1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE ______________________________________________________________________ Laboratorio di Storia Costituzionale “Antoine Barnave” Dipartimento di Diritto Pubblico e Teoria del Governo Corso di dottorato di ricerca in “Storia e teoria delle Costituzioni moderne e contemporanee” CICLO XXV Istituzioni politiche e corso forzoso nell’Italia di Vittorio Emanuele II La Commissione parlamentare d’inchiesta del 1868 TUTOR DOTTORANDO Chiar. mo Prof. Roberto MARTUCCI Dott. Alfredo SENSALES COORDINATORE Chiar. mo Prof. Roberto MARTUCCI ______________________________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2012 2 3 Indice Introduzione: il Regio decreto del 1° maggio 1866 Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso I.1. Il realismo politico di Vittorio Emanuele II I.1.1. La Convenzione di Settembre: il trasferimento della capitale a Firenze I.1.2. La continuità con l'unificazione nazionale I.1.3. La secessione della Associazione liberale Permanente I.1.4. Il «Governo Monarchico rappresentativo» I.1.5. Il rigore finanziario di Quintino Sella I.1.6. I problemi concreti dei ceti imprenditoriali I.2. I costi dell’unificazione amministrativa I.2.1. La crescita della spesa pubblica I.2.2. Due passi indietro: Urbano Rattazzi e il centralismo piemontese I.2.3. Re, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, dopo la morte di Cavour I.2.4. La burocrazia della Pubblica amministrazione I.2.5. I nuovi Codici civili: autorità giuridica e libertà economica I.3. Il corso forzoso e la «guerra per Venezia» I.3.1. Le elezioni politiche del 1865 I.3.2. L’esercizio finanziario provvisorio nella IX legislatura I.3.3. Un «atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale» I.3.4. L'alleanza tra Prussia e Italia muta lo scenario europeo I.3.5. Dal II governo La Marmora, al II governo Ricasoli I.3.6. L’annessione del Veneto aggrava il deficit dello Stato italiano 4 I.4. Il Veneto in Italia I.4.1. Tra decadenza e crescita I.4.2. Filantropia e radicalità I.4.3. La transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana I.4.4. Esazione fiscale e autonomie locali I.4.5. La requisizione dei beni ecclesiastici I.4.6. Le elezioni politiche del 1866 I.4.7. I nuovi deputati «filo ministeriali» I.4.8. La sconfitta di Bettino Ricasoli nelle elezioni politiche del 1867 I.4.9. La svolta conservatrice dei tre governi Menabrea, Cambray-Digny Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito II.1. L’inchiesta parlamentare sul brigantaggio nelle Province napoletane II.1.1. Il rapporto del prefetto di Napoli, generale Alfonso Ferrero di La Marmora II.1.2. Il presidente della Camera Sebastiano Tecchio II.1.3. La nomina della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio II.1.4. La relazione di Giuseppe Massari II.1.5. La relazione di Stefano Castagnola II.1.6. Le critiche del settimanale politico mazziniano «Il Dovere» II.1.7. La repressione del «brigantaggio e dei camorristi nelle province infette» II.1.8. I Tribunali militari di guerra II.1.9. La fine del «grande brigantaggio» II.2. Le Commissioni parlamentari d’inchiesta nel Regno Unito II.2.1. La Monarchia costituzionale britannica II.2.2. L’inchiesta parlamentare sul bilancio della Camera dei Comuni II.2.3. Il corso forzoso della Bank of England contro Napoleone II.2.4. Dal Reform Act al liberismo II.2.5. Il governo parlamentare nel Regno Unito: governi di coalizione o trasformismo? II.2.6. La recezione italiana del Parliamentary Practice di Thomas Erskine May 5 II.2.7. Il Regolamento della Camera dei Comuni II.2.8. Le Commissioni parlamentari d’inchiesta in Italia II.2.9. Sulle differenze tra governo del Re e governo del Parlamento II.2.10. La Monarchia costituzionale del Regno Unito e la Monarchia statutaria italiana II.2.11. Le facoltà ispettive del potere legislativo Parte III. Inizia la regolazione del corso forzoso III.1. La nomina e i lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta III.1.1. «... e il credito di una gran nazione fu salvo» III.1.2. Menabrea, Cambray Digny e il disavanzo finanziario nel gennaio 1868 III.1.3. L’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, sulla necessità di abolire il corso forzoso III.1.4. La presidenza Cordova: i questionari III.1.5. La presidenza Cordova: le audizioni III.1.6. La tassa sul macinato III.1.7. La relazione Cordova III.1.8. Settecento milioni in corso forzoso, ma sei milioni da una lira III.1.9. Il monopolio dei tabacchi III.1.10. La presidenza Lampertico III.1.11. Il nuovo Regolamento della Camera dei deputati III.2. La Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso III.2.1. La Banca di Genova III.2.2. La Banca Nazionale nel Regno di Sardegna III.2.3. Gli Statuti della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna III.2.4. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: lo sconto o anticipazione III.2.5. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il deposito III.2.6. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: la circolazione III.2.7. Il corso forzoso e l’unificazione monetaria italiana III.2.8. Il corso forzoso e l’Unione monetaria latina III.2.9. Le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno d'Italia 6 III.2.10. I compiti del ministro delle Finanze III.2.11. Instabilità monetaria, scomparsa dei contanti e rarefazione dei commerci III.2.12. Violazioni e anomalie legate al corso forzoso III.2.13. Ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato III.2.14. «... prevalse il partito dell'adozione dell’Ordine del giorno ...» Conclusioni: un accentramento privo del necessario consenso Bibliografia Fonti Riferimenti 7 Introduzione: il Regio decreto del 1° maggio 1866 Il 1° maggio 1866, il Regio decreto1 n. 2873 dispone che la Banca Nazionale nel Regno d'Italia2 conceda al Tesoro dello Stato, un mutuo di duecentocinquanta milioni di lire, con un interesse semestrale dell'1,5%.3 In cambio di quel mutuo, il «Governo del Re» autorizza la stessa Banca Nazionale a emettere banconote inconvertibili, per integrare la circolazione delle monete metalliche e ripristinare l'equilibrio che la crisi finanziaria ha incrinato tra le riserve di metalli preziosi e gli scambi interni di beni eccedenti e scarsi.4 Nel corso della I sessione della IX legislatura, il «Governo del Re» concede dunque il monopolio del corso forzoso alla Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il nuovo nome che 1 Sui Regi decreti come «forma specifica in cui si manifestano le volontà costituzionali della Corona», confronta Francesco Racioppi e Ignazio Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, vol. I, 1901-1909, p. 338; Paolo Colombo, Il re d’Italia Prerogative costituzionali e potere politico della Corona (1848-1922), Parte III - Funzioni e potere della Corona, 6. Il potere esecutivo: i decreti regi e la nomina alle cariche, 1999, p. 289. Per Colombo: «Tramite decreto, il re nomina tutte le cariche dello Stato, concede la grazia, commuta le pene e partecipa al potere legislativo (sanzionando e promulgando le leggi, convocando le due Camere e prorogandone le sessioni), ratifica i trattati internazionali, dichiara la guerra, esercita i diritti a lui spettanti in materia ecclesiastica e di autorizzazione diplomatica. In pratica, esercita tutte le proprie prerogative». 2 Soltanto il 10 agosto 1893, la fusione tra Banca Nazionale, Banca Nazionale Toscana e Banca Toscana di credito, dà vita alla Banca d'Italia. 3 V. Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1° maggio 1866. 4 Su moneta e credito, vedi Antonio Genovesi (1713/1769), Lezioni di commercio ossia di economia civile, 1765-1767, due tomi, ed. 1803, Parte prima, cap. XX. Regole generali del commercio esterno, § X; Joseph A. J. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 214-215, nota 11. La «economica utilitaria del benessere» di Genovesi, che pure difetta spesso di rigore e, con maggiore autorevolezza, la precedente elaborazione filosofica di Giambattista Vico (1668/1744), documentano il livello di civiltà del Regno delle Due Sicilie, durante i governi di Ferdinando I di Borbone (1751/1825). 8 un insieme di soggetti economici, liguri, piemontesi e sardi, uniti da comuni interessi, avevano imposto nel 1861 alla Banca Nazionale negli Stati sardi, nata a sua volta nel 1849 dalla Banca di Genova e dalla Banca di Torino. Così, nell'Italia unita, che ha trasferito la capitale da Torino a Firenze, ma è priva di Venezia e del Veneto austriaci e di Roma e delle Province pontificie, Vittorio Emanuele II5 inizia a sperimentare la politica monetaria già applicata da Carlo Alberto nel Regno di Sardegna. Nel 1866, tuttavia, il valore convenzionale delle banconote inconvertibili, come la loro quantità, rimane affidato alle oscillazioni del mercato; in base a un indirizzo liberista. Sino al 10 marzo 1868, quando la Camera dei deputati nomina la Commissione parlamentare d'inchiesta che conclude i suoi lavori il 28 novembre 1868. D'altra parte, Vittorio Emanuele II promulga il Regio decreto sul corso forzoso, il giorno dopo che la Camera dei deputati6 ha approvato a scrutinio segreto7, con un solo voto 5 Su Vittorio Emanuele II (1820/1878, re di Sardegna dal 1849 e re d’Italia dal 1861), figlio di Carlo Alberto (1798/1849, re di Sardegna dal 1831) e di Maria Teresa degli Absburgo Lorena di Toscana (1801/1855), vedi Roberto Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, ad indicem; Id., Storia costituzionale italiana Dallo Statuto Albertino alla Repubblica 1848-2001, 2002, ad indicem. Cfr. Fulvio Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011; Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, 1942, ed. 1986; Denis Mack Smith, Vittorio Emanuele II, 1972; Aldo A. Mola, Storia della monarchia in Italia, 2002. 6 Nella IX Legislatura del Regno d'Italia, che era cominciata il 18 novembre 1865, la Camera dei deputati era composta da duecentocinquanta deputati della Destra e centoventi della Sinistra, su quattrocentoquarantatré eletti, cfr. Maria Serena Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 3-53 e 419 e 420, app. I, tab. 1. 7 Questo l'art. 63 dello Statuto: «Le votazioni si fanno per alzata e seduta, per divisione e per isquittinio segreto. Quest'ultimo mezzo sarà sempre impiegato per la votazione del complesso di una legge, e per ciò che concerne al personale ». Su Antonio Scialoja (1817/1877), autore nel 1857 di Note e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e Stati Sardi e ministro delle Finanze nel II governo La Marmora, compara l'agiografia di Carlo De Cesare, La vita, i tempi e le opere di Antonio Scialoja, 1879, al recente saggio critico di 9 contrario, la Legge proposta da Antonio Scialoja ministro delle Finanze del governo La Marmora8. Secondo l'articolo 5 dello Statuto, che subordina la promulgazione dei Regi decreti in materia finanziaria, alla precedente approvazione delle Camere; rimarcando anche in questo modo le differenze con la monarchia assoluta. 9 Il «Governo del Re» ha così ottenuto l'incarico di ordinare le spese necessarie alla difesa dello Stato, e di provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del Tesoro.10 Gabriella Gioli e Antonio Magliulo, La manualistica di Antonio Scialoja, in L’economia divulgata (1840-1922). Stili e percorsi italiani, a cura di M.M. Augello e M.E.L. Guidi, volumi 3, I volume, Manuali e trattati, 2007, pp. 1-32. Alfonso Ferrero di La Marmora (1804/1878) è presidente del Consiglio nel Regno di 8 Sardegna, durante la VII legislatura, dal 19 luglio 1859, al 21 gennaio 1860, e nel Regno d'Italia, durante l'VIII e la IX legislatura, dal 28 settembre 1864, al 19 dicembre 1865, e dal 31 dicembre 1865, al 20 giugno 1866. Vedi Maurizio Cassetti, Le carte di Alfonso Ferrero della Marmora. Spunti per una biografia e un epistolario, 1979; Giuseppe Monsagrati, Alfonso Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, 1991, pp. 9-59. 9 Questo l'articolo cinque dello Statuto concesso da Carlo Alberto, «per grazia di Dio re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme ecc. con lealtà di Re e con affetto di padre», il 4 marzo 1848: «Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il Capo supremo dello Stato; comanda tutte le forze di terra e di mare; dichiara la guerra; fa i trattati di pace, d'alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l'interesse e la sicurezza dello Stato il permettano, ed unendovi le comunicazioni opportune. I trattati che importassero un onere alle finanze, o variazioni di territorio dello Stato, non avranno effetto se non dopo ottenuto l'assenso delle Camere». 10 Vedi Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1° maggio 1866; cfr. Giuseppe Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, vol. 6, Storia del Parlamento italiano, 1969, p. 107; Gianni Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 183. 10 Il Parlamento tenta così di ovviare alla grave crisi finanziaria del nuovo Stato unitario; acuita, nel marzo 1866, dal crollo dei titoli della rendita pubblica sulle piazze di Londra e Parigi, dall'indebolimento della lira italiana e dal timore di una subitanea sospensione della convertibilità. Come documentato da La costruzione dello Stato unitario di Giorgio Candeloro e dalla Storia parlamentare del giornalista fiorentino Edoardo Arbib. Che comincio a ripercorrere, riflettendo sugli innovativi libri di Astuto, Colombo e Martucci, sulle biografie di alcuni protagonisti dei primi anni della storia dell'Italia unita e sulla relativa storiografia; per poi esaminare gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Nella consapevolezza che nel 1866, a Genova e a Torino, la crisi finanziaria assume le forme drammatiche della ressa di clienti che chiede alle agenzie della Banca Nazionale di cambiare banconote in moneta metallica, costringendo la forza pubblica a intervenire, per prevenire disordini. Mentre con la Legge Scialoja del 30 aprile, proposta proprio per bloccare la speculazione, approvata dalla Camera con un solo voto contrario e subito tramutata nel Regio decreto del 1° maggio, il «Governo Monarchico rappresentativo» si attiene all'impostazione moderata dello Statuto octroyé. Esplicitata, sin dal rifiuto del termine Costituzione, considerato troppo evocativo delle esperienze rivoluzionarie inglese, americana e francese. È tuttavia evidente che il Regio decreto sul corso forzoso centralizza la circolazione monetaria. Una forzatura temperata soltanto in parte dal successivo Regio decreto del 3 maggio 1868, che autorizza il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale Toscana, e la Banca Toscana di credito per l'industria e pel commercio d'Italia, a emettere, secondo i loro Statuti, fedi di credito, polizze e banconote rimborsabili in danaro o in banconote della Banca nazionale. Ciò nonostante, o, forse, proprio per questo, alla fine del 1866, il deficit pubblico 11 italiano raggiunge i settecentoventuno milioni di lire. Questa ragguardevole cifra è pari alla differenza tra i costi delle iniziative diplomatiche, delle campagne militari e dell'unificazione amministrativa, e i ricavi del prelievo fiscale; un deficit che il conte di Cavour e Vittorio Emanuele II avevano accumulato per finanziare in forme dirette o indirette la Società Nazionale di La Farina e i Mille di Garibaldi. Surrogando, in un arco di tempo limitatissimo, l'ampliamento delle libertà e delle istituzioni politiche necessario a unificare il Paese.11 Questa dinamica politico finanziaria – che la crisi economica internazionale enfatizza oltre misura – si sviluppa a partire dai seguenti elementi istituzionali e amministrativi: a) il potere temporale del papa a Roma; b) la debolezza dell'esecutivo 12; c) l'unificazione amministrativa; d) i nuovi Codici civili; e) l'alleanza tra Prussia e Italia; f) i legami dell'Italia con la Francia; g) il governo austriaco nel Veneto; h) le elezioni politiche; i) la stagnazione economica; l) il deficit pubblico. Fattori che, dopo la morte di Cavour, sono unificati dall'alleanza tra la Destra e il partito di Corte: l'entourage di familiari e famigli, sodali e collaboratori, dalle difformi e non sempre eccelse capacità personali, con cui Vittorio Emanuele II «regna e governa». Pone cioè riparo alla propria volubilità, supplisce alla debolezza programmatica e organizzativa dell'esecutivo, impone la propria volontà 11 Su Camillo Benso conte di Cavour (1810/1861), vedi Carteggio Cavour-Nigra, La liberazione del Mezzogiorno, vol. III, ottobre-novembre 1860, 1961; cfr. Ruggiero Bonghi, Camillo Benso di Cavour, 1860; Mack Smith, Cavour e Garibaldi nel 1860, 1954, ed. 1972; Ettore Passerin d’Entrèves, Cavour, Camillo Benso conte di, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIII, 1979, pp. 120-138; Rosario Romeo, Cavour, Camillo Benso conte di, Grande dizionario enciclopedico, vol. IV, 1967, pp. 340-347; Id., Cavour e il suo tempo, 3 volumi in 4 tomi, 1977-1984; Id., Vita di Cavour, 1984, ed. 1999. 12 Vedi Roberto Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, 4.1. La crisi di governo, una costante del primo sessantennio unitario, pp. 106-115. 12 politica al potere legislativo, condiziona il potere giudiziario e orienta l'opinione pubblica. 13 Costringendo di volta in volta, l'opposizione della Sinistra, nelle sue varie, composite articolazioni, entro l'alveo della dialettica statutaria tra legislativo, esecutivo e giudiziario. È vero infatti che Cavour aveva rafforzato la presidenza del Consiglio, confrontandosi con le esperienze parlamentari francese e inglese, per mettere il Consiglio dei ministri al servizio di «una concezione della lotta politica più umana e più rispettosa dei diritti irrinunciabili dell'individuo, una visione gradualistica e moderata del progresso civile, e una fiducia nella capacità di rinnovamento delle istituzioni liberali». 14 Ma, dopo la sua morte, Vittorio Emanuele II aveva ridimensionato proprio la presidenza del Consiglio che, del resto, non è neanche menzionata dallo Statuto. Rafforzando poi i legami tra i Savoia e Napoleone III, con la Convenzione di Settembre. Stipulata a Parigi, auspice il presidente del Consiglio, Minghetti15, per ricondurre la Questione romana, alla politica interna del nuovo Stato italiano. Discostandosi perciò, anche se soltanto in parte, dal progetto originario dello stesso Cavour. La Destra aveva quindi subito la scissione della Permanente piemontese, contrappostasi alla Consorteria, ma aveva rinsaldato i vincoli con il partito di 13 Sul partito di Corte, formato tra gli altri da Cambray Digny, La Marmora, Menabrea, Rattazzi e Scialoja, vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 422 e 429; cfr. Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, pp. 4 e 5. 14 Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, capitolo III. Francia e Inghilterra rivoluzione e società industriale, p. 59. 15 Secondo il leader della Destra Marco Minghetti (1818/1886), presidente del Consiglio dal 24 marzo 1863, al 23 settembre 1864, e dal 10 luglio 1873, al 18 marzo 1876, «nei reggimenti liberi al mutarsi dell'opinione generale della nazione, segue un alternarsi dei partiti al governo», ma il partito è «un'accolita di uomini aventi voce nella cosa pubblica i quali concordano nelle massime fondamentali circa il modo di governare, e cooperano tutti insieme affinché siffatto modo e non altro si tenga», Raffaella Gherardi, a cura di, Marco Minghetti. Scritti politici, 1986, p. 633; Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 14. 13 Corte e rafforzato la propria presenza al governo, con Quintino Sella16. Succeduto, quale ministro delle Finanze nel I governo di Urbano Rattazzi, al banchiere Pietro Bastogi17, che aveva iniziato ad adeguare le strutture amministrative e militari dello Stato, ridimensionando le spese dei dicasteri sociali, incentivando la fiscalità indiretta e negoziando i titoli pubblici. Sostituito alle Finanze da Minghetti, sin dal governo Farini18, Sella gli era a sua volta subentrato il 28 settembre 1864, nel I governo La Marmora; dando vita al dualismo che caratterizza gli anni della Destra al governo. Fondati sul rigore finanziario e sul risanamento del bilancio dello Stato, a spese dei ceti meno abbienti. 16 L'ingegnere Quintino Sella (1827/1884), nato a Mosso Santa Maria, ma formatosi a Torino, Parigi, in Inghilterra e in Germania, è una delle personalità chiave dei governi della Destra. Per Sella, a differenza di Cavour, la compressione dei consumi popolari è da anteporre al pareggio di bilancio e al liberismo, cfr. Giampiero Carocci, Storia d'Italia dall'Unità ad oggi, 1975, ed. 19933, p. 40. Secondo Carocci, tuttavia, negli anni successivi all'introduzione del corso forzoso, l'uomo politico piemontese «mirò in particolare a promuovere lo sviluppo dell'industria, che era in ripresa dopo la crisi del 1866». 17 Dopo le giovanili simpatie mazziniane, nel 1861 il livornese Pietro Bastogi (1808/1899) aveva aderito al programma di Cavour e si era legato alla Casa reale, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 493. Cfr. Bastogi, Della carta moneta e dei suoi effetti in Toscana, 1849. 18 Luigi C. Farini (1812/1866) – nipote del patriota Domenico A. Farini (1777/1834), as- sassinato dai sanfedisti a Russi – si laurea in medicina a Bologna, partecipa ai moti del 1831 e, nel 1845, contribuisce a redigere il manifesto di Rimini; cfr. Farini, Manifesto delle popolazioni dello Stato romano ai principi ed ai popoli d'Europa, 1845. Con quella vera e propria carta d'intenti, un gruppo di cattolici liberali si rivolge al pontefice, riconoscendone l'autorità, ma gli chiede radicali riforme, quali «la secolarizzazione dell'amministrazione, l'introduzione della giuria e della pubblicità dei dibattiti nel processo penale, l'elettività dei Consigli comunali, l'abolizione della censura preventiva [e] l'istituzione di un organo di rappresentanza politica centrale», vedi la voce di Nicola Raponi, per il Dizionario biografico degli italiani, 1995, vol. XLV, p. 36. 14 Caduto, dopo la strage di Torino, il I governo Minghetti, Sella era stato poi sostituito nei governi La Marmora e Ricasoli, da Scialoja e dal leader della Sinistra Agostino Depretis 19 e nel governo Rattazzi, dal palermitano Francesco Ferrara: esule quest'ultimo sin dal 1848, a Torino, dove aveva polemizzato con Cavour. Passando dal centrodestra al centrosinistra e attirandosi perciò le critiche di opportunismo e di trasformismo. 20 Sino all'unificazione nazionale, quando Cavour ne aveva criticato, come contrarie «alla coscienza nazionale», le proposte autonomistiche, riferite alla Sicilia. E ai tre governi di Luigi F. Menabrea, il generale sabaudo che già il 4 febbraio 1852 aveva criticato da destra, in un discorso alla Camera dei deputati, l'alleanza tra Rattazzi e Cavour. Dichiarando che davanti al silenzio […] intorno ai continui oltraggi della stampa all'autorità e alla religione era stato tentato di respingere la legge [sulla libertà di stampa], e […] si era deciso a votarla solo in mancanza di alternative migliori. 21 19 Agostino Depretis (1813/1887), di Mezzana Corti, in provincia di Pavia, seguace di Giuseppe Mazzini (1805/1872) fino al 1853, poi nell'orbita di Rattazzi, ma contrario alla guerra di Crimea, è governatore a Brescia, nel 1859, prodittatore a Palermo, nel 1860, ministro della Marina, nel 1866, e otto volte presidente del Consiglio, dal 1876, al 1887, vedi Giampiero Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, 1956; cfr. le voci di Guido Quazza, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. VI, 1968, p. 183, e di Raffaele Romanelli, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX, 1991, p. 71. 20 Sul palermitano Francesco Ferrara (1819/1900), vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 499. Dal 1862, consulente di Sella, F. Ferrara «fu soprattutto uno studioso e un maestro. Ma fu anche un uomo politico che partecipò alla creazione dell'unità d'Italia e al lavoro di organizzazione del nuovo stato nazionale», vedi Joseph A. J. Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 620; Riccardo Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995. 21 Su Luigi Federico Menabrea (1809/1896), nato a Chambery da famiglia borghese, 15 Non a caso, nel 1867 e sino al 1869, il ministro delle Finanze dei governi Menabrea è il conte Cambray Digny22, uomo di raccordo tra la Consorteria toscana e il partito di Corte. Al quale fa seguito ancora Sella che, con il presidente del Consiglio Lanza 23, concretizza la politica economica delineata in forma compiuta sin dal discorso del 14 marzo 1865. Svolto alla Camera dei deputati, in occasione della presentazione dell'esercizio finanziario così Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 214. Dopo la II guerra di Lombardia, Menabrea è nominato senatore del Regno di Sardegna, approva la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, sceglie la nazionalità italiana, è ministro della Marina negli ultimi mesi del governo Cavour e nel I governo Ricasoli e, nel 1862, è ministro dei Lavori pubblici nei governi Farini e Minghetti. Cfr. Luigi Federico Menabrea, Memorie, introduzione e a cura di Letterio Briguglio e Luigi Bulferetti, 1971. 22 Luigi Guglielmo Cambray Digny (1820/1906), nato a Firenze da famiglia oriunda francese, si forma a Parigi con il matematico e bibliofilo Guglielmo Libri (1803/1869), torna nella città natale durante il biennio 1848-1849 e si schiera al fianco di Ricasoli nelle file del partito moderato in Toscana, contro il radicalismo democratico di Francesco Domenico Guerrazzi (1840/1873). Richiamato all'impegno politico dallo stesso Ricasoli, che lo invia a Torino, per sostenere l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna, Cambray Digny è nominato senatore nel 1860 ed è ministro delle Finanze nei tre governi Menabrea, dal 27 ottobre 1867, al 19 novembre 1869. Cfr. Luigi Guglielmo Cambray-Digny e Leopoldo Galeotti, Carteggio 1818-1882, 2005. 23 Giovanni Lanza (1810/1882), nato a Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, si laurea due volte a Torino, in filosofia e in chirurgia, amministra un podere a Roncaglia, presiede l'Associazione agraria piemontese e, dal 1848, è deputato. Compiuta la scelta di campo liberale e schieratosi con il Centro-sinistro, durante il Connubio, Lanza esplicita, come Rattazzi, «una concezione giacobineggiante dello Stato, in cui vedeva il principale strumento per la riforma e l'ammodernamento della società civile», ed è ministro della Pubblica istruzione, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 363. Ministro delle Finanze nel 1858 e presidente della Camera nel 1860, Lanza, dopo l'unità d'Italia e la morte di Cavour, aderisce alla Permanente ed è ministro degli Interni, con La Marmora; sino al 25 agosto 1865, quando si dimette, dopo essersi opposto all'imposta sul macinato. Cfr. Gio- 16 provvisorio. Incentrato sulla limitazione della spesa pubblica e sulla compressione dei consumi dei lavoratori, attuate per trarre il Paese fuori dalla grave condizione di indebitamento in cui versava. D'altra parte, la necessità di risanare le finanze dello Stato era condivisa, ma con una ben diversa impostazione, attenta alla giustizia sociale, piuttosto che all'esclusiva tutela della proprietà privata, dalla Sinistra parlamentare, divisa e litigiosa e, soprattutto, da un nuovo giornale economico, Il Sole. Finanziato tra gli altri dall'imprenditore milanese Ercole Lualdi, eletto deputato nelle file della Sinistra e nominato in seguito nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, come Federico Seismit Doda, Il Sole proponeva, infatti, che il «Governo del Re» concedesse la facoltà di mettere in circolazione banconote a una pluralità di banche, controllate e garantite dal deposito consolidato presso lo Stato. Per poi liberalizzare le coltivazioni e le manifatture di tabacco, con l'immediata cessazione del monopolio, abolire le dogane e il dazio delle città e costruire dock e magazzini generali.24 Obiettivi assai differenti dalla politica monetaria e finanziaria di Sella e della Destra, che imponeva, insieme al corso forzoso, le imposte fondiaria, di ricchezza mobile e sul macinato, il finanziamento delle ferrovie e la liquidazione della proprietà ecclesiastica. Nell'ambito di queste Leggi, figlie di rapporti di forza molto favorevoli alla Destra, il vanni Lanza e Cesare Maria De Vecchi, Le carte di Giovanni Lanza, 1936-1942. 24 La redazione di Il Sole esplicita, nell'editoriale del 27 agosto 1865, la sua convinzione che lo sviluppo sociale è conseguenza dello sviluppo economico. La testata è accompagnata dal «vecchio proverbio francese: Le soleil luit pour tout le monde, per indicare che nella moderna società vi sono vantaggi ai quali tutti gli individui hanno il diritto di partecipare»: emblema dell'impostazione borghese, liberale e innovatrice, del nuovo quotidiano, che aveva iniziato le sue pubblicazioni il 1° agosto 1865. Cfr. Piero Bairati e Salvatore Carrubba, La trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: «Il Sole» e «24 Ore», 1990. 17 Regio decreto sul corso forzoso era stato preceduto e vincolato dal voto legislativo, in base all'articolo 5 dello Statuto. Mentre, la scelta di utilizzare una politica monetaria già di per sé controversa, senza specificare il limite di emissione della carta moneta, comportava la sospensione di una delle garanzie legislative che regolano la vita di ogni comunità nazionale: il rapporto tra riserva metallica e banconote. Con la conseguenza che, senza la convertibilità, la decisione di incrementare il circolante monetario, andando oltre i limiti naturali delle reali attività produttive del Paese, faceva lievitare il livello generale dei prezzi, erodeva il potere d'acquisto della lira italiana e accresceva le quotazioni delle merci estere. Infine, ma non per questo meno importante, la decisione di concedere l'iniziale monopolio del corso forzoso alla Banca Nazionale, a danno degli altri istituti bancari, favoriva il progressivo assoggettamento dell'economia, della finanza e dell'amministrazione meridionali, agli interessi sardo piemontesi. 25 In Italia, la crisi finanziaria internazionale era stata del resto acuita dai costi dell’unifica zione amministrativa, accresciuti dalla necessità di centralizzare i poteri locali, accentrare le rappresentanze politiche a Firenze, in attesa del definitivo trasferimento a Roma, organizzare gli Uffici parlamentari e approvare i nuovi Codici dello Stato unitario. Con risultati assai modesti, in termini di efficienza o, se si preferisce, di rapporto tra costi e benefici, so- 25 La divulgazione dell'ideologia liberale sottesa al rafforzamento della Banca Nazionale è ben semplificata da queste frasi che traggo dall'agiografia di Carlo De Cesare, La vita, i tempi e le opere di Antonio Scialoja, 1879, p. 282-283: «[...] il popolo sardo, quantunque oppresso da eccezionali distrette economiche che scrollano il credito e sconcertano la produzione e la circolazione della ricchezza [accetta] di pagare 26 lire a testa di tasse, perché sa che queste si volgono in suo benefizio; [...] mentre il popolo napolitano paga 21 lire a testa di tasse, ma non ha gli eguali corrispettivi, ed è oppresso dal più duro dispotismo». De Cesare fa a sua volta riferimento al libro di Antonio Scialoja, Note e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e Stati Sardi, 1857. 18 prattutto per i limiti della burocrazia, dalla cui inadeguatezza dipende poi, in ultima istanza, la mancata distribuzione della liquidazione della proprietà ecclesiastica. Né il corso forzoso, in quanto tale, è sufficiente a finanziare la «guerra per Venezia», con la quale la monarchia statutaria italiana sviluppa la sua politica estera, alleandosi con la Prussia di Bismarck, smarcandosi dalla Francia di Napoleone III e avvantaggiandosi del tramonto della supremazia austriaca, ma al prezzo di un'ulteriore crescita degli apparati militari. Mentre in politica interna, Vittorio Emanuele II, che sviluppa l'impostazione di Cavour, ottiene l'annessione di Mantova, di Venezia e della province venete e valorizza il moderatismo dei cattolici liberali, per arginare i garibaldini e sconfiggere i mazziniani; precondizione della successiva annessione di Roma e delle province romane. Da qui, il finanziamento delle autonomie locali, che il II governo Ricasoli26, con il napoletano Scialoja alle Finanze, realizza in forme meno centralistiche di quelle imposte nel 1859 da Rattazzi alla Lombardia, ma con un conseguente aggravio del prelievo fiscale. Dopo avere demandato tra gli altri a Sella, Fedele Lampertico e Angelo Messedaglia, la transizione dall'ammini- 26 Per un breve inquadramento di Bettino Ricasoli (1809/1880), uomo forte del governo provvisorio toscano, che, dopo l'espulsione del granduca Leopoldo I, Cavour aveva definito, con un giudizio legato alla durissima lotta politica in corso in quegli anni, un avventurista e un pressapochista, un Giuseppe Garibaldi (1807/1882) civile, privo di “senso delle proporzioni”, «cioè un improvvisatore incontrollabile con tendenze antiparlamentari e una fiducia immotivata nel ruolo catartico del re», vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 103 e 134; Id., Storia costituzionale italiana Dallo Statuto Albertino alla Repubblica 1848-2001, 2002, p. 64. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 418. In seguito, nominato successore di Cavour, Ricasoli «diede le dimissioni dalla carica dopo meno di otto mesi, a quanto pare perché si sentiva esautorato dalla tendenza del re a condurre una sua personale diplomazia», vedi Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, p. 235. 19 strazione austriaca, all'amministrazione italiana, nelle province del Veneto e di Mantova. Documentata dal pionieristico lavoro di Claudio Pavone. I nuovi deputati «filo ministeriali» rafforzano così Ricasoli. Sino alle elezioni politiche nazionali del marzo 1867, al fallimento del tentativo di Ricasoli di costituire il suo III governo e al II governo Rattazzi27, che nomina F. Ferrara alle Finanze, ma ben presto ne assume l'interim. Seguono, sempre nel corso della X legislatura, la caduta del II governo Rattazzi, la definitiva sconfitta di Garibaldi a Mentana e i tre governi Menabrea-Cambray Digny, il secondo dei quali informa la Camera dei deputati, il 20 gennaio 1868, che il disavanzo corrente dello Stato è passato dai 168 milioni di lire del 1866, ai 224 milioni del 1867.28 Preannunciando per la fine dell'anno un ulteriore aggravio di circa 240 milioni e riproponendo perciò alcune delle misure di risanamento fiscale già prospettate dai governi Rattazzi-Sella e La Marmora-Sella. Da qui la necessità di approfondire le modalità con cui il potere legislativo articola, sul modello della House of Commons, le proprie facoltà ispettive, sperimentate per la prima volta, nel 1863, con l'inchiesta sul brigantaggio. Proposta dal presidente della Camera, Se27 Urbano Rattazzi (1808/1873), uno degli uomini chiave del partito di corte, leader del centro-sinistro, sin dal Connubio, è coinvolto nei disastri d'Aspromonte e di Mentana, ma rende «un notevole servizio allo Stato educando la Sinistra alla teoria e alla pratica del governo costituzionale», vedi Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 137. Le differenze tra il liberalismo moderato, anglofilo, di Cavour, e il liberalismo giacobino di Rattazzi, venato di intransigente anticlericalismo, emergono proprio durante il Connubio, cfr. queste impegnative frasi di Cavour: «Se il mio onore e l'interesse delle idee liberali non si trovassero impegnati nella lotta, io abbandonerei di tutto cuore il campo di battaglia. Ma sarebbe una viltà, e preferisco soccombere piuttosto che rendermene colpevole», cit. in Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 262. 28 Nella Camera dei deputati della X legislatura, cominciata il 22 marzo 1867, il numero degli eletti della Destra risale da 250 a 279, ma il numero degli eletti della Sinistra continua a crescere, da 120 a 181. 20 bastiano Tecchio, dopo il rapporto dell'allora prefetto di Napoli, La Marmora. Iniziata con la nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta e del suo presidente Giuseppe Sirto ri, della Sinistra. E proseguita con il viaggio nelle principali città meridionali, sino alle relazioni conclusive di Giuseppe Massari, della Destra, e di Stefano Castagnola, della Sinistra. Alle quali avevano fatto seguito: la critica dell'opinione pubblica, orientata dal settimanale politico mazziniano «Il Dovere», la repressione del «brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», i Tribunali militari di guerra e la fine del «grande brigantaggio». Proprio quella prima inchiesta parlamentare, promossa per ripristinare la legalità nel meridione del Paese, ma seguita da patenti violazioni dello Statuto, accresce l'influenza del modello costituzionale inglese, sul potere legislativo italiano. Che emerge attraverso l'analisi testuale del saggio Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, nel quale Giuseppe Devincenzi recepisce e divulga tra le élite italiane, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, di Erskine May. Ripercorrendo la storia del «Governo parlamentare inglese», dall'inchiesta sul bilancio della Camera dei Comuni nel 1786, al corso forzoso e al blocco commerciale contro Napoleone, al Reform Act, all'Income Tax e alle Commissioni parlamentari del Regno Unito. Sviluppata, attraverso l'esame del saggio di Devincenzi, la comparazione tra le Commissioni parlamentari d’inchiesta nel Regno Unito e nel Regno d'Italia, analizzo quindi le modalità con cui la Camera dei deputati inizia a regolare il corso forzoso. A partire dal 10 marzo 1868, quando vota all'unanimità l'ordine del giorno dei deputati Tommaso Corsi e Alessandro Rossi che, stante la gravità del disavanzo finanziario, sollecitano misure legislative capaci di riequilibrare il bilancio dello Stato. Nominando la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso, composta da Cordova29, subito eletto presiden29 Filippo Cordova (1811/1868) era originario di Aidone, il Comune che è oggi in provincia di Enna, ma che nel 1868 era in provincia di Caltanissetta. 21 te, Lampertico, Messedaglia, lo stesso A. Rossi e Sella 30, per la Destra, e da Lualdi e Federico Seismit-Doda, per la Sinistra; coadiuvati dal cav. Giuseppe Fiorio, che svolge funzioni di segretario.31 La Commissione ha il mandato di concludere i propri lavori entro il 15 aprile, una scadenza che appare da subito irrealistica. Tanto più dopo che Cordova dispone l'invio di sette differenti questionari ai principali Istituti italiani di credito e ad alcuni interlocutori istituzionali, in primis le Camere di Commercio. Dando nel contempo inizio al viaggio nelle principali città italiane e alle audizioni di importanti personalità. D'altra parte, i lavori della Commissione s'intrecciano all'attività legislativa della Camera dei deputati, tutt'altro che frenetica, ma chiamata dal secondo esecutivo MenabreaCambray Digny, a ripercorrere e concretizzare la trama finanziaria ordita da Sella; mentre il potere giudiziario continua a fare diretto riferimento a Vittorio Emanuele II, come da Statuto. In quegli stessi mesi del 1868, la Camera dei deputati approva così l'imposta ad ampia base imponibile sul macinato, che equivale tuttavia a dieci delle giornate lavorative dei contadini poveri, su una media annua di duecento; il che la rende odiosa.32 30 Mosso Santa Maria, il Comune dove è nato Sella, è oggi in provincia di Biella, come prima del Regio Decreto n. 3702 del 23 ottobre 1859, che lo aveva incluso nella provincia di Novara. 31 Vedi Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso, 3 voll., vol. I Relazione a stampa, vol. II Documenti, vol. III Deposizioni, 1868. Il cav. Fiorio era dirigente della prima divisione delle Finanze, presso la Corte dei Conti, massimo organo collegiale di controllo dell'amministrazione dello Stato, istituita il 14 agosto 1862, con la legge numero 800, che aveva unificato le Corti preunitarie di Torino, di Firenze e di Napoli e Palermo. 32 L'imposta sul macinato – approvata dalla Camera il 21 maggio, con 219 voti a 152, e dal Senato il 27 giugno 1868, con 101 voti a 11, durante il I governo Menabrea-Cambray Digny – entra in vigore il 3 gennaio 1869, suscita ripetute e violente proteste di popolo, indirizzate contro gli esattori e represse con durezza dalla polizia, specie in Emilia, in 22 Appena trascorse alcune settimane, il 25 luglio 1868, Cordova, polemizzando con Cambray Digny, propone la Legge che regola la circolazione delle banconote e incentiva il piccolo commercio, ma dopo pochi giorni è messo fuori gioco da un infarto. La Camera dei deputati approva allora la Legge che concede la privativa della Regìa cointeressata dei tabacchi a un monopolio di banchieri e uomini d’affari italiani e stranieri, in cambio di un anticipo di centottanta milioni e di un canone fisso pari al 40% degli utili, introducendo ulteriori elementi speculativi nell'economia finanziaria del Paese. 33 Poi, finita la pausa estiva e ottenuta dalla Camera dei deputati l'approvazione della Legge Cordova, che limita per la prima volta il corso forzoso, la Commissione parlamentare d’inchiesta nomina presidente Lampertico e, dopo la morte di Cordova e soprattutto dopo che la Camera dei deputati ha approvato il nuovo Regolamento provvisorio, vota a maggioranza le Conclusioni di Lampertico, concludendo i suoi lavori e pubblicando i tre volumi della Relazione finale, il 28 novembre 1868. . Che permettono di verificare se e come, dal 1° maggio 1866, Vittorio Emanuele II e i governi La Marmora Scialoja, Ricasoli - Scialoja, Ricasoli - Depretis, Rattazzi - Ferrara e Menabrea - Cambray Digny, abbiano usato il corso forzoso per condizionare le istituzioni politiche e la formazione del sistema bancario. Romagna e in Lombardia, ed è abolita il 1° gennaio 1884. Cfr. Faucci, L'economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, p. 214. 33 Vedi Gino Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, Capitolo secondo, La disastrosa situazione finanziaria del nuovo Regno ed il concorso del capitale straniero, V. Le banche ordinarie nel quinquennio. La partecipazione del capitale straniero all'attività bancaria ed industriale, pp. 53-64. 23 Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso 24 25 Parte I. «Governo del Re», unificazione amministrativa e corso forzoso I.1. Il realismo politico di Vittorio Emanuele II I.1.1. La Convenzione di Settembre: il trasferimento della capitale a Firenze Gli equilibri politici internazionali che permettono alla monarchia liberale italiana di promulgare il Regio decreto sul corso forzoso, prendono forma nella Convenzione stipulata il 15 settembre 1864, a Parigi, tra i governi francese e italiano, per la cessazione dell'occupazione di Roma e il trasferimento della capitale da Torino, ad altra città del Regno d'Italia.34 Questo documento, articolato in cinque punti, è firmato da Édouard Drouyn de Lhuys, ministro degli Esteri di Napoleone III 35, da Costantino Nigra, delegato di 34 Nell'inquadrare l'equilibrio politico europeo prima della Convenzione di settembre, c'è da considerare che, ancora nel gennaio 1864, la diplomazia francese cerca di prevenire «uno scontro tra la Germania e la Francia [che] sarebbe stata l'impresa più empia e più arrischiata alla quale si poteva pensare», come ha scritto il ministro degli Esteri di Napoleone III, Édouard Drouyn de Lhuys (1805/1881), all'ambasciatore francese a Londra. Vedi Émile Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18 voll., 1895-1918, vol. VII, p. 185; Eugenio Di Rienzo, Napoleone III, 2009, p. 432. Émile Ollivier (1825/1913) è l'uomo politico francese, relatore in quello stesso 1864 della Legge sulle coalizioni dei lavoratori, poi ritirata a causa di conflitti sociali sempre più aspri, che nel 1870 è primo ministro, sino alla disfatta di Sedan, che segna anche la fine della sua carriera politica. 35 Luigi Napoleone (1808/1873), nipote di Napoleone I, eletto presidente della Seconda repubblica francese nel 1848, aveva governato con sistemi monocratici, si era guadagnato la fiducia della Chiesa cattolica romana con la spedizione contro la Repubblica Romana e, dopo il colpo di Stato del 1851, si era fatto incoronare imperatore dei Francesi; costringendo tra l'altro il legittimista cattolico Frédéric-Alfred-Pierre Falloux (1811/1886), primo firmatario della Legge sulla libertà d'istruzione, a ritirarsi dalla vita politica. Cfr. Falloux, Memoires d'un royaliste, 2 voll. postumi, 1888. Quando stipula la Convenzione di Settembre, Napoleone III è impegnato nella disastrosa impresa in Messico, con la quale tenta senza successo di ampliare i possedimenti francesi in America. Sulla politica filopontificia di Drouyn de Lhuys, vedi Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18 voll., 1895-1918, vol. VII, pp. 131 e sg.; Di Rienzo, Napoleone III, 2009, ad indicem. 26 Emilio Visconti Venosta36, ministro degli Esteri del I governo Minghetti, e da Gioacchino Napoleone Pepoli37, già plenipotenziario di Vittorio Emanuele II a Pietroburgo. Redigendo quella che è poi passata alla storia come la Convenzione di Settembre, l'Italia s'impegna innanzitutto à ne pas attaquer le territoire actuel du Saint-Père et à empêcher, même par la force, toute attaque venant de l'extérieur contre le dit territoire (art. 1). Nigra e Pepoli, con l'assenso di Vittorio Emanuele II, assumono dunque il duplice 36 Il milanese marchese Emilio Visconti-Venosta (1829/1914), tra i protagonisti delle Cinque giornate di Milano, dopo il fallito tentativo insurrezionale ispirato da Mazzini nel 1853, aderisce alla Destra moderata di Cavour, cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 125; Alfonso Scirocco, I democratici italiani da Sapri a porta Pia, 1969, ad indicem; Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, pp. 43-44. Sul suo delegato, Costantino Nigra (1828/1907), convinto sostenitore dell'alleanza con Napoleone III e forse anche per questo poi inviso a Vittorio Emanuele II, vedi Carteggio Cavour-Nigra, La liberazione del Mezzogiorno, vol. III (ottobre-novembre 1860), 1961; Lanfranco Vecchiato, Tra l'Europa e il Risorgimento italiano. Costantino Nigra diplomatico, erudito, poeta, 1959. 37 Il marchese Gioacchino Napoleone Pepoli (1825/1881), bolognese, figlio del marchese Guido Taddeo e della principessa Letizia, e cugino di Napoleone III, sposa nel 1844 Federica Guglielmina di Hohenzollern-Sigmaringen, del ramo primogenito della dinastia di Prussia. Due anni dopo, firmando la petizione promossa da Minghetti, Pepoli chiede riforme liberali al conclave riunito per scegliere il successore di Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari, 1765/1846, papa dal 1831), che si conclude con l'elezione di Pio IX. Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel governo Rattazzi-Sella, dal 3 marzo, al 29 novembre 1862, plenipotenziario a Pietroburgo, nel 1863, e tra i firmatari della Convezione di Settembre, nel 1864, Pepoli è sindaco di Bologna, dal 1866, e senatore, dal 1868. Cfr. Enrico Zironi (2011), Il marchese senatore Gioacchino Napoleone Pepoli: sua vita, apostolato e opere letterarie, 10 ottobre 1825-26 marzo 1881, 1893. 27 impegno di rispettare il potere temporale del Santo Padre a Roma e di impedire, anche con la forza, qualsiasi attacco contro lo Stato della Chiesa. Il «Governo Monarchico rappresentativo» italiano rinuncia così a Roma, che pure Cavour, nel discorso alla Camera dei deputati del 27 marzo 1861, aveva definito la sola città d'Italia che non ha memorie soltanto municipali, garantendo al contempo l’indipendenza e la libertà spirituale di Pio IX38, con l’assenso della Francia. Condizione questa di ogni possibile annessione della Città eterna, la cui importanza, dai Cesari ai giorni nostri, va molto al di là del suo territorio e che era perciò destinata a essere la capitale di un grande Stato. In cambio di questa rinuncia italiana a Roma, che soltanto il tempo dirà quanto momentanea : La France retirera ses troupes des États Pontificaux graduellement et à mesure que l'armée du Saint-Pére sera organisée. L'évacuation devra néanmoins être accomplie dans le délai de deux ans (art. 2). Da parte sua, il governo italiano s'impegna ad accettare «l'organisation d'une armée papale, composée même de volontaires catholiques étrangers», ma pone la condizione che quella forza non degeneri in un mezzo d'attacco contro lo stesso governo italiano (art. 3). Dal punto di vista finanziario, ciò che più conta è tuttavia la disponibilità dell'Italia ad accollarsi una parte proporzionale del debito degli antichi Stati della Chiesa (art. 4), contestuale all'impegno assunto da entrambi i contraenti a ratificare la Convenzione al 38 Prima di essere eletto papa, il 16 giugno 1846, quando «sibi imposuit» il nome di Pio IX, Giovanni Maria Mastai Ferretti (1792/1878), ordinato sacerdote nel 1819, era stato delegato apostolico in Cile e in Perù, vescovo di Spoleto dal 1827 e di Ravenna dal 1832 e cardinale dal 1840. Vedi Giacomo Martina, Pio IX, beato, Enciclopedia dei papi, vol. III, 2000, pp. 560-575. 28 massimo entro quindici giorni (art. 5). 39 Questo accordo suscita l'immediata opposizione di Giuseppe Garibaldi e la veemente reazione di Giuseppe Mazzini, per i quali – come in epoca fascista, ha scritto il potentino Saverio Cilibrizzi, già funzionario della Camera regia – con il Bonaparte, è possibile una Convenzione sola: purificare il nostro Paese dalla sua presenza non in due anni, ma in due ore. [...] D’allora in poi, il Grande Genovese considerò Vittorio Emanuele come un prefetto di Napoleone III.40 Tuttavia, malgrado questi durissime critiche riportate da Cilibrizzi, Vittorio Emanuele II continua a muoversi lungo la direttrice dinastica delle annessioni territoriali che i Savoia avevano attuato, «pezzo dopo pezzo», sin dal Congresso di Vienna. Lì, le potenze europee vincitrici di Napoleone, avevano autorizzato Vittorio Emanuele I ad annettere l’ex Repubblica di Genova, al Regno di Sardegna, senza diritto d’opposizione e senza alcun 39 Convention franco-italienne, Protocole du 15 septembre 1864 faisant suite à la Convention signée le même jour, histoire.choiselle.info. Minghetti, nel suo libro La Convenzione di settembre: un capitolo dei miei ricordi, 1899, rievoca questo atto di politica estera, successivo al fallimento della missione di Menabrea, come «il passo più decisivo all’Unità d’Italia con Roma capitale», perché riduce il conflitto con il Papato, a un problema di politica interna allo Stato italiano. Le truppe francesi abbandonano Roma dal 5 novembre 1865, all'11 dicembre 1866. 40 Vedi Saverio Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, pp. 429-432. Saverio Cilibrizzi (1891/1971), originario di Anzi, in provincia di Potenza, è un archivista e storico monarchico liberale, ex funzionario della Camera dei deputati. Cfr. Giuseppe Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, vol. 6, in Storia del Parlamento italiano, a cura di Nicolò Rodolico, 1969, pp. 3-22 e Mack Smith, Vittorio Emanuele II, 1972, cap. IV La monarchia costituzionale: 1861-65, pp. 157-209. 29 plebiscito. In continuità con quella impostazione, che già Carlo Felice aveva coniugato con ambigue aspirazioni nazionali, Carlo Alberto 41 aveva poi concesso lo Statuto, imponendo la propria supremazia sui fermenti liberali che animavano la penisola italiana, ma il 23 marzo 1849 si era schiantato a Novara, contro l'Impero austriaco. I.1.2. La continuità con l'unificazione nazionale Scampato il pericolo della dissoluzione del Regno di Sardegna e articolata una dialettica istituzionale incentrata sul Connubio, nel 1859 e soltanto grazie al credito internazionale acquisito con la partecipazione alla guerra di Crimea, i Piemontesi di Vittorio Emanuele II e di Cavour avevano unificato l’Italia, alleandosi con Napoleone III nella II guerra di indipendenza, vera e propria guerra di Lombardia e, soprattutto, avallando e utilizzando la Spedizione dei Mille. Questa impresa militare è nota, oltre la retorica patria; la richiamo perciò soltanto in breve. Inviati a Palermo Rosolino Pilo e Giovanni Corrao, con il compito di preparare l’insurrezione della città, costringendo i Borboni sulla difensiva, Garibaldi era salpato da Quarto, alla testa di mille e ottantasette patrioti armati di vecchi fucili ottenuti dalla Società nazionale42 e imbarcati sui piroscafi Piemonte e Lombardo della compagnia Rubattino; 41 Sulla controversa figura di Carlo Alberto (1798/1849, re di Sardegna dal 1831), figlio di Carlo Emanuele di Savoia-Carignano e di Maria Cristina di Sassonia-Curlandia, vedi Paolo Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, 2003; Guido Quazza, Carlo Alberto, Grande dizionario enciclopedico, 1967, vol. IV; Giuseppe Talamo, Carlo Alberto, Dizionario biografico degli italiani, 1977, vol. XX. 42 La Società nazionale italiana, antagonista del Partito d'azione di Mazzini, era stata fondata nell'agosto 1857 dal veneziano Daniele Manin (1804/1857), morto tuttavia pochi giorni dopo, e dal siciliano Giuseppe La Farina (1815/1863), per dare sostegno al movimento di unificazione nazionale ispirato da Cavour e dai Savoia, nel tentativo di «far 30 dunque, con il probabile sostegno di Cavour. 43 Il Nizzardo era poi approdato a Marsala, protetto da due navi da guerra inglesi, aveva finto di puntare su Corleone, ma aveva attaccato da Gibilrossa, il presidio napoletano di Palermo, costringendolo alla resa; quindi, sconfitti i napoletani a Milazzo, aveva risalito la Penisola, accogliendo migliaia di volontari nelle sue fila e sbaragliando gli avversari sul Volturno. Il Risorgimento si era compiuto allora, per iniziativa della Società Nazionale e dei Mille – invece che con una vera e propria Rivoluzione, come quelle con le quali le borghesie nazionali avevano conquistato il potere, in Inghilterra, negli Stati Uniti d'America e in Francia – proprio quando i più lo consideravano impossibile. 44 Inverandosi, dopo i successi militari piemontesi nelle Legazioni pontificie, ma soprattutto dopo i plebisciti di annessione. A quelle consultazioni popolari, aveva poi fatto seguito la fondazione della Banca delle Legazioni pontificie e della Banca Toscana che, unificate con la Banca scaturire lo scioglimento della questione italiana dai contrasti d'interessi e di principi che dividevano l'Europa ufficiale», Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, pp. 340-341. 43 Cfr. Roberto Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, p. 162; sull'armatore genovese Raffaele Rubattino (1809/1881), vedi: «Appena tornato al governo [il 4 novembre 1852], Cavour riprese […] le iniziative già avviate a favore della navigazione ligure, facendo approvare una nuova convenzione con Rubattino per la linea da Cagliari a Tunisi, sovvenzionata dallo Stato, e portando a compimento l'accordo, di assai maggiore respiro, relativo all'esercizio di due linee di navigazione sovvenzionate con le Americhe, del Nord e del Sud, da parte della Compagnia Transatlantica », Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236; cfr. Roberto Battaglia, La prima guerra d'Africa, 1958, p. 82; la voce di Corradi, per il Grande dizionario enciclopedico, 1971, vol. XVI, p. 372. 44 Sull'evoluzione costituzionale italiana, condizionata dalla vaghezza dei principi statutari, che non prevedono tra l'altro il ruolo di presidente del Consiglio, dalla scelta di «regnare e governare» compiuta da Vittorio Emanuele II e dalla ristrettezza della legge elettorale di censo, cfr. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999; Id., Storia costituzionale italiana, 2002. 31 Nazionale nel Regno di Sardegna, danno in seguito vita alla Banca Nazionale nel Regno d'Italia. Ponendo in luce i legami tra sistema politico e politica monetaria, che caratterizzano proprio il corso forzoso. Soltanto, dopo i plebisciti e la fondazione di quelle Banche, il 26 ottobre 1860, a Teano, nei pressi della Regia di Caserta, vicino l’antico confine tra Patrimonio di San Pietro e Regno delle Due Sicilie, il simbolico incontro tra Vittorio Emanuele II e Garibaldi, preparato dall'abile regia di Cavour e dal tenace lavorio del messinese Giuseppe La Farina, sancisce l'avvenuta unificazione politica. I.1.3. La secessione della Associazione liberale Permanente La proposta di trasferire la capitale a Firenze, recependo la Convenzione di Settembre, che sarebbe dovuta rimanere segreta, ma era trapelata, o era stata fatta trapelare, dagli ambienti di Corte, è approvata dalla Commissione di guerra, presieduta a Torino da Eugenio Emanuele, principe di Savoia-Carignano, luogotenente generale del re. Nascono così le larghe manifestazioni di simpatia che la accolgono in varie città italiane, in particolare a Napoli, Milano e Bologna. Mentre tra gli oppositori della Sinistra che vorrebbero, al contrario, l'immediato trasferimento della capitale a Roma, spiccano Garibaldi e Mazzini, il quale ultimo, è bene considerarlo sempre, nel valutare le dinamiche politiche di quegli anni, agiva fuori e contro il Parlamento. A opporsi alla Convenzione di Settembre, è tuttavia soprattutto il gruppo dei parlamentari piemontesi della Destra, impegnatisi a rimanere riuniti “in permanenza”; sino al trasferimento della capitale a Roma. La Permanente così formata, si stacca perciò dalla Consorteria – come gli avversari avevano definito il gruppo dei parlamentari toscani, poi infoltito dagli emiliani e da singole personalità nazionali, quali il salentino Giuseppe Pisanelli e l'abruzzese Silvio Spaventa – e passa all'opposizione, per far valere i propri 32 interessi regionali, con il risultato di indebolire il governo del bolognese Minghetti. La Destra, che aveva eletto trecentocinquanta deputati, in gran parte nei collegi del centronord, continua però a dominare la Camera dei deputati della VIII legislatura, la prima del Regno d'Italia, iniziata il 18 febbraio 1861. Tra questi deputati, si contavano ottantacinque nobili, settantadue avvocati, cinquantadue fra medici, ingegneri e professori universitari e ventotto alti ufficiali dell’esercito. All'opposizione rimanevano invece gli ottanta deputati del «centro-sinistro» di Urbano Rattazzi e la sparuta, ma combattiva Sinistra democratica di Agostino Bertani e Aurelio Saffi. 45 Alla guida della Permanente, il gruppo parlamentare più dinamico, c'era il conte Gustavo Ponza di San Martino46, che aveva già fatto parte della delegazione piemontese inviata a Tolosa, per ricevere in forma ufficiale l'atto di abdicazione al trono di Carlo Alberto e che in seguito lega il suo nome ad alcune proposte di decentramento, destinate però a rimanere lettera morta. Dopo la Convenzione di Settembre, avversata in Parlamento dalla folta minoranza della Camera dei deputati, formata dalla Permanente, dal «centro-sinistro» e dalla Sinistra democratica, le manifestazioni della piazza ostile culminano a Torino, nell’assalto a 45 Vedi Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 3-53 e 419 e 420, appendice I, tabella 1. 46 Gustavo Ponza di San Martino (1810/1876), nato a Dronero, in provincia di Cuneo, era stato ministro dell'Interno dal 4 novembre 1852, al 4 marzo 1854, quale «uomo di [...] piena fiducia» di Cavour nel suo I governo, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 229. San Martino era stato poi sostituito da Rattazzi, quando l'Italia aveva aderito all'ultimatum con cui Inghilterra e Francia avevano intimato alla Russia l'immediato ritiro dalla Moldavia e dalla Valacchia, per limitarne il crescente espansionismo ai danni del decadente Impero ottomano. San Martino è poi nominato senatore e, dal 21 maggio al 15 luglio 1861, luogotenente generale del re a Napoli, massima autorità politica e amministrativa nel Meridione continentale. 33 botteghe d’armi, ministeri e sedi di giornali. La repressione, operata con brutale durezza dalla forza pubblica e dall’esercito, è diretta da Silvio Spaventa – «rigido e schematico» fratello minore del filosofo Bertrando – Segretario generale del ministro dell'Interno Ubaldino Peruzzi. Si giunge così al 22 settembre 1864, quando lo stesso Spaventa ordina di sparare sui dimostranti, causando decine di morti e oltre un centinaio di feriti. Come ha scritto l'autorevole giornale «La Civiltà cattolica», mettendo in dubbio l'attendibilità del bilancio ufficiale dell’eccidio, che era stato di 52 morti e 130 feriti un fuoco incrociato da tre parti, in una folla così stipata, dovea essere micidialissimo; fu sventura, forse, più che colpa; ma il macello fu orribile. 47 Alla carneficina, da spiegare con l'uso dissennato dell'esercito, che surroga la Guardia Nazionale, istituita dall'art. 76 dello Statuto, ormai insufficiente per tutelare l'ordine pubblico, il Consiglio comunale di Torino reagisce votando all'unanimità per Roma capitale. Il Consiglio dei ministri si esprime invece a maggioranza a favore di Napoli, mentre i parlamentari siciliani difendono gli interessi di Palermo. 48 Tuttavia, il giorno dopo, il 23 settembre 1864, Vittorio Emanuele II dispone il trasferimento della capitale a Firenze, scaricando la responsabilità politica della strage su Minghetti, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, che è allora costretto a rassegnare le dimissioni. Si consuma in questo modo, la scelta di usare Minghetti quale capro espiatorio, secondo l'art. 47 Così «La Civiltà Cattolica», quindicinale della Compagnia di Gesù, fondato per combattere gli «errori moderni» e difendere la dottrina cattolica e gli interessi della Santa Sede dagli attacchi dei liberali e dei razionalisti, a. XV, 1864, XII, s. V, p. 244; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, p. 437. 48 Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 433. 34 65 dello Statuto, che, dando al Re il potere di nominare e di revocare i ministri, garantisce la continuità istituzionale del Regno, ma in questo caso, come ha osservato Cilibrizzi, mette a rischio l'affidabilità internazionale dell'Italia. Vittorio Emanuele II risolve comunque questa, che è la terza crisi extraparlamentare in poco più di due anni, chiamando subito al governo l'austero generale La Marmora. Questi, che aveva raggiunto il vertice degli alti comandi militari sardo piemontesi, organizzando l'esercito sul modello di quello prussiano, era già stato presidente del Consiglio nel Regno di Sardegna, dopo il Trattato di Villafranca. 49 Quando Rattazzi, vera mente politica di quel governo, con cui Vittorio Emanuele II aveva esautorato Cavour, aveva rafforzato l'alleanza con Napoleone III, segnando l'inizio del tramonto della supremazia austriaca in Italia. La Marmora era poi stato prefetto di Napoli, dal 16 ottobre 1861, all'11 gennaio 1863; in un ruolo già rifiutato da Ricasoli. 50 Dopo la sua prima nomina a presidente del Consiglio nel Regno d'Italia, con Sella alle Finanze, la legge che dispone il trasferimento della capitale a Firenze, è dapprima approvata dal Parlamento e poi promulgata con Regio decreto, l'11 dicembre 1864.51 49 Sull'armistizio di Villafranca, cfr. Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, cap. VII. In cerca di rivincita (1853-1860), pp. 198-229. 50 Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, pp. 434, n. 1 e 440-441. 51 La Camera dei deputati approva gli articoli della legge su Firenze capitale, per appello nominale, il 19 novembre 1864, con 296 voti favorevoli, 63 contrari, guidati da Ponza di San Martino, e 2 astenuti e, subito dopo, la Legge nel suo insieme, a scrutinio segreto, con 317 favorevoli, 70 contrari, 2 astenuti; il 2 dicembre 1864, è la volta del Senato, con 134 favorevoli, 47 contrari e 1 astenuto. Vedi Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed. 1985, p. 164 e n. 1. Gaetano Arangio-Ruiz (1857/1936), nato ad Augusta, in provincia di Siracusa, si laurea in Giurisprudenza nel 1879 all'università di Napoli, con una tesi in Diritto romano, consegue nel 1887, la libera docenza in Diritto costituzionale e sostituisce nell'insegnamento 35 I.1.4. Il «Governo Monarchico rappresentativo» Le rimostranze piemontesi contro il trasferimento della capitale a Firenze, protrattesi per alcune settimane, continuano tuttavia sino alla sera del 30 gennaio 1865, quando, ancora a Torino, un gruppo di manifestanti irrompe a palazzo Reale, insulta e fischia i convenuti al ballo di Corte, protestando contro la festa, che si tiene mentre è ancora vivo il ricordo della strage.52 Poi, il 3 febbraio il Re, sdegnato per tale oltraggio, partì […] per Firenze e non ritornò a Torino che circa un mese dopo, in seguito alle affettuose insistenze della Giunta Municipale. 53 Dopo questo viaggio di Vittorio Emanuele II a Firenze, organizzato per celebrare il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri, il trasferimento amministrativo e logistico della capitale è portato «a termine con abilità ed efficienza» proprio da La Marmora, nel giugno 1865. La conseguente perdita di prestigio e di potere della città di Torino, è compensata dal rafforzamento della delegazione piemontese al governo, formata, oltre che dallo stesso La Marmora, che dirige anche gli Esteri e la Marina, dal monferrino Lanza all'Interno, dal biellese Sella alle Finanze e dall'altro torinese Agostino Petitti di Roreto – universitario Giorgio Arcoleo (1850/1914), allievo di Francesco De Sanctis (1817/1883). 52 Cfr. «[...] non era sbollito colà il dolore per quella perdita, sicché, ad opera di poca plebaglia, le dispiacenze si manifestarono, la sera del 30 di gennaio, con sibili e sassate contro le persone che si recavano a corte, ove il Re dava una festa», Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed. 1985, p. 165. 53 Vedi Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 452. 36 già capo di stato maggiore nel 1855, in Crimea – alla Guerra. 54 D'altra parte, il trasferimento della capitale italiana da Torino a Firenze e la sostituzione di un esponente della Destra come il bolognese Minghetti, con un militare di carriera quale il torinese La Marmora, rafforzano il partito di Corte e la centralità della Corona, la sua supremazia sul governo e sulle Camere. C'è infatti da considerare che il «Governo Monarchico Rappresentativo», previsto dall'art. 2 dello Statuto, è fondato su un complesso sistema di poteri pubblici, nel quale il vertice monocratico è affiancato, in sede esecutiva e giudiziaria, dai ministri e dai magistrati, tutti di nomina regia e, in sede legislativa, dal Parlamento bicamerale, con la Camera bassa, che è elettiva, ma ha ristrette basi di censo. Come è ormai da tempo acquisito, lo Statuto che regola questo «Governo Monarchico Rappresentativo» ha quale modello le Chartes francesi del 1814 e del 1830, ma – come argomento in seguito, comparando le inchieste parlamentari nel Regno d'Italia e nel Regno Unito – demanda il potere legislativo soprattutto alla Camera elettiva, in base all'esperienza del Governo rappresentativo britannico, con le sue relative facoltà ispettive. 55 54 Cfr. Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958, 1959, pp. 100-113, par. III.1. Ricasoli, Rattazzi e Minghetti, 1861-65; Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 117-122, par. 4.2.1. Quando il re chiama un generale; Sandro Rogari, Alle origini del trasformismo. Partiti e sistema politico nell'Italia liberale, 1998, pp. 3-38 e relative note, cap. I. Un sistema politico in formazione. Destra e Sinistra nel primo quindicennio unitario 1861-1876. 55 Le facoltà ispettive del potere legislativo articolano il controllo finale della collettività sulle istituzioni che detengono il potere, nelle diverse forme del governo rappresentativo: liberale, o monarchica, o democratica, vedi: «Trattando la questione dei governi rappresentativi, quel che importa è di non perdere mai di vista la distinzione fra il suo concetto e le forme particolari in cui questo concetto si è concretato in seguito allo sviluppo dei fenomeni storici o sotto l'influsso dei principi di un determinato periodo. Governo rappresentativo significa che la nazione tutta, o almeno una parte numerosa di 37 L'agire politico di questa monarchia rappresentativa è infine determinato, al pari della sua efficacia, dal Re, dal suo esercizio del potere, legato a un insieme di fattori: «dal quoziente intellettuale all'intuito e alla rapidità di percezione e valutazione degli eventi; dalla personale esperienza di governo alla capacità di sollecitare e mettere poi a frutto il parere dei collaboratori; dal dominio delle passioni all'abilità nel subordinarle agli interessi dello Stato». Forte di questa centralità, lo Statuto la introduce sin dal suo stesso preambolo: con lealtà di re e con affetto di padre […] di nostra certa scienza e regia autorità […] per grazia di Dio Re di Sardegna.56 Vittorio Emanuele II esercita così il paternalismo che Carlo Alberto aveva octroyé e che è pur sempre fondato sull'origine divina del potere. I.1.5. Il rigore finanziario di Quintino Sella Il re d'Italia continua dunque l'opera iniziata dal conte di Cavour; condizionato in politica interna dalla sua impostazione dinastica e dal suo carattere volubile e incostante, che lo porta talvolta a preferire le amate partite di caccia, alle noiose sedute del consiglio essa, esercita per mezzo dei deputati, periodicamente eletti, il supremo controllo del potere, controllo che non manca in alcuna costituzione. Questo supremo controllo deve essere posseduto per intero dalla nazione. Una collettività deve essere in grado di esercitare quando vuole qualsiasi funzione governativa. [...]», John Stuart Mill, Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo V, Sulle funzioni proprie dei corpi rappresentativi. Su John Stuart Mill (1896/1873), cfr. Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad indicem. 56 Vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 46, ma confronta tutto il cap. 2. Lo Statuto Albertino e il governo del re. 38 della Corona. Alimentando il mito del Risorgimento con i fattori miranda e credenda.57 Che subordinano il presidente del Consiglio alla sua volontà politica, prima che alla fiducia della Camera dei deputati. Il «Governo Monarchico rappresentativo», garantito dallo Statuto, governa allora il Paese, usando la tecnica del potere, per dare continuità amministrativa all'equilibrio dei poteri, alternando strumenti dell'esecutivo, quali i Regi decreti, e del legislativo, come le Commissioni parlamentari d'inchiesta, e avvalendosi della Destra e del partito di Corte, per arginare il protagonismo di Garibaldi, sconfiggere le velleità repubblicane di Mazzini e istituzionalizzare la Sinistra. Nelle file della Destra, tra aristocratici, avvocati, medici, ingegneri, professori universitari e alti ufficiali dell’esercito, un ruolo di tutto rilievo spetta a Sella58, l'uomo politico di Mosso Santa Maria, in provincia di Biella, che si era laureato in ingegneria a Torino, aveva insegnato Mineralogia, aveva perfezionato i suoi studi in Inghilterra e in Germania, era stato eletto deputato di Cossato ed era stato ministro delle Finanze nel I governo Rattazzi. Presentando tra l'altro il progetto di legge per l'istituzione dell'imposta di ricchezza mobile che, riproposto da Minghetti, discusso in una lunga e tormentata sessione parlamentare e approvato in seconda lettura dalla Camera dei deputati, era entrato in vigore il 14 luglio 1864.59 57 Vedi Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto Albertino, 2003, pp. 159-165; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, p. 265. 58 Cfr. «le classi dominanti italiane non ritroveranno più, in seguito, lo slancio rivoluzionario e l'ardimento che caratterizzano, nonostante tutto, la politica della Destra. La stessa onestà e correttezza personale di uomini come il Sella, il Lanza, il Minghetti è un fatto politico che non si ripeterà troppo spesso nella storia italiana», Emilio Sereni, Il capitalismo nelle campagne, 1947, ed. 1980, p. 80. 59 Cfr. «In sintesi l'imposta di ricchezza mobile [...] fu anche tributo nuovo […] innanzi tutto, per le Province già papaline e borboniche che mai avevano conosciuto la tassazione 39 Questa politica fiscale, che consolida l'unificazione nazionale, attraverso la centralizzazione amministrativa e legislativa, è tuttavia il risultato di due differenti impostazioni, interne alla stessa Destra. 60 La prima è proprio quella del liberismo eterodosso di Sella che, con l'appoggio della Permanente e il concorso conflittuale di Minghetti e dei suoi uomini, tende a ritagliare per l'economia italiana, i margini di autonomia dal grande capitale internazionale, necessari a consolidare l'accumulazione e ad avviare l'industrializzazione, attraverso il nuovo Stato unitario. La seconda è quella della Consorteria toscana che, con Cambray Digny e in continuità con il liberismo ortodosso di Cavour, fondato sull'alleanza tra rendita fondiaria e capitale finanziario, è contrario all'intervento dello Stato nell'economia e nelle banche. I consorti continuano così ad anteporre la necessità di completare l'unificazione nazionale, all'industrializzazione, enfatizzando la rilevanza, in realtà ormai residuale, del governo austriaco nel Veneto e dell'esercito francese nello Stato pontificio, ma sottovalutando la crisi finanziaria internazionale, le cui origini, legate alla Guerra civile americana, imponevano di aggiornare il programma di Cavour. Entrambe queste impostazioni, eterodossa e della ricchezza mobiliare, sotto qualsiasi forma. Ma lo fu anche per il Regno di Sardegna che aveva sperimentato la tassa di patente e l'imposta personale-mobiliare. E per queste seconde l'affermazione è vera sia sotto il profilo dell'oggetto del tributo che dei metodi di applicazione», Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 157. 60 «Il discentramento vero è ito in fumo», scrive il 5 febbraio 1865, l'allora sindaco e presidente del consiglio provinciale di Firenze, Ubaldino Peruzzi (1822/1891), a Leopoldo Galeotti (1813/1884), membro della Commissioni generale della Camera dei deputati per il bilancio, dopo aver letto la nuova Legge comunale e provinciale, poi promulgata con il Regio decreto del 20 marzo 1865. Vedi Fondo Carteggi Galeotti, Ubaldino Peruzzi a Leopoldo Galeotti, cass. 9, ins. 577, 1865; cfr. Edmondo De Amicis, Nuovi ritratti letterari ed artistici: Emilia e Ubaldino Peruzzi e il loro salotto, 1908. 40 ortodossa, fanno comunque i conti con la realtà italiana, invece che sardo piemontese, nella quale il deficit pubblico continua a crescere. Intervenendo il 14 marzo 1865, alla Camera dei deputati, nell'antica sede torinese di Palazzo Carignano, Sella critica perciò l'uso dissennato del denaro pubblico che ha prosciugato le casse dello Stato. Il ministro delle Finanze del I governo La Marmora lascia così trasparire un'aspra critica all'entourage di Vittorio Emanuele II cui appartengono anche gli esponenti del partito di Corte. Proponendo poi al Parlamento di mettere in vendita le ferrovie, di contrarre un prestito di 425 milioni di lire, di fissare al 12,50% l'aliquota della nuova imposta sui fabbricati per l'anno 1866 e di portare a sessanta milioni il gettito fiscale dell'imposta di ricchezza mobile che, nel primo anno di riscossione, era stato di trenta milioni. 61 Sella, che punta a contenere il disavanzo pubblico, tracimato nel 1865 oltre l'allora cospicua cifra di 625 milioni di lire, continua in questo modo a caratterizzarsi come «tipico rappresentante di quella classe media onesta e attiva, dotata di un alto senso dei doveri civici e di una totale indifferenza, nell'insistere sulla necessità di un'amministrazione efficiente, per ogni rischio di impopolarità». 62 Il suo discorso alla Camera dei deputati, considerato nella sua interezza, contiene d'altra parte molti degli elementi che ispirano il suo agire politico, che è di volta, in volta, complementare o contrapposto a quello di Minghetti, dal quale pure Sella è così differente, per indole e temperamento. Sino alla legge delle Guarentigie e al pareggio di bilancio dichiarato da Minghetti: conti rigorosi, basati sulla conoscenza della reale consistenza del deficit, severe economie e un 61 Cfr. Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 167. 62 Vedi Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958, 1959, p. 139; Id., Vittorio Emanuele II, 1972, p. 233. 41 considerevole incremento delle imposte indirette; la tassa sul macinato ad ampia base imponibile, su tutte. Una tassa quest'ultima, che la Sinistra critica con durezza, definendola «l'imposta della fame» e ottenendone il momentaneo ritiro; riuscendo così a ricompattare la spaccatura tra statutari e radicali, che aveva fatto seguito all'intervento di Francesco Crispi nel vibrante dibattito parlamentare sulla Convenzione di Settembre. 63 Intanto però, nel giro di un anno, il deficit pubblico supera i 721 milioni. I.1.6. I problemi concreti dei ceti imprenditoriali Rimanendo al 1865, nella primavera di quello stesso anno, prima dunque che La Marmora porti a termine il trasferimento della capitale a Firenze, una serie di forze economiche e imprenditoriali, assumono consistenza nazionale. Insieme a esse, i giornali e le associazioni solidali, che negli Stati preunitari avevano cominciato ad acquisire una percezione pubblica della realtà, attraverso le diverse articolazioni cittadine della Società nazionale italiana, favorendo e preparando il progetto unitario di Cavour. Questa opinione pubblica, assai elitaria, è ristretta ai ceti urbani e alle professioni liberali; a differenza dell'opinione pubblica di massa che, attraverso i cahiers des doléances, aveva accompagnato e condizionato la Rivoluzione francese, recependo e organizzando il malcontento e il malessere di sans-culottes e contadini. 63 Alla fine della discussione sulla Convenzione di Settembre, il 19 novembre 1864, trenta deputati, tra i quali Antonio Mordini (1819/1902), avevano votato per il trasferimento della capitale a Firenze. «La monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe. Noi unitari innanzi tutto siamo monarchici e sosterremo la monarchia meglio dei monarchici antichi», questa la dichiarazione di Francesco Crispi (1818/1901), cit. in Nino Valeri, La lotta politica in Italia dall'unità al 1925: idee e documenti, 1945, p. 140. Crispi aveva rotto così con il repubblicanesimo intransigente di Mazzini, in nome dello Statuto e della legalità, proponendo di ampliare il suffragio, ma soprattutto di rendere più incisiva la politica estera necessaria per avviare a soluzione la Questione romana. 42 C'è inoltre da considerare che le élite italiane si avvalgono delle informazioni filtrate dagli apparati amministrativi del nuovo Stato, per consolidare il consenso intorno all'unità nazionale appena realizzata, che tuttavia la Chiesa cattolica romana, prima ancora degli austriaci nel Veneto e dei francesi a Roma, rende labile e precaria. Si pensi alle stesse polemiche sul trasferimento della capitale a Firenze, o alla lotta contro il brigantaggio nelle province napoletane, sfociata in una vera e propria guerra civile. 64 In questo contesto, l'opera di risanamento finanziario necessaria per trarre il Paese fuori dalla grave condizione di indebitamento in cui versa, è sostenuta anche da settori democratici e radicali, insofferenti e critici nei confronti della politica economica di Sella e dei governi della Destra. Tra le testate impegnate nella campagna di stampa che alimenta questi orientamenti, spicca Il Sole, giornale economico, politico e commerciale, sostenuto tra gli altri dall'imprenditore tessile milanese Lualdi, eletto in seguito deputato di Busto Arsizio e componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Questo giornale inizia le sue pubblicazioni a Milano, il 1° agosto 1865, esprimendo la convinzione che lo sviluppo sociale è conseguenza dello sviluppo economico. 65 64 La formazione dell'opinione pubblica nell'Italia unita, si fonda su giornali come La Nazione, che aveva cominciato le sue pubblicazioni nel luglio 1859. Il 24 settembre 1864, in previsione del trasferimento della capitale a Firenze, La Nazione decide poi di accrescere il suo formato sino alle dimensioni del Journal des Débats, assumendo quattro collaboratori fissi che hanno l'obbligo di scrivere almeno otto articoli al mese; l'anno successivo la sua tiratura sale a cinquemila copie. Vedi Valerio Castronovo, La stampa italiana dall'Unità al fascismo, 1984, p. 19. 65 Il 20 dicembre 1865, un gruppo di patrioti lombardi fonda la società “Il Sole - Fratelli Pennocchio e Comp.”, che assume la proprietà del quotidiano. Tra questi, il deputato Gaetano Semenza (1825/1882), l’editore milanese Francesco Vallardi, i fratelli Pennocchio, tra i quali il cognato di Semenza, l’imprenditore serico Vittorio Ferri, Eugenio Cantoni, Lualdi, Pietro Brambilla e Filippo Weill Schott. Cfr. Bairati e Carrubba, La trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: «Il Sole» e «24 Ore», 1990. 43 Consapevolezza delle risorse esistenti in Italia, pari a due miliardi di beni demaniali, ad altri due miliardi di beni delle Mani morte e a milioni di ettari di terra da coltivare, ma al contempo preoccupazione per l'iniquità delle imposte e per l'inefficiente distribuzione della spesa: queste l'analisi e la denuncia. Nell'Italia di quegli anni, la sfiducia nei confronti del nuovo Stato, che rischia di fare precipitare il valore della rendita e di aumentare la diffidenza interna ed internazionale, è d'altra parte cresciuta dopo che la popolazione ha pagato in anticipo l'imposta fondiaria voluta da Sella, ma ha visto frustrati i propri sforzi «dalle meschine idee della vecchia e retrograda burocrazia» e dall'aumento dei prezzi dei tabacchi, della posta e dei dazi su alcune delle merci importate dall'estero. Da qui, la critica della scelta di privilegiare una sola Banca, la Banca Nazionale nel Regno d'Italia, che, tuttavia, invece di facilitare l'industria e il commercio, rischia di fare «pasticci col governo»; una polemica che nel 1866, dopo l'approvazione del Regio decreto sul corso forzoso, investe con virulenza il ministro delle Finanze Antonio Scialoja, senza però impedire che il II governo La Marmora affidi l'emissione delle banconote soltanto alla Banca Nazionale. Da qui, le proposte che il deputato lodigiano Gaetano Semenza 66 avanza nella lettera pubblicata da Il Sole: emissione di banconote, controllate e garantite dal deposito consolidato presso lo Stato, da parte di una pluralità di banche; liberalizzazione delle coltivazioni e delle manifatture di tabacco, con l'immediata cessazione del monopolio 66 Gaetano Semenza, patriota di Sant'Angelo Lodigiano, emigrato a Londra, dove aveva fondato una società per il commercio delle sete, acquisendo notevole credito finanziario, presenta in seguito il progetto di legge Sulla libertà e pluralità delle Banche in Italia, che la Camera dei deputati esamina nelle tornate del 4 febbraio e del 4 aprile 1867. Nell'audizione del 7 aprile 1868, Semenza è poi interrogato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, vedi CD 1800000272, documenti 66/11 e 66/12, pp. 711-722 e CD1800000273, pp. 248-258. 44 del governo; abolizione delle dogane e del dazio delle città, con la contestuale costruzione di dock e di magazzini generali. 67 Da qui, infine, la conclusione di Semenza: L'Italia ha ora tanto bisogno delle riforme economiche quanto ne aveva pochi anni sono della libertà politica.68 Questa polemica di Semenza, indirizzata il 14 marzo 1865, «per mezzo dell'amico Mauro Macchi», a Sella, ministro delle Finanze nel governo La Marmora, permette di mettere a fuoco la distinzione tra il tempo della politica e il tempo della economia e la relativa subordinazione del secondo, al primo; in base a una gerarchia che, distinguendo a sua volta tra il liberismo del laissez faire, laissez passer e il liberalismo delle libertà individuali, articola la teoria politica liberale. La decisione del giornale Il Sole di pubblicarla nel febbraio 1870, è da spiegare con la preparazione del dibattito parlamentare sull'omnibus finanziario che il governo Lanza-Sella presenta l'11 marzo 1870. Quasi a rimarcare la continuità di una politica finanziaria, determinata da vincoli esteri prima che 67 Sull'importanza dei dock veneziani per l'economia veneta, sia consentito rinviare ad Alfredo Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, con un saggio di Roberto Martucci, 2011, p. 294. 68 Vedi Il Sole, Cinque anni dopo, Lettera del deputato Gaetano Semenza al ministro delle Finanze signor Quintino Sella, febbraio 1870, p. 1. Il 1° settembre, Napoleone III è sconfitto e fatto prigioniero dai prussiani, a Sedan; il 4 settembre, a Firenze, ricevuta la notizia della proclamazione della terza Repubblica francese, i deputati della Sinistra minacciano di dimettersi in massa se il «Governo del Re» non provvederà a occupare Roma; il 10 settembre, Pio IX respinge le proposte del governo italiano; il 20 settembre 1870, il 39° battaglione di fanteria e il 34° battaglione dei bersaglieri, guidati dal generale Raffaele Cadorna (1815/1897), entrano a Roma dalla breccia che l'artiglieria italiana ha aperto a Porta Pia. 45 interni, che sin dai primi anni dell'Italia unita, incontra fortissime difficoltà a sedimentare il consenso necessario per limitare al minimo l'evasione fiscale. Cinque mesi dopo, l'11 agosto, la Camera dei deputati approva le due Leggi che impongono economie nei bilanci dei ministeri della Guerra e della Marina, riducono gli uffici centrali e periferici, formalizzano il passaggio alle Province delle spese per l'istruzione secondaria e inaspriscono le imposte dirette e indirette. I.2. I costi dell’unificazione amministrativa I.2.1. La crescita della spesa pubblica Tornando alla Convenzione di Settembre, in seguito a quell'impegnativo atto politico, il «Governo del Re» approva e realizza il trasferimento della capitale a Firenze, ponendo le premesse per attuare, anche attraverso il corso forzoso, l'unificazione amministrativa. A iniziare dal Regio decreto del 20 marzo 1865, che promulga: 1) la Legge sui Comuni e le Province, il cui elettorato timocratico è più ampio di quello politico, ma si basa sulla nomina governativa dei sindaci 69, statuita dalla legge Rattazzi del 69 Nel proporre la legge del 23 ottobre 1859, sulla nomina governativa dei sindaci, Vittorio Emanuele II utilizza «i pieni poteri legislativi ed esecutivi», che lo Statuto gli attribuisce in guerra. Il governo La Marmora-Rattazzi riprende così i progetti del decennio precedente, ponendo il Parlamento di fronte al fatto compiuto, con modalità già sperimentate nel 1848-1849. La legge è poi approvata, malgrado Cavour sia critico «verso l'accentramento e favorevole alla costruzione di uno Stato parzialmente decentrato», vedi Giuseppe Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, 2009, p. 58; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, p. 350; Id., Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 173-174; Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 83-84. 46 23 ottobre 1859, e sull'affidamento delle Province ai prefetti70, sancito dai decreti Ricasoli del 9 ottobre 1861. Questa Legge unifica inoltre le precedenti funzioni dell'intendente e del governatore, delega al sottoprefetto la responsabilità del circondario e assorbe nell'Arma dei Carabinieri reali, istituita nel 1814 da Vittorio Emanuele I, le forze di polizia ereditate dagli Stati italiani preunitari. Il suo maggiore limite è tuttavia proprio questa continuità con la Legge Rattazzi, approvata da un piccolo Stato come il Regno di Sardegna e, perciò, del tutto inadeguata per il Regno d'Italia. Nell'immediato, la Legge sui Comuni e le Province finisce allora con il condizionare soprattutto la mobilità territoriale degli alti burocrati, regolata da criteri simili a quelli sui compiti e le mansioni del Direttore generale e dei Direttori delle sedi della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, previsti dal relativo Statuto. 71 Poi nel 1868, cioè proprio durante i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, le Province italiane passano da cinquantanove a sessantotto, includendo Mantova e le Province venete annesse dopo il plebiscito. I prefetti confermati diminuiscono invece da quarantuno a trentaquattro, documentando una centralizzazione che è confermata dai trasferiti, da nove a diciassette, dalle nuove nomine, da nove a sedici, dalle prime nomine, da cinque a dodici, dai sospesi dal servizio, da nove a quindici, e dai fuori servizio, da otto a dieci. 72 70 Cfr. «L'elettorato amministrativo, sino al 1883 circa doppio rispetto a quello politico, era […] formato dai cittadini di sesso maschile che avessero compiuto ventuno anni (a fronte dei venticinque necessari per l'elettorato politico) e che pagassero annualmente al comune un'imposta, definita dalla legge, variabile in proporzione al numero degli abitanti del comune stesso. A differenza della legge elettorale politica, mancava ogni tipo di riferimento al grado di alfabetizzazione, mentre erano previste speciali categorie di elettori notabili o benemeriti. [...]», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 27. 71 Vedi Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso. Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD 1800000272, pp. 60-84. 72 Vedi: «[…] il prefetto nasce come la figura centrale, il pilastro dell'amministrazione 47 2) la Legge di Pubblica sicurezza, che autorizza i prefetti a imporre il domicilio coatto e l'ammonizione ed estende la legge sulla Pubblica Istruzione73, a sua volta allegata, il 13 novembre 1859, alla legge Rattazzi. L'istruzione pubblica, suddivisa in elementare, media e universitaria, è così parificata all'istruzione privata, mentre l'ingerenza della Chiesa cattolica romana è limitata all'insegnamento della religione nella scuola elementare e all'istituzione di scuole confessionali, sottoposte però al controllo dello Stato. 74 Le insufficienze del sistema creditizio e il conseguente mancato finanziamento dei Comuni, rendono tuttavia impossibile pagare i maestri. Determinando la massiccia inadempienza dell’obbligo scolastico, documentata da un tasso di analfabetismo 75 che, se in Piemonte, dello Stato italiano, in quanto in esso si assommano le sue due tendenze fondamentali: l'accentramento politico ed amministrativo e l'unica forma di decentramento compatibile con l'accentramento politico ed amministrativo, il decentramento burocratico», Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 104 e 127-129, Tabelle I - V. 73 Il Regio decreto sulla Pubblica Istruzione, promulgato da Vittorio Emanuele II alla vigilia della II guerra di Lombardia, in virtù dei poteri eccezionali conferitigli dallo Statuto, rimane poi in vigore nelle sue linee essenziali, sino alla riforma Gentile del 1923. Discussa per quattro mesi dalla speciale Commissione sull'esperienza scolastica piemontese e lombarda, la relativa Legge, estesa dopo il 1861 a tutto il Regno d'Italia, prende il nome dal suo primo firmatario, il conte milanese Gabrio Casati (1798/1873), cognato di Federico Confalonieri (1875/1846), podestà della sua città natale dal 1837 al 1848, presidente del governo provvisorio durante le Cinque giornate, presidente del Consiglio nel Regno di Sardegna, dal luglio, all’agosto 1848, e presidente del Senato nel Regno d’Italia, dal 18 novembre 1865, al 2 novembre 1870. 74 Sull'ordinamento della Pubblica Istruzione nel Regno di Sardegna e nel Regno d'Italia, cfr. Talamo, La Scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, 1960, p. 58. 75 Le prime statistiche sull'analfabetismo nel Regno d'Italia risalgono al 31 dicembre 1863, tre anni dopo l'entrata in vigore della Legge Casati; in quel momento, l'Italia conta su 16.999.701 analfabeti che, sommati ai 893.388 cittadini che sanno appena leggere, formano l'80% circa della popolazione di 21.777.374 abitanti. 48 Liguria e Lombardia, oscilla tra il 53 e il 54%, in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, è tra l’86 e l’88%, e in Sardegna raggiunge l’89,7%.76 3) la Legge sulla Sanità pubblica, che unifica le norme già in vigore nel Regno di Sardegna, il cui carattere centralizzatore era stato rimarcato sin dal 1831, dall'allora assoluta monarchia sabauda, per prevenire il contagio dell'epidemia di colera diffusasi in alcuni Paesi europei e in particolare in Austria. Anche in questo caso, come per la Legge sui Comuni e sulle Province, queste norme, che riprendono quelle approvate da un piccolo Stato come il Regno di Sardegna, risultano del tutto inadeguata per il Regno d'Italia; tanto da rendere necessarie una serie di indagini, culminate in quella sulle condizioni igienico sanitarie delle popolazioni rurali, coordinata nel 1876 dal vicepresidente Agostino Bertani77, nell'ambito dell'inchiesta agraria presieduta da Stefano Jacini. 4) la Legge sul Consiglio di Stato, che estende i poteri consultivi dell'analogo organismo del Regno di Sardegna, istituito da Carlo Alberto nel 1831, sul modello del Consiglio di Stato napoleonico, che a sua volta si richiamava all’antico Conseil du Roi della Francia assolutista, e lo articola in tre Sezioni, sostituendolo agli organismi degli altri Stati italiani preunitari, ma continuando a lasciarlo privo di potere deliberativo. 5) la Legge sul contenzioso amministrativo, che abroga i Tribunali di matrice napoleonica, affida le controversie ai giudici ordinari, ma li sottopone al ministro di Grazia 76 Si consideri che «in Savoia (in seguito annessa alla Francia), intorno alla metà del secolo XIX i quattro quinti dei bambini di età compresa fra i 6 e i 12 anni frequentavano la scuola, contro un misero 9% fatto registrare dalla Sardegna; non sorprende quindi che nella regione alpina l’analfabetismo fra gli adulti maschi fosse attestato sul 50%, mentre nell’isola raggiungesse il 90%. […]», Robert A. Houston, In Europa tutti vanno a scuola, 1996, p. 1184. 77 Su Agostino Bertani (1812/1886), vedi la voce di Bruno Di Porto, per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX, 1967, p. 456. 49 e Giustizia, cui dà la facoltà di ammonirli e trasferirli per «utilità di servizio», completando così la trasformazione della monarchia amministrativa in monarchia statutaria. 78 6) la Legge sulle Opere pubbliche, che – in uno con le norme d’esproprio per le cause di pubblica utilità – delega la costruzione e la manutenzione di strade, porti, canali e di altre opere pubbliche allo Stato, alle Province, ai Comuni e ai privati, ma soltanto dopo averle classificate a livello nazionale. In sintesi, attraverso queste Leggi, poi finanziate tutte con il corso forzoso, la Corona applica l'orléanismo costituzionale dello Statuto octroyé, semplificato dall'art. 7: «Il Re solo sanziona le leggi e le promulga». Il centralismo di Rattazzi ingloba così il dispendiosissimo decentramento burocratico che Ricasoli aveva sperimentato quale dittatore in Toscana, sino al plebiscito dell'11 e 12 marzo 1860. Con quel decentramento, finanziato dalla Banca Toscana, uno dei cinque, principali istituti di credito nazionali ai quali la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso indirizza in seguito uno specifico questionario, Ricasoli aveva resistito al diktat di Napoleone III che, nel rispetto degli accordi di Villafranca, pretendeva la restaurazione degli Asburgo Lorena o, almeno, la creazione di uno Stato toscano indipendente dal Regno di Sardegna. Il «barone di ferro» era stato però attaccato da Cavour, con motivazioni formali legate alla insostenibilità economica del decentramento voluto da Ricasoli, ma funzionali alla durissima critica della politica di Napoleone III; in questi termini: 78 Il Parlamento del Regno d'Italia aveva iniziato a dare forma compiuta alla trasforma- zione della monarchia amministrativa, in monarchia costituzionale, approvando le Leggi del 24 novembre 1864, che avevano introdotto la giurisdizione unica della magistratura ordinaria, autorizzando tra l’altro la vendita ai privati di 130.000 ettari demaniali, divisi in 50.000 lotti. Questa vendita era stata poi effettuata dalla Società anonima per la vendita dei beni del Regno d'Italia, costituita nel dicembre di quello stesso anno. Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, 1968, p. 218 e nota 41. 50 Il Barone Ricasoli ha abbandonato ieri l'altro Firenze senza parteciparlo al Principe od al Ministero. Forse ne avrà informato Vostra Maestà. Ignoro quale sia stato il motivo di questo coup de tête. […] Finalmente l'altro giorno ci comunica un decreto col quale ordina il pagamento di sei milioni ai Comuni della Toscana, a titolo di rimborso di spese per l'occupazione austriaca, e l'emissione di buoni del Tesoro per pari somma. Un tale atto viola lo Statuto e tutte le leggi dello Stato. Era impossibile il sancirlo.79 A questa critica, dopo la morte di Cavour, fanno seguito le scelte della monarchia statutaria sabauda, che continua ad applicare il modello dello statalismo francese, per costruire il nuovo Stato unitario, ma ne depotenzia l'intima ratio, accresce il potere discrezionale dell'amministrazione pubblica locale e incrementa la spesa pubblica anche a Torino, per bilanciare la rinuncia ai privilegi ministeriali, legata al trasferimento della capitale a Firenze; consolidando il proprio consenso tra le élite. I.2.2. Due passi indietro: Urbano Rattazzi e il centralismo piemontese Prima che del barone Ricasoli, l'unificazione amministrativa italiana è dunque opera dell'avvocato Rattazzi.80 Nato nel 1808 a Masio, in provincia di Alessandria, questi si era 79 Vedi Cavour, Al re Vittorio Emanuele, [Torino] 23 ottobre 1860, in Carteggio Cavour- Nigra, La liberazione del Mezzogiorno, vol. III (ottobre-novembre 1860), 1961, pp. 178179; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 106-107 e nota 81. 80 Su Urbano Rattazzi, nato a Masio di Alessandria, il 30 giugno 1808 e morto a Frosinone, il 5 giugno 1873, cfr. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, ad indicem; Id., Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem; Monsagrati, Alfonso Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, 1991, ad indicem; Romeo, Vita 51 laureato in giurisprudenza a Torino e, nel 1848, ben lontano dal «vagheggiare rivolgimenti sociali o anche solo la repubblica» e diffidando anzi dei metodi mazziniani, era stato eletto deputato di Alessandria nel Parlamento subalpino, dove «si era seduto a sinistra». Diventando uno tra i più autorevoli esponente della sinistra subalpina. Per sostenere le due leggi che proponevano di unire la Lombardia al Piemonte e per esercitare il ruolo di ministro della Pubblica Istruzione, negli otto giorni del governo liberale del conte Cesare Balbo, e dell'Agricoltura e Commercio, nei diciotto giorni del governo moderato dell'aristocratico Casati. In seguito, finita la Primavera dei popoli, quello che era ormai considerato il leader della sinistra moderata, era stato con Vincenzo Gioberti nell'opposizione democratica al governo del marchese Cesare Alfieri di Sostegno, era tornato ministro, ma quella volta di Grazia e giustizia, nel governo Gioberti, ed era poi stato l'uomo forte, quale ministro dell'Interno, nel governo del generale Agostino Chiodo. 81 Dopo la débâcle sardo piemontese a Novara, Chiodo si era dimesso, scavalcato dall'abdicazione di Carlo Alberto, dall'armistizio di Vignale e dall'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II. Rattazzi si era ancora distinto dalla Sinistra democratica e intransigente e aveva fondato il «centro-sinistro»; sino al 1852, quando aveva dato vita al di Cavour, 1894, ed. 1999, ad indicem; Rogari, Alle origini del trasformismo, 1998, pp. X, 3-8, 18-21 e 27-30; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, ad indicem. 81 Durante il governo del generale Agostino Chiodo (1791/1861), che rimane in carica dal 21 febbraio al 27 marzo 1849, il ministro delle Finanze, il deputato conservatore Ottavio Thaon di Revel (1803/1868), dichiara l'attivo del bilancio dello Stato. Cfr. Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 351-354, cap. VII, Il governo del re, 4. Il re in Consiglio e il premier che non c'è; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 402. 52 Connubio con il «centro-destro» di Cavour.82 Grazie a questa alleanza politica, nata su «un programma di risoluta difesa delle istituzioni costituzionali e di progresso civile e politico», Cavour era poi andato al governo, sconfiggendo la Destra conservatrice dell'allora colonnello Menabrea e isolando la Sinistra estrema di Angelo Brofferio, per limitare i contraccolpi del colpo di Stato di Luigi Napoleone, sul Regno di Sardegna. Subentrato a Ponza di San Martino, quale ministro dell'Interno nel «Governo del Re» guidato da Cavour, Rattazzi aveva legato il suo nome alla legge sulla soppressione delle Corporazioni religiose e sull'incameramento dei beni ecclesiastici, promulgata il 29 maggio 1855 dal re. In tal modo, l'avvocato alessandrino aveva consolidato il proprio legame personale con Vittorio Emanuele II che, non a caso, realizzata l'unificazione nazionale, lo nomina per due volte presidente del Consiglio, sempre dopo Ricasoli: la prima, nel 1862, dopo le ingerenze francesi nella politica italiana; la seconda, nel 1867, dopo l'annessione del Veneto, cui fa seguito il divieto di tenere comizi sulle leggi ecclesiastiche. Il 23 maggio 1855, tuttavia, ottenuta l'approvazione della Legge sull'incameramento dei beni della Chiesa cattolica romana, Rattazzi aveva faticato ad arginare l'aperta ostilità dei clericali e dei reazionari, che avevano indebolito la maggioranza cavouriana nelle elezioni politiche del 15 novembre 1857 e, poco dopo, si era dimesso da ministro dell'Interno, per protesta contro le continue pressioni di Napoleone III. Poi, quando la Corona aveva 82 Vedi Guido Quazza, La sinistra nel Risorgimento: Urbano Rattazzi, in «Critica sociale», a. XLVII, 1955, n. 15, 5 agosto; n. 16-17, 20 agosto-5 settembre; n. 18, 20 settembre, pp. 268-271. Sul Connubio tra Cavour e Rattazzi, cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 123. Secondo Martucci, il Connubio è una delle «“maggioranze del presidente”, aggregate congiunturalmente su interessi di basso profilo (concessioni, lavori pubblici, commesse militari) nobilitati con spunti programmatici destinati a restare lettera morta». 53 recuperato il consenso delle élite piemontesi, Rattazzi era tornato all'Interno con il governo La Marmora; sino alla Conferenza di pace di Zurigo 83, dove la Francia aveva ottenuto che fossero presenti anche i plenipotenziari del Regno di Sardegna, e al 16 gennaio 1860, quando Cavour, richiamato a presiedere il governo, aveva assunto anche i ministeri degli Esteri e dell'Interno. Nel marzo 1860, dopo i plebisciti di annessione delle Province emiliane e della Toscana e la conseguente estensione dello Statuto, le elezioni politiche della VII legislatura portavano così in Parlamento un folto gruppo di democratici, tra cui Garibaldi, Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari. Rinsaldata l'alleanza con Napoleone III e ottenuta la neutralità di Russia, Prussia ed Inghilterra, Vittorio Emanuele II e Cavour mettevano allora a frutto l'insipienza politica e l’isolamento internazionale di Francesco II di Borbone e il malcontento delle popolazioni delle Legazioni pontificie, appoggiavano l'impresa dei Mille, estendevano gli ordinamenti amministrativi e istituzionali del Regno di Sardegna, celebravano i plebisciti del Regno delle Due Sicilie e delle Legazioni pontificie nelle Marche e nell'Umbria e unificavano l'Italia. Poi, dopo la schiacciante vittoria nelle elezioni politiche della VIII legislatura, la prima del Regno d'Italia, Cavour chiamava all'Interno Minghetti, arginando il municipalismo del leader dell'opposizione conservatrice, Ottavio Thaon di Revel, che Vittorio Emanuele II nominava senatore, mentre La Farina 83 Cfr. il «sintetico scritto» Le Pape et le Congrès, 1859, pubblicato a Parigi, dapprima anonimo e poi attribuito ad Arthur Dubreuil Hélion visconte de La Guerronière, ma ispirato da Napoleone III, che segna il vero e proprio ribaltamento della politica francese nei confronti del Vaticano. L'opuscolo sostiene, infatti, che la sovranità temporale del papa è tanto più efficace, quanto più è piccolo lo Stato su cui si esercita. Da qui, la proposta che il papa abbandoni le Legazioni; un'eventualità che Pio IX stigmatizza con durezza, definendola «un monumento di ipocrisia e un tessuto di ignobili provocazioni» e che disorienta l'opinione pubblica e le diplomazie delle principali potenze europee, Di Rienzo, Napoleone III, 2009, capitolo VI L'impresa italiana e le sue conseguenze, pp. 251-253. 54 rivitalizzava la Società nazionale, incoraggiando l'autonomia delle principali città italiane, per riassorbire il regionalismo di Minghetti e Rattazzi, vicino a garibaldini e mazziniani e contrario alla cessione di Nizza e della Savoia, era eletto presidente della Camera. 84 In sintesi, unificata l'Italia, Cavour rafforzava il proprio ruolo di presidente del Consiglio nel Regno d'Italia anche e soprattutto nei confronti di Vittorio Emanuele II, contenendo il conservatorismo municipale di Thaon di Revel, dando spazio al decentramento regionale proposto da Minghetti e temperando il centralismo sabaudo di Rattazzi, del quale limitava l'autonomia politica, favorendone la nomina alla terza carica istituzionale del Regno. I.2.3. Re, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze dopo la morte di Cavour L'inattesa scomparsa dello statista85 restituiva, però, lo scettro del potere parlamentare a Vittorio Emanuele II che, inviato Rattazzi in missione a Parigi, affidava a Ricasoli l'incarico di formare il governo. Il 9 ottobre 1861, questo «tory radicale sprovvisto di quell'intolleranza da whig nei confronti di Mazzini […] propria del suo predecessore», 84 Vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 415, e compara il cap. VIII «Larghe e forti istituzioni rappresentative?», al cap. 2. Lo Stato unitario. La politica si “amministrativizza” di Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, 2009. Cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, pp. 137-156; Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 80-90 e 99. 85 Cfr. «[Cavour] era riuscito nell'opera di coordinare l'iniziativa dinastica dei Savoia con il movimento nazionale italiano, auspicata da uomini come Santarosa già prima del 1821; aveva gettato le basi per la trasformazione dell'Italia in un paese moderno; e l'edificio da lui costruito, nonostante la gran mole dei problemi non risolti, doveva estendersi e consolidarsi per un cinquantennio, ed esercitare una influenza decisiva sui destini non solo della penisola ma di tutto il sistema politico europeo», Romeo, Cavour, Camillo Benso conte di, Grande dizionario enciclopedico, vol. IV, 1967, p. 347. 55 assumeva così anche il ruolo di ministro degli Esteri e di ministro della Guerra. 86 Confermando alle Finanze il banchiere livornese Bastogi, che già con Cavour aveva iniziato a riordinare e a unificare i diversi sistemi fiscali e finanziari degli Stati preunitari. Bastogi bilanciava allora il cattolicesimo liberale di Ricasoli, orientando il risanamento dello Stato in senso conservatore, tagliando la spesa pubblica, incrementando il gettito tributario e il credito e proponendo un Gran libro del debito pubblico.87 Nell'ambito di questa politica finanziaria, Ricasoli otteneva dal Parlamento l'approvazione dei decreti che articolavano lo Stato nei Comuni, nei Circondari e nelle Province, ma ribadivano la centralità dei prefetti regi e unificavano le diverse forze di polizia, nell'arma dei Carabinieri. Il 3 marzo 1862, il «barone di ferro» era tuttavia costretto a dimettersi per le tensioni interne al suo stesso governo, accresciute dalla Francia che screditava il «rapace signor conte Bastogi»88, poi condannato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sullo scandalo della Società italiana per le strade ferrate 86 Vedi Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 100. Ricasoli, nato a Firenze dal barone Luigi e da Elisabetta Peruzzi, già dittatore della Toscana dopo Villafranca, nel Parlamento subalpino, sedeva a destra. 87 Unificando i debiti pubblici e contraendo un onerosissimo prestito di 700 milioni di lire, Bastogi si era meritato, oltre l'imperitura amicizia della Casa reale, il titolo di conte. Ciò gli permette di presentarsi nel 1862 quale garante delle operazioni finanziarie necessarie a costruire le ferrovie meridionali, ancora ferme alla tratta Napoli-Portici, che i Borboni avevano inaugurato il 3 ottobre 1839, prima linea ferroviaria nella penisola italiana. 88 Vedi I moribondi del Palazzo Carignano, 1982, p. 38. Il «rapace signor conte Bastogi» è una delle innumerevoli definizioni contenute in questa sapida raccolta di ritratti di uomini politici, che il deputato lucano Ferdinando Petruccelli della Gattina (1815/1890), eletto nella VIII legislatura, dal collegio potentino di Brienza, aveva scritto per il giornale parigino «La Presse»; cfr. Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 131-148. 56 meridionali. Vittorio Emanuele II sostituiva allora Ricasoli con Rattazzi, che dopo la nomina di Sella alle Finanze, ripristinava l'equilibrio della compagine governativa, con una maggiore presenza della Sinistra nel governo, nominando Agostino Depretis ai lavori pubblici, Pasquale Stanislao Mancini all'Istruzione e Pepoli all'Agricoltura, Industria e Commercio. Assunti gli Esteri e l'Interno, Rattazzi governava così, sino al dramma dell'Aspromonte. In quei duecentosettantasette giorni, il suo primo governo unificava il sistema monetario, adottando quello bimetallico a base decimale, favoriva l’integrazione dell’economia italiana nei mercati internazionali, concedeva ai privati di costruire e di gestire ferrovie e canali e unificava il sistema tributario, introducendo l'imposta sulla ricchezza mobile, abolendo i porti franchi, istituendo il Corpo delle guardie doganali e alienando ai privati una parte dei beni demaniali ed ecclesiastici. Seguivano il governo del ravennate Farini che nominava Minghetti alle Finanze, ma trascorsi centosei giorni era costretto a dimettersi, dopo aver dato segni di squilibrio mentale 89, e il I governo Minghetti, che conservava per sé le Finanze; sino alla strage di Torino. Il successivo governo La Marmora-Sella, che succedeva a Minghetti, esautorato dal re per coprire le proprie responsabilità politiche, provvedeva a trasferire la capitale a Firenze, 89 L. C. Farini, di cui ho già richiamato l'adesione, nel 1845, al manifesto di Rimini, era stato sconfessato anche per questo da Mazzini, si era avvicinato a Bologna alle posizioni di Vincenzo Gioberti (1801/1852) e di Cesare Balbo (1789/1853) ma, dopo l'assassinio di Pellegrino Rossi (1787/1848) a Roma, aveva riparato a Torino, dove Cavour gli aveva affidato la direzione del Risorgimento, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 210. Ministro della Pubblica Istruzione con Massimo D'Azeglio (1798/1866) nel 1851, e dittatore di Modena, con Cavour, nel 1859, L. C. Farini è presidente del Consiglio, dopo Rattazzi, dall'8 dicembre 1862, al 24 marzo 1863. Il figlio Domenico Farini (1834/1900) è deputato di Ravenna dal 1861, per otto legislature, presidente della Camera nel 1878, senatore dal 1886 e presidente del Senato dal 1887, al 1898. 57 promulgava la legge sui Codici civili e gestiva le elezioni politiche della IX legislatura, ma il 19 dicembre 1865 era sfiduciato dalla Camera, che si rifiutava di trasformare in legge il Regio decreto sul servizio di tesoreria, da affidare alla Banca Nazionale. Costituito il 31 dicembre 1865, il II, caduco, governo del generale La Marmora, il 1866 è così caratterizzato dall'entrata in vigore dei nuovi Codici civili e commerciali e dalla Terza guerra d'indipendenza, con la conseguente chiamata di La Marmora al fronte. Dopo che il ministro delle Finanze Scialoja aveva ottenuto dalla Camera l'approvazione della legge sul corso forzoso, subito trasformata in Regio decreto. Si susseguono così il II governo Ricasoli, che conferma Scialoja alle Finanze, ma il 17 febbraio 1867 lo sostituisce con Depretis, aprendo a sinistra, il II governo Rattazzi, con F. Ferrara alle Finanze, seguito dall'interim dello stesso Rattazzi, e i primi due dei tre governi guidati da Menabrea90, con Cambray Digny91 alle Finanze. Sino alla relazione Lampertico che, il 28 novembre 1868, conclude i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca. I.2.4. La burocrazia della Pubblica amministrazione Rattazzi fa dunque seguire alla pace di Zurigo, l'attuazione di un centralismo autoritario, imperniato sui prefetti, che Cavour prima, e Ricasoli dopo, mitigano soltanto in parte. 90 Menabrea si era affermato quale plenipotenziario di Vittorio Emanuele II, nelle trattative di Vienna, successive alla guerra per Venezia, dove pure era stato ignorato dai rappresentanti dell'Impero austriaco, cfr. Menabrea, Memorie, introduzione e a cura di Letterio Briguglio e Luigi Bulferetti, 1971. 91 Cambray Digny, primo sindaco di Firenze capitale, dal 1865 al 1867, «sovrintende al fervore edilizio dei piani Poggi e nella disputa sugli appalti e concessioni di lavori pubblici sostiene i gruppi finanziari ai quali egli stesso, o influenti persone a lui vicine come l'amico Peruzzi sono più direttamente legati», così la voce di Raffaele Romanelli, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XVII, 1974, p. 155. 58 Quest'ultimo garantendosi a sinistra con Depretis, nominato ministro della Marina, e accrescendo il potere discrezionale delle amministrazioni locali. La burocrazia italiana inizia allora a prendere forma; composta, come ha scritto Ragionieri, dai piemontesi, dai liberali di ogni parte d'Italia e dagli impiegati degli antichi governi. Essa è imperniata sul funzionario di basso grado, mediocre, più che modesto, ossequioso delle direttive che gli vengono dall'alto, oberato dal lavoro e pagato con un misero stipendio. 92 Il prototipo di quest'oscuro burocrate è il signor Ignazio Travet, narrato nella commedia piemontese in cinque atti di Vittorio Bersezio, Le miserie d'monsù Travet, rappresentata per la prima volta nel 1863 al Teatro Alfieri di Torino e pubblicata come testo letterario nel 1871. 93 Il suo protagonista copia, protocolla e archivia documenti, ligio all'obbedienza gerarchica, dalle otto e mezzo alle sedici e trenta, con una piccola pausa pranzo, ma comincia a penare 92 Cfr. «L'apparato pubblico si presentava nel complesso piuttosto esile, con una spesa che corrispondeva all'incirca al 10% del prodotto interno lordo e un numero di dipendenti non superiore a 50.000. L'accesso alla carriera amministrativa dipendeva da criteri discrezionali […]. Soggetto all'arbitrio dei vertici amministrativi (in questi anni spesso coincidenti con i vertici politici), schiacciato da una dura disciplina interna e da una ben strutturata scala gerarchica, l'impiegato pubblico, assunto dopo aver prestato giuramento al Re, non godette sino alla fine degli anni '80 di alcuna garanzia di protezione giuridica per quanto riguardava il trattamento lavorativo, né di un particolare status sociale ed economico», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 7. 93 Le miserie d'monsù Travet è la fortunata commedia che Benedetto Croce, nelle sue Note sulla letteratura italiana nella seconda metà del secolo XIX, 1906, ha definito «un'opera d'arte schietta, spontanea, piena di verità». La commedia è basata sulla spassosa ricostruzione della giornata dell'impiegato travicello che arriva in ritardo in ufficio ed è perciò rimbrottato, si dimentica di chiamare cavaliere il capo sezione di fresca nomina ed è addirittura punito con la minaccia di un trasferimento in Sicilia. Per aver compiuto un maldestro tentativo di difendere l'onore della moglie, insidiata dal direttore generale del Ministero. Nell'appassionato, ma improbabile happy end, monsù Travet difende poi la sua onestà e il suo decoro e ciò gli vale la revoca del trasferimento. 59 appena sveglio, quando la moglie rimane a letto, invece di portargli il caffè, mentre la serva va a fare la spesa, la figlia Mariuccia rassetta la casa e il figlio minore, Carlin, fa i capricci. La sua epopea, comica più che drammatica, simboleggia la vita quotidiana dei funzionari, un termine che nella stessa Francia, che è pure l'esempio tipico dello Stato centralizzato, […] appare, nel suo significato odierno, e cioè esclusivo di agente, rappresentante dello Stato, solo a partire dalla fine del 1799. Sotto l'antico regime, nel secolo XVIII, l'espressione era employé; e ancora nel 1799 Siéyès intendeva con fonctionnaire gli amministratori locale e i deputati. 94 Nel debole Stato italiano poi, questi funzionari, uomini senza qualità ante litteram, privi del prestigio che li accompagna in Francia, subiscono continui spostamenti, talvolta minacciati per imporre la disciplina, più che realizzati, ma comunque accettati di malavoglia. Costretti ad abbandonare i dialetti d'origine ed esprimersi in italiano, per amalgamare la nuova compagine nazionale. Piccoli burocrati della pubblica amministrazione, oberati da rigide gerarchie, privi di garanzie giuridiche e scelti in base a legami parentali e a criteri di rappresentanza territoriale, più che di merito, favoriscono così la progressiva unificazione politica del Paese, la cui travagliata vita parlamentare, priva della guida di Cavour, si dipana però incerta e contraddittoria. A opera di una Destra divisa tra Permanente e Consorteria e di una Sinistra inadeguata a rappresentare le istanze dei meno abbienti, come documentato da Arbib.95 94 Vedi Federico Chabod, L'idea di nazione, 1961, p. 186. 95 Edoardo Arbib (1840/1906) partecipa alla II guerra di Lombardia, alla Spedizione dei Mille e alla guerra per Venezia, dirige il Corriere della Venezia e la Gazzetta del Popolo di 60 I.2.5. I nuovi Codici civili: autorità giuridica e libertà economica I costi amministrativi sin qui tratteggiati, crescono ancora con il Regio decreto del 2 aprile 1865 che, due giorni dopo il Regio decreto sull'unificazione amministrativa, promulga i nuovi Codici di commercio e civili, riconducendo la libertà economica all'autorità giuridica; sino a condizionare il concreto svolgimento del corso forzoso, promulgato dal Regio decreto del 1° maggio 1866. Iniziando con il Codice di commercio, articolato in quattro libri: del commercio in generale, del commercio marittimo e della navigazione, del fallimento, dell'esercizio delle azioni commerciali. Facendo tuttavia leva soprattutto sul più innovativo di questi codici, il Codice civile, che porta a sintesi il lungo ed elaborato lavoro preparatorio della Commissione parlamentare coordinata, sin dal 1863, da Giuseppe Pisanelli96. Questo Codice civile, che rimane poi invariato sino al Regio decreto del 16 marzo 1942, sostituisce, unificandoli, i Codici degli Stati preunitari: Borbonico, Albertino, Parmense ed Estense, tutti di derivazione napoleonica, il Codice Firenze e fonda a Roma il quotidiano moderato La libertà, trasformandolo poi in settimanale. Sconfitto a Frosinone nelle elezioni del 1876, ma deputato di Viterbo dal 1879, Arbib appoggia in seguito l'ampliamento del suffragio elettorale, il liberismo e, nel 1892, il governo di Giovanni Giolitti (1842/1928). Nel 1895, quando il governo CrispiGiolitti è messo sotto accusa per gli scandali bancari, Arbib si ritira dalla competizione elettorale; nel 1897, è sconfitto da Alessandro Fortis (1842/1909) nelle elezioni politiche del collegio di Poggio Mirteto e, nel 1904, è nominato senatore. 96 Giuseppe Pisanelli (1812/1879), originario di Tricase, in provincia di Lecce, deputato al Parlamento napoletano nel 1848, condannato a morte in contumacia dalla restaurazione borbonica, si era rifugiato perciò a Londra e a Parigi, dove aveva conosciuto Guglielmo Pepe (1783/1855) e Gioberti. Trasferitosi a Torino, Pisanelli pubblica, con Pasquale Stanislao Mancini (1817/1888) e Scialoja, il Commentario del codice di procedura civile per gli Stati sardi, è guardasigilli a Napoli, nel governo prodittatoriale di Garibaldi, e poi a Torino, nei governi Farini e Minghetti. 61 austriaco, vigente nel Lombardo-Veneto, e le norme di diritto pontificio, derivate dal diritto canonico, in vigore negli Stati della Chiesa. 97 Le sue disposizioni hanno per oggetto: 1) il matrimonio civile, approvato malgrado l'opposizione dei clericali, che già nel 1852 avevano costretto il «re libertino» a ritirare l'analogo provvedimento bocciato dal Senato per 39 voti a 3 e che ora bloccano le proposte d’introdurre il divorzio e di riconoscere la parità giuridica delle donne e dei figli adulterini; 2) la difesa della proprietà privata, garantita dall'art. 29 dello Statuto che, in caso di necessità, la tutela con l'equo indennizzo: «Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sono inviolabili. Tuttavia, quando l'interesse pubblico legalmente accertato lo esiga, si può essere tenuti a cederle in tutto od in parte, mediante una giusta indennità conformemente alle leggi»; 3) il sistema della carità legale, fondato sul ruolo sussidiario della famiglia che con modalità paternalistiche, impedisce ai minori e alle donne di emanciparsi attraverso il lavoro, ma li protegge al contempo dallo sfruttamento ed è perciò assai differente dalla Social Legislation approvata dal Parlamento britannico nel 1795, rafforzata con le Poor laws e riformata nel 1834.98 Il nuovo Codice civile italiano distingue dunque la civitas di Vittorio Emanuele II, dall'«Empire libéral» di Napoleone III che, applicando il Code civil napoleonico, ha 97 Cfr. Alberto Aquarone, L'unificazione legislativa e i codici del 1865, 1960, pp. 6-9 e 110-120. 98 Proprio alla fine degli anni Sessanta dell'Ottocento, gli «economisti funzionari» ini- ziano a sviluppare alcune concrete applicazioni dello storicismo economico tedesco, aggiornando il sistema di mercato fondato sulla proprietà privata, sulla nazionalizzazione delle dogane interne e sulla carità legale, che Cavour aveva sperimentato nel Regno di Sardegna. Vedi Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, capitolo VI La serie padovana del Giornale degli economisti, 6.2. Arretratezza e moderazione. 62 consolidato il diritto di famiglia, limitato il divorzio, regolato il diritto successorio e rafforzato l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. La sua approvazione è uno degli ultimi atti politici della VIII legislatura. Durante quella legislatura, la prima dell'Italia unita, la Destra, pur indebolita dall’insufficiente attività legislativa della Consorteria e dalla secessione della Permanente, si è giovata delle difficoltà della Sinistra e in particolare dei democratici che, dopo avere soltanto subìto, senza farle proprie, le istituzioni politiche e amministrative sabaude, estese da Cavour ai territori annessi, iniziano a parlare al Paese, usando il Parlamento.99 Così, il 7 settembre 1865, Vittorio Emanuele II scioglie la Camera dei deputati, applicando l'articolo 9 dello Statuto: Il Re convoca in ogni anno le due Camere; può prorogarne le Sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel termine di quattro mesi. D'altra parte, l'articolo 5 dello Statuto riconosce tale facoltà al Re, che è il «Capo supremo dello Stato», mentre secondo l'articolo 42: «I Deputati sono eletti per cinque anni; il loro mandato cessa di pien diritto alla spirazione di questo termine». I.3. Il corso forzoso e la «guerra per Venezia» I.3.1. Le elezioni politiche del 1865 Semplifico ora i dispositivi istituzionali che nel Regno d'Italia, regolano i rapporti tra potere esecutivo, legislativo e giudiziario, e diritto di voto, attraverso le elezioni politiche del 22 ottobre e del 5 novembre 1865, per la IX legislatura. Il I governo La Marmora, che 99 Cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 179; Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 125; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 310. 63 le celebra, applica per la seconda volta, dopo il 1861, la Legge del 17 dicembre 1860, con cui la Camera dei deputati aveva trasformato il Regio decreto del 10 dicembre 1860, consentendo così ai territori annessi al Regno di Sardegna, di eleggere le proprie rappresentanze politiche. Quella legge elettorale maggioritaria, a collegio uninominale e doppio turno, fondata sul censo, aveva a sua volta riproposto l'Editto sardo allegato il 17 marzo 1848 allo Statuto ed esteso alla Lombardia, il 28 novembre 1859, ma aveva portato il numero dei collegi da duecentoquattro a duecentosessanta. Accrescendoli poi sino a quattrocentoquarantatré, dopo i plebisciti di ratifica delle annessioni del Regno di Sicilia e delle Legazioni pontificie, che avevano registrato l'iscrizione al voto di 418.696 persone. In questo modo, la rappresentanza politica della Camera dei deputati, eletta il 27 gennaio e il 10 febbraio 1861, era rimasta prerogativa delle élite aristocratiche e borghesi, scelte molto spesso con la collaborazione dei prefetti. 100 Mentre il Senato vitalizio, di nomina regia, aveva continuato a essere appannaggio esclusivo delle ventuno categorie previste dallo Statuto, formate dagli arcivescovi e dai vescovi dello Stato, dai deputati con tre legislature o sei anni di esercizio, dai ministri, dagli ambasciatori, dai primi presidenti e dai presidenti di Cassazione, dagli ufficiali e dagli intendenti generali, dai consiglieri di Stato, dai membri della Regia accademia delle scienze e da chi aveva dato lustro alla Patria «con servizii e meriti eminenti», purché in regola con l'alta quota di tributi da pagare. Le elezioni politiche della IX legislatura coinvolgono così 498.952 aventi diritto, 80.256 in più degli iscritti alle liste elettorali nel 1861. Così ripartiti: 208.887 al Nord, 107.207 al Centro e 182.858 al Sud; il 2% circa della popolazione italiana, formato da sudditi maschi adulti, in età superiore ai 25 anni. I votanti salgono da 239.583, a 271.552: 112.234 nel 100 Sul prudentissimo tentativo di ampliare i limiti timocratici dell'Editto elettorale allegato allo Statuto, compiuto da Cavour alla fine del 1860, cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 87 e nota 19. 64 Nord (il 54%), 51.869 nel Centro (il 48%) e 107.449 nel Sud (il 59%); con un incremento di 31.969 persone, la cui incidenza sugli aventi diritto diminuisce tuttavia dal 57,2%, al 54%, in conseguenza della crescita demografica. 101 In seguito, l’astensionismo cala al 52% nel 1867, ma raggiunge l'acme nelle elezioni politiche della XI legislatura, successive all'annessione di Roma e delle Province romane, quando tocca il 54,5%. Questa forma di protesta civile, una costante del primo decennio della storia politica dell'Italia unita, che limita un elettorato già molto ristretto dal censo e dal genere, è spiegata con una generica «apatia», dal costituzionalista liberale Attilio Brunialti102. Alla fine dell'Ottocento, dopo la riforma elettorale Zanardelli, poco prima dell'eccidio di Milano, perpetrato dal generale Fiorenzo Bava Beccaris. 103 Oggi, invece, quell'astensionismo, ripensato attraverso le analisi del suffragio universale, può essere interpretato come la punta di un iceberg che minaccia il nuovo Stato liberale, sin dalla sua 101 Il 27 gennaio e il 4 febbraio 1861, nelle elezioni politiche per la VIII legislatura, avevano votato 239.746 dei 419.846 aventi diritto: 69.206 su 135.970 (il 51%) al Nord, 38.403 su 87.176 (il 44%) al Centro, e 132.317 su 196.700 (il 67%) al Sud. Sulla ripartizione dei votanti nelle elezioni politiche della IX Legislatura, in cifre assolute e in percentuali, cfr. Piretti, Le elezioni politiche in Italia dal 1848 ad oggi, 1995, pp. 419 e 420, appendice I, tabella 1. 102 Sul ruolo politico del vicentino Attilio Brunialti (1849/1920), che il 10 marzo 1881 scrive a «un ignoto, forse il Depretis, informandolo di aver posto “le basi d'un accordo quasi completo fra Zanardelli e il Ministero, sulla questione elettorale”», vedi CD, serie I, busta 27, fasc. 99; Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, 1956, p. 247, n. 7. 103 Fiorenzo Bava Beccaris (1831/1924), militare di carriera, nato a Fossano, in provincia di Cuneo, da nobile famiglia, è nominato «regio commissario straordinario» nel 1898, dal V governo del marchese palermitano Antonio Starabba di Rudinì (1839/1908), con l'incarico di reprimere i moti di Milano. Compito che assolve con inaudita durezza, il 7 maggio, ordinando all'esercito di sparare sulla folla e causando così ottanta morti, secondo le fonti ufficiali, trecento, secondo l'opposizione. 65 nascita; in ragione di un'irrisolta questione sociale, che i Savoia cercano di risolvere condizionando, con militari di carriera, loro diretti subordinati, il riformismo autoritario della Destra, rafforzando il partito di Corte e affrontando, sempre più spesso, la conflittualità sociale soltanto in termini repressivi. Quella massa sommersa è poi accresciuta dal non expedit della Chiesa cattolica romana, che condiziona in particolare i contadini, per i quali la soppressione delle vecchie strutture feudali comporta la fine di consolidate strutture assistenziali e, quindi, la fame, la miseria e il brigantaggio, specie nel sud. Da qui, lo «stato d'assedio», sfociato in una vera e propria guerra civile che, insieme alla ripulsa dello scandalo della Società italiana per le strade ferrate meridionali, allontana vieppiù il popolo dalle istituzioni politiche liberali. Accennando poi alla differenziazione del voto per aree politiche e geografiche, arrotondo le cifre per difetto e rilevo che il 22 ottobre e il 5 novembre 1865, la Destra elegge duecentocinquanta deputati (il 42%), che premiano i moderati, soprattutto nella Toscana di Ricasoli; a fronte dei trecentocinquanta deputati (l'80%) eletti nella precedente legislatura, quando la Destra era però guidata da Cavour. Il Centro-sinistra di Rattazzi, Depretis e Crispi, ottiene invece centoventi deputati (il 36%), con un rafforzamento dell’Estrema di Bertani (poco meno del 5%), mentre settanta deputati (il 17%), tra cui venti conservatori (il 6,5%), danno vita ad altri gruppi parlamentari. Si registra in tal modo, una frammentazione delle forze politiche, che fa emergere nuove rappresentanze territoriali, al fianco di quelle ideologiche, ma articola il blocco moderato. Frutto di una congerie di personalismi e di localismi, da districare caso per caso, e all'opposto, di una concezione oligarchica della politica, controverso antidoto alla corruzione. Un'impostazione che un autorevole intellettuale cattolico liberale, Ruggiero Bonghi, fa risalire a Cavour, ma critica come conseguenza della spiccata propensione accentratrice e della predilezione per «gli 66 animi pieghevoli all'obbedienza», piuttosto che per i «voleri tenaci al comando»: caratteristiche proprie di ogni oligarchia.104 La Camera dei deputati della IX legislatura, così eletta, elegge a sua volta presidente il fiorentino Adriano Mari, che affianca il milanese Casati, confermato presidente del Senato. Mentre il I governo La Marmora che, con Sella alle Finanze, era stato sfiduciato dalla Camera dei deputati, quando aveva proposto di affidare il servizio di tesoreria alla Banca Nazionale, è sostituito dal II governo La Marmora, che s'insedia il 31 dicembre 1865, con Scialoja alle Finanze. La I sessione105 di questa legislatura, nella quale la Camera approva la Legge sul corso forzoso e il «Governo del Re» promulga il Regio decreto del 1° maggio, è caratterizzata dai tentativi di raccordare gli ambienti di Corte e il Paese; a cominciare dall'esercizio finanziario provvisorio. Tra i protagonisti minori, ma significativi, di quei tentativi c'è il giornalista e deputato fiorentino Arbib, che li descrive e commenta in vari scritti: nel già citato terzo volume della sua storia parlamentare, nel quale illustra i criteri, territoriali, più che di merito, della distribuzione 104 degli impiegati nelle pubbliche amministrazioni dell'Italia unita; Cfr. l'opuscolo La elezione del deputato. Lettere due a un candidato nell'imbarazzo, 1865, nel quale il napoletano Ruggiero Bonghi (1826/1895), fondatore di La Stampa di Torino e deputato uscente di Manfredonia, commenta proprio la sua incresciosa esclusione dalla Camera dei deputati. In seguito, Bonghi, rieletto deputato della Destra nel 1867, pubblica una storia della finanza italiana e un saggio sui limiti del potere d’inchiesta nelle assemblee, dirige a Milano La Perseveranza, contribuisce alla stesura della Legge delle Guarentigie, è ministro dell'Istruzione pubblica e fonda i Collegi Convitto di Assisi e di Anagni, per gli orfani e le orfane dei maestri; sue le traduzioni della Metafisica di Aristotele e di alcuni dialoghi di Platone, la Storia di Roma, la Storia dell'Europa durante la Rivoluzione francese, Lettere e critiche della Letteratura italiana e Vita di Gesù. 105 La I sessione della IX legislatura inizia il 18 novembre 1865 e si conclude il 30 ottobre 1866, attraverso le proroghe del 9 gennaio e del 7 luglio. 67 nell'opuscolo sull'esercito italiano nel quale esamina le cause della sconfitta di Custoza, i limiti della struttura militare italiana e il conflitto tra i generali La Marmora ed Enrico Cialdini; nella raccolta di pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, tratti dagli atti del Senato e della Camera, che documentano le difficoltà di seguire e interpretare la contraddittoria evoluzione della società italiana.106 Ne scaturiscono preziose informazioni sulle conseguenze sociali del rigore finanziario di Sella, sulla relativa mobilità territoriale legata al diffondersi delle professioni liberali, sulle difficoltà delle rappresentanze politiche e sul crescente peso dell'opinione pubblica. A queste informazioni attingo ora, per integrare i riferimenti alla Gazzetta ufficiale, sui quali ho fondato l'iniziale ricostruzione della promulgazione del Regio decreto sul corso forzoso. I.3.2. L’esercizio finanziario provvisorio nella IX legislatura Il primo atto amministrativo della IX Legislatura è l'esercizio provvisorio del bilancio dello Stato, presentato, in deroga allo Statuto, dal ministro delle Finanze, Scialoja, nel gennaio 1866. Scialoja – che nel 1840 aveva pubblicato a Napoli i Principi di economia sociale esposti in ordine cronologico e che nella Torino del 1846 era stato nominato docente universitario da Carlo Alberto 107 – era ormai un esperto politico. Dopo essere stato 106 Vedi Edoardo Arbib, L'esercito italiano e la campagna del 1866, 1867; Id., Pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, 1901; Id., Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, 4 voll. 1897-1907, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3°, 1902. 107 Scialoja aveva ottenuto la nomina regia a docente universitario, grazie alle conver- genti segnalazioni delle due opposte parti politiche: del consigliere di Stato Ilarione Petitti, conte di Roréto, e del repubblicano Angelo Brofferio, vedi De Cesare, La vita, i tempi e le opere di Antonio Scialoja, 1879, capitolo II, Il re Carlo Alberto – I Borboni – Nicola Santangelo – Partenza di Scialoja per Torino – Testimonianze di onore – Lettera di Vincenzo Gioberti – L'insegnamento della scienza economica – Le congratulazioni del Re, pp. 29-36. 68 ministro per l’Agricoltura e il Commercio nel Regno delle Due Sicilie, quando Ferdinando II aveva concesso lo Statuto; essere tornato a Torino, questa volta da esule, dopo la fine della Primavera dei popoli; aver difeso, alla fine del 1853, il liberismo del conte di Cavour, con lo scritto Carestia e governo;108 aver pubblicato, nel 1857, Note e confronti dei bilanci del Regno di Napoli e Stati Sardi e aver appoggiato, nel 1860, il disegno di legge di Cavour sulla libertà economica delle industrie tessili.109 Ancora, deputato nella VIII legislatura per il collegio di Pozzuoli e segretario generale del ministero Cordova all’Agricoltura, durante il I governo Ricasoli, Scialoja era stato nominato consigliere della Corte dei Conti nel 1861 e senatore nel 1862 ed è tra i garanti della continuità del II governo La Marmora, che si era insediato il 31 dicembre 1865. Con l’esercizio finanziario provvisorio del gennaio 1866, Scialoja si mette nelle condizioni di esigere il pagamento delle imposte, senza sottoporsi al voto di fiducia del Parlamento.110 Il ministro delle Finanze del II governo La Marmora applica in questo modo 108 Scialoja pubblica il suo scritto Carestia e governo, il 31 dicembre 1853, tre giorni dopo la fine della sollevazione contadina causata dalla carestia che aveva colpito la Valle d'Aosta. La rivolta, fomentata dal clero e dai reazionari, ostili alle Leggi Siccardi, si era conclusa, dopo l'imponente corteo che aveva attraversato le strade di Aosta al grido di «Viva il re, abbasso il tricolore e lo Statuto», grazie alla mediazione del vescovo che aveva convinto gli insorti a deporre le armi. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, indice dei nomi, Siccardi, Giuseppe, conte. 109 Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 497. Cfr. Faucci, L’economista sco- modo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, ad indicem; Id., L’economia politica in Italia: dal Cinquecento ai giorni nostri, 2000, pp. 154-158 e 387; Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 33 e 141; Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 618-620, n. 2. 110 Il presidente del Consiglio Rattazzi osserva che, quando la Camera dei deputati non ha più fiducia nel Governo, «ha mille mezzi per farglielo comprendere», garantendo tuttavia il regolare andamento della res publica, vedi Camera dei deputati, 12 marzo 1862, 69 la parte dell'articolo 5 dello Statuto ottriato, che attribuisce al Re la prerogativa di nominare il Governo e di controllarne l'attività, ma ne aggira la parte che sottopone i temi finanziari al voto parlamentare. Del resto, formalizzando questa contraddizione, lo Statuto, unico sopravvissuto alla fine della Primavera dei popoli, tra le Carte costituzionali concesse dagli Stati preunitari, garantisce la transizione dalla monarchia statutaria pura, alla monarchia statutaria parlamentare, nella quale il Governo è espressione del Re, ma sollecita il sostegno della Camera elettiva, che Cavour aveva valorizzato anche per accrescere il proprio ruolo di presidente del Consiglio. Così, la «irregolarità perenne» dell'esercizio provvisorio è consentita perché cominciando l'esercizio finanziario col primo di gennaio, e riunendosi le camere in novembre, difettava il tempo nelle sedute autunnali per discutere tutti i bilanci. […] Una ragione più rilevante consisteva nella anormalità dell'erario, non sapendosi, a dicembre, donde nell'esercizio finanziario imminente esso avrebbe ricevuto le risorse, laonde non non sarebbe stato possibile di compilare un bilancio d'entrata purchessia. I bilanci della spesa erano pronti, ma non era corretto di presentarli senza i mezzi per farvi fronte.111 Presentando l'esercizio finanziario provvisorio del 1866, Scialoja riprende d'altra parte l'impostazione del suo predecessore Sella e denuncia il pericolo del disastro finanziario che continua a incombere sul nuovo Stato unitario, ma sostituisce la proposta della tassa sul p. 1543; Arbib, Pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, 1901, pp. 114-115. 111 Vedi Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ed. 1985, p. 175. C'è inoltre da considerare che il II governo La Marmora era stato nominato il 31 dicembre 1865. 70 macinato, con la proposta di due distinte tasse: sulla proprietà fondiaria e sul reddito agrario.112 Il suo intervento precede di pochi giorni sia l'inaugurazione della Banca Popolare di Milano, che ha un capitale di 27.000 lire e il cui Consiglio d'amministrazione è presieduto da Luigi Luzzatti113, sia la fondazione della Società italiana per l'educazione popolare, costituita a Firenze dal ministro della Pubblica Istruzione Domenico Berti, per sostenere le scuole, i musei, le biblioteche e la formazione dei maestri. L'allarme lanciato da Sella e riproposto da Scialoja, sul rischio di disastro finanziario che minaccia lo Stato italiano, trova un'inaspettata eco negli ambienti radicali, raccolti intorno al giornalista nizzardo Giovanni Battista Bottero, già fondatore dell'Opinione e 112 Proponendo una legge che distingue la tassa sulla proprietà fondiaria e la tassa sul reddito agrario, Scialoja tenta di applicare, ma in maniera improvvida, l'impostazione finanziaria con cui, nel 1798, William Pitt iuniore (1759/1806) aveva ottenuto dal Parlamento l'approvazione dell'income tax, durante le guerre contro Napoleone. Vedi: «[...] in Italia nel '66 la riforma vagheggiata dallo Scialoja e da altri si sarebbe risoluta in un aggravio ingiustificato sui proprietari terrieri. Prevalse quindi – e correttamente – il concetto che l'imposta di ricchezza mobile e quella fondiaria non dovessero sovrapporsi», Enrico Barone, Studi di economia finanziaria, in Id., Scritti di finanza, 1970, p. 120. Cfr. Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 180 e n. 42; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, pp. 209-210 e 231-232. 113 Luigi Luzzatti (1841/1927), veneziano di origine israelitica, laureatosi in Giurisprudenza a Padova nel 1863 e promotore di Società di mutuo soccorso nel Veneto austriaco, presiede tra l'altro il Consiglio d'amministrazione della Banca Popolare di Milano, inaugurata il 25 gennaio 1866. Otto mesi dopo il I congresso delle Banche Popolari d'Italia, riunitosi a Torino il 7 maggio 1865, alla presenza dei delegati di trenta Banche Popolari. Il 7 aprile 1868 Luzzatti è interrogato dalla Commissione d'inchiesta sul corso forzoso, assenti Lualdi, A. Rossi e Sella, proprio quale direttore della Banca Popolare di Milano. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 223 e seguenti. 71 della Gazzetta del popolo e deputato del I collegio di Torino, dove era già stato eletto Cavour. Cogliendo l'occasione dell'asta di beneficenza promossa dalla Società Gianduia, Bottero propone infatti di fondare un Consorzio nazionale, per raccogliere i fondi necessari a risanare il sempre più ingente debito pubblico. L'idea scuote il «clima di generale sfiducia e depressione», raccoglie molte adesioni e coinvolge anche i più significativi esponenti della Destra; senza per questo portare, né poteva farlo, al risanamento del debito pubblico. Il valore della proposta di Bottero è semmai morale, perché sensibilizza l'opinione pubblica, rompendo le paratie dell'angusto municipalismo piemontese e cominciando ad affermare l'interesse nazionale. 114 Durante il II governo La Marmora, condizionato dalle pessime condizioni finanziarie dello Stato italiano e dall'inchiesta amministrativa proposta da alcuni deputati, la Camera dei deputati discute poi la nuova elezione di Mazzini, ancora una volta invalidata, questa volta per la precedente condanna alla deportazione. 115 Seguono, l'alleanza dell'Italia con la Prussia e la presentazione dei provvedimenti finanziari e della legge sulle corporazioni religiose. Sino al 30 aprile, quando il ministro delle Finanze Scialoja presenta la Legge finanziaria in un unico articolo che precede e prepara il Regio decreto del 1° maggio 1866 sul corso forzoso. 114 Sul Consorzio nazionale per risanare debito pubblico, che nel 1930 confluisce nella Cassa di ammortamento del debito pubblico interno, vedi la voce Giovanni Battista Bottero (1822/1897), di Giuseppe Locorotondo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XIII, 1971, pp. 432-441. 115 L'elezione di Mazzini nel primo collegio di Messina, era stata annullata una prima volta per la precedente condanna a morte. L'elezione è infine ratificata dalla Camera dei deputati, senza alcuna discussione, dopo la convalida dei deputati veneti eletti il 25 novembre e il 2 dicembre 1866, in grande maggioranza ministeriali. Anche in questo caso, tuttavia, l'elezione rimane sulla carta, quella volta perché Mazzini rinuncia a fare parte della Camera dei deputati, per coerenza repubblicana. 72 I.3.3. Un «atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale» Tra i protagonisti di questo scorcio della IX legislatura, che va dall'esercizio finanziario provvisorio, al corso forzoso, c’è il deputato toscano Antonio Mordini, originario di Barga, in provincia di Lucca, che, dopo aver preso l'avvocatura a Firenze, era stato volontario a Venezia, aveva fondato a Genova il periodico La libera parola, insieme con l'altro patriota mazziniano, Carlo Pisacane, ed era stato ministro degli Esteri nel governo provvisorio della Toscana. Eletto nel 1857 alla Camera, dove aveva preso «posto all’estrema sinistra», Mordini era entrato in urto, sulla II guerra di Lombardia, con La Farina e gli altri cavouriani della Società nazionale. Pro dittatore di Garibaldi a Palermo, in sostituzione del dimissionario Depretis, Mordini era quindi stato eletto deputato nella VII legislatura, per il collegio di Borgo a Mozzano di Lucca. Arrestato con l'accusa di avere favorito lo sfortunato azzardo di Garibaldi sull'Aspromonte, nel dibattito sulla Convenzione di Settembre, Mordini capeggia i trenta deputati della Sinistra che votano a favore del trasferimento della capitale a Firenze e, dopo le elezioni politiche del 1865, contribuisce a istituzionalizzare la Sinistra. Il deputato toscano, rieletto al ballottaggio nel terzo collegio di Palermo, propone infatti ai volontari garibaldini di formare un partito, in polemica con Benedetto Cairoli, che considera ancora necessario muoversi come gruppo di opinione rivoluzionaria. Poi, il 30 aprile 1866, ottiene che la Camera dei deputati voti a scrutinio segreto il disegno di legge presentato da Scialoja. 116 I funzionari degli Uffici della Camera 116 Mordini garantisce in seguito la transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana, quale Commissario regio a Vicenza, nel 1867 fonda il Terzo partito, si sposta al Centro, passando nelle file governative, nel 1872 è prefetto di Napoli e nel 1896 senatore. Vedi Alfredo Capone, L'opposizione meridionale nell'età della Destra, 1970, p. 245; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, ad indicem; Scirocco, I democratici italiani da Sapri a porta Pia, 1969, pp. 313-314. 73 dei deputati hanno intanto riscritto la legge Scialoja nel seguente articolo unico: A tutto il mese di luglio 1866 è fatta facoltà al Governo del Re di ordinare le spese necessarie alla difesa dello Stato e di provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del Tesoro, fermo rimanendo l'assetto delle imposte, quali furono e saranno votate dal Parlamento.117 Ascoltate le dichiarazioni di voto, tutte favorevoli, la sera di quello stesso 30 aprile, in una tornata straordinaria, la Camera dei deputati approva allora a scrutinio segreto, con duecentocinquantatré voti favorevoli e un voto contrario, la nuova stesura della Legge. Dopo appena un giorno, tuttavia, questa «universalità di consensi» è rotta da un fatto le cui conseguenze, già chiare subito, durano a lungo: ottenuta dalla Camera dei deputati l'autorizzazione a «provvedere con mezzi straordinari ai bisogni del tesoro», la Corona fa infatti sottoscrivere al ministero delle Finanze, il Regio decreto che autorizza il corso forzoso non già a tutti i biglietti di Banca allora in circolazione, ma a quelli soltanto della Banca Sarda.118 Questo monopolio, che Governo, Parlamento e Corona accordano alla Banca Nazionale Sarda, causa grande sconcerto, soprattutto nelle Province napoletane, già allarmate dal 117 Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, p. 350, nota 1; il testo di questa Legge è poi pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, n. 120, 1° maggio 1866; cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 298. 118 Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, p. 350; Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 299. 74 decreto Sella sul servizio di tesoreria, bocciato il 19 dicembre 1865, con la conseguente caduta del I governo La Marmora, e ora preoccupate per la discriminazione dei loro Istituti di credito. Il portavoce di queste proteste, che fanno seguito al Regio decreto sul corso forzoso, è l'ex direttore del Banco di Napoli, Michele Avitabile, eletto deputato nelle file della Sinistra. Con l'interpellanza del 4 maggio, Avitabile critica infatti la decisione di concedere alla Banca Nazionale Sarda un corso forzoso di 800 milioni di circolazione cartacea, in cambio di un prestito di appena 250 milioni di lire. I contenuti di questa richiesta di spiegazioni, che ha ampia eco nell'opinione pubblica nazionale, sino all'inchiesta della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, si appuntano poi sul premio concesso alla Banca Nazionale Sarda per un servizio che in realtà le rende lo Stato: una decisione, altrimenti inspiegabile, che a giudizio di Avitabile trae origine dalla volontà politica di indebolire il Banco di Napoli, per favorire la Banca Nazionale Sarda. 119 All'interpellanza del deputato meridionale rispondono dapprima Minghetti e Sella e poi proprio Scialoja, il quale non riesce però a fugare il sospetto che il corso forzoso sia «un atto di privilegio e di favoritismo per la Banca Nazionale». Gli animi si quetarano soltanto perché parve men che conveniente, e lo avvertì il De Cesare, disputare del mio e del tuo, in quei giorni nei quali ogni italiano doveva solo pensare alla guerra contro la straniero. Per questo solo motivo fu sepolta con l'ordine del giorno puro e semplice una giudiziosa proposta per l'emissione d'un biglietto unico governativo di cui tutti insieme gli Istituti di credito fossero ugualmente 119 Michele Avitabile, eletto deputato, è interrogato dalla Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati, in due sedute, l'1 e il 2 aprile 1868, la prima, alla presenza di tutti i suoi componenti e la seconda, assente Lampertico. Vedi CD1800000273, pp. 97-121. 75 mallevadori.120 Le cose prendono tuttavia una piega ben differente; infatti: 1) tutti i biglietti della Banca Nazionale Sarda, inclusi quelli relativi alle operazioni commerciali con i privati, diventano inconvertibili in oro e argento; 2) la convertibilità dei biglietti emessi da Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca Romana, Banco di Napoli e Banco di Sicilia è, invece, legata alla Banca Nazionale Sarda, che può in tal modo attuare il drenaggio delle riserve auree; 3) le banconote della Banca Nazionale Sarda hanno corso legale, ovvero valore liberatorio coatto, su tutto il territorio dello Stato, mentre le banconote degli altri istituti hanno corso legale soltanto nelle Province di appartenenza; 4) le banconote della Banca Nazionale Sarda hanno effetto liberatorio in tutto lo Stato; viceversa, le banconote emesse dalle altre banche devono pagare un aggio, per essere cambiate in banconote della Banca Nazionale Sarda. Ciò comporta il rischio di speculazione sulle cedole del debito pubblico rimborsate in oro all’estero e in cartamoneta nel Regno d’Italia; 5) la Banca Nazionale Sarda emette biglietti per conto del Tesoro dello Stato, svincolati dall'obbligo di riserva, che vanno oltre le banconote che la stessa Banca emette in ragione del proprio attivo. Così, il rifiuto della valuta ufficiale è considerato un reato, mentre la legge sanziona il baratto e i pagamenti in valuta straniera, con pene che vanno sino alla reclusione, e la Banca Nazionale Sarda è obbligata a stampare biglietti di banca, senza svalutare il valore legale della lira, che rimane tuttavia assai differente dal suo valore di mercato. 121 120 121 Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare, 1902, pp. 350-351. Il corso forzoso è da porre in relazione con l'unificazione monetaria disposta nel 1862, attraverso ben quattro dei cinque principali istituti di emissione, censiti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta nel 1868: la Banca Nazionale, la Banca Nazionale Toscana, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, vedi Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 46-51 e relative note. Il quinto dei cinque principali 76 Sull'evoluzione del corso forzoso, che ho già delineato in forma sintetica nell'Introduzione, torno in seguito in chiave analitica, esaminando la Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Ora riconduco invece le discussioni della Camera dei deputati nell'aprile-maggio 1866, che ho sinora ripercorso attraverso la Storia parlamentare di Arbib, al quadro politico europeo, che aveva determinato il trasferimento della capitale a Firenze, secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Settembre. Con la quale Vittorio Emanuele II e Minghetti avevano assecondato la volontà politica e il disegno imperiale di Napoleone III.122 Lasciando incompiuta l'unificazione italiana. Nell'ambito delle compatibilità economiche determinate dalla Guerra civile americana, che aveva fatto crollare l’importazione dei metalli preziosi in Europa, e del conseguente disimpegno del Regno Unito dal Continente europeo: due elementi che avevano concorso alla promulgazione del corso forzoso anche in Italia.123 I.3.4. L'alleanza tra Prussia e Italia muta lo scenario europeo Per ricostruire il quadro europeo, nel quale Vittorio Emanuele II promulga il corso istituti di emissione è la Banca Toscana di credito per le industrie e i commerci d’Italia. 122 Sul ruolo dei banchieri e degli uomini dell'alta finanza, nel trasferimento della capitale a Firenze, vedi Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, p. 138. Confronta Ollivier, L'Empire libéral: études, récits, souvenirs, 18 voll., 1895-1918, vol. III volume, 1897. 123 Vedi il par. VIII. Il corso forzoso in Inghilterra. In America e in Italia, del capitolo IX. Il biglietto e la moneta, di Lampertico, Economia dei popoli e degli stati, vol. V, Il Credito, 1970: 330. Il presidente Abraham Lincoln (1809/1865) adotta il corso forzoso per finanziare l'Unione degli Stati d'America nella guerra contro gli Stati confederati d'America. Il presidente Ulysses S. Grant (1822/1885) ripristina tuttavia il corso legale soltanto con il Resumption Act del 14 gennaio 1875. 77 forzoso, richiamo ora la centralità dell'Impero asburgico, che aveva gestito con sagace determinazione l'ordine restaurato nel congresso di Vienna dal principe Klemens von Metternich, componendo in chiave nazionale la dicotomia tra legittimismo dinastico e nuove sovranità. La Restaurazione aveva infatti stabilizzato i Paesi tedeschi con il Deutscher Bund, diviso la Penisola italiana nei dieci Stati preunitari e favorito il ritorno della dinastia dei Borboni sul trono di Francia, dove Luigi XVIII aveva concesso la Charte, usando il disegno nazionale di Charles-Maurice Talleyrand, nominato in cambio duca di Périgord. Proprio l'ascesa di Luigi Bonaparte, successiva alle rivoluzione nazionali della Primavera dei popoli, alla loro repressione e all'inizio del regno di Francesco Giuseppe, aveva però dato inizio al lento declino dell'Impero austriaco. Il nipote di Napoleone Bonaparte aveva riproposto infatti le idées napoléoniennes, quali figlie dell'ordine civile e religioso, della libertà nazionale, dell'amministrazione efficiente, delle gerarchie istituzionali e della sovranità popolare, instaurate dal Grande Zio; rovesciando la dura critica di Benjamin Constant, che le aveva bollate come portato guerrafondaio dello spirito di conquista e di usurpazione. Caduta la monarchia borghese di Luigi Filippo e travolta dal Paese reale la politica del «juste milieu», con cui François Guizot aveva governato il Paese legale, Luigi Bonaparte aveva poi cercato di coniugare la grandeur francese, gli interessi dell'aristocrazia del denaro e la lotta contro la povertà, con il colpo di Stato. Per imporre il plebiscito sulla Costituzione – «redatta in virtù dei poteri delegati dal popolo francese» e incentrata sul Corps législatif – e farsi proclamare imperatore dei francesi, alla fine del 1852, restaurando l'Impero. Difesa la Turchia in Crimea e spezzata, insieme all'Inghilterra, l'alleanza tra Austria e Russia, perno della Reazione, Napoleone III celebra la sua gloria militare nel 1859, con la 78 campagna d'Italia.124 Tuttavia, nel giro di pochi anni, il Piccolo imperatore è stretto, in Francia, tra l'aristocrazia di nascita e i democratici e i socialisti e, in Europa, tra il Regno Unito della regina Vittoria e la Prussia di Guglielmo I Hohenzollern. È questa la nuova potenza europea che nel 1866, poco prima che Vittorio Emanuele II promulghi il corso forzoso, firma un trattato segreto con l'Italia, che il «consigliere di legazione» Theodor von Bernhardi motiva in questi termini: [...] perché l'Austria non impieghi in maniera sproporzionata una parte della sua intera potenza, perché non possa scendere in campo con una forza superiore contro la Prussia, gli italiani devono trattenere e impegnare una parte consistente delle forze armate austriache in Lombardia. 125 Questa alleanza con l'Italia, prepara il blitz krieg di Sadowa, in Boemia, il 3 luglio 1866, che concretizza l'iniziativa «dall'alto» di Bismarck, realizzando l'unità nazionale tedesca, al di là della fuorviante alternativa tra progetto grande-tedesco, che accettava la supremazia dell'Austria, e progetto piccolo-tedesco, che invece puntava a emanciparsene.126 Questa Realpolitik è da confrontare all'astuzia con cui Cavour aveva voluto la poco più che simbolica partecipazione sardo piemontese alla guerra di Crimea, volta ad approfittare 124 Cfr. Di Rienzo, Napoleone III, 2009, capitolo VI L'impresa italiana e le sue conseguenze, pp. 214-279. 125 Theodor von Bernhardi (1802/1885), «consigliere di legazione» inviato in Italia dal governo prussiano, senza specifiche credenziali, si rivolge così a La Marmora, in Der Krieg 1866 gegen Österreich. Tagebuchblätter aus den Jahren 1866 und 1867, 1897, pp. 47-54. Cfr. Gian Enrico Rusconi, Cavour e Bismarck Due leader fra liberalismo e cesarismo, 2011, p. 117 e n. 43 e p. 163. 126 Vedi Rusconi, Cavour e Bismarck Due leader fra liberalismo e cesarismo, 2011, p. 11; cfr. John Breully, La formazione dello stato nazionale tedesco, 1996, ed. 2004, p. 8. 79 della neutralità antirussa dell'Austria e, soprattutto, degli spazi che l'alleanza liberale tra Inghilterra e Francia aveva aperto nell'equilibrio politico europeo. Per fare acquisire nuovi territori al Regno di Sardegna, sviluppando una spregiudicata iniziativa diplomatica e praticando l’unione doganale interna. È dunque la capacità di valutare con lucida razionalità i rapporti di forza nazionali, per poi cercare di modificarli, facendo leva sul necessario consenso internazionale, che permette al principe Bismarck, di costruire la supremazia della Prussia, in Germania, come al conte Cavour, del Piemonte, in Italia. Bismarck, strutturando il protezionismo corporativo, e Cavour, agendo sul libero mercato, governano così i rispettivi sistemi costituzionali, dal centro dello schieramento politico. Entrambi «coprono» le rispettive Corone, sviluppando una relativa autonomia, che l'autocrate Bismarck fonda sul suffragio universale maschile, consolidando nuove forme corporative, ma scontrandosi nel Kulturkampf con la Chiesa cattolica romana e mettendo in seguito fuori legge i socialisti, e il liberale Cavour nutre di spregiudicate alleanze parlamentari, senza ampliare il ristretto suffragio di censo.127 I.3.5. Dal II governo La Marmora, al II governo Ricasoli Rimanendo a Cavour, durante i cinque anni di Firenze capitale, Vittorio Emanuele II, spalleggiato dalla Destra e dal partito di Corte, ne continua il disegno nazionale, ma rilancia le ambizioni dinastiche dei Savoia, con politici navigati, come Ricasoli e Minghetti, o con militari di professione, quale La Marmora. Nel rispetto dello Statuto 127 Una comparazione tra la presidenza del Consiglio di Cavour e il Cancellierato di Bismarck, è in Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, pp. 343-344; cfr. Ronald Car, La genesi del cancellierato L'evoluzione del potere governativo in Prussia 1848-1853, 2006; Id., “Un nuovo Vangelo per i tedeschi”, Dittatura del Cancelliere e Stato popolare nel dibattito costituzionale tedesco del secondo Ottocento, 2011. 80 concesso da Carlo Alberto, nell'ambito cioè di un potere legislativo condiviso dal Re, che detiene il potere esecutivo, coadiuvato dal Senato e dalla Camera; come stabilito dall'articolo 3.128 Il medesimo Statuto stabilisce d'altra parte, nell'art. 5, che soltanto il Re, «Capo supremo dello Stato», detiene il potere esecutivo, ha la facoltà di sciogliere in anticipo la Camera, art. 9, e di proporre le leggi, insieme a ciascuna delle due Camere, art. 10. Specificando però che: «[...] ogni legge d'imposizione di tributi, o di approvazione dei bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei Deputati». Se ne evince la distinzione tra titolarità personale dell'ufficio regio e Corona: l'insieme delle persone formate dal re e dai suoi più stretti collaboratori. 129 Il che spiega perché, dopo la caduta del I governo La Marmora, determinata dalla bocciatura parlamentare del Regio decreto che intendeva affidare il servizio di tesoreria dello Stato alla Banca nazionale, Vittorio Emanuele II aveva reincaricato La Marmora. Così, l'8 aprile 1866, l'Italia, alleatasi 128 Cfr. «[...] pesava in primo luogo la volontà sovrana di Vittorio Emanuele II, in questi anni più geloso che mai delle proprie prerogative e più che mai deciso – in questi anni di Firenze capitale – a prendersi la rivincita per quelle pur lievissime concessioni in fatto di politica militare e di politica estera elargite nei momenti di maggiore incisività riformatrice della politica di Cavour», Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firenze capitale, 1965, in Id. Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, p. 134. 129 Cfr. «vi sono organi autonomi e responsabili i quali tutti al re convergono ed a lui sono coordinati e collegati; il re è diventato una istituzione di alta e delicata concezione, non è uomo di alcun partito, è la personificazione della nazione, il rappresentante della coscienza collettiva, il tutore della libertà di tutti», Brunialti, Re, in Enciclopedia giuridica italiana, vol. XIV, parte I, 1900, p. 240; Colombo, La «ben calcolata inazione». Corona, Parlamento e ministri nella forma di governo statutaria, in Storia d'Italia, Annali 17, Il Parlamento, a cura di Luciano Violante, 2001, pp. 67-90; Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 16-17 e 45. 81 con la Prussia, aveva respinto la lungimirante offerta dell'Austria, che pure le aveva proposto Venezia, in cambio della neutralità e della rinuncia alle armi, perché proprio La Marmora aveva ritenuto «che l’onore italiano fosse ormai impegnato ad aiutare la Prussia nella guerra».130 Così, dopo il Regio decreto sul corso forzoso, La Marmora segue «il re al campo», dimettendosi da presidente del Consiglio, per dirigere una delle due armate italiane schierate al fianco della Prussia, mentre l'altra armata rimane agli ordini di Cialdini, che aveva già guidato le truppe piemontesi sull'Aspromonte, quando avevano fatto prigioniero Garibaldi, e nella repressione del brigantaggio. Vittorio Emanuele II attribuisce allora per la seconda volta l'incarico di formare il governo a Ricasoli, il 20 giugno 1866. 131 Il «barone di ferro», che assume anche il ministero dell'Interno e, il 28 giugno 1866, 130 Vedi Mack Smith, Storia d’Italia, 1959, p. 126, ma considera tutto il paragrafo 3. La guerra per Venezia (1866), del capitolo III. Il primo decennio (1861-71). Cfr. «L'Italia avrebbe forse potuto guadagnare Venezia e la regione del Veneto senza combattere, perché l'Austria acconsentì di cederle in cambio della neutralità italiana. Tale offerta, apparentemente vantaggiosa, nascondeva un aspetto insidioso. Accettare Venezia avrebbe posto il governo nella posizione politicamente imbarazzante di accettare in dono dal tradizionale nemico nazionale ciò che aveva diritto ad avere, ma che non poteva ottenere per mezzo delle armi», Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, p. 244. 131 Il 12 giugno 1861, quando il re lo aveva incaricato di prendere il posto dello scomparso Cavour, Ricasoli aveva tenuto per sé i ministeri degli Esteri e della Guerra, confermando i precedenti ministri, ma aveva nominato Vincenzo Miglietti (1809/1864) alla Giustizia, al posto di Giovanni Battista Cassinis (1806/1866), Menabrea alla Marina, al posto di Cavour, e Cordova all'Agricoltura, al posto di Giuseppe Natoli (1815/1867). Ricasoli, che aveva assunto anche l'Interno, subentrando a Minghetti, aveva poi proposto alla Francia una conciliazione con la Santa Sede, che riprendeva la politica estera di Cavour, ma che, forse proprio per questo, era rimasta senza seguito. Il 9 ottobre 1861, infine, i decreti Ricasoli estendono a tutto il Paese i decreti Rattazzi del 23 ottobre 1859. 82 dopo la sconfitta di Custoza, richiama Visconti Venosta agli Esteri, conferma i precedenti ministri, a eccezione del torinese Domenico Berti e del napoletano Giovanni De Falco, sostituiti all'Agricoltura e alla Giustizia, con Cordova e con il ferrarese Francesco Borgatti. Benché il presidente del Consiglio accentui il suo attivismo, l'esecutivo è tuttavia penalizzato proprio dalla sua rigidità. L'opposto della capacità di adattarsi alle circostanze con intuito e realismo, che era la principale dote di Cavour, 132 consapevole di poter contare su una relativa forza militare. Comunque inferiore a quella con cui in seguito Bismarck, l'illiberale ministro-presidente prussiano, emancipa la Germania dalla tutela dello zar. I.3.6. L'annessione del Veneto aggrava il deficit dello Stato italiano Tra gli elementi che concorrono ad aggravare il debito pubblico italiano e rendono necessario il corso forzoso, ma causano anomalie e violazioni della legalità, le spese militari incidono in misura rilevante. Tralasciando i sistemi di armamento e di equipaggiamento, queste spese diventano più onerose per la necessità di amalgamare i rigorosi, ma rigidi sistemi piemontesi e una disciplina inclusiva delle abitudini dei nuovi 132 Cfr. Mack Smith, Storia d’Italia, 1959, pp. 100 e 110. In queste pagine, lo storico inglese, di scuola liberale, distingue il «tact des choses possibles» di Cavour, dai suoi «metodi sleali». A me sembra, invece, che l'agire politico dello statista piemontese sia da riferire alla lealtà «delle cose possibili». Per approfondire le «considerazioni sulla posizione di Cavour in merito alla fondazione dello Stato unitario» e la loro influenza su Bismarck, vedi Heinrich von Treitschke, Cavour, 1866, ed. 1873, Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, p. 72 e nota 7. Cfr. «[...] alla dubbia moralità dei moralisti preferiamo l'onestà del prussiano Treitschke, che attribuiva alla “forza militare della Prussia” e al “favore del destino”, e non già ad una superiore moralità, se ai tedeschi fu concesso di “spezzare il gioco degli Asburgo senza raggiri, in una lotta frontale”», Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 521. 83 soldati, formatisi con Garibaldi. Incrementando un'efficienza che è limitata dalla troppo frequente rotazione dei ministri della Guerra, dall'inadeguata formazione tattica e tecnica degli ufficiali e dalla contrapposizione personale tra i generali La Marmora e Cialdini. 133 Entro questa cornice, la leva militare di 500 mila uomini, sulla popolazione di 25.760.000 persone, è limitata dall'evasione dell'obbligo e dai ritardi della leva annuale; conseguenza della mancanza di un «sentimento nazionale di massa», oltre che della mancanza di un'adeguata conoscenza delle reali condizioni del Paese, tra le élite. Basti dire che Pietro Maestri pubblica il primo Annuario generale di statistica soltanto nel 1864. Si spiegano così, con l'inadeguata conoscenza delle reali condizioni del Paese, acuita dagli ancora precari assetti della burocrazia, le differenti valutazioni sul numero degli ufficiali e dei soldati effettivi, stimati tra i quattrocentomila e i duecentocinquantamila uomini, due terzi dei quali ancora piemontesi, inquadrati negli ordinamenti militari già riformati da Cavour e La Marmora. Quale che sia stata la loro reale consistenza quantitativa, queste forze risultano strutturate in nove divisioni: tre lombarde, due toscane, tre emiliane e una mista. A questi effettivi si rivolge Vittorio Emanuele II, comandante di tutte le forze di terra e di mare, cui secondo l'art. 5 dello Statuto, spetta dichiarare la guerra e firmare i trattati di pace, per autorizzarli ad assorbire duemilatrecento dei tremilaseicento ufficiali dell'esercito borbonico che ne avevano fatto richiesta: poco meno dei due terzi. Del resto, c'è da considerare che se soltanto un terzo dei militari borbonici, ventimila soldati circa, aveva risposto alla chiamata di leva, il Parlamento aveva respinto la proposta di Garibaldi, volta a 133 Vedi Arbib, L'esercito italiano e la campagna del 1866. In quest'opuscolo, pubblicato a Firenze nel 1867, il giornalista fiorentino ferito a Milazzo nel 1860, ma poi ancora tra i volontari garibaldini, si avvale delle sue esperienze di corrispondente di guerra nell'esercito regolare e di sottotenente del 27° reggimento fanteria in Trentino. 84 includere nella Guardia nazionale mobile un milione di volontari, per portare «il Regno d'Italia ad avere sotto le armi 1.500.000 combattenti, con un inevitabile aumento della pressione fiscale».134 Così, quando Vittorio Emanuele II assume il comando delle operazioni contro l'Austria, l'esercito italiano, che pure si è limitato a inquadrare nelle proprie fila la maggior parte degli ufficiali garibaldini e ha costretto le camice rosse alla ferma di cinque anni e al tirocinio obbligatorio, è ancora lontano dall'avere ottenuto il rispetto delle proprie gerarchie interne. L'insufficiente disciplina di questo esercito, che pure è tra i più numerosi nel contesto europeo, concorre così a determinare la nuova sconfitta di Custoza. Lì, in quel piccolo villaggio tra Sommacampagna e il Mincio, dove si era già consumata la disfatta del 1848, le truppe austriache dell'arciduca Alberto d'Asburgo costringono La Marmora a ripiegare, dopo «ampi, slegati, disorganici combattimenti». 135 Oltrepassando l'Oglio, sino a Monzambano, dove la mancata copertura di Cialdini che, contravvenendo alle richieste di La Marmora, ripara con i suoi effettivi a Modena, rende inevitabile la resa. Né il 20 luglio 1866, davanti l'isola dalmata di Lissa, va meglio alla marina italiana, che pure era stata ammodernata e rafforzata con ingenti finanziamenti. Dopo la vittoria prussiana a Sadowa, la flotta navale agli ordini dell'ammiraglio Carlo Pellion, conte di Persano, si muove infatti in ordine sparso, perdendo due navi: l'ammiraglia Re d'Italia e la 134 Vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 9; cfr. Id., Storia costituzionale italiana, 2002, p. 182 e Piero Pieri, Storia militare del Risorgimento, 1962, pp. 745-767, cap. XXI. La terza guerra d'indipendenza, §§ 2. Il nuovo esercito italiano, 5. La mancata unità di comando, 11. Continua il dissidio Cialdini-La Marmora, 13. L'inazione della Marina, 16. Lissa. 135 Sulla nuova sconfitta di Custoza, il 24 giugno 1866, meno sanguinosa di quella del 24 e 25 luglio 1848, ma forse anche per questo più umiliante e che comunque costa all'Italia il veto prussiano sull'acquisizione del Friuli orientale e della Venezia Giulia, così Fiorella Bartoccini, Bixio, Nino, Dizionario Biografico degli Italiani, vol. X, 1968, p. 733. 85 Palestro, affondate dalla più piccola flotta austriaca, che l'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff ha fatto disporre a cuneo, sfondando al centro. Il presidente del Consiglio Ricasoli è allora costretto a esigere «imperiosamente la conclusione dell'armistizio», fermando i volontari garibaldini, che avevano invece prevalso sugli austriaci nella battaglia di Bezzecca, e la colonna del generale Giacomo Medici, avanzata sino a pochi chilometri da Trento. Questo vero e proprio ukaze di Ricasoli, tramite del re, è motivato dai successi prussiani in Boemia e dalla passività dei Veneti che, deludendo le aspettative di Garibaldi, seguono gli eventi come spettatori passivi. L'intimazione è così seguita dalla celebre, telegrafica, risposta del Nizzardo: «Ho ricevuto il dispaccio n. 1073 Obbedisco». 136 Riassumendo. Dopo essersi alleata con la Prussia, l'Italia ne segue la strategia militare e dichiara guerra all'Austria, che pure le aveva offerto Venezia in cambio della neutralità, ma – mentre i prussiani prevalgono a Sadowa – è sconfitta a Custoza e a Lissa; a causa della litigiosità degli alti comandi e della scarsa disciplina del suo esercito e della sua marina 137. In termini di politica interna, tuttavia, con questa guerra, combattuta per onorare gli impegni assunti con la Prussia e per continuare a legittimarsi con la Francia, la monarchia 136 Sulla vittoria di Bezzecca, cfr. Monsagrati, Garibaldi, Giuseppe, Dizionario biografico degli italiani, vol. LII, 1999, p. 327, e Scirocco, Giuseppe Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, pp. 298-301. 137 Cfr. «Questa guerra ci ha fatto perdere molte illusioni, ci ha tolto quella fiducia infinita che avevamo in noi stessi. Abbiamo visto i tardi Tedeschi correre come il fulmine e i focosi italiani andare come le tartarughe. [...]. Noi acquisteremo la Venezia, non avendo né Trento né Trieste e restando disonorati per sempre. [...]. Non è il Quadrilatero di Mantova e Verona che ha potuto arrestare il nostro cammino, ma è il quadrilatero di 17 milioni di analfabeti e 5 milioni di arcadi», Pasquale Villari, “Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra”, «Politecnico», settembre 1866, in La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1979, pp. 107 e 111. 86 liberale italiana pone le premesse per infliggere un duro colpo ai mazziniani 138 e per ridimensionare i garibaldini; sin dalle elezioni politiche venete. 139 Il 25 novembre 1866, infatti, se Garibaldi è eletto a Lendinara di Rovigo, oltre che a Mantova, i suoi uomini perdono i confronti con i moderati. Basti dire che Nino Bixio è battuto dal conte Andrea Cittadella-Vigodarzere, a Cittadella di Padova, e Giacomo Medici soccombe al dottore Giacomo Alvisi, a Belluno. Quella che in un certo senso è definitiva, è tuttavia la sconfitta delle speranze repubblicane, annichilite poi, nel 1870, dalle modalità militari con cui Vittorio Emanuele II concretizza il trasferimento della capitale a Roma. Intanto, gli Stati tedeschi hanno rinnovato lo Zollverein pattuito nel 1833 sulla base di una bassa tariffa, che penalizzava il commercio con l'Austria-Ungheria, ma la pace di Praga ha posto fine alla Confederazione germanica, a presidenza Asburgo, sostituendola con la Confederazione della Germania del Nord, a presidenza Hohenzollern. Mentre i territori a nord del Meno, che prima appartenevano alla Danimarca, venivano annessi alla Prussia e l'Austria cedeva il Veneto alla Francia, continuando a praticare un disegno geopolitico che aveva le sue radici nella previdente accortezza conservatrice di Metternich. Poi, il 3 ottobre, a Vienna, l’Italia è costretta a rinunciare al Trentino e alla Venezia Giulia austriache, ma è autorizzata ad acquistare il Veneto dalla Francia. I regi commissari 138 Sulle illusioni di Mazzini e dei suoi seguaci, cfr. Franco Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana Dibattiti ideali e contrasti politici all'indomani del 1848, 1958; Monsagrati, Mazzini, Giuseppe, Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXII, 2009, pp. 584-602. 139 Cfr. Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 133; Id., Vittorio Emanuele II, 1972, pp. 211-278: «La causa principale dell'insuccesso dell'Italia in questa guerra consiste nel fatto che il re non decise mai chi fosse il vero comandante […]. … egli non aveva affatto una sicurezza di sé tale da permettergli di imporre la sua autorità come aveva fatto nel 1859, né il realismo di Carlo Alberto nel trovare una soluzione più soddisfacente». 87 scavalcano quindi il commissario francese e i notabili locali, 140 promulgando il plebiscito di annessione all'Italia, che si svolge il 21 e 22 ottobre, come una festa popolare, più che come una consultazione elettorale regolata da norme giuridiche certe. 141 I.4. Il Veneto in Italia I.4.1. Tra decadenza e crescita Votata l'annessione all'Italia, le classi dirigenti venete eleggono i propri rappresentanti nel Parlamento nazionale; tra questi, i quattro deputati nominati il 10 marzo 1868, nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Per la Destra, Fedele Lampertico, di Vicenza, che agli inizi del settembre 1868 subentra a Cordova quale presidente; Alessandro Rossi, di Schio, uno dei due firmatari dell'ordine del giorno costitutivo della Commissione parlamentare d'inchiesta; e Angelo Messedaglia, di Villafranca di Verona, docente di statistica all'Università di Padova, dal 1858. E per la Sinistra, Federico SeismitDoda, originario di Ragusa, in Dalmazia, ma cresciuto a Venezia e laureatosi in Giurisprudenza a Padova, nel 1850. Come traspare dalla loro presenza nella Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, i deputati veneti assumono ben presto un rilievo nazionale, bilanciando la decadenza di Venezia, che soltanto nel 1871 elegge l'allora trentenne Luzzatti. Soverchiata 140 Cfr. «[…] il notabile costituiva una reale mediazione fra la sua comunità e i nuovi obblighi del “mondo moderno”, e solo chi garantiva il possesso di una “scienza” in grado di misurarsi con le nuove complessità (dalla compilazione di complicati atti formali ai rapporti con i vari gradi dell'autorità statale) poteva proporsi come mediatore nei confronti del nuovo universo del potere spersonalizzato dello Stato nazionale», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 23. 141 Vedi Claudio Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, p. 6. Sui costi economici e finanziari della cessione del Veneto all'Italia, ibidem, pp. XII-XIII e 3-9. 88 sin dalla dominazione napoleonica, dall'intensificarsi dei commerci tra Parigi e Vienna, l'oligarchia della Serenissima aveva lasciato infatti luogo ai nuovi ricchi dell'entroterra agrario e urbano, che avevano soppiantato i rentiers assenteisti, acquistandone i fondi e acquisendone i titoli per via matrimoniale; senza curarsi delle iniziali differenze di status. La borghesia mercantile aveva quindi rinvigorito l'ormai esangue nobiltà terriera, contribuendo a sciogliere le corporazioni delle arti e dei mestieri nelle professioni liberali e nei lavori agricoli e manifatturieri, alimentando inoltre con doviziosi lasciti, la liberalità araldica della Regia corte viennese e la carità sociale della Chiesa cattolica romana. Che, a loro volta, integravano da lungo tempo la lungimiranza benefattrice dell'oligarchia veneziana.142 Poi, durante la Restaurazione, Metternich aveva plasmato le nuove classi dirigenti, espressione politica di questa mobilità sociale, con un programma – documentato dal suo memoriale del 1817 – che aveva garantito il buon governo, formando «cittadini contenti e perciò ostili a ogni rivoluzione […], un'amministrazione funzionale e veloce, una giustizia competente e giusta e certe esenzioni come il permesso per la gioventù di studiare l'italiano in Toscana».143 Sino al 1846, quando i collegamenti ferroviari tra Milano, Vicenza, Mestre e Venezia, avevano dato visibilità alla crescita commerciale dell'entroterra veneto. Forse anche per questo, quando a Venezia i mazziniani proclamano la Repubblica, le élite vicentine votano a grandissima maggioranza l'annessione al Regno di Sardegna, prima di subire la riconquista austriaca che avviene ai danni delle truppe pontificie, guidate dal 142 Vedi Silvio Lanaro, Società e ideologie nel Veneto rurale (1866-1898), 1976; Id., Genealogia di un modello, 1984 a, pp. 5-96; Id., Dopo il ’66. Una regione in patria, 1984 b, pp. 407-468. 143 Sul memoriale del principe Klemens von Metternich-Winneburg (1773/1859), così Stefano Malfèr, Immagini dell’altro: austriaci e italiani, in Storia d'Italia, Il Risorgimento, Annali 22, 2007, p. 843. 89 generale piemontese Giovanni Durando. Più che nella storia della città, la peculiarità della cattolicissima Vicenza è tuttavia nella struttura produttiva della sua provincia, caratterizzata dall'industria tessile, che insieme a quella di Biella, era da tempo competitiva a livello europeo. Quella primazia si era infatti affermata sin dagli anni Trenta, con il lanificio Rossi di Schio, fondato dal padre di Alessandro, Francesco, proprio mentre in Piemonte, sorgeva il lanificio Sella, di Biella, fondato dal padre di Quintino, Maurizio. Ciò grazie ai telai Spinning e Mule Jenny, provenienti dall'Inghilterra, con filatoi meccanici intermittenti, e ai telai Jacquard, importati dalla Francia, con schede perforate che permettevano di programmare i disegni dei tessuti. Garantendo la superiorità tecnologica sulla concorrenza; basti pensare che ancora negli anni Sessanta dell'Ottocento, i cotonifici di Lualdi, nel bresciano, lavoravano soltanto a cottimo. Ciò che più conta, se si considera sin da ora la critica del corso forzoso contenuta negli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta, è tuttavia la solidarietà che unisce la classe operaia di Vicenza, a differenza di quella di Biella. Quel solidarismo è legato alla presenza delle Associazioni operaie della Chiesa cattolica romana, che si andavano diffondendo sin dagli anni del governo austriaco, ristabilito con la forza nel 1849. Dopo quella riconquista, il progressivo irrigidirsi della nuova amministrazione asburgica aveva però finito con il favorire l'aspra polarizzazione tra gli orientamenti politici dei ceti urbani, repubblicani e democratici, e contadini, monarchici e clericali, che dopo l'unificazione nazionale, trova espressione e parziale composizione nelle polemiche tra l'economista cattolico Lampertico e l'imprenditore tessile Rossi. I.4.2. Filantropia e radicalità A uno sguardo altro, ma non estraneo alla realtà veneta, il filantropismo di quelle classi 90 dirigenti, considerato nel suo insieme, appare influenzato soprattutto dal cattolicesimo idealista del trentino Antonio Rosmini Serbati, platonico e antisensista, e dal romanticismo classicheggiante di Niccolò Tommaseo, dalmata come Seismit-Doda. Divisi dal giudizio sul governo austriaco, che Rosmini asseconda e Tommaseo avversa, quei due protagonisti del Risorgimento italiano divulgano una concezione morale che ha alcuni punti in comune con la religiosità di Alessandro Manzoni, imperniata sulla Provvidenza cristiana, fonte di tutte le azioni umane. Il loro composito cattolicesimo, che permea di sé le campagne e le città dominate dagli austriaci, nel Veneto più a lungo che in Lombardia, fronteggia, con la sua moderazione, le Società di mutuo soccorso legate all'intransigente apostolato laico di Mazzini, democratico, repubblicano e antifrancese. Nella concezione morale di Mazzini, infatti, l'uomo risponde a Dio dando ascolto soltanto alla propria coscienza; senza la mediazione di principi e sacerdoti, per i quali però «il Grande genovese» mostra sempre disponibilità e rispetto, polemizzando semmai con monarchia e papato. La sua romantica visione del mondo critica la modernità, congiungendo individuo e umanità, nella patria: fattore di coesione, progresso e prosperità. Essa ha tuttavia le sue radici nella Scienza Nuova di Giambattista Vico, che ordina le età delle nazioni in tre stadi. Degli dei: «nella quale i primi huomini gentile credettero vivere sotto governi divini»; degli eroi: «nella quale da per tutto regnaron' in Repubbliche Aristocratiche»; e degli huomini: «nella quale […] si celebrarono prima le Repubbliche popolari, e poi finalmente le monarchie».144 Al pari delle età delle persone, distinte in 144 Vedi: «Così questa nuova scienza, o sia la metafisica di lume della provvidenza divina meditando la comune natura delle nazioni, avendo scoverte tali origini delle divine ed umane cose tralle Nazioni Gentili, stabilisce un sistema del diritto naturale delle genti, che procede con somma egualità e costanza per le tre Età, che gli Egizi ci lasciaron detto aver camminato per tutto il tempo corso loro dinanzi; cioè l'Età degli Dei, nella quale i primi huomini gentile credettero vivere sotto governi divini, e ogni cosa esser loro 91 infanzia, giovinezza e maturità. La passione nazionale che anima Mazzini è allora da riferire alla «epoca nuova, l'epoca sociale, che succede all'epoca individuale, [e che] ha, per programma Dio e l'Umanità», alla «[...] celebrazione dell'umanità» e del progresso civile e al «libero, armonico e compiuto sviluppamento delle Nazionalità». Contraddetta e negata dal principio della «conservazione» dell'ordine europeo sancito dalla Restaurazione, questa Umanità riemerge con le rivoluzioni democratiche del biennio 1848-1849 ed è sconfitta con esse, ma vive entro i limiti razionali del diritto di ciascuna nazionalità, costituiti dalle altre sovranità nazionali. Il sentimento repubblicano italiano si radica così nel Piemonte di Carlo Alberto, dove più che altrove, per uno di quei paradossi di cui è ricca la storia, durante la Primavera dei popoli, le élite aristocratiche e borghesi parlano ancora in francese, la lingua della Corte sabauda.145 Ciò, ecco il paradosso, grazie alle garanzie dello Statuto, la cui liberalità rispecchia e consolida la secolarizzazione dello Stato sardo piemontese, la relativa autonomia delle sue amministrazioni comunali e provinciali e la laicità della sua istruzione pubblica. Non a comandata dagli Dei con gli auspicj e con gli Oracoli, che sono le più vecchie cose, che si truovan egualmente sparse per tutte l'antiche gentili nazioni; l'Età degli Eroi, nella quale da per tutto regnaron' in Repubbliche Aristocratiche per una certa da essi ripetuta differenza di superior natura a quella dei plebei; e finalmente l'Età degli huomini, nella quale tutti si riconobber essere eguali in ragionevol natura; e perciò vi si celebrarono prima le Repubbliche popolari, e poi finalmente le monarchie, le quali entrambe, come si è detto, sono forme di governi umani». Giambattista Vico (1668/1744), La Scienza Nuova, 1730, Spiegazione della dipintura proposta al Frontispizio, che serve per l'Introduzione dell'Opera, ed. 2004, pp. 47-48. 145 Chabod, L'idea di nazione, 1961, pp. 68-71 e 73-75. Sul sentimento nazionale in Mazzini, cfr. la voce di Monsagrati per il Dizionario biografico degli italiani, vol. LXXII, 2009; Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000. 92 caso sessantasette dei centoventiquattro delegati che il 27 settembre 1861 avevano dato vita a Firenze al IX congresso delle Società operaie italiane, provenivano dal Piemonte. Non a caso quei delegati si erano divisi tra moderati che, rifiutando di caratterizzarsi in termini politici, avevano abbandonato il congresso, e democratici e mazziniani, che si erano contrapposti tra loro, in due differenti mozioni. Una favorevole all'unificazione delle Società operaie, al suffragio universale e all'istruzione laica e obbligatoria; l'altra contraria al «funesto» uso dello sciopero, ma favorevole all'arbitrato di «uomini probi» sugli aumenti salariali e sulla riduzione dell'orario di lavoro e alla legalizzazione delle «coalizioni operaie». Il contraddittorio sentimento repubblicano italiano propugnato da Mazzini si era diffuso però soprattutto attraverso il mutuo soccorso 146, garantito, al pari delle Società sorte anche nel Veneto asburgico, dall’art. 32 dello Statuto: È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz'armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l'esercizio nell'interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di polizia. 147 146 Cfr. «Le società operaie avevano avuto una notevole diffusione nel Regno di Sardegna nel corso degli anni '50, grazie alle tolleranti disposizioni contenute nello Statuto Albertino. Tali società, formate da artigiani e operai ma dirette per lo più da notabili benestanti, si dedicavano essenzialmente all'attività di mutuo soccorso ripudiando ogni prospettiva di lotta di classe o semplicemente politica. [...] Alla fine del 1862 le statistiche indicavano la presenza di 445 società operaie (30 nel Mezzogiorno) con oltre 130.000 soci; numeri questi destinati praticamente a raddoppiare dieci anni dopo, quando era cominciato a maturare il processo di distinzione tra società con finalità previdenziali e quelle, minoritarie, con obiettivi sindacali e di resistenza», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, pp. 61-62. 147 Vedi Colombo, Con lealtà di Re e con affetto di padre, 2003, p. 172. 93 In questo modo, sino alla fine dell'Ottocento, il filantropismo monarchico di ampi settori delle istituzioni e della società civile e, all'opposto, il radicalismo repubblicano di ristrette avanguardie politicizzate, s'intrecciano nel «paternalismo autoritario», che accomuna Destra e Sinistra, impegnate, anche durante il corso forzoso, nella lotta per ottenere l'applicazione dei diritti elementari sanciti dallo Statuto. 148 Nella Sinistra, radicali e democratici, si distinguono così dall'egualitarismo e dalla lotta di classe di socialisti e comunisti; attraverso le spesso violente proteste di massa, contro la tassa sul macinato. 149 Mentre negli ambienti internazionalisti, Karl Marx si schiera con la la Comune di Parigi, condannandone la sanguinosa repressione, tragica conseguenza reazionaria dei 148 I governi della Destra nell'Italia degli anni Sessanta dell'Ottocento, semplificano l'equilibrio imperfetto con cui una forma di governo rappresentativo sventa il pericolo di una legislazione classista e permette il prevalere degli interessi privati che coincidono con gli interessi della comunità, cfr. «Il sistema rappresentativo […] non dovrebbe permettere ai numerosi interessi di classe di essere così influenti da prevalere sulla verità e sulla giustizia o contro alcuni interessi particolari. Dovrebbe garantire sempre un equilibrio siffatto, tra i vari interessi individuali, da costringere ciascuno di essi a non poter contare sul successo che a condizione di attirare a sé almeno una gran parte di coloro che agiscono per motivi più elevati e sulla base di vedute più complessive e aperte», J. S. Mill, Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo VI, Sulle debolezze e i pericoli cui è esposto il governo rappresentativo. 149 L'organo di stampa che meglio dà voce alle violente proteste di massa contro la tassa sul macinato è il quindicinale democratico «La plebe», diretto da Enrico Bignami (1844/1921), che pubblica tra l'altro a puntate il compendio dell'edizione francese del Capitale di Karl Marx, scritto da Carlo Cafiero (1846/1892). Nei suoi primi sette anni di vita, dal 1868 al 1875, quando è stampato a Lodi, «La plebe» ospita articoli di Benoît Malon (1841/1893) e di Filippo Turati (1857/1932), diventando così il punto di riferimento della sinistra marxista, che in Italia rifiuta sia l'umanitarismo idealista di Mazzini, sia l'insurrezionalismo anarchico di Mikhail Bakunin (1814/1876). 94 nazionalismi francese e prussiano. Ciò nondimeno, in Italia, l'influenza di Mazzini rimane molto forte anche dopo la sua morte, tanto che nel 1894: un censimento del governo […] mostrò che le società di mutuo soccorso mazziniane erano ancora numericamente più forti rispetto a quelle socialiste, in un rapporto di quasi quattro a uno […].150 A questa preponderanza numerica delle organizzazioni mazziniane nella società civile, si accompagna d'altra parte la loro influenza morale sul sistema scolastico italiano, nel quale i tanti maestri formatisi durante la Primavera dei popoli insegnano economia domestica, pedagogia, alimentazione, igiene e fai da te, ma la cui riforma risale alla Legge Casati del 16 novembre 1859: vera e propria Magna Charta del diritto scolastico sardo piemontese prima e italiano poi, proposta dal ministro della Pubblica istruzione del governo La Marmora-Rattazzi, nominato subito dopo vice presidente del Senato e poi, dal 1865, al 1872, presidente del Senato. I.4.3. La transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana Tra le ragioni della «guerra per Venezia», l'opuscolo di Lampertico, Urgenza della questione veneta, enfatizza la necessità di ricostituire il principio di autorità, pur nei limiti della polemica politica. Pubblicato anonimo a Torino, a cura del Comitato politico Veneto centrale, nell'anno della Convenzione di Settembre, questo pamphlet dà seguito alla prolusione al corso libero sul credito, tenuta all'Accademia Olimpica di Vicenza nel 1863. In quell'Invito ad un corso di Economia politica, l'allora trentenne vicentino aveva cominciato 150 Vedi Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, 1997, ed. 2000, p. 265 e nota 7. 95 a sviluppare la sua impostazione moderata, proponendo di coniugare cattolicesimo e libera lismo, per assoggettare l'agire economico, al disegno della Divina provvidenza, ispirato dall'amore per il prossimo, e per limitare l'usura e le speculazioni monetarie. L'opuscolo sulla questione veneta, stampato in italiano, francese e inglese, si muove su questa stessa linea di pensiero, ma argomenta la necessità di ricomporre gli animi esacerbati dal governo austriaco, negli ultimi anni sempre più repressivo. La nuova definizione dei doveri civici è così considerata tanto più necessaria, «quanto più larghe sono le leggi». Tuttavia: questo potrà ottenersi finché vi è l’Austria in Italia? È strano a dirsi, ma è un fatto: allorché alcuni sospetti d’aderenza al governo parlano nel Veneto, anche le cose più sante non si riconoscono più come sante. Udii un vescovo austriacante parlare contro Renan con sentimenti che un cristiano doveva approvare: eppure vidi uomini cristiani, devoti, pii, sorridere come se parlasse contro Vittorio Emanuele. 151 Joseph-Ernest Renan152 è lo scrittore bretone nato nel 1823, conosciuto per aver pubblicato nel 1863 a Parigi la Vie de Jésus, in cui esalta la figura umana del Nazareno, ma ne nega divinità e miracoli.153 La sua impostazione politica, volta a fondare un partito degli intellettuali cattolici, è esplicitata soltanto oltre un decennio dopo la caduta di Napoleone III, 151 Lampertico, Urgenza della questione veneta, 1864, p. 20. 152 Su Joseph-Ernest Renan (1823/1892), cfr. «In Francia, dove la filosofia positiva ebbe in questo secolo il suo principio, sono entrati a combattere in favore di essa, [...] i cultori delle scienze morali, come Littré, Renan, Taine, Vacherot ed altri; [...]» Pasquale Villari, “La Filosofia Positiva e il metodo storico”, in Teoria e filosofia della storia, 1854-1903, ed. 1999, p. 111. 153 La Vie de Jésus è il primo dei sei volumi dell'Histoire des origines du christianisme, di Renan, pubblicati dal 1863 al 1882, vedi Salvatorelli, Il pensiero politico italiano, 1971, pp. 753-754. 96 l'11 marzo 1882, alla Sorbona, nella conferenza Qu'est-ce qu'une Nation? Il nazionalismo temperato che alimenta quel cattolicesimo è, tuttavia, già chiaro nel 1864. Menzionando l'autorità di Renan, Lampertico segnala dunque il definitivo esaurirsi, anche tra i moderati, della fiducia nel tardivo riformismo dell’arciduca Massimiliano d’Asburgo, che dal 1857 ha tentato invano di riconquistare il consenso perduto. Lampertico fa però seguire a questo riferimento, la critica delle «eccessive impazienze» e delle «idee esagerate» che contraddicono il «fondo universale» della maggioranza dei Ve neti: ancora un esplicito invito alla moderazione. A significare che i moderati, rimasti a lungo fedeli al buon governo teorizzato da Metternich e poi praticato dagli Asburgo nel Lombardo-Veneto, come dagli Asburgo-Lorena in Toscana, considerano ormai improcrastinabile l'unità della nazione italiana, ma si propongono di realizzarla nel rispetto delle gerar chie ecclesiastiche; necessario antidoto al temuto dilagare delle idee garibaldine e mazziniane, tra le plebi rurali, come nelle masse urbane. Le classi dirigenti venete, che avevano nutrito e continuavano a nutrire quella moderazione di operosa laboriosità caritatevole, insospettiscono perciò l'occhiuta polizia austriaca; così pure Lampertico è costretto a riparare in Svizzera. La «transizione dolce» verso il governo italiano si compie anche in questo modo, lontana sia dalla sconfitta che si consuma nel breve volgere di pochi giorni, a Custoza, sia dai gravi disordini di Verona. Sin dalla notte del 12 luglio, quando le autorità imperiali regie abbandonano Vicenza insieme alle loro truppe. La mattina seguente, la giunta municipale provvisoria, formata da esponenti dell'aristocrazia e delle professioni liberali, inizia a coadiuvare il presidente del consiglio comunale, appena subentrato al delegato luogotenenziale austriaco. Dopo che il facente funzione di potestà, delegato dalle autorità austriache, aveva declinato l'incarico, perché «la sfera di azione eccedeva le attribuzioni prima a lui 97 demandate». Lo stesso consiglio comunale di Vicenza affianca poi la giunta municipale con una giunta governativa provinciale anch'essa provvisoria, eletta da un'assemblea di centocinquanta cittadini, scelti «per estimo, commercio, intelligenza». Garantita in questo modo la democraticità della nuova amministrazione, i componenti della giunta eleggono tre rappresentanti, incaricati di rendere omaggio a Vittorio Emanuele II, presso il comando supremo dell'esercito, dislocato a Ferrara. Arriva così in città il commissario regio, «uno dei più provati campioni dell'indipendenza italiana, l'illustre deputato Antonio Mordini», che nel 1848 aveva difeso Venezia e aveva partecipato alla resistenza contro gli austriaci sul monte Berico. È forse una coincidenza, ma Mordini è a Vicenza dal 28 luglio 1866, quattro giorni dopo il Regio decreto 3089 che abolisce, nelle Province sottratte alla dominazione austriaca, il Concordato stipulato il 19 agosto 1855 tra la Santa Sede e l'Impero Asburgico. 154 La fine di quel Concordato, che aveva ricondotto l'autorità del clero, all'autorità del papa e dei nunzi apostolici, ponendo fine al giuseppinismo in Austria e in Ungheria, preannuncia l’armistizio di Nikolsburg, in Boemia, tra Austria e Prussia e, soprattutto, la tregua tra Italia e Austria. Segue la pace di Vienna, stipulata il 3 ottobre 1866, dai rappresentanti dell'Impero austriaco, sconfitto dalla Prussia a Sadowa, ma vittorioso sull'Italia a Custoza e a Lissa, e dell'Impero francese, che ignorano il plenipotenziario di Vittorio Emanuele II, generale Menabrea. Anzi, anche questa volta Francesco Giuseppe cede il Veneto, Mantova e il Friuli occidentale, come aveva già fatto con la Lombardia nel 1859, a Napoleone III, che a sua volta, in questo caso per arginare i prussiani di Guglielmo I Hohenzollern, dona quelle pro- 154 Sul presidente del consiglio comunale di Vicenza, Gaetano Costantini, sul delegato luogotenenziale austriaco, Giovanni Ceschi, baron auf Heilige Kreuz, sul nobile Angelo Revese, facente funzione di potestà, e sull'onorevole Mordini, vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, p. 379. 98 vince ai rappresentanti della città di Venezia che, marginale in Europa, ha pur sempre la supremazia nel Veneto. La debolezza dello Stato liberale italiano è d'altra parte comprovata dalle forme del plebiscito di unione delle province di Mantova, Venezia, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Verona e Vicenza, «al Regno d'Italia sotto il governo monarchico costituzionale del re Vittorio Emanuele II e suoi successori». In queste feste popolari, celebrate a spese dell'erario pubblico, il 21 e 22 ottobre 1866, i commissari governativi registrano ben 647.246 voti a favore e soltanto 69 contrari, su una popolazione di 2.603.009 abitanti, com prensiva delle donne e dei minori di venticinque anni, privi del diritto di voto. Né è forse un caso che a Mantova e nelle Province venete e friulana, i commissari governativi abbiano omesso il numero degli iscritti alle liste elettorali, degli astenuti e dei voti nulli, come era già accaduto nel 1860, con il plebiscito nelle Marche. Così un privato cittadino ha registrato le seguenti cifre: A Vicenza le sezioni di plebiscito furono 14 e i comizi ebbero luogo il 21 ottobre. A votazioni concluse, alle ore 5 pomeridiane, i cittadini, con guardia nazionale, bandiera e musica portarono le urne suggellate dal municipio alla pretura per lo spoglio delle schede. I sì furono 8810; i no furono 2.155 Ciò mentre nel distretto di Vicenza, che includeva i comuni di Bassano, Marostica, Thiene, Schio, Valdagno e Lonigo, 24.165, degli 82.163 abitanti, hanno votato a favore dell'annessione all'Italia; a cospetto degli 85.926 votanti dell'intera provincia, su 334.000 155 Francesco Formenton, Memorie storiche della città di Vicenza dalla sua origine all'anno 1867, Vicenza, Steider, 1867, p. 1006. 99 abitanti, che hanno espresso 85.869 sì, 5 no e soltanto 52 voti nulli. 156 Dati che alimentano seri dubbi sulla regolarità del voto, specie se si considera che l'analfabetismo ha facilitato la manipolazione governativa dei voti del 25% della popolazione veneta che ha partecipato al referendum. I.4.4. Esazione fiscale e autonomie locali Celebrato la consultazione referendaria, il 7 novembre 1866, Vittorio Emanuele II entra a Venezia, accolto dalla folla plaudente. 157 Tuttavia, malgrado l'impegno di cattolici moderati come Lampertico, gli uomini della Chiesa cattolica romana gli segnalano, con la loro vistosa assenza, poi sdrammatizzata dalle lettere di alcuni alti prelati, che il consenso clericale è ancora da conquistare, specie nelle campagne. Non a caso, il patriarca di Venezia col mezzo di apposito incaricato, fece pervenire al presidente una lettera colla quale annunziava che motivi di salute gl'impedivano di venire in persona a dare il […] voto, che però accompagnava in apposita scheda acchiusa nella lettera medesima, scheda che la commissione credette di accettare.158 156 Sulla consultazione del 21 e del 22 ottobre 1866, così Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, pp. 381-382. 157 Cfr.: «[...] mancò la consacrazione del nuovo acquisto, nelle forme tradizionali della regalità. In Venezia, come poi nelle diverse città euganee e in quella già dei Gonzaga […] manifestazioni di folla attestarono […] l'attendibilità del plebiscito. La popolazione si mostrò esultante. Il clero assente. Del resto sin dal 1797 la Serenissima era stata Repubblica patrizia», Aldo A. Mola, Storia della monarchia in Italia, 2002, p. 635. 158 Sulla scelta del patriarca di Venezia, cardinale Giuseppe L. Trevisanato, che diserta le urne, ma vota per lettera, come Monsignor Giuseppe Marchioro e sulla nomina a senatore del presidente dell'agenzia di Venezia della Banca Nazionale, Giuseppe Giovannelli, e del sindaco, Giambattista Giustinian, vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle 100 Il re organizza, forse anche per superare questo dissenso, la fastosa serata di gala al Teatro la Fenice, chiuso dal 1859, per protesta contro gli austriaci e riaperto per l'occasione. Lo stesso Vittorio Emanuele II premia poi la città con la medaglia d'oro al valore militare, celebrandone la resistenza nell'assedio del 1849, e nomina cinque nuovi senatori veneziani, nell'infornata di quattordici senatori veneti che segue l'annessione; tra questi, il presidente dell'agenzia di Venezia della Banca Nazionale e il sindaco. In quelle stesse concitate settimane, alcuni gruppi di cittadini veneziani di orientamento moderato, organizzano una serie di iniziative che danno voce al desiderio della grande maggioranza della popolazione di coniugare la libertà con l'ordine. Nascono allora i Comitati promotori degli istituti di credito, che avanzano anche alcune proposte concrete: unificare lo stabilimento mercantile con la Banca nazionale; istituire una Banca di sconto che incoraggi e promuova il commercio al dettaglio e una Banca popolare che tuteli i piccoli ri sparmiatori; estendere all'intera provincia, la legge Corsi del 17 dicembre 1862, istitutiva delle Camere di commercio e d'industria, lungo la linea politica legislativa e amministrativa Rattazzi-Ricasoli. 159 Queste proposte di politica finanziaria, volte ad arginare il declino produttivo seguito alla decadenza politica della Serenissima, integrano alcuni obiettivi economici, quali l'estensione della rete ferroviaria, il rilancio del porto, il ripristino dell'Arsenale, che gli auprovince del Veneto e di Mantova 1866, II, Documenti, 1968, pp. 139 e 141. 159 Su Tommaso Corsi (1814/1891), cfr. la voce di Nidia Danelon Vasoli, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 585: «Quando il Ricasoli fu presidente del Consiglio (giugno '61-marzo '62), il Corsi ne sostenne la linea politica di uniformità legislativa e amministrativa, continuata poi da Rattazzi. Fra l'altro, proprio durante il I ministero Rattazzi, giunse al termine del suo iter parlamentare il progetto di legge per l'istituzione in tutto il Regno delle Camere di commercio, già preparato dal C. quando era ministro». 101 striaci avevano chiuso per favorire il porto di Trieste, e la costruzione di scuole di nautica e di commercio. Proponendo soltanto in prospettiva la promozione di grandi industrie. Tuttavia, dopo il plebiscito che ratifica l'annessione del Veneto all'Italia, anche a Venezia cambiano soprattutto gli apparati pubblici: nasce così la Scuola superiore di commercio, per impulso di Luzzatti, che mutua l'idea dalle Scuole di Anversa e di Mulhouse. 160 Mentre il Re nomina presidente del Tribunale di appello di Venezia, il vicentino Sebastiano Tecchio, e Regio commissario, il ravennate Giuseppe Pasolini161, che sensibilizza il governo Ricasoli e in particolare il ministero delle Finanze, sul tema dell'imposta fondiaria, accresciuta dal governo austriaco, per finanziare la propria burocrazia, efficiente, ma ormai malvista dal popolo. La legge d'incameramento dei beni delle Congregazioni e degli Ordini religiosi162, che 160 In seguito, Luzzatti, che utilizza il fondo di 20.000 lire erogato dalla Provincia per ampliare l'Istituto tecnico fondato dagli austriaci, chiama Francesco Ferrara a dirigere la Scuola superiore di commercio di Venezia. Intanto, nel 1867, il Re ha nominato Luzzatti ordinario di Diritto costituzionale nell'università di Padova. Poi, nel 1869, è Minghetti, ministro di Agricoltura, industria e commercio, nel III governo Menabrea, a nominare Luzzatti segretario generale del ministero. 161 Sul ravennate Giuseppe Pasolini (1815/1876), Regio commissario in Veneto, vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, pp. 29-32. Pasolini, che era stato tra i più ascoltati consiglieri di Pio IX, fautore dell'annessione della Romagna al Regno d'Italia, senatore dal 1860, governatore di Milano e ministro degli Esteri nel I governo Ricasoli e nel governo Farini, aveva dato prova di equilibrio e ragionevolezza, quale prefetto di Torino, prima del brutale intervento repressivo di Silvio Spaventa (1822/1893), segretario generale del ministero dell'Interno; nel 1876, Pasolini è poi eletto presidente del Senato. 162 La legge 3036, presentata da Scialoja, ministro delle Finanze nel II governo Ricasoli, e promulgata il 7 luglio 1866, sopprime trentatré Ordini religiosi (venti maschili e tredici femminili), cfr. Arturo C. Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel regno d’Italia (1848-1888), 1911, ristampa a cura di Francesco Margiotta 102 pure obbliga lo Stato a versare una rendita del 5%, a favore del fondo per il culto, porta intanto momentaneo sollievo alle gravi condizioni monetarie e finanziarie dello Stato unitario. A essa, fa seguito la Legge di liquidazione dell'asse ecclesiastico 163, analoga alla Legge approvata dal Parlamento del regno di Sardegna, su proposta del governo CavourRattazzi.164 Con quelle due leggi, il Parlamento dispone, in ottemperanza agli articoli 30 e 31 dello Statuto, che lo Stato incameri i fabbricati conventuali e li conceda entro un anno ai Comuni e alle Province che ne hanno fatto domanda, a condizione che li destinino alla creazione di scuole, asili, ospedali e opere di beneficenza, previa presentazione di un piano di utilizzo quali pubbliche utilità. 165 Nel contempo, quelle stesse leggi mettono sul mercato oltre tre milioni di ettari di terra di proprietà della Chiesa, concentrati nel meridione. Ben presto, tuttavia, la burocrazia Broglio, 1974. 163 La legge di liquidazione dell'Asse ecclesiastico, promulgata il 15 agosto 1867, dispone che le relative proprietà siano messe all'asta a partire dal 26 ottobre 1867, cfr. Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel regno d’Italia (1848-1888), 1911, ed. 1974. 164 Nel Regno di Sardegna, la legge sulla soppressione degli ordini religiosi era stata approvata, dalla Camera, con centosedici voti favorevoli e trentasei contrari e, dal Senato, con cinquantatré voti favorevoli e quarantadue contrari, ma aveva causato le dimissioni del governo Cavour, il 26 aprile 1855. Dopo che Vittorio Emanuele II e Pio IX avevano avallato la proposta di monsignor Luigi Nazari Di Calabiana (1808/1893), vescovo di Casale Monferrato, volta a corrispondere un forte indennizzo al clero delle parrocchie, in cambio del ritiro della legge. Tuttavia, il 4 maggio 1855, Vittorio Emanuele II aveva confermato Cavour presidente del Consiglio e, il 29 maggio, 1855 aveva promulgato la legge 3848, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1894, ed. 1999, p. 219. 165 Questi gli articoli 30 e 31 dello Statuto: «Nessun tributo può essere imposto o riscosso se non è stato consentito dalle Camere e sanzionato dal Re»; «Il debito pubblico è guarentito. Ogni impegno dello Stato verso i suoi creditori è inviolabile». 103 addetta al riordinamento della proprietà ecclesiastica mostra tutta la sua inadeguatezza 166; denunciando limiti che avrebbero vanificato persino l'opera di «un papato benevolo, desideroso sinceramente di collaborare con il governo nella sua opera riformatrice» e che, a maggior ragione, rendono «impossibile qualsiasi azione positiva dello Stato sull'organismo ecclesiastico». 167 Con la conseguenza di vanificare il frazionamento fondiario, che nell'Inghilterra di fine Seicento e nella Francia di fine Settecento, aveva invece facilitato il formarsi della piccola proprietà contadina e delle relative classi medie. I.4.5. La requisizione dei beni ecclesiastici Dopo la liquidazione dell'asse ecclesiastico, le proprietà della Chiesa cattolica romana finiscono così con l'essere acquistate dagli esponenti delle antiche congregazioni, della borghesia finanziaria e della burocrazia di Stato: gli unici soggetti economici in grado di anticipare i capitali necessari.168 La manomorta sciolta per legge, si ricostituisce allora attraver166 Cfr. Villari, “Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra”, 1866, ed. 1979, cit., p. 131: «La burocrazia ha in mano l'opera maggiore del Governo; essa muove la gran macchina dello Stato; lo amministra, ed indirettamente elabora, più spesso che non si crede, anche i disegni di legge. Le assemblee legislative son buone a deliberare, a sindacare, a dare pubblicità agli atti del Governo, a determinarne l'indirizzo; ma incapacissime ad amministrare, riescono spesso impotenti ancora a formolare e discutere le leggi, in quei mille particolari che le rendono efficaci, e che vengono suggeriti solo da quella lunga e minuta esperienza che è la qualità principale d'una buona burocrazia». 167 Vedi Jemolo, La questione della proprietà ecclesiastica nel regno di Sardegna e nel regno d'Italia (1848-1888), 1911, ed. 1974, pp. 88-100 e relative note. 168 Vedi Gaetano Salvemini: «Il governo conosceva questo fatto e lasciava correre. Don Bosco potè liberamente coprire l'Italia con una vasta rete di istituzioni di beneficenza e di scuole per il popolo: chi gli suggerì le forme legali, con cui assicurare la stabilità delle sue istituzioni fu lo stesso ministro Rattazzi, che nel 1855 aveva promossa la legge di soppressione della personalità giuridica agli ordini religioso e di confisca dei loro beni», Stato e 104 so il nuovo, ristretto vertice di aristocratici che ha cooptato le élite delle professioni liberali e fonda il proprio agire politico sulla «vita morale del popolo», senza curarsi della «grande disgregazione sociale», nella quale una moltitudine di donne e di uomini lotta per affermare il proprio diritto alla sopravvivenza. In un'Italia unita che, durante i primi due anni di corso forzoso, finanzia la Terza guerra d'indipendenza, impone la tassa sul macinato, concede il monopolio dei tabacchi e finanzia le infrastrutture necessarie per modernizzare lo Stato, ma rimane fragile e incompiuta. 169 Il «Governo del Re» inizia allora ad andare incontro alle richieste di alleggerimento fiscale avanzate dai proprietari terrieri veneti. In particolare, il Regio commissario Pasolini ottiene dal ministro delle Finanze Scialoja l'interlocutoria assicurazione di uno specifico progetto di legge e di un'unificazione finanziaria delle Province venete, che il Re s'impegna ad attuare dopo aver ottenuto l'assenso delle Camere, come previsto dallo Statuto. Mentre un'apposita commissione studia e cerca di avviare a soluzione i contrasti tra possidenti e «comunisti» sull'uso dei pascoli, che rischiano di turbare l'ordine pubblico. 170 Chiesa nell'Italia liberale, 1930, in Medioevo Risorgimento Fascismo, 1992, pp. 189-190. 169 Cfr. Villari: «Il rimedio è uno solo: modestia, volontà e lavoro. I fatti parleranno poi. [...] ponendoci all'opera possiamo fare miracoli; perché, apparecchiando la nuova generazione, si migliora rapidamente la presente, cui la rivoluzione stessa fu già grande scuola; ed il paese allora si troverà davvero risorto alla civiltà», “Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra”, in La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1866, ed. 1979, p. 139. 170 Sulla trasformazione in demanio, con cui i Veneziani ex sylva, forestam facere, bannire, proscrivere: trasformano la selva in bosco, ossia volgono la proprietà comune in patrimonio dello Stato, ne impediscono la privatizzazione, retribuiscono i lavoratori e aggiornano i patti agrari, vedi Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, p. 222. 105 La questione proprietaria, che trae origine dai precedenti assetti feudali e alimenta i contenziosi fiscali, s'intreccia in questo modo alla trasformazione amministrativa e giudiziaria. Gli apparati esecutivi epurano infatti i magistrati troppo compromessi con il vecchio regime austriaco e li sostituiscono con nuovi elementi di sicuro prestigio, scelti tra gli uomini rimasti al loro posto, anche mentre si avvicinava l'esercito italiano. Il Regio commissario Pasolini garantisce poi alcune innovazioni, sempre senza rompere la continuità con i precedenti assetti di potere, estendendo lo Statuto e i Codici italiani, per affermare la libertà di stampa, prima proibita, e attivando le leggi sulla maggiore età a 21 anni, sui registri di stato civile e sul matrimonio. Nel Veneto, quindi, i sardo-piemontesi seguono una condotta diversa da quella applicata in Lombardia, alla fine della disastrosa Prima guerra d'indipendenza, quando avevano in parte mortificato il fiorente sistema delle autonomie locali, ma avevano poi sciolto la Consulta straordinaria costituita ad hoc. Dopo aver modificato il sistema amministrativo napoleonico, cui gli austriaci, che ne riconoscevano la validità, avevano apportato soltanto piccole modifiche; come documentato da Ludovico Pasini, in L'Autriche dans le royaume Lombardo-Vénitien. Ses finances, son administration, pubblicato a Parigi nel 1859.171 Mentre, alla fine della vittoriosa conclusione della Seconda guerra d'indipendenza, la Commissione per l'ordinamento temporaneo della Lombardia nel 1859, diretta dal nobile 171 Cfr. «La moderna storiografia ha ormai dimostrato che [l'amministrazione periferica asburgica era basata] su criteri di censo e applicava i principi della democrazia solo all'interno di una ristretta cerchia di proprietari fondiari e di soggetti ricchi escludendo i meno abbienti. Tuttavia, in quell'epoca, l'impostazione asburgica appariva effettivamente molto più rispettosa dell'autonomia locale rispetto al modello italiano che si ricollegava direttamente agli schemi napoleonici [...]», Maria Rosa Di Simone, Diritti e istituzioni nel passaggio dall'Impero d'Austria al Regno d'Italia, in Storia di Venezia, L'Ottocento. 17971918, a cura di Stuart Woolf, 2002, pp. 189-191 e relative note. 106 milanese Cesare Giulini della Porta, aveva proposto «che l'unificazione fra vecchie e nuove Province non avvenisse di slancio ma dopo approfonditi studi; che fosse opera del Parlamento; che l'assetto politico-amministrativo dello Stato risultasse dal concorso delle migliori istituzioni del paese e che la Lombardia vi contribuisse soprattutto con le sue istituzioni comunali».172 Ma la «dittatura rattazziana» aveva vanificato queste proposte, imponendo una rigida centralizzazione che si rivela in seguito inadeguata ad amministrare uno Stato come quello italiano assai più ampio di quello sardo piemontese. La legge 5618 abolisce, invece, tutti i vincoli feudali che ancora sussistevano «nelle province di Venezia e di Mantova sopra beni di qualunque natura, compresi i vincoli derivanti da donazioni di principi», soltanto pochi mesi prima della breccia di Porta Pia. Scavalcando in quel modo sia il partito di Corte, sia i radicali. Favorevole, il partito di Corte, a conservare la legge austriaca, migliorandola con alcuni ritocchi, «per evitare di ledere i diritti acquisiti in base ad essa». Propensi, i radicali, ad abolire senza indennizzo i vincoli feudali, per consolidare la centralizzazione della «intera proprietà nelle mani dei soli investiti», ponendo fine alle numerose liti in corso. 173 I.4.6. Le elezioni politiche del 1866 In concreto, nel Veneto, i Regi commissari garantiscono la transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana, con modalità che limitano o garantiscono la 172 Vedi la voce di Nicola Raponi sul conte Cesare Giulini della Porta (1815/1862), il patriota milanese che tiene le fila dei moderati lombardi nel 1848 e che, nel 1859, presiede, su mandato di Cavour, la Commissione per la fusione delle province lombarde con il Regno di Sardegna, Dizionario biografico degli italiani, vol. LVII, 2001, p. 11. Cfr. Atti della Commissione Giulini per l'ordinamento temporaneo della Lombardia nel 1859, a cura di Nicola Raponi, 1962. 173 Sulla legge 5618 del 19 aprile 1870, vedi Di Simone, Diritti e istituzioni nel passaggio dall'Impero d'Austria al Regno d'Italia, 2002, pp. 200-201 e relative note. 107 continuità, a seconda delle città. A Vicenza, per esempio, il Consiglio comunale ratifica l'elezione di Lampertico, annullata in precedenza per ben due volte dal governo austriaco. Questo riconoscimento accresce il prestigio dell'uomo politico cattolico, accreditandolo come una delle figure chiave del regime statutario e rafforzandone il notabilato, già radicato prima che l'elezione alla Camera dei deputati gli permetta di articolarlo con le clientele politiche. Così, il 25 novembre 1866174, Lampertico si presenta quale candidato della Destra alle elezioni per la IX legislatura. Il suo collegio elettorale, di Vicenza città, è formato da sette Comuni: il capoluogo, Altavilla, Arcugnano, Brendola, Creazzo, Montecchio maggiore e Sovizzo. Ed è uno dei sette collegi nei quali la Direzione generale di statistica, costituita nel 1861 presso il Ministero di Agricoltura, industria e commercio, ha accorpato i centoventiquattro comuni della provincia di Vicenza. Insieme a Bassano, Marostica, Thiene, Schio175, dove si candida A. Rossi, Valdagno e Lonigo. Questi collegi uninominali fanno a loro volta parte dei cinquanta collegi elettorali relativi anche alle province di Belluno, 174 C'è da considerare che il 20 giugno 1866, Ricasoli, nominato presidente del Consiglio, in sostituzione di La Marmora, chiamato al fronte da Vittorio Emanuele II, ha assunto anche l'Interno – dove sostituisce il torinese Desiderato Chiaves (1825/1895), poeta, giornalista e musicista, nominato nei due governi La Marmora – e gli Esteri, dove subentra al medesimo La Marmora. Soltanto due, gli altri cambiamenti della compagine governativa: quelli già ricordati di Cordova all'Agricoltura, al posto di Natoli, e del ferrarese Francesco Borgatti (1818/1885), alla Giustizia, al posto di Giovanni De Falco (1818/1886). 175 Vedi Collegio di Schio (Comuni di Schio, Arsiero, Laghi, Forni, Magrè, Sant'Orso, Piovene, Posina, Torre di Belvicino, Sant'Ulderico di Tretto, Valle dei Signori, Velo, Lastebasse, Malo, Monte di Malo, San Vito, Caldogno, Costalbissara, Garbugliano, Isola di Malo). IX legislatura. Data delle elezioni: 25 novembre 1866. Elettori iscritti: 1866. Votanti: 398. Eletto: Rossi, Alessandro, voti: 341. Non eletto: Ducati, Angelo, dottore, voti: 30. Cit. in Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, II, Documenti, 1968, p. 391. 108 Mantova, Padova, Rovigo, Treviso, Udine, Venezia e Verona, dove si presenta Messedaglia176. Approfondire la loro composizione demografica, reddituale e fiscale, significa riflettere sia sulla transizione dalla monarchia asburgica, alla monarchia statutaria italiana, sia sull'evoluzione delle rappresentanze istituzionali e sul trasformismo negli anni della Destra al governo.177 Riflettendo ancora su Vicenza, rilevo che in quel collegio, il candidato garibaldino, dottor Giuseppe Bernardi, è forse penalizzato proprio da quelle che sempre Lampertico ha definito le «eccessive impazienze» e le «idee esagerate» di alcuni dei suoi sostenitori, esponenti delle professioni urbane, legati ai mazziniani di Venezia. 178 I quali avevano costruito le loro fortune politiche sulla contrapposizione tra repubblica e monarchia: un'alternativa che le modalità dell'annessione del Veneto hanno ormai reso anacronistica. 176 Il collegio di Verona I, formato soltanto da alcuni quartieri, ha 1619 elettori, con 758 votanti nella I votazione e 668 nel ballottaggio. In questo collegio, Angelo Messedaglia (1820/1901), che insegna all'Università di Padova, dopo essersi laureato in Giurisprudenza a Pavia, sconfigge al ballottaggio l'avvocato Luigi Arrigossi, con 416 voti, a 85. Questi è comunque eletto al I turno nei collegi di Verona II e di Isola della Scala, due dei sei collegi della provincia di Verona, che comprende anche i collegi di Bardolino, Legnago e Tregnago. Cit. in Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, p. 359; II, Documenti, 1968, pp. 381 e 382. 177 Sin dal 1861, il Ministero dell'Interno aveva strutturato i collegi elettorali avvalendosi della Divisione nazionale di statistica, fondata da Pietro Maestri (1816/1871) e diretta da Luigi Bodio (1840/1920), i quali avevano a loro volta messo a frutto gli insegnamenti dello storicismo tedesco. A partire da quelli di Hermann Conring (1606/1681) che, a differenza di William Petty (1623/1667), intende la statistica quale scienza dello Stato, anziché dell'Economia politica. 178 Sui limiti politici dei garibaldini e dei mazziniani, confronta Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 8, 85 e 139-140, che con la definizione di «Sinistra militare», stigmatizza la scelta di anteporre la via delle armi, all'elaborazione di un programma politico riformatore, che rimane avvolto nelle nebbie di generici proclami. 109 Lampertico, rappresentante liberale degli interessi mercantili, ma al contempo cattolico moderato, legatosi agli ambienti aristocratici e clericali vicini alla famiglia della moglie, Olimpia Colleoni, e sensibile alle ragioni dei contadini, prevale invece forse proprio perché dà voce al «fondo universale» della maggioranza dei Veneti, rivolgendosi a tutti gli elettori del suo collegio, per proporre loro di superare la divisione tra Destra e Sinistra. Nella consapevolezza che l'unità nazionale realizzata dalla monarchia sabauda, ha ormai mutato la dialettica parlamentare, vanificando le residue aspirazioni repubblicane. Perciò, sostiene Lampertico, chi aspira a essere eletto nei banchi della Destra deve criticare le inefficienze dell'amministrazione dello Stato, proprio come chi si richiama alla Sinistra deve rifuggire da ogni politica «militante e d'avventura». Sottraendosi, gli uni e gli altri, a logore etichette, cui corrispondono ormai soltanto incertezze e incoerenze. Che è necessario superare, questa è l'opinione di Lampertico, scomponendo le forze politiche risorgimentali, in nuove aggregazioni territoriali.179 Per porre le premesse di una tattica parlamentare che è poi da confrontare al Connubio tra Cavour e Rattazzi del febbraio 1852. 180 I.4.7. I nuovi deputati «filo ministeriali» Minghetti e gli uomini della Destra veneta a lui più vicini, tendono a superare, con questo «trasformismo istituzionale», la classica distinzione liberale tra Destra e Sinistra, ben prima dei discorsi di Depretis a Stradella e, a maggior ragione, delle degenerazioni affari179 Lampertico, Sui doveri del deputato. Pensieri, 1866-1867, pp. 3 e 18; cfr. Id., Car- teggi e diari 1842-1906, vol. I, 1996, p. 8. 180 Con il Connubio, commenta il Risorgimento, la Camera: «avrà fondato, onorandolo il sistema costituzionale», tanto che nella prossima sessione parlamentare «in mezzo ai due eccessi dell'impreveggenza e della paura starà numeroso e compatto il vero partito costituzionale; cioè il partito di tutti coloro che hanno fede nella libertà congiunta al principato», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 217. 110 stiche dei governi della Sinistra e del loro progressismo, che continuano dopo la morte dello stesso Depretis. Quel che è certo è che a Vicenza il voto del 25 novembre 1866 rende inutile il ballottaggio cui gli Uffici elettorali fanno invece ricorso in altri collegi. Come in quello di Verona I, dove il non expedit della Chiesa cattolica romana limita il numero degli elettori a un terzo degli aventi diritto o impedisce ai candidati di raggiungere la maggioranza assoluta del 50% dei voti più uno. Lampertico è così eletto deputato della IX legislatura al primo turno, ma in modo tutt'altro che plebiscitario, come documentato dai 989 astenuti (il 60% circa degli aventi diritto al voto), che è lecito presumere siano stati condizionati dal non expedit della Chiesa cattolica romana, e come risulta dalla seguente tabella della Camera dei deputati, che riassume i voti del collegio di Vicenza 181: N. Collegio Superficie Popolazione Collegi ordine elettorale in ettari collegio 487 Vicenza 21 724 50 052 Sezioni 7: Vicenza, 4 Bassano, Marostica, Thiene Schio, Valdagno, Lonigo Elettori totale Elettori per censo Elettori Elettori per per titoli commercio, e capacità arti ed industrie 1 671 1 274 193 199 N. Collegio Votanti ordine elettorale primo collegio squittinio Votanti Voti ottenuti Voti ballottaggio dagli eletti ballottaggio primo squittinio Candidati Elezioni Elezioni Per imposta con convali- annullate ricchezza almeno date mobile 10 voti 487 682 Niente 564 2 N. Collegio ordine collegio Elettori Votanti totale Votanti per I 100 elettori squittinio I candidato 487 1 671 682 41 181 Vicenza Vicenza Niente 564 1 Nessuna 5 I Voti squittinio dispersi II e nulli candidato Voti dell’elett o per 100 elettori Voti dell’eletto per 100 votanti 64 41 83 54 Camera dei deputati, Elezioni politiche per la IX e X legislatura del Regno d’Italia, collegio elettorale di Vicenza, Statistica del Regno d’Italia, Elezioni politiche 1865-1866, 1867. Cfr. Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, II, Documenti, 1968, p. 387. 111 Le quattro sezioni del collegio 487 esprimono dunque la volontà politica di 1.671 aventi diritto al voto (il 3,14% della popolazione), 1.274 in base al censo, 193 per titoli e capacità, 199 che lavorano nel commercio, nelle arti e nelle industrie e 5 perché pagano l'imposta sulla ricchezza mobile. Lampertico ottiene 564 voti, a fronte dei 64 di Giuseppe Bernardi, su 682 votanti e 1.671 aventi diritto al voto. 182 Questa rappresentanza dà voce politica a intere aggregazioni familiari, nucleari o patriarcali, incluse le donne e i minori di 25 anni, esclusi dal voto.183 Mentre, i cinquanta collegi uninominali veneti, considerando i due turni del 25 novembre e del 2 dicembre 1866, nel loro insieme, registrano una partecipazione difforme, condizionata dal forte astensionismo. Il numero dei deputati italiani passa così da 443 a 493, modificando gli equilibri politici della IX legislatura nella quale la Camera dei deputati contava su circa 250 deputati della Destra, 120 della Sinistra e 70 di altri gruppi politici, 20 dei quali conservatori. Tuttavia, quasi tutti i neoeletti scelgono una collocazione ministeriale, «sicché la forza dell'opposizione, che nella precedente sessione era riuscita più di una volta a superare nelle 182 Cfr. «Il 25 novembre 1866 Lampertico è eletto deputato nel collegio di Vicenza, otte- nendo una votazione plebiscitaria (82,7%). […] la lettura incrociata delle cronache dei giornali, dei carteggi e dei documenti prefettizi ci fornisce il quadro di una situazione di grande confusione, caratterizzata dalla nascita di circoli e di associazioni politiche – sia in campo moderato che in quello democratico – che si propongono come primitivi strumenti di organizzazione della rappresentanza politica e di coordinamento della competizione elettorale», Camurri, Governare la trasformazione: il moderatismo riformatore di Fedele Lampertico, in Mario Isnenghi, a cura di, Pensare la nazione Silvio Lanaro e l'Italia contemporanea, 2012, p. 82. 183 Cfr. le statistiche riportate in Ballini, Le elezioni nella storia d'Italia dall'unità al fa- scismo, 1988, p. 62 e note 34-3, con le osservazioni sul ruolo dei capi famiglia contenute in Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 89-92. Si noti poi la frammentazione territoriale della rappresentanza politica successiva all'annessione del Veneto, premiando i candidati 'ministeriali' che, con la loro elezione, accelerano la crisi della Destra di Ricasoli. 112 votazioni la maggioranza governativa, ne uscì diminuita, anche se non venne meno in essa la combattività».184 Il «Governo del Re» presieduto da Ricasoli, che ne è stato al momento rafforzato, ha proceduto quindi alla già ricordata nomina dei Regi commissari nelle diverse Province venete; tra questi, Pasolini a Venezia, Pepoli a Padova, Mordini a Vicenza e Sella a Udine.185 I.4.8. La sconfitta di Bettino Ricasoli nelle elezioni politiche del 1867 La collocazione ministeriale dei deputati veneti186 rafforza la Destra, già indebolita dalla crescente ostilità di Pio IX, dal contenzioso finanziario tra lo Stato unitario e la Chiesa cattolica romana e, soprattutto, dalla mancanza di una forte personalità in grado di «coprire il Re», dando autorevolezza politica al ruolo di presidente del Consiglio. 187 D'altra parte, 184 Vedi Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, 1969, p. 133. 185 Vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, I, Inventari, 1968, p. 367. 186 Sulla scelta ministeriale dei deputati veneti eletti nel 1866, vedi: «Ti chiederanno in quale posto io sieda alla Camera. I posti vecchi […] erano già belli e occupati, i nuovi sono disposti a destra o a sinistra, mi manca quindi il posto che meglio conveniva: il centro, cioè un posto in cui attendere […] quando si ricompongano i partiti […] Limitata così la scelta, scema assai anche l'importanza del posto; ad ogni modo io con Alessandro Rossi abbiamo preso questi posti nuovi, che sono gli ultimi della destra accennando così alla sinistra. Se vuoi, ciò significa che non si combatte il ministero a patto che esso inizii le riforme necessarie; sarebbe un centro-destro. Come ti ripeto, del resto, nell'attuale incertezza del modo in cui si ricostruiranno i partiti, il significato del posto è poco», Biblioteca Civica Bertoliana Vicenza (1866), Carte Lampertico, CL 1, Lettera di Fedele Lampertico alla madre, Firenze 14 dicembre; Camurri, Governare la trasformazione: il moderatismo riformatore di Fedele Lampertico, in Mario Isnenghi, a cura di, Pensare la nazione Silvio Lanaro e l'Italia contemporanea, 2012, p. 86, n. 35. 187 Cfr. «Stretta fra il protagonismo della Corona e l'instabile maggioranza parlamentare, per l'assenza di partiti organizzati e per le fratture regionali esistenti all'interno dei gruppi 113 Vittorio Emanuele II continua a enfatizzare la lettera dello Statuto, come aveva cominciato a fare subito dopo la morte di Cavour. Il che, considerata la relativa entità della maggioranza parlamentare, contestuale all'assenza di partiti organizzati e alle fratture regionali, indebolisce Ricasoli, che svolge un ruolo di mediazione, più che di indirizzo. Si giunge così all'11 febbraio 1867, quando la maggioranza dei deputati e tra essi i moderati veneti Lampertico e A. Rossi, sfiducia il II governo Ricasoli, votando l'ordine del giorno presentato dal giureconsulto irpino, autorevole esponente della Sinistra, Pasquale Stanislao Mancini, contro il divieto di tenere i comizi sulle leggi ecclesiastiche, che aveva violato il diritto di libera riunione, pacifica e senz'armi, dei cittadini, garantito dall'art. 32 dello Statuto.188 Vittorio Emanuele II respinge però le dimissioni di Ricasoli, scioglie la Camera e apre una nuova crisi extraparlamentare, la settima dopo la morte di Cavour, rafforzando così il proprio ruolo di dominus del sistema politico italiano.189 dirigenti, la presidenza del Consiglio in Italia si presenta debole (di mediazione più che di guida) e incapace di essere titolare di un chiaro indirizzo politico. La mancanza di una leadership forte al “centro” ha delle conseguenze sulla formazione di una élite amministrativa neutrale capace di incidere nelle scelte del potere politico e di dirigere la macchina statale. Politica e amministrazione, a differenza di altri Paesi europei, sono strettamente legate», Astuto, L’amministrazione italiana, 2009, pp. 79-80, paragrafo 2.6. Lo Stato unitario. La politica si “amministrativizza”. Un centralismo senza centro. 188 Nel gennaio 1867, il progetto di legge “La libertà della Chiesa e l’asse ecclesiastico”, che ha quali primi firmatari il ministro della Giustizia, Borgatti, e il ministro delle Finanze, Scialoja, aveva intanto incontrato difficoltà insormontabili tra i componenti degli uffici della Camera dei deputati, cfr. Rogari, Alle origini del trasformismo, 1998, pp. 8, 21 e relative note. 189 Vedi Candeloro, la costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 315-318; Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 505; Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, 1969, p. 146. 114 Alle successive elezioni della X legislatura, che si svolgono il 10 ed il 17 marzo 1867, partecipano 258.243 votanti, il 52% dei 498.208 iscritti ai comizi elettorali; il governo è sconfitto. Questo risultato, maturato soprattutto nel meridione, accelera il declino di Ricasoli, in particolare a Napoli, dove maggiore è il rimescolamento dei voti tra moderati e democratici. I 258.243 votanti, pari al 52% dei 498.208 elettori, che si recano a votare nei due turni, eleggono infatti 269 deputati governativi, 181 dell’opposizione e 33 non schierati.190 Incassata la sconfitta, il 22 marzo 1867, Ricasoli prova a formare il suo terzo governo191, cercando dapprima di coinvolgere l'impopolare Sella e di ampliare poi la maggioranza a uno dei leader della Sinistra, Depretis, ma è costretto a rinunciare per i veti incrociati della Destra e della Sinistra. 192 Così, mentre Garibaldi si appresta a marciare su Roma, Vittorio Emanuele II nomina per la seconda volta presidente del Consiglio Rattazzi, che questa volta è anche ministro dell'Interno, a differenza del 1862, quando era stato anche ministro dell'Interno e degli Esteri. 193 190 Questo trend elettorale è da valutare considerando che su quattrocentoquarantatré de- putati, la Destra ne aveva eletti trecentocinquanta, nelle elezioni politiche del la VIII legislatura, le prime dell’Italia unita, tenutesi il 27 gennaio e il 10 febbraio 1861, e duecentocinquanta, nelle elezioni politiche della IX legislatura, il 22 ottobre e il 5 novembre 1865, cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, p. 179; Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 125. 191 Sulla sconfitta elettorale di Ricasoli nelle elezioni politiche del 10 e del 17 marzo 1867, vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 315-318; Capone, Destra e Sinistra da Cavour a Crispi, 1981, pp. 220-225 e 230-235. 192 Sul tentativo, durato diciotto giorni, di formare il III governo Ricasoli, vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, pp. 98, 110-111 e 154-156. 193 Nel 1863, Rattazzi aveva sposato Maria Laetitia Bonaparte Wyse (1833/1902), figlia di Letizia Cristina Bonaparte e del deputato irlandese Sir Thomas Wyse, plenipotenziario britannico ad Atene e nipote di Luciano Bonaparte, fratello cadetto di Napoleone. Trasferitosi in America il primo marito, Frédéric de Solms, un ricco gentiluomo di 115 Rattazzi, che a sua volta cerca invano di coinvolgere Crispi, per ampliare la maggioranza a sinistra, si presenta così alle Camere alla guida del primo dei quattro esecutivi della X legislatura, presieduti da un esponente del partito di Corte. Ministro delle Finanze, dopo che Sella si è sottratto all'incarico, è il palermitano Francesco Ferrara: il principe degli economisti italiani dell’Ottocento, che nel 1848 aveva partecipato ai moti della sua città natale ed era stato perciò costretto a riparare esule a Torino. Succeduto a Scialoja nella cattedra di Economia politica, Ferrara era poi stato tra gli interlocutori privilegiati di Cavour e si era imposto quale brillante collaboratore di «l'Economista» e valente curatore della Biblioteca dell'economista. Nominato ministro delle Finanze, il principe degli economisti italiani dell'Ottocento propone di abolire il corso forzoso e di risanare il deficit dello Stato con la vendita dei beni ecclesiastici e con la tassa sul macinato a larga base imponibile, che aveva elaborato nell'aprile 1865, quale collaboratore di Sella, costretto poi, proprio per quello, a dimettersi. Il 4 luglio 1867, però, l'impolitico Ferrara è costretto a dimettersi, per le critiche della stessa maggioranza. Rattazzi, che gli subentra ad interim, tralascia allora la Legge sul macinato, ma nel giro di pochi mesi, dopo la Legge sulla soppressione degli enti ecclesiastici e sulla liquidazione dell'asse ecclesiastico, approvata il 15 agosto 1867, è a sua volta costretto a dimettersi, anche questa volta per «coprire il re». Accusato di avere sostenuto i volontari garibaldini che, dopo aver occupato Monterotondo, costringendo alla resa le truppe pontificie, rimanevano in attesa della sollevazione del popolo romano, che rimaneva invece inerte. I.4.9. La svolta conservatrice dei tre governi Menabrea, Cambray-Digny Dimessosi Rattazzi, il 27 ottobre 1867, Vittorio Emanuele II tentava di fare formare un Strasburgo, morto proprio nel 1863, Maria Laetitia era stata amante di Napoleone III e di Vittorio Emanuele II, cfr. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, pp. 65 e 367. 116 nuovo governo al generale Cialdini, ma questi declinava l’incarico.194 Il re obbligava allora il suo aiutante di campo, generale Menabrea, il cui nome «era stato associato a manovre reazionarie» e che «rappresentava una precisa scelta politica in senso conservatore» 195. Menabrea assumeva così anche gli Esteri, affiancando il ministro dell'Interno Filippo Gualterio, con il ministro delle Finanze Cambray Digny, che copriva anche l'Agricoltura, ad interim. Intanto la crisi romana precipitava: il 3 novembre, a Mentana, i soldati pontifici si scontravano con i volontari garibaldini, dapprima osteggiati, ma poi incoraggiati da Crispi, che sperava in una sollevazione popolare a Roma, per legittimare l'intervento dell'esercito italiano, aggirando le clausole della Convenzione di Settembre. 196 Le sorti della battaglia mutavano invece per l’intervento delle truppe francesi di stanza a Civitavecchia, armate con i nuovi fucili Chassepot, ad ago, come i fucili degli eserciti prussiano e italiano. Sconfitto Garibaldi e scongiurato il rischio di una guerra con la Francia, il I governo Menabrea rimaneva tuttavia in carica soltanto sino al 22 dicembre 1867, quando era bocciato dalla Camera, con duecentouno voti contro, centonovantanove a favore e otto astenuti. Responsabile di avere traccheggiato sul programma di fare di Roma la capitale 194 Cfr. Alberto Aquarone, La crisi dell'ottobre 1867 e il fallito tentativo di un ministero Cialdini, in Clio, III (1967), pp. 41-65, ora in Alla ricerca dell'Italia liberale, Napoli, Guida, 1972, pp. 247-274. 195 Vedi Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firen- ze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, p. 136. 196 Secondo alcune ricostruzioni, prima della sconfitta di Mentana, Rattazzi, presidente del Consiglio dal 10 aprile 1867, avrebbe «consegnato due o tre milioni di lire all'agente di Garibaldi, Francesco Crispi, e […] una parte di questo denaro [sarebbe dovuta] servire per finanziare l'insurrezione “spontanea” dei romani e per corrompere gli ufficiali papalini», vedi Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, p. 39. 117 d'Italia, per «coprire» ancora una volta il re. I voti contrari non rappresentavano però una nuova maggioranza e la stessa alleanza tra la Sinistra, la Permanente e il Terzo partito, si dissolveva ben presto, perché priva di un programma comune. 197 Il 5 gennaio 1868, Menabrea, reincaricato da Vittorio Emanuele II, insediava allora il suo II governo, nel quale confermava Cambray Digny alle Finanze, ma nominava ministro dell'Interno Carlo Cadorna, fratello maggiore del generale Raffaele Cadorna, e affidava l'interim dell'Agricoltura, al ministro della Pubblica istruzione, che era il moderato milanese Emilio Broglio. Appena due mesi dopo, la Camera dei deputati approvava l’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, istitutivo della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, presieduta da Cordova. Subito dopo però Menabrea otteneva l'approvazione della legge sul macinato presentata dal ministro delle Finanze, nonostante l'opposizione della Sinistra di Crispi, Giuseppe Ferrari e Depretis e, soprattutto, malgrado le manifestazioni di piazza che, soprattutto in Emilia e Romagna, protestavano contro l'iniquo balzello. Poi, il 25 luglio, Cordova presentava la prima relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, che s'impegnava a concludere i propri lavori entro l'autunno, per permettere agli Uffici della Camera di istruire l'esercizio finanziario del 1869. In particolare, la Commissione proponeva di limitare la circolazione monetaria a 700 milioni di lire, per contrastare la speculazione, e di stampare 6 milioni di banconote da 1 lira, per facilitare il piccolo commercio. Tuttavia il 2 agosto, Cordova usciva di scena, colpito da infarto. Subito dopo, Menabrea concedeva la privativa dei tabacchi a un monopolio di banchieri e di uomini d'affari, italiani e stranieri, che garantivano allo Stato la partecipazione agli utili. Si giungeva così 197 Vedi Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 430, ma considera tutto il capitolo XIII Da Mentana ai moti per il macinato: Sinistra e Terzo Partito. 118 al 28 novembre 1868, quando il nuovo presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, Lampertico, presentava alla Camera la sua Relazione finale, approvata da Rossi, Lualdi e Seismit-Doda, con i voti contrari di Messedaglia e Sella, ai quali aggiungeva in seguito il suo stesso voto, dopo essersi assentato al momento della votazione. Sei mesi dopo, il 7 maggio 1869, cade anche il II governo Menabrea, dopo che i deputati della Permanente, entrati a far parte della maggioranza, hanno chiesto incarichi di governo. Il 13 maggio 1869, Vittorio Emanuele II conferisce allora un terzo incarico a Menabrea, con il mandato di ampliare la maggioranza parlamentare. L'esponente del partito di corte tiene per sé gli Esteri, conferma Cambray Digny alle Finanze, coinvolge il Terzo partito di Mordini, nomina Minghetti, ministro di Agricoltura, Industria e Commercio e Luigi Ferraris, ministro dell'Interno e, nel giro di un mese, favorisce la nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla presunta corruzione legata alla concessione della privativa dei tabacchi a un monopolio di banchieri e di uomini d'affari, italiani e stranieri. Questa Commissione, presieduta da Pisanelli, conclude i suoi lavori l'11 luglio, riprovando la partecipazione di alcuni deputati ad affari dipendenti dal Parlamento, senza tuttavia poter provare alcun illecito penale. 198 Alla ripresa dei lavori parlamentari, però, dopo che Vittorio Emanuele II ha sposato morganaticamente Rosa Vercellana Guerrieri, anche il III governo Menabrea è costretto a dimettersi, il 19 novembre 1869, perché la Camera dei deputati ha eletto alcuni esponenti della Sinistra nei propri organi direttivi. 199 198 Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, cap. IV. Il compimento dell'unità e il superamento della crisi finanziaria, par. 4. I ministeri Menabrea e la politica finanziaria di Cambray-Digny. La tassa sul macinato e la regía cointeressata dei tabacchi, 1968, pp. 334-351. 199 Vedi: «La caduta di Menabrea segnò anche la fine del Terzo Partito, che aveva 119 Il 14 dicembre 1869, una settimana dopo l'inizio del concilio ecumenico Vaticano I, il piemontese Lanza insedia il suo governo, assumendo anche gli Interni. Alle Finanze c'è di nuovo Sella, mentre il ministro di Agricoltura, Industria e Commercio è il genovese Stefano Castagnola, passato dalla Sinistra, nella maggioranza di governo. Si apre così l'intensa fase politica che porta alla presa, militare, più che politica, della Città eterna. L'esercito italiano infatti, dopo aver stroncato i moti insurrezionali repubblicani di Pavia, Piacenza e Catanzaro, ma, soprattutto dopo la definitiva sconfitta di Napoleone III a Sedan, arresta Mazzini a Palermo ed entra a Roma, attraverso la breccia di Porta Pia. Guidato dal generale Raffaele Cadorna, cui Vittorio Emanuele II aveva già conferito i pieni poteri, per reprimere le proteste contro la tassa sul macinato. Il successivo plebiscito di annessione e le nuove elezioni politiche della XI legislatura, segnano il punto più basso della partecipazione politica nel regno d'Italia, con 240.974 votanti, pari al 45,5% degli aventi diritto, conseguenza dell'astensione dei cattolici. Infine, la Camera dei deputati vota per Roma capitale, dal 1° luglio 1871. Una volta approvata in seconda votazione la legge delle guarentigie, già votata dalla Camera con 185 voti a 106, ma poi modificata dal Senato con 105 voti a 20.200 L'equilibrio politico europeo, ormai mutato, in tutti i suoi tratti essenziali, è ora caratterizzato da nuove contraddizioni. L'Italia è infatti unificata, ma con l'opposizione della Chiesa cattolica romana. L'Austria, che pure ha riconosciuto l'autonomia completamente fallito sia il principale obiettivo di ricostituire i partiti su nuove basi, sia quello più limitato di attuare una radicale riforma dell'amministrazione statale», Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, p. 469, ma considera tutto il capitolo XIV L'azione di Mazzini dopo Mentana. La caduta di Menabrea e il ministero Lanza. Porta Pia. 200 Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), vol. 5°, cap. IV. Il compimento dell'unità e il superamento della crisi finanziaria, par. 5. I ministero LanzaSella. La presa di Roma e la legge delle guarentigie, 1968, pp. 351-370. 120 dell'Ungheria, governa con crescenti difficoltà i contrasti tra le diverse nazionalità del suo Impero. La Francia proclama la Terza Repubblica, ma reprime con inaudita violenza la Comune di Parigi ed è costretta a subire la supremazia del Reich tedesco. Mentre il Regno Unito, ridimensionato in America dalla nascita degli Stati Uniti, espande i propri possedimenti coloniali in Asia, grazie alle politiche di libero scambio iniziate con l'abolizione dei dazi sul grano. 201 201 Sulle politiche di libero scambio promosse nel Regno Unito dai governi di William E. Gladstone (1809/1898), durante l'Età vittoriana, vedi Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, pp. 497, 712-714, 804; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 492-495. 121 Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito 122 123 Parte II. Una comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito II.1. L'inchiesta parlamentare sul brigantaggio nelle Province napoletane II.1.1. Il rapporto del prefetto di Napoli, generale Alfonso Ferrero di La Marmora La Camera dei deputati inizia a esercitare le sue facoltà ispettive il 16 dicembre 1862, nel corso della VIII legislatura 202, nominando la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio203. Questa decisione fa seguito alla dinamica repressiva iniziata a Sarnico, un paese di quattromila abitanti in provincia di Bergamo, dove la Prefettura aveva fatto arrestare centoventitré volontari, garibaldini e mazziniani, radunatisi per protestare contro la dominazione austriaca in Veneto e li aveva fatti tradurre in carcere a Brescia. 204 Da qui, i tumulti e l'intervento dell'esercito che, sparando sulla folla, aveva ucciso quattro dimostranti. Da qui, le grandi manifestazioni di popolo che, in molte città italiane, avevano protestato contro il governo Rattazzi. Sino al 26 maggio 1862, quando il Consiglio dei Mini- 202 L'VIII legislatura, la prima dell'Italia unita, che va dal 18 febbraio 1861, al 7 settem - bre 1865, consta di due sessioni: la prima, prorogata per tre volte (il 23 luglio 1861, il 21 agosto 1862 e il 21 dicembre 1862), si chiude il 20 maggio 1863; la seconda, aperta il 25 maggio 1863 e prorogata anch'essa per tre volte (l'11 agosto 1863, il 20 luglio 1864 e il 16 maggio 1865), si chiude il 7 settembre 1865. Nel corso di questa legislatura, il Senato tiene 452 sedute e la Camera dei deputati 669. 203 Cfr. Villari: «Il brigantaggio [...] può dirsi la conseguenza d'una questione agraria e sociale, che travaglia quasi tutte le province meridionali. [...] La scienza economica lo ha quasi matematicamente dimostrato. Il salario del contadino sarà ridotto a ciò che è strettamente necessario, perché egli possa vivere per continuare il lavoro. Se l'industria non apre una valvola di sicurezza, il contadino sarà ben presto condotto allo stato di servo della gleba, o anche peggio», La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1861-1875, ed. 1979, pp. 65 e 68. 204 Sui gravi fatti del 14, 15 maggio 1862, a Sarnico, cfr. le voci di Fiorella Bartoccini su Nino Bixio (1821/1873), di Luciana Duranti su Desiderato Chiaves (1825/1895) e di Paola Casana Testore su Giovanni Durando (1804/1869), nel Dizionario biografico degli italiani. 124 stri, che Vittorio Emanuele II aveva presieduto per l'ottava volta in tredici anni, aveva disposto la liberazione degli arrestati. 205 A questo atto liberale, avevano fatto però seguito lo Stato d'assedio nelle province napoletane, promulgato dal Regio decreto del 20 agosto 1862, e l'intervento del reparto dell'esercito italiano guidato dal colonnello Emilio Pallavicini di Priola, agli ordini del generale Cialdini, che il 29 agosto 1862, sui piani dell'Aspromonte, aveva ferito e fatto prigioniero Garibaldi, imponendogli il rispetto del Regio decreto. Subito dopo il questore di Napoli, il magistrato casertano Nicola Amore 206, aveva denunciato l'intreccio tra brigantaggio e camorra cresciuto nella periferia della città, nella vita pubblica e nelle stesse file della Pubblica Sicurezza.207 Dove Liborio Romano, già prefetto di polizia e ministro liberale di 205 Vedi Francesco Cognasso, Vittorio Emanuele II, 1942, 1986, p. 231; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, p. 362, n. 38. Sul Consiglio dei ministri, evoluzione del Consiglio di Conferenza, «operativo sin dal giorno della promulgazione dello Statuto» del Regno di Sardegna, che pure non prevede alcun organo collegiale di governo, e sul Consiglio della Corona, vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem. 206 Nicola Amore (1828/1894), nato a Roccamonfina di Caserta, stenografo del Parla- mento napoletano nel 1848, laureato in chimica e in giurisprudenza all'università di Napoli e consigliere della Corte d'Appello di Trani, aveva assunto la carica di questore nel 1860. Beneficiando della tendenza, allora prevalente a Napoli, di riservare la tutela dell'ordine pubblico a storici, giuristi e alti magistrati, secondo la traccia della Costituzione napoletana del 1799, che riconosceva a ogni cittadino il «diritto di essere garantito dalla forza pubblica in tutti i suoi diritti naturali e civili». 207 Vedi De Caro, Amore, Nicola, Dizionario biografico degli italiani, 1961. Negli anni successivi, Amore scrive le direttive di Polizia note come istruzioni Ricasoli, è promosso direttore superiore della Pubblica Sicurezza, deputato della Destra e sindaco, alla testa di una coalizione tra clericali e moderati. Senatore dal 1884, dopo la grave epidemia di colera che colpisce la capitale del meridione, Amore ottiene dal Parlamento l'approvazione della Legge speciale sul risanamento edilizio, la costruzione dell'acquedotto del Serino, lo sventramento dei 'bassi' e la modernizzazione della città. Infine, sconfitto nelle elezioni ammi- 125 Francesco II, rimasto al suo posto anche dopo lo scioglimento della polizia borbonica, nel governo provvisorio insediato da Garibaldi, aveva favorito l'assunzione di camorristi, avventurieri e guappi. Aggravando l'instabilità politica legata alle agitazioni di estremisti repubblicani e agli intrighi di clericali e borbonici. L'iniziativa del questore Amore, era stata a sua volta seguita dal rapporto del prefetto La Marmora, che Vittorio Emanuele II aveva nominato generale sul campo nelle province napoletane. La Marmora aveva infatti aggiornato il presidente del Consiglio Rattazzi, sulle criminali gesta della banda di Carmine Donatelli Crocco, nelle campagne e nei boschi lucani.208 Dove i briganti innalzavano le bianche bandiere borboniche, eludendo la polizia, impreparata a fronteggiarli, i carabinieri, sparuti e spiati, e le milizie, estranee ai luoghi e ai dialetti e perciò costrette a fidarsi di manutengoli che le raggiravano a loro piacimento, tra reazioni a volte inconsulte e gravi ritorsioni. Informato a sua volta da Rattazzi, il 27 agosto 1862, il presidente della Camera, Tecchio, aveva allora comunicato ai colleghi deputati che: nistrative del 1889, da Celestino Summonte, che guida una coalizione collusa con la camorra, Amore si ritira a vita privata. 208 Carmine Donatelli Crocco (1830/1905) si arruola nel I Reggimento artiglieria dell'esercito di Ferdinando II (1810/1859, re delle Due Sicilie dal 1830), ma, uccise due persone e formata una prima banda di briganti, è arrestato. Evaso dal carcere, Crocco aderisce alla campagna militare di Garibaldi, sperando nella grazia che Vittorio Emanuele II aveva promesso ai disertori dell'esercito borbonico, ma è di nuovo arrestato, questa volta dall'esercito italiano, riesce di nuovo a fuggire e accetta la successiva «proposta degli emissari di Francesco II di Borbone e della Chiesa, di organizzare la resistenza ai nuovi padroni sabaudi, nel tentativo di ripristinare il vecchio Regno delle Due Sicilie». Vedi Carmine D. Crocco, Come divenni brigante. Autobiografia, a cura di Mario Proto, 1903, ed. 1994. 126 intendeva di depositare quella relazione sul banco della Presidenza ed a disposizione della Camera; che anzi faceva istanza perché la Camera volesse nominare una Commissione che esaminasse quella relazione, e quindi si facesse luogo ad apposita discussione in Comitato segreto.209 Siamo nella II proroga della I sessione della VIII legislatura: un istituto previsto dall'articolo 9 dello Statuto, con cui Carlo Alberto aveva recepito alcune istanze liberali, riconducendole alle Carte costituzionali francesi del 1814 e del 1830, ma le aveva svuotate della loro carica innovativa, per tutelare sé stesso.210 La proroga della Sessione permette infatti al Re di prendere tempo, rafforzando sia il presidente del Senato, che è di nomina regia e garantisce perciò la continuità istituzionale dello Stato monarchico liberale, sia il presidente della Camera dei deputati, che è elettivo. Come il presidente della Chambre des députés, che è tuttavia eletto «all'apertura di ogni sessione», secondo l'art. 37 della Charte del 1830, e a differenza dunque di quello «nominato dal Re, su una lista di cinque membri presentati dalla Camera», secondo l'art. 43 della Charte del 1814. Con la proroga della Sessione, il presidente della Camera dei deputati può allora rimanere al suo posto. È questa la prassi parlamentare, già utilizzata da Vittorio Emanuele II durante i governi Cavour, che il 209 Se il rapporto La Marmora è andato perduto, rimangono invece molte delle denunce che lo hanno preceduto e motivato, presentate dai municipi e dalle prefetture a Rattazzi, che è presidente del Consiglio e ministro degli Interni, e ai generali Teobaldo Franzini e La Marmora. Queste denunce si concludono spesso con la richiesta di nuovi distaccamenti della Guardia nazionale, per meglio organizzare la repressione nelle province napoletane. Vedi Camera dei deputati, Archivio storico, Inventario b. 2, fasc. 8 e b. 3, fasc. 42. 210 Questo l'articolo 9 dello Statuto del Regno di Sardegna: «Il Re convoca in ogni anno le due Camere; può prorogarne le Sessioni, e disciogliere quella dei Deputati; ma in quest'ultimo caso ne convoca un'altra nel termine di quattro mesi». Sulla sua applicazione, vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, ad indicem. 127 27 agosto 1862, porta Tecchio a proporre una prima Commissione parlamentare d'inchiesta, per approfondire il rapporto La Marmora sul brigantaggio, assumendo quale modello i Comitati parlamentari d'inchiesta della House of Commons. II.1.2. Il presidente della Camera Sebastiano Tecchio Laureatosi in legge a Padova e cominciata la professione forense nel Veneto asburgico, il vicentino Sebastiano Tecchio, conte di Pontevedre, aveva combattuto per la libertà della sua città natale, partecipando al governo provvisorio della Repubblica di Venezia e portando al re Carlo Alberto, l'atto di unione al Piemonte. La catastrofica sconfitta di Novara e il ritorno degli austriaci, lo avevano poi costretto a stabilirsi a Torino, dove era stato eletto deputato del collegio di Venasco, nelle file del Centro sinistro di Rattazzi. In questa veste, il patriota italiano aveva chiesto l'autorizzazione a procedere 211 per sottoporre a un Consiglio d'inchiesta212 militare, il deputato Pietro Rossi, estromesso da capitano dei volontari lombardi, durante la prima guerra di Lombardia. Ministro del Re ai Lavori pubblici, con 211 L'autorizzazione a procedere per tutelare l'onore del deputato Pietro Rossi, richiesta da Sebastiano Tecchio (1807/1886), deputato di Venasco, in provincia di Cuneo, era stata accolta dalla Camera del Parlamento subalpino il 12 novembre 1849, nel corso della III legislatura del Regno di Sardegna. Vedi Carlo Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Vittorio Malvagna e Carla Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. XIII-XIV. 212 A dimostrazione dell'incertezza che contraddistingue la stessa «nozione di inchiesta», agli albori del diritto parlamentare, il Consiglio d'inchiesta militare richiesto da Tecchio è giudicato una «flagrante invasione delle attribuzioni del potere esecutivo», da Mario Mancini e Ugo Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano. Trattato pratico di diritto e procedura parlamentare, 1887, p. 395. Ai giorni nostri, invece, la richiesta di Tecchio è considerata simile a quella di «una semplice autorizzazione a procedere», vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XV. 128 Gioberti, Tecchio aveva poi «coperto» più volte a sinistra la Corona, opponendosi alla guerra di Crimea, rivestendo il ruolo di Commissario straordinario a Novara, durante la Seconda guerra d'indipendenza, animando il Comitato veneto di emigrazione e pronunciandosi contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia. Sino al 22 marzo 1862, quando i deputati lo avevano eletto presidente della Camera. 213 Alla luce di queste scarne notizie biografiche, valuto la prima proposta di Tecchio volta a nominare una Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, come un tentativo di puntellare il I governo Rattazzi214, indebolito dai fatti di Aspromonte215, malgrado (o forse proprio perché) lo stesso presidente del Consiglio ricoprisse anche gli incarichi di ministro degli Interni e degli Esteri. Al contempo, rimarco il fatto che questo cumulo di incari213 In seguito, dopo che il 21 maggio 1863, la Camera nomina presidente un altro uomo di Rattazzi, l’avvocato biellese Giovanni Battista Cassinis (1806/1866), Tecchio si pronuncia contro la Convenzione di Settembre, è presidente del tribunale di appello di Venezia e, dal 10 aprile 1867, è ministro di Grazia e Giustizia, nel II governo Rattazzi. Infine, dopo la «rivoluzione parlamentare» della Sinistra di Depretis, Vittorio Emanuele II lo nomina sena tore. Cfr. Catalano, Tecchio, Sebastiano, Grande dizionario enciclopedico, vol. XVIII, 1972, p. 215. 214 Il I governo Rattazzi è composto anche dal generale torinese Agostino Petitti di Ro - reto alla Guerra, dall'ammiraglio vercellese Persano alla Marina; dal pavese Depretis, della Sinistra, ai Lavori pubblici; dal nisseno Cordova, della Destra, alla Giustizia; dal bolognese Gioacchino Napoleone Pepoli, della Sinistra, all'Agricoltura; dall'irpino Mancini, della Sinistra, all'Istruzione; e dal fiorentino Enrico Poggi, della Sinistra, ministro senza portafoglio. Cfr. Monsagrati, Alfonso Ferrero della Marmora, Bettino Ricasoli, Urbano Rattazzi, 1991. 215 Sui fatti del 29 agosto 1862, ad Aspromonte, cfr. Scirocco, Giuseppe Garibaldi: bat- taglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, p. 286. Garibaldi e i suoi volontari tornano in libertà il 27 settembre 1862, grazie all'amnistia concessa da Vittorio Emanuele II, per festeggiare il matrimonio della figlia Maria Pia di Savoia, con Luigi I di Portogallo, rappresentato per procura a Torino, dal principe di Carignano. 129 chi esecutivi, anch'esso estraneo, come le proroghe delle sessioni, alla prassi parlamentare francese216, è una delle forme con cui già Cavour aveva esercitato il suo centralismo tempe rato. Rimanendo tuttavia nell'ambito dello Statuto del Regno di Sardegna che, come le Chartes del 1814 e del 1830, attribuisce al presidente del Consiglio e ai Ministri il compito di «coprire» il Re, in quanto suoi collaboratori personali. Tuttavia, il giorno dopo la proposta Tecchio, in un vivacissimo dibattito parlamentare, Destra e Sinistra o, se si preferisce, moderati e democratici, con opposte argomentazioni, avevano imputato proprio al presidente del Consiglio, la responsabilità politica dei fatti di Aspromonte. Il 29 novembre 1862, Rattazzi era stato allora costretto a dimettersi. Così, dieci giorni dopo, Vittorio Emanuele II aveva nominato quale nuovo presidente del Consiglio, il ravennate Luigi C. Farini217 che, a differenza di Rattazzi, interno al partito di Corte, garantiva i legami tra la Corona e la Consorteria. Scelta sin dall'inizio azzardata, perché la forte tempra nervosa dell'uomo politico romagnolo, indebolita dalla disastrosa esperienza di luogotenente generale delle province napoletane, prima di La Marmora, aveva già mostrato i segni di un preoccupante logorio. Nei giorni successivi, durante la seduta segreta della Camera, il deputato della Destra, Antonio Mosca, eletto nel III collegio di Milano, aveva poi esposto la sua relazione sul brigantaggio, approfondendo il rapporto La Marmora e accusando i latifondisti meridionali di 216 In Gran Bretagna, invece, i ministri formano un collegio autonomo o Gabinetto, vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 42. 217 La nuova compagine governativa, varata da Farini l'8 dicembre 1862, è formata sol- tanto da esponenti della Destra: l'altro ravennate Pasolini agli Esteri, il fiorentino Peruzzi agli Interni, il bolognese Minghetti alle Finanze, il salentino Pisanelli alla Giustizia, il piemontese Alessandro Della Rovere alla Guerra, il ligure Giovanni Ricci alla Marina, il savo iardo Menabrea ai Lavori pubblici, il palermitano Michele Amari all'Istruzione e il napoletano Giovanni Manna all'Agricoltura. 130 avere ridotto in miseria le campagne, con il loro assenteismo proprietario, e di avere spinto molti contadini a diventare briganti, con le relative famiglie. Le critiche della stessa Destra, che aveva giudicato la relazione Mosca superficiale, ma soprattutto priva delle indicazioni operative necessarie a debellare il brigantaggio, avevano tuttavia motivano Tecchio a disporre l'archiviazione della medesima relazione e a riproporre la nomina di una Commissione parlamentare d'inchiesta. 218 II.1.3. La nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio Nella seconda e terza tornata della II proroga della I sessione della VIII legislatura, che si tengono il 15 dicembre 1862, al mattino e al pomeriggio, la proposta Tecchio è sostenuta dalle dichiarazioni favorevoli del ministro degli Interni Peruzzi, già gonfaloniere della Firenze granducale e ministro dei Lavori pubblici di Cavour e di Ricasoli. Seguono alcune osservazioni sull'ordine della discussione. Il giorno dopo la Camera delibera, sempre a porte chiuse e anche se alla presenza di appena ottanta deputati, la nomina dei nove componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio: sei della Sinistra e tre della Destra.219 218 Sulla relazione Mosca, andata perduta, come il rapporto La Marmora, vedi Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, 1983, p. 111; Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XXVII. 219 Questi i componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio: il presidente Giuseppe Sirtori (1813/1874), di Casatenovo, in provincia di Como, nominato generale sul campo durante l'impresa dei Mille, deputato di Milano, della Sinistra; Achille Argentino (1821/1903), di Sant'Angelo dei Lombardi, deputato di Melfi, indipendente di Sinistra; Nino Bixio (1821/1873) di Genova, eletto nel II collegio di Genova, di Estrema sinistra, ma che con il suo discorso alla Camera del 18 aprile 1861 ha contribuito a riconciliare Garibaldi con Cavour; Stefano Castagnola (1825/1891), nato ed eletto a 131 La Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio nomina poi presidente il comasco Giuseppe Sirtori, della Sinistra. Questi, dopo i giovanili studi in teologia, era stato ordinato sacerdote, ma nel 1848 aveva lasciato l'abito talare, era corso a Parigi, quando era scoppiata la rivoluzione, si era arruolato nei volontari a Milano e aveva partecipato alla difesa di Venezia. Costretto a scegliere la via dell'esilio, Sirtori era andato a Londra, dove aveva conosciuto Mazzini, ma, dopo il fallito tentativo insurrezionale di Milano, nel 1853, si era avvicinato alla monarchia. Capo di stato maggiore durante l'impresa dei Mille e comandante di Palermo, Sirtori aveva cercato di comporre le divergenze tra il Nizzardo e Cavour e aveva poi contribuito a sciogliere il corpo dei volontari garibaldini. Passando nelle file dell'esercito regolare, dapprima con il grado di tenente generale e poi quale comandante della divisione militare di Catanzaro, dove aveva pacificato un territorio nel quale il brigantaggio era considerato «ormai un male endemico …, quasi un naturale prodotto della regione».220 Con la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, la Sinistra corona una battaglia iniziata due anni prima, contro il governo Cavour, criticato per le gravi ingiustizie, economiche, sociali e politiche che, dopo l'unità nazionale, avevano continuato a penalizzare le province napoletane, a cospetto delle province centrosettentrionali, favorendo la diffusione del brigantaggio. Quelle ingiustizie, infatti, avevano accre- Chiavari, della Sinistra; Antonio Ciccone (1808/1893), nato a Saviano ed eletto a Nola, della Destra; Giuseppe Massari (1821/1884), di Taranto, della Destra; Donato Morelli (1824/1902), di Rogliano, della Destra; Stefano Romeo (1819/1869), di Santo Stefano in Aspromonte, di Sinistra democratica; Aurelio Saffi (1819/1890), di Forlì, triunviro della Repubblica romana, deputato di Acerenza, della Sinistra. 220 Vedi Carlo Agrati e Adolfo Omodeo, a cura di, Giuseppe Sirtori. Il primo dei Mille, 1940, pp. 224-235; Corradi, Sirtori, Giuseppe, Grande dizionario enciclopedico, vol. XVII, p. 356. 132 sciuto i gruppi di briganti armati, formati dalle loro famiglie e dalle loro parentele allarga te, che nelle campagne delle province napoletane, terrorizzavano e sfruttavano la popolazione. Guidati negli attentati contro la proprietà privata da feroci capi, rimasti ex lege anche per lunghi periodi di tempo, ma capaci di conquistare la simpatia dei contadini più svantaggiati e marginali. 221 D'altra parte, nel contempo, la Giunta parlamentare d'inchiesta sull'istruzione pubblica222, nominata prima dell'inizio dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, è costretta a sciogliersi a causa dei laceranti contrasti interni, senza concludere i propri lavori. Poi, il 22 marzo 1863, il presidente del Consiglio Farini si dimette, dichiarando di voler partire volontario per la Polonia, dopo aver minacciato il re con un pu gnale, ingiungendogli di dichiarare guerra alla Russia e di inviare un esercito in aiuto dei patrioti polacchi insorti contro l'Impero russo. Gli subentra il bolognese Minghetti, che tiene per sé le Finanze, ma lascia inalterata la composizione del precedente governo; con l'eccezione di Visconti Venosta, nominato ministro degli Esteri, al posto di Pasolini. 221 Sul brigantaggio che affligge economie squassate dalla crisi, o, all'opposto, da uno sviluppo troppo improvviso e rapido, e società stravolte da guerre di conquista, o dalla brusca transizione tra vecchio e nuovo regime, o ancora dalla dissoluzione di intere classi, cfr. Eric J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell'età moderna, 1969, ed. 1999; Georges Lefebvre, La grande paura del 1789, 1932, ed. 1953. 222 Le Giunte parlamentari d'inchiesta hanno soltanto funzioni di studio, a differenza del- le Commissioni parlamentari d'inchiesta, che hanno compiti legislativi. In questo caso, poi, la Giunta parlamentare d'inchiesta sull'istruzione pubblica, nominata nel marzo 1863 su proposta di Bonghi, si scioglie nel 1864, senza aver concluso i propri lavori. La critica di questa Giunta si appunta comunque sui regolamenti integrativi del ministro Carlo Matteucci (1811/1868) che avevano limitato la libertà di insegnamento nelle università, integrando la legge del 1859 sui quattro anni degli studi elementari, distinguendoli dagli studi medi, secondari e superiori e scaricandone il peso finanziario sui Comuni, cfr. Talamo, La Scuola dalla legge Casati alla inchiesta del 1864, 1960. 133 Rimanendo alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, nominato presidente Sirtori, essa si divide in due sotto commissioni, che visitano una la Capitanata, il Beneventano, il Molise e la provincia di Potenza, e l'altra la Terra di Bari, la Terra d'Otran to e la provincia di Matera. Riunificandosi a Potenza, fermandosi poi a Salerno, Napoli e Sora, alla frontiera con lo Stato pontificio, e completando i propri lavori segreti, il 3 e 4 maggio 1863. Due mesi dopo che il presidente della Camera, Tecchio, ha ottenuto dalla Camera l'approvazione del nuovo Regolamento provvisorio, in sostituzione di quello predisposto dal governo Balbo, prima della concessione dello Statuto, sul modello del Regolamento francese del 1839 e, in parte, di quello belga del 1831. Questo nuovo Regolamento provvisorio, che Tecchio ha fatto redigere dal torinese Carlo Bon Compagni di Mombello, rafforza proprio il ruolo del Presidente della Camera. 223 Due le relazioni conclusive dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio. La prima del tarantino Giuseppe Massari, della Destra, esule napoletano a Parigi, allievo di Pellegrino Rossi, fedelissimo di casa Savoia, da Carlo Alberto, al governo Gioberti e da Vittorio Emanuele II, ai governi Cavour, collaboratore del Saggiatore e direttore della Gazzetta ufficiale, confidente e biografo del re. La seconda del genovese Stefano Castagnola, della Sinistra, già primo firmatario del progetto di legge per la concessione della cittadinanza italiana ai residenti nelle province annesse al regno di Sardegna nel maggio 1848, ma poi di nuovo assoggettate al giogo austriaco. II.1.4. La relazione di Giuseppe Massari Su Massari e Castagnola e sulle loro relazioni, già molto è stato scritto, anche dopo il bel libro di Franco Molfese sul brigantaggio. Tralascio perciò i pur significativi profili biografici di questi due patrioti italiani e richiamo soltanto alcuni punti delle loro relazioni, 223 Vedi http://storia.camera.it/regolamenti/il-regolamento-del-2-marzo-1863. 134 funzionali a illustrare i nessi tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio e la successiva «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette»; a cominciare dalla relazione di Massari che, rivolgendosi al Parlamento e all'intera opinione pubblica nazionale, si chiede in particolare: il brigantaggio che da tre anni contrista le province continentali del mezzodì dell’Italia è conseguenza esclusiva del cangiamento politico avvenuto nel 1860, oppure questo cangiamento è stato soltanto un’occasione dalla quale lo sviluppamento del brigantaggio è stato determinato? Negli ordini politici e sociali, come nel fisico, non basta riconoscere le cause prossime ed immediate dei fenomeni, ma è d'uopo d'accennare se a queste cause si collegano altre, senza le quali l'azione delle cause prossime ed immediate, o non potrebbe svolgersi affatto, oppure raggiungerebbe proporzioni minime e di poca entità. 224 Massari rivendica dunque, con la retorica positivistica propria della cultura italiana della seconda metà dell'Ottocento, il cambiamento politico che l'impresa dei Mille ha imposto in tutto il meridione. Seguono le critiche del potere giudiziario, sul quale, nel suo viaggio sino alle frontiere dello Stato pontificio, la Commissione ha «udito dovunque gravi doglianze», e del potere esecutivo che, sia pure attraverso il presidente del Consiglio, è comunque una prerogativa regia. Con questa critica, lo stesso relatore indica, in termini generici e tutto sommato elusivi, in Roma, capitale dello Stato pontificio, la 224 Giuseppe Massari, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, pp. 16-17. Per un approfondimento, da punti di vista tra loro antitetici, v. Alessandro Bianco di SaintJorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, 1864, ed. 1974; Giuseppe Bourelly, Il brigantaggio dal 1860 al 1865 nelle zone militari di Melfi e Lacedonia, 1865, ed. 1987; Crocco, Come divenni brigante. Autobiografia, 1903, 1994. 135 officina massima del brigantaggio in tutti i sensi e in tutti i modi, moralmente e materialmente: moralmente perché il brigantaggio indigeno alle province meridionali ne trae incoraggiamenti continui ed efficaci; materialmente perché ivi è il deposito, il quartier generale del brigantaggio d’importazione. 225 Alle successive proposte di rimuovere le cause strutturali del brigantaggio, riformando l'istruzione pubblica, i terreni demaniali, i lavori pubblici e l'amministrazione dello Stato, Massari fa poi seguire la giustificazione della pena di morte: «dolorosa necessità» che è necessario conservare, considerando «l'enormezza di delitto che si raduna nel brigantaggio» e rifuggendo da qualsiasi «improvvida pietà». Così i Tribunali militari trovano una loro ragione civile nella necessità di giudicare i briganti, ovviando all'ingiusta conduzione delle cose per cui «i briganti colti colle armi alla mano sono fucilati e i briganti arrestati inermi sono dati in balia della potestà giudiziaria». Questa giustificazione forza tuttavia, senza violarla, la legalità monarchica, perché aggira l'art. 71 dello Statuto del Regno di Sardegna che, nell'ambito delle norme dedicate all'Ordine Giudiziario, afferma la supremazia dei Giudici naturali e proibisce l'istituzione di Tribunali o Commissioni straordinarie. II.1.5. La relazione di Stefano Castagnola Di differente tenore, la più breve relazione Castagnola, che oggi definiremmo di stampo garantista, letta nella tornata del 4 maggio 1863. Essa ricostruisce le cause politiche del bri gantaggio, risalendo dalle istituzioni, alla società, per chiedere al ministro della Giustizia Pisanelli di approfondire gli aspetti giudiziari dell'inchiesta, in nome di una sensibilità sociale che accomuna le varie componenti della Sinistra, da quella ministeriale statutaria, di 225 Massari, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, p. 101. 136 Rattazzi e Depretis, a quella democratico militare, di Garibaldi e Mordini e a quella repubblicano insurrezionale, di Mazzini e Saffi. Sostiene Castagnola: [...] non si può negare che il brigantaggio alimentasi ben anco di altre fonti: lo stato sociale dei campagnuoli, la corruzione seminata dal cessato governo, le storiche tradizioni delle ricompense accordate ai briganti, la profondità della scossa prodotta dalla rivoluzione, le disillusioni, l'agitazione dei partiti. Dessi non l'illuminano che fiocamente, mentre non feci l'analisi che in quei documenti giudiziari dei quali per incidenza si ebbe cognizione negli studi della nostra inchiesta; un più perfetto lavoro potrebbe essere fatto dal ministro guardasigilli. 226 Castagnola segue dunque un'impostazione diversa, ma complementare a quella di Massari, proponendo di intervenire sulle cause politico sociali che hanno determinato il brigantaggio: le condizioni delle campagne, la corruzione borbonica e il sostegno economico accordato ai briganti, lo scoramento che ha fatto seguito al movimento rivoluzionario, l'iniziativa dei partiti. Nel suo insieme, questa relazione esplicita la collaborazione conflittuale tra Destra e Sinistra, che si dispiega in forma compiuta nel 1884, quando il presidente Ste fano Jacini e il vicepresidente Agostino Bertani riassumono i risultati della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'agricoltura, denunciando l’arretratezza produttiva delle campagne, la dominanza delle coltivazioni estensive, l’assenteismo dei proprietari terrieri e la pesantezza dei gravami fiscali, e proponendo opere di bonifica e sistemi colturali intensivi, da realizzare tramite l’istruzione tecnica e l’efficiente gestione dei capitali .227 226 Castagnola, Il brigantaggio nelle provincie napolitane, 1863, p. 211. Il ministro della Giustizia nel I governo Minghetti, è il salentino Pisanelli. 227 I quindici volumi degli Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta 137 Per rimanere alle relazioni conclusive della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, suscita invece forti perplessità il fatto che né Massari, né Castagnola, denunciando gli intrighi con cui gli ambienti vaticani e filo borbonici della Roma di Pio IX alimentano il brigantaggio nelle province napoletane, facciano riferimento alle gravi responsabilità dell’esercito italiano. Trascurando il fatto che la repressione posta in atto dalle truppe agli ordini di La Marmora, dopo il suo rapporto «in proposito su tutto ciò che riguarda il brigantaggio e i mezzi per vincerlo», è stata indiscriminata, perché priva di un'adeguata conoscenza della realtà meridionale, anziché selettiva, l'unica in grado di rompere omertà parentali e politiche, consolidate da più generazioni. Da qui, l'indebolimento del potere esecutivo e l'accresciuta solidarietà di ampi settori della popolazione nei confronti dei briganti più protetti dalla politica e perciò meglio radicati nella società. II.1.6. Le critiche del settimanale politico mazziniano «Il Dovere» Le riforme proposte da Massari e Castagnola nelle relazioni conclusive della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio finiscono con l'essere vanificate, prima ancora di essere discusse in Parlamento, dalla gestione dell'ordine pubblico, sempre più autosull’agricoltura italiana, presentati alla Camera dei deputati il 29 aprile 1885, coniugano la prevalente impostazione tecnico scientifica del cattolico conservatore Stefano Jacini (1826/1891), che la presiede dal 1877, e gli intenti sociali del vicepresidente, il democratico radicale Agostino Bertani (1812/1886), vedi Bruno Caizzi, Jacini, Stefano, Grande dizionario enciclopedico, vol. X, 1969, p. 4; Elvira Cantarella, Bertani, Agostino, Il movimento operaio italiano, dizionario biografico 1853-1943, vol. I, 1975, pp. 259-263. Per una diversa interpretazione, che enfatizza le divergenze tra Jacini, favorevole allo studio dell'agricoltura italiana divisa in dodici zone e Bertani, propenso ad approfondire le condizioni di tutti i lavoratori, invece di quelle della sola agricoltura, cfr. Bruno Di Porto, Bertani, Agostino, di Dizionario Biografico degli Italiani, vol. IX, 1967, pp. 453-458; Nicola Raponi, Jacini, Stefano, Dizionario biografico degli italiani, vol. LXI, 2004. 138 ritaria e repressiva. Basti pensare al pesante intervento della forza pubblica che il 29 maggio 1863, a Torino, eseguendo le direttive del ministro dell'Interno Peruzzi e del segretario generale del Ministero, Silvio Spaventa, scioglie la manifestazione di muratori e falegnami, scesi in piazza per chiedere aumenti salariali; le forze dell'ordine compiono così numerosi arresti, preannunciando, con un'efficacia maggiore di qualsiasi proclama, il progetto di legge del 1° giugno 1863 sul brigantaggio, distinto in due titoli, sulla prevenzione e sulla repressione. Né l'opposizione di alcuni organi di stampa riesce a mutare questi orientamenti repressivi. Benché il settimanale politico Il Dovere, fondato da Mazzini a Genova e diretto da Federico Campanella, inizi a pubblicare il 18 luglio 1863 cinque lunghi articoli di Aurelio Saffi sulle condizioni sociali delle province napoletane, tratti «in parte da una memoria … ad amici inglesi sulle cose dell’Italia meridionale, pubblicata nel Macmillan Magazine del 1° luglio», intitolati Cenni sulle province meridionali della penisola.228 La gestione dell'ordine pubblico si inasprisce anzi il 6 agosto, dopo che la direzione del Real Opificio Borbonico di Pietrarsa, a Portici, specializzato nella produzione di locomotive, sollecita l'intervento della Guardia Nazionale, dei Bersaglieri e dei Carabinieri. Le forze dell'ordine sparano allora sugli operai in lotta contro il licenziamento di cinquecento dei mille occupati, facendo due morti, diventati poi purtroppo quattro, e molti feriti. 229 Il giorno 228 Vedi Aurelio Saffi, Cenni sulle province meridionali della penisola: I Disposizioni degli abitanti; condizioni degli operai e dei lavoratori del suolo in alcune province; II La quistione sociale e il brigantaggio; III Repressione del brigantaggio; IV e V Forze riparatrici dell'incivilimento italiano; in «Il Dovere», anno I, nn. 19, 20, 21 e 22. Questo giornale politico settimanale, che recava nella testata la dicitura Unità, libertà, per la democrazia, era stato fondato da Mazzini a Genova il 7 febbraio 1863 ed era diretto da Federico Cam panella (1804/1884). 229 V. Archivio di Stato di Napoli, Fondo Questura, F. 16, inventario 78, 1863. Pochi giorni dopo Luigi Fabbricini e Aniello Marino, muoiono anche due degli altri feriti: Aniello Olivieri e Domenico Del Grosso. 139 dopo, il questore di Napoli, Amore, biasima, nella circostanziata relazione al prefetto La Marmora, le «fatali e irresistibili circostanze» che hanno causato la sanguinosa repressione. C'è d'altra parte da considerare che la premessa dei licenziamenti con cui il Real Opificio Borbonico ha dimezzato le proprie maestranze, da mille a cinquecento operai, è nelle commesse concesse dal governo Cavour alla Società in accomandita semplice, fondata il 17 agosto 1852 a Sampierdarena, dal banchiere Carlo Bombrini 230 e dall'armatore navale Raffaele Rubattino231. Diretta dal giovane docente di calcolo infinitesimale all'università di Ge nova, Giovanni Ansaldo232, questa Società siderurgica, che il governo sardo piemontese aveva finanziato, per limitare le importazioni del ferro e dell'acciaio dal Regno Unito, aveva così potuto incrementare il numero degli operai occupati da quattrocentottanta, a mille. Con una decisione che, dopo l'unificazione nazionale, ferme restando le compatibilità economiche internazionali, penalizza il Real Opificio Borbonico. 230 Su Carlo Bombrini (1804/1882), vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236; la voce di Mirella Calzavarini, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. III, 1961. Nel Grande dizionario enciclopedico, manca la voce Bombrini. 231 Sull'armatore genovese Raffaele Rubattino (1809/1881), vedi: «Appena tornato al go- verno [il 4 novembre 1852], Cavour riprese […] le iniziative già avviate a favore della navigazione ligure, facendo approvare una nuova convenzione con Rubattino per la linea da Cagliari a Tunisi, sovvenzionata dallo Stato, e portando a compimento l'accordo, di assai maggiore respiro, relativo all'esercizio di due linee di navigazione sovvenzionate con le Americhe, del Nord e del Sud, da parte della Compagnia Transatlantica», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 236. 232 Su Giovanni Ansaldo (1815/1859), cfr. Roberto Battaglia, La prima guerra d'Africa, 1958, p. 83; Emanuele Gazzo, I cento anni dell'Ansaldo, 1853-1953, 1953; Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 116; le voci di Francesco Sirugo, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. III, 1961, e di Antonio Fossati, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. I, 1966, p. 772. 140 II.1.7. La repressione del «brigantaggio e dei camorristi nelle province infette» Rimanendo al progetto di legge in due titoli, sulla prevenzione e sulla repressione del brigantaggio, il deputato Giuseppe Pica233 lo trasforma nella Legge concordata con il presidente del Consiglio Minghetti e approvata dalla Camera dei deputati, il 15 agosto 1863, «dopo un simulacro di dibattito». 234 A questa «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», fa seguito, il 20 agosto 1863, il Regio decreto 1409, che proclama lo «stato di brigantaggio», un vero e proprio stato di guerra, in tutte le province napoletane; con l’eccezione delle province di Teramo, Reggio Calabria, Napoli, Bari e Terra d’Otranto, considerate estranee al fenomeno eversivo. 235 Due giorni dopo, «Il Dovere» pubblica un articolo redazionale, intitolato Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, che critica la segretezza dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, a significare una drastica presa di distanza anche da Castagnola che, pur essendo stato nominato quale rappresentante della Sinistra, ha ormai assunto un orientamento filo ministeriale. Questi i termini della denuncia del settimanale mazziniano: 233 Giuseppe Pica (1813/1887), patrizio aquilano laureatosi in Giurisprudenza a Napoli, esercita l'avvocatura nella sua città natale, ma è costretto a trasferirsi a Napoli nel 1845, dopo essere stato tra i protagonisti dei moti liberali di Penne e di L'Aquila. Arrestato con altri patrioti il 15 maggio 1848, per aver presentato una proposta di legge sulla responsabilità dei ministri e dei funzionari nel Regno delle Due Sicilie e condannato alla pena di morte, commutata in 26 anni di galera, Pica è liberato nel 1859 ed è eletto deputato della sua città natale; nel 1873, il re lo nomina senatore. 234 Vedi Camera dei deputati, Atti parlamentari, leg. VIII, sessione II, doc. n. 58; Mar- tucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, capitolo VI. L'eccezione e la regola, § 7. La legge Pica e le sue proroghe, p. 336. 235 Sul Regio decreto 1409, inizialmente limitato al 31 dicembre 1863, v. Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, pp. 34-36; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999; Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'unità, 1983. 141 Delle relazioni fatte in Comitato segreto dal Deputato Massari, e degli atti verbali non abbiamo notizia. Questi ultimi si tennero occulti come i libri Sibillini, e agli stessi Deputati, dopo replicate discussioni, dopo un voto solenne di poterli leggere nella Segreteria della Camera, la Presidenza non ne permetteva la visura che per poche ore del giorno, vietando altresì di prender note a soccorso della memoria; sicché ci volle una mozione grave del Deputato Niccola Fabrizi, per metter fine a queste restrizioni vergognose, stimmatizzate dall'ex ministro Depretis come puerilità. 236 «Il Dovere» informa dunque i suoi lettori che ha potuto pubblicare gli articoli di Saffi, già stampati nel Regno Unito dal Macmillan Magazine, andando oltre la ristretta cerchia degli addetti ai lavori parlamentari, soltanto dopo la mozione parlamentare di Nicola Fabrizi, che ha posto fine al segreto imposto dalla Camera dei deputati. Al contempo, il settimanale mazziniano chiede che la Camera dia pubblicità alle successive Commissioni parlamentari d'inchiesta, per permettere all'opinione pubblica di seguirne i lavori, secondo l'impostazione liberale affermatasi nel Regno Unito. Nello stesso articolo redazionale del 22 luglio 1863, «Il Dovere» usa toni ancora più duri per condannare la procedura con cui il Parlamento ha approvato lo stato di brigantaggio: Diremo altamente questo: combattete il dispotismo colle armi della libertà: opponete ai mali della violenza, la giustizia e la legalità: frenate la sciabola e imponetele obbedienza al potere civile: condannate e punite severamente le instantanee fucilazioni; e provvedete che i giudizi sieno pubblici, pronti, solenni e multiplicati, talché resti garantita l’innocenza spesso calunniata, e la reità dei malfattori si conosca in tutta la sua portata per l'effetto morale della pena. Coi giudizi statari, colle note di so236 Vedi Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, «Il Dovere», I, 23, 22 agosto 1863, p. 187. 142 spetti, colle misure eccezionali si dà colore di martirio ai giustiziali, si rinfocolano le ire, s'estendono le inimicizie, e si dissolvono i vincoli d'affetto e di confidenza fra le persone più care.237 Questo numero del «Dovere» è però sequestrato dalla polizia, che ne impedisce così anche la semplice diffusione. Subito dopo, a Torino, il I governo Minghetti fa sciogliere l'Associazione Emancipatrice italiana238, che aveva proposto tra l'altro il trasferimento della capitale a Roma, «l'uguaglianza dei diritti politici in tutte le classi» e «il concorso di armi cittadine nel promuovere e assicurare l'unità e la libertà della patria». L'uomo politico bolognese limita in questo modo il diritto di associazione, pure previsto dallo Statuto; attuando un progetto di legge già presentato dai moderati e appoggiato da Rattazzi. Lo stesso governo Minghetti dispone poi lo scioglimento delle Associazioni democratiche minori. Mentre La Marmora ordina l'arresto, a Napoli, di Mordini e di altri due deputati, violando di fatto l'immunità parlamentare 239, e fa fucilare, a Fantina di Messina, dopo un giudizio sommario, sei disertori, colpevoli di avere seguito Garibaldi sull'Aspromonte. 240 237 Vedi Le Leggi eccezionali e le Due Sicilie, «Il Dovere», I, 23, 22 agosto 1863, p. 188. 238 L'Associazione emancipatrice italiana era stata fondata dalla seconda assemblea na- zionale dei Comitati di provvedimento per Roma e Venezia. Superati i contrasti con Mazzini, l'assemblea si era riunita a Genova, il 9 e 10 marzo 1862, convincendo Garibaldi a presiederla e nominando un Comitato direttivo composto da Crispi, Saffi, Giovanni Nicotera (1828/1894), Benedetto Cairoli (1823/1889) e Bertani, vedi Scirocco, Giuseppe Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, 2001, ed. 2005, p. 279. 239 Questo l'art. 45 dello Statuto del Regno di Sardegna: «Nessun Deputato può essere arrestato fuori del caso di flagrante delitto nel tempo della sessione, né tradotto in giudizio in materia criminale senza il previo consenso della Camera». 240 Vedi Scirocco, Giuseppe Garibaldi: battaglie, amori, ideali di un cittadino del mon- do, 2001, ed. 2005, p. 288. 143 II.1.8. I Tribunali militari di guerra Le alte gerarchie militari, i prefetti e i questori, che articolano il potere esecutivo a livello periferico, applicano dal canto loro la «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», trasformando i Tribunali militari, in Tribunali militari di guerra.241 La durissima repressione che ne consegue, debella il brigantaggio, integrando i metodi e i sistemi del potere giudiziario, fondato sui Giudici naturali, nominati dal Re, inamovibili dopo tre anni di esercizio, con l'eccezione dei Giudici di mandamento.242 Mentre rimangono da approfondire le sostituzioni e i trasferimenti dei magistrati già legati al regno delle Due Sicilie. Quel che è certo è che la stessa Commissione d’inchiesta della Camera dei deputati sul brigantaggio, che pure era stata proposta dalla Sinistra ed era formata per due terzi da suoi esponenti, finisce con il favorire il «partito di Corte», vero e proprio braccio armato del Re. La legge Pica è infatti prorogata sino al 28 febbraio 1864, quando è comunque sostituita da un'analoga Legge speciale che, proprio attraverso i Tribunali militari di guerra, continua a punire i briganti con la fucilazione, condannando i favoreggiatori, molto spesso i parenti più stretti, ai lavori forzati. 241 Cfr. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell'Italia liberale. Regime eccezionale e leggi per la repressione dei reati di brigantaggio (1861-1865), 1980. 242 Sugli articoli 68-73 dello Statuto del Regno di Sardegna, che regolamentano l'autono- mia dell'Ordine Giudiziario, cfr. «L'ordinamento giudiziario nel suo complesso non garantiva alla magistratura una vera e propria indipendenza dal potere politico, visto che il governo poteva condizionare l'operato dei giudici attraverso il meccanismo delle promozioni e dei trasferimenti. Sia il codice penale sia quello di procedura penale riflettevano la volontà della classe dirigente di difendere innanzitutto quella “centralità proprietaria” la cui funzione “pedagogica” ed “eversiva” andava preservata, persino a scapito dell'habeas corpus individuale [...]», Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 10. 144 La stessa Legge speciale per la repressione del brigantaggio dispone inoltre che chiun que opponga resistenza armata sia passato per le armi, istituisce giunte provinciali che hanno la facoltà di restringere al domicilio coatto vagabondi e camorristi e autorizza la formazione di squadre di volontari armati per combattere i briganti. Al contempo, questa legge speciale garantisce riduzioni di pena a tutti gli accusati che si presentano in tribunale entro un mese, introducendo in tal modo un criterio selettivo che si rivela decisivo per rompere antiche connivenze familiari e nuove protezioni politiche. Mentre la sua estensione alla Sicilia, dove «il flagello del brigantaggio non si è mai sviluppato e nessuna relazione è tra i malfattori dell'isola e i briganti delle province napoletane», scatena le proteste della Sinistra meridionale che la considera una strategia politica ispirata, nelle parole di Crispi, dall'unico intento «di tormentare i patrioti»; il che introduce una drastica cesura sia tra gli insediamenti della mafia e della camorra, sia nella loro repressione. 243 Dunque, con il Regio decreto 1409 che fa seguito all'approvazione della «Procedura per la repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», la Monarchia rappresentativo italiana pone fine alla vera e propria guerra civile divampata nelle province napoletane, dopo l'esaurirsi dell'epopea dei Mille.244 Sancendo la riconquista militare del meridione, che questa volta Vittorio Emanuele II programma senza e contro Garibaldi, prima e dopo i fatti di Aspromonte; in base a una dinamica politico istituzionale che presenta 243 244 Vedi Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 35. La relazione Massari, integrata da fonti militari, documenta che in Basilicata, dal 1861 al 1863, l'esercito italiano fucila 1.038 briganti, ne uccide 2.413 negli scontri a fuoco e ne arresta 2.768. Dopo la Legge speciale contro il brigantaggio, i Tribunali militari di guerra istruiscono 3.600 processi a oltre 10.000 imputati. Nel 1863, i briganti detenuti sono 1.400 a Salerno, 1.100 a Potenza, 700 a Lanciano, 1.013 a Campobasso e 11.635 nel di stretto della Corte d'appello di Napoli. Dal 1861 al 1865, l'esercito italiano, che nel febbraio 1864, giunge a impegnare 116.000 soldati contro 50.000 briganti, ne uccide 5.212, ne arresta circa 5.000 e ne costringe circa 3.600 a costituirsi. 145 alcune inquietanti analogie con la colonizzazione inglese dell'India, o con la sospensione dell'habeas corpus decisa nel 1798 dalla Monarchia liberale inglese, per stroncare la rivolta del Sinn Féin in Irlanda. Tuttavia, neanche questa repressione del grande brigantaggio riesce a debellare forme endemiche di piccolo brigantaggio, che continuano a caratterizzare la società meridionale lungo tutto l'Ottocento e oltre. 245 II.1.9. La fine del «grande brigantaggio» Per concludere, malgrado i suoi sbocchi repressivi siano al limite della legalità e talvolta la violino, restando impuniti, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio sedimenta una forma di «autocoscienza della nazione» che dà all’opposizione e all'opinione pubblica la possibilità di criticare l'esecutivo. Cercando al contempo di migliorare la legalità e l’efficienza di un sistema parlamentare che non è più limitato al piccolo regno di Sardegna, ma è tra i più grandi del Vecchio continente. 246 Tutto ciò mentre il I governo Minghetti, con il liberale Pisanelli247, ministro della Giustizia, e con il neoguelfo Manna248, ministro dell'Agricoltura, cerca di estendere il consenso politico della Monarchia rappresenta245 Sulla repressione del «piccolo brigantaggio» che continua a imperversare nelle province meridionali anche dopo la fine del «grande brigantaggio», vedi l'opuscolo del generale Emilio Pallavicini di Priola (1823/1901), Istruzione teorica ad uso delle truppe per la repressione del brigantaggio nelle province di Terra del Lavoro, Aquila, Molise e Benevento, 1868. 246 Vedi Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, capitolo VII Il governo del re, paragrafo 4 Il re in Consiglio e il premier che non c’è, pp. 385-386. Cfr. Leopoldo Galeotti, La prima legislatura del Regno d’Italia. Studi e ricordi, 1866. 247 Pisanelli, che nel 1848 era stato deputato al Parlamento napoletano, ma era stato condannato a morte in contumacia dalla restaurazione borbonica, coordina nel 1863 la Commissione sul Codice civile, che il Parlamento approva nel 1865, durante il I governo La Marmora, quando il ministro della Giustizia è il napoletano Giuseppe Vacca (1808/1876). 146 tiva, nel meridione. Manna propone tra l'altro di incrementare le capacità di spesa degli apparati pubblici, tramite l'unione di tutti gli istituti di emissione bancaria, in base al modello francese. Secondo una divisione dei compiti tra ministero dell'Agricoltura e ministero delle Finanze, che lo stesso Minghetti definisce considerando la volontà politica di Vittorio Emanuele II, con il quale è entrato in conflitto per la nomina di Visconti Venosta agli Esteri. Da qui, le continue pressioni del re sul governo, che proseguono anche durante la Convenzione di Settembre, a detrimento della stabilità. Sino alla strage di Torino, dopo la quale Minghetti, costretto a dimettersi per coprire il re, è sostituito da La Marmora; mentre Peruzzi cede a sua volta il posto di ministro dell'Interno al piemontese Giovanni Lanza, ma rimane nella Commissioni generale della Camera, per il bilancio. Quale sindaco, un incarico di nomina regia, di Firenze, sua città natale.249 Continua così l'alternanza, tra aristocratici, militari e grand commis, iniziata dopo la morte di Cavour. In questo susseguirsi al governo, i collaboratori del Re, anche quando oltrepassano i limiti del partito di corte, articolano la Destra di Cavour nella Consorteria e nella Permanente e alimentano il Centro Sinistro di Rattazzi. Rimanendo, tuttavia, lontani dal bipartitismo tra Conservatori e Liberali che contraddistingue il Parlamento del Regno 248 Il napoletano Giovanni Manna (1813/1865), esponente di un gruppo di intellettuali neoguelfi, nel 1848 era stato ministro delle finanze nel Regno delle Due Sicilie e, fallito il tentativo di alleanza con il Regno di Sardegna, si era ritirato dalla vita politica, insegnando Diritto amministrativo all'Università di Napoli, fino al 1860. Nominato senatore, Manna torna all'impegno politico soltanto nel I governo Minghetti. Suoi Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicilie, 3 voll., 1847, e Principi di diritto amministrativo, postumo, 2 voll., 1876-1878. 249 Nei primi quattro anni della VIII legislatura, si susseguono cinque governi: Cavour dal 23 marzo 1861, al 12 giugno 1861; Ricasoli, dal 12 giugno 1861, al 3 marzo 1862; Rattazzi, dal 3 marzo 1862, all'8 dicembre 1862; Farini, dall'8 dicembre 1862, al 24 marzo 1863; e Minghetti, dal 24 marzo 1863, al 28 settembre 1864. 147 Unito dopo il 1859, quale evoluzione dell'iniziale distinzione tra Whigs e Tories. La Monarchia rappresentativa italiana asseconda anche attraverso questi governi del Re, l'espansionismo di Napoleone III, trasferisce la capitale a Firenze, persegue l'annessione del Veneto e la liberazione di Roma e cerca di ovviare all'insufficiente capacità della Sinistra di aderire alla lettera dello Statuto. Reprimendo l'opposizione dei democratici, o lasciando che Garibaldi fosse sconfitto dai francesi e stroncando le velleità insurrezionali dei repubblicani di Mazzini. II.2. Le Commissioni parlamentari d'inchiesta nel Regno Unito II.2.1. La Monarchia costituzionale britannica Il Regno Unito incoraggia e sostiene il formarsi dello Stato e della nazione italiani in varie forme, appoggiando, dopo la guerra di Crimea e con la dovuta cautela diplomatica, i disegni di Cavour, dando asilo ai tanti patrioti, specie napoletani, rifugiatisi a Londra per sfuggire alla durissima repressione borbonica dei moti del 1848 ed esercitando un vero e proprio magistero sui temi delle libertà politiche, economiche e sociali; nonostante l'esplicita condanna della Mirari vos di Gregorio XVI. La spinta propulsiva di questo liberalismo, che permea di sé tutta l'Età vittoriana, può forse essere meglio spiegata, richiamando per punti alcuni momenti della storia secolare che la precedono e preparano; a partire dai conflitti con i Danesi e i Vichinghi, attraverso i quali Alfred the Great impone anche in Inghilterra il Cristianesimo quale religione di Stato, legando a sé il clero e l'aristocrazia. Dopo la Magna Charta Libertatum imposta il 12 giugno 1215 dai Baroni inglesi al Re Giovanni Senza Terra, per affermare l'Habeas corpus, il diritto fondamentale di ciascun suddito a «disporre della propria persona», lo Stato e la nazione inglese iniziano infatti a 148 consolidarsi soltanto nel tardo Medio Evo. Con la dissoluzione della servitù della gleba, che lo storico Thomas Babington Macaulay250, in una ricostruzione emblematica degli orientamenti storiografici di metà Ottocento, spiega facendo riferimento alla formazione di una grande maggioranza di piccoli proprietari terrieri. A somiglianza dell'analogo processo che ha caratterizzato l'Italia dei Comuni, dove tuttavia il Papato ha impedito il sorgere di un autonomo Stato nazionale. Alla fine del Trecento e in tutto il Quattrocento inglese, scrive Macaulay, i freeholders formano una parte della nazione molto più importante di ora … Non meno di 160.000 proprietari fondiari, che con le loro famiglie devono aver costituito più di un settimo della popolazione totale, vivevano della coltivazione dei loro piccoli appezzamenti in freehold. L'entrata media di questi piccoli proprietari fondiari liberi da ogni specie di vincolo … è stimata tra le 60 e le 70 sterline. È stato calcolato che il numero di coloro che coltivavano terreno proprio era maggiore di quello dei fittavoli su terreno 250 Thomas Babington Macaulay (1800/1859), figlio di un commerciante benestante, filantropo e antischiavista, si laurea al Trinity College di Cambridge, è eletto deputato Whig nel 1830 e contribuisce al primo Reform Bill e al progetto di abolizione della schiavitù, approvato nel 1833 e applicato dal 1838. Macaulay fa poi fortuna quale componente legale del Supremo Consiglio in India e, tornato in patria, pubblica i Lays of Ancient Rome, seguiti dalla raccolta Critical and Historical Essays. Ancora, nominato Capo della Ragioneria di Stato dal Primo Ministro Lord John Russell (1792/1878), Macaulay ricopre quell'incarico per due anni; sino al 1848, quando pubblica il primo volume della sua storia dell'Inghilterra. Questa sua opera, il cui valore critico è stato ridimensionato dalla storiografia novecentesca, avrebbe dovuto ricostruire la fase che va dalla assunzione al trono di Giacomo II (1633/1701, re dal 1685, al 1688), alla morte di Giorgio III (1738/1820, re dal 1760), ma si ferma alla morte di Guglielmo III (1650/1702, re dal 1689). 149 altrui.251 In tal modo, mettendo a coltura i propri campi con le proprie braccia, i piccoli proprietari di terreni allodiali acquisiscono un modesto benessere e sviluppano l'agricoltura su basi private. Da qui, quella wealth and populousness che, insieme alla fioritura delle città, permette all'Inghilterra di trasformarsi in Paese commerciale e industriale, attraverso la sanguinosa guerra delle Due Rose, il momentaneo prevalere dei Lancaster sugli York e l'ascesa dei Tudor, la cui monarchia depotenzia il ruolo istituzionale 252 della Camera dei Lords e valorizza la Camera dei Comuni, rendendola funzionale ai propri interessi proprietari. Sino alla regina Elisabetta I, «governatrice suprema» della Chiesa anglicana, che, tra 1597 e 1601, aveva tra l'altro introdotto le Leggi per l'assistenza dei poveri, garantendo un sussidio ai nullatenenti e alle famiglie orfane di padre. Alle guerre tra cattolici scozzesi e protestanti inglesi e all'anacronistico assolutismo di Carlo I Stuart, che la Rivoluzione repubblicana di Oliver Cromwell aveva decapitato quale «tiranno, traditore, omicida e nemico della comunità». Da qui, la confisca dei middlemen assenteisti, che Cavour paragona all'espropriazione dei mediatori piemontesi da parte della Corona sabauda, durante le guerre d'indipendenza contro l'Austria. O, al contrario, l'ascesa degli yeomen, proprietari di terre che rendono almeno quaranta scellini l'anno, dopo la Glorious 251 Vedi Macaulay, History of England from the Accession of James the second, 5 voll., 1848-1861, vol. I, 1848, ed. 1854, pp. 333-334. Cfr. Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 60. 252 Sulle istituzioni parlamentari inglesi e, in particolare, sulla Camera dei Comuni, vedi: «Institutions, it is true, do not grow like a tree; they are the work of man's hands, and are not fit subjects of our idolatry», John Russell, Essay on the History of the English Government and Constitution from the Reign of Henry VII to the Present Time, 1865, Concluding Chapter, p. 240 e Chapter XXXI, Constitution of the House of Commons. 150 revolution e il definitivo tramonto dell'assolutismo cattolico, quando acquisiscono il diritto di votare nelle elezioni delle Contee, affiancando i landlords e i relativi regimi affittuari. II.2.2. L'inchiesta parlamentare sul bilancio della Camera dei Comuni Dopo gli Orange, durante il regno della regina Anna, che sale al trono alla morte di Guglielmo III, gli Stuart unificano la Scozia con l'Inghilterra, dando vita al regno di Gran Bretagna, ma rimangono senza eredi. Un anno prima il Parlamento ha d'altra parte approvato l'Atto che proclama i diritti e le libertà dei sudditi e stabilisce le modalità di successione al trono. Questo Bill of rights, che aggiorna il Bill of rights del 13 febbraio 1689253, sui «diritti e le libertà dei sudditi» e sulla «successione della Corona», decreta l'esclusione di tutte le persone che si fossero riconciliate allora, o dovessero in seguito riconciliarsi, o che tenessero comunione con la S. Sede o Chiesa di Roma, o dovessero professare la religione papista, o sposare un papista. 254 Alla morte della regina Anna, per individuare una linea di successione, che è dunque ristretta ai principi di religione protestante, la Corte deve risalire allora sino al primo re Stuart e ridiscendere per due passaggi femminili, attraverso Elisabetta, figlia di Giacomo I e sorella di Carlo I, a sua figlia Sofia, andata in moglie a un principe tedesco: Ernesto 253 Questa Convention Parliament, formata dalla Camera dei Lords e dei Commons, riunitesi il 13 febbraio 1689, reca la data del 1688 perché in quegli anni, il calendario inglese iniziava il 1° marzo. 254 Vedi l'Act of Settlement del 12 giugno 1701, cit. in Giuseppe G. Floridia, Romano Orrù, Lucia G. Sciannella e Anna Ciammariconi, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005, p. 60. 151 Augusto di Hannover. Il loro primogenito, Giorgio I, impone così la sua oligarchia alla Camera dei Comuni, ma continua a privilegiare i propri interessi sul Continente europeo. 255 Facendo ampio uso della corruzione, per sottomettere l'aristocrazia e la borghesia inglesi, dalle quali è non a torto considerato straniero, e nominando un deputato della Camera dei Comuni, capo del suo Gabinetto: il gruppo di consiglieri scelti che, sin da Carlo II Stuart256, coadiuvavano il potere esecutivo. Questo Primo Ministro è il Whig257 Robert Walpole, primo conte di Oxford, che ha iniziato la sua carriera politica nel collegio di Castle Rising, quale rappresentante della gentry. Walpole governa contrastando il contrabbando e avvantaggiando sia gli agrari, con una bassa imposta fondiaria e un aumento del valore dei terreni e del prezzo delle derrate alimentari importate, in particolare il grano, sia i banchieri, attraverso alti tassi d'interesse sui prestiti pubblici. Il suo governo va dal 1721 al 255 Georg Ludwig Hannover (1660/1727), secondo cugino di Maria e Anna Stuart, morte senza eredi, principe del Sacro romano impero, del ramo cadetto Braunschweig-Lüneburg della casata di Braunschweig, sale sul trono di Gran Bretagna e d'Irlanda, con il titolo di Giorgio I, nel 1714, conservando il titolo di duca di Hannover. Soltanto dopo due secoli, Vittoria (1819/1901) è regina del Regno Unito e imperatrice d'India dal 1837, ma, in base alla legge salica, è esclusa dalla successione del ducato di Hannover, trasformato in regno dal congresso di Vienna, che spetta allo zio Ernesto Augusto (1771/1851). 256 Carlo II Stuart (1630/1685, re d'Inghilterra, Scozia e Irlanda de facto dal 1660) era stato tuttavia costretto dal Parlamento a ripristinare l'Habeas corpus sancito dalla Magna Charta, che si era poi affievolito nella pratica delle Corti giudiziarie. 257 Il termine Whig, dallo scozzese whig, nel duplice significato di «predone» e di «latte acido», o dall'inglese thouhig, «carrettiere», designa i nemici di Carlo II Stuart che, nel 1678, congiurano invano per ucciderlo, chiedendo l'ampliamento delle libertà politiche. Considerato perciò sinonimo di patriota, il termine Whig inizia a essere usato per indicare una fazione politica con il Primo Ministro Robert Walpole (1676/1745), che Giorgio I (1660/1727, re di Gran Bretagna e d'Irlanda dal 1714) e Giorgio II (1683/1760, re di Gran Bretagna e Irlanda dal 1727) nominano Primo Ministro, proprio durante la lotta contro gli Stuart. 152 1742, con una breve soluzione di continuità dopo la morte di Giorgio I, e si protrae dunque anche durante il regno di Giorgio II, che riesce a farsi accettare come sovrano inglese, ma è invischiato nella Guerra di successione spagnola. Al fianco delle Province Unite, del Sacro Romano Impero, del Ducato di Savoia e del Regno di Portogallo; contro il Regno di Francia, la Corona di Castiglia e l'elettorato di Baviera. Infine, Walpole, sconfitto nelle elezioni della Camera dei Comuni, è costretto a dimettersi per l'irresoluta guida della guerra, cui era contrario, ma è nominato Lord. La costituzionalizzazione della Monarchia britannica continua dopo la Dichiarazione d'indipendenza delle Colonie americane e la Rivoluzione Francese, con il Tory258 William Pitt iuniore259, il deputato del borgo di Appleby, che Giorgio III vuole Cancelliere dello Scacchiere, nel governo del conte di Shelburne. Poi, negli anni concitati della nascita dell'Impero che va dalle Indie alle Americhe, la Camera dei Comuni respinge per due anni consecutivi il Reform Bill, la Camera dei Lords boccia il trasferimento a una Commissione parlamentare, dei poteri della Compagnia delle Indie sui territori indiani e sia il Primo Ministro Shelburne, sia il suo successore, duca di Portland, rassegnano le dimissioni. Il 19 dicembre 1783, Giorgio III nomina allora Pitt anche Primo Ministro. Così, nel marzo 1784, avvantaggiandosi di un cumulo di cariche che è un'eccezione nella storia costituzionale britannica e che è durato infatti soltanto tre mesi, Pitt il giovane scioglie la Camera dei 258 Il termine Tory, deriva forse dall'irlandese Thòraidh, che indica i pericolosi banditi armati, fedeli a Carlo I Stuart (1600/1649, re dal 1625), attivi in Irlanda contro gli avversari della Chiesa Anglicana. Tory comincia a essere usato con il significato di conservatore, per designare i partigiani di Carlo II Stuart, nel Parlamento inglese del 1678. 259 William Pitt iuniore (1759/1806) è il figlio secondogenito di William Pitt seniore (1708/1778), che era stato avversario di Walpole e guida della vittoriosa azione inglese sul Continente europeo, durante la guerra dei Sette anni, entrando nel 1766 a far parte della Camera dei Lords, dopo che Giorgio III gli aveva accordato il titolo di conte di Chatham. 153 Comuni e consegue un trionfale successo elettorale. Quindi, nel 1786, promuove l'inchiesta sul bilancio della Camera dei Comuni, per fare piena luce sui gravi casi di corruzione che l'avevano screditata.260 II.2.3. Il corso forzoso della Bank of England contro Napoleone Nel 1788, durante un grave attacco di pazzia di Giorgio III, Pitt inizia a governare andando oltre le mansioni del Cabinet o Privy Council: il gruppo ristretto di ministri sodali del Re, che si occupavano soltanto degli affari più importanti. Così, nel 1796 lo stesso Pitt sentì di nuovo il bisogno di un'altra e più ampia inchiesta sulle finanze, che, come osserva Peel, produsse al paese «i più grandi beneficii».261 A questa nuova inchiesta fa tuttavia seguito, nel 1797, la decisione di bloccare i pagamenti in contante, per arginare l'espansionismo di Napoleone. Legata al Restriction 260 Cfr. i due rapporti del Select Committee 1786-1791, «Nel 1786, poco dopo la fine della guerra americana, per la prima volta ne' tempi moderni il Pitt fece nominare una commissione d'inchiesta per ricercare intorno le pubbliche Entrate e Spese; sulle Entrate e Spese annuali a venire, e sullo stato del Debito Pubblico», First Ser. vol. XI. Suggetti – Conti de' vari rami dell'entrata e dell'uscita. – Stato del Debito Pubblico. – Prodotto delle tasse. – Spese probabili di un permanente stato di pace. Cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 46 e n. 1; Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, p. XI. 261 Cfr. i trentasei rapporti del Select Committee On Finance, 1797-1803, First Ser. voll. XII e XIII. Suggetti – Debiti e tasse. – Esazione delle Pubbliche Entrate. – Spese e modo di rivedere i conti. – Entrate, Debito e Spese. – Amministrazione Civile. – Amministrazione Militare. Cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 46 e n. 2. 154 Act della Bank of England, promulgato il 3 maggio 1797. 262 L'anno seguente, Pitt sospende l'Habeas corpus ad subjiciendum, per reprimere l'insurrezione irlandese e inizia a usare la corruzione, per ottenere dai Parlamenti di Londra e di Dublino, l'approvazione dell'Act of Union tra Regno di Gran Bretagna e Regno d'Irlanda. In quello stesso anno, il Parlamento inglese approva l'income tax: un'imposta sul reddito personale, da lavoro, o da capitale, percepito durante l'anno finanziario, che determina il reddito imponibile attraverso specifiche detrazioni sulla persona, sui redditi da lavoro, sulle persone a carico e su alcuni premi di assicurazione sulla vita. Assumendo le diseguaglianze economiche e sociali come dati naturali, complementari alle libertà politiche, ma esentando gli indigenti, per consolidare l'equità fiscale e la relativa giustizia distributiva. 263 Poi, tuttavia, dopo che il 1° gennaio 1801 l'Act of Union tra Regno di Gran Bretagna e Regno d'Irlanda porta alla formazione del Regno Unito, Giorgio III fa bocciare dalla Camera dei Lords la proposta di legge, presentata dallo stesso Pitt, per favorire l'emancipazione dei cattolici e lo costringe a dimettersi, sostituendolo con il visconte di Sidmouth che, coadiuvato dal conte di Liverpool, stipula ad Amiens la pace con la Francia. 262 Cfr. «Il Restriction Act del 3 maggio 1797 non ebbe, in Inghilterra, che un carattere temporaneo; non doveva durare che fino al 24 giugno dell'anno dopo, e in seguito si andò prorogando, di pochi in pochi anni, in guisa che sempre si voleva mantenere quel primitivo carattere di misura precaria. Ciò fu che tolse gran parte dei mali che seguono l'introduzione di carta-moneta, mali che all'infinito si accrebbero quando, pel fatto stesso delle proroghe successive, veniva sostanzialmente a perdere quel carattere di precarietà, e quando, nel 1812, lungi dall'abolirsi, riceveva nuova conferma e più completa attuazione», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 428. 263 Il sistema fiscale fondato sull'income tax è «alla lunga uno strumento, o - come il Romagnosi avrebbe detto - un fattore di moralità e d'incivilimento », vedi Emilio Broglio, Dell'imposta sulla rendita in Inghilterra e sul capitale negli Stati Uniti. Lettere al Cavour, 1856, p. 66. 155 Nominato di nuovo Primo Ministro nel 1804, dopo la rottura di quel trattato, Pitt è infine travolto dalla vittoria di Napoleone ad Austerlitz, il 2 dicembre 1805.264 I successivi governi conservatori continuano però a sviluppare una politica ostile alla Francia rivoluzionaria, che è comunque sostenuta anche dai Whigs di Edmund Burke; sino al conte di Liverpool265 e al Cancelliere dello Scacchiere Nicholas Vansittart, barone di Vansittart, che limitano l'ingente debito pubblico, ma deprimono i salari operai, reprimono con durezza rivolte e sommosse e sospendono di nuovo l'Habeas corpus. Nel congresso di Vienna, il ministro degli Affari Esteri, visconte di Castlereagh, può così affermare l'autonomia del Regno Unito, dalla Santa Alleanza. Condizione dell'avvicinamento alla Francia orléanista, voluto da Giorgio IV, dopo la fine della sua reggenza, quando i governi Tories favoriscono il prevalere dell'alta aristocrazia sulla Camera dei Comuni, continuando a penalizzare le popolose circoscrizioni industriali, a favore delle sparute circoscrizioni agricole, dove spadroneggia la piccola nobiltà: gli yeomen. 264 Pitt il giovane muore a Londra, il 23 gennaio 1806, poche settimane dopo la sconfitta della terza coalizione antifrancese ad Austerlitz. Giorgio III nomina allora Primo Ministro il Whig William Grenville, primo barone di Grenville (1759/1834), che richiama quale Segretario di Stato per gli Affari esteri, Lord Charles James Fox (1749/1806). Questi si era già espresso a favore di una politica di conciliazione con gli insorti americani e con la Francia rivoluzionaria e aveva proposto di trasferire i poteri della Compagnia delle Indie sui territori indiani, a una Commissione parlamentare, escludendo il re Giorgio III; proposta poi bocciata dalla Camera dei Lords. Fox tuttavia muore a sua volta il 13 settembre 1806, prima che il Regno Unito concretizzasse la sua proposta di un accordo con Napoleone. 265 Il Tory Robert Banks Jenkinson, secondo conte di Liverpool (1770/1828), eletto alla Camera dei Comuni nel 1790, quale seguace di Pitt il giovane, è primo ministro dal 1812 al 1827, durante gli ultimi anni del regno di Giorgio III e la reggenza e i primi sette anni del regno di Giorgio IV (1762/1830, re del Regno Unito dal 1820). 156 II.2.4. Dal Reform Act al liberismo I Wighs tornano al governo nel 1832, l'anno dell'enciclica Mirari vos di Gregorio VII, durante il regno di Guglielmo IV266; con il Primo Ministro Grey che, sostenuto da John Russell, adegua le circoscrizioni elettorali, ai cambiamenti sociali determinati dalla Rivoluzione industriale, ottenendo dal Parlamento l'approvazione del Reform Act.267 Superate le resistenze della Camera dei Lords, questa Riforma elettorale porta l'elettorato maschile di censo da quattrocentomila, a seicentocinquantamila aventi diritto, sulla popolazione del Regno Unito, che è cresciuta dai dieci milioni del 1801, a tredici milioni di 266 Guglielmo IV (1765/1837, re dal 1830), terzo figlio di Giorgio III e di Carlotta Sofia di Mecklenburg-Strelitz, salito al trono dopo la morte del fratello primogenito Giorgio IV, richiama al governo i Whigs, con il conte Charles Grey (1764/1845) già avversario di Pitt il giovane, e concede la Costituzione al Regno di Hannover. Oltre la Riforma elettorale della Camera dei Comuni, il Primo Ministro Grey ottiene dal Parlamento la Riforma delle amministrazioni cittadine e The Abolition of Slavery Act, in tutto l'Impero. 267 Lord John Russell (1792/1878), tra i cui nipoti c'è il matematico, filosofo e attivista politico Bertrand Russell (1872/1970), è Primo Ministro Whig, dopo i governi Whig di William Lamb, secondo visconte di Melbourne (1779/1848) e Tory di Robert Peel (1788/1850) e, soprattutto, dopo la spaccatura tra Peeliti e Tories. Dal luglio 1846, al febbraio 1852, Russell governa così con il ministro degli Affari Esteri Peelita Henry John Temple, visconte di Palmerston (1784/1865), che cerca tra l'altro di dissuadere Carlo Alberto dal muovere guerra all'Austria. Sostituito dal Primo Ministro Tory, conte di Derby (1799/1869), Russell è poi ministro degli Affari Esteri, con il Primo Ministro Peelita, conte di Aberdeen (1784/1860), si dimette per protesta contro la titubante conduzione della guerra di Crimea ed è ancora ministro degli Affari Esteri nel governo Palmerston. Russell appoggia quindi l'impresa dei Mille, con la circolare diplomatica del 27 ottobre 1860, proclamando il diritto di insurrezione dei popoli, «contro i cattivi governi» ed è di nuovo Primo Ministro dall’ottobre 1865, al giugno 1866. Cfr. Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999: ad indicem. Tra i libri pubblicati da J. Russell, oltre al già citato Essay on the History of the English Government and Constitution from the Reign of Henry VII to the Present Time, 1865, e Life and Time of Charles James Fox, 1859-1866. 157 persone. La riforma, che porta per la prima volta in Parlamento anche il Tory William E. Gladstone, modifica inoltre le circoscrizioni, ridimensiona il peso dei «borghi putridi» e delle campagne, tradizionale appannaggio dell'aristocrazia terriera e della piccola nobiltà, e dà rappresentanza alla media borghesia, espressione politica delle grandi città. Morto Guglielmo IV e iniziato il regno della regina Vittoria268, nel 1841, il Primo Ministro Tory Robert Peel269 ripropone l'income tax già fatta approvare da Pitt il giovane nel 1798, consolidando così il debito pregresso e portando in pareggio il bilancio dello Stato; un risultato che in Italia, la Destra di Minghetti e Sella raggiunge soltanto nel 1876, attraverso l'imposta sul macinato, il monopolio dei tabacchi e la limitazione del corso forzoso. Appena quindici anni dopo, tuttavia, l'unificazione nazionale. 268 Alessandrina Vittoria Hannover (1819/1901, regina del Regno Unito e imperatrice d'India dal 1837) è l'unica figlia di Edoardo Hannover, duca di Kent, e della principessa Vittoria Maria Luisa di Sassonia-Coburgo-Gotha. Salita sul trono dopo la morte dello zio Guglielmo IV, lasciando il Regno di Hannover al duca di Cumberland, e sposatasi il 10 febbraio 1840 con il cugino Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha (1819/1861), la regina Vittoria considera Vittorio Emanuele II «come l'ultimo re medievale, sinceramente convinto di dovere i suoi successi al potere delle armi», vedi Cammarano, Storia dell'Italia liberale, 2011, p. 5. 269 Il secondo baronetto Robert Peel (1788/1850) è il figlio primogenito di Robert Peel (1750/1830), che si era arricchito con l'industria manifatturiera ed era stato perciò nominato baronetto. Deputato Tory nel 1809 e sottosegretario di Stato nel 1810, Peel reprime i cattolici in Irlanda, nel 1822, quale ministro dell'Interno nel governo Tory di Robert Banks Jenkinson (1770/1828), secondo conte di Liverpool, durante il regno di Giorgio IV (1762/1830, re dal 1820). Convertitosi alla causa irlandese, dopo l'avvento al trono di Guglielmo IV (1765/1837, re dal 1830), Peel appoggia nel 1832 il governo Whig del conte Charles Grey (1764/1845) ed è Primo Ministro dal 1834, al 1835 ma, sconfitto dalla Camera dei Comuni, capeggia l’opposizione sino al 1841, quando la regina Vittoria gli affida di nuovo l'incarico di Primo Ministro. Vedi Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, ad indicem; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad indicem. 158 Peel riorganizza inoltre la Banca d’Inghilterra, distinguendo l’emissione dalla circolazione delle banconote, ma, soprattutto, abbandona il protezionismo per il liberismo, facendo abolire le Corn Laws, subisce perciò la scissione del suo partito, da parte della fazione contraria all'alleanza con i Whigs, ed è sostituito da Russell. La contrapposizione tra Tories e Whigs, effetto e a sua volta concausa delle guerre di religione che hanno insanguinato il Paese, inizia allora a evolversi nella dialettica tra Conservatori e Liberali. Poi, dopo aver appoggiato dall’opposizione le proposte sull’abolizione delle leggi di navigazione e sull’emancipazione degli Ebrei, Peel si prepara a rientrare nel governo, ma muore in seguito a una rovinosa caduta da cavallo. II.2.5. Il governo parlamentare nel Regno Unito: governi di coalizione o trasformismo? In sintesi, dopo l'avvento al trono della dinastia degli Hannover, che fa seguito alla restaurazione della monarchia e alla Glorious revolution, il «Governo parlamentare» della Gran Bretagna prima e del Regno Unito poi, ordina a sistema i conflitti personali e proprietari tra Re, Primo Ministro, Cancelliere dello Scacchiere, Camera dei Lords e Camera dei Comuni. Attraverso leggi fiscali che favoriscono agrari e banchieri, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul bilancio, il corso forzoso, la prima riforma della legge elettorale, approvata da una maggioranza Whig, l'abolizione della schiavitù, la tassa sul reddito e il bipartitismo. Emblematico dei valori su cui si fonda questo parlamentarismo, è il discorso alla Camera dei Comuni, di Lord Russell, ministro degli Affari Esteri del governo Aberdeen, il 26 gennaio 1855. Russell afferma tra l'altro che: the Parliament […] corrects abuses, it reforms maladministration, and strengthens 159 those establishments which it may seem for the time to shake. 270 In quello stesso discorso, Russell denuncia il «difetto di cibo, di vestimenta e di ricovero», che causa la grave moria di soldati inglesi, «da novanta a cento al giorno», nella guerra di Crimea. Preannunciando la sua opposizione alla segretezza dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta intorno le condizioni dell'esercito inglese, che era innanzi a Sebastopoli, e sulla condotta di quei Dipartimenti del governo, che avevano il debito di provvedere ai bisogni dell'esercito. Così, il 1° marzo 1855, la Camera dei Comuni rende pubblici i lavori di quella Commissione parlamentare d'inchiesta, proprio per scongiurare ingiustizie nei confronti dei singoli e per proteggere i pubblici interessi. 271 A 270 Lord John Russell, Speech at House of Commons, 26 January 1855, cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 1. «Quelli che affermano, che in Francia non sia mai allignato il governo parlamentare, perché vi è stato sempre snaturato, e che quell'ibrido sistema, più che altre cagioni, sia stato la causa precipua di tanti sconvolgimenti, certo non vorremm dire che vadano lontano dal vero, se compareremo la storia della Francia con quella dell'Inghilterra, ove si sono compiute grandissime rivoluzioni sociali, economiche e politiche senza che da secoli vi sia stato mestieri di alcun mutamento; perocché il governo rappresentativo in Inghilterra, anziché contrariare, ha aiutato quelle grandi rivoluzioni, che tanto bene hanno contribuito al benessere ed alla civiltà di quel popolo. I quali diversissimi risultamenti derivano principalmente, a nostro avviso, dal modo come il governo parlamentare è stato ordinato presso quelle due nazioni», così chiosa Devincenzi, ibidem, pp. 5-6. 271 Vedi il discorso alla Camera dei Comuni, il 2 marzo 1855, di sir John Graham (1792/1861), ministro della Marina nel governo Aberdeen, cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, pp. 30-31 e n. 1. Graham, eletto nelle fila Whigs nel 1818, era stato ministro della Marina nel governo Grey dal 1830, al 1834, ma nel 1837 aveva scelto i Tories e dal 1841, al 1846, era stato ministro dell'Interno nel secondo 160 luglio, tuttavia, dopo aver tentato senza successo di far riavvicinare l'Impero britannico all'Impero austriaco, Russell si dimette dal governo, per protesta contro l'incerta conduzione della guerra di Crimea da parte del Primo ministro Lord Aberdeen. 272 La regina Vittoria può così riprendere la politica estera filo prussiana del «principe consorte». L'equilibrio dei poteri, tra esecutivo, legislativo e giudiziario, si consolida allora grazie al rinnovamento della Camera dei Comuni: vero tratto d'unione del popolo, con la Regina, cui continua a essere inibito persino l'ingresso nell'aula parlamentare. Sino alla crisi finanziaria che scuote l'Europa e alla nuova nomina di Russell a Primo Ministro, affiancato questa volta da William E. Gladstone, quale Cancelliere dello Scacchiere.273 Questo governo Peel. 272 Cfr. «[...] raramente il governo inglese aveva avuto alla testa un avversario della guerra così convinto come lord Aberdeen, pacifista autentico per ragioni religiose e morali, che non riuscirà mai a perdonarsi di non aver saputo impedire tanto spargimento di sangue», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 271. 273 Gladstone, nato a Liverpool e laureatosi a Oxford, è eletto deputato nelle fila Tories con la Riforma elettorale del 1832 ed è nel II governo Peel, dal 1841 al 1846. Nel 1851, soggiorna a Napoli, da dove invia alcune lettere a Lord Aberdeen, nelle quali definisce il governo borbonico «negazione di Dio». Nel dicembre 1852, la sua critica al bilancio presentato dal Cancelliere dello Scacchiere Benjamin Disraeli (1804/1881), porta alla caduta del governo Tory di Lord Derby. Impostosi così alla pubblica opinione, Gladstone è a sua volta Cancelliere dello Scacchiere nella coalizione tra Peeliti e Whigs guidata da Aberdeen che, dal 1852 al 1855, detassa i consumi e tassa i grandi patrimoni. Il successivo governo Palmerston che, nel 1858, dopo la fondazione del Partito liberale, formato da Peeliti, Whigs e radicali, ottiene dal Parlamento l'approvazione del trattato di libero commercio con la Francia, lo conferma quindi Cancelliere dello Scacchiere. Per quattro volte Primo Ministro (dal 3 dicembre 1868, al 1874; dal 1880, al 1885; dal febbraio, al luglio 1886 e dal 1892, al 1894), Gladstone si ritira dalla vita politica dopo che la Camera dei Lords ha respinto la sua proposta di riconoscere l'Home Rule dell'Irlanda. Cfr. Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, ad indicem; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad indicem. 161 «Governo parlamentare», che si pronuncia per l'alleanza con i Ducati danesi, contro la Prussia, è tuttavia costretto a dimettersi dopo che la Camera dei Comuni ha bocciato la sua proposta di ampliare il diritto di voto, includendo gli artigiani e l'aristocrazia operaia ed è sostituito, il 18 giugno 1866, dal III governo Tory del conte di Derby.274 Pochi giorni dopo, il 23 giugno 1866, l'Italia dà inizio alle ostilità per la Terza guerra d'indipendenza, dopo che già la Prussia ha dichiarato guerra all'Austria e il presidente del Consiglio La Marmora si è dimesso, sostituto da Bettino Ricasoli, per assumere il comando dello stato maggiore, agli ordini di Vittorio Emanuele II. II.2.6. La recezione italiana del Parliamentary Practice di Thomas Erskine May In quello stesso 1866, il deputato della Destra, Giuseppe Devincenzi275, pubblica un saggio sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta, che riflette proprio sul Regno Unito, 274 Il III governo Derby conduce in porto la seconda Riforma elettorale nel 1867, ma si dimette poco dopo. La regina Vittoria nomina allora Primo Ministro il conservatore Disraeli, che rimane in carica dal 27 febbraio al 3 dicembre 1868, quando è sostituito da Gladstone. Questi orienta la politica estera verso l'alleanza con la Prussia, già propugnata dal «principe consorte» Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, ma contrastata da Russell. Il Regno Unito entra però di nuovo in attrito con la Francia, dove Napoleone III, tramontato il «parti de gouvernement» di François Guizot, ha proclamato l'«Empire liberal» e riproposto Parigi quale grande capitale europea, ma è ancora lontano dall'aver pacificato il Paese e accentua perciò il suo bellicismo. Soltanto nel 1872, la Camera dei Lords e la Camera dei Comuni introducono al proprio interno il principio del voto segreto, che il Regno di Sardegna prevede invece sin dal 1848. Poi nel 1884, dunque molto dopo la caduta di Napoleone III, il II governo Gladstone ottiene dal Parlamento l'approvazione della terza Riforma elettorale, che estende il diritto di voto nelle elezioni politiche della Camera dei Comuni anche ai lavoratori agricoli. 275 Su Giuseppe Devincenzi (1814/1903), vedi la voce di Paolo Romano Coppini, nel Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX, 1991, pp. 563-567. 162 meglio, sui legami tra potere legislativo e potere esecutivo in quel sistema costituzionale, il cui governo è propenso ad allearsi con la Prussia, almeno quanto il «Governo Monarchico rappresentativo» di Vittorio Emanuele II, La Marmora e Ricasoli. Nato a Notaresco, in provincia di Teramo, Devincenzi è il rampollo «della borghesia agraria con vasti possessi nel Teramano», laureatosi in Giurisprudenza a Napoli, che ha firmato nel 1848 la proposta di legge Pica sulla responsabilità dei ministri e dei funzionari nel regno delle Due Sicilie e si è caratterizzato come esponente politico moderato di quel costituzionalismo napoletano cui appartengono valenti giuristi, quali Mancini e Pisanelli. Emigrato in Inghilterra nel dicembre 1850, Devincenzi ha frequentato J. Russell e Gladstone, ha partecipato al comitato che ha raccolto le sottoscrizioni in aiuto degli esuli ed è entrato così in contatto con i sessantasei deportati napoletani, tra i quali Luigi Settembrini, S. Spaventa e Carlo Poerio. Questi, dirottato il veliero americano che avrebbe dovuto trasportarli a Madeira, in Brasile, avevano scelto di sbarcare a Queenstown, in Irlanda, dove i sudditi della regina Vittoria li avevano accolti con grandi manifestazioni di entusiasmo. Vittima, con S. Spaventa, Settembrini e lo stesso Pica, di «invereconde e basse accuse» rivoltegli da calunniatori che lo hanno tacciato di aver distribuito «in parti disuguali le somme raccolte», Devincenzi è tornato a Napoli, il 27 luglio 1860.276 Da lì, ha manifestato le sue preoccupazioni per l'impresa di Garibaldi che, dopo i trionfi siciliani e napoletani, ha minacciato di spingersi sino a Roma, e, il 14 novembre 1860, si è recato in Abruzzo, per accogliere di persona il re Vittorio Emanuele II.277 Eletto un anno dopo deputato di Atri, Devincenzi approva l'ordine del giorno Ricasoli 276 Vedi Massari, Diario dalle cento voci (1858-1860), 1959, p. 314; cfr. Id., La vita e il regno di Vittorio Emanuele II, 1878, ed. 1922. 277 Vedi Coppini, Devincenzi, Giuseppe, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX, 1991, p. 564. 163 sullo scioglimento dell'esercito garibaldino e si distingue dall'opposizione meridionale, pur votando contro la proposta Sella di concedere il Servizio di tesoreria alla Banca nazionale sarda. Devincenzi s'impegna altresì in alcune Commissioni parlamentari sui temi economici, principiando l'esperienza dalla quale, oltre che dall'esilio londinese, nasce il saggio sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta che divulga il Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, o Parliamentary Practice, del costituzionalista inglese Thomas Erskine May 278; a cominciare dalla distinzione tra: Le commissioni d'inchiesta nell'amministrazione della cosa pubblica ... governative, o parlamentari; cioè ... istituite o dal potere esecutivo, o da uno dei due rami del Parlamento. Noi qui non intendiamo ragionare delle prime, che pur importantissime sono, e delle quali speriamo poterci intrattenere altra volta, ma ci restringeremo a ragionare solo delle seconde.279 Tralasciata l'analisi delle Commissioni governative d'inchiesta sull'elezione dei deputati, 278 Vedi Thomas Erskine May(1815/1866), A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859IV. Queste le ventiquattro edizioni del Trattato: 1844, 1851, 1855, 1859, 1863, 1868, 1873, 1879, 1883, 1893, 1906, 1917, 1924, 1946, 1950, 1957, 1964, 1971, 1976, 1983, 1989, 1997, 2004 e 2011. Il sistema costituzionale descritto da Erskine May, arricchito dagli altri Paesi del Commonwealth che lo hanno adottato, Australia, Canada, Nuova Zelanda ecc. ha preso il nome di sistema Westminster, dal Palazzo dove ha sede il Parlamento del Regno Unito. 279 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo I. Come le inchieste parlamentari sieno una parte essenziale de' governi rappresentativi, p. 3. Sulla distinzione tra inchieste elettorali e personali, economiche e politiche, legislative, amministrative e giudiziarie, cfr. Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. VII-XI. 164 formate dalle autorità amministrative o giudiziarie, l'analisi si sofferma sulle facoltà ispettive dei Select Committees, così chiamati per distinguerli dalle sedute plenarie delle rispettive Camere.280 Questi Comitati scelti, incaricati di raccogliere informazioni e documenti, regolano i propri lavori con gli Standing Orders: norme di procedura parlamentare accumulate negli anni e raccolte nel Regolamento del 25 giugno 1852, che per esempio fissano a un massimo di quindici, il numero dei componenti di ciascuno di questi Comitati. Pur considerando alcune eccezioni, come la Commissione parlamentare sulle condizioni della navigazione con l'India che, nel 1834, era stata formata da ventiquattro componenti. Lo stesso Regolamento obbliga poi ogni deputato ad acquisire la disponibilità del collega che intende proporre nella Commissione parlamentare e a scriverne le generalità sull'Order Book or Notice Paper, da affiggere nei corridoi della Camera. Ancora, i verbali delle riunioni di queste Commissioni parlamentari registrano i nominativi di chi interviene, annotando le presenze, le assenze e le eventuali votazioni; il segretario verifica, richiamando l'attenzione del presidente, che le votazioni raggiungano il quorum o, se la Camera dei Comuni non ha fissato il numero minimo dei voti necessari per approvare una deliberazione o una votazione, si accerta che tutti i componenti della Commissione votino.281 Fermo restando che le Commissioni parlamentari hanno l'obbligo di avanzare 280 Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859IV, p. 360; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 10. C'è tuttavia da considerare che la Camera dei Lord si avvale di rado delle Commissioni parlamentari sui temi finanziari, perché in questa materia ha competenze limitate. 281 Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859 IV, pp. 364-365; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari 165 proposte concrete, per risolvere i problemi sui quali hanno ricevuto l'incarico di indagare.282 Disposizioni altrettanto dettagliate riguardano le persone esterne al Parlamento, tenute a testimoniare, su invito del presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta; pena un mandato d'arresto, che deve tuttavia essere autorizzato dalle rispettive Camere. Così le Commissioni parlamentari d'inchiesta, che hanno il diritto di esaminare soltanto i documenti pubblici e ufficiali, ma devono rispettare la privacy, possono acquisire le carte e le corrispondenze della Corona, soltanto dopo aver chiesto l'autorizzazione a quella stessa Istituzione, chiamando in causa le responsabilità governative dei Ministri; con l'avvertenza che richieste troppo frequenti, indeboliscono l'autorevolezza del Parlamento. II.2.7. Il Regolamento della Camera dei Comuni Le Norme di procedura della Camera dei Comuni, raccolte da Erskine May nel suo Parliamentary Practice e divulgate da Devincenzi, autorizzano poi i componenti delle Commissioni d'inchiesta a recarsi nell'abitazione di un testimone, nel caso in cui questi sia infermo, ma li vincolano a riunirsi a Londra, dove ha sede il Parlamento. Stabilendo che d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 15. 282 Sulle differenze con le Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera dei deputati, vedi: «In Italia tutte le amministrazioni s'immedesimano coi Ministri, ai quali conseguentemente diamo tutta la responsabilità di quel che fanno, di quel che non fanno, e di quello che umanamente non possono fare; come se una vana responsabilità, e non i buoni ordinamenti, potesse costituire una retta amministrazione dello stato», Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 21. 166 una cancellata separi deputati e pubblico nella sala delle riunioni, interna al palazzo di Westminster, e permettendo agli stessi componenti di rivolgere domande ai testimoni e di leggere le minute dei verbali delle riunioni, stampate ogni giorno. Questi verbali, dati in lettura a ciascun deputato, diventano di pubblico dominio, tranne che per le inchieste politiche e bancarie, tutelate dal segreto. Come per es. i verbali della Commissione d'inchiesta della Camera dei Comuni sulle «Società politiche istituite in Inghilterra e in Irlanda collo scopo di rovesciare il governo e di distruggere la costituzione e le leggi d'Inghilterra, e produrre la separazione dei due paesi». Quella Commissione ha tuttavia documentato, con due relazioni – proprio come ha fatto molti anni dopo la Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sul brigantaggio – che nel triennio 1799-1801 il «governo parlamentare inglese» ha sospeso l'Habeas corpus, per unire l'Irlanda all'Inghilterra.283 Creando le condizioni politiche e di ordine pubblico che permettono alla regina Vittoria di proclamare il Regno Unito. La segretezza ha tutelato altresì, nel 1831, le Commissioni d'inchiesta della Camera dei Comuni sullo Statuto della Banca d'Inghilterra e sulle Banche di emissione in Inghilterra e Galles e, nel 1841, sugli 283 Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, Book II, Chapter XXIII Impeachment by the Commons; grounds of accusation; form of charge; articles of impeachment; the trial and judgement: proceedings not concluded by prorogation or dissolution; pardon not pleadable. Trial of Peers. Bills of Attainder and of Pains and Penalties, pp. 361-380; Id., A Treatise upon the Law, ecc. 1859IV, p. 370; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta ecc., 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, pp. 26-27 e relative note. Cfr. J. S. Mill, Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo IV, In quali condizioni sociali il governo rappresentativo è inapplicabile; Villari, “Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra”, «il Politecnico», 1866, ora anche in Id., La camorra la mafia il brigantaggio. Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1861-1875, ed. 1979, pp. 79, 119 e 132. 167 effetti dei biglietti pagabili a vista. Come le Commissioni d'inchiesta della Camera dei Lord sulla Banca d'Inghilterra, nel 1810, e sulle cause dell'impoverimento delle classi commerciali, nel 1847. Tuttavia, pur considerando l'importanza di queste eccezioni, secondo le Norme di diritto parlamentare inglese raccolte da Erskine May, gli Atti delle Commissioni parlamentari d'inchiesta devono essere di pubblico dominio, perché i segreti turbano l'opinione pubblica.284 Le stesse Norme procedurali della Camera dei Comuni, prevedono poi la sospensione delle Commissioni d'inchiesta, «quando il Parlamento è prorogato» e autorizzano il presidente a votare soltanto in caso di parità, quando il suo voto è determinante, mentre nelle Commissioni d'inchiesta della Camera dei Lords «il presidente vota come gli altri membri, e se i voti son pari il partito è perduto».285 Ancora, ciascuna Commissione si scioglie alla fine di ogni sessione, ma può ricostituirsi nella sessione successiva, con gli stessi componenti, quando è necessario completare l'inchiesta. 286 La Commissione è tenuta così a raccogliere le deposizioni, le testimonianze e le minute delle riunioni, ad allegare i 284 Vedi: «[...] in Inghilterra si evita per quanto si può le inchieste segrete. Un'inchiesta segreta, anzi che tranquillare, per lo più commuove ed agita l'opinione pubblica. La pubblicità è la via più sicura, che può condurre a vere e radicali riforme nella pubblica amministrazione; e quando nelle inchieste può esservi immischiata la dignità delle persone, la pubblicità è la sola salvaguardia che ogni onesto uomo possa avere», Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 27. 285 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 31. 286 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo II. Natura delle commissioni d'inchiesta, e come sieno costituite nel Parlamento inglese. Di una legge generale sulle inchieste, p. 36. 168 documenti in appendice, a predisporre un indice e ad attendere che la Camera ne disponga la pubblicazione. Il che è proprio ciò che fa la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, ricostituitasi all'inizio della II sessione della IX legislatura, dopo avere sospeso i propri lavori per la fine della I sessione. Erskine May e quindi Devincenzi, che ne divulga il Parliamentary Practice, semplificano poi l'efficacia delle procedure sopra richiamate, facendo riferimento alla sessione della Camera dei Comuni, iniziata il 5 febbraio e conclusa il 6 agosto 1861; in quel semestre, infatti, la maggiore istituzione elettiva del Regno Unito ha esaminato trenta rapporti di diciannove Commissioni d'inchiesta. Tra queste, Devincenzi definisce «memorabile» quella con cui il Cancelliere dello Scacchiere, Gladstone, ha chiamato «a sé persone e documenti», per verificare le pubbliche spese, già controllate dall'Audit Office (in Italia, la Corte dei Conti). Così, la successiva proposta di Gladstone, approvata il 3 aprile 1862, per sottoporre al potere legislativo le spese pubbliche già controllate dal potere esecutivo, è stata inserita nelle Norme della Camera dei Comuni. 287 Il Parlamento inglese è diventato in tal modo il «vero e gran custode degli interessi dei contribuenti» 288, è popolare presso la pubblica opinione, approfondisce le competenze dei deputati, recepisce le richieste dell'opinione pubblica e si sottrae all'invadenza dei partiti politici. 289 287 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 39. 288 Vedi: «I conti generali delle finanze sono immancabilmente presentati alle due Camere prima del 30 giugno, cioè tre mesi dopo la chiusura dell'anno finanziario, che ha luogo il 31 marzo», Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, p. 40, ma considera tutto il cap. III. Parte che le inchieste hanno nel Parlamento inglese, pp. 37-49. 289 Dopo i due importanti discorsi sul bilancio del 1863 e del 1864, Gladstone è eletto leader della Camera dei Comuni ed è poi, con alcune discontinuità, Primo Ministro, dal 1868, al 1894. Sulla finanza gladstoniana, come «sistema della “libertà naturale”, del 169 II.2.8. Le Commissioni parlamentari d'inchiesta in Italia Il confronto tra il Parlamento del Regno Unito e il Parlamento del Regno d'Italia è, tuttavia, impietoso. Nel Regno Unito, infatti, il Parlamento gode delle simpatie della popolazione e conta sul consenso popolare; anche perché […] la pubblicità assicura la immediata accettazione di una buona legge [...], mette al di là del potere di ogni Ministro di farvi accogliere una cattiva legge, che il paese disapprova. Molto prima che una misura possa essere adottata nelle Camere, già è stata approvata o condannata dalla pubblica voce. 290 Nel Regno d'Italia, invece, il Parlamento segue un metodo «sciagurato»: viene presentato un progetto di legge; – lo trasmettiamo ad uffici costituiti a sorte; – questi ad una commissione segreta nominata a ballottaggio; – che fa una relazione, la quale deve essere distribuita 24 ore prima della discussione.291 laissez-faire e del libero scambio», che «rimuove gli ostacoli fiscali frapposti all'attività privata» e riduce al minimo la spesa pubblica e le funzioni dello Stato, a cominciare dall'apparato militare, vedi Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 492-495, nn. 1-7. 290 Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859IV, pp. 437-438; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo III. Parte che le inchieste hanno nel Parlamento inglese, p. 52. 291 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo III. Parte che le inchieste hanno nel Parlamento inglese, p. 53. 170 Sulla base di questa procedura, che è poi quella con cui Minghetti ha ottenuto l'approvazione della «repressione del brigantaggio e dei camorristi nelle province infette», già promulgata dal Regio decreto 1409, l'opinione pubblica italiana è informata delle leggi soltanto dopo che entrambe le Camere le hanno votate, rischia di cadere preda di insinuazioni calunniose sul conto di deputati e senatori ed è spinta a contrapporsi al Parlamento, minando la stabilità del governo. È perciò necessario approvare il nuovo Regolamento provvisorio della Camera dei deputati, modificando quello vigente dal 1863, redatto da Bon Compagni, che ricalca in larga misura quello dell'8 maggio 1848, ma che, secondo Devincenzi, è più dannoso per la libertà italiana, della presenza «tedesca» a Venezia e del potere temporale della Chiesa cattolica romana. 292 È invece necessario formare gli stessi uomini politici italiani, perché acquisiscano le competenze necessarie ad amministrare la cosa pubblica. Seguendo il modello delle Commissioni ispettive della Camera dei Comuni e delle Commissioni Reali, amministrative o esecutive, nominate con Regio decreto o dai ministri. Nei governi costituzionali, infatti, i contrasti tra l'amministrazione e l'esecutivo, rappresentano il mezzo «per conseguire un ottimo governo, e per perseverarvi», mentre anche il potere legislativo e il potere giudiziario, svolgono, ciascuno nella propria sfera di competenza, le loro 292 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, cap. IV. Dei vantaggi delle inchieste parlamentari, p. 54. Prosegue Devincenzi: «Le commissioni parlamentari d'inchiesta, e le commissioni governative, che sviluppano e fan conoscere tanti uomini capaci in Inghilterra, non offrono a noi alcun soccorso; le prime perché non vi sono, le seconde perché sono mal costituite», ibidem, p. 55. Sui Regolamenti provvisori della Camera dei deputati nel 1848 e nel 1863, quando la Camera contava rispettivamente su 204 e su 443 deputati, cfr. http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti; Cavour, Sul regolamento della Camera dei Deputati, «Il Risorgimento», 1848, 1, n. 111 (6 maggio), pp. 1-2, n. 116 (12 maggio), pp. 1-2. 171 funzioni. Facilitando le Commissioni parlamentari d'inchiesta che, in alcuni casi, rappresentano addirittura l'unico mezzo per rafforzare il governo rappresentativo: Come dal Parlamento in Inghilterra, così dal potere esecutivo si sogliono creare delle commissioni, sia per far delle inchieste, sia per altri scopi. Queste commissioni, che sono conosciute col nome di COMMISSIONI REALI, rassomigliano in parte alle nostre commissioni nominate con decreti reali, o direttamente dai Ministri; ma fra queste e quelle corre questa grande differenza: le commissioni inglesi hanno sempre costituito e costituiscono un meccanismo utilissimo di riforme nel governo dello Stato; le nostre per ordinario non riescono a nulla, anzi pare che per lo più sieno create o per pura forma o per acquietare alcuni reclami.293 Anche in Italia il potere legislativo deve allora nominare le Commissioni parlamentari d'inchiesta, assicurarsi che presentino una relazione scritta e la divulghino, preparare alcune grandi riforme, provvedere alla difesa nazionale e garantirsi la benevolenza della popolazione e l'appoggio dell'opinione pubblica. II.2.9. Sulle differenze tra governo del Re e governo del Parlamento Per esempio, se dalla Commissione parlamentare d'inchiesta emergono censure o accuse nei confronti di singole persone, il Parlamento le deve sottoporre al giudice competente. Come accade nel Regno Unito dove pure, ancora secondo il trattato costituzionale di Erskine May, per molti anni il popolo ha avuto poca fiducia nella Corona, il Parlamento è 293 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo V. Delle Commissioni Parlamentari e delle Commissioni Reali d'inchiesta, pp. 57-58. 172 stato debole, le Corti di giustizia inquinate e la stessa Corona ha protetto i colpevoli, invece di assicurarli alla giustizia. Sino a quando la Camera dei Comuni ha portato alcuni uomini pubblici davanti alla Camera dei Lord, costituitasi in Alta corte di giustizia, accrescendo la propria influenza e rendendo di volta in volta meno frequenti le censure e le accuse a singole persone.294 A dimostrazione che le Commissioni parlamentari d'inchiesta, da quelle ispettive a quelle legislative, hanno la possibilità di migliorare le competenze del Parlamento, accrescendone la conoscenza della realtà. 295 Perciò la loro nomina deve essere indipendente dai partiti, invece che arma nelle loro mani, e deve garantire l'interesse pubblico, prima che l'interesse del Re; avanzando proposte concrete, per accrescere la qualità dei Ministeri, piuttosto che il loro numero 296 e migliorando l'attività del Parlamento 294 L'anno dopo, il precedente dell'Alta corte di giustizia della Camera dei Lord, fa scuola in Italia. Infatti, il 15 aprile 1867, il Senato, costituitosi proprio in Alta corte di giustizia, condanna l'ammiraglio Carlo Pellion (1806/1883), conte di Persano, a dimettersi, lo degrada e lo obbliga a pagare 60.000 lire di spese processuali. Ciò dopo che il 1° dicembre 1866, nei locali del Senato, la forza pubblica lo ha arrestato, accusandolo di disobbedienza, imperizia e negligenza e nonostante la sua difesa abbia documentato che la sconfitta del 20 luglio 1866, a Lissa, è da spiegare con l'impreparazione della Marina italiana. 295 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, Appendici A. Inchieste nella Camera dei Comuni del Parlamento inglese nella Sessione 1861; B. Alcune inchieste fatte nella Camera de' Comuni del Parlamento inglese in vari rami della pubblica amministrazione; C. Commissioni d'inchiesta del potere esecutivo in Inghilterra nel 1861, pp. 93-101. 296 Vedi Erskine May, A Treatise upon the Law, Privileges, Proceedings and Usage of Parliament, 1844, ed. 1859IV, p. 529; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VI. Le inchieste parlamentari non sono divenute finora comuni in Italia per un falso concetto. Come possono divenir tali, pp. 66. Si consideri che nel 1861, il governo Cavour, il primo dell'Italia unita, aveva aggiunto tre ministeri ai precedenti ministeri, rimasti invariati sin dal 173 e del governo rappresentativo;297 a iniziare dal Consiglio della Corona. Quest'ultima proposta lascia tuttavia molto perplessi, in ragione dei quattrocento funzionari, dei novanta dignitari e dei cinque grandi dignitari che già supportavano la Real Casa: il ministro che amministra i beni, il prefetto di Palazzo gran maestro delle cerimonie, il primo aiutante di campo, il grande scudiero e il grande cacciatore. 298 È, invece, convincente la proposta di rimarcare la distinzione tra il governo politico dei Ministeri, che secondo Devincenzi è comunque lontano dall'autorizzare aspettative miracolistiche, e le amministrazioni pubbliche, che dovrebbero essere obbligate a presentare ogni anno in Parlamento i loro conti e rapporti, secondo il modello del Regno Unito.299 Si tratta infatti di mettere i Ministeri in grado di «funzionar da sé, sotto un'alta direzione del Ministro», garantendone per converso la continuità anche durante e dopo i passaggi da un titolare all'altro. Con l'avvertenza che è altresì necessario fare in modo che i governo Balbo, il primo dopo la concessione dello Statuto del Regno di Sardegna: Senza portafoglio, della Marina e di Agricoltura, industria e commercio. 297 La IX legislatura, iniziata il 18 novembre 1865, deve «far concorrere energicamente l'attività e la capacità di ciascun membro del Parlamento, e per conseguenza delle Camere, alle riforme che reclamiamo», vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, cap. VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, pp. 75-76. 298 Vedi Raoul Antonelli, Il Ministero della Real Casa nel primo quarantennio dopo l'Unità, in F. Mazzonis, a cura di, La Monarchia nella Storia d'Italia. Problematiche ed esemplificazioni, in «Cheiron», materiali di aggiornamento storiografico, XIII, 1996, p. 70; Cammarano, Storia dell’Italia liberale, 2011, p. 5. 299 Vedi: «Siamo lieti che il nostro ottimo amico commendatore Scialoja, ora ministro delle Finanze, già mostri di volere entrare nella via delle amministrazioni responsabili, proponendo di rendere tali le direzioni delle Finanze», Camera dei deputati, Atti parlamentari, tornata del 22 gennaio, 1866; Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 81. 174 Ministri di nuova nomina collaborino con i Ministri già al governo. Sul modello, anche in questo caso, del Regno Unito vittoriano, dove un sistema ben strutturato recluta i funzionari nelle Università di Oxford e Cambridge e li inserisce nel Royal service; in quest'ambito, in Inghilterra, la Commissione del Tesoro è composta dal primo ministro, che prende il nome di primo lord della Tesoreria, dal Cancelliere dello Scacchiere, e da tre altri commissari (Lords of the Treasury), che sono uomini politici, ossia membri del Parlamento. Ne fan parte inoltre due altri uomini politici, come sotto-segretari di Stato (Joint-Secretaries of the Treasury). Gli uomini politici naturalmente mutano ad ogni mutar di ministro. E per provvedere alla tradizione dell'amministrazione vi ha un sottosegretario permanente (Assistant Secretary), che non può essere membro del Parlamento. 300 Dunque, in sintesi e limitandosi a questo livello di analisi, nel Regno Unito, il Cancelliere dello Scacchiere, che corrisponde all'italiano ministro delle Finanze, è uno dei componenti della Commissione del Tesoro, formata da deputati e da un dirigente dell'amministrazione pubblica, esterno al Parlamento, che corrisponde all'italiano Segretario generale. Mentre nel Regno d'Italia, il ministero delle Finanze ha soltanto propri uffici e funzionari ed è vincolato dallo Statuto a ottenere il voto favorevole della Camera dei deputati, prima che la Corona promulghi i Decreti regi finanziari. 300 Vedi Francis Sheppard Thomas, Notes or Materials for the History of Public Departiments, 1846, p. 17, cit. in Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 85. 175 II.2.10. La Monarchia costituzionale del Regno Unito e la Monarchia statutaria italiana Nel 1866, la complessa struttura dei Ministeri del Regno Unito, fa riferimento al Governo, distinto dalla Commissione del Tesoro, o Cabinet, o Privy Council, di cui fanno parte soltanto il Primo Ministro e il Cancelliere dello Scacchiere. Un altro esempio di questa struttura riguarda il Ministry Admiralty, retto da una Commissione formata dal First Lord of the Admiralty, che è anche il ministro, da cinque commissari, due dei quali ammiragli, e da un Secretary of the Admiralty e un Second Secretary: due sotto segretari che si occupano entrambi dell'ordinaria amministrazione. 301 Più in generale, conclude Devincenzi, si tratta allora di applicare la struttura governativa del Regno Unito al Regno d'Italia, a seconda delle specifiche peculiarità operative dei singoli ministeri, responsabilizzando i Ministri e rafforzandone le funzioni statutarie.302 C'è tuttavia da considerare, osservo a mia volta, che nel regno di Sardegna, soltanto Cavour aveva scorporato il ministero della Marina dal ministero della Guerra, avocandolo alla presidenza del Consiglio, prima dell'impresa dei Mille, in considerazione dell'importanza 301 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 86. 302 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, pp. 87-90. Il 17 febbraio 1867, il presidente del Consiglio Ricasoli, che è anche ministro degli Interni e di Grazia e giustizia, nomina Devincenzi ministro dei Lavori pubblici, in sostituzione di Jacini, con Depretis alla Marina e poi alle Finanze, nell'ambito del suo III governo, che il 4 aprile 1867 è però costretto a rassegnare le dimissioni per l'impossibilità di completare la compagine governativa. Devincenzi, nominato senatore il 12 maggio 1868, durante il II governo Menabrea-Cambray Digny, è di nuovo ministro dei Lavori pubblici dal 31 agosto 1871, nel governo Lanza-Sella, in sostituzione di Giuseppe Gadda (1822/1901), nominato a sua volta alto commissario regio straordinario per la città e la provincia di Roma. 176 strategica del Mediterraneo; senza tuttavia avere il tempo necessario per dotarlo della burocrazia necessaria.303 Restando a Devincenzi, è dunque pour cause che la Camera dei deputati lo chiama a fare parte della Commissione dei Quindici, nominata nel febbraio 1866, presieduta da Depretis e formata dal segretario Musolino, dal relatore Correnti e da Cordova, Casaretto, Di Cesare, De Luca, V. Ricci, Rattazzi, Crispi, Lanza, Minghetti, Sella e Mordini, per discutere il progetto di riforma finanziaria presentato da Scialoja. 304 Con quella Commissione parlamentare, la Camera elettiva, come poi il Senato di nomina regia, ispirandosi al modello Westminster e strutturandosi in base ai dispositivi funzionali ereditati dal regno di Sardegna, cercano infatti di adeguare lo Statuto a una realtà linguistica, territoriale e demografica, ormai unificata in uno dei principali Paesi europei, ma ancora tutta da amalgamare. Come le diverse impostazioni giuridiche degli Stati preunitari, ricondotte allo Statuto del 303 Nel Regno di Sardegna, la Marina è pertinenza del ministero della Guerra, sino al 18 marzo 1860, quando Cavour istituisce un ministero autonomo, lo accorpa alla presidenza del Consiglio e ne assume l'interim. Il ministero della Marina ha tuttavia un'amministrazione adeguata soltanto con il nizzardo Augusto Riboty (1816/1888), durante il governo Menabrea II. 304 Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, 4 voll. 1897- 1907, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3, 1902, La Nona Legislatura, Capitolo I – Esito delle Elezioni generali – Segnalati trionfi dell'Opposizione – Prodromi dell'alleanza con la Prussia – Fiacchezza ed esitanza del La Marmora nel conchiuderla – Pessima condizione della finanza – Sospetti vaghi contro l'Amministrazione e proposta d'inchiesta – L'elezione di Mazzini a deputato – Di nuovo l'alleanza prussiana e la guerra – Provvedimenti per la finanza e per le corporazioni religiose – La Commissione dei Quindici – Il corso forzoso – La morte di Brofferio – Ricasoli presidente del Consiglio, pp. 313-363; Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 180. 177 Regno di Sardegna, l'unico a rimanere in vigore dopo il 1849, dal quale è scaturito lo Stato monarchico liberale italiano che Cavour il più grande de' nostri uomini di Stato, tutto distruggendo, e tutto rifacendo ed unificando, ebbe la gloria di costituire in brevissimo tempo, in un regno unico, l'Italia, già per tanti secoli frazionata e divisa, e di darle vita. 305 Da qui, da questa consapevolezza della forzatura che Cavour ha impresso alla storia italiana, la crescente influenza del sistema costituzionale inglese sul nuovo, debole Stato unitario.306 Un influsso che giuristi e uomini politici riconducono al Diritto romano, alle teorie di Giambattista Vico sull'antichissima sapienza italica e alla lezione di Gian Domenico Romagnosi sull'indole e i fattori dell'incivilimento; per sottrarsi alle suggestioni di una tipologia priva dei necessari riscontri fattuali. 307 305 Vedi Devincenzi, Delle commissioni parlamentari d’inchiesta e di alcune altre riforme nel governo, 1866, capitolo VII. Di alcune altre urgenti e radicali riforme nell'alta amministrazione dello Stato, p. 73. Cfr. l'Introduzione di Giuseppe Cacciatore a Villari, Teoria e filosofia della storia, 1854-1903, ed. 1999, pp. 7-23. 306 Per un'analisi del sistema costituzionale inglese, vedi anche David Rowland, English Constitution; with a Review of its Rise, Growth, and Present State, 1859, John Russell, Essay on the History of the English Government and Constitution from the Reign of Henry VII to the Present Time, 1865; Walter Bagehot, The English Constitution, 1867. Una rassegna più recente è in Carl Stephenson e Frederick G. Marcham, Sources of English constitutional history, 1973, tradotto da Giuseppe G. Floridia in Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005. 307 Cfr. Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 12, che paventa il «rischio di dare una lettura “britannica” di vicende istituzionali che, nei fatti, si connotavano piuttosto come forme di evoluzione di un “orléanismo costituzionale” sviluppatosi al di fuori del suo originario contesto francese». 178 II.2.11. Le facoltà ispettive del potere legislativo Avvertito della capacità attrattiva del liberalismo del Regno Unito sulla realtà politica italiana, il moderato milanese Emilio Broglio308 così scrive nel libro Delle forme parlamentari, dedicato a un altro deputato della Destra, Ubaldino Peruzzi, allora presidente della Provincia di Firenze: Nei Paesi dove esiste da secoli, anzi ab immemorabili, un Parlamento, come in Inghilterra, è abbastanza naturale che le regole della sua procedura si sieno venute accumulando a poco a poco, quasi per lenta e lunghissima alluvione: ne' paesi, invece, dove i Parlamenti son nati a un tratto, più o meno improvvisamente, come da noi, gli è troppo chiaro che dovessero pur nascere a un tratto, e insieme con loro, i Regolamenti, tutti d'un pezzo … A quel modo che l'antico Diritto Romano era parte scritto e parte non scritto, o consuetudinario, non altrimenti sono le regole nel Parlamento inglese ... .309 Da questa consapevolezza del sostrato consuetudinario che accomuna l'antico Diritto romano, alla Legge costituzionale inglese, nasce infine la fermezza dei principi e, al tempo 308 Su Emilio Broglio (1814/1892), eletto nel 1861, a Lonato, in provincia di Brescia, v. la voce scritta da Nicola Raponi per il Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XIV, 1972. 309 Vedi Emilio Broglio, Delle forme parlamentari, 1865, pp. 7-9; il deputato lombardo compara poi il sistema costituzionale inglese alle teorie di Pierre-Etienne-Louis Dumont (1759/1829) e di Balbo, esamina i poteri della Corona e del Parlamento, documenta l'autonomia e l'indipendenza della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni ed enfatizza il pragmatismo della Costituzione inglese che ne è alla base, garanzia di libertà politica per tutti. Cfr. Domenico Dominici, Le Commissioni parlamentari inglesi, 1970. 179 stesso, la prudenza dei comportamenti, con cui, morto Cavour e sconfitto Garibaldi, il nazionalismo dinastico di Vittorio Emanuele II e il cosmopolitismo cattolico di Pio IX continuano a fronteggiarsi in una vicenda politica la cui posta è sempre più legata al futuro di Roma. Mentre molti degli altri protagonisti del Risorgimento italiano, dai moderati di Ricasoli e Minghetti e di Sella e Lanza, ai democratici di Mordini e Saffi, continuano a guardare, da punti vista diversi e, per tanti aspetti tra loro antitetici, al Regno Unito, come al Paese delle libertà e dei diritti civili. Consapevoli, altresì, dell'arretratezza, prima di tutto culturale, del popolo italiano, che nel settembre 1866, Pasquale Villari, in un opuscolo pubblicato sul Politecnico, denuncia come la prima e più grave delle cause dell'ingloriosa vittoria nella Terza guerra d'indipendenza. Sino agli anni Ottanta dell'Ottocento, quando la prima serie della Biblioteca di scienze politiche, diretta da Attilio Brunialti310, pubblica i classici libri di Alpheus Todd sul Governo parlamentare e di Erskine May sulla Legge costituzionale in Inghilterra. 311 Tuttavia, anche allora la pervasiva presenza della Chiesa cattolica cattolica, che da secoli monopolizzava il sapere, continua a limitare l'influenza dell'Impero del Regno Unito 310 Attilio Brunialti (1849/1920), giurista e uomo politico vicentino, diresse dal 1884 al 1915, tre fortunate serie della Biblioteca di scienze politiche. Vedi le voci di Giuliana D'Amelio, nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XIV, 1972, pp. 636-638, e di Franco Pierandrei, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. III, 1967, p. 488. 311 Vedi Alpheus Todd (1821/1884), Il Governo parlamentare in Inghilterra. Sua origi- ne, svolgimento ed azione pratica, ed. or. 1867-1869, Prefazione di Brunialti: Il Governo parlamentare in Inghilterra e in Italia, I serie, volume 3, 1886, pp. III-C, 1-1342; Erskine May, Trattato sulle leggi, privilegi, procedure e consuetudini del Parlamento inglese, I ed. 1844, traduzione della IX edizione 1883, Prefazione di Attilio Brunialti, I serie, volume 4, parte I, 1888, pp. CCCXII-869. Nel 1880, Todd aveva tuttavia già pubblicato On Parliamentary Government in the British Colonies, mentre la IX edizione del Treatise upon the Law di Erskine May era stata a sua volta pubblicata nelle ex colonie britanniche, a partire dagli Stati Uniti d'America. 180 sul debole Stato italiano. Per motivare piuttosto, le nuove élite unitarie a operare, con modi e tempi propri, la lenta e graduale trasformazione dell'Italia agricola, in Paese industriale e da Monarchia rappresentativa 312, in Monarchia parlamentare; sempre, o quasi sempre, entro i limiti della legalità statutaria. Subendo cioè, o addirittura assecondando, il militarismo personalistico dei Savoia, con modalità autoritarie, seppure più sfumate di quelle che Napoleone III e Guglielmo I, con Bismarck, impongono ai Parlamenti della Francia e della Germania coloniali, e che la regina Vittoria concorda con il «Governo parlamentare» del Regno Unito. La Monarchia liberale italiana riconosce l'importanza del Parlamento, delle forze politiche e dell'opinione pubblica e usa infatti la leva monetaria e fiscale per finanziare la Terza guerra d'indipendenza e limitare il deficit dello Stato, che alla fine del 1866 è ormai pari a 721 milioni di lire, ma usa la repressione e i Tribunali militari di guerra, per pacificare il Paese e, soprattutto, costringe la libertà di associazione, di stampa e di voto entro criteri di censo, di istruzione e di genere ancora assai ristretti. Limitando le stesse facoltà ispettive della Camera dei deputati. La comparazione tra la Commissione parlamentare d'inchiesta della Camera dei deputati sul brigantaggio e le Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera dei Comuni fa emergere dunque la contraddizione tra procedure formali liberali e disposizioni esecutive repressive, che accomuna la Monarchia rappresentativa italiana e la Monarchia parlamentare del Regno Unito; senza per questo attenuare insopprimibili differenze. 313 Su 312 Sui limiti timocratici della Monarchia italiana, vedi «[...] l'elettore più ricco è meno corruttibile, più indipendente, più colto [ed essendo] indestruttibilmente connessi i veri interessi dei ricchi e dei poveri […] chi ben promuove gli uni, promuove gli altri», Cesare Balbo, Della Monarchia rappresentativa in Italia, 1857, pp. 268-269; Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002, p. 85 e n. 16. 313 Sull'influenza che il nation building britannico esercita sul Risorgimento italiano, vedi Roberto Romani, Romagnosi, Messedaglia, la “scuola lombardo-veneta”: la 181 tutte, quella tra lo Stato del Regno Unito, che esclude dal trono «qualsiasi persona che si sia riconciliata o che si dovesse riconciliare o tenere in comunione con la Sede o la Chiesa di Roma o che dovesse professare la religione papista o sposare un papista» 314 e lo Stato italiano, che considera la «Religione Cattolica Apostolica e Romana … la sola Religione dello Stato»315. Nell'Italia monarchica e liberale degli anni Sessanta dell'Ottocento, ciò sedimenta una maggiore subordinazione del potere legislativo al potere esecutivo, bilanciata soltanto in parte da uso più ampio, ma meglio regolamentato, delle facoltà ispettive della Camera dei deputati che, a partire dal 24 novembre 1868, temperano e migliorano l'efficienza dell'intero sistema parlamentare. Mentre la Corona e il Parlamento unificano la moneta nazionale, contengono la spesa pubblica e inaspriscono il prelievo fiscale.316 Per finanziare gli investimenti infrastrutturali. costruzione di un sapere sociale, in Camurri, La scienza moderata. Fedele Lampertico e l’Italia liberale, 1992, pp. 177-210; Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, in particolare il capitolo VI, La serie padovana del “Giornale degli economisti”, 2011, pp. 191-213. 314 Vedi il Bill dei diritti del 13 febbraio 1689, articolo IX, Floridia, Orrù, Sciannella e Ciammariconi, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005, pp. 58-59. 315 Vedi lo Statuto del Regno di Sardegna, art. 1, Floridia, Orrù, Sciannella e Ciammari- coni, a cura di, Lex facit regem, rex facit legem Antologia di documenti di Storia costituzionale, 2005, p. 352. 316 Cfr. Marongiu, Storia del fisco in Italia I. La politica fiscale della Destra storica (1861-1876), 1995, p. 186. 182 183 Parte III. Inizia la limitazione del corso forzoso 184 185 Parte III. Inizia la limitazione del corso forzoso III.1. La nomina e i lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta III.1.1. «… e il credito di una gran nazione fu salvo» Building the nation, Vittorio Emanuele II affida il ministero delle Finanze di volta, in volta, a uomini come Minghetti, Scialoja e Sella, molto diversi tra loro, per temperamento, capacità e formazione. Chiedendo al Parlamento l'approvazione della politica finanziaria, come previsto dallo Statuto, ma continuando a determinarla. Attribuisco perciò particolare rilievo a un amico personale di Farini, un uomo di minore spicco, ma di grande concretezza: l'avvocato cesenate Gaspare Finali.317 È questi uno degli animatori della Società Nazionale su cui Cavour ha fatto leva per la svolta dell'aprile 1856 e che Minghetti ha valorizzato sin dall'agosto 1859.318 Dapprima quale segretario particolare del 317 Gaspare Finali (1829/1914), è segretario generale alle Finanze, dall'agosto 1865, al dicembre 1869, nei ministeri Sella, Depretis, Rattazzi e Cambray-Digny; tranne che durante il ministero Ferrara, quando Rattazzi lo sostituisce con Costantino Perazzi (1832/1896), su proposta di Sella, e lo nomina direttore generale delle Tasse e del Demanio. Deputato di Belluno, dal 17 maggio 1868, al 21 dicembre 1869, Finali è poi consigliere della Corte dei conti. Suoi gli otto quaderni di Memorie, 1902-1912, conservati, trascritti e arricchiti dal figliastro Ezio Agnolozzi, con introduzione e note di Giovanni Maioli, 1955. Cfr. la voce di Elisabetta Orsolini, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XLVIII, 1997, pp. 14-17; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, ad indicem; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999, ad indicem. 318 Con la svolta dell'aprile 1856, Cavour «mirava a far scaturire lo scioglimento della questione italiana dai contrasti d'interessi e di principi che dividevano l'Europa ufficiale [… con un] programma di collaborazione fra movimento nazionale e monarchia [che] raccolse adesioni significative anche se non sempre stabili in varie regioni della penisola, fra delusi del mazzinianesimo e patrioti in cerca di punti di riferimento: da Mauro Macchi [1818/1880] a Gaspare Finali a Enrico Cosenz [1820/1898] a Giuseppe La Farina allo stesso Garibaldi», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 340-341. 186 governatore delle Romagne, Leonetto Cipriani e, in seguito, come segretario della «Commissione temporanea di legislazione presso il Consiglio di Stato». Questa Commissione aveva il compito, attribuitole dalla Legge del 24 giugno 1860, di suddividere il Regno in regioni autonome, ma era rimasta senza seguito. Come i progetti di decentramento regionale. Dopo l'unificazione nazionale, Finali è allora assunto quale funzionario del ministero dell'Interno. Provvede quindi, nel 1864, a far riscuotere con un anno di anticipo il conguaglio dell'imposta fondiaria; si occupa, dall'agosto 1865, come segretario generale delle Finanze, delle tasse sui fabbricati, sulla ricchezza mobile e sui consumi ed è, dal 17 febbraio 1867, direttore generale delle Tasse e del Demanio. Nonostante il suo impegno, le risorse economiche reperite risultano tuttavia insufficienti a finanziare le industrie nazionali, in particolare tessili, che pure il corso forzoso promulgato il 1° maggio 1866, con il Regio decreto n. 2873, protegge, almeno in parte, dalla concorrenza straniera, determinando una significativa differenza tra prezzi interni ed esteri. Né il II governo Ricasoli riesce a ottenere altre risorse con la liquidazione del patrimonio ecclesiastico, che nell'immediato si rivela più dispendiosa che vantaggiosa. Anzi, è proprio sull'impostazione, giurisdizionale o separatista, delle relazioni tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che si consumano la crisi e la caduta del governo e la sua sconfitta nelle elezioni politiche del 10 marzo 1867. Da lì, il terzo incarico che Vittorio Emanuele II assegna a Ricasoli, senza successo, per gli opposti veti della Destra e della Sinistra. Da lì, la nomina del II governo Rattazzi e la bocciatura parlamentare dell'inchiesta sulla corruzione elettorale proposta da Crispi. È in quell'occasione che – ancora una volta un moderato, in questo caso il pugliese Carlo De Cesare319, facente funzione di segretario generale del ministero di Agricoltura, 319 Carlo De Cesare (1824/1882), capo del partito liberale a Spinazzola, in Puglia, aveva stretto amicizia con il neoguelfo Manna a Napoli e, nel 1860, era stato segretario generale 187 Industria e Commercio, tra i più stretti collaboratori dell'ex ministro delle Finanze, Scialoja – indica ancora una volta all'opinione pubblica italiana, l'Inghilterra, quale esempio di tutte le nazioni progredite; in questi termini: [...] ai tempi di Pitt il contrabbando avea ridotte l'entrate doganali al disotto delle spese; l'agricoltura era languente, il commercio diminuito, le manifatture grandemente ristrette, la produzione in generale scemata di gran lunga. [...] Dei 351 milioni di debito galleggiante Pitt ne consolidò 150; e poi ricorse per ripianare il deficit ad una gragnuola d'imposte quali non si videro mai. [...] E nel proporre tutte queste nuove tasse, ei disse ai signori deputati col linguaggio il più modesto ed il più fermo: «penoso che sia che il mio compito, io non posso rinunziarvi; io mi affido al buon senso ed al patriottismo del popolo inglese.» L'inglese si lamentò, gridò al tiranno, ma pagò; e il credito di una gran nazione fu salvo. 320 De Cesare rivolge dunque ai regnicoli l'esortazione a pagare le tasse, indicando l'esempio del popolo inglese durante il governo Tory di William Pitt il giovane. Il suo invito rimane tuttavia senza seguito, per il precipitare della crisi politica. Rattazzi cade, del ministero delle Finanze, durante il breve regno di Francesco II (1836/1894, re delle Due Sicilie dal 22 maggio 1859, al 13 febbraio 1861). Conservato l'incarico di segretario generale delle Finanze, durante la dittatura di Garibaldi, De Cesare cementa il legame con Scialoja, ne condivide la fede liberista e ne diventa collaboratore e biografo. Eletto deputato e relatore della Commissione dei Quindici della Camera dei deputati, presieduta da Depretis, sugli aspetti amministrativi del progetto di riforma finanziaria, nel novembre 1866, De Cesare si dimette da deputato, per diventare segretario generale del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Vedi la voce di Alessandro Polsi, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIII, 1987, pp. 506-511. 320 Carlo De Cesare, La finanza italiana nel 1867, 1867, pp. 31-33. 188 infatti, a causa dei contrasti tra Vittorio Emanuele II e la Camera dei deputati, che ne critica la segreta connivenza con Garibaldi. III.2.2. Menabrea, Cambray Digny e il disavanzo finanziario nel gennaio 1868 Il 27 ottobre 1867 Vittorio Emanuele II nomina presidente del Consiglio il generale Menabrea, da sempre legato al partito di corte, professore di Scienza delle costruzioni all'Università di Torino dal 1846, deputato dal 1848 e senatore del Regno d'Italia dal 29 febbraio 1860. Pochi giorni dopo Garibaldi è sconfitto a Mentana, arrestato dalle truppe regie e inviato a Caprera, mentre il corso forzoso continua senza alcuna limitazione e la Camera dei deputati elegge presidente il monferrino Lanza, della Permanente. 321 È questi l'uomo politico di Casale Monferrato, che aveva già ricoperto quel ruolo con Cavour, durante la difficile fase dell'unificazione nazionale, subentra al fiorentino Mari 322, della Consorteria, dimessosi dopo essere stato nominato Guardasigilli nel I governo Menabrea; un incarico che comporta la firma del mandato di arresto di Garibaldi, costretto poi a tornare a Caprera. Alla Consorteria appartiene d'altra parte anche il ministro delle Finanze, Cambray Digny, ultimo gonfaloniere di Firenze con i Lorena, e senatore dal 29 febbraio 1860, grazie alla stessa infornata, di cui beneficia Menabrea, con cui Vittorio Emanuele II consolida l'asse politico amministrativo tra Torino e Firenze anche senza 321 Il 16 dicembre 1867, la Camera dei deputati ha eletto Lanza presidente. 322 Adriano Mari (1813/1887), laureatosi in Giurisprudenza a Pisa, esercita l'avvocatura ed è deputato già nel Parlamento del Granducato di Toscana. Presidente della Camera dei deputati nella IX legislatura, dal 25 novembre 1865, al 13 febbraio 1867, e nella X legislatura, dal 22 marzo 1867, al 27 ottobre 1867, Mari è Guardasigilli nel I governo Menabrea, dal 27 ottobre, al 22 dicembre 1867, e poi ancora presidente della Camera dei deputati, dal 25 novembre 1868, al 14 agosto 1869. Cfr. Marino Mari, L'arresto di Garibaldi e il ministero Menabrea, 1913. 189 Ricasoli. Dopo il trasferimento della capitale, Vittorio Emanuele II nomina poi Cambray Digny primo sindaco di Firenze.323 Secondo la ricostruzione di Crispi, ben presto, però, il senatore Menabrea, per la prima volta presidente del Consiglio volle il 22 dicembre 1867 che la Camera si dividesse in due campi; e quando gli antichi amici miei, che formano ora il terzo partito, gli presentarono una tavola di salute, sulla quale avrebbe potuto incamminarsi per trovare una maggioranza, l’onorevole Menabrea respinse qualunque transazione, e richiese nettamente un sì od un no. Egli non fu fortunato: il no superò il sì. Colpiti da quella sentenza, senza necessità di analizzare le singole opinioni che la profferirono, quale doveva essere il dovere di uomini i quali invitati dalla Corona a ripresentarsi in Parlamento sapevano che fossero 201 i loro avversari? Non altro se non che preparare la Camera a metterli sulla via legale affinché potessero consigliare il Re di voler fare un appello al paese.324 Dunque, una composita alleanza parlamentare, per di più priva di un programma comune, formata dai 201 voti della Sinistra e del Terzo partito, contro i 199 favorevoli della Destra, ma con 8 astenuti e 35 assenti, ha bocciato la reticente relazione Menabrea su 323 Cfr. «Il problema finanziario fu al centro dell'attività politica durante il secondo ministero Menabrea. L'opera di Cambray Digny, per quanto poco originale perché ispirata in gran parte a progetti e a criteri già enunciati dai suoi predecessori, fu però molto vasta, anche per la lunga permanenza dell'uomo politico fiorentino al ministero delle finanze, ed ebbe molte e importanti ripercussioni politiche, economiche e sociali», Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, p. 337. 324 Atti Parlamentari, Camera, Discussioni, intervento di Francesco Crispi, tornata del 28 gennaio, 1868, IV, p. 3800. Confronta Menabrea, 1971, p. XXXVI e n. 32. 190 Roma capitale, costringendolo a rassegnare le dimissioni. Il 5 gennaio 1868, Vittorio Emanuele II lo incarica tuttavia di formare un II governo; così, è proprio Cambray Digny, confermato ministro delle Finanze, a informare gli onorevoli colleghi sulla gravità del disavanzo corrente dello Stato. Come ha scritto il napoletano Bonghi, rieletto deputato della X legislatura nelle file della Destra, ad Agnone, in provincia di Isernia: Il Ministro, di fatti, ha detto il 20 gennaio di quest'anno, e s'è tutt'altro che disdetto poi, che per la fine del 1868 il Tesoro si troverà mancare di 193 milioni circa, quando però si contenti d'un fondo di cassa non superiore a 60 milioni; trovi modo di tenere in giro 250 milioni di boni suoi; e alla Banca non si paghi nessuna parte dei 387 che le deve lo Stato; e finalmente s'incassi sulla vendita dei beni ecclesiastici 46 milioni durante l'anno.325 Nello stesso discorso del 20 gennaio 1868, di cui Bonghi scrive in questa, che è la terza delle sue undici lettere al piemontese Giuseppe Saracco, allora deputato dell'opposizione di Sinistra, Cambray Digny preannuncia poi la crescita del deficit annuo a 240 milioni e propone alcune misure di risanamento fiscale, prospettate già in parte da Sella, sin dal I governo Rattazzi; applicate però a interessi economici che facevano in prevalenza riferimento alla Toscana.326 Tra queste, la vendita dei beni ecclesiastici; una forma di 325 Vedi Ruggiero Bonghi, Storia della finanza italiana dal 1864 al 1868. Lettere al Comm. Giuseppe Saracco, Lettera III, Le Penurie del Tesoro persistono, 1868, pp. 27-28. 326 Cfr. «Nel programma finanziario esposto [...] alla Camera il 20 gennaio 1868, il Cambray Digny riteneva necessario, più che far fronte alla situazione del Tesoro, mirare al definitivo risanamento del credito pubblico mediante una radicale riduzione del disavanzo alla quale avrebbe tenuto seguito l'abolizione del corso forzoso. Con questo obiettivo, gli pareva innanzi tutto inevitabile ricorrere a nuovi tributi, e in particolare all'impopolare 191 politica finanziaria che, lo sottolineo ancora una volta, si rivela tuttavia più dispendiosa, che vantaggiosa. Sistematizzando, Vittorio Emanuele II scioglie prima della scadenza prefissata, anche la Camera dei deputati della X Legislatura, che dura dal 22 marzo 1867, al 2 novembre 1870, quindi più a lungo della IX Legislatura. Questo quadro politico-istituzionale è caratterizzato dalla caduta del II governo Rattazzi e, al di là della ristretta cerchia del partito di Corte, dal prevalere della destra conservatrice, sul centro-sinistro. 327 In particolare, tra i duecentosettantanove deputati della Destra, la Consorteria ha la meglio sulla Permanente, mentre nell'ambito dell'opposizione di Sinistra, formata da centottantuno deputati, l'ormai definitiva sconfitta militare di Garibaldi indebolisce i democratici e i venti deputati del Terzo partito dell'ex garibaldino Antonio Mordini, mutano collocazione a seconda delle convenienze politiche, come i deputati che rappresentano realtà locali. III.1.3. L’ordine del giorno Corsi, A. Rossi, sulla necessità di abolire il corso forzoso Durante il II governo Menabrea, la crisi finanziaria e, soprattutto, i fenomeni speculativi legati al corso forzoso, continuano a destare forti preoccupazioni nel Paese e nell'opinione pubblica. Interpretando questo disagio, meno di due mesi dopo il discorso del ministro delle Finanze Cambray Digny, sul disavanzo corrente dello Stato, il 10 marzo 1868, nel corso della II sessione della X legislatura, due deputati, il livornese Tommaso Corsi, tassa sulla macinazione dei cereali che, già proposta da Q. Sella ed ora di fronte alle Camere in un nuovo disegno di F. Ferrara, il C. condusse in porto attraverso una lunga e accesa discussione parlamentare svoltasi tra il marzo e l'aprile», Romanelli, Cambray Digny, Luigi Guglielmo, de, Dizionario biografico degli italiani, vol. XVII, 1974, p. 155. 327 Cinque le sessioni della X legislatura: la I, dal 22 marzo, al 27 ottobre 1867; la II, dal 16 dicembre 1867, all’8 agosto 1868; la III, dal 25 novembre 1868, al 14 agosto 1869; la IV, dal 18 novembre, al 15 dicembre 1869; la V, dal 12 marzo 1870, al 2 novembre 1870. 192 consorte, ma soprattutto ex prefetto, e lo scledense Alessandro Rossi, imprenditore tessile di orientamento filo ministeriale, presentano il seguente ordine del giorno: […] la Camera confida che il ministero, preoccupandosi della necessità di togliere dal paese il corso forzato dei biglietti di banca, presenterà cogli altri provvedimenti finanziari diretti a restaurare le condizioni del bilancio, e come loro complemento indispensabile, un progetto di legge per procurare all'erario i mezzi necessari a pagare il debito verso la banca, ed a togliere il corso coatto. Intanto nomina una Commissione di sette membri perché prenda cognizione dello stato generale della circolazione cartacea; dei rapporti degli istituti di emissione col Governo e con le pubbliche amministrazioni, e degli altri fatti che stimerà opportuni al doppio scopo della riduzione interinale e della cessazione definitiva del corso forzoso, e riferisca alla Camera entro il 15 aprile prossimo. 328 Dunque, la Camera dei deputati nomina la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso329, ventidue mesi dopo il Regio decreto n. 2873, recependo, almeno in parte, 328 Vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera regia (1862-1874), Quaderni dell’Archivio storico della Camera dei deputati, 1994, p. 32; Arbib, Cinquant’anni di storia parlamentare del regno d’Italia, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3°, La Nona Legislatura, Sessione 1a dal 18 novembre al 30 ottobre 1866, 1902, p. 203. 329 Nei cinque anni che intercorrono tra la Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio e la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Camera dei deputati nomina altre sette Commissioni parlamentari d'inchiesta: 1) l'11 maggio 1863, sulle condizioni della Marina militare e mercantile; 2) il 21 maggio 1864, sulla Società delle ferrovie meridionali; 3) il 24 ottobre 1864, sulla strage di Torino; 4) l'1 marzo 1866, 193 il metodo prospettato dalle Norme di procedura della Camera dei Comuni. A differenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, che era stata proposta dal presidente della Camera, la Commissione sul corso forzoso è infatti proposta da due deputati. Il loro ordine del giorno intende: 1) accertare le eventuali responsabilità di Scialoja, ministro delle Finanze nel II governo La Marmora e nel II governo Ricasoli; 2) ridurre il corso forzoso; 3) ristabilire il corso legale. Il che significa tra l'altro risanare il debito contratto nel 1866 con la Banca Nazionale Sarda. Il primo dei due firmatari di questo ordine del giorno, il livornese Tommaso Corsi330, ha contribuito al consolidamento dell'unificazione nazionale, in ragione della sua formazione giuridica; svolgendo funzioni amministrative, da confrontare a quelle finanziarie del cesenate Finali.331 Ne richiamo perciò in breve il profilo biografico. sull'andamento dell'amministrazione delle Finanze, dal 1859, al 1865; 5) il 29 gennaio 1867, sulle condizioni morali ed economiche della provincia di Palermo; 6) il 27 luglio 1867, sulla costruzione del carcere giudiziario di Sassari; 7) il 20 dicembre 1867, sulla fuga del generale Garibaldi da Caprera. Vedi Crocella, “Le inchieste parlamentari dell’Ottocento”, in Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. XXVIII-XIX e relative note. 330 Su Tommaso Corsi, vedi anche la voce di Corradi, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. V, 1967, p. 508. 331 Nel gruppo dirigente del moderatismo toscano, dopo l'unificazione nazionale: «dimi- nuivano gradualmente i nobili e crescevano i borghesi, per lo più avvocati, delle maggiori città toscane e in primo luogo della città capitale, Firenze, e prendevano un posto di rilievo sempre maggiore i banchieri, gli uomini della finanza, gli azionisti di quelle grandi compagnie ferroviarie che assumevano una posizione di primo piano nella direzione e nello sviluppo del nascente capitalismo italiano», Ragionieri, I moderati toscani e la classe dirigente italiana negli anni di Firenze capitale, 1965, in Id., Politica e amministrazione nella sto- 194 Rimasto orfano di padre, di professione commerciante, Corsi è stato incoraggiato dalla madre a proseguire gli studi, si è trasferito a Pisa e si è laureato in giurisprudenza, specializzandosi nelle vertenze commerciali. Gli è compagno e fraterno amico, Mari, di un anno più grande. Nel 1848, l'avvocato toscano è tra i collaboratori dell’Inflessibile, il giornale con cui Francesco Domenico Guerrazzi dà voce all’opposizione democratica contro il governo del moderato Cosimo Ridolfi, dopo che il granduca di Lorena, Leopoldo II, ha concesso lo Statuto del Granducato di Toscana. 332 Corsi rifugge tuttavia da ogni tentazione estremista e prende le distanze da Guerrazzi, che pure difende, nel celebre processo di lesa maestà, iniziato nell'agosto 1853, quando l'ex dittatore fiorentino è avversato da Cambray Digny. Nel 1849, Corsi aveva altresì criticato i Lorena che, restaurato il loro potere e abrogato lo Statuto del Granducato di Toscana, avevano costretto Ridolfi a riparare esule a La Spezia e a ritirarsi nella sua tenuta agricola di Meleto, in provincia di Siena, emblema della riforma agraria in Toscana. 333 Soltanto alla vigilia della Seconda guerra d'indipendenza, tornato alla vita politica ria dell’Italia unita, 1967, p. 138. 332 Questi alcuni passi del preambolo del Granducato di Toscana: «Il compiuto sistema di governo rappresentativo che Noi veniamo in questo giorno a fondare, è prova della fiducia da Noi posta nel senno e nella compiuta maturità dei Popoli Nostri a dividere con Noi il peso di quei doveri, dei quali possiamo con intiera sicurezza confidare che sia tanto vivo il sentimento nel cuore de' Nostri popoli, quanto è e fu sempre nella coscienza del loro principe e padre./ Questo preghiamo da Dio, rafforzando la preghiera Nostra di quella benedizione che il Pontefice della Cristianità, spandeva poc'anzi sull'Italia tutta e nella fiducia del Nostro voto promulghiamo il seguente statuto fondamentale, col quale veniamo a dare nuova forma al governo dello Stato ed a formare la sorte della diletta nostra Toscana». Vedi Le Costituzioni italiane, 1797-1948, a cura di Alberto Aquarone, Mario d'Addio, Guglielmo Negri, 1958. 333 Su Cosimo Ridolfi (1794/1865), vedi Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. III, La Proprietà, 1876, pp. 116-117. 195 Ridolfi e votata la decadenza della dinastia lorenese, Corsi si avvicina alla Società nazionale ed è nominato prefetto di Firenze da Ricasoli, il cui governo provvisorio prepara l’annessione del granducato di Toscana al regno d’Italia. Deputato e ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel governo Cavour, dal 23 marzo, al 6 giugno 1861, lo stesso Corsi è tra i nove componenti della Commissione della Camera dei deputati che, durante il I governo Rattazzi, redige la Legge di unificazione monetaria voluta da Sella e firmata dal ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, Pepoli. Poi, nel novembre 1862, proprio Corsi è il primo firmatario della legge che istituisce le Camere di commercio. Questi enti di natura privata, periferici, ma connessi all'amministrazione centrale, hanno competenza provinciale e sede nei capoluoghi. Da essi dipende la raccolta delle informazioni sui mercati, le arti e le manifatture, l'elaborazione delle proposte funzionali a migliorare queste attività e l'istituzione e il mantenimento delle scuole per l'insegnamento delle relative scienze applicate. Alle Camere di commercio, la cui autonomia finanziaria, garantita dalle rendite iniziali e dai diritti su certificati, atti, tasse, polizze, noleggi ecc. comporta differenze economiche, talvolta notevoli, si rivolge d'altra parte la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, per sviluppare la sua inchiesta. Enfatizzo perciò i rapporti professionali di Corsi, che le ha ideate e istituite, con Ricasoli; fondati su progetti di forte centralizzazione politica e di moderato decentramento amministrativo e sulla concessione di ampi poteri discrezionali ai Prefetti e agli altri organi esecutivi del regno d’Italia; secondo il modello napoleonico adottato già da Rattazzi con la legge del 23 ottobre 1859.334 334 Sul decentramento amministrativo nel Regno d’Italia, compara il par. 7. del cap. VIII «Larghe e forti istituzioni rappresentative?» di Martucci, L’invenzione dell’Italia unita, 1999, e il par. 2.4. del cap. II. Lo Stato unitario. La politica si “amministrativizza”, La 196 Alessandro Rossi335 è invece proprietario dell’industria tessile fondata dal padre, occupata da facinorosi e costretta a chiudere durante i moti del 1849, ma rilanciata nel 1859. Attraverso investimenti e innovazioni tecniche che ne hanno incrementato la capacità produttiva, ne hanno potenziato gli impianti e hanno permesso di costruirne di nuovi, sino a trasformarla in una delle maggiori industrie italiane. La sua vicenda politica, che si svolge negli anni successivi, si dipana nel collegio di Schio, dove è eletto deputato nella IX legislatura, dopo il plebiscito di annessione del Veneto. Sua, nel 1867, la relazione alla Camera di Commercio di Vicenza: Corso forzato dei biglietti di banca.336 III.1.4. La presidenza Cordova: i questionari Approvando l'ordine del giorno Corsi, Rossi, la Camera dei deputati nomina la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso, che è composta di sette deputati: costruzione dello Stato unitario, di Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, 2009. Cfr. Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, pp. 137-156; Ragionieri, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1961, ed. 1967, pp. 80-90. 335 Su Alessandro Rossi (1819/1898), cfr. Giovanni L. Fontana, a cura di, Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo Ottocento, I vol. 1985 e 1986, Lucio Avagliano, Alessandro Rossi. Fondare l’Italia industriale, 1998; Silvio Lanaro, Mercantilismo agrario e formazione del capitale nel pensiero di Alessandro Rossi, in Quaderni storici, 16, a. IV, fasc. I, 1971, pp. 48-156. 336 A. Rossi è nominato senatore il 6 febbraio 1870, durante il governo Lanza, per la ventunesima categoria (formata dai proprietari che da tre anni pagavano tremila lire d’imposizione diretta in ragione dei loro beni o della loro industria) e convalidato il 17 marzo 1870. In seguito, A. Rossi è tra l’altro sostenitore delle tesi protezioniste che, in aspra polemica con il liberismo radicale di F. Ferrara e con il liberismo moderato di Lampertico, animano la scena economica e politica italiana, sino alla moderata tariffa doganale che il Parlamento approva nel dicembre 1878, su proposta di Luzzatti. 197 cinque della Destra, Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Sella, e due della Sinistra, Lualdi e Seismit-Doda. A differenza sia della Commissione sul brigantaggio, che era formata di nove deputati, sei della Sinistra, a iniziare dal presidente Sirtori, e tre della Destra, sia dei Comitati scelti, composti al massimo di quindici deputati, secondo le Norme di procedura della Camera dei Comuni. Con l'immediata elezione di Cordova337 a presidente, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso valorizza poi un uomo assai differente dal presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, Sirtori, per storia e collocazione politica.338 A differenza del rivoluzionario comasco, poi conquistato dalla monarchia, Cordova aveva infatti svolto compiti di governo sin dal 1848, in Sicilia, quale ministro delle Finanze nel governo del marchese Vincenzo Fardella di Torrearsa 339, costretto all’esilio dai Borbone, ma di nuovo presidente del Consiglio nella Sicilia di Garibaldi. 337 Cordova, nato ad Aidone, da Francesco e Giuseppa, entrambi discendenti dal nobile catalano Pedro de Cordova y Aguilar, era stato eletto deputato delle circoscrizioni di Caltagirone e di Caltanissetta, vedi le voci, redazionale, per il Grande dizionario enciclopedico, vol. V, 1967, pp. 449-450, e di Monsagrati, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, pp. 30-35. 338 Vedi: «Non tardò la Commissione a costituirsi, eleggendo a suo Presidente il deputa- to Cordova e chiamando a fungere da Segretario il cavaliere Giuseppe Fiorio, capo-sezione dirigente la divisione prima delle finanze presso la Corte dei Conti, della cui attività e intel ligenza la Commissione non ebbe che a lodarsi altamente in tutto il corso dell'arduo lavoro», CD1800000271, Avvertenza, p. 5. 339 Nel 1848, a Palermo, Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa (1808/1889), è presi- dente del comitato delle Finanze nel governo provvisorio siciliano, presidente della Camera dei Comuni e, dall'agosto 1848, al febbraio 1849, capo del governo e ministro degli Esteri e del Commercio. Dopo aver riconquistato la Sicilia, Ferdinando II di Borbone lo esclude dall'amnistia, costringendolo a emigrare in Piemonte; sino al 1860. Tornato a Palermo, l'aristocratico siciliano è in seguito presidente del Consiglio di Luogotenenza, con il deputato della Destra La Farina, senatore e, dal 1870 al 1874, presidente del Senato. 198 Emigrato a sua volta a Torino, dove aveva diretto Il Risorgimento di Cavour, Cordova era poi stato ministro, dell'Agricoltura con Ricasoli, della Giustizia con Rattazzi e ancora dell'Agricoltura con Ricasoli, quando aveva nominato Scialoja, segretario generale del Ministero, diventando «grande avversario dei progetti di legge del Minghetti».340 La decisione di affidargli la presidenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, ne valorizza dunque la competenza, il realismo e la fedeltà ai Savoia; criteri validi a maggior ragione se si considera che alcuni deputati avevano accusato Scialoja di aver favorito la Banca Nazionale. Sulla scelta di Cordova è del resto probabile che abbia influito il consorte Cambray Digny, ministro delle Finanze del presidente del Consiglio Menabrea, legato invece al partito di Corte, privo di propri rappresentanti nella Commissione; a meno di non voler considerare tale, proprio Sella, che aveva tuttavia una forte personalità, assai spigolosa. Difficile, dunque, da avvicinare, anche per il Re. Nominato presidente, pur considerando il mandato ricevuto dalla Camera, che lo ha impegnato a riferire in Parlamento, entro trentacinque giorni, Cordova dispone l'immediato invio di sette differenti questionari ai seguenti interlocutori: A) gli Istituti di credito e circolazione; B) la Banca Nazionale; C) gli Istituti di credito; D) le Camere di commercio341; E) i Prefetti, sottoprefetti, commercianti, banchieri, imprenditori e personalità del mondo della scienza e degli affari; F) il Ministero delle Finanze e altri Ministeri; G) la Società di Ferrovie e altre Società. 340 Vedi il saggio di Ragionieri, Accentramento e autonomie nella storia dell'Italia unita, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 149-192. 341 Il progetto di legge istitutivo delle Camere di commercio, che Corsi aveva iniziato a elaborare quale ministro dell’Agricoltura e commercio nel Regno di Sardegna, durante il III governo Cavour, era stato approvato dalla Camera dei deputati nel novembre 1862, su proposta del I governo Rattazzi, fondato sull'alleanza tra la fazione della Destra piemontese fedele al Re, con Sella alle Finanze, e la Sinistra garibaldina. 199 Dalle risposte a questi sette questionari, che hanno soltanto alcuni punti in comune tra loro, emergono le analogie e le differenze dei diversi interlocutori. 342 Un'altra comparazione potrebbe inoltre essere fatta con le domande indirizzate a molti municipi e prefetture dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio; ciò permetterebbe di verificare su quale livello di collaborazione, periferica e centrale, hanno fatto affidamento le due rispettive Commissioni parlamentari d'inchiesta. Di più, il confronto potrebbe riguardare anche le domande del Select Committee della Camera dei Comuni sulla Banca d'Inghilterra nel 1810, ma ciò comporterebbe un'analisi dei diversi legami amministrativi tra centro e periferia, nel Regno Unito e nel Regno d'Italia. Quella che comunque emerge dalla disamina degli Atti è la diversità tra la sede delle audizioni e i viaggi delle due Commissioni parlamentari d'inchiesta sul brigantaggio e sul corso forzoso. Questa differenza si aggiunge al numero dei proponenti (due deputati, invece del presidente della Camera) e dei componenti (sette, invece di nove), e ai rapporti di forza tra Destra e Sinistra (cinque a due, invece di tre a sei). In concreto, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso si riunisce dal 28 marzo, al 9 maggio 1868, a Firenze, invece che a Torino, e viaggia a Torino, Genova, Milano, Venezia e Napoli, invece di spostarsi da Torino, nelle principali città meridionali.343 Visitando le più importanti città italiane, la Commissione tralascia però la Sicilia, dove era già stata la 342 Questi i sette questionari pubblicati nel III volume degli Atti: modulo A, diciannove quesiti agli Istituti di credito e circolazione, pp. 1-2; modulo B, trenta quesiti speciali alla Banca Nazionale, pp. 3-5; modulo C: venti quesiti agli Istituti di credito (e non di circolazione), pp. 6-7; modulo D: quindici quesiti alle Camere di Commercio del Regno, p. 8; modulo E, ventiquattro quesiti a privati, pp. 9-10; modulo F, sedici quesiti al Ministero delle Finanze e ad altri Ministeri, pp. 11-12; modulo G, cinque quesiti alle Società di Ferrovie e ad altre, p. 13, vedi CD1800000273. 343 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, Avvertenza prelimina- re, 1868, ora anche CD1800000271, p. 5. 200 precedente Commissione sulle condizioni morali ed economiche della provincia di Palermo344, a sua volta nominata per fare piena luce sulla rivolta del «sette e mezzo», scoppiata il 16 settembre e stroncata nel sangue, il 22 settembre 1866, dalla durissima repressione delle truppe agli ordini del generale R. Cadorna.345 III.1.5. La presidenza Cordova: le audizioni La Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso svolge le sue audizioni, stenografate e pubblicate negli Atti, a porte chiuse; come la Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio, ma a differenza delle Commissioni parlamentari d'inchiesta del Regno Unito, descritte da Erskine May. In Italia, le audizioni si svolgono infatti sempre nella sede della Camera dei deputati, ma questa volta a palazzo Vecchio, in piazza della Signoria, a Firenze, mentre la Commissione parlamentare d’inchiesta sul brigantaggio 344 La Commissione sulle condizioni morali ed economiche della provincia di Palermo, proposta il 14 gennaio 1867, da Mordini, deputato del capoluogo siciliano e approvata il 29 gennaio 1867, dalla Camera, aveva tenuto la sua relazione conclusiva il 2 luglio 1867, vedi Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d'inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, pp. XXV-XXVIII. 345 A Palermo, il sindaco, marchese Antonio Starrabba di Rudinì (1839/1896), aveva fronteggiato, con un piccolo reparto di granatieri, spalleggiati da pochi soldati della Guardia nazionale, la rivolta di popolo, fomentata il 16 settembre 1866, da separatisti borbonici e clericali, e da repubblicani, mazziniani e socialisti. Vittorio Emanuele II aveva poi inviato il generale Cadorna, che, alla testa dell'esercito regolare, il 22 settembre, aveva represso la rivolta, durata così soltanto sette giorni e mezzo. Cadorna aveva poi governato la città sino al 1° dicembre 1866, quando Vittorio Emanuele II aveva nominato Rudinì prefetto e sindaco Salesio Balsano (1819/1894), mentre i Tribunali militari condannavano a morte e ai lavori forzati, molte delle migliaia di persone arrestate. Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, pp. 309 e segg.; cfr. Magda da Passano, I moti di Palermo del 1866. Verbali della Commissione parlamentare di inchiesta, 1981. 201 aveva svolto i suoi lavori nel palazzo Carignano, a Torino. Per poi dividersi in due sottocommissioni. E le Commissioni parlamentari d'inchiesta del Regno Unito, descritte da Erskine May, tenevano le loro riunioni a porte aperte, nella sala interna al palazzo di Westminster, a Londra, davanti al pubblico, separato da una cancellata. Nell'ambito delle trentotto audizioni stenografate pubblicate negli Atti 346, alle quali fanno seguito diciotto relazioni scritte 347, attribuisco particolare rilievo alle audizioni di 346 Vedi CD1800000271, pp. 15-461. Queste le altre venticinque persone, interrogate dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, durante le trentasei sedute e i diciannove giorni di audizioni, svolte nell'arco di un mese e mezzo: Giovanni Kaiser, negoziante, presidente della Camera di Commercio di Palermo; il commendatore Teodoro Alfurno, direttore generale del Tesoro; i cavalieri Rodi e Cavanna, addetti al servizio delle Regie Zecche; il cavaliere Giacomo Jung, capo divisione della Regia Corte dei Conti, in servizio dei Buoni del Tesoro; l'avvocato Giuseppe Gutteriez Del Solar, deputato; Rodolfo Audinot, deputato; l'avvocato Isacco Maurogonato Pesaro, deputato; il professor Nicola Nisco, deputato, che presenta i bilanci del Banco di Napoli; l'avvocato Francesco De Luca, deputato; il cavaliere Giuseppe Ferreri, procuratore del Re presso il Tribunale di Firenze; il commendatore Enrico Poggi, senatore; il professor Domenico Berti, deputato; Nobile Bellino Bellini-Briganti, deputato di Recanati; il professore Pietro Torrigiani, deputato; il cavaliere Orazio Landau, banchiere, amministratore delle Ferrovie dell'Alta Italia; il cavaliere G. Morandini, direttore delle Ferrovie livornesi, sezione Nord; il commendatore Carlo Fenzi, presidente della Camera di Commercio di Firenze e deputato; il cavaliere Angelo Mortera, sindaco degli agenti di cambio di Firenze; il cavaliere G. Gualberto Bertini, direttore della Banca Nazionale Toscana; cavalier Davide Levi, banchiere; Angelo Federico Levi, membro della Camera di Commercio, presidente dell'Associazione commerciale di Firenze; il cavaliere avv. Paolo Silvani, deputato; il marchese Giovanni del Castillo di Sant'Onofrio, direttore generale delle Società commerciali e degli Istituti di credito; Michele Casaretto, commerciante. 347 Gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso allegano poi una II parte formata da diciotto relazioni scritte: del deputato Cesare Valerio, del senatore Paolo Farina, del senatore conte Augusto De Gori, del senatore comm. Stefano Jacini, del negoziante Angelo Brighenti, del cav. Andrea Medina, del deputato Felice Levi, di 202 dodici delle personalità di cui ho già parlato: il ministro delle Finanze, Cambray Digny; gli ex ministri delle Finanze, Scialoja, Minghetti, Rattazzi e F. Ferrara; il censore delle Società commerciali e degli Istituti di credito, De Cesare, facente funzione di segretario generale del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio; il deputato Avitabile, ex direttore del Banco di Napoli; il presidente della Camera dei deputati, Lanza; il direttore della Banca popolare di Milano, professore Luzzatti; il deputato Semenza 348, fondatore nel 1865 del quotidiano Il Sole; il direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini; il direttore della divisione di statistica generale del regno d'Italia, Maestri. Considero poi anche l'audizione del pubblicista e deputato Giacomo Dina, che dal 1852 dirigeva il quotidiano moderato Opinione e contribuiva dunque alla formazione della opinione pubblica nazionale. 349 Giuseppe Lamberti, del cav. Andrea Meneghini, sindaco di Padova, di Giacobbe Trieste, di Padova, di Montanari, di Genova, di Giacomo Cataldi, di Genova, di Carlo Kechler, di Udine, di Carlo Francesco Brot, banchiere di Milano, di Giulio Bellinzaghi, di Milano, di Bernardo Gastaldi, commerciante, di Torino, dell'onorevole Solina, prefetto di Siracusa, e di Leone Carpi, di Crescentino di Vercelli; insieme al progetto di legge Avitabile, per la cessazione del corso forzoso e alle relazioni della Camera di Commercio ed Arti di Bergamo e dell'Amministrazione della Cassa di Risparmio di Milano. 348 Semenza è anche il primo firmatario del progetto di legge Sulla libertà e pluralità delle Banche in Italia, che la Camera dei deputati ha esaminato nelle tornate del 4 febbraio e del 4 aprile 1867. 349 Il torinese Giacomo Dina (1824/1879), israelita, come il veneziano Luzzatti, aveva sostenuto la causa dei suoi correligionari sul Messaggero torinese, sul Mondo illustrato e sull'Opinione, il quotidiano fondato nel 1846 da Giacomo Durando (1807/1894), Massimo Cordero di Montezemolo (1807/1879), Rattazzi, Giuseppe Cornero (1812/1895) e Lanza, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 149. Entrato nel 1848, nella redazione di questo giornale, Dina ne era poi diventato direttore, subentrando a Lanza; incarico ricoperto sino alla morte, dando voce a «tutte le province d'Italia, e [al]le province infelici ed oppresse in più larga misura delle altre», Luigi Chiala, Giacomo Dina e l'opera sua nelle vicende del risorgimento italiano, 1866-1879, 1903, p. 589. In particolare, Dina 203 L'importanza di queste audizioni e dei documenti allegati 350 è accresciuta dalla mancanza dei verbali delle riunioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, successive alla relazione Cordova del 25 luglio 1868, andati perduti. La loro analisi facilita così l'interpretazione della Relazione finale del presidente Lampertico, espressione degli orientamenti politici della maggioranza della Commissione, formata dall'ex presidente Cordova, che intanto è purtroppo deceduto, e da A. Rossi per la Destra, e da Lualdi e Seismit-Doda, per la Sinistra, ma senza il consenso degli altri esponenti della Destra: Messedaglia e Sella, contrari, e Lampertico, assente al momento del voto. 351 Meglio comunque procedere con ordine. A partire dal fatto che la Commissione prolunga i suoi lavori, ben oltre la scadenza del 15 aprile 1868, prevista dall'ordine del esplicita le sue convinzioni politiche liberal moderate, contribuendo alla formazione dell'opinione pubblica nazionale, sostenendo Cavour nella guerra di Crimea, appoggiando il trasferimento della capitale a Firenze e difendendo la politica della Destra, nelle cui fila è eletto deputato, il 22 marzo 1867. 350 Gli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso includono infine una III parte, che contiene opuscoli, lettere e progetti: delle Camere di Commercio ed Arti di 1) Torino; 2) Milano; 3) Bologna; 4) Caltanissetta; e 5) del Comitato industriale torinese; 6) dell'Accademia dei Ragionieri di Bologna; 7) di Giacomo Millo; 8) di Giuseppe Carabelli; 9) di Mariano Englen; 10) di Giampaolo Salvatore Cognetti, direttore del giornale politico napoletano Il Conciliatore; 11) di Achille Griffini, ragioniere capo della Cassa di Risparmio di Lombardia; 12) di G. L. Queirolo, al cav. Augusto Bordoni, presidente dell'Accademia dei Ragionieri in Bologna; 13) il progetto di legge sull'abolizione del corso forzoso e sulla Libertà e pluralità delle Banche, di Semenza; 14) la lettera alla Gazzetta di Como, del dottor Giuseppe Brambilla. 351 Nelle trentasei sedute, mattutine e pomeridiane, svolte nei diciannove giorni delle audizioni, dal 28 marzo, al 9 maggio 1868, il presidente Cordova è assente una volta, sostituito da A. Rossi; Lampertico ventitré volte, in quattordici giorni; Lualdi quindici, in nove giorni; Messedaglia sei, in tre giorni; A. Rossi quattro, in quattro giorni; SeismitDoda diciannove, in dodici giorni; Sella venti, in dodici giorni. 204 giorno Corsi, A. Rossi. Ciò a causa della vastità e complessità dei temi affrontati e delle differenze tra i suoi componenti, oltre che per l'autorevolezza dei suoi interlocutori. Così, nella tornata del 16 aprile, il presidente Cordova, riferisce alla Camera dei deputati, ma prende tempo. Così, il 9 giugno, un mese dopo la fine delle audizioni, che si svolgono in diciannove giorni, tra il 28 marzo e il 9 maggio 1868, il presidente della Camera, Lanza, rispondendo a un’interpellanza, rassicura gli onorevoli colleghi e l’intera opinione pubblica nazionale sull’avanzamento dei lavori, chiarendo che il vice segretario della Camera di commercio di Milano, dottor Stefano Allocchio, è impegnato nello spoglio e nel riepilogo delle risposte al questionario. III.1.6. La tassa sul macinato Nel procedere con la disamina degli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso relativi alle trentotto audizioni della presidenza Cordova, mi soffermo ora sul più importante dei provvedimenti approvati nella primavera del 1868: la Legge sul macinato, che riprende le tasse riscosse negli Stati preunitari ed è per es. simile alla tassa fatta abolire dal Cordova ministro delle Finanze nel regno delle Due Sicilie 352 a alla tassa elaborata da F. Ferrara nell'aprile 1865, su richiesta del ministro delle Finanze, Sella.353 352 Nel Regno delle Due Sicilie, il 13 ottobre 1848, nella speranza «di spingere le masse alla difesa dell'ormai declinante rivoluzione», Cordova aveva motivato, quale ministro delle Finanze, il decreto di abolizione del dazio sul macinato, con l'alto costo della riscossione, vedi Monsagrati, Cordova, Filippo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 32. 353 La legge sul macinato, sulla quale il quotidiano moderato L'Opinione aveva pubbli- cato gli interventi di Pepoli, De Cesare e Dina, era poi rimasta sulla carta, per la caduta del I governo La Marmora, causata dalla bocciatura della legge sul servizio di tesoreria della Banca nazionale. Vedi F. Ferrara, Lettera alla figlia Lillì (Rosalia), 25 aprile 1865, Società siciliana per la storia patria, Palermo. Una minuziosa ricostruzione del dibattito pubblicato 205 La Legge, ripresentata da Cambray Digny, è approvata dalla Camera dei deputati, il 21 maggio 1868, con 219 voti a 152, dopo lunga e aspra discussione. Essa impone il pagamento di due lire per ogni quintale di grano macinato, di una lira e venti centesimi per ogni quintale di avena, di ottanta centesimi per il granturco e la segala e di cinquanta centesimi per gli altri cereali, la veccia e le castagne. La sua riscossione è affidata ai mugnai, che la effettuano prima di consegnare il macinato, ma soprattutto dopo averne accertato l'entità, tramite cinquantamila contatori meccanici applicati alle macine, presidiati dalla polizia.354 Questa misura di ordine pubblico, voluta dai Prefetti, che la impongono senza concordarla con i Comuni, si rende necessaria perché i mugnai e i funzionari dello Stato incaricati di assisterli nel corso dell'esazione, rischiano addirittura il linciaggio da parte di folle inferocite. Animate, in particolare in Emilia e Romagna e in Lombardia, da contadini poveri, occupati soltanto pochi mesi l’anno. Per questi proletari, l’imposta sul macinato corrisponde infatti al salario di dieci giornate lavorative ed è dunque tutt'altro che ad aliquota tenue, come Ferrara, considerando soltanto l'imponibile medio, pretendeva che fosse. Intanto, il 23 giugno 1868, lo stesso ministro delle Finanze concede per quindici anni, in esclusiva, l'appalto della Regìa cointeressata dei tabacchi, a Domenico Balduino, della Società generale di credito mobiliare italiano, e ai rappresentanti dello Stern di Londra e Francoforte e della Banque de Paris due gruppi stranieri, rivali dei Rothschild.355 Poi, su L'Opinione, è in Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 206-207 e 229. 354 Cfr. Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 208 e 231. 355 La dinastia finanziaria dei Rothschild era stata fondata nel XVIII secolo dal rigattiere israelita Moses Amschel (1744/1812), che aveva lasciato l'originaria Hannover, per aprire 206 l’iniqua e perciò impopolare Legge sul macinato è approvata dal Senato, con 101 voti a 11, ed è promulgata il 7 luglio. Dopo che Cambray Digny ha respinto la proposta avanzata da Minghetti, di rinviarla a un'organica riforma del sistema fiscale. Mentre l’opposizione della composita Sinistra di Crispi, Ferrari e Depretis, fa ricorso anche alla piazza. 356 Essa diventa operativa soltanto il 1° gennaio 1869 e rimane in vigore sino al 1° gennaio 1884; dopo la graduale riduzione votata dalla Camera, il 14 luglio 1880, con 178 voti a 78. Non è questa la sede per approfondire i sedici anni nei quali la Legge sul macinato rende possibile il risanamento finanziario dello Stato; annoto quindi soltanto la data, il 15 marzo 1875, nella quale Minghetti dichiara di volerla integrare con un'ulteriore tassa sul registro, per raggiungere il pareggio del bilancio. Osservo, tuttavia, che, stanti la stagnazione economica e la mancanza di un tessuto industriale diffuso, proprio la tassazione del macinato comprime i salari agricoli e i più elementari tra i consumi, quelli alimentari, contraddicendo le previsioni e gli auspici di F. Ferrara. Così che, nel 1876, i bottega a Frankfurt am Mein, scegliendo quale insegna lo scudo rosso: Das rothe Schild. Sui Rothschild, arricchitisi in Inghilterra durante il corso forzoso, finanziando il blocco navale contro Napoleone, e sul contributo finanziario del barone James Mayer Rothschild (1792/1868), «le vieux juif», alla realizzazione dell'unità d'Italia, v. Romeo, Vita di Cavour, ad indicem. Cfr. «Secondo quanto lo stesso Cambray-Digny dichiarò poi alla Camera, all'operazione furono interessati altri banchieri di Londra, Parigi e Francoforte [...]. Il Bastogi non comparve direttamente, ma si seppe che il suo agente a Parigi si occupò poi attivamente di collocare i titoli della regía presso i banchieri ostili ai Rothschild», Candeloro, La costruzione dello Stato unitario (1860-1871), 1968, p. 342. 356 Le proteste contro la tassa sul macinato diventano più violente dopo il discorso alla Camera del deputato della Sinistra, Giuseppe Ferrari (1811/1876), che il 25 gennaio 1869 torna a chiedere l'abolizione dell'iniquo balzello, giudicato una violazione dell'art. 25 dello Statuto del Regno di Sardegna, che obbliga tutti i regnicoli a contribuire «indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato»; le forze dell'ordine reprimono tuttavia quelle proteste con una violenza ancora maggiore, specie nella Pianura Padana. 207 violenti moti popolari per l'abolizione della tassa sul macinato e la loro dura repressione costano al Paese oltre duecentocinquanta morti e mille feriti, contribuendo a erodere il consenso elettorale della Destra e a determinare la caduta del II governo Minghetti. Una settimana dopo, il 25 marzo 1876, Vittorio Emanuele II conferisce l'incarico di presidente del Consiglio a Depretis, che forma così per la prima volta un governo di Sinistra, assumendo le Finanze e nominando il catanese Salvatore Majorana-Calatabiano al ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. 357 III.1.7. La relazione Cordova Prima di riprendere la ricostruzione dei lavori della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, ricordo, per ribadire la valenza cosmopolita della vicenda italiana di quegli anni, che il 28 giugno 1868 Pio IX convoca il Concilio ecumenico Vaticano I. Fissandone l'inizio per l'8 dicembre 1869, a Roma, in San Pietro, su questi temi: la conservazione del deposito della fede; la disciplina e l'educazione del clero; la santità e la dignità del matrimonio; l'istruzione e l'educazione della gioventù; la promozione nei popoli della religione, della pietà e dell'onestà dei costumi; la difesa della giustizia, la proclamazione dell'ordine e la prosperità della società civile. Il 25 luglio 1868, dunque poco meno di un mese dopo la convocazione del Concilio ecumenico Vaticano I, Cordova presenta alla Camera dei deputati la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, da lui presieduta. Informando la 357 Cfr. «Minghetti fece tutti gli sforzi per mantenersi, ma non servirono che a farlo ca- dere con 61 voti di minoranza, quando noi non ne contavamo che 32 … In questo momento Depretis riceve l'incarico di comporre il nuovo ministero senza condizioni», F. Ferrara, Lettera alla figlia Lillì (Rosalia), 19 marzo 1876, Società siciliana per la storia patria, Palermo; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 254 e 278. 208 Camera che la Commissione ha cercato tutte le informazioni necessarie a formare un quadro compiuto e ad acquisire concetti ultimi o conclusivi sul corso forzoso. Consapevole delle difficoltà cui va incontro, legate alla mole di queste informazioni e all'esempio delle altre Nazioni, nelle quali lo svolgimento di analoghe inchieste aveva richiesto alcuni anni. Perciò, giunta alla vigilia della sospensione estiva dei lavori parlamentari e considerando i tempi necessari per raccogliere, stampare, distribuire e discutere i materiali acquisiti, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso conviene che bisogna compiere la relazione sull'inchiesta come se la Camera dovesse sedere in permanenza, e, per il caso che ella non sedesse quando la relazione sarà pronta, impostare sin da ora la facoltà di stamparla e distribuirla a domicilio; in modo che si possa discutere nelle prime tornate autunnali, e sempre in tempo per i provvedimenti da attuarsi nell'imminente nuovo esercizio del 1869. 358 Stabilita nell'esercizio finanziario provvisorio del 1869, la scadenza entro cui presentare la Relazione conclusiva della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, il presidente Cordova propone di limitare da subito l'emissione delle banconote. Per dare credibilità alla prospettiva di ripristinare il corso legale; per salvare cioè lo Stato, il Paese, il Governo e le pubbliche spese, dal discredito, dall'alterazione di tutti i valori e dal fallimento. Visto che la Banca Nazionale, il più importante degli Istituti italiani di credito, è legata al Governo da rapporti quotidiani ed intimi; che l'ammontare della sua circolazione è salito, dopo l'inizio del corso forzoso, da 316 a quasi 795 milioni di lire, con una crescente progressione delle emissioni; e che il suo Statuto prevede il corso legale e deve 358 Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1281. 209 dunque essere adeguato al corso forzoso. Cordova chiarisce poi che il limite per l'emissione delle banconote è dato dalla riserva metallica, il cui valore reale permette alla Banca Nazionale di determinare la quantità sia dei depositi permanenti, sia dei metalli preziosi e dei capitali effettivi da scambiare. Regolando l'equilibrio tra capitali e affari, in base ai valori del cambio, vanificando qualsiasi doppio impiego, calmierando le condizioni del credito e punendo gli eccessi dell'emissione di banconote. Si tratta dunque di limitare il funesto monopolio del corso forzoso, per impedire che la Banca Nazionale continui ad accrescere in modo arbitrario la circolazione delle banconote, sostenendo le relative spese, procurandosi nuove riserve e, visto che il suo Statuto fissa in dieci a tre il rapporto tra banconote e riserva metallica, stampando altre banconote, qualora anche i milioni già stampati risultino insufficienti per ammortizzare l'aggio.359 Il corso forzoso incentiva infatti oltre misura il credito, comporta costi molto bassi e interessi molto alti, facilita terribili disinganni, aggrava le difficoltà finanziarie del Paese, tende ad alimentarsi all'infinito, accresce le perdite di capitale, fa scomparire dal mercato l'oro e l'argento e accresce l'aggio.360 La Banca Nazionale deve, allora, ridurre in breve tempo la quantità di denaro circolante e porre fine alla concessione di crediti straordinari. Perciò – prosegue Cordova – la 359 F. Ferrara è invece dell'opinione che, creando le condizioni perché i privati che han- no fatto incetta delle riserve metalliche, tornino a depositarle nelle banche, è possibile ripristinare subito la convertibilità. Questa idea, frutto del liberismo radicale del principe degli economisti italiani dell'Ottocento, trascura tuttavia le monete metalliche esportate e l'incidenza del deficit dei conti con l'estero. Vedi Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 213 e 233. 360 Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1282. 210 Commissione parlamentare d'inchiesta ha proposto di limitare la circolazione a 600 milioni, ma il ministro delle Finanze, Cambray Digny, ha avanzato quale controproposta il limite di 800 milioni, da promulgare tramite un nuovo Regio Decreto. 361 In continuità con il Regio decreto n° 2873 sul corso forzoso, promulgato il 1° maggio 1866, che qui riporto nella sua interezza: Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della nazione Re d'Italia In virtù della facoltà conceduta al Governo del Re colla legge del 1° maggio 1866, n° 2872; Sentito il Consiglio dei Ministri; Sulla proposizione del ministro delle finanze; Abbiamo ordinato ed ordiniamo quanto segue: Art. 1. La Banca Nazionale (nel Regno d'Italia) darà a mutuo del Tesoro dello Stato la somma di duecento cinquanta milioni di lire, aprendo a tal fine un conto corrente col Tesoro medesimo. Per questo mutuo il Tesoro corrisponderà alla Banca l'interesse in ragione dell'uno e mezzo per cento pagabile a semestri maturati. Art. 2. Dal giorno 2 maggio, e sino a nuova disposizione, la Banca nazionale suddetta è sciolta dall'obbligo del pagamento in danaro contante ed a vista de' suoi biglietti. Art. 3. I biglietti della Banca saranno dati e ricevuti come danaro contante per il loro valore nominale, nei pagamenti effettuabili nello Stato tanto tra l'Erario pubblico e i privati, società e Corpi morali d'ogni natura per qualsiasi titolo e anche in conto o saldo di tributi o prestiti, quanto tra privati o Società e Corpi morali d'ogni natura tra loro vicendevolmente, non ostante qualunque contraria disposizione di legge o patto convenzionale. Art. 4. Il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale Toscana, e la Banca toscana di credito per l'industria e pel commercio d'Italia continueranno rispettivamente ad emettere fedi di credito, polizze, e biglietti secondo i loro Statuti. A scelta degli Istituti che li emettono, questi titoli sono rimborsabili in danaro o in biglietti della Banca nazionale di cui all'art. 3. Art. 5. Almeno due terze parti della massa metallica che ciascuno degli Istituti indicati nell'articolo 4 deve avere in confronto della propria circolazione, rimarranno immobilizzate. 361 Sull'audizione del ministro delle Finanze, conte Cambray Digny, ascoltato il 30 mar- zo 1868, da Cordova, Lualdi, Messedaglia, A. Rossi, Seismit-Doda e Sella, assente Lampertico, vedi Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 29-40. 211 La quantità di massa metallica immobilizzata sarà fatta constare mediante processo verbale di verificazione da Commissioni composte dal presidente della Camera di commercio del luogo, dal rappresentante locale del Tesoro, dal direttore della sede o succursale della Banca nazionale, e dal direttore dell'Istituto di cui si verifica la massa metallica. Art. 6. Sino alla misura della somma immobilizzata la Banca nazionale (nel regno d'Italia) dovrà sulla dimanda di ciascuno degli Istituti summenzionati rispettivamente fornir loro biglietti suoi proprii contro ricevuta munita del visto dell'agente locale del Tesoro. Questi biglietti terranno luogo della massa metallica immobilizzata e non potranno servire di fondo per nuove emissioni. Art. 7. Le fedi di credito e le polizze dei Banchi di Napoli e di Sicilia saranno date e ricevute come danaro contante per il loro valore nominale nei pagamenti effettuabili nelle province napoletane e siciliane rispettivamente, tanto tra l'Erario pubblico e i privati, Società e Corpi morali per qualsiasi titolo ed anche in conto o saldo di tributi o prestiti, quanto tra privati o Società e Corpi morali vicendevolmente tra loro, non ostante qualunque contraria disposizione di legge o patto convenzionale. Art. 8. La somma del valore dei biglietti in circolazione della Banca nazionale (nel regno d'Italia) non potrà eccedere quella fissata dai suoi Statuti. Non entrerà nel calcolo della somma suddetta il valore dei biglietti del mutuo al Tesoro di cui all'articolo q del presente Decreto, né quella dei biglietti che darà agli altri Istituti di credito secondo l'articolo 6 precedente. Art. 9. La Banca nazionale e gli altri Istituti indicati nell'articolo 4 non potranno variare il saggio dello sconto senza l'autorizzazione del ministro delle finanze. Art. 10. Il ministro delle finanze potrà, depositando presso gli Istituti di credito di cui all'articolo 4 biglietti della Banca nazionale pagati al Tesoro pel mutuo di cui all'articolo 1°, farsi rilasciare rispettivamente da ciascuno di essi Istituti egual valore in titoli loro proprii. Art. 11. Il Governo del Re ha la facoltà di vigilare sopra l'amministrazione degli Istituti di credito di cui si parla nel presente decreto, di riscontrare le loro operazioni, e di opporsi alla esecuzione delle deliberazioni e dei provvedimenti contrari ai loro Statuti, alle leggi ed agli interessi dello Stato. Art. 12. Con altri Decreti Reali sarà ordinata la vigilanza ed il riscontro di cui si parla all'articolo precedente, e provveduto a quanto altro occorre per la esecuzione del presente decreto. Ordiniamo che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sia inserto nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno d'Italia, mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Dato a Firenze, addì 1° maggio 1866. Vittorio Emanuele. A. Scialoja.362 Quanto a Cordova, il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso 362 Vedi la Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Supplemento al n. 120, 1° maggio 1866, p. 1. 212 forzoso, dopo avere richiamato la proposta avanzata dal ministro delle Finanze Cambray Digny di promulgare un nuovo Regio decreto sul corso forzoso, in continuità con il n. n. 2873 del 1° maggio 1866, informa la Camera dei deputati che, secondo il medesimo Cambray Digny, è necessario fissare in 800 milioni il limite della circolazione delle banconote, perché una cifra inferiore costringerebbe la Banca Nazionale a limitare anche i crediti ordinari, o a penalizzare i titoli di Stato legati al prestito, o a bloccare il consolidamento del debito. 363 III.1.8. Settecento milioni in corso forzoso, ma sei milioni da una lira Cordova entra poi nel merito delle cifre, documentando che cinque giorni prima, in data 20 luglio 1868, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso ha distinto la circolazione dei biglietti banca, nelle seguenti voci, che permettono tra l'altro di valutare l'impegno del governo: Mutui concessi al Tesoro L. 278,000,000 Mutui concessi agli stabilimenti di circolazione L. 12,772,500 Anticipazione di 100 milioni (Obbligazioni Asse Ecclesiastico) L. 77,500,000 Anticipazione secondo lo Statuto L. 32,000,000 Impiegati in rendita di Prestito Nazionale 1866 L. 56,000,000 In Buoni del tesoro (Stato e Ferrovie) L. 69,829,500 Al Tesoro in rimborso della riserva metallica di L. 77,500,000 L. 38,750,000 Per la riserva di 32 milioni in conto corrente al 3% L. 10,000,000 Per la riserva del Prestito Nazionale 1866 L. 28,000,000 Per la riserva dei Buoni del Tesoro (Stato e Ferrovie) L. 34,014,750 Per le operazioni ordinarie come Istituto di credito L. 150,783,250 Totale della circolazione dei biglietti L. 794,550,000 363 Vedi la Prima relazione della Commissione d'inchiesta parlamentare sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1283. 213 Secondo Cordova, queste cifre dimostrano che, anche continuando a riservare 150 milioni di lire alle operazioni di credito, il governo può ridurre a 710.50 milioni il totale dei biglietti di banca in circolazione, detraendo dal totale di 794.55 milioni la somma tra i titoli del Prestito nazionale contratto nel 1866, la rendita di 56 milioni e la corrispondente riserva di 28 milioni.364 D'altra parte, due anni dopo il Regio decreto sul corso forzoso, il valore reale degli stessi titoli del Prestito nazionale 1866 è aumentato di oltre il 10%, in confronto al loro valore nominale, e tra il 12 e il 13%, in rapporto al loro prezzo medio di acquisto. Mentre, secondo il Direttore Generale della Banca Nazionale, Bombrini, che ha avanzato una proposta in tal senso al Consiglio di Amministrazione, è possibile realizzare la cifra corrispondente al Prestito nazionale del 1866, trasferendone la titolarità ad altri soggetti giuridici.365 Per rassicurare il ministro delle Finanze, Cambray Digny. Che ha il diritto di ritirare i 22.5 milioni di lire, residuo dei 33,75 milioni circa di anticipazione sulle Obbligazioni dei beni ecclesiastici dell'ottobre 1867, inclusa la riserva in conto corrente al 3%. Perché quella cifra è compatibile con l'ammontare complessivo della circolazione monetaria italiana alla fine del 1867, che è pari proprio a 800 milioni di lire. Perciò, andando incontro alla controproposta di 800 milioni formulata da Cambray Digny e da Bombrini, ma continuando a garantire i crediti ordinari, i titoli di Stato legati al prestito e il consolidamento del debito, Cordova propone di portare a 700 milioni di lire la riduzione della circolazione della Banca Nazionale, che la Commissione parlamentare 364 Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1284. 365 Sull'audizione del direttore generale della Banca Nazionale, Carlo Bombrini (1804/1882), ascoltato il 19 aprile 1868, da Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Seismit-Doda, assenti Lualdi e Sella, dopo le comunicazioni del ministro Cambray Digny, vedi Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 353-368. 214 d'inchiesta sul corso forzoso aveva proposto di limitare a 600 milioni di lire. Sulla base di queste grandezze monetarie: 1. L. 107.744.250 in Buoni del Tesoro, con la corrispondente riserva; 2. L. 150 milioni, distinte nella parte privata dei Buoni del Tesoro riservati alle operazioni ordinarie e nella parte restante, che rappresenta la garanzia anticipata alla Società di Strade ferrate, da ritirare entro la scadenza pattuita; 3. L. 127 milioni, finalizzate a coprire le normali operazioni dell'Istituto durante il corso legale ai quali è da sommare la cifra destinata alle operazioni ordinarie dell'Istituto di credito durante il corso forzoso; 4. L. 24 milioni, in azioni, che la Banca ha chiesto in saldo ai suoi azionisti. La Commissione parlamentare d'inchiesta ritiene altresì che sia meglio limitare il corso forzoso con una nuova Legge, piuttosto che con un nuovo Regio decreto, considerando che l'art. 11 del Regio decreto del 1° maggio 1866 attribuisce al «Governo del Re» la facoltà di opporsi ai provvedimenti contrari agli interessi dello Stato, e che, proponendo una legge, si riducono e si limitano gli atti legislativi promulgati «senza il concorso del Parlamento». La Commissione parlamentare d'inchiesta considera poi che il pubblico ha accolto con favore l'emissione di biglietti di una lira e di taglio più piccolo, decisa per ovviare alla scomparsa della moneta divisionaria d'argento, alla quale ha fatto seguito, per un certo periodo di tempo e in particolare in alcune località, la scomparsa della moneta divisionaria di bronzo. Sicché il Governo ha evitato di ostacolare quella emissione, ritenendola anzi un esempio di fortunata inosservanza delle leggi, che prepara difficoltà, pericoli, e forse anche dispendii dello Stato per l'epoca della cessazione del Corso Forzoso. 366 366 Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1285. 215 Da qui, la proposta di fare stampare sei milioni di biglietti da una lira, ai cinque Istituti di credito autorizzati a emettere biglietti al portatore: la Banca Nazionale, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per l'industria e per il commercio, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Con l'emissione di questa somma, che ne surroga una eguale, di biglietti di maggior taglio, da ritirare dalla circolazione, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso intende rimuovere un altro illegittimo ostacolo alla lotta contro la speculazione. Si ripromette cioè di facilitare sia la graduale sostituzione delle banconote a corso forzoso, alle banconote illegali, sia l'uso delle medesime banconote a corso forzoso, per pagare le pubbliche amministrazioni e le società industriali che conservano l'aggio della moneta divisionaria e, in particolare, della moneta di bronzo, che ha un aggio minore della moneta aurea e argentea. Permettendo in questo modo al Governo di limitare, sino a eliminare, le emissioni illegali. Infine, il presidente Cordova conclude la relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, proponendo il seguente progetto di legge: Art. 1. Nel termine di tre mesi dalla pubblicazione di questa legge la Banca Nazionale (nel Regno d'Italia) farà rientrare la circolazione de' suoi biglietti al portatore nel limite di 700 milioni, limite che non potrà mai essere superato, sotto verun titolo e forma, e per qualsivoglia causa, finché dura il Corso Forzoso. Art. 2. Saranno emessi a cura del Governo, nella proporzione e con le norme da stabilirsi per Decreto Reale, dagli Istituti autorizzati, di cui all'articolo 4 del Regio Decreto 1° maggio 1866 (n° 2873), biglietti da lire una al portatore, in surrogazione di altri di maggior taglio, per la somma complessiva di 6 milioni, aventi corso legale 216 in tutto il Regno, ed inconvertibili sino alla cessazione del Corso Forzoso … . 367 In sintesi, con questo progetto di legge, il n. 215, Cordova propone che la Camera dei deputati limiti a 700 milioni di lire, la circolazione dei biglietti a corso forzoso emessi dalla Banca nazionale, autorizzando al contempo la medesima Banca Nazionale, la Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per l'industria e per il commercio, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia, a emettere 6 milioni di biglietti da una lira. Intrecciando cioè la riduzione temporanea del corso forzoso, proposta dall'ordine del giorno Corsi, A. Rossi, con l'implementazione decimale del sistema monetario, funzionale a incrementare il piccolo commercio. Per contrastare la speculazione. E criticando il monopolio della Banca Nazionale voluto da Scialoja, giudicato privo di motivazioni finanziarie, economiche e politiche. Tuttavia, una settimana dopo aver presentato la Relazione e il relativo progetto di legge, Cordova è colto da infarto sulle scale di Palazzo Vecchio, mentre si reca alla Camera, il 2 agosto 1868, ed è ricoverato in gravi condizioni nella sua casa di Firenze. 368 III.1.9. Il monopolio dei tabacchi La malattia del presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, indebolisce i tentativi di esercitare un controllo legislativo sulla politica monetaria e finanziaria di Cambray Digny. L’8 agosto 1868, giorno della chiusura della II sessione della X legislatura, la Camera dei deputati introduce infatti nuovi elementi speculativi 367 Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1286. 368 Vedi Arbib, Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3, 1902, La Nona Legislatura, Sessione 1a dal 18 novembre 1865 al 30 ottobre 1866, p. 203; Monsagrati, Cordova, Filippo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 34. 217 nell'economia del Paese. Approvando la Legge che concede la privativa della Regìa cointeressata dei tabacchi a un monopolio di banchieri e uomini d’affari italiani e stranieri, in cambio di un anticipo di 180 milioni e di un canone fisso pari al 40% degli utili. 369 205 i voti favorevoli, della Consorteria e del Terzo partito; 161 i contrari, della Permanente, della Sinistra e della Sinistra radicale: un risultato che evidenzia la profonda spaccatura tra i deputati favorevoli alla riorganizzazione dei monopoli e alla modernizzazione degli impianti e i deputati propensi ad abolire il monopolio. 370 Subito dopo, durante la proroga della II sessione della X legislatura, il presidente della Camera, Lanza,371 che ha votato contro la concessione del monopolio dei tabacchi, si dimette. La continuità delle istituzioni monarchiche è allora garantita da Casati, il più rappresentativo dei moderati milanesi, che Vittorio Emanuele II aveva nominato presidente 369 L’8 agosto 1868, approvando la Legge sulla privativa dei tabacchi, proposta dal II governo Menabrea, la Camera dei deputati rovescia la maggioranza che aveva bocciato il I governo Menabrea, dopo la reticente relazione su Roma capitale. Vedi Scirocco, I democratici italiani da Sapri a Porta Pia, 1969, cap. XIII Da Mentana ai moti per il macinato: Sinistra e Terzo Partito. 370 Secondo F. Ferrara, l'appalto della Regìa cointeressata dei tabacchi, alla Società ge- nerale di credito mobiliare italiano, allo Stern, di Parigi, Londra e Francoforte, e alla Banque de Paris: «consiste nel … voler regalare ad una società di speculatori un quarto all'incirca di quella somma che lo Stato ha la probabilità di riscuotere, come gli è riuscito finora, senza alcuno sforzo straordinario, col solo impulso della propria amministrazione, senza bisogno di quell'ente nuovo che s'intitola Società appaltatrice», L'Opinione, 13 luglio 1868; Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, cap. V Macinato, corso forzoso, banche: la politica della destra tra luci ed ombre, pp. 223 e 241. 371 Lanza si dimette l'8 agosto 1868, giorno di chiusura dell II sessione della X legislatura; il 25 novembre 1868, all'inizio della III sessione, la Camera elegge per la terza volta presidente il consorte Mari, della Destra toscana. La Permanente rimane così priva di rappresentanti ai vertici delle istituzioni, come la Sinistra, incapace di provare le accuse di corruzione rivolte ad alcuni deputati filo ministeriali, e il Terzo partito. 218 del Senato, il 18 novembre 1865, all’inizio della IX legislatura. 372 Moderato, per temperamento, e cattolico liberale, per scelta politica, è anche il vicentino Lampertico, che la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso nomina presidente, agli inizi del settembre 1868, durante la proroga della II sessione della X legislatura e mentre le condizioni di salute di Cordova volgono al peggio. Nella fase conclusiva dell'inchiesta, la cui Relazione finale deve portare a sintesi politica gli Atti raccolti. La nuova nomina risponde a esigenze diverse da quella di Cordova, che rispondeva alla necessità di valutare con equilibrio le accuse rivolte a Scialoja. Ormai si tratta infatti di comporre la divergenza tra la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso e il ministro delle Finanze Cambray Digny, sulla cifra entro cui limitare il corso forzoso. Un compito cui Lampertico si accinge con il prestigio che gli deriva dall'aver contribuito alla «vigorosa rinascita dell'economica italiana», pubblicando nel 1865 il libro Gianmaria Ortes e la scienza economica al suo tempo 373 e garantendo la transizione dal governo austriaco, al governo italiano, quale deputato di Vicenza. 374 Inoltre, ma soprattutto, Lampertico aveva appena fondato, nel giugno 1868, proprio con Cambray Digny, F. 372 Casati aveva sostituito, quale presidente del Consiglio, il dimissionario Balbo, il 27 luglio 1848, dopo la dura sconfitta piemontese di Custoza. Il suo governo, che il 29 luglio aveva ottenuto i pieni poteri dal Parlamento e nel quale il ministro degli Esteri, marchese Lorenzo Pareto (1800/1865), rappresentava le tendenze radicaleggianti, era rimasto in carica sino all'11 agosto. Cfr. Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 165-166. 373 Vedi Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 216. Sul monaco veneziano Giammaria Ortes (1713/1790), cfr. Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 1970 6, pp. 675, n. 75, e 707; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, ad indicem. 374 Nelle elezioni politiche del 10 e 17 marzo 1867, Lampertico è poi rieletto deputato di Vicenza, sconfiggendo il candidato garibaldino Angelo Piloto, deputato uscente di Thiene, vedi Pavone, Gli archivi dei regi commissari nelle province del Veneto e di Mantova 1866, vol. II, Documenti, 1968, pp. 387 e 390. 219 Ferrara, Finali, Agostino Magliani, Minghetti e Scialoja, la Società di economia politica italiana, sul modello delle Società di economia politica francese e belga. III.1.10. La presidenza Lampertico C'è infine da considerare che, durante le trentotto audizioni, Lampertico è stato il meno assiduo tra i componenti della Commissione, con quindici presenze soltanto, a fronte delle trentasette di Cordova, delle trentaquattro di A. Rossi, delle trentadue di Messedaglia, delle ventitré di Lualdi, delle diciannove di Seismit-Doda e delle diciotto di Sella. La sua nomina è dunque forse da spiegare anche con la sua vicinanza a Minghetti, avversato da Cordova e, comunque, privo di incarichi esecutivi, dopo le dimissioni da presidente del Consiglio, rassegnate per «coprire» il re, sulla strage di Torino.375 Più in generale, Lampertico, come si evince dai primi due volumi dei suoi Carteggi e diari, ha contribuito ai tentativi di diplomatizzare, per quanto possibile, lo scontro tra lo Stato italiano e la Santa Sede, entrato in una nuova, delicatissima fase, dopo che Pio IX ha convocato il concilio ecumenico Vaticano I. 376 In quel modo, il pontefice aveva infatti risposto all'offensiva italiana, volta a privarlo del suo potere temporale, con un appello alla cristianità, nel quale aveva riaffermato la propria infallibilità. Come che sia, Lampertico, la cui nomina è stata caldeggiata forse anche dal partito di Corte, ottiene un primo risultato il 3 settembre 1868, quando il Senato approva la Legge 4579, recependo il progetto di legge 215, che limita a settecento milioni le banconote in circolazione, ma autorizza l'emissione 375 Cfr. il saggio di Ragionieri, Accentramento e autonomie nella storia dell'Italia unita, in Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967, pp. 149-192. Minghetti torna a ricoprire incarichi di governo quale ministro di Agricoltura, Industria e Commercio, nel III governo Menabrea-Cambray Digny, dal 13 maggio 1869, al 14 maggio 1869. 376 Cfr. Lampertico, Carteggi e diari, 1842-1906, I vol. A-E, 1996; Id., Carteggi e diari, II vol. F-L, 1998. 220 di sei milioni in banconote da una lira. 377. A questa Legge fa poi, purtroppo, seguito la morte di Cordova, che spira il 16 settembre 1868 nella sua casa di Firenze, «dopo lunga agonia e non senza che si diffondessero i sospetti di un suo avvelenamento». 378 I tre mesi successivi devono essere stati di lunghe e faticose mediazioni, documentate ora soltanto dalla Relazione conclusiva, nella quale una minoranza, formata da Messedaglia e Sella, ma alla quale «poscia accedette il Relatore attuale [Lampertico], che nella votazione era assente», non si esprime sul fatto «se fosse stata, o no, necessaria l'introduzione del corso forzoso al 1° maggio 1866».379 La Commissione vota invece all'unanimità tre ordini del giorno che invitano il governo a presentare un disegno di legge sui rapporti tra Stato e Banca Nazionale, una legge sulla pluralità delle Banche di credito e di circolazione e una legge sulla convertibilità in valuta metallica dei biglietti di banca. Sono altresì approvati all'unanimità due progetti di legge: per abolire il corso forzoso e per ripianare il debito di 250 milioni di lire contratto, nell'aprile 1868, dallo Stato, con la Banca Nazionale, che è intanto cresciuto sino a 378 milioni di lire. Subito dopo l'approvazione a maggioranza, la Relazione è pubblicata nel primo di tre volumi, insieme ai questionari, alle relative risposte e alle deposizioni degli interlocutori istituzionali dell’inchiesta, di cui l’Archivio storico ha inventariato gli originali, nella prima di cinque buste. Questa Relazione, che qui di seguito compara ad alcuni dei 377 Vedi: «Notammo finora le cagioni del ritardo intrinseche. Ne venne un'altra, indipendente da esse, e sventura irreparabile della nazione, la malattia e morte del Cordova. Solo pochi giorni prima di questa perdita era stato nominato il nuovo relatore, per cui la Commissione si crede giustificata, se non ha potuto presentare la relazione nelle vacanze parlamentari come aveva promesso», CD1800000271, Avvertenza, p. 6. 378 Sulla morte di Filippo Cordova, così la voce di Monsagrati, per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXIX, 1983, p. 34. 379 Vedi CD1800000271, Conclusioni, p. 403 e nota 1. 221 documenti contenuti nel II e nel III volume, privilegiando i Questionari e le Audizioni, è seguita poi dalle proposte di legge approvate all'unanimità dalla Commissione, tra le quali quella di A. Rossi sull'abolizione del corso forzoso. 380 Come risulta dal medesimo inventario, la seconda busta contiene le bozze dei questionari e tre prospetti. La terza, la stesura manoscritta e le bozze della relazione e i documenti del senatore Scialoja. La quarta, le risposte della Banca nazionale alle trenta domande speciali che compongono il questionario a lei rivolto. La quinta, l’appendice concernente la Banca Nazionale e varie carte di segreteria, funzionali alla spedizione dei volumi dell’inchiesta. La schedatura analitica di questa complessa documentazione ha evidenziato lacune talvolta notevoli; mancano, per esempio, i verbali delle riunioni e gli originali delle risposte degli istituti di credito nazionali; con l’eccezione delle risposte della Banca Nazionale e del Banco di Sicilia. 381 È comunque possibile esaminare la funzione degli altri principali istituti italiani di credito: il Banco di Napoli, la Banca Toscana, la Società di credito immobiliare italiano, il Credito fondiario, le Casse di risparmio, le Banche popolari e la circolazione cartacea nel suo insieme. Per ricostruire, ancora, oltre al ruolo della Banca Nazionale, i rapporti di queste banche con le pubbliche amministrazioni, i fatti e le opinioni sul corso forzoso e la sua influenza sul commercio. La Relazione è comunque subito pubblicata dalla Camera dei deputati, nel I dei tre volumi degli Atti, a loro volta suddivisi in diverse parti, «a maggior chiarezza della [loro] orditura».382 Su questa Relazione, che enfatizza le responsabilità del ministero delle 380 Vedi CD1800000271, Allegato, pp. 453-471. 381 Vedi Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Ca- mera regia (1862-1874), 1994, pp. 35-41; l'Inventario degli Atti della Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sul corso forzoso è ora anche in CD1800000230. 382 Il I volume degli Atti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso pubblica la Relazione, che consta di cinque parti; il II volume, i prospetti e i documenti; il 222 Finanze, i privilegi concessi alla Banca Nazionale e l'incerta, lacunosa e contraddittoria, regolamentazione del corso forzoso, ecco il lusinghiero giudizio del direttore della Banca d'Italia, Bonaldo Stringher383, formulato nel 1924: Classica la poderosa relazione, del 1868, in nome della Commissione d'inchiesta sul corso forzoso dei biglietti di banca, frutto di studi coscienziosi intorno alle banche di emissione, alla circolazione monetaria, ai cambi e ai movimenti di tesoreria; relazione che conchiudeva col proporre che fosse sollecitamente provveduto alla «convertibilità in valuta metallica dei biglietti di banca».384 Un giudizio che rimarca il conflitto tra lo Stato italiano e la Santa Sede e l'andamento della crisi monetaria e della dialettica parlamentare, ma che è da rivedere in chiave critica, III volume, le deposizioni verbali stenografate e le deposizioni scritte. Queste le cinque parti in cui la Camera dei deputati ordina le materie contenute nella Relazione: I) Stato degli istituti di credito in Italia; II) Stato generale della circolazione cartacea; III) Rapporti degli istituti di credito tra loro, con il governo e con le pubbliche amministrazioni; IV) Fatti e opinioni concernenti il corso forzoso dei biglietti di banca; V) Conclusioni della Commissione d’inchiesta. Vedi CD1800000271, Avvertenza, p. 4. 383 Bonaldo Stringher (1854/1930), nato a Udine, si laurea nel 1874 alla Scuola superiore di commercio a Venezia, è direttore generale delle gabelle, ispettore del Tesoro, consigliere di Stato, sottosegretario al ministero del Tesoro, direttore e, dal 1928, governatore della Banca d'Italia. Stringher contribuisce alla costruzione dello Stato anche con i suoi scritti di tecnica bancaria e di economia finanziaria; tra gli altri: Note di statistica e di legislazione comparata intorno alla circolazione monetaria dei vari Paesi, 2 voll., 1883, e Unificazione dell'emissione e deflazione cartacea, 1926. Fanno scuola, le sue Relazioni annuali agli azionisti della Banca d'Italia. 384 Vedi Bonaldo Stringher, In memoria di Fedele Lampertico, 1924, p. 14; Martucci, in Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, p. 20 e n. 69. 223 perché Stringher trascura il contributo di Cordova, ascrivendo tutta la Relazione a Lampertico. Ricordo perciò che il 24 novembre 1868, quattro giorni prima della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, Pio IX, che pure, all'inizio del suo pontificato, aveva concesso l'amnistia a più di mille prigionieri, consentendo a oltre cento esuli di tornare a Roma, aveva ordinato l'esecuzione di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, colpevoli dell'attentato alla caserma Serristori, compiuto un anno prima, nell'inane tentativo di spingere il popolo romano alla sollevazione. 385 III.1.11. Il nuovo Regolamento provvisorio della Camera dei deputati Né è forse un caso che quello stesso 24 novembre 1868, la Camera dei deputati elegga presidente Lanza386 e approvi il nuovo Regolamento provvisorio, già presentato da Massari, 385 Il trentaduenne Giuseppe Monti, di Fano, e il venticinquenne Gaetano Tognetti, di Roma, entrambi muratori, avevano fatto saltare in aria, il 22 ottobre 1867, la caserma degli zuavi pontifici. Per aprire la strada a Garibaldi, attestatosi subito dopo a Monterotondo, da dove va poi incontro alla sconfitta di Mentana. La condanna a morte di Monti e Tognetti è eseguita nonostante la grazia chiesta da Vittorio Emanuele II. Il 10 dicembre 1868 si era concluso altresì il processo a due patrioti romani, l'imprenditore laniero Giulio Ajani (1835/1890) e il calzolaio Pietro Luzzi (1843/1868), condannati per il tentativo rivoluzionario di Villa Glori nel quale, in quello stesso 22 ottobre 1867, avevano perso la vita due dei fratelli Cairoli, Enrico (1840) e Giovanni (1842). Ajani, nel cui lanificio avevano fatto irruzione i soldati pontifici, uccidendo Giuditta Tavani Arquati (1830), il marito Francesco Arquati (1810) e i loro tre figli, ottiene tuttavia la commutazione della pena nel carcere a vita. Cinque i condannati all'ergastolo e sedici a varie pene detentive. 386 Alla fine della IV sessione, Lanza lascia di nuovo, per la terza e ultima volta, l'incarico di presidente della Camera dei deputati, questa volta al ligure Giuseppe Biancheri (1821/1908), che gli subentra all'inizio della V sessione. Si consolida in tal modo la dialettica istituzionale tra Consorteria e Permanente, legata al dualismo politico tra il bolognese Minghetti e il biellese Sella. 224 «confidente e biografo del re»387, subito dopo le dimissioni di Mari, in diciotto capi.388 Questo nuovo Regolamento provvisorio, che sostituisce quello del 1848 389, articolato a sua volta in undici capi e aggiornato nel 1863390, rafforza le prerogative del Presidente. Limitandone l'analisi alle Commissioni parlamentari d'inchiesta, il capo XII è formato da questi tre articoli: Art. 73. Le proposte per inchieste parlamentari sono equiparate a qualsivoglia altra 387 388 Su Massari, vedi Martucci, L'invenzione dell'Italia unita, 1999, p. 15 e ad indicem. Questa la divisione del Regolamento provvisorio del 1868, in diciotto capi e novantanove articoli: I. Disposizioni preliminari, 1-3; II. Del seggio della Camera, 4-11; III. Della verificazione e delle elezioni, 12-20; IV. Delle sedute della Camera, 21-47; V. Delle proposte, 48-49; VI. Del Comitato privato, 50-51; VII. Delle Giunte, 52-55; VIII. Delle petizioni, 56-57; IX. Della discussione, 58-66; X. Delle interpellanze, 67-69; XI. Delle proposte d'iniziativa parlamentare, 70-72; XII. Delle inchieste parlamentari, 73-75; XIII. Delle deputazioni e degli indirizzi, 76-77; XIV. Dei processi verbali, 78-81; XV. Della biblioteca, 82-90; XVI. Degli impiegati, 91; XVII. Degli uscieri, commessi e inservienti, 92; XVIII. Della polizia della Camera e delle tribune, 93-99. Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti. 389 Gli undici capi del Regolamento provvisorio della Camera dei deputati del Regno di Sardegna, approvato l'8 maggio 1848, poco dopo l'editto elettorale, constavano di ottantanove articoli. Due le successive aggiunte: Degli Uffici, in un articolo, adottato il 30 giugno 1849; Delle tribune politiche, in sette articoli, adottati il 20 dicembre 1848. Negli anni seguenti, vennero poi aggiunti i sette articoli sulla biblioteca e l'articolo sulle petizioni. Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti. 390 Il Regolamento provvisorio della Camera dei deputati del Regno d'Italia, approvato il 2 marzo 1863, aveva portato i capi da undici a dodici, inserendo il capitolo sulle interpellanze, «regolato sulla falsariga delle norme del Regolamento del Senato», dopo quello sulle proposizioni e prima di quello sugli uffici e le commissioni. Gli articoli passano invece da storia.camera.it/regolamenti. ottantanove, a novantuno. Vedi http://Camera.it, 225 proposta di iniziativa parlamentare.391 Art. 74. Allorché la Camera, dopo esaurita la procedura ordinaria, delibera una inchiesta, la Commissione è nominata dalla Camera mediante scheda come all'articolo 5.392 La Camera può delegarne la nomina al Presidente.393 Art. 75. Quando una Commissione d'inchiesta stimi opportuno di trasferirsi o di inviare alcuni suoi componenti fuori dalla sede del Parlamento dovrà informare la Camera e chiederne la facoltà. 394 391 Vedi Capo XI. Delle proposte d'iniziativa parlamentare, articolo 70: «Nessuna proposta di legge di iniziativa di uno o più deputati potrà essere letta in seduta pubblica, prima che il Comitato privato non ne abbia autorizzata la lettura. Perché questa autorizzazione venga accordata, sarà necessario che sia deliberata dai tre quarti almeno dei presenti alla seduta del Comitato»; articolo 71: «Allorché l'autorizzazione è concessa, il Presidente ordina la lettura pubblica, e quindi la Camera fissa il giorno dello svolgimento»; articolo 72: «Nel giorno indicato il proponente svolge i motivi della proposta. Non potrà parlare che un solo oratore contro la presa in considerazione. Il proponente ha diritto di replicare. La Camera decide quindi sulla presa in considerazione», Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868, pp. 38-39. 392 Vedi Capo II. Del seggio della Camera, articolo 5: «Queste nomine si fanno mediante schede a maggioranza assoluta; se non si ottiene al primo scrutinio, si procede allo scrutinio di ballottaggio. A voti pari s'intenderà eletto il maggiore di età», Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868, p. 27. 393 Vedi Capo VI. Del Comitato privato, articolo 50: «Il numero legale del Comitato privato non può essere minore di trenta; il suo presidente fissa i giorni, l'ora e il luogo della seduta», articolo 51: «Nella prima seduta, che sarà fissata dal Presidente della Camera, il seggio sarà tenuto provvisoriamente dal decano di età, quale presidente, e da due deputati più giovani, quali segretari. Il Presidente invita il Comitato a nominare un presidente nelle forme indicate all'art. 5. Eletto il Presidente, si procede alla nomina di due vicepresidenti e di tre segretari, nelle forme indicate dall'art. 6; lo spoglio delle schede si fa da sei scrutatori di cui quattro almeno presenti; del resto come all'art. 6. L'Ufficio presidenziale del Comitato dura in carica due mesi», Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868, pp. 34-35. 394 Vedi Capo XII, articoli 73-75, Camera dei deputati, Regolamento, 24 novembre 1868, 226 Dunque, la procedura statuita subordina le Inchieste parlamentari, all'autorizzazione del Comitato privato, deliberata almeno da tre quarti dei presenti. Soltanto dopo: il Presidente ordina la lettura pubblica; la Camera fissa il giorno nel quale il proponente espone la proposta; un deputato ha la facoltà di intervenire contro; il proponente ha il diritto di replicare. Poi, si vota. Vincolando l'Assemblea dei deputati a scegliere i componenti della Commissione, o a delegare la scelta al Presidente, tramite votazione per scheda, a maggioranza assoluta, o con successivo ballottaggio o, in caso di persistente parità, privilegiando il deputato più anziano. Infine, la Commissione parlamentare d'inchiesta è obbligata a informare delle trasferte fuori sede la Camera dei deputati, chiedendole l'autorizzazione. Nulla è invece detto circa gli obblighi di testimoniare su invito del Presidente e di rispettare la privacy, pur previsti dagli Standing Orders dei Select Committees. Né il nuovo Regolamento provvisorio della Camera dei deputati interviene sui poteri delle Commissioni parlamentari d'inchiesta, sui criteri della loro composizione, sui rapporti con l'Assemblea elettiva e sugli eventuali accordi con il Senato. Rinviandone dunque la definizione alla prassi parlamentare. Concludo, tralasciando ancora una volta una compiuta comparazione, in questo caso, tra i Regolamenti provvisori della Camera dei deputati del 1868, del 1863 e del 1848. Per delineare invece un giudizio d'insieme sull'evoluzione delle facoltà ispettive del potere legislativo. Da questo punto di vista, il nuovo Regolamento affida a una Commissione la verifica definitiva dei deputati eletti, che prima spettava all'Assemblea, e razionalizza la p. 39. Per quanto riguarda il diritto di inchiesta in quanto tale, il Parlamento sceglie di regolarne l'esercizio di volta in volta, anche se le forze politiche hanno più volte discusso l'opportunità di regolarlo per legge, in base alla dottrina. Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti. 227 prassi parlamentare, come è del tutto evidente proprio dall'esperienza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Il nuovo Regolamento provvisorio riforma inoltre il sistema della verifica dei poteri e rafforza gli Uffici. 395 In sintesi, proseguendo nel cammino iniziato da Cavour, che aveva cercato invano di temperare l'impostazione timocratica di Balbo, la prima Assemblea elettiva del regno d'Italia valorizza le rappresentanze politiche. Così, a differenza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso conclude i propri lavori con un'unica Relazione, votata a maggioranza, ma con l'assenza del relatore. Malgrado ciò, il primo Regolamento definitivo della Camera dei deputati è approvato soltanto nel 1888, sei anni dopo la riforma Zanardelli del 7 maggio 1882, che sfoltisce e ridisegna circoscrizioni elettorali, raggruppandole in centotrentacinque collegi di varie dimensioni, ma soprattutto amplia il suffragio. Abbassando la soglia dell'età minima richiesta per votare, dai venticinque ai ventun anni, e includendo gli elettori che hanno completato l'istruzione obbligatoria, sino alla seconda elementare inclusa, o che hanno pagato le imposte dirette, ma a partire da un minimo di 19,80 anziché di 40 lire. A dimostrazione di come anche in una società monarchica e liberale, come quella italiana degli anni Sessanta dell'Ottocento, il concreto funzionamento delle Assemblee elettive, dipenda dalla legittimazione popolare, prima ancora che dai regolamenti interni. III.2. La Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso III.2.1. La Banca di Genova Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, che contiene la Relazione finale, approvata a maggioranza il 28 novembre 1868, riassume e dà sistematicità ai risultati dei lavori, iniziati il 10 marzo 1868. La parte saliente 395 Vedi http://Camera.it, storia.camera.it/regolamenti. 228 di questi Atti, alla quale limito la mia analisi, è dedicata al principale degli Istituti italiani di Credito: la Banca Nazionale nel regno d’Italia.396 È questa, infatti, la Banca che, il 1° maggio 1866, ha ricevuto da Vittorio Emanuele II – grazie alla Legge sul corso forzoso approvata dal Parlamento, acquisito il parere del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro delle Finanze, Scialoja – l'ordine di concedere un prestito di duecentocinquanta milioni a favore del Tesoro dello Stato, indicizzato con un tasso d'interesse semestrale dell'1,5%. Ottenendo in cambio l'autorizzazione a convertire in danaro contante le sue banconote, a dare cioè inizio al corso forzoso e a effettuare nel contempo i pagamenti dell'Erario pubblico e dei privati.397 All'inizio dell'inchiesta, la Commissione parlamentare aveva indirizzato, perciò, proprio alla Banca Nazionale nel regno d’Italia, trenta «quesiti speciali».398 Tra queste domande, la settima, alla quale attribuisco particolare importanza, era volta ad accertare il «quadro del 396 Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, contiene anche gli Atti sulla Banca Nazionale Toscana, la Banca Toscana di credito per le industrie e i commerci d’Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. E poi, ancora, sullo Stabilimento mercantile di Venezia, la Banca anglo-italiana, la Società di credito mobiliare italiano, la Cassa nazionale di sconto toscana e il Banco di credito fondiario di Pisa, la Cassa generale di Genova, il Banco di credito italiano, il Banco di sconto e sete di Torino, le Opere pie di San Paolo di Torino, il Monte de’ Paschi di Siena; il Credito fondiario del Banco di Napoli, del Monte de’ Paschi di Siena, della Cassa di risparmio in Bologna, della Cassa centrale di risparmio in Milano, dell’Opera pia di San Paolo di Torino; le Casse di risparmio di Firenze, di Bologna e di Milano; la Banca del popolo di Firenze, le Banche popolari mutue, la Banca operaia di credito in Fabbriano, la Banca popolare di Faenza, la Banca sociale di Iesi e le Banche popolari di Lodi, Lugo, Mantova, Milano, Padova, Parma, Piacenza, Poggibonsi, Siena, Venezia, Verona e Vicenza. Vedi CD1800000271, pp. I e II. 397 Vedi gli articoli 1, 2 e 3, della legge del 1° maggio 1866, n° 2872, Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Supplemento al n. 120, 3 maggio 1866, p. 1. 398 Vedi CD1800000234, A-G, pp. 1-18. 229 movimento della riserva metallica, distinto per oro, argento e bronzo per mesi, dall'origine al 31 dicembre 1859, e per settimane, dal 1859 in poi».399 Nella sua risposta, la Banca Nazionale nel regno d’Italia aveva descritto, tuttavia, «il fondo metallico, in oro, argento, eroso misto e bronzo esistente nelle Casse».400 A partire dal gennaio 1850, quando era ancora la Banca Nazionale negli Stati sardi, al 28 marzo 1868. Senza soffermarsi sulla discontinuità, anche monetaria, che intercorre tra il finanziamento della II guerra di Lombardia, iniziata il 27 aprile 1859, e le spese che il regno di Sardegna deve sostenere dopo aver firmato il trattato di Villafranca, l'11 luglio 1859. Per interpretare le ragioni di una risposta così reticente, risalgo allora, a mia volta, al regime proprietario con cui Vittorio Emanuele I401 aveva coniugato le aspirazioni nazionali delle élite, prefigurate nella distinzione amministrativa tra Divisioni, Province, Mandamenti o Cantoni e Comuni, con gli interessi dinastici dei Savoia, garantiti dalle primogeniture e dai fidecommessi. Così, dopo Carlo Felice, proprio Carlo Alberto aveva attribuito personalità giuridica ai primi due di questi livelli, le Divisioni e le Province, ben prima di concedere lo Statuto. 402 Cercando di rendere complementari gli assetti proprietari feudali, di matrice ecclesiastica e monarchica, e l'organizzazione amministrativa borghese, di derivazione napoleonica, per governare la difficile transizione dall'Ancien régime alla 399 Vedi Camera dei deputati, Atti .... Quesiti, 1868, ora anche CD1800000234, B, p. 5. 400 Vedi CD1800000234, doc. 38, p. 48. 401 Vittorio Emanuele I (1759/1821, re di Sardegna dal 1802), detto il Tenacissimo, è il secondo figlio maschio, dopo Carlo Emanuele IV (1751/1819, re di Sardegna dal 1796, al 1802), Maria Giuseppina, Maria Teresa e Maria Anna e prima di Maurizio Giuseppe Maria, Maria Carolina, Carlo Felice e Giuseppe Benedetto, di Vittorio Amedeo III di Savoia (1726/1796, re di Sardegna dal 1773) e dell'Infanta di Spagna, Maria Antonietta di Borbone. 402 Con Carlo Felice (1765/1831), che rimane senza eredi, il ramo principale dei Savoia si estingue, sostituito dal ramo Savoia Carignano, al quale appartiene Carlo Alberto. 230 modernità; con un'impostazione che, per questi versi, è analoga a quella orléanista. È questo il contesto in cui inserire la vicenda del genovese Carlo Bombrini403, che ho già menzionato quale direttore della banca Nazionale nel Regno d'Italia, a proposito delle audizioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.404 Figlio di un capitano dei carabinieri, assunto come commesso nella ditta bancaria Bartolomeo Parodi e Figlio, dove aveva fatto carriera, operando una forte, ma prudente e graduale, centralizzazione, Bombrini era stato poi nominato direttore della Banca di Genova, fondata il 16 marzo 1844, da un gruppo di finanzieri liguri, autorizzati dalle Regie Lettere Patenti di Carlo Alberto e dal marchese milanese Tommaso Spinola, Commissario regio dal 12 settembre 1844.405 Affiancato proprio da Parodi, nominato presidente nel 1845, quando la Banca di Genova era diventata operativa, nel 1848, Bombrini aveva disposto la concessione di un prestito di venti milioni di lire al governo piemontese, impegnato nella preparazione della I guerra di 403 Vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, ad indicem; Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, pp. 391-395. 404 Cfr. «La banca [di Genova], sorta per iniziativa di un gruppo di capitalisti genovesi (tra i fondatori, accanto al Parodi, erano il marchese De Ferrari duca di Galliera, il marchese F. Pallavicino, il barone G. Cataldi), con un capitale di quattro milioni di lire, ripartito in quattromila azioni e sottoscritto prevalentemente da commercianti di Genova, Torino, Nizza e Chambéry, fu autorizzata ad iniziare l'attività, sotto la denominazione di Banca di sconto, depositi e conti correnti, dalle regie patenti del 16 marzo 1844», Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 391. 405 Tommaso Spinola (1803/1879) è deputato del collegio di Bobbio, nella V legislatura del Regno di Sardegna, sindaco di Genova, componente del Consiglio di Stato, senatore del Regno d'Italia dal 16 novembre 1862 e questore del Senato dal 1867, al 1877, quando chiede di essere dispensato. Vedi Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, leg. XV, vol. IV, dal 25 novembre 1885 al 14 aprile 1886. Il 6 novembre 1873, auspice Minghetti, Spinola propone la nomina di Lampertico a senatore. 231 Lombardia. Finanziandolo con il corso forzoso e fissando il limite massimo di emissione dei conti correnti pagabili a vista, al triplo del denaro metallico esistente in cassa; sino a far acquisire alla Banca di Genova una posizione dominante. Grazie anche alla contestuale applicazione del basso tasso di sconto imposto dalla Legge sarda contro l'usura, che puniva i contravventori con pene detentive e pecuniarie, per fronteggiare la crisi del bimetallismo e la speculazione sull'argento. III.2.2. La Banca Nazionale nel Regno di Sardegna Il 14 novembre 1849, Vittorio Emanuele II, appena salito al trono, aveva poi unificato la Banca di Genova con la Banca di Torino 406, sorta nel 1847, ma entrata in funzione nel 1849. Promulgando il Regio decreto sulla Banca Nazionale negli Stati sardi, con il quale aveva associato l'insieme dei soggetti economici, liguri, piemontesi e sardi, convinti di avere storia, civiltà e interessi nazionali.407 Nominato direttore della Banca Nazionale negli Stati sardi, Bombrini aveva imposto la 406 Cfr. «[...] la fusione era quasi imposta dalle circostanze alla Banca di Torino che, dal momento della sua costituzione (era stata autorizzata con regie lettere patenti del 16 ottobre 1847, con caratteristiche simili a quelle dell'istituto genovese), non aveva praticamente potuto funzionare a causa del corso forzoso di cui si avvantaggiava la Banca di Genova», Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 392. 407 Cfr. «[...] un ammontare crescente di risparmio [...] rimaneva inoperoso per mancanza di istituzioni creditizie atte a mobilitarlo al servizio dello sviluppo economico del paese. Il problema era specialmente sentito a Genova, che alle crescenti esigenze del grande commercio d’oltremare univa le tradizioni ancora recenti di un grande centro finanziario e bancario a livello europeo. [...]. Il progetto di una nuova banca venne dunque avanzato, verso la fine del 1843, da un gruppo di finanzieri liguri [...]. A modello del nuovo istituto venne scelta la banca fondata nel 1835 a Marsiglia, di cui si adottarono quasi alla lettera gli statuti», Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, pp. 125-126. 232 supremazia dei capitali della Banca di Genova, sui capitali della Banca di Torino, anche esportando monete metalliche, in cambio di contanti; con lo scopo di superare la diffidenza dei clienti nei confronti della carta moneta. Per poi disporre l'apertura, nel 1855, «in forza della legge» dell’11 luglio 1852, delle succursali di Nizza marittima e Vercelli, e di Alessandria e, nel 1856, «in forza della legge» del 27 febbraio 1856, delle succursali di Cagliari e Cuneo.408 Questa sequenza spazio temporale, che rende esplicita la dinamica giuridica precedente la fondazione di una Banca o l'apertura di una succursale bancaria, è da porre in relazione con la partecipazione di Cavour al congresso di Parigi, dove le potenze europee avevano discusso gli assetti del Vecchio Continente, alla fine della guerra di Crimea. Dopo quell'evento, infatti, in nome dei principi del libero scambio, Cavour aveva liberalizzato il tasso di interesse della Banca Nazionale negli Stati sardi, che aveva al contempo emesso ottomila azioni, portando il proprio capitale a quaranta milioni e concedendo al governo piemontese un prestito di trenta milioni di lire, con un tasso d'interesse pari al 2%. 409 Mentre, a Bologna, Minghetti aveva fondato, insieme al marchese Luigi Pizzardi 410 la Banca delle Quattro Legazioni e, a Parma, Luisa Maria di Borbone-Francia, aveva promosso la Cassa di Risparmio di Parma411. 408 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 1, p. 9. 409 Cavour aveva liberalizzato il tasso di interesse della Banca Nazionale negli Stati sardi, con la Legge del 5 giugno 1857, mentre il commercio estero raggiungeva il suo picco, contrastato dalla contestuale crescita del deficit della bilancia commerciale, vedi Romeo, Vita di Cavour, 1984, ed. 1999, p. 365. 410 Il marchese Luigi Pizzardi (1815/1871), ricco proprietario terriero, è in seguito il primo sindaco di Bologna; incarico, che nel 1861, è bene ricordarlo ancora una volta, è di nomina regia. 411 Luisa Maria di Borbone-Francia, duchessa di Berry (1819/1864), vedova di Carlo III 233 Soltanto in seguito, il direttore della Banca Nazionale negli Stati sardi, Bombrini, aveva reintrodotto il corso forzoso, facendo seguito al trattato militare e finanziario con la Francia, per preparare la II guerra di Lombardia, in forme meno repentine di quelle che avevano portato alla I guerra di Lombardia. Il regno di Sardegna si era così impegnato a rimborsare le somme ricevute nel gennaio 1859, con annualità pari a un decimo circa delle entrate annue che avrebbe incassato dopo l'unificazione con la Lombardia. Firmato il trattato di Villafranca, dimessosi Cavour e insediatosi il governo La Marmora-Rattazzi, ma permanendo lo «stato di guerra», il giro d’affari della Banca Nazionale negli Stati sardi si era poi esteso ai comuni della Lombardia, di Parma e di Modena. Ciò, grazie ancora all'iniziativa del medesimo Bombrini, che aveva consolidato i capitali della Banca Nazionale negli Stati sardi, malgrado Cavour si fosse pronunciato a favore di un parziale decentramento dello Stato, già in parte prefigurato dalla struttura organizzativa della Società Nazionale italiana. Bombrini aveva così separato la circolazione cartacea, dal fondo metallico, in oro, argento, eroso misto e bronzo; alternando biglietti di grosso e di piccolo taglio e aprendo cinque succursali, adeguate all'articolazione amministrativa del Regno di Sardegna, in Divisioni e Province. Ma, soprattutto, adattando alle ragioni dinastiche dei Savoia, la struttura centralizzata propria di ogni Banca, che prefigura un vero e proprio sistema creditizio: dalle anticipazioni in denaro, ai conti correnti. Tuttavia, dopo il Trattato di Villafranca, come, nel 1878, ha scritto Lampertico nel IV volume del suo trattato incompiuto Economia dei popoli e degli Stati, sul commercio: di Borbone-Parma (1823/1854), aveva fondato nel 1856, la Cassa di Risparmio di Parma, che aveva tuttavia iniziato la sua attività soltanto il 13 aprile 1860, dopo i plebisciti di annessione al Regno d'Italia, applicando lo Statuto promulgato da Farini, dittatore dell'Emilia. 234 la legge nel fissare il ragguaglio colla lira italiana delle monete di conio austriaco, che avean corso tuttora nella Lombardia di già formante parte del Regno, stabiliva che la metà ed il quarto, sia della lira austriaca, come della svanzica austriaca di vecchio o di nuovo conio, potessero entrare nei pagamenti di somme eccedenti le cinquanta lire nella proporzione del decimo di eccedenza. Si aggiungeva l’errore di attribuire alla mezza lira austriaca di vecchio conio il valore di 41 centesimi italiani troppo alto, avuto specialmente riguardo allo stato scadente, e quanto mai logoro di quelle monete. […]. Se ne incettò nelle provincie limitrofe, tuttora soggette all’Austria in gran quantità per rivenderle in Lombardia, ove la legge avea attribuito troppo più pregio che non meritassero.412 Dunque, anche dopo le vittorie franco italiane di Solferino e San Martino, il sistema monetario austriaco, dominante a Venezia e nel Veneto, era rimasto influente nella Lombardia liberata, mentre nello Stato pontificio circolava sempre lo scudo. Da qui, la debolezza della lira italiana, penalizzata dalla speculazione e da un'incauta sopravvalutazione, superiore agli effettivi valori di mercato. È questo il complesso fenomeno monetario che la Banca Nazionale nel regno d'Italia fa passare sotto silenzio, quando descrive «il fondo metallico, in oro, argento, eroso misto e bronzo esistente nelle Casse», dal gennaio 1850, al 28 marzo 1868. 413 In risposta alla settima delle domande speciali della Commissione parlamentare d'inchiesta, che era invece volta ad accertare proprio il «quadro del movimento della riserva metallica, distinto per oro, argento e bronzo 412 Vedi Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. IV, Il Commercio, 1878, p. 245; Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, p. 278. 413 Vedi CD1800000234, doc. 38, p. 48. 235 per mesi», con particolare riferimento al 1859.414 Pur avendo modificato i suoi Statuti proprio nel 1859, per adeguarli al corso forzoso che precede la II guerra di Lombardia. III.2.3. Gli Statuti della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna Entro ora nel merito degli «Statuti per la Società Anonima della Banca Nazionale, muniti di ordine Nostro del visto del Ministero delle Finanze», approvati con il Regio decreto del 1° ottobre 1859, in centocinque articoli.415 Il primo di questi articoli aveva autorizzato l’apertura delle sedi della Banca Nazionale negli Stati sardi a Milano, Genova e Torino e delle succursali di Alessandria, Cagliari, Cuneo, Nizza e Vercelli. Facilitando il ripristino del corso legale, tornato in vigore il 1º novembre 1859. Questa volta, tuttavia, a differenza del 1849, il corso forzoso era stato accolto dal pubblico, senza alcuna reazione di panico.416 Mentre la successiva apertura delle tre sedi e delle cinque succursali della 414 Vedi Camera dei deputati, Atti .... Quesiti, 1868, ora anche CD1800000234, B, p. 5. 415 Questo l'indice degli Statuti per la Società Anonima della Banca Nazionale: Capo I Della fondazione e durata della società, Articoli 1-8; Capo II Del capitale della banca e delle sue azioni, Articoli 9-15; Capo III Delle operazioni della Banca, Sezione I Della natura delle operazioni, Articoli 16-23, Sezione II Delle condizioni delle operazioni, Articoli 24-40, Sezione III, Della distribuzione del fondo disponibile, Articoli 41-42; Capo IV Del dividendo, Articoli 43-45; Capo V Della riserva, Articoli 46-48; Capo VI Dell'amministrazione della banca, Sezione I Della composizione dell'amministrazione, Art. 49, Sezione II Dell'adunanza generale degli azionisti, Articoli 50-55, Sezione III, Del Consiglio superiore, Art. 56-66, Sezione IV Del Direttore generale, Articoli 67-70, Sezione V Dei Consigli di reggenza, Articoli 71-82, Sezione VI Dei Censori, Articoli 73-84; Capo VII, Delle Commissioni di sconto, Articoli 85-86; Capo VIII Dei Dirigenti delle Sedi, Articoli 87-89, Capo IX Dei Consigli amministrativi e dei Direttori delle succursali, Articoli 90-91; Capo X Disposizioni generali, Articoli 92-99; Capo XI Disposizioni transitorie, Articoli 100-105. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, pp. 60-84. 416 Cfr. Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, 236 Banca Nazionale negli Stati sardi, era stata accompagnata tra l'altro sia dalle leggi Rattazzi sulla centralizzazione degli ordinamenti comunali e provinciali e sulla subordinazione dei magistrati al ministro di Grazia e Giustizia, sia dalla legge Casati sulla pubblica istruzione. Allo stesso tempo, la Banca Nazionale negli Stati sardi aveva fatto salva la facoltà degli azionisti di disporre l’attivazione di nuove sedi e di trasferire le succursali esistenti, ma l'aveva subordinata all'autorizzazione del «Governo monarchico rappresentativo». A partire dagli articoli 69, 89 e 105 dei suoi Statuti , che avevano regolamentato le prerogative e le mansioni del Direttore generale, uniformando a esse quelle dei Direttori delle sedi. 417 È questo il sistema bancario con cui il regno di Sardegna aveva imposto il suo centralismo ai territori unificati; sino a Milano, Bologna e Firenze. Gli Atti della Commissione d'inchiesta della Camera dei deputati sul corso forzoso documentano infatti che, undici mesi dopo il ritorno di Cavour al governo e nove mesi dopo le elezioni politiche, il 12 novembre 1860, la Banca Nazionale negli Stati sardi aveva convocato l’Assemblea generale degli azionisti, invitando le Banche dei comuni annessi con i plebisciti, a cessare la loro attività, per trasformarsi in sue succursali. 418 p. 393. 417 L'articolo 69 degli Statuti della Banca Nazionale negli Stati sardi obbliga il Direttore generale a giustificare, prima di esercitare le sue funzioni, la libera proprietà di cinquanta azioni della Banca, che rimangono inalienabili per tutta la sua durata in carica. Il medesimo articolo gli proibisce altresì di essere iscritto ad altre istituzioni di credito, di esercitare commerci e di operare in borsa. L’articolo 89 estende poi questo divieto, ai Direttori delle sedi. Mentre l'articolo 105 esenta i Direttori in carica, che appartengono ad altre Società di credito, dal divieto di cui agli articoli 69 e 89. Vedi Camera dei deputati Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, pp. 60-84. 418 Cfr. «Nel periodo delle annessioni il B. fu inviato dal Cavour ad organizzare nelle regioni via via integrate nel Regno nuove sedi della Banca nazionale, nonché a trattare la fusione con preesistenti istituti, secondo un fermo intendimento mirante a creare un'unica banca di circolazione "de Suse à Marsala"», Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario 237 A ciò avevano fatto seguito il trasferimento della succursale di Nizza a Porto Maurizio, con cui la Banca aveva ovviato alla cessione di Nizza alla Francia, e l ’attivazione di altre succursali, che aveva accompagnato l ’impresa dei Mille e la realizzazione dell ’unità nazionale: nel 1860, a Bergamo, Brescia, Como e Modena, e nel 1861, ad Ancona, Perugia, Bologna, Ferrara, Forlì, Parma e Ravenna. Da qui, l’apertura delle sedi di Napoli e di Palermo e delle undici succursali di Pavia, Sassari, Cremona e nelle province meridionali. Sempre nel 1861, il 18 agosto, cioè undici settimane dopo la morte di Cavour, un nuovo Regio decreto aveva disposto che la Banca Nazionale negli Stati sardi assumesse la denominazione di Banca Nazionale nel regno d’Italia, aumentasse il capitale sociale e riformasse gli Statuti. Mentre proprio Cordova, allora ministro d i Agricoltura, Industria e Commercio nel I governo Ricasoli, con Bastogi alle Finanze, aveva presentato una relazione per disporre che le nuove sedi e succursali nelle provincie meridionali soccorressero in pari tempo il commercio ed insegnassero con l'esempio le operazioni del credito pubblico, il quale veramente vuol essere inaugurato con una società provata e sicura in quei luoghi dove la fede pubblica fu spesso violata e distrutta.419 Cordova aveva però rinviato l’aumento del capitale sociale e, soprattutto, la riforma degli Statuti della Banca Nazionale a una legge successiva. Poi, trasferita la capitale da Torino a Firenze, dal marzo all'aprile 1865, il governo La Marmora-Sella aveva finanziato gli ingentissimi costi dell'unificazione amministrativa, attraverso i poteri locali e la spesa biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 393. 419 Vedi Camera dei deputati, Atti ..., vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 1, p. 10, ma considera tutto il paragrafo. 238 pubblica, tra accentramento e rappresentanze, e aveva ampliato la burocrazia, approvando i nuovi Codici del Regno d'Italia. 420 Il 19 dicembre, tuttavia, questo governo, che pure aveva vinto le elezioni politiche, era stato sostituito dal governo La Marmora-Scialoja, perché la Camera aveva bocciato il Regolamento della convenzione che aveva affidato il Servizio di tesoreria alla Banca Nazionale nel regno d’Italia, già promulgato dal Regio decreto del 6 dicembre 1865.421 Il progetto di unificazione della Banca Nazionale nel regno d’Italia e della Banca Nazionale Toscana, nella Banca d’Italia, era stato invece subordinato al trasferimento della capitale a Roma. Quindi, dopo l'annessione del Veneto, la Banca Nazionale nel regno d’Italia aveva aperto quattro nuove succursali e predisposto l'apertura della sede di Venezia, portando in tal modo a cinquantadue le succursali nazionali, ma con una fortissima sperequazione tra nord e sud, e a sette le sedi nelle principali città italiane; con l'eccezione di Roma, ancora nello Stato pontificio. A questa articolazione della Banca Nazionale nel regno d’Italia in succursali e in sedi, corrispondeva il progressivo incremento del numero degli azionisti e delle azioni messe in vendita tra i soci fondatori e sottoscrittori e tra i pubblici sottoscrittori, come previsto dall’articolo 98 degli Statuti della Banca Nazionale. 422 420 Sul nuovo Codice di commercio, vedi Sensales, Fedele Lampertico, 2011, pp. 49, 198, 260, 294, 312. 421 Cfr. i libri già citati nell'analisi dei costi dell’unificazione amministrativa: Astuto, L’amministrazione italiana. Dal centralismo napoleonico al federalismo amministrativo, 2009; Martucci, L’invenzione dell’Italia unita 1855-1864, 1999; Id., Storia costituzionale italiana, 2002; Ragionieri, Politica e amministrazione nello Stato unitario, 1961, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, 1967. 422 Questa parte della Relazione della Commissione parlamentare d ’inchiesta sul corso forzoso si fonda sulle risposte degli uffici della Banca Nazionale al primo dei trenta quesiti speciali del questionario, ora contenuti nella busta 3; la Commissione chiede la data in cui è stata fondata l’istituzione, il capitale costitutivo e la sua forma, la data e l’ammontare 239 III.2.4. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: lo sconto o anticipazione Dopo aver descritto l'articolazione territoriale, l'aumento del capitale sociale e la riforma degli Statuti legati al Regio decreto del 18 agosto 1861 e l'apertura di nuove sedi e succursali nelle provincie meridionali e nelle province venete, il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso prosegue l'analisi della Banca Nazionale nel regno d'Italia, ricostruendone i movimenti annui. In un quadro che distingue gli incassi dai pagamenti, registra la contrazione degli introiti negli anni 1863 e 1864 ed enfatizza la conseguente sospensione delle funzioni di sconto. Tuttavia, malgrado queste défaillances, nel 1867, la Banca Nazionale ha un saldo positivo di quattro miliardi di lire, a fronte del miliardo accumulato nel 1858, incrementato di circa duecento milioni nel 1859.423 La Banca Nazionale negli Stati sardi aveva tratto dunque notevole giovamento anche dall'annessione del Veneto, che pure aveva comportato le ingenti spese necessarie a finanziarie la «guerra per Venezia» e il plebiscito di annessione all'Italia, ma aveva lasciato una zona grigia sui propri movimenti monetari durante la trasformazione in Banca dell’emissione dei titoli, il modo di collocamento, gli Statuti e le loro modificazioni, i resoconti e i bilanci annuali. Vedi Camera dei deputati Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, pp. 60-84; Malvagna e Nardi, a cura di, Commissioni parlamentari d’inchiesta della Camera regia (1862-1874), 1994, Inventario, p. 36. 423 Vedi: «E si noti che questi 4 miliardi del 1867 rappresentano veri affari, cioè riscossioni fatte da estranei e pagamenti fatti ad estranei; laddove prima del 1866 le somme di questo prospetto comprendono anche le riscossioni e pagamenti tra istituto e istituto della Banca stessa», Camera dei deputati, Atti .... Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 3, p. 13. Per le cifre in dettaglio, dalle centinaia di migliaia di lire, ai millesimi, rinvio al prospetto generale degli incassi, dei pagamenti e dei totali negli anni 1858/1877, ibidem. 240 Nazionale nel Regno d'Italia. Proprio come aveva fatto la Banca di Genova quando aveva unificato i propri capitali con quelli della Banca di Torino. In questo modo, il medesimo Bombrini, già direttore della Banca di Genova e della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna, aveva consolidato anche la struttura interna della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, fondata sul Direttore generale, sui Direttori delle sedi, sugli azionisti e sulle azioni, come previsto dagli Statuti del 1° ottobre 1859. Da qui, un giro d’affari ricostruito attraverso le funzioni di sconto o anticipazione, di deposito e di circolazione, alla fine del 1867. Risalendo però ancora una volta al 1859 e alla Banca Nazionale negli Stati sardi. 424 Anche in questo caso, dunque, l'implicito terminus a quo della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso è il Trattato di Villafranca, con la relativa Conferenza di pace di Zurigo, dove i plenipotenziari austriaci, francesi e sardi, avevano ridefinito gli assetti dell'Italia centrosettentrionale, dopo la II guerra di Lombardia, preparando l'impresa dei Mille, l'unità nazionale e l'unificazione monetaria. 425 Entrando nel merito della circolazione monetaria, rilevo che, durante gli otto anni 424 Vedi «Riservandoci di parlare in seguito di que' servigi che, senza d'essere d'indole bancaria, tuttavia si trovano assunti dalla Banca, riepilogando ora in termini generalissimi i servigi ch'essa rende nei limiti d'istituto bancario, si può dire che funge nello stesso tempo, come Banca di sconto, come Banca di deposito, come Banca di circolazione», Camera dei deputati, Atti ..., vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 4, p. 14; cfr. Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 65-72. 425 Si tratta, dunque, di approfondire i costi economici e finanziari della cessione della Lombardia, dall'Impero austriaco, al Regno di Sardegna, resa possibile soltanto dalla mediazione francese, con modalità analoghe a quelle poi seguite per trattare la cessione del Veneto, dall'Impero austriaco, al Regno d'Italia. Cfr. Marco Meriggi, Amministrazione e classi sociali nel Lombardo - Veneto (1814-1848), 1983; Id., Il Regno Lombardo - Veneto, in Storia d’Italia, a cura di Giuseppe Galasso, vol. XVIII, parte II, 1987; Id., Gli Stati italiani prima dell’Unità. Una storia istituzionale, 2002; Id., Gli antichi stati crollano, in Storia d’Italia, 2007, pp. 541-566. 241 ricostruiti dalla Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Banca Nazionale nel Regno d'Italia esercita la funzione di sconto, anticipando denaro sugli effetti di commercio e sui depositi di sete grezze e lavorate e di metalli preziosi, verghe e monete d’oro e d’argento.426 Tramite vari titoli di credito: cambiali, cedole e obbligazioni del debito pubblico, Buoni del Tesoro, prestiti a città e province, azioni e obbligazioni delle imprese industriali, alle quali lo Stato ha garantito un interesse, e altri depositi equiparati per legge. Tra questi, le cartelle del credito fondiario, che il «Governo Monarchico rappresentativo» mette in vendita con la Legge del 14 giugno 1866, un mese e mezzo dopo la promulgazione del corso forzoso e una settimana prima della caduta del governo La Marmora-Scialoja. La Banca Nazionale sconta questi titoli in tre mesi, a condizione che si tratti di titoli emessi in città dello Stato italiano o a Parigi, Lione, Marsiglia e Ginevra, cioè in Francia e in Svizzera, due dei tre Paesi, l'altro è il Belgio, con i quali l'Italia aveva fondato l'Unione monetaria latina. Questi medesimi titoli devono tuttavia essere garantiti dalle firme di tre persone solvibili, una delle quali deve essere domiciliata nella città dove ha sede la banca di emissione.427 Questo sistema è simile a quello della Banca di Francia, che lascia invariato il tasso di sconto, fidando nell’effetto perequatore del mercato; con incrementi di capitale legati alle sedi esistenti o all’apertura di nuove sedi. Tuttavia, se si considera la circolazione monetaria degli anni 1859-1867, nel suo insieme, è evidente che la Banca 426 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 4, p. 14; tra il 1863 e il 1865, le esportazioni di sete grezze crollano da ventiseimila a quindicimila quintali annui, ma la Banca Nazionale riesce a limitare gli effetti di questo crollo, subendo soltanto un netto decremento, cfr. Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, pp. 129, 131 e 149. 427 Vedi l'art. 24 degli Statuti della Banca Nazionale, Camera dei deputati Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 66. 242 Nazionale adotta il sistema di sconto della Banca di Londra, assai meno liberista di quanto appaia e, soprattutto, meno liberista del sistema della Banca di Francia, perché, invece di un tasso di sconto fisso, applica oscillazioni del tasso, comprese tra il 4,50%, e il 9%, inverse all’abbondanza di denaro: È notissimo che la Banca di Londra varia la ragione dello sconto, tenendola più alta quando il denaro scarseggia e ribassandola quando abbonda; mentre invece il Banco di Francia aveva per sistema di mantenerla sempre fissa e invariabile, dovendosi secondo questo sistema ammettere per compensato quel di più che si fa pagare negli anni che il denaro abbonda con quel tanto di meno che si fa pagare quando scarseggia.428 Ecco perché la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso rimarca l'influenza della crisi americana sulla Banca di Londra e sulla Banca di Parigi, sulle conseguenti spedizioni di numerario dall'Inghilterra agli Stati Uniti e sulla crisi annonaria francese. Da qui, la necessità di contenere il prezzo del denaro entro i limiti determinati dai mercati europei; da qui, la scelta di trarre dai tassi di sconto annui, che la Banca Nazionale applica tra il 1860 e il 1867, un prospetto dei vari beneficiari, in ordine decrescente: banchieri, commercianti, industriali, proprietari, stabilimenti di credito, casse di risparmio, provincie e comuni. Questa gerarchia infatti enfatizza e spiega il picco del tasso di sconto 428 La relazione così prosegue: «[...] Col sistema prima seguito dal Banco di Francia, si è il Banco che fissa lo sconto; col sistema del Banco di Londra, seguito adesso dal Banco di Francia, il Banco non fa che conformarsi al prezzo corrente: col primo sistema il Banco è come un sostegno con cui si vuole mantenere l’acqua allo stesso livello; col secondo non fa che segnare l’acqua dov’essa arriva». Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 5, pp. 15-17, ma considera tutto il paragrafo. 243 nei primi nove mesi del 1868, dopo che nel 1867 la somma delle anticipazioni aveva superato il sessanta per cento della somma degli sconti. Quanto alle rendite, le anticipazioni di denaro le lasciano invariate, ma espongono i titolari ai rischi della speculazione, a maggior ragione in un Paese come l'Italia dove, sin dal 1861, le importazioni superano le esportazioni. Perciò il 23 aprile 1867, il ministro delle Finanze, Ferrara, aveva assecondato il ribasso del tasso di sconto della Banca nazionale, proposto dal Direttore generale Bombrini, che tuttavia aveva contestualmente lasciato invariato il tasso d’interesse. Adombrando così una delle questioni che caratterizzano l’intero dibattito storiografico sul corso forzoso: il rapporto quantitativo tra aumento dell’aggio sull’oro e importazioni.429 III.2.5. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: il deposito Tralasciando anche questa questione, mi soffermo invece sulle anticipazioni della Banca Nazionale dal 1860 al 1867, distinte in fondi pubblici dello Stato, cedole di città e province, azioni industriali, verghe e monete, sete e cambiali all’estero. Per rimarcare che i fondi pubblici dello Stato assorbono più di un miliardo di lire sul totale delle anticipazioni, pari a un miliardo e duecento milioni di lire. 430 Mentre nel 1866 il governo Ricasoli429 Vedi: «Probabilmente il ministro (così ne parlava all’adunanza degli azionisti del 19 febbraio 1868 il direttore della Banca) fu indotto in tale decisione dall’aver considerato che la nostra rendita, fruttando, al vilissimo corso in cui era ed è tenuta, il 10% circa, non poteva essere grave ai possessori di pagare il 7%, mentre d’altra parte il ribassare ancora questo saggio poteva dare eccitamento alla speculazione all’interno e promuovere l’aumento dell’aggio sull’oro provocando maggiori vendite dall’esterno all’interno», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 9, p. 24, ma considera tutti i §§ 9-10. 430 Vedi il quadro generale delle anticipazioni della Banca Nazionale negli anni che vanno dal 1860 al 1867, Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora 244 Scialoja ha ottenuto somme limitate431, in confronto al disavanzo dello Stato italiano nel marzo 1865: 625 milioni, secondo i calcoli del governo La Marmora-Sella. Così se nel dicembre 1864, con il medesimo governo La Marmora-Sella, l’anticipazione era stata di 18 milioni, nel giugno 1868, con il II governo Menabrea-Cambray Digny, è di 32 milioni. 432 Il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso documenta poi che la Banca Nazionale nel regno d’Italia amministra un deposito di somme in conto corrente433 e custodisce titoli, documenti, monete e gioie, secondo quanto stabilito dai punti terzo e quarto dell'art. 16 degli Statuti. 434 L'apertura di un conto anche CD1800000271, § 10, p. 26. 431 Secondo il prospetto presentato da Cordova nella relazione del 25 luglio 1868, la Banca Nazionale nel Regno d'Italia aveva concesso al Tesoro un mutuo di circa 278 milioni di lire. Vedi la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, CD 1800000272, documento 89, p. 1284. 432 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 10, p. 27. 433 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 28; cfr. «Come Banca di deposito, [la Banca Nazionale] riceve in conto corrente le somme che le vengono versate e paga i mandati ed assegni che pel loro ammontare vengono emessi da chi ne ha il credito: s'incarica per conto dei particolari e dei pubblici stabilimenti dell'esazione gratuita di effetti esigibili nelle sue sedi e succursali; tiene una cassa di depositi volontari per titoli e documenti, verghe e monete d'oro e d'argento d'ogni specie, gioie ed altri oggetti preziosi (articolo 16)», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 4, p. 14. 434 Questo l'art. 16 degli Statuti della Banca Nazionale: «Le operazioni della Banca consistono: 1° Nello sconto di lettere di cambio o di altri effetti di commercio a ordine, che riuniscano i requisiti di cui nell'art. 24 [titoli da scontare in tre mesi, a condizione che siano stati emessi in città dello Stato italiano o a Parigi, Lione, Marsiglia e Ginevra, e siano garantiti dalle firme di tre persone solvibili, di cui per lo meno una domiciliata nella città sede della banca di emissione]. 2° Nell'incaricarsi per conto dei particolari dei pubblici stabilimenti dell'esazione gratuita d'effetti esigibili nelle rispettive sedi e succursali. 3° Nel 245 corrente è però riservata alle persone domiciliate nello Stato italiano; con la seguente limitazione prevista dall'art. 28 degli Statuti: La Banca rifiuterà di scontare gli effetti così detti di circolazione, che apparissero non avere per fondamento un'operazione reale di commercio. 435 La Relazione distingue poi le somme da investire o prestare e da restituire, in qualsiasi momento, ai clienti che ne fanno richiesta, ma senza alcun interesse, in disponibili o non disponibili, a seconda che la Banca le abbia già incassate o le debba ancora incassare. 436 I clienti della Banca Nazionale possono quindi effettuare depositi volontari o liberi, da ritirare quando pattuito; oppure depositi obbligatori o necessari, su cauzione. Con l’eccezione della succursale di Cagliari che, sin dall'apertura, è stata autorizzata, in base alla Legge del 27 febbraio 1856, ribadita dagli Statuti del 1859, a incentivare per dieci anni il risparmio, sui conti correnti non disponibili. Da quella scelta, che il Consiglio superiore ricevere in conto corrente senza interessi (salvo quanto è disposto dalla legge del 27 febbraio 1856 per la succursale di Cagliari) e senza spese le somme che le saranno versate, e nel pagare i mandati ed assegni che, a fronte delle medesime e sino a concorrenza del loro ammontare, verranno emessi da chi ne avrà avuto il credito». Vedi Camera dei deputati, Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 65. 435 Vedi l'art. 28 degli Statuti della Banca Nazionale, Camera dei deputati Atti … . Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, p. 66, cit. in Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 28. 436 La Relazione riporta, senza commentarla, l'opinione secondo cui «Per un Banco di circolazione si stima talvolta non senza pericolo il pagare sulle somme che riceve in deposito un interesse, nel timore che onde far fruttare i depositi, in cerca il Banco d'un qualsiasi impiego, anche per un termine lontano, espongasi così a trovarsi sprovveduto o pel cambio dei biglietti in contante o pel ritiro stesso dei depositi», vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 28. 246 della Banca Nazionale ha prolungato oltre il 1866, è scaturita la successiva decisione d’incrementare la circolazione dei biglietti di banca, estendendo i conti correnti fruttiferi alle sedi e alle succursali, o filiali, meridionali: Napoli e Palermo; Aquila, Bari, Catania, Chieti, Foggia, Girgenti, Messina, Reggio di Calabria, Siracusa e Trapani. Insieme a queste province meridionali, dove la circolazione dei biglietti di banca è assai limitata, l'autorizzazione a emettere buoni fruttiferi è stata estesa alla Cassa di Risparmio di Milano e, dal 1867, alla piccola Cassa di Soccorso di Ancona per i colerosi. 437 Nell’insieme, al 31 marzo 1868, la Banca Nazionale ha accumulato centoquarantuno milioni di lire, in depositi volontari o liberi, così distribuiti: a) settanta milioni in depositi particolari (tra cui quarantatré a Torino, quattordici a Firenze, sei a Genova e uno a Milano); b) trentaquattro milioni e mezzo di rendita della Banca; c) trentasei milioni di rendita sul prestito nazionale del 1866, contratto dal sindacato costituitosi per l’occasione; d) quattrocentoventiquattro mila lire della cassa di previdenza della stessa Banca. 438 In quella stessa data, di poco successiva al 10 marzo 1868, giorno della nomina della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Banca Nazionale ha accumulato ottantanove milioni di lire in depositi obbligatori, distribuiti in: 1) otto milioni in azioni della Banca; 2) tre milioni di capitale nominale; 3) sessantotto milioni in obbligazioni delle Ferrovie meridionali; 4) dieci milioni in obbligazioni dei canali Cavour. 437 Dal 1862, la Banca paga un interesse sui depositi nei suoi istituti delle province meridionali «avendo anche in vista di offrire al commercio di quelle provincie tutte le facilitazioni che alla Banca erano permesse dagli statuti tuttora in vigore, quasi in compenso di quelle che le ritardate riforme degli statuti stessi le ha finora impedito di attuare». Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 29. 438 Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 29. 247 Questi depositi obbligatori dipendono per sette milioni da titoli di garanzia della Banca, per dieci milioni da effetti garantiti con due firme dal Banco di Sconto e Sete e per i restanti settantadue milioni e mezzo da effetti garantiti in genere da due o più firme. Tra questi ultimi spiccano i sessantotto milioni delle Ferrovie meridionali, concessi in cauzione su cambiali a due firme, le centomila lire per appalti e il resto per l’acquisto di una casa a Catanzaro e per copie e versamenti pari ad una sola frazione di cambiale. 439 D’altra parte, la Relazione attesta che il numerario importato dalla Banca nazionale, per integrare la riserva metallica, acquistando carta moneta dalla Francia e da Londra, è cospicuo già prima del 1860, cioè già prima del III governo Cavour, il cui ministro dell’Agricoltura e commercio, il livornese Corsi, aveva presentato, nel marzo 1861, il progetto di legge sulle Camere di commercio e d'industria, approvato il 17 dicembre 1862. Ancora, l’importazione di denaro effettivo, oscilla tra i ventotto milioni circa del 1853, i sessantadue del 1855 e i quarantanove del 1859, come risulta dalla relazione annuale della Banca nazionale, presentata il 19 febbraio 1868, e dai successivi prospetti. Per poi crescere sino ai centosettantadue milioni del 1862, ridiscendere ai quarantatré milioni del 1866 e diventare nulla durante il 1867. Mentre la somma di trentacinque milioni di denaro effettivo importata nel primo trimestre del 1868, è molto maggiore di quelle dell’analogo trimestre degli altri anni. Il che ha suscitato critiche e censure, tacitate soltanto in parte dalla spiegazione secondo cui quell'aumento di denaro importato è servito a fronteggiare 439 Vedi Camera dei deputati, Atti .... Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 12, p. 31. Cfr. la seguente dichiarazione del direttore della Banca Nazionale nel Regno d’Italia, Bombrini, all’Assemblea del 1867: «Non dubitiamo di vedere sempre più crescere nell’avvenire questo ramo d’operazioni [i buoni fruttiferi] dal quale la Banca potrà ricavare utili elementi, quando per straordinarie circostanze si verificasse il bisogno di darvi un’estensione maggiore di quella attuale», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § 11, p. 30. 248 eventuali richieste di pagamenti in contanti. 440 III.2.6. La Banca Nazionale nel Regno d'Italia: la circolazione È questo, forse, uno dei punti in cui il I volume della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso svolge considerazioni che, più di altre, vanno al di là della contingenza, per acquisire un valore generale. Infatti, nel regno di Sardegna, subito prima dell'unità nazionale, proprio come in ogni economia monetaria, fondata sulla riserva aurea e argentea e sullo sconto, il deposito e la circolazione di denaro metallico e cartaceo, l’importazione di denaro effettivo è eccezionale e temporanea, ivi compresa l’importazione di carta moneta. Ciò dovrebbe comportare un rialzo del tasso di sconto, ma il Direttore della Banca Nazionale, Bombrini, pur trovando il rialzo dello sconto «il più logico in teoria e il più efficace in pratica» in circostanze normali, mostravasi persuaso che, nelle circostanze in cui versava l'Italia, si sarebbe dovuto spingere tropp'oltre per riuscire all'intento «lo che non sarebbe confacente alla missione del primo stabilimento di credito dello Stato, destinato ad essere moderatore delle condizioni del credito dello Stato medesimo».441 La stessa Banca Nazionale favorisce quindi il libero movimento di biglietti pagabili al portatore o a vista, per un importo massimo di mille lire e un importo minimo di venti lire, e di cambiali da girare. Così i «biglietti ad ordine» emessi dal 1859 al 1867, diminuiscono 440 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 31, § 12. 441 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 33, § 13. 249 nel 1863, in ragione della minore richiesta dello Stato, mentre quelli richiesti dai depositi particolari aumentano sino al 18%. Così, nel rendiconto 1867, gli stessi assegni, diminuiti di numero e di somma, risultano aumentati, se si detraggono le quote di prestito obbligatorio che le succursali di Firenze hanno acquisito nel 1866, dopo il trasferimento della capitale da Torino, previo accordi con le province. Ancora, la Banca Nazionale riscuote compensi nulli sugli assegni emessi dallo Stato e tenui sugli assegni dei privati. Tranne alcune eccezioni, come la provvigione del cinque per mille applicata ai biglietti delle succursali al di qua del Tronto, a favore della succursale di Bari. Ciò nel timore che, a causa delle precarie vie di comunicazione, durante la cattiva stagione, gli invii di numerario, necessari a garantire la continuità dello scambio, possano essere bloccati. Concludendo la ricognizione delle risposte al questionario, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso osserva che, dal 1° gennaio 1868, la Banca Nazionale nel regno d'Italia estende a tutte le sedi e succursali, l’autorizzazione a emettere assegni, prima limitati alle principali piazze d’affari italiane. Mentre, dal 1866, applica una provvigione dello 0,5 per mille sulle distanze inferiori ai trecento chilometri e dell’uno per mille sulle distanze maggiori. E, dal 1860, documenta i suoi utili, distribuiti tra gli azionisti e per azioni.442 In sintesi, la Banca Nazionale nel regno d'Italia, nel rispondere in forma compiuta ai quesiti speciali sulle sue origini, i suoi Statuti e i suoi capitali, rivoltile dalla Commissione 442 Le due tabelle sugli utili della Banca nazionale, considerano le seguenti voci: Capitale versato, Somma totale degli utili, Somma ripartita fra gli azionisti, Somma passata al fondo di riserva, Residuo, Somma erogata per atti di beneficenza, Guadagno sul capitale per ogni 100 lire versate dagli azionisti; e gli Anni e le Azioni, vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, pp. 35 e 36, § 15, ma considera l’insieme dei §§ 14 e 15. 250 parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, descrive la sua intermediazione monetaria, metallica e cartacea, dai fondi dei risparmiatori, ai prestiti ai produttori; in continuità con la Banca di Genova e con la Banca Nazionale nel Regno di Sardegna. Dal 1849 al 1867 e senza stabilire alcuna cesura. Ne scaturisce una Relazione, ricca di notizie e di informazioni sulla circolazione, gli scambi e i commerci, che divulga presso l’opinione pubblica italiana la formazione del sistema monetario nazionale, a partire da quella del suo principale istituto bancario; sostenuta dai principali organi d’informazione di quegli anni. Grazie per esempio a Il Sole, giornale economico, politico e commerciale, di orientamento democratico e radicale, che aveva iniziato le sue pubblicazioni il 1° agosto 1865, a Milano, di cui ho già detto, documentando la critica dell'imprenditore tessile Lualdi alla politica economica di Sella.443 Quanto alle oscillazioni di valore della lira, dal 1858 al 1867, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso attesta che la Banca Nazionale ha incentivato la circolazione cartacea, tramite il corso forzoso, preparando la guerra per Venezia, con l'emissione di banconote inconvertibili: una politica monetaria simile a quella che aveva preparato la I e la II guerra di Lombardia, ma con maggiori quantità relative. 444 Il corso forzoso è 443 La società Pennocchio e Comp., che il 20 dicembre 1865 aveva assunto la proprietà del quotidiano, aveva ridimensionato le ambizioni del primo direttore, Giuseppe Guerzoni, che voleva trasformare il giornale in uno strumento di propaganda elettorale, ma aveva promosso direttore Giuseppe Mussi. Così, nel giugno 1866, Il Sole vende circa 2.000 copie al giorno, come documentato dalla lettera di Vincenzo Mazini, socio di uno dei proprietari, a Semenza, vedi Bairati e Carrubba, La trasparenza difficile. Storia di due giornali economici: «Il Sole» e «24 Ore», 1990. 444 Per una critica dell’approccio quantitativo ai temi monetari, vedi Giovanni Pavanelli, Note su moneta e corso forzoso nel pensiero di F. Ferrara, 1990, p. 332. Cfr. «Ferrara … in un discorso alla Camera distingue puntigliosamente fra il corso forzoso da lui onestamente riconosciuto inevitabile al fine del ricongiungimento del Veneto all'Italia, e le 251 dunque da spiegare, nel Regno d'Italia come nel Regno di Sardegna, con logiche belliche ed è perciò giustificato soltanto in parte dalla necessità di incrementare il denaro circolante e, quindi, i consumi, oltre i limiti quantitativi delle monete d’oro e d’argento. Per questi medesimi motivi, tuttavia, il corso forzoso finisce con l'incentivare proprio gli effetti speculativi che avrebbe voluto limitare. In particolare perché, pur considerando la fiducia nel rimborso e la comodità della circolazione le oscillazioni di valore della moneta fittizia scaturiscono dal sentimento della fiducia, non han vincolo alcuno con le quantità, salvo per altro quella naturale coincidenza che possa avvenire, tra una quantità smodatamente versata sopra il mercato, e il discredito di cui, foss’anche per questo sol fatto, cada un’amministrazione pericolante ed improvvida.445 Si tratta dunque di considerare anche «il sentimento della fiducia», meglio, i fattori psicologici che, tra fragilità degli istituti di credito e aspettative dei consumatori, condizionano i mercati anche durante il corso forzoso, senza trascurare l’incidenza dell’aggio sul si- modalità della sua attuazione, che aveva favorito indebitamente la Banca Nazionale. Dato che il corso forzoso si era risolto in un favore fatto alla Banca, Ferrara esorta ad abolirlo anche se il pareggio del bilancio non era stato ancora raggiunto», Faucci, L’economista scomodo Vita e opere di Francesco Ferrara, 1995, pp. 213-214 e 233. 445 Vedi Francesco Ferrara, Il corso forzato de’ biglietti di banco in Italia, in «Nuova Antologia», maggio 1866, pp. 284 e 289. Sull'inflazione da «crisi di fiducia», alla quale fa riferimento Ferrara in queste pagine, semplificandola con gli assegnati della Rivoluzione francese, cfr. Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. V, Il Credito, 1884, ora 1970, pp. 285-286. Lampertico considera però l’inflazione da «crisi di fiducia», che è determinata dalla Comune di Parigi. 252 stema bancario e sull’import export.446 Considerazioni che la Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso svolge soltanto in parte, nella Relazione finale di cui scrivo in seguito, condizionata dalla cultura economica italiana del tempo, erede della teoria dell'utilità del romagnolo Luigi M. Valeriani Molinari. 447 III.2.7. Il corso forzoso e l'unificazione monetaria italiana Esamino allora in maniera nel merito la Legge di unificazione monetaria n. 788 che la Camera dei deputati aveva approvato il 12 luglio 1862, per favorire l'inserimento dell'economia italiana nei mercati internazionali. A quella Legge, aveva fatto seguito ancora una volta, il 24 agosto 1862, un Regio decreto. In questo modo, il re, Vittorio Emanuele II, il ministro delle Finanze, Sella, e il primo firmatario della Legge, marchese Pepoli, avevano avviato la reductio ad unum della marea di monete esistenti: duecentotrentasei, o, addirittura, duecentottantadue, ove si includano le monete circolanti nelle province venete e romane. La diffusione della lira italiana e la costruzione del sistema monetario, precondizione di 446 Cfr. A. Rossi, Corso forzato dei biglietti di banca. Relazione alla Camera di Commercio di Vicenza, 1867; Scialoja, Discorso sulla finanza italiana letto alla Camera dei deputati il 16 e 17 gennaio 1867 dal Ministro delle finanze Scialoja, 1867; Camillo Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia dal 1860 al 1928, 1929. 447 Cfr. Luigi Matteo Valeriani Molinari, Saggio di erotemi su quella parte della gius delle genti, e pubblico che dicesi pubblica economia per uso della cattedra rispettiva in armonia colla scienza dello stesso gius positivo civile, 1825-1826; Piero Barucci, The Spread of Marginalism in Italy (1871-1890), in The History of Political Economy, 1972; Id. 1980; Faucci, L’economia politica in Italia: dal Cinquecento ai giorni nostri, 2000. Valeriani Molinari (1758/1828) è menzionato da Lampertico quale esponente dell'utilitarismo monetario, nel IV volume, Il Commercio, del suo trattato incompiuto Economia dei popoli e degli stati, 1878, pp. 316-322. 253 ogni sistema creditizio, era stata poi lenta e tutt'altro che lineare. L'esatto contrario dell'unificazione militare che Vittorio Emanuele II, Cavour e Garibaldi avevano compiuto nell'arco di pochi mesi; da Quarto a Teano. Gli speculatori, italiani e stranieri, avevano infatti continuato a utilizzare alcune monete straniere, in particolare la lira e la svanzica austriache e lo scudo romano, per commerciare con l'Impero asburgico e con lo Stato pontificio: le due potenze straniere che più di tutte si opponevano al compimento dell'unificazione italiana. 448 Mentre i capitali della Banca Rothschild di Parigi e della Banca Hambro di Londra449, affluivano in quantità che, ancora un secolo dopo, nel 1963, Gino Luzzatto trovava difficili da accertare: Si è detto e ripetuto da molti stranieri, specialmente fra il 1864 ed il '66, e talvolta anche da qualche italiano, che l'Italia è stata fatta col capitale straniero; e l'affermazione, sebbene alquanto esagerata, risponde in larga parte a verità. Ma una valutazione quantitativa di questo flusso di capitale straniero, che dalla fine del '65 in poi è stato in buona parte ritirato senza che per questo ne derivasse il crollo che molti temevano, non è ancora stata fatta.450 D'altra parte, la stessa impossibilità di accertare le quantità, ma direi soprattutto la 448 Vedi: «Nel complesso l'intiera perdita che risulterà dalle operazioni di ritiro e conversione in moneta italiana delle vecchie monete d'oro, d'argento e di eroso-misto, non decimali, si è calcolata, giusta l'unito quadro dimostrativo (Allegato n° 5) nella somma di L. 50,550,050 [...]», Camera dei deputati, Progetto di legge di unificazione del sistema monetario, sessione 1861, 9 giugno 1862, ora anche archivio.camera.it, Archivio della camera regia 1848-1943, CD1100029339, p. 11. 449 Cfr. Calzavarini, Bombrini, Carlo, Dizionario biografico degli italiani, vol. XI, 1969, p. 393. 450 Vedi Luzzatto, L’economia italiana dal 1861 al 1894, 1963, ed. 19682, p. 53. 254 provenienza, dei flussi monetari veicolati in Italia dalla Banca Rothschild di Parigi e dalla Banca Hambro di Londra, è la conseguenza della segretezza del sistema bancario internazionale, sin dalla sua formazione. Né era stato per caso che Vittorio Emanuele II, Pepoli e Sella avevano assunto quale modello il sistema monetario francese. Del Paese, cioè, che, dopo la Rivoluzione del 1789 e nonostante la pesante involuzione autoritaria, successiva alla prise de pouvoir par Napoleone Bonaparte, continuava a rappresentare e a sostenere le ragioni delle nazionalità nel Continente europeo. Da qui, il sistema monetario che il medesimo Napoleone Bonaparte aveva riformato nel 1803; su base bimetallica, aurea e argentea, e con criteri decimali. Così, con l'unificazione monetaria, la moneta italiana di riferimento era diventata le cinque lire in argento, di gr. 25, pari a cinque lire in oro, di gr. 1,61. Ciò nonostante, il 14 marzo 1865, il debito dello Stato italiano, già cresciuto del 47% sul 1861 (1.200 su 2.450 milioni), continuava a crescere, superando il 60%.451 Mentre le banche italiane vendevano i titoli nazionali al 70% del loro valore reale, con un interesse dell'8%. Pur di rimanere ancorate al sistema monetario internazionale, la cui formazione Schumpeter così riassumeva, nel 1954: I banchieri di Londra agivano come rappresentanti o corrispondenti delle banche di provincia e si mantenevano in relazione piuttosto stretta tra loro – alla fine del XVIII secolo la stanza di compensazione di Londra (London Clearing House) era oramai una istituzione bene affermata. Ci troviamo quindi di fronte a un sistema organico anziché a un certo numero di singoli elementi staccati. Inoltre il sistema 451 Cfr. Mack Smith, Storia d'Italia, 1959, p. 139; Cilibrizzi, Storia parlamentare politica e diplomatica d'Italia da Novara a Vittorio Veneto, vol. I (1848/1870), 1923, ed. 1939, p. 545; Sardo, Dalla Convenzione di settembre alla breccia di porta Pia, 1969, p. 85, che si riferisce però al discorso di Sella del 13 dicembre 1865 sul disavanzo annuo. 255 aveva già trovato o stava rapidamente trovando il suo organo centrale nella Banca d'Inghilterra, come prestatrice in ultima istanza, secondo l'espressione di sir Francis Baring.452 Questo «sistema organico», incentrato sulla London Clearing House della Banca d'Inghilterra, si era avvalso dei checks o assegni «senz'uopo di denaro effettivo», per incentivare il credito, senza alterare l'equilibrio tra moneta metallica ed equivalenti cartacei: banconote, titoli, cambiali e assegni.453 Mentre la medesima Banca d'Inghilterra aveva esercitato la sua funzione di «prestatrice in ultima istanza», attraversando le guerre napoleoniche, la Restaurazione e la successiva, lunga confrontation tra Impero britannico e Impero austriaco; un equilibrio che le rivoluzioni democratiche avevano, invece, rotto. E che Carlo Alberto aveva cercato di ricomporre, per avvantaggiarsene, proprio mutuando il corso forzoso degli inglesi contro Napoleone, ma sottovalutando la potenza austriaca. In un processo politico che Cavour aveva ripercorso con ben diversa maestria, iniziando ad ampliare sul piano istituzionale compiti, funzioni e responsabilità della Camera dei deputati, alla luce dell'esperienza della Camera dei Comuni del Regno Unito. Per forzare a sua volta l'orléanismo costituzionale dello Statuto, conseguenza dell'aspirazione a emulare 452 Vedi Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, Capitolo settimo, Moneta, credito e ciclo, 1. I problemi dell'Inghilterra, (c) La riforma bancaria, p. 852 e nota 12 su Francis Baring (1740/1810), Observations on the Establishment of the Bank of England, 1797. 453 Sui checks, come Buoni ordinari del Tesoro, vedi Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. V, Il Credito, 1884, ora 1970, p. 221. In quest'ultimo volume del suo trattato incompiuto, Lampertico si avvale d'altra parte sia delle relazioni sui temi monetari svolte all'Accademia Olimpica, sin dai primi anni Sessanta dell'Ottocento, quando l'Austria dominava ancora su Vicenza e sul Veneto, sia della sua esperienza di presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. 256 il Regno di Francia. Quel medesimo Statuto che Vittorio Emanuele II, figlio di Maria Teresa degli Absburgo Lorena di Toscana, aveva lasciato in vigore, unico tra gli Statuti concessi negli Stati preunitari, anche dopo la tragica sconfitta di Carlo Alberto a Novara e la fine alla Prima guerra d'indipendenza. III.2.8. Il corso forzoso e l'Unione monetaria latina Ricostruita l'unificazione monetaria con cui, dal 1862, il «Governo del Re» facilita tra l'altro i movimenti della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, considero ora l'Unione monetaria latina che Francia, Belgio, Italia e Svizzera costituiscono il 23 dicembre 1865, a Parigi, per proteggersi dalle conseguenze della Guerra civile americana, che avevano bloccato l'afflusso dei metalli preziosi dal Nuovo al Vecchio continente. 454 Questo lo spazio commerciale comune, delimitato dalla Convenzione tra Francia, Belgio, Italia e Svizzera: S. M. l'Empereur des Français, S. M. le Roi des Belges, S. M. le Roi d'Italie et la Confédération de la Suisse, également animés du désir d'établir une plus complète harmonie entre leurs législations monétaires, de remédier aux inconvénients qui résultent, pour les communications et les transaction entre les habitants de leurs Etats respectifs, de la diversité du titre de leurs monnaies d'appoint en argent, et de contribuer, en formant entre eux une Union monétaire aux progrès de l'uniformité des poids, mesurés et monnaies, ont résolu de conclure une Convention à cet effet … .455 454 La Guerra civile americana, iniziata il 12 aprile 1861, a Charleston, nella Carolina del Sud, dove l'esercito degli Stati confederati d'America attacca l'esercito dell'Unione, di stanza nel forte federale Sumter, si conclude il 9 aprile 1865, ad Appomattox, Court House, Virginia, quando il generale Robert L. Lee (1807/1870) si arrende al generale Ulysses S. Grant (1822/1885). 455 Vedi Recueil des traités de la France, Convention monétaire conclue à Paris, le 23 257 A questa Unione monetaria, che entra in vigore il 1° agosto 1866, dunque tre mesi dopo il Regio decreto sul corso forzoso, aderiscono in seguito molti altri Paesi, non soltanto europei, tra i quali Grecia, Austria-Ungheria, Spagna e Venezuela. L'Italia cerca così di proteggere la sua economia, ancora agricola, e le sue disastrate finanze, giunte ormai sull'orlo della bancarotta. Tuttavia, proprio l'inconvertibilità legata al corso forzoso impedisce il rientro dei capitali monetari italiani investiti nella Banca di Parigi e rischia di determinare ulteriori flussi monetari verso l'estero. La Banca Nazionale stampa allora una quantità di banconote convertibili, pari al 10% delle monete metalliche circolanti, per facilitare le operazioni commerciali. In un quadro di crisi economica, aggravato dalla «guerra per Venezia».456 Da qui, la difesa della Legge sul corso forzoso, che Scialoja aveva fatto già nel 1867: La crisi economica e finanziaria di marzo ed aprile, doveva necessariamente avere effetto ancor più grave in Italia, perché il credito pubblico appresso di noi è più sensibile a questi avvenimenti, perché contemporanea era ancora la voce, per alcuni la paura, per noi la speranza, di prossima guerra, perché l'uscita del denaro, necessitata dai bisogni stessi, che ci fanno volgere all'estero per accettar denaro cagionava un grande sbilancio nel mercato monetario del Regno, perché infine la quantità considerevole dei titoli privati italiani, che fluttua nel mercato straniero, e quella ancora più considerevole dei titoli di rendita pubblica era da quell'agitarsi di décembre 1865, entre la France, la Belgique, l'Italie et la Suisse, publié sous les auspices du Ministère des affaires étrangères, 1880-1917, Tome 9, pp. 453-454. 456 Vedi Candeloro, La costruzione dello Stato unitario, 1968, pp. 296-309. 258 timori e di speranze, spinta come torrente impetuoso, nel nostro paese. 457 D'altra parte, con queste argomentazioni, Scialoja difende sia la Legge sul corso forzoso, sia il suo operato quale ministro delle Finanze, anticipando in larga misura i contenuti dell'audizione dell'8 aprile 1868, resa quale Senatore e Presidente di Sezione della Regia Corte dei Conti, corretta e pubblicata, tuttavia, soltanto alla fine. 458 Ciò che più 457 458 Vedi Camera dei deputati, Atti parlamentari, Discussioni, 2 Novembre 1867. La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso ascolta il senatore Scialoja, ex ministro delle Finanze e Presidente di Sezione della Regia Corte dei Conti, l'8 aprile 1868, dopo le audizioni di: 1) il presidente della Camera di Commercio di Palermo, Giovanni Kaiser, assente Lampertico; 2) il ministro delle Finanze, conte Cambray Digny, assente Lampertico; 3) il commendatore Carlo De Cesare, censore delle società commerciali e degli istituti di credito, facente funzione di segretario generale del Ministero di Agricoltura Industria e Commercio, assente Lampertico; 4) il commendatore Teodoro Alfurno, direttore generale del Tesoro, assente Lampertico; 5) i cavalieri Rodi e Cavanna, addetti al servizio delle Regie Zecche, senza alcuna assenza; 6) il cavaliere Giacomo Jung, capo divisione della Regia Corte dei Conti in servizio dei Buoni del Tesoro, assente Seismit-Doda; 7) il marchese Michele Avitabile, deputato, ex direttore Banco di Napoli, assente Lampertico; 8) il commendatore Giovanni Lanza, presidente della Camera dei deputati, assenti Seismit-Doda e Sella; 9) il cavaliere Giacomo Dina, pubblicista e deputato, assenti A. Rossi e Seismit-Doda; 10) l'avvocato Giuseppe Gutteriez Del Solar, deputato, assenti Lampertico e Seismit-Doda; 11) il deputato Rodolfo Audinot, assenti Lampertico, una cui osservazione è tuttavia documentata, e Seismit-Doda; 12) l'avvocato e deputato Isacco Maurogonato Pesaro, assenti Lampertico e Seismit-Doda; 13) il deputato professore Nicola Nisco, che presenta alcuni bilanci del Banco di Napoli, assente Lampertico; 14) l'avvocato e deputato Francesco De Luca, assenti Lampertico e SeismitDoda; 15) il direttore della Banca popolare di Milano, Luigi Luzzatti, assenti Lualdi, A. Rossi e Sella; 16) il deputato Gaetano Semenza, assente Lampertico. Gli Atti pubblicano, tuttavia, i verbali dell'audizione di Scialoja per ultima, perché una malattia aveva costretto l'ex ministro delle Finanze a correggerla soltanto allora. Vedi Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 460-481. 259 conta è tuttavia che, al di là delle critiche dei deputati e, soprattutto, al di là dei dogmi monetari quantitativi, il corso forzoso, in quanto tale, è un modo di incrementare la circolazione cartacea, oltre i limiti della circolazione metallica, per facilitare i pagamenti e accrescere i consumi.459 Considerando che le monete d'argento e di rame si logorano prima delle monete d'oro e che ciò comporta la progressiva autonomia del loro valore, dal loro peso e dal peso della moneta d'oro cui la Zecca fa iniziale riferimento per determinare i valori di tutte le monete. Mentre la stampa delle cedole di carta rafforza la valenza simbolica del denaro. La graduale strutturazione del sistema monetario italiano procede in questo modo dalla lira, che è l'unità di base, alle banche, che mettono a disposizione dei clienti, i depositi o il denaro di altri clienti, e velocizzano la circolazione monetaria nel suo insieme. A cominciare dalla Banca Nazionale, che crea depositi e stampa biglietti, emette moneta e la produce, incrementando la quantità di banconote e di conti correnti. Mentre il «Governo Monarchico rappresentativo» italiano continua a determinare per legge la quantità di metallo460 contenuta nelle monete d'argento e di rame equiparate alla moneta d'oro, ma 459 Cfr. l'audizione del 19 aprile 1868: «Bombrini: Il Ministro era tenuto informato dell'andamento della cosa; […] so che egli aveva ricevuto, e da Società di credito, che non avevano emissione di biglietti, e da Camere di Commercio molti eccitamenti per mettere il Corso Forzoso. Alcuni giorni (8 o 10) prima di decretarlo, il Ministro mi domandò: la Banca cosa poteva fare? Potrà andare avanti? La Banca, io risposi, ha un incasso di circa 3 milioni il giorno; aveva già nel mese di aprile e di marzo incominciato a restringere gli sconti; forse arrivava al punto di doverli interrompere totalmente. Ma poiché la Banca incassa tre milioni al giorno, essa può non mancare ai suoi obblighi; cioè può fare il cambio dei suoi biglietti. Andrà in mezzo ad un monte di cadaveri, ma andrà avanti», Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, p. 355. 460 Cfr. «[…] I metalli non solo possono venir conservati con minori perdite rispetto a qualsiasi altra merce, giacché nulla è meno deperibile dei metalli, ma possono anche venir suddivisi, senza alcuna perdita, in qualsiasi numero di parti, così come, con la fusione 260 integra la moneta di credito, con la carta moneta statale a corso forzoso e aderisce all'Unione monetaria latina. Enfatizzando in questo modo il fatto che la moneta è strumento del credito, titolo che dà diritto, a chi la possiede, di acquistare beni di consumo, facendone lievitare la quantità, ancora molto limitata in un Paese agricolo come l'Italia di quegli anni.461 III.2.9. Le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno d'Italia Completata la ricostruzione del contesto monetario, italiano e latino, entro cui la Banca Nazionale stampa banconote in corso forzoso, esamino ora la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, presentata alla Camera da Lampertico, il 28 novembre 1868. Questo documento, sul quale ho già riportato il lusinghiero giudizio del direttore della Banca d'Italia, Stringher, che è tuttavia da aggiornare, revoca in dubbio sin dall'inizio la legittimità del corso forzoso, prima ancora di documentare e di contestare gli abusi e le speculazioni legati a quella politica monetaria. Enfatizzando, con un classico espediente retorico, l'opinione, opposta alla propria, secondo cui il corso forzoso è queste parti possono sempre essere facilmente riunite; qualità che nessuna altra merce altrettanto durevole possiede e che più di ogni altra qualità li rende adatti a essere gli strumenti del commercio e della circolazione», Adam Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, 1776-1789, 1973, introduzione di M. Dobb, p. 27. 461 Vedi: «Non si dice più che le banche “prestano i loro depositi” o “il denaro degli altri”; si dice invece che “creano” depositi o biglietti di banca: esse appaiono come produttrici di moneta piuttosto che organi che ne aumentano la velocità di circolazione e che agiscono – idea completamente irreale – per conto dei loro depositanti», Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, Capitolo 6. Valore e moneta, 1. Analisi reale e analisi monetaria, 5. Credito e banche, (a) Il credito e il concetto di velocità: Cantillon, pp. 391-392. 261 una necessità ineluttabile ancora perdurante, come il termine inevitabile della nostra condizione economica, l'effetto di un completo esaurimento della nostra circolazione monetaria per lo sbilancio commerciale. 462 È questo il giudizio del direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini, formulato nelle audizioni anche da alcuni interlocutori trasversali, che la Commissione tralascia tuttavia di richiamare.463 A quel giudizio, la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta oppone anzi la convinzione che il corso forzoso sia stato promulgato, il 1° maggio 1866, in preparazione della «guerra guerreggiata in paese, e guerra che poteva essere disastrosa». Una valutazione, questa, che, anche alla luce delle successive argomentazioni, è da considerare un momentaneo punto d'equilibrio tra le differenti opinioni della maggioranza di Cordova, Lualdi, A. Rossi e Seismit-Doda, e della minoranza di Lampertico, Messedaglia e Sella. 464 462 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § I, p. 403. 463 Vedi l'Audizione del direttore generale della Banca Nazionale, Bombrini, il 19 aprile 1868, alla presenza di Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Seismit-Doda, assenti Lualdi e Sella, dopo le comunicazioni del ministro Cambray Digny: Cordova, Presidente. Quesito 3°. «Era necessario il corso forzoso?» Bombrini. «In presenza delle condizioni del tempo, mi pare, che il Governo, volendo sostenere il commercio e far fronte ai bisogni che aveva per prepararsi alla guerra, la quale stava per incominciare fra pochi giorni, non avesse, per quanto era da lui, altro mezzo. Non so come avrebbe potuto altrimenti provvedere», Camera dei deputati, Atti .... Deposizioni, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, p. 354. 464 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 404. Il § I così prosegue: «Per soli argomenti bancarii, per iscongiurare un momento, come, per esempio, quello del 1825, e ben altri ancora successivamente in Inghilterra, anche la minoranza conviene che non era il caso del corso forzoso. Ma era questo mai il caso nostro allora? Chi dopo due anni può mettersi a giudicare di cause che 262 A questa mediazione, fa seguito la scelta di rimarcare i diversi tentativi di fronteggiare la crisi finanziaria, che Scialoja, ministro delle Finanze del II governo La Marmora, aveva esperito prima di adottare il corso forzoso: dal rialzo del tasso di sconto, all'incremento del tasso di interesse, necessario per consolidare i depositi, al sostegno degli Istituti bancari in difficoltà. Tutto ciò, muovendo dalle gravi condizioni finanziarie del Tesoro, che nell'aprile 1866 aveva in Cassa soltanto ventuno milioni di lire in contante, su un totale di novantacinque milioni. E che era inoltre costretto a considerare inalienabili i biglietti e le obbligazioni, la cui vendita avrebbe migliorato le condizioni della circolazione monetaria, ma avrebbe avuto pesantissime conseguenze sul credito. Sicché il ministero delle Finanze era intervenuto nella crisi finanziaria, limitandosi a emettere Buoni del Tesoro, entro il limite rappresentato dai depositi della sua stessa Tesoreria. Con conseguenze che sarebbero state ancora più gravi, se il «Governo del Re» avesse adottato il corso forzoso dopo l'inizio della «guerra per Venezia». Da qui, la scelta di chiedersi, ancora con un artificio retorico, se le cause che avevano determinato la promulgazione del corso forzoso, permangano: poiché nel mondo economico e finanziario, come nel mondo materiale, mal si cerca la cessazione di un danno, di una sofferenza, di un morbo, o la si spera, se le cause da cui venne originato non si studiano e non si rimuovono, – prima condizione onde potere risalire all'intento. 465 La Commissione parlamentare d'inchiesta documenta quindi che la Banca Nazionale nel Regno d'Italia aveva ricevuto le sollecitazioni del Credito Mobiliare di Torino e Firenze, ebbero la loro radice, non solo in fatti conosciuti, ma in presentimenti e previsioni?». 465 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § II, p. 406. 263 del Banco Sconto e Sete di Torino, della Cassa Generale di Genova e della Cassa di Sconto di Torino. E che, per rispondere quegli allarmi e a quei clamori sulle condizioni creditizie del Paese, la medesima Banca Nazionale diminuiva dovunque gli sconti provocando i reclami, creava ostacoli al cambio dei suoi biglietti, negava le anticipazioni, o i riporti di quelle in corso e scadenti e così turbava gli animi e le opinioni, rendendo malagevole in allora quel tranquillo giudizio sulla posizione, che oggi, sedata l'artificiale procella, subentrata la fredda analisi della critica e degli interessi, è non solo possibile, ma necessario. 466 I timori di un'improvvisa crisi di solvibilità si dimostravano però ben presto infondati, lasciando semmai emergere le manovre bancarie con cui proprio la Banca Nazionale e gli Istituti di credito minori a essa collegati, continuavano ad avvantaggiarsi delle somme erogate, tramite sconti e anticipazioni. Mentre la voce dell'imminente inconvertibilità alimentava la ressa agli sportelli, dove si operava il cambio delle banconote; senza che ciò suscitasse alcuna reazione da parte dei diretti interessati. Con la commendevole eccezione del Vice presidente della Camera di Commercio di Genova, il cavaliere Giacomo Millo 467 466 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § III, p. 408. 467 Vedi la Lettera riservata di Giacomo Millo, vice presidente della Camera di Commercio e d'Arti di Genova (N. 2401), scritta il 26 aprile 1866: «All'Illustrissimo signor Ministro delle Finanze. Il sottoscritto deve di bel nuovo rivolgersi a codesto Ministro per rappresentargli la triste condizione in cui si trova il commercio di questa piazza, ed i gravi pericoli a cui si va incontro per la eccessiva ristrettezza degli sconti operati dalla Banca. […] Il sottoscritto spera che prendendo in considerazione queste sue istanze la S. V. Ill.ma vorrà adottare pronti e necessari provvedimenti reclamati dall'urgenza della situazione», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II, Documento n. 8, 1868, ora anche 264 che, in una lettera al ministro delle Finanze, Scialoja, gli chiedeva di adoperarsi perché la Banca Nazionale applicasse il rialzo dello sconto, anche a costo di indebolire gli Istituti bancari minori; pur di preservare il Paese dal corso forzoso. Senza ottenere però alcun risultato. La Banca Nazionale, infatti, resisteva a quelle sollecitazioni e alle successive raccomandazioni dello stesso ministro e si rifiutava sia di rialzare il tasso di sconto, sia di usare il conto corrente a interesse. Distinguendosi in questo modo dalle decisioni assunte dal governo parlamentare inglese468, in seguito alle pressioni della Banca di Londra che, pur di evitare l'emissione di banconote inconvertibili, aveva elevato del 10% il saggio di sconto. La Banca Nazionale si era altresì distinta dalla Spagna, che pure era impegnata nella guerra contro la Francia; e dalla stessa Francia, costretta a fronteggiare guerre, crisi agrarie e monetarie e, soprattutto, la fuga dei capitali all'estero. Per tacere del crollo della circolazione metallica a Napoli, nel 1848, che Ferdinando II aveva affrontato senza fare ricorso all'inconvertibilità delle Fedi di credito e alla creazione di carta moneta, o della crescita della rendita, incentivata proprio dal corso forzoso, o dell'esportazione dell'oro durante i primi quattro mesi del 1866, quando, come documentato dal listino dei cambi, l'oro affluiva in Italia, dall'Inghilterra e dalla Francia, più di quanto non ne defluisse. CD1800000273, p. 28. Cfr. Giacomo Millo, Brevi osservazioni sulla situazione finanziaria e sul corso forzoso in Italia, Genova 1868, in Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, III parte, Opuscoli, lettere e progetti, pp. 657-670. 468 Vedi «Nel 1836, nel 1847, nel 1857, l'Inghilterra ebbe a durare terribili crisi; nel 1866 stesso (appunto in quella crisi che si volle dire anco italiana, mentre non fu che inglese e senza contraccolpo tra noi) l'Inghilterra vide lo sconto salito sino al 10 per cento; ma il 'praticismo' [apici miei] inglese non pensò neanche, rammentando altri tristissimi tempi, al corso forzoso», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § III, p. 410. 265 III.2.10. I compiti del ministro delle Finanze Detto del punto di vista economico, la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta si sofferma sulle motivazioni amministrative e finanziarie del corso forzoso, giudicate altrettanto pretestuose. Il Commendatore Teodoro Alfurno, Direttore Generale del Tesoro, ha infatti documentato che, dieci giorni prima dell'approvazione della Legge Scialoja e del successivo Regio decreto n. 2873, la Cassa disponeva di quasi novantasei milioni di lire, sessantotto dei quali in fedi di credito dei Banchi di Napoli e di Sicilia e in biglietti pagabili al portatore e a vista, della Banca Nazionale nel Regno d'Italia e della Banca Nazionale Toscana.469 Mentre, dei centonovantacinque milioni in circolazione, sui duecentocinquanta milioni di Buoni fruttiferi prestati al Tesoro, con un tasso di interesse dell'1,5%, trenta milioni appartenevano proprio alla Banca Nazionale, che si rifiutava di rinnovarli, nonostante il debito contratto con lo Stato. Enfatizzandone, al contrario, la svalutazione, come sostenuto da Bombrini in una lettera al ministro delle Finanze e nell'audizione davanti la Commissione. 470 Enfasi contraddetta, a giudizio della 469 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § IV, p. 412. Il Direttore Generale del Tesoro, Alfurno, contribuisce alla Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso con il Rapporto del 21 aprile 1866, al Ministro delle Finanze, Scialoja, e con le Audizioni del 31 marzo 1868 e del 1° aprile 1868, cfr. Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, Documento n. 3, pp. 19-22; Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. III, 1868, ora anche CD1800000273, pp. 55-76 e 77-81. Durante la prima di queste audizioni, Lampertico è assente; la seconda audizione avviene, invece, alla presenza di tutti e sette i componenti della Commissione. 470 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § IV, p. 414. Cfr. Lettera della Direzione Generale della Banca Nazionale nel Regno al Ministro delle Finanze (N° 655), Firenze, 26 aprile 1866: «All'illustrissimo … Onde l'egregio signor Ministro possa giudicarne, gli rende noto esser venuto a sua cognizione che in questi giorni si offre qui ed altrove la cessione dei Buoni del Tesoro 266 Commissione parlamentare d'inchiesta, dall'andamento degli analoghi Buoni fruttiferi emessi dal Banco di Napoli, per la più modesta cifra di dieci milioni. Mentre proprio la Direzione Generale del Tesoro asseriva che il fondo di novantasei milioni era di gran lunga maggiore di quello necessario a garantire tutti i servizi, sino a giugno, «anche senza porre a calcolo le economie introdotte nel secondo progetto di bilancio».471 Né, ancora, sempre secondo la Commissione parlamentare d'inchiesta, l'introduzione del corso forzoso aveva giustificazioni politiche, visto che, per preparare la Terza guerra d'indipendenza, i ministeri della Guerra e della Marina avevano cumulato sei anni di passivo. E che, nelle settimane precedenti l'inizio del conflitto, il Paese, ma qui la Commissione avrebbe dovuto dire il «Governo del Re», si era «mostrato calmo, e parato a sacrifizii nuovi e supremi, onde potere aggiungere, attesa e diletta ospite, la sofferente Venezia alla famiglia italiana ricostituitasi alfine a nazione ». Non è infatti per caso, osservo a mia volta, che Scialoja, il 18 aprile 1866 si era impegnato a fare a meno del corso forzoso, ma il 30 aprile, lo aveva invece imposto. Dopo che, il 20 aprile, l'Italia si era alleata con la Prussia e, il 21 aprile, la Prussia aveva aderito al disarmo proposto dall'Austria, senza che fosse intervenuto alcun fatto politico nuovo. 472 Da qui, la seguente, circostanziata critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta rivolge a Scialoja: scadenti in luglio prossimo a 4 per cento di perdita, oltre uno sconto di 8 per cento, per i giorni a decorrere fino alla scadenza. A queste condizioni, che costituiscono un impiego all'enorme tasso di circa 25 per cento, essi buoni non trovano prenditori», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. II, 1868, ora anche CD1800000272, Documento n. 9, p. 29. 471 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § V, p. 415. 472 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VI, p. 418. 267 E da parte del Ministro delle Finanze, realizzare a poco a poco i larghi crediti dello Stato verso la banca; chiederle i 32 milioni, che essa doveva per legge, in conto corrente al 3 per cento (e che non le si chiesero sino al giugno 1868); autorizzare, alla peggio, il corso legale, senza il privilegio della esclusiva inconvertibilità, ai suoi biglietti; – e, ciò fatto, quando fosse venuta la vigilia della guerra, chiedere al paese un prestito immediato, anche di soli 100 milioni in oro, ed avutili, depositarli alla Banca per averne da essa a mutuo 300 in biglietti (a termini dei suoi Statuti pella riserva metallica); – questo era il compito del Ministro delle finanze. 473 Questa critica tecnica è argomentata poi con un esempio storico, in riferimento a Pitt il giovane che, nel 1797, aveva introdotto l'inconvertibilità temporanea, per adottare il corso forzoso, durante la guerra contro Napoleone. A significare il carattere estremo di questa politica monetaria, che ha sempre pesanti ripercussioni sulle povertà. La confutazione delle cause, economiche, amministrative e finanziarie, e politiche, addotte per giustificare il corso forzoso, si conclude in questo modo, alla fine dei primi sei paragrafi, «ceduti dalla cortesia del Relatore alla redazione di uno dei Membri della Maggioranza, per incarico della medesima».474 Senza che il tentativo di comporre la 473 A Scialoja, la Commissione parlamentare d'inchiesta imputa poi il gravissimo errore politico di avere trascurato alcune misure indispensabili per garantire la corretta attuazione del corso forzoso: l'emissione di banconote di piccolo taglio e la riforma degli Statuti della Banca Nazionale, che prevedevano ancora quale unico limite quello di un terzo del contante esistente come riserva del cambio. Aggiungendo che sarebbe stato comunque necessario svolgere un'indagine sulla consistenza della circolazione metallica e determinare i limiti atti a garantire la circolazione monetaria dagli accresciuti oneri delle esportazioni e dei commerci interni: dai salari, ai prezzi. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VI, pp. 420-421. 474 È impossibile individuare con certezza chi, tra i quattro componenti la maggioranza, 268 lampante contraddizione con i passi del primo paragrafo, nei quali l'introduzione del corso forzoso è spiegata con l'imminenza della Terza guerra d'indipendenza, riesca convincente. Specie se si considera che Carlo Alberto aveva affidato il corso forzoso alla Banca di Genova, nell'imminenza della Prima guerra d'indipendenza, e che Vittorio Emanuele II lo aveva demandato alla Banca Nazionale nel Regno di Sardegna, per preparare la Seconda guerra d'indipendenza. Come emerso dalle risposte della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, ai «quesiti speciali» del questionario. III.2.11. Instabilità monetaria, scomparsa dei contanti e rarefazione dei commerci La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, divisasi sulle cause del corso forzoso – che la maggioranza di Cordova, Lualdi, A. Rossi e Seismit-Doda, giudica immotivato, e la minoranza di Lampertico, Messedaglia e Sella, al contrario, lecito – diventa invece unanime sulla necessità e sulla possibilità di abolirlo. Denunciando, tra le tante penalizzazioni che quella politica monetaria comportava, questa volta sì, per il Paese, quella che considera la più grave: l'instabilità dei valori monetari. A cominciare dall'aggio sull'oro, che variava di giorno in giorno, alterando la media mensile, con sbalzi subitanei e molto consistenti. Senza che questo danno fosse bilanciato da alcun vantaggio per le industrie italiane, in termini di prezzi o di salari. Facendo anzi temere effetti simili a quelli che lo svilimento della moneta aveva determinato in Inghilterra ai tempi della regina Elisabetta, quando il Parlamento era stato costretto a introdurre le Leggi di assistenza per i sia l'autore dei primi sei paragrafi delle Conclusioni della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso: Cordova, che è però deceduto il 16 settembre, e A. Rossi, della Destra, e Lualdi e Seismit-Doda, della Sinistra. Mancano infatti gli elementi stilistici e i riferimenti empirici necessari per rendere univoca l'attribuzione. Né è d'aiuto la calligrafia delle minute dei verbali. 269 poveri.475 E causando sia l'aumento delle esportazioni, a fronte delle importazioni, sia la crisi della distribuzione. 476 Tra gli altri effetti negativi del corso forzoso, la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta denuncia poi la scomparsa del contante che, se ha il paradossale effetto positivo di costringere gli utenti a superare la diffidenza nei confronti della carta moneta come mezzo di pagamento, depriva però i metalli del loro valore di merce 475 Per un’analisi delle condizioni dei poveri, durante il regno di Elisabetta I (1533/1603, regina d'Inghilterra dal 1558), vedi sir Frederick Morton Eden (1766/1809), The State of the Poor: or an History of the Labouring classes in England, from the Conquest to the Present period In which are particularly considered, their Domestic economy, with respect to Diet, Dress, Fuel, and Habitation; and the various Plans which, from time to time, have been proposed, and adopted, for the Relief of the Poor: Together with Parochial Reports Relative to the Administration of Work-houses, and Houses of Industry; the State of Friendly Societies; and other Public Institutions; in several Agriculture, Commercial, and Manufacturing, Districts. With a large Appendix containing a comparative and chronological table of the Prices of Labour, of Provisions, and other Commodities; an Account of the Poor in England and many original documents of Subjects of Natural Importance, voll. 1-3, London, 1797, vol. I, libro I, cap. I, pp. 1, 2 e prefazione pp. XVIIXX, vol. II, cap. I, p. 421. Cfr. Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, ed. 19706, in particolare, pp. 785-786 e nota 197; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 334. 476 Vedi: «I vantaggi [del corso forzoso], comunque addotti, sono così ristretti, così temporanei, ed anche così incerti, potendo benissimo ascriversi, come dicemmo, a cause più efficaci e sicure, che non è d'uopo insistervi più oltre. Non rimangono che danni, si può dire, unanimemente riconosciuti, e che il Malthus stupendamente compendia allorché dice che “alterare l'agente della circolazione, è cangiare la distribuzione dei prodotti”», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VII, p. 422. Questa citazione di Robert Th. Malthus (1766(1834) è da porre in relazione con gli studi di Messedaglia sulla teoria della popolazione e, da ultimo, con i suoi Appunti dal Corso di economia politica all'università di Roma, 1899, compilati da Roberto Ferrari, in Vitantonio Gioia e Sergio Noto, a cura di, Angelo Messedaglia e il suo tempo, 2011, pp. 437-566. 270 universale, moneta, riducendoli a merci come le altre. Con conseguenze che investono addirittura l'ordine pubblico, soprattutto nelle province meridionali, dove la scomparsa delle monete contanti si accompagna all'incetta delle monete spicciole e all'impossibilità di svolgere le contrattazioni minute. Costringendo governati e onorevoli a invocare «attenta ed energica la vigilanza del Governo per impedire e punire la speculazione».477 Durante il corso forzoso, la scomparsa delle monete spicciole è, d'altra parte, molto difficile da contrastare; né c'è alcuna norma giuridica in grado di farlo.478 La Commissione parlamentare d'inchiesta menziona così l'esempio dell'Impero austriaco dove, dalle Patenti del 26 maggio 1746, al Decreto ministeriale del 1° ottobre 1860, leggi e provvedimenti disciplinari avevano cercato di colpire l'aggiotaggio delle piccole monete d'argento e di rame: con multe di cinquanta fiorini, contravvenzioni scontate per chi collaborava, l'intervento delle guardie di finanza e la confisca delle merci che facilitano i profitti illeciti. 477 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VIII, p. 423. 478 Cfr. «se monete che contengono metallo di valore differente hanno la stessa capacità liberatoria legale, allora quelle “cattive” saranno adoperate per i pagamenti mentre quelle buone tenderanno a sparire dalla circolazione: ovvero, per usare la frase solita ma non del tutto esatta, la moneta cattiva scaccia la buona. Questa proposizione ricorre nel Proclama reale che “deprezzava” la moneta argentea cattiva nel 1560, quando si sa che Gresham era stato il principale consulente governativo in materia. Esiste anche un suo memorandum (1559) che sostiene questa tesi. La così detta “legge” può trovarsi in molti scrittori anteriori. Considerandone la natura banale, la questione della priorità è tuttavia priva d’interesse», Schumpeter, Storia dell’analisi economica, 1954, ed. 1990, p. 419. Schumpeter fa qui riferimento a sir Thomas Gresham (1519/1579), il finanziere inglese, principale consulente monetario del governo di Sua Maestà britannica Elisabetta I, che nel 1558 aveva fondato a sue spese la Borsa di Londra. Cfr. anche il paragrafo XIII. La moneta e i poteri pubblici. La legge detta di Gresham, del capitolo IX. Ancora della moneta, Lampertico, Economia dei popoli e degli Stati, vol. IV, Il Commercio, 1878, pp. 256-260. 271 Misure rivelatesi tutte inutili perché: Dalle province dell'Impero austriaco, dove la moneta spicciola era uno spezzato della moneta di carta, essa affluiva quindi, ciò nulla ostante, nel Veneto, dove, non essendovi il corso forzoso, diveniva uno spezzato della moneta d'argento; e ne provenne un vero ingombro, nel Veneto, nel tempo stesso che una totale penuria nelle altre provincie dell'Impero. Questo fatto dimostrava per se stesso l'inutilità di tutti quei divieti; poiché evidentemente, se la moneta spicciola non si fosse, a dispetto di essi, venduta, non sarebbesi punto potuto comprarla nel Veneto. 479 Questi passi della Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso evidenziano, in forma già nitida, due tratti distintivi dell'impostazione politica ed economica di Lampertico: da un lato, la sua aspirazione a garantire, in qualche forma, la continuità con il buon governo austriaco, caratterizzato, sin dal regno dell'imperatrice Maria Teresa, dal tentativo di emulare la trasformazione dello Stato prussiano, da Stato di polizia, in Stato di diritto, e dalla conseguente estensione dell'obbligo fiscale alla nobiltà e al clero, e, dall'altro, il liberismo di matrice inglese, temperato dal cattolicesimo solidale. 480 III.2.12. Violazioni e anomalie legate al corso forzoso È per questo motivo che la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta 479 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § VIII, p. 424. 480 Sul liberismo di Lampertico, temperato dal cattolicesimo solidale, vedi Sensales, Fedele Lampertico, 2011, ad indicem. 272 sul corso forzoso fanno riferimento alle Pubbliche amministrazioni, alle Banche popolari e alle industrie private dell'Impero austriaco che, per migliorare la circolazione monetaria, consapevoli dell'inutilità di divieti e proibizioni, emettono biglietti di piccolo taglio o biglietti al portatore pagabili a vista: un titolo fiduciario, quest'ultimo, stigmatizzato come non conforme alle leggi vigenti. A quella stessa forzatura della legalità è poi legata la perdita di autorevolezza del governo italiano, che aveva tentato di impedirla, esponendosi a trasgressioni incoraggiate dai pubblici contabili e, talvolta, persino dai Prefetti. Per non dire dei privati, il cui agire economico si svolgeva fuori dalla legge ed era perciò stesso al riparo da ogni sanzione. Si ebbe così (conchiudeva la prima Relazione della nostra Commissione) la strana anomalia della sorveglianza sulla circolazione autorizzata, circondata di garanzie statutarie, di autorizzazione; e dall'anarchia nella circolazione non autorizzata, che non dà buona sicurtà di sé, che non è un esempio di fortunata inosservanza delle leggi, che prepara difficoltà, pericoli, e forse anche dispendii dello Stato per l'epoca della cessazione del Corso Forzoso.481 L'instabilità dei valori monetari, la più grave tra le conseguenze del corso forzoso è, tuttavia, legata all'eccessiva quantità delle banconote stampate. Così per es. il Bullion Report del 1810, presentato dal Select Commettee della House of Commons, aveva avviato 481 Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § IX, p. 426. Quella qui citata è la Prima relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Corso dei Biglietti di Banca, 25 luglio 1868, Camera dei deputati, Atti della Commissione parlamentare d’inchiesta sul corso forzoso. Documenti, vol. II, 1868, ora anche CD 1800000272, documento 89, p. 1285. 273 il ritorno alla convertibilità.482 Dopo aver documentato gli effetti inflattivi del Restriction Act del 3 maggio 1797. Anche se poi, nel 1812, il corso forzoso, con la relativa precarietà monetaria, «lungi dall'abolirsi, riceveva nuova conferma e più completa attuazione».483 Tornando poi all'emissione non autorizzata dei biglietti al portatore pagabili a vista, la Commissione parlamentare d'inchiesta richiama le decisioni assunte dall'Assemblea del Commercio e dell'Industria di Biella, in alcuni passi legati con tutta evidenza all'esperienza di Quintino Sella. Quell'Assemblea aveva infatti deliberato di respingere i biglietti emessi dai privati o dalle società private, con l'eccezione della Società generale degli Operai. Subordinando tuttavia questa autorizzazione alla documentazione della presenza in cassa dell'equivalente di quei biglietti, in moneta legale, o in Buoni del Tesoro, o in fondi pubblici quotati in Borsa, o in cambiali. Ne era scaturita la paradossale conseguenza che i biglietti al portatore pagabili a vista, rifiutati a Biella, cercarono esito altrove. Il popolo, infatti, avendo bisogno di una qualsiasi moneta spicciola, la accetta anche falsa, purché ve ne sia una qualunque. Causando quel disordine monetario che la medesima Commissione parlamentare d'inchiesta aveva proposto di contenere, il 25 luglio 1868, con la Prima relazione presentata da Cordova e, in particolare, con la Legge che sostituiva i biglietti emessi dagli Istituti bancari territoriali, con i sei milioni di biglietti della Banca Nazionale da una lira. A integrazione dei biglietti da due 482 Sulla proposta di ripristinare la convertibilità aurea della sterlina, per proteggere il valore aureo della moneta nazionale e contenere l’inflazione, vedi David Ricardo, Sui principi dell’economia politica e della tassazione, 1815-18213, introduzione di Fernando Vianello, ed. 1976, p. 167; Marx, Il Capitale, Libro I, 1867, 19706, pp. 129 e note 52 e 53, 175-177 e note 108-114; Roncaglia, La ricchezza delle idee Storia del pensiero economico, 2001: 212-215 e note; Schumpeter, Storia dell'analisi economica, 1954, ed. 1990, pp. 337340 e note. 483 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 428. 274 lire, messi in circolazione nel 1867. Senza ovviare per questo al fatto che la stampa dei biglietti a corso obbligatorio era stata permessa soltanto alla Banca Nazionale nel Regno d'Italia. Un privilegio bilanciato, almeno in parte, dal fatto che, il 2 maggio, un successivo Decreto regio aveva limitato a un dodicesimo della massa metallica custodita, la quantità dei titoli fiduciari che gli altri Istituti bancari potevano scambiare con la medesima Banca Nazionale. Per impedire qualsiasi altro privilegio. È questo il motivo per cui, considerando la disposizione contenuta nell'articolo 12 del Regolamento per l'esecuzione della Legge sul credito fondiario e le relative critiche del Banco di Napoli, la Commissione parlamentare d'inchiesta raccomanda al potere esecutivo, che ciascuno degli Istituti di Credito fondiario sia sciolto da un limite che non può essere se non d'impaccio, e che per le sue anticipazioni, e per l'interesse sopra queste, non abbia altra norma che quelle dettate dai proprii Statuti ed a cui la legge del Credito fondiario espressamente si riferisce.484 La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso muove poi le seguenti altre contestazioni: a) sulla responsabilità della falsificazione dei biglietti della Banca Nazionale nel Regno d'Italia, in particolare di quelli da 10 o da 5 lire, che la medesima Banca imputa al governo; b) sul prestito, concesso al governo dalla Banca Nazionale, di cento milioni sulla vendita delle Obbligazioni dell'Asse ecclesiastico, in cambio dell'autorizzazione a trattenere in cassa un numerario di quaranta milioni in Vaglia del Tesoro; c) sulla trasmissione dei fondi tra le sedi e le succursali della Banca Nazionale e le Tesorerie dello Stato, accresciuta di anno in anno, dai centosettantuno milioni del 1862, ai seicentotrenta del 484 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XII, p. 431. 275 1866 e agli oltre due miliardi del 1867; d) sul progressivo aumento dell'aggio sul denaro dello Stato consegnato alla Banca Nazionale, senza che essa lo utilizzasse subito a favore dello Stato.485 III.2.13. Ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato Prende corpo in questo modo, con sempre maggiore nettezza, la critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso rivolge al ministero delle Finanze; si badi bene al ministero, piuttosto che al ministro, che nel 1868 e dal 1867, è Cambray Digny, non più Scialoja, al quale avevano comunque fatto seguito Depretis, Ferrara e Rattazzi. Questa critica investe in particolare il modo in cui il ministero delle Finanze registra le operazioni tra la Banca Nazionale e lo Stato; senza documentarle né nel loro insieme, né nella loro evoluzione giornaliera. Una critica che la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso estende alla rendicontazione confusa delle operazioni ordinarie e speciali della Direzione del Tesoro. Con saldi che dovrebbero essere settimanali e non sono neanche mensili e considerando le somme dello Stato, talvolta cospicue, rimaste improduttive, ma meglio sarebbe stato dire inutilizzate. Considerando la difficoltà di distinguere tra masse monetarie produttive e improduttive, in un Paese ancora mercantile e agrario, come l'Italia dell'Ottocento. La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso pone così sotto accusa, sentito il parere della Corte dei Conti, l'alienazione dei Buoni del Tesoro, realizzata, invece che con la vendita dei capitali di privati cittadini, con la negoziazione tra Stato e Istituti di credito; mediante provvigioni che superano il tasso d'interesse prefissa- 485 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XIII, p. 434. 276 to.486 Rimettendo poi in discussione, al di là della minuziosa ricostruzione di altre particolari speculazioni, l'insieme dei rapporti tra la Banca Nazionale e lo Stato. Dopo aver stigmatizzato altri due fatti: aa) la differenza tra il valore dell'oro e delle banconote che la Società dell'Alta Italia per le strade ferrate ha pagato allo Stato e che questi ha ceduto alla Casa Stern, con la Convenzione del 5 settembre 1866; bb) la vendita alla Banca Nazionale, da parte del ministro delle Finanze, di titoli del prestito nazionale del 1866, ceduti a condizioni inferiori a quelle accordate a un contraente privato. Senza trascurare, in entrambi i casi, che i vantaggi e gli svantaggi delle relazioni tra la Banca Nazionale e lo Stato vanno considerati nel loro insieme, ma giorno per giorno. 487 La questione centrale da affrontare è allora la riforma degli Statuti della Banca Nazionale, necessaria per ovviare a eventuali violazioni, affermando la legalità. Considerata la differenza tra il Regno di Sardegna, nel quale il re aveva promulgato gli Statuti, e il Regno d'Italia, dove il medesimo re aveva invece promulgato il corso forzoso. 488 Questa riforma degli Statuti della Banca Nazionale è d'altra parte indispensabile anche per ricostituire la ri serva metallica, deterrente di ogni alterazione della circolazione monetaria, ma, soprattutto, salvadanaio che garantisce la continuità dei pagamenti. Da accumulare attraverso il presti486 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XIV, p. 436. 487 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XV, p. 438. 488 Vedi: «Intanto è un fatto che gli statuti legali del 1° ottobre 1859 rimasero, né più né meno, anche dopo che un decreto reale portò da 40 a 100 milioni il capitale della Banca, e la banca stessa ebbe a dichiarare che oramai sarebbe necessaria una revisione de' proprii Statuti; anzi, allorché applicò il conto corrente a interesse, nelle Provincie Meridionali, dichiarò che questo sarebbe un compenso per quei maggiori aiuti al commercio, che essa si riprometteva di poter portare mediante la riforma degli Statuti», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XVI, p. 439. 277 to estero, oppure, con le esportazioni. Considerando le tendenze dell'aggio sull'oro e della rendita. La Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso completa così la ricostruzione delle cause che avevano portato, prima il Parlamento ad approvare, con un solo voto contrario, la Legge sul corso forzoso proposta da Scialoja e poi Vittorio Emanuele II a promulgare il relativo Regio decreto. La Commissione denuncia, tuttavia, soprattutto le responsabilità della Banca Nazionale. Esplicitando un'impostazione che sarebbe anacronistico definire programmatica, ma che è comunque propositiva, secondo lo stile e la cultura economica di Lampertico. Da qui, la scelta di distinguere gli sconti che la Banca Nazionale applica ai banchieri, ai manifattori e agli agricoltori; una scelta alla quale fa seguito il tentativo di delineare un sistema creditizio, facendo tesoro delle esperienze di alcuni Paesi europei. Dalla Scozia, dove i Banchi finanziano l'agricoltura, ma insieme con l'industria; alla Francia, che ha istituito anche i Banchi di garanzia, e al Belgio, dove la stessa Banca ha fondato i Comptoirs cointéressés. Mentre, in Italia, il Congresso delle Camere di Commercio ha auspicato la formazione di Istituti di credito legati alla Banca Nazionale, ma da essa indipendenti. 489 Da qui, la proposta di elaborare una Legge che ponga fine al monopolio di una Banca Unica, vera eccezione italiana nel panorama europeo, dando spazio a quelle forze, intellettuali, civili, economiche, che hanno un'orbita di moto lor propria e respingono perciò l'idea stessa dell'accentramento monopolistico. Per procedere, semmai, sulla strada della diversificazione del sistema creditizio, secondo l'esempio della National Provincial Bank of England: dal biglietto di banca, che è un semplice impegno di pagamento, al biglietto al portatore, e alla cambiale, derivata dalla Legge germanica di cambio, ben più che dal Codi489 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XVII, p. 442. 278 ce napoleonico. Forme che rappresentano, tutte, la promessa di una certa somma in contante, volta a incrementare gli affari e, con essi, la circolazione monetaria, attraverso le partite di giro, gli assegni al portatore e i conti correnti a interesse; invece che soltanto tramite le banconote. Del resto, prosegue la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, la Camera dei deputati ha da poco approvato la Legge che autorizza gli Istituti di credito agricolo a emettere Buoni agrari pagabili a vista. Una forma di pagamento, questa, che è da considerare alla stregua dei biglietti al portatore, a maggior ragione in un Paese come l'Italia, dove la divisione del lavoro è ancora condizionata, nel credito e nell'industria, dalla modestia della ricchezza e degli affari. Con l'avvertenza, però, che gli stessi biglietti al portatore, in assenza di una Legge o anche soltanto di un'autorizzazione governativa che li regoli, finiscono con l'essere emessi da più parti, anche violando i divieti del governo: Non sembra, d'altronde, opportuno, richiedere una legge apposita, di volta in volta, per l'autorizzazione a emettere biglietti al portatore, se la legge lascia al Governo la facoltà di autorizzare ad operazioni ben più pericolose, come sono quelle del Credito Mobiliare. È sempre più adatto alla Camera il determinare le condizioni generali, secondo cui il governo deve poscia dirigersi di caso in caso, di quello che riservarsi essa medesima di verificare, di caso in caso, quelle condizioni. Stabilite una volta in via di legge, costituiscono una norma sicura, per cui è tolto il pericolo che sia favorito l'uno più dell'altro; e tutti sono certi del loro diritto, quando si assoggettino alle norme generali e comuni. Riservandosi invece l'approvazione a leggi speciali, non solo si 279 creano lungaggini e perditempo, ma si lascia tutto in quella incertezza che sovente basta a paralizzare ogni affare. 490 Così, la Relazione finale definisce un'impostazione mediana tra gli opposti eccessi della legislazione onnipervasiva e della delegificazione permissiva. «Certezza del diritto», assoggettata «alle norme generali e comuni», che Lampertico esplicita nel 1869, criticando i notabili veneti, nostalgici dell'amministrazione austriaca, che si opponevano ai nuovi Codici amministrativi e commerciali. Articolata poi con maggiore vigore retorico, nell'editoriale del primo numero della serie padovana del «Giornale degli economisti», sulla pubblicità dei commerci e la libera concorrenza; quasi una terza via, tra il protezionismo mercantilista di A. Rossi e il liberismo sfrenato à la Ferrara.491 III.2.14. «... prevalse il partito dell'adozione dell'Ordine del giorno ...» La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso volge al termine, formalizzando all'unanimità, due ordini del giorno sulla necessità: I) di riformare gli Statuti della Banca Nazionale e di regolarne per legge i rapporti con lo Stato, sì da fa vorire il pubblico;492 II) di promuovere una normativa sulla libertà e la pluralità delle Ban490 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XVIII, p. 446. 491 Cfr. Lampertico, La legge sulle Società e Associazioni commerciali. Dialogo tra uno smithiano e l'autore, pubblicato nell'aprile del 1875, in Sensales, Fedele Lampertico, 2011, pp. 197-201. 492 Vedi: «I. La Camera, udita la Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta, la quale accenna alla illegittimità di alcuni speciali rapporti che si sono verificati fra lo Stato e la Banca, ed alla onerosità di alcuni altri, ravvisa la necessità che tali rapporti vengano modificati sopra basi amministrative più profittevoli per lo Stato e pel pubblico, ed invita il Governo a presentare quanto prima un analogo disegno di legge», Camera dei 280 che, che garantisca il corretto funzionamento degli Istituti di credito e di circolazione. 493 D'altra parte, questo orientamento – già definito, «vivente il compianto collega Cordova», nella prima parte della Relazione finale sulla non necessità del corso forzoso, votata a maggioranza – è formalizzato nel terzo ordine del giorno adottato all'unanimità, che impegna il governo a presentare un progetto di legge di ripristino del corso legale. Perché, ammalatosi Cordova, terminate le vacanze parlamentari e nominato Lampertico presidente, la Commissione Parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso aveva dovuto constatare alcuni fatti nuovi; in particolare: Il signor Ministro delle finanze [Cambray Digny] aveva … formalmente promesso alla Camera ed al paese che quanto prima egli avrebbe presentato un progetto di legge per l'abolizione del corso forzoso; aveva ripetuto tale esplicita promessa in private riunioni, che pur caddero nel dominio della pubblicità, davanti ai proprii conterranei, ed ai propri amici politici; ed aveva pubblicamente rammentato come l'Ordine del giorno del 10 marzo 1868 riservasse al Potere Esecutivo di formulare quel progetto di abolizione, dandogliene anzi l'incarico espresso. […]. E quindi la Commissione concretò in un Ordine del giorno le sue conclusioni, anziché in una legge, sottoponendolo alla sanzione della Camera. 494 deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452. 493 Vedi: «II. La Camera, udita la Relazione della Commissione parlamentare d'Inchiesta, invita il Governo ad esibire quanto prima una legge, la quale, informandosi ai principi della pluralità e della libertà delle Banche, stabilisca le norme con cui possano sorgere ed operare in Italia le Banche di credito e di circolazione», Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452. 494 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, Progetto del deputato Alessandro Rossi per l'abolizione del corso forzoso, p. 448. Questo il terzo ordine del giorno approvato all'unanimità: III. La Camera, udita la 281 La Commissione si attiene dunque al mandato di procedere verso l'abolizione del corso forzoso, ricevuto dalla Camera dei deputati, su proposta dell'esecutivo Menabrea-Cambray Digny, ma opta a sua volta per l'approvazione di un Ordine del giorno, «che invita il Governo a presentare, entro il primo quadrimestre del 1869, un progetto di legge, col quale sia provveduto alla convertibilità in valuta metallica dei biglietti di Banca». Prevale, in tal modo, la scelta di andare incontro alle richieste del ministro delle Finanze, Cambray Digny, che, da parte sua, aveva già accettato la proposta avanzata da Cordova, di limitare a 700, anziché a 800 milioni, il tetto delle banconote a corso forzoso. Nell'ambito della legge che autorizzava la contestuale emissione di sei milioni di banconote da una lira, per incentivare il commercio minuto. Rinviando, però, la «più sollecita liberazione del paese da questa piaga che, trascurata anco per poco, minaccerebbe degenerare in cancrena».495 Nonostante l'opposizione di una minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, che questa volta è tuttavia ristretta soltanto ai due deputati della Sinistra: Lualdi e Seismit Doda. Lualdi è l'imprenditore tessile milanese, eletto deputato di Busto Arsizio, per la prima volta nel 1863, dai settori democratici e radicali che fondano poi il giornale Il Sole, critici nei confronti della politica economica di Sella e dei governi della Destra. Relazione della Commissione Parlamentare d'inchiesta, ravvisa con essa la necessità e la possibilità della abolizione del corso forzoso, ed invita il Governo a presentare, entro il primo quadrimestre del 1869, un progetto di legge, col quale sia provveduto alla convertibilità in valuta metallica dei biglietti di Banca. Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, p. 452. 495 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XIX, p. 449. 282 Seismit-Doda è il politico democratico, originario di Ragusa in Dalmazia, che, dopo aver partecipato, quale volontario, alla difesa di Venezia e aver collaborato ai giornali «Concordia» e «Diritto», aveva diretto una delle prime Società di assicurazioni italiane, la Riunione Adriatica di Sicurtà e, nel 1865, era stato eletto deputato di Comacchio. Così, con l'opposizione di questa minoranza di sinistra, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso riconsegna al «Governo del Re», l'onere di una legge che regolamenti con maggiore determinazione il corso forzoso; legge che slitta poi al 1874 ed è promossa da Minghetti. Mentre le direttrici del ritorno al corso legale rimangono affidate ai due sistemi prospettati da Seismit Doda, della Sinistra, e da A. Rossi, della Destra. Volti, il primo, a delineare la graduale estinzione del corso forzoso tramite le obbligazioni dell'Asse ecclesiastico496 e, il secondo, a definire un'operazione mista e complessa, la quale dovesse abbracciare: 1° Il pareggio approssimativo dei bilanci; 2° Il consolidamento di una gran parte dei Buoni del Tesoro attualmente in circolazione; 3° Un prestito forzoso, sulle classi più agiate; 4° Un'operazione all'estero, od all'interno, sui beni nazionali dell'Asse ecclesiastico. 497 Tuttavia, dopo che Cambray Digny ha ribadito la sua volontà di presentare un proprio progetto per l'abolizione del corso forzoso, questo progetto di A. Rossi, che ricomprende anche quello di Seismit Doda, è soltanto allegato agli Atti, insieme alla proposta di 496 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XX, p. 450. 497 Vedi Camera dei deputati, Atti … . Relazione a stampa, vol. I, 1868, ora anche CD1800000271, § XX, p. 450; cfr. Ibidem, Progetto del deputato Alessandro Rossi per l'abolizione del corso forzoso, pp. 453-457. 283 ripianare i 378 milioni del debito che lo Stato aveva contratto con la Banca Nazionale.498 La Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, come la Relazione nel suo complesso, documentano così soprattutto i tentativi di limitare le violazioni dell'ordine economico e finanziario, che, per il cattolico Lampertico, è sinonimo di dignità umana. Ragione da declinare nel rispetto dei votanti che lo hanno eletto e del più ampio popolo che lo considera rappresentante dei suoi interessi. Motivando la critica dell'economia dei popoli e degli stati che avevano dato vita all'Italia unita, con argomentazioni simili a quelle che, sei anni dopo, svolge in forma matura, dopo la nomina regia a senatore, sin dal primo dei cinque volumi del suo trattato incompiuto. 499 498 Il corso legale è ripristinato soltanto il 12 aprile 1883, dopo il Regio decreto del 6 giugno 1881, il crac della borsa di Parigi e l'ampliamento del suffragio elettorale maschile, realizzato il 24 settembre 1882 con la legge numero 999, elaborata da Brunialti e proposta da Giuseppe Zanardelli (1826/1903). 499 Cfr.: «Sembrerà strano (eppure lo ripetè non ha guari un uomo d’altissima levatura, com’è il Ketteler vescovo di Magonza) che si accusi di materialismo la scienza dell’economia, perché prendendo le mosse, siccome fa, dalla umana libertà riduca il mondo economico non più che ad una compagine di atomi. Sembrerà strana l’accusa contro una scienza, che tutta si fonda sul mobilissimo concetto della umana personalità e colloca la persona in quella vita sociale, in cui […] è da vedere uno svolgimento progressivo della nostra spirituale sostanza, e un ingrandimento continuo della coscienza e della libertà: essendo che noi perciò diventiamo come a dire autonomi e ci trasformiamo in cagioni efficienti, in vere persone, in compiute individualità, e ci impossessiamo di quella intera proprietà dell’essere, di cui siamo capaci», Lampertico, Economia dei popoli e degli stati, vol. I, Introduzione, 1874, cap. VI. Religione ed economia, p. 88. 284 285 Conclusioni: un accentramento privo del necessario consenso I due anni e mezzo compresi tra la promulgazione del corso forzoso e la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta, evidenziano dunque la fondatezza delle consolidate tesi storiografiche che riconoscono a Cavour, Vittorio Emanuele II e Garibaldi, il merito di avere unificato il Paese. Al di là di ogni contestazione sui modi e i tempi della unificazione nazionale. Ripercorrendo le vie diplomatica e militare, praticate con il Regno Unito vittoriano e con la Francia di Napoleone III, per avere la meglio su Pio IX e Francesco Giuseppe, dopo avere messo a profitto l'inconsistenza politica di Francesco II nelle Due Sicilie. Per rimarcare soprattutto, attraverso gli innovativi libri di Astuto, Colombo e Martucci, le capacità di Cavour di applicare e al contempo forzare lo Statuto, consolidare le prerogative della Camera dei deputati e affermare il proprio ruolo di presidente del Consiglio. Rafforzando la burocrazia piemontese e cominciando a estenderla a livello nazionale, favorendo un pur minimo decentramento, ma accrescendo le prerogative dei prefetti e delineando il programma di Roma capitale. Queste tesi, ripensate a partire dalla Storia dell'Italia moderna di Candeloro, hanno tratto forza dagli studi di Ragionieri e di Pavone, trascurati da Romeo.500 E dal confronto, oltre che con la Storia parlamentare del giornalista e deputato toscano Arbib, con la Storia parlamentare politica e diplomatica dell'archivista e storico lucano Cilibrizzi, già funzionario della Camera dei deputati durante il ventennio fascista. Permettendo di inscrivere in questo confronto, le biografie di alcuni protagonisti del primo decennio della 500 Cfr. questo giudizio sulla Storia dell’Italia moderna: «a noi pare che tutta l'opera di Candeloro sia animata dall'intento di dare una risposta alla questione centrale [...] della direzione politica nella formazione e nello sviluppo della nazione e dello Stato moderno in Italia», Ragionieri, Storie del Risorgimento e storie d'Italia, 1864, in Id., Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita, ed. 1967, p. 57. 286 storia dell'Italia unita e la loro relativa storiografia. Per enfatizzare in questo modo, il fatto che la monarchia liberale italiana si è fondata sul «Governo del Re», a differenza sia del «Governo parlamentare» inglese, sia delle precedenti monarchie assolute. E ha perciò usato la decretazione quali espressione statutaria delle sue volontà. Favorendo il rafforzamento del partito di Corte anche a discapito della Destra, ma soprattutto contro le aspirazioni garibaldine e mazziniane, dimostratesi ben presto velleitarie. La ricostruzione e la critica della politica monetaria di Sella, sottesa al Regio decreto del 1° maggio 1866, scritto tuttavia da Scialoja e dagli Uffici della Camera dei deputati, ha poi evidenziato i limiti della Sinistra parlamentare e, soprattutto, di un nuovo giornale economico, Il Sole, che si rivolge alla pubblica opinione, senza tuttavia sedimentare un reale consenso politico. Il metodo storico, applicato alle scienze morali secondo la lezione di P. Villari, ha poi approfondito le idee di libertà e di uguaglianza, attraverso il formarsi della nazione italiana; per esaminare i tre volumi della Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso.501 Nella consapevolezza che soltanto un governo parlamentare rappresentativo, capace di favorire gli interessi privati che coincidono con gli interessi della comunità, può sventare il pericolo di una legislazione classista. 502 L'analisi ha così approfondito la torsione autoritaria che contraddistingue il «Governo 501 Vedi Villari, Teoria e filosofia della storia, 1854-1903, ed. 1999; Id., La camorra la mafia il brigantaggio Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, 1861-1883, ed. 1979. 502 Vedi: «Governo rappresentativo significa che la nazione tutta, o almeno una parte numerosa di essa, esercita per mezzo dei deputati, periodicamente eletti, il supremo controllo del potere, controllo che non manca in alcuna costituzione. Questo supremo controllo deve essere posseduto per intero dalla nazione. Una collettività deve essere in grado di esercitare quando vuole qualsiasi funzione governativa », J. S. Mill, Considerazioni sul governo rappresentativo, 1861, Capitolo V, Sulle funzioni proprie dei corpi rappresentativi. 287 del Re», dopo la morte di Cavour. Un autoritarismo determinato in prima persona proprio da Vittorio Emanuele II, desideroso di prendersi la rivincita sulle pur minime concessioni che aveva dovuto fare allo Statista e foriero, perciò, di seri rischi di involuzione istituzionale. Come documentato dagli atti che preparano, accompagnano e seguono la decisione di trasferire la capitale da Torino a Firenze e di esautorare Minghetti, sostituito da La Marmora. Mentre banchieri, uomini dell'alta finanza e grand commis delle ferrovie impongono i propri interessi, favorendo l'ascesa della borghesia ai danni dell'aristocrazia terriera. Il che ridimensiona in parte il potere della Destra, già indebolito dalle elezioni politiche della IX legislatura e dalla relativa crescita del numero dei deputati della Sinistra. È questo il sistema politico italiano che, alla vigilia della Terza guerra d'indipendenza, usa il corso forzoso, per rafforzare il partito di Corte e modificare i rapporti di forza, interni e internazionali, sanciti dalla Convenzione di settembre. In questo sistema politico, il re, il presidente del Consiglio, il ministro delle Finanze e il direttore della Banca Nazionale, Bombrini, applicano la politica monetaria 503 sperimentata, quella volta con tragica imperizia, da Carlo Alberto, e dal direttore della Banca di Genova, che era già 503 Sulla carta moneta, segno d'oro, cioè segno di denaro, cfr. «That, as far as concerns our domestic exchanges, all the monetary functions which are usually performed by gold and silver coins, may be performed as effectually by a circulation of inconvertible notes, having no value but that factitious and conventional value which they derive from the law, is a fact, which admits, I conceive, of no denial. Value of this description may be made to answer all the purposes of intrinsic value, and supersede even the necessity for a standard, provided only the quantity of the issues be kept under due limitation», John Fullarton (1780/1849), On the regulation of currencies, being an examination of the principles on which it is proposed to restrict within certain fixed limits the future issues on credit of the Bank of England and of the other banking establishments throughout the country, 1844, p. 21; Schumpeter, Storia dell’analisi economica, voll. 3, II vol., Parte terza. Dal 1790 al 1870 7. Moneta, credito e cicli, La teoria del credito, a) Credito, prezzi, interesse e risparmio forzato, 1954, ed. 1990, pp. 881-897 e relative note. 288 Bombrini, in preparazione della Prima guerra d'indipendenza. Una politica monetaria poi usata ancora da Bombrini, nominato direttore della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna, per finanziare la Seconda guerra d'indipendenza, condotta in quel caso con sagacia da Vittorio Emanuele II e Cavour. Guerre nazionali, certo, ma legate a dinamiche internazionali e determinate da interessi, classi, ceti, istituzioni e forze sociali e politiche; in primis, dal conflitto con la Chiesa cattolica romana. Nell'età degli Imperi, scandita dalla supremazia del Regno Unito e dal tramonto dell'Impero austriaco, che facilitano l'ascesa della potenza prussiana, la sconfitta della Francia e l'unificazione nazionale tedesca. Dopo la Guerra civile americana, la conseguente penuria europea di metalli preziosi e il crac della Borsa di Parigi. Fatti, durante i quali il Regno Unito continua ad applicare le medesime politiche economiche liberiste che avevano portato all'abolizione delle Corn laws; a differenza degli Stati dell'Europa continentale, che avviano la graduale conversione protezionista delle loro economie. Mentre lo Stato italiano sostiene ingenti spese belliche, diplomatiche e amministrative, promulga il corso forzoso, emargina i repubblicani e compie il processo di unificazione nazionale, attraverso l'annessione del Veneto e la liberazione di Roma, accumulando un deficit di settecentoventuno milioni di lire. In una fase che pone in valore la transizione dall'amministrazione austriaca, all'amministrazione italiana in Veneto e, in particolare, dal governo La Marmora, al governo Ricasoli. Sino ai tre governi del generale Menabrea, nei quali proprio il presidente del Consiglio associa il suo conservatorismo sociale agli interessi della speculazione urbana rappresentati da Cambray Digny e alle manovre politiche dei settori più reazionari del partito di Corte. Questi governi, nei quali il ministro delle Finanze svolge un ruolo decisivo, attuano l'unificazione amministrativa e la requisizione dei beni ecclesiastici, ma, proprio 289 applicando il corso forzoso, alimentano le anomalie e le violazioni di un sistema monetario ancora in formazione. O, per lo meno, faticano a contrastarle; in ragione dei contrasti politici tra Cambray Digny, Cordova, Minghetti, Scialoja e Sella. La Banca Nazionale stampa infatti banconote inconvertibili anche per finanziare le operazioni commerciali private, ma, drenando le riserve auree, subordina gli altri istituti bancari italiani, costretti a pagare un aggio, per scambiare le loro banconote, fuori dalle province di appartenenza. Mentre lo Stato finanzia il mutuo del Tesoro, con banconote svincolate dall'obbligo di riserva, ma che eccedono il suo attivo. Ciò facilita, o rende comunque più difficile contrastare, la speculazione sulle cedole del debito pubblico, rimborsate in oro all’estero e in banconote in Italia. Anche se il rifiuto della valuta ufficiale, come il baratto e i pagamenti in valuta straniera, è sanzionato con pene che vanno sino alla reclusione, e anche se la Banca Nazionale evita di svalutare la lira, il cui valore legale rimane tuttavia assai differente dal suo valore di mercato. La necessità di avvalersi delle facoltà ispettive del potere legislativo, nasce da quelle anomalie e da quelle violazioni; riguarda il corso forzoso, ma obbliga a ripensare l'esperienza della Commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio nelle province meridionali. Conclusa dalle due Relazioni, di Massari, per la Destra, e di Castagnola, per la Sinistra, ma seguita dalla promulgazione dello «stato di brigantaggio»; un vero e proprio stato d'assedio, simile a quello imposto dagli inglesi in Irlanda. Con l'avvertenza che la guerra civile tra inglesi e irlandesi, contrappone benestanti protestanti e meno abbienti cattolici; a differenza della guerra civile tra benestanti piemontesi e meno abbienti meridionali, accomunati dalla religione cattolica. Nell'Italia unita, il riferimento all'esperienza costituzionale del Regno Unito è del resto dettato da ragioni di politica internazionale, da motivi istituzionali e da necessità 290 economiche legate alla supremazia, finanziaria e monetaria, della Banca d'Inghilterra e della London Clearing House. Prima che da opzioni di valore. Scandite dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul Bilancio della Camera dei Comuni nel 1786 e dal corso forzoso con cui l'Inghilterra prima e la Gran Bretagna poi, finanziano il blocco navale contro Napoleone. Da un primo ampliamento del suffragio e dall'imposizione fiscale, fondata sull'income tax. Dall'abolizione delle Corn Laws e dello Slavery Act e dall'ulteriore ampliamento del diritto di voto. Dal «governo del Parlamento», fondato sulla contrapposizione tra Whigs e Tories, alla spaccatura tra Peelisti e alle coalizioni tra Liberali e Conservatori. Condizionate da una prassi parlamentare che è assai simile al successivo trasformismo di Depretis; con l'essenziale differenza di un'evoluzione lunga due secoli, invece che due decenni. Da qui, la comparazione con le inchieste parlamentari nel Regno Unito, che sviluppo attraverso l'analisi testuale del saggio di Devincenzi sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta. In quel saggio, l'esponente politico del costituzionalismo napoletano divulga infatti il Parliamentary Practice di Erskine May, illustra il funzionamento del sistema parlamentare inglese e documenta l'importanza della pubblicità dei lavori ispettivi del potere legislativo; con particolare riferimento al dibattito parlamentare sulle condizioni dell'esercito inglese durante la guerra di Crimea. Rimarcando le differenze tra la Common Law, consuetudinaria, e l'esperienza statutaria italiana, basata sulle Chartes orléaniste. Tuttavia, la Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, l'ottava dopo l'unificazione nazionale, formata da Cordova, Lampertico, Messedaglia, A. Rossi e Sella per la Destra, e da Lualdi e Seismit-Doda per la Sinistra, applica soltanto in parte il modello delle Commissioni parlamentari d'inchiesta nel Regno Unito, fondato, oltre che sul voto a maggioranza, sulla pubblicità delle nomine e delle sedute delle Commissioni. La 291 Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso inizia infatti a svolgere i suoi lavori segreti, inviando sette diversi tipi di questionario a una serie di interlocutori istituzionali e ascoltando trentotto personalità. Per studiare le condizioni generali della circolazione cartacea, approfondire i rapporti tra gli Istituti di emissione, il governo e le pubbliche amministrazioni e accertare le responsabilità della Banca Nazionale nel Regno d'Italia e dell'ex ministro delle Finanze, Scialoja; in particolare attraverso le audizioni di Bombrini e dei presidenti delle Camere di commercio. Sino alla prima Relazione Cordova che, fissando in settecento milioni il tetto per l'emissione delle banconote a corso forzoso, media tra la proposta iniziale e la controproposta del ministro delle Finanze Cambray Digny, ma porta altresì a sei milioni, la circolazione delle banconote da una lira. Mentre il II governo Menabrea sviluppa la politica finanziaria e monetaria già delineata da Sella; oltre che con il corso forzoso, con la tassa sul macinato e con il monopolio dei tabacchi. Poi, dopo che la Commissione è stata costretta a sostituire per motivi di salute il presidente Cordova, con il presidente Lampertico, la Camera dei deputati approva il nuovo Regolamento provvisorio, che include per la prima volta tre brevi articoli sulle Commissioni parlamentari d'inchiesta. Soltanto dopo, il 28 novembre 1868, la Commissione sul corso forzoso approva a maggioranza la Relazione finale di Lampertico. Recependo i diversi, ma convergenti orientamenti politici di Cordova, che intanto è purtroppo deceduto, e A. Rossi, e di Lualdi e Seismit-Doda, ma con i voti contrari di Messedaglia e Sella, ai quali si aggiunge infine il voto del presidente Lampertico, assente al momento della votazione. Emergono così, i tentativi, riusciti soltanto in parte, di regolare il corso forzoso. Ricostruiti attraverso l'esame degli Atti della Commissione e della Relazione finale, comparati alle fonti e alle ricostruzioni storiche dell'epoca e alla relativa storiografia; sino 292 ai nostri giorni. Esaminando le risposte ai questionari e le audizioni, con particolare attenzione per la formazione del sistema bancario nazionale, a partire dall'unificazione della Banca di Genova, con la Banca di Torino, e per la trasformazione della Banca Nazionale nel Regno di Sardegna, nella Banca Nazionale nel Regno d'Italia; fatta salva la sostanziale continuità degli Statuti. Questa Banca Nazionale, cui il Regio decreto del 1° maggio 1866 concede il monopolio sull'emissione delle banconote a corso forzoso, in cambio di un prestito di duecentocinquanta milioni al Tesoro, esercita una crescente primazia sugli altri principali Istituti di credito italiani: il Banco di Napoli, il Banco di Palermo, la Banca Nazionale Toscana e la Banca Nazionale di Credito per l'industria e pel commercio d'Italia, che intensifica il proprio giro d'affari dopo il trasferimento della capitale a Firenze. La Banca Nazionale articola così la sua struttura territoriale, attraverso agenzie e sportelli, che sviluppano le funzioni di sconto o anticipazione, deposito e circolazione: contrastano cioè l'usura, iniziando a trasformare il risparmio, in credito. In base all'unificazione monetaria del 1862, modellata sul sistema monetario francese, all'Unione monetaria latina, cui l'Italia aveva aderito nel 1865, ma soprattutto ai legami con la Banca di Londra. Senza tuttavia riuscire ad arginare i gravi fenomeni speculativi legati al corso forzoso, sui quali la Commissione parlamentare d'inchiesta chiama il ministero delle Finanze a svolgere un controllo più efficace di quello esercitato da Scialoja. Per contrastare l'instabilità monetaria, la scomparsa del contante metallico e la rarefazione dei commerci, reprimere le troppe irregolarità e ridefinire i rapporti della Banca Nazionale con lo Stato. La Relazione finale, che pure recepisce l'impostazione di Cordova, è tuttavia permeata dalla moderazione politica propria del cattolicesimo solidale di Lampertico. Che auspica la normalizzazione del sistema bancario e creditizio nazionale, ma sconta l'opposizione della 293 Sinistra di Lualdi e di Seismit Doda, che avrebbero voluto imporre subito una Legge per l'abolizione del corso forzoso. Il deputato vicentino nominato presidente al posto di Cordova, riesce tuttavia a fare votare all'unanimità tre ordini del giorno che smussano il conflitto con Cambray Digny, ma invitano l'esecutivo a: 1) modificare i rapporti tra lo Stato e la Banca Nazionale, in termini più profittevoli per lo Stato e per il pubblico; 2) favorire la pluralità delle Banche di credito e di circolazione; 3) ripristinare la convertibilità metallica delle banconote. Allegando la proposta di legge presentata da A. Rossi. Sin qui, la Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso. Ciò nonostante, o forse proprio perché i tre ordini del giorno, come la proposta di legge di A. Rossi, non hanno alcun valore esecutivo, nei mesi e negli anni successivi, le istituzioni politiche italiane, a cominciare dal «Governo del Re», lasciano in vigore il corso forzoso; sin quasi alla fine dell'Ottocento. Concludo richiamando perciò i momenti salienti delle successive fasi di questa storia. A cominciare dal governo Lanza - Sella, che ottiene l'approvazione del primo omnibus finanziario; mentre Lampertico rassegna le dimissioni da deputato. 504 Poi, dopo il trasferimento della capitale a Roma e la Legge delle guarentigie, ancora il governo Lanza - Sella ottiene dal Parlamento l'autorizzazione a mettere in circolazione altri 300 milioni di carta moneta. Sino alla bocciatura degli ulteriori provvedimenti finanziari proposti da Sella, che la Camera dei deputati rinvia a un'organica riforma finanziaria. Riprendendo l'impostazione di Minghetti, già esplicitata durante la discussione della tassa sul macinato. 504 Lampertico, che si dimette dalla Camera dei deputati il 29 gennaio 1870, per gravi motivi familiari, legati alla malattia della madre, è poi nominato senatore, il 6 novembre 1873, su proposta del senatore Tommaso Spinola (1803/1879). 294 Il corso forzoso è così regolato una seconda volta, con maggiore forza, prima del Resumption Act con cui il presidente Grant ripristina il corso legale negli Stati Uniti d'America. Il 30 aprile 1874, infatti, la Camera dei deputati approva la Legge Luzzatti, firmata da Minghetti, presidente del Consiglio e ministro delle Finanze, con Finali all'Agricoltura, Industria e Commercio. Autorizzando il Consorzio formato dalla Banca Nazionale, dalla Banca Nazionale Toscana, dalla Banca Toscana di credito, dalla Banca Romana, dal Banco di Napoli e dal Banco di Sicilia, a emettere banconote a corso forzoso, entro il tetto massimo di un miliardo di lire. Segue, il 15 marzo 1875, il Congresso di economisti italiani, indetto dalla «circolare di Padova», che ha tra i suoi primi firmatari Lampertico e Messedaglia ed è organizzato dalla Camera di commercio di Milano. Tre mesi dopo, in un discorso alla Camera dei deputati, Minghetti dichiara che il disavanzo dello Stato, ormai ridotto a 40 milioni, è sul punto di essere colmato con l'aumento della tassa di registro. Ma Sella che, dopo dieci anni di «economie fino all'osso», ha ottenuto dal Parlamento l'approvazione della legge sulle Casse di risparmio postali, promulgata subito dopo dal Re, vincendo le resistenze dei liberisti, ostili allo «Stato banchiere», documenta che la moneta cartacea circolante in Italia è di un miliardo cinquecentoquarantatré milioni, a fronte della riserva metallica di centoquarantasei milioni. Quindi, caduto il II governo Minghetti e nominato il primo governo di Sinistra, con Agostino Magliani505 alle Finanze, il nuovo presidente del Consiglio, Depretis, nel discorso programmatico dell’8 ottobre 1876, a Stradella, preannuncia il trasformismo. 506 505 Di Agostino Magliani (1824/1891), vedi La questione monetaria, 1874; sulla sua «finanza allegra», cfr. la voce di Fulvio Conti, nel Dizionario biografico degli italiani, vol. LXVII, 2007, pp. 427-429. 506 Cfr. Rogari, Alle origini del trasformismo. Partiti e sistema politico nell'Italia liberale, 1998, p. X. Secondo Rogari, il trasformismo, a differenza del Connubio, «è 295 Proponendo di recepire le idee buone, le vere ed utili esperienze [...] dove che sia, anche dai nostri avversari [e auspicando la] concordia delle due parti politiche che devono alternarsi al potere.507 Da qui, il susseguirsi di altri sei governi della Sinistra. Sino al ripristino della convertibilità delle banconote, votato il 7 aprile 1881, e alla nomina della Commissione permanente per l’esecuzione della legge di abolizione del corso forzoso, approvata il 14 maggio 1881, dopo le dimissioni del III governo Cairoli-Magliani, che rimane tuttavia in carica sino alla costituzione del nuovo governo.508 funzionale alla conservazione e alla protezione del sistema dalle minacce esterne ma anche, direi quasi soprattutto, da quelle interne. Ha quindi una valenza statica». Cfr. Sabbatucci, Il trasformismo come sistema, 2003, p. 19. Secondo quest'impostazione dinamica, nei Paesi caratterizzati da ampie fratture (politiche, ideologiche, religiose, etniche, linguistiche ecc.), «la competizione bipolare propria del modello anglosassone appariva troppo pericolosa, in quanto […] capace di evidenziare e di approfondire lacerazioni e fratture preesistenti e di offrire più larghi spazi di intervento alle forze della rivoluzione e a quelle della reazione assolutistica». Per un'interpretazione dinamica del trasformismo, vedi Sensales, Fedele Lampertico Economia, popolo e Stato nell'Italia liberale, 2011, ad indicem. 507 Vedi Discorso dell'onorevole Depretis presidente del Consiglio dei Ministri, pronunciato al banchetto offertogli da' suoi elettori di Stradella il giorno 8 ottobre 1876, in Il programma del ministero Depretis, ristampa anastatica, Roma 1876, pp. 4-5. Cfr. Lampertico, Transformismo e sociologia secondo i più recenti studi, in «Nuova Antologia di scienze, lettere ed arti», vol. XLV, fasc. IX, 1884 maggio, pp. 19-44; Carlo Leopoldo Ottino, Trasformismo, Grande dizionario enciclopedico, vol. XLVIII, 1972, pp. 620-621. 508 La Commissione permanente per l'esecuzione della legge di abolizione del corso forzoso, della quale fa parte tra gli altri Lampertico, rimane in carica sino al 25 settembre 1882, ma è poi ricostituita il 15 dicembre 1890, sino al 23 luglio 1894 e il 13 giugno 1895, 296 A questi provvedimenti di politica monetaria, fanno seguito la nomina del IV governo Depretis-Magliani e il Regio decreto attuativo della convertibilità delle banconote.509 Che diventa, tuttavia, operativo soltanto il 12 aprile 1883. Con un percorso legislativo simile a quello dell'abolizione della tassa sul macinato, votata nel 1880, ma esecutiva soltanto dal 1° gennaio 1884. Intanto, il 24 settembre 1882, proprio Depretis e il ministro delle Finanze Magliani, che ha l’interim del Tesoro, ottengono l'ampliamento del suffragio maschile, con l'approvazione della Legge 999, presentata dal ministro della Giustizia, Zanardelli 510. Questa nuova Legge elettorale, che sostituisce il collegio uninominale, con il sistema a scrutinio di lista, porta il numero degli iscritti alle liste elettorali da 621.896, a 2.017.829, ma riduce i collegi elettorali da 508 a 135. 511 sino al 15 luglio 1898. 509 Dalla Relazione finale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul corso forzoso, presentata il 28 novembre 1868, al Regio decreto del 16 giugno 1881, attuativo della convertibilità delle banconote, si susseguono undici governi: ai due governi del partito di Corte, il II Menabrea - Cambray Digny (che cade il 13 maggio 1869) e il III Menabrea - Cambray Digny (dal 13 maggio, al 14 dicembre 1869), fanno infatti seguito i due governi della Destra: Lanza - Sella (dal 14 dicembre 1869, al 10 luglio 1873), e Minghetti II (dal 10 luglio 1873, al 25 marzo 1876). Quindi è la volta dei sette governi della Sinistra: il I Depretis (dal 25 marzo 1876, al 25 dicembre 1877); il II governo Depretis - Magliani (dal 26 dicembre 1877, al 24 marzo 1878); il I governo Cairoli, con Seismit Doda alle Finanze e al Tesoro (dal 24 marzo, al 19 dicembre 1878); il III governo Depretis - Magliani (dal 19 dicembre 1878, al 14 luglio 1879); il II governo Cairoli, con Bernardino Grimaldi alle Finanze e al Tesoro (dal 14 luglio, al 25 novembre 1879); il III governo Cairoli - Magliani (dal 25 novembre 1879, al 29 maggio 1881); il IV governo Depretis - Magliani (dal 29 maggio 1881, al 25 maggio 1883). 510 Vedi Catalano, Zanardelli, Giuseppe, Grande dizionario enciclopedico, vol. XIX, 1973, pp. 800-801. 511 Vedi Martucci, Storia costituzionale italiana, 2002: 92-94, paragrafo 3.4.3. La 297 Così, nelle elezioni del 29 ottobre e nei ballottaggi del 5 novembre 1882, Depretis, rimasto in carica anche come ministro dell’Interno, rafforza la sua maggioranza, ottenendo il 39,8% dei voti, a fronte del 19,8% dei voti ottenuti dai candidati dell’opposizione, del 4,6% dei voti dell’Estrema e del 36,6% di altri candidati. Mentre nelle aree urbane, l'ampliamento del suffragio elettorale, bilanciato dalla prevalenza rurale dei collegi elettorali, porta in Parlamento Andrea Costa, primo deputato socialista, eletto a Ravenna, e Antonio Maffi, primo deputato operaio, eletto dalla Sinistra radicale, a Milano. Ma nel Sud, grandi masse di analfabeti rimangono prive di rappresentanza parlamentare. Poi nei mesi successivi, la crisi agraria accentua il peso politico dell’Estrema sinistra nel cartello delle forze di opposizione e, all’opposto, degli orientamenti conservatori nel cartello delle forze che continuano a sostenere il IV governo Depretis. Si giunge così alla mozione di sfiducia presentata da Giovanni Nicotera, che è respinta con larghissimo margine, ma porta alle dimissioni del ministro della Giustizia Zanardelli e del ministro dei Lavori pubblici Alfredo Baccarini, entrambi esponenti della Sinistra. Seguono il durissimo discorso parlamentare di Felice Cavallotti, che denuncia la «putredine» legata al trasformismo, e le opposte dichiarazioni di Bertani, ormai pronto ad appoggiare di Depretis che così, il 25 maggio 1883, vara il suo V governo 512, con Bernardino Giannuzzi Savelli riforma Zanardelli: il suffragio allargato. Sulla mutata composizione di queste circoscrizioni elettorali, cfr. Sensales, Fedele Lampertico. Economia, popolo e Stato nell’Italia liberale, 2011, capitolo IX Il Credito, paragrafo 9.2. Cattolici e socialisti, pp. 284-287. 512 Confronta il telegramma circolare che Depretis invia ai prefetti il 25 maggio 1883 «[...] Affidando dicastero Giustizia ad insigne magistrato volli togliere ogni più lontano sospetto che la politica possa esercitare qualsiasi influenza sulla magistratura e quanto al ministero dei Lavori Pubblici dato a persona che sempre appartenne alla Sinistra e la cui competenza è incontestata volli affermare nel modo più aperto che il Governo persiste 298 alla Giustizia e Francesco Genala ai Lavori pubblici: due uomini politici che il giornale La Riforma definisce «né di destra né di sinistra».513 Questo V governo Depretis, che per il resto mantiene inalterata la composizione del precedente, con Magliani alle Finanze e Berti all'Agricoltura, Industria e Commercio, continua a usare il corso forzoso, ma lo finalizza al graduale superamento del non expedit della Chiesa cattolica italiana: strada obbligata, almeno in Italia, per ampliare il suffragio. Applicando il trasformismo con la tattica dilatoria nella quale proprio il presidente del Consiglio è maestro.514 Ma il debito pubblico – che nel 1861, al momento dell’unificazione nazionale, era pari al 35,8% del prodotto interno lordo, a causa dei debiti con l’estero – sale al 80,3% nel 1871, al 87,7% nel 1876 e al 104,4% nel 1882. 515 come in ogni altra parte del suo programma così anche in quello importantissimo che riguarda l’esercizio privato delle ferrovie», CD, serie I, busta 30, fasc. 114; Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, 1956, p. 329 e nota 2. Su Agostino Depretis (1813/1887), vedi anche Talamo, La formazione politica di Agostino Depretis, 1970, e la voce di Romanelli per il Dizionario biografico degli italiani, vol. XXXIX, 1991, pp. 66-89. 513 Vedi Carocci, Agostino Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, 1956, p. 268 e nota 1. 514 Sul trasformismo 'progressivo' di Depretis, cfr. Alberto Maria Banti, Storia della borghesia italiana. L'Italia liberale (1861-1922), Roma, 1996. 515 Vedi Vera Zamagni, Introduzione alla storia economica d’Italia, 2007, pp. 87-95. Il corso forzoso continua di fatto, sino alla proroga ottenuta da Giovanni Giolitti il 21 dicembre 1892 e al Regio decreto del 23 gennaio 1894, che autorizza le Casse di risparmio ad anticipare il circolante necessario per fronteggiare il ritiro dei depositi, ma impone alle Banche di destinare alla riserva metallica un terzo della circolazione eccedente, pagando allo Stato una tassa sul residuo, pari a due terzi del tasso legale di sconto. 299 Bibliografia Fonti Il Sole (1870), Cinque anni dopo, Lettera del deputato Gaetano Semenza al ministro delle Finanze signor Quintino Sella, supplemento straordinario di febbraio, Milano: 1-4; Acquarone, Alberto, d'Addio, Mario, Negri, Guglielmo, a cura di (1958), Le Costituzioni italiane, 1797-1948, Milano, Edizioni di Comunità; Arangio-Ruiz, Gaetano (1985), Storia costituzionale del regno d'Italia (1848-1898), 1898, ristampa con la presentazione di Leopoldo Elia e l'introduzione di Lorenza Carlassare, Napoli, Jovene editore; Arbib, Edoardo (1867), L'esercito italiano e la campagna del 1866, Firenze, Barbera; Arbib, Edoardo (1901), Pensieri, sentenze e ricordi di uomini parlamentari, Firenze, Barbera; Arbib, Edoardo (1902), Cinquant'anni di storia parlamentare del regno d'Italia, 4 voll. 1897-1907, Ottava, nona e decima legislatura: dal 25 maggio 1863 al 2 novembre 1870, vol. 3°, Roma, Tipografia della Camera dei Deputati di Carlo Colombo; Archivio di Stato di Napoli (1863), Fondo Questura, fascicolo 16, inventario 78; Arcoleo, Giorgio (1881), L’inchiesta nel governo parlamentare, Napoli, Guida; Atti del Parlamento italiano (1898), Le elezioni politiche al parlamento subalpino e al parlamento italiano. 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