Periodico dell’“Associazione Amici del Banco” fondato nel 2005 - Numeri arretrati sul sito www.amicidelbanco.it
Anno 4° - n. 3 / 2008 Tribunale di Sassari n. 265/2004 - Distribuzione gratuita - Poste Italiane spa. spedizione in a.p. - 70% - DCB Sassari
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CERIMONIA DI PREMIAZIONE DEL CONCORSO
“BANCO DI SARDEGNA PER LA SCUOLA”
Vª EDIZIONE 2007/2008
Sabato 11 ottobre nella villa Mimosa, sede relazione gli altri componenti del tavolo.
dell’Associazione industriali, si è svolta la cerimoIl prof. Farina ha dato inizio alla premiazione
nia di premiazione degli Istituti che si sono classi- chiamando i docenti e gli studenti dell’istituto
ficati nelle prime tre posizioni della graduatoria, “Alessandro Volta” di Nuoro, che, dopo aver illuma aperta anche agli altri Istituti partecipanti.
strato il contenuto del loro progetto denominato
Al tavolo della presidenza erano presenti il “Alltech”, hanno ricevuto la targa del primo preprof. Franco Farina, presidente del Banco, il dr. mio e quella del premio amicizia, riservato alle
Natalino Oggiano, direttore generale, la dr.ssa scuole che affidano il servizio di tesoreria al
Pasqualina Coco, in
Banco.
rappresentanza del
E’ stata poi la volta
Direttore dell’ufficio
dell’istituto Buccari
scolastico regionale,
che ha ricevuto il
il dr. Vario Morace, in
secondo premio per il
rappresentanza del
progetto “Vela school”.
magnifico Rettore
Infine è stato chiadell’Università degli
mato l’istituto “P.
Studi di Sassari e lo
Levi” per ricevere il
scrivente, presidente
terzo premio per il prodell’Associazione
getto “ Familandia”.
Amici del Banco.
A tutti gli altri istituErano altresì preti, classificati dalla
Sassari - Villa Mimosa
senti la dr.ssa Paoni,
commissione al quarto
Premiazione vincitori V° concorso borse-premio
Assessore provinciale
posto ex aequo, è stata
di Sassari, la dr.ssa Duce, assessore del comune riservata una targa di partecipazione e il premio
di Sassari, il rappresentante dell’Associazione amicizia, se convenzionati col Banco per la tesoIndustriali di Sassari, i docenti e gli studenti di reria.
quattro istituti isolani, diversi dipendenti del
E’ stato poi offerto un rinfresco a tutti gli ospiti.
Banco ed una nutrita schiera di nostri soci. Il
Siamo lieti di aver contribuito, con l’impegno
prof. Farina, dopo un saluto ai convenuti, ha degli amici che si prodigano nel mandare avanti
posto un particolare accento sul significato del l’Associazione, e ci approntiamo ad offrire al
concorso, giunto alla sua quinta edizione, nei Banco il contributo per l’organizzazione della
confronti degli studenti che stanno per lasciare nuova edizione.
la scuola e devono misurarsi con il mondo delle
IL PRESIDENTE
imprese vuoi per ricercare un posto di lavoro
Antonello Sanna
vuoi per proporsi come imprenditori.
Il concorso ha per oggetto la presentazione da
parte degli studenti, coadiuvati dai loro docenti,
di un progetto d’impresa corredato di tutti gli
elementi necessari, quali ricerche di mercato,
analisi della concorrenza, previsioni degli investimenti necessari per la realizzazione e dei
costi e ricavi nei primi tre anni di servizio.
E’ quindi, ha continuato il prof. Farina, esso
rappresenta un occasione importante per i giovani che possono così simulare la creazione e la
conduzione di un’azienda, rimarcando la volontà del Banco di bandire, per l’anno scolastico
2998/09 una nuova edizione.
Hanno poi svolto, sempre sul tema dell’importanza dell’iniziativa promossa dal Banco
Sassari - Villa Mimosa - Partecipanti alla premiazione
negli ultimi cinque anni scolastici, una breve
La tiratura di questo numero
della “Pintadera”, nostro malgrado, è stata notevolmente
ridotta a causa dell’insostenibilità della spesa a totale carico
dell’Associazione. Ce ne scusiamo particolarmente con i
Dipendenti del Banco in servizio e con i pensionati Banco
non soci ai quali non possiamo
inviarne, come per il passato,
una copia in omaggio. Sarà
nostra cura immetterne l’intera
stampa nel nostro sito Internet
“www.amicidelbanco.it”.
La Presidenza
UNA VERA ASSOCIAZIONE
PER ESSERE AMICI
IN AZIENDA E FUORI!
Mi piace qui ricordare, nell’esordio di questo mio intervento, che il 16 novembre ricorre il sesto anniversario
della costituzione della nostra Associazione, nata, come
certo ricordano i nostri soci fondatori, a Sassari, nelle
accoglienti sale di Villa Mimosa. Fu quello l’incontro
festoso e irripetibile di quasi settanta colleghi del Banco
che sancì la nostra comune volontà di operare secondo uno
Statuto che esalta l’amicizia, nell’interesse dei soci e dell’intera comunità: per contribuire alla crescita morale, culturale e sociale di essa, ed in particolar modo dei giovani.
I soci fondatori, e tutti gli altri colleghi che nel corso di
questi anni hanno aderito alla nostra Associazione, hanno
dato – credo e spero – sicura attestazione di credere che
l’associazionismo solidale dei lavoratori è fattore di sviluppo sociale e di crescita aziendale
Dato per scontato che questo assunto sia, almeno formalmente, condiviso da una larga rappresentanza di lavoratori, e
di bancari in particolare, siamo però subito chiamati a chiederci perché solo poche centinaia di nostri colleghi hanno
aderito a questa iniziativa dai contenuti sociali innovativi.
La risposta la troviamo considerando che questa nostra
straordinaria ed eccezionale avventura è antesignana di
un tempo nuovo che è maturato negli ultimi due decenni
ed che ha registrato, con l’espandersi del tempo libero e
del miglior tenore di vita, il desiderio di riunirsi in svariati modelli associativi, sia per motivi altruistici che per soddisfare il desiderio di amicizia e di partecipazione.
Partiamo dalla nostra diretta esperienza. Molti di noi, nell’età del lavoro e del dovere, hanno avuto modo di osservare l’inconscia frustrazione di colleghi andati in pensione, subito trascorso il periodo inebriante del primo abbandono dell’impegno professionale.
Nessuno lo ammetterà mai. Ma negli occhi di chi è uscito da
una struttura organizzata nella quale, a qualunque livello, ha
prestato la sua opera, anche con ordinario e consapevole
impegno, si legge un sottile rimpianto, un senso di smarrimento, non solo per l’età e gli acciacchi che avanzano!
Tutti noi, Amici in pensione, abbiamo reagito, forse anche
inconsciamente, a questa situazione di disarmo, riscoprendo i valori dell’amicizia e della solidarietà e, sopratutto,
ricostruendo quel senso dell’appartenenza, sentito ormai
come fattore di unione solidale tra noi e i colleghi ancora
in servizio.
Sotto il profilo psicologico, questa è stata forse anche una
reazione inconscia al minacciato stato di inattività.
Qualcosa di più di ciò che prova un atleta costretto al ritiro per l’età, se si considera che le condizioni fisiche di chi
va in pensione possono consentire normalmente lo svolgimento di attività già svolte professionalmente.
E’ così che abbiamo dato inizio a questa straordinaria iniziativa, che dobbiamo sempre sostenere e per la quale
occorre ogni giorno preparare donne e uomini nuovi.
Continua a pag. 2
Ricordi di vita lavorativa nel Banco di Sardegna
a cura di Antonio Loi
8° puntata - Anni 1976/1979
Come già anticipato nella precedente puntata, nel secondo semestre del 1975 smisi di prestare la mia opera nel settore commerciale dell’Istituto, poiché trasferito presso la Direzione generale in Sassari. Ero felicissimo di rientrare nella mia città, ma
nel contempo sapevo benissimo che non avrei potuto seguire l’andamento economico del territorio di competenza della
Dipendenza del Banco presso la quale prestavo servizio. Infatti in quel periodo la contabilità del Banco, registrata secondo le
norme delle Aziende divise, stabiliva che ciascuna filiale capo-gruppo producesse un proprio bilancio che, dalla scomposizione, aggregazione ed interpretazione dei risultati ottenuti, era possibile estrapolare, se pur per grandi linee, l’andamento economico del territorio sul quale si operava. Pazienza. Era necessario imparare altri compiti e funzioni anche se ciò che si prospettava non era decisamente congeniale al mio temperamento caratteriale.
Infatti, per chi come me, per tanti anni impegnato nell’organizzare e rendere fluida l’operatività dei vari collaboratori assegnatimi, ricevendo ampia soddisfazione per quella tipologia di lavoro, trovarsi di punto in bianco dall’altra parte della barriContinua a pag. 6
2
UNA VERA ASSOCIAZIONE
PER ESSERE AMICI IN AZIENDA E FUORI!
Segue da pag. 1
ai rapidi e complessi mutamenti degli scenari economici e dei mercati, la comunità nella quale noi tutti
viviamo, hanno bisogno anche del nostro impegno e
della nostra presenza.
Non sottovalutiamo il nostro potenziale. Una maggiore e più condivisa partecipazione alla nostra attività
ci potrebbe consentire di essere presenti nei dibattiti che
riguardano la società, la gestione della cosa pubblica, la
Lavorare
cultura, il tempo libero, lo svago, l’intrattenimento.
Il coinvolgimento dei colleghi in servizio potrà giovare
con amore è un vincolo
ad un approccio più diretto e meno formale col management del Banco e della BPER, col quale potrà stabicon gli altri,
lirsi un canale di dialogo non istituzionale ma parimencon voi stessi e Dio
ti efficace per l’ottimale rapporto di collaborazione.
Penso, infatti, che l’Associazione potrà promuovere
d’intesa col Banco, in giornate non lavorative, incontri
e convegni per dibattere problematiche inerenti il
nonché alle vedove dei colleghi già iscritti
tempo libero, i rapporti interpersonali, idee innovative
all’Associazione!
in tema di servizi e di procedure. Il tutto secondo un
Ricordiamo noi, soci fondatori, la prima traduzione
fine che vuole essere complementare ai soggetti ed alle
dell’idea associativa che covava nei nostri cuori,
prassi istituzionali. Vuole essere di cooperazione e di
quando eravamo ancora al lavoro, alla vista dei nostri
ausilio. Vuole, infine, rafforzare lo spirito di bandiera e
colleghi pensionati.
consolidare il senso di appartenenza. Sentimenti questi
Il 5 giugno 2001 un nutrito gruppo di colleghi in serche l’Associazione esprime nel suo Statuto e che i soci
vizio ed in pensione del Banco e della Bipiesse
vorrebbero rendere concreti e validi.
Riscossioni partecipava ad una conviviale alla quale li
Pertanto, secondo la configurazione che ci siamo data,
avevo invitati per celebrare la conclusione del mio
noi intendiamo esprimere l’associazionismo solidale
lungo iter lavoratidei lavoratori
vo. Nel cartoncino
che si sviluppa
che avevo fatto
in pari tempo
stampare per l’ocverso gli assocasione
avevo
ciati,
verso
scritto, sulla cima
l’Azienda
di
della
copertina,
appartenenza e
“Amici
del
verso la società.
Banco”.
Innanzitutto con
Questo era stato
iniziative che
anche il tema del
creino occasioni
mio intervento al
d’incontro, di
brindisi di saluto,
svago, di crescicon la proposta di
ta culturale e di
costituzione di un’
dibattito.
Per
Associazione che
concorrere allo
ha poi trovato reasviluppo sociale
lizzazione grazie
e promuovere le
alla fede e all’imrelazioni interpegno di un gruppo
Banco di Sardegna - Sede di Cagliari
personali.
di colleghi assieme
Per questi motivi
ai quali abbiamo redatto la prima bozza dello Statuto
riteniamo essenziale e determinante anche un valido
dell’ “Associazione Amici del Banco”.
approccio con le rappresentanze sindacali, nostri
Dall’autunno del 2001 all’autunno successivo, in
colleghi al lavoro che operano secondo i codificati
oltre 15 incontri di lavoro, alcuni dei quali svolti con
principi istituzionali. Anche in questo campo la nostra
la partecipazione del Prof. Sassu e del Dott. Oggiano,
non potrà che essere una azione di collaborazione,
si è perfezionata l’idea associativa e sono stati formumeramente collaterale, unicamente finalizzata a raflati gli schemi dello Statuto, del Regolamenti di attuaforzare il rapporto umano, l’approccio ai problemi
zione e del Regolamento del Fondo di Solidarietà.
secondo finalità che rispettano gli ambiti di competenIl 15 novembre del 2002, come dicevo in premessa, in
za del sindacato.
rappresentanza di 111 colleghi pensionati, l’assemPer questi stessi motivi vorremmo tentare con i colleblea generale dei 66 delegati, riunita a Sassari, a Villa
ghi in servizio, con la collaborazione del Banco, la
Mimosa, ha costituito l’Associazione, in un clima di
ricostituzione e l’avvio ad operatività del CRAL.
ritrovata amicizia e di entusiasmo che solo si può proIstituzione che a Cagliari i bancari fanno egregiamenvare in un incontro di donne e di uomini che hanno
te funzionare.
per anni condiviso, nelle sedi operative del Banco difPer potenziare la nostra azione e renderla condivisibifuse sul territorio dell’Isola, le fatiche e le gioie di un
le, per diffondere le nostre idee e per comunicare con
lavoro fatto di relazioni e collaborazioni quotidiane.
tutti, l’Associazione, con gli scarsi mezzi finanziari
Colleghi ed amici per lavoro, talvolta sino a quel
disponibili, pubblica dal 2005 il suo periodico “La
momento conosciuti solo per telefono!
Pintadera”. Anche per questa attività occorre l’impeCredo di non sbagliare affermando che la nostra
gno di molti e la loro condivisione. La collaborazione
Associazione, per le finalità e gli scopi che ispirano la
alle attività dell’Associazione ed alla realizzazione
sua missione, può dirsi antesignana di un nuovo modo
del periodico deve essere data da tutti, ciascuno
di concepire la libera disponibilità, motivata e partesecondo i propri talenti!
cipata, di chi è in pensione e il tempo libero di chi è
Per la pubblicazione del periodico, tuttavia, non sono
ancora al lavoro.
sufficienti gli scarsi mezzi finanziari della
Non ci ritroviamo qui nel campo del mero dopolaAssociazione. Penso che il Banco e la Fondazione che
vorismo o dello svago fine a se stesso. Posto che il
l’ha costituito in Società per Azioni, a quest’ opera di
collante sono la storia e la consuetudine nelle intese
diffusione delle nostre idee e della nostra attività posoperative dei lavoratori, ed ancora l’amicizia, la
sano dare stabilmente un loro determinante contribustima, la fiducia consolidate giorno per giorno, la
to finanziario che possa consentirci di non far gravasfida che ci siamo data, e che vorremmo che tanti altri
re la spesa di stampa e di spedizione sulle esigue
si dessero aderendo all’Associazione, è quella di creaentrate ordinarie dell’Associazione.
re un soggetto di crescita sociale, culturale, morale
Nel concludere, voglio sul nostro giornale rinnovare la
dei lavoratori ed in pari tempo una struttura capace di
proposta di costituzione a Sassari (ma anche a Cagliari
operare verso la società.
ed a Nuoro, se gli amici delle sezioni territoriali comIl mondo degli anziani, le giovani generazioni che
petenti lo vorranno!) di una Biblioteca pubblica “Dei
aspirano a farsi spazio nella vita, sempre più esposte
Scomodando una similitudine evangelica possiamo
dire che la messe è molta ma gli operai sono ancora
pochi! E a questo proposito, voglio ancora una volta
sollecitare l’Associazione a valutare l’opportunità
straordinaria di consentire, con apposita integrazione
statutaria, l’iscrizione al coniuge delle socie e dei soci
“
”
libri Donati”. La costituzione potrebbe essere realizzata con la determinante partecipazione della
Fondazione del Banco e la partecipazione della
Provincia e del Comune di Sassari, specie per quanto
riguarda la disponibilità dei locali e l’attrezzatura d’archivio e d’ufficio. La struttura potrebbe essere ospitata nei locali della sede della Fondazione. Il materiale
librario dovrebbe arrivare dalle donazioni pubbliche e,
soprattutto, dai privati, compresi anche i nostri colleghi. Infatti questa idea nasce dalla constatazione che
spesso raccolte anche considerevoli di volumi rischiano di essere disperse (o di finire, addirittura, nella raccolta differenziata dei rifiuti, come di recente abbiamo
appreso dalle cronache!) al momento del trapasso di
chi amorevolmente e con passione le ha costituite.
Sapere invece che un’istituzione meritoria custodirà
quei patrimoni di cultura e che chiunque ad essi potrà
liberamente attingere, potrà indurre quanti hanno
timore della dispersione dei valori con tanto amore
posti assieme nel corso della sua vita a farne dono alla
“Biblioteca dei Libri Donati”.
Meditando sulla nostra Associazione e su noi, ho letto
con piacere queste poche frasi di GIBRAN KAHLIL,
che voglio versare, come gocce di sapienza, nei vostri
cuori:
“ Fu detto che la vita è oscurità,
e la vostra debolezza ripete le parole dei deboli come
un’eco.
E io vi dico invero che la vita è oscurità se non vi è
slancio,
E ogni slancio è cieco se privo di sapienza,
E ogni sapienza è vana senza agire,
e ogni azione è vuota senza amore,
e lavorare con amore è un vincolo con gli altri, con
voi stessi e Dio”.
Giuseppe Tito Sechi
Past President dell’Associazione
LA COMUNICAZIONE
Giornali, riviste, televisioni e radio ci bombardano pressoché quotidianamente con spaccati di vita
nei quali vengono esaltati, prevalentemente, gli episodi piuttosto negativi attuati da una minima parte
della popolazione residente, trascurando tutte quelle persone, e sono la maggioranza, che vivono nella
legalità, lavorano duramente e contribuiscono all’economia di tutto il paese.
La scelta degli argomenti è dettata prevalentemente dalla tiratura, dall’auditel e dagli ascolti perché notoriamente ed evidentemente sembrano interessare la gente solo gli accadimenti negativi.
Ad esempio nel settore della sanità, nella quale
tuttavia sono convinto che esistano gravi disservizi
e sprechi, nell’indifferenza di quanti devono
coscienziosamente effettuare i controlli, ci sono
tante sane professionalità, che alle loro conoscenze
abbinano la sensibilità nei rapporti con le persone
che soffrono.
Questa mia convinzione nasce dalla esperienza
personale durante la quale, in circa trent’anni ho
subito ben sette interventi e frequentissimi esami
diagnostici, analisi e quanto altro necessario per
assicurarmi un buono stato di salute.
Con qualche rara eccezione, mi sono sempre
imbattuto in professionisti assolutamente all’altezza
dei loro compiti, che hanno gestito i rapporti con me
con competenza ed umanità.
Sono anche convinto che occorrerebbe dare si
risalto ai fatti negativi ma anche a quelli positivi, tra
i quali, a mio giudizio, c’è una proporzione di almeno uno a cento.
Queste convinzioni valgono anche per tutti gli
altri settori, tra i quali, ad esempio, l’istruzione, la
sicurezza, l’immigrazione, l’assistenza agli anziani
ecc.
Succede, invece, che la martellante azione dei
media crei un grave errore di valutazione da parte
della gente, che può vedere ovunque il malcostume
e l’illegalità e considerare responsabili di crimini e
comportamenti illegali intere categorie di persone.
Spero tanto che avvenga un cambiamento radicale nella comunicazione, che tanta influenza esercita
sulla popolazione, affinché vengano resi noti i
numerosissimi esempi di operosità, onestà,umanità,
generosità e professionalità diffusi nella nostra bella
patria.
Antonello Sanna
3
Causalità
Turismo in Sardegna nella seconda metà - del 900
Un rapido – e superficiale – esame di quanto è
accaduto nel settore del turismo in Sardegna dalla
seconda metà (circa) del ‘900 ad oggi consente di
chiederci: sono accadute cose impreviste? e sorprendenti?
Da modestissimo non protagonista, ma neppure
semplice spettatore, ma testimone abbastanza consapevole e talvolta coinvolto nei fatti posso affermare che, come la vita e come tutto il contesto
naturale, la storia è un succedersi di eventi che si
modificano già in sé, prima ancora di produrre i
loro effetti esterni; e così, dopo la seconda grande
carneficina mondiale, nel 1947 il DDT della
Rockefeller Foundation liberò la nostra isola dalla
malaria (e chi sa quali conseguenze regalò ai nostri
fegati), consentendo che, anni dopo, i primi turisti
organizzati visitassero la Sardegna, conosciuta
prima, come ognun sa, quale isola di punizione,
confino, malaria, banditi e quant’altro di peggio
potesse immaginarsi.
Allora, d’altro canto, l’isola era per così dire
poco attrezzata: al 1949, 30 alberghi, ovviamente
nelle città, (nessuno di 1°categoria), 7 pensioni,
175 locande, per complessivi 2.209 letti. Per il
resto, anche secondo le rare
guide pubblicate, alloggi di fortuna – spesso apprezzatissimi da
scrittori e studiosi – chez l’habitant. Un’inezia, comunque, a
fronte dei 2.267 esercizi (fra questi, come si sa, un elevatissimo
numero di alberghi di lusso) e dei
184.790 letti registrati (oltre
800.000 sfuggono alle statistiche,
si dice) nel 2006.
I trasporti con la terraferma
erano pochi e di modestissima
qualità, la rete stradale arretrata, i
collegamenti stradali e ferroviarii, si può ben dire, non molto
diversi da quelli dell’800.
Come possa essersi attuato uno
sviluppo imponente, certo, ma non
tanto impetuoso se lo si diluisce in
oltre cinquant’anni; abbastanza
costante, con i suoi picchi negli
anni ’50 e ’75 del secolo appena
trascorso. Come è successo?
Con
l’avvento
della
Repubblica e dell’autonomia
regionale, lo Statuto (1948) attribuisce alla Regione Autonoma
della Sardegna potestà legislativa in materia di
turismo e di industria alberghiera in armonia con
la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e con rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle
riforme economico-sociali della Repubblica.
Competenza legislativa, cioè, primaria ed esclusiva.
Preesistono, a quell’epoca, gli Enti Provinciali
per il Turismo, creati in tutta Italia nel 1935, presenti in Sardegna nelle tre (allora) province di
Cagliari, Nuoro, Sassari; organismi, questi, dotati
di consigli d’amministrazione abbastanza corporativi e pletorici, istituiti con compiti promozionali
ma anche amministrativi (qualcuno li definì “prefetture turistiche”). Nell’isola hanno svolto attività
promozionale limitata: più che altro opuscoli e
materiale illustrativo, qualche manifestazione di
interesse locale, sostegno a manifestazioni nazionali, etc; soprattutto si sono rivolti al controllo
della peraltro esigua struttura turistica privata:
alberghi, pensioni, locande,tariffe, imposta di soggiorno; statistiche; agenzie di viaggi; guide turistiche, etc.Ma in più di un decennio di attività, sia
pure con il tragico intervallo di una guerra, hanno
acquisito un certa professionalità (know how si
direbbe oggi) del settore.
Nel corso della sua prima legislatura
l’Amministrazione Regionale affronta il tema del
turismo e decide di creare un proprio Ente preposto allo sviluppo del settore, denominato – a somiglianza non casuale di analogo Ente nazionale –
Ente Sardo Industrie Turistiche. Corre l’anno
1950.
Sarebbe interessante conoscere – e probabilmente sarà presto oggetto di uno studio specifico – i
contenuti del dibattito che si svolse nell’apposita
Commissione Consiliare prima e nel Consiglio
Regionale poi, per la discussione del disegno di
legge per l’istituzione dell’ESIT, per constatare in
qual conto i Consiglieri regionali di allora tenessero degli Enti pubblici turistici già strutturati, professionalizzati, esistenti, come si dice oggi, ‘nel
territorio’ – gli Enti Provinciali per il Turismo, per
intenderci – che la Regione Sardegna avrebbe
potuto benissimo fin da allora far propri,”regionalizzare” e utilizzare con la stessa legge istitutiva
dell’Ente regionale del turismo.
Gli anni ’50 del ‘900 sono caratterizzati, per un
verso, dall’afflusso verso l’area del Mediterraneo –
e quindi anche verso la Sardegna - di ingenti capitali smobilizzati dalle ex colonie del continente
africano e asiatico divenute indipendenti e, per
Cagliari - Sant’Efisio
altro verso, dall’ obbiettivo della Regione di creare
i presupposti infrastrutturali e ricettivi (alberghi
ESIT e incentivi per la costruzione di alberghi,
pensioni o locande da parte di privati) per attrarre
il movimento turistico verso l’isola; movimento
turistico che appare in prima forma organizzata
nelle aree nord occidentali (Alghero, voli charter)
e nord orientali (Caprera, Club Méditerranée). La
promozione turistica continua ad essere svolta
quasi esclusivamente dagli Enti Provinciali per il
Turismo con il concorso finanziario della Regione
o dello Stato (oltre alle manifestazioni in Sardegna
e alla diffusione di materiale informativo, in Italia
e all’estero, Cavalcata Sarda a Parigi, 1956, partecipazione alla rappresentanza dell’Italia all’Expo
Universale di Bruxelles, 1958, etc).
Dagli anni ’60, grazie anche alla programmazione, al Piano di Rinascita, agli interventi della
Cassa per il Mezzogiorno, la Sardegna conosce
una fase di notevole sviluppo; nel settore turistico,
a fianco di una pionieristica, coraggiosa imprenditoria locale, campeggia per qualità e per rilievo
internazionale l’intervento del Consorzio della
Costa Smeralda, la cui immagine “lancia”la
Sardegna come mèta turistica in tutto il mondo,
associandola tuttavia – immancabilmente - al concetto di destinazione per categorie abbienti o molto
abbienti.
La crescita cui accennavo sopra è durata, prati-
camente inarrestabile – qualche sofferenza è stata
accusata solo recentissimamente – fino ai giorni
nostri.
In questo frattempo di circa trent’anni, l’ESIT ha
smesso di costruire e di gestire alberghi (alla fine,
di quelli costruiti negli anni ’50 solo due o tre
meritavano ancora tale denominazione, e alcuni
erano in rovina), e, con gli Enti Provinciali del
Turismo (che con Oristano, erano diventati 4) e
con 8 Aziende Autonome di Soggiorno e Turismo
(costituite a Cagliari, Sassari, Alghero, S.Teresa
Gallura, Palau / LaMaddalena, Arzachena, Olbia,
Muravera), ha fatto buona quando non ottima promozione della Sardegna in Italia e nel mondo, collaborando molto bene con gli operatori privati
interni ed esterni all’isola, italiani e stranieri.
Non è mio intendimento dire qui “come” si è
affermato e sviluppato, con quali punti di forza e
quali di debolezza, etc. il turismo in Sardegna dagli
anni ’40 del ‘900 a oggi. Voglio solo proporre al
lettore la domanda cui non so darmi per ora risposta: poiché agli albori del 2000 la Regione Sarda ha
– con apposita legge – soppresso ESIT, Enti
Provinciali per il Turismo,
Aziende Autonome di Soggiorno
e Turismo; - 13 Enti in tutto –
vabbè, erano troppi, e ognuno
aveva un Consiglio d’amministrazione, quindi poltrone retribuite, e un Presidente, altra poltrona pagata, e personale – all’atto della soppressione erano in
servizio complessivamente circa
100 persone, che sarebbero circa
il 50% rispetto al numero dei predetti consiglieri – e poiché la soppressione è stata motivata con la
necessità di razionalizzare il settore e ridurre la spesa, sono stati
fatti i conti in euro di ciò che
sono costate le manifestazioni
organizzate da allora direttamente dall’Assessorato regionale del
Turismo? quanto, gli incredibili,
impresentabili opuscoli sedicenti
promozionali, editi in quantità
pediatriche? E le gaffes organizzative di cui tanto si commenta
negli ambienti dei tour operators,
dovute vuoi a insipienza, vuoi a
incompetenza dei condottieri?
E’ ben vero che ogni cosa nuova necessita di
rodaggio; per ora è vero che il decentramento –
giusto e da tempo auspicato, ma attuato solo in
superficie – delle funzioni turistiche a Comuni e
Provincie, e a “Sistemi Turistici Locali” pubblicoprivati che per ora hanno manifestato gli appetiti,
peraltro legittimi, degli operatori privati (legittimi
se supportati da adeguata partecipazione finanziaria, il che non sempre accade) per la gestione dei
medesimi, non hanno dato i frutti sperati, a giudizio di gran parte degli operatori turistici più impegnati.
Nel turismo non si può fare come per le olive, e
cioè attendere la buona annata; quando una “destinazione” non è più in auge, al massimo può vivere
dell’onda lunga, e di un turismo di qualità progressivamente peggiore. La politica del turismo per la
Sardegna deve rilanciare a breve, nel mondo,
un’immagine forte, unitaria dell’isola e delle sue
migliori peculiarità: possediamo ancora tanto in
ambiente, natura, arte, tradizioni, archeologia,
clima, e abbiamo una buona dotazione ricettiva,
per tutte le tasche. Questi sono i nostri punti di
forza, i nostri contenitori al cui interno si situano
poi tutte le possibili specificazioni, tutti i localismi.
Con questo dobbiamo saper conquistare – come
usa dire – il mercato.
Umberto Giordano
4
RIFLESSIONI LETTERARIE
L’angolo del libro «Quelli dalle labbra bianche»
Francesco Masala - Feltrinelli 1962 - il maestrale 1995
Di questo libro non si parla quasi più. Eppure,
quando all’inizio degli anni sessanta fu pubblicato da Feltrinelli, Quelli dalle labbra bianche
fu un piccolo caso letterario. Il romanzo di
Francesco Masala, professore di lettere in un
istituto magistrale di Cagliari, raggiunse infatti
un discreto grado di notorietà, in Italia e non
solo. Di recente, nel 1995, è stato ristampato per
i tipi del Maestrale.
Salvatore Niffoi afferma che Quelli dalle labbra bianche dovrebbe essere letto e spiegato agli
studenti delle scuole superiori. Ha ragione, perché questo libro è un piccolo gioiello della narrativa sarda. Vi si ritrova lo spirito autentico
della Sardegna contadina, insieme ad alcune
immagini di guerra narrate con una crudezza e
un’ironia degne del miglior Celine nel Viaggio
al termine della Notte.
Francesco Masala era un reduce della campagna di Russia. Ritornò vivo, ma conservò il
ricordo di tante morti di persone a lui care. Per
dirla con Ungaretti, nel suo cuore nessuna croce
manca.
E infatti il romanzo racconta la vita e la morte
di nove soldati di Arasolé, uno dei tanti paesi
immaginari della nostra narrativa. La voce è
quella del campanaro Daniele Mele, unico
sopravvissuto del gruppo, che suona la campana
in suffragio dei suoi nove compagni, mai più
tornati dalle steppe di Russia. Come per saldare
un debito, il campanaro ricorda gli episodi della
vita di ognuno, a partire dal motivo del loro
soprannome.
Tutti ad Arasolé hanno un soprannome: il ciabattino Mammuttone, il fabbro Pestamuso, il venditore di angurie Tric-Trac, Sciarlò lo stupidotto e
Culobianco, il campanaro. Il soprannome è un
secondo ‘battesimo’ dal quale il paesano è segnato per sempre, quasi che il nome civile non
bastasse e fosse necessario riceverne uno nuovo,
più ‘personale’ e più caro alla comunità del paese.
Certo, anche ad Arasolé ci sono le classi sociali: i poveri, quelli dalle labbra bianche perché
non mangiano carne, anzi non mangiano quasi
nulla; e i ricchi, ‘quelli della decima e della
camorra’, i proprietari terrieri del paese per i quali
parteggia il parroco, il poco amato prete Fele.
Tra le due classi serpeggia una rivalità che si
manifesta in dispetti e screzi saltuari. Come
quando il fabbro Pestamuso forgia due raffigurazioni in bronzo, un uomo e una donna nudi, e
le mette in piazza proprio di fronte alla chiesa di Arasolé in spregio al pudore bigotto di
Prete Fele e della gente benestante. A seconda di
chi governa il paese, il partito dei poveri o quello dei ricchi, un pezzo di latta scompare o ricom-
pare sulle parti intime dell’uomo e della donna.
Le statue di bronzo però sono sempre lì, a
dimostrare che il conflitto di classe in paese non
è una guerra e che la sua comunità è sempre unita.
La guerra, quella vera, è un’altra cosa. Si
manifesta ai predestinati di Arasolé sotto forma
di cartolina rossa e li spedisce diritti in Russia a
difendere la linea K agli ordini del tenente
Bellicapelli, calvo come una mela, e sotto il tiro
delle angherie del capitano medico Caca e suda.
Eppure, perfino in quella gelida trincea piena
di fango e di pidocchi, resta vivo negli uomini di
Arasolé il senso di fraternità e l’umorismo beffardo tipico dei ragazzi di paese. Fino a quando
la morte se li prende, tutti meno uno, bruciati dai
lanciafiamme, dilaniati dalle granate, oppure
uccisi dalla follia e dalla fame.
Il sopravvissuto Daniele Mele ci trasmette la
memoria di quegli uomini, che poi è quella di
tanti soldati caduti in terre lontane rimasti senza
una tomba e senza una croce. Questo romanzo è
il loro epitaffio antiretorico e grottesco e forse
anche il miglior ricordo possibile del suo autore.
Francesco ‘Cicitu’ Masala, infatti, si è spento
a Cagliari nel gennaio del 2007 all’età di novant’anni.
Giuseppe Santoni
NOVITÀ EDITORIALI
collana di sei volumi dal titolo
«FESTAS»
“Carnevali in Sardegna”
è il primo di una collana di sei volumi dal
titolo “Festas”, il cui obiettivo è quello di
cogliere gli aspetti della vita dell’isola sarda
in un momento di giocosità fortemente legato
alla tradizione ma anche alla religiosità ed
alla natura stessa del popolo isolano.
Giovanni Porcu, l’autore, in questo primo
volume, percorre la Sardegna nelle quattro
direzioni ed opera una selezione dei
Carnevali più significativi offrendo un’interessante visione della vita sarda oltre la consuetudine e lontana dalle sue frequentazioni
per il mare azzurro. Il suo lavoro di ricerca,
alimentato dalla naturale capacità di osservare, si fa artistico nello studio delle immagini
più significative, nell’analisi di quelle più
suggestive. Anche la disposizione, nella bella
veste editoriale, diviene percorso e mezzo
stesso di apprendimento dell’argomento
riportato, arricchito dal piacevole accompagnamento letterario, ricco di importanti informazioni.
“Carnevali in Sardegna” conduce il lettore
in un mondo di istanti di vita in festa ed invoglia nella ricerca dell’emozione vissuta. Ogni
fotografia racconta un particolare e ne coglie
l’essenza stessa ed il carnevale è visto quasi
come un’esperienza personale di ciascuno
soggetto. Sorprendono i primi piani dei volti
coperti dal trucco o dalle maschere per la loro
intensità; i paesaggi che diventano quasi arditi nei loro fuochi a preludio del divertimento
carnevalesco. Sorprendono i neri cupi e il
sangue così legati alla tradizione del luogo
ripreso.
Anche chi conosce il mondo della fotografia può apprezzare il preciso lavoro svolto nei
“Carnevali in Sardegna” in cui l’autore si prodiga con la tecnica del mosso, producendo
ritratti pittorici in cui i colori stessi prendono
vita.
In copertina, una significativa maschera
introduce alla visione di questo bel volume ed
invita, infine, ad intraprendere un viaggio
diverso in una Sardegna che offre il suo caratteristico stile anche in un periodo spesso privato di importanza ed apprezzato solo per il
suo aspetto ludico.
Maria Fiori
Queste le caratteristiche del volume:
formato: 24 x 35 cm
224 pagine a colori
Carta patinata Matt di pregio da 170 gr/mq
216 fotografie d’autore di grande formato
Cartella rivestita in tela Briglianta con
sovrimpressioni in oro
Prezzo di copertina : € 80
Questo trattamento, verrà naturalmente garantito per
tutti i volumi della collana, qualora si scegliesse di
acquistare la serie dei sei volumi.
Ricordiamo che il secondo volume “settimana Santa
in Sardegna” sarà in uscita entro i prossimi sessanta
giorni.
Il volume viene offerto ai soci della nostra
Associazione ed in genere a tutti i dipendenti
del Banco al prezzo speciale di € 50
Per acquisti e prenotazioni:
[email protected]
IL PANE CASARECCIO
La fatica, la fantasia e l’amore per produrre il bene essenziale per
eccellenza
Quando, nelle vicinanze di un forno, sento il profumo del pane appena
cotto, spesso mi capita di meditare sull’importanza che, in altri tempi, ha
avuto nella famiglia rurale questo elementare alimento, fatica e vanto di
ogni buona massaia.
Si viveva soprattutto di pane: il pane rappresentava la pietanza, il resto
era il contorno; si diceva: pane e cipolla, pane e formaggio, pane e pomodori, pane e minestra, zuppa di pane (suppas o mazzamurru). La pastasciutta era il pasto della domenica; la carne veniva riservata alle grandi
occasioni; il pesce un illustre sconosciuto o quasi. Tristi ricordi di un’antica miseria.
Tanta era l’importanza che il pane assumeva nell’alimentazione del contadino ed altrettanta era la cura che gli veniva dedicata. Si panificava una
volta la settimana (sa cotta de sa xira) e per una settimana, o quasi, si protraevano i lavori di preparazione. Il grano veniva prelevato dal solaio dove
veniva gelosamente custodito (grano duro di prima scelta “trigu murru”):
setacciato e pulito dalle impurità, lavato in capienti bacinelle quindi messo
ad asciugare finchè non diventava nuovamente secco, pronto per la macinatura.
Ogni casa di contadino aveva il suo asinello (su bestiolu de mola) e la
sua macina, quella che oggi fa bella mostra di sé abbellendo cortili di case
paesane e giardini di
grandi ville. La farina
grezza ottenuta dalla
macinatura veniva lavorata in tre distinte fasi:
separazione della farina
dalla crusca, della farina
bianca da quella scura e
quindi della semola fine
da quella grossa. Allo
scopo venivano utilizzati
diversi utensili, principalmente il setaccio,
quello largo, quello stretto (su cibidu strintu),e quello strettissimo che
costituivano assieme alle corbule gli utensili essenziali, alcune ottenute
dalla lavorazione dell’asfodelo (strexiu de fenu). Dalle tre qualità di farina si ottenevano tre diversi tipi base di pane. Dalla farina scura “sa lada
grussa”, da quella bianca “su civraxiu” e dalla semola fine “su coccoi e
su moddizzosu”. La crusca veniva utilizzata come becchime per le galline
e mangime per il maiale. Le tre qualità di farina, mescolate al lievito naturale (un pezzo di pasta azzima lasciata fermentare dalla panificazione della
settimana precedente) venivano impastate in tre diverse bacinelle di terracotta (sciveddas). A lievitazione ultimata si passava alla lavorazione dell’impasto (sa sciuescia e sa spongia) su un tavolo basso e largo e poiché
era molto faticosa in quanto eseguita esclusivamente con le braccia,
richiedeva la partecipazione di tutti i componenti la famiglia, uomini
inclusi.
La spezzettatura del pane e soprattutto la sua merlettatura era esclusivo
compito della massaia che poteva esprimere tutta la sua fantasia, il suo
talento, il suo estro creativo. Così spezzettato il pane veniva steso in canestri larghi e bassi, ricoperto con panni di orbace e lasciato lievitare. La cottura, poi, nei forni a legna richiedeva la particolare perizia della perfetta
lievitazione della pasta, la giusta temperatura del forno e la cottura ottimale.
E così si otteneva il pane, quel pane con la “p” maiuscola che vive solo
nel ricordo delle persone anziane e che non è più possibile ottenere perché
non esiste più quella qualità di grano, quelle attrezzature, quei sistemi di
lavorazione, ma soprattutto non esistono più la passione e l’amore che in
quel compito riponevano le nostre “vecchie”.
Pane caro perché tante erano le energie profuse per ottenerlo, pane prezioso perché assunto a simbolo stesso delle umane necessità di sopravvivenza, pane benedetto perché intriso del sudore del contadino e della massaia.
Manfredi Tronci
SASSARI - LA “FESTHA MANNA”
5
I “miei” Candelieri
Li Candareri
Li candareri farani in piazza
Pasthendi da lu Pianu di Castheddu,
tutti pomposi pòsthani dareddu
li vetti, tira, molla, far’e azza.
V’è lu Paràju e lu Parajareddu,
la Giunta cu l’usceri cu la mazza,
li tamburaggi a la macconazza
sunendi li tamburi; chi busdheddu!
La pubburazioni affulladda
currendi par’aglì e par’aglià
pa’ no pisdhì una sora miradda;
e candu so’ approbb’a arribà
li candareri fàzini fijmmadda
e a un’a unu l’entran’a baddà.
E a Santa Maria a ripusà
Così Antonino Saba descriveva sulla Gaita ( giornale settimanale “ umoristico, mondano, indipendente” pubblicato a Sassari dal 1923 al 1925) la
discesa dei candelieri. Questi, un tempo erano grossi ceri, oggi pesanti
colonne di legno, che ogni 14 agosto, ormai da più di 500 anni, vengono
portati nella chiesa di Santa Maria in Bethlemme in omaggio alla Vergine
Assunta che salvò la città dalle pestilenze del Cinquecento.
Dalla piazza, dove un tempo si ergeva il castello che sino alla fine del
1800 sovrastava la città, i candelieri vengono portati lungo il corso
Vittorio Emanuele che è in pendenza, perciò in sassarese questa festa è “
la faradda ” (discesa): un appuntamento insieme religioso e di costume,
una sorta di festa di ringraziamento, un gesto di devozione del popolo per
un voto assunto in particolari circostanze e adempiuto sino ad oggi per più
di cinque secoli. Si impara da piccoli ad amarla, ed ad al solo assistervi ci
si sente orgogliosamente partecipi di un’unica identità civica: per il sassarese “doc” è la festa per eccellenza alla quale non si può e non si deve
mancare.
Quando ero piccola, mia madre conduceva me e mie sorelle minori ad
assistere alla sfilata, per questo dovevamo essere impeccabili ed ordinate.
Iniziava la mattina del 14 agosto a stirare i vestitini tutti nastri e fiocchi, a
ripassare con la spugnetta intrisa di biacca le nostre scarpette che dovevano risaltare per il loro biancore e che metteva in bell’ordine ad asciugare
sul parapetto della verandina sempre inondato dal sole. Nel pomeriggio
iniziava a lavarci i piedi e le gambe dentro una grande bacinella con nostro
grande divertimento. Sentivo nell’aria che doveva accadere qualcosa di
importante per via di tutti quei preparativi ed ero felice perché anche io
potevo essere partecipe di quell’avvenimento che ancora non sapevo in
che consistesse; a me bastava sapere che uscivo con mamma e le sorelle
tutte vestite a festa. Una volta vestite la raccomandazione era quella di
stare ferme ed immobili perché non dovevamo sporcarci. Cosa impossibile a chiedersi a dei bambini! Qualcuna delle tre, tante eravamo le sorelle
piccole, non resistendo per l’eccitazione di indossare il vestitino bello, si
metteva a piroettare per vedere allargarsi il gonnellino come una grande
ruota, ma immancabilmente finiva con lo scivolare in terra, assordando
tutti con lunghi pianti. Altre volte alla più piccola scappava la pipì e, orrore, si bagnava i calzettoni bianchi di pizzo, grande sconcerto! Ora non si
potrà uscire, pensavo, e quasi volevo punire in qualche modo la responsabile di questo delitto. Ma per fortuna la mamma aveva sempre un asso
nella manica e rimediava al contrattempo con un altro paio di calze, magari non più intonate al vestitino, ma pur sempre pulite. Altre volte, qualcuna doveva mangiare qualcosa e immancabilmente, nei tempi in cui non
esistevano le merendine pronte, si macchiava il vestitino di frutta o di
pomodoro che lasciavano le loro tracce, proprio lì davanti sul petto, e che
inutilmente mamma cercava di nascondere dietro un fiocco che non voleva mai stare al suo posto. Così, si andava ugualmente ad assistere alla
“faradda” e nessuno badava al bernoccolo, alle calze rosse o alla macchia
sul vestito perché gli occhi di tutti erano fissi su loro, i protagonisti della
serata: i candelieri.
Dory
6
Ricordi di vita lavorativa nel Banco di Sardegna
a cura di Antonio Loi
8° puntata - Anni 1976/1979
Segue da pag. 1
cata e cioè nel dover esplicare mansioni di “reprimenda” anziché di organizzazione, mi lasciava
alquanto perplesso. Ad ampliare la preoccupazione
del momento vi era anche la conoscenza che l’ufficio cui sarei stato destinato era notoriamente
conosciuto presso il Banco quale “cimitero degli
elefanti”.
Timidamente tentai di conoscere le cause di quel
repentino trasferimento, e fui informato che il tutto
discendeva dalla mia recente promozione alla qualifica di Procuratore. Infatti, ottenuto quel grado,
non potevo prestare servizio, con le medesime
mansioni di capo-contabile, presso una Filiale di
media grandezza. Purtroppo, presso la Sede di
Sassari, ove per quell’incarico era previsto il grado
di funzionario, il posto risultava già da tempo
coperto dall’amico Antonello Sanna, attuale
Presidente della nostra Associazione. Unica “sistemazione” sulla piazza di Sassari rimaneva quella
presso l’Ispettorato centrale. Venni
anche informato che il direttore di
quell’Ufficio, il rag. Vittore Uzzau, da
tempo e ripetutamente pare richiedesse
al servizio del Personale un incremento
di organico che non si concretizzasse
però nell’assegnazione del solito
“Matusalemme”, e possibilmente venisse assegnato un dipendente con un buon
bagaglio professionale in materia amministrativo-contabile.
Il primo Ottobre del 1975 presi servizio
presso l’Ufficio Ispettorato della
Direzione generale in Sassari presentandomi di primo mattino al mio nuovo
Direttore, il rag. Vittore Uzzau, il quale,
dopo la presentazione di rito, passò
immediatamente ad illustrare quali erano i sacrosanti ed imprescindibili principi comportamentali
dell’Ispettore centrale dell’Istituto, ovviamente
secondo una sua logica e personale visione di quel
compito istituzionale. Fra le norme maggiormente
puntualizzate vi era quella relativa all’atteggiamento comportamentale “dell’Ispettore” presso la filiale
sottoposta a controllo. Si richiedeva massimo riserbo, nessun commento su qualsiasi infrazione rilevata, nessuna confidenza con i colleghi, neppure con
quelli con i quali sussisteva un preesistente rapporto
di amicizia. Finita l’illustrazione della “tavola dei
comandamenti” passò alla presentazione degli altri
Ispettori in organico presenti in Ufficio. A quel
punto risultò veritiero quel che si mormorava in
periferia, e cioè che l’Ufficio Ispettorato del Banco
era effettivamente il “cimitero degli elefanti”.
Infatti, presso quell’Ufficio prestavano servizio
molti degli ex direttori di Filiale riciclati a seguito
della politica di ringiovanimento dei ranghi direzionali presso le Dipendenze territoriali del Banco.
L’organico era così composto: rag. Vittore
Uzzau – Direttore, proveniente dalla filiale di
Lanusei; rag. Antonio Strinna – ispettore - ex filiale di Sanluri; rag. Augusto Porcu – ispettore – ex
filiale di Macomer; rag. Luigi Carossino – ispettore – ex filiale di Oristano; sig. Benito Bagella –
ispettore - ex filiale di Siniscola. Da quel momento, a questi colleghi con un’età media abbondantemente superiore alla cinquantina, venivo aggregato con i miei trentotto anni.
Terminata la presentazione dei colleghi funzionari, si passò velocemente a quelli del settore
impiegatizio, al termine del quale il Direttore mi
pregò di seguirlo nell’ufficio di segreteria e qui,
indicando con perentorio gesto della mano una
miriade di faldoni incasellati all’interno di armadi
in ferro che letteralmente tappezzavano le pareti
del locale, mi informò che ivi erano riposte tutte le
disposizioni e le circolari emanate negli anni per la
regolamentazione dell’operatività globale del
Banco, sin dalla fondazione.
Il direttore terminò la sua illustrazione sottolineando che mi venivano concessi una trentina di
giorni di tempo, non di più, affinché potessi assimilare il contenuto di tutte le disposizioni in essere emanate nei decenni, poiché, secondo il rag.
Uzzau, era inconcepibile che un Ispettore potesse
procedere ad una qualsiasi verifica non essendo a
perfetta conoscenza dell’intera normativa sottostante. Pertanto ne discendeva che avrei potuto
esercitare le nuove mansioni soltanto ed esclusivamente in seguito ad un esauriente ed esaustivo
aggiornamento professionale.
Isili - Nuraghe di “Is Paras”
Rimasi al centro della stanza, col naso per aria,
ed alquanto sconcertato, mentre i colleghi della
segreteria, presenti all’emanazione dell’edito,
ridacchiavano sotto i baffi come a voler dire “l’hai
voluto il grado…..e adesso pedala”.
Per mia fortuna l’implementazione del mio bagaglio professionale potei limitarlo ad approfondimenti sull’iter procedurale sui mutui di credito
agrario, allora di competenza esclusiva delle sedi
provinciali, nonché sugli studi sull’istruzione e
gestione di finanziamenti di credito ordinario relativi alle società di capitali.
Scaduto il tempo a mia disposizione per l’aggiornamento ed approfondimento nozionistico, il
Direttore mi consegnò il primo “ordine di servizio”, una specie di foglio di via con il quale mi
ordinava di recarmi presso la filiale di Isili per un
controllo sulla gestione del conto economico di
quella dipendenza. Principale raccomandazione:
presenziare all’apertura mattutina dello stabilimento onde annotare eventuali anomalie sulla tempestività e regolarità nell’afflusso dei dipendenti.
Ribadita inoltre la norma in base alla quale di tutto
quanto da me rilevato in sede di visita nulla avrei
dovuto evidenziare alla direzione sottoposta a verifica. Questa norma, attualmente non più operativa,
aveva, a mio avviso, un suo valido fondamento.
Infatti, partendo dal presupposto che anche il
migliore degli ispettori può errare nell’applicazione o nell’interpretazione di una norma, disponeva
che le risultanze dei verbali, predisposti soltanto in
bozza presso le Dipendenze sottoposte a verifica,
venissero revisionate in sede da altro ispettore, e
soltanto dopo tale riscontro si poteva procedere
all’inoltro alla filiale destinataria.
Che Isili fosse in Sardegna ero certo, ma dove
fosse ubicato questo borgo non avevo la minima
idea. I suggerimenti dei colleghi sulla strada da
percorrere furono contrastanti. Chi propendeva nel
suggerirmi di oltrepassare Sanluri sulla Carlo
Felice (quasi tutta, allora, percorribile sul vecchio
tracciato con due corsie di marcia), per poi deviare
su altra strada sulla sinistra; altri invece suggerivano l’utilizzo di una nuova strada che da Oristano
raggiungeva Isili. Scelsi questo secondo percorso
poiché risultava molto più corto. Però i colleghi
che consigliavano l’utilizzo della nuova strada non
evidenziarono che per circa venti chilometri, purtroppo, la stessa era costituita da semplice massicciata.
Arrivai ugualmente in tempo utile, dato che
avevo iniziato il viaggio alle quattro del mattino,
per poter assistere alla regolare apertura della
Dipendenza.
Il direttore, di recente nomina presso
quella Filiale, l’amico Stefano Cuccu,
gentilmente si mise a disposizione per
qualsiasi necessità operativa, come da
protocollo. Soltanto una quindicina di
anni addietro, purtroppo, era ben diverso
l’approccio dell’Ispettore presso la
Dipendenza da ispezionare. Infatti, ricordo che il primo atto ufficiale che l’addetto alla verifica poneva in essere, non
appena pervenuto in sede, era quello di
defenestrare il Direttore dalla stanza a lui
riservata, intronandosi nello scranno
direzionale ed assumendo i pieni poteri
in nome di una Direzione generale da lui,
al momento, rappresentata.
Questo comportamento era particolarmente posto in essere dalla dr. Welleda
Duce, unica Ispettrice donna nella storia del
Banco.
Era prassi corrente, su iniziativa del Direttore,
presentare all’Ispettore le autorità locali e i clienti
primari della Dipendenza in occasione di una loro
visita presso lo Stabilimento. Fra i primi ad essermi presentati furono il direttore ed il maresciallo
comandante le guardie di custodia della locale
Colonia Penale, i quali insistettero non poco affinché, nel pomeriggio dello stesso giorno, facessi
loro visita, unitamente al Direttore. Volevo decisamente declinare l’invito poiché ho sempre considerato le prigioni o colonie penali o case di pena che
dir si voglia, luogo di umana sofferenza per cui
ritenevo che ben poco vi fosse di che gioire nel
visitare quei luoghi.
L’amico Stefano, dopo lunga discussione, mi
convinse che io ero prevenuto sull’esistenza di cupe
atmosfere riscontrabile all’interno di quel luogo di
pena, per cui era necessario constatare di persona la
vivibilità e serenità ivi esistente, ancor prima di
tranciare sentenze negative. Per dare maggior vigoria alla mia tesi provai anche ad atteggiarmi un
po’da saputello introducendo nella discussione confusi ricordi su quanto affermato sull’argomento
“pena”, in senso lato, dall’illustre Cesare Beccaria
ricevendo un’immediata stroncatura poiché, veniva
evidenziato, che il tutto, in definitiva, si sarebbe
concretizzato nel degustare dell’ottima salsiccia.
La sera stessa ci recammo in visita alla “Casa di
lavoro all’aperto”. A posteriori devo ammettere
che aveva ragione l’amico Stefano. Effettivamente
non ho percepito quella sensazione di disagio che
supponevo quei luoghi comportassero. A prescindere da una targa marmorea che ne sovrastava l’inContinua a pag. 7
IL VENTO DELL’ISLAM IN SARDEGNA
Nel 1015 gli arabi tentarono la conquista della Sardegna sbarcando in forze nel Campidano
Maometto, il grande fondatore dell’Islamismo, poteva essere adatta alla coltivazione di questo
morì nel 632. I califfi che gli succedettero nel frutto, ma si può far risalire a una corruzione del
potere spirituale e temporale, in pochi decenni, toponimo Mugedda, derivato dal nome di
estesero la loro influenza fino alla Persia, la Siria Mughaid. Il territorio, inoltre, allora aveva una
e l’Egitto; a un secolo dalla morte del Profeta que- grande importanza. Vi sorgeva Sa domu de su
sto potere era esteso fino alla valle dell’Indo, a jugi, cioè una curtis appartenente al giudice di
levante, ed aveva, a occidente, valicato lo stretto Cagliari.
Mughaid che faceva murare vivi tutti i sardi
di Gibilterra.
Gli arabi avevano conquistato le Isole Spagnole impiegati nella costruzione delle fortificazioni
di Maiorca e Minorca creandovi importanti basi perché non rivelassero i segreti delle costruzioni,
dalle quali partivano le scellerate incursioni pira- sceglieva, per i suoi insediamenti le zone più vicitesche verso le coste della Sardegna che per centi- ne al mare e più sicure; quella di Castro di Mugete
naia di anni avrebbero prodotto terrore e morte non era distante dall’attuale spiaggia di Capitana.
Un nucleo di arabi si stanziava anche ad Assemini,
nelle derelitte coste di questa Terra.
La Sardegna, all’epoca, faceva parte dell’impe- non lontano dagli stagni di Cagliari e dal Golfo
ro romano d’oriente, con sede a Bisanzio; l’impe- degli Angeli.
ratore Giustiniano II aveva assegnato il presidio
Pochi mesi dopo l’impresa Mughaid lasciava la
della nostra isola a certo Marcello il quale, gover- Sardegna e si recava a Denia e nelle Baleari per
nando con prepotenza e tirannia, aveva creato un raccogliere nuovi armati; il suo intento era quello
regime di terrore e i Sardi attendevano il momen- di completare la conquista della Sardegna. Ma
to propizio di liberarsi di
mentre si trovava nella
questo oppressore. Nel
penisola Iberica e ottene687, infatti, questi si
va gli aiuti richiesti, i
ribellarono.
Marcello,
Pisani ed i Genovesi, che
sconfitto, fu ucciso ed i
si erano affermati sul
Bizantini
cacciati
mare, preoccupati per
dall’Isola. La Sardegna
alcune scorrerie compiute
eleggerà i Giudici che da
dagli arabi nelle coste
allora saggiamente govertoscane e spinti dal Papa
neranno l’Isola.
VIII, preoccupato a sua
Verso il 1010, un giovavolta delle sorti dell’isola,
ne liberto, Mugahid ibnma soprattutto della
Abd, il cui nome verrà
Cristianità, si preparavaitalianizzato in Museto,
no a soccorrere i Sardi
diventava signore di
Raccolti nuovi armati e
Denia e delle Baleari e
ottenute alcune navi,
riprendeva il progetto dei
Mughaid ritornava in
suoi predecessori di una
Sardegna nella primavera
spedizione a fondo in
del 1016 sicuro di poter
Sardegna considerandola
completare la conquista;
impresa facile. Impiegò
ma, al suo arrivo, apprensei mesi per preparare una
deva che alcuni presidi da
imponente flotta, studiare
lui lasciati a custodia
i piani d’invasione,
delle zone sottomesse,
approvvigionarsi di vettoavevano abbandonato le
vaglie e degli armamenti
postazioni in quanto cirnecessari. Nel mese di
condati da genti ostili,
Il pirata Khairbar
settembre un centinaio di
privi del loro capo erano
navi lasciava le Baleari con numerosi armati e stati costretti prima a difendersi e poi a cedere.
mille cavalli. Era infatti nei propositi di Mugahid Mughaid apprendeva anche di una flotta, compol’impiego di una cavalleria veloce ed efficace in sta di genovesi e pisani che navigava nell’alto
modo da sorprendere i Sardi. L’impresa, studiata Tirreno diretta in Sardegna.
in tutti i particolari, riuscirà pienamente.
Ristabilito il suo potere nei territori sardi il conNonostante l’accanita resistenza degli isolani gli dottiero arabo decideva di affrontare le navi nemiassalitori riuscirono a sbarcare nel Cagliaritano e che: ma commetteva l’errore di non dare ascolto ai
grazie alla cavalleria sbaragliarono le schiere dei consigli del suo primo pilota Abu Kharrub che gli
difensori occupando una fetta del territorio. In suggeriva di non affrontare la flotta alleata in mare
poco tempo Mughaid estendeva il suo territorio aperto e proprio quando si disponeva alla battaglia
dalla pianura del Campidano alle zone impervie in una rada troppo aperta ai venti, si scatenava una
della costa sud orientale dell’Isola e, a protezione tempesta che sbatteva sulle coste consentendo ai
delle sue conquiste, innalzò fortificazioni e dispo- sardi di avere il sopravvento a terra. Intanto, calneva presidi. La fascia, comprendente terre e zone mata la tempesta, la flotta alleata aveva buon
abitate dai Bizantini di rango elevato, passava gioco di quanto restava di quella araba, catturando
così sotto il controllo degli arabi che si insediava- parte del naviglio nemico.
no fino al Monte Acuto, dove il giudice aveva
Genovesi e Pisani, orgogliosi dell’impresa, che la
grandi possedimenti.
tempesta e i sardi avevano facilitato, davano grande
Mughaid non si inoltrava nei territori impervi risonanza a questa impresa. Nasceva allora la legdelle Barbagie; si limitava a controllare il meri- genda della conversione al Cristianesimo di
dione dell’Isola e non lontano dall’attuale borgata Mughaid e di suo fratello Alì e più tardi quando le
di San Gregorio costruiva una fortificazione detta due repubbliche marinare italiane entrarono in conCastro di Mugete. In questa zona forse fondava trasto per la supremazia in Sardegna ognuna racconanche un villaggio chiamato Nuscedda o Nuscella tava, a modo proprio gesta di eroismi e di vittorie.
e trasformava un edificio termale romano, chiaCon l’affermazione dei Genovesi e dei Pisani
mato Piscina Nuscedda (zona tutt’ora chiamata cessarono le incursioni degli arabi nell’isola, che
così), in un bagno di tipo arabo. La parola nusced- verranno riprese al livello di razzia, in tempi futuri.
da, che in sardo significa nocciola non può riferirLuigi Zuddas
si a questo frutto in quanto la zona, bassa, non
Ricordi di vita lavorativa
nel Banco di Sardegna
7
a cura di Antonio Loi
8° puntata - Anni 1976/1979
Segue da pag. 6
gresso principale, e ricordava esplicitamente lo
scopo cui era destinato quel luogo, sembrava di
visitare una grande azienda agraria, ottimamente
organizzata, con una sola nota stonata: sapere che
gli addetti ai lavori erano dei reclusi e non dei semplici collaboratori. Siamo stati però informati che il
trasferimento in quel luogo avveniva esclusivamente su personale richiesta dell’interessato.
Effettivamente l’ombra della costrizione personale non traspariva, forse anche per la mancanza di
sbarre, chiusure o recinzioni particolari, ed almeno
dal complessivo aspetto esterno, il tutto appariva
abbastanza tranquillo e sobrio nel suo insieme.
Iniziammo la visita, e si propose quale Cicerone
il Maresciallo-capo, responsabile della sicurezza, il
quale ci illustrò le varie attività produttive in esercizio, puntualizzando che alla “casa” venivano assegnati soltanto coloro che dovevano scontare brevi
periodi ultimativi della pena.
L’azienda risultava ben strutturata con settori
dedicati alle varie coltivazioni quali ortaggi, frutteti, vigneti, e, riparati da numerosi filari di alberi
frangivento, gli erbai necessari per il sostentamento
di numerosi bovini e qualche migliaio di ovini. Ai
reclusi era vietato colloquiare con i visitatori, ma in
via del tutto eccezionale, mi fu concesso di intrattenermi, per un breve periodo, con quello che esplicava le mansioni di capo casaro, con la scusa di
ottenere risposte ad alcuni quesiti sulle procedure
da lui adottate sulla produzione delle varie tipologie
di formaggi. Il discorso, appena possibile e lontano
da orecchie indiscrete, scivolò immediatamente
sulla vita quotidiana presso quel triste luogo, e
quanta forza di volontà fosse necessaria per sopperire alla mancanza di libertà. Feci domande molto
specifiche e circostanziate e mi resi immediatamente conto che, nonostante l’attuale attività preminentemente manuale, il mio interlocutore era persona
istruita e di viva intelligenza. Appresi in quella circostanza che, contrariamente alle mie convinzioni,
almeno stando alle dichiarazioni del mio interlocutore, non era la mancanza della libertà ciò che maggiormente era difficile da sopportare, ma la preoccupazione e l’incognita del futuro cui sarebbe andato incontro subito dopo l’abbandono della “colonia”. Infatti il distacco avrebbe comportato un rientro nella così detta “società civile” con riproposizione della frequenza di certi ambienti paesani ai
quali attribuiva non poche quote di colpa del suo
attuale stato. Sperava soltanto che, mediante l’intelligente utilizzo dei fondi rivenienti dalla liquidazione del salario posticipato, garantito per legge, da
conteggiare in relazione agli anni di lavoro prestato presso la “casa”, potesse, emigrando dalla
Sardegna, impiantare un’attività economica basata
sulla produzione e commercializzazione di formaggi.
La serata si concluse, come era prevedibile, con
un abbondante “assaggio” dei loro prodotti alimentari, particolarmente incentrati su formaggi ed
insaccati vari che risultarono semplicemente favolosi, ed il tutto innaffiato con varie tipologie di vino
di qualità decisamente superiore.
Pensierino della sera: “è vero che l’esercitare
mansioni di ispettore comporta non pochi sacrifici,
particolarmente per la coatta residenza lontano dal
proprio ambito familiare, ma è vero anche che ci si
arricchisce di tante nozioni e lezioni di vita”.
Alla prossima puntata.
8
Federazione Nazionale Sindacale
delle Associazioni dei Pensionati dei Credito
Collegata al Raggruppamento Europeo dei Pensionati
delle Casse di Risparmio, Banche e Istituzioni affini
Lettera aperta ai Consiglieri della FAP
Cari amici, (e mi dispiace non dire anche care
amiche, manchevolezza che occorrerà rimediare), ritengo indispensabile ed anzi tardivo. e di
ciò Vi chiedo scusa, indirizzarVi queste righe di
saluto e di commento alla mia presa d’atto dell’incarico che mi avete conferito a Torino il
23/24 gennaio scorso in occasione del Consiglio
Generale. Naturalmente rivolgendomi a Voi mi
rivolgo alle Associazioni ed a tutti i colleghi che
rappresentate. il gravoso incarico al quale mi
accingo con spirito di servizio e senso di responsabilità, non può prescindere da una Vostra sincera, continua collaborazione che da Voi deve
estendersi alle Vostre Associazioni E’ questa una
condizione senza la quale non è possibile fare
bene, fare positivo, né continuare, rilanciandola,
l’immagine, i contenuti. (operatività e I utilità di
servizio della Federazione 11 mio impegno sarà
rivolto in tal senso nella consapevolezza profonda che l’Associazione è di per sé un valore: di
riferimento, di aiuto, di solidarietà, di visibilità,
di forza e di rappresentanza.
Uniti e compatti si scalano montagne e si superano ostacoli che altrimenti sarebbe impossibile
Ed allora, alle nostre Associazioni, la
Federazione deve offrire: riferimenti, aiuti, solidarietà, rappresentanza e forza.
Su questo mi impegno e ci impegniamo.Il
Direttivo, e ringrazio i colleghi che hanno accettato di condividere l’onere e che sono già all’opera. farà il suo lavoro” con continuità e professionalità, perché composto da amici di provata
esperienza e capacità. Ma ciò non basterà se
mancherà la vera, leale e trasparente continuità di
impegno da e corn le Associazioni e non basterà
per riconquistare le Associazioni che ci hanno
lasciato e quelle che mai si sono avvicinate.
Saranno primarie per la nostra attività tutte le
segnalazioni e valutazioni che ci farete pervenire
sui vari temi che interagiscono con la nostra vita.
Saranno determinanti tutti i contatti e spunti di
vicinanza con il mondo degli attivi, specie quella fascia di colleghi prossimi alla quiescenza
volontaria o obbligata (visti i tempi di selvagge,
ciniche e speculative fusioni e concentrazioni
bancarie, fatte e in corso). Saranno importanti i
comportamenti e le iniziative per farci conoscere
ed apprezzare, anche al fine di far aderire altre
Associazioni. Saranno decisive tutte quelle attività che porranno in essere le Associazioni per
passare e trasmettere ai colleghi le informazioni,
i progetti e lo stato dei lavori della Federazione.
C’è un mondo FAP che va comunicato, c’è un’operatività FAP che va conosciuta, perché si connette in definitiva, e a volte sì sovrappone e si
potrebbe sostituire, o dovrebbe, con risparmio di
costi e migliori sinergie, a iniziative analoghe
delle singole Associazioni. Sarà prezioso avere
un sito, che Vi prego di visitare: www.fapcredito.it, aggiornato, agile ed utile per tutti i nostri
colleghi.
A tutto questo siamo chiamati ..e non è poca
cosa.
Vi lascio indicando alcuni grandi temi e indirizzi che dovremmo sviluppare e percorrere:
- la pensione, in generale, bene assoluto di vitale importanza, da difendere sempre con determinazione (non per usare iperbole, ma perché,
colpito dall’arroganza, ingiustificatezza ed
illegittimità cui ho assistito in occasione dello
scioglimento forzato dei Fondi Comit, sento
necessario usare questi termini) in particolare
la pensione sociale va difesa contro iniqui,
punitivi ed incostituzionali blocchi di perequazione e contro il calo continuo del potere d’acquisto. Così pure le pensioni integrative da
Fondi, che vorrebbero decotti e liquidabili,
anche quando non lo sono di tutta evidenza.
Non c’è capitale che possa risarcire una pensione proditoriamente e obbligatoriamente liguidata;
- l’assistenza sanitaria, altro bene primario che
oggi viene sempre più messo in discussione
attraverso casse sanitarie che si vorrebbero
modificare in peggio, infrangendo quel principio di solidarietà intergenerazionale, al quale
abbiamo creduto e contribuito a suo tempo.
separando attivi da “passivi” (noi pensionati),
aumentando i premi e riducendo le prestazioni;
- le problematiche da fondi esuberi, derivanti
dal cosiddetto, ingannevole, riordino e riorganizzazione del sistema Bancario-Finanziario Assicurativo: riordino fatto apparentemente nel
nome di una esigenza di libero mercato finalizzata ad evitare millantati collassi e per assicurare capacità di competere a livello globale. Ed
invece: licenziamenti a ruota libera, soppressione di diritti, mancanze di riferimenti e
coperture e. ..“libere panchine” per cinquantenni o poco più. E poi ci dicono, da giornali e televisioni, naturalmente spesso a busta
paga, che bisogna allungare il tempo di lavoro.
La verità: il profitto a tutti i costi, i faraonici
premi (stock option) ai managers Quali insistenti obbiettivi da perseguire. E i Sindacati?
....alla meglio ... spauriti e deboli!
- le condizioni riservate ai nostri risparmi,
persino le condizioni, un minimo preferenziali, che ci derivavano dall’appartenenza alle
nostre ex banche, ignorate ed aggirate nella
incomprensibile girandola di cessioni e controcessioni
di
sportelli con
annessi e connessi (cioè,
attrezzature.
scaffali,
moduli, computer, clienti,
risparmiatori,
uomini
e
donne che lavorano. pensionati..) e un’interessata offerta di prodotti “pericolosi”, a costi crescenti - la cultura delle valutazioni, del pensiero, del dire : noi Pensionati, non più “attivi”, ma non per questo “passivi” e non solo
circoli CRAL sostenuti dalle aziende, o da soli,
ma molto meglio attraverso la FAP e le nostre
Associazioni, dobbiamo poter dire il nostro
punto di vista, che serva anche ai colleghi ora
in servizio, sul mercato, sulle sue regole, sulle
operazioni che ci impongono, che ci fanno
piovere addosso. Siamo una risorsa non un
onere. Non dimentichiamolo ed anzi affermiamolo forte e sicuro. Non possono, non debbono ignorarci. Abbiamo avuto ruolo, incarichi, e
responsabilità a tutti i livelli, accumulato esperienze e professionalità e siamo in grado di
valutare e di esprimerci su cosa è sviluppo e
progresso sostenibile, e su cosa è invece condizionamento, ossessione da budget e profitto.
Riflettere ed intervenire autorevolmente su
questo significa fare cultura. Significa partecipare attivamente e proficuamente anche per le
future generazioni
Su questi ed altri temi la FAP sta organizzando
dei “tavoli di lavoro e coordinamento, che opportunamente tengono conto del fatto che ormai il
sistema bancario/finanziario/assicurativo risponde
a pochissimi gruppi grandi che controllano fermamente il mercato cosiddetto libero dettando regole, comportamenti e condizioni. Su questi temi la
FAP sarà, unitamente alle Associazioni, un punto
di evidente riferimento, un elemento sicuro di
difesa dei diritti e delle prerogative acquisite,
seguendo principi di equità: giustizia, solidarietà e
responsabilità. Un caro saluto a tutti, ed un ringraziamento a Franco Salza, il Presidente che per
lungo tempo ha portato avanti con merito e risultati la nostra Federazione e a tutti coloro che con
lui hanno collaborato.
Antonio Maria Masia
Roma. 2 marzo 2008
ATTIVITA’ NATATORIA
Il nuoto è necessario
L’estate è ormai finita!. Come si fa a continuare a fare nuoto se viene
meno il mare?. Siete mai andati a nuotare in piscina con l’assistenza di
un istruttore?. Se non lo avete ancora fatto, leggete qui di seguito ciò che
scrive sull’attività natatoria Paola Masala, nota istruttrice di nuoto presso il Canopoleno di Sassari e figura di spicco nelle piscine sassaresi:
-“L’attività natatoria in piscina è sempre più diffusa fra grandi e piccini e costituisce una delle discipline più complete nel campo delle
attività fisiche; ha conseguenti riflessi psicologici positivi ed è praticabile a qualsiasi età e condizione fisica. Istruttori specializzati sono
in grado di avvicinare all’acqua perfino i neonati. Il nuoto può essere
praticato, con ottimi risultati, anche dalle gestanti.
La sensazione fisica più forte che si prova ogni volta che ci si immerge nell’acqua è la consapevolezza di stare come sospesi, di avere cioè
un corpo leggero e di non avere peso. Si è quindi in una situazione
opposta a quella cui si è normalmente abituati sulla terraferma.
Con un’ attività natatoria seguìta, si acquisisce presto una buona capacità di stare in acqua in modo naturale e confortevole, galleggiando a
pelo d’acqua e scendendone sotto. Si impara a respirare correttamente con naso e bocca con ritmi diversi a seconda degli stili praticati. Si
diventa insomma più acquatici. Una buona acquaticità svela la magìa
del nuoto all’uomo, rendendogli facile apprendere le tecniche basilari che si incontrano nei vari stili (libero, rana, dorso, delfino).
Con il termine nuoto, da qualche tempo, s’intende anche però qualsiasi tipo di attività svolta in acqua. Infatti, nell’ultimo decennio, si
sono visti trasferire in piscina esercizi svolti unicamente nelle palestre
all’asciutto. Si fa ora in acqua ginnastica a suon di musica, con o
senza attrezzi, adatta particolarmente agli anziani, perché la resistenza che oppone l’acqua durante il movimento rende più efficace il
lavoro muscolare e rende gli esercizi più morbidi e flessuosi evitando
i traumi. Se si pedala su una bicicletta immersa, per esempio, si
avverte subito una piacevole azione tonificante non solo sulle gambe,
ma anche sull’addome e sulle braccia.
Il nuoto, se praticato con costanza, rallenta il processo d’invecchiamento ed è perciò assai vantaggioso per gli anziani perché aumenta la
protezione contro le malattie del cuore e della circolazione, normalizza il colesterolo, regola la pressione, combatte il sovrappeso, allenta
l’intolleranza al glucosio e fa diminuire anche la probabilità di infarto e di ictus. Il corpo quindi trae sostanziali benefici dal nuoto.
Dal punto di vista psicologico, secondo studi
effettuati presso laboratori di medicina dello
sport, si è rilevata una stretta correlazione tra
nuoto ed effetti sull’umore. Si è scoperto così
che poche decine di minuti di attività fisica in
acqua hanno effetti tranquillizzanti superiori
all’assunzione di ansiolitici.
Con i gesti ripetitivi di braccia e gambe e con
una regolare respirazione i muscoli si rilassano
e le tensioni si allentano con conseguente attenuazione dei sintomi depressivi.
Insomma il nuoto migliora la nostra salute ed il nostro umore, ed allora: tutti in piscina.”Credo che “Paola” ci abbia pienamente convinti della bontà dell’attività natatoria. Visto quindi quanto il nuoto sia necessario per il nostro
benessere non ci resta che praticarlo in piscina quando cessa la buona
stagione.
Pietro Moirano
“ASSOCIAZIONE BIELOICHNOS”
“L’Amore non si quantifica con i soldi, ma colui che dona amore
arricchisce se stesso e le persone che aiuta”.
Non è un semplice slogan, ma è il principio fondante
dell’Associazione Bieloichnos”, che opera a Sassari da circa un
anno e che è nata per iniziativa di un gruppo di amici, che hanno
aperto il loro cuore a favore degli sfortunati bambini bielorussi
del dopo “Chernobyl”.
Il Progetto “Chernobyl”, che consiste nell’accoglienza dei bambini e bambine bielorusse per un soggiorno di risanamento è il
principale scopo dell’Associazione, alla quale hanno aderito
oltre cinquanta famiglie del Nord Sardegna, dalla Gallura, al
Goceano, al Logudoro, alla Nurra.
Circa sessanta graditissimi piccoli ospiti bielorussi hanno goduto
del mare e del sole della Sardegna, oltreché del calore e dell’affetto delle famiglie ospitanti in una splendida vacanza, che ha
avuto inizio il 28 di Giugno e che si è conclusa il 1° di Settembre.
Non solo mare e svago, ma anche cultura nell’ottica della conoscenza e dell’amicizia fra i popoli.Sono nate così due iniziative,
che hanno coinvolto i bambini e le bambine bielorusse e le tre
gentili e belle accompagnatrici.
Il museo delle maschere di Mamoiada, con la sala multimediale, ed
il Nuraghe di Torralba, hanno riscosso molto interesse e sono state
le prime due tappe, di un percorso alla ricerca delle nostre origini,
che continuerà nei prossimi anni con le prossime accoglienze.
L’Associazione può contare sulla consulenza della blasonata e collaudata “Associazione Cittadini del Mondo”di Cagliari e degli
amici che con competenza e generosità la dirigono.
Il prossimo impegno è rappresentato dal “Progetto Natale 2008”,
per il quale le prenotazioni scadono il prossimo mese di ottobre.
Tutti coloro che desiderano ospitare un bambino od una bambina dai
6 ai 15 anni per il periodo che va dal 15 dicembre al 15 gennaio, possono recarsi presso la sede dell’Associazione sita in via L. Canepa
1d Sassari, tutti i mercoledì dalle ore 18 alle ore 20, tel. 0792076266,
3409862684, 3452108372, 3407988224, 3381065353.
Tore Campus
VIAGGIO IN MAROCCO
ITINERARI CULTURALI
Marocco: paese dai mille contrasti, ancorato al
Medioevo e falsamente proiettato nel futuro.
Un viaggio in Marocco è, prima di tutto, un viaggio
sensoriale.
I colori, i suoni, gli odori: dolci, forti, penetranti,
qualche volta nauseabondi, colpiscono e rapiscono
rendendo difficile tradurli in parole.
‘E un viaggio di cui si recuperano i dettagli e se ne
riscopre il valore solo una volta che si è tornati, nei
flashback della memoria, con il giusto distacco.
Fintanto che si è lì, infatti, è come trovarsi su una giostra vorticosa e inarrestabile da cui è impossibile
scendere perché, nonostante tutto, coinvolgente e
piena di fascino.
Un paese in cui tocchi con mano l’integralismo più
acceso, dove scopri, ad ogni passo, che sei accolto
solo per la valuta che porti, dove il costo della vita
continua ad essere una stupidaggine, dove le condizioni igienico-sanitarie lasciano a desiderare, dove,
tuttavia, rimani incantato dalle innumerevoli bellezze
paesaggistiche ed architettoniche che ne fanno un
paese magico ed incantato.
Cercherò di sintetizzare al massimo la mia esperienza.
Viaggio in aereo da Roma (Fiumicino)
a Casablanca: un paio d’ore di volo.
La trafila per passare la dogana marocchina è piuttosto lunga tanto da consentirmi una sorta di amarcord alla ricerca di
Humprey Bogart ed Ingrid Bergman.
Mi sembra di sentire le note di “As
timne goes by” e la voce del pianista che
dice “ Provaci ancora Sam”.
Il presente, però, incombe.
La minuziosa e pedante dogana marocchina ha finito il suo compito: sono in
Marocco.
Con un taxi arrivo all’albergo dopo aver
attraversato una giungla di parabole satellitari installate sui tetti delle case.
Non né ho mai viste tante, neanche in
Cina.
Comincio a prendere contatto con questo Paese.
Casablanca, città prevalentemente
industriale e commerciale, ci accoglie sotto un cielo
grigio e afoso di una giornata plumbea. Lo smog e i
clacson di un traffico impazzito, fatto di calessi trainati da cavalli stanchi e rassegnati, vecchie Mercedes
sgangherate, miriadi di Fiat Uno tinteggiate di un
improbabile azzurro-cielo e trasformate in “ petit taxi”, costituiscono il primo impatto con l’Africa.
In realtà una piccola delusione se si eccettua la
colossale moschea di Hassan II, la più grande del
Marocco ed una delle poche visitabili dai “kafiruna”
(non credenti).
L’esterno del complesso, essendo isolato, non evidenzia l’imponenza che gli compete.
Entrando nella moschea la meraviglia provata
all’esterno scompare per lasciare il posto ad uno
sconfinato stupore. Solo entrando ci si rende conto
della maestà e della sacralità del luogo.
Tutto è estremamente pulito e lucido.
Nessun ambiente ha suscitato in me sentimenti così
confusi.
Nonostante l’immensità del luogo che può accogliere 25 mila persone, all’interno sono del tutto
assenti gli eco: sicuramente la cosa è dovuta alla
caratteristica costruttiva dove tutto è un intarsio, un
fregio, un arabesco.
Mi viene spiegato che il sermone dell’Imam viene
diffuso da centinaia di altoparlanti camuffati nelle
colonne!
All’uscita visito i bagni pubblici dedicati alle abluzioni ante preghiera.
Entro e mi scappa da ridere pensando ai soldi che
ho speso per ristrutturare il bagno: qui non andrebbe
bene neanche come ripostiglio per le scope!
Quando esco mi accorgo di aver perso la cognizione del tempo.
Giro ancora per la città fino a raggiungere un piccolo marina, circa 400 posti barca, gremito di barche
battenti bandiera tedesca, francese, inglese ed olandese. Spinto dalla curiosità vado ad informarmi sulle
tariffe di sosta per una barca dai 12 metri in su.
La risposta mi fa andare su tutte le furie: fino a 90
giorni, avete letto bene novanta giorni, è del tutto gratuita, grazioso omaggio della monarchia marocchina,eccezion fatta per l’acqua (alquanto cara: 7 euro a
litro). Trascorsi i quali si pagano tre euro per metro
lineare in ragione di anno, fino ad un massimo di 120
euro. I servizi a terra, ad un sommario sguardo, mi
sembrano di primissimo ordine ed alla portata di tutte
le tasche. Mi confermano che questa è regola generale in tutti i marina atlantici, mentre sui porti del
Mediterraneo la tariffa dei tre euro per metro lineare
si applica a partire dal secondo mese di sosta.
Forse questa è la strada per un turismo nautico
sostenibile ed, al tempo stesso, economicamente conveniente che consente l’incremento dell’indotto.
Ma Soru questo non lo sa o, più semplicemente,
nessuno glielo ha saputo spiegare !
La sosta a Casablanca è terminata, è tempo di proseguire per Rabat, capitale del Marocco e città imperiale.
Il collegamento fra Casablanca e Rabat è costituito
Marocco - Pista nel deserto
da una delle poche autostrade del Paese, poco meno
di 150 km, nonostante questo l’autista del pulmino
(otto posti) riesce a tenere una media di 50 km/h che,
poi, scoprirò essere lo standard dei trasferimenti in
tutto il Marocco.
Lungo la strada faccio conoscenza della nuova razza
di cammelli, numerosissima in tutto il Marocco, centinaia di………….Mercedes di vecchissima, vecchia e
recente produzione usate, in massima parte, come
…..bestie da soma, cariche di ogni tipo di merce, animali e macchinari con sette/otto persone a bordo.
Sono convinto che gran parte delle Mercedes europee, lungi dall’essere rottamate, finiscano la loro attività lungo le polverose strade del Marocco!
Altro spettacolo la vista di decine di persone che, in
fila indiana, percorrono la strada nei due sensi. Non è
dato di sapere dove vadano visto che, almeno dal
finestrino del pulmino, non si scorgono insediamenti
o accampamenti di alcun tipo.
Prima di entrare a Rabat visito il Mausoleo di
Mohammed V, da cui si ha una vista magnifica di
tutta la città. Dallo stesso sito si può visitare anche la
Tour Hassan, un enorme minareto la cui costruzione è
iniziata nel 1195 ed è ancora in piedi, mentre rimane
ancora qualche traccia della moschea adiacente.
A Rabat ho il primo impatto con una medina ed una
kasbah marocchina e, tutto sommato, l’atmosfera
variopinta mi piace.
La kasbah è la parte fortificata della città, costruita con scopi difensivi e con viuzze strette e contorte,
mentre la medina è la zona commerciale, tuttora
popolata da mercati in cui, previa ampia contrattazione e discussione, si compra e si vende di tutto.
La città è gradevole. Strade larghe contorniate da
palazzi reali e di governo si alternano a note di colore
quali i venditori di acqua nei loro costumi caratteristici
che occupano le zone dove, di solito, transitano i turisti.
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Rabat è anche la marcia svogliata e scomposta dei
soldati al cambio della guardia davanti al Palazzo
reale, è i giardini Labirintici della Kasbah degli
Oudaia, con le splendide siepi di ibiscus e gli intricati cespugli di rosmarino, è il tè alla menta della terrazza sul fiume, è i vicoli strettissimi delle case bianche e blu, le manine di Fatima alle porte, i bambini
che giocano a rincorrersi sulle salite, le macchie lilla
di rigogliose piante di bouganville. ‘E lo sfarzoso
mausoleo di Mohamed V con la bellissima cupola di
luci e intarsi: i cavalli bianchi all’entrata costretti a
stare immobili su un rettangolo di terra grande appena come loro, tenuti a bada, faticosamente, da guardie
anch’esse vestite di bianco.
Il viaggio prosegue alla volta di Volubilis attraverso una polverosa strada definita, pomposamente,
autostrada.
Volubilis è il caldo soffocante di una collina sotto il
sole a picco di mezzogiorno; è gli strani venditori che,
leggeri e silenziosi, ti seguono lungo tutto il tragitto,
cambiando magicamente articolo dopo ogni curva; è
la guida strampalata, simpatica e coltissima e soprattutto innamorata di quei posti, che illustra segreti e
sorprese, mosaici e angoli nascosti e invisibili a occhi
poco attenti; è gli enormi e affascinanti nidi di cicogna sulla sommità delle colonne.
Da Volubilis a Meknès la strada mi fa conoscere i
primi roccaforti dell’Atlante mentre il paesaggio
cambia gradatamente da pascolo semidesertico ad
abetaia rada.
Meknès appare all’improvviso all’uscita di una curva in un flusso incessante
di macchine.
‘E la Porta Bab el Mansour, maestosa
e ricca di decori, che mi conduce all’interno di questa città imperiale.
Meknès è gli antichi granai con i muri
così spessi che lì dentro la temperatura è
sempre costantemente bassa: gli archi
delle scuderie che si rincorrono uno dopo
l’altro in corridoi senza fine, é la fila
variopinta di sandali e babbucce davanti
alla Moschea Moulay Ismail: entrarci
non regala particolari emozioni, ma vale
la pena di infilarci il naso per soddisfare
la curiosità e godere la vista dei giochi di
colore , davvero belli, dei tasselli di ceramica sulle pareti e attorno alla piccola
vasca per le abluzioni.
Le emozioni più forti, però, mi vengono riservate da Fès.
Fès è tutto ciò che non ti aspetti. Quello che va ben
oltre ogni tipo di immaginazione.
‘E l’esperienza che ti avvolge, ti centrifuga e ti
rimane dentro, nel bene e nel male. Fès è il contrasto
nettissimo tra la metropoli moderna e tecnologica
degli alberghi extralusso e del McDonald e i gironi
infernali del labirinto della Medina con i suoi vicoli
strettissimi, con i muli che ti passano vicino, stracarichi costringendoti ad appiattirti sul muro o contro
altre persone, con il buio intenso di alcuni vicoli,
dove l’odore acre delle concerie, degli animali in vendita, del pesce e della carne pieni di mosche, è molto
penetrante e difficile da sopportare.
Un ghetto, un quartiere medioevale dove con questo
aggettivo non ci si riferisce all’architettura, ma proprio
allo stile di vita, ai mestieri, agli usi e costumi. Un
mondo completamente a parte, chiuso come una mano
serrata a pugno, affascinante quanto incredibile.
Alla Medina ci si avvicina pian piano, la si guarda
prima dall’alto di una collina sovrastante da cui anche
i tetti delle case perdono i loro contorni e sembrano
fondersi in un’unica, enorme macchia di colore. Si
pensa sia solo un gioco di prospettiva, invece no: lì
dentro è proprio così, amalgama indistinto di case e
vicoli, tetti e vecchie travi che sorreggono mura pericolanti, stuoie di bambù sospese tra un edificio e l’altro a riparare dal sole e formare il soffitto mobile di
un’unica affollatissima abitazione. Spicchi di cielo
solo ogni tanto, vicoli su cui il sole, invece, non batte
proprio mai, dove perdere la cognizione del tempo
facile, quasi inevitabile.
Ogni vicolo ha la sua peculiarità e i rappresentanti
di un mestiere.
Polli e tacchini, rassegnati alla loro sorte e tenuti
buoni chissà come, giacciono intontiti in file compoContinua a pag. 10
10
ITINERARI CULTURALI
VIAGGIO IN MAROCCO
Segue da pag. 9
ste, su luridi scampoli di tappeti berberi in attesa che arrivi il
cliente a sceglierne uno, indicarlo e passarlo al carnefice che,
con un gesto rapido, gli torce il collo e lo mette in una macchinetta elettrica per spennarlo. Poi lo taglia, lo incarta e lo
consegna. Un attimo: un passaggio rapido che immobilizza i
pensieri e colpisce come un pugno nello stomaco. Fès è anche
l’orrore di chioschi con quarti di bue appesi e le teste degli animali disposte sul lastrone di pietra centrale a fare da vetrina e
richiamo. Sono i muli che rappresentano l’unico mezzo di trasporto (indicati anche in fantasiosi cartelli stradali) e viaggiano carichi di ogni cosa: casse d’acqua, sacchi di farina, ceste
di lana da cardare, perfino scatole di televisori imballati.
Loro hanno la precedenza su tutto: il turista qui conta poco o
niente, anzi è un fastidio, un inutile e indiscreto osservatore. Al
grido di “ Balak !” (attenzione) i conducenti dei muli si fanno
largo tra la folla in budelli di strada in cui mai si crederebbe che
possano trovare spazio per passare. Il grido è un imperativo,
non una richiesta: che ci si sposti o no, il mulo passa lo stesso!
Bambini scalzi giocano fra la polvere e all’ora di pranzo si
mettono in fila davanti a carretti che distribuiscono una brodaglia colorata in ciotole di plastica: lumache! O anche ceci bolliti.
Teche sporche e unte custodiscono file di dentiere davanti a
quello che, senza ombra di dubbio, deve essere lo studio di un
dentista.
Porticine minuscole introducono in seminterrati bui dove
file di panini e pagnotte sostano, in larghe teglie poggiate per
terra, prima di scomparire dentro bocche di forni a legna.
Questo profumo familiare e rassicurante è un’oasi paradisiaca in mezzo ad una girandola di odori cui è davvero difficile abituarsi e il cui nucleo magmatico è rappresentato dalle
vasche dei conciatori di pelli. Quando si arriva sulla terrazza
sovrastante da cui osservarle, si viene dotati di un rametto di
menta da mettere sotto il naso. Ma il fetore insopportabile
assale molto prima di salire in cima alle scale.
L’immagine di uomini immersi sino alle gambe in liquidi
putridi e vagamente colorati è il più fedele possibile a quella
di un girone dantesco. L’odore fortissimo di pecora in decomposizione mi seguirà e colpirà durante tutto il resto del viaggio, ad ogni incontro con un oggetto di pelle.
Ma Fès sono anche le bellissime Mederse di Bou Anania e
Attarine che si aprono inaspettatamente dietro alti ed anonimi
portoni a nasconderle e quasi a proteggerne la pace e la tranquillità. Antichi rifugi di studiosi di teologia coranica (oggi,
forse centri di reclutamento del terrorismo islamico), hanno al
centro una grande vasca per le abluzioni con mosaici belli e
solo appena intaccati dall’usura del tempo. Alle finestre
magnifici intarsi su pannelli in legno di cedro. ‘E il cortile
grande e ombroso del Museo Dar Batha.
Il viaggio termina a Marrakech: città unica nel suo genere.
La Djemaa El Fnaa è un viavai continuo di persone che
offrono e fanno davvero di tutto: dall’incantatore di serpenti al
venditore di spremute di arancia, dal giocoliere al venditore di
cose più improbabili.
Marrakech è una città magica, che cambia colore nelle varie
ore del giorno, sempre diversa e ogni volta affascinante, con le
case rosse e i tramonti infuocati. La cosa più incredibile è lo
spettacolo che la piazza offre la sera, quando si alza il fumo di
chi vende ogni sorta di cibo, sullo sfondo si vede la torre
Koutoubia illuminata e per le strade camminano centinaia di
persone che cercano di evitare centinaia di macchine.
Tamburi che suonano, un vocio indistinto, piramidi di arance, scimmie che giocano con la corda che le tiene ancorate ai
loro padroni, pasta venduta sfusa, enormi contenitori si spezie
di ogni tipo, sfuse anche quelle, i quaderni arabi con le righe
strane e l’apertura al contrario, piramidi di barattoli e di lattine di miele.
Marrakech è anche una miriade di giardini e palmetti
(Majorelle e Menara), di splendidi palazzi (il Palazzo del
Parlamento – le Palais de la Bahia), di monumenti in onore dei
principi sauditi (le Tombe saudite), di centinaia di carrozze
trainate di stanchi cavalli in sosta davanti a tutti gli alberghi.
‘E la pace dopo l’inferno olfattivo di Fès.
G.M. Meridda
ITINERARI CULTURALI DELLA SARDEGNA
IL DUOMO DI SAN NICOLA A SASSARI
Elio Vittorini, nel suo “Sardegna come
un’infanzia”, 1936, descrive così il suo
primo incontro con la Cattedrale di San
Nicola a Sassari:
“Alzo gli occhi e un enorme naviglio mi
viene addosso: la facciata del Duomo;
come mai ne vidi di un barocco così esotico.
Dapprincipio si direbbe in legno, un
gigantesco mobile tarlato. Ma presto si
capisce con quanto peso di pietre e torreggi.
E’ una pietra color tortora. Formicola, anzi
vermina, di tutte le sue foglie e teste
d’angioli. Pure non le si vorrebbe toglier
nulla; non ha segno che sia superfluo”.
è bellissima questa descrizione; anche a me,
la prima volta che vidi questa chiesa, aveva
fatto lo stesso effetto, ma io non sono Elio
Vittorini e mai avrei saputo descriverla così.
Il condaghe di San Pietro di Silki (XII
sec.) parla dell’esistenza di una Chiesa dedicata a San Nicola, tuttavia questa chiesa
viene edificata nel XIII secolo, in stile
romanico-pisano, su un preesistente edificio
di culto paleocristiano. Fino al 1278 essa
rimane l’unica parrocchia della città: in questa data furono istituite altre parrocchie.
Nel periodo fra la metà del XV secolo e i
primi del XVI la Chiesa viene profondamente rinnovata nello stile all’epoca più
seguito, quello gotico-catalano, anche in
considerazione del fatto che nel 1441 la
curia vescovile fu trasferita da Porto Torres
a Sassari e la chiesa, naturalmente, assurse
al rango di Cattedrale. Nel 1600 la sua struttura fu rinforzata e, per motivi di sicurezza
della struttura, si dovette procedere alla
demolizione di una delle tre campate.
Infine, tra il XVII e il XVIII secolo subì una
ulteriore e definitiva modifica della facciata
in stile barocco.
Il massiccio e imponente corpo della
Cattedrale è ingentilito dall’alto campanile,
a sinistra del complesso architettonico, di
forma quadrata, adornato da archetti, bifore
e monofore, salvato dall’antico stile romanico. Sopra il campanile si erge una snella torretta ottagonale, costruita nel XVIII secolo.
L’esterno è caratterizzato da una cupola
semisferica e dai doccioni che sporgono
lungo i fianchi, molti rivenienti dalla precedente struttura gotica.
Ma ciò che più colpisce e affascina è il
prospetto principale, in puro stile barocco,
con una sinfonia di decorazioni, su tre livelli; quello basso costituito da tre archi a tutto
sesto, il secondo da tre nicchie finemente
ricamate con le statue dei tre martiri
Turritani e infine, in alto la nicchia con la
statua di San Nicola.
L’interno è costituito da una navata divisa
in due campate da arcate ogivali su cui si
impostano le volte a crociera. Ai lati, quattro cappelle, due per campata, delimitate da
archi a tutto sesto. Il pulpito marmoreo, a
destra all’altezza dell’ultima cappella, scolpito nel 1840 da Giuseppe Gaggini in stile
neoclassico. Sul parapetto semicircolare
sono rappresentati i quattro Evangelisti. La
cupola semisferica, di gusto rinascimentale,
poggia su quattro pennacchi. Due imponenti altari marmorei ornano le due cappelle
accostate nel transetto. A destra la cappella
del Santissimo Sacramento, scolpita intorno
agli anni venti del 1800 dagli artisti
Orsolino e Gaggini; l’altare ospita una pregevole tela dipinta dal Marghinotti che rappresenta la Coena Domini. L’altra cappella,
nel braccio sinistro, è dedicata a Sant’Anna;
fa bella mostra di sé, nel transetto il gruppo
scultoreo del Conte di Moriana, opera di
Felice Festa (1807).
Il Presbiterio si trova al centro del transetto, sotto la cupola. Esso è sopraelevato rispetto al piano dell’aula e chiuso da una balaustra
in marmo; sempre in marmo sono i due leoni
posti ai lati della scala. La base è decorata
con i bassorilievi di alcuni santi. Anche l’altare maggiore (1690) è in marmo, caratterizzato da due coppie di colonne con capitelli di
ordine corinzio, sovrastato dalla colomba che
rappresenta lo Spirito Santo. Sull’altare è
esposta l’icona del XIV secolo, Madonna del
Bosco, di scuola senese. L’abside ospita un
interessante coro ligneo creato da artigiani
Sassaresi nel XVIII secolo.
Dopo oltre ottocento anni questo monumento dà ancora ampio lustro alla città che
lo considera, assieme alle altre meravigliose
opere d’arte di cui può far vanto, capolavoro irripetibile carico di storia e di fascino.
Luigi Zuddas
In suffragio dei Soci dell’Associazione e dei Colleghi del Banco di Sardegna
defunti, in data 20.11.2008 alle ore 18,30, presso il Santuario S. Pietro in Silki Sassari, verrà celebrata la Santa Messa.
Si raccomanda la partecipazione.
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L’ANGOLO DELLA FAMIGLIA
Il cuciniere
a cura di Raimondo Ginesu
e-mail: [email protected]
Gnocchetti sardi, gamberetti e zucchine
Dosi per 4 persone
500 grammi di gamberetti
300 grammi di gnocchetti sardi “mignon”
400 grammi di pomodori
500 grammi di zucchine
Olio extravergine di oliva,un pomodoro secco,
prezzemolo, basilico, due spicchi di aglio, un bicchierino di vino bianco e peperoncino rosso, a
piacere.
Procedimento: In una casseruola mettete l’olio , il
peperoncino, l’aglio, il pomodoro secco e il prezzemolo finemente tritati. Dopo due minuti a fuoco medio, inserite i gamberi “sbarbati”per benino, continuate a fuoco medio
alto e unite il vino bianco. Cucinare per non più di tre minuti, aggiungete i pomodori dopo averli privati dei semi e tagliati a dadini, mescolate e continuate la cottura per altri 6 minuti. Tagliate le zucchine a fette non molto sottili e passatele
nella piastra caldissima, per abbrustolirle leggermente, conditele con olio, prezzemolo, aglio e peperoncino. In un tegame
bollite in acqua abbondante, gli gnocchetti sardi, “cottura al dente”, uniteli nelle casseruola dei gamberi, dopo averli scolati, non troppo, inserite le zucchine tagliate a quadretti e il basilico spezzettato a mano e mescolate per altri due minuti, a fuoco alto.
ATTIVITA’ SPORTIVE
E-MAIL [email protected]
Un nutrito gruppo di dipendenti del Banco ci ha contattato per le creazione di un
settore sportivo, in seno alle Sezioni, cui affidare l’incarico di curare e gestire eventi sportivi nell’ambito della nostra isola ma anche altrove.
Abbiamo trovato piuttosto interessante la proposta per diverse ragioni, tra le quali
il poter iscrivere nuovi soci, avere una maggiore forza nei rapporti con gli Enti ed
effettuare attività, che potrebbero interessare, oltre gli attuali nostri soci in servizio,
anche un buon numero di pensionati.
Dobbiamo infatti cercare di offrire a tutti i nostri iscritti strumenti idonei ad incrementare il loro interesse e a stimolare lo spirito di appartenenza alla nostra Associazione.
Studieremo anche la possibilità di organizzare tornei di scacchi, dama, carte, bocce
ecc., prevedendo anche di poter assegnare dei premi ai vincitori.
Con l’occasione intendo altresì rivolgere un caloroso invito a tutti i nostri lettori
affinché possano dedicare qualche ora del loro tempo per aiutarci nel disbrigo dell’amministrazione, che in questo momento vede impegnato solo un dieci per cento
circa dei soci.
Invito anche a svolgere quanto necessario al fine di convincere i pensionati e i dipendenti ad iscriversi alla nostra Associazione, perché, come ben sapete, l’unione fa la forza e ci mette in condizioni di portare avanti con maggior determinazione il nostro compito.
Nel prossimo numero del giornale vi parleremo di ulteriori iniziative volte ad attirare la vostra attenzione e risvegliare l’interesse di quanti finora non lo hanno maturato.
Il Presidente
Associazione Amici del Banco
Sede Legale: Via Moleschott, 16 - Tel. e Fax 079 226564 - 07100 Sassari
RICHIESTA DI ISCRIZIONE ALL’ASSOCIAZIONE
Il sottoscritto ________________________________________________________________
nato a ______________________________________________ il ______________________
residente a __________________________ via ______________________________ n. ____
Tel. _____________________ Fax _____________________ Cell. _____________________
nella qualità di _______________________________________________________________
(Pensionato ovvero Dipendente del _________________ indicare l’Azienda di appartenenza)
chiede di essere iscritto all’Associazione Amici del Banco, ai sensi dell’art. 4 dello Statuto,
ed autorizza l’Associazione al trattamento dei dati personali per gli usi amministrativi necessari per il funzionamento dell’organizzazione.
Il sottoscritto, inoltre, precisa che:
r È disponibile ad offrire concreta collaborazione.
r Non è, all’attualità, disponibile ad offrire specifica collaborazione.
• Inoltre,
resto in attesa di ricevere dall’Associazione il modulo recante la disposizione permanente di addebito della
quota sociale annuale.
Cordiali saluti.
_________________________________
(firma leggibile)
Direttore responsabile: Mario Era
Redattore capo: Antonio Loi
Redazione
Sezione Sassari
Giuseppe Tito Sechi, Salvino Casu, Pietro Moirano,
Renzo Pisano, Giuseppe Santoni, Mario Vacca,
Giovanni Battista Cossu, Antonello Sanna
Raimondo Ginesu, Giuseppe Agostino Meridda
Sezione Cagliari-Oristano
Andrea Manunza, Dina Tuveri, Gigi Zuddas
Bruno Serreli
Sezione Nuoro
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