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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE
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Laboratorio di Storia Costituzionale “Antoine Barnave”
Dipartimento di Diritto Pubblico e Teoria del Governo
Corso di dottorato di ricerca in
“Storia e teoria delle Costituzioni moderne e contemporanee”
CICLO XXV
Istituzioni politiche e corso forzoso nell’Italia di Vittorio Emanuele II
La Commissione parlamentare d’inchiesta del 1868
TUTOR
DOTTORANDO
Chiar. mo Prof. Roberto MARTUCCI
Dott. Alfredo SENSALES
COORDINATORE
Chiar. mo Prof. Roberto MARTUCCI
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ANNO ACCADEMICO 2012
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Indice
Introduzione: il Regio decreto del 1° maggio 1866
Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso
I.1. Il realismo politico di Vittorio Emanuele II
I.1.1. La Convenzione di Settembre: il trasferimento della capitale a Firenze
I.1.2. La continuità con l'unificazione nazionale
I.1.3. La secessione della Associazione liberale Permanente
I.1.4. Il «Governo Monarchico rappresentativo»
I.1.5. Il rigore finanziario di Quintino Sella
I.1.6. I problemi concreti dei ceti imprenditoriali
I.2. I costi dell’unificazione amministrativa
I.2.1. La crescita della spesa pubblica
I.2.2. Due passi indietro: Urbano Rattazzi e il centralismo piemontese
I.2.3. Re, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, dopo la morte di Cavour
I.2.4. La burocrazia della Pubblica amministrazione
I.2.5. I nuovi Codici civili: autorità giuridica e libertà economica
I.3. Il corso forzoso e la «guerra per Venezia»
I.3.1. Le elezioni politiche del 1865
I.3.2. L’esercizio finanziario provvisorio nella IX legislatura
I.3.3. Un «atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale»
I.3.4. L'alleanza tra Prussia e Italia muta lo scenario europeo
I.3.5. Dal II governo La Marmora, al II governo Ricasoli
I.3.6. L’annessione del Veneto aggrava il deficit dello Stato italiano
4
I.4. Il Veneto in Italia
I.4.1. Tra decadenza e crescita
I.4.2. Filantropia e radicalità
I.4.3. La transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana
I.4.4. Esazione fiscale e autonomie locali
I.4.5. La requisizione dei beni ecclesiastici
I.4.6. Le elezioni politiche del 1866
I.4.7. I nuovi deputati «filo ministeriali»
I.4.8. La sconfitta di Bettino Ricasoli nelle elezioni politiche del 1867
I.4.9. La svolta conservatrice dei tre governi Menabrea, Cambray-Digny
Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito
II.1. L’inchiesta parlamentare sul brigantaggio nelle Province napoletane
II.1.1. Il rapporto del prefetto di Napoli, generale Alfonso Ferrero di La Marmora
II.1.2. Il presidente della Camera Sebastiano Tecchio
II.1.3. La nomina della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio
II.1.4. La relazione di Giuseppe Massari
II.1.5. La relazione di Stefano Castagnola
II.1.6. Le critiche del settimanale politico mazziniano «Il Dovere»
II.1.7. La repressione del «brigantaggio e dei camorristi nelle province infette»
II.1.8. I Tribunali militari di guerra
II.1.9. La fine del «grande brigantaggio»
II.2. Le Commissioni parlamentari d’inchiesta nel Regno Unito
II.2.1. La Monarchia costituzionale britannica
II.2.2. L’inchiesta parlamentare sul bilancio della Camera dei Comuni
II.2.3. Il corso forzoso della Bank of England contro Napoleone
II.2.4. Dal Reform Act al liberismo
II.2.5. Il governo parlamentare nel Regno Unito: governi di coalizione o trasformismo?
II.2.6. La recezione italiana del Parliamentary Practice di Thomas Erskine May
5
II.2.7. Il Regolamento della Camera dei Comuni
II.2.8. Le Commissioni parlamentari d’inchiesta in Italia
II.2.9. Sulle differenze tra governo del Re e governo del Parlamento
II.2.10. La Monarchia costituzionale del Regno Unito e la Monarchia statutaria italiana
II.2.11. Le facoltà ispettive del potere legislativo
Parte III. Inizia la regolazione del corso forzoso
III.1. La nomina e i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta
III.1.1. «... e il credito di una gran nazione fu salvo»
III.1.2. Menabrea, Cambray Digny e il disavanzo finanziario nel gennaio 1868
III.1.3. L’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, sulla necessità di abolire il corso forzoso
III.1.4. La presidenza Cordova: i questionari
III.1.5. La presidenza Cordova: le audizioni
III.1.6. La tassa sul macinato
III.1.7. La relazione Cordova
III.1.8. Settecento milioni in corso forzoso, ma sei milioni da una lira
III.1.9. Il monopolio dei tabacchi
III.1.10. La presidenza Lampertico
III.1.11. Il nuovo Regolamento della Camera dei deputati
III.2. La Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso
III.2.1. La Banca di Genova
III.2.2. La Banca Nazionale nel Regno di Sardegna
III.2.3. Gli Statuti della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna
III.2.4. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: lo sconto o anticipazione
III.2.5. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il deposito
III.2.6. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: la circolazione
III.2.7. Il corso forzoso e l’unificazione monetaria italiana
III.2.8. Il corso forzoso e l’Unione monetaria latina
III.2.9. Le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno d'Italia
6
III.2.10. I compiti del ministro delle Finanze
III.2.11. Instabilità monetaria, scomparsa dei contanti e rarefazione dei commerci
III.2.12. Violazioni e anomalie legate al corso forzoso
III.2.13. Ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato
III.2.14. «... prevalse il partito dell'adozione dell’Ordine del giorno ...»
Conclusioni: un accentramento privo del necessario consenso
Bibliografia
Fonti
Riferimenti
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Introduzione: il Regio decreto del 1° maggio 1866
Il 1° maggio 1866, il Regio decreto1 n. 2873 dispone che la Banca Nazionale nel Regno
d'Italia2 conceda al Tesoro dello Stato, un mutuo di duecentocinquanta milioni di lire, con
un interesse semestrale dell'1,5%.3 In cambio di quel mutuo, il «Governo del Re» autorizza
la stessa Banca Nazionale a emettere banconote inconvertibili, per integrare la circolazione
delle monete metalliche e ripristinare l'equilibrio che la crisi finanziaria ha incrinato tra le
riserve di metalli preziosi e gli scambi interni di beni eccedenti e scarsi.4
Nel corso della I sessione della IX legislatura, il «Governo del Re» concede dunque il
monopolio del corso forzoso alla Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il nuovo nome che
1
Sui Regi decreti come «forma specifica in cui si manifestano le volontà costituzionali
della Corona», confronta Francesco Racioppi e Ignazio Brunelli, Commento allo Statuto
del Regno, vol. I, 1901-1909, p. 338; Paolo Colombo, Il re d’Italia Prerogative
costituzionali e potere politico della Corona (1848-1922), Parte III - Funzioni e potere
della Corona, 6. Il potere esecutivo: i decreti regi e la nomina alle cariche, 1999, p. 289.
Per Colombo: «Tramite decreto, il re nomina tutte le cariche dello Stato, concede la grazia,
commuta le pene e partecipa al potere legislativo (sanzionando e promulgando le leggi,
convocando le due Camere e prorogandone le sessioni), ratifica i trattati internazionali,
dichiara la guerra, esercita i diritti a lui spettanti in materia ecclesiastica e di autorizzazione
diplomatica. In pratica, esercita tutte le proprie prerogative».
2
Soltanto il 10 agosto 1893, la fusione tra Banca Nazionale, Banca Nazionale Toscana e
Banca Toscana di credito, dà vita alla Banca d'Italia.
3
V. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1° maggio 1866.
4
Su moneta e credito, vedi Antonio Genovesi (1713/1769), Lezioni di commercio ossia
di economia civile, 1765-1767, due tomi, ed. 1803, Parte prima, cap. XX. Regole generali
del commercio esterno, § X; Joseph A. J. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954,
ed. 1990, pp. 214-215, nota 11. La «economica utilitaria del benessere» di Genovesi, che
pure difetta spesso di rigore e, con maggiore autorevolezza, la precedente elaborazione
filosofica di Giambattista Vico (1668/1744), documentano il livello di civiltà del Regno
delle Due Sicilie, durante i governi di Ferdinando I di Borbone (1751/1825).
8
un insieme di soggetti economici, liguri, piemontesi e sardi, uniti da comuni interessi,
avevano imposto nel 1861 alla Banca Nazionale negli Stati sardi, nata a sua volta nel 1849
dalla Banca di Genova e dalla Banca di Torino.
Così, nell'Italia unita, che ha trasferito la capitale da Torino a Firenze, ma è priva di
Venezia e del Veneto austriaci e di Roma e delle Province pontificie, Vittorio Emanuele II5
inizia a sperimentare la politica monetaria già applicata da Carlo Alberto nel Regno di
Sardegna. Nel 1866, tuttavia, il valore convenzionale delle banconote inconvertibili, come
la loro quantità, rimane affidato alle oscillazioni del mercato; in base a un indirizzo
liberista. Sino al 10 marzo 1868, quando la Camera dei deputati nomina la Commissione
parlamentare d'inchiesta che conclude i suoi lavori il 28 novembre 1868.
D'altra parte, Vittorio Emanuele II promulga il Regio decreto sul corso forzoso, il giorno
dopo che la Camera dei deputati6 ha approvato a scrutinio segreto7, con un solo voto
5
Su Vittorio Emanuele II (1820/1878, re di Sardegna dal 1849 e re d’Italia dal 1861),
figlio di Carlo Alberto (1798/1849, re di Sardegna dal 1831) e di Maria Teresa degli
Absburgo Lorena di Toscana (1801/1855), vedi Roberto Martucci, L'invenzione dell'Italia
unita, 1999, ad indicem; Id., Storia costituzionale italiana Dallo Statuto Albertino alla
Repubblica 1848-2001, 2002, ad indicem. Cfr. Fulvio Cammarano, Storia dell'Italia
liberale, 2011; Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, 1942, ed. 1986; Denis Mack
Smith, Vittorio Emanuele II, 1972; Aldo A. Mola, Storia della monarchia in Italia, 2002.
6
Nella IX Legislatura del Regno d'Italia, che era cominciata il 18 novembre 1865, la
Camera dei deputati era composta da duecentocinquanta deputati della Destra e centoventi
della Sinistra, su quattrocentoquarantatré eletti, cfr. Maria Serena Piretti, Le elezioni
politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 3-53 e 419 e 420, app. I, tab. 1.
7
Questo l'art. 63 dello Statuto: «Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione
e per isquittinio segreto. Quest'ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del
complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale ». Su Antonio Scialoja
(1817/1877), autore nel 1857 di Note e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e Stati
Sardi e ministro delle Finanze nel II governo La Marmora, compara l'agiografia di Carlo
De Cesare, La vita, i tempi e le opere di Antonio Scialoja, 1879, al recente saggio critico di
9
contrario, la Legge proposta da Antonio Scialoja ministro delle Finanze del governo La
Marmora8. Secondo l'articolo 5 dello Statuto, che subordina la promulgazione dei Regi
decreti in materia finanziaria, alla precedente approvazione delle Camere; rimarcando
anche in questo modo le differenze con la monarchia assoluta. 9 Il «Governo del Re» ha così
ottenuto l'incarico
di ordinare le spese necessarie alla difesa dello Stato, e di provvedere con mezzi
straordinari ai bisogni del Tesoro.10
Gabriella Gioli e Antonio Magliulo, La manualistica di Antonio Scialoja, in L’economia
divulgata (1840-1922). Stili e percorsi italiani, a cura di M.M. Augello e M.E.L. Guidi,
volumi 3, I volume, Manuali e trattati, 2007, pp. 1-32.
Alfonso Ferrero di La Marmora (1804/1878) è presidente del Consiglio nel Regno di
8
Sardegna, durante la VII legislatura, dal 19 luglio 1859, al 21 gennaio 1860, e nel Regno
d'Italia, durante l'VIII e la IX legislatura, dal 28 settembre 1864, al 19 dicembre 1865, e dal
31 dicembre 1865, al 20 giugno 1866. Vedi Maurizio Cassetti, Le carte di Alfonso Ferrero
della Marmora. Spunti per una biografia e un epistolario, 1979; Giuseppe Monsagrati,
Alfonso Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, 1991, pp. 9-59.
9
Questo l'articolo cinque dello Statuto concesso da Carlo Alberto, «per grazia di Dio re
di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme ecc. con lealtà di Re e con affetto di padre», il 4
marzo 1848: «Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo supremo dello Stato;
comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d'alleanza,
di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello
Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un
onere alle finanze, o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere».
10
Vedi Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1° maggio 1866; cfr. Giuseppe
Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, vol. 6, Storia del
Parlamento italiano, 1969, p. 107; Gianni Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La
politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 183.
10
Il Parlamento tenta così di ovviare alla grave crisi finanziaria del nuovo Stato unitario;
acuita, nel marzo 1866, dal crollo dei titoli della rendita pubblica sulle piazze di Londra e
Parigi, dall'indebolimento della lira italiana e dal timore di una subitanea sospensione della
convertibilità. Come documentato da La costruzione dello Stato unitario di Giorgio
Candeloro e dalla Storia parlamentare del giornalista fiorentino Edoardo Arbib. Che
comincio a ripercorrere, riflettendo sugli innovativi libri di Astuto, Colombo e Martucci,
sulle biografie di alcuni protagonisti dei primi anni della storia dell'Italia unita e sulla
relativa storiografia; per poi esaminare gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta
sul corso forzoso. Nella consapevolezza che nel 1866, a Genova e a Torino, la crisi
finanziaria assume le forme drammatiche della ressa di clienti che chiede alle agenzie della
Banca Nazionale di cambiare banconote in moneta metallica, costringendo la forza
pubblica a intervenire, per prevenire disordini. Mentre con la Legge Scialoja del 30 aprile,
proposta proprio per bloccare la speculazione, approvata dalla Camera con un solo voto
contrario e subito tramutata nel Regio decreto del 1° maggio, il «Governo Monarchico
rappresentativo» si attiene all'impostazione moderata dello Statuto octroyé. Esplicitata, sin
dal rifiuto del termine Costituzione, considerato troppo evocativo delle esperienze
rivoluzionarie inglese, americana e francese.
È tuttavia evidente che il Regio decreto sul corso forzoso centralizza la circolazione
monetaria. Una forzatura temperata soltanto in parte dal successivo Regio decreto del 3
maggio 1868, che autorizza il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale
Toscana, e la Banca Toscana di credito per l'industria e pel commercio d'Italia, a emettere,
secondo i loro Statuti, fedi di credito, polizze e banconote rimborsabili in danaro o in
banconote della Banca nazionale.
Ciò nonostante, o, forse, proprio per questo, alla fine del 1866, il deficit pubblico
11
italiano raggiunge i settecentoventuno milioni di lire. Questa ragguardevole cifra è pari alla
differenza tra i costi delle iniziative diplomatiche, delle campagne militari e
dell'unificazione amministrativa, e i ricavi del prelievo fiscale; un deficit che il conte di
Cavour e Vittorio Emanuele II avevano accumulato per finanziare in forme dirette o
indirette la Società Nazionale di La Farina e i Mille di Garibaldi. Surrogando, in un arco di
tempo limitatissimo, l'ampliamento delle libertà e delle istituzioni politiche necessario a
unificare il Paese.11
Questa dinamica politico finanziaria – che la crisi economica internazionale enfatizza
oltre misura – si sviluppa a partire dai seguenti elementi istituzionali e amministrativi: a) il
potere temporale del papa a Roma; b) la debolezza dell'esecutivo 12; c) l'unificazione
amministrativa; d) i nuovi Codici civili; e) l'alleanza tra Prussia e Italia; f) i legami
dell'Italia con la Francia; g) il governo austriaco nel Veneto; h) le elezioni politiche; i) la
stagnazione economica; l) il deficit pubblico. Fattori che, dopo la morte di Cavour, sono
unificati dall'alleanza tra la Destra e il partito di Corte: l'entourage di familiari e famigli,
sodali e collaboratori, dalle difformi e non sempre eccelse capacità personali, con cui
Vittorio Emanuele II «regna e governa». Pone cioè riparo alla propria volubilità, supplisce
alla debolezza programmatica e organizzativa dell'esecutivo, impone la propria volontà
11
Su Camillo Benso conte di Cavour (1810/1861), vedi Carteggio Cavour-Nigra, La
liberazione del Mezzogiorno, vol. III, ottobre-novembre 1860, 1961; cfr. Ruggiero Bonghi,
Camillo Benso di Cavour, 1860; Mack Smith, Cavour e Garibaldi nel 1860, 1954, ed.
1972; Ettore Passerin d’Entrèves, Cavour, Camillo Benso conte di, Dizionario biografico
degli italiani, vol. XXIII, 1979, pp. 120-138; Rosario Romeo, Cavour, Camillo Benso
conte di, Grande dizionario enciclopedico, vol. IV, 1967, pp. 340-347; Id., Cavour e il suo
tempo, 3 volumi in 4 tomi, 1977-1984; Id., Vita di Cavour, 1984, ed. 1999.
12
Vedi Roberto Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, 4.1. La crisi di governo,
una costante del primo sessantennio unitario, pp. 106-115.
12
politica al potere legislativo, condiziona il potere giudiziario e orienta l'opinione pubblica. 13
Costringendo di volta in volta, l'opposizione della Sinistra, nelle sue varie, composite
articolazioni, entro l'alveo della dialettica statutaria tra legislativo, esecutivo e giudiziario.
È vero infatti che Cavour aveva rafforzato la presidenza del Consiglio, confrontandosi
con le esperienze parlamentari francese e inglese, per mettere il Consiglio dei ministri al
servizio di «una concezione della lotta politica più umana e più rispettosa dei diritti
irrinunciabili dell'individuo, una visione gradualistica e moderata del progresso civile, e
una fiducia nella capacità di rinnovamento delle istituzioni liberali». 14 Ma, dopo la sua
morte, Vittorio Emanuele II aveva ridimensionato proprio la presidenza del Consiglio che,
del resto, non è neanche menzionata dallo Statuto. Rafforzando poi i legami tra i Savoia e
Napoleone III, con la Convenzione di Settembre. Stipulata a Parigi, auspice il presidente
del Consiglio, Minghetti15, per ricondurre la Questione romana, alla politica interna del
nuovo Stato italiano. Discostandosi perciò, anche se soltanto in parte, dal progetto
originario dello stesso Cavour. La Destra aveva quindi subito la scissione della Permanente
piemontese, contrappostasi alla Consorteria, ma aveva rinsaldato i vincoli con il partito di
13
Sul partito di Corte, formato tra gli altri da Cambray Digny, La Marmora, Menabrea,
Rattazzi e Scialoja, vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 422 e 429; cfr.
Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, pp. 4 e 5.
14
Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, capitolo III. Francia e Inghilterra
rivoluzione e società industriale, p. 59.
15
Secondo il leader della Destra Marco Minghetti (1818/1886), presidente del Consiglio
dal 24 marzo 1863, al 23 settembre 1864, e dal 10 luglio 1873, al 18 marzo 1876, «nei reggimenti liberi al mutarsi dell'opinione generale della nazione, segue un alternarsi dei partiti
al governo», ma il partito è «un'accolita di uomini aventi voce nella cosa pubblica i quali
concordano nelle massime fondamentali circa il modo di governare, e cooperano tutti insieme affinché siffatto modo e non altro si tenga», Raffaella Gherardi, a cura di, Marco
Minghetti. Scritti politici, 1986, p. 633; Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 14.
13
Corte e rafforzato la propria presenza al governo, con Quintino Sella16. Succeduto, quale
ministro delle Finanze nel I governo di Urbano Rattazzi, al banchiere Pietro Bastogi17, che
aveva iniziato ad adeguare le strutture amministrative e militari dello Stato,
ridimensionando le spese dei dicasteri sociali, incentivando la fiscalità indiretta e
negoziando i titoli pubblici.
Sostituito alle Finanze da Minghetti, sin dal governo Farini18, Sella gli era a sua volta
subentrato il 28 settembre 1864, nel I governo La Marmora; dando vita al dualismo che
caratterizza gli anni della Destra al governo. Fondati sul rigore finanziario e sul
risanamento del bilancio dello Stato, a spese dei ceti meno abbienti.
16
L'ingegnere Quintino Sella (1827/1884), nato a Mosso Santa Maria, ma formatosi a
Torino, Parigi, in Inghilterra e in Germania, è una delle personalità chiave dei governi della
Destra. Per Sella, a differenza di Cavour, la compressione dei consumi popolari è da
anteporre al pareggio di bilancio e al liberismo, cfr. Giampiero Carocci, Storia d'Italia
dall'Unità ad oggi, 1975, ed. 19933, p. 40. Secondo Carocci, tuttavia, negli anni successivi
all'introduzione del corso forzoso, l'uomo politico piemontese «mirò in particolare a
promuovere lo sviluppo dell'industria, che era in ripresa dopo la crisi del 1866».
17
Dopo le giovanili simpatie mazziniane, nel 1861 il livornese Pietro Bastogi
(1808/1899) aveva aderito al programma di Cavour e si era legato alla Casa reale, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 493. Cfr. Bastogi, Della carta moneta e dei suoi
effetti in Toscana, 1849.
18
Luigi C. Farini (1812/1866) – nipote del patriota Domenico A. Farini (1777/1834), as-
sassinato dai sanfedisti a Russi – si laurea in medicina a Bologna, partecipa ai moti del
1831 e, nel 1845, contribuisce a redigere il manifesto di Rimini; cfr. Farini, Manifesto delle
popolazioni dello Stato romano ai principi ed ai popoli d'Europa, 1845. Con quella vera e
propria carta d'intenti, un gruppo di cattolici liberali si rivolge al pontefice, riconoscendone
l'autorità, ma gli chiede radicali riforme, quali «la secolarizzazione dell'amministrazione,
l'introduzione della giuria e della pubblicità dei dibattiti nel processo penale, l'elettività dei
Consigli comunali, l'abolizione della censura preventiva [e] l'istituzione di un organo di
rappresentanza politica centrale», vedi la voce di Nicola Raponi, per il Dizionario biografico degli italiani, 1995, vol. XLV, p. 36.
14
Caduto, dopo la strage di Torino, il I governo Minghetti, Sella era stato poi sostituito nei
governi La Marmora e Ricasoli, da Scialoja e dal leader della Sinistra Agostino Depretis 19 e
nel governo Rattazzi, dal palermitano Francesco Ferrara: esule quest'ultimo sin dal 1848, a
Torino, dove aveva polemizzato con Cavour. Passando dal centrodestra al centrosinistra e
attirandosi perciò le critiche di opportunismo e di trasformismo. 20 Sino all'unificazione
nazionale, quando Cavour ne aveva criticato, come contrarie «alla coscienza nazionale», le
proposte autonomistiche, riferite alla Sicilia. E ai tre governi di Luigi F. Menabrea, il
generale sabaudo che già il 4 febbraio 1852 aveva criticato da destra, in un discorso alla
Camera dei deputati, l'alleanza tra Rattazzi e Cavour. Dichiarando
che davanti al silenzio […] intorno ai continui oltraggi della stampa all'autorità e
alla religione era stato tentato di respingere la legge [sulla libertà di stampa], e […] si
era deciso a votarla solo in mancanza di alternative migliori. 21
19
Agostino Depretis (1813/1887), di Mezzana Corti, in provincia di Pavia, seguace di
Giuseppe Mazzini (1805/1872) fino al 1853, poi nell'orbita di Rattazzi, ma contrario alla
guerra di Crimea, è governatore a Brescia, nel 1859, prodittatore a Palermo, nel 1860, ministro della Marina, nel 1866, e otto volte presidente del Consiglio, dal 1876, al 1887, vedi
Giampiero Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887,
1956; cfr. le voci di Guido Quazza, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. VI, 1968,
p. 183, e di Raffaele Romanelli, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX,
1991, p. 71.
20
Sul palermitano Francesco Ferrara (1819/1900), vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984,
ed. 1999, p. 499. Dal 1862, consulente di Sella, F. Ferrara «fu soprattutto uno studioso e un
maestro. Ma fu anche un uomo politico che partecipò alla creazione dell'unità d'Italia e al
lavoro di organizzazione del nuovo stato nazionale», vedi Joseph A. J. Schumpeter, Storia
dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 620; Riccardo Faucci, L’economista scomodo
Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995.
21
Su Luigi Federico Menabrea (1809/1896), nato a Chambery da famiglia borghese,
15
Non a caso, nel 1867 e sino al 1869, il ministro delle Finanze dei governi Menabrea è il
conte Cambray Digny22, uomo di raccordo tra la Consorteria toscana e il partito di Corte.
Al quale fa seguito ancora Sella che, con il presidente del Consiglio Lanza 23, concretizza la
politica economica delineata in forma compiuta sin dal discorso del 14 marzo 1865. Svolto
alla Camera dei deputati, in occasione della presentazione dell'esercizio finanziario
così Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 214. Dopo la II guerra di Lombardia,
Menabrea è nominato senatore del Regno di Sardegna, approva la cessione di Nizza e della
Savoia alla Francia, sceglie la nazionalità italiana, è ministro della Marina negli ultimi mesi
del governo Cavour e nel I governo Ricasoli e, nel 1862, è ministro dei Lavori pubblici nei
governi Farini e Minghetti. Cfr. Luigi Federico Menabrea, Memorie, introduzione e a cura
di Letterio Briguglio e Luigi Bulferetti, 1971.
22
Luigi Guglielmo Cambray Digny (1820/1906), nato a Firenze da famiglia oriunda
francese, si forma a Parigi con il matematico e bibliofilo Guglielmo Libri (1803/1869), torna nella città natale durante il biennio 1848-1849 e si schiera al fianco di Ricasoli nelle file
del partito moderato in Toscana, contro il radicalismo democratico di Francesco Domenico
Guerrazzi (1840/1873). Richiamato all'impegno politico dallo stesso Ricasoli, che lo invia
a Torino, per sostenere l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna, Cambray Digny è
nominato senatore nel 1860 ed è ministro delle Finanze nei tre governi Menabrea, dal 27
ottobre 1867, al 19 novembre 1869. Cfr. Luigi Guglielmo Cambray-Digny e Leopoldo Galeotti, Carteggio 1818-1882, 2005.
23
Giovanni Lanza (1810/1882), nato a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria,
si laurea due volte a Torino, in filosofia e in chirurgia, amministra un podere a Roncaglia,
presiede l'Associazione agraria piemontese e, dal 1848, è deputato. Compiuta la scelta di
campo liberale e schieratosi con il Centro-sinistro, durante il Connubio, Lanza esplicita,
come Rattazzi, «una concezione giacobineggiante dello Stato, in cui vedeva il principale
strumento per la riforma e l'ammodernamento della società civile», ed è ministro della Pubblica istruzione, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 363. Ministro delle Finanze nel 1858 e presidente della Camera nel 1860, Lanza, dopo l'unità d'Italia e la morte di
Cavour, aderisce alla Permanente ed è ministro degli Interni, con La Marmora; sino al 25
agosto 1865, quando si dimette, dopo essersi opposto all'imposta sul macinato. Cfr. Gio-
16
provvisorio. Incentrato sulla limitazione della spesa pubblica e sulla compressione dei
consumi dei lavoratori, attuate per trarre il Paese fuori dalla grave condizione di
indebitamento in cui versava.
D'altra parte, la necessità di risanare le finanze dello Stato era condivisa, ma con una
ben diversa impostazione, attenta alla giustizia sociale, piuttosto che all'esclusiva tutela
della proprietà privata, dalla Sinistra parlamentare, divisa e litigiosa e, soprattutto, da un
nuovo giornale economico, Il Sole. Finanziato tra gli altri dall'imprenditore milanese
Ercole Lualdi, eletto deputato nelle file della Sinistra e nominato in seguito nella
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, come Federico Seismit Doda, Il
Sole proponeva, infatti, che il «Governo del Re» concedesse la facoltà di mettere in
circolazione banconote a una pluralità di banche, controllate e garantite dal deposito
consolidato presso lo Stato. Per poi liberalizzare le coltivazioni e le manifatture di tabacco,
con l'immediata cessazione del monopolio, abolire le dogane e il dazio delle città e
costruire dock e magazzini generali.24 Obiettivi assai differenti dalla politica monetaria e
finanziaria di Sella e della Destra, che imponeva, insieme al corso forzoso, le imposte
fondiaria, di ricchezza mobile e sul macinato, il finanziamento delle ferrovie e la
liquidazione della proprietà ecclesiastica.
Nell'ambito di queste Leggi, figlie di rapporti di forza molto favorevoli alla Destra, il
vanni Lanza e Cesare Maria De Vecchi, Le carte di Giovanni Lanza, 1936-1942.
24
La redazione di Il Sole esplicita, nell'editoriale del 27 agosto 1865, la sua convinzione
che lo sviluppo sociale è conseguenza dello sviluppo economico. La testata è
accompagnata dal «vecchio proverbio francese: Le soleil luit pour tout le monde, per
indicare che nella moderna società vi sono vantaggi ai quali tutti gli individui hanno il
diritto di partecipare»: emblema dell'impostazione borghese, liberale e innovatrice, del
nuovo quotidiano, che aveva iniziato le sue pubblicazioni il 1° agosto 1865. Cfr. Piero
Bairati e Salvatore Carrubba, La trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: «Il
Sole» e «24 Ore», 1990.
17
Regio decreto sul corso forzoso era stato preceduto e vincolato dal voto legislativo, in base
all'articolo 5 dello Statuto. Mentre, la scelta di utilizzare una politica monetaria già di per
sé controversa, senza specificare il limite di emissione della carta moneta, comportava la
sospensione di una delle garanzie legislative che regolano la vita di ogni comunità
nazionale: il rapporto tra riserva metallica e banconote. Con la conseguenza che, senza la
convertibilità, la decisione di incrementare il circolante monetario, andando oltre i limiti
naturali delle reali attività produttive del Paese, faceva lievitare il livello generale dei
prezzi, erodeva il potere d'acquisto della lira italiana e accresceva le quotazioni delle merci
estere. Infine, ma non per questo meno importante, la decisione di concedere l'iniziale
monopolio del corso forzoso alla Banca Nazionale, a danno degli altri istituti bancari,
favoriva
il
progressivo
assoggettamento
dell'economia,
della
finanza
e
dell'amministrazione meridionali, agli interessi sardo piemontesi. 25
In Italia, la crisi finanziaria internazionale era stata del resto acuita dai costi dell’unifica zione amministrativa, accresciuti dalla necessità di centralizzare i poteri locali, accentrare
le rappresentanze politiche a Firenze, in attesa del definitivo trasferimento a Roma, organizzare gli Uffici parlamentari e approvare i nuovi Codici dello Stato unitario. Con risultati
assai modesti, in termini di efficienza o, se si preferisce, di rapporto tra costi e benefici, so-
25
La divulgazione dell'ideologia liberale sottesa al rafforzamento della Banca Nazionale
è ben semplificata da queste frasi che traggo dall'agiografia di Carlo De Cesare, La vita, i
tempi e le opere di Antonio Scialoja, 1879, p. 282-283: «[...] il popolo sardo, quantunque
oppresso da eccezionali distrette economiche che scrollano il credito e sconcertano la
produzione e la circolazione della ricchezza [accetta] di pagare 26 lire a testa di tasse,
perché sa che queste si volgono in suo benefizio; [...] mentre il popolo napolitano paga 21
lire a testa di tasse, ma non ha gli eguali corrispettivi, ed è oppresso dal più duro
dispotismo». De Cesare fa a sua volta riferimento al libro di Antonio Scialoja, Note e
confronti dei bilanci del Regno di Napoli e Stati Sardi, 1857.
18
prattutto per i limiti della burocrazia, dalla cui inadeguatezza dipende poi, in ultima istanza, la mancata distribuzione della liquidazione della proprietà ecclesiastica.
Né il corso forzoso, in quanto tale, è sufficiente a finanziare la «guerra per Venezia»,
con la quale la monarchia statutaria italiana sviluppa la sua politica estera, alleandosi con
la Prussia di Bismarck, smarcandosi dalla Francia di Napoleone III e avvantaggiandosi del
tramonto della supremazia austriaca, ma al prezzo di un'ulteriore crescita degli apparati militari. Mentre in politica interna, Vittorio Emanuele II, che sviluppa l'impostazione di Cavour, ottiene l'annessione di Mantova, di Venezia e della province venete e valorizza il moderatismo dei cattolici liberali, per arginare i garibaldini e sconfiggere i mazziniani; precondizione della successiva annessione di Roma e delle province romane. Da qui, il finanziamento delle autonomie locali, che il II governo Ricasoli26, con il napoletano Scialoja alle
Finanze, realizza in forme meno centralistiche di quelle imposte nel 1859 da Rattazzi alla
Lombardia, ma con un conseguente aggravio del prelievo fiscale. Dopo avere demandato
tra gli altri a Sella, Fedele Lampertico e Angelo Messedaglia, la transizione dall'ammini-
26
Per un breve inquadramento di Bettino Ricasoli (1809/1880), uomo forte del governo
provvisorio toscano, che, dopo l'espulsione del granduca Leopoldo I, Cavour aveva definito, con un giudizio legato alla durissima lotta politica in corso in quegli anni, un avventurista e un pressapochista, un Giuseppe Garibaldi (1807/1882) civile, privo di “senso delle
proporzioni”, «cioè un improvvisatore incontrollabile con tendenze antiparlamentari e una
fiducia immotivata nel ruolo catartico del re», vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita,
1999, pp. 103 e 134; Id., Storia costituzionale italiana Dallo Statuto Albertino alla Repubblica 1848-2001, 2002, p. 64. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 418. In seguito, nominato successore di Cavour, Ricasoli «diede le dimissioni dalla carica dopo meno di
otto mesi, a quanto pare perché si sentiva esautorato dalla tendenza del re a condurre una
sua personale diplomazia», vedi Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, p. 235.
19
strazione austriaca, all'amministrazione italiana, nelle province del Veneto e di Mantova.
Documentata dal pionieristico lavoro di Claudio Pavone.
I nuovi deputati «filo ministeriali» rafforzano così Ricasoli. Sino alle elezioni politiche
nazionali del marzo 1867, al fallimento del tentativo di Ricasoli di costituire il suo III governo e al II governo Rattazzi27, che nomina F. Ferrara alle Finanze, ma ben presto ne assume l'interim. Seguono, sempre nel corso della X legislatura, la caduta del II governo Rattazzi, la definitiva sconfitta di Garibaldi a Mentana e i tre governi Menabrea-Cambray Digny, il secondo dei quali informa la Camera dei deputati, il 20 gennaio 1868, che il disavanzo corrente dello Stato è passato dai 168 milioni di lire del 1866, ai 224 milioni del
1867.28 Preannunciando per la fine dell'anno un ulteriore aggravio di circa 240 milioni e riproponendo perciò alcune delle misure di risanamento fiscale già prospettate dai governi
Rattazzi-Sella e La Marmora-Sella.
Da qui la necessità di approfondire le modalità con cui il potere legislativo articola, sul
modello della House of Commons, le proprie facoltà ispettive, sperimentate per la prima
volta, nel 1863, con l'inchiesta sul brigantaggio. Proposta dal presidente della Camera, Se27
Urbano Rattazzi (1808/1873), uno degli uomini chiave del partito di corte, leader del
centro-sinistro, sin dal Connubio, è coinvolto nei disastri d'Aspromonte e di Mentana, ma
rende «un notevole servizio allo Stato educando la Sinistra alla teoria e alla pratica del governo costituzionale», vedi Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 137. Le differenze tra il
liberalismo moderato, anglofilo, di Cavour, e il liberalismo giacobino di Rattazzi, venato di
intransigente anticlericalismo, emergono proprio durante il Connubio, cfr. queste impegnative frasi di Cavour: «Se il mio onore e l'interesse delle idee liberali non si trovassero impegnati nella lotta, io abbandonerei di tutto cuore il campo di battaglia. Ma sarebbe una viltà,
e preferisco soccombere piuttosto che rendermene colpevole», cit. in Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 262.
28
Nella Camera dei deputati della X legislatura, cominciata il 22 marzo 1867, il numero
degli eletti della Destra risale da 250 a 279, ma il numero degli eletti della Sinistra
continua a crescere, da 120 a 181.
20
bastiano Tecchio, dopo il rapporto dell'allora prefetto di Napoli, La Marmora. Iniziata con
la nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta e del suo presidente Giuseppe Sirto ri, della Sinistra. E proseguita con il viaggio nelle principali città meridionali, sino alle relazioni conclusive di Giuseppe Massari, della Destra, e di Stefano Castagnola, della Sinistra. Alle quali avevano fatto seguito: la critica dell'opinione pubblica, orientata dal settimanale politico mazziniano «Il Dovere», la repressione del «brigantaggio e dei camorristi
nelle province infette», i Tribunali militari di guerra e la fine del «grande brigantaggio».
Proprio quella prima inchiesta parlamentare, promossa per ripristinare la legalità nel
meridione del Paese, ma seguita da patenti violazioni dello Statuto, accresce l'influenza del
modello costituzionale inglese, sul potere legislativo italiano. Che emerge attraverso l'analisi testuale del saggio Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, nel quale Giuseppe Devincenzi recepisce e divulga tra le élite italiane, A
Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, di Erskine May.
Ripercorrendo la storia del «Governo parlamentare inglese», dall'inchiesta sul bilancio
della Camera dei Comuni nel 1786, al corso forzoso e al blocco commerciale contro Napoleone, al Reform Act, all'Income Tax e alle Commissioni parlamentari del Regno Unito.
Sviluppata, attraverso l'esame del saggio di Devincenzi, la comparazione tra le Commissioni parlamentari d’inchiesta nel Regno Unito e nel Regno d'Italia, analizzo quindi le modalità con cui la Camera dei deputati inizia a regolare il corso forzoso. A partire dal 10
marzo 1868, quando vota all'unanimità l'ordine del giorno dei deputati Tommaso Corsi e
Alessandro Rossi che, stante la gravità del disavanzo finanziario, sollecitano misure legislative capaci di riequilibrare il bilancio dello Stato. Nominando la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso, composta da Cordova29, subito eletto presiden29
Filippo Cordova (1811/1868) era originario di Aidone, il Comune che è oggi in
provincia di Enna, ma che nel 1868 era in provincia di Caltanissetta.
21
te, Lampertico, Messedaglia, lo stesso A. Rossi e Sella 30, per la Destra, e da Lualdi e Federico Seismit-Doda, per la Sinistra; coadiuvati dal cav. Giuseppe Fiorio, che svolge funzioni
di segretario.31
La Commissione ha il mandato di concludere i propri lavori entro il 15 aprile, una
scadenza che appare da subito irrealistica. Tanto più dopo che Cordova dispone l'invio di
sette differenti questionari ai principali Istituti italiani di credito e ad alcuni interlocutori
istituzionali, in primis le Camere di Commercio. Dando nel contempo inizio al viaggio
nelle principali città italiane e alle audizioni di importanti personalità.
D'altra parte, i lavori della Commissione s'intrecciano all'attività legislativa della
Camera dei deputati, tutt'altro che frenetica, ma chiamata dal secondo esecutivo MenabreaCambray Digny, a ripercorrere e concretizzare la trama finanziaria ordita da Sella; mentre
il potere giudiziario continua a fare diretto riferimento a Vittorio Emanuele II, come da
Statuto. In quegli stessi mesi del 1868, la Camera dei deputati approva così l'imposta ad
ampia base imponibile sul macinato, che equivale tuttavia a dieci delle giornate lavorative
dei contadini poveri, su una media annua di duecento; il che la rende odiosa.32
30
Mosso Santa Maria, il Comune dove è nato Sella, è oggi in provincia di Biella, come
prima del Regio Decreto n. 3702 del 23 ottobre 1859, che lo aveva incluso nella provincia
di Novara.
31
Vedi Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso
forzoso, 3 voll., vol. I Relazione a stampa, vol. II Documenti, vol. III Deposizioni, 1868. Il
cav. Fiorio era dirigente della prima divisione delle Finanze, presso la Corte dei Conti,
massimo organo collegiale di controllo dell'amministrazione dello Stato, istituita il 14
agosto 1862, con la legge numero 800, che aveva unificato le Corti preunitarie di Torino, di
Firenze e di Napoli e Palermo.
32
L'imposta sul macinato – approvata dalla Camera il 21 maggio, con 219 voti a 152, e
dal Senato il 27 giugno 1868, con 101 voti a 11, durante il I governo Menabrea-Cambray
Digny – entra in vigore il 3 gennaio 1869, suscita ripetute e violente proteste di popolo,
indirizzate contro gli esattori e represse con durezza dalla polizia, specie in Emilia, in
22
Appena trascorse alcune settimane, il 25 luglio 1868, Cordova, polemizzando con
Cambray Digny, propone la Legge che regola la circolazione delle banconote e incentiva il
piccolo commercio, ma dopo pochi giorni è messo fuori gioco da un infarto. La Camera
dei deputati approva allora la Legge che concede la privativa della Regìa cointeressata dei
tabacchi a un monopolio di banchieri e uomini d’affari italiani e stranieri, in cambio di un
anticipo di centottanta milioni e di un canone fisso pari al 40% degli utili, introducendo
ulteriori elementi speculativi nell'economia finanziaria del Paese. 33
Poi, finita la pausa estiva e ottenuta dalla Camera dei deputati l'approvazione della
Legge Cordova, che limita per la prima volta il corso forzoso, la Commissione
parlamentare d’inchiesta nomina presidente Lampertico e, dopo la morte di Cordova e
soprattutto dopo che la Camera dei deputati ha approvato il nuovo Regolamento
provvisorio, vota a maggioranza le Conclusioni di Lampertico, concludendo i suoi lavori e
pubblicando i tre volumi della Relazione finale, il 28 novembre 1868. . Che permettono di
verificare se e come, dal 1° maggio 1866, Vittorio Emanuele II e i governi La Marmora Scialoja, Ricasoli - Scialoja, Ricasoli - Depretis, Rattazzi - Ferrara e Menabrea - Cambray
Digny, abbiano usato il corso forzoso per condizionare le istituzioni politiche
e la
formazione del sistema bancario.
Romagna e in Lombardia, ed è abolita il 1° gennaio 1884. Cfr. Faucci, L'economista
scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, p. 214.
33
Vedi Gino Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, Capitolo
secondo, La disastrosa situazione finanziaria del nuovo Regno ed il concorso del capitale
straniero, V. Le banche ordinarie nel quinquennio. La partecipazione del capitale straniero
all'attività bancaria ed industriale, pp. 53-64.
23
Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso
24
25
Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso
I.1. Il realismo politico di Vittorio Emanuele II
I.1.1. La Convenzione di Settembre: il trasferimento della capitale a Firenze
Gli equilibri politici internazionali che permettono alla monarchia liberale italiana di
promulgare il Regio decreto sul corso forzoso, prendono forma nella Convenzione stipulata
il 15 settembre 1864, a Parigi, tra i governi francese e italiano, per la cessazione
dell'occupazione di Roma e il trasferimento della capitale da Torino, ad altra città del
Regno d'Italia.34 Questo documento, articolato in cinque punti, è firmato da Édouard
Drouyn de Lhuys, ministro degli Esteri di Napoleone III 35, da Costantino Nigra, delegato di
34
Nell'inquadrare l'equilibrio politico europeo prima della Convenzione di settembre,
c'è da considerare che, ancora nel gennaio 1864, la diplomazia francese cerca di prevenire
«uno scontro tra la Germania e la Francia [che] sarebbe stata l'impresa più empia e più
arrischiata alla quale si poteva pensare», come ha scritto il ministro degli Esteri di
Napoleone III, Édouard Drouyn de Lhuys (1805/1881), all'ambasciatore francese a Londra.
Vedi Émile Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18 voll., 1895-1918, vol.
VII, p. 185; Eugenio Di Rienzo, Napoleone III, 2009, p. 432. Émile Ollivier (1825/1913) è
l'uomo politico francese, relatore in quello stesso 1864 della Legge sulle coalizioni dei
lavoratori, poi ritirata a causa di conflitti sociali sempre più aspri, che nel 1870 è primo
ministro, sino alla disfatta di Sedan, che segna anche la fine della sua carriera politica.
35
Luigi Napoleone (1808/1873), nipote di Napoleone I, eletto presidente della Seconda
repubblica francese nel 1848, aveva governato con sistemi monocratici, si era guadagnato
la fiducia della Chiesa cattolica romana con la spedizione contro la Repubblica Romana e,
dopo il colpo di Stato del 1851, si era fatto incoronare imperatore dei Francesi;
costringendo tra l'altro il legittimista cattolico Frédéric-Alfred-Pierre Falloux (1811/1886),
primo firmatario della Legge sulla libertà d'istruzione, a ritirarsi dalla vita politica. Cfr.
Falloux, Memoires d'un royaliste, 2 voll. postumi, 1888. Quando stipula la Convenzione di
Settembre, Napoleone III è impegnato nella disastrosa impresa in Messico, con la quale
tenta senza successo di ampliare i possedimenti francesi in America. Sulla politica filopontificia di Drouyn de Lhuys, vedi Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18
voll., 1895-1918, vol. VII, pp. 131 e sg.; Di Rienzo, Napoleone III, 2009, ad indicem.
26
Emilio Visconti Venosta36, ministro degli Esteri del I governo Minghetti, e da Gioacchino
Napoleone Pepoli37, già plenipotenziario di Vittorio Emanuele II a Pietroburgo.
Redigendo quella che è poi passata alla storia come la Convenzione di Settembre,
l'Italia s'impegna innanzitutto
à ne pas attaquer le territoire actuel du Saint-Père et à empêcher, même par la
force, toute attaque venant de l'extérieur contre le dit territoire (art. 1).
Nigra e Pepoli, con l'assenso di Vittorio Emanuele II, assumono dunque il duplice
36
Il milanese marchese Emilio Visconti-Venosta (1829/1914), tra i protagonisti delle
Cinque giornate di Milano, dopo il fallito tentativo insurrezionale ispirato da Mazzini nel
1853, aderisce alla Destra moderata di Cavour, cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana,
2002, p. 125; Alfonso Scirocco, I democratici italiani da Sapri a porta Pia, 1969, ad
indicem; Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, pp. 43-44. Sul suo delegato,
Costantino Nigra (1828/1907), convinto sostenitore dell'alleanza con Napoleone III e forse
anche per questo poi inviso a Vittorio Emanuele II, vedi Carteggio Cavour-Nigra, La
liberazione del Mezzogiorno, vol. III (ottobre-novembre 1860), 1961; Lanfranco
Vecchiato, Tra l'Europa e il Risorgimento italiano. Costantino Nigra diplomatico, erudito,
poeta, 1959.
37
Il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli (1825/1881), bolognese, figlio del
marchese Guido Taddeo e della principessa Letizia, e cugino di Napoleone III, sposa nel
1844 Federica Guglielmina di Hohenzollern-Sigmaringen, del ramo primogenito della
dinastia di Prussia. Due anni dopo, firmando la petizione promossa da Minghetti, Pepoli
chiede riforme liberali al conclave riunito per scegliere il successore di Gregorio XVI
(Bartolomeo Alberto Cappellari, 1765/1846, papa dal 1831), che si conclude con l'elezione
di Pio IX. Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel governo Rattazzi-Sella, dal 3
marzo, al 29 novembre 1862, plenipotenziario a Pietroburgo, nel 1863, e tra i firmatari
della Convezione di Settembre, nel 1864, Pepoli è sindaco di Bologna, dal 1866, e
senatore, dal 1868. Cfr. Enrico Zironi (2011), Il marchese senatore Gioacchino Napoleone
Pepoli: sua vita, apostolato e opere letterarie, 10 ottobre 1825-26 marzo 1881, 1893.
27
impegno di rispettare il potere temporale del Santo Padre a Roma e di impedire, anche con
la forza, qualsiasi attacco contro lo Stato della Chiesa. Il «Governo Monarchico
rappresentativo» italiano rinuncia così a Roma, che pure Cavour, nel discorso alla Camera
dei deputati del 27 marzo 1861, aveva definito la sola città d'Italia che non ha memorie
soltanto municipali, garantendo al contempo l’indipendenza e la libertà spirituale di Pio
IX38, con l’assenso della Francia. Condizione questa di ogni possibile annessione della
Città eterna, la cui importanza, dai Cesari ai giorni nostri, va molto al di là del suo
territorio e che era perciò destinata a essere la capitale di un grande Stato.
In cambio di questa rinuncia italiana a Roma, che soltanto il tempo dirà quanto
momentanea :
La France retirera ses troupes des États Pontificaux graduellement et à mesure que
l'armée du Saint-Pére sera organisée. L'évacuation devra néanmoins être accomplie
dans le délai de deux ans (art. 2).
Da parte sua, il governo italiano s'impegna ad accettare «l'organisation d'une armée
papale, composée même de volontaires catholiques étrangers», ma pone la condizione che
quella forza non degeneri in un mezzo d'attacco contro lo stesso governo italiano (art. 3).
Dal punto di vista finanziario, ciò che più conta è tuttavia la disponibilità dell'Italia ad
accollarsi una parte proporzionale del debito degli antichi Stati della Chiesa (art. 4),
contestuale all'impegno assunto da entrambi i contraenti a ratificare la Convenzione al
38
Prima di essere eletto papa, il 16 giugno 1846, quando «sibi imposuit» il nome di Pio
IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792/1878), ordinato sacerdote nel 1819, era stato
delegato apostolico in Cile e in Perù, vescovo di Spoleto dal 1827 e di Ravenna dal 1832 e
cardinale dal 1840. Vedi Giacomo Martina, Pio IX, beato, Enciclopedia dei papi, vol. III,
2000, pp. 560-575.
28
massimo entro quindici giorni (art. 5). 39
Questo accordo suscita l'immediata opposizione di Giuseppe Garibaldi e la veemente
reazione di Giuseppe Mazzini, per i quali – come in epoca fascista, ha scritto il potentino
Saverio Cilibrizzi, già funzionario della Camera regia – con il Bonaparte, è possibile
una Convenzione sola: purificare il nostro Paese dalla sua presenza non in due
anni, ma in due ore. [...] D’allora in poi, il Grande Genovese considerò Vittorio
Emanuele come un prefetto di Napoleone III.40
Tuttavia, malgrado questi durissime critiche riportate da Cilibrizzi, Vittorio Emanuele II
continua a muoversi lungo la direttrice dinastica delle annessioni territoriali che i Savoia
avevano attuato, «pezzo dopo pezzo», sin dal Congresso di Vienna. Lì, le potenze europee
vincitrici di Napoleone, avevano autorizzato Vittorio Emanuele I ad annettere l’ex
Repubblica di Genova, al Regno di Sardegna, senza diritto d’opposizione e senza alcun
39
Convention franco-italienne, Protocole du 15 septembre 1864 faisant suite à la
Convention signée le même jour, histoire.choiselle.info. Minghetti, nel suo libro La
Convenzione di settembre: un capitolo dei miei ricordi, 1899, rievoca questo atto di
politica estera, successivo al fallimento della missione di Menabrea, come «il passo più
decisivo all’Unità d’Italia con Roma capitale», perché riduce il conflitto con il Papato, a un
problema di politica interna allo Stato italiano. Le truppe francesi abbandonano Roma dal 5
novembre 1865, all'11 dicembre 1866.
40
Vedi Saverio Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara
a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, pp. 429-432. Saverio Cilibrizzi
(1891/1971), originario di Anzi, in provincia di Potenza, è un archivista e storico
monarchico liberale, ex funzionario della Camera dei deputati. Cfr. Giuseppe Sardo, Dalla
Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, vol. 6, in Storia del Parlamento
italiano, a cura di Nicolò Rodolico, 1969, pp. 3-22 e Mack Smith, Vittorio Emanuele II,
1972, cap. IV La monarchia costituzionale: 1861-65, pp. 157-209.
29
plebiscito. In continuità con quella impostazione, che già Carlo Felice aveva coniugato con
ambigue aspirazioni nazionali, Carlo Alberto 41 aveva poi concesso lo Statuto, imponendo la
propria supremazia sui fermenti liberali che animavano la penisola italiana, ma il 23 marzo
1849 si era schiantato a Novara, contro l'Impero austriaco.
I.1.2. La continuità con l'unificazione nazionale
Scampato il pericolo della dissoluzione del Regno di Sardegna e articolata una dialettica
istituzionale incentrata sul Connubio, nel 1859 e soltanto grazie al credito internazionale
acquisito con la partecipazione alla guerra di Crimea, i Piemontesi di Vittorio Emanuele II
e di Cavour avevano unificato l’Italia, alleandosi con Napoleone III nella II guerra di
indipendenza, vera e propria guerra di Lombardia e, soprattutto, avallando e utilizzando la
Spedizione dei Mille.
Questa impresa militare è nota, oltre la retorica patria; la richiamo perciò soltanto in
breve. Inviati a Palermo Rosolino Pilo e Giovanni Corrao, con il compito di preparare
l’insurrezione della città, costringendo i Borboni sulla difensiva, Garibaldi era salpato da
Quarto, alla testa di mille e ottantasette patrioti armati di vecchi fucili ottenuti dalla Società
nazionale42 e imbarcati sui piroscafi Piemonte e Lombardo della compagnia Rubattino;
41
Sulla controversa figura di Carlo Alberto (1798/1849, re di Sardegna dal 1831), figlio
di Carlo Emanuele di Savoia-Carignano e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia, vedi
Paolo Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre Torino, 4 marzo 1848: la
concessione dello Statuto Albertino, 2003; Guido Quazza, Carlo Alberto, Grande
dizionario enciclopedico, 1967, vol. IV; Giuseppe Talamo, Carlo Alberto, Dizionario
biografico degli italiani, 1977, vol. XX.
42
La Società nazionale italiana, antagonista del Partito d'azione di Mazzini, era stata
fondata nell'agosto 1857 dal veneziano Daniele Manin (1804/1857), morto tuttavia pochi
giorni dopo, e dal siciliano Giuseppe La Farina (1815/1863), per dare sostegno al
movimento di unificazione nazionale ispirato da Cavour e dai Savoia, nel tentativo di «far
30
dunque, con il probabile sostegno di Cavour. 43 Il Nizzardo era poi approdato a Marsala,
protetto da due navi da guerra inglesi, aveva finto di puntare su Corleone, ma aveva
attaccato da Gibilrossa, il presidio napoletano di Palermo, costringendolo alla resa; quindi,
sconfitti i napoletani a Milazzo, aveva risalito la Penisola, accogliendo migliaia di
volontari nelle sue fila e sbaragliando gli avversari sul Volturno.
Il Risorgimento si era compiuto allora, per iniziativa della Società Nazionale e dei Mille
– invece che con una vera e propria Rivoluzione, come quelle con le quali le borghesie
nazionali avevano conquistato il potere, in Inghilterra, negli Stati Uniti d'America e in
Francia – proprio quando i più lo consideravano impossibile. 44 Inverandosi, dopo i successi
militari piemontesi nelle Legazioni pontificie, ma soprattutto dopo i plebisciti di
annessione. A quelle consultazioni popolari, aveva poi fatto seguito la fondazione della
Banca delle Legazioni pontificie e della Banca Toscana che, unificate con la Banca
scaturire lo scioglimento della questione italiana dai contrasti d'interessi e di principi che
dividevano l'Europa ufficiale», Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, pp. 340-341.
43
Cfr. Roberto Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, p. 162;
sull'armatore genovese Raffaele Rubattino (1809/1881), vedi: «Appena tornato al governo
[il 4 novembre 1852], Cavour riprese […] le iniziative già avviate a favore della
navigazione ligure, facendo approvare una nuova convenzione con Rubattino per la linea
da Cagliari a Tunisi, sovvenzionata dallo Stato, e portando a compimento l'accordo, di
assai maggiore respiro, relativo all'esercizio di due linee di navigazione sovvenzionate con
le Americhe, del Nord e del Sud, da parte della Compagnia Transatlantica », Romeo, Vita di
Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236; cfr. Roberto Battaglia, La prima guerra d'Africa, 1958, p.
82; la voce di Corradi, per il Grande dizionario enciclopedico, 1971, vol. XVI, p. 372.
44
Sull'evoluzione costituzionale italiana, condizionata dalla vaghezza dei principi
statutari, che non prevedono tra l'altro il ruolo di presidente del Consiglio, dalla scelta di
«regnare e governare» compiuta da Vittorio Emanuele II e dalla ristrettezza della legge
elettorale di censo, cfr. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999; Id.,
Storia costituzionale italiana, 2002.
31
Nazionale nel Regno di Sardegna, danno in seguito vita alla Banca Nazionale nel Regno
d'Italia. Ponendo in luce i legami tra sistema politico e politica monetaria, che
caratterizzano proprio il corso forzoso. Soltanto, dopo i plebisciti e la fondazione di quelle
Banche, il 26 ottobre 1860, a Teano, nei pressi della Regia di Caserta, vicino l’antico
confine tra Patrimonio di San Pietro e Regno delle Due Sicilie, il simbolico incontro tra
Vittorio Emanuele II e Garibaldi, preparato dall'abile regia di Cavour e dal tenace lavorio
del messinese Giuseppe La Farina, sancisce l'avvenuta unificazione politica.
I.1.3. La secessione della Associazione liberale Permanente
La proposta di trasferire la capitale a Firenze, recependo la Convenzione di Settembre,
che sarebbe dovuta rimanere segreta, ma era trapelata, o era stata fatta trapelare, dagli
ambienti di Corte, è approvata dalla Commissione di guerra, presieduta a Torino da
Eugenio Emanuele, principe di Savoia-Carignano, luogotenente generale del re. Nascono
così le larghe manifestazioni di simpatia che la accolgono in varie città italiane, in
particolare a Napoli, Milano e Bologna. Mentre tra gli oppositori della Sinistra che
vorrebbero, al contrario, l'immediato trasferimento della capitale a Roma, spiccano
Garibaldi e Mazzini, il quale ultimo, è bene considerarlo sempre, nel valutare le dinamiche
politiche di quegli anni, agiva fuori e contro il Parlamento.
A opporsi alla Convenzione di Settembre, è tuttavia soprattutto il gruppo dei
parlamentari piemontesi della Destra, impegnatisi a rimanere riuniti “in permanenza”; sino
al trasferimento della capitale a Roma. La Permanente così formata, si stacca perciò dalla
Consorteria – come gli avversari avevano definito il gruppo dei parlamentari toscani, poi
infoltito dagli emiliani e da singole personalità nazionali, quali il salentino Giuseppe
Pisanelli e l'abruzzese Silvio Spaventa – e passa all'opposizione, per far valere i propri
32
interessi regionali, con il risultato di indebolire il governo del bolognese Minghetti. La
Destra, che aveva eletto trecentocinquanta deputati, in gran parte nei collegi del centronord, continua però a dominare la Camera dei deputati della VIII legislatura, la prima del
Regno d'Italia, iniziata il 18 febbraio 1861. Tra questi deputati, si contavano ottantacinque
nobili, settantadue avvocati, cinquantadue fra medici, ingegneri e professori universitari e
ventotto alti ufficiali dell’esercito. All'opposizione rimanevano invece gli ottanta deputati
del «centro-sinistro» di Urbano Rattazzi e la sparuta, ma combattiva Sinistra democratica
di Agostino Bertani e Aurelio Saffi. 45
Alla guida della Permanente, il gruppo parlamentare più dinamico, c'era il conte
Gustavo Ponza di San Martino46, che aveva già fatto parte della delegazione piemontese
inviata a Tolosa, per ricevere in forma ufficiale l'atto di abdicazione al trono di Carlo
Alberto e che in seguito lega il suo nome ad alcune proposte di decentramento, destinate
però a rimanere lettera morta.
Dopo la Convenzione di Settembre, avversata in Parlamento dalla folta minoranza della
Camera dei deputati, formata dalla Permanente, dal «centro-sinistro» e dalla Sinistra
democratica, le manifestazioni della piazza ostile culminano a Torino, nell’assalto a
45
Vedi Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 3-53 e 419 e
420, appendice I, tabella 1.
46
Gustavo Ponza di San Martino (1810/1876), nato a Dronero, in provincia di Cuneo,
era stato ministro dell'Interno dal 4 novembre 1852, al 4 marzo 1854, quale «uomo di [...]
piena fiducia» di Cavour nel suo I governo, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p.
229. San Martino era stato poi sostituito da Rattazzi, quando l'Italia aveva aderito
all'ultimatum con cui Inghilterra e Francia avevano intimato alla Russia l'immediato ritiro
dalla Moldavia e dalla Valacchia, per limitarne il crescente espansionismo ai danni del
decadente Impero ottomano. San Martino è poi nominato senatore e, dal 21 maggio al 15
luglio 1861, luogotenente generale del re a Napoli, massima autorità politica e
amministrativa nel Meridione continentale.
33
botteghe d’armi, ministeri e sedi di giornali. La repressione, operata con brutale durezza
dalla forza pubblica e dall’esercito, è diretta da Silvio Spaventa – «rigido e schematico»
fratello minore del filosofo Bertrando – Segretario generale del ministro dell'Interno
Ubaldino Peruzzi. Si giunge così al 22 settembre 1864, quando lo stesso Spaventa ordina di
sparare sui dimostranti, causando decine di morti e oltre un centinaio di feriti. Come ha
scritto l'autorevole giornale «La Civiltà cattolica», mettendo in dubbio l'attendibilità del
bilancio ufficiale dell’eccidio, che era stato di 52 morti e 130 feriti
un fuoco incrociato da tre parti, in una folla così stipata, dovea essere
micidialissimo; fu sventura, forse, più che colpa; ma il macello fu orribile. 47
Alla carneficina, da spiegare con l'uso dissennato dell'esercito, che surroga la Guardia
Nazionale, istituita dall'art. 76 dello Statuto, ormai insufficiente per tutelare l'ordine
pubblico, il Consiglio comunale di Torino reagisce votando all'unanimità per Roma
capitale. Il Consiglio dei ministri si esprime invece a maggioranza a favore di Napoli,
mentre i parlamentari siciliani difendono gli interessi di Palermo. 48 Tuttavia, il giorno
dopo, il 23 settembre 1864, Vittorio Emanuele II dispone il trasferimento della capitale a
Firenze, scaricando la responsabilità politica della strage su Minghetti, presidente del
Consiglio e ministro delle Finanze, che è allora costretto a rassegnare le dimissioni. Si
consuma in questo modo, la scelta di usare Minghetti quale capro espiatorio, secondo l'art.
47
Così «La Civiltà Cattolica», quindicinale della Compagnia di Gesù, fondato per
combattere gli «errori moderni» e difendere la dottrina cattolica e gli interessi della Santa
Sede dagli attacchi dei liberali e dei razionalisti, a. XV, 1864, XII, s. V, p. 244; Martucci,
L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, p. 437.
48
Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a
Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 433.
34
65 dello Statuto, che, dando al Re il potere di nominare e di revocare i ministri, garantisce
la continuità istituzionale del Regno, ma in questo caso, come ha osservato Cilibrizzi,
mette a rischio l'affidabilità internazionale dell'Italia.
Vittorio Emanuele II risolve comunque questa, che è la terza crisi extraparlamentare in
poco più di due anni, chiamando subito al governo l'austero generale La Marmora. Questi,
che aveva raggiunto il vertice degli alti comandi militari sardo piemontesi, organizzando
l'esercito sul modello di quello prussiano, era già stato presidente del Consiglio nel Regno
di Sardegna, dopo il Trattato di Villafranca. 49 Quando Rattazzi, vera mente politica di quel
governo, con cui Vittorio Emanuele II aveva esautorato Cavour, aveva rafforzato l'alleanza
con Napoleone III, segnando l'inizio del tramonto della supremazia austriaca in Italia. La
Marmora era poi stato prefetto di Napoli, dal 16 ottobre 1861, all'11 gennaio 1863; in un
ruolo già rifiutato da Ricasoli. 50 Dopo la sua prima nomina a presidente del Consiglio nel
Regno d'Italia, con Sella alle Finanze, la legge che dispone il trasferimento della capitale a
Firenze, è dapprima approvata dal Parlamento e poi promulgata con Regio decreto, l'11
dicembre 1864.51
49
Sull'armistizio di Villafranca, cfr. Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione
civile, 1997, ed. 2000, cap. VII. In cerca di rivincita (1853-1860), pp. 198-229.
50
Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a
Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, pp. 434, n. 1 e 440-441.
51
La Camera dei deputati approva gli articoli della legge su Firenze capitale, per
appello nominale, il 19 novembre 1864, con 296 voti favorevoli, 63 contrari, guidati da
Ponza di San Martino, e 2 astenuti e, subito dopo, la Legge nel suo insieme, a scrutinio
segreto, con 317 favorevoli, 70 contrari, 2 astenuti; il 2 dicembre 1864, è la volta del
Senato, con 134 favorevoli, 47 contrari e 1 astenuto. Vedi Arangio-Ruiz, Storia
costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed. 1985, p. 164 e n. 1. Gaetano
Arangio-Ruiz (1857/1936), nato ad Augusta, in provincia di Siracusa, si laurea in
Giurisprudenza nel 1879 all'università di Napoli, con una tesi in Diritto romano, consegue
nel 1887, la libera docenza in Diritto costituzionale e sostituisce nell'insegnamento
35
I.1.4. Il «Governo Monarchico rappresentativo»
Le rimostranze piemontesi contro il trasferimento della capitale a Firenze, protrattesi per
alcune settimane, continuano tuttavia sino alla sera del 30 gennaio 1865, quando, ancora a
Torino, un gruppo di manifestanti irrompe a palazzo Reale, insulta e fischia i convenuti al
ballo di Corte, protestando contro la festa, che si tiene mentre è ancora vivo il ricordo della
strage.52 Poi, il 3 febbraio
il Re, sdegnato per tale oltraggio, partì […] per Firenze e non ritornò a Torino che
circa un mese dopo, in seguito alle affettuose insistenze della Giunta Municipale. 53
Dopo questo viaggio di Vittorio Emanuele II a Firenze, organizzato per celebrare il
sesto centenario della nascita di Dante Alighieri, il trasferimento amministrativo e logistico
della capitale è portato «a termine con abilità ed efficienza» proprio da La Marmora, nel
giugno 1865. La conseguente perdita di prestigio e di potere della città di Torino, è
compensata dal rafforzamento della delegazione piemontese al governo, formata, oltre che
dallo stesso La Marmora, che dirige anche gli Esteri e la Marina, dal monferrino Lanza
all'Interno, dal biellese Sella alle Finanze e dall'altro torinese Agostino Petitti di Roreto –
universitario Giorgio Arcoleo (1850/1914), allievo di Francesco De Sanctis (1817/1883).
52
Cfr. «[...] non era sbollito colà il dolore per quella perdita, sicché, ad opera di poca
plebaglia, le dispiacenze si manifestarono, la sera del 30 di gennaio, con sibili e sassate
contro le persone che si recavano a corte, ove il Re dava una festa», Arangio-Ruiz, Storia
costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed. 1985, p. 165.
53
Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a
Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 452.
36
già capo di stato maggiore nel 1855, in Crimea – alla Guerra. 54 D'altra parte, il
trasferimento della capitale italiana da Torino a Firenze e la sostituzione di un esponente
della Destra come il bolognese Minghetti, con un militare di carriera quale il torinese La
Marmora, rafforzano il partito di Corte e la centralità della Corona, la sua supremazia sul
governo e sulle Camere.
C'è infatti da considerare che il «Governo Monarchico Rappresentativo», previsto
dall'art. 2 dello Statuto, è fondato su un complesso sistema di poteri pubblici, nel quale il
vertice monocratico è affiancato, in sede esecutiva e giudiziaria, dai ministri e dai
magistrati, tutti di nomina regia e, in sede legislativa, dal Parlamento bicamerale, con la
Camera bassa, che è elettiva, ma ha ristrette basi di censo. Come è ormai da tempo
acquisito, lo Statuto che regola questo «Governo Monarchico Rappresentativo» ha quale
modello le Chartes francesi del 1814 e del 1830, ma – come argomento in seguito,
comparando le inchieste parlamentari nel Regno d'Italia e nel Regno Unito – demanda il
potere legislativo soprattutto alla Camera elettiva, in base all'esperienza del Governo
rappresentativo britannico, con le sue relative facoltà ispettive. 55
54
Cfr. Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958, 1959, pp. 100-113, par. III.1.
Ricasoli, Rattazzi e Minghetti, 1861-65; Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp.
117-122, par. 4.2.1. Quando il re chiama un generale; Sandro Rogari, Alle origini del
trasformismo. Partiti e sistema politico nell'Italia liberale, 1998, pp. 3-38 e relative note,
cap. I. Un sistema politico in formazione. Destra e Sinistra nel primo quindicennio unitario
1861-1876.
55
Le facoltà ispettive del potere legislativo articolano il controllo finale della collettività
sulle istituzioni che detengono il potere, nelle diverse forme del governo rappresentativo:
liberale, o monarchica, o democratica, vedi: «Trattando la questione dei governi
rappresentativi, quel che importa è di non perdere mai di vista la distinzione fra il suo
concetto e le forme particolari in cui questo concetto si è concretato in seguito allo
sviluppo dei fenomeni storici o sotto l'influsso dei principi di un determinato periodo.
Governo rappresentativo significa che la nazione tutta, o almeno una parte numerosa di
37
L'agire politico di questa monarchia rappresentativa è infine determinato, al pari della
sua efficacia, dal Re, dal suo esercizio del potere, legato a un insieme di fattori: «dal
quoziente intellettuale all'intuito e alla rapidità di percezione e valutazione degli eventi;
dalla personale esperienza di governo alla capacità di sollecitare e mettere poi a frutto il
parere dei collaboratori; dal dominio delle passioni all'abilità nel subordinarle agli interessi
dello Stato». Forte di questa centralità, lo Statuto la introduce sin dal suo stesso preambolo:
con lealtà di re e con affetto di padre […] di nostra certa scienza e regia autorità
[…] per grazia di Dio Re di Sardegna.56
Vittorio Emanuele II esercita così il paternalismo che Carlo Alberto aveva octroyé e che
è pur sempre fondato sull'origine divina del potere.
I.1.5. Il rigore finanziario di Quintino Sella
Il re d'Italia continua dunque l'opera iniziata dal conte di Cavour; condizionato in
politica interna dalla sua impostazione dinastica e dal suo carattere volubile e incostante,
che lo porta talvolta a preferire le amate partite di caccia, alle noiose sedute del consiglio
essa, esercita per mezzo dei deputati, periodicamente eletti, il supremo controllo del potere,
controllo che non manca in alcuna costituzione. Questo supremo controllo deve essere
posseduto per intero dalla nazione. Una collettività deve essere in grado di esercitare
quando vuole qualsiasi funzione governativa. [...]», John Stuart Mill, Considerazioni sul
governo rappresentativo, 1861, Capitolo V, Sulle funzioni proprie dei corpi rappresentativi.
Su John Stuart Mill (1896/1873), cfr. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed.
1990, ad indicem.
56
Vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 46, ma confronta tutto il cap. 2.
Lo Statuto Albertino e il governo del re.
38
della Corona. Alimentando il mito del Risorgimento con i fattori miranda e credenda.57
Che subordinano il presidente del Consiglio alla sua volontà politica, prima che alla fiducia
della Camera dei deputati. Il «Governo Monarchico rappresentativo», garantito dallo
Statuto, governa allora il Paese, usando la tecnica del potere, per dare continuità
amministrativa all'equilibrio dei poteri, alternando strumenti dell'esecutivo, quali i Regi
decreti, e del legislativo, come le Commissioni parlamentari d'inchiesta, e avvalendosi
della Destra e del partito di Corte, per arginare il protagonismo di Garibaldi, sconfiggere le
velleità repubblicane di Mazzini e istituzionalizzare la Sinistra.
Nelle file della Destra, tra aristocratici, avvocati, medici, ingegneri, professori
universitari e alti ufficiali dell’esercito, un ruolo di tutto rilievo spetta a Sella58, l'uomo
politico di Mosso Santa Maria, in provincia di Biella, che si era laureato in ingegneria a
Torino, aveva insegnato Mineralogia, aveva perfezionato i suoi studi in Inghilterra e in
Germania, era stato eletto deputato di Cossato ed era stato ministro delle Finanze nel I
governo Rattazzi. Presentando tra l'altro il progetto di legge per l'istituzione dell'imposta di
ricchezza mobile che, riproposto da Minghetti, discusso in una lunga e tormentata sessione
parlamentare e approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati, era entrato in vigore
il 14 luglio 1864.59
57
Vedi Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre Torino, 4 marzo 1848: la
concessione dello Statuto Albertino, 2003, pp. 159-165; Martucci, L’invenzione dell’Italia
unita 1855-1864, 1999, p. 265.
58
Cfr. «le classi dominanti italiane non ritroveranno più, in seguito, lo slancio
rivoluzionario e l'ardimento che caratterizzano, nonostante tutto, la politica della Destra.
La stessa onestà e correttezza personale di uomini come il Sella, il Lanza, il Minghetti è un
fatto politico che non si ripeterà troppo spesso nella storia italiana», Emilio Sereni, Il
capitalismo nelle campagne, 1947, ed. 1980, p. 80.
59
Cfr. «In sintesi l'imposta di ricchezza mobile [...] fu anche tributo nuovo […] innanzi
tutto, per le Province già papaline e borboniche che mai avevano conosciuto la tassazione
39
Questa politica fiscale, che consolida l'unificazione nazionale, attraverso la
centralizzazione amministrativa e legislativa, è tuttavia il risultato di due differenti
impostazioni, interne alla stessa Destra. 60 La prima è proprio quella del liberismo
eterodosso di Sella che, con l'appoggio della Permanente e il concorso conflittuale di
Minghetti e dei suoi uomini, tende a ritagliare per l'economia italiana, i margini di
autonomia dal grande capitale internazionale, necessari a consolidare l'accumulazione e ad
avviare l'industrializzazione, attraverso il nuovo Stato unitario. La seconda è quella della
Consorteria toscana che, con Cambray Digny e in continuità con il liberismo ortodosso di
Cavour, fondato sull'alleanza tra rendita fondiaria e capitale finanziario, è contrario
all'intervento dello Stato nell'economia e nelle banche. I consorti continuano così ad
anteporre la necessità di completare l'unificazione nazionale, all'industrializzazione,
enfatizzando la rilevanza, in realtà ormai residuale, del governo austriaco nel Veneto e
dell'esercito francese nello Stato pontificio, ma sottovalutando la crisi finanziaria
internazionale, le cui origini, legate alla Guerra civile americana, imponevano di
aggiornare il programma di Cavour. Entrambe queste impostazioni, eterodossa e
della ricchezza mobiliare, sotto qualsiasi forma. Ma lo fu anche per il Regno di Sardegna
che aveva sperimentato la tassa di patente e l'imposta personale-mobiliare. E per queste
seconde l'affermazione è vera sia sotto il profilo dell'oggetto del tributo che dei metodi di
applicazione», Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra
storica (1861-1876), 1995, p. 157.
60
«Il discentramento vero è ito in fumo», scrive il 5 febbraio 1865, l'allora sindaco e
presidente del consiglio provinciale di Firenze, Ubaldino Peruzzi (1822/1891), a Leopoldo
Galeotti (1813/1884), membro della Commissioni generale della Camera dei deputati per il
bilancio, dopo aver letto la nuova Legge comunale e provinciale, poi promulgata con il
Regio decreto del 20 marzo 1865. Vedi Fondo Carteggi Galeotti, Ubaldino Peruzzi a Leopoldo Galeotti, cass. 9, ins. 577, 1865; cfr. Edmondo De Amicis, Nuovi ritratti letterari ed
artistici: Emilia e Ubaldino Peruzzi e il loro salotto, 1908.
40
ortodossa, fanno comunque i conti con la realtà italiana, invece che sardo piemontese, nella
quale il deficit pubblico continua a crescere.
Intervenendo il 14 marzo 1865, alla Camera dei deputati, nell'antica sede torinese di
Palazzo Carignano, Sella critica perciò l'uso dissennato del denaro pubblico che ha
prosciugato le casse dello Stato. Il ministro delle Finanze del I governo La Marmora lascia
così trasparire un'aspra critica all'entourage di Vittorio Emanuele II cui appartengono
anche gli esponenti del partito di Corte. Proponendo poi al Parlamento di mettere in
vendita le ferrovie, di contrarre un prestito di 425 milioni di lire, di fissare al 12,50%
l'aliquota della nuova imposta sui fabbricati per l'anno 1866 e di portare a sessanta milioni
il gettito fiscale dell'imposta di ricchezza mobile che, nel primo anno di riscossione, era
stato di trenta milioni. 61
Sella, che punta a contenere il disavanzo pubblico, tracimato nel 1865 oltre l'allora
cospicua cifra di 625 milioni di lire, continua in questo modo a caratterizzarsi come «tipico
rappresentante di quella classe media onesta e attiva, dotata di un alto senso dei doveri
civici e di una totale indifferenza, nell'insistere sulla necessità di un'amministrazione
efficiente, per ogni rischio di impopolarità». 62 Il suo discorso alla Camera dei deputati,
considerato nella sua interezza, contiene d'altra parte molti degli elementi che ispirano il
suo agire politico, che è di volta, in volta, complementare o contrapposto a quello di
Minghetti, dal quale pure Sella è così differente, per indole e temperamento. Sino alla
legge delle Guarentigie e al pareggio di bilancio dichiarato da Minghetti: conti rigorosi,
basati sulla conoscenza della reale consistenza del deficit, severe economie e un
61
Cfr. Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica
(1861-1876), 1995, p. 167.
62
Vedi Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958, 1959, p. 139; Id., Vittorio
Emanuele II, 1972, p. 233.
41
considerevole incremento delle imposte indirette; la tassa sul macinato ad ampia base
imponibile, su tutte. Una tassa quest'ultima, che la Sinistra critica con durezza, definendola
«l'imposta della fame» e ottenendone il momentaneo ritiro; riuscendo così a ricompattare
la spaccatura tra statutari e radicali, che aveva fatto seguito all'intervento di Francesco
Crispi nel vibrante dibattito parlamentare sulla Convenzione di Settembre. 63 Intanto però,
nel giro di un anno, il deficit pubblico supera i 721 milioni.
I.1.6. I problemi concreti dei ceti imprenditoriali
Rimanendo al 1865, nella primavera di quello stesso anno, prima dunque che La
Marmora porti a termine il trasferimento della capitale a Firenze, una serie di forze
economiche e imprenditoriali, assumono consistenza nazionale. Insieme a esse, i giornali e
le associazioni solidali, che negli Stati preunitari avevano cominciato ad acquisire una
percezione pubblica della realtà, attraverso le diverse articolazioni cittadine della Società
nazionale italiana, favorendo e preparando il progetto unitario di Cavour. Questa opinione
pubblica, assai elitaria, è ristretta ai ceti urbani e alle professioni liberali; a differenza
dell'opinione pubblica di massa che, attraverso i cahiers des doléances, aveva
accompagnato e condizionato la Rivoluzione francese, recependo e organizzando il
malcontento e il malessere di sans-culottes e contadini.
63
Alla fine della discussione sulla Convenzione di Settembre, il 19 novembre 1864,
trenta deputati, tra i quali Antonio Mordini (1819/1902), avevano votato per il
trasferimento della capitale a Firenze. «La monarchia ci unisce, la repubblica ci
dividerebbe. Noi unitari innanzi tutto siamo monarchici e sosterremo la monarchia meglio
dei monarchici antichi», questa la dichiarazione di Francesco Crispi (1818/1901), cit. in
Nino Valeri, La lotta politica in Italia dall'unità al 1925: idee e documenti, 1945, p. 140.
Crispi aveva rotto così con il repubblicanesimo intransigente di Mazzini, in nome dello
Statuto e della legalità, proponendo di ampliare il suffragio, ma soprattutto di rendere più
incisiva la politica estera necessaria per avviare a soluzione la Questione romana.
42
C'è inoltre da considerare che le élite italiane si avvalgono delle informazioni filtrate
dagli apparati amministrativi del nuovo Stato, per consolidare il consenso intorno all'unità
nazionale appena realizzata, che tuttavia la Chiesa cattolica romana, prima ancora degli
austriaci nel Veneto e dei francesi a Roma, rende labile e precaria. Si pensi alle stesse
polemiche sul trasferimento della capitale a Firenze, o alla lotta contro il brigantaggio nelle
province napoletane, sfociata in una vera e propria guerra civile. 64
In questo contesto, l'opera di risanamento finanziario necessaria per trarre il Paese fuori
dalla grave condizione di indebitamento in cui versa, è sostenuta anche da settori
democratici e radicali, insofferenti e critici nei confronti della politica economica di Sella e
dei governi della Destra. Tra le testate impegnate nella campagna di stampa che alimenta
questi orientamenti, spicca Il Sole, giornale economico, politico e commerciale, sostenuto
tra gli altri dall'imprenditore tessile milanese Lualdi, eletto in seguito deputato di Busto
Arsizio e componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.
Questo giornale inizia le sue pubblicazioni a Milano, il 1° agosto 1865, esprimendo la
convinzione che lo sviluppo sociale è conseguenza dello sviluppo economico. 65
64
La formazione dell'opinione pubblica nell'Italia unita, si fonda su giornali come La
Nazione, che aveva cominciato le sue pubblicazioni nel luglio 1859. Il 24 settembre 1864,
in previsione del trasferimento della capitale a Firenze, La Nazione decide poi di
accrescere il suo formato sino alle dimensioni del Journal des Débats, assumendo quattro
collaboratori fissi che hanno l'obbligo di scrivere almeno otto articoli al mese; l'anno
successivo la sua tiratura sale a cinquemila copie. Vedi Valerio Castronovo, La stampa
italiana dall'Unità al fascismo, 1984, p. 19.
65
Il 20 dicembre 1865, un gruppo di patrioti lombardi fonda la società “Il Sole - Fratelli
Pennocchio e Comp.”, che assume la proprietà del quotidiano. Tra questi, il deputato
Gaetano Semenza (1825/1882), l’editore milanese Francesco Vallardi, i fratelli
Pennocchio, tra i quali il cognato di Semenza, l’imprenditore serico Vittorio Ferri, Eugenio
Cantoni, Lualdi, Pietro Brambilla e Filippo Weill Schott. Cfr. Bairati e Carrubba, La
trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: «Il Sole» e «24 Ore», 1990.
43
Consapevolezza delle risorse esistenti in Italia, pari a due miliardi di beni demaniali, ad
altri due miliardi di beni delle Mani morte e a milioni di ettari di terra da coltivare, ma al
contempo preoccupazione per l'iniquità delle imposte e per l'inefficiente distribuzione della
spesa: queste l'analisi e la denuncia.
Nell'Italia di quegli anni, la sfiducia nei confronti del nuovo Stato, che rischia di fare
precipitare il valore della rendita e di aumentare la diffidenza interna ed internazionale, è
d'altra parte cresciuta dopo che la popolazione ha pagato in anticipo l'imposta fondiaria
voluta da Sella, ma ha visto frustrati i propri sforzi «dalle meschine idee della vecchia e
retrograda burocrazia» e dall'aumento dei prezzi dei tabacchi, della posta e dei dazi su
alcune delle merci importate dall'estero.
Da qui, la critica della scelta di privilegiare una sola Banca, la Banca Nazionale nel
Regno d'Italia, che, tuttavia, invece di facilitare l'industria e il commercio, rischia di fare
«pasticci col governo»; una polemica che nel 1866, dopo l'approvazione del Regio decreto
sul corso forzoso, investe con virulenza il ministro delle Finanze Antonio Scialoja, senza
però impedire che il II governo La Marmora affidi l'emissione delle banconote soltanto alla
Banca Nazionale. Da qui, le proposte che il deputato lodigiano Gaetano Semenza 66 avanza
nella lettera pubblicata da Il Sole: emissione di banconote, controllate e garantite dal
deposito consolidato presso lo Stato, da parte di una pluralità di banche; liberalizzazione
delle coltivazioni e delle manifatture di tabacco, con l'immediata cessazione del monopolio
66
Gaetano Semenza, patriota di Sant'Angelo Lodigiano, emigrato a Londra, dove aveva
fondato una società per il commercio delle sete, acquisendo notevole credito finanziario,
presenta in seguito il progetto di legge Sulla libertà e pluralità delle Banche in Italia, che
la Camera dei deputati esamina nelle tornate del 4 febbraio e del 4 aprile 1867.
Nell'audizione del 7 aprile 1868, Semenza è poi interrogato dalla Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, vedi CD 1800000272, documenti 66/11 e 66/12,
pp. 711-722 e CD1800000273, pp. 248-258.
44
del governo; abolizione delle dogane e del dazio delle città, con la contestuale costruzione
di dock e di magazzini generali. 67 Da qui, infine, la conclusione di Semenza:
L'Italia ha ora tanto bisogno delle riforme economiche quanto ne aveva pochi anni
sono della libertà politica.68
Questa polemica di Semenza, indirizzata il 14 marzo 1865, «per mezzo dell'amico
Mauro Macchi», a Sella, ministro delle Finanze nel governo La Marmora, permette di
mettere a fuoco la distinzione tra il tempo della politica e il tempo della economia e la
relativa subordinazione del secondo, al primo; in base a una gerarchia che, distinguendo a
sua volta tra il liberismo del laissez faire, laissez passer e il liberalismo delle libertà
individuali, articola la teoria politica liberale. La decisione del giornale Il Sole di
pubblicarla nel febbraio 1870, è da spiegare con la preparazione del dibattito parlamentare
sull'omnibus finanziario che il governo Lanza-Sella presenta l'11 marzo 1870. Quasi a
rimarcare la continuità di una politica finanziaria, determinata da vincoli esteri prima che
67
Sull'importanza dei dock veneziani per l'economia veneta, sia consentito rinviare ad
Alfredo Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, con un
saggio di Roberto Martucci, 2011, p. 294.
68
Vedi Il Sole, Cinque anni dopo, Lettera del deputato Gaetano Semenza al ministro
delle Finanze signor Quintino Sella, febbraio 1870, p. 1. Il 1° settembre, Napoleone III è
sconfitto e fatto prigioniero dai prussiani, a Sedan; il 4 settembre, a Firenze, ricevuta la
notizia della proclamazione della terza Repubblica francese, i deputati della Sinistra
minacciano di dimettersi in massa se il «Governo del Re» non provvederà a occupare
Roma; il 10 settembre, Pio IX respinge le proposte del governo italiano; il 20 settembre
1870, il 39° battaglione di fanteria e il 34° battaglione dei bersaglieri, guidati dal generale
Raffaele Cadorna (1815/1897), entrano a Roma dalla breccia che l'artiglieria italiana ha
aperto a Porta Pia.
45
interni, che sin dai primi anni dell'Italia unita, incontra fortissime difficoltà a sedimentare il
consenso necessario per limitare al minimo l'evasione fiscale. Cinque mesi dopo, l'11
agosto, la Camera dei deputati approva le due Leggi che impongono economie nei bilanci
dei ministeri della Guerra e della Marina, riducono gli uffici centrali e periferici,
formalizzano il passaggio alle Province delle spese per l'istruzione secondaria e
inaspriscono le imposte dirette e indirette.
I.2. I costi dell’unificazione amministrativa
I.2.1. La crescita della spesa pubblica
Tornando alla Convenzione di Settembre, in seguito a quell'impegnativo atto politico, il
«Governo del Re» approva e realizza il trasferimento della capitale a Firenze, ponendo le
premesse per attuare, anche attraverso il corso forzoso, l'unificazione amministrativa. A
iniziare dal Regio decreto del 20 marzo 1865, che promulga:
1) la Legge sui Comuni e le Province, il cui elettorato timocratico è più ampio di quello
politico, ma si basa sulla nomina governativa dei sindaci 69, statuita dalla legge Rattazzi del
69
Nel proporre la legge del 23 ottobre 1859, sulla nomina governativa dei sindaci,
Vittorio Emanuele II utilizza «i pieni poteri legislativi ed esecutivi», che lo Statuto gli
attribuisce in guerra. Il governo La Marmora-Rattazzi riprende così i progetti del decennio
precedente, ponendo il Parlamento di fronte al fatto compiuto, con modalità già
sperimentate nel 1848-1849. La legge è poi approvata, malgrado Cavour sia critico «verso
l'accentramento e favorevole alla costruzione di uno Stato parzialmente decentrato», vedi
Giuseppe Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo
amministrativo, 2009, p. 58; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, p.
350; Id., Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 173-174; Ragionieri, Politica e
amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella storia
dell’Italia unita, 1967, pp. 83-84.
46
23 ottobre 1859, e sull'affidamento delle Province ai prefetti70, sancito dai decreti Ricasoli
del 9 ottobre 1861. Questa Legge unifica inoltre le precedenti funzioni dell'intendente e del
governatore, delega al sottoprefetto la responsabilità del circondario e assorbe nell'Arma
dei Carabinieri reali, istituita nel 1814 da Vittorio Emanuele I, le forze di polizia ereditate
dagli Stati italiani preunitari. Il suo maggiore limite è tuttavia proprio questa continuità con
la Legge Rattazzi, approvata da un piccolo Stato come il Regno di Sardegna e, perciò, del
tutto inadeguata per il Regno d'Italia. Nell'immediato, la Legge sui Comuni e le Province
finisce allora con il condizionare soprattutto la mobilità territoriale degli alti burocrati,
regolata da criteri simili a quelli sui compiti e le mansioni del Direttore generale e dei
Direttori delle sedi della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, previsti dal relativo Statuto. 71
Poi nel 1868, cioè proprio durante i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
corso forzoso, le Province italiane passano da cinquantanove a sessantotto, includendo
Mantova e le Province venete annesse dopo il plebiscito. I prefetti confermati
diminuiscono invece da quarantuno a trentaquattro, documentando una centralizzazione
che è confermata dai trasferiti, da nove a diciassette, dalle nuove nomine, da nove a sedici,
dalle prime nomine, da cinque a dodici, dai sospesi dal servizio, da nove a quindici, e dai
fuori servizio, da otto a dieci. 72
70
Cfr. «L'elettorato amministrativo, sino al 1883 circa doppio rispetto a quello politico,
era […] formato dai cittadini di sesso maschile che avessero compiuto ventuno anni (a
fronte dei venticinque necessari per l'elettorato politico) e che pagassero annualmente al
comune un'imposta, definita dalla legge, variabile in proporzione al numero degli abitanti
del comune stesso. A differenza della legge elettorale politica, mancava ogni tipo di
riferimento al grado di alfabetizzazione, mentre erano previste speciali categorie di elettori
notabili o benemeriti. [...]», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 27.
71
Vedi Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso
forzoso. Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD 1800000272, pp. 60-84.
72
Vedi: «[…] il prefetto nasce come la figura centrale, il pilastro dell'amministrazione
47
2) la Legge di Pubblica sicurezza, che autorizza i prefetti a imporre il domicilio coatto e
l'ammonizione ed estende la legge sulla Pubblica Istruzione73, a sua volta allegata, il 13
novembre 1859, alla legge Rattazzi. L'istruzione pubblica, suddivisa in elementare, media
e universitaria, è così parificata all'istruzione privata, mentre l'ingerenza della Chiesa
cattolica romana è limitata all'insegnamento della religione nella scuola elementare e
all'istituzione di scuole confessionali, sottoposte però al controllo dello Stato. 74 Le
insufficienze del sistema creditizio e il conseguente mancato finanziamento dei Comuni,
rendono tuttavia impossibile pagare i maestri. Determinando la massiccia inadempienza
dell’obbligo scolastico, documentata da un tasso di analfabetismo 75 che, se in Piemonte,
dello Stato italiano, in quanto in esso si assommano le sue due tendenze fondamentali:
l'accentramento politico ed amministrativo e l'unica forma di decentramento compatibile
con l'accentramento politico ed amministrativo, il decentramento burocratico», Ragionieri,
Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella
storia dell’Italia unita, 1967, pp. 104 e 127-129, Tabelle I - V.
73
Il Regio decreto sulla Pubblica Istruzione, promulgato da Vittorio Emanuele II alla
vigilia della II guerra di Lombardia, in virtù dei poteri eccezionali conferitigli dallo
Statuto, rimane poi in vigore nelle sue linee essenziali, sino alla riforma Gentile del 1923.
Discussa per quattro mesi dalla speciale Commissione sull'esperienza scolastica
piemontese e lombarda, la relativa Legge, estesa dopo il 1861 a tutto il Regno d'Italia,
prende il nome dal suo primo firmatario, il conte milanese Gabrio Casati (1798/1873),
cognato di Federico Confalonieri (1875/1846), podestà della sua città natale dal 1837 al
1848, presidente del governo provvisorio durante le Cinque giornate, presidente del
Consiglio nel Regno di Sardegna, dal luglio, all’agosto 1848, e presidente del Senato nel
Regno d’Italia, dal 18 novembre 1865, al 2 novembre 1870.
74
Sull'ordinamento della Pubblica Istruzione nel Regno di Sardegna e nel Regno
d'Italia, cfr. Talamo, La Scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, 1960, p. 58.
75
Le prime statistiche sull'analfabetismo nel Regno d'Italia risalgono al 31 dicembre
1863, tre anni dopo l'entrata in vigore della Legge Casati; in quel momento, l'Italia conta su
16.999.701 analfabeti che, sommati ai 893.388 cittadini che sanno appena leggere, formano l'80% circa della popolazione di 21.777.374 abitanti.
48
Liguria e Lombardia, oscilla tra il 53 e il 54%, in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e
Sicilia, è tra l’86 e l’88%, e in Sardegna raggiunge l’89,7%.76
3) la Legge sulla Sanità pubblica, che unifica le norme già in vigore nel Regno di
Sardegna, il cui carattere centralizzatore era stato rimarcato sin dal 1831, dall'allora
assoluta monarchia sabauda, per prevenire il contagio dell'epidemia di colera diffusasi in
alcuni Paesi europei e in particolare in Austria. Anche in questo caso, come per la Legge
sui Comuni e sulle Province, queste norme, che riprendono quelle approvate da un piccolo
Stato come il Regno di Sardegna, risultano del tutto inadeguata per il Regno d'Italia; tanto
da rendere necessarie una serie di indagini, culminate in quella sulle condizioni igienico
sanitarie delle popolazioni rurali, coordinata nel 1876 dal vicepresidente Agostino
Bertani77, nell'ambito dell'inchiesta agraria presieduta da Stefano Jacini.
4) la Legge sul Consiglio di Stato, che estende i poteri consultivi dell'analogo organismo
del Regno di Sardegna, istituito da Carlo Alberto nel 1831, sul modello del Consiglio di
Stato napoleonico, che a sua volta si richiamava all’antico Conseil du Roi della Francia
assolutista, e lo articola in tre Sezioni, sostituendolo agli organismi degli altri Stati italiani
preunitari, ma continuando a lasciarlo privo di potere deliberativo.
5) la Legge sul contenzioso amministrativo, che abroga i Tribunali di matrice
napoleonica, affida le controversie ai giudici ordinari, ma li sottopone al ministro di Grazia
76
Si consideri che «in Savoia (in seguito annessa alla Francia), intorno alla metà del
secolo XIX i quattro quinti dei bambini di età compresa fra i 6 e i 12 anni frequentavano la
scuola, contro un misero 9% fatto registrare dalla Sardegna; non sorprende quindi che nella
regione alpina l’analfabetismo fra gli adulti maschi fosse attestato sul 50%, mentre
nell’isola raggiungesse il 90%. […]», Robert A. Houston, In Europa tutti vanno a scuola,
1996, p. 1184.
77
Su Agostino Bertani (1812/1886), vedi la voce di Bruno Di Porto, per il Dizionario
Biografico degli Italiani, vol. IX, 1967, p. 456.
49
e Giustizia, cui dà la facoltà di ammonirli e trasferirli per «utilità di servizio», completando
così la trasformazione della monarchia amministrativa in monarchia statutaria. 78
6) la Legge sulle Opere pubbliche, che – in uno con le norme d’esproprio per le cause di
pubblica utilità – delega la costruzione e la manutenzione di strade, porti, canali e di altre
opere pubbliche allo Stato, alle Province, ai Comuni e ai privati, ma soltanto dopo averle
classificate a livello nazionale.
In sintesi, attraverso queste Leggi, poi finanziate tutte con il corso forzoso, la Corona
applica l'orléanismo costituzionale dello Statuto octroyé, semplificato dall'art. 7: «Il Re
solo sanziona le leggi e le promulga». Il centralismo di Rattazzi ingloba così il
dispendiosissimo decentramento burocratico che Ricasoli aveva sperimentato quale
dittatore in Toscana, sino al plebiscito dell'11 e 12 marzo 1860. Con quel decentramento,
finanziato dalla Banca Toscana, uno dei cinque, principali istituti di credito nazionali ai
quali la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso indirizza in seguito uno
specifico questionario, Ricasoli aveva resistito al diktat di Napoleone III che, nel rispetto
degli accordi di Villafranca, pretendeva la restaurazione degli Asburgo Lorena o, almeno,
la creazione di uno Stato toscano indipendente dal Regno di Sardegna. Il «barone di ferro»
era stato però attaccato da Cavour, con motivazioni formali legate alla insostenibilità
economica del decentramento voluto da Ricasoli, ma funzionali alla durissima critica della
politica di Napoleone III; in questi termini:
78
Il Parlamento del Regno d'Italia aveva iniziato a dare forma compiuta alla trasforma-
zione della monarchia amministrativa, in monarchia costituzionale, approvando le Leggi
del 24 novembre 1864, che avevano introdotto la giurisdizione unica della magistratura ordinaria, autorizzando tra l’altro la vendita ai privati di 130.000 ettari demaniali, divisi in
50.000 lotti. Questa vendita era stata poi effettuata dalla Società anonima per la vendita dei
beni del Regno d'Italia, costituita nel dicembre di quello stesso anno. Vedi Candeloro, La
costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, 1968, p. 218 e nota 41.
50
Il Barone Ricasoli ha abbandonato ieri l'altro Firenze senza parteciparlo al
Principe od al Ministero. Forse ne avrà informato Vostra Maestà. Ignoro quale sia
stato il motivo di questo coup de tête. […] Finalmente l'altro giorno ci comunica un
decreto col quale ordina il pagamento di sei milioni ai Comuni della Toscana, a titolo
di rimborso di spese per l'occupazione austriaca, e l'emissione di buoni del Tesoro
per pari somma. Un tale atto viola lo Statuto e tutte le leggi dello Stato. Era
impossibile il sancirlo.79
A questa critica, dopo la morte di Cavour, fanno seguito le scelte della monarchia
statutaria sabauda, che continua ad applicare il modello dello statalismo francese, per
costruire il nuovo Stato unitario, ma ne depotenzia l'intima ratio, accresce il potere
discrezionale dell'amministrazione pubblica locale e incrementa la spesa pubblica anche a
Torino, per bilanciare la rinuncia ai privilegi ministeriali, legata al trasferimento della
capitale a Firenze; consolidando il proprio consenso tra le élite.
I.2.2. Due passi indietro: Urbano Rattazzi e il centralismo piemontese
Prima che del barone Ricasoli, l'unificazione amministrativa italiana è dunque opera
dell'avvocato Rattazzi.80 Nato nel 1808 a Masio, in provincia di Alessandria, questi si era
79
Vedi Cavour, Al re Vittorio Emanuele, [Torino] 23 ottobre 1860, in Carteggio Cavour-
Nigra, La liberazione del Mezzogiorno, vol. III (ottobre-novembre 1860), 1961, pp. 178179; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 106-107 e nota 81.
80
Su Urbano Rattazzi, nato a Masio di Alessandria, il 30 giugno 1808 e morto a
Frosinone, il 5 giugno 1873, cfr. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999,
ad indicem; Id., Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem; Monsagrati, Alfonso
Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, 1991, ad indicem; Romeo, Vita
51
laureato in giurisprudenza a Torino e, nel 1848, ben lontano dal «vagheggiare rivolgimenti
sociali o anche solo la repubblica» e diffidando anzi dei metodi mazziniani, era stato eletto
deputato di Alessandria nel Parlamento subalpino, dove «si era seduto a sinistra».
Diventando uno tra i più autorevoli esponente della sinistra subalpina. Per sostenere le due
leggi che proponevano di unire la Lombardia al Piemonte e per esercitare il ruolo di
ministro della Pubblica Istruzione, negli otto giorni del governo liberale del conte Cesare
Balbo, e dell'Agricoltura e Commercio, nei diciotto giorni del governo moderato
dell'aristocratico Casati.
In seguito, finita la Primavera dei popoli, quello che era ormai considerato il leader della
sinistra moderata, era stato con Vincenzo Gioberti nell'opposizione democratica al governo
del marchese Cesare Alfieri di Sostegno, era tornato ministro, ma quella volta di Grazia e
giustizia, nel governo Gioberti, ed era poi stato l'uomo forte, quale ministro dell'Interno,
nel governo del generale Agostino Chiodo. 81
Dopo la débâcle sardo piemontese a Novara, Chiodo si era dimesso, scavalcato
dall'abdicazione di Carlo Alberto, dall'armistizio di Vignale e dall'ascesa al trono di
Vittorio Emanuele II. Rattazzi si era ancora distinto dalla Sinistra democratica e
intransigente e aveva fondato il «centro-sinistro»; sino al 1852, quando aveva dato vita al
di Cavour, 1894, ed. 1999, ad indicem; Rogari, Alle origini del trasformismo, 1998, pp. X,
3-8, 18-21 e 27-30; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, ad
indicem.
81
Durante il governo del generale Agostino Chiodo (1791/1861), che rimane in carica
dal 21 febbraio al 27 marzo 1849, il ministro delle Finanze, il deputato conservatore
Ottavio Thaon di Revel (1803/1868), dichiara l'attivo del bilancio dello Stato. Cfr.
Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 351-354, cap. VII, Il
governo del re, 4. Il re in Consiglio e il premier che non c'è; Scirocco, I democratici
italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 402.
52
Connubio con il «centro-destro» di Cavour.82
Grazie a questa alleanza politica, nata su «un programma di risoluta difesa delle
istituzioni costituzionali e di progresso civile e politico», Cavour era poi andato al governo,
sconfiggendo la Destra conservatrice dell'allora colonnello Menabrea e isolando la Sinistra
estrema di Angelo Brofferio, per limitare i contraccolpi del colpo di Stato di Luigi
Napoleone, sul Regno di Sardegna. Subentrato a Ponza di San Martino, quale ministro
dell'Interno nel «Governo del Re» guidato da Cavour, Rattazzi aveva legato il suo nome
alla legge sulla soppressione delle Corporazioni religiose e sull'incameramento dei beni
ecclesiastici, promulgata il 29 maggio 1855 dal re.
In tal modo, l'avvocato alessandrino aveva consolidato il proprio legame personale con
Vittorio Emanuele II che, non a caso, realizzata l'unificazione nazionale, lo nomina per due
volte presidente del Consiglio, sempre dopo Ricasoli: la prima, nel 1862, dopo le ingerenze
francesi nella politica italiana; la seconda, nel 1867, dopo l'annessione del Veneto, cui fa
seguito il divieto di tenere comizi sulle leggi ecclesiastiche.
Il 23 maggio 1855, tuttavia, ottenuta l'approvazione della Legge sull'incameramento dei
beni della Chiesa cattolica romana, Rattazzi aveva faticato ad arginare l'aperta ostilità dei
clericali e dei reazionari, che avevano indebolito la maggioranza cavouriana nelle elezioni
politiche del 15 novembre 1857 e, poco dopo, si era dimesso da ministro dell'Interno, per
protesta contro le continue pressioni di Napoleone III. Poi, quando la Corona aveva
82
Vedi Guido Quazza, La sinistra nel Risorgimento: Urbano Rattazzi, in «Critica
sociale», a. XLVII, 1955, n. 15, 5 agosto; n. 16-17, 20 agosto-5 settembre; n. 18, 20
settembre, pp. 268-271. Sul Connubio tra Cavour e Rattazzi, cfr. Martucci, Storia
costituzionale italiana, 2002, p. 123. Secondo Martucci, il Connubio è una delle
«“maggioranze del presidente”, aggregate congiunturalmente su interessi di basso profilo
(concessioni, lavori pubblici, commesse militari) nobilitati con spunti programmatici
destinati a restare lettera morta».
53
recuperato il consenso delle élite piemontesi, Rattazzi era tornato all'Interno con il governo
La Marmora; sino alla Conferenza di pace di Zurigo 83, dove la Francia aveva ottenuto che
fossero presenti anche i plenipotenziari del Regno di Sardegna, e al 16 gennaio 1860,
quando Cavour, richiamato a presiedere il governo, aveva assunto anche i ministeri degli
Esteri e dell'Interno.
Nel marzo 1860, dopo i plebisciti di annessione delle Province emiliane e della Toscana
e la conseguente estensione dello Statuto, le elezioni politiche della VII legislatura
portavano così in Parlamento un folto gruppo di democratici, tra cui Garibaldi, Carlo
Cattaneo e Giuseppe Ferrari. Rinsaldata l'alleanza con Napoleone III e ottenuta la
neutralità di Russia, Prussia ed Inghilterra, Vittorio Emanuele II e Cavour mettevano allora
a frutto l'insipienza politica e l’isolamento internazionale di Francesco II di Borbone e il
malcontento delle popolazioni delle Legazioni pontificie, appoggiavano l'impresa dei
Mille, estendevano gli ordinamenti amministrativi e istituzionali del Regno di Sardegna,
celebravano i plebisciti del Regno delle Due Sicilie e delle Legazioni pontificie nelle
Marche e nell'Umbria e unificavano l'Italia. Poi, dopo la schiacciante vittoria nelle elezioni
politiche della VIII legislatura, la prima del Regno d'Italia, Cavour chiamava all'Interno
Minghetti, arginando il municipalismo del leader dell'opposizione conservatrice, Ottavio
Thaon di Revel, che Vittorio Emanuele II nominava senatore, mentre La Farina
83
Cfr. il «sintetico scritto» Le Pape et le Congrès, 1859, pubblicato a Parigi, dapprima
anonimo e poi attribuito ad Arthur Dubreuil Hélion visconte de La Guerronière, ma
ispirato da Napoleone III, che segna il vero e proprio ribaltamento della politica francese
nei confronti del Vaticano. L'opuscolo sostiene, infatti, che la sovranità temporale del papa
è tanto più efficace, quanto più è piccolo lo Stato su cui si esercita. Da qui, la proposta che
il papa abbandoni le Legazioni; un'eventualità che Pio IX stigmatizza con durezza,
definendola «un monumento di ipocrisia e un tessuto di ignobili provocazioni» e che
disorienta l'opinione pubblica e le diplomazie delle principali potenze europee, Di Rienzo,
Napoleone III, 2009, capitolo VI L'impresa italiana e le sue conseguenze, pp. 251-253.
54
rivitalizzava la Società nazionale, incoraggiando l'autonomia delle principali città italiane,
per riassorbire il regionalismo di Minghetti e Rattazzi, vicino a garibaldini e mazziniani e
contrario alla cessione di Nizza e della Savoia, era eletto presidente della Camera. 84
In sintesi, unificata l'Italia, Cavour rafforzava il proprio ruolo di presidente del
Consiglio nel Regno d'Italia anche e soprattutto nei confronti di Vittorio Emanuele II,
contenendo il conservatorismo municipale di Thaon di Revel, dando spazio al
decentramento regionale proposto da Minghetti e temperando il centralismo sabaudo di
Rattazzi, del quale limitava l'autonomia politica, favorendone la nomina alla terza carica
istituzionale del Regno.
I.2.3. Re, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze dopo la morte di Cavour
L'inattesa scomparsa dello statista85 restituiva, però, lo scettro del potere parlamentare a
Vittorio Emanuele II che, inviato Rattazzi in missione a Parigi, affidava a Ricasoli
l'incarico di formare il governo. Il 9 ottobre 1861, questo «tory radicale sprovvisto di
quell'intolleranza da whig nei confronti di Mazzini […] propria del suo predecessore»,
84
Vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 415, e compara il cap. VIII
«Larghe e forti istituzioni rappresentative?», al cap. 2. Lo Stato unitario. La politica si
“amministrativizza” di Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico
al federalismo amministrativo, 2009. Cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario
(1860-1871), 1968, pp. 137-156; Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 80-90 e 99.
85
Cfr. «[Cavour] era riuscito nell'opera di coordinare l'iniziativa dinastica dei Savoia
con il movimento nazionale italiano, auspicata da uomini come Santarosa già prima del
1821; aveva gettato le basi per la trasformazione dell'Italia in un paese moderno; e l'edificio da lui costruito, nonostante la gran mole dei problemi non risolti, doveva estendersi e
consolidarsi per un cinquantennio, ed esercitare una influenza decisiva sui destini non solo
della penisola ma di tutto il sistema politico europeo», Romeo, Cavour, Camillo Benso
conte di, Grande dizionario enciclopedico, vol. IV, 1967, p. 347.
55
assumeva così anche il ruolo di ministro degli Esteri e di ministro della Guerra. 86
Confermando alle Finanze il banchiere livornese Bastogi, che già con Cavour aveva
iniziato a riordinare e a unificare i diversi sistemi fiscali e finanziari degli Stati preunitari.
Bastogi bilanciava allora il cattolicesimo liberale di Ricasoli, orientando il risanamento
dello Stato in senso conservatore, tagliando la spesa pubblica, incrementando il gettito
tributario e il credito e proponendo un Gran libro del debito pubblico.87
Nell'ambito di questa politica finanziaria, Ricasoli otteneva dal Parlamento
l'approvazione dei decreti che articolavano lo Stato nei Comuni, nei Circondari e nelle
Province, ma ribadivano la centralità dei prefetti regi e unificavano le diverse forze di
polizia, nell'arma dei Carabinieri. Il 3 marzo 1862, il «barone di ferro» era tuttavia
costretto a dimettersi per le tensioni interne al suo stesso governo, accresciute dalla Francia
che screditava il «rapace signor conte Bastogi»88, poi condannato dalla Commissione
parlamentare d'inchiesta sullo scandalo della Società italiana per le strade ferrate
86
Vedi Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 100. Ricasoli, nato a Firenze dal barone
Luigi e da Elisabetta Peruzzi, già dittatore della Toscana dopo Villafranca, nel Parlamento
subalpino, sedeva a destra.
87
Unificando i debiti pubblici e contraendo un onerosissimo prestito di 700 milioni di
lire, Bastogi si era meritato, oltre l'imperitura amicizia della Casa reale, il titolo di conte.
Ciò gli permette di presentarsi nel 1862 quale garante delle operazioni finanziarie necessarie a costruire le ferrovie meridionali, ancora ferme alla tratta Napoli-Portici, che i Borboni
avevano inaugurato il 3 ottobre 1839, prima linea ferroviaria nella penisola italiana.
88
Vedi I moribondi del Palazzo Carignano, 1982, p. 38. Il «rapace signor conte
Bastogi» è una delle innumerevoli definizioni contenute in questa sapida raccolta di ritratti
di uomini politici, che il deputato lucano Ferdinando Petruccelli della Gattina (1815/1890),
eletto nella VIII legislatura, dal collegio potentino di Brienza, aveva scritto per il giornale
parigino «La Presse»; cfr. Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli
anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia
unita, 1967, pp. 131-148.
56
meridionali.
Vittorio Emanuele II sostituiva allora Ricasoli con Rattazzi, che dopo la nomina di Sella
alle Finanze, ripristinava l'equilibrio della compagine governativa, con una maggiore
presenza della Sinistra nel governo, nominando Agostino Depretis ai lavori pubblici,
Pasquale Stanislao Mancini all'Istruzione e Pepoli all'Agricoltura, Industria e Commercio.
Assunti gli Esteri e l'Interno, Rattazzi governava così, sino al dramma dell'Aspromonte. In
quei duecentosettantasette giorni, il suo primo governo unificava il sistema monetario,
adottando quello bimetallico a base decimale, favoriva l’integrazione dell’economia
italiana nei mercati internazionali, concedeva ai privati di costruire e di gestire ferrovie e
canali e unificava il sistema tributario, introducendo l'imposta sulla ricchezza mobile,
abolendo i porti franchi, istituendo il Corpo delle guardie doganali e alienando ai privati
una parte dei beni demaniali ed ecclesiastici. Seguivano il governo del ravennate Farini che
nominava Minghetti alle Finanze, ma trascorsi centosei giorni era costretto a dimettersi,
dopo aver dato segni di squilibrio mentale 89, e il I governo Minghetti, che conservava per
sé le Finanze; sino alla strage di Torino.
Il successivo governo La Marmora-Sella, che succedeva a Minghetti, esautorato dal re
per coprire le proprie responsabilità politiche, provvedeva a trasferire la capitale a Firenze,
89
L. C. Farini, di cui ho già richiamato l'adesione, nel 1845, al manifesto di Rimini, era
stato sconfessato anche per questo da Mazzini, si era avvicinato a Bologna alle posizioni di
Vincenzo Gioberti (1801/1852) e di Cesare Balbo (1789/1853) ma, dopo l'assassinio di
Pellegrino Rossi (1787/1848) a Roma, aveva riparato a Torino, dove Cavour gli aveva affidato la direzione del Risorgimento, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 210.
Ministro della Pubblica Istruzione con Massimo D'Azeglio (1798/1866) nel 1851, e dittatore di Modena, con Cavour, nel 1859, L. C. Farini è presidente del Consiglio, dopo Rattazzi,
dall'8 dicembre 1862, al 24 marzo 1863. Il figlio Domenico Farini (1834/1900) è deputato
di Ravenna dal 1861, per otto legislature, presidente della Camera nel 1878, senatore dal
1886 e presidente del Senato dal 1887, al 1898.
57
promulgava la legge sui Codici civili e gestiva le elezioni politiche della IX legislatura, ma
il 19 dicembre 1865 era sfiduciato dalla Camera, che si rifiutava di trasformare in legge il
Regio decreto sul servizio di tesoreria, da affidare alla Banca Nazionale.
Costituito il 31 dicembre 1865, il II, caduco, governo del generale La Marmora, il 1866
è così caratterizzato dall'entrata in vigore dei nuovi Codici civili e commerciali e dalla
Terza guerra d'indipendenza, con la conseguente chiamata di La Marmora al fronte. Dopo
che il ministro delle Finanze Scialoja aveva ottenuto dalla Camera l'approvazione della
legge sul corso forzoso, subito trasformata in Regio decreto. Si susseguono così il II
governo Ricasoli, che conferma Scialoja alle Finanze, ma il 17 febbraio 1867 lo sostituisce
con Depretis, aprendo a sinistra, il II governo Rattazzi, con F. Ferrara alle Finanze, seguito
dall'interim dello stesso Rattazzi, e i primi due dei tre governi guidati da Menabrea90, con
Cambray Digny91 alle Finanze. Sino alla relazione Lampertico che, il 28 novembre 1868,
conclude i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso dei biglietti
di banca.
I.2.4. La burocrazia della Pubblica amministrazione
Rattazzi fa dunque seguire alla pace di Zurigo, l'attuazione di un centralismo autoritario,
imperniato sui prefetti, che Cavour prima, e Ricasoli dopo, mitigano soltanto in parte.
90
Menabrea si era affermato quale plenipotenziario di Vittorio Emanuele II, nelle
trattative di Vienna, successive alla guerra per Venezia, dove pure era stato ignorato dai
rappresentanti dell'Impero austriaco, cfr. Menabrea, Memorie, introduzione e a cura di
Letterio Briguglio e Luigi Bulferetti, 1971.
91
Cambray Digny, primo sindaco di Firenze capitale, dal 1865 al 1867, «sovrintende al
fervore edilizio dei piani Poggi e nella disputa sugli appalti e concessioni di lavori pubblici
sostiene i gruppi finanziari ai quali egli stesso, o influenti persone a lui vicine come l'amico
Peruzzi sono più direttamente legati», così la voce di Raffaele Romanelli, per il Dizionario
biografico degli italiani, vol. XVII, 1974, p. 155.
58
Quest'ultimo garantendosi a sinistra con Depretis, nominato ministro della Marina, e
accrescendo il potere discrezionale delle amministrazioni locali. La burocrazia italiana
inizia allora a prendere forma; composta, come ha scritto Ragionieri, dai piemontesi, dai
liberali di ogni parte d'Italia e dagli impiegati degli antichi governi. Essa è imperniata sul
funzionario di basso grado, mediocre, più che modesto, ossequioso delle direttive che gli
vengono dall'alto, oberato dal lavoro e pagato con un misero stipendio. 92 Il prototipo di
quest'oscuro burocrate è il signor Ignazio Travet, narrato nella commedia piemontese in
cinque atti di Vittorio Bersezio, Le miserie d'monsù Travet, rappresentata per la prima volta
nel 1863 al Teatro Alfieri di Torino e pubblicata come testo letterario nel 1871. 93 Il suo
protagonista copia, protocolla e archivia documenti, ligio all'obbedienza gerarchica, dalle
otto e mezzo alle sedici e trenta, con una piccola pausa pranzo, ma comincia a penare
92
Cfr. «L'apparato pubblico si presentava nel complesso piuttosto esile, con una spesa
che corrispondeva all'incirca al 10% del prodotto interno lordo e un numero di dipendenti
non superiore a 50.000. L'accesso alla carriera amministrativa dipendeva da criteri discrezionali […]. Soggetto all'arbitrio dei vertici amministrativi (in questi anni spesso coincidenti con i vertici politici), schiacciato da una dura disciplina interna e da una ben strutturata scala gerarchica, l'impiegato pubblico, assunto dopo aver prestato giuramento al Re,
non godette sino alla fine degli anni '80 di alcuna garanzia di protezione giuridica per
quanto riguardava il trattamento lavorativo, né di un particolare status sociale ed economico», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 7.
93
Le miserie d'monsù Travet è la fortunata commedia che Benedetto Croce, nelle sue
Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX, 1906, ha definito
«un'opera d'arte schietta, spontanea, piena di verità». La commedia è basata sulla spassosa
ricostruzione della giornata dell'impiegato travicello che arriva in ritardo in ufficio ed è
perciò rimbrottato, si dimentica di chiamare cavaliere il capo sezione di fresca nomina ed è
addirittura punito con la minaccia di un trasferimento in Sicilia. Per aver compiuto un
maldestro tentativo di difendere l'onore della moglie, insidiata dal direttore generale del
Ministero. Nell'appassionato, ma improbabile happy end, monsù Travet difende poi la sua
onestà e il suo decoro e ciò gli vale la revoca del trasferimento.
59
appena sveglio, quando la moglie rimane a letto, invece di portargli il caffè, mentre la serva
va a fare la spesa, la figlia Mariuccia rassetta la casa e il figlio minore, Carlin, fa i capricci.
La sua epopea, comica più che drammatica, simboleggia la vita quotidiana dei funzionari,
un termine che
nella stessa Francia, che è pure l'esempio tipico dello Stato centralizzato, […]
appare, nel suo significato odierno, e cioè esclusivo di agente, rappresentante dello
Stato, solo a partire dalla fine del 1799. Sotto l'antico regime, nel secolo XVIII,
l'espressione era employé; e ancora nel 1799 Siéyès intendeva con fonctionnaire gli
amministratori locale e i deputati. 94
Nel debole Stato italiano poi, questi funzionari, uomini senza qualità ante litteram, privi
del prestigio che li accompagna in Francia, subiscono continui spostamenti, talvolta
minacciati per imporre la disciplina, più che realizzati, ma comunque accettati di
malavoglia. Costretti ad abbandonare i dialetti d'origine ed esprimersi in italiano, per
amalgamare
la
nuova
compagine
nazionale.
Piccoli
burocrati
della
pubblica
amministrazione, oberati da rigide gerarchie, privi di garanzie giuridiche e scelti in base a
legami parentali e a criteri di rappresentanza territoriale, più che di merito, favoriscono
così la progressiva unificazione politica del Paese, la cui travagliata vita parlamentare,
priva della guida di Cavour, si dipana però incerta e contraddittoria. A opera di una Destra
divisa tra Permanente e Consorteria e di una Sinistra inadeguata a rappresentare le istanze
dei meno abbienti, come documentato da Arbib.95
94
Vedi Federico Chabod, L'idea di nazione, 1961, p. 186.
95
Edoardo Arbib (1840/1906) partecipa alla II guerra di Lombardia, alla Spedizione dei
Mille e alla guerra per Venezia, dirige il Corriere della Venezia e la Gazzetta del Popolo di
60
I.2.5. I nuovi Codici civili: autorità giuridica e libertà economica
I costi amministrativi sin qui tratteggiati, crescono ancora con il Regio decreto del 2
aprile 1865 che, due giorni dopo il Regio decreto sull'unificazione amministrativa,
promulga i nuovi Codici di commercio e civili, riconducendo la libertà economica
all'autorità giuridica; sino a condizionare il concreto svolgimento del corso forzoso,
promulgato dal Regio decreto del 1° maggio 1866. Iniziando con il Codice di commercio,
articolato in quattro libri: del commercio in generale, del commercio marittimo e della
navigazione, del fallimento, dell'esercizio delle azioni commerciali. Facendo tuttavia leva
soprattutto sul più innovativo di questi codici, il Codice civile, che porta a sintesi il lungo
ed elaborato lavoro preparatorio della Commissione parlamentare coordinata, sin dal 1863,
da Giuseppe Pisanelli96. Questo Codice civile, che rimane poi invariato sino al Regio
decreto del 16 marzo 1942, sostituisce, unificandoli, i Codici degli Stati preunitari:
Borbonico, Albertino, Parmense ed Estense, tutti di derivazione napoleonica, il Codice
Firenze e fonda a Roma il quotidiano moderato La libertà, trasformandolo poi in
settimanale. Sconfitto a Frosinone nelle elezioni del 1876, ma deputato di Viterbo dal
1879, Arbib appoggia in seguito l'ampliamento del suffragio elettorale, il liberismo e, nel
1892, il governo di Giovanni Giolitti (1842/1928). Nel 1895, quando il governo CrispiGiolitti è messo sotto accusa per gli scandali bancari, Arbib si ritira dalla competizione
elettorale; nel 1897, è sconfitto da Alessandro Fortis (1842/1909) nelle elezioni politiche
del collegio di Poggio Mirteto e, nel 1904, è nominato senatore.
96
Giuseppe Pisanelli (1812/1879), originario di Tricase, in provincia di Lecce, deputato
al Parlamento napoletano nel 1848, condannato a morte in contumacia dalla restaurazione
borbonica, si era rifugiato perciò a Londra e a Parigi, dove aveva conosciuto Guglielmo
Pepe (1783/1855) e Gioberti. Trasferitosi a Torino, Pisanelli pubblica, con Pasquale Stanislao Mancini (1817/1888) e Scialoja, il Commentario del codice di procedura civile per gli
Stati sardi, è guardasigilli a Napoli, nel governo prodittatoriale di Garibaldi, e poi a Torino,
nei governi Farini e Minghetti.
61
austriaco, vigente nel Lombardo-Veneto, e le norme di diritto pontificio, derivate dal diritto
canonico, in vigore negli Stati della Chiesa. 97 Le sue disposizioni hanno per oggetto:
1) il matrimonio civile, approvato malgrado l'opposizione dei clericali, che già nel 1852
avevano costretto il «re libertino» a ritirare l'analogo provvedimento bocciato dal Senato
per 39 voti a 3 e che ora bloccano le proposte d’introdurre il divorzio e di riconoscere la
parità giuridica delle donne e dei figli adulterini;
2) la difesa della proprietà privata, garantita dall'art. 29 dello Statuto che, in caso di
necessità, la tutela con l'equo indennizzo: «Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono
inviolabili. Tuttavia, quando l'interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può
essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente
alle leggi»;
3) il sistema della carità legale, fondato sul ruolo sussidiario della famiglia che con
modalità paternalistiche, impedisce ai minori e alle donne di emanciparsi attraverso il
lavoro, ma li protegge al contempo dallo sfruttamento ed è perciò assai differente dalla
Social Legislation approvata dal Parlamento britannico nel 1795, rafforzata con le Poor
laws e riformata nel 1834.98
Il nuovo Codice civile italiano distingue dunque la civitas di Vittorio Emanuele II,
dall'«Empire libéral» di Napoleone III che, applicando il Code civil napoleonico, ha
97
Cfr. Alberto Aquarone, L'unificazione legislativa e i codici del 1865, 1960, pp. 6-9 e
110-120.
98
Proprio alla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento, gli «economisti funzionari» ini-
ziano a sviluppare alcune concrete applicazioni dello storicismo economico tedesco, aggiornando il sistema di mercato fondato sulla proprietà privata, sulla nazionalizzazione delle dogane interne e sulla carità legale, che Cavour aveva sperimentato nel Regno di Sardegna. Vedi Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011,
capitolo VI La serie padovana del Giornale degli economisti, 6.2. Arretratezza e moderazione.
62
consolidato il diritto di famiglia, limitato il divorzio, regolato il diritto successorio e
rafforzato l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. La sua approvazione è uno degli
ultimi atti politici della VIII legislatura. Durante quella legislatura, la prima dell'Italia
unita, la Destra, pur indebolita dall’insufficiente attività legislativa della Consorteria e
dalla secessione della Permanente, si è giovata delle difficoltà della Sinistra e in particolare
dei democratici che, dopo avere soltanto subìto, senza farle proprie, le istituzioni politiche
e amministrative sabaude, estese da Cavour ai territori annessi, iniziano a parlare al Paese,
usando il Parlamento.99 Così, il 7 settembre 1865, Vittorio Emanuele II scioglie la Camera
dei deputati, applicando l'articolo 9 dello Statuto:
Il Re convoca in ogni anno le due Camere; può prorogarne le Sessioni, e
disciogliere quella dei Deputati; ma in quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel
termine di quattro mesi.
D'altra parte, l'articolo 5 dello Statuto riconosce tale facoltà al Re, che è il «Capo
supremo dello Stato», mentre secondo l'articolo 42: «I Deputati sono eletti per cinque anni;
il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine».
I.3. Il corso forzoso e la «guerra per Venezia»
I.3.1. Le elezioni politiche del 1865
Semplifico ora i dispositivi istituzionali che nel Regno d'Italia, regolano i rapporti tra
potere esecutivo, legislativo e giudiziario, e diritto di voto, attraverso le elezioni politiche
del 22 ottobre e del 5 novembre 1865, per la IX legislatura. Il I governo La Marmora, che
99
Cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 179; Mack Smith, Storia
d'Italia, 1959, p. 125; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 310.
63
le celebra, applica per la seconda volta, dopo il 1861, la Legge del 17 dicembre 1860, con
cui la Camera dei deputati aveva trasformato il Regio decreto del 10 dicembre 1860,
consentendo così ai territori annessi al Regno di Sardegna, di eleggere le proprie
rappresentanze politiche. Quella legge elettorale maggioritaria, a collegio uninominale e
doppio turno, fondata sul censo, aveva a sua volta riproposto l'Editto sardo allegato il 17
marzo 1848 allo Statuto ed esteso alla Lombardia, il 28 novembre 1859, ma aveva portato
il numero dei collegi da duecentoquattro a duecentosessanta. Accrescendoli poi sino a
quattrocentoquarantatré, dopo i plebisciti di ratifica delle annessioni del Regno di Sicilia e
delle Legazioni pontificie, che avevano registrato l'iscrizione al voto di 418.696 persone. In
questo modo, la rappresentanza politica della Camera dei deputati, eletta il 27 gennaio e il
10 febbraio 1861, era rimasta prerogativa delle élite aristocratiche e borghesi, scelte molto
spesso con la collaborazione dei prefetti. 100 Mentre il Senato vitalizio, di nomina regia,
aveva continuato a essere appannaggio esclusivo delle ventuno categorie previste dallo
Statuto, formate dagli arcivescovi e dai vescovi dello Stato, dai deputati con tre legislature
o sei anni di esercizio, dai ministri, dagli ambasciatori, dai primi presidenti e dai presidenti
di Cassazione, dagli ufficiali e dagli intendenti generali, dai consiglieri di Stato, dai
membri della Regia accademia delle scienze e da chi aveva dato lustro alla Patria «con
servizii e meriti eminenti», purché in regola con l'alta quota di tributi da pagare.
Le elezioni politiche della IX legislatura coinvolgono così 498.952 aventi diritto, 80.256
in più degli iscritti alle liste elettorali nel 1861. Così ripartiti: 208.887 al Nord, 107.207 al
Centro e 182.858 al Sud; il 2% circa della popolazione italiana, formato da sudditi maschi
adulti, in età superiore ai 25 anni. I votanti salgono da 239.583, a 271.552: 112.234 nel
100
Sul prudentissimo tentativo di ampliare i limiti timocratici dell'Editto elettorale
allegato allo Statuto, compiuto da Cavour alla fine del 1860, cfr. Martucci, Storia
costituzionale italiana, 2002, p. 87 e nota 19.
64
Nord (il 54%), 51.869 nel Centro (il 48%) e 107.449 nel Sud (il 59%); con un incremento
di 31.969 persone, la cui incidenza sugli aventi diritto diminuisce tuttavia dal 57,2%, al
54%, in conseguenza della crescita demografica. 101
In seguito, l’astensionismo cala al 52% nel 1867, ma raggiunge l'acme nelle elezioni
politiche della XI legislatura, successive all'annessione di Roma e delle Province romane,
quando tocca il 54,5%. Questa forma di protesta civile, una costante del primo decennio
della storia politica dell'Italia unita, che limita un elettorato già molto ristretto dal censo e
dal genere, è spiegata con una generica «apatia», dal costituzionalista liberale Attilio
Brunialti102. Alla fine dell'Ottocento, dopo la riforma elettorale Zanardelli, poco prima
dell'eccidio di Milano, perpetrato dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. 103 Oggi, invece,
quell'astensionismo, ripensato attraverso le analisi del suffragio universale, può essere
interpretato come la punta di un iceberg che minaccia il nuovo Stato liberale, sin dalla sua
101
Il 27 gennaio e il 4 febbraio 1861, nelle elezioni politiche per la VIII legislatura,
avevano votato 239.746 dei 419.846 aventi diritto: 69.206 su 135.970 (il 51%) al Nord,
38.403 su 87.176 (il 44%) al Centro, e 132.317 su 196.700 (il 67%) al Sud. Sulla
ripartizione dei votanti nelle elezioni politiche della IX Legislatura, in cifre assolute e in
percentuali, cfr. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 419 e
420, appendice I, tabella 1.
102
Sul ruolo politico del vicentino Attilio Brunialti (1849/1920), che il 10 marzo 1881
scrive a «un ignoto, forse il Depretis, informandolo di aver posto “le basi d'un accordo
quasi completo fra Zanardelli e il Ministero, sulla questione elettorale”», vedi CD, serie I,
busta 27, fasc. 99; Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al
1887, 1956, p. 247, n. 7.
103
Fiorenzo Bava Beccaris (1831/1924), militare di carriera, nato a Fossano, in
provincia di Cuneo, da nobile famiglia, è nominato «regio commissario straordinario» nel
1898, dal V governo del marchese palermitano Antonio Starabba di Rudinì (1839/1908),
con l'incarico di reprimere i moti di Milano. Compito che assolve con inaudita durezza, il 7
maggio, ordinando all'esercito di sparare sulla folla e causando così ottanta morti, secondo
le fonti ufficiali, trecento, secondo l'opposizione.
65
nascita; in ragione di un'irrisolta questione sociale, che i Savoia cercano di risolvere
condizionando, con militari di carriera, loro diretti subordinati, il riformismo autoritario
della Destra, rafforzando il partito di Corte e affrontando, sempre più spesso, la
conflittualità sociale soltanto in termini repressivi. Quella massa sommersa è poi
accresciuta dal non expedit della Chiesa cattolica romana, che condiziona in particolare i
contadini, per i quali la soppressione delle vecchie strutture feudali comporta la fine di
consolidate strutture assistenziali e, quindi, la fame, la miseria e il brigantaggio, specie nel
sud. Da qui, lo «stato d'assedio», sfociato in una vera e propria guerra civile che, insieme
alla ripulsa dello scandalo della Società italiana per le strade ferrate meridionali, allontana
vieppiù il popolo dalle istituzioni politiche liberali.
Accennando poi alla differenziazione del voto per aree politiche e geografiche,
arrotondo le cifre per difetto e rilevo che il 22 ottobre e il 5 novembre 1865, la Destra
elegge duecentocinquanta deputati (il 42%), che premiano i moderati, soprattutto nella
Toscana di Ricasoli; a fronte dei trecentocinquanta deputati (l'80%) eletti nella precedente
legislatura, quando la Destra era però guidata da Cavour. Il Centro-sinistra di Rattazzi,
Depretis e Crispi, ottiene invece centoventi deputati (il 36%), con un rafforzamento
dell’Estrema di Bertani (poco meno del 5%), mentre settanta deputati (il 17%), tra cui venti
conservatori (il 6,5%), danno vita ad altri gruppi parlamentari. Si registra in tal modo, una
frammentazione delle forze politiche, che fa emergere nuove rappresentanze territoriali, al
fianco di quelle ideologiche, ma articola il blocco moderato. Frutto di una congerie di
personalismi e di localismi, da districare caso per caso, e all'opposto, di una concezione
oligarchica della politica, controverso antidoto alla corruzione. Un'impostazione che un
autorevole intellettuale cattolico liberale, Ruggiero Bonghi, fa risalire a Cavour, ma critica
come conseguenza della spiccata propensione accentratrice e della predilezione per «gli
66
animi pieghevoli all'obbedienza», piuttosto che per i «voleri tenaci al comando»:
caratteristiche proprie di ogni oligarchia.104
La Camera dei deputati della IX legislatura, così eletta, elegge a sua volta presidente il
fiorentino Adriano Mari, che affianca il milanese Casati, confermato presidente del Senato.
Mentre il I governo La Marmora che, con Sella alle Finanze, era stato sfiduciato dalla
Camera dei deputati, quando aveva proposto di affidare il servizio di tesoreria alla Banca
Nazionale, è sostituito dal II governo La Marmora, che s'insedia il 31 dicembre 1865, con
Scialoja alle Finanze. La I sessione105 di questa legislatura, nella quale la Camera approva
la Legge sul corso forzoso e il «Governo del Re» promulga il Regio decreto del 1° maggio,
è caratterizzata dai tentativi di raccordare gli ambienti di Corte e il Paese; a cominciare
dall'esercizio finanziario provvisorio.
Tra i protagonisti minori, ma significativi, di quei tentativi c'è il giornalista e deputato
fiorentino Arbib, che li descrive e commenta in vari scritti: nel già citato terzo volume della
sua storia parlamentare, nel quale illustra i criteri, territoriali, più che di merito, della
distribuzione
104
degli
impiegati
nelle
pubbliche
amministrazioni
dell'Italia
unita;
Cfr. l'opuscolo La elezione del deputato. Lettere due a un candidato nell'imbarazzo,
1865, nel quale il napoletano Ruggiero Bonghi (1826/1895), fondatore di La Stampa di
Torino e deputato uscente di Manfredonia, commenta proprio la sua incresciosa esclusione
dalla Camera dei deputati. In seguito, Bonghi, rieletto deputato della Destra nel 1867,
pubblica una storia della finanza italiana e un saggio sui limiti del potere d’inchiesta nelle
assemblee, dirige a Milano La Perseveranza, contribuisce alla stesura della Legge delle
Guarentigie, è ministro dell'Istruzione pubblica e fonda i Collegi Convitto di Assisi e di
Anagni, per gli orfani e le orfane dei maestri; sue le traduzioni della Metafisica di
Aristotele e di alcuni dialoghi di Platone, la Storia di Roma, la Storia dell'Europa durante
la Rivoluzione francese, Lettere e critiche della Letteratura italiana e Vita di Gesù.
105
La I sessione della IX legislatura inizia il 18 novembre 1865 e si conclude il 30
ottobre 1866, attraverso le proroghe del 9 gennaio e del 7 luglio.
67
nell'opuscolo sull'esercito italiano nel quale esamina le cause della sconfitta di Custoza, i
limiti della struttura militare italiana e il conflitto tra i generali La Marmora ed Enrico
Cialdini; nella raccolta di pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, tratti dagli
atti del Senato e della Camera, che documentano le difficoltà di seguire e interpretare la
contraddittoria evoluzione della società italiana.106 Ne scaturiscono preziose informazioni
sulle conseguenze sociali del rigore finanziario di Sella, sulla relativa mobilità territoriale
legata al diffondersi delle professioni liberali, sulle difficoltà delle rappresentanze politiche
e sul crescente peso dell'opinione pubblica. A queste informazioni attingo ora, per integrare
i riferimenti alla Gazzetta ufficiale, sui quali ho fondato l'iniziale ricostruzione della
promulgazione del Regio decreto sul corso forzoso.
I.3.2. L’esercizio finanziario provvisorio nella IX legislatura
Il primo atto amministrativo della IX Legislatura è l'esercizio provvisorio del bilancio
dello Stato, presentato, in deroga allo Statuto, dal ministro delle Finanze, Scialoja, nel
gennaio 1866. Scialoja – che nel 1840 aveva pubblicato a Napoli i Principi di economia
sociale esposti in ordine cronologico e che nella Torino del 1846 era stato nominato
docente universitario da Carlo Alberto 107 – era ormai un esperto politico. Dopo essere stato
106
Vedi Edoardo Arbib, L'esercito italiano e la campagna del 1866, 1867; Id., Pensieri,
sentenze e ricordi di uomini parlamentari, 1901; Id., Cinquant'anni di storia parlamentare
del regno d'Italia, 4 voll. 1897-1907, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio
1863 al 2 novembre 1870, vol. 3°, 1902.
107
Scialoja aveva ottenuto la nomina regia a docente universitario, grazie alle conver-
genti segnalazioni delle due opposte parti politiche: del consigliere di Stato Ilarione Petitti,
conte di Roréto, e del repubblicano Angelo Brofferio, vedi De Cesare, La vita, i tempi e le
opere di Antonio Scialoja, 1879, capitolo II, Il re Carlo Alberto – I Borboni – Nicola Santangelo – Partenza di Scialoja per Torino – Testimonianze di onore – Lettera di Vincenzo
Gioberti – L'insegnamento della scienza economica – Le congratulazioni del Re, pp. 29-36.
68
ministro per l’Agricoltura e il Commercio nel Regno delle Due Sicilie, quando Ferdinando
II aveva concesso lo Statuto; essere tornato a Torino, questa volta da esule, dopo la fine
della Primavera dei popoli; aver difeso, alla fine del 1853, il liberismo del conte di Cavour,
con lo scritto Carestia e governo;108 aver pubblicato, nel 1857, Note e confronti dei bilanci
del Regno di Napoli e Stati Sardi e aver appoggiato, nel 1860, il disegno di legge di Cavour
sulla libertà economica delle industrie tessili.109 Ancora, deputato nella VIII legislatura per
il collegio di Pozzuoli e segretario generale del ministero Cordova all’Agricoltura, durante
il I governo Ricasoli, Scialoja era stato nominato consigliere della Corte dei Conti nel 1861
e senatore nel 1862 ed è tra i garanti della continuità del II governo La Marmora, che si era
insediato il 31 dicembre 1865.
Con l’esercizio finanziario provvisorio del gennaio 1866, Scialoja si mette nelle
condizioni di esigere il pagamento delle imposte, senza sottoporsi al voto di fiducia del
Parlamento.110 Il ministro delle Finanze del II governo La Marmora applica in questo modo
108
Scialoja pubblica il suo scritto Carestia e governo, il 31 dicembre 1853, tre giorni
dopo la fine della sollevazione contadina causata dalla carestia che aveva colpito la Valle
d'Aosta. La rivolta, fomentata dal clero e dai reazionari, ostili alle Leggi Siccardi, si era
conclusa, dopo l'imponente corteo che aveva attraversato le strade di Aosta al grido di
«Viva il re, abbasso il tricolore e lo Statuto», grazie alla mediazione del vescovo che aveva
convinto gli insorti a deporre le armi. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, indice
dei nomi, Siccardi, Giuseppe, conte.
109
Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 497. Cfr. Faucci, L’economista sco-
modo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, ad indicem; Id., L’economia politica in Italia: dal Cinquecento ai giorni nostri, 2000, pp. 154-158 e 387; Martucci, L'invenzione
dell'Italia unita, 1999, pp. 33 e 141; Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed.
1990, pp. 618-620, n. 2.
110
Il presidente del Consiglio Rattazzi osserva che, quando la Camera dei deputati non
ha più fiducia nel Governo, «ha mille mezzi per farglielo comprendere», garantendo
tuttavia il regolare andamento della res publica, vedi Camera dei deputati, 12 marzo 1862,
69
la parte dell'articolo 5 dello Statuto ottriato, che attribuisce al Re la prerogativa di
nominare il Governo e di controllarne l'attività, ma ne aggira la parte che sottopone i temi
finanziari al voto parlamentare. Del resto, formalizzando questa contraddizione, lo Statuto,
unico sopravvissuto alla fine della Primavera dei popoli, tra le Carte costituzionali
concesse dagli Stati preunitari, garantisce la transizione dalla monarchia statutaria pura,
alla monarchia statutaria parlamentare, nella quale il Governo è espressione del Re, ma
sollecita il sostegno della Camera elettiva, che Cavour aveva valorizzato anche per
accrescere il proprio ruolo di presidente del Consiglio. Così, la «irregolarità perenne»
dell'esercizio provvisorio è consentita perché
cominciando l'esercizio finanziario col primo di gennaio, e riunendosi le camere
in novembre, difettava il tempo nelle sedute autunnali per discutere tutti i bilanci.
[…] Una ragione più rilevante consisteva nella anormalità dell'erario, non sapendosi,
a dicembre, donde nell'esercizio finanziario imminente esso avrebbe ricevuto le
risorse, laonde non non sarebbe stato possibile di compilare un bilancio d'entrata
purchessia. I bilanci della spesa erano pronti, ma non era corretto di presentarli senza
i mezzi per farvi fronte.111
Presentando l'esercizio finanziario provvisorio del 1866, Scialoja riprende d'altra parte
l'impostazione del suo predecessore Sella e denuncia il pericolo del disastro finanziario che
continua a incombere sul nuovo Stato unitario, ma sostituisce la proposta della tassa sul
p. 1543; Arbib, Pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, 1901, pp. 114-115.
111
Vedi Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed.
1985, p. 175. C'è inoltre da considerare che il II governo La Marmora era stato nominato il
31 dicembre 1865.
70
macinato, con la proposta di due distinte tasse: sulla proprietà fondiaria e sul reddito
agrario.112 Il suo intervento precede di pochi giorni sia l'inaugurazione della Banca
Popolare di Milano, che ha un capitale di 27.000 lire e il cui Consiglio d'amministrazione è
presieduto da Luigi Luzzatti113, sia la fondazione della Società italiana per l'educazione
popolare, costituita a Firenze dal ministro della Pubblica Istruzione Domenico Berti, per
sostenere le scuole, i musei, le biblioteche e la formazione dei maestri.
L'allarme lanciato da Sella e riproposto da Scialoja, sul rischio di disastro finanziario
che minaccia lo Stato italiano, trova un'inaspettata eco negli ambienti radicali, raccolti
intorno al giornalista nizzardo Giovanni Battista Bottero, già fondatore dell'Opinione e
112
Proponendo una legge che distingue la tassa sulla proprietà fondiaria e la tassa sul
reddito agrario, Scialoja tenta di applicare, ma in maniera improvvida, l'impostazione
finanziaria con cui, nel 1798, William Pitt iuniore (1759/1806) aveva ottenuto dal
Parlamento l'approvazione dell'income tax, durante le guerre contro Napoleone. Vedi: «[...]
in Italia nel '66 la riforma vagheggiata dallo Scialoja e da altri si sarebbe risoluta in un
aggravio ingiustificato sui proprietari terrieri. Prevalse quindi – e correttamente – il
concetto che l'imposta di ricchezza mobile e quella fondiaria non dovessero sovrapporsi»,
Enrico Barone, Studi di economia finanziaria, in Id., Scritti di finanza, 1970, p. 120. Cfr.
Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876),
1995, p. 180 e n. 42; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara,
1995, pp. 209-210 e 231-232.
113
Luigi Luzzatti (1841/1927), veneziano di origine israelitica, laureatosi in
Giurisprudenza a Padova nel 1863 e promotore di Società di mutuo soccorso nel Veneto
austriaco, presiede tra l'altro il Consiglio d'amministrazione della Banca Popolare di
Milano, inaugurata il 25 gennaio 1866. Otto mesi dopo il I congresso delle Banche
Popolari d'Italia, riunitosi a Torino il 7 maggio 1865, alla presenza dei delegati di trenta
Banche Popolari. Il 7 aprile 1868 Luzzatti è interrogato dalla Commissione d'inchiesta sul
corso forzoso, assenti Lualdi, A. Rossi e Sella, proprio quale direttore della Banca Popolare
di Milano. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. III, 1868, ora anche
CD1800000273, pp. 223 e seguenti.
71
della Gazzetta del popolo e deputato del I collegio di Torino, dove era già stato eletto
Cavour. Cogliendo l'occasione dell'asta di beneficenza promossa dalla Società Gianduia,
Bottero propone infatti di fondare un Consorzio nazionale, per raccogliere i fondi necessari
a risanare il sempre più ingente debito pubblico. L'idea scuote il «clima di generale
sfiducia e depressione», raccoglie molte adesioni e coinvolge anche i più significativi
esponenti della Destra; senza per questo portare, né poteva farlo, al risanamento del debito
pubblico. Il valore della proposta di Bottero è semmai morale, perché sensibilizza
l'opinione pubblica, rompendo le paratie dell'angusto municipalismo piemontese e
cominciando ad affermare l'interesse nazionale. 114
Durante il II governo La Marmora, condizionato dalle pessime condizioni finanziarie
dello Stato italiano e dall'inchiesta amministrativa proposta da alcuni deputati, la Camera
dei deputati discute poi la nuova elezione di Mazzini, ancora una volta invalidata, questa
volta per la precedente condanna alla deportazione. 115 Seguono, l'alleanza dell'Italia con la
Prussia e la presentazione dei provvedimenti finanziari e della legge sulle corporazioni
religiose. Sino al 30 aprile, quando il ministro delle Finanze Scialoja presenta la Legge
finanziaria in un unico articolo che precede e prepara il Regio decreto del 1° maggio 1866
sul corso forzoso.
114
Sul Consorzio nazionale per risanare debito pubblico, che nel 1930 confluisce nella
Cassa di ammortamento del debito pubblico interno, vedi la voce Giovanni Battista Bottero
(1822/1897), di Giuseppe Locorotondo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XIII,
1971, pp. 432-441.
115
L'elezione di Mazzini nel primo collegio di Messina, era stata annullata una prima
volta per la precedente condanna a morte. L'elezione è infine ratificata dalla Camera dei
deputati, senza alcuna discussione, dopo la convalida dei deputati veneti eletti il 25
novembre e il 2 dicembre 1866, in grande maggioranza ministeriali. Anche in questo caso,
tuttavia, l'elezione rimane sulla carta, quella volta perché Mazzini rinuncia a fare parte
della Camera dei deputati, per coerenza repubblicana.
72
I.3.3. Un «atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale»
Tra i protagonisti di questo scorcio della IX legislatura, che va dall'esercizio finanziario
provvisorio, al corso forzoso, c’è il deputato toscano Antonio Mordini, originario di Barga,
in provincia di Lucca, che, dopo aver preso l'avvocatura a Firenze, era stato volontario a
Venezia, aveva fondato a Genova il periodico La libera parola, insieme con l'altro patriota
mazziniano, Carlo Pisacane, ed era stato ministro degli Esteri nel governo provvisorio della
Toscana. Eletto nel 1857 alla Camera, dove aveva preso «posto all’estrema sinistra»,
Mordini era entrato in urto, sulla II guerra di Lombardia, con La Farina e gli altri
cavouriani della Società nazionale. Pro dittatore di Garibaldi a Palermo, in sostituzione del
dimissionario Depretis, Mordini era quindi stato eletto deputato nella VII legislatura, per il
collegio di Borgo a Mozzano di Lucca. Arrestato con l'accusa di avere favorito lo
sfortunato azzardo di Garibaldi sull'Aspromonte, nel dibattito sulla Convenzione di
Settembre, Mordini capeggia i trenta deputati della Sinistra che votano a favore del
trasferimento della capitale a Firenze e, dopo le elezioni politiche del 1865, contribuisce a
istituzionalizzare la Sinistra. Il deputato toscano, rieletto al ballottaggio nel terzo collegio
di Palermo, propone infatti ai volontari garibaldini di formare un partito, in polemica con
Benedetto Cairoli, che considera ancora necessario muoversi come gruppo di opinione
rivoluzionaria. Poi, il 30 aprile 1866, ottiene che la Camera dei deputati voti a scrutinio
segreto il disegno di legge presentato da Scialoja. 116 I funzionari degli Uffici della Camera
116
Mordini garantisce in seguito la transizione dall'amministrazione austriaca,
all'amministrazione italiana, quale Commissario regio a Vicenza, nel 1867 fonda il Terzo
partito, si sposta al Centro, passando nelle file governative, nel 1872 è prefetto di Napoli e
nel 1896 senatore. Vedi Alfredo Capone, L'opposizione meridionale nell'età della Destra,
1970, p. 245; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, ad indicem;
Scirocco, I democratici italiani da Sapri a porta Pia, 1969, pp. 313-314.
73
dei deputati hanno intanto riscritto la legge Scialoja nel seguente articolo unico:
A tutto il mese di luglio 1866 è fatta facoltà al Governo del Re di ordinare le spese
necessarie alla difesa dello Stato e di provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del
Tesoro, fermo rimanendo l'assetto delle imposte, quali furono e saranno votate dal
Parlamento.117
Ascoltate le dichiarazioni di voto, tutte favorevoli, la sera di quello stesso 30 aprile, in
una tornata straordinaria, la Camera dei deputati approva allora a scrutinio segreto, con
duecentocinquantatré voti favorevoli e un voto contrario, la nuova stesura della Legge.
Dopo appena un giorno, tuttavia, questa «universalità di consensi» è rotta da un fatto le cui
conseguenze, già chiare subito, durano a lungo: ottenuta dalla Camera dei deputati
l'autorizzazione a «provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del tesoro», la Corona fa
infatti sottoscrivere al ministero delle Finanze, il Regio decreto che autorizza il corso
forzoso
non già a tutti i biglietti di Banca allora in circolazione, ma a quelli soltanto della
Banca Sarda.118
Questo monopolio, che Governo, Parlamento e Corona accordano alla Banca Nazionale
Sarda, causa grande sconcerto, soprattutto nelle Province napoletane, già allarmate dal
117
Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, p. 350, nota 1; il testo di
questa Legge è poi pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1°
maggio 1866; cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 298.
118
Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, p. 350; Candeloro, La
costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 299.
74
decreto Sella sul servizio di tesoreria, bocciato il 19 dicembre 1865, con la conseguente
caduta del I governo La Marmora, e ora preoccupate per la discriminazione dei loro Istituti
di credito. Il portavoce di queste proteste, che fanno seguito al Regio decreto sul corso
forzoso, è l'ex direttore del Banco di Napoli, Michele Avitabile, eletto deputato nelle file
della Sinistra. Con l'interpellanza del 4 maggio, Avitabile critica infatti la decisione di
concedere alla Banca Nazionale Sarda un corso forzoso di 800 milioni di circolazione
cartacea, in cambio di un prestito di appena 250 milioni di lire. I contenuti di questa
richiesta di spiegazioni, che ha ampia eco nell'opinione pubblica nazionale, sino
all'inchiesta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, si appuntano
poi sul premio concesso alla Banca Nazionale Sarda per un servizio che in realtà le rende
lo Stato: una decisione, altrimenti inspiegabile, che a giudizio di Avitabile trae origine dalla
volontà politica di indebolire il Banco di Napoli, per favorire la Banca Nazionale Sarda. 119
All'interpellanza del deputato meridionale rispondono dapprima Minghetti e Sella e poi
proprio Scialoja, il quale non riesce però a fugare il sospetto che il corso forzoso sia «un
atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale». Gli animi
si quetarano soltanto perché parve men che conveniente, e lo avvertì il De Cesare,
disputare del mio e del tuo, in quei giorni nei quali ogni italiano doveva solo pensare
alla guerra contro la straniero. Per questo solo motivo fu sepolta con l'ordine del
giorno puro e semplice una giudiziosa proposta per l'emissione d'un biglietto unico
governativo di cui tutti insieme gli Istituti di credito fossero ugualmente
119
Michele Avitabile, eletto deputato, è interrogato dalla Commissione d'inchiesta della
Camera dei deputati, in due sedute, l'1 e il 2 aprile 1868, la prima, alla presenza di tutti i
suoi componenti e la seconda, assente Lampertico. Vedi CD1800000273, pp. 97-121.
75
mallevadori.120
Le cose prendono tuttavia una piega ben differente; infatti: 1) tutti i biglietti della Banca
Nazionale Sarda, inclusi quelli relativi alle operazioni commerciali con i privati, diventano
inconvertibili in oro e argento; 2) la convertibilità dei biglietti emessi da Banca Nazionale
Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca Romana, Banco di Napoli e Banco di Sicilia è,
invece, legata alla Banca Nazionale Sarda, che può in tal modo attuare il drenaggio delle
riserve auree; 3) le banconote della Banca Nazionale Sarda hanno corso legale, ovvero
valore liberatorio coatto, su tutto il territorio dello Stato, mentre le banconote degli altri
istituti hanno corso legale soltanto nelle Province di appartenenza; 4) le banconote della
Banca Nazionale Sarda hanno effetto liberatorio in tutto lo Stato; viceversa, le banconote
emesse dalle altre banche devono pagare un aggio, per essere cambiate in banconote della
Banca Nazionale Sarda. Ciò comporta il rischio di speculazione sulle cedole del debito
pubblico rimborsate in oro all’estero e in cartamoneta nel Regno d’Italia; 5) la Banca
Nazionale Sarda emette biglietti per conto del Tesoro dello Stato, svincolati dall'obbligo di
riserva, che vanno oltre le banconote che la stessa Banca emette in ragione del proprio
attivo. Così, il rifiuto della valuta ufficiale è considerato un reato, mentre la legge sanziona
il baratto e i pagamenti in valuta straniera, con pene che vanno sino alla reclusione, e la
Banca Nazionale Sarda è obbligata a stampare biglietti di banca, senza svalutare il valore
legale della lira, che rimane tuttavia assai differente dal suo valore di mercato. 121
120
121
Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, pp. 350-351.
Il corso forzoso è da porre in relazione con l'unificazione monetaria disposta nel
1862, attraverso ben quattro dei cinque principali istituti di emissione, censiti dalla
Commissione parlamentare d'inchiesta nel 1868: la Banca Nazionale, la Banca Nazionale
Toscana, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, vedi Luzzatto, L’economia italiana dal
1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 46-51 e relative note. Il quinto dei cinque principali
76
Sull'evoluzione del corso forzoso, che ho già delineato in forma sintetica
nell'Introduzione, torno in seguito in chiave analitica, esaminando la Relazione della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Ora riconduco invece le
discussioni della Camera dei deputati nell'aprile-maggio 1866, che ho sinora ripercorso
attraverso la Storia parlamentare di Arbib, al quadro politico europeo, che aveva
determinato il trasferimento della capitale a Firenze, secondo quanto stabilito dalla
Convenzione di Settembre. Con la quale Vittorio Emanuele II e Minghetti avevano
assecondato la volontà politica e il disegno imperiale di Napoleone III.122 Lasciando
incompiuta l'unificazione italiana. Nell'ambito delle compatibilità economiche determinate
dalla Guerra civile americana, che aveva fatto crollare l’importazione dei metalli preziosi
in Europa, e del conseguente disimpegno del Regno Unito dal Continente europeo: due
elementi che avevano concorso alla promulgazione del corso forzoso anche in Italia.123
I.3.4. L'alleanza tra Prussia e Italia muta lo scenario europeo
Per ricostruire il quadro europeo, nel quale Vittorio Emanuele II promulga il corso
istituti di emissione è la Banca Toscana di credito per le industrie e i commerci d’Italia.
122
Sul ruolo dei banchieri e degli uomini dell'alta finanza, nel trasferimento della
capitale a Firenze, vedi Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli
anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia
unita, 1967, p. 138. Confronta Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18 voll.,
1895-1918, vol. III volume, 1897.
123
Vedi il par. VIII. Il corso forzoso in Inghilterra. In America e in Italia, del capitolo IX.
Il biglietto e la moneta, di Lampertico, Economia dei popoli e degli stati, vol. V, Il Credito,
1970: 330. Il presidente Abraham Lincoln (1809/1865) adotta il corso forzoso per
finanziare l'Unione degli Stati d'America nella guerra contro gli Stati confederati
d'America. Il presidente Ulysses S. Grant (1822/1885) ripristina tuttavia il corso legale
soltanto con il Resumption Act del 14 gennaio 1875.
77
forzoso, richiamo ora la centralità dell'Impero asburgico, che aveva gestito con sagace
determinazione l'ordine restaurato nel congresso di Vienna dal principe Klemens von
Metternich, componendo in chiave nazionale la dicotomia tra legittimismo dinastico e
nuove sovranità. La Restaurazione aveva infatti stabilizzato i Paesi tedeschi con il
Deutscher Bund, diviso la Penisola italiana nei dieci Stati preunitari e favorito il ritorno
della dinastia dei Borboni sul trono di Francia, dove Luigi XVIII aveva concesso la Charte,
usando il disegno nazionale di Charles-Maurice Talleyrand, nominato in cambio duca di
Périgord.
Proprio l'ascesa di Luigi Bonaparte, successiva alle rivoluzione nazionali della
Primavera dei popoli, alla loro repressione e all'inizio del regno di Francesco Giuseppe,
aveva però dato inizio al lento declino dell'Impero austriaco. Il nipote di Napoleone
Bonaparte aveva riproposto infatti le idées napoléoniennes, quali figlie dell'ordine civile e
religioso, della libertà nazionale, dell'amministrazione efficiente, delle gerarchie
istituzionali e della sovranità popolare, instaurate dal Grande Zio; rovesciando la dura
critica di Benjamin Constant, che le aveva bollate come portato guerrafondaio dello spirito
di conquista e di usurpazione. Caduta la monarchia borghese di Luigi Filippo e travolta dal
Paese reale la politica del «juste milieu», con cui François Guizot aveva governato il Paese
legale, Luigi Bonaparte aveva poi cercato di coniugare la grandeur francese, gli interessi
dell'aristocrazia del denaro e la lotta contro la povertà, con il colpo di Stato. Per imporre il
plebiscito sulla Costituzione – «redatta in virtù dei poteri delegati dal popolo francese» e
incentrata sul Corps législatif – e farsi proclamare imperatore dei francesi, alla fine del
1852, restaurando l'Impero.
Difesa la Turchia in Crimea e spezzata, insieme all'Inghilterra, l'alleanza tra Austria e
Russia, perno della Reazione, Napoleone III celebra la sua gloria militare nel 1859, con la
78
campagna d'Italia.124 Tuttavia, nel giro di pochi anni, il Piccolo imperatore è stretto, in
Francia, tra l'aristocrazia di nascita e i democratici e i socialisti e, in Europa, tra il Regno
Unito della regina Vittoria e la Prussia di Guglielmo I Hohenzollern. È questa la nuova
potenza europea che nel 1866, poco prima che Vittorio Emanuele II promulghi il corso
forzoso, firma un trattato segreto con l'Italia, che il «consigliere di legazione» Theodor von
Bernhardi motiva in questi termini:
[...] perché l'Austria non impieghi in maniera sproporzionata una parte della sua
intera potenza, perché non possa scendere in campo con una forza superiore contro la
Prussia, gli italiani devono trattenere e impegnare una parte consistente delle forze
armate austriache in Lombardia. 125
Questa alleanza con l'Italia, prepara il blitz krieg di Sadowa, in Boemia, il 3 luglio 1866,
che concretizza l'iniziativa «dall'alto» di Bismarck, realizzando l'unità nazionale tedesca, al
di là della fuorviante alternativa tra progetto grande-tedesco, che accettava la supremazia
dell'Austria, e progetto piccolo-tedesco, che invece puntava a emanciparsene.126 Questa
Realpolitik è da confrontare all'astuzia con cui Cavour aveva voluto la poco più che
simbolica partecipazione sardo piemontese alla guerra di Crimea, volta ad approfittare
124
Cfr. Di Rienzo, Napoleone III, 2009, capitolo VI L'impresa italiana e le sue
conseguenze, pp. 214-279.
125
Theodor von Bernhardi (1802/1885), «consigliere di legazione» inviato in Italia dal
governo prussiano, senza specifiche credenziali, si rivolge così a La Marmora, in Der
Krieg 1866 gegen Österreich. Tagebuchblätter aus den Jahren 1866 und 1867, 1897, pp.
47-54. Cfr. Gian Enrico Rusconi, Cavour e Bismarck Due leader fra liberalismo e
cesarismo, 2011, p. 117 e n. 43 e p. 163.
126
Vedi Rusconi, Cavour e Bismarck Due leader fra liberalismo e cesarismo, 2011, p.
11; cfr. John Breully, La formazione dello stato nazionale tedesco, 1996, ed. 2004, p. 8.
79
della neutralità antirussa dell'Austria e, soprattutto, degli spazi che l'alleanza liberale tra
Inghilterra e Francia aveva aperto nell'equilibrio politico europeo. Per fare acquisire nuovi
territori al Regno di Sardegna, sviluppando una spregiudicata iniziativa diplomatica e
praticando l’unione doganale interna.
È dunque la capacità di valutare con lucida razionalità i rapporti di forza nazionali, per
poi cercare di modificarli, facendo leva sul necessario consenso internazionale, che
permette al principe Bismarck, di costruire la supremazia della Prussia, in Germania, come
al conte Cavour, del Piemonte, in Italia. Bismarck, strutturando il protezionismo
corporativo, e Cavour, agendo sul libero mercato, governano così i rispettivi sistemi
costituzionali, dal centro dello schieramento politico. Entrambi «coprono» le rispettive
Corone, sviluppando una relativa autonomia, che l'autocrate Bismarck fonda sul suffragio
universale maschile, consolidando nuove forme corporative, ma scontrandosi nel
Kulturkampf con la Chiesa cattolica romana e mettendo in seguito fuori legge i socialisti, e
il liberale Cavour nutre di spregiudicate alleanze parlamentari, senza ampliare il ristretto
suffragio di censo.127
I.3.5. Dal II governo La Marmora, al II governo Ricasoli
Rimanendo a Cavour, durante i cinque anni di Firenze capitale, Vittorio Emanuele II,
spalleggiato dalla Destra e dal partito di Corte, ne continua il disegno nazionale, ma
rilancia le ambizioni dinastiche dei Savoia, con politici navigati, come Ricasoli e
Minghetti, o con militari di professione, quale La Marmora. Nel rispetto dello Statuto
127
Una comparazione tra la presidenza del Consiglio di Cavour e il Cancellierato di
Bismarck, è in Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 343-344; cfr.
Ronald Car, La genesi del cancellierato L'evoluzione del potere governativo in Prussia
1848-1853, 2006; Id., “Un nuovo Vangelo per i tedeschi”, Dittatura del Cancelliere e
Stato popolare nel dibattito costituzionale tedesco del secondo Ottocento, 2011.
80
concesso da Carlo Alberto, nell'ambito cioè di un potere legislativo condiviso dal Re, che
detiene il potere esecutivo, coadiuvato dal Senato e dalla Camera; come stabilito
dall'articolo 3.128
Il medesimo Statuto stabilisce d'altra parte, nell'art. 5, che soltanto il Re, «Capo
supremo dello Stato», detiene il potere esecutivo, ha la facoltà di sciogliere in anticipo la
Camera, art. 9, e di proporre le leggi, insieme a ciascuna delle due Camere, art. 10.
Specificando però che: «[...] ogni legge d'imposizione di tributi, o di approvazione dei
bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei Deputati». Se ne
evince la distinzione tra titolarità personale dell'ufficio regio e Corona: l'insieme delle
persone formate dal re e dai suoi più stretti collaboratori. 129 Il che spiega perché, dopo la
caduta del I governo La Marmora, determinata dalla bocciatura parlamentare del Regio
decreto che intendeva affidare il servizio di tesoreria dello Stato alla Banca nazionale,
Vittorio Emanuele II aveva reincaricato La Marmora. Così, l'8 aprile 1866, l'Italia, alleatasi
128
Cfr. «[...] pesava in primo luogo la volontà sovrana di Vittorio Emanuele II, in questi
anni più geloso che mai delle proprie prerogative e più che mai deciso – in questi anni di
Firenze capitale – a prendersi la rivincita per quelle pur lievissime concessioni in fatto di
politica militare e di politica estera elargite nei momenti di maggiore incisività riformatrice
della politica di Cavour», Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli
anni di Firenze capitale, 1965, in Id. Politica e amministrazione nella storia dell’Italia
unita, 1967, p. 134.
129
Cfr. «vi sono organi autonomi e responsabili i quali tutti al re convergono ed a lui
sono coordinati e collegati; il re è diventato una istituzione di alta e delicata concezione,
non è uomo di alcun partito, è la personificazione della nazione, il rappresentante della
coscienza collettiva, il tutore della libertà di tutti», Brunialti, Re, in Enciclopedia giuridica
italiana, vol. XIV, parte I, 1900, p. 240; Colombo, La «ben calcolata inazione». Corona,
Parlamento e ministri nella forma di governo statutaria, in Storia d'Italia, Annali 17, Il
Parlamento, a cura di Luciano Violante, 2001, pp. 67-90; Martucci, Storia costituzionale
italiana, 2002, pp. 16-17 e 45.
81
con la Prussia, aveva respinto la lungimirante offerta dell'Austria, che pure le aveva
proposto Venezia, in cambio della neutralità e della rinuncia alle armi, perché proprio La
Marmora aveva ritenuto «che l’onore italiano fosse ormai impegnato ad aiutare la Prussia
nella guerra».130
Così, dopo il Regio decreto sul corso forzoso, La Marmora segue «il re al campo»,
dimettendosi da presidente del Consiglio, per dirigere una delle due armate italiane
schierate al fianco della Prussia, mentre l'altra armata rimane agli ordini di Cialdini, che
aveva già guidato le truppe piemontesi sull'Aspromonte, quando avevano fatto prigioniero
Garibaldi, e nella repressione del brigantaggio. Vittorio Emanuele II attribuisce allora per
la seconda volta l'incarico di formare il governo a Ricasoli, il 20 giugno 1866. 131
Il «barone di ferro», che assume anche il ministero dell'Interno e, il 28 giugno 1866,
130
Vedi Mack Smith, Storia d’Italia, 1959, p. 126, ma considera tutto il paragrafo 3. La
guerra per Venezia (1866), del capitolo III. Il primo decennio (1861-71). Cfr. «L'Italia
avrebbe forse potuto guadagnare Venezia e la regione del Veneto senza combattere, perché
l'Austria acconsentì di cederle in cambio della neutralità italiana. Tale offerta,
apparentemente vantaggiosa, nascondeva un aspetto insidioso. Accettare Venezia avrebbe
posto il governo nella posizione politicamente imbarazzante di accettare in dono dal
tradizionale nemico nazionale ciò che aveva diritto ad avere, ma che non poteva ottenere
per mezzo delle armi», Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997,
ed. 2000, p. 244.
131
Il 12 giugno 1861, quando il re lo aveva incaricato di prendere il posto dello
scomparso Cavour, Ricasoli aveva tenuto per sé i ministeri degli Esteri e della Guerra,
confermando i precedenti ministri, ma aveva nominato Vincenzo Miglietti (1809/1864) alla
Giustizia, al posto di Giovanni Battista Cassinis (1806/1866), Menabrea alla Marina, al
posto di Cavour, e Cordova all'Agricoltura, al posto di Giuseppe Natoli (1815/1867).
Ricasoli, che aveva assunto anche l'Interno, subentrando a Minghetti, aveva poi proposto
alla Francia una conciliazione con la Santa Sede, che riprendeva la politica estera di
Cavour, ma che, forse proprio per questo, era rimasta senza seguito. Il 9 ottobre 1861,
infine, i decreti Ricasoli estendono a tutto il Paese i decreti Rattazzi del 23 ottobre 1859.
82
dopo la sconfitta di Custoza, richiama Visconti Venosta agli Esteri, conferma i precedenti
ministri, a eccezione del torinese Domenico Berti e del napoletano Giovanni De Falco,
sostituiti all'Agricoltura e alla Giustizia, con Cordova e con il ferrarese Francesco Borgatti.
Benché il presidente del Consiglio accentui il suo attivismo, l'esecutivo è tuttavia
penalizzato proprio dalla sua rigidità. L'opposto della capacità di adattarsi alle circostanze
con intuito e realismo, che era la principale dote di Cavour, 132 consapevole di poter contare
su una relativa forza militare. Comunque inferiore a quella con cui in seguito Bismarck,
l'illiberale ministro-presidente prussiano, emancipa la Germania dalla tutela dello zar.
I.3.6. L'annessione del Veneto aggrava il deficit dello Stato italiano
Tra gli elementi che concorrono ad aggravare il debito pubblico italiano e rendono
necessario il corso forzoso, ma causano anomalie e violazioni della legalità, le spese
militari incidono in misura rilevante. Tralasciando i sistemi di armamento e di
equipaggiamento, queste spese diventano più onerose per la necessità di amalgamare i
rigorosi, ma rigidi sistemi piemontesi e una disciplina inclusiva delle abitudini dei nuovi
132
Cfr. Mack Smith, Storia d’Italia, 1959, pp. 100 e 110. In queste pagine, lo storico
inglese, di scuola liberale, distingue il «tact des choses possibles» di Cavour, dai suoi
«metodi sleali». A me sembra, invece, che l'agire politico dello statista piemontese sia da
riferire alla lealtà «delle cose possibili». Per approfondire le «considerazioni sulla
posizione di Cavour in merito alla fondazione dello Stato unitario» e la loro influenza su
Bismarck, vedi Heinrich von Treitschke, Cavour, 1866, ed. 1873, Ragionieri, Politica e
amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Id., Politica e amministrazione nella storia
dell’Italia unita, 1967, p. 72 e nota 7. Cfr. «[...] alla dubbia moralità dei moralisti
preferiamo l'onestà del prussiano Treitschke, che attribuiva alla “forza militare della
Prussia” e al “favore del destino”, e non già ad una superiore moralità, se ai tedeschi fu
concesso di “spezzare il gioco degli Asburgo senza raggiri, in una lotta frontale”», Romeo,
Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 521.
83
soldati, formatisi con Garibaldi. Incrementando un'efficienza che è limitata dalla troppo
frequente rotazione dei ministri della Guerra, dall'inadeguata formazione tattica e tecnica
degli ufficiali e dalla contrapposizione personale tra i generali La Marmora e Cialdini. 133
Entro questa cornice, la leva militare di 500 mila uomini, sulla popolazione di
25.760.000 persone, è limitata dall'evasione dell'obbligo e dai ritardi della leva annuale;
conseguenza della mancanza di un «sentimento nazionale di massa», oltre che della
mancanza di un'adeguata conoscenza delle reali condizioni del Paese, tra le élite. Basti dire
che Pietro Maestri pubblica il primo Annuario generale di statistica soltanto nel 1864. Si
spiegano così, con l'inadeguata conoscenza delle reali condizioni del Paese, acuita dagli
ancora precari assetti della burocrazia, le differenti valutazioni sul numero degli ufficiali e
dei soldati effettivi, stimati tra i quattrocentomila e i duecentocinquantamila uomini, due
terzi dei quali ancora piemontesi, inquadrati negli ordinamenti militari già riformati da
Cavour e La Marmora.
Quale che sia stata la loro reale consistenza quantitativa, queste forze risultano
strutturate in nove divisioni: tre lombarde, due toscane, tre emiliane e una mista. A questi
effettivi si rivolge Vittorio Emanuele II, comandante di tutte le forze di terra e di mare, cui
secondo l'art. 5 dello Statuto, spetta dichiarare la guerra e firmare i trattati di pace, per
autorizzarli ad assorbire duemilatrecento dei tremilaseicento ufficiali dell'esercito
borbonico che ne avevano fatto richiesta: poco meno dei due terzi. Del resto, c'è da
considerare che se soltanto un terzo dei militari borbonici, ventimila soldati circa, aveva
risposto alla chiamata di leva, il Parlamento aveva respinto la proposta di Garibaldi, volta a
133
Vedi Arbib, L'esercito italiano e la campagna del 1866. In quest'opuscolo,
pubblicato a Firenze nel 1867, il giornalista fiorentino ferito a Milazzo nel 1860, ma poi
ancora tra i volontari garibaldini, si avvale delle sue esperienze di corrispondente di guerra
nell'esercito regolare e di sottotenente del 27° reggimento fanteria in Trentino.
84
includere nella Guardia nazionale mobile un milione di volontari, per portare «il Regno
d'Italia ad avere sotto le armi 1.500.000 combattenti, con un inevitabile aumento della
pressione fiscale».134
Così, quando Vittorio Emanuele II assume il comando delle operazioni contro l'Austria,
l'esercito italiano, che pure si è limitato a inquadrare nelle proprie fila la maggior parte
degli ufficiali garibaldini e ha costretto le camice rosse alla ferma di cinque anni e al
tirocinio obbligatorio, è ancora lontano dall'avere ottenuto il rispetto delle proprie gerarchie
interne. L'insufficiente disciplina di questo esercito, che pure è tra i più numerosi nel
contesto europeo, concorre così a determinare la nuova sconfitta di Custoza.
Lì, in quel piccolo villaggio tra Sommacampagna e il Mincio, dove si era già consumata
la disfatta del 1848, le truppe austriache dell'arciduca Alberto d'Asburgo costringono La
Marmora a ripiegare, dopo «ampi, slegati, disorganici combattimenti». 135 Oltrepassando
l'Oglio, sino a Monzambano, dove la mancata copertura di Cialdini che, contravvenendo
alle richieste di La Marmora, ripara con i suoi effettivi a Modena, rende inevitabile la resa.
Né il 20 luglio 1866, davanti l'isola dalmata di Lissa, va meglio alla marina italiana, che
pure era stata ammodernata e rafforzata con ingenti finanziamenti. Dopo la vittoria
prussiana a Sadowa, la flotta navale agli ordini dell'ammiraglio Carlo Pellion, conte di
Persano, si muove infatti in ordine sparso, perdendo due navi: l'ammiraglia Re d'Italia e la
134
Vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 9; cfr. Id., Storia costituzionale
italiana, 2002, p. 182 e Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, 1962, pp. 745-767,
cap. XXI. La terza guerra d'indipendenza, §§ 2. Il nuovo esercito italiano, 5. La mancata
unità di comando, 11. Continua il dissidio Cialdini-La Marmora, 13. L'inazione della
Marina, 16. Lissa.
135
Sulla nuova sconfitta di Custoza, il 24 giugno 1866, meno sanguinosa di quella del
24 e 25 luglio 1848, ma forse anche per questo più umiliante e che comunque costa
all'Italia il veto prussiano sull'acquisizione del Friuli orientale e della Venezia Giulia, così
Fiorella Bartoccini, Bixio, Nino, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. X, 1968, p. 733.
85
Palestro, affondate dalla più piccola flotta austriaca, che l'ammiraglio Wilhelm von
Tegetthoff ha fatto disporre a cuneo, sfondando al centro. Il presidente del Consiglio
Ricasoli è allora costretto a esigere «imperiosamente la conclusione dell'armistizio»,
fermando i volontari garibaldini, che avevano invece prevalso sugli austriaci nella battaglia
di Bezzecca, e la colonna del generale Giacomo Medici, avanzata sino a pochi chilometri
da Trento. Questo vero e proprio ukaze di Ricasoli, tramite del re, è motivato dai successi
prussiani in Boemia e dalla passività dei Veneti che, deludendo le aspettative di Garibaldi,
seguono gli eventi come spettatori passivi. L'intimazione è così seguita dalla celebre,
telegrafica, risposta del Nizzardo: «Ho ricevuto il dispaccio n. 1073 Obbedisco». 136
Riassumendo. Dopo essersi alleata con la Prussia, l'Italia ne segue la strategia militare e
dichiara guerra all'Austria, che pure le aveva offerto Venezia in cambio della neutralità, ma
– mentre i prussiani prevalgono a Sadowa – è sconfitta a Custoza e a Lissa; a causa della
litigiosità degli alti comandi e della scarsa disciplina del suo esercito e della sua marina 137.
In termini di politica interna, tuttavia, con questa guerra, combattuta per onorare gli
impegni assunti con la Prussia e per continuare a legittimarsi con la Francia, la monarchia
136
Sulla vittoria di Bezzecca, cfr. Monsagrati, Garibaldi, Giuseppe, Dizionario
biografico degli italiani, vol. LII, 1999, p. 327, e Scirocco, Giuseppe Garibaldi: battaglie,
amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, pp. 298-301.
137
Cfr. «Questa guerra ci ha fatto perdere molte illusioni, ci ha tolto quella fiducia
infinita che avevamo in noi stessi. Abbiamo visto i tardi Tedeschi correre come il fulmine e
i focosi italiani andare come le tartarughe. [...]. Noi acquisteremo la Venezia, non avendo
né Trento né Trieste e restando disonorati per sempre. [...]. Non è il Quadrilatero di
Mantova e Verona che ha potuto arrestare il nostro cammino, ma è il quadrilatero di 17
milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi», Pasquale Villari, “Di chi è la colpa? O sia la
pace e la guerra”, «Politecnico», settembre 1866, in La camorra la mafia il brigantaggio
Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1979, pp. 107 e 111.
86
liberale italiana pone le premesse per infliggere un duro colpo ai mazziniani 138 e per
ridimensionare i garibaldini; sin dalle elezioni politiche venete. 139 Il 25 novembre 1866,
infatti, se Garibaldi è eletto a Lendinara di Rovigo, oltre che a Mantova, i suoi uomini
perdono i confronti con i moderati. Basti dire che Nino Bixio è battuto dal conte Andrea
Cittadella-Vigodarzere, a Cittadella di Padova, e Giacomo Medici soccombe al dottore
Giacomo Alvisi, a Belluno. Quella che in un certo senso è definitiva, è tuttavia la sconfitta
delle speranze repubblicane, annichilite poi, nel 1870, dalle modalità militari con cui
Vittorio Emanuele II concretizza il trasferimento della capitale a Roma.
Intanto, gli Stati tedeschi hanno rinnovato lo Zollverein pattuito nel 1833 sulla base di
una bassa tariffa, che penalizzava il commercio con l'Austria-Ungheria, ma la pace di
Praga ha posto fine alla Confederazione germanica, a presidenza Asburgo, sostituendola
con la Confederazione della Germania del Nord, a presidenza Hohenzollern. Mentre i
territori a nord del Meno, che prima appartenevano alla Danimarca, venivano annessi alla
Prussia e l'Austria cedeva il Veneto alla Francia, continuando a praticare un disegno
geopolitico che aveva le sue radici nella previdente accortezza conservatrice di Metternich.
Poi, il 3 ottobre, a Vienna, l’Italia è costretta a rinunciare al Trentino e alla Venezia Giulia
austriache, ma è autorizzata ad acquistare il Veneto dalla Francia. I regi commissari
138
Sulle illusioni di Mazzini e dei suoi seguaci, cfr. Franco Della Peruta, I democratici
e la rivoluzione italiana Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848, 1958;
Monsagrati, Mazzini, Giuseppe, Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXII, 2009, pp.
584-602.
139
Cfr. Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 133; Id., Vittorio Emanuele II, 1972, pp.
211-278: «La causa principale dell'insuccesso dell'Italia in questa guerra consiste nel fatto
che il re non decise mai chi fosse il vero comandante […]. … egli non aveva affatto una
sicurezza di sé tale da permettergli di imporre la sua autorità come aveva fatto nel 1859, né
il realismo di Carlo Alberto nel trovare una soluzione più soddisfacente».
87
scavalcano quindi il commissario francese e i notabili locali, 140 promulgando il plebiscito di
annessione all'Italia, che si svolge il 21 e 22 ottobre, come una festa popolare, più che
come una consultazione elettorale regolata da norme giuridiche certe. 141
I.4. Il Veneto in Italia
I.4.1. Tra decadenza e crescita
Votata l'annessione all'Italia, le classi dirigenti venete eleggono i propri rappresentanti
nel Parlamento nazionale; tra questi, i quattro deputati nominati il 10 marzo 1868, nella
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Per la Destra, Fedele Lampertico,
di Vicenza, che agli inizi del settembre 1868 subentra a Cordova quale presidente;
Alessandro Rossi, di Schio, uno dei due firmatari dell'ordine del giorno costitutivo della
Commissione parlamentare d'inchiesta; e Angelo Messedaglia, di Villafranca di Verona,
docente di statistica all'Università di Padova, dal 1858. E per la Sinistra, Federico SeismitDoda, originario di Ragusa, in Dalmazia, ma cresciuto a Venezia e laureatosi in
Giurisprudenza a Padova, nel 1850.
Come traspare dalla loro presenza nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, i deputati veneti assumono ben presto un rilievo nazionale, bilanciando la
decadenza di Venezia, che soltanto nel 1871 elegge l'allora trentenne Luzzatti. Soverchiata
140
Cfr. «[…] il notabile costituiva una reale mediazione fra la sua comunità e i nuovi
obblighi del “mondo moderno”, e solo chi garantiva il possesso di una “scienza” in grado
di misurarsi con le nuove complessità (dalla compilazione di complicati atti formali ai
rapporti con i vari gradi dell'autorità statale) poteva proporsi come mediatore nei confronti
del nuovo universo del potere spersonalizzato dello Stato nazionale», Cammarano, Storia
dell'Italia liberale, 2011, p. 23.
141
Vedi Claudio Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di
Mantova 1866, I, Inventari, 1968, p. 6. Sui costi economici e finanziari della cessione del
Veneto all'Italia, ibidem, pp. XII-XIII e 3-9.
88
sin dalla dominazione napoleonica, dall'intensificarsi dei commerci tra Parigi e Vienna,
l'oligarchia della Serenissima aveva lasciato infatti luogo ai nuovi ricchi dell'entroterra
agrario e urbano, che avevano soppiantato i rentiers assenteisti, acquistandone i fondi e
acquisendone i titoli per via matrimoniale; senza curarsi delle iniziali differenze di status.
La borghesia mercantile aveva quindi rinvigorito l'ormai esangue nobiltà terriera,
contribuendo a sciogliere le corporazioni delle arti e dei mestieri nelle professioni liberali e
nei lavori agricoli e manifatturieri, alimentando inoltre con doviziosi lasciti, la liberalità
araldica della Regia corte viennese e la carità sociale della Chiesa cattolica romana. Che, a
loro volta, integravano da lungo tempo la lungimiranza benefattrice dell'oligarchia
veneziana.142
Poi, durante la Restaurazione, Metternich aveva plasmato le nuove classi dirigenti,
espressione politica di questa mobilità sociale, con un programma – documentato dal suo
memoriale del 1817 – che aveva garantito il buon governo, formando «cittadini contenti e
perciò ostili a ogni rivoluzione […], un'amministrazione funzionale e veloce, una giustizia
competente e giusta e certe esenzioni come il permesso per la gioventù di studiare l'italiano
in Toscana».143 Sino al 1846, quando i collegamenti ferroviari tra Milano, Vicenza, Mestre
e Venezia, avevano dato visibilità alla crescita commerciale dell'entroterra veneto. Forse
anche per questo, quando a Venezia i mazziniani proclamano la Repubblica, le élite
vicentine votano a grandissima maggioranza l'annessione al Regno di Sardegna, prima di
subire la riconquista austriaca che avviene ai danni delle truppe pontificie, guidate dal
142
Vedi Silvio Lanaro, Società e ideologie nel Veneto rurale (1866-1898), 1976; Id.,
Genealogia di un modello, 1984 a, pp. 5-96; Id., Dopo il ’66. Una regione in patria, 1984
b, pp. 407-468.
143
Sul memoriale del principe Klemens von Metternich-Winneburg (1773/1859), così
Stefano Malfèr, Immagini dell’altro: austriaci e italiani, in Storia d'Italia, Il Risorgimento,
Annali 22, 2007, p. 843.
89
generale piemontese Giovanni Durando.
Più che nella storia della città, la peculiarità della cattolicissima Vicenza è tuttavia nella
struttura produttiva della sua provincia, caratterizzata dall'industria tessile, che insieme a
quella di Biella, era da tempo competitiva a livello europeo. Quella primazia si era infatti
affermata sin dagli anni Trenta, con il lanificio Rossi di Schio, fondato dal padre di
Alessandro, Francesco, proprio mentre in Piemonte, sorgeva il lanificio Sella, di Biella,
fondato dal padre di Quintino, Maurizio. Ciò grazie ai telai Spinning e Mule Jenny,
provenienti dall'Inghilterra, con filatoi meccanici intermittenti, e ai telai Jacquard,
importati dalla Francia, con schede perforate che permettevano di programmare i disegni
dei tessuti. Garantendo la superiorità tecnologica sulla concorrenza; basti pensare che
ancora negli anni Sessanta dell'Ottocento, i cotonifici di Lualdi, nel bresciano, lavoravano
soltanto a cottimo. Ciò che più conta, se si considera sin da ora la critica del corso forzoso
contenuta negli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta, è tuttavia la solidarietà
che unisce la classe operaia di Vicenza, a differenza di quella di Biella. Quel solidarismo è
legato alla presenza delle Associazioni operaie della Chiesa cattolica romana, che si
andavano diffondendo sin dagli anni del governo austriaco, ristabilito con la forza nel
1849. Dopo quella riconquista, il progressivo irrigidirsi della nuova amministrazione
asburgica aveva però finito con il favorire l'aspra polarizzazione tra gli orientamenti
politici dei ceti urbani, repubblicani e democratici, e contadini, monarchici e clericali, che
dopo l'unificazione nazionale, trova espressione e parziale composizione nelle polemiche
tra l'economista cattolico Lampertico e l'imprenditore tessile Rossi.
I.4.2. Filantropia e radicalità
A uno sguardo altro, ma non estraneo alla realtà veneta, il filantropismo di quelle classi
90
dirigenti, considerato nel suo insieme, appare influenzato soprattutto dal cattolicesimo
idealista del trentino Antonio Rosmini Serbati, platonico e antisensista, e dal romanticismo
classicheggiante di Niccolò Tommaseo, dalmata come Seismit-Doda. Divisi dal giudizio
sul governo austriaco, che Rosmini asseconda e Tommaseo avversa, quei due protagonisti
del Risorgimento italiano divulgano una concezione morale che ha alcuni punti in comune
con la religiosità di Alessandro Manzoni, imperniata sulla Provvidenza cristiana, fonte di
tutte le azioni umane. Il loro composito cattolicesimo, che permea di sé le campagne e le
città dominate dagli austriaci, nel Veneto più a lungo che in Lombardia, fronteggia, con la
sua moderazione, le Società di mutuo soccorso legate all'intransigente apostolato laico di
Mazzini, democratico, repubblicano e antifrancese.
Nella concezione morale di Mazzini, infatti, l'uomo risponde a Dio dando ascolto
soltanto alla propria coscienza; senza la mediazione di principi e sacerdoti, per i quali però
«il Grande genovese» mostra sempre disponibilità e rispetto, polemizzando semmai con
monarchia e papato. La sua romantica visione del mondo critica la modernità,
congiungendo individuo e umanità, nella patria: fattore di coesione, progresso e prosperità.
Essa ha tuttavia le sue radici nella Scienza Nuova di Giambattista Vico, che ordina le età
delle nazioni in tre stadi. Degli dei: «nella quale i primi huomini gentile credettero vivere
sotto governi divini»; degli eroi: «nella quale da per tutto regnaron' in Repubbliche
Aristocratiche»; e degli huomini: «nella quale […] si celebrarono prima le Repubbliche
popolari, e poi finalmente le monarchie».144 Al pari delle età delle persone, distinte in
144
Vedi: «Così questa nuova scienza, o sia la metafisica di lume della provvidenza
divina meditando la comune natura delle nazioni, avendo scoverte tali origini delle divine
ed umane cose tralle Nazioni Gentili, stabilisce un sistema del diritto naturale delle genti,
che procede con somma egualità e costanza per le tre Età, che gli Egizi ci lasciaron detto
aver camminato per tutto il tempo corso loro dinanzi; cioè l'Età degli Dei, nella quale i
primi huomini gentile credettero vivere sotto governi divini, e ogni cosa esser loro
91
infanzia, giovinezza e maturità.
La passione nazionale che anima Mazzini è allora da riferire alla «epoca nuova, l'epoca
sociale, che succede all'epoca individuale, [e che] ha, per programma Dio e l'Umanità»,
alla «[...] celebrazione dell'umanità» e del progresso civile e al «libero, armonico e
compiuto sviluppamento delle Nazionalità». Contraddetta e negata dal principio della
«conservazione» dell'ordine europeo sancito dalla Restaurazione, questa Umanità riemerge
con le rivoluzioni democratiche del biennio 1848-1849 ed è sconfitta con esse, ma vive
entro i limiti razionali del diritto di ciascuna nazionalità, costituiti dalle altre sovranità
nazionali. Il sentimento repubblicano italiano si radica così nel Piemonte di Carlo Alberto,
dove più che altrove, per uno di quei paradossi di cui è ricca la storia, durante la Primavera
dei popoli, le élite aristocratiche e borghesi parlano ancora in francese, la lingua della
Corte sabauda.145
Ciò, ecco il paradosso, grazie alle garanzie dello Statuto, la cui liberalità rispecchia e
consolida la secolarizzazione dello Stato sardo piemontese, la relativa autonomia delle sue
amministrazioni comunali e provinciali e la laicità della sua istruzione pubblica. Non a
comandata dagli Dei con gli auspicj e con gli Oracoli, che sono le più vecchie cose, che si
truovan egualmente sparse per tutte l'antiche gentili nazioni; l'Età degli Eroi, nella quale da
per tutto regnaron' in Repubbliche Aristocratiche per una certa da essi ripetuta differenza di
superior natura a quella dei plebei; e finalmente l'Età degli huomini, nella quale tutti si
riconobber essere eguali in ragionevol natura; e perciò vi si celebrarono prima le
Repubbliche popolari, e poi finalmente le monarchie, le quali entrambe, come si è detto,
sono forme di governi umani». Giambattista Vico (1668/1744), La Scienza Nuova, 1730,
Spiegazione della dipintura proposta al Frontispizio, che serve per l'Introduzione
dell'Opera, ed. 2004, pp. 47-48.
145
Chabod, L'idea di nazione, 1961, pp. 68-71 e 73-75. Sul sentimento nazionale in
Mazzini, cfr. la voce di Monsagrati per il Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXII,
2009; Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000.
92
caso sessantasette dei centoventiquattro delegati che il 27 settembre 1861 avevano dato
vita a Firenze al IX congresso delle Società operaie italiane, provenivano dal Piemonte.
Non a caso quei delegati si erano divisi tra moderati che, rifiutando di caratterizzarsi in
termini politici, avevano abbandonato il congresso, e democratici e mazziniani, che si
erano contrapposti tra loro, in due differenti mozioni. Una favorevole all'unificazione delle
Società operaie, al suffragio universale e all'istruzione laica e obbligatoria; l'altra contraria
al «funesto» uso dello sciopero, ma favorevole all'arbitrato di «uomini probi» sugli
aumenti salariali e sulla riduzione dell'orario di lavoro e alla legalizzazione delle
«coalizioni operaie». Il contraddittorio sentimento repubblicano italiano propugnato da
Mazzini si era diffuso però soprattutto attraverso il mutuo soccorso 146, garantito, al pari
delle Società sorte anche nel Veneto asburgico, dall’art. 32 dello Statuto:
È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle
leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa
disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico,
i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia. 147
146
Cfr. «Le società operaie avevano avuto una notevole diffusione nel Regno di
Sardegna nel corso degli anni '50, grazie alle tolleranti disposizioni contenute nello Statuto
Albertino. Tali società, formate da artigiani e operai ma dirette per lo più da notabili
benestanti, si dedicavano essenzialmente all'attività di mutuo soccorso ripudiando ogni
prospettiva di lotta di classe o semplicemente politica. [...] Alla fine del 1862 le statistiche
indicavano la presenza di 445 società operaie (30 nel Mezzogiorno) con oltre 130.000 soci;
numeri questi destinati praticamente a raddoppiare dieci anni dopo, quando era cominciato
a maturare il processo di distinzione tra società con finalità previdenziali e quelle,
minoritarie, con obiettivi sindacali e di resistenza», Cammarano, Storia dell'Italia liberale,
2011, pp. 61-62.
147
Vedi Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre, 2003, p. 172.
93
In questo modo, sino alla fine dell'Ottocento, il filantropismo monarchico di ampi
settori delle istituzioni e della società civile e, all'opposto, il radicalismo repubblicano di
ristrette avanguardie politicizzate, s'intrecciano nel «paternalismo autoritario», che
accomuna Destra e Sinistra, impegnate, anche durante il corso forzoso, nella lotta per
ottenere l'applicazione dei diritti elementari sanciti dallo Statuto. 148 Nella Sinistra, radicali
e democratici, si distinguono così dall'egualitarismo e dalla lotta di classe di socialisti e
comunisti; attraverso le spesso violente proteste di massa, contro la tassa sul macinato. 149
Mentre negli ambienti internazionalisti, Karl Marx si schiera con la la Comune di Parigi,
condannandone la sanguinosa repressione, tragica conseguenza reazionaria dei
148
I governi della Destra nell'Italia degli anni Sessanta dell'Ottocento, semplificano
l'equilibrio imperfetto con cui una forma di governo rappresentativo sventa il pericolo di
una legislazione classista e permette il prevalere degli interessi privati che coincidono con
gli interessi della comunità, cfr. «Il sistema rappresentativo […] non dovrebbe permettere
ai numerosi interessi di classe di essere così influenti da prevalere sulla verità e sulla
giustizia o contro alcuni interessi particolari. Dovrebbe garantire sempre un equilibrio
siffatto, tra i vari interessi individuali, da costringere ciascuno di essi a non poter contare
sul successo che a condizione di attirare a sé almeno una gran parte di coloro che agiscono
per motivi più elevati e sulla base di vedute più complessive e aperte», J. S. Mill,
Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo VI, Sulle debolezze e i
pericoli cui è esposto il governo rappresentativo.
149
L'organo di stampa che meglio dà voce alle violente proteste di massa contro la tassa
sul macinato è il quindicinale democratico «La plebe», diretto da Enrico Bignami
(1844/1921), che pubblica tra l'altro a puntate il compendio dell'edizione francese del
Capitale di Karl Marx, scritto da Carlo Cafiero (1846/1892). Nei suoi primi sette anni di
vita, dal 1868 al 1875, quando è stampato a Lodi, «La plebe» ospita articoli di Benoît
Malon (1841/1893) e di Filippo Turati (1857/1932), diventando così il punto di riferimento
della sinistra marxista, che in Italia rifiuta sia l'umanitarismo idealista di Mazzini, sia
l'insurrezionalismo anarchico di Mikhail Bakunin (1814/1876).
94
nazionalismi francese e prussiano. Ciò nondimeno, in Italia, l'influenza di Mazzini rimane
molto forte anche dopo la sua morte, tanto che nel 1894:
un censimento del governo […] mostrò che le società di mutuo soccorso
mazziniane erano ancora numericamente più forti rispetto a quelle socialiste, in un
rapporto di quasi quattro a uno […].150
A questa preponderanza numerica delle organizzazioni mazziniane nella società civile,
si accompagna d'altra parte la loro influenza morale sul sistema scolastico italiano, nel
quale i tanti maestri formatisi durante la Primavera dei popoli insegnano economia
domestica, pedagogia, alimentazione, igiene e fai da te, ma la cui riforma risale alla Legge
Casati del 16 novembre 1859: vera e propria Magna Charta del diritto scolastico sardo
piemontese prima e italiano poi, proposta dal ministro della Pubblica istruzione del
governo La Marmora-Rattazzi, nominato subito dopo vice presidente del Senato e poi, dal
1865, al 1872, presidente del Senato.
I.4.3. La transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana
Tra le ragioni della «guerra per Venezia», l'opuscolo di Lampertico, Urgenza della questione veneta, enfatizza la necessità di ricostituire il principio di autorità, pur nei limiti della polemica politica. Pubblicato anonimo a Torino, a cura del Comitato politico Veneto
centrale, nell'anno della Convenzione di Settembre, questo pamphlet dà seguito alla prolusione al corso libero sul credito, tenuta all'Accademia Olimpica di Vicenza nel 1863. In
quell'Invito ad un corso di Economia politica, l'allora trentenne vicentino aveva cominciato
150
Vedi Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, p.
265 e nota 7.
95
a sviluppare la sua impostazione moderata, proponendo di coniugare cattolicesimo e libera lismo, per assoggettare l'agire economico, al disegno della Divina provvidenza, ispirato
dall'amore per il prossimo, e per limitare l'usura e le speculazioni monetarie. L'opuscolo
sulla questione veneta, stampato in italiano, francese e inglese, si muove su questa stessa
linea di pensiero, ma argomenta la necessità di ricomporre gli animi esacerbati dal governo
austriaco, negli ultimi anni sempre più repressivo. La nuova definizione dei doveri civici è
così considerata tanto più necessaria, «quanto più larghe sono le leggi». Tuttavia:
questo potrà ottenersi finché vi è l’Austria in Italia? È strano a dirsi, ma è un fatto:
allorché alcuni sospetti d’aderenza al governo parlano nel Veneto, anche le cose più
sante non si riconoscono più come sante. Udii un vescovo austriacante parlare contro
Renan con sentimenti che un cristiano doveva approvare: eppure vidi uomini cristiani, devoti, pii, sorridere come se parlasse contro Vittorio Emanuele. 151
Joseph-Ernest Renan152 è lo scrittore bretone nato nel 1823, conosciuto per aver pubblicato nel 1863 a Parigi la Vie de Jésus, in cui esalta la figura umana del Nazareno, ma ne
nega divinità e miracoli.153 La sua impostazione politica, volta a fondare un partito degli intellettuali cattolici, è esplicitata soltanto oltre un decennio dopo la caduta di Napoleone III,
151
Lampertico, Urgenza della questione veneta, 1864, p. 20.
152
Su Joseph-Ernest Renan (1823/1892), cfr. «In Francia, dove la filosofia positiva ebbe
in questo secolo il suo principio, sono entrati a combattere in favore di essa, [...] i cultori
delle scienze morali, come Littré, Renan, Taine, Vacherot ed altri; [...]» Pasquale Villari,
“La Filosofia Positiva e il metodo storico”, in Teoria e filosofia della storia, 1854-1903,
ed. 1999, p. 111.
153
La Vie de Jésus è il primo dei sei volumi dell'Histoire des origines du christianisme,
di Renan, pubblicati dal 1863 al 1882, vedi Salvatorelli, Il pensiero politico italiano, 1971,
pp. 753-754.
96
l'11 marzo 1882, alla Sorbona, nella conferenza Qu'est-ce qu'une Nation? Il nazionalismo
temperato che alimenta quel cattolicesimo è, tuttavia, già chiaro nel 1864. Menzionando
l'autorità di Renan, Lampertico segnala dunque il definitivo esaurirsi, anche tra i moderati,
della fiducia nel tardivo riformismo dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo, che dal 1857
ha tentato invano di riconquistare il consenso perduto.
Lampertico fa però seguire a questo riferimento, la critica delle «eccessive impazienze»
e delle «idee esagerate» che contraddicono il «fondo universale» della maggioranza dei Ve neti: ancora un esplicito invito alla moderazione. A significare che i moderati, rimasti a
lungo fedeli al buon governo teorizzato da Metternich e poi praticato dagli Asburgo nel
Lombardo-Veneto, come dagli Asburgo-Lorena in Toscana, considerano ormai improcrastinabile l'unità della nazione italiana, ma si propongono di realizzarla nel rispetto delle gerar chie ecclesiastiche; necessario antidoto al temuto dilagare delle idee garibaldine e mazziniane, tra le plebi rurali, come nelle masse urbane. Le classi dirigenti venete, che avevano
nutrito e continuavano a nutrire quella moderazione di operosa laboriosità caritatevole, insospettiscono perciò l'occhiuta polizia austriaca; così pure Lampertico è costretto a riparare
in Svizzera.
La «transizione dolce» verso il governo italiano si compie anche in questo modo, lontana sia dalla sconfitta che si consuma nel breve volgere di pochi giorni, a Custoza, sia dai
gravi disordini di Verona. Sin dalla notte del 12 luglio, quando le autorità imperiali regie
abbandonano Vicenza insieme alle loro truppe. La mattina seguente, la giunta municipale
provvisoria, formata da esponenti dell'aristocrazia e delle professioni liberali, inizia a coadiuvare il presidente del consiglio comunale, appena subentrato al delegato luogotenenziale austriaco. Dopo che il facente funzione di potestà, delegato dalle autorità austriache,
aveva declinato l'incarico, perché «la sfera di azione eccedeva le attribuzioni prima a lui
97
demandate». Lo stesso consiglio comunale di Vicenza affianca poi la giunta municipale con
una giunta governativa provinciale anch'essa provvisoria, eletta da un'assemblea di centocinquanta cittadini, scelti «per estimo, commercio, intelligenza». Garantita in questo modo
la democraticità della nuova amministrazione, i componenti della giunta eleggono tre rappresentanti, incaricati di rendere omaggio a Vittorio Emanuele II, presso il comando supremo dell'esercito, dislocato a Ferrara. Arriva così in città il commissario regio, «uno dei più
provati campioni dell'indipendenza italiana, l'illustre deputato Antonio Mordini», che nel
1848 aveva difeso Venezia e aveva partecipato alla resistenza contro gli austriaci sul monte
Berico. È forse una coincidenza, ma Mordini è a Vicenza dal 28 luglio 1866, quattro giorni
dopo il Regio decreto 3089 che abolisce, nelle Province sottratte alla dominazione austriaca, il Concordato stipulato il 19 agosto 1855 tra la Santa Sede e l'Impero Asburgico. 154
La fine di quel Concordato, che aveva ricondotto l'autorità del clero, all'autorità del papa
e dei nunzi apostolici, ponendo fine al giuseppinismo in Austria e in Ungheria, preannuncia
l’armistizio di Nikolsburg, in Boemia, tra Austria e Prussia e, soprattutto, la tregua tra Italia
e Austria. Segue la pace di Vienna, stipulata il 3 ottobre 1866, dai rappresentanti dell'Impero austriaco, sconfitto dalla Prussia a Sadowa, ma vittorioso sull'Italia a Custoza e a Lissa,
e dell'Impero francese, che ignorano il plenipotenziario di Vittorio Emanuele II, generale
Menabrea. Anzi, anche questa volta Francesco Giuseppe cede il Veneto, Mantova e il Friuli
occidentale, come aveva già fatto con la Lombardia nel 1859, a Napoleone III, che a sua
volta, in questo caso per arginare i prussiani di Guglielmo I Hohenzollern, dona quelle pro-
154
Sul presidente del consiglio comunale di Vicenza, Gaetano Costantini, sul delegato
luogotenenziale austriaco, Giovanni Ceschi, baron auf Heilige Kreuz, sul nobile Angelo
Revese, facente funzione di potestà, e sull'onorevole Mordini, vedi Pavone, Gli archivi dei
regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, p. 379.
98
vince ai rappresentanti della città di Venezia che, marginale in Europa, ha pur sempre la supremazia nel Veneto.
La debolezza dello Stato liberale italiano è d'altra parte comprovata dalle forme del plebiscito di unione delle province di Mantova, Venezia, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso,
Udine, Verona e Vicenza, «al Regno d'Italia sotto il governo monarchico costituzionale del
re Vittorio Emanuele II e suoi successori». In queste feste popolari, celebrate a spese
dell'erario pubblico, il 21 e 22 ottobre 1866, i commissari governativi registrano ben
647.246 voti a favore e soltanto 69 contrari, su una popolazione di 2.603.009 abitanti, com prensiva delle donne e dei minori di venticinque anni, privi del diritto di voto. Né è forse
un caso che a Mantova e nelle Province venete e friulana, i commissari governativi abbiano omesso il numero degli iscritti alle liste elettorali, degli astenuti e dei voti nulli, come
era già accaduto nel 1860, con il plebiscito nelle Marche. Così un privato cittadino ha registrato le seguenti cifre:
A Vicenza le sezioni di plebiscito furono 14 e i comizi ebbero luogo il 21 ottobre.
A votazioni concluse, alle ore 5 pomeridiane, i cittadini, con guardia nazionale, bandiera e musica portarono le urne suggellate dal municipio alla pretura per lo spoglio
delle schede. I sì furono 8810; i no furono 2.155
Ciò mentre nel distretto di Vicenza, che includeva i comuni di Bassano, Marostica,
Thiene, Schio, Valdagno e Lonigo, 24.165, degli 82.163 abitanti, hanno votato a favore
dell'annessione all'Italia; a cospetto degli 85.926 votanti dell'intera provincia, su 334.000
155
Francesco Formenton, Memorie storiche della città di Vicenza dalla sua origine
all'anno 1867, Vicenza, Steider, 1867, p. 1006.
99
abitanti, che hanno espresso 85.869 sì, 5 no e soltanto 52 voti nulli. 156 Dati che alimentano
seri dubbi sulla regolarità del voto, specie se si considera che l'analfabetismo ha facilitato
la manipolazione governativa dei voti del 25% della popolazione veneta che ha partecipato
al referendum.
I.4.4. Esazione fiscale e autonomie locali
Celebrato la consultazione referendaria, il 7 novembre 1866, Vittorio Emanuele II entra
a Venezia, accolto dalla folla plaudente. 157 Tuttavia, malgrado l'impegno di cattolici moderati come Lampertico, gli uomini della Chiesa cattolica romana gli segnalano, con la loro
vistosa assenza, poi sdrammatizzata dalle lettere di alcuni alti prelati, che il consenso clericale è ancora da conquistare, specie nelle campagne. Non a caso, il patriarca di Venezia
col mezzo di apposito incaricato, fece pervenire al presidente una lettera colla
quale annunziava che motivi di salute gl'impedivano di venire in persona a dare il
[…] voto, che però accompagnava in apposita scheda acchiusa nella lettera medesima, scheda che la commissione credette di accettare.158
156
Sulla consultazione del 21 e del 22 ottobre 1866, così Pavone, Gli archivi dei regi
commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, pp. 381-382.
157
Cfr.: «[...] mancò la consacrazione del nuovo acquisto, nelle forme tradizionali della
regalità. In Venezia, come poi nelle diverse città euganee e in quella già dei Gonzaga […]
manifestazioni di folla attestarono […] l'attendibilità del plebiscito. La popolazione si
mostrò esultante. Il clero assente. Del resto sin dal 1797 la Serenissima era stata
Repubblica patrizia», Aldo A. Mola, Storia della monarchia in Italia, 2002, p. 635.
158
Sulla scelta del patriarca di Venezia, cardinale Giuseppe L. Trevisanato, che diserta le
urne, ma vota per lettera, come Monsignor Giuseppe Marchioro e sulla nomina a senatore
del presidente dell'agenzia di Venezia della Banca Nazionale, Giuseppe Giovannelli, e del
sindaco, Giambattista Giustinian, vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle
100
Il re organizza, forse anche per superare questo dissenso, la fastosa serata di gala al Teatro la Fenice, chiuso dal 1859, per protesta contro gli austriaci e riaperto per l'occasione. Lo
stesso Vittorio Emanuele II premia poi la città con la medaglia d'oro al valore militare, celebrandone la resistenza nell'assedio del 1849, e nomina cinque nuovi senatori veneziani,
nell'infornata di quattordici senatori veneti che segue l'annessione; tra questi, il presidente
dell'agenzia di Venezia della Banca Nazionale e il sindaco.
In quelle stesse concitate settimane, alcuni gruppi di cittadini veneziani di orientamento
moderato, organizzano una serie di iniziative che danno voce al desiderio della grande
maggioranza della popolazione di coniugare la libertà con l'ordine. Nascono allora i Comitati promotori degli istituti di credito, che avanzano anche alcune proposte concrete: unificare lo stabilimento mercantile con la Banca nazionale; istituire una Banca di sconto che
incoraggi e promuova il commercio al dettaglio e una Banca popolare che tuteli i piccoli ri sparmiatori; estendere all'intera provincia, la legge Corsi del 17 dicembre 1862, istitutiva
delle Camere di commercio e d'industria, lungo la linea politica legislativa e amministrativa Rattazzi-Ricasoli. 159
Queste proposte di politica finanziaria, volte ad arginare il declino produttivo seguito
alla decadenza politica della Serenissima, integrano alcuni obiettivi economici, quali
l'estensione della rete ferroviaria, il rilancio del porto, il ripristino dell'Arsenale, che gli auprovince del Veneto e di Mantova 1866, II, Documenti, 1968, pp. 139 e 141.
159
Su Tommaso Corsi (1814/1891), cfr. la voce di Nidia Danelon Vasoli, per il
Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 585: «Quando il Ricasoli fu
presidente del Consiglio (giugno '61-marzo '62), il Corsi ne sostenne la linea politica di
uniformità legislativa e amministrativa, continuata poi da Rattazzi. Fra l'altro, proprio
durante il I ministero Rattazzi, giunse al termine del suo iter parlamentare il progetto di
legge per l'istituzione in tutto il Regno delle Camere di commercio, già preparato dal C.
quando era ministro».
101
striaci avevano chiuso per favorire il porto di Trieste, e la costruzione di scuole di nautica e
di commercio. Proponendo soltanto in prospettiva la promozione di grandi industrie. Tuttavia, dopo il plebiscito che ratifica l'annessione del Veneto all'Italia, anche a Venezia cambiano soprattutto gli apparati pubblici: nasce così la Scuola superiore di commercio, per
impulso di Luzzatti, che mutua l'idea dalle Scuole di Anversa e di Mulhouse. 160 Mentre il
Re nomina presidente del Tribunale di appello di Venezia, il vicentino Sebastiano Tecchio,
e Regio commissario, il ravennate Giuseppe Pasolini161, che sensibilizza il governo Ricasoli e in particolare il ministero delle Finanze, sul tema dell'imposta fondiaria, accresciuta dal
governo austriaco, per finanziare la propria burocrazia, efficiente, ma ormai malvista dal
popolo.
La legge d'incameramento dei beni delle Congregazioni e degli Ordini religiosi162, che
160
In seguito, Luzzatti, che utilizza il fondo di 20.000 lire erogato dalla Provincia per
ampliare l'Istituto tecnico fondato dagli austriaci, chiama Francesco Ferrara a dirigere la
Scuola superiore di commercio di Venezia. Intanto, nel 1867, il Re ha nominato Luzzatti
ordinario di Diritto costituzionale nell'università di Padova. Poi, nel 1869, è Minghetti,
ministro di Agricoltura, industria e commercio, nel III governo Menabrea, a nominare
Luzzatti segretario generale del ministero.
161
Sul ravennate Giuseppe Pasolini (1815/1876), Regio commissario in Veneto, vedi
Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I,
Inventari, 1968, pp. 29-32. Pasolini, che era stato tra i più ascoltati consiglieri di Pio IX,
fautore dell'annessione della Romagna al Regno d'Italia, senatore dal 1860, governatore di
Milano e ministro degli Esteri nel I governo Ricasoli e nel governo Farini, aveva dato
prova di equilibrio e ragionevolezza, quale prefetto di Torino, prima del brutale intervento
repressivo di Silvio Spaventa (1822/1893), segretario generale del ministero dell'Interno;
nel 1876, Pasolini è poi eletto presidente del Senato.
162
La legge 3036, presentata da Scialoja, ministro delle Finanze nel II governo Ricasoli,
e promulgata il 7 luglio 1866, sopprime trentatré Ordini religiosi (venti maschili e tredici
femminili), cfr. Arturo C. Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di
Sardegna e nel regno d’Italia (1848-1888), 1911, ristampa a cura di Francesco Margiotta
102
pure obbliga lo Stato a versare una rendita del 5%, a favore del fondo per il culto, porta
intanto momentaneo sollievo alle gravi condizioni monetarie e finanziarie dello Stato
unitario. A essa, fa seguito la Legge di liquidazione dell'asse ecclesiastico 163, analoga alla
Legge approvata dal Parlamento del regno di Sardegna, su proposta del governo CavourRattazzi.164 Con quelle due leggi, il Parlamento dispone, in ottemperanza agli articoli 30 e
31 dello Statuto, che lo Stato incameri i fabbricati conventuali e li conceda entro un anno ai
Comuni e alle Province che ne hanno fatto domanda, a condizione che li destinino alla
creazione di scuole, asili, ospedali e opere di beneficenza, previa presentazione di un piano
di utilizzo quali pubbliche utilità. 165
Nel contempo, quelle stesse leggi mettono sul mercato oltre tre milioni di ettari di terra
di proprietà della Chiesa, concentrati nel meridione. Ben presto, tuttavia, la burocrazia
Broglio, 1974.
163
La legge di liquidazione dell'Asse ecclesiastico, promulgata il 15 agosto 1867,
dispone che le relative proprietà siano messe all'asta a partire dal 26 ottobre 1867, cfr.
Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel regno
d’Italia (1848-1888), 1911, ed. 1974.
164
Nel Regno di Sardegna, la legge sulla soppressione degli ordini religiosi era stata
approvata, dalla Camera, con centosedici voti favorevoli e trentasei contrari e, dal Senato,
con cinquantatré voti favorevoli e quarantadue contrari, ma aveva causato le dimissioni del
governo Cavour, il 26 aprile 1855. Dopo che Vittorio Emanuele II e Pio IX avevano
avallato la proposta di monsignor Luigi Nazari Di Calabiana (1808/1893), vescovo di
Casale Monferrato, volta a corrispondere un forte indennizzo al clero delle parrocchie, in
cambio del ritiro della legge. Tuttavia, il 4 maggio 1855, Vittorio Emanuele II aveva
confermato Cavour presidente del Consiglio e, il 29 maggio, 1855 aveva promulgato la
legge 3848, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 219.
165
Questi gli articoli 30 e 31 dello Statuto: «Nessun tributo può essere imposto o
riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re»; «Il debito pubblico è
guarentito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile».
103
addetta al riordinamento della proprietà ecclesiastica mostra tutta la sua inadeguatezza 166;
denunciando limiti che avrebbero vanificato persino l'opera di «un papato benevolo,
desideroso sinceramente di collaborare con il governo nella sua opera riformatrice» e che,
a maggior ragione, rendono «impossibile qualsiasi azione positiva dello Stato
sull'organismo ecclesiastico». 167 Con la conseguenza di vanificare il frazionamento
fondiario, che nell'Inghilterra di fine Seicento e nella Francia di fine Settecento, aveva
invece facilitato il formarsi della piccola proprietà contadina e delle relative classi medie.
I.4.5. La requisizione dei beni ecclesiastici
Dopo la liquidazione dell'asse ecclesiastico, le proprietà della Chiesa cattolica romana
finiscono così con l'essere acquistate dagli esponenti delle antiche congregazioni, della borghesia finanziaria e della burocrazia di Stato: gli unici soggetti economici in grado di anticipare i capitali necessari.168 La manomorta sciolta per legge, si ricostituisce allora attraver166
Cfr. Villari, “Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra”, 1866, ed. 1979, cit., p. 131:
«La burocrazia ha in mano l'opera maggiore del Governo; essa muove la gran macchina
dello Stato; lo amministra, ed indirettamente elabora, più spesso che non si crede, anche i
disegni di legge. Le assemblee legislative son buone a deliberare, a sindacare, a dare
pubblicità agli atti del Governo, a determinarne l'indirizzo; ma incapacissime ad
amministrare, riescono spesso impotenti ancora a formolare e discutere le leggi, in quei
mille particolari che le rendono efficaci, e che vengono suggeriti solo da quella lunga e
minuta esperienza che è la qualità principale d'una buona burocrazia».
167
Vedi Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel
regno d'Italia (1848-1888), 1911, ed. 1974, pp. 88-100 e relative note.
168
Vedi Gaetano Salvemini: «Il governo conosceva questo fatto e lasciava correre. Don
Bosco potè liberamente coprire l'Italia con una vasta rete di istituzioni di beneficenza e di
scuole per il popolo: chi gli suggerì le forme legali, con cui assicurare la stabilità delle sue
istituzioni fu lo stesso ministro Rattazzi, che nel 1855 aveva promossa la legge di soppressione della personalità giuridica agli ordini religioso e di confisca dei loro beni», Stato e
104
so il nuovo, ristretto vertice di aristocratici che ha cooptato le élite delle professioni liberali
e fonda il proprio agire politico sulla «vita morale del popolo», senza curarsi della «grande
disgregazione sociale», nella quale una moltitudine di donne e di uomini lotta per affermare il proprio diritto alla sopravvivenza. In un'Italia unita che, durante i primi due anni di
corso forzoso, finanzia la Terza guerra d'indipendenza, impone la tassa sul macinato, concede il monopolio dei tabacchi e finanzia le infrastrutture necessarie per modernizzare lo
Stato, ma rimane fragile e incompiuta. 169
Il «Governo del Re» inizia allora ad andare incontro alle richieste di alleggerimento fiscale avanzate dai proprietari terrieri veneti. In particolare, il Regio commissario Pasolini
ottiene dal ministro delle Finanze Scialoja l'interlocutoria assicurazione di uno specifico
progetto di legge e di un'unificazione finanziaria delle Province venete, che il Re s'impegna
ad attuare dopo aver ottenuto l'assenso delle Camere, come previsto dallo Statuto. Mentre
un'apposita commissione studia e cerca di avviare a soluzione i contrasti tra possidenti e
«comunisti» sull'uso dei pascoli, che rischiano di turbare l'ordine pubblico. 170
Chiesa nell'Italia liberale, 1930, in Medioevo Risorgimento Fascismo, 1992, pp. 189-190.
169
Cfr. Villari: «Il rimedio è uno solo: modestia, volontà e lavoro. I fatti parleranno poi.
[...] ponendoci all'opera possiamo fare miracoli; perché, apparecchiando la nuova
generazione, si migliora rapidamente la presente, cui la rivoluzione stessa fu già grande
scuola; ed il paese allora si troverà davvero risorto alla civiltà», “Di chi è la colpa? O sia la
pace e la guerra”, in La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri
scritti sulla questione sociale in Italia, 1866, ed. 1979, p. 139.
170
Sulla trasformazione in demanio, con cui i Veneziani ex sylva, forestam facere,
bannire, proscrivere: trasformano la selva in bosco, ossia volgono la proprietà comune in
patrimonio dello Stato, ne impediscono la privatizzazione, retribuiscono i lavoratori e
aggiornano i patti agrari, vedi Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato
nell’Italia liberale, 2011, p. 222.
105
La questione proprietaria, che trae origine dai precedenti assetti feudali e alimenta i contenziosi fiscali, s'intreccia in questo modo alla trasformazione amministrativa e giudiziaria.
Gli apparati esecutivi epurano infatti i magistrati troppo compromessi con il vecchio regime austriaco e li sostituiscono con nuovi elementi di sicuro prestigio, scelti tra gli uomini
rimasti al loro posto, anche mentre si avvicinava l'esercito italiano. Il Regio commissario
Pasolini garantisce poi alcune innovazioni, sempre senza rompere la continuità con i precedenti assetti di potere, estendendo lo Statuto e i Codici italiani, per affermare la libertà di
stampa, prima proibita, e attivando le leggi sulla maggiore età a 21 anni, sui registri di stato
civile e sul matrimonio.
Nel Veneto, quindi, i sardo-piemontesi seguono una condotta diversa da quella applicata
in Lombardia, alla fine della disastrosa Prima guerra d'indipendenza, quando avevano in
parte mortificato il fiorente sistema delle autonomie locali, ma avevano poi sciolto la Consulta straordinaria costituita ad hoc. Dopo aver modificato il sistema amministrativo napoleonico, cui gli austriaci, che ne riconoscevano la validità, avevano apportato soltanto piccole modifiche; come documentato da Ludovico Pasini, in L'Autriche dans le royaume
Lombardo-Vénitien. Ses finances, son administration, pubblicato a Parigi nel 1859.171
Mentre, alla fine della vittoriosa conclusione della Seconda guerra d'indipendenza, la
Commissione per l'ordinamento temporaneo della Lombardia nel 1859, diretta dal nobile
171
Cfr. «La moderna storiografia ha ormai dimostrato che [l'amministrazione periferica
asburgica era basata] su criteri di censo e applicava i principi della democrazia solo
all'interno di una ristretta cerchia di proprietari fondiari e di soggetti ricchi escludendo i
meno abbienti. Tuttavia, in quell'epoca, l'impostazione asburgica appariva effettivamente
molto più rispettosa dell'autonomia locale rispetto al modello italiano che si ricollegava
direttamente agli schemi napoleonici [...]», Maria Rosa Di Simone, Diritti e istituzioni nel
passaggio dall'Impero d'Austria al Regno d'Italia, in Storia di Venezia, L'Ottocento. 17971918, a cura di Stuart Woolf, 2002, pp. 189-191 e relative note.
106
milanese Cesare Giulini della Porta, aveva proposto «che l'unificazione fra vecchie e nuove
Province non avvenisse di slancio ma dopo approfonditi studi; che fosse opera del Parlamento; che l'assetto politico-amministrativo dello Stato risultasse dal concorso delle migliori istituzioni del paese e che la Lombardia vi contribuisse soprattutto con le sue istituzioni comunali».172 Ma la «dittatura rattazziana» aveva vanificato queste proposte, imponendo una rigida centralizzazione che si rivela in seguito inadeguata ad amministrare uno
Stato come quello italiano assai più ampio di quello sardo piemontese.
La legge 5618 abolisce, invece, tutti i vincoli feudali che ancora sussistevano «nelle
province di Venezia e di Mantova sopra beni di qualunque natura, compresi i vincoli derivanti da donazioni di principi», soltanto pochi mesi prima della breccia di Porta Pia. Scavalcando in quel modo sia il partito di Corte, sia i radicali. Favorevole, il partito di Corte,
a conservare la legge austriaca, migliorandola con alcuni ritocchi, «per evitare di ledere i
diritti acquisiti in base ad essa». Propensi, i radicali, ad abolire senza indennizzo i vincoli
feudali, per consolidare la centralizzazione della «intera proprietà nelle mani dei soli investiti», ponendo fine alle numerose liti in corso. 173
I.4.6. Le elezioni politiche del 1866
In concreto, nel Veneto, i Regi commissari garantiscono la transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana, con modalità che limitano o garantiscono la
172
Vedi la voce di Nicola Raponi sul conte Cesare Giulini della Porta (1815/1862), il
patriota milanese che tiene le fila dei moderati lombardi nel 1848 e che, nel 1859, presiede,
su mandato di Cavour, la Commissione per la fusione delle province lombarde con il
Regno di Sardegna, Dizionario biografico degli italiani, vol. LVII, 2001, p. 11. Cfr. Atti
della Commissione Giulini per l'ordinamento temporaneo della Lombardia nel 1859, a
cura di Nicola Raponi, 1962.
173
Sulla legge 5618 del 19 aprile 1870, vedi Di Simone, Diritti e istituzioni nel
passaggio dall'Impero d'Austria al Regno d'Italia, 2002, pp. 200-201 e relative note.
107
continuità, a seconda delle città. A Vicenza, per esempio, il Consiglio comunale ratifica
l'elezione di Lampertico, annullata in precedenza per ben due volte dal governo austriaco.
Questo riconoscimento accresce il prestigio dell'uomo politico cattolico, accreditandolo
come una delle figure chiave del regime statutario e rafforzandone il notabilato, già radicato prima che l'elezione alla Camera dei deputati gli permetta di articolarlo con le clientele
politiche. Così, il 25 novembre 1866174, Lampertico si presenta quale candidato della Destra alle elezioni per la IX legislatura. Il suo collegio elettorale, di Vicenza città, è formato
da sette Comuni: il capoluogo, Altavilla, Arcugnano, Brendola, Creazzo, Montecchio maggiore e Sovizzo. Ed è uno dei sette collegi nei quali la Direzione generale di statistica, costituita nel 1861 presso il Ministero di Agricoltura, industria e commercio, ha accorpato i
centoventiquattro comuni della provincia di Vicenza. Insieme a Bassano, Marostica, Thiene, Schio175, dove si candida A. Rossi, Valdagno e Lonigo. Questi collegi uninominali fanno a loro volta parte dei cinquanta collegi elettorali relativi anche alle province di Belluno,
174
C'è da considerare che il 20 giugno 1866, Ricasoli, nominato presidente del
Consiglio, in sostituzione di La Marmora, chiamato al fronte da Vittorio Emanuele II, ha
assunto anche l'Interno – dove sostituisce il torinese Desiderato Chiaves (1825/1895),
poeta, giornalista e musicista, nominato nei due governi La Marmora – e gli Esteri, dove
subentra al medesimo La Marmora. Soltanto due, gli altri cambiamenti della compagine
governativa: quelli già ricordati di Cordova all'Agricoltura, al posto di Natoli, e del
ferrarese Francesco Borgatti (1818/1885), alla Giustizia, al posto di Giovanni De Falco
(1818/1886).
175
Vedi Collegio di Schio (Comuni di Schio, Arsiero, Laghi, Forni, Magrè, Sant'Orso,
Piovene, Posina, Torre di Belvicino, Sant'Ulderico di Tretto, Valle dei Signori, Velo,
Lastebasse, Malo, Monte di Malo, San Vito, Caldogno, Costalbissara, Garbugliano, Isola di
Malo). IX legislatura. Data delle elezioni: 25 novembre 1866. Elettori iscritti: 1866.
Votanti: 398. Eletto: Rossi, Alessandro, voti: 341. Non eletto: Ducati, Angelo, dottore, voti:
30. Cit. in Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova
1866, II, Documenti, 1968, p. 391.
108
Mantova, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia e Verona, dove si presenta Messedaglia176. Approfondire la loro composizione demografica, reddituale e fiscale, significa riflettere sia sulla transizione dalla monarchia asburgica, alla monarchia statutaria italiana, sia
sull'evoluzione delle rappresentanze istituzionali e sul trasformismo negli anni della Destra
al governo.177
Riflettendo ancora su Vicenza, rilevo che in quel collegio, il candidato garibaldino, dottor Giuseppe Bernardi, è forse penalizzato proprio da quelle che sempre Lampertico ha definito le «eccessive impazienze» e le «idee esagerate» di alcuni dei suoi sostenitori, esponenti delle professioni urbane, legati ai mazziniani di Venezia. 178 I quali avevano costruito
le loro fortune politiche sulla contrapposizione tra repubblica e monarchia: un'alternativa
che le modalità dell'annessione del Veneto hanno ormai reso anacronistica.
176
Il collegio di Verona I, formato soltanto da alcuni quartieri, ha 1619 elettori, con 758
votanti nella I votazione e 668 nel ballottaggio. In questo collegio, Angelo Messedaglia
(1820/1901), che insegna all'Università di Padova, dopo essersi laureato in Giurisprudenza
a Pavia, sconfigge al ballottaggio l'avvocato Luigi Arrigossi, con 416 voti, a 85. Questi è
comunque eletto al I turno nei collegi di Verona II e di Isola della Scala, due dei sei collegi
della provincia di Verona, che comprende anche i collegi di Bardolino, Legnago e
Tregnago. Cit. in Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di
Mantova 1866, I, Inventari, p. 359; II, Documenti, 1968, pp. 381 e 382.
177
Sin dal 1861, il Ministero dell'Interno aveva strutturato i collegi elettorali avvalendosi
della Divisione nazionale di statistica, fondata da Pietro Maestri (1816/1871) e diretta da
Luigi Bodio (1840/1920), i quali avevano a loro volta messo a frutto gli insegnamenti dello
storicismo tedesco. A partire da quelli di Hermann Conring (1606/1681) che, a differenza
di William Petty (1623/1667), intende la statistica quale scienza dello Stato, anziché
dell'Economia politica.
178
Sui limiti politici dei garibaldini e dei mazziniani, confronta Martucci, L'invenzione
dell'Italia unita, 1999, pp. 8, 85 e 139-140, che con la definizione di «Sinistra militare»,
stigmatizza la scelta di anteporre la via delle armi, all'elaborazione di un programma
politico riformatore, che rimane avvolto nelle nebbie di generici proclami.
109
Lampertico, rappresentante liberale degli interessi mercantili, ma al contempo cattolico
moderato, legatosi agli ambienti aristocratici e clericali vicini alla famiglia della moglie,
Olimpia Colleoni, e sensibile alle ragioni dei contadini, prevale invece forse proprio perché
dà voce al «fondo universale» della maggioranza dei Veneti, rivolgendosi a tutti gli elettori
del suo collegio, per proporre loro di superare la divisione tra Destra e Sinistra. Nella consapevolezza che l'unità nazionale realizzata dalla monarchia sabauda, ha ormai mutato la
dialettica parlamentare, vanificando le residue aspirazioni repubblicane. Perciò, sostiene
Lampertico, chi aspira a essere eletto nei banchi della Destra deve criticare le inefficienze
dell'amministrazione dello Stato, proprio come chi si richiama alla Sinistra deve rifuggire
da ogni politica «militante e d'avventura». Sottraendosi, gli uni e gli altri, a logore etichette, cui corrispondono ormai soltanto incertezze e incoerenze. Che è necessario superare,
questa è l'opinione di Lampertico, scomponendo le forze politiche risorgimentali, in nuove
aggregazioni territoriali.179 Per porre le premesse di una tattica parlamentare che è poi da
confrontare al Connubio tra Cavour e Rattazzi del febbraio 1852. 180
I.4.7. I nuovi deputati «filo ministeriali»
Minghetti e gli uomini della Destra veneta a lui più vicini, tendono a superare, con questo «trasformismo istituzionale», la classica distinzione liberale tra Destra e Sinistra, ben
prima dei discorsi di Depretis a Stradella e, a maggior ragione, delle degenerazioni affari179
Lampertico, Sui doveri del deputato. Pensieri, 1866-1867, pp. 3 e 18; cfr. Id., Car-
teggi e diari 1842-1906, vol. I, 1996, p. 8.
180
Con il Connubio, commenta il Risorgimento, la Camera: «avrà fondato, onorandolo il
sistema costituzionale», tanto che nella prossima sessione parlamentare «in mezzo ai due
eccessi dell'impreveggenza e della paura starà numeroso e compatto il vero partito costituzionale; cioè il partito di tutti coloro che hanno fede nella libertà congiunta al principato»,
Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 217.
110
stiche dei governi della Sinistra e del loro progressismo, che continuano dopo la morte dello stesso Depretis. Quel che è certo è che a Vicenza il voto del 25 novembre 1866 rende
inutile il ballottaggio cui gli Uffici elettorali fanno invece ricorso in altri collegi. Come in
quello di Verona I, dove il non expedit della Chiesa cattolica romana limita il numero degli
elettori a un terzo degli aventi diritto o impedisce ai candidati di raggiungere la maggioranza assoluta del 50% dei voti più uno. Lampertico è così eletto deputato della IX legislatura
al primo turno, ma in modo tutt'altro che plebiscitario, come documentato dai 989 astenuti
(il 60% circa degli aventi diritto al voto), che è lecito presumere siano stati condizionati dal
non expedit della Chiesa cattolica romana, e come risulta dalla seguente tabella della Camera dei deputati, che riassume i voti del collegio di Vicenza 181:
N.
Collegio Superficie Popolazione Collegi
ordine elettorale in ettari
collegio
487
Vicenza
21 724
50 052
Sezioni
7: Vicenza, 4
Bassano,
Marostica,
Thiene
Schio,
Valdagno,
Lonigo
Elettori
totale
Elettori
per
censo
Elettori
Elettori per
per titoli commercio,
e capacità arti
ed
industrie
1 671
1 274
193
199
N.
Collegio Votanti
ordine elettorale primo
collegio
squittinio
Votanti
Voti ottenuti Voti
ballottaggio dagli eletti ballottaggio
primo
squittinio
Candidati Elezioni Elezioni Per imposta
con
convali- annullate ricchezza
almeno
date
mobile
10 voti
487
682
Niente
564
2
N.
Collegio
ordine
collegio
Elettori
Votanti
totale
Votanti per I
100 elettori squittinio
I
candidato
487
1 671
682
41
181
Vicenza
Vicenza
Niente
564
1
Nessuna
5
I
Voti
squittinio dispersi
II
e nulli
candidato
Voti
dell’elett
o per 100
elettori
Voti
dell’eletto
per
100
votanti
64
41
83
54
Camera dei deputati, Elezioni politiche per la IX e X legislatura del Regno d’Italia,
collegio elettorale di Vicenza, Statistica del Regno d’Italia, Elezioni politiche 1865-1866,
1867. Cfr. Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova
1866, II, Documenti, 1968, p. 387.
111
Le quattro sezioni del collegio 487 esprimono dunque la volontà politica di 1.671 aventi
diritto al voto (il 3,14% della popolazione), 1.274 in base al censo, 193 per titoli e capacità,
199 che lavorano nel commercio, nelle arti e nelle industrie e 5 perché pagano l'imposta
sulla ricchezza mobile. Lampertico ottiene 564 voti, a fronte dei 64 di Giuseppe Bernardi,
su 682 votanti e 1.671 aventi diritto al voto. 182 Questa rappresentanza dà voce politica a
intere aggregazioni familiari, nucleari o patriarcali, incluse le donne e i minori di 25 anni,
esclusi dal voto.183 Mentre, i cinquanta collegi uninominali veneti, considerando i due turni
del 25 novembre e del 2 dicembre 1866, nel loro insieme, registrano una partecipazione
difforme, condizionata dal forte astensionismo.
Il numero dei deputati italiani passa così da 443 a 493, modificando gli equilibri politici
della IX legislatura nella quale la Camera dei deputati contava su circa 250 deputati della
Destra, 120 della Sinistra e 70 di altri gruppi politici, 20 dei quali conservatori. Tuttavia,
quasi tutti i neoeletti scelgono una collocazione ministeriale, «sicché la forza
dell'opposizione, che nella precedente sessione era riuscita più di una volta a superare nelle
182
Cfr. «Il 25 novembre 1866 Lampertico è eletto deputato nel collegio di Vicenza, otte-
nendo una votazione plebiscitaria (82,7%). […] la lettura incrociata delle cronache dei
giornali, dei carteggi e dei documenti prefettizi ci fornisce il quadro di una situazione di
grande confusione, caratterizzata dalla nascita di circoli e di associazioni politiche – sia in
campo moderato che in quello democratico – che si propongono come primitivi strumenti
di organizzazione della rappresentanza politica e di coordinamento della competizione
elettorale», Camurri, Governare la trasformazione: il moderatismo riformatore di Fedele
Lampertico, in Mario Isnenghi, a cura di, Pensare la nazione Silvio Lanaro e l'Italia contemporanea, 2012, p. 82.
183
Cfr. le statistiche riportate in Ballini, Le elezioni nella storia d'Italia dall'unità al fa-
scismo, 1988, p. 62 e note 34-3, con le osservazioni sul ruolo dei capi famiglia contenute in
Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 89-92. Si noti poi la frammentazione
territoriale della rappresentanza politica successiva all'annessione del Veneto, premiando i
candidati 'ministeriali' che, con la loro elezione, accelerano la crisi della Destra di Ricasoli.
112
votazioni la maggioranza governativa, ne uscì diminuita, anche se non venne meno in essa
la combattività».184 Il «Governo del Re» presieduto da Ricasoli, che ne è stato al momento
rafforzato, ha proceduto quindi alla già ricordata nomina dei Regi commissari nelle diverse
Province venete; tra questi, Pasolini a Venezia, Pepoli a Padova, Mordini a Vicenza e Sella
a Udine.185
I.4.8. La sconfitta di Bettino Ricasoli nelle elezioni politiche del 1867
La collocazione ministeriale dei deputati veneti186 rafforza la Destra, già indebolita dalla
crescente ostilità di Pio IX, dal contenzioso finanziario tra lo Stato unitario e la Chiesa
cattolica romana e, soprattutto, dalla mancanza di una forte personalità in grado di «coprire
il Re», dando autorevolezza politica al ruolo di presidente del Consiglio. 187 D'altra parte,
184
Vedi Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, 1969, p. 133.
185
Vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova
1866, I, Inventari, 1968, p. 367.
186
Sulla scelta ministeriale dei deputati veneti eletti nel 1866, vedi: «Ti chiederanno in
quale posto io sieda alla Camera. I posti vecchi […] erano già belli e occupati, i nuovi sono
disposti a destra o a sinistra, mi manca quindi il posto che meglio conveniva: il centro, cioè
un posto in cui attendere […] quando si ricompongano i partiti […] Limitata così la scelta,
scema assai anche l'importanza del posto; ad ogni modo io con Alessandro Rossi abbiamo
preso questi posti nuovi, che sono gli ultimi della destra accennando così alla sinistra. Se
vuoi, ciò significa che non si combatte il ministero a patto che esso inizii le riforme
necessarie; sarebbe un centro-destro. Come ti ripeto, del resto, nell'attuale incertezza del
modo in cui si ricostruiranno i partiti, il significato del posto è poco», Biblioteca Civica
Bertoliana Vicenza (1866), Carte Lampertico, CL 1, Lettera di Fedele Lampertico alla
madre, Firenze 14 dicembre; Camurri, Governare la trasformazione: il moderatismo
riformatore di Fedele Lampertico, in Mario Isnenghi, a cura di, Pensare la nazione Silvio
Lanaro e l'Italia contemporanea, 2012, p. 86, n. 35.
187
Cfr. «Stretta fra il protagonismo della Corona e l'instabile maggioranza parlamentare,
per l'assenza di partiti organizzati e per le fratture regionali esistenti all'interno dei gruppi
113
Vittorio Emanuele II continua a enfatizzare la lettera dello Statuto, come aveva cominciato
a fare subito dopo la morte di Cavour. Il che, considerata la relativa entità della
maggioranza parlamentare, contestuale all'assenza di partiti organizzati e alle fratture
regionali, indebolisce Ricasoli, che svolge un ruolo di mediazione, più che di indirizzo. Si
giunge così all'11 febbraio 1867, quando la maggioranza dei deputati e tra essi i moderati
veneti Lampertico e A. Rossi, sfiducia il II governo Ricasoli, votando l'ordine del giorno
presentato dal giureconsulto irpino, autorevole esponente della Sinistra, Pasquale Stanislao
Mancini, contro il divieto di tenere i comizi sulle leggi ecclesiastiche, che aveva violato il
diritto di libera riunione, pacifica e senz'armi, dei cittadini, garantito dall'art. 32 dello
Statuto.188 Vittorio Emanuele II respinge però le dimissioni di Ricasoli, scioglie la Camera
e apre una nuova crisi extraparlamentare, la settima dopo la morte di Cavour, rafforzando
così il proprio ruolo di dominus del sistema politico italiano.189
dirigenti, la presidenza del Consiglio in Italia si presenta debole (di mediazione più che di
guida) e incapace di essere titolare di un chiaro indirizzo politico. La mancanza di una
leadership forte al “centro” ha delle conseguenze sulla formazione di una élite
amministrativa neutrale capace di incidere nelle scelte del potere politico e di dirigere la
macchina statale. Politica e amministrazione, a differenza di altri Paesi europei, sono
strettamente legate», Astuto, L’amministrazione italiana, 2009, pp. 79-80, paragrafo 2.6.
Lo Stato unitario. La politica si “amministrativizza”. Un centralismo senza centro.
188
Nel gennaio 1867, il progetto di legge “La libertà della Chiesa e l’asse ecclesiastico”,
che ha quali primi firmatari il ministro della Giustizia, Borgatti, e il ministro delle Finanze,
Scialoja, aveva intanto incontrato difficoltà insormontabili tra i componenti degli uffici
della Camera dei deputati, cfr. Rogari, Alle origini del trasformismo, 1998, pp. 8, 21 e
relative note.
189
Vedi Candeloro, la costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 315-318; Cilibrizzi,
Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I
(1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 505; Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia
di porta Pia, 1969, p. 146.
114
Alle successive elezioni della X legislatura, che si svolgono il 10 ed il 17 marzo 1867,
partecipano 258.243 votanti, il 52% dei 498.208 iscritti ai comizi elettorali; il governo è
sconfitto. Questo risultato, maturato soprattutto nel meridione, accelera il declino di
Ricasoli, in particolare a Napoli, dove maggiore è il rimescolamento dei voti tra moderati e
democratici. I 258.243 votanti, pari al 52% dei 498.208 elettori, che si recano a votare nei
due turni, eleggono infatti 269 deputati governativi, 181 dell’opposizione e 33 non
schierati.190 Incassata la sconfitta, il 22 marzo 1867, Ricasoli prova a formare il suo terzo
governo191, cercando dapprima di coinvolgere l'impopolare Sella e di ampliare poi la
maggioranza a uno dei leader della Sinistra, Depretis, ma è costretto a rinunciare per i veti
incrociati della Destra e della Sinistra. 192 Così, mentre Garibaldi si appresta a marciare su
Roma, Vittorio Emanuele II nomina per la seconda volta presidente del Consiglio Rattazzi,
che questa volta è anche ministro dell'Interno, a differenza del 1862, quando era stato
anche ministro dell'Interno e degli Esteri. 193
190
Questo trend elettorale è da valutare considerando che su quattrocentoquarantatré de-
putati, la Destra ne aveva eletti trecentocinquanta, nelle elezioni politiche del la VIII legislatura, le prime dell’Italia unita, tenutesi il 27 gennaio e il 10 febbraio 1861, e duecentocinquanta, nelle elezioni politiche della IX legislatura, il 22 ottobre e il 5 novembre 1865,
cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 179; Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 125.
191
Sulla sconfitta elettorale di Ricasoli nelle elezioni politiche del 10 e del 17 marzo
1867, vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 315-318; Capone, Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, 1981, pp. 220-225 e 230-235.
192
Sul tentativo, durato diciotto giorni, di formare il III governo Ricasoli, vedi
Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 98, 110-111 e 154-156.
193
Nel 1863, Rattazzi aveva sposato Maria Laetitia Bonaparte Wyse (1833/1902), figlia
di Letizia Cristina Bonaparte e del deputato irlandese Sir Thomas Wyse, plenipotenziario
britannico ad Atene e nipote di Luciano Bonaparte, fratello cadetto di Napoleone.
Trasferitosi in America il primo marito, Frédéric de Solms, un ricco gentiluomo di
115
Rattazzi, che a sua volta cerca invano di coinvolgere Crispi, per ampliare la
maggioranza a sinistra, si presenta così alle Camere alla guida del primo dei quattro
esecutivi della X legislatura, presieduti da un esponente del partito di Corte. Ministro delle
Finanze, dopo che Sella si è sottratto all'incarico, è il palermitano Francesco Ferrara: il
principe degli economisti italiani dell’Ottocento, che nel 1848 aveva partecipato ai moti
della sua città natale ed era stato perciò costretto a riparare esule a Torino. Succeduto a
Scialoja nella cattedra di Economia politica, Ferrara era poi stato tra gli interlocutori
privilegiati di Cavour e si era imposto quale brillante collaboratore di «l'Economista» e
valente curatore della Biblioteca dell'economista. Nominato ministro delle Finanze, il
principe degli economisti italiani dell'Ottocento propone di abolire il corso forzoso e di
risanare il deficit dello Stato con la vendita dei beni ecclesiastici e con la tassa sul macinato
a larga base imponibile, che aveva elaborato nell'aprile 1865, quale collaboratore di Sella,
costretto poi, proprio per quello, a dimettersi. Il 4 luglio 1867, però, l'impolitico Ferrara è
costretto a dimettersi, per le critiche della stessa maggioranza.
Rattazzi, che gli subentra ad interim, tralascia allora la Legge sul macinato, ma nel giro
di pochi mesi, dopo la Legge sulla soppressione degli enti ecclesiastici e sulla liquidazione
dell'asse ecclesiastico, approvata il 15 agosto 1867, è a sua volta costretto a dimettersi,
anche questa volta per «coprire il re». Accusato di avere sostenuto i volontari garibaldini
che, dopo aver occupato Monterotondo, costringendo alla resa le truppe pontificie,
rimanevano in attesa della sollevazione del popolo romano, che rimaneva invece inerte.
I.4.9. La svolta conservatrice dei tre governi Menabrea, Cambray-Digny
Dimessosi Rattazzi, il 27 ottobre 1867, Vittorio Emanuele II tentava di fare formare un
Strasburgo, morto proprio nel 1863, Maria Laetitia era stata amante di Napoleone III e di
Vittorio Emanuele II, cfr. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 65 e 367.
116
nuovo governo al generale Cialdini, ma questi declinava l’incarico.194 Il re obbligava allora
il suo aiutante di campo, generale Menabrea, il cui nome «era stato associato a manovre
reazionarie» e che «rappresentava una precisa scelta politica in senso conservatore» 195.
Menabrea assumeva così anche gli Esteri, affiancando il ministro dell'Interno Filippo
Gualterio, con il ministro delle Finanze Cambray Digny, che copriva anche l'Agricoltura,
ad interim.
Intanto la crisi romana precipitava: il 3 novembre, a Mentana, i soldati pontifici si
scontravano con i volontari garibaldini, dapprima osteggiati, ma poi incoraggiati da Crispi,
che sperava in una sollevazione popolare a Roma, per legittimare l'intervento dell'esercito
italiano, aggirando le clausole della Convenzione di Settembre. 196 Le sorti della battaglia
mutavano invece per l’intervento delle truppe francesi di stanza a Civitavecchia, armate
con i nuovi fucili Chassepot, ad ago, come i fucili degli eserciti prussiano e italiano.
Sconfitto Garibaldi e scongiurato il rischio di una guerra con la Francia, il I governo
Menabrea rimaneva tuttavia in carica soltanto sino al 22 dicembre 1867, quando era
bocciato dalla Camera, con duecentouno voti contro, centonovantanove a favore e otto
astenuti. Responsabile di avere traccheggiato sul programma di fare di Roma la capitale
194
Cfr. Alberto Aquarone, La crisi dell'ottobre 1867 e il fallito tentativo di un ministero
Cialdini, in Clio, III (1967), pp. 41-65, ora in Alla ricerca dell'Italia liberale, Napoli, Guida, 1972, pp. 247-274.
195
Vedi Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firen-
ze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, p.
136.
196
Secondo alcune ricostruzioni, prima della sconfitta di Mentana, Rattazzi, presidente
del Consiglio dal 10 aprile 1867, avrebbe «consegnato due o tre milioni di lire all'agente di
Garibaldi, Francesco Crispi, e […] una parte di questo denaro [sarebbe dovuta] servire per
finanziare l'insurrezione “spontanea” dei romani e per corrompere gli ufficiali papalini»,
vedi Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, p. 39.
117
d'Italia, per «coprire» ancora una volta il re. I voti contrari non rappresentavano però una
nuova maggioranza e la stessa alleanza tra la Sinistra, la Permanente e il Terzo partito, si
dissolveva ben presto, perché priva di un programma comune. 197
Il 5 gennaio 1868, Menabrea, reincaricato da Vittorio Emanuele II, insediava allora il
suo II governo, nel quale confermava Cambray Digny alle Finanze, ma nominava ministro
dell'Interno Carlo Cadorna, fratello maggiore del generale Raffaele Cadorna, e affidava
l'interim dell'Agricoltura, al ministro della Pubblica istruzione, che era il moderato
milanese Emilio Broglio. Appena due mesi dopo, la Camera dei deputati approvava
l’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, istitutivo della Commissione parlamentare d’inchiesta
sul corso forzoso dei biglietti di banca, presieduta da Cordova. Subito dopo però Menabrea
otteneva l'approvazione della legge sul macinato presentata dal ministro delle Finanze,
nonostante l'opposizione della Sinistra di Crispi, Giuseppe Ferrari e Depretis e, soprattutto,
malgrado le manifestazioni di piazza che, soprattutto in Emilia e Romagna, protestavano
contro l'iniquo balzello. Poi, il 25 luglio, Cordova presentava la prima relazione della
Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, che
s'impegnava a concludere i propri lavori entro l'autunno, per permettere agli Uffici della
Camera di istruire l'esercizio finanziario del 1869. In particolare, la Commissione
proponeva di limitare la circolazione monetaria a 700 milioni di lire, per contrastare la
speculazione, e di stampare 6 milioni di banconote da 1 lira, per facilitare il piccolo
commercio.
Tuttavia il 2 agosto, Cordova usciva di scena, colpito da infarto. Subito dopo, Menabrea
concedeva la privativa dei tabacchi a un monopolio di banchieri e di uomini d'affari,
italiani e stranieri, che garantivano allo Stato la partecipazione agli utili. Si giungeva così
197
Vedi Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 430, ma
considera tutto il capitolo XIII Da Mentana ai moti per il macinato: Sinistra e Terzo Partito.
118
al 28 novembre 1868, quando il nuovo presidente della Commissione parlamentare
d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, Lampertico, presentava alla Camera la
sua Relazione finale, approvata da Rossi, Lualdi e Seismit-Doda, con i voti contrari di
Messedaglia e Sella, ai quali aggiungeva in seguito il suo stesso voto, dopo essersi
assentato al momento della votazione.
Sei mesi dopo, il 7 maggio 1869, cade anche il II governo Menabrea, dopo che i
deputati della Permanente, entrati a far parte della maggioranza, hanno chiesto incarichi di
governo. Il 13 maggio 1869, Vittorio Emanuele II conferisce allora un terzo incarico a
Menabrea, con il mandato di ampliare la maggioranza parlamentare. L'esponente del
partito di corte tiene per sé gli Esteri, conferma Cambray Digny alle Finanze, coinvolge il
Terzo partito di Mordini, nomina Minghetti, ministro di Agricoltura, Industria e
Commercio e Luigi Ferraris, ministro dell'Interno e, nel giro di un mese, favorisce la
nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla presunta corruzione legata alla
concessione della privativa dei tabacchi a un monopolio di banchieri e di uomini d'affari,
italiani e stranieri. Questa Commissione, presieduta da Pisanelli, conclude i suoi lavori l'11
luglio, riprovando la partecipazione di alcuni deputati ad affari dipendenti dal Parlamento,
senza tuttavia poter provare alcun illecito penale. 198
Alla ripresa dei lavori parlamentari, però, dopo che Vittorio Emanuele II ha sposato
morganaticamente Rosa Vercellana Guerrieri, anche il III governo Menabrea è costretto a
dimettersi, il 19 novembre 1869, perché la Camera dei deputati ha eletto alcuni esponenti
della Sinistra nei propri organi direttivi. 199
198
Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, cap. IV. Il
compimento dell'unità e il superamento della crisi finanziaria, par. 4. I ministeri Menabrea
e la politica finanziaria di Cambray-Digny. La tassa sul macinato e la regía cointeressata
dei tabacchi, 1968, pp. 334-351.
199
Vedi: «La caduta di Menabrea segnò anche la fine del Terzo Partito, che aveva
119
Il 14 dicembre 1869, una settimana dopo l'inizio del concilio ecumenico Vaticano I, il
piemontese Lanza insedia il suo governo, assumendo anche gli Interni. Alle Finanze c'è di
nuovo Sella, mentre il ministro di Agricoltura, Industria e Commercio è il genovese
Stefano Castagnola, passato dalla Sinistra, nella maggioranza di governo. Si apre così
l'intensa fase politica che porta alla presa, militare, più che politica, della Città eterna.
L'esercito italiano infatti, dopo aver stroncato i moti insurrezionali repubblicani di Pavia,
Piacenza e Catanzaro, ma, soprattutto dopo la definitiva sconfitta di Napoleone III a Sedan,
arresta Mazzini a Palermo ed entra a Roma, attraverso la breccia di Porta Pia. Guidato dal
generale Raffaele Cadorna, cui Vittorio Emanuele II aveva già conferito i pieni poteri, per
reprimere le proteste contro la tassa sul macinato. Il successivo plebiscito di annessione e
le nuove elezioni politiche della XI legislatura, segnano il punto più basso della
partecipazione politica nel regno d'Italia, con 240.974 votanti, pari al 45,5% degli aventi
diritto, conseguenza dell'astensione dei cattolici. Infine, la Camera dei deputati vota per
Roma capitale, dal 1° luglio 1871. Una volta approvata in seconda votazione la legge delle
guarentigie, già votata dalla Camera con 185 voti a 106, ma poi modificata dal Senato con
105 voti a 20.200
L'equilibrio politico europeo, ormai mutato, in tutti i suoi tratti essenziali, è ora
caratterizzato da nuove contraddizioni. L'Italia è infatti unificata, ma con l'opposizione
della Chiesa cattolica romana. L'Austria, che pure ha riconosciuto l'autonomia
completamente fallito sia il principale obiettivo di ricostituire i partiti su nuove basi, sia
quello più limitato di attuare una radicale riforma dell'amministrazione statale», Scirocco, I
democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 469, ma considera tutto il capitolo XIV
L'azione di Mazzini dopo Mentana. La caduta di Menabrea e il ministero Lanza. Porta Pia.
200
Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, cap. IV. Il
compimento dell'unità e il superamento della crisi finanziaria, par. 5. I ministero LanzaSella. La presa di Roma e la legge delle guarentigie, 1968, pp. 351-370.
120
dell'Ungheria, governa con crescenti difficoltà i contrasti tra le diverse nazionalità del suo
Impero. La Francia proclama la Terza Repubblica, ma reprime con inaudita violenza la
Comune di Parigi ed è costretta a subire la supremazia del Reich tedesco. Mentre il Regno
Unito, ridimensionato in America dalla nascita degli Stati Uniti, espande i propri
possedimenti coloniali in Asia, grazie alle politiche di libero scambio iniziate con
l'abolizione dei dazi sul grano. 201
201
Sulle politiche di libero scambio promosse nel Regno Unito dai governi di William
E. Gladstone (1809/1898), durante l'Età vittoriana, vedi Marx, Il Capitale, Libro I, 1867,
ed. 19706, pp. 497, 712-714, 804; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed.
1990, pp. 492-495.
121
Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito
122
123
Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito
II.1. L'inchiesta parlamentare sul brigantaggio nelle Province napoletane
II.1.1. Il rapporto del prefetto di Napoli, generale Alfonso Ferrero di La Marmora
La Camera dei deputati inizia a esercitare le sue facoltà ispettive il 16 dicembre 1862,
nel corso della VIII legislatura 202, nominando la Commissione parlamentare d'inchiesta sul
brigantaggio203. Questa decisione fa seguito alla dinamica repressiva iniziata a Sarnico, un
paese di quattromila abitanti in provincia di Bergamo, dove la Prefettura aveva fatto arrestare centoventitré volontari, garibaldini e mazziniani, radunatisi per protestare contro la
dominazione austriaca in Veneto e li aveva fatti tradurre in carcere a Brescia. 204 Da qui, i
tumulti e l'intervento dell'esercito che, sparando sulla folla, aveva ucciso quattro dimostranti. Da qui, le grandi manifestazioni di popolo che, in molte città italiane, avevano protestato contro il governo Rattazzi. Sino al 26 maggio 1862, quando il Consiglio dei Mini-
202
L'VIII legislatura, la prima dell'Italia unita, che va dal 18 febbraio 1861, al 7 settem -
bre 1865, consta di due sessioni: la prima, prorogata per tre volte (il 23 luglio 1861, il 21
agosto 1862 e il 21 dicembre 1862), si chiude il 20 maggio 1863; la seconda, aperta il 25
maggio 1863 e prorogata anch'essa per tre volte (l'11 agosto 1863, il 20 luglio 1864 e il 16
maggio 1865), si chiude il 7 settembre 1865. Nel corso di questa legislatura, il Senato tiene
452 sedute e la Camera dei deputati 669.
203
Cfr. Villari: «Il brigantaggio [...] può dirsi la conseguenza d'una questione agraria e
sociale, che travaglia quasi tutte le province meridionali. [...] La scienza economica lo ha
quasi matematicamente dimostrato. Il salario del contadino sarà ridotto a ciò che è
strettamente necessario, perché egli possa vivere per continuare il lavoro. Se l'industria non
apre una valvola di sicurezza, il contadino sarà ben presto condotto allo stato di servo della
gleba, o anche peggio», La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri
scritti sulla questione sociale in Italia, 1861-1875, ed. 1979, pp. 65 e 68.
204
Sui gravi fatti del 14, 15 maggio 1862, a Sarnico, cfr. le voci di Fiorella Bartoccini su
Nino Bixio (1821/1873), di Luciana Duranti su Desiderato Chiaves (1825/1895) e di Paola
Casana Testore su Giovanni Durando (1804/1869), nel Dizionario biografico degli italiani.
124
stri, che Vittorio Emanuele II aveva presieduto per l'ottava volta in tredici anni, aveva disposto la liberazione degli arrestati. 205
A questo atto liberale, avevano fatto però seguito lo Stato d'assedio nelle province napoletane, promulgato dal Regio decreto del 20 agosto 1862, e l'intervento del reparto
dell'esercito italiano guidato dal colonnello Emilio Pallavicini di Priola, agli ordini del generale Cialdini, che il 29 agosto 1862, sui piani dell'Aspromonte, aveva ferito e fatto prigioniero Garibaldi, imponendogli il rispetto del Regio decreto. Subito dopo il questore di
Napoli, il magistrato casertano Nicola Amore 206, aveva denunciato l'intreccio tra brigantaggio e camorra cresciuto nella periferia della città, nella vita pubblica e nelle stesse file della
Pubblica Sicurezza.207 Dove Liborio Romano, già prefetto di polizia e ministro liberale di
205
Vedi Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, 1942, 1986, p. 231; Martucci,
L’invenzione dell’Italia unita, 1999, p. 362, n. 38. Sul Consiglio dei ministri, evoluzione
del Consiglio di Conferenza, «operativo sin dal giorno della promulgazione dello Statuto»
del Regno di Sardegna, che pure non prevede alcun organo collegiale di governo, e sul
Consiglio della Corona, vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem.
206
Nicola Amore (1828/1894), nato a Roccamonfina di Caserta, stenografo del Parla-
mento napoletano nel 1848, laureato in chimica e in giurisprudenza all'università di Napoli
e consigliere della Corte d'Appello di Trani, aveva assunto la carica di questore nel 1860.
Beneficiando della tendenza, allora prevalente a Napoli, di riservare la tutela dell'ordine
pubblico a storici, giuristi e alti magistrati, secondo la traccia della Costituzione napoletana
del 1799, che riconosceva a ogni cittadino il «diritto di essere garantito dalla forza pubblica
in tutti i suoi diritti naturali e civili».
207
Vedi De Caro, Amore, Nicola, Dizionario biografico degli italiani, 1961. Negli anni
successivi, Amore scrive le direttive di Polizia note come istruzioni Ricasoli, è promosso
direttore superiore della Pubblica Sicurezza, deputato della Destra e sindaco, alla testa di
una coalizione tra clericali e moderati. Senatore dal 1884, dopo la grave epidemia di colera
che colpisce la capitale del meridione, Amore ottiene dal Parlamento l'approvazione della
Legge speciale sul risanamento edilizio, la costruzione dell'acquedotto del Serino, lo sventramento dei 'bassi' e la modernizzazione della città. Infine, sconfitto nelle elezioni ammi-
125
Francesco II, rimasto al suo posto anche dopo lo scioglimento della polizia borbonica, nel
governo provvisorio insediato da Garibaldi, aveva favorito l'assunzione di camorristi, avventurieri e guappi. Aggravando l'instabilità politica legata alle agitazioni di estremisti repubblicani e agli intrighi di clericali e borbonici.
L'iniziativa del questore Amore, era stata a sua volta seguita dal rapporto del prefetto La
Marmora, che Vittorio Emanuele II aveva nominato generale sul campo nelle province napoletane. La Marmora aveva infatti aggiornato il presidente del Consiglio Rattazzi, sulle
criminali gesta della banda di Carmine Donatelli Crocco, nelle campagne e nei boschi lucani.208 Dove i briganti innalzavano le bianche bandiere borboniche, eludendo la polizia,
impreparata a fronteggiarli, i carabinieri, sparuti e spiati, e le milizie, estranee ai luoghi e ai
dialetti e perciò costrette a fidarsi di manutengoli che le raggiravano a loro piacimento, tra
reazioni a volte inconsulte e gravi ritorsioni.
Informato a sua volta da Rattazzi, il 27 agosto 1862, il presidente della Camera, Tecchio, aveva allora comunicato ai colleghi deputati che:
nistrative del 1889, da Celestino Summonte, che guida una coalizione collusa con la camorra, Amore si ritira a vita privata.
208
Carmine Donatelli Crocco (1830/1905) si arruola nel I Reggimento artiglieria
dell'esercito di Ferdinando II (1810/1859, re delle Due Sicilie dal 1830), ma, uccise due
persone e formata una prima banda di briganti, è arrestato. Evaso dal carcere, Crocco
aderisce alla campagna militare di Garibaldi, sperando nella grazia che Vittorio Emanuele
II aveva promesso ai disertori dell'esercito borbonico, ma è di nuovo arrestato, questa volta
dall'esercito italiano, riesce di nuovo a fuggire e accetta la successiva «proposta degli
emissari di Francesco II di Borbone e della Chiesa, di organizzare la resistenza ai nuovi
padroni sabaudi, nel tentativo di ripristinare il vecchio Regno delle Due Sicilie». Vedi
Carmine D. Crocco, Come divenni brigante. Autobiografia, a cura di Mario Proto, 1903,
ed. 1994.
126
intendeva di depositare quella relazione sul banco della Presidenza ed a disposizione della Camera; che anzi faceva istanza perché la Camera volesse nominare una
Commissione che esaminasse quella relazione, e quindi si facesse luogo ad apposita
discussione in Comitato segreto.209
Siamo nella II proroga della I sessione della VIII legislatura: un istituto previsto
dall'articolo 9 dello Statuto, con cui Carlo Alberto aveva recepito alcune istanze liberali, riconducendole alle Carte costituzionali francesi del 1814 e del 1830, ma le aveva svuotate
della loro carica innovativa, per tutelare sé stesso.210 La proroga della Sessione permette infatti al Re di prendere tempo, rafforzando sia il presidente del Senato, che è di nomina regia e garantisce perciò la continuità istituzionale dello Stato monarchico liberale, sia il presidente della Camera dei deputati, che è elettivo. Come il presidente della Chambre des députés, che è tuttavia eletto «all'apertura di ogni sessione», secondo l'art. 37 della Charte del
1830, e a differenza dunque di quello «nominato dal Re, su una lista di cinque membri presentati dalla Camera», secondo l'art. 43 della Charte del 1814. Con la proroga della Sessione, il presidente della Camera dei deputati può allora rimanere al suo posto. È questa la
prassi parlamentare, già utilizzata da Vittorio Emanuele II durante i governi Cavour, che il
209
Se il rapporto La Marmora è andato perduto, rimangono invece molte delle denunce
che lo hanno preceduto e motivato, presentate dai municipi e dalle prefetture a Rattazzi,
che è presidente del Consiglio e ministro degli Interni, e ai generali Teobaldo Franzini e La
Marmora. Queste denunce si concludono spesso con la richiesta di nuovi distaccamenti
della Guardia nazionale, per meglio organizzare la repressione nelle province napoletane.
Vedi Camera dei deputati, Archivio storico, Inventario b. 2, fasc. 8 e b. 3, fasc. 42.
210
Questo l'articolo 9 dello Statuto del Regno di Sardegna: «Il Re convoca in ogni anno
le due Camere; può prorogarne le Sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in
quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel termine di quattro mesi». Sulla sua applicazione,
vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem.
127
27 agosto 1862, porta Tecchio a proporre una prima Commissione parlamentare d'inchiesta, per approfondire il rapporto La Marmora sul brigantaggio, assumendo quale modello i
Comitati parlamentari d'inchiesta della House of Commons.
II.1.2. Il presidente della Camera Sebastiano Tecchio
Laureatosi in legge a Padova e cominciata la professione forense nel Veneto asburgico,
il vicentino Sebastiano Tecchio, conte di Pontevedre, aveva combattuto per la libertà della
sua città natale, partecipando al governo provvisorio della Repubblica di Venezia e portando al re Carlo Alberto, l'atto di unione al Piemonte. La catastrofica sconfitta di Novara e il
ritorno degli austriaci, lo avevano poi costretto a stabilirsi a Torino, dove era stato eletto
deputato del collegio di Venasco, nelle file del Centro sinistro di Rattazzi. In questa veste,
il patriota italiano aveva chiesto l'autorizzazione a procedere 211 per sottoporre a un Consiglio d'inchiesta212 militare, il deputato Pietro Rossi, estromesso da capitano dei volontari
lombardi, durante la prima guerra di Lombardia. Ministro del Re ai Lavori pubblici, con
211
L'autorizzazione a procedere per tutelare l'onore del deputato Pietro Rossi, richiesta
da Sebastiano Tecchio (1807/1886), deputato di Venasco, in provincia di Cuneo, era stata
accolta dalla Camera del Parlamento subalpino il 12 novembre 1849, nel corso della III legislatura del Regno di Sardegna. Vedi Carlo Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Vittorio Malvagna e Carla Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. XIII-XIV.
212
A dimostrazione dell'incertezza che contraddistingue la stessa «nozione di
inchiesta», agli albori del diritto parlamentare, il Consiglio d'inchiesta militare richiesto da
Tecchio è giudicato una «flagrante invasione delle attribuzioni del potere esecutivo», da
Mario Mancini e Ugo Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano. Trattato pratico di
diritto e procedura parlamentare, 1887, p. 395. Ai giorni nostri, invece, la richiesta di Tecchio è considerata simile a quella di «una semplice autorizzazione a procedere», vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XV.
128
Gioberti, Tecchio aveva poi «coperto» più volte a sinistra la Corona, opponendosi alla
guerra di Crimea, rivestendo il ruolo di Commissario straordinario a Novara, durante la Seconda guerra d'indipendenza, animando il Comitato veneto di emigrazione e pronunciandosi contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Sino al 22 marzo 1862, quando
i deputati lo avevano eletto presidente della Camera. 213
Alla luce di queste scarne notizie biografiche, valuto la prima proposta di Tecchio volta
a nominare una Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, come un tentativo
di puntellare il I governo Rattazzi214, indebolito dai fatti di Aspromonte215, malgrado (o forse proprio perché) lo stesso presidente del Consiglio ricoprisse anche gli incarichi di ministro degli Interni e degli Esteri. Al contempo, rimarco il fatto che questo cumulo di incari213
In seguito, dopo che il 21 maggio 1863, la Camera nomina presidente un altro uomo
di Rattazzi, l’avvocato biellese Giovanni Battista Cassinis (1806/1866), Tecchio si pronuncia contro la Convenzione di Settembre, è presidente del tribunale di appello di Venezia e,
dal 10 aprile 1867, è ministro di Grazia e Giustizia, nel II governo Rattazzi. Infine, dopo la
«rivoluzione parlamentare» della Sinistra di Depretis, Vittorio Emanuele II lo nomina sena tore. Cfr. Catalano, Tecchio, Sebastiano, Grande dizionario enciclopedico, vol. XVIII,
1972, p. 215.
214
Il I governo Rattazzi è composto anche dal generale torinese Agostino Petitti di Ro -
reto alla Guerra, dall'ammiraglio vercellese Persano alla Marina; dal pavese Depretis, della
Sinistra, ai Lavori pubblici; dal nisseno Cordova, della Destra, alla Giustizia; dal bolognese
Gioacchino Napoleone Pepoli, della Sinistra, all'Agricoltura; dall'irpino Mancini, della Sinistra, all'Istruzione; e dal fiorentino Enrico Poggi, della Sinistra, ministro senza portafoglio. Cfr. Monsagrati, Alfonso Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi,
1991.
215
Sui fatti del 29 agosto 1862, ad Aspromonte, cfr. Scirocco, Giuseppe Garibaldi: bat-
taglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, p. 286. Garibaldi e i suoi
volontari tornano in libertà il 27 settembre 1862, grazie all'amnistia concessa da Vittorio
Emanuele II, per festeggiare il matrimonio della figlia Maria Pia di Savoia, con Luigi I di
Portogallo, rappresentato per procura a Torino, dal principe di Carignano.
129
chi esecutivi, anch'esso estraneo, come le proroghe delle sessioni, alla prassi parlamentare
francese216, è una delle forme con cui già Cavour aveva esercitato il suo centralismo tempe rato. Rimanendo tuttavia nell'ambito dello Statuto del Regno di Sardegna che, come le
Chartes del 1814 e del 1830, attribuisce al presidente del Consiglio e ai Ministri il compito
di «coprire» il Re, in quanto suoi collaboratori personali.
Tuttavia, il giorno dopo la proposta Tecchio, in un vivacissimo dibattito parlamentare,
Destra e Sinistra o, se si preferisce, moderati e democratici, con opposte argomentazioni,
avevano imputato proprio al presidente del Consiglio, la responsabilità politica dei fatti di
Aspromonte. Il 29 novembre 1862, Rattazzi era stato allora costretto a dimettersi. Così,
dieci giorni dopo, Vittorio Emanuele II aveva nominato quale nuovo presidente del Consiglio, il ravennate Luigi C. Farini217 che, a differenza di Rattazzi, interno al partito di Corte,
garantiva i legami tra la Corona e la Consorteria. Scelta sin dall'inizio azzardata, perché la
forte tempra nervosa dell'uomo politico romagnolo, indebolita dalla disastrosa esperienza
di luogotenente generale delle province napoletane, prima di La Marmora, aveva già mostrato i segni di un preoccupante logorio.
Nei giorni successivi, durante la seduta segreta della Camera, il deputato della Destra,
Antonio Mosca, eletto nel III collegio di Milano, aveva poi esposto la sua relazione sul brigantaggio, approfondendo il rapporto La Marmora e accusando i latifondisti meridionali di
216
In Gran Bretagna, invece, i ministri formano un collegio autonomo o Gabinetto,
vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 42.
217
La nuova compagine governativa, varata da Farini l'8 dicembre 1862, è formata sol-
tanto da esponenti della Destra: l'altro ravennate Pasolini agli Esteri, il fiorentino Peruzzi
agli Interni, il bolognese Minghetti alle Finanze, il salentino Pisanelli alla Giustizia, il piemontese Alessandro Della Rovere alla Guerra, il ligure Giovanni Ricci alla Marina, il savo iardo Menabrea ai Lavori pubblici, il palermitano Michele Amari all'Istruzione e il napoletano Giovanni Manna all'Agricoltura.
130
avere ridotto in miseria le campagne, con il loro assenteismo proprietario, e di avere spinto
molti contadini a diventare briganti, con le relative famiglie. Le critiche della stessa Destra,
che aveva giudicato la relazione Mosca superficiale, ma soprattutto priva delle indicazioni
operative necessarie a debellare il brigantaggio, avevano tuttavia motivano Tecchio a disporre l'archiviazione della medesima relazione e a riproporre la nomina di una Commissione parlamentare d'inchiesta. 218
II.1.3. La nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio
Nella seconda e terza tornata della II proroga della I sessione della VIII legislatura, che
si tengono il 15 dicembre 1862, al mattino e al pomeriggio, la proposta Tecchio è sostenuta
dalle dichiarazioni favorevoli del ministro degli Interni Peruzzi, già gonfaloniere della Firenze granducale e ministro dei Lavori pubblici di Cavour e di Ricasoli. Seguono alcune
osservazioni sull'ordine della discussione. Il giorno dopo la Camera delibera, sempre a porte chiuse e anche se alla presenza di appena ottanta deputati, la nomina dei nove componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio: sei della Sinistra e tre
della Destra.219
218
Sulla relazione Mosca, andata perduta, come il rapporto La Marmora, vedi Franco
Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, 1983, p. 111; Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari
d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XXVII.
219
Questi i componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio: il
presidente Giuseppe Sirtori (1813/1874), di Casatenovo, in provincia di Como, nominato
generale sul campo durante l'impresa dei Mille, deputato di Milano, della Sinistra; Achille
Argentino (1821/1903), di Sant'Angelo dei Lombardi, deputato di Melfi, indipendente di
Sinistra; Nino Bixio (1821/1873) di Genova, eletto nel II collegio di Genova, di Estrema
sinistra, ma che con il suo discorso alla Camera del 18 aprile 1861 ha contribuito a
riconciliare Garibaldi con Cavour; Stefano Castagnola (1825/1891), nato ed eletto a
131
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio nomina poi presidente il comasco Giuseppe Sirtori, della Sinistra. Questi, dopo i giovanili studi in teologia, era stato
ordinato sacerdote, ma nel 1848 aveva lasciato l'abito talare, era corso a Parigi, quando era
scoppiata la rivoluzione, si era arruolato nei volontari a Milano e aveva partecipato alla difesa di Venezia. Costretto a scegliere la via dell'esilio, Sirtori era andato a Londra, dove
aveva conosciuto Mazzini, ma, dopo il fallito tentativo insurrezionale di Milano, nel 1853,
si era avvicinato alla monarchia. Capo di stato maggiore durante l'impresa dei Mille e comandante di Palermo, Sirtori aveva cercato di comporre le divergenze tra il Nizzardo e Cavour e aveva poi contribuito a sciogliere il corpo dei volontari garibaldini. Passando nelle
file dell'esercito regolare, dapprima con il grado di tenente generale e poi quale comandante della divisione militare di Catanzaro, dove aveva pacificato un territorio nel quale il brigantaggio era considerato «ormai un male endemico …, quasi un naturale prodotto della
regione».220
Con la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, la Sinistra corona una battaglia iniziata due anni prima, contro il governo Cavour, criticato per
le gravi ingiustizie, economiche, sociali e politiche che, dopo l'unità nazionale, avevano
continuato a penalizzare le province napoletane, a cospetto delle province centrosettentrionali, favorendo la diffusione del brigantaggio. Quelle ingiustizie, infatti, avevano accre-
Chiavari, della Sinistra; Antonio Ciccone (1808/1893), nato a Saviano ed eletto a Nola,
della Destra; Giuseppe Massari (1821/1884), di Taranto, della Destra; Donato Morelli
(1824/1902), di Rogliano, della Destra; Stefano Romeo (1819/1869), di Santo Stefano in
Aspromonte, di Sinistra democratica; Aurelio Saffi (1819/1890), di Forlì, triunviro della
Repubblica romana, deputato di Acerenza, della Sinistra.
220
Vedi Carlo Agrati e Adolfo Omodeo, a cura di, Giuseppe Sirtori. Il primo dei Mille,
1940, pp. 224-235; Corradi, Sirtori, Giuseppe, Grande dizionario enciclopedico, vol. XVII,
p. 356.
132
sciuto i gruppi di briganti armati, formati dalle loro famiglie e dalle loro parentele allarga te, che nelle campagne delle province napoletane, terrorizzavano e sfruttavano la popolazione. Guidati negli attentati contro la proprietà privata da feroci capi, rimasti ex lege anche per lunghi periodi di tempo, ma capaci di conquistare la simpatia dei contadini più
svantaggiati e marginali. 221
D'altra parte, nel contempo, la Giunta parlamentare d'inchiesta sull'istruzione pubblica222, nominata prima dell'inizio dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
brigantaggio, è costretta a sciogliersi a causa dei laceranti contrasti interni, senza concludere i propri lavori. Poi, il 22 marzo 1863, il presidente del Consiglio Farini si dimette, dichiarando di voler partire volontario per la Polonia, dopo aver minacciato il re con un pu gnale, ingiungendogli di dichiarare guerra alla Russia e di inviare un esercito in aiuto dei
patrioti polacchi insorti contro l'Impero russo. Gli subentra il bolognese Minghetti, che tiene per sé le Finanze, ma lascia inalterata la composizione del precedente governo; con
l'eccezione di Visconti Venosta, nominato ministro degli Esteri, al posto di Pasolini.
221
Sul brigantaggio che affligge economie squassate dalla crisi, o, all'opposto, da uno
sviluppo troppo improvviso e rapido, e società stravolte da guerre di conquista, o dalla brusca transizione tra vecchio e nuovo regime, o ancora dalla dissoluzione di intere classi, cfr.
Eric J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell'età moderna, 1969, ed. 1999; Georges Lefebvre, La grande paura del 1789, 1932, ed. 1953.
222
Le Giunte parlamentari d'inchiesta hanno soltanto funzioni di studio, a differenza del-
le Commissioni parlamentari d'inchiesta, che hanno compiti legislativi. In questo caso, poi,
la Giunta parlamentare d'inchiesta sull'istruzione pubblica, nominata nel marzo 1863 su
proposta di Bonghi, si scioglie nel 1864, senza aver concluso i propri lavori. La critica di
questa Giunta si appunta comunque sui regolamenti integrativi del ministro Carlo Matteucci (1811/1868) che avevano limitato la libertà di insegnamento nelle università, integrando
la legge del 1859 sui quattro anni degli studi elementari, distinguendoli dagli studi medi,
secondari e superiori e scaricandone il peso finanziario sui Comuni, cfr. Talamo, La Scuola
dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, 1960.
133
Rimanendo alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, nominato presidente Sirtori, essa si divide in due sotto commissioni, che visitano una la Capitanata, il
Beneventano, il Molise e la provincia di Potenza, e l'altra la Terra di Bari, la Terra d'Otran to e la provincia di Matera. Riunificandosi a Potenza, fermandosi poi a Salerno, Napoli e
Sora, alla frontiera con lo Stato pontificio, e completando i propri lavori segreti, il 3 e 4
maggio 1863. Due mesi dopo che il presidente della Camera, Tecchio, ha ottenuto dalla
Camera l'approvazione del nuovo Regolamento provvisorio, in sostituzione di quello predisposto dal governo Balbo, prima della concessione dello Statuto, sul modello del Regolamento francese del 1839 e, in parte, di quello belga del 1831. Questo nuovo Regolamento
provvisorio, che Tecchio ha fatto redigere dal torinese Carlo Bon Compagni di Mombello,
rafforza proprio il ruolo del Presidente della Camera. 223
Due le relazioni conclusive dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
brigantaggio. La prima del tarantino Giuseppe Massari, della Destra, esule napoletano a
Parigi, allievo di Pellegrino Rossi, fedelissimo di casa Savoia, da Carlo Alberto, al governo
Gioberti e da Vittorio Emanuele II, ai governi Cavour, collaboratore del Saggiatore e direttore della Gazzetta ufficiale, confidente e biografo del re. La seconda del genovese Stefano
Castagnola, della Sinistra, già primo firmatario del progetto di legge per la concessione
della cittadinanza italiana ai residenti nelle province annesse al regno di Sardegna nel maggio 1848, ma poi di nuovo assoggettate al giogo austriaco.
II.1.4. La relazione di Giuseppe Massari
Su Massari e Castagnola e sulle loro relazioni, già molto è stato scritto, anche dopo il
bel libro di Franco Molfese sul brigantaggio. Tralascio perciò i pur significativi profili biografici di questi due patrioti italiani e richiamo soltanto alcuni punti delle loro relazioni,
223
Vedi http://storia.camera.it/regolamenti/il-regolamento-del-2-marzo-1863.
134
funzionali a illustrare i nessi tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio
e la successiva «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette»; a cominciare dalla relazione di Massari che, rivolgendosi al Parlamento e
all'intera opinione pubblica nazionale, si chiede in particolare:
il brigantaggio che da tre anni contrista le province continentali del mezzodì
dell’Italia è conseguenza esclusiva del cangiamento politico avvenuto nel 1860, oppure questo cangiamento è stato soltanto un’occasione dalla quale lo sviluppamento
del brigantaggio è stato determinato? Negli ordini politici e sociali, come nel fisico,
non basta riconoscere le cause prossime ed immediate dei fenomeni, ma è d'uopo
d'accennare se a queste cause si collegano altre, senza le quali l'azione delle cause
prossime ed immediate, o non potrebbe svolgersi affatto, oppure raggiungerebbe proporzioni minime e di poca entità. 224
Massari rivendica dunque, con la retorica positivistica propria della cultura italiana della
seconda metà dell'Ottocento, il cambiamento politico che l'impresa dei Mille ha imposto in
tutto il meridione. Seguono le critiche del potere giudiziario, sul quale, nel suo viaggio
sino alle frontiere dello Stato pontificio, la Commissione ha «udito dovunque gravi doglianze», e del potere esecutivo che, sia pure attraverso il presidente del Consiglio, è comunque una prerogativa regia. Con questa critica, lo stesso relatore indica, in termini generici e tutto sommato elusivi, in Roma, capitale dello Stato pontificio, la
224
Giuseppe Massari, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, pp. 16-17. Per
un approfondimento, da punti di vista tra loro antitetici, v. Alessandro Bianco di SaintJorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, 1864, ed. 1974; Giuseppe
Bourelly, Il brigantaggio dal 1860 al 1865 nelle zone militari di Melfi e Lacedonia, 1865,
ed. 1987; Crocco, Come divenni brigante. Autobiografia, 1903, 1994.
135
officina massima del brigantaggio in tutti i sensi e in tutti i modi, moralmente e
materialmente: moralmente perché il brigantaggio indigeno alle province meridionali
ne trae incoraggiamenti continui ed efficaci; materialmente perché ivi è il deposito, il
quartier generale del brigantaggio d’importazione. 225
Alle successive proposte di rimuovere le cause strutturali del brigantaggio, riformando
l'istruzione pubblica, i terreni demaniali, i lavori pubblici e l'amministrazione dello Stato,
Massari fa poi seguire la giustificazione della pena di morte: «dolorosa necessità» che è necessario conservare, considerando «l'enormezza di delitto che si raduna nel brigantaggio» e
rifuggendo da qualsiasi «improvvida pietà». Così i Tribunali militari trovano una loro ragione civile nella necessità di giudicare i briganti, ovviando all'ingiusta conduzione delle
cose per cui «i briganti colti colle armi alla mano sono fucilati e i briganti arrestati inermi
sono dati in balia della potestà giudiziaria». Questa giustificazione forza tuttavia, senza
violarla, la legalità monarchica, perché aggira l'art. 71 dello Statuto del Regno di Sardegna
che, nell'ambito delle norme dedicate all'Ordine Giudiziario, afferma la supremazia dei
Giudici naturali e proibisce l'istituzione di Tribunali o Commissioni straordinarie.
II.1.5. La relazione di Stefano Castagnola
Di differente tenore, la più breve relazione Castagnola, che oggi definiremmo di stampo
garantista, letta nella tornata del 4 maggio 1863. Essa ricostruisce le cause politiche del bri gantaggio, risalendo dalle istituzioni, alla società, per chiedere al ministro della Giustizia
Pisanelli di approfondire gli aspetti giudiziari dell'inchiesta, in nome di una sensibilità sociale che accomuna le varie componenti della Sinistra, da quella ministeriale statutaria, di
225
Massari, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, p. 101.
136
Rattazzi e Depretis, a quella democratico militare, di Garibaldi e Mordini e a quella repubblicano insurrezionale, di Mazzini e Saffi. Sostiene Castagnola:
[...] non si può negare che il brigantaggio alimentasi ben anco di altre fonti: lo stato sociale dei campagnuoli, la corruzione seminata dal cessato governo, le storiche
tradizioni delle ricompense accordate ai briganti, la profondità della scossa prodotta
dalla rivoluzione, le disillusioni, l'agitazione dei partiti. Dessi non l'illuminano che
fiocamente, mentre non feci l'analisi che in quei documenti giudiziari dei quali per
incidenza si ebbe cognizione negli studi della nostra inchiesta; un più perfetto lavoro
potrebbe essere fatto dal ministro guardasigilli. 226
Castagnola segue dunque un'impostazione diversa, ma complementare a quella di Massari, proponendo di intervenire sulle cause politico sociali che hanno determinato il brigantaggio: le condizioni delle campagne, la corruzione borbonica e il sostegno economico accordato ai briganti, lo scoramento che ha fatto seguito al movimento rivoluzionario, l'iniziativa dei partiti. Nel suo insieme, questa relazione esplicita la collaborazione conflittuale
tra Destra e Sinistra, che si dispiega in forma compiuta nel 1884, quando il presidente Ste fano Jacini e il vicepresidente Agostino Bertani riassumono i risultati della Commissione
parlamentare d'inchiesta sull'agricoltura, denunciando l’arretratezza produttiva delle campagne, la dominanza delle coltivazioni estensive, l’assenteismo dei proprietari terrieri e la
pesantezza dei gravami fiscali, e proponendo opere di bonifica e sistemi colturali intensivi,
da realizzare tramite l’istruzione tecnica e l’efficiente gestione dei capitali .227
226
Castagnola, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, p. 211. Il ministro della
Giustizia nel I governo Minghetti, è il salentino Pisanelli.
227
I quindici volumi degli Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta
137
Per rimanere alle relazioni conclusive della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
brigantaggio, suscita invece forti perplessità il fatto che né Massari, né Castagnola, denunciando gli intrighi con cui gli ambienti vaticani e filo borbonici della Roma di Pio IX alimentano il brigantaggio nelle province napoletane, facciano riferimento alle gravi responsabilità dell’esercito italiano. Trascurando il fatto che la repressione posta in atto dalle truppe agli ordini di La Marmora, dopo il suo rapporto «in proposito su tutto ciò che riguarda il
brigantaggio e i mezzi per vincerlo», è stata indiscriminata, perché priva di un'adeguata conoscenza della realtà meridionale, anziché selettiva, l'unica in grado di rompere omertà parentali e politiche, consolidate da più generazioni. Da qui, l'indebolimento del potere esecutivo e l'accresciuta solidarietà di ampi settori della popolazione nei confronti dei briganti
più protetti dalla politica e perciò meglio radicati nella società.
II.1.6. Le critiche del settimanale politico mazziniano «Il Dovere»
Le riforme proposte da Massari e Castagnola nelle relazioni conclusive della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio finiscono con l'essere vanificate, prima ancora di essere discusse in Parlamento, dalla gestione dell'ordine pubblico, sempre più autosull’agricoltura italiana, presentati alla Camera dei deputati il 29 aprile 1885, coniugano la
prevalente impostazione tecnico scientifica del cattolico conservatore Stefano Jacini
(1826/1891), che la presiede dal 1877, e gli intenti sociali del vicepresidente, il
democratico radicale Agostino Bertani (1812/1886), vedi Bruno Caizzi, Jacini, Stefano,
Grande dizionario enciclopedico, vol. X, 1969, p. 4; Elvira Cantarella, Bertani, Agostino, Il
movimento operaio italiano, dizionario biografico 1853-1943, vol. I, 1975, pp. 259-263.
Per una diversa interpretazione, che enfatizza le divergenze tra Jacini, favorevole allo
studio dell'agricoltura italiana divisa in dodici zone e Bertani, propenso ad approfondire le
condizioni di tutti i lavoratori, invece di quelle della sola agricoltura, cfr. Bruno Di Porto,
Bertani, Agostino, di Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX, 1967, pp. 453-458;
Nicola Raponi, Jacini, Stefano, Dizionario biografico degli italiani, vol. LXI, 2004.
138
ritaria e repressiva. Basti pensare al pesante intervento della forza pubblica che il 29 maggio 1863, a Torino, eseguendo le direttive del ministro dell'Interno Peruzzi e del segretario
generale del Ministero, Silvio Spaventa, scioglie la manifestazione di muratori e falegnami,
scesi in piazza per chiedere aumenti salariali; le forze dell'ordine compiono così numerosi
arresti, preannunciando, con un'efficacia maggiore di qualsiasi proclama, il progetto di legge del 1° giugno 1863 sul brigantaggio, distinto in due titoli, sulla prevenzione e sulla repressione. Né l'opposizione di alcuni organi di stampa riesce a mutare questi orientamenti
repressivi. Benché il settimanale politico Il Dovere, fondato da Mazzini a Genova e diretto
da Federico Campanella, inizi a pubblicare il 18 luglio 1863 cinque lunghi articoli di Aurelio Saffi sulle condizioni sociali delle province napoletane, tratti «in parte da una memoria
… ad amici inglesi sulle cose dell’Italia meridionale, pubblicata nel Macmillan Magazine
del 1° luglio», intitolati Cenni sulle province meridionali della penisola.228
La gestione dell'ordine pubblico si inasprisce anzi il 6 agosto, dopo che la direzione del
Real Opificio Borbonico di Pietrarsa, a Portici, specializzato nella produzione di locomotive, sollecita l'intervento della Guardia Nazionale, dei Bersaglieri e dei Carabinieri. Le forze dell'ordine sparano allora sugli operai in lotta contro il licenziamento di cinquecento dei
mille occupati, facendo due morti, diventati poi purtroppo quattro, e molti feriti. 229 Il giorno
228
Vedi Aurelio Saffi, Cenni sulle province meridionali della penisola: I Disposizioni
degli abitanti; condizioni degli operai e dei lavoratori del suolo in alcune province; II La
quistione sociale e il brigantaggio; III Repressione del brigantaggio; IV e V Forze riparatrici dell'incivilimento italiano; in «Il Dovere», anno I, nn. 19, 20, 21 e 22. Questo giornale
politico settimanale, che recava nella testata la dicitura Unità, libertà, per la democrazia,
era stato fondato da Mazzini a Genova il 7 febbraio 1863 ed era diretto da Federico Cam panella (1804/1884).
229
V. Archivio di Stato di Napoli, Fondo Questura, F. 16, inventario 78, 1863. Pochi
giorni dopo Luigi Fabbricini e Aniello Marino, muoiono anche due degli altri feriti: Aniello
Olivieri e Domenico Del Grosso.
139
dopo, il questore di Napoli, Amore, biasima, nella circostanziata relazione al prefetto La
Marmora, le «fatali e irresistibili circostanze» che hanno causato la sanguinosa repressione.
C'è d'altra parte da considerare che la premessa dei licenziamenti con cui il Real Opificio
Borbonico ha dimezzato le proprie maestranze, da mille a cinquecento operai, è nelle commesse concesse dal governo Cavour alla Società in accomandita semplice, fondata il 17
agosto 1852 a Sampierdarena, dal banchiere Carlo Bombrini 230 e dall'armatore navale Raffaele Rubattino231. Diretta dal giovane docente di calcolo infinitesimale all'università di Ge nova, Giovanni Ansaldo232, questa Società siderurgica, che il governo sardo piemontese
aveva finanziato, per limitare le importazioni del ferro e dell'acciaio dal Regno Unito, aveva così potuto incrementare il numero degli operai occupati da quattrocentottanta, a mille.
Con una decisione che, dopo l'unificazione nazionale, ferme restando le compatibilità economiche internazionali, penalizza il Real Opificio Borbonico.
230
Su Carlo Bombrini (1804/1882), vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236;
la voce di Mirella Calzavarini, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. III, 1961. Nel
Grande dizionario enciclopedico, manca la voce Bombrini.
231
Sull'armatore genovese Raffaele Rubattino (1809/1881), vedi: «Appena tornato al go-
verno [il 4 novembre 1852], Cavour riprese […] le iniziative già avviate a favore della navigazione ligure, facendo approvare una nuova convenzione con Rubattino per la linea da
Cagliari a Tunisi, sovvenzionata dallo Stato, e portando a compimento l'accordo, di assai
maggiore respiro, relativo all'esercizio di due linee di navigazione sovvenzionate con le
Americhe, del Nord e del Sud, da parte della Compagnia Transatlantica», Romeo, Vita di
Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236.
232
Su Giovanni Ansaldo (1815/1859), cfr. Roberto Battaglia, La prima guerra d'Africa,
1958, p. 83; Emanuele Gazzo, I cento anni dell'Ansaldo, 1853-1953, 1953; Romeo, Vita di
Cavour, 1984, ed. 1999, p. 116; le voci di Francesco Sirugo, per il Dizionario biografico
degli italiani, vol. III, 1961, e di Antonio Fossati, per il Grande dizionario enciclopedico,
vol. I, 1966, p. 772.
140
II.1.7. La repressione del «brigantaggio e dei camorristi nelle province infette»
Rimanendo al progetto di legge in due titoli, sulla prevenzione e sulla repressione del
brigantaggio, il deputato Giuseppe Pica233 lo trasforma nella Legge concordata con il presidente del Consiglio Minghetti e approvata dalla Camera dei deputati, il 15 agosto 1863,
«dopo un simulacro di dibattito». 234 A questa «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», fa seguito, il 20 agosto 1863, il Regio decreto
1409, che proclama lo «stato di brigantaggio», un vero e proprio stato di guerra, in tutte le
province napoletane; con l’eccezione delle province di Teramo, Reggio Calabria, Napoli,
Bari e Terra d’Otranto, considerate estranee al fenomeno eversivo. 235
Due giorni dopo, «Il Dovere» pubblica un articolo redazionale, intitolato Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, che critica la segretezza dei lavori della Commissione parlamentare
d'inchiesta sul brigantaggio, a significare una drastica presa di distanza anche da Castagnola che, pur essendo stato nominato quale rappresentante della Sinistra, ha ormai assunto un
orientamento filo ministeriale. Questi i termini della denuncia del settimanale mazziniano:
233
Giuseppe Pica (1813/1887), patrizio aquilano laureatosi in Giurisprudenza a Napoli,
esercita l'avvocatura nella sua città natale, ma è costretto a trasferirsi a Napoli nel 1845,
dopo essere stato tra i protagonisti dei moti liberali di Penne e di L'Aquila. Arrestato con
altri patrioti il 15 maggio 1848, per aver presentato una proposta di legge sulla responsabilità dei ministri e dei funzionari nel Regno delle Due Sicilie e condannato alla pena di morte, commutata in 26 anni di galera, Pica è liberato nel 1859 ed è eletto deputato della sua
città natale; nel 1873, il re lo nomina senatore.
234
Vedi Camera dei deputati, Atti parlamentari, leg. VIII, sessione II, doc. n. 58; Mar-
tucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, capitolo VI. L'eccezione e la regola, § 7. La legge Pica e le sue proroghe, p. 336.
235
Sul Regio decreto 1409, inizialmente limitato al 31 dicembre 1863, v. Cammarano,
Storia dell'Italia liberale, 2011, pp. 34-36; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999;
Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, 1983.
141
Delle relazioni fatte in Comitato segreto dal Deputato Massari, e degli atti verbali
non abbiamo notizia. Questi ultimi si tennero occulti come i libri Sibillini, e agli stessi Deputati, dopo replicate discussioni, dopo un voto solenne di poterli leggere nella
Segreteria della Camera, la Presidenza non ne permetteva la visura che per poche ore
del giorno, vietando altresì di prender note a soccorso della memoria; sicché ci volle
una mozione grave del Deputato Niccola Fabrizi, per metter fine a queste restrizioni
vergognose, stimmatizzate dall'ex ministro Depretis come puerilità. 236
«Il Dovere» informa dunque i suoi lettori che ha potuto pubblicare gli articoli di Saffi,
già stampati nel Regno Unito dal Macmillan Magazine, andando oltre la ristretta cerchia
degli addetti ai lavori parlamentari, soltanto dopo la mozione parlamentare di Nicola Fabrizi, che ha posto fine al segreto imposto dalla Camera dei deputati. Al contempo, il settimanale mazziniano chiede che la Camera dia pubblicità alle successive Commissioni parlamentari d'inchiesta, per permettere all'opinione pubblica di seguirne i lavori, secondo
l'impostazione liberale affermatasi nel Regno Unito. Nello stesso articolo redazionale del
22 luglio 1863, «Il Dovere» usa toni ancora più duri per condannare la procedura con cui il
Parlamento ha approvato lo stato di brigantaggio:
Diremo altamente questo: combattete il dispotismo colle armi della libertà: opponete ai mali della violenza, la giustizia e la legalità: frenate la sciabola e imponetele
obbedienza al potere civile: condannate e punite severamente le instantanee fucilazioni; e provvedete che i giudizi sieno pubblici, pronti, solenni e multiplicati, talché
resti garantita l’innocenza spesso calunniata, e la reità dei malfattori si conosca in tutta la sua portata per l'effetto morale della pena. Coi giudizi statari, colle note di so236
Vedi Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, «Il Dovere», I, 23, 22 agosto 1863, p. 187.
142
spetti, colle misure eccezionali si dà colore di martirio ai giustiziali, si rinfocolano le
ire, s'estendono le inimicizie, e si dissolvono i vincoli d'affetto e di confidenza fra le
persone più care.237
Questo numero del «Dovere» è però sequestrato dalla polizia, che ne impedisce così anche la semplice diffusione. Subito dopo, a Torino, il I governo Minghetti fa sciogliere
l'Associazione Emancipatrice italiana238, che aveva proposto tra l'altro il trasferimento della
capitale a Roma, «l'uguaglianza dei diritti politici in tutte le classi» e «il concorso di armi
cittadine nel promuovere e assicurare l'unità e la libertà della patria». L'uomo politico bolognese limita in questo modo il diritto di associazione, pure previsto dallo Statuto; attuando
un progetto di legge già presentato dai moderati e appoggiato da Rattazzi. Lo stesso governo Minghetti dispone poi lo scioglimento delle Associazioni democratiche minori. Mentre
La Marmora ordina l'arresto, a Napoli, di Mordini e di altri due deputati, violando di fatto
l'immunità parlamentare 239, e fa fucilare, a Fantina di Messina, dopo un giudizio sommario,
sei disertori, colpevoli di avere seguito Garibaldi sull'Aspromonte. 240
237
Vedi Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, «Il Dovere», I, 23, 22 agosto 1863, p. 188.
238
L'Associazione emancipatrice italiana era stata fondata dalla seconda assemblea na-
zionale dei Comitati di provvedimento per Roma e Venezia. Superati i contrasti con Mazzini, l'assemblea si era riunita a Genova, il 9 e 10 marzo 1862, convincendo Garibaldi a presiederla e nominando un Comitato direttivo composto da Crispi, Saffi, Giovanni Nicotera
(1828/1894), Benedetto Cairoli (1823/1889) e Bertani, vedi Scirocco, Giuseppe Garibaldi:
battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, p. 279.
239
Questo l'art. 45 dello Statuto del Regno di Sardegna: «Nessun Deputato può essere
arrestato fuori del caso di flagrante delitto nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio
in materia criminale senza il previo consenso della Camera».
240
Vedi Scirocco, Giuseppe Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mon-
do, 2001, ed. 2005, p. 288.
143
II.1.8. I Tribunali militari di guerra
Le alte gerarchie militari, i prefetti e i questori, che articolano il potere esecutivo a livello periferico, applicano dal canto loro la «Procedura per la repressione del brigantaggio e
dei camorristi nelle province infette», trasformando i Tribunali militari, in Tribunali militari di guerra.241 La durissima repressione che ne consegue, debella il brigantaggio, integrando i metodi e i sistemi del potere giudiziario, fondato sui Giudici naturali, nominati dal Re,
inamovibili dopo tre anni di esercizio, con l'eccezione dei Giudici di mandamento.242 Mentre rimangono da approfondire le sostituzioni e i trasferimenti dei magistrati già legati al
regno delle Due Sicilie. Quel che è certo è che la stessa Commissione d’inchiesta della Camera dei deputati sul brigantaggio, che pure era stata proposta dalla Sinistra ed era formata
per due terzi da suoi esponenti, finisce con il favorire il «partito di Corte», vero e proprio
braccio armato del Re. La legge Pica è infatti prorogata sino al 28 febbraio 1864, quando è
comunque sostituita da un'analoga Legge speciale che, proprio attraverso i Tribunali militari di guerra, continua a punire i briganti con la fucilazione, condannando i favoreggiatori,
molto spesso i parenti più stretti, ai lavori forzati.
241
Cfr. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell'Italia liberale. Regime
eccezionale e leggi per la repressione dei reati di brigantaggio (1861-1865), 1980.
242
Sugli articoli 68-73 dello Statuto del Regno di Sardegna, che regolamentano l'autono-
mia dell'Ordine Giudiziario, cfr. «L'ordinamento giudiziario nel suo complesso non garantiva alla magistratura una vera e propria indipendenza dal potere politico, visto che il governo poteva condizionare l'operato dei giudici attraverso il meccanismo delle promozioni
e dei trasferimenti. Sia il codice penale sia quello di procedura penale riflettevano la volontà della classe dirigente di difendere innanzitutto quella “centralità proprietaria” la cui funzione “pedagogica” ed “eversiva” andava preservata, persino a scapito dell'habeas corpus
individuale [...]», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 10.
144
La stessa Legge speciale per la repressione del brigantaggio dispone inoltre che chiun que opponga resistenza armata sia passato per le armi, istituisce giunte provinciali che hanno la facoltà di restringere al domicilio coatto vagabondi e camorristi e autorizza la formazione di squadre di volontari armati per combattere i briganti. Al contempo, questa legge
speciale garantisce riduzioni di pena a tutti gli accusati che si presentano in tribunale entro
un mese, introducendo in tal modo un criterio selettivo che si rivela decisivo per rompere
antiche connivenze familiari e nuove protezioni politiche. Mentre la sua estensione alla Sicilia, dove «il flagello del brigantaggio non si è mai sviluppato e nessuna relazione è tra i
malfattori dell'isola e i briganti delle province napoletane», scatena le proteste della Sinistra meridionale che la considera una strategia politica ispirata, nelle parole di Crispi,
dall'unico intento «di tormentare i patrioti»; il che introduce una drastica cesura sia tra gli
insediamenti della mafia e della camorra, sia nella loro repressione. 243
Dunque, con il Regio decreto 1409 che fa seguito all'approvazione della «Procedura per
la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», la Monarchia rappresentativo italiana pone fine alla vera e propria guerra civile divampata nelle province
napoletane, dopo l'esaurirsi dell'epopea dei Mille.244 Sancendo la riconquista militare del
meridione, che questa volta Vittorio Emanuele II programma senza e contro Garibaldi, prima e dopo i fatti di Aspromonte; in base a una dinamica politico istituzionale che presenta
243
244
Vedi Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 35.
La relazione Massari, integrata da fonti militari, documenta che in Basilicata, dal
1861 al 1863, l'esercito italiano fucila 1.038 briganti, ne uccide 2.413 negli scontri a fuoco
e ne arresta 2.768. Dopo la Legge speciale contro il brigantaggio, i Tribunali militari di
guerra istruiscono 3.600 processi a oltre 10.000 imputati. Nel 1863, i briganti detenuti sono
1.400 a Salerno, 1.100 a Potenza, 700 a Lanciano, 1.013 a Campobasso e 11.635 nel di stretto della Corte d'appello di Napoli. Dal 1861 al 1865, l'esercito italiano, che nel febbraio 1864, giunge a impegnare 116.000 soldati contro 50.000 briganti, ne uccide 5.212, ne arresta circa 5.000 e ne costringe circa 3.600 a costituirsi.
145
alcune inquietanti analogie con la colonizzazione inglese dell'India, o con la sospensione
dell'habeas corpus decisa nel 1798 dalla Monarchia liberale inglese, per stroncare la rivolta
del Sinn Féin in Irlanda. Tuttavia, neanche questa repressione del grande brigantaggio riesce a debellare forme endemiche di piccolo brigantaggio, che continuano a caratterizzare la
società meridionale lungo tutto l'Ottocento e oltre. 245
II.1.9. La fine del «grande brigantaggio»
Per concludere, malgrado i suoi sbocchi repressivi siano al limite della legalità e talvolta
la violino, restando impuniti, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio sedimenta una forma di «autocoscienza della nazione» che dà all’opposizione e all'opinione
pubblica la possibilità di criticare l'esecutivo. Cercando al contempo di migliorare la legalità e l’efficienza di un sistema parlamentare che non è più limitato al piccolo regno di Sardegna, ma è tra i più grandi del Vecchio continente. 246 Tutto ciò mentre il I governo Minghetti, con il liberale Pisanelli247, ministro della Giustizia, e con il neoguelfo Manna248, ministro dell'Agricoltura, cerca di estendere il consenso politico della Monarchia rappresenta245
Sulla repressione del «piccolo brigantaggio» che continua a imperversare nelle
province meridionali anche dopo la fine del «grande brigantaggio», vedi l'opuscolo del
generale Emilio Pallavicini di Priola (1823/1901), Istruzione teorica ad uso delle truppe
per la repressione del brigantaggio nelle province di Terra del Lavoro, Aquila, Molise e
Benevento, 1868.
246
Vedi Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, capitolo VII Il governo del re,
paragrafo 4 Il re in Consiglio e il premier che non c’è, pp. 385-386. Cfr. Leopoldo Galeotti,
La prima legislatura del Regno d’Italia. Studi e ricordi, 1866.
247
Pisanelli, che nel 1848 era stato deputato al Parlamento napoletano, ma era stato
condannato a morte in contumacia dalla restaurazione borbonica, coordina nel 1863 la
Commissione sul Codice civile, che il Parlamento approva nel 1865, durante il I governo
La Marmora, quando il ministro della Giustizia è il napoletano Giuseppe Vacca
(1808/1876).
146
tiva, nel meridione. Manna propone tra l'altro di incrementare le capacità di spesa degli apparati pubblici, tramite l'unione di tutti gli istituti di emissione bancaria, in base al modello
francese. Secondo una divisione dei compiti tra ministero dell'Agricoltura e ministero delle
Finanze, che lo stesso Minghetti definisce considerando la volontà politica di Vittorio
Emanuele II, con il quale è entrato in conflitto per la nomina di Visconti Venosta agli Esteri. Da qui, le continue pressioni del re sul governo, che proseguono anche durante la Convenzione di Settembre, a detrimento della stabilità. Sino alla strage di Torino, dopo la quale
Minghetti, costretto a dimettersi per coprire il re, è sostituito da La Marmora; mentre Peruzzi cede a sua volta il posto di ministro dell'Interno al piemontese Giovanni Lanza, ma rimane nella Commissioni generale della Camera, per il bilancio. Quale sindaco, un incarico
di nomina regia, di Firenze, sua città natale.249
Continua così l'alternanza, tra aristocratici, militari e grand commis, iniziata dopo la
morte di Cavour. In questo susseguirsi al governo, i collaboratori del Re, anche quando oltrepassano i limiti del partito di corte, articolano la Destra di Cavour nella Consorteria e
nella Permanente e alimentano il Centro Sinistro di Rattazzi. Rimanendo, tuttavia, lontani
dal bipartitismo tra Conservatori e Liberali che contraddistingue il Parlamento del Regno
248
Il napoletano Giovanni Manna (1813/1865), esponente di un gruppo di intellettuali
neoguelfi, nel 1848 era stato ministro delle finanze nel Regno delle Due Sicilie e, fallito il
tentativo di alleanza con il Regno di Sardegna, si era ritirato dalla vita politica, insegnando
Diritto amministrativo all'Università di Napoli, fino al 1860. Nominato senatore, Manna
torna all'impegno politico soltanto nel I governo Minghetti. Suoi Il diritto amministrativo
del Regno delle Due Sicilie, 3 voll., 1847, e Principi di diritto amministrativo, postumo, 2
voll., 1876-1878.
249
Nei primi quattro anni della VIII legislatura, si susseguono cinque governi: Cavour
dal 23 marzo 1861, al 12 giugno 1861; Ricasoli, dal 12 giugno 1861, al 3 marzo 1862; Rattazzi, dal 3 marzo 1862, all'8 dicembre 1862; Farini, dall'8 dicembre 1862, al 24 marzo
1863; e Minghetti, dal 24 marzo 1863, al 28 settembre 1864.
147
Unito dopo il 1859, quale evoluzione dell'iniziale distinzione tra Whigs e Tories. La Monarchia rappresentativa italiana asseconda anche attraverso questi governi del Re, l'espansionismo di Napoleone III, trasferisce la capitale a Firenze, persegue l'annessione del Veneto e la liberazione di Roma e cerca di ovviare all'insufficiente capacità della Sinistra di aderire alla lettera dello Statuto. Reprimendo l'opposizione dei democratici, o lasciando che
Garibaldi fosse sconfitto dai francesi e stroncando le velleità insurrezionali dei repubblicani di Mazzini.
II.2. Le Commissioni parlamentari d'inchiesta nel Regno Unito
II.2.1. La Monarchia costituzionale britannica
Il Regno Unito incoraggia e sostiene il formarsi dello Stato e della nazione italiani in
varie forme, appoggiando, dopo la guerra di Crimea e con la dovuta cautela diplomatica, i
disegni di Cavour, dando asilo ai tanti patrioti, specie napoletani, rifugiatisi a Londra per
sfuggire alla durissima repressione borbonica dei moti del 1848 ed esercitando un vero e
proprio magistero sui temi delle libertà politiche, economiche e sociali; nonostante
l'esplicita condanna della Mirari vos di Gregorio XVI. La spinta propulsiva di questo
liberalismo, che permea di sé tutta l'Età vittoriana, può forse essere meglio spiegata,
richiamando per punti alcuni momenti della storia secolare che la precedono e preparano; a
partire dai conflitti con i Danesi e i Vichinghi, attraverso i quali Alfred the Great impone
anche in Inghilterra il Cristianesimo quale religione di Stato, legando a sé il clero e
l'aristocrazia.
Dopo la Magna Charta Libertatum imposta il 12 giugno 1215 dai Baroni inglesi al Re
Giovanni Senza Terra, per affermare l'Habeas corpus, il diritto fondamentale di ciascun
suddito a «disporre della propria persona», lo Stato e la nazione inglese iniziano infatti a
148
consolidarsi soltanto nel tardo Medio Evo. Con la dissoluzione della servitù della gleba,
che lo storico Thomas Babington Macaulay250, in una ricostruzione emblematica degli
orientamenti storiografici di metà Ottocento, spiega facendo riferimento alla formazione di
una grande maggioranza di piccoli proprietari terrieri. A somiglianza dell'analogo processo
che ha caratterizzato l'Italia dei Comuni, dove tuttavia il Papato ha impedito il sorgere di
un autonomo Stato nazionale. Alla fine del Trecento e in tutto il Quattrocento inglese,
scrive Macaulay, i freeholders formano
una parte della nazione molto più importante di ora … Non meno di 160.000
proprietari fondiari, che con le loro famiglie devono aver costituito più di un settimo
della popolazione totale, vivevano della coltivazione dei loro piccoli appezzamenti in
freehold. L'entrata media di questi piccoli proprietari fondiari liberi da ogni specie di
vincolo … è stimata tra le 60 e le 70 sterline. È stato calcolato che il numero di
coloro che coltivavano terreno proprio era maggiore di quello dei fittavoli su terreno
250
Thomas Babington Macaulay (1800/1859), figlio di un commerciante benestante,
filantropo e antischiavista, si laurea al Trinity College di Cambridge, è eletto deputato
Whig nel 1830 e contribuisce al primo Reform Bill e al progetto di abolizione della
schiavitù, approvato nel 1833 e applicato dal 1838. Macaulay fa poi fortuna quale
componente legale del Supremo Consiglio in India e, tornato in patria, pubblica i Lays of
Ancient Rome, seguiti dalla raccolta Critical and Historical Essays. Ancora, nominato
Capo della Ragioneria di Stato dal Primo Ministro Lord John Russell (1792/1878),
Macaulay ricopre quell'incarico per due anni; sino al 1848, quando pubblica il primo
volume della sua storia dell'Inghilterra. Questa sua opera, il cui valore critico è stato
ridimensionato dalla storiografia novecentesca, avrebbe dovuto ricostruire la fase che va
dalla assunzione al trono di Giacomo II (1633/1701, re dal 1685, al 1688), alla morte di
Giorgio III (1738/1820, re dal 1760), ma si ferma alla morte di Guglielmo III (1650/1702,
re dal 1689).
149
altrui.251
In tal modo, mettendo a coltura i propri campi con le proprie braccia, i piccoli
proprietari di terreni allodiali acquisiscono un modesto benessere e sviluppano l'agricoltura
su basi private. Da qui, quella wealth and populousness che, insieme alla fioritura delle
città, permette all'Inghilterra di trasformarsi in Paese commerciale e industriale, attraverso
la sanguinosa guerra delle Due Rose, il momentaneo prevalere dei Lancaster sugli York e
l'ascesa dei Tudor, la cui monarchia depotenzia il ruolo istituzionale 252 della Camera dei
Lords e valorizza la Camera dei Comuni, rendendola funzionale ai propri interessi
proprietari. Sino alla regina Elisabetta I, «governatrice suprema» della Chiesa anglicana,
che, tra 1597 e 1601, aveva tra l'altro introdotto le Leggi per l'assistenza dei poveri,
garantendo un sussidio ai nullatenenti e alle famiglie orfane di padre. Alle guerre tra
cattolici scozzesi e protestanti inglesi e all'anacronistico assolutismo di Carlo I Stuart, che
la Rivoluzione repubblicana di Oliver Cromwell aveva decapitato quale «tiranno, traditore,
omicida e nemico della comunità». Da qui, la confisca dei middlemen assenteisti, che
Cavour paragona all'espropriazione dei mediatori piemontesi da parte della Corona
sabauda, durante le guerre d'indipendenza contro l'Austria. O, al contrario, l'ascesa degli
yeomen, proprietari di terre che rendono almeno quaranta scellini l'anno, dopo la Glorious
251
Vedi Macaulay, History of England from the Accession of James the second, 5 voll.,
1848-1861, vol. I, 1848, ed. 1854, pp. 333-334. Cfr. Devincenzi, Delle commissioni
parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 60.
252
Sulle istituzioni parlamentari inglesi e, in particolare, sulla Camera dei Comuni,
vedi: «Institutions, it is true, do not grow like a tree; they are the work of man's hands, and
are not fit subjects of our idolatry», John Russell, Essay on the History of the English
Government and Constitution from the Reign of Henry VII to the Present Time, 1865,
Concluding Chapter, p. 240 e Chapter XXXI, Constitution of the House of Commons.
150
revolution e il definitivo tramonto dell'assolutismo cattolico, quando acquisiscono il diritto
di votare nelle elezioni delle Contee, affiancando i landlords e i relativi regimi affittuari.
II.2.2. L'inchiesta parlamentare sul bilancio della Camera dei Comuni
Dopo gli Orange, durante il regno della regina Anna, che sale al trono alla morte di
Guglielmo III, gli Stuart unificano la Scozia con l'Inghilterra, dando vita al regno di Gran
Bretagna, ma rimangono senza eredi. Un anno prima il Parlamento ha d'altra parte
approvato l'Atto che proclama i diritti e le libertà dei sudditi e stabilisce le modalità di
successione al trono. Questo Bill of rights, che aggiorna il Bill of rights del 13 febbraio
1689253, sui «diritti e le libertà dei sudditi» e sulla «successione della Corona», decreta
l'esclusione di
tutte le persone che si fossero riconciliate allora, o dovessero in seguito
riconciliarsi, o che tenessero comunione con la S. Sede o Chiesa di Roma, o
dovessero professare la religione papista, o sposare un papista. 254
Alla morte della regina Anna, per individuare una linea di successione, che è dunque
ristretta ai principi di religione protestante, la Corte deve risalire allora sino al primo re
Stuart e ridiscendere per due passaggi femminili, attraverso Elisabetta, figlia di Giacomo I
e sorella di Carlo I, a sua figlia Sofia, andata in moglie a un principe tedesco: Ernesto
253
Questa Convention Parliament, formata dalla Camera dei Lords e dei Commons,
riunitesi il 13 febbraio 1689, reca la data del 1688 perché in quegli anni, il calendario
inglese iniziava il 1° marzo.
254
Vedi l'Act of Settlement del 12 giugno 1701, cit. in Giuseppe G. Floridia, Romano
Orrù, Lucia G. Sciannella e Anna Ciammariconi, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem
Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005, p. 60.
151
Augusto di Hannover. Il loro primogenito, Giorgio I, impone così la sua oligarchia alla
Camera dei Comuni, ma continua a privilegiare i propri interessi sul Continente europeo. 255
Facendo ampio uso della corruzione, per sottomettere l'aristocrazia e la borghesia inglesi,
dalle quali è non a torto considerato straniero, e nominando un deputato della Camera dei
Comuni, capo del suo Gabinetto: il gruppo di consiglieri scelti che, sin da Carlo II Stuart256,
coadiuvavano il potere esecutivo. Questo Primo Ministro è il Whig257 Robert Walpole,
primo conte di Oxford, che ha iniziato la sua carriera politica nel collegio di Castle Rising,
quale rappresentante della gentry. Walpole governa contrastando il contrabbando e
avvantaggiando sia gli agrari, con una bassa imposta fondiaria e un aumento del valore dei
terreni e del prezzo delle derrate alimentari importate, in particolare il grano, sia i
banchieri, attraverso alti tassi d'interesse sui prestiti pubblici. Il suo governo va dal 1721 al
255
Georg Ludwig Hannover (1660/1727), secondo cugino di Maria e Anna Stuart, morte
senza eredi, principe del Sacro romano impero, del ramo cadetto Braunschweig-Lüneburg
della casata di Braunschweig, sale sul trono di Gran Bretagna e d'Irlanda, con il titolo di
Giorgio I, nel 1714, conservando il titolo di duca di Hannover. Soltanto dopo due secoli,
Vittoria (1819/1901) è regina del Regno Unito e imperatrice d'India dal 1837, ma, in base
alla legge salica, è esclusa dalla successione del ducato di Hannover, trasformato in regno
dal congresso di Vienna, che spetta allo zio Ernesto Augusto (1771/1851).
256
Carlo II Stuart (1630/1685, re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda de facto dal 1660) era
stato tuttavia costretto dal Parlamento a ripristinare l'Habeas corpus sancito dalla Magna
Charta, che si era poi affievolito nella pratica delle Corti giudiziarie.
257
Il termine Whig, dallo scozzese whig, nel duplice significato di «predone» e di «latte
acido», o dall'inglese thouhig, «carrettiere», designa i nemici di Carlo II Stuart che, nel
1678, congiurano invano per ucciderlo, chiedendo l'ampliamento delle libertà politiche.
Considerato perciò sinonimo di patriota, il termine Whig inizia a essere usato per indicare
una fazione politica con il Primo Ministro Robert Walpole (1676/1745), che Giorgio I
(1660/1727, re di Gran Bretagna e d'Irlanda dal 1714) e Giorgio II (1683/1760, re di Gran
Bretagna e Irlanda dal 1727) nominano Primo Ministro, proprio durante la lotta contro gli
Stuart.
152
1742, con una breve soluzione di continuità dopo la morte di Giorgio I, e si protrae dunque
anche durante il regno di Giorgio II, che riesce a farsi accettare come sovrano inglese, ma è
invischiato nella Guerra di successione spagnola. Al fianco delle Province Unite, del Sacro
Romano Impero, del Ducato di Savoia e del Regno di Portogallo; contro il Regno di
Francia, la Corona di Castiglia e l'elettorato di Baviera. Infine, Walpole, sconfitto nelle
elezioni della Camera dei Comuni, è costretto a dimettersi per l'irresoluta guida della
guerra, cui era contrario, ma è nominato Lord.
La costituzionalizzazione della Monarchia britannica continua dopo la Dichiarazione
d'indipendenza delle Colonie americane e la Rivoluzione Francese, con il Tory258 William
Pitt iuniore259, il deputato del borgo di Appleby, che Giorgio III vuole Cancelliere dello
Scacchiere, nel governo del conte di Shelburne. Poi, negli anni concitati della nascita
dell'Impero che va dalle Indie alle Americhe, la Camera dei Comuni respinge per due anni
consecutivi il Reform Bill, la Camera dei Lords boccia il trasferimento a una Commissione
parlamentare, dei poteri della Compagnia delle Indie sui territori indiani e sia il Primo
Ministro Shelburne, sia il suo successore, duca di Portland, rassegnano le dimissioni. Il 19
dicembre 1783, Giorgio III nomina allora Pitt anche Primo Ministro. Così, nel marzo 1784,
avvantaggiandosi di un cumulo di cariche che è un'eccezione nella storia costituzionale
britannica e che è durato infatti soltanto tre mesi, Pitt il giovane scioglie la Camera dei
258
Il termine Tory, deriva forse dall'irlandese Thòraidh, che indica i pericolosi banditi
armati, fedeli a Carlo I Stuart (1600/1649, re dal 1625), attivi in Irlanda contro gli avversari
della Chiesa Anglicana. Tory comincia a essere usato con il significato di conservatore, per
designare i partigiani di Carlo II Stuart, nel Parlamento inglese del 1678.
259
William Pitt iuniore (1759/1806) è il figlio secondogenito di William Pitt seniore
(1708/1778), che era stato avversario di Walpole e guida della vittoriosa azione inglese sul
Continente europeo, durante la guerra dei Sette anni, entrando nel 1766 a far parte della
Camera dei Lords, dopo che Giorgio III gli aveva accordato il titolo di conte di Chatham.
153
Comuni e consegue un trionfale successo elettorale. Quindi, nel 1786, promuove l'inchiesta
sul bilancio della Camera dei Comuni, per fare piena luce sui gravi casi di corruzione che
l'avevano screditata.260
II.2.3. Il corso forzoso della Bank of England contro Napoleone
Nel 1788, durante un grave attacco di pazzia di Giorgio III, Pitt inizia a governare
andando oltre le mansioni del Cabinet o Privy Council: il gruppo ristretto di ministri sodali
del Re, che si occupavano soltanto degli affari più importanti. Così, nel 1796
lo stesso Pitt sentì di nuovo il bisogno di un'altra e più ampia inchiesta sulle
finanze, che, come osserva Peel, produsse al paese «i più grandi beneficii».261
A questa nuova inchiesta fa tuttavia seguito, nel 1797, la decisione di bloccare i
pagamenti in contante, per arginare l'espansionismo di Napoleone. Legata al Restriction
260
Cfr. i due rapporti del Select Committee 1786-1791, «Nel 1786, poco dopo la fine
della guerra americana, per la prima volta ne' tempi moderni il Pitt fece nominare una
commissione d'inchiesta per ricercare intorno le pubbliche Entrate e Spese; sulle Entrate e
Spese annuali a venire, e sullo stato del Debito Pubblico», First Ser. vol. XI. Suggetti –
Conti de' vari rami dell'entrata e dell'uscita. – Stato del Debito Pubblico. – Prodotto delle
tasse. – Spese probabili di un permanente stato di pace. Cit. in Devincenzi, Delle
commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 46 e
n. 1; Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di,
Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XI.
261
Cfr. i trentasei rapporti del Select Committee On Finance, 1797-1803, First Ser. voll.
XII e XIII. Suggetti – Debiti e tasse. – Esazione delle Pubbliche Entrate. – Spese e modo di
rivedere i conti. – Entrate, Debito e Spese. – Amministrazione Civile. – Amministrazione
Militare. Cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, p. 46 e n. 2.
154
Act della Bank of England, promulgato il 3 maggio 1797. 262 L'anno seguente, Pitt sospende
l'Habeas corpus ad subjiciendum, per reprimere l'insurrezione irlandese e inizia a usare la
corruzione, per ottenere dai Parlamenti di Londra e di Dublino, l'approvazione dell'Act of
Union tra Regno di Gran Bretagna e Regno d'Irlanda. In quello stesso anno, il Parlamento
inglese approva l'income tax: un'imposta sul reddito personale, da lavoro, o da capitale,
percepito durante l'anno finanziario, che determina il reddito imponibile attraverso
specifiche detrazioni sulla persona, sui redditi da lavoro, sulle persone a carico e su alcuni
premi di assicurazione sulla vita. Assumendo le diseguaglianze economiche e sociali come
dati naturali, complementari alle libertà politiche, ma esentando gli indigenti, per
consolidare l'equità fiscale e la relativa giustizia distributiva. 263
Poi, tuttavia, dopo che il 1° gennaio 1801 l'Act of Union tra Regno di Gran Bretagna e
Regno d'Irlanda porta alla formazione del Regno Unito, Giorgio III fa bocciare dalla
Camera dei Lords la proposta di legge, presentata dallo stesso Pitt, per favorire
l'emancipazione dei cattolici e lo costringe a dimettersi, sostituendolo con il visconte di
Sidmouth che, coadiuvato dal conte di Liverpool, stipula ad Amiens la pace con la Francia.
262
Cfr. «Il Restriction Act del 3 maggio 1797 non ebbe, in Inghilterra, che un carattere
temporaneo; non doveva durare che fino al 24 giugno dell'anno dopo, e in seguito si andò
prorogando, di pochi in pochi anni, in guisa che sempre si voleva mantenere quel primitivo
carattere di misura precaria. Ciò fu che tolse gran parte dei mali che seguono l'introduzione
di carta-moneta, mali che all'infinito si accrebbero quando, pel fatto stesso delle proroghe
successive, veniva sostanzialmente a perdere quel carattere di precarietà, e quando, nel
1812, lungi dall'abolirsi, riceveva nuova conferma e più completa attuazione», Camera dei
deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 428.
263
Il sistema fiscale fondato sull'income tax è «alla lunga uno strumento, o - come il
Romagnosi avrebbe detto - un fattore di moralità e d'incivilimento », vedi Emilio Broglio,
Dell'imposta sulla rendita in Inghilterra e sul capitale negli Stati Uniti. Lettere al Cavour,
1856, p. 66.
155
Nominato di nuovo Primo Ministro nel 1804, dopo la rottura di quel trattato, Pitt è infine
travolto dalla vittoria di Napoleone ad Austerlitz, il 2 dicembre 1805.264
I successivi governi conservatori continuano però a sviluppare una politica ostile alla
Francia rivoluzionaria, che è comunque sostenuta anche dai Whigs di Edmund Burke; sino
al conte di Liverpool265 e al Cancelliere dello Scacchiere Nicholas Vansittart, barone di
Vansittart, che limitano l'ingente debito pubblico, ma deprimono i salari operai, reprimono
con durezza rivolte e sommosse e sospendono di nuovo l'Habeas corpus. Nel congresso di
Vienna, il ministro degli Affari Esteri, visconte di Castlereagh, può così affermare
l'autonomia del Regno Unito, dalla Santa Alleanza. Condizione dell'avvicinamento alla
Francia orléanista, voluto da Giorgio IV, dopo la fine della sua reggenza, quando i governi
Tories favoriscono il prevalere dell'alta aristocrazia sulla Camera dei Comuni, continuando
a penalizzare le popolose circoscrizioni industriali, a favore delle sparute circoscrizioni
agricole, dove spadroneggia la piccola nobiltà: gli yeomen.
264
Pitt il giovane muore a Londra, il 23 gennaio 1806, poche settimane dopo la
sconfitta della terza coalizione antifrancese ad Austerlitz. Giorgio III nomina allora Primo
Ministro il Whig William Grenville, primo barone di Grenville (1759/1834), che richiama
quale Segretario di Stato per gli Affari esteri, Lord Charles James Fox (1749/1806). Questi
si era già espresso a favore di una politica di conciliazione con gli insorti americani e con
la Francia rivoluzionaria e aveva proposto di trasferire i poteri della Compagnia delle Indie
sui territori indiani, a una Commissione parlamentare, escludendo il re Giorgio III;
proposta poi bocciata dalla Camera dei Lords. Fox tuttavia muore a sua volta il 13
settembre 1806, prima che il Regno Unito concretizzasse la sua proposta di un accordo con
Napoleone.
265
Il Tory Robert Banks Jenkinson, secondo conte di Liverpool (1770/1828), eletto alla
Camera dei Comuni nel 1790, quale seguace di Pitt il giovane, è primo ministro dal 1812 al
1827, durante gli ultimi anni del regno di Giorgio III e la reggenza e i primi sette anni del
regno di Giorgio IV (1762/1830, re del Regno Unito dal 1820).
156
II.2.4. Dal Reform Act al liberismo
I Wighs tornano al governo nel 1832, l'anno dell'enciclica Mirari vos di Gregorio VII,
durante il regno di Guglielmo IV266; con il Primo Ministro Grey che, sostenuto da John
Russell, adegua le circoscrizioni elettorali, ai cambiamenti sociali determinati dalla
Rivoluzione industriale, ottenendo dal Parlamento l'approvazione del Reform Act.267
Superate le resistenze della Camera dei Lords, questa Riforma elettorale porta l'elettorato
maschile di censo da quattrocentomila, a seicentocinquantamila aventi diritto, sulla
popolazione del Regno Unito, che è cresciuta dai dieci milioni del 1801, a tredici milioni di
266
Guglielmo IV (1765/1837, re dal 1830), terzo figlio di Giorgio III e di Carlotta Sofia
di Mecklenburg-Strelitz, salito al trono dopo la morte del fratello primogenito Giorgio IV,
richiama al governo i Whigs, con il conte Charles Grey (1764/1845) già avversario di Pitt il
giovane, e concede la Costituzione al Regno di Hannover. Oltre la Riforma elettorale della
Camera dei Comuni, il Primo Ministro Grey ottiene dal Parlamento la Riforma delle
amministrazioni cittadine e The Abolition of Slavery Act, in tutto l'Impero.
267
Lord John Russell (1792/1878), tra i cui nipoti c'è il matematico, filosofo e attivista
politico Bertrand Russell (1872/1970), è Primo Ministro Whig, dopo i governi Whig di
William Lamb, secondo visconte di Melbourne (1779/1848) e Tory di Robert Peel
(1788/1850) e, soprattutto, dopo la spaccatura tra Peeliti e Tories. Dal luglio 1846, al
febbraio 1852, Russell governa così con il ministro degli Affari Esteri Peelita Henry John
Temple, visconte di Palmerston (1784/1865), che cerca tra l'altro di dissuadere Carlo
Alberto dal muovere guerra all'Austria. Sostituito dal Primo Ministro Tory, conte di Derby
(1799/1869), Russell è poi ministro degli Affari Esteri, con il Primo Ministro Peelita, conte
di Aberdeen (1784/1860), si dimette per protesta contro la titubante conduzione della
guerra di Crimea ed è ancora ministro degli Affari Esteri nel governo Palmerston. Russell
appoggia quindi l'impresa dei Mille, con la circolare diplomatica del 27 ottobre 1860,
proclamando il diritto di insurrezione dei popoli, «contro i cattivi governi» ed è di nuovo
Primo Ministro dall’ottobre 1865, al giugno 1866. Cfr. Martucci, L'invenzione dell'Italia
unita, 1999: ad indicem. Tra i libri pubblicati da J. Russell, oltre al già citato Essay on the
History of the English Government and Constitution from the Reign of Henry VII to the
Present Time, 1865, e Life and Time of Charles James Fox, 1859-1866.
157
persone. La riforma, che porta per la prima volta in Parlamento anche il Tory William E.
Gladstone, modifica inoltre le circoscrizioni, ridimensiona il peso dei «borghi putridi» e
delle campagne, tradizionale appannaggio dell'aristocrazia terriera e della piccola nobiltà, e
dà rappresentanza alla media borghesia, espressione politica delle grandi città.
Morto Guglielmo IV e iniziato il regno della regina Vittoria268, nel 1841, il Primo
Ministro Tory Robert Peel269 ripropone l'income tax già fatta approvare da Pitt il giovane
nel 1798, consolidando così il debito pregresso e portando in pareggio il bilancio dello
Stato; un risultato che in Italia, la Destra di Minghetti e Sella raggiunge soltanto nel 1876,
attraverso l'imposta sul macinato, il monopolio dei tabacchi e la limitazione del corso
forzoso. Appena quindici anni dopo, tuttavia, l'unificazione nazionale.
268
Alessandrina Vittoria Hannover (1819/1901, regina del Regno Unito e imperatrice
d'India dal 1837) è l'unica figlia di Edoardo Hannover, duca di Kent, e della principessa
Vittoria Maria Luisa di Sassonia-Coburgo-Gotha. Salita sul trono dopo la morte dello zio
Guglielmo IV, lasciando il Regno di Hannover al duca di Cumberland, e sposatasi il 10
febbraio 1840 con il cugino Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha (1819/1861), la regina
Vittoria considera Vittorio Emanuele II «come l'ultimo re medievale, sinceramente
convinto di dovere i suoi successi al potere delle armi», vedi Cammarano, Storia dell'Italia
liberale, 2011, p. 5.
269
Il secondo baronetto Robert Peel (1788/1850) è il figlio primogenito di Robert Peel
(1750/1830), che si era arricchito con l'industria manifatturiera ed era stato perciò
nominato baronetto. Deputato Tory nel 1809 e sottosegretario di Stato nel 1810, Peel
reprime i cattolici in Irlanda, nel 1822, quale ministro dell'Interno nel governo Tory di
Robert Banks Jenkinson (1770/1828), secondo conte di Liverpool, durante il regno di
Giorgio IV (1762/1830, re dal 1820). Convertitosi alla causa irlandese, dopo l'avvento al
trono di Guglielmo IV (1765/1837, re dal 1830), Peel appoggia nel 1832 il governo Whig
del conte Charles Grey (1764/1845) ed è Primo Ministro dal 1834, al 1835 ma, sconfitto
dalla Camera dei Comuni, capeggia l’opposizione sino al 1841, quando la regina Vittoria
gli affida di nuovo l'incarico di Primo Ministro. Vedi Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed.
19706, ad indicem; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad indicem.
158
Peel riorganizza inoltre la Banca d’Inghilterra, distinguendo l’emissione dalla
circolazione delle banconote, ma, soprattutto, abbandona il protezionismo per il liberismo,
facendo abolire le Corn Laws, subisce perciò la scissione del suo partito, da parte della
fazione contraria all'alleanza con i Whigs, ed è sostituito da Russell. La contrapposizione
tra Tories e Whigs, effetto e a sua volta concausa delle guerre di religione che hanno
insanguinato il Paese, inizia allora a evolversi nella dialettica tra Conservatori e Liberali.
Poi, dopo aver appoggiato dall’opposizione le proposte sull’abolizione delle leggi di
navigazione e sull’emancipazione degli Ebrei, Peel si prepara a rientrare nel governo, ma
muore in seguito a una rovinosa caduta da cavallo.
II.2.5. Il governo parlamentare nel Regno Unito: governi di coalizione o trasformismo?
In sintesi, dopo l'avvento al trono della dinastia degli Hannover, che fa seguito alla
restaurazione della monarchia e alla Glorious revolution, il «Governo parlamentare» della
Gran Bretagna prima e del Regno Unito poi, ordina a sistema i conflitti personali e
proprietari tra Re, Primo Ministro, Cancelliere dello Scacchiere, Camera dei Lords e
Camera dei Comuni. Attraverso leggi fiscali che favoriscono agrari e banchieri, la
Commissione parlamentare d'inchiesta sul bilancio, il corso forzoso, la prima riforma della
legge elettorale, approvata da una maggioranza Whig, l'abolizione della schiavitù, la tassa
sul reddito e il bipartitismo.
Emblematico dei valori su cui si fonda questo parlamentarismo, è il discorso alla
Camera dei Comuni, di Lord Russell, ministro degli Affari Esteri del governo Aberdeen, il
26 gennaio 1855. Russell afferma tra l'altro che:
the Parliament […] corrects abuses, it reforms maladministration, and strengthens
159
those establishments which it may seem for the time to shake. 270
In quello stesso discorso, Russell denuncia il «difetto di cibo, di vestimenta e di
ricovero», che causa la grave moria di soldati inglesi, «da novanta a cento al giorno», nella
guerra di Crimea. Preannunciando la sua opposizione alla segretezza dei lavori della
Commissione parlamentare d'inchiesta intorno le condizioni dell'esercito inglese, che era
innanzi a Sebastopoli, e sulla condotta di quei Dipartimenti del governo, che avevano il
debito di provvedere ai bisogni dell'esercito. Così, il 1° marzo 1855, la Camera dei Comuni
rende pubblici i lavori di quella Commissione parlamentare d'inchiesta, proprio per
scongiurare ingiustizie nei confronti dei singoli e per proteggere i pubblici interessi. 271 A
270
Lord John Russell, Speech at House of Commons, 26 January 1855, cit. in
Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel
governo, 1866, p. 1. «Quelli che affermano, che in Francia non sia mai allignato il governo
parlamentare, perché vi è stato sempre snaturato, e che quell'ibrido sistema, più che altre
cagioni, sia stato la causa precipua di tanti sconvolgimenti, certo non vorremm dire che
vadano lontano dal vero, se compareremo la storia della Francia con quella dell'Inghilterra,
ove si sono compiute grandissime rivoluzioni sociali, economiche e politiche senza che da
secoli vi sia stato mestieri di alcun mutamento; perocché il governo rappresentativo in
Inghilterra, anziché contrariare, ha aiutato quelle grandi rivoluzioni, che tanto bene hanno
contribuito al benessere ed alla civiltà di quel popolo. I quali diversissimi risultamenti
derivano principalmente, a nostro avviso, dal modo come il governo parlamentare è stato
ordinato presso quelle due nazioni», così chiosa Devincenzi, ibidem, pp. 5-6.
271
Vedi il discorso alla Camera dei Comuni, il 2 marzo 1855, di sir John Graham
(1792/1861), ministro della Marina nel governo Aberdeen, cit. in Devincenzi, Delle
commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo
II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di
una legge generale sulle inchieste, pp. 30-31 e n. 1. Graham, eletto nelle fila Whigs nel
1818, era stato ministro della Marina nel governo Grey dal 1830, al 1834, ma nel 1837
aveva scelto i Tories e dal 1841, al 1846, era stato ministro dell'Interno nel secondo
160
luglio, tuttavia, dopo aver tentato senza successo di far riavvicinare l'Impero britannico
all'Impero austriaco, Russell si dimette dal governo, per protesta contro l'incerta
conduzione della guerra di Crimea da parte del Primo ministro Lord Aberdeen. 272 La regina
Vittoria può così riprendere la politica estera filo prussiana del «principe consorte».
L'equilibrio dei poteri, tra esecutivo, legislativo e giudiziario, si consolida allora grazie
al rinnovamento della Camera dei Comuni: vero tratto d'unione del popolo, con la Regina,
cui continua a essere inibito persino l'ingresso nell'aula parlamentare. Sino alla crisi
finanziaria che scuote l'Europa e alla nuova nomina di Russell a Primo Ministro, affiancato
questa volta da William E. Gladstone, quale Cancelliere dello Scacchiere.273 Questo
governo Peel.
272
Cfr. «[...] raramente il governo inglese aveva avuto alla testa un avversario della
guerra così convinto come lord Aberdeen, pacifista autentico per ragioni religiose e morali,
che non riuscirà mai a perdonarsi di non aver saputo impedire tanto spargimento di
sangue», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 271.
273
Gladstone, nato a Liverpool e laureatosi a Oxford, è eletto deputato nelle fila Tories
con la Riforma elettorale del 1832 ed è nel II governo Peel, dal 1841 al 1846. Nel 1851,
soggiorna a Napoli, da dove invia alcune lettere a Lord Aberdeen, nelle quali definisce il
governo borbonico «negazione di Dio». Nel dicembre 1852, la sua critica al bilancio
presentato dal Cancelliere dello Scacchiere Benjamin Disraeli (1804/1881), porta alla
caduta del governo Tory di Lord Derby. Impostosi così alla pubblica opinione, Gladstone è
a sua volta Cancelliere dello Scacchiere nella coalizione tra Peeliti e Whigs guidata da
Aberdeen che, dal 1852 al 1855, detassa i consumi e tassa i grandi patrimoni. Il successivo
governo Palmerston che, nel 1858, dopo la fondazione del Partito liberale, formato da
Peeliti, Whigs e radicali, ottiene dal Parlamento l'approvazione del trattato di libero
commercio con la Francia, lo conferma quindi Cancelliere dello Scacchiere. Per quattro
volte Primo Ministro (dal 3 dicembre 1868, al 1874; dal 1880, al 1885; dal febbraio, al
luglio 1886 e dal 1892, al 1894), Gladstone si ritira dalla vita politica dopo che la Camera
dei Lords ha respinto la sua proposta di riconoscere l'Home Rule dell'Irlanda. Cfr. Marx, Il
Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, ad indicem; Schumpeter, Storia dell’analisi economica,
1954, ed. 1990, ad indicem.
161
«Governo parlamentare», che si pronuncia per l'alleanza con i Ducati danesi, contro la
Prussia, è tuttavia costretto a dimettersi dopo che la Camera dei Comuni ha bocciato la sua
proposta di ampliare il diritto di voto, includendo gli artigiani e l'aristocrazia operaia ed è
sostituito, il 18 giugno 1866, dal III governo Tory del conte di Derby.274
Pochi giorni dopo, il 23 giugno 1866, l'Italia dà inizio alle ostilità per la Terza guerra
d'indipendenza, dopo che già la Prussia ha dichiarato guerra all'Austria e il presidente del
Consiglio La Marmora si è dimesso, sostituto da Bettino Ricasoli, per assumere il comando
dello stato maggiore, agli ordini di Vittorio Emanuele II.
II.2.6. La recezione italiana del Parliamentary Practice di Thomas Erskine May
In quello stesso 1866, il deputato della Destra, Giuseppe Devincenzi275, pubblica un
saggio sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta, che riflette proprio sul Regno Unito,
274
Il III governo Derby conduce in porto la seconda Riforma elettorale nel 1867, ma si
dimette poco dopo. La regina Vittoria nomina allora Primo Ministro il conservatore
Disraeli, che rimane in carica dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868, quando è sostituito da
Gladstone. Questi orienta la politica estera verso l'alleanza con la Prussia, già propugnata
dal «principe consorte» Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, ma contrastata da Russell. Il
Regno Unito entra però di nuovo in attrito con la Francia, dove Napoleone III, tramontato
il «parti de gouvernement» di François Guizot, ha proclamato l'«Empire liberal» e
riproposto Parigi quale grande capitale europea, ma è ancora lontano dall'aver pacificato il
Paese e accentua perciò il suo bellicismo. Soltanto nel 1872, la Camera dei Lords e la
Camera dei Comuni introducono al proprio interno il principio del voto segreto, che il
Regno di Sardegna prevede invece sin dal 1848. Poi nel 1884, dunque molto dopo la
caduta di Napoleone III, il II governo Gladstone ottiene dal Parlamento l'approvazione
della terza Riforma elettorale, che estende il diritto di voto nelle elezioni politiche della
Camera dei Comuni anche ai lavoratori agricoli.
275
Su Giuseppe Devincenzi (1814/1903), vedi la voce di Paolo Romano Coppini, nel
Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX, 1991, pp. 563-567.
162
meglio, sui legami tra potere legislativo e potere esecutivo in quel sistema costituzionale, il
cui governo è propenso ad allearsi con la Prussia, almeno quanto il «Governo Monarchico
rappresentativo» di Vittorio Emanuele II, La Marmora e Ricasoli.
Nato a Notaresco, in provincia di Teramo, Devincenzi è il rampollo «della borghesia
agraria con vasti possessi nel Teramano», laureatosi in Giurisprudenza a Napoli, che ha
firmato nel 1848 la proposta di legge Pica sulla responsabilità dei ministri e dei funzionari
nel regno delle Due Sicilie e si è caratterizzato come esponente politico moderato di quel
costituzionalismo napoletano cui appartengono valenti giuristi, quali Mancini e Pisanelli.
Emigrato in Inghilterra nel dicembre 1850, Devincenzi ha frequentato J. Russell e
Gladstone, ha partecipato al comitato che ha raccolto le sottoscrizioni in aiuto degli esuli
ed è entrato così in contatto con i sessantasei deportati napoletani, tra i quali Luigi
Settembrini, S. Spaventa e Carlo Poerio. Questi, dirottato il veliero americano che avrebbe
dovuto trasportarli a Madeira, in Brasile, avevano scelto di sbarcare a Queenstown, in
Irlanda, dove i sudditi della regina Vittoria li avevano accolti con grandi manifestazioni di
entusiasmo. Vittima, con S. Spaventa, Settembrini e lo stesso Pica, di «invereconde e basse
accuse» rivoltegli da calunniatori che lo hanno tacciato di aver distribuito «in parti
disuguali le somme raccolte», Devincenzi è tornato a Napoli, il 27 luglio 1860.276 Da lì, ha
manifestato le sue preoccupazioni per l'impresa di Garibaldi che, dopo i trionfi siciliani e
napoletani, ha minacciato di spingersi sino a Roma, e, il 14 novembre 1860, si è recato in
Abruzzo, per accogliere di persona il re Vittorio Emanuele II.277
Eletto un anno dopo deputato di Atri, Devincenzi approva l'ordine del giorno Ricasoli
276
Vedi Massari, Diario dalle cento voci (1858-1860), 1959, p. 314; cfr. Id., La vita e il
regno di Vittorio Emanuele II, 1878, ed. 1922.
277
Vedi Coppini, Devincenzi, Giuseppe, Dizionario biografico degli italiani, vol.
XXXIX, 1991, p. 564.
163
sullo scioglimento dell'esercito garibaldino e si distingue dall'opposizione meridionale, pur
votando contro la proposta Sella di concedere il Servizio di tesoreria alla Banca nazionale
sarda. Devincenzi s'impegna altresì in alcune Commissioni parlamentari sui temi
economici, principiando l'esperienza dalla quale, oltre che dall'esilio londinese, nasce il
saggio sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta che divulga il Treatise upon the Law,
Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, o Parliamentary Practice, del
costituzionalista inglese Thomas Erskine May 278; a cominciare dalla distinzione tra:
Le commissioni d'inchiesta nell'amministrazione della cosa pubblica ...
governative, o parlamentari; cioè ... istituite o dal potere esecutivo, o da uno dei due
rami del Parlamento. Noi qui non intendiamo ragionare delle prime, che pur
importantissime sono, e delle quali speriamo poterci intrattenere altra volta, ma ci
restringeremo a ragionare solo delle seconde.279
Tralasciata l'analisi delle Commissioni governative d'inchiesta sull'elezione dei deputati,
278
Vedi Thomas Erskine May(1815/1866), A Treatise upon the Law, Privileges,
Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859IV. Queste le ventiquattro edizioni del
Trattato: 1844, 1851, 1855, 1859, 1863, 1868, 1873, 1879, 1883, 1893, 1906, 1917, 1924,
1946, 1950, 1957, 1964, 1971, 1976, 1983, 1989, 1997, 2004 e 2011. Il sistema
costituzionale descritto da Erskine May, arricchito dagli altri Paesi del Commonwealth che
lo hanno adottato, Australia, Canada, Nuova Zelanda ecc. ha preso il nome di sistema
Westminster, dal Palazzo dove ha sede il Parlamento del Regno Unito.
279
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo I. Come le inchieste parlamentari sieno una parte
essenziale de' governi rappresentativi, p. 3. Sulla distinzione tra inchieste elettorali e
personali, economiche e politiche, legislative, amministrative e giudiziarie, cfr. Crocella,
“Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni
parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. VII-XI.
164
formate dalle autorità amministrative o giudiziarie, l'analisi si sofferma sulle facoltà
ispettive dei Select Committees, così chiamati per distinguerli dalle sedute plenarie delle
rispettive Camere.280 Questi Comitati scelti, incaricati di raccogliere informazioni e
documenti, regolano i propri lavori con gli Standing Orders: norme di procedura
parlamentare accumulate negli anni e raccolte nel Regolamento del 25 giugno 1852, che
per esempio fissano a un massimo di quindici, il numero dei componenti di ciascuno di
questi Comitati. Pur considerando alcune eccezioni, come la Commissione parlamentare
sulle condizioni della navigazione con l'India che, nel 1834, era stata formata da
ventiquattro componenti.
Lo stesso Regolamento obbliga poi ogni deputato ad acquisire la disponibilità del
collega che intende proporre nella Commissione parlamentare e a scriverne le generalità
sull'Order Book or Notice Paper, da affiggere nei corridoi della Camera. Ancora, i verbali
delle riunioni di queste Commissioni parlamentari registrano i nominativi di chi interviene,
annotando le presenze, le assenze e le eventuali votazioni; il segretario verifica,
richiamando l'attenzione del presidente, che le votazioni raggiungano il quorum o, se la
Camera dei Comuni non ha fissato il numero minimo dei voti necessari per approvare una
deliberazione o una votazione, si accerta che tutti i componenti della Commissione
votino.281 Fermo restando che le Commissioni parlamentari hanno l'obbligo di avanzare
280
Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of
Parliament, 1844, ed. 1859IV, p. 360; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle
commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge
generale sulle inchieste, p. 10. C'è tuttavia da considerare che la Camera dei Lord si avvale
di rado delle Commissioni parlamentari sui temi finanziari, perché in questa materia ha
competenze limitate.
281
Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of
Parliament, 1844, ed. 1859 IV, pp. 364-365; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
165
proposte concrete, per risolvere i problemi sui quali hanno ricevuto l'incarico di
indagare.282
Disposizioni altrettanto dettagliate riguardano le persone esterne al Parlamento, tenute a
testimoniare, su invito del presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta; pena un
mandato d'arresto, che deve tuttavia essere autorizzato dalle rispettive Camere. Così le
Commissioni parlamentari d'inchiesta, che hanno il diritto di esaminare soltanto i
documenti pubblici e ufficiali, ma devono rispettare la privacy, possono acquisire le carte e
le corrispondenze della Corona, soltanto dopo aver chiesto l'autorizzazione a quella stessa
Istituzione, chiamando in causa le responsabilità governative dei Ministri; con l'avvertenza
che richieste troppo frequenti, indeboliscono l'autorevolezza del Parlamento.
II.2.7. Il Regolamento della Camera dei Comuni
Le Norme di procedura della Camera dei Comuni, raccolte da Erskine May nel suo
Parliamentary Practice e divulgate da Devincenzi, autorizzano poi i componenti delle
Commissioni d'inchiesta a recarsi nell'abitazione di un testimone, nel caso in cui questi sia
infermo, ma li vincolano a riunirsi a Londra, dove ha sede il Parlamento. Stabilendo che
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle
commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge
generale sulle inchieste, p. 15.
282
Sulle differenze con le Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera dei
deputati, vedi: «In Italia tutte le amministrazioni s'immedesimano coi Ministri, ai quali
conseguentemente diamo tutta la responsabilità di quel che fanno, di quel che non fanno, e
di quello che umanamente non possono fare; come se una vana responsabilità, e non i
buoni ordinamenti, potesse costituire una retta amministrazione dello stato», Devincenzi,
Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866,
capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento
inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 21.
166
una cancellata separi deputati e pubblico nella sala delle riunioni, interna al palazzo di
Westminster, e permettendo agli stessi componenti di rivolgere domande ai testimoni e di
leggere le minute dei verbali delle riunioni, stampate ogni giorno. Questi verbali, dati in
lettura a ciascun deputato, diventano di pubblico dominio, tranne che per le inchieste
politiche e bancarie, tutelate dal segreto. Come per es. i verbali della Commissione
d'inchiesta della Camera dei Comuni sulle «Società politiche istituite in Inghilterra e in
Irlanda collo scopo di rovesciare il governo e di distruggere la costituzione e le leggi
d'Inghilterra, e produrre la separazione dei due paesi».
Quella Commissione ha tuttavia documentato, con due relazioni – proprio come ha fatto
molti anni dopo la Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sul brigantaggio –
che nel triennio 1799-1801 il «governo parlamentare inglese» ha sospeso l'Habeas corpus,
per unire l'Irlanda all'Inghilterra.283 Creando le condizioni politiche e di ordine pubblico
che permettono alla regina Vittoria di proclamare il Regno Unito. La segretezza ha tutelato
altresì, nel 1831, le Commissioni d'inchiesta della Camera dei Comuni sullo Statuto della
Banca d'Inghilterra e sulle Banche di emissione in Inghilterra e Galles e, nel 1841, sugli
283
Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of
Parliament, 1844, Book II, Chapter XXIII Impeachment by the Commons; grounds of
accusation; form of charge; articles of impeachment; the trial and judgement: proceedings
not concluded by prorogation or dissolution; pardon not pleadable. Trial of Peers. Bills of
Attainder and of Pains and Penalties, pp. 361-380; Id., A Treatise upon the Law, ecc.
1859IV, p. 370; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta ecc., 1866,
capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento
inglese. Di una legge generale sulle inchieste, pp. 26-27 e relative note. Cfr. J. S. Mill,
Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo IV, In quali condizioni sociali
il governo rappresentativo è inapplicabile; Villari, “Di chi è la colpa? O sia la pace e la
guerra”, «il Politecnico», 1866, ora anche in Id., La camorra la mafia il brigantaggio. Le
lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1861-1875, ed. 1979, pp.
79, 119 e 132.
167
effetti dei biglietti pagabili a vista. Come le Commissioni d'inchiesta della Camera dei
Lord sulla Banca d'Inghilterra, nel 1810, e sulle cause dell'impoverimento delle classi
commerciali, nel 1847. Tuttavia, pur considerando l'importanza di queste eccezioni,
secondo le Norme di diritto parlamentare inglese raccolte da Erskine May, gli Atti delle
Commissioni parlamentari d'inchiesta devono essere di pubblico dominio, perché i segreti
turbano l'opinione pubblica.284
Le stesse Norme procedurali della Camera dei Comuni, prevedono poi la sospensione
delle Commissioni d'inchiesta, «quando il Parlamento è prorogato» e autorizzano il
presidente a votare soltanto in caso di parità, quando il suo voto è determinante, mentre
nelle Commissioni d'inchiesta della Camera dei Lords «il presidente vota come gli altri
membri, e se i voti son pari il partito è perduto».285 Ancora, ciascuna Commissione si
scioglie alla fine di ogni sessione, ma può ricostituirsi nella sessione successiva, con gli
stessi componenti, quando è necessario completare l'inchiesta. 286 La Commissione è tenuta
così a raccogliere le deposizioni, le testimonianze e le minute delle riunioni, ad allegare i
284
Vedi: «[...] in Inghilterra si evita per quanto si può le inchieste segrete. Un'inchiesta
segreta, anzi che tranquillare, per lo più commuove ed agita l'opinione pubblica. La
pubblicità è la via più sicura, che può condurre a vere e radicali riforme nella pubblica
amministrazione; e quando nelle inchieste può esservi immischiata la dignità delle persone,
la pubblicità è la sola salvaguardia che ogni onesto uomo possa avere», Devincenzi, Delle
commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo
II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di
una legge generale sulle inchieste, p. 27.
285
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno
costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 31.
286
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno
costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 36.
168
documenti in appendice, a predisporre un indice e ad attendere che la Camera ne disponga
la pubblicazione. Il che è proprio ciò che fa la Commissione parlamentare d'inchiesta sul
corso forzoso, ricostituitasi all'inizio della II sessione della IX legislatura, dopo avere
sospeso i propri lavori per la fine della I sessione.
Erskine May e quindi Devincenzi, che ne divulga il Parliamentary Practice,
semplificano poi l'efficacia delle procedure sopra richiamate, facendo riferimento alla
sessione della Camera dei Comuni, iniziata il 5 febbraio e conclusa il 6 agosto 1861; in
quel semestre, infatti, la maggiore istituzione elettiva del Regno Unito ha esaminato trenta
rapporti di diciannove Commissioni d'inchiesta. Tra queste, Devincenzi definisce
«memorabile» quella con cui il Cancelliere dello Scacchiere, Gladstone, ha chiamato «a sé
persone e documenti», per verificare le pubbliche spese, già controllate dall'Audit Office (in
Italia, la Corte dei Conti). Così, la successiva proposta di Gladstone, approvata il 3 aprile
1862, per sottoporre al potere legislativo le spese pubbliche già controllate dal potere
esecutivo, è stata inserita nelle Norme della Camera dei Comuni. 287 Il Parlamento inglese è
diventato in tal modo il «vero e gran custode degli interessi dei contribuenti» 288, è popolare
presso la pubblica opinione, approfondisce le competenze dei deputati, recepisce le
richieste dell'opinione pubblica e si sottrae all'invadenza dei partiti politici. 289
287
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, p. 39.
288
Vedi: «I conti generali delle finanze sono immancabilmente presentati alle due
Camere prima del 30 giugno, cioè tre mesi dopo la chiusura dell'anno finanziario, che ha
luogo il 31 marzo», Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune
altre riforme nel governo, 1866, p. 40, ma considera tutto il cap. III. Parte che le inchieste
hanno nel Parlamento inglese, pp. 37-49.
289
Dopo i due importanti discorsi sul bilancio del 1863 e del 1864, Gladstone è eletto
leader della Camera dei Comuni ed è poi, con alcune discontinuità, Primo Ministro, dal
1868, al 1894. Sulla finanza gladstoniana, come «sistema della “libertà naturale”, del
169
II.2.8. Le Commissioni parlamentari d'inchiesta in Italia
Il confronto tra il Parlamento del Regno Unito e il Parlamento del Regno d'Italia è,
tuttavia, impietoso. Nel Regno Unito, infatti, il Parlamento gode delle simpatie della
popolazione e conta sul consenso popolare; anche perché
[…] la pubblicità assicura la immediata accettazione di una buona legge [...],
mette al di là del potere di ogni Ministro di farvi accogliere una cattiva legge, che il
paese disapprova. Molto prima che una misura possa essere adottata nelle Camere,
già è stata approvata o condannata dalla pubblica voce. 290
Nel Regno d'Italia, invece, il Parlamento segue un metodo «sciagurato»:
viene presentato un progetto di legge; – lo trasmettiamo ad uffici costituiti a sorte;
– questi ad una commissione segreta nominata a ballottaggio; – che fa una relazione,
la quale deve essere distribuita 24 ore prima della discussione.291
laissez-faire e del libero scambio», che «rimuove gli ostacoli fiscali frapposti all'attività
privata» e riduce al minimo la spesa pubblica e le funzioni dello Stato, a cominciare
dall'apparato militare, vedi Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, pp.
492-495, nn. 1-7.
290
Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of
Parliament, 1844, ed. 1859IV, pp. 437-438; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo III. Parte che le inchieste
hanno nel Parlamento inglese, p. 52.
291
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo III. Parte che le inchieste hanno nel Parlamento
inglese, p. 53.
170
Sulla base di questa procedura, che è poi quella con cui Minghetti ha ottenuto
l'approvazione della «repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette»,
già promulgata dal Regio decreto 1409, l'opinione pubblica italiana è informata delle leggi
soltanto dopo che entrambe le Camere le hanno votate, rischia di cadere preda di
insinuazioni calunniose sul conto di deputati e senatori ed è spinta a contrapporsi al
Parlamento, minando la stabilità del governo. È perciò necessario approvare il nuovo
Regolamento provvisorio della Camera dei deputati, modificando quello vigente dal 1863,
redatto da Bon Compagni, che ricalca in larga misura quello dell'8 maggio 1848, ma che,
secondo Devincenzi, è più dannoso per la libertà italiana, della presenza «tedesca» a
Venezia e del potere temporale della Chiesa cattolica romana. 292
È invece necessario formare gli stessi uomini politici italiani, perché acquisiscano le
competenze necessarie ad amministrare la cosa pubblica. Seguendo il modello delle
Commissioni ispettive della Camera dei Comuni e delle Commissioni Reali,
amministrative o esecutive, nominate con Regio decreto o dai ministri. Nei governi
costituzionali, infatti, i contrasti tra l'amministrazione e l'esecutivo, rappresentano il mezzo
«per conseguire un ottimo governo, e per perseverarvi», mentre anche il potere legislativo
e il potere giudiziario, svolgono, ciascuno nella propria sfera di competenza, le loro
292
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, cap. IV. Dei vantaggi delle inchieste parlamentari, p. 54.
Prosegue Devincenzi: «Le commissioni parlamentari d'inchiesta, e le commissioni
governative, che sviluppano e fan conoscere tanti uomini capaci in Inghilterra, non offrono
a noi alcun soccorso; le prime perché non vi sono, le seconde perché sono mal costituite»,
ibidem, p. 55. Sui Regolamenti provvisori della Camera dei deputati nel 1848 e nel 1863,
quando la Camera contava rispettivamente su 204 e su 443 deputati, cfr. http://Camera.it,
storia.camera.it/regolamenti; Cavour, Sul regolamento della Camera dei Deputati, «Il
Risorgimento», 1848, 1, n. 111 (6 maggio), pp. 1-2, n. 116 (12 maggio), pp. 1-2.
171
funzioni. Facilitando le Commissioni parlamentari d'inchiesta che, in alcuni casi,
rappresentano addirittura l'unico mezzo per rafforzare il governo rappresentativo:
Come dal Parlamento in Inghilterra, così dal potere esecutivo si sogliono creare
delle commissioni, sia per far delle inchieste, sia per altri scopi. Queste commissioni,
che sono conosciute col nome di COMMISSIONI REALI, rassomigliano in parte
alle nostre commissioni nominate con decreti reali, o direttamente dai Ministri; ma
fra queste e quelle corre questa grande differenza: le commissioni inglesi hanno
sempre costituito e costituiscono un meccanismo utilissimo di riforme nel governo
dello Stato; le nostre per ordinario non riescono a nulla, anzi pare che per lo più sieno
create o per pura forma o per acquietare alcuni reclami.293
Anche in Italia il potere legislativo deve allora nominare le Commissioni parlamentari
d'inchiesta, assicurarsi che presentino una relazione scritta e la divulghino, preparare
alcune grandi riforme, provvedere alla difesa nazionale e garantirsi la benevolenza della
popolazione e l'appoggio dell'opinione pubblica.
II.2.9. Sulle differenze tra governo del Re e governo del Parlamento
Per esempio, se dalla Commissione parlamentare d'inchiesta emergono censure o accuse
nei confronti di singole persone, il Parlamento le deve sottoporre al giudice competente.
Come accade nel Regno Unito dove pure, ancora secondo il trattato costituzionale di
Erskine May, per molti anni il popolo ha avuto poca fiducia nella Corona, il Parlamento è
293
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo V. Delle Commissioni Parlamentari e delle
Commissioni Reali d'inchiesta, pp. 57-58.
172
stato debole, le Corti di giustizia inquinate e la stessa Corona ha protetto i colpevoli, invece
di assicurarli alla giustizia. Sino a quando la Camera dei Comuni ha portato alcuni uomini
pubblici davanti alla Camera dei Lord, costituitasi in Alta corte di giustizia, accrescendo la
propria influenza e rendendo di volta in volta meno frequenti le censure e le accuse a
singole persone.294 A dimostrazione che le Commissioni parlamentari d'inchiesta, da quelle
ispettive a quelle legislative, hanno la possibilità di migliorare le competenze del
Parlamento, accrescendone la conoscenza della realtà. 295 Perciò la loro nomina deve essere
indipendente dai partiti, invece che arma nelle loro mani, e deve garantire l'interesse
pubblico, prima che l'interesse del Re; avanzando proposte concrete, per accrescere la
qualità dei Ministeri, piuttosto che il loro numero 296 e migliorando l'attività del Parlamento
294
L'anno dopo, il precedente dell'Alta corte di giustizia della Camera dei Lord, fa
scuola in Italia. Infatti, il 15 aprile 1867, il Senato, costituitosi proprio in Alta corte di
giustizia, condanna l'ammiraglio Carlo Pellion (1806/1883), conte di Persano, a dimettersi,
lo degrada e lo obbliga a pagare 60.000 lire di spese processuali. Ciò dopo che il 1°
dicembre 1866, nei locali del Senato, la forza pubblica lo ha arrestato, accusandolo di
disobbedienza, imperizia e negligenza e nonostante la sua difesa abbia documentato che la
sconfitta del 20 luglio 1866, a Lissa, è da spiegare con l'impreparazione della Marina
italiana.
295
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, Appendici A. Inchieste nella Camera dei Comuni del
Parlamento inglese nella Sessione 1861; B. Alcune inchieste fatte nella Camera de' Comuni
del Parlamento inglese in vari rami della pubblica amministrazione; C. Commissioni
d'inchiesta del potere esecutivo in Inghilterra nel 1861, pp. 93-101.
296
Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of
Parliament, 1844, ed. 1859IV, p. 529; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VI. Le inchieste
parlamentari non sono divenute finora comuni in Italia per un falso concetto. Come
possono divenir tali, pp. 66. Si consideri che nel 1861, il governo Cavour, il primo
dell'Italia unita, aveva aggiunto tre ministeri ai precedenti ministeri, rimasti invariati sin dal
173
e del governo rappresentativo;297 a iniziare dal Consiglio della Corona. Quest'ultima
proposta lascia tuttavia molto perplessi, in ragione dei quattrocento funzionari, dei novanta
dignitari e dei cinque grandi dignitari che già supportavano la Real Casa: il ministro che
amministra i beni, il prefetto di Palazzo gran maestro delle cerimonie, il primo aiutante di
campo, il grande scudiero e il grande cacciatore. 298
È, invece, convincente la proposta di rimarcare la distinzione tra il governo politico dei
Ministeri, che secondo Devincenzi è comunque lontano dall'autorizzare aspettative
miracolistiche, e le amministrazioni pubbliche, che dovrebbero essere obbligate a
presentare ogni anno in Parlamento i loro conti e rapporti, secondo il modello del Regno
Unito.299 Si tratta infatti di mettere i Ministeri in grado di «funzionar da sé, sotto un'alta
direzione del Ministro», garantendone per converso la continuità anche durante e dopo i
passaggi da un titolare all'altro. Con l'avvertenza che è altresì necessario fare in modo che i
governo Balbo, il primo dopo la concessione dello Statuto del Regno di Sardegna: Senza
portafoglio, della Marina e di Agricoltura, industria e commercio.
297
La IX legislatura, iniziata il 18 novembre 1865, deve «far concorrere energicamente
l'attività e la capacità di ciascun membro del Parlamento, e per conseguenza delle Camere,
alle riforme che reclamiamo», vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, cap. VII. Di alcune altre urgenti e
radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, pp. 75-76.
298
Vedi Raoul Antonelli, Il Ministero della Real Casa nel primo quarantennio dopo
l'Unità, in F. Mazzonis, a cura di, La Monarchia nella Storia d'Italia. Problematiche ed
esemplificazioni, in «Cheiron», materiali di aggiornamento storiografico, XIII, 1996, p. 70;
Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, p. 5.
299
Vedi: «Siamo lieti che il nostro ottimo amico commendatore Scialoja, ora ministro
delle Finanze, già mostri di volere entrare nella via delle amministrazioni responsabili,
proponendo di rendere tali le direzioni delle Finanze», Camera dei deputati, Atti
parlamentari, tornata del 22 gennaio, 1866; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari
d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre
urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 81.
174
Ministri di nuova nomina collaborino con i Ministri già al governo. Sul modello, anche in
questo caso, del Regno Unito vittoriano, dove un sistema ben strutturato recluta i
funzionari nelle Università di Oxford e Cambridge e li inserisce nel Royal service; in
quest'ambito, in Inghilterra, la Commissione del Tesoro è
composta dal primo ministro, che prende il nome di primo lord della Tesoreria, dal
Cancelliere dello Scacchiere, e da tre altri commissari (Lords of the Treasury), che
sono uomini politici, ossia membri del Parlamento. Ne fan parte inoltre due altri
uomini politici, come sotto-segretari di Stato (Joint-Secretaries of the Treasury). Gli
uomini politici naturalmente mutano ad ogni mutar di ministro. E per provvedere alla
tradizione dell'amministrazione vi ha un sottosegretario permanente (Assistant
Secretary), che non può essere membro del Parlamento. 300
Dunque, in sintesi e limitandosi a questo livello di analisi, nel Regno Unito, il Cancelliere dello Scacchiere, che corrisponde all'italiano ministro delle Finanze, è uno dei componenti della Commissione del Tesoro, formata da deputati e da un dirigente dell'amministrazione pubblica, esterno al Parlamento, che corrisponde all'italiano Segretario generale.
Mentre nel Regno d'Italia, il ministero delle Finanze ha soltanto propri uffici e funzionari
ed è vincolato dallo Statuto a ottenere il voto favorevole della Camera dei deputati, prima
che la Corona promulghi i Decreti regi finanziari.
300
Vedi Francis Sheppard Thomas, Notes or Materials for the History of Public
Departiments, 1846, p. 17, cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta
e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali
riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 85.
175
II.2.10. La Monarchia costituzionale del Regno Unito e la Monarchia statutaria italiana
Nel 1866, la complessa struttura dei Ministeri del Regno Unito, fa riferimento al Governo, distinto dalla Commissione del Tesoro, o Cabinet, o Privy Council, di cui fanno parte
soltanto il Primo Ministro e il Cancelliere dello Scacchiere. Un altro esempio di questa
struttura riguarda il Ministry Admiralty, retto da una Commissione formata dal First Lord
of the Admiralty, che è anche il ministro, da cinque commissari, due dei quali ammiragli, e
da un Secretary of the Admiralty e un Second Secretary: due sotto segretari che si occupano
entrambi dell'ordinaria amministrazione. 301
Più in generale, conclude Devincenzi, si tratta allora di applicare la struttura governativa
del Regno Unito al Regno d'Italia, a seconda delle specifiche peculiarità operative dei singoli ministeri, responsabilizzando i Ministri e rafforzandone le funzioni statutarie.302
C'è tuttavia da considerare, osservo a mia volta, che nel regno di Sardegna, soltanto Cavour aveva scorporato il ministero della Marina dal ministero della Guerra, avocandolo alla
presidenza del Consiglio, prima dell'impresa dei Mille, in considerazione dell'importanza
301
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta
amministrazione dello Stato, p. 86.
302
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta
amministrazione dello Stato, pp. 87-90. Il 17 febbraio 1867, il presidente del Consiglio
Ricasoli, che è anche ministro degli Interni e di Grazia e giustizia, nomina Devincenzi
ministro dei Lavori pubblici, in sostituzione di Jacini, con Depretis alla Marina e poi alle
Finanze, nell'ambito del suo III governo, che il 4 aprile 1867 è però costretto a rassegnare
le dimissioni per l'impossibilità di completare la compagine governativa. Devincenzi,
nominato senatore il 12 maggio 1868, durante il II governo Menabrea-Cambray Digny, è di
nuovo ministro dei Lavori pubblici dal 31 agosto 1871, nel governo Lanza-Sella, in
sostituzione di Giuseppe Gadda (1822/1901), nominato a sua volta alto commissario regio
straordinario per la città e la provincia di Roma.
176
strategica del Mediterraneo; senza tuttavia avere il tempo necessario per dotarlo della burocrazia necessaria.303
Restando a Devincenzi, è dunque pour cause che la Camera dei deputati lo chiama a
fare parte della Commissione dei Quindici, nominata nel febbraio 1866, presieduta da Depretis e formata dal segretario Musolino, dal relatore Correnti e da Cordova, Casaretto, Di
Cesare, De Luca, V. Ricci, Rattazzi, Crispi, Lanza, Minghetti, Sella e Mordini, per discutere il progetto di riforma finanziaria presentato da Scialoja. 304 Con quella Commissione parlamentare, la Camera elettiva, come poi il Senato di nomina regia, ispirandosi al modello
Westminster e strutturandosi in base ai dispositivi funzionali ereditati dal regno di Sardegna, cercano infatti di adeguare lo Statuto a una realtà linguistica, territoriale e demografica, ormai unificata in uno dei principali Paesi europei, ma ancora tutta da amalgamare.
Come le diverse impostazioni giuridiche degli Stati preunitari, ricondotte allo Statuto del
303
Nel Regno di Sardegna, la Marina è pertinenza del ministero della Guerra, sino al 18
marzo 1860, quando Cavour istituisce un ministero autonomo, lo accorpa alla presidenza
del Consiglio e ne assume l'interim. Il ministero della Marina ha tuttavia
un'amministrazione adeguata soltanto con il nizzardo Augusto Riboty (1816/1888), durante
il governo Menabrea II.
304
Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, 4 voll. 1897-
1907, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3,
1902, La Nona Legislatura, Capitolo I – Esito delle Elezioni generali – Segnalati trionfi
dell'Opposizione – Prodromi dell'alleanza con la Prussia – Fiacchezza ed esitanza del La
Marmora nel conchiuderla – Pessima condizione della finanza – Sospetti vaghi contro
l'Amministrazione e proposta d'inchiesta – L'elezione di Mazzini a deputato – Di nuovo
l'alleanza prussiana e la guerra – Provvedimenti per la finanza e per le corporazioni
religiose – La Commissione dei Quindici – Il corso forzoso – La morte di Brofferio –
Ricasoli presidente del Consiglio, pp. 313-363; Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La
politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 180.
177
Regno di Sardegna, l'unico a rimanere in vigore dopo il 1849, dal quale è scaturito lo Stato
monarchico liberale italiano che Cavour
il più grande de' nostri uomini di Stato, tutto distruggendo, e tutto rifacendo ed
unificando, ebbe la gloria di costituire in brevissimo tempo, in un regno unico, l'Italia, già per tanti secoli frazionata e divisa, e di darle vita. 305
Da qui, da questa consapevolezza della forzatura che Cavour ha impresso alla storia
italiana, la crescente influenza del sistema costituzionale inglese sul nuovo, debole Stato
unitario.306 Un influsso che giuristi e uomini politici riconducono al Diritto romano, alle
teorie di Giambattista Vico sull'antichissima sapienza italica e alla lezione di Gian
Domenico Romagnosi sull'indole e i fattori dell'incivilimento; per sottrarsi alle suggestioni
di una tipologia priva dei necessari riscontri fattuali. 307
305
Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre
riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta
amministrazione dello Stato, p. 73. Cfr. l'Introduzione di Giuseppe Cacciatore a Villari,
Teoria e filosofia della storia, 1854-1903, ed. 1999, pp. 7-23.
306
Per un'analisi del sistema costituzionale inglese, vedi anche David Rowland, English
Constitution; with a Review of its Rise, Growth, and Present State, 1859, John Russell,
Essay on the History of the English Government and Constitution from the Reign of Henry
VII to the Present Time, 1865; Walter Bagehot, The English Constitution, 1867. Una
rassegna più recente è in Carl Stephenson e Frederick G. Marcham, Sources of English
constitutional history, 1973, tradotto da Giuseppe G. Floridia in Lex facit regem, rex facit
legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005.
307
Cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 12, che paventa il «rischio di
dare una lettura “britannica” di vicende istituzionali che, nei fatti, si connotavano piuttosto
come forme di evoluzione di un “orléanismo costituzionale” sviluppatosi al di fuori del suo
originario contesto francese».
178
II.2.11. Le facoltà ispettive del potere legislativo
Avvertito della capacità attrattiva del liberalismo del Regno Unito sulla realtà politica
italiana, il moderato milanese Emilio Broglio308 così scrive nel libro Delle forme
parlamentari, dedicato a un altro deputato della Destra, Ubaldino Peruzzi, allora presidente
della Provincia di Firenze:
Nei Paesi dove esiste da secoli, anzi ab immemorabili, un Parlamento, come in
Inghilterra, è abbastanza naturale che le regole della sua procedura si sieno venute
accumulando a poco a poco, quasi per lenta e lunghissima alluvione: ne' paesi,
invece, dove i Parlamenti son nati a un tratto, più o meno improvvisamente, come da
noi, gli è troppo chiaro che dovessero pur nascere a un tratto, e insieme con loro, i
Regolamenti, tutti d'un pezzo … A quel modo che l'antico Diritto Romano era parte
scritto e parte non scritto, o consuetudinario, non altrimenti sono le regole nel
Parlamento inglese ... .309
Da questa consapevolezza del sostrato consuetudinario che accomuna l'antico Diritto
romano, alla Legge costituzionale inglese, nasce infine la fermezza dei principi e, al tempo
308
Su Emilio Broglio (1814/1892), eletto nel 1861, a Lonato, in provincia di Brescia, v.
la voce scritta da Nicola Raponi per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XIV, 1972.
309
Vedi Emilio Broglio, Delle forme parlamentari, 1865, pp. 7-9; il deputato lombardo
compara poi il sistema costituzionale inglese alle teorie di Pierre-Etienne-Louis Dumont
(1759/1829) e di Balbo, esamina i poteri della Corona e del Parlamento, documenta
l'autonomia e l'indipendenza della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni ed
enfatizza il pragmatismo della Costituzione inglese che ne è alla base, garanzia di libertà
politica per tutti. Cfr. Domenico Dominici, Le Commissioni parlamentari inglesi, 1970.
179
stesso, la prudenza dei comportamenti, con cui, morto Cavour e sconfitto Garibaldi, il
nazionalismo dinastico di Vittorio Emanuele II e il cosmopolitismo cattolico di Pio IX
continuano a fronteggiarsi in una vicenda politica la cui posta è sempre più legata al futuro
di Roma. Mentre molti degli altri protagonisti del Risorgimento italiano, dai moderati di
Ricasoli e Minghetti e di Sella e Lanza, ai democratici di Mordini e Saffi, continuano a
guardare, da punti vista diversi e, per tanti aspetti tra loro antitetici, al Regno Unito, come
al Paese delle libertà e dei diritti civili. Consapevoli, altresì, dell'arretratezza, prima di tutto
culturale, del popolo italiano, che nel settembre 1866, Pasquale Villari, in un opuscolo
pubblicato sul Politecnico, denuncia come la prima e più grave delle cause dell'ingloriosa
vittoria nella Terza guerra d'indipendenza. Sino agli anni Ottanta dell'Ottocento, quando la
prima serie della Biblioteca di scienze politiche, diretta da Attilio Brunialti310, pubblica i
classici libri di Alpheus Todd sul Governo parlamentare e di Erskine May sulla Legge
costituzionale in Inghilterra. 311
Tuttavia, anche allora la pervasiva presenza della Chiesa cattolica cattolica, che da
secoli monopolizzava il sapere, continua a limitare l'influenza dell'Impero del Regno Unito
310
Attilio Brunialti (1849/1920), giurista e uomo politico vicentino, diresse dal 1884 al
1915, tre fortunate serie della Biblioteca di scienze politiche. Vedi le voci di Giuliana
D'Amelio, nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XIV, 1972, pp. 636-638, e di
Franco Pierandrei, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. III, 1967, p. 488.
311
Vedi Alpheus Todd (1821/1884), Il Governo parlamentare in Inghilterra. Sua origi-
ne, svolgimento ed azione pratica, ed. or. 1867-1869, Prefazione di Brunialti: Il Governo
parlamentare in Inghilterra e in Italia, I serie, volume 3, 1886, pp. III-C, 1-1342; Erskine
May, Trattato sulle leggi, privilegi, procedure e consuetudini del Parlamento inglese, I ed.
1844, traduzione della IX edizione 1883, Prefazione di Attilio Brunialti, I serie, volume 4,
parte I, 1888, pp. CCCXII-869. Nel 1880, Todd aveva tuttavia già pubblicato On Parliamentary Government in the British Colonies, mentre la IX edizione del Treatise upon the
Law di Erskine May era stata a sua volta pubblicata nelle ex colonie britanniche, a partire
dagli Stati Uniti d'America.
180
sul debole Stato italiano. Per motivare piuttosto, le nuove élite unitarie a operare, con modi
e tempi propri, la lenta e graduale trasformazione dell'Italia agricola, in Paese industriale e
da Monarchia rappresentativa 312, in Monarchia parlamentare; sempre, o quasi sempre, entro
i limiti della legalità statutaria. Subendo cioè, o addirittura assecondando, il militarismo
personalistico dei Savoia, con modalità autoritarie, seppure più sfumate di quelle che
Napoleone III e Guglielmo I, con Bismarck, impongono ai Parlamenti della Francia e della
Germania coloniali, e che la regina Vittoria concorda con il «Governo parlamentare» del
Regno Unito. La Monarchia liberale italiana riconosce l'importanza del Parlamento, delle
forze politiche e dell'opinione pubblica e usa infatti la leva monetaria e fiscale per
finanziare la Terza guerra d'indipendenza e limitare il deficit dello Stato, che alla fine del
1866 è ormai pari a 721 milioni di lire, ma usa la repressione e i Tribunali militari di
guerra, per pacificare il Paese e, soprattutto, costringe la libertà di associazione, di stampa
e di voto entro criteri di censo, di istruzione e di genere ancora assai ristretti. Limitando le
stesse facoltà ispettive della Camera dei deputati.
La comparazione tra la Commissione parlamentare d'inchiesta della Camera dei deputati
sul brigantaggio e le Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera dei Comuni fa
emergere dunque la contraddizione tra procedure formali liberali e disposizioni esecutive
repressive, che accomuna la Monarchia rappresentativa italiana e la Monarchia
parlamentare del Regno Unito; senza per questo attenuare insopprimibili differenze. 313 Su
312
Sui limiti timocratici della Monarchia italiana, vedi «[...] l'elettore più ricco è meno
corruttibile, più indipendente, più colto [ed essendo] indestruttibilmente connessi i veri
interessi dei ricchi e dei poveri […] chi ben promuove gli uni, promuove gli altri», Cesare
Balbo, Della Monarchia rappresentativa in Italia, 1857, pp. 268-269; Martucci, Storia
costituzionale italiana, 2002, p. 85 e n. 16.
313
Sull'influenza che il nation building britannico esercita sul Risorgimento italiano,
vedi Roberto Romani, Romagnosi, Messedaglia, la “scuola lombardo-veneta”: la
181
tutte, quella tra lo Stato del Regno Unito, che esclude dal trono «qualsiasi persona che si
sia riconciliata o che si dovesse riconciliare o tenere in comunione con la Sede o la Chiesa
di Roma o che dovesse professare la religione papista o sposare un papista» 314 e lo Stato
italiano, che considera la «Religione Cattolica Apostolica e Romana … la sola Religione
dello Stato»315. Nell'Italia monarchica e liberale degli anni Sessanta dell'Ottocento, ciò
sedimenta una maggiore subordinazione del potere legislativo al potere esecutivo,
bilanciata soltanto in parte da uso più ampio, ma meglio regolamentato, delle facoltà
ispettive della Camera dei deputati che, a partire dal 24 novembre 1868, temperano e
migliorano l'efficienza dell'intero sistema parlamentare. Mentre la Corona e il Parlamento
unificano la moneta nazionale, contengono la spesa pubblica e inaspriscono il prelievo
fiscale.316 Per finanziare gli investimenti infrastrutturali.
costruzione di un sapere sociale, in Camurri, La scienza moderata. Fedele Lampertico e
l’Italia liberale, 1992, pp. 177-210; Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e
Stato nell’Italia liberale, in particolare il capitolo VI, La serie padovana del “Giornale
degli economisti”, 2011, pp. 191-213.
314
Vedi il Bill dei diritti del 13 febbraio 1689, articolo IX, Floridia, Orrù, Sciannella e
Ciammariconi, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia
costituzionale, 2005, pp. 58-59.
315
Vedi lo Statuto del Regno di Sardegna, art. 1, Floridia, Orrù, Sciannella e Ciammari-
coni, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005, p. 352.
316
Cfr. Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica
(1861-1876), 1995, p. 186.
182
183
Parte III. Inizia la limitazione del corso forzoso
184
185
Parte III. Inizia la limitazione del corso forzoso
III.1. La nomina e i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta
III.1.1. «… e il credito di una gran nazione fu salvo»
Building the nation, Vittorio Emanuele II affida il ministero delle Finanze di volta, in
volta, a uomini come Minghetti, Scialoja e Sella, molto diversi tra loro, per temperamento,
capacità e formazione. Chiedendo al Parlamento l'approvazione della politica finanziaria,
come previsto dallo Statuto, ma continuando a determinarla. Attribuisco perciò particolare
rilievo a un amico personale di Farini, un uomo di minore spicco, ma di grande
concretezza: l'avvocato cesenate Gaspare Finali.317 È questi uno degli animatori della
Società Nazionale su cui Cavour ha fatto leva per la svolta dell'aprile 1856 e che Minghetti
ha valorizzato sin dall'agosto 1859.318 Dapprima quale segretario particolare del
317
Gaspare Finali (1829/1914), è segretario generale alle Finanze, dall'agosto 1865, al
dicembre 1869, nei ministeri Sella, Depretis, Rattazzi e Cambray-Digny; tranne che
durante il ministero Ferrara, quando Rattazzi lo sostituisce con Costantino Perazzi
(1832/1896), su proposta di Sella, e lo nomina direttore generale delle Tasse e del
Demanio. Deputato di Belluno, dal 17 maggio 1868, al 21 dicembre 1869, Finali è poi
consigliere della Corte dei conti. Suoi gli otto quaderni di Memorie, 1902-1912, conservati,
trascritti e arricchiti dal figliastro Ezio Agnolozzi, con introduzione e note di Giovanni
Maioli, 1955. Cfr. la voce di Elisabetta Orsolini, per il Dizionario biografico degli italiani,
vol. XLVIII, 1997, pp. 14-17; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco
Ferrara, 1995, ad indicem; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, ad
indicem.
318
Con la svolta dell'aprile 1856, Cavour «mirava a far scaturire lo scioglimento della
questione italiana dai contrasti d'interessi e di principi che dividevano l'Europa ufficiale […
con un] programma di collaborazione fra movimento nazionale e monarchia [che] raccolse
adesioni significative anche se non sempre stabili in varie regioni della penisola, fra delusi
del mazzinianesimo e patrioti in cerca di punti di riferimento: da Mauro Macchi
[1818/1880] a Gaspare Finali a Enrico Cosenz [1820/1898] a Giuseppe La Farina allo
stesso Garibaldi», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 340-341.
186
governatore delle Romagne, Leonetto Cipriani e, in seguito, come segretario della
«Commissione temporanea di legislazione presso il Consiglio di Stato». Questa
Commissione aveva il compito, attribuitole dalla Legge del 24 giugno 1860, di suddividere
il Regno in regioni autonome, ma era rimasta senza seguito. Come i progetti di
decentramento regionale. Dopo l'unificazione nazionale, Finali è allora assunto quale
funzionario del ministero dell'Interno. Provvede quindi, nel 1864, a far riscuotere con un
anno di anticipo il conguaglio dell'imposta fondiaria; si occupa, dall'agosto 1865, come
segretario generale delle Finanze, delle tasse sui fabbricati, sulla ricchezza mobile e sui
consumi ed è, dal 17 febbraio 1867, direttore generale delle Tasse e del Demanio.
Nonostante il suo impegno, le risorse economiche reperite risultano tuttavia insufficienti
a finanziare le industrie nazionali, in particolare tessili, che pure il corso forzoso
promulgato il 1° maggio 1866, con il Regio decreto n. 2873, protegge, almeno in parte,
dalla concorrenza straniera, determinando una significativa differenza tra prezzi interni ed
esteri. Né il II governo Ricasoli riesce a ottenere altre risorse con la liquidazione del
patrimonio ecclesiastico, che nell'immediato si rivela più dispendiosa che vantaggiosa.
Anzi, è proprio sull'impostazione, giurisdizionale o separatista, delle relazioni tra lo Stato
italiano e la Santa Sede, che si consumano la crisi e la caduta del governo e la sua sconfitta
nelle elezioni politiche del 10 marzo 1867. Da lì, il terzo incarico che Vittorio Emanuele II
assegna a Ricasoli, senza successo, per gli opposti veti della Destra e della Sinistra. Da lì,
la nomina del II governo Rattazzi e la bocciatura parlamentare dell'inchiesta sulla
corruzione elettorale proposta da Crispi.
È in quell'occasione che – ancora una volta un moderato, in questo caso il pugliese
Carlo De Cesare319, facente funzione di segretario generale del ministero di Agricoltura,
319
Carlo De Cesare (1824/1882), capo del partito liberale a Spinazzola, in Puglia, aveva
stretto amicizia con il neoguelfo Manna a Napoli e, nel 1860, era stato segretario generale
187
Industria e Commercio, tra i più stretti collaboratori dell'ex ministro delle Finanze, Scialoja
– indica ancora una volta all'opinione pubblica italiana, l'Inghilterra, quale esempio di tutte
le nazioni progredite; in questi termini:
[...] ai tempi di Pitt il contrabbando avea ridotte l'entrate doganali al disotto delle
spese; l'agricoltura era languente, il commercio diminuito, le manifatture
grandemente ristrette, la produzione in generale scemata di gran lunga. [...] Dei 351
milioni di debito galleggiante Pitt ne consolidò 150; e poi ricorse per ripianare il
deficit ad una gragnuola d'imposte quali non si videro mai. [...] E nel proporre tutte
queste nuove tasse, ei disse ai signori deputati col linguaggio il più modesto ed il più
fermo: «penoso che sia che il mio compito, io non posso rinunziarvi; io mi affido al
buon senso ed al patriottismo del popolo inglese.» L'inglese si lamentò, gridò al
tiranno, ma pagò; e il credito di una gran nazione fu salvo. 320
De Cesare rivolge dunque ai regnicoli l'esortazione a pagare le tasse, indicando
l'esempio del popolo inglese durante il governo Tory di William Pitt il giovane. Il suo
invito rimane tuttavia senza seguito, per il precipitare della crisi politica. Rattazzi cade,
del ministero delle Finanze, durante il breve regno di Francesco II (1836/1894, re delle
Due Sicilie dal 22 maggio 1859, al 13 febbraio 1861). Conservato l'incarico di segretario
generale delle Finanze, durante la dittatura di Garibaldi, De Cesare cementa il legame con
Scialoja, ne condivide la fede liberista e ne diventa collaboratore e biografo. Eletto
deputato e relatore della Commissione dei Quindici della Camera dei deputati, presieduta
da Depretis, sugli aspetti amministrativi del progetto di riforma finanziaria, nel novembre
1866, De Cesare si dimette da deputato, per diventare segretario generale del ministero di
Agricoltura, Industria e Commercio. Vedi la voce di Alessandro Polsi, per il Dizionario
biografico degli italiani, vol. XXXIII, 1987, pp. 506-511.
320
Carlo De Cesare, La finanza italiana nel 1867, 1867, pp. 31-33.
188
infatti, a causa dei contrasti tra Vittorio Emanuele II e la Camera dei deputati, che ne critica
la segreta connivenza con Garibaldi.
III.2.2. Menabrea, Cambray Digny e il disavanzo finanziario nel gennaio 1868
Il 27 ottobre 1867 Vittorio Emanuele II nomina presidente del Consiglio il generale
Menabrea, da sempre legato al partito di corte, professore di Scienza delle costruzioni
all'Università di Torino dal 1846, deputato dal 1848 e senatore del Regno d'Italia dal 29
febbraio 1860. Pochi giorni dopo Garibaldi è sconfitto a Mentana, arrestato dalle truppe
regie e inviato a Caprera, mentre il corso forzoso continua senza alcuna limitazione e la
Camera dei deputati elegge presidente il monferrino Lanza, della Permanente. 321
È questi l'uomo politico di Casale Monferrato, che aveva già ricoperto quel ruolo con
Cavour, durante la difficile fase dell'unificazione nazionale, subentra al fiorentino Mari 322,
della Consorteria, dimessosi dopo essere stato nominato Guardasigilli nel I governo
Menabrea; un incarico che comporta la firma del mandato di arresto di Garibaldi, costretto
poi a tornare a Caprera. Alla Consorteria appartiene d'altra parte anche il ministro delle
Finanze, Cambray Digny, ultimo gonfaloniere di Firenze con i Lorena, e senatore dal 29
febbraio 1860, grazie alla stessa infornata, di cui beneficia Menabrea, con cui Vittorio
Emanuele II consolida l'asse politico amministrativo tra Torino e Firenze anche senza
321
Il 16 dicembre 1867, la Camera dei deputati ha eletto Lanza presidente.
322
Adriano Mari (1813/1887), laureatosi in Giurisprudenza a Pisa, esercita l'avvocatura
ed è deputato già nel Parlamento del Granducato di Toscana. Presidente della Camera dei
deputati nella IX legislatura, dal 25 novembre 1865, al 13 febbraio 1867, e nella X legislatura, dal 22 marzo 1867, al 27 ottobre 1867, Mari è Guardasigilli nel I governo Menabrea,
dal 27 ottobre, al 22 dicembre 1867, e poi ancora presidente della Camera dei deputati, dal
25 novembre 1868, al 14 agosto 1869. Cfr. Marino Mari, L'arresto di Garibaldi e il ministero Menabrea, 1913.
189
Ricasoli. Dopo il trasferimento della capitale, Vittorio Emanuele II nomina poi Cambray
Digny primo sindaco di Firenze.323 Secondo la ricostruzione di Crispi, ben presto, però, il
senatore Menabrea, per la prima volta presidente del Consiglio
volle il 22 dicembre 1867 che la Camera si dividesse in due campi; e quando gli
antichi amici miei, che formano ora il terzo partito, gli presentarono una tavola di
salute, sulla quale avrebbe potuto incamminarsi per trovare una maggioranza,
l’onorevole Menabrea respinse qualunque transazione, e richiese nettamente un sì od
un no. Egli non fu fortunato: il no superò il sì. Colpiti da quella sentenza, senza
necessità di analizzare le singole opinioni che la profferirono, quale doveva essere il
dovere di uomini i quali invitati dalla Corona a ripresentarsi in Parlamento sapevano
che fossero 201 i loro avversari? Non altro se non che preparare la Camera a metterli
sulla via legale affinché potessero consigliare il Re di voler fare un appello al
paese.324
Dunque, una composita alleanza parlamentare, per di più priva di un programma
comune, formata dai 201 voti della Sinistra e del Terzo partito, contro i 199 favorevoli
della Destra, ma con 8 astenuti e 35 assenti, ha bocciato la reticente relazione Menabrea su
323
Cfr. «Il problema finanziario fu al centro dell'attività politica durante il secondo
ministero Menabrea. L'opera di Cambray Digny, per quanto poco originale perché ispirata
in gran parte a progetti e a criteri già enunciati dai suoi predecessori, fu però molto vasta,
anche per la lunga permanenza dell'uomo politico fiorentino al ministero delle finanze, ed
ebbe molte e importanti ripercussioni politiche, economiche e sociali», Candeloro, La
costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, p. 337.
324
Atti Parlamentari, Camera, Discussioni, intervento di Francesco Crispi, tornata del
28 gennaio, 1868, IV, p. 3800. Confronta Menabrea, 1971, p. XXXVI e n. 32.
190
Roma capitale, costringendolo a rassegnare le dimissioni. Il 5 gennaio 1868, Vittorio
Emanuele II lo incarica tuttavia di formare un II governo; così, è proprio Cambray Digny,
confermato ministro delle Finanze, a informare gli onorevoli colleghi sulla gravità del
disavanzo corrente dello Stato. Come ha scritto il napoletano Bonghi, rieletto deputato
della X legislatura nelle file della Destra, ad Agnone, in provincia di Isernia:
Il Ministro, di fatti, ha detto il 20 gennaio di quest'anno, e s'è tutt'altro che disdetto
poi, che per la fine del 1868 il Tesoro si troverà mancare di 193 milioni circa, quando
però si contenti d'un fondo di cassa non superiore a 60 milioni; trovi modo di tenere
in giro 250 milioni di boni suoi; e alla Banca non si paghi nessuna parte dei 387 che
le deve lo Stato; e finalmente s'incassi sulla vendita dei beni ecclesiastici 46 milioni
durante l'anno.325
Nello stesso discorso del 20 gennaio 1868, di cui Bonghi scrive in questa, che è la terza
delle sue undici lettere al piemontese Giuseppe Saracco, allora deputato dell'opposizione di
Sinistra, Cambray Digny preannuncia poi la crescita del deficit annuo a 240 milioni e
propone alcune misure di risanamento fiscale, prospettate già in parte da Sella, sin dal I
governo Rattazzi; applicate però a interessi economici che facevano in prevalenza
riferimento alla Toscana.326 Tra queste, la vendita dei beni ecclesiastici; una forma di
325
Vedi Ruggiero Bonghi, Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868. Lettere al
Comm. Giuseppe Saracco, Lettera III, Le Penurie del Tesoro persistono, 1868, pp. 27-28.
326
Cfr. «Nel programma finanziario esposto [...] alla Camera il 20 gennaio 1868, il
Cambray Digny riteneva necessario, più che far fronte alla situazione del Tesoro, mirare al
definitivo risanamento del credito pubblico mediante una radicale riduzione del disavanzo
alla quale avrebbe tenuto seguito l'abolizione del corso forzoso. Con questo obiettivo, gli
pareva innanzi tutto inevitabile ricorrere a nuovi tributi, e in particolare all'impopolare
191
politica finanziaria che, lo sottolineo ancora una volta, si rivela tuttavia più dispendiosa,
che vantaggiosa.
Sistematizzando, Vittorio Emanuele II scioglie prima della scadenza prefissata, anche la
Camera dei deputati della X Legislatura, che dura dal 22 marzo 1867, al 2 novembre 1870,
quindi più a lungo della IX Legislatura. Questo quadro politico-istituzionale è
caratterizzato dalla caduta del II governo Rattazzi e, al di là della ristretta cerchia del
partito di Corte, dal prevalere della destra conservatrice, sul centro-sinistro. 327 In
particolare, tra i duecentosettantanove deputati della Destra, la Consorteria ha la meglio
sulla Permanente, mentre nell'ambito dell'opposizione di Sinistra, formata da centottantuno
deputati, l'ormai definitiva sconfitta militare di Garibaldi indebolisce i democratici e i venti
deputati del Terzo partito dell'ex garibaldino Antonio Mordini, mutano collocazione a
seconda delle convenienze politiche, come i deputati che rappresentano realtà locali.
III.1.3. L’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, sulla necessità di abolire il corso forzoso
Durante il II governo Menabrea, la crisi finanziaria e, soprattutto, i fenomeni speculativi
legati al corso forzoso, continuano a destare forti preoccupazioni nel Paese e nell'opinione
pubblica. Interpretando questo disagio, meno di due mesi dopo il discorso del ministro
delle Finanze Cambray Digny, sul disavanzo corrente dello Stato, il 10 marzo 1868, nel
corso della II sessione della X legislatura, due deputati, il livornese Tommaso Corsi,
tassa sulla macinazione dei cereali che, già proposta da Q. Sella ed ora di fronte alle
Camere in un nuovo disegno di F. Ferrara, il C. condusse in porto attraverso una lunga e
accesa discussione parlamentare svoltasi tra il marzo e l'aprile», Romanelli, Cambray
Digny, Luigi Guglielmo, de, Dizionario biografico degli italiani, vol. XVII, 1974, p. 155.
327
Cinque le sessioni della X legislatura: la I, dal 22 marzo, al 27 ottobre 1867; la II, dal
16 dicembre 1867, all’8 agosto 1868; la III, dal 25 novembre 1868, al 14 agosto 1869; la
IV, dal 18 novembre, al 15 dicembre 1869; la V, dal 12 marzo 1870, al 2 novembre 1870.
192
consorte, ma soprattutto ex prefetto, e lo scledense Alessandro Rossi, imprenditore tessile
di orientamento filo ministeriale, presentano il seguente ordine del giorno:
[…] la Camera confida che il ministero, preoccupandosi della necessità di togliere
dal paese il corso forzato dei biglietti di banca, presenterà cogli altri provvedimenti
finanziari diretti a restaurare le condizioni del bilancio, e come loro complemento
indispensabile, un progetto di legge per procurare all'erario i mezzi necessari a
pagare il debito verso la banca, ed a togliere il corso coatto. Intanto nomina una
Commissione di sette membri perché prenda cognizione dello stato generale della
circolazione cartacea; dei rapporti degli istituti di emissione col Governo e con le
pubbliche amministrazioni, e degli altri fatti che stimerà opportuni al doppio scopo
della riduzione interinale e della cessazione definitiva del corso forzoso, e riferisca
alla Camera entro il 15 aprile prossimo. 328
Dunque, la Camera dei deputati nomina la Commissione parlamentare d’inchiesta sul
corso forzoso329, ventidue mesi dopo il Regio decreto n. 2873, recependo, almeno in parte,
328
Vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a
cura di, Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera regia (1862-1874), Quaderni
dell’Archivio storico della Camera dei deputati, 1994, p. 32; Arbib, Cinquant’anni di
storia parlamentare del regno d’Italia, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio
1863 al 2 novembre 1870, vol. 3°, La Nona Legislatura, Sessione 1a dal 18 novembre al 30
ottobre 1866, 1902, p. 203.
329
Nei cinque anni che intercorrono tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sul
brigantaggio e la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Camera dei
deputati nomina altre sette Commissioni parlamentari d'inchiesta: 1) l'11 maggio 1863,
sulle condizioni della Marina militare e mercantile; 2) il 21 maggio 1864, sulla Società
delle ferrovie meridionali; 3) il 24 ottobre 1864, sulla strage di Torino; 4) l'1 marzo 1866,
193
il metodo prospettato dalle Norme di procedura della Camera dei Comuni. A differenza
della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, che era stata proposta dal
presidente della Camera, la Commissione sul corso forzoso è infatti proposta da due
deputati. Il loro ordine del giorno intende:
1) accertare le eventuali responsabilità di Scialoja, ministro delle Finanze nel II governo
La Marmora e nel II governo Ricasoli;
2) ridurre il corso forzoso;
3) ristabilire il corso legale. Il che significa tra l'altro risanare il debito contratto nel
1866 con la Banca Nazionale Sarda.
Il primo dei due firmatari di questo ordine del giorno, il livornese Tommaso Corsi330, ha
contribuito al consolidamento dell'unificazione nazionale, in ragione della sua formazione
giuridica; svolgendo funzioni amministrative, da confrontare a quelle finanziarie del
cesenate Finali.331 Ne richiamo perciò in breve il profilo biografico.
sull'andamento dell'amministrazione delle Finanze, dal 1859, al 1865; 5) il 29 gennaio
1867, sulle condizioni morali ed economiche della provincia di Palermo; 6) il 27 luglio
1867, sulla costruzione del carcere giudiziario di Sassari; 7) il 20 dicembre 1867, sulla
fuga del generale Garibaldi da Caprera. Vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari
dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta
della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. XXVIII-XIX e relative note.
330
Su Tommaso Corsi, vedi anche la voce di Corradi, per il Grande dizionario
enciclopedico, vol. V, 1967, p. 508.
331
Nel gruppo dirigente del moderatismo toscano, dopo l'unificazione nazionale: «dimi-
nuivano gradualmente i nobili e crescevano i borghesi, per lo più avvocati, delle maggiori
città toscane e in primo luogo della città capitale, Firenze, e prendevano un posto di rilievo
sempre maggiore i banchieri, gli uomini della finanza, gli azionisti di quelle grandi compagnie ferroviarie che assumevano una posizione di primo piano nella direzione e nello sviluppo del nascente capitalismo italiano», Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella sto-
194
Rimasto orfano di padre, di professione commerciante, Corsi è stato incoraggiato dalla
madre a proseguire gli studi, si è trasferito a Pisa e si è laureato in giurisprudenza,
specializzandosi nelle vertenze commerciali. Gli è compagno e fraterno amico, Mari, di un
anno più grande. Nel 1848, l'avvocato toscano è tra i collaboratori dell’Inflessibile, il
giornale con cui Francesco Domenico Guerrazzi dà voce all’opposizione democratica
contro il governo del moderato Cosimo Ridolfi, dopo che il granduca di Lorena, Leopoldo
II, ha concesso lo Statuto del Granducato di Toscana. 332 Corsi rifugge tuttavia da ogni
tentazione estremista e prende le distanze da Guerrazzi, che pure difende, nel celebre
processo di lesa maestà, iniziato nell'agosto 1853, quando l'ex dittatore fiorentino è
avversato da Cambray Digny. Nel 1849, Corsi aveva altresì criticato i Lorena che,
restaurato il loro potere e abrogato lo Statuto del Granducato di Toscana, avevano costretto
Ridolfi a riparare esule a La Spezia e a ritirarsi nella sua tenuta agricola di Meleto, in
provincia di Siena, emblema della riforma agraria in Toscana. 333
Soltanto alla vigilia della Seconda guerra d'indipendenza, tornato alla vita politica
ria dell’Italia unita, 1967, p. 138.
332
Questi alcuni passi del preambolo del Granducato di Toscana: «Il compiuto sistema
di governo rappresentativo che Noi veniamo in questo giorno a fondare, è prova della
fiducia da Noi posta nel senno e nella compiuta maturità dei Popoli Nostri a dividere con
Noi il peso di quei doveri, dei quali possiamo con intiera sicurezza confidare che sia tanto
vivo il sentimento nel cuore de' Nostri popoli, quanto è e fu sempre nella coscienza del loro
principe e padre./ Questo preghiamo da Dio, rafforzando la preghiera Nostra di quella
benedizione che il Pontefice della Cristianità, spandeva poc'anzi sull'Italia tutta e nella
fiducia del Nostro voto promulghiamo il seguente statuto fondamentale, col quale veniamo
a dare nuova forma al governo dello Stato ed a formare la sorte della diletta nostra
Toscana». Vedi Le Costituzioni italiane, 1797-1948, a cura di Alberto Aquarone, Mario
d'Addio, Guglielmo Negri, 1958.
333
Su Cosimo Ridolfi (1794/1865), vedi Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati,
vol. III, La Proprietà, 1876, pp. 116-117.
195
Ridolfi e votata la decadenza della dinastia lorenese, Corsi si avvicina alla Società
nazionale ed è nominato prefetto di Firenze da Ricasoli, il cui governo provvisorio prepara
l’annessione del granducato di Toscana al regno d’Italia. Deputato e ministro di
Agricoltura, Industria e Commercio nel governo Cavour, dal 23 marzo, al 6 giugno 1861,
lo stesso Corsi è tra i nove componenti della Commissione della Camera dei deputati che,
durante il I governo Rattazzi, redige la Legge di unificazione monetaria voluta da Sella e
firmata dal ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, Pepoli. Poi, nel novembre
1862, proprio Corsi è il primo firmatario della legge che istituisce le Camere di
commercio.
Questi enti di natura privata, periferici, ma connessi all'amministrazione centrale, hanno
competenza provinciale e sede nei capoluoghi. Da essi dipende la raccolta delle
informazioni sui mercati, le arti e le manifatture, l'elaborazione delle proposte funzionali a
migliorare queste attività e l'istituzione e il mantenimento delle scuole per l'insegnamento
delle relative scienze applicate. Alle Camere di commercio, la cui autonomia finanziaria,
garantita dalle rendite iniziali e dai diritti su certificati, atti, tasse, polizze, noleggi ecc.
comporta differenze economiche, talvolta notevoli, si rivolge d'altra parte la Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, per sviluppare la sua inchiesta. Enfatizzo perciò
i rapporti professionali di Corsi, che le ha ideate e istituite, con Ricasoli; fondati su progetti
di forte centralizzazione politica e di moderato decentramento amministrativo e sulla
concessione di ampi poteri discrezionali ai Prefetti e agli altri organi esecutivi del regno
d’Italia; secondo il modello napoleonico adottato già da Rattazzi con la legge del 23
ottobre 1859.334
334
Sul decentramento amministrativo nel Regno d’Italia, compara il par. 7. del cap. VIII
«Larghe e forti istituzioni rappresentative?» di Martucci, L’invenzione dell’Italia unita,
1999, e il par. 2.4. del cap. II. Lo Stato unitario. La politica si “amministrativizza”, La
196
Alessandro Rossi335 è invece proprietario dell’industria tessile fondata dal padre,
occupata da facinorosi e costretta a chiudere durante i moti del 1849, ma rilanciata nel
1859. Attraverso investimenti e innovazioni tecniche che ne hanno incrementato la capacità
produttiva, ne hanno potenziato gli impianti e hanno permesso di costruirne di nuovi, sino a
trasformarla in una delle maggiori industrie italiane. La sua vicenda politica, che si svolge
negli anni successivi, si dipana nel collegio di Schio, dove è eletto deputato nella IX
legislatura, dopo il plebiscito di annessione del Veneto. Sua, nel 1867, la relazione alla
Camera di Commercio di Vicenza: Corso forzato dei biglietti di banca.336
III.1.4. La presidenza Cordova: i questionari
Approvando l'ordine del giorno Corsi, Rossi, la Camera dei deputati nomina la
Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso, che è composta di sette deputati:
costruzione dello Stato unitario, di Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo
napoleonico al federalismo amministrativo, 2009. Cfr. Candeloro, La costruzione dello
Stato unitario (1860-1871), 1968, pp. 137-156; Ragionieri, Politica e amministrazione
nella storia dell’Italia unita, 1961, ed. 1967, pp. 80-90.
335
Su Alessandro Rossi (1819/1898), cfr. Giovanni L. Fontana, a cura di, Schio e
Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo
Ottocento, I vol. 1985 e 1986, Lucio Avagliano, Alessandro Rossi. Fondare l’Italia
industriale, 1998; Silvio Lanaro, Mercantilismo agrario e formazione del capitale nel
pensiero di Alessandro Rossi, in Quaderni storici, 16, a. IV, fasc. I, 1971, pp. 48-156.
336
A. Rossi è nominato senatore il 6 febbraio 1870, durante il governo Lanza, per la
ventunesima categoria (formata dai proprietari che da tre anni pagavano tremila lire
d’imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria) e convalidato il 17
marzo 1870. In seguito, A. Rossi è tra l’altro sostenitore delle tesi protezioniste che, in
aspra polemica con il liberismo radicale di F. Ferrara e con il liberismo moderato di
Lampertico, animano la scena economica e politica italiana, sino alla moderata tariffa
doganale che il Parlamento approva nel dicembre 1878, su proposta di Luzzatti.
197
cinque della Destra, Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Sella, e due della
Sinistra, Lualdi e Seismit-Doda. A differenza sia della Commissione sul brigantaggio, che
era formata di nove deputati, sei della Sinistra, a iniziare dal presidente Sirtori, e tre della
Destra, sia dei Comitati scelti, composti al massimo di quindici deputati, secondo le Norme
di procedura della Camera dei Comuni.
Con l'immediata elezione di Cordova337 a presidente, la Commissione parlamentare
d’inchiesta sul corso forzoso valorizza poi un uomo assai differente dal presidente della
Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, Sirtori, per storia e collocazione
politica.338 A differenza del rivoluzionario comasco, poi conquistato dalla monarchia,
Cordova aveva infatti svolto compiti di governo sin dal 1848, in Sicilia, quale ministro
delle Finanze nel governo del marchese Vincenzo Fardella di Torrearsa 339, costretto
all’esilio dai Borbone, ma di nuovo presidente del Consiglio nella Sicilia di Garibaldi.
337
Cordova, nato ad Aidone, da Francesco e Giuseppa, entrambi discendenti dal nobile
catalano Pedro de Cordova y Aguilar, era stato eletto deputato delle circoscrizioni di Caltagirone e di Caltanissetta, vedi le voci, redazionale, per il Grande dizionario enciclopedico,
vol. V, 1967, pp. 449-450, e di Monsagrati, per il Dizionario biografico degli italiani, vol.
XXIX, 1983, pp. 30-35.
338
Vedi: «Non tardò la Commissione a costituirsi, eleggendo a suo Presidente il deputa-
to Cordova e chiamando a fungere da Segretario il cavaliere Giuseppe Fiorio, capo-sezione
dirigente la divisione prima delle finanze presso la Corte dei Conti, della cui attività e intel ligenza la Commissione non ebbe che a lodarsi altamente in tutto il corso dell'arduo
lavoro», CD1800000271, Avvertenza, p. 5.
339
Nel 1848, a Palermo, Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa (1808/1889), è presi-
dente del comitato delle Finanze nel governo provvisorio siciliano, presidente della Camera dei Comuni e, dall'agosto 1848, al febbraio 1849, capo del governo e ministro degli
Esteri e del Commercio. Dopo aver riconquistato la Sicilia, Ferdinando II di Borbone lo
esclude dall'amnistia, costringendolo a emigrare in Piemonte; sino al 1860. Tornato a Palermo, l'aristocratico siciliano è in seguito presidente del Consiglio di Luogotenenza, con il
deputato della Destra La Farina, senatore e, dal 1870 al 1874, presidente del Senato.
198
Emigrato a sua volta a Torino, dove aveva diretto Il Risorgimento di Cavour, Cordova era
poi stato ministro, dell'Agricoltura con Ricasoli, della Giustizia con Rattazzi e ancora
dell'Agricoltura con Ricasoli, quando aveva nominato Scialoja, segretario generale del
Ministero, diventando «grande avversario dei progetti di legge del Minghetti».340 La
decisione di affidargli la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, ne valorizza dunque la competenza, il realismo e la fedeltà ai Savoia; criteri validi
a maggior ragione se si considera che alcuni deputati avevano accusato Scialoja di aver
favorito la Banca Nazionale. Sulla scelta di Cordova è del resto probabile che abbia influito
il consorte Cambray Digny, ministro delle Finanze del presidente del Consiglio Menabrea,
legato invece al partito di Corte, privo di propri rappresentanti nella Commissione; a meno
di non voler considerare tale, proprio Sella, che aveva tuttavia una forte personalità, assai
spigolosa. Difficile, dunque, da avvicinare, anche per il Re.
Nominato presidente, pur considerando il mandato ricevuto dalla Camera, che lo ha
impegnato a riferire in Parlamento, entro trentacinque giorni, Cordova dispone l'immediato
invio di sette differenti questionari ai seguenti interlocutori: A) gli Istituti di credito e
circolazione; B) la Banca Nazionale; C) gli Istituti di credito; D) le Camere di
commercio341; E) i Prefetti, sottoprefetti, commercianti, banchieri, imprenditori e
personalità del mondo della scienza e degli affari; F) il Ministero delle Finanze e altri
Ministeri; G) la Società di Ferrovie e altre Società.
340
Vedi il saggio di Ragionieri, Accentramento e autonomie nella storia dell'Italia
unita, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 149-192.
341
Il progetto di legge istitutivo delle Camere di commercio, che Corsi aveva iniziato a
elaborare quale ministro dell’Agricoltura e commercio nel Regno di Sardegna, durante il
III governo Cavour, era stato approvato dalla Camera dei deputati nel novembre 1862, su
proposta del I governo Rattazzi, fondato sull'alleanza tra la fazione della Destra piemontese
fedele al Re, con Sella alle Finanze, e la Sinistra garibaldina.
199
Dalle risposte a questi sette questionari, che hanno soltanto alcuni punti in comune tra
loro, emergono le analogie e le differenze dei diversi interlocutori. 342 Un'altra
comparazione potrebbe inoltre essere fatta con le domande indirizzate a molti municipi e
prefetture dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio; ciò permetterebbe
di verificare su quale livello di collaborazione, periferica e centrale, hanno fatto
affidamento le due rispettive Commissioni parlamentari d'inchiesta. Di più, il confronto
potrebbe riguardare anche le domande del Select Committee della Camera dei Comuni
sulla Banca d'Inghilterra nel 1810, ma ciò comporterebbe un'analisi dei diversi legami
amministrativi tra centro e periferia, nel Regno Unito e nel Regno d'Italia.
Quella che comunque emerge dalla disamina degli Atti è la diversità tra la sede delle
audizioni e i viaggi delle due Commissioni parlamentari d'inchiesta sul brigantaggio e sul
corso forzoso. Questa differenza si aggiunge al numero dei proponenti (due deputati,
invece del presidente della Camera) e dei componenti (sette, invece di nove), e ai rapporti
di forza tra Destra e Sinistra (cinque a due, invece di tre a sei). In concreto, la
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso si riunisce dal 28 marzo, al 9
maggio 1868, a Firenze, invece che a Torino, e viaggia a Torino, Genova, Milano, Venezia
e Napoli, invece di spostarsi da Torino, nelle principali città meridionali.343 Visitando le più
importanti città italiane, la Commissione tralascia però la Sicilia, dove era già stata la
342
Questi i sette questionari pubblicati nel III volume degli Atti: modulo A, diciannove
quesiti agli Istituti di credito e circolazione, pp. 1-2; modulo B, trenta quesiti speciali alla
Banca Nazionale, pp. 3-5; modulo C: venti quesiti agli Istituti di credito (e non di
circolazione), pp. 6-7; modulo D: quindici quesiti alle Camere di Commercio del Regno, p.
8; modulo E, ventiquattro quesiti a privati, pp. 9-10; modulo F, sedici quesiti al Ministero
delle Finanze e ad altri Ministeri, pp. 11-12; modulo G, cinque quesiti alle Società di
Ferrovie e ad altre, p. 13, vedi CD1800000273.
343
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, Avvertenza prelimina-
re, 1868, ora anche CD1800000271, p. 5.
200
precedente Commissione sulle condizioni morali ed economiche della provincia di
Palermo344, a sua volta nominata per fare piena luce sulla rivolta del «sette e mezzo»,
scoppiata il 16 settembre e stroncata nel sangue, il 22 settembre 1866, dalla durissima
repressione delle truppe agli ordini del generale R. Cadorna.345
III.1.5. La presidenza Cordova: le audizioni
La Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso svolge le sue audizioni,
stenografate e pubblicate negli Atti, a porte chiuse; come la Commissione parlamentare
d’inchiesta sul brigantaggio, ma a differenza delle Commissioni parlamentari d'inchiesta
del Regno Unito, descritte da Erskine May. In Italia, le audizioni si svolgono infatti sempre
nella sede della Camera dei deputati, ma questa volta a palazzo Vecchio, in piazza della
Signoria, a Firenze, mentre la Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio
344
La Commissione sulle condizioni morali ed economiche della provincia di Palermo,
proposta il 14 gennaio 1867, da Mordini, deputato del capoluogo siciliano e approvata il 29
gennaio 1867, dalla Camera, aveva tenuto la sua relazione conclusiva il 2 luglio 1867, vedi
Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera regia
(1862-1874), 1994, pp. XXV-XXVIII.
345
A Palermo, il sindaco, marchese Antonio Starrabba di Rudinì (1839/1896), aveva
fronteggiato, con un piccolo reparto di granatieri, spalleggiati da pochi soldati della Guardia nazionale, la rivolta di popolo, fomentata il 16 settembre 1866, da separatisti borbonici
e clericali, e da repubblicani, mazziniani e socialisti. Vittorio Emanuele II aveva poi inviato
il generale Cadorna, che, alla testa dell'esercito regolare, il 22 settembre, aveva represso la
rivolta, durata così soltanto sette giorni e mezzo. Cadorna aveva poi governato la città sino
al 1° dicembre 1866, quando Vittorio Emanuele II aveva nominato Rudinì prefetto e sindaco Salesio Balsano (1819/1894), mentre i Tribunali militari condannavano a morte e ai lavori forzati, molte delle migliaia di persone arrestate. Vedi Candeloro, La costruzione dello
Stato unitario (1860-1871), 1968, pp. 309 e segg.; cfr. Magda da Passano, I moti di Palermo del 1866. Verbali della Commissione parlamentare di inchiesta, 1981.
201
aveva svolto i suoi lavori nel palazzo Carignano, a Torino. Per poi dividersi in due
sottocommissioni. E le Commissioni parlamentari d'inchiesta del Regno Unito, descritte da
Erskine May, tenevano le loro riunioni a porte aperte, nella sala interna al palazzo di
Westminster, a Londra, davanti al pubblico, separato da una cancellata.
Nell'ambito delle trentotto audizioni stenografate pubblicate negli Atti 346, alle quali
fanno seguito diciotto relazioni scritte 347, attribuisco particolare rilievo alle audizioni di
346
Vedi CD1800000271, pp. 15-461. Queste le altre venticinque persone, interrogate
dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, durante le trentasei sedute e
i diciannove giorni di audizioni, svolte nell'arco di un mese e mezzo: Giovanni Kaiser,
negoziante, presidente della Camera di Commercio di Palermo; il commendatore Teodoro
Alfurno, direttore generale del Tesoro; i cavalieri Rodi e Cavanna, addetti al servizio delle
Regie Zecche; il cavaliere Giacomo Jung, capo divisione della Regia Corte dei Conti, in
servizio dei Buoni del Tesoro; l'avvocato Giuseppe Gutteriez Del Solar, deputato; Rodolfo
Audinot, deputato; l'avvocato Isacco Maurogonato Pesaro, deputato; il professor Nicola
Nisco, deputato, che presenta i bilanci del Banco di Napoli; l'avvocato Francesco De Luca,
deputato; il cavaliere Giuseppe Ferreri, procuratore del Re presso il Tribunale di Firenze; il
commendatore Enrico Poggi, senatore; il professor Domenico Berti, deputato; Nobile
Bellino Bellini-Briganti, deputato di Recanati; il professore Pietro Torrigiani, deputato; il
cavaliere Orazio Landau, banchiere, amministratore delle Ferrovie dell'Alta Italia; il
cavaliere G. Morandini, direttore delle Ferrovie livornesi, sezione Nord; il commendatore
Carlo Fenzi, presidente della Camera di Commercio di Firenze e deputato; il cavaliere
Angelo Mortera, sindaco degli agenti di cambio di Firenze; il cavaliere G. Gualberto
Bertini, direttore della Banca Nazionale Toscana; cavalier Davide Levi, banchiere; Angelo
Federico Levi, membro della Camera di Commercio, presidente dell'Associazione
commerciale di Firenze; il cavaliere avv. Paolo Silvani, deputato; il marchese Giovanni del
Castillo di Sant'Onofrio, direttore generale delle Società commerciali e degli Istituti di
credito; Michele Casaretto, commerciante.
347
Gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso allegano poi
una II parte formata da diciotto relazioni scritte: del deputato Cesare Valerio, del senatore
Paolo Farina, del senatore conte Augusto De Gori, del senatore comm. Stefano Jacini, del
negoziante Angelo Brighenti, del cav. Andrea Medina, del deputato Felice Levi, di
202
dodici delle personalità di cui ho già parlato: il ministro delle Finanze, Cambray Digny; gli
ex ministri delle Finanze, Scialoja, Minghetti, Rattazzi e F. Ferrara; il censore delle Società
commerciali e degli Istituti di credito, De Cesare, facente funzione di segretario generale
del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio; il deputato Avitabile, ex direttore del
Banco di Napoli; il presidente della Camera dei deputati, Lanza; il direttore della Banca
popolare di Milano, professore Luzzatti; il deputato Semenza 348, fondatore nel 1865 del
quotidiano Il Sole; il direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini; il direttore della
divisione di statistica generale del regno d'Italia, Maestri. Considero poi anche l'audizione
del pubblicista e deputato Giacomo Dina, che dal 1852 dirigeva il quotidiano moderato
Opinione e contribuiva dunque alla formazione della opinione pubblica nazionale. 349
Giuseppe Lamberti, del cav. Andrea Meneghini, sindaco di Padova, di Giacobbe Trieste, di
Padova, di Montanari, di Genova, di Giacomo Cataldi, di Genova, di Carlo Kechler, di
Udine, di Carlo Francesco Brot, banchiere di Milano, di Giulio Bellinzaghi, di Milano, di
Bernardo Gastaldi, commerciante, di Torino, dell'onorevole Solina, prefetto di Siracusa, e
di Leone Carpi, di Crescentino di Vercelli; insieme al progetto di legge Avitabile, per la
cessazione del corso forzoso e alle relazioni della Camera di Commercio ed Arti di
Bergamo e dell'Amministrazione della Cassa di Risparmio di Milano.
348
Semenza è anche il primo firmatario del progetto di legge Sulla libertà e pluralità
delle Banche in Italia, che la Camera dei deputati ha esaminato nelle tornate del 4 febbraio
e del 4 aprile 1867.
349
Il torinese Giacomo Dina (1824/1879), israelita, come il veneziano Luzzatti, aveva
sostenuto la causa dei suoi correligionari sul Messaggero torinese, sul Mondo illustrato e
sull'Opinione, il quotidiano fondato nel 1846 da Giacomo Durando (1807/1894), Massimo
Cordero di Montezemolo (1807/1879), Rattazzi, Giuseppe Cornero (1812/1895) e Lanza,
vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 149. Entrato nel 1848, nella redazione di
questo giornale, Dina ne era poi diventato direttore, subentrando a Lanza; incarico
ricoperto sino alla morte, dando voce a «tutte le province d'Italia, e [al]le province infelici
ed oppresse in più larga misura delle altre», Luigi Chiala, Giacomo Dina e l'opera sua
nelle vicende del risorgimento italiano, 1866-1879, 1903, p. 589. In particolare, Dina
203
L'importanza di queste audizioni e dei documenti allegati 350 è accresciuta dalla
mancanza dei verbali delle riunioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, successive alla relazione Cordova del 25 luglio 1868, andati perduti. La loro
analisi facilita così l'interpretazione della Relazione finale del presidente Lampertico,
espressione degli orientamenti politici della maggioranza della Commissione, formata
dall'ex presidente Cordova, che intanto è purtroppo deceduto, e da A. Rossi per la Destra, e
da Lualdi e Seismit-Doda, per la Sinistra, ma senza il consenso degli altri esponenti della
Destra: Messedaglia e Sella, contrari, e Lampertico, assente al momento del voto. 351
Meglio comunque procedere con ordine. A partire dal fatto che la Commissione
prolunga i suoi lavori, ben oltre la scadenza del 15 aprile 1868, prevista dall'ordine del
esplicita le sue convinzioni politiche liberal moderate, contribuendo alla formazione
dell'opinione pubblica nazionale, sostenendo Cavour nella guerra di Crimea, appoggiando
il trasferimento della capitale a Firenze e difendendo la politica della Destra, nelle cui fila è
eletto deputato, il 22 marzo 1867.
350
Gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso includono
infine una III parte, che contiene opuscoli, lettere e progetti: delle Camere di Commercio
ed Arti di 1) Torino; 2) Milano; 3) Bologna; 4) Caltanissetta; e 5) del Comitato industriale
torinese; 6) dell'Accademia dei Ragionieri di Bologna; 7) di Giacomo Millo; 8) di
Giuseppe Carabelli; 9) di Mariano Englen; 10) di Giampaolo Salvatore Cognetti, direttore
del giornale politico napoletano Il Conciliatore; 11) di Achille Griffini, ragioniere capo
della Cassa di Risparmio di Lombardia; 12) di G. L. Queirolo, al cav. Augusto Bordoni,
presidente dell'Accademia dei Ragionieri in Bologna; 13) il progetto di legge
sull'abolizione del corso forzoso e sulla Libertà e pluralità delle Banche, di Semenza; 14) la
lettera alla Gazzetta di Como, del dottor Giuseppe Brambilla.
351
Nelle trentasei sedute, mattutine e pomeridiane, svolte nei diciannove giorni delle
audizioni, dal 28 marzo, al 9 maggio 1868, il presidente Cordova è assente una volta,
sostituito da A. Rossi; Lampertico ventitré volte, in quattordici giorni; Lualdi quindici, in
nove giorni; Messedaglia sei, in tre giorni; A. Rossi quattro, in quattro giorni; SeismitDoda diciannove, in dodici giorni; Sella venti, in dodici giorni.
204
giorno Corsi, A. Rossi. Ciò a causa della vastità e complessità dei temi affrontati e delle
differenze tra i suoi componenti, oltre che per l'autorevolezza dei suoi interlocutori. Così,
nella tornata del 16 aprile, il presidente Cordova, riferisce alla Camera dei deputati, ma
prende tempo. Così, il 9 giugno, un mese dopo la fine delle audizioni, che si svolgono in
diciannove giorni, tra il 28 marzo e il 9 maggio 1868, il presidente della Camera, Lanza,
rispondendo a un’interpellanza, rassicura gli onorevoli colleghi e l’intera opinione pubblica
nazionale sull’avanzamento dei lavori, chiarendo che il vice segretario della Camera di
commercio di Milano, dottor Stefano Allocchio, è impegnato nello spoglio e nel riepilogo
delle risposte al questionario.
III.1.6. La tassa sul macinato
Nel procedere con la disamina degli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta
sul corso forzoso relativi alle trentotto audizioni della presidenza Cordova, mi soffermo ora
sul più importante dei provvedimenti approvati nella primavera del 1868: la Legge sul
macinato, che riprende le tasse riscosse negli Stati preunitari ed è per es. simile alla tassa
fatta abolire dal Cordova ministro delle Finanze nel regno delle Due Sicilie 352 a alla tassa
elaborata da F. Ferrara nell'aprile 1865, su richiesta del ministro delle Finanze, Sella.353
352
Nel Regno delle Due Sicilie, il 13 ottobre 1848, nella speranza «di spingere le masse
alla difesa dell'ormai declinante rivoluzione», Cordova aveva motivato, quale ministro delle Finanze, il decreto di abolizione del dazio sul macinato, con l'alto costo della riscossione, vedi Monsagrati, Cordova, Filippo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX,
1983, p. 32.
353
La legge sul macinato, sulla quale il quotidiano moderato L'Opinione aveva pubbli-
cato gli interventi di Pepoli, De Cesare e Dina, era poi rimasta sulla carta, per la caduta del
I governo La Marmora, causata dalla bocciatura della legge sul servizio di tesoreria della
Banca nazionale. Vedi F. Ferrara, Lettera alla figlia Lillì (Rosalia), 25 aprile 1865, Società
siciliana per la storia patria, Palermo. Una minuziosa ricostruzione del dibattito pubblicato
205
La Legge, ripresentata da Cambray Digny, è approvata dalla Camera dei deputati, il 21
maggio 1868, con 219 voti a 152, dopo lunga e aspra discussione. Essa impone il
pagamento di due lire per ogni quintale di grano macinato, di una lira e venti centesimi per
ogni quintale di avena, di ottanta centesimi per il granturco e la segala e di cinquanta
centesimi per gli altri cereali, la veccia e le castagne. La sua riscossione è affidata ai
mugnai, che la effettuano prima di consegnare il macinato, ma soprattutto dopo averne
accertato l'entità, tramite cinquantamila contatori meccanici applicati alle macine,
presidiati dalla polizia.354 Questa misura di ordine pubblico, voluta dai Prefetti, che la
impongono senza concordarla con i Comuni, si rende necessaria perché i mugnai e i
funzionari dello Stato incaricati di assisterli nel corso dell'esazione, rischiano addirittura il
linciaggio da parte di folle inferocite. Animate, in particolare in Emilia e Romagna e in
Lombardia, da contadini poveri, occupati soltanto pochi mesi l’anno. Per questi proletari,
l’imposta sul macinato corrisponde infatti al salario di dieci giornate lavorative ed è
dunque tutt'altro che ad aliquota tenue, come Ferrara, considerando soltanto l'imponibile
medio, pretendeva che fosse.
Intanto, il 23 giugno 1868, lo stesso ministro delle Finanze concede per quindici anni, in
esclusiva, l'appalto della Regìa cointeressata dei tabacchi, a Domenico Balduino, della
Società generale di credito mobiliare italiano, e ai rappresentanti dello Stern di Londra e
Francoforte e della Banque de Paris due gruppi stranieri, rivali dei Rothschild.355 Poi,
su L'Opinione, è in Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara,
1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp.
206-207 e 229.
354
Cfr. Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V
Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 208 e 231.
355
La dinastia finanziaria dei Rothschild era stata fondata nel XVIII secolo dal rigattiere
israelita Moses Amschel (1744/1812), che aveva lasciato l'originaria Hannover, per aprire
206
l’iniqua e perciò impopolare Legge sul macinato è approvata dal Senato, con 101 voti a 11,
ed è promulgata il 7 luglio. Dopo che Cambray Digny ha respinto la proposta avanzata da
Minghetti, di rinviarla a un'organica riforma del sistema fiscale. Mentre l’opposizione della
composita Sinistra di Crispi, Ferrari e Depretis, fa ricorso anche alla piazza. 356 Essa diventa
operativa soltanto il 1° gennaio 1869 e rimane in vigore sino al 1° gennaio 1884; dopo la
graduale riduzione votata dalla Camera, il 14 luglio 1880, con 178 voti a 78.
Non è questa la sede per approfondire i sedici anni nei quali la Legge sul macinato
rende possibile il risanamento finanziario dello Stato; annoto quindi soltanto la data, il 15
marzo 1875, nella quale Minghetti dichiara di volerla integrare con un'ulteriore tassa sul
registro, per raggiungere il pareggio del bilancio. Osservo, tuttavia, che, stanti la
stagnazione economica e la mancanza di un tessuto industriale diffuso, proprio la
tassazione del macinato comprime i salari agricoli e i più elementari tra i consumi, quelli
alimentari, contraddicendo le previsioni e gli auspici di F. Ferrara. Così che, nel 1876, i
bottega a Frankfurt am Mein, scegliendo quale insegna lo scudo rosso: Das rothe Schild.
Sui Rothschild, arricchitisi in Inghilterra durante il corso forzoso, finanziando il blocco
navale contro Napoleone, e sul contributo finanziario del barone James Mayer Rothschild
(1792/1868), «le vieux juif», alla realizzazione dell'unità d'Italia, v. Romeo, Vita di
Cavour, ad indicem. Cfr. «Secondo quanto lo stesso Cambray-Digny dichiarò poi alla
Camera, all'operazione furono interessati altri banchieri di Londra, Parigi e Francoforte
[...]. Il Bastogi non comparve direttamente, ma si seppe che il suo agente a Parigi si occupò
poi attivamente di collocare i titoli della regía presso i banchieri ostili ai Rothschild»,
Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, p. 342.
356
Le proteste contro la tassa sul macinato diventano più violente dopo il discorso alla
Camera del deputato della Sinistra, Giuseppe Ferrari (1811/1876), che il 25 gennaio 1869
torna a chiedere l'abolizione dell'iniquo balzello, giudicato una violazione dell'art. 25 dello
Statuto del Regno di Sardegna, che obbliga tutti i regnicoli a contribuire «indistintamente,
nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato»; le forze dell'ordine reprimono tuttavia quelle proteste con una violenza ancora maggiore, specie nella Pianura Padana.
207
violenti moti popolari per l'abolizione della tassa sul macinato e la loro dura repressione
costano al Paese oltre duecentocinquanta morti e mille feriti, contribuendo a erodere il
consenso elettorale della Destra e a determinare la caduta del II governo Minghetti. Una
settimana dopo, il 25 marzo 1876, Vittorio Emanuele II conferisce l'incarico di presidente
del Consiglio a Depretis, che forma così per la prima volta un governo di Sinistra,
assumendo le Finanze e nominando il catanese Salvatore Majorana-Calatabiano al
ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. 357
III.1.7. La relazione Cordova
Prima di riprendere la ricostruzione dei lavori della Commissione parlamentare
d'inchiesta sul corso forzoso, ricordo, per ribadire la valenza cosmopolita della vicenda
italiana di quegli anni, che il 28 giugno 1868 Pio IX convoca il Concilio ecumenico
Vaticano I. Fissandone l'inizio per l'8 dicembre 1869, a Roma, in San Pietro, su questi temi:
la conservazione del deposito della fede; la disciplina e l'educazione del clero; la santità e
la dignità del matrimonio; l'istruzione e l'educazione della gioventù; la promozione nei
popoli della religione, della pietà e dell'onestà dei costumi; la difesa della giustizia, la
proclamazione dell'ordine e la prosperità della società civile.
Il 25 luglio 1868, dunque poco meno di un mese dopo la convocazione del Concilio
ecumenico Vaticano I, Cordova presenta alla Camera dei deputati la relazione della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, da lui presieduta. Informando la
357
Cfr. «Minghetti fece tutti gli sforzi per mantenersi, ma non servirono che a farlo ca-
dere con 61 voti di minoranza, quando noi non ne contavamo che 32 … In questo momento Depretis riceve l'incarico di comporre il nuovo ministero senza condizioni», F. Ferrara,
Lettera alla figlia Lillì (Rosalia), 19 marzo 1876, Società siciliana per la storia patria, Palermo; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V
Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 254 e 278.
208
Camera che la Commissione ha cercato tutte le informazioni necessarie a formare un
quadro compiuto e ad acquisire concetti ultimi o conclusivi sul corso forzoso. Consapevole
delle difficoltà cui va incontro, legate alla mole di queste informazioni e all'esempio delle
altre Nazioni, nelle quali lo svolgimento di analoghe inchieste aveva richiesto alcuni anni.
Perciò, giunta alla vigilia della sospensione estiva dei lavori parlamentari e considerando i
tempi necessari per raccogliere, stampare, distribuire e discutere i materiali acquisiti, la
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso conviene
che bisogna compiere la relazione sull'inchiesta come se la Camera dovesse
sedere in permanenza, e, per il caso che ella non sedesse quando la relazione sarà
pronta, impostare sin da ora la facoltà di stamparla e distribuirla a domicilio; in modo
che si possa discutere nelle prime tornate autunnali, e sempre in tempo per i
provvedimenti da attuarsi nell'imminente nuovo esercizio del 1869. 358
Stabilita nell'esercizio finanziario provvisorio del 1869, la scadenza entro cui presentare
la Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, il
presidente Cordova propone di limitare da subito l'emissione delle banconote. Per dare
credibilità alla prospettiva di ripristinare il corso legale; per salvare cioè lo Stato, il Paese,
il Governo e le pubbliche spese, dal discredito, dall'alterazione di tutti i valori e dal
fallimento. Visto che la Banca Nazionale, il più importante degli Istituti italiani di credito, è
legata al Governo da rapporti quotidiani ed intimi; che l'ammontare della sua circolazione
è salito, dopo l'inizio del corso forzoso, da 316 a quasi 795 milioni di lire, con una
crescente progressione delle emissioni; e che il suo Statuto prevede il corso legale e deve
358
Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1281.
209
dunque essere adeguato al corso forzoso.
Cordova chiarisce poi che il limite per l'emissione delle banconote è dato dalla riserva
metallica, il cui valore reale permette alla Banca Nazionale di determinare la quantità sia
dei depositi permanenti, sia dei metalli preziosi e dei capitali effettivi da scambiare.
Regolando l'equilibrio tra capitali e affari, in base ai valori del cambio, vanificando
qualsiasi doppio impiego, calmierando le condizioni del credito e punendo gli eccessi
dell'emissione di banconote. Si tratta dunque di limitare il funesto monopolio del corso
forzoso, per impedire che la Banca Nazionale continui ad accrescere in modo arbitrario la
circolazione delle banconote, sostenendo le relative spese, procurandosi nuove riserve e,
visto che il suo Statuto fissa in dieci a tre il rapporto tra banconote e riserva metallica,
stampando altre banconote, qualora anche i milioni già stampati risultino insufficienti per
ammortizzare l'aggio.359
Il corso forzoso incentiva infatti oltre misura il credito, comporta costi molto bassi e
interessi molto alti, facilita terribili disinganni, aggrava le difficoltà finanziarie del Paese,
tende ad alimentarsi all'infinito, accresce le perdite di capitale, fa scomparire dal mercato
l'oro e l'argento e accresce l'aggio.360
La Banca Nazionale deve, allora, ridurre in breve tempo la quantità di denaro circolante
e porre fine alla concessione di crediti straordinari. Perciò – prosegue Cordova – la
359
F. Ferrara è invece dell'opinione che, creando le condizioni perché i privati che han-
no fatto incetta delle riserve metalliche, tornino a depositarle nelle banche, è possibile ripristinare subito la convertibilità. Questa idea, frutto del liberismo radicale del principe degli economisti italiani dell'Ottocento, trascura tuttavia le monete metalliche esportate e
l'incidenza del deficit dei conti con l'estero. Vedi Faucci, L’economista scomodo Vita e
opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 213 e 233.
360
Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1282.
210
Commissione parlamentare d'inchiesta ha proposto di limitare la circolazione a 600
milioni, ma il ministro delle Finanze, Cambray Digny, ha avanzato quale controproposta il
limite di 800 milioni, da promulgare tramite un nuovo Regio Decreto. 361 In continuità con
il Regio decreto n° 2873 sul corso forzoso, promulgato il 1° maggio 1866, che qui riporto
nella sua interezza:
Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia
In virtù della facoltà conceduta al Governo del Re colla legge del 1° maggio 1866,
n° 2872;
Sentito il Consiglio dei Ministri;
Sulla proposizione del ministro delle finanze;
Abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue:
Art. 1. La Banca Nazionale (nel Regno d'Italia) darà a mutuo del Tesoro dello
Stato la somma di duecento cinquanta milioni di lire, aprendo a tal fine un conto
corrente col Tesoro medesimo.
Per questo mutuo il Tesoro corrisponderà alla Banca l'interesse in ragione dell'uno
e mezzo per cento pagabile a semestri maturati.
Art. 2. Dal giorno 2 maggio, e sino a nuova disposizione, la Banca nazionale
suddetta è sciolta dall'obbligo del pagamento in danaro contante ed a vista de' suoi
biglietti.
Art. 3. I biglietti della Banca saranno dati e ricevuti come danaro contante per il
loro valore nominale, nei pagamenti effettuabili nello Stato tanto tra l'Erario pubblico
e i privati, società e Corpi morali d'ogni natura per qualsiasi titolo e anche in conto o
saldo di tributi o prestiti, quanto tra privati o Società e Corpi morali d'ogni natura tra
loro vicendevolmente, non ostante qualunque contraria disposizione di legge o patto
convenzionale.
Art. 4. Il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale Toscana, e la
Banca toscana di credito per l'industria e pel commercio d'Italia continueranno
rispettivamente ad emettere fedi di credito, polizze, e biglietti secondo i loro Statuti.
A scelta degli Istituti che li emettono, questi titoli sono rimborsabili in danaro o in
biglietti della Banca nazionale di cui all'art. 3.
Art. 5. Almeno due terze parti della massa metallica che ciascuno degli Istituti
indicati nell'articolo 4 deve avere in confronto della propria circolazione, rimarranno
immobilizzate.
361
Sull'audizione del ministro delle Finanze, conte Cambray Digny, ascoltato il 30 mar-
zo 1868, da Cordova, Lualdi, Messedaglia, A. Rossi, Seismit-Doda e Sella, assente Lampertico, vedi Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche
CD1800000273, pp. 29-40.
211
La quantità di massa metallica immobilizzata sarà fatta constare mediante
processo verbale di verificazione da Commissioni composte dal presidente della
Camera di commercio del luogo, dal rappresentante locale del Tesoro, dal direttore
della sede o succursale della Banca nazionale, e dal direttore dell'Istituto di cui si
verifica la massa metallica.
Art. 6. Sino alla misura della somma immobilizzata la Banca nazionale (nel regno
d'Italia) dovrà sulla dimanda di ciascuno degli Istituti summenzionati rispettivamente
fornir loro biglietti suoi proprii contro ricevuta munita del visto dell'agente locale del
Tesoro.
Questi biglietti terranno luogo della massa metallica immobilizzata e non
potranno servire di fondo per nuove emissioni.
Art. 7. Le fedi di credito e le polizze dei Banchi di Napoli e di Sicilia saranno date
e ricevute come danaro contante per il loro valore nominale nei pagamenti
effettuabili nelle province napoletane e siciliane rispettivamente, tanto tra l'Erario
pubblico e i privati, Società e Corpi morali per qualsiasi titolo ed anche in conto o
saldo di tributi o prestiti, quanto tra privati o Società e Corpi morali vicendevolmente
tra loro, non ostante qualunque contraria disposizione di legge o patto convenzionale.
Art. 8. La somma del valore dei biglietti in circolazione della Banca nazionale (nel
regno d'Italia) non potrà eccedere quella fissata dai suoi Statuti.
Non entrerà nel calcolo della somma suddetta il valore dei biglietti del mutuo al
Tesoro di cui all'articolo q del presente Decreto, né quella dei biglietti che darà agli
altri Istituti di credito secondo l'articolo 6 precedente.
Art. 9. La Banca nazionale e gli altri Istituti indicati nell'articolo 4 non potranno
variare il saggio dello sconto senza l'autorizzazione del ministro delle finanze.
Art. 10. Il ministro delle finanze potrà, depositando presso gli Istituti di credito di
cui all'articolo 4 biglietti della Banca nazionale pagati al Tesoro pel mutuo di cui
all'articolo 1°, farsi rilasciare rispettivamente da ciascuno di essi Istituti egual valore
in titoli loro proprii.
Art. 11. Il Governo del Re ha la facoltà di vigilare sopra l'amministrazione degli
Istituti di credito di cui si parla nel presente decreto, di riscontrare le loro operazioni,
e di opporsi alla esecuzione delle deliberazioni e dei provvedimenti contrari ai loro
Statuti, alle leggi ed agli interessi dello Stato.
Art. 12. Con altri Decreti Reali sarà ordinata la vigilanza ed il riscontro di cui si
parla all'articolo precedente, e provveduto a quanto altro occorre per la esecuzione
del presente decreto.
Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella
raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia, mandando a chiunque
spetti di osservarlo e di farlo osservare.
Dato a Firenze, addì 1° maggio 1866.
Vittorio Emanuele.
A. Scialoja.362
Quanto a Cordova, il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
362
Vedi la Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Supplemento al n. 120, 1° maggio
1866, p. 1.
212
forzoso, dopo avere richiamato la proposta avanzata dal ministro delle Finanze Cambray
Digny di promulgare un nuovo Regio decreto sul corso forzoso, in continuità con il n. n.
2873 del 1° maggio 1866, informa la Camera dei deputati che, secondo il medesimo
Cambray Digny, è necessario fissare in 800 milioni il limite della circolazione delle
banconote, perché una cifra inferiore costringerebbe la Banca Nazionale a limitare anche i
crediti ordinari, o a penalizzare i titoli di Stato legati al prestito, o a bloccare il
consolidamento del debito. 363
III.1.8. Settecento milioni in corso forzoso, ma sei milioni da una lira
Cordova entra poi nel merito delle cifre, documentando che cinque giorni prima, in data
20 luglio 1868, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso ha distinto la
circolazione dei biglietti banca, nelle seguenti voci, che permettono tra l'altro di valutare
l'impegno del governo:
Mutui concessi al Tesoro
L. 278,000,000
Mutui concessi agli stabilimenti di circolazione
L. 12,772,500
Anticipazione di 100 milioni (Obbligazioni Asse Ecclesiastico)
L. 77,500,000
Anticipazione secondo lo Statuto
L. 32,000,000
Impiegati in rendita di Prestito Nazionale 1866
L. 56,000,000
In Buoni del tesoro (Stato e Ferrovie)
L. 69,829,500
Al Tesoro in rimborso della riserva metallica di L. 77,500,000
L. 38,750,000
Per la riserva di 32 milioni in conto corrente al 3%
L. 10,000,000
Per la riserva del Prestito Nazionale 1866
L. 28,000,000
Per la riserva dei Buoni del Tesoro (Stato e Ferrovie)
L. 34,014,750
Per le operazioni ordinarie come Istituto di credito
L. 150,783,250
Totale della circolazione dei biglietti
L. 794,550,000
363
Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1283.
213
Secondo Cordova, queste cifre dimostrano che, anche continuando a riservare 150
milioni di lire alle operazioni di credito, il governo può ridurre a 710.50 milioni il totale dei
biglietti di banca in circolazione, detraendo dal totale di 794.55 milioni la somma tra i titoli
del Prestito nazionale contratto nel 1866, la rendita di 56 milioni e la corrispondente
riserva di 28 milioni.364 D'altra parte, due anni dopo il Regio decreto sul corso forzoso, il
valore reale degli stessi titoli del Prestito nazionale 1866 è aumentato di oltre il 10%, in
confronto al loro valore nominale, e tra il 12 e il 13%, in rapporto al loro prezzo medio di
acquisto. Mentre, secondo il Direttore Generale della Banca Nazionale, Bombrini, che ha
avanzato una proposta in tal senso al Consiglio di Amministrazione, è possibile realizzare
la cifra corrispondente al Prestito nazionale del 1866, trasferendone la titolarità ad altri
soggetti giuridici.365 Per rassicurare il ministro delle Finanze, Cambray Digny. Che ha il
diritto di ritirare i 22.5 milioni di lire, residuo dei 33,75 milioni circa di anticipazione sulle
Obbligazioni dei beni ecclesiastici dell'ottobre 1867, inclusa la riserva in conto corrente al
3%. Perché quella cifra è compatibile con l'ammontare complessivo della circolazione
monetaria italiana alla fine del 1867, che è pari proprio a 800 milioni di lire.
Perciò, andando incontro alla controproposta di 800 milioni formulata da Cambray
Digny e da Bombrini, ma continuando a garantire i crediti ordinari, i titoli di Stato legati al
prestito e il consolidamento del debito, Cordova propone di portare a 700 milioni di lire la
riduzione della circolazione della Banca Nazionale, che la Commissione parlamentare
364
Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1284.
365
Sull'audizione del direttore generale della Banca Nazionale, Carlo Bombrini
(1804/1882), ascoltato il 19 aprile 1868, da Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e
Seismit-Doda, assenti Lualdi e Sella, dopo le comunicazioni del ministro Cambray Digny,
vedi Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273,
pp. 353-368.
214
d'inchiesta sul corso forzoso aveva proposto di limitare a 600 milioni di lire. Sulla base di
queste grandezze monetarie:
1. L. 107.744.250 in Buoni del Tesoro, con la corrispondente riserva;
2. L. 150 milioni, distinte nella parte privata dei Buoni del Tesoro riservati alle
operazioni ordinarie e nella parte restante, che rappresenta la garanzia anticipata alla
Società di Strade ferrate, da ritirare entro la scadenza pattuita;
3. L. 127 milioni, finalizzate a coprire le normali operazioni dell'Istituto durante il corso
legale ai quali è da sommare la cifra destinata alle operazioni ordinarie dell'Istituto di
credito durante il corso forzoso;
4. L. 24 milioni, in azioni, che la Banca ha chiesto in saldo ai suoi azionisti.
La Commissione parlamentare d'inchiesta ritiene altresì che sia meglio limitare il corso
forzoso con una nuova Legge, piuttosto che con un nuovo Regio decreto, considerando che
l'art. 11 del Regio decreto del 1° maggio 1866 attribuisce al «Governo del Re» la facoltà di
opporsi ai provvedimenti contrari agli interessi dello Stato, e che, proponendo una legge, si
riducono e si limitano gli atti legislativi promulgati «senza il concorso del Parlamento».
La Commissione parlamentare d'inchiesta considera poi che il pubblico ha accolto con
favore l'emissione di biglietti di una lira e di taglio più piccolo, decisa per ovviare alla
scomparsa della moneta divisionaria d'argento, alla quale ha fatto seguito, per un certo
periodo di tempo e in particolare in alcune località, la scomparsa della moneta divisionaria
di bronzo. Sicché il Governo ha evitato di ostacolare quella emissione, ritenendola anzi
un esempio di fortunata inosservanza delle leggi, che prepara difficoltà, pericoli, e
forse anche dispendii dello Stato per l'epoca della cessazione del Corso Forzoso. 366
366
Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1285.
215
Da qui, la proposta di fare stampare sei milioni di biglietti da una lira, ai cinque Istituti
di credito autorizzati a emettere biglietti al portatore: la Banca Nazionale, la Banca
Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per l'industria e per il commercio, il Banco
di Napoli e il Banco di Sicilia. Con l'emissione di questa somma, che ne surroga una
eguale, di biglietti di maggior taglio, da ritirare dalla circolazione, la Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso intende rimuovere un altro illegittimo ostacolo
alla lotta contro la speculazione. Si ripromette cioè di facilitare sia la graduale sostituzione
delle banconote a corso forzoso, alle banconote illegali, sia l'uso delle medesime banconote
a corso forzoso, per pagare le pubbliche amministrazioni e le società industriali che
conservano l'aggio della moneta divisionaria e, in particolare, della moneta di bronzo, che
ha un aggio minore della moneta aurea e argentea. Permettendo in questo modo al Governo
di limitare, sino a eliminare, le emissioni illegali. Infine, il presidente Cordova conclude la
relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, proponendo il
seguente progetto di legge:
Art. 1. Nel termine di tre mesi dalla pubblicazione di questa legge la Banca
Nazionale (nel Regno d'Italia) farà rientrare la circolazione de' suoi biglietti al
portatore nel limite di 700 milioni, limite che non potrà mai essere superato, sotto
verun titolo e forma, e per qualsivoglia causa, finché dura il Corso Forzoso.
Art. 2. Saranno emessi a cura del Governo, nella proporzione e con le norme da
stabilirsi per Decreto Reale, dagli Istituti autorizzati, di cui all'articolo 4 del Regio
Decreto 1° maggio 1866 (n° 2873), biglietti da lire una al portatore, in surrogazione
di altri di maggior taglio, per la somma complessiva di 6 milioni, aventi corso legale
216
in tutto il Regno, ed inconvertibili sino alla cessazione del Corso Forzoso … . 367
In sintesi, con questo progetto di legge, il n. 215, Cordova propone che la Camera dei
deputati limiti a 700 milioni di lire, la circolazione dei biglietti a corso forzoso emessi dalla
Banca nazionale, autorizzando al contempo la medesima Banca Nazionale, la Banca
Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per l'industria e per il commercio, il Banco
di Napoli e il Banco di Sicilia, a emettere 6 milioni di biglietti da una lira. Intrecciando
cioè la riduzione temporanea del corso forzoso, proposta dall'ordine del giorno Corsi, A.
Rossi, con l'implementazione decimale del sistema monetario, funzionale a incrementare il
piccolo commercio. Per contrastare la speculazione. E criticando il monopolio della Banca
Nazionale voluto da Scialoja, giudicato privo di motivazioni finanziarie, economiche e
politiche. Tuttavia, una settimana dopo aver presentato la Relazione e il relativo progetto di
legge, Cordova è colto da infarto sulle scale di Palazzo Vecchio, mentre si reca alla
Camera, il 2 agosto 1868, ed è ricoverato in gravi condizioni nella sua casa di Firenze. 368
III.1.9. Il monopolio dei tabacchi
La malattia del presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, indebolisce i tentativi di esercitare un controllo legislativo sulla politica monetaria
e finanziaria di Cambray Digny. L’8 agosto 1868, giorno della chiusura della II sessione
della X legislatura, la Camera dei deputati introduce infatti nuovi elementi speculativi
367
Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei
Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1286.
368
Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, Ottava, nona e
decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3, 1902, La Nona Legislatura, Sessione 1a dal 18 novembre 1865 al 30 ottobre 1866, p. 203; Monsagrati, Cordova, Filippo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 34.
217
nell'economia del Paese. Approvando la Legge che concede la privativa della Regìa
cointeressata dei tabacchi a un monopolio di banchieri e uomini d’affari italiani e stranieri,
in cambio di un anticipo di 180 milioni e di un canone fisso pari al 40% degli utili. 369
205 i voti favorevoli, della Consorteria e del Terzo partito; 161 i contrari, della
Permanente, della Sinistra e della Sinistra radicale: un risultato che evidenzia la profonda
spaccatura tra i deputati favorevoli alla riorganizzazione dei monopoli e alla
modernizzazione degli impianti e i deputati propensi ad abolire il monopolio. 370
Subito dopo, durante la proroga della II sessione della X legislatura, il presidente della
Camera, Lanza,371 che ha votato contro la concessione del monopolio dei tabacchi, si
dimette. La continuità delle istituzioni monarchiche è allora garantita da Casati, il più
rappresentativo dei moderati milanesi, che Vittorio Emanuele II aveva nominato presidente
369
L’8 agosto 1868, approvando la Legge sulla privativa dei tabacchi, proposta dal II
governo Menabrea, la Camera dei deputati rovescia la maggioranza che aveva bocciato il I
governo Menabrea, dopo la reticente relazione su Roma capitale. Vedi Scirocco, I
democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, cap. XIII Da Mentana ai moti per il
macinato: Sinistra e Terzo Partito.
370
Secondo F. Ferrara, l'appalto della Regìa cointeressata dei tabacchi, alla Società ge-
nerale di credito mobiliare italiano, allo Stern, di Parigi, Londra e Francoforte, e alla Banque de Paris: «consiste nel … voler regalare ad una società di speculatori un quarto
all'incirca di quella somma che lo Stato ha la probabilità di riscuotere, come gli è riuscito
finora, senza alcuno sforzo straordinario, col solo impulso della propria amministrazione,
senza bisogno di quell'ente nuovo che s'intitola Società appaltatrice», L'Opinione, 13 luglio
1868; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 223 e 241.
371
Lanza si dimette l'8 agosto 1868, giorno di chiusura dell II sessione della X
legislatura; il 25 novembre 1868, all'inizio della III sessione, la Camera elegge per la terza
volta presidente il consorte Mari, della Destra toscana. La Permanente rimane così priva di
rappresentanti ai vertici delle istituzioni, come la Sinistra, incapace di provare le accuse di
corruzione rivolte ad alcuni deputati filo ministeriali, e il Terzo partito.
218
del Senato, il 18 novembre 1865, all’inizio della IX legislatura. 372 Moderato, per
temperamento, e cattolico liberale, per scelta politica, è anche il vicentino Lampertico, che
la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso nomina presidente, agli inizi
del settembre 1868, durante la proroga della II sessione della X legislatura e mentre le
condizioni di salute di Cordova volgono al peggio. Nella fase conclusiva dell'inchiesta, la
cui Relazione finale deve portare a sintesi politica gli Atti raccolti.
La nuova nomina risponde a esigenze diverse da quella di Cordova, che rispondeva alla
necessità di valutare con equilibrio le accuse rivolte a Scialoja. Ormai si tratta infatti di
comporre la divergenza tra la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso e il
ministro delle Finanze Cambray Digny, sulla cifra entro cui limitare il corso forzoso. Un
compito cui Lampertico si accinge con il prestigio che gli deriva dall'aver contribuito alla
«vigorosa rinascita dell'economica italiana», pubblicando nel 1865 il libro Gianmaria
Ortes e la scienza economica al suo tempo 373 e garantendo la transizione dal governo
austriaco, al governo italiano, quale deputato di Vicenza. 374 Inoltre, ma soprattutto,
Lampertico aveva appena fondato, nel giugno 1868, proprio con Cambray Digny, F.
372
Casati aveva sostituito, quale presidente del Consiglio, il dimissionario Balbo, il 27
luglio 1848, dopo la dura sconfitta piemontese di Custoza. Il suo governo, che il 29 luglio
aveva ottenuto i pieni poteri dal Parlamento e nel quale il ministro degli Esteri, marchese
Lorenzo Pareto (1800/1865), rappresentava le tendenze radicaleggianti, era rimasto in
carica sino all'11 agosto. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 165-166.
373
Vedi Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 216. Sul monaco
veneziano Giammaria Ortes (1713/1790), cfr. Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 1970 6,
pp. 675, n. 75, e 707; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad
indicem.
374
Nelle elezioni politiche del 10 e 17 marzo 1867, Lampertico è poi rieletto deputato di
Vicenza, sconfiggendo il candidato garibaldino Angelo Piloto, deputato uscente di Thiene,
vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866,
vol. II, Documenti, 1968, pp. 387 e 390.
219
Ferrara, Finali, Agostino Magliani, Minghetti e Scialoja, la Società di economia politica
italiana, sul modello delle Società di economia politica francese e belga.
III.1.10. La presidenza Lampertico
C'è infine da considerare che, durante le trentotto audizioni, Lampertico è stato il meno
assiduo tra i componenti della Commissione, con quindici presenze soltanto, a fronte delle
trentasette di Cordova, delle trentaquattro di A. Rossi, delle trentadue di Messedaglia, delle
ventitré di Lualdi, delle diciannove di Seismit-Doda e delle diciotto di Sella. La sua nomina
è dunque forse da spiegare anche con la sua vicinanza a Minghetti, avversato da Cordova e,
comunque, privo di incarichi esecutivi, dopo le dimissioni da presidente del Consiglio,
rassegnate per «coprire» il re, sulla strage di Torino.375
Più in generale, Lampertico, come si evince dai primi due volumi dei suoi Carteggi e
diari, ha contribuito ai tentativi di diplomatizzare, per quanto possibile, lo scontro tra lo
Stato italiano e la Santa Sede, entrato in una nuova, delicatissima fase, dopo che Pio IX ha
convocato il concilio ecumenico Vaticano I. 376 In quel modo, il pontefice aveva infatti
risposto all'offensiva italiana, volta a privarlo del suo potere temporale, con un appello alla
cristianità, nel quale aveva riaffermato la propria infallibilità. Come che sia, Lampertico, la
cui nomina è stata caldeggiata forse anche dal partito di Corte, ottiene un primo risultato il
3 settembre 1868, quando il Senato approva la Legge 4579, recependo il progetto di legge
215, che limita a settecento milioni le banconote in circolazione, ma autorizza l'emissione
375
Cfr. il saggio di Ragionieri, Accentramento e autonomie nella storia dell'Italia unita,
in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 149-192. Minghetti
torna a ricoprire incarichi di governo quale ministro di Agricoltura, Industria e Commercio,
nel III governo Menabrea-Cambray Digny, dal 13 maggio 1869, al 14 maggio 1869.
376
Cfr. Lampertico, Carteggi e diari, 1842-1906, I vol. A-E, 1996; Id., Carteggi e diari,
II vol. F-L, 1998.
220
di sei milioni in banconote da una lira. 377. A questa Legge fa poi, purtroppo, seguito la
morte di Cordova, che spira il 16 settembre 1868 nella sua casa di Firenze, «dopo lunga
agonia e non senza che si diffondessero i sospetti di un suo avvelenamento». 378
I tre mesi successivi devono essere stati di lunghe e faticose mediazioni, documentate
ora soltanto dalla Relazione conclusiva, nella quale una minoranza, formata da
Messedaglia e Sella, ma alla quale «poscia accedette il Relatore attuale [Lampertico], che
nella votazione era assente», non si esprime sul fatto «se fosse stata, o no, necessaria
l'introduzione del corso forzoso al 1° maggio 1866».379 La Commissione vota invece
all'unanimità tre ordini del giorno che invitano il governo a presentare un disegno di legge
sui rapporti tra Stato e Banca Nazionale, una legge sulla pluralità delle Banche di credito e
di circolazione e una legge sulla convertibilità in valuta metallica dei biglietti di banca.
Sono altresì approvati all'unanimità due progetti di legge: per abolire il corso forzoso e per
ripianare il debito di 250 milioni di lire contratto, nell'aprile 1868, dallo Stato, con la Banca
Nazionale, che è intanto cresciuto sino a 378 milioni di lire.
Subito dopo l'approvazione a maggioranza, la Relazione è pubblicata nel primo di tre
volumi, insieme ai questionari, alle relative risposte e alle deposizioni degli interlocutori
istituzionali dell’inchiesta, di cui l’Archivio storico ha inventariato gli originali, nella
prima di cinque buste. Questa Relazione, che qui di seguito compara ad alcuni dei
377
Vedi: «Notammo finora le cagioni del ritardo intrinseche. Ne venne un'altra,
indipendente da esse, e sventura irreparabile della nazione, la malattia e morte del
Cordova. Solo pochi giorni prima di questa perdita era stato nominato il nuovo relatore, per
cui la Commissione si crede giustificata, se non ha potuto presentare la relazione nelle
vacanze parlamentari come aveva promesso», CD1800000271, Avvertenza, p. 6.
378
Sulla morte di Filippo Cordova, così la voce di Monsagrati, per il Dizionario
biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 34.
379
Vedi CD1800000271, Conclusioni, p. 403 e nota 1.
221
documenti contenuti nel II e nel III volume, privilegiando i Questionari e le Audizioni, è
seguita poi dalle proposte di legge approvate all'unanimità dalla Commissione, tra le quali
quella di A. Rossi sull'abolizione del corso forzoso. 380
Come risulta dal medesimo inventario, la seconda busta contiene le bozze dei
questionari e tre prospetti. La terza, la stesura manoscritta e le bozze della relazione e i
documenti del senatore Scialoja. La quarta, le risposte della Banca nazionale alle trenta
domande speciali che compongono il questionario a lei rivolto. La quinta, l’appendice
concernente la Banca Nazionale e varie carte di segreteria, funzionali alla spedizione dei
volumi dell’inchiesta. La schedatura analitica di questa complessa documentazione ha
evidenziato lacune talvolta notevoli; mancano, per esempio, i verbali delle riunioni e gli
originali delle risposte degli istituti di credito nazionali; con l’eccezione delle risposte della
Banca Nazionale e del Banco di Sicilia. 381 È comunque possibile esaminare la funzione
degli altri principali istituti italiani di credito: il Banco di Napoli, la Banca Toscana, la
Società di credito immobiliare italiano, il Credito fondiario, le Casse di risparmio, le
Banche popolari e la circolazione cartacea nel suo insieme. Per ricostruire, ancora, oltre al
ruolo della Banca Nazionale, i rapporti di queste banche con le pubbliche amministrazioni,
i fatti e le opinioni sul corso forzoso e la sua influenza sul commercio.
La Relazione è comunque subito pubblicata dalla Camera dei deputati, nel I dei tre
volumi degli Atti, a loro volta suddivisi in diverse parti, «a maggior chiarezza della [loro]
orditura».382 Su questa Relazione, che enfatizza le responsabilità del ministero delle
380
Vedi CD1800000271, Allegato, pp. 453-471.
381
Vedi Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Ca-
mera regia (1862-1874), 1994, pp. 35-41; l'Inventario degli Atti della Commissione
d'inchiesta della Camera dei deputati sul corso forzoso è ora anche in CD1800000230.
382
Il I volume degli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso
pubblica la Relazione, che consta di cinque parti; il II volume, i prospetti e i documenti; il
222
Finanze, i privilegi concessi alla Banca Nazionale e l'incerta, lacunosa e contraddittoria,
regolamentazione del corso forzoso, ecco il lusinghiero giudizio del direttore della Banca
d'Italia, Bonaldo Stringher383, formulato nel 1924:
Classica la poderosa relazione, del 1868, in nome della Commissione d'inchiesta
sul corso forzoso dei biglietti di banca, frutto di studi coscienziosi intorno alle
banche di emissione, alla circolazione monetaria, ai cambi e ai movimenti di
tesoreria; relazione che conchiudeva col proporre che fosse sollecitamente
provveduto alla «convertibilità in valuta metallica dei biglietti di banca».384
Un giudizio che rimarca il conflitto tra lo Stato italiano e la Santa Sede e l'andamento
della crisi monetaria e della dialettica parlamentare, ma che è da rivedere in chiave critica,
III volume, le deposizioni verbali stenografate e le deposizioni scritte. Queste le cinque
parti in cui la Camera dei deputati ordina le materie contenute nella Relazione: I) Stato degli istituti di credito in Italia; II) Stato generale della circolazione cartacea; III) Rapporti
degli istituti di credito tra loro, con il governo e con le pubbliche amministrazioni; IV) Fatti
e opinioni concernenti il corso forzoso dei biglietti di banca; V) Conclusioni della Commissione d’inchiesta. Vedi CD1800000271, Avvertenza, p. 4.
383
Bonaldo Stringher (1854/1930), nato a Udine, si laurea nel 1874 alla Scuola
superiore di commercio a Venezia, è direttore generale delle gabelle, ispettore del Tesoro,
consigliere di Stato, sottosegretario al ministero del Tesoro, direttore e, dal 1928,
governatore della Banca d'Italia. Stringher contribuisce alla costruzione dello Stato anche
con i suoi scritti di tecnica bancaria e di economia finanziaria; tra gli altri: Note di
statistica e di legislazione comparata intorno alla circolazione monetaria dei vari Paesi, 2
voll., 1883, e Unificazione dell'emissione e deflazione cartacea, 1926. Fanno scuola, le sue
Relazioni annuali agli azionisti della Banca d'Italia.
384
Vedi Bonaldo Stringher, In memoria di Fedele Lampertico, 1924, p. 14; Martucci, in
Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, p. 20 e n.
69.
223
perché Stringher trascura il contributo di Cordova, ascrivendo tutta la Relazione a
Lampertico. Ricordo perciò che il 24 novembre 1868, quattro giorni prima della Relazione
della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, Pio IX, che pure, all'inizio
del suo pontificato, aveva concesso l'amnistia a più di mille prigionieri, consentendo a oltre
cento esuli di tornare a Roma, aveva ordinato l'esecuzione di Giuseppe Monti e Gaetano
Tognetti, colpevoli dell'attentato alla caserma Serristori, compiuto un anno prima,
nell'inane tentativo di spingere il popolo romano alla sollevazione. 385
III.1.11. Il nuovo Regolamento provvisorio della Camera dei deputati
Né è forse un caso che quello stesso 24 novembre 1868, la Camera dei deputati elegga
presidente Lanza386 e approvi il nuovo Regolamento provvisorio, già presentato da Massari,
385
Il trentaduenne Giuseppe Monti, di Fano, e il venticinquenne Gaetano Tognetti, di
Roma, entrambi muratori, avevano fatto saltare in aria, il 22 ottobre 1867, la caserma degli
zuavi pontifici. Per aprire la strada a Garibaldi, attestatosi subito dopo a Monterotondo, da
dove va poi incontro alla sconfitta di Mentana. La condanna a morte di Monti e Tognetti è
eseguita nonostante la grazia chiesta da Vittorio Emanuele II. Il 10 dicembre 1868 si era
concluso altresì il processo a due patrioti romani, l'imprenditore laniero Giulio Ajani
(1835/1890) e il calzolaio Pietro Luzzi (1843/1868), condannati per il tentativo
rivoluzionario di Villa Glori nel quale, in quello stesso 22 ottobre 1867, avevano perso la
vita due dei fratelli Cairoli, Enrico (1840) e Giovanni (1842). Ajani, nel cui lanificio
avevano fatto irruzione i soldati pontifici, uccidendo Giuditta Tavani Arquati (1830), il
marito Francesco Arquati (1810) e i loro tre figli, ottiene tuttavia la commutazione della
pena nel carcere a vita. Cinque i condannati all'ergastolo e sedici a varie pene detentive.
386
Alla fine della IV sessione, Lanza lascia di nuovo, per la terza e ultima volta,
l'incarico di presidente della Camera dei deputati, questa volta al ligure Giuseppe Biancheri
(1821/1908), che gli subentra all'inizio della V sessione. Si consolida in tal modo la
dialettica istituzionale tra Consorteria e Permanente, legata al dualismo politico tra il
bolognese Minghetti e il biellese Sella.
224
«confidente e biografo del re»387, subito dopo le dimissioni di Mari, in diciotto capi.388
Questo nuovo Regolamento provvisorio, che sostituisce quello del 1848 389, articolato a sua
volta in undici capi e aggiornato nel 1863390, rafforza le prerogative del Presidente.
Limitandone l'analisi alle Commissioni parlamentari d'inchiesta, il capo XII è formato da
questi tre articoli:
Art. 73. Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra
387
388
Su Massari, vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 15 e ad indicem.
Questa la divisione del Regolamento provvisorio del 1868, in diciotto capi e
novantanove articoli: I. Disposizioni preliminari, 1-3; II. Del seggio della Camera, 4-11;
III. Della verificazione e delle elezioni, 12-20; IV. Delle sedute della Camera, 21-47; V.
Delle proposte, 48-49; VI. Del Comitato privato, 50-51; VII. Delle Giunte, 52-55; VIII.
Delle petizioni, 56-57; IX. Della discussione, 58-66; X. Delle interpellanze, 67-69; XI.
Delle proposte d'iniziativa parlamentare, 70-72; XII. Delle inchieste parlamentari, 73-75;
XIII. Delle deputazioni e degli indirizzi, 76-77; XIV. Dei processi verbali, 78-81; XV.
Della biblioteca, 82-90; XVI. Degli impiegati, 91; XVII. Degli uscieri, commessi e
inservienti, 92; XVIII. Della polizia della Camera e delle tribune, 93-99. Vedi
http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti.
389
Gli undici capi del Regolamento provvisorio della Camera dei deputati del Regno di
Sardegna, approvato l'8 maggio 1848, poco dopo l'editto elettorale, constavano di
ottantanove articoli. Due le successive aggiunte: Degli Uffici, in un articolo, adottato il 30
giugno 1849; Delle tribune politiche, in sette articoli, adottati il 20 dicembre 1848. Negli
anni seguenti, vennero poi aggiunti i sette articoli sulla biblioteca e l'articolo sulle
petizioni. Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti.
390
Il Regolamento provvisorio della Camera dei deputati del Regno d'Italia, approvato il
2 marzo 1863, aveva portato i capi da undici a dodici, inserendo il capitolo sulle
interpellanze, «regolato sulla falsariga delle norme del Regolamento del Senato», dopo
quello sulle proposizioni e prima di quello sugli uffici e le commissioni. Gli articoli
passano
invece
da
storia.camera.it/regolamenti.
ottantanove,
a
novantuno.
Vedi
http://Camera.it,
225
proposta di iniziativa parlamentare.391 Art. 74. Allorché la Camera, dopo esaurita la
procedura ordinaria, delibera una inchiesta, la Commissione è nominata dalla Camera
mediante scheda come all'articolo 5.392 La Camera può delegarne la nomina al
Presidente.393 Art. 75. Quando una Commissione d'inchiesta stimi opportuno di
trasferirsi o di inviare alcuni suoi componenti fuori dalla sede del Parlamento dovrà
informare la Camera e chiederne la facoltà. 394
391
Vedi Capo XI. Delle proposte d'iniziativa parlamentare, articolo 70: «Nessuna
proposta di legge di iniziativa di uno o più deputati potrà essere letta in seduta pubblica,
prima che il Comitato privato non ne abbia autorizzata la lettura. Perché questa
autorizzazione venga accordata, sarà necessario che sia deliberata dai tre quarti almeno dei
presenti alla seduta del Comitato»; articolo 71: «Allorché l'autorizzazione è concessa, il
Presidente ordina la lettura pubblica, e quindi la Camera fissa il giorno dello svolgimento»;
articolo 72: «Nel giorno indicato il proponente svolge i motivi della proposta. Non potrà
parlare che un solo oratore contro la presa in considerazione. Il proponente ha diritto di
replicare. La Camera decide quindi sulla presa in considerazione», Camera dei deputati,
Regolamento, 24 novembre 1868, pp. 38-39.
392
Vedi Capo II. Del seggio della Camera, articolo 5: «Queste nomine si fanno mediante
schede a maggioranza assoluta; se non si ottiene al primo scrutinio, si procede allo
scrutinio di ballottaggio. A voti pari s'intenderà eletto il maggiore di età», Camera dei
deputati, Regolamento, 24 novembre 1868, p. 27.
393
Vedi Capo VI. Del Comitato privato, articolo 50: «Il numero legale del Comitato
privato non può essere minore di trenta; il suo presidente fissa i giorni, l'ora e il luogo della
seduta», articolo 51: «Nella prima seduta, che sarà fissata dal Presidente della Camera, il
seggio sarà tenuto provvisoriamente dal decano di età, quale presidente, e da due deputati
più giovani, quali segretari. Il Presidente invita il Comitato a nominare un presidente nelle
forme indicate all'art. 5. Eletto il Presidente, si procede alla nomina di due vicepresidenti e
di tre segretari, nelle forme indicate dall'art. 6; lo spoglio delle schede si fa da sei scrutatori
di cui quattro almeno presenti; del resto come all'art. 6. L'Ufficio presidenziale del
Comitato dura in carica due mesi», Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868,
pp. 34-35.
394
Vedi Capo XII, articoli 73-75, Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868,
226
Dunque, la procedura statuita subordina le Inchieste parlamentari, all'autorizzazione del
Comitato privato, deliberata almeno da tre quarti dei presenti. Soltanto dopo: il Presidente
ordina la lettura pubblica; la Camera fissa il giorno nel quale il proponente espone la
proposta; un deputato ha la facoltà di intervenire contro; il proponente ha il diritto di
replicare. Poi, si vota. Vincolando l'Assemblea dei deputati a scegliere i componenti della
Commissione, o a delegare la scelta al Presidente, tramite votazione per scheda, a
maggioranza assoluta, o con successivo ballottaggio o, in caso di persistente parità,
privilegiando il deputato più anziano. Infine, la Commissione parlamentare d'inchiesta è
obbligata a informare delle trasferte fuori sede la Camera dei deputati, chiedendole
l'autorizzazione. Nulla è invece detto circa gli obblighi di testimoniare su invito del
Presidente e di rispettare la privacy, pur previsti dagli Standing Orders dei Select
Committees. Né il nuovo Regolamento provvisorio della Camera dei deputati interviene sui
poteri delle Commissioni parlamentari d'inchiesta, sui criteri della loro composizione, sui
rapporti con l'Assemblea elettiva e sugli eventuali accordi con il Senato. Rinviandone
dunque la definizione alla prassi parlamentare.
Concludo, tralasciando ancora una volta una compiuta comparazione, in questo caso, tra
i Regolamenti provvisori della Camera dei deputati del 1868, del 1863 e del 1848. Per
delineare invece un giudizio d'insieme sull'evoluzione delle facoltà ispettive del potere
legislativo. Da questo punto di vista, il nuovo Regolamento affida a una Commissione la
verifica definitiva dei deputati eletti, che prima spettava all'Assemblea, e razionalizza la
p. 39. Per quanto riguarda il diritto di inchiesta in quanto tale, il Parlamento sceglie di
regolarne l'esercizio di volta in volta, anche se le forze politiche hanno più volte discusso
l'opportunità di regolarlo per legge, in base alla dottrina. Vedi http://Camera.it,
storia.camera.it/regolamenti.
227
prassi parlamentare, come è del tutto evidente proprio dall'esperienza della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Il nuovo Regolamento provvisorio riforma
inoltre il sistema della verifica dei poteri e rafforza gli Uffici. 395 In sintesi, proseguendo nel
cammino iniziato da Cavour, che aveva cercato invano di temperare l'impostazione
timocratica di Balbo, la prima Assemblea elettiva del regno d'Italia valorizza le
rappresentanze politiche. Così, a differenza della Commissione parlamentare d'inchiesta
sul brigantaggio, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso conclude i
propri lavori con un'unica Relazione, votata a maggioranza, ma con l'assenza del relatore.
Malgrado ciò, il primo Regolamento definitivo della Camera dei deputati è approvato
soltanto nel 1888, sei anni dopo la riforma Zanardelli del 7 maggio 1882, che sfoltisce e
ridisegna circoscrizioni elettorali, raggruppandole in centotrentacinque collegi di varie
dimensioni, ma soprattutto amplia il suffragio. Abbassando la soglia dell'età minima
richiesta per votare, dai venticinque ai ventun anni, e includendo gli elettori che hanno
completato l'istruzione obbligatoria, sino alla seconda elementare inclusa, o che hanno
pagato le imposte dirette, ma a partire da un minimo di 19,80 anziché di 40 lire. A
dimostrazione di come anche in una società monarchica e liberale, come quella italiana
degli anni Sessanta dell'Ottocento, il concreto funzionamento delle Assemblee elettive,
dipenda dalla legittimazione popolare, prima ancora che dai regolamenti interni.
III.2. La Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso
III.2.1. La Banca di Genova
Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, che contiene la Relazione finale, approvata a maggioranza il 28 novembre 1868,
riassume e dà sistematicità ai risultati dei lavori, iniziati il 10 marzo 1868. La parte saliente
395
Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti.
228
di questi Atti, alla quale limito la mia analisi, è dedicata al principale degli Istituti italiani
di Credito: la Banca Nazionale nel regno d’Italia.396 È questa, infatti, la Banca che, il 1°
maggio 1866, ha ricevuto da Vittorio Emanuele II – grazie alla Legge sul corso forzoso
approvata dal Parlamento, acquisito il parere del Consiglio dei ministri, su proposta del
ministro delle Finanze, Scialoja – l'ordine di concedere un prestito di duecentocinquanta
milioni a favore del Tesoro dello Stato, indicizzato con un tasso d'interesse semestrale
dell'1,5%. Ottenendo in cambio l'autorizzazione a convertire in danaro contante le sue
banconote, a dare cioè inizio al corso forzoso e a effettuare nel contempo i pagamenti
dell'Erario pubblico e dei privati.397
All'inizio dell'inchiesta, la Commissione parlamentare aveva indirizzato, perciò, proprio
alla Banca Nazionale nel regno d’Italia, trenta «quesiti speciali».398 Tra queste domande, la
settima, alla quale attribuisco particolare importanza, era volta ad accertare il «quadro del
396
Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, contiene anche gli Atti sulla Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di
credito per le industrie e i commerci d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. E poi,
ancora, sullo Stabilimento mercantile di Venezia, la Banca anglo-italiana, la Società di
credito mobiliare italiano, la Cassa nazionale di sconto toscana e il Banco di credito
fondiario di Pisa, la Cassa generale di Genova, il Banco di credito italiano, il Banco di
sconto e sete di Torino, le Opere pie di San Paolo di Torino, il Monte de’ Paschi di Siena; il
Credito fondiario del Banco di Napoli, del Monte de’ Paschi di Siena, della Cassa di
risparmio in Bologna, della Cassa centrale di risparmio in Milano, dell’Opera pia di San
Paolo di Torino; le Casse di risparmio di Firenze, di Bologna e di Milano; la Banca del
popolo di Firenze, le Banche popolari mutue, la Banca operaia di credito in Fabbriano, la
Banca popolare di Faenza, la Banca sociale di Iesi e le Banche popolari di Lodi, Lugo,
Mantova, Milano, Padova, Parma, Piacenza, Poggibonsi, Siena, Venezia, Verona e Vicenza.
Vedi CD1800000271, pp. I e II.
397
Vedi gli articoli 1, 2 e 3, della legge del 1° maggio 1866, n° 2872, Gazzetta Ufficiale
del Regno d'Italia, Supplemento al n. 120, 3 maggio 1866, p. 1.
398
Vedi CD1800000234, A-G, pp. 1-18.
229
movimento della riserva metallica, distinto per oro, argento e bronzo per mesi, dall'origine
al 31 dicembre 1859, e per settimane, dal 1859 in poi».399 Nella sua risposta, la Banca
Nazionale nel regno d’Italia aveva descritto, tuttavia, «il fondo metallico, in oro, argento,
eroso misto e bronzo esistente nelle Casse».400 A partire dal gennaio 1850, quando era
ancora la Banca Nazionale negli Stati sardi, al 28 marzo 1868. Senza soffermarsi sulla
discontinuità, anche monetaria, che intercorre tra il finanziamento della II guerra di
Lombardia, iniziata il 27 aprile 1859, e le spese che il regno di Sardegna deve sostenere
dopo aver firmato il trattato di Villafranca, l'11 luglio 1859.
Per interpretare le ragioni di una risposta così reticente, risalgo allora, a mia volta, al
regime proprietario con cui Vittorio Emanuele I401 aveva coniugato le aspirazioni nazionali
delle élite, prefigurate nella distinzione amministrativa tra Divisioni, Province,
Mandamenti o Cantoni e Comuni, con gli interessi dinastici dei Savoia, garantiti dalle
primogeniture e dai fidecommessi. Così, dopo Carlo Felice, proprio Carlo Alberto aveva
attribuito personalità giuridica ai primi due di questi livelli, le Divisioni e le Province, ben
prima di concedere lo Statuto. 402 Cercando di rendere complementari gli assetti proprietari
feudali, di matrice ecclesiastica e monarchica, e l'organizzazione amministrativa borghese,
di derivazione napoleonica, per governare la difficile transizione dall'Ancien régime alla
399
Vedi Camera dei deputati, Atti .... Quesiti, 1868, ora anche CD1800000234, B, p. 5.
400
Vedi CD1800000234, doc. 38, p. 48.
401
Vittorio Emanuele I (1759/1821, re di Sardegna dal 1802), detto il Tenacissimo, è il
secondo figlio maschio, dopo Carlo Emanuele IV (1751/1819, re di Sardegna dal 1796, al
1802), Maria Giuseppina, Maria Teresa e Maria Anna e prima di Maurizio Giuseppe Maria,
Maria Carolina, Carlo Felice e Giuseppe Benedetto, di Vittorio Amedeo III di Savoia
(1726/1796, re di Sardegna dal 1773) e dell'Infanta di Spagna, Maria Antonietta di
Borbone.
402
Con Carlo Felice (1765/1831), che rimane senza eredi, il ramo principale dei Savoia
si estingue, sostituito dal ramo Savoia Carignano, al quale appartiene Carlo Alberto.
230
modernità; con un'impostazione che, per questi versi, è analoga a quella orléanista.
È questo il contesto in cui inserire la vicenda del genovese Carlo Bombrini403, che ho già
menzionato quale direttore della banca Nazionale nel Regno d'Italia, a proposito delle
audizioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.404 Figlio di un
capitano dei carabinieri, assunto come commesso nella ditta bancaria Bartolomeo Parodi e
Figlio, dove aveva fatto carriera, operando una forte, ma prudente e graduale,
centralizzazione, Bombrini era stato poi nominato direttore della Banca di Genova, fondata
il 16 marzo 1844, da un gruppo di finanzieri liguri, autorizzati dalle Regie Lettere Patenti
di Carlo Alberto e dal marchese milanese Tommaso Spinola, Commissario regio dal 12
settembre 1844.405
Affiancato proprio da Parodi, nominato presidente nel 1845, quando la Banca di Genova
era diventata operativa, nel 1848, Bombrini aveva disposto la concessione di un prestito di
venti milioni di lire al governo piemontese, impegnato nella preparazione della I guerra di
403
Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, ad indicem; Calzavarini, Bombrini,
Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, pp. 391-395.
404
Cfr. «La banca [di Genova], sorta per iniziativa di un gruppo di capitalisti genovesi
(tra i fondatori, accanto al Parodi, erano il marchese De Ferrari duca di Galliera, il
marchese F. Pallavicino, il barone G. Cataldi), con un capitale di quattro milioni di lire,
ripartito in quattromila azioni e sottoscritto prevalentemente da commercianti di Genova,
Torino, Nizza e Chambéry, fu autorizzata ad iniziare l'attività, sotto la denominazione di
Banca di sconto, depositi e conti correnti, dalle regie patenti del 16 marzo 1844»,
Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 391.
405
Tommaso Spinola (1803/1879) è deputato del collegio di Bobbio, nella V legislatura
del Regno di Sardegna, sindaco di Genova, componente del Consiglio di Stato, senatore
del Regno d'Italia dal 16 novembre 1862 e questore del Senato dal 1867, al 1877, quando
chiede di essere dispensato. Vedi Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, leg.
XV, vol. IV, dal 25 novembre 1885 al 14 aprile 1886. Il 6 novembre 1873, auspice
Minghetti, Spinola propone la nomina di Lampertico a senatore.
231
Lombardia. Finanziandolo con il corso forzoso e fissando il limite massimo di emissione
dei conti correnti pagabili a vista, al triplo del denaro metallico esistente in cassa; sino a far
acquisire alla Banca di Genova una posizione dominante. Grazie anche alla contestuale
applicazione del basso tasso di sconto imposto dalla Legge sarda contro l'usura, che puniva
i contravventori con pene detentive e pecuniarie, per fronteggiare la crisi del bimetallismo
e la speculazione sull'argento.
III.2.2. La Banca Nazionale nel Regno di Sardegna
Il 14 novembre 1849, Vittorio Emanuele II, appena salito al trono, aveva poi unificato la
Banca di Genova con la Banca di Torino 406, sorta nel 1847, ma entrata in funzione nel
1849. Promulgando il Regio decreto sulla Banca Nazionale negli Stati sardi, con il quale
aveva associato l'insieme dei soggetti economici, liguri, piemontesi e sardi, convinti di
avere storia, civiltà e interessi nazionali.407
Nominato direttore della Banca Nazionale negli Stati sardi, Bombrini aveva imposto la
406
Cfr. «[...] la fusione era quasi imposta dalle circostanze alla Banca di Torino che, dal
momento della sua costituzione (era stata autorizzata con regie lettere patenti del 16
ottobre 1847, con caratteristiche simili a quelle dell'istituto genovese), non aveva
praticamente potuto funzionare a causa del corso forzoso di cui si avvantaggiava la Banca
di Genova», Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI,
1969, p. 392.
407
Cfr. «[...] un ammontare crescente di risparmio [...] rimaneva inoperoso per
mancanza di istituzioni creditizie atte a mobilitarlo al servizio dello sviluppo economico
del paese. Il problema era specialmente sentito a Genova, che alle crescenti esigenze del
grande commercio d’oltremare univa le tradizioni ancora recenti di un grande centro
finanziario e bancario a livello europeo. [...]. Il progetto di una nuova banca venne dunque
avanzato, verso la fine del 1843, da un gruppo di finanzieri liguri [...]. A modello del nuovo
istituto venne scelta la banca fondata nel 1835 a Marsiglia, di cui si adottarono quasi alla
lettera gli statuti», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 125-126.
232
supremazia dei capitali della Banca di Genova, sui capitali della Banca di Torino, anche
esportando monete metalliche, in cambio di contanti; con lo scopo di superare la diffidenza
dei clienti nei confronti della carta moneta. Per poi disporre l'apertura, nel 1855, «in forza
della legge» dell’11 luglio 1852, delle succursali di Nizza marittima e Vercelli, e di
Alessandria e, nel 1856, «in forza della legge» del 27 febbraio 1856, delle succursali di
Cagliari e Cuneo.408
Questa sequenza spazio temporale, che rende esplicita la dinamica giuridica precedente
la fondazione di una Banca o l'apertura di una succursale bancaria, è da porre in relazione
con la partecipazione di Cavour al congresso di Parigi, dove le potenze europee avevano
discusso gli assetti del Vecchio Continente, alla fine della guerra di Crimea. Dopo
quell'evento, infatti, in nome dei principi del libero scambio, Cavour aveva liberalizzato il
tasso di interesse della Banca Nazionale negli Stati sardi, che aveva al contempo emesso
ottomila azioni, portando il proprio capitale a quaranta milioni e concedendo al governo
piemontese un prestito di trenta milioni di lire, con un tasso d'interesse pari al 2%. 409
Mentre, a Bologna, Minghetti aveva fondato, insieme al marchese Luigi Pizzardi 410 la
Banca delle Quattro Legazioni e, a Parma, Luisa Maria di Borbone-Francia, aveva
promosso la Cassa di Risparmio di Parma411.
408
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 1, p. 9.
409
Cavour aveva liberalizzato il tasso di interesse della Banca Nazionale negli Stati
sardi, con la Legge del 5 giugno 1857, mentre il commercio estero raggiungeva il suo
picco, contrastato dalla contestuale crescita del deficit della bilancia commerciale, vedi
Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 365.
410
Il marchese Luigi Pizzardi (1815/1871), ricco proprietario terriero, è in seguito il
primo sindaco di Bologna; incarico, che nel 1861, è bene ricordarlo ancora una volta, è di
nomina regia.
411
Luisa Maria di Borbone-Francia, duchessa di Berry (1819/1864), vedova di Carlo III
233
Soltanto in seguito, il direttore della Banca Nazionale negli Stati sardi, Bombrini, aveva
reintrodotto il corso forzoso, facendo seguito al trattato militare e finanziario con la
Francia, per preparare la II guerra di Lombardia, in forme meno repentine di quelle che
avevano portato alla I guerra di Lombardia. Il regno di Sardegna si era così impegnato a
rimborsare le somme ricevute nel gennaio 1859, con annualità pari a un decimo circa delle
entrate annue che avrebbe incassato dopo l'unificazione con la Lombardia. Firmato il
trattato di Villafranca, dimessosi Cavour e insediatosi il governo La Marmora-Rattazzi, ma
permanendo lo «stato di guerra», il giro d’affari della Banca Nazionale negli Stati sardi si
era poi esteso ai comuni della Lombardia, di Parma e di Modena. Ciò, grazie ancora
all'iniziativa del medesimo Bombrini, che aveva consolidato i capitali della Banca
Nazionale negli Stati sardi, malgrado Cavour si fosse pronunciato a favore di un parziale
decentramento dello Stato, già in parte prefigurato dalla struttura organizzativa della
Società Nazionale italiana. Bombrini aveva così separato la circolazione cartacea, dal
fondo metallico, in oro, argento, eroso misto e bronzo; alternando biglietti di grosso e di
piccolo taglio e aprendo cinque succursali, adeguate all'articolazione amministrativa del
Regno di Sardegna, in Divisioni e Province. Ma, soprattutto, adattando alle ragioni
dinastiche dei Savoia, la struttura centralizzata propria di ogni Banca, che prefigura un
vero e proprio sistema creditizio: dalle anticipazioni in denaro, ai conti correnti.
Tuttavia, dopo il Trattato di Villafranca, come, nel 1878, ha scritto Lampertico nel IV
volume del suo trattato incompiuto Economia dei popoli e degli Stati, sul commercio:
di Borbone-Parma (1823/1854), aveva fondato nel 1856, la Cassa di Risparmio di Parma,
che aveva tuttavia iniziato la sua attività soltanto il 13 aprile 1860, dopo i plebisciti di
annessione al Regno d'Italia, applicando lo Statuto promulgato da Farini, dittatore
dell'Emilia.
234
la legge nel fissare il ragguaglio colla lira italiana delle monete di conio austriaco,
che avean corso tuttora nella Lombardia di già formante parte del Regno, stabiliva
che la metà ed il quarto, sia della lira austriaca, come della svanzica austriaca di
vecchio o di nuovo conio, potessero entrare nei pagamenti di somme eccedenti le
cinquanta lire nella proporzione del decimo di eccedenza. Si aggiungeva l’errore di
attribuire alla mezza lira austriaca di vecchio conio il valore di 41 centesimi italiani
troppo alto, avuto specialmente riguardo allo stato scadente, e quanto mai logoro di
quelle monete. […]. Se ne incettò nelle provincie limitrofe, tuttora soggette
all’Austria in gran quantità per rivenderle in Lombardia, ove la legge avea attribuito
troppo più pregio che non meritassero.412
Dunque, anche dopo le vittorie franco italiane di Solferino e San Martino, il sistema
monetario austriaco, dominante a Venezia e nel Veneto, era rimasto influente nella
Lombardia liberata, mentre nello Stato pontificio circolava sempre lo scudo. Da qui, la
debolezza
della
lira
italiana,
penalizzata
dalla
speculazione
e
da
un'incauta
sopravvalutazione, superiore agli effettivi valori di mercato. È questo il complesso
fenomeno monetario che la Banca Nazionale nel regno d'Italia fa passare sotto silenzio,
quando descrive «il fondo metallico, in oro, argento, eroso misto e bronzo esistente nelle
Casse», dal gennaio 1850, al 28 marzo 1868. 413 In risposta alla settima delle domande
speciali della Commissione parlamentare d'inchiesta, che era invece volta ad accertare
proprio il «quadro del movimento della riserva metallica, distinto per oro, argento e bronzo
412
Vedi Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. IV, Il Commercio, 1878, p.
245; Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, p.
278.
413
Vedi CD1800000234, doc. 38, p. 48.
235
per mesi», con particolare riferimento al 1859.414 Pur avendo modificato i suoi Statuti
proprio nel 1859, per adeguarli al corso forzoso che precede la II guerra di Lombardia.
III.2.3. Gli Statuti della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna
Entro ora nel merito degli «Statuti per la Società Anonima della Banca Nazionale,
muniti di ordine Nostro del visto del Ministero delle Finanze», approvati con il Regio
decreto del 1° ottobre 1859, in centocinque articoli.415 Il primo di questi articoli aveva
autorizzato l’apertura delle sedi della Banca Nazionale negli Stati sardi a Milano, Genova e
Torino e delle succursali di Alessandria, Cagliari, Cuneo, Nizza e Vercelli. Facilitando il
ripristino del corso legale, tornato in vigore il 1º novembre 1859. Questa volta, tuttavia, a
differenza del 1849, il corso forzoso era stato accolto dal pubblico, senza alcuna reazione
di panico.416 Mentre la successiva apertura delle tre sedi e delle cinque succursali della
414
Vedi Camera dei deputati, Atti .... Quesiti, 1868, ora anche CD1800000234, B, p. 5.
415
Questo l'indice degli Statuti per la Società Anonima della Banca Nazionale: Capo I
Della fondazione e durata della società, Articoli 1-8; Capo II Del capitale della banca e
delle sue azioni, Articoli 9-15; Capo III Delle operazioni della Banca, Sezione I Della
natura delle operazioni, Articoli 16-23, Sezione II Delle condizioni delle operazioni,
Articoli 24-40, Sezione III, Della distribuzione del fondo disponibile, Articoli 41-42; Capo
IV Del dividendo, Articoli 43-45; Capo V Della riserva, Articoli 46-48; Capo VI
Dell'amministrazione della banca, Sezione I Della composizione dell'amministrazione, Art.
49, Sezione II Dell'adunanza generale degli azionisti, Articoli 50-55, Sezione III, Del
Consiglio superiore, Art. 56-66, Sezione IV Del Direttore generale, Articoli 67-70, Sezione
V Dei Consigli di reggenza, Articoli 71-82, Sezione VI Dei Censori, Articoli 73-84; Capo
VII, Delle Commissioni di sconto, Articoli 85-86; Capo VIII Dei Dirigenti delle Sedi,
Articoli 87-89, Capo IX Dei Consigli amministrativi e dei Direttori delle succursali,
Articoli 90-91; Capo X Disposizioni generali, Articoli 92-99; Capo XI Disposizioni
transitorie, Articoli 100-105. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Documenti, vol. II, 1868,
ora anche CD1800000272, pp. 60-84.
416
Cfr. Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969,
236
Banca Nazionale negli Stati sardi, era stata accompagnata tra l'altro sia dalle leggi Rattazzi
sulla centralizzazione degli ordinamenti comunali e provinciali e sulla subordinazione dei
magistrati al ministro di Grazia e Giustizia, sia dalla legge Casati sulla pubblica istruzione.
Allo stesso tempo, la Banca Nazionale negli Stati sardi aveva fatto salva la facoltà degli
azionisti di disporre l’attivazione di nuove sedi e di trasferire le succursali esistenti, ma
l'aveva subordinata all'autorizzazione del «Governo monarchico rappresentativo». A partire
dagli articoli 69, 89 e 105 dei suoi Statuti , che avevano regolamentato le prerogative e le
mansioni del Direttore generale, uniformando a esse quelle dei Direttori delle sedi. 417
È questo il sistema bancario con cui il regno di Sardegna aveva imposto il suo
centralismo ai territori unificati; sino a Milano, Bologna e Firenze. Gli Atti della
Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sul corso forzoso documentano infatti
che, undici mesi dopo il ritorno di Cavour al governo e nove mesi dopo le elezioni
politiche, il 12 novembre 1860, la Banca Nazionale negli Stati sardi aveva convocato
l’Assemblea generale degli azionisti, invitando le Banche dei comuni annessi con i
plebisciti, a cessare la loro attività, per trasformarsi in sue succursali. 418
p. 393.
417
L'articolo 69 degli Statuti della Banca Nazionale negli Stati sardi obbliga il Direttore
generale a giustificare, prima di esercitare le sue funzioni, la libera proprietà di cinquanta
azioni della Banca, che rimangono inalienabili per tutta la sua durata in carica. Il medesimo
articolo gli proibisce altresì di essere iscritto ad altre istituzioni di credito, di esercitare
commerci e di operare in borsa. L’articolo 89 estende poi questo divieto, ai Direttori delle
sedi. Mentre l'articolo 105 esenta i Direttori in carica, che appartengono ad altre Società di
credito, dal divieto di cui agli articoli 69 e 89. Vedi Camera dei deputati Atti … .
Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, pp. 60-84.
418
Cfr. «Nel periodo delle annessioni il B. fu inviato dal Cavour ad organizzare nelle
regioni via via integrate nel Regno nuove sedi della Banca nazionale, nonché a trattare la
fusione con preesistenti istituti, secondo un fermo intendimento mirante a creare un'unica
banca di circolazione "de Suse à Marsala"», Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario
237
A ciò avevano fatto seguito il trasferimento della succursale di Nizza a Porto Maurizio,
con cui la Banca aveva ovviato alla cessione di Nizza alla Francia, e l ’attivazione di altre
succursali, che aveva accompagnato l ’impresa dei Mille e la realizzazione dell ’unità
nazionale: nel 1860, a Bergamo, Brescia, Como e Modena, e nel 1861, ad Ancona, Perugia,
Bologna, Ferrara, Forlì, Parma e Ravenna. Da qui, l’apertura delle sedi di Napoli e di
Palermo e delle undici succursali di Pavia, Sassari, Cremona e nelle province meridionali.
Sempre nel 1861, il 18 agosto, cioè undici settimane dopo la morte di Cavour, un nuovo
Regio decreto aveva disposto che la Banca Nazionale negli Stati sardi assumesse la
denominazione di Banca Nazionale nel regno d’Italia, aumentasse il capitale sociale e
riformasse gli Statuti. Mentre proprio Cordova, allora ministro d i Agricoltura, Industria e
Commercio nel I governo Ricasoli, con Bastogi alle Finanze, aveva presentato una
relazione per disporre che le nuove sedi e succursali
nelle provincie meridionali soccorressero in pari tempo il commercio ed
insegnassero con l'esempio le operazioni del credito pubblico, il quale veramente
vuol essere inaugurato con una società provata e sicura in quei luoghi dove la fede
pubblica fu spesso violata e distrutta.419
Cordova aveva però rinviato l’aumento del capitale sociale e, soprattutto, la riforma
degli Statuti della Banca Nazionale a una legge successiva. Poi, trasferita la capitale da
Torino a Firenze, dal marzo all'aprile 1865, il governo La Marmora-Sella aveva finanziato
gli ingentissimi costi dell'unificazione amministrativa, attraverso i poteri locali e la spesa
biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 393.
419
Vedi Camera dei deputati, Atti ..., vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 1, p. 10,
ma considera tutto il paragrafo.
238
pubblica, tra accentramento e rappresentanze, e aveva ampliato la burocrazia, approvando i
nuovi Codici del Regno d'Italia. 420
Il 19 dicembre, tuttavia, questo governo, che pure aveva vinto le elezioni politiche, era
stato sostituito dal governo La Marmora-Scialoja, perché la Camera aveva bocciato il
Regolamento della convenzione che aveva affidato il Servizio di tesoreria alla Banca
Nazionale nel regno d’Italia, già promulgato dal Regio decreto del 6 dicembre 1865.421
Il progetto di unificazione della Banca Nazionale nel regno d’Italia e della Banca
Nazionale Toscana, nella Banca d’Italia, era stato invece subordinato al trasferimento della
capitale a Roma. Quindi, dopo l'annessione del Veneto, la Banca Nazionale nel regno
d’Italia aveva aperto quattro nuove succursali e predisposto l'apertura della sede di Venezia,
portando in tal modo a cinquantadue le succursali nazionali, ma con una fortissima
sperequazione tra nord e sud, e a sette le sedi nelle principali città italiane; con l'eccezione
di Roma, ancora nello Stato pontificio. A questa articolazione della Banca Nazionale nel
regno d’Italia in succursali e in sedi, corrispondeva il progressivo incremento del numero
degli azionisti e delle azioni messe in vendita tra i soci fondatori e sottoscrittori e tra i
pubblici sottoscrittori, come previsto dall’articolo 98 degli Statuti della Banca Nazionale. 422
420
Sul nuovo Codice di commercio, vedi Sensales, Fedele Lampertico, 2011, pp. 49,
198, 260, 294, 312.
421
Cfr. i libri già citati nell'analisi dei costi dell’unificazione amministrativa: Astuto,
L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo,
2009; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999; Id., Storia costituzionale
italiana, 2002; Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Id.,
Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967.
422
Questa parte della Relazione della Commissione parlamentare d ’inchiesta sul corso
forzoso si fonda sulle risposte degli uffici della Banca Nazionale al primo dei trenta quesiti
speciali del questionario, ora contenuti nella busta 3; la Commissione chiede la data in cui
è stata fondata l’istituzione, il capitale costitutivo e la sua forma, la data e l’ammontare
239
III.2.4. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: lo sconto o anticipazione
Dopo aver descritto l'articolazione territoriale, l'aumento del capitale sociale e la riforma
degli Statuti legati al Regio decreto del 18 agosto 1861 e l'apertura di nuove sedi e
succursali nelle provincie meridionali e nelle province venete, il I volume della Relazione
della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso prosegue l'analisi della
Banca Nazionale nel regno d'Italia, ricostruendone i movimenti annui. In un quadro che
distingue gli incassi dai pagamenti, registra la contrazione degli introiti negli anni 1863 e
1864 ed enfatizza la conseguente sospensione delle funzioni di sconto. Tuttavia, malgrado
queste défaillances, nel 1867, la Banca Nazionale ha un saldo positivo di quattro miliardi
di lire, a fronte del miliardo accumulato nel 1858, incrementato di circa duecento milioni
nel 1859.423
La Banca Nazionale negli Stati sardi aveva tratto dunque notevole giovamento anche
dall'annessione del Veneto, che pure aveva comportato le ingenti spese necessarie a
finanziarie la «guerra per Venezia» e il plebiscito di annessione all'Italia, ma aveva lasciato
una zona grigia sui propri movimenti monetari durante la trasformazione in Banca
dell’emissione dei titoli, il modo di collocamento, gli Statuti e le loro modificazioni, i
resoconti e i bilanci annuali. Vedi Camera dei deputati Atti … . Documenti, vol. II, 1868,
ora anche CD1800000272, pp. 60-84; Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni
parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, Inventario, p. 36.
423
Vedi: «E si noti che questi 4 miliardi del 1867 rappresentano veri affari, cioè
riscossioni fatte da estranei e pagamenti fatti ad estranei; laddove prima del 1866 le somme
di questo prospetto comprendono anche le riscossioni e pagamenti tra istituto e istituto
della Banca stessa», Camera dei deputati, Atti .... Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora
anche CD1800000271, § 3, p. 13. Per le cifre in dettaglio, dalle centinaia di migliaia di lire,
ai millesimi, rinvio al prospetto generale degli incassi, dei pagamenti e dei totali negli anni
1858/1877, ibidem.
240
Nazionale nel Regno d'Italia. Proprio come aveva fatto la Banca di Genova quando aveva
unificato i propri capitali con quelli della Banca di Torino. In questo modo, il medesimo
Bombrini, già direttore della Banca di Genova e della Banca Nazionale nel Regno di
Sardegna, aveva consolidato anche la struttura interna della Banca Nazionale nel Regno
d'Italia, fondata sul Direttore generale, sui Direttori delle sedi, sugli azionisti e sulle azioni,
come previsto dagli Statuti del 1° ottobre 1859. Da qui, un giro d’affari ricostruito
attraverso le funzioni di sconto o anticipazione, di deposito e di circolazione, alla fine del
1867. Risalendo però ancora una volta al 1859 e alla Banca Nazionale negli Stati sardi. 424
Anche in questo caso, dunque, l'implicito terminus a quo della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso è il Trattato di Villafranca, con la relativa
Conferenza di pace di Zurigo, dove i plenipotenziari austriaci, francesi e sardi, avevano
ridefinito gli assetti dell'Italia centrosettentrionale, dopo la II guerra di Lombardia,
preparando l'impresa dei Mille, l'unità nazionale e l'unificazione monetaria. 425
Entrando nel merito della circolazione monetaria, rilevo che, durante gli otto anni
424
Vedi «Riservandoci di parlare in seguito di que' servigi che, senza d'essere d'indole
bancaria, tuttavia si trovano assunti dalla Banca, riepilogando ora in termini generalissimi i
servigi ch'essa rende nei limiti d'istituto bancario, si può dire che funge nello stesso tempo,
come Banca di sconto, come Banca di deposito, come Banca di circolazione», Camera dei
deputati, Atti ..., vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 4, p. 14; cfr. Luzzatto,
L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 65-72.
425
Si tratta, dunque, di approfondire i costi economici e finanziari della cessione della
Lombardia, dall'Impero austriaco, al Regno di Sardegna, resa possibile soltanto dalla
mediazione francese, con modalità analoghe a quelle poi seguite per trattare la cessione del
Veneto, dall'Impero austriaco, al Regno d'Italia. Cfr. Marco Meriggi, Amministrazione e
classi sociali nel Lombardo - Veneto (1814-1848), 1983; Id., Il Regno Lombardo - Veneto,
in Storia d’Italia, a cura di Giuseppe Galasso, vol. XVIII, parte II, 1987; Id., Gli Stati
italiani prima dell’Unità. Una storia istituzionale, 2002; Id., Gli antichi stati crollano, in
Storia d’Italia, 2007, pp. 541-566.
241
ricostruiti dalla Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la
Banca Nazionale nel Regno d'Italia esercita la funzione di sconto, anticipando denaro sugli
effetti di commercio e sui depositi di sete grezze e lavorate e di metalli preziosi, verghe e
monete d’oro e d’argento.426 Tramite vari titoli di credito: cambiali, cedole e obbligazioni
del debito pubblico, Buoni del Tesoro, prestiti a città e province, azioni e obbligazioni delle
imprese industriali, alle quali lo Stato ha garantito un interesse, e altri depositi equiparati
per legge. Tra questi, le cartelle del credito fondiario, che il «Governo Monarchico
rappresentativo» mette in vendita con la Legge del 14 giugno 1866, un mese e mezzo dopo
la promulgazione del corso forzoso e una settimana prima della caduta del governo La
Marmora-Scialoja.
La Banca Nazionale sconta questi titoli in tre mesi, a condizione che si tratti di titoli
emessi in città dello Stato italiano o a Parigi, Lione, Marsiglia e Ginevra, cioè in Francia e
in Svizzera, due dei tre Paesi, l'altro è il Belgio, con i quali l'Italia aveva fondato l'Unione
monetaria latina. Questi medesimi titoli devono tuttavia essere garantiti dalle firme di tre
persone solvibili, una delle quali deve essere domiciliata nella città dove ha sede la banca
di emissione.427 Questo sistema è simile a quello della Banca di Francia, che lascia
invariato il tasso di sconto, fidando nell’effetto perequatore del mercato; con incrementi di
capitale legati alle sedi esistenti o all’apertura di nuove sedi. Tuttavia, se si considera la
circolazione monetaria degli anni 1859-1867, nel suo insieme, è evidente che la Banca
426
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 4, p. 14; tra il 1863 e il 1865, le esportazioni di sete grezze crollano da
ventiseimila a quindicimila quintali annui, ma la Banca Nazionale riesce a limitare gli
effetti di questo crollo, subendo soltanto un netto decremento, cfr. Luzzatto, L’economia
italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 129, 131 e 149.
427
Vedi l'art. 24 degli Statuti della Banca Nazionale, Camera dei deputati Atti … .
Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 66.
242
Nazionale adotta il sistema di sconto della Banca di Londra, assai meno liberista di quanto
appaia e, soprattutto, meno liberista del sistema della Banca di Francia, perché, invece di
un tasso di sconto fisso, applica oscillazioni del tasso, comprese tra il 4,50%, e il 9%,
inverse all’abbondanza di denaro:
È notissimo che la Banca di Londra varia la ragione dello sconto, tenendola più
alta quando il denaro scarseggia e ribassandola quando abbonda; mentre invece il
Banco di Francia aveva per sistema di mantenerla sempre fissa e invariabile,
dovendosi secondo questo sistema ammettere per compensato quel di più che si fa
pagare negli anni che il denaro abbonda con quel tanto di meno che si fa pagare
quando scarseggia.428
Ecco perché la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso rimarca
l'influenza della crisi americana sulla Banca di Londra e sulla Banca di Parigi, sulle
conseguenti spedizioni di numerario dall'Inghilterra agli Stati Uniti e sulla crisi annonaria
francese. Da qui, la necessità di contenere il prezzo del denaro entro i limiti determinati dai
mercati europei; da qui, la scelta di trarre dai tassi di sconto annui, che la Banca Nazionale
applica tra il 1860 e il 1867, un prospetto dei vari beneficiari, in ordine decrescente:
banchieri, commercianti, industriali, proprietari, stabilimenti di credito, casse di risparmio,
provincie e comuni. Questa gerarchia infatti enfatizza e spiega il picco del tasso di sconto
428
La relazione così prosegue: «[...] Col sistema prima seguito dal Banco di Francia, si
è il Banco che fissa lo sconto; col sistema del Banco di Londra, seguito adesso dal Banco
di Francia, il Banco non fa che conformarsi al prezzo corrente: col primo sistema il Banco
è come un sostegno con cui si vuole mantenere l’acqua allo stesso livello; col secondo non
fa che segnare l’acqua dov’essa arriva». Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa,
vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 5, pp. 15-17, ma considera tutto il paragrafo.
243
nei primi nove mesi del 1868, dopo che nel 1867 la somma delle anticipazioni aveva
superato il sessanta per cento della somma degli sconti.
Quanto alle rendite, le anticipazioni di denaro le lasciano invariate, ma espongono i
titolari ai rischi della speculazione, a maggior ragione in un Paese come l'Italia dove, sin
dal 1861, le importazioni superano le esportazioni. Perciò il 23 aprile 1867, il ministro
delle Finanze, Ferrara, aveva assecondato il ribasso del tasso di sconto della Banca
nazionale, proposto dal Direttore generale Bombrini, che tuttavia aveva contestualmente
lasciato invariato il tasso d’interesse. Adombrando così una delle questioni che
caratterizzano l’intero dibattito storiografico sul corso forzoso: il rapporto quantitativo tra
aumento dell’aggio sull’oro e importazioni.429
III.2.5. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il deposito
Tralasciando anche questa questione, mi soffermo invece sulle anticipazioni della Banca
Nazionale dal 1860 al 1867, distinte in fondi pubblici dello Stato, cedole di città e
province, azioni industriali, verghe e monete, sete e cambiali all’estero. Per rimarcare che i
fondi pubblici dello Stato assorbono più di un miliardo di lire sul totale delle anticipazioni,
pari a un miliardo e duecento milioni di lire. 430 Mentre nel 1866 il governo Ricasoli429
Vedi: «Probabilmente il ministro (così ne parlava all’adunanza degli azionisti del 19
febbraio 1868 il direttore della Banca) fu indotto in tale decisione dall’aver considerato che
la nostra rendita, fruttando, al vilissimo corso in cui era ed è tenuta, il 10% circa, non
poteva essere grave ai possessori di pagare il 7%, mentre d’altra parte il ribassare ancora
questo saggio poteva dare eccitamento alla speculazione all’interno e promuovere
l’aumento dell’aggio sull’oro provocando maggiori vendite dall’esterno all’interno»,
Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271,
§ 9, p. 24, ma considera tutti i §§ 9-10.
430
Vedi il quadro generale delle anticipazioni della Banca Nazionale negli anni che
vanno dal 1860 al 1867, Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora
244
Scialoja ha ottenuto somme limitate431, in confronto al disavanzo dello Stato italiano nel
marzo 1865: 625 milioni, secondo i calcoli del governo La Marmora-Sella. Così se nel
dicembre 1864, con il medesimo governo La Marmora-Sella, l’anticipazione era stata di 18
milioni, nel giugno 1868, con il II governo Menabrea-Cambray Digny, è di 32 milioni. 432
Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso documenta poi che la Banca Nazionale nel regno d’Italia amministra un deposito
di somme in conto corrente433 e custodisce titoli, documenti, monete e gioie, secondo
quanto stabilito dai punti terzo e quarto dell'art. 16 degli Statuti. 434 L'apertura di un conto
anche CD1800000271, § 10, p. 26.
431
Secondo il prospetto presentato da Cordova nella relazione del 25 luglio 1868, la
Banca Nazionale nel Regno d'Italia aveva concesso al Tesoro un mutuo di circa 278
milioni di lire. Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1284.
432
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 10, p. 27.
433
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 11, p. 28; cfr. «Come Banca di deposito, [la Banca Nazionale] riceve in
conto corrente le somme che le vengono versate e paga i mandati ed assegni che pel loro
ammontare vengono emessi da chi ne ha il credito: s'incarica per conto dei particolari e dei
pubblici stabilimenti dell'esazione gratuita di effetti esigibili nelle sue sedi e succursali;
tiene una cassa di depositi volontari per titoli e documenti, verghe e monete d'oro e
d'argento d'ogni specie, gioie ed altri oggetti preziosi (articolo 16)», Camera dei deputati,
Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 4, p. 14.
434
Questo l'art. 16 degli Statuti della Banca Nazionale: «Le operazioni della Banca
consistono: 1° Nello sconto di lettere di cambio o di altri effetti di commercio a ordine, che
riuniscano i requisiti di cui nell'art. 24 [titoli da scontare in tre mesi, a condizione che siano
stati emessi in città dello Stato italiano o a Parigi, Lione, Marsiglia e Ginevra, e siano
garantiti dalle firme di tre persone solvibili, di cui per lo meno una domiciliata nella città
sede della banca di emissione]. 2° Nell'incaricarsi per conto dei particolari dei pubblici
stabilimenti dell'esazione gratuita d'effetti esigibili nelle rispettive sedi e succursali. 3° Nel
245
corrente è però riservata alle persone domiciliate nello Stato italiano; con la seguente
limitazione prevista dall'art. 28 degli Statuti:
La Banca rifiuterà di scontare gli effetti così detti di circolazione, che apparissero
non avere per fondamento un'operazione reale di commercio. 435
La Relazione distingue poi le somme da investire o prestare e da restituire, in qualsiasi
momento, ai clienti che ne fanno richiesta, ma senza alcun interesse, in disponibili o non
disponibili, a seconda che la Banca le abbia già incassate o le debba ancora incassare. 436 I
clienti della Banca Nazionale possono quindi effettuare depositi volontari o liberi, da
ritirare quando pattuito; oppure depositi obbligatori o necessari, su cauzione. Con
l’eccezione della succursale di Cagliari che, sin dall'apertura, è stata autorizzata, in base
alla Legge del 27 febbraio 1856, ribadita dagli Statuti del 1859, a incentivare per dieci anni
il risparmio, sui conti correnti non disponibili. Da quella scelta, che il Consiglio superiore
ricevere in conto corrente senza interessi (salvo quanto è disposto dalla legge del 27
febbraio 1856 per la succursale di Cagliari) e senza spese le somme che le saranno versate,
e nel pagare i mandati ed assegni che, a fronte delle medesime e sino a concorrenza del
loro ammontare, verranno emessi da chi ne avrà avuto il credito». Vedi Camera dei
deputati, Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 65.
435
Vedi l'art. 28 degli Statuti della Banca Nazionale, Camera dei deputati Atti … .
Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 66, cit. in Camera dei deputati, Atti
… . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 28.
436
La Relazione riporta, senza commentarla, l'opinione secondo cui «Per un Banco di
circolazione si stima talvolta non senza pericolo il pagare sulle somme che riceve in
deposito un interesse, nel timore che onde far fruttare i depositi, in cerca il Banco d'un
qualsiasi impiego, anche per un termine lontano, espongasi così a trovarsi sprovveduto o
pel cambio dei biglietti in contante o pel ritiro stesso dei depositi», vedi Camera dei
deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 28.
246
della Banca Nazionale ha prolungato oltre il 1866, è scaturita la successiva decisione
d’incrementare la circolazione dei biglietti di banca, estendendo i conti correnti fruttiferi
alle sedi e alle succursali, o filiali, meridionali: Napoli e Palermo; Aquila, Bari, Catania,
Chieti, Foggia, Girgenti, Messina, Reggio di Calabria, Siracusa e Trapani. Insieme a queste
province meridionali, dove la circolazione dei biglietti di banca è assai limitata,
l'autorizzazione a emettere buoni fruttiferi è stata estesa alla Cassa di Risparmio di Milano
e, dal 1867, alla piccola Cassa di Soccorso di Ancona per i colerosi. 437
Nell’insieme, al 31 marzo 1868, la Banca Nazionale ha accumulato centoquarantuno
milioni di lire, in depositi volontari o liberi, così distribuiti: a) settanta milioni in depositi
particolari (tra cui quarantatré a Torino, quattordici a Firenze, sei a Genova e uno a
Milano); b) trentaquattro milioni e mezzo di rendita della Banca; c) trentasei milioni di
rendita sul prestito nazionale del 1866, contratto dal sindacato costituitosi per l’occasione;
d) quattrocentoventiquattro mila lire della cassa di previdenza della stessa Banca. 438
In quella stessa data, di poco successiva al 10 marzo 1868, giorno della nomina della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Banca Nazionale ha
accumulato ottantanove milioni di lire in depositi obbligatori, distribuiti in: 1) otto milioni
in azioni della Banca; 2) tre milioni di capitale nominale; 3) sessantotto milioni in
obbligazioni delle Ferrovie meridionali; 4) dieci milioni in obbligazioni dei canali Cavour.
437
Dal 1862, la Banca paga un interesse sui depositi nei suoi istituti delle province
meridionali «avendo anche in vista di offrire al commercio di quelle provincie tutte le
facilitazioni che alla Banca erano permesse dagli statuti tuttora in vigore, quasi in
compenso di quelle che le ritardate riforme degli statuti stessi le ha finora impedito di
attuare». Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 11, p. 29.
438
Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 11, p. 29.
247
Questi depositi obbligatori dipendono per sette milioni da titoli di garanzia della Banca, per
dieci milioni da effetti garantiti con due firme dal Banco di Sconto e Sete e per i restanti
settantadue milioni e mezzo da effetti garantiti in genere da due o più firme. Tra questi
ultimi spiccano i sessantotto milioni delle Ferrovie meridionali, concessi in cauzione su
cambiali a due firme, le centomila lire per appalti e il resto per l’acquisto di una casa a
Catanzaro e per copie e versamenti pari ad una sola frazione di cambiale. 439
D’altra parte, la Relazione attesta che il numerario importato dalla Banca nazionale, per
integrare la riserva metallica, acquistando carta moneta dalla Francia e da Londra, è
cospicuo già prima del 1860, cioè già prima del III governo Cavour, il cui ministro
dell’Agricoltura e commercio, il livornese Corsi, aveva presentato, nel marzo 1861, il
progetto di legge sulle Camere di commercio e d'industria, approvato il 17 dicembre 1862.
Ancora, l’importazione di denaro effettivo, oscilla tra i ventotto milioni circa del 1853, i
sessantadue del 1855 e i quarantanove del 1859, come risulta dalla relazione annuale della
Banca nazionale, presentata il 19 febbraio 1868, e dai successivi prospetti. Per poi crescere
sino ai centosettantadue milioni del 1862, ridiscendere ai quarantatré milioni del 1866 e
diventare nulla durante il 1867. Mentre la somma di trentacinque milioni di denaro
effettivo importata nel primo trimestre del 1868, è molto maggiore di quelle dell’analogo
trimestre degli altri anni. Il che ha suscitato critiche e censure, tacitate soltanto in parte
dalla spiegazione secondo cui quell'aumento di denaro importato è servito a fronteggiare
439
Vedi Camera dei deputati, Atti .... Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § 12, p. 31. Cfr. la seguente dichiarazione del direttore della Banca
Nazionale nel Regno d’Italia, Bombrini, all’Assemblea del 1867: «Non dubitiamo di
vedere sempre più crescere nell’avvenire questo ramo d’operazioni [i buoni fruttiferi] dal
quale la Banca potrà ricavare utili elementi, quando per straordinarie circostanze si
verificasse il bisogno di darvi un’estensione maggiore di quella attuale», Camera dei
deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 30.
248
eventuali richieste di pagamenti in contanti. 440
III.2.6. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: la circolazione
È questo, forse, uno dei punti in cui il I volume della Relazione della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso svolge considerazioni che, più di altre, vanno al
di là della contingenza, per acquisire un valore generale. Infatti, nel regno di Sardegna,
subito prima dell'unità nazionale, proprio come in ogni economia monetaria, fondata sulla
riserva aurea e argentea e sullo sconto, il deposito e la circolazione di denaro metallico e
cartaceo, l’importazione di denaro effettivo è eccezionale e temporanea, ivi compresa
l’importazione di carta moneta. Ciò dovrebbe comportare un rialzo del tasso di sconto, ma
il Direttore della Banca Nazionale, Bombrini,
pur trovando il rialzo dello sconto «il più logico in teoria e il più efficace in
pratica» in circostanze normali, mostravasi persuaso che, nelle circostanze in cui
versava l'Italia, si sarebbe dovuto spingere tropp'oltre per riuscire all'intento «lo che
non sarebbe confacente alla missione del primo stabilimento di credito dello Stato,
destinato ad essere moderatore delle condizioni del credito dello Stato medesimo».441
La stessa Banca Nazionale favorisce quindi il libero movimento di biglietti pagabili al
portatore o a vista, per un importo massimo di mille lire e un importo minimo di venti lire,
e di cambiali da girare. Così i «biglietti ad ordine» emessi dal 1859 al 1867, diminuiscono
440
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, p. 31, § 12.
441
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, p. 33, § 13.
249
nel 1863, in ragione della minore richiesta dello Stato, mentre quelli richiesti dai depositi
particolari aumentano sino al 18%. Così, nel rendiconto 1867, gli stessi assegni, diminuiti
di numero e di somma, risultano aumentati, se si detraggono le quote di prestito
obbligatorio che le succursali di Firenze hanno acquisito nel 1866, dopo il trasferimento
della capitale da Torino, previo accordi con le province.
Ancora, la Banca Nazionale riscuote compensi nulli sugli assegni emessi dallo Stato e
tenui sugli assegni dei privati. Tranne alcune eccezioni, come la provvigione del cinque per
mille applicata ai biglietti delle succursali al di qua del Tronto, a favore della succursale di
Bari. Ciò nel timore che, a causa delle precarie vie di comunicazione, durante la cattiva
stagione, gli invii di numerario, necessari a garantire la continuità dello scambio, possano
essere bloccati.
Concludendo la ricognizione delle risposte al questionario, la Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso osserva che, dal 1° gennaio 1868, la Banca
Nazionale nel regno d'Italia estende a tutte le sedi e succursali, l’autorizzazione a emettere
assegni, prima limitati alle principali piazze d’affari italiane. Mentre, dal 1866, applica una
provvigione dello 0,5 per mille sulle distanze inferiori ai trecento chilometri e dell’uno per
mille sulle distanze maggiori. E, dal 1860, documenta i suoi utili, distribuiti tra gli azionisti
e per azioni.442
In sintesi, la Banca Nazionale nel regno d'Italia, nel rispondere in forma compiuta ai
quesiti speciali sulle sue origini, i suoi Statuti e i suoi capitali, rivoltile dalla Commissione
442
Le due tabelle sugli utili della Banca nazionale, considerano le seguenti voci:
Capitale versato, Somma totale degli utili, Somma ripartita fra gli azionisti, Somma passata
al fondo di riserva, Residuo, Somma erogata per atti di beneficenza, Guadagno sul capitale
per ogni 100 lire versate dagli azionisti; e gli Anni e le Azioni, vedi Camera dei deputati,
Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, pp. 35 e 36, § 15, ma
considera l’insieme dei §§ 14 e 15.
250
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, descrive la sua intermediazione monetaria,
metallica e cartacea, dai fondi dei risparmiatori, ai prestiti ai produttori; in continuità con la
Banca di Genova e con la Banca Nazionale nel Regno di Sardegna. Dal 1849 al 1867 e
senza stabilire alcuna cesura. Ne scaturisce una Relazione, ricca di notizie e di
informazioni sulla circolazione, gli scambi e i commerci, che divulga presso l’opinione
pubblica italiana la formazione del sistema monetario nazionale, a partire da quella del suo
principale istituto bancario; sostenuta dai principali organi d’informazione di quegli anni.
Grazie per esempio a Il Sole, giornale economico, politico e commerciale, di orientamento
democratico e radicale, che aveva iniziato le sue pubblicazioni il 1° agosto 1865, a Milano,
di cui ho già detto, documentando la critica dell'imprenditore tessile Lualdi alla politica
economica di Sella.443
Quanto alle oscillazioni di valore della lira, dal 1858 al 1867, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso attesta che la Banca Nazionale ha incentivato la circolazione cartacea, tramite il corso forzoso, preparando la guerra per Venezia, con l'emissione di banconote inconvertibili: una politica monetaria simile a quella che aveva preparato la I e la II guerra di Lombardia, ma con maggiori quantità relative. 444 Il corso forzoso è
443
La società Pennocchio e Comp., che il 20 dicembre 1865 aveva assunto la proprietà
del quotidiano, aveva ridimensionato le ambizioni del primo direttore, Giuseppe Guerzoni,
che voleva trasformare il giornale in uno strumento di propaganda elettorale, ma aveva
promosso direttore Giuseppe Mussi. Così, nel giugno 1866, Il Sole vende circa 2.000 copie
al giorno, come documentato dalla lettera di Vincenzo Mazini, socio di uno dei proprietari,
a Semenza, vedi Bairati e Carrubba, La trasparenza difficile. Storia di due giornali
economici: «Il Sole» e «24 Ore», 1990.
444
Per una critica dell’approccio quantitativo ai temi monetari, vedi Giovanni Pavanelli,
Note su moneta e corso forzoso nel pensiero di F. Ferrara, 1990, p. 332. Cfr. «Ferrara …
in un discorso alla Camera distingue puntigliosamente fra il corso forzoso da lui
onestamente riconosciuto inevitabile al fine del ricongiungimento del Veneto all'Italia, e le
251
dunque da spiegare, nel Regno d'Italia come nel Regno di Sardegna, con logiche belliche
ed è perciò giustificato soltanto in parte dalla necessità di incrementare il denaro circolante
e, quindi, i consumi, oltre i limiti quantitativi delle monete d’oro e d’argento. Per questi
medesimi motivi, tuttavia, il corso forzoso finisce con l'incentivare proprio gli effetti speculativi che avrebbe voluto limitare. In particolare perché, pur considerando la fiducia nel
rimborso e la comodità della circolazione
le oscillazioni di valore della moneta fittizia scaturiscono dal sentimento della fiducia, non han vincolo alcuno con le quantità, salvo per altro quella naturale coincidenza che possa avvenire, tra una quantità smodatamente versata sopra il mercato, e
il discredito di cui, foss’anche per questo sol fatto, cada un’amministrazione pericolante ed improvvida.445
Si tratta dunque di considerare anche «il sentimento della fiducia», meglio, i fattori psicologici che, tra fragilità degli istituti di credito e aspettative dei consumatori, condizionano i mercati anche durante il corso forzoso, senza trascurare l’incidenza dell’aggio sul si-
modalità della sua attuazione, che aveva favorito indebitamente la Banca Nazionale. Dato
che il corso forzoso si era risolto in un favore fatto alla Banca, Ferrara esorta ad abolirlo
anche se il pareggio del bilancio non era stato ancora raggiunto», Faucci, L’economista
scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, pp. 213-214 e 233.
445
Vedi Francesco Ferrara, Il corso forzato de’ biglietti di banco in Italia, in «Nuova
Antologia», maggio 1866, pp. 284 e 289. Sull'inflazione da «crisi di fiducia», alla quale fa
riferimento Ferrara in queste pagine, semplificandola con gli assegnati della Rivoluzione
francese, cfr. Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. V, Il Credito, 1884, ora
1970, pp. 285-286. Lampertico considera però l’inflazione da «crisi di fiducia», che è
determinata dalla Comune di Parigi.
252
stema bancario e sull’import export.446 Considerazioni che la Commissione parlamentare
d’inchiesta sul corso forzoso svolge soltanto in parte, nella Relazione finale di cui scrivo in
seguito, condizionata dalla cultura economica italiana del tempo, erede della teoria dell'utilità del romagnolo Luigi M. Valeriani Molinari. 447
III.2.7. Il corso forzoso e l'unificazione monetaria italiana
Esamino allora in maniera nel merito la Legge di unificazione monetaria n. 788 che la
Camera dei deputati aveva approvato il 12 luglio 1862, per favorire l'inserimento
dell'economia italiana nei mercati internazionali. A quella Legge, aveva fatto seguito
ancora una volta, il 24 agosto 1862, un Regio decreto. In questo modo, il re, Vittorio
Emanuele II, il ministro delle Finanze, Sella, e il primo firmatario della Legge, marchese
Pepoli, avevano avviato la reductio ad unum della marea di monete esistenti:
duecentotrentasei, o, addirittura, duecentottantadue, ove si includano le monete circolanti
nelle province venete e romane.
La diffusione della lira italiana e la costruzione del sistema monetario, precondizione di
446
Cfr. A. Rossi, Corso forzato dei biglietti di banca. Relazione alla Camera di
Commercio di Vicenza, 1867; Scialoja, Discorso sulla finanza italiana letto alla Camera
dei deputati il 16 e 17 gennaio 1867 dal Ministro delle finanze Scialoja, 1867; Camillo
Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia dal 1860 al 1928, 1929.
447
Cfr. Luigi Matteo Valeriani Molinari, Saggio di erotemi su quella parte della gius
delle genti, e pubblico che dicesi pubblica economia per uso della cattedra rispettiva in
armonia colla scienza dello stesso gius positivo civile, 1825-1826; Piero Barucci, The
Spread of Marginalism in Italy (1871-1890), in The History of Political Economy, 1972;
Id. 1980; Faucci, L’economia politica in Italia: dal Cinquecento ai giorni nostri, 2000.
Valeriani Molinari (1758/1828) è menzionato da Lampertico quale esponente
dell'utilitarismo monetario, nel IV volume, Il Commercio, del suo trattato incompiuto
Economia dei popoli e degli stati, 1878, pp. 316-322.
253
ogni sistema creditizio, era stata poi lenta e tutt'altro che lineare. L'esatto contrario
dell'unificazione militare che Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi avevano compiuto
nell'arco di pochi mesi; da Quarto a Teano. Gli speculatori, italiani e stranieri, avevano
infatti continuato a utilizzare alcune monete straniere, in particolare la lira e la svanzica
austriache e lo scudo romano, per commerciare con l'Impero asburgico e con lo Stato
pontificio: le due potenze straniere che più di tutte si opponevano al compimento
dell'unificazione italiana. 448 Mentre i capitali della Banca Rothschild di Parigi e della Banca
Hambro di Londra449, affluivano in quantità che, ancora un secolo dopo, nel 1963, Gino
Luzzatto trovava difficili da accertare:
Si è detto e ripetuto da molti stranieri, specialmente fra il 1864 ed il '66, e talvolta
anche da qualche italiano, che l'Italia è stata fatta col capitale straniero; e
l'affermazione, sebbene alquanto esagerata, risponde in larga parte a verità. Ma una
valutazione quantitativa di questo flusso di capitale straniero, che dalla fine del '65 in
poi è stato in buona parte ritirato senza che per questo ne derivasse il crollo che molti
temevano, non è ancora stata fatta.450
D'altra parte, la stessa impossibilità di accertare le quantità, ma direi soprattutto la
448
Vedi: «Nel complesso l'intiera perdita che risulterà dalle operazioni di ritiro e
conversione in moneta italiana delle vecchie monete d'oro, d'argento e di eroso-misto, non
decimali, si è calcolata, giusta l'unito quadro dimostrativo (Allegato n° 5) nella somma di
L. 50,550,050 [...]», Camera dei deputati, Progetto di legge di unificazione del sistema
monetario, sessione 1861, 9 giugno 1862, ora anche archivio.camera.it, Archivio della
camera regia 1848-1943, CD1100029339, p. 11.
449
Cfr. Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969,
p. 393.
450
Vedi Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, p. 53.
254
provenienza, dei flussi monetari veicolati in Italia dalla Banca Rothschild di Parigi e dalla
Banca Hambro di Londra, è la conseguenza della segretezza del sistema bancario
internazionale, sin dalla sua formazione. Né era stato per caso che Vittorio Emanuele II,
Pepoli e Sella avevano assunto quale modello il sistema monetario francese. Del Paese,
cioè, che, dopo la Rivoluzione del 1789 e nonostante la pesante involuzione autoritaria,
successiva alla prise de pouvoir par Napoleone Bonaparte, continuava a rappresentare e a
sostenere le ragioni delle nazionalità nel Continente europeo. Da qui, il sistema monetario
che il medesimo Napoleone Bonaparte aveva riformato nel 1803; su base bimetallica,
aurea e argentea, e con criteri decimali. Così, con l'unificazione monetaria, la moneta
italiana di riferimento era diventata le cinque lire in argento, di gr. 25, pari a cinque lire in
oro, di gr. 1,61. Ciò nonostante, il 14 marzo 1865, il debito dello Stato italiano, già
cresciuto del 47% sul 1861 (1.200 su 2.450 milioni), continuava a crescere, superando il
60%.451 Mentre le banche italiane vendevano i titoli nazionali al 70% del loro valore reale,
con un interesse dell'8%. Pur di rimanere ancorate al sistema monetario internazionale, la
cui formazione Schumpeter così riassumeva, nel 1954:
I banchieri di Londra agivano come rappresentanti o corrispondenti delle banche
di provincia e si mantenevano in relazione piuttosto stretta tra loro – alla fine del
XVIII secolo la stanza di compensazione di Londra (London Clearing House) era
oramai una istituzione bene affermata. Ci troviamo quindi di fronte a un sistema
organico anziché a un certo numero di singoli elementi staccati. Inoltre il sistema
451
Cfr. Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 139; Cilibrizzi, Storia parlamentare
politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed.
1939, p. 545; Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, 1969, p. 85,
che si riferisce però al discorso di Sella del 13 dicembre 1865 sul disavanzo annuo.
255
aveva già trovato o stava rapidamente trovando il suo organo centrale nella Banca
d'Inghilterra, come prestatrice in ultima istanza, secondo l'espressione di sir Francis
Baring.452
Questo «sistema organico», incentrato sulla London Clearing House della Banca
d'Inghilterra, si era avvalso dei checks o assegni «senz'uopo di denaro effettivo», per
incentivare il credito, senza alterare l'equilibrio tra moneta metallica ed equivalenti
cartacei: banconote, titoli, cambiali e assegni.453 Mentre la medesima Banca d'Inghilterra
aveva esercitato la sua funzione di «prestatrice in ultima istanza», attraversando le guerre
napoleoniche, la Restaurazione e la successiva, lunga confrontation tra Impero britannico e
Impero austriaco; un equilibrio che le rivoluzioni democratiche avevano, invece, rotto. E
che Carlo Alberto aveva cercato di ricomporre, per avvantaggiarsene, proprio mutuando il
corso forzoso degli inglesi contro Napoleone, ma sottovalutando la potenza austriaca. In un
processo politico che Cavour aveva ripercorso con ben diversa maestria, iniziando ad
ampliare sul piano istituzionale compiti, funzioni e responsabilità della Camera dei
deputati, alla luce dell'esperienza della Camera dei Comuni del Regno Unito. Per forzare a
sua volta l'orléanismo costituzionale dello Statuto, conseguenza dell'aspirazione a emulare
452
Vedi Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, Capitolo settimo,
Moneta, credito e ciclo, 1. I problemi dell'Inghilterra, (c) La riforma bancaria, p. 852 e nota
12 su Francis Baring (1740/1810), Observations on the Establishment of the Bank of
England, 1797.
453
Sui checks, come Buoni ordinari del Tesoro, vedi Lampertico, Economia dei popoli e
degli Stati, vol. V, Il Credito, 1884, ora 1970, p. 221. In quest'ultimo volume del suo
trattato incompiuto, Lampertico si avvale d'altra parte sia delle relazioni sui temi monetari
svolte all'Accademia Olimpica, sin dai primi anni Sessanta dell'Ottocento, quando l'Austria
dominava ancora su Vicenza e sul Veneto, sia della sua esperienza di presidente della
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.
256
il Regno di Francia. Quel medesimo Statuto che Vittorio Emanuele II, figlio di Maria
Teresa degli Absburgo Lorena di Toscana, aveva lasciato in vigore, unico tra gli Statuti
concessi negli Stati preunitari, anche dopo la tragica sconfitta di Carlo Alberto a Novara e
la fine alla Prima guerra d'indipendenza.
III.2.8. Il corso forzoso e l'Unione monetaria latina
Ricostruita l'unificazione monetaria con cui, dal 1862, il «Governo del Re» facilita tra
l'altro i movimenti della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, considero ora l'Unione
monetaria latina che Francia, Belgio, Italia e Svizzera costituiscono il 23 dicembre 1865, a
Parigi, per proteggersi dalle conseguenze della Guerra civile americana, che avevano
bloccato l'afflusso dei metalli preziosi dal Nuovo al Vecchio continente. 454 Questo lo spazio
commerciale comune, delimitato dalla Convenzione tra Francia, Belgio, Italia e Svizzera:
S. M. l'Empereur des Français, S. M. le Roi des Belges, S. M. le Roi d'Italie et la
Confédération de la Suisse, également animés du désir d'établir une plus complète
harmonie entre leurs législations monétaires, de remédier aux inconvénients qui
résultent, pour les communications et les transaction entre les habitants de leurs Etats
respectifs, de la diversité du titre de leurs monnaies d'appoint en argent, et de
contribuer, en formant entre eux une Union monétaire aux progrès de l'uniformité des
poids, mesurés et monnaies, ont résolu de conclure une Convention à cet effet … .455
454
La Guerra civile americana, iniziata il 12 aprile 1861, a Charleston, nella Carolina del
Sud, dove l'esercito degli Stati confederati d'America attacca l'esercito dell'Unione, di
stanza nel forte federale Sumter, si conclude il 9 aprile 1865, ad Appomattox, Court House,
Virginia, quando il generale Robert L. Lee (1807/1870) si arrende al generale Ulysses S.
Grant (1822/1885).
455
Vedi Recueil des traités de la France, Convention monétaire conclue à Paris, le 23
257
A questa Unione monetaria, che entra in vigore il 1° agosto 1866, dunque tre mesi dopo
il Regio decreto sul corso forzoso, aderiscono in seguito molti altri Paesi, non soltanto
europei, tra i quali Grecia, Austria-Ungheria, Spagna e Venezuela. L'Italia cerca così di
proteggere la sua economia, ancora agricola, e le sue disastrate finanze, giunte ormai
sull'orlo della bancarotta. Tuttavia, proprio l'inconvertibilità legata al corso forzoso
impedisce il rientro dei capitali monetari italiani investiti nella Banca di Parigi e rischia di
determinare ulteriori flussi monetari verso l'estero. La Banca Nazionale stampa allora una
quantità di banconote convertibili, pari al 10% delle monete metalliche circolanti, per
facilitare le operazioni commerciali. In un quadro di crisi economica, aggravato dalla
«guerra per Venezia».456 Da qui, la difesa della Legge sul corso forzoso, che Scialoja aveva
fatto già nel 1867:
La crisi economica e finanziaria di marzo ed aprile, doveva necessariamente avere
effetto ancor più grave in Italia, perché il credito pubblico appresso di noi è più
sensibile a questi avvenimenti, perché contemporanea era ancora la voce, per alcuni
la paura, per noi la speranza, di prossima guerra, perché l'uscita del denaro,
necessitata dai bisogni stessi, che ci fanno volgere all'estero per accettar denaro
cagionava un grande sbilancio nel mercato monetario del Regno, perché infine la
quantità considerevole dei titoli privati italiani, che fluttua nel mercato straniero, e
quella ancora più considerevole dei titoli di rendita pubblica era da quell'agitarsi di
décembre 1865, entre la France, la Belgique, l'Italie et la Suisse, publié sous les auspices
du Ministère des affaires étrangères, 1880-1917, Tome 9, pp. 453-454.
456
Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 296-309.
258
timori e di speranze, spinta come torrente impetuoso, nel nostro paese. 457
D'altra parte, con queste argomentazioni, Scialoja difende sia la Legge sul corso
forzoso, sia il suo operato quale ministro delle Finanze, anticipando in larga misura i
contenuti dell'audizione dell'8 aprile 1868, resa quale Senatore e Presidente di Sezione
della Regia Corte dei Conti, corretta e pubblicata, tuttavia, soltanto alla fine. 458 Ciò che più
457
458
Vedi Camera dei deputati, Atti parlamentari, Discussioni, 2 Novembre 1867.
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso ascolta il senatore
Scialoja, ex ministro delle Finanze e Presidente di Sezione della Regia Corte dei Conti, l'8
aprile 1868, dopo le audizioni di: 1) il presidente della Camera di Commercio di Palermo,
Giovanni Kaiser, assente Lampertico; 2) il ministro delle Finanze, conte Cambray Digny,
assente Lampertico; 3) il commendatore Carlo De Cesare, censore delle società
commerciali e degli istituti di credito, facente funzione di segretario generale del Ministero
di Agricoltura Industria e Commercio, assente Lampertico; 4) il commendatore Teodoro
Alfurno, direttore generale del Tesoro, assente Lampertico; 5) i cavalieri Rodi e Cavanna,
addetti al servizio delle Regie Zecche, senza alcuna assenza; 6) il cavaliere Giacomo Jung,
capo divisione della Regia Corte dei Conti in servizio dei Buoni del Tesoro, assente
Seismit-Doda; 7) il marchese Michele Avitabile, deputato, ex direttore Banco di Napoli,
assente Lampertico; 8) il commendatore Giovanni Lanza, presidente della Camera dei
deputati, assenti Seismit-Doda e Sella; 9) il cavaliere Giacomo Dina, pubblicista e
deputato, assenti A. Rossi e Seismit-Doda; 10) l'avvocato Giuseppe Gutteriez Del Solar,
deputato, assenti Lampertico e Seismit-Doda; 11) il deputato Rodolfo Audinot, assenti
Lampertico, una cui osservazione è tuttavia documentata, e Seismit-Doda; 12) l'avvocato e
deputato Isacco Maurogonato Pesaro, assenti Lampertico e Seismit-Doda; 13) il deputato
professore Nicola Nisco, che presenta alcuni bilanci del Banco di Napoli, assente
Lampertico; 14) l'avvocato e deputato Francesco De Luca, assenti Lampertico e SeismitDoda; 15) il direttore della Banca popolare di Milano, Luigi Luzzatti, assenti Lualdi, A.
Rossi e Sella; 16) il deputato Gaetano Semenza, assente Lampertico. Gli Atti pubblicano,
tuttavia, i verbali dell'audizione di Scialoja per ultima, perché una malattia aveva costretto
l'ex ministro delle Finanze a correggerla soltanto allora. Vedi Camera dei deputati, Atti ....
Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 460-481.
259
conta è tuttavia che, al di là delle critiche dei deputati e, soprattutto, al di là dei dogmi
monetari quantitativi, il corso forzoso, in quanto tale, è un modo di incrementare la
circolazione cartacea, oltre i limiti della circolazione metallica, per facilitare i pagamenti e
accrescere i consumi.459 Considerando che le monete d'argento e di rame si logorano prima
delle monete d'oro e che ciò comporta la progressiva autonomia del loro valore, dal loro
peso e dal peso della moneta d'oro cui la Zecca fa iniziale riferimento per determinare i
valori di tutte le monete. Mentre la stampa delle cedole di carta rafforza la valenza
simbolica del denaro.
La graduale strutturazione del sistema monetario italiano procede in questo modo dalla
lira, che è l'unità di base, alle banche, che mettono a disposizione dei clienti, i depositi o il
denaro di altri clienti, e velocizzano la circolazione monetaria nel suo insieme. A
cominciare dalla Banca Nazionale, che crea depositi e stampa biglietti, emette moneta e la
produce, incrementando la quantità di banconote e di conti correnti. Mentre il «Governo
Monarchico rappresentativo» italiano continua a determinare per legge la quantità di
metallo460 contenuta nelle monete d'argento e di rame equiparate alla moneta d'oro, ma
459
Cfr. l'audizione del 19 aprile 1868: «Bombrini: Il Ministro era tenuto informato
dell'andamento della cosa; […] so che egli aveva ricevuto, e da Società di credito, che non
avevano emissione di biglietti, e da Camere di Commercio molti eccitamenti per mettere il
Corso Forzoso. Alcuni giorni (8 o 10) prima di decretarlo, il Ministro mi domandò: la
Banca cosa poteva fare? Potrà andare avanti? La Banca, io risposi, ha un incasso di circa 3
milioni il giorno; aveva già nel mese di aprile e di marzo incominciato a restringere gli
sconti; forse arrivava al punto di doverli interrompere totalmente. Ma poiché la Banca
incassa tre milioni al giorno, essa può non mancare ai suoi obblighi; cioè può fare il
cambio dei suoi biglietti. Andrà in mezzo ad un monte di cadaveri, ma andrà avanti»,
Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, p. 355.
460
Cfr. «[…] I metalli non solo possono venir conservati con minori perdite rispetto a
qualsiasi altra merce, giacché nulla è meno deperibile dei metalli, ma possono anche venir
suddivisi, senza alcuna perdita, in qualsiasi numero di parti, così come, con la fusione
260
integra la moneta di credito, con la carta moneta statale a corso forzoso e aderisce
all'Unione monetaria latina. Enfatizzando in questo modo il fatto che la moneta è
strumento del credito, titolo che dà diritto, a chi la possiede, di acquistare beni di consumo,
facendone lievitare la quantità, ancora molto limitata in un Paese agricolo come l'Italia di
quegli anni.461
III.2.9. Le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno d'Italia
Completata la ricostruzione del contesto monetario, italiano e latino, entro cui la Banca
Nazionale stampa banconote in corso forzoso, esamino ora la Relazione finale della
Commissione parlamentare d'inchiesta, presentata alla Camera da Lampertico, il 28
novembre 1868. Questo documento, sul quale ho già riportato il lusinghiero giudizio del
direttore della Banca d'Italia, Stringher, che è tuttavia da aggiornare, revoca in dubbio sin
dall'inizio la legittimità del corso forzoso, prima ancora di documentare e di contestare gli
abusi e le speculazioni legati a quella politica monetaria. Enfatizzando, con un classico
espediente retorico, l'opinione, opposta alla propria, secondo cui il corso forzoso è
queste parti possono sempre essere facilmente riunite; qualità che nessuna altra merce
altrettanto durevole possiede e che più di ogni altra qualità li rende adatti a essere gli
strumenti del commercio e della circolazione», Adam Smith, Indagine sulla natura e le
cause della ricchezza delle nazioni, 1776-1789, 1973, introduzione di M. Dobb, p. 27.
461
Vedi: «Non si dice più che le banche “prestano i loro depositi” o “il denaro degli
altri”; si dice invece che “creano” depositi o biglietti di banca: esse appaiono come
produttrici di moneta piuttosto che organi che ne aumentano la velocità di circolazione e
che agiscono – idea completamente irreale – per conto dei loro depositanti», Schumpeter,
Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, Capitolo 6. Valore e moneta, 1. Analisi reale
e analisi monetaria, 5. Credito e banche, (a) Il credito e il concetto di velocità: Cantillon,
pp. 391-392.
261
una necessità ineluttabile ancora perdurante, come il termine inevitabile della
nostra condizione economica, l'effetto di un completo esaurimento della nostra
circolazione monetaria per lo sbilancio commerciale. 462
È questo il giudizio del direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini, formulato
nelle audizioni anche da alcuni interlocutori trasversali, che la Commissione tralascia
tuttavia di richiamare.463 A quel giudizio, la Relazione finale della Commissione
parlamentare d'inchiesta oppone anzi la convinzione che il corso forzoso sia stato
promulgato, il 1° maggio 1866, in preparazione della «guerra guerreggiata in paese, e
guerra che poteva essere disastrosa». Una valutazione, questa, che, anche alla luce delle
successive argomentazioni, è da considerare un momentaneo punto d'equilibrio tra le
differenti opinioni della maggioranza di Cordova, Lualdi, A. Rossi e Seismit-Doda, e della
minoranza di Lampertico, Messedaglia e Sella. 464
462
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § I, p. 403.
463
Vedi l'Audizione del direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini, il 19 aprile
1868, alla presenza di Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Seismit-Doda, assenti
Lualdi e Sella, dopo le comunicazioni del ministro Cambray Digny: Cordova, Presidente.
Quesito 3°. «Era necessario il corso forzoso?» Bombrini. «In presenza delle condizioni del
tempo, mi pare, che il Governo, volendo sostenere il commercio e far fronte ai bisogni che
aveva per prepararsi alla guerra, la quale stava per incominciare fra pochi giorni, non avesse, per quanto era da lui, altro mezzo. Non so come avrebbe potuto altrimenti provvedere»,
Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, p. 354.
464
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, p. 404. Il § I così prosegue: «Per soli argomenti bancarii, per iscongiurare
un momento, come, per esempio, quello del 1825, e ben altri ancora successivamente in
Inghilterra, anche la minoranza conviene che non era il caso del corso forzoso. Ma era
questo mai il caso nostro allora? Chi dopo due anni può mettersi a giudicare di cause che
262
A questa mediazione, fa seguito la scelta di rimarcare i diversi tentativi di fronteggiare
la crisi finanziaria, che Scialoja, ministro delle Finanze del II governo La Marmora, aveva
esperito prima di adottare il corso forzoso: dal rialzo del tasso di sconto, all'incremento del
tasso di interesse, necessario per consolidare i depositi, al sostegno degli Istituti bancari in
difficoltà. Tutto ciò, muovendo dalle gravi condizioni finanziarie del Tesoro, che nell'aprile
1866 aveva in Cassa soltanto ventuno milioni di lire in contante, su un totale di
novantacinque milioni. E che era inoltre costretto a considerare inalienabili i biglietti e le
obbligazioni, la cui vendita avrebbe migliorato le condizioni della circolazione monetaria,
ma avrebbe avuto pesantissime conseguenze sul credito. Sicché il ministero delle Finanze
era intervenuto nella crisi finanziaria, limitandosi a emettere Buoni del Tesoro, entro il
limite rappresentato dai depositi della sua stessa Tesoreria. Con conseguenze che sarebbero
state ancora più gravi, se il «Governo del Re» avesse adottato il corso forzoso dopo l'inizio
della «guerra per Venezia». Da qui, la scelta di chiedersi, ancora con un artificio retorico,
se le cause che avevano determinato la promulgazione del corso forzoso, permangano:
poiché nel mondo economico e finanziario, come nel mondo materiale, mal si
cerca la cessazione di un danno, di una sofferenza, di un morbo, o la si spera, se le
cause da cui venne originato non si studiano e non si rimuovono, – prima condizione
onde potere risalire all'intento. 465
La Commissione parlamentare d'inchiesta documenta quindi che la Banca Nazionale nel
Regno d'Italia aveva ricevuto le sollecitazioni del Credito Mobiliare di Torino e Firenze,
ebbero la loro radice, non solo in fatti conosciuti, ma in presentimenti e previsioni?».
465
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § II, p. 406.
263
del Banco Sconto e Sete di Torino, della Cassa Generale di Genova e della Cassa di
Sconto di Torino. E che, per rispondere quegli allarmi e a quei clamori sulle condizioni
creditizie del Paese, la medesima Banca Nazionale
diminuiva dovunque gli sconti provocando i reclami, creava ostacoli al cambio dei
suoi biglietti, negava le anticipazioni, o i riporti di quelle in corso e scadenti e così
turbava gli animi e le opinioni, rendendo malagevole in allora quel tranquillo
giudizio sulla posizione, che oggi, sedata l'artificiale procella, subentrata la fredda
analisi della critica e degli interessi, è non solo possibile, ma necessario. 466
I timori di un'improvvisa crisi di solvibilità si dimostravano però ben presto infondati,
lasciando semmai emergere le manovre bancarie con cui proprio la Banca Nazionale e gli
Istituti di credito minori a essa collegati, continuavano ad avvantaggiarsi delle somme
erogate, tramite sconti e anticipazioni. Mentre la voce dell'imminente inconvertibilità
alimentava la ressa agli sportelli, dove si operava il cambio delle banconote; senza che ciò
suscitasse alcuna reazione da parte dei diretti interessati. Con la commendevole eccezione
del Vice presidente della Camera di Commercio di Genova, il cavaliere Giacomo Millo 467
466
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § III, p. 408.
467
Vedi la Lettera riservata di Giacomo Millo, vice presidente della Camera di
Commercio e d'Arti di Genova (N. 2401), scritta il 26 aprile 1866: «All'Illustrissimo signor
Ministro delle Finanze. Il sottoscritto deve di bel nuovo rivolgersi a codesto Ministro per
rappresentargli la triste condizione in cui si trova il commercio di questa piazza, ed i gravi
pericoli a cui si va incontro per la eccessiva ristrettezza degli sconti operati dalla Banca.
[…] Il sottoscritto spera che prendendo in considerazione queste sue istanze la S. V. Ill.ma
vorrà adottare pronti e necessari provvedimenti reclamati dall'urgenza della situazione»,
Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II, Documento n. 8, 1868, ora anche
264
che, in una lettera al ministro delle Finanze, Scialoja, gli chiedeva di adoperarsi perché la
Banca Nazionale applicasse il rialzo dello sconto, anche a costo di indebolire gli Istituti
bancari minori; pur di preservare il Paese dal corso forzoso. Senza ottenere però alcun
risultato. La Banca Nazionale, infatti, resisteva a quelle sollecitazioni e alle successive
raccomandazioni dello stesso ministro e si rifiutava sia di rialzare il tasso di sconto, sia di
usare il conto corrente a interesse. Distinguendosi in questo modo dalle decisioni assunte
dal governo parlamentare inglese468, in seguito alle pressioni della Banca di Londra che,
pur di evitare l'emissione di banconote inconvertibili, aveva elevato del 10% il saggio di
sconto. La Banca Nazionale si era altresì distinta dalla Spagna, che pure era impegnata
nella guerra contro la Francia; e dalla stessa Francia, costretta a fronteggiare guerre, crisi
agrarie e monetarie e, soprattutto, la fuga dei capitali all'estero. Per tacere del crollo della
circolazione metallica a Napoli, nel 1848, che Ferdinando II aveva affrontato senza fare
ricorso all'inconvertibilità delle Fedi di credito e alla creazione di carta moneta, o della
crescita della rendita, incentivata proprio dal corso forzoso, o dell'esportazione dell'oro
durante i primi quattro mesi del 1866, quando, come documentato dal listino dei cambi,
l'oro affluiva in Italia, dall'Inghilterra e dalla Francia, più di quanto non ne defluisse.
CD1800000273, p. 28. Cfr. Giacomo Millo, Brevi osservazioni sulla situazione finanziaria
e sul corso forzoso in Italia, Genova 1868, in Camera dei deputati, Atti … . Relazione a
stampa, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, III parte, Opuscoli, lettere e progetti, pp.
657-670.
468
Vedi «Nel 1836, nel 1847, nel 1857, l'Inghilterra ebbe a durare terribili crisi; nel 1866
stesso (appunto in quella crisi che si volle dire anco italiana, mentre non fu che inglese e
senza contraccolpo tra noi) l'Inghilterra vide lo sconto salito sino al 10 per cento; ma il
'praticismo' [apici miei] inglese non pensò neanche, rammentando altri tristissimi tempi, al
corso forzoso», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § III, p. 410.
265
III.2.10. I compiti del ministro delle Finanze
Detto del punto di vista economico, la Relazione finale della Commissione parlamentare
d'inchiesta si sofferma sulle motivazioni amministrative e finanziarie del corso forzoso,
giudicate altrettanto pretestuose. Il Commendatore Teodoro Alfurno, Direttore Generale del
Tesoro, ha infatti documentato che, dieci giorni prima dell'approvazione della Legge
Scialoja e del successivo Regio decreto n. 2873, la Cassa disponeva di quasi novantasei
milioni di lire, sessantotto dei quali in fedi di credito dei Banchi di Napoli e di Sicilia e in
biglietti pagabili al portatore e a vista, della Banca Nazionale nel Regno d'Italia e della
Banca Nazionale Toscana.469 Mentre, dei centonovantacinque milioni in circolazione, sui
duecentocinquanta milioni di Buoni fruttiferi prestati al Tesoro, con un tasso di interesse
dell'1,5%, trenta milioni appartenevano proprio alla Banca Nazionale, che si rifiutava di
rinnovarli, nonostante il debito contratto con lo Stato. Enfatizzandone, al contrario, la
svalutazione, come sostenuto da Bombrini in una lettera al ministro delle Finanze e
nell'audizione davanti la Commissione. 470 Enfasi contraddetta, a giudizio della
469
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § IV, p. 412. Il Direttore Generale del Tesoro, Alfurno, contribuisce alla
Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso con il Rapporto
del 21 aprile 1866, al Ministro delle Finanze, Scialoja, e con le Audizioni del 31 marzo
1868 e del 1° aprile 1868, cfr. Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II,
1868, ora anche CD1800000272, Documento n. 3, pp. 19-22; Camera dei deputati, Atti … .
Relazione a stampa, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 55-76 e 77-81. Durante
la prima di queste audizioni, Lampertico è assente; la seconda audizione avviene, invece,
alla presenza di tutti e sette i componenti della Commissione.
470
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § IV, p. 414. Cfr. Lettera della Direzione Generale della Banca Nazionale
nel Regno al Ministro delle Finanze (N° 655), Firenze, 26 aprile 1866: «All'illustrissimo …
Onde l'egregio signor Ministro possa giudicarne, gli rende noto esser venuto a sua
cognizione che in questi giorni si offre qui ed altrove la cessione dei Buoni del Tesoro
266
Commissione parlamentare d'inchiesta, dall'andamento degli analoghi Buoni fruttiferi
emessi dal Banco di Napoli, per la più modesta cifra di dieci milioni. Mentre proprio la
Direzione Generale del Tesoro asseriva che il fondo di novantasei milioni era di gran lunga
maggiore di quello necessario a garantire tutti i servizi, sino a giugno, «anche senza porre a
calcolo le economie introdotte nel secondo progetto di bilancio».471
Né, ancora, sempre secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta, l'introduzione del
corso forzoso aveva giustificazioni politiche, visto che, per preparare la Terza guerra
d'indipendenza, i ministeri della Guerra e della Marina avevano cumulato sei anni di
passivo. E che, nelle settimane precedenti l'inizio del conflitto, il Paese, ma qui la
Commissione avrebbe dovuto dire il «Governo del Re», si era «mostrato calmo, e parato a
sacrifizii nuovi e supremi, onde potere aggiungere, attesa e diletta ospite, la sofferente
Venezia alla famiglia italiana ricostituitasi alfine a nazione ». Non è infatti per caso, osservo
a mia volta, che Scialoja, il 18 aprile 1866 si era impegnato a fare a meno del corso
forzoso, ma il 30 aprile, lo aveva invece imposto. Dopo che, il 20 aprile, l'Italia si era
alleata con la Prussia e, il 21 aprile, la Prussia aveva aderito al disarmo proposto
dall'Austria, senza che fosse intervenuto alcun fatto politico nuovo. 472 Da qui, la seguente,
circostanziata critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta rivolge a Scialoja:
scadenti in luglio prossimo a 4 per cento di perdita, oltre uno sconto di 8 per cento, per i
giorni a decorrere fino alla scadenza. A queste condizioni, che costituiscono un impiego
all'enorme tasso di circa 25 per cento, essi buoni non trovano prenditori», Camera dei
deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, Documento
n. 9, p. 29.
471
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § V, p. 415.
472
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § VI, p. 418.
267
E da parte del Ministro delle Finanze, realizzare a poco a poco i larghi crediti
dello Stato verso la banca; chiederle i 32 milioni, che essa doveva per legge, in conto
corrente al 3 per cento (e che non le si chiesero sino al giugno 1868); autorizzare, alla
peggio, il corso legale, senza il privilegio della esclusiva inconvertibilità, ai suoi
biglietti; – e, ciò fatto, quando fosse venuta la vigilia della guerra, chiedere al paese
un prestito immediato, anche di soli 100 milioni in oro, ed avutili, depositarli alla
Banca per averne da essa a mutuo 300 in biglietti (a termini dei suoi Statuti pella
riserva metallica); – questo era il compito del Ministro delle finanze. 473
Questa critica tecnica è argomentata poi con un esempio storico, in riferimento a Pitt il
giovane che, nel 1797, aveva introdotto l'inconvertibilità temporanea, per adottare il corso
forzoso, durante la guerra contro Napoleone. A significare il carattere estremo di questa
politica monetaria, che ha sempre pesanti ripercussioni sulle povertà.
La confutazione delle cause, economiche, amministrative e finanziarie, e politiche,
addotte per giustificare il corso forzoso, si conclude in questo modo, alla fine dei primi sei
paragrafi, «ceduti dalla cortesia del Relatore alla redazione di uno dei Membri della
Maggioranza, per incarico della medesima».474 Senza che il tentativo di comporre la
473
A Scialoja, la Commissione parlamentare d'inchiesta imputa poi il gravissimo errore
politico di avere trascurato alcune misure indispensabili per garantire la corretta attuazione
del corso forzoso: l'emissione di banconote di piccolo taglio e la riforma degli Statuti della
Banca Nazionale, che prevedevano ancora quale unico limite quello di un terzo del
contante esistente come riserva del cambio. Aggiungendo che sarebbe stato comunque
necessario svolgere un'indagine sulla consistenza della circolazione metallica e
determinare i limiti atti a garantire la circolazione monetaria dagli accresciuti oneri delle
esportazioni e dei commerci interni: dai salari, ai prezzi. Vedi Camera dei deputati, Atti … .
Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VI, pp. 420-421.
474
È impossibile individuare con certezza chi, tra i quattro componenti la maggioranza,
268
lampante contraddizione con i passi del primo paragrafo, nei quali l'introduzione del corso
forzoso è spiegata con l'imminenza della Terza guerra d'indipendenza, riesca convincente.
Specie se si considera che Carlo Alberto aveva affidato il corso forzoso alla Banca di
Genova, nell'imminenza della Prima guerra d'indipendenza, e che Vittorio Emanuele II lo
aveva demandato alla Banca Nazionale nel Regno di Sardegna, per preparare la Seconda
guerra d'indipendenza. Come emerso dalle risposte della Banca Nazionale nel Regno
d'Italia, ai «quesiti speciali» del questionario.
III.2.11. Instabilità monetaria, scomparsa dei contanti e rarefazione dei commerci
La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, divisasi sulle cause del
corso forzoso – che la maggioranza di Cordova, Lualdi, A. Rossi e Seismit-Doda, giudica
immotivato, e la minoranza di Lampertico, Messedaglia e Sella, al contrario, lecito –
diventa invece unanime sulla necessità e sulla possibilità di abolirlo. Denunciando, tra le
tante penalizzazioni che quella politica monetaria comportava, questa volta sì, per il Paese,
quella che considera la più grave: l'instabilità dei valori monetari. A cominciare dall'aggio
sull'oro, che variava di giorno in giorno, alterando la media mensile, con sbalzi subitanei e
molto consistenti. Senza che questo danno fosse bilanciato da alcun vantaggio per le
industrie italiane, in termini di prezzi o di salari. Facendo anzi temere effetti simili a quelli
che lo svilimento della moneta aveva determinato in Inghilterra ai tempi della regina
Elisabetta, quando il Parlamento era stato costretto a introdurre le Leggi di assistenza per i
sia l'autore dei primi sei paragrafi delle Conclusioni della Commissione parlamentare
d'inchiesta sul corso forzoso: Cordova, che è però deceduto il 16 settembre, e A. Rossi,
della Destra, e Lualdi e Seismit-Doda, della Sinistra. Mancano infatti gli elementi stilistici
e i riferimenti empirici necessari per rendere univoca l'attribuzione. Né è d'aiuto la
calligrafia delle minute dei verbali.
269
poveri.475 E causando sia l'aumento delle esportazioni, a fronte delle importazioni, sia la
crisi della distribuzione. 476
Tra gli altri effetti negativi del corso forzoso, la Relazione finale della Commissione
parlamentare d'inchiesta denuncia poi la scomparsa del contante che, se ha il paradossale
effetto positivo di costringere gli utenti a superare la diffidenza nei confronti della carta
moneta come mezzo di pagamento, depriva però i metalli del loro valore di merce
475
Per un’analisi delle condizioni dei poveri, durante il regno di Elisabetta I (1533/1603,
regina d'Inghilterra dal 1558), vedi sir Frederick Morton Eden (1766/1809), The State of
the Poor: or an History of the Labouring classes in England, from the Conquest to the
Present period In which are particularly considered, their Domestic economy, with respect
to Diet, Dress, Fuel, and Habitation; and the various Plans which, from time to time, have
been proposed, and adopted, for the Relief of the Poor: Together with Parochial Reports
Relative to the Administration of Work-houses, and Houses of Industry; the State of
Friendly Societies; and other Public Institutions; in several Agriculture, Commercial, and
Manufacturing, Districts. With a large Appendix containing a comparative and
chronological table of the Prices of Labour, of Provisions, and other Commodities; an
Account of the Poor in England and many original documents of Subjects of Natural
Importance, voll. 1-3, London, 1797, vol. I, libro I, cap. I, pp. 1, 2 e prefazione pp. XVIIXX, vol. II, cap. I, p. 421. Cfr. Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, in particolare,
pp. 785-786 e nota 197; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 334.
476
Vedi: «I vantaggi [del corso forzoso], comunque addotti, sono così ristretti, così
temporanei, ed anche così incerti, potendo benissimo ascriversi, come dicemmo, a cause
più efficaci e sicure, che non è d'uopo insistervi più oltre. Non rimangono che danni, si può
dire, unanimemente riconosciuti, e che il Malthus stupendamente compendia allorché dice
che “alterare l'agente della circolazione, è cangiare la distribuzione dei prodotti”», Camera
dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VII, p.
422. Questa citazione di Robert Th. Malthus (1766(1834) è da porre in relazione con gli
studi di Messedaglia sulla teoria della popolazione e, da ultimo, con i suoi Appunti dal
Corso di economia politica all'università di Roma, 1899, compilati da Roberto Ferrari, in
Vitantonio Gioia e Sergio Noto, a cura di, Angelo Messedaglia e il suo tempo, 2011, pp.
437-566.
270
universale, moneta, riducendoli a merci come le altre. Con conseguenze che investono
addirittura l'ordine pubblico, soprattutto nelle province meridionali, dove la scomparsa
delle monete contanti si accompagna all'incetta delle monete spicciole e all'impossibilità di
svolgere le contrattazioni minute. Costringendo governati e onorevoli a invocare «attenta
ed energica la vigilanza del Governo per impedire e punire la speculazione».477
Durante il corso forzoso, la scomparsa delle monete spicciole è, d'altra parte, molto
difficile da contrastare; né c'è alcuna norma giuridica in grado di farlo.478 La Commissione
parlamentare d'inchiesta menziona così l'esempio dell'Impero austriaco dove, dalle Patenti
del 26 maggio 1746, al Decreto ministeriale del 1° ottobre 1860, leggi e provvedimenti
disciplinari avevano cercato di colpire l'aggiotaggio delle piccole monete d'argento e di
rame: con multe di cinquanta fiorini, contravvenzioni scontate per chi collaborava,
l'intervento delle guardie di finanza e la confisca delle merci che facilitano i profitti illeciti.
477
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § VIII, p. 423.
478
Cfr. «se monete che contengono metallo di valore differente hanno la stessa capacità
liberatoria legale, allora quelle “cattive” saranno adoperate per i pagamenti mentre quelle
buone tenderanno a sparire dalla circolazione: ovvero, per usare la frase solita ma non del
tutto esatta, la moneta cattiva scaccia la buona. Questa proposizione ricorre nel Proclama
reale che “deprezzava” la moneta argentea cattiva nel 1560, quando si sa che Gresham era
stato il principale consulente governativo in materia. Esiste anche un suo memorandum
(1559) che sostiene questa tesi. La così detta “legge” può trovarsi in molti scrittori
anteriori. Considerandone la natura banale, la questione della priorità è tuttavia priva
d’interesse», Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 419.
Schumpeter fa qui riferimento a sir Thomas Gresham (1519/1579), il finanziere inglese,
principale consulente monetario del governo di Sua Maestà britannica Elisabetta I, che nel
1558 aveva fondato a sue spese la Borsa di Londra. Cfr. anche il paragrafo XIII. La moneta
e i poteri pubblici. La legge detta di Gresham, del capitolo IX. Ancora della moneta,
Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. IV, Il Commercio, 1878, pp. 256-260.
271
Misure rivelatesi tutte inutili perché:
Dalle province dell'Impero austriaco, dove la moneta spicciola era uno spezzato
della moneta di carta, essa affluiva quindi, ciò nulla ostante, nel Veneto, dove, non
essendovi il corso forzoso, diveniva uno spezzato della moneta d'argento; e ne
provenne un vero ingombro, nel Veneto, nel tempo stesso che una totale penuria nelle
altre provincie dell'Impero. Questo fatto dimostrava per se stesso l'inutilità di tutti
quei divieti; poiché evidentemente, se la moneta spicciola non si fosse, a dispetto di
essi, venduta, non sarebbesi punto potuto comprarla nel Veneto. 479
Questi passi della Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
corso forzoso evidenziano, in forma già nitida, due tratti distintivi dell'impostazione
politica ed economica di Lampertico: da un lato, la sua aspirazione a garantire, in qualche
forma, la continuità con il buon governo austriaco, caratterizzato, sin dal regno
dell'imperatrice Maria Teresa, dal tentativo di emulare la trasformazione dello Stato
prussiano, da Stato di polizia, in Stato di diritto, e dalla conseguente estensione
dell'obbligo fiscale alla nobiltà e al clero, e, dall'altro, il liberismo di matrice inglese,
temperato dal cattolicesimo solidale. 480
III.2.12. Violazioni e anomalie legate al corso forzoso
È per questo motivo che la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta
479
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § VIII, p. 424.
480
Sul liberismo di Lampertico, temperato dal cattolicesimo solidale, vedi Sensales,
Fedele Lampertico, 2011, ad indicem.
272
sul corso forzoso fanno riferimento alle Pubbliche amministrazioni, alle Banche popolari e
alle industrie private dell'Impero austriaco che, per migliorare la circolazione monetaria,
consapevoli dell'inutilità di divieti e proibizioni, emettono biglietti di piccolo taglio o
biglietti al portatore pagabili a vista: un titolo fiduciario, quest'ultimo, stigmatizzato come
non conforme alle leggi vigenti. A quella stessa forzatura della legalità è poi legata la
perdita di autorevolezza del governo italiano, che aveva tentato di impedirla, esponendosi a
trasgressioni incoraggiate dai pubblici contabili e, talvolta, persino dai Prefetti. Per non
dire dei privati, il cui agire economico si svolgeva fuori dalla legge ed era perciò stesso al
riparo da ogni sanzione.
Si ebbe così (conchiudeva la prima Relazione della nostra Commissione) la strana
anomalia della sorveglianza sulla circolazione autorizzata, circondata di garanzie
statutarie, di autorizzazione; e dall'anarchia nella circolazione non autorizzata, che
non dà buona sicurtà di sé, che non è un esempio di fortunata inosservanza delle
leggi, che prepara difficoltà, pericoli, e forse anche dispendii dello Stato per l'epoca
della cessazione del Corso Forzoso.481
L'instabilità dei valori monetari, la più grave tra le conseguenze del corso forzoso è,
tuttavia, legata all'eccessiva quantità delle banconote stampate. Così per es. il Bullion
Report del 1810, presentato dal Select Commettee della House of Commons, aveva avviato
481
Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § IX, p. 426. Quella qui citata è la Prima relazione della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso. Documenti, vol.
II, 1868, ora anche CD 1800000272, documento 89, p. 1285.
273
il ritorno alla convertibilità.482 Dopo aver documentato gli effetti inflattivi del Restriction
Act del 3 maggio 1797. Anche se poi, nel 1812, il corso forzoso, con la relativa precarietà
monetaria, «lungi dall'abolirsi, riceveva nuova conferma e più completa attuazione».483
Tornando poi all'emissione non autorizzata dei biglietti al portatore pagabili a vista, la
Commissione parlamentare d'inchiesta richiama le decisioni assunte dall'Assemblea del
Commercio e dell'Industria di Biella, in alcuni passi legati con tutta evidenza all'esperienza
di Quintino Sella. Quell'Assemblea aveva infatti deliberato di respingere i biglietti emessi
dai privati o dalle società private, con l'eccezione della Società generale degli Operai. Subordinando tuttavia questa autorizzazione alla documentazione della presenza in cassa
dell'equivalente di quei biglietti, in moneta legale, o in Buoni del Tesoro, o in fondi pubblici quotati in Borsa, o in cambiali.
Ne era scaturita la paradossale conseguenza che i biglietti al portatore pagabili a vista,
rifiutati a Biella, cercarono esito altrove. Il popolo, infatti, avendo bisogno di una qualsiasi moneta spicciola, la accetta anche falsa, purché ve ne sia una qualunque. Causando quel
disordine monetario che la medesima Commissione parlamentare d'inchiesta aveva proposto di contenere, il 25 luglio 1868, con la Prima relazione presentata da Cordova e, in particolare, con la Legge che sostituiva i biglietti emessi dagli Istituti bancari territoriali, con i
sei milioni di biglietti della Banca Nazionale da una lira. A integrazione dei biglietti da due
482
Sulla proposta di ripristinare la convertibilità aurea della sterlina, per proteggere il
valore aureo della moneta nazionale e contenere l’inflazione, vedi David Ricardo, Sui
principi dell’economia politica e della tassazione, 1815-18213, introduzione di Fernando
Vianello, ed. 1976, p. 167; Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, 19706, pp. 129 e note 52 e 53,
175-177 e note 108-114; Roncaglia, La ricchezza delle idee Storia del pensiero economico,
2001: 212-215 e note; Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 337340 e note.
483
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, p. 428.
274
lire, messi in circolazione nel 1867. Senza ovviare per questo al fatto che la stampa dei biglietti a corso obbligatorio era stata permessa soltanto alla Banca Nazionale nel Regno
d'Italia. Un privilegio bilanciato, almeno in parte, dal fatto che, il 2 maggio, un successivo
Decreto regio aveva limitato a un dodicesimo della massa metallica custodita, la quantità
dei titoli fiduciari che gli altri Istituti bancari potevano scambiare con la medesima Banca
Nazionale. Per impedire qualsiasi altro privilegio. È questo il motivo per cui, considerando
la disposizione contenuta nell'articolo 12 del Regolamento per l'esecuzione della Legge sul
credito fondiario e le relative critiche del Banco di Napoli, la Commissione parlamentare
d'inchiesta raccomanda
al potere esecutivo, che ciascuno degli Istituti di Credito fondiario sia sciolto da
un limite che non può essere se non d'impaccio, e che per le sue anticipazioni, e per
l'interesse sopra queste, non abbia altra norma che quelle dettate dai proprii Statuti ed
a cui la legge del Credito fondiario espressamente si riferisce.484
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso muove poi le seguenti altre
contestazioni: a) sulla responsabilità della falsificazione dei biglietti della Banca Nazionale
nel Regno d'Italia, in particolare di quelli da 10 o da 5 lire, che la medesima Banca imputa
al governo; b) sul prestito, concesso al governo dalla Banca Nazionale, di cento milioni
sulla vendita delle Obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, in cambio dell'autorizzazione a
trattenere in cassa un numerario di quaranta milioni in Vaglia del Tesoro; c) sulla trasmissione dei fondi tra le sedi e le succursali della Banca Nazionale e le Tesorerie dello Stato,
accresciuta di anno in anno, dai centosettantuno milioni del 1862, ai seicentotrenta del
484
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XII, p. 431.
275
1866 e agli oltre due miliardi del 1867; d) sul progressivo aumento dell'aggio sul denaro
dello Stato consegnato alla Banca Nazionale, senza che essa lo utilizzasse subito a favore
dello Stato.485
III.2.13. Ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato
Prende corpo in questo modo, con sempre maggiore nettezza, la critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso rivolge al ministero delle Finanze; si badi
bene al ministero, piuttosto che al ministro, che nel 1868 e dal 1867, è Cambray Digny,
non più Scialoja, al quale avevano comunque fatto seguito Depretis, Ferrara e Rattazzi.
Questa critica investe in particolare il modo in cui il ministero delle Finanze registra le
operazioni tra la Banca Nazionale e lo Stato; senza documentarle né nel loro insieme, né
nella loro evoluzione giornaliera. Una critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta
sul corso forzoso estende alla rendicontazione confusa delle operazioni ordinarie e speciali
della Direzione del Tesoro. Con saldi che dovrebbero essere settimanali e non sono neanche mensili e considerando le somme dello Stato, talvolta cospicue, rimaste improduttive,
ma meglio sarebbe stato dire inutilizzate. Considerando la difficoltà di distinguere tra masse monetarie produttive e improduttive, in un Paese ancora mercantile e agrario, come l'Italia dell'Ottocento.
La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso pone
così sotto accusa, sentito il parere della Corte dei Conti, l'alienazione dei Buoni del Tesoro,
realizzata, invece che con la vendita dei capitali di privati cittadini, con la negoziazione tra
Stato e Istituti di credito; mediante provvigioni che superano il tasso d'interesse prefissa-
485
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XIII, p. 434.
276
to.486 Rimettendo poi in discussione, al di là della minuziosa ricostruzione di altre particolari speculazioni, l'insieme dei rapporti tra la Banca Nazionale e lo Stato. Dopo aver stigmatizzato altri due fatti: aa) la differenza tra il valore dell'oro e delle banconote che la Società dell'Alta Italia per le strade ferrate ha pagato allo Stato e che questi ha ceduto alla
Casa Stern, con la Convenzione del 5 settembre 1866; bb) la vendita alla Banca Nazionale,
da parte del ministro delle Finanze, di titoli del prestito nazionale del 1866, ceduti a condizioni inferiori a quelle accordate a un contraente privato. Senza trascurare, in entrambi i
casi, che i vantaggi e gli svantaggi delle relazioni tra la Banca Nazionale e lo Stato vanno
considerati nel loro insieme, ma giorno per giorno. 487
La questione centrale da affrontare è allora la riforma degli Statuti della Banca Nazionale, necessaria per ovviare a eventuali violazioni, affermando la legalità. Considerata la differenza tra il Regno di Sardegna, nel quale il re aveva promulgato gli Statuti, e il Regno
d'Italia, dove il medesimo re aveva invece promulgato il corso forzoso. 488 Questa riforma
degli Statuti della Banca Nazionale è d'altra parte indispensabile anche per ricostituire la ri serva metallica, deterrente di ogni alterazione della circolazione monetaria, ma, soprattutto,
salvadanaio che garantisce la continuità dei pagamenti. Da accumulare attraverso il presti486
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XIV, p. 436.
487
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XV, p. 438.
488
Vedi: «Intanto è un fatto che gli statuti legali del 1° ottobre 1859 rimasero, né più né
meno, anche dopo che un decreto reale portò da 40 a 100 milioni il capitale della Banca, e
la banca stessa ebbe a dichiarare che oramai sarebbe necessaria una revisione de' proprii
Statuti; anzi, allorché applicò il conto corrente a interesse, nelle Provincie Meridionali,
dichiarò che questo sarebbe un compenso per quei maggiori aiuti al commercio, che essa si
riprometteva di poter portare mediante la riforma degli Statuti», Camera dei deputati, Atti
… . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XVI, p. 439.
277
to estero, oppure, con le esportazioni. Considerando le tendenze dell'aggio sull'oro e della
rendita.
La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso completa così la ricostruzione delle cause che avevano portato, prima il Parlamento ad approvare, con un solo voto
contrario, la Legge sul corso forzoso proposta da Scialoja e poi Vittorio Emanuele II a promulgare il relativo Regio decreto. La Commissione denuncia, tuttavia, soprattutto le responsabilità della Banca Nazionale. Esplicitando un'impostazione che sarebbe anacronistico definire programmatica, ma che è comunque propositiva, secondo lo stile e la cultura
economica di Lampertico.
Da qui, la scelta di distinguere gli sconti che la Banca Nazionale applica ai banchieri, ai
manifattori e agli agricoltori; una scelta alla quale fa seguito il tentativo di delineare un sistema creditizio, facendo tesoro delle esperienze di alcuni Paesi europei. Dalla Scozia,
dove i Banchi finanziano l'agricoltura, ma insieme con l'industria; alla Francia, che ha istituito anche i Banchi di garanzia, e al Belgio, dove la stessa Banca ha fondato i Comptoirs
cointéressés. Mentre, in Italia, il Congresso delle Camere di Commercio ha auspicato la
formazione di Istituti di credito legati alla Banca Nazionale, ma da essa indipendenti. 489
Da qui, la proposta di elaborare una Legge che ponga fine al monopolio di una Banca
Unica, vera eccezione italiana nel panorama europeo, dando spazio a quelle forze, intellettuali, civili, economiche, che hanno un'orbita di moto lor propria e respingono perciò
l'idea stessa dell'accentramento monopolistico. Per procedere, semmai, sulla strada della
diversificazione del sistema creditizio, secondo l'esempio della National Provincial Bank
of England: dal biglietto di banca, che è un semplice impegno di pagamento, al biglietto al
portatore, e alla cambiale, derivata dalla Legge germanica di cambio, ben più che dal Codi489
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XVII, p. 442.
278
ce napoleonico. Forme che rappresentano, tutte, la promessa di una certa somma in contante, volta a incrementare gli affari e, con essi, la circolazione monetaria, attraverso le
partite di giro, gli assegni al portatore e i conti correnti a interesse; invece che soltanto tramite le banconote.
Del resto, prosegue la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul
corso forzoso, la Camera dei deputati ha da poco approvato la Legge che autorizza gli Istituti di credito agricolo a emettere Buoni agrari pagabili a vista. Una forma di pagamento,
questa, che è da considerare alla stregua dei biglietti al portatore, a maggior ragione in un
Paese come l'Italia, dove la divisione del lavoro è ancora condizionata, nel credito e
nell'industria, dalla modestia della ricchezza e degli affari. Con l'avvertenza, però, che gli
stessi biglietti al portatore, in assenza di una Legge o anche soltanto di un'autorizzazione
governativa che li regoli, finiscono con l'essere emessi da più parti, anche violando i divieti
del governo:
Non sembra, d'altronde, opportuno, richiedere una legge apposita, di volta in volta,
per l'autorizzazione a emettere biglietti al portatore, se la legge lascia al Governo la
facoltà di autorizzare ad operazioni ben più pericolose, come sono quelle del Credito
Mobiliare. È sempre più adatto alla Camera il determinare le condizioni generali, secondo cui il governo deve poscia dirigersi di caso in caso, di quello che riservarsi
essa medesima di verificare, di caso in caso, quelle condizioni. Stabilite una volta in
via di legge, costituiscono una norma sicura, per cui è tolto il pericolo che sia favorito
l'uno più dell'altro; e tutti sono certi del loro diritto, quando si assoggettino alle norme
generali e comuni. Riservandosi invece l'approvazione a leggi speciali, non solo si
279
creano lungaggini e perditempo, ma si lascia tutto in quella incertezza che sovente
basta a paralizzare ogni affare. 490
Così, la Relazione finale definisce un'impostazione mediana tra gli opposti eccessi della
legislazione onnipervasiva e della delegificazione permissiva. «Certezza del diritto», assoggettata «alle norme generali e comuni», che Lampertico esplicita nel 1869, criticando i
notabili veneti, nostalgici dell'amministrazione austriaca, che si opponevano ai nuovi Codici amministrativi e commerciali. Articolata poi con maggiore vigore retorico, nell'editoriale
del primo numero della serie padovana del «Giornale degli economisti», sulla pubblicità
dei commerci e la libera concorrenza; quasi una terza via, tra il protezionismo mercantilista
di A. Rossi e il liberismo sfrenato à la Ferrara.491
III.2.14. «... prevalse il partito dell'adozione dell'Ordine del giorno ...»
La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso volge
al termine, formalizzando all'unanimità, due ordini del giorno sulla necessità: I) di riformare gli Statuti della Banca Nazionale e di regolarne per legge i rapporti con lo Stato, sì da fa vorire il pubblico;492 II) di promuovere una normativa sulla libertà e la pluralità delle Ban490
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XVIII, p. 446.
491
Cfr. Lampertico, La legge sulle Società e Associazioni commerciali. Dialogo tra uno
smithiano e l'autore, pubblicato nell'aprile del 1875, in Sensales, Fedele Lampertico, 2011,
pp. 197-201.
492
Vedi: «I. La Camera, udita la Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta,
la quale accenna alla illegittimità di alcuni speciali rapporti che si sono verificati fra lo
Stato e la Banca, ed alla onerosità di alcuni altri, ravvisa la necessità che tali rapporti
vengano modificati sopra basi amministrative più profittevoli per lo Stato e pel pubblico,
ed invita il Governo a presentare quanto prima un analogo disegno di legge», Camera dei
280
che, che garantisca il corretto funzionamento degli Istituti di credito e di circolazione. 493
D'altra parte, questo orientamento – già definito, «vivente il compianto collega Cordova»,
nella prima parte della Relazione finale sulla non necessità del corso forzoso, votata a
maggioranza – è formalizzato nel terzo ordine del giorno adottato all'unanimità, che impegna il governo a presentare un progetto di legge di ripristino del corso legale. Perché, ammalatosi Cordova, terminate le vacanze parlamentari e nominato Lampertico presidente, la
Commissione Parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso aveva dovuto constatare alcuni
fatti nuovi; in particolare:
Il signor Ministro delle finanze [Cambray Digny] aveva … formalmente promesso
alla Camera ed al paese che quanto prima egli avrebbe presentato un progetto di legge per l'abolizione del corso forzoso; aveva ripetuto tale esplicita promessa in private
riunioni, che pur caddero nel dominio della pubblicità, davanti ai proprii conterranei,
ed ai propri amici politici; ed aveva pubblicamente rammentato come l'Ordine del
giorno del 10 marzo 1868 riservasse al Potere Esecutivo di formulare quel progetto di
abolizione, dandogliene anzi l'incarico espresso.
[…]. E quindi la Commissione concretò in un Ordine del giorno le sue conclusioni, anziché in una legge, sottoponendolo alla sanzione della Camera. 494
deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452.
493
Vedi: «II. La Camera, udita la Relazione della Commissione parlamentare
d'Inchiesta, invita il Governo ad esibire quanto prima una legge, la quale, informandosi ai
principi della pluralità e della libertà delle Banche, stabilisca le norme con cui possano
sorgere ed operare in Italia le Banche di credito e di circolazione», Camera dei deputati,
Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452.
494
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, Progetto del deputato Alessandro Rossi per l'abolizione del corso forzoso,
p. 448. Questo il terzo ordine del giorno approvato all'unanimità: III. La Camera, udita la
281
La Commissione si attiene dunque al mandato di procedere verso l'abolizione del corso
forzoso, ricevuto dalla Camera dei deputati, su proposta dell'esecutivo Menabrea-Cambray
Digny, ma opta a sua volta per l'approvazione di un Ordine del giorno, «che invita il Governo a presentare, entro il primo quadrimestre del 1869, un progetto di legge, col quale sia
provveduto alla convertibilità in valuta metallica dei biglietti di Banca». Prevale, in tal
modo, la scelta di andare incontro alle richieste del ministro delle Finanze, Cambray Digny, che, da parte sua, aveva già accettato la proposta avanzata da Cordova, di limitare a
700, anziché a 800 milioni, il tetto delle banconote a corso forzoso. Nell'ambito della legge
che autorizzava la contestuale emissione di sei milioni di banconote da una lira, per incentivare il commercio minuto. Rinviando, però, la «più sollecita liberazione del paese da questa piaga che, trascurata anco per poco, minaccerebbe degenerare in cancrena».495 Nonostante l'opposizione di una minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, che questa volta è tuttavia ristretta soltanto ai due deputati della Sinistra: Lualdi
e Seismit Doda.
Lualdi è l'imprenditore tessile milanese, eletto deputato di Busto Arsizio, per la prima
volta nel 1863, dai settori democratici e radicali che fondano poi il giornale Il Sole, critici
nei confronti della politica economica di Sella e dei governi della Destra.
Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta, ravvisa con essa la necessità e la
possibilità della abolizione del corso forzoso, ed invita il Governo a presentare, entro il
primo quadrimestre del 1869, un progetto di legge, col quale sia provveduto alla
convertibilità in valuta metallica dei biglietti di Banca. Vedi Camera dei deputati, Atti … .
Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452.
495
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XIX, p. 449.
282
Seismit-Doda è il politico democratico, originario di Ragusa in Dalmazia, che, dopo
aver partecipato, quale volontario, alla difesa di Venezia e aver collaborato ai giornali
«Concordia» e «Diritto», aveva diretto una delle prime Società di assicurazioni italiane, la
Riunione Adriatica di Sicurtà e, nel 1865, era stato eletto deputato di Comacchio.
Così, con l'opposizione di questa minoranza di sinistra, la Commissione parlamentare
d'inchiesta sul corso forzoso riconsegna al «Governo del Re», l'onere di una legge che regolamenti con maggiore determinazione il corso forzoso; legge che slitta poi al 1874 ed è
promossa da Minghetti. Mentre le direttrici del ritorno al corso legale rimangono affidate ai
due sistemi prospettati da Seismit Doda, della Sinistra, e da A. Rossi, della Destra. Volti, il
primo, a delineare la graduale estinzione del corso forzoso tramite le obbligazioni dell'Asse
ecclesiastico496 e, il secondo, a definire
un'operazione mista e complessa, la quale dovesse abbracciare: 1° Il pareggio approssimativo dei bilanci; 2° Il consolidamento di una gran parte dei Buoni del Tesoro
attualmente in circolazione; 3° Un prestito forzoso, sulle classi più agiate; 4° Un'operazione all'estero, od all'interno, sui beni nazionali dell'Asse ecclesiastico. 497
Tuttavia, dopo che Cambray Digny ha ribadito la sua volontà di presentare un proprio
progetto per l'abolizione del corso forzoso, questo progetto di A. Rossi, che ricomprende
anche quello di Seismit Doda, è soltanto allegato agli Atti, insieme alla proposta di
496
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XX, p. 450.
497
Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche
CD1800000271, § XX, p. 450; cfr. Ibidem, Progetto del deputato Alessandro Rossi per
l'abolizione del corso forzoso, pp. 453-457.
283
ripianare i 378 milioni del debito che lo Stato aveva contratto con la Banca Nazionale.498
La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso,
come la Relazione nel suo complesso, documentano così soprattutto i tentativi di limitare
le violazioni dell'ordine economico e finanziario, che, per il cattolico Lampertico, è
sinonimo di dignità umana. Ragione da declinare nel rispetto dei votanti che lo hanno
eletto e del più ampio popolo che lo considera rappresentante dei suoi interessi. Motivando
la critica dell'economia dei popoli e degli stati che avevano dato vita all'Italia unita, con
argomentazioni simili a quelle che, sei anni dopo, svolge in forma matura, dopo la nomina
regia a senatore, sin dal primo dei cinque volumi del suo trattato incompiuto. 499
498
Il corso legale è ripristinato soltanto il 12 aprile 1883, dopo il Regio decreto del 6
giugno 1881, il crac della borsa di Parigi e l'ampliamento del suffragio elettorale maschile,
realizzato il 24 settembre 1882 con la legge numero 999, elaborata da Brunialti e proposta
da Giuseppe Zanardelli (1826/1903).
499
Cfr.: «Sembrerà strano (eppure lo ripetè non ha guari un uomo d’altissima levatura,
com’è il Ketteler vescovo di Magonza) che si accusi di materialismo la scienza
dell’economia, perché prendendo le mosse, siccome fa, dalla umana libertà riduca il
mondo economico non più che ad una compagine di atomi. Sembrerà strana l’accusa
contro una scienza, che tutta si fonda sul mobilissimo concetto della umana personalità e
colloca la persona in quella vita sociale, in cui […] è da vedere uno svolgimento
progressivo della nostra spirituale sostanza, e un ingrandimento continuo della coscienza e
della libertà: essendo che noi perciò diventiamo come a dire autonomi e ci trasformiamo in
cagioni efficienti, in vere persone, in compiute individualità, e ci impossessiamo di quella
intera proprietà dell’essere, di cui siamo capaci», Lampertico, Economia dei popoli e degli
stati, vol. I, Introduzione, 1874, cap. VI. Religione ed economia, p. 88.
284
285
Conclusioni: un accentramento privo del necessario consenso
I due anni e mezzo compresi tra la promulgazione del corso forzoso e la Relazione
finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, evidenziano dunque la fondatezza delle
consolidate tesi storiografiche che riconoscono a Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi,
il merito di avere unificato il Paese. Al di là di ogni contestazione sui modi e i tempi della
unificazione nazionale. Ripercorrendo le vie diplomatica e militare, praticate con il Regno
Unito vittoriano e con la Francia di Napoleone III, per avere la meglio su Pio IX e
Francesco Giuseppe, dopo avere messo a profitto l'inconsistenza politica di Francesco II
nelle Due Sicilie. Per rimarcare soprattutto, attraverso gli innovativi libri di Astuto,
Colombo e Martucci, le capacità di Cavour di applicare e al contempo forzare lo Statuto,
consolidare le prerogative della Camera dei deputati e affermare il proprio ruolo di
presidente del Consiglio. Rafforzando la burocrazia piemontese e cominciando a estenderla
a livello nazionale, favorendo un pur minimo decentramento, ma accrescendo le
prerogative dei prefetti e delineando il programma di Roma capitale.
Queste tesi, ripensate a partire dalla Storia dell'Italia moderna di Candeloro, hanno
tratto forza dagli studi di Ragionieri e di Pavone, trascurati da Romeo.500 E dal confronto,
oltre che con la Storia parlamentare del giornalista e deputato toscano Arbib, con la Storia
parlamentare politica e diplomatica dell'archivista e storico lucano Cilibrizzi, già
funzionario della Camera dei deputati durante il ventennio fascista. Permettendo di
inscrivere in questo confronto, le biografie di alcuni protagonisti del primo decennio della
500
Cfr. questo giudizio sulla Storia dell’Italia moderna: «a noi pare che tutta l'opera di
Candeloro sia animata dall'intento di dare una risposta alla questione centrale [...] della
direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in
Italia», Ragionieri, Storie del Risorgimento e storie d'Italia, 1864, in Id., Politica e
amministrazione nella storia dell’Italia unita, ed. 1967, p. 57.
286
storia dell'Italia unita e la loro relativa storiografia. Per enfatizzare in questo modo, il fatto
che la monarchia liberale italiana si è fondata sul «Governo del Re», a differenza sia del
«Governo parlamentare» inglese, sia delle precedenti monarchie assolute. E ha perciò
usato la decretazione quali espressione statutaria delle sue volontà. Favorendo il
rafforzamento del partito di Corte anche a discapito della Destra, ma soprattutto contro le
aspirazioni garibaldine e mazziniane, dimostratesi ben presto velleitarie.
La ricostruzione e la critica della politica monetaria di Sella, sottesa al Regio decreto del
1° maggio 1866, scritto tuttavia da Scialoja e dagli Uffici della Camera dei deputati, ha poi
evidenziato i limiti della Sinistra parlamentare e, soprattutto, di un nuovo giornale
economico, Il Sole, che si rivolge alla pubblica opinione, senza tuttavia sedimentare un
reale consenso politico. Il metodo storico, applicato alle scienze morali secondo la lezione
di P. Villari, ha poi approfondito le idee di libertà e di uguaglianza, attraverso il formarsi
della nazione italiana; per esaminare i tre volumi della Relazione della Commissione
parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.501 Nella consapevolezza che soltanto un governo
parlamentare rappresentativo, capace di favorire gli interessi privati che coincidono con gli
interessi della comunità, può sventare il pericolo di una legislazione classista. 502
L'analisi ha così approfondito la torsione autoritaria che contraddistingue il «Governo
501
Vedi Villari, Teoria e filosofia della storia, 1854-1903, ed. 1999; Id., La camorra la
mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia,
1861-1883, ed. 1979.
502
Vedi: «Governo rappresentativo significa che la nazione tutta, o almeno una parte
numerosa di essa, esercita per mezzo dei deputati, periodicamente eletti, il supremo
controllo del potere, controllo che non manca in alcuna costituzione. Questo supremo
controllo deve essere posseduto per intero dalla nazione. Una collettività deve essere in
grado di esercitare quando vuole qualsiasi funzione governativa », J. S. Mill,
Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo V, Sulle funzioni proprie dei
corpi rappresentativi.
287
del Re», dopo la morte di Cavour. Un autoritarismo determinato in prima persona proprio
da Vittorio Emanuele II, desideroso di prendersi la rivincita sulle pur minime concessioni
che aveva dovuto fare allo Statista e foriero, perciò, di seri rischi di involuzione
istituzionale. Come documentato dagli atti che preparano, accompagnano e seguono la
decisione di trasferire la capitale da Torino a Firenze e di esautorare Minghetti, sostituito
da La Marmora. Mentre banchieri, uomini dell'alta finanza e grand commis delle ferrovie
impongono i propri interessi, favorendo l'ascesa della borghesia ai danni dell'aristocrazia
terriera. Il che ridimensiona in parte il potere della Destra, già indebolito dalle elezioni
politiche della IX legislatura e dalla relativa crescita del numero dei deputati della Sinistra.
È questo il sistema politico italiano che, alla vigilia della Terza guerra d'indipendenza,
usa il corso forzoso, per rafforzare il partito di Corte e modificare i rapporti di forza,
interni e internazionali, sanciti dalla Convenzione di settembre. In questo sistema politico,
il re, il presidente del Consiglio, il ministro delle Finanze e il direttore della Banca
Nazionale, Bombrini, applicano la politica monetaria 503 sperimentata, quella volta con
tragica imperizia, da Carlo Alberto, e dal direttore della Banca di Genova, che era già
503
Sulla carta moneta, segno d'oro, cioè segno di denaro, cfr. «That, as far as concerns
our domestic exchanges, all the monetary functions which are usually performed by gold
and silver coins, may be performed as effectually by a circulation of inconvertible notes,
having no value but that factitious and conventional value which they derive from the law,
is a fact, which admits, I conceive, of no denial. Value of this description may be made to
answer all the purposes of intrinsic value, and supersede even the necessity for a standard,
provided only the quantity of the issues be kept under due limitation», John Fullarton
(1780/1849), On the regulation of currencies, being an examination of the principles on
which it is proposed to restrict within certain fixed limits the future issues on credit of the
Bank of England and of the other banking establishments throughout the country, 1844, p.
21; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, voll. 3, II vol., Parte terza. Dal 1790 al
1870 7. Moneta, credito e cicli, La teoria del credito, a) Credito, prezzi, interesse e
risparmio forzato, 1954, ed. 1990, pp. 881-897 e relative note.
288
Bombrini, in preparazione della Prima guerra d'indipendenza. Una politica monetaria poi
usata ancora da Bombrini, nominato direttore della Banca Nazionale nel Regno di
Sardegna, per finanziare la Seconda guerra d'indipendenza, condotta in quel caso con
sagacia da Vittorio Emanuele II e Cavour. Guerre nazionali, certo, ma legate a dinamiche
internazionali e determinate da interessi, classi, ceti, istituzioni e forze sociali e politiche;
in primis, dal conflitto con la Chiesa cattolica romana.
Nell'età degli Imperi, scandita dalla supremazia del Regno Unito e dal tramonto
dell'Impero austriaco, che facilitano l'ascesa della potenza prussiana, la sconfitta della
Francia e l'unificazione nazionale tedesca. Dopo la Guerra civile americana, la conseguente
penuria europea di metalli preziosi e il crac della Borsa di Parigi. Fatti, durante i quali il
Regno Unito continua ad applicare le medesime politiche economiche liberiste che
avevano portato all'abolizione delle Corn laws; a differenza degli Stati dell'Europa
continentale, che avviano la graduale conversione protezionista delle loro economie.
Mentre lo Stato italiano sostiene ingenti spese belliche, diplomatiche e amministrative,
promulga il corso forzoso, emargina i repubblicani e compie il processo di unificazione
nazionale, attraverso l'annessione del Veneto e la liberazione di Roma, accumulando un
deficit di settecentoventuno milioni di lire. In una fase che pone in valore la transizione
dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana in Veneto e, in particolare, dal
governo La Marmora, al governo Ricasoli. Sino ai tre governi del generale Menabrea, nei
quali proprio il presidente del Consiglio associa il suo conservatorismo sociale agli
interessi della speculazione urbana rappresentati da Cambray Digny e alle manovre
politiche dei settori più reazionari del partito di Corte.
Questi governi, nei quali il ministro delle Finanze svolge un ruolo decisivo, attuano
l'unificazione amministrativa e la requisizione dei beni ecclesiastici, ma, proprio
289
applicando il corso forzoso, alimentano le anomalie e le violazioni di un sistema monetario
ancora in formazione. O, per lo meno, faticano a contrastarle; in ragione dei contrasti
politici tra Cambray Digny, Cordova, Minghetti, Scialoja e Sella.
La Banca Nazionale stampa infatti banconote inconvertibili anche per finanziare le
operazioni commerciali private, ma, drenando le riserve auree, subordina gli altri istituti
bancari italiani, costretti a pagare un aggio, per scambiare le loro banconote, fuori dalle
province di appartenenza. Mentre lo Stato finanzia il mutuo del Tesoro, con banconote
svincolate dall'obbligo di riserva, ma che eccedono il suo attivo. Ciò facilita, o rende
comunque più difficile contrastare, la speculazione sulle cedole del debito pubblico,
rimborsate in oro all’estero e in banconote in Italia. Anche se il rifiuto della valuta
ufficiale, come il baratto e i pagamenti in valuta straniera, è sanzionato con pene che vanno
sino alla reclusione, e anche se la Banca Nazionale evita di svalutare la lira, il cui valore
legale rimane tuttavia assai differente dal suo valore di mercato.
La necessità di avvalersi delle facoltà ispettive del potere legislativo, nasce da quelle
anomalie e da quelle violazioni; riguarda il corso forzoso, ma obbliga a ripensare
l'esperienza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio nelle province
meridionali. Conclusa dalle due Relazioni, di Massari, per la Destra, e di Castagnola, per la
Sinistra, ma seguita dalla promulgazione dello «stato di brigantaggio»; un vero e proprio
stato d'assedio, simile a quello imposto dagli inglesi in Irlanda. Con l'avvertenza che la
guerra civile tra inglesi e irlandesi, contrappone benestanti protestanti e meno abbienti
cattolici; a differenza della guerra civile tra benestanti piemontesi e meno abbienti
meridionali, accomunati dalla religione cattolica.
Nell'Italia unita, il riferimento all'esperienza costituzionale del Regno Unito è del resto
dettato da ragioni di politica internazionale, da motivi istituzionali e da necessità
290
economiche legate alla supremazia, finanziaria e monetaria, della Banca d'Inghilterra e
della London Clearing House. Prima che da opzioni di valore. Scandite dalla Commissione
parlamentare d'inchiesta sul Bilancio della Camera dei Comuni nel 1786 e dal corso
forzoso con cui l'Inghilterra prima e la Gran Bretagna poi, finanziano il blocco navale
contro Napoleone. Da un primo ampliamento del suffragio e dall'imposizione fiscale,
fondata sull'income tax. Dall'abolizione delle Corn Laws e dello Slavery Act e dall'ulteriore
ampliamento del diritto di voto. Dal «governo del Parlamento», fondato sulla
contrapposizione tra Whigs e Tories, alla spaccatura tra Peelisti e alle coalizioni tra Liberali
e Conservatori. Condizionate da una prassi parlamentare che è assai simile al successivo
trasformismo di Depretis; con l'essenziale differenza di un'evoluzione lunga due secoli,
invece che due decenni. Da qui, la comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno
Unito, che sviluppo attraverso l'analisi testuale del saggio di Devincenzi sulle Commissioni
parlamentari d'inchiesta. In quel saggio, l'esponente politico del costituzionalismo
napoletano divulga infatti il Parliamentary Practice di Erskine May, illustra il
funzionamento del sistema parlamentare inglese e documenta l'importanza della pubblicità
dei lavori ispettivi del potere legislativo; con particolare riferimento al dibattito
parlamentare sulle condizioni dell'esercito inglese durante la guerra di Crimea. Rimarcando
le differenze tra la Common Law, consuetudinaria, e l'esperienza statutaria italiana, basata
sulle Chartes orléaniste.
Tuttavia, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, l'ottava dopo
l'unificazione nazionale, formata da Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Sella
per la Destra, e da Lualdi e Seismit-Doda per la Sinistra, applica soltanto in parte il
modello delle Commissioni parlamentari d'inchiesta nel Regno Unito, fondato, oltre che
sul voto a maggioranza, sulla pubblicità delle nomine e delle sedute delle Commissioni. La
291
Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso inizia infatti a svolgere i suoi
lavori segreti, inviando sette diversi tipi di questionario a una serie di interlocutori
istituzionali e ascoltando trentotto personalità. Per studiare le condizioni generali della
circolazione cartacea, approfondire i rapporti tra gli Istituti di emissione, il governo e le
pubbliche amministrazioni e accertare le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno
d'Italia e dell'ex ministro delle Finanze, Scialoja; in particolare attraverso le audizioni di
Bombrini e dei presidenti delle Camere di commercio. Sino alla prima Relazione Cordova
che, fissando in settecento milioni il tetto per l'emissione delle banconote a corso forzoso,
media tra la proposta iniziale e la controproposta del ministro delle Finanze Cambray
Digny, ma porta altresì a sei milioni, la circolazione delle banconote da una lira. Mentre il
II governo Menabrea sviluppa la politica finanziaria e monetaria già delineata da Sella;
oltre che con il corso forzoso, con la tassa sul macinato e con il monopolio dei tabacchi.
Poi, dopo che la Commissione è stata costretta a sostituire per motivi di salute il
presidente Cordova, con il presidente Lampertico, la Camera dei deputati approva il nuovo
Regolamento provvisorio, che include per la prima volta tre brevi articoli sulle
Commissioni parlamentari d'inchiesta. Soltanto dopo, il 28 novembre 1868, la
Commissione sul corso forzoso approva a maggioranza la Relazione finale di Lampertico.
Recependo i diversi, ma convergenti orientamenti politici di Cordova, che intanto è
purtroppo deceduto, e A. Rossi, e di Lualdi e Seismit-Doda, ma con i voti contrari di
Messedaglia e Sella, ai quali si aggiunge infine il voto del presidente Lampertico, assente
al momento della votazione.
Emergono così, i tentativi, riusciti soltanto in parte, di regolare il corso forzoso.
Ricostruiti attraverso l'esame degli Atti della Commissione e della Relazione finale,
comparati alle fonti e alle ricostruzioni storiche dell'epoca e alla relativa storiografia; sino
292
ai nostri giorni. Esaminando le risposte ai questionari e le audizioni, con particolare
attenzione per la formazione del sistema bancario nazionale, a partire dall'unificazione
della Banca di Genova, con la Banca di Torino, e per la trasformazione della Banca
Nazionale nel Regno di Sardegna, nella Banca Nazionale nel Regno d'Italia; fatta salva la
sostanziale continuità degli Statuti.
Questa Banca Nazionale, cui il Regio decreto del 1° maggio 1866 concede il monopolio
sull'emissione delle banconote a corso forzoso, in cambio di un prestito di
duecentocinquanta milioni al Tesoro, esercita una crescente primazia sugli altri principali
Istituti di credito italiani: il Banco di Napoli, il Banco di Palermo, la Banca Nazionale
Toscana e la Banca Nazionale di Credito per l'industria e pel commercio d'Italia, che
intensifica il proprio giro d'affari dopo il trasferimento della capitale a Firenze. La Banca
Nazionale articola così la sua struttura territoriale, attraverso agenzie e sportelli, che
sviluppano le funzioni di sconto o anticipazione, deposito e circolazione: contrastano cioè
l'usura, iniziando a trasformare il risparmio, in credito. In base all'unificazione monetaria
del 1862, modellata sul sistema monetario francese, all'Unione monetaria latina, cui l'Italia
aveva aderito nel 1865, ma soprattutto ai legami con la Banca di Londra. Senza tuttavia
riuscire ad arginare i gravi fenomeni speculativi legati al corso forzoso, sui quali la
Commissione parlamentare d'inchiesta chiama il ministero delle Finanze a svolgere un
controllo più efficace di quello esercitato da Scialoja. Per contrastare l'instabilità
monetaria, la scomparsa del contante metallico e la rarefazione dei commerci, reprimere le
troppe irregolarità e ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato.
La Relazione finale, che pure recepisce l'impostazione di Cordova, è tuttavia permeata
dalla moderazione politica propria del cattolicesimo solidale di Lampertico. Che auspica la
normalizzazione del sistema bancario e creditizio nazionale, ma sconta l'opposizione della
293
Sinistra di Lualdi e di Seismit Doda, che avrebbero voluto imporre subito una Legge per
l'abolizione del corso forzoso. Il deputato vicentino nominato presidente al posto di
Cordova, riesce tuttavia a fare votare all'unanimità tre ordini del giorno che smussano il
conflitto con Cambray Digny, ma invitano l'esecutivo a: 1) modificare i rapporti tra lo
Stato e la Banca Nazionale, in termini più profittevoli per lo Stato e per il pubblico; 2)
favorire la pluralità delle Banche di credito e di circolazione; 3) ripristinare la
convertibilità metallica delle banconote. Allegando la proposta di legge presentata da A.
Rossi.
Sin qui, la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso. Ciò nonostante, o forse proprio perché i tre ordini del giorno, come la proposta di
legge di A. Rossi, non hanno alcun valore esecutivo, nei mesi e negli anni successivi, le
istituzioni politiche italiane, a cominciare dal «Governo del Re», lasciano in vigore il corso
forzoso; sin quasi alla fine dell'Ottocento.
Concludo richiamando perciò i momenti salienti delle successive fasi di questa storia. A
cominciare dal governo Lanza - Sella, che ottiene l'approvazione del primo omnibus
finanziario; mentre Lampertico rassegna le dimissioni da deputato. 504
Poi, dopo il trasferimento della capitale a Roma e la Legge delle guarentigie, ancora il
governo Lanza - Sella ottiene dal Parlamento l'autorizzazione a mettere in circolazione altri
300 milioni di carta moneta. Sino alla bocciatura degli ulteriori provvedimenti finanziari
proposti da Sella, che la Camera dei deputati rinvia a un'organica riforma finanziaria.
Riprendendo l'impostazione di Minghetti, già esplicitata durante la discussione della tassa
sul macinato.
504
Lampertico, che si dimette dalla Camera dei deputati il 29 gennaio 1870, per gravi
motivi familiari, legati alla malattia della madre, è poi nominato senatore, il 6 novembre
1873, su proposta del senatore Tommaso Spinola (1803/1879).
294
Il corso forzoso è così regolato una seconda volta, con maggiore forza, prima del
Resumption Act con cui il presidente Grant ripristina il corso legale negli Stati Uniti
d'America. Il 30 aprile 1874, infatti, la Camera dei deputati approva la Legge Luzzatti,
firmata da Minghetti, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, con Finali
all'Agricoltura, Industria e Commercio. Autorizzando il Consorzio formato dalla Banca
Nazionale, dalla Banca Nazionale Toscana, dalla Banca Toscana di credito, dalla Banca
Romana, dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia, a emettere banconote a corso forzoso,
entro il tetto massimo di un miliardo di lire.
Segue, il 15 marzo 1875, il Congresso di economisti italiani, indetto dalla «circolare di
Padova», che ha tra i suoi primi firmatari Lampertico e Messedaglia ed è organizzato dalla
Camera di commercio di Milano. Tre mesi dopo, in un discorso alla Camera dei deputati,
Minghetti dichiara che il disavanzo dello Stato, ormai ridotto a 40 milioni, è sul punto di
essere colmato con l'aumento della tassa di registro. Ma Sella che, dopo dieci anni di
«economie fino all'osso», ha ottenuto dal Parlamento l'approvazione della legge sulle
Casse di risparmio postali, promulgata subito dopo dal Re, vincendo le resistenze dei
liberisti, ostili allo «Stato banchiere», documenta che la moneta cartacea circolante in Italia
è di un miliardo cinquecentoquarantatré milioni, a fronte della riserva metallica di
centoquarantasei milioni.
Quindi, caduto il II governo Minghetti e nominato il primo governo di Sinistra, con
Agostino Magliani505 alle Finanze, il nuovo presidente del Consiglio, Depretis, nel discorso
programmatico dell’8 ottobre 1876, a Stradella, preannuncia il trasformismo. 506
505
Di Agostino Magliani (1824/1891), vedi La questione monetaria, 1874; sulla sua
«finanza allegra», cfr. la voce di Fulvio Conti, nel Dizionario biografico degli italiani, vol.
LXVII, 2007, pp. 427-429.
506
Cfr. Rogari, Alle origini del trasformismo. Partiti e sistema politico nell'Italia
liberale, 1998, p. X. Secondo Rogari, il trasformismo, a differenza del Connubio, «è
295
Proponendo di recepire
le idee buone, le vere ed utili esperienze [...] dove che sia, anche dai nostri
avversari [e auspicando la] concordia delle due parti politiche che devono alternarsi
al potere.507
Da qui, il susseguirsi di altri sei governi della Sinistra. Sino al ripristino della
convertibilità delle banconote, votato il 7 aprile 1881, e alla nomina della Commissione
permanente per l’esecuzione della legge di abolizione del corso forzoso, approvata il 14
maggio 1881, dopo le dimissioni del III governo Cairoli-Magliani, che rimane tuttavia in
carica sino alla costituzione del nuovo governo.508
funzionale alla conservazione e alla protezione del sistema dalle minacce esterne ma anche,
direi quasi soprattutto, da quelle interne. Ha quindi una valenza statica». Cfr. Sabbatucci, Il
trasformismo come sistema, 2003, p. 19. Secondo quest'impostazione dinamica, nei Paesi
caratterizzati da ampie fratture (politiche, ideologiche, religiose, etniche, linguistiche ecc.),
«la competizione bipolare propria del modello anglosassone appariva troppo pericolosa, in
quanto […] capace di evidenziare e di approfondire lacerazioni e fratture preesistenti e di
offrire più larghi spazi di intervento alle forze della rivoluzione e a quelle della reazione
assolutistica». Per un'interpretazione dinamica del trasformismo, vedi Sensales, Fedele
Lampertico Economia, popolo e Stato nell'Italia liberale, 2011, ad indicem.
507
Vedi Discorso dell'onorevole Depretis presidente del Consiglio dei Ministri,
pronunciato al banchetto offertogli da' suoi elettori di Stradella il giorno 8 ottobre 1876, in
Il programma del ministero Depretis, ristampa anastatica, Roma 1876, pp. 4-5. Cfr.
Lampertico, Transformismo e sociologia secondo i più recenti studi, in «Nuova Antologia
di scienze, lettere ed arti», vol. XLV, fasc. IX, 1884 maggio, pp. 19-44; Carlo Leopoldo
Ottino, Trasformismo, Grande dizionario enciclopedico, vol. XLVIII, 1972, pp. 620-621.
508
La Commissione permanente per l'esecuzione della legge di abolizione del corso
forzoso, della quale fa parte tra gli altri Lampertico, rimane in carica sino al 25 settembre
1882, ma è poi ricostituita il 15 dicembre 1890, sino al 23 luglio 1894 e il 13 giugno 1895,
296
A questi provvedimenti di politica monetaria, fanno seguito la nomina del IV governo
Depretis-Magliani e il Regio decreto attuativo della convertibilità delle banconote.509 Che
diventa, tuttavia, operativo soltanto il 12 aprile 1883. Con un percorso legislativo simile a
quello dell'abolizione della tassa sul macinato, votata nel 1880, ma esecutiva soltanto dal
1° gennaio 1884.
Intanto, il 24 settembre 1882, proprio Depretis e il ministro delle Finanze Magliani, che
ha l’interim del Tesoro, ottengono l'ampliamento del suffragio maschile, con
l'approvazione della Legge 999, presentata dal ministro della Giustizia, Zanardelli 510.
Questa nuova Legge elettorale, che sostituisce il collegio uninominale, con il sistema a
scrutinio di lista, porta il numero degli iscritti alle liste elettorali da 621.896, a 2.017.829,
ma riduce i collegi elettorali da 508 a 135. 511
sino al 15 luglio 1898.
509
Dalla Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso
forzoso, presentata il 28 novembre 1868, al Regio decreto del 16 giugno 1881, attuativo
della convertibilità delle banconote, si susseguono undici governi: ai due governi del
partito di Corte, il II Menabrea - Cambray Digny (che cade il 13 maggio 1869) e il III
Menabrea - Cambray Digny (dal 13 maggio, al 14 dicembre 1869), fanno infatti seguito i
due governi della Destra: Lanza - Sella (dal 14 dicembre 1869, al 10 luglio 1873), e
Minghetti II (dal 10 luglio 1873, al 25 marzo 1876). Quindi è la volta dei sette governi
della Sinistra: il I Depretis (dal 25 marzo 1876, al 25 dicembre 1877); il II governo
Depretis - Magliani (dal 26 dicembre 1877, al 24 marzo 1878); il I governo Cairoli, con
Seismit Doda alle Finanze e al Tesoro (dal 24 marzo, al 19 dicembre 1878); il III governo
Depretis - Magliani (dal 19 dicembre 1878, al 14 luglio 1879); il II governo Cairoli, con
Bernardino Grimaldi alle Finanze e al Tesoro (dal 14 luglio, al 25 novembre 1879); il III
governo Cairoli - Magliani (dal 25 novembre 1879, al 29 maggio 1881); il IV governo
Depretis - Magliani (dal 29 maggio 1881, al 25 maggio 1883).
510
Vedi Catalano, Zanardelli, Giuseppe, Grande dizionario enciclopedico, vol. XIX,
1973, pp. 800-801.
511
Vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002: 92-94, paragrafo 3.4.3. La
297
Così, nelle elezioni del 29 ottobre e nei ballottaggi del 5 novembre 1882, Depretis,
rimasto in carica anche come ministro dell’Interno, rafforza la sua maggioranza, ottenendo
il 39,8% dei voti, a fronte del 19,8% dei voti ottenuti dai candidati dell’opposizione, del
4,6% dei voti dell’Estrema e del 36,6% di altri candidati.
Mentre nelle aree urbane, l'ampliamento del suffragio elettorale, bilanciato dalla
prevalenza rurale dei collegi elettorali, porta in Parlamento Andrea Costa, primo deputato
socialista, eletto a Ravenna, e Antonio Maffi, primo deputato operaio, eletto dalla Sinistra
radicale, a Milano. Ma nel Sud, grandi masse di analfabeti rimangono prive di
rappresentanza parlamentare.
Poi nei mesi successivi, la crisi agraria accentua il peso politico dell’Estrema sinistra nel
cartello delle forze di opposizione e, all’opposto, degli orientamenti conservatori nel
cartello delle forze che continuano a sostenere il IV governo Depretis. Si giunge così alla
mozione di sfiducia presentata da Giovanni Nicotera, che è respinta con larghissimo
margine, ma porta alle dimissioni del ministro della Giustizia Zanardelli e del ministro dei
Lavori pubblici Alfredo Baccarini, entrambi esponenti della Sinistra. Seguono il durissimo
discorso parlamentare di Felice Cavallotti, che denuncia la «putredine» legata al
trasformismo, e le opposte dichiarazioni di Bertani, ormai pronto ad appoggiare di Depretis
che così, il 25 maggio 1883, vara il suo V governo 512, con Bernardino Giannuzzi Savelli
riforma Zanardelli: il suffragio allargato. Sulla mutata composizione di queste
circoscrizioni elettorali, cfr. Sensales, Fedele Lampertico. Economia, popolo e Stato
nell’Italia liberale, 2011, capitolo IX Il Credito, paragrafo 9.2. Cattolici e socialisti, pp.
284-287.
512
Confronta il telegramma circolare che Depretis invia ai prefetti il 25 maggio 1883
«[...] Affidando dicastero Giustizia ad insigne magistrato volli togliere ogni più lontano
sospetto che la politica possa esercitare qualsiasi influenza sulla magistratura e quanto al
ministero dei Lavori Pubblici dato a persona che sempre appartenne alla Sinistra e la cui
competenza è incontestata volli affermare nel modo più aperto che il Governo persiste
298
alla Giustizia e Francesco Genala ai Lavori pubblici: due uomini politici che il giornale La
Riforma definisce «né di destra né di sinistra».513
Questo V governo Depretis, che per il resto mantiene inalterata la composizione del
precedente, con Magliani alle Finanze e Berti all'Agricoltura, Industria e Commercio,
continua a usare il corso forzoso, ma lo finalizza al graduale superamento del non expedit
della Chiesa cattolica italiana: strada obbligata, almeno in Italia, per ampliare il suffragio.
Applicando il trasformismo con la tattica dilatoria nella quale proprio il presidente del
Consiglio è maestro.514 Ma il debito pubblico – che nel 1861, al momento dell’unificazione
nazionale, era pari al 35,8% del prodotto interno lordo, a causa dei debiti con l’estero –
sale al 80,3% nel 1871, al 87,7% nel 1876 e al 104,4% nel 1882. 515
come in ogni altra parte del suo programma così anche in quello importantissimo che
riguarda l’esercizio privato delle ferrovie», CD, serie I, busta 30, fasc. 114; Carocci,
Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, 1956, p. 329 e nota 2. Su
Agostino Depretis (1813/1887), vedi anche Talamo, La formazione politica di Agostino
Depretis, 1970, e la voce di Romanelli per il Dizionario biografico degli italiani, vol.
XXXIX, 1991, pp. 66-89.
513
Vedi Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887,
1956, p. 268 e nota 1.
514
Sul trasformismo 'progressivo' di Depretis, cfr. Alberto Maria Banti, Storia della
borghesia italiana. L'Italia liberale (1861-1922), Roma, 1996.
515
Vedi Vera Zamagni, Introduzione alla storia economica d’Italia, 2007, pp. 87-95. Il
corso forzoso continua di fatto, sino alla proroga ottenuta da Giovanni Giolitti il 21
dicembre 1892 e al Regio decreto del 23 gennaio 1894, che autorizza le Casse di risparmio
ad anticipare il circolante necessario per fronteggiare il ritiro dei depositi, ma impone alle
Banche di destinare alla riserva metallica un terzo della circolazione eccedente, pagando
allo Stato una tassa sul residuo, pari a due terzi del tasso legale di sconto.
299
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