Supplemento al numero
odierno de la Repubblica
Sped. abb. postale art. 1
legge 46/04 del 27/02/2004 — Roma
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2006
Copyright © 2006 The New York Times
L’obiettivo della Cina è di diventare una “società benestante” entro il 2040. Zone industriali come questa di Wuhai alimentano la crescita ma rischiano di causare disastri ambientali.
ANALISI
A New Orleans
una ricostruzione
che non risana
di NICOLAI OUROUSSOFF
NEW ORLEANS — I quartieri devastati di New
Orleans sono un triste scenario per immaginare il
futuro delle città americane. Ma nonostante il ritmo
criminalmente lento, la ricostruzione di questa città
sta diventando una delle più aggressive operazioni di
ingegneria sociale effettuate in America a partire dal
boom del dopoguerra, negli anni ’50. E l’architettura e
la pianificazione urbanistica sono diventati strumenti decisivi
per plasmare il nuovo ordine.
In nessun luogo ciò appare in
modo più evidente che nel progetto del dipartimento federale
per l’Edilizia e lo sviluppo urbano che intende demolire quattro
dei più grandi complessi edilizi
popolari destinati alle famiglie
a basso reddito, quando la città
non riesce ancora a dare una
casa ai suoi abitanti. Il progetto,
che è stato impugnato davanti
a un tribunale federale da militanti locali, vorrebbe sostituire
più di 5.000 unità abitative pubbliche con una varietà di alloggi
privati per famiglie a reddito
misto. Presentato come una
strategia per alleviare la irriducibile povertà dei quartieri
degradati, il progetto utilizza il
Fotografie di Fred R. Conrad/
consueto argomento degli effetThe New York Times
ti alienanti dei grandi complessi
VECCHIO E NUOVO
popolari costruiti nel dopoguerCase progettate per
ra.
i poveri (qui sopra),
Ma a New Orleans questo argomento appare singolarmente
imitano le abitazioni
ipocrita. Costruite durante gli
tradizionali, (in alto).
anni ‘30, all’apice del New Deal,
le abitazioni popolari hanno
ben poco in comune con gli enormi, disumanizzanti
caseggiati e i loro tetri cortili che sono da tempo un
simbolo della povertà urbana. Le abitazioni di New
Orleans sono di piccole dimensioni e tra loro ci sono
continua a pagina III
Grandi balzi
in avanti
E all’indietro
di JIM YARDLEY
DOLKA, Cina – Sui due laghi glaciali da cui nasce
il Fiume Giallo, un nomade tibetano di nome Tsende
sta in piedi sulla riva del fiume. Dice che nei laghi vive
un drago, un dio della pioggia. Vent’anni di siccità lo
hanno convinto che il drago è arrabbiato.
Tsende entra a piedi nudi nel fiume. Porta cinque
anelli d’argento. Un nomade sull’altra riva ha 20 pecore. Si sono accordati per un baratto. Cammina tra fili
d’erba che un tempo gli arrivavano alle ginocchia, ma
che ora gli arrivano a malapena alle caviglie. Centinaia di nomadi se ne sono andati, incitati dal governo.
Altri, come Tsende, hanno piantato un palo da preghiera buddista sul fianco di una collina, e hanno pregato il
drago. Quando gli dico che alcuni scienziati propongono un’altra spiegazione per la siccità – i cambiamenti
climatici – Tsende non sembra impressionato. “Il risultato è lo stesso”, dice alzando le spalle.
Scienza o superstizione, il risultato è lo stesso. La
sorgente del Fiume Giallo, a sua
volta fonte di approvvigionamento idrico per 140 milioni di persone in un Paese di circa 1,3 miliardi di abitanti, è in crisi. È l’ultimo
fardello per un fiume saturato
dall’inquinamento e prosciugato dalle fabbriche, dalle città in
espansione e dall’agricoltura
intensiva.
“Il Fiume Giallo scorre attraverso regioni densamente popolate della Cina settentrionale”, dice Liu Shiyin, dell’Accademia cinese
delle scienze. “Senza l’acqua, la popolazione della Cina settentrionale non potrebbe sopravvivere. E lo sviluppo economico che è andato avanti fino adesso non
potrebbe proseguire”. Il dinamico motore economico
della Cina è a un bivio. L’inquinamento è largamente
diffuso, e la frenesia edilizia diffusa in tutto il Paese
minaccia di surriscaldare l’economia.
Il Fiume Giallo, che si snoda sinuoso tra regioni toccate solo occasionalmente dal boom economico cinese,
offre una panoramica delle pressioni cui è sottoposto
il Paese. Da un’ansa del fiume all’altra, e poi all’altra
ancora, emerge una catena evolutiva: dai nomadi ai
contadini, dalla fattoria alla fabbrica e dalla fabbrica
alla città. Sono gli stessi cambiamenti che in altri Pae-
Cambiamenti
rapidissimi,
forse ‘anormali’.
Fotografie di Ruth Fremson/The New York Times
La rapida urbanizzazione sta fagocitando la
campagna cinese lungo il Fiume Giallo (in alto). Al suo posto sorgono
‘nuove città’ come Zhengzhou, il cui sviluppo rischia di prosciugare il
fiume che attraversa il Nord della Cina.
IL FUTURO DELLA CINA
Se la scrivania si riempie di foto, fiori e oggetti personali
L’ufficio di Lynn Gaines un tempo
assomigliava a un giardino. Adesso
è decorato con frange e dischi di
plastica che riflettono la luce.
di ELIZABETH OLSON
Nel corso dei 18 anni trascorsi come ideatrice ed illustratrice per la America Greetings Corporation di Cleveland, in Ohio,
Lynn Gaines ha rinnovato diverse volte il
cubicolo nel quale lavora. Per qualche anno è stato un giardino, con tanto di archetto
coperto da finta edera, rose di seta rosa e
lucine scintillanti. Lo scorso mese è passata allo stile retro, decorando con festoni a
frange nei colori dell’arcobaleno e dischi
di plastica che riflettono la luce.
“E’ un’estensione della persona che lo
occupa”, dice Gaines a proposito dello spazio dove lavora. La sua azienda, dice, crede
che la personalizzazione degli uffici sia un
mezzo per incoraggiare la creatività e la
produttività dei suoi 2.200 dipendenti. Si
direbbe però che la American Greetings
rappresenti una minoranza.
Lo scorso agosto sono stati resi noti i dati
di un’indagine condotta telefonicamente da
Il Fiume Giallo
racconta i problemi
della nuova Cina
American Greetings
Steelcase, produttrice di mobili da ufficio,
e Opinion Research su 640 impiegati. Dai
risultati emerge che solo il 40 per cento delle aziende americane incoraggia i propri
dipendenti a personalizzare lo spazio dove
lavorano. Una percentuale che dieci anni
fa era del 56 per cento. E gli impiegati lo
hanno capito: solo il 59 per cento afferma di
personalizzare il proprio spazio di lavoro,
contro l’85 nel 1996.
Nella nuova Hearst Tower di Manhattan,
disegnata da Norman Foster, la Hearst
Corporation — proprietaria di riviste come
Cosmopolitan, Harper’s Bazaar e Country
Living — limita la quantità di carabattole e
foto che i dipendenti possono esibire.
La direttiva, inviata per e-mail ai duemila dipendenti che sono stati trasferiti nella
torre, chiede che all’interno degli spazi di
lavoro, costruiti in legno chiaro e metallo
grigio, si limiti “la quantità di oggetti personali, pile di carta e altri materiali”.
David Masello, redattore di Country
Living, dice che nel suo nuovo, angusto cubicolo c’è meno spazio per “oggetti che mi
ispirano. Si tratta di cose come foto, cartoline e quadri”, dice. “Nel mio vecchio ufficio
ne avevo riempito una parete. Adesso ne ho
un decimo”.
SCIENZA E TECNOLOGIA
ARTI E TENDENZE
I mega tsunami venuti dal cielo
Santi viaggiatori
Comete o grandi asteroidi caduti negli oceani
forse causarono onde inimmaginabili. VI
Antiche icone di un monastero nel deserto
egiziano per la prima volta in mostra.
VIII
continua a pagina III
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Repubblica NewYork
II
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2006
M O N D O
Sperare di salvare l’Africa
senza aiuti dall’estero
di JASON DePARLE
BUKURA, Kenya — L’insolita attività professionale di Lawrence W. Reed,
tenere corsi di formazione per gruppi
politici conservatori, ha guadagnato a
questo economista del Michigan accoliti in tutto il mondo. Ma la sua maggiore
fonte di soddisfazione è James Shikwati, la cui improbabile ascesa è un caso
esemplare di come la destra si crea alleati all’estero.
Shikwati era un giovane insegnante
del Kenya occidentale quando si imbattè
in un articolo di Reed sul genio del capitalismo. In questo isolato villaggio dove
Shikwati è cresciuto la vita ruotava attorno a capanne di fango e al granturco,
non alle ciminiere. Ma inviò comunque
un messaggio a Midland, nel Michigan,
dove Reed guida un gruppo di esperti
che studia e promuove modelli economici conservatori.
“Fornite consulenza a persone interessate ad approfondire i temi del libero
mercato e della libertà individuale?”,
scrisse Shikwati.
Nei quattro anni successivi Reed spedì libri, rapporti, riviste, opuscoli, di tanto in tanto anche somme di denaro man
mano che Shikwati abbracciava con
passione la teoria capitalista. In seguito
l’africano creò un centro di ricerca gestito con le sue sole forze.
In un continente dove i socialisti hanno spesso fatto la parte del leone, oggi
Shikwati è noto come fenomeno conservatore. Ha pubblicato innumerevoli
articoli che esaltano il libero mercato
come salvezza dell’Africa. Ha tenuto
conferenze su quello in cinque continenti e, sfidando lo zeitgeist dell’era Bono,
ha rivolto critiche caustiche agli aiuti
esteri responsabili della povertà africana. Quando i Paesi occidentali, lo scorso
anno, si impegnarono a raddoppiare gli
aiuti all’Africa il settimanale tedesco
Der Spiegel pubblicò un’intervista di
due pagine a un furioso Shikwati che
esclamava: “Per amor di Dio, basta
aiuti!”.
L’insolita collaborazione tra un mentore del Midwest e il suo protetto africano si può leggere in due modi, come astuto tentativo di esportare il predominio
occidentale o come idealistica unione di
menti nel nome della libertà.
Se Reed esalta il suo protetto come
“appassionato difensore della libertà
in un luogo insolito”, Jeffrey D. Sachs,
docente della Columbia University e
eminente sostenitore degli aiuti all’estero, definisce l’atteggiamento critico di
Shikwati nei confronti di questi ultimi
“fondato su basi scandalose” e “sorprendentemente erroneo”. “E’ in gioco
la vita o la morte di milioni di persone e
gli errori in questo campo hanno conseguenze immense”, dice Sachs.
L’associazione di Shikwati, chiamata Inter Region Economic Network,
o Iren, rientra in un insieme di gruppi
analisi politica nati con il supporto dei
conservatori occidentali nell’ultimo
quarto di secolo. Questi istituti, attivi in
ben 70 Paesi con vari livelli di sostegno
dall’esterno, sono fautori di tutta una serie di strategie, come la riduzione delle
tasse, un minor controllo statale e una
maggiore libertà di commercio.
Hanno consolidato i diritti di proprietà
in Perù, promosso la privatizzazione delle imprese statali in Egitto, contestato il
potere dei sindacati in Francia e aperto
la strada alla riduzione del 50% dell’imposta sul reddito d’impresa in Lituania.
Buon parlatore, dinamico, portato ai
contatti interpersonali, il trentaseienne
Shikwati è una delle stelle più brillanti
in questo circuito poco noto. Ma neppure
lui si arroga il merito di aver mutato la
direzione della politica kenyana. Forse
è all’estero che più si esercita la sua influenza, nell’abito di forum come quello
di Der Spiegel, con i quali conferisce ai
conservatori occidentali la credibilità
che deriva dall’avere un eloquente alleato africano.
Sachs sostiene che queste tesi contrarie agli aiuti “hanno frenato
gli interventi salva-vita”.
Peter Smerdon, portavoce
del Programma alimentare
mondiale dell’Onu afferma
che la politica di Shikwati è
destinata a “uccidere milioni di persone”. Irungu Houghton, funzionario di Oxfam
a Nairobi, l’ha definita una
“condanna a morte” per gli
africani poveri.
Shikwati dice di aver ricevuto lettere: “ ‘Ho visto i
bambini con le mosche negli
occhi, come può essere così
crudele’?”. Risponde con la
pacatezza di chi è profondamente convinto delle sue
opinioni: “Dobbiamo smetterla di cercare la salvezza
dall’esterno. Dobbiamo trovare il modo di salvarci da
soli”.
E’ proprio questa la sua
speranza qui a Bukura attraverso un progetto per
combattere la malaria, che
in Africa uccide ogni anno
800.000 bambini. Non si limita solo a studiare i problemi, ma li affronta concretamente perché, dice, gli
Fotografie di Mariella Furrer per The New York Times
Le teorie di un economista
americano conservatore secondo
il quale le iniziative commerciali
e non la beneficenza occidentale
possono veramente aiutare l’Africa,
sono state oggetto di dibattito
nell’ambito della prima conferenza
di Africa Think Tank.
James Shikwati, (a sinistra),
è fautore di iniziative di libero
mercato come il progetto antimalaria di cui ha beneficiato
Theresa Bakhoya, (in basso a
sinistra).
Shikwati ha avuto inoltre un
incontro con alcuni agricoltori che
hanno dato avvio a un gruppo
di autosostegno nel villaggio di
Kalawani, (sopra).
africani aderiranno alle sue teorie solo
dopo averne constatato i risultati. Una
delle teorie è che le iniziative imprenditoriali sono più efficaci degli aiuti nella
lotta alla povertà e alla malattia.
Per dimostrarlo sta cercando di commercializzare la campagna anti-malaria assumendo i giovani di Bukura per
spruzzare pesticidi sulle abitazioni. Al
costo di circa 75 centesimi di dollaro gli
abitanti dei villaggi possono ottenere un
trattamento iniziale e poi seguiranno interventi ogni sei mesi al costo di 4,25 dollari. L’importo corrisponde, in Kenya, al
doppio del salario giornaliero di un lavoratore, ma è inferiore al costo delle cure
per la malaria, che ammonta a 17 dollari. Nell’ottica di Shikwati si crea così un
circolo virtuoso: col denaro risparmiato
per le medicine si acquisteranno fertilizzanti e sementi, i profitti finanzieranno
imprese commerciali e la classe media
emergente spingerà il governo a offrire
maggiore libertà di mercato, alimentando una spirale di prosperità.
Tutto inizia dal portare gli abitanti del
villaggio a pagare per un beneficio, cosa
che, a giudizio di Shikwati “cambierà
la mentalità della gente”. Priva com’è
di energia elettrica, acqua corrente e
pavimentazione stradale, Bukura si
presentava come un insolito teatro di
trasformazione sociale quando Shikwati venne a visitarlo qualche mese fa. La
sua prima tappa fu la casa di Theresa
Bakhoya, la moglie di un insegnante che
aveva allevato sette figli tra frequenti
accessi della malattia. “Da quando hanno trattato con lo spray la mia casa non
ho più avuto attacchi di malaria”, dice.
Ma nonostante tutto il gran parlare di
commercializzazione nessuno ha paga-
Dalla destra Usa
al Kenya: una voce
per il libero mercato.
to. Per reclutare clienti, spiega un disinfestatore locale, il primo trattamento è
stato offerto gratuitamente. “Non sono
affatto deluso”, dice Shikwati. Non appena i residenti constateranno i benefici
“le garantisco che la disinfestazione avverrà su base commerciale”.
Privo di credenziali accademiche,
Shikwati si è fatto un nome come autore
di articoli di opinione. Ha difeso McDonald’s dagli attacchi dei critici della
globalizzazione e le case farmaceutiche
dalle accuse di speculazione. Ha invocato la legalizzazione del commercio
dell’avorio che, a suo giudizio, proteggerebbe i branchi di elefanti. Soprattutto
ha chiesto che si sospendano gli aiuti
dall’estero, che, dice, danneggiano i
mercati locali, corrompono i governi e
promuovono la dipendenza.
Secondo i critici si tratta di un escamotage. I conservatori occidentali hanno creato un falso esperto per citarlo a
convalida delle loro opinioni.
“Gente realmente spietata ha cercato un ‘economista’ di un Paese in via di
sviluppo che ripeta per anni il loro ritornello a giustificazione della loro crudeltà”, dice Neil Gallagher, portavoce per
il Programma alimentare mondiale
dell’Onu a Roma, che nutre circa tre milioni di kenyani l’anno.
Anche gli estimatori africani di
Shikwati tendono a prendere le distanze
dal suo assolutismo. Maggie Kamau-Biruri, direttrice della sede kenyana dell’
International Child Resource Institute,
un’organizzazione nonprofit, trova difficile parlare di minor intervento statale
in un Paese dove mancano strade e le
scuole pubbliche. Ma “lo ammiro”, dice.
“è animato da buone intenzioni e vuole
veder progredire questo Paese”.
ANALISI
Direttore responsabile: Ezio Mauro
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•
Supplemento a cura di:Paola Coppola,
Francesco Malgaroli, Mario Tedeschini Lalli
•
Traduzioni: Emilia Benghi, Anna Bissanti,
Antonella Cesarini, Fabio Galimberti,
Guiomar Parada, Marzia Porta
In Europa la pena capitale fa ancora discutere
di CRAIG S. SMITH
PARIGI — L’Unione europea è rimasta sgomenta quando all’inizio di novembre un tribunale iracheno ha condannato
Saddam Hussein a morte. Neppure il primo Ministro britannico Tony Blair vuole
che il deposto dittatore sia impiccato. Ma
nell’Europa centrale e orientale in molti
hanno applaudito alla sentenza capitale.
Sono quelli che rimpiangono la pena di
morte che hanno dovuto abbandonare
per entrare nel club europeo.
Il primo ministro di destra della Repubblica ceca, Mirek Topolanek, ha
accolto la sentenza come “un atto di
giustizia”, un monito a tutti i tiranni
del mondo. Il presidente polacco Lech
Kaczynski l’ha definita “l’unico esito
possibile” del processo. Un ex ministro
della Giustizia della Slovacchia, Daniel
Lipsic, ha criticato il proprio Paese per
aver assecondato l’Ue che si è opposta
alla decisione del tribunale iracheno. La
maggioranza dell’opinione pubblica di
questi tre Paesi è favorevole alla reintroduzione della pena capitale.
Buona parte dei governi dell’Europa
centrale e orientale hanno riaffermato
la posizione ufficiale europea, in particolare quanti non sono ancora entrati
nell’Ue. Mascherano però un dibattito
molto più profondo, che ha le sue radici
nel diverso passato degli Stati europei
dopo la Seconda guerra mondiale.
I Paesi dove nacque il fascismo sono
stati i primi a rifiutare la pena di morte:
l’Italia nel 1948 per tutti i reati tranne i
crimini in tempo di guerra; la Germania
nel 1949 per tutti i reati indifferentemente. Altri Paesi europei sono arrivati più
tardi, anche se lo hanno fatto tutti. Per
esempio, in Francia l’ultima esecuzione,
con la ghigliottina, è del 1977.
Nei Paesi che invece si ritrovarono
sotto il dominio sovietico quel dibattito
non c’è stato, anche se le loro società
avevano un tempo abolito la pena di
morte. Nei Paesi satelliti dell’Unione
Sovietica, una vasta gamma di reati era
punibile con la condanna a morte: non
soltanto i reati di natura pecuniaria, ma
anche quelli di minaccia alla stabilità
dello Stato.
Con il crollo del comunismo e l’avvento di un liberalismo occidentale talvolta
caotico, il forte desiderio di ordine si è
trasformato in una nostalgia per i vecchi tempi quando i criminali pagavano
con la condanna definitiva.
“La transizione alla democrazia ha
creato uno stato di incertezza e di paura diffusa”, dice Klaus Rogall, esperto
di pena capitale alla Libera università
di Berlino. Ancora oggi, fa notare, nella
Germania dell’est il sostegno alla pena
di morte resta molto forte, mentre l’ex
Germania occidentale aborrisce l’idea.
All’inizio del nuovo millennio, in Europa orientale il sostegno alla pena di
morte era del 60 per cento, secondo un
Associated Press
Operai puliscono una ghigliottina
a Parigi nel 1946. La Francia ha
abolito la pena di morte solo nel
1977.
sondaggio Gallup, mentre in Europa occidentale il 60 per cento era contrario.
“Siamo consapevoli del dibattito in
alcuni Stati dell’Ue, ma non ce ne preoccupiamo particolarmente”, dice Riccardo Mosa, portavoce dell’ufficio della
Commissione europea che si occupa di
Giustizia, libertà. Qualsiasi Paese dovesse mai reintrodurre la pena capitale,
aggiunge, andrebbe incontro a possibili
sanzioni, se non all’espulsione: “La Ue è
compatta”.
Repubblica NewYork
III
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2006
M O N D O
CINA
Pechino
Area di Fiume
dettaglio Giallo
Nomadi come
questi hanno
sempre fatto
pascolare i loro
animali
nei pressi
del lago Gyaring,
la fonte del
Fiume Giallo.
Ora i pascoli
si stanno
tramutando
in deserti.
MONGOLIA
INTERNA
Wuhai
Yangtze
Yinchuan
Yingpantan
Xining
Lago
Gyaring
Shizuishan
SHANXI
NINGXIA
SHAANXI
Hanjiaoshui
QINGHAI
Mar
Bohai
Fiume Giallo
Lanzhou
Dolka
Km.
160
Luoyang
Lago
Ngoring
Zhengzhou
Xian
The New York Times
Ruth Fremson/The New York Times
Scendendo lungo il Fiume Giallo nella Cina del Nord si incontrano
tutti i problemi ambientali che il Paese deve affrontare.
Il Fiume Giallo racconta i problemi di una Cina in trasformazione
continua dalla prima pagina
ONLINE: iL FIUME GIALLO
si si sono dipanati nel corso di secoli. In Cina, sta
succedendo tutto in una volta.
Il lago Gyaring e il suo gemello, il lago Ngoring,
sono considerati le sorgenti del Fiume Giallo. Gli
scienziati hanno cominciato a studiare la regione
dopo l’inizio della siccità, negli anni ‘80. I pascoli si
stavano trasformando in deserto, facendo temere
che la sorgente potesse subire dei danni. Alla fine, si
giunse alla conclusione che la radice del problema
era costituita dall’eccessivo sfruttamento dei pascoli da parte dei pastori nomadi, e le autorità locali
cominciarono a trasferire i nomadi altrove.
In tempi più recenti, però, gli scienziati cinesi sono arrivati alla conclusione che la pressione della
pastorizia era solo uno degli elementi di un problema più ampio. Liu, l’idrologo dell’Accademia cinese delle scienze, e altri scienziati hanno scoperto
che il complesso sistema idrico che alimenta i due
laghi era in difficoltà. I livelli delle falde acquifere stavano calando, e le catene di laghi immissari
più piccoli stavano diminuendo la loro portata o si
stavano prosciugando completamente. La temperatura dell’aria stava lentamente aumentando e il
modello climatico precedente era cambiato, con
una stagione delle piogge soltanto invece di due.
“Abbiamo scoperto che il problema è molto più
ampio, e la causa sono i cambiamenti climatici
globali”, dice Liu. “Se le tendenze cui stiamo assistendo nei pressi della sorgente – il clima che sta
diventando più secco e più caldo – persisteranno, il
fiume continuerà a prosciugarsi”.
Le carenze idriche in molte regioni hanno raggiunto i livelli di guardia. Circa 400 delle 600 città
della Cina non dispongono di un approvvigionamento idrico adeguato per sostenere la crescita futura,
e molte attualmente si arrangiano sfruttando gli
acquiferi sotterranei, che stanno scendendo a livelli pericolosamente bassi. Alcune città sulla costa
stanno costruendo impianti di desalinizzazione.
Complessivamente, la Cina ha uno dei tassi di
approvvigionamento idrico pro capite più basso
del mondo e una distribuzione delle risorse idriche
squilibratissima. La Cina settentrionale ospita il
Jake Hooker e Lin Yang hanno collaborato a
questo articolo.
Il viaggio di Jim Yardley lungo il Fiume Giallo è
anche un videoreportage. Basta andare su www.
nytimes.com/video e cercare ‘Yellow River’.
43 per cento della popolazione ma appena il 14 per
cento delle risorse idriche del Paese.
Per affrontare questo squilibrio, il governo ha
avviato i lavori per un grandioso, e controverso,
progetto di trasferimento delle acque “Sud-Nord”,
che devierà, attraverso un sistema di canali, parte
delle acque dello Yangtze, nella Cina meridionale,
verso i fiumi in secca, Fiume Giallo compreso, del
Nord assetato. I funzionari si dicono convinti che il
piano, potenzialmente il progetto di opere pubbliche più costoso nella storia della Cina, sia la migliore speranza per mantenere il ritmo della crescita
economica nel Nord del Paese.
Nella provincia del Ningxia, generazioni di contadini in villaggi come Yingpantan, non si sono mai
preoccupati di quanta acqua prelevavano dal fiume. Il loro lavoro serviva a soddisfare una priorità
nazionale, ancor oggi evidente nelle parole di alcuni
funzionari che danno voce ai timore di una Cina incapace di garantire il fabbisogno alimentare della
sua popolazione. In tempi più recenti, tuttavia, timori di altro genere – l’esaurimento delle scorte
idriche – hanno spinto ad adottare misure per la
protezione dell’ambiente. Ma in seguito a una recente siccità, per molte persone nel Ningxia trovare l’acqua è diventata questione di sopravvivenza.
La gente sta già cominciando ad abbandonare le
montagne. Ma Junqing dice che la siccità lo ha costretto a partire, due anni fa. Dice che 100 famiglie
del suo distretto ormai affittano terreni desertici
appena al di là dei confini del sistema di irrigazione
del fiume. “Nel mio villaggio natale non c’è assolutamente nulla”, dice sempre Ma, 56 anni. “Non pioveva. Se piove, mangi. Se non piove, non mangi”.
A Est, lungo il fiume, nella regione che collega
il Ningxia con la Mongolia interna, sorge una zona
industriale, parte di un colossale complesso realizzato in meno di sei anni sui terreni assetati che
circondano la città di Wuhai.
“Il tipo di sviluppo a cui stiamo assistendo è anormale”, dice Chen Anping, che si batte per il ripristino delle terre da pascolo nella Mongolia interna.
“È assolutamente insostenibile. Non ci sono risorse sufficienti”. Con un’unica eccezione: il carbone.
Il Fiume Giallo, nel suo tratto più settentrionale,
attraversa il cuore delle regioni carbonifere della
Cina. Secondo il sistema dell’economia pianificata,
il governo centrale, nel 1958, stabilì che Wuhai doveva provvedere a rifornire di carbone l’industria
siderurgica pubblica, la Baotou Steel.
La strategia ha funzionato. Prima del 1998, Wuhai
aveva quattro fabbriche. Ora ne ha più di 400 ed è
diventata un modello industriale per le città vicine, come Shizuishan. A giugno, l’agenzia di stampa
Nuova Cina ha riferito che erano stati stanziati circa 38,5 miliardi di euro per lo sviluppo industriale
del tratto del fiume (800 chilometri) che attraversa
il Ningxia e la Mongolia interna. Gli esperti hanno
calcolato che la domanda di acqua da parte del settore industriale quintuplicherà di qui al 2010.
La rapida industrializzazione ha anche trasformato Wuhai in un incubo ambientale. Un negoziante, Zhang Yueqing, 54 anni, dice che le fabbriche
vomitano sostanze inquinanti senza restrizioni.
Per scavare un pozzo ora si deve scendere fino a 90
metri di profondità, perché le fabbriche prelevano
enormi quantità di acque di falda.
Più a valle, Peng Guihang e la sua famiglia sono tra i primi abitanti del quartiere (non ancora
completato) conosciuto come la “nuova città” di
Zhengzhou. “Qui non c’è ancora molto”, dice Peng,
seduta nel suo appartamento all’ultima moda. “I
negozi probabilmente apriranno fra due o tre anni”.
Peng fa parte di una nuova classe di consumatori
che deve prosperare se la Cina deve continuare a
crescere. È per gente come lei che vengono costruite queste “nuove città” in tutto il Paese.
La foce del Fiume Giallo è lontana ancora qualche centinaio di chilometri, ma questa è la meta
cui la Cina sta cercando di arrivare: una nazione
di contadini trasformata in un moderno Paese urbano. Ma l’espansione di tantissime città procede
così velocemente, e in simultanea, che questa corsa
all’urbanizzazione ha allarmato i leader nazionali.
Nella regione del Fiume Giallo, la popolazione
è quasi triplicata dagli anni ‘50 a oggi. E rispetto
a vent’anni fa, la quantità di acque reflue scaricate nel fiume è più o meno raddoppiata. Ogni città
in espansione, ognuna nel tentativo di attirare industrie e persone, va a cercare fonti di approvvigionamento idriche. “La capacità del fiume non è
cambiata”, dice Su Maolin, della Commissione di
controllo del Fiume Giallo. “La quantità di acqua
che possono utilizzare è limitata. Ha già raggiunto
il livello massimo di utilizzo”.
Peng, nel frattempo, guarda dalla finestra
un’amica in un palazzo vicino che sta ristrutturando un appartamento. “Vedo che ha quasi finito i lavori”, dice. “Ma non ho ancora avuto il coraggio di
andare a vedere. Non voglio sia più bello del mio”.
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una Progettazione Senza Compromessi
ANALISI
New Orleans, ricostruzione che non risana
continua dalla prima pagina
tra i migliori esempi di edilizia popolare costruita
negli Stati Uniti.
Perciò non sorprende che molti dei residenti sospettino che sia in atto un progetto scellerato. Temono che le demolizioni previste facciano parte di
un più vasto piano per impedire alla popolazione
più povera, attualmente sfollata altrove, di ritornare.
Gli ultimi decenni hanno visto l’affermarsi di un
nuovo modello di edilizia popolare: complessi urbani destinati a una popolazione di diversi livelli
di reddito dove la progettazione, in gran parte, si
basava sui principi del cosidetto New urbanist. Con
una visione nostalgica della Middle America, i nuovi progetti erano caratterizzati da strette strade
pedonali e da pittoresche costruzioni a due piani,
con tetti spioventi e verande coperte. Per il dipartimento per l’Edilizia sono diventati il modello per
ricostruire New Orleans.
L’edilizia popolare di New Orleans realizza molti
degli stessi ideali del New urbanist, come i bassi
condomini in mattoni rossi di Lafitte avenue, nel
quartiere storicamente nero di Treme.
Fino agli anni ’50, gli abitanti di Lafitte potevano
contare su una rete di servizi sociali. Ma quando
la middle class, durante gli anni ’60, si è trasferita
nei sobborghi, quei servizi sono stati gradualmente
eliminati, trasformando intere zone del centro in
ghetti destinati al sottoproletariato nero.
Nel 2002 le condizioni erano peggiorate al punto che la città di New Orleans ha acconsentito a
cedere al dipartimento per l’Edilizia il controllo
Nicolai Ouroussoff è il critico di Architettura di
The New York Times.
dei complessi di edilizia popolare. L’abbandono
ha toccato il fondo nel dopo-uragano Katrina. La
maggior parte degli alloggi popolari della città è
stata sbarrata con assi di legno a porte e finestre
qualche mese dopo l’uragano e molto prima che gli
abitanti potessero reclamare i loro beni o svuotare
il frigorifero.
Parecchi di quegli alloggi adesso sono infestati
dai topi. Il punto non è che i quartieri popolari come
quello di Lafitte dovrebbero essere meticolosamente riportati alla condizione originaria. Nessuno
di quei complessi urbani è al livello, ad esempio,
dei migliori quartieri operai modernisti costruiti
in Europa negli anni ’20.
Ma certamente essi sono superiori al livello di
gran parte dei tradizionali quartieri middle-class
edificati oggi. E non è difficile immaginare in che
modo un certo numero di attente modifiche — l’aggiunta di nuovi edifici, la progettazione di parchi o
di giardini, l’ampliamento della rete stradale esistente allo scopo di collegare meglio il quartiere
alla città — potrebbero trasformare il progetto in
un complesso edilizio modello.
Tuttavia il dipartimento per l’Edilizia non ha mai
preso seriamente in considerazione questa idea. E,
sebbene affermi di aver studiato i costi di un eventuale restauro del complesso, non ha reso pubblica
alcuna cifra. Infine, non è disposto a riconoscere
i danni psicologici derivanti dalla demolizione di
altre strutture cittadine quando New Orleans deve
ancora rimarginare le ferite provocate dall’uragano Katrina. Questa è una cosa da pazzi. La sfida a
New Orleans è riuscire a rimettere insieme i frammenti di una cultura andata in pezzi.
Purtroppo, il programma del dipartimento per
l’Edilizia e lo sviluppo urbano riesce a banalizzare
il passato senza affrontare la dolorosa realtà che
ha spogliato questa città.
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Repubblica NewYork
El Viajero
EL PAIS
UNA SELEZIONE DI ARTICOLI DEL DIPARTIMENTO EDITORIALE DE EL VIAJERO, INSERTO SETTIMANALE DI VIAGGI DEL QUOTIDIANO EL PAÍS
VIAGGIO: CASTIGLIA-LEÓN
http://viajero.elpais.es
FÉLIX CORCHADO
La Plaza Mayor di Salamanca fu progettata da Alberto de Churriguera e fu terminata nel 1755, dopo 26 anni di lavori. Il 250º anniversario è celebrato con concerti, mostre e altri eventi culturali.
Una culla per il castigliano
ISIDORO MERINO
e parole dello spagnolo brillano come
pietre colorate, saltano come pesci dai
ri#essi di platino, sono spuma, "lo,
metallo, rugiada. Le sento cristalline,
vibranti, eburnee, vegetali, oleose, come frutti, come
alghe, come agate, come olive. Sono dotate di ombra,
trasparenza, peso, piume, peli, hanno tutto ciò che è
rimasto loro attaccato in tante discese lungo il "ume,
in tanto trasmigrar di patria, in tanto essere radici”.
Più di 30.000 studenti stranieri scelgono ogni anno
le università e le scuole di lingua della Castiglia-León
per apprendere a utilizzare quei vocaboli meravigliosi
di cui parla il poeta cileno Pablo Neruda nel suo libro
di memorie Confesso che ho vissuto. Parole odorose e
musicali come libélula, albahaca, susurro o lapislázuli
[libellula, basilico, sussurro, lapislazzuli], e vocaboli
che nascondono la bellezza nel loro signi"cato: libertad,
paz, vida, azahar, esperanza [libertà, pace, vita, zagara,
speranza]… O amor, scelta come parola più bella dello
spagnolo in un sondaggio a cui hanno partecipato oltre
41.000 internauti.
Più di 400 milioni di persone in tutto il mondo
parlano spagnolo. Lo spagnolo è già la lingua straniera
più studiata, dopo l’inglese. Il turismo linguistico in
Spagna muove intorno alle 200.000 persone all’anno,
che spendono in media 2.000 euro circa per soggiorni
di tre o quattro settimane, secondo un rapporto appena
reso pubblico dall’Instituto Cervantes. Una cifra che
potrebbe arrivare a raggiungere il milione nei prossimi
sette anni.
La regione Castiglia-León ha avuto un ruolo
decisivo nell’origine e nell’espansione dello spagnolo.
Nel monastero benedettino di Santo Domingo de
Silos, a Burgos, furono trovate le Glosas Silenses, uno
dei primi esempi di castigliano scritto. I primi passi
“L
MAPPA DELLA REGIONE CASTIGLIA-LEÓN
della lingua ci portano "no al castello di Peña"el
(Valladolid), oggi trasformato in museo del vino, dove
l’infante don Juan Manuel (Escalona, 1282), scrisse El
Conde Lucanor, un insieme di racconti molto diversi
fra loro, provenienti da favole classiche, racconti
orientali e tradizione orale. Don Juan Manuel fu uno
dei primi autori a preoccuparsi della paternità e della
conservazione dell’opera: depositò i suoi manoscritti
originali nel monastero di Peña"el, per evitare che
venissero imputati a lui errori che avrebbero potuto
commettere cattivi copisti.
Coerentemente col suo ruolo di culla, forse la
principale dello spagnolo, la giunta regionale della
Castiglia-León ha elaborato, in collaborazione con
l’Instituto Cervantes, un piano per promuovere la
regione come meta del turismo linguistico. Iniziative
che passano per il controllo della qualità dei centri e
la creazione dei Diplomas de Español como Lengua
Extranjera (Diplomi di spagnolo come lingua straniera,
Dele). Il database dell’Instituto Cervantes El español en
España (http://eee.cervantes.es) riunisce informazioni
relative a oltre 1.700 corsi di spagnolo per stranieri e
360 centri di insegnamento, in un centinaio di località
che rispettano determinati parametri in termini di
strutture e qualità dell’insegnamento.
Pochi luoghi sono tanto attraenti per imparare lo
spagnolo quanto Salamanca, una città dove un terzo
della sua popolazione di 160.000 abitanti è costituito
da studenti universitari. Là fu pubblicata, nel 1492, la
prima grammatica della lingua castigliana, quella di
Antonio de Nebrija, che avrebbe avuto un ruolo decisivo
per l’espansione dello spagnolo nel Nuovo Mondo.
Dal "ume Tomes, la città si rivela magni"camente nel
pro"lo emergente delle sue due cattedrali. La Catedral
Vieja, sublime esempio di romanico, la cui costruzione
iniziò a metà del XII secolo, e accanto a essa, con la
leggerezza gotica impressa da Juan e Gregorio Gil de
Hontañón, la Catedral Nueva.
Salamanca non può essere concepita senza studenti.
La città ne accoglie oltre 50.000, di cui quasi diecimila
stranieri che si iscrivono a uno degli oltre 2.400 corsi di
spagnolo organizzati durante tutto l’anno. Gli studenti
invadono aule, strade, bar, caffè e librerie; adempiono
alla liturgia delle tapas durante il giorno e il rituale dei
bar de copas la notte, e contribuiscono all’atmosfera
spigliata e vitale che si respira a Salamanca. Il centro
di gravità di questo universo, intorno a cui orbita la
vita della città, è la Plaza Mayor, che l’anno scorso
ha compiuto 250 anni, “un quadrilatero irregolare e
meravigliosamente armonico”, come la descrisse lo
scrittore e saggista Miguel de Unamuno.
Nel XVI secolo, l’Università di Salamanca contava
più di 4.000 studenti, ed era già uno dei grandi centri
del sapere in Europa. Fin dalla sua creazione, nel XIII
secolo, si fece notare per il suo spirito umanista. Qui
si forgiò il movimento di solidarietà con gli indios
dell’America, da poco scoperta, e qui pronunciò la
sua famosa frase “dicevamo ieri” il poeta frate Luigi di
León, al momento di riprendere la sua cattedra dopo
cinque anni passati nelle segrete dell’Inquisizione.
Se Salamanca è la Univerciudad, Valladolid è il posto
dove gli abitanti si vantano di parlare lo spagnolo più
puro. La ricchezza del vocabolario è un altro motivo
di orgoglio per i paesini della provincia (e in generale
di tutta la Castiglia-León). Lo scrittore di Valladolid
Miguel Delibes racconta come, durante le giornate
spese a cacciare, annotasse le parole vecchie, quasi
dimenticate e spesso sconosciute, pronunciate dalla
gente delle campagne – poveda, cohombro, arroba,
fanega, tesa, trillo – per metterle poi in bocca ai suoi
personaggi. Un vocabolario talmente ricco che molti
contadini castigliani potrebbero riconoscersi nella
descrizione che lo scrittore dublinese Flann O’Brien
fa, in chiave umoristica, degli abitanti del Donegal,
in Irlanda: “Alcuni di loro conoscono talmente tante
parole che si vantano di non ripetere la stessa più di
due volte nella vita”. Valladolid, dove passò i suoi ultimi
anni Cervantes e nacquero gli scrittori José Zorilla,
Jorge Guillén e Francisco Umbral, offre un’attiva vita
universitaria, animata da bar e caffè, alcuni con nomi
molto suggestivi come “Il lungo addio” e “Le ore lente”.
Spicca inoltre, nella sua offerta culturale, la prestigiosa
Semana Internacional de Cine (Seminci), un festival
cinematogra"co che si celebra ad ottobre.
Altre informazioni:
www.turismocastillayleon.com,
www.salamanca.es,
www.asomateavalladolid.org,
www.fundacionsiglo.org
www.cervantes.es.
Sapore stagionato a Guijuelo
I Jamones Joselito, emblema dei pascoli di Salamanca
Da Parigi a Milano, i gourmet di mezza
Europa aspettano ogni anno i 60.000
prosciutti prodotti da Joselito a Salamanca a
forza di ghiande e pazienza.
JOSE CARLOS CAPEL
UESTA ditta di Salamanca vanta fra i suoi clienti
grandi cuochi francesi, importanti capi di Stato,
gourmet di mezzo mondo e degustatori illustri.
A ogni nuova stagione da Guijuelo escono
prosciutti ibéricos de bellota Joselito Gran Reserva, diretti
ai ristoranti parigini dei famosi cuochi Alain Ducasse, Alain
Senderens e Joël Robuchon, per citarne alcuni. Anche a
Milano sono serviti dal ristorante Cracco Peck, che riserva
loro più onori per"no degli stessi prosciutti di Parma. Non
sfugge al loro fascino nemmeno Robert Parker, celeberrimo
degustatore di vini americano, che organizza intorno a
questi salumi le sue cene dell’ultimo dell’anno.
In varie città d’Italia, José Gómez, l’amministratore della
società, è riconosciuto come l’arte"ce di uno dei prodotti
migliori del mondo, e gli chiedono autogra". Non senza
motivo: in ogni fetta di questi prosciutti di zampa sottile
e zoccolo nero è concentrata la quintessenza delle carni
del maiale iberico. Fette dolci, dalla tonalità rosacea, con
abbondante in"ltrazioni di grasso, che si sciolgono nel
palato lasciandosi dietro un’in"nità di sensazioni.
Tutti gli anni, dalle botteghe e dai magazzini di
stagionatura che Joselito possiede a Guijuelo, escono circa
60.000 prosciutti certi"cati. Di questi, soltanto 45.000
circa meritano il distintivo Gran Reserva. La produzione
Q
dipende dalla generosità dell’annata, vale a dire dalla
quantità di ghiande fornita dai pascoli, quei boschi
popolati di vari tipi di querce, querce da sughero, lecci e
quercus faginea, tanto diffusi nel sudovest della Spagna, da
Salamanca "no a Huelva.
Prodotto artigiano per antonomasia, il suo prodigioso
aroma è il risultato di circostanze variabili. Innanzitutto la
razza iberica, animali selezionati dall’allevamento Joselito
allo scopo di preservare determinate caratteristiche
genetiche e morfologiche assolutamente uniche. Animali
che si muovono in regime di libertà, e si alimentano di
ghiande e di erba durante i periodi di monticazione, in
perfetta armonia con l’ecosistema che li circonda.
Il segreto di Joselito è basato su vari fattori. Controlla i
maiali dalla nascita "no al momento del sacri"cio; vigila
sulla loro alimentazione e sulla loro crescita, e poi sottopone
i suoi prosciutti a un lungo e parsimonioso sistema di
lavorazione artigianale, sempre senza forzature, con
l’obbiettivo di trarre il massimo pro"tto dalla climatologia
della zona e dai capricciosi saliscendi delle temperature.
Dagli essiccatoi iniziali, i prosciutti passano in"ne a
botteghe dove ogni pezzo viene fatto af"nare lentamente,
"no ad arrivare al punto ottimale, dopo un lasso di tempo
variabile tra i 30 e i 36 mesi.
Tra le cure che ricevono questi prosciutti e quelle
che ricevono i migliori vini di riserva esistono molte
similitudini. Un artigianato tradizionale che Joselito rende
compatibile con incessanti ricerche, frutto di un reparto di
ricerca e sviluppo che si mantiene in contatto con diverse
università spagnole.
Jamones Joselito.
Santa Rita, 8. Guijuelo (Salamanca).
Telefono: 923 580 375.
www.joselito.com.
Maiali allevati dalla ditta Joselito al pascolo intorno a Guijuelo (Salamanca).
Repubblica NewYork
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Repubblica NewYork
VI
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2006
S C I E N Z A
I segreti degli oceani
Gli scienziati studiano coste e oceani
in cerca di segni che indichino
l'impatto sul mare, in tempi antichi,
di asteroidi e comete. Il loro impatto
sull'oceano potrebbe aver causato
degli tsunami, a loro volta
responsabili della formazione
di grandi depositi di sedimenti
a forma di cuneo (chevron).
Dimensione
reale*
E
T E C N O L O G I A
Cratere di Chicxulub
potrebbe essere
legato alla scomparsa
dei dinosauri.
MADAGASCAR
Cratere di Burckle
potrebbe aver creato
dei depositi di sedimenti
in Madagascar.
Chevron noti.
50
20
10
Crateri oceanici scoperti
di recente che si ritiene
causati da impatti.
Crateri oceanici scoperti
di recente che si ritiene
causati da impatti.
Diametro del cratere in miglia
(*non in scala con la cartina)
Fonti: Dallas Abbott, Lamont-Doherty Earth Observatory;
Vyacheslav K. Gusakov, Accademia delle Scienze di Russia; Holocene Impact Working Group
David Constantine/The New York Times
I mega tsunami delle comete cadenti
di SANDRA BLAKESLEE
All’estremità meridionale del Madagascar si trovano quattro enormi depositi di sedimenti sedimenti cuneiformi,
chiamati anche chevron, composti da
materiali provenienti dal fondo dell’oceano. Ognuno copre un’area di circa
120 chilometri quadrati, con i sedimenti
a una profondità di circa 320 metri.
Questi depositi contengono microfossili delle profondità dell’oceano, fusi
con metalli normalmente originati da
impatti cosmici. E tutto punta verso la
stessa direzione, cioè il centro dell’Oceano Indiano, dove a quattromila metri di
profondità è stato da poco scoperto un
cratere del diametro di 29 chilometri.
La spiegazione per alcuni scienziati è
ovvia . Un asteroide o una cometa si è
schiantato nell’Oceano Indiano 4.800 anni fa, dando origine a uno tsunami di almeno 183 metri di altezza, circa 13 volte
di più di quello che ha inondato l’Indonesia due anni fa. L’ondata ha trasportato
a terra enormi depositi di sedimenti.
La maggior parte degli astronomi
ritiene improbabile che la Terra abbia
subito impatti con asteroidi negli ultimi
10.000 anni. Ma la “banda di sbalestrati”, come essi stessi si definiscono, del
Gruppo di lavoro sull’impatto dell’olocene, formato da due anni, sostiene che gli
astronomi semplicemente ancora non
sanno dove andare a cercare le prove di
eventi del genere. Gli scienziati di questo gruppo dicono che prove di impatti
simili negli ultimi 10.000 anni dimostrano che l’intervallo di tempo medio che
passa fra un evento catastrofico del genere e un altro potrebbe essere di mille
anni, invece dei 500.000-1.000.000 di anni
calcolati dagli astronomi.
Del gruppo fanno parte ricercatori
Enormi crateri indizio
di fenomeni catastrofici
relativamente recenti.
statunitensi, australiani, russi, francesi
e irlandesi. Quest’anno hanno cominciato a usare Google Earth, una fonte gratuita di immagini satellitari, per cercare
questi depositi a cuneo, che secondo loro
rappresentano una prova di giganteschi
maremoti avvenuti in epoche passate.
Hanno individuato decine di siti in Australia, Africa, Europa e Stati Uniti.
Quando tutti gli “chevron” puntano
nella stessa direzione, verso il mare
aperto, Dallas Abbott, assistente ricer-
catrice all’Osservatorio terrestre Lamon-Doherty di Palisades, nello Stato di
New York, utilizza un’altra tecnologia
satellitare per individuare crateri oceanici. E sempre più spesso li trova.
Gli astronomi sono scettici, ma disponibili a esaminare le prove, dice David
Morrison, un’autorità in tema di asteroidi e comete al Centro ricerche Ames
della Nasa a Mountain View, California.
Dai dati disponibili, risulta che la Terra,
nel lontano passato, è stata colpita da
qualcosa come 185 grandi asteroidi o
comete, ma la maggior parte dei crateri
si trova sulla terraferma. Nessuno ha
dedicato tempo a cercare crateri nelle
profondità oceaniche, dice Morrison.
“Molti di noi pensano che Dallas abbia
qualcosa di grosso per le mani”, dice
William Ryan, geologo marino dell’Osservatorio Lamont. “Sta costruendo una
storia, proprio come fece Walter Alvarez”. Alvarez, professore di Scienze terrestri e planetarie all’Università della
California (sede di Berkeley), ha passato dieci anni a persuadere gli scettici che
fu un gigantesco asteroide a spazzare
via i dinosauri 65 milioni di anni fa.
Ted Bryant, geomorfologo dell’Università di Wollongong, nello Stato australiano del nuovo Galles del Sud, è stato il primo a riconoscere le “impronte”
dei megamaremoti. I grandi tsunami,
con onde dai nove metri di su, sono cau-
Nuove priorità
per gli anziani
D. All’inizio di quest’anno l’associazione che
lei dirige ha pubblicato un rapporto intitolato La
discriminazione in America verso gli anziani. A
quali conclusioni è pervenuto?
R. Abbiamo effettuato uno studio sulla letteratura in materia. Secondo un articolo compar-
Piccoli
chevron
Robert Caplin per The New York Times
so nel 2004 su The Lancet da uno a tre milioni di
americani anziani hanno subito qualche forma
di abuso da parte di persone alle cure dei quali
erano affidati. L’Istituto generale di sondaggi
sul sociale ha osservato 65 lavoratori nell’arco di
tempo compreso tra il 1977 e il 2002: tra di loro
la percezione della discriminazione per motivi di
età è salita dall’11,6 per cento al 16,9. Secondo il
governo, 1,5 milioni di americani anziani vivono
in case di cura il 90 per cento delle quali ha personale inadeguato..
D. Negli anni ‘60 lei è stato il primo a coniare la
parola ageism, che indica la discriminazione verso gli anziani. L’ha mai subita personalmente?
R. Io sono abbastanza energico, ho buone risorse economiche e qui sono il capo. Questo mi
mette al riparo dal subire una discriminazione
per motivi legati all’età. Ma ci sono altre cose che
ho potuto notare direttamente: la prima ha a che
vedere con l’essere pensionati. Non appena ho la-
Grande
chevron
I depositi cuneiformi
hanno un'angolatura
determinata dalla
direzione dalla quale
sono arrivati. Così
gli scienziati sanno
in quale direzione
cercare e usano
i satelliti per analizzare
la geografica del
fondo oceanico e
individuare il cratere.
1.5 Km
TerraMetrics e Digital Globe, via Google Earth
sati da eruzioni vulcaniche, terremoti
e frane sottomarini, dice, e i depositi
da loro prodotti hanno caratteristiche
differenti. I depositi dei megamaremoti contengono rocce insolite con gusci
d’ostriche, che non possono essere spiegati dall’erosione causata dal vento,
dalle onde sollevate dalle tempeste, dai
vulcani o da altri processi, dice Bryant.
“Non stiamo parlando di niente di si-
La gente vive circa 30 anni più a lungo
di un tempo. Il dottor Robert N. Butler
- che di anni sta per compierne 80 - dice:
‘Dobbiamo pensare in modo diverso
all’invecchiamento’.
di CLAUDIA DREIFUS
Per essere un uomo che sta per compiere 80
anni, il dottor Robert N. Butler è prende l’aereo
con frequenza incredi bile. Quando non si dirige in
India, parte per una conferenza in Virginia, dove
esorta a rispettare i diritti umani delle persone
anziane. Ben prima di diventare quello che egli
stesso definisce un “anziano”, il dottor Butler si
è interamente dedicato alla salute delle persone
avanti con l’età. Nel 1975 è stato direttore fondatore dell’Istituto nazionale dell’Invecchiamento.
Un anno dopo le sue riflessioni sulla terza età,
Why Survive? gli sono valse il premio Pulitzer.
Negli anni ‘80 il dottor Butler ha fondato il dipartimento di Geriatria della facoltà di Medicina
del Mount Sinai di New York. Il suo Centro internazionale sulla Longevità, un’organizzazione di
ricerca e politiche per l’invecchiamento, è tuttora affiliato al Mount Sinai.“Dobbiamo riflettere
sull’invecchiamento in termini diversi” dice il
dottor Butler. “Oggi si vive circa 30 anni di più
rispetto al passato”.
Alla ricerca del cratere
sciato la presidenza della sezione di geriatria del
Mount Sinai per fondare il Centro sulla Longevità, la gente ha iniziato a riferirsi a me con il termine di ‘pensionato’. Mi sono immediatamente reso
conto che questo termine non ha un valore positivo. La seconda cosa di cui mi sono reso conto è
una diffusa mancanza di sensibilità nei confronti
della disabilità: io soffro di una leggera sordità
e ad una recente conferenza a Washington il presidente non aveva acceso l’altoparlante. Quando
gli ho chiesto di farlo ha sbuffato e ha detto che
l’avrebbe fatto in seguito.’
D. Molto si discute del fatto che il primo nucleo
dei baby boomer quest’anno compirà 60 anni.
Questa generazione trasformerà anche l’invecchiamento come ha trasformato tutto il resto?
R. Penso che andranno incontro a tempi difficili, perché la società non è pronta per loro. Né credo che loro siano pronti a invecchiare: per buona
parte sono grassi, non sono in salute e non hanno
risparmi da parte. Non esistono abbastanza case
di cura o strutture per anziani in grado di accoglierli tutti.
Ma hanno sperimentato e vissuto in prima persona la politica e potrebbero ricorrere ad essa
per indurre un cambiamento. Se saranno capaci
di farlo, a beneficiarne maggiormente saranno
la Generazione X e la Generazione Y. In effetti,
se devo essere sincero, la generazione dei baby
boomer è una generazione a rischio”.
mile agli tsunami che conosciamo”, dice
Bryant. “Aceh a confronto era un’increspatura dell’acqua. Nessuno tsunami
moderno avrebbe potuto avere caratteristic simili. I film catastrofici non danno un’idea adeguata delle dimensioni
di queste onde. Le frane sottomarine
possono provocare grandi tsunami, ma
sono localizzati. Questi sedimenti sono
depositati lungo intere linee costiere”.
Dolore, ragni e peperoncini
Apparentemente i peperoncini rossi e le tarantole
hanno ben poco in comune, lucenti vegetali gli uni, pelosi
aracnidi le altre. Ma si sa che entrambi causano dolore,
gli uni quando li mordi, le altre quando ti mordono. Ora la
scienza ha scoperto che peperoncini e tarantole attivano
lo stesso processo biochimico nel sistema nervoso per
scatenare il dolore.
Il peperoncino contiene capsaicina, un composto che
attiva il recettore Trpv1 deputato ad aumentare il flusso
di ioni nelle cellule nervose affinché venga inviato un segnale al cervello.
“Le piante si sono evolute in
modo da utilizzare questi canali
Trp come comuni luoghi di azione per scoraggiare i predatori”,
dice David Julius dell’Università della California di San Francisco. “Ma gli animali?”.
Il dottor Julius e colleghi hanno utilizzato il veleno estratto da
22 tarantole e scorpioni esponenChris Gash
dolo a cellule nervose di topo coltivate contenenti il recettore Trpv. Un veleno, proveniente da una tarantola originaria delle Indie Occidentali, ha
attivato il recettore.
Ulteriori analisi hanno dimostrato che i composti presenti nel veleno appartenevano alla famiglia di peptidi
nota come Ick. In genere questi peptidi inibiscono i recettori.
E’ logico per una tossina letale, dice il Dr. Julius, “perché il suo intento è di bloccare l’attività delle cellule nervose causando la morte”. I peptidi presenti nel veleno
di ragno agiscono invece in senso opposto, attivando il
recettore e consentendo l’afflusso di ioni nella cellula.
HENRY FOUNTAIN
Repubblica NewYork
VIII
LUNEDÌ 27 NOVEMBRE 2006
A R T I
E
T E N D E N Z E
Wong Kar-wai,
maestro del tempo
nell’America d’oggi
di DENNIS LIM
J. Emilio Flores per The New York Times; in basso, dal J. Paul Getty Museum, Los Angeles
Padre Porphyrios (a destra) e padre Justin durante l’installazione delle icone al J.Paul Getty
Museum di Los Angeles. Alla mostra sono esposte le icone San Pietro Apostolo, in basso a
destra, e La scala santa del Paradiso di san Giovanni Climaco.
San Pietro torna a viaggiare
dopo una sosta di 15 secoli
di JORI FINKEL
LOS ANGELES —Nel caldo del deserto c’era una situazione di stallo tra due
diverse autorità: un monaco greco ortodosso e un gruppo di militari egiziani. Il
monaco era chiaramente in una posizione svantaggiata, ma non ha avuto paura
di far sentire le sue ragioni.
I soldati avevano fermato il monaco,
padre Porphyrios, a un posto di controllo
mentre con un piccolo convoglio di auto
e camion partito dal monastero di Santa Caterina sul monte Sinai si dirigeva
all’aeroporto del Cairo. Il loro carico:
casse piene di icone antiche, dipinti votivi tanto delicati quanto rari, destinati a
una mostra a Los Angeles, a quasi 13.000
chilometri di distanza.
“Abbiamo gridato parecchio”, ha detto padre Porphyrios, attraverso l’interprete, durante un’intervista. “Non avevo
nessuna intenzione di lasciare che aprissero le casse”.
Dopo un’ora di trattative e qualche appropriata telefonata al ministero della
Cultura al Cairo, padre Porphyrios l’ha
avuta vinta. E le icone hanno ripreso il
viaggio verso la destinazione finale: il
J. Getty Museum che le esporrà nella
mostra Holy Image, Hallowed Ground:
Icons from Sinai. In tutto, sono esposte
43 icone, 30 delle quali non erano mai state concesse in prestito prima di oggi.
Le icone, dipinti su legno dai vividi colori che ritraggono santi e altre figure
sacre, svolgono un ruolo centrale nella
chiesa ortodossa. Per i fedeli, pregare
davanti all’immagine di un santo equivale a invocarlo. E le icone aprono una
finestra sul mondo spirituale.
“Mi piace pensare alle icone come
a dei riflessi: nel senso classico dove
un’immagine allo specchio era considerata reale e non illusoria. E’ come una
presenza dell’immagine che vi è raffigurata”, dice padre Justin, un altro monaco
di Santa Caterina che, assieme a padre
Porphyrios, si fermerà a Los Angeles
per gran parte della mostra. “Essere
circondati dalle icone è come essere circondati dai santi stessi”.
La collezione di icone bizantine di Santa Caterina, che oggi ammonta a 2.000
esemplari, è la più grande del mondo.
Alcune furono dipinte sul posto dagli iconografi, monaci esperti della tradizione
ricca di simbolismi e rigidamente codificata che tramandava come raffigurare un santo. Altre vi sono state portate
in dono.
Per secoli, viaggiare dall’Europa alle
remote regioni del Sinai ha significato
navigare fino ad Alessandria e proseguire a dorso di cammello per circa 15
giorni. Ma l’isolamento ha giovato al
monastero, specialmente durante l’apice dell’iconoclastia, nei secoli VIII e IX.
In quel periodo, l’imperatore bizantino Leone III emanò l’editto del 730 che
vietava il culto delle immagini religiose,
dichiarandolo un’aperta violazione della proibizione degli “idoli” contenuta nei
Dieci Comandamenti.
Molte delle antiche icone furono confiscate e distrutte, ma non i dipinti del
monastero di Santa Caterina che era
passato sotto il dominio musulmano e
dunque dispensato dall’osservanza delle leggi bizantine.
Anche la particolare atmosfera del
deserto ha contribuito a preservare le
icone. Poiché sono dipinte su legno, le
icone sono suscettibili di deformarsi e
di spaccarsi a causa dei cambiamenti
di umidità.
Sebbene alcune effettivamente siano
state danneggiate in questo modo, la
maggior parte è stata conservata proprio dall’estrema aridità del deserto.
E dai monaci stessi, che si sono assunti
la responsabilità personale della salvaguardia delle icone. Per secoli hanno impedito che le icone affrontassero viaggi.
L’icona più antica presente alla mostra è un dipinto del VI secolo che raffigura l’apostolo san Pietro ed è una delle
cinque più antiche icone conosciute. E’
la prima volta che il dipinto lascia il monastero.
“Ci sono molti atti di devozione che si
possono fare davanti ad un’icona”, dice
padre Justin. “Se il fedele è un russo, si
farà il segno della croce e toccherà il vetro”. “Noi facciamo scorte di detersivi
per vetri, dice un portavoce del Getty”.
NEW YORK — Lo scorso agosto a
SoHo, sul set di un film, Jude Law e Norah Jones hanno condiviso momenti di
intimità. Di ripetuta intimità. Per la
precisione, nel giro di tre giorni si sono
baciati più di 150 volte.
L’occasione per questo impeto di passione era My blueberry nights, il primo
film in lingua inglese di Wong Kar-wai, il
sorprendente regista di Hong Kong divenuto un’icona del cool cosmopolita.
La notte in questione faceva un caldo
soffocante e la troupe andava e veniva
dal Palacinka, un piccolo caffè di SoHo a
New York, per le riprese d’interni, preparandosi all’ennesima ripresa della
scena conosciuta come “il Bacio”.
E’ ora di chiusura e Norah Jones, l’ultima cliente rimasta, si è accasciata sul
bancone con gli occhi chiusi. Sul suo labbro superiore è posata una sbavatura di
panna, testimone di una scorpacciata
di dolci. Law, intento a pulire il bar, la
guarda e chinandosi adagio le ruba un
bacio lento. Quando riemerge, sulla bocca di lei non c’è più taccia di panna.
La sequenza dura meno di un minuto, ma il numero di configurazioni che
Wong e il suo operatore, Darius Khonji,
ne hanno tratto — 15 tagli diversi, stando
al conteggio del segretario di produzione
— lascia pensare che a film completato
occuperà un ruolo centrale. “Il bacio” è
stato girato a diverse velocità e da una
moltitudine di angolazioni: grand’angolo, punto di vista di lui, di lei, attraverso
la finestra, con oggetti in primo piano.
“Non avevo mai lavorato con qualcuno
che pone una simile enfasi su un singolo
istante”, ha detto Law tra una ripresa e
l’altra. “E’ straordinario come prende
un momento, lo rigira e lo seziona”.
Quella di consacrare l’attimo fuggevole, effimero è una specialità di Wong.
Per lui, più che per altri registi dopo
Alain Resnais, il grande tema è il tempo
— in particolare il tempo perduto. I suoi
film rapsodici, percorsi da meditazioni
fuori campo e avvolti in un sontuoso senso di rammarico sembrano convergere
verso il regno della memoria.
A Wong, 48 anni, piace descrivere My
blueberry nights come un road-movie
girato tra New York, Memphis, Las Vegas ed Ely, in Nevada, con un cast che
comprende Natalie Portman, Rachel
Weisz e l’esordiente David Strathairn.
Anche 2046, il suo film precedente, benché pensato come opera di fantascienza
dimostrava l’attrazione gravitazionale
del passato, finendo per soccombere al
folle delirio della Hong Kong degli anni
’60. Il film, un trip caleidoscopico, attingeva ai lavori precedenti di Wong con
una tale abbondanza da sembrare una
retrospettiva a se stante di un artista
giunto a metà della propria carriera.
E’ noto come Wong trovi la sua via
strada facendo, spesso abbandonandosi alla fase di produzione avendo tra le
mani poco più di una bozza. Il metodo
esplorativo regala ai suoi film un aspetto e un’intensità unici, dove il risultato è
inseparabile dal procedimento.
A metà degli anni ’90 Wong aveva
diretto tre film in rapida successione:
Hong Kong express, Angeli perduti e
Happy together. Girati come se si trattasse di rispettare delle scadenze, questi
film hanno l’esuberante immediatezza
di una Polaroid. I lavori successivi, In
the mood for love e 2046, sono fantasticherie d’epoca che affondano le proprie
radici nella melanconia della transitorietà. E’ facile capire come Wong abbia
faticato ad allontanarsene: ciascuno dei
Una pièce sulla New York della moda, dei gay e della politica
di CATHY HORYN
Nel nuovo lavoro teatrale di Paul Rudnick Regrets only, la moda è il verme
solitario che fa da guida. Infatti, mentre
si ride delle battute su Vera Wang o su
Valentino, rese con burbera maestosità
dal personaggio principale, Hank Hadley — il patois e la spiccata mascolinità
del quale sono, non a caso, puro Bill Blass
— si avverte un vago senso di vuoto.
La moda, come l’ambito politico degli
omosessuali, hanno alimentato una cultura della satira corrosiva. Nessuno è al
riparo da critiche o ridicolo.
“Gli Oscar sono diventati il processo
di Norimberga della moda”, dice Rudnick. Eppure, gli spettatori cui interessa la
moda non sono mai stati così numerosi,
fa notare Rudnick. “Mi sorprende che
colgano una battuta su Valentino, vuol
dire che sanno più di moda che di politica
o altre cose delle quali dovrebbero essere più informati”.
Il quesito di Regrets only è se gay e
lesbiche abbiano lo stesso diritto delle
coppie eterosessuali di essere felici, e
distrutti, dal matrimonio. Esamina anche le possibili debolezze dell’amicizia
tra un gay e una coppia molto potente.
Ambientata nel soggiorno di Jack e
W. Tibby McCullough (Christine Baranski), la pièce apre con Hank (George
Grizzard) che, ancora in lutto per la perdita del compagno di 38 anni, arriva per
accompagnare Tibby in città. Le cose si
scaldano quando Jack, marito di Tibby,
un avvocato dal grande amor proprio, irrompe per annunciare, davanti a un imbarazzato Hank, che il presidente gli ha
chiesto di stilare una bozza per un emendamento contro i matrimoni tra gay.
Nel secondo atto, considerando la possibilità di essere stato per Tibby più una
persona utile che un amico, Hank decide di verificare il sospetto organizzando uno sciopero degli omosessuali, che
rovina i preparativi per il matrimonio
della figlia della coppia.
Potrebbe davvero accadere qualcosa
Macall Polay/Jet Tone Films
Per My blueberry nights, il suo
primo film girato in America,Wong
Kar-wai è arrivato nel West.
film ha richiesto tempi di lavorazione
che sono sembrati un’eternità.
“In cinque anni si potrebbero fare cinque film, mentre ho impiegato cinque
anni per farne uno”, dice di 2046.
My blueberry nights rappresenta uno
sforzo consapevole di accelerare i tempi. Tanto per cominciare, Wong lo ha
girato in sole sette settimane. “Pensavamo a questo film come a una vacanza,
spontaneo e moderno”, dice.
Dal suo punto di vista, My blueberry
nights racconta il volto della Jones e
come reagisce ai diversi ambienti. “A
Memphis la sua presenza ha qualcosa
di molto elegante”, dice. “A New York è
Quando in un film
un bacio
non è solo un bacio.
molto contemporanea”.
La Jones, una cantante pop che non
aveva mai recitato, dimostra meno
fiducia del suo regista. “Non ho idea di
cosa abbia visto in me, o di dove lo abbia
visto”, dice in una pausa-caffè serale.
“Quando mi hanno chiamata credevo
volesse della musica per i suoi film”.
Durante le riprese Wong ha rivisto e
aggiunto in continuazione nuove scene,
spesso all’ultimo momento. Si è detto
sorpreso che gli attori non solo fossero
pronti alla sfida, ma emozionati.
Una volta finito, Wong dice di essere
stato stremato dal ritmo estenuante. Ma
lungi dall’infastidirsi per l’incompletezza, sembrava trarne vigore: la porta è
aperta, nessuna alternativa è andata
perduta, la storia è ancora viva.
Come potrebbe finire My blueberry nights? “Credo ci sarà un secondo bacio”,
dice. “Ma non so dove”.
Bill Blass ha ispirato una
nuova opera teatrale.
del genere? Potrebbe darsi
Non solo Blass rifiutava di
una protesta di gay e lesbidettare il gioco usando la sua
che di New York, che coinvolomosessualità, ma questa è
gesse parrucchiere, fiorista,
addirittura una carta che non
stilista? Rudnick ride. “Sono
ha mai giocato. Regrets only
certo che ci sono molti desiè una commedia che si chiegner e organizzatori di feste
de solo: “Cosa succederebbe
Mike Segar/Reuters
che non sono gay”, dice. “Ma
se...?”
anche così, credo che se tutti gay di un
Rudnick sembra ammettere che gli
certo livello sociale di Manhattan deci- stilisti non saranno mai dei reazionari.
dessero di incrociare le braccia per un Poi, riflettendo, aggiunge: “Credo che
giorno, i danni non sarebbero pochi”.
appena uno ha successo in un qualsiasi
Ma, per quanto l’idea possa apparire campo, ha il terrore di perderlo”.
strana, la scelta di Bill Blass come ispiBlass, un figlio della depressione che
ratore del politicizzato Hank apparirà attribuiva più valore al successo sociale
ancora più assurda per chi lo hanno co- che non a vendere vestiti, sarebbe d’acnosciuto.
cordo.
Repubblica NewYork
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Grandi balzi in avanti E all indietro