizio Rogliano Est Corsia Nord (nei pressi di Cosenza) Oltre ai normali servizi propri degli impianti autostradali nell’area si trova: La Bottega del Contadino, attrezzato locale per la vendita di una vasta gamma di prodotti tipici calabresi. Zona pic-nic SILA, grande ed accogliente area verde che offre una gradita sosta nella pineta attrezzata con tavoli di legno per pic-nic, panchine e giochi per bambini. 28 Gestione: TAFER s.r.l. - impianto Comune di Marzi (CS) Sede Sociale: via Nicola Parisio 4, Cosenza tel. 0984.969189 - fax 0984.980817 - [email protected] Bar - Ristorante - tel. 0984.980815