C2,0:S
Carteggio
C2,114:S
Lanteri a persona ignota
18 settembre 1784
Malattia del padre Dott. Pietro Lanteri – Suo decorso e rimedi applicati – Preghiere per la sua guarigione – Informazioni
date e richieste sulle “Amicizie” e altre attività di Torino
Originale in AOMV, S. 2,1,6:20
C2,114:I
Pubblicata in Positio, 87-90.
È cronologicamente la prima lettera che è conservata del Lanteri, allora di 25 anni.
La lettera è scritta dalla mano del Lanteri, ma non ha indicazione del destinatario. Anche se la lettera è stata scritta in
circostanze dolorose per il Lanteri, allora al letto del padre morente, ci fa vedere tuttavia il suo continuo interessamento
per le opere che aveva lasciate a Torino e che aspettava di riprendere quanto prima.
Le lettere del Lanteri di questo primo periodo devono essere state molte, ma solo pochissime ci sono pervenute.
Evidentemente sono state distrutte appositamente quelle che potevano in qualche modo comprometterlo davanti alla
polizia napoleonica. Questa lettera si è salvata, ma è in parte mutila, perché il testo presenta visibilmente dei ritagli dove
c'era A.C. e A.S., ossia Amicizia Cristiana e Amicizia Sacerdotale (almeno così si pensa). Nell'impossibilità di poter
indicare con precisione la sigla usata volta per volta dal Lanteri, le lacune saranno indicate con dei puntini: abbiamo
però sempre potuto completare il testo esistente nella parte opposta del foglio con gli elementi sfuggiti all'azione delle
forbici (Positio, 87).
Calliari ha fatto l'ipotesi che il destinatario della lettera sia padre Luigi Virginio, ma essa è da scartarsi in quanto
all'interno della lettera si comunica che sarebbe bene che Virginio fosse presente per adempiere alcuni affari. La stessa
intestazione della lettera fa pensare a una persona laica (Andrea Brustolon).
C2,114:T1
18 settembre 1784
JMJ
Amico Car.mo*1
Abbiamo avuto la visita di Pecchienati*2, ha ordinati alcuni rimedi interni, ed altri esterni per
disporre ed attenuare quell'umore fissatosi nei muscoli della coscia di mio Sig. Padre, e quindi
passare all'applicazione d'una specie di vescicante sulla parte inferma; aveva dato da sperare di
vederne del miglioramento visibile fra una settimana, e di guarirlo fra un mese*3. Sono circa due
settimane che si pratica a tenore dell'ordinazione, però non si è ancora venuti all'applicazione del
vescicante, ma sinora non si prova neppure il minimo sollievo, ed io, umanamente parlando, non ho
mai avuto, né ho ancora presentemente speranza alcuna, avendo io sempre avuto occasione di
visitarlo più volte al giorno, né avendovi mai rilevato mutazione sostanziale da tre mesi che si trova
detenuto a letto per tale incomodo, nonostante i fortissimi rimedi che si sono già applicati; si
aggiunga ancora la difficoltà che ha mio Padre di lasciarsi applicare detto vescicante, ed il pericolo
che ne può risultare anche in caso di applicazione di esso. Tale essendo [lo stato delle cose], M.
[Madame la] C. [Comtesse] S.G. [Saint-Georges*4] fa mille premure per la pensione del figlio,
apprendendo fortemente che debba trovarsi per i Santi ancora del tutto sprovvisto, sicché conviene
che io scriva con tutta premura ai Sineo*5, Botta*6, P. Baud, Casa Amante, e a chi ho mai potuto
sapere per soddisfare detta Sig.ra C. [Contessa] S.G. [Saint-Georges]. L'Abatin però è tranquillo, e
sta alla provvidenza.
Quantunque io non abbia speranza alcuna umana del mio ritorno a Torino (giacché se mio Padre
continua in tale stato, mi è affatto impossibile), pure io spero fortemente nel S. Cuore di Gesù, e
particolarmente spero nella prossima novena di S. Teresa, in cui farò anche pregare da altri per tale
intenzione, il Signore ha mille mezzi a noi ignoti per trarmi da ogni difficoltà, se tale sarà la sua
santissima volontà.
C2,114:T2
Ma siccome conviene provvedere le cose anche secondo le leggi della prudenza, perciò conviene
che P.D. [Padre Diessbach] e V.S. esaminino lo stato futuro delle cose in caso di mia assenza,
moralmente certa, parlando umanamente, e quindi pensino a provvedervi: perché S.G. [Saint-
Georges] dovendo prender la licenza, e quindi attendere più di proposito agli studi, non sarà il caso
d'attendere a tutte le cose agibili dell' […], e quand'anche avesse il tempo, non so se sarebbe
abbastanza al fatto delle cose, inoltre l' […] correrebbe rischio, perché S.G. [Saint-Georges] per la
detta ragione non può comporre, come neppure Botta, il T.S. [Teologo Sineo] neppure può fare lo
stesso, come abbiamo già sperimentato, né vi sarebbero altri, perché dei Filippini non si può farne
caso, sicché non vi sarebbe che l' […], che nonostante, spero continuerà a fiorire: da questo, e da
altre ragioni che essi prevederanno meglio di me, ne verrebbe per conseguenza che vi sarebbe
necessaria la persona di V. [Virginio]. Pure per altra parte, capisco che V. [Virginio] dovrebbe
rimanere costì per l' […]; dovrebbe anche recarsi a M. [Milano] per l*7' […]. Essi esaminino,
decidano, ma spero che il S. Cuore di Gesù, e S. Teresa spianeranno ogni cosa; quanto a me
dispongano, decidano, che io sono pronto ad ogni cosa per l' […], quand'anche dovessi andare […]
Non è molto che ho ricevuto lettera da Torti*8, mi diede nuove della futura […] che si spera, mi
significa pure che ha ancora ricevuto i libri. Ho scritto in seguito a Peyla*9 che mi risponde essere
essi sicuramente giunti alla loro destinazione, non v'è altro se non che gli scriva a chi sono stati
indirizzati dai Sig. Peila, perché li ripeta da essi. Mi rallegro pure dell'Aa che V.S. introduce costì.
C2,114:T3
Dal Giornale di Luxembourg
Dal Giornale di Luxembourg*10 ricavo che la Storia Ecclesiastica di Bercastel è assolutamente
buona*11, e inoltre che è fuori l'ultimo tomo del Dizionario de Flexier de Reval*12; vedano se loro è
più comodo di procurarlo da quelle parti; finora non ho ancora ricevuta l'accusa della lettera di
cambio mandata in pagamento degli altri tomi al principio di luglio. Peila mi assicura pure che ha
avuto suo corso, ma avranno dimenticato di darmene riscontro.
Ho ricevuto nel giornale un biglietto in cui lo stampatore avverte M. Durand di essergli debitore di
L. 16, 10 de France per la sottoscrizione del Giornale di quest'anno, non so che debba farne, se devo
inviarlo a M.r Bocard: mi risponda su questo punto, e mi significhi pure quando P.D. [Padre
Diessbach] pensa di ritornare a Torino*13.
Il Sig. Canonico Rocchetta*14 mi ha prestato il Capo delle Costituzioni della Compagnia con tutte le
Bolle etc. etc. vol. 4 in 4o; vorrebbe disfarsene, dice che egli ha dato L. 60 per averlo; veda se
alcuno volesse comprarlo, altrimenti io non mancherò di prenderlo, se potrò averlo a prezzo.
M.r […] mi lascia riverire P.D. [Padre Diessbach], ha la febbre, credo non si sia mai più accostato
ai Sacramenti; io posso vederlo ben di rado, ne parli con P.D. [Padre Diessbach].
Suo Sig. Padre sta bene, né la […] né io abbiamo guadagnato al lotto [ossia Lotteria]: i numeri sono
i seguenti in ordine di estrazione: 23.150 – 7.121 – 26.505 – 10.406 – 9.562 – 5.649 – 20.323 –
20.408 – 12.060 – 66.
M. [Madame la] C. [Comtesse] S.G. [Saint-Georges] e l'Abatin mi lascian di fare i loro
complimenti; i miei ossequi a P.D. [Padre Diessbach]; mi raccomando caldamente ai loro S.S.
[Santi Sacrifici] avendone gran necessità per tutti i versi, e di cuore abbracciandola, la lascio nel S.
Cuore di Gesù.
In fretta, Cuneo li 18 settembre 1784
L. [Lanteri]
C2,114:*1
Una mano posteriore ha aggiunto “Virginio”.
C2,114:*2
Il dottor Pecchienati, professore di medicina all'università di Torino e membro dell'Accademia delle
Scienze, era al suo tempo una delle massime celebrità nel campo medico: vederlo al letto del dottor
Pietro Lanteri (forse suo amico personale e certamente sua conoscenza) ci fa vedere la
considerazione in cui era tenuto quest'ultimo.
Il Pecchienati, insieme col collega prof. Brugnone, aveva curato la pubblicazione delle opere del
suo maestro dott. Ambrogio Bertrandi (1755-1765), fondatore della scuola di ostetricia all'università
di Torino.
C2,114:*3
Il Lanteri scrive questa lettera da Cuneo, dove si era recato per la grave malattia del padre. Il Dott.
Pietro Lanteri morirà il 31 ottobre di quell'anno, poco più di un mese dopo questa lettera (v. lettera
seguente).
C2,114:*4
Sull'abate de Saint-Georges e la contessa Saint-Georges, sua madre, v. lettera del 20 marzo 1784 (in
Carteggio del Venerabile Padre Pio Bruno Lanteri…, a cura del P. Paolo Calliari O.M.V., vol. II,
pag. 39).
C2,114:*5
Sull'abate Sineo, v. lettera Tellier a Sineo, 25 aprile 1787 (Carteggio, II, 72-76).
C2,114:*6
Sull'abate Botta, v. Bona, 100, 114.
C2,114:*7
Sul viaggio di don Virginio a Milano, v. lettera del 1o aprile 1783 (Carteggio, II, 32-38).
C2,114:*8
Torti, avvocato milanese, membro dell'Amicizia Cristiana di Milano, collaboratore del Pertusati, v.
lettera del Lanteri al Pertusati 1808, Positio, 126.
C2,114:*9
Peyla deve essere un libraio di Torino al quale si rivolgeva il Lanteri per l'acquisto dei libri
dall'estero.
C2,114:*10
Le Journal de Luxembourg (titolo esatto: Journal historique et littéraire de Luxembourg et de
Liège) fu pubblicato dal 1779 al 1794, in due quaderni al mese, ora raccolto in 60 grossi volumi,
pubblicato anche in estratto, 3 voll., Bruges 1818-1820. Era un periodico di tendenza
dichiaratamente antigiansenista (cfr. E. Passerin d'Entreves, Corrispondenze francesi relative al
Sinodo di Pistoia del 1786, in Rivista della Storia della Chiesa in Italia, 7, 1953, 391).
C2,114:*11
Antoine-Henri Bérault-Bercastel, n. a Briey, vicino a Metz, nel 1720, m. a Parigi sotto la
rivoluzione nel 1794, fu gesuita, poi secolarizzato (1773) e parroco di Orneville, diocesi di Rouen, e
finalmente canonico a Noyon. Fu poeta e romanziere, non sempre dei più castigati. Il suo nome è
legato alla sua Histoire de l'Église, 24 voll. in 12o, uscita tra il 1778 e il 1790 (stava uscendo
appunto quando il Lanteri scriveva questa lettera), comprendente la storia della Chiesa dai primi
tempi fino agli inizi del Settecento, scritta “con ordine, metodo e precisione”, eccetto gli ultimi
volumi che sono stati alquanto affrettati (Feller). Fu una delle più lette ai suoi tempi, tradotta anche
in altre lingue. È inferiore alla storia del Fleury (da cui il Bercastel prende parecchio), ma esente
dalle sue tendenze gallicane, allora imperanti. L'autore ne aveva fatto un riassunto in sei volumi che
non fu mai stampato (Hurter, Nomenclator etc., V, 400-401).
C2,114:*12
Flexier de Reval, pseudonimo-anagramma del P. François-Xavier de Feller, S.J. (1735-1802),
autore di un Dictionnaire spesso citato e di altre opere apologetiche di vasta diffusione. Con questo
pseudonimo pubblicò nel 1772 a Liegi il suo Catéchisme Philosophique (sua opera principale) che
ebbe più di 16 edizioni nella lingua francese e varie traduzioni nelle lingue europee; trad. italiana,
Venezia 1788 in 3 voll. (Sommervogel, III, 606-633; Hurter, V, 1912, 594-600).
C2,114:*13
Il P. Diessbach in quel tempo (1784) era andato in Svizzera, mentre il Lanteri lo crede ancora a
Torino (Bona, 130).
C2,114:*14
Non si sa esattamente chi sia. Forse si può identificare col can. Stefano Incisa della Rocchetta (m.
1819), canonico della cattedrale di Asti, che ci ha lasciato una cronaca dettagliata sugli avvenimenti
del suo tempo in un ms. conservato nella biblioteca del seminario di Asti col titolo Giornale d'Asti
(dal 1776 al 1819), di spirito apertamente antigiansenista (P. Stella, Giansenisti Piemontesi
nell'Ottocento, Torino 1964, 21-23).
C2,118:S
Lanteri a un amico sacerdote
2 novembre 1784
Annuncia la morte di suo padre e domanda suffragi per lui – Preoccupazioni per una sorella – Saluti e richiesta di
consigli a P. Diessbach
Originale in AOMV, S. 2,1,6:21
C2,118:I
Non si sa chi sia il destinatario. Forse il Virginio: certo un membro dell'Aa o dell'Amicizia Sacerdotale, e sacerdote,
perché si raccomanda ai “Suoi Santi Sacrifici”.
C2,118:T
Amico Car.mo
Ho perduto il mio povero Padre domenica scorsa, lo raccomando nei S.S.S. [Suoi Santi Sacrifici*1].
Ho tutto a mio dosso, perché è morto, sento, testé: pensi che peso mi tocca. Non so cosa mi riuscirà
di fare a cagione della sorella che non potrò volgere a mio modo*2. P.D. [Padre Diessbach] mi dia
alcuni punti di vista, non cerco che la volontà di Dio: mi aiutino con la loro preghiera O.P.V.*3
Cuneo li 2 novembre [1784]
Lanteri
C2,118:*1
La morte del dottor Pietro Lanteri, padre del Nostro, è così descritta dal Gastaldi (p. 85): “Gli
giunsero intanto lettere da Cuneo che lo avvertivano di una pericolosa malattia sovraggiunta al suo
buon padre; e Brunone, lasciata in Torino alla guardia di Dio ogni cosa, con la più grande
sollecitudine si portò ad assisterlo e consolarlo, facendogli nei tre mesi che durò quella malattia,
quanto in bene del corpo e dell'anima gli dettava il suo amore filiale, e quanto una sincera
riconoscenza gli suggeriva. Pendente il mese che ne precedette la morte, un raggio di speranza,
frutto più di fiducia nelle preghiere che nelle speranze dei medici, veniva pur lusingando Brunone
che Iddio gli ritarderebbe ancora l'amaro calice; ma tutto ad un tratto, contro ogni sospetto d'uomo e
beneficio d'arte, il male imperversò così fiero e gagliardo che l'infermo, ricevuta la Penitenza e
l'Eucarestia, nell'ultimo giorno di ottobre di quell'anno mille settecento ottantaquattro coi sentimenti
di vero cattolico morì. Sommamente ne fu addolorato Brunone, e quantunque avvezzo a riconoscere
in ogni cosa la volontà di Dio, e per piacere a Lui, a prendere, come diceva, ‘le cose dolci per amare
e le amare per dolci’, non poté però a meno di pagare con le sue lacrime e con il suo dolore un largo
tributo di riconoscenza a suo padre, che lo aveva educato con tanta pietà. Lo pianse perciò, e
procurando quanti più suffragi potesse all'anima del trapassato, ne diede la dolorosa notizia agli
amici, e li richiese delle loro preghiere ed opere buone. Ma com'era da prevedersi per la morte del
padre, Brunone si trovò come da un'atmosfera limpida e leggerissima trasportato in un'altra piena di
grossi vapori e pesanti…”
Atto di morte del dott. Pietro Lanteri dai registri parrocchiali di Santa Maria della Pieve, Cuneo:
“Anno Domini millesimo septingentesimo octogesimo quarto, die trigesima prima octobris animam
Creatori suo reddidit perillustrissimus D. Petrus Lanteri medicus filius D. Bernardi, munitus
Sacramentis Pænitentiæ et Eucharistiæ tantum, eo quod improviso symptomate fuerit correptus, quo
decessit, et die sequenti sepultus est in Cœmeterio, expletis primo in parrocchiali Ecclesia sacris
exequiis. Datum Cunei die 24 decembris 1784. Franciscus Antonius Bruni V. curatus”.
Tutti questi dati, come pure i seguenti alla nota 2, sono stati controllati nei registri parrocchiali di
Sant'Ambrogio e di Santa Maria della Pieve a Cuneo, e di San Giacomo a Beinette (Positio, 4-5).
C2,118:*2
La sorella di cui parla deve essere Maria Angelica Luisa, nata il 2 gennaio 1751, e morta il 21 luglio
1802 a Cuneo, parrocchia di Sant'Ambrogio, essendo altre tre sorelle del Lanteri, Maria Caterina (n.
1747 e morta in giovane età), Anna Maria Teresa (n. 1752, m. 1776), e Margherita (n. 1762, m.
1764), morte prima del 1784.
P. Lanteri ebbe anche altri cinque fratelli, Pietro Ambrogio, n. 1748, Giacomo Raffaele n. 1749,
Giuseppe n. 1753?, Agostino Luca, n. 1760, Giuseppe Tommaso, n. 1763, m. 1823. Pietro
Ambrogio, Giacomo Raffaele e Agostino Luca morirono in giovane età; Giuseppe entrò nei Minori
Conventuali nel 1770 (non si conosce l'anno della morte) e Giuseppe Tommaso, minore del Nostro
di 4 anni, si fece barnabita e morì il 21 agosto 1823, come si rileva da una lettera del cugino D.
Agostino Eula.
C2,118:*3
Forse leggere: O.J.V.: sigla sconosciuta.
C2,125:S
Lanteri a una dama sua penitente
1795-1798
Del modo di comportarsi nelle tentazioni – Le mancanze e le colpe non devono scoraggiare nel servizio di Dio –
Necessità della retta intenzione – La letizia spirituale
Minuta in AOMV, S. 2,1,7a:82
C2,125:I
Pubblicata da Gastaldi, 467-470.
In tutta la lettera, che è una delle prime del giovane Lanteri, traspira la spiritualità del P. Diessbach. Il giovane direttore
spirituale si dimostra già un maestro consumato.
Non esiste nessuna indicazione, anche remota, della destinataria di questa lettera, né della data della sua redazione.
Basandoci sui soli argomenti interni possiamo dedurre che: 1. È ancora vivo il P. Diessbach (“il car.mo P. Diessbach mi
ha imposto”) e la lettera non può essere stata scritta dopo il 1798; 2. Non si tratta, probabilmente, di persona religiosa o
consacrata a Dio; 3. Si tratta di una signora, probabilmente di un'Amica Cristiana: difficile determinare quale. In
AOMV, S. 1,6,2:226, 4-5, troviamo alcuni nomi di Amiche Cristiane: “Comtesse St. Giorgio, Stroppo, Vignolo, Uteles,
Margarita, Cav. Casteldelbosco di Benevagienna, Madama Riboletti, Mad. Caminada, M.lla Rossi, Mad. Amante,
Menard, Capra, Contessa San Maurizio, Contessa Pron, di Viani, Marchesa Ceva di Lesegno…”. “Molte di esse fecero
progressi molto sensibili nella virtù” (Bona, 89).
Il Gastaldi dice che la destinataria della lettera è una religiosa (ivi, 467).
C2,125:T1
1795-1798
Dapoiché il Car.mo P.D. [Padre Diessbach] mi ha imposto di prendere cura dell'anima sua, crederei
di mancare al mio dovere, se ciò non lo facessi con tutto l'interessamento possibile, con la
riflessione e con le preghiere; conosco bene l'insufficienza mia, ma mi consola il pensare che
siccome non è questa un'incombenza da me cercata, ma impostami dal mio Superiore, per
conseguenza da Dio, quindi spero che Dio pure ci assisterà amendue, e perciò non lascio di pregare
per questo ogni mattina all'Altare, sapendo che la preghiera è quel mezzo così certo che abbiamo
per ottenere da Dio, che dà senza rimproveri quei beni e quelle grazie di cui bisogniamo, a chi le
domanda.
V.S. dunque dice di essere molestata da tentazioni. Avverta 1. di non riguardare questo come male,
anzi presupponga per certo che si ha da soffrire tentazioni. Dio vuole così, perché vi siano occasioni
di esercitare le virtù, perché l'uomo non viva trascurato; questo è chiaramente espresso nella S.
Scrittura, Militia est vita hominis*1, Fili, accedens ad Deum, præpara animam tuam ad
tentationem*2. La vita dell'uomo, dice Giobbe, è una continua guerra. Figliolo, accostandoti al
servizio di Dio, prepara l'anima tua per la tentazione, dice l'Ecclesiastico. Appunto perché eri
accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti provasse, disse S. Raffaele a Tobia. Quindi è che i
Santi furono tentati. S. Paolo anche dopo essere stato elevato al 3o cielo, dovette soffrire lo stimolo
della carne, perché così più si purificasse in lui la sua virtù.
Che più il Santo dei Santi Gesù Cristo volle anche Egli essere tentato. Perciò dovremo stimare le
tentazioni per favori, e riempirci di spirituale allegrezza, conforme a ciò che comanda S. Giacomo:
Fratelli miei, pensate pure che tutta l'allegrezza di questa vita è posta nell'avere tentazioni, sapendo
che con le tentazioni si esercita la pazienza, con la pazienza si esercitano tutte le virtù; infatti fa
bello essere benigno senza contrarietà, paziente senza occasioni, casto senza battaglia. Persuadetevi
dunque che le tentazioni sono un bene che Dio vi procura, e siate certi che Dio, com'è di fede, non
permetterà mai che siate tentati sopra le vostre forze.
C2,125:T2
2. S'impari ad andare avanti con i mancamenti, quindi presupponga anche di certo che ha da
commetterne molti, poiché senza di essi servire Dio è concesso solamente in Cielo, e S. Francesco
di Sales dice che la perfezione non consiste in non mai cadere, ma in rialzarsi subito, riconoscendo
la nostra miseria, chiederne perdono a Dio, ma tranquillamente e senza meravigliarci, dicendo a Dio
che la facciamo da quel che siamo, la faccia lui da quegli che è. Ciò che si deve imparare è cadere,
sì, ma levarsi subito in piedi, domandando perdono, né mai stancarsi di rialzarsi, anche se
cadessimo mille volte, perché se un fanciullo non volesse più rialzarsi e camminare, perché cade
sovente o per timore di cadere ogni passo, mai più imparerà a camminare.
E perciò concepiamo un'idea grande della bontà di Dio, non misuriamola con la nostra scarsezza,
figurandoci che si stanchi di tanta nostra instabilità, fiacchezza, dimenticanza, abbia da vendicarsi
dei nostri peccati, toglierci gli aiuti, negarci le grazie, e per questo rispetto non ardire d'andargli [a]
domandare perdono, quando si manca nei propositi. Non è tale il nostro buon Dio. Dio non ha
bisogno di noi, se non per usarci misericordia. Attribuiamogli ciò che è suo, cioè l'essere buono,
misericordioso, compassionevole, padre amorevole che ci solleva, non mai si stanca di perdonarci,
che, anzi, gli diamo grande gusto ed onore quando gli andiamo a domandare perdono.
C2,125:T3
Si prefigga
3. Si prefigga di non voler mai con deliberazione fare cosa che conosca faccia dispiacere a Dio,
quindi non si prenda alcuna pena delle tentazioni, né di qualunque cosa che in sé possa essere
cattiva, finché non le avverte; subito poi che se ne accorge, non ne faccia caso, anzi le consideri e se
ne serva come uno svegliatoio per farle fare un atto di amore di Dio, di confidenza, di pentimento
dei peccati e simili, e quand'anche queste tentazioni le durassero tutto il giorno, neppure si perturbi
per questo, perché non c'è male; non è cosa che stia in sua mano, le lasci andare e venire, si protesti
con Dio che quella è involontaria e la soffrirà finché le piacerà, eserciti soltanto la pazienza, e
libertà di spirito e tranquillità di cuore.
Dopo la tentazione poi non stia mai ad esaminare se abbia acconsentito o no, ma si diverta ad altro,
se poi non le riesce, e le viene scrupolo d'aver acconsentito, allora o lei dubita solo se le abbia
acconsentito, e in tale caso non ne faccia caso, disprezzi ogni dubbio, faccia questo sacrificio del
suo spirito e della volontà, e ubbidisca a P.D. [Padre Diessbach], o lei è certa, e tranquillamente lo
disapprovi innanzi a Dio, si riunisca a Dio, conoscendo la debolezza, detestandolo, chiedendo
perdono sicura che l'ottiene. O solo si accorge di avervi usata qualche negligenza, esservi accorsi
alcuni difetti, e si ricorda che servire Dio senza difetti è solo concesso in Cielo, s'umili, e le serva di
maggior confidenza in Dio.
Sicché e nella tentazione e dopo, conviene che mantenga sempre tranquillità di spirito, libertà di
cuore, e così servirà meglio e allegramente il Signore.
C2,125:T4
Questo stesso io dico riguardo all'ardore che prova nel fare le cose; non se ne prenda fastidio, Dio
permette questo in lei [per] farle esercitare la pazienza, quindi non se ne prenda fastidio, finché non
se ne accorge; subito che s'accorga che sia eccessivo, non si turbi, procuri di moderare il puro
eccesso, e quantunque vi succeda qualche difetto, non si meravigli, perché non è ancora un Angelo.
Con tutti questi avvertimenti non tralascerà di sentirsi a sé di peso, e svogliata; non pensi già che sia
per sua colpa, è perché Dio vuole che si porti la croce e così si vada in Cielo. Così S. Teresa. Sicché
conviene ascoltare S. Paolo, che pure portava la sua, e diceva che conveniva aver pazienza anche
con se stesso. In patientia vestra possidebitis animas vestras; e comunque si trovi a compiere le
solite sue pratiche di pietà alla bella e meglio che può, confidando tutto e sempre nella bontà di Dio;
impari ad andare avanti anche con mancamenti, servire Dio con la buona o cattiva disposizione,
perché queste sono cose involontarie.
Del resto sia certa che mantenendosi in lei il desiderio di piacere a Dio, quantunque segua qualche
mancamento o difetto, non lascia per questo Dio di volerle bene, sa Dio nostro buon Padre
compatire, perché sa di che cosa siamo composti.
Coraggio dunque, procuri di stare sempre allegra, e abbandonarsi più che può in Dio, disprezzare
ogni dubbio, protestarsi sempre di non mai disgustarlo, conoscendolo. Del resto non si prenda
fastidio, Dio è con lei e l'assiste e non la lascerà cadere. Legga il cap. 9 e 10 della Filotea*3.
Preghi per me, e mi creda
C2,125:*1
Giobbe 7, 1.
C2,125:*2
Eccli. 2, 1; 2 Tim. 3, 12.
C2,125:*3
La sola indicazione del cap. 9 e 10 della Filotea non basta a determinare di quali capitoli del libro
effettivamente si tratti, perché la Filotea di S. Francesco di Sales, divisa in cinque parti, ha cinque
cap. 9 e altrettanti cap. 10, in corrispondenza della rispettiva parte. Ma pensiamo che si tratti dei due
capitoli della prima parte così intitolati: cap. 9, Prima meditazione, della creazione; cap. 10,
Seconda meditazione, del fine per cui siamo stati creati.
C2,128:S
Lanteri a una dama sua penitente
1790-1810?
Doveri verso Dio – Verso la famiglia – Verso i dipendenti – Cautele contro il pericolo del giansenismo – Guardarsi
dagli ecclesiastici infetti di giansenismo – Lotta contro le tentazioni – Retta intenzione e pace interiore
Minuta in AOMV, S. 2,1,7c:116a
C2,128:I
Pubblicata in Positio, 533-541.
Non è possibile stabilire con una relativa certezza a chi queste massime siano state indirizzate. Nessun cenno di persona
o di data si riscontra in AOMV. Bisogna quindi dedurne qualche elemento dai soli argomenti interni, i quali possono
portare a queste conclusioni: 1. Dallo stile, calligrafia e carta pare che non si possa recedere a dopo il 1814
(Restaurazione), anzi non è improbabile che lo scritto risalga a prima dell'invasione giacobina francese; 2. La
destinataria è una penitente del Lanteri da lungo tempo, ancor prima del matrimonio; 3. Dev'essere sposata da poco, o
almeno non ha (ancora) figli, perché non si parla della loro educazione; 4. Deve appartenere alla nobiltà, perché si parla
di Dame, di divertimenti, di ricevimenti, ecc.; 5. Deve abitare in campagna, non in città, con tutto l'aspetto e l'apparato
di un feudo di campagna, da cui dipendono contadini, ecc.; 6. Il richiamo alla devozione a S. Teresa (verso la quale del
resto il Lanteri era molto devoto) può forse indicare il nome della destinataria. Ha ricevuto la sua educazione in un
Monastero.
L'importanza di questo scritto sta nel fatto che contiene in forma organica le linee essenziali del metodo adoperato dal
Lanteri nella direzione di persone appartenenti all'aristocrazia, con le quali aveva frequenti contatti (Positio, 533).
L'originale non è stato trovato, ma se ne conserva la minuta di mano Lanteri, che scrive nella persona della sua
penitente. I titoli dei paragrafi si trovano nell'originale.
C2,128:T
Massime tendenti a formare la soda mia felicità, quella di mio marito,
e della famiglia tutta
Io sono creata da Dio per questo solo fine, cioè perché io lo loda e lo serva, e infine mi salvi, né già
perché io lo loda, e lo serva in qualunque stato, ma in quello stato che egli vuole e in cui mi ha
destinata. Devo qual cero ardere e consumare per Dio, ma dove Egli vuole, e come gli piace.
Lo stato dunque in cui mi trovo è lo stato in cui posso, devo, e voglio farmi santa. Quivi dunque mi
tocca vedere quali sono le mie obbligazioni, quali i mezzi per adempierle, e nella fedele pratica di
questi consisterà la mia vera felicità.
C2,128:T1
Obbligazioni (del mio stato)
1. Il mio cuore dev'essere tutto di Dio, e di mio marito, non solo per genio naturale, ma anche per
obbligo contratto con lo stesso Dio.
2. Devo fare ogni studio per mantenere la buona concordia tra tutti di casa, e procurare la pace
domestica, per quanto dipenderà da me.
3. Devo procurare di guadagnarmi l'affetto di tutto il paese.
C2,128:T2
Mezzi per avere il cuore tutto di Dio, e del marito
1. Ferma risoluzione di non mai commettere a qualunque costo peccato mortale; siccome quello dà
morte all'anima, mi esclude dal Cielo, e mi inimica con Dio, anzi starò sempre sopra di me stessa
per non commettere mai peccato veniale deliberato, perché questo indebolisce l'anima e raffredda la
carità.
2. Mio studio principale sarà procurarmi l'affetto di mio marito, perciò sarà mia sollecitudine e
consolazione il compiacerlo in tutto, anzi studierò particolarmente di conoscere le sue innocenti
inclinazioni per prevenirlo e soddisfarlo, e innanzi a lui mi terrò sempre ben messa.
3. In tutti gli accidenti che mi occorreranno in casa e fuori di casa, mio marito sarà sempre il mio
consultore, persuasa che nessuno avrà più a cuore i miei vantaggi di lui.
C2,128:T3
Mezzi per mantenere la pace in casa
1. Studierò i [comportamenti] naturali di tutti quelli di casa per prevenirli e compiacerli
allegramente in tutto ciò che non sarà offesa di Dio, benché abbia qualche volta da farmi violenza.
2. Sarò sempre allegra con tutti, festeggiandoli in ogni incontro, né mai mi offenderò delle loro
piccole disattenzioni forse innocenti, ma anzi corrisponderò sempre con disinvoltura, e allegrezza.
3. Tratterò i domestici con molta carità, comandandoli con dolcezza, ma stando sull'attenzione a
non lasciare mai loro capire i miei sentimenti, essendo essi per lo più mercenari, e indegni di
confidenza.
4. Guarderò come miei capitali nemici tutti coloro, che vorranno dirmi qualche cosa contro mio
marito, o quelli di casa, e con aria seria e con le parole, od anche con correzione, se fia d'uopo, si
farà finire il discorso al più presto.
C2,128:T4
Mezzi per guadagnarmi l'affetto del paese
1. Tratterò tutti quelli del paese con grande cordialità e civiltà, anche con la gente bassa, anzi con
gli stessi poveri; anche queste sono creature di Dio, fratelli di Gesù Cristo, redenti col suo
preziosissimo sangue; a tutti procurerò di fare piaceri e servizi, per quanto starà a me.
2. Sarò sempre allegra in compagnia, e accondiscenderò volentieri al genio delle altre Dame,
trattandosi di partite, di divertimento, e in tutto ciò che non sarà peccato, sempre però purché mio
marito non sia di diverso sentimento.
3. Sarò cortese anche con gli uomini, sempre però con gravità e grazia; con i giovani poi mi terrò
con più di serietà, né mai permetterò ad alcuno la troppa assidua frequenza, ma destramente ne
romperò la strada, massime poi quando si trattasse di riceverli troppo sovente nel mio appartamento.
Questi sono i mezzi per adempiere alle obbligazioni del mio stato, ma siccome senza il divino aiuto
posso fare nulla, perciò conviene che mi appigli anche ad altri mezzi, e sono i seguenti.
C2,128:T5
Altri mezzi particolari
1. Mi confesserò, e comunicherò ogni otto giorni, siccome da più anni sono solita; questi sacramenti
sono i canali che Dio ha costituiti per comunicarmi le sue grazie e i suoi lumi, perciò dalla
frequenza di questi dipende la mia perseveranza. E quando mi accosterò a detti Sacramenti, allora
piucchemai chiederò al mio Signore di adempiere alle obbligazioni del mio stato, e massime di
amare, ed essere amata da mio marito, e di compiacerlo in tutto ciò che non sarà apertamente
peccato.
2. Sarò costante nel fare ogni giorno un quarto d'ora di meditazione, ed un quarto di lettura
spirituale, l'esame di coscienza della sera, e sentirò anche la Messa, se potrò; la pietà va nutrita,
altrimenti degenera, e non vi è niente più da temere che l'irriflessione; ho tutto il giorno per me, è
ben giusto che ne dia un'ora a Dio, quando le obbligazioni del mio stato me lo permettono.
3. Procurerò di mortificarmi, sebbene in piccole cose nella lingua, e negli occhi, e non lascerò
passare giorno senza riportare qualche vittoria sulle mie passioni, ora con rinnegare la mia volontà,
ora con soffrire con dolcezza le cose avverse; rifletterò su quanto ha fatto Gesù Cristo per salvarmi,
e mi animerò con il pensiero che tutto merita chi tutto diede; particolarmente poi mi mortificherò la
mattina nel levarmi dal letto per tempo, per poter adempiere come si deve alle obbligazioni del mio
stato, ed usare le mie pratiche di pietà.
4. Professerò sempre una particolare e tenera devozione al S. Cuore di Gesù, ed a Maria Vergine,
che sono le fonti di tutte le grazie, ad essi mi indirizzerò in tutti i miei bisogni, perché mi diano lumi
e grazie necessarie, fermamente persuasa che è impossibile che essi mi abbandonino, e non si
interessino per me.
Sarò poi anche devotissima di S. Teresa, e del mio S. Angiolo Custode.
Praticando io fedelmente questi mezzi, adempirò sicuramente come si deve alle obbligazioni del
mio stato, verrò a provare quella vera pace di cuore che dà Iddio a chi lo serve, e che non sa dare il
mondo, ma siccome tanti sono gli scogli che occorrono nel decorso della vita, perciò è bene
premunirmi con le seguenti massime.
C2,128:T6,1
Massime
1. Dio mi comanda che l'ubbidisca, osserva se l'obbedisco, mi premia grandiosamente se lo faccio,
punisce terribilmente se non lo faccio. Ubbidire a Dio è necessario, vivere non è necessario,
tantomeno vivere comodamente, vivere a mio arbitrio.
C2,128:T6,2
2. Dio mi ha posta in questo stato, in questo, e non in altro vuole che lo serva, e mi salvi, e tutte le
circostanze ed accidenti annessi a questo mio stato, per esempio i diversi umori con i quali dovrò
trattare, gli affari che occorreranno, i tempi, i luoghi, in cui le cose accadranno, formano l'ordine
della provvidenza che tiene il Signore per salvarmi, ed io devo adattarmi a tutte queste cose che mi
occorreranno, senza pretendere e procurare che si adattino quelle a me, anzi mi saprò adattare
sempre con tranquillità ed allegrezza di cuore, persuasa che Dio sa più di me ciò che mi conviene,
ed è più di me interessato al mio proprio bene.
C2,128:T6,3
3. Sarà mia sollecitudine di avere sempre quell'idea grande della Maestà e Bontà di Dio, che hanno i
Santi in Cielo, e mi farò gloria di professare sempre apertamente e liberamente di voler vivere da
buona cristiana, e di avere per Re Iddio, e non il mondo con le sue massime; con questo mezzo
vincerò i rispetti umani, e impedirò molti mali.
C2,128:T6,4
4. Mi guarderò da chi cerca di prestarmi libri che io non conosco, sembrasse anche un Angiolo, e
dovendone leggere alcuno, sicuramente non lo farò prima di essermi consultata con persona, della
quale già altronde sia più che sicura delle sue massime, persuasa che questo è il più terribile scoglio
di questo secolo, e queste sono le diaboliche arti che generalmente si adoperano per pervertire
l'incauta gioventù; siano anche libri di devozione, ugualmente mi guarderò dal leggerli,
essendovene anche di questi presentemente in grande numero, che sotto un buon aspetto
raffreddano la pietà e racchiudono un marcio veleno*1.
C2,128:T6,5
5. Qualunque discorso serio, o burlesco che sia, o apertamente contro la religione, o non troppo
favorevole ad essa, cioè che tenda a far perdere il concetto di sacramenti, delle pratiche della
Chiesa, delle indulgenze, delle devozioni (del culto delle immagini), o a far diminuire il rispetto
dovuto alla Chiesa, al Sommo Pontefice, ai Religiosi, la stima delle religiose, lo terrò sempre
assolutamente per cattivo discorso, anche se raccontino fatti, che asseriscono essere occorsi, non li
crederò; questo è sempre stato il linguaggio ordinario non già dei Santi, ma degli eretici e dei
libertini, ed è pure il linguaggio adottato oggidì dagli oziosi, e da chi poco si interessa della
religione. Ora questi tali che così discorreranno, se saranno superiori, e non mi sia spediente
l'impedire tali discorsi, tacerò almeno, e non ne farò caso alcuno, fossero anche ecclesiastici e
persone d'autorità, e in apparenza anche dabbene, perché anche di questi ve ne sono che o sono
ignoranti, o imbevuti di simili errori, o non troppo si curano della salute propria e altrui; ma
sicuramente si disinganneranno e si pentiranno questi del loro pensare e discorrere nell'ora della
morte; se poi saranno inferiori, userò la mia autorità per farli tacere.
C2,128:T6,6
Massime
6. In massime di dottrina quando udirò proposizioni che siano o contro la ragione e il buon senso, o
contro ciò che ho udito o letto sinora in libri buoni, proposizioni in certo modo ingiuriose alla Bontà
di Dio, che tolgono la confidenza in Lui, che abbattano e scoraggiano, allontanino dai Sacramenti,
che propongano peccati nuovi, da chiunque e dovunque sia che io le oda, le terrò sempre per false, o
almeno per sospette, non ne farò caso alcuno, né mai me ne prevalerò in pratica; e quando io debba
operare, e mi occorrano dubbi, indipendentemente da quelle proposizioni udite, mi consulterò col
mio confessore, o con persona prudente altronde già a me nota per le sue buone massime, o in
mancanza consulterò i miei buoni libri che tengo, o per lettere altre persone già a me note e sicure;
terrò poi per massima certa, che la verità è sempre una ed immutabile, perciò conosciuta una volta,
necessariamente ella è sempre tale, né io andrò più [a] cercare altro*2.
C2,128:T6,7
7. In tutte le cose che conoscerò indifferenti, o che non avrò dubbio fondato per crederle cattive,
userò piena libertà di farle, o non farle, anzi trattandosi di compiacere altri, sempre accondiscenderò
lietamente a tutti, e in tutto.
C2,128:T6,8
8. In qualunque mancamento io cada, non mai mi disanimerò, persuasa che ho da commetterne
molti, ma subito ne chiederò perdono a Dio e procurerò sempre di correggermi, quand'anche
mancassi mille volte al giorno, mille volte voglio incominciare, mi riconoscerò sempre più
miserabile, e con uguale tranquillità di spirito prometterò a Dio di emendarmi; mi guarderò dal
prendere concetto della Divina Maestà, come se fosse di nostra condizione, che si stanchi di tanta
instabilità, fiacchezza, e dimenticanza, pigliando perciò vendetta con il levarmi gli aiuti e le grazie
opportune, queste sono sciocchezze della nostra ignoranza, è un grande torto che facciamo a Dio,
misurandolo con la nostra scarsezza; io gli attribuirò sempre ciò che gli conviene, e di cui più si
pregia, cioè l'essere buono, misericordioso, compassionevole, padre amorevole, che conosce la
nostra debolezza, che ci tollera, e ci perdona, persuasa che l'abbattimento è il più grande scoglio
nella via della salute.
C2,128:T6,9
9. Starò sopra di me per non mai commettere peccato veniale pienamente deliberato, del resto non
ne farò caso alcuno; e quando poi si tratti di giudicare una qualche azione se sia peccato mortale, o
no, in dubbio la terrò sempre veniale, perché è massima certa, che a formare un peccato mortale ci
vogliono queste tre cose: piena cognizione del male che si fa, piena deliberazione di volerlo fare, e
materia grave; quando manchi una di queste tre cose, sarà sempre peccato veniale.
C2,128:T6,10
10. Mi ricorderò, e procurerò di mettere in pratica tutte le massime di virtù che mi sono state
insegnate nel monastero*3; perché è massima falsa del mondo il dire che simili cose siano solo per le
Religiose, mentre convengono anche ai secolari, e infatti da molte persone si praticano in mezzo al
secolo, persuase anzi che ne hanno maggior bisogno, perché più in mezzo ai pericoli, perciò [è] più
necessario tenersi ben unita a Dio, perché non permetta che vi si inciampi.
C2,128:T6,11
11. Mi guarderò dall'ozio, come fonte di ogni male, e sempre mi terrò occupata nel lavorare, o nel
leggere, o nel pregare; chiuderò sempre la porta a ogni desiderio, per vivere sempre tranquilla; farò
sempre tutto con grande volontà, e per Dio, e anche le cose piccole avranno grande peso.
C2,128:T6,12
12. Angustie, tentazioni, aridità, abbattimenti, tribolazioni, ingiurie, disgusti, affronti, ingratitudini,
croci, contrarietà, e guai io me li aspetto, e anche da persone amate e beneficate, ma non li
considererò mai come castighi, né mirerò mai la loro origine negli uomini, ma in Dio; so che nulla
può accadere contro la volontà di Dio, so che questa è la strada che ha tenuto Egli stesso qui in
terra, e per cui ha condotto i santi suoi più cari amici, anzi la sua stessa Madre per poi cotanto
glorificarla in Cielo, onde io li considererò come favori, o occasioni, in cui mi mette in obbligo di
chiedergli soccorso, riconoscere la mia infermità, e fare penitenza dei miei peccati; procurerò di
adattarmici, persuasa che questa è la strada della mia predestinazione, che tutto è ordinato a mio
pro, e non sta che nella mia mano il ricavarne del bene.
C2,128:T6,13
13. Avrò per massima incontrastabile che vale più un'azione fatta per Dio, un menomo atto
d'abnegazione della volontà, un bicchiere d'acqua dato per Dio, che non vale tutto il mondo insieme.
C2,128:T6,14
14. La generosità d'animo, e la libertà di cuore nell'agire e nel soffrire, la fedeltà nelle risoluzioni
fatte a Dio, la tranquillità, l'allegrezza, l'amore del prossimo, la compassione delle miserie altrui, la
bontà, la pazienza, la longanimità, l'affabilità, la condiscendenza in tutto ciò che non è offesa di
Dio; insomma l'essere mite e umile di cuore, è il carattere che mi prefiggo di avere e che domanderò
continuamente al S. Cuore di Gesù e di Maria.
C2,128:T6,15
15. Leggerò questa raccolta di massime almeno una volta al mese, e in tutte le occasioni in cui avrò
qualche cosa che non vada a mio genio, o mi dia fastidio; rifletterò sovente che a nulla mi gioverà
l'aver acquistato tutto il mondo e l'essermi presa tutti i piaceri, se intanto mi perdo, e che all'opposto
nulla sono i travagli e le avversità di questa vita in confronto a quell'immensa gloria che aspetto in
Cielo; e concepirò quel concetto e impegno dell'affare della mia salute, che ebbero i santi su questa
terra, che avrebbero i dannati nell'inferno, se loro fosse concesso tempo, e che ha un Dio tutto
applicato per salvarmi.
Le sovraccenate massime in niente si oppongono agli obblighi del mio stato, anzi mi servono di
stimolo per adempirli, e dall'adempimento di questi dipende la mia vera felicità in questa, e
nell'altra vita.
Viva il S. Cuore di Gesù e di Maria!
C2,128:T7
P.S.
Manifestare tutte le tentazioni al P. Spirituale: è indicibile il bene che se ne ricava,
1. per l'atto di umiltà
2. per i lumi che si ricevono
3. per la riformazione, o perseveranza della nostra condotta.
Disprezzare il Demonio, perderne affatto la paura, trattarlo con impero animato dal pensiero che si
assale in nome di Gesù Cristo nostro capitano, nostro Re, e persuaso che latrare potest, mordere
non potest*4. Non far caso di alcuna tentazione, supporre di certo che si hanno da patire tentazioni,
acciocché l'uomo non viva trascurato, prenderle come tante ispirazioni e svegliarini per esercitare
qualche atto della virtù opposta, non lagnarsi che di noi stessi, che non ce ne approfittiamo come si
deve, ringraziarne anzi Iddio che va procurandoci mezzi da poter meritare, obbligarsi a fare un atto
d'amore di Dio, il merito è in ragione della violenza.
Fare gran caso della fedeltà negli esercizi di pietà, guardarsi da quel tacito disprezzo con cui si dice
che non importa lasciare la meditazione, o la lettura, o l'esame etc., ora per compiacere agli uomini,
ora per qualche occupazione, o indisposizione. Sanno i demoni che se non tagliano allo spirito
questi capelli, mai non potranno legare questo Sansone.
C2,128:*1
La letteratura giansenista, che imperversò specialmente in Francia e in lingua francese durante tutto
un secolo – dalla seconda metà del secolo XVII a tutta la prima metà del secolo XVIII – non si
limitava soltanto al campo teologico, morale, giuridico, storico e polemico, ma trattava spesso
anche argomenti ascetici. In generale “la spiritualità dell'ambiente giansenistico era nel suo
complesso di forma intellettualistica, psicologica e razionale” (L. Cognet, in Handbuch der
Kirchengeschichte, V, Freiburg i. B. 1970, 453), tuttavia non mancava di entrare e far breccia anche
nel popolo. Alcuni titoli di lingua francese erano diffusi anche in Piemonte. Oltre le continue
ristampe dei libri a sfondo ascetico di Nicole, Arnauld, Saint-Cyran, abbiamo nella prima metà del
Settecento le opere di Pascasio Quesnel (m. a Amsterdam il 2 dicembre 1719), che fu uno scrittore
formidabile e attivissimo fino alla morte; Jacques-Joseph Duguet (1649-1733), oratoriano come il
Quesnel, che ci lasciò il Traité de la prière publique (1717), il Traité des saints mystères (1717), le
Lettres de morale et de piété (1707) in 2 voll.; François-Laurent Boursier (1679-1748), a cui
dobbiamo De l'action de Dieu sur les créatures (1713); Nicolas Petit-Pied (1665-1747) con
Obœdientiæ credulæ vana religio 2 voll., (1708); Guillaume-Nicolas Maultrot (1714-1803), JeanBaptiste Le Sesne de Ménilles d'Etremare (1682-1770), Jean-Baptiste Raymond de Beccarie de
Pavie de Fourquevaux (1693-1767), Pierre-Étienne Gourlin (1695-1775), e diversi altri. Dal 1728
cominciarono a uscire le Nouvelles Ecclésiastiques, di aperta propaganda giansenistica e appellante
(il primo numero uscì il 23 febbraio 1728): dopo il 1794 la redazione fu trasportata a Utrecht
(Olanda) e la pubblicazione cessò nel 1803.
C2,128:*2
Le speciali cautele da usarsi contro l'infiltrazione eretica, specialmente giansenista e empia degli
enciclopedisti, particolarmente attiva negli ambienti colti della società e fra la nobiltà, meno per
allora tra il popolo (la destinataria della lettera appartiene alla nobiltà, perciò è più esposta a questo
pericolo), si possono ridurre più o meno a questi punti: 1) Cautele nella scelta e nella lettura dei
libri, non esclusi i libri di devozione, di pietà e di lettura spirituale; 2) Cautele nei discorsi leggeri, o
critici, o satirici contro la religione in genere, o contro qualunque cosa attinente la religione:
indulgenze, culto delle immagini, devozioni, ecc.; 3) Cautele anche in riferimento ad alcuni
ecclesiastici infetti di eresie, per quanto essi siano esteriormente “persone dabbene… che però non
troppo si curano della salute propria, e altrui”; 4) Cautele contro tutte le teorie teologiche, ascetiche
e morali di sfondo “rigorista” che allontanano, più che avvicinare a Dio.
C2,128:*3
L'educazione in monastero di una ragazza – secondo l'uso largamente seguito nell'antico regime, e
in parte anche dopo – non vuol dire che la giovane sposa volesse in un primo tempo farsi religiosa.
C2,128:*4
La celebre allegoria del demonio, già “principe di questo mondo”, e ora, dopo la Redenzione,
detronizzato, legato alla catena e impotente a nuocere, come un cane che può latrare ma non
mordere, è di solito attribuita a S. Agostino e come tale spessissimo citata (cfr. S. Aug. Sermones de
Tempore, 37, Migne, P.L. tom. 39, col. 1.820), ma, secondo la critica più recente, è da attribuirsi
piuttosto a S. Cesario vescovo di Arles (470-543).
C2,136:S
Lanteri al sacerdote Agostino Eula
11 luglio 1800
Ringrazia dei provvedimenti presi per la cappellania di San Giacomo del Fontano di Morignolo di patronato Lanteri – Il
nuovo Cappellano don G.B. Arnaldi – Don Pietro De Medici, cugino del Lanteri, ordinato sacerdote – Accenno
all'attività e ai viaggi di questo periodo
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:23
C2,136:I
Pubblicata in Positio, 15-16.
Don Agostino Eula, di cui conserviamo parecchie lettere al Lanteri, era un cugino del Nostro. Agostino Eula era nato a
Cuneo. Entrato negli Agostiniani della provincia ligure, fu secolarizzato nel 1798 coll'arrivo dei giacobini francesi e da
allora visse in Cuneo come cappellano dell'ospedale e in altri uffici. Morì poco dopo il Lanteri nel 1831. Altre ricerche
sull'attività dell'Eula come religioso agostiniano sono rimaste infruttuose per la parziale dispersione dell'archivio
provincializio degli Agostiniani liguri. Un Pio Eula compare come padrino nell'atto di battesimo del Lanteri (Positio, 5).
C2,136:T
Stimat.mo Sig. e Cugino Car.mo
Sono ben sensibile alle attenzioni che si è sempre preso, e si prende tuttora della Cappella di San
Giacomo, e gliene rendo distintissime grazie. Approvo affatto l'elezione da lei fatta del Cappellano
nella persona del Sig. D. Giovan Battista Arnaldi, quale prego riverire per parte mia, godendo
sentire da V.S. che compie in tutto agli obblighi annessi, cosa che sommamente gli raccomando,
unitamente alla manutenzione di detta Cappella*1.
Mi rallegro che fra breve il Cugino D. Demedici nipote di D. Pietro sarà ordinato Sacerdote, e tanto
più mi rallegro perché ne ho sentite ottime informazioni, onde mi farò sempre un piacere di potergli
giovare in qualunque cosa io possa.
Scusi se ho tardato tanto a rispondere allo stimatissimo di lei foglio, le mie occupazioni e la mia
assenza da Torino ne furono la cagione. E con particolare stima, ed affetto mi protesto
Di V.S. Car.ma e Stim.ma
Torino li 11 Luglio 1800
L. [Lanteri]
C2,136:*1
La cappellania di San Giacomo del Fontano a Morignolo di Briga Marittima era stata sempre
occupata da un membro della famiglia Lanteri che ne erano per diritto i patroni. Don Pietro Lanteri,
cugino del dottor Pietro Lanteri, alla sua morte avvenuta in Briga il 12 settembre 1763, aveva
lasciato in eredità il beneficio di San Giacomo del Fontano al dott. Pietro suo cugino in Cuneo
perché a suo tempo lo trasmettesse a qualcuno della sua famiglia che fosse diventato sacerdote
diocesano: l'erede di questo beneficio fu appunto il Nostro (perché altri due fratelli di Bruno, come
abbiam visto, erano religiosi). Ma il Lanteri, non potendo da Torino, dove risiedeva, occuparsi
direttamente di ciò che riguardava tale cappellania e beneficio, aveva dato al cugino Agostino Eula
l'incarico di occuparsene.
La cappella di San Giacomo sorgeva nella frazione di Briga chiamata Morignolo. Nel testamento
olografo del Lanteri redatto alla Grangia di Bardassano il 27 maggio 1813 egli legava “al signor don
Antonio Lanteri mio amico presentemente Vice Curato della Parrocchia di Andezeno tutti i miei
diritti, ragioni, azioni, pesi, ed obblighi annessi alla Cappellania laicale sotto il titolo di San
Giacomo, eretta nel territorio di Morignolo”; testamento confermato con codicillo del 26 giugno
1814, e con altro codicillo del 7 ottobre 1820, come si rileva dal testo completo del testamento
riportato in appendice all'epistolario.
C2,138:S
Lanteri al governatore della città di Torino
febbraio-marzo 1802
Costrette dalla forza a lasciare il proprio monastero le 40 religiose domandano una dilazione di 20 giorni per trasportare
i mobili – per trovare un alloggio conveniente – e per superare il freddo intenso di quei giorni
Minuta in AOMV, S. 2,1,10a:120
C2,138:I1
La supplica fu firmata e presentata al “cittadino” governatore della città di Torino dalle 40 monache agostiniane – o
meglio Canonichesse Regolari di S. Agostino – del monastero del Ss. Crocifisso, o detto anche della S. Croce, in
Torino, che il governo francese aveva secolarizzato, incamerato e trasformato in Collegio Nazionale: però il testo della
supplica – in francese – era stato preparato dal Lanteri, come si rileva dalla minuta che conserviamo di sua mano in
AOMV e che qui viene pubblicata. Delle vicende di questo monastero femminile, e soprattutto di parecchie ex monache
obbligate a vivere nel secolo, il Lanteri, come vedremo, se ne occupò direttamente anche in seguito.
La supplica risale probabilmente alla primavera del 1802, forse al febbraio o marzo di quell'anno, tenuto conto del
cenno alla “stagione” che sta per “s'adoucir”.
Il dramma di queste religiose scacciate dai loro monasteri si riflette anche nella lettera di Mons. Carlo Maria Buronzo
del Signore, arcivescovo di Torino (1731-1806) in data 18 settembre 1802 e diretta “Alle dilettissime figlie in Gesù
Cristo le Monache della diocesi di Torino”: “Per la soppressione di tutte le case religiose che il Signore per gli
inscrutabili suoi giudizi ha voluto permettere… Vi animiamo a riconoscere in ciò il volere di Dio e a sottometterci con
santa ilarità e coraggio… Epperò quando gli ordini del governo vi prescriveranno d'uscire dal monastero, potrete
uscirne, sciogliendovi Noi in coscienza dal vincolo della clausura a cui vi siete obbligate e vi ritirerete ognuna a quelle
case che la provvidenza vi avrà concesso per il vostro onesto ricovero, ecc.…”.
C2,138:I2
Le monache del Ss. Crocifisso, da parte loro, avevano preparato in antecedenza un atto di protesta da presentare al
governo, protesta dettata dallo stesso Lanteri, come risulta da un foglio autografo di sua mano conservato in AOMV, S.
2,1,10a:121 e risalente al 1801: “Essendo richiesta di dare il mio voto nelle presenti urgenze, protesto come segue:
1. Protesto di non voler uscire dal nostro Monastero del Ss. Crocifisso che per forza, sia per il voto di clausura da cui
non posso essere dispensata che dal Sommo Pontefice, mio Superiore immediato, sia perché come membro della
Comunità non posso, né voglio contribuire per niente alla cessione del locale di questo nostro Monastero.
2. Quando per forza debba uscire, mia volontà precisa è di restare sempre unita con tutte le altre mie Sorelle Religiose,
e con le Superiori per l'osservanza dei voti, che sono tenuta a procurare sempre in ogni modo possibile, onde in tal caso
faccio istanza che ci diano altro locale onde poter vivere tutte assieme, il che non possono negarci senza crudeltà ed
ingiustizia, togliendoci questo.
3. Questo locale in tal caso pure lo chiedo a Torino, non volendo andare fuori, non potendoci forzare il Governo di
andare altrove, e così in certo modo senza colpa alcuna esiliarci senza intaccare la nostra libertà, con cui fin da principio
abbiamo eletto, e continuiamo eleggere di professare in Torino, e non altrove, senza parlare delle spese del viaggio, e
dei trasporti che né io, né la Comunità è in caso di fare.”
C2,138:T1
febbraio-marzo 1802
Souffrez, Citoyen Général, qu'une très nombreuse communauté de filles religieuses réduites à la
dernière désolation ait recours à votre cœur qui selon la renommée du public est plein de justice et
de sentiment, persuadées qu'il n'y a point d'âme, excepté qu'elle soit tout à fait insensible, qui ne
s'intéresse à notre sort. Tranquilles dès longtemps dans le cher et doux asile que volontairement
nous nous étions choisi, et dont nous étions toujours toutes si contentes, souhaitant rien tant que d'y
finir tranquilles nos jours, lorsque par un décret de la Commission Exécutive on nous ordonne
d'abandonner notre local pour y substituer le Collège National, et de nous transporter ailleurs
dispersées dans d'autres communautés. Malgré tant de combats qui sans cesse s'élèvent dans des
âmes timides et craintives, et des victoires qu'il faut sans cesse remporter pour l'exécution d'un
sacrifice si affreux, auquel nous préférerions volontiers celui de notre triste existence, soumises
cependant aux ordres du Gouvernement, toute notre occupation se portait à nous préparer à remplir
la tâche douloureuse qui nous était imposée, et à donner toutes les dispositions requises pour cet
objet, se flattant qu'au moins on nous aurait laissées libres et tranquilles tout le temps qui nous était
nécessaire, et que le Gouvernement même ne nous aurait point fixé; mais trompées dans cette
espérance, on nous tourmente à chaque instant pour presser notre départ d'une façon alarmante et
vraiment insupportable, et même impraticable.
C2,138:T2
C'est en vous, Citoyen Général, que nos âmes réduites à la dernière désolation viennent chercher
quelques secours à leurs douleurs, pour que vous ayez la bonté de nous accorder un délai nécessaire
pour finir de transporter tranquillement nos meubles et ustensiles, pour nous assurer avant, d'une
manière constatée et effective, les pensions et la subsistance nécessaire pour une aussi nombreuse
communauté de presque 40 personnes, promise dans le décret même, sans quoi on ne nous recevrait
dans aucune communauté, étant toutes à la dernière misère, et nous deviendrions autant de victimes
de la mort; enfin pour donner aussi bien à la saison de s'adoucir parce que étant la plus grande partie
infirmes, seraient moins exposées à souffrir du transport et du changement de logis et de l'air, et
quelques-unes aussi étant bien en danger ne risqueraient pas d'en être à présent la victime comme
attestent les médecins mêmes.
Ayez donc compassion de notre situation, que l'humanité et la raison parlent en vous en notre
faveur, daignez nous accorder votre protection pour avoir cette prolongation au moins de 20 jours,
et soyez sûr que nous vous en aurons une reconnaissance éternelle et que vous obligerez à la fois
bonne partie de la ville, c'est-à-dire autant de familles qui par parenté ou amitié s'intéressent pour
nous et qui conjointement à nous feront des vœux pour votre parfaite prospérité*1.
C2,138:*1
Alcune notizie storiche riguardanti il monastero del Ss. Crocifisso in Torino si trovano in un promemoria del Lanteri (AOMV, S. 2,1,10a:123 d) allegato a una supplica presentata al re Vittorio
Emanuele nel 1815 e poi al re Carlo Felice nel 1822 per ottenere la restituzione dei locali alle
legittime proprietarie:
“Fondazione del Monastero delle Monache del Ss.mo Crocifisso della presente Città
Nell'anno 1580 Papa Gregorio XIII per sua Bolla Pontificia diede facoltà per l'erezione del
Monastero.
Essendo rimaste solamente due Religiose attesa la fiera pestilenza del 1630, la quale passata, se ne
vestirono altre di modo che nel 1647 erano già in numero di 9, e fu in quest'anno, che l'Ill.mo e
Rev.do Monsig. Alessandro Crescenzio Vescovo di Bitonto e Nunzio Apostolico presso S.A.R.
Vittorio Amedeo, visitò il Monastero come soggetto al suo Governo a tenore della Bolla suddetta di
Gregorio XIII. In tale occasione le cambiò Istituto con darle l'abito attuale, le fece nuove
Costituzioni secondo la Regola di S. Agostino col titolo di Monache del Ss.mo Crocifisso; e le
accordò l'intera clausura da esse instantemente chiesta, e perché erano povere, esso loro
somministrava larghissime elemosine.
Nell'anno 1676, essendosi già accresciute in sì gran numero le Religiose, che erano costrette ad
abitare tre, o quattro per stanza nell'antico loro Monastero, che poscia vendettero ai MM. RR.di PP.
della Buona Morte il 1 settembre 1679 per il prezzo di trentadue mila lire, comprarono un sito nel
nuovo recinto di questa Città in Lire 25.739, 18, 4, le quali furono dalle medesime pagate al Signor
Tesoriere Generale di S. A. Reale con denaro preso a prestito da diversi, per istrumento del 13
agosto 1677, Rogato Bonfiglio, Segretario del Sig. Presidente Trucchi. Subito si principiò la
fabbrica del nuovo Monastero, e se ne pose la prima pietra per mano di Madama Reale M.ra
Giovan. Battista, con l'assistenza di Monsig. Mosti, e di tutta la Casa Savoia, con grandissima
solennità.
In cinque anni la fabbrica è stata fatta capace per abitarvi circa 60 Religiose, e 25, o 30 educande,
con l'assistenza dell'Ill.mo ed Ecc.mo Sig. Conte Filiberto Piossasco, il quale fece molte cose a
beneficio del Monastero, specialmente con provvedere a far piantare tutti gli alberi del giardino, e
far trasportare tutti i mobili dall'antico al nuovo Monastero a spese sue.
Finalmente nell'anno 1681, li 9 giugno, si trasferirono al nuovo Monastero tutte le Religiose ed
educande. Le Religiose erano in numero di 45, e vennero assistite dal M. Rev.do D. Sebastiano
Valfré per commissione di Monsig. Nunzio.
Di tempo in tempo a misura che entravano fondi nel Monastero, o per via di ricevuti comprestiti, o
di doti delle figlie che prendevano l'abito religioso, e soccorsi ricevuti dai Nunzi, è sempre andato
ripigliando la fabbrica del Monastero, come pure della Chiesa, e sue attinenze di modo che
nell'anno 1722 fu finita la fabbrica della Chiesa, e si aprì con solennità e apparato li 6 luglio
dell'anno medesimo. La spesa per la fabbrica del Monastero, non compreso il prezzo del sito pagato
a S.A.R. come sopra, ascese a L. 141.800; per la Chiesa e Coro L. 117.000 oltre le altre spese delle
sedie etc. che in tutto ascendono a L. 300.000.”
C2,141:S
Lanteri a don Luigi Virginio
20 settembre 1802
Non può accettare l'invito di recarsi a Firenze per impegni urgenti che lo trattengono a Torino – Prega il Virginio di
sostituirlo
Originale in AOMV, S. 5,2,4:180 (anticamente S. 1,17,25a:1501)
C2,141:I
In Positio, 91-92.
Il Virginio aveva pregato il Lanteri di recarsi a Firenze per inaugurarvi l'Amicizia Cristiana che iniziava col marchese
Leopoldo Ricasoli e con altri patrizi fiorentini. La lettera del Virginio non si conserva, ma è facile dedurne il contenuto
da questa risposta del Lanteri. Il Lanteri visiterà Firenze e gli Amici fiorentini l'anno dopo, nell'autunno del 1803.
Il Ricasoli, insieme con la corte dei Granduchi di Toscana, austriaci, ed altri nobili toscani, si era ritirato a Vienna dopo
l'invasione delle truppe giacobine e vi era rimasto qualche anno. Là egli fu a contatto col Virginio, col Penkler, e con
altri esponenti dell'Amicizia Cristiana viennese fondata dal Diessbach. “L'inizio dell'Amicizia fiorentina coincide con il
ritorno del Ricasoli a Firenze. Forse anche il Virginio aveva lasciato Vienna per presenziare ad un atto cui si annetteva
notevole importanza: lo troviamo infatti a Firenze nel settembre 1802, dove invita il Lanteri per un incontro dopo anni
di separazione. Non è conservata la lettera d'invito del Virginio. Con questo biglietto il Lanteri si scusa di non poter
assecondare per il momento il desiderio dell'amico” (Bona, 241).
C2,141:T
20 settembre 1802
Carissimo
Ho pensato e ripensato al progettato viaggio, quale non potrebbe essermi di maggior consolazione,
ma non so risolvermi ad effettuarlo, essendo troppo duro e crudele abbandonare tante persone
nell'ultima desolazione; ne ho ancora parlato col M.Z. [Marchese Zei: d'Azeglio*1], quale è pure del
mio avviso, dunque altro non rimane se non che vi risolviate voi a passare per queste parti per fare il
vostro ritorno; capisco che è una diversione non indifferente, pure mi pare indispensabile, tanto più
se vi sta a cuore di parlare a M.Z. quale fino alla metà del venturo non potrebbe rimettersi in
viaggio, e ancora ne è dubbioso. Non mi trattengo di più perché il tempo mi manca, tanto più
sperando di quanto prima abbracciarvi*2. O.I.V.*3
Torino li 20 settembre 1802
T.V. Aff.mo
L.*4
C2,141:*1
Cesare d'Azeglio risiedeva abitualmente – dal 1800 al 1807 – a Firenze in volontario esilio per
sfuggire all'occupazione francese del Piemonte, e dove, dal 1803, dirigeva il periodico L'Ape, di cui
diremo sotto. Nel settembre 1802, all'epoca di questa lettera, si trovava temporaneamente a Torino e
potè trattare a voce della cosa col Lanteri (Massimo d'Azeglio, I miei ricordi, cap. 3).
C2,141:*2
Il Virginio era a Firenze nel settembre 1802. Una lettera di S. Clemente Hofbauer da Varsavia del
14 agosto 1802 accenna a questo viaggio del Virginio in Italia (Monumenta Hofbaueriana, V, 2).
C2,141:*3
O.I.V., la stessa sigla sconosciuta si ritrova nella lettera del Lanteri del 2 novembre 1784.
C2,141:*4
Il Lanteri firmava le sue lettere in diversi modi. Talvolta col nome intero, Teol. Pio Bruno – o
Brunone – Lanteri, seguito dal titolo (dopo il 1826) di “Rettor Maggiore degli Oblati di Maria
Vergine”. Talvolta, specialmente con destinatari di particolare intimità o per attenersi a particolari
cautele, con la sola iniziale L. Talvolta, sempre per motivi di cautela, con nessuna firma (come del
resto facevano alcuni corrispondenti con lui, per es. il Penkler da Vienna). Il nome di battesimo
generalmente usato è alternativamente Bruno o Brunone, il che indica che tutte e due le dizioni gli
erano familiari e usuali. In francese: Pie Bruno. Alcuni corrispondenti gli scrivono: Pie Bruno, o Pie
Brun, o Pie Brunon, ma queste due ultime denominazioni sono evidentemente dovute a imperizia
della lingua francese, dove il nome Bruno e Brunone ha una sola forma, Bruno. Il titolo di
“Teologo”, che non è mai omesso, non ha nessun aspetto esibizionistico, essendo allora (e anche
oggi) in Piemonte la denominazione abituale dei sacerdoti dottori in teologia, come altrove si usava
(e si usa) il titolo abbé, o sacerdote, o don, o arciprete, o canonico, ecc.
Lanteri, cognome molto comune nella Liguria occidentale, specialmente nel retroterra di Triora
(Realdo e Briga Marittima), è nome di probabile origine longobardica: Lands-herr, Lanterius,
Lanterio, Lanteri, Lantero… donde la forma dialettale Lantrua in Liguria e Lantaré in Piemonte, e
lo si trova anche abbastanza frequente fuori di Liguria, ma sempre in alta Italia. Un ramo dei
Lanteri liguri aveva titoli di nobiltà, non però la famiglia del Nostro.
In una nota d'altra mano sul retro dello stesso foglio si legge:
“Importanza e mezzi di corrispondere par Florence – Stato d'A.C. Roma, Vienna, Varsavia, ici –
Bisogno che venga 1. qui: mali, risorse, speranze; bisogno di sostenerle e dilatarle – 2. Milano: non
lasciar cadere; speranze di soggetti – 3. Si fieri possit Genova: ibi C.te Balbi e sua moglie, M.se
Grimaldi – Mandi Utili, Massime Voyageur, di cui Avv.to Verna ha copia – Item addizioni a
Catalogo – Item scritti e memorie di P.D. [Diessbach] – Vicissim si faccia mandare da Z. [Zei] Utili
e Addizioni o copia di nuovo Catalogo – Formi soggetti Ecclesiastici di A.C., 1. per supplirlo in
ogni evento, 2. per fornire le altre A.C., 3. per dilatare sfera di operazioni, 4. per scaricarsi
personalmente di operazioni, ed aumentare speculazioni. Per formarli, mandarli anche, se expedit, a
viaggiare nelle A.C.; ma dopo d'esservi stato egli: anche a Vienna (se ha nunc qualche soggetto) –
Testamento parmi da correggersi – Mandi istruzioni e casse di missioni – Vi spedirò libri; ditemi se
vi è inconveniente – Sia, o trovi corrispondente di Accadem. Catt. e di Giornale per libri e nuove
interessanti la Religione – Mandi libro d'Aa per le meditazioni ebdomadarie – Procuri di terminare
presto conto P.D. [Diessbach]”.
C2,146:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
1 ottobre 1803
Forzato soggiorno a Firenze per costituirvi una filiale dell'Amicizia Sacerdotale – Preparazione di un breve scritto
sull'Amicizia Sacerdotale
Originale in AOMV, S. 5,2,4:181 (anticamente S. 1,17,25a:1502)
C2,146:I
Pubblicata in Positio, 177-179.
La lettera è datata da Firenze, dove il Lanteri si era recato nell'autunno 1803 con l'intenzione di estendere nelle diocesi
della Toscana l'Amicizia Sacerdotale o forse anche l'Aa. Non porta il nome del destinatario, ma dal contenuto risulta
chiaro che si tratta del Ricasoli.
C2,146:T1
1 ottobre 1803
Florence, ce 1er octobre 1803
Monsieur,
Vive le S.C. de Jésus
dans tous les cœurs à jamais
Monsieur le Marquis d'Azeglio ayant toujours de la peine à écrire à cause de sa poitrine qui en
souffre, m'a heureusement chargé de l'honneur de vous écrire de sa part, que sa santé est à peu près
dans le même état, quoiqu'il sorte pourtant quelquefois de la maison, qu'il ne pense pas à présent
d'aller à Poggibonsi, et il vous remercie des Gazettes ci-incluses, dont j'ai aussi profité.
Permettez, Monsieur, que je profite de cette heureuse occasion pour vous participer aussi la
résolution que j'ai prise enfin de rester ici encore quelque temps, laissant partir jeudi prochain pour
Turin mon ami et mon compagnon de voyage le Comte Gr. [Grimaldi*1], avec la Marquise Bianzé*2,
quoique dans l'intervalle de ce mois courant, je ne pourrai ici rien faire du tout relativement à mon
affaire que vous savez, parce que tout le monde s'en va en campagne, même les jeunes
ecclésiastiques, dont j'ai fait dernièrement connaissance. Je vous assure, Monsieur et très honorable
ami en Jésus-Christ, que j'ai passé des jours bien inquiet sur la volonté adorable de Dieu à cet égard;
je manque, entre autres choses bien intéressantes à Turin, à une retraite de jeunes ecclésiastiques,
qui m'était bien à cœur, et que je devais leur donner dans ce mois, et qui n'aura plus lieu
certainement pour cette année; patience, j'espère que vous voudrez bien m'aider par vos ferventes
prières à m'obtenir du bon Dieu d'en être dédommagé en quelque façon.
Je passerai donc ce mois à copier les “utili”, à faire ma retraite spirituelle, à connaître quelques
livres, à lire, à prier; je ferai aussi un petit écrit*3 pour l'A.S. [Amitié Sacerdotale] en attendant
d'avoir le bonheur de vous revoir ici et de vous voir commencer la retraite que vous souhaitez tant,
et dont il n'y a certainement pas occupation plus intéressante dans ce monde, mais le Marquis d'A.
[Azeglio] voudrait aussi en être de la partie; j'aurai aussi la consolation (s'il plaît à Dieu) d'assister à
une ou à deux A.S. [Amitiés Sacerdotales] avant que de partir, mais je ne pourrai différer mon
départ plus loin que vers la moitié de novembre, d'autant plus que je dois encore m'arrêter quelques
jours à Milan comme je leur ai promis.
C2,146:T2
Il faut encore
Il faut encore que je vous fasse part, Monsieur, que je suis allé avec M. l'Abbé Bertolozzi chez M. le
grand-vicaire de Fiesole aussi de votre part, lequel, m'ayant reçu avec toute la bonté possible, m'a
accordé la permission de confesser; je suis allé le même jour faire visite à M. le Marquis Ghis.
[Ghislieri*4] pour le lui participer parce qu'il en était plutôt empressé pour la Dame que vous savez,
mais il était allé en campagne; à ce que m'a dit son domestique, il était allé faire visite à la Maison
Capponi, et l'on l'a forcé d'aller avec eux à la campagne, sans lui permettre pas même de retourner
chez lui; je ne sais pour combien de temps il y restera, je compte pourtant lui envoyer, d'accord avec
le M. [Marquis] d'Az. [Azeglio], le petit ouvrage de l'abbé Guillon contre le suicide, puisqu'il a bien
témoigné de la bonne volonté de s'occuper pour la grande gloire de Dieu.
J'ai trouvé les œuvres de l'abbé Roberti*5 en petits vol. [volumes], j'espère que vous les aurez déjà
reçus, ou vous les recevrez bientôt puisqu'elles n'étaient pas encore reliées; je suis seulement
indigné de la mauvaise édition, si j'eusse trouvé l'autre édition assez belle in-8o je vous l'aurais
envoyée, mais il ne m'est pas réussi; vous trouverez dans le premier volume un petit traité Delle
virtù piccole qui vous plaira.
Je finis pour ne pas abuser davantage de votre bonté; je me recommande instamment à vos ferventes
prières, et avec la plus vive reconnaissance et la plus grande estime et considération j'ai l'honneur
d'être,
Monsieur,
Votre très humble très obéissant serviteur
L. [Lanteri]
C2,146:*1
“Non consta con esattezza chi sia questo conte Grimaldi. Non può essere il marchese G.B.
Grimaldi, di Genova, abitante a Vienna, unito in matrimonio con la baronessa di Bürkenwald
emigrata dall'Alsazia inferiore, probabile Amico Cristiano, perché nel maggio 1802 era partito alla
volta di Strasburgo e di Parigi, col proposito di stabilirsi quindi in Italia. Morì invece a Parigi pare
agli inizi del 1803. A Genova però restava il fratello marchese Luigi, che è forse l'identica persona
cui don Virginio indirizzava il Lanteri. Ma il conte Grimaldi di cui parla il Lanteri in questa lettera
potrebbe essere Filippo Grimaldi del Poggetto, n. a Busca (Cuneo) il 26 maggio 1767 e m. a Torino
il 16 maggio 1817. Il suo genere di vita si addice molto bene a quello di un Amico Cristiano. Dedito
alla solitudine e agli studi, passò gli anni dell'occupazione francese nel silenzio e nell'oblio. Nel
1814 fu fatto ‘ufficiale governatore’. Il figlio Luigi (1790-1820), brillante ufficiale che aveva
combattuto a Mosca con Napoleone, divenne gesuita e morì a Torino nel 1820” (Bona, 252-253,
con la relativa documentazione; V. Spreti, Dizionario ecc., III, 574).
C2,146:*2
La marchesa Bianzé è Cristina Morozzo di Bianzé, moglie di Cesare d'Azeglio.
C2,146:*3
Le “petit écrit” è stato pubblicato in Positio, 187-194, e in parte riprodotto da noi nelle note storiche
sull'Amicizia Sacerdotale. Gli “Utili” a cui si accenna – titolo completo: Utili pel Direttore
dell'Amicizia Sacerdotale – è il documento preparato dal Lanteri durante il suo soggiorno a Firenze
(cominciato forse mentre si trovava ancora a Montepulciano) ad uso dell'Amicizia Sacerdotale
fiorentina: documento citato e ricordato con questo nome anche in altre lettere (cfr. Positio, 176).
C2,146:*4
Il marchese Pio Filippo Ghislieri fu ministro dell'Austria a Roma dal 13 luglio 1800 al 20 febbraio
1802. Faceva parte dell'Amicizia Cristiana di Vienna e il suo nome ricorre spesso – dal 1803 al
1806 – nel carteggio del Ricasoli al Lanteri.
C2,146:*5
Roberti Giovanni Battista, S.J. (Bassano 1719-1786), già insegnante di S. Scrittura a Bologna, dopo
la soppressione della Compagnia si ritirò in famiglia, a Bassano, e attese alla predicazione e alla
compilazione di operette ascetiche. Il suo Trattatello sopra le piccole virtù, pubblicato a Bologna
nel 1778, ebbe diverse ristampe e fu tradotto in diverse lingue.
C2,148:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
27 ottobre 1803
Viaggio a Montepulciano per tentare di fondarvi l'Amicizia Sacerdotale – Incontro col vescovo Mons. Pellegrino
Carletti
Originale in AOMV, S. 5,2,4:182 (S. 1,17,25a:1503)
C2,148:I
Pubblicata in Positio, 179-180.
È un biglietto mandato dal Lanteri al Ricasoli lo stesso giorno del suo ritorno da Montepulciano, dove si era recato per
trattare della fondazione in quella diocesi di una sezione dell'Amicizia Sacerdotale. La fondazione per diverse cause non
avvenne, ma il vescovo Mons. Pellegrino Carletti (v. sotto) ne rimase molto ben impressionato e conservò anche in
seguito le relazioni col Lanteri.
C2,148:T
Ill.mo Sig. Sig. Pn. Col.mo
Eccomi quest'oggi di ritorno da Montepulciano, spero che il Signore Iddio si sarà compiaciuto di
accettare la mia buona volontà, perché in sostanza non si è potuto concludere niente, attesa la
scarsezza dei soggetti in quella Diocesi, sebbene non sia fuori di speranza, che quel poco di seme
gettato, sia col tempo atto a produrre grandissimo frutto. Io non potrei poi spiegarle la soddisfazione
somma, che ho avuto nel conoscere un sì degno Prelato, quale è Mons. Carletti*1; egli non poteva
accogliermi con maggior cortesia, cordialità, e confidenza; e siccome devo tutto questo alle
particolarissime attenzioni e cortesie, con cui vuole onorarmi V.S. Ill.ma ed in Gesù Cristo Car.ma,
così non potrò mai testificarle abbastanza la giusta mia riconoscenza. Mi riservo di spiegarle
maggiormente tutto a voce, mentre con particolare rispetto, e considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma
Firenze li 27 ottobre 1803
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Serv. ed A.C.
Pio Bruno Lanteri
C2,148:*1
Carletti Pellegrino Maria, n. a Montepulciano il 21 ottobre 1757, m. ivi il 4 gennaio 1827, fece i
suoi primi studi a Prato dai gesuiti e al Collegio Bandinelli di Roma. Entrò nell'Oratorio di S.
Filippo Neri, ma dopo cinque anni, nel 1781, lo lasciò. In quello stesso anno, il 22 dicembre 1781,
fu ordinato sacerdote ed entrò a far parte di una congregazione missionaria diocesana, e come tale
percorse l'Italia centrale e settentrionale predicando molte missioni. Più tardi fu nominato rettore del
seminario di Borgo S. Sepolcro e poi canonico della metropolitana di Firenze. Nel 1802, dopo aver
conseguito la laurea in gius canonico il 4 settembre, fu a Roma consacrato vescovo di
Montepulciano il 26 settembre 1802. Della sua attività come vescovo sono testimonianza gli
Avvertimenti pastorali, Siena 1807. Nel 1811, avendo rifiutato il giuramento richiesto, fu trasportato
prigioniero in Francia. Nel 1814 rientrò in diocesi. Attaccatissimo alla Compagnia di Gesù, in cui
aveva fatto gli studi e per il cui ristabilimento aveva lavorato, domandò di farne parte egli stesso,
ma Pio VII non ne volle sapere e lo obbligò a continuare la sua attività in diocesi. Delle sue poche
pubblicazioni ricordiamo: Istruzioni sull'usura e il prestito, 1814, Dissertazione sull'istituzione dei
vescovi, Bologna 1815 (cfr. HC, VII, 271; Elogio di Mons. Carletti fatto da Giuseppe Baraldi, in
Memorie di Modena, 1827).
Della visita del Lanteri a Montepulciano e della profonda impressione da lui lasciata parla una
lettera di Mons. Carletti a Mons. Gioachino Tosi, allora segretario delle lettere latine di Pio VII e
poi vescovo di Anagni: “Nello scorso ottobre, ad insinuazione di un gesuita domiciliato in
Germania [cioè don Luigi Virginio], venne a trovarmi un degno sacerdote torinese, che mi aveva
fatto prevenire di volermi comunicare un pio istituto. Immaginavo che fosse qualche devozione, e
nulla più. Assai però di più ne seppi. Vi sono in Germania e nei domini una volta della Casa di
Savoia ed anche altrove, alcune unioni di bravi ecclesiastici, che arruolano segretamente dei giovani
chierici e li formano con mirabili arti capaci di grandi cose. In una parola, quello che per il male
sono gli illuminati, questi lo sono per il bene. I mezzi di destrezza e di cautela sono gli stessi. Ne ho
veduto il codice, e lo direi una copia, se l'autore cui si ascrive non fosse quasi contemporaneo a S.
Francesco di Sales. Avevo qualche indizio di tale unione e lo acquistai al ritorno da Vienna di
alcuni nostri emigrati; ora ne ho certezza, e se questa non fosse l'ora delle tenebre, vorrei formarne
dei felici pronostici. Del bene però ne fanno e non poco. A me si presentò l'ecclesiastico detto ad
oggetto di avere lumi per la Toscana, onde fondarvi in essa simili unioni. Potete credere che il mio
esame non fu superficiale, e altronde chi me lo spediva è uomo superiore ad ogni eccezione e che
nel tempo della persecuzione di Parigi ne era un segreto apostolo, colà recatosi a quest'unico
oggetto” (la lettera è pubblicata integralmente in Savio, 673-674, e in parte da Bona, 254, nota). Il
“codice” cui accenna il Carletti dev'essere il cahier dell'Aa.
C2,150:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
1 novembre 1803
La fondazione dell'Amicizia Sacerdotale in Firenze
Originale in AOMV, S. 5,2,4:183 (S. 1,17,25a:1504)
C2,150:I
Pubblicata in Positio, 180-181.
Da questa lettera si rileva che verso la fine dell'ottobre 1803 l'Amicizia Sacerdotale in Firenze era già costituita: lo
scopo del viaggio del Lanteri in Toscana non era stato quindi del tutto inutile.
C2,150:T
Firenze li 1 novembre 1803
Ill.mo Sig. Pn. Col.mo ed A. in Gesù Cristo
V.J. [Vive Jésus]
Quanto mi è sensibile che forse non potrò avere la consolazione di passare seco a Fiesole alcuni
giorni di solitudine*1. La mia salute che non poco ha sofferto in questi giorni passati mi fa pensare
seriamente di accelerare il mio viaggio per non inoltrarmi maggiormente nella stagione fredda, che
mi sarebbe sempre più nociva; con tutto ciò niente concluderò finché abbia l'onore d'abboccarmi
seco lei mercoledì a sera che io starò aspettandola in San Giovanni di Dio; frattanto mi rincresce
che la sacerdotale non si possa anticipare secondo il suo desiderio atteso il giorno dei morti in cui i
Sig. Sacerdoti e i Sig. Cherici sono occupati nei divini uffici, ed è per questo che appunto fu fissata
la mattina di giovedì alle ore 10*2.
Frattanto con particolare rispetto, e considerazione mi pregio d'esserle in fretta
Di V.S. Ill.ma e in Gesù Cristo Car.ma
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Serv.
ed A.C. Pio Bruno Lanteri
All'Ill.mo Sig. Sig. P.n Col.mo
il Sig. Priore Leopoldo Ricasoli Zanchini
Poggio a Caiano
C2,150:*1
Gli Esercizi furono poi tenuti a Fiesole nella villa del Ricasoli, cfr. Lanteri a Ricasoli 4 settembre
1804. Gli esercitandi che profittarono del ministero del Lanteri in quella circostanza furono il
Ricasoli, il d'Azeglio e probabilmente anche il Ghislieri (Bona, 254).
C2,150:*2
In un foglio di mano Lanteri (in AOMV, S. 2,6,5:211) troviamo un elenco di ecclesiastici fiorentini,
probabili membri della Sacerdotale locale: “Dott. Bucelli [Francesco] Dir.; M.R. P. Ferdinando
Fattoracci, Filipp. [Filippino di S. Firenze]; P. Gedeone Monti Filipp. [Filippino]; P. Lucio
Bartolozzi S. Filippo; D. Alessandro Bachereti; D. Arcangelo Lastri; D. Giuseppe Chiocchini; D.
Gaetano Tozzi; D. Lorenzo Casini; D. Pietro Palagi”.
Tra questi sacerdoti fiorentini merita speciale menzione il P. Ferdinando Fattoracci (Firenze 17701840), filippino dell'Oratorio detto di S. Firenze, che aveva fondato insieme con M. Angiola Gambi
(1763-1843) la Congregazione delle Suore di S. Filippo Neri di Firenze. Il Fattoracci uscì
dall'Oratorio per malattia, ma fu sepolto nel cimitero privato che i filippini avevano sulle colline
prospicienti la riva sinistra dell'Arno dietro al palazzo Pitti.
C2,151:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
20 novembre 1803
Incontro a Parma con l'ab. Juan Andrés – A Piacenza col conte Cesare Ventura – Problemi concernenti il periodico
“L'Ape”
Originale in AOMV, S. 5,2,4:184 (S. 1,17,25a:1505)
C2,151:I
Pubblicata in Positio, 107-109.
Nel suo viaggio di ritorno da Firenze a Torino il Lanteri fece tappa a Parma, a Piacenza e a Milano per trattare gli affari
dell'Amicizia e per cercare collaboratori, aiuto e propaganda del periodico L'Ape redatto dall'Amicizia Cristiana di
Firenze (v. sotto). Questa lettera ci riferisce l'esito del suo lavoro a Parma.
C2,151:T1
20 novembre 1803
Piacenza li 20 novembre 1803
Monsieur
V.J. [Vive Jésus]
Essendo grazie a Dio felicemente giunto a Parma la sera del 18, ed opportunamente fermatomi
buona parte della mattina seguente, ho comodamente potuto eseguire l'incaricatami commissione
dell'Ape*1. Ho dunque presentata al Sig. Ab.te Andrés*2 la copia rimessami, e mi sono trattenuto
seco lui tempo notabile, quasi sempre parlando di questo soggetto; io l'ho trovato molto freddo a
tale riguardo, dicendomi 1. che nei due primi numeri che aveva veduti fino allora non ci trovava
niente d'interessante, non essendo che una compilazione e traduzione degli altri giornali che già si
leggevano; 2. che bisognava inoltre stare, attendendone l'esito, giacché parecchi di simili giornali
furono anche ultimamente altrove progettati, i quali poi cessarono dopo pochi mesi, cosa che
disgustò molti, ed alcuni di questi, appunto per questo stesso motivo, ricusarono di associarsi
all'Ape; 3. che si trattava pur anche attualmente in Parma di stabilire un giornale consimile, ma egli
credeva che neppure sarebbe riuscito; io ho ben tentato di rispondere a tutte le difficoltà addotte, e
dargli un'idea giusta del nostro Ape, e delle intenzioni e dello scopo di chi lo dirige, con tutto ciò
come l'ho ritrovato, l'ho pure lasciato quasi ugualmente freddo.
Mi sono in seguito presentato da S.E. il C.e [Conte] Cesare Ventura*3 per rimettergli la lettera di
V.S. Stim.ma ed in Cristo Car.ma, ed ho pure trovato questi au premier abord freddo a tale
riguardo, come il Sig. Ab. Andrés, e poco presso imbevuto delle stesse ragioni, se non che questi
aggiungeva con dispiacere, che non ne aveva ricevuto fin allora che il primo, o tutt'al più il secondo
numero, e che non poteva sapere a chi doveva rimetterne il prezzo. Io ho procurato di rispondere a
tutte le sue difficoltà, e spiegargli bene il fine di un tale progetto, ed ebbi alla fine la consolazione di
vederlo impegnato non solo a procurare altri associati, ma anche a stimolare l'Ab. Andrés a
concorrervi con qualche sua produzione; mi soggiunse ancora che per lui, e per i suoi associati, si
potevano mandare i n. [numeri] per posta.
C2,151:T2
Ecco il mio operato
Ecco il mio operato in Parma, mi rincresce che non abbia avuto esito più felice; aggiungerò ancora
che l'Ab. Andrés si dimostrò curioso di sapere chi fosse Ottavio Ponzoni*4, e gli risposi che era
persona che non amava di essere conosciuta, ma che non aspirava ad altro che a promuovere buoni
principi, né avrei saputo dare altra risposta a simile genere di letterati (i quali io ritrovo in questa
parte piuttosto curiosi) anche affinché non facciano ulteriori indagini, seppure se ne potranno
astenere.
Mi permetta poi che le significhi ad un tempo, che non mi è stato fattibile far prendere al P. Priore
di San Giovanni di Dio il denaro della mia pensione, dicendomi che era proibito*5; io non dubito
punto da chi sia venuta questa proibizione, né certo faceva d'uopo a tante prove così singolari
d'attenzione e di cortesia che ricevetti da lei, aggiungervi ancora questa, indelebile ne sarà sempre la
mia riconoscenza, e ringrazio mille volte Iddio di questo mio viaggio che mi procurò la sorte di
conoscere persona così degna per ogni titolo, conoscenza che legherà sempre più la nostra amicizia
cristiana, e che spero ridonderà sempre a maggior Gloria di Dio.
La prego compiacersi di far gradire i miei più distinti ossequi alla degnissima di lei consorte*6, agli
M.Z., al Sig. D.B.*7 e a chi altri stimerà, mentre io con particolare rispetto, e considerazione e con la
più viva riconoscenza mi protesto in fretta
Di V.S. Ill.ma e Dilet.ma in Gesù Cristo
Umil.mo Obl.mo Serv. ed A.C.
Pio Bruno Lanteri
À Monsieur
Monsieur le Marquis Leopoldo Ricasoli-Zacchini
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
Florence
C2,151:*1
L'Ape era il periodico a cui l'Amicizia fiorentina, con un coraggio degno di ogni elogio, aveva dato
vita nel 1803 e che era in gran parte redatto e diretto dal marchese Cesare d'Azeglio. Il primo
numero uscì il 30 agosto 1803 col titolo: L'APE, scelta d'opuscoli letterari, e morali estratti per lo
più da fogli periodici oltramontani; raccolta nel primo volume, Firenze 1804, presso Domenico
Ciardetti in borgo Ognissanti con approvazione. Si tratta di un'opera molto rara nelle nostre
biblioteche. Una copia si trova nella biblioteca civica di Chiavari, fondo card. Rivarola.
C2,151:*2
Juan Andrés, S.J. (1740-1817) “fu il rappresentante più ragguardevole di quella colonia di gesuiti
rifugiatisi in Italia in seguito alla espulsione del 1767 dalla Spagna: in questo tempo era
bibliotecario a Parma” (V. Vian, L'immigrazione dei gesuiti spagnoli in Italia, Torino 1895, 15-31).
Buon letterato e uomo molto colto, collaborò all'Ape per qualche tempo pubblicandovi una Lettera
sulla letteratura spagnola, ma poi se ne allontanò.
C2,151:*3
Del conte Cesare Ventura, piacentino, il Lanteri era venuto a conoscenza per mezzo del Ricasoli
(Bona, 255).
C2,151:*4
Ottavio Ponzoni era lo pseudonimo con il quale Cesare d'Azeglio firmava sull'Ape i suoi articoli,
talvolta con le semplici iniziali O.P.
C2,151:*5
La pensione del Lanteri presso i Fatebenefratelli di Firenze era stata, a sua insaputa, pagata
anticipatamente dal Ricasoli.
C2,151:*6
La “consorte” è la marchesa Lucrezia, nata Rinuccini, morta il 15 aprile 1827, donna molto
religiosa, praticante, attiva nelle opere di carità, come risulta dalla lettera da lei diretta al Lanteri in
data 2 settembre 1808 e dove dà relazione dell'attività svolta dall'Amicizia Cristiana femminile di
Firenze. Anch'essa, come il marito, era diretta spiritualmente dal Lanteri.
C2,151:*7
Il dott. sacerdote Francesco Bucelli è spesso ricordato dal Lanteri nella sua corrispondenza con
Firenze e verso di lui è dimostrata sempre la più alta stima. Era uno dei collaboratori più attivi del
Ricasoli. Probabilmente era il direttore della locale Amicizia Sacerdotale e della così detta
“Conversazione Cristiano-Cattolica”, diventata poi Accademia Cattolica, una figliazione della
Sacerdotale o della Cristiana, con regole particolari, otto in tutto, attenuate in riferimento
soprattutto alle ingiunzioni di carattere ascetico e possibilmente estesa a un numero di membri più
vasto che non quello delle Amicizie. Anche l'Accademia aveva carattere segreto e la sua attività si
svolgeva specialmente, e quasi esclusivamente nel campo letterario col favorire la conoscenza di
opere antiche o nuove che avessero attinenza con la religione e col confutare eventuali errori in esse
contenuti, col comporre opere apologetiche, col tenersi a contatto con la pubblicistica
contemporanea che fosse pro o contro la religione (cfr. Bona, 242).
Tra i membri di quest'Accademia alcuni raggiunsero una certa celebrità, come il poeta o favolista
Clasio, pseudonimo del sacerdote Luigi Fiacchi, n. a Scarperia di Mugello il 4 giugno 1754, m. a
Firenze il 25 maggio 1825. Fu professore di matematica e scienze al seminario di Firenze, poi nelle
scuole leopoldine, dove ebbe tra i suoi scolari anche i figli del Ricasoli, e fu fatto membro
dell'Accademia della Crusca. Fu un fine latinista e curò l'edizione critica di molte opere
trecentesche. Per le sue Favole, pubblicate a Firenze nel 1807, al tempo in cui il Fiacchi
apparteneva alla “Conversazione”, è chiamato l'Esopo cristiano e fanno vedere la sua alta qualità di
educatore e di poeta. Tra le altre sue poesie religiose ricordiamo: La parafrasi del Dies Iræ, Gli
Evangeli della Domenica e le principali feste dell'anno, Le pastorali per il S. Natale, ecc. (G.
Fallani, in Enc. Catt., V, 1.229). Altri membri dell'Accademia: il can. Annibale Tommasi, Antonio
Montalvi, don Giuseppe Guarnacci, don Benedetto Falorni, il Ricasoli, e più tardi, il Dott. Antonio
Rossi, don Vincenzo Marzi, Massimiliano Libri, Vincenzo Gondi (da un ms. in AOMV, S.
2,6,5:211, citato da Bona, 242).
C2,154:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
28 dicembre 1803
Viaggio del Lanteri a Milano – Incontri e indirizzi milanesi
Originale in AOMV, S. 5,2,4:185 (S. 1,17,25a:1506)
C2,154:I
Pubblicata in Positio, 183-186.
Il Lanteri, appena arrivato a Torino dal suo viaggio in Toscana, in Emilia e a Milano, si affretta a comunicare al
Ricasoli gli incontri che ha avuto e gli indirizzi utili agli interessi delle Amicizie di Firenze. Scritta in francese per non
suscitare i sospetti della polizia napoleonica.
C2,154:T1
28 dicembre 1803
Turin ce 28 décembre 1803
Monsieur, et très Cher A.C.
V.J.
Je ne m'arrête pas à vous demander pardon, Monsieur et très Cher A.C., de mon retard à vous écrire.
Je suis persuadé que vous ne doutez pas de mon empressement et pour votre respectable personne,
et pour tout ce qui nous intéresse, mais mes occupations jusqu'ici ne m'ont laissé de loisir. Je profite
donc du premier moment libre pour commencer notre correspondance, qui me sera toujours bien
chère.
J'espère que vous aurez reçu une de mes lettres datée de Plaisance; depuis lors je me suis arrêté une
semaine à Mil. [Milan*1], où, grâces à Dieu, j'ai réussi à arranger plusieurs affaires, et j'en suis parti
bien satisfait; vous trouverez ci-jointes les adresses opportunes soit pour écrire par la poste, soit
pour envoyer des paquets destinés pour Mil. [Milan] ou pour Turin; combien j'aime que vous
entreteniez correspondance avec cet Abbé Rivapalazzi, c'est un A.C. plein de zèle et d'activité, qui
se fait un vrai plaisir de nous servir dans toutes nos commissions*2.
C2,154:T2
Vous recevrez
Vous recevrez dans quelques jours d'ici 6 exemplaires delle Lettere del P. Pallavicino*3, e 25 della
pastorale de l'Évêque Porporato de Saluces*4. Je vous prie d'en envoyer 4 exemplaires des premiers
et 8 exemplaires des derniers à M. l'Évêque Carletti, à qui je me propose d'écrire au plus tôt; les
exemplaires qui restent sont pour votre bibliothèque.
Pardon si je ne vous envoie pas encore la méthode pour l'oraison que je vous ai promise*5, comme
aussi une liste des livres pour votre lecture spirituelle et pour celle de Madame la Marquise votre
digne Épouse; le temps me manque actuellement mais ce sera pour une autre fois. J'attends en
attendant de bonnes nouvelles de l'avancement spirituel de votre âme, de la réussite de la
méditation, de la fréquence des Communions, de votre courage dans le service de Dieu, de votre
obstination à observer l'ordre établi des occupations journalières, et s'il vous est réussi de vous
décharger comme il faut de quelques occupations et affaires temporelles, pour être en état de vaquer
mieux aux affaires de Dieu; rien de ce qui vous regarde [ne] me peut être indifférent*6.
C2,154:T3
Je vous envoie
Je vous envoie ci-jointe une lettre pour l'Abbé V., je vous la recommande afin qu'elle lui parvienne
au plus tôt et avec sûreté, elle m'est bien à cœur, et j'aurais même de la peine à lui en écrire une
autre aussi longue et détaillée en cas que celle-ci se perdît; je pense que vous pourriez la remettre au
M. Gh. [Ghislieri] afin qu'il ait la bonté de la lui faire parvenir par une voie sûre entre ses propres
mains, si cela se peut*7.
Je vous prie d'avoir la bonté de faire copier le ms. sous le n. 22 intitulé Memorie di cose da
eseguirsi, comme aussi la liste des livres qui ont été ajoutés au Catalogue; le plus tôt que vous
pourriez me l'envoyer vous me rendriez un grand service. Dès que tout sera copié, vous pourriez le
remettre à M.Z. afin qu'il ait la bonté de me l'envoyer à la première occasion sûre; oserai-je aussi
vous prier de tenir prêt le paquet de tous les livres destinés pour Turin et pour Mil. [Milan] et de
ceux que j'avais laissés à Saint-Jean-de-Dieu, et de l'envoyer à la première occasion pour ici ou pour
Mil. [Milan] selon les adresses ci-jointes, et d'y ajouter encore deux ou trois exemplaires des
opuscules suivants de Marchetti*8 sul Giuramento civico, Sugl'Intrusi, Sulla vendita de' fondi Eccl.
contro Bolgeni*9. E se l'altra opera sui beni Ecclesiastici che il medesimo ha attualmente alle stampe
è uscita, la prego di mettervene di questa 4 copie, indicandone di ogni mio debito l'importare,
perché possa soddisfarla. Se non sapesse ove ritrovare detta opera, penso M.Z. [Marchese Zei] può
essere in situazione di procurargliene per mezzo di quel sacerdote corrispondente di Marchetti, che
egli conosce; forse M.Z. [Marchese Zei] le rimetterà anche qualche libro da aggiungersi al suddetto
plico.
C2,154:T4
J'ai écrit à M.Z.
J'ai écrit à M.Z. [Marquis Zei] et je lui ai envoyé quelques châtaignes de notre pays, que j'ai prié de
partager avec vous*10; je ne sais si elles arriveront en bon état, mais vous aurez la bonté de les agréer
telles qu'elles seront, j'espère qu'elles ne se gâteront pas toutes afin que vous puissiez les goûter;
dans le même sac j'y ai mis les livres mentionnés ci-dessus du P. Pallavicino et de Monseigneur
Porporato. Je vous prie d'en avertir M.Z. [Marquis Zei] en cas que la lettre à son adresse se fût
perdue à la poste.
Que je suis empressé d'avoir des nouvelles d'A.S. [Amitié Sacerdotale]! Si vous en avez, procurezmoi cette consolation de me les procurer; si vous n'en avez pas, j'écrirai dans peu à l'abbé Bertolozzi
pour en avoir; en attendant est-ce que le chanoine Tom.*11 n'y est pas encore? C'est ce qui m'est
beaucoup à cœur, parce qu'il me semble que par ce moyen vous pourriez y voir mieux et y influer
davantage, parce qu'il me semble le sujet le plus propre et capable de participer et d'hériter l'esprit
du D.B. [Docteur Bucelli] (quoique je n'aie pas l'honneur de le connaître) et c'est ce qui est de plus
intéressant et nécessaire d'avoir en vue, comme vous sentez très bien.
[Le] M. [Marquis] Gh. [Ghislieri] m'avait parlé d'un certain ecclésiastique (vieux Jésuite, si je ne
me trompe), qui demeure à Prato, qui serait à son avis excellent pour A.C. [Amitié Chrétienne] et
pour A.S. [Amitié Sacerdotale] et qu'il espérait même qu'il serait venu s'établir dans cette ville; il ne
faudrait pas laisser échapper ce sujet, vous en connaissez comme moi la plus grande nécessité; je
vous prie de me donner quelque notice à votre égard, comme aussi si les A.S. [Amici Sacerdoti]
profitent de votre Bibliothèque, et si l'ab. [abbé] B. [Bertolozzi*12] vous restitua ou s'il porta et laissa
dans votre Bibliothèque un Catalogue des points de méditation tirés des meilleurs auteurs, dont la
plupart se trouvent déjà dans votre Bibliothèque, afin que les A.S. [Amici Sacerdoti] puissent
composer mieux et avec plus de facilité; je l'en avais prié, en tous cas, s'il y manque, je tâcherai de
vous en procurer au plus tôt possible un autre exemplaire; vous pouvez en parler avec D.B.
[Bucelli].
C2,154:T5
Je finis par vous prier de faire agréer mes très humbles respects à Madame la Marquise, votre digne
épouse, à tous les A.C. [Amis Chrétiens], nommément au D.B. [Bucelli], à M. Tanf.*13, à la
Rigogli*14, et je vous souhaite en même temps du S. Cœur de Jésus toutes les bénédictions
spirituelles et temporelles pour cette année, et pour bien d'autres à venir.
J'ai l'honneur d'être
Monsieur et très cher A.C. [Ami Chrétien]
Votre très humble et obéissant Serviteur et A.C. [Ami Chrétien]
L. [Lanteri]
P.S. 1. Volendo carteggiare con qualche Amico a Mil. [Milano] e profittare della sua
corrispondenza, l'indirizzo sarà al Sig. Ab. Carlo Rivapalazzi. Contrada del Monte di S. Teresa, n.
856, Milano.
2. Volendo fare qualche spedizione di libri, datone prima l'avviso all'Ab. Rivapalazzi come sopra,
l'indirizzo sarà a Giuseppe Bonacina, libraio, sul corso di Porta Orientale, di contro Casa Aresi,
Milano. Vengo a ricevere lettera consolante dell'Ab. Bertolozzi, che mi scrive che la Sacerdotale va
ottimamente. La prego di rimettergli l'acclusa in risposta.
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Zacchini, Prieur des Chevaliers Saint-Étienne
En son Hôtel sul ponte alla Carraia
Florence
Recommandée par le soussigné à la bonté du Citoyen Directeur pour faire tenir la présente lettre à
son adresse sûre, et au plus tôt possible.
Ossetti G., Employé des Postes
C2,154:*1
Il Lanteri fu a Milano alla fine del novembre 1803. Era stato il Virginio stesso che l'aveva invitato a
visitare quell'Amicizia, bisognosa di nuovo impulso e di incoraggiamento dopo le devastazioni della
prima invasione francese, quando il conte Francesco Pertusati, che era l'anima dell'associazione,
venne tratto in arresto per il declamato suo attaccamento alla casa d'Austria (26 maggio 1796) ed
era stato deportato a Nizza (rilasciato poi il 25 luglio 1797). Il Lanteri si trattenne a Milano, come
scrive in questa lettera, una settimana, incontrandosi probabilmente per la prima volta con quegli
Amici e presiedendo un'assemblea di cui è rimasto l'ordine del giorno. Tale documento, riportato in
Positio, 93-96, integra la relazione del suo soggiorno milanese fatta dal Lanteri nell'assemblea di
Torino (Bona, 255).
C2,154:*2
L'ab. Carlo Rivapalazzi (m. il 23 settembre 1818), è un personaggio che ricorre frequentemente
nella corrispondenza Pertusati-Lanteri, a cui rimandiamo il lettore.
C2,154:*3
Carlo Emanuele Pallavicino, ex gesuita (n. a Torino nel 1719, m. ivi il 19 marzo 1785), visse gli
ultimi anni della sua vita a Saluzzo, accanto a Mons. Giuseppe Filippo Porporato (v. sotto) il quale
spesso si servì della sua opera per stendere le sue pastorali e per iniziare intraprese pastorali nella
sua diocesi. L'opera a cui allude qui il Lanteri è Il prete santificato nell'esercizio della confessione,
stampato anonimo a Venezia nel 1794, e in seguito ristampato, sempre anonimo, anche col titolo di
Lettere sulla maniera di bene amministrare la S. Confessione, da Marietti nel 1826 per cura
dell'Amicizia Cattolica e del Lanteri. Tradotto in francese dal P. Pierre Charles-Marie Leblanc, S.J.
(1774-1851), sempre anonimo, col titolo Le Prêtre sanctifié… Avignon, Seguin 1827, Paris 1827,
Tournai 1827, Malines 1828, Avignon 1832: cinque edizioni francesi e una italiana in pochi anni! Il
Pallavicino è sostenitore della teologia morale di S. Alfonso de Liguori, antirigorista,
antigiansenista, benignista convinto (J. Guerber, Le ralliement du clergé français à la morale
liguorienne, Roma 1973, 126-128 e passim).
C2,154:*4
Porporato Giuseppe Filippo, n. a Piasco (Cuneo), feudo di famiglia, nel 1698, m. a Saluzzo il 27
luglio 1781; fu ordinato sacerdote nel 1721 e fu nominato vescovo di Saluzzo nel 1741. Studiò
filosofia e teologia nel collegio dei nobili di Torino tenuto dai gesuiti; conseguì la laurea in diritto
all'università di Macerata; fu nominato canonico della cattedrale di Saluzzo e parroco di Vigone. P.
Davide di Santa Maria, definitore generale degli Agostiniani, testimoniava del Porporato: “È stato
canonico più anni della cattedrale di Saluzzo… e di presente è parroco, chiamato prevosto, del
luogo di Vigone nullius diœcesis, provincia di Torino, con essere sempre stato assiduo, con molto
vantaggio delle anime, in ascoltare le confessioni, predicare, amministrare i Sacramenti e fare la
dottrina cristiana et altre opere di pietà…” (Savio, 396).
Il Porporato aveva accolto in diocesi molti ex gesuiti dopo la soppressione della Compagnia, tra cui
P. Carlo Emanuele Pallavicino che divenne in certo senso la sua eminenza grigia e l'ispiratore della
sua azione pastorale, specialmente in polemica col rigorismo e col giansenismo. Lo scritto qui
accennato del Porporato è del 30 dicembre 1772: Lettera pastorale di Mons. Giuseppe Filippo
Porporato vescovo di Saluzzo sull'amministrazione del sacramento della penitenza, che ebbe larga
diffusione anche fuori diocesi e suscitò parecchie polemiche. Fu più tardi tradotta e pubblicata in
francese, Turin 1828, chez Bianco (tipografo dell'Amicizia Cattolica) in pp. 104 in 24, di cui 46
pagine occupate dal testo della lettera, il resto da un commento anonimo, decisamente
antigiansenista, forse dovuto alla penna del Lanteri, certamente ispirato da lui e dalla sua scuola.
L'opuscolo fu largamente diffuso in Francia, come si vede dalla sua presenza in molte biblioteche
private (J. Guerber, op. cit., 159; Bona, 198; A. Monti, I, 584-588; Savio 395-396).
Per indicare quali fossero le idee guida dell'azione pastorale del Porporato, espresse senza sottintesi
nella sua Pastorale del 1772, basti quanto egli scrive a Pio VI in data 28 ottobre 1776 (riportato da
Savio, 395-396): “Dopo aver avuto l'onore di scrivere nell'anno scorso a Vostra Santità… per la
voluta estinta Compagnia di Gesù, mi faccio animo… per rappresentarle i danni gravissimi che
derivano pure al cristianesimo dalle nuove moderne dottrine, che, sotto il nome di probabiliorismo,
e sotto il colorito pretesto di sana riformata morale, non conforme certamente allo spirito della
Chiesa e dei Santi, insegnano il vero rigorismo e tuziorismo, nascondono errori condannati dalla
Chiesa ed alienano ognora più le anime dalla frequenza ed amore dei santi sacramenti, e per
conseguenza dalle strade più sicure della salute e della santità. Si mandano sconsolati senza
assoluzione i penitenti, anche non rei di colpe gravi, negandola o differendola loro per lungo tempo,
benché seriamente contriti e risoluti di allontanarsi dal peccato e da ogni occasione prossima di
commetterlo, con evidente pericolo di abbandonarsi poi ad una vita più licenziosa e dissoluta, o di
riempirsi l'anima di pericolose angustie e perniciosissime diffidenze. Si riprovano assolutamente e
si dichiarano infetti da false e lasse dottrine i migliori dottori e libri di teologia morale dei secoli
passati, senza escludere nemmeno i santi adorati [sic] sugli altari, perché hanno adottato il vero e
giusto probabilismo, le di cui dottrine si sono insegnate comunemente nelle pubbliche scuole ed
hanno servito a tutti, od alla massima parte dei confessori di sicura saggia regola e guida per
l'esercizio del loro ministero… Mi sembra però che sarebbe da considerarsi… una qualche sovrana
apostolica provvidenza e dichiarazione di Vostra Santità, in virtù della quale venisse giustificato ed
approvato lo studio delle sentenze sodamente probabili e del vero, giusto e prudente probabilismo
nella dottrina morale e nella pratica direzione e governo delle coscienze…”.
C2,154:*5
Lo scritto a cui qui si allude deve probabilmente (non si ha la certezza assoluta) ascriversi alla
redazione dello stesso Lanteri. Conserviamo infatti in AOMV, S. 2,11,4:308-310, 338, diverse
redazioni di mano Lanteri, Metodo per la meditazione, tradotto in francese dallo stesso Lanteri
Méthode pour bien méditer, e in latino De arte meditandi, e di altra mano Metodo per ben meditare.
Da notare la cura diligente che il Lanteri metteva nella scelta dei libri.
C2,154:*6
La direzione spirituale del Lanteri – lo vedremo anche meglio negli scritti spirituali riportati in
seguito – teneva molto conto della metodicità e regolarità degli esercizi devoti, meditazione, lettura
spirituale, esame di coscienza, Comunione frequente (cioè settimanale, non ancora quotidiana), e, in
generale, distanziamento interiore da tutti gli affari e preoccupazioni terrene, almeno intenzionale,
per quanto necessari, numerosi, urgenti e pressanti fossero, come presupposto indispensabile della
pace e serenità interiore.
C2,154:*7
Firenze era il canale ordinario della corrispondenza di Torino con Vienna. La lettera per il Virginio
deve essere stata recapitata probabilmente attraverso il Ghislieri. Il marchese Pio Filippo Ghislieri
fu ministro dell'Austria presso il Papa dal 13 luglio 1800 al 20 febbraio 1802. Membro dell'Amicizia
di Vienna, fu in relazione col Penkler, col Virginio e col Nunzio Severoli. Lanteri lo nomina spesso
nella sua corrispondenza. Il Ghislieri non fu sempre un uomo sincero e bene intenzionato. Il
Severoli (Diario, 27 settembre 1801, in ASV, Germania, 777, p. 4) dice di essere stato avvertito di
guardarsi da quest'uomo tutto premure, ed anche in seguito il Severoli non potè liberarsi da questi
suoi dubbi e perplessità (Bona 241; I. Rinieri, Il Congresso di Vienna e la S. Sede (1813-1814),
Roma 1904, 447-448; D. Spadoni, Milano e la congiura militare nel 1814 per l'indipendenza
italiana, Modena 1936, I, 214-218; Memorie del card. Ercole Consalvi, a cura di Mons. Nasalli
Rocca di Corneliano, Roma 1950, 65, 141-144, 409-412).
C2,154:*8
Giovanni Marchetti, futuro vescovo titolare di Ancira, era nativo di Empoli e quindi in facile
comunicazione con Firenze.
C2,154:*9
Gian Vincenzo Bolgeni, ex gesuita (1733-1811), celebre scrittore apologista con una grande
quantità di opere di diversa mole, negli ultimi anni, chiamato a Roma da Pio VI come suo teologo e
teologo della Penitenzieria Apostolica, si mise in urto con la curia pontificia per alcune sue opinioni
non pienamente in accordo con la dottrina della Chiesa, per cui fu destituito dal suo ufficio e
sostituito col suo confratello P. Alfonso Muzzarelli. Col suo trattato Della carità o amor di Dio,
Roma 1788, il Bolgeni, in polemica col P. De Rubeis, sostiene che oggetto formale della carità
verso Dio non è la bontà di Dio considerata in sé, ma la sua bontà relativa, ossia considerata come
costituente il nostro bene. Il dibattito si protrasse e la difesa del Bolgeni non appare sempre sicura e
persuasiva. L'altra questione in cui fu implicato è di carattere politico, avendo egli ammesso la
legittimità del giuramento imposto dalla Repubblica romana nel 1798. Nell'Indice dei libri proibiti
si trova anche l'opera del Bolgeni, Dei limiti delle due potestà, ecclesiastica e secolare. Nella lettera
si accenna a queste diverse opere del Bolgeni e ad alcune confutazioni che ne seguirono.
C2,154:*10
Sono i celebri “marroni” di Cuneo, ancora oggi celebrati e gustati. Questa delicatezza del Lanteri
verso il “piemontese” e “cuneese” d'Azeglio è abbastanza significativa.
C2,154:*11
Il can. Annibale Tommasi, fiorentino, membro della Conversazione Cristiano-Cattolica, detta
anche Accademia Ecclesiastica.
C2,154:*12
Padre Lucio Bertolozzi, dell'Oratorio filippino di S. Firenze, in Firenze, membro dell'Amicizia
Sacerdotale.
C2,154:*13
Don Giuseppe Tanfani, dell'Amicizia Sacerdotale di Firenze.
C2,154:*14
Mad.lla marchesa Luisa Rigogli, dell'Amicizia Cristiana femminile di Firenze, forse con incarichi
direttivi, era una valida collaboratrice del Ricasoli nello svolgimento degli affari generali
dell'associazione. Il Lanteri la ricorda anche in altre lettere, a Ricasoli 25 aprile 1804 e 14 febbraio
1806, a sacerdote anonimo di Firenze, anno 1808 (Positio, 124).
C2,160:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
29 febbraio 1804
Note di direzione spirituale – Assiduità ostinata nelle pratiche ordinarie di pietà – Ricominciare continuamente –
Superare lo scoraggiamento
Originale in AOMV, S. 5,2,4:186 (S. 1,17,25a:1507)
C2,160:T1
Monsieur et très cher en Jésus-Christ
Je ne veux pas laisser passer ce courrier encore sans vous écrire deux lignes à la hâte; j'attends
ordinairement à écrire le jour du départ du courrier, et ordinairement quelque occupation imprévue
m'empêche d'effectuer ce que je me suis proposé; c'est ce qui m'est arrivé la semaine passée, c'est ce
qui m'arrive aujourd'hui. Je ne puis vous dissimuler le vrai et sensible plaisir que m'a causé votre
très précieuse et très chère lettre, que j'attendais avec impatience, et j'espère que vous voudrez bien
me renouveler ce plaisir toutes les semaines si vous le pouvez, d'autant plus qu'il ne s'agit pas ici
seulement de satisfaire mon désir et mon empressement à votre égard, qui assurément n'est pas
petit, ne pouvant jamais oublier les traits de bonté si grande que vous avez eus envers moi, mais il
s'agit de la gloire de Dieu qui par ce moyen peut être aussi bien intéressée, ainsi ne me refusez pas
ce plaisir. J'entrevois dans votre chère lettre du découragement pour le service de Dieu; de grâce
prenez-y garde, parce qu'il n'y a pas d'ennemi plus redoutable que celui-ci. Une sainte obstination
dans la pratique constante des exercices ordinaires de piété, surtout dans la méditation et la lecture
spirituelle, seront toujours pour vous une source de bénédiction bien grande; ajoutez-y la
fréquentation hebdomadaire du Sacrement de la pénitence, et plus qu'hebdomadaire de la Sainte
Communion, avec une ferme et invincible résolution de commencer toujours et espérer toujours
plus fermement en Dieu, et je vous garantis des fautes essentielles, au moins de leurs funestes
suites, que vous craignez tant avec raison, et c'est sur ces articles surtout que je vous prie de me
signifier votre conduite, parce que c'est de là que dépendent principalement les intérêts de votre
âme, qui certainement ne peuvent pas m'être indifférents.
C2,160:T2
Le temps me manque, je vous prie de faire agréer mes respects à Madame la M. [Marquise] votre
respectable épouse, aux MM. Z. [Zei], surtout au très digne D.B. [Bucelli]. Soyez assuré que je ne
vous oublierai jamais devant Dieu; je me recommande en attendant à vos prières, et je suis à la hâte
Monsieur et très cher A.C. [Ami Chrétien]
T. [Turin] ce 29 février 1804
Votre très humble Serviteur et A.C.
Pie Brunon L. (timbro postale lineare P.IO 4 P. Turin)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Zanchini
Prieur des chevaliers de Saint-Étienne
sul ponte alla Carraia
Florence
C2,162:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
2 aprile 1804
Il trasloco in altra abitazione causa del ritardo nella corrispondenza – Ristampa del nuovo Combattimento Spirituale –
Ricerca di nuovi Amici Cristiani
Originale in AOMV, S. 5,2,4:187 (S. 1,17,25a:1508)
C2,162:T1
Monsieur, et très cher A.C. [Ami Chrétien]
Pour ne pas laisser passer ce courrier voici deux lignes à la hâte: pardon si je n'ai pas été plus exact
à vous répondre, c'est plus d'un mois que j'employais tous les moments libres autour de mes livres
pour les faire transporter avec moins de confusion dans une autre maison, puisque j'ai dû changer
d'habitation. J'en aurai repassé à cette occasion plus de 5.000. Actuellement l'essentiel est fait,
j'espère de me mettre au courant des affaires, et s'il plaît à Dieu notre correspondance sera plus
suivie*1.
Jusqu'ici je n'ai pas reçu le paquet des livres que vous avez eu la bonté de m'indiquer, ni l'Abbé
Rivapalazzi ne m'a encore donné avis*2, de même je n'ai encore vu le n. VII dell'Ape uni aux mss. et
aux opuscoli de l'Abbé Marchetti*3; j'espère bien qu'ils ne se seront pas perdus. Virginio aussi ne
m'a pas encore écrit. Je ne doute pas que la traduction du nouveau Combat Spirituel pourrait être
bien utile, ainsi il ne faut pas l'oublier; tant mieux si on trouve par ici des exemplaires du P.
Pallavicini*4, c'est très intéressant de le prôner auprès des jeunes ecclésiastiques; ses lettres sur la S.
Messe et sur le divin Office, vous pouvez les lire pour votre Lecture Spirituelle, elles vous aideront
pour entendre la S. Messe et pour l'oraison vocale. Je n'oublie pas la promesse de vous envoyer la
méthode de l'oraison et la liste des livres de lecture pour vous et pour Madame la Marquise, mais
pour ce courrier il m'est impossible*5.
L'Abbé Camici est-il de vos amis? Avez-vous écrit à V. [Virginio] à son égard? M. Gh. [Ghislieri]
vous a-t-il fait connaître l'ex Jésuite da Prato? Que je serais heureux si je pouvais aller de nouveau
vous embrasser cette année, mais j'y prévois bien des difficultés à surmonter!
Je vous prie de faire agréer mes plus humbles respects au M.Z. [Zei], D.B. [Bucelli], etc. etc. Je ne
cesse de vous recommander vivement au bon Dieu afin qu'il vous comble de grâces et de
bénédiction, j'espère que vous ferez de même à mon égard. Je suis à la hâte
C2,162:T2
Monsieur et A.C.
T. [Turin] ce 2 Avril 1804
Votre très humble Serviteur
L.
(timbro postale lineare P.IO 4 P. Turin)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Zanchini
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
en son Hôtel sur le pont à la Carraia
Florence
C2,162:*1
Probabilmente si tratta del trasloco del Lanteri dall'abitazione che aveva a Santa Maria di Piazza
alla nuova dimora in palazzo della Cisterna in contrada Santa Maria degli Angeli, dove resterà quasi
ininterrottamente fino al 1827, quando si portò a Santa Chiara di Pinerolo.
C2,162:*2
L'abate Carlo Rivapalazzi, cappellano della corte arciducale di Milano, era il direttore dell'Amicizia
Cristiana di Milano.
C2,162:*3
L'abate (poi vescovo) Giovanni Marchetti, di Empoli (Firenze), autore di opere teologiche e
apologetiche molto apprezzate, tutte comprese nel catalogo dell'Amicizia Cristiana, avrà una parte
importante nell'affare dell'approvazione della Congregazione nel 1826, come risulta dai documenti
di quell'anno, a cui rimandiamo il lettore.
C2,162:*4
Pallavicini Carlo Emanuele, S.J. (1719-1785), segretario del vescovo Giuseppe Filippo Porporato
(1698-1781), anzi una specie di “eminenza grigia” fino a scrivere le pastorali (antigianseniste e
antirigoriste) pubblicate col nome del vescovo Porporato. Vedi Lanteri a Ricasoli 28 dicembre
1803, nota 3.
C2,162:*5
Una nota marginale dice: “Chiedere l'Uno Necessario del Rogacci. Fu mandato il dì 30”.
C2,163:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
25 aprile 1804
Una lettera del P. Virginio forse perduta – Impossibilità di recarsi a Firenze
Originale in AOMV, S. 5,2,4:188 (S. 1,17,25a:1509)
C2,163:T
Monsieur et très Respectable A.C.
Je vous écris de nouveau à la hâte deux lignes, désolé de n'avoir jamais de loisir pour vous écrire
tranquillement.
Je n'ai point reçu jusqu'ici aucun livre, aucun journal, et ce qui m'est fort à cœur, je n'ai pas même
reçu une lettre fort longue de V. [Virginio] en réponse à la mienne que je lui avais écrite fort
détaillée, que je lui ai fait passer par vos mains; j'en ai reçu deux autres de V. postérieures à celle-là,
qui se rapportent toutes deux à celle-là, mais la principale je ne l'ai point encore vue; que je serais
fâché de l'avoir perdue!
Je vais partir pour une retraite à des jeunes ecclésiastiques, ainsi passant d'une occupation à l'autre il
ne me reste pas même du temps pour ma retraite, qu'il m'a été impossible jusqu'ici de pouvoir faire,
et dont j'ai un très grand besoin. Je m'occupe bien souvent du désir de voir les Amis de Fl.
[Florence] mais à mon grand regret j'y prévois comme de l'impossibilité pour cette année; aidez-moi
à prier Dieu pour connaître et faire sa sainte volonté.
Je ne doute pas que vous continuerez à servir Dieu avec un cœur grand et généreux même parmi les
défauts journaliers, d'autant plus que selon S. François de Sales, la perfection même ne consiste pas
à ne jamais manquer, mais à ne jamais persévérer dans la volonté de manquer. Il ne passe jour que
je ne me rappelle devant Dieu de votre estimable et aimable personne, et de tous les amis. Je vous
prie de vouloir bien leur faire agréer de ma part mes très humbles respects. Le temps me manque
pour écrire aux M.Z. [Zei]; mes respects particulièrement aussi à Mlle Rig. [Rigogli]. Je suis à la
hâte
T. [Turin] ce 25 avril 1804
Votre très humble Serviteur et A.C.
L. (timbro postale triangolare Firenze 18)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
sul ponte alla Carraia
Florence
C2,165:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
23 maggio 1804
Predicato con frutto un corso di Esercizi a giovani preti – Un pacco di libri arrivato aperto – Gli abbonamenti all'Ape
Originale in AOMV, S. 5,2,4:189 (S. 1,17,25a:1510)
C2,165:T1
Pregiat.mo Sig. Priore ed A.C.
Torino li 23 maggio 1804
Ho ricevuto di quest'oggi una sua del 7 corrente, né potrei esprimerle quanto mi siano sempre
gratissimi i suoi caratteri, né voglio lasciar partire questo corriere senza due linee almeno di
risposta.
Sono giunto poco fa dal dare con somma mia consolazione i S. Esercizi a giovani Ecclesiastici, ed
ho trovato al mio ritorno il plico dei libri che si è compiaciuto di trasmettermi, ma con mia
grandissima sorpresa ho trovato il plico aperto, per essere stato visitato alla Dogana, e senza i mss.
degli utili*1, e delle aggiunte al Catalogo, giusta il suo avviso. Scriverò ancora a Mil. [Milano]
all'Ab. Rivapalazzi qualora egli li avesse ritirati, perché vivamente mi rincrescerebbe che si fossero
smarriti, siccome le lettere di V. [Virginio] che finora non ho mai ricevute, tanto più che questo
potrebbe avere conseguenze, il che spero in Dio che non sarà mai; inoltre ho ricevuto 9 copie del n.
6, e del n. 7, e 4 copie soltanto del n. 8, onde M.Z. [Zei] non si stupisca, e non mi sgridi se non
posso procurargli dei nuovi sottoscriventi. In quanto poi ai numeri antecedenti io non ne ho neppure
una copia per un associato, avendo lasciata perfino la mia copia a Mil. [Milano] dove era desiderata.
Ho pure ricevuto 4 copie dell'orazione funebre di Pio VI, ma senza saperne il prezzo per esitarle.
Finalmente oltre i miei libri che le avevo consegnato, ho ricevuto le opere del Marchetti, tre copie di
ciascuna opera, e qualche volume di Novaes, Storia dei Pontefici*2, senza saperne il mio debito per
rimborsarla.
Scusi Signor Priore questi minuti dettagli, che ho creduto opportuni. La prego di significare a M.Z.
che quanto prima spero di spedirgli i suoi libri, ma dovendo dipendere anche io da altri, conviene
che anche egli abbia meco pazienza; lo riverisca distintamente da parte mia in un con la sua Sig.ra
consorte.
C2,165:T2
Sono sempre ben incerto sulla possibilità del mio viaggio per quest'anno, ne scriverò a V. per
meglio delucidare la cosa, e così conoscere, e poter eseguire la santa volontà di Dio, che è quella
sola che voglio. Preghi dunque perché il Signore si compiaccia illuminarci.
Frattanto io le desidero ogni vero bene, e mi consolo al vederlo sempre più impegnato per la gloria
di Dio, non essendovi al mondo scopo più grande di questo, né più consolante; e senza più con
particolarissima stima, affetto, e riconoscenza, mi protesto in fretta
Di V.S. Ill.ma
Torino li 29 maggio 1804
P.B.L.
(timbro postale di TORINO e di FIRENZE)
A S.E. l'Ill.mo Sig.r Marchese Leopoldo Ricasoli
Priore dell'Ordine di Santo Stefano
sul ponte alla Carraia
Firenze
C2,165:*1
Gli “Utili” erano appunti stesi dal Lanteri durante il suo soggiorno a Montepulciano per la
costituzione dell'Amicizia Sacerdotale.
C2,165:*2
G. de Novaes, Elementi della storia de' Sommi Pontefici da S. Pietro sino al felicemente regnante
Papa Pio VII, voll. 16, Roma 1822.
C2,166:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
26 giugno 1804
Stato di salute precario – Rimandato il viaggio in Toscana – Non ancora giunta la lettera di Virginio
Originale in AOMV, S. 5,2,4:190 (S. 1,17,25a:1511)
C2,166:T
Monsieur, et très cher A.C.
Sono in grandissima pena, perché è dalla metà del mese di maggio che non ebbi più la consolazione
di ricevere dei suoi pregiatissimi caratteri; spero che questo non verrà a mancanza di salute, il che
mi sarebbe all'estremo sensibile, mi permetta che non cessi, a questo riguardo, di raccomandarle
cura seria della salute, rimettendo, particolarmente ad altri, parte delle sue occupazioni, per godere
almeno fra la settimana qualche momento di pace, altrimenti l'arco sempre teso alfine si rompe.
Sappia che l'A.C. [Amicizia Cristiana] ha sommo bisogno del suo personaggio, onde la maggior
Gloria di Dio esige questa stessa cura della sua salute. Mi accuso poi anch'io di aver lasciato passare
lungo tempo senza scriverle, ma mi fu veramente come impossibile, tanto più che ho voluto
profittare di alcuni giorni ancora per fare i miei S. Esercizi, i quali peraltro mi riuscirono non troppo
bene, perché la mia sanità non è troppo in ottimo stato; e questo è pure il motivo, oltre parecchi altri
fortissimi, per cui non mi arrischierei di intraprendere nuovamente questa estate il viaggio della
Toscana. Sia però persuaso che questa mia determinazione veramente mi costa, ed è per me un vero
sacrificio l'effettuarla, ma credo di aver conosciuto la volontà di Dio a questo riguardo, perché
grazie a Dio io non voglio altra mira.
Ho poi ricevuto dall'Ab. Rivapalazzi il ms. degli utili con l'ultimo vol. della Storia de' Pontefici, ma
l'aggiunta al Catalogo, e la lettera di V. [Virginio] finora non l'ho ricevuta, ma c'è la provvidenza di
Dio, mi fido di essa: vorrei scrivere a V., ma non ho tempo, mi riserbo ad altro ordinario.
La prego di far gradire i miei più distinti rispetti in casa Z. [Zei], gli dica che i libri sono spediti, ma
i conti non li ho ancora potuti avere dal libraio, né cesso di sollecitarlo importune opportune. E con
particolare rispetto, e considerazione le sono
Di V.S. Ill.ma
T. [Torino] li 26 giugno 1804
Dev.mo Obb.mo Serv.e ed A.C.
L.
(timbro postale di Torino e di Firenze)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
sul ponte alla Carraia
Florence
C2,168:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
4 settembre 1804
La nuova carica a corte deve servire alla gloria di Dio – Bellezza di attendere agli Esercizi spirituali – La malattia del
Dott. Bucelli – Irregolarità negli arrivi dell'“Ape”
Originale in AOMV, S. 5,2,4:191 (S. 1,17,25a:1512)
C2,168:I
Pubblicata in Esperienza, 93-94.
C2,168:T1
Ill.mo Sig.r Pron. Col.mo ed A.C. Dil.mo
V.J. [Vive Jésus]
Vivamente mi congratulo seco lei della nuova e graziosissima occupazione che le fu data in Corte
presso il piccolo Re, tanto più che con questa occasione ella si trova maggiormente in opportunità di
fare del bene, massime con i libri. Oh quanto grandiosa cosa è, e consolante servire da strumento
per glorificare Dio! E tanto più ne diverrà strumento abile, quanto più si terrà unito a Dio per mezzo
massime degli esercizi di pietà nell'Amicizia Cristiana suggeritici, come sono l'orazione e lettura
spirituale unitamente alla frequenza dei Santi Sacramenti. Oh quanto bramerei avere qualche
contezza di questi santi esercizi da lei praticati! Quale contentezza proverei, se volesse compiacersi
di soddisfare alcune volte questi miei desideri! Delle belle volte io mi trovo in spirito alla sua Villa
di Fiesole, sommamente rincrescendomi di non aver potuto rinnovare quest'anno simile partita, non
essendovi al mondo cosa così interessante quanto il poter passare tranquillamente alcuni giorni
unicamente occupati dai grandi oggetti: Dio, Anima, Eternità. Speravo, e me ne faceva già un
grande piacere, di poter dare agli Ecclesiastici nel mese scorso un'altra muta di esercizi, ma la mia
sanità non me l'ha permesso; pazienza, la volontà di Dio è prima di tutto, seppure non sono io che
l'ho impedito per i miei mancamenti.
C2,168:T2
Quanto mi è rincresciuto il sentire che il Sig. D.r Bucelli sia stato nuovamente assalito dal solito
incomodo! La prego di assicurarlo che non ho mancato di raccomandarlo, e farlo caldamente
raccomandare al Signore; io spero che il Signore ci farà questa grazia di lasciarcelo ancora per
molto tempo, e V.S. Ill.ma mi procurerebbe un singolare favore, se volesse graziarmi delle sue
nuove.
Ho sentito che il M.se e la Sig.ra M.sa Z. [Zei] hanno profittato non poco dei bagni, me ne sono
compiaciuto di cuore, e ne ho ringraziato il Signore; ho loro scritto qualche settimana fa, non so se
abbiano ricevuto le mie lettere. Mi rincresce che non ho ricevuto più alcun numero del suo giornale,
l'ultimo che ricevetti è il n. IX cioè d'aprile.
La prego dei miei più umili ossequi alla degnissima di lei consorte ed al Riverit.mo Sig. Giuseppe
Tanfani; non voglia dimenticarsi di me nelle sue sante orazioni, e con la maggior stima e sincera
riconoscenza mi protesto,
Di V.S. Ill.ma
Torino li 4 settembre 1804
Umil.mo Dev.mo Serv. ed A.C.
L.
[timbro postale di Torino e di Firenze]
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
Florence
C2,169:S
Lanteri al Cavaliere Pietro Leopoldo Ricasoli
28 novembre 1804
Avvertimenti di direzione spirituale – Evitare lo scoraggiamento – L'Amicizia Sacerdotale di Firenze.
Originale in AOMV, S. 5,2,4:192 (S. 1,17,25a:1513)
C2,169:I
Bella lettera di direzione spirituale che fa vedere il grado di preghiera raggiunto da un semplice laico, e, in parte, anche
il fervore dei collaboratori e delle collaboratrici delle Amicizie fiorentine. Lettera interessante anche per le diverse
notizie che contiene in riferimento all'attività di Firenze.
C2,169:T1
28 novembre 1804
Turin ce 28 novembre 1804
Monsieur, et très cher Ami Chrétien en Jésus-Christ
V.J.
Quanto mi furono consolanti i pregiatissimi di Lei caratteri, dei quali con molto mio rammarico da
sì gran tempo ne andavo privo! Io la ringrazio vivamente, perché con essi ella mi tolse da non
piccola pena. Perdoni se le rispondo un po' tardi, perché non è guari che ho ricevuto la stimatissima
sua, e oltre di ciò qualche occupazione straordinaria mi tolse pure tutto il tempo. Sia eternamente
benedetto il Signore delle grazie speciali che si degna tuttora di compartirle. Oh se potessimo ben
comprendere quanto prezioso sia lo stato di grazia, quali sacrifici non faremmo, e quali vittorie
sopra di noi non saremmo pronti a riportare, per conservarci in un tale stato? Io non potrò mai per
questo abbastanza raccomandarle la meditazione quotidiana delle massime sante di nostra
Religione, ma fatta con vero impegno e con affetto, e proseguita con una santa ostinazione, e
sempre, per quanto si può, in una data ora fissa del giorno*1.
Gioverà poi molto a facilitarle un tale esercizio la lettura spirituale fatta ogni giorno tranquillamente
sopra i libri scelti di pietà.
Massimamente poi sarà sicuro di conservarsi in tale stato di grazia di Dio, finché non lascerà di
accostarsi ogni settimana, e più sovente ancora se fa d'uopo, ai santi Sacramenti, che sono i canali
per i quali il Signore degna di comunicarci particolarmente le sue grazie, delle quali soprattutto
bisogniamo.
Godo sommamente, e ne ringrazio di cuore Iddio, di trovarla con tali disposizioni e con così ferme
risoluzioni, né lascerò certamente passare giorno senza averla particolarmente presente all'altare, e
pregarle dal Signore la santa perseveranza.
C2,169:T2
Soprattutto, poi, le raccomando quanto so e posso di guardarsi dallo scoraggiamento, turbazione e
tristezza, onde sia una continua occupazione l'attendere a tranquillizzare il suo povero cuore, ed
incoraggiarlo, e sempre servire Dio con santa allegria; e due siano sempre i suoi proponimenti, che
consiglio di rinnovare sovente con santa ostinazione: 1o di non mai offendere Dio con avvertenza,
2o se accade di commettere qualche mancamento, non mai perseverare con la volontà in esso, ma
subito rialzarsi umile e coraggioso per incominciare di nuovo, persuaso veramente di essere
perdonato da Dio nell'istante che con umiltà e fiducia gliene chiede perdono.
Io non dubito che il Signore Iddio, il quale l'ha già così prevenuto con singolari grazie, continuerà a
benedirlo, perché possa sempre più adoperarsi per promuoverne la sua maggior gloria.
Ho ricevuto dalla Sig.ra M.sa Bianzé suocera del Sig. M.Z. [Marchese Zei] 8 zecchini con mezzo
scudo di Francia, ne ringrazio sia lei che M.Z. e ne ho già riscontrato V. [Virginio]. Ho pure
ricevuto, solo pochi giorni sono, 10 copie del mese d'agosto, mi rincresce che non ho finora che tre
associati, stentando di trovarne altri, atteso che d. [diversi] numeri ci giungono così tardi, e così
irregolarmente, oltre di ciò non ho peranco potuto sapere dall'ab. Rivapalazzi l'importare del porto
fino a Milano per fissarne il prezzo agli associati, il quale viene già ad essere quasi duplicato solo
per il porto da Milano fin quì*2.
C2,169:T3
Oh quanto bramerei
Oh quanto bramerei avere un soggetto come mi chiede per mandarglielo; vi è pure V. [Virginio] che
ha il coraggio di chiedermene due alla volta, mentre noi scarseggiamo quì piucchemai di simili
soggetti, e purtroppo si vede che tale scarsità diverrà sempre più grande, attesa la coscrizione di
tutta la gioventù per il militare, e le pessime massime d'irreligione che sempre più si propagano;
almeno dei tre quarti dei soggetti sono già attualmente diminuite le ordinazioni del nostro
Arcivescovo.
Quanto mi è sensibile l'intendere di trovarsi la sua Biblioteca così ben provvista, e così deserta. Ma
come andò che l'A.S. [Amicizia Sacerdotale] finì così presto? Io la prego della grazia di chiederne
dei rischiarimenti dal Sig. D.B. [Dottor Bucelli], cui porgo i miei più distinti rispetti, e seco lui mi
congratulo della sua sufficiente salute, né lascio di raccomandarlo caldamente al Signore perché ce
lo conservi, e lo colmi di benedizioni.
Ho piacere che si sia tradotto il Picquigny, che è eccellente, e quando si presentasse l'occasione
pregherei M.Z. di mandarmene alcune copie, sperando di esitarle subito, ma conviene saperne il
prezzo, altrimenti non posso fissarlo agli altri.
Mi rallegro del nuovo acquisto che sperano per l'A.C. [Amicizia Cristiana], bramerei solo che prima
di concludere, si rileggessero gli articoli relativi alle qualità che si desiderano in un A.C. [Amico
Cristiano]; la prego frattanto dei miei distinti rispetti a tutti, nominatamente al Sig. Giuseppe T.
[Tanfani]. Noi qui, le cose si andranno ad incominciare, perché finora alcuni erano tuttora in
villeggiatura.
C2,169:T4
Finisco per congratularmi vivamente secolei, con la degnissima Sua Sig.ra consorte del felice parto
di un figlio*3, si compiaccia presentarle i miei più umili ossequi, assicurandoli amendue di averli
sempre presenti nelle mie deboli preghiere, né di cessare di invocare per loro ogni celeste
benedizione. Coi più vivi sentimenti di stima, e considerazione mi protesto
Monsieur et très Cher A.C. [Ami Chrétien] en Jésus-Christ
Umil.mo ed Obbl.mo Servitore ed A.C.
P.B.L.
P.S. Ho avuto la consolazione di baciare i piedi a S.S. [Santità], il quale si dimostrò ben soddisfatto
della pietà che riscontrò in questo popolo; ho cercato di parlare a Mons. Menochio, ma non mi è
riuscito, perché partì subito*4; mi si disse che vi era pure al seguito di S.S. l'Ab. Marchetti, ma non
l'ho saputo che dopo la loro partenza, e ancora non sono certo se veramente vi fosse.
(timbro postale lineare FIRENZE – TORINO)
À S. Excellence
Le Marquis Léopolde Ricasoli Zanchini
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
En son hôtel sul ponte alla Carraia
Florence
C2,169:*1
“Santa ostinazione” nell'osservare il metodo d'orazione: notare l'insistenza con cui il Lanteri – qui
come spesse altre volte altrove – ribadisce questo punto tanto importante dell'ascetica cristiana
basata in gran parte sulla costanza e sulla fedeltà ai propositi una volta formulati.
C2,169:*2
In queste righe si accenna a una delle più gravi difficoltà incontrate dall'Ape, cioè la sua diffusione e
consegna regolare agli abbonati, che sarà una delle cause principali della cessazione delle
pubblicazioni (avvenuta un anno dopo questa lettera, il 31 luglio 1806).
C2,169:*3
Il nuovo nato della famiglia Ricasoli è Alessandro, il quale dopo aver tentato di entrare nella
Compagnia di Gesù, dove l'aveva preceduto il fratello Luigi, e dopo essere arrivato quasi alla vigilia
della professione, ne uscì, divenne sacerdote diocesano e canonico della cattedrale metropolitana di
Firenze.
C2,169:*4
Su Mons. Giuseppe Bartolomeo Menochio, agostiniano, vedi sotto (n. 178) Lanteri a un religioso
sconosciuto.
C2,172:S
Lanteri a un padre dell'Oratorio di San Filippo
1804
Invito ai Padri dell'Oratorio di Torino a prendere una parrocchia in Cuneo – Condizioni favorevoli alla nuova
fondazione – Necessità spirituali della città
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:22
C2,172:I
Il destinatario della lettera – che non sappiamo se sia stata effettivamente spedita – deve essere il provinciale
dell'Oratorio che risiedeva a Torino, chiesa di San Filippo (il cui archivio però nulla conserva in merito alla questione
qui trattata).
La cronologia è indicata dal cenno a Mons. Corte, vescovo di Mondovì (da cui per allora dipendeva la città di Cuneo),
ancora in vita, morto nel 1804: la lettera è stata scritta prima di quella data.
Sull'interessamento del Lanteri per portare a Cuneo una comunità di Padri dell'Oratorio – verso i quali dimostrò sempre
una grande simpatia e affezione – e in riferimento a questa lettera, scrive il Gastaldi: “Volle pure con gran cuore
provvedere la città di Cuneo sua patria d'una famiglia di quei santi sacerdoti che sono i Padri dell'Oratorio di San
Filippo, e le cose erano avviate assai bene, ma o fosse nequizia dei tempi o qualunque altra causa, quest'opera di tanto
vantaggio alle anime non sortì il suo effetto, quantunque i buoni gliene avessero ogni riconoscenza ed egli ogni merito
innanzi a Dio per cui unicamente operava” (Gastaldi, 179).
C2,172:T1
1804
M.to Rev.do Padre in Cristo Car.mo
Saprà V.R. che in questa Città vi sono tre Parroci*1, uno di questi ha annesso il titolo e beneficio
d'Arcipretura, che forma la seconda dignità della Collegiata che abbiamo in Cuneo*2; questi è da
grande tempo, fin da quando viveva ancora Mons. Casati*3, che cercò, e tentò in ogni maniera di
rinunciare alla sua Parocchia mediante però un'annua pensione per sé, ma non gli fu mai concesso.
Si dice, che tenti di nuovo presentemente la stessa sorte questo stesso nostro Vescovo Mons.
Corte*4, ma credo sempre indarno, ed è probabile*5 che se alcuno potesse ottenergli tale servizio, non
potrebbe recargli maggior piacere: non ha che San Filippo che possa contentarlo meglio di tutti, con
discapito bensì del Demonio, ma questo non importa, ed eccone la maniera.
La Parrocchia ha di reddito annuo in tutto L. 6.000, tolta l'Arcipretura, la quale è benissimo
separabile, restano ancora L. 4.000. Ora una Congregazione di San Filippo si assuma la cura di
questa Parrocchia, ne smembri l'Arcipretura (giacché i Filippini non sanno che fare della cappa da
Canonico), si lasci detta Arcipretura al suddetto Parroco*6; è certo che resta questi contento, più che
non possa essere accontentato da qualunque altro che voglia accettare la sua rinuncia, e nonostante
restino ancora alla Congregazione L. 4.000 reddito conveniente per il suo sostentamento, come ella
ben vede, oltre altre cose etc.
Aggiunga poi un'altra notizia che ho avuta, ed è che anni sono, in varie famiglie (sulla speranza di
tale fondazione) si sono lasciati dei legati per la Congregazione di San Filippo, caso che venisse
questa con il tempo ad erigersi; io non saprei per ora individuarglieli tutti codesti legati, né per
conseguenza posso indicarle a cosa ascenderanno, ma con il tempo (massime esistendo poi già detta
Congregazione) non sarà difficile rischiarirsi di tutto. (N.B.) Aggiunga ancora che anche
presentemente vi è un Religioso di tutto merito, cui stanno a cuore più che mai i vantaggi spirituali
di questa Città, il quale mi ha confidato di voler lasciare nel suo testamento L. 5.000 alla
Congregazione di San Filippo, se si trovava eretta in capo di cinque anni; in difetto detta somma
sarebbe passata all'Ospedale della Carità.
C2,172:T2
Quanto ho avanzato
Quanto ho avanzato sin quì, M.to Rev.do Padre, io lo so di certa scienza, e lei stessa potrà sempre
più accertarsene, quando nuovamente avremo l'onore di rivederla. Vede dunque V.R. se si possono
desiderare migliori apparecchi per lo stabilimento di una sua Congregazione in questa Città. Certo
che San Filippo non avrà sempre avuto simili bocconi, e si sarebbe fatto scrupolo di lasciare
sfuggire un'occasione sì propizia di procurare un tanto bene a questa Città. Ben comprendo che
nonostante si incontreranno difficoltà ed imbrogli, e il Demonio farà di tutto per impedirne
l'esecuzione, ma l'affare è in buone mani, e in mano di chi sa ridersi di tutti gli sforzi di quel nostro
nemico capitale.
Credo che V.R. sia già persuasa della necessità di una Congregazione in questa Città, ma io vorrei
che quando ella passa per queste parti, si trattenesse quivi d'avvantaggio, per persuadersene
maggiormente; ella sentirebbe nelle famiglie (parlo di quelle ben regolate, non delle altre) che vi va
di tutto, perché riesca loro di accostarsi di quando in quando ai Sacramenti, sentirebbe fin sotto i
portici della piazza delle doglianze delle rivenditrici, che non sanno ormai più dove andare per
confessarsi*7. Ma è omai tempo che la finisca. V.R. ha zelo grande per la gloria di Dio, capisce il
bisogno di questa popolatissima Città*8, comprende il bene che può recarvi una Congregazione di
San Filippo, a lei non è difficile trovare soggetti idonei alla cura di questa Parrocchia, e sono certo
che lei si adopera efficacemente per questo, secondo lo spirito di S. Filippo, onde spero nella divina
Provvidenza l'effettuazione dei miei voti.
Intanto non tralascio di porgere all'Altissimo continue suppliche, perché illumini V.R., e ne
benedica l'impresa, temendo frattanto che l'aria stessa venga a risapere queste cose, essendo
persuaso che l'anima di questi affari è la stessa segretezza…
C2,172:*1
Da dopo il medioevo fino al secolo XIX in Cuneo si avevano tre parrocchie, quella di Santa Maria
del Bosco, l'arcipretale di cui parla la lettera, quella di Sant'Ambrogio e quella di Santa Maria della
Pieve, dove era stato battezzato il P. Lanteri e dove aveva sempre abitato la sua famiglia: la chiesa
di Santa Maria sorgeva originariamente in prossimità delle mura verso sud, e poco dopo il 1773
(anno della soppressione dei gesuiti) fu trasportata nella attuale chiesa, poco distante dalla prima,
annessa al collegio che i gesuiti avevano a Cuneo.
C2,172:*2
All'arcipretura di Santa Maria del Bosco era annessa una collegiata (di qui il titolo di arciprete dato
al parroco): ora è la chiesa cattedrale di Cuneo, a cui è annesso un capitolo di canonici. Cuneo, fino
allora dipendente dalla diocesi di Mondovì, fu eretta in diocesi autonoma da Pio VII con decreto del
17 luglio 1817. Primo vescovo fu il cuneese Giuseppe Amedeo Bruno di Samone (1757-1838) (HC,
VII, 271; M. Bessone, Nel centenario della morte del can. Giovanni Manassero, Cuneo 1935; Id., Il
Passaggio di Pio VII a Cuneo, ivi 1937).
C2,172:*3
Casati Michele Carlo Giacinto, figlio di Paolo e di Margherita Visconti, n. a Milano il 28 ottobre
1699, entrò nella Congregazione dei Chierici Regolari Teatini, fu ordinato sacerdote da Mons.
Marco Gradenigo vescovo di Verona il 18 dicembre 1723, fu per 14 anni lettore di filosofia e di
teologia nelle case del suo Ordine, per 15 anni professore delle stesse materie all'università di
Torino, direttore spirituale delle regie scuole. Promosso alla sede di Mondovì il 7 aprile 1754, morì
in sede il 7 febbraio 1782 (P. B. Gams, II, 819). È generalmente giudicato un ottimo vescovo dal
punto di vista dell'ortodossia e della pastorale.
C2,172:*4
Mons. Giuseppe Maria Corte, successo al Casati, morì nel 1804. Gli successe G.B. Pio Vitale,
traslato da Alba, che fece l'ingresso il 1o febbraio 1805 e morì in sede l'11 maggio 1821 (HC, VII,
271).
C2,172:*5
Nel testo è stato cancellato “certo” e sostituito con “probabile”.
C2,172:*6
I filippini dovevano, secondo il progetto del Lanteri, assumere la sola parrocchia di Santa Maria del
Bosco: il titolo di arciprete sarebbe rimasto al parroco dimissionario.
C2,172:*7
Abbiamo qui un accenno al rigorismo giansenista che si faceva sentire anche a Cuneo.
C2,172:*8
La “popolatissima città” di Cuneo non doveva nel 1800 superare la decina di migliaia di abitanti, se
Goffredo Casalis, nel suo Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il
Re di Sardegna, vol. V, stampato a Torino nel 1859 dice che “gli abitanti della città (di Cuneo)
assommano a 9.500 circa non compreso il presidio” (ivi p. 725). Nel censimento del 1961 gli
abitanti di Cuneo risultarono di 50.380: in poco più di un secolo erano aumentati cinque volte
(Calendario-atlante De Agostini 1967, p. 65).
C2,175:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
23 aprile 1805
Ristampa del panegirico di S. Pietro del De Neuville da presentare a Pio VII tramite Mons. Menochio
Originale in AOMV, S. 5,2,4:193 (S. 1,17,25a:1514)
C2,175:I
Pubblicata in Positio, 110.
Come si è visto nella lettera del Lanteri al Ricasoli del 28 novembre 1804, egli in occasione del passaggio per Torino di
Pio VII recantesi a Parigi per l'incoronazione di Napoleone, aveva avuto la felicità e “la consolazione di baciare i piedi
di Sua Santità il quale si dimostrò ben soddisfatto della pietà che riscontrò in questo popolo”. Dalla presente lettera,
scritta alla vigilia dell'entrata in Torino del Pontefice che tornava dalla Francia, apprendiamo che l'Amicizia di Torino
fece tradurre e divulgare un opuscolo del gesuita De Neuville per risvegliare negli animi sentimenti di amore e di
rispetto per il Papa.
C2,175:T
Monsieur et très cher A.C.
Avendo alcuni dei nostri Amici in prova del loro sincero attaccamento verso la S.S. [Santità]
all'occasione del suo ritorno da Parigi trovato opportuno far tradurre, e ristampare la seconda parte
del Panegirico di Neuville sulla Cattedra di S. Pietro*1, per risvegliare negli animi altrui gli stessi
sentimenti di rispetto e sottomissione, si è pure pensato essere cosa ben fatta il presentarne alcune
copie a Mons. Menochio*2, e per mezzo suo ancora procurarne a V.S. Ill.ma pochi esemplari. Si è
giudicato profittare di questa occasione, perché potesse più facilmente V.S. in un con M.Z.
[Marchese Zei] abboccarsi col medesimo e trattare seco lui confidentemente del nostro affare, ove
l'opportunità si presenti, e la prudenza lo consigli. Non ho tempo di più, mi riserbo di scrivere più a
lungo in altra occasione, mentre con particolare stima e considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma
Torino li 23 aprile 1805
Umil.mo Obl.mo ed Aff.mo Serv.
ed A.C. P.B.L.
P.S. Ci è riuscito di parlare del nostro affare a Mons. Menochio che parve gustare moltissimo, spero
mi riuscirà di fargli presentare a S.S. [Santità] una supplica per tale effetto*3. Voglia Iddio benedirci.
À Son Excellence
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,175:*1
De Neuville Charles Frey, S.J. (1693-1774), era predicatore di corte. I suoi Sermons in 8 voll.
furono pubblicati postumi nel 1778, tradotti in diverse lingue. In italiano abbiamo i Quaresimali di
Carlo Frey de Neuville, 2 voll., Venezia 1793, Panegirici e orazioni funebri, ivi 1774. L'opuscolo a
cui si allude in questa lettera è il Panegirico sulla cattedra di S. Pietro (solo la seconda parte).
C2,175:*2
Giuseppe Bartolomeo Menochio, agostiniano, n. a Carmagnola (Torino) il 10 marzo 1741, m. a
Roma il 25 marzo 1823, Servo di Dio. Vescovo ausiliare di Reggio Emilia nel 1796, poi confessore
e sacrista di Pio VII.
C2,175:*3
Il Lanteri parla di un “nostro affare” trattato col Menochio. Non è facile determinare la natura di
questo affare. Forse si può pensare alla concessione dell'indulgenza plenaria agli Amici: indulgenza
che venne poi concessa verbalmente nel 1809 e confermata con regolare rescritto il 20 luglio 1814
(Positio, 110).
C2,177:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
3 settembre 1805
Difficoltà burocratiche al già progettato viaggio a Vienna – Si potrà effettuare forse più tardi
Originale in AOMV, S. 5,2,4:194 (S. 1,17,25a:1515)
C2,177:I
Il biglietto si presenta senza indirizzo, ma deve essere stato indirizzato evidentemente al Ricasoli, non al Penkler come
qualcuno ha pensato. Il biglietto è scritto in italiano, non in francese, e il Lanteri corrispondeva col Penkler sempre in
francese. Con tutta probabilità era un biglietto di accompagnamento di altre lettere o pacchi da inoltrare, attraverso
Firenze, a Vienna, al Virginio o al Penkler.
C2,177:T
Turin ce 3 septembre 1805
Monsieur et très C. [Cher] A.C. [Ami Chrétien]
Con vivissimo mio rincrescimento, e con tutta mia sorpresa mi furono fatte gravissime difficoltà per
il passaporto, avrei avuto bisogno di notificare per mezzo del Notaio e testimoni le ragioni che
avevo di intraprendere il mio viaggio*1 (cosa però che poco mi importava di eseguire), ma anche ciò
posto, non sarei stato così certo di ottenerlo, o almeno per così presto, e inoltre questo indicava le
vessazioni che avrei avuto per strada con pericolo anche di non poter oltrepassare i confini, come
mi si disse essere già arrivato ad altri anche ben muniti di passaporto, di più questo mi faceva molto
temere per il mio ritorno, perché giusta l'esito della guerra, avrei potuto trovare ostacoli gravissimi,
onde non essendo io molto agguerrito a simili difficoltà, ho dovuto rinunciare con mio rammarico
ad una consolazione che mi sarebbe stata sensibilissima, come è quella di rivedere costì gli Amici,
ed abbracciare V. [Virginio] che forse non rivedrò mai più*2, seppure maggiori ostacoli ancora dei
miei non hanno anche a lui attraversato il cammino; ad ogni modo io la supplico del favore di
consegnargli, o trasmettergli la qui acclusa. Può essere che a tempo più opportuno si potrà eseguire
un tale progetto, frattanto con la maggior considerazione e riconoscenza ho l'onore di protestarmi
Di V.S. Ill.ma
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Serv. ed A.C.
P.B.L.
C2,177:*1
Il viaggio del Lanteri a Vienna era stato ripetutamente sollecitato dal Penkler, e in linea di massima
era stato accettato dal Lanteri: viaggio la cui urgenza si manifesterà ancora di più dopo la morte del
Virginio, anche per recuperare i manoscritti del Diessbach che apparivano al Lanteri molto
importanti e preziosi, ma che tuttavia, per nostra disgrazia e con grande rincrescimento dello stesso
Lanteri, non sarà mai effettuato.
C2,177:*2
Quando il Lanteri fosse arrivato a Vienna non vi avrebbe più trovato l'amico di lunghi anni, perché
il Virginio era morto a Vienna sulla fine del dicembre 1805 per malattia contratta curando i soldati
feriti (Positio, 82-83).
C2,178:S
Lanteri a un religioso sconosciuto
1805
Ringraziamenti per l'accoglienza passata – Domanda la benedizione del Santo Padre – E la mediazione per ottenere un
altro favore dal Papa Pio VII
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:48c
C2,178:I1
L'identificazione di questo documento – la minuta di una lettera scritta dal Lanteri in calligrafia fittissima, con molte
correzioni e richiami marginali – è stata molto laboriosa. Una nota d'archivio, evidentemente molto affrettata, la indica
come indirizzata al Lambruschini verso il 1826. Ma diversi dati interni fanno concludere diversamente: a) La lettera
parla dell'Amicizia Cristiana, quindi non può essere posteriore al 1815; b) Il destinatario non è mai chiamato
“Eccellenza Reverendissima”, quindi non deve essere il Lambruschini; c) Piuttosto viene chiamato “Vostra Paternità”,
il che indica un religioso, e per di più piemontese, che per lo meno è stato a Torino e da Torino si reca – o si è recato – a
Roma passando per Firenze; d) Tale religioso è molto vicino al Papa, al quale è pregato di presentare una supplica e
altre carte non determinate; e) Tale personaggio è forse Mons. Giuseppe Bartolomeo Menochio, agostiniano,
piemontese di Carmagnola e ben noto al Lanteri, che più tardi fu confessore e sacrista di Pio VII. Il fatto che il
Menochio sia stato vescovo non dovrebbe ovviare questa ipotesi: egli era anche religioso, e il Lanteri lo conosce come
religioso.
C2,178:I2
Giuseppe Bartolomeo Menochio, n. a Carmagnola (Torino) il 10 marzo, m. a Roma il 25 marzo 1823, agostiniano della
provincia ligure, fu fatto vescovo ausiliare di Reggio Emilia nel 1796, nel 1800 confessore e sacrista di Pio VII e
vescovo titolare di Porfirio. Pubblicò cinque novene per le feste principali della Madonna. Visse e morì in concetto di
santità. Il processo informativo iniziò nel 1845 e la causa fu portata a Roma nel 1871 (T. Chiuso, III, 113; G. Lanteri,
Postrema sæcula sex Religionis Augustinianæ, III, Roma 1860, 287 ss.; G. B. Menochio, Diari e Lettere, a cura di D.
Trapp, O.S.A., e G.L. Masetti-Zannini, 6 voll., Roma 1968-1969-1970; Testimonianze dei contemporanei su G.B.
Menochio, O.S.A. (1741-1823), a cura di Carlos Alonso, O.S.A., ivi 1972).
Della conoscenza del Lanteri col Menochio abbiamo una testimonianza certa nella lettera scritta dal Lanteri al Ricasoli
in data 28 novembre 1804 in cui comunica che in occasione del passaggio di Pio VII a Torino recandosi a Parigi per
incoronare Napoleone, aveva avuto “la consolazione di baciare i piedi di S. Santità il quale si dimostrò ben soddisfatto
della pietà che riscontrò in questo popolo”; e in un'altra lettera allo stesso del 23 aprile 1805 che parla della proposta
fatta da alcuni Amici “di far tradurre e ristampare la 2a parte del Panegirico del Neuville sulla Cattedra di S. Pietro e
presentarne alcune copie a Mons. Menochio… Si è giudicato profittare di questa occasione… e trattare seco lui
confidenzialmente del nostro affare, ove l'opportunità si presenti e la prudenza lo consigli”.
C2,178:T
Sempre memori e vivamente riconoscenti della bontà onde V.P.R. [Vostra Paternità Reverenda]
volle accoglierci, ed ultimamente riguardo ai libri, gradire le nostre visite confidatele, osiamo ora
presentarle le stesse carte relative a tale oggetto che abbiamo avuto allora l'onore di comunicarle [in
casa dell'Ill.ma Sig.ra C.sa Mathis*1], e umilmente la supplichiamo della grazia di volerci presentare
tutti ai piedi del V. [Vicario] di Gesù Cristo per avere la sua benedizione, e procurarci inoltre dal
medesimo un qualunque segno di approvazione, essendo questa l'unica cosa che ci facciamo lecito
di bramare di vivo cuore dopo la pura gloria di Dio, che ci siamo prefissi; tanto più che siamo certi
che questo sommamente contribuirà ad animare gli Amici nel proseguire con maggior piacere la
nota impresa.
Non dubitiamo dunque di una tale grazia per mezzo suo, e mediazione sua presso M. [Maria] V. e
presso il S.P. [Padre]. Siamo così felici, come non ne dubiteremo, di una tale grazia, ma se vi
frappone ancora la sua mediazione verso M.V.
È supplicata V.S., se non è possibile rimetterci subito la carta prima di partire, di compiacersi di
consegnarla in Fir. [Firenze] al S. [Signor] P. [Priore] M.se Ricasoli, e se neppure questo le
riuscisse, la preghiamo di avere la bontà di parteciparmi per lettera la risposta da Roma con
l'indirizzo al Teol. Pio Bruno Lanteri senza trasmetterci ad un tempo le carte, quali brameremmo
fossero bruciate per i rischi che potrebbero correre*2.
Più di tutto poi, osiamo raccomandare noi e il nostro affare alle sue ferventi preghiere verso Maria
Ss. in cui tutto confidiamo, e baciando riverentemente le mani, imploriamo tutti la sua benedizione,
e con tutta la più umile venerazione abbiamo [l'onore di…]
C2,178:*1
Cancellato nel testo.
C2,178:*2
Non sappiamo di quali carte si tratti, forse di documenti dell'Amicizia, che essendo una società
segreta, il Lanteri non desiderava che cadessero in mano di estranei.
C2,180:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
14 febbraio 1806
Morte di don Luigi Virginio a Vienna – Ricerca degli amici ed eredi per riaverne i ricordi e gli scritti del P. Diessbach –
Note di direzione spirituale
Originale in Archivio Ricasoli Firidolfi, Firenze. Copia in AOMV, S. 2,16,9:375, fotocopia in S. 6,7,5:0.
C2,180:I
Pubblicata in Positio, 111-112.
È una commossa rievocazione del Virginio, compatriota e compagno di ideali e di attività fin dagli anni della gioventù.
Il marchese Ricasoli, fino allora diretto spiritualmente dal Virginio, e saltuariamente anche dal Lanteri, aveva chiesto al
Lanteri di prendere il posto del defunto: il Lanteri accetta l'invito e prende sotto di sé il figlio spirituale del suo grande e
indimenticabile amico.
C2,180:T1
Ill.mo Sig. Pr.e [Priore] ed A.C. [Amico Cristiano] in Gesù Cristo
Quanto inaspettata, altrettanto sensibile mi fu la nuova della perdita del più grande amico che avessi
mai avuto. O quanto ammiro e ringrazio la Divina Provvidenza di averne ancora potuto godere e
profittare quest'autunno scorso, sebbene per l'ultima volta, siccome mi faceva temere in parecchie
sue lettere, per obbligarmi a venire costì. Il solo pensiero che mi consola è che, siccome giova
moltissimo a chi è lontano dal centro e dalla Capitale l'avere colà persona fidata, e che si interessi
per promuovere i suoi affari privati e comuni, così sommamente pure ci gioverà dal cielo (ove
punto non dubito che già vi si trovi per godere il frutto dell'instancabile e insaziabile suo zelo per le
anime) e non lascerà di promuovere efficacemente i nostri interessi; ma frattanto sarà sempre vero
che la sua perdita lascia un grande vuoto nella vigna del Signore, ed in un tempo appunto in cui più
che mai bisognamo di simili operai.
Io attendevo da M.Z. [Marchese Zei: d'Azeglio] nuove più circostanziate della perdita di un sì caro
Amico (motivo per cui ho tardato alcuni giorni a rispondere alla pregiatissima sua) appunto giusta
quanto favoriva di annunciarmi V.S. Dil.ma, ma finora non l'ho ricevuta, ho per altro avuto qualche
notizia da Vienna dal B.P. [Barone Penkler] ma ancora molto scarsamente*1; bramerei instantemente
che mi partecipassero tutto ciò che hanno potuto saperne, e particolarmente chi erano i suoi amici
più intimi e confidenti, ai quali io possa indirizzarmi.
C2,180:T2
In quest'ordinario non ho tempo di più, soltanto le soggiungo che ho preso vivissima parte della
perdita che lei fece nel suo particolare. Mi rincresce che la sostituzione che vuole degnarsi di fare di
me al nostro comune amico non sia tale come merita, ma sicuramente mi farò sempre un piacere e
un dovere strettissimo di cooperare, sempre che potrò, al suo avanzamento spirituale*2. Frattanto io
le dirò che non ci trovo inconveniente alcuno che lei lasci la corte*3, anzi moltissimi vantaggi e suoi
privati e dell'A.C. [Amicizia Cristiana]; onde prego il Signore che il tutto benedica e faccia riuscire
a sua maggior gloria. I miei più distinti rispetti ai M.Z., Dott. B. [Bucelli], per tutti gli A.C., e
particolarmente alla M.lla R.*4 cui pure mi propongo di scrivere quanto prima, e con particolare
considerazione mi protesto di V.S. Ill.ma
Torino li 14 febbraio 1806
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Servitore A.C.
T. Pio Bruno L. À S. Excellence Monsieur le Marquis
Léopold Ricasoli, Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,180:*1
Sul barone Joseph Penkler, direttore dell'Amicizia di Vienna, v. le lettere di lui al Lanteri.
C2,180:*2
Luigi Virginio era direttore spirituale della famiglia Ricasoli ancora da quando il Ricasoli si trovava
a Vienna al seguito della corte del Granduca (1798-1800) e là aveva conosciuto personalmente i
diversi esponenti della locale Amicizia Cristiana fondata e diretta dal P. Diessbach.
C2,180:*3
Il Ricasoli era anche tra l'altro – come si legge nella testata dei suoi titoli – “Ciambellano di
S.A.I.R. il Gran Duca di Toscana”, e come tale doveva avere qualche ufficio particolare nella corte
di palazzo Pitti, residenza del Granduca, poco distante da casa sua.
C2,180:*4
Madamigella marchesa Luisa Rigogli, collaboratrice del Ricasoli.
C2,182:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
3 marzo 1806
Il Teol. Guala a Firenze per accompagnare un giovane al Collegio Tolomei di Siena
Originale in AOMV, S. 5,2,4:195 (S. 1,17,25a:1516)
C2,182:I
Pubblicata in Positio, 113.
Lettera importante per l'elogio che contiene del Guala, fedele collaboratore per molti anni del Lanteri.
C2,182:T
Monsieur et très Cher A.C. [Ami Chrétien]
J'espère vous envoyer une visite de ma part: c'est un ami intime d'A.C. [Amitié Chrétienne] du
pauvre V. [Virginio], et l'unique qui me reste dans ce moment après V. [Virginio] (c'est le
Théologien Guala*1). Je suis fâché qu'il ne pourra faire ici qu'une apparition, mais je l'ai cru bien
utile; vous pouvez lui confier votre cœur, c'est un jeune ecclésiastique, mais qui a le zèle et la
prudence d'un homme âgé. Le bien qu'il fait ici est inconcevable; voici comment l'occasion se
présenta: j'ai été prié de pourvoir un compagnon de voyage à un enfant qui va au Collège de
Sienne*2, j'ai tout de suite pensé à Guala pour vous en procurer la connaissance. Jusqu'ici je n'ai plus
reçu d'autres nouvelles sur la mort de V. [Virginio], que je souhaiterais bien de savoir; je vous prie
en grâce de me les communiquer si vous en avez. Le temps me manque, je suis avec toute l'estime
et la considération possible
Monsieur
Turin ce 3 mars 1806
Très humble et Ob. Serv. et A.C.
P.B.L.
À Son Excellence le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,182:*1
Guala Fortunato Maria Luigi, n. a Torino nel 1775, m. ivi il 6 dicembre 1848, fu il collaboratore del
Lanteri in molte iniziative apostoliche, specialmente nella formazione del giovane clero come
direttore delle conferenze di morale nella chiesa e annesso convento di San Francesco d'Assisi,
come predicatore di esercizi spirituali, come difensore e apostolo della teologia morale di S.
Alfonso, come confondatore del Convitto ecclesiastico di Torino e, più tardi, anche nella
fondazione della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Vedere le lettere del Guala al
Lanteri pubblicate nel Carteggio. Nel 1806 – al tempo di questa lettera – il Guala aveva esattamente
31 anni, essendo nato nel 1775.
C2,182:*2
L'“enfant” di cui si parla è con tutta probabilità il figlio del barone Celebrini di S. Martino di
Fossano (Positio, 113). Il collegio invece è a Siena, il celebre collegio De Tolomei tenuto dai PP.
Scolopi. Il collegio De Tolomei era a quel tempo famoso in tutta l'Italia, e assai numerosi vi erano i
piemontesi dell'antica aristocrazia. In un elenco che risale esattamente all'anno di questa lettera,
1806, conservato nell'archivio Solaro della Margarita, vi leggiamo tra gli altri anche questi nomi:
D'Azeglio Prospero, Massimo, Roberto, Enrico; Enrico e Federico Millet d'Arvillars; Alfonso de
Sonnaz; Luigi Arborio Mella; Enrico della Chiesa di Cinzano; Luigi Ripa di Meana; Alessandro di
San Marzano, Ernesto Bertone di Sambuy, Vittorio Roero di Cortanze, Luigi Solaro di Villanova,
Clemente Solaro della Margarita, Baldassare Avogadro di Casanova, Baldassare di Tournafort,
Guglielmo Massa di Lisio, Luigi Cusani di Sagliano, Giuseppe Avogadro della Motta, Carlo di
Valperga, Manfredi e Lelio Roero di Monticello, Ippolito Incisa della Rocchetta, Giuseppe Bruno di
Cussanio, Giacinto Provana di Collegno, Carlo Thaon di S. Andrea, e altri. I PP. Scolopi vi
insegnavano filosofia, matematica pura e matematica mista, geografia, storia, blasone antiquaria,
metrica, greco, latino, “toscano”, disegno, musica, e ballo, ecc. (C. Lovera – I. Rinieri, Clemente
Solaro della Margarita, Torino 1931, 24-25). Sul soggiorno del Celebrini al Collegio Tolomei di
Siena cfr. la lettera del Lanteri al Ricasoli del 30 agosto 1810.
C2,183:S
Lanteri al Barone Giuseppe Penkler
10 marzo 1806
Impossibilità di allontanare don Luigi Guala da Torino – Direzione spirituale – Don Giuseppe Cafasso a Vienna
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:212
C2,183:I1
Pubblicata in Positio, 129-130.
La minuta autografa del Lanteri è senza inizio, senza data e senza indirizzo, però dalla risposta del Penkler del 20
giugno 1806, si rileva facilmente e il destinatario e la data, cioè il 10 marzo 1806. È la prima lettera che conserviamo
del P. Lanteri al Penkler, ma non deve essere stata certamente la prima ad essere scritta, come si rileva anche dal
contenuto di questa che si rifà ad argomenti trattati precedentemente. La corrispondenza Lanteri-Penkler deve essere
iniziata verso il 1798, data della morte del P. Diessbach, o addirittura qualche decennio prima, nel 1782, quando il
Liguori fu a Vienna col Diessbach.
Joseph von Penkler n. a Costantinopoli (durante il secondo soggiorno di suo padre Heinrich Christoph che vi era
ambasciatore d'Austria) il 10 febbraio 1751, m. a Vienna il 22 aprile 1830. A quattro anni venne a Vienna (1755) e
ricevette la prima educazione in famiglia, una famiglia veramente cristiana e praticante di cui egli serberà il ricordo e
l'influsso per tutta la vita. Fece gli studi al Theresianum di Vienna, allora retto dai gesuiti, ottimi insegnanti, tra i quali
Siegmund Anton, conte di Hohenwart, futuro vescovo di St. Pölten (1785), poi traslato a Vienna (1803-1820),
successore del card. Migazzi, e il famoso astronomo di corte P. Maximilian Hell, coi quali conservò una lunga e
cordiale amicizia. Il giovane Penkler fu un eccellente scolaro, con intelligenza viva, fantasia fervida: a 12 anni dava già
saggio delle sue capacità poetiche col suo Abhandlung vom Schäfergedichte, un poemetto arcadico, che fu poi stampato
a Augsburg nel 1767 e dedicato a suo padre (non è esatto, come fu scritto, che il Penkler abbia studiato nel collegio dei
gesuiti a Augsburg). Il 12 luglio 1774 sposò Maria Giuseppa Teresa Tecla von Toussaint di 23 anni (come lui), che poi
morì il 25 aprile 1798, figlia del barone Joseph von Toussaint di Schönau e Sollenau, oriundo della Lorena. Nel 1777
compera la signoria di Liechtenstein in Mödling dal barone von Wallenberg ed è occupato nel governo della Bassa
Austria con incarichi di fiducia tutti da lui lodevolmente assolti.
C2,183:I2
Cattolico convinto, coraggioso e attivo, fu a contatto con tutti i principali rappresentanti del clero di quel tempo, col
card. Migazzi, coi gesuiti della Russia (fu in “continua corrispondenza” col generale dei gesuiti, P. Brzozowski), coi
francescani di Maria Enzersdorf, di cui egli era “patrono”, e soprattutto del P. Diessbach e del suo grande discepolo S.
Clemente Hofbauer.
Penkler e Hofbauer si vennero a conoscere quasi per caso. Hofbauer era studente all'università di Vienna tra il 1780 e il
1784. Penkler fece affiggere in Santo Stefano un avviso agli studenti per alcuni lavori di copiatura di manoscritti che
sarebbero stati convenientemente pagati. Hofbauer si offrì per questi lavori, così conobbe il Penkler, e attraverso lui,
venne a contatto anche col Diessbach verso il 1795 (B. Spiller, v. sotto).
Nel 1800 è fatto Prefetto della Congregazione Italiana a Vienna – la Wälsche Bruderschaft – nella quale era stato
accettato già nel 1787, e che aveva la sua sede nella Minoritenkirche, la chiesa dei francescani conventuali (ora italiani)
e vi rimase fino alla morte, dando alla Congregazione, in tempi difficilissimi, un grande impulso materiale e spirituale:
era il primo non italiano che fosse stato nominato a quella carica.
C2,183:I3
Della sua attività come Amico Cristiano diremo nelle note esplicative apposte alle sue lettere. Un giudizio complessivo
su questo “apostolo laico” i cui meriti non sono abbastanza conosciuti o messi in rilievo, lo troviamo nelle parole che E.
Karl Winter scriveva in merito al P. Diessbach, e che Brigitte Spiller riporta applicandole al Penkler (e che noi
estendiamo al Lanteri e a tutti i suoi collaboratori noti e non noti): “I migliori non sono quelli che fanno molto chiasso e
i cui nomi risuonano tra i venti, anzi tra le tempeste del loro tempo, ma gli altri: cioè coloro che sono ‘riscoperti’ magari
dopo molte generazioni, perché essi durante la loro vita si erano accontentati di lavorare in silenzio, e noi li ritroviamo
non come estranei ma come altrettanti vecchi amici, la cui presenza si è sempre sentita vicina anche se il loro nome era
svanito col tempo” (E. K. Winter, P. Nikolaus Albert von Diessbach, in Zeitschrift für Schweizerische
Kirchengeschichte, 18, 1924, 92 ss.; B. Spiller, Joseph Freiherr von Penkler [1751-1830], Università di Vienna 1966,
tesi di laurea inedita, 132). Per la bibliografia del Penkler v. inoltre: Bona, 122-123; C. Wurzbach, Biographisches
Lexicon des Kaisertums Österreich, vol. 19, Wien 1868, vol. 21, Wien 1870 G. Salvadori, La Congregazione della
Chiesa Nazionale Italiana, ivi 1891; Id., Die Minoritenkirche und ihre älteste Umgebung, ivi 1894; importante la
biografia della Spiller sopra citata, la quale però ignora del Penkler tutta la sua attività nelle Amicizie e le sue relazioni
con Torino e Firenze.
C2,183:T
10 marzo 1806
[…] [Je n'aurais qu'un de mes] amis de qui je ne saurais me priver sans une nécessité absolue; et je
ne pourrais même le détacher de T. [Turin] sans faire crier bien du monde à cause du vide qu'il
laisserait, y faisant un bien immense. C'est un jeune homme de 31 ans, plutôt petit de taille, ce qui le
fait paraître plus jeune encore, d'un caractère gai, d'un zèle non ordinaire, très actif et prudent,
fourni de la doctrine, prudence et expérience nécessaire pour la direction des âmes, mais qui, n'étant
pas accoutumé, tout comme moi, à traiter avec les grands, peut-être lui manqueraient ces traits aussi
polis que désirent ces personnes*1. En tout cas ayez la bonté de me donner tous les renseignements
possibles à cet égard, et indiquer quelle existence [il] pourrait espérer, et surtout s'il pourrait vaquer
librement à l'A.C. [Amitié Chrétienne] et au salut des âmes.
Du reste, je serais trop heureux si vous vouliez bien m'honorer de cette correspondance suivie que
vous demandez de moi, pouvant être sûr de trouver en moi cette confiance et cette ouverture de
cœur qui doit caractériser la vraie amitié, et que l'ennemi fait de tout son possible pour l'empêcher*2.
Oh que je remercierais bien le Seigneur s'il nous redonnait Caf. [Cafasso]. Vous pouvez lui écrire
aussi de ma part, qu'il examine bien devant Dieu les circonstances actuelles d'A.C. [Amitié
Chrétienne] pour voir s'il ne serait pas la volonté de Dieu qu'il retourne sur ses pas, pour moi j'en
doute beaucoup. À ce propos ne sauriez-vous pas me dire s'il a déjà renoncé au petit bénéfice qu'il
avait, et s'il est déjà conféré à d'autres, s'il y a encore des places vacantes à l'église italienne? Ce
serait bon à savoir en cas qu'il se présentât quelque sujet à propos pour vous envoyer*3.
Je finis par me recommander instamment à vos saintes prières et avec toute l'estime et considération
possible j'ai l'honneur d'être…
C2,183:*1
Il sacerdote torinese che il Lanteri non si sente di allontanare da Torino, anche se capace di fare un
bene immenso a Vienna, rimasta priva del Virginio quattro mesi prima, è evidentemente il teol.
Luigi Guala, allora al suo trentunesimo anno di età essendo nato nel 1775. Notare il commosso
elogio che il Lanteri fa del suo collaboratore e amico.
C2,183:*2
Il Lanteri era direttore spirituale del Penkler, come anche di altri esponenti dell'Amicizia Cristiana,
sia a Torino come fuori, per es. il marchese Leopoldo Ricasoli. Che il Penkler abbia approfittato di
questa direzione spirituale lo si rileva, oltre che dalla sua intensa attività apostolica a Vienna, anche
dal contributo dato per la diffusione della devozione al S. Cuore promossa dai gesuiti in Russia:
“Nella Russia Bianca i gesuiti si fecero apostoli della devozione al S. Cuore. Il P. Czeniewicz,
antico vice-generale, l'aveva lasciata come per testamento e raccomandata ai suoi confratelli
dicendo che da questa devozione dipendeva l'esistenza della Compagnia. La devozione si stabilì
non solo nelle chiese attigue ai collegi dei gesuiti, ma anche fuori della Russia Bianca. Il barone
Penkler, consigliere segreto della corte di Vienna, mandò a Polock una lunga lista di nomi e di case
le più distinte di Germania che desideravano farsi iscrivere nella Confraternita, ed egli stesso con
tutta la sua famiglia pel primo diede questo esempio” (S. Zalenski, I Gesuiti nella Russia Bianca,
Prato 1888, 227-228).
C2,183:*3
Riguardo a don Giuseppe Cafasso (m. 1834), futuro gesuita e missionario nel Caucaso e poi nelle
isole dell'arcipelago greco, v. lettera del Penkler a Lanteri del 20 giugno 1806 (Carteggio, II, 190196), e lettera del Lanteri al Cafasso del 1806, nel quale il Lanteri aveva cercato di distogliere il
Cafasso dall'idea di lasciare il ministro viennese e di entrare nella Compagnia. In questa lettera il
Lanteri si rallegra di aver ottenuto lo scopo, ma si ingannava come si vedrà in seguito.
C2,187:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
15 marzo 1806
Raccomanda al Ricasoli il Teol. Guala che si reca in Toscana
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze. Copia in AOMV, S. 2,16,9:376, fotocopia in S. 6,7,5:0.
C2,187:T
Monsieur et très respectable ami,
È già lungo tempo che sono privo di pregiatissimi suoi caratteri, perciò temendo che si siano
smarrite le mie lettere, consegno la presente al Teologo Luigi Guala mio intimo amico, perché
immediatamente le giunga in proprie mani.
Dal medesimo intenderà V.S. molte cose che credo inutile per ora ripeterle per iscritto. Bramerei, se
si può, che gli procurasse la conoscenza del Dr. B. [Bucelli] e di quegli altri amici che giudicherà
ella più opportuno. Intanto può usare con il medesimo tutta quella confidenza che suole usare con
me, essendone persona capace e prudente, e che godeva pure della confidenza del nostro povero V.
[Virginio].
La prego dei miei più umili rispetti all'Ill.ma Signora Priora, e con particolare considerazione mi
protesto
Di V.S. Ill.ma
T. [Torino] li 15 marzo 1806
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T.B.L.
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli Zanchini
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
Florence
en son Hôtel sul
Ponte alla Carraia.
C2,188:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
16 marzo 1806 [sull'originale: 17 marzo 1806]
Il Teol. Guala si prepara a incontrare gli Amici di Firenze – Contatti con Vienna per l'eredità Virginio – Consigli di
direzione spirituale
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze. Copia in AOMV, S. 2,16,9:377, fotocopia in S. 6,7,5:0.
C2,188:I
Scopo del viaggio in Toscana del Guala non era soltanto, né principalmente, accompagnare il giovane Celebrini al
Tolomei di Siena, ma anche e soprattutto prendere contatto con gli Amici fiorentini: tali contatti personali erano
considerati molto importanti, anche se per ragioni ovvie non potevano essere né molto frequenti né molto facili.
Interessante la nota di commissioni data dal Lanteri al Guala (da noi riferita in nota), il quale nel ritorno doveva recarsi
anche a Bologna, a Parma, a Piacenza e a Milano.
Pubblicata in Positio, 114-115.
C2,188:T
17 marzo 1806
T. [Torino] li 17 marzo 1806
Monsieur et très respectable A.C.
V.J. [Vive Jésus]
Domani 17 corrente parte il Teol. Guala, come già ebbi l'onore di scrivere a V.S. Ill.ma nell'ultima
mia. Egli non potrà fermarsi costì che pochissimo tempo, essendo patteggiato il ritorno con il
medesimo vetturino che lo conduce a Siena, onde veda di accordargli tutto il tempo possibile per
abboccarsi assieme, unitamente a M.Z. [Marchese Zei]. Se si può, gli procuri la conoscenza del Dr.
B. [Bucelli], e se fosse possibile tenere un'A.C. sarebbe cosa molto desiderabile.
Dal medesimo intenderà come sarebbe opportuno che scrivesse al M.se Gh. [Ghislieri] a V.
[Vienna] per intendere da lui appieno quale sia lo stato dell'A.C. [Amicizia Cristiana] di V.
[Vienna]; chi la compone, se ci entri il T. Wagner*1, confidente di V. [Virginio], e se questo fosse da
V.S. Ill.ma conosciuto, sarebbe pure opportuno che gli scrivesse per il medesimo fine,
domandandogli di più nuove dettagliate dei sentimenti di V. [Virginio] nella sua malattia. Oh
quanto sarebbe desiderabile, e quale buona opera farebbe ella, se potesse fare colà una scorsa; ma
non ardisco di chiederle tanto, perché sono persuaso che le sue occupazioni non glielo
permetterebbero. Come vedrà, mi fanno istanza perché io ci vada, ma confesso il vero che se non mi
è affatto impossibile, le difficoltà però e gli imbrogli sono tali che poco ci manca.
Riceverà da Guala: Mitterpacher, elementi d'agricoltura, vol. 6, commissionatimi ancora dal povero
V. [Virginio] per lei*2; così farà ella il favore di consegnare a G. [Guala] nel suo ritorno gli articoli
qui dietro notati*3. È da lungo tempo che sono privo dei suoi pregiatissimi caratteri.
Bramerei sapere se si sia veramente dimesso dall'impiego di Corte, se abbia trovato qualche aiuto
per i suoi affari di famiglia, se la Santa Comunione sia sempre così frequente, se la Meditazione
riesce bene, se la Lettura Spirituale sia di suo gradimento, e di quale libro si serve ecc. Il tempo mi
manca. La prego dell'acclusa a sua destinazione, e con particolare stima e rispetto mi protesto à la
hâte
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servo – A.C.
P.B.L.
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur des Chevaliers de Saint-Étienne
Florence
C2,188:*1
Wagner Joseph, ex gesuita viennese (1740-1809), fu discepolo e collaboratore del Diessbach, amico
del Penkler e, con tutta probabilità, conoscenza personale del Lanteri che lo incontrò nel 1782 in
occasione del suo viaggio a Vienna. Vedi lettera di Lanteri al Wagner del 1806.
C2,188:*2
Mitterpacher von Rittenburg Ludwig, S.J., n. da famiglia nobile a Bölye, Ungheria, il 25 agosto
1734, m. il 24 maggio 1814, entrò nella Compagnia nel 1749 e si dedicò di preferenza agli studi di
agraria, di geografia e di fisica, pubblicando diversi lavori di grande diffusione. Ebbe anche
incarichi governativi nel campo dell'agricoltura e divenne in questo campo un'autorità largamente
riconosciuta in Austria, in Italia, in Toscana e in molte accademie. Tra le sue opere: Elementi di
agricoltura, 2 voll., pubblicati per ordine del R. Governo, Milano, Monastero di Sant'Ambrogio,
1784; Elementi di agricoltura, trad. dal tedesco, 3 voll., Milano, Galeazzi, 1794; Physikalische
Erdbeschreibung, Wien 1789 (C. Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaisertums Österreich,
XVIII, Wien 1868, 378-380).
C2,188:*3
Il foglietto di commissioni al Guala, scritto di pugno del Lanteri, si trova in AOMV, S. 2,6,5:211,
ed è pubblicato integralmente in Positio, 115-117.
“(A Firenze) Dire a M.Z. in via Larga, Casa Borghi, vicino alla Biblioteca Marucelliana, che
consegni a Guala i libri lasciati a casa sua, particolarmente il Francolinus in folio.
Come pure Novaes, volume decimo e seguenti, con l'importare.
Marchetti, Trattenimenti in famiglia, copie quattro…
La tasca dei biscotti a M.Z.
Farsi dare tutte le notizie di V. [Virginio] e A.C. [Amicizia Cristiana] di V. [Vienna]. Le lettere
ricevute dal barone Penkler.
Manifestargli il progetto del mio viaggio a V. [Vienna], e del vostro, chiedendogli consiglio e
notizie…
Dire al Priore Ricasoli sul ponte alla Carraia
che non ho ricevuto che il volume delle Lezioni della Natura, copie 10, che difficilmente posso
esitare, vedere se stima di mandarmi il volume 1o e seguenti.
Che favorisca consegnare a Guala i seguenti capi: dell'Ape, n. 1 dell'anno 1, copie 3; n. 5 e seguenti
dell'anno 3o, copie 10; dell'Almanacco Fiorentino anno 1o, copie 4; anno 3o, cioè il corrente copie
12; Favole del Clasio, copie 4…
Farsi dare tutte le notizie di V. [Virginio] e di A.C. di V. [Amicizia Cristiana di Vienna]…
Chiedergli se conosce P. Wagner, e se sia bene gli scrivesse.
Milano
Abate Carlo Rivapalazzi, nel Borgo della Fontana, Porta Tosa n. 129.
Teologo Mascarani A.C. [Amico Cristiano].
C. [Conte] P. [Pertusati] A.C. [Amico Cristiano], ove c'è spezieria.
Abate Baldassare Montani Sacrestano in San Sepolcro, uomo zelante, corrispondente di Marchetti,
amico di Rivap. [Rivapalazzi], riverirlo da parte mia.
A Parma
P. Panizzoni nel Collegio dei Gesuiti.
Piacenza
P. Biasini ex Gesuita.
Siena
Proposto di Provenzano, questi deve essere un Parroco vecchio molto zelante.
Bologna
Mgr. Luigi Rusconi; D. Cesarini Parroco di San Lorenzo; abate Mezzofanti; abate Thjulen, Casa
Ranucci, amico di P.D. [Padre Diessbach] e di V. [Virginio]”.
C2,196:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
autunno 1806
La malattia gli impedisce di recarsi a Firenze per tenere un corso di Esercizi – Progettato per l'anno seguente un viaggio
a Vienna – Note di direzione spirituale
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze. Copia in AOMV, S. 2,16,9:378, fotocopia in S. 6,7,5:0.
C2,196:I
La lettera è munita di firma e d'indirizzo, ma non di data. Una nota marginale posteriore ha scritto a matita: 1806. Dal
contenuto si rileva che don Virginio è già morto, il che comprova l'esattezza della nota aggiunta. Deve trattarsi degli
ultimi mesi dell'anno, perché nel testo si dice: “La stagione quivi già ben molto fredda ed incomoda…”.
Il Lanteri, invitato a Firenze dal Ricasoli per tenervi, tra l'altro, un corso di Esercizi spirituali nella villa di campagna
che il Ricasoli aveva nei pressi di Fiesole, si dice impossibilitato a fare questo viaggio per le sue precarie condizioni di
salute. Nel frattempo dà alcuni indirizzi di vita spirituale.
Interessante questa lettera perché ci fa vedere come nel dirigere gli spiriti il Lanteri era molto vicino al Diessbach.
C2,196:T1
autunno 1806
Monsieur et c.a. [cher ami]
Dio sa con quanto rincrescimento ho dovuto pregare il T.G. [Teologo Guala] di rispondere alla
pregiatissima sua, e privarmi della consolazione, certamente non piccola, di godere qui della
degnissima sua persona. Ma che vuole? Il Signore ha così voluto disporre per i miei peccati, perché
appunto in tale tempo io ero ammalato, ed ho dovuto fare una convalescenza assai lunga, in cui era
incapace affatto di applicarmi a qualche cosa, ed infatti me l'aveva espressamente proibito il
medico. Presentemente, grazie a Dio, sto bene; ma la stagione quivi già ben molto fredda ed
incomoda ci suggerisce ad amendue di differire all'anno venturo l'adempimento dei suoi progettati
pii desideri dei Santi Esercizi, tanto più che a me sarebbe presentemente per altre ragioni
impossibile il portarmi costì.
Le sono frattanto vivamente riconoscente delle graziose offerte che si è compiaciuta di farmi a tale
riguardo, e chi sa che l'anno venturo possiamo eseguire ancora l'altro suo progetto del viaggio di V.
[Vienna] che pure mi sta sommamente a cuore, perché lo credo interessantissimo, tanto più che il
B.P. [Barone Penkler] me ne fa particolari inviti ed istanze. Ma di tutto questo abbiamo tempo per
trattarne ben altre volte. Ci faccia intanto il Signore conoscere la sua santa Volontà, che deve essere
l'unico oggetto delle nostre cure.
C2,196:T2
Ella mi progetta
Ella mi progetta e desidera che io succeda al carissimo nostro V. [Virginio*1] nel frequente carteggio
che teneva con lei, ad oggetto di animarsi sempre più nel divino servizio. Vorrei pure avere lo
spirito di V. [Virginio*2] per succedergli così bene in una cotanto consolante commissione per me,
con tutto ciò da me non mancherà di fare il possibile per compiacerla, stante che non vi è cosa più
interessante al mondo che di occuparci vicendevolmente di cose sante di Dio, ed animarci alla virtù.
Per tanto permetta che io incominci a suggerirle, invece dei Santi Esercizi, di fare al più presto che
potrà un giorno di ritiro. In esso, congedate tutte le occupazioni esterne, può fare due meditazioni,
una sul fine dell'uomo, l'altra sulla morte. Leggerà qualche cosa relativa a queste verità, e sulla
speranza cristiana, rivedendo in tale tempo i suoi proponimenti fatti negli ultimi Santi Esercizi, ad
oggetto di incoraggiarsi nuovamente ed intraprenderne la pratica. Quanto ai libri può servirsi del
Cattaneo*3 o Pinamonti*4 per meditazione, e del 4o e 5o volume de La Colombière per lettura*5, e per
esserne maggiormente impegnato, mi faccia il favore di parteciparmene il risultato. La prego poi,
per quanto so e posso, di non temere le passate colpe, ma di servirsi di questa vista per sempre più
crescere nella cognizione di se stesso, e umiliarsi innanzi a Dio; ma nello stesso tempo animarsi
maggiormente a confidare in quel nostro Padre Celeste, sempre così pronto ad accoglierci,
perdonarci ed aiutarci; godo poi che sia libero da ogni altro impiego, perché così potrà meglio
attendere ai doveri del proprio stato, promuovere sempre più la gloria di Dio, e godere di una vera
quiete interna*6.
C2,196:T3
Vivamente mi rincresce
Vivamente mi rincresce che l'Ape si sia interrotta, è certo che il nemico fa sempre tutti i suoi sforzi
per impedire il bene*7; ma non conviene per questo scoraggiarsi. Forse converrà cedere alquanto al
tempo, ma per fare maggiormente il possibile per riassumerlo, trattandosi massimamente di cosa di
grande gloria di Dio. Quivi non mi è riuscito, con mio grande dispiacere, di poterlo accreditare, non
già perché non piacesse (dalle Mirandolesi in fuori*8), ma per motivo della spedizione così tarda per
cagione della lontananza, e così irregolare, di modo che alle volte si ricevevano i numeri posteriori,
e non gli antecedenti, altre volte si avevano numeri duplicati, e qualche numero sempre restava
mancante. Così ci mancano affatto tutte le copie del numero 5 dell'anno III, ed io ne avrò quasi 50
copie duplicate di diversi numeri di questi tre anni scorsi. L'ultimo numero che abbiamo ricevuto è
il num. 11, il dodicesimo, se è uscito, non ci è ancora giunto.
C2,196:T4
Così pure non mi è ancora riuscito di esitare alcune delle copie delle Lezioni della Natura (che è
pure mancante di tutte le copie del vol. I e del III: l'ultimo volume che ho ricevuto è il 7o); perché
chi ama tale lettura, piuttosto che appigliarsi alla traduzione, preferisce sempre l'originale francese
che qui possiamo avere con facilità. Con tutto ciò quando l'opera sarà compiuta, se mi riuscirà di
esitarne qualche copia, come spero, non mancherò di dargliene conto.
Non so se V.S. Ill.ma e Car.ma abbia ricevuto una lettera di V. [Virginio] speditale per canale
sicuro da B.P. [Barone Penkler]; in ogni caso giudico opportuno comunicarle l'articolo della lettera
che mi scrisse B.P. a tale riguardo: “Le Défunt avait une certaine quantité de monnaies d'or, qui lui
avaient été données pour des bonnes œuvres, et pour lesquelles il avait marqué dans la feuille qu'il
avait laissée au P. W. [Wagner] en partant pour T. [Turin] contenant des notices pour le cas de sa
mort, qu'on devait s'entendre avec L. [Lanteri], P.R. [Prieur Ricasoli] et M.Z. [Marquis Zei].
Cependant peu avant de tomber malade il avait confié cet or au M.is [Marquis] d'Araldi en qui [il]
avait beaucoup de confiance, avec une lettre cachetée à l'adresse de P.R. [Prieur Ricasoli] et en cas
de sa mort à M.Z. [Marquis Zei], et ledit Marquis est prié de faire parvenir, lorsqu'il en aurait eu
occasion commode, la lettre et l'or à P.R. [Prieur Ricasoli] et en cas de sa mort à Z. [Zei]. En
passant par ici de retour de ses affaires, il remit tout entre mes mains pour en soigner l'exécution, je
garde l'or en dépôt, et j'envoie la lettre par le porteur de celle-ci; la somme est d'environ 5.000 lires
piémontaises”.
Ciò posto bramerei sapere, se si può, il contenuto della lettera di V. [Virginio], perché sarei in
tempo che sarebbe bene per molte ragioni ritirare al più presto detto danaro per mezzo di una lettera
di credito, potendosi, in seguito, pensare al migliore uso che potrebbe farsi per la gloria di Dio.
C2,196:T5
Godo pertanto, e ringrazio ben di cuore il Signore del buono stato di salute sì di lei, che di tutta la
sua preziosa famiglia, e della degnissima sua Signora consorte, cui prego di voler far gradire i miei
più umili ossequi come pure al D.B. [Dottor Bucelli] e M.se Rig. [Rigogli], e particolarmente
raccomandandomi alle loro ferventi orazioni, con perfetta stima e profondo rispetto le sono
Monsieur et A.C. [Ami Chrétien]
V. très humble Serviteur et A.C.
L.
P.S. Je vous prie d'avoir la bonté de faire parvenir l'incluse à son adresse.
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,196:*1
Nell'originale, accanto alla lettera V., è stato scritto marginalmente “Virginio” da mano posteriore.
C2,196:*2
Il Lanteri confessa umilmente di non avere “lo spirito di Virginio”, mentre il Penkler, nella sua
lettera del 20 giugno 1806, a poca distanza da questa, attesta: “Que… je doive désirer d'être
constamment dirigé par celui [cioè il Lanteri], sur lequel repose maintenant l'esprit du Père
Diessbach”.
C2,196:*3
Cattaneo Carlo Ambrogio, S.J., milanese (1645-1705), autore di molte opere ascetiche,
specialmente a commento degli Esercizi di S. Ignazio, era uno degli autori prediletti del Lanteri, il
quale curò l'edizione degli Esercizi Spirituali del Cattaneo, stampata da Marietti nel 1829,
premettendovi – ma restando anonimo – un importante “Avvertimento” (sul P. Cattaneo v. C.
Testore in Enc. Catt. III, 1.164).
C2,196:*4
Pinamonti Giovanni Pietro, S.J., pistoiese (1632-1703), compagno di predicazione del Segneri,
lasciò diversi scritti ascetici molto apprezzati ancora oggi. Il Lanteri consiglia spesso del Pinamonti
gli Esercizi Spirituali, spesse volte ristampati, e, Lo specchio che non inganna, meditazioni sulla
morte (cfr. C. Testore, ivi, IX, 1.482).
C2,196:*5
De la Colombière Claudio, S.J. (1641-1682), beato, apostolo della devozione al S. Cuore e direttore
spirituale di S. Margherita M. Alacoque, ci ha lasciato un volume di Sermoni, stampati postumi, che
il Lanteri ricorda anche in altre lettere.
C2,196:*6
Il carattere del Ricasoli, come risulta in questo testo, ed in altri che vedremo più sotto, dimostrava
un'anima molto delicata e facilmente soggetta agli scrupoli. Il Lanteri dimostra di conoscerlo molto
bene e di avere molta pazienza con lui. Ecco perché insiste tanto – qui e altrove – sulla necessità di
non serbare scrupoli e timori del passato, di allargare il cuore alla speranza e di affrontare l'avvenire
con una grande e illimitata confidenza in Dio. In un foglietto volante conservato tra il carteggio
Lanteri-Ricasoli nell'archivio di via Maggio 7, Firenze, Cassetta XII, inserto 50 (copia in AOMV, S.
2,16,9:379, fotocopia in S. 6,7,5:0), si legge:
Deus sequendus, sed invisibilis
Homo visibilis, sed non sequendus
Factus est ergo Deus homo ut sequamur invisibilem, visibilem
Speculum Dei est anima
Speculum repræsentat adamussim imaginem, omnes motus, ipsas affectiones
Sed speculum debet esse tersum, et quidquid terreni cor Hominis afficit inficit
Ubi enim thesaurus, ibi cor, ubi cor, ibi oculus, nempe cogitatio
Attende ergo ad cogitationes intrantes, manentes, ad verba exeuntia
Nota della Postulazione: È probabile che le note in calce suddette, e le accennate per le lettere
precedenti, siano del P. Luigi Ricasoli S.J. figlio del Marchese Leopoldo. Si sa che molte lettere del
padre furono da lui trasportate e conservate nell'archivio dei PP. Gesuiti in Firenze, che le hanno
gentilmente concesse alla Postulazione.
C2,196:*7
“L'Ape cessava le pubblicazioni il 31 luglio 1806 senza prendere congedo dai lettori e indicare le
cause della sospensione. Un comunicato a stampa del luglio 1806 aveva annunciato l'inizio del
quarto anno di vita del periodico col 31 agosto, sollecitando i lettori a rinnovare la sottoscrizione ‘di
lire fiorentine sei’. Quali erano le cause del provvedimento, giunto di sorpresa anche per gli editori?
Difficoltà di ordine finanziario, apparse gravi all'ultimo momento? Il giornale infatti aveva una
tiratura assai limitata e molti erano distolti dall'abbonarsi dai disguidi di spedizione, che gli editori
non ruscivano ad evitare. Oppure, e questo appare più probabile, il d'Azeglio era stato diffidato a
proseguire la sua attività pubblicistica dalla longa manus del governo napoleonico? Sappiamo
infatti che proprio in quell'anno aveva dovuto ritirare i figli dal collegio Tolomei di Siena, per un
decreto che proibiva ai piemontesi, ormai cittadini francesi del département du Pô, di fare educare
all'estero i propri figli e che, nel 1807 fu costretto, sempre per decreto imperiale, a far ritorno in
Piemonte, pena la confisca dei beni” (Bona, 251-252).
C2,196:*8
Le Lettere Mirandolesi erano una serie di articoli sulla città di Mirandola, dovuti alla penna del
padre scolopio Pompilio Pozzetti, che si aggiravano “intorno all'origine, le vicende e l'antica
letteratura della Mirandola”, apparsi sui primi numeri dell'Ape: articoli che erano molto apprezzati e
seguiti in Toscana e in Emilia, meno in Piemonte come senza eufemismi dichiara qui il Lanteri
(Bona, 250).
C2,203:S
Lanteri all'Abbé Wagner
1806
Amico del Virginio da più di 30 anni il Lanteri domanda notizie della sua ultima malattia – Memorie sulla vita e scritti
di P. Diessbach – Indicazioni sulla sua biblioteca – Accenno al viaggio di Vienna del 1782
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:213a
C2,203:I
Pubblicata in Positio, 135-136.
La minuta autografa del Lanteri non ha data né indicazione del destinatario. Dal suo contenuto però – a cui possiamo
aggiungere anche un'antica annotazione del P. Dadesso fatta in capo al foglio – si deduce facilmente che fu scritta al P.
Wagner nel corso dell'anno 1806.
Importante perché conferma il viaggio fatto dal diacono Lanteri a Vienna nel 1782 insieme col P. Diessbach.
Wagner Joseph, n. a Vienna il 1o ottobre 1740, m. ivi il 6 gennaio 1809, ex gesuita. Fu ricevuto nella Compagnia il 18
ottobre 1756 e ordinato sacerdote, fu insegnante di grammatica e di umanità. Dopo il 1773, soppressione della
Compagnia, fu incardinato nella diocesi di Vienna e fu fino alla morte predicatore alla chiesa cattedrale di Santo
Stefano. Ha dato alle stampe alcuni discorsi e altre operette ascetiche, ricordati dal Sommervogel, VIII, 247-248. Si
tenne sempre in relazione con gli ex confratelli gesuiti della Russia Bianca, li avvertì a non venire ad alcun accordo col
governo di Vienna per il ristabilimento della Compagnia (nella Galizia austriaca) prima di aver preso le dovute misure
col giuseppinismo, non morto neppure con l'avvento dell'imperatore Francesco I: “L'istituto dei gesuiti – diceva – e il
giuseppinismo sono incompatibili” (S. Zalenski, I Gesuiti della Russia Bianca, tr. it. Prato 1888, 275).
C2,203:T
M.R.P. [Mon Révérend Père]
Je sais par [le] B.P. [Baron Penkler] que vous êtes l'héritier de V. [Virginio]. Si l'amitié entre aussi
dans son hoirie, voici un ami inviolable de V. [Virginio] depuis 30 ans, qui vous appartient
entièrement. Vous êtes aussi de plus le dépositaire de son cœur, le témoin de ses derniers moments,
et de tous ses sentiments. Ne voudriez-vous pas avoir la complaisance [de] nous en faire part, tant
de ses derniers sentiments que de toutes les moindres circonstances de sa maladie, tous ses amis
étant, tout comme moi, bien empressés de les apprendre? Si votre temps est trop précieux pour ne
pas pouvoir en employer un instant pour cela, ayez seulement la bonté de les manifester au B.P.
[Baron Penkler], que je prie de vouloir bien me les écrire de votre part. Parmi tous les manuscrits de
V. [Virginio] il y a certainement tout plein de choses intéressantes, entre autres choses, des
mémoires sur la vie de P.D. [Père Diessbach], que je vous prie instamment de vouloir bien vous
donner la peine de conserver soigneusement et de les mettre de côté, afin que dans une occasion
favorable on puisse s'en servir*1.
Comme aussi parmi les livres il y en avait de bien intéressants, même dans quelqu'un de ces livres il
y avait des annotations et des signes beaucoup signifiants et utiles, faits même encore par P.D. [Père
Diessbach], que personne ne comprendrait aussi facilement que moi, et que je serais empressé de
les avoir*2.
Ayez donc la bonté, M.R.P., je vous en prie instamment, de ne pas vous défaire de tous ces objets,
parce qu'ils peuvent bien contribuer une fois à la gloire de Dieu. Peut-être je m'adresse en votre
personne à [quelqu'un] que j'ai eu déjà l'honneur de connaître, et de participer de ses bontés, quand
j'étais à Vienne avec le P.D. [Père Diessbach*3]. Je serais enchanté d'en renouveler la connaissance,
et de lui témoigner mes plus vifs sentiments de gratitude et de respect, avec lesquels j'ai l'honneur
d'être…
C2,203:*1
Lo stesso pensiero è espresso dal Lanteri in diverse lettere al marchese Ricasoli.
C2,203:*2
Tutto il materiale di cui qui si parla, manoscritti e biblioteca del Diessbach, è andato
irrimediabilmente perduto.
C2,203:*3
Nel Sommario della vita del Lanteri, cap. 2, in Positio, 6, leggiamo: “Il Padre de Diessbach col suo
sapiente consiglio animò Pio Bruno a scoprire e a confutare gli errori e a intraprendere tutte quelle
opere che tendessero alla maggior gloria di Dio, al maggior bene delle anime: anzi lo condusse con
sé a Vienna sugli inizi dell'anno 1782 con lo scopo di preparare gli animi di quegli abitanti per
ricevere la venuta di Pio VI nella loro città non soltanto con solennità esteriore, ma anche con frutto
spirituale”. Del viaggio del Lanteri a Vienna nel 1782 v. anche Gastaldi, 66-73.
C2,205:S
Lanteri a padre Giuseppe Cafasso
1806
Non precipitare la propria scelta nei riguardi della vocazione alla Compagnia di Gesù – Immense possibilità di
apostolato a Vienna – Attesa di una risposta
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:24
C2,205:I1
Non è indicato né l'indirizzo né la data. L'indirizzo lo si arguisce dal destinatario che è certamente il P. Giuseppe
Cafasso, futuro gesuita in Russia, che allora si trovava a Vienna accanto al barone Penkler e a altri Amici Cristiani di
quella città. La cronologia fissa la lettera a dopo il 1805 perché parla del P. Luigi Virginio, S.J., come già defunto (era
morto il 28 dicembre 1805), e nei primi mesi del 1806 perché il ricordo della morte del Virginio appare ancora recente.
Giuseppe Cafasso – da non confondere col suo omonimo, conterraneo e forse anche parente, S. Giuseppe Cafasso
(1811-1860), – n. a Castelnuovo d'Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) il 29 dicembre 1776, m. a Tarnopol nelle isole
dell'Arcipelago greco il 24 dicembre 1834 a 68 anni, è un castelnovese come il suo omonimo, come S. Giovanni Bosco,
il can. Giuseppe Allamano e altri celebri ecclesiastici piemontesi. Crebbe nella sfera del P. Diessbach ed entrò ben
presto nelle Amicizie da lui fondate e dirette a Torino, e dopo la sua partenza per Vienna, dal Lanteri. Verso il 1800 –
l'anno esatto non ci è noto – desideroso di farsi gesuita, partì per Vienna insieme col teol. Carlo Francesco Daverio,
torinese (che incontreremo spesso accanto al Lanteri) con l'intenzione di raggiungere i gesuiti in Russia, ma fermandosi
quattro anni nella capitale del Danubio e lavorando nell'Amicizia costituita in quella città dallo stesso Diessbach e
diretta dal barone Penkler, Virginio, Rigoletti e altri. Entrò nella Compagnia il 4 ottobre 1804 (S. Zalenski, I Gesuiti
della Russia Bianca, tr. it. Prato 1888, 514).
Il Cafasso quindi era ben noto al Lanteri e al Guala. Anzi riguardo al Guala si racconta di un gustoso equivoco che gli
capitò al Convitto Ecclesiastico incontrando per la prima volta S. Giuseppe Cafasso: “Il Guala in questo primo incontro,
conosciuto il nostro nome, manifestò di avere amicizia con un altro castelnovese di nome pure Giuseppe Cafasso, alla
cui prima Messa aveva assistito” (L. Nicolis de Robilant, Vita del Ven. Giuseppe Cafasso, I, Torino 1912, 32).
C2,205:I2
Di lui scrive Antonio Bresciani, S.J.: “Il Cafasso, dopo aver fatto un gran bene a Torino, si condusse in Russia per farsi
gesuita. Il suo animoso spirito, ed i suoi generosi impulsi lo determinarono a chiedere le missioni e fu inviato col P.
Henry alla conversione dei fieri popoli del Caucaso fra i quali operò da apostolo, fino allo scacciamento della
Compagnia dall'Impero delle Russie. Dal Caucaso venne mandato in Europa, ed ottenne la missione della Grecia, ove
morì pochi anni dopo il 24 dicembre 1834 a Tarnopoli nelle isole dell'Arcipelago” (A. Bresciani, Alcune brevi notizie
dei tre principali discepoli… del P. Diessbach in Torino, in Positio, 635).
Il P. Luigi Gianolio, S.J., in una lettera a P. Lanteri del 30 aprile 1816 (in AOMV, S. 1,10,18:488) scrive: “Ho letto una
lunghissima lettera che P. G. Cafasso scrisse alla famiglia Ricasoli da Saratos [Saratof]; in essa descrive le sue missioni
di Panniscoi, le qualità di quei Paesi e le proprietà di quegli abitanti…”.
Il P. Lanteri, preoccupato della sorte dell'Amicizia viennese, minacciata di estinzione per la partenza e il ritiro dei
migliori suoi esponenti – si era già allontanato qualche anno prima il P. Giuseppe Sineo della Torre che si era unito al
Paccanari ad Hagenbrunn – prega il Cafasso di soprassedere alla sua decisione di farsi gesuita, di ponderare le
possibilità di bene e di apostolato offerte dall'ambiente viennese, e di dargli a tempo una risposta definitiva. L'intento di
questa lettera del Lanteri, come si vede, non è stato raggiunto.
C2,205:T
1806
Con sommo mio rincrescimento avevo sentito la vostra ultima determinazione di farvi Gesuita,
perché ero persuaso che potevate fare molto maggior bene in Vienna; tanto più ora mi è vivamente
sensibile la vostra assenza, stante la perdita irreparabile del Car.mo V. [Virginio]. Voi capite, al pari
e meglio di me, ancora quanto sarebbe necessario per la Gloria di Dio che vi trovaste ora in Vienna:
non è già per disturbare la vostra vocazione in Religione, qualora tale fosse la volontà di Dio, che io
vi scrivo queste [righe], ma spinto dal desiderio vivo, che provo di contribuire alla salute delle
anime. Vi faccio presente il bisogno evidente della vostra persona in quella Capitale, e come stante
le relazioni particolari che già avevate voi, e quelle ancora più che vi procurereste ora facilmente
per la mancanza di V. [Virginio], nessuno più di voi può supplire al bene che vi è da fare: tanto più
poi che io non ci vedo mezzo da provvedere in maniera alcuna. Vi prego dunque, in grazia, di
pensarci seriamente innanzi [a] Dio per conoscere meglio la sua santa volontà, e parteciparmi il
risultato delle vostre risoluzioni. Frattanto non dimenticatevi di me nei vostri S.S. [Santi Sacrifici],
e col più vivo attaccamento e particolare affezione vi abbraccio nel Sacro Cuore di Gesù*1…
C2,205:*1
In margine allo stesso foglio un pro-memoria di mano Lanteri che si riferisce alle Amicizie di
Firenze, di Milano e, forse, anche di Vienna, importanti per la datazione della lettera:
Mitterpacher a P.R. [Priore Ricasoli] – Scrive a Rivapalazzi – Castagne – Libri di M.Z. [Marchese
Zei] – Danaro – P.R. [Priore Ricasoli] scriva a M.se Ghislieri – faccia far conoscenza con D.B.
[Dottor Bucelli] M.Z. [Marchese Zei] – M.sa Rigogli – Guala mi porti Carta di Fir. [Firenze] –
Reliquie – Danaro.
C2,207:S
Lanteri à Madame la Comtesse Gabrielle de la Marguerite
22 maggio 1807
Risposta a una lettera della contessa Gabriella – Consigli di direzione spirituale – Fedeltà alla meditazione, lettura
spirituale, esame di coscienza – La vera devozione non dipende dal sentimento
Originale in AOMV, S. 2,1,6:26
C2,207:I1
È questa la prima di tre lettere che la contessa Gabriella Solaro della Margarita, penitente del Lanteri da diversi anni,
inviò al P. Loggero che l'aveva richiesta di mandare nell'archivio di Santa Chiara a Pinerolo tutto il materiale che
potesse interessare la vita del P. Lanteri. Nel plico era accluso anche questo biglietto:
“Molto Reverendo Padre, Le invio il poco che ho potuto trovare del venerabile loro Fondatore, voglia pure conservarle
con le altre lettere o scritti del medesimo, non possono essere in miglior mani. Mi raccomandi al Signore e creda all'alta
stima con la quale ho l'onore di raffermarmi
Um.ma Serva Carolina Solaro d. Margherita”
(Questo biglietto è probabilmente del 1835). Carolina Solaro, nata Dequesada, era moglie di Clemente, nuora di
Gabriella.
Gabriella Solaro della Margarita (scriviamo sempre “Margarita” che è il nome più antico, e non “Margherita”, anche se
spesso usato, ma più recente) era nata Galleani d'Agliano a Saluzzo nel 1771. Già vedova d'un marchese Buglione di S.
Martino, da cui non aveva avuto figli, sposò in seconde nozze Vittorio Luigi Solaro della Margarita (1763-1848), uomo
da poco, quasi sempre assente dalla famiglia: la contessa Gabriella, buona amministratrice, rimise in sesto i beni della
famiglia assai rovinati dopo la rivoluzione francese. Ebbe quattro figli e due figlie: Carlo, Vittorio, Enrico, tutti e tre
morti in tenera età (Enrico nel 1818, v. la bella lettera consolatoria del Lanteri scritta il 31 luglio 1818 per quella
circostanza), e Clemente, il futuro ministro di Carlo Alberto, nato a Cuneo il 21 novembre 1792. Le due figlie,
Giuseppina e Gabriella, erano gemelle: la prima si fece monaca del S. Cuore (morta 1838), la seconda sposò il barone
Luigi Oreglia di S. Stefano e morì novantenne nel 1887. Non è improbabile che la “Sœur Gabrielle” del monastero del
S. Cuore di Pinerolo, a cui scrive il Lanteri, sia il nome da religiosa della Giuseppina Solaro della Margherita.
C2,207:I2
La contessa Gabriella col suo matrimonio imparentò la famiglia Solaro con molte altre famiglie nobili del Piemonte, il
che giovò al figlio Clemente per la sua carriera politica. Essa era figlia primogenita del conte Gaspare d'Agliano (17181788) e di Maria Salomone di Serravalle. Un suo fratello, il conte Giuseppe Maria d'Agliano (1762-1838) fu vicerè di
Sardegna e nel 1831 cavaliere dell'Annunziata. Una sua sorella sposò il conte Pio Vidua di Conzano (1748-1836) che fu
primo segretario di Stato nel 1814 e Ministro di Stato nel 1815: un fratello del conte Pio, Carlo Vidua di Conzano
(1785-1830), fu letterato e viaggiatore, e ne scrisse la vita Cesare Balbo, Vita del conte Carlo Vidua, Torino 1834.
Morì a Torino il 5 dicembre 1842, di anni 71, ed è sepolta a La Margarita (C. Lovera – I. Rinieri, Clemente Solaro della
Margarita, Torino 1931, 1-23).
C2,207:T1
22 maggio 1807
Madame et ma Fille en Jésus-Christ
Je viens de recevoir votre précieuse lettre qui m'a fait un vrai plaisir; je me réjouis de votre bon
voyage, et de l'excellent état de santé de toute votre famille; je ne vois point d'inconvénient que
vous remettiez votre petite Louise*1 à votre chère Sœur, Mme la Comtesse Vidua, elle ne peut pas
être entre meilleures mains, et les raisons pour cela sont très bonnes; vous pouvez donc le faire
tranquillement à ce qui me paraît.
Je suis puis d'autant plus charmé d'entendre que vous avez déjà chez vous le Père Ferrero. Il faut
donc commencer tout de bon, il faut arranger tout de suite avec lui les communions pour en faire le
plus que vous pouvez, être inexorable pour la méditation et la lecture, ne fût-ce qu'un quart d'heure
de méditation et une page de lecture comme aussi l'examen de conscience; vous pouvez même le
faire en travaillant; n'oubliez pas aussi des élévations fréquentes, mais douces et tranquilles, de
votre cœur vers Dieu*2, et des actes de mortification surtout intérieure, qui consistent pour vous à
pratiquer à chaque instant la douceur et la gaieté. De grâce n'oubliez pas de faire une guerre
continuelle à la mauvaise humeur, et ne vous lassez pas de commencer toujours. N'attendez pas
pour commencer tout ceci que vous ayez de la dévotion, commencez tout uniment sans dévotion,
car elle viendra avec le temps, et voilà précisément les moyens pour l'acquérir; la dévotion doit être
l'effet, et non pas la cause des pratiques ci-dessus; d'ailleurs vous n'ignorez pas que la vraie
dévotion consiste dans la promptitude à être fidèle au Seigneur, et non pas dans le sentiment.
J'espère que vous voudrez bien me procurer bientôt des nouvelles consolantes à cet égard*3.
C2,207:T2
Je vous prie de présenter mes respects au P. César, et de lui dire que je serais enchanté de le voir ici,
et j'espère toujours effectuer un jour ma course dans ces pays. Dites en attendant au R.P. Ferrero*4,
quoique je n'aie pas encore le bonheur de le connaître, que je le prie de ne vous laisser aucun repos
pour vous engager à pratiquer tout ce que je viens de vous recommander, et de vous gronder tout de
bon, et que je lui en aurai bien de l'obligation.
Je vous bénis avec toute la famille, je me recommande à vos prières et je suis avec toute l'estime et
considération possibles
Madame et ma Fille en Jésus-Christ
Turin ce 22 mai 1807
Votre très Humble et très Ob. Serv.
et P. [Père] en J. [Jésus]
L. [Lanteri*5]
Madame
Madame la Comtesse Gabrielle
de la Marguerite née D'Aglian
C2,207:*1
Nella citata biografia di Lovera-Rinieri non ho trovato traccia di questa Luisa, che da tutto l'insieme
sembra essere un'altra figlia della contessa Gabriella Solaro della Margarita.
C2,207:*2
Vi si ritrovano qui in breve tutti i principi fondamentali della direzione spirituale che il Lanteri
seguiva con le sue figlie spirituali e che ritornano spessissimo in molti altri suoi scritti: cominciare
sempre da capo, confidenza in Dio, preghiera continua, Comunione frequente, lotta contro se stessi,
ecc., sulla traccia di S. Ignazio, di S. Francesco di Sales, dello Scupoli, ecc.
C2,207:*3
“[…] elevazioni frequenti, ma dolci e tranquille…”: anche questo è un leit-motiv frequentissimo.
Nel Direttorio degli Oblati di M.V. (ed. 1963, p. 100-101) si legge: “Modo di eseguire le azioni. In
ciascuna azione hanno dunque sempre Gesù innanzi agli occhi, quale loro compagno e modello, e si
studiano di imitarlo nel modo più perfetto, sia all'interno che all'esterno, unitamente agli esempi di
Maria Ss., per rendersi in questo modo, con l'intercessione di Maria, più somiglianti all'immagine di
Gesù che devono imprimere nell'anima propria. E per meglio riuscire in questo impegno, tengono la
seguente pratica, cioè incominciano l'azione non con impeto, ma ex fide; cioè con un tranquillo
sguardo di fede a Gesù, nostro modello, investendosi nel suo spirito ed unendosi alle sue intenzioni
per operare come avrebbe egli stesso operato in simili circostanze. Proseguono l'azione non
languidamente, ma cum affectu, inserendovi sovente volte slanci tranquilli e soavi di cuore verso
Gesù. La finiscono non ex abrupto, ma reflexe, cioè, come si è detto di sopra parlando dell'esame,
con un rapido esame se l'azione sia stata fatta totalmente secondo il Cuore di Gesù, o no, per quindi
ringraziarne il Signore, o fare un atto di contrizione. Così si propongono di fare sempre, sia che si
tratti di pregare, come di agire o di patire”.
C2,207:*4
Nel citato studio del Lovera e del Rinieri non abbiamo trovato nessun cenno di questo P. César e del
P. Ferrero.
C2,207:*5
Una nota complessiva sul francese del Padre Lanteri. Egli lo conosceva molto bene, lo parlava e lo
scriveva correntemente, come ci dimostrano anche altri documenti di archivio e la sua nutrita
corrispondenza che aveva con conoscenti e collaboratori esteri. D'altra parte il francese era ancora
in Piemonte la lingua ufficiale e diplomatica, come fanno fede la corrispondenza privata di re
Vittorio Emanuele, Carlo Felice, Carlo Alberto e dei loro ministri, non solo di quelli di origine
savoiarda, ma anche piemontese come Solaro della Margarita e Camillo Cavour.
Il Lanteri però, pur scrivendo in francese, pensa sempre in italiano, e pur possedendo un tesoro
lessicale assai vasto, cade talvolta in solecismi e barbarismi che difficilmente a un francese
autentico sarebbero sfuggiti. Dove il Lanteri difetta è specialmente negli accenti; la parola francese
è scritta all'italiana, generalmente senza accento (e talvolta con l'accento dove o come non dovrebbe
andare), con – talvolta – le doppie o trasposizione di lettere all'italiana. Ciò si nota specialmente
nelle lettere alla Mortigliengo (v. sotto) buttate giù currenti calamo, senza una minuta precedente,
come di solito faceva per lettere di maggior impegno.
C2,210:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
25 giugno 1807
Combattere gli scrupoli con la preghiera e seguendo i consigli del direttore – Malattia del marchese di Cinzano – Il
danaro di Vienna per sostenere l'Amicizia di Firenze
Originale in AOMV, S. 5,2,4:196 (S. 1,17,25a:1517)
C2,210:T1
Monsieur et A.C.
Turin ce 25 juin 1807
J'étais sur le moment de vous écrire quand j'ai reçu votre précieuse et très chère lettre. Je suis fâché
de vous voir, Monsieur et très Cher en Jésus-Christ, aussi livré au découragement, tandis que les
moyens de vous relever sont aussi faciles et si sûrs; approchez-vous seulement des Saints
Sacrements le plus souvent que vous pouvez, soyez résolu à ne laisser passer les huits jours à cet
égard, mettez en sûreté chaque jour la méditation et la lecture spirituelle, et je vous assure que vous
trouverez la paix de votre âme. L'ennemi fait tous ses efforts pour vous attirer de son côté, mais le
Seigneur qui vous a comblé de grâces et de bénédictions, qui vous invite toujours avec tant de
bonté, mérite bien toute préférence, et tous les efforts pour rester avec lui. Faites-moi la grâce de me
donner souvent de vos nouvelles, et cela servira aussi pour vous encourager dans le service de Dieu.
Soyez bien assuré que tout ce qui regarde votre avancement spirituel m'est bien à cœur, je suis
seulement fâché que nous soyons si éloignés l'un de l'autre et que les circonstances rendent si
difficile notre rapprochement; il faut y suppléer au moins par lettres.
J'ai cherché en vain l'Année du Chrétien du P. Griffet. Ne l'ayant pas trouvé, les libraires m'assurent
qu'il est devenu bien rare, mais si dans la suite je réussis à le trouver, je ne manquerai pas de vous le
procurer.
Est-ce que vous n'avez point écrit au B.P. [Baron Penkler] pour vous procurer l'argent pour A.C.?
Vous me feriez un grand plaisir si vous pouviez achever cette affaire sans tarder davantage, je vous
renvoie à mes dernières lettres à cet égard.
Vous me demandez des nouvelles du Marquis de Cinzan et du Comte Grimaldi. Le premier, nous
avons risqué de le perdre cette année, et il ne se porte pas encore parfaitement bien; il va prendre
incessamment les eaux avec sa femme en Savoie. Le Comte Grimaldi se porte très bien, mais il est
actuellement à sa campagne assez loin de nous.
C2,210:T2
Je vous prie de faire agréer mes humbles respects à Madame Votre digne épouse, au D.B. [Docteur
Bucelli] etc., et plein de considération et d'estime j'ai l'honneur d'être
Monsieur et A.C. en Jésus-Christ
Votre très humble Serv. et A.C.
P.B.L.
(timbro postale di Torino e di Firenze)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,214:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
17 agosto 1807
Una lettera di condoglianza al marchese Cesare d'Azeglio per la morte di una sua figlia
Originale in AOMV, S. 5,2,4:197 (S. 1,17,25a:1518)
C2,214:T
Pregiat.mo Sig. Priore ed A.C.
In somma fretta due linee perché sovraccarico di occupazioni, essendo giunto ieri l'altro da dare gli
Esercizi, e partendo nuovamente domani per darne altri, le accludo dunque questa lettera per M.Z.
[Marchese Zei], essa è per consolarlo della perdita che viene a fare di sua figlia che aveva qui: la
prego di non rimettergliela, finché sappia che il Sig. Can.o Barrera gli abbia rimesso quelle che pure
gli furono indirizzate per tale effetto*1. Mi riservo ad altra volta il trattenermi più a lungo seco lei,
onde in tutta fretta per ora passo a sottoscrivermi.
Torino li 17 agosto 1801
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
L.
All'Ill.mo Sig. Sig. Pn Colmo
Il Sig. M.se Leopoldo Ricasoli
Priore dell'Ordine di Santo Stefano
sul ponte alla Carraia
Firenze
C2,214:*1
Sul canonico Ferdinando de Barrera, della metropolitana di Firenze, cfr. la lettera del Barrera a
Lanteri del 28 settembre 1818 e le note relative (Carteggio, III, 203-207). La figlia del D'Azeglio
qui ricordata deve essere Melania “che morì giovanissima” (M. D'Azeglio, I Miei Ricordi, cap. II).
C2,215:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
14 settembre 1807
Viaggio del Ricasoli a Torino – Riapertura del Santuario di Sant'Ignazio sopra Lanzo
Originale in AOMV, S. 5,2,4:198 (S. 1,17,25a:1519)
C2,215:I1
È un biglietto dettato in tutta fretta, come il Lanteri faceva spesso col Ricasoli tutte le volte che gli si presentava
un'occasione favorevole, come deve essere successo anche questa volta.
C2,215:I2
Il santuario di Sant'Ignazio
Il Lanteri e il Guala erano stati incaricati quell'anno, 1807, dall'arcivescovo di Torino Giacinto Della Torre a predicare
la prima muta di Esercizi nel santuario di Sant'Ignazio sopra Lanzo: la loro opera per gli Esercizi riceveva in certo senso
il crisma ufficiale e il P. Lanteri, che fu sempre un apostolo convinto degli Esercizi di S. Ignazio, non sa trattenersi dal
manifestare la sua gioia all'amico Ricasoli.
Il santuario di Sant'Ignazio, edificato in luogo della primitiva cappella nel 1727 dai padri gesuiti su disegno
dell'architetto Bernardo Antonio Vittone, fu concesso, dopo la soppressione della Compagnia e trascorsi anni
d'incertezza, alla Mensa arcivescovile di Torino. Ridotto in stato di pietoso abbandono per le calamità dei tempi che
seguirono, trovò il suo restauratore (secondo la versione corrente) nel teologo Luigi Guala, e (secondo la
documentazione) nel teologo Pio Bruno Lanteri. Il Guala – scrive Silvio Solero – “portatosi a predicare nei pressi di
Lanzo, volle recarsi a visitare il santuario di Sant'Ignazio e lo trovò mirabilmente acconcio per tenervi gli Esercizi
spirituali”. La documentazione che concerne la riapertura del santuario di Sant'Ignazio si trova in AOMV, S. 1,6,7:234,
ed è strano che sia venuta a finire qui se la parte del Lanteri nella faccenda non fosse stata rilevante e determinante. Tale
documentazione comprende quattro lettere di Mons. Della Torre a don Bertoldo, Vicario di Lanzo; il contratto col
maestro muratore Francesco Brioletto che eseguì i lavori di riattamento; quattro quietanze testimonianti la vendita di
argenti del santuario per pagare le spese e una lettera di don G.B. Fornelli, cappellano del santuario, a Giovanni Pavese,
procuratore generale della mensa arcivescovile.
C2,215:I3
Il Gastaldi, 150-151, pur non negando il merito del Guala nella riapertura del santuario, ne riconosce il primo merito al
Lanteri: “Quando poi per lo zelo del suo discepolo il teologo Luigi Guala, e per le istanze fatte al governo
dall'arcivescovo di Torino mons. Giacinto Della Torre si ottenne di riaprire nel 1811 (evidente sbaglio del Gastaldi, si
legga 1807) la Casa e il Santuario di Sant'Ignazio nella valle di Lanzo, non è dire qual consolazione provasse lo spirito
di Brunone nel veder ridonato alle anime un luogo di tanta santità per una parte, e di sì grande vantaggio per l'altra. In
mezzo al suo giubilo prevedeva quante sorgenti di bene sarebbero scaturite da quella santa montagna della Bastia, ove
nel 1629 apparve il glorioso S. Ignazio; in suo cuore contava le conversioni ed i cangiamenti di vita buona in ottima ne'
laici, il rinnovamento di fervore e di zelo negli ecclesiastici, e perciò teneva quel giorno tra i più felici della sua vita”.
“L'esperimento del 1807 fu coronato di successo. I due predicatori ebbero il plauso dell'arcivescovo e del vicario di
Lanzo, don Giovanni Antonio Bertoldo, e l'incoraggiamento a proseguire. Nell'aprile 1808 furono intrapresi dei lavori
per dare una conveniente sistemazione al locale annesso al santuario e farne una vera casa di esercizi; il 6 luglio si iniziò
la prima muta con la partecipazione di 23 sacerdoti: era l'apertura ufficiale. Una seconda muta, frequentata da 32 laici,
fu tenuta nel settembre…” (Bona, 281-282).
Da allora in poi l'attività degli Esercizi in Sant'Ignazio di Lanzo non è più venuta meno, tolto qualche breve
interruzione, e dura ancora ai giorni nostri. Il Lanteri seguì sempre con cura e interesse il movimento degli Esercizi a
Sant'Ignazio, anche in seguito, e a suo luogo torneremo sull'argomento.
C2,215:T
14 settembre 1807
T. [Turin] li 14 settembre 1807
Monsieur et très Respectable A.C. [Ami Chrétien]
V.J. [Vive Jésus]
Due linee in tutta fretta per significarle la mia più viva consolazione per la speranza datami di
venirci a ritrovare nel mese venturo; se brama Esercizi in qualche modo glieli daremo; mi rincresce
solo che troverà qui pochissimi amici, perché sono quasi tutti fuori in questa stagione, e non
ritornano in città che in fine di novembre, e certuni anche non ritornano che in dicembre. Con tutto
ciò non lasci di venire, perché faremo in sorte di vederne alcuno, fra questi il M.se [Marchese] di
Cinzano, l'unico che sia ancora in Torino, è ansiosissimo di vederla*1, e dovendo anch'esso
assentarsi dalla Città per qualche suo affare, bramerebbe sapere più precisamente il tempo del suo
arrivo, per combinare di maniera il suo viaggio da poter immancabilmente passare seco lei alcuni
giorni pendente la sua dimora con noi; bramerei anch'io saperlo per mia regola, essendo pure
soggetto a qualche piccola assenza da Torino. Domani parto per dare gli Esercizi di S. Ignazio in un
Santuario proprio di Sant'Ignazio sito sulle nostre montagne, e verrà meco a darli il T.G. [Teologo
Guala]; che bella occasione se avessimo di già avuto la sorta di possederla, ma alla fine del mese
siamo di ritorno. Ed in attenzione frattanto di un nuovo suo riscontro con particolare stima e
considerazione mi protesto in fretta
Di V.S. Ill.ma
Umil.mo Servitore ed A.C.
L. [Lanteri]
C2,215:*1
Vittorio Maria, marchese della Chiesa di Cinzano di Roddi, n. 1776, m. nel maggio 1812 (Lanteri a
Ricasoli 11 maggio 1812), fu prefetto di palazzo del principe Camillo Borghese, cavaliere della
legion d'onore e barone dell'impero francese (con nomina del 14 aprile 1810) (V. Spreti,
Enciclopedia storico-nobiliare italiana, II, 445).
Ancora prima del 1800 deve aver fatto parte, insieme con la consorte, dell'Amicizia Cristiana di
Torino. Per questo appare come una conoscenza personale del Ricasoli (si erano conosciuti a
Firenze dove la famiglia Cinzano si era trasferita con altre famiglie piemontesi durante
l'occupazione napoleonica; cfr. M. D'Azeglio, I miei ricordi, cap. 3), e il Cinzano si dice
“ansiosissimo di vederlo”. Fu tra gli esponenti, e non tra i meno rappresentativi, di quella catena di
aiuti a Pio VII prigioniero a Savona che faceva capo a Lanteri, Daverio, d'Agliano, Du Coin,
Perreau ecc. (Positio, 20, 22), ma non pare che abbia avuto per questo conseguenze personali a suo
carico.
Il marchese Vittorio Maria non deve essere confuso – come talvolta avviene – con un altro
marchese di Cinzano della Chiesa di Roddi, il marchese Enrico, morto il 15 agosto 1826, il quale
nel 1817 deve aver preso parte alla fondazione dell'Amicizia Cattolica, anche se ufficialmente non
ne fece, probabilmente, mai parte. Nel codicillo del suo testamento, depositato nell'archivio del R.
Senato di Torino il 1o febbraio 1826, egli delega il Lanteri a rivedere i libri della sua biblioteca per
togliervi quelli che giudicherà suscettibili della minima censura. Copia del catalogo di tale
biblioteca si trova in AOMV, S. 2,1,11:130 (dove erroneamente gli si dà il nome di “marchese
Vittorio Maria” invece di “marchese Enrico”; cfr. Bona, 187, 318; Gazzetta Piemontese, 6 [1826],
633-634, dove si legge il necrologio del Cinzano).
Enrico Cinzano si trovò coinvolto nei moti del 1821, come si rileva dal Mémorial di Carlo Alberto,
scritto ancora in quell'epoca (1821):
“[…] Les séditieux poussèrent des hurlements effroyables demandant la constitution espagnole. La
garde fut obligée de se retrancher au devant de la porte, plusieurs personnes de ma maison furent
renversées. Le Comte de Tournafort fut foulé aux pieds, le Marquis de Sinsan fut retiré avec peine
des mains des factieux, mais ils ne seraient pourtant point entrés si malgré les marques de
dévouement que je reçus de la plupart des personnes de ma cour il ne se fût trouvé aussi de celles
qui me trahirent, etc.…” (A. Degli Alberti, Dieci anni di storia piemontese (1814-1824), Torino
1909, 166-167).
C2,217:S
Lanteri al Barone Giuseppe Penkler
settembre 1807
L'eredità di don Luigi Virginio – Debiti lasciati dal P. Diessbach Malattia del Penkler e del P. Wagner
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:214a
C2,217:I
L'ortografia è stata ammodernata.
La minuta di mano Lanteri non porta né data né indirizzo ma dalle successive risposte del Penkler è facile stabilire che
questa è posteriore al 25 luglio 1807 e anteriore al 5 dicembre 1807.
C2,217:T1
J'ai commencé à recevoir bien tard votre très chère et précieuse lettre; de plus cela fait environ trois
mois que des courses continuelles pour des retraites et malades m'ont à peine permis jusqu'ici de
temps en temps quelques apparitions bien courtes à Turin qui ne me laissaient vaquer pas même à la
moitié de mes affaires; voilà la cause véritable de mon retard à vous répondre, mon respectable et
cher A. [Ami], d'autant plus que j'espère toujours pouvoir obtenir quelques renseignements de M.
l'Av. V. [Virginio*1], frère de notre commun ami, pour répondre à l'article principal de votre lettre à
son égard et vous envoyer le certificat que vous me demandez, mais ce fut inutilement puisqu'il s'est
absenté de T. [Turin] et il ne m'est pas réussi de savoir où il est allé (c'est un homme plein de
projets, et personne ne sait [où il est]). S'il suffisait mon certificat de le lui avoir signifié je serais
prêt à le faire; différemment je ne vois pas de moyens de se tirer de cette affaire pour le présent.
Quant aux deux autres articles relatifs aux dettes de P.D. [Père Diessbach], je ne vois plus rien à
faire, et je n'y vois pas de probabilité d'en découvrir d'autres.
2. Quant au scrupule de V. [Virginio], il me semble qu'on peut le mépriser tout à fait, puisqu'il
n'était pas sujet à se faire facilement illusion à cet égard; nonobstant cela, si vous voulez m'envoyer
la lettre, je tâcherai s'il me réussira de la lui faire parvenir à son adresse. Le P.R. [Prieur Ricasoli]
m'écrit qu'il comptait vous prier de lui procurer des marchandises au lieu de l'argent pour ne pas
perdre sur le change. Je vais pourtant lui écrire mon avis là-dessus, qui est de prendre tout uniment
l'argent au change tel qu'il sera sans se charger d'autres embarras à cet égard*2.
C2,217:T2
En attendant, deux choses me fâchent vivement, et ce sont votre mal, et l'accident survenu au P.
[Père] W. [Wagner]. Je ne cesse de prier instamment le Seigneur pour le rétablissement de tous les
deux. Oh que je serais enchanté si le bon Dieu me faisait la grâce de pouvoir aller vous trouver,
mais jusqu'ici cela ne m'est pas possible; je ne désespère pourtant pas de le faire un jour, et je
remercie bien de cœur le Seigneur de vous conserver toujours ce zèle et cette fermeté pour procurer
autant qu'il vous est possible la gloire de Dieu, espérant fermement qu'il vous en fournira par la
suite d'autres moyens.
Les nouvelles de Caf. [Cafasso] m'ont bien consolé; de Sineo je ne sais rien depuis longtemps
puisque je ne suis pas en commerce avec lui, ses affaires étant bien [différentes] des nôtres. Le
temps me manque, mais ne manquez pas, je vous en prie, de m'écrire au plus tôt et de me donner de
vos précieuses nouvelles et du P. [Père] V. [Wagner*3]…
C2,217:*1
Il fratello di don Luigi Virginio qui accennato è l'avvocato Giovanni Vincenzo Virginio, valente
agronomo che si fece un nome per aver introdotto in Piemonte la coltivazione della patata. Don
Virginio aveva lasciato erede ed esecutore testamentario il P. Joseph Wagner con un paragrafo che
riguardava dei lasciti al fratello avvocato “Don Vincenzo Virginio” che allora si trovava in cattive
condizioni finanziarie (Bona, 261).
C2,217:*2
La lettera del Virginio al Ricasoli, che porta la data del 4 novembre 1805, è inserita in una lettera di
quest'ultimo al Lanteri dell'8 dicembre 1807, pubblicata in Positio, 118. L'affare della trasmissione
di questo danaro lasciato dal Virginio da Vienna a Firenze si protrasse per quasi due anni ed occupa
una gran parte nella corrispondenza Lanteri-Penkler-Ricasoli (Bona, ivi).
C2,217:*3
Si deve leggere evidentemente W. [Wagner], e non V. [Virginio], perché quest'ultimo era già morto
nel dicembre 1805.
C2,219:S
Lanteri al Marchese Cesare D'Azeglio
ottobre 1807
Arrivati i libri dall'Amicizia Cristiana di Firenze – Il periodico l'Ape – L'abate Juan Andrés – Il teologo Alasia –
L'eredità di P. Virginio a Vienna – Note di direzione spirituale
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:214a-2
C2,219:I1
Una nota d'archivio indica questa minuta autografa del Lanteri come indirizzata al Ricasoli, ma non è esatto come si
deduce dal contesto dove si parla del P.R. [Priore Ricasoli] interessato nella questione dell'eredità Virginio. Il
destinatario è certamente il D'Azeglio, che dal 1800 al 1808 si stabilì a Firenze anche per sfuggire la dominazione
francese a Torino, e dove diede vita al periodico L'Ape, di cui parleremo sotto.
La minuta si presenta senza data, però dal contenuto della lettera, cioè dall'accenno dell'intenzione del Ricasoli di farsi
mandare da Vienna merci in luogo della somma lasciata in eredità dal Virginio (transazione che il Lanteri non
approvava e che poi non fu attuata), risulta che essa è posteriore al 25 luglio (Penkler a Lanteri) e anteriore al 21 ottobre
1807 (Lanteri a Ricasoli).
La corrispondenza Lanteri-D'Azeglio, quale si presenta a noi oggi, è abbastanza smilza tenuto conto della
collaborazione di lunghi anni che intercorse tra i due, praticamente uniti per più di 30 anni in identico intento di idee e
di programmi nella comune attività apostolica. Molte lettere devono essere andate certamente perdute, ma la
corrispondenza non deve essere stata neppure tanto nutrita come con altri membri delle Amicizie dirette dal Lanteri
perché il D'Azeglio visse molti anni a Torino dove risiedeva anche il Lanteri.
Cesare Taparelli, dopo la morte del fratello Vittorio Ferdinando, conte di Lagnasco, Genola e Cortadone, marchese di
Montanera e di Azeglio, nacque a Torino il 10 febbraio 1763 e morì a Genova il 26 novembre 1830. È il padre di
Prospero – il futuro P. Luigi Taparelli gesuita – di Massimo e di Roberto d'Azeglio; l'esponente più autorevole del
laicato cattolico del primo Ottocento, notissimo per la lealtà con cui sempre servì la Chiesa e la corona. All'età di 11
anni fu aggregato come cadetto nel Reggimento della Regina (1774) e in gioventù indulse alquanto alla mondanità e
all'incredulità di moda, come ricorda il figlio Massimo nei Miei Ricordi, cap. I, ma verso i 24 o 25 anni tornò ad una
vita tutta dedita alla religione e al dovere in cui perseverò fino alla morte.
C2,219:I2
Nel 1788 sposò la marchesa Cristina Morozzo di Bianzé (1770-1838) che gli fu sempre di grande aiuto nella sua attività
pubblicistica e organizzativa. Ben presto entrò anche lui nel cerchio degli amici del Diessbach (non si sa però in quale
anno preciso e in quali circostanze) e si trovò a fianco del Lanteri col quale condivideva in pieno le vedute. Nel 17951796 prese parte alle campagne contro i francesi e fu fatto prigioniero. Dopo la cacciata dei francesi ad opera degli
austro-russi ebbe incarichi politici e militari, finché annesso il Piemonte alla Francia, si ritirò con la moglie e tre figli a
Firenze in volontario esilio, dove rimase dal 1800 al 1808. Nel 1814 fu fatto rappresentante sardo presso Pio VII e poi
governatore di Casale; nel 1820 ispettore superiore degli istituti di beneficenza, e nel 1828 grande della corona. Era un
buon letterato e amico dell'Alfieri, morto a Firenze nel 1803, ma versato anche nelle scienze sacre. Adolfo Omodeo dice
che Cesare d'Azeglio “merita di essere messo a fianco, come teologo laico, al suo amico Joseph de Maistre” (A.
Omodeo, Aspetti del Cattolicismo della Restaurazione, Torino 1949, 187) e sappiamo che a Firenze si iscrisse
all'Accademia di Religione Cattolica (istituita a Roma da Mons. Fortunato Zamboni) che vi lesse una dissertazione alla
presenza del Nunzio (Bona, 247-248).
Discepolo del Diessbach e figlio spirituale del Lanteri, fece parte dell'Amicizia di Torino e di Firenze. Nel 1817 fu tra i
fondatori dell'Amicizia Cattolica, di cui fu segretario, cioè presidente, dalla fondazione alla soppressione (1817-1828).
Introdusse in Piemonte l'Opera della Propagazione della Fede (1824-1825) fondata a Lione. È il fondatore del primo
giornale cattolico moderno, L'Amico d'Italia, 1822-1829, 16 voll., di cui fu sempre direttore (Bona, 245-256, con
abbondante bibliografia; A. P. Frutaz, in Enc. Catt., II, 571; G. Verucci, in Dizionario Biografico degli Italiani, IV,
Roma 1962).
C2,219:T1
ottobre 1807
Giunti sono i libri, parte di essi sono stati rimessi, o spediti, giusta il loro indirizzo, e parte li ritiene
Balbino*1, il quale consente di esitarli a conto di V.S. Car.ma con l'aggio del 20 per cento,
incaricandosi però, ciò mediante, di ogni spesa di porto.
Ho tentato, ma non mi è riuscito di separare nel mio conto trasmessole, l'importare dell'Ape solo*2,
perché ben sovente io notavo ciò che ricevevo a suo conto senza specificarne il titolo; può
benissimo essere che alcuni numeri non siano ancora pagati per non averli esatti subito, può anche
darsi che alcuni numeri siano rimasti da distribuire agli associati, cosa che non saprei decidere,
soltanto io so che mi sono rimasti più di 50 numeri in grande parte duplicati, che sono mancate agli
associati tutte le copie del n. 5; inoltre quest'ultimo mio conto data soltanto dall'ultima mia gita a
Firenze*3, perché si erano allora aggiustati i conti vecchi, sicuro che il ricevere l'Ape non
regolarmente, il non poterli spedire subito agli associati ora per una ragione, ora per un'altra, il non
aver io sempre tempo comodo per tenere i conti chiari, è stato in grande parte la cagione di questo
imbroglio, che ora molto mi rincresce di averle cagionato, ma ne spero da lei il condono.
Le Père André tratta in sostanza filosoficamente ma superbamente bene delle relazioni dell'uomo
con Dio, si contiene in quegli opuscoli una metafisica a mio avviso utilissima per la gioventù, e
sono persuaso che piacerebbe anche a lei; se avessi tempo, goderei io stesso nel dirgliene di più,
perché l'ho letto io tutto, non è grande tempo e con grande piacere.
La Teologia morale del nostro Alasia è delle migliori tra le moderne, non lascia di avere molti
difetti, e vi è anche del rigore, ma è tanto più moderata degli altri, onde si può promuovere,
massime in codeste parti*4.
C2,219:T2
Guala mi comunicò
Guala mi comunicò la sua lettera riguardo al rimborso della stampa del Boccaccio, io trovo giusta la
sua domanda, si deve solamente cercare il modo di eseguirla prudentemente, onde la prego di
significarmi il suo giudizio su tale riguardo, come anche ciò che pensa dell'impiego da farsi di tutta
la somma; io sono d'avviso che una parte deve pure trattenersi per fare il viaggio di Vienna, che io
credo necessarissimo subito che si possa.
B.P. [Barone Penkler] mi scrive che P.R. [Priore Ricasoli] non ha ancora disposto della suddetta
somma, e P.R. [Priore Ricasoli] mi significa che conta di farsi trasmettere delle merci per non
perdere nel cambio; io non saprei approvare tale cosa, onde conto di rispondergli che non deve
prendersi tali brighe, ma farsi trasmettere il danaro col cambio che corre, perché simili operazioni,
oltreché lunghissime, non entrano affatto nelle nostre viste. Intanto la prego di avere pazienza con il
medesimo, che del resto egli è un eccellente soggetto, come ben sa.
Sono tre mesi per lo meno che parte per gli Esercizi, parte per ammalati, appena ogni 15 giorni
potevo fare in T. [Torino] un'apparizione di due o tre giorni, onde non mi è mai stato possibile
abboccarmi finora con l'Arciprete di Ruv.*5 come sommamente desidero a suo riguardo, ma tenterò
di farlo al più presto che mi sia fattibile. Dio sa poi quanto mi sia sensibile la presentemente sua
situazione; per una parte sommamente bramerei di godere qui della sua persona, per l'altra vedo
tutti gli altri gravissimi inconvenienti; frattanto adoro anch'io gli altissimi giudizi di Dio, e
chiaramente vedo come il Signore il tutto dispone per la santificazione dei suoi eletti, giacché non
habemus hic manentem civitatem, sed peregrinamur a Domino etc. Ma non dubiti, anche in questi
emergenti verrà assistito dal Signore, come lo fu in tanti altri per il passato, ed ultimamente ancora
nella perdita della preziosa Melania. “Niente ti turbi”, ci dice S. Teresa; vi aggiunga ancora a questa
tranquillità di spirito una dolce e viva confidenza in Dio, e poi sia sicuro che tutto finirà bene.
Mille rispetti alla Degn.ma sua Sig.ra consorte, preghino molto per me, e con tutta la considerazione
le sono…
C2,219:*1
Si sa poco di questo Balbino: era un Amico Cristiano di Torino a cui si voleva affidare la
corrispondenza con Firenze (Bona, 257).
C2,219:*2
L'Ape, “Gazzetta dell'Amicizia”, non fu fondata probabilmente dal d'Azeglio, come afferma il figlio
Massimo, ma certamente egli ne fu il sostenitore e il redattore più fedele e più assiduo, tanto da
potersi considerare una sua creatura. I molti articoli di critica letteraria che vi pubblicò vanno sotto
lo pseudonimo di Ottavio Ponzoni, talvolta abbreviato in O.P. Il periodico, che è chiamato talvolta
“giornale”, usciva una volta al mese in fascicoli in 8o piccolo che sorpassavano di poco le 40
pagine.
Il primo numero vide la luce il 30 agosto 1803 con questo titolo: L'Ape, scelta d'opuscoli letterari, e
morali estratti per lo più da fogli periodici ultramontani, titolo che fa capire il contenuto materiale
e ideologico del periodico: una specie di “Selezione” da altri periodici, e orientato “ultramontano”
cioè fedele all'insegnamento e alle direttive della Chiesa. L'Ape cessava le pubblicazioni il 31 luglio
1806 senza prendere congedo dai lettori e senza indicare la causa della sospensione, che
probabilmente dipendeva da difficoltà finanziarie, o piuttosto, da difficoltà politiche per l'arrivo dei
francesi a Firenze (Bona, 248-252).
C2,219:*3
Il Lanteri era andato a Firenze nel settembre 1802: del viaggio si ha una relazione – da integrarsi
con le lettere del Lanteri di questo periodo, quasi tutte conservate – che mostra bene come la forza
dell'Amicizia consisteva soprattutto nella fitta rete di rapporti personali. Partì nel settembre 1802
accompagnato dall'Amico conte Grimaldi e giunse a Firenze prima dell'inizio dell'ottobre, in un
tempo cioè in cui gli Amici e le “persone interessanti” erano fuori città per la villeggiatura e non
consentivano una rapida presa di contatto. Il Lanteri allogiò a San Giovanni di Dio – ma la pensione
volle pagarla il Ricasoli – e nel frattempo provvide a disbrigare alcune attività tipiche dell'Amicizia
e a stendere delle note per la futura Sacerdotale di Firenze.
C2,219:*4
Alasia – o Allasia – Antonio Giuseppe, n. a Sommariva Bosco nel 1731, m. a Torino nel 1812, fu
dottore in teologia all'università di Torino nel 1750, capo delle conferenze di teologia morale nel
1761, aggregato al collegio dei teologi dell'università nel 1761. Pubblicò un ampio lavoro, la
Theologia Moralis in 9 voll., Torino 1783-1808, ristampato in 8 voll., ivi 1830-1831, condensato in
4 voll., ivi 1826-1827 a opera di Angelo Stuardi, torinese, ristampato ancora da Paravia nel 18341835, e finalmente “funditus” rifatto, con adattamento alle leggi albertine e alla dottrina di S.
Alfonso, dal can. torinese Lorenzo Gastaldi, che poi fu arciv. di Torino (G. Usseglio, Il Teol. Guala
e il Convitto eccle. di Torino, Torino 1948, 37).
L'Alasia, pressoché sconosciuto fuori d'Italia (“Alasia… théologien si obscur qu'il ne figure, à ma
connaissance, sur aucun répertoire”, J. Guerber, Le ralliement…, 350), ebbe una certa voga in
Piemonte anche perché collegato con la polemica del Dettori. Le opinioni sulla sua teologia non
sono concordi. Fu definito auctor probatissimus nel Sinodo Costa del 1788 e fu lodato da Mons.
G.B. Bertagna; altri invece lo tacciano di giansenismo. Certo apparteneva alla scuola rigorista. Il
Lanteri, che l'aveva letto e studiato, ne dà qui un giudizio positivo – confermato anche da altre
testimonianze date in altre circostanze – anche se non nega la sua tendenza al probabiliorismo e al
rigorismo.
C2,219:*5
Non è al momento chiaro se si faccia riferimento a Revello o a Rivalta.
C2,223:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
21 ottobre 1807
Rinnovato invito al Ricasoli di recarsi a Torino – Come usare il danaro lasciato in eredità dal Virginio
Originale in AOMV, S. 5,2,4:199 (S. 1,17,25a:1520)
C2,223:I
In AOMV, S. 2,6,6:214b esiste la minuta della stessa lettera di mano Lanteri.
C2,223:T1
Monsieur et très Cher en Jésus-Christ
V.J. [Vive Jésus]
Vedendo inoltrarsi la fine d'ottobre, già quasi dispero della sua venuta a T. [Torino], che sarebbe
però stata così interessante per tanti riguardi, e spero ancora che non avrà abbandonato un simile
progetto*1. Se fosse stato fattibile a me, o a G. [Guala], o l'uno o l'altro avrebbe fatto costì una
scorsa, ma le occupazioni indispensabili del nostro ministero non ci hanno quest'anno lasciato alcun
riposo. Sono certo che a quest'ora avrà recuperato la tanto necessaria pace del cuore, per cui non ci
vuole che del coraggio prodotto da una grande confidenza in Dio, ma se ciò non fosse, venga che
non mancheremo di darle i tanto desiderati Esercizi spirituali.
La prego di non tardare di farmi trasmettere il danaro da V. [Virginio], né faccia alcun cambio con
merci, perché si prenderebbe con questo infinite e lunghe brighe, e poi le nostre viste sono affatto
aliene da simile modo di operare, il quale potrebbe piuttosto cagionarci del danno che venire
benedetto da Dio; sono certo che P.D. [Diessbach] vi si opporrebbe affatto; quand'anche abbia da
soffrirsene qualche scapito per il cambio, pazienza; i soli disturbi, e le cure inevitabili, e per non
dire altro, la lunghezza di simili operazioni sono cose ben più valutabili che qualche perdita di
danaro*2. Mi farà poi favore grande quando V.S. e M.Z. [Marchese Zei] (che pure lo richiesi) mi
vorranno significare il loro sentimento riguardo all'uso di tale somma, perché così si potrà più
sicuramente impiegare a Maggior Gloria di Dio, come non può, a meno che sia l'intenzione del
nostro V. [Virginio]. Di Caf. [Cafasso] [il] B.P. [Barone Penkler] mi scrive che si trova attualmente
occupato nelle Missioni lungo il Volga che separa l'Europa dall'Asia*3, e sono contentissimi di lui.
La prego intanto dei miei più distinti rispetti alla degnissima sua Sig.ra consorte, ed al D.B. [Dottor
Bucelli], mentre con particolare stima, e considerazione ho l'onore di protestarmi
C2,223:T2
Di V.S. Ill.ma e Car.ma
Torino li 21 ottobre 1807
Umil.mo Serv. ed A.C.
L. [Lanteri]
P.S. L'Année du Chrétien par le P. Griffet non si trova in Torino, potrebbe darne commissione a
Lione per mezzo di M.Z. [Marchese Zei] ove crederei che si potesse trovare*4.
(timbro postale lineare TURIN)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
Prieur de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
Sul ponte alla Carraia
C2,223:*1
Il Ricasoli si recherà a Torino esattamente un anno più tardi, nell'ottobre 1808.
C2,223:*2
Il Lanteri si dilunga alquanto nell'esporre i motivi per cui non è conveniente fare il cambio dei
danari lasciati dal Virginio con acquisto di merci, cioè fare una speculazione commerciale che era
del tutto estranea agli scopi dell'Amicizia, anche per troncare una volta per sempre e con un certo
tono di autorità le incertezze e gli scrupoli a cui il Ricasoli era abitualmente soggetto. I motivi che
sconsigliano tale transazione commerciale sono, secondo il Lanteri, principalmente tre, più un
quarto motivo di rinforzo: a) Perché non rientra nei fini dell'Amicizia Cristiana che aborre da
qualunque vista di lucro materiale; b) Perché non è conforme alla volontà di Dio, e Dio potrebbe
privare di altre grazie, o addirittura punire per imprese non del tutto conformi agli scopi spirituali e
apostolici dell'associazione; c) Perché il P. Diessbach, se fosse vivo e interessato della questione,
escluderebbe senza dubbio tale procedimento. Un quarto motivo di ordine pratico sconsiglia questo
scambio in merci: le lunghe e noiose pratiche che assorbono tempo e mezzi: se ci sarà qualche
piccola perdita, pazienza, conclude il Lanteri.
C2,223:*3
Sul P. Giuseppe Cafasso, S.J., missionario in Russia, v. la lettera scritta a lui dal Lanteri nel 1806.
C2,223:*4
Griffet Henri, S.J. (1698-1771), autore, tra altre opere ascetiche, di L'Année Chrétienne, 18 voll.,
più volte ristampato e tradotto in diverse lingue.
C2,233:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
2 febbraio 1808
Destinazione dei 500 zecchini lasciati in eredità dal Virginio – Progettato viaggio del Lanteri a Vienna
Originale in AOMV, S. 5,2,4:200 (S. 1,17,25a:1521)
C2,233:T
Torino li 2 febbraio 1808
Monsieur et très Cher en Jésus-Christ
V.J. [Vive Jésus]
Non ho risposto prima al pregiatissimo di lei foglio, non tanto per le continue occupazioni, quanto
perché volevo ad un tempo rispondere al B.P. [Barone Penkler] e dovetti ritardare finora per
potergli procurare una scrittura che mi chiedeva relativa all'eredità del nostro comune Amico V.
[Virginio], e che, presentemente, accludo in questa mia, pregando V.S. Ill.ma e Car.ma di fargliela
pervenire quanto prima.
In seguito poi a quanto Ella mi scrisse, io trovo troppo giusto che si rimborsi, se è in credito con
l'A.C., per questo ho pensato essere bene che si ritenga 250 zecchini, che se ne avanza, s'impieghi
per comprare libri, e se volesse compiacersi di mandarmi la nota degli esistenti, io potrei allora
notificarle quelli che potrebbe acquistare per maggior vantaggio di tutti; gli altri 250 zecchini faccia
il favore di rimetterli al Sig. Cesare Lampronti, giusta l'indirizzo qui accluso con carattere che egli
conosce, perché mi saranno qui subito sborsati; servirà questo danaro per fare il viaggio di V.
[Vienna] quando mi sarà possibile l'eseguirlo, essendo esso affatto indispensabile, né potendosi
provvedere altrimenti, che se ne avanzerà, sarà pure impiegato secondo l'intenzione del nostro caro
V. [Virginio].
Fa ella ottimamente, a provvedere subito il locale per la B.*1. Oh quanto bramerei che o G. [Guala]
od io potessimo trovarci costì in queste occasioni! Ma il Signore per ora non lo vuole; non
abbandoni frattanto il progetto dei S. Esercizi, quanto grande sarebbe la nostra consolazione se
potesse presto eseguirlo! Mi raccomandi intanto molto al Signore, che io non lo dimentico
certamente mai, e con particolare stima e considerazione mi protesto in fretta
Umil.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T. Pio Bruno L.
(timbro postale lineare TURIN – FIRENZE)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli Florence
sul ponte alla Carraia
C2,233:*1
Da leggersi probabilmente per “Biblioteca”.
C2,234:S
Lanteri à Madame la Comtesse Gabrielle de la Marguerite
4 luglio 1808
Necessità di cominciare ogni giorno per progredire nella vita interiore – Vincere il proprio carattere con la pazienza e la
dolcezza – Comunione frequente – La vista del Lanteri sempre più debole
Originale in AOMV, S. 2,1,6:27
C2,234:T1
4 luglio 1808
Madame
Je voudrais profiter de l'occasion du départ de Mr votre Fils*1, mais je ne sais à quoi m'y prendre:
dois-je vous faire des éloges de votre fidélité à Dieu? Dois-je vous gronder? Je l'ignore
parfaitement; je prendrai pourtant un parti sûr, qui est de vous recommander de commencer chaque
jour, abandonnant le passé à la miséricorde du Seigneur et l'avenir à sa divine Providence*2. En
attendant pensez chaque jour que vous êtes en commission pour le bon Dieu. Quant à vos affaires
temporelles, ne vous laissez jamais troubler pour rien, pas même pour vos défauts, ayant soin de les
effacer tout de suite par un acte d'amour de Dieu. Soyez attentive à pratiquer la vertu de la patience
et de la douceur, et vous pouvez en faire un examen spécial le soir et à midi*3; n'oubliez pas la
méditation, au moins pour un quart d'heure, avec des élévations fréquentes à Dieu dans la journée,
comme aussi la lecture spirituelle, ne fût-elle que d'une page; enfin ne laissez pas de communier au
moins deux ou trois fois la semaine*4. Je vous prie de me rendre compte de tout ceci, priant le bon
Dieu qu'il vous le fasse pratiquer.
C2,234:T2
Peut-être irai-je
Peut-être irai-je moi-même prendre de vos nouvelles; ce serait pour moi une grande consolation, et
je l'espère aussi, d'autant plus que ma vue qui s'affaiblit toujours davantage ne me permettra pas de
me livrer à d'autres occupations qui pourraient m'en empêcher comme l'année passée*5.
Je n'ai pas le temps de m'arrêter davantage comme je le souhaiterais avec vous, je finis donc par me
recommander à vos saintes prières, et vous bénir ayant l'honneur d'être
Madame
Turin ce 4 juillet 1808*6
Votre très Humble Serv. et P. [Père] en Jésus-Christ
Th. [Théologien] Pie Bruno Lanteri
C2,234:*1
Si tratta del figlio della contessa Gabriella, Clemente, allora di anni 16. Era tornato dal collegio
Tolomei di Siena due anni prima: ora studiava privatamente sotto la direzione dell'abate Pietro
Ricordi, ex gesuita, di cui conservò sempre ottimo ricordo. L'anno dopo, nel 1809, si iscrisse
all'università di Torino.
C2,234:*2
La misericordia e la Provvidenza di Dio: tema sempre caro al Lanteri: “Noi dobbiamo avere sempre
davanti agli occhi quel detto dello Spirito Santo: Sentite de Domino in bonitate (Sap. 1, 1), e perciò
dobbiamo procurare prima in noi stessi sentimenti degni di Dio, per ispirarli poi anche negli altri, ed
ottenere così il fine di amarlo e farlo amare da tutti; che se si devono anche dire delle verità forti e
spaventose, massime trattandosi dei Novissimi, non mai però dobbiamo dimenticarci di suggerire
opportunamente qualche sentimento di confidenza, per non rischiare di insinuare qualche falsa idea
di Dio, e portare qualche anima alla diffidenza, o disperazione” (P. Lanteri, Direttorio degli Esercizi
di S. Ignazio, Torino 1829, 40).
C2,234:*3
La contessa Gabriella è descritta come “donna superiore d'animo, anche se d'aspetto virile, d'alto
sentire, energica, sicura, fatta per dirigere e decidere” (C. Lovera – I. Rinieri, Clemente Solaro della
Margarita, 18); di qui la sua “abitudine meditativa, un carattere fiero, una modestia singolare, un
cuore a tutta prova sotto gelide apparenze, una volontà costante inclinata al bene, ma un poco
insofferente, quasi aspra, una sincerità netta di giudizi, non di rado esclusivi ed angusti, una severità
di costumi e di gusti, ma grandissimo tuttavia l'orgoglio della razza e dei suoi destini, appena
sorretto da un senso di umiltà cristiana…” (ivi, 18). Di qui la raccomandazione del Lanteri alla
pazienza e alla dolcezza.
C2,234:*4
Qui si parla della Comunione frequente, non ancora di quella quotidiana. Il Lanteri caldeggiò
sempre la Comunione frequente tanto fra le anime religiose quanto fra le secolari, seguendo in ciò
le direttive e lo spirito della scuola italiana, come la chiama Angelo Portaluppi nella sua Storia
della spiritualità, che seguiva i suggerimenti di S. Gaetano da Thiene, di S. Filippo Neri, di S.
Maria Maddalena de Pazzi: accostarsi alla Comunione anche allorché le disposizioni interiori
lasciano a desiderare, poiché “la sua bontà vince la negligenza nostra e ci dona consolazione anche
quando le nostre imperfette disposizioni ci rendono inadatti a ricevere la pienezza delle grazie
recateci da questo celeste alimento” (parole di Mons. Giuseppe Benaglio [morto nel 1836],
contemporaneo del Lanteri e come lui antigiansenista e promotore della devozione del S. Cuore
nella diocesi di Bergamo).
C2,234:*5
La malattia d'occhi a cui qui accenna il Lanteri risaliva ancor alla sua gioventù e sarà per lui causa
di sofferenze e di timori fino alla morte. Racconta il Gastaldi (p. 30-31): “Ma Iddio che aveva
accettato la buona volontà di Brunone [nel consacrarsi a Dio nella certosa di Chiusa Pesio], e
veramente lo voleva per sé, gli mandò un mal d'occhi così pertinace e ribelle, che lo obbligò a
desistere affatto da occupazioni di questo genere [dallo studio delle matematiche alle quali si
sentiva molto portato]. E mentre il male lo affliggeva, il Signore gli parlava al cuore, e lo ispirò di
consacrarsigli nello stato ecclesiastico; laonde rassicurato su questo punto, e deposto ogni altro
pensiero, chiese ed ottenne di vestire l'abito chiericale nel 17 settembre 1777”.
C2,234:*6
In foglio a parte, di mano della contessa Gabriella si leggono alcuni consigli spirituali ricevuti a
voce dal Lanteri:
Metodo di meditazione suggeritomi dall'Abate Lanteri.
– prepararmi il soggetto
– tranquillizzare lo spirito
– mettermi alla presenza di Dio
– propormi la verità come credibile, come amabile, come praticabile, o imitabile
– rappresentarla alla memoria, convincerne l'intelletto, abbracciarne la pratica con la volontà
– il passato come si è praticato, il presente quali mezzi ci suggerisce per renderla facile all'avvenire
– risoluzione per metterli in pratica
– per eseguirli ci vuole l'aiuto di Dio e perciò a lui ricorse ad interporre, per ottenerlo,
l'intercessione di Maria Vergine e dei Santi.
Avvisi datomi dall'Abate Lanteri a voce
– non mai scoraggiarsi per le cadute ma umiliarsi, chiamarne perdono a Dio, e incominciare di
nuovo, dixi, nunc cœpi, sempre ricominciare
– ogni nostra occupazione, o affare temporale, farlo per eseguire una commissione per Dio, pensare
tutta la giornata di essere in commissione per Dio
C2,239:S
Lanteri a un sacerdote dell'Amicizia Cristiana di Firenze
fine settembre 1808
Visita del Ricasoli a Torino – Apostolato negli ospedali – Diffusione dei buoni libri – Funzionamento della stamperia
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:215
C2,239:I
Pubblicata in Positio, 123-125.
La minuta autografa del Lanteri non porta né nome di destinatario né data. Il destinatario è evidentemente un sacerdote
fiorentino della Sacerdotale, e con tutta probabilità il Dott. Francesco Bucelli che ne era il direttore e che il Lanteri
ricorda tante volte nelle sue lettere (Positio, 124). La data deve essere collocata tra la fine del settembre e l'inizio
dell'ottobre 1808. Infatti sappiamo dalla lettera della marchesa Lucrezia a Lanteri del 2 settembre 1808 che il Ricasoli
era partito da Firenze per Torino ai primi di settembre, e che il suo soggiorno a Torino era stato brevissimo,
“un'apparizione” dice il Lanteri in questa lettera.
La lettera è importante per l'accenno che fa della progettata attività dell'Amicizia negli ospedali (v. sotto).
C2,239:T1
Non saprei esprimere a V.S. Ill.ma quanto ci sia stata preziosa e consolante la visita, o per meglio
dire l'apparizione, tanto ella fu così breve, del pregiatissimo Sig. P.R. [Priore Ricasoli], tanto più poi
ci consolò lo zelo che spiegò qui più che mai per la gloria di Dio. Certo che se non conduce seco
alcuno di noi, non si deve questo attribuire a difetto di impegno per sua parte, ma sebbene alle
circostanze particolari che ci forzano a fare altrimenti, riserbandoci però a migliore occasione di
eseguire ciò che per ora non si può, con sommo nostro rincrescimento.
Si sono pertanto convenuti i seguenti punti, quali ho l'onore di specificare a V.S. Ill.ma:
1. Il Sig. P.R. [Priore Ricasoli] incomincerà a portarsi da solo, per ora, secondo il metodo semplice
e tra noi conosciuto, una volta la settimana a qualche ospedale, finché abbia trovato qualche
soggetto per unirsi a tale uopo e formarne una pia società; intanto questa occupazione sarà uno dei
soggetti delle loro conversazioni particolari che terranno assieme sovente tra la settimana con la
Sig.ra Luisa Rigogli e P.R. [Priore Ricasoli*1].
C2,239:T2
2. Non si perderà però mai di vista l'oggetto primario di conoscere i libri a Catalogo, e cercare
occasioni e mezzi per farli circolare, del che almeno ogni 15 giorni se ne farà soggetto particolare di
conversazioni tra loro. Non si terrà però alcuna A.C. [Amicizia Cristiana], finché non si presenti
materia interessante per tale effetto, dovendo questa radunarsi ben rare volte in questi tempi; fisso
restando ciò che si è anche qui convenuto, cioè che V.S. Ill.ma e P.R. [Priore Ricasoli] siano i due
principali sostegni dell'A.C. [Amicizia Cristiana], incaricati particolarmente di esaminare e
promuovere tutto ciò che può riguardare il bene dell'A.C. [Amicizia Cristiana] nient'altro più
desiderando P.R. [Priore Ricasoli] che di profittare dei savi suggerimenti e consigli di V.S. Ill.ma,
quali desidera anzi siano ben efficaci, incombensandomi per tale effetto di pregarla instantemente di
un tanto favore.
3. Finalmente si è convenuto, quanto alla stamperia, che la medesima non si terrà in attività che una
parte dell'anno soltanto, e per cose notabili e di facile esito, e così si spera verranno rimediati molti
gravi inconvenienti che potrebbero succedere.
Ecco i punti fissati tra noi, che io ho l'onore di presentare a V.S. Ill.ma, perché concorra anch'essa a
promuovere efficacemente l'effettuazione, sperando che il Signore vorrà benedire simile impresa di
grande gloria sua.
E nel presentarle i più distinti rispetti dei nostri A.C. [Amici Cristiani] e miei, in particolare modo,
mi raccomando alle sue orazioni e mi protesto…
C2,239:*1
La visita dei malati negli ospedali si ricollega in certo senso agli statuti dell'Aa, verso la quale il
Lanteri è sempre idealmente orientato per tutta la vita. Egli ebbe sempre a cuore la visita dei malati
negli ospedali, la praticò egli stesso e la inculcò sempre negli altri, anzi questo sarà uno degli scopi
stabiliti da lui per i primi Oblati di Maria SS.ma fondati a Carignano nel 1816 (col divieto però di
prendere il posto fisso di cappellani negli ospedali), ma tale scopo fu omesso quando la
Congregazione fu ristabilita a Pinerolo nel 1826.
A Firenze la visita dei malati negli ospedali era già praticata dal ramo femminile dell'Amicizia
Cristiana (v. lettera della marchesa Lucrezia a Lanteri, Carteggio, II, 236-239). Non improbabile
che – come suppone il Bona – il Ricasoli abbia richiesto al Lanteri di estendere tale attività anche al
ramo maschile e che il Lanteri vi abbia aderito volentieri; oppure – come opina il Frutaz in Positio,
123 – la visita ai malati dovesse servire a supplire altre attività temporaneamente impedite per le
avverse condizioni politiche. Non sappiamo che seguito abbia avuto la proposta a cui accenna
questa lettera del Lanteri. È però certo che il Lanteri aveva suggerito al Ricasoli – oppure il Ricasoli
aveva richiesto al Lanteri – di istituire una società avente per scopo specifico la visita agli ospedali.
In AOMV, S. 1,6,2:227 esiste ancora un abbozzo di statuto per l'Istituzione di una Congregazione
di persone che assistono nello Spedale (che il Bona ha pubblicato integralmente, pp. 544-548, e che
ritiene compilato non a Torino ma a Firenze), ma non sappiamo se il suggerimento sia stato
effettuato. Una tale società ebbe vita, come sembra, in Torino, quale emanazione delle due
Amicizie, Cristiana e Sacerdotale (Positio, 123-124).
C2,241:S
Lanteri al Conte Francesco Pertusati
ottobre 1808
Presentazione e raccomandazione del Ricasoli agli Amici di Milano – Elogio dello stesso
Minuta in AOMV, S. 2,6,6:215-2
C2,241:I1
Pubblicata in Positio, 125-126.
Il Ricasoli, arrivato a Torino sulla fine del settembre 1808, vi si fermò breve tempo e tornò a Firenze passando per
Milano, anche per fare la conoscenza dell'Amicizia locale. Il Lanteri con questo biglietto accompagnatorio lo
raccomanda al Pertusati (anche se nella testata del foglio si legge il nome del teol. Mascarani e non quello del Pertusati).
Il biglietto non ha indicazione di data, ma non vi può essere dubbio che sia o della fine di settembre o dei primi di
ottobre 1808.
C2,241:I2
Pertusati, vita
Francesco Pertusati, n. a Milano il 9 maggio 1741, m. ivi il 22 maggio 1824. Era figlio del conte Luca, senatore di
Milano, e di Donna Marianna Pallavicini. Fu battezzato nella chiesa di San Calimero in Milano e padrino fu lo zio
paterno Mons. Giovanni Francesco Pertusati, vescovo di Pavia, ricordato per le opere caritative da lui iniziate e
sostenute in quella città (C. Castiglioni, in Memorie storiche della diocesi di Milano, IV, Milano 1957, 201-202). Era il
quarto in famiglia, dopo Carlo, Cristoforo e Lucrezia. Nel 1758 rimase orfano della madre e dopo la morte dei due
fratelli Carlo e Cristoforo passò su di lui il titolo di conte col feudo di S. Barbara negli stati sardi. Sua intenzione
sarebbe stata quella di entrare nella Compagnia di Gesù, e difatti fu ammesso nel noviziato di Chieri il 13 ottobre 1759,
passando poi al Brera di Milano nel 1762 per gli studi di retorica (e qui conobbe il Diessbach che vi soggiornò dal 1762
al 1765) e infine al collegio di Como nel 1765 come “professore non sacerdote”, ma dovette abbandonare la Compagnia
prima della professione probabilmente per esigenze di famiglia dopo la morte dei due fratelli e la necessità di
continuarne il nome. La Compagnia del resto fu soppressa pochi anni dopo.
C2,241:I3
Nel settembre 1772 – a 31 anni – sposa la contessa Maria Olgiati da cui ebbe dieci figli. Primogenito don Luca, futuro
Amico Cristiano, due figlie erano tra le Visitandine di Milano e una fra le Angeliche. Attaccatissimo alla casa d'Austria,
era ciambellano di S. Maestà Imperiale e Reale, membro dei 60 decurioni di Milano; l'arciduca Ferdinando e altri
dignitari del governo erano di casa presso di lui. Per questo all'arrivo delle truppe francesi ebbe molte noie. Nella notte
del 26 maggio 1796 fu arrestato e condotto nelle carceri di Santa Margherita insieme con altri e guardato a vista. Poi
con una cinquantina di altri prigionieri, portato a Pavia, Voghera, Tortona e finalmente a Nizza Marittima (lo si vedeva
spesso a S. Reparata, cattedrale della città, a pregare). Liberato dopo sei mesi, fu condotto a Novara e a Cesano
Novarese, in casa del conte Scotti, poté rivedere la moglie e i figli. Nel 1812 gli morì la moglie, di cui ci lasciò un
commosso profilo biografico. Nel 1817, il 29 novembre, gli morì il figlio Luca di anni 44, seguito di poco dalla morte
della consorte la contessa Francesca Bellini sposata nel 1800, e gli orfani, tre maschi e una femmina, sono affidati al
vecchio conte Francesco che provvide alla loro educazione.
Fallito il sogno di diventare gesuita, il Pertusati rimase religioso nel cuore e consacrò tutta la sua vita alle opere di bene.
La sua religiosità e la profondità delle sue convinzioni non lasciano dubbi. Gli storici liberali ne sottovalutano la
portata, ma a torto. Scrive Ettore Rota di lui: “Un credente cieco che opinava di scongiurare con le preghiere i mali
sociali, gesuita in gioventù poi marito di una bella moglie, avverso ai giansenisti e ghibellino di vanto tedesco” (E. Rota,
L'Austria in Lombardia, Milano-Roma-Napoli 1911, 227).
C2,241:I4
La stampa cattolica contemporanea invece lo presenta come esempio di cristiano militante e di pubblicista instancabile.
Gran parte del suo tempo era consacrato alle opere di beneficenza e allo studio. Si alzava sempre prima di giorno e
assisteva alla Messa nella sua parrocchia, San Calimero (don Locatelli, prevosto di San Calimero, era suo direttore
spirituale), comunicandosi tre o quattro volte alla settimana, anzi nei giorni in cui non comunicava ascoltava tre Messe.
Non mancava di fare periodicamente gli Esercizi di S. Ignazio. Ma l'attività principale a cui si consacrò fu quella
letteraria, che era sempre stata in certo senso una tradizione di famiglia da più di un secolo. Infatti in casa Pertusati
teneva le sue poetiche adunanze la colonia milanese dell'Arcadia fin dai primi del Settecento, così descritta con lo stile
complimentoso di quel tempo dal Lattuada: “Quasi a dirimpetto di questo monastero (San Lazzaro dei lebbrosi) è
situata una casa nobile, che a ragione chiameremo albergo delle muse, radunandosi ivi l'accademia dell'Arcadia ed
abitandovi col suo padrone le muse stesse, potendosi ciò dire di sua Eccellenza il signor conte presidente e Gran
Cancelliere don Carlo Pertusati, cui furono lasciate in retaggio dal conte don Luca suo padre… Qui il medesimo signor
Conte ha fatto disporre un vaghissimo giardino, ornato dei più odorosi e vaghi fiori, con alte piante di cedro… Questo
giardino da una statua di Ercole in atteggiamento di uccidere un Dione, si denomina erculeo e qui si uniscono in tempo
di estate, per recitare i loro dotti poetici componimenti, gli arcadi pastori della colonia milanese stabilita nell'anno
1704…” (S. Lattuada, Descrizione di Milano, Milano 1738, II, 531; Ignazio Cantù, Passeggiate storiche, Milano 1855,
57-58). Il Pertusati aveva anche una ricca biblioteca che poi passò al Brera formandone uno dei fondi più notevoli.
C2,241:I5
Pertusati, pubblicazioni
Diamo qui, in ordine cronologico, l'elenco il più possibilmente completo delle pubblicazioni – originali, traduzioni e
rifacimenti – di Francesco Pertusati, tutte di carattere apologetico, ascetico o biografico, perché ricordate spesso nella
sua corrispondenza e nella corrispondenza del Lanteri, essendo esse state inscritte (quasi tutte) nel catalogo
dell'Amicizia Cristiana:
Poemetti giovanili inediti, 1772; Lettere della duchessa della Vallière, morta religiosa carmelitana, con un compendio
della sua vita e della singolare di lei conversione, trad. dal francese, Torino 1785, Milano 1813; La consolazione del
cristiano, trad. dal Boissard, Milano, Marelli 1788 (ampliata dal traduttore); Via piana, unica e sicura per chiunque
traviar non voglia dalla retta e sana credenza (opera in parte di Bossuet, in parte di Mons. Languet, vescovo di
Soissons, rielaborata dal Pertusati), Milano 1790; Quattro opuscoli stampati in Assisi, 1788-1790; Poesie in italiano e in
milanese, stampate in casa con tipografia propria, 1790; Poesie meneghine, Milano, Tip. Antonio Guerrini 1799; Scuola
della perfetta morale nelle parabole del Vangelo e nelle otto Beatitudini, Bergamo, Locatelli 1794, Milano, Tip. Motta
1806; Memorie delle virtù patriarcali nel corso dell'esemplare sua vita della Sig. Maria Olgiati Pertusati (sua moglie
morta nel 1812), Milano, Pirotta 1812; Pensieri cristiani scelti, adattamento dell'opera dell'ab. Campion di Portalier dal
titolo Il Tesoro del Cristiano, Milano 3 ed. 1814; Lettera ad un giovane signore sull'incredulità, tr. dal francese, 2 ed.
Milano 1815; Le circostanze della morte corrispondenti alla vita di tre supposti eroi del secolo XVIII (Voltaire,
D'Alembert, Diderot), 2 ed. Milano 1816; Compendio della Passione di N.S.G.C. con analoghe riflessioni appropriate
ai diversi stati del malato cristiano, Milano, Pirotta 1816; Rime milanesi, Milano 1817; Soliloqui divotissimi su i
patimenti di N.S.G.C., trad. dal P. Tommaso di Gesù, agostiniano, Milano 1817, 2 volumetti;
C2,241:I6
Compendio della vita della nobile Alfonsina Giusti, delle salesiane di Venezia, morta a 16 anni, trad. dal francese,
Milano 1817; Trattenimenti dell'anima con Dio, o atti delle più eminenti virtù del Cristiano, scelti da diverse opere
d'insigni autori cattolici ecc., nona edizione, Milano 1817; Il ritorno del cuore umano a Dio ecc. del P. Francesco
Salazar S.J., trad. dal francese, Milano 1819; La verità difesa e provata coi fatti contro le calunnie viete e nuove,
Reggio 1819; Trattenimenti dell'anima con G.C. Sacramentato in preparamento, e per rendimento di grazie dopo la S.
Comunione, Milano 1817 (“In tali argomenti i Francesi superano gli Italiani. Io son d'avviso che se gli Italiani
lasciassero qualche volta la lettura delle proprie operette spirituali per leggere quelle francesi, o nel loro originale, o
ridotte al nostro idioma, essi vi troverebbero maggior commozione e più facile fervore” (G. Baraldi); Notizie istoriche
della divozione delle 40 ore originariamente istituite in Milano, nonché della divozione verso la B. Vergine
costantemente professata da' Milanesi, Milano 1817; L' empio convertito, del P. Paul, op. cit., trad. dal francese anche
col titolo Epitteto cristiano; Mentore dei fanciulli e dei giovinetti, 2 tomi, trad. dal francese, Milano 1818, seguita da
una seconda edizione (“le favolette tradotte in versi rimati sono felicissime” (Baraldi); Storia della vita di Gesù Cristo
dai quattro Vangeli, trad. dal francese del P. Compans, lazzarista, Milano 1819; Raccolta di vari opuscoli storici dallo
Spectateur Français in 12 voll., Milano 1820; Parole tratte dalle S. Scritture per conforto delle anime tribolate, trad.
dal Francese di P. Bouhours S.J., Milano 1820; Della educazione, articoli scelti dallo Spettatore Francese e compilati
da eccellenti scrittori, Milano 1820, in luogo della prefazione si ha la traduzione di Indirizzo dei preti delle montagne
del Vivarese a Bonaparte dopo la morte di Pio VI;
C2,241:I7
Opuscoli instruttivi e in parte piacevoli dell'opera del Gallais Caratteri e Costumi del secolo XIX, Milano 1820;
Frammenti storici riguardanti gli orrori della rivoluzione di Francia dall'epoca della condanna a morte di Luigi 16
fino agli ultimi giorni del Pontefice Pio VI, Milano 1820; Esercizio di pietà affettuosa per la S. Comunione, trad. dal
francese del P. Griffet S.J., Milano 1822; Il cristiano in ritiro, 2a ed. Milano 1822; Ragguaglio edificante dell'ultima
malattia e della morte esemplarissima del Delfino padre di Luigi XVI, ed elogio del Delfino, trad. dal francese dell'ab.
Proyart, Milano 1822; Il cristiano cattolico inviolabilmente attaccato alla sua Religione mercé la considerazione ed
alcune prove che ne stabiliscono la certezza, opera storica del Sac. Nicola Giuseppe de Diessbach d.C.d.G., Milano,
Giovanni Pirotta 1823, 2 voll. (in originale 3 voll.), con una breve biografia del P. Diessbach. La contessa Maria
Olgiati-Pertusati ci ha lasciato: Elogio storico della signora Poncet de La Rivière, contessa di Carcado… tradotto dal
francese dalla signora Contessa D.M.P.N.M.O. (Donna M. Pertusati nata marchesa Olgiati), Bergamo, nella stamperia
Locatelli, 1789, in 8o, pp. 72. Sul Pertusati cfr. Bona, 142 ss.; I. Cantù (fratello di Cesare), Passeggiate storiche, Milano
1855, 57-58; C. A. Vianello, Il Settecento milanese, Milano 1937, 293; G. Baraldi, Notizie biografiche sul conte F.
Pertusati, in Memorie di religione, di morale ecc., 4 (1823), 303-336; Notizia necrologica del conte F. P., ivi 3 (1823),
525; P. Rudoni (canonico di S. Babila), Cenni sulla vita e sugli scritti del conte Pertusati Ciambellano di S.M.I. e R.,
stampato nella introduzione al Cristiano Cattolico del P. Diessbach; C. Cantù, Commemorazione di Fr. Pertusati,
Milano 1873.
C2,241:T
ottobre 1808
Abbiamo avuto la sorte di godere, sebbene per brevissimo tempo, della [gioia] di avere tra noi il
pregiatissimo Sig. Marchese Ricasoli, Priore dell'Ordine di Santo Stefano.
Quanto ci è stata preziosa e consolante la venuta a T. [Torino] del nostro pregiatissimo Sig.
Marchese R. [Ricasoli], Priore dell'Ordine di Santo Stefano, A.C. [Amico Cristiano] di F. [Firenze],
altrettanto ce ne rincresce ora l'accelerata partenza. Quello che mi consola è il pensare che passando
costì per ritornarsene a F. [Firenze], possa procurare a V.S. Ill.ma la conoscenza del principale
sostegno dell'A.C. [Amicizia Cristiana] di F. [Firenze]. Il suo grande zelo e sincero interessamento
che in ogni tempo dimostrò, secondo le nostre viste, per la gloria di Dio, come pure le finezze e
graziosità con cui sempre ci accolse, quando alcuno di noi si portò a F. [Firenze] per le cose di A.C.
[Amicizia Cristiana], mi obbligano a particolarmente raccomandarglielo, pregandola di procurargli,
se le circostanze lo permettono, la conoscenza della contessa Biffi, potendosigli confidare ogni
cosa. Godo intanto di questa felice occasione per procurarmi la sorte di avere delle preziosissime
nuove di V.S. Ill.ma e della Signora Contessa, cui prego porgere unitamente al Sig. Avv. Torti, i
miei più umili ossequi. Con i più vivi sentimenti di rispetto e considerazione mi raccomando alle
sue sante orazioni, e mi protesto
C2,246:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
25 ottobre 1808
Una commissione per Ricasoli affidata all'abate Giuseppe Tardì
Originale in AOMV, S. 5,2,4:201 (S. 1,17,25a:1522)
C2,246:T
[Torino, 25] ottobre 1808
Monsieur
V.J.
Spero di ritrovare già con questa mia V.S. Pregiat.ma costì di ritorno, bramando ardentemente di
avere delle nuove del suo viaggio, se sia stato felice o no, e se non ebbe sempre le seccature che
incominciò ad avere qui con il Corriere.
Riceverà dal Sig. Ab. Tarditi*1 uno dei nostri Vicari Generali, n. 12 immagini di S. Luigi, che le
trasmette M.M.*2; non fu egli richiesto di tale favore da M.M., ma bensì dal libraio, che fece
imprimere quelle immagini, perché non avendone grande conoscenza M.M. non avrebbe osato
fargliene tale richiesta; viene egli costì per prendere le opportune notizie sui beni Ecclesiastici per la
nuova organizzazione.
Non dubito che subito giunto si metterà Ella subito in possesso del sistema di vita qui assieme
combinato, e ne rimarrà ben contento*3. La prego dei miei ossequi all'Ill.ma sua Sig.ra consorte ed
amici, e con particolare considerazione e rispetto mi protesto in fretta
Di V.S. Ill.ma e Car.ma
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
P.B.L.
C2,246:*1
Tardì – o Tardy – Giuseppe, sacerdote torinese (1751-1821), complessa figura di giansenista,
giacobino, massone, che tanta parte ebbe (e non sempre pulita) nella politica ecclesiastica di
Napoleone in Piemonte. Nonostante questo riuscì ad avere sempre dei posti di prestigio: fu
confessore di Vittorio Amedeo III (prima della rivoluzione) e di Carlo Emanuele IV e di Maria
Clotilde (nella Restaurazione). Napoleone lo nominava vescovo di Vercelli senza l'approvazione del
Papa il 9 luglio 1813. Nel maggio 1814 Pio VII lo destituiva e nominava al suo posto Mons.
Giuseppe M. Grimaldi, vescovo di Ivrea, ma il provvedimento fu impedito dal re su istigazione del
Vallesa “come lesivo dei diritti dell'autorità regia”. Il card. Pacca presenta le sue proteste al governo
sardo. Intanto il capitolo di Vercelli aveva nominato un vicario capitolare nella persona del… Tardì:
atto biasimato ancora una volta da Roma attraverso il card. Pacca. Ma il governo, “con atto ingiusto,
inconsulto e meschino” (Rinieri), appoggia i canonici di Vercelli. Il Grimaldi diverrà arciv. di
Vercelli il 1 ottobre 1817. Sul Tardì cfr. F. Ruffini, I Giansenisti piemontesi e la conversione della
madre di Cavour, Torino 1929, passim. “L'abate Tardy, filogiansenista notorio, era un vero e
proprio agente francese incaricato di sorvegliare il clero in Piemonte” (Daniel-Rops, La Chiesa
delle Rivoluzioni, 175).
C2,246:*2
Il marchese Giuseppe Massimino di Ceva era amico personale del Ricasoli e in corrispondenza
diretta con lui. Alcune lettere del Massimino al Ricasoli sono conservate nell'archivio della famiglia
Ricasoli a Firenze insieme a quelle del Lanteri.
C2,246:*3
Il viaggio del Ricasoli a Torino alla fine del settembre 1808 non aveva avuto soltanto lo scopo di
rivedere e riabbracciare i vecchi amici, D'Azeglio (tornato in Piemonte da un anno), il marchese di
Cinzano (che si diceva “desiderosissimo di vederlo”) e naturalmente il Lanteri e il Guala, ma
soprattutto con la speranza di riacquistare “la tanto necessaria pace del cuore” (lettera del 21 ottobre
1807). Da quanto scrive qui il Lanteri pare che anche quest'ultimo scopo del viaggio sia stato
raggiunto.
C2,247:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
2 dicembre 1808
Consigli di direzione spirituale – Il frutto degli Esercizi fatti – La libertà di spirito e la grandezza d'animo
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze (copia in AOMV, S. 2,16,9:380, fotocopia in S. 6,7,5:0)
C2,247:I
La data è ricavata da una lettera del marchese Giuseppe Massimino di Ceva al Ricasoli in data 2 dicembre 1808, nella
quale era inclusa questa del Lanteri.
C2,247:T
Monsieur, et très cher en Jésus-Christ
Mi è stata di somma consolazione la conoscenza procuratami, e la ringrazio di vivo cuore; più di
tutto poi mi ha consolato il pregiatissimo di lei foglio, in cui mi dà nuove del suo felice ritorno, e
dello stato di sua salute.
Dio sia lodato della perseveranza nei propositi principali fatti in tempo di solitudine. Io non dubito
che il Signore continuerà ad accordargliela fino al fine, e non lascerò mai di pregarLo instantemente
per questo. Continui immancabilmente le sue devozioni due volte la settimana, sia inesorabile a non
lasciare mai la lettura spirituale, la meditazione e l'esame di coscienza, facendomi il favore di
darmene sovente notizie, non solo dell'esattezza in ciò eseguire, come dei sentimenti che riceve, e
dei libri di cui si serve. Aggiunga l'occupazione continua con qualche opera di carità verso il
prossimo nel modo inteso, e sono sicuro che il Signore la benedirà, e le procurerà anche
consolazioni grandi al cuore. Certo che non conviene mai perdere di vista il vince te ipsum di S.
Francesco Saverio, per cooperare così alla grazia di Dio; ma questo stesso, se lo andrà praticando
con libertà di spirito e con grandezza d'animo, disprezzando piuttosto che facendo caso delle
difficoltà che possono occorrere, non sarà così difficile, come appare, massime aggiungendovi
sempre il fiduciale ricorso a Dio, con cui noi abbiamo da combattere in questa vita, più che con le
nostre forze.
Mi rincresce che ci è sfuggito l'Année Chrétienne de Griffet, per aver tardato a prenderlo a Fr. 45;
se mai capiteranno altri incontri, mi dica se devo prenderlo a qualunque costo.
Ho piacere che abbia conosciuto il P. De Vecchi in Milano*1, ed altre persone veramente dabbene.
La supplico di non dimenticarsi di far copiare le tavole dell'Istituta Canonica, e trasmettermi due o
tre copie delle tavole dell'Istituta Civile da lei stampata.
Qui tutti gli Amici la riveriscono particolarmente, e pregandole io pure dei miei più distinti ossequi
alla degnissima sua Sig.ra consorte ed altre persone amiche, con tutta la stima ed affetto le sono
L.
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopolde Ricasoli
P. de l'Ordre de Saint-Étienne
Florence
C2,247:*1
De Vecchi Felice, barnabita milanese, parroco di Sant'Alessandro, n. a Milano il 22 gennaio 1745,
m. ivi nel 1812, era una conoscenza personale del P. Lanteri. A lui si deve la fondazione della
Società del Suss (cioè Jesus) – detta popolarmente la Società del biscottin – formata da laici,
sacerdoti e dame che visitavano e assistevano malati a domicilio, sul tipo dei membri dell'Amicizia
Cristiana (ma senza nessun legame con essa); più tardi la Società del Suss aprì scuole gratuite
diurne, serali e domenicali, oratori per ricreazione, ricoveri per le ragazze pericolanti o cadute. Tale
società, oltre che per la sua carità molteplice e disinteressata, si faceva notare anche per la sua
fedeltà alla Chiesa e per la sua avversione a qualunque novità liberale (Boffito, I, 648-649).
Il De Vecchi si era ispirato a una iniziativa consimile sorta a Verona per opera del sacerdote Pietro
Leonardi (1769-1844), L'Evangelica fratellanza dei preti spedalieri, approvata da Mons. Gian
Andrea Avogadro, S.J., vescovo di Verona (N. dalle Vedove, La giovinezza del ven. Gaspare
Bertoni, Roma 1971, 324-326).
La Società del Suss, a causa specialmente del suo antiliberalismo, fu oggetto dei sarcasmi feroci (e
ingiustificati) di Carlo Porta:
Poi altre dame molte e qualch fedina
scritt nel Suss e diret dai Barnabita…
I pader Devecc, bona memoria
han semper ditt ch'el Ciel l'é di Sussista…
(Ona vision)
[…] Barnabita e Somasch, pussee magnan,
ciappotten i coscienz di biscottin
comandant la moral con i fasan…
(Epistola de Meneghin Tondeggia)
C2,250:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
8 gennaio 1809
Ricevuta del danaro inviato – Note di direzione spirituale
Originale in AOMV, S. 5,2,4:202 (S. 1,17,25a:1523)
C2,250:T
Monsieur et très Cher en Jésus-Christ
Ho ricevuto la cambiale di 210 francesconi ridotta in 955, 12, 5 lire di Piemonte a conto della
somma convenuta sul danaro di Virginio; mandandomi il rimanente, io la pregherei di prescindere
dal mandarmi la cambiale (la quale importa un aggio considerabile) e rimettere soltanto il danaro al
medesimo, od al Sig. Cesare Lampronti a conto del Sig. Veggezzi contro semplice ricevuta, perché
così mi verrà da questi sborsato il danaro per intero, essendo così convenuto con il medesimo, con
cui sono molto conoscente*1.
La prego di porgere le mie più vive condoglianze alla Degn.ma sua Sig.ra consorte per la perdita di
sua Sig.ra Madre, non mancando io di vivamente raccomandarla al Signore, il quale va talvolta
esigendo dei sacrifici vivissimi per così sempre più purificarci, ed unirci più intimamente a Lui*2.
Attendo poi sempre da lei con la massima ansietà nuove dei suoi affari interni, e non dubito punto
che non siano essi sempre in ordine, certo che io non tralascio mai di averla presente al Signore nei
miei S. Sacrifici, e particolarmente in queste feste scorse non ho mancato di pregarle dal Divino
infante tutte quelle benedizioni spirituali, e temporali su di lei, come su tutta la sua amabilissima
famiglia, che io ho potuto desiderarle; soprattutto io le ho chiesto un coraggio grande, ed una
speranza fermissima in Dio, perché ella con questa virtù, sprezzando ogni scoraggiamento, e
andando incontro ad ogni perdita di quel tempo così prezioso che il Signore ci dona, possa fare
tanto maggior bene per sé, e per gli altri, massime avendogliene dato Iddio tanti mezzi e la buona
volontà.
La prego dei miei rispetti a tutti gli amici, e con particolare considerazione e con il più vivo
interessamento mi protesto
Di V.S. Ill.ma e in Cristo Dil.ma
Torino li 8 gennaio 1809
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed Amico
P.B.L.
(timbro postale lineare TURIN)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli
Prieur de Saint-Étienne
Florence
C2,250:*1
Cesare Lampronti è l'agente di Firenze, il Veggezzi è l'agente di Torino.
C2,250:*2
La marchesa Rinuccini, suocera del Ricasoli, era morta verso il 20 dicembre 1808.
C2,256:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
16 febbraio 1809
Una commissione difficile ad eseguirsi – La malattia del Dottor Bucelli – La speranza cristiana non è un consiglio ma
un precetto
Originale in AOMV, S. 5,2,4:203 (S. 1,17,25a:1524)
C2,256:T
Pregiat.mo Sig. ed A.C. in Gesù Cristo
La commissione che le piacque incombenzarmi è per me cagione delle più serie riflessioni, e quanto
sarei contento se mi fosse dato di riuscirvi, ma purtroppo finora con mio vivissimo rincrescimento
non ci vedo alcun esito; quanto a me, oltreché non sarei capace, ma di più le mie circostanze
assolutamente me lo vietano, quanto agli altri, non conosco alcun soggetto per tale uopo, non
cesserò intanto di pensarci, e di pregare perché il soggetto veramente lo merita*1.
Ho ricevuto i bramati fogli che Ella volle favorirmi già per due volte, e le rendo distintissime grazie,
tanto più che mi si fa sperare di riceverne presto degli altri. Io la prego poi, e la supplico di vivo
cuore di indurre l'amico a profittare subito dei rimedi opportuni per il suo gravissimo incomodo; io
non avevo mai cessato di raccomandarlo al Signore, ma ora tanto più lo faccio col maggiore calore
possibile, né avrò mai requie finché abbia nuove del suo miglioramento di salute*2.
Io la prego poi di dare di nuovo un'occhiata al sistema di vita combinato assieme, e riflettere che le
verità che l'indussero a intraprenderlo allora sono le stesse in tutti i tempi, tutto il punto sta
nell'incominciare, e tanto più preme l'incominciare, quanto più con la dilazione viene a soffrirne il
lucro cessante, il danno emergente, oltre il pericolo in mora: non mi estendo di più, perché spero
che mi farà il favore di darmi quanto prima la consolantissima nuova di averlo già fatto. Non le
aggiungo niente sui motivi di farsi animo, dico solo che la speranza cristiana, come sa, non è solo
un consiglio, ma un precetto in tutti i tempi.
E con tutta la considerazione e particolare interessamento mi protesto
Di V.S. Ill.ma e Car.ma
Torino li 16 febbraio 1809
Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C. in Gesù Cristo
P.B.L.
(timbro postale di Torino e di Firenze)
À Monsieur
Monsieur le Marquis Léopold Ricasoli, Pr. etc.
Florence
C2,256:*1
Non sappiamo esattamente quale fosse la commissione che il Ricasoli aveva affidato – o voleva
affidare – al Lanteri.
C2,256:*2
Con tutta probabilità si tratta della grave malattia che aveva colpito il Dottor Bucelli, uno dei più
notevoli esponenti dell'Amicizia Cristiana di Firenze, di cui si parla nella lettera del Lanteri al
Ricasoli del 4 settembre 1804.
C2,257:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
9 maggio 1809
La malattia d'occhi diventa sempre più grave – Timori di diventar cieco del tutto
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze (copia in AOMV, S. 2,16,9:381, fotocopia in S. 6,7,5:0)
C2,257:I
Lettera scritta sullo stesso foglio che contiene anche una lettera di Giuseppe Massimino Ceva a Ricasoli in data 9
maggio 1809.
C2,257:T
Monsieur
Egli si è da lungo tempo che si desidera avere delle pregiatissime sue nuove; non le ho scritto io
sinora per cagione dei miei occhi, che sono sempre più in pessimo stato, con pericolo di perderne
affatto l'uso. Questo fu un motivo affatto decisivo insieme con gli altri, per cui dovetti, con
vivissimo mio rincrescimento, dare una negativa a quella persona che sa. Non vorrei però che
questo mi privasse della consolazione dei suoi pregiatissimi caratteri, perché, fin che potrò godere
un po' di luce, non cesserò di servirmi per lei della mia vista.
Bramerei tre copie delle Tavole dell'Istituta Civile, e una copia ms. dell'Istituta Canonica, come
favorì di farmi sperare.
Scusi se gli occhi mi forzano a finire: interpreti quanto di più vorrei esporle, e mi creda con
particolare rispetto e considerazione
Di V.S. Ill.ma
T. [Torino] li 9 maggio 1809
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore
L.
À Monsieur
Monsieur le C.re Leopolde Ricasoli
Sul Ponte alla Carraia
Florence
C2,258:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
12 giugno 1809
Forti dolori agli occhi – Consigli di direzione spirituale – Malattia del marchese di Cinzano
Originale in AOMV, S. 5,2,4:204 (S. 1,17,25a:1525)
C2,258:T
Monsieur et très Cher en Jésus-Christ
Quanto mi sono sempre care le sue nuove! Io la ringrazio di cuore di avermele procurate, e la
supplico di farlo sovente; mi spiace che io non potrò sempre corrisponderle così prontamente, e a
lungo come vorrei per cagione della mia vista, la quale sempre più si è indebolita, dacché non ebbi
più la consolazione di vederla, e talvolta per poco che l'usi s'addolora, e ne soffre per molti giorni.
Questa è una delle principali ragioni che ho addotto alla persona che mi scrisse da Nizza, e che
altronde avrei assistito con grandissimo mio piacere, ma tutto ben considerato, rimane ben evidente
tale non essere la volontà di Dio. Godo poi vivamente della sua recuperata salute, si ricordi quanto è
essenzialissimo che Ella frequenti quei rimedi dei quali abbiamo convenuto assieme; ogni mese un
giorno di perfetta solitudine può giovarle assai, per riprendere le forze e il coraggio così necessario
nel servizio divino, onde la supplico di praticarlo, massime trovandosi in villa, ove può esserle tanto
più facile l'esecuzione. Io non mancherò frattanto caldamente di raccomandarla al Signore, perché
le accordi quella forza e quella speranza ferma e viva di cui tanto bisogna. Il M. [Marchese] di
Cinzano per attacco di colica ha ricevuto questa mattina il Ss. Viatico, spero peraltro che non lo
perderemo*1.
Gli occhi mi avvertono di finire, la prego dei miei più distinti rispetti alla degn.ma sua Sig.ra
consorte; mi raccomandi pure al Signore, e con particolare rispetto e considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma
Torino li 12 giugno 1809
Dev.mo Obl.mo Servitore ed Aff.mo in Gesù Cristo
L. [Lanteri]
(timbro postale lineare TURIN)
All'Ill.mo Sig. Sig. Pr. Colmo
Il Sig. Cav. Leopoldo Ricasoli
Sul ponte alla Carraia
Firenze
C2,258:*1
Il marchese di Cinzano, amicissimo del Ricasoli, morirà tre anni dopo, nel maggio 1812, seguito in
pochi giorni anche dalla sua consorte (v. lettera Lanteri a Ricasoli dell'11 maggio 1812).
C2,259:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
2 luglio 1809
Note di direzione spirituale – Passaggio per Firenze dell'ab. Pierre Perreau proveniente da Parigi – Malattia d'occhi del
Lanteri
Originale in AOMV, S. 5,2,4:205 (S. 1,17,25a:1526)
C2,259:I
Pubblicata da Bona, 552-553.
C2,259:T
Monsieur et très Cher en Jésus-Christ
Sono ansiosissimo delle nuove della persona per cui vivamente mi interesso, e che Ella ben
conosce; la supplico del favore di significarmi se persevera nei buoni sentimenti, se frequenta i S.
Sacramenti, se non lascia mai la meditazione e lettura spirituale, siccome siamo stati d'accordo
quando ebbi il piacere di abboccarmi con la medesima, che se ciò non fosse, la prego di
incoraggiarla efficacemente a non lasciarsi perdere d'animo, ed incominciare subito, mentre lo
scoraggiamento è peggiore di ogni cosa. Mi faccia dunque il favore di darmene qualche riscontro*1.
Quando le occorrerà di inviarmi il danaro, se incontra la menoma difficoltà presso il Banchiere per
eseguire quanto le scrissi, lo rimetta pure secondo il solito per cambiale, perché è giusto che
abbiano il loro interesse*2.
Passerà fra alcuni giorni per costì un Sig. francese di molto merito, un certo Mr Perraut homme de
lettres*3, io non ho ancora il piacere di conoscerlo, ma è conosciuto da persona molto mia amica*4, si
presenterà da lei per chiedergli un plico, mi farebbe dunque favore grande se potesse rimettergli una
copia di quei mss. che avrà potuto radunare di quest'anno, giacché di quest'anno io non ho altro che
due memorie del mese di gennaio, immaginandomi che ella non avrà mai più avuto il tempo di
inviarmi altro; per questo stesso canale può ella scrivermi liberamente quanto pensa.
I miei occhi, che sempre deteriorano, mi impediscono di trattenermi di più; La prego pertanto di far
gradire i miei più distinti rispetti alla degn.ma sua Sig.ra consorte, agli amici, e con particolare
stima e considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma
Torino li 2 luglio 1809
Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T.P.B.L.
P.S. Il 3 di settembre venturo comincia la muta di Esercizi nel Santuario di Sant'Ignazio dettati dal
T. Guala, consolerebbe molti, se ella ci venisse.
All. Ill.mo Sig. Sig. P.n Col.mo
Il Sig. Cav.e Leopoldo Ricasoli
Sul ponte alla Carraia
Firenze
C2,259:*1
La persona della quale il Lanteri “vivamente s'interessa” e che il Ricasoli “ben conosce”, è il
Ricasoli stesso che il Lanteri da qualche anno dirigeva nello spirito: notare il tono semiserio che il
Lanteri non disdegnava talvolta di tenere con persone in cui aveva la massima confidenza.
Non è però improbabile che questo linguaggio “in cifra” avesse anche lo scopo di sviare i sospetti
della censura, particolarmente attiva in quel periodo.
C2,259:*2
Il danaro in questione è sempre quello dell'eredità Virginio.
C2,259:*3
Dell'abate Pierre Perreau, uno degli esponenti più audaci e attivi della resistenza cattolica al tempo
di Napoleone, coinvolto anche lui nell'affare d'Astros e rinchiuso nelle carceri parigine, v. lettera al
Lanteri del 13 agosto 1814, e la biografia del Perreau ivi annessa.
Tutto il periodo di questa lettera deve essere letto in cifra, tra riga e riga, ossia col vedervi un senso
diverso da quello che appare alla prima e più superficiale lettura. Infatti vediamo che il nome del
Perreau è artificiosamente contraffatto in Perraut; è qualificato come “un signore francese”, un
qualunque “Monsieur” laico, non abbé, e “homme de lettres”, un erudito che gira per l'Italia a scopo
di turismo e di studio; come tale gli chiede un “plico” ecc.… Le circostanze del tempo richiedevano
la massima cautela. Infatti da un anno i francesi occupavano militarmente Roma (dal 2 febbraio
1808), Pio VII era stato a forza portato via da Roma e imprigionato in Francia e poi a Savona (il 6
luglio 1808). Da un anno era in atto la “chaîne” di aiuti al Papa prigioniero, quella che Napoleone
chiamava sarcasticamente La cabale des enfants de chœur.
C2,259:*4
“La persona amica” qui accennata dal Lanteri è con tutta probabilità il conte Claude Berthaut du
Coin, lionese membro della Congrégation di Lione e zelantissimo collaboratore del Perreau e degli
altri cattolici francesi che mandavano aiuti a Pio VII in Savona. Cfr. le tre lettere del Berthaut du
Coin a Lanteri del 6 settembre 1814, 3 ottobre 1814 e 15 ottobre 1814.
C2,268:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
30 ottobre 1809
Note di direzione spirituale – Gli Esercizi spirituali a Sant'Ignazio di Lanzo – La malattia d'occhi del Lanteri
Originale in AOMV, S. 5,2,4:206 (S. 1,17,25a:1527)
C2,268:I
La lettera è scritta in linguaggio convenzionale, quasi in cifra, perché non sia capita – o sia capita a rovescio – dagli
eventuali censori (che in quel tempo non mancavano certamente) e ci fa sentire il clima particolarmente teso per la lotta
ormai aperta tra Napoleone e Pio VII relegato a Savona.
C2,268:T
Pregiat.mo e Dilett.mo in Gesù Cristo
V.J. [Vive Jésus] dans tous les cœurs
à jamais
Da lungo tempo io era ansiosissimo delle sue pregiatissime nuove, e appunto quando io ero in
procinto di scriverle per questo ho avuto la consolazione di ricevere la carissima sua: ne sia lodato
Dio di ogni cosa, perché non poteva recarmi maggior soddisfazione. Favorisca intanto di dire per
parte mia, e di inculcarglielo instantemente, che appunto perché ora va bene, non deve trascurare le
visite ed i consigli del suo medico, giacché egli è in ottime mani, gli ricordi pure il regime
prescrittogli, e gli impegni di osservarlo, perché gli è totalmente adattato, assicurandolo che io per
parte mia non cesserò mai di raccomandarlo al Signore per il suo perfetto ristabilimento*1.
Frattanto, oh quanto mi è rincresciuto che Ella non abbia potuto venire alla solitudine di
Sant'Ignazio, ove G. [Guala] lo aspettava con tanto piacere, ed io tutto che ancora convalescente mi
ero pure proposto di tenerle compagnia. Un altr'anno, se piacerà a Dio, non conviene più mancarci*2.
Abbiamo ricevuto copia delle produzioni letterarie che escono da codeste parti, ne avevamo già
avuto qualche saggio, con tutto ciò le sono infinitamente grato.
Io la supplico instantemente di non lasciarmi più tanto tempo digiuno delle sue pregiatissime nuove,
ma di darmene sovente, perché vivamente mi interessano. Mi estenderei di più, se i miei occhi me
lo permettessero*3; favorisca dunque presentare i miei più distinti ossequi alla degnissima sua Sig.ra
consorte, alla Rig. [Rigogli] ed amici, mentre con tutta la stima e perfetta amicizia mi protesto
Torino li 30 ottobre 1809
Dev.mo Obl.mo Servitore ed Amico
L.
(Timbro postale 104 TURIN 3 NOVEMBRE)
À Monsieur
Monsieur le Ch.r [Chevalier] Léopold Ricasoli
Florence
C2,268:*1
La persona non nominata della quale qui si parla è evidentemente il Ricasoli, diretto spiritualmente
dal Lanteri. L'allegoria del malato, del medico, dei rimedi e del ristabilimento, ecc., non si deve
attribuire, in questo caso, alla fantasia poetica del Lanteri o al suo umorismo per sollevare l'animo
dell'amico Ricasoli, facile agli scrupoli e allo scoraggiamento, ma piuttosto allo scopo molto più
pratico di evitare qualunque indiscrezione nel caso che la lettera fosse stata aperta e letta da persone
estranee.
C2,268:*2
La casa di Esercizi di Sant'Ignazio sopra Lanzo, annessa al celebre santuario, già gestita dai gesuiti
e chiusa dopo la loro soppressione, era stata riaperta per interessamento del Lanteri e del Guala nel
1807. Vedi note alla lettera Lanteri a Ricasoli del 14 settembre 1807.
C2,268:*3
La malattia d'occhi del Lanteri risaliva ancora agli anni della sua gioventù quando era studente
all'università di Torino. Con gli anni – nel 1809 il Lanteri aveva 50 anni – non era diminuita, anzi si
andava sempre più aggravando.
C2,273:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
6 giugno 1810
Consigli di direzione spirituale – Malattia del Lanteri e previsione della morte
Originale in Arch. Ricasoli Firidolfi, Firenze (copia in AOMV, S. 2,16,9:382, fotocopia in S. 6,7,5:0)
C2,273:I
La lettera si presenta senza intestazione e senza data, ma l'una e l'altra risultano dalla lettera del marchese Giuseppe
Massimino Ceva al Ricasoli del 6 giugno 1810, a cui questa lettera del Lanteri fa seguito. L'indirizzo è di mano Ceva.
C2,273:T
Profitto dell'opportunità per rallegrarmi seco lei che il Signore l'abbia felicemente, come spero,
ricondotto nel seno della sua famiglia. Sempre più si scorge che il Signore veglia con una paterna
provvidenza sopra di lei, cui è troppo giusto corrispondere con secondare gli amorevoli disegni di
un così buon Padre celeste, tanto più che questo è l'unico mezzo per ottenere quella tranquillità di
spirito e pace del cuore che ci rende felici anche in questo mondo. Perciò io non dubito punto che
Ella a quest'ora ha già fissato un cert'ordine alle sue giornaliere occupazioni, fra le quali, oltre i
doveri del proprio stato, sono sicuro che non ha dimenticato, tra gli altri esercizi di pietà, la lettura
spirituale (e la pregherei di sapermi dire di quale libro si serva), la meditazione, la S. Messa, l'esame
di coscienza ogni giorno, settimanalmente poi i Ss. Sacramenti, e la prego instantemente di
favorirmene presto delle nuove, unitamente a quelle di sua salute, e di tutta la famiglia, che
sommamente mi interessa.
La mia salute è sempre cagionevole, e credo tantosto che il Signore voglia che io incominci la mia
preparazione prossima al grande passaggio dell'eternità. Quello che è certo, ho bisogno
grandemente delle sue orazioni e di quelle degli Amici, ai quali prego particolarmente di
raccomandarmi. E caramente abbracciandola nel S. Cuore di Gesù, mi protesto
L.
P.S. La prego di non dimenticarsi di procurarmi al più presto delle copie 6 dell'Istituta in tavole, e
una copia ms. della Canonica, quando si potrà avere.
C2,274:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
30 agosto 1810
Note di direzione spirituale – La preghiera e la frequenza dei Sacramenti sono rimedio contro lo scoraggiamento
Originale in AOMV, S. 5,2,4:214 (S. 1,17,25a:1535)
C2,274:T1
Ill.mo ed in Gesù Cristo Pregiat.mo Sig. Priore
Profitto dell'occasione in cui il Sig. Barone Celebrini*1 con la sua Sig.ra consorte figlia di S.E. il
Sig. M.se Massimino a V.S. Ill.ma ben note, passano costì per recarsi a prendere il loro figliuolo nel
Collegio di Siena, per rispondere al pregiatissimo di lei foglio ricevuto per mezzo dell'Ill.ma Sig.ra
M.sa d'Azeglio. La ringrazio dunque distintamente delle Novene per i Defunti del B. Liguori, e
delle bellissime immagini annesse, ma più di tutto la ringrazio di cuore di avermi procurato delle
sue nuove che mi saranno sempre a cuore, e posso assicurarla che non poteva recarmi maggiore
consolazione, e se secondassi gli impulsi del mio cuore, ardirei farle dei rimproveri per avermi
privato per tanto tempo di questa soddisfazione.
Da quanto io posso comprendere, V.S. Dilettissima in Gesù Cristo è sempre in mezzo ai
combattimenti, e mi sembra di vederla piuttosto soggetta allo scoraggiamento: la compatisco di
cuore dei suoi continui travagli, ma le raccomando nello stesso tempo di essere sempre fermo, ed
invincibile nella speranza cristiana, la quale ci prescrive di incominciare sempre ed in ogni
momento con grande coraggio a servire Dio, ed essergli fedele a qualunque costo. Punto non dubito
che la Meditazione e la lettura spirituale siano il suo pane quotidiano, essendo questi Esercizi di tale
importanza che converrebbe piuttosto privarci di ogni sollievo corporale, che privare l'anima di
questo nutrimento spirituale; neppure dubito della frequenza dei S. Sacramenti onde con questi
mezzi così efficaci può restare tranquillo del felice esito dei suoi combattimenti. È vero che questi
mezzi non ci rendono immutabili, essendo questo riservato in cielo, ma è anche vero che qualche
immutabilità ed incostanza in tale caso non può avere conseguenze essenziali, anzi, può molto
giovare a tenerci umili e farci diffidare di noi stessi, cosa molto necessaria per fondarci bene nella
vera speranza cristiana.
C2,274:T2
La prego intanto di volermi favorire della continuazione delle sue pregiatissime nuove, di avermi
presente nelle sue ferventi orazioni, e compiacersi di presentare i miei più distinti rispetti alla
degnissima sua Sig.ra consorte, e con i sentimenti della più grande stima e considerazione mi
protesto
Di V.S.
Torino li 30 agosto 1810
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T. Pio Bruno Lanteri
P.S. Essendo la Barona Celebrini Dama di esimia pietà, credo che gradirebbe anche molto la
conoscenza di Mad.la Luigia Rigogli, cui la prego di porgere i miei più distinti rispetti; faccia però
quello che giudica più opportuno; le trasmetto alcuni libri stampati dalla Società Cattolica.
A Sua Eccellenza
L'Ill.mo Sig. Marchese Leopoldo Ricasoli
Priore dell'Ordine di Santo Stefano
Firenze
C2,274:*1
Della baronessa Clementina Celebrini di S. Martino (Fossano), nata Massimino, vedi la lettera della
stessa a Lanteri del 17 ottobre 1817.
C2,275:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
1 settembre 1810
Ringrazia di alcuni volumetti ascetici ricevuti – Stato precario di salute e desiderio della morte
Originale in AOMV, S. 5,2,4:213 (S. 1,17,25a:1534)
C2,275:T
Pregiat.mo e Car.mo Sig. Priore
Ho ricevuto il bellissimo regalo della Novena di S. Giuseppe, degnissimo parto dell'Ab. Lanzi*1 che
seppe sempre accoppiare ad una vastissima letteratura ed erudizione, una non meno grande pietà e
zelo delle anime, e talmente mi piace, che se fosse eseguibile, la pregherei di procurarmene una
cinquantina di copie unitamente a due dozzine di copie di quell'altra parimenti sua operetta sul S.
Sacramento, intitolata, se non erro, Il Divoto del SS. Sacramento.
Del resto sommamente godo che la sua salute sia doppiamente buona*2: non tralasci mai le solite
pratiche tanto inculcatele dai medici per assicurarsene la perseveranza, che io certamente non
tralascio di chiederle dal Signore, giacché tanto mi interessa, il suo buon essere. O quanto mi
sarebbe stato consolante, giacché il viaggiare gli è buono, se avesse potuto venire da queste parti, e
avessimo potuto passare assieme alcuni giorni di solitudine, ma il Signore non l'ha permesso, e
conviene dire anche di cuore fiat.
La mia sanità non è niente buona, e temo che i miei giorni non saranno più lunghi, io li passo
intanto, come sa, in questa cara solitudine, ove il Signore mi dà comodo di prepararmi a quel grande
passaggio dell'Eternità. Preghi per me, ma molto, e faccia pregare, ne dia particolare incombenza
alla Rig. [Rigogli] che particolarmente riverisco; mi dia sovente delle sue nuove per il solito canale,
e mi creda quale di cuore e con tutta la stima mi protesto
T. [Torino] il primo settembre [1810*3]
Dev.mo ed Obl.mo Servitore ed Amico
P.B.L.
(timbro postale lineare 104 TURIN 7 SETTEMBRE)
À Monsieur
Monsieur Leopolde Ricasoli
sul Ponte alla Carraia
Florence
C2,275:*1
Lanzi Luigi, S.J. n. a Montedellolmo (Macerata) nel 1732, m. a Firenze il 31 marzo 1810, fece gli
studi presso i gesuiti ed entrò nella Compagnia nel 1750, occupato successivamente
nell'insegnamento della retorica, della filosofia e della teologia. Dopo la soppressione dell'Ordine si
portò a Firenze, chiamatovi dal granduca Leopoldo che lo nominò vicedirettore della galleria Pitti e
di altri musei. Egli conservò sempre un grato e commosso ricordo della Compagnia “e tutte le volte
che incontrava uno dei suoi ex confratelli si commuoveva fino alle lacrime” (Feller).
Il Lanteri in questa lettera ricorda le benemerenze letterarie del P. Lanzi; e difatti egli passa per uno
dei più eruditi filologi ed archeologi d'Italia del suo tempo. Si deve al Lanzi la fondazione d'un
gabinetto etrusco che aveva ordinato con perizia non comune. Lasciò 28 opere di archeologia e di
arte, di cui alcune sono ancora oggi considerate di grande valore. Tra esse ricordiamo: Guida della
galleria di Firenze, Firenze 1782; Saggio sulla lingua etrusca, 3 voll. Roma 1789; Traduzione delle
Opere e i Giorni di Esiodo con note, ivi 1808; Dissertazione sui vasi detti comunemente etruschi,
Firenze 1790; Storia della pittura in Italia, Bassano 1791, in 6 voll. opera superiore nel suo genere
(Feller, VII, 621).
C2,275:*2
“Doppiamente buona”, cioè in riferimento al corpo e all'anima.
C2,275:*3
La lettera è datata da Torino, ma il Lanteri si trovava in quel tempo, probabilmente, nella sua
“solitudine” della Grangia di Bardassano.
C2,277:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
10 settembre 1810
Carità verso una consorella malata – Una visita a Bardassano rimandata – Cura della salute personale
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:91
C2,277:I1
Con questa lettera comincia una collezione di 25 lettere – di cui 23 in francese e 2 in italiano – del Lanteri alla
Mortigliengo: bella collezione, tutti autografi del Lanteri. Più che lettere vere e proprie sono il più delle volte biglietti
brevi, quasi telegrafici, buttati giù senza curare troppo l'ortografia francese, in risposta a quesiti pratici del momento
sottoposti al Lanteri dalla sua penitente in lettere che sono andate tutte perdute eccetto una, del 6 dicembre 1813, in un
francese molto sgrammaticato.
Poche le notizie che ho potuto raccogliere sulla Mortigliengo. Apparteneva a famiglia nobile, dei conti Rasini di
Mortigliengo. Il feudo di Mortigliengo, piccola frazione di un centinaio di abitanti nel comune di San Paolo Cervo,
presso Biella, provincia di Vercelli, apparteneva nel medioevo al conte Amedeo VI di Savoia insieme con Mezzana
Soprana, Strona, Casapinta e Crosa; nel 1619 fu smembrato da Carlo Emanuele I e ceduto a Giovanni Wilcandel,
signore di Fleury, e il 10 agosto 1722 venduto e infeudato a Giovanni Giacomo Audifredi, direttore delle gabelle. Il
pronipote dell'Audifredi Pietro Luigi morì nel 1798 ed il feudo sarebbe passato alla nipote Gabrielle, maritata a Carlo
Rasini se ne fosse stata chiesta l'investitura. Però i discendenti ne portano il titolo ugualmente (F. Guasco, Dizionario
feudale degli antichi Stati sardi e della Lombardia, Forni editore, Bologna, III, 1.120, ristampa anastatica dell'edizione
di Pinerolo, 1911).
Il conte Carlo Francesco Rasini, n. a Pinerolo il 13 luglio 1725, m. ivi il 6 ottobre 1751, aveva sposato nel 1750
Gabriella figlia del conte Pietro Antonio Audifredi di Mortigliengo, dopo la cui morte (26 agosto 1809, a Torino) i
discendenti assunsero il predicato di Mortigliengo che non potè essere giustificato, trattandosi di feudo retto e proprio
(V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, V, 615).
C2,277:I2
Genoveffa Audifredi di Mortigliengo – in religione suor Maria Leopolda, o Leopoldina – n. a Torino nel 1747, figlia del
conte Pietro Antonio e di Camilla Crotti, m. a Motta Rasini (Pinerolo) presso suo fratello l'11 novembre 1817, era
entrata nel monastero della Visitazione di Torino nel 1764, vestendo il sacro abito il 30 settembre 1764, emettendo la
prima professione il 30 settembre 1765, e facendo la professione solenne nel 1784, come si può desumere dalla lettera
del Lanteri del 2 ottobre 1814 che parla di 30 anni di professione. Secolarizzata nel 1803 con la forzata chiusura del
monastero tornò in famiglia, continuando però a osservare privatamente i tre voti religiosi sotto la direzione spirituale
del Lanteri e del Guala. Intorno al Lanteri e al Guala si era formata in Torino una piccola comunità di ex religiose, di
cui le lettere ricordano alcuni nomi: una certa Prandi, una certa suor Radegonda, sœur Prudence, suor Crocifissa
Bracchetto, tutte appartenenti al monastero del S. Crocifisso delle Canonichesse Regolari di S. Agostino (della
Bracchetto conserviamo parecchie lettere scritte al Lanteri), e il Lanteri e il Guala diedero a questo piccolo gruppo di ex
monache un aiuto morale e materiale. Dell'aiuto morale e spirituale fanno testimonianza queste lettere: dell'aiuto
materiale, oltre qualche accenno in queste lettere, fanno testimonianza alcuni manoscritti ricopiati per incarico del
Lanteri da qualcuna di queste religiose e oggi conservati in AOMV.
Queste lettere del Lanteri alla Mortigliengo contengono in sintesi il meglio della spiritualità lanteriana. Noi, dove sarà
necessario, e come abbiamo cercato di fare altrove, commenteremo il Lanteri col Lanteri, cioè riporteremo altri passi
del Lanteri dove gli stessi concetti sono ripetuti e meglio spiegati.
C2,277:T
10 settembre 1810
Ma Sœur et ma Fille en Jésus-Christ
Vive Jésus
Je suis fâché de la cause de votre retour accéléré, et je suis empressé d'en avoir des nouvelles,
espérant qu'elles seront bonnes. Je n'ai pas manqué de recommander la jeune malade à la S. Vierge
avec les assistantes*1.
Je ne vous dis rien de venir ici*2 parce que je ne veux pas faire mauvais office de vous séparer de la
malade*3, et parce que j'ai appris que vous avez bien souffert de votre voyage; mais toutefois que
vous voudriez venir, il ne vous sera pas difficile d'arranger la partie ou avec D. Loger, ou avec le
Th. Guala.
Prenez toujours patience de votre tiédeur, suivez votre train comme si rien [ne] fût, commencez
toujours, espérez toujours, et je vous réponds que votre tiédeur ne vous apportera aucun préjudice.
J'ai bien plaisir que vous ayez su vous tirer d'affaire dans votre campagne à l'égard de la Sainte
Messe et des Saints Sacrements, j'en remercie bien la Divine Providence*4.
Je finis en vous recommandant d'avoir tout le soin possible de votre santé, et de ne rien épargner à
cet égard, faisant tout pour plaire à Dieu et pour obéir, et toujours avec gaieté.
Je vous bénis
[Bardassano] ce 10 septembre [1810]
V.P. [Votre Père] en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée S. [Sœur] Léopolde Mortiglieng
C2,277:*1
Non sappiamo chi fosse la giovane malata in questione.
C2,277:*2
La Mortigliengo e le altre ex monache, insieme o a turno, andavano a Bardassano e vi restavano
qualche tempo, o per fare gli Esercizi sotto la guida del Lanteri o per aiutarlo nel disbrigo delle
faccende domestiche.
C2,277:*3
Sulla cura delle malate scrive altrove il Lanteri: “Dobbiamo poi anche esercitarci in opere di
misericordia corporale, sia perché anche così imitiamo Dio, sia perché si fa veramente a Dio ciò che
si fa al prossimo, e perché Gesù dirà nel dì del Giudizio: Nudus etc. Infirmus eram et visitastis me
etc.…” (Quadernetto-rubrica di massime spirituali Lanteri, 1830, in AOMV, S. 5,2,7:238).
C2,277:*4
La “campagne” dove la Mortigliengo usava passare i mesi autunnali (le ferie nel secolo scorso si
facevano d'autunno e non d'estate) era la villa Rasini, proprietà della sua famiglia, a Motta Rasini,
presso Pinerolo, facente parte della parrocchia della cattedrale di San Donato di Pinerolo
(attualmente della parrocchia di Riva di Pinerolo).
C2,279:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
23 ottobre 1810
Intenzione di andare a Torino, prega di preparargli l'alloggio – Novena in preparazione alla festa dei Santi
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:92
C2,279:T
Ma Sœur, et ma Fille en Jésus-Christ
Étant quelque chose mieux de ma santé puisque je puis faire des promenades qu'il m'était
impossible jusqu'ici de faire, je compte d'y rester encore quelque temps, sans savoir pourtant jusqu'à
quand, puisqu'un beau jour je puis prendre ma résolution de partir; je suis donc fâché de ne pouvoir
vous voir pour quelques jours, et il faudra que vous aussi me fassiez compagnie à exercer la
patience que Dieu veut que j'exerce aussi. En attendant, il se pourrait faire que j'eusse besoin des
deux chambres qui vous sont à côté, et si vous me le permettez, je ferai arranger à mes frais la plus
grande, en donnant commission à Radegonde, me réservant d'arranger l'autre à mon arrivée, selon
[ce] que j'aurai décidé, puisque jusqu'ici je n'ai que quelque idée bien confuse, et que je ne veux pas
encore manifester.
J'espère que vous ne m'oublierez pas dans vos prières, que vous vous occuperez un peu plus du
Paradis dans cette Neuvaine de la Toussaint, faisant tous les jours un peu de conversation avec les
Saints et les Anges du Ciel, et quelques actes bien fervents de désir et d'espérance d'y aller bien vite,
souffrant en attendant de rester encore dans cette misérable vie jusqu'[à ce qu'] il plaira au Seigneur,
et n'oubliant pas de demander aussi pour moi cette heureuse béatitude.
Je vous bénis et je suis
Ma Sœur et ma Fille en Jésus-Christ
De Bardassan ce 23 octobre 1810
Votre très humble Serviteur
et Père en Jésus-Christ
P.B.L.
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortigliengo
Turin
C2,282:S
Lanteri a una dama sua penitente
1810?
Necessità di un metodo e di un orario costante per una concreta vita interiore – Preghiere del mattino – Metodo per le
preghiere del mattino – per la lettura spirituale – per la meditazione – per ascoltare la S. Messa
Minuta in AOMV, S. 2,1,7a:83
C2,282:I
Il francese usato dal Lanteri tradisce una destinataria appartenente alla nobiltà. Può darsi che si tratti anche di una suora
secolarizzata.
Testo non finito (nella minuta): manca il paragrafo che doveva trattare dell'orario della giornata e dell'esame di
coscienza.
C2,282:T1
Règlement de vie
Nous sommes faits pour le Ciel, non pour la terre, et nous ne sommes sur cette terre que pour
travailler à gagner le Ciel. Donc tout le temps qui n'est point employé pour cela est perdu, et toutes
les actions qui ne servent pas à gagner le Ciel sont inutiles. C'est donc absolument nécessaire de
bien employer le temps, et sanctifier nos actions. Mais comment y réussir? C'est avec de l'ordre
qu'on emploie bien le temps, et c'est avec la méthode, et l'esprit intérieur (intention pure et ferveur),
et la vie intérieure qu'on sanctifie nos actions*1.
Il faut donc 1. se fixer un certain règlement d'heures pour les actions principales, s'en faire une loi et
ne pas y manquer par légèreté ou par dégoût, que par quelque raison solide (excepté par raison
d'obéissance, de charité), et dans la pratique préférer toujours les actions les plus importantes aux
autres, et celles d'obligation à celles de surérogation.
Il faut 2. se procurer cette vie intérieure par de bonnes pratiques de piété, mais bien faites, avec
méthode, comme de la Sainte Messe, la méditation, la lecture spirituelle, l'examen de consience.
C2,282:T2
Du lever et de la prière du matin
Il est malaisé de bien finir quand on a mal commencé. Ainsi
1. Aussitôt qu'on est éveillé il faut éloigner toutes pensées vaines et inutiles, et consacrer à Dieu les
premiers mouvements de notre esprit et de notre cœur. On pourrait par exemple se servir des
oraisons jaculatoires suivantes: Mon Dieu, je suis à vous, et j'y veux toujours être dans le temps et
dans l'éternité; Seigneur aidez-moi, hâtez-vous de venir à mon secours; Gloire soit au Père, gloire
au Fils, gloire au Saint-Esprit.
2. Après vous être modestement habillée, il faut se mettre à genoux pour faire des actes courts
d'adoration, de remerciement, d'offrande, de demande, de contrition, de résolution, pour adorer et
remercier le Seigneur en récitant le Pater, Ave, Credo, et la prière à l'Ange Gardien*2.
C2,282:T3,1
De la Messe
Manquer sans raison d'entendre la Sainte Messe, c'est manquer de foi ou de zèle pour son salut;
pour en être persuadé, il ne faut que se souvenir que le sacrifice de la Messe est la rénovation du
même sacrifice de Jésus-Christ sur le Calvaire, puisqu'il descend lui-même en personne sur l'autel à
la voix du Prêtre, et il s'offre à son Père pour les mêmes fins que sur le Calvaire; le fruit aussi en est
si grand qu'une seule messe suffirait pour sauver l'univers, et c'est dans ce sacrifice qu'il nous
applique particulièrement ses mérites infinis.
1. La Sainte Messe étant donc, parmi les actions de notre religion, la plus auguste, dont nous
pouvons tirer des plus grands fruits, il faut y assister de la manière que le demande et la sainteté de
l'action, et notre propre intérêt; il faut donc y apporter des dispositions convenables, il faut tâcher
d'entrer dans les sentiments de la Sainte Vierge, du disciple bien-aimé et de la Madeleine, qui se
trouvèrent présents sur le Calvaire, dans les mêmes sentiments que nous aurions formés dans notre
cœur si nous y eussions assisté nous-mêmes.
C2,282:T3,2
2. Méthode pour entendre la Sainte Messe. Et pour en faciliter davantage la pratique on pourrait au
Confiteor entrer dans les sentiments du publicain, au Gloria dans les sentiments des Anges à la
nativité de Notre Seigneur, aux Oraisons dans les sentiments des ministres de l'Église qui prient
pour nous, à l'Épitre et à l'Évangile dans les sentiments d'un disciple de Jésus-Christ qui écoute
humblement et veut mettre à profit les leçons de Jésus-Christ, au Credo dans les sentiments des
martyrs, à l'Offrande s'unir à l'Église pour offrir au Père éternel avec elle le sacrifice de son Fils en
adoration, en action de grâces, en satisfaction, et pour demander les grâces dont nous avons besoin,
à la Préface entrer dans les sentiments des Séraphins qui louent et aiment Dieu pendant toute
l'éternité, à l'Élévation adorer Jésus-Christ avec foi vive et penser à sa Passion, au Pater le réciter
dans les sentiments d'un pauvre mendiant, à l'Agnus Dei avoir les sentiments d'un criminel, au
Domine non sum dignus avoir les sentiments de l'humble Centenier [Centurion], à la Communion
les sentiments de Zachée joyeux de recevoir Jésus-Christ chez lui, après la Communion le
sentiments de la Madeleine qui passait son temps à pleurer et aimer aux pieds de Jésus-Christ, à l'Ite
les sentiments d'un apôtre, c'est-à-dire d'une âme fervente*3.
C2,282:T4,1
De la lecture spirituelle
Il n'y a rien de plus pernicieux que la lecture des mauvais livres. La lecture, c'est la nourriture de
l'âme, pour laquelle il y faut du choix et quelque règlement comme pour la nourriture du corps; il ne
faut donc pas s'en rapporter à son goût ni à ses propres lumières, mais à l'avis du Directeur qui est le
médecin de l'âme; ensuite il n'en faut pas de trop, et il faut écarter toute espèce de gourmandise
spirituelle, et ne lire point par curiosité, ni avec empressement et avidité.
C2,282:T4,2
Méthode pour la lecture spirituelle
Après le choix du livre, et après avoir déterminé le temps qu'on doit y employer, commencer la
lecture par une élévation du cœur à Dieu, se persuader que c'est Dieu qui nous parle dans le livre,
que c'est une de ses lettres envoyées du Ciel, lui demander un cœur attentif et docile, et la grâce de
bien comprendre ces vérités et d'en profiter; lire ensuite avec attention et sans précipitation, s'arrêter
sur les vérités qui conviennent plus à nos besoins et faire quelque retour sur nous-mêmes et vers
Dieu; ne finir jamais la lecture sans quelque sainte résolution.
C2,282:T5,1
De la Méditation
Rien n'est si important que l'affaire du salut, rien n'exige plus de soin que le salut, dans aucune autre
affaire on [ne] rencontre tant d'obstacles et de difficultés à surmonter, ni tant d'ennemis si puissants
à combattre, que dans l'affaire du salut. C'est donc une vraie présomption que de se promettre d'y
réussir sans y penser souvent et avec application, sans prévoir les obstacles pour les éviter ou les
surmonter, sans observer les démarches de nos ennemis pour nous garantir de leurs artifices, en un
mot sans méditer, puisque c'est là l'exercice et le fruit de la méditation.
Qu'on n'apporte pas pour s'en dispenser l'excuse de la multitude et de l'importance de leurs affaires,
puisqu'il n'y en a pas une dans le monde qui puisse entrer en comparaison avec celle du salut; ni que
personne ne s'excuse sur son incapacité, puisque pour méditer il n'est pas nécessaire d'avoir de
l'esprit, il suffit d'être raisonnable, c'est-à-dire d'avoir une mémoire pour se souvenir du sujet auquel
l'on doit s'appliquer, un entendement pour y faire réflexion et pour en tirer quelque conséquence, et
une volonté pour former ensuite quelque résolution; il ne s'agit de faire à l'égard du salut que ce que
font les personnes [les] plus grossières à l'égard de leur profession, les artistes [les] plus simples par
rapport à leur métier, puisque c'est précisément comme ça qu'il faut s'y prendre pour bien méditer.
C2,282:T5,2
Méthode pour la méditation
Après avoir prévu le sujet de la méditation
1. il faut se mettre en la présence de Dieu, faire un acte de foi vive pour s'exciter à l'attention et au
respect dans l'oraison, adorer la Majesté divine avec qui on ose s'entretenir, lui demander pardon de
ses ingratitudes passées qui sont les obstacles à la communication avec Dieu, lui demander les
lumières pour bien comprendre ces vérités, et les grâces pour en profiter*4.
2. Il faut employer sa mémoire pour se rappeler du sujet de la méditation, et pour bien fixer le vrai
sens de cette vérité ou de ce mystère qu'on s'est proposé à méditer, pesant bien avec attention la
signification de chaque parole ou de chaque circonstance. Après cela, appliquer son entendement
pour bien se convaincre de cette vérité, en tirer les conséquences pour la pratique, en comprendre
toute l'importance; ensuite, exercer sa volonté dans des sentiments pour le passé en souhaitant
d'avoir mieux connu et pratiqué cette vérité, pour le présent en offrant des résolutions bien fermes
de commencer tout de bon, venant au particulier du lieu, du temps, de la façon, en considérant et
résolvant les difficultés qu'on pourrait rencontrer dans la pratique; pour l'avenir en demandant les
grâces nécessaires pour l'exécution et pour la persévérance, en s'adressant pour cela tantôt aux
Divines Personnes, tantôt à la Sainte Vierge, aux Saints, aux Anges du Ciel, en produisant les
motifs de ma misère de mon côté, des mérites du côté des Saints, des perfections divines du côté de
Dieu. Enfin faire un court examen de la méditation, en donnant un coup d'œil sur les lumières
reçues et les bons propos formés, et sur les défauts qui s'y sont glissés.
C2,282:*1
Il metodo nell'agire era uno dei punti sui quali il Lanteri maggiormente insisteva, metodo che
doveva essere adottato e fedelmente seguito anche nella vita spirituale: “Che se a quest'ordine delle
azioni si aggiunge il metodo per ciascuna di esse prescritto a suo luogo in questo Direttorio, e si fa
inoltre ogni cosa con pace e santa allegrezza, diverranno allora tutte le nostre azioni sommamente
perfette e meritorie; i nostri giorni saranno pieni di opere buone e di meriti; la gloria che ci andremo
preparando in cielo andrà sempre crescendo…” (Direttorio degli Oblati di M.V., ed. 1963, p. 150).
C2,282:*2
L'accenno ai quattro fini dell'orazione, latreutico, eucaristico, impetratorio e propiziatorio, torna
spesso negli scritti ascetici e spirituali del Lanteri.
C2,282:*3
Il metodo seguito dal Lanteri per ascoltare e celebrare la S. Messa è indicata anche nel Direttorio
degli Oblati di M.V.: “Fra gli atti di religione nessuno ne ha più grande, né più utile della Santa
Messa. I Sacerdoti pertanto: procurano di vivere in maniera da celebrarla ogni giorno; si uniscono
nel dire la S. Messa a Gesù Cristo, bramando di partecipare delle disposizioni del suo cuore
nell'istituire un tanto mistero, e facendo particolare attenzione alle principali azioni per eccitare in
se stessi affetti conformi a ciascuna di esse. Così possono, per es., al Confiteor avvivare l'affetto del
pubblicano; al Gloria l'affetto degli Angeli; alle Orazioni l'affetto di un ambasciatore inviato dalla
Chiesa; all'Epistola ed al Vangelo l'affetto del discepolo; al Credo l'affetto di un martire;
all'Offertorio l'affetto del Sacerdote Melchisedec; al Præfatio l'affetto dei Beati del cielo;
all'Elevazione l'affetto di Gesù Cristo; al Pater l'affetto di un mendico; all'Agnus Dei l'affetto di un
reo: alla Comunione l'affetto di un amante; all'Ite l'affetto di un Apostolo” (Direttorio, ed. 1963, p.
95).
C2,282:*4
Dei molti metodi di far orazione mentale, o meditazione, il Lanteri segue e consiglia sempre quello
di S. Ignazio quale si trova nei suoi Esercizi e che in breve sintesi è presentato in queste righe.
C2,286:S
Lanteri a una dama sua penitente
prima del 1811
La natura umana dopo il peccato originale – La lotta contro la tentazione e per la virtù è fonte di merito – Non
meravigliarsi o scandalizzarsi della propria debolezza – Una tristezza buona che viene da Dio e una tristezza cattiva che
viene dalla superbia – Fiducia nella misericordia e nel perdono di Dio
Minuta in AOMV, S. 2,1,7a:84
C2,286:I
Pubblicata da Gastaldi, 168-170.
Lettera indirizzata a una destinataria anonima, ma perché sia trasmessa a una terza persona – parimenti anonima –
afflitta da scrupoli, scoraggiamento e malinconia spirituale. Vi si ritrovano, in sintesi tutti i principi della scuola
“benigna” o “alfonsiana”, abituali al Lanteri, in aperto contrasto con la scuola giansenista o comunque rigorista. Ma il
“benignismo” di P. Lanteri, derivato da S. Alfonso, non deve essere inteso come lassismo o faciloneria nel campo
morale, tutt'altro. In una nota al Direttorio degli Oblati di M.V. (edizione 1963, p. 160) egli scrive in proposito al
“rigorismo”: “Dove si tratta di esimere il penitente – sono parole del B. Alfonso – dal pericolo del peccato formale,
deve il confessore avvalersi, per quanto permette la cristiana prudenza, delle opinioni più benigne. Ma dove poi le
opinioni benigne fan vicino il pericolo del peccato formale, come sono alcune opinioni di Dottori circa l'obbligo di
fuggire le occasioni prossime e simili, allora è sempre spediente che il Confessore si avvalga, anzi dico che egli, come
medico delle anime, è tenuto ad avvalersi delle opinioni rigide, che meglio conducono a conservare il penitente nella
divina grazia” (citato da S. Alfonso de Liguori, Istruzioni ai confessori, vol. I, p. I, cap. 1, n. 45).
Da questi principi era determinata anche la direzione spirituale impartita da lui alle molte persone, religiose e laiche,
che si rivolgevano a Lui: “Nella direzione spirituale il Servo di Dio si ispira all'indirizzo tutto bontà e fortezza di S.
Francesco di Sales e di S. Alfonso de Liguori; il Lanteri vi fu introdotto dal più volte ricordato P. de Diessbach che
sappiamo seguace ed apostolo degli ideali ascetici e morali dei due grandi Pastori della Chiesa, di cui il primo era allora
considerato dai Piemontesi come loro concittadino (cfr. K. Winter, P. Nikolaus Albert von Diessbach S.J., in Zeitschrift
für Schweizerische Kirchengeschichte, 18, 1924, pag. 282)” (Positio, 533).
La lettera non si conserva in originale, ma solo in minuta, con diverse correzioni, tutte di mano Lanteri.
Cronologicamente non dovrebbe essere posteriore al 1811, anno della relegazione del Lanteri, perché la lettera risulta
scritta da Torino (“stasera alle 7 io sono a casa…”)
C2,286:T1
prima del 1811
La prego di voler comunicare a quella persona afflitta e scoraggiata che V.S. Car.ma conosce, i
seguenti riflessi, acciò li ponderi tranquillamente.
1. Stante il peccato originale, è tolta la giustizia originale, anzi viziata la stessa nostra natura, cioè
divennero sregolate le passioni, e la natura così inclinata al male: il Signore nella religione volle
venirci in aiuto con somministrarci dei rimedi, ma questi non sono già per restituirci la natura nel
primiero stato di giustizia originale, ma lasciando le passioni sregolate e l'inclinazione al male, cioè
lasciandoci non altrimenti soggetti a peccare soltanto, servono altri a riparare le colpe che si
commettono, altri a somministrarci la forza che più non avevamo per resistere alle passioni
sregolate, e alle cattive inclinazioni, le quali per un mirabile ordine di provvidenza vengono così a
somministrarci materia per combattere, occasione di merito, anzi per questo stesso ordine di
provvidenza, se vogliamo, gli stessi peccati non solo non ci pregiudicano alla salute, perché
abbiamo in pronto ogni volta il rimedio nei Sacramenti, ma anzi ci giovano in quanto ci convincono
della nostra fragilità, ci tengono umili, cauti, ci fanno conoscere il bisogno del divino aiuto, ci fanno
ricorrere al nostro Padre celeste per ottenerlo.
Ecco l'economia della nostra Religione, e la migliore che noi possiamo immaginarci; infatti noi
vediamo i primi due parenti che furono pure creati nella giustizia originale, cioè senza ribellione di
passioni, senza inclinazione al male, anzi con tutta l'inclinazione al bene, e altri ottimi requisiti,
eppure appena creati peccarono; vediamo gli Angeli che erano pure puri spiriti senza corpo, per
conseguenza senza concupiscenza, e con mille altre egregie doti, eppure appena creati anch'essi
peccarono, e in sì grande numero ancora, che sorpassano le stelle del Cielo; dopo questi esempi
volle dunque la Sapienza di Dio stabilire con noi l'ordine presente di provvidenza 1. perché
comprendiamo che è migliore di quello che ci possiamo immaginare; 2. per manifestarci, e più che
mai risplendano gli attributi della sua onnipotenza e misericordia, come confessa la Chiesa in
quell'orazione, Deus qui omnipotentiam parcendo maxime, et miserando manifestas*1.
C2,286:T2
Tre avvertenze
Posti questi principi certi e inconcussi della nostra Religione, tre avvertenze si deducono
ugualmente certe e inconcusse.
La prima è che per ragione della nostra natura guasta si hanno da commettere molti e molti peccati,
per ragione poi dei rimedi graziosamente somministratici dal Signore possiamo ogni volta ottenerne
la remissione, non usque septies etc. quacumque hora, quindi dobbiamo meravigliarci se non
cadiamo, ma non altrimenti, anzi, presupporre che si andrà spesse volte cadendo e rialzandosi in
piedi appunto come fanno i bambini, ai quali possiamo con tutta ragione somigliarci, poiché se sono
deboli nell'ordine di natura, siamo più deboli nell'ordine di grazia; la madre corre loro in aiuto ed è
subito pronta ad alzarli. Questa verità è di grandissima importanza affinché mai ci meravigliamo se
noi cadiamo, perché sappiamo che non mancano mai nella religione i rimedi per ogni caduta, onde
caduti, tosto ricorriamo ad essi […], altrimenti dimostriamo o di non conoscere la nostra miseria, o
di non conoscere la nostra religione*2.
La seconda è che dobbiamo guardarci piu che mai dopo la caduta degli effetti della superbia. Anche
la superbia sa pentirsi dei mancamenti e con grande pentimento, e tale che induce talvolta a una
durissima penitenza, fino alla disperazione, poiché non può soffrire la vista dei suoi peccati, non
tanto per il dispiacere di aver offeso Dio, quanto per vedersi difettoso. Ora a questo cattivo dolore e
pentimento si deve gagliarda resistenza, perché cagiona nell'anima una tristezza inutile che non
nasce da Dio, né per Dio, ma dalla propria presunzione e dal non conoscere l'uomo la propria
fiacchezza e miseria, e in questo tempo che perde, dolendosi inutilmente, commette maggior colpa
di quella per cui si duole; e vi si deve rimediare con il rientrare per una parte in se stesso, con il
confessare la propria miseria e abilità, per così dire, ad ogni peccato, e non tanto stupirsi della sua
caduta*3, e per l'altra parte con lo sperare generosamente in Dio, poiché bisogna per
C2,286:T3
terza avvertenza supporre per cosa certissima che dà grande gusto e onore a Dio, colui che va a
domandarGli perdono delle sue colpe ogni volta che le commette, perché allora sì che sente bene di
Dio, che tiene Dio per quell'abisso di bontà senza fondo, guardandosi dall'ingiuria di tenerLo per un
uomo ordinario, anzi, per un uomo neppure onorato, ma per un vendicativo ed infuriato che abbia
perduto affatto la pazienza, misurandoLo ingiustamente secondo il nostro misero e duro cuore; deh,
non si faccia a Dio questo torto, gli si attribuisca quello che è suo (e non quello che è nostro), cioè
l'essere Egli infinitamente pietoso, amorevole, compassionevole che mai non si stanca di perdonare;
si rifletta alquanto su quelle parole della S. Scrittura: Ecce Agnus Dei*4. Non veni vocare justos sed
peccatores*5. Non est opus bene valentibus medico*6. Si quis peccaverit, advocatum habemus apud
Patrem*7. Expectat Deus ut misereatur, et exaltabitur ut parcens (Is. 30). Omnes peccaverunt et
egent gloriam Dei (Rom. 3*8). Gaudium erit in cælo super uno peccatore pænitentiam agente, quam
super nonaginta novem justos qui non indigent pænitentia*9, etc. Riflettere ancora sulle parabole del
figliuol prodigo, del buon pastore, sulla condotta di Gesù Cristo su questa terra verso i peccatori, e
finalmente sull'eccesso di amore con cui si immolò sulla croce, e ancora tuttodì sull'altare per i
peccatori.
Lungi dunque per carità ogni riflesso ingiurioso a Dio suggerito dal Demonio, cioè che Dio è ormai
stanco di aspettare tanto la mia mala corrispondenza, e che infastidito perciò si nasconde, ci castiga,
ci abbandona, e simili falsità. La conclusione sia di gettarci subito ai piedi di Dio, riconoscerlo per
Padre che ci aspetta con impazienza, con le braccia e con il cuore aperto, confessargli le proprie
colpe, sperare in Lui, domandargli perdono, e non dubitare un momento di essere ben accolto da un
sì buon padre celeste, di essere da lui generosamente perdonato, e di più ancora, colmato di
benedizioni e grazie per le stesse ingiurie fattegli, ma detestate e piante.
Questo è quanto la prego di comunicare a quella persona a lei ben nota. Intanto stasera alle ore 7 io
sono a casa*10, e la sto attendendo, pregandola per favore di non mancare, perché ho premura di
parlarci, e con tutto il rispetto e sincera amicizia mi protesto
[senza firma]
C2,286:*1
Da un'orazione penitenziale-quaresimale dell'antica liturgia.
C2,286:*2
Questo periodo è stato fatto e rifatto più volte: abbiamo scelto le parole adatte a far correre meglio il
senso.
C2,286:*3
In un foglio di appunti di mano Lanteri troviamo lo stesso concetto – testo francese – in termini più
espliciti: “Prenez garde, ce n'est pas l'effet d'une sainte tristesse, mais d'un orgueil secret qui ne peut
supporter la vue de ses propres imperfections; ce n'est pas tant le regret d'avoir offensé Dieu, que la
peine de soutenir la vue de ses chutes journalières et le souvenir de ses dérèglements. L'esprit de
Dieu n'est ni dans le découragement ni dans le trouble, ce n'est que le tentateur qui trouve ici son
avantage; celui qui vient de Dieu a quelque chose de plus courageux, de plus paisible; il voit ses
fautes avec humiliation, il en est confus, mais pas découragé. L'exemple d'un jardinier…” (frase
non finita).
C2,286:*4
Segue un elenco di citazioni bibliche, che si ritrovano frequentemente negli scritti del Lanteri, o
insieme o isolate, per accentuare l'aspetto “benigno” di Dio. Giov. 1, 29.
C2,286:*5
Luc. 5, 32.
C2,286:*6
Matt. 9, 12.
C2,286:*7
1 Giov. 2, 1.
C2,286:*8
Rom. 3, 23.
C2,286:*9
Luc. 15, 7.
C2,286:*10
Qui si vede che la lettera è stata scritta da Torino. Il particolare può servire di riferimento
cronologico come abbiamo accennato sopra.
C2,290:S
Lanteri a un sacerdote anonimo
1810-1811
Giudizio su un libro di presunta teologia “naturale e razionale” – Accenno alla molteplice attività del Lanteri a Torino
Minuta (non finita) in AOMV, S. 2,1,6:25
C2,290:I
È sconosciuto il nome del destinatario, ma con tutta probabilità è un membro dell'Amicizia Sacerdotale di Torino.
Incerta anche la data, ma da tutto l'insieme pare che non si possa rimandare a dopo la relegazione di Bardassano (18111814).
L'AOMV conserva solo la minuta della lettera, e anche questa non completa; dell'originale non si ha traccia.
Non è stato possibile determinare di quale libro – di 3 tomi in 12 – si tratti, e di quale autore, se italiano o estero. Dal
testo della lettera pare si tratti di quella letteratura facente parte del così detto “illuminismo cattolico” (v. introduzione)
preso in senso molto lato, che voleva fondare la teologia e l'ascetica – e conseguentemente anche la pastorale e la
predicazione – più su basi razionali e naturali che su principi soprannaturali e rivelati. Da notare il breve ma esatto
giudizio del Lanteri, il quale anche dopo una lettura sommaria e affrettata ne ha saputo trovare ed evidenziare il punto
più debole: “Letteratura che non farà male, ma neppure molto bene!”. Qualunque teologia e qualunque ascetica deve
sempre partire dalla realtà dell'uomo, che è quella della natura decaduta e infirmata dal peccato originale.
L'osservazione del Lanteri acquista una rinnovata attualità ai nostri giorni.
C2,290:T
Confesso tutto il mio torto, né ci vuole di meno che un cuore così indulgente e buono come il suo,
per perdonarmi tanta dilazione nel rispondere al pregiatissimo di lei foglio; conviene però che io le
dica che incominciai ad avere molta difficoltà per ritrovare una copia del libro in questione;
finalmente mi riuscì di averne quell'unica che vi era presso i librai, e questa in 3 tomi in 12o, e
ancora tutti e tre tomi imperfetti, mancandovi ad uno il frontespizio, all'altro l'indice, a tutti e tre
qualche quinterno; in seguito dovetti dare i S. Esercizi, profittare poscia del tempo per farli io
stesso, indi si stabilì, oltre la [Amicizia] Sacerdotale, una unione di quei giovani Ecclesiastici che
fecero i S. Esercizi, i quali vogliosi di avanzarsi sempre più nella virtù e coltivarsi nella pietà, mi
pregarono di fare ogni settimana un piccolo discorso per tale effetto. Tutto questo, oltre qualche
altra occupazione straordinaria sovraggiunta alle mie solite, fu cagione che non ho potuto finire di
leggere tutti i tre tomi suddetti.
Con tutto ciò per non differire d'avvantaggio a dirgliene quanto penso, io trovo questo libro un po'
particolare: in tutti e tre i tomi non fa che sviluppare questi suoi principi, cioè che non è che la
passione che si offende delle passioni altrui, non è che l'amor proprio che si tormenta di tutto;
vorrebbe dunque che l'uomo, per consolarsi in tutte le circostanze della vita, facesse sempre retto
uso della pura ragione spogliata da ogni passione ed amor proprio. Questo è sempre quello che
scopre, e il mezzo che propone in tutti e tre i tomi, ed è mirabile che sappia sempre dire lo stesso in
modo sempre diverso in tutti e tre tomi. Il pascolo è tutto dello spirito, e niente del cuore; è cosa
bella da leggersi, ma per praticarlo converrebbe rientrare nello stato di natura avanti la sua caduta. Il
mio giudizio dunque è che questo libro non può fare niente di male, ma in pratica farà anche poco
bene, e medesimamente conviene anche spogliarsi della passione dell'impazienza per andarne fino
alla fine; e ciò che vi è ancora di singolare è che non parla mai dei mezzi sovrannaturali per ottener
il suo scopo di fare uso della sola ragione, scevra da passioni e amor proprio*1…
C2,290:*1
Il libro in questione deve ispirarsi alla Critica della ragion pratica di Emanuele Kant (1724-1804),
il cui influsso si è fatto sentire per più di un secolo anche nelle scuole cattoliche. Molti tentativi fatti
per conciliare l'idealismo kantiano con la scolastica e la filosofia cattolica – non è il caso qui di
ricordarli – sono falliti. Per sostenere e spiegare la “religione della ragion pratica” fu scritta una
pletora di opere (il padre Casula Mario S.J. ne ricorda 95, tutte in lingua tedesca, uscite tra il 1790 e
il 1810, ma moltissime altre furono scritte in francese, in italiano, ecc.), che volevano dare un
fondamento “razionale” alla religione, prescindendo da qualunque rivelazione e intervento di Dio.
“La rivoluzione portata da Kant nella morale è almeno tanto profonda quanto quella effettuata nella
teologia razionale. Sostanzialmente essa si esprime e si caratterizza come il passaggio da una
morale eteronoma, in cui cioè il bene e il male morale vengono determinati da principi e criteri
estranei alla ragion pura, a una morale autonoma in cui i precedenti sono stabiliti in forza di un
principio inerente alla ragione medesima: in altri termini come un passaggio da principi determinati
così detti materiali a un altro così detto formale, l'‘imperativo categorico’” (M. Casula,
L'illuminismo critico, Milano 1967, 133).
C2,292:S
Lanteri al Ministro dei Culti francese
marzo 1811
Il Teologo Lanteri non ha mai avuto conoscenze a Savona – Non è un “fanatique prononcé” – Confessa molto, ma in
pubblico – La proibizione di confessare nuoce ai penitenti, non a lui
Minuta in AOMV, S. 2,1,8:117
C2,292:I1
Non si tratta evidentemente di una lettera che il Lanteri intendeva inviare direttamente al Ministro dei Culti di Parigi,
Bigot de Préameneu, ma di una bozza che servisse a Mons. Giacinto della Torre, arciv. di Torino, per compilare la
lettera che egli stesso avrebbe mandato al ministro, lettera che effettivamente scrisse in data 21 marzo 1811 e che
contiene, talvolta ad litteram, tutto ciò che il Lanteri gli aveva sottoposto in questo documento. La lettera del Della
Torre, conservata nell'archivio della Curia di Torino, è stata pubblicata in Positio, 29-31.
La cronologia dello scritto Lanteri è data dalla lettera dell'arcivescovo, deve quindi precedere il 21 marzo 1811.
Il documento è in stretta relazione con la relegazione del Lanteri alla Grangia di Bardassano in seguito alla sua
partecipazione attiva all'opera di assistenza e di difesa del Papa Pio VII prigioniero di Napoleone a Savona. Gli
avvenimenti sono noti. Li riassumiamo qui in forma telegrafica. Il 9 giugno 1809 Pio VII scomunica Napoleone per
avere invaso i terreni pontifici. Napoleone reagisce imprigionando il Papa a Savona con decreto del 6 luglio 1809: il
Papa dopo diverse peregrinazioni arriva a Savona il 16 agosto 1809. In Italia e in Francia si organizza clandestinamente
l'opera di soccorso al Papa, di cui anima a Torino e in Piemonte è il Lanteri insieme coi suoi amici, con ramificazioni in
Savoia, a Lione, a Parigi e altrove. Nel novembre 1810, in seguito alla fuga di documenti pontifici da Savona, scoppia
l'affare d'Astros che fa andare sulle furie Napoleone e obbliga la polizia a un giro di vite per controllare e possibilmente
arrestare i responsabili. Cadono nella rete della polizia, tra gli altri, Berthaut du Coin di Lione e l'abbé Perreau di Parigi,
e dai documenti in loro possesso si risale ai loro collaboratori torinesi e piemontesi (4 e 11 gennaio 1811). Il Ministro di
Polizia generale di Parigi, il Duca di Rovigo, incarica il direttore della polizia dipartimentale “Au-delà-des-Alpes”, cioè
di Torino, D'Auzers, a interrogare le persone incriminate, cioè l'abbé Lanteri, l'abbé Daverio, Renato Galleani
d'Agliano, Demetrio Cordero di Montezemolo, il marchese Cinzano, l'ingegnere Corradi (19 gennaio 1811).
C2,292:I2
Il D'Auzers, con lettera del 29 gennaio 1811, fa una relazione degli interrogatori a cui ha sottoposto gli indiziati.
Dall'interrogatorio del Lanteri, fatto “avec le plus grand soin, ayant des motifs de suspicion sur son compte”, risulta che
“cet ecclésiastique qui passe ici pour très pieux et très honnête homme, m'était cependant signalé, par un agent secret,
comme n'ayant pas une opinion très favorable au Gouvernement particulièrement depuis les difficultés avec le Pape.
Cependant, comme il est très prudent dans ses discours et ses démarches, je n'avais obtenu aucune preuve; mais je
faisais exercer sur lui une surveillance secrète. J'avais découvert qu'il existait autrefois à Turin, c'est-à-dire avant
l'occupation de ce pays par les Français, une espèce d'association de prêtres et de clercs des Jésuites, après leur
suppression. Ces associés s'obligeaient à tenir secret, même à leurs confesseurs, ce qui se discuterait ou déciderait dans
ces assemblées. M. l'abbé Lanteri était le chef de cette réunion qui correspondait encore à Vienne, en Autriche, il y a
huit ans, par l'intermédiaire d'un prêtre piémontais, nommé Virginio, établi depuis 10 ans dans cette ville, mais qui est
mort il y en a trois à peu près. Elle correspondait également à Paris, par le moyen d'un autre prêtre piémontais, depuis
longtemps, appelé l'abbé Sinico… L'interrogatoire que je lui ai fait subir n'a pas produit de grandes découvertes…
Aussitôt après son interrogatoire, j'ai fait procéder à la visite de ses papiers. Il n'y a été rien trouvé de suspect que la
copie d'une lettre du Pape, datée de Rome le 10 juin 1809 [la lettera di scomunica a Napoleone]… Je ne dois pas
dissimuler, Monseigneur, que M. l'abbé Lanteri a une grande influence ici par le moyen de la confession. Il est un des
plus courus dans la ville. Quoiqu'il soit d'une très mauvaise santé depuis plusieurs mois, ce qui le force de garder sa
chambre, une grande quantité d'individus, même dans la classe marquante, l'ont conservé pour leur directeur spirituel. Il
serait convenable, je pense, que M. l'Archevêque de Turin reçût l'ordre de lui ôter ses pouvoirs spirituels pour la
confession…” (Positio, 23-24).
C2,292:I3
Il consiglio del D'Auzers fu subito seguito. Bigot de Préameneu scrive a Della Torre perché sospenda il Lanteri dalle
confessioni (lettera 9 marzo 1811, Positio, 27-28); l'arcivescovo risponde che ha provveduto in conformità degli ordini
ricevuti (lettera 21 marzo 1811, Positio, 29-31: è la lettera sopra citata che ripete le stesse argomentazioni di questo
documento e contiene insieme un commosso elogio del Lanteri, della sua persona e della sua attività). Il Lanteri, che
faceva troppa paura alla polizia francese, è tuttavia relegato nella sua campagna di Bardassano, per dove parte il 25
marzo 1811 e dove rimane fino al 1814.
C2,292:T1
marzo 1811
Le T. [Théologien] L. [Lanteri] a l'honneur d'assurer V.E. qu'il n'a jamais eu aucune connaissance à
Savone, qu'il n'était pas même capable depuis un an et demi environ d'aucun commerce de lettre à
cause de sa mauvaise santé, n'en ayant en effet écrit depuis cet intervalle que 5 à 6 par nécessité
pour ses affaires propres, ainsi il ne comprend pas comment on puisse le soupçonner compromis
dans aucune correspondance de cette nature.
À tort aussi on l'a dénoncé comme fanatique très prononcé. Tous ceux qui le connaissent peuvent
attester qu'il n'a jamais été répandu de sa vie dans aucune société, au contraire son caractère est
d'être solitaire, très réservé, et de très peu de paroles*1.
On l'accuse aussi en vain de recevoir chez lui beaucoup de personnes qui s'y rendent pour se
confesser: c'est vrai qu'il confessait auparavant beaucoup de personnes, surtout de sexe, et même
des Français, parce qu'il connaissait un peu la langue française, mais tout cela se passait en règle,
c'est-à-dire en public, et à l'église, et très peu chez lui; hors de là il était occupé à visiter les malades,
et jamais répandu dans le monde.
De plus cela fait environ un an et demi qu'il est attaqué des maux de nerfs, et surtout de la poitrine,
et à cet effet les médecins lui défendirent de s'occuper dans son ministère; même depuis lors il n'a
plus été en état d'aller à l'église pour confesser personne; à peine se bornerait-il à confesser quelque
particulier chez lui, renvoyant les autres à cause qu'il avait de la peine à parler.
D'après cela, la peine d'être privé des pouvoirs de confesser retombe plutôt sur les personnes
respectables qui ont de la confiance en lui, que sur lui-même qui a besoin de repos.
C2,292:T2
Mais ce qu'il trouve bien dur et pénible, et qu'il ne connaît point de mériter, c'est d'être relégué
même (et sans restriction de temps) dans son état actuel d'infirmité, à sa campagne, qui bien loin
d'être seulement à quelque distance de la ville de Turin, [mais] en est au contraire bien éloignée
surtout pour un malade, et tout à fait dépourvue de tout secours de médecins et de remèdes, sans
pouvoir se rendre à Turin au moins dans le cas de nécessité pour sa santé, étant très souvent sujet à
des attaques très fortes d'oppression et des nerfs, pour lesquelles il a besoin de prompts secours*2.
C2,292:*1
Per capire tutto il contenuto di questo scritto bisogna tener presente la lettera che il ministro Bigot
de Préameneu scrisse al Della Torre in data 9 marzo 1811, che il Lanteri controbatte quasi parola
per parola: “Paris le 9 mars 1811. Monseigneur l'Archevêque, D'après un rapport de S. Ex. le
Ministre de la Police générale qui m'a été renvoyé par ordre de Sa Majesté, il paraît que les Sieurs
Lanteri et Daverio, ecclésiastiques, résidents à Turin, se trouvent compromis dans les intrigues qui
ont eu lieu pour la correspondence secrète avec Savone. Ces deux ecclésiastiques sont d'ailleurs
représentés comme fanatiques très prononcés. Le Sieur Lanteri reçoit chez lui beaucoup de
personnes qui s'y rendent pour se confesser. Dans les circonstances actuelles il est important que de
semblables fonctions ne puissent être remplies par des ecclésiastiques animés d'un mauvais esprit.
Je vous engage donc à retirer les pouvoir de confesser à MM. Lanteri et Daverio, et d'engager en
même temps le premier à se retirer à une maison de campagne qu'il possède à quelque distance de
Turin afin qu'il prévienne par cette démarche les mesures que la police pourrait prendre à son égard.
Agréez, Monseigneur l'Archevêque, l'assurance de la considération la plus distinguée. Le Ministre
des Cultes, Comte Bigot de Préameneu” (in Positio, 28; non esiste l'originale, se ne conserva copia
in AOMV, S. 1,6,9:238a).
Bigot de Préameneu conte Félix-Julien-Jean, n. in Bretagna nel 1747, m. nel 1825. Avvocato del
parlamento di Parigi, nel 1790 fu eletto giudice del IV arrondissement di Parigi, anche durante i
furori della rivoluzione e del terrore si mostrò moderato. Visse ritirato dalla vita politica dal 1796 al
1800. Napoleone lo nominò Ministro dei culti nel 1808 alla morte di Portalis, e anche in questo
ufficio si fece apprezzare per la sua moderazione. Ritirato nel 1814-1815 (caduta di Napoleone), si
unì di nuovo a Napoleone durante i cento giorni, e ricevette da lui il titolo di nobiltà. Nel 1803 fu
accolto nell'Accademia francese (vedi anche Feller, II, 322).
C2,292:*2
Nel rapporto del Duca di Rovigo a Napoleone (anche Napoleone aveva tempo di interessarsi del
Lanteri!) del 27 febbraio 1811 si legge: “M. Lanteri a été chef d'une Société Jésuitique [l'Amicizia
Cristiana]: depuis les événements qui ont eu lieu à Rome [la prigionia di Pio VII] il a manifesté des
opinions ultramontaines très prononcées. Quoique malade depuis plusieurs mois, il reçoit chez lui
beaucoup de personnes qui s'y rendent pour se confesser et sur lesquelles il paraît exercer une
grande influence…” (Positio, 27).
C2,295:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
9 aprile 1811
Pratica della povertà religiosa anche fuori del monastero – Il teologo Guala sostituto del Lanteri nella direzione delle ex
monache – Alcuni nomi delle ex monache
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:93
C2,295:T
Ma S. [Sœur] et ma Fille en Jésus-Christ
J'ai reçu votre lettre, qui m'a fait un vrai plaisir, et l'annonce que vous me faites de votre visite après
Pâques me fait d'autant plus plaisir; j'espère que Crucifixe sera aussi alors en état de vous tenir
compagnie, si pourtant elle sera bien rétablie de sa maladie; je ne me flatte pas encore de voir cette
première fois Radegonde, même j'aime qu'elle attende la meilleure saison, puisqu'elle pourrait
encore en souffrir parce qu'il y a des jours encore bien froids.
J'ai parlé à Guala de Soldati, ainsi vous retirerez en son temps l'argent, vous en servant si vous en
avez besoin, ou le gardant pour de bonnes œuvres, selon ce que nous en concerterons ensemble.
J'ai plaisir que vous ayez concerté avec Guala le moyen de vous confesser.
Mes amitiés à vos compagnes, assurez-les que je ne les oublie pas devant le Seigneur, et vous aussi.
Ma santé ne me permet pas de m'arrêter davantage. Je vous bénis
Bardassan ce 9 avril 1811
Votre très Aff.é P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortigliengue
C2,298:S
Lanteri all'arcivescovo Giacinto della Torre
maggio 1811
In merito al permesso ottenuto dal governo francese di recarsi a Torino per quindici giorni – Ne approfitterà alla prima
occasione
Minuta in AOMV, S. 2,1,8:118
C2,298:I
La lettera non contiene cancellature, ma con tutta probabilità si tratta di due lettere sovrapposte perché vi si trovano, in
poche righe, diverse ripetizioni degli stessi concetti.
Non c'è alcuna indicazione di data, però dall'insieme non è che la risposta alla lettera del Della Torre del primo maggio
1811, quindi di poco posteriore a quella data.
C2,298:T
Io avevo veramente supplicato V.E. di accordarmi prima di partire solo pochi giorni per i miei
affari, i quali non erano altro che per procurarmi alcuni medicinali, e fare le provviste necessarie per
la sussistenza per una lunga dimora in una campagna così prossima a Torino, come si dice, e affatto
sprovvista nelle sue vicinanze di ogni mezzo; però siccome erano cose indispensabili, massime per
chi è così cagionevole di salute come sono io, ho procurato di provvedermene al meglio che ho
potuto; onde per questo motivo che era l'unico per il momento allora di differire alquanto la mia
partenza da Torino, non avrei più bisogno di questa gita alla Città. Con tutto ciò siccome alcuni
giorni fa sono stato di nuovo assalito da un forte e lungo attacco d'oppressione, il quale mi faceva
temere dell'esito, e confesso che mi metteva in non poca apprensione per la privazione totale e la
difficoltà grande dei soccorsi, e da cui non ne sono ancora presentemente ben rimesso, penso di
profittare fin da martedì, domani, della permissione accordatami di poter andare a Torino per
consultare i Medici. Ringrazio V.E. di tutto l'interessamento*1…
Onde per questo motivo che era il primo per il momento di differire alquanto la mia partenza, non
ho più bisogno di fare alcuna gita a Torino. L'altra ragione poi che mi faceva desiderare di poter
ritornare a Torino, era almeno in caso di qualche forte accesso di male, siccome appunto accadde
alcuni giorni sono, in cui sono stato assalito da un forte e lungo attacco d'oppressione, perché
confesso che in tale caso il trovarmi qui affatto sprovvisto di soccorsi dell'arte mi lascia in non
piccola apprensione, ma siccome ne sono al presente se non del tutto, almeno di molto sollevato da
questo incomodo, perciò, giacché V.E. mi lascia in pieno arbitrio di scegliere quella quindicina di
giorni che più mi aggrada per andare a Torino, penserei se V.E. non ha niente in contrario di
profittarmi della permissione accordatami quando mi accorgerò di venire nuovamente assalito da
simili attacchi, per consultare i Medici*2.
Ringrazio intanto V.E. di tutto l'interessamento che si prende a mio riguardo, e con il più profondo
rispetto mi protesto
Umil.mo Servitore
C2,298:*1
Da qui in poi, probabilmente, abbiamo una seconda redazione della lettera.
C2,298:*2
Il Lanteri si recò a Torino il 16 maggio di quell'anno. Il Della Torre, con lettera del 16 maggio 1811
al D'Auzers chiede per il Lanteri un prolungamento di soggiorno per provvedere agli urgenti
bisogni della sua malferma salute (Positio, 38-39).
C2,300:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
5 luglio 1811
Accenno alla malattia di asma bronchiale – Invito alla Mortigliengo di recarsi a Bardassano per le confessioni perché
assente da Torino il teol. Luigi Guala
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:94
C2,300:I
La lettera è scritta in italiano, a differenza delle altre (eccetto una seconda) tutte scritte in francese.
C2,300:T
Car.ma Figlia in Gesù Cristo
Sappia che le sue lettere mi fanno sempre un grande piacere, e non ne sia tanto avara, come ha fatto
finora, se non potrò rispondere subito, eserciterò così la sua pazienza, e le procurerò almeno qualche
merito, frattanto lei non privi [me] di questa soddisfazione.
Ho sentito con vero dispiacere il suo incomodo di stomaco, le raccomando pertanto tutta la cura
possibile, e l'attenzione a non più lasciarlo venire. Oh quanto ringrazio Radegonda che l'abbia
papolata, perché so per esperienza che incomodo è questo, e quanto difficile a guarirsi; oggi anch'io
ho avuto nuovamente l'oppressione che da molti giorni non l'avevo più provata, presentemente però
è già molto diminuita, e credo che non avrà alcun seguito, in ogni caso diremo sempre fiat*1.
Mi rincresce che le strade siano pessime, perché altrimenti pensavo che avrebbe potuto venirmi a
fare una visita, massime nell'assenza di Guala, ma che vuole farci, se il Signore vuole fare a suo
modo, converrà ancora dirgli Deo gratias.
Ho veramente dimesso il mio alloggio, ma questo, come vede, non impedisce né ritarda punto il
mio ritorno quando piacerà al Signore.
Frattanto preghiamo, ma preghiamo molto per la Chiesa, perché i bisogni sono grandissimi*2; preghi
anche molto per me che lasciandola nel S. Cuore di Gesù, finisco con il protestarmi
Di V.S. in Gesù Cristo Car.ma
[Bardassano] li 5 luglio 1811
T. [Tutto] Suo Aff.mo P. [Padre] in Gesù Cristo
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
Chez Elle
C2,300:*1
L'oppressione di petto era per il Lanteri, accanto alla sua malattia d'occhi, un male endemico che lo
accompagnò per tutta la vita. Per la difficoltà di respiro non poté attendere a lungo alla predicazione
degli Esercizi, come sarebbe stato suo vivissimo desiderio. Scrive il Gastaldi: “Poche volte li dettò
in pubblico (gli Esercizi Spirituali), perché la voce esile e la fiacchezza del petto non gli
permettevano di gettarsi a quella fatica del declamare con impeto e con forza ad un numeroso
uditorio, quantunque ogni volta che li predicò abbia ciò fatto, come diceva egli stesso, con voce
robusta, per una forza interna che non era sua, ma che non poteva esprimere; tuttavia non lasciò mai
di dettarli nei conservatori, nei monasteri, e nelle case destinate ad accogliere od i sacerdoti o i laici,
che nei tempi stabiliti si radunavano in questo santo ritiro” (p. 148).
C2,300:*2
Questo accenno ai “bisogni della Chiesa che sono grandissimi” è un accenno generico, molto
prudente, alla situazione in cui da tre mesi è venuto a trovarsi egli stesso, che dal 25 marzo 1811, è
dalla polizia napoleonica obbligato a domicilio coatto, ossia praticamente a una prigionia nella sua
casa di campagna di Bardassano. La causa era stata l'attività che il Lanteri aveva svolto, insieme
con altri, a favore di Pio VII prigioniero di Napoleone a Savona. Ne riparleremo più ampiamente a
suo tempo. “Tale attività in pro del Pontefice non poteva sfuggire all'esosa polizia napoleonica: il
nome del Lanteri fu infatti trovato tra le carte di Berthaut du Coin di Lione, anch'esso occupato
nell'assistenza segreta del Papa. Il Lanteri fu interrogato e poi confinato in una sua piccola casa di
campagna, detta la Grangia, tra Superga e Gassino (25 marzo 1811), sia perché sospettato di segreta
corrispondenza con Savona, sia perché ‘fanatique très prononcé’, a causa dei suoi sentimenti
ultramontani. La relegazione durò tre anni, cioè fino alla restaurazione della Monarchia, avvenuta
nel maggio del 1814. Durante questo tempo il Lanteri continuò ad occuparsi per iscritto di varie
questioni dottrinali e a tenersi in relazione con i suoi ‘Amici’, tanto sacerdoti che laici” (Positio,
17).
C2,302:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
5 agosto 1811
La Mortigliengo invitata a Bardassano dopo le ferie – Un velato accenno al proprio “esilio” – Spirito di fede e pace
interiore
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:95
C2,302:T
V.J. [Vive Jésus]
Ma Sr. [Sœur] et ma Fille en Jésus-Christ
Dalla Grangia di Bardassano li 5 agosto 1811
Je vous préviens que quand vous vous rendrez à Turin*1 il faudra que vous ayez la bonté d'aller
prendre les clefs de la maison chez le Th. Daveri*2, si vous voulez y entrer pour vos affaires, ensuite
vous vous arrangerez avec le Th. Guala (ou comme vous pourrez, si Guala – n'est pas à Turin, ou
s'il ne pouvait vous accompagner) et venez tout de suite me trouver; tout ceci c'est au cas où vous ne
trouveriez personne à la maison; quoique pourtant tout le monde soit à la maison, tout également je
vous attends ici après votre retour de la campagne, selon notre intelligence. La raison de cette
disposition c'est que, ayant congédié mon domestique, j'ai eu besoin que Marguerite vînt trouver ici
ses maîtresses pour nous servir tous, puisque jusqu'ici j'en suis tout à fait dépourvu, et en attendant
la Divine Providence m'aidera à trouver quelqu'un pour me servir dans mon exil*3.
J'espère que votre santé sera améliorée, je vous recommande d'en avoir tout le soin possible.
Je ne vous oublie jamais devant Dieu; vivez toujours de foi puisque le Seigneur ne veut jamais vous
accorder du sentiment, et votre sort sera toujours le meilleur; tâchez seulement d'éviter, autant que
possible, vos conversations mentales avec les créatures, surtout dans les occasions désagréables à la
nature, tâchant de profiter de tout pour vous élever noblement vers Dieu et lier avec lui conversation
[en] discourant de tout avec lui, regardant tout avec les yeux de la foi, et conservant ainsi votre paix
et tranquillité d'âme si nécessaire pour avancer davantage dans le service de Dieu.
Voilà ce que je demande pour vous au Sacré Cœur de Jésus, où je vous laisse. Je suis
Votre Aff.é P. en Jésus-Christ
P.S. La Prandi, et la Brachetti vous font leurs amitiés, sont empressées de vous embrasser, et
enragées que vous n'ayez point donné de vos nouvelles, ainsi corrigez-vous*4.
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
Chez Mr. le C. [Comte] Rasin
Pinarol pour la Motta
C2,302:*1
La Mortigliengo aveva passato i mesi estivi a Motta Rasini, presso Pinerolo, dove la famiglia Rasini
aveva una tenuta.
C2,302:*2
Il teologo Carlo Daverio, torinese, amico carissimo e collaboratore fedele del Lanteri per tutta la
vita, del quale conserviamo un discreto numero di lettere indirizzate allo stesso Lanteri.
C2,302:*3
“dans mon exil”: il domicilio coatto a cui era stato obbligato per ingiunzione del governo di Parigi,
era per il Lanteri una pena morale e materiale: morale – un vero “esilio” – perché lo teneva
forzatamente lontano dalle sue opere e dai suoi amici di Torino; materiale perché, malato, aveva
bisogno di assistenza e di medici, che in quella campagna non era sempre facile trovare.
C2,302:*4
La Prandi e la Bracchetto si trovavano in quel tempo alla Grangia di Bardassano ospiti del Lanteri,
forse – come avveniva spesso – per fare un corso di Esercizi Spirituali.
C2,303:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
8 agosto 1811
Pratiche per la novena dell'Assunta – Che cosa ci suggerisce il mistero dell'Assunta – La devozione della Madonna
consiste nell'imitazione delle sue virtù
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:96
C2,303:T
Ma Fille, et très Honorée Sr. en Jésus-Christ
Je pense que dans cette neuvaine de la très Sainte Vierge, vous vous occuperez plus que jamais à
éloigner de vous tout découragement dans le service de Dieu, et toute idée petite que peut nous
suggérer notre moi, ou les objets de ce misérable exil, et que vous songerez à la place de vous
exercer de votre mieux dans les actes des vertus théologales, comme aussi des vertus d'humilité et
de douceur si chères aux cœurs de Jésus et de Marie*1; car à la vue de ce mystère de l'Assomption,
on trouve un si grand modèle de ces vertus, une invitation si pressante à les pratiquer de même, une
Protectrice si puissante et si empressée à nous aider, et une récompense au-dessus de toute notre
attente, puisqu'elle sera la même qui a été donnée à la Sainte Vierge; allons donc toujours, tantôt au
lit de sa mort pour lui demander le légat [legs] de ses vertus, et surtout la fièvre de son divin amour,
et sa bénédiction, avec l'assurance de nous assister à ce dernier moment; tantôt unissons-nous avec
les Anges pour l'accompagner au Ciel, cherchant d'oublier tout le créé, et de ne nous occuper que du
Ciel et des choses célestes, et surtout des vertus qui seules peuvent nous le procurer; n'oubliez pas,
je vous prie, de la prier aussi beaucoup pour moi, et pour l'Église; donnez-moi aussi des nouvelles
de votre santé, de votre sainteté, et de votre maladie, je vous bénis
[Bardassano] ce 8 août [1811]
V.P. [Votre Père] en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,303:*1
L'imitazione della Madonna – che è l'essenza della devozione mariana – deve esplicarsi soprattutto
nella pratica delle tre virtù teologali, della dolcezza e dell'umiltà. Ecco un bel pensiero del Lanteri
sull'umiltà: “Non si tratta di diventare umili, ma solo di conoscerci quali siamo. L'umiltà è fondata
sulla verità, e non è un atto di virtù di supererogazione, ma un atto di giustizia. La giustizia esige
che si renda a ciascuno il suo; conviene dunque esaminare e conoscere quello che è nostro, quello
che ci è dovuto, e quello che è di Dio, e quello che gli è dovuto, indi dare a ciascuno il suo. Onde,
siccome non ha umiltà colui che si crede di avere del suo e non di Dio qualche bene, e si vanagloria,
così ha falsa umiltà colui che non vuole riconoscere in sé i beni di cui Dio lo ha favorito, e quindi
non gli è grato, non lo glorifica” (Quadernetto-rubrica di varie massime spirituali, ecc., AOMV, S.
5,2,7:238).
C2,305:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
29 ottobre 1811
Un giorno di ritiro a Bardassano insieme con Suor Crocifissa Bracchetto – Pericolo di avere una mano storpiata, e come
accettare questa croce
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:97
C2,305:T
Ma très Honorée Sr. et Fille en Jésus-Christ
S'il plaît à Dieu, mon projet serait que vous vinssiez ici pour votre retraite dimanche, ou lundi en
huit avec Crucifixe; je crains seulement que le mauvais temps ou la santé ou le froid l'empêchent,
mais ce sera toujours la volonté adorable de Dieu.
Je suis fâché d'entendre que votre main risque de rester estropiée à ce qu'on m'a dit, mais l'amour du
Crucifix et du Ciel vous fera aussi souffrir cela avec résignation*1.
Je suis enchanté d'entendre les attentions que vous avez eues pour Crucifixe quand elle ne se portait
pas bien, soyez sûre qu'elle vous en est bien reconnaissante, quoiqu'elle ne sache pas le faire voir,
parce que son cœur est bon.
Vers la fin de la semaine D. Loggero ira à Turin, et on concertera pour le voyage. Continuez à avoir
tout le soin possible de votre main et de votre santé. Je vous laisse dans le Sacré Cœur de Jésus
[Bardassano] ce 29 octobre [1811]
L. [Lanteri]
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,305:*1
Sull'amore al Crocifisso scrive altrove il Lanteri: “La Santa Madre Chiesa, che non pensa, che non
dice di Gesù? Vorrebbe essere infinita nel lodarlo, usa tutti i titoli che sa e che può adunare, e titoli
non vani ma reali… Di più non fa niente la Chiesa che non principi per Gesù. Se chiede qualche
grazia dalla Divina Maestà e se l'adora, egli è per Gesù, se la ringrazia, se le offre qualche cosa, è
per Gesù. Tutte le sue orazioni le finisce con la clausola, Per Dominum Nostrum Jesum Christum,
nel solo Sacrificio della Messa ripete questa clausola almeno quindici volte… Di più crede che da
Gesù proviene la virtù di ogni nostra azione, da Lui ogni merito, ordinandoci di fare ogni cosa a
nome di Gesù, ringraziare l'Eterno Padre per mezzo di Gesù. Continuamente si occupa di Gesù: ora
lo loda nelle Ore canoniche, ora se ne serve per Mediatore nella Messa, nei sacrifici lo adora,
dappertutto lo predica, comanda ai suoi ministri che non parlino che di Gesù e di Gesù Crocifisso,
che sempre c'inculchino le sue parole, i suoi detti, poiché dice egli che è Via, Veritas, Vita… Quindi
sempre intenta a formare in noi l'immagine di Gesù, la forma in noi nel Battesimo, la corrobora
nella Cresima, la nutre nell'Eucarestia, la riforma nella Penitenza, la perfeziona nell'Estrema
Unzione… Continuamente, in ogni luogo e in ogni tempo, si serve di Gesù come Sacerdote, come
Vittima nel Sacramento dell'Altare. Continuamente celebra e ci rappresenta sotto gli occhi i misteri
della vita e della morte di Gesù. In ogni luogo gli consacra templi, e altari senza numero. In ogni
luogo innalza statue, immagini, Croci: nelle Chiese, sugli altari, per le contrade, nelle stanze. Tre
volte al giorno ci avvisa del mistero dell'Incarnazione col suono delle campane. Insomma è sempre
intenta perché Gesù mai ci parta dal cuore, né da sulle labbra il nome di Gesù, perché
continuamente pensiamo a Lui, ci ricordiamo della sua Passione, ci serviamo della sua virtù, lo
amiamo, lo aspettiamo, finché venga un dì in Gloria e in qualità di Giudice” (Quadernetto-rubrica,
ecc., AOMV, S. 5,2,7:238).
C2,306:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
13 novembre 1811
La vita presente è un purgatorio – Ordine e metodo nella vita spirituale – Pazienza con se stessi e con gli altri
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:98
C2,306:T
Ma Sr. et ma Fille en Jésus-Christ
Rappelez-vous que vous êtes au Purgatoire, tâchez seulement de tout prendre de la main de Dieu
pour mériter davantage, et cela même servira pour diminuer vos croix, différemment la croix
devient d'autant plus pesante et fâcheuse, il y a de notre intérêt de faire de nécessité vertu; je vous ai
suggéré ces motifs trop ordinaires, puisque notre humanité a besoin de tout pour s'encourager; du
reste je sais que vous aimez aussi avoir des motifs nobles et généreux dans le service de Dieu, et
c'est trop juste puisqu'il est trop Grand et mérite tout. Tâchez de vous aider à l'Oraison avec des
hores [sic] choisis, préparez la matière de votre méditation, pratiquez les règles prescrites pour la
faire bien*1; ce sont ces petits moyens qui vous attirent la bénédiction de Dieu, au moins vous ne
souffrirez plus des distractions et des aridités volontaires en cause, d'autant plus si vous faites
attention de mépriser tout vos châteaux en l'air dans la journée, puisqu'ils ne vous serviront qu'à
vous tourmenter davantage, vous avez beau faire mais vous ne serez heureuse que dans le Ciel, tant
s'en vaut donc prendre les croix que le Seigneur nous donne, car elles sont toujours plus
proportionnées et sont toujours accompagnées de grandes grâces*2; ce n'est pas que je voulusse
m'opposer si vous trouvassiez un autre état plus doux que celui-ci, au contraire je serais le premier à
vous aider, mais je suis persuadé que vous ne le trouverez pas, car je suis d'avis que votre esprit qui
fait en partie la traverse de cette croix a cause aussi de votre inexpérience et de vos habitudes.
Prenez patience avec vous-même, souffrez vos défauts avec humilité et confiance en Dieu, n'oubliez
pas l'esprit d'abnégation intérieure et de douceur avec le prochain, tant recommandé de votre St.
Père*3, et le bonheur éternel qui vous est préparé vous en dédommagera de tout.
Priez toujours beaucoup pour moi, je vous bénis.
[Bardassano] ce 13 novembre 1811
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,306:*1
L'ordine e il metodo nella vita spirituale – l'abbiamo già notato altrove – è uno dei punti sui quali il
Lanteri insiste continuamente perché, secondo S. Ignazio e gli altri maestri di vita spirituale, solo da
un'orazione regolata e metodica si può ricavare qualche frutto concreto. Ciò riguarda in modo
speciale la meditazione, riguardo alla quale il Lanteri scriveva nel 1815 alla Bracchetto:
“Cominciarla con desiderio ed amore. Non lasciarla mai, né diminuirla per noia, o distrazione. Vale
più un'oncia di orazione fatta con pazienza, che mille libbre d'orazione con fervore sensibile. Per gli
atti eroici che si praticano nella prima, e per il pericolo di vanità nella seconda (massima di S.
Francesco di Sales). La meditazione può servire per preparazione, e ringraziamento alla
Comunione” (Appunti spirituali a Suor Crocifissa Bracchetto, AOMV, S. 5,2,7:223 n. 3).
C2,306:*2
“Nelle vostre mancanze non lasciatevi avvilire, né scoraggiatevi, anzi, neppure stupitevi delle vostre
debolezze… ciò facendo, come vedete, le vostre cadute non sono più da temersi, anzi diventano
miniere di atti di virtù, e di meriti. Oh, se sapeste come quelle ripugnanze vi fanno vivere di fede, e
come quei continui mancamenti interni ed esterni vi stabiliscono nella cognizione di voi stessa, cosa
così necessaria, perché il vostro celeste Sposo possa accordarvi tante altre grazie maggiori, che vi
ha preparato! Eh, non sapete ancora, che Gesù vuole farvi santa senza che voi ve ne accorgiate? E
quanto ai vostri mancamenti, che voi credete che tanto si oppongano al vostro avanzamento
spirituale, ricordatevi che non dovete perdere tempo neppure per esaminarvene un momento, ma
bensì guadagnare tempo con fare subito un atto semplice d'amore di Dio, il quale atto vi reintegra, e
vi rifà abbondantemente di ogni scapito che abbiate fatto nei vostri difetti…
Il Signore non esige che già siamo perfetti, ma bensì che sempre travagliamo per divenirlo. Per
riuscirvi meglio, vi do per regola di rinnovare sovente la risoluzione di voler evitare di commettere
con piena avvertenza le imperfezioni certe circa la carità con il prossimo, non mettendovi in pena
del resto, e finite pure sempre per fare, o lasciare di fare ciò che vi pare bene o male, poiché la sola
disposizione vostra interna ed anche tacita di non volere fare ciò che conoscete dispiacere a Dio, vi
rende ogni cosa meritoria ancorché la sbagliaste, perché il Signore guarda il cuore più che l'azione,
oltre che sa anche compatirvi quando manchiamo…”.
“Rappacificate il vostro cuore, e fatevi coraggio, perché Gesù vostro sposo vi vuole santa, ma santa
con difetti, intendiamoci bene, non senza difetti; siate sicura che piace più a Dio una virtù debole,
ma umile, che una virtù forte, ma superba…”.
“Ricordatevi di avere pazienza con voi stessa nei vostri difetti, non lasciateli soltanto regnare nel
vostro cuore, il che è facilissimo, perché nell'istante che manifestate umilmente a Dio il
rincrescimento e li ritrattate nel vostro cuore, subito vi sono perdonati con l'aggiunta ancora di un
grado di più di amicizia con Dio, e di gloria in Cielo, e più presto voi lo fate, maggior piacere fate a
Dio, il quale tanto più ama di vedervi presto senza macchia, e presto arricchirvi di quel diamante di
più della sua grazia, e questo non per una sola volta al giorno, ma tutte quante le volte. Oh se
sapeste quanto piacciono a Dio le due virtù dell'umiltà e della speranza cristiana!…”
“Non vi stupite di trovarvi arida, questa è una soggezione umana, e ci guadagnerete sopra con la
pazienza e perseveranza, procurando di evitare le negligenze volontarie… Che se vi occorrono
negligenze volontarie, traetene partito con l'umiliarvene innanzi a Dio, e rinnovare la risoluzione di
cominciare sempre” (Appunti spirituali, c.s.; AOMV, S. 5,2,7:223 n. 26, n. 4).
C2,306:*3
S. Francesco di Sales, fondatore della Visitazione, l'Ordine a cui apparteneva la Mortigliengo.
C2,310:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
dicembre 1811
Si lamenta del lungo silenzio – Relativa penitenza – Come prepararsi al Santo Natale
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:99
C2,310:T
Ma très Honorée Sr. et ma Fille
Oh pour cette fois je vois par votre silence que vous me boudez, et je vous en ferai faire la
pénitence. Dans cette neuvaine de la Nativité de Notre Seigneur, tous les jours 1o. vous étudierez
quelque instant l'humilité de l'Enfant Jésus*1, vous la lui demanderez tout de bon, vous en ferez
plusieurs actes intérieurs, et quelques-uns extérieurs aussi, surtout de douceur cordiale même vers
Marguerite, s'il vous manque l'occasion vous le souhaiterez; 2. vous étudierez de même l'amour
infini du Cœur du petit Enfant vers vous, et vous le payerez de retour trois fois par jours; 3. vous le
remercierez tout court des contrariétés qu'il vous procure, bien aise d'avoir l'occasion de lui offrir
quelque chose que vous puissiez lui dire qu'elle vous coûte; 4. vous réciterez 9 Ave avec le Verbum
Caro; 5. vous m'en donnerez compte.
Voilà comme on punit ceux qui boudent. Je vous bénis. Lisez le 1er volume des Souffrances.
[Bardassano, Dicembre 1811]
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,310:*1
Altra riflessione sull'umiltà: “Ricordatevi che la nostra santificazione non si acquista in
ventiquattrore, né senza continui difetti e mancamenti, giovando, anzi moltissimo per santificarvi, la
massima di avere ancora da commettere molti, ma molti mancamenti, perché questo vi stabilisce
nella cognizione di voi stessa, e nell'umiltà, una delle basi fondamentali della nostra santificazione;
essendo l'altra base fondamentale una speranza invincibile nella misericordia divina, siate dunque
attenta a non lasciarvi scoraggiare per difetto alcuno, e sempre pronta ad incominciare in ogni
momento. Siate solo fedele a questo, e vi prometto la vostra santificazione” (Appunti spirituali,
ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 26).
C2,311a:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
25 dicembre 1811
La “corte” al Bambino Gesù per la festa del Natale – Domanda conto dei progressi spirituali fatti
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:100
C2,311a:T
Ma Sr. et ma fille en Jésus-Christ
Je vous remercie de votre chère lettre. Je ne doute pas que vous serez tout occupée de faire votre
cour à l'Enfant Jésus (quoique vous ne m'en dites rien) pour y apprendre les vertus qu'il souhaite
que vous pratiquiez à son exemple, et pour puiser dans son cœur des grâces abondantes à cet effet;
lui-même me suggère de vous en demander compte pour juger si votre étude et vos prières à cet
égard sont assez sérieuses comme de raison. Ne manquez pas de prier beaucoup pour moi aussi
dans ces moments de communication avec ce Cœur si aimable et si aimant, devant lequel je ne vous
oublie pas. Je vous bénis.
[Bardassano] ce grand jour de la Nativité de Notre Seigneur Jésus-Christ [1811]
[senza firma]
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,311b:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
24 gennaio 1812
Santificazione del dolore e della malattia – Conformità alla Santa Volontà di Dio – Comunione frequente
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:101
C2,311b:T
Ma Sr. en Jésus-Christ
Je vous remercie de cœur de votre chère lettre; je plains la malade et celles qui l'assistent, la malade
pour ses maux aussi longs et ennuyants, [celles] qui l'assistent à cause de leurs naturels et des
contrecoups, mais tout est si sagement disposé par la divine Providence pour la sanctification de
chacune, qu'il n'y serait rien à changer quoique on le puisse faire; il faut donc entrer dans les
desseins de cette aimable Providence, et les seconder doucement par la pratique des vertus que
l'occasion, ou pour mieux dire, Dieu même suggère par l'occasion, en les lui demandant
incessamment pour nous et pour les autres.
En me demandant la diminution des saintes communions à cause de vos aridités et distractions
involontaires, je m'attendais aussi que vous m'auriez demandé la cessation de vos prières ordinaires
par la même raison, mais comme vous n'avez pas osé de me demander celle-ci, je ne vous accorde
pas celle-là, sachant que les sacrements opèrent ex opere operato (si vous ne comprenez pas ce mot,
demandez-en l'explication), sachant aussi que ce qui est involontaire n'apporte pas de préjudice aux
exercices de piété, au contraire en exerçant la patience, il en augmente le mérite; ainsi effacez votre
promesse de communier une seule fois la semaine, parce qu'elle n'est pas admise*1. Je vous bénis
[Bardassano] ce 24 [gennaio 1812]
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortigliengo
C2,311b:*1
Quale fosse la direttiva del Lanteri in riferimento alla Comunione frequente – e in certi casi anche
quotidiana – in tempi ancora dominati dalle teorie rigoriste e giansenistiche, lo si rileva da questi
frammenti di lettera a Suor Crocifissa Bracchetto che risalgono al 1815-1820: “Continuate sempre a
tenere la regola di non lasciare la Comunione sempre, che non siate certa di poter giurare di aver
commesso peccato mortale. Senza questa regola il Demonio ci guadagna sempre più con il vostro
detrimento notabilissimo, perché maggiormente vi scoraggiate, e vi private del rimedio ed aiuto più
efficace per vincervi…”.
“Avete fatto bene a dimostrare al Confessore, che desideravate la Comunione, quantunque forse la
vostra serva non ne avesse voglia, fate sempre così…”
“Se vi hanno tolta la Santa Comunione, obbedite umilmente, ed impegnatevi a supplirvi con la
spirituale con tutto il fervore possibile, e contentatevi di chiederla qualche volta, però mai con
impegno, quando troverete qualche motivo ragionevole per domandarla; che se anche vi viene
negata, prendetevi con umiltà e tranquillità la negativa, e così farete cosa grata al Signore…”
“Quanto alla Comunione quotidiana, se vi accorgete che questo rechi troppa ammirazione nella
Comunità, significatelo al Confessore, e regolatevi a puntino secondo il suo avviso; dal canto vostro
però, dimostratevi sempre ansiosa di farla il più che si può (quand'anche la serva qualche volta non
ne avesse voglia, la quale non si deve ascoltare mai) e non la lasciate sotto qualunque pretesto,
sempre che vi si accorda…”
“Non lasciate la Santa Comunione come tante volte vi ho raccomandato, e certamente non senza
serio riflesso; e quanto ai vostri mancamenti, se fossero certamente gravi (il che spero non sarà
mai), confessatevi, in dubbio decidete di no, fondata sull'obbedienza, e con la contrizione cancellate
quanto può aver fatto dispiacere a Dio, continuando a comunicarvi.
Quanto alle distrazioni, ecc., o sono volontarie, e correggetevi chiedendo perdono a Dio, e
comunicatevi; o non sono volontarie, e allora non impediscono in alcun modo il frutto della
Comunione…”
“Mi rincresce che lasciate le Comunioni, perché così ride il nemico, e voi ci perdete. E perché non
attenervi alla regola di non mai lasciarla, eccetto che siate sicura di aver commesso con piena
deliberazione peccato mortale certo? Siate sicura che i vostri sfoghi e rabbie non sono tali…”
(Appunti spirituali ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 21).
“Quando il confessore ve ne priva, con l'obbedienza e desiderio non ci si perde niente, anzi ci si
guadagna con l'umiltà, ed abnegazione…
Se il confessore esige che non commettiate peccato alcuno deliberato, non è per impedirvi la
Comunione, ma acciò stiate in guardia…
Basta non avere volontà di continuare a mancare, ma rimediarvi subito che vi si riflette, con un atto
di amore di Dio…” (Appunti spirituali ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 8). V. la lettera (anonima) sulla
Comunione quotidiana [doc. Pol, 2355].
C2,313:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
febbraio 1812
Invio di libri a Sœur Prudence – La devozione a S. Giuseppe
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:102
C2,313:T
Ma Fille en Jésus-Christ
Je vous envoie tout de suite les livres de Ma S. [Sœur] Prudence pour lui préparer quelques bons
remèdes pour accélérer sa guérison; dites-lui que je l'ai bien recommandée ce matin à S. Joseph (et
vous aussi) et j'espère que sa Protection fera ce que les remèdes peut-être ne pourraient pas faire*1.
Je suis charmé en attendant qu'elle se porte mieux.
Priez pour moi. Je vous bénis toutes deux. À la hâte
Votre Père en Jésus-Christ
L.
À la Très Honorée
Sr. M.e Léopolde Mortiglieng
À la Visitation S.M.
C2,313:*1
Il Lanteri ha sempre avuto una costante e profonda devozione a S. Giuseppe, ma ne ha scritto molto
poco. Ancora nell'Atto di schiavitudine del 15 agosto 1781 egli invoca tra quella di altri Santi, la
protezione di S. Giuseppe. Tale devozione al S. Patriarca, come derivata dal Fondatore, doveva poi
estendersi e manifestarsi in molti modi nella Congregazione degli Oblati di M.V. che nel 1870
elesse S. Giuseppe come Patrono Principale e affidò a lui il problema delle vocazioni. Si può dire
che la sopravvivenza della Congregazione nel periodo critico che seguì la chiusura delle case in
Piemonte, dopo il 1858, si deve principalmente alla protezione di S. Giuseppe.
La devozione a S. Giuseppe, che non era ancora molto popolare e diffusa nel secolo XVIII, derivò
al Lanteri, pensiamo noi, da tre matrici diverse: dall'insegnamento di S. Teresa d'Avila, verso cui il
Lanteri dimostrò sempre grande devozione; dalla dottrina spirituale e ascetica dell'Aa; dall'esempio
personale del P. De Diessbach che, convertito, volle aggiungere al suo nome Nicolao anche quello
di Giuseppe.
Tuttavia gli accenni che il Lanteri fa a S. Giuseppe sono rari sia nel carteggio sia nelle altre sue
opere: egli visse la devozione a S. Giuseppe senza trattarla come scrittore o teologo.
C2,314:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
23 febbraio 1812
Attenzione amorosa e continua alle ispirazioni di Dio – Disprezzare i contrasti interiori – Vantaggi delle umiliazioni –
Malattia del Lanteri
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:103
C2,314:T
Ma Sr. et ma fille en Jésus-Christ
J'ai reçu avec bien du plaisir votre chère lettre. Pour votre retraite, ce n'est pas encore le temps, je ne
sais pas encore si elle pourra avoir lieu pour ce Carême, probablement ce ne sera qu'après.
Je suis bien aise de vous voir abonder en de saints et bons désirs, soyez persuadée qu'il n'en restera
pas un sans récompense: si vous faites une attention amoureuse et continuelle aux inspirations de
Dieu dans la journée, il vous en donnera bien davantage, et vous voilà bien récompensée de vos
aridités dans vos méditations. Quant à vos querelles intérieures et réflexions inutiles, prenez
patience de les mépriser toujours bien tranquillement, souffrez-les comme si elles fussent des
personnes qui querellent dans la rue; d'autrefois si vous avez plus de courage, prenez le parti de
vous humilier devant Dieu, remerciez-le de ces humiliations qui commencent à vous rendre
semblable à lui, dites-lui: bonum mihi quia humiliasti me, humilior fiam plus quam factus sum. Tout
ceci dans votre intérieur; quant à l'extérieur, dites avec tranquillité et avec douceur vos raisons, et ne
vous laissez pas gêner*1.
Quant à ma retraite, je suis encore bien en arrière, je la fais en malade comme vous voyez, ainsi à
peine je la finirai ce Carême.
Priez beaucoup pour moi. Je vous bénis.
[Bardassano] ce 23 février 1812.
[senza firma]
À la Très honorée
très honorée Léopolde Mortigliengo
Turin*2
C2,314:*1
Sui vantaggi che derivano dalle umiliazioni: “Ricordatevi che qualche umiliazione per voi è
opportuna, e ne avete bisogno, ma ricordatevi pure che sono regali, e che vi rendono più
somigliante al vostro Sposo Gesù Crocifisso. Naturalmente la vostra serva borbotterà non poco, ma
voi sapete il caso che ne avete da fare”. “Basterà che diciate: Bonum mihi quia humiliasti me,
ricordandovi che il Signore fa anche entrare nell'ordine della sua Provvidenza i nostri difetti per il
nostro più sodo avanzamento spirituale, badate solo di non mai abbandonarvi allo scoraggiamento e
tristezza, ma bensì di dire con Davide: Quare tristis es anima mea, et quare conturbas me? Spera in
Deo…”. (Appunti spirituali, ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 25).
C2,314:*2
L'indirizzo è scritto di mano del Loggero.
C2,315:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
11 maggio 1812
Morte del marchese e della marchesa di Cinzano – Morte della contessa Pertusati
Originale in AOMV, S. 5,2,4:207 (S. 1,17,25a:1528)
C2,315:T
Pregiat.mo Sig. Priore ed Amico Dilett.mo
Ho ricevuto la pregiatissima sua, ove mi annuncia che avrei ricevuto scudi centocinquantatre, lire 6,
soldi tre danari, residuo degli scudi 503, 6, 3, 4, di M.Z. [Marchese Zei], io ho ricevuto invece scudi
161, un mezzo, cioè scudi 7 e mezzo di più, veda dov'è l'errore, e favorisca di significarmi ciò che
devo fare per rettificare il conto.
È stata veramente grande e sensibile la perdita che abbiamo fatto del M. [Marchese] Cinzano e sua
moglie, amendue così virtuosi e pieni di zelo che erano di edificazione tanto più grande per la loro
età, massime in questi tempi nei quali domina tanto il rispetto umano insieme a tutti gli altri vizi;
ma che vuole? Il Signore ha così disposto, e conviene adorare i suoi giudizi; anzi, non so se sappia
che abbiamo pure perduto la C.a [Contessa] Pertusati a M. [Milano], Dama di singolarissimo merito
di cui P.D. [Diessbach] meritamente faceva tanta stima e tanto capitale. Non potrei esprimerle
quanto mi sia pure stata sensibile una tale perdita, pure anche qui conviene adorare i divini giudizi*1.
La prego di farne parte agli amici perché concorrano a suffragarne l'anima, essa è morta
contentissima e ridendo, ma è rimasto tanto più desolato suo marito.
Mi congratulo poi di cuore nel sentire che i suoi affari interni vanno bene, e le raccomando sempre
di non mai lasciarsi scoraggiare, ma di voler sempre interamente incominciare nei soliti esercizi di
virtù e di Religione.
Mi rincresce che il tempo e la mia salute mi impediscano di trattenermi di più; la prego dei miei
rispetti a tutti, e con particolare stima e considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma
Torino li 11 maggio 1812
Dev.mo Obl.mo Serv. ed Amico
P.B.L.
(timbro postale lineare 10 TURIN)
À Monsieur
Monsieur le Chev. Leopolde Ricasoli
sul ponte alla Carraia
Florence
C2,315:*1
La contessa Maria Olgiati, sposata a Francesco Pertusati di Milano nel settembre 1772, scrisse al
Lanteri una lettera 16 dicembre 1811. Il marito, conte Francesco, ne scrisse la vita dal titolo:
Memorie delle virtù patriarcali nel corso dell'esemplare sua vita della Sig.ra Maria Olgiati
Pertusati, Milano, Pirotta, 1812.
C2,319:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
13 settembre 1812
Disposizioni per gli Esercizi Spirituali – Perseveranza “ostinata” nell'orazione – Non dubitare mai della misericordia
infinita di Dio
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:104
C2,319:T
Ma Sœur et ma Fille en Jésus-Christ
Dieu soit loué que tout aille bien jusqu'ici, je vous en souhaite et j'en espère la continuation. Tout
bien examiné, c'est mieux que vous attendiez venir faire votre retraite avec Sr. Crucifixe, on prendra
donc alors les arrangements nécessaires*1.
Du reste quant à l'oraison, tenez-vous à la persévérance obstinée et tranquille suggérée par le petit
livre*2, prenez garde seulement de faire rire à vos dépens l'ennemi du salut en admettant, comme je
vois malgré moi que vous faites souvent, des pensées et des sentiments, même tant soit peu
contraires à la bonté et miséricorde infinie de votre Père Céleste; ensuite quoique vous ne sortiez
pas contente de l'oraison, Dieu en est content, cela suffit. Je vous bénis
[Bardassano] ce 13 septembre 1812
V.P. en Jésus-Christ
À la très honorée
Sœur Léopolde Mortigliengo Religieuse
Turin*3
C2,319:*1
La Mortigliengo, facendo gli Esercizi insieme con Suor Crocifissa Bracchetto, doveva tener conto
di quanto il Lanteri diceva alla Bracchetto in una lettera (smarrita) dell'8 dicembre 1815:
“Dobbiamo aspettarci (negli Esercizi) degli alti e bassi, cioè da soffrire, permettendolo Iddio per
tenerci umili, e darci più abbondanti le grazie, e questo per il nostro più grande avanzamento
spirituale” (Appunti spirituali, ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 1).
C2,319:*2
Il “petit livre” in questione è un libretto di massime spirituali tratte da S. Francesco di Sales,
regalato dal Lanteri alla sua penitente, di cui alla lettera del 18 agosto 1813.
C2,319:*3
Indirizzo di mano Loggero.
C2,320:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
17 ottobre 1812
Rallegramenti per la salute riacquistata – Non perdere mai di vista il Crocifisso – La vita presente è un purgatorio
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:105
C2,320:T
Ma très Honorée Sr. et Fille en Jésus-Christ
Je me réjouis de votre guérison, mais allez toujours doucement, c'est toujours mieux en cela
abonder en excès, que de manquer tant soit peu de soin et d'attention, ainsi de nouveau je vous le
recommande, n'épargnez en rien pour cela.
Je suis bien aise que vous vous trouviez bien de la nouvelle chambre, mais je regrette toujours d'être
la cause de ce chagrin.
Vous avez bien fait de me rappeler du testament, à la première occasion nous en parlerons*1.
Rappelez-vous toujours que ce monde est notre purgatoire avec l'avantage pourtant qu'ici on paye
des dettes et on aquiert du crédit, tandis que dans l'autre on paye seulement sans rémission; ne
perdez [pas] de vue le Crucifix, à qui il faut se conformer, vous ressouvenant en meme temps que ce
Jésus crucifié non seulement est notre modèle, mais il est aussi notre secours et notre récompense.
Je ne sais encore quand nous nous verrons, mais cela ne tardera pas. Je vous bénis.
[Bardassano] ce 17 octobre 1812
[senza firma]
À la très honorée
très honorée Léopolde Mortigliengo Religieuse
Turin*2
C2,320:*1
Il testamento della Mortigliengo era stato fatto sotto la direzione e coi consigli del Lanteri, che
guidava così la sua penitente anche nelle cose materiali.
C2,320:*2
Indirizzo di mano Loggero.
C2,321:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
10 dicembre 1812
Consigli spirituali – Diffidare di sé senza arrivare allo scoraggiamento – La relegazione del Lanteri alla Grangia
Originale in AOMV, S. 5,2,4:208 (S. 1,17,25a:1529)
C2,321:T1
Pregiat.mo Sig. Priore A.C. [Amico Cristiano] in Gesù Cristo
La preziosissima sua non poteva certamente recarmi maggiore consolazione: già da lungo tempo
più particolarmente mi occupavo di lei innanzi al Signore, e bramavo ardentemente di sue nuove;
sia ora lodato il Signore che volle procurarmele per mezzo suo, e tanto più sia lodato e benedetto,
giacché intendo essere queste buone per ogni lato. Vedo però che Ella teme della sua costanza, né
certamente senza tutta la ragione per parte sua, giacché non mai abbastanza possiamo temere, ed
anche disperare di noi, essendo appunto per questo maggiormente tenuti a fuggire le occasioni e
pericoli, ma perché questo timore così giusto non degeneri in scoraggiamento ed avvilimento di
spirito, dobbiamo inseparabilmente accompagnarlo con una fermissima speranza in Dio nostro
amorosissimo Padre Celeste, che solo può, e vuole veramente aiutarci, e infallibilmente ci aiuta se
siamo costanti ad adoperare i mezzi salutari dal suo paterno cuore a questo effetto suggeritici; come
sono la frequenza stabile dei Sacramenti non mai interrotta qualunque sia il motivo, accompagnata
dalla pratica costante della meditazione e lezione spirituale, e dall'esercizio frequente di qualche
mortificazione esterna. Lei sa che tutto questo non è poi così difficile, e un mezzo che potrebbe
contribuire anche a rendere stabile questa pratica, sarebbe che Ella favorisse, di quando in quando,
di darmene un ragguaglio alquanto dettagliato, sia della pratica, come dell'esito di simili esercizi;
così avrei la consolazione di contribuire anch'io, per quanto posso, al suo avanzamento spirituale.
Mi procuri dunque, Car.mo Sig. Priore, questo favore, affinché in questa mia cara solitudine ove
sono come diventato inutile al mio prossimo*1, possa almeno essere a lei di qualche giovamento
spirituale; tanto più che i miei giorni non saranno più lunghi, attesi i miei incomodi, i quali ben
lungi di diminuire, sempre più si ostinano per accelerarmi l'uscita da questo misero mondo, e
l'unione bramata col mio dolce Gesù. Quanto ai suoi figlioli che teneramente amo, sia sicuro che
non li dimenticherò mai innanzi a Dio, e porto ferma speranza che il Signore li benedirà sempre, e
darà a lei i lumi opportuni per salvarli dalla corruzione del secolo.
C2,321:T2
E pregandola dei miei più distinti rispetti alla Degn.ma sua Sig.ra consorte ed Amici, alle orazioni
dei quali particolarmente mi raccomando, con la maggiore considerazione e cordiale amicizia, e
riconoscenza mi protesto
Di V.S. Ill.ma e Car.ma
Da mia Campagna li 10 dicembre 1812
Dev.mo Obl.mo Aff.mo Servo ed Amico
P.B.L.
P.S. Le verrà raccomandato da M.Z. [Marchese Zei] un degnissimo soggetto che ho pure conosciuto
con mia grande soddisfazione, onde non occorre che gliene dica di più.
(timbro postale lineare TURIN)
À Monsieur
Monsieur le Chevalier Léopold Ricasoli
Florence
sul ponte alla Carraia
C2,321:*1
“In questa mia cara solitudine ove sono diventato come inutile al mio prossimo…”: da una parte il
Lanteri sottolinea i vantaggi della sua relegazione e solitudine a Bardassano, dall'altra la sofferenza
per le molte opere che ha forzatamente abbandonato a Torino.
C2,323:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
10 gennaio 1813
Scrupoli sul passato e ansie per l'avvenire sono tentazioni del Demonio – Cominciare ogni giorno – “Niente ti turbi” –
L'orazione non deve piacere a noi ma a Dio.
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:106
C2,323:T1
Ma très Honorée Sr. et Fille en Jésus-Christ
Votre peine sur le passé n'est pas fondée, ce n'est qu'une pure tentation de l'ennemi, je puis vous
l'assurer au nom de Dieu; à la place donc de la seconder, rendez gloire à Dieu, remerciez-le de cœur
de la bonté infinie de vous avoir tout pardonné. Le même ennemi, non content de vous attaquer
pour le passé, cherche à vous attaquer pour l'avenir aussi; prenez-y garde, si vous n'avez pas avancé
de plus pour le passé, ce ne sera pas de même pour cette année si vous prenez le parti de vous
humilier et d'espérer davantage en Dieu en le priant incessamment de vous accorder ces deux grâces
si nécessaires, et qu'il souhaite déjà tant de vous accorder, vous l'ayant promis, et mérité pour
vous*1. Dites donc hardiment nunc cœpi, et allez toujours avant dans le service de Dieu, ne regardez
pas tant en arrière, car en regardant en arrière on ne peut pas courir; ne vous contentez pas de
commencer pour cette année, commencez chaque jour, car c'est pour chaque jour, et même pour
chaque heure du jour que le Seigneur nous a appris à dire dans le Pater: Dimitte nobis debita nostra,
panem nostrum quotidianum da nobis hodie*2. Ne voyez-vous pas encore que l'ennemi par là
cherche à vous ôter la tranquillité et la confiance en Dieu, deux dispositions si nécessaires pour bien
prier; prenez donc conseil de S. Thérèse: Niente ti turbi, pas même vos misères spirituelles, parce
qu'elles sont l'objet et le fondement de la Miséricorde infinie de Dieu, qui surpasse infiniment la
malice de tous les péchés du monde; étant ainsi toujours obstinée à ne vous laisser troubler pour
rien du monde, présentez-vous humblement et avec une pleine confiance au Seigneur dans l'oraison,
et il ne manquera pas d'avoir pitié de vous; n'importe que l'oraison n'aille pas selon votre goût, [il]
suffit qu'elle soit selon le goût de Dieu, ce qui n'est pas si difficile, puisqu'il suffit d'éloigner les
négligences volontaires.
C2,323:T2
Demandez donc une bonne fois pardon à l'Enfant Jésus de toutes vos pusillanimités passées, qui ne
sont que des détractions à la bonté infinie de son Cœur, et commencez chaque jour à vous jeter telle
que vous êtes dans ce Cœur si adorable de Dieu, qui s'est rendu si visiblement aimable pour les
pécheurs, non pour les justes.
Priez pour moi, je vous bénis
[Bardassano] ce 10 [gennaio] 1813
V.P. en Jésus-Christ
À la Très honorée
Très honorée Léopolde Mortigliengo Religieuse
Turin*3
C2,323:*1
Consigli suggeriti dal Lanteri in caso di scoraggiamento e di scrupolo:
“Non turbarci in qualunque stato ci paia di essere, come di incredulità, di indifferenza, insensibilità,
od ostinazione, o qualsivoglia altro difetto, o mancamento, ma con semplicità umiliandoci innanzi a
Dio, dirgli con coraggio, che vogliamo essere suoi tali quali siamo, anche più difettosi di quello che
ci conosciamo; persuasi che appunto per i peccatori venne dal Cielo in terra, e che secondo la sua
promessa, abbondare i suoi aiuti e grazie dove abbondò il peccato…
Il secondare la malinconia, lo scoraggiarsi è secondare lo spirito del tentatore; poiché lo spirito di
Dio ci porta alla confidenza e tranquillità…
Non vi stupite di trovarvi arida, questa è una soggezione umana, e ci guadagnerete sopra con la
pazienza e perseveranza…”
(Nelle tentazioni) “stare attenti a non fare segni esterni per ributtarle. Un atto di amore di Dio, o di
disprezzo della tentazione basta. Disprezzare pure il dubbio di non aver usato diligenza nello
scacciarle. Quando anche vi fosse stata negligenza, o mancamento, un atto d'amore di Dio rimedia a
tutto senza tanti esami, e turbazioni…
Quanto ai sentimenti di superbia che vi assalgono, non dovete scoraggiarvene, ma disprezzarli sulla
persuasione che ne siamo impastati, e chiedete a Maria Santissima l'umiltà…
Se volete conoscere il nemico anche quando vi si presenta con apparenza di vero, fate attenzione se
ciò che vi suggerisce, vi scoraggia insieme, perché segno certo di tentazione nascosta…”
“Quando avete dubbio se sia stato [peccato] grave, o nò, decidetevi francamente in vostro favore;
perché il dubbio non può stare con la perfetta avvertenza e pieno consenso.
Nei mancamenti dire: Bonum mihi quia humiliasti me, sul riflesso che Iddio li permette per nostro
profitto, e nostro più sodo avanzamento.
In essi non turbarsi, né avvilirci, anzi avvivare la speranza, dicendo: Quare tristis es… Spera in
Deo, perché le umiliazioni vi sono necessarie, e sono regali di Gesù Cristo” (Appunti spirituali ecc.,
AOMV, S. 5,2,7:223 n. 4, 5, 6).
C2,323:*2
Riguardo al Nunc cœpi: “Data la mobilità della natura umana, la nostra perseveranza – perseverare
fino alla fine è condizione di salvezza – consiste praticamente in un continuo ricominciare. Questa è
la perseveranza alla quale tutti dobbiamo senz'altro arrivare, perché dipende dalla nostra buona
volontà, nel senso che Dio ha infuso in noi tale virtù, e ci dà momento per momento la grazia
sufficiente per metterla in atto. Non è in nostro potere affrancarci dell'instabilità della nostra natura
e quindi non ci è possibile evitare qualsiasi rallentamento nel bene, qualsiasi negligenza, debolezza
o mancanza, ma è in nostro potere riprenderci subito appena avvertiamo di avere messo un piede in
fallo. Ecco la perseveranza che Dio esige da noi, e quando saremo fedeli a praticarla, essendo
sempre pronti a rialzarci dopo qualsiasi colpa, Dio stesso coronerà i nostri sforzi concedendoci la
grazia somma della perseveranza finale” (P. Gabriele di S. Maria Maddalena, O.C.D., Intimità
divina, 10 ed., Roma 1964, 995).
C2,323:*3
Indirizzo di mano Loggero.
C2,325:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
6 febbraio 1813
La noia nelle cose spirituali – La gioia interiore consiste nel fare ciò che piace a Dio, non ciò che piace a noi
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:107
C2,325:T
Ma très Honorée Sr. et ma fille en Jésus-Christ
Je profite de D. Loggero pour vous écrire deux lignes. Ne vous étonnez pas de votre paresse,
langueur, ennui dans les choses spirituelles, c'est l'effet de l'âge et du physique, ainsi Dieu ne vous
demande pas d'en être exempte, puisque dans le fond c'est lui-même qui vous le procure, et il vous
demanderait une chose impossible, seulement [il] vous demande d'avoir patience avec vous-même,
de commencer toujours avec une sainte obstination à être fidèle dans vos pratiques spirituelles, et il
se contente que vous mettiez votre approbation à ce que disent les livres, agréant cette approbation
tout également comme si vous eussiez produit du fond de votre cœur tous ces sentiments*1. Il faut
donc que vous soyez aussi contente, autrement on ne chercherait plus de plaire à Dieu, mais de
plaire à soi-même, tandis que dans le fond on doit toujours chercher à déplaire à soi-même,
désespérer de soi-même, et ne chercher et n'acquiescer que dans la sainte et adorable volonté de
Dieu, et n'espérer qu'en sa miséricorde infinie.
Voilà tout ce que je comptais vous dire. Du reste je me réjouis que vous soyez de bon accord avec
Crucifixe, par la pratique de la vraie charité chrétienne, vous pourrez vous en procurer la
persévérance et la récompense dans le Ciel.
Continuez à prier pour moi, et beaucoup; et je vous laisse dans le S. Cœur de Jésus.
[Bardassano] ce 6 février 1813
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,325:*1
“Tenete lontano lo spirito di tristezza e di malinconia, facendo l'allegra anche quando non lo siete
per cagione del fisico, guardandovi allora più che mai dai ritorni su voi stessa, e pensando al
Paradiso, perché è vostro.”
“Quanto al vostro amor proprio, che può esservi sottentrato, ed aver nascosto i vostri difetti, il
disprezzo e la libertà di spirito sono i migliori rimedi…
La vostra santificazione, la quale però se ha da operarsi come lo spero fermamente, e non ne dubito
punto, dovete però contentarvi, che si opera in mezzo alle vostre stesse rabbie, e con questo vostro
naturale, come mezzo il più acconcio per riuscirvi, perché nelle mani di Dio, e con la sua santa
grazia i mezzi, che sembrano più contrari, diventano appunto i più propri ed acconci…”
(Appunti spirituali, ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 19, n. 26).
C2,331:S
Lanteri all'arciprete di Gassino Torinese
5 agosto 1813
Due fatti storici oggetto di discussione e di “disfida” reciproca – Lanteri riconosce d'aver torto – Spiegazione ulteriore
di alcuni particolari
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:28
C2,331:I
La lettera è senza data, ma non deve essere posteriore che di un giorno o due a quella del teol. Belmondo del 4 agosto
(v. Carteggio, II, 327-330).
La discussione verteva su fatti e su testi che erano molto familiari al Lanteri: di qui, da parte sua, un'abbondanza di
autori e di testi a favore ancora superiore a quella del suo contradditore. Scritto caratteristico che ci fa vedere un aspetto
nuovo del Lanteri, in animata, ma sempre benevola e simpatica discussione su materie molto serie con i suoi amici
seduti intorno a una mensa.
C2,331:T1
5 agosto 1813
M.to Ill.re M.to Rev.do Sig. Sig. Pron Colmo
Fin dall'istesso giorno, in cui ho avuto l'onore di riverire V.S. M.to Ill.re e M.to Rev.da ho
riconosciuto di ritrovarsi veramente nel Fleury i fatti da lei addotti; osservando però quanto al primo
essere uno di quei fatti di cui già si servivano i Vescovi Costituzionali per loro discolpa fin d'allora;
ma il Barruel nel suo Giornale ecclesiastico dicembre 1791, faceva loro riflettere che si rilevava
dallo stesso testo del Fleury, 1. che il Santo in quel punto s'immaginava di essere alla fine dei suoi
giorni; 2. nel timore che dopo la sua morte quelle pie Diaconesse non abbandonassero il loro
Ministero, le esorta a continuarlo sotto il successore che loro sarà dato; 3. vuole che si guardino
bene dal riconoscere altro suo successore che quello che sarà scelto secondo le regole che loro
espone; osserva inoltre il suddetto Autore dalla stessa Storia del Fleury che infatti quelle Diaconesse
soffrirono ogni sorta di affronti, e di persecuzioni piuttosto che riconoscere Arsacio intruso lui
vivente, e ricava dalle stesse lettere del Santo che furono dal medesimo sommamente encomiate per
questa loro costanza e fermezza, chiamando frattanto Arsacio, Lupo e Adultero.
Quanto al secondo fatto di Eugenio Papa si rileva la solita mala fede dello storico Fleury,
arciprovata dal Marchetti*1, perché consta senza alcun dubbio dal Baronio*2, dal Pagi*3, dal Bernini*4,
dal Labbeo*5, dal Calmet*6, da Natale Alessandro*7, dal Bérault-Bercastel*8 e dal Dizionario del
Feller*9 non che sia stato Eugenio creato Papa per autorità di Costante*10, fiero Monotelita, famoso
persecutore della Chiesa, come ci dice la storia, ma bensì che instando questi imperiosamente per
l'elezione di un nuovo Pontefice, il Clero Romano prese il partito di eleggerlo come Vicario soltanto
di S. Martino, e come tale governò la Chiesa fino alla morte del suddetto, cominciando solo dal quel
punto a reggerla canonicamente come Pontefice.
C2,331:T2
Dopo questo confesso
Dopo questo confesso apertamente il mio torto, ed insussistente la disfida fattale, e V.S. M.to Ill.e
M.to Rev.da su questo proposito avere tutta la ragione, e tanto più è inescusabile il mio torto, perché
mi erano abbastanza noti i falsi principi e le frequenti essenziali alterazioni delle storie da lei
citate*11.
Del resto mi basta il sapere, come lei bene m'insegna, che le decisioni, e le leggi vigenti della
Chiesa devono essere l'unica norma di salute per ogni buon Cattolico, massime per chi già si trova
vicino all'eternità, come lo sono io per la natura dei miei incomodi, soggiungendo peraltro che né la
mia sanità, né il sistema di quieto vivere prefissomi, mi permettono sopra queste, o simili materie,
ulteriori indagini e questioni*12.
Godo frattanto che un tale mio errore finisca con procurarmi l'onore di averla un giorno a farne la
penitenza meco, siccome ella ha ben voluto farmi sperare nella stimatissima sua.
E con particolare stima e venerazione ho l'onore di protestarmi
Di V.S. M.to Ill.e M.to Rev.da
Umil.mo Dev.mo Servitore…
C2,331:*1
Giovanni Marchetti (m. 1829), il futuro vescovo di Ancira, nella sua molteplice polemica
antigiansenista scrisse anche parecchi volumi di storia.
C2,331:*2
Cesare Baronio (1538-1607), dell'Oratorio di Roma, discepolo carissimo di S. Filippo Neri, scrisse
gli Annali Ecclesiastici, in 12 voll., Roma 1588-1607, che comprende la storia della Chiesa dagli
inizi al 1198.
C2,331:*3
Pagi Antonio (m. 1699) e Francesco (m. 1721), francescani della provincia francese, continuarono
gli Annali del Baronio.
C2,331:*4
Bernini Domenico (forse figlio del celebre artista Gianlorenzo), era canonico di Santa Maria
Maggiore a Roma e ci lasciò una buona Istoria di tutte l'Heresie, 4 voll., e altre opere minori
(Hurter, IV, 922-923).
C2,331:*5
Labbeo, nome latinizzato di Lebbe Philippe, S.J., n. a Bourges il 10 luglio 1607, m. a Parigi il 17
marzo 1667. Pubblicò tra l'altro Sacrosancta Concilia… 18 voll., Parigi 1671-1672; De scriptoribus
ecclesiasticis, 2 voll., 1660, ecc. (Sommervogel, IV, 1.295-1.328; C. Testore, in Enc. Catt., VII,
774-775). I volumi del Labbeo, già proprietà del Lanteri, si conservano ora nella biblioteca degli
Oblati in Carignano.
C2,331:*6
Calmet Agostino, benedettino dei Maurini francesi (1672-1757), fu biblista celebre e ci lasciò La
sainte Bible… in 23 voll. Paris 1707-1716, e il Dictionnaire de la Bible, 2 voll., 1722, oltre a molte
opere minori di carattere esegetico e storico. Notevole l'epitaffio che dettò per la propria tomba:
Multum legit scripsit oravit – Utinam bene!
C2,331:*7
Natale Alessandro, O.P. (1639-1727), autore di una Storia Ecclesiastica che ai suoi tempi fu molto
ammirata.
C2,331:*8
Bérault-Bercastel (1720-1794), Histoire de l'Église, 1778-1790, 24 voll.
C2,331:*9
De Feller Francesco Saverio, S.J. (1735-1802), autore di un celebre Dizionario storico, uscito
originariamente in 6 voll. e poi continuamente accresciuto fino a raggiungere i 13 voll. nell'edizione
di Parigi del 1832.
C2,331:*10
Costante fu imperatore a Costantinopoli dal 641 al 668.
C2,331:*11
La Storia del Fleury, accanto ai molti pregi che certamente non le mancano e che furono
unanimamente riconosciuti, cede un po' troppo alle idee gallicane imperanti al suo tempo e
interpreta molti fatti storici del passato in questa luce. Di qui le riserve del Lanteri.
C2,331:*12
Questo accenno del Lanteri alla sua salute fisica fa vedere che anche il riposo in campagna non
aveva portato grande giovamento ai molti malanni che sempre l'avevano tormentato.
C2,336:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
18 agosto 1813
L'esercizio della presenza di Dio – Vita di fede – La devozione alla Madonna
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:108
C2,336:T
Ma très Honorée fille en Jésus-Christ
Vive Jésus
Je trouve que vous faites très bien de vous épargner quelques promenades au Rubat; les autres fois
qu'il faut y aller, l'abnégation de votre volonté suffit pour suppléer aux pratiques que vous laissez
ces jours-là; le doux exercice de la présence de Dieu nourri de ces mêmes objets de rien qui vous
passent par l'imagination et qui vous tourmentent tant, c'est sans doute le meilleur remède pour vous
en défaire utilement, et avec plus de facilité. Je suis en attendant bien aise de vous voir bien ferme à
commencer toujours et vivre de foi, et c'est tout le fruit que je vous demande, et que je vous
souhaite dans cette neuvaine de votre Sainte Mère; ajoutez-y encore l'attention de vous bien garder
de tout découragement et de toute défiance dans le service de Dieu, surtout à la vue de vos défauts
journaliers, et je vous promets que le Seigneur est content de vous, d'autant plus que la perfection
même, comme dit votre saint Père, ne consiste pas à ne pas manquer, mais à ne jamais persévérer
dans la volonté de manquer. Priez beaucoup pour moi, continuez à me donner de vos nouvelles. Je
vous bénis.
[Bardassano] ce 18 août 1813
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,341:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
23 novembre 1813
Intendersi col Teol. Guala per gli Esercizi Spirituali – Durante gli Esercizi si è morti per tutto il resto
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:109
C2,341:T
Ma Sœur et ma Fille en Jésus-Christ
Je regrette que vous n'ayez pu faire votre retraite pour la neuvaine de Notre-Dame, mais c'était
naturel de différer puisqu'il n'y avait pas le Th. Guala. Actuellement je suis d'avis que vous la
fassiez au plus tôt que le Th. Guala pourra vous aider; ainsi il faut vous entendre avec lui pour cette
affaire. Du reste vous savez que quand on fait les exercices, on est mort pour tout le reste; ainsi, que
le monde bouleverse, [qu'est-ce] que ça vous fait*1?
Je ne manquerai pas de prier pour une bonne réussite, priez aussi pour moi. Mes saluts à ma Sr.
Crucifixe.
Je vous bénis
[Bardassano] ce 23 novembre 1813
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
Turin
C2,341:*1
“Fate i vostri Esercizi con tutta tranquillità, ma con vero impegno…
Incominciate innanzi a domandarne a Dio la grazia di farli bene, e indirizzando particolarmente a
questo fine i vostri atti di umiltà, pazienza, e di dolcezza.
Ringraziate Dio della buona volontà che avete sentito nel ritiro, poiché è tutto dono suo; che dopo
poi vi siete trovata la medesima di prima, questo non toglie punto del merito che vi siete fatto in
quel giorno, solamente vi avverto che non dovete contentarvi di questo, ma dovete continuare
sempre a pregare, a farvi violenza e ad alzarvi, se cadete, senza mai scoraggiarvi; è finita, conviene
soffrire in noi gli alti e bassi, e massimamente ne è soggetto chi non è abbastanza umile, e la prova
di poca umiltà è lo stupirsene. Prendete dunque il partito di cominciare sempre con una santa
ostinazione, e ve ne troverete bene…
Il vostro ritiro non sarà certamente senza ricompensa, quantunque l'abbiate fatto male. Siate pure
ostinate a rinnovare sempre, anche ogni giorno e più volte al giorno, ancora i vostri proponimenti,
quantunque sempre gli stessi, e quantunque pochissimo eseguiti, perché escluderete almeno la
volontà di continuare nei vostri difetti; ed è appunto quello che il Signore vuole da voi, e quello in
cui consiste la perfezione, di cui siamo capaci in questa vita, consistendo essa non in non più
mancare, ma in non mai perseverare nella volontà di mancare, anzi questa stessa ostinazione di
incominciare sempre ha dell'eroismo. Siate dunque in pratica sempre persuasissima di avere molto
da mancare ogni giorno, ciò nonostante [siate] costante a rialzarvi subito ogni volta, e così
praticherete l'umiltà, e la confidenza ferma in Dio, virtù necessarie per avanzarvi molto nel servizio
di Dio. Perseverate nell'impegno di fare le cose non con impeto, e ne ricaverete del frutto, che non
sarà già frutto di vostra industria, ma benedizione di Dio che ricompenserà la vostra industria, e
questo certamente se vi mettete la perseveranza…
Mi piace la risoluzione fatta di riconoscere in tutto la volontà di Dio… anche nelle cose spiacevoli;
né stupitevi, se non vedete durarla sempre nella risoluzione, questa è la natura degli atti umani, ed
accade a tutti, poiché in cielo soltanto troveremo la costanza dei nostri atti. Voi non avete che da
rinnovarvi tranquillamente, e con impegno quando vi sentite raffreddare, come voi vi lavate
nuovamente la faccia, o le mani ecc., né pretendete vi stiano sempre nette, così abbiate pure
pazienza di fare intorno alle cose dell'anima, poiché è tale l'ordine della Provvidenza divina anche
per nostro maggiore bene, perché con la pratica dei vostri atti vi moltiplicate i meriti… Vorrei che
la intendeste una volta per sempre questa ragione.”
(Appunti spirituali, ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 24)
C2,344:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
19 dicembre 1813
Purità d'intenzione – Fedeltà costante alle pratiche di pietà – Ricominciare continuamente – Comunione quotidiana
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:110
C2,344:T1
Ma très Honorée Sr. en Jésus-Christ
[Bardassano] ce 19 décembre 1813
V.J. [Vive Jésus]
Je me réjouis, et je remercie bien de cœur le Seigneur, que vous ayez pu faire votre retraite
spirituelle bien à loisir, et avec tranquillité, car c'est une grande grâce du bon Dieu. J'approuve très
fort vos trois résolutions; 1. la pureté d'intention vous unira d'autant plus à Dieu, et vous épargnera
aussi bien des chagrins, qui viennent ordinairement de ce qu'on se cherche soi-même et non pas
Dieu seul; la sainte obstination, en 2e lieu, de ne pas omettre un petit brin d'oraison ordinaire et des
autres exercices spirituels, découragera l'ennemi à vous en augmenter les difficultés, pour venir à
bout de vous en faire laisser quelques-unes; 3. le parti pris de commencer toujours vous fermera la
porte au découragement, et cela seul vous procurera la rémission de la tiédeur et des défauts passés.
Quant à la sainte communion, je vous permets de la laisser quelquefois, une seule fois la semaine, si
le Th. Guala vous le permet. S'inquiéter puis de n'avoir pas de bonnes pensées dans la Sainte
Communion et dans les autres pratiques de piété, c'est risquer d'engager davantage le Seigneur à
vous conserver dans cet état, puisque le Seigneur veut bien que nous apprenions une bonne fois que
de nous-mêmes nous ne pouvons pas avoir une bonne pensée, et que cela est de foi; donc tant que
vous vous en inquiétez, c'est une preuve que vous n'êtes pas assez convaincue de cette vérité. Vous
me direz que vous craignez toujours d'en être la cause, et je ne vous en condamnerai pas, mais faites
attention que c'est seulement la cause volontaire qui pourrait vous porter préjudice, et cette cause
même volontaire, dès qu'elle est rétractée, ne peut plus vous être de préjudice, puisque cette même
rétraction vous en est un mérite. Si le petit livre de S. Fr. [François de Sales] vous plaît et vous fait
du bien, tant mieux, c'est une preuve réelle que le saint Père s'occupe de vous, il faut l'en remercier.
C2,344:T2
Je suis fâché de votre mal des yeux, j'espère qu'il ne durera pas. Il faut vous prendre garde du froid,
qui peut leur [être] nuisible. Je vous remercie de m'avoir présent toujours devant Dieu, je ne
manque certainement pas de faire de même à votre égard. Je vous bénis. Dieu soit avec vous.
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,345:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
20 dicembre 1813
Rallegramenti per la nascita di due gemelli in casa Ricasoli – Accenno alle vicende politiche e alla persecuzione
napoleonica
Originale in AOMV, S. 5,2,4:209 (S. 1,17,25a:1530)
C2,345:T1
Pregiat.mo Sig. Priore, ed in Gesù A.C. [Amico Cristiano]
La ringrazio bene di cuore della preziosissima sua lettera, in cui mi favorisce delle sue nuove, che
tante volte ho desiderate. Mi congratulo vivamente con V.S. Ill.ma e Dil.ma, e con la Sig. C.sa sua
Pregiat.ma Moglie, che siano divenuti genitori di due gemelli, di un piccolo cioè Stanislao, e di una
piccola M.a Giulia, ecco due cuori di più, che loderanno Iddio eternamente in Cielo con i loro
genitori, e con il rimanente di tutta la famiglia, siccome fermamente spero nel Signore*1. Ed io non
dubito punto che verrà anche consolato nell'educazione dei suoi figli maggiori, e diverranno
eccellenti allievi dei Gesuiti, né lascerò di raccomandarli per questo particolarmente al Signore*2.
Godo poi sommamente di trovare V.S. Car.ma in Gesù piena di buona volontà, né mancherò di
chiedergliene instantemente dalla Sacra Famiglia la santa perseveranza in questi giorni più speciali
di benedizione e di grazia; non traslasci frattanto di nutrire la sua pietà con i soliti suoi quotidiani
esercizi di orazione, di lettura, e di frequenza dei santi Sacramenti, e per maggiormente impegnarsi
in simili spirituali esercizi, io la supplico di darmene ogni mese un qualche ragguaglio, persuasa che
non può procurarmi maggiore soddisfazione.
C2,345:T2
Quando V.S. possa avere notizie certe del buon B.n [Baron] Penkler mi farà favore grande di
procurarmele. Attesa la mia ordinaria assenza da Torino, e le circostanze dei tempi, le cose nostre
dormono un poco, ma spero che non tarderà a risvegliarsi lo spirito dell'A.C. [Amicizia Cristiana]
che mi sta vivamente a cuore. Passeranno, a quello che mi si scrive, in questa stessa settimana in
Torino i Sig. Can. Bar. [Barrera] e Man. [Mancini] con gli altri loro compagni per essere tradotti in
altri siti nell'interiore dell'Impero, e probabilmente dovranno fare a piedi il loro viaggio per non
essere a ciò provvisti, né avere onde provvedersi, e mi rincresce di non poterli vedere*3. Qualche
tempo fa il T. Guala ed io abbiamo scritto alla Sig. M.sa Capponi*4, né d'allora in poi abbiamo più
avuto alcuna notizia della medesima, io la pregherei di volerle presentare i miei più distinti rispetti,
e procurarmi delle nuove sì di lei, che dei suoi pii progetti. La prego pure dei miei più vivi
complimenti alla Stimat.ma sua Sig.ra moglie, ed a tutte le persone amiche. E con tutta la stima e
riconoscenza possibile mi protesto
Di V.S. Ill.ma in Cristo Car.ma
Dalla mia Campagna li 20 dicembre 1813
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T.P.B.L.
(timbro postale lineare TURIN)
All'Ill.mo Sig. Sig. Pn Colmo
Il Sig.r C.r Leopoldo Ricasoli
sul Ponte alla Carraia
Firenze
C2,345:*1
Stanislao Ricasoli, n. il 12 novembre 1813, m. il 16 aprile 1848. Sposato con Enrichetta, figlia di
Carlo Buggiani, da cui ebbe sei figli. Giulia, gemella di Stanislao, morì poche settimane dopo la
nascita.
C2,345:*2
I due figli del Ricasoli, Luigi (n. nel 1801) e Alessandro (n. nel 1804) fecero i loro studi dai gesuiti
(che nel frattempo erano stati approvati a Napoli e a Parma) ed entrarono anche nel noviziato a
Roma. Alessandro ne uscì presto, divenne sacerdote diocesano e canonico della cattedrale di
Firenze. Luigi fu gesuita, segretario del P. Giovanni Roothaan, Generale della Compagnia, rettore
del Gesù a Roma. Nel 1849, quando la Compagnia fu sciolta, tornò a Firenze e vi rimase fino alla
morte, fuori di comunità, ma facendo sempre parte della Compagnia (P. Galletti, Memorie storiche
del P. Luigi Ricasoli, Prato 1901).
C2,345:*3
Sul can. Ferdinando Barrera, piemontese residente a Firenze e canonico della primaziale fiorentina,
v. profilo biografico alla lettera da lui scritta al Lanteri in data 28 settembre 1818 (Carteggio, III,
203-204). Mancini Giuseppe, n. il 20 settembre 1777 a Firenze, m. a Siena il 15 febbraio 1855, fu
consacrato sacerdote il 1 marzo 1806, preposto del capitolo metropolitano di Firenze e provicario
generale. Oppositore col Barrera e con altri canonici fiorentini della politica ecclesiastica di
Napoleone, si oppose all'ingresso in Firenze del vescovo Osmond, nominato da Napoleone senza
l'autorizzazione del Papa (1809), e perciò fu esiliato in Francia, a Bourges insieme con una trentina
di altri sacerdoti e vescovi italiani. Il Mancini era alloggiato nel castello della serva di Dio M.
Maddalena Vittoria de Bengy, viscontessa de Bonnault d'Houet, fondatrice delle Fedeli Compagne
di Gesù (P. Stanislao, Capp. Notizie sulla vita, virtù e opere della Serva di Dio M.M.V. de Bengy,
Parigi 1894, tr. it. Torino 1917, 28-29). Nel 1818 il Mancini fu nominato vescovo di Massa
Marittima, consacrato a Roma il 4 ottobre 1818, e traslato a Siena il 12 luglio 1824 (HC, VII, 256342).
C2,345:*4
La marchesa Capponi, membro attivo dell'Amicizia femminile di Firenze, nel 1806, per impulso del
teol. Guala, aveva iniziata l'attività caritativa a favore dei poveri negli ospedali di Firenze. Di lei
scrive la marchesa Lucrezia Ricasoli: “Questa signora (cammina) a gran passi nella perfezione
cristiana… non cercando altro che Dio nel suo operare, e la santificazione propria e quella dei
prossimi, non ristretto nei soli ospedali, ma ancora togliendo persone al peccato con proprio danaro,
e in altra maniera…”
C2,352:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
18 gennaio 1814
Lotta allo scoraggiamento – Ricominciare ogni giorno, ma “dolcemente” – La scuola del Crocifisso – Ogni pena porta
con sé una grazia
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:111
C2,352:T
Ma très Honorée Sr. et fille en Jésus-Christ
Je vous remercie bien de cœur des vœux que vous avez adressés pour moi au Seigneur dans cette
année, je n'ai pas manqué d'en faire de même pour vous à l'Autel. Du reste point de découragement,
soyez sûre que vos propos des exercices ne vous seront point inutiles et vous procureront bien des
grâces dans cette année. Souffrez seulement de voir votre âme défectueuse, et au lieu d'en concevoir
du dépit, tâchez de l'encourager toujours à commencer, mais doucement, comme vous prescrit votre
saint Père, qui aime à nous voir pratiquer la douceur non seulement avec les autres, mais aussi avec
nous-mêmes. Fixons aussi nos regards de foi et d'amour sur le Crucifix, et nous trouverons qu'il ne
s'est pas contenté d'avoir seulement la possibilité de souffrir, mais il a réellement voulu souffrir
toute sorte de peines de corps et d'esprit, puisque ce n'est pas la seule possibilité de souffrir, mais ce
sont les souffrances mêmes qui nous font mériter; ainsi acceptons de sa main toute occasion de
souffrir et de pratiquer la vertu; et puisque tout est disposé pour notre salut, tâchons d'entrer dans
ses vues amoureuses et de les seconder de notre mieux, persuadée qu'à chaque événement et à
chaque croix il y a sa grâce attachée, et à chaque grâce secondée il y a sa récompense éternelle. Ne
m'oubliez pas, je vous prie, dans vos oraisons. Dieu soit avec vous.
[Bardassano] ce 18 [gennaio] 1814
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,353:S
Lanteri al prevosto Luigi Craveri
9 febbraio 1814]
Si rallegra del buon andamento della missione in corso nella parrocchia di Andezeno – Prossimo arrivo del Loggero
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C2,353:I1
Craveri Luigi, n. a Murello (Cuneo) il 28 aprile 1781, m. a Borgo Cornalense, frazione di Villastellone (Torino) il 22
febbraio 1850. Di famiglia benestante (il padre e un fratello erano medici) e molto religiosa, a 7 anni fu guarito quasi
miracolosamente da una malattia d'occhi. Fece gli studi a Saluzzo e nel seminario di Torino, dove venne subito a
contatto col Lanteri che fu il suo confessore durante tutto il periodo seminaristico, e che poi diede del Craveri questa
testimonianza: “Il ch. Craveri procede con tanta edificazione che pare già consumato nella virtù”. Fu ordinato sacerdote
alla fine del febbraio 1804 dall'arc. Carlo Buronzo del Signore, e subito nominato vice rettore e ripetitore nel seminario
di Nizza Marittima, ufficio che dovette presto lasciare per malattia, finché nel 1809 fu nominato prevosto di Andezeno,
dove rimase una ventina d'anni (1809-1831). In questo tempo si dedicò spesso anche alla predicazione delle missioni
con frutto di conversioni in molte parrocchie della diocesi di Torino, Vercelli, Ivrea, Saluzzo, Cuneo, Mondovì,
Pinerolo, Alba, spesso con gli Oblati di Maria di Carignano, dei quali per allora era “aggregato”. Nel 1825 fu invitato
dal Lanteri a entrare nella Congregazione degli Oblati che egli aveva intenzione di ricostituire a Pinerolo “volendo
affidare al Craveri la direzione dell'istituto dopo la propria morte”, e per un certo tempo il Craveri aveva aderito alla
domanda (tanto che il suo nome fu presentato a Leone XII tra quelli degli altri membri della Congregazione), ma per
l'opposizione dell'arcivescovo Chiaveroti e per l'esitazione del Craveri (uno dei punti deboli del suo carattere) la cosa
non si effettuò. Il lungo carteggio intercorso tra il Craveri e il Lanteri su tale questione tra il 1825 e il 1827 è riportato in
questo epistolario.
C2,353:I2
Nel 1831, dopo la morte del Chiaveroti e l'arrivo del nuovo arcivescovo Mons. Luigi Fransoni, fu fatto Vicario
Generale di Fossano (da cui il Fransoni proveniva). Proposto per vescovo di Alba e di Cuneo, rifiutò tutte e due le volte.
Nel 1833 fondò l'Opera Oggero-Brunetti per l'assistenza delle fanciulle, affidata alle suore del Cottolengo. Nel 1838 fu
nominato rettore del seminario. Ammalatosi gravemente nel 1850, guarì e si portò per riposo in casa de Maistre a Borgo
Cornalense presso Villastellone, ma vi morì cinque giorni dopo. La salma fu portata a Fossano e sepolta nella cattedrale.
Il Craveri appartiene alla schiera dei santi sacerdoti cresciuti nel clima delle Amicizie del Lanteri e alla scuola del Guala.
Fu anche lui un seguace di S. Alfonso. Il Gastaldi lo chiama “servo di Dio”. Malgrado il contrattempo sopra accennato,
egli conservò col Lanteri e con gli Oblati ottime relazioni di amicizia fino alla morte, e dopo la morte del Lanteri ci
lasciò, su preghiera del P. Loggero, una preziosa Relazione, ora conservata in AOMV, S. 1,1,7:41 e spesso citata dagli
storici del Lanteri. Al Craveri sono attribuiti anche fatti straordinari di profezie e visioni (cfr. Anonimo, cioè P. Paolino
da Fossano, Cappuccino, al secolo Lorenzo Cerruti, 1810-1893, Vita del buon servo di Dio Luigi Craveri, canonico
teologo e Vicario Generale della diocesi di Fossano, scritta da un fossanese, Pinerolo, Giuseppe Chiantore, 1860;
Gastaldi, 160, 392 e passim).
C2,353:T
9 febbraio 1814
Stimat.mo e Car.mo Sig. Prevosto
Dalla Grangia di Bardassano li 9 febbraio 1814
Mi consolo che V.S. Car.ma sia contento di questi S. Esercizi, che Dio sia glorificato, e si salvino le
anime, né cesserò di pregare il Signore perché la messe sia abbondantissima, giacché altrimenti non
posso contribuirci.
Quanto a D. Loggero, egli è andato lunedì a Torino, credo che sarà di ritorno oggi, o domani, e
spero che almeno per venerdì sarà da lei; da me certamente non mancherà per spingerlo ad andarvi
subito, poiché non ho niente da negare al mio Car.mo Prevosto, ma neppur D. Loggero ha bisogno
di spinta perché ci va volentieri.
La prego dei miei più distinti rispetti ai Sig.ri Diret.i T. [Teologo] Compayre*1 e P. Giordana*2, e due
piccoli pugni a D. Lanteri*3 che non è venuto meco a pranzo, né andando, né ritornando da
Rivalba*4.
Dica al P. Giordana che sono tentato di andarlo a trovar io costì per abbracciarlo, seppure la mia
sanità, il tempo, il freddo me lo permette.
E caramente abbracciandola in Dio in un con D. Lanteri mi protesto
Di V.S. Car.ma
Obl.mo Aff.mo Servo e Amico
Pio Bruno Lanteri
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. T. Luigi Craveri
Prevosto di
Andezeno*5
C2,353:*1
Compayre Giacinto, n. a Torino nella parrocchia di Santa Maria di Piazza il 15 luglio 1763, m. a
Cambiano il 21 luglio 1848 a 85 anni di età e a 45 anni di parrocchia; consacrato sacerdote il 21
maggio 1795, dottore in teologia, fu nominato parroco di Cambiano nel 1802. È sepolto nella chiesa
parrocchiale (G. Borgarelli, Vita e virtù del teol. G. Compayre, Torino, 1859).
C2,353:*2
Giordana Giuseppe, n. a Dronero nel 1746, canonico della collegiata di S. Andrea a Savigliano,
confessore, direttore di spirito e predicatore molto apprezzato. A lui si rivolse il Reynaudi quando si
trattò di fondare la Congregazione e ne ebbe incoraggiamenti e felici predizioni (P. Calliari, I tempi
e le opere del P. Pio Bruno Lanteri, Torino 1968, 194-195).
C2,353:*3
Don Lanteri Antonio, omonimo ed amicissimo del P. Lanteri, ma a quanto pare non suo parente, era
allora vicecurato a Andezeno, poi sarà Oblato di Maria a Carignano e finalmente, nel 1821, gesuita.
C2,353:*4
Rivalba, di circa un migliaio di abitanti in provincia e in diocesi di Torino, era poco distante da
Bardassano dove dimorava il Lanteri.
C2,353:*5
Andezeno, di circa un migliaio di abitanti, in provincia e diocesi di Torino, poco distante da Chieri.
C2,356:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
23 febbraio 1814
Dispensa dal digiuno – Curare la salute fisica – Guardarsi dal freddo della stagione
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:112
C2,356:T
Ma très Honorée Sr. [Sœur]
Je vous écris ces deux lignes pour vous dire que le Vén. Ligorio, le Catéchisme de Ferreri*1 et tous
les Jésuites, et moi ensemble nous vous dispensons du jeûne; si donc vous n'en faites rien c'est ce
que je souhaite, si pourtant vous voulez conserver l'apparence du jeûne, prenez abondamment du
pain le matin, le soir faites une collation bien grosse, pour le moins le double de l'ordinaire, et si
vous prenez la soupe tant mieux*2. Gardez-vous du froid, prenez-en toutes les précautions possibles,
n'épargnez rien; si vous avez besoin d'argent, dites-le-moi, je vous en enverrai. Ma santé souffre de
ce froid; quand il sera cessé, je me propose d'aller vous voir. Je vous bénis
[Bardassano] ce 23 février 1814
V.P. en Jésus-Christ
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,356:*1
Pietro Maria Ferreri, S.J., Istruzioni in forma di catechismo, per la pratica della dottrina cristiana,
in 4 parti, Novissima edizione corretta ed accresciuta dal medesimo autore, Bassano 1768.
C2,356:*2
Riguardo al digiuno: “Prendete sempre la mattina un pezzo di pane. La sera potete mangiarne anche
cinque once senza il resto, fatela abbondante senza scrupolo…
Se ciò nonostante vi sentite indebolire lo stomaco, parlatene subito con il Confessore prima che ne
abbiate sofferto, e chiedetegli se non giudica di dispensarvene almeno per qualche giorno della
settimana…
Quanto all'avvento, ed in tutto il rimanente dell'osservanza, rimettetevi ciecamente al volere della
Superiora come una figlia con sua madre” (Appunti spirituali, ecc., AOMV, S. 5,2,7:223 n. 11).
C2,363:S
Lanteri alla Santa Sede
20 luglio 1814
La situazione religiosa in Piemonte all'indomani della caduta napoleonica – Alcuni vescovi filogiansenisti – Infiltrazioni
eretiche nel seminario e nell'università di Torino – Politica religiosa piuttosto ambigua del governo sardo
Originale in Archivio Vaticano (fotografia in AOMV, S. 5,3,6:253)
C2,363:I
Pubblicato integralmente per la prima volta da Savio, 544-558, parzialmente da Ilario Rinieri S.J., Il P. Francesco
Pellico e i suoi tempi, I, Pavia 1934, 258-259, e da P. Calliari, I tempi e le opere, 127-130.
L'originale, senza nome e senza data, si trova nell'Archivio Vaticano, Nunziatura di Savoia, Cartario di Stato, sm; la
minuta in AOMV, S. 2,2,18:156a.
Contiene una denuncia dettagliata e documentata dello stato religioso del Piemonte con particolare riferimento al clero,
ad alcuni vescovi ancora legati al regime e alla mentalità francesi, agli studi nel seminario arcivescovile e nell'università
di Torino (quest'ultima, con la sua facoltà di teologia, era come la continuazione e il completamento del seminario), ecc.
Il Lanteri insiste molto sul perdurare degli errori giansenisti, gallicani e febroniani sia nel seminario sia nell'università,
sostenuti da diversi esponenti molto in vista nella città subalpina, con influsso negativo su tutte le altre città del
Piemonte, e tacitamente, o anche apertamente, sostenuti dal governo che già fin d'allora era stranamente animato da una
sorda avversione a Roma e alla Chiesa romana: altri dati storici contemporanei vengono a confermare la giustezza delle
osservazioni del padre Lanteri, come dimostra con abbondante documentazione il padre Ilario Rinieri nell'opera sopra
citata.
Non è improbabile che la disgrazia che incolse più tardi i due maggiori esponenti di questo “clero scandaloso”
piemontese, Giuseppe Tardì e Pietro Bernardo Marentini, sia dovuta in parte anche a questa relazione inviata dal Lanteri
alla Santa Sede.
La data del 20 luglio 1814 è confermata dal Rinieri che l'ha controllata negli archivi vaticani.
C2,363:T
Stato ecclesiastico del Piemonte
C2,363:T1
1. Vescovi
I vescovi tutti si sono dimostrati ben osservanti delle leggi organiche e zelanti per l'insegnamento
nei seminari delle quattro proposizioni del 1682.
Nella diocesi di Casale il vescovo è sempre stato assente; regna molto il giansenismo; vi è in
Alessandria qualche parroco notoriamente massonico*1.
C2,363:T2
2. Capitoli
I capitoli diedero tutti le loro “adresses” richieste dal governo e pubblicate in approvazione
dell'elezione del vescovo nominato dal governo in vicario capitolare, e questo immediatamente
dopo la pubblicazione fatta dall'imperatore del decreto di Sua Santità a questo riguardo.
C2,363:T3,1
3. Vescovi nominati dal governo passato nel Piemonte
1. Il vescovo nominato per Vercelli è il teologo Tardì*2. Questi era già stato fatto dal governo
economo dei beni ecclesiastici per tutta la 27a divisione in marzo 1803. Dal governo accettò pure ed
ebbe commissione di organizzare le chiese della Toscana. Fu nominato dall'arcivescovo di Torino
in suo vicario generale onorario, e si assicura che diede a qualche religioso professo la dispensa dai
voti solenni, perché si possa maritare; si esibì pure di dispensare un suddiacono.
Dacché fu nominato vescovo di Vercelli, fu pure eletto da quel capitolo, ad invito del ministro dei
culti, in vicario capitolare; dispensò quindi i fedeli della diocesi con una lettera circolare dal
precetto dell'astinenza dalle carni in tempo di quaresima “in virtù delle facoltà apostoliche a noi
delegate”; si usurpò, inoltre, più di 100.000 franchi di quella mensa vescovile, impiegandoli in un
lusso esorbitante.
In qualità d'economo generale dei beni ecclesiastici, per parte del governo prendeva possesso di tutti
i benefici di ius patronato laicale, che non venivano affrancati secondo le leggi stesse del governo;
fu inoltre in continua relazione col ministro dei culti e si dimostrò persecutore degli ecclesiastici che
si dimostravano particolarmente addetti alla Santa Sede, a segno che era reputato commissario
dell'alta pulizia in riguardo ai preti, e come tale si regolava.
Finalmente egli è in relazione con tutti i giansenisti del paese e loro confidente protettore.
C2,363:T3,2
*3
2. Il vescovo nominato per la diocesi di Piacenza è il canonico Marentini . Questi ebbe
commissione dal governo di organizzare le chiese delle Isole Ioniche, e vi si recò per eseguirla.
Fu anche nominato dall'arcivescovo di Torino in suo vicario generale onorario, e in tale qualità
accordò pure alcune dispense dai voti solenni a qualche religioso perché si maritasse.
Nominato vescovo di Piacenza, fu eletto dal proprio vescovo di quella diocesi in suo vicario
generale e se ne appropriò i redditi; ed è in intima relazione con i più famosi giansenisti, e
particolarmente con il vescovo di Pavia, il quale si dice carteggiare con monsignor Grégoire,
vescovo intruso dei più famosi della Francia.
C2,363:T3,3
3. Il vescovo nominato per la diocesi d'Acqui è il canonico Toppia, vicario capitolare di quella
diocesi, e ne continuò l'esercizio anche dopo la nomina del governo, prendendo i redditi del
vescovado.
Questi permetteva che si studiasse la teologia di Lione, che si trova all'indice.
Tutti e tre assieme i suddetti vescovi prestarono in Parigi nelle mani dell'imperatrice il giuramento
di fedeltà con le insegne episcopali.
C2,363:T3,4
4. Il vescovo nominato per la diocesi d'Asti è l'abate Dejan, noto per le sue stravaganti pastorali, il
quale amministrò la diocesi nello spirituale e temporale: ora produce le Bolle d'istituzione e dice di
averle trovate negli archivi di Parigi e fa per questo impegni in Torino*4.
C2,363:T4
4. Vescovi in vista per l'arcivescovado di Torino
Si vocifera che il vescovo di Ivrea, monsignor Grimaldi*5, possa venire nominato alla diocesi di
Torino. Personaggio timido, che brama di stare in pace con tutti. Questi era esattissimo
nell'osservare le leggi del governo ed attentissimo nel corrispondere con il ministro dei culti per
tutto ciò che riguardava la predicazione, ordinazione ecc. Sottoscrisse anch'esso il decreto
dell'ultimo conciliabolo di Parigi – si dice in qualità di segretario della commissione –. Domina
moltissimo il giansenismo nella diocesi; ed infatti non v'è frequenza di sacramenti, e nel seminario
si permette la lettura della teologia di Lione.
Monsignor della Marmora, vescovo di Saluzzo, si dice pure proporsi per l'arcivescovado di Torino.
Egli era tutto addetto al governo. Si dice che abbia ricusato di ordinare un giovane ecclesiastico,
munito delle facoltà conferitegli da Sua Santità in Savona, e questo per avere spedite le dette facoltà
al ministro dei culti e averne ricevuto dal medesimo la proibizione.
I parroci possono difficilmente essere dal medesimo sentiti, e si dice per motivo che gode poca
sanità.
L'abbate Bricherasio vicario generale onorario*6. Questi concedeva facilmente facoltà di leggere
libri proibiti; è poco versato in teologia e protettore del governo scorso.
C2,363:T5
5. Soggetti in vista per essere nominati vescovi per le diocesi vacanti
del Piemonte
Questi è il teologo Sineo, nominato dall'arcivescovo defunto di Torino in suo vicario generale
onorario e canonico onorario della cattedrale.
Attualmente egli è professore d'eloquenza sacra nel seminario arcivescovile e direttore spirituale
dell'università.
Recitò nel 1807, nell'università di Torino, un'orazione che stampò corredata di varie note, nelle
quali si trova insinuato il richerismo, tollerantismo ed altri gravissimi errori; sarebbe, pertanto,
opportuno che venisse esaminata dalla congregazione dell'indice.
In altro discorso, nell'università, nell'occasione della nascita del così detto re di Roma, terminò con
augurare alle aquile – dei francesi – di volare sul Campidoglio ed ivi fermarsi tranquillamente.
Affermò che la società massonica era esente da ogni censura, perché conosciuta e tollerata dal
governo. Affermò pure che il Breve di Sua Santità datato da Savona a Firenze è di nessuna
importanza, perché non pubblicato legittimamente. Asseriva non fare autorità la Bolla Auctorem
fidei, perché non pubblicata. Le sue massime sono tutt'altro che favorevoli alla Santa Sede. Con
speciosi ragionamenti scusava tutte le operazioni del governo francese, e persino la cattura di Sua
Santità.
Gode il medesimo moltissimo credito presso la nobiltà e molti ecclesiastici, massime giovani, atteso
particolarmente il suo modo di predicare molto famigliare e pulito, filosofico però più che altro.
C2,363:T6
6. Torino – Seminario e professori
Nel seminario arcivescovile è professore di storia ecclesiastica: 1. l'avvocato Bessone, il quale
insegna parecchie novità ed errori, come può vedersi dai suoi scritti, oltre la difesa delle quattro
proposizioni così dette del clero gallicano; egli è amicissimo della migliore gioventù e facilmente
sarà proposto per professore di canonica nell'università di Torino, e non mancherà di insegnare
caldamente il febbronianismo con tutti gli errori dell'avvocato Bon, ultimo professore della suddetta
università, del quale egli è degno allievo*7.
2. Il teologo Bardi, professore di Sacra Scrittura. Questi promuoveva il Juenin, che si trova
all'indice.
3. Il teologo Agodino*8, professore di morale. Questi è caldo per sostenere le quattro proposizioni
del 1682.
4. Il teologo Bruno, professore di dogmatica. Questi è buono, sebbene per debolezza sottoscrisse
con tutti gli altri professori le quattro proposizioni suddette.
C2,363:T7
7. Clero
Nel clero la dottrina del giansenismo è professata da alquanti ecclesiastici, e ignorata dalla maggior
parte; viene anche professato da alcuni il febbronianismo, essendo questa la dottrina che si insegna
nell'università, di cui comunemente se ne ignora il veleno; e vi è in moltissimi poco, o nessun
attaccamento ai decreti e decisioni della Santa Sede e proibizione dei libri, con il pretesto che
mancano di pubblicazione.
C2,363:T8
8. Governo
La revisione del governo del paese è munita di istruzione segreta, per cui non si lascia stampare, né
introdurre libri contro il giansenismo e le quattro proposizioni, ed altri libri che apertamente
sostengono i diritti della Santa Sede.
Tolse le lezioni proprie di S. Gregorio VII*9. Regna l'indisposizione decisa contro i nunzi. Sembra,
per altro, esservi disposizione di ricorrere per questa prima volta al Sommo Pontefice per un
arcivescovo. Con il pretesto dell'essersi inteso nel Concordato non aver alcun effetto i decreti di
Roma, eccetto che vi sia annesso l'exequatur del senato reale, non si lasciano introdurre, stampare,
né pubblicare i decreti della Santa Sede – non si poté neanche stampare la Bolla Auctorem fidei –.
Fu ed è persino escluso l'indice dei libri proibiti*10.
Dal che viene che molti teologi, sul principio che tale indice non è legittimamente pubblicato negli
Stati del re di Sardegna, ne deducono e sostengono che non sono proibiti per tali stati i libri che si
trovano all'indice. Quali funeste conseguenze per l'incauta gioventù! È da notarsi che si vede tuttora
regnare nel governo lo stesso spirito, non perché tale sia anche lo spirito del sovrano, il quale è
religiosissimo e animato dalla più buona volontà, ma perché questo è ancora conseguenza dello
spirito antico.
A tanti mali vi sarebbe speranza di qualche rimedio, qualora venisse scelto, almeno per Torino, un
arcivescovo di carattere fermo e deciso, di dottrina romana, di prudenza e santità. Tale non vi ha
speranza di averlo, se non da Sua Santità. Il re non è alieno, anzi vi dimostrò qualche disposizione, e
qualora venisse in qualche modo animato, sicuramente ne farebbe la richiesta.
C2,363:*1
Del clero affigliato alla massoneria o simpatizzante per la setta che si trovava in Alessandria nel
primo decennio dell'Ottocento parla una relazione redatta nel 1807, ma spedita a Roma solo nel
1815 da mons. Ambrogio Bolla, arcidiacono della cattedrale di Alessandria, amico e corrispondente
del Lanteri (v. lettera del Bolla a Lanteri del 20 febbraio 1828, Carteggio, V, 168-169, dove il Bolla
domanda di entrare nella Congregazione degli Oblati), nella quale si legge tra l'altro:
“Quello però che reca maggior dolore ai buoni è il vedere introdotta in detta città [Alessandria],
altre volte così cattolica… la setta pestifera e infernale dei franchi muratori, dei quali in addietro si
sapeva appena il nome… Si accrebbe lo scandalo nei cittadini all'essersi sparsa voce costante che
due parroci della città ed uno forense si siano lasciati strascinare da temporali riguardi ad arruolarsi
nella seconda di dette società, o logge [la loggia Des Amis de Napoléon le Grand, sopra ricordata], e
furono osservati recarsi nel suddetto seminario [vescovile, sede della loggia] per intervenire alle
scene e radunanze dei franchi muratori. Sono essi il padre Raffaele Piacenza, già carmelitano,
parroco di Santa Maria del Carmine. Il padre Agostino Pobtton, già agostiniano della
Congregazione di Lombardia, parroco dei santi Stefano e Martino, ed il padre Francesco Marazzani,
già dell'ordine dei Servi di Maria, parroco di Santa Maria nel borgo di Castellazzo, nel distretto altre
volte già della diocesi di Alessandria… E comunque per il rossore di comparire ascritti alla setta
abbiano usato ed usino tuttavia molti artifici per ricoprirsi, pure non riesce loro di dissipare la
pubblica opinione contro di essi, e lo scandalo dato…” (riportata integra da Savio, 544-546, nota).
Altre notizie sulla massoneria in Piemonte ai primi dell'Ottocento (con accenno anche a preti
massoni) v. F. Ruffini, Giansenisti piemontesi, 118-122 e passim; P. Calliari, I tempi e le opere, 9395.
C2,363:*2
Tardì Giuseppe (Torino 1751-1821), cfr. F. Ruffini, op. cit., 1929, 34-48; P. Calliari, op. cit., 104.
C2,363:*3
Marentini Pietro Bernardo (Saluzzo 1764-1840), fu coinvolto nei movimenti del 1821 e per dieci
anni dovette esulare a Lione (1821-1831) finché fu richiamato e graziato da Carlo Alberto. Cfr. F.
Ruffini, op. cit., 48-52 (con bibliografia); P. Calliari, ivi, 105.
C2,363:*4
Giovanni Francesco Toppia, n. a Perletto (Acqui) il 28 gennaio 1754, m. a Vigevano il 20 luglio
1828. Laureato in utroque a Torino nel 1779, canonico e vicario generale di Tortona; canonico,
proposto della cattedrale e vicario capitolare di Acqui; arcidiacono della cattedrale e vicario
generale di Mondovì; nominato vescovo di Vigevano il 25 marzo 1818 (HC, VII, 396).
– Dejan François-André, canonico onorario di Carcassonne, fratello di un ministro, eletto nel 1809
vescovo costituzionale di Asti per volontà di Napoleone, senza l'autorizzazione del Papa, rimase ad
Asti fino al 1814.
Dopo la morte di Mons. Pietro Antonio Gattinara (gennaio 1809), i canonici della cattedrale di Asti
elessero Vicario Capitolare il can. Evasio Dani, ma Napoleone il 5 maggio nominò d'autorità il
Dejan. I canonici di Asti, con soluzione di compromesso, accettarono il Dejan come secondo
Vicario Capitolare insieme col Dani. Ma l'espediente non garbò al governo francese, né tanto meno
a Napoleone che aveva fatto sua la questione di Asti: soppresse i cinque canonicati dei canonici
contrari che furono relegati a Fenestrelle, interessò l'arcivescovo di Torino Giacinto della Torre,
come metropolita, e il Ministro dei Culti Bigot de Préameneu, e a Asti fu messo, come vescovo, il
Dejan. La condotta del nuovo vescovo fu poco edificante, non solo per il vile servilismo delle sue
“stravaganti” pastorali, tutte esaltazione di Napoleone, delle sue vittorie, della Francia ecc., ma
anche per la sua condotta privata, tanto che lo stesso principe Borghese se ne lamentò col
Préameneu, e il Dejan fu obbligato a recarsi a Parigi per scolparsi (febbraio 1812), ma con gli
intrighi e le raccomandazioni poté conservare la sede fino alla caduta di Napoleone (Chiuso, II,
340-342; 351-354).
C2,363:*5
Giuseppe Pietro Francesco Grimaldi, n. a Moncalieri il 3 gennaio 1754, m. a Vercelli 1o gennaio
1830, era rettore del seminario di Vercelli e canonico in quella cattedrale quando il 24 luglio 1797
fu nominato vescovo di Pinerolo, traslato a Ivrea il 1o febbraio 1805 e finalmente a Vercelli il 1o
ottobre 1817 (P.B. Gams, 821, 817, 826).
C2,363:*6
Giuseppe Cacherano di Bricherasio (1768-1836), canonico della metropolitana di Torino.
C2,363:*7
In quel tempo il Lanteri scriveva il suo opuscolo, De declaratione cleri gallicani anno 1682, che poi
inviava alla S. Sede, e il cui originale si trova nell'Archivio Vaticano, Nunziatura di Savoia, II, sm
(manca la minuta in AOMV) e di cui in AOMV si ha una stesura in italiano dal titolo: Memorie
contro il gallicanesimo, di diverse mani, con correzioni del Lanteri (AOMV, S. 2,4,5:198).
C2,363:*8
Evasio Secondo Agodino, n. a Torino nell'agosto 1767, m. ad Aosta il 24 aprile 1831, laureato in
teologia a Torino nel 1787, fu per diversi anni professore di morale all'università, canonico del
Corpus Domini e parroco, nominato vescovo di Aosta nel 1824 (HC, VII, 94).
C2,363:*9
S. Gregorio VII, il forte Ildebrando, sostenitore dei diritti della Chiesa contro il potere civile, era
particolarmente ostico ai governi liberali del primo Ottocento, che ne combattevano il culto perfino
nelle letture del breviario con un accanimento che oggi ci fa sorridere e che più convenientemente
avrebbe potuto essere indirizzato ad altri campi. Ecco cosa ne scrive il card. G. Spina, arcivescovo
di Genova, alla Segreteria di Stato il 3 dicembre 1817:
“Non devo tacere a V. Eminenza che in quest'anno ancora essendosi in Genova dal mio compilatore
del calendario diocesano consegnato allo stampatore il calendario medesimo, dal regio revisore
delle stampe è stato cambiato l'ordine prescritto per le lezioni del secondo notturno dell'officio di S.
Gregorio settimo, ed in luogo delle prime sono state sostituite quelle del comune. Si è fatto lecito
egualmente il revisore, come già fece l'anno scorso, di apporre all'ultima pagina del calendario
l'imprimatur ne' seguenti termini: ‘V. Imprimatur. – N. Grattarola pro magna cancellaria’, con
ordine allo stampatore di non consegnar il calendario senza queste rispettive variazioni e aggiunte.
Lo stesso è accaduto per i calendari della diocesi di Brugnato e per quelli di diversi ordini religiosi.
Nella necessità di dover far uso del calendario e nell'impossibilità di poterne introdurre uno in
diocesi stampato in paese estero, io non so a qual partito apprendermi, se non a quello di ricorrere
all'autorità del santo Padre…” (citata intera da Savio, 556, nota, che riporta molte altre
testimonianze coeve sugli abusi, partigianeria, pignoleria ecc. della così detta “censura dei libri”,
come si dice nella nota seguente).
C2,363:*10
In una lettera di mons. Ambrogio Campodonico, Incaricato d'affari della S. Sede a Torino, alla
Segreteria di Stato, del 30 marzo 1837, leggiamo alcuni particolari interessanti che ci fanno vedere i
criteri e i metodi seguiti dal governo per censurare i libri di argomento religioso e teologico, che
confermano quanto qui è detto dal Lanteri:
“Nella Gazzetta Piemontese del 29 marzo [1837] vien copiata la serie dei libri ultimamente proibiti
dalla sacra Congregazione dell'indice. Questo è avvenimento singolare in Piemonte, ove la censura
civile, destinata a vegliare contro l'introduzione dei libri cattivi, vegliava anche più contro i decreti
di condanna usciti dalla S. Sede. Fra le istruzioni segrete che questi censori si trasmettevano l'un
l'altro, forse da un secolo fa, vi era fra le altre la regola ‘non doversi tener conto dei libri proibiti a
Roma, per non privare i sudditi di Sua Maestà di molte utili cognizioni’.
Il merito di questa utile innovazione è tutto del signor conte Solaro della Margherita… Il pio
ministro… è riuscito, malgrado tutti gli ostacoli, ad abbattere una notabile parte del muro
giansenistico, che lo scorso secolo innalzò fra questo paese e la Santa Sede. Dato il primo passo non
saran difficili i seguenti” (riportato da Savio, 557, nota, dall'originale in Archivio Vaticano,
Nunziatura di Savoia, II, sm, min.).
C2,378:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
24 agosto 1814
Passaggio a Firenze di Mons. Formentin e di Mons. Borderies – I due figli del Ricasoli studiano presso i gesuiti –
Necessità di collaborare al ristabilimento degli Ordini religiosi
Originale in AOMV, S. 5,2,4:210 (S. 1,17,25a:1531)
C2,378:T
Pregiat.mo Sig. Priore A.C.
Torino li 24 agosto 1814
Mi furono raccomandati da Parigi due eccellenti soggetti, uno è Mr. Formentin Vic. Generale di
Soissons, l'altro è Mr. Borderies*1 suo compagno, ed intimo amico; per quel poco che li ho trattati,
ho trovato che hanno ottimi principi, e veramente zelo per la Gloria di Dio; e perciò ho pensato di
raccomandarli pure a V.S. Ill.ma, e Dilettissima. Sono essi di passaggio per andare a Roma, perciò
la prego di voler loro procurare quegli indirizzi di cui possono abbisognare persone forestiere e di
merito.
Grazie a Dio i Gesuiti sono ristabiliti, e mi congratulo con lei che siano giunti a tempo, perché i suoi
figli possano profittarne*2; conviene ora tentare ogni modo perché vengano pure presto ristabiliti nel
paese; e coadiuvare intanto anche il ristabilimento delle altre Religioni dell'uno, e dell'altro sesso,
essendo questo un grande mezzo per promuovere la Gloria di Dio, e la salute delle anime; che se
Ella può aver parte in questo ristabilimento, pensi di quanto bene si fa ella partecipe: studi dunque,
e si adoperi senza requie per procurare un tanto bene.
La prego dei miei più distinti rispetti alla Degnissima sua Sig.ra consorte, e con particolare stima e
considerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma e Dil.ma
Um.mo Dev.mo Obl.mo Servitore ed A.C.
T. Pio Bruno Lanteri
All'Ill.mo Sig. Sig. Pn Colmo
Il Sig.r Conte [sic] Leopoldo Ricasoli
Priore dell'Ordine di Santo Stefano
sul ponte alla Carraia
Firenze
C2,378:*1
Borderies Stefano Giovanni Francesco, n. a Montauban il 24 gennaio 1764, ordinato sacerdote l'8
marzo 1788, fu per circa 20 anni parroco di San Tommaso d'Aquino a Parigi, poi vicario generale di
Parigi. L'8 aprile 1827 fu nominato vescovo di Versailles, consacrato il 29 luglio seguente. Morì a
Versailles il 4 agosto 1832 (HC, VII, 394; Feller, II, Suppl., 24-27).
C2,378:*2
Due figli del Ricasoli fecero i loro studi presso i gesuiti: Luigi e Alessandro, che poi tentarono di
entrare nella Compagnia, ma solo Luigi divenne gesuita, mentre il fratello, uscito durante il
noviziato, divenne sacerdote diocesano e canonico della primaziale di Firenze.
C2,386a:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
2 ottobre 1814
Trent'anni di professione religiosa – Esercitarsi sempre nei buoni desideri di migliorare
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:113
C2,386a:T
Très Honorée Sr. en Jésus-Christ
Je me réjouis avec vous des 30 ans de Profession, je suis charmé de vous voir toute pleine de bonne
volonté. Prenez seulement garde de faire peu de cas de cette bonne disposition parce qu'elle n'est
pas suivie toujours des bons effets, sachez que les bons désirs sont récompensés, comme sont punis
les mauvais; ainsi tâchez de vous exercer tant que vous pouvez en désirs, qui sont une espèce de très
bonne oraison qui ne manquera pas de vous attirer bien des grâces; gardez-vous seulement de
l'ennemi, qui cherchera de vous en faire perdre l'estime, et ensuite la pratique; vous savez l'éloge de
Daniel, Vir desideriorum, tâchez de l'imiter sans excuse. Ayez soin de votre santé, priez pour moi,
je vous bénis
[Bardassano] ce 2 octobre 1814
V.P. en Jésus-Christ
L.
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
C2,399b:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
25 novembre 1814
Ristampa dell'Examen sur les 4 Articles – Difficoltà per il ristabilimento dei gesuiti in Toscana – Libri consigliati per la
meditazione e la lettura spirituale
Originale in AOMV, S. 5,2,4:211 (S. 1,17,25a:1532)
C2,399b:T1
Ill.mo e Pregiat.mo Sig. Priore A.C.
La ringrazio distintamente del grazioso accoglimento fatto ai due bravi Ecclesiastici francesi*1, di
cui so che non cesseranno di lodarsene, e dimostrarsene ben riconoscenti, sebbene io non abbia più
potuto rivederli al ritorno, perché mi trovavo in campagna: per questo stesso motivo restai pure
privo della consolazione di abbracciare i cinque Gesuiti Irlandesi con sommo mio rincrescimento;
se avessi saputo per tempo il loro arrivo in Torino, mi sarei per tale effetto portato in Città, ma
trovandomi alquanto lontano, ne ricevetti la notizia troppo tardi.
Ho ricevuto i fogli ed i libretti, ne la ringrazio distintamente, e li distribuirò agli amici. Godo poi
infinitamente che si sia tradotto e stampato costì l'Examen des 4 Articles, e la supplico del favore di
tenerne in pronto 12 copie, e rimetterle a M.Z. [Marchese Zei] nel suo ritorno, ove gli fosse comodo
d'incaricarsene, e volesse farmi tale grazia con rimborsarla ad un tempo, altrimenti la prego di
spedirmeli alla prima occasione sicura, e significarmene il prezzo.
Mi rincresce al vivo che non vi sia costì speranza prossima dei Gesuiti, con tutto ciò credo bene che
non tralascerà di approfittarsi per i suoi figliuoli di un qualche Collegio che mi immagino presto si
ristabilirà per l'Educazione della gioventù.
C2,399b:T2
Del resto ringrazio di cuore il Signore della quiete del suo cuore, che sento che Ella gode da lungo
tempo, né poteva scegliere un mezzo più efficace per conservarsela, quanto la frequenza dei S.
Sacramenti; vi aggiunga ancora stabilmente ogni giorno un po' di meditazione e di lettura spirituale,
e non tema che il Signore le accorderà il rimanente che desidera; sia persuasa che la difficoltà di
continuare un tale sistema è più nell'apprensione che nella realtà; pensi che Dio merita tutto, né si
lascia vincere in generosità. Forse per libro di meditazione potrebbe giovarle il P. Huby, e per
lettura spirituale La Consolation du Chrétien, ovver Les Pensées de Bourdaloue, o Le Chrétien par
le sentiment massime il volume secondo, seppure non li ha già tutti letti e riletti.
In ogni caso se V.S. Pregiat.ma vorrà favorirmi un piccolo ragguaglio su quanto sopra, sia sicuro
che non potrà recarmi maggior piacere, accettando fin d'ora, con grandissima mia soddisfazione,
l'invito che mi propone del carteggio mensuale.
La prego intanto dei miei più distinti ossequi alla Degnissima Sig.ra Contessa, ed ai comuni Amici,
e con particolare stima e riconoscenza mi protesto
Di V.S. Pregiat.ma
Torino li 25 novembre 1814
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Servo ed A.C.
L.
(timbro postale lineare TORINO 10 DICEMBRE)
All'Ill.mo Sig. Sig. Pn Colmo
Il Sig. C.e Leopoldo Ricasoli
Priore dell'Ordine di Santo Stefano
Firenze
C2,399b:*1
I due personaggi francesi sono Mons. Formentin, Vicario Generale di Soissons, e Mons. Francesco
Borderies, futuro vescovo di Versailles, cfr. lettera Lanteri a Ricasoli del 24 agosto 1814.
C2,402:S
Lanteri a Sua Santità Pio VII
1814
Le ex monache agostiniane di Torino supplicano la protezione del Papa per rientrare in possesso del loro monastero
Minuta in AOMV, S. 2,1,10a:122 a
C2,402:I
La minuta è di mano Loggero con correzioni marginali del Lanteri. Non si sa se la lettera fu spedita. Però era firmata
dalle 17 monache agostiniane, non dal Lanteri al quale si deve la sola redazione del testo.
C2,402:T
Beatissimo Padre
Le Religiose del Monastero del Ss. Crocifisso eretto in Torino per Breve di S.S. Gregorio XIII
nell'anno 1580, in numero ancora di diciasette comprese 3 converse, esultando di consolazione nel
Signore per il trionfo della santa Religione nel glorioso ritorno di S.S. all'augusta Capitale del
Mondo Cristiano*1, e desiderando di tutto cuore di ritirarsi, e riunirsi a lodare, e servire il loro
Celeste Sposo Gesù Cristo nel loro antico Asilo, dal quale vennero violentemente strappate dall'ora
estinto Governo Francese li 30 marzo 1801; come ebbero allora l'onore di partecipare a S.S., quali
figlie che sempre godettero lo speciale privilegio di essere immediatamente soggette alla Paterna
cura della S. Sede, come consta sì dal detto Breve, che dall'avere nel primo giorno dell'anno 1647
dall'Ill.mo e Rev.mo Monsignore Alessandro Crescenzio Vescovo di Bitonto Nunzio Apostolico
presso S.M. il Re di Sardegna, ricevuto l'abito Religioso, e le Costituzioni secondo la Regola di S.
Agostino col titolo di Monache del Ss. Crocifisso, e con intera clausura, e finalmente dall'essere
sempre state governate per mezzo dei Nunzi Apostolici, e in loro mancanza dai Delegati della
medesima S. Sede, l'ultimo dei quali fu Monsignor Buronzo del Signore Arcivescovo di Torino;
umilmente ricorrono ai piedi di S.S., acciò voglia degnarsi di dare le opportune paterne provvidenze
a questo riguardo, avendo l'onore di partecipare nello stesso tempo a S.S., che già porsero esse una
supplica a S.M. il Re di Sardegna Vittorio Emanuele, or ora felicemente giunto con universale
applauso, e contento in Torino*2, per ottenere, come sperano, la restituzione del loro Monastero per
tratto speciale di Provvidenza rimasto quasi intatto, unitamente a parecchi considerabili crediti in
mezzo a tante vicende, massime che già questo loro Monastero era stato chiesto alla prefata M. da
Religiose di altri Monasteri.
Nella piena confidenza pertanto, Beatissimo Padre, di essere presto consolate della paterna di Lei
bontà, non cesseranno di porgere ardenti voti al Sommo Datore di ogni bene, acciocché si degni di
spandere sopra S.S. la pienezza dei suoi doni, per il bene universale dei Fedeli, mentre prostrate al
bacio dei Suoi Santissimi piedi, umilmente ne implorano la Paterna Apostolica Benedizione*3.
C2,402:*1
Pio VII tornò a Roma il 24 maggio 1814, trionfalmente accolto da tutta la città. Era stato allontanato
da Roma il 6 luglio 1809, soggiornando alternativamente a Savona (palazzo vescovile) e a
Fontainebleau.
C2,402:*2
“La solenne entrata del re (Vittorio Emanuele I) in Torino ebbe luogo il 20 maggio 1814. Venendo
egli da Moncalieri, ricevette alle porte della città le chiavi presentategli dal municipio conforme le
consuetudini antiche; e accolto dall'esercito e dai cittadini con sincere dimostrazioni di affetto,
procedette alla metropolitana. Qui smontato, pigliò l'acqua lustrale da Mons. Solaro, e
accompagnato dai vescovi sopra ricordati che insieme col capitolo gli avevano fatto onorevole
ricevimento, si inoltrò nel presbiterio, ove pigliato posto al genuflessorio per lui apparecchiato,
assistette al Te Deum e alla benedizione del Santissimo Sacramento” (T. Chiuso, op. cit., III, 5).
C2,402:*3
Il monastero del S. Crocifisso non fu più restituito dal governo sardo alle loro legittime proprietarie,
malgrado altri tentativi fatti dalle religiose e dallo stesso Lanteri (v. lettere del Lanteri al re Vittorio
Emanuele I [1815] e al re Carlo Felice del 21 settembre 1822).
C2,404:S
Lanteri a una dama sua penitente
dopo 1814
Mezzi per conservarsi fedele in una occasione involontaria di peccato – Umiltà – Pensiero della presenza di Dio –
Calma interiore ed esteriore
Minuta in AOMV, S. 2,1,7a:86
C2,404:I
Non si può stabilire con certezza chi sia la destinataria di questa lettera. Dal testo si arguisce che è una persona sposata.
Difficile anche stabilire la cronologia, ma da tutto l'insieme pare che il clima sia quello della Restaurazione, quindi dopo
il 1814.
C2,404:T1
dopo 1814
Je réponds un peu tard, c'est pourtant au plus tôt possible. Je suis bien aise que vous m'ayez
manifesté votre peine, qui certainement n'est pas petite, mais soyez tranquille, jusqu'à présent il n'y
a point de mal devant Dieu, au contraire vous vous êtes très bien réglée; on voit bien que le bon
Dieu vous a inspiré la conduite que vous deviez tenir, et il vous assista d'une manière particulière; il
faut donc lui en rendre bien des grâces*1.
Nonobstant, pour votre plus grande sûreté, je vous tracerai le plan de conduite que vous pratiquerez
avec la plus grande tranquillité possible.
1. Soyez humble plus que jamais, parce que c'est là le dessein de Dieu en vous envoyant cette sorte
de peine; soyez bien humble devant Dieu parce que c'est alors que vous vous attirerez de la part de
Dieu abondamment toutes les grâces dont vous avez besoin; entrez donc souvent en vous-même,
regardez le fond d'un orgueil qui y règne et comme y dominent aussi d'autres passions les plus
humiliantes, qu'il n'est pas à vous de vous en délivrer; reconnaissez ce que vous êtes de vous-même,
confessez que vous êtes la misère même, recourez ensuite à la Bonté infinie de Dieu, criez
incessamment Abyssus miseriarum invocat abyssum misericordiarum.
C2,404:T2
2. Vivez toujours en la présence de Dieu, tâchez principalement de vous en souvenir dans les
circonstances [les] plus difficiles, pensez que le bon Dieu vous est présent, qu'il se plaît à voir
comme vous vous comportez dans ce temps de tribulation; pensez encore que sa présence n'est
point inutile et stérile, mais que c'est lui qui vous fournit les armes, c'est-à-dire qu'il vous aide avec
sa sainte grâce toujours très abondante, et infiniment supérieure à toutes les difficultés que vous
pourrez rencontrer, qu'il est même bien empressé de vous faire vaincre, parce que c'est toujours un
père, un ami, un époux le plus amoureux, le plus tendre, le plus intéressé que vous avez devant vous
et à côté de vous; ayez donc souvent de doux entretiens de cœur avec lui, en lui adressant des
humbles mais pressantes et tranquilles jaculatoires, tantôt pour lui demander son assistance, tantôt
pour lui témoigner votre confiance en lui ou votre amour; dites-lui par exemple: Adjutorium
nostrum in nomine Domini*2. In Te Domine speravi, non confundar in æternum*3. Diligam te
Domine fortitudo mea, refugium meum, liberator meus*4 etc.
C2,404:T3
Il faut être
3. Il faut être extrêmement attentive pour ne pas manifester extérieurement ce qui se passe, aucun
trouble en vous; il ne faut pas même admettre aucun trouble dans votre esprit ni dans votre cœur, et
il faudra aussi vous garder bien d'être de mauvaise humeur envers votre prochain, mais il faut
pratiquer la douceur envers vous et envers les autres; pour la pratiquer, souffrez patiemment cette
misère, ne vous condamnez pas si facilement de péché (sachant que tout péché, pour être tel, il faut
qu'il soit volontaire, et fait avec délibération et connaissance, et il ne sera jamais tel tant que vous
abhorrez ces sortes de choses). Tant que vous vous tenez humble et en la présence de Dieu comme
je viens de vous proposer, ne vous laissez donc jamais troubler la paix de votre cœur, mais
pratiquez la leçon de Jésus-Christ qui dit In patientia vestra possidebitis animas vestras*5; prenez
garde de vous décourager; plutôt la mort que perdre le courage, dit S. François de Sales; espérez en
Dieu, et en son temps il vous délivrera; pratiquez la douceur envers votre prochain, parce que c'est
alors qu'on est tenté plus que jamais de mauvaise humeur, et qu'on est plus impatient; souvenezvous de ce que dit le Divin Sauveur: Beati mites quoniam ipsi possidebunt terram*6, c'est-à-dire
bienheureux ceux qui sont doux envers soi et les autres de la façon que je viens de dire parce que
c'est à eux qu'il est réservé de dominer leurs passions.
Mais, direz-vous, comment me régler avec cette personne*7? Je vous réponds: Évitez-la, ne
conversez jamais avec lui sans un vrai motif. Voilà à mon avis l'essentiel de votre lettre; en
attendant nous en parlerons plus au long quand j'aurai l'honneur de vous voir dans peu de jours, et si
vous avez encore quelques peines, vous me le communiquerez. Professant tout l'intérêt possible
pour votre avancement spirituel, je suis*8
C2,404:*1
Il motivo di questa pena è facilmente intuibile dalla finale della lettera: qualche persona estranea,
ma molto vicina alla famiglia, era per la donna occasione di tentazione e un pericolo continuo di
infedeltà coniugale.
C2,404:*2
Sal. 123, 8.
C2,404:*3
Sal. 30, 2.
C2,404:*4
Sal. 17, 2.
C2,404:*5
Luc. 21, 19.
C2,404:*6
Matt. 5, 4.
C2,404:*7
Qui si accenna a una persona determinata, forse nota anche al Lanteri, quella che formava la pena
ed era causa di scrupolo alla dama a cui è indirizzata la lettera. Nella parte cancellata si legge: “(Se
régler) avec liberté d'esprit toutes les fois que vous avez quelque vrai motif de lui parler, parlez-lui
indifféremment, avec simplicité comme à toute autre personne, franchement, ne craignez rien,
tenez-vous tranquille en la présence de Dieu; quoi qu'il se passe en vous, ne craignez rien,
seulement ne vous arrêt [arrêtez]…”
C2,404:*8
Su un foglio a parte (AOMV, S. 2,1,7a:87) annesso a questa minuta di lettera si leggono alcuni
appunti di carattere ascetico che completano il contenuto della lettera. Il testo non è più in francese,
ma in italiano, il che può indicare una redazione posteriore più che una destinazione diversa, il che
però non è del tutto da escludere:
“Si ricordi dunque in qualunque molestia sì interna che esterna cagionata dal suo corpo, o dagli
uomini: riguardo a questo può aspettare la sua persona, servizio, assistenza, soccorso, conforto. Si
ricordi di essersi sacrificata tutta a Dio, tutta abbandonata ad ogni suo volere, ad ogni sua
disposizione. In tutto dunque Fiat voluntas tua. Sit nomen Domini benedictum. Dica che si intende
sempre rinnovare lo stesso sacrificio per lo stesso fine. Riguardo al prossimo con cui avrà da
conversare, non abbia di mira che la maggior gloria di Dio; suo scopo sia di non lasciar fuggire
occasione di farlo conoscere. Costanza nelle solite pratiche, ogni settimana, ogni mese, ogni giorno;
libertà…”.
Nello stesso foglio si trova una preghiera composta dal Lanteri, evidentemente perché fosse recitata
dalla sua penitente:
“Grande Iddio, io indegna vostra serva umilmente prostrata innanzi la Maestà e grandezza vostra
infinita, e alla presenza di tutta la corte celeste, mi sottometto a soffrire per mio marito tutti quei
tormenti possibili in vece sua, che dovrebbe soffrire egli stesso, scaricate pure in vece sua sopra di
me tutti i vostri flagelli che io liberamente…
Sottometto il mio corpo a qualunque patimento, persecuzione, malattia, dolore, disprezzo,
abbandono per parte di Dio e delle creature, croci, malattie, ciò che volete che io sia o non sia.
Sottometto il mio spirito a qualunque afflizione, abbattimenti, terrori, oscurità, insensibilità, pene,
aridità, tenebre, abbandono, dispozion di Dio di me [queste parole sono di difficile lettura], timore,
angustia, desolazione per parte di Dio, rinunzio a ogni gusto, non desiderio che queste pene
diminuiscano o finiscano. Ma quelle anime del purgatorio vi amano; intendo dunque che diate pure
a me un amore simile al loro, un amore vero, sincero, puro, senza alcun mescolamento di gusto,
costante, generoso a fronte di qualunque difficoltà, sincero, costante, generoso, l'amore più grande
che si possa avere, tutto quell'amore di cui è suscettibile una creatura.
Mio Dio, io sento tutto il peso di questo sacrificio, io lo pronuncio con la sola bocca, accettatelo voi
quale è; se in farvi questo sacrificio, se mi inganno, siete voi che mi ingannate, mentre voi mi
comandate di ubbidire ai vostri ministri”.
Su altro foglio di appunti:
1. M'abandonner entièrement à sa conduite
2. Le prier d'entreprendre de dompter mon jugement, et [de] m'attacher tout à fait.
3. Je veux être entre ses mains comme une cire molle ou comme un corps mort, un bâton qui n'a
aucun mouvement que de la main qui le manie.
J'écris la suite de la messe de l'office de l'oraison
Des mouvements du cœur [le] long [de] la journée
C2,407:S
Lanteri ad una suora visitandina sua penitente
dopo 1814
Tentazioni sulla vocazione – Come vincerle – La religiosa deve essere sempre contenta, ma perché crocifissa – Dottrina
spirituale di S. Francesco di Sales
Minuta in AOMV, S. 2,1,7a:88
C2,407:I
La penitente a cui il Lanteri invia questa lettera era prima suora carmelitana, e poi, per motivi che non sappiamo,
visitandina: essa pensa che la nuova vita nella Visitazione, meno austera e severa di quella carmelitana, non sia
conforme alla volontà di Dio. Di qui le esortazioni del Lanteri.
Forse il manoscritto conservato in AOMV comprende la minuta di due lettere del Lanteri alla stessa, e non di una sola.
C2,407:T1
dopo 1814
La lecture de votre papier ne m'a point troublé dans la substance; je n'y vois que tentations. Si vous
eussiez raison de craindre de votre vocation, ce serait pour avoir voulu résister de suivre le meilleur
parti, c'est-à-dire le parti [le] plus conforme à l'esprit de Jésus-Christ; or vous ne pouvez dire d'avoir
voulu résister à la volonté de Dieu, parce que si vous eussiez connu, [ou] pensé de résister à la
volonté de Dieu, vous vous seriez certainement opposée aux propositions des autres, et si le bon
Dieu a permis que les raisons qu'on vous alléguait alors vous aient persuadée, vous n'avez donc
point manqué de bonne volonté, mais c'est le bon Dieu qui décida votre sort; et puis je balancerai
bien pour décider quel parti serait le plus conforme à l'esprit de Jésus-Christ, et même le plus
rigoureux. Vous n'avez pas ici, c'est vrai, tant d'austérités extérieures, mais vous avez d'autant plus
d'abnégation de volonté, et c'est ici que consiste principalement l'esprit de Jésus-Christ, et si votre
corps est un peu plus épargné, c'est pour servir l'esprit, qui doit être d'autant plus crucifié; c'est donc
même pour résister aux coups de marteaux qui doivent enfoncer davantage les clous dans votre
volonté.
Savez-vous, selon moi, quelle est votre vocation? Ce n'était point d'être Carmélite, ni Visitandine
contente et satisfaite, mais d'une Visitandine crucifiée selon le véritable esprit de votre Fondateur S.
François de Sales. Voilà votre sort fixé de Dieu, qui sait former toutes sortes d'états; c'est donc
d'attendre continuellement des croix, ou d'une sorte ou d'autre, de sorte que si vous passez quelque
moment sans croix vous devez penser que ce n'est pas là votre état, mais que c'est le bon Dieu qui,
connaissant votre faiblesse, veut bien vous laisser respirer quelque peu, et alors vous devez vous
tenir bien humble, et vous préparer à d'autres combats. Relisez souvent ce que dit le P. Huby*1, et les
Saints au sujet des croix, et vous prendrez facilement une grande idée de cet état, que vous ne devez
pas regarder comme un état violent, mais comme votre état naturel où le bon Dieu vous a mise pour
fructifier le centuple, et vous devez seconder son intention et [en] tirer parti. Il veut*2…
C2,407:T2
Aimer pour être aimé des créatures, uniquement pour avoir leur estime et leur amitié serait un
défaut très considérable, mais les aimer pour se rendre maître de leurs cœurs afin de les porter plus
sûrement à Dieu, c'est une preuve du plus grand amour de Dieu, que vous trouverez dans tous les
Saints qui ont zélé davantage [pour] la gloire de Dieu et le salut des âmes, et nommément vous
l'avez trouvé dans S. François de Sales et S. François Xavier. Continuez donc par ce moyen à
gagner des cœurs à Dieu. Vous n'avez qu'un cœur pour aimer Dieu, et de cette façon vous aimerez
Dieu avec tous ces cœurs que vous lui avez gagnés, et qui sait combien d'autres âmes sauveront ces
cœurs que vous avez embrasés d'amour de Dieu, et quelles consolations dans le Ciel pour vous […]
environnée de tant d'âmes qui assureront devoir leur salut à vos soins tendres et amoureux avec
elles. Ah! combien sont-elles exposées dans le monde à des dangers de perdre leur âme, et peut-être
ce degré de plus d'amour de Dieu que vous leur aurez inspiré sera celui qui les conservera fermes et
unies à Dieu, et le démon ne pourra les lui ravir. Continuez donc cette façon douce et insinuante,
inspirée par votre Saint Fondateur, d'éduquer vos élèves, et vous serez plus dans l'occasion de porter
la devise de Jésus-Christ qui dit Discite a me, quia mitis sum et humilis corde*3, et que S. François
de Sales vous recommande tant, et c'est de cette façon qu'il s'est fait un si grand saint.
Je conclus donc qu'il faut nous souvenir toujours que la croix, la douceur et l'humilité doivent être
notre devise si nous voulons ressembler parfaitement et nous rapprocher davantage à notre modèle
Jésus-Christ et devenir de grands saints.
C2,407:*1
P. Vincenzo Huby, S.J., n. a Hennebant nel 1608, m. a Vannes nel 1693; entrò nella Compagnia nel
1625, dal 1638 al 1652 fu rettore del collegio di Quimper, poi predicatore e missionario popolare
fino alla morte. Diffuse la pratica degli Esercizi Spirituali in Francia e a Vannes fondò una casa di
Esercizi che ebbe grande successo, imitata poi dal confratello gesuita Padre Maunoir che la fondò in
molte città della Francia. L'Huby ci lasciò diverse opere ascetiche: La retraite de Vannes, ou la
façon dont la retraite se fait dans Vannes sous la conduite des Pères de la C. de Jésus et les grands
biens que Dieu opère par elle, 1679; Le bon prêtre, 1683; Miroir de l'âme, 1675, etc.
(Sommervogel, IV, 499-505). Les Considérations propres à faire et à entretenir l'amour divin dans
nos cœurs, dello stesso P. Huby, furono stampate dall'Amicizia Cattolica per i soldati della brigata
di Savoia “avidissimi di tali letture”, come informa il D'Azeglio in una lettera a Rosmini (C. Bona,
La rinascita missionaria in Italia, Torino 1964, 93 n. 30; A. Gambaro, Sulle orme di Lamennais in
Italia, I, Torino 1958, 196-199).
C2,407:*2
Forse da questo punto comincia la minuta di un'altra lettera indirizzata dal Lanteri a una suora
visitandina, probabilmente la stessa a cui era indirizzata la prima parte.
C2,407:*3
Matt. 11, 29.
C3,18:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
10 aprile 1815
A un corso di Esercizi in San Francesco di Torino è mancato il predicatore designato, don Antonio Lanteri –
Sollecitarne con ogni mezzo la venuta
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,18:T
Pregiat.mo e Car.mo Sig. Prevosto
Gli Esercizi spirituali nella chiesa di San Francesco sono fissati per la sera del 22 corrente; manca
però assolutamente al Teol. Guala il soggetto per dare le Meditazioni. Si contava per questo di far
capitale di D. Lanteri, ma questi si scusò con me con il dire che V.S. Car.ma ne aveva dato al T.
Guala la risposta negativa; dunque presentemente non rimane altro partito se non che o Lei ritratti la
sua opposizione per Lanteri, e lo induca a dare le suddette Meditazioni, o venga lei a fare le sue
veci, o si decida di non darsi più questi Esercizi; quest'ultimo partito così disperato si stenta a
prendersi per il grandissimo pregiudizio delle anime, tanto più grave in quest'anno perché oltre al
solito non si danno esercizi, per quanto io sappia, in veruna chiesa. Dunque induca, oblighi, sforzi
Lanteri a venire: fuori della sua opposizione, e negativa io non ho trovato altro ostacolo sussistente,
eccetto alcune riflessioni d'amor proprio; sta dunque a lei il persuaderlo che la tenerezza verso le
anime deve preferirsi alla tenerezza verso se stesso, tanto più che lo stesso D. Lanteri non può
negare d'essersi protestato sul pulpito di Lombardore*1 di non mai ricusarsi a tale impresa,
essendone richiesto, e tale fu l'efficacia di tale protesta che, sebbene non richiesto, s'avanzò pure a
protestarlo a nome dei suoi compagni. Ella dunque non ha che ad obligarlo a mettere in pratica una
tale protesta così grata a Dio, con procurarmene per quest'espresso risposta decisiva ed affermativa,
restando pure inteso che andrà ad alloggiare dal Teol. Guala.
E caramente abbracciandoli ambedue nel Signore le sono
Di V.S. Car.ma
Torino li 10 aprile 1815
Obl.mo Aff.mo Amico
T. Pio Bruno Lanteri
Al M.to Ill.e M.to R.do Sig. Pron. Oss.mo
Il Sig. Teologo Craveri
Preposto di
Andezeno*2
Per espresso
C3,18:*1
Lombardore, di circa 2.000 abitanti, in provincia di Torino e in diocesi di Ivrea.
C3,18:*2
L'indirizzo è di mano Loggero.
C3,23:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
18 luglio 1815
Operare con tranquillità interiore senza abbandonarsi troppo alla fantasia – Gli scritti di S. Francesco di Sales
adattissimi a portare la pace nel cuore
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:114
C3,23:T
Ma très Honorée Fille en Jésus-Christ
Mi rincresce che la mia situazione, come già le dissi, non mi permetta di tenerla con me in
pensione, onde Ella deve profittare del mezzo che la divina Provvidenza le ha procurato. Qualunque
ne sia stata l'occasione, questa è una prova piuttosto della divina Provvidenza, che altrimenti. Operi
dunque in conseguenza, ma con tranquillità, guardandosi dal lasciar travagliare di troppo la sua
immaginazione per non rischiare di farne dopo la penitenza, e più di tutto per praticare la virtù;
rimiri in tutto la volontà di Dio, ed operi un po' più alla buona, ossia grosso modo, come diceva S.
Francesco di Sales; né tralasci di leggere ogni giorno qualche squarcio delle opere del suo S. Padre,
poiché sono propriamente fatte per procurare la pace al cuore.
Del resto Ella può stare ben sicura e tranquilla del mio continuo e sincero interessamento per tutto
quello che le potrà riguardare.
Preghi intanto molto per me, e mi creda con tutta la più sincera stima e considerazione
Da Bardassano li 18 luglio 1815
Dev.mo Serv.re ed Aff.mo P. in Gesù Cristo
T.P.B.L.
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
par exprès
Turin
C3,29:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
4 ottobre 1815
Urgenza del ristabilimento dell' Amicizia a Firenze – Il cav. Luigi di Collegno in visita a Firenze
Originale in AOMV, S. 5,2,4:212 (anticamente S. 1,17,25a:1533)
C3,29:I
La lettera è l'eco della crisi che dopo il 1814 afflisse l'Amicizia Cristiana in tutte le filiali e anche in Firenze, crisi che
non sarà più superata. Il testo porta questa annotazione marginale, forse di mano Ricasoli: “Portata dal Cav. Collegno
che si tratterrà a Firenze sino a martedì o mercoledì prossimo”.
C3,29:T
Ill.mo Sig. Priore in Cristo Dilet.mo
Portandosi costì il nostro più che intimo e dilett.mo A.C. [Amico Cristiano] il Sig. Cav. Colegno*1,
né potendo io per cagione della mia poca salute tenergli compagnia come ardentemente bramerei,
profitto dell'occasione per raccomandarle instantemente il ristabilimento dell'A.C. [Amicizia
Cristiana], giacché non vi fu mai bisogno così grande di promuovere universalmente i buoni
principi per mezzo dei libri, come al presente. Il Signore l'ha messo lei alla testa di quest'opera così
grande della Gloria di Dio, né dubito del suo impegno per secondare i disegni di Dio a questo
riguardo, sicuro d'attirarsi così le più grandi benedizioni sopra la sua famiglia. La prego dunque di
mettere il nostro Degnissimo Cavaliere in relazione con tutti gli A.C. e fare in modo che presto si
vedano assieme per nuovamente sistemare ogni cosa. Intanto non potendo io fare altro, non lascerò
di raccomandare caldamente quest'opera al Signore, perché voglia benedirla come spero. Favorisca
presentare i miei più distinti rispetti alla Degn.ma sua Sig.ra consorte, ed A.C., e procurarmi con
quest'occasione delle desideratissime nuove di sua salute, e di tutta la famiglia. Favorisca pure di
dirmi se ha poi trovato un buon maestro, oppure se ha mandato i figli in qualche Collegio dei
Gesuiti, seppure esiste già in alcun luogo ciò che sommamente mi premerebbe di sapere. Frattanto
pieno di stima e di riconoscenza mi pregio di esserle
Di V.S. Ill.ma e Dil.ma
Torino li 4 ottobre 1815
Umil.mo Dev.mo Obl.mo Serv. ed A.C.
T. Pio Bruno Lanteri
C3,29:*1
Il cav. Luigi Provana di Collegno, che tanta parte ebbe nella vita dell'Amicizia Cristiana prima, e
dell'Amicizia Cattolica dopo, probabilmente si era recato a Firenze per vedere di rianimare quella
associazione.
C3,31:S
Lanteri a suor Leopolda Mortigliengo
13 ottobre 1815
Generosità con Dio – Santificazione della malattia – Devozione a S. Teresa d'Avila
Originale in AOMV, S. 2,1,7b:115
C3,31:T
Ma très Honorée Sœur en Jésus-Christ
Je me flattais de vous avoir ici quelques jours avec moi, et je suis fâché d'entendre que vous êtes
incommodée avec la fièvre. J'espère bien que vous en serez à présent quitte, et je souhaite avoir des
nouvelles de votre précieuse santé. Le Seigneur a voulu vous procurer cette occasion de mérite
puisque nous ne sommes ici que pour gagner le Ciel, et il veut vous faire mourir à tout pour vous
faire vivre avec lui. Soyez donc généreuse avec votre époux céleste, qui ne se laissera certainement
pas vaincre en générosité, et pour y réussir évitez tant que vous pouvez tous retours sur vous-même,
car ce maudit moi empoisonne tout.
Je suis fâché de ne pouvoir plus vous offrir ce séjour de la campagne en cas de votre rétablissement
comme je l'espère, car j'aurai bientôt des étrangers. Je crois que D. Roc sera bientôt de retour de la
campagne pour vous confesser. En tout cas, est-ce que vous ne pourriez pas aller du Curé de SainteMarie si vous n'avez pas de confiance en d'autres? Profitez en attendant des communions toutes
[les] fois que votre santé vous le permettra, ne m'oubliez pas auprès de S. Thérèse, et croyez-moi
avec tout l'intérêt et l'estime possible
De la Grange de Bardassan ce 13 octobre 1815
V.P. [Votre Père] en J.C.
L.
À la Très Honorée
Très Honorée Sr. Léopolde Mortiglieng
Turin
C3,34:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
2 dicembre 1815
Ringrazia delle buone notizie riguardanti la missione in corso ad Andezeno
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,34:T
Arcicar.mo in Gesù Cristo
Mi congratulo del bene che si fa, ne sia lodato il Signore, e ringrazio cordialmente il Sig. Prevosto
d'Andezeno di avermene procurato delle nuove; non dubito che a quest'ora sia svanita affatto
l'apprensione di D. Loggero, e così si siano rotti i corni al nemico che voleva opporsi a tal bene.
Attendo con impazienza D. Loggero*1. Mi raccomandino specialmente alle preghiere dei devoti
esercitanti, ed altro non occorrendomi per ora ambedue li abbraccio nel S.C. di Gesù e mi dico
Torino [2 dicembre 1815] la vigilia di S. Saverio
Aff.mo Amico
T. Lanteri
P.S. Abbraccio pure di cuore D. Lanteri, il quale favorirà dire a D. Loggero quale sia il mio debito.
Ai M. Rev. di Sig. Pn. Col.mi
i Sig. T. Craveri Preposto di Andezeno
e D. Loggero
C3,34:*1
P. Giuseppe Loggero, come traspare talvolta dalla sua corrispondenza, aveva un carattere emotivo,
soggetto alla timidezza e facilmente impressionabile.
C3,35:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
8 dicembre 1815
Richiesta di predicatori per alcune missioni da tenersi nella diocesi di Casale Monferrato
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,35:T
Arcicar.mo Sig. Prevosto
È qui giunta richiesta formale di operari per varie mute di esercizi da incominciarsi fin d'ora, e
proseguirsi fino a Pasqua nella diocesi di Casale in paesi di quattro in cinquemila anime. Se D.
Lanteri potesse venire assicurato dal Sig. Cocchis di non soffrirne alcun ritardo per il suo perfetto
ristabilimento, potrebbe intraprenderne una muta prima del S. Natale (riservandosi il Sig. Prevosto a
darne anch'egli una muta dopo Natale), e in tal caso gli dica di rispondermi sì o no decisamente, e
quando penserebbe d'incominciare, qualora la risposta fosse affermativa. Intanto, sia affermativa o
negativa la risposta di D. Lanteri, favorirà pure V.S. Car.ma di significarmi quando gli sarà comodo
d'incominciare la sua muta da Natale fino a Pasqua; egli darà la meditazione, sarà provvisto di ogni
cosa, e S.E. il Sig. M.se d'Azeglio*1 (quale però non conviene nominare per ora) s'incaricherà di
procurargli l'Exeat dal Sig. Vic. Generale. Non occorre certamente proporgli alcun motivo per
impegnarlo a tanto, perché lei conosce quanto basta il pregio delle anime, e l'importanza della loro
salute; gli dirò soltanto che si tratta di lavorare in un paese dove le povere anime generalmente sono
prive di sussidi dei S. Sacramenti, né hanno mezzo di procacciarseli, sebbene volessero, perché
purtroppo la massima parte degli operai sono di sistema contrario*2. Creda che se il bisogno non
fosse estremo, non sarebbe neppure venuto in mente ad alcuno il presente progetto, e confesso la
verità che invidio la sorte di chi può secondare simile disegno, ma non sono degno di tanto.
Mi abbia intanto sempre presente nei S.S.S. e caramente abbracciandoli nel Signore mi protesto
Di V.S. Arcicar.ma
Torino [8 dicembre 1815] la festa della Concezione di Maria Vergine
Tutto suo Aff.mo in Gesù Cristo
T. Pio Bruno Lanteri
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. Teologo Craveri
Prevosto d'Andezeno
per espresso
C3,35:*1
Cesare d'Azeglio era in quel tempo governatore della città di Casale.
C3,35:*2
Chiaro accenno alle tracce di giansenismo che in quel tempo si avevano nella diocesi di Casale.
L'esponente più qualificato del giansenismo casalese era il sacerdote Carlo Domenico Pagani
(1765-1832), n. a Frassinello il 14 dicembre 1765, sacerdote nel 1790, parroco di Cioccaro vicino a
Moncalvo dove rimase quasi tutta la vita. Fu in relazione coi principali giansenisti del tempo,
corrispondente del De Ricci ancora da chierico, ammiratore del Tamburini, del Gioberti, grande
lettore del Sarpi e del Le Plat; dal 1788 al 1823 frequentò le lezioni dell'università di Pavia. Si
conservano sue lettere a Giacomo van Rhyn, vescovo scismatico di Utrecht. Come ogni buon
giansenista era anche lui nemico acerrimo dei gesuiti (“gli ignaziani muovono cielo e terra per
annidarsi in Piemonte”, lettera a Degola del 23 febbraio 1815); è parochista, anche se talvolta di
tendenze multitudinarie e, naturalmente, millenarista, in attesa anche lui della imminente
conversione degli ebrei e della venuta del profeta Elia. Fu acceso giansenista fino agli ultimi anni
della sua vita: “Un certo prete Pagano, nativo di Casale, attaccatissimo al Tamburini, dei cui scritti
dicesi esser stato l'erede, ha corrispondenza di lettere coi teologi di Utrecht… Venuto la scorsa
settimana a Torino, come altre volte lo andarono a visitare Solaro, S. Marsan [l'abate Asinari di S.
Marzano], Anselmi, Riberi, e un altro di cui ora non so il nome [era Gioberti]. Vi andò anche
un'altra persona e nel discorso essendosi fatta menzione del Concilio di Trento, Pagano si mise a
deriderlo come non ecumenico. L'altro allora soggiunse che pure la storia del cardinale Pallavicino
lo dimostrava come tale. A cui il Pagano: Che storia! Che Pallavicino! Leggete quella di fra Paolo,
e vedrete quel che io vi dico! Andò a far visita al can. Malabaila, creato nuovo vescovo di Casale,
ma non fu ricevuto…” (P. Gio. Grassi S.J. al P. Roothaan del 28 aprile 1830; cfr. Savio, 418-481,
dove sono riportate molte lettere del Pagani al Degola e a altri giansenisti italiani e stranieri; P.
Stella, Giansenisti Piemontesi dell'800, Torino 1964, 39-54 e passim.
C3,39:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
11 dicembre 1815
Ancora della missione di Casale Monferrato
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,39:T
Arcicar.mo Sig. Preposto
Le domando mille perdoni della mia intelligenza di cui non posso a meno d'incolpare me stesso di
non essermi abbastanza spiegato; poiché si trattava solo di assicurare i Direttori d'Esercizi, quindi
dovevamo scrivere a Casale, ove in seguito doveva fissarsi il tempo in cui dovevano incominciare, e
ad un tempo pubblicarsene al popolo di quel paese la notizia. Ora tutto questo non può eseguirsi
come ella ben vede in modo che gli Esercizi venissero terminati per il 13 corrente, siccome
bramerebbe V.S. Car.ma. Io ero in procinto di mandarle nuovo espresso per non lasciar partire
subito D. Lanteri, ma pensando che una sua gita qui fosse secondo la sua vista, e che in tal modo
potevamo intendersela meglio, ho tralasciato di spedire loro l'espresso. L'intelligenza poi che ora si
prese dopo maturo consiglio col T. Guala, si è che Ella faccia il sacrificio di D. Lanteri per queste
feste, supplendovi noi con mandarle D. Molineri, il quale è pronto a fare una spiegazione del
Vangelo, e di confessare; io spero che ci farà tal favore sul riflesso particolarmente del bene tanto
più grande che si può fare negli Esercizi dettati in tanti giorni festivi.
Non ho tempo; attendo favorevole rescritto, e in fretta caramente abbracciandola le sono
Di V.S. Car.ma
Torino li 11 dicembre 1815
T. Pio Bruno Lanteri
T.S. Aff.mo in Gesù Cristo
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. T. Luigi Craveri
Prevosto di
Andezeno
C3,45:S
Lanteri a una penitente sconosciuta
1815
(frammento)
Motivi teologici della speranza cristiana – Dio perdona se siamo umili – Utilità delle cadute – Retta intenzione e santa
ostinazione nel bene
Copia in AOMV
C3,45:I
Pubblicata da Gastaldi, 470-472.
Non si sa con esattezza chi sia la destinataria della lettera. Probabilmente una delle tante religiose guidate spiritualmente
dal Lanteri (almeno così pensa il Gastaldi). Difficile anche determinare la data della lettera.
In questo testo si ritrovano in sintesi tutti i caposaldi dell'ascetica lanteriana in evidente opposizione col rigorismo
giansenista.
C3,45:T1
[…] Rimedi contro i mancamenti
1. Presupporre che se ne hanno da commettere molti. Se un bambino per paura di cadere non vuole
cominciare a camminare, non imparerà mai a camminare.
2. Persuaderci che abbiamo da sentire le amarezze e nausee delle nostre colpe, perciò non ci paiano
nuovi tali effetti, ma impariamo a sopportarli in penitenza delle colpe, e non sarà senza gran merito.
3. Anche la superbia sa pentirsi, ma un tale pentimento consiste in una tristezza inutile, che non
nasce da Dio e per Dio, ma bensì dal non conoscere la nostra fiacchezza e miseria. Si avverta che
allora si perde tempo e talvolta per imperfezioni si commettono peccati veniali.
4. Si avverta che lo spirito cattivo dopo la colpa dimostra difficile tornare a domandare a Dio il
perdono e quasi impossibile l'emendazione; all'opposto lo spirito buono glielo alleggerisce, facilita
il perdono, l'anima e l'incoraggia, persuadendolo ad un tempo che non si può stare senza
mancamenti, ma che per essi bisogna maggiormente umiliarsi e domandare perdono a Dio.
C3,45:T2
5. Si divide l'uomo in due, la parte interiore esamini le amarezze e i disgusti sensibili cagionati dalle
colpe, senza aver riguardo all'uomo animale, e si conoscerà che il sentire tanto travaglio in
domandare perdono a Dio, proviene perché arrossisce di confondersi innanzi a Sua Divina Maestà,
né vuole riconoscere le proprie miserie, né dare a Dio la gloria di buono e misericordioso
perdonatore, che mai si stanca di perdonare, e così si soffriranno con pazienza i tormenti.
6. Supporre per certissimo che dà gran gusto e onore a Dio Signore nostro chi va a domandargli
perdono…
Approvo altamente le tre vostre risoluzioni; la purità d'intenzione vi unirà sempre più a Dio, e vi
risparmierà molti disturbi che ordinariamente nascono da ciò che cerchiamo noi stessi e non Dio
solo.
La santa ostinazione, in secondo luogo, di non tralasciare neppure una piccola parte della vostra
preghiera ordinaria e di altri esercizi spirituali, scoraggerà il nemico nella speranza che ha di
riuscire a farvene tralasciare alcuno.
Terzo, il partito preso di cominciare, sempre chiuderà la porta alla pusillanimità, e questo solo vi
otterrà il perdono della tiepidezza e dei difetti passati…
C3,46:S
Lanteri al re Vittorio Emanuele I
1815
Richieste delle Monache Canonichesse di S. Agostino di poter rientrare nel loro antico monastero del Ss. Crocifisso
Minuta in AOMV, S. 2,1,10a:123 c
C3,46:I1
La domanda è stesa di mano Lanteri a nome delle monache (che però non rientrarono mai nell'antica loro casa). Il
monastero del Ss. Crocifisso, dopo cacciate le monache, era stato adibito dai francesi a Collegio Nazionale. Nel 1814 il
governo sardo lo aveva adibito a Collegio delle Provincie (collegio universitario affidato alla direzione dei gesuiti).
Soppresso una prima volta (per un anno) il 4 settembre 1821, fu poi soppresso e chiuso definitivamente il 24 luglio
1822 (A. Monti, La Compagnia di Gesù nella provincia torinese, III, 221-222).
Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, n. a Torino il 24 luglio 1759, m. a Moncalieri il 10 gennaio 1824. Secondogenito di
Vittorio Amedeo, duca di Savoia e erede al trono, e di Maria Antonia di Borbone-Parma. Il fratello maggiore Carlo
Emanuele lo precedette nel regno (1796-1802), il fratello minore Carlo Felice, duca del Genevese, lo seguì (18211831).
Ricevette coi fratelli l'educazione militare dal conte Casimiro di Salmons, e quella religiosa dal card. Sigismondo
Gerdil, barnabita, che ne fece dei fervorosi cattolici senza però il misticismo a cui si diede allora e poi Carlo Emanuele
(finito tra i gesuiti a Roma). A 30 anni – nel 1799 – sposò Maria Teresa d'Asburgo-Lorena (1773-1832), figlia
dell'arciduca Ferdinando governatore della Lombardia. Da queste nozze nacquero Carlo Emanuele, che morì a tre anni,
Maria Anna, poi imperatrice d'Austria, M. Teresa poi duchessa di Lucca, e la ven. M. Cristina poi regina di Napoli. Non
avendo figli maschi non poteva trasmettere alla famiglia il potere regale.
C3,46:I2
Durante l'invasione francese combattè valorosamente alla testa delle sue truppe, cercò invano d'opporsi alla debolezza
del padre Vittorio Amedeo e del fratello Carlo Emanuele IV – diventato re nel 1796 – che aveva ceduto alla Francia il
Piemonte e la Savoia e si era ritirato in esilio a Cagliari (1798). Vittorio Emanuele rimase in continente presso le corti
amiche in attesa di tempi migliori. Nel 1802, per la rinuncia del fratello Carlo Emanuele, assunse il titolo di re di
Sardegna e si portò a Cagliari (1806), costretto a lasciare Napoli per l'avanzata napoleonica. Nel 1814 tornava in
Piemonte accolto trionfalmente. Il regno di Sardegna si trovava – dopo il congresso di Vienna – ingrandito di Genova,
di Nizza, della restituita Savoia. Egli commise il grave errore di ristabilire tutti gli ordinamenti del 1798 senza
accorgersi che qualche cosa era pure cambiata anche in Piemonte. Durante la sommossa del 1821 abdicò in favore del
fratello Carlo Felice e prese la via dell'esilio (il 14 marzo 1821), ma tornò presto a Moncalieri dove visse appartato altri
tre anni fino alla morte. L'elogio funebre fu tenuto dall'abate Rey. Alla sua pietà, che era profonda, si deve la bella
chiesa della Gran Madre di Dio in Torino (A. Segre, Vittorio Emanuele I, Torino 1928 con abbondante bibliografia).
C3,46:T
[1815]
S.R.M. [Sua Reale Maestà]
Desiderose le Monache Agostiniane del Monastero del Crocifisso di questa città di nuovamente
ritirarsi per una piena osservanza del loro Istituto, si avanzano a supplicare V.M. di accordare loro il
Monastero suddetto del Crocifisso nel quale hanno professato.
Questo Monastero è stato da loro acquistato riguardo al locale col prezzo di Lire 25.739, 18, 4 come
consta dall'istrumento del 13 agosto 1677 rogato Bonfiglio, e poi interamente edificato a loro spese
come è notorio.
Sperano dunque che V.M. non vorrà escluderle dal goderne secondo l'intenzione di chi l'ha
comprato ed edificato, che anzi vorrà preferirle come pare ragionevole a qualunque altra Comunità
Religiosa che domandasse di esservi ammessa.
Ed hanno tutto il fondamento di sperare tale grazia da V.M. in vista che sulle precedenti simili
domande da esse umiliate al Regio Trono, subito dopo il felice sospirato ritorno di V.M. negli aviti
suoi Stati, si è già degnata di affidarle per mezzo della Commissione Ecclesiastica che si sarebbe ad
esse accordato il loro Monastero, tostoché si potesse collocare nell'antica sua casa il Collegio delle
Provincie*1.
Che della grazia
C3,46:*1
Quest'ultimo capoverso è di mano del marchese Giuseppe Massimino di Ceva.
Il Massimino, Amico Cristiano e da lunga data collaboratore del Lanteri, dal 1815 faceva parte della
“Commissione Ecclesiastica” istituita in quell'anno per curare tutti gli affari religiosi: dotazione
delle sedi vescovili soppresse, circoscrizione delle diocesi, restaurazione dei seminari, dei capitoli,
delle parrocchie, ordinamento delle abbazie, reintegrazione delle cappellanie e dei benefici anche di
patronato laico, riapertura delle case religiose, rinnovamento delle confraternite e opere pie,
fondazioni di beneficenza pubblica, ecc.… Di tale Commissione facevano parte laici ed
ecclesiastici; tra i primi ricordiamo, oltre il Massimino, il conte Adami, Ministro di Stato, il conte
Cerutti, primo presidente del Senato, il conte Brea, primo controllore delle finanze, il conte Vidua,
Ministro degli esteri, l'avvocato generale Borgarelli, il senatore Gloria, l'avvocato collegiato
Refrancore; tra gli ecclesiastici, il Vicario Generale Gonetti, il can. Pullini, economo generale (e
dopo la sua morte, il 16 aprile 1816, il teol. coll. Botta, confessore del re), il P. Aloatti, professore
all'università (Chiuso, III, 12).
C3,49:S
Lanteri alla Santa Sede
1815
Scritti di alcuni ecclesiastici torinesi, infetti di eresia, proposti per una loro inserzione nell'indice dei libri proibiti
Originale in Archivio Vaticano
C3,49:I
Pubblicata in Savio, 559-560
L'originale, che si trova in Archivio Vaticano, Nunziatura di Savoia, II, sm., si presenta anonimo e senza data.
La minuta in AOMV non lascia dubbi sulla paternità dello scritto, paternità che il Savio afferma con qualche incertezza.
La data risale al 1814-1815, senz'altro prima della morte del Gautier (morto 1816) che l'autore considera ancora vivente
mentre scrive.
È una denuncia coraggiosa degli errori professati sulla cattedra e per iscritto da alcuni esponenti della cultura teologica,
a quel tempo molto in vista, che si ricollega alla denuncia precedente del 20 luglio 1814.
C3,49:T1,1
Da deferirsi alla Congregazione dell'Indice
1. Il teologo Sineo*1, attualmente professore d'eloquenza sacra nel seminario arcivescovile e
direttore spirituale dell'università di Torino. Questi gode moltissimo credito presso la nobiltà e molti
ecclesiastici, massime giovani, atteso particolarmente il suo modo di predicare molto famigliare e
pulito, filosofico però più che altro. Le sue massime sono tutt'altro che favorevoli alla Santa Sede.
Recitò, nel 1807, nell'università suddetta, un'orazione che stampò corredata da varie note, nelle
quali si trova insinuato il richerismo, tolerantismo ed altri gravissimi errori, e specialmente: 1.
nell'annotazione X, pag. 37, sembra che voglia asserire l'autore estendersi l'autorità legislativa della
Chiesa ricevuta da Gesù Cristo solamente a ciò che è riconosciuto essere d'apostolica tradizione;
tutto il rimanente della disciplina essere non solo d'istituzione umana, ma anche d'autorità umana, e
quindi soggetto d'abusi: il che conterrebbe la proposizione 2a e 4a della Bolla Auctorem fidei,
ambedue condannate come eretiche.
2. Nell'annotazione XIII, pag. 49, pare che indichi abbastanza chiaro che la disciplina della Chiesa
sta soggetta all'autorità umana; sentenza pure condannata come eretica da Benedetto XIV, 5 marzo
1755, come riferisce lo stesso Pio VI nel suo Breve ai vescovi della Francia sopra i principi della
costituzione del clero gallicano.
Similmente, nella stessa annotazione toglie anche assai apertamente e in modo indecente alla Chiesa
l'autorità di coazione, ripetendola dall'autorità civile, che è la proposizione 5a della Bolla Auctorem
fidei, condannata pure come eretica.
C3,49:T1,2
Merita, inoltre, d'essere letta ed esaminata, tutta la nota 15a, pag. 53. Quivi l'autore dice: 1. pag. 54
in fine, “che né per rispetto di religione, né per rispetto di società imputabile sia né a colpa, né a
pena veruna l'opinare e il credere come ad ognuno, dopo attento ed imparziale esame, se egli ne
abbia uopo, sinceramente vero o verosimile paia”.
Dunque se alcuno crede averne d'uopo, gli sarà lecito esaminare privatamente la sua religione, o
alcun punto di essa, e per essere scusato da colpa, basta che l'opinione contraria gli paia verosimile.
Scusa ella è questa adottata e prodotta già da qualche giovane incredulo per sua discolpa,
appoggiandosi all'autorità ed al credito che gode l'autore. 2. pag. 56, approva l'autore il sistema del
governo francese passato sulla tolleranza, disapprovandone il sistema opposto. “Le nostre (storie)
più onorevolmente diranno come all'epoca di un saggio e vigilante impero dai propri lumi e dagli
altrui abbagli reso più cauto, le opinioni contenute non meno che rispettate di quell'alta protezione
godessero, la quale ecc.”. 3. pag. 56, in fine e seg., l'autore ammette non solo per i fanciulli morti
senza battesimo, ma anche per gli adulti, infedeli negativi, e per gli stessi eretici di buona fede
qualche e qualunque moralità di azioni essi abbiano, un terzo luogo, stato, o ordine, “che non è né il
nostro paradiso, né il nostro inferno, che dogmi sono appartenenti al sovrano ordine da Dio stabilito,
e che pur giova a dire il sia non più, che per coloro ai quali venga appalesato, non potendosi
immaginare un nuovo e naturalmente non conoscibile ordine sopraggiunto, fuori che per coloro ai
quali convenevolmente si manifesti”.
C3,49:T2
*2
2. Il signor avvocato Bessone , professore di storia ecclesiastica in Torino. Questi nei suoi trattati
manoscritti De legibus, De historia ecclesiastica, De quatuor propositionibus cleri gallicani,
insegna parecchie novità ed errori. Egli è amicissimo della miglior gioventù e facilmente sarà
proposto per professore di canonica nell'università di Torino, e non mancherà d'insegnare
caldamente il febbronianismo, con tutti gli errori dell'avvocato Bon, ultimo professore
nell'università suddetta, di cui egli è degno allievo.
C3,49:T3
3. Il signor don Gautier*3, ex filippino, promotore principale del giansenismo – si dice stato una
volta sospeso dalle confessioni dal cardinale Costa –. Questi volgarizzò e pubblicò con una sua
prefazione gli atti del conciliabolo dei vescovi intrusi della Francia ed è autore di più libri e libercoli
giansenistici, degni tutti dell'indice, come fra gli altri, Vera idea del matrimonio, in 12; Raccolta
d'opuscoli di cristiana filosofia ed ecclesiastica giurisdizione; Questione sui vescovi giurati della
Francia.
C3,49:*1
Gian Giulio Sineo della Torre (1757-1830), di idee molto “aperte” e liberali, come risulta
chiaramente dalla critica che ne fa il Lanteri, era molto ammirato dal Gioberti, il quale ne scrive
così nel Gesuita moderno: “Fu (il Sineo) uno degli uomini più straordinari di ingegno e di animo
che io abbia mai conosciuti”. La stima del Gioberti, in un clima di tensioni e di polemiche come
quello della Restaurazione, è per lo meno sospetta. Il Lanteri scrisse in quel tempo una confutazione
degli errori del Sineo, conservata manoscritta di mano Loggero in AOMV (S. 2,2,7:143), dal titolo:
Dottrina del Teol. Sineo sulla giurisdizione della Chiesa esposta nelle sue annotazioni all'orazione
che recitò nella Reggia Università de' Studi l' anno 1807, messa in confronto con la dottrina della
Chiesa Cattolica.
Il fratello minore del teol. Sineo, Giuseppe Andrea (Torino 1762-Tivoli 1842), fu discepolo del
Diessbach a Torino e a Vienna, amico e corrispondente del Lanteri (in un primo tempo),
collaboratore del Penkler a Vienna e, dopo la morte del Diessbach, entrato tra i Padri della Fede,
fusi poi coi Paccanaristi, e finalmente membro della ricostituita Compagnia di Gesù, con diverse
importanti incombenze, tra cui quella di provinciale d'Italia. Vedi la lettera dell'abbé Louis Tellier al
Sineo della Torre del 25 aprile 1787 (Positio, 165-167).
C3,49:*2
Sul sacerdote professore Bessone, cfr. Carteggio, I, pag. 200.
C3,49:*3
Su Michele Gautier (1738-1816), nativo di Ceva (Cuneo), filippino dell'Oratorio di Savigliano e poi
di Torino, definito dal Ruffini “la mente più eletta del giansenismo piemontese”, cfr. F. Ruffini,
Giansenisti piemontesi, 52-67; P. Calliari, I tempi e le opere, 105.
C3,101:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
12 gennaio 1816
Una seconda muta di Esercizi da predicarsi a Casale dal Craveri
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,101:T
Due linee in tutta fretta; mi congratulo di cuore dell'ottimo viaggio, e del cordiale accoglimento che
ha ricevuto, e spero fermamente in Dio che la messe sarà abbondantissima, soltanto le raccomando
di non dimenticarsi di far pregare per me, che ne ho sommo bisogno. Sento ad un tempo che il
Reverend.mo Sig. Provicario è rimasto imbrogliato per provvedere alla 2a muta d'Esercizi, quale
sperava avrebbe pure dettata V.S. Car.ma; io la prego nuovamente di ponderare la cosa ai piedi del
Crocifisso per non dare luogo al nemico che fa tutti gli sforzi per impedire gli Esercizi; a mio
povero giudizio sembra chiaro che vi è la maggior gloria di Dio per una parte e nessun pregiudizio
male dall'altra, essendo la sua parrocchia essenzialmente provvista, onde piuttosto preponderei
perché Ella continuasse l'intrapresa carriera, peraltro mi restringerò a pregare il Signore e Maria Ss.
perché le dia i lumi, ed aiuti opportuni.
Finisco con abbracciarla caramente nel S.C. di Gesù, e protestarmi
Torino li 12 [gennaio] del 1816
T.o S.o Aff.mo in Gesù Cristo
Pio Bruno Lanteri
P.S. Si prega dei suoi caratteri al più presto.
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. Teol. Craveri
Preposto di Andezeno
Casale per Mombello*1
C3,101:*1
Mombello Monferrato, di circa 2.000 abitanti, in provincia di Alessandria e diocesi di Casale, da cui
è poco distante. Il Craveri si trovava a Mombello per predicazione.
C3,102:S
Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli
30 gennaio 1816
La ricostituzione dell'Amicizia Cristiana di Firenze – Cautele nella scelta dei membri – Rinnovamento della biblioteca –
Consigli di direzione spirituale
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:32
C3,102:I
Pubblicata in Positio, 126-128, di cui si è seguito il testo leggermente modificato dall'originale.
C3,102:T1
*1
Profitto dell'occasione del Sig.r Can. B. [Barrera ] per testificarle la consolazione grandissima che
mi ha recato il Sig.r C.C. [Cavalier Luigi di Collegno*2] degn.mo Amico con significarmi le ottime
disposizioni di V.S. Ill.ma riguardo all'A.C. [Amicizia Cristiana], e il rincrescimento ad un tempo
che vi s'incontrino delle difficoltà non piccole da sormontarsi per ravvivarla.
Tra queste la principale si è certamente avere dei soggetti quali si desiderano, e perciò converrà
primieramente pregare molto il Signore perché c'illumini. In 2o luogo è necessario non affrettarsi
nella scelta, ed avanti di fissarne l'elezione ci farebbe cosa graditissima se volesse compiacersi di
manifestarcene il soggetto, potendo questi essere di conoscenza di qualcheduno dei nostri Amici.
Abbisognamo certamente dei soggetti, però non freddi, ma zelanti, che conoscano, o almeno
gustino di conoscere libri buoni, ed abbiano volontà e mezzi diretti, o indiretti di spargerli, oltre gli
altri requisiti che lei ben sa, onde non saranno mai troppe cautele a questo riguardo, perché se si
sbaglia su questo proposito diventano i soggetti piuttosto d'intoppo, che d'aiuto. Conviene inoltre
vedersi qualche volta per dare eccitamento all'amicizia, per riaccendersi di zelo, e comunicarci i
lumi e le occasioni di fare il bene. Se in tutti i tempi si può fare per mezzo dell'A.C. [Amicizia
Cristiana] grandissimo bene coi soli libri ascetici, ora resta tanto più necessario promuovere inoltre i
libri opportunamente per prevenire gli spiriti dagli errori correnti e disingannare chi già ne è infetto,
come sarebbe di incredulità, di Giansenismo, e Richerismo: nel catalogo se ne trovano molti, ma
sarebbe bene farne un estratto; io ne ho notati alcuni che riguardano particolarmente le massime
contro la Chiesa, e gliene trasmetto la qui unita nota.
C3,102:T2
Credo che saprà che il S. P. [Padre] si degnò d'approvare l'A.C. [Amicizia Cristiana] con accordare
tre volte la settimana l'Indulgenza plenaria per i secolari e una volta l'Altare privilegiato, ciò che è
bene di fare noto agli Amici*3.
Sono poi ansiosissimo d'avere delle sue nuove, come sta di coraggio e di confidenza in Dio, se ha
poi potuto provvedersi di un buon Maestro per i figli, rincrescendomi al vivo di non aver mai avuto
l'opportunità di poterla servire in questo genere, come avrei ardentemente bramato.
A proposito d'“Amitié” sarei ansiosissimo d'avere delle nuove del nostro B.P. [Barone Penkler]. Io
gli [ho] scritto più volte all'occasione che gli ho spedito delle lettere inviatemi da Roma a suo
indirizzo destinate però per i Ges. [Gesuiti] di Russia, né mai ho potuto averne alcuna risposta. Mi
stanno particolarmente a cuore i mss. di P.D. [Diessbach], di V. [Virginio] e di A.C. [Amicizia
Cristiana]. O quanto mi rincresce di non aver fatto il viaggio per colà una volta progettato con V.S.
Ill.ma. Non si potrebbe questo progettare un'altra volta ed eseguirsi veramente*4?
Sento che vi è qui la traduzione del La Palme. La prego poi ad un tempo di favorirmi delle nuove
sue…
C3,102:*1
Del can. Ferdinando Barrera v. lettera del 28 settembre 1818, Carteggio, III, 203-207.
C3,102:*2
Luigi di Collegno era stato a Firenze tre mesi prima nell'ottobre 1815.
C3,102:*3
Dal verbale dell'adunanza dell'Amicizia Cristiana del 3 marzo 1817 apprendiamo che il Lanteri
ottenne nell'aprile 1809, da Mons. De Gregorio, Delegato Apostolico di Pio VII, la concessione
orale dell'indulgenza plenaria, una volta alla settimana, per gli iscritti dell'Amicizia Cristiana. Nel
1814 il marchese Cesare d'Azeglio, inviato diplomatico dello stato Sardo a Roma, chiese ed ottenne
la conferma di tale privilegio. Dal succitato verbale sappiamo ancora che Pio VII concesse
nuovamente il 6 gennaio 1816 l'indulgenza plenaria, tre volte la settimana, per i sacerdoti. In
AOMV, S. 1,5,12:204 conserviamo la richiesta e il rescritto del 1814 (pubblicata in Positio, 144145), ma non quelli del 1816.
La concessione di questi favori spirituali fu considerata dal Lanteri come una implicita
approvazione dell'apostolato dell'Amicizia: qui egli ne sollecita la conoscenza di tutti gli Amici
anche per invogliarli di più alla ripresa delle attività.
C3,102:*4
È questo l'ultimo accenno del Lanteri alla questione, per lui e per noi tanto importante, degli scritti
del P. De Diessbach, rimasti a Vienna tra le carte del Virginio e che il Virginio aveva destinato al
Lanteri. Il mancato viaggio a Vienna del Lanteri (di cui anche qui abbiamo un'eco) ha fatto perdere
a lui e a noi irrimediabilmente un materiale molto prezioso per la storia delle Amicizie. Di tali scritti
scrive il P. Biancotti G. Battista, O.M.V., che l'aveva appreso dal Lanteri: “Il P. Diessbach aveva
legato i suoi manoscritti al P. Virginio e in caso di morte al P. Lanteri, ma una mano ardita non li
lasciò pervenire tutti” (Memorie sul Lanteri, in Positio, 651). “Di tutto questo c'è forse un'eco e una
spiegazione, che resta tuttavia oscura, nella corrispondenza del Lanteri con l'Amicizia di Vienna.
Egli scrivendo al P. Wagner, erede del Virginio, reclama per sé dei manoscritti appartenuti al
Diessbach (v. lettera del Lanteri al Wagner del 1806, in Positio, 136). A tale scopo il Lanteri si era
pure rivolto al Penkler con una lettera più esplicita, non conservata, come si ricava dalla risposta del
Penkler – per noi non del tutto comprensibile – in cui si parla dell'impossibilità di non disperdere le
cose dell'Amicizia Cristiana. Resta assai misteriosa l'allusione a mains étrangères, né sappiamo
quali difficoltà si siano opposte all'invio del materiale. Dieci anni più tardi il Lanteri non aveva
ancora perduta la speranza di rintracciare le carte del Diessbach, come vediamo in questa lettera”
(Bona, 228-229).
C3,111:S
Lanteri al P. Orazio Montesisto rettore dei gesuiti di Genova
12 luglio 1816
Presentazione del Loggero al superiore dei gesuiti di Genova perché sia accettato nella Compagnia
Originale in AOMV, S. 2,1,9:119
C3,111:I1
Pubblicata in Positio, 40-41.
È un attestato di buona condotta e di raccomandazione che non si potrebbe desiderare più lusinghiero. I lati positivi del
Loggero messi in rilievo sono: la sua fedeltà al Lanteri anche durante il suo “esilio” di 3 anni alla Grangia; la sua
preparazione intellettuale e teologica; la sua ortodossia di dottrina; la sua capacità di predicare e il suo zelo al
confessionale.
Il Loggero, dopo un breve soggiorno a Genova nel noviziato dei gesuiti, visto che quella non era la sua strada, tornò per
consiglio dello stesso Lanteri a Torino (v. lettera Lanteri a Loggero del 9 novembre 1816). Un secondo tentativo del
Loggero di farsi gesuita a Roma nel 1821 sortì lo stesso effetto (v. lettera del Loggero a Lanteri del 22 novembre 1821,
Carteggio, III, 293-295).
Loggero Giuseppe, n. a Torino il 18 marzo 1777, m. a Pinerolo nella casa di Santa Chiara il 7 settembre 1847.
Proveniente da famiglia operaia, fu egli stesso tessitore, poi avviato al commercio e socio della filanda di seta Cairola e
Moresco, fino al 1807, quando, dopo aver scritto sul libro dei conti: Tutto finito per grazia di Dio, entrò nel seminario di
Torino per iniziarvi gli studi ecclesiastici. All'età di 30 anni la cosa non era molto facile per lui. Fu aiutato molto da un
suo condiscepolo più giovane, Giovanni Pietro Sola, futuro vescovo di Nizza Marittima. Fu ordinato sacerdote due anni
dopo, il 18 marzo 1809. Da allora in poi entrò in relazione sempre più stretta col Lanteri, che aveva conosciuto ancora
da laico nel 1804 e alla cui direzione spirituale si era affidato. Si portò ad abitare col Lanteri nel palazzo della Cisterna
divenendone il compagno inseparabile per più di 20 anni, il confidente, il segretario, l'amanuense e in certo senso il
custode e il difensore, specialmente quando il Lanteri, diventato sospetto per la sua coraggiosa difesa dei principi
cattolici, fu due volte perquisito dalla polizia napoleonica nella sua abitazione, ma senza nulla trovare di
compromettente perché fatto sparire in tempo dal Loggero.
C3,111:I2
Quando il Lanteri fu relegato alla Grangia di Bardassano (1811-1814) il Loggero spontaneamente si offrì per
accompagnarlo e assisterlo. Tornata la normalità, il Loggero a Torino si dedicò al ministero delle confessioni nella
chiesa di San Francesco d'Assisi e alla predicazione delle missioni in cui riusciva molto bene. Nel 1816 tentò di entrare
nella Compagnia di Gesù, ma si accorse presto che quella non era la sua vocazione. Nel 1817 entrò a far parte della
comunità degli Oblati di Maria SS.ma poco prima eretta a Carignano, e sciolta nel 1820. Nel periodo 1820-1826 fu
sempre accanto al Lanteri e uno dei primi che entrarono a far parte della Congregazione degli Oblati ricostituita a
Pinerolo nel 1826 con l'appoggio di quel vescovo, Mons. Pietro Rey, anzi il Loggero fu scelto ad accompagnare il
Lanteri nel suo viaggio a Roma (giugno-settembre 1826) per l'approvazione pontificia, e gli fu di grande aiuto sotto
diversi aspetti. A Santa Chiara di Pinerolo il Loggero fu successivamente maestro dei novizi, procuratore e segretario
generale della Congregazione (aveva una calligrafia molto chiara ed è un piacere leggere i suoi scritti). Alla Consolata
di Torino si dedicò in modo particolare alle confessioni, per le quali era molto ricercato anche nei monasteri femminili
della città. Morì a 70 anni dopo che era diventato quasi del tutto cieco.
Lasciò scritto Tesori di confidenze in Dio, stampato a Pinerolo nel 1831, tradotto in francese (Parigi 1834), e ristampato
più volte a Roma (1879) e a Torino (1898), comprendente la dottrina antigiansenista e antirigorista ispirata agli
insegnamenti del Lanteri (v. sotto Asc, 9006 a-b). Cfr. Cenni sulla vita del P. Giuseppe Loggero O.M.V., a cura di P.
Pietro Gastaldi, premessi a Tesori di confidenza in Dio, Torino 1898.
C3,111:T
12 luglio 1816
Attesto io infrascritto, che il Sacerdote Giuseppe Loggero da più di dodici anni in qua si è sempre
settimanalmente confessato da me*1.
Che essendo io stato esiliato da Bonaparte in una mia deserta campagna, come sospetto di segreta
comunicazione con il S.P. in Savona, e di cattivi principi contro il governo d'allora, il suddetto
sacerdote superando ogni diceria e difficoltà, spontaneamente si esibì, e volle venire con me in detta
solitudine per tenermi compagnia ed assistermi, siccome fece per il corso dei tre anni che durò il
mio esilio; ciò che mi fu sommamente grato, massime essendo io molto cagionevole di salute.
Che non avendo ancora fatto allora che un anno di studi teologici (ordinato però già Sacerdote con
le debite dispense, stanti le critiche circostanze dei tempi) riprese in detta solitudine i suoi studi su
Autori classici, e gesuitici, che io gli somministrava, massime contro le eresie e gli errori correnti
dei Giansenisti, Richeristi, Febronianisti, tanto più che non vi era mezzo altrimenti di studiare la
Teologia senza pericolo di cattivi principi.
Che in seguito, dopo la liberazione da Bonaparte, essendomi io ristabilito in Torino, continuò il
medesimo ad abitare con me, ed attese a comporsi un corso abbondante di meditazioni per gli
Esercizi spirituali, esattamente secondo il metodo di S. Ignazio, a tenore di quanto io gli andavo
suggerendo con somministrargli abbondantemente libri opportuni, e continua di presente a lavorare
per compirsi il suo corso d'istruzioni per tale effetto.
Che frattanto non lasciò d'attendere al confessionale nella chiesa di San Francesco di Torino, e di
visitare, confessare, predicare e catechizzare assiduamente con molto zelo nelle prigioni e negli
ospedali, e dettò più volte in pubblico le meditazioni, dando gli Esercizi di S. Ignazio con
grandissimo frutto, godendo sempre un'ottima salute.
Che finalmente, riguardo alla sua vocazione, io l'ho sempre conosciuto amantissimo della
Compagnia di Gesù, ed ansiosissimo d'entrarvi, né io saprei trovarci alcuna cosa in contrario a tale
vocazione, fuorché la perdita che io ne faccio*2.
Questo è quanto posso io attestare per amore della verità.
Torino li 12 luglio 1816.
Teol. Pio Brunone Lanteri
affezionatissimo alla Compagnia di Gesù
C3,111:*1
Allegata alla commendatizia del Lanteri c'era quella di un altro “Affezionatissimo alla Compagnia
di Gesù”, il teol. Luigi Guala, di cui ecco il testo:
“Attesto io infrascritto che il Sacerdote Giuseppe Loggero pienamente da me conosciuto già da
circa undici anni si è dimostrato ornato di ottimi costumi, e di edificante condotta e di spirito
virtuosamente docile;
2. Che chiamato allo Stato Ecclesiastico fece non piccoli sacrifici per abbracciarlo e continuarlo, e
che studiata in Seminario la Filosofia, e scorsovi un anno di Teologia, ne continuò il corso sotto la
direzione del Signor Teol. Pio Brunone Lanteri (personaggio dottissimo ed accreditatissimo) in
occasione che per stima ed affetto al medesimo gli fu volontariamente compagno nell'esilio dal
medesimo sofferto sotto il passato governo come sospetto di segrete comunicazioni col S. Padre in
Savona;
3. Che le sue massime sono cattoliche ed affatto contrarie agli errori correnti specialmente contro il
Giansenismo, Richerismo e Febronianismo e le sue azioni furono nelle passate circostanze
pienamente alle medesime conformi;
4. Che approvato per l'amministrazione del Sacramento della Penitenza, già da cinque anni s'applicò
all'Esercizio del medesimo non solo nella villa vicina all'esilio, ma specialmente da due anni in
questa Chiesa di San Francesco con grandissima assiduità, molto concorso, ed universale
aggradimento; più si applicò a catechizzare e confessare negli Ospedali, e nelle prigioni con
particolare destrezza, e mirabili conversioni, avendovi dettati gli Esercizi Spirituali non solo in dette
carceri, ma in diversi altri paesi, a cui io medesimo lo proposi, e ne ebbi consolazione di sentirne
meraviglie in modo che giudicai essere imitatore del B. Francesco de Gerolamis;
5. Che non è mai stato inquisito da alcun Tribunale né Ecclesiastico né Secolare;
6. Che non ha alcun ostacolo per parte dei parenti, essendo questi defunti, come pure nulla potersi
temere dalla Città per avere il medesimo condotto piuttosto una vita privata, ed occupata soltanto
negli Esercizi di Pietà, massime con la gente più miserabile;
7. Che non ha mai vestito abito d'altro Ordine, né come Religioso, né come Eremita;
8. Che il medesimo è di condizione mercantile, e per sua scelta possedere una pensione vitalizia;
9. Che gode ottima sanità, e che nonostante li molti strapazzi di viaggi a piedi, per cattivi tempi, e
perfide strade nel decorso del volontario esilio, e le fatiche del predicare in occasione degli Esercizi,
e confessare pressoché continuo giorno e notte, non ha mai sofferto alcun incomodo, né di capo né
di petto e conservò sempre con mio stupore ottimo appetito.
Questo è quanto io posso attestare per amore della verità.
Torino li 15 luglio 1816
T.o Luigi Guala
Affezionatissimo alla Compagnia di Gesù”
(da copia conservata in AOMV, S. 1,10,21a:543p)
C3,111:*2
Da una nota di cronaca conservata in AOMV, sappiamo altri particolari di questo episodio: “Li 13
novembre 1816 [il P. Loggero] andò a Genova ed ivi fece la comunione coi Novizi in
Sant'Ambrogio [chiesa dei gesuiti], nella cappella privata, sebbene fosse sacerdote. Al 1o dicembre
1816 celebrò una Messa in ringraziamento dell'accettazione nei Gesuiti, la quale notizia egli l'aveva
ricevuta li 23 novembre per lettera del 15 del Rev.mo P. Perelli Vicario Generale di Roma in
risposta ad una dello stesso D. Loggero del 3 detto…”.
Però il Loggero non rimase a lungo nel noviziato di Genova, come risulta dalla lettera del Lanteri
del 9 novembre 1816, con le relative note, a cui rimandiamo il lettore.
C3,125:S
Lanteri al Vescovo Luigi Guglielmo Dubourg
17 settembre 1816
Di alcuni sacerdoti piemontesi da inviare nella diocesi della Luisiana negli Stati Uniti – Difficoltà insorte per alcuni –
La società biblica protestante – Pericolo che rappresenta per i cattolici in genere e per le missioni in America in
particolare
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:33
C3,125:I1
Pubblicata in Positio, 47-51, e in C. Bona, La rinascita missionaria in Italia, Torino 1964, 143-146.
Questo documento è importante per due motivi: fa vedere nel Lanteri il suo vivo interessamento per le missioni estere in
generale – interessamento che datava ancora dagli inizi del suo sacerdozio come membro dell'Aa torinese – e per le
missioni della Luisiana, Stati Uniti, in particolare; e fa vedere insieme la sua costante preoccupazione per la diffusione
della Sacra Scrittura sotto il controllo del magistero ecclesiastico per controbattere la massiccia propaganda che faceva
la Società biblica protestante. Il suo amore per le missioni era tanto vivo in lui che – come egli stesso confessa per la
prima volta in questa lettera – sarebbe stato disposto a partire missionario se le sue precarie condizioni di salute non lo
impedissero. In merito alla sua preoccupazione per la propaganda e il pericolo che la Società biblica di Londra
rappresentava per il popolo cattolico italiano, e alla necessità che egli sentiva di opporle qualche rimedio concreto – che
due anni dopo (1818) si effettuava con la fondazione dell'Amicizia Cattolica – abbiamo in AOMV (S. 2,2,20:158-161)
quattro fascicoli di mano Lanteri, dal titolo Idea della Società Biblica e osservazioni sulla medesima, che contengono
diverse relazioni di un trattatello che non giunse alla redazione definitiva, abbondante raccolta di materiale
documentario, e un primo abbozzo di lettera a Mons. Dubourg.
C3,125:I2
Mons. Dubourg
Louis-Guillaume-Valentin Du Bourg – o Dubourg – uno dei fondatori della Chiesa negli Stati Uniti, nacque il 14
febbraio 1766 a Cap Français, isola di San Domingo, da famiglia originaria di Bordeaux, dove egli fu portato ancora
fanciullo e dove iniziò gli studi al Collegio de la Guyenne, proseguiti poi a Parigi presso i Sulpiziani nella Petite
Communauté des Robertins sotto la direzione del P. Nagot. A Bordeaux era stato discepolo de l'abbé Noël La Croix,
parroco di San Colomba e poi rettore del grande seminario, ed era diventato membro della locale Aa. Fu ordinato
sacerdote a Parigi verso la fine del 1788, ma lo scoppio della rivoluzione lo fece fuggire nella Spagna, donde poi si
rifugiò a Baltimora negli Stati Uniti (1794) e un anno dopo, il 9 marzo 1795, fu ammesso nella Congregazione
sulpiziana. Fu fatto direttore del Georgetown College fondato da Mons. Carrol, e in seguito egli stesso fondò e diresse a
Baltimora un collegio che poi divenne il seminario S. Maria; aiutò spiritualmente e materialmente la B. Eliza Ann
Seton, fondatrice delle Suore della Carità, tanto da esserne considerato in certo qual senso il co-fondatore. Le sue non
comuni doti di intelligenza e di cuore indussero Mons. Carrol a nominarlo amministratore apostolico della diocesi della
Luisiana che Napoleone aveva venduto agli Stati Uniti nel 1803, e delle due Floride, un territorio sterminato, compreso
tra il Mississipi e le Montagne Rocciose, tra il golfo del Messico e il Canadà. Per tre anni egli portò il peso di una
diocesi sprovvista di sacerdoti – ne aveva soltanto una dozzina e tutti avanzati in età – dove la pratica della vita cristiana
era inesistente, amareggiato per di più dal tentato scisma di un cappuccino spagnolo, P. Antonio de Sedella.
C3,125:I3
Nel maggio 1815 partì per Roma con l'intenzione o di ottenere aiuti corrispondenti alle necessità o di rimettere la sua
carica nelle mani dei superiori. Pio VII lo incoraggiò e lo nominò vescovo della Luisiana: fu consacrato il 24 settembre
nella Chiesa di San Luigi dei francesi a Roma. Gli aiuti di personale glieli fornirono in parte i lazzaristi, una diecina di
soggetti presi un po' da tutta l' Europa, tra cui diverranno celebri il P. Felice De Andreis, ora Venerabile, nativo di
Demonte (Cuneo) e il P. Giuseppe Rosati di Sora, che sarà il primo vescovo di Saint-Louis; e in parte li trovò a Roma e
a Torino. Dei candidati alla missione americana parla la lettera del Lanteri che qui pubblichiamo. Il Du Bourg rientrò
negli Stati Uniti nel 1817, portandosi con sé anche l'italiano abate Angelo Inglesi, di Città della Pieve, un avventuriero
attivo e intelligente, ma senza scrupoli, che in un primo tempo gli fu di grande aiuto, ma che alla fine lo obbligò a
dimettersi dalla diocesi (l'Inglesi morì nel 1825 curando i colerosi di Haiti) (C. Bona, La rinascita missionaria, 88-89).
Nel 1825 Mons. Du Bourg, per diversi motivi e anche a causa dell'affare Inglesi, tornò in Europa e fu fatto vescovo di
Montauban, dove rimase sette anni (1826-1833). Il 25 febbraio 1833 fu nominato arcivescovo di Besançon, ma vi
rimase solo dieci mesi essendo morto il 12 dicembre 1833 (HC, VII, 112, 269, 286; C. Bona, La Rinascita missionaria
in Italia, 1964, 43-90; J. Rothensteiner, History of the Archdiocese of Saint-Louis, I, Saint-Louis, Mo 1928, 337-398; J.
W. Ruane, The beginnings of the Society of Saint-Sulpice in the United States (1791-1829), Washington 1935. 97 ss.; F.
L. Ruskowski, French émigré priests in the United States (1791-1815), ivi 1940, 31 ss.; The Catholic University of
America, Studies in American Church History, vol. 22 e 32; R. Ricciardelli, Vita del Servo di Dio Felice de Andreis,
Roma 1923, 164-429; Correspondence of Bishop Du Bourg with Propaganda, a cura di Ch. L. Souvay, in Saint-Louis
Catholic Historical Review, 1, 1918-1919, 73-80, 127-196 ecc.; C. M. Chambon, in Enc. Catt., V, 178-179; S. Paventi,
in Enc. Catt., X, 163).
C3,125:T1
17 settembre 1816
Torino, li 17 settembre 1816
Al sommo mi spiace di non poter inviare in questo autunno i quattro sacerdoti da V.S. Ill.ma
Rev.ma scelti per la Missione della sua Diocesi, e questo non per alcuna difficoltà fatta dall'Ill.mo e
Rev.mo Sig.r Vicario nostro Capitolare*1, poiché in seguito alla sua lettera rimessagli si dimostrò
pronto di accordare gli “exeat” richiesti, neppure per difetto di buona volontà in tutti i soggetti, ma
per circostanze impensate così disposte dalla Divina Provvidenza*2.
Poiché primieramente il Sig. D. Valesano non vedendo giungere alcuna risposta da V.S. Ill.ma e
Rev.ma in quel frattempo s'impegnò con un parroco, onde presentemente non è più in libertà, né so
se lo sarà per la ventura primavera, o se ne avrà ancora la stessa buona volontà*3.
2. Il Sig. Avvocato Destefanis è stato per lungo tempo travagliato da febbre terzana, appena adesso
comincia ad esserne libero, egli è ancora molto debole e temerei che ne venisse nuovamente assalito
in un così lungo viaggio, onde sarebbe a mio giudizio vera imprudenza il lasciarlo partire in tale
stato, sebbene egli si faccia coraggio e sia disposto a viaggiare anche ora e da solo*4.
3. Il Sig. D. Paschetti vedendo il suo amico indivisibile presentemente inabilitato, credette spediente
d'aspettare ancora lui questa primavera*5.
4. Il Sig. D. Arnaldi non mancò di scrivere subito al suo Vescovo di Nizza per avere l'“Exeat”
richiesto, ma trovandosi il Vescovo in visita nella sua Diocesi, non poté finora averne risposta
alcuna, egli si tiene per altro sicuro d'ottenerla, ed è pronto a partire anche solo, e in qualunque
tempo, disposto a procacciarsi frattanto in Bordeaux la sua qualunque sussistenza o con l'operariato,
o con dare lezioni ecc., finché giunto sia il tempo di partire per l'America*6. Arnaldi e Destefanis
sono due soggetti a mio parere eccellenti, dei quali io sono particolarmente contento.
C3,125:T2
Conviene dunque
Conviene dunque per necessità rimettere questa partenza dei tre o quattro soggetti sovrannominati
alla ventura primavera, a tenore di quanto si compiacque significarmi V.S. Ill.ma e Rev.ma. Rimane
ora soltanto da sapere il tempo preciso della loro partenza se debba cioè prefiggersi in principio di
marzo, per imbarcarsi, m'immagino, in principio di aprile per l'America, o quando meglio Ella
giudicherà ed avrà la bontà di indicarmi, affinché possano per tempo disporre le loro cose, e
procacciarsi i necessari passaporti, essendo essi ansiosissimi di sapere presto il loro destino; né
mancheranno di far vistare i suddetti passaporti dall'Ambasciatore di Francia, come opportunamente
ci ha suggerito il Pregiat.mo Sig. D. Luigi Bighi*7. Sarebbe pure opportuno se volesse significarmi
per mia regola la somma del denaro pressappoco necessaria per caduno per il viaggio, onde possa
procurare loro la cambiale da V.S. Ill.ma e Rev.ma suggeritami, per cui spero di trovare denaro in
prestito, in supplemento del piccolo fondo rimasto perciò presso S.E. il Sig. Marchese d'Azeglio, e
delle 300 lire milanesi indicate dal Rev. Sig. D. Bighi, che finora non ho ancora ricevuto dal P.
Pianca Barnabita milanese*8.
Il Sig. D. Loggero, sensibilissimo alla memoria e tratti di bontà che V.S. Ill.ma e Rev.ma volle
dimostrarci, mi lascia di presentarle i suoi più umili ossequi, e testificarle i suoi più vivi sentimenti
di gratitudine, e del continuo rincrescimento di non poterla seguire: egli è accettato per il noviziato
di Genova che presto si aprirà*9.
Se la mia età e i miei incomodi non mi fossero d'ostacolo, m'esibirei io ben volentieri, e mi crederei
felice di poter rimpiazzare i soggetti mancanti in questa spedizione; ma non essendo capace di tanto,
mi contenterò di esibirmi pronto sempre che vorrà onorarmi dei suoi pregiatissimi comandi*10. E con
la massima considerazione e con il più profondo rispetto le bacio umilmente le mani e mi protesto.
C3,125:T3
Finora non c'è niente
Finora non c'è niente di nuovo riguardo all'edizione del Nuovo Testamento progettata dal Sig. Conte
Grimaldi, a cagione di vari incidenti occorsi, però non si è ancora rinunciato affatto. Abbiamo letto
a questo proposito: Notice sur la Société de la Bible, Genève 1815, la di cui entrata nel 1814 dice
che oltrepassava due milioni di franchi, che il numero degli associati era di 50 mila, e il numero
degli esemplari in circolazione ascendeva a 3 milioni e più*11.
Quello poi che più dispiacque si è quanto si legge poi alla pag. 22: “persuadés comme nous l'étions
que leur lecture est interdite au peuple chez les Catholiques, nous voyons non sans regret que les
Chrétiens, qui en si grand nombre professent ce culte, ne tireraient aucun avantage des efforts
bienveillants de la Société. Heureusement plusieurs lettres de la correspondance nous ont détrompés
à cet égard”. Ma ci ha consolato il vedere frattanto che non sanno citare che una sola lettera di un
prete cattolico, di massime più protestanti di quelle del medesimo ministro protestante a cui scrive,
siccome appare chiaro dalla stessa lettera. Né più si fa menzione in tutto l'opuscolo di alcun'altra
persona cattolica se non quando soggiunge alla pag. 38: “La Louisiane se distingue dans ce zèle si
général. L'Évêque et les principaux membres du Clergé Catholique y ont déclaré, non seulement
qu'ils ne s'opposaient pas à la circulation des Saintes Écritures, mais qu'ils étaient disposés à
concourir aux vues de la Société”. Siamo persuasissimi essere questa un'impostura solenne solita
dei protestanti, fatta o alla rispettabilissima persona di V.S. Ill.ma e Rev.ma, o alla memoria del suo
Antecessore, la quale vorrei bene che si potesse far ritrattare*12.
C3,125:T4
È vero che
È vero che risulterà alla fin fine da una tale società una inondazione e confusione di Bibbie piene di
alterazioni, falsità e di contraddizioni che si attireranno meritatamente il disprezzo dovuto e si
aumenteranno ad un tempo gli argomenti di autenticità e genuinità della nostra Volgata, ed apparirà
sempre più chiara la necessità di un Tribunale Supremo, come è quello della Chiesa, sola legittima
custode ed interprete infallibile della Scrittura, senza di cui non si potrà mai avere una Bibbia fedele
ed autentica; si vedrà che solo dalla Chiesa e non dagli eretici deve riceversi la Sacra Scrittura e
l'intelligenza come dice Bossuet; si manifesterà la saviezza dei regolamenti fatti d'ordine del
Concilio di Trento, ove si proibiscono le versioni d'autori eterodossi, e le versioni in volgare anche
d'autori cattolici senza annotazioni, e solo si permettono le versioni con annotazioni ed approvate
dalla S. Sede. Servirà in sostanza quest'impresa di trionfo per la Chiesa; ma non lascerà di recare
però grandissimo danno ai fedeli.
P.S. Il Sig. D. Luigi Arnaldi ha ricevuto di quest'oggi il suo “Exeat” dal Vescovo di Nizza. Si
adopera presentemente a procacciarsi il passaporto vistato dall'Ambasciata di Francia, onde partirà
li 21 del corrente, al più tardi li 24, per giungere a Bordeaux li 30 corrente, al più tardi li 3 del
venturo mese. Il Sig. Marchese d'Azeglio mi dice che gli somministrerà il piccolo fondo che ha, il
quale si farà ascendere a 300 franchi, somma creduta necessaria per le spese del viaggio, e così non
occorre più munirsi d'alcuna cambiale. Intanto quando riceverò da Milano le 300 lire milanesi dal P.
Pianca Barnabita, le ritirerò per conto di un altro soggetto per questa primavera, onde non rimarrà
più che da provvedere per uno o due soggetti al più, se anche il Sig. D. Valesano sarà disposto a
partire in compagnia del Sig. Avv. Destefanis, e del Sig. D. Paschetti…
A Monsignor Dubourg
Vescovo della Luigiana
Au Séminaire de Saint-Sulpice
Rue Pot-de-Fer.
Paris
C3,125:*1
Vicario Capitolare della diocesi di Torino, dal 1814, data della morte di Mons. Giacinto della Torre,
era il can. Emanuele Gonetti, che ritroveremo più tardi nella vicenda della fondazione degli Oblati
di M.V. Il Gonetti in un primo tempo aveva secondato il Lanteri nella ricerca di soggetti adatti per
le missioni, ma giunto poi il momento di concepire l'autorizzazione, era stato preso dallo scrupolo
giudicando non potere privare la diocesi di elementi necessari alla cura d'anime sul posto, tanto più
che la diocesi era vacante (C. Bona, Rinascita…, 1964, 54).
C3,125:*2
Vista la difficoltà fatta dal Gonetti alla partenza dei missionari piemontesi, il Dubourg, su consiglio
del Lanteri, preparò una supplica da inoltrare a Roma (se ne conserva copia in AOMV, S.
1,10,22:573), datata da Parigi il 7 agosto 1816, perché il Papa si degnasse “accordare una piena
missione per la Luisiana” ai sacerdoti presentati a Roma dal vicario capitolare. Forse però la
supplica – come pare poter rilevare da un accenno del Lanteri – non fu inoltrata; tuttavia il Gonetti
si lasciò persuadere dalle ragioni presentate dal Dubourg, e alla fine concesse il desiderato
permesso, l'“exeat”. Ma ora sono i missionari i quali, pur ansiosissimi di salpare, non sono più
disponibili a partire a causa degli indugi durati cinque mesi (C. Bona, Rinascita…, ivi).
C3,125:*3
Di don Secondo Valesano, torinese, che più tardi partì per la Luisiana, e nel 1828 domandò ed
ottenne di entrare negli Oblati a Pinerolo, uscendone però poco dopo e incardinandosi nella diocesi
di Torino – un tipo incostante come risulta anche da quanto si dice in questa lettera – il P. Calliari
ne parla più ampiamente in seguito, a commento delle lettere da lui scritte al Lanteri.
C3,125:*4
Destefanis, era un sacerdote e avvocato di Alessandria.
C3,125:*5
Il Paschetti, amico del Destefanis, era pure di Alessandria.
C3,125:*6
Don Arnaldi, diocesano di Nizza Marittima, ottenne l'exeat dal vescovo G.B. Colonna, nato in
Corsica nel 1758, m. a Roma nel 1835, vescovo di Nizza dal 1802 al 1833 (HC, VII, 282).
C3,125:*7
Don Luigi Bighi è un sacerdote romano, che più tardi partì per la Luisiana insieme con un altro suo
concittadino, certo Pereira, ma che morì subito dopo arrivato in America, vivamente rimpianto per
le sue eminenti doti apostoliche (R. Ricciardelli, op. cit., 356, n.).
C3,125:*8
Pianca Giovanni Antonio, barnabita, n. a Milano nel 1767, m. ivi il 12 maggio 1839. Professò nel
1785, insegnò lettere nel collegio di Livorno, aperto da poco dal P. Quadrupani, e attese nello stesso
tempo alla predicazione. Dopo la soppressione della Congregazione (1810) egli continuò, per
incarico del governo, a reggere la scuola di S. Alessandro a Milano. Ricostituita la Congregazione
(1814), ottenne di entrare nella provincia romana e fu insegnante nel collegio di Massa Carrara,
aperto per interessamento della duchessa di Modena, e poi provinciale della provincia romana.
Ricostituitasi anche la provincia lombarda, domandò di farne parte e di tornare a Milano: fu
successivamente provinciale della Lombardia e aprì il collegio-convitto di S. Francesco a Lodi.
Morì a S. Barnaba, Milano, il 12 maggio 1839 all'età di 72 anni.
C3,125:*9
P. Giuseppe Loggero ebbe sempre un vivo spirito missionario, ma non poté mai effettuare il suo
sogno missionario nelle missioni estere. Si accontentò di predicare spesso e con frutto le missioni
parrocchiali e popolari in Piemonte e in Liguria, soprattutto dopo che si era fatto Oblato e stava a
Carignano, a Pinerolo e a Torino, al santuario della Consolata. Il P. Loggero ebbe per un certo
tempo l'intenzione di farsi gesuita, ed infatti era già stato accettato nel noviziato di Genova (1816),
quando il Lanteri lo fece rientrare a Torino pochi mesi dopo. Di “don Loggero, Amico Cristiano”,
possediamo una lettera del 29 aprile 1816 (in AOMV, S. 1,10,21a:542), datata da Torino,
indirizzata al “Reverd.mo Padre Giovanni Perelli, o chi per Esso, Vicario Generale della
Compagnia di Gesù, Roma” (pubblicata dal P. Bona, Rinascita…, 141-142), nella quale si legge:
“Ottenni già con somma mia consolazione per mezzo della sua gentilissima (del 15 novembre di
essere accettato nella Compagnia e di entrare nel noviziato appena si fosse aperto a Genova o
altrove)… Essendo stato qui di passaggio l'Ill.mo e Revd.mo Monsignor Du Bourg, Vescovo della
Nuova Orleans nella Luigiana, ed avendo fatto sentire l'estremo bisogno di quella Cristianità, ed il
suo desiderio di procurare uno Stabilimento della Compagnia di Gesù nella sua vastissima Diocesi,
tutta mi sentii rinnovata in cuore quell'ardentissima inclinazione, che fu sempre anche da quando
non avevo ancora vestito l'abito ecclesiastico, come innata in me di consacrarmi un giorno
totalmente a far conoscere Iddio alle ancor barbare Nazioni, e specialmente alla nazione americana;
e perciò sarei umilmente a supplicare V.P. Revd.ma di accordarmi la grazia di essere annoverato tra
i fortunati Novizi richiesti al Revd.mo Padre Generale della Compagnia dal Prefato Ill.mo e
Revd.mo Monsignore per il detto Stabilimento nella Luigiana, a degnarsi di accordarmi l'ubbidienza
per il Noviziato di Baltimora: in tali supposizioni il prefato Ill.mo e Revd.mo Monsignor Du Bourg
mi attende a Bordeaux per partire con lui al principio di ottobre, tempo propizio per tale viaggio, e
mi farebbe la spesa (unitamente ad altri Ecclesiastici, i quali pure aspirano ad essere accettati colà
nella Compagnia da stabilirsi nella Luigiana o a Baltimora) a condizione che finito il Noviziato a
Baltimora, i Superiori acconsentano ad inviarmi a faticare nel Campo Evangelico della di lui
vastissima Diocesi. Nel caso però, che questa condizione venisse considerata come una difficoltà ad
ottenere la supplicata grazia, io procurerei di fare il viaggio a proprie spese per essere, come
unicamente desidero, totalmente a libera disposizione dei M.to Rev.di Padri della Compagnia…” (il
Loggero prosegue dicendo di avere 39 anni e di trovarsi da 9 anni nello stato ecclesiastico).
C3,125:*10
Le parole qui scritte dal Lanteri non erano semplice retorica convenzionale e d'occasione. Abbiamo
già detto che l'Aa aveva tra l'altro anche un concreto programma missionario, sia per le missioni
popolari e parrocchiali che per le missioni all'estero, e che il Seminario delle Missioni Estere di
Parigi ha in parte la sua origine nell'Aa, con cui poi mantenne sempre degli stretti contatti. Il Lanteri
ha sempre vissuto intensamente lo spirito dell'Aa e non poteva quindi essere indifferente neppure a
questo orientamento apostolico. L'accenno alla propria salute sempre precaria non era affatto
esagerato. L'ideale delle missioni estere, non potuto attuare dal fondatore, sarà ripreso e attuato più
tardi dai suoi figli in Birmania ed in India, nel secolo XIX, e attualmente in Amazzonia, Brasile.
C3,125:*11
L'influenza della Società biblica di Londra si faceva sentire anche in Piemonte, e nel 1834 si
stampava a Londra anche una traduzione della Bibbia in piemontese: L' Testament Neu de
Nossegnour Gesu-Crist tradout in lingua piemonteisa, Londra, Dai Torchj di Moyes, Castle Street,
Leicester Square MDCCCXXXIV, 480 pp. L'azione del Lanteri in questo campo non si limitò
soltanto a progetti teorici, ma, secondo il suo solito, passò subito al pratico. Infatti il primo indirizzo
– e il nome primitivo – che ebbe la futura Amicizia Cattolica, sarà chiaramente biblico (Società
biblica) e l'attività contro la diffusione delle bibbie protestanti sarà uno dei punti più importanti
della nuova Amicizia (cfr. Positio, 146-148; Bona, 314 ss., 559). La Società biblica, diventata poi
Amicizia Cattolica, capeggiata dal marchese Cesare d'Azeglio, ebbe un ruolo importantissimo
nell'introduzione in Piemonte dell'Opera della Propagazione della Fede, fondata a Lione da Paolina
Jaricot, nella diffusione dell'ideale missionario tra il clero e il popolo e nel raccogliere fondi per
sovvenzionare le missioni e i missionari (C. Bona, Rinascita…, 25-88; S. Beltrami, Piemonte
missionario, Torino 1939, 10-13; Id., La Pont. Opera della Propagazione della Fede, Firenze
1961).
C3,125:*12
La Luisiana era un immenso territorio occupato teoricamente dalla Francia sotto Luigi XIV – da cui
prese il nome – e assai poco popolato. Le missioni cattoliche vi si svilupparono in condizioni molto
difficili anche per le rivalità che dividevano tra loro i cappuccini spagnoli, le missioni estere di
Parigi e il vescovo di Quebec, da cui allora quel territorio dipendeva. Nel sud, alle foci del
Mississipi, si andò più tardi sviluppando un gruppo di popolazione cattolica di origine francese,
mista a molti elementi negri addetti alla coltivazione della canna da zucchero, diversa dalla
popolazione canadese, ma non meno decisa a conservarsi cattolica. Nel 1763 la Luisiana fu ceduta
alla Spagna, poi dalla Spagna ceduta nuovamente alla Francia, e infine dalla Francia, sotto
Napoleone, venduta nel 1803 definitivamente agli Stati Uniti. Nel 1806 la Congregazione di
Propaganda affidò la Luisiana alla diocesi di Baltimora, il cui vescovo fu nominato amministratore
apostolico. Nel 1826, in seguito alla cessione della Florida agli Stati Uniti da parte della Spagna, il
vescovo della Luisiana (che frattanto era Mons. Dubourg), poté esercitare la sua giurisdizione su
tutto il territorio (G. Carrere, in Enc. Catt. VIII, 2.032).
C3,134:S
Lanteri ai padri Reynaudi e Biancotti
5 ottobre 1816
Nomina del P. Reynaudi a capo della comunità degli Oblati di Carignano
Originale e minuta in AOMV, S. 2,7,2:232
C3,134:I
La nomina era stata sollecitata dal Reynaudi e dal Biancotti, i due unici membri della comunità per allora, dietro
suggerimento dello stesso Lanteri, sia per ottemperare a un punto del Regolamento, sia per poterlo presentare
all'autorità civile in vista dell'approvazione governativa.
C3,134:T
Pregiat.mi e car.mi in Gesù Cristo
5 ottobre 1816
Godo sommamente che il Regolamento della loro amata Congregazione in onore di Maria Ss. sia
stata dal Superiore approvata e segnata sì et come fu da loro presentata, né ho mancato di
ringraziarne di cuore il Signore e Maria Ss. nostra cara Madre. Trovo ora ben pensato e necessario
di devenire alla nomina del Superiore a tenore delle loro Regole, e dovendosi secondo esse
nominare il Superiore dalla Congregazione e non essendo questa composta che di due soli soggetti,
capisco e lodo la di loro delicatezza a questo riguardo. Per tanto accolto per questa volta, e molto
volentieri il dolce incarico d'influire io stesso per tale nomina, e dopo essermi raccomandato al
Signore, dopo aver celebrato, e fatto celebrare per ottenere da Dio il lume necessario, credo volontà
di Dio che il Superiore sia il Sig.r D. Reynaudi, suggerendogli però che nelle cose di qualche
importanza non tralasci di consultare il Sig.r D. Antonio Biancotti, e andare d'accordo con il
medesimo per quanto si potrà. Non dubito che il Signore Iddio benedirà questa loro amatissima
Società degli Oblati di Maria onde possano e santificare se stessi, e guadagnare moltissime anime a
Gesù, ed a Maria essendo questo il fine di tutti i loro patimenti.
E caramente abbracciandoli ambedue nel Signore caldamente mi raccomando ai loro S.S. [Santi
Sacrifici] e mi protesto
Dalla Grangia di Bardassano li 5 ottobre 1816
Dev.mo Aff.mo in Gesù Cristo
P.B.L. [Pio Bruno Lanteri]
C3,138:S
Lanteri al padre Giuseppe Loggero
9 novembre 1816
Motivi per cui il Loggero deve lasciare il noviziato della Compagnia di Gesù e tornare a Torino
Originale in AOMV, S. 2,1,6:30a
C3,138:I1
Loggero in quel tempo si trovava a Genova nella casa dei gesuiti (riaperta da poco per l'interessamento del P. Orazio
Montesisto e destinata al noviziato) perché intendeva farsi gesuita dietro l'esempio di altri suoi amici sacerdoti, tutti
membri della Pia Unione di San Paolo di Torino, don Luigi Gianolio, don G.B. Reynaudi, don Prospero Taparelli
d'Azeglio, don Chiavero, don Bagnasacco ecc., che già avevano chiesto ed ottenuto di entrare nella Compagnia. Il
motivo principale di questa vocazione del Loggero era il desiderio di andare nelle missioni estere della Luisiana
(America del nord), cosa che, come vedremo, non si effettuerà mai per diverse difficoltà sorte nel frattempo. Non è
difficile seguire attraverso i documenti che ci rimangono l'iter quasi completo di questa “avventura” del Loggero, allora
di 39 anni (da 9 anni sacerdote) e nel pieno delle sue forze:
– il 29 aprile 1816, Loggero scrive al P. Giovanni Perelli, Vicario Generale della Compagnia di Gesù in Italia,
chiedendo di poter andare nelle missioni della Luisiana (v. Lanteri a Mons. Dubourg del 17 settembre 1816, nota 9,
dove è riportata la lettera del Loggero al P. Perelli);
– il 12 luglio 1816, Loggero entra nei gesuiti di Genova come probando in attesa di essere ammesso nel noviziato
(Lanteri al P. Montesisto del 12 luglio 1816);
– l'accettazione è confermata dalla lettera del Lanteri al Dubourg del 17 settembre 1816, dove si legge: “Il Sig. Don
Loggero… mi lascia di presentarle i suoi umili ossequi, e testificarle i suoi più vivi sentimenti di gratitudine, e del
continuo rincrescimento di non poterla seguire: egli è accettato per il noviziato di Genova che presto si aprirà…”;
C3,138:I2
– le difficoltà devono essere iniziate o immediatamente prima o subito dopo l'apertura del noviziato (1 novembre 1816)
e durante gli esercizi spirituali che Loggero stava facendo con gli altri in preparazione alla vestizione religiosa che
doveva aver luogo il 13 novembre, egli scrisse un'ultima lettera al Lanteri per esporgli il suo stato d'animo e le sue
apprensioni. Mancandoci il testo di questa lettera – e delle altre due che la precedettero – dove queste difficoltà erano
manifestate, non ci è possibile stabilirne né la data precisa, né determinare di qual natura queste difficoltà fossero – “il
vostro imbroglio” come le chiama il Lanteri – ma conoscendo un po' il carattere alquanto indeciso del Loggero e dalle
espressioni usate dal Lanteri (“Il Signore vi ama… il Signore vuole che vi facciate santo, per questo ha disposto tutte
quelle gravissime tribolazioni… pare ancora dubbia la vostra vocazione, ecc.…”) si può arguire che all'ultimo momento
Loggero sia stato preso da scrupoli e da apprensioni che indicavano chiaramente non essere quella la volontà di Dio per
lui e la strada che egli doveva seguire. Il Lanteri lo intuisce subito e lo richiama a Torino. Con la sua solita prudenza
però agisce con molta delicatezza sia col Loggero sia coi suoi superiori gesuiti, e presenta il provvedimento come
occasionale per un abboccamento in merito alla questione della monaca Crocifissa Bracchetto che doveva entrare tra le
Turchine di Genova. Di qui la lettera “ostensibile” che confermava questa versione (v. lettera seguente).
Il Loggero tenterà una seconda volta di entrare nella Compagnia di Gesù, nel 1821, dopo la dispersione degli Oblati di
Maria Santissima di Carignano, di cui il Loggero aveva fatto parte per 3 anni (1817-1820), imitando l'esempio di altri
due confratelli, P. Antonio Biancotti e P. Antonio Lanteri (lettera Loggero a Lanteri del 22 novembre 1821), ma anche
questo secondo tentativo del Loggero fallì.
C3,138:T1
9 novembre 1816
Car.mo in Gesù Cristo
Il Signore vi ama: ecco la soluzione del problema, le creature sono cause seconde mosse
necessariamente dalla causa prima, o almeno non possono operare indipendentemente da essa, che
tutto dirige per nostro bene, perché è nostro Padre nello stesso tempo; in una parola vuole il Signore
che vi facciate santo, per questo ha disposto tutte quelle gravissime tribolazioni affinché pratichiate,
anche se occorre, atti eroici di virtù.
Da quanto però rilevo dalle vostre tre lettere, alle quali con mio rincrescimento non mi è stato
possibile rispondere prima, pare almeno ancora dubbia la vostra vocazione; onde (eccetto vestiate
subito l'abito con gli altri), io penso sia opportuno che ritorniate con me, tanto più che così potremo
anche meglio definire l'affare di Crocifissa*1, cui peraltro scrivo pure quanto penso a suo riguardo.
Io avrei desiderato che neppure aveste scritto a Roma, ma ciò è fatto, né occorre aspettare costì la
risposta che che vi dicano codesti Religiosi, dite loro che io tengo necessità di abboccarmi con voi,
onde indispensabilmente dovete venire: frattanto vi sono Esercizi da dare presto, ed in più luoghi, i
quali non si danno per difetto di soggetti; chi sa che il Signore voglia facciate questo bene così
urgente.
Approvo la supplica di Crocifissa in tutto e per tutto, non vedo nessun inconveniente che aspetti se
vuole la risposta della supplica, e disponga di tutto prima d'entrare, ma per altra parte non saprei
indurmi a dissuaderla dall'intraprendere la carriera propostasi; scrivo alla medesima quanto penso, e
vedrete assieme se vi sono altre difficoltà da sciogliere, me le significherete a voce, perché deve
restarne tranquilla e convinta, onde prima di partire intendete tutto bene dalla medesima affinché
possiamo esaminare tutto a sangue freddo. Lo stesso io dico di voi: non amo che intraprendiate ora
la vostra carriera perché vi vedo così turbato, stante che sono risoluzioni da prendere con somma
pace.
C3,138:T2
Potete leggere quanto scrissi al Can.o Giulio, e se volete significargli il vostro imbroglio, e la mia
risoluzione di richiamarvi, per ora credo non sarà mal fatto. Vi ho fatto la lettera ostensibile caso ne
abbisogniate per svincolare voi dal P. Montesisto o altri*2.
Per ora altro non mi sovviene se non che abbiate cura delle gambe e della salute, altrimenti non
potrete dare i S. Esercizi, e caramente abbracciandovi vi sono in fretta
Torino li 9 novembre 1816
T. [Tutto] V. [Vostro] Aff.mo in Gesù Cristo
L. [Lanteri]
C3,138:*1
Suor Crocifissa Bracchetto, ex monaca delle canonichesse di S. Agostino di Torino, penitente del
Lanteri, faceva pratiche per entrare nel monastero delle Turchine di Genova, dove effettivamente
entrò l'anno dopo con una sua sorella, parimenti ex monaca.
C3,138:*2
P. Montesisto Orazio, S.J., (Girgenti 1747-Palermo 1831), era entrato nella Compagnia già nel
1762. Dal 1816 è a Genova per incarico del P. Perelli, Vicario Generale dell'Italia e della Spagna,
per svolgervi le pratiche dell'apertura della casa dei gesuiti, destinata temporaneamente a noviziato
per i vecchi membri piemontesi e liguri della soppressa Compagnia che volessero rientrarvi (i quali
però furono pochi, e non troppo avanzati in età) e per le nuove reclute. Il noviziato di Genova fu
aperto ufficialmente il 1 novembre 1816 e vi fu accettato anche il Loggero, che doveva vestire
l'abito il 13 novembre: ma prima di quella data egli tornò a Torino in casa del Lanteri. Il noviziato
di Genova nel 1820 fu trasportato a Chieri.
C3,141:S
Lanteri a padre Giuseppe Loggero
9 novembre 1816
Lettera “ostensibile” in caso di necessità per giustificare la partenza per Torino
Originale in AOMV, S. 2,1,6:30b
C3,141:I
È la lettera “ostensibile” di cui abbiamo parlato nella nota alla lettera precedente.
C3,141:T
Car.mo in Gesù Cristo
Da quanto sento non v'è apparenza alcuna che vestiate l'abito di Novizio per li 13 insieme agli altri;
in tale caso io abbisogno sommamente d'abboccarmi con voi per la commissione lasciatavi riguardo
alla Religiosa Brachetti. Vi prego dunque di non mancare di venire subito finiti i S. Esercizi a
Torino; non importa che abbiate scritto a Roma, ne attenderete qui la risposta, ed assieme
c'intenderemo d'ogni cosa. E caramente abbracciandovi vi sono
Torino li 9 novembre 1816
T. [Tutto] V. [Vostro] Aff.mo in Gesù Cristo
Teol.o Pio Bruno Lanteri
À Monsieur
Monsieur l'Abbé Joseph Loggero
Gênes
C3,144:S
Lanteri al Ministro degli Interni
fine 1816 – inizio 1817
Richiesta del convento di San Francesco d'Assisi, già dei francescani conventuali, per mettervi una comunità di Oblati
di Maria Vergine
Copia autentica in AOMV, S. 1,7,3:289b
C3,144:I1
Pubblicata in Positio, 207-208.
La lettera è stata preparata dal Lanteri, ma presentata a quanto sembra dagli Oblati al Ministro degli Interni – che in
quel tempo era il conte Prospero Balbo – nella quale si chiede la cessione dell'ex convento dei francescani conventuali e
l'annessa chiesa di San Francesco d'Assisi per erigervi la Congregazione degli Oblati di Maria Santissima Addolorata
(nome primitivo degli Oblati di M.V.), che era stata da poco fondata e approvata a Carignano. L'originale della lettera
non si è trovato, ma in AOMV ne abbiamo la minuta autografa del Lanteri e diverse copie con dizione leggermente
diversa. Noi qui diamo la redazione scelta dalla Positio a pagina 207.
La lettera non concerne solo la fondazione della Congregazione degli Oblati e la loro sistemazione nella città di Torino,
ma anche e soprattutto la fondazione del Convitto Ecclesiastico a cui il Lanteri pensava da tempo e che avrebbe voluto
realizzare attraverso i suoi Oblati e sistemare nei locali dell'ex convento di San Francesco.
C3,144:I2
L'idea di un Convitto Ecclesiastico in Torino – cioè di una casa che accogliesse i molti studenti di teologia all'università
candidati al sacerdozio – durava già da quasi un secolo ed era intimamente legata con le così dette “Conferenze di
teologia morale pratica”, istituite presso l'università dal re Carlo Emanuele III e dall'arc. Francesco Arborio di Gattinara
(1724-1743) nel 1738, e poi anche presso il seminario diocesano dall'arciv. Giovanni B. Roero di Pralormo (17441766), rimesse in onore durante il periodo napoleonico dall'arciv. Giacinto della Torre il 26 novembre 1811. Il Convitto
Ecclesiastico rispondeva a una viva necessità, quella di raccogliere i seminaristi e i giovani sacerdoti abbandonati a se
stessi proprio nel periodo in cui maggiormente avrebbero dovuto attendere alla propria formazione spirituale, pastorale
e culturale. Il Lanteri si era sempre interessato di tutti i problemi che riguardavano la formazione e la preparazione del
clero e non poteva quindi restare insensibile neppure di fronte alla condizione di coloro che frequentavano le conferenze
di morale pratica. Così sul finire del 1816 egli pensò di servirsi degli Oblati di Maria Santissima Addolorata fondati a
Carignano un mese prima (novembre 1816) per aprire in Torino una pensione per i giovani sacerdoti senza quartiere. A
tal fine egli preparò la lettera che pubblichiamo, indirizzata al ministro degli interni, per ottenere il locale ad uso della
Congregazione (senza ancora accennare al progetto del Convitto), ma per diverse difficoltà sorte nel frattempo – tra cui
la principale era la contrarietà del governo piemontese all'introduzione in Torino di nuove comunità religiose e
l'ostracismo dato in altre forme a qualunque comunità religiosa – i locali di San Francesco non furono accordati al
Lanteri e il progetto del Convitto sfumò. Sarà però realizzato l'anno dopo (1817) dal teol. Guala, longa manus del
Lanteri e suo costante collaboratore, che era già dal 1807 rettore dell'annessa chiesa di San Francesco e capo della
conferenza di morale.
C3,144:T
Eccellenza
Alcuni Ecclesiastici consapevoli per esperienza del gran frutto che producono gli Spirituali Esercizi,
avendo per una parte molte richieste di essi dalle popolazioni, ed altronde vedendo con rammarico
la mancanza degli Operai per tale oggetto, sono ansiosi di unirsi in comunità sotto il titolo di Oblati
di Maria Ss. Addolorata, onde con maggior facilità soddisfare, per quanto loro sarà possibile, il
desiderio dei popoli e formare eziandio altri soggetti per tale fine. Essi sperano che il Signore vorrà
benedire la loro intrapresa mentre un numero sufficiente di Giovani Ecclesiastici, che attualmente
sono impazienti di entrare in qualche Comunità Religiosa, sono già disposti ad aggregarsi a questa
Congregazione, oltre che si somministrerebbe con essa uno sfogo a quelli che in avvenire avessero
una tale vocazione.
Ricorrono pertanto con l'approvazione del loro Superiore Ecclesiastico a V.E. supplicandola di
voler loro accordare, giusta la memoria qui annessa*1, la Chiesa, e la parte del Convento e casa
invenduta di San Francesco d'Assisi, e qualora ciò non fosse possibile, di accordare loro il tutto
almeno provvisoriamente. Disposti intanto a supplire del proprio quanto alla sussistenza e spese più
necessarie, si rimettono in ogni caso per l'avvenire alla Divina Provvidenza.
Che della Grazia.
C3,144:*1
Non sappiamo esattamente se la memoria annessa a questa lettera fosse identica a quella presentata
al Vicario Generale Mons. Emanuele Gonetti (pubblicata in Positio, 203-206, vedi sotto Org, 289
a), oppure un'altra che si debba identificare con lo scritto del Lanteri intitolato: Motivi di
domandare a preferenza il locale di San Francesco d' Assisi per gli Oblati di Maria Vergine
Addolorata, di cui si conserva soltanto una riduzione schematica in due minute del Lanteri (AOMV,
S. 2,7,1:231) e in due copie di altra mano (AOMV, S. 1,7,3:289c, cfr. lettera seguente). Nelle
minute del Lanteri si parla anche del Guala: “Oltre l'utilità di avere il Teologo Guala, oltre la
speranza di avere il Teologo Guala”. Nelle copie questa notizia non è più ripetuta; inoltre nella
prima copia si parla degli Oblati di Maria Addolorata e del Convitto, mentre nella seconda si tratta
solo degli Oblati senza far parola del Convitto (Positio, 208).
C3,146:S
Lanteri al Ministro degli Interni
fine 1816 – inizio 1817
Richiesta dei locali e della chiesa di San Francesco d'Assisi in Torino a favore della Congregazione di Maria Vergine
Addolorata
Minuta e copia in AOMV, S. 2,7,1:231 e S. 1,7,3:289c
C3,146:I
Pubblicata in Positio, 208.
Vedi note e osservazioni alla lettera precedente.
C3,146:T
Eccellenza
Essendo noto a tutti massime da due anni in qua il gran bene che risulta alla Società dalla riforma
dei costumi per mezzo dei S. Esercizi, ed essendovi richieste di questi da molte parti, un numero
sufficiente di Giovani Ecclesiastici, altronde impazienti di entrare in Comunità Religiosa per meglio
dedicarsi alla salute delle anime, disposti sono già con l'approvazione del Superiore Ecclesiastico ad
unirsi in Congregazione sotto il titolo di Maria Vergine Addolorata per soddisfare i voti di tante
popolazioni, e promuovere i suddetti Esercizi.
Sapendosi pertanto dai medesimi che i Religiosi di San Francesco di Torino non sono in situazione
di profittare del locale loro accordato*1, né conoscendosi altro locale vacante per questo, supplicano
V.E. di volersi accertare del fatto, ed in tale caso ottenere loro da S.M., giusta la Memoria già
statale rimessa, il suddetto locale, la Chiesa cioè e la parte del Convento e casa invenduta di San
Francesco d'Assisi in Torino.
Che della Grazia.
C3,146:*1
La situazione dei pochi francescani conventuali piemontesi ancora esistenti nel 1817 è bene
descritta in queste parole della supplica presentata a Mons. Emanuele Gonetti, Vicario Capitolare,
per fondare un Convitto Ecclesiastico sotto la direzione degli Oblati di Carignano: “Potrebbe qui
opporsi primieramente che il locale suddetto fu già proposto per i religiosi di San Francesco. Si
risponde, che se vi è probabilità che questi vengano a risorgere, non s'intende fare veruna
proposizione su questo locale. Da quanto però si vocifera, i religiosi figli del convento suddetto si
riducono a quattro o cinque al più, e tutti quanti i Minori Conventuali nello Stato si riducono a
cinquanta circa, dei quali buon numero per sanità, vecchiaia, impieghi, non sarebbero più in grado
di rientrare in religione, e gli altri basteranno forse appena per compire gli altri due conventi già ad
essi proposti di Alba e Moncalieri, oltre la difficoltà di fissare la dotazione necessaria per il
convento di Torino” (Positio, 205).
C3,150:S
Lanteri al prevosto Luigi Craveri
22 aprile 1817
Don Antonio Lanteri predica una missione a Vische Canavese insieme col P. Filippo Simonino
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,150:T
Car.mo in Gesù Cristo
Torino li 22 aprile 1817
Le restituiamo D. Lanteri sano e salvo, dalla raucedine in fuori; il frutto degli Esercizi di Carignano
è stato, grazie a Dio, abbondantissimo, e V.S. Car.ma ne avrà una grandissima parte. In questo
frattempo il Sig. Av.o Faldella chiese a D. Lanteri di dare con lui gli Esercizi a Vische*1, e voleva
che partisse questa settimana per incominciarli sabato a sera; D. Lanteri ed io ci siamo opposti,
perché necessariamente doveva egli ritirarsi in Andezeno per assistere V.S. Car.ma ed aiutarla nella
prossima Domenica Patrocinio di S. Giuseppe, ed anche per riposarsi alquanto; bensì abbiamo
combinato che partisse mercoledì, perché così anche non si sarebbe assentato dalla Parrocchia più
di una Domenica. Frattanto per supplire alla sua assenza passata e futura condurrà con sé il Sig. D.
Simonino, che gli servirà pure di compagno per attendere alle Confessioni in Vische. Io credo che
V.S. Car.ma non vorrà opporsi in vista del bene grandissimo che ne risulta alla salute delle anime,
sebbene altrimenti ne avrebbe tutta la ragione, ed in caso che assolutamente lei non potesse lasciarlo
venire, siamo intesi che avrebbe domani mandato un espresso per significarci la negativa, altrimenti
sta inteso come sopra.
S'aggiunge poi che ho commissione del Sig. M.se Massimino*2 di pregarla di dare gli Esercizi a
Sant'Ignazio per gli Ecclesiastici, e ne attendiamo pure tutti un favorevole riscontro. Il tempo mi
manca, finisco con raccomandarmi caldamente nei S.S.S. e caramente abbracciandola nel S. Cuore
di Gesù e di Maria
Di V.S. Car.ma
Dev.mo Aff.mo Amico
T. Pio Bruno Lanteri
P.S. Noti che una negativa per Vische può far andare affatto a vuoto quegli Esercizi, né essi si
possono differire di più.
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sog. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. Teol. Craveri
Prevosto di
Andezeno
C3,150:*1
Vische Canavese, di circa 2.000 abitanti, in provincia di Torino e diocesi di Ivrea.
C3,150:*2
Il marchese Giuseppe Massimino di Ceva, Amico Cristiano, si interessò molto dell'opera degli
Esercizi Spirituali in genere e per la riapertura del santuario di Sant'Ignazio sopra Lanzo, vedi Bona,
279, 281.
C3,160:S
Lanteri al prevosto Luigi Craveri
5 ottobre 1817
Don Antonio Lanteri ad Andezeno per la festa dei Santi – Invito al Craveri di venire alla Grangia per la vendemmia
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,160:T
Car.mo in Gesù Cristo
Perdoni se non ho risposto prima al pregiat.mo di lei foglio per difetto d'occasione. Il Sig. D.
Lanteri forse gli avrà già risposto che spera prima dei Santi d'andare a passare alcuni giorni con lui;
avanti tal tempo non è troppo fattibile perché ci manca D. Loggero che dovette andare a Genova per
alcuni giorni, il Procuratore Sig. D. Biancotto doveva pure allontanarsi per suoi affari relativi alla
Congregazione; onde per non lasciare la stessa Congregazione sprovvista di soggetti si è preso il
temperamento d'aspettare verso la fine del mese, trovandosi probabilmente già in Carignano D.
Loggero.
Io intanto mi trovo a Bardassano per la vendemmia, e spero che Ella vorrà favorirmi presto d'una
sua visita trovandomi massimamente ancora solo.
Non si dia premura per il Biner*1 poiché presentemente non ne abbisogno. Non lasci di
raccomandarmi molto al Signore, ed a Maria Ss.; intanto caramente abbracciandola nel Sacro Cuore
di Gesù mi protesto
Dalla Grangia di Bardassano 5 ottobre 1817
Dev.mo Obl.mo Aff.mo Serv.re ed Amico
T. Pio Bruno Lanteri
C3,160:*1
Biner Joseph, S.J., della provincia germanica, m. verso il 1778 (mancano altre notizie biografiche).
Opere: Apparatus eruditionis et jurisprudentiæ præsertim ecclesiasticorum, partes XIII, Augsburg
1766-1767. Il Biner è molto stimato come giurista e moralista, per es.: De investituris episcopatuum
et abbatiarum et de synodo œcumenica Lateranensi prima dissertatio; De immunitate ecclesiastica;
De jure asylorum, ecc. (Migne, Theologiæ Cursus completus, vol XVIII, Paris 1845, pp. 775 ss.).
C3,164:S
Lanteri alla baronessa Clementina Celebrini
17 novembre 1817
Conformità alla volontà di Dio – Per avere la pace interiore bisogna adattarsi alle circostanze esteriori e non aspettare
che le circostanze si adattino a noi – Semplicità nella nostra vita
Originale in AOMV, S. 2,1,6:34
C3,164:I
Citata (in italiano) da Gastaldi, 171.
È una delle poche lettere del Lanteri che è stato possibile al P. Loggero poter riavere dai suoi corrispondenti dopo la sua
morte. Delle molte lettere che la Celebrini deve aver scritto al Lanteri non se n'è conservata nessuna. A queste lettere
accenna anche la lettera del P. Giovanale Canaveri, Canonico di Fossano, al Lanteri del 10 marzo 1818.
La famiglia baronale dei Celebrini, di Fossano, era antichissima, e si divideva in tre rami: Celebrini di Predosa, di S.
Martino e di Corneliano (V. Spreti, Enciclopedia storico-nobiliare italiana, Milano 1929, II, 412).
C3,164:T
Madame
Pardon si je ne vous ai point répondu avant, car il ne m'a pas été possible. J'ai fait votre
commission, et vous n'avez pas occasion de vous inquiéter. Vous voudriez vivre déjà dans le Ciel,
où il n'y a plus aucune vicissitude, mais il vous faut de la patience, car vous devez encore rester icibas, et souffrir avec patience les tribulations nécessaires pour aller au Ciel.
Si vous voulez être tranquille dans cette vie, il vous faut premièrement prendre le parti de vous
accommoder aux circonstances, et ne pas exiger que les circonstances s'accommodent à vous. Il
vous faut en 2e lieu étudier et pratiquer l'uniformité de votre volonté à celle de Dieu; c'est lui qui
dispose de tout, qui arrange tout, qui permet tout, et nous n'avons qu'à consulter et seconder ses
desseins paternels, qui sont toujours de nous fournir des occasions pour pratiquer tantôt une vertu,
tantôt une autre, pour avoir de quoi nous récompenser.
J'ai vu aussi dans vos lettres que vous pratiquez bien souvent des retours sur vous-même; tâchez d'y
faire attention, et de ne pas vous occuper si souvent de vous, servez le bon Dieu tout simplement. À
la place des regards sur vous, faites souvent des regards tranquilles et amoureux sur Dieu, sur son
aimable volonté, sur sa Providence adorable; dites-lui que bonne ou mauvaise que vous soyez, vous
voulez être toute à lui, et que c'est à lui à vous faire devenir meilleure. Jetez aussi sur lui toutes vos
sollicitudes sur vos enfants, sur votre mari; plus vous [vous] fierez à lui, plus il aura soin de tout.
Je vous prie de [présenter] mes respects au P. Canaveri. Priez pour moi, je vous bénis et je vous
laisse dans le Sacré Cœur de Jésus
Madame
Turin ce 17 novembre 1817
Votre très Humble Serviteur et P. [Père] en Jésus-Christ
L. [Lanteri]
(timbro postale lineare TORINO)
À Madame
Madame la Baronne
Celebrin née Maximin
Fossan
C3,176:S
Lanteri a padre Antonio Biancotti
24 gennaio 1818
Alcune richieste di missioni popolari e come provvedere
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,176:I
Il Lanteri si presenta in questa lettera come il vero superiore della comunità degli Oblati e con la sua solita precisione
determina anche i minimi particolari di quello che è da farsi. Dall'autunno 1817 egli aveva fissato la sua residenza
stabile a Carignano, essendo stato segretamente eletto Rettor Maggiore. Nei primi mesi del 1817, stando ancora a
Torino, aveva steso la breve Regola (poi rinnovata e ampliata nel 1826) che presentata il 6 agosto 1817 a Mons.
Gonetti, fu da lui approvata il 12 agosto. Questa lettera è scritta da Torino, dove il Lanteri momentaneamente si trovava.
C3,176:T
Pregiat.mo e Car.mo in Gesù Cristo
Le trasmetto l'ultima copia della Indulgenza per i 10 ultimi giorni di Carnevale. Quanto agli
Esercizi, oltre Monasterolo*1, e Santo Stefano di Rovero*2, vi sarebbe pure Fossano*3, ove li
desidererebbero pure per la metà di Quaresima, quivi bramano il T.o Guala, è vero (il quale non può
andarvi per quanto appare) ma comunque sia, converrebbe dargli uno dei nostri per Compagno,
intanto io non so come si possano contentare tutti.
Il mio pensiero sarebbe d'incominciare in Monasterolo la prima Domenica di Quaresima, in Santo
Stefano la 4a Domenica, e rinunciare a Fossano, la ragione è che conviene lasciare riposare quanto
basta i soggetti che danno gli Esercizi, e doversi piuttosto preferire Santo Stefano a Fossano per
motivo dei soggetti che colà si sperano per la Congregazione. Domani frattanto Loggero e Lanteri*4
saranno di ritorno da Grugliasco, e ne conferirò con loro, perché prima di tutto conviene vedere il
loro stato di salute, onde mi riserbo darle la risposta definitiva per lunedì, tanto più che Domenica in
Albis devono attendere la parola di dare gli Esercizi in Lanzo.
Nulla mi dice del caro Bugino, spero che stia meglio da quanto mi ha detto il Cavallante. Lunedì è
inteso con il medesimo che verrà a prendere il vino, e la stessa sera sarà in Carignano.
La prego dei miei più cordiali rispetti al Car.mo e Degn.mo D. Reynaudi, e tutti caramente
abbracciando nel Sacro Cuore di Gesù con tutta la stima mi protesto
Di V.S. Stim.ma e Car.ma
Torino li 24 [gennaio] 1818
Um.e Dev.o Obl.mo Serv.re
Teol.o Pio Bruno Lanteri
Al M.o Ill.e M.o Rev.do Sig. Pr. Col.mo
Il Sig. D. Antonio Biancotti
Proc.re degli Oblati di Maria Ss.
Carignano
C3,176:*1
Monasterolo di Savigliano, di circa 2.000 abitanti, in provincia di Cuneo e in diocesi di Fossano.
C3,176:*2
Santo Stefano Roero, di circa 1.000 abitanti, in provincia di Cuneo e diocesi di Alba.
C3,176:*3
La missione di Fossano fu tenuta dalla fine di febbraio all'8 marzo 1818: era stata promossa dalla
baronessa Celebrini di S. Martino, penitente e figlia spirituale del Lanteri, ed ebbe un successo
strepitoso per concorso di fedeli, confessioni e qualche conversione.
C3,176:*4
P. Antonio Lanteri, entrato nella comunità di Carignano il 12 agosto 1817 insieme col Loggero, poi
fattosi gesuita insieme col P. Antonio Biancotti e morto a Voghera nel 1837.
C3,178:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
8 febbraio 1818
Invito al Craveri a predicare con altri Oblati una missione nella cattedrale di Fossano
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,178:T1
Pregiat.mo ed Amatissimo in Gesù Cristo
Torino li 8 febbraio 1818
Viva Gesù e Maria
Si presenta un'occasione di rendere il più grande servizio alla Congregazione degli Oblati di Maria.
Erano già intese per questa Quaresima tre mute d'Esercizi cioè a Monasterolo, a Fossano, e a Santo
Stefano Rovero, anzi per quella di Fossano avevamo domandato nominatamente V.S. Car.ma, e noi,
atteso il tempo quaresimale, l'avevamo liberata, con sostituirvi D. Lanteri in sua vece. In questo
frattempo, nel mentre cioè che il Sig.r D. Renaudino [sic] era con lei per aiutarla, l'Ill.mo Sig.
Vicario Gonetti scrisse alla Congregazione per domandare due soggetti per dare gli Esercizi degli
Ordinandi, e scrisse in maniera così obbligante ed impegnante che non si è potuto a meno
d'acconsentirvi, e per questo sono stati assegnati il Sig. D. Renaudino e D. Lanteri. Questi peraltro
doveva darli in tale tempo a Fossano con D. Loggero, dunque D. Loggero rimane solo per Fossano.
Ora come fare in tale circostanza? Rinunciarvi non si poteva, perché la parola è data; frattanto il
compagno non si è potuto ritrovare in verun modo, per quante ricerche si siano fatte per risparmiare
la sua persona. Dunque siamo stati costretti a ricorrere a V.S. Cariss.ma e pregarla di essere
compagno di D. Loggero per dare gli Esercizi in Fossano, e speriamo fermamente che non ci
negherà un tale favore, poiché lascerebbe la Congregazione nel più grande imbroglio, e priverebbe
tante migliaia di anime del bene degli Esercizi, tanto più che quest'anno in quella Città non vi è
neppure il Quaresimale. Intanto per facilitare ogni cosa siamo già stati a parteciparlo all'Ill.mo Sig.
Vicario Gonetti chiedendone il suo beneplacito che accordò molto volentieri; gli fu detto ancora che
il Sig. D. Molineri sarebbe andato a rimpiazzarla in questo frattempo, ed approvò pienamente anche
questo.
C3,178:T2
Dunque altro non rimane se non che V.S. Car.ma ci dia parola per quest'espresso per consolare tutti,
e in tale caso Ella si trova a Torino la sera del 19 corrente per partire l'indomani di buonissima ora
per Fossano con D. Loggero, e cominciare gli Esercizi la sera del 21. Ella darebbe le Istruzioni,
perché D. Loggero, dando più facilmente le Meditazioni, può attendere con maggiore facilità alle
Confessioni. Che se assolutamente non volesse dare le Istruzioni, in tale caso D. Loggero non si
rifiuterà sicuramente per darle lui stesso*1.
Ed in attenzione di favorevole riscontro caramente l'abbraccio nel Signore e mi protesto
Di V.S. Stimat.ma e Car.ma
Tutto Suo Aff.mo in Cristo
T. Lanteri
Al M.o Ill.re e M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. Teol. Craveri
Preposto di
per espresso
Andezeno
C3,178:*1
Il Craveri accettò l'invito e prese parte alla missione di Fossano – che fu tenuta per tutta la città dal
21 febbraio al 6 marzo 1818 – come predicatore delle istruzioni, insieme col P. Loggero che teneva
le meditazioni. P. Biancotti e P. Simonino Filippo erano incaricati delle confessioni, a cui più tardi
si aggiunsero don Giovanni Antonio Moretta, Oblato, don Agostino Golzio e padre Lanza.
C3,191:S
Lanteri al padre Antonio Biancotti
marzo 1818
Non hanno fondamento i timori che egli sia per ritirarsi dalla Congregazione – Misure prudenziali consigliano il suo
soggiorno a Torino e non a Carignano
Minuta in AOMV, S. 2,7,2:233a
C3,191:I
Non abbiamo la lettera del Biancotti a cui questa risponde, e perciò non è facile stabilire da che cosa sia nato il dubbio e
il timore degli Oblati di Carignano di essere un giorno o l'altro abbandonati dal Lanteri, con le conseguenze morali e
materiali che è facile immaginare: forse dal fatto, accennato qui fugacemente – che il Lanteri, dopo aver scelto di
abitare a Carignano, si vide costretto a tornare a Torino e a dimorarvi abitualmente: ma le ragioni di tale domicilio non
dovevano essere ignorate neppure dagli Oblati carignanesi. Cfr. lettera della Comunità di Carignano al Lanteri del 20
novembre 1819.
C3,191:T
La sua stimatissima lettera mi fu molto sensibile, io non credo d'aver loro mai dato occasione
neppure di poter sospettare che io volessi ritirarmi da essi, io sono sempre stato interessatissimo per
la Congregazione, e lo sarò tuttora, e per quanto mi sarà fattibile le sarò sempre tutto dedicato, né
mai mi risparmierò.
Quanto però al nuovo sistema che progettano in riguardo alla mia dimora fissa costì, possono essere
sicuri che se io avessi potuto eseguirla prima d'ora, avrei io stesso ben volentieri prevenuto le loro
graziosissime richieste*1; del modo poi di vederci più sovente o più a lungo c'intenderemo meglio a
quattr'occhi.
Ciò posto V.S. Car.ma ben vede che per ogni riguardo non conviene che la nomina canonica possa
cadere sopra di me, e questo è stato il motivo unico per cui si è distesa la Rubrica come hanno
veduto; bensì riflessi fatti con il Sig. D. Golzio, e col T. [Teologo] Daverio, sembra opportuno non
ammettere alla votazione i Confratelli; ma anche di questo ne parleremo a voce.
Quanto poi alla prossima elezione da farsi, stante il Congresso dei Vescovi già incominciato
riguardo alla distribuzione dei beni ecclesiastici*2, sembra opportuno il sospenderla per vedere se la
Congregazione verrà contemplata in esso, o no, ciò che può molto influire nelle determinazioni da
prendersi, potendosi intanto unanimemente concorrere nella conferma del Superiore attuale.
C3,191:*1
Cancellato nella minuta: “Ma per gravissimi motivi che non posso comunicare con grandissimo mio
rincrescimento devo dire loro che non mi è fattibile, ma nel medesimo tempo possono esser sicuri
che non mi risparmierò mai…”. Più sotto dirà: “Non conviene che la nomina canonica ricada su di
me”, cioè che il suo nome appaia ufficialmente di fronte all'autorità ecclesiastica e, soprattutto,
civile. Può darsi che sotto a tutto ciò ci fosse lo zampino del “partito”, cioè dei giansenisti e dei
gallicani, sempre vivaci, ai quali il Lanteri non aveva mai fatto mistero della sua contrarietà con la
parola e con gli scritti. Il Lanteri era stato eletto Rettor Maggiore in segreto ancora nell'autunno del
1817, e di questa sua qualità di Rettor Maggiore egli se ne servirà con prudenza e sagacia,
specialmente quando si tratterà di prendere l'importante decisione dello scioglimento della
Congregazione (giugno 1820), ma pubblicamente la cosa non doveva essere risaputa per non
compromettere l'esistenza dello stesso Istituto.
C3,191:*2
Il “Congresso dei vescovi” qui accennato, deve essere inteso – probabilmente – per la riunione dei
vescovi del regno sardo che dovevano discutere le istruzioni date dalla S. Sede ai vescovi
piemontesi in merito alla distribuzione dei beni ecclesiastici e dei religiosi incamerati (istruzione del
2 aprile 1818), a cui poi seguì un editto regio del 14 dicembre 1818 che stabiliva le esazioni da
prelevarsi dai beni della Chiesa (T. Chiuso, La Chiesa in Piemonte…, III, 37).
C3,193:S
Lanteri a padre Antonio Biancotti
1o aprile 1818
Necessità di rifiutare predicazioni di missioni per l'eccessiva stanchezza dei missionari
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,193:T
Car.mo in Gesù Cristo
Si è esaminato col T.o Daverio il progetto degli Esercizi per Coasse da darsi la 5a Domenica dopo
Pasqua, e si è trovato impraticabile, perché D. Lanteri supposto anche che stia bene di salute, non ha
tempo di prendere il menomo riposo; tutt'al più si può vedere se tale progetto potrà effettuarsi
vicino a Pentecoste, cosa che non si può definire per adesso, perché converrà vedere lo stato di
salute di chi già da tanto tempo s'affatica straordinariamente in questo genere di lavoro. Lei ben
vede che se Loggero o Lanteri venisse a mancare, quali tristi conseguenze ne seguirebbero. Crederei
dunque necessario rispondere per ora negativamente per l'impossibilità, riserbandoci a vedere se
vicino a Pentecoste la cosa sarà fattibile.
La prego dei miei più distinti rispetti al Car.mo D. Reynaudi, e caldamente raccomandandomi nei
S.S.S. con particolare stima, ed affezione mi protesto
Di V.S. Car.ma
Torino il 1o aprile 1818
Dev.o ed Obl.mo Serv.re
T. Pio Bruno Lanteri
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pr. Col.mo
Il Sig.r D. Antonio Biancotti
Proc.re degli Oblati di Maria
Carignano
C3,197:S
Lanteri à Madame la Comtesse Gabrielle de la Marguerite
31 luglio 1818
La morte del piccolo Enrico Solaro – La morte di una persona cara vista nella prospettiva della fede – Condoglianze al
padre, al fratello e alle sorelle del defunto
Originale in AOMV, S. 2,1,6:29
C3,197:I
Pubblicata in Il Purgatorio, Roma, settembre 1929.
Bella lettera consolatoria, ispirata dalla fede, tutta ispirante fiducia e speranza.
Il Lovera nella biografia Clemente Solaro della Margarita, Torino 1931, non ci dice quando il “piccolo Enrico” Solaro
sia morto e a quale età, ma se nel 1818 era ancora “piccolo” deve essere stato l'ultimo nato: Clemente a quel tempo
aveva già 26 anni e da due anni – dal 1816 – era Segretario della Legazione Sarda a Napoli.
C3,197:T1
31 luglio 1818
Madame
J'appris de Madame votre belle-mère la perte que vous avez faite du petit Henri; d'un côté j'ai bien
plaint votre sort, car le sacrifice ne pouvait être plus sensible; il avait de si belles qualités qu'il se
faisait aimer de tous, et d'autant plus de sa mère. Ainsi de ce côté vous avez toutes les raisons de le
regretter et de le pleurer; mais de l'autre côté, permettez que je vous félicite d'avoir acquis pour sûr
un Protecteur dans le Ciel, qui ne peut à moins s'intéresser bien pour vous, car c'est votre fils; et
puisque vous l'aimez tant, occupez-vous de son bonheur éternel, participez à sa gloire, ne vous
imaginez pas de l'avoir perdu, car ce serait une erreur, puisque vous l'avez seulement perdu de vue,
mais non pas réellement; pensez qu'il est à vos côtés comme un autre Ange, qu'il vous sollicite à
vous occuper du Ciel, à participer de sa joie, qu'il vous assure de s'intéresser auprès du Trône de la
très Sainte Trinité pour vous, pour son Père*1, pour son fils, pour ses chères sœurs, pour vous
procurer à tous de grandes grâces, et bien abondantes pour le salut éternel. Entretenez donc avec lui
une douce et continuelle conversation, parlez-lui de tout ce qui se passe en vous et hors de vous, en
famille, et de tout ce [qui] peut vous intéresser, prenez garde de le croire ou indifférent, ou
impuissant à vous aider, car ce serait n'avoir aucune idée de la charité immense et du pouvoir
presque infini dont jouit chaque Bienheureux, avec toutes les autres perfections divines, que Dieu
lui communique avec toute la magnificence possible.
Ainsi si auparavant vous n'aviez aucune raison de vous décourager dans le service de Dieu, tant
moins vous l'avez à présent; je vous ajouterai encore, que si dans le Ciel il fût encore lieu à quelque
déplaisir pour votre petit Henri, ce serait de vous voir découragée et triste, tant pour lui que pour
vos défauts et pour les difficultés que vous rencontrez dans le service de Dieu.
Ce sera donc le remède à tous vos sentiments de tristesse et de pusillanimité la pensée que, avec la
grâce de Dieu et la protection de votre petit Henry, vous pouvez tout.
C3,197:T2
Je vous prie de communiquer quelqu'une de ces réflexions à vos Respectables et dignes Filles pour
les consoler aussi dans leur grande affliction pour la perte de leur affectionné Frère*2. Dites-leur que
je prends aussi bien part à leur peine, et je ne cesserai de les avoir présentes dans le S. Sacrifice de
la Messe pour leur obtenir des sentiments de consolation, et leur avancement spirituel.
Je finis par vous bénir tous et d'être avec toute l'estime et le respect possible
Madame
De Bardassan ce 31 juillet 1818
Votre très Humble Serviteur et P. [Père] en Jésus Christ
T. [Théologien] P.B.L. [Pie Bruno Lanteri]
À Madame
Madame la Comtesse de la Marguerite
née d'Aglian
À la Marguerite
C3,197:*1
Il padre del piccolo Enrico era il conte Luigi Solaro (1763-1848) allora sui 55 anni. È descritto
come un uomo chiuso, poco buon amministratore, assente dalla famiglia, dedito alla caccia e alle
partite di gioco con gli amici. “Si può dire che dalla caduta della Monarchia (1798) al 1848 (anno
della sua morte) egli si estrania dalla vita pubblica; lo stesso carteggio col figlio (Clemente) farebbe
pensare che non si era commosso oltre misura di quella brillante riuscita, sebbene avesse potuto
assisterne l'inizio impensato… Finché la vista lo soccorse, egli era preso da una passione sola,
quella della caccia. Grandi partite d'amici invadevano la vecchia dimora patrizia, frequenti assenze
lo portavano per mesi e mesi, con alterna vicenda, lontano; leggero, prodigo, buon compagno, non
ottimo marito, lasciava che la moglie e i figli se ne vivessero in Margarita, attenti a riparare con una
vita semplice a patriarcale il patrimonio già tanto devastato dall'epoca giacobina, ed a poco a poco
rimettessero in essere quel palazzo che i francesi avevano totalmente svaligiato e devastato, ché
ancora è gran meraviglia non lo avessero incendiato e distrutto del tutto” (C. Lovera – I. Rinieri, op.
cit., 17). Durante la rivoluzione e il dominio napoleonico era stato destituito del suo ufficio
nell'esercito. Nel 1814, col ritorno della Monarchia, dopo 18 anni di riposo forzato, fu riassunto col
titolo di primo capitano di cavalleria nel Piemonte Reale (ivi, 47).
C3,197:*2
Le due sorelle qui ricordate sono Giuseppina e Gabriella.
Il fratello è il già ricordato conte Clemente Solaro della Margarita, membro dell'Amicizia Cattolica
e in quel tempo impiegato nella diplomazia presso la corte di Napoli. Il conte Carlo Lovera di
Castiglione (morto 1971, Roma), pronipote del conte Clemente Solaro e autore della biografia sopra
ricordata, ci parla delle relazioni di Clemente Solaro col P. Lanteri nel processo informativo per la
canonizzazione: “Il conte Clemente Solaro della Margarita… negli ultimi anni di sua gioventù,
ultimi di Umanità e primi di università (1808-1809), ebbe probabilmente quale direttore spirituale
P. Lanteri… Dissi ‘probabilmente’ perché dato il carattere fin da giovane nettamente
antigiansenista, in un tempo in cui la nobiltà torinese era tutta regalista, ciò mi fa supporre una
direzione di un maestro di spirito che così pensasse. Se ne ha una riprova che la direzione di spirito
dei suoi cugini germani d'Agliano era certamente retta dal P. Brunone Lanteri. Un'altra prova
indiretta se ne ha dal fatto che contemporaneamente all'invio che Pio Brunone fa di uno dei due
d'Agliano latore di documenti a Pio VII, prigioniero in Savona, risulta da un diario privato del
Conte Clemente Solaro, che egli (Solaro) divulgava nascostamente su fogli manoscritti la
scomunica di Pio VII contro Napoleone. Posso aggiungere, a prova che la memoria del Lanteri era
tenuta in grande venerazione presso la famiglia Solaro, che la figlia del conte Clemente, fattasi
suora delle Sacramentine e morta soltanto nel 1914, ne aveva raccomandato la stima presso le sue
consorelle, come possono confermare le consorelle ancora in vita…” (riferito in Positio, 798).
C3,200:S
Lanteri al marchese Cesare d'Azeglio
7 settembre 1818
Elenco di commissioni affidate al marchese Cesare d'Azeglio che si reca a Roma
Originale o minuta in AOMV, S. 2,7,2:234
C3,200:I
In AOMV esiste sia la minuta sia la bella copia del documento: al d'Azeglio è stata consegnata probabilmente una
seconda bella copia delle commissioni che il Lanteri gli affidava in vista della sperata approvazione della
Congregazione degli Oblati di Maria Santissima fondata due anni prima in Carignano.
Il d'Azeglio era stato nel 1814 Incaricato d'Affari del re di Sardegna presso il governo pontificio, seguito dal marchese
di S. Saturnino (1815), dal conte Giuseppe Barbaroux (13 marzo 1816) e dal marchese Nicolò Crosa di Vergagni (18211837). Il d'Azeglio, non sentendosi adatto a contese religiose con la S. Sede, aveva chiesto di essere esonerato
dall'ufficio e l'aveva ottenuto. Il suo successore, il marchese Raimondo de Quesada di S. Saturnino, di Cagliari, non
sembrò neppur lui acconcio a quella rappresentanza per la radicale diffidenza che la corte di Torino nutriva
metodicamente, a proposito e a sproposito, verso la corte pontificia, secondo la consegna che il senatore Peiretti aveva
dato al Barbaroux nel 1816: “Tutto quello che in Roma è oggetto di speranza deve essere per noi oggetto di timore”.
C3,200:T1
Memoria per S.E. il M.se d'Azeglio quale è pregato de' seguenti favori
1. Rimettere a S. Em. il Card. Galeffi la lettera di ringraziamento, e supplicarlo ad un tempo di
continuare i suoi buoni uffizi per la Congregazione degli Oblati di Maria Santissima, ed in caso che
voglia degnarsi d'incaricarsene, rimettergli il plico contenente 1. la Supplica per S.S.; 2. il
Promemoria; 3. Le Regole con il Decreto d'approvazione debitamente legalizzato; 4. L'attestato del
Vicario Generale Capitolare, non essendosi potuto ottenere dal medesimo il voto per questo,
dicendo essere un atto inutile*1.
E questo al fine di ottenere da S.S. 1. L'approvazione della Congregazione e delle Regole; 2.
L'aggregazione alla Congregazione del Ss. Redentore del B. Liguori, o a quell'altra Congregazione
o Ordine che S.S. meglio giudicherà; 3. La grazia di fare la festa con la Messa, e l'officio del B.
Liguori.
2. Rimettere al Reverend.mo Padre Gioanni di S. Carlino, Procuratore Generale dei Padri Trinitari,
il plico a lui diretto contenente, 1. una lettera del P. Rettore della Congregazione degli Oblati di
Maria a lui già ben noto; 2. il Promemoria; 3. le Regole con il decreto d'approvazione non
legalizzato; 4. copia dell'Atto Capitolare del Capitolo di Fossano da usarne ove d'uopo*2.
In caso che S. Em. il Card. Galeffi non potesse incaricarsi dell'affare della Congregazione,
intendersi con il medesimo P. Giovanni a chi si deve ricorrere per meglio riuscire ad ottenere ogni
cosa.
3. Ritenere presso di sé le memorie contenute nel proprio plico, cioè 1. copia del Promemoria, 2.
copia delle Regole, 3. copia dell'Atto Capitolare del Capitolo di Fossano, al fine di comunicarle
all'uopo.
4. Procurare alla monaca Brachetti la dispensa dall'Officio grande, come dalla supplica annessa
della medesima a S.S.*3
5. Procurare al sacerdote Giuseppe Loggero Oblato di Maria Ss., Diocesi di Torino, la licenza dei
libri proibiti di cui abbisogna ben sovente, massime all'occasione dei S. Esercizi.
6. Ottenere al T. Lanteri la conferma del privilegio già verbalmente accordato di ritenere il Ss.
Sacramento privatamente nella sua Casa di Campagna*4.
Che della grazia etc.
C3,200:T2
L'Ill.mo Sig. M.se d'Azeglio è pregato dal T. Lanteri di alcuni altri favori, oltre i già esposti in altra
memoria, di procurargli cioè da Roma con comodo al suo ritorno i seguenti libri:
1. Raccolta di avvenimenti singolari, e documenti autentici spettanti alla vita del B. Francesco di
Geronimo, opera del Muzzarelli in 4o, Roma 1806 presso Pagliarini (ne legga se gli piace il capo 6),
copie tre, o quattro.
2. Lettere del Card.le Galeffi sulle 4 proposizioni (alcune copie).
3. Regole della Congregazione del Ss. Redentore fondata dal B. Ligorio; ricorrendo per queste dal
P. Giattini Postulatore della Causa, e qualora non si potesse avere il libretto, è pregata di farne fare
una copia mss., ed inviarcela al più presto.
4. Riguardo alla grazia (di cui nell'altra memoria) da chiedersi al S.P. dell'aggregazione degli Oblati
di Maria alla Congregazione dei Liguoristi, resta pregato il Sig. Marchese d'intendersela con il
Revered.mo Padre di chiedere soltanto per ora l'aggregazione ai privilegi di detta Congregazione*5.
Del resto pieno di stima, e di riconoscenza le augura un ottimo viaggio.
Li 7 settembre 1818.
À S.E. le Marquis d'Azeglio
Chez lui
C3,200:*1
Probabilmente il Lanteri aveva intenzione di scegliere il card. Pietro Francesco Galeffi (1770-1837)
a protettore della nuova Congregazione, se egli avesse accettato. La supplica a S. Santità Pio VII del
settembre 1818 domandava al Papa l'approvazione della Congregazione “per acquistare maggiore
solidità ed incremento per il bene delle anime”, e a comprova allegava l'approvazione di Mons.
Gonetti, Vicario Capitolare di Torino, del 12 agosto 1817, e il decreto di estensione alla nuova
Congregazione delle indulgenze già godute “per l'innanzi nella loro chiesa di Carignano
appartenente una volta ai Padri Agostiniani della Congregazione di Lombardia”. Una seconda
lettera a Pio VII, per lo stesso scopo, fu scritta dal Lanteri il 13 novembre 1818.
C3,200:*2
L'atto del capitolo della cattedrale di Fossano in attestato della missione tenuta ivi dai PP. Oblati di
Carignano nel febbraio-marzo 1818, è ricordato anche nella lettera del Canaveri al Lanteri del 10
marzo 1818 (v. Positio, 334-336).
C3,200:*3
Suor Crocifissa Bracchetto, ex monaca delle canonichesse regolari di S. Agostino del soppresso
monastero del Ss. Crocifisso, diretta nello spirito dal Lanteri e più tardi entrata nel monastero delle
Turchine di Genova. Vedi le sue numerose lettere al Lanteri e al Loggero.
C3,200:*4
Il Lanteri aveva in quell'anno 1818 – non è detto il mese e il giorno – presentato domanda a Pio VII
di poter continuare a conservare il Santissimo nella sua cappella privata della Grangia di
Bardassano, privilegio che gli era stato concesso durante la sua relegazione dall'arcivescovo di
Torino Giacinto della Torre. Il d'Azeglio glielo ottenne, tramite il card. Galeffi, ma solo a voce e
non per iscritto, e in perpetuo, e lo comunicò al Lanteri per mezzo del can. Ferdinando de Barrera,
torinese, allora a Firenze, come da lettera del de Barrera a Lanteri del 28 settembre 1818.
C3,200:*5
Il 13 febbraio 1819 Mons. Guerrieri, Segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari,
comunicava al d'Azeglio essere necessario interpellare Mons. Colombano Chiaveroti – nel
frattempo nominato arciv. di Torino (il 21 novembre 1818) – e avere da lui una richiesta formale di
approvazione degli Oblati: le informazioni sugli Oblati inviate a Roma da Mons. Emanuele Gonetti
il 24 agosto 1818 dovevano essere convalidate dal nuovo arcivescovo.
C3,209:S
Lanteri a Sua Santità Papa Pio VII
settembre 1818
Supplica presentata per ottenere l'approvazione della Congregazione fondata in Carignano (prima stesura)
Minuta in AOMV
C3,209:I
L'autografo Lanteri presenta correzioni di mano Loggero. Questa prima stesura fu poi messa da parte e sostituita con
quella che segue, in data 13 novembre 1818, nella quale fu omessa l'accentuazione dei fini della Congregazione per
insistere soltanto sui documenti e prove già ottenuti dal Vicario Capitolare di Torino e dal capitolo di Fossano.
C3,209:T
Beatissimo Padre
La Congregazione dei Sacerdoti Secolari detti Oblati di Maria Santissima, nella città di Carignano,
diocesi di Torino, il cui scopo è di dedicarsi interamente e senza retribuzione alcuna a dare gli
Esercizi di S. Ignazio ovunque sono richiesti, ed all'amministrazione indefessa dei Santi Sacramenti,
con la mira pure di combattere gli errori correnti, già canonicamente eretta, ed approvata in un con
le sue regole dal Reverend.mo Vicario Generale e Capitolare di Torino Emmanuele Gonetti, come
dal Decreto del 12 agosto 1817 qui unito; graziata già da V.S. dell'estensione di tutte le Indulgenze
che si godevano per l'innanzi nella loro Chiesa appartenente una volta ai Padri Agostiniani della
Congregazione di Lombardia; bramosa ora di acquistare maggior solidità, ed incremento per il bene
delle anime, supplica, umilmente prostrata ai piedi di V.S., di volersi degnare d'accordarle la sua
speciale approvazione.
Che della grazia
C3,213:S
Lanteri a Sua Santità Pio VII
13 novembre 1818
Supplica presentata per ottenere l'approvazione della Congregazione fondata in Carignano (stesura definitiva)
Originale in Archivio Segreto Vaticano,
minuta in AOMV, S. 2,7,3:235a
C3,213:I
Pubblicata in Positio, 343.
La minuta della supplica è di mano Lanteri. Come si rileva dalle note manoscritte apposte all'originale che ora si trova
nell'Archivio segreto Vaticano, la supplica fu presentata a Pio VII dal card. Pietro Francesco Galeffi il 28 dicembre
1818, e seguì poi la procedura solita: l'ordine di trasmettere la pratica alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, la
designazione del card. Ponente nella persona del card. Alessandro Mattei, e la risoluzione presa nella Congregazione del
12 febbraio 1819, cioè: “Dilata, et scribatur archiepiscopo Taurin. pro accurata informatione et voto et præsertim super
electione superioris et super cæteris regulis, si quæ existant ejusdem Congregationis”. Poi avvenne quello che
sappiamo, il mancato appoggio di Mons. Colombano Chiaveroti, il quale sembra non aver neppur risposto alla S.
Congregazione, e la volontaria dispersione degli Oblati avvenuta nei primi del mese di giugno 1820.
C3,213:T
Beatissimo Padre,
La Congregazione dei Sacerdoti Oblati di Maria Santissima, eretta con atto canonico dall'Ill.mo e
Rev.mo Monsignor Vicario Capitolare di Torino nella città di Carignano in Piemonte, diocesi di
Torino, ha l'onore di prostrarsi ai piedi della Vostra Santità, umilmente supplicandola di volere
compartire la sua sovrana approvazione, e nel confermarne l'istituzione, approvarne ancora le
Regole. Per tale fine unisce, alla presente umilissima istanza, copia autentica delle Regole
medesime, con l'approvazione di Monsignor Vicario Capitolare*1, ed oltre ad uno speciale attestato
del medesimo, un atto del Capitolo della Cattedrale di Fossano, valevole a dare un'idea del modo
con il quale adempie ai suoi doveri.
Che della grazia etc.
Alla Santità di N.S.
Papa Pio VII
La Congregazione dei Sacerdoti di Maria Ss.
eretta in Carignano, diocesi di Torino
C3,213:*1
Per completare l'incartamento da inviare a Roma attraverso il marchese Cesare d'Azeglio e per
avviare a Roma le pratiche in merito all'approvazione pontificia, il Lanteri aveva richiesto il Vicario
Capitolare di Torino, Mons. Emanuele Gonetti, di un “voto” al riguardo; questi però, non sappiamo
esattamente perché, si schermì dicendo “essere un atto inutile”; ma, fautore convinto degli Oblati,
volle stendere per loro un pubblico attestato di elogio per il loro zelo, cioè questo breve documento
che onora altamente la giovane comunità di Carignano:
“Emmanuel Gonetti, I.U.D. Archidiaconus, et Canonicus Ecclesiæ Metropolitanæ Taurinensis, ac
Sede Archiepiscopali vacante Vicarius Generalis Capitularis.
Singulis, quibus opus fuerit, testamur, Congregationem Presbyterorum Sæcularium sub nomine
Oblatorum Mariæ, Cariniani, hujus diœcesis institutam, et a Nobis libenti animo approbatam tanto
animarum salutis zelo æstuantem se constanter præbuisse, ut expectationem nostram vicerit;
sacerdotes omnes in eadem Congregatione receptos, Verbi Dei prædicatione, fidelium
confessionibus excipiendis, et ægrotis invisendis maximo cum fructu assidue incumbere, et caritate,
pietate, virtutibusque omnibus Christiano populo exemplum semetipsos præbere. In quorum fidem,
etc. Datum Taurini, die 24 augusti 1818. Emmanuel Gonetti, Vicarius Generalis Capitularis, Th.
Dominicus Chiariglione, Gen. Secretarius” (Positio, 344).
C3,214:S
Lanteri a Sua Santità Pio VII
13 novembre 1818
Come è nata la Congregazione degli Oblati di Maria in Carignano – Quale lo spirito, i metodi di apostolato, i frutti
finora raccolti – Richiesta di approvazione pontificia e di aggregazione ai Redentoristi
Minute e copia in AOMV, S. 2,7,3:235c-d, b
C3,214:I
Pubblicata in Positio, 345-347.
L'originale di questo promemoria non si è trovato, abbiamo solo una bella copia di mano Lanteri e due minute pure del
Lanteri. Il promemoria doveva essere consegnato dal d'Azeglio al card. Pietro Galeffi e al P. Giovanni di S. Carlino,
procuratore dei Trinitari a Roma. Il Lanteri vi mette in rilievo, tra l'altro, l'attaccamento degli Oblati alla teologia e alla
dottrina ascetica, tipicamente antigiansenista, di S. Alfonso de Liguori, che egli dichiara loro particolare protettore, e vi
esprime il desiderio che i suoi religiosi siano aggregati alla Congregazione dei Redentoristi “per soddisfare alla
devozione che professano verso il Beato”.
Il documento è, oltre tutto, un importante documento storico per conoscere direttamente la genesi e il primo sviluppo
della Congregazione degli Oblati.
C3,214:T1
Promemoria sulla Congregazione
Trovandosi nel passato Governo nella città di Carignano, Diocesi di Torino, la chiesa dei Padri
Agostiniani della Congregazione di Lombardia affatto abbandonata, minacciata ancora d'essere
demolita in un con il convento per farne piazza di mercato; alcuni ecclesiastici di detta città si
determinarono di tentare ogni mezzo per tenerla aperta. Ne presero pertanto con l'autorizzazione
ecclesiastica l'amministrazione, e con il promuovere la devozione del Ss. Rosario, con il predicare
la confidenza a Maria Ss., e proporre ogni festa al popolo le meditazioni di S. Ignazio, loro riuscì
d'impedirne la progettata distruzione.
Osservando quindi il bisogno dei popoli, la scarsità dei sacri ministri, ed il ritardo del ristabilimento
dei regolari, progettarono, al felice ritorno del nostro Sovrano, di radunarsi in Congregazione sotto
il titolo di Oblati di Maria Ss., il di cui scopo fosse attendere primieramente alla santificazione
propria, indi totalmente dedicarsi, senza retribuzione alcuna, alla predicazione degli Esercizi di S.
Ignazio, ovunque fossero richiesti, ed alla amministrazione indefessa dei Ss. Sacramenti, con la
mira ancora di combattere gli errori correnti.
A tale uopo trovarono opportuno l'adunarsi nel convento suddetto, massime non rimanendovi
speranza alcuna del ristabilimento dei suddetti religiosi; ma desiderando prima d'ogni cosa d'averne
l'autorizzazione ecclesiastica, furono consigliati da persone dotte e pie di ricorrere primieramente al
Governo ed all'Ordinario, siccome fecero. E però li 13 novembre 1816 fu rilasciato loro, con
Decreto dal Governo, e dall'Apostolico e Regio Economo Generale, il suddetto convento, e nello
stesso giorno fu pure approvata la Congregazione degli Oblati di Maria Ss. dal Rev.mo Sig. Vicario
Generale e Capitolare della Diocesi di Torino, Emanuele Gonetti; non molto dopo ebbero la
consolazione di ottenere dal S. Padre un'implicita approvazione, per mezzo d'un Breve in data del 7
marzo 1817, in cui egli si degna di accordare e confermare alla loro chiesa, la quale S.S. chiama
Chiesa della Pia Congregazione dei Sacerdoti Secolari, volgarmente detto Oblati di Maria Ss.,
appartenente una volta ai religiosi Eremitani di S. Agostino, tutte le indulgenze che godevano per
l'innanzi i suddetti religiosi.
C3,214:T2
Incoraggiati allora più che mai formarono le loro Regole, quali pure si degnò di approvare il
Rev.mo Vicario Generale e Capitolare con decreto del 12 agosto 1817, né cessarono d'allora in poi
d'adoperarsi indefessamente nell'assunto ministero di confessare e dare gli Esercizi di S. Ignazio
con la consolazione di vedere benedette da Maria Ss. le loro fatiche con copiosissimo frutto nelle
anime.
Siccome poi la divina Provvidenza con particolare misericordia ci suscitò nella Chiesa in questi
ultimi tempi un così grande esemplare nella persona del B. Alfonso Maria Liguori, Vescovo di
Sant'Agata dei Goti, e ci provvide per mezzo suo di un corpo completo di sana dottrina, ottimo per
procurare l'uniformità di pensare, e per formare un perfetto operaio, oltre parecchie altre opere dal
medesimo lasciateci, tendenti ad inspirare uno speciale attaccamento alla S. Sede, ed una grande
devozione a Maria Vergine, che è quanto abbisogniamo più particolarmente in questi tempi per
combattere ogni errore, e riuscire nella nostra impresa; così la Congregazione degli Oblati di Maria
elesse il B. Liguori per suo particolare protettore e modello; e però solleciti sono tutti gli individui
d'uniformarsi in tutto alla sua dottrina ed al suo spirito, d'emulare ancora la sua devozione a Maria
Ss., ed il suo speciale attaccamento alla S. Sede, e di seguirlo particolarmente nella predicazione dei
S. Esercizi, cui unicamente attendono, per meglio riuscirvi, e ricavarne il massimo frutto.
C3,214:T3
Ora per perpetuare in detta Congregazione questo spirito, e procurarne la maggiore solidità, si
desidera primieramente di venire confermati espressamente da S.S.; indi per soddisfare alla
devozione che professano verso il Beato, bramerebbero d'ottenere l'aggregazione alla
Congregazione del Ss. Redentore, fondata dal medesimo, con la permissione di celebrarne ogni
anno la festa, con la Messa e l'Officio nella loro chiesa con l'antico titolo della Madonna delle
Grazie.
È vero che per ora non hanno alcun voto, ma il fine è di non urtare alle prime gli spiriti, che per la
passata Rivoluzione sono divenuti al solo nome di voti così alieni, hanno però in mira d'osservarne
esattamente lo spirito. Così pure non hanno alcuna distinzione nell'abito, credendo con S. Ignazio di
potere con il semplice abito solito ecclesiastico promuovere più facilmente in ogni spirito il bene
spirituale, e la maggior gloria di Dio. Peraltro si rimettono in tutto alle disposizioni del S.P., pronti e
contenti d'accettare quel distintivo nell'abito, che S.S. giudicasse opportuno, ed abbracciare anche i
voti, ove così lo stimasse, come pure d'aggregarsi a quell'altra Congregazione od Ordine Regolare
che meglio amasse.
C3,217:S
Lanteri alla Santa Sede
1818
Necessità di un buon Vicario Generale nella Curia metropolitana di Torino – L'insegnamento del diritto ecclesiastico
all'università non deve ispirarsi a Febronio ma a Roma
Minuta in AOMV
C3,217:I
Il documento è frutto della redazione comune di almeno tre persone, Loggero, Daverio e Guala, perché tutti e tre vi
figurano con la loro caratteristica grafia inconfondibile: manca del tutto la grafia del Lanteri, ma non manca il suo
pensiero.
Non essendoci nessuna indicazione di data, eccetto il riferimento al “futuro vescovo di Torino”, pensiamo che lo scritto
debba collocarsi nel 1818, prima della nomina di Mons. Colombano Chiaveroti.
Mancano i dati per affermare che il documento sia stato spedito a Roma (o all'Incaricato d'affari della S. Sede in
Torino).
C3,217:T1
Memoria
C3,217:T1
(Riflessi importantissimi per il futuro Vescovo di Torino)
Se è sempre necessario, che almeno il Metropolitano sia persona dotta, zelante, prudente, e di
carattere fermo, è anche importantissimo che il Vicario Generale sia persona che professi Dottrina
Canonica Romana, poiché gli affari nel dettaglio si eseguono dai Vicari; altronde sarebbe cosa
troppo noiosa per un Vescovo il dovere o invigilare personalmente su tutto, od essere soventi in urto
con il suo medesimo Vicario.
In Diocesi poi in cui vi sono molti Giansenisti e moltissimi demigiansenisti, atteso il poco o nessun
conto che si fa generalmente dagli Ecclesiastici dei Decreti Pontifici, è pure importantissimo che il
Vicario Generale sia persona che professi dottrina Canonica Romana e non Febbroniana, così
affine al Giansenismo.
Poiché s'aggiunge che nel Piemonte gli aspiranti a tale sorta d'impieghi, sogliono imparare per
qualche anno la Canonica pratica nelle Curie del metropolitano e dal Vicario, e questi si spargono
poi ad essere Vicari nelle diocesi suffraganee, e con il tempo diventano Vescovi: ed ecco che con la
scelta di un solo buon Vicario, con il tempo se ne troveranno molti buoni.
Tale Vicario sarà difficile trovarlo in Piemonte, poiché per 16 anni non si studiò la Canonica, né
anche privatamente da veruno: più da 40 anni precedenti la rivoluzione, e così da anni 56,
s'insegnava nell'università Canonica Regale, ossia Febbroniana: onde sarebbe necessario sceglierne
uno forestiero.
C3,217:T2
La difficoltà può consistere nel dovervi o dare maggior stipendio, o nella delicatezza di volerne uno
del paese; se la prima, si rifletta, che la mensa è molto ricca d'entrate in beni stabili, ascendenti, a
quel che si dice, a fr. 60.000 circa. Oltre che un zelante vescovo crederà necessarissima qualunque
spesa per la scelta di un buon Vicario. Se la seconda, si potrebbe sciogliere con la scelta di un
Vicario forestiero e di un Provicario diocesano, e quantunque in tale caso fosse necessario un
doppio stipendio, la mensa è in stato di comodamente supplirvi.
Lo stesso deve dirsi delle Curie suffraganee, onde sarebbe opportuno e come necessario, che tale
cosa venisse suggerita ab alto al Metropolitano e ai suffraganei.
Sarebbe pure necessario che l'Arcivescovo s'adoperasse ad ogni modo affinché da S.M. venisse
scelto un professore insegnante Canonica Romana, il che sarebbe più facile ottenere presentemente,
attesa la vacanza della cattedra…
C3,218:S
Lanteri a Papa Pio VII
1818
Richiesta del Rescritto per conservare il Santissimo nella cappella privata della Grangia
Originale in AOMV, S. 1,5,5:155
C3,218:I
Pubblicata in Positio, 51-52.
Il Lanteri aveva ottenuto da Pio VII il privilegio a voce di tenere il Santissimo nella sua cappella della Grangia. Ora,
tornata la normalità politica, domanda la conferma scritta dello stesso privilegio, anche se egli non risiede più
continuamente a Bardassano. La petizione fu accolta da Pio VII e il privilegio fu concesso ad vitam, senza limiti di
tempo, ma vivæ vocis oraculo, perché il Papa non voleva creare precedenti a concessioni del genere, concedendo la
facoltà al Lanteri in via del tutto eccezionale per le sue personali benemerenze verso il Papa e verso la Chiesa. La
risposta della curia romana fu consegnata a Cesare d'Azeglio, e la marchesa Cristina la portò al can. Ferdinando de
Barrera in Firenze, il quale a sua volta la fece pervenire al Lanteri accompagnandola con una lettera in data 28
settembre 1818.
C3,218:T
Beatissimo Padre,
Il Teologo Pio Bruno Lanteri nativo di Cuneo, domiciliato in Torino, il quale durante il Governo
Francese soffrì tre anni di esilio per sospetto di corrispondenza con la Santità Vostra in Savona;
ottenne dall'arcivescovo di Torino la facoltà di ritenere il Ss. Sacramento nella privata Cappella
della sua casa di campagna situata nelle vicinanze di Bardassano, diocesi suddetta, per il tempo che
ivi si trovava ad abitare, in vista degli abituali incomodi di salute, che fin d'allora soffriva, della
lontananza dalla Parrocchia, e delle strade fangose per il medesimo impraticabili.
Subito che la Santità Vostra fu in libertà, si diresse per mezzo del marchese d'Azeglio all'Em.mo
Pacca, onde ottenere la conferma della suddetta Grazia, ed ebbe per risposta in scritto, che la grazia
era fatta, ma che il Rescritto si sarebbe mandato a comodo, non potendosi per allora, attesi i viaggi
della Santità Vostra. Se ne rinnovarono le istanze prima a Genova, poi a Roma, dove fu anche
rinnovata la memoria, ma il Rescritto non si è mai ricevuto, ed intanto il supplicante ha continuato e
continua a ritenere il Ss. Sacramento nella suddetta privata cappella, affidato all'assertiva della
Grazia verbalmente ottenuta.
Desiderando pertanto di perfettamente tranquillizzare la sua coscienza, direttamente ora ricorre alla
Santità Vostra, onde ottenere il bramato Rescritto. E della grazia ecc.
Alla Santità di Nostro Signore
Pio PP. VII.
Pro gr. [gratia] in voce ad vitam*1
C. Orengo
C3,218:*1
Annotazione a mano del card. Galeffi.
C3,220:S
Lanteri a un teologo di Pinerolo
fine 1818
Un nuovo metodo d'insegnamento proposto dall'abate Anselmi – Pericolo che sia adottato in tutte le scuole – Dovere di
boicottarlo
Minuta in AOMV
C3,220:I
La minuta autografa del Lanteri si presenta – come molte altre minute di sua mano – senza data e senza indicazione del
destinatario.
La data deve collocarsi tra il 1817 e il 1819, periodo in cui il conte Prospero Balbo (1762-1837) era presidente della
Riforma, cioè ministro della pubblica istruzione (v. nota 1).
Il destinatario deve essere una persona molto vicina al vescovo di Pinerolo, che in quel tempo (dall'8 agosto 1817 al 24
maggio 1824) era il savoiardo Mons. Francesco M. Bigex, amico e corrispondente del Lanteri: destinatario che con
molta probabilità era lo stesso segretario del Bigex; l'uso della lingua francese deve essere stato suggerito al Lanteri dal
fatto che il segretario conosceva poco la lingua italiana.
C3,220:T
Je viens d'apprendre que le C. [Comte] Balbe*1 a envoyé à tous les Réformateurs un nouveau plan
d'étude pour qu'ils donnent leur avis si on doit l'adopter*2. J'ai vu ce plan, je vous envoie les
réflexions qu'on pourrait y faire*3. Je vous prie – mais en toute confiance – d'en faire part à Sa
Grandeur; peut-être sait-il déjà tout, mais en cas qu'il l'ignore encore, c'est trop essentiel qu'il le
sache, qu'il se procure la communication dudit plan. Le chanoine Ferreri de Buriasc, Réformateur
de Pignerol, en a reçu un exemplaire de la part du C.B. [Comte Balbo].
Voilà une occasion d'exercer votre zèle. Priez toujours pour moi, je vous embrasse dans le S.C.
[Sacré Cœur] de Jésus…
[senza firma]
C3,220:*1
Il conte Prospero Balbo, n. a Chieri il 2 luglio 1762, m. a Torino il 14 maggio 1837, fu ministro di
Stato e presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino. Era portato particolarmente alle
scienze fisiche e matematiche e nello stesso tempo allo studio del diritto. Vittorio Amedeo III lo
nominò ambasciatore a Parigi durante la rivoluzione francese, il che impedì di qualche anno la
catastrofe del regno sardo. Napoleone lo volle attaccare al suo carro: lo nominò rettore
dell'università di Torino, poi consigliere delle università di Francia ed ispettore generale degli studi.
La carriera del Balbo continuò anche nella Restaurazione. Nel 1816 fu ambasciatore a Madrid; nel
1817, presidente della Riforma ossia ministro della pubblica istruzione; nel 1819 primo segretario di
Stato per il ministero degli interni, ossia ministro degli interni, carica a cui rinunciò il 13 marzo
1821 (in seguito ai moti rivoluzionari di quell'anno), ritirandosi a vita privata fino al 1831, quando
Carlo Alberto lo nominò membro della commissione delle finanze, conservando però sempre la
presidenza dell'Accademia delle Scienze. Tra le sue opere: Rapporto storico dell'Accademia delle
Scienze; Discorso sulla fertilità del Piemonte; Due lezioni sull'università di Torino; Opere varie del
conte Prospero Balbo, Torino 1830, pregettate in tre volumi, di cui fu pubblicato solo il primo
(Feller, XIII, Suppl. 29-30).
Prospero Balbo è il padre di Cesare (più conosciuto del padre), n. a Torino il 21 novembre 1789, m.
ivi il 3 giugno 1853 (cfr. E. Passerin d'Entreves, La giovinezza di Cesare Balbo, Firenze 1940; A.
M. Ghisalberti, in Enc. Catt., II, 727-729).
C3,220:*2
Il “piano di studio” era stato elaborato dall'abate Giuseppe Anselmi (Cherasco 1769-1842),
professore di retorica e studioso di pedagogia, e da lui presentato al conte Prospero Balbo e a
Francesco Napione, rispettivamente presidente e membro del Magistrato della Riforma. I criteri
dell'Anselmi – aspramente criticati dal Lanteri – sono esposti nell'opuscolo dal titolo: Di una ideata
correzione del sistema della pubblica istruzione, Torino 1818, nella Stamperia Reale (N.
Sammartano, in Enc. Catt., I, 1.405-1.406).
C3,220:*3
In AOMV conserviamo una copia (autografa del Lanteri) del suo opuscolo in confutazione
dell'opera dell'Anselmi e inviata al vescovo di Pinerolo: Pro-memoria sul libro di Giuseppe
Anselmi: Di un'ideata correzione del sistema della pubblica istruzione, Torino 1818, nella
Stamperia Reale (S. 2,2,21:162). Il Lanteri contesta i principi dell'Anselmi sia sotto il punto di vista
teologico-religioso, sia sotto il punto di vista pedagogico.
I moti politici del 1821 misero fine alla questione perché il conte Balbo fu allontanato dalla Riforma
e l'Anselmi dall'insegnamento.
C3,221:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
12 gennaio 1819
Difficoltà di soddisfare tutte le richieste di missioni
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,221:T
Pregiat.mo Sig. Prevosto in Cristo Car.mo
In risposta all'ultima sua ho il piacere di significarle che tutto è stato felicemente concluso con il
Parroco di Murello*1. Scrisse questi al Sig. Rettore D. Reynaudi mostrandosi molto soddisfatto di
avere nella sua Parrochia i S. Esercizi, e che siano stati fissati per la sera del 5 febbraio, che egli
manderà il quattro la carrozza per prendere a Carignano i Direttori dei S. Esercizi. I destinati per
tale muta sono D. Lanteri e D. Loggero; quanto ai Confessori si farà quel che si potrà, mi rincresce
solo che stentiamo cotanto in questo genere, massimamente che degli Oblati non ne rimane più
alcuno in libertà, poiché nello stesso tempo si daranno pure gli Esercizi alla Novalesa*2, ove per
difetto del T. [Teologo] Simonino che deve fare impreteribilmente il suo servizio in Corte*3, non so
come vi si potrà provvedere, non rimanendovi che D. Biancotti e D. Reynaudi, dei quali temo che
possano reggere, stante che il 15 corrente devono dare una muta in Azeglio*4, nello stesso tempo che
D. Lanteri e D. Loggero la daranno in Pancalieri; veda la necessità che avremmo della di lui opera.
Non mancherò di comunicare a chi è destinato per Murello le confidenze fattemi da V.S. Car.ma.
Qui accluso le trasmetto l'attestato degli Esercizi dati in Andezeno. La prego di non dimenticarsi
mai di me nei S.S.S. e con particolare stima ed attaccamento mi protesto
Torino li 12 [gennaio] 1819
Dev.mo Obl.mo Serv.re ed Amico
T. Pio Bruno Lanteri
C3,221:*1
Murello, in provincia di Cuneo e diocesi di Torino, era la patria del Craveri (ivi nato nel 1781) e in
quel tempo aveva circa 2.000 abitanti.
C3,221:*2
La predicazione alla Novalesa (Susa) fu tenuta dal P. Loggero dal 4 al 14 febbraio 1819.
C3,221:*3
P. Filippo Simonino, Oblato di Carignano, aveva ancora il titolo (e le relative incombenze) di
cappellano della corte di Torino. Anche il fratello Enrico – poi entrato tra gli Oblati a Pinerolo nel
1833 – era cappellano di corte.
C3,221:*4
Azeglio, di circa 2.000 abitanti, in provincia di Torino e diocesi di Ivrea. La missione fu tenuta nel
gennaio 1819, dopo la quale gli Oblati si recarono a Ivrea per un primo incontro con Mons.
Chiaveroti.
C3,224:S
Lanteri al marchese Cesare d'Azeglio
gennaio-febbraio 1819
Ringrazia per le pratiche svolte a Roma a favore degli Oblati – Vana attesa di segni di benevolenza di Mons. Chiaveroti
– Richiesta di celebrare Messa e officio del B. Alfonso de Liguori
Minuta in AOMV, S. 2,16,7:369
C3,224:I
Il foglietto autografo del Lanteri si presenta senza data, senza firma e senza intestazione, ma dall'accenno alla Sig.ra
Marchesa si rileva che il destinatario è il d'Azeglio, e dal contenuto si può rilevare più o meno la data.
Mons. Colombano Chiaveroti, invitato da Roma a richiedere l'approvazione degli Oblati – era questo uno dei punti
richiesti dal diritto canonico per il proseguimento della pratica – si era rifiutato di farlo per i motivi che sono già stati
più volte ricordati (il desiderio di farne degli “Oblati diocesani” e la teologia “benigna” seguita dal Lanteri e dai suoi
religiosi), e che il Lanteri confuta uno per uno nel suo Promemoria.
C3,224:T
Certamente avremmo dovuto prima d'ora testificare a V.S. Ill.ma ed all'Ill.ma Signora M.a
[Marchesa] la somma nostra gratitudine e riconoscenza all'interesse preso per la Congregazione e
per la Regola favoritaci della Congregazione del B. Liguori, ma per non moltiplicare lettere ed
incomodi, eravamo tuttora in aspettazione di una qualche favorevole risposta di Monsignor Arciv.o
alla Congregazione dei Regolari per esporre tutt'assieme le nostre ulteriori domande delle grazie che
bramiamo, e pregare V.S. Ill.ma di sollecitare e promuovere l'adempimento dei nostri voti.
Ma vedendoci finora delusi delle nostre speranze, poiché le sinistre impressioni fatte dal bel
principio da malevoli a Monsignor contro la Congregazione, e ancora non svaniscono, nonostante la
Promemoria qui unita presentatagli per rispondere a tutti quei capi d'accusa e di difficoltà che
sappiamo essersi addotte contro di essa, né Monsignore giudica di darci peranco alcun segno di
gradimento, in tale caso null'altro ci rimane se non che prescindere da ulteriori domande e
restringerci a pregarla a nome di tutta la Congregazione di procurarci almeno la grazia di poter
solennizzare la festa del Santo con il celebrare la Messa ed officio del Beato per ora ed in avvenire,
stante l'averlo adottato per particolare Protettore, Maestro, e Modello, e stante l'analogia del fine e
dei mezzi presi dalla nostra Congregazione con quella del B.: ciò che può inoltre contribuire per far
conoscere, glorificare il B. e stimare le sue opere.
Intanto ho la consolazione di vedere i membri della Congregazione ugualmente impegnati a
sacrificarsi senza requie per i S. Esercizi, essendosi date in 8 mesi 24 mute con straordinario frutto
delle anime, cosa che denota la singolare protezione di Maria Vergine cui sono dedicati…
C3,230:S
Lanteri all'arcivescovo Colombano Chiaveroti
aprile 1819
Tra gli Oblati non possono essere accettati né giansenisti né rigoristi – Perché si richiede l'approvazione pontificia
Minuta in AOMV
C3,230:I
Il testo di questa “Memoria” è del Lanteri, e ne conserviamo una copia di mano Loggero: era stata presentata
all'arcivescovo di Torino in vista dell'approvazione pontificia che il Lanteri sperava presto ottenere per legalizzare la
posizione giuridica della nuova Congregazione di fronte alla curia diocesana e dare così possibilità agli Oblati presenti e
futuri di uscire dalle rispettive diocesi.
C3,230:T1
Memoria
1. Si osserva che S.M. saviamente ha suggerito che nella Congregazione degli Oblati di Maria Ss.
non si dia luogo ai Giansenisti, e Rigoristi, perché nel Piemonte si trovano molti Giansenisti, e
moltissimi Rigoristi, i quali, giusta le loro proprie opinioni, moltiplicando per una parte i doveri del
Cristiano, e d'altronde esigendo dai fedeli disposizioni troppo difficili per i S. Sacramenti,
allontanano le anime dai medesimi, si rinforzano quindi le loro passioni, e più facilmente si
dispongono ad ogni sorta d'indipendenza.
Questi tali poi per accreditare se stessi tacciano di lassismo chi seguita la dottrina del B. Liguori,
sebbene scrupolosamente esaminata dalla S. Sede, aggiungendo ancora calunniosamente di
insegnarsi da questi la dottrina del B. essere la sola infallibile, di doversi quindi seguire ogni di lui
opinione: cosa affatto falsa, perché quelli che seguono la dottrina del Beato professano, giusta i
principi del Medesimo, una particolare sottomissione ed ubbidienza ai Decreti della S. Sede, i quali
prescrivono espressamente a tutti di non decidere quel che non è deciso, né si potrebbe nominare
uno solo in tutto il Piemonte, che asserisca tale infallibilità nella dottrina del Beato, o manifesti
qualche obbligo di seguirla, tutt'al più ne indicano qualche convenienza (Vedi Riflessioni sovra la
santità, e dottrina del B. Alfonso Liguori, parte 1, cap. 2).
C3,230:T2
2. Si osserva essere necessaria l'approvazione del Romano Pontefice per lo stabilimento della
Congregazione, 1. perché gli attuali Oblati di Maria sono tutti della Diocesi di Torino, i quali non
possono uscirne senza l'Exeat, e tanto meno abbandonarla per stabilirsi in Congregazione in altra
Diocesi, poiché non suole accordarsi l'Exeat, che ad tempus; né anche potrebbero accettare soggetti
d'altre Diocesi per la stessa ragione; onde non potrebbe mai la Congregazione stabilirsi, non che
consolidarsi in verun luogo; 2. perché le loro Regole prescrivono di non accettare alcun impiego
all'unico fine però di maggiormente abilitarsi, e perfezionarsi nella loro impresa di dare i S.
Esercizi, e rendere più fruttuoso il loro Ministero; ora in quasi tutte le Diocesi del Piemonte regna la
massima che nessun Ecclesiastico può ricusare alcun impiego proposto dal proprio Vescovo in virtù
dell'obbedienza promessagli nell'ordinazione, a segno che in qualche Diocesi fu minacciata la
sospensione a taluno che ricusava d'accettare l'impiego propostogli; anzi nella Diocesi d'Asti si
esige da tutti gli Ordinandi un previo giuramento, giusta la qui unita copia*1.
Riguardo poi alla promessa d'ubbidienza che tutti gli Ecclesiastici fanno al Vescovo nella loro
ordinazione, qualora si bramasse qualche schiarimento sulla forza e sull'estensione di detta
promessa, potrebbe giovarsi la qui unita memoria.
C3,230:*1
A questa “Memoria” era allegata copia di una circolare di Mons. Antonino Faà di Bruno, vescovo di
Asti, del 30 maggio 1822, che prescriveva ai nuovi diaconi una speciale formula di giuramento
riguardo ai seguenti punti: 1. Di vestire l'abito talare in diverse circostanze, 2. di non celebrare mai
senza detta veste talare, 3. di fare il catechismo tutte le feste, e durante la quaresima, 4. di non
dimorare fuori diocesi, 5. di accettare qualunque impiego sarà proposto dal Vescovo, 6. di non
accettare altri impieghi senza espresso ordine del Vescovo (una copia autenticata di tale circolare è
conservata in AOMV, S. 7,2,6:0).
C3,239:S
Lanteri all'arcivescovo Colombano Chiaveroti
fine aprile 1819
Motivi per cui gli Oblati seguono nella teoria e nella pratica la dottrina morale di S. Alfonso de Liguori
Minuta in AOMV, S. 2,7,4:236 a
C3,239:I
Pubblicata in Positio, 354-356.
Lettera certamente scritta dal Lanteri, come risulta dalle diverse minute autografe conservate in AOMV, ma firmata e
spedita dal Reynaudi, rettore e rappresentante legale della comunità di Carignano. In essa il Lanteri anticipa brevemente
gli stessi temi apologetici che saranno sviluppati nel suo promemoria all'arcivescovo inviato alla fine di aprile, poco
dopo questa lettera (vedi sotto doc. Org 5269).
C3,239:T1
Confesso che la pregiatissima e graziosissima sua con cui V.S. Rev.ma si compiacque di rispondere
alla mia del… gettò me e quei membri della Congregazione che ne furono partecipi in una
grandissima afflizione, per sentire che eravamo sospetti presso V.S. Rev.ma di una non abbastanza
sana dottrina.
La nascente Congregazione quanto professa di essere ansiosa di essere conosciuta dal nuovo suo
Superiore Ecclesiastico, altrettanto brama di avere e di riportarne pure il suo gradimento ed
approvazione, come già ne ebbe finora i gradimento ed approvazione del suo Superiore
Ecclesiastico; avendo questa, di nulla più si curano; senza questa, sono pronti a desistere da ogni
impresa.
Pertanto, quanto alla loro dottrina, ella è quella, siccome abbiamo pure rappresentato nella nostra
Pro Memoria a Roma, di attenerci alla dottrina del B. Alfonso Liguori, sebbene taluni non lascino
tuttora di tacciarla per lassa; ma ci hanno indotto a questo i seguenti riflessi.
Prima di tutto perché è un'opera di un Beato, giusta l'avviso di S. Filippo*1; 2o perché è questo un
corpo completo di Morale, e come una biblioteca di tutto ciò che si è scritto in ogni materia; il di cui
scopo, come scrisse il Beato a Benedetto XIV nella sua Dedicatoria, fu di tenere la strada di mezzo,
confessando egli stesso essere quest'opera il frutto dell'esperienza*2 di 30 anni di confessioni e
missioni, e fatica di quindici anni in leggere e ponderare con occhio spassionato moltissimi autori,
anche i più rigidi; [3o] che non ha mancato di raccomandarsi a Dio ed a Maria Santissima per non
errare, consultando ancora nei dubbi, come si legge nella sua vita, i primi Teologi in Roma ed in
Napoli, e più di tutto la Sacra Congregazione come organo della voce del Papa; [4o] Iddio stesso
sembrava dare segni d'approvazione della sua dottrina, operando per mezzo suo molti miracoli,
mentre s'esercitava nell'apostolico Ministero;
C3,239:T2
5o perché Benedetto XIV, nell'accettarne la dedica, gli rispose che poteva restare sicuro del
gradimento universale e della pubblica utilità, e nella sua opera De Synodo Diœcesana lo chiama
“Auctor prudens, cum laude citatus”; 6o perché fu esaminata la sua teologia morale insieme con
tutte le altre sue opere, ed approvata con decreto della S. Congregazione dei Riti in data del 14
maggio 1803, dodici anni prima della sua beatificazione. (Benedetto XIV, De Canonisatione
Sanctorum, l. 2, c. 28, n. 5) “Hæc revisio est judicium de doctrina, utrum contineantur errores etc.”
(id. l. 2, c. 25, n. 2); dopo il quale decreto, sebbene sia ancora lecito impugnare qualche sentenza,
questo dovrà farsi “cum debita reverentia” (id. l.c., c. 34, n. 12) e “non esse curandum si etc.” (id.
l.c., c. 18, n. 9); 7o perché viene anche commendata da S.S. Pio [VII], poiché d'ordine suo devono
gli studenti esaminarsi sulla teologia del B. Ligorio, come riferirono alcuni nostri Vescovi nel loro
ritorno da Roma; ed io ho la consolazione e l'onore di poter accertare V.S. Rev.ma che si è trovato
in Roma nella celebre conferenza di morale, detta della Pia Unione di San Paolo, [dove] questa
Teologia e preferenza [è] stimata e seguita. Per tacere dell'applauso universale che ebbe quest'opera
non solo presso molti vescovi, in Italia ma anche in Francia, in Germania, in Polonia, nella Spagna,
nella Corsica, nelle Indie, nell'America, nel Messico (Vita gr. [del B. Liguori], t. III, l. IV, c. 16,
43).
Unitamente al B. Liguori ci atteniamo pure al metodo delle Confessioni proposto dal B. Leonardo
da Porto Maurizio.
Questo riguardo alla dottrina che ci siamo prefissi di seguire nel nostro operariato, sempre
premurosi e di seguire la dottrina della Chiesa Romana, e di guardarsi, anzi, di opporsi a tutti gli
errori correnti, e grazie a Dio finora per quanto sappiamo nessuno ci trovò a ridire sopra qualche
punto particolare di dottrina, sebbene in genere da taluno siamo tacciati di lassismo.
C3,239:T3
Quanto alla pratica poi, questa resta di sua natura unita alla dottrina, né può farci deviare da questa
alcun interesse o fine umano, perché è proibito fra noi d'accettare qualunque cosa in rimunerazione
e ricompensa, e qualunque impiego. Del resto è il puro amore di Dio e il puro zelo della salute delle
anime che conduce ed induce i membri della Congregazione a non risparmiarsi in modo alcuno,
massime in tempo di santi Esercizi, ed a superare ancora tutte le difficoltà che s'incontrano, le quali
talvolta non sono piccole, avendo in fine sempre la consolazione di vedere benedette dal Signore e
da Maria Ss. con copiosissimo frutto le nostre fatiche.
E saremo ben riconoscenti a V.S. Rev.ma quando vorrà degnarsi d'accertarsi del fatto, e
giustificarne la nostra condotta, e massime la nostra dottrina per cui non possiamo, né dobbiamo
mai rimanere indifferenti, né tacere.
Frattanto, finché V.S. Rev.ma si sia accertata della nostra dottrina e condotta, e finché non avremo
noi ricevuta la sua piena approvazione, mi faccio un particolare dovere di non accettare più altri
impegni, riservandomi soltanto di soddisfare quelli già contratti, sperando che non vorrà
disapprovarlo, pronti però ad abbandonare anche ogni impegno, qualora ce lo prescrivesse,
pregiandoci di volerla in ogni cosa obbedire…
C3,239:*1
S. Filippo Neri soleva dire – secondo il Lanteri – che si devono leggere soltanto libri che comincino
per S, cioè che contenessero detti o notizie di qualche Santo.
C3,239:*2
Da questo punto fino al numero 4. compreso la minuta reca una cancellatura, che però noi abbiamo
inserito nel testo per non interrompere il senso del discorso.
C3,241:S
Lanteri al teologo Luigi Guala
giugno 1819
Invita il Guala a visitare con lui Mons. Francesco M. Bigex – Esame di un postulante gesuita
Originale in AOMV, S. 2,1,6:31a
C3,241:I1
La datazione di questa lettera è confermata da altra scritta dal Lanteri a Mons. Francesco Bigex il 29 giugno 1819 in cui
si legge: “All'occasione che ebbi l'onore di presentarmi a V.S. Ill.ma e Rev.ma in Torino per rendergli i miei devoti
omaggi insieme col Teol. Guala…” (quest'ultima frase poi cancellata nella minuta). Il Guala e il Lanteri si recavano da
Mons. Bigex, allora vescovo di Pinerolo e buon teologo laureato alla Sorbona di Parigi, per sottoporgli alcuni errori ed
espressioni di sapore calvinista e giansenista riscontrati nel trattato De Gratia che il prof. Salina aveva dettato
all'università nel 1817. Cfr. la lettera citata del Lanteri al Bigex del 29 giugno 1819 e le note relative.
C3,241:I2
Il teologo Guala
Il teologo Guala è certamente uno dei personaggi più notevoli della storia ecclesiastica di Torino e del Piemonte nei
primi decenni del secolo XIX ed è veramente un peccato che finora non abbia trovato un biografo degno.
Guala Luigi Maria Fortunato, n. a Torino nel palazzo Solaro di Villanova il 15 ottobre 1775 dall'avvocato Giovanni
Giuseppe e da Scolastica Gastinelli, oriundi di Cassine (Acqui), battezzato nella chiesa di Sant'Agostino, m. ivi il 6
dicembre 1848, divenne sacerdote il 16 febbraio 1799 e in quello stesso anno conseguì la laurea in teologia
all'università di Torino e fu iscritto nel collegio dei teologi (“teologo collegiato”). Ebbe altri due fratelli laureati, uno
medico (che lo curerà nella grave malattia del 1829) e uno avvocato, Pietro Guala, e una sorella monaca di clausura.
Ben presto fu in relazione con le opere create a Torino dal P. Diessbach e col P. Lanteri, e già nel 1804 lo troviamo
membro dell'Amicizia Cristiana. Anche se non ebbe col Diessbach – come pare – contatti personali, tuttavia ne rivestì
in pieno lo spirito che si può schematizzare sotto tre aspetti caratteristici: a) simpatia per la Compagnia di Gesù (allora
ancora soppressa), a cui egli si considerava come associato e come figlio spirituale, non potendo entrare a farne parte
per diversi motivi; b) detestazione istintiva del giansenismo teologico e morale, di cui conosceva a fondo le insidie e di
cui intuiva il pericolo da lontano attraverso le lezioni dell'università di Torino; c) ostilità quasi innata al rigorismo in
morale, allora molto diffuso nelle scuole e nella pratica pastorale, e quindi sforzo per far conoscere e far abbracciare la
teologia “benigna” di S. Alfonso de Liguori. Col Lanteri il Guala era veramente cor unum et anima una, consigliere e
collaboratore in tutte le sue opere, tanto che non è sempre facile, oggi, vedere la parte che i due ebbero in imprese
comuni e dove finisse l'uno e cominciasse l'altro: Convitto Ecclesiastico, Opera degli Esercizi al santuario di
Sant'Ignazio di Lanzo, fondazione degli Oblati in Carignano (1816-1820), diffusione delle opere della dottrina di S.
Alfonso ecc.
C3,241:I3
Le principali tappe della sua vita e attività sacerdotali sono: 1808, quando fu nominato rettore della chiesa di San
Francesco d'Assisi e della congregazione degli artisti che ivi aveva la sua sede; 1814, quando fu nominato direttore di
una delle conferenze di morale per il giovane clero (ve ne erano in Torino altre due, che presto furono assorbite da
quella di San Francesco d'Assisi diretta dal Guala), dove si fece paladino della teologia morale alfonsiana (le lezioni
però erano fatte sul testo dell'Alasia), primo passo per la fondazione del Convitto Ecclesiastico; 1817, fondazione del
Convitto Ecclesiastico che poi diresse e incrementò per una trentina d'anni fino alla morte (1817-1848), formando
diverse generazioni di sacerdoti torinesi – tra cui i più illustri sono S. Giuseppe Cafasso, poi suo successore, e S.
Giovanni Bosco – e dando loro un indirizzo pastorale nuovo e più adatto ai tempi che, per merito anche dei suoi
successori al Convitto, praticamente è durato fino a questi ultimi anni. Più giovane del Lanteri di una quindicina d'anni,
il Guala gli sopravvisse, facendo sopravvivere anche il suo spirito e i suoi ideali apostolici in anni che – dopo il 1830 –
avevano già subito e veduto una profonda trasformazione in diversi sensi. Nel 1830 il Guala per diritto doveva essere
eletto Priore della facoltà di teologia all'università torinese, dignità di molta influenza per l'andamento pratico delle
funzioni scolastiche degli esami, dei posti, delle annotazioni, ecc. Il Guala, avvertito, non fece nulla per far valere il suo
diritto (gennaio 1830), anzi disse che a giugno era occupato a Lanzo per gli Esercizi e non avrebbe potuto assistere agli
esami: fu eletto l'abate Amedeo Peyron, avversissimo ai gesuiti e con tendenze gianseniste e gallicane (che sapeva
abilmente nascondere), e i gesuiti furono obbligati in seguito ad abbandonare il Collegio delle Provincie a San
Francesco di Paola: secondo un'altra versione il Guala sarebbe stato estromesso dalla carica di Priore per gli intrighi del
partito liberale-giansenista. Per un adeguato studio del Guala cfr. Positio, 199-223; G. Colombero, Vita del Servo di Dio
Giuseppe Cafasso, Torino 1895; L. Nicolis de Robilant, Vita del Ven. Giuseppe Cafasso, ivi 1912; G. Usseglio, Il teol.
Guala e il Convitto Ecclesiastico, ivi 1948; A. P. Frutaz, in Enc. Catt., VI, 1.194, IV, 493, e le biografie più qualificate
del Lanteri.
C3,241:T
giugno 1819
Alle ore 10 e mezzo io passerò da voi per andare a far visita a Monsignor Bigex perché sento che
egli vuole venire a farci visita, che se voi non potete ci andrò io solo.
Quanto all'esame del postulante Gesuita io non lo faccio senza di voi: vedete l'ora che potrete per
questo dopo pranzo, e significatelo al medesimo ed a me.
Pour Monsieur
Le Th. Guala
Chez lui*1
C3,241:*1
Sullo stesso foglio rispedito al mittente, risposta di mano Guala (AOMV, S. 2,1,6:31b): “Io devo
esser all'Università per una laurea giovedì. Ho risposto al Gesuita che non poteva né era il caso di
dare l'esame, e non conviene che io compaia, anzi devo comparire di non mischiarmene. Io però
l'interrogai su tutto quanto desidera, e propendo per l'affermativa, non avendo avuta menoma
risposta dubbia.”
C3,242:S
Lanteri al vescovo Francesco Maria Bigex
29 giugno 1819
Denuncia il trattato “De Gratia” del prof. Francesco Salina dettato all'università nel 1817 come infetto di calvinismo e
giansenismo – Elenco dei principali errori ivi contenuti – Necessità di un tempestivo intervento
Minuta in AOMV, S. 2,2,22:163
C3,242:I
Bella lettera che fa vedere da una parte lo zelo del Lanteri per la purezza della dottrina cattolica da insegnarsi in
un'università così importante come quella di Torino, e dall'altra la delicatezza di non forzare troppo il suo giudizio di
condanna che potrebbe facilmente eccedere ed essere ingiusto, e che perciò sottopone al controllo e all'approvazione
altrui.
Bigex François-Marie, n. a Balme de Thuy (Ginevra) il 24 settembre 1751, m. a Chambéry il 19 febbraio 1827, fece gli
studi a Évian, a Thonon presso i barnabiti e al seminario di Saint-Sulpice, Parigi, sotto la direzione del celebre abbé
Émery. Fu ordinato sacerdote a Annecy il 23 marzo 1776, completò gli studi teologici a Parigi conseguendo il dottorato
in teologia alla Sorbona nel 1783. Alla morte di Mons. Biord (1785) fu nominato Vicario Capitolare di Annecy, e poi
Vicario Generale del nuovo vescovo Mons. Paget. Con lo scoppio della rivoluzione si trasferì a Losanna con Mons.
Paget per seguire più da vicino la diocesi e là pubblicò vari opuscoli di attualità pastorale. Esiliato Mons. Paget a Torino
(1801), il Bigex si ritirò a Mortigny, subito richiamato in diocesi dal nuovo vescovo di Annecy Mons. Des Moustiers de
Merinville, che lo fece suo Vicario Generale insieme con Mons. de Thiollaz già suo compagno a San Sulpizio.
Ben presto si parlò della sua candidatura a vescovo, prima a Aix-en-Provence, poi a Torino (su proposta di Mons.
Valenti) e finalmente di Pinerolo, con elezione del 1o ottobre 1817. Fu consacrato a Torino, nella chiesa di San Filippo,
insieme con Mons. Chiaveroti, nuovo vescovo d'Ivrea. Rimase a Pinerolo fino al 18 luglio 1824 quando fu nominato
arcivescovo di Chambéry (HC, VII, 147; Savio, 604; P. Stella, Giansenismo in Italia, I-II, Zürich 1970, 523; P. Caffaro,
Notizie e documenti della chiesa pinerolese, I, Pinerolo 1893, 505-524; Chiuso, III, 50-51).
C3,242:T1
29 giugno 1819
All'occasione che ebbi l'onore di presentarmi a V.S. Ill.ma e Reverend.ma in Torino per renderle i
miei dovuti ossequi*1, mi sono preso la libertà di significarle i miei timori sulla dottrina che si
insegna nella nostra Università di Torino, e in particolare sul Trattato de Gratia dettato nel 1817*2.
Mi sono incaricato allora di formare un elenco dei numeri più sospetti, affinché V.S. Ill.ma e
Reverend.ma in mezzo alle sue immense episcopali occupazioni fosse in situazione di riscontrarli
con maggior comodo.
Nel formare quest'elenco trovai sparsi qua e là con abbondanza certi principi che tendevano a
formare un sistema di dottrina a mio giudizio tutt'altro che cattolico, ho allora pensato di formarne
come un'analisi, giusta le massime e lo spirito che sembravano regnare in quei scritti.
In quest'analisi le osservazioni sono ordinariamente concepite con le stesse parole dell'Autore; è
vero però che alcune di esse, se fossero isolate, si potrebbero prendere in buon senso, ma è anche
vero che in tutto il complesso non lasciano di divenire sospette, onde ho pensato di non ammetterle.
Quest'analisi pertanto è quella che mi prendo la libertà di trasmettere ora a V.S. Ill.ma e
Reverend.ma unitamente ad una copia delle lezioni dettate nell'Università fino al n. 60. Non ho fatto
copiare di più, 1. perché fin qui sono come gli elementi di tutto il Trattato; 2. perché m'immagino
che Monsignore può facilmente procurarsi costì tutto il Trattato da qualche chierico studente o da
qualche novello Sacerdote recentemente uscito dall'Università, e forse ivi graduato; e sarebbe
interessantissimo l'esaminarlo tutto.
C3,242:T2
Mi sono procurato pure da un amico versatissimo in questa materia alcune osservazioni sui punti
più rilevanti*3, i quali si estendono soltanto fino al n. 33 perché non ebbe tempo di fare di più, vi
aggiunse però alcuni principi generali necessari per la gioventù a maggior delucidazione su questa
materia: il che tutto unitamente trasmetto e rimetto al profondo sapere, e giusto criterio di
Monsignore.
Siccome si tratterebbe qui del puro e netto Calvinismo, donde derivò il Giansenismo e
Quesnelismo*4, ed io potrei pure aver preso abbaglio, io spero che non avrà a male che io mi
indirizzi a un celebre Dottor di Sorbona*5 nella persona di V.S. Ill.ma e Reverend.ma cui
confidentemente ricorro per non rischiare o di fare una gravissima calunnia, e detrazione ad un
pubblico Professore di una così celebre Università, il che infinitamente abrorrisco e detesto e ne
sarei certamente desolatissimo, ovvero di rendermi colpevole per non gridare al lupo, ove vi fosse,
correndo obbligo per tutti (e massime per gli Ecclesiastici) di difendere in ogni tempo la cattolica
fede: obbligo poi tanto più grave quanto più gravi ed incalcolabili ne sarebbero le conseguenze,
trattandosi di insegnamento pubblico in una Università ove concorrono quasi tutti i giovani
Ecclesiastici del Regno, e donde escono i Pastori, i Professori, i Confessori, insomma tutti gli
impiegati nella Chiesa per tutto lo Stato, ed ultra.
C3,242:T3
Quando poi
Quando poi veramente risultasse insegnarsi in questo Trattato la dannata dottrina di Calvino e di
Giansenio, se mi fosse lecito, non per insegnare a chi è Giudice in queste materie, ma per far
presente soltanto un mio debole sentimento, direi che sarebbe forse più interessante ed efficace il
tacciarla addirittura di Calvinismo piuttosto che di Giansenismo, sia perché io trovo che il
Giansenismo su questi punti è il puro Calvinismo, sia perché potrebbe così fare più sensazione,
trattandosi di una dottrina già condannata nel Generale Concilio di Trento; quando all'opposto alla
voce Giansenismo non ci si attacca quasi più da alcuno veruna importanza, perché non si possono
produrre che Bolle Pontificie per sua condanna, delle quali Bolle tutto che dogmatiche così ripetute
e ricevute da 200 anni da tutta la Chiesa, e in conseguenza di uguale forza che un Concilio
Generale, oggidì quasi non se ne fa più caso alcuno, ed ogni altro ragionamento non è quasi più
inteso; e per recarne una prova il fatto si è che dal 1817 in cui si dettò questo Trattato finora io non
ho mai sentito parlare contro da veruno, cosa veramente singolare, ma pur vera, ben significante e
deplorabile.
Sarei però a pregare V.S. Ill.ma e Reverend.ma della grazia di non declinare con veruno il mio
nome, e di bruciare la presente, non perché, occorrendo, abbia difficoltà di manifestarmi, ma perché
abbisogno di quiete e riposo per lo stato così cagionevole di mia salute*6.
Intanto coi più sinceri sentimenti della più alta stima e profonda venerazione umilmente le bacio le
mani, e mi protesto…
C3,242:*1
Cancellato nella minuta: “Insieme col T. Guala”. Il Guala infatti doveva recarsi da Mons. Bigex
insieme col Lanteri, poi all'ultimo momento ne fu impedito, come da lettera del Guala a Lanteri del
giugno 1819.
C3,242:*2
Sulla questione del trattato De Gratia del prof. Salina abbiamo in AOMV tre scritti abbastanza
voluminosi, tutti di mano Lanteri e tutti e tre in latino, nei quali con redazione diversa ma molto
simile l'una all'altra si fa un raffronto tra le affermazioni del Salina e gli errori di Calvino e di
Giansenio, con abbondante citazione della contraria dottrina autenticamente cattolica (AOMV, II,
164, 358, 359, 360-363).
Francesco Maria Salina, n. a San Giorgio Lomellina il 5 novembre 1752, m. a Torino il 19 marzo
1820, era teologo collegiato e professore di teologia all'università dal 1814. Anche prima della
rivoluzione aveva occupato la cattedra di teologia all'università, ma poi l'aveva dovuta lasciare per
le vicende politiche ed era stato Vicario Generale per diverso tempo nella diocesi di Casale
Monferrato. Il “giansenismo” del Salina era, secondo il P. Stella, molto moderato (cfr. P. Stella,
Giansenisti piemontesi dell'Ottocento, 1964, 83). Per altre notizie sulla questione v. la bibliografia
generale.
C3,242:*3
Questo teologo “amico” e “versatissimo nella materia” è con tutta probabilità il Guala.
C3,242:*4
Una nota autografa del Lanteri apposta alla prima stesura delle sue “Notanda in tractatum De
Gratia” sviluppa meglio questo pensiero e la stretta connessione che egli vedeva tra calvinismo e
giansenismo, il secondo come derivazione diretta e applicazione pratica del primo: “I giovani
Ecclesiastici sono infetti di giansenismo per il trattato De Gratia… Gli altri ignorano perfettamente
che cosa sia Giansenismo, ne sono anzi tinti per quella parte che non si fa caso dell'autorità
pontificia nelle condanne… Obbligo dunque di istruirsi e combattere gli errori correnti. Il
Giansenismo è un più fine Calvinismo. La condanna del Giansenismo è regola di fede”.
C3,242:*5
Il Bigex era stato laureato in teologia alla Sorbona nel 1783.
C3,242:*6
Aggiunta, poi cancellata, in fondo alla lettera: “È vero però che alcune di esse, se fossero isolate, si
potrebbero prendere in buon senso, ma in tutto il complesso non lasciano di divenire sospette, onde
ho pensato di non ammetterle…”. La stessa frase è stata poi inserita nel testo al quarto capoverso.
C3,250:S
Lanteri-Reynaudi all'arcivescovo Colombano Chiaveroti
novembre 1819
Risposta definitiva degli Oblati di Carignano alla proposta dell'arcivescovo Chiaveroti – Ragioni per cui vogliono
perseverare nella loro vocazione e non cambiare Regola
Minuta e copia in AOMV, S. 1,7,2c:279 d
C3,250:I
Pubblicata in Positio, 364-369, e in Esperienza, 115-118.
Lettera redatta interamente dal Lanteri, con aggiunte del Guala e correzioni di scarso rilievo di mano Reynaudi, ma
firmata dal Reynaudi come superiore ufficialmente riconosciuto della comunità di Carignano.
Il Reynaudi aveva avuto un abboccamento con l'arcivescovo Chiaveroti nell'agosto 1819, alcuni mesi dopo la
presentazione della lettera e del promemoria. Di questo incontro, nel quale furono trattati a voce i problemi che
interessavano allora la Congregazione, ci è pervenuto un resoconto autografo del Reynaudi (AOMV, S. 1,7,2c:279 a),
nel quale si vede come il Chiaveroti ribadisce la sua idea che gli Oblati debbano essere a tutti i costi diocesani alle
dipendenze del vescovo. Il Reynaudi si era separato dicendo che avrebbe discusso la cosa con gli altri confratelli: i quali
però non credettero opportuno accettare il punto di vista dell'arcivescovo perché incompatibile con lo spirito e con la
lettera della loro Regola. Netto rifiuto quindi alle richieste del Chiaveroti, almeno per ora: gli Oblati di Carignano però
si dichiarano pronti a rivedere la loro posizione e ad accettare la Regola degli Oblati di S. Carlo se col tempo la cosa si
manifestasse “adattabile con lo spirito della loro vocazione”.
Lettera perciò studiata attentamente nello stile, nella scelta delle parole, nei particolari: tutto il programma apostolico e
la spiritualità caratteristica della Congregazione in generale, e del Lanteri in particolare, sono mirabilmente fissati in
questa lettera.
C3,250:T1,1
novembre 1819
Monsignore Ill.mo e Reverend.mo,
Giunto in Congregazione, mi sono fatto tutta la premura di partecipare ai miei confratelli il disegno,
e di proporre loro ingenuamente tutti i motivi da V.S. Ill.ma e Rev.ma comunicatimi di abbracciare
le regole e l'Istituto degli Oblati di S. Carlo.
A così importante progetto furono tutti d'accordo di raccomandarsi in speciale modo al Signore per
averne i lumi necessari, e dopo molte preghiere, e mature e lunghe considerazioni, di unanime
consenso mi incaricarono di umiliare a V.S. Ill.ma e Rev.ma i seguenti riflessi.
1o Che da principio ciascuno di essi separatamente si era proposto di abbandonare il mondo, e di
entrare in qualche religione per seriamente attendere alla propria ed altrui salute, ma la Divina
Provvidenza dispose che si unissero assieme, per formare a proprie spese, e preferire piuttosto, in
mezzo a molte vicende e tribolazioni, questa Congregazione, ad unico oggetto di vivere ritirati dal
mondo, e di travagliare nel medesimo tempo alla salute delle anime.
C3,250:T1,2
2o Che bramando di guadagnare il più che potevano anime a Dio, senza rinunciare allo spirito di
solitudine, tutti d'accordo si sentirono particolarmente ispirati ad applicarsi a dare gli Esercizi di S.
Ignazio, ed esibirsi per questo ministero alla disposizione dell'Ordinario. I motivi che li indussero a
così operare sono i seguenti:
primariamente, perché gli Esercizi si accordano più che mai con lo spirito della loro vocazione al
ritiramento, giacché essi non si danno, né si possono dare di continuo, onde lasciano tempo alla
solitudine, anzi in certo modo la richiedono, per rimediare a una tal quale dissipazione di spirito,
che cagionano in chi li detta. In essa solitudine poi, non solo lo spirito si raccoglie e si tranquillizza,
ma possono gli Oblati di Maria Santissima, con l'orazione e con la maggior unione con Dio,
penetrarsi sempre più delle massime eterne, con maggior vantaggio dell'anima propria, e con più
abbondante frutto di coloro ai quali le devono predicare, e possono con lo studio della morale e con
le conferenze abilitarsi sempre più per la soluzione dei casi che occorrono, e con lo studio della
dogmatica scoprire e combattere gli errori correnti.
Inoltre perché, avendo fatti essi stessi e dati più volte privatamente gli Esercizi di S. Ignazio,
esperimentarono in se stessi e negli altri essere questo un mezzo efficacissimo per risvegliare lo
spirito della vocazione dello stato ecclesiastico, e fare dei santi ministri ed operai zelantissimi.
Di più perché avendoli anche più volte dati in pubblico, ne toccarono con mano il frutto immenso
che se ne ricavava, con togliersi così tanti scandali ostinati, che altrimenti sarebbero continuati a
sussistere, con procurarsi tante restituzioni che non si sarebbero fatte, e con lasciare in seguito
centinaia, ed anche talvolta migliaia di anime ad amare Dio, che prima erano sue nemiche, sull'orlo
sempre di perdersi eternamente, e non senza la consolazione di averne osservato tante volte in molti
la perseveranza.
Finalmente perché vedevano mancarvi i soggetti a ciò destinati, a segno che popolazioni e parroci
zelantissimi, anche a qualunque costo non potevano averli, e le poche volte che si davano, erano
d'ordinario dati da altri parroci, ed ancora in piccolissimo numero, e molto insufficiente al bisogno,
restando intanto non così provviste in tale tempo le parrocchie.
C3,250:T1,3
3o Che gli Esercizi di S. Ignazio, consistendo non solo in alcuni giorni più specialmente consacrati
alla considerazione, all'orazione, ed alla penitenza, ma in un'arte particolare, ossia metodo più
sovrannaturalmente infuso che studiato dal Santo, come consta dagli atti della sua Canonizzazione,
per cui, mediante un compendio ed una serie di meditazioni ed istruzioni su quanto si ha
principalmente da credere ed operare, meditazioni scelte, ordinate, ed efficacissime per far gustare e
praticare le verità conosciute e i propri doveri, unitamente a vari altri particolari documenti e sagge
avvertenze, l'anima quasi invincibilmente, per quanto sia data ai vizi, viene gradatamente e con
ordine purgata, illuminata e perfezionata, giusta le tre vie indicate dal Concilio di Trento, siccome
può ognuno riscontrare in quel mirabile libro di S. Ignazio, dalla S. Sede e dalla utilità pubblica
comprovato (Bolla d'approvazione dei Santi Esercizi, e lezioni dell'Ufficio di detto Santo); libro
perciò così stimato da S. Carlo che soleva chiamarlo la sua biblioteca e di cui si serviva ogni giorno
per soggetto delle sue meditazioni, ed ogni anno per fare i suoi santi Esercizi. Perciò gli Oblati di
Maria Santissima, ansiosi di perfezionarsi nel dare questi Esercizi di S. Ignazio, e di ricavarne il
maggior frutto possibile nelle anime, hanno riconosciuto praticamente essere cosa opportuna di non
attendere assolutamente ad altro, ed essere cosa indispensabile che fosse esclusa ogni vista terrena
d'interesse e d'impiego, e però giudicarono essere sommamente importante l'adottare per regola di
rinunciare ad ogni sorta d'impiego, credendolo non solamente cosa maggiormente cara al Signore,
ma necessaria al fine del loro Istituto.
C3,250:T2
Questo fu dunque il genere di vocazione a cui si sentirono e si sentono ancora particolarmente
chiamati, di attendere cioè a dare esclusivamente i santi Esercizi di S. Ignazio, senza alcuna vista
temporale, e senza rinunciare nei tempi liberi alla vita solitaria. Né punto dubitano che venga da Dio
questa loro vocazione, poiché fu essa lungo tempo ponderata, esaminata e contraddetta, come lo è
tuttora, ma ciò nonostante approvata dalla Chiesa con la canonica erezione della Congregazione, e
con l'approvazione espressa delle stesse Regole; di più ne ebbero il gradimento del S. Pontefice, il
quale con particolare affetto ne benedì l'Istituto, e provarono ancora in tante ben critiche circostanze
sopra di essi un'assistenza veramente speciale e mirabile di Maria Santissima.
Né si erano meno lusingati di rendere così il loro Istituto molto utile alla Diocesi, tanto più che, in
caso di concorrenza, si fanno un dovere di impiegare le loro fatiche in essa a preferenza delle altre,
e di più sono d'avviso che, quantunque con il tempo possano esservi altre Corporazioni religiose
dedite a questo ministero, ciò nonostante sarà sempre giovevole e fruttuosa questa Congregazione,
perché frattanto innumerevoli anime con questo mezzo si salvano, le quali altrimenti purtroppo si
perderebbero. Né possono darsi a credere che siano mai da moltiplicarsi tanto simili Corporazioni,
che abbia da rendersi una volta come inutile per le anime, questa neonata Congregazione, poiché lo
stesso Superiore della Compagnia di Gesù, essendone stato interamente informato, ne dimostrò la
più grande soddisfazione, ed in particolare modo li incoraggiò a proseguire e superare ogni
difficoltà.
C3,250:T3
Ora, dopo i suddetti riflessi
Ora, dopo i suddetti riflessi, e dopo segni così certi della volontà di Dio, si crederebbero di mancare
alla loro divina vocazione, se abbracciassero un nuovo stabilimento con nuovo Istituto come quello
degli Oblati di S. Carlo, istituto di spirito interamente diverso dal già abbracciato, escludendo
questa ogni sorta di impiego, ed adattandosi alla vocazione nostra per la solitudine, mentre il
propostoci Istituto esige la disposizione di abbracciare qualunque impiego che importa vivere nel
mondo.
Sperano tutti, Monsignore Ill.mo e Rev.mo, che non vorrà attribuire questa loro risposta a mancanza
di deferenza, perché, venendo ogni vocazione da Dio e non dagli uomini, non è in mano loro il
mutarla, come neppure vorrà attribuirla a spirito di ostinazione, indegna di ogni ecclesiastico, e che
di cuore aborriscono, e di modo che, erigendo V.S. Ill.ma e Rev.ma il nuovo stabilimento designato,
qualora possano con il tempo scoprire che sia adattabile con lo spirito della loro vocazione, o
riconoscano di essere a ciò da Dio chiamati, siccome nient'altro bramano che di vedere in se stessi
perfettamente adempiuta la Divina Volontà, così si protestano di essere pronti ancora ad
abbracciarla.
Non possono però a meno di aggiungere che dopo tanti sacrifici della roba, della quiete, della
sanità, che ben volentieri fecero, e che sono sempre pronti a fare per procurare la salute di quelle
anime che ora sono commesse alla cura di V.S. Ill.ma e Rev.ma, e delle quali ella ne prende tanto
interesse, si lusingavano che avrebbe loro accordata la paterna sua protezione, la quale, senza un
vivissimo rammarico che li affliggerebbe più di qualunque altra tribolazione, non possono
solamente immaginarsi che voglia loro negare, non potendosi persuadere, per una parte, di esserne
divenuti immeritevoli per non sentirsi chiamati ad un Istituto in sostanza più comodo del già
abbracciato, essendo persuasi per l'altra parte, che qualora vi fosse qualche altro motivo contro di
essi, giusta la graziosa sua promessa, paternamente ella l'avrebbe loro manifestato.
C3,250:T4
Perdoni di grazia questo sfogo che si permettono di fare quali figli verso il loro amatissimo Padre e
Pastore; anzi permetta loro di supplicarla e di sperare, che vorrà d'ora innanzi riguardarli come suoi
figli con adoperarli nel loro ministero, ed accordare loro quei segni di gradimento e di protezione
così necessaria per il buon nome della Congregazione, e per far tacere chi la biasima e la denigra,
necessaria ancora affinché possa non solo continuare a sussistere, ma crescere e fiorire; necessaria
in fine per travagliare più con pace e tranquillità alla salute delle anime, per raccogliere più
abbondante frutto delle loro fatiche, e per adempiere con l'aiuto di Dio a quanto spontaneamente si
esibirono all'Ordinario.
Questo è il voto unanime di tutta la Congregazione, che mi fo doverosa premura di rispettosamente
umiliarle nell'atto che le bacio la mano e le chiedo, per me e per tutta la Congregazione, la sua
pastorale Benedizione.
Umil.mo e Obb.mo Servitore
Sacerdote Gio. Batta Reynaudi, Rettore.
C3,254:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
22 dicembre 1819
Non è possibile che don Bagnasacco passi dal Convitto alla vicecura di Andezeno
Originale in AOMV, S. 2,1,6:34-2
C3,254:I
Pubblicata da Positio, 220-221.
“Questa lettera è molto importante perché mette bene in luce l'intimità dei rapporti esistenti tra il Lanteri e il Guala”
(Positio, ivi).
C3,254:T
Pregiat.mo e Car.mo in Gesù Cristo
Torino li 22 dicembre 1819
Viva Gesù
Si è nuovamente trattato col T. Guala per vedere se era fattibile, o per dir meglio, se sarebbe stato di
Maggior Gloria di Dio, che avesse egli rinunciato di ritenersi per il Convitto*1 il Sig.r Bagnasacco*2
per rimetterlo a V.S. Car.ma, ma non ho saputo oppormi alle forti ragioni del medesimo, onde mi
rincresce di doverle dire che conviene che Ella rinunci affatto a questa vista. Non si scoraggi però
nel continuare a cercare un altro Vice Curato, perché i motivi che Ella adduce ne dimostrano il
bisogno, ed è a sperare che il Signore tardi o tosto vorrà accordargliene uno secondo il suo cuore.
Ho rimesso al Sig.r D. Bagnasacco la Fase Cronologica del Muzanzio; sommamente godo che si
effettui tale ristampa massime in carta grande.
Non ho ancora potuto trovare gli opuscoli del Muzzarelli, ma non li perderò di vista e subito trovati
glieli spedirò. Profitto intanto dell'occasione per augurarle dal divin Bambino tutte le più grandi
grazie per la sua santificazione; la prego di avermi pur presente presso il medesimo per lo stesso
motivo, e con tutta la stima e particolare affezione mi protesto
Di V.S. Stim.ma e Car.ma
Suo Obl.mo ed Aff.mo in Gesù Cristo
T. Pio Bruno Lanteri
(timbro postale lineare TORINO 22 DEC.)
Al M.to Ill.re M.to Rev.do Sig. Pron Colmo
Il Sig.r Teol. Luigi Craveri Prevosto
d'Andezeno
Chieri per Andezeno
C3,254:*1
Il Convitto Ecclesiastico era stato aperto dal Guala (col fattivo interessamento del Lanteri) due anni
prima (1817) nell'ex convento dei francescani conventuali annesso alla chiesa di San Francesco
d'Assisi, di cui il Guala era rettore.
C3,254:*2
Bagnasacco Francesco, n. a Baldissero il 30 luglio 1790, ordinato sacerdote nel 1815, aveva tentato
di entrare nella Compagnia insieme col Gianolio e Luigi Taparelli, suoi amici di studi e della
cerchia del Lanteri e del Guala, e “dopo il noviziato (fatto a Roma) fu addetto alle confessioni, ma
si ammalò e tornò a Torino prima dei voti e non entrò più nella Compagnia” (A. Monti, III, 80
nota). Nel 1820 lo troviamo a Andezeno, e il Craveri scrive di lui: “Bagnasacco Francesco… in età
di anni 30, già dallo scorso luglio aiuta interinalmente il parroco di Andezeno nei sacri ministeri
finché non venga promosso a qualche carica; il prefato sa la teologia dogmatica e morale, è abile nel
comporre e predicare sodamente, ed è capace di reggere una parrocchia proporzionata al suo debole
stomaco, che già andò migliorando; né ha ripugnanza veruna per fare il parroco, da quello in fuori
che dobbiamo avere, di reputarci inabili da noi” (nota del Craveri in Archivio della Curia di
Torino). In una lettera del Craveri al Loggero del 1 aprile 1827 si parla del “canonico” Bagnasacco.
C3,256:S
Lanteri al padre Giovanni B. Reynaudi
1819
Protesta da farsi all'Ordinario di non accettare dignità e impieghi fuori di Congregazione – La Regola deve essere
approvata dall'Ordinario ma lasciandola sostanzialmente intatta
Minuta in AOMV, S. 2,7,5:237
C3,256:T1
Note sulle difficoltà con l'Arcivescovo di Torino
La prima cosa da avvertirsi è
1. che la protesta di non accettare impieghi fuori di Congregazione deve farsi non solo da alcuni, ma
da tutti i membri della medesima, altrimenti non si ottiene il fine proposto di avere soggetti sempre
disposti a dare gli Esercizi spirituali di S. Ignazio;
2. che questa protesta si oppone evidentemente al fine espresso del Rev.mo Sig. Vicario nella sua
approvazione dello stabilimento della Congregazione, ove riguarda gli Oblati di Maria come
soggetti sempre ad nutum dell'Ordinario per qualunque impiego;
3. che una tale protesta così necessaria per una parte, e così contraria per l'altra al fine inteso
dall'Ordinario (siano tutti, o solo alcuni che vogliano farla) non può accettarsi dal Superiore della
Congregazione 1. senza oltrepassare i limiti della sua missione; 2. senza alterare in un punto
sostanziale la Congregazione secondo che fu considerata e approvata dall'Ordinario; 3. senza
doversi tardi o tosto trovare al cimento e di contrastare o col primo Superiore, da cui ebbe la
commissione di procurare dei soggetti sempre disposti ad omnia munia ad nutum del Vescovo, o
coi membri della Congregazione dei quali accettò la protesta in contrario: ciò che in qualunque caso
non potrebbe a meno di cagionare dicerie e scandalo anche nei fedeli.
Oltre che in occasione di reclamo per parte dell'Ordinario vi sarebbe sempre pericolo di scissura tra
i membri, e di dissoluzione della stessa Congregazione.
C3,256:T2
Quindi ne segue, 1. essere indispensabile che questa protesta, ossia disposizione d'animo sincera e
necessaria di non accettare impieghi di sorta alcuna fuori di Congregazione sia conosciuta ed
approvata dall'Ordinario, affinché né il Superiore della Congregazione si trovi mai in opposizione
con l'Ordinario, né i membri della medesima abbiano mai da contrastare con il suo Capo, né vi resti
mai alcun germe di scisma; 2. bastare che il Superiore si compiaccia di approvare le Regole che gli
si presentano, ove questa disposizione è espressamente proposta.
Imperciocché la 2a cosa da avvertirsi è che i soggetti che sono disposti ad entrare in Congregazione
cercano la stabilità in essa, come è giusto. Ora questa stabilità esige che le Regole siano
preventivamente approvate dall'Ordinario, altrimenti non si saprà mai a che cosa attenersi, né si
potranno proporre agli accettandi le Regole che non sappiamo ancora se saranno in tutto o in parte
approvate; in conseguenza non si avrà mai speranza di avere dei soggetti per la Congregazione, e di
più se si aspettasse a presentare dopo qualche tempo detta Regola all'approvazione dell'Ordinario,
questo darebbe luogo a dispareri e dissezioni senza fine tra gli stessi membri.
Oltreché rimanendo gli animi sempre nell'incertezza, non avrebbero mai la pace che cercano, così
necessaria per esercitare bene il loro Ministero.
Dunque prima di tutto si deve procurare quest'approvazione delle Regole dall'Ordinario.
C3,257:S
Lanteri a un teologo collegiato dell'università
1819
Di alcune novità poco ortodosse nella facoltà universitaria di diritto – Impedire che il governo piemontese conceda la
Costituzione – Motivi di questa opposizione
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:38a
C3,257:I
Riportata parzialmente in Gastaldi, 186.
La minuta si presenta senza indicazione di destinatario e senza data, il che crea parecchi problemi di non facile
soluzione. Non è facile infatti stabilire chi sia il destinatario della lettera, anche se risulta essere molto addentro nelle
faccende della scuola e forse un professore universitario, e nello stesso tempo di idee molto affini a quelle del Lanteri.
Chiamandolo “Reverendissimo” indica che si tratta di un ecclesiastico. Potrebbe identificarsi col Guala o col Bigex, ma
la cosa non appare abbastanza sicura.
La data deve collocarsi dopo il 1818 e prima del 1821. Infatti: a) si parla delle “consolanti pubbliche vicende”, cioè
della caduta di Napoleone e del ritorno del re a Torino, ecc.; b) Joseph de Maistre (morto 1821) appare ancora vivo; c)
S. Francesco di Paola non è ancora affidato ai gesuiti (che vi entrarono nel 1821 chiamati da Carlo Felice); d) a Torino
c'è già l'arcivescovo dopo quattro anni di vacanza (Mons. della Torre era morto nel 1814 e Mons. Chiaveroti ricevette il
pallio di arcivescovo il 18 dicembre 1818).
La data di questa lettera è in relazione a una decina di manoscritti di mano Lanteri e di altri (AOMV, S. 2,2,24:169, S.
2,16,2:364, 365, 366) che hanno per titolo Osservazioni su alcuni principi dell'opera Elementa juris naturæ di Eineccio
e delle lezioni di commercio del Genovesi, di cui però non è facile stabilire l'anno di composizione, anche se tutti si
aggirano intorno agli anni 1818-1820.
C3,257:T1
1819
L'ultima volta che ebbi l'onore di abboccarmi, sebbene alla sfuggente, con V.S. Ill.ma e Rev.ma
abbiamo discorso della dottrina che s'insegnava nella cattedra novellamente eretta di diritto naturale
e pubblico, e di economia politica, e le avevo promesso di parteciparle alcune mie osservazioni a
quel riguardo. Le circostanze di tempo, unitamente alla mia sempre cagionevole salute, mi avevano
fatto riguardare come inutile un tale lavoro, e me l'avevano fatto sospendere. Presentemente però in
seguito alle consolanti pubbliche vicende, tanto più dopo essersi veduto e provato il frutto amaro di
questa scuola, e dopo aver inteso da alcuni buoni giovani studenti che ora solamente dalle funeste
conseguenze comprendevano la falsità dei principi che loro si insegnavano, sembra nuovamente
opportuno, anzi necessario, occuparsi di tale materia e tentare tutti i mezzi per far abolire questa
nuova scuola così funesta di rivoluzione, e tanto più sembra questo necessario, perché facilmente
forse ci hanno contribuito per l'esistenza di questa cattedra gli stessi redditi dei beni di Chiesa,
provenienti cioè dall'isola di S. Francesco di Paola, che rende (all'Università) 24.000 [lire] e che una
volta apparteneva a detti Religiosi, e Bonaparte insieme ad altri beni ecclesiastici assegnò
all'Università, la quale però era già ben dotata in merito, perché ritira inoltre annualmente dalle
finanze 50.000; più per qualche suo credito ritirò dalla Fr. [Francia] la somma di 15.000 e gode
ancora qualche annualità sulla medesima. Sicuro che questo avvenimento potrebbe far anche aprire
gli occhi e servire di dimostrazione del buon prò che fanno i beni di Chiesa usurpati*1.
C3,257:T2
E però mi credo
E però mi credo ora in dovere di incominciare a trasmetterle quanto ho già pronto a questo riguardo,
cioè alcune osservazioni, unitamente a un piccolo saggio dei falsi principi contenuti nell'opera
proibita dell'Eineccio*2 e nel suo Compendio, riservandomi di comunicarle il saggio degli errori sul
Genovesi*3 e suo Compendio quando la mia sanità mi permetterà almeno di finirne l'abbozzo
incominciato. Può essere che in alcuna cosa abbia preso qualche granchio, ma sul totale pare
impossibile di sbagliarla. Con tutto ciò spero che V.S. Ill.ma e Rev.ma vorrà degnarsi di farvi le
correzioni ed osservazioni opportune, e qualora stimasse di comunicarlo a Monsignor Arcivescovo,
sarei a pregarlo di celare il mio nome, affinché non sembri che non gli si debba confidenza, poiché
io prendo questa misura soltanto perché la credo mezzo più efficace*4…
Un altro oggetto pare sommamente interessante per il momento, ed è il cercare subito ogni mezzo
per tentare d'impedire, per quanto sarà possibile, che si adotti dal Sovrano qualche specie di
Costituzione, bastando a giudizio delle persone sensate l'osservanza delle leggi esistenti per
rimediare agli abusi introdottisi, tanto più che si è osservato che non sono quelli che potevano
credersi realmente aggravati che presero parte in questa Rivoluzione, ma soltanto spiriti oziosi,
inquieti, imbevuti di cattivi principi contro il Governo e contro la Chiesa, in una parola, senza
religione*5.
La ragione di questa mia proposizione è che non può questa adottarsi veruna Costituzione senza che
si adotti espressamente o implicitamente il principio della sovranità del popolo*6, che è il principio
favorito dei protestanti, dei filosofi, dei Giansenisti, i quali, come buoni seguaci ed amici di
Richerio, Febronio, Van Espen*7, e simili Santi Padri di questi tempi, si estendono fin sulla Chiesa
(prop. 90. Quesnel, principio); il che sarebbe la sorgente di incalcolabili disordini per la Chiesa, per
il Governo, e per gli stessi privati, come la storia ce l'ha dimostrato finora.
C3,257:T3
Perciò sottopongo
Perciò sottopongo al suo giudizio un mio pensiero, quale sarebbe di far tradurre in italiano e di
stampare almeno l'ultimo articolo del 5o avvertimento di Monsignor Bossuet sopra le lettere di Mr.
Jurieu intitolate Principes de la politique de Mr. Jurieu, et leur absurdité, come pure di tradurre e di
stampare i due eccellenti opuscoli del Conte Maistre Considérations sur la France, ed Essai sur le
principe générateur des Constitutions politiques etc. etc. Potrebbe anche servire qualche estratto
dell'opera dell'ab. Pey Traité des deux puissances, come sarebbe il 1o cap. della 1a p., il 3o e 4o
cap. della 2a p. che si trova nel 1o vol. di detta opera*8.
Presentemente gli spiriti sono impressi della Costituzione senza sapere cosa sia, e questi opuscoli
classici potrebbero illuminarne non pochi; la difficoltà è di trovare un buon traduttore, massime per
i due ultimi come più difficili ad esprimerne bene il senso; quanto alla spesa per la stampa, questa si
troverebbe più facilmente*9.
Perdoni la mia libertà; la sua bontà così grande con la quale volle accogliermi ogni volta che ebbi
l'onore di presentarmi a V.S. Ill.ma e Rev.ma è la cagione per cui mi avanzo a confidarle questi
miei pensieri, né penso di poterli confidare in migliori mani. Intanto le bacio umilmente le mani, e
con i più umili sentimenti di rispetto e di venerazione mi protesto…
C3,257:*1
Nota marginale di mano Lanteri: “Casa di S. Francesco di Paola affittata 24.000 lire oltre altri beni
ecclesiastici, oltre 50.000 dalla Cassa delle Finanze ricevute 15.000 dalla Francia una volta tanto
oltre un'altra annualità dalla stessa Francia”.
C3,257:*2
Eineccio, cioè Heineck Johan Gottlieb, olandese (1681-1722), celebre professore di diritto naturale
che tra le molte sue opere ha scritto anche Elementa philosophiæ rationalis et moralis.
C3,257:*3
Genovesi Antonio, sacerdote napoletano (1713-1769), professore di economia e filosofia
all'università di Napoli, la cui opera principale è Lezioni di commercio. Ecco i titoli dei mss. inediti
del Lanteri, conservati in AOMV, che trattano delle teorie dell'Eineccio e del Genovesi
sottoponendole a una forte critica dal punto di vista teologico e filosofico: Osservazioni circa lo
studio recentemente introdotto d'una parte della Legale – Saggio di alcuni principi che si trovano
nell'opera dell'Eineccio, Elementa juris naturæ et gentium – Osservazioni sullo studio d'una parte
della Legale sui testi di Eineccio e Genovesi – Saggio di alcuni principi contenuti nelle lezioni di
Commercio del Genovesi.
C3,257:*4
Frase interrotta nel testo.
C3,257:*5
La Costituzione, dopo molte polemiche pro e contro che si prolungarono in Piemonte per più di 30
anni, fu finalmente concessa dal re Carlo Alberto col famoso Statuto del febbraio 1848, a cui in
breve tempo successe l'espulsione dei gesuiti e delle dame del Sacro Cuore, l'abolizione del foro
ecclesiastico e, poco più tardi, la persecuzione contro l'arcivescovo di Torino Mons. Luigi Fransoni.
I timori e le riserve del Lanteri nei confronti della Costituzione, espressi una trentina d'anni prima
che fosse concessa, si vede che non erano del tutto infondati.
C3,257:*6
I motivi contro la concessione della Costituzione sono, secondo il Lanteri, principalmente tre: a)
motivi teologici, la sovranità del popolo è un principio di emanazione protestante e giansenista; b)
motivi storici, la rivoluzione francese è la prova chiara di ciò che produce il concetto di sovranità
popolare; c) motivi sociali, la sovranità popolare se riconosciuta porterà il disordine nella Chiesa,
nella società civile e negli stessi privati.
C3,257:*7
Van Espen Zeger Bernhardt, n. a Lovanio il 9 luglio 1646, m. a Amsterdam il 2 ottobre 1728,
sacerdote, professore di diritto a Lovanio, fu sempre un nemico acerrimo del primato del Papa, a cui
oppose l'episcopalismo nazionale. I suoi molti scritti espongono dottrine giurisdizionaliste a sapore
tendenzialmente giansenista, febroniano e antiromano, per cui nel 1734 furono tutti messi all'indice.
Il Van Espen è il maestro di Giuseppe II nelle sue riforme in campo ecclesiastico (Lovanio a quel
tempo faceva parte dell'impero austriaco).
C3,257:*8
Pey Jean (1740-1797), parroco e canonico a Tolone, poi canonico onorario a Parigi, durante la
rivoluzione fu costretto a emigrare all'estero. Di lui ci rimane: Traité de l'autorité des deux
puissances, Strasbourg 1780, ivi 1788, Liège 1781, trad. Ital. da Cesare Brancadoro, Legato
Apostolico in Belgio (morto 1837), Foligno 1788. Il Pey scrisse molte altre opere (Hurter, V, 306307).
C3,257:*9
Della stampa s'incaricava evidentemente l'Amicizia Cattolica che in quel tempo si era già formata.
C3,263:S
Lanteri al Prevosto Luigi Craveri
17 marzo 1820
Manderà un sostituto nella parrocchia di Andezeno finché il Craveri sarà assente per predicazione
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C3,263:T
Pregiat.mo e Dilett.mo Sig. Prevosto,
Trovo le sue difficoltà troppo giuste, né credo che fosse intenzione né di Monsignore, né del T.G.
[Guala] che Ella si assentasse dalla Parrocchia senza aver alcuno da fare le sue veci nella sua
assenza, massime in tempo pasquale, e per questo si era pensato al Sig. D. Drago che V.S. Car.ma
già conosce, di cui può fidarsi, e pare capacissimo di rimpiazzarla per il tempo necessario per i S.
Esercizi.
Ieri dunque io l'ho richiesto di un tale favore, e ben volentieri vi acconsentì, anzi egli è disposto a
partire lunedì santo, e rimanere in Parrocchia fino al suo ritorno dagli Esercizi; veda se con questo
egli è tranquillo, come a mio giudizio potrebbe esserlo, se poi nonostante non gli regge di lasciare la
Parrocchia per quei 10 giorni, si risponderà a Monsignore Arcivescovo, ed al Sig. C. [Conte] della
Trinità che Ella non può, onde cerchino altro soggetto, ma siccome questo non si trova, perché già
lo cercarono invano dappertutto, né Monsignore s'indusse a far richiedere qualche Oblato se non
perché si vide nell'estrema necessità, così quegli Esercizi andavano in fumo. Qualora Ella si
risolvesse a darli, e la difficoltà sola fosse di partire il sabato in Albis, piuttosto che il lunedì
seguente, credo che questo non sarebbe d'ostacolo, piuttosto che rinunciare agli Esercizi.
La ringrazio ben di cuore dell'interessamento che sempre dimostra ben grande per la
Congregazione, ma non ho tempo di trattenermi su questo soggetto di cui più cose avrebbero da
dirsi*1, onde mio malgrado finisco con abbracciarla caramente nel Sacro Cuore di Gesù e mi
protesto
Di V.S. Car.ma
Torino li 17 marzo 1820
Dev.mo Obl.mo Aff.mo in Gesù Cristo
T.L.
(timbro postale lineare TORINO 18 MAR)
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. Teol. Craveri
Prevosto di Andezeno
Chieri per Andezeno
C3,263:*1
La Congregazione era già in fase di liquidazione: gli Oblati si scioglieranno spontaneamente tre
mesi dopo questa lettera, verso la fine del maggio 1820.
C3,264:S
Lanteri a una religiosa anonima
26 marzo 1820
Le difficoltà della vita comunitaria sono un'occasione per aumentare i propri meriti – e un'occasione per esercitare
l'umiltà, la speranza e l'amore di Dio
Minuta (non finita) in AOMV, S. 2,1,6:36
C3,264:I
Per quanto nel testo non ci sia indicazione alcuna che orienti a scoprire la destinataria di questa lettera, è evidente che il
Lanteri non scrive a lei per la prima volta. Non crediamo perciò improbabile, anzi molti argomenti interni autorizzano a
pensare che la destinataria sia ancora Suor Crocifissa Bracchetto, che dall'ottobre 1818 si trovava a Genova tra le
Turchine della Ss. Annunziata, di cui abbiamo già parlato.
C3,264:T
Car.ma Figlia in Gesù Cristo
Torino li 26 marzo 1820
Viva Gesù
Ho sempre creduto che quelle banche di negozianti ove si fanno molte faccende sono le migliori,
così devo dire che questo Monastero, ove avete tante occasioni di arricchirvi, sia per voi la migliore
banca di negozio che possiate eleggere.
Voi però vorreste dirmi, che invece di arricchirvi di meriti, non vi procurate che dei demeriti. A
questo vi rispondo che o voi in tali occasioni praticate la virtù, e vi fate dei meriti, o voi commettete
qualche difetto, e allora vi trovate in situazione di farvi doppi meriti, 1. d'umiltà con acquistare di
più la cognizione pratica di voi stessi; 2. di speranza con il ricorso fiduciale al vostro Padre Celeste
dicendogli: Dimitte nobis; 3. di amore di Dio per riparare così la freddezza dimostratagli nel suo
divino servizio; e per facilitarvi l'acquisto di questi meriti con i suddetti atti, basta che facciate
attenzione a non mai dispettarvi, anzi neppure meravigliarvi dei vostri continui difetti, bensì a dire
sempre tranquillamente in ogni momento: Bonum mihi quia humiliasti me, e: Nunc cœpi*1.
Neppure abbiate paura che queste occasioni di cui vi lagnate siano da fuggirsi, perché voi stessa
conoscete che sono di quelle piuttosto che sarebbero da cercarsi, siccome potreste sempre più
persuadervene con la lettura del Combattimento Spirituale*2…
C3,264:*1
In breve sintesi abbiamo qui tutta la spiritualità lanteriana e i punti-guida della sua direzione
spirituale.
C3,264:*2
Sulla celebre opera ascetica Combattimento Spirituale, del P. Lorenzo Scupoli (1530-1610), teatino,
v. nota 134 al doc. Spi 2.116 b, Saggio di biblioteca per una dama. La dottrina del Combattimento
Spirituale è tutta imperniata sui quattro elementi del progresso cristiano: diffidenza di se stessi,
confidenza nella grazia divina, esercizio delle virtù e preghiera (cfr. Umile Bonzi da Genova, Capp.
in Enc. Catt. IV, 38-40).
C3,270:S
Lanteri al padre Antonio Biancotti
29 maggio 1820
Motivi che consigliano lo scioglimento spontaneo dei membri della Congregazione senza un intervento diretto
dell'arcivescovo
Originale in AOMV, S. 2,7,5:239
C3,270:I
Pubblicata in Positio, 373-375.
Alla lettera spedita dagli Oblati all'arcivescovo Chiaveroti nel novembre 1819, nella quale dichiaravano di voler
perseverare nella loro vocazione e di voler continuare a vivere nella comunità a cui avevano dato il nome, l'arcivescovo,
dopo sette mesi di ansiosa attesa, non aveva ancora dato risposta, ma il suo stesso lungo silenzio era una prova
abbastanza eloquente di quanto egli intendesse e volesse fare. Di qui il provvedimento preso dal Lanteri, nella sua
qualità di Rettor Maggiore della Congregazione, dopo essersi consultato col teol. Carlo Daverio e “avendo esaminato
attentamente e lungamente l'affare”, che qui comunica ai confratelli di Carignano. È superfluo sottolineare l'importanza
storica di questo documento, oltre il fatto che mette mirabilmente in luce la discrezione e la prudenza del Lanteri.
C3,270:T1
Pregiat.mo e Dilet.mo in Gesù Cristo
Ho comunicato ogni cosa al T.D. [Teologo Daverio]; posso assicurarla che partecipiamo vivamente
alla comune afflizione, ed avendo esaminato attentamente e lungamente l'affare, nonostante i
riflessi e le combinazioni fatte altre volte, abbiamo convenuto nei seguenti punti, sia per fare le cose
il più che si può in regola, sia per evitare maggiori imbrogli e disgusti.
1. Considerando che la Congregazione non è stata riconosciuta dal Rev.mo Arcivescovo; che in
conseguenza non si sono riconosciuti né i membri, né il Capo della medesima dal suddetto; che non
mai rispose alle lettere a nome della medesima scritte; perciò non si vede obbligo della
Congregazione, né dei membri, né del Capo di scrivere in tale qualità al suddetto. Di più, non
sapendosi l'intenzione di Monsignore, lo scrivergli sarebbe metterlo in nuovo imbroglio con
eccitarlo in certo modo a spiegarsi riguardo alla Congregazione. Inoltre o egli non stima di
rispondere, e questo potrebbe prendersi per una nuova dimostrazione di poca stima; o egli risponde,
e noi non possiamo prevedere i nuovi ed inaspettati dispiaceri che potrebbe tale risposta arrecarci.
Onde pare si possano considerare i soggetti tutti in piena libertà.
2. Considerando che la cosa è già resa pubblica, e facilmente prima d'ora a notizia del Superiore,
probabilmente si aspetterà lo scioglimento da se stesso, poiché se questi disapprovasse detto
scioglimento, od avrebbe prima d'ora scritto o scriverebbe; perciò sembra che neanche si agisca
contro la sua intenzione con il non scrivere.
C3,270:T2
3. Solo rimane da trattarsi della remissione della Casa, ed a questo riguardo considerando che fu
rimessa al Sig. D. Biancotti, e questo solo è il nominato nell'Instrumento dell'immissione in
possesso della medesima, in qualità di Procuratore della Congregazione, Procuratore però creato in
allora non dalla Congregazione, ma dal Rev.mo Vicario Capitolare come consta dal detto
instrumento, perciò al medesimo spetta la rimessione della medesima, come quello a cui de jure se
ne può chiedere conto, così a questi tocca l'effettuarlo, qualora realmente sia rimasto solo, ed abbia
finiti i suoi affari. Ove V.S. Car.ma ed il Car.mo Sig. D. Reynaudi abbiano altri riflessi da fare,
abbiano la compiacenza di comunicarceli, o di fare ambedue una gita qui per ultimare ogni cosa. In
questo sistema si avrebbe pure il vantaggio di evitare ogni aspetto di scioglimento canonico, ciò che
può molto importante con il tempo. Rimettiamo però ogni cosa a quanto giudicheranno di maggior
Gloria di Dio. E caramente abbracciandoli nel Sacro Cuore di Gesù e di Maria mi protesto
Di V.S. Car.ma
Torino li 29 maggio 1820
Umil.mo Dev.mo Aff.mo in Gesù Cristo
T.L.
P.S. La prego di conservare segretamente la presente, e riportarcela occorrendo venire a Torino per
non perdere di vista le osservazioni fatte.
P.S. L'espresso lo pago io, sarebbere però desiderabili due linee di risposta, se si può.
Al M.o Ill.re M.o Rev.do Sig. Sig. Pn. Col.mo
Il Sig. D. Antonio Biancotti
Proc.re della Congreg.ne degli Oblati di Maria Ss.
Carignano
C3,285:S
Lanteri-Reynaudi al Vicario Generale Emanuele Gonetti
6 luglio 1820
Quali i motivi che hanno determinato il definitivo scioglimento della Congregazione degli Oblati di Maria in Carignano
Minuta in AOMV, S. 2,7,5:240
C3,285:I
Pubblicata in Positio, 381-385 in una redazione più completa.
La minuta è di mano Lanteri con qualche correzione irrilevante di mano Reynaudi. È la risposta della lettera del Gonetti
al Reynaudi del 5 giugno 1820.
Gonetti Emanuele, n. a Ciriè (Torino) il 24 dicembre 1737, m. a Torino il 28 gennaio 1823 a 85 anni. Fu si può dire il
“Vicario Generale perpetuo”. Infatti dopo essere stato Vicario Generale del card. Delle Lanze per l'abbazia di S.
Benigno di Fruttuaria, fu fatto Vicario Generale di cinque arcivescovi di Torino, Rorà, Costa d'Arignano, Buronzo del
Signore, Della Torre, Chiaveroti; tre volte Vicario Capitolare; abate di S. Solutore, Avventore e Ottavio; cavaliere dei
SS. Maurizio e Lazzaro. Nel testamento aveva legato lire 18.000 al seminario diocesano e lire 10.000 all'ospedale
maggiore. La Gazzetta Piemontese del 30 gennaio 1823 ne faceva un breve elogio (corrispondente alla realtà) che lo
diceva “uno dei più belli ornamenti dell'altare, luce del mondo, sale della terra, una delle più salde colonne del tempio
santo, uomo fatto secondo lo spirito del Signore, il consigliere, l'amico del venerato Aronne di questa diocesi, ecc.”
(Chiuso, III, 121). Gli successe il can. Andrea Palazzi, già membro della Commissione Ecclesiastica, che sarà Vicario
Capitolare alla morte del Chiaveroti (morto 6 agosto 1831), ma rinunciò per limiti di età e al suo posto fu eletto il can.
Pietro Cirio, rimasto in carica poche settimane, perché eletto amministratore Apostolico di Torino Mons. Luigi Fransoni
(Chiuso, 120-121).
C3,285:T1
6 luglio 1820
6 luglio 1820
Spero che V.S. Ill.ma e Rev.ma vorrà perdonarmi se per motivo di sanità, e dell'allontananza non mi
sono recato subito a ricevere i suoi ordini, ciò che mi propongo di fare quanto più presto potrò.
Intanto ho procurato di comunicare ai miei Confratelli dispersi la lettera che V.S. Ill.ma e Rev.ma
mi ha fatto l'onore di scrivermi in data del 5 giugno onde sentire anche le loro disposizioni, che non
dubitavo fossero di sempre venerare i cenni e le volontà di Monsig. Arcivescovo, quali sentimenti
sono sempre stati anche i miei personali.
I sentimenti che Monsignore si degna di manifestare per di lei organo a riguardo di questa nostra
Congregazione, ci sono tanto più consolanti, quanto più nuove ne sono per noi le espressioni. Sin
dall'ingresso di Monsignore in questa Diocesi fu nostra premura l'umiliargli la servitù e la
dipendenza della Congregazione degli Oblati di Maria in una memoria che gli fu sottomessa. La
risposta che verbalmente ne fece a me in qualità di Rettore fu la proposizione pura e semplice di
essere Oblati di S. Carlo, alla quale sola condizione degnò di prometterci la sua protezione*1.
Non credendoci noi chiamati dalla divina Provvidenza ad un tale cambiamento per i motivi che gli
umiliammo in una 2a nostra memoria, non avemmo la consolazione di sapere quali considerazioni
potessero in lui prevalere ai motivi da noi addotti, e molto meno di scorgere in Monsignore tratto
alcuno di quella paterna protezione che imploravamo, e che V.S. Ill.ma e Rev.ma degna ora a nostro
conforto di annunciarci averlo sempre animato a nostro riguardo.
C3,285:T2
Tali sentimenti non credettero gli Oblati di Maria di scorgere in lui, né quando hanno avuto l'onore
di ossequiarlo in Ivrea, né quando, recatosi lui più volte in Carignano, gli si presentarono per
compiere il loro dovere, l'ultima volta ancora nel monastero di Santa Chiara, non crede di dover
loro dirigere la parola; né quando stimò di dover ricusare loro di scrivere a Roma in favore della
loro Congregazione; né quando non potendo sopportare senza sommo dolore l'incertezza dei sensi
di Monsignore a loro riguardo, seppero che persone estere spontaneamente e senza commissione
ricevutane, ricorsero da Monsignore onde ottenere da lui qualche segno di protezione, e ne
riportarono anzi la dolorosa convinzione che non poteva egli essere soddisfatto della
Congregazione, se non in quanto avrebbe abbracciato l'Istituto degli Oblati di S. Carlo.
In questa condizione avendo la Congregazione di continuo aspettato che si degnasse Monsignore di
esternare l'effetto in lui prodotto dalla memoria da prima umiliata, gli Oblati di Maria credettero e
sperarono ancora che le loro fatiche avrebbero almeno ottenuto un qualche sguardo propizio da lui,
ma anche su queste, avendo saputo essere egli meno soddisfatto di loro, come si espresse parlando
delle loro Confessioni, giudicarono che fosse volontà del Signore cessare da quell'opera che
vedevano così indirettamente almeno disapprovata da chi ne tiene per loro le veci di Dio.
Ben consolante sarebbe stato per gli Oblati di Maria al certo l'impiego fatto di essi da Monsignore
per gli Esercizi, come V.S. Ill.ma e Rev.ma ben ci rammemora di Caluso*2, e di uno di loro alla
fabbrica degli Ordinandi, e piucché bastante sarebbe stato per consolarli delle passate tribolazioni,
se non avessero avuto la certezza che aveva egli nel farlo ceduto alle replicate instanze di chi li
chiedeva, o alla necessità di impiegarli per mancanza di altri Operai; onde nemmeno questo tratto
poté lasciare loro quella consolazione che sola desideravano di ricevere da Monsignore qualche
indizio di confidenza.
C3,285:T3
A quest'afflizione si aggiungeva per loro quella di vedere per le disposizioni di Monsignor
Arcivescovo allontanarsi dalla loro Congregazione più soggetti che già avevano annunziato di
volervi dare il loro nome; e quella delle manifeste disapprovazioni date nella Città sì al loro
Ministero, sì alle persone che ai medesimi ricorrevano, disapprovazioni a V.S. Ill.ma e Rev.ma ben
note, e che sono andate sempre crescendo.
Ora non potendo più reggere gli Oblati di Maria a tanti dispiaceri, da cui si vedevano tolto il mezzo
di lavorare per il presente, e di essere aiutati da altri in avvenire, trovandosi essi liberi di diritto,
giusta la Costituzione della loro Congregazione, e di fatto, perché sebbene in comune vivevano però
del proprio, né mai domandarono o ricevettero dal Governo per loro sussistenza cosa alcuna fuori
del locale, cominciò qualche individuo a prendere la risoluzione di ritirarsi, risoluzione seguita
successivamente dagli altri; né ad altro fine si è questa tenuta segreta sino alla sua esecuzione, se
non per evitare appunto di dare luogo a quelle lagnanze, e a quei torbidi che si erano fatti un dovere
di sopire sinché stavano uniti, e che prevedevano si sarebbero forse accresciuti ove fosse
manifestata la loro risoluzione.
Sciolti ora essi dal vincolo che insieme li univa, non mi rimane più autorità veruna per richiamarli.
Memori intanto dell'interessamento veramente paterno che V.S. Ill.ma e Rev.ma ci dimostrò per il
passato in ogni occasione, e grati alla bontà con cui si degna, nel rammarico che ci ha dato la nostra
separazione, di procurarci almeno la consolazione di annunciarci che le nostre fatiche non siano
state totalmente disapprovate da Monsignore Arcivescovo, il che troppo avevano luogo di temere,
con i sentimenti più umili di rispetto e di riconoscenza abbiamo l'onore di protestarci*3.
C3,285:*1
I motivi dello scioglimento della Congregazione qui elencati sono: a) La contrarietà
dell'arcivescovo di Torino nei confronti della nascente Congregazione; b) la sua volontà di
cambiarne le finalità, la Regola e lo spirito per farne un'associazione di preti diocesani alla completa
sua dipendenza; c) il metodo diverso nell'amministrazione del sacramento della penitenza; d) molti
membri dell'istituto, scoraggiati per l'atteggiamento dell'arcivescovo, l'avevano già abbandonato;
altri si preparavano a farlo; altri, per lo stesso motivo, non avevano il coraggio di abbracciarlo; e) lo
scioglimento avveniva per iniziativa propria, senza l'intervento dell'autorità diocesana o
governativa, perché i membri, non essendo sovvenzionati né dalla diocesi né dal governo, erano
pienamente liberi di farlo.
C3,285:*2
Caluso, di circa 5.000 abitanti, in provincia di Torino e in diocesi di Ivrea.
C3,285:*3
La copia presentata a Mons. Gonetti – e pubblicata in Positio, 381-385 – terminava in questo modo:
“Umil.mi e Devot.mi Servi Gli Oblati di Maria Ss. di Carignano, e per tutti il Sac. Gio. Batta
Reynaudi.
P.S. Qualora giudichi V.S. Ill.ma e Rev.ma cosa ancora opportuna che io costì mi porti per avere
l'onore di abboccarmi con lei, e di ascoltare i paterni savissimi di lei consigli, io sono prontissimo e
felicissimo di ubbidirla”.
C3,289:S
Lanteri a penitente sconosciuto
1820
Sulla necessità di prepararsi alla morte – Autori consigliati per questo scopo
Minuta-frammento in AOMV
C3,289:I
Impossibile stabilire quale sia il destinatario di questo frammento di lettera, che appare denso di pentimenti e di
correzioni.
Si trova sul retro di una lettera del Cavaliere di Saint-Michel dell'8 maggio 1820: indicazione cronologica che dovrebbe
far risalire il frammento a non prima e a poco dopo quella data.
C3,289:T
[…] del puramente necessario ed essenziale desiderare veramente di esercitarvi ancora
nell'apparecchio prossimo [alla morte] come sogliono taluni fare con grande giovamento ogni mese,
non mancano libri ottimi per questo. Vi è chi usa con molto profitto fare ogni mese l'apparecchio
alla morte, per cui può giovare il suggerito Crasset*1, Pinamonti*2, Lallemant*3, accettatela volontieri
(dice il P. Segneri*4). Ma intanto cominciate subito a desiderarla sovente, ed è anche un mezzo che
molto facilita ed assicura l'accettazione volontaria della morte quando sarà prossima… Nessuno è
che ve lo neghi… e questo stesso molto giova ancora per far accettare volentieri, anzi con giubilo la
morte stessa quando sarà vicina, essendo questo il punto più importante di tutti…
C3,289:*1
Crasset Jean, S.J. (1618-1692), La douce et sainte mort, Paris 1689.
C3,289:*2
Pinamonti Giovanni Pietro, S.J. (1632-1703), Lo specchio che non inganna.
C3,289:*3
Pierre Lallemant, canonico di S. Genoveffa a Parigi nel secolo XVII, autore di Les saints désirs de
la mort, falsamente attribuita al gesuita P. Jacques-Philippe Lallemant (morto 1748).
C3,289:*4
Segneri Paolo S.J. (senior), (1624-1694).
C3,290:S
Lanteri a sacerdote sconosciuto
1820
Se l'estrema unzione si possa ricevere in peccato mortale – Risposta positiva essendo essa un “supplementum
pænitentiæ”
Minuta (non finita) in AOMV, S. 2,1,7a:89
C3,290:I
Nessuna indicazione né di destinatario né di data.
C3,290:T
M. Ill. e M. Rev.do Pn Col.mo
Sono stato una volta interrogato dall'ammalato se l'estrema unzione si poteva ricevere in peccato
mortale, ed allora ho risposto di no, ho poi riflettuto che avrei potuto rispondergli che non era
necessario confessarsi prima (siccome infatti la Chiesa lo somministra anche senza confessione a
chi non può confessarsi), che si considera dai Teologi come supplementum Pænitentiæ, e che
rimette anche i peccati, poiché sta scritto et si in peccatis fuerit, remittuntur eis, questo si intende
dei veniali in primo luogo, in secondo luogo dei mortali, dei quali l'ammalato ne ha ben la
contrizione, ma non è in stato di confessarsi.
C3,308:S
Lanteri al conte Andezeno
gennaio 1822
Interessamento dei gesuiti di Torino e di Roma per la richiesta di una fondazione a Chambéry
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:225
C3,308:I1
L'interessamento del Lanteri nella fondazione del collegio dei gesuiti a Chambéry è riconosciuto anche dal P.
Alessandro Monti nella sua La Compagnia di Gesù nel territorio della provincia torinese, III, Chieri 1915, 501 ss. Qui
nell'epistolario ne abbiamo la conferma. Ai documenti qui riportati aggiungiamo una parte della lettera scritta dal teol.
Guala al P. Luigi Fortis il 15 marzo 1822:
“Il governatore di Chambéry si è degnato informare il T. Lanteri che il sindaco della città [cav. Giacinto Perrin] partiva
per Torino portando l'offerta del generale noto [il gen. conte De Boigne] di un milione circa per lo stabilimento dei
gesuiti e altre opere pie, e 300.000 lire per l'abbellimento della città. Essendo egli vecchio e vecchissimo [71 anni], dice
avergli il Signore inspirato di creare una commissione per l'esecuzione della sua volontà ed in essa metteva il canonico
Morchaix [Rochaix], persona di buon partito…”
A questa lettera rispondeva il Padre Fortis da Roma in data 27 marzo 1822 [AOMV, S. 1,11,28:767]:
“R.mo Teologo S.r S.r Pron Colmo
Rispondo subito ricevuta la sua gentilissima e di mia mano, troppo essendo importante la richiesta che V.S. R.ma mi
propone.
Eccole ciò che è fissato: 1. Uno stabilimento nostro in Chambéry non ributta né ci spaventa: presso a poco si vedono gli
individui che lo possano formare, purché ci si conceda il tempo necessario di ciò comodamente e opportunamente
eseguire; 2. noi consci del minimo nostro stato e della inopia ancora di soggetti, non cercheremo certo per noi alcuno
stabilimento novello; 3. come tutti gli stabilimenti nostri negli Stati di S.M.S. sono da essa venuti, lo stesso è necessario
che si verifichi di qualunque altro nuovo stabilimento nei domini medesimi; ed al presente non si sa da noi altro, se non
che S.M. ha l'occhio volto alla Sardegna, verso cui ha già fatto all'opposto di ogni nostra aspettazione un gran passo
nell'ultimo suo scritto al Vice Re antecedente diretto; 4. il Generale milionario per noi faccia quelle disposizioni che
meglio gli aggradano, è lo stesso; noi non cerchiamo né dobbiamo cercare nulla;
C3,308:I2
5. sarebbe obbrobriosa cosa che noi mandassimo persona a trattare con lui, o a blandirlo e conciliarne il favore, onde per
noi più tosto si determinasse che per altri, riguardo alla sua eredità. Ciò non può farsi, e le ragioni parlano da sé; 6. se si
desse caso, che esso spontaneo affatto e libero, e se movente di suo consiglio disponesse legittimamente di alcuna cosa
per noi, io allora esaminerò le cose e le condizioni e le conseguenze a cui andremo sottoposti; e ascoltando anche altre
persone, accetterò o no il disposto conforme le leggi di onestà, convenienza, giustizia; 7. accettata infine che fosse la
legale disposizione, non mi rifiuterò di mandare anche con tutta fretta persona che veda sul fatto l'espediente e il modo
di portare le cose accordate ad una fedele esecuzione.
Ciò posto le ragioni che altri forse non vi ponga mano, che il Generale muti sentimenti, che la commissione ponga
difficoltà, che ci siano nell'atto testamentario o inter vivos delle espressioni che si collidano, o che per noi si escludano;
per me non sono di alcun valore come quelle pure che il vecchio sia tolto prima di definire le sue disposizioni dalla
morte. Disponga Dio. Noi non cerchiamo i soldi e le eredità, ma le anime e niente altro.
In tali sentimenti ho scritto anche al P. Grassi. Sta bene poi analizzare l'origine, i progressi, e quanto vi possa essere di
buono rispetto ai Collegi di Torino e di Novara, io non trovo cosa alcuna che sia mia: ho secondato le direzioni e gli
impulsi di V.S. R.ma, del Teologo Lanteri e del Caval. Viotti, e siamo andati d'accordo, vale a dire io sono andato in
sicura carrozza loro.
La prego di riverirmi cordialmente ambedue i nominati. Ed Ella poi si conservi. Mi ha posto in dubbio se io sia vero
Gbt, non capendo precisamente la sua intenzione. Sarà vero di me, che sono degli antichi; ma come, così male ho
corrisposto finora alla mia vocazione, così io non mi posso mettere tra i veri. Le sue SS.OO. desidero, che me
l'ottengano, e pieno di gratitudine e di ossequioso rispetto mi dico
Di V.P. R.ma
Umil.mo e Dmo Servitore
Luigi Fortis P.G. d.C.d.G.”
Roma 27 marzo 1822
C3,308:I3
Le pratiche continuarono intensamente per tutto il 1822. Il 1 aprile 1822 Rodolfo de Maistre scrive a P. Rozaven in
Roma. Il 3 aprile il d'Andezeno scrive a P. Grassi in Torino in cui parla della commissione istituita dal gen. de Boigne, e
uno dei suoi membri, il can. Rochaix, scrive al Lanteri. Il 13 aprile 1822 il sindaco di Chambéry, Giacinto Perrin, scrive
a nome della città a P. Fortis, il quale come si è detto era già stato prevenuto dal Guala. Per districare la matassa fu
inviato a Chambéry il P. Luigi Taparelli d'Azeglio, allora rettore del collegio di Novara, ma tornò poco dopo infectis
rebus perché troppa gente vi era interessata e le difficoltà erano troppe (novembre 1822). Il primo rettore di Chambéry
fu il P. Pierre-Charles-Marie Le Blanc, amico del Lanteri, che veniva dal collegio di Briga nella Svizzera (1823), il
quale però nel 1825 si urtò col de Boigne e dovette lasciare il suo posto, succedendogli il P. Pietro Rigoletti, canavese
(dicembre 1825), sotto la direzione del quale il collegio prese un notevole sviluppo fino a dover essere quasi
raddoppiato nel 1834. Bersaglio dei molti moti mazziniani e carbonari che serpeggiavano in Savoia, il collegio non ebbe
sempre vita facile e nel 1848 fu forzatamente e definitivamente chiuso (cfr. A. Monti, III, 501 ss.).
C3,308:T
gennaio 1822
Ho subito partecipato la pregiatissima Sua al P. [Padre] G. [Grassi] che lo ringrazia di cuore del
particolare impegno che sempre più dimostra per la Compagnia e per il bene pubblico. Mi disse che
l'avrebbe partecipato con il primo ordinario al P. Generale con rappresentargli l'espediente che si
poteva prendere d'incominciare a mandare presto almeno un Sacerdote con un converso per
prendere il possesso. Intanto, siccome non aveva risposto ancora ai Sindaci che qui gliene fecero la
richiesta, gli ho suggerito, per tenerli impegnati, di non tardare più a rispondere loro, come appunto
fece con la qui acclusa di cui mi lasciò di rimettergliene una copia, per tenerla al fatto di tutto.
Mi viene in mente in questo momento che si potrebbe far leggere al Sig. Generale Mr. Boigne
l'opera che ho spedito ultimamente alla degnissima sua consorte per mezzo di Casa Massimino,
intitolata: “De la nouvelle conspiration contre les Jésuites”, opera in favore particolarmente
dell'insegnamento dei Gesuiti, per la gioventù molto interessante perché scritta da un protestante.
Mi disse che ne ha già parlato con Mr. De Cholex… [manca la finale della lettera]
C3,321:S
Alcune osservazioni sopra il giuramento degli Ecclesiastici in
Piemonte
1822
In questa Memoria, oltre a un'accurata analisi dei motivi contrari al giuramento e della sua origine prettamente
giurisdizionalista e laica, si dà anche la successione cronologica degli avvenimenti e dei diversi interventi dei vescovi
sardi e della S. Sede da una parte, e degli organi governativi dall'altra. Ne pubblichiamo il testo integrale trascritto
dall'originale di mano Loggero conservato nell'archivio della Curia Vescovile di Pinerolo (fotocopia in AOMV, S.
6,7,1:0; minuta in AOMV, S. 2,3,5:176).
C3,321:T1
Alcune osservazioni sopra il Giuramento degli Ecclesiastici in
Piemonte
C3,321:T1
Regnano da lungo tempo
Regnano da lungo tempo nel nostro paese i principi di Pufendorf sulla Chiesa, e di Febronio suo
Compilatore (vedi Feller, Dictionnaire, verb. Pufendorf, Hontheim), e di simili altri, tutti autori
condannati dalla Chiesa; principi ora adottati generalmente da tutti i politici e legislatori, giusta i
quali 1. la Chiesa non è riconosciuta come Monarchia, anzi neppure come Stato, ma come Collegio,
ossia Società come tutte le altre, quindi dipendenti nell'esterno dal Principe (vedi Zaccaria,
Antifebronio, Mamachi, Origines, etc., t. 5); 2. non si riconosce la libertà ed immunità ecclesiastica,
né personale, né reale. Infatti gli Ecclesiastici sono sentenziati dall'Autorità Secolare al patibolo, i
beni della Chiesa si ritengono e se ne dispone, si ricevono dal Magistrato le cause ecclesiastiche etc.
etc. 3. Si mandano ordini ai Vescovi per via di Circolari Ministeriali anche sopra oggetti
ecclesiastici, come sul matrimonio dei militari, sulle campane etc.; si esaminano le loro Pastorali
etc.… 4. Si riguarda il S.P. non più come Padre comune dei fedeli, ma come Potenza estera, e
perciò non si lascia libero il ricorso al Medesimo, dovendosi dipendere in tutto dagli Agenti Regi;
né si fa caso delle sue Pontificie Costituzioni, che pure contengono la condanna di simili Autori, e
dottrine favorevoli tutte anche alle odierne Rivoluzioni, e che neppure si lasciano pubblicare; e però
dalla maggior parte si ignorano, come pure si ignorano o si disprezzano gli Autori che difendono
l'indipendenza della Chiesa, la quale essendo Dogma oggidì così combattuto, ciascuno è tenuto ora
più che mai di professare e difendere (Muzzarelli, t. 10, opuscolo ultimo), cercando di conoscere a
fondo gli errori dei politici che vi figurano la Chiesa non quale è stata istituita da Gesù Cristo, ma
quale suggerisce loro la ragione di Stato, errori che devono detestarsi nell'8o articolo del Simbolo.
C3,321:T2
Seguì sul principio dell'anno scorso 1821 la Rivoluzione nel Piemonte, frutto, come ben si vede,
delle dottrine soprammenzionate, e della disubbidienza verso la S. Sede, e sebbene consti da
pubblici rigorosi processi essere stati in tutto quanto lo Stato tre o quattro gli Ecclesiastici tra i
promotori della medesima, nessun altro essendo in detti processi neppure nominato; con tutto ciò,
giusta i suddetti principi, 1. si passò a procedere contro di essi senza alcun riguardo per l'immunità
ecclesiastica personale, né delle censure, condannando taluni, come si è detto anche al patibolo,
fatto di cui non c'era ancora esempio nel nostro paese.
Con quest'occasione si tentò (li 23 circa gennaio scorso) di esigere da tutto il Ceto Ecclesiastico
dello Stato il giuramento di fedeltà al Sovrano riguardando tutti gli Ecclesiastici quali Sudditi
indistintamente come tutti gli altri (fatto di cui non c'è esempio in tutta la Chiesa); se ne diede
pertanto l'ordine ministeriale al Metropolitano per farlo eseguire. Questi oppose la proibizione della
Chiesa, e addusse per es. il Canone Nimis, essendovene però tanti altri che proibiscono lo stesso, e
tenne fermo a farne niente.
Allora da S.M. fu fatta, circa li 10 febbraio, l'interpellanza al S.P. di assoggettare la Classe degli
Ecclesiastici del suo Regno al giuramento di fedeltà, e sottopose all'esame la formula del
giuramento.
Si trattava dunque 1. di un fatto non mai accaduto, del giuramento cioè di tutto il Clero di tante
Diocesi; 2. della dispensa non solo del Canone Nimis, che lo proibiva, ma di più altri; 3.
dell'approvazione di una formula di giuramento dal Medesimo proposta sinora inusitata, che
conteneva non solamente la fedeltà passiva, ma di più espressioni circa l'oggetto da promettersi,
suscettibili di vari sensi contrari alla libertà della Chiesa, e circa il modo da eseguirsi; espressioni
non chiare e precise, ma che possono imbrogliare le coscienze di chi deve eseguire simili promesse
giurate, cose tutte da ben ponderarsi, eccetto che si voglia riguardare il giuramento come una
semplice cerimonia, come purtroppo sembra considerarsi oggidì generalmente da tanti.
C3,321:T3
La risposta da Roma contenente la richiesta dispensa 1. fu data a posta corrente, sebbene in tale
tempo, cioè prima e dopo del 25 febbraio scorso (data della dispensa) il Pontefice fosse gravemente
incomodato, né fosse in situazione di occuparsi d'affari così gravi, come consta da lettere
particolari. E fa tanto più specie questa sì pronta dispensa, se si fa attenzione a tante precauzioni
usate per accordare a Bonaparte una formula di giuramento tanto più semplice, contenente la sola
fedeltà passiva, ed un giuramento proposto ai soli Funzionari pubblici futuri. – 2. La dispensa
riguarda il solo Canone Nimis, di tutti gli altri non si fa menzione alcuna. – 3. La dispensa fu data
non per Breve, ma per lettera come Ministeriale, cioè trasmessa da Ministro a Ministro, e con stile
non mai usato, cioè sempre nominando S.M., non mai Dilecte Fili (ambedue cose inusitate). – 4.
Tale lettera non presenta neppure una risposta decisiva, ma piuttosto pare dispositiva ad una
trattativa di Giuramento, anzi con dissuasione graziosa, suggerendo cioè, che si riflettesse se era
spediente richiedere un tale giuramento ai semplici Sacerdoti e Chierici, i quali vivendo da privati
sono fuori da qualunque ingerenza pubblica, soggiungendo ancora indursene forse con ciò il primo
esempio.
C3,321:T4
Giunta da Roma
Giunta da Roma tale dispensa per lettera ministeriale diretta cioè al nostro Ministro, questi non si
credette in dovere di comunicarla agli Ordinari, ed invece manda ad essi una circolare, in cui si
contenta di indicare il concerto avuto con la S. Sede, e loro ordina e prescrive il giuramento, e il
modo di prestarlo, e ancora di prestarlo (N.B.) alla presenza dell'Autorità civile, che doveva in
ultimo firmare tutti gli atti di simile giuramento fatto da tutto il Ceto Ecclesiastico. Si domanda
allora dal Metropolitano e da altri Vescovi al Ministro con istanza la comunicazione della dispensa
data dal S.P., e si dimostrano fermi a non lasciare senza di ciò prestare il giuramento richiesto. Ma
non si fa caso della loro domanda, della loro Autorità Episcopale, né dei loro diritti, considerandoli
in certo modo tutti come ugualmente Sudditi del Governo; però forse per timore che detto
giuramento non avesse luogo, si prende il partito di comunicare la lettera di Roma come
confidenzialmente, ma non ufficialmente, e ad alcuni Vescovi soltanto, ricusando di comunicarla a
tutti. – Scrive frattanto il Metropolitano a Roma per rischiarirsi su questa dispensa, e per riscontro
gli perviene (in data 15 aprile) una risposta non di S.S., ma della Segreteria di Stato mandata ad un
Vescovo in Roma, che gliela richiese, e da questi trasmessagli, in cui si assicura che un tale
giuramento fu permesso da S.S., e dalla Medesima approvata la formula annessa, soggiungendo
però, che non essendo stata previa comunicazione dell'intervento dell'Autorità civile, dava subito gli
ordini affinché non avesse luogo. Il Metropolitano allora come accertato dell'approvazione della S.
Sede, senza cercare più oltre, si contenta di dare nella sua Pastorale le necessarie spiegazioni della
formula, e prendere le precauzioni per non includere l'Autorità civile, e così fu prestato il
giuramento da tutto il Clero.
Alcuni Vescovi zelanti di ubbidire prontamente al Governo prima di essere maggiormente rischiariti
su tutto, fecero giurare gli Ecclesiastici con l'intervento dell'Autorità Civile, e sono, a quel che si
dice, in numero di 11, e questi in virtù solo della Circolare Ministeriale si autorizzarono pure di
prescrivere il giuramento, e il modo di esso ai Corpi Regolari, nonostante le loro esenzioni. – Gli
altri, che esclusero l'Autorità civile, si dice che siano in n. di 12. – Quelli della Savoia finora lo
ricusarono, ed uno del Piemonte ancora. – Fin qui il fatto; rimane ora il dubbio sulla validità di
questa dispensa pontificia non per difetto di potestà, ma per causa surrettizia per i seguenti riflessi.
C3,321:T5
Validità di questa dispensa
1. La dispensa fu data a posta corrente, e in tempo, che il Pontefice non poteva occuparsi di materia
così seria per cagione di gravi incomodi. 2. La dispensa non fu che di un solo Canone proposto, e
non di tutti gli altri, come neppure del voto giurato nella Professione di fede di Pio IV. Di osservarli
tutti, né del disposto del Tridentino. 3. È prescritto dal Tridentino De Reformatione Sess. 22, c. 5, e
Sess. 25, c. 18, che ogni dispensa pontificia debba commettersi ai Vescovi, 1o perché sono i canali
ordinari per tali affari, giacché la Chiesa non fa mai niente di nascosto; 2o perché i Vescovi,
essendo costituiti dalla Chiesa come Delegati Apostolici, in questa parte loro compete di diritto la
comunicazione di tutte le dispense pontificie, e questa comunicazione non si fece che a pochissimi
Vescovi, e nemmeno autenticamente. 4. Gli Ordinari devono, giusta il Tridentino l.c., decidere della
causa se surrettizia o no, perché il P. [Papa] vuole sempre avere piena cognizione di causa per
accordare simili dispense, altrimenti vuole che siano tutte considerate come surrettizie e nulle; ora
questa decisione non poté darsi dagli Ordinari, perché la causa addotta ancora s'ignora, e la causa
supposta non si sa come sia stata espressa. – 5. L'unica causa che si può suppore addotta, si deduce
da quell'espressione usata dal Cardinale Ministro nella risposta al sopralodato Vescovo in Roma,
cioè nel caso presente e nelle straordinarie e particolarissime circostanze attuali di codesto Regno,
S.S. ha annuito alla richiesta, la quale espressione riguardo agli Ecclesiastici dei quali vi era
questione, lascia luogo a supporre essersi esposto che ben molti di essi fossero stati i promotori
della Rivoluzione, il che sarebbe falso, perché tre o quattro soltanto, come si è detto, tra tanti mille
Ecclesiastici ebbero parte nella Rivoluzione; oltre che la suddetta dispensa non è per Breve, ma per
lettera ministeriale indicante ancora una trattativa, come già si è detto. – Se non altro, questa era una
di quelle cause gravi, per cui si doveva ricorrere dai Vescovi alle S. Congregazioni dei Concili, o
dei Vescovi e Regolari, ciò che non fu fatto che da quelli della Savoia e di Fossano.
Dunque a giudizio di chiunque questa dispensa non può avere ancora alcuna forza.
C3,321:T6
Si dirà 1. che quando vi è qualche ordine dei Vescovi, i particolari non devono più oltre esaminare,
stante la promessa ubbidienza agli Ordinari, ma si risponde, che l'ubbidienza promessa è
l'ubbidienza canonica, cioè secondo i Canoni a guisa di quella dei Religiosi, che deve essere juxta
et non ultra Regulas, altrimenti non sarebbe rationabile absequim secondo S. Paolo. Conviene
dunque che si osservino i Canoni, e particolarmente il disposto dal Tridentino, ciò che non si vede
fatto in questa occasione; diversamente si aprirebbe la strada a qualunque errore e scisma, come ci
insegna la Storia Ecclesiastica con tanti esempi, e si sa che per difetto di osservarsi dagli uni e dagli
altri, sia i Canoni che l'ubbidienza canonica, accade già che totus orbis ingemuit se esse Arianum,
giusta l'espressione di S. Gerolamo. Inoltre è ancora recente il fatto degli indirizzi che tutti gli
Arcivescovi, e Vescovi, e Capitoli di Italia dovettero ritrattare, come consta dalla raccolta di dette
Ritrattazioni stampata in Roma 1816, vol. 2o in 8o.
C3,321:T7
Si dirà 2. che il P. [Papa] ha parlato. Si risponde che si riconosce nel S.P. piena potestà di
dispensare da qualunque Canone, né si contrasta qui che il P. abbia dato segni di approvazione
come sta nella lettera ministeriale; si prescinde anche se sia con piena cognizione di causa, ma sarà
sempre vero, che il P. vuole che si osservi il Tridentino (eccetto che anche espressamente lo
escluda, ciò che non fece in quest'occasione), il quale prescrive che le sue dispense siano commesse
agli Ordinari, e che questi come Delegati Apostolici esaminino se la causa sia surrettizia, e quindi
valida o non la dispensa; ciò che non fece alcun Vescovo, né poteva farlo, non essendoci partecipata
autenticamente la dispensa ottenuta, né manifestatasi ad alcuno la causa addotta, né come fu
esposta; tanto più che la causa supposta non esiste, come è noto a tutti; né può supporsi che il P.
abbia voluto dispensare motu proprio senza causa, perché la causa gli fu addotta, e neppure è
verosimile, perché si tratta qui di un fatto, di cui non c'è ancora esempio, e che potrebbe apportare
conseguenze ben funeste sì alla Chiesa, che allo Stato medesimo; mentre che si sa che i P. in tutti i
secoli ebbero sempre di mira nelle loro dispense l'utilità o necessità della Chiesa per essere essi,
come dice S. Bernardo, fedeli dispensatori, e non crudeli dissipatori, come a lungo lo dimostra il
Tomassini t. 2, lib. 3, c. 24 e seg.
C3,321:T8
Si dirà per ultimo che, opponendosi a questo giuramento, si procurano dei gravi sconcerti: si
risponde che questi sconcerti riguarderebbero piuttosto il solo Personale dei Vescovi e degli altri
oppositori particolari, i quali anzi si potrebbero gloriare di soffrire qualche cosa per la buona causa,
ma non la Chiesa e lo Stato, ai quali piuttosto si rende vero servizio da chi vi si oppone, e cattivo
servizio da chi vuole sostenere simile impegno.
Né qui si tratta di voler seguire alcuna opinione o dottrina particolare, ma di seguire la sola dottrina
e le leggi generali della Chiesa, la quale non addotta alcuna opinione, essendo sempre il suo
insegnamento sia speculativo, che pratico sine formidine de opposito, ed essendo la più bella
prerogativa di qualunque privato l'appropriarsi il detto di S. Paciano: Christianus mihi nomen,
Catholicus cognomen; né essendo mai lecito ad alcun privato insegnare magistralmente ciò che la
Chiesa non insegna, e decidere ciò che non è deciso, bensì sua gloria e dovere sarà sempre di
sottomettersi a quanto sta dalla Chiesa deciso, ed insegnare questo solo per poter sempre dire con il
Salvatore stesso: Doctrina mea non est mea, sed ejus qui misit me. Joan. 7, 16.
C3,321:T9
Addizione
*1
Mi capitano alle mani solo al presente gli Atti della Causa del Ven. Monsignor Ancina Vescovo di
Saluzzo (l'unico V. [Vescovo] del Piemonte col titolo di Ven.) stampato [sic] in Roma 1714, ove
nella Vita stampata fra gli atti della sua Causa si legge nel tit. De statu Episcopali pag. 15, n. 34:
“Cum Taurinum advenit, promotis contra libertatem Ecclesiæ difficultatibus nonnullis ab illius
Aulæ Ministris, potius quam illis cedere, Episcopatus, possessionis adeptionem differe statuit, et 5
mensibus moram traxit Fossani”, et n. 35: “Ejus prudentia interim, sed sanctitate magis,
Ministrorum Ducis Sabaudiæ cesserunt obstacula, ut Vener. Præsul suum potuerit Episcopatum
adire”.
2o Similmente ibid. nella Vita tit. De Fortitudine n. 6, pag. 89 si legge: “Ducis Sabaudiæ Ministri,
antequam Servus Dei possessionem Episcopatus obtinerit ab eo fidelitatis juramentum exigebant. At
Vir Dei nec minis, nec Principis indignatione commotus, forti animo id agere recusavit tamquam
libertatis Ecclesiæ destructivum, et potius ad optatam residentiam ire distulit, quam injunctæ
Ministrorum instantiæ assentire.” Duo testes optime conscii Summ. p. 113.
3o Nel Sommario poi al cap. 24 de fortitudine pag. 113 due testimoni ragguardevoli depongono, che
volendo il Duca di Savoia nel 1602 esigere dal Medesimo il giuramento di fedeltà prima che
prendesse possesso della Diocesi per essere Saluzzo fortezza gelosa, rispose il Ven.: “Io come
Giovenale Ancina sono suddito di V.A., ma come Vescovo: ego Dominus, e perciò non voglio fare
il giuramento”.
C3,321:*1
Addizione: minuta in AOMV, S. 2,3,5:177.
C3,326:S
Lanteri al vescovo Francesco M. Bigex
20 aprile 1822
Sul giuramento di fedeltà imposto dal governo agli ecclesiastici – Necessarie riserve da farsi alla formula proposta
Originale in Archivio Curia di Pinerolo
C3,326:I
È questa la prima di una decina di lettere scambiate tra Mons. Bigex e il Lanteri sulla spinosa questione del giuramento
di fedeltà imposto da Carlo Felice – o meglio dal suo ministro Roget de Cholex – anche a tutti gli ecclesiastici del
regno, che il Lanteri – e non solo lui – riteneva altamente lesivo dei diritti del clero e in più offensivo alla sua dignità e
lealtà. Gli originali degli autografi Lanteri si trovano nell'archivio della Rev. Curia vescovile di Pinerolo che ne ha
trasmesso gentilmente copia all'AOMV (S. 6,7,1:0).
C3,326:T1
20 aprile 1822
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore
Si assicura che il Ministro (annoiato) abbia detto che non sarebbe andato appresso a quei Vescovi
che non avranno ancora pubblicato il Giuramento.
Intanto V.S. Ill.ma e Reverend.ma veda se, giusta la spiegazione della formula fatta dal nostro
Monsignor Arciv.o alla pag. 10, e giusta il modo da lui prescritto dell'esecuzione alla pag. 14, se
(dico) determinandosi ancora più chiaramente il senso della formula in quanto alla piena possanza,
– tutti i mezzi, – ed ogni occasione bastasse questo a tranquillizzare la coscienza di tutti quelli che
devono giurare (tra le quali vi sarebbe pure la mia), sapendosi da tutti spettare ai Vescovi dichiarare
l'intelligenza di ogni atto di religione, e dichiararne il modo*2.
C3,326:T2
Le difficoltà che ancora si vedono sono le seguenti, cioè si tratta
1. di una dispensa necessaria non di un solo Canone Nimis, ma di più altri Canoni e del Giuramento
fatto nella Professione di fede di Pio IV articolo penultimo;
2. di un'obbligazione che il Principe cerca d'imporre in adempimento delle parti della sua Sovranità,
giusta la Circolare mandata agli Arcivescovi e Vescovi sotto l'ispezione e la firma dell'Autorità
secolare;
3. dell'obbligazione di sostenere ogni possanza che in prassi si sa fin dove si estende, ed in jure si
sostiene per diritto dai Magistrati, di modo che il Re stesso abdicatario si stupiva di vedere i
Magistrati così contrari a Roma;
4. di un'obbligazione giurata da eseguirsi con tutti i mezzi, in ogni occasione, e ben inteso secondo i
principi teologici senza restrizione mentale;
5. di una dispensa molto dubbia per tanti titoli circa obbligazioni certissime, perché se ne ignorano
le espressioni, né è publicata;
– di una dispensa ancora mandata per via canonica, di cui come per via d'induzione i Superiori
Ecclesiastici ne arguiscono soltanto la verità, come da pag. 10 della Pastorale di Monsignor
Arcivescovo;
– di una dispensa di cui si sa che i Pastori pubblicano non spontaneamente né liberamente, ma come
per forza per non compromettere l'Autorità sia ella Sovrana o Ministeriale, quale si sa che ben
sovente intervenne sia nelle eresie come nei scismi*3.
Perdoni l'ardire e le bacio umilmente le mani.
Di V.S. Ill.ma e Reverend.ma
Torino li 20 aprile 1822
Umil.mo Dev.mo Obbed.mo Serv.re
N.
C3,326:*1
Ministro degli interni di Carlo Felice, il savoiardo di Chambéry conte Gaspare Gerolamo Roget de
Cholex (morto 1828).
C3,326:*2
Il giuramento doveva essere prestato in pubblico, davanti all'autorità ecclesiastica diocesana e
davanti a un rappresentante del governo, con regolare processo verbale firmato da chi prestava il
giuramento e da chi lo riceveva. Quest'ultimo punto – insieme con la formula imposta per il
giuramento – aveva suscitato vive proteste di cui si era fatto interprete anche l'Incaricato d'affari
della S. Sede e lo stesso Papa Pio VII. “Sebbene Pio VII avesse consigliato il Re a disporre che non
intervenissero le autorità civili, pure si volle che vi assistessero i sindaci e un consigliere
municipale, o due consiglieri delegati dal sindaco; i capitoli cattedrali o collegiali dessero il
giuramento in mano del vescovo e al cospetto dell'amministrazione civica; quelli che ne fossero
giustamente impediti, trasmettessero al vescovo la formula da essi segnata, e l'atto trasmettersi alla
Segreteria degli interni col mezzo delle Curie, o delle Intendenze” (T. Chiuso, La Chiesa in
Piemonte…, III, 76).
L'atteggiamento dei vescovi del Piemonte e della Savoia non fu uniforme e in qualche parte si
ebbero anche aperte resistenze contro il governo. Mons. Chiaveroti nella sua pastorale pubblicata
all'uopo, “tace affatto della presenza dei sindaci, ordina che la cerimonia, per non recar disturbo alle
funzioni della chiesa, si compia in giorno non festivo, e così descrive il modo da tenersi: Egli, alle
undici della mattina 30 aprile, riceverà in persona nella cattedrale di San Giovanni il giuramento dei
canonici della metropolitana e della Ss. Trinità, dei preti suoi famigliari, dei professori del
Seminario e dei chierici in sacris; i canonici delle collegiate di provincia e i parroci con il loro clero
giureranno nella propria chiesa, nel giorno ed ora da stabilirsi dai capi di quelle e da questi, entro la
quindicina dopo ricevuta la lettera pastorale; i canonici e parroci avranno le divise, gli altri sacerdoti
l'abito nero talare; si lascerà la chiesa aperta affinché tutti possano entrarvi, ecc.…” (T. Chiuso, ivi).
C3,326:*3
Circolare del Ministro degli Interni, conte Roget de Cholex, ai Vescovi del Regno Sardo per il
giuramento di fedeltà (copia conservata nell'Archivio della Curia di Pinerolo, fotocopia in AOMV,
S. 6,7,1:0):
Regia Segreteria di Stato per gli affari interni, N. 4.538, Uff. I, N. 857. Circolare ai Signori
Arcivescovi e Vescovi
Torino addì 20 di marzo 1822
Ill.mo Rev.mo Sig. Sig.r P.ron Col.mo
Sua Maestà dopo aver con grande Editto imposto l'obbligo del giuramento di fedeltà a tutti i Nobili
suoi sudditi ed ai Comuni compresi nei suoi Reali domini di terraferma, non meno che all'intiero
corpo della milizia, ha ravvisato necessario il prescrivere eguale provvedimento per gli
Ecclesiastici, che nei suoi Stati compongono il Clero sì secolare che regolare, persuasa che essi
porgeranno così manifesta testimonianza di quei sentimenti, che da ogni buon suddito si richiedono,
e confermeranno nei suoi popoli eguali massime di devozione e di fedeltà al Sovrano, mercé
l'efficacia dell'esempio e la virtù delle esortazioni. Sua Maestà pertanto, adempiendo in cotale guisa
le parti del principato, e dopo aver preso gli opportuni concerti con la Santa Sede, mi ha comandato
di significare a V.S. Ill.ma e Rev.ma essere sua Reale intenzione, che tutti gli Ecclesiastici sì
secolari che regolari, che si trovano nei suoi Stati di terraferma, debbano prestare giuramento
secondo la seguente formula:
“Io giuro d'essere a mantenermi fedele a Sua Maestà il Re Carlo Felice nostro legittimo Sovrano ed
a' Reali suoi successori; di sostenere con tutti i miei mezzi la piena sua possanza ed autorità
sovrana; e d'insinuare e propagare questi sentimenti in ogni occasione che mi si presenterà”.
Per conciliare poi tutti i riguardi che alla classe degli Ecclesiastici si convengono, vuole il Re che la
cura di mandare ad effetto tale suprema determinazione sia commessa a V.S. Ill.ma e Rev.ma.
Nel farle nota siffatta Sovrana risoluzione io le comunico pure alcune istruzioni che varranno a
togliere i dubbi, che forse le potrebbero nascere intorno al modo di eseguirla, e che renderanno
uniformi tutti gli atti analoghi che nelle varie Diocesi si compiranno.
Prego V.S. Ill.ma e Rev.ma che accetti gli attestati del distintissimo ossequio con cui mi prostesto
Di V.S. Ill.ma e Rev.ma
Dev.mo ed Obb.mo Ser.re
Roget de Cholex
C3,332:S
Lanteri al vescovo Francesco M. Bigex
24 aprile 1822
Pio VII gravemente ammalato è inabile a prendere decisioni importanti – Osservazioni sulla pastorale del vescovo di
Pinerolo
Archivio della Curia Vescovile di Pinerolo (fotocopia in AOMV, S. 6,7,1:0)
C3,332:I
Biglietto affrettato da cui non è sempre facile rilevare i particolari ivi accennati.
C3,332:T
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore
Ricevo lettera di quest'Ordinario da Roma che S.S. oltre al trovarsi in estrema debolezza di corpo, è
da gran tempo anche debolissimo di memoria, ed essere affatto inutile parlarle di affari, né esservi
altro ripiego se non se quello dei Vescovi, i quali possono parlare ufficialmente dove sono ascoltati
ufficialmente.
Tutti accordano che questa è una ferita alla Chiesa, dunque conviene che ci pensi chi vi concorre a
farla. Io non ho veduto, né ho mezzi per poter vedere la sua Pastorale dallo Stampatore, nonostante
sento già dire che s'aspettavano qualche più franca esposizione da V.S. Ill.ma e Rev.ma della verità,
e che sorprende l'aver Ella fissato per tale funzione l'ora e il giorno di Festa, che invece di
decretiamo dice ancora esortiamo. Qui i diritti di Metropolitano sembra che non abbiano luogo. Le
spiegazioni non paiono a tutti abbastanza sufficienti, la voce in ogni occasione non è spiegata; le
spiegazioni non sono autenticamente accettate da chi fa giurare, né secondo le intenzioni di chi
esige il giuramento, né si vuole che si pubblichino come accettate. Quello di Genova da tutti si dice
che già era Consultore Teologo del Cardinale Consalvi.
Non solo la lettera di S.S. non è secondo lo stile solito, né ex Cathedra, ma s'esamini il Trid. Sess.
22 de Reformatione c. 5, e Sess. 25 de Reformatione c. 18.
Finisco per mancanza di tempo con baciarle umilmente le mani
Di V.S. Ill.ma e Reverend.ma
Torino li 24 aprile 1822
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Serv.e
P.B.L.
(timbro postale lineare TORINO 24 APR)
À Sa Grandeur
Monseigneur Bigex Évêque de
Pignerol
C3,333:S
Lanteri al vescovo Francesco M. Bigex
8 maggio 1822
Ringrazia della lettera e della pastorale – Funeste conseguenze della lotta tra Stato e Chiesa – La voce di un “cane da
guardia nella greggia del Signore che abbaia fino all'ultimo respiro”
Archivio della Curia Vescovile di Pinerolo (fotocopia in AOMV, S. 6,7,1:0)
C3,333:I
Risposta alla lettera di Mons. Bigex del 23 aprile 1822 che conteneva acclusa una copia della lettera pastorale. La
risposta è ritardata a causa di una nuova grave malattia che ha colpito il Lanteri.
C3,333:T
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore
Perdoni se non ho risposto prima d'ora alla pregiat.ma sua; l'aumento dei miei soliti incomodi mi
ingombrò talmente lo spirito che dovetti tenere il letto, ed usare rimedi.
Ho ricevuto la Pastorale che V.S. Ill.ma e Reverend.ma si compiacque di graziarmi, essa fu
generalmente trovata molto ragionata, e munita delle necessarie spiegazioni e precauzioni, ciò che
rincresce non vedersi almeno fatto da tutti; gliene rendo pertanto i miei più distinti ringraziamenti.
Si assicura che S.S. si trovava in tale tempo molto incomodata, e che quando si riebbe, se ne
dimostrò ben rammaricata. Si dice da taluni che l'Austria possa aver influito in questo affare, e che
sarà per approfittarsi anch'essa di tale mezzo, certo che allora il male sarà tanto maggiore, oppure
molto più difficile diverrà la negativa per parte della S. Sede. Insomma finché la Chiesa e il
Governo reciprocamente si temono, senza indagare ora in ambedue la cagione di questo timore, né
lo Stato può prosperare, né la Chiesa può fiorire se non con l'esercizio delle virtù proprie dei
Martiri, né si potrà far cambiare l'insegnamento pubblico, né impedire il continuo influsso dei libri
cattivi, unico rimedio per guarire, se fosse possibile, gli spiriti da lungo tempo avvelenati, o per
impedire almeno che il veleno d'ora innanzi più non si propaghi, e per promuovere invece il
balsamo della verità e della Religione.
Perdoni ancora questa volta questa mia libertà, di cui ne è la cagione la bontà di V.S. Ill.ma e
Rev.ma più volte dimostratami; io non sono più che un cane da guardia nella Greggia del Signore
che abbaia fin all'ultimo respiro ma che ha già tosto perduta tutta la voce, e che presto va a finire
questa misera vita con la ferma speranza di una migliore*1; permetta dunque che la preghi di volermi
avere presente nei S.S.S. [suoi santi Sacrifici] per ottenermi questo felice passaggio.
Finisco con baciarle umilmente le sacre mani, e con tutta la venerazione protestarmi
Di V.S. Ill.ma e Reverend.ma
Torino li 8 maggio 1822
Umil.mo Dev.mo Obbed.mo Serv.re
Sacerd. Teol. Pio Bruno Lanteri
C3,333:*1
Il Lanteri non poteva né meglio, né più sinteticamente, né più esattamente tracciare un ritratto di se
stesso che scrivendo queste parole. Esse sintetizzano tutto quello che il Lanteri era stato in passato,
dalla sua giovinezza fino a quel giorno, quello che era ancora al presente e quello che sarebbe stato
negli otto anni che ancora gli rimanevano da vivere, nei confronti della santa Chiesa di Dio: non un
rivoluzionario, o un ribelle, o un contestatore, o un innovatore, ma semplicemente un cane da
guardia che abbaia all'apparire del pericolo fino a diventare rauco, senza scoraggiarsi o desistere al
vedere quanto pochi erano quelli che davano retta al suo vociare.
C3,337:S
Lanteri al Vescovo Francesco M. Bigex
15 maggio 1822
È difficile conoscere la vera opinione del Papa causa la sua grave malattia – Alcuni vescovi piemontesi hanno già fatto
fare il giuramento al loro clero
Archivio Curia Vescovile di Pinerolo (fotocopia in AOMV, S. 6,7,1:0)
C3,337:T
[Torino] li 15 [maggio] 1822
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore
L'ultima sua preziosissima mi fu di somma consolazione, e ne ringrazio ben di cuore V.S. Ill.ma e
Reverend.ma. Mi venne ancora in mente se sarebbe bene scriverne al Cardinale Pacca Prefetto della
Congregazione dei Vescovi e Regolari, ed al Cardinale De Gregori Prefetto della Congregazione dei
Concili (trattandosi anche di dispensa da Canoni di Concili Generali) ambedue soggetti di ogni
eccezione, ma si sa che il Cardinale Consalvi Segretario di Stato e dei Brevi si antepone a tutti; so
pure di certo che il Pontefice da due mesi in qua non può più occuparsi di niente, né più gli si parla
di alcun affare molesto*1; so pure in tutta confidenza e di certa scienza che il Sovrano non voleva
questo giuramento*2. Si dice che il Card. Arciv. di Novara*3, e il Vesc. di Vigevano*4 l'abbiano già
prescritto, del 1o già si dice per Città che ambisce di venire a Torino, quello di Genova so di sicuro
che è fermo ed alcuni altri poi aspettano le decisioni di quello di Torino, il quale però è sempre
fermo, ma sarebbe anche ottimo servizio il confortarlo; perdoni il mio ardire e il suggerimento,
qualora lo stimasse [conveniente], di scrivere ancora a Roma.
Intanto le bacio le sacre mani, le chiedo la sua Pastorale Benedizione, e con tutta la stima e
venerazione mi protesto
Di V.S. Ill.ma e Rev.ma
Umil.mo Dev.mo Obbed.mo Serv.re
[senza firma]
C3,337:*1
Gli ultimi due anni di pontificato di Pio VII furono caratterizzati da una gravissima malattia, per cui
rimase quasi del tutto inattivo, eccetto brevi periodi di ripresa. L'ultimo suo discorso – brevissimo –
fu tenuto nel concistoro segreto del 10 marzo 1823 per ricordare il 24o della sua elezione al
pontificato: il penultimo risaliva al 13 agosto 1821. Morì il 20 agosto 1823 all'età di 81 anni (HC,
VII, 6).
C3,337:*2
Questo accenno molto esplicito del Lanteri, che da tutto l'insieme si basa su fonti abbastanza
attendibili, circa la volontà contraria di Carlo Felice al giuramento del clero, concorda con la
testimonianza di altri storici – per es. del Rinieri – e ne addossa tutta la responsabilità al de Cholex
che voleva con ciò umiliare il clero: uno dei tanti tiri mancini che il ministro savoiardo aveva
giocato al suo sovrano.
C3,337:*3
Vescovo di Novara era il card. Giuseppe Morozzo.
C3,337:*4
Vescovo di Vigevano dal 25 maggio 1818 era Mons. Giovanni Francesco Toppia, e vi rimase fino
al 20 luglio 1828, data della sua morte. Era nato a Perletto, vicino a Acqui, il 28 gennaio 1754,
ordinato sacerdote il 19 settembre 1778, laureato nei due diritti a Torino nel 1779, canonico e
vicario generale di Tortona, poi canonico e vicario generale di Acqui e proposto della cattedrale
(HC, VII, 396).
C3,339:S
Lanteri al vescovo Francesco M. Bigex
5 giugno 1822
L'imposizione del giuramento al clero non è che uno dei tanti abusi di potere dell'autorità civile che non vuole
riconoscere i diritti della Chiesa – Giudizio complessivo sull'atteggiamento dei vescovi
Archivio della Curia Vescovile di Pinerolo (fotocopia in AOMV, S. 6,7,1:0; minuta in AOMV, S. 2,3,5:177)
C3,339:I
Originale di mano Loggero. Solo la chiusura, la data e la firma sono di mano Lanteri.
C3,339:T
5 giugno 1822
Ill.mo e Reverend.mo Monsignore
Mi è capitato poco fa nelle mani un'opera: “Ragioni della S. Sede colla Corte di Torino, in 4 vol. in
fol. 1732”. In fine del 2o vol. si trova un discorso sul giuramento dei Vescovi nel 1730; ho fatto
copiare il 1o capitolo che sembra più a proposito per trasmetterlo a V.S. Ill.ma e Revd.ma credendo
che non le sarebbe discaro*1. In questo affare poi ho preso il partito di non più occuparmene,
giacché osservo che gli uni secondo i propri principi ed il proprio senso, gli altri nelle diverse loro
circostanze, sembrano o veramente sono scusabili, e un dì soltanto si vedrà la verità.
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1. Stante l'insegnamento da lungo tempo vigente sui principi eretici oggidì generalmente adottati di
Grozio, Pufendorf, Febronio (compilatore del medesimo come osserva Feller) e simili, la Chiesa
non è Stato, ma Collegio, ovvero Società soggetta come tutte le altre nell'esteriore polizia
all'Autorità Civile. Giusta questi principi, è cosa ovvia e naturale, che si sia ordinato il giuramento
di fedeltà (prova di giurisdizione in chi lo esige, e di sudditanza in chi lo presta) per via di circolare
ministeriale agli Ordinari con l'intervento dell'Autorità laica, e si sia ricusato di comunicarne
ufficialmente l'atto di dispensa agli Ordinari stessi, quando a cagione della loro negativa fu costretta
l'Autorità Civile di passarne a S.S. (si osservi il modo) l'interpellazione (cioè Domanda con atto
giuridico) d'assoggettare la Classe (voce che indica riguardarsi gli Ecclesiastici egualmente soggetti
alla giurisdizione civile) degli Ecclesiastici al giuramento, prendendo allora piuttosto il partito di
comunicarlo solo confidenzialmente per timore da una parte, che il giuramento non si effettuasse, e
dimostrare per l'altra parte, che si considerano gli Ordinari come Sudditi, ai quali la Potestà Civile
non era tenuta a comunicarlo ufficialmente. L'Autorità Civile è dunque per lo meno conseguente ai
suoi principi.
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2. Il Cardinale Ministro è scusabile, 1. perché gli si è taciuto l'ordine dell'intervento della potestà
civile; 2o perché sebbene s'ignori la causa movente addotta, quella sola che può supporsi, e si
deduce dalla stessa risposta data a qualche Vescovo dal Medesimo (cioè che la S. S. [Sede] nel caso
presente e nelle straordinarie e particolarissime circostanze attuali ha annuito alla richiesta), è che
ben molti Ecclesiastici fossero i Promotori della Rivoluzione [del 1821], mentre che tre o quattro
soltanto si trovano nei processi, e nessun altro Ecclesiastico viene in essi nominato: causa pertanto
non solo ignominiosa, ma falsa, e si noti ancora che la risposta contenente la richiesta dispensa non
è assoluta, né senza replica, ma dispositiva piuttosto ad una trattativa.
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3. Sebbene sia innegabile che S.S. possa dispensare da qualunque Canone, ed anche validamente
senza causa quando volesse, non avendone da rispondere che a Dio, con tutto ciò siccome in tutti i
secoli i Pontefici non mai usarono dispensare senza grave motivo, e sempre ad utilitatem, vel
necessitatem Ecclesiæ, come insegna S. Tommaso 2, 2, q. 88, art. 12, e lo dimostra con il fatto il
Tomassini nel t. 2, l. 3, c. 29, non può questo supporsi in Pio VII senza fargli un vero torto ed
aggravio; onde conviene dire che abbia annuito alla richiesta, ed approvata la formula, credendolo
come necessario per contenere il Clero, che gli si è rappresentato per la maggior parte involto nella
Rivoluzione, massime non vedendo alcun reclamo dagli Ordinari in difesa del Clero, né potendo
S.S. occuparsi di più degli affari per i gravissimi incomodi che soffriva in tale tempo oltre il solito;
tanto più che si insinua ancora nella risposta di S.S. una dissuasione graziosa.
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4. Gli Ordinari con stento poterono accertarsi della verità della dispensa pontificia, il di cui atto loro
non fu mai comunicato ufficialmente, nemmeno poterono come Delegati Apostolici conoscerne la
causa addotta finché la dispensa avesse forza, come viene prescritto dal Tridentino, De
Reformatione Sess. 22, c. 5, Sess. 25, c. 18, perché loro non si è mai comunicata, di modo che
l'ignorano ancora presentemente tutti.
Inoltre essendo questa una di quelle cause maggiori che richiedono ricorso al Pontefice sia per
informarlo meglio del fatto e rappresentarne le conseguenze, sia per domandare delucidazione sulla
formula a cagione degli scrupoli che ingeriva in molte coscienze (il che meritava tutta l'attenzione),
neppure poterono questo effettuare dovendosi passare per gli Agenti Regi, perché giusta i principi
adottati, si riguarda il S. Pontefice come Potenza estera, sospetta quindi d'usurparsi i diritti
dell'Autorità civile, e però non si lascia libero il ricorso al Medesimo. Né loro rimaneva altro
mezzo, che far passare le lettere al S. Pontefice per terza persona, mezzo incerto, e che pochissimi
potevano avere; oppure ricorrere alla Congregazione dei Vescovi e Regolari, come fecero quelli
della Savoia e di Fossano, almeno per accertarsi se nella dispensa dal Canone Nimis erano compresi
tutti gli altri Canoni, che pure si opponevano insieme al voto giurato nella Professione di fede di Pio
IV di osservarli tutti, e massimamente se si era derogato anche al Tridentino, né poteva farsi di più
dagli Ordinari.
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5. Sono scusabili gli Ecclesiastici particolari che obbedirono, o furono docili in tutto agli ordini o
inviti dei Vescovi, che ne assicurarono il permesso e l'approvazione di S.S., supposto che non
avessero essi dubbio fondato in contrario né sulla validità della dispensa, né di poter eseguire in
pratica senza gravi difficoltà le obbligazioni giurate, giusta il senso naturale ed ovvio delle
espressioni usate nella formula.
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Sono scusabili finalmente
6. Sono scusabili finalmente coloro che sospesero di prestarsi ad un tale giuramento, finché
vedessero tutto almeno canonicamente eseguito, giusta il Tridentino, non già perché dubitassero in
alcun modo dell'autorità del S.P., o cercassero maliziosi sotterfugi per disubbidirlo, trattandosi quì
non del jus del Papa, ma del fatto se fosse canonico, e giusta la sua intenzione, ma perché temevano
di concorrere a qualche atto contrario al dogma della libertà della Chiesa, che in questi tempi si
deve più che mai professare e difendere, perché così contraddetto, e la cui contraddizione forma
l'errore corrente; e perché vedevano chiaramente risultarne l'avvilimento di tutto il Clero, e quindi il
pregiudizio dello Stato stesso; e perché non si sentivano di osservare senza restrizione quanto loro si
proponeva di giurare, dovendo essi in persona, e non altri, renderne conto al dì del Giudizio. Di più
osservano che l'obsequium da prestarsi agli Ordinari deve essere rationabile, e l'obbedienza
canonica, mentre perfino l'obbedienza per voto dei Regolari, come insegna S. Tommaso, non si
estende ultra Regulas; altrimenti si aprirebbe la strada ad ogni scisma ed eresia, come purtroppo
c'insegna la Storia essere ben sovente accaduto, dovendo ognuno sia per il credere (giusta la prop.
21 condannata da Innocenzo XI), come per l'operare, formarsi il dettame certo su principi certi, e
non sopra opinioni, che non sono mai state la dottrina della Chiesa, la quale appoggia sempre sul
solo certo, né mai insegna cum formidine de opposto, regola che sarebbe ben desiderabile si
seguisse oggidì più che mai da tutti, affinché ognuno, come di dovere, potesse dire con il Salvatore:
Doctrina mea non est mea, sed ejus qui misit me; così si eviterebbero anche nella morale tanti
peccati mortali, che mettono all'inferno, fondati solo sull'opinione umana, né più si taccerebbe da
taluni di morale lassa perfino quelli che già si venerano sugli Altari, come il B. Leonardo da Porto
Maurizio, e nominatamente il B. Liguori, perché insinua questi una tale Regola, insegnando con S.
Tommaso che Lex dubia non est lex, e con Benedetto XIV, che non si devono porre legami certi
dove non c'è legge certa che li imponga, in sostanza, di non decidere ciò che non è deciso, eccetto
che si credano di saperne più della Chiesa Romana, la di cui dottrina peraltro deve seguirsi da
chiunque vuole essere cattolico, come insegna il Tournely, massime dopo aver deciso di trovarsi in
tutte le opere di detto Beato nil censura dignum, del quale giudizio quanto si debba far caso, può
vedersi [in] Benedetto XIV, De Canonisatione Sanctorum l. 2, c. 34, n. 12, c. 25, n. 2, e c. 28, n. 5 e
9.
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Perdoni tanta libertà e prolissità non voluta, ma cagionata da animo molto afflitto da tanti errori e
guai correnti, massime non scorgendovi speranza di rimedio. Qualora V.S. Ill.ma e Revd.ma
trovasse che ho sbagliato su qualche punto, spero che vorrà usarmi quest'atto di bontà di ricondurmi
sulla strada della verità, perché grazie a Dio non voglio che questa per guida, e non mai l'opinione.
Perdoni pure se mi sono servito di mano terza a cagione dei miei incomodi di petto*2.
Intanto con i sentimenti più umili e rispettosi le bacio riverente le mani e mi protesto
Di V.S. Ill.ma e Reverend.ma
Torino li 5 giugno 1822
Umil.mo Dev.mo Obbed.mo Serv.re
T. Pio Bruno Lanteri
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In calce alla lettera riportiamo il riassunto ricavato dal Lanteri da quest'opera. Tale scritto del
Lanteri, steso con molta larghezza e profondità, non fa che sviluppare tutte le ragioni portate contro
il giuramento del clero in questa lettera.
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Questi ultimi due capoversi sono di mano Lanteri, compresa la data e la firma: una scrittura incerta
e vacillante, diversa dalla solita, conseguenza della forte oppressione asmatica che allora lo
tormentava e di altri malori a cui accennano le lettere di questo periodo.
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Discorso sopra il giuramento prestato dai vescovi del Piemonte al re
Carlo Emanuele
Testo trascritto dal Loggero, conservato nell'archivio della Curia Vescovile di Pinerolo allegato alle lettere del Lanteri a
Mons. Bigex (fotocopia in AOMV, S. 6,7,1:0).
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Discorso sopra il giuramento prestato dai Vescovi del Piemonte alla
M. del Re di Sardegna Carlo Emanuele
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Tra i molti pregiudizi
Tra i molti pregiudizi recati all'Immunità e Libertà Ecclesiastica nel Piemonte, gravissimo a nostro
credere è quello di cui stiamo per parlare, ed a cui diede occasione la generosa rinuncia fatta dal Re
Vittorio Amedeo al Serenissimo Figliuolo Carlo Emanuele; allorché dovendo questi prendere il
governo degli Stati Paterni, furono chiamati con pubblico Editto tutti i Sudditi e Vassalli, trai quali
furono compresi anche i Vescovi, a dover comparire il dì 20 novembre 1730, per ivi prestare al
nuovo Sovrano il Giuramento di fedeltà. Una così solenne chiamata non di uno, o di pochi Vescovi
in particolare, ma di tutto l'Ordine Episcopale di un Dominio, e per un fine (come si vedrà in
appresso) indecoroso al sacro carattere, doveva, se non per altro, almeno per la novità e pernicioso
esempio, mettere in apprensione a vista di ciò che scrisse su questo proposito il S. Martire
Tommaso al gran Pontefice Alessandro III: Novas, et præter formam Ecclesiæ, quæ a nullo
Antecessorum Nostrorum præstita sunt, inire obligationes, nobis esse illicitum, quia perniciosum
esset exemplo. Ma per le dure circostanze in cui si ritrovavano i Vescovi del Piemonte, trattone
alcuno che ebbe coraggio di far fronte al nuovo attentato, gli altri tutti, chi per non incontrare nuovi
disturbi, chi per non avvertire ai pregiudizi che al di loro venerabile grado si inferivano, e chi
finalmente per istimarsi sufficientemente cautelati con la formula del giuramento, si portarono di
fatto in Torino ove prestarono al nuovo Re, i Vescovi Feudatari il Giuramento di Fedeltà Ligia,
ossia Omaggio, e gli altri Vescovi non Feudatari il Giuramento di semplice fedeltà, siccome appare
dal Sommario addizionale, num. unico, ove si rapporta un altro fattone insieme da più Vescovi tanto
Feudatari, quanto non Feudatari.
Quanto sia opposta alla disposizione dei Sacri Canoni, all'insegnamento dei Dottori, ed alla
Osservanza e Disciplina Ecclesiastica questa novità, potrà facilmente comprendersi da ciò che
siamo per dirne in due capitoli. Dimostreremo nel primo l'esorbitanza di tale atto, rispetto al
Giuramento di semplice fedeltà dei Vescovi non Feudatari. Nel secondo scopriremo i pregiudizi
cagionati dal Giuramento di Fedeltà Ligia, ossia Omaggio dei Vescovi Feudatari.
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Cap. 1o
Cap. 1. Si dimostra quanto sia stato gravoso e pregiudiziale alla libertà ecclesiastica il Giuramento
di Semplice Fedeltà prestato dai Vescovi non Feudatari.
La pretensione dei Regi Ministri del nuovo Re di Sardegna che devono giurare la fedeltà a quel
Sovrano non solo i Vescovi Feudatari, ma anche i Vescovi del Piemonte che non hanno alcun
Feudo dalla Casa Reale di Savoia, è un abuso, non già di nuova invenzione, ma che fin dal principio
del secolo decimoterzo trovò tra i Principi laici, chi gli desse mano, e a tutto impegno lo
promuovesse: allora però gli fece fronte tutta la Santa Chiesa congregata in un Concilio Ecumenico,
quale fu il quarto Lateranense sotto il Pontefice Innocenzo III, che pose un fortissimo argine ad una
simile usurpazione di incompetente diritto con il seguente Decreto trascritto nel cap. Nimis de Jure
Jur.: “Nimis de Jure Divino quidam laici usurpare conantur, cum Viros Ecclesiasticos nihil
temporale obtinentes ab eis ad præstandum sibi fidelitatis juramenta compellunt. Quia vero,
secundum Apostolum, servus suo Domino stat, aut cedit, Sacri Auctoritate Concilii prohibemus, ne
tales Clerici Personis Sæcularibus præstare cogantur hujusmodi Juramentum”.
Ed è notabile al nostro proposito ciò che ne lasciò scritto il Bellamera allo stesso cap. Nimis, num.
2, cioè che con questo Decreto volle il Sacro Concilio andare incontro specialmente alla pretensione
di quei laici che obbligano gli Ecclesiastici, quali non hanno dai laici alcuna cosa di temporale da
prestare loro Giuramento di Fedeltà, con termini così precisi che non lasciano luogo a dubitare, o
interpretare in contrario.
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E benché alcuni Canonisti Oltramontani (volendo colorire la pratica di certi Regni, in cui
indistintamente tutti i Vescovi prestano a quei Principi il Giuramento di Fedeltà, forse per il motivo
che i medesimi Vescovi, o sono attualmente Consiglieri degli stessi Principi, o lo sono stati in
passato con ritenerne ancora di presente il titolo) pare abbiano ristretta la proibizione del suddetto
Testo rispetto a quei soli Chierici, che nulla affatto godono di temporale negli Stati dei Principi
Laici; una tale spiegazione però è oltremodo violenta alle parole ed alla ragione dello stesso Testo.
Comprende questo tutti gli Ecclesiastici che non possiedono nei Domini dei Laici alcuna cosa
feudale, per cui motivo possa prestarsi un tale Giuramento, come comunemente insegnano i
Canonisti sì antichi che moderni. Il Butrio nel medes. cap. Nimis de Jure jur. num. 1, e seguenti, ed
ivi il Bellamera n. 1 e 2, Gio. Andrea nel principio, Innocenzo e l'Ostiense riferiti dall'Abbate nello
stesso luogo, ove così scrive: “Adverte, non intelligas, hoc ruditer in omnibus temporalibus
qualitercumque a Clericis possessis, quia esset contra Can. Noverint 10 quæst. 1, sed intelligas in
temporalibus, que tenentur in Feudum a laicis, et hoc videtur judicio meo velle litera ibi
‘Obtinentes ab eis’. Non ergo sufficit, quod obtineant temporalia in Provincia laicorum nisi
obtineant ab eis. Et hoc voluit Innocentius in Cap. Salitæ de majorit, et obœd. Hoc etiam videtur
velle Hostiensis hic dicens, quod non hoc ipso, quod aliquis tenet temporalia intra Regnum et
Provinciam alicujus, debet illi fidelitatem, nisi ipsa se habere in Feudum cognoscat”.
E fra i Moderni bastare uno per tutti il Gonzalez nello stesso cap. Nimis de Jure jur. n. 6, e l'Em.mo
Petra alla Costituzione unica di Callisto II, Sect. 2, n. 43, come quegli, sulla cui autorità tanto si
conta nello Scritto di Riflessioni contro il Vescovo di Pavia, pubblicato a questo medesimo oggetto
dalla Corte di Torino. Ove ancora è da avvertirsi che una simile intelligenza del testo passa con
tanta certezza presso quegli Scrittori della Corte di Torino, che parlando del medesimo Testo nello
scritto citato asseriscono: “Dal quale testo comunemente si deduce quella conclusione: Clerici
temporalia non habentes a laicis Principibus, eis fidelitatem promittere non debent; secus si
temporale ab ipsis in Feudum obtinent”.
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Che all'incontro
Che all'incontro sia il sentimento del Sacro Concilio, quale si afferma da Noi, lo dimostra
chiaramente non meno la lettera, che la ragione dello stesso Testo. Si condanna ivi l'usurpazione di
quei Principi laici che obbligano gli Ecclesiastici “nihil temporale obtinentes ab eis” a prestare loro
il Giuramento di fedeltà.
Ora si dica di grazia: i Beni che possiede la Chiesa, e che per qualunque titolo sia di donazione, sia
di altra sorta d'acquisto, sono alla Chiesa ed agli Ecclesiastici provenuti, possono forse essi dirsi
beni che tiene la Chiesa da quei Principi, nei cui domini si trovano situati? Il dire ciò altro non
sarebbe che confondere l'un dominio con l'altro, e per dir meglio, distruggere affatto i domini dei
Particolari, quasi che o questi non possedessero cosa alcuna in proprietà, e franco allodio, ma tutto
fosse dei Principi, contro la comune osservanza e regola stabilita dai Dottori, i quali insegnano che i
beni sono e si devono supporre di dominio franco dei Particolari, non altrimenti del Principe, se non
si prova concludemente il contrario, come al proposito nostro insegnano sul medesimo cap. Nimis
l'Abbate, il Butrio, il Bellamera, il Card. Zabarella, ed altri molti, oltre i Giuristi nella leg. Altius
Cod. de Servit.; oppure che i Particolari non potessero a loro arbitrio disporre delle cose proprie in
quel modo che più loro aggrada, e non meno a favore di altri particolari, che dei Chierici e delle
Chiese: o finalmente, che le Chiese ed i Chierici sopra le cose donate loro, o acquistate per
qualunque titolo, non potessero acquistarvi un pieno dominio, talmente che anche in essi debba
riconoscersi il franco allodio che dai Giuristi si riconosce nei domini dei Particolari.
A questa sorta di beni, che con piena libertà provengono alle Chiese ed ai Chierici, non ha punto
riguardato il Concilio Lateranense, ma a quei soli che gli sono dati in feudo dai Principi: e per
questo non disse già indefinitamente e senza alcuna riserva: “Nihil temporale obtinentes”, ma “nihil
temporale obtinentes ab eis”.
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Altrimenti come proibire e condannare di usurpazione la pretensione di un tale Giuramento dai
Chierici, ed accettuare poi dalla proibizione quei Chierici che non possiedono nel territorio alcuna
sorta di beni temporali? Quando pochissimi (parlando dei Chierici minori), e nessuno (parlando dei
Maggiori) si ritrovano che o per titolo di proprio patrimonio, o per ragione delle proprie Chiese non
possiedano beni temporali nel territorio dei Principi? Ognuno vede che in questi termini il
provvedimento del Concilio sarebbe stato totalmente estraneo e superfluo, se si fosse ricercata negli
Ecclesiastici, i cui Giuramenti si condannano, una qualità che comunemente non vi si ritrova.
Ove all'incontro non ritrovandosi che in alcuni Chierici la qualità di Feudatario, a questa
unicamente dovette riguardare il Concilio in quelle parole “Nihil temporale obtinentes ab eis”. Il
che manifestamente appare dal motivo sopra cui si fonda la disposizione conciliare: “Quia vero
secundum Apostolum ne tales Clerici Personis Sæcularibus præstare cogantur hujusmodi
juramentum”. Ecco dunque la ragione fondamentale su cui si appoggia la predetta disposizione, e da
cui non solo appare ad evidenza la mente del Concilio di comprendere tutti i Chierici non feudatari,
ma ci viene altresì somministrato un nuovo argomento per maggiormente detestare l'esorbitanza di
una simile pretensione.
Conciossiaché il Giuramento di fedeltà verso i Principi importa sempre in colui che lo rende,
vassallaggio, dipendenza, e soggezione; ed in colui che lo riceve, giurisdizione, dominio, ed
autorità. Questa dipendenza e soggezione, o è propria e per ragione della persona, e così non si deve
che dai soli sudditi; o è impropria e per ragione delle cose che si posseggono, e così si deve ancora
da quelli che se non sono propriamente sudditi, lo sono però impropriamente, e per ragione delle
medesime cose, quali appunto sono i Feudatari; ed o l'una o l'altra specie di soggezione e
vassallaggio indispensabilmente si ricerca in colui che prestare deve ai Principi il Giuramento di
fedeltà, perché come ben osservano i Dottori con Gio. Francesco a Ponte nel suo Prelud. fondal.
num. 2: “Aliud est juramentum, quo præstat Vassalus ratione feudi, et aliud est illiud, quod præstat
subditus ratione jurisdictionis”.
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Gli Ecclesiastici pertanto non essendo, né potendo essere propriamente e in quanto alle persone,
soggetti alla Giurisdizione dei laici, ne viene in manifesta conseguenza, che non possono in altra
maniera soggettarsi alla medesima giurisdizione laicale, sennonché impropriamente e per ragione di
feudi; di modo che prescindendo dalla ragione di Feudatario, non possono questi in verun conto
prestare ai laici il Giuramento di fedeltà.
Così la discorrono dopo l'Abbate nel luogo citato, ove dice: “Tu quis es, quis alienum judicas
servum? Servus suo Domino stat, aut cedit. Quasi dicat: Cum Clerici non subsint laicis, non debent
præstare hæc juramenta fidelitatis”. Il Gonzalez nel medesimo cap. Nimis al num. 6: “Sciendum est
hoc fidelitatis juramentum dupliciter Dominis Feudi præstari, vel ratione Feudi, quando scilicet
Domesticus, aut familiaris ejus sit; aut si ideo jurat fidelitatem, non eo quod habeat feudum, sed
quia sub jurisdictione sit ejus, cui jurat”, ed al num. 7: “Unde jam apparet vera ratio præsentis
assertionis: Cum enim fidelitatis juramentum vel ratione feudi præstetur, vel quia qui eam
pollicetur de jurisdictione sit illius, cui jurat, jam constat recte Innocentium in Concilio Generali
statuisse, Clericos Personis Sæcularibus non debere cogi hujusmodi juramenta fidelitatis præstare,
si nihil temporale ab ipsis obtineant; quia cum eo casu hujusmodi juramentum non præstetur nisi in
recognitionem, quod ille qui promittit dictam fidelitatem de jurisdictione ejus est, cui eam præstat,
ut constat ex dicto tit. 5. Feud. Clerici autem exempti sint a jurisdictione sæcularium; merito
Innocentius statuit, juramentum hoc fidelitatis a Clericis laicis non esse præstandum, quando nihil
temporale ab ipsis obtinent”. L'eminentissimo Petra alla citata Costituzione di Callisto II, Sect. 2,
num. 60 e segg.; “Sicque prohibitum videtur expresse in citato cap. Nimis, hujusmodi juramentum
fidelitatis præstati ab Episcopis et Ecclesiasticis, qui non sint feudatarii, cum Clerici exempti sint a
jurisdictione sæculari. Can. Si Imperator 96: Distinct. Can. Futurum 12, quæst. 1. Et licet Clerici,
et Cives sint incolæ propriæ civitatis, tamen jure divino sunt exempti a jurisdictione sæculari; et
quia juramentum eos affeceret de jurisdictione laica, ideo permitti non debet, prout permittitur
Feudatariis, qui non vere, sed secundum quid, et ratione Feudi dici possunt de foro Domini,
tamquam hujus Feudatarii, et Clientes”.
E prima di questi l'erudito Cujaccio nello stesso cap. Nimis, ivi: “Sequitur in hoc capite, ne Viri
Ecclesiastici, sive Clerici laicis præstare teneantur jus jurandum fidelitatis, si nulla ab eis teneant
bona feudi jure. Clericus non habet alium Dominum, quam eum, qui est in Cælis. Hæc est ratio
hujus cap. Huic soli stat, aut cedit, ut Apostolus ait, servum Domini stare, aut cadere. Huic debet
fidelitatem, et dominium in omnibus. In spiritualibus certe nulli alii hominum debet. Cap. ult. de
Reg. jur. In temporalibus, seu Sæcularibus, non nisi ratione feudi ei, a quo feudum habet”.
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Non sarà adesso difficile cosa
Non sarà adesso difficile cosa l'intendere per quale ragione abbia chiamata il Concilio Lateranense
una usurpazione contraria al diritto divino la pretensione di quei laici, i quali obbligavano al
Giuramento di fedeltà quegli Ecclesiastici, i quali non possedevano da loro alcun feudo. Poiché non
può negarsi, che in effetto non sia contro la ragione, e naturale e divina, l'obbligare una Persona in
se stessa e nei suoi beni libera ed immune a riconoscersi, e dichiararsi suddita, dipendente, e
vassalla. Tanto maggiormente che, essendo gli Ecclesiastici con titolo speciale addetti e destinati al
servizio di Dio, non possono astringersi a giurare fedeltà e servitù ad alcun uomo mortale, senza un
grave attentato contro la Suprema giurisdizione di quel Dio, che se li ha specialmente eletti per suoi:
Ego elegi vos de mundo “ut essetis mei”. Quindi proviene che non solo è condannevole qualunque
sorta di coazione che si usi dai laici per ottenerne dai Chierici il Giuramento di fedeltà, ma sia
biasimevole e punibile anche la spontanea offerta che ne facessero gli Ecclesiastici, come bene
riflettono i Canonisti nel medesimo cap. Nimis col Butrio al num. 9, ivi: “Unde Clerici etiam sponte
pro Ecclesiis suis hoc juramentum præstantes puniuntur”. Coll'Ostiense al num. 5: “Nec
juramentum fidelitatis debet præbere redigendo Ecclesiam suam in servitutem”. E col Bellamera al
num. 4: “Clerici etiam sponte præstantes juramentum quod hic dicitur, puniuntur etc., et caveant a
pœna Decretalis de rebus Eccl. non alien. in 6”.
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Poiché quantunque non possa negarsi essere peggiore l'attentato, qualora per ottenere un fine
indebito e vietato, si adopera il comando e la forza, ed a questa particolare ingiuria pare, a prima
vista, abbia voluto il S. Concilio Lateranense riguardare nell'accennata disposizione; se ben però si
riflette sulla ragione su cui questa si appoggia, viene condannato qualunque Giuramento, non
forzoso, ma spontaneo, per il motivo che con un tale Giuramento spontaneo si viene a fare suddita e
soggetta alla giurisdizione dei laici quella persona che con speciale titolo e solennità è suddita
giurata di Dio e della Chiesa.
La coazione però essendo un atto per se stesso ingiurioso, e che siccome imposta superiorità e
giurisdizione in chi costringe, così denota dipendenza e vassallaggio in chi viene costretto, rende in
conseguenza il Giuramento che si presta dai Chierici per questo mezzo maggiormente mostruoso,
ed anche per questo motivo condannabile. Né sarà fuori di proposito quivi osservare, essere tanta la
circospezione, con cui si deve comminare su questo punto, che dicendo i Dottori che per ragione di
attuale pubblico servizio che si presti ai Principi laici da alcuni Chierici, possano questi giurare loro
la fedeltà; non pertanto vogliono che possa dai Principi usarsi verso simili Chierici Domestici,
famigliari, o Consiglieri alcuna sorta di coazione per indurli ad un tale giuramento, come bene
avverte Jacobino da S. Giorgio, Autore Piemontese nel suo trattato De Feudis, al parag. Qui quidem
investiti, num. 7, ivi: “Sed quod si Clerici sint Domestici, et Familiares Principis, puta, quia sunt
Consiliarii ipsius Principis, vel Camerarii, utrum inviti potuerint cogi præstare juramentum
assecurationis? Si tenerent Feudum, non est dubium, etc. Sed ego quæro quando non tenent
Feudum a Domino, sed sunt Domestici et Familiares ipsius Domini. Concludite quod inviti non
possunt cogi, sed tamen ultro et sponte bene possunt præstare juramentum assecurationis. Et hoc
est de mente Jacobi de Ardizzone”.
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E quindi si argomenti a quale termine sia giunto su questo proposito l'eccesso nel Piemonte. Si è
preteso di doversi a quel Sovrano il giuramento di fedeltà dai Vescovi, i quali nulla avendo di feudi,
nulla avevano che fare con la giurisdizione dei Principi laici, volendo in questo modo sottoposte alla
medesima giurisdizione laicale le sacre Persone dei Vescovi, che per divina Ordinazione sono
costituiti Padri, Rettori, e Pastori degli stessi Principi, e Monarchi del secolo. E ciò non bastando, si
sono i medesimi Vescovi con pubblicità chiamati ed intimati a comparire in Torino, per ivi prestare
il Giuramento, e Dio volesse, che non fosse stato anche taluno che dimessosi, come doveva,
renitente, stimolato eziandio con minacce. Esempio in vero non mai più udito, né mai più praticato
(almeno nell'Italia) dopo il quarto Concilio Laterano, neppure da quei Principi che furono poco
fautori della esenzione e privilegi del Clero. E tuttoché l'Imperatore Federico Enobarbo
[Barbarossa] il primo di questo nome (il quale sa tutto il mondo quanto fosse infesto alla Chiesa,
specialmente nel fomentare a tutto potere lo Scisma, e nel pretendere il Giuramento di fedeltà dai
Vescovi) praticasse queste ostilità verso il Clero molti anni prima del suddetto Concilio quarto
Lateranense; tuttavia non si legge, che arrivasse a tale segno che obbligasse ad un tale Giuramento
anche i Vescovi non feudatari: anzi, ai soli Vescovi feudatari essersi ristretta la sua pretensione,
può, a nostro credere, agevolmente dedursi da ciò che lo stesso Federico diede in risposta ai Legati
del Sommo Pontefice Adriano IV, come racconta Radevico de Gest. Frid. lib. 1, c. 19, tom 8,
Spicileg.*1: “Episcoporum Italia (disse loro) ego non affecto hominium si tamen et de nostris
Regalibus nihil eos delectat habere. Qui si gratanter audierint a Romano Præsule: Quid tibi et
Regi? Consequenter eos ab Imperatore non pigeat audire: Quid tibi, et possessioni?”. Una simile
risposta, avvegnaché nulla concludesse nelle circostanze in cui si lagnava di questo abuso il Sommo
Pontefice Adriano, come si vedrà nel seguente capitolo, ci dimostra però quale fosse la pratica di
Federico, e da quali Vescovi egli richiedesse il Giuramento, cioè da quei soli che godevano beni
feudali (che perciò egli chiamava Reali) con protestarsi apertamente non essergli mai venuto in
pensiero di pretendere il Giuramento da coloro che non possedevano questa sorta di beni: “Non
affecto hominium, si de nostris Regalibus nihil eos delectat habere”.
C3,342:T10
Un pregiudizio così chiaro
Un pregiudizio così chiaro e manifesto ripugnante alla ragione, alla disposizione dei Sacri, ed alla
osservanza non meno ecclesiastica che civile, ha pure trovato chi non solo senza ritegno
l'ammettesse, ma stimasse ancora persuaderlo per un atto ragionevole e doveroso, mercé la formula,
con cui si è prestato al nuovo Re di Sardegna un tale Giuramento. Si è egli distinto (sente dirsi da
taluno) tra i Vescovi Feudatari, ed i Vescovi non Feudatari, e dove quelli hanno giurato al nuovo Re
la fedeltà ligia, da questi all'incontro si è esatto e rispettivamente prestato il Giuramento di semplice
fedeltà, che in sostanza si contiene in pure negazioni, e si restringe a non macchinare, e non
attentare cosa alcuna contro gli Stati e la persona Reale, cose tutte che si devono da ciaschuno, sia
laico, sia Ecclesiastico, come bene osserva la glossa nel cap. Petitio de Jurejur. verb. extorsit.
Bell'apparenza di parole, ma in sostanza equivoco manifesto. Altra cosa è non macchinare e non
attentare contro la persona gli Stati dei Principi, ed altra cosa è prestare loro il Giuramento di non
macchinare e di non attentare. Il primo è dovere di ciascuno, sia laico, sia Ecclesiastico, perché
fondato sull'obbligo di Carità, di Giustizia, della santa legge di Dio, e in conseguenza non eccettua
alcuno. Il secondo importa sempre soggezione e vassallaggio, e perciò non può, né deve convenire a
chi non è Vassallo, ma è esente dalla Giurisdizione dei Principi. Non vi è chi pretenda che la libertà
ecclesiastica faccia i Chierici libertini, di modo che possano con le leggi umane impunemente
conculcare altresì la santa legge di Dio.
C3,342:T11
Si ammette di buona voglia, che devono non meno i Laici che i Chierici essere fedeli con tale sorta
di fedeltà di cui ragioniamo ai Principi laici, ma si nega costantemente, che possano, e molto meno
che debbano sottoporsi gli Ecclesiastici a giurare con solennità l'osservanza: “Christianus sum,
Monachus sum, Episcopus sum, et ideo omnibus volo fidem præstare”. A proposito scrisse il Santo
Arcivescovo Anselmo a Gundulfo Vescovo Roffiense lib. 3, ep. 92. Ma nello stesso tempo l'avvisa:
“Nulla mina, nulla promissio, nulla astutia a Religione vestra extorqueat aut Homagium, aut
Jusjurandum, aut fidei allegationem”. Perché questo appunto non è tollerabile. Il soggetto del
giuramento, cioè la cosa sopra cui egli cade, per se stessa è buona, ma l'atto di Giuramento, rispetto
ai Chierici e molto più rispetto ai Vescovi, è incongruo, in quanto è richiesto ed usato per
significare soggezione, il che è sommamente lesivo della esenzione, e libertà ecclesiastica.
In quanto alla glossa cap. Petitio de Jurejur., ciò che ella dice, incontra delle difficoltà presso i
Canonisti, e non fa punto al caso nostro. Ricercato Onorio III dai Canonici di Antiochia, se
potessero promuovere contro quel Principe un'istanza a favore della loro Chiesa, dopo che quel
Principe aveva da loro estorto un giuramento, che non sarebbero stati in avvenire contro di lui;
risponde il Pontefice che per un tale giuramento non restavano impediti i Canonici dal promuovere
qualunque istanza non meno a pro della propria Chiesa, che delle proprie persone. Ecco in sostanza
il contenuto della detta Decretale, ove neppure per ombra si approva il giuramento prestato a quel
Principe di non macchinare contro il medesimo. La glossa però nella citata parola “extorsit”, dice
che si deve osservare il giuramento di non attentare e macchinare contro il Principe per il motivo
che “ad hoc alias de honestate tenerentur, etiam sine juramento”.
C3,342:T12
Non piace però questa Teorica a tutti i Canonisti, e per questo l'Abbate nel detto cap. Petitio num. 3,
dopo aver detto nella lettera C, che la glossa “nihil boni dixit”, soggiunge sotto la lettera D: “Puto
quod licet alias respectu machinationis non fienda isti teneantur ex debito Juris, tamen ex eo quo
jurarunt per metum, possunt petere absolutionem a juramento, quia tale juramentum aggravat
factum eorum, ne ex contraventione incidant in perjurium, ad quod alias non essent adstricti”.
Che ne sia però della Teoria, che quivi ferma la glossa, non può dalla medesima dedursi alcun
motivo per coonestare un tale Giuramento. Poiché la glossa in primo luogo ferma che un tale
Giuramento considerato per se stesso “non est servandum”. E dicendo dopo che si deve osservare
dagli Ecclesiastici, ne assegna per motivo l'essersi obbligati questi con un simile Giuramento di non
attentare o macchinare contro il Principe, ad un atto onesto, ed a cui (anche prescindendo dal
Giuramento) erano obbligati: “ad hoc alias de honestate tenerentur etiam sine Juramento”. L'onestà
dunque della cosa giurata è quella da cui proviene l'obbligo di osservare ciò che è stato compreso
sotto il Giuramento, secondo l'opinione della glossa; il che prescinde dal Giuramento, e molto più
dall'onestà del Giuramento stesso, come è manifesto. Che poi il Giuramento prestato dai Vescovi
del Piemonte non Feudatari sia di mera assicurazione, tanto è lontano dal comparire per questa parte
doveroso e conveniente, che anzi maggiormente se ne scopre l'esorbitanza, se si vuole prestare fede
a ciò che scrive Gio. Francesco a Ponte Autore Piemontese nel Prelud. Feudal. lez. 2, n. 2, ove dopo
aver premessa la distinzione tra l'un giuramento di fedeltà e l'altro con le parole già da noi riferite:
“Aliud est Juramentum, quod præstat Vassalus ratione Feudi, et aliud est illud, quod præstat
subditus ratione Jurisdictionis”. Prosegue dicendo: “Et ob id Alvarez dicit, quod Juramentum, quod
præstatur a subditis non ratione feudi, sed jurisdictionis, dicatur juramentum asservationis; quod
vero præstat Feudatarius, sit Juramentum fidelitatis”. Poiché essendo appunto un tale Giuramento
di assicurazione la vera e propria marca dei Sudditi, si richiedono dai Vescovi del Piemonte non
Feudatari della Casa Reale di Savoia il Giuramento di assicurazione, si è voluto che i Vescovi si
protestassero dipendenti della Giurisdizione laicale, non meno con l'atto che con la formula del
Giuramento.
C3,342:T13
Cap. 2o
Quindi segue il cap. 2o che si omette per essere assai prolisso. Verso la fine di esso però si dice:
Giova nulla di meno riflettere che, essendosi da quei Vescovi usata ogni possibile diligenza per
rinvenirne nei propri archivi un esempio, non se n'è potuto rintracciare un minimo vestigio. Che se
la Corte di Torino per mitigare ai Vescovi il sinistro aspetto di tale Giuramento, dopo lunga e
faticosa ricerca nei propri Archivi, ne ha finalmente estratti due esempi, uno di Monsignor
Francesco Ferrero Vescovo di Vercelli nell'anno 1545, e l'altro di Monsignor Ferdinando Ferrero
Vescovo d'Ivrea nell'anno 1563, non deve però lasciarsi di avvertire che negli Archivi delle stesse
Chiese, ove questi dovrebbero vedersi registrati, non ve ne appare alcuna memoria; ed oltre a ciò
trattandosi di due soli pretesi atti, con la contraria consuetudine di quasi duecento anni, nei quali è
più volte accorsa e la mancanza di quei Sovrani e la mutazion dei Vescovi, resta tolta loro ogni
forza e valore. Per altro il Giuramento di quei due Vescovi, ancorché Feudatari, si restringe alla
semplice fedeltà, e perciò quando anche questi due esempi si ammettessero per tali quali si vantano,
non scuserebbero punto ciò che si è praticato ai dì nostri nel Piemonte.
Ma finalmente questi due atti che altro dimostrano, se non che questa non è la prima volta che si è
tentato di fare un simile aggravio alla libertà Ecclesiastica in quei Paesi per opera ed insinuazione
dei Ministri? Avendo però poi conosciuto quei Sovrani, quanto ciò fosse contrario alla disposizione
dei Sacri Canoni ed alla Ecclesiastica disciplina, ha loro suggerito la propria religiosità di
abbandonarne totalmente l'impresa. E questo deve reputarsi il motivo, per cui sì rari sono gli esempi
che si producono. Così vogliamo sperare che il presente Re di Sardegna su le vestigia dei di lui
grandi Antenati, dopo aver riconosciuto il peso delle ragioni da noi esposte, e l'aggravio infertosi
alla libertà ecclesiastica, ed al sacrosanto carattere episcopale con il giuramento, tanto di semplice
fedeltà prestato dai Vescovi Feudatari, non vorrà permettere che la memoria dei primi periodi del
Suo Dominio e della sua esaltazione al Trono trapassi alla posterità con questa macchia, per cui
potrebbe non poco offuscarsi la sua gloria, ma che all'incontro sarà con coraggiosa pietà per
dichiarare nessun valore, e come fatto non fosse tutto ciò che si è attentato in pregiudizio della
libertà e dignità della Chiesa.
Fine del Discorso.
C3,342:T14
Atto del Giuramento
Si legge poscia l'atto del Giuramento prestato da soli sei Vescovi in tutto nel 1730, 30 novembre,
come segue:
Atto del Giuramento: In nome di Nostro Signor Gesù Cristo. Ad ognuno sia manifesto che i
Vescovi d'Asti, d'Ivrea, d'Alba, di Nizza, di Fossano, e di Casale essendosi trasferiti nella presente
Città di Torino per prestare alla Sacra Reale Maestà di Carlo Emanuele Re di Sardegna etc. etc.… il
Giuramento alla Maestà sua dovuto per i Feudi e ragioni feudali che i medesimi hanno, sia S.M.
disposta ad ammettere i suddetti Vescovi alla prestazione di detto Giuramento oggi li 2 di dicembre
dell'anno 1730. Quindi è che al cospetto della Sacra Reale Maestà sua nella sua Camera
dell'Arcova, io Marchese d'Ormea Ministro e primo Segretario di Stato per gli affari interni, e
Notaio della Corona stipulante ed accettante a nome di Sua Maestà si sono presentati i suddetti
Vescovi di Asti, d'Ivrea, d'Alba, di Nizza, di Fossano, e di Casale, i quali di libera loro volontà,
certa scienza, e matura deliberazione, avendo i S.ti Evangeli avanti gli occhi e posta la mano sul
petto alla forma degli Ecclesiastici hanno giurato e promesso, giurano e promettono a S.M. qui
presente ed accettante, cioè quelli dei predetti Vescovi che hanno Feudi, o ragioni feudali la fedeltà
ligia ed omaggio che devono alla Maestà sua per tutti i Feudi dei loro Vescovadi, e che
conseguentemente saranno sempre fedeli a S.M., ed ai Suoi Reali Successori, che conserveranno e
difenderanno con tutte le loro forze gli Stati, l'onore, e i diritti della M.S. per quanto glielo
permetterà il loro Stato.
C3,342:T15
Che non tratteranno, né faranno cosa alcuna contro la di lei Persona, Beni, Stati, ed onore, né
consentiranno a quelli che lo volessero fare, anzi gli resisteranno a tutto loro potere, riveleranno a
S.M., ed ai suoi Ministri tutti i trattati e Congiure che potrebbero venire alla loro notizia contro la
Persona, vita, onore, e Stati della M.S., e generalmente osserveranno tutto ciò che è contenuto
nell'antica e nuova forma di fedeltà; e quanto a quelli dei Sudditi Vescovi che non hanno Feudi
negli Stati della M.S., hanno promesso, giurato ed assicurato, promettono, giurano ed assicurano
che non attenteranno, né macchineranno per essi, né per mezzo di altri alcuna cosa contro la
Persona, vita, Stati, ed onore di S.M., né consentiranno a tali e simili cose, anzi quelle impediranno
e finalmente riconosceranno, come riconoscono la M.S., e suoi Reali Successori per loro Sovrano, e
Signore nel temporale. Protestando nulla di meno sì gli uni che gli altri, che non intendono di
declinare, né pregiudicare all'obbedienza che devono alla S. Chiesa Cattolica, Apostolica, e
Romana. Delle quali cose soprascritte S.S. R.M. ha comandato, e i suddetti Vescovi hanno
richiesto, io suddetto Ministro e primo Segretario di Stato per gli affari interni, e Notaio della
Corona di riceverne e stipularne l'atto presente fatto in Torino, come sopra alla presenza delle loro
Eccellenze il Sig. March. Coudré, Giuseppe M.se d'Alinge etc., il March.se Filippo Tana…, S.r
Conte Ottavio Solaro di Govone… S.r Conte Gio. Mich.e Piosasco Asinari Dinon… S.r M.e di
Garessio, Carlo Emanuele Saluzzo Miolan… e tutti cinque i Cavalieri dell'Ordine della Ss. Ann.ta,
con diversi altri Cavalieri, e Signori della Regia Corte come Testimoni etc.
Signato: D'Ormea
C3,342:*1
Spicilegium veterum aliquot scriptorum, qui in Galliæ bibliothecis, maxime Benedictinorum,
latuerant, Parigi 1655-1677, 13 voll. in 4, opera del P. Luc d'Achéry, o.s.b. di Saint-Maur (n. a
Saint-Quentin nel 1609, m. a Parigi il 29 aprile 1685); 2a edizione con un nuovo ordine delle
materie da Étienne Baluze, don Martène e Fr. de La Barre, Parigi 1723, 3 voll. in folio. Questa
spigolatura è una raccolta di documenti riguardanti la storia ecclesiastica antica e medievale (N. d.
editore).
C3,356:S
Lanteri al re Carlo Felice
21 settembre 1822
Richiesta delle monache agostiniane di Torino di poter rientrare in possesso del loro monastero del Ss. Crocifisso
Minuta in AOMV, S. 2,1,10a:123 a
C3,356:I
Minuta di mano Loggero, con correzioni e aggiunte di mano Lanteri. È la ripetizione della lettera indirizzata al re
Vittorio Emanuele I nel 1814, rimasta senza effetto perché il monastero era diventato sede del Collegio delle Provincie,
chiuso solo nel settembre 1821 e definitivamente nel 1822, luglio, per avere gli studenti partecipato attivamente ai moti
insurrezionali del marzo 1821 (A. Monti, III, 221-222, e lettere relative del tempo).
C3,356:T
S.M.R. [Sua Maestà Reale]
Sempre desiderose le Monache Agostiniane del Monastero del Ss. Crocifisso di questa Città di
ritirarsi unitamente a molte altre Monache pure Agostiniane per l'osservanza del loro Istituto, si
avanzano a supplicare umilmente V.S.R.M. di accordare loro il Monastero suddetto del Crocifisso,
nel quale hanno professato,
Esse hanno tutto il fondamento di sperare tale grazia da V.S.R.M. in vista che questo loro
Monastero è stato da esse acquistato da S.A.R. quanto al locale in L. 25.739, 18, 4 come da
istrumento 13 agosto 1677 rogato Bonfiglio, e poi interamente a proprie spese edificato come è
notorio; e tanto più che sulle precedenti simili domande da esse già umiliate al Trono di S.M. il Re
abdicatario Carlo Emanuele già dalla di Lui bontà erano state affidate per mezzo della Commissione
Ecclesiastica che loro si sarebbe accordato il proprio Monastero tosto ché si potesse collocare
nell'antica sua Casa il Collegio delle Provincie.
Essendo pertanto ora stato evacuato dai Collegiali a cagione delle passate vicende sperano che
V.S.R.M. si degnerà di preferirle, come pare ragionevole, a qualunque altra Comunità, massime
attendendo pure esse all'educazione delle figlie, per il bene delle famiglie, e tanto più che questo
stesso consolerebbe tante altre Religiose dell'ordine pure di S. Agostino disposte anch'esse ad
impiegarsi per il bene dell'educazione.
Che della grazia
C3,357:S
Lanteri al vescovo Francesco M. Bigex
1822
Presentazione di un manoscritto sugli errori insegnati nell'università di Torino – Richiesta di consigli e suggerimenti nel
caso
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:38b
C3,357:I
La minuta autografa del Lanteri si presenta senza indicazione di data e di destinatario, ma dal contesto non è difficile
rilevare l'una e l'altro.
C3,357:T1
1822
Ho ricevuto non ha guari dal libraio Marietti una copia dell'ultima Pastorale di V.S. Ill.mo e R.ma
riguardo ai Carbonari: io non posso abbastanza significarle i miei sentimenti di riconoscenza e di
gratitudine tanto di questa come dell'antecedente che si degnò pure graziarmi. L'ho letta con somma
soddisfazione, e l'ho trovata ben forte ed opportuna, e non dubito che sia per essere molto fruttuosa.
Conoscendo quindi sempre più la sua dottrina ed il suo zelo, mi faccio animo di confidarle
nuovamente un mio lavoro di cui bisogna che gliene significhi l'occasione e il contenuto.
Un anno fa fui richiesto del mio sentimento sull'utilità di fare ristampare un libretto intitolato
Istruzioni sulla prova e sui vantaggio della Religione. Appena gli diedi un'occhiata, ho veduto che
piuttosto sarebbe stata cosa perniciosa che utile; con tutto ciò quest'autunno fu ristampato il
suddetto opuscolo in Torino. Ed ecco come andò la cosa*1.
Il Sig.r Teol. Bardi, Professore di S. Scrittura nell'Università, se ne occupò seriamente, gli fece delle
correzioni, e vi aggiunse l'ultima lezione sui doni dello Spirito Santo; il P. Tosi, Revisore
Arcivescovile, Professore di Dogmatica, vi trovò solo qualche neo di italiano, e lo munì della sua
approvazione, come pure l'Av. Bessone, Revisore per la Gov. [Governativa] Canc. [Cancelleria],
che fu Professore di Storia Ecclesiatica e di Morale in Seminario nel tempo dei Francesi*2. L'Ab.e
Serravalle, Direttore Spirituale in seconda dell'Accademia militare*3 ne facilitò ancora la ristampa
con prenderne 500 copie, e di queste ne distribuì subito all'Arciv. di Vercelli, ed ai Vescovi di
Casale e di Alessandria 100 copie cadauno. Queste sono le circostanze che m'indussero a fare
questo mio lavoro, perché a mio giudizio indicano abbastanza come ci inoltriamo negli errori
calvinistici per chiamarli con il loro nome.
C3,357:T2
Ho dunque pensato
Ho dunque pensato 1. di fare un estratto delle proposizioni erronee o sospette del libro; 2. di dare
un'idea dello spirito che regna nell'insegnamento pubblico dell'Università; in questo scritto per
prudenza ho taciuto i nomi delle persone, e lo stesso vocabolo d'Università; 3. ho spiegato un mio
progetto corroborandolo di alcune riflessioni.
Mi prendo dunque la libertà di trasmettere a V.S. Ill.ma e Rev.ma questo mio lavoro
abbandonandolo pienamente al suo giudizio, ed alla sua prudenza, 1. perché senza dubbio mi
saranno sfuggiti degli errori in tanta moltitudine di materia (massime non potendomi applicare
molto a cagione dei miei incomodi); 2o perché siamo in tempi così difficili nei quali per una parte si
corre pericolo di non potervi rimediare, ed allora l'intraprendere la cura, e non riuscirvi, sarebbe
peggio: per l'altra parte purtroppo è vero che il pessimo partito presentemente è quello che regna di
lasciar correre le cose come vanno per timore di fare peggio. Ma a me basta il rimettere tutto nelle
sue mani per ubbidire alla voce di mia coscienza, giacché ciascun fedele tenetur in solidum,
trattandosi del pericolo della fede.
Le rimetto però questo scritto a condizione (mi permetta anche questa confidenza) che non mai si
palesi il mio nome, e però lascio anche di sottoscrivermi alla presente, quale prego anzi di voler
bruciare, perché essendo alla fine dei miei giorni, abbisogno di riposo, né lo stato di mia salute più
mi permette di fare altri lavori.
Tutt'al più quando io veda approvata da V.S. Ill.ma la progettata raccolta delle Bolle Pontificie e
che vi sia speranza o di stamparla qui, o almeno di poterla introdurre nel Paese, qualora si stimasse
di farla stampare fuori, per evitare dei contrasti per parte della Revisione, del Senato, o di altri,
allora se la salute me lo permetterà, mi occuperò ben volentieri ancora di questa raccolta, per quanto
mi sarà fattibile di ritrovarne le pezze.
Intanto chiedendo la sua pastorale benedizione, con il più umile ossequio le bacio devotamente la
mano…
C3,357:*1
Il “lavoro” di cui parla è un ms. autografo del Lanteri conservato in AOMV (S. 2,3,1:171) dal titolo:
Osservazioni sull'opuscolo “Verità e vantaggi della Religione”.
C3,357:*2
Il teol. Bardi era professore di S. Scrittura all'università e nel seminario diocesano. Il P. Tommaso
Tosi, domenicano, insegnava teologia dogmatica all'università: tenne la cattedra fino al 1829
(Savio, 654). Era amico del prof. Francesco Salina che morì tra le sue braccia nel 1820. Il teol.
Bessone era professore di morale nel seminario diocesano e di storia ecclesiastica nell'università:
regalista convinto, liberale, gallicano, amico di Gioberti. Per capire il clima nel quale si svolgeva
l'insegnamento della teologia all'università di Torino tra il 1814 e il 1830, cioè durante il periodo
della Restaurazione, serve il dispaccio che Mons. Valenti inviava alla Segreteria di Stato l'8 ottobre
1814: in esso si denunciavano quattro professori dell'università di Torino, i sacerdoti Bruno,
Agodino (futuro vescovo di Aosta), Bardi e Bessone, accusati di aver prestato giuramento al
governo di insegnare le quattro proposizioni gallicane. Da informazioni più esatte risultò che i
quattro professori, dietro il consiglio di persone dotte, tra cui Mons. Gonetti, ricorsero al trucco di
esporre le quattro proposizioni come un fatto storico, come un episodio di storia ecclesiastica senza
esprimere nessuna adesione o opinione su tali proposizioni: la stesura della traccia da seguire fu
affidata al Bessone, professore di storia ecclesiastica. Ma sono accusati anche di aver prestato il
giuramento, fatto questo molto biasimato dalle persone probe e da pii ecclesiastici di Torino. Il
Valenti, prima di una condanna da parte di Roma, consiglia un esame degli scritti dei quattro
incriminati. Da un altro dispaccio del Valenti del 19 ottobre 1814 – che parla diffusamente del
teologo Salina – pare che i quattro siano stati rimossi dall'insegnamento (Savio, 552-553). Giovanni
Battista Bessone, di Sale Castelnuovo (Ivrea), nel 1821 era ripetitore al Collegio delle Provincie.
C3,357:*3
Luigi Pochettini di Serravalle, n. a Chambéry, battezzato il 27 luglio 1782, sacerdote nel 1805,
dottore in teologia a Torino nel 1814, per 8 anni (1816-1824) direttore spirituale della Regia
Accademia militare di Torino, poi dal 1824 vescovo di Ivrea, m. a Ivrea il 30 marzo 1837 (HC, VII,
225). Mons. Ambrogio Campodonico (alla Segreteria di Stato 1o aprile 1837) dice che il Pochettini
“non aveva saputo nettarsi dalla fuliggine universitaria”, per cui il clero di Ivrea non era “de' più
devoti alla S. Sede”. Difatti il Pochettini “continuò a favorire nel suo seminario un insegnamento
reticente quanto all'infallibilità pontificia e di aperta riprovazione del molinismo e probabilismo” (P.
Stella, Giansenisti piemontesi nell'Ottocento, Torino 1964, 70). Il Pochettini tra l'altro tendeva
all'episcopalismo (Savio, 434).
C3,359:S
Lanteri al marchese Cesare d'Azeglio
dopo 1822
Invio di libri del Possevino e del Jamin – L'Amicizia Cattolica Genova
Minuta autografa in AOMV, S. 2,1,6:39b
C3,359:T
Non ho potuto trasmetterle da Genova, essendo in Genova, le copie dell'estratto del Possevino*1.
Profitto dell'occasione del P. Grassi per mandarle tutte quelle copie che mi rimangono.
Godo che si trattenga di più costì perché così ho maggiore speranza che si stabilisca come si deve
l'Am. C. [Amicizia Cattolica*2].
Le trasmetto pure per il Sig.r Pellegrini*3, quale prego di riverire distintamente per parte mia, una
copia del Jamin ultimamente corretto*4 e una copia dei 50 motivi che io gli avevo proposto
preferibilmente da stampare invece di quel libretto che mi aveva dato da esaminare, e che si
progettava di fare stampare.
La supplico di far gradire i miei più distinti ossequi alla Sig.ra M.sa, e con i sentimenti e particolare
rispetto e considerazione mi protesto…
C3,359:*1
Possevino Antonio, S.J. (1534-1611), missionario, diplomatico e scrittore ascetico. Il Lanteri ebbe
caro e diffuse soprattutto il suo opuscolo Del Sacrifizio dell'altare, stampato la prima volta nel
1563.
C3,359:*2
L'Amicizia Cattolica di Genova fu fondata verso il 1821 da Renato d'Agliano dopo che ne aveva
ottenuta l'autorizzazione dalla direzione torinese “purché se la intendesse con l'arcivescovo” di
Genova, che allora era Mons. Luigi Lambruschini (Verbale del 31 maggio 1821). Il consenso del
Lambruschini non poteva mancare, e difatti i verbali segnalano che il d'Agliano proseguiva
alacremente la sua opera (ivi, 14 giugno 1821), troppo presto interrotta a causa della partenza per
seguire il fratello, conte Giuseppe Maria, nominato viceré di Sardegna. Il socio corrispondente
Quartara proseguì il lavoro di Renato d'Agliano, ma Genova non era terreno adatto, e anche
successivi tentativi, fatti dallo stesso d'Azeglio (a cui accenna la presente lettera), fallirono “per lo
spirito prettamente mercantile” che predominava nei suoi abitanti (Bona, 354-355).
C3,359:*3
Pellegrini Bernardo, era segretario in casa del Marchese De Ferrari in Genova (P. Loggero nel
libretto di appunti e spese durante il viaggio a Roma del 1826).
C3,359:*4
Le due opere del P. Nicolò Jamin, benedettino francese, Pensées philosophiques sur la nature,
l'homme, la religion, stampata a Torino nel 1797, e Pensées théologiques relatives aux erreurs du
temps, erano infette parzialmente da errori gallicani per ciò che riguardava la costituzione della
Chiesa e le relazioni tra Chiesa e autorità civile. “Il Sommervogel afferma che il Diessbach purificò
questi due libri dalle tracce di gallicanesimo. Una precedente edizione fatta a Venezia nel 1783 dal
minore osservante Luigi da Missaglia lasciava decidere ‘al giudizioso discernimento de' lettori’ su
certe sentenze che sapevano di gallicanesimo, ed indicava l'opera dello Jamin come ‘antidoto
salutare contro il veleno dell'incredulità e dell'Eresia’. L'edizione torinese, oggi irreperibile, a parte
la lingua, probabilmente fu simile a quella fatta a Roma nel 1820 dalla locale Amicizia Cattolica,
che adottò, senza dichiararlo, la traduzione del P. Luigi da Missaglia, sopprimendo però
completamente tre capitoli (capp. VII, VIII e IX, Dei depositari della fede, Della distinzione delle
due Potestà, Dell'autorità della Chiesa in materia di Fede). Il taglio forse era già stato effettuato dal
Diessbach” (Bona, 196).
C3,382:S
Lanteri a don Agostino Eula
1823
Note amministrative
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:226
C3,382:I
È una delle molte lettere scritte dal Lanteri al cugino don Agostino Eula di Cuneo, però andate quasi tutte smarrite.
La data deve essere fissata al 21 luglio – o al 21 giugno – 1823, in riferimento alla lettera dell'Eula a Lanteri del 22
luglio 1823 dove si legge: “Ebbi la vostra carissima del 21 scorso…”.
C3,382:T
Mi rincresce di non avervi potuto riscontrare prima d'aver ricevuto dal Sig.r Giordano la suddetta
somma inviatami delle L. 85, 10 per aver ricevuto tardi la Car.ma vostra; Voi mi proponete
nuovamente l'offerta fatta di ritirarvi due Capitali, voi sapete già quanto vi risposi, cioè che la
proposta del Sig.r Av.o Destefani è con mio pregiudizio, con tutto ciò rincrescendomi d'esservi
sempre a carico, sono disposto d'accettarla almeno a L. 1.600; vedete soltanto se potete ricavarne di
più.
Quanto a vostro fratello non è in mia libertà di far radiare l'iscrizione, se egli vuole tenermi per
buono, io lo terrò sempre rilevato da ogni menoma molestia, tanto più che in sostanza non ci può
neppure esservi luogo, altrimenti abbia pazienza; ditegli che mi congratulo che abbia preso moglie,
io conosco il genitore della medesima, egli è un vero galantuomo.
[senza data né firma]
C4,26:S
Lanteri al vescovo Pierre Joseph Rey
fine luglio 1825
Invio per visione e esame dei documenti da inviare a Roma per l'approvazione degli Oblati di Maria Vergine
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:227
C4,26:I
La datazione di questa lettera, non indicata nella minuta, deve essere collocata nell'ultima decina di luglio 1825, perché
fa seguito alla lettera di Mons. Rey a Lanteri del 10 luglio 1825 e precede quella dello stesso Rey a Lanteri del 4 agosto
1825.
C4,26:T
Je suis allé à Saint-Ignace, comme j'ai l'honneur de l'écrire à V. Grandeur, pour combiner tout avec
D. Reynaudi relativement à notre affaire.
Nous vous envoyons les écrits que, à notre avis, il serait bon de mettre sous les yeux du S.P. [Père]
pour obtenir l'approbation tant désirée et nécessaire de l'Institut.
Nous prions Monseigneur de les examiner devant Dieu, et de nous en communiquer à son loisir ses
observations, et en cas qu'il juge à propos qu'on les envoie à Rome ou qu'on y aille en personne
pour solliciter cette affaire, de faire grâce d'y ajouter son Décret d'approbation et quelques mots de
sa recommandation auprès du S.P., ce qui nous serait si appréciable et cher, car si on pouvait
recommencer notre Congrégation avec l'Année Sainte, ce serait d'autant plus important et utile pour
le salut des âmes.
J'ai pensé de mettre [à part] du secret M. le M. [Marquis] d'Azeglio, car il se trouvait à Rome quand
on demandait la première fois cette approbation du S.P. et s'en intéressait si vivement, puisqu'il
pourrait bien nous suggérer des moyens propres pour réussir plus sûrement et plus vite dans cette
affaire.
Et avec les sentiments les plus respectueux, je vous baise les mains sacrées, je vous demande votre
sainte bénédiction, ayant l'honneur d'être
C4,37:S
Lanteri al cardinale Pietro Francesco Galeffi
ottobre 1825
Richiesta di un Protettore per la sperata approvazione pontificia della Congregazione
Minuta in AOMV
C4,37:I
La supplica si presenta in quattro o cinque redazioni di mano Lanteri, Loggero e Reynaudi: abbiamo seguito nella
trascrizione quella che sembra la definitiva.
Non è indicato il nome del cardinale a cui la supplica è indirizzata, ma siccome le pratiche del 1817 erano state svolte
dal card. Galeffi, si pensa che sia stata indirizzata ancora a lui: la pratica sarà svolta e portata a fondo, poi, dal card.
Pacca, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari.
Il card. Galeffi, di Cesena (1770-1837) è così giudicato dal Colapietra: “Uomo di forte personalità, di rigorosi costumi
ecclesiastici, e soprattutto competente in materia canonistica, secondo il vecchio e non dimenticato metodo consalviano,
ed ottimamente accetto alla pubblica opinione” (R. Colapietra, La Chiesa tra Lamennais e Metternich, Brescia 1963,
228).
C4,37:T
Eminenza
Avendo dovuto ritirarsi nelle loro proprie case, in seguito a gravissime difficoltà sopraggiunte, i
Sacerdoti Secolari membri della Congregazione degli Oblati di Maria Ss. stata canonicamente eretta
nel 1816 nella città di Carignano, Diocesi di Torino, senza che si sia mai emanato alcun Decreto di
scioglimento, né ordine di cessazione, e senza mai lasciare di attendere al loro fine principale di
dare i S. Esercizi pubblici e privati secondo lo spirito della Congregazione, come può vedersi
nell'unita Pro-memoria; e venendo ora i medesimi invitati dal degnissimo e zelantissimo Vescovo di
Pinerolo a riunirsi in Congregazione nella sua Diocesi, ove diedero più mute d'Esercizi, nient'altro
più bramano essi, che di profittare di quest'occasione e della circostanza felice dell'imminente anno
Santo, per rinnovare la loro Congregazione e ben consolidarla per l'avvenire; e rinnovarono per tale
effetto l'elezione del loro Superiore.
Osano pertanto ricorrere a V. Em., siccome quella che fu già informata di quest'affare, quando si
trattava fin dal febbraio del 1817 d'ottenere da S.S. questa stessa approvazione, che ora si chiede del
presente Istituto, unitamente alla conferma del nuovo Superiore eletto, e la supplicano con ogni
umiltà, e con le più fervorose istanze di volersi degnare d'accordarle la grazia speciale d'esserne il
Protettore e Promotore per procurare loro da S.S. queste due da essi così bramate approvazioni.
Che della grazia…
C4,38:S
Lanteri a Sua Santità Leone XII
ottobre 1825
Supplica a Leone XII per ottenere l'approvazione della Congregazione e della Regola degli Oblati di Maria
Originale in Archivio S. Congregazione dei Religiosi (fotografia in AOMV, S. 5,3,12:267)
C4,38:I
Pubblicata in Positio, 407-408.
Dopo l'approvazione delle Costituzioni e Regole da parte di Mons. Rey (17 settembre 1825) e l'elezione del Rettor
Maggiore della Congregazione nella persona del Lanteri stesso (6 ottobre, v. nella nota 1 il decreto di nomina
sottoscritto dai membri della Congregazione), gli Oblati chiesero per la terza volta l'approvazione pontificia. A tale
scopo trasmisero per via diplomatica un apposito incartamento alla Segreteria di Stato, contenente: una supplica del
Lanteri a nome degli Oblati (testo qui pubblicato), una supplica di Mons. Rey, un memoriale sulla Congregazione, il
decreto di approvazione di Mons. Gonetti del 13 novembre 1816, copia delle Regole approvate nel 1817 e copia delle
nuove Regole e Costituzioni approvate da Mons. Rey (Positio, 402).
C4,38:T1
ottobre 1825
Beatissimo Padre,
I Sacerdoti della Congregazione degli Oblati di Maria Ss. eretta ed approvata in un con le sue
Regole dal Rev.mo Vicario Generale Capitolare della Diocesi di Torino, Emanuele Gonetti, nel
1816, nella città di Carignano, graziata già da Pio VII con due Brevi del 7 e 10 marzo 1817
dell'estensione delle Indulgenze che si godevano per l'innanzi nella loro Chiesa appartenente una
volta ai Religiosi Eremitani di S. Agostino della Congregazione di Lombardia, dovettero separarsi e
ritirarsi nelle loro proprie case per alcune straordinarie circostanze, senza che sia mai emanato alcun
Decreto di scioglimento, né ordine di cessazione, continuando però sempre, giusta lo scopo e lo
spirito della Congregazione, ad attendere senza riserva a dare gli Esercizi di S. Ignazio pubblici e
privati, ovunque erano richiesti, ed all'indefessa amministrazione dei S. Sacramenti, con la mira
pure di coltivare giovani ecclesiastici, e di combattere a voce e con buoni libri gli errori correnti ed i
vizi.
Ora venendo graziosamente invitati dal degnissimo e zelantissimo Vescovo di Pinerolo a stabilire
nella sua Diocesi la loro Congregazione*1, ed essendo essi ansiosissimi di secondare i desideri di un
tanto Prelato, e nuovamente unirsi per lavorare con maggior frutto nella vigna del Signore, massime
nell'occasione dell'imminente Anno Santo, bramerebbero ardentemente d'ottenere prima da S.S.
l'espressa approvazione del loro Istituto per procurare alla Congregazione quella stabilità e buon
successo che altrimenti non potrebbero sperare di avere, determinati essendo perciò di aggiungere
alle loro Regole, anche per loro maggiore spirituale vantaggio, l'osservanza dei tre voti semplici di
povertà, castità, ed ubbidienza, insieme al voto di permanenza, dispensabili soltanto da S.S. o dal
loro Rettor Maggiore, e bramerebbero inoltre l'approvazione della nuova elezione fatta del loro
Superiore.
C4,38:T2
Supplicano pertanto umilmente prostrati ai piedi di S.S. di volersi degnare d'accordare loro questa
così bramata apostolica confermazione del loro Istituto e Regole annesse, e della nuova elezione del
loro Superiore, riguardando di più come speciale grazia qualunque mutazione S.S. stimasse di farvi,
o qualunque determinazione volesse prendere sulle loro persone, godendo tutti, e ciascuno in
individuo, di professare per tutta la loro vita la più sincera, totale ed illimitata ubbidienza verso S.
Santità.
Che della grazia
L'umil.mo ed obbed.mo supplicante
Pio Brunone Lanteri Rettore eletto
a nome di tutti i membri della Congregazione
C4,38:*1
Dopo l'approvazione delle Regole da parte di Mons. Rey, vescovo di Pinerolo, gli Oblati si
riunirono a Torino in casa del Lanteri per procedere all'elezione del Rettor Maggiore (6 ottobre
1825). La scelta non poteva non cadere sul Lanteri stesso. Ecco il testo del verbale, sottoscritto
all'originale da otto Oblati, trascritto nel Libro delle Consulte, vol. I, 1825-1844, pp. 1-3, (in
AOMV, S. 1,9,3:358) e il cui originale si trova nell'archivio della S. Congregazione dei Religiosi,
Pinerolo, Oblati di M.V.
“L'anno del Signore mille ottocentoventicinque, al sei di ottobre circa le ore dieci della mattina si
sono congregati in Torino in casa del S. Teologo Pio Brunone Lanteri, contrada della Madonna
degli Angeli, porta n. 14, gli Oblati qui sottoscritti di proprio pugno, per passare alla nuova elezione
del Rettor Maggiore della Congregazione degli Oblati di Maria Ss., ove lette le carte di maggior
importanza con le Regole e Costituzioni della Medesima, e dopo aver recitato il Veni Creator, e
raccomandatisi a Maria Ss., a S. Pietro e al B. Alfonso Liguori, e letta in seguito la protesta come
sta qui sotto segnata da essi medesimi, fecero a pieni voti l'elezione nella persona del Teol. Pio
Brunone Lanteri in loro Rettor Maggiore, e si compì la funzione con la recitazione dell'inno Te
Deum, versicolo, ed Orazioni, e con l'abbraccio in Domino come a loro carissimo Padre.
Formula della protesta
‘O Sanctissima Trinitas Unus Deus, creator, salvator, glorificator meus, ego, qui licet indignissimus
coram Te assistam, ac de Te cogitem, fretus tamen immensa tua pietate, ac de meritis confisus Jesu
Christi, cujus sanguine sum clementer aspersus, et per quem ad Te accessum habeo, et coram Te, ac
B.V. Maria, et tota Curia cælesti, testor hanc esse meam voluntatem ac firmum animi decretum, ut
perfectius tibi serviam, ac gratum faciam, me totum devovendi, ut præsenti actu devoveo in
obsequium Beatissimæ semper Virginis Mariæ Patronæ ac Matris meæ, et usque ad vitæ finem
permanendi in Congregatione Oblatorum ejus sub obœdientia ejusdem Superioris pro tempore, in
vita communi, et in castitate: spondeo insuper me omnem operam daturum exercitiis spiritualibus S.
Ignatii nuncupatis ubique locorum tradendis, quo a præfatæ Congregationis Superiore mihi fuerit
præceptum. Hoc igitur constans propositum, cujus adjutricem esse ac promotricem ipsam
Beatissimam Virginem suppliciter rogo, Tu, clementissime Domine, exaudire, et acceptum Tibi
facere, ac in finem usque conservare digneris, et qui dedisti velle, da et perficere pro bona voluntate
per Dominum Nostrum Jesum Christum. Amen.’
Teol. Pio Brunone Lanteri, Oblato di Maria Santissima.
Teol. Ignazio Carrera, Oblato di Maria Santissima.
Prete Giuseppe Loggero, Oblato di Maria Santissima.
Cav. Prete Pietro Vigo Pallavicini, Oblato di Maria Santissima.
Prete Luigi Craveri, Oblato di Maria Santissima.
Prete G. Battista Reynaudi, Oblato di Maria V. Santissima.
Prete Giovanni Antonio Ferrero, Oblato di Maria V. Santissima.
Prete Francesco Biagio Botto, Oblato di Maria V. Santissima.”
(Positio, 409-410).
[AOMV, S. 7,1,1:0; S. 5,3,12:274]
C4,42:S
Lanteri all'arcivescovo Luigi Lambruschini
15 novembre 1825
Invio di alcuni libri teologi richiesti dal Lambruschini – Ringraziamenti per l'ospitalità ricevuta
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:39a
C4,42:I
La minuta è senza data, ma questa la si ricava dalla lettera di risposta del Lambruschini del 20 novembre 1825
(Carteggio, IV, 43-46).
C4,42:T
Eccellenza,
Profitto della graziosa esibizione del P. Rettore Grassi*1 per trasmettere a V.E. giusta l'intelligenza
una copia dello Zallinger*2, meno l'Instituta Civilia et Ecclesiastica che io non ho potuto avere dalla
Germania. Le trasmetto pure una copia del Ballerini sull'Infallibilità del R.P.*3 e il 2o vol. del
Danes*4.
Finora non ho potuto occuparmi delle Costituzioni Pontificie, né so ancora quando potrò
occuparmene, stante la mia cagionevole salute, ma non perderò di vista questa Raccolta che mi pare
così importante.
Non posso poi testificare e dimostrare abbastanza a V.E. i più sinceri sentimenti di riconoscenza per
le finezze usatemi nel mio soggiorno costì, di cui ne sarò eternamente memore*5, e baciandole
umilmente le sacre mani mi pregio d'esserle…
C4,42:*1
P. Antonio Grassi, S.J., rettore del Collegio del Carmine a Torino. Vedi le sue lettere al Lanteri.
C4,42:*2
Zallinger zum Thurn Giacomo Antonio, S.J., di Bolzano (1735-1813), filosofo, teologo, giurista
apprezzato, ci ha lasciato parecchie opere in queste materie che a suo tempo ebbero grande
diffusione. È un convinto assertore del primato pontificale (Sommervogel, VIII, 1.444-1.448;
Hurter, V, 774-775).
C4,42:*3
Ballerini Pietro e Gerolamo, fratelli, veronesi, Pietro teologo e canonista (1698-1769) e Gerolamo
storico e critico (1702-1781), pubblicarono insieme, tra l'altro, il celebre De vi ac ratione primatus
Romanorum Pontificum et de ipsorum infallibilitate, opera che fa testo in materia anche oggi.
C4,42:*4
Danes Pietro Luigi, fiammingo, sacerdote secolare (1684-1736) insegnò teologia a Lovanio. Tra le
sue opere: Institutiones doctrinæ christianæ, Lovanio, 1713, 1768, è un sunto di teologia molto
stimato; Orationes et homiliæ, ivi 1735; De fide, spe et caritate, Lovanio 1735, considerato uno dei
migliori in materia (Feller, IV, 332).
C4,42:*5
Non sappiamo gran che di questo soggiorno genovese del Lanteri presso Mons. Lambruschini. Sul
Lambruschini v. Carteggio, IV, 43-44.
C4,46:S
Lanteri alla Santa Sede
20 novembre 1825
Urgente una pubblicazione dei decreti di condanna di determinati errori teologici per conservare la regola di fede – per
conoscere gli errori stessi e i loro autori – per prevenire altre rivoluzioni – per dare un indirizzo sicuro all'insegnamento
teologico
Originale in Archivio Vaticano (fotografia in AOMV, S. 5,3,9:256, minute in AOMV, S. 2,3,2:172)
C4,46:I
Pubblicato in Savio, 560-572.
Il Savio lo attribuisce al Lanteri con probabilità: “[Questa relazione] non è sottoscritta, ma l'esame del ms. induce a
ritenerla probabile opera dell'intraprendente Lanteri” (ivi, 572, nota). Ma per noi la cosa non presenta alcun dubbio per
la chiara allusione che ne fa il Lambruschini nella sua lettera al Lanteri del 20 novembre 1825 (lettera riportata in
Positio, 517). Il Lanteri aveva sottoposto il manoscritto al Lambruschini prima di inviarlo a Roma, e il Lambruschini
risponde: “Mi piace assai il penserio, trovo giudiziosamente concepito il piano, ecc.”.
Il testo originale si trova nell'Archivio Vaticano, Nunziatura di Savoia, II, sm.
La raccolta delle dichiarazioni e condanne della S. Sede progettata dal Lanteri e ampiamente presentata nel presente
testo, conosciuta a Roma, trovò la più larga approvazione. Di questa raccolta parlò anche Leone XII nell'udienza che
accordò al Lanteri e al Loggero il 19 giugno 1826, come riferisce lo stesso Loggero nel suo Diario: “[…] Ci si parlò
dell'università [di Torino] e delle calunnie date all'Amicizia Cattolica; oltre del disegno di compilare una raccolta di
Bolle Pontificie, delle ritrattazioni seguite da 200 anni in qua, del bene che si faceva negli Esercizi, ecc.…” (Positio,
461).
Tale pubblicazione però, anche se sostenuta e finanziata dall'Amicizia Cattolica, non potè aver luogo né allora né dopo,
a causa probabilmente dell'ostruzionismo fatto in sede governativa (a Torino e all'estero) all'Amicizia stessa, e al suo
scioglimento che poco dopo (1828) seguì.
C4,46:T
Del bisogno di far conoscere le decisioni della Santa Sede nel Piemonte
Il supporre minore il bisogno della pubblicazione delle decisioni pontificie degli ultimi tempi, che
non di quella delle precedenti, oppure che non abbiano forza perché non sono ancora comprese nel
corpo del gius canonico1, non può venire in mente a persona cattolica, mentre sarebbe un dire contro
il dogma cattolico che il romano pontefice non abbia più quell'autorità e quei privilegi accordati da
Gesù Cristo a Pietro ed ai suoi successori, adesso come lo fu per il passato il far conoscere la verità
cattolica ai fedeli a scanso d'inganno e di errore.
C4,46:T1,1
I. Per conservare la regola di fede
Questa necessità si appoggia a più motivi. 1. È necessaria al cattolico la regola di fede per
conoscere e professare la dottrina cattolica. Questa regola non può essere soltanto la sacra Scrittura
e la tradizione, perché la prima l'ammettono i protestanti, l'una e l'altra è pure ammessa dai greci
scismatici; ma queste due non bastano perché sono voci morte soggette a vari sensi ed
interpretazioni. Per formare questa regola è necessaria la viva voce della Chiesa, che fissi il senso
della sacra Scrittura e della tradizione. Questa viva voce non si riconosce che dalle decisioni della
Chiesa per mezzo dei decreti dei pontefici romani; decreti che, in difetto dei concili generali, anzi
negli stessi concili generali2, formarono sempre l'insegnamento attuale e la regola prossima della
fede indicata da S. Ambrogio con quelle energiche parole, ubi Petrus, ibi Ecclesia (in Ps. 40), e con
quelle altre, catholicus, idest romanus (In obitu fratris). Regola, pertanto, indispensabile se non si
vuole rinunciare al cattolicismo, perché non si può essere membri della Chiesa cattolica, se non si
conserva l'unione con la Chiesa romana (Tournely, De Ecclesia, e Gerdil, Opere, t. 11, a. 15).
C4,46:T1,2
Né questa unione può aversi senza riconoscere con il Concilio di Trento3 la Chiesa romana madre e
maestra di tutte le altre Chiese; né senza riconoscere con il Concilio di Firenze4 il Romano Pontefice
vero vicario di Gesù Cristo, capo di tutta la Chiesa, padre e maestro di tutti i cristiani. Dunque chi
vuole essere vero cattolico deve sottomettersi pienamente all'insegnamento della Santa Sede, per
riconoscere il pieno e divino suo magistero e deve ubbidire sinceramente al Romano Pontefice –
giusta il Tridentino, sessione 25, cap. 2, de reformatione, e secondo la formula di fede di Pio IV –
per riconoscerlo vero vicario di Gesù Cristo, capo, padre e maestro di tutti i fedeli.
C4,46:T1,3
Si aggiunga…
Si aggiunga che in questa obbedienza al Romano Pontefice non è lecito far eccezione, perché è
deciso che bisogna consentire in tutto con la Santa Sede, onde non meritarsi di venire separato dalla
Chiesa cattolica, giusta la formula di fede del pontefice S. Ormisda, che tiene per “sequestrati dalla
Chiesa cattolica” coloro che in tutto non consentano alla Sede Apostolica5; formula accettata da tutti
i vescovi d'Oriente e d'Occidente, senza eccettuarne i gallicani (vedi Bossuet, Defens. decl. cleri
gallicani, IV, 10, a. 15, c. 7).
Ora come consentirebbe a tutte le decisioni della Sede Apostolica, come conserverebbe l'unione alla
Chiesa romana e la vera regola della fede colui che alcuna ne trascura, o volontariamente la ignora,
e come si conosceranno se non sono pubblicate6?
C4,46:T2
II. Per conoscere gli errori correnti
Tanto più è necessario che si conoscano le ultime decisioni del Romano Pontefice, quanto che
riguardano appunto gli errori correnti, contro i quali è dovere prevenire i fedeli; errori così
moltiplicati e difficili da discernere, se non si ha il soccorso delle decisioni che li scoprano prima di
condannarli, appoggiati alcuni come sono a false interpretazioni di S. Paolo e dei santi Padri, è
facile che a primo aspetto seducano la mente dei fedeli, come lo prova recentemente l'approvazione
e la stampa dell'istruzione citata altrove.
Se dunque queste pontificie costituzioni, in condanna degli errori correnti, non si rendono note,
resta tolto agli ecclesiastici il mezzo di conoscerli in un con le armi per combatterli, ed ai fedeli
l'unico preservativo contro di essi7; e intanto sempre più facilmente si propagano a gran pregiudizio
delle anime, e potrà ben dirsi che coopera, almeno indirettamente, a tanto danno chi, custode del
deposito, potesse e non rendesse noto simili condanne.
C4,46:T3,1
III. Per scoprirne i fautori
Con lo svelare gli errori e le decisioni pontificie servono a smascherarne i fautori.
Questi nemici della Chiesa è più di due secoli che sono condannati da tutti i pontefici, da tante
migliaia di vescovi con tanti anatemi, ma essi costanti sul metodo fino allora sconosciuto di non
volersi mai riconoscere separati dalla Chiesa, che da sé li divide, pretendono sempre di conservare
l'unità, difendendone talvolta anche la necessità, confessano il primato del Romano Pontefice, si
dimostrano disposti a professare la sottomissione alla Santa Sede e dicono ancora di accettare le
costituzioni pontificie, ma in fatti, contro la regola di fede sovraccennata di S. Ormisda – motivo
per cui è così necessario averla sempre e massime presentemente innanzi agli occhi – accettano solo
quelli che loro piacciono ed escludono i decreti dei Romani Pontefici emanati in loro condanna,
dicendo che questi non sono conformi alla parola di Dio scritta, o tradotta – cioè intesa a loro modo
– ma in sostanza non li accettano, perché vulnus tangunt8; così invece di diffidare dei propri lumi,
suppongono la Chiesa romana capace d'insegnare l'errore, e però sempre disposti sono a resistere,
più tosto che ad ubbidire al Romano Pontefice, quasi che non l'autorità, ma il raziocinio sia il
fondamento della nostra fede, e la sincera e piena ubbidienza alla Santa Sede non fosse dovuta, ma
anzi pericolosa, preferiscono di adottare invece lo spirito dei protestanti e ardiscono, come essi, di
erigersi in giudici dei decreti dei Romani Pontefici, i quali perfino nei concili generali sono stati
ricevuti con ogni venerazione e considerati come regole irretrattabili di dottrina – si veda sopra nota
1 – o se vi si sottomettono, è con una sottomissione esterna di silenzio e di rispetto, servendosi
ancora molti del sotterfugio dell'appello;
C4,46:T3,2
sotterfugio ignorato per tredici secoli fuorché dai pelagiani, falso perché contrario alla sacra
Scrittura, in cui si legge che S. Pietro – e i suoi successori – fu costituito fondamento della Chiesa,
ma per istituzione immediata di Gesù Cristo, il quale gli disse ancora di confermare i suoi fratelli, e
non di essere da essi confermato, di pascere gli agnelli e le pecore, i fedeli cioè ed i vescovi, giusta
la spiegazione dei Padri; sotterfugio contrario ancora alle definizioni dei concili generali laterano IV
e lugdunense II, e detestabile perché essendo de essentia appellationis, ut fiat ad superiorem per
quem sententia inferioris corrigetur, con questo mezzo si stabilisce il sistema rivoluzionario del
Richerio e di Febronio, adottato da Quesnel, proposizione XC, condannato come eretico, per cui a
piacimento si sospende ogni procedura del superiore. E però meritatamente contro gli appellanti Pio
II nella sua Bolla Execrabilis9 intima ipso facto scomunica riservata; Giulio II nella sua costituzione
Suscepti10 dichiara scismatici questi tali; Gregorio XIII anematizzò ancora quelli che avrebbero loro
prestato favore.
Se dunque non si conoscono le suddette pontificie condanne, non verranno mai pienamente
conosciuti e contraddetti codesti attuali nemici della Chiesa, i quali senza alcun bisogno o di forzata
interpretazione o di appello potranno allora tanto più in pace e con facilità propagare nella stessa
Chiesa i loro errori, di cui sono fecondi a differenza degli altri eretici, agli errori de quali neppure si
fa attenzione, perché si sa che sono da noi separati; anzi seconderanno ancora le loro viste con non
far caso, come essi, né delle pontificie costituzioni, né dell'autorità donde procedono, e così in breve
tempo diverremo tutti infetti dello stesso spirito, e potrà il nostro paese forse con maggior verità
applicarsi il detto di S. Gerolamo, adattato ai tempi ed errori, et ingemiscens orbis terrarum se
arianum esse miratus est.
C4,46:T4,1
IV. Per scoprire i principi delle odierne rivoluzioni
Senza la notizia delle condanne pontificie si concorre, almeno indirettamente, a promuovere le
odierne rivoluzioni, e così oltre il far danno alla Chiesa ed alle anime, si cagionerà pure danno allo
Stato.
Primieramente, dal non far caso delle pontificie costituzioni si passa facilmente a non far stima della
stessa autorità, donde emanano, come già si è detto.
In secondo luogo, alcuni di detti principi contengono massime rivoluzionarie, perché insegnano che
l'autorità risiede nella comunità e non nel capo, cioè nella Chiesa e non nel sommo pontefice, e che
questi non è che il capo ministeriale, e che il concilio è superiore ad esso e che i suoi decreti, acciò
abbiano forza, hanno bisogno di essere accettati dalla Chiesa, ossia dalla comune dei fedeli – donde
i protestanti ne cavano la conseguenza che, essendo il principe rappresentante di tutta la comunità,
ad esso spetta tutto ciò che riguarda al culto esterno della Chiesa; conseguenza pure ammessa da
Richerio e da Febronio – principio in ogni sua parte tanto più applicabile al civile, che porta in
sostanza all'indipendenza verso ogni legittima autorità; anzi, attribuendosi la sovranità alla
comunità, ossia al popolo, ma in realtà a nessuno, si viene così a distruggere ogni idea della stessa
sovranità.
C4,46:T4,2
Ora questo principio è quello che forma la base dell'odierno sistema politico, proprio già degli
eretici, confutato da monsignor Bossuet nel suo quinto avvertimento contro Jurieu, ministro
protestante, in seguito divenuto principio fondamentale di Rousseau, e dei moderni filosofi increduli
adottato dai giansenisti e febronianisti e da tutti i moderni politici, e purtroppo già quasi
universalmente abbracciato e che va insinuandosi negli spiriti anche delle persone ben pensanti;
principio che fu la causa degli orrori delle ultime rivoluzioni, nelle quali si videro appunto dominare
i filosofi, gli eretici, i moderni politici, i richeristi, i febronianisti, i giansenisti, quelli cioè che
riconoscono la sorgente dell'autorità nelle comunità, e non nel capo, quale considerano come puro
commissario, e che sogliono ad un tempo declamare tanto i supposti pericoli dell'autorità dei romani
pontefici riguardo al diritto dei sovrani, senza però che mai nessuno abbia trovato immischiato in
dette rivoluzioni alcun veracemente addetto ed ubbidiente ai pontifici decreti, come benissimo
osserva il cardinal Gerdil nel suo Esame dei motivi d'opposizione alla Bolla Auctorem fidei, t. II, p.
3, come ci attesta pure delle stesse rivoluzioni11.
Principio, finalmente, che, se si lascia dominare, causerà presto la desolazione dell'universo.
Un tale principio relativamente alla Chiesa è stato condannato come eretico dalla stessa Sorbona
l'anno 1617 – Pey, Traité des deux Puissances, t. II, pag. 376 – ed ultimamente da Pio VI nelle
proposizioni II, III della Bolla Auctorem fidei, e può vedersene le più trionfanti confutazioni presso
tanti eccellenti autori, come Orsi, Mamachi, Bianchi, Ballerini, Zaccaria, cardinale Gerdil, Opere, t.
XI, a. 15, i quali scrissero contro Richerio, Giannone, Sarpi, Febronio, Pereira, Eybel e simili:
furono pure condannate e messe all'indice molte opere simili scritte contro l'autorità civile.
C4,46:T4,3
Ora se si manifestano tali condanne pontificie, primieramente si verrebbe a conoscere che i
pontefici sono i primi e per lo più i soli a scoprire simili sistemi rivoluzionari ed allontanare i fedeli
con le loro condanne, e che in conseguenza sono i veri amici e sostenitori del trono. Si vedrebbe,
inoltre, che se si ubbidisse al papa quando parla, non riuscirebbe ai nemici tanto facile spargere
simili dottrine così apertamente condannate, né i libri riconosciuti cattivi per accreditarle, né
sarebbe seguita alcuna di quelle orribili rivoluzioni, che abbiamo veduto e provato e che possono
giustamente chiamarsi frutti della disubbedienza al romano pontefice. Ma appunto i nemici del
trono, per non essere impediti nell'esecuzione delle loro inique trame, fanno di tutto per screditare il
papa, affinché non sia ascoltato, né ubbidito; e però massime per via di cattivi libri, ora lo
rappresentano presso i sovrani quale potenza estera – frase, come osserva Bossuet, Istoria delle
variazioni, I, 10, n. 13, usate dai cronvelliani nel sinodo eretico del 1562 – potenza quindi sospetta,
che tenta in ogni occasione di usurparsi i diritti del loro trono; ora lo rappresentano presso gli altri
come un tribunale soggetto ai partiti, alle cabale ed all'interesse, acciò, depressa così l'autorità
pontificia, ne segua la diffidenza e la noncuranza delle loro pontificie costituzioni e condanne,
praticando ancora ogni mezzo per impedirne la pubblicazione ed insieme l'introduzione delle
medesime negli Stati e dei libri buoni in loro difesa.
In secondo luogo, conoscendosi tali condanne sia di questi erronei principi come dei loro autori,
altri si ritrattarono da così perversi principi rivoluzionari da essi incautamente adottati – e forse il
numero di costoro non è così piccolo – altri si guarderanno dall'adottarli in avvenire. All'opposto, se
non si manifestano simili condanne, sempre più si confermeranno gli incauti nei suddetti principi,
credendoli veri, o almeno verisimili; si dilaterà senza ostacolo questo finissimo veleno degli spiriti e
si cagionerà la rovina di tanti, i quali forse un giorno imputeranno la colpa a chi poteva e doveva
illuminarli, cum certissimum sit – dice il Tridentino – non admitti pastoris excusationem si lupus
oves comedit, et pastor nescit (Sessione VI, De reformatione, cap. 1).
C4,46:T5,1
V. Per assicurare l'insegnamento cattolico
È necessaria questa raccolta di dogmatiche e canoniche pontificie costituzioni, perché è un mezzo
d'assicurarsi dell'insegnamento cattolico12.
1. Se è necessario che i maestri professino la vera religione cattolica in tutta la sua purità, onde non
sia corrotta dai loro insegnamenti la gioventù, è pure necessario che conoscano le pontificie
decisioni sugli errori correnti, sia per uniformarsi pienamente alle pontificie costituzioni, o resistervi
apertamente, o rimanere nel dubbio e nell'incertezza in ciò che hanno da credere.
Quelli che si trovano nelle due prime classi non occorre parlarne, perché subito si conoscono; ma
molti vi sono della terza classe tra i moderni scienziati, i quali, benché non siano fautori di simili
errori, anzi condannino le proposizioni che si conoscono cattive al primo colpo d'occhio, non
possono però indursi a condannare quelle che hanno qualche apparenza di verità. Questi né
rigettano i decreti di condanna, né approvano in tutto la dottrina dei novatori, ma sospendono il loro
giudizio; riguardo a codesti professori, o chiunque essi siano, dice monsignor Languet, che non si
deve tollerare simile indifferenza, perché chi esita non crede, e non credendo manca della debita
sottomissione al romano pontefice, né lascia d'incorrere nell'anatema lanciato contro chi non vuole
uniformarsi alle decisioni. Anzi, costoro nel loro dubbio decidono già che il romano pontefice non
può decidere ed obbligare, e guardano le condanne come se loro anche non appartenessero ed a
niente fossero obbligati, e così sono rei perché dubitano e perché dubitando disobbediscono.
E se la sola indifferenza in questo genere non è tollerabile in qualunque fedele, maggiormente resta
intollerabile in un professore, che d'ufficio deve essere difensore zelante della dottrina della Chiesa
ed inspirare simile zelo di difenderla nei giovani al suo insegnamento affidati, cui si deve poscia
consegnare la cura delle anime, – vedi Languet, part. II, 1718, n. 20, e Bourdaloue, Pensées sur
l'Église, t. II.
C4,46:T5,2
2. La conoscenza delle decisioni pontificie è utilissima a molti anche tra gli studenti non solo per
fare attenzione sulla pura dottrina dei professori, ma anche per guardarsi da tanti errori, che si
sentono spargere da tutte le parti e si trovano in tanti libri di teologia, di canonica e perfino di pietà;
errori difficilissimi a conoscersi senza questa regola. È dunque anche per questo motivo necessario
che si facciano palesi le pontificie condanne.
C4,46:T6,1
Progetto
Ora questa necessità evidente, come si è dimostrato, per tanti titoli di far conoscere le condanne
degli errori correnti, la sentirono molti egregi scrittori in difesa della Chiesa e della dottrina romana,
e però non tralasciarono di spargere la notizia nelle loro opere, purtroppo oggidì da molti non
conosciute, perché non si lascino introdurre. Alcuni eziandio, tra i quali ultimamente il cardinale
Fontana13, diedero una qualche raccolta di dette condanne, ma non compite, ed anche di questa non
se ne trovano delle copie.
Si propone dunque l'idea di farne un'intera collezione, incominciando cioè dalla condanna di
Marsilio da Padova e di Giovanni di Gianduno fatta dal pontefice Giovanni XXII, indi venire alla
condanna di Wicleff, di Giovanni Hus, di Lutero, Baio, Giansenio, Quesnel e finire con le ultime
decisioni pontificie.
Si renderebbe in tal modo, senza dubbio, un servizio grande alla Chiesa e allo Stato, poiché vi si
vedrebbe che tutti questi principi correnti così perniciosi sono già stati condannati dalla Santa Sede,
e si verrebbe a riconoscere che la Santa Sede, come già si è detto, è la più amica e zelante
sostenitrice dei troni stessi.
C4,46:T6,2
1a difficoltà – Tutta la difficoltà per l'esecuzione di questo progetto potrebbe consistere nell'ottenere
da revisori regi la permissione di stampare la suddetta raccolta di decisioni pontificie e di poter
introdurre simili libri contro gli errori correnti.
Ma questo non pare tanto difficile, se qualche vescovo volesse interporsi per questa facoltà ad un
sovrano così religioso, prudente ed impegnato per il bene pubblico, massime nelle sue ultime
disposizioni di distruggere le “ingannevoli e perverse teorie dei giorni nostri”, manifestate nel suo
proclama del 13 ottobre 1821; tanto più se gli si rappresentasse l'obbligo indispensabile che hanno i
vescovi d'opporsi agli errori correnti e di osservare e far osservare tutte le pontificie costituzioni,
giusta il giuramento speciale da essi fatto nella loro consacrazione, e che i più grandi nemici dello
Stato sono quelli appunto che tentano d'impedire la pubblicazione dei pontifici decreti e la libera
introduzione dei libri buoni in questo genere, facilitando ad un tempo l'introduzione dei libri cattivi,
quasi fossero questi doni preziosi, e quelli produzioni avvelenate ed arme micidiali.
Supplicando in conseguenza Sua Maestà d'annullare, o modificare le contrarie istruzioni segrete
date ai diversi dicasteri per tale riguardo, affinché nulla più vi sia d'ora innanzi, che quanto si è
convenuto nei concordati, e di voler proteggere l'esecuzione dei pontifici decreti.
Né è da temersi che Sua Maestà revochi in dubbio il dovere che incombe ai principi d'obbedire
anch'essi alla divina autorità della Chiesa cattolica e del suo capo visibile il romano pontefice –
Gerdil, Esame de' motivi ecc., t. II, art. 12, 16 – di sostenerla, di conservare alla Chiesa la libertà di
pubblicare ed eseguire i suoi decreti, di procurare la libera introduzione dei libri buoni e di opporsi
quanto più possono all'introduzione dei libri cattivi, giacché nessuno ignora che né alcun particolare
può salvarsi, né alcun regno, o Stato può prosperare, se non in quanto sta fermamente unito a quella
pietra della Chiesa romana, ossia al romano pontefice, contro di cui portæ inferi non prævalebunt14.
Del resto, quanto al formare simile collezione delle pontificie costituzioni e quanto alla spesa, si
troverebbe chi sarebbe disposto ad incaricarsene.
C4,46:T6,3
2a difficoltà – L'opposizione che si potrebbe ancora addurre contro l'impegno che si suggerisce di
promuovere questa raccolta forse è la paura d'inasprire i sostenitori degli errori correnti, sì teologi
che politici, e quindi di fare peggio, massime se essi sono potenti; ragione che suole addursi quando
non si lasciano i libri antigiansenisti e antifebroniani; ma o questi non esistono, come si pretende, ed
allora non si corre rischio alcuno; o questi esistono, come purtroppo è noto, ed allora gli errori delle
rivoluzioni già seguite, le quali sono frutti di questi principi democratici e d'indipendenza, e dalle
quali siamo tuttora minacciati, dimostrano abbastanza che il peggio è di lasciarli correre e dilatare
impunemente.
Inoltre, quando l'errore corrente è già condannato dalla Chiesa, correndo allora l'obbligo di
professare la dottrina cattolica, non si [può] prescindere dal farlo conoscere e dal combatterlo; che
se avesse luogo questa pessima regola di prudenza, i padri della Chiesa avrebbero dovuto guardarsi
dal parlare e scrivere fortemente ed opporsi, anche con il sacrificio della vita, agli ariani, per
esempio, nel IV secolo, contro gl'iconoclasti nel secolo VIII, e contro i luterani ed i calvinisti nel
secolo XVI.
Si doveva cioè in ogni tempo aspettare a combattere gli errori quando più non vi fossero degli
erranti; si doveva battere l'aria e declamare grandi dispute senza contradditore, per evitare il
pericolo d'accendere un gran fuoco e di fare peggio.
Così ora bisognerebbe lasciare in pace i giansenisti e i febroniani e neppure cercare di farli
conoscere, sebbene uniti siano con i calvinisti ed increduli in alcune massime fondamentali, e
particolarmente circa quella dell'indipendenza, e permettere che in pace concorrano a distruggere la
religione ed il trono e procurino la desolazione degli Stati. Ma ognuno vede che sarebbe questo
temere piuttosto gli incomodi e danni personali e voler coprire la freddezza per la causa di Dio con
l'aureo manto della prudenza, la quale in sostanza non è altro che l'eresia della tolleranza dei
perniciosi errori, mentre Cicerone stesso diceva: interest reipublicæ cognosci malos.
C4,46:1
“Omnia decretalia constituta tam beatæ recordationis Innocentii, quam omnium decessorum
nostrorum… ita a vestra dilectione custodiri debere mandamus, ut si quis in illa commiserit, veniam
sibi deinceps noverit denegari” (S. Leo Magnus, Opere, t. V, ep. IV, c. V).
Nicolao I condanna con molti argomenti l'opinione di coloro che asserivano non obbligare le lettere
decretali, se non sono inserite nel codice dei canoni, Bullarium Romanum, pag. 200; Fagnan., t. V,
pag. 351. “Si quis dogmata, vel decreta pro catholica fide, aut ecclesiastica disciplina a Sedis
Apostolicæ præside promulgata contempserit, anathema sit”, Conc. Rom. III, sub Nicolao I, anno
863, Labbeo, t. X, col. 238; item t. IX, col. 1.586, in appendice secunda, quattuor epistolarum
Nicolai I epistola III. “Neque jurisprudentia circumscribitur præfata decretalium complicatione, sed
complectitur quoque epistulas summorum pontificum in ea non comprehensas, aliasque plures
constitutiones pontificias in eamdem non relatas” (Bened. XIV, Bullarium, t. IV, p. 311).
C4,46:2
Come consta particolarmente dei concili ecumenici III di Efeso, art. 1, Labbeo, t. III; IV di
Calcedonia, art. 1, Ballerini, De vi ac rat. prim., c. XIII, e VI di Costantinopoli, art. IV, Labbeo, t.
III; né mai vi è stato alcun concilio generale che non abbia creduto necessario e domandato al
romano pontefice il suo decreto di autorizzazione e di conferma per la validità dei suoi atti, sia in
materia di dottrina come di disciplina. Gerdil, Confut. di due libelli, t. II, pag. 125; item Orsi, De
irref. romani pontificis judicio, t. I; Bianchi, t. IV; Antitesi di Zaccaria, t. IV. Inoltre, leggi nel
concilio V ecumenico costantinopolitano, art. IV, quanto segue: “Nos Apostolicam Sedem
sequimur, et obœdimus, et ipsius communicatores, communicatores habemus, et condemnatos ab
ipsa, et nos condemnamus”.
C4,46:3
“Si quis dixerit in Ecclesia romana, quæ omnium mater est, et magistra, non esse veram de baptismi
sacramento doctrinam, anathema sit”, Sessio VII, can. III. Si vedano le osservazioni sopra questo
canone del cardinale Gerdil nel suo Esame sui motivi ecc., t. II, pag. 115.
C4,46:4
“Definimus sanctam Apostolicam Sedem, et romanum pontificem in universum orbem tenere
primatum, et ipsum pontificem romanum successorem esse beati Petri, principis apostolorum, et
verum Christi vicarium, totiusque Ecclesiæ caput, et omnium christianorum patrem, ac doctorem
existere, et ipsi in beato Petro pascendi, regendi, et gubernandi universam Ecclesiam a Domino
nostro Jesu Christo plenam potestatem traditam essem”, Concilium Florentinum.
C4,46:5
“Prima salus est rectæ fidei regulam custodire, et a Patrum traditione nullatenus deviare… quia in
Sede Apostolica inviolabilis semper custoditur religio. De hac fide non cadere cupientes, et Petrum
sequentes in omnibus constituta anathematizamus etc.… quapropter sequentes in omnibus Sedem
Apostolicam, et prædicamus omnia quæ ab ipsa decreta sunt… promittentes in sequenti tempore
sequestratos a communione Ecclesiæ catholicæ, idest in omnibus non consentientes Sedi
Apostolicæ eorum nomina inter sacra non recitanda esse mysteria”. Circa la quale formula scrive lo
stesso Bossuet, Defens. decl. cleri gallicani, t. X, a. XV, c. VII: “Atque hæc professio ab Hormisda
Pontifice dictata ab omnibus episcopis orientalibus eorumque antesignanis Constantinopolitanis
patriarchis est recepta, qua de re occidentales episcopi, præsertim gallicani multum collætantur.
Hanc iisdem verbis Hadriano II factam in concilio VIII œcumenico legimus. Hanc ergo ubique
diffusam omnibus sæculis propagatam ab œcumenico concilio consecratam quis respuet
christianus?”. Si veda Ballerini, De vi, et ratione primatus, cap. XV, e Marchetti, Critica del
Fleury,, t. II, art. II, c. II, n. 62. N.B. Questa regola di Fede di S. Ormisda diviene tanto più
interessante oggidì, perché è l'unica che ci scopra tutti quanti i nemici attuali della Chiesa e loro
tolga ogni sotterfugio.
C4,46:6
“Riguardo all'obbedienza verso il romano pontefice è da osservarsi quanto segue: 1. Prescindendo
anche dalle suddette regole di fede, è necessario ad ogni fedele di obbedire al sommo pontefice per
salvarsi, come insegna san Tommaso d'Aquino nell'opuscolo primo Contra gentes, cioè quod sit de
necessitate salutis subesse romano pontifici, e nella Bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII,
confermata da Leone X nel concilio lateranense V, sta espressa la seguente definizione: subesse
romano pontifici omni humanæ creaturæ declaramus, dicimus, definimus, et pronunciamus esse de
necessitate salutis. Definizione riconosciuta per dogma cattolico dal Bossuet e dallo stesso Natal
Alessandro, dissert. IX, sæc. XIII-XIV, art. III, apud Gerdil, Esame dei motivi ecc., t. II, pag. 185.
Quindi fu meritamente condannata nel concilio di Costanza la proposizione 41 di Wicleff: non est
de necessitate salutis credere romanam Ecclesiam esse supremam inter alias Ecclesias; siccome fu
pure condannata da Leone X la proposizione 28 di Lutero: si papa cum magna parte Ecclesiæ sic
vel sic sentiret, nec etiam erraret, adhuc non est peccatum, aut hæresi proximum contrarium
sentire.
2. Alla suddetta obbligazione, comune con tutti i fedeli, gli ecclesiastici vi aggiungono ancora il
voto e il giuramento, giusta la formula di fede di Pio IV, espressa secondo il Tridentino, sessione
XXIV, c. XII, e sessione XXV, c. II, de reformatione, di prestare cioè vera obbedienza al romano
pontefice, e non solo personalmente, ma ancora – talmente preme alla Chiesa di assicurare
quest'obbedienza nei fedeli – procurarne l'osservanza presso le persone loro affidate.
Nella quale formula, fra gli articoli si trova il seguente: sanctam, catholicam, et apostolicam
romanam Ecclesiam omnium Ecclesiarum matrem, et magistram agnosco, romanoque pontifici
beati Petri, apostolorum principi, successori, et Jesu Christi vicario veram obœdientiam spondeo
ac juro… Hanc veram catholicam fidem, extra quam nemo salvus esse potest… integram, et
inviolatam usque ad extremum vitæ periculum retinere et confiteri, atque a meis subditis… teneri,
doceri, et prædicari, quantum in me erit, curaturum ego N.N. spondeo, voveo, ac juro.
3. La Chiesa, per assicurarsi sempre più dell'obbedienza al romano pontefice, tanto nella comune
dei fedeli, quanto negli ecclesiastici, ha inoltre prescritto a tutti i vescovi, oltre a quello di Pio IV,
un altro giuramento più esteso ancora, di obbedienza al romano pontefice, nel sacro rito della loro
consacrazione, di cui se ne possono vedere le diverse formule anche sin dal secolo VI in qua, vedi
Zaccaria, dissert. XIII. Nella formula ora prescritta nel pontificale romano si legge: decreta,
ordinationes, sententias, dispositiones, reservationes, provisiones, et mandata apostolica totis
viribus observabo, et faciam ab aliis observari… Mandata apostolica humiliter recipiam, et quam
diligentissime exequar. Videndus etiam Benedictus XIV; De synodo diœcesana, t. II, c. I, et lib. IX,
c. I.
Ma per quale motivo mette la Chiesa tanta importanza nell'assicurare quest'obbedienza al romano
pontefice se non perché: 1. essa è d'istituzione divina; 2. perché, giusta l'espressione dei padri – S.
Cipriano, Ad Cornelium papam – e la stessa esperienza, tutte le eresie, tutti i scismi – e possiamo
ora dire tutte le rivoluzioni – non d'altronde hanno origine, se non perché non si obbedisce al
sommo pontefice.
Pertanto, se mai fu necessario il far conoscere e difendere l'autorità pontificia, lo è tanto più
presentemente. Nei primi secoli della Chiesa il nemico infernale cercava, per mezzo degli ariani, di
togliere alla Chiesa la prima sorgente delle grazie, combattendo la divinità di Gesù Cristo, capo
invisibile della medesima, ed i fedeli si dimostrarono pronti a difenderla anche con la vita. In questi
ultimi secoli lo stesso nemico cerca più che mai di togliere la comunicazione con la stessa sorgente,
per via dei nemici attuali della Chiesa con combattere l'autorità del sommo pontefice, che Gesù
Cristo costituì suo vicario e capo visibile della Chiesa, da cui ci deriva la sua dottrina,
l'amministrazione dei suoi sacramenti e il regime di tutti i fedeli. Laonde tutti i veri fedeli, come
membri del corpo mistico di Gesù Cristo, sono ugualmente e come di sua natura tenuti a difendere il
sommo pontefice, loro capo. In conseguenza, ben può dirsi con tutta ragione che chi non si applica
davvero a sostenere l'autorità pontificia e, potendo, non adopera tutti i mezzi per procurarne
l'obbedienza, dimostra in certo modo o di non essere membro del corpo mistico della Chiesa, o di
agire contro la natura dei membri, non difendendo il suo capo, poiché dalla prosperità del capo
dipende quella dei membri; più, contravviene ad un dovere essenziale del cristiano ed agli ordini più
espressi della Chiesa, e contravviene ancora al proprio giuramento, se è vincolato; concorre
finalmente ai gravissimi danni che ne seguono. Benedetto XIV, De synodo diœcesana, lib. IX, c. I,
n. 4 e segg.”.
C4,46:7
“Chi bramasse d'avere un saggio degli errori correnti, in difetto delle pontificie condanne, legga la
ritrattazione di Baio, Richerio, di Pietro della Marca, di Marcantonio de Dominis, di Giannone,
Chionio, Febronio, presso il Zaccaria, De doctis viris, qui Febronio in suis retractandis scriptis
præiverunt, Romæ, 1791”.
C4,46:8
Ai tempi di Benedetto XIV, si trattò della vera, e non più simulata, unione dei giansenisti d'Utrecht
con la Chiesa romana; non tralasciarono questi a principio, ad imitazione degli altri eretici, di
dimostrarsi pronti ad accettare generalmente tutte le pontificie costituzioni, a fare la professione di
fede di Pio IV, a riconoscere anche la definizione del concilio di Firenze sul primato del papa – si
veda Pio VI, Super nunciaturis, c. VIII, n. 3, e Bossuet, Histoire des variations, lib. XI, n. 31 e seg.
– ma intanto sempre costantemente ricusarono di sottoscrivere, come esigeva Benedetto XIV a
norma della sopra menzionata regola di fede di S. Ormisda e giusta gli esempi di Leone Magno
contro i pelagiani ed il concilio calcedonense contro gli infetti degli errori di Eutiche, ricusarono,
dico, di sottoscrivere sinceramente e senza alcuna distinzione e restrizione il formulario di
Alessandro VII e di sottomettersi puramente e semplicemente, in specie alla costituzione
Unigenitus, scusandosi con il dire questo non permettersi loro dagli stati uniti, che essi stessi
suscitavano contro la Santa Sede; al che fu risposto: contraria sanctio non magis obstat illi
acceptationi, quam decreta imperatorum in primis Ecclesiæ sæculis veræ fidei confessioni,
obsistere… interrogat: debemus dare gloriam Deo. Così si passò in due congregazioni della
Propaganda, tenute alla presenza di Benedetto XIV li 16 ottobre 1748 e primo marzo 1749, come
può vedersi nella storia della Chiesa di Utrecht del Mozzi, t. III, ove si trovano in disteso questi
documenti.
All'opposto ogni ecclesiastico non giansenista, in tanto giansenismo, si trova sempre pronto a
sottoscrivere di cuore tutte e ciascuna in specie le pontificie costituzioni proposte all'occasione della
rivoluzione di Francia, in cui furono trucidati tante migliaia di ecclesiastici; ne emigrarono nei soli
Stati pontifici circa 5.000, dei quali 4.000 sostentava la Santa Sede.
Non tralasciò allora Pio VI d'esigere da tutti la sottoscrizione particolarmente della Bolla Unigenitus
e della Bolla Auctorem fidei, il giuramento cioè di non essere giansenista, e ad eccezione di due soli,
i quali erano forse “propagandisti” – supplemento Giornale ecclesiastico di Roma, t. VI, p. 258 –
tutti gli altri furono pronti a sottoscriversi, essendo i giansenisti rimasti in Francia ad occupare le
parrocchie e i vescovadi dei trucidati ed emigrati, nonostante che dalla Santa Sede fosse stata
dichiarata eretica la costituzione [civile del clero] e scomunicati tutti gli aderenti, senza
dichiarazione simile parroci e vescovi intrusi, e sacrilega l'ordinazione di questi.
C4,46:9
“Dat. Mantuæ a.i.d. 1459, XV Kal. febr., Bullar. Rom., III, 97-98, Roma 1743”.
C4,46:10
“Dat. Romæ a.i.d. 1509, Kal. jul., Bullar. Rom., 312-313”.
C4,46:11
“Riguardo all'influenza dei giansenisti nelle rivoluzioni, basta a dimostrarla la rivoluzione della
Francia, la quale serve tuttora di modello alle rivoluzioni seguite negli altri Stati. La famosa
costituzione civile dei giacobini, detta del clero, fu formata da Camus, avvocato del clero
giansenistico, e si dice anche da Lamourette – che fu poscia vescovo intruso del Rodano e Loire,
condannato nonostante alla morte, però si ritrattò tre giorni prima di morire – e dagli altri capi del
giansenismo parigino, come Treillard, Martineau, Chasset – Barruel, Storia del clero in Francia, t.
I, o Giornale ecclesiastico di Roma, 1795, p. 12. – Il primo corpo ecclesiastico dichiaratosi per
l'assemblea filosofica sono stati gli oratoriani; gli altri ordini hanno somministrato più o meno dei
soggetti, quanto più o meno abbondavano di simili maschere. I primi parroci e vescovi intrusi
furono presi dai giansenisti, consacrati dai giansenisti ed in casa dei giansenisti. Costoro sono stati
quelli che procurarono di storcere la teologia per cattolizzare la rivoluzione e rovinare dai
fondamenti lo Stato e la Chiesa nel tempo stesso, sotto pretesto di riformarla, e con devozione,
giusta l'espressione del Marchetti, Giornale ecclesiastico di Roma, 1792, n. 18. Quindi seguirono
tutti gli orrori dei massacri ecc. ecc. e si verificò il detto di Rousseau, Nouvelle Héloïse, ‘si les
jansénistes sont un jour les plus forts, nous verrons bientôt s'élever un tribunal de sang,
d'ignorance’. Vedi Lafitau, Istoria del giansenismo, lib. V, n. 96; Barruel, Istoria del clero di
Francia; Proyart, Louis XVI et ses vertus ecc.; Bolgeni, Problema, se i giansenisti sian giacobini,
supplemento al Giornale ecclesiastico di Roma, t. V, e VI”.
C4,46:12
“La Chiesa, attesa l'importanza dell'insegnamento, a causa delle buone, o ree conseguenze, per la
condotta sì del privato, che del pubblico, sempre si occupò della dottrina tanto dogmatica e
canonica, quanto di morale ed anche in ogni altro genere di scienze, quando in esse si fa abuso
dell'umana ragione a pregiudizio dei costumi e della religione – perché la Chiesa giudica di tutto ciò
che è peccato, ed è peccato tutto ciò che è contrario alla stessa ragione naturale; onde tutte le
scienze, sotto questo aspetto, sono di sua ispezione – ma si occupa ancora dei professori e maestri
ecclesiastici ed anche secolari, perfino della grammatica – vide Bullam In sacrosancta Pii IV, anno
1564 – per accertarsi del loro spirito riguardo all'insegnamento; e però ha ordinato a tutti la
professione di fede di detto pontefice Pio IV, ove si promette e si giura, come già si è detto, di
riconoscere la Chiesa romana come maestra di tutte le altre e di prestare una vera obbedienza al
sommo pontefice. Nell'università di Torino poi, come si è detto altrove, tutti i graduati, e in
conseguenza i professori di teologia, giurarono ancora di seguire la dottrina di S. Tommaso
d'Aquino, che insegna espressamente l'infallibilità del romano pontefice e l'obbligo di ubbidire al
medesimo de necessitate salutis”.
C4,46:13
“Ultimamente il cardinale Fontana sembra entrato in queste viste, e perciò fece ristampare in Roma
tutt'assieme in un opuscolo: 1. l'allocuzione di Pio VI nel concistoro segreto sulla ritrattazione del
Febronio con la stessa sua ritrattazione, ove si trova la serie d'una gran parte degli errori dei
moderni canonisti, ossia regalisti, tutti seguaci del sistema di Richerio, che ricavò, come confessa
egli stesso nella sua ritrattazione, dai putidi fonti di Lutero e di Calvino, sistema nonostante creduto
oggidì cattolico da ben molti. 2. La condanna ragionata dello stesso Pio VI del libercolo di Eybel
Quid est papa?, ove si trova pure la vera idea ed il rispetto che si deve avere per la Santa Sede. 3.
La Bolla Auctorem fidei in condanna del sinodo di Pistoia, con una parte dell'allocuzione di Pio VII
sulla ritrattazione di monsignor Ricci, che contiene la rinnovazione della condanna sì del
richerismo, che del giansenismo e di parecchi altri errori correnti dominanti e comunemente non
riconosciuti per errori. Ma probabilmente il cardinale Fontana supponeva che le altre costituzioni
pontificie, massime contro il giansenismo, fossero abbastanza conosciute; ciò che purtroppo non lo
è”.
C4,46:14
“La monarchia della Chiesa esiste da presso 2.000 anni ed esisterà sino alla fine del mondo; gli altri
regni e monarchie perseverano e prosperano a proporzione che proteggono e si interessano per la
Chiesa romana.
Infatti – lasciando da parte i tre primi secoli di persecuzione degli imperatori gentili, che finirono
tutti malamente, Lactantius, De mortibus persecutorum – nei tre secoli seguenti di eresia, gli
imperatori d'Oriente, sebbene quasi tutti cattolici, per non far caso delle pontificie costituzioni,
ascoltarono i refrattari e li protessero, ed i prelati greci vollero pure subordinare gli interessi della
religione a quelli del trono; quindi furono causa tanto gli uni che gli altri che l'Asia e la Grecia
divenissero suddite del trono, tremendo castigo di Dio, perché non vollero sottomettersi all'autorità
pontificia. In seguito poi, massime nell'ottavo secolo, ai tempi di Carlomagno, divennero tutti i
principi dell'Occidente uniti ed obbedienti al romano pontefice; e però per vari secoli non vi fu più
alcun particolare settario, né alcun regno devastato, ma vi regnò da per tutto la pace per la Chiesa,
per i sovrani e nei loro Stati, fin tanto che il nemico infernale suscitò Wicleff, Hus, Lutero e
Calvino.
Costoro per sostenere le loro eresie, dall'autorità ecclesiastica condannate, incominciarono a
spargere i principi d'indipendenza e di ribellione all'autorità pontificia, ed a mettere in diffidenza il
romano pontefice presso i sovrani, i quali, per aver adottati simili errori e principi, finirono per
ribellarsi anch'essi alla Chiesa e causarono la defezione dalla fede ad una gran parte della Germania,
dell'Olanda e della Svizzera e di qualche paese della Francia.
Né dissimile fu la caduta dell'Inghilterra, che ebbe pure principio dalla promulgazione d'alcune
leggi contrarie alla dignità e libertà ecclesiastica, per cui fu martire S. Tommaso di Canterbury, e
d'allora in poi s'andò talmente dilatando questo pestifero spirito d'indipendenza dei protestanti verso
ogni legittima autorità, che fu poscia adottato anche dai febronianisti e giansenisti, i quali, quando si
lasciarono agire, verificarono il detto sopra accennato di Rousseau. Questo è dunque il risultato
dell'ubbidienza, o disubbidienza all'autorità pontificia, che la storia ci dimostra per diciotto secoli.
Si veda Bellarmino, Controversiæ, t. II, de notis Ecclesiæ, n. 14, ‘Infelix exitus eorum qui
Ecclesiam oppugnarunt’; nota 15, ‘Felicitas temporalis divinitus iis collata, qui Ecclesiam
defenderunt’”.
C4,65:S
Lanteri a padre Giuseppe Loggero
26 dicembre 1825
Attesa di qualche novità in merito alla ricostituzione della Congregazione – Eccessivo numero delle predicazioni e
necessità di maggior riposo
Originale in AOMV, S. 6,7,36:0
C4,65:T
Car.mo in Gesù Cristo
Ho aspettato fin all'ultimo momento a scrivervi per la Diligenza per vedere se ancora quest'oggi
avevo qualche notizia per il nostro affare*1, ma fu invano; umiliate dunque i miei più rispettosi
ossequi a Monsignore*2 e può essere persuaso che qualunque risposta riceveremo da R. [Roma],
immediatamente lo faremo consapevole come è nostro dovere.
Ho esaminato dopo la vostra partenza la nota dei vostri Esercizi, ed ho trovato che in 5 mesi, cioè in
giorni 150, vi sono mute 11, cioè giorni 110, a questi aggiungetevi giorni 22 per andata e ritorno, e
4 altri giorni per il viaggio di Genova, il che farebbe giorni 136, rimarrebbero dunque in tutto giorni
14; tra questi sapete che il primo giorno dopo gli Esercizi non si può ancora dormire per
l'agitazione, dunque restano giorni tre soli per riposare e dare sfogo ancora a qualche poco di
Confessionale*3. La conclusione sarebbe che se poteste abbandonare 2 mute d'esercizi e ripartire
meglio tutte le altre per avere un intervallo discreto tra una muta e l'altra, onde riposare almeno per
il necessario, fareste cosa santissima; vi prego di pensarvi*4. V'attendo quanto prima per
abbracciarvi, e vi sono nel S.C. di Gesù e di Maria
Torino li 26 dicembre 1825.
T.o V.o Aff.mo in Gesù Cristo
T. L.
P.S. Il T. Daverio che Stefano invitò oggi sua festa a pranzo con me collauda il calcolo suddetto e vi
saluta.
C4,65:*1
Il “nostro affare”, cioè la progettata ricostituzione della Congregazione a Pinerolo. Cfr. le diverse
lettere di Mons. Rey di quest'epoca.
C4,65:*2
Mons. Luigi Lambruschini, arcivescovo di Genova. Il Loggero si trovava allora a Genova per
predicare gli Esercizi alle monache dell'Annunziata, dette “Turchine”. Il Lanteri aspettava da Roma
una risposta dal marchese Crosa di Vergagni, che aveva già inoltrato a nome del governo di Torino
regolare domanda di approvazione della Congregazione degli Oblati alla S. Congregazione dei
Vescovi e Regolari.
C4,65:*3
Bell'esercizio di calcolo. Da ricordare che il Lanteri aveva una particolare inclinazione alle
matematiche, e che la matematica era uno dei suoi hobby – se così si può chiamare – preferiti. Però
in questo “calcolo” – come accenna il post-scriptum – deve essere stato aiutato anche dall'amico
Carlo Daverio.
C4,65:*4
In poche parole espresso il duplice ardente assillo del Lanteri: da una parte dare Esercizi e missioni
il più possibile per il bene spirituale che ne deriva alle anime, dall'altra risparmiare la salute dei
missionari e non esporli a fatiche eccessive che ne potrebbero presto o tardi stroncare l'attività per
sempre.
C4,66:S
Lanteri al vescovo Pietro Giuseppe Rey
fine dicembre 1825
Il governo ha presentato domanda formale alla S. Sede per l'approvazione degli Oblati – Fatiche straordinarie a cui essi
si assoggettano per la salvezza delle anime
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:228
C4,66:I
La data è determinata dagli auguri di buon anno espressi dal Lanteri nell'ultimo capoverso della lettera.
C4,66:T
Je n'ai qu'un mot consolant pour nous à participer à V. Grandeur, et c'est que M. le M. [Marquis]
Crosa*1 a écrit qu'il a reçu commission de faire sa demande formelle relativement à notre affaire.
On nous fait observer que cela prouve que l'affaire a été déjà bien examinée avant, car on ne veut
pas risquer de donner une négative à la demande d'un Souverain.
Je m'empresse donc de vous le communiquer tout de suite, puisque vous daignez vous intéresser
tant pour rétablir cette Congrégation si utile pour le salut des âmes.
Ce qui me fait de la peine, c'est de voir que nos bons Missionnaires se tuent pour la multiplicité des
Exercices aussi fatigants, que leur zèle leur a fait adopter, n'y restant plus dans le cours de 6 mois le
temps absolument nécessaire pour reposer le corps et l'esprit.
Ma santé aussi décline toujours, je suis pourtant prêt à en faire le sacrifice sans réserve, tout
espérant de la B. Vierge Institutrice et Supérieure de cette Congrégation.
Je souhaite, en attendant, à V. Grandeur une suite bien longue d'années avec toutes les bénédictions
célestes pour qu'elle puisse les employer à sauver bien des âmes.
Je vous demande votre bénédiction pastorale, et en vous baisant les mains
j'ai l'honneur d'être
C4,66:*1
Sul marchese Nicolò Crosa di Vergagni, Incaricato d'affari del re sardo presso la S. Sede, grande
amico del Lanteri, v. le sue lettere al Lanteri (1826) e le relative note.
Il marchese Crosa, in ottemperanza agli ordini ricevuti dal governo di Torino, aveva inviato la
supplica al card. Segretario di Stato, card. Giulio della Somaglia, nel novembre 1825 (non è
indicato il giorno) insieme con gli altri incartamenti ricevuti da Pinerolo e da Torino. L'originale
della lettera del Crosa si trova nell'archivio della S. Congregazione dei Religiosi ed è stato
pubblicato integralmente in Positio, 403-404. In essa tra l'altro si dice: “S.M. il Re di Sardegna
conoscendo il bisogno in cui sempre sono gli amatissimi suoi Popoli di venire viemmaggiormente
instruiti nelle buone massime non cessò giammai di promuovere con viva sollecitudine il
riordinamento delle cose religiose, e non cessa di essergli caldamente a cuore il provvedere a
tuttociò che a questo maggior bene possa attivamente concorrere.
Venne a S.M. rassegnato che a tale scopo grandemente gioverebbe una Congregazione detta degli
Oblati di Maria Ss., il cui Istituto è quello appunto di totalmente dedicarsi alla santificazione delle
anime, dando qua e là continui Esercizi, e così predicando quella sana dottrina la più adattata ad
estirpare i serpeggianti errori dei tempi presenti, a ravvivare i cristiani nella fede, e ad incoraggiarli
ed animarli all'esercizio delle virtù…
Dopo aver il Re preso esatte notizie di ogni cosa, manifestò con particolare piacere il suo desiderio
che dal Sommo Pontefice vengano benignamente accolte le premure cui Monsignor Vescovo di
Pinerolo dirige al S. Padre, onde ottenere la espressa approvazione Pontificia, sia di esso Istituto da
stabilirsi in Pinerolo, che delle sue Regole, con quelle variazioni bensì che S.S. stimasse di farvi… I
suddetti Oblati di Maria Ss. sono ora ardentemente desiderati dal Vescovo di Pinerolo, il Re prende
speciale parte al pio divisamento, e la Provvidenza fa apparire quali erano gli imperscrutabili suoi
Decreti nel richiamarli da Carignano per collocare la loro sede in altra Diocesi, dove la infezione di
poche vicine contrade rende maggiormente proficuo il concorso dell'attivissimo ed illuminato loro
ministero con la pietà singolare e con la pronfonda saviezza di quell'inclito Pastore.
Sono manifeste e notorie le pregevoli doti di cui è a dovizia fornito il meritissimo Signor Teologo
Lanteri, e ben degni sono di essere a lui aggregati gli altri sacerdoti, i quali sono per comporre
l'attuale Congregazione…”.
C4,68:S
Lanteri alla Santa Sede
1825
Errori perniciosi insegnati nella facoltà giuridica dell'università di Torino – Pericoli che ne derivano per il giovane clero
– Rimedi proposti
Originale in Archivio Vaticano
C4,68:I
Pubblicato in Savio, 96-102.
L'originale, senza nome e senza data, si trova nell'Archivio Vaticano, Nunziatura di Savoia, II, sm., min. Dell'autore
nessun dubbio, oggi, dal momento che la minuta dello scritto si trova in AOMV, S. 2,3,4:174. La data deve essere
posteriore al 1824, parlandosi nel testo di un libro condannato dall'indice con decreto 6 settembre 1824: probabilmente è
contemporaneo dell'altro scritto Sul bisogno di far conoscere le decisioni della Santa Sede in Piemonte, attribuito alla
fine del 1825.
C4,68:T1
Sull'Insegnamento in Piemonte e mezzi per rimediarne i difetti
C4,68:T1
Fin dai suoi tempi…
Fin dai suoi tempi, Benedetto XIV obbligò il professore di canonica Chionio a fare la sua
ritrattazione, la quale si trova presso il Zaccaria, Theotimi Eupistini De doctis viris etc., l'anno cioè
1754, li 14 agosto.
Avanti poi la rivoluzione di Francia, i princìpi di canonica, che per più di 20 anni si dettarono
dall'avvocato Bon1, professore d'allora, a quei giovani che dovevano un dì coprire tutti gli impieghi
pubblici, erano in sostanza quelli di Richerio, Van Espen, Febronio, Launojo ecc.; principi ed autori
condannati dalla Chiesa, tutti favorevoli alle rivoluzioni.
Di simile spirito era la dottrina dell'avvocato Baudisson, professore dell'instituta canonica. Una
prova di questo è che immediatamente nella formazione del governo provvisorio dei francesi per il
Piemonte, li 9 dicembre 1798, furono ambedue i suddetti professori nominati membri ed in seguito
presidenti del governo, “siccome quelli, dei quali meglio si poteva conoscere i talenti e le virtù
civiche”, come si dice nel decreto 19 dicembre. Quindi ambedue, se non furono gli autori,
sottoscrissero certamente i tanti decreti emanati allora contro la Chiesa ed il sovrano. Di più, nel
decreto 15 detto mese, si legge: “il governo provvisorio ecc. considerando che tanto l'università di
Torino, quanto il collegio delle provincie hanno sommamente contribuito ad eccitare quel
maraviglioso slancio della nazione piemontese verso la libertà, decreta: È riaperta l'università… È
riaperto il collegio delle provincie”.
C4,68:T2
In teologia…
In teologia, dopo la rivoluzione, nel trattato De gratia, dettato negli anni scorsi, alcuni vi trovarono
principi calvinistici, e l'esperienza ha dimostrato che molti giovani ecclesiastici uscirono da questa
scuola ben impressi di principi perniciosissimi per la condotta propria ed altrui.
Inoltre, sembra sistema adottato in teologia di non combattere altro che le eresie antiche, che quasi
più non esistono, né pare che si conoscano altri errori correnti che l'incredulismo e il molinismo, il
quale combattono come semipelagianismo2. Intanto si lasciano correre impunemente e dilatarsi
sempre più gli errori correnti, che non sono così pochi e sono ad un tempo cotanto perniciosi.
Difatti, mai si sentì dai professori dell'università confutare il giansenismo ed il febronianismo, ossia
richerismo, di modo che sembra loro proibito il trattarne, né mai si dettò in difesa della Bolla
Unigenitus e della Bolla Auctorem fidei, ove simili errori vengono particolarmente scoperti e
condannati.
In legale, dopo la rivoluzione ad alcuni è sembrato che in canonica il trattato de potestate Ecclesiæ
doveva piuttosto intitolarsi de potestate principis in Ecclesia. In civile poi s'insegnava il diritto di
natura e delle genti sul compendio dell'opera condannata dell'Eineccio, ministro protestante, nel
quale si trova da principio una storia sul diritto naturale del Lampredi, professore in Pisa, in cui, fra
gli altri errori, si dice in sostanza che anche dopo il vangelo non ha avuto luogo la perfezione nella
morale; che si era perduta affatto ogni idea del buono e del giusto, e che la verità si ricoverò come
in porto nel seno della filosofia, e tra questi filosofi non annovera che autori protestanti, tutti
all'indice. Dopo questa storia, segue il compendio dell'opera; ivi, fra gli altri errori, s'insinua, nel lib.
2, c. 6, il contratto sociale, e nel c. 8 si trovano già alcuni dei principi contro la Chiesa, come nel
par. 153, 188; in questo poi cita i par. 153-154 dell'opera, che sono stati omessi, nei quali l'autore
insegna il sistema dei protestanti sulla Chiesa.
Finisce il compendio con una dissertazione del Leibniz, protestante, in cui s'inspira la diffidenza,
nel n. 3, verso il governo politico, e nel n. 13, verso il governo ecclesiastico.
S'insegnava pure l'economia politica sul compendio dell'opera, anche proibita, del Genovesi, nel
quale si contengono molti principi perniciosi dell'autore, senz'alcun cenno di correzione3.
C4,68:T3
L'origine di questo disordine…
Ora, l'origine di questo disordine sembra che non possa essere altro – giacché non si vuole attribuire
a malizia – se non perché le ultime decisioni della Chiesa, come tante altre in questo genere, sono
da ben molti ignorate, perché non sono mai state pubblicate, e perché da gran tempo non si lasciano
introdurre i libri in difesa della Chiesa Romana e della sua dottrina, ove si troverebbero simili
decisioni e confutazioni, per cui si sarebbero impediti molti mali, ed invece s'introducono con molta
facilità i libri cattivi.
Un'altra prova del sopraesposto è la ristampa fatta nel 1821, in Torino, di un opuscolo intitolato
Istruzione sopra la verità e i vantaggi della religione cristiana tratta dal francese4. Quest'opuscolo
era già stampato in Genova ed in Asti nel 1803, cioè nel bollore della rivoluzione francese. In esso
alcuni vi ritrovarono non pochi errori contro la cattolica romana dottrina.
Quello però che fa più specie in questo genere è che in questa ultima edizione l'autore della
prefazione confessò d'aver così grande stima dell'autore e di questa sua opera, e l'abbia creduta di
singolare pregio ed utilissima fra tante altre, dicendo di godere l'approvazione dei buoni e dei dotti,
e però si sia determinato ad assumersi la fatica di ritoccarla per togliervi qualche neo ed aggiungervi
qualche importante osservazione, unitamente all'ultima lezione sui doni dello Spirito Santo, onde
procurare questa nuova edizione a vantaggio della Chiesa Piemontese e destinarla per la gioventù
cristiana – si vedano i suoi due avvisi, pag. 3 e 108.
Inoltre, fa specie che quest'opera sia stata approvata, e che se ne siano distribuite centinaia di copie
a più vescovi, nell'occasione che si trovano in Torino, in novembre 1822, per rendere omaggio a
S.M. Venne tale libro inserito nell'indice dei proibiti, con decreto 6 settembre 1824.
Dall'esame, dunque, di quest'opuscolo e da tutte le circostanze risulta sempre più quanto poco si
conoscano le decisioni dogmatiche della Santa Sede, e come i buoni anche corrano pericoli di
scostarsi dalle verità cattoliche e di propagare l'errore senza volerlo.
C4,68:T4
Il rimedio, pertanto, efficace a sì gran male sembra che sarebbe che i vescovi pubblicassero una
raccolta delle decisioni della Chiesa, emanate in materia dogmatica e canonica – perché in materia
di morale si trovano facilmente – massimamente da due secoli in qua5; esigessero dai professori una
piena conformità di dottrina e li obbligassero ad insegnare apertamente, semplicemente e senza
raggiri la pura dottrina della Chiesa cattolica, ossia romana, secondo le sue ultime decisioni, giusta
la professione di fede di Pio IV da essi fatta, fortemente confutando tutti gli errori correnti, e
rigorosamente si esaminasse su di tutto quanto la gioventù ecclesiastica.
C4,68:1
“Si trova in Torino un tale avvocato Bessone, sacerdote e per più anni professore di storia
ecclesiastica in quella università. Egli è stato discepolo del famoso Bon, spacciato giansenista, di
cui segue fedelmente le tracce.
Nel 1810, fece pubblicamente difendere le quattro notissime proposizioni gallicane, che aveva
precedentemente insegnate con gran calore a quella scolaresca, e sostenne in seguito molte tesi
egualmente perniciose, tra le quali sono rimarchevoli le seguenti:
1. Che la Chiesa per esistere, per essere tranquilla, per potersi difendere e per poter esercitare il suo
pubblico ministero ha bisogno della potestà laica, alla quale tutte le sue esterne azioni devono essere
soggette.
2. Che fu legittima l'ordinazione di Eugenio I in sommo pontefice, fatta in tempo, che Martino I si
trovava prigioniero e deportato per causa di religione: deducendone, per conseguenza, che se il
romano pontefice fosse in esilio ed inaccessibile, e si vedesse prossimo lo scisma, con pericolo che
s'introdusse un eretico, i cardinali potrebbero eleggere un altro pontefice, il quale sarebbe da
considerarsi come legittimo, perché in tale caso si può nell'assente interpretativamente supporre la
volontà di rinunciare. E si noti che questa dottrina s'insegnava in un tempo, che l'odierno sommo
pontefice Pio VII si trovava ad un dipresso nelle identiche circostanze di Martino I.
3. Che la maggior parte delle più insigni reliquie, che si venerano sugli altari, non hanno alcuna
autenticità e che nei tempi andati si sono venerati come santi, persone che non erano state né
martiri, né cristiani, abusandosi della credulità popolare; proposizione, se non altro scandalosa e
procedente da una critica intemperante.
4. Finalmente, citando nelle sue lezioni di storia ecclesiastica uno scrittore protestante, così si
espresse: ‘exscribere hoc loco liceat præstantissimæ anglicæ communionis sententiam’,
equiparando così la comunione anglicana alla Chiesa Cattolica.
Si suppone che un uomo così pregiudicato possa essere nuovamente impiegato nell'università,
occuparvi una [delle] prime cattedre ecclesiastiche, [esercitar] vi grande influenza. Quanto possa
egli essere di nocumento alla gioventù e pervertirne le menti, ognuno facilmente l'intende”.
[Sul prof. Bon cfr. F. Ruffini, I Giansenisti piemontesi, 300].
C4,68:2
“Quanto sia falsa e ingiusta questa taccia di semipelagianismo contro la scuola dei molinisti, basta
vederne la difesa che ne fece, fin dai suoi tempi, il Bossuet contro il ministro Jurieu, Avertissement
2, n. 18. Lo stesso Natal Alessandro, Hist. eccle., t. 5, sæc. 5, ca. 3, n. 3, par. 13, n. 13, item in art.
8, n. 6; e Bergier, Dictionnaire théologique, V, Molinisme; oltreché Paolo V, citato dallo Spondano,
ad annum 1606, lasciò la libertà di sostenere qualunque sentenza, ed Innocenzo X, con decreto 23
aprile 1654, citato dal Bernini, t. 4, p. 584, proibì di credere condannata alcuna di dette opinioni, e
Clemente XII, nella sua Bolla Apostolicæ Providentiæ, 2 ottobre 1733, che si trova nel Bullar.
Rom., t. 13, divieta di censurarne alcuna”.
C4,68:3
Ogni compendio d'opere proibite, non fatto con autorità ecclesiastica, resta pure proibito; Ferraris,
verb. Lib. prohib., n. 51. Riguardo ai suddetti due autori si veda Feller, Dictionnaire Hist. nouv. éd.
verb. Einecius e Genovesi.
Quanto alla scuola di economia politica, essa fu il ritrovato dei filosofi autori della rivoluzione di
Francia, per impegnare la gioventù in essa. Barruel, Mémoires pour servir à l'histoire du
jacobinisme, t. I, cap. 17, e Proyart, Louis XVI et ses vertus etc., t. 2; e lo confessò lo stesso ministro
d'allora, Ricciardi, Giorn. costit. di Napoli, n. 30, anno 1820.
C4,68:4
“L'autore di questo opuscolo è un certo Desfour de la Genetière, semplice secolare, giansenista così
dichiarato, che veniva chiamato dai giansenisti e suoi aderenti ‘papa visibile della piccola chiesa’.
Egli cadde in tutti gli errori e stravaganze di simile setta, e, dopo una vita scandalosa, morì come
visse nell'anno 1822, nella città di Lione, dove dimorava”.
C4,68:5
“Gioverebbe pure moltissimo al fine, se i vescovi s'impegnassero anche a promuovere la
circolazione delle migliori opere in difesa della Santa Sede – aggiungendovi ancora il concilio di
Trento e l'indice dei libri proibiti – presso gli ecclesiastici, sì maestri che studenti, persuasi che non
potrebbero impegnare meglio il loro denaro destinato per le elemosine, perché sarebbe impiegato
per evitare, o rimediare alla peste degli spiriti già introdotta, o da introdursi”.
C4,82:S
Lanteri al conte Luigi Gabaleone di Salmour d'Andezeno
2 gennaio 1826
Ringrazia di alcuni libri ricevuti – Traduzione e edizione francese di un libro del Salvatori – Richiesta di collaborazione
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:233
C4,82:I
La data della lettera è indicata dalla risposta dell'Andezeno a Lanteri del 4 gennaio 1826: “Je réponds de suite à votre
précieuse lettre du 2…”.
C4,82:T
Rendo ben distinte grazie a V.E. delle due copie della “Lega” in francese*1, che si compiacque di
regalarmi per mezzo di S.E. il M. [Marchese] Massimino*2, cui ho significato il desiderio di averne
altre copie, pregandoLa ad un tempo d'indicarmene il prezzo.
Godo veramente che si sia effettuato il suo desiderio della traduzione, e che possa divulgarsi in
francese, massime con le interessanti aggiunte che si sono fatte. Il P. Le Blanc*3 ha fatto un'altra
traduzione d'un opuscolo intitolato “Istruzione pratica per i confessori novelli”, del Salvatori*4,
stampato in Roma 1802, di cui l'ho molto lodato, stante l'utilità qui già esperimentata nel divulgarla
presso gli Ecclesiastici, per cui ne avevamo fatto venire più copie da Roma e da Venezia. Questo
opuscolo sarebbe dunque tanto più necessario costì, e in Francia, e perciò bramerebbe il detto
Religioso farlo stampare in Avignone*5; ma bisognerebbe, mi dice, che V.E. si compiacesse di
concorrervi, ove lo giudichi bene, per due, o trecento lire, per cui se gliene procurerebbero le copie
corrispondenti, anche qui ne prenderemmo più copie per facilitare detta stampa. Perdoni della mia
troppa libertà, ma è abbastanza noto il suo particolare zelo per promuovere simili opere così
interessanti la salute delle anime.
Posso intanto assicurarla di non aver mancato, massime in questi giorni passati, d'averla presente
all'Altare, e d'aver domandato dal Divino Infante, e dalla sua e nostra cara Madre per V.E. e per la
degn.ma sua Sig.ra consorte (cui prego di far gradire i miei più distinti ossequi) tutte le più
abbondanti celesti benedizioni, per cui possano ambedue venire almeno spiritualmente consolati in
questa e nell'altra vita. Intanto con i sentimenti più sinceri di rispetto e di considerazione, mi
protesto
[manca la finale, la data e la firma]
C4,82:*1
“De la ligue de la théologie moderne” (nota d'archivio). L'opera, apparsa in italiano verso il 1797,
anonima e senza indicazione di luogo, portava il titolo: La lega della teologia moderna colla
filosofia a danno della Chiesa di Gesù Cristo, scoperta nella lettera di un parroco di città a un
parroco di campagna, ed era dovuta al P. Rocco Bonola, ex gesuita di Novara; era stata presto
tradotta in altre lingue ed aveva ricevuto un elogio da Pio VI. È la confutazione di un altro libro
anonimo stampato a Milano: Confronto istorico dei nuovi cogli antichi regolamenti in rapporto
della Chiesa. L'opuscolo del Bonola, fortemente polemico, ha lo scopo di dimostrare che i
giansenisti formavano una lega occulta coi filosofi, gli illuministi e i rivoluzionari francesi contro la
Chiesa cattolica, il cui primo atto era stata la soppressione della Compagnia di Gesù; insomma
faceva parte di quella letteratura (Barruel, Gustà, ecc. cfr. l'introduzione, Carteggio, vol. I) che
cercava di spiegare storicamente e teologicamente il complesso fenomeno della rivoluzione
francese e della lotta contro la religione. Fu questo “uno dei primi opuscoli che fece decrescere lo
spirito giansenista” (M. Menendez y Pelayo). La Lega fu tradotta in spagnolo e pubblicata anonima
a Madrid nel 1798, ma quasi contemporaneamente ne uscì la confutazione a opera dell'agostiniano
Fr. Juan Fernandez de Rojas: El Pàjaro en la liga o carta de un pàrroco de aldea. Ma tanto la Liga
quanto il Pàjaro con decreto del re e del consiglio reale del 9 febbraio 1799 furono ritirati dalla
circolazione (M. Menendez y Pelayo, Historia de los Heterodoxos Espanoles, II, Madrid 1967, 475476).
C4,82:*2
Il marchese Giuseppe Massimino di Ceva, Amico Cattolico, era allora impiegato al ministero degli
esteri.
C4,82:*3
Del P. Pierre Le Blanc, S.J. v. le sue lettere al Lanteri e le note relative.
C4,82:*4
Salvatori Filippo-Maria, ex S.J. (1740-1824) è l'autore dell'opera: Istruzioni pratiche per i
confessori novelli, decisamente antirigorista e ispirata alla morale di S. Alfonso, che era diffusa
specialmente tra i sacerdoti della Pia Unione di San Paolo a Roma e a Torino.
C4,82:*5
L'editore cattolico di Avignone François Seguin pubblicava in quel tempo (1825-1826) una collana
dal titolo “Administration du sacrement de la pénitence” che comprendeva già quattro opere:
L'Instruction pratique pour les confesseurs, del Salvatori, Le Prêtre sanctifié, sempre anonimo (ma
dell'ex gesuita P. Carlo Emanuele Pallavicini [1719-1785], segretario di Mons. Porporato vescovo
di Saluzzo; titolo italiano dell'opera: Il prete santificato nell'amministrazione della confessione,
fortemente antirigorista e antigiansenista), il Traité de la Confession générale, e Les Avertissements
aux Confesseurs di S. Leonardo da Porto Maurizio. Il Seguin, editore benemerito che assomiglia un
po' al nostro Marietti, era molto amico dei gesuiti che avevano riaperto il loro noviziato a Avignone
nel luglio 1824. In una cronaca dei gesuiti del tempo si legge: “Amicorum autem nostrorum, hic
plurimorum, mox ubi ad Deum est reversus, facile princeps evasit doctissimus ille piissimusque
bibliopola, Dominus Seguin, qui sociorum, tum veterum, tum recentiorum, operibus illustrandis
suos typos suaque studia, spe minus lucri (uti notum est omnibus) quam amicitiæ pietatisque gratia,
a multo tempore conferre consuevit” (J. Guerber, Le ralliement…, 146-147).
C4,91:S
Lanteri all'abbé Charles-Eugène de Mazenod
febbraio 1826
Elenco di libri italiani da acquistare a Roma o in Italia – L'approvazione degli Oblati di Maria Immacolata – La causa di
canonizzazione del B. Liguori
Minuta in AOMV, S. 5,2,7:233
C4,91:I
La minuta autografa non porta nessuna indicazione di destinatario né di data, ma l'uno e l'altra si possono facilmente
desumere dalla lettera dell'abate Mazenod, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata (1782-1861) scritta al Lanteri da
Roma il 1 marzo 1826.
Vedi scheda biografica del Mazenod in calce alla lettera sopra citata, come pure altre delucidazioni in riferimento a
questa lettera (Carteggio, IV, 92-96).
Si noti la stranezza che non è scritta in francese.
C4,91:T
Trasmetto a V.S. Ill.ma e Rev.ma, giusta la promessa fattale, e ricordatami dal Sig.r C. [Cavalier]
Luigi di Collegno, la nota di libri, a mio giudizio tutti interessanti, che sarebbe opportuno si
provvedesse, o costì, almeno in gran parte, o passando per l'Italia, qualora non li trovasse a Roma.
Potrebbe su questo oggetto consultare particolarmente S. Em. il Card. De Gregorio e Mgr.
Marchetti, i quali sapranno indicargliene altri, forse ancora più opportuni, che bramerei anch'io
molto di conoscere. Non si spaventi intanto del numero di dette opere, perché sono persuaso che
non li troverà tutti.
Spero che il suo affare a quest'ora sarà a buon porto, onde possa avere la consolazione di riportarne
il felice esito bramato, e sono impaziente anch'io d'averne qualche notizia per mia regola.
Bramerei eziandio ardentemente sapere a quale segno sia la causa della Canonizzazione del nostro
B. Liguori, e che V.S. Ill.ma e Rev.ma verificasse se nella Propaganda veramente si sia adottata la
Teologia Morale del B. Liguori a preferenza d'ogni altra, e prendesse a questo riguardo tutte le
notizie favorevoli.
Finisco per raccomandarmi caldamente nei S.S.S. [Suoi Santi Sacrifici] e con sentimenti più sinceri
della più distinta stima e venerazione
[senza firma e senza indirizzo]
C4,97:S
Lanteri alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari
14 marzo 1826
Risposta alle difficoltà proposte in merito al voto di obbedienza e di povertà – Perché e come gli Oblati sono una
diramazione dei Redentoristi
Minuta in AOMV, S. 7,2,5:0
C4,97:I1
Di questo documento esistono in AOMV due minute, una di mano Lanteri con correzioni Loggero, e una in bella copia
del Loggero: questa abbiamo seguito nella trascrizione.
Il card. Pacca, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, si era rivolto al mons. Rey con lettera del 10
febbraio 1826 per chiedere, a nome del suo dicastero, le chiarificazioni in questione. Ecco il testo di questa lettera
[fotografia in AOMV, S. 5,3,15:287], che conserviamo nella trascrizione di pugno di Mons. Rey (il Rey la trascrisse di
suo pugno per evitare pericolose indiscrezioni), rimessa poi al Lanteri, residente a Torino, in data 9 marzo 1826:
C4,97:I2
Copie de la lettre de Mgr. Pacca
“Copie de la lettre de S. Ém. Mgr. le Cardinal Pacca, Préfet de la Congrégation des Évêques:
Ill.tre e M.to R.do Monsignor e fratello: L'intera posizione riguardante l'approvazione di una nuova istituzione in
codesta città sotto la denominazione di Oblati di Maria Ss., trasmessa dall'Em.o Sig. Card. Segretario di Stato di Nostro
Signore a questa sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, è stata presa in particolare considerazione da me
infrascritto Cardinal Prefetto della stessa sacra Congregazione, e susseguentemente riferita nel sacro consesso del 20
gennaio pro., in cui gli Em.i Padri resero concordemente i ben giusti elogi e alla pastorale vigilanza di V.S., a tutta
ragione impegnata cotanto per questo novello istituto a spirituale vantaggio della Diocesi, e alla egregia volontà di quei
buoni Ecclesiastici, che aspirano a comporlo, e bramano ivi avere la ferma stazione, dove possano non solo rendere
edificazione ai fedeli cristiani, ma essere anche pronti a combattere l'errore serpeggiante nelle limitrofe popolazioni, per
rendere all'unità della Chiesa i figli sedotti. Formata dell'opera erigenda sì vantaggiosa opinione, fecero in seguito il
passaggio a conoscere le fondamentali costituzioni, nelle quali sebbene si abbia che la forma del governo della nuova
Congregazione sia stata desunta da quella prescritta al suo istituto dal B. Alfonso de Liguori, pure ne rimarcarono molte
variazioni, sulle quali amerebbero che V.S. e gli Oblati stessi ne adducessero il motivo, specialmente (tralasciando le
altre differenze) perché sia stato omesso il primo, terzo, e quarto articolo sul voto di obbedienza; perché occorra il
divario nel voto di povertà, forse neppure in accordo esattamente con quanto prescrive il sacro Concilio di Trento circa
il mobilio delle camere, perché non venga designata l'età in cui i sacerdoti debbano presentarsi al pubblico in qualità di
operai apostolici.
C4,97:I3
Tutto ciò però non forma il forte degli ostacoli, che indivisamente accompagnano il novello istituto; esso manca di un
numero d'anni e di case stabilite, ciò involve la maggior difficoltà: se deve essere approvato con Autorità Apostolica, è
di necessità che sia modellato con le stesse regole, come lo furono tanti altri, che tuttora esistono nella Chiesa di Dio. La
Santa Sede non approva Istituti di Religione nel solo divisamento di essi; dovendo essere di esempio, di luce ai fedeli,
fu sempre intenta ad assicurarsi con l'esperienza degli anni, e dei fatti sopra i frutti delle cristiane virtù, e di benedizione
che ne derivano a comune edificazione.
Diciassette anni dopo la sua fondazione il Sommo Pontefice Gregorio XIII approvò la Congregazione di S. Filippo
Neri: sedici anni dappresso alla sua istituzione (traslasciando tutte le altre, e dirigendo il riflesso al prototipo stesso, che
gli Oblati si sono proposti ad imitare) il sommo pontefice Benedetto XIV confermò ed approvò quella fondata dal B.
Alfonso de Liguori, e già propagata in diverse Diocesi del Regno di Napoli: non è certamente adattabile questo
paragone, e questa regola all'approvazione della nuova Congregazione, gli forma anzi un ben forte ostacolo, poiché gli
Oblati non contano alcuna casa già esistente, e da quella unica, in cui convennero per la prima volta con facoltà
ordinaria nella città di Carignano furono costretti a disciogliersi per alcune straordinarie circostanze, che tuttora
rimangono incognite a questo sacro consesso.
C4,97:I4
Ma gli Em.i Padri nonostante tali indispensabili rilievi, prendono il maggiore interesse per lo spirituale vantaggio della
sua Diocesi, s'impegnano a promuoverlo, e togliere di mezzo gli ostacoli che si frappongono: opinano che al desiderato
effetto possa completamente corrispondere l'erezione in codesta città di una casa, per ivi congregare i medesimi
sacerdoti, non già come una Congregazione novella, ma bensì quale diramazione dell'Istituto del Ss. Redentore, tanto
più che essi sono pronti ad osservare sostanzialmente le Costituzioni, e protestano la loro dipendenza nel ministero
Apostolico dalla iurisdizione dei Vescovi, i quali possono occuparli nei bisogni delle rispettive Diocesi, cosicché i figli
di uno stesso istituto se altrove si dedicano ad evangelizzare i poveri, ed i coltivatori nella campagna, ed istruirli nei loro
abituri sui erudimenti della fede, sulle pratiche di Religione, circondati dalle abbandonate famiglie fameliche di pane
della divina parola: se in altri luoghi attendono a predicare, a dare i santi Esercizi al clero, alle persone religiose, ai
secolari: potrebbero in Pinerolo occuparsi per l'estirpazione degli errori dei valdesi, e dagli altri del secolo corrente, e
convincere con la persecuzione, con l'argomento, con gli scritti, con gli apostolici parlari i dotti, i nobili, i ricchi, e
qualunque altro ceto, ed in tal modo verrebbe a togliersi ogni impedimento; risentirebbe la Diocesi l'utilità del religioso
stabilimento, ed i fervorosi operai, che verrebbero a comporlo, avrebbero il contento di accrescere con i loro sudori i
degni frutti nella vigna del Signore.
Di tutto ciò che l'Eminenza loro hanno divisato, con tutto il piacere io le faccio l'insinuazione. Ella sulla faccia del luogo
dovrà calcolarne la convenienza, la facilità dell'esecuzione, ed interrogare i medesimi sacerdoti, se pronti fossero a
prestarsi a quanto loro si richiede sull'oggetto; dopo i necessari riflessi ne formerà un dettagliato riscontro, che verrà da
me sottoposto alla loro saviezza, e formerà la regola per procedere ad ulteriore deliberazione. Ne starò dunque
attendendo il risultato delle sue operazioni: e Dio la prosperi.
Di V.S.
Roma 10 febbraio 1826
Come fratello
B. Cardinal Pacca, Pref.o
L'Arciv.o D'Ancira Segr.o”
C4,97:T1
14 marzo 1826
Risposta alla lettera della S. Congregazione
mandata a Monsignor V.o di Pinarolo
Illustr.mo e Reverd.mo Monsignore
Non possiamo abbastanza spiegare a V.S. Ill.ma e Rev.ma il giubilo che inondò i nostri cuori nel
leggere la copia di lettera dell'Em.o Mgr. Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari il
Cardinal Pacca, che Ella ha avuto la bontà di trasmetterci inclusa nella preg.ma sua del 9 marzo.
Rilevammo dalla suddetta la gran bontà con cui la S. Congregazione ha accolto le nostre suppliche,
e quanto sia disposta per favorirci, e promuovere l'esecuzione di quel bene che il Signore ci ha da
tanto tempo ispirato di operare a maggiore gloria sua, e vantaggio dei prossimi: la speranza pertanto
di vedere un giorno effettuati questi nostri desideri, giova il ripeterlo, ci riempie l'animo di
consolazione.
Siccome però il prelodato Em.o fa nella sua lettera per parte della S. Congregazione stessa alcuni
riflessi, domanda alcuni scharimenti, e suggerisce alcuni mezzi tendenti ad ottenere più facilmente
il bene desiderato, così per mettere V.S. Ill.ma e Rev.ma sempre più in situazione di dare alla S.
Congregazione quelle soddisfazioni, che di ragione, dopo esserci ben raccomandati al Signore, la
cui volontà unicamente desideriamo conoscere per fedelmente eseguire, e dopo maturi riflessi ci
siamo determinati a trasmetterle i seguenti articoli di risposta categorica a quanto la S.
Congregazione desidera sapere e da Lei, e dagli Oblati stessi.
C4,97:T2
Prima però è da notarsi che allora quando, anni sono, andavamo riflettendo se fossimo chiamati dal
Signore ad entrare in qualche Religione fra quelle già esistenti ed approvate, mentre ci sentivamo
chiamati allo Stato Religioso, la considerazione dei bisogni attuali dei Fedeli, massime nelle nostre
contrade, ed un'esperienza di molti anni ci fece vedere chiaramente che un Istituo, il quale avesse
per scopo principale il consacrarsi a dettare i S. Spirituali Esercizi secondo il metodo di S. Ignazio,
e di spargere libri buoni per opporre un argine al torrente dei libri cattivi che inondano i nostri paesi,
sarebbe stato non solo di maggior vantaggio, ma il più conforme eziandio a quel genere
d'operariato, a cui sempre ci sentivamo inclinati, sempre avevamo atteso che continuamente si stava
da noi promuovendo: ma non esistendo un tale istituto, il cui scopo principale, come si è detto, e
primiero fosse il dettare gli Spirituali Esercizi di S. Ignazio, e spargere libri buoni, abbiamo
deliberato di formarne uno sotto la denominazione della Congregazione degli Oblati di Maria Ss.
sulla speranza d'averne l'aggradimento del rispettivo Ordinario, e quindi l'approvazione della S.
Sede.
C4,97:T3
In seguito a tale deliberazione venne l'altra riguardante la forma di governo, e lo stabilimento delle
regole: sembrò a prima vista cosa ovvia il prendere per la nuova Congregazione la forma del
governo e la sostanza delle regole dall'Istituto di S. Ignazio, mentre il fine essenziale della nuova
Congregazione era, come si è detto, il dettare gli Spirituali Esercizi sul metodo stabilito dal
medesimo S. Fondatore; però la devozione particolare, che professavamo al B. Liguori, e molto più
ancora la necessità evidente di promulgare in questi nostri paesi i principi sani di morale, il nostro
attaccamento per la dottrina del Beato non solo perché Beato, ma perché per dichiarazione della S.
Sede nulla contiene, che sia censura dignum, abbiamo preferito, per affezionare sempre più alla
dottrina del Beato i soggetti, che si sarebbero ascritti alla nostra Congregazione, di desumere la
forma di governo della nostra Congregazione, e la sostanza delle nostre regole riguardo ai voti dal
Beato stesso, senza però aver mai avuto di mira il vincolarci alla lettera a quanto il Beato Alfonso
ha stabilito ai suoi Religiosi nella forma di governo, nelle Regole, e negli Atti Capitolari, perché
non avrebbe potuto pienamente adattarsi al nostro scopo, disposti però sempre ad assoggettare alla
S. Sede quanto avremmo stabilito e per la forma di governo, e per le regole stesse; ed ecco il motivo
per cui vi si trovano alcune differenze tra le Regole del Beato, e quelle degli Oblati.
C4,97:T4
Ciò presupposto…
Ciò presupposto, quanto alla prima domanda, cioè per quale motivo sia stato omesso il 1o, 3o e 4o
articolo sul voto di obbedienza, si risponde, che il 1o articolo si trova già letteralmente espresso
nella parte 2, cap. 1, par. 1, n. 2 della forma del governo della nostra Congregazione: riguardo al 3o
articolo, non si è disceso a questi dettagli, credendo abbastanza provvisto ai medesimi dallo spirito
di obbedienza e di mortificazione che si professa, oltreché all'uopo, e con il tempo vi si potrebbe
provvedere negli Statuti Capitolari.
Riguardo poi al 4o capitolo siamo persuasi che ammettendolo, attesa l'usanza di tutti i Corpi
Regolari in queste nostre contrade, le circostanze dei tempi e delle persone, sarebbe questo nei
nostri paesi di un impedimento grandissimo al bene delle anime, stante che molti Nicodemi non
s'accosterebbero certamente al Sacramento della Penitenza.
Quanto alla 2a domanda perché occorra il divario nel voto di povertà, forse neppure in accordo
esattamente con quanto prescrive il sacro Concilio di Trento circa il mobilio delle camere,
rispondiamo che se mai la S. Congregazione trova che si sia preso qualche sbaglio, che non siamo
esattamente in accordo con il prelodato Concilio, siamo pronti a rettificare il tutto secondo l'avviso
della medesima S. Congregazione.
Finalmente quanto alla domanda perché non venga designata l'età, in cui i Sacerdoti debbano
presentarsi al pubblico in qualità d'operai apostolici, rispondiamo che tale età non fu ivi designata,
perché ci riservavamo anche noi di inserire tale cosa nei nostri Statuti Capitolari a norma del Beato.
Quanto poi alla difficoltà di poter essere approvata la nostra Congregazione per mancare ancora di
quel numero d'anni e di case stabilite, come è costume della S. Sede per l'approvazione degli Istituti
Regolari, abbiamo a sommo favore l'essere considerato il nostro Istituto come una diramazione di
quello del B. Alfonso, purché la S. Sede si degni di accordarci la grazia di conservare il nome di
Oblati di Maria Ss. ritenendo il nostro Superiore generale con l'indipendenza dal detto Istituto, di
poter erigere Case ovunque siamo chiamati, ed attendere al Ministero Apostolico secondo il fine e
scopo proprio del nostro Istituto.
C4,97:T5
Che se la S. Congregazione non stimasse conveniente l'approvare il nostro Istituto con queste
condizioni, ci sembra, che qualora la medesima S. Sede volesse degnarsi d'accordarci la facoltà di
riunirci con i voti semplici in Pinerolo, od ovunque con l'approvazione dei rispettivi Ordinari, e
dispensare gli Ecclesiastici che volessero entrare nella nostra Congregazione, dall'avere il
gradimento dei rispettivi Ordinari sì e come si pratica negli Istituti approvati, ci sembra di poterci
lusingare, che dopo alcuni anni con la grazia di Dio toglieremmo di mezzo la suddetta difficoltà, e
potremmo con il tempo ottenere dalla S. Sede la desiderata approvazione.
Osiamo supplicare S.S. per il suddetto privilegio, mentre essendo stile in questi paesi, che molti
Vescovi non accordano, che raramente, e per breve tempo la facoltà di uscire, o di rimanere nelle
loro Diocesi, ne viene per conseguenza, che né noi stessi, né altri Soggetti Ecclesiastici potremmo
dare il nome alla Congregazione, e per conseguenza non potrebbe questa sussistere, e questo fu
appunto il motivo principale, per cui dovette disciogliersi la Congregazione già radunata in
Carignano sin dal 1816; tanto più ancora, che malgrado si trattasse di accettare Soggetti
Ecclesiastici della Diocesi, v'era l'ostacolo per parte di Mg.r Arcivescovo di Torino, il quale in virtù
dell'obbedienza promessa nell'Ordinazione esigeva dai Soggetti della Congregazione l'accettazione
degli impieghi ecclesiastici, volendoli Oblati di S. Carlo, i quali hanno per voto di accettare
qualunque impiego ecclesiastico, benché Mg.r Vicario Capitolare avesse approvato il nostro Istituto
e Regole come Oblati di Maria Ss. senza eccezione.
Intanto con il più profondo rispetto le baciamo le S. mani, ed abbiamo l'onore di protestarci
Di V.S. Ill.ma, e Rev.ma
Torino li 14 marzo 1826
Umil.mi Dev.mi ed obbed.mi Serv.i
Pio Brunone Lanteri
a nome di tutti gli Oblati di Maria Ss.
C4,103:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
14 marzo 1826
Risposta alle difficoltà proposte dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari
Originale in Archivio Vaticano (fotografia in AOMV, S. 5,3,15:288)
C4,103:I
Pubblicata in Esperienza, 169-171.
L'originale si trova nell'archivio della S. Congregazione dei Religiosi, Pinerolo, Oblati di M.V., P. 16.
Pubblicata in Positio, 413-417, e in Esperienza, 169-171.
Il card. Pacca, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, si era rivolto a Mons. Rey per alcune
delucidazioni in merito alla Regola degli Oblati. Mons. Rey trasmette la lettera al Lanteri e il Lanteri, a nome di tutti i
congregati, chiarisce i punti in discussione. Mons. Rey, in data 16 marzo 1826, rimette al card. Pacca la lettera del
Lanteri accompagnandola con una sua in cui fa del Lanteri l'elogio più lusinghiero: “M. l'abbé Lanteri est un
ecclésiastique du plus grand mérite, jouissant à Turin d'une considération méritée, et pour ses connaissances et pour ses
vertus. Sa longue vie a été toute employée au bien des âmes, et ainsi que moi il a eu l'insigne honneur d'être pendant
trois ans privé d'une partie de sa liberté pour la même cause pour laquelle Votre Éminence a supporté de si nobles
travaux et une aussi dure captivité. Je prends donc la liberté de recommander avec une confiance extrême M. l'abbé
Lanteri à Votre Éminence…” (Positio, 418).
C4,103:T1
14 marzo 1826
Monsignore Ill.mo e Rev.mo,
Non possiamo abbastanza spiegare il giubilo che inondò i nostri cuori nel leggere la copia di lettera
dell'Em.mo Mons. Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, il Card. Pacca, che V.S.
Ill.ma e Rev.ma ha avuto la bontà di trasmetterci inclusa nella Preg.ma sua del 9 marzo.
Rilevammo dalla suddetta la gran bontà, con cui la S. Congregazione ha accolto le nostre suppliche,
e quanto sia disposta per favorirci, e promuovere l'esecuzione di quel bene che il Signore ci ha da
tanto tempo ispirato di operare a maggior gloria sua, e vantaggio dei prossimi. La speranza pertanto
di vedere un giorno effettuati questi nostri desideri, giova il ripeterlo, ci riempe l'animo di
consolazione.
Siccome però il prelodato Em.mo fa nella sua lettera per parte della S. Congregazione stessa alcuni
riflessi, domanda alcuni schiarimenti, e suggerisce alcuni mezzi tendenti ad ottenere più facilmente
il bene desiderato, così per mettere V.S. Ill.ma e Rev.ma sempre più in situazione di poter dare alla
S. Congregazione quelle soddisfazioni che di ragione, dopo esserci ben raccomandati al Signore, la
cui volontà unicamente desideriamo conoscere per fedelmente eseguire, e dopo maturi riflessi, ci
siamo determinati a trasmettere a V.S. Ill.ma e Rev.ma i seguenti articoli di risposta categorica a
quanto la S. Congregazione desidera sapere e da Lei, e dagli Oblati stessi.
C4,103:T2
Prima però è da notarsi, che allorquando, anni sono, andavamo riflettendo se fossimo chiamati dal
Signore ad entrare in qualche Religione fra quelle già esistenti ed approvate, mentre ci sentivamo
chiamati allo stato religioso, la considerazione dei bisogni attuali dei fedeli, massime nelle nostre
contrade, ed un'esperienza di molti anni, ci fece vedere chiaramente che un Istituto, il quale avesse
per scopo principale il consacrarsi a dettare gli spirituali Esercizi secondo il metodo di S. Ignazio, e
di spargere libri buoni per opporre un argine al torrente dei libri cattivi che inondano i nostri Paesi,
sarebbe stato non solo di maggior vantaggio, ma il più conforme eziandio a quel genere di
operariato cui sempre ci sentivamo inclinati, sempre avevamo atteso, e che continuamente si stava
da noi promuovendo: ma non esistendo un tale Istituto, il cui scopo principale fosse il dettare i S.
Esercizi di S. Ignazio, e di spargere libri buoni, abbiamo deliberato di formarne uno sotto la
denominazione della Congregazione degli Oblati di Maria Santissima sulla speranza di averne
l'aggradimento del rispettivo Ordinario, e quindi l'approvazione della S. Sede.
C4,103:T3
In seguito a tale deliberazione venne l'altra riguardante la forma di governo, e lo stabilimento delle
Regole: sembrò a prima vista cosa ovvia il prendere per la nuova Congregazione la forma del
governo e la sostanza delle Regole dall'Istituto di S. Ignazio, mentre il fine essenziale della nuova
Congregazione era, come si è detto, il dettare gli spirituali Esercizi sul metodo stabilito dal
medesimo Fondatore; però la devozione particolare che professavamo al B. Liguori, e molto più
ancora la necessità evidente di promulgare in questi nostri paesi i principi sani di morale, il nostro
attaccamento per la dottrina del B. Alfonso non solo perché Beato, ma perché per dichiarazione
della S. Sede nulla contiene che sia “censura dignum”, abbiamo preferito, per affezionare sempre
più alla dottrina del Beato i soggetti che si sarebbero iscritti alla nostra Congregazione, di desumere
la forma del governo di nostra Congregazione, e la sostanza delle nostre Regole riguardo ai voti dal
Beato stesso, senza però mai aver avuto di mira di vincolarci alla lettera a quanto il Beato Alfonso
ha stabilito ai suoi religiosi nella forma di governo nelle Regole, e negli atti Capitolari, perché non
avrebbe potuto pienamente adattarsi al nostro scopo, disposti però sempre ad assoggettare alla S.
Sede quanto avremmo stabilito e per la forma di governo, e per le Regole stesse; ed ecco il motivo,
per cui vi si trovano alcune differenze tra le Regole del Beato, e quelle degli Oblati.
C4,103:T4
Ciò presupposto…
Ciò presupposto, quanto alla prima domanda, cioè per quale motivo sia stato omesso il 1o, 3o, e 4o
articolo sul voto di obbedienza, si risponde che il primo articolo si trova già letteralmente espresso
nella parte 2, cap. I, par. I, n. 2 della forma del governo della nostra Congregazione; riguardo al 3o
articolo non si è disceso a questi dettagli, credendo abbastanza provvisto ai medesimi dallo spirito
di obbedienza e di mortificazione che si professa, oltre che all'uopo, e con il tempo, vi si potrebbe
provvedere negli Statuti Capitolari; riguardo poi al 4o articolo siamo persuasi che ammettendolo,
attesa l'usanza di tutti i corpi Regolari in queste nostre contrade, le circostanze dei tempi e delle
persone, sarebbe questo nei nostri Paesi di un impedimento grandissimo al bene delle anime, stante
che molti Nicodemi non si accosterebbero certamente al Sacramento della Penitenza.
Quanto alla seconda domanda, “perché occorra il divario nel voto di povertà, forse neppure in
accordo esattamente con quanto prescrive il Sacro Concilio di Trento circa il mobilio delle camere”,
rispondiamo che se mai la S. Congregazione trova che si sia preso qualche sbaglio, in modo che non
siamo esattamente in accordo con il prelodato Concilio, siamo pronti a rettificare in tutto secondo
l'avviso della S. Congregazione.
Finalmente quanto alla domanda “perché non venga designata l'età in cui i sacerdoti debbano
presentarsi al pubblico in qualità di Operai Apostolici”, rispondiamo che tale non fu ivi designata,
perché ci riservavamo anche noi di inserire tale cosa nei nostri Statuti Capitolari, a norma del Beato.
Quanto poi alla difficoltà di [non] poter essere approvata la nostra Congregazione dalla S. Sede per
mancare ancora di quel numero di anni e di case stabilite, come è costume della S. Sede per
l'approvazione degli Istituti Regolari, abbiamo a sommo favore l'essere considerato il nostro Istituto
come una diramazione di quello del B. Alfonso, purché la S. Sede si degni di accordarci la grazia di
conservare il nome di Oblati di Maria Santissima ritenendo il nostro Superiore Generale con
l'indipendenza dal detto Istituto, di poter erigere case ovunque siamo chiamati, ed attendere al
ministero apostolico, secondo il fine e scopo proprio del nostro Istituto.
C4,103:T5
Che se la S. Congregazione non stimasse conveniente l'approvare il nostro Istituto con queste
condizioni, ci sembra che qualora la medesima S. Sede volesse degnarsi di accordarci la facoltà di
riunirci con i voti semplici in Pinerolo, ed ovunque, con l'approvazione dei rispettivi Ordinari, e
come si pratica negli Istituti approvati, dispensare gli ecclesiastici che volessero entrare nella nostra
Congregazione dall'avere il gradimento dei rispettivi Ordinari, ci sembra poterci lusingare, che dopo
alcuni anni, con la grazia di Dio, toglieremmo di mezzo la suddetta difficoltà, e potremmo con il
tempo ottenere dalla S. Sede la desiderata approvazione.
Osiamo supplicare Sua Santità per il suddetto privilegio, mentre, essendo stile in questi paesi che
molti Vescovi non accordano che raramente, e per breve tempo, la facoltà di uscire o di rimanere
nelle loro Diocesi, ne viene per conseguenza, che né noi stessi, né altri soggetti ecclesiastici
potremmo dare il nome alla Congregazione, e per conseguenza non potrebbe questa sussistere; e
questo fu appunto il motivo principale, per cui dovette disciogliersi la Congregazione già adunata in
Carignano sino dal 1816; tanto più ancora che, malgrado si trattasse di accettare soggetti
ecclesiastici della Diocesi, vi era l'ostacolo per parte di Mons. Arcivescovo di Torino, il quale, in
virtù dell'obbedienza promessa nell'ordinazione, esigeva dai soggetti della Congregazione
l'accettazione degli impieghi ecclesiastici, volendoli Oblati di S. Carlo, i quali hanno per voto di
accettare qualunque impiego ecclesiastico, benché Mons. Vicario Generale Capitolare avesse
approvato il nostro Istituto e Regole, come Oblati di Maria Santissima, senza eccezione.
Intanto con il più profondo rispetto le baciamo le sacre mani e ci protestiamo
di V.S. Ill.ma e Rev.ma
Torino, li 14 marzo 1826.
Umil.mi, Dev.mi, ed Obbed.mi Serv.i
Pio Brunone Lanteri
a nome di tutti gli Oblati di Maria Santissima.
C4,108:S
Lanteri all'arcivescovo Luigi Lambruschini
23 aprile 1826
Il viaggio a Roma – Ringraziamenti per tutti i favori e le raccomandazioni ricevuti
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:40-2
C4,108:I
Il testo è quasi identico a quello della lettera scritta al conte Rodolfo de Maistre con la stessa data (sulla stesso foglio
nella minuta autografa del Lanteri).
C4,108:T
Attesa la grande riconoscenza che professo verso V.E. per i singolari tratti di bontà costì ricevuti,
mancherei al mio dovere se non mi facessi tutta la premura di ragguargliarla del nostro viaggio e
dell'operato sinora.
Dopo due giorni dunque di calma in mare abbiamo avuto il vento favorevole, di modo che siamo
giunti la mattina del 19 a Civitavecchia e l'indomani giovedì a Roma*1.
In grazia delle raccomandazioni speciali di V.E. siamo stati accolti e trattati con somma cortesia e
con particolari attenzioni dal Sig. Capitano Olzati*2. Io non ho provato altro che un continuo e buon
appetito; D. Loggero ha sofferto qualche poco di stomaco.
In Roma non abbiamo trovato S. Em. il Card. Pacca, il quale si dice che sia attualmente a Porto ed è
in procinto di prendere a giorni possesso del suo Arcivescovado di Civitavecchia; però fra pochi
giorni ci assicurano che vi ritornerà di permanenza*3.
Ci siamo ieri presentati da S. Em. il Card.le della Somaglia, gli abbiamo rimesso la lettera del Sig.r
Ab.e Tosti, e ci ha ricevuti con somma bontà. Il nostro Ministro, il Sig. M.se Crosa, ci colma pure
di finezze, si compiace d'indirizzarci in ogni cosa, e quest'oggi ci procurerà l'onore di presentarci a
S. Em. il Card. De Gregori.
Non ci rimane ora altro che rendere, unitamente a D. Loggero, infinite grazie a V.E. per tanti favori
ricevuti e procuratici, supplicandola nello stesso tempo di volersi compiacere di presentare i nostri
più distinti rispetti e ringraziamenti all'Ill.mo Sig. Ab. Tosti, ed al Sig. M.se d'Azeglio, e con i più
vivi e sinceri sentimenti di riconoscenza, rispetto, e di venerazione le baciamo umilmente le sacre
mani, e le chiediamo la sua pastorale benedizione…
C4,108:*1
Il Lanteri scrive da Roma dove è arrivato da tre giorni col Loggero e col domestico Negro. Nel
Diario del Loggero leggiamo: “1826, aprile, li 7, partenza da Torino; li 8 giunti a Genova; li 14, a
sera, partiti da Genova per mare; li 19 a mattina giunti in Civitavecchia; li 20, a mattina giunti in
Roma…” (Positio, 454, AOMV, S. 1,9,5:360). Il viaggio da Genova a Civitavecchia era stato fatto
per mare, perché “il medesimo re Carlo Felice a cui era nota ogni cosa, aveva coll'augusta sua
autorità appoggiato quest'opera, ed a Brunone con regia benevolenza aveva da Genova a
Civitavecchia dato libero passaggio sopra una fregata della real marina, che doveva gettare l'ancora
in quelle acque” (Gastaldi, 279). Il re aveva accordato al Lanteri questo favore per l'interessamento
personale di Mons. Lambruschini. Di qui le espressioni di gratitudine contenute in questa lettera.
C4,108:*2
Il capitano Olzati, responsabile della regia fregata su cui il Lanteri fece la traversata, era una
conoscenza personale del Lambruschini.
C4,108:*3
Il Lambruschini non si era interessato soltanto del viaggio fino a Roma, ma anche di ciò che a
Roma doveva essere fatto, e aveva dato al Lanteri lettere di raccomandazioni per diversi dignitari di
Curia, tra cui il card. Pacca, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, che doveva
trattare la causa degli Oblati.
C4,110:S
Lanteri al conte Rodolfo de Maistre
24 aprile 1826
Scopo del viaggio a Roma – Primi approcci con dignitari della Curia pontificia
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:40
C4,110:I1
Il conte Rodolfo de Maistre
Il conte Rodolfo de Maistre, figlio unico del famoso Joseph de Maistre (1753-1821) e di Francesca Morand de St.
Sulpice, n. a Chambéry il 22 settembre 1789, m. a Torino il 6 febbraio 1865, ebbe altre due sorelle, Adele (1787-1862),
sposata al conte de Torray, e Costanza (1793-1882) sposata al marchese Eugenio di Laval, diventato poi duca di LavalMontmorency per la morte di suo fratello. La famiglia de Maistre era molto numerosa e molto religiosa: un fratello del
padre, Mons. André-Maria de Maistre (1757-1818) fu vescovo di Aosta (morto prima di entrare in diocesi). Nel 1803
Joseph de Maistre partì per la Russia essendo stato nominato ambasciatore del Piemonte a Pietroburgo e condusse con
sé la famiglia (in Russia viveva già un altro suo fratello, il generale Xavier de Maistre, ricordato come scrittore elegante
e delicato). A 16 anni Rodolfo de Maistre fu fatto ufficiale dell'esercito russo dello zar Alessandro I, cioè cornetta
nell'aristocratico reggimento dei chevaliers-gardes. Poco dopo partiva per le campagne del 1807 (contro Napoleone),
del 1808 (in Finlandia), del 1812, 1813, 1814.
Nel 1816 rientrò in Piemonte insieme col padre Joseph che aveva lasciato la carica di ambasciatore sardo a Pietroburgo.
Rodolfo fu ammesso nell'esercito sardo col grado di tenente colonnello che aveva già nella guardia imperiale russa. Il re
Vittorio Emanuele I e Carlo Felice lo ebbero sempre in grande stima.
C4,110:I2
Nell'agosto 1820 sposò la marchesa Azélie de Plan de Sieyès (niente da fare col famigerato abate Sieyès), da cui ebbe
nove figli, quattro maschi, Giuseppe, Carlo, Eugenio, Francesco (militari, sacerdoti, religiosi) e cinque femmine:
Francesca Ottavia (15 aprile 1821-29 settembre 1861), battezzata a San Carlo in Torino, padrino Cesare d'Azeglio;
Maria, che sposa il marchese Domenico Fossati-Rovero di San Severino (1804-1878), gran benefattore di S. Giovanni
Bosco a Valdocco; Benedetta, che sposa il conte Gerolamo Medolago Albani di Bergamo e fu madre del celebre
Stanislao Medolago Albani; Filomena, che, dopo la morte di Benedetta, subentrò come seconda moglie del conte
Gerolamo e, rimasta a sua volta vedova, finì la vita tra le Figlie del S. Cuore della Verzeri; Zaverina, che fu carmelitana
a Poitiers, priora del convento e morì a 32 anni. La discendenza dei de Maistre era molto numerosa: 19 discendenti da
parte di Rodolfo, 23 discendenti dei de Maistre: “La repubblica una e indivisibile della piazza di Lans” (sede del
palazzo de Maistre a Chambéry).
Il 26 febbraio 1821 muore suo padre Joseph de Maistre, a cui era molto affezionato. Molte lettere del filosofo al figlio
Rodolfo (e alla figlia Costanza) sono già state edite. Nel 1829 troviamo il conte Rodolfo nel ministero degli Esteri (v.
lettera di P. Ferrero a P. Loggero dell'11 dicembre 1829). Nel 1831 è generale di divisione a Genova e vice governatore
al posto del conte di Castelborgo (1832-1833), quando fu sostituito dal conte Paolucci, già governatore di Novara. Dal
1834 al 1846 lo troviamo a Nizza, governatore della divisione militare di quella città. Carlo Alberto lo ebbe sempre
caro, lo nominò luogotenente generale, aiutante di campo di Sua Maestà, e il 25 dicembre 1846 cavaliere dell'Ordine
della SS. Annunziata (491a nomina dalla fondazione, e l'ultima fatta da Carlo Alberto), “anche per premiare in lui
l'incomodo padre (Joseph de Maistre) che, morto, dovette apparire a Casa Savoia più grande di quello che era sembrato
in vita” (Nasalli Rocca).
C4,110:I3
Rodolfo pubblicò alcuni inediti di suo padre, Lettres et opuscules inédits du comte J. de Maistre, précédées d'une notice
biographique par son fils le Comte Rodolphe de M., 2 voll., Paris, Auguste Vaton Libraire Éditeurs, 1861.
L'educazione familiare di Rodolfo, come di tutta la famiglia de Maistre, fu molto severa. Joseph de Maistre scriveva al
figlio Rodolfo nel 1813: “Se foste capace di antidatare una lettera non vi crederei più mio figlio legittimo e scriverei in
proposito a vostra madre”. La madre, Francesca Morand de St. Sulpice, era figlia spirituale del Lanteri. Joseph de
Maistre scriveva da Pietroburgo il 15 maggio 1814: “Lascio a mio figlio la speranza, la quale è una cosa eccellente
quando manca la minestra”. Rodolfo fu un legittimista convinto fino alla fine, attirandosi per questo inimicizie da parte
dei liberali. Nel 1833, a Genova, aveva impedito con grande energia la rivoluzione del Mazzini. Il Bresciani, amico del
conte Rodolfo, alludendo a questo particolare lo chiamava “testa di ferro”. Camillo Cavour, nel suo Diario in data 12
settembre 1834, ironizza sul conte Rodolfo e sulle sue idee politiche: “Il n'a plus de foi dans la politique humaine et n'a
d'espérance que dans un avenir lointain, qui doit sortir d'un bouleversement universel et d'une guerre civile générale qui
doit ensanglanter et déchirer le monde… Que le ciel préserve de la folie de laquelle il paraît bien peu éloigné. Et qu'il
daigne nous soustraire, pauvres incrédules que nous sommes, de la domination de fer dont cet enragé-là nous menace.
Amen” (cfr. Saverio Nasalli Rocca, Giuseppe de Maistre nei suoi scritti, Torino 1933 [ha un albero genealogico della
famiglia de Maistre]; P. Gastaldi, Francesca Ottavia de Maistre, Torino 1885 [è una figlia di Rodolfo]).
C4,110:T
24 aprile 1826
Al Sig. C.e Maistre il 24 aprile da Roma
È troppo giusto che mi dia tutta la premura di ragguagliare V.S. Ill.ma del nostro viaggio, e del
nostro operato finora, giacché ne prende un sì grande interessamento.
Abbiamo intrapreso la sera del 14 sul far della notte il viaggio per mare. Per 2 giorni abbiamo avuto
calma, indi il vento ci fu favorevole a segno che la mattina del 19 siamo giunti a Civitavecchia, e
l'indomani a R. [Roma]. Io non ho provato altro che un continuo e buon appetito. D. Loggero però
ha sofferto qualche poco di stomaco.
In Roma non abbiamo ritrovato il Card. Pacca, il quale tra giorni ha da prendere possesso del nuovo
suo Arcivescovado di Civitavecchia, ma non tarderà di ritornarvi [a Roma] di permanenza.
L'Ill.mo Sig.r M.se di Crosa ci colma di cortesie e di attenzioni, ed ha la bontà d'indirizzarci in ogni
cosa; ci procurò già l'onore di presentarci da S. Em. il Card. Della Somaglia, per cui l'ab. Tosti ci
aveva rimesso una lettera di raccomandazione, e ci ricevette con somma bontà, ed oggi ci presenterà
a S. Em. il Card. De Gregori, Segretario della Congregazione, e ci farà fare la conoscenza del Sig.
Arcip.e Adinolfi, Pro-Segretario, il quale sento che fa quasi tutto nella S. Congregazione*1.
Questo è quanto ci occorre finora di poterle ragguagliare.
Intanto la prego di far gradire i miei più distinti ossequi all'Ill.ma Sig.ra C.sa sua Madre, alla
Stim.ma sua Sig.ra Moglie, alle sue Sig.re Sorelle con raccomandarci particolarmente alle loro
orazioni ed alle sue, e non mancheremo pure d'averli presenti nei nostri S.S. [Sacrifici*2].
E con i sentimenti più distinti di rispetto e considerazione le sono…
C4,110:*1
I cardinali Pacca, Della Somaglia e De Gregorio, residenti a Roma, coi quali il Lanteri si era
incontrato, si occupavano dell'approvazione degli Oblati; il marchese Nicolò Crosa di Vergagni era
l'Incaricato del re sardo presso la S. Sede; l'abate Antonio Tosti era l'Incaricato d'affari della S. Sede
a Torino: tutti personaggi che torneranno frequentemente nell'epistolario.
C4,110:*2
La madre del conte Rodolfo è Francesca Morand de St. Sulpice, figlia spirituale del Lanteri; la
moglie è la marchesa Azélie de Plan de Sieyès, sposata nell'agosto 1820; le sorelle sono Adele
(1787-1862) sposata de Torray, e Costanza (1793-1882) sposata Laval-Montmorency.
C4,113:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
27 aprile 1826
Relazione succinta del viaggio Torino – Genova – Civitavecchia – Roma. – Prime impressioni di Roma. – Felice inizio
delle pratiche presso la Curia pontificia
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:41
C4,113:I1
Era la prima volta che il Lanteri visitava Roma. Vi si era recato col Loggero per trattare di persona l'affare
dell'approvazione pontificia della ricostituita Congregazione degli Oblati. Era munito di credenziali e di lettere di
raccomandazione di Mons. Rey, di Mons. Lambruschini e del re Carlo Felice che aveva raccomandato la cosa al suo
rappresentante in Roma, il marchese Nicolò Crosa di Vergagni. Del viaggio e del soggiorno del Lanteri a Roma
abbiamo un “Diario” particolareggiato steso giorno per giorno dal Loggero (copia in AOMV, S. 1,9,5:360), pubblicato
in Positio, 453-495, importante per capire alcuni dettagli accennati nelle lettere.
C4,113:I2
Lettera di Mons. Rey
Con quanto interesse Mons. Rey seguisse da lontano i due viaggiatori verso Roma, Lanteri e Loggero, è eloquentemente
indicato da questa lettera che egli scrisse al Loggero pochi giorni prima della partenza AOMV, S. 1,12,2:828:
Pignerol 4 avril 1826 – Dieu bénisse vos pas ô mon bon Abbé Loggero, et le digne et vénérable Abbé Lanteri! Dominus
custodiat introitum tuum et exitum tuum: c'est la cause de sa sainte religion, le salut des âmes, et les intérêts de sa gloire
que vous allez plaider: c'est lui-même qui vous donnera de l'éloquence pour y réussir, car Domini est exitus. Allez donc
mes dignes amis, je vous accompagne de mes vœux, de ma bénédiction, et de mes affections les plus tendres. Allez,
votre voyage me soulage, et je serai un peu courageux sous le fardeau tandis que je songerai que vos épaules doivent un
jour m'aider à le porter. Allez donc, hommes de Dieu, et que sa grâce abonde partout où vous porterez vos pas.
J'ai répondu au Card. Pacca, et vous pensez bien que j'ai invité cette Éminence à se défier de cet Abbé Lanteri, qui en a
déjà tant fait dans sa vie. Mes commissions se bornent donc à vous prier de porter aux pieds de tous les autels où vous
irez à Rome, le tribut de mes vœux, et l'humble expression de mes besoins: pleurez un peu pour moi sur le tombeau de
mon saint Patron, et si vous avez le bonheur de baiser les pieds de son digne successeur, laissez-y l'hommage de mon
respect, de ma vénération, de mon amour et de ma soumission. Laissez aussi tout cela, quoique avec proportion, au
respectable Archevêque de Gênes, que j'honore et que j'aime autant que si j'avais deux cœurs. À Dieu, mon bien digne
Missionnaire, je pleure de jalousie en vous voyant aller à Rome, heu mihi! Quod Amico non licet ire tuo!
Tout à vous
† Pierre Jos. Év. de Pignerol
C4,113:T1
27 aprile 1826
Lettera a Monsignor di Pinarolo li 27 aprile [1826] da Roma
Crederei di mancare al mio dovere, se non mi dessi tutta la premura di ragguagliare subito V.S.
Ill.ma e Rev.ma dello stato del nostro affare.
Siamo dunque partiti li 7 corrente da Torino, e giunti l'indomani a sera a Genova, ove S. Ec.
Monsignor Lambruschini ci favorì di una sua commendatizia per il nostro affare a S. Em. il Card.
Pacca*1.
Li 14 a sera siamo partiti da Genova sopra una fregata Reggia, e siamo giunti al porto di
Civitavecchia li 19, e l'indomani a Roma, ove abbiamo trovato assente S. Em. il Card. Pacca,
Prefetto della S. Congregazione de' Vescovi e Regolari, Ponente della nostra Causa, il quale era a
Porto sua Diocesi, indi a giorni deve andare a prendere possesso della sua nuova Diocesi di
Civitavecchia, né fino alla metà del venturo mese si restituirà a Roma; e per questo motivo non gli
ho ancora potuto rimettere le carte riguardanti il nostro affare.
Intanto siamo stati ad ossequiare S. Em. il Card. De Gregori*2, membro pure della S.
Congregazione, per cui avevamo lettere commendatizie dell' Ill.mo Sig. M.se d'Azeglio e Cav.e
Collegno. Indi ci siamo presentati da Monsignor Marchetti, Segretario della stessa S.
Congregazione, e dal Sig. Can. Adinolfi, Pro-Segretario, i quali presero il nostro affare in
considerazione, ed esamineranno le nostre carte, comunicandoci i loro riflessi per delucidare
assieme ogni cosa, e presenteranno a S. Em. il Card. Pacca tutto l'affare come finito subito che
ritornerà a Roma.
A misura poi che avremo qualche notizia interessante, ci faremo un dovere di parteciparne V.S.
Ill.ma e Rev.ma.
Qui il nostro Ministro S. Ec. il M.se Crosa ci colma di finezze, e non può essere più interessato per
il nostro affare, ed ha la bontà d'indirizzarci in ogni passo*3. Finora le speranze sono buone, e tutto il
nostro fondamento è in Maria Ss., cui siamo tutti onninamente dedicati, e di cui è tutto il nostro
affare. Finora non ho sofferto niente per il viaggio, anzi sto meglio di salute.
C4,113:T2
Intanto il Sig. D. Loggero le umilia con me i suoi più distinti ossequi, ed ambedue con i sentimenti
più vivi e sinceri di venerazione, di riconoscenza, ed obbedienza le baciamo umilmente le sacre
mani, e le chiediamo la sua Pastorale benedizione.
Di V.S. Ill.ma e Rev.ma
Roma li 27 aprile 1826…
C4,113:*1
Mons. Luigi Lambruschini, arcivescovo di Genova, aiutò l'amico Lanteri sia per l'approvazione
pontificia della Congregazione, sia per la concessione del regio Exequatur da parte del governo
subalpino. Riguardo al suo contributo per ottenere l'approvazione di Roma il Lambruschini scrive in
La mia Nunziatura: “[…] Il Lanteri era espressamente venuto già da alcuni mesi a Genova per
consultarmi e sentire da me cosa dovesse fare per lo stabilimento dell'opera santa [la Congregazione
degli Oblati]. Egli non aveva allora che tre soli sacerdoti sui quali potesse contare, ma aveva trovato
un benigno asilo nella Diocesi di Pinerolo, offertogli da Monsignor Rey zelante vescovo di quella
città. Dopo aver esaminato bene l'affare, parendomi che il disegno venisse da Dio, aveva animato il
pio sacerdote a presentarsi al Re, a chiedergli la sua protezione e a partire per Roma, onde
rassegnare ogni cosa a Sua Santità, e sentirne l'oracolo. Tutto fu fatto e con buon esito. Sua Maestà
accolse assai bene il Lanteri, approvò ch'egli andasse per tale affare a Roma, e lo munì anche di una
sua commendatizia per il Papa. Forte egli adunque del regio patrocinio e di alcune mie lettere per i
Cardinali più influenti di allora, volò ai piedi di Leone XII, e non molto dopo se ne ritornò in patria
ricco dell'approvazione pontificia. Altro più dunque non restava che di mettere mano all'opera…”
(L. Lambruschini, La mia Nunziatura di Francia, a cura di P. Pirri S.J., Bologna Zanichelli 1934,
27 riportata da L.M. Manzini, Il card. L. Lambruschini, Città del Vaticano 1960, 426).
C4,113:*2
Il card. Emanuele De Gregorio dirigeva a Roma la sezione romana dell'Amicizia Cattolica,
strutturata sul modello di quella di Torino (però da quella indipendente): si spiega perciò come il
d'Azeglio e il Collegno abbiano dato al Lanteri lettere commendatizie per il cardinale De Gregorio
da essi molto bene conosciuto.
C4,113:*3
Del marchese Nicolò Crosa di Vergagni, Ministro sardo a Roma, v. le lettere da lui scritte a Lanteri
nel 1826 e 1827.
C4,121:S
Lanteri alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari
aprile 1826
Risposta ai quesiti proposti dalla S. Congregazione – La predicazione tra i valdesi delle valli pinerolesi – Fedeltà alla
morale e pastorale di S. Alfonso – Fedeltà all'autorità della Santa Sede – Predicazione di missioni ed Esercizi secondo il
metodo di S. Ignazio
Minuta in AOMV, S. 1,12,27:894b
C4,121:I
La minuta è tutta di mano Lanteri con qualche correzione di poco rilievo di mano Loggero. Abbiamo messo tra
parentesi le parti che risultano cancellate nella minuta e che, probabilmente, sono state omesse nella redazione finale.
Il documento riveste per noi un'importanza tutta particolare perché ripete in sintesi tutto il pensiero teologico, pastorale
e ascetico del Lanteri, già espresso in altri testi, e il metodo pratico col quale applicarlo nel ministero sacerdotale:
documento che conserva ancora oggi la sua attualità.
C4,121:T1
aprile 1826
Gli Oblati di Maria Ss. sono sommamente penetrati dalla più grande riconoscenza verso la S.
Congregazione de' Vescovi e Regolari per il particolare interessamento che si degna prendere per
procurare loro da S.S. [Santità] l'approvazione del loro Istituto, e delle loro Regole, e non trovano
niente di più consolante, e secondo i loro voti, quanto il Primo Quesito della medesima: di spiegarsi
cioè maggiormente affinché risulti più assoluta, ed evidente la loro consacrazione all'Istituto del B.
Alfonso de Liguori, e dimostrare che i principi di Morale del medesimo saranno decisamente
professati nell'esercizio delle loro spirituali fatiche dai membri di questa Congregazione.
Si fanno dunque tutta la premura di dichiararsi che si sono sempre pregiati, e si pregieranno sempre
di professare nel loro Ministero gli stessi principi di Morale del B. L., come principi sicuri, e che la
lunga esperienza del medesimo e di chi li segue dimostrò essere così fruttuosi, né voler mai
dipartirsi dai medesimi in ogni loro esercizio del Ministero Ecclesiastico.
Pertanto supplicano umilmente S.S. della grazia di volerglielo accordare per speciale Protettore e
Maestro con il privileggio eziandio della Messa propria, e del suo Officio per rendere così più
stabile ed invariabile lo spirito d'uniformità dei loro principi di dottrina con quelli del Beato, sicuri
che la sua dottrina unitamente al suo esempio, ed alla sua speciale assistenza gioverà moltissimo a
guadagnare più anime a Dio.
C4,121:T2
Riguardo al 2o punto di dimostrare una tendenza più determinata a combattere gli errori di cui
sono infestate le vicinanze della Diocesi di Pinerolo.
1. Fanno presente che sono già provvisti dei migliori Autori in questo genere, come sono:
Le Controversie del V. Bellarmino,
Il Becano, il Gotti,
le Lettere del Scheffmacher ad un Ministro protestante,
I Sermoni di Controversia di S. Francesco di Sales,
L'Istoria, e confutazione delle Eresie del B. L. [Liguori],
Le verità della fede, opera del medesimo Beato che serve per antidoto di tutti gli errori correnti,
Bossuet, Istoria delle variazioni,
Bernini, Istoria delle Eresie, etc.,
appunto per tenersi sempre fondati e pronti a difendere il Dogma, convincere, ed istruire chi ne
abbisogna.
2. Non solo sono disposti a dare i S. Esercizi con viste analoghe a quanto sopra nelle loro
meditazioni ed Istruzioni, ma già più volte ne hanno date nelle Parrocchie miste a richiesta di Mgr.
Vescovo (usando però sempre quella prudenza necessaria per non causare alcuno sconcerto,
intendendosi sempre di tutto con il Vescovo).
3. Siccome queste eresie in specie non si vedono più dilatare, ma bensì continuamente si dilata il
principio fondamentale, comune a tutti i settari, qual è lo spirito privato per cui si accorda la
sovranità della ragione alla ragione individuale, principio che è l'origine non solo di simili eresie,
ma anche d'ogni altro errore, come pure dilatare si vede l'altro principio dai medesimi, non meno
funesto del primo, vale a dire la libertà e l'indipendenza da ogni legittima autorità, perciò sono pure
provveduti dei migliori libri per antidoto a simile veleno, e per promuovere ovunque il dovuto
rispetto ed ubbidienza all'Autorità legittima, tra i quali v'è anche l'opera del B. Liguori Sulla fedeltà
de' Vassalli.
C4,121:T3
Finalmente quanto al ragguaglio particolare sulle pratiche ordinarie e sopra i saggi già indicati
degli Oblati di Maria Ss., onde possa la S. Congregazione avere un' idea esatta e distinta
dell'Istituto in ogni sua parte, ed una conseguente certezza dei futuri vantaggi a pro dei fedeli,
gli Oblati di Maria fanno presente a questo riguardo che dalle loro Costituzioni e Regole
1. Risulta che il loro fine primario è dare i S. Esercizi di S. Ignazio gratis, come praticarono sempre,
e vi attesero così indefessamente (sebbene ridotti in piccolissimo numero), che nei primi 4 anni,
cioè dal novembre 1817 per tutto maggio 1820, ne diedero 61 mute, nei 4 anni posteriori, dal
maggio 1820 per tutto agosto 1825, sebbene (vivendo nelle proprie case) e ridotti a piccolissimo
numero, ne diedero oltre 115 mute, tutte in 12 diverse Diocesi, potendo produrre parecchi attestati
del gradimento, e del frutto riportato.
2. Risulta che devono attendere indefessamente – siccome hanno sempre fatto – al Confessionale, e
a promuovere la frequenza dei S. Sacramenti, giusta la Regola 22, 23, oltre lo studio di cui corre
loro uno stretto dovere come dalla Regola 15, 16.
3. Hanno sempre praticato in ogni loro tempo libero d'assistere particolarmente gli ammalati, e
visitare i Carcerati, confessarli, istruirli, e dare loro Tridui, od Esercizi, sebbene questo non sia
espresso nelle Regole (e sono pronti ad accettare quelle altre addizioni che S.S. stimasse di
aggiungervi).
C4,121:T4
Questo è quanto gli Oblati di Maria Ss. hanno l'onore di fare presente alla S. Congregazione in
riscontro dei quesiti loro proposti (dichiarandosi ben fortunati se S.S. per l'organo della S.
Congregazione stimasse bene di fare alle loro Regole qualche addizione, o mutazione).
N.B. In prova del sincero attaccamento degli Oblati di Maria Ss. ai principi della dottrina del B.
Liguori si prendono l'ardire di umiliare alla S. Congregazione alcune copie dell'opuscolo Riflessioni
sulla santità, e Dottrina del B. Liguori, delle quali l'Autore ed il Traduttore anonimi sono Oblati di
Maria Ss. (dette Riflessioni sono stampate in paesi esteri, perché si temeva d'incontrare delle
difficoltà per stamparle nel paese, ove si trovano non pochi decisi contraddittori ai principi di
Morale del B. Liguori).
C4,123:S
Lanteri al papa Leone XII
aprile 1826
Breve schema storico sull'origine della Congregazione – Perché dovette sciogliersi – Quale la sua attività dopo lo
scioglimento – Quali le sue prospettive attuali
Minuta in AOMV
C4,123:I
La minuta di mano Lanteri si presenta con molte cancellature, rifacimenti, correzioni ed aggiunte di mano Reynaudi e
Loggero. Abbiamo seguito la redazione finale, che non porta più cancellature o correzioni, ricopiata dal Loggero.
Il documento è importante, oltre tutto, anche per i molti particolari storici sulla prima fondazione degli Oblati, forniti
direttamente dai protagonisti principali della vicenda.
C4,123:T1
Promemoria
All'occasione del felice ritorno di S.M. Vittorio Emanuele Re di Sardegna dopo la passata
Rivoluzione alcuni Ecclesiastici osservando il bisogno dei popoli, la scarsità di Sacri Ministri, ed il
ritardo del ristabilimento dei Regolari, progettarono di radunarsi in Congregazione sotto il titolo di
Oblati di Maria Ss. per attendere seriamente avanti ogni cosa alla santificazione propria, indi a
quella altrui, 1. con il consacrarsi in modo speciale a dare i S. Esercizi secondo il metodo di S.
Ignazio, per risvegliare la fede così combattuta in questi tempi, e riformare generalmente i costumi
con attendere nello stesso tempo indefessamente all'amministrazione dei Sacramenti
promuovendone la frequenza; 2. con la cultura degli Ecclesiastici per formarne buoni Parroci e
Ministri; 3. con applicarsi a ben conoscere e combattere gli errori correnti degli Increduli e dei
Novatori; 4. con farsi un impegno particolare di conoscere essi, e far conoscere agli altri, i migliori
libri, massime polemici ed ascetici, e promuoverne in ogni modo la circolazione e la lettura, giusta i
diversi bisogni di cultura delle anime per lo spirito e per il cuore.
La Congregazione è composta 1. degli stessi Oblati di Maria Ss., i quali sono i membri della
Congregazione; 2. degli Aggregati esterni per poter con maggior frequenza e successo dare i S.
Esercizi; 3. di Convittori per concorrere a formare buoni Ministri.
Professano gli Oblati 1. una devozione speciale a Maria Ss., che riguardano come loro speciale
Istitutrice e Maestra, motivo per cui amano chiamarsi di Lei Oblati; 2. un attaccamento speciale alla
S. Sede, e a tutte le sue decisioni, quale caratteristico del vero Cattolico, e quale unica norma per
non errare in materia di dottrina e d'insegnamento.
Per eseguire tutti questi loro disegni, ottennero dall'Apostolico e Regio Economato, e dal Governo
nel 1816 nella Città di Carignano il locale del Convento dei Padri Agostiniani della Congregazione
di Lombardia, massime non comparendo allora speranza del ristabilimento di quei Religiosi.
C4,123:T2
Fu nello stesso tempo legittimamente eretta la Congregazione con il titolo di Oblati di Maria Ss. con
Decreto di Mgr. Vicario Capitolare Emanuele Gonetti, il quale ne approvò poi anche le Regole con
altro Decreto 12 agosto 1817.
Avevano intanto già avuta la consolazione di ottenere dal S. Padre Pio VII una qualche implicita
approvazione di ogni cosa per mezzo di un Breve del 7 marzo 1817, in cui si degnò d'accordare e
confermare alla loro Chiesa (la quale S.S. chiama in detto Breve Chiesa della pia Congregazione de'
Sacerdoti Secolari volgarmente detti Oblati di Maria Ss.) appartenente una volta ai Religiosi
Eremitani di S. Agostino, tutte le Indulgenze, che godevano innanzi i detti Religiosi.
Quindi per perpetuare in detta Congregazione questo Spirito, e procurarle la maggiore solidità,
ricorsero sul principio del 1819 a S.S. perché si degnasse di espressamente confermare il loro
Istituto, e le loro Regole.
Riferitosi l'affare nella S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, la Medesima avendo letto le
favorevoli notizie di Mgr. Emanuele Gonetti Vicario Capitolare della Diocesi, ed in vista della
legittima erezione, scrisse a Mgr. Chiaveroti Vescovo d'Ivrea nominato allora Arcivescovo di
Torino pro magis accurata, et diligenti informatione, degnandosi Mgr. Guerrieri, in quel tempo
Segretario della Medesima S. Congregazione, di significare all'Ill.mo Sig.r Marchese Taparelli
d'Azeglio in data del 13 febbraio 1819, il quale con molto zelo s'interessava in Roma per
quest'affare, che si era scritto a Monsignor Arcivescovo solo per maggior decoro, sicurezza, ed
anche convenienza verso il nuovo Capo della Diocesi.
C4,123:T3
Siccome però Monsignor Arcivescovo nutriva il progetto, ed aveva gran desiderio di vedere nella
sua Diocesi di Torino l'Istituto degli Oblati di S. Carlo per avere così dei Soggetti a scelta per gli
impieghi ecclesiastici da conferirsi nella Diocesi, facendo quelli il voto di non ricusarne alcuno; non
giudicò di secondare le viste degli Oblati di Maria Ss., benché potessero già riguardarsi come
legittimamente istituiti, e si protestasse, che non aveva motivo onde poterli rimproverare.
Vedendosi intanto gli Oblati nell'impossibilità di continuare in Congregazione, perché non essendo
secondati dal Superiore Ecclesiastico, sarebbero mancati i Soggetti in avvenire, presero il partito di
ritirarsi, determinati, ciò nonostante, di continuare nella loro intrapresa carriera di fare i S. Esercizi,
e conservare lo Spirito della Congregazione, siccome fecero tuttora contandosi infatti oltre le mute
d'Esercizi date nei primi 4 anni che vissero in Congregazione, cioè sino a tutto maggio 1820, oltre
centoventinove mute d'Esercizi date d'allora sino a tutto aprile corrente anno 1826.
Inoltre distribuirono più di 18.000 volumi in occasione dei suddetti Esercizi, sia per stabilirne il
frutto e promuovere la pietà, sia per far argine agli errori correnti massime contro il dogma, e contro
l'autorità Ecclesiastica e Civile, sempre solleciti a rimuovere i libri di tale genere, e sostituirne altri
in difesa. Frattanto essendo noti a tutti i copiosi frutti, che per la continua e sempre più chiara
benedizione di Maria Ss. riportavano nelle loro indefesse apostoliche fatiche, furono già da qualche
Vescovo richiesti di stabilirsi nella sua Diocesi, ma per trovarsi allora troppo scarsi di soggetti,
perché chi era morto, e chi era entrato in altra Religione, loro non pareva ancora il tempo opportuno
di riunirsi in Congregazione.
C4,123:T4
Ora però cresciuto il numero dei Soggetti non si sentono più di resistere ai tanto amorevoli ed
urgentissimi inviti, con i quali li desidera a sé vicini il tanto da essi ammirato zelantissimo
Monsignor Vescovo di Pinerolo.
Siccome per altro nel loro principio non stimavano cosa prudente legarsi con voto a causa delle
circostanze dei tempi, e dei forti pregiudizi rimasti per la passata Rivoluzione, quantunque
procurassero sempre d'osservarne esattamente lo Spirito, come si erano prefissi; ora cambiatisi i
tempi e le circostanze, i membri di questa Congregazione bramano ardentemente questa riunione
con il vincolo però dei tre voti semplici di povertà, castità, ed ubbidienza, unitamente al voto di
perseveranza nella Congregazione, dispensabili solo dal S. Pontefice, o dal Rettor Maggiore della
Congregazione. In seguito a quest'addizione dei voti, adottarono quasi in tutto le Regole relative ai
voti del B. Liguori, e la sua forma di Governo.
Presentemente supplicano umilmente S.S. dell'Approvazione del loro Istituto, attesa la maggior
gloria di Dio, ed il loro maggior vantaggio spirituale, come pure per procurare specialmente quella
maggiore stabilità alla loro Congregazione, che altrimenti non potrebbero lusingarsi di ottenere.
C4,126:S
Lanteri al papa Leone XII
aprile 1826
Supplica per ottenere l'approvazione dell'istituto e delle Regole
Copia in AOMV, S. 7,1,3:0
C4,126:I
È la prima supplica presentata dal Lanteri per avere l'approvazione pontificia. Alla supplica seguiva il seguente rescritto
della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari:
“Sacra Congregatio a Sanctissimo Domino Nostro Leone XII particulariter deputata die 9 junii Eminentissimorum et
Reverendissimorum S.R.E. Cardinalium Sacræ Congregationis Episcoporum, et Regularium negotiis præposita Pacca
Præfecti, Pallotta, Pedicini, et Domini Secretarii ejusdem S. Congregationis cum voto, visa postulatione Episcopi
Pinaroliensis, nec non veneratis officiis iterato porrectis Sanctæ Sedi ex parte pientissimi Regis Sardiniæ, et perpensis
Regulis Instituti sub titulo Oblatorum Beatæ Mariæ Virginis in dicta Civitate noviter erigendi, consideratis
considerandis, rescribendum censuit prout rescripsit: ‘Supplicandum Sanctissimo pro approbatione Instituti, et
Regularum, præviis illarum emendationibus et correctionibus juxta modum’, Romæ 15 julii 1826.
Et facta de præmissis relatione Sanctissimo Domino Nostro a me infrascripto Cardinali Præfecto ejusdem Sacræ
Congregationis in audientia diei 22 augusti ipsius anni, SANCTITAS SUA Institutum prædictum sub titulo Oblatorum
Beatæ Mariæ Virginis, nec non Regulas cum emendationibus et correctionibus secundum resolutionem Congregationis
deputatæ, in omnibus benigne approbavit, voluitque insuper Sanctitas Sua præsens Decretum, et Apostolicam
Concessionem expediri etiam per Litteras Apostolicas in forma Brevis. Romæ etc.
B. Cardinalis Pacca Præfectus
Petrus Arcipresbiter Adinolfi Subsecretarius”
C4,126:T
Beatissimo Padre
I Sacerdoti della Congregazione degli Oblati di M.V. eretta con facoltà ordinaria l'anno 1816 nella
Città di Carignano Diocesi di Torino, attesero indefessamente per 5 anni uniti insieme in detta Città,
e per altri 5 anni separatamente, uniti soltanto di spirito, e sempre sotto la stessa direzione a dare
secondo il loro Istituto gli Esercizi di S. Ignazio, spargere libri buoni, procurando di formare buoni
Operai Evangelici.
Vengono ora con premura invitati da Monsignor Vescovo di Pinerolo a riunirsi nella sua Diocesi:
ansiosi essi di secondare i desideri di un tanto Prelato, massime all'occasione di questo S. Giubileo,
per loro maggior vantaggio spirituale, e per il bene della Congregazione, aggiunsero al loro primo
Istituto i tre soliti voti semplici perpetui con quello di permanenza, adottando le Regole relative a
questi voti, e la forma di Governo della Congregazione del Ss. Redentore approvata da Benedetto
XIV*1.
Supplicano pertanto umilmente Vostra Santità della grazia dell'approvazione specifica dell'Istituto e
delle Regole, per procurare alla loro Congregazione quella necessaria stabilità e buon successo, che
altrimenti non potrebbero sperare*2.
Che della grazia etc.
C4,126:*1
Il Vescovo di Pinerolo, Mons. Rey, aveva chiesto l'approvazione della Congregazione con supplica
presentata a Leone XII in data 10 settembre 1825 (lettera Rey a Lanteri della stessa data).
C4,126:*2
Una seconda supplica fu poi presentata dal Lanteri a Leone XII nel luglio 1826, per ordine di Mons.
Marchetti, con inclusa richiesta di inserire nella Regola il giuramento di S. Ormisda, ma tale
supplica, non autorizzata dal Papa, anzi in contrasto con le sue intenzioni, fu poi fatta ritirare dal
card. Pacca.
C4,133:S
Lanteri alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari
3 giugno 1826
Eventuali locali di abitazione offerti da Vescovi del Piemonte che gli Oblati potrebbero accettare come centro della loro
Congregazione
Minuta in AOMV, S. 7,1,3:0
C4,133:I
Una delle condizioni imposte da Roma – condizione richiesta dalla prassi giuridica in uso – era che la nuova
Congregazione avesse un domicilio stabile, ma vivendo gli Oblati superstiti nelle loro abitazioni private, tale domicilio
non esisteva ancora: questo ostacolo, se non tempestivamente superato, avrebbe fermato e rimandato sine die tutte le
pratiche per l'approvazione.
Delle case menzionate in questa “dichiarazione” nessuna fu in seguito accettata dal Lanteri. Mons. Rey, che avrebbe
veduto volentieri gli Oblati installati nell'ex convento dei Carmelitani del Colletto (offerta non accettata dal Lanteri per
la lontananza da Pinerolo), e che in caso di emergenza era disposto ad accettare gli Oblati anche nel suo palazzo
vescovile, iniziò subito, mentre il Lanteri era ancora a Roma, le pratiche per l'acquisto dell'ex convento di San
Francesco a Pinerolo, appartenente ai Conventuali, che pagò personalmente anticipando la somma necessaria: ma anche
quest'ultimo locale venne in definitiva scartato per le difficoltà che abbiamo accennato altrove.
C4,133:T
Dichiarazione
Dichiaro io sottoscritto che gli Oblati di Maria Ss., oltre l'offerta presente di chiesa e locale a Santa
Maria del Colletto vicino alla Città di Pinerolo, Convento già dei PP. Carmelitani calzati della
Provincia del Piemonte, loro fatta da Monsignor Rey Vescovo di Pinerolo, ebbero pure, e sarebbero
in tempo d'accettare l'offerta del locale del santuario di Maria Vergine in Monchiero con reddito
sufficiente, ed un altro annesso alla chiesa detta della Madonna del popolo nella Città di Cherasco,
ambedue locali nella Diocesi d'Alba, il Vescovo della quale, Monsignor Nicola, nulla più desidera
che di vedere la Congregazione stabilita nella sua Diocesi, e sovente volte richiese egli stesso gli
Oblati per darvi gli Esercizi, accordando a tutti essi tutte le facoltà comunicabili per tutta la sua
Diocesi, e senza limite di tempo; ne diedero infatti n. 32 mute in pochi anni, oltre tante altre che non
poterono accettare per la mancanza di soggetti, e la moltiplicità di altre ricerche, come può vedersi
nell'Elenco degli Esercizi dati. Ne ebbero recentemente la richiesta ancora da Monsignor
D'Angennes Vescovo d'Alessandria con offerta di chiesa vasta e Convento; e sono certo che, appena
verrà a notizia di Monsignor Sappa Vescovo d'Acqui lo ristabilimento della Congregazione, subito
offrirebbe pure qualche altra fondazione nella sua Diocesi.
Se non si accettarono tali offerte, fu per mancanza di soggetti, poiché oltre all'essere pochi quando
si ritirarono a causa delle difficoltà già altrove accennate, due ne morirono, e due entrarono nella
Compagnia di Gesù, onde agli Oblati, che restarono, convenne applicarsi a formare altri soggetti,
come fecero, di modo che ora oltre gli otto Sacerdoti già uniti e sottoscritti nell'ultima elezione del
Superiore, ve ne sono più di altrettanti, eziandio, disposti ad entrarvi subito che la Congregazione
sia resa stabile con la pontificia approvazione. E perciò c'è fondamento di credere che in pochi anni
si potrebbe stabilire altre case; ed allora sarà anche più facile avere altri concorrenti.
In fede
Roma li 3 giugno 1826
A nome di tutta la Congregazione
Pio Brunone Lanteri Sacerdote Teologo
C4,136:S
Lanteri al conte Rodolfo de Maistre
11 giugno 1826
Buon andamento delle pratiche romane per l'approvazione pontificia degli Oblati
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:42a
C4,136:T
Li 11 giugno [1826, da Roma] al C.e Maistre
Spero che V.S. Ill.ma non avrà attribuito a mia incuria il non averla più ragguagliata del nostro
affare dopo l'ultima mia del 24 aprile. Dalla qui inclusa a Monsignor V. [Vescovo] di Pinerolo che
le trasmetto aperta ne vedrà le ragioni e lo stato dell'affare. Al certo abbiamo ben occasione
d'ammirare l'impegno e l'attività a nostro riguardo di S.E. il Sig. M.se Crosa, cui non possiamo
abbastanza dimostrare la nostra riconoscenza. Una prova di questo è che avantieri Monsignor Arciv.
Marchetti, Segretario della Congregazione, avendo riferito ex officio l'affare a S.S. il Papa, gli disse
che già il Ministro di S.M. Sarda gliene aveva più volte parlato con impegno, ed ora giacché l'affare
sembra prendere buona piega, pensa S.E. di procurarci la grazia di poterci presentare a S.S. per
mezzo di S. Em. il Card. della Somaglia.
Intanto se V.S. Ill.ma volesse compiacersi anche di sollecitare presso Monsignor di Pinerolo la
spedizione dell'atto autentico della remissione del locale indicatoci, ci renderebbe un gran servizio*1.
Questo è quanto ho l'onore di parteciparle per ora.
Intanto la supplico di far gradire i miei più umili ossequi a tutta la sua Deg.ma Famiglia. Con i
sentimenti più sinceri di considerazione e di riconoscenza le sono…
C4,136:*1
Il locale indicato è l'ex convento di San Francesco a Pinerolo, che poi come si è detto fu dovuto
abbandonare. Vedi nota 2 alla lettera seguente.
C4,137:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
11 giugno 1826
Buon andamento delle pratiche romane – Richiesta dell'atto di acquisto della casa di San Francesco a Pinerolo
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:42b
C4,137:T1
Li 11 giugno [1826, da Roma] a Monsignor Rey Vescovo di Pinerolo
Perdoni se dall'ultima mia in data del 27 aprile non ho più dato a V.S. Ill.ma e Rev.ma alcun
ragguaglio del nostro affare. Non abbiamo mai potuto presentarci da S. Em. il Card. Pacca, Prefetto
della S. Congregazione de' Vescovi e Regolari, fino all' 11 maggio, perché fu sempre assente da
Roma a causa del possesso che doveva prendere della nuova sua Diocesi di Civitavecchia. Appena
giunto gli abbiamo consegnato una lettera di raccomandazione di Monsignor Lambruschini, e ci
accolse con tutta la bontà, e dimostrando tutto l'interessamento per la nostra causa, e abbiamo
procurato di delucidare tutte le difficoltà, né abbiamo trascurato alcun annesso per promuovere il
nostro affare; e in modo particolare S.E. il Sig.r M.se Crosa si adoperò per stimolarne l'esito.
Finalmente li 9 corrente se n'è parlato a S.S. che si è degnata di accordarci una deputazione speciale
di 3 Cardinali per esaminare l'affare, e si nominarono il Card. Pacca, il Card. Pedicini ed il Card.
Pallotta*1. Frattanto Monsignor Marchetti, Arciv.o di Ancira Segretario della S. Congregazione, ci
ha detto essere necessario specificare nel Decreto della pontificia approvazione quale residenza
accordata l'esistenza della Casa della Congregazione degli Oblati di Maria Ss., e per questo era
necessario che producessimo un monumento autentico della remissione di questa Casa (cioè del
locale e chiesa con tutte le sue denominazioni) destinata da V.S. Ill.ma e Rev.ma alla
Congregazione degli Oblati*2, di cui, come sa, sono io il Rettor Maggiore, benché soggetto il più
indegno ed inutile, e gli altri membri Sacerdoti sono specificati e segnati nella copia che
trasmettiamo dell'ultima elezione del Superiore, riservandoci l'originale per presentarlo all'uopo*3.
C4,137:T2
Supplichiamo dunque V.S. Ill.ma e Rev.ma di degnarsi di spedirci al più presto questo atto
autentico di remissione in possesso del suddetto locale e chiesa, per sollecitare maggiormente
l'affare. Che se stimasse insistere alcun poco, qualora giudichi scrivere all'Em. Card. Pacca sul
bisogno d'aver presto degli Operai nella Diocesi per il corrente Giubileo*4, sono certo che questo
gioverebbe non poco per tale fine, rincrescendomi difatti moltissimo di lasciare a questo riguardo
qui ozioso Sig. D. Loggero, e per me sarebbe anche un servizio che mi renderebbe, perché soffro
più che mai di mia salute.
Perdoni del disturbo non piccolo che le procuriamo, ma sono certo che il suo zelo così grande per la
gloria di Dio, e salute delle anime, lo renderà superiore a tutto. Intanto con i sentimenti della più
grande venerazione e riconoscenza, in un con D. Loggero, le baciamo le sacre mani, le chiediamo la
sua pastorale benedizione, e protestandomi…
C4,137:*1
Questi tre cardinali – tutti e tre creati da Pio VII – saranno ricordati spesso nella corrispondenza del
Lanteri. Il card. Bartolomeo Pacca (Benevento 1756 – Roma 1844) era una vecchia conoscenza del
Lanteri ancora dal tempo in cui il cardinale era stato relegato nella fortezza di Fenestrelle per la sua
fedeltà a Pio VII prigioniero a Savona (era un “cardinale nero”). Il card. Carlo Maria Pedicini
(Benevento 1769 – Roma 1843) era segretario di Propaganda Fide, e il card. Antonio Pallotta
(Ferrara 1770 – Roma 1834) era uditore della Camera Apostolica (HC, VII, 7, 15).
C4,137:*2
La “casa” in questione era l'ex convento dei francescani conventuali di Pinerolo, abbandonato
durante la rivoluzione, e dopo l'incuria di tanti anni, nel 1826, in uno stato fatiscente (ragione per
cui il Lanteri non potrà trasportavi la sua piccola comunità). Era stato acquistato da Mons. Rey per
conto degli Oblati per la somma di lire 23.000, v. lettera Rey a Lanteri del 4 luglio 1826 (Carteggio,
IV, 147-148).
C4,137:*3
Allusione all'atto di elezione del “Superiore degli Oblati di Maria Santissima”, fatta a Torino
nell'abitazione del Lanteri il 6 ottobre 1825 e firmato, oltre che dal Lanteri, da altri sette confratelli,
Carrera, Loggero, Pallavicini, Craveri, Reynaudi, Ferrero, Botto (Positio, 409-410). Come si è già
detto, fu quello il primo atto della rinata Congregazione degli Oblati.
C4,137:*4
In occasione del giubileo del 1826 Mons. Rey volle dare una missione cittadina nella cattedrale di
S. Donato a Pinerolo e ne affidò la predicazione agli Oblati. Furono scelti dal Lanteri i padri
Loggero, Reynaudi, Craveri (ancora parroco a Andezeno) e Enrico Simonino. Ascoltiamo il
Gastaldi: “Il santo Vescovo [Rey] li accolse come i mandati da Dio, e non vi fu prova di amore e di
rispetto, che loro non desse sia in pubblico sia in privato. Non li volle in altra casa che nel proprio
palazzo, considerandoli come i cari suoi figli, e sperandone dalle loro fatiche un grande vantaggio
per la sua città. Non contento di pascere le sue pecorelle colle parole altrui, le pasceva col suo
proprio esempio, assistendo a tutte le prediche che facevano i missionari, e le nutriva ancora colle
sue parole medesime, avendo alcune volte nel decorso della missione predicato egli medesimo al
popolo per maggiormente confermare colla sua autorità quanto insegnavano i predicatori. […] Il
Signore benedisse le fatiche dei suoi servi; il concorso straordinario del popolo che s'affollava nella
cattedrale ed intorno ai tribunali di penitenza mostrava pure come Iddio per mezzo della santa
missione trionfava di molti cuori […]. Oltre a molti allontanati dai loro disordini, cessati pubblici
scandali e bruciata dai missionari una gran quantità di libri cattivi, ciò che maggiormente consolò il
vescovo ed i predicatori fu il ritornare che fecero sulla buona strada molti o incautamente o
miseramente caduti negli inganni delle società segrete. […] furono consegnati al Vescovo i
catechismi della setta, i diplomi di aggregazione, le stole, ecc.…” (Gastaldi, 277-278).
C4,139:S
Lanteri al marchese Cesare d'Azeglio
11 giugno 1826
Buone notizie riguardanti la pratica dell'approvazione degli Oblati – Un nuovo libro di Mons. Giovanni Marchetti da
stamparsi dall'Amicizia Cattolica di Torino
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:45
C4,139:I
La minuta di mano Lanteri non reca indicazione né di data né di destinatario, ma dal contesto è facile dedurre l'una e
l'altra.
C4,139:T
Nell'ultima mia ho significato a V.S. Ill.ma non troppo buone nuove sul nostro affare. Oggi ho il
piacere di significargliele ottime.
Li 15 corrente si tenne la S. Congregazione speciale di 3 Cardinali, Pacca, Pedicini e Pallotta, e M.
[Monsignor] M. [Marchetti] Segretario con voto. In essa il nostro affare fu approvato plenis votis;
ieri sera se n'è fatta la relazione a S.S. [Santità] da Monsignor M. [Marchetti], che si degnò di
approvarla in tutto, e confermarla. Ora non rimane che attenderne la spedizione, la quale, per causa
delle richieste formalità, porterà ancora del tempo, di modo che non possiamo peranco fissare la
nostra partenza.
Intanto profitto di quest'occasione per parteciparle che Monsignor Marchetti più volte mi domandò
se aveva avuto risposta da V.S. Ill.ma di quanto le aveva chiesto per parte sua riguardo al suo
manoscritto, cioè se è passato alla revisione e se si stampa, essendo ansioso di saperne il risultato, o
almeno vorrebbe che gli si restituisse il manoscritto*1.
Perdoni se le reco questo disturbo, non potevo esimermi da questa commissione, tanto più che
siamo molto tenuti verso questo Prelato per averci ultimamente molto favorito nel nostro affare.
La prego dei miei più distinti ossequi all'Ill.ma Sig.ra M.sa. Mi raccomando caldamente alle loro
ferventi preghiere, e con i sentimenti della più grande stima e riconoscenza…
C4,139:*1
L'ultima opera di Mons. Giovanni Marchetti era stata Della Chiesa quanto allo stato politico della
città, in tre voll. pubblicati tra il 1817 e il 1824, i primi due pubblicati a Roma presso la tipografia
Contedini tra il 1817 e il 1818; il terzo ed ultimo a Rimini (dove il Marchetti aveva delle
conoscenze essendovi stato per qualche tempo vescovo) presso Marsoner e Grandi nel 1824. In
quest'opera il Marchetti sosteneva con grande impegno e con forza le tesi guelfe e oltramontane che
gli erano tanto care e che collimavano in pieno con quelle del Lamennais, ma che erano viste con
una certa diffidenza (e non a torto) dall'autorità ufficiale. Della pubblicazione di quest'opera, che ha
una sua interessante vicenda, ci parla una lettera del marchese Lucchesini a Giuseppe Baraldi: “Il
Marchetti aveva scritto un'opera intitolata Della Chiesa quanto allo stato civile, conferenze di
ragion pubblica. È stampata la prima parte in Roma da Lino Contedini 1817, in 8o,
coll'approvazione dei Prelati Fassoni e Busti e coll'imprimatur solito del vicegerente e Maestro del
Sacro Palazzo. Ma quando volle stampare la seconda parte non gli fu permesso. Egli allora venne
qui [a Lucca] per pubblicarla coi nostri torchi, e presentò a me il manoscritto essendo io allora il
censore delle stampe per il Governo. Pio VII però, o il Card. Consalvi immaginando ciò, scrisse alla
Regina affinché impedisse la stampa, onde io restituii l'originale, non avendone ancora terminata la
lettura. Ecco il motivo di questo impedimento. Il Marchetti nella seconda parte proponeva che
insorgendo dispute tra un Sovrano ed i suoi sudditi si scegliesse arbitro il Papa. È facile conoscere il
motivo per cui dispiaceva al Papa che siffatta posizione fosse proposta e sostenuta da un Prelato
addetto alla sua corte…” (citata in S. Fontana, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830),
Brescia 1968, 300-301).
Non sappiamo esattamente di quale nuovo manoscritto del Marchetti inviato al D'Azeglio, qui si
parli, ma le difficoltà per la stampa pare che debbano essere state le medesime. Un mese dopo
questa lettera scoppierà la vertenza Lanteri-Marchetti in riferimento all'approvazione pontificia
degli Oblati e il conseguente siluramento del Marchetti che dovette abbandonare Roma e ritirarsi a
vita privata.
C4,141:S
Lanteri alla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari
27 giugno 1826
Quale l'origine, le vicende, gli scopi e le future aspirazioni della Congregazione degli Oblati
Minuta in AOMV, S. 7,2,3:0
C4,141:I
Deve trattarsi della prima stesura del Pro-memoria presentato alla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari, dietro sua
richiesta, in vista dell'approvazione pontificia. Nelle note d'archivio non si ha nessuna indicazione cronologica, si dice
soltanto l'anno (1826), ma dal Diario del P. Loggero (AOMV, S. 1,9,5:360) pare che questo scritto sia stato consegnato
al card. Pallotta il 27 giugno 1826 (in Positio, 463).
C4,141:T1
Memoria sull'origine, e stato della Congregazione degli Oblati di
Maria Ss.
C4,141:T1
Già da 40 anni…
Già da 40 anni e più alcuni Ecclesiastici in Torino uniti in amicizia, sommamente addetti alla S.
Sede, e solleciti a procurare simile attaccamento anche negli altri Ecclesiastici, diretti per molti anni
da un celebre missionario Gesuita il P. Diessbach conosciuto per le sue opere piene di zelo, si
occupavano a dettare gli Esercizi di S. Ignazio, ed a conoscere e spargere libri buoni*1.
Per perpetuare quest'impresa dieci anni fa formarono una Congregazione nella Città di Carignano,
Diocesi di Torino, detta degli Oblati di Maria Ss., composta di membri Congregati, di Esteri
aggregati per concorrere a dare Esercizi, e confessare in tali occasioni, ed Ecclesiastici Convittori
per formarli buoni operai, però senza voti.
Il loro primo scopo fu dare senza retribuzione alcuna gli Esercizi secondo il metodo di S. Ignazio, in
cui nelle meditazioni si espongono le verità principali del Simbolo, si risveglia negli Uditori una
fede più viva, e scoprendone le conseguenze pratiche, in poco tempo si istruiscono, e si muovono
efficacemente a riformarsi, e perfezionarsi giusta le tre vie, purgativa, illuminativa e unitiva. Nelle
Istruzioni poi, e nei Catechismi vengono istruiti ancora quanto basta sul Decalogo, e sui Sacramenti
della Penitenza ed Eucaristia.
Il secondo scopo fu oltre la parola viva, servirsi pure della parola scritta, cioè dei libri buoni, altro
canale per promuovere la cognizione e la pratica delle verità di nostra santa Religione, e mezzo
molto efficace per scoprire e combattere gli errori correnti, e per ritirare e premunire dai medesimi
chi ne abbisogna.
C4,141:T2
Perciò si occupano principalmente a conoscere e radunare simili libri, a farli conoscere, e spargerli
massime fra gli Ecclesiastici; occupazione, di cui conobbero talmente l'efficacia i nemici della
Religione, che adoperarono in questi ultimi tempi ogni mezzo per procurare uno sterminio
universale dei libri buoni in ogni genere, e sostituirvi una inondazione indicibile di libri cattivi
contro il costume, e contro la sottomissione ad ogni autorità legittima, Ecclesiastica e Civile.
Questa Congregazione fu eretta ed approvata con Decreto del Vicario Capitolare della Diocesi di
Torino li 13 novembre 1816, e nell'anno seguente ne approvò pure le Regole. Fu gradita, ed
implicitamente approvata dal S.P. Pio VII, che la benedì, e favorì con due Brevi di Indulgenze
accordate alla chiesa di detta Congregazione sotto il nome di Oblati di Maria Ss., in data del 7 e 10
marzo 1817, oltre due altri Rescritti, uno della facoltà di erigere la Compagnia dei 7 Dolori di M.V.
sottoscritto dal Cardinale Galeffi 16 febbraio 1818, l'altro di dire la Messa votiva all'altare del Ss.
Rosario, sottoscritto dal Cardinal Della Somaglia 26 gennaio 1819.
Nello stesso mese ed anno la Congregazione degli Oblati di Maria Ss. supplicò S.S. Pio VII della
sua formale approvazione, che rimise l'affare alla S. Congregazione de' Vescovi e Regolari, la quale
in febbraio di detto anno si dimostrò favorevole, e ne scrisse a Mons. Chiaveroti eletto Arciv.o di
Torino li 21 dicembre 1818, per maggior decoro, sicurezza, ed anche convenienza verso il nuovo
Capo della Diocesi, come si può vedere dalle lettere di S. Em. il Cardinale Galeffi, e di Mons.
Guerrieri Segretario della S. Congregazione all' Ill.mo Marchese D'Azeglio. Monsignor
Arcivescovo di Torino allora si dichiarò con gli Oblati di Maria Ss., che li avrebbe protetti soltanto
se si fossero dichiarati Oblati di S. Carlo, affinché si obbligassero come questi ad accettare ogni
impiego, mentre il loro istituto li escludeva tutti a fine di poter attendere con maggior frutto al loro
scopo.
C4,141:T3
Gli Oblati di Maria Ss.…
Gli Oblati di Maria Ss. non sentendosi disposti a cambiare Istituto e Regole, e vedendo non poter
più sussistere la Congregazione, perché mancando l'assistenza del prelodato Mgr. Arcivescovo,
mancavano pure i Soggetti, alieni da ogni impegno, prescindettero dal restare materialmente uniti,
ma continuarono ad esserlo formalmente, sebbene dispersi e ridotti a piccolo numero, a guisa degli
Oblati per le Missioni urbane, e suburbane di Genova, continuando d'accordo a dare Esercizi, e
spargere libri buoni, seguendo la direzione di chi riguardavano sempre come Superiore.
La prova del frutto riportato (oltre un numero grande di Esercizi dati, e di libri sparsi da trent'anni
prima dagli Autori della Congregazione) è d'aver dato da 10 anni in qua 191 mute di Esercizi con
riportare ogni volta molte conversioni d'anime, e risvegliare sovente le vocazioni allo Stato
Ecclesiastico e Religioso, oggidì così necessarie stante la scarsezza dei Sacri Ministri. Sparsero
inoltre più di 18.000 volumi di libri buoni senza fare menzione di molte edizioni dei medesimi
procurate, e promosse a fine di risvegliare e coltivare la pietà, e procurare la dovuta sottomissione
alle Decisioni ed ai Decreti della S. Sede, ed all'autorità Civile, con la consolazione d'averne veduto
sovente frutto grande.
Intanto in giugno dell'anno scorso 1825 Mgr. Vescovo di Pinerolo dimostrò il suo desiderio, e fece
istanze agli Oblati, che si riunissero nella sua Diocesi con esibire loro ancora il Locale. Questi
accettarono con somma riconoscenza i graziosi inviti di Monsignore, aggiungendo però al loro
Istituto e Regole i voti semplici di povertà, castità ed obbedienza, e di permanenza per loro
maggiore bene spirituale, e per vieppiù assicurare lo stabilimento della Congregazione, e adottarono
relativamente ai detti voti le Regole del B. Liguori con la sua forma di Governo con qualche
modificazione richiesta dalle circostanze dei tempi e dei Paesi, bramandone prima l'approvazione
pontificia.
C4,141:T4
Nel settembre susseguente Monsignor Rey approvò ogni cosa, e supplicò anch'egli S.S. per ottenere
il ristabilimento della suddetta Congregazione in Pinerolo. Essendo intanto quest'affare venuto a
notizia di S.M. Sarda, Essa dimostrò gradirla molto, ed incaricò in ottobre il Ministro degli Affari
Esteri di promuoverlo per ottenere, se così piaceva a S.S., la suddetta pontificia approvazione. Il S.
Pontefice rimise l'affare alla S. Congregazione de' Vescovi e Regolari, la quale in febbraio dell'anno
corrente 1826 manifestò a Mgr. di Pinerolo alcune difficoltà sulle eccezioni fatte alle Regole dei
voti, ed alla forma di Governo del B. Liguori.
Li 14 marzo corrente anno Mgr. Vescovo di Pinerolo trasmise alla S. Congregazione la risposta
degli Oblati, alcuni dei quali in seguito si portarono a Roma per delucidare più presto ogni
difficoltà, ed uniformandosi il più che potevano alle viste della S. Congregazione, presentano
umilmente alla Medesima le seguenti osservazioni*2…
C4,141:*1
“Quarant'anni e più” prima del 1826 ci portano al 1786, o ancor prima, cioè al tempo della
fondazione dell'Amicizia Cristiana per opera del P. Diessbach: il Lanteri ritorna spesso e volentieri
sul concetto del legame ideale tra l'attività delle Amicizie e quella della nuova Congregazione. Nelle
prime come nella seconda le finalità precipue erano la predicazione degli Esercizi e la diffusione dei
buoni libri. La linea apostolica del P. Diessbach non era terminata con la sua morte o con la fine
delle Amicizie, ma continuava sotto altre forme e con altro nome.
C4,141:*2
Il Pro-memoria continua ripetendo ciò che sarà detto in altro Pro-memoria del 7 luglio [cfr. doc.
Org 8.110] che risponde alle difficoltà mosse dalla S. Congregazione dei Vescovi e Regolari in
merito alla Regola di S. Alfonso, alla forma di governo e ad altri quesiti.
C4,146:S
Lanteri al papa Leone XII
8 settembre 1826
Supplica per la concessione dei privilegi della Congregazione del Ss. Redentore
Copia in AOMV, S. 5,3,16:294
C4,146:I
Pubblicata in Positio, 451-452.
La copia conservata in AOMV non porta indicazione di data, ma è posteriore al decreto del 22 agosto 1826 ricordato nel
testo. È quindi impossibile la datazione del 2 luglio del P. Calliari; abbiamo creduto bene fissarla all'8 settembre 1826 in
base a quanto si legge nel Diario di P. Loggero, il quale sotto quel giorno scrive: “Fummo a portare a S. Em. Pacca la
Supplica per i privilegi” (in Positio, 492).
Il rescritto di Leone XII fu firmato il 12 settembre seguente:
“Die 12 septembris 1826
Ex Audientia Sanctissimus Congregationis introscriptæ Superiorem Generalem, et Oblatos specialibus favoribus et
gratiis prosequens, omnia et singula Indulta, Privilegia, Indulgentias, exemptiones, et facultates Congregationi
Sanctissimi Redemptoris concessa, iisdem Oblatis, eorumque Ecclesiis, Capellis et Domibus, benigne communicat,
extendit, atque in perpetuum elargitur, cum omnibus clausulis et Decretis necessariis et opportunis.
I. Arch. Ancyranus Secretarius”
C4,146:T
Beatissimo Padre
Pio Brunone Lanteri Rettore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, già da Vostra
Santità con decreto 22 agosto del corrente anno 1826 graziata dell'approvazione specifica delle sue
Costituzioni e Regole, desunte, quanto ai voti e forma di Governo, da quelle del Beato Liguori,
prostrato ai piedi di Vostra Santità la supplica umilmente di accordare a questa sua minima
Congregazione tutti i privilegi, facoltà, indulti, esenzioni, indulgenze, ed altre grazie spirituali,
accordate dai Sommi Pontefici suoi predecessori, e specialmente dalla felice memoria di Pio VI con
il suo Breve del 21 agosto 1789 alla detta Congregazione del Ss. Redentore, ai suoi Superiori,
persone, chiese e Case, sia generalmente, sia specialmente, non solo accordate direttamente alla
detta Congregazione del Ss. Redentore, ma ancora quelle accordate per via di comunicazione con le
altre Congregazioni ed Ordini Religiosi, sia per i privilegi, facoltà, esenzioni, indulti, indulgenze, e
grazie già accordate, sia per quelle che potranno essere accordate in appresso, come sta espresso nel
detto Breve di Pio VI, di modo che la suddetta Congregazione degli Oblati di Maria Vergine possa
in avvenire usarne, valersene, e goderne liberamente e lecitamente, come se specialmente, ed
espressamente della stessa maniera ed egualmente a lei fossero state concesse ed accordate.
Che della grazia*1…
C4,146:*1
Leone XII aveva dimostrato personalmente verso il Lanteri e la sua attivà torinese una grande
simpatia. Era molto al corrente di quanto egli aveva fatto e faceva in Piemonte per la difesa dei
diritti della S. Sede e nella lotta contro i giansenisti e i regalisti. Ce lo conferma il Loggero nel suo
Diario sotto la data del 19 giugno 1826 riferendo l'udienza avuta presso Sua Santità:
“Siamo stati ammessi ai piedi di Sua Santità per mezzo dell'Em.mo Della Somaglia, cui ci
raccomandò S. Ecc. il Marchese Crosa. Il Sig.r Teologo ringraziò S.S. della Deputazione speciale
accordataci per l'esame dell'affare; cui rispose benignamente S.S. che aveva preso questa via come
la più spiccia; che erano affari lunghi di sua natura, e che Egli stesso avrebbe eccitato l'affare
quanto più si poteva. Ci si parlò dell'Università [di Torino], e della calunnia data all'Amicizia
Cattolica; oltre del disegno di compilare una raccolta delle Bolle Pontificie, delle ritrattazioni
seguite da 200 anni in qua; del bene che si faceva negli Esercizi; del bisogno di far conoscere i
buoni libri, e di formare buoni operai. Ci disse che avremmo potuto lasciare alcuno a nostra vece, e
non lasciare tanto bene in Piemonte, cui avendo risposto che non avevamo alcuno, ci disse che
questo era anche un bene e di gloria di Dio, e perciò restassimo pure in Roma finché fosse terminato
l'affare. Gli dicemmo che era necessaria l'approvazione come di Ordine Regolare, e ci disse che
sperava di poterci consolare, e che Iddio avrebbe benedetto l'opera sua. Il Sig.r Teologo fece i voti
semplici ai suoi piedi, e il S. Padre li ricevette, e ci licenziò consolatissimi” (in Positio, 461,
AOMV, S. 1,9,5:360).
C4,155:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
15 luglio 1826
Ricevuti i documenti di acquisto dei locali – Prime avvisaglie delle difficoltà che stanno sorgendo contro gli Oblati
Originale in AOMV, S. 2,16,7:370
C4,155:T
[Roma] 15 luglio [1826]
Al Vescovo di Pinerolo
Ammiriamo sommamente lo zelo e il cuore di V.S. Ill.ma e Rev.ma, né possiamo abbastanza
dimostrare la riconoscenza e gratitudine che le professiamo per quanto si è degnata di adoperarsi
per la nostra Congregazione; ne sia sempre benedetto e lodato il Signore, Autore di ogni bene.
Abbiamo ricevuto l'atto d'acquisto del convento di S. Fr. [Francesco] e la remissione che ne fa V.S.
Ill.ma e Rev.ma alla Congregazione degli Oblati di Maria in un con la lettera a S. Em. il Card.
Pacca, cui oggi rimetterò ogni cosa. Tutto va a perfezione, né potevamo dubitarne un momento
avendo da fare con un sì degno e accorto Prelato e Padre che già ci diede tante indubitate prove
dell'interessamento, ed affezione che porta alla nostra Congregazione. Del resto le siamo
infinitamente tenuti della graziosissima esibizione di prendere tutto in ogni caso a suo carico;
speriamo nel Signore che non ci troviamo mai nell'occasione d'esserle d'alcun aggravio e che la
paterna divina Provvidenza non ci mancherà mai.
Innumerevoli sono state finora le diverse vicende del nostro affare; da un giorno all'altro uscivano
nuove difficoltà e sospensioni d'operazione, senza aver noi mai trascurato alcun mezzo per
accelerarne e promuoverne il buon esito. Finalmente questa sera si farà presso S. Em. il Card. Pacca
la Congregazione deputata da S.S. [Santità] del Card. Pedicini e Card. Pallotta, unitamente a
Monsignor Marchetti Segretario che v'interviene anche con voto, e mi farò tutta la premura di
ragguagliare subito con il 1o corriere V.S. Ill.ma e Rev.ma dell'esito che avrà avuto, quale si spera
felice.
Gradisca intanto che le presenti per parte anche di D. Loggero i nostri più vivi sentimenti della più
alta riconoscenza, profonda venerazione, con cui le baciamo le sacre mani. Le domandiamo la sua
benedizione, e ci protestiamo…
C4,156:S
Lanteri al Vescovo Pietro Rey
18 luglio 1826
Vicende tristi e liete nelle pratiche romane – Speranza di una prossima felice conclusione
Minuta in AOMV, S. 2,16,7:371
C4,156:T
Ill.mo e Rev.mo Monsignore
[Roma] li 18 luglio 1826
Non mi accingo a narrare a V.S. Ill.ma le diverse difficoltà e vicende accorse e seguite nel nostro
affare, per non trattenerla inutilmente essendo cose affatto [inutili], bensì m'affretto a parteciparle la
consolantissima nuova del felice esito della Congregazione speciale indicatale nell'ultima mia, degli
Em. Cardinali che ebbe luogo la sera del 15 presso S. Em. il Card. Pacca, Prefetto della medesima,
poiché ivi il nostro affare fu molto lodato ed approvato in tutto; li 21 corrente se ne farà da
Monsignor Marchetti, Seg. [Segretario] della S. Congr., la relazione a S.S. [Santità] da cui si spera
la grazia della Segnatura, attenderemo quindi il Breve, e speriamo verso il fine del venturo [mese]
di trovarci a T. [Torino*1].
Dopo Dio e Maria Ss. dobbiamo tutto a V.S. Ill.ma e Rev.ma; ed infinita ed eterna sarà la
riconoscenza che le professerà la nostra Congregazione*2, ed occorrendole scrivere all'Ill.mo Sig.
C.e Maistre La preghiamo pure di ringraziarlo particolarmente a nome di tutta la Congregazione,
sebbene io abbia già procurato di farlo, perché egli fu che ci procurò le più potenti protezioni per far
riuscire questo nostro affare.
Intanto D. Loggero ed io le protestiamo i nostri più distinti sentimenti della più alta venerazione e
riconoscenza, e le baciamo umilmente le sacre mani, e chiedendole la sua pastorale benedizione…
C4,156:*1
Per la fine di agosto 1826 il Lanteri non potrà essere a Torino. Vi sarà esattamente un mese dopo,
viaggiando per via di terra, il 30 settembre (Diario Loggero, in Positio, 495).
C4,156:*2
Il Rey è stato uno strumento della Provvidenza, mandato nel momento giusto e nel modo giusto,
senza del quale la Congregazione non sarebbe mai uscita dall'impasse in cui si era venuta a trovare.
La riconoscenza degli Oblati verso il Rey doveva dunque a giusta ragione essere “eterna”, come
promette il Lanteri. Ma pare che dopo il 1832, quando il Rey fu traslato da Pinerolo a Annecy, la
riconoscenza degli Oblati si sia alquanto attenuata, come il Rey lamenta in qualche lettera a privati.
Cfr. A. Brustolon, L'azione missionaria degli Oblati di M.V., 345-347.
C4,157:S
Lanteri al Conte Rodolfo de Maistre
18 luglio 1826
Buone speranze di una sollecita approvazione della Congregazione – Spera di essere a Torino alla fine di agosto
Minuta in AOMV, S. 2,16,7:372
C4,157:T1
All'Ill.mo Sig. C. [Conte] Maistre
da Roma li 18 luglio [1826]
Perdoni se da molto tempo non ho più dato a V.S. Ill.ma alcun ragguaglio del nostro affare, perché
niente vi fu che meritasse la sua attenzione. In questo frattempo si esaminò minutamente da
Monsig. Marchetti Segretario della S. Congregazione ogni cosa, tutto fu delucidato, e si convenne
sopra ogni articolo. In questo mentre sopraggiunse con nostro rammarico al prelodato Monsig.
qualche incomodo di salute che portò con sé qualche ritardo. Giunse frattanto l'atto d'acquisto della
Casa di Pinerolo con l'atto di rimessione di essa alla Congregazione degli Oblati di Maria, che finì
di togliere ogni difficoltà, e giunse opportunamente in quel giorno del 15 che doveva farsi la
Congregazione speciale deputata da S.S. [Santità] in cui intervennero l'Em. Card. Pacca Prefetto
della Congregazione, e le Em. Card. Pedicini*1 e Pallotta*2, unitamente a Monsig. De Gregorio
Segretario della medesima, pure con voto. Li 15 a sera ebbe luogo la suddetta S. Congregazione e
quivi plenis votis fu lodata, ed approvata in tutto e plenis votis dagli Em.mi Cardinali la nostra
Congregazione degli Oblati di Maria. Li 21 se ne farà la relazione a S.S. che speriamo si degnerà di
confermare ogni cosa, ed allora nulla più ci rimane che attendere il desiderato Breve per partircene
subito, il che facilmente sarà fra due settimane, dovendo poi passare per Firenze e per Genova;
penso che il nostro arrivo a T. [Torino] sarà facilmente verso la fine del venturo mese.
C4,157:T2
Infinite poi sono, e indelebili saranno le obligazioni che professiamo a S. Ec. il Ministro Crosa; non
poteva certamente adoperarsi con maggior zelo ed attività per promuovere ed accelerare questo
nostro affare*3. Le stesse obbligazioni professiamo, eziandio, verso V.S. Ill.ma per le speciali sue
raccomandazioni verso il medesimo, con le quali ci procurò un tanto Benefattore. Somma pure ed
eterna sarà sempre la riconoscenza che professeremo verso S. Ec. il Barone Latore [De La Tour]
che prese così a cuore questo nostro affare*4, ne parlò con tanto interessamento a S.M. [Maestà*5] e
fu la prima e principale causa di un tanto Bene e delle presenti nostre consolazioni, ed a cui
brameremmo fossero noti questi nostri sentimenti.
La prego intanto dei miei più umili rispetti all'Ill.ma Sig.ra C. [Contessa] sua Madre, e sua
Consorte, e Degn.me sue Sorelle, quali ringrazio tutte di cuore delle preghiere da loro fatte per il
nostro affare; parteciperanno esse pure del bene che si farà nella nostra Congregazione.
E con i sentimenti della più alta stima e riconoscenza mi protesto…
P.S. Le unisco la lettera per Monsig. V. [Vescovo] di Pinerolo non sapendo ove indirizzargliela,
avendomi scritto che dovrà partire presto per Ciambery.
C4,157:*1
Card. Carlo Maria Pedicini, di Benevento, segretario della S. Congregazione di Propaganda, m. il
19 novembre 1843 (HC, VII, 15).
C4,157:*2
Card. Antonio Pallotta, di Ferrara, uditore generale della Camera Apostolica, m. il 18 novembre
1840 (HC, VII, 15).
C4,157:*3
Il marchese Crosa era stato sollecitato ad aiutare la causa del Lanteri anche, e in modo particolare,
dal de Maistre. Accanto al de Maistre non bisogna però dimenticare Mons. Luigi Lambruschini,
Mons. Rey, il cav. Luigi di Collegno e altri amici del Lanteri.
C4,157:*4
Il Conte Sallier de La Tour.
C4,157:*5
Sua Maestà re Carlo Felice.
C4,158:S
Lanteri all'arcivescovo Luigi Lambruschini
29 luglio 1826
Buon andamento delle pratiche romane – L'istituto già approvato “plenis votis” in data 15 luglio 1826
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:44a
C4,158:I
L'inquadratura storica di questa lettera ci è data dal Gastaldi, 282: “Con questi fausti auspici presentò Brunone al
sommo Pontefice [Leone XII] la supplica per l'approvazione dell'istituto; il santo Padre favorevolmente l'accolse e li 9
giugno deputò una particolare congregazione di cardinali con l'Arcivescovo di Ancira Mons. [Giovanni] Marchetti per
segretario, affinché esaminasse il nuovo istituto e le sue regole e costituzioni. La Congregazione deputata, per l'affetto e
la stima che tutti i suoi membri portavano a Brunone, compì il suo lavoro con molta sollecitudine, sicché, esaminata con
ogni esattezza le regole e costituzioni, nel 15 luglio successivo emanò il seguente decreto, ecc.”.
Ma questo primo decreto, per le diverse vicende che verremo esponendo a commento delle lettere e di documenti che
pubblichiamo in ordine cronologico, sarà poi infirmato dal Sostituto dei Brevi per l'intervento della stessa Segreteria di
Stato di Sua Santità, e dopo altre lunghe e laboriose pratiche, rifatto e definitivamente pubblicato in data 1 settembre
1826.
C4,158:T
Roma 29 luglio [1826]
A Monsignor Lambruschini
Dopo ben molte difficoltà, vicende, e timori riguardo all'affare della nostra Congregazione degli
Oblati di Maria, finalmente il Signore si degnò di benedirlo. S.S. [Santità] si compiacque di
deputare per questo una Congregazione speciale di S. Em. il Card. Pacca, Prefetto della S.
Congregazione, del Card. Pedicini, Card. Pallotta, e Monsignor M. [Marchetti] Segretario della
medesima con voto: il nostro Istituto fu in essa approvato plenis votis, S.S. si degnò di confermarne
la decisione, ed oggi ne abbiamo ricevuto il Decreto sottoscritto.
Mi faccio un dovere speciale di parteciparne subito V. Ec. stante l'interessamento particolare che
dimostrò per la nostra causa, ed i buoni uffici prestati presso S. Em. il Card. Pacca, ciò che
certamente contribuì moltissimo a far prendere in considerazione, ed a promuovere le nostre
domande*1. Dopo Dio dunque e Maria Ss. rendiamo a V. Ec. le più distinte grazie, e ci faremo un
pregio d'averla fra i nostri principali Protettori e Benefattori, né potendo altrimenti corrispondere a
tanta bontà ed interessamento, non mancheremo certamente d'averla sempre presente nelle nostre
comuni preghiere.
Fra pochi giorni (o due settimane) credo di poter partire da Roma con D. Loggero. Il mio pensiero è
di passare per Firenze, ove dovrò trattenermi qualche poco*2, indi nuovamente ripasseremo a
Genova, ove avremo l'onore di nuovamente ossequiare e ringraziare in persona V. Ec.
Intanto con i sentimenti più sinceri di una indelebile riconoscenza, e venerazione la più profonda, le
baciamo le sacre mani, ed ho l'onore di protestarmi…
C4,158:*1
In seguito alla lettera di raccomandazione di Mons. Lambruschini, il card. Pacca aveva risposto a
quest'ultimo in data 6 giugno 1826 con una lettera di questo tenore, conservata in originale in
AOMV, S. 1,12,34:918:
“Monsignore Stimatissimo, il Sig. Ab. Teologo Lanteri mi ha recato il pregiatissimo foglio, con il
quale Ella si è compiaciuta di accompagnarlo. Mi era abbastanza nota la pietà, e la dottrina di
questo Ecclesiastico, ed ho sentito non piccolo piacere di vedere da Lei confermate sì belle qualità
che lo distinguono. Per ciò che riguarda l'affare di cui è Egli incaricato, posso assicurarla, che si sta
ora esaminando, e che in me troverà le maggiori facilitazioni per vederlo ultimato a seconda dei
suoi desideri. Conosco purtroppo, che la Congregazione degli Oblati di Maria Ss. riuscirà utilissima
al Piemonte, non solo per eccitare il necessario fervore nel Clero, ma più ancora per guarire i non
pochi, che ne hanno bisogno, dai pregiudizi in materia di dottrina.
Desidero che Ella, Monsignor mio, mi porga frequenti incontri di piena sua soddisfazione, onde
farlo conoscere con i fatti, che io sono quale pieno della più sincera stima, e venerazione resto
baciandole di vero cuore le mani
Roma 6 giugno 1826.
Servitore vero ed amico
B. Card. Pacca”
C4,158:*2
“[…] per abboccarmi col P. Ricasoli”, cancellato nella minuta ed eliminato nel testo definitivo. P.
Luigi Ricasoli, S.J., era figlio del marchese Leopoldo Ricasoli, già direttore dell'Amicizia Cristiana
di Firenze (v. le lettere del Ricasoli al Lanteri).
C4,160:S
Lanteri alla marchesa di Saint-Michel
29 luglio 1826
Il “segreto” della missione Lanteri-Loggero a Roma
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:44b
C4,160:I
La marchesa di Saint-Michel, penitente del Lanteri, era sorella della contessa Luisa di Baldissero, grande benefattrice
della Congregazione (v. lettera della Baldissero a Lanteri dell'8 settembre 1827 e dell'8 gennaio 1829), e moglie del cav.
Federico di Saint-Michel (v. lettera di quest'ultimo a Lanteri del 23 gennaio 1828 e dell'8 marzo 1829).
C4,160:T
[Roma, 29 luglio 1826]
On [m'] a écrit que Madame la Marquise était bien en colère avec moi, et je ne doute pas qu'il en
participera comme de raison aussi le cher Chevalier Saint-Michel. Je confesse d'être bien fâché, et
d'autant plus fâché parce que vous en avez toute la raison; mais il arrive des circonstances que
malgré nous on ne peut faire autrement. Ce qui est sûr, nous ne vous avons jamais oubliés tous les
deux devant Dieu, parce que vos âmes me sont bien chères*1.
Actuellement je peux vous dévoiler tout le secret*2, qui était pour le passé de toute importance, si
pourtant vous ne le savez pas encore: nous sommes venus ici pour rétablir la Congrégation des
Oblats de Marie (ce qui sera à Pignerol); nous avons maintenant tout obtenu et nous nous proposons
de partir bientôt de Rome, mais nous ne pourrons être à Turin si tôt parce que nous devons passer à
Florence et repasser à Gênes; j'espère pourtant à la fin d'août à peu près être à Turin, et si vous êtes
à Moncalier comme je l'espère, j'irai vous trouver tout de suite.
Je vous prie de participer cette lettre à votre Respectable Sœur Madame la Comtesse Baldisser;
j'aime qu'elle sache aussi que ni moi ni D. Loggero ne l'avons oubliée dans nos S. Sacrifices.
Agréez en attendant avec Mr. le cher Chevalier mes sentiments plus vifs de l'estime et
d'attachement plus sincère avec lequel je suis…
C4,160:*1
Altra iniziale della lettera nella minuta: “Pardon si je ne vous ai pas écrit jusqu'ici, bien des
circonstances en ont été la cause. Actuellement je puis vous écrire en liberté sans réserve, et je vais
vous dévoiler tout le mystère de notre voyage de Rome, qui était de toute importance de ne pas le
manifester sans nécessité, et le tenir caché autant qu'il était possible, et d'autant plus le but que nous
avions… Je vous prie pourtant de n'en parler guère, de vous contenter d'entendre ce qu'on dit, parce
[que] je m'attends [à] bien des contradictions, mais le bon Dieu…”.
C4,160:*2
Il “segreto” del viaggio a Roma, di cui erano a parte soltanto pochi amici fidati del Lanteri, tra cui il
d'Agliano, il Collegno, il Daverio, ecc., e, naturalmente, Mons. Rey vescovo di Pinerolo, era stato
suggerito da misure prudenziali per evitare indiscrezioni o illecite interferenze da parte dei ministri
del governo torinese e di Mons. Chiaveroti, dando luogo in seguito a diverse dicerie di cui abbiamo
eco nella lettera del teol. Daverio a Lanteri del 29 aprile 1826: “Qui nulla v'è di nuovo, salvo che si
va fantasticando il motivo del suo viaggio a Monsignor Arcivescovo non escluso”, e nella lettera
dello stesso Daverio a P. Loggero del 19 maggio 1826, conservata in AOMV.
C4,162:S
Lanteri all'arcivescovo Giovanni Marchetti
3 settembre 1826
Domanda scusa degli incidenti occorsi poco prima – Desidera poter approfittare ancora dei suoi consigli e del suo aiuto
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:43
C4,162:I1
La minuta è di mano Lanteri. Il testo si riferisce a uno dei momenti più delicati e più critici delle pratiche romane per
l'approvazione pontificia della Congregazione. Ma la datazione del P. Calliari (luglio 1826) è da correggere in base
all'originale del 3 settembre 1826 che pubblichiamo tra le lettere inedite, alla fine di questo epistolario.
C4,162:I2
Monsignor Giovanni Marchetti
Ci incontriamo qui in un personaggio caratteristico del mondo ecclesiastico e romano del primo Ottocento, Monsignor
Giovanni Marchetti, il quale, benché non lo si possa considerare di primo piano, occupò tuttavia un posto rilevante nella
polemica antigiansenista, antigallicana, anti-illuminista del tempo. Una figura storica che merita di essere meglio
studiata e conosciuta. Giovanni Marchetti, scrittore fecondo (una trentina di titoli vanno sotto il suo nome e si tratta
talvolta di opere in diversi volumi), abile polemista dalla ortodossia inflessibile, nemico giurato del giansenismo e
avversario tenace del suo conterraneo Scipione de Ricci, vescovo di Pistoia, è oggi pressoché dimenticato. Abbiamo
cercato invano un cenno che lo riguardasse nell'Enciclopedia Cattolica. Il Colapietra, che ne parla ampiamente nei suoi
studi sul Lamennais, lamenta con ragione la mancanza di uno studio critico su questa singolare figura di ecclesiastico e
di teologo (R. Colapietra, La Chiesa…, 61-67; S. Fontana, Controrivoluzione…, 219).
C4,162:I3
Nato a Empoli (Firenze) il 10 aprile 1753, m. ivi il 15 novembre 1829 (il Feller lo fa morire a Roma nel 1837, ma è un
errore evidente), prima di farsi sacerdote si era dato all'avvocatura che esercitò qualche tempo. Un corso di Esercizi
fatto a Roma lo decise per lo stato ecclesiastico, aiutato dal card. Torrigiani, già Segretario di Stato di Clemente XIII,
che lo accolse in casa sua.
Fu ordinato sacerdote a 24 anni il 20 dicembre 1777, e l'anno dopo, il 12 settembre 1778, si laureò in teologia
all'università Gregoriana. Nominato subito segretario del duca Mattei, il lavoro di ufficio gli lasciava abbastanza tempo
libero per attendere alla compilazione di opere teologiche e apologetiche, a cui si sentiva portato e a cui era incoraggiato
da personaggi importanti. Già all'età di 27 anni (1780) aveva pubblicato un Saggio critico sulla storia ecclesiastica del
Fleury, che ebbe molto successo. Fleury cominciava allora a farsi conoscere anche in Italia, specialmente per l'appoggio
dei giansenisti e regalisti nostrani. Marchetti si vide costretto a ripigliare la penna due anni dopo (1782) e pubblicò la
Critica alla storia e ai discorsi di Fleury, spesso ristampata, tradotta in francese e in tedesco, e, in compendio, in
spagnolo. Però il Tiraboschi e altri lo accusano di poca moderazione e di poca urbanità. Altre opere di quel tempo:
Esercizi su S. Cipriano, Il Concilio di Sardica, ecc. Pio VI lo delegò con altri alla revisione del sinodo di Pistoia. In
quell'occasione pubblicò: Annotazioni pacifiche di un parroco cattolico a Mons. Vescovo di Pistoia e di Prato sopra la
sua lettera pastorale del 5 ottobre 1787, che ebbe ben 16 edizioni in vent'anni, tradotta in latino, francese, tedesco. La
sua polemica antigiansenista continuò si può dire tutta la vita attirandogli addosso il furore rabbioso dei giansenisti
italiani.
C4,162:I4
Nel 1786, cedendo alle istanze del card. Borromeo, accettò di essere l'istitutore del giovane Francesco Sforza Cesarini, e
rimase con lui tre anni finché per le mene dei giansenisti dovette lasciare il suo posto: disgrazia di cui lo consolò anche
Pio VI con una lettera autografa. Nel 1788 il Marchetti fu tra i redattori del Giornale ecclesiastico di Roma e Pio VI lo
incaricò di pubblicare le Testimonianze della Chiesa di Francia, ossia i documenti dell'episcopato francese contrari
all'assemblea costituente. Marchetti ne pubblicò sette volumi corredati da note esplicative, ma anche qui dovette ritirarsi
perché le note da lui apposte non erano gradite, e d'altra parte la sua coscienza – come disse – non gli permetteva di
agire diversamente. Nel frattempo era stato nominato esaminatore del clero romano, membro della commissione della
Dataria per l'esame dei candidati alle parrocchie, rettore della chiesa del S. Nome di Gesù e espositore della S. Scrittura.
Le sue spiegazioni esegetico-morali, pubblicate, furono accolte con molto favore e furono più volte ristampate.
Nel 1798 ebbe anche lui a soffrire da parte dei giacobini invasori di Roma e fu rinchiuso per qualche tempo in castel
Sant'Angelo e poi relegato a Firenze, con grande gioia dei giansenisti. Il Palmieri scriveva al vescovo de Ricci il 10
marzo 1798: “Non mi fa specie che anche il Marchetti sia tra i rivoltosi. Chi sa che quel pazzo non siasi posto in testa di
essere considerato come un martire. Se Pio VI fosse più giovane e avesse più lumi potrebbe da ciò conoscere qual razza
di canaglia egli siasi formentata attorno, perché lo adulavano con le più sconce frottole…” (citato da E. Codignola,
Illuministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, II, 547). Le persecuzioni si rinnovarono nel
1809 sotto il dominio napoleonico. Essendo anche lui sospettato di aver avuto a che fare con la Bolla di scomunica, fu
nuovamente rinchiuso nel castel Sant'Angelo e poi deportato nell'isola d'Elba, dove però rimase solo fino alla fine di
quell'anno (1809) e messo in libertà per l'intervento della granduchessa di Toscana che sempre lo protesse.
C4,162:I5
Arcivescovo di Ancira
Nel 1814 Pio VII lo nominava arcivescovo titolare di Ancira. L'infanta di Spagna, già regina d'Etruria, lo volle primo
istitutore del figlio Carlo Luigi di Borbone. Il 16 gennaio 1822 fu nominato vicario apostolico di Rimini “a beneplacito
di S. Santità e della S. Sede”, dopo la rinuncia di Mons. Francesco Guerrieri fino all'elezione di Mons. Ottavio Zollio
(24 maggio 1824). Nel 1824 il Marchetti fu nominato segretario della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari
succedendo al veneziano Mons. Carlo Zen (morto 1825), e vi rimase fino al 1827, quando per i fatti qui narrati e per
altre cause legate a questi fatti cadde in disgrazia e si ritirò nella sua Empoli, dove visse ancora due anni. Corse voce
che il Papa volesse elevarlo al cardinalato. Altre opere del Marchetti: Il tifo costituzionale (1820), L'apologia dei popoli
barbari, Il danaro che va a Roma, Doveri del sacerdozio cristiano, Della Chiesa quanto alla potestà politica della città,
3 voll. (opera di contenuto fortemente ultramontano; Consalvi fece di tutto per impedirne la stampa), ecc. I libri della
prima epoca del Marchetti figurano quasi tutti nel catalogo dell'Amicizia Cristiana. Il Marchetti fu un uomo molto
attivo, zelante, convinto, coraggioso, ma il suo zelo non sempre – almeno negli ultimi anni – fu abbastanza illuminato e
prudente (cfr. HC, VII, 74, 89; Feller, XIII (Supplemento), 291-292; G. Baraldi, Profilo di Mons. Marchetti, in Memorie
di Religione, Nuova serie, Modena 1836; R. Colapietra, op. cit., 61-67, 244; Id., L'insegnamento del P. Ventura alla
Sapienza, in Regnum Dei, Miscellanea teatina, Roma 1961; S. Fontana, op. cit., 299-301).
C4,162:T
3 settembre 1826
Non potrei esprimere a V. Ecc. Rev.ma il profondo cordoglio che abbiamo provato, e proviamo
tuttora, per gli incidenti occorsi all'occasione del nostro affare della Congregazione degli Oblati di
Maria, e particolarmente ci affligge al sommo che quindi V. Ecc. Rev.ma abbia dovuto provarne
sommi dispiaceri, certamente contro ogni nostra volontà. Quel che mitiga alquanto la nostra
afflizione è il vedere che non sia offeso con noi, e si compiaccia di significarci che voglia ancora
degnarsi di accompagnarci sempre con il suo cuore, il che prova quanto sia grande la sua bontà; e
non possiamo a meno di rendergliene le più distinte grazie. Come pure non possiamo abbastanza
dimostrarle la riconoscenza che le professiamo per l'interessamento che si è preso a nostro riguardo.
Né potendo corrispondere altrimenti non mancheremo certamente d'averla sempre presente innanzi
a Dio nelle nostre deboli orazioni, pregandolo che la colmi di ogni benedizione*1.
E con i sentimenti del più profondo rispetto e della più grande venerazione mi protesto…
C4,162:*1
Per tutta la vertenza accennata in questa lettera, e che noi in parte abbiamo già ricordato nelle
precedenti note e che completeremo nelle seguenti, è importante riportare gli Schiarimenti di Mons.
Marchetti al card. Pacca, come dalla nota storica in Carteggio, IV, 166-167. Il testo degli
Schiarimenti, in copia autografa dell'autore che la trasmise personalmente al Lanteri e al Loggero
prima della loro partenza da Roma (v. lettera Marchetti a Lanteri del 2 settembre 1826), si trova in
AOMV. In esso il Marchetti spiega il “suo” punto di vista, che non sempre corrisponde a realtà.
C4,168:S
Supplica al Santo Padre per ottenere l'approvazione dell'Istituto e
delle Regole
luglio 1826
Formula di supplica imposta da Monsignor Marchetti e poi sostituita con altra
Copia in AOMV, S. 2,7,8:243a
C4,168:I
La copia conservata in AOMV è di mano Loggero.
La formula, imposta dal Marchetti, fu presentata ufficialmente dal Lanteri e allegata agli archivi ufficiali, ma poi fu fatta
ritirare dal cardinal Pacca, Prefetto della S. Congregazione dei Vescovi e Regolari. Il Lanteri aveva accettato il testo
della supplica come era stato dettato dal Marchetti credendolo conforme al desiderio espresso dal Papa Leone XII: solo
vi aggiunse di sua mano le due citazioni di S. Ambrogio e di S. Pietro Crisologo, che abbiamo riferito tra parentesi in
lettere corsive.
Leone XII, Annibale Sermattei della Genga, n. nel castello della Genga presso Spoleto il 22 agosto 1760, m. a Roma il
10 febbraio 1829, fece gli studi a Osimo e a Roma. Sacerdote nel 1783, fu consacrato vescovo e mandato Nunzio a
Lucerna e a Colonia, poi a Monaco di Baviera (1805) e a Parigi (1808). Fatto cardinale nel 1816 e vescovo di
Senigallia. Nel 1820 Vicario di Roma.
Come altri cardinali di Curia, non condivideva la politica del Consalvi. Nel conclave del 1823 (morte di Pio VII),
impedito il card. Severoli di essere eletto per il veto dell'Austria, gli zelanti convogliarono i loro voti sul della Genga
che divenne Papa col nome di Leone XII (28 settembre 1823). Il suo pontificato è variamente giudicato. Protesse
l'aristocrazia e allontanò i laici dalle cariche governative. Era poco amato dal popolo. Fu però un grande protettore degli
Ordini religiosi, molti dei quali di nuova erezione furono approvati da lui (A. de Montor, Histoire du Pape Léon XII, 2
voll., Bruxelles 1842; F. Fonzi, in Enc. Catt., VII, 1.155-1.158, con bibliografia).
Leone XII non era all'oscuro dell'attività del Lanteri e delle Amicizie torinesi: “Nella biblioteca di Leone XII a Spoleto,
attualmente appartenente al marchese Federico Pucci della Genga (busta XXIII, fascicolo 58) c'è l'elenco dei libri già
appartenenti al Papa prima di salire alla cattedra pontificia: tra molte opere di cultura (non mancano le opere di Voltaire,
Grozio, Van Espen, Leibniz, Giansenio, ecc.) figura anche la collezione dell'Amico d' Italia” (R. Colapietra, La
Chiesa…, 149 nota).
C4,168:T1
luglio 1826
[luglio 1826]
Beatissimo Padre
Il Sacerdote Pio Brunone Lanteri fondatore, e il Sacerdote Giuseppe Loggero presenti qui in Roma
ai piedi della S.V., in nome anche del Sacerdote Giovanni Battista Reynaudi confondatore
dell'opera, e degli altri Consocii, che supplichevoli intendono tutti di unirsi nel medesimo spirito e
viva fiducia d'essere esauditi dalla Clemenza Apostolica, umilissimamente espongono.
Come da circa dieci anni si trovano per la grazia del Datore d'ogni bene di aver posto in servizio il
pio disegno, ed Istituto da loro concepito di dedicarsi alla istruzione, e formazione del Clero
Secolare unitamente ai due suoi intenti della dottrina e dell'opera con lo speciale disegno di tutto
dirigere e fondare sulla divina base della cattolica unità, per la più esatta conformità a qualunque
insegnamento della Chiesa Romana, e del suo Pontefice Sommo, che il nostro Signore Gesù Cristo
ha stabilito Capo, Maestro, e Dottore di tutti i Cristiani, e la perfetta, immediata e totale comunione
con essa come perpetua tessera della cattolica unità.
E come per le benedizioni di Dio e per la grazia del buon Gesù l'esperienza dei loro continui e molti
esercizi ha mostrato singolari effetti di benedizione con gradimento e approvazioni anche speciali
dei Vescovi, nelle cui Diocesi sono stati a operare, e che in più desiderano che vadano a stabilirsi.
Incoraggiati perciò, e con fiducia di successi sempre maggiori hanno risoluto di venire
personalmente ai sacri limini degli Apostoli, e ai piedi del Successore di S. Pietro, e Vicario vero di
Gesù Cristo per presentarle l'intero corso delle regole che si sono prefisse, affinché dalla S.V. nei
soliti augusti modi della Chiesa Romana queste Costituzioni ricevano le emendazioni, che potranno
meritare, e le approvazioni in quelle parti che il Supremo giudizio ne reputerà degne, onde essere
sicuri d'avere innanzi come il modello dell'antico tempio di Sion una traccia sicura, dietro la quale
spargere i loro sudori in edificazione del tempio di Gesù Cristo che è la Chiesa Cattolica da lui
fondata sulla pietra di Simone figliuolo di Giona.
C4,168:T2
Animati dunque da tali principi e speranze, due speciali grazie sono a implorare dalla benignità
della S.V.
La prima, che rimesse le loro regole secondo i consueti modi della S. Sede all'esame di quella
Congregazione di Em.i Cardinali e Prelati, che le piacerà di deputare per tale intento, ponderato
tutto, e fattevi tutte quelle correzioni, o detrazioni, o aggiunte, che la Congregazione medesima
crederà necessarie, o anche di miglior successo, e alle quali fin da ora gli Oratori si esibiscono
prontissimi ed obbedienti; si degni la S.V. di concedergli la consueta grazia dell'approvazione in
forma specifica.
Secondariamente che proposito principale ed inteso in tutta l'opera della professione, ed impegno
perpetuo, a cui ciascuno degli Oblati di questo Istituto si obbligheranno con speciale e formale
giuramento di non tenere mai, né insegnare in qualunque materia, e di qualunque maggiore o
minore importanza, tanto riguardo alla fede, come alla morale, ed eziandio alle questioni che la
Chiesa per qualche tempo avesse lasciato indecise, altra dottrina, fuori solamente quella che sarà
dichiarata per sua dalla Chiesa Romana (giusta la Regola di S. Ambrogio Ubi Petrus, ibi Ecclesia, e
l'altro suo detto Catholicus idest Romanus*1). Che un tale proposito e intento, che essi hanno
concepito con espresse parole dei SS. PP. nostri, e specialmente del formulario di fede che per
l'unione nella dottrina delle Chiese d'Oriente e d'Occidente fu proposto da sottoscrivere dal
Pontefice S. Ormisda, e adottato con espressa conferma dall'Ecumenico Concilio
Costantinopolitano IV*2. Che questo venga letteralmente nel rapporto per l'approvazione posto sotto
gli occhi della S.V., onde si degni di quella approvazione speciale che lo troverà meritevole, e di
ordinare che venga inserito, e faccia parte dell'indicato giuramento distintivo dell'Istituto, acciò
passando in mano di tutti, e di ciascuno dei Successori nostri, serva sempre di stimolo e di conforto
come proveniente dalla stessa bocca del Principe degli Apostoli (il quale al dire di S. Pietro
Crisologo adhuc velut in propria sede vivit, et præsidet, et præstat quærentibus fidei veritatem, ed
anche ora Per Leonem loquitur, giusta l'espressione dei Padri Calcedonesi).
Che etc.…
C4,168:*1
Espressione cara al Lanteri, come la seguente di S. Pietro Crisologo, che si ritrovano tutte e due nel
suo Direttorio a commento della Regola degli Oblati.
C4,168:*2
S. Ormisda, Papa dal 514 al 523, era nato a Frosinone e prima del sacerdozio era ammogliato e ebbe
un figlio che poi divenne papa anche lui col nome di Silverio. Sotto il suo pontificato si compose lo
scisma di Acacio (518) con l'accettazione della regola di fede passata alla storia col nome di
“Formola d'Ormisda” (cfr. E. Amann, in DThC, VII, 161 ss.). La formula di giuramento imposta al
Lanteri e agli Oblati da Mons. Marchetti non era esattamente quella di S. Ormisda, ma si presentava
alquanto modificata. Ne diamo qui il testo in latino quale si presenta nella copia conservata in
AOMV di mano Loggero (S. 1,9,6:361a):
“Giuramento d'obbedienza alla S. Sede
Formula di detto giuramento approvata ed ordinata da S.S. Leone PP. XII nei seguenti termini.
Ego N.N. spondeo, ac juro sequi in omnibus Apostolicam Sedem, omnium in toto Orbe Christiano
Ecclesiarum Matrem unicam, et Magistram, et convenire in unitate doctrinæ cum ipsa in omnibus
propter potentiorem illius principalitatem, et potestatem Supremam in ordine suo, et magisterium
universale, et absque ulla distinctione improbare quæcumque ipsa improbaverit, et quæcumque
probaverit, amplecti: quæ perpetua fuit Patrum traditio, et tessera unitatis, et schismatis, ut nullus
possit de Romani Pontificis retractare sententia, quia in Sede Apostolica inviolabilis semper
custoditur religio, et in qua est integra, et perfecta soliditas. Prima enim salus est rectæ fidei
regulam custodire, et a Patrum traditione nullatenus deviare. Promittentes in sequenti tempore
sequestratos a communione Ecclesiæ Catholicæ, idest in omnibus non consentientes Sedi
Apostolicæ, eorum nomina inter sacra non recitanda esse mysteria. Omnia juxta formulam in tota
Ecclesia Catholica comprobatam, et ab Ecclesiis omnibus tam Orientis, quam Occidentis subsignata
formula roboratam, ubique diffusam, omnibus sæculis propagatam, ab Œcumenico Concilio
consecratam (a).
(a) Verba sunt Ill.is Episcopi Meldensis [Bossuet, vescovo di Meaux] qui ista concludit: Quis
respuat Christianus?”
Tale formula fu poi comunicata dagli ambienti ultramontani romani alla Rivista Mémorial
Catholique di Parigi, che, senza averne l'autorizzazione dalla S. Sede, la pubblicò nel numero di
ottobre 1826 in lingua francese (riportata in italiano da S. Fontana, Controrivoluzione…, 303, nota).
C4,176:S
Lanteri al conte Rodolfo de Maistre
23 agosto 1826
Breve resoconto della vicenda con Monsignor Marchetti – Il decreto di approvazione finalmente ottenuto
Minuta in AOMV, S. 2,7,8:245
C4,176:I
Di questa lettera esistono ben tre minute di mano Lanteri; noi abbiamo riprodotto la terza che è la definitiva. Lo studio
particolare messo nella redazione della lettera fa vedere l'importanza che il Lanteri annetteva a questo scritto che
probabilmente doveva essere letto da molti e servire in certo senso come relazione ufficiale dei fatti che si erano svolti a
Roma. È superfluo sottolineare l'importanza storica che questo documento, quale fonte diretta, riveste per noi.
C4,176:T1
23 agosto 1826
[Roma, 23 agosto 1826]
Ill.mo Sig. Sig. Pron. Col.mo
Sembrerà a V.S. Ill.ma cosa strana per parte mia d'averle annunciato tempo fa la nostra
consolazione per l'ottenuta piena approvazione del nostro Istituto, e che attendevamo a giorni il
Decreto ed il Breve, e d'allora in poi non averle più partecipata cosa alcuna. Ho dunque l'onore di
significarle presentemente, che la nostra Congregazione siccome opera di Dio, e della salute delle
anime fu soggetta al solito in tutto il suo corso a gravi contraddizioni, ed in questi ultimi giorni più
che mai. Le narro la sostanza del fatto, perché sarebbe cosa lunga, inutile, e tediosa specificarne
tutte le circostanze, confidandolo pienamente alla conosciuta sua somma prudenza.
Accadde dunque che si trovava interessata nel nostro affare una persona di merito, cui apparteneva,
oltre l'esame preventivo del nostro Istituto, la formazione ancora del Decreto relativo
all'approvazione emanata a questo riguardo dalla S. Congregazione*1. Questi ardeva di desiderio di
far uscire una condanna pontificia delle proposizioni Gallicane, e pensò fosse opportuna l'occasione
della nostra Congregazione, onde tentò di renderla come un pubblico, e perenne monumento di
detta condanna (tentativo già dal medesimo fatto in altra occasione, come si dice, e senza che noi lo
sapessimo*2). Inserì pertanto con bel modo nelle nostre regole il fondamento da lui supposto, ma da
lui solo inteso di tale quale poscia spiegò e divulgò in questo senso, e compilò il Decreto
d'approvazione su questo tenore, assicurandoci che tale era la volontà di S. Santità. Da principio noi
ci eravamo sottomessi per puro dovere d'ubbidienza verso la S. Sede, benché ne prevedessimo delle
tribolazioni; ma non vedendo la cosa chiara, siamo subito ricorsi ad esporre le nostre difficoltà a S.
Em. il Cardinal Pacca, da cui eravamo soliti prendere consilio, e che ci trattò sempre con somma
bontà, ed interessamento.
C4,176:T2
S. Em. disapprovò questo fatto, e ci rispose, che anzi due giorni prima avendone conferito con S.S.
[Santità], si era questa dichiarata affatto di contrario sentimento, non volendo che si inserisse nelle
nostre regole e decreto d'approvazione di esse cosa alcuna estranea al nostro scopo. Allora ci siamo
fortemente opposti a chi voleva servissimo da strumento per le sue viste, massime essendo uno dei
nostri principi fondamentali, di non decidere ciò che non è deciso dalla S. Sede, di tollerare ciò che
Essa tollera, e di attenerci sempre alla sola e pura dottrina della Chiesa manifestatamente
conosciuta, sapendo che il vero attaccamento alla S. Sede non permette d'anticipare alcun giudizio
sulle cose controverse, o tollerate da essa, che anzi riprova espressamente il procedere contrario.
Questa nostra forte opposizione, e prova di vera sottomissione alla S. Sede riportò l'aggradimento di
S.S. [Santità] che si degnò di lodarla espressamente più volte, come ebbero la bontà di riferirci gli
Em.mi Cardinali Della Somaglia e Pacca, e lo stesso abbiamo inteso da altri Cardinali. In seguito a
questo S. Em. il Cardinal Pacca si degnò di assumersi egli stesso l'affare, tolse ogni addizione fattasi
nelle nostre Regole dal Sopraddetto, rifece il Decreto, e li 22 ci assicurò che dello stesso giorno
l'avrebbe segnato lui medesimo di propria mano d'ordine di S. Santità, e ci disse di più che a giorni
ci avrebbe favorito il Decreto ed il Breve concepito in modo che escluda ogni questione in questi
tempi ben inopportuna.
C4,176:T3
Ho voluto narrare…
Ho voluto narrare a V.S. Ill.ma questo fatto, perché sentendo forse farsene delle ciance, necessario
era che sapesse di che si tratta, ed affinché abbia la bontà, occorrendo di giustificarci, perché non ci
mancano degli avversari, come Ella sa.
Abbiamo sempre avuto occasione di lodarci sommamente dei buoni uffici prestatici da S. Ecc. il
Sig.r Marchese Crosa, ma in quest'occasione più che mai, in cui l'abbiamo pregato di assisterci
particolarmente. Difatti non poteva giovarci di più, né dimostrare maggior zelo e prudenza, sempre
di perfetta intelligenza con gli Em.mi Cardinali interessati in quest'affare unitamente con noi, e
giusta la mente di S. Santità.
Non scrivo per ora a Mgr. Vescovo di Pinerolo, perché non so ove si trovi, tanto più che fra poco
spero di sperdirle lo stesso Breve, che toglierà ogni equivoco e timore, qualora avesse per inteso
qualche cosa su questo affare.
Tutte queste sì grandi contrarietà ci lasciano sperare, che Iddio voglia cavarne un gran bene dalla
nostra Congregazione. Sono impaziente del mio ritorno a Torino, ma penso di passare prima per
Genova per ossequiare Monsignor Arcivescovo, e confidargli tutto, credendolo opportuno.
Pregandolo intanto etc.
C4,176:*1
La “persona di merito” ci è già nota: Mons. Giovanni Marchetti, che nel 1825 Leone XII chiamò da
Rimini (dove il Marchetti era Amministratore Apostolico) per farlo segretario della S.
Congregazione dei Vescovi e Regolari al posto di Mons. Carlo Zen (Venezia 1772 – Roma 1825).
C4,176:*2
La prima occasione nella quale Mons. Marchetti aveva manifestato le sue idee eccessivamente
“ultramontane” era stato nel caso dell'eliminazione del P. Gioacchino Ventura dalla Sapienza.
Scrive il Colapietra: “La disgrazia del Marchetti in luglio e l'eliminazione del Ventura dalla
Sapienza in ottobre (1826)… sono di questa mutata atmosfera indici sintomatici… Il caso di
Marchetti è esemplare, con quel tentativo, tipicamente settecentesco, d'inserire una definizione
dogmatica, una confutazione dell'errore gallicano ed una rivendicazione dell'unità della Chiesa e del
primato pontificio, in un tessuto di natura squisitamente politica: più grave per le conseguenze, ma
meno emblematico, ed anzi quasi banale, l'episodio del Ventura, riuscito a circoscriversi in ambito
procedurale” (R. Colapietra, La Chiesa…, 292; Id., L'insegnamento di P. Gioacchino Ventura alla
Sapienza, in Miscellanea Teatina nel centenario della morte del P. Ventura, Roma, Sant'Andrea
della Valle, 1961 [con ampi particolari sul caso Marchetti e sulla storia dell'ultramontanismo
romano]). A questo episodio allude anche una lettera che il conte Fenaroli scriveva a Giuseppe
Baraldi da Vienna il 13 luglio 1827: “Mi sovviene che nell'anno passato il Mémorial Catholique
sostenendo la causa e rendendo giustizia ai talenti e allo zelo dell'Abate De Lamennais, ha riferito
dell'importuno giudizio che gli si è fatto subire innanzi la Polizia correzionale di Parigi, e di tutti gli
scritti ancora più recenti che hanno rapporto alla disputa sulle sue dichiarazioni del clero gallicano,
l'una del 1682, l'altra del 1826. È cosa rincrescevole che le vicende dell'Ab. Lamennais siano,
almeno in parte, comuni a Mons. Marchetti, al P. Ventura e a qualche altro dotto e pio
Ecclesiastico…” (citato da S. Fontana, Controrivoluzione…, 274). “L'importanza delle vicende
romane del Ventura e del Marchetti risiede non solo nelle ripercussioni che esse ebbero su tutta la
politica europea della Restaurazione, ma anche nel fatto che esse si svolgono, cronologicamente,
prima della missione del Lambruschini in Francia. L'intervento di Roma contro il Lamennais è
quindi agevolato dalla eliminazione delle posizioni di potere acquistate al vertice della Chiesa dagli
ultramontani Ventura e Marchetti” (S. Fontana, ivi, 277, nota).
C4,179:S
Lanteri al barone Giuseppe Penkler
fine agosto 1826
Incontro con un vecchio amico dopo quasi 20 anni di silenzio – La Congregazione degli Oblati di M.V. frutto
dell'attività e degli ideali del P. Diessbach – L'“Amicizia Cattolica” di Torino nata nello spirito del P. Diessbach
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:53a
C4,179:I
Pubblicata in Positio, 245-246.
La minuta autografa del Lanteri non porta né data né indirizzo, ma dai dati interni è possibile determinare la data agli
ultimi giorni della dimora in Roma del Lanteri, cioè fine agosto 1826, e determinare il destinatario che non può essere
che il Penkler, perché solo lui a Vienna poteva conoscere tanto intimamente P. Diessbach.
Il Lanteri nell'estate 1826 – come si è già detto – era a Roma col Loggero per trattare dell'approvazione della
Congregazione degli Oblati ricostituitasi a Pinerolo. Attraverso i gesuiti e i redentoristi, che con Vienna e con l'Austria
avevano frequenti contatti, il Lanteri apprende qualche notizia sul suo vecchio amico, collaboratore e figlio spirituale,
col quale da circa 20 anni era stata interrotta la corrispondenza – l'ultima lettera del Penkler al Lanteri risaliva al 30
gennaio 1808 – e approfittando del P. Giuseppe Koricki, S.J. che si recava nella Galizia austriaca, manda questa lettera.
C4,179:T
fine agosto 1826
Trovandomi a Roma per attendere da S.S. [Santità] l'approvazione di una Congregazione di
Sacerdoti dedicati [e] totalmente consacrati secondo il disegno per lungo tempo ispiratoci e
inculcato dal P. Diessbach a dare gli Esercizi esattamente secondo la mente di S. Ignazio e far
circolare libri buoni*1, per cui ne abbiamo riportato il Breve qui annesso d'approvazione,
accidentalmente nell'anticamera di S.S. ho avuto la consolazione di conoscere il Segretario
Generale dei Gesuiti, P. Koricki*2, che si porta nella Galizia, e mi disse che passava per Vienna, e
conosceva molto V. Ec. Profitto con premura di quest'occasione per richiamarmi alla sua memoria,
ed avere delle sue preziose nuove, essendo da così lungo tempo che ne vivo ansiosissimo.
Desidero sapere se esiste ancora qualche vestigio dello stabilimento del P.D. [Padre Diessbach*3].
Punto non dubitano che V. Ec. perseveri tuttora nella buona volontà di far conoscere i buoni libri.
Presso noi si è stabilita una Società pubblica detta Amicizia Cattolica*4 in cui si distribuiscono
gratis un gran numero di libri buoni che si mandano fino nelle Indie*5, e continuamente si procurano
nuove edizioni dei suddetti, perché si possano acquistare a buon prezzo. Questa nostra Amicizia
Cattolica fu la madre di parecchie altre tanto in Italia come in Francia, il che tutto si deve in origine
al nostro P. Diessbach, e dobbiamo ringraziarne di cuore il Signore.
Sento con sommo mio dispiacere che V. Ec. soffra sempre molti incomodi*6, né mancherò di
raccomandarla particolarmente nei miei S.S. [Sacrifici]. La mia salute è anche molto cagionevole,
ma dobbiamo consolarci con il detto di P. Diessbach “che il Paradiso paga tutto”.
Finisco con pregarla d'avermi anche presente in modo speciale nelle ferventi sue orazioni e con i
sentimenti della più profonda stima e considerazione mi pregio d'esserle
Di V. Ecc.
Umil.mo Dev.mo Obbl.mo Serv.re
Sacerd. Pio Brunone Lanteri
C4,179:*1
La Congregazione degli Oblati di M.V. è frutto di un “disegno per lungo tempo ispirato e inculcato
dal P. Diessbach”: un pensiero che per il Lanteri non presenta dubbi e che egli ha già espresso altre
volte (v. introduzione all'epistolario dell'Aa, Carteggio, II, pag. 11-12, n. 2). Per lui il vero
“fondatore” degli Oblati era in certo senso il virtuoso gesuita svizzero.
C4,179:*2
Di padri Koricki, gesuiti, se ne ricordano almeno tre: i due fratelli Carlo e Rombergo, che nel 1820,
alla morte del P. Taddeo Brzozowski, generale della Compagnia (morto 5 febbraio 1820), andarono
da Roma in Russia Bianca per unirsi alla Compagnia, di cui avevano già fatto parte
antecedentemente e di cui erano stati assistenti (S. Zalenski, I Gesuiti della Russia Bianca, tr. it.
Prato 1888, 225); e P. Koricki Giuseppe, n. in Polonia il 23 giugno 1754, entrato nella Compagnia il
13 ottobre 1769, professato il 15 agosto 1787, m. a Starawies, Galizia Austriaca, l'8 ottobre 1827.
Era segretario della Compagnia, confessore del P. Taddeo Brzozowski, generale, e lo assistette in
morte (S. Zalenski, op. cit., 368, 520).
C4,179:*3
Una linea cancellata nel testo diceva: “E mi favorisca delle nuove dell'A.C. [Amicizia Cristiana] se
esiste ancora”.
C4,179:*4
L'Amicizia Cattolica era stata fondata nel 1818 con criteri nuovi e diversi esteriormente da quelli
della vecchia Amicizia Cristiana, ma con lo stesso spirito e, più o meno, anche con lo stesso
programma di attività apostolica. Il Lanteri dice che quella di Torino “fu la madre di parecchie altre
tanto in Italia come in Francia”: con ogni probabilità egli vuol parlare qui delle colonie e dei
membri corrispondenti, poiché fuori di Torino vi fu una sola Amicizia Cattolica, quella di Roma.
C4,179:*5
Le “Indie” sono le così dette “Indie occidentali”, cioè l'America, dove il Lanteri e gli Amici
Cattolici inviavano molti e frequenti sussidi in danaro e in buoni libri, specialmente nella Luisiana
(New Orleans), nel Maryland (Baltimora) e nella Pennsylvania (Filadelfia), in stretta
collaborazione, come abbiamo detto altrove, con Mons. Du Bourg, vescovo di New Orleans. Col
vescovo Du Bourg ebbe relazioni anche il Penkler e l'Amicizia Cristiana di Vienna: “Il 15 maggio
1816 due poliziotti furono incaricati di vigilare e di seguire Penkler e Hofbauer (cioè S. Clemente
Hofbauer, redentorista di Vienna). Sedlnitzky riferisce che sul principio dell'anno 1816 la polizia
aveva scoperto a Milano tracce che un certo Luigi Guglielmo Du Bourg, vescovo della Luisiana,
aveva ingaggiato degli ecclesiastici per il Nordamerica, perché quella terra ne era sprovvista. Ora
con tutta sicurezza vengo a sapere che Du Bourg, il quale attualmente si trova a Lione, è in
collegamento con l'attuale consigliere di corte (Hofrat) barone von Penkler e col noto P. Hofbauer, e
che costoro gli hanno assicurato di inviare a Bordeaux, per essere imbarcati verso Baltimora,
ecclesiastici provenienti da questi reali e imperiali stati…” (B. Spiller, Joseph Freiherr von Penkler,
Università di Vienna 1966, 119).
C4,179:*6
Da qualche anno lo stato di salute del Penkler non era buono: “I mesi estivi (del 1823) il Penkler li
passò sempre nella sua casa di Baden (a sud di Vienna), che apparteneva alla signoria di
Gutenbrunn (feudo del Penkler). Che egli in questi anni fosse già abbastanza malandato lo si rileva
da diversi documenti che ci rimangono. In data 18 settembre 1825 Penkler ringrazia il dott. Muzer
per le cure che gli ha prestato. La lettera è conservata nell'archivio della Minoritenkirche (Chiesa
degli Italiani a Vienna), fasc. 91” (B. Spiller, op. cit., 109). Negli ultimi anni il Penkler aveva anche
avuto diverse perdite finanziarie per alcune speculazioni andate male (miniere, ecc.), per cui aveva
dovuto vendere diversi terreni e case di sua proprietà, senza però ridursi a povertà (B. Spiller, ivi).
C4,181:S
Lanteri al papa Leone XII
agosto 1826
Domanda per poter celebrare in Congregazione la festa liturgica del B. Alfonso de Liguori
Copia in AOMV
C4,181:T
Beatissimo Padre
Pio Brunone Lanteri Rettore della Congregazione degli Oblati di Maria Vergine già da Vostra
Santità con Decreto del 21 luglio corrente anno 1826 graziata dell'approvazione specifica delle sue
Regole e Costituzioni desunte quanto ai voti, e forma di Governo da quelle del Beato Alfonso
Liguori, attesa la devozione speciale, che gli Oblati di M.V. professano al medesimo Beato;
prostrato ai piedi di Vostra Santità la supplica umilissimamente della grazia di celebrare la festa in
un con il privilegio della Messa, ed Ufficio del detto Beato Liguori, che della grazia etc.
C4,182:S
Lanteri al cardinale Bartolomeo Pacca
agosto 1826
Preghiera di interessarsi presso il santo Padre per ottenere al P. Biancotti il ritorno tra gli Oblati
Minuta in AOMV
C4,182:I
La minuta non porta né data né indicazione del destinatario. Pensiamo che il destinatario sia il card. Pacca e che la data
si aggiri intorno all'agosto del 1826. Come diremo in seguito, il P. Biancotti non uscì della Compagnia e non rientrò tra
gli Oblati. Con tutta probabilità, come abbiamo già detto, il P. Lanteri voleva affidare al Biancotti, che ne aveva tutte le
capacità, la direzione della Congregazione e prepararlo per la sua successione.
Nello stesso foglio di questa minuta il Lanteri ha segnato la nota di alcune commissioni ed incontri che dovevano aver
luogo durante il suo soggiorno a Roma. La trascriviamo per la sua importanza storica:
“Visite Card. Pacca, De Gregori, della Somaglia, Albani dei Brevi, Castiglioni penitenziere, Cappellari (Bollario di Pio
VI etc.), Pallotta, Pedicini, S. Ecc. Mgr. Marchetti, Adinolfi, Capaccini, ab. Sala, P. Tarditti Agostiniano, Ventura
Teatino (B. Liguori), Noviziato dei Gesuiti, Can. Giulio (D. Loggero lunedì), Filippini P. Calleri. Francescani P. Orioli.
Collegio Romano, Al Gesù P. Vespere Procuratore Generale, Dagli Orfani Somaschi, Procuratore Generale, Mons.
Brignole.
Commissioni: del P. Biancotto a S. Em. del T.L., Suppliche aggregazione privilegi, festa del S. Cuore di Maria e del
B.L., dell'ufficio e Messa del B.L., parrucca, croci con la via crucis, corona, bauli, passaporti, vettura, denaro dal
banchiere, denaro per P. Biancotti, stampa del Breve, copia del Breve al card. Pacca, al M.se Crosa, carta per visite.
Dal card. Pacca parlare, delle copie Breve, a chi, quante, Cappellari, Castiglioni, Albani, Pallotta, Pedicini, supplica per
Biancotti, per l'approvazione del Superiore, per l'aggregazione e privilegi per la festa S. Cuore di Maria e ufficio del
B.L.”.
C4,182:T1
Dovendosi ristabilire la Congregazione degli Oblati di M.V. con i voti e con l'approvazione di S.S.,
ed essendo sommamente importante di poterla organizzare prontamente e sicuramente con tutto lo
spirito interno e regolare, cosa che molto influisce per rendere più ferventi gli Operai Evangelici,
quindi ricavarne maggior frutto nelle anime come pure ad edificare maggiormente gli esteri, ed
avere più facilmente dei buoni allievi; perciò il Signore ci presenta un mezzo opportuno nella
persona del P. Biancotto Gesuita.
Questi è stato uno dei primi fondatori di questa Congregazione, il quale entrò tra i Gesuiti perché
allora non vedeva speranza di ristabilimento della medesima, giacché altrimenti, come ci disse egli
medesimo, non avrebbe cambiato certamente Istituto, massime vedendo per esperienza il gran frutto
che si ricavava dagli Esercizi che si davano.
Questi nei 5 anni passati nella Compagnia ha acquistato i lumi necessari, ha l'esperienza e la pratica
per ben organizzare subito la nostra Congregazione; ha di più tutta la stima e la confidenza dei suoi
primi soci, e si stimerebbero fortunati di riaverlo.
C4,182:T2
Tutti insomma grandemente lo desiderano. Con tutto ciò non si volle manifestargli tale desiderio
senza prima comunicarlo al Padre Generale ed averne il suo consenso, temendo altrimenti di fargli
dispiacere, rappresentandogli nello stesso tempo che l'accordarci questo soggetto unico sopra tanti
che ne ha la Compagnia, 1. era contribuire al rifiorimento di una Congregazione tutta consacrata a
dare gli Esercizi di S. Ignazio, e non poteva a meno di essere oggetto di Maggior Gloria di Dio e
delle viste di S. Ignazio; che il fine della Congregazione nostra è di consacrarsi a dare gli Esercizi di
S. Ignazio precisamente secondo il suo metodo, e con il sacrificio di un soggetto fra tanti che ne ha
la Compagnia, avrebbe contribuito al rifiorimento della medesima ed a guadagnare tante anime di
più…; 2. che l'accordarci questo soggetto, stato uno dei Fondatori della Congregazione, sarebbe
stato un bel compenso di tanti soggetti che il Superiore degli Oblati con i suoi amici hanno
procurato alla Compagnia, oltre ciò aver promosso il ristabilimento della medesima in più luoghi
del Piemonte.
Il P. Generale acconsentì che manifestassimo questo nostro desiderio, e disse ancora che non si
sarebbe opposto se S.S. avesse giudicato di dargli il permesso di rientrare nella nostra
Congregazione.
In seguito a tale nostro desiderio, manifestatogli il medesimo, supplica ora S.S. per ottenere questa
grazia, e l'Esponente supplica pure umilmente V. Em. di volersi degnare di raccomandare anche a
S.S. quest'affare di tutta importanza per il buon esito della Congregazione, e si lusinga di [ottenere]
questa grazia…
C4,184:S
Osservazioni sulla “Regula Fidei” di S. Ormisda proposta come
formula di giuramento agli Oblati di M.V.
Agosto 1826
Replica al promemoria di Monsignor Marchetti
Minuta in AOMV, S. 2,7,8:243c
C4,184:I
Conserviamo di questo importante documento una copia di mano Loggero con molte correzioni e aggiunte di mano
Lanteri. In calce al documento riportiamo il testo dello scritto di Monsignor Marchetti al quale questo si riferisce.
Notare la somma prudenza e moderazione del Lanteri che arriva fino a tollerare quello e quelli che la Chiesa, buona
madre, tollera, anche se li riprova, distinguendo così nettamente l'errore dall'errante, cosa a cui gli ultramontani
esagerati non erano ancora arrivati. Per renderci conto della delicatezza del momento in cui il Lanteri preparò queste
“osservazioni”, rileggiamo quanto scrive il Loggero nel suo Diario alla data 15 agosto 1826: “Intanto [il marchese
Crosa] ci disse in confidenza, che qualche nemico di Mons. Marchetti (che non conosceva) aveva messo l'allarme nei
Ministri delle Potenze estere di modo che in un loro pranzo, dove, eccetto l'Ambasciatore di Francia, tutti gli altri erano
protestanti, avevano risoluto di unirsi, e andare collettivamente a fare la loro opposizione a questo Breve presso l'Em.
Cardinal Segretario di Stato; poiché loro era stato detto che S. Santità voleva in un Breve condannare le 4 Proposizioni e
instituire apposta una Congregazione perché le combattessero e fossero come un partito per procurare aderenti alla S.
Sede ecc. S. Ecc. [il Crosa] senza dar a conoscere di essere informato, aveva procurato di calmarli alla meglio” (citata in
Positio, 476; AOMV, S. 1,9,5:360).
C4,184:T1
agosto 1826
La formula del giuramento contiene primieramente la promessa di seguire in omnibus Sedem
Apostolicam, et convenire in unitate doctrinæ cum ipsa in omnibus, et absque ulla distinctione
improbare quæcumque ipsa improbaverit, et quæcunque probaverit, amplecti.
Contiene in 2o luogo giusta la mente del S.P. la formula antica, che comincia: Prima Salus etc., la
quale riguarda espressamente gli Eretici, essendo questo l'unico scopo che da tutto il contesto si
voleva (Labbeus t. 5, n. 519).
La prima parte di questa formula obbliga soltanto gli Oblati, la seconda obbliga tutti.
Ora dall'approvazione pontificia di detta formula degli Oblati di M.V. non pare potersi dedurre
alcuna tacita dogmatica condanna delle 4 proposizioni per i seguenti riflessi:
C4,184:T2,1,1
La prima ragione…
1. La prima ragione ce la somministra la parola Sequestratos, la quale secondo lo scopo della
formula di S. Ormisda, e le circostanze di quei tempi sembra doversi intendere soltanto degli
scomunicati, vale a dire di quelli che in tutto non sentono con Roma, ossia che non sono sottomessi
alle decisioni della Chiesa Romana nelle cose di fede, e questo viene dimostrato dalla prima
conseguenza, che se ne deduce nella stessa formula di fede che riguarda il passato: “De hac fide
igitur non cadere cupientes… anathematizamus (primieramente in generale) omnes Hæreticos
(poscia in specie) Nestorium, Eutychem,” etc., tutti eretici nominati. Di modo che la 2a conseguenza
che riguarda il futuro: “Quapropter sequentes in omnibus… promittentes in sequenti tempore
sequestratos… id est in omnibus non consentientes… eorum nomina non esse inter sacra recitanda
mysteria”, non è più che una ripetizione di quanto sopra per norma dell'avvenire.
C4,184:T2,1,2
Onde il sentire con Roma in generale
1. vuol dire tenere per meglio, per certo, per probabile, per tollerabile quello che tale si giudichi
dalla S. Sede. Ora gli Oblati s'impegnano a sentire con Roma; dunque s'impegnano a tenere per
tollerabile ciò che dalla S. Sede si tollera. Riproveranno dunque le quattro proposizioni pridem
improbatas da Innocenzo XI, da Alessandro VIII, etc. e ultimamente dalla Bolla Auctorem fidei,
come si deve fare da buon Cattolico, ma potranno essi gli Oblati tenere per sequestrato dalla
Comunione chi dalla Chiesa Romana pazientemente si soffre nella Comunione? E se tanto osassero,
potrebbero dire di sentirla con la Chiesa Romana?
In 2o luogo si osservi di grazia, che se si vuole considerare un tale giuramento come un nuovo atto
di disapprovazione delle 4 proposizioni Gallicane, altro non sarà, che una conferma delle
disapprovazioni anteriori, ma se si volesse dedurne l'obbligazione ad ogni Cattolico di consentire in
ciò che non è dogma (come pare insinuato nel par. 5) ne seguirebbe una contraddizione, e si
toglierebbe alla Chiesa uno dei suoi pregi.
Dissi una contraddizione: poiché la Chiesa direbbe: la tale opinione (p. es. l'immacolata
Concezione) non è dogma; e però sarà libero ai Cattolici di non professarla, ma tutti dovranno
professarla sotto pena di scomunica. Non è di fede, perché non è dogma, è di fede perché chi non la
tiene si scarta dalla regola di fede.
Dissi inoltre: che si toglierebbe alla Chiesa uno dei suoi pregi, cioè si toglierebbe a questa Madre
pietosissima Chiesa Santa la facoltà di tollerare dei figli rivoltosi nell'atto stesso che solamente
disapprova qualche dottrina: facoltà preziosa al materno suo cuore, finché Ella milita tra i Viatori, e
necessaria a chi non venit animas perdere, sed salvare.
C4,184:T2,2
La 2a ragione (par. 5) fondata sull'imbarazzo di conoscere ciò che è dogma prima di sottopormi alle
decisioni della S. Sede, pare non abbia più luogo, quando Essa medesima mi avvisa di ciò che
adotta per dogma, di ciò che condanna, e riprova, e di ciò, che disapprova soltanto, quando essa in
un caso punisce il restio con la morte spirituale, in un altro con pene minori, in altro ancora con la
semplice disapprovazione senza alcuna pena. Ogni imbarazzo pare tolto, se sentiremo in omnibus
con Essa, ed a suo esempio disapprovando ancora quelli che sono restii, li tollereremo finché la
Chiesa li tollera, né giudica ancora di cacciarli di casa.
Dal par. 6 pare che ne segua, che i Gallicani, i quali professano le 4 proposizioni non consentono in
omnibus; dunque sequestrati a communione Ecclesiæ Catholicæ etc. All'opposto potrebbe dirsi:
Sequestrati non sunt a communione Ecclesiæ Catholicæ (e questo è un fatto certissimo), dunque per
sentire in omnibus con la Chiesa Cattolica bisogna riprovare le loro proposizioni come le riprova la
Chiesa, e tollerare gli individui che le professano come e finché li tollera la Chiesa; altrimenti ne
seguirebbe, che senza alcuna nuova sentenza verrebbe il Papa a decidere, e i Gallicani si
troverebbero scomunicati da un giorno all'altro senza che S.S. nulla decidesse di nuovo (vedi il par.
3).
C4,184:T2,3
La 3a ragione (par. 8 e 9) suppone che il S. Pontefice definisca un dogma mentre accorda una
licenza, o al più, approva un atto di Religione. Infatti 1. gli Oblati chiedono di obbligarsi a qualche
cosa più che ad essere cattolici, altrimenti basterebbe il fare la professione di fede consueta del P.P.
Pio IV, dunque si può essere cattolico senza osservare ciò che professano gli Oblati. 2. Questi nel
memoriale (da V. Ecc. loro suggerito e dettato) s'impegnarono a seguire le sentenze romane non
solo riguardo alla fede, ed alla morale, ma anche alle questioni indecise, tosto che siano dichiarate
sue dalla S. Rom. Chiesa. Dunque gli Oblati non chiedono in sostanza di professare ciò che sempre
fu dogma nella Chiesa, perché questo non è da chiedersene licenza ed approvazione, ma è un dovere
di tutti; chiedono bensì di professare qualche cosa di maggior perfezione: il S. Pontefice l'approva,
ma non può dirsi che imponga una regola di fede; la sola conseguenza sembra che sia: dunque è
maggior perfezione seguire la Chiesa Romana anche nelle questioni indecise, come convengono
tutti; e questo già si trova espresso nelle loro Costituzioni.
Insomma da questi due paragrafi pare che il S. Pontefice non dichiari cosa alcuna, e dichiari qualche
cosa, e che gli Oblati vogliano professare ora la sola fede, e professarla solennemente, ora vogliono
anche professare aliquid præter fidei dogmata.
Lo stesso pare vedersi nel par. 10, ove sembra si confonda una professione ortodossa con una
definizione di fede. Quando la S. Congregazione dichiara ortodossa una formula, non obbliga perciò
ogni fedele ad abbracciarla; ortodosso è nei Padri del ben morire il voto di servire gli infermi*1, nei
Trinitari quello della Redenzione degli Schiavi, nei Gesuiti quello delle Missioni; ma non per
questo ogni fedele è in obbligo di formare questo voto per essere ortodosso.
La Chiesa dichiarerà dunque solo, per quel che ci pare, che il giuramento è lodevole, e questo dovrà
credersi da ogni cattolico, ma nulla di più.
C4,184:T3
Sembra pertanto potersi concludere:
1. che l'approvazione di tale Giuramento può considerarsi in qualche modo come una nuova
indiretta riprovazione delle 4 proposizioni;
2. ma non sembra però tale da decidere la questione più di quel che lo fosse per le precedenti
riprovazioni.
C4,184:*1
I padri Camilliani, i Ministri degli Infermi, fondati da S. Camillo de Lellis.
C4,187:S
“Osservazioni” di Monsignor Marchetti
1 agosto 1826
Ecco il testo delle “Osservazioni” dettate da Mons. Marchetti al padre Loggero (conservate in originale nell'AOMV, S.
2,7,8:243b) il 1 agosto 1826, alle quali il Lanteri si sentì in dovere di rispondere con la replica sopra riportata.
C4,187:T
Osservazioni
Varie singolarità relative alla decisione dogmatica, che resta inclusa nel Breve Apostolico di
approvazione del nuovo Istituto degli Oblati di Maria Ss. in Pinerolo.
C4,187:T1
Il Sommo Pontefice…
1. Il Sommo Pontefice in questa decisione non chiama a causa, non condanna nominatamente alcun
errore, né eresia, né scisma. Egli condanna dai fondamenti gli errori tutti quanti sono stati per il
passato, e quanti possono sorgere per l'avvenire.
C4,187:T2
2. Imperciocché il Pontefice senza nulla decidere di nuovo non fa che richiamare il principio
costitutivo e fondamentale in perpetuo dell'Ortodossia nel gran sistema dell'unità, per cui tutti
confessano essere istituito il Primato Apostolico in S. Pietro, e nei suoi Successori usque ad
consummationem sæculi.
C4,187:T3
3. Questo principio: “Lapis positus in signum contradictionis, quem reprobaverunt ædificantes, et
factus est in caput anguli. Omnis qui ceciderit super illum lapidem conquassabitur: super quem
autem ceciderit, comminuet illum” (Luc. 20, 17-18), non è altro, che quello che tutta l'antichità dei
Padri ha riconosciuto per principio della salute e regola della fede, come è chiamato nel formulario
di S. Ormisda, nella perfetta e generale uniformità alla dottrina della Chiesa Romana: “Tenentes in
sequenti tempore sequestratos a Communione Catholica, idest non consentientes in omnibus Sedi
Apostolicæ, eorum nomina inter sacra non recitanda esse mysteria”.
C4,187:T4
4. Che questa decisione appartenga alla fede, e sia ancora di fede come è stata sempre, si confessa
ancora, e si riconosce fino al presente giorno, non solo dal celebre Bossuet, che si prende per
antesignano di un opposto partito [quello dei Gallicani], e da tutti quelli che conservano la fede, ma
nemmeno fin qui hanno mostrato di ricusarvisi a crederlo i Giansenisti stessi, e gli Utrechtisti, la
Piccola Chiesa etc. Onde il sostanziale della decisione presente è al coperto da non poter essere
ricusata da uomo Cristiano, come lo disse Bossuetto stesso.
C4,187:T5
5. La decisione presente di Leone XII non fa altro che, nell'approvazione specifica della formula del
giuramento degli Oblati, togliere una nuvola che può chiamarsi un obbrobrio in grammatica, in
senso comune, e specialmente in analogia della fede, avendo stravolto la regola, che “in omnibus
non consentientes in dogmate”, e i dogmi non sono tutto, come sempre si è inteso, che voglia dire
“omnibus”, anzi, sono la minor parte delle cose tutte. Teologicamente poi la regola stabilita da Gesù
Cristo per la discernibilità della fede, per cui è instituito il Primato, e per cui l'Idiota, ed il Dotto, il
Giudeo, il Cristiano, il Barbaro, e lo Scita deve poter riconoscere quale sia la Chiesa di Gesù Cristo,
e la dottrina che a suo nome vi si insegna, si ridurrebbe a una cacofonia puerile, e che metterebbe in
maggior imbarazzo che non so, fosse avanti di avere la regola per sbrigarsi. Tutta la spiegazione
opposta si riduce a volere che il Divin Redentore ci abbia dato per norma a tutti sino alle fine: Che
chi non consente con la Sede Apostolica nel dogma, contraddice il dogma. Imbarazza anche di più
perché suppone che, accostandomi a volere confrontare con questa regola la mia fede, io debba
antecedentemente sapere ciò che è dogma, onde non prendere errore di aver obbligo d'uniformarmi
in ciò che non è dogma.
C4,187:T6
6. Nella decisione dunque non si fa altro che approvare la stessa formula dell'antichità, rimettendola
alla vera e unica intelligenza, precisando il senso che “in omnibus” vuol dire in ogni cosa, e che sia
in una dottrina sia in un'altra, sia in cosa decisa innanzi, o che si decida poi, chiunque voglia tenere
una dottrina diversa da quella della Chiesa Romana, tanto basta, perché si verifichi che non tiene la
dottrina della Chiesa Romana, che non vi consente e che in conseguenza è compreso fra quelli
“quorum nomina (per antica definizione di fede) inter sacra non sunt recitanda mysteria”.
C4,187:T7
7. Rimessa in questa chiarezza la decisione, il S. Pontefice la inserisce nell'approvazione di un
Istituto, oggetto che tutti riconosceranno proprio, anzi privativo dell'ufficio di Capo della Chiesa,
qualora per tutta la Chiesa s'intenda l'approvazione dell'Istituto, e per cui non abbisogna di sentire
né di citare contraddittori, né seguire formalità estrinseche di carta pecora, o semplice, di anello
piscatorio, di affissione nei luoghi pubblici, di trasmissione enciclica, di accettazione ecc. A questa
può essere soggetto l'Istituto, sia a ragione, sia a torto, ma l'Istituto in qualche luogo non vi sarà: e la
decisione contenuta nella sua approvazione sarà sempre per tutto, e per tutti.
C4,187:T8
Nel tempo stesso…
8. Nel tempo stesso che sembra venire come incidente, ella è di fatto scopo principale tanto
dell'esame come della decisione, espressamente richiesto dall'Istituto che intende professarla.
C4,187:T9
9. Ella viene in conseguenza una tale decisione in un punto e in un modo, che il S. Pontefice non
poteva negarla senza sospetto di prevaricazione. L'Istituto gli viene ai piedi con in mano tutta
dichiarata e corroborata dalla tradizione, e dalla sanzione apostolica e dei Concili, una professione
espressa, e con parole formate, che vuole prendere per base del suo insegnamento, e la quale a
tenere, e insegnare vuole obbligarsi innanzi a Dio e agli uomini con un pubblico giuramento; e
chiede che il S. Pontefice, rimessa questa sua formula normale all'esame consueto nelle forme della
Chiesa Romana, venga letteralmente esposta e letta al S. Padre, acciò se nulla mai vi fosse di meno
conforme, o ridondante, o manchevole all'intera espressione della fede, aggiunga, moderi, decida
come lo Spirito Santo gli suggerirà, pronti a riconoscere nella sua voce quella di S. Pietro, e di Gesù
Cristo medesimo, e a uniformarvisi. La formula è quella stessa di tutta l'Antichità Cattolica,
l'approvazione è richiesta pubblicamente, e non è più in potere il ricusarla senza segno di precisa
disapprovazione. Questo toglie ogni luogo di reclamo di chi si sentisse gravato. Cosa volete che
dica il Papa a chi pubblicamente lo ricerca di professare pubblicamente la fede di Gesù Cristo?
C4,187:T10
10. Intanto la procedura va a rivestirsi anche di tutte quelle solennità che lo stile usato dalla Chiesa
Romana ha sempre adoperato in simili casi. Gli Oblati richiedono in termini espressi, ed ottengono
che preceda il maturo esame del loro giuramento fondamentale per mezzo di una Congregazione
scelta di Em.i Cardinali della primaria Congregazione dei Vescovi e Regolari, che porta con sé il
consulto, e voto dell'Arcivescovo Segretario, del Teologo, Consultori di ciascuno: è proposta nella
loro Congregazione precedente, approvata come fede Cattolica da tutti, se ne manda la relazione al
Papa, a cui letta de verbo ad verbum, ponderata, e invocato come dice nel Breve il Santo nome di
Dio, la dichiara pienamente ortodossa, autorizzando i postulanti a tenerla, predicarla, e inculcarla
come regola di fede, quale cioè essi l'hanno proposta.
C4,187:T11
11. Aggiunge anzi il preciso insieme delle circostanze alla decisione una solennità di più, e di cui
nella Chiesa questo è il primo esempio, dacché sulla pietra di Simone Figliuolo di Giona la edificò
Gesù Cristo. L'atto, il tenore del Breve apostolico, non solamente contiene la decisione in tutte le
forme canoniche, ma in essa Leone XII fonda un nuovo Istituto d'istruzione e di insegnamento dato
e consacrato interamente alla perpetua custodia, difesa, e promulgazione di questo dogma. Che
questa sia un'aggiunta indicante un'importanza anche maggiore, che il Capo della Chiesa attacca a
questa sua decisione, lo mostra il fatto e le circostanze di arrestare un torrente fatto furioso per
soffogarla, ne danno anche la ragione.
C4,187:T12
12. Il colmo della singolarità di questa decisione può naturalmente presagirsi che risulterà dalla
contraddizione di chi si sente gravato, sebbene non sia chiamato punto dal tenore letterale. Il senso
cattolico, e ciò che i Padri dissero il primo grido della fede, si vede, e si sperimenta subito, che tutti
dirigono alle libertà Gallicane. Nel calore forse più forte, che mai sia stato, in cui ora è questa
questione in Francia, e nelle nuove organizzazioni americane, non può a meno che il massimo
partito contrario a queste libertà non assuma la decisione presente come titolo di causa finita, e che
ne rilevi la perentoria condanna, unitamente al Giansenismo, allo scisma di Utrecht, alla piccola
nuova Chiesa etc. Quindi devono prendere il loro partito, sebbene non chiamate tutte coteste parti.
O si taceranno, e l'opposizione canterà libera il suo trionfo, ovvero corranno per comparire in causa,
e trovando deciso che i non consenzienti in tutto alla dottrina della Chiesa Romana, devono
necessariamente decidersi a contestare la causa di contraddizione, e a protestare che essi appunto
sono quelli che, eccettuato, come diranno, i dogmi, in tutto il resto hanno per istituto, e giurano una
differente dottrina. Dunque compresi: dunque ex ore tuo te judico oggetto preciso e contestato della
condanna. Costretti così a dichiararsi, starà a loro trovare il modo di farlo. Da tutti si dice subito:
ecco attaccate le libertà gallicane etc. Questa anzi è stata la difficoltà prudenziale, che la
Congregazione di esame ha rilevato agli stessi Postulanti di un'opposizione potente che andavano a
suscitarsi contro, e che essi hanno preso sopra di loro, come un nulla contrapposto all'infinito bene
di professare la fede di Gesù Cristo, e di aver il pregio di divenirne gli Apostoli.
C4,187:T13
13. Le conseguenze non possono tutte prevedersi, ma il certo è, che si va a fare sensibile l'alzata di
due bandiere e l'oracolo di Gesù Cristo: “Qui non est mecum, contra me est”.
C4,187:T14
14. Intanto un numero di sedotti dall'entusiasmo, ma che professano e serbano la fede nella
supremazia, e nella comunione immediata, e magistero universale del Capo della Chiesa, non
possono non vedersi tagliati fuori e richiamati, numero grandissimo, alla loro coscienza devono
vedere chiaro che non v'è più mezzo termine da restare nel partito, e protestarsi nell'unità. Il numero
dei miscredenti e liberali che si maschera da Gallicano, è naturale che avrà poca cura d'avere
addosso una separazione di più. Ma tutto il resto è evidente, che non può rispondere senza separarsi,
o farsi ridicolo. Ultimamente nel Breve Pastoris Æterni del 2 luglio 1826 si vede che la piccola
Chiesa ha dovuto prendere questo partito, stretta dalle convenzioni del 1801 e 1817 di Pio VII,
essendo arrivata a dichiarare espressamente, che il separarsi da quel Papa è un debito d'ogni
cristiano, con che non ha bisogno d'altro per essere conclusa presso tutto il senso cattolico, e finita
la loro causa. Se così sarà del resto, Dio provveda, che non sia che di pochi, ma l'affare sembra
arrivato al fine. E chi vi resta non darà apprensione di una gran perdita, mostrando troppo chiaro
che dovette essere innanzi ciò che dice di voler essere ora.
Onde si può concludere con Geremia (6, 1): “Confortamini Filii Benjamin in medio Jerusalem, et in
Thecua clangite buccina, et super Bethacarem levate vexillum, quia malum visum est ab aquilone,
et contritio magna”.
C4,192:S
Lanteri al conte Rodolfo de Maistre
5 settembre 1826
Ricevuto finalmente il Breve pontificio per l'approvazione
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:46b
C4,192:I
La data di questa lettera è indicata dalla lettera che segue a Mons. Rey, che era inclusa in questa indirizzata dal Lanteri
al de Maistre.
C4,192:T
Al Sig. C. [Conte] Maistre
Grazie a Dio tutte le difficoltà sono state felicemente risolte in nostro favore senza rimanervi alcun
dubbio di novità. Abbiamo finalmente ricevuto il Breve definitivo che qui annesso mi do premura di
trasmettere a Monsignor Rey Vescovo di Pinerolo. Ma non sapendo ove attualmente si trovi, mi
prendo la libertà di profittare di suoi buoni uffici non tanto per fargli pervenire il suddetto Breve,
quanto perché V.S. Ill.ma possa pure averne subito la notizia, lasciando per questo aperta la lettera
diretta a Monsignore, né avendo tempo di farne per questo Ordinario altra copia.
Perdoni della confidenza: la troppo conosciuta ed esperimentata bontà del suo cuore ne è la causa.
La settimana ventura penso di partire ripassando per Genova, e spero questo mese, a Dio piacendo,
di ritrovarmi in Torino.
La prego di far gradire i miei più umili ossequi a tutta l'Ill.ma e Pregiat.ma sua famiglia, e con la
maggiore stima, considerazione e riconoscenza ho l'onore di protestarmi*1…
C4,192:*1
Per meglio indicare quanto fossero cordiali e frequenti le relazioni tra il Lanteri e gli Oblati con il
de Maistre riportiamo la lettera che il conte Rodolfo, a nome di tutta la famiglia, indirizzava da
Torino al P. Loggero il 6 agosto 1830, appena ricevuta la notizia della morte del P. Lanteri:
“Reverendo Padre,
Abbiamo ricevuto con sommo cordoglio la dolorosa notizia che V.S.R. ci ha recato colla sua lettera
del 5 corrente della perdita fatta dell'amatissimo e veneratissimo padre Lanteri, non già che noi
possiamo dubitare che sul finire la lunga e penosa carriera non abbia egli ricevuto da Dio la
ricompensa magna nimis promessa ai suoi servi fedeli, ma per la vera amicizia che ci ha uniti in
terra. I suoi figli devono consolarsi col pensare che avendo ora ricevuto come l'aquila la sua
gioventù con molto maggior forza ed efficacia li difenderà e proteggerà di quello che prima gli era
dato di fare, e da M.V.S. di cui sostenne e promosse il culto otterrà grazie e benedizioni per il
nascente istituto.
Già si ravvisa sulla scelta fatta, e sull'unanimità con cui ad essa si divenne l'ottimo spirito di
giustizia e di concordia cristiana che dal santo fondatore scese sugli amati figli.
Interprete di tutta la mia famiglia mentre le porgo l'espressione di nostra condoglianza la preghiamo
di non scordarsi nelle loro orazioni degli amici del loro fondatore, particolarmente di me più
bisognevole d'ogni altro di speciali grazie e di divino sostegno.
Gradisca V.S.R. i sinceri atti d'ossequio e d'affezione coi quali ho l'onore di raffermarmi.
[Torino] 6 agosto 1830.
il C.te de Maistre”
(in AOMV, S. 1,13,8:1017)
C4,193:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
5 settembre 1826
Finalmente ottenuto il Breve di approvazione della Congregazione – Prossima visita al Padre Biancotti e speranza di
riaverlo tra gli Oblati – Visita al Papa Leone XII
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:46a
C4,193:T
Li 5 settembre [1826 da Roma] a Monsignor di Pinerolo
Hier au soir enfin j'ai reçu le Bref de l'approbation du S.P. [Père] relatif à notre chère Congrégation.
Je m'empresse d'en communiquer tout de suite une copie à V. G. [Grandeur] qui en a été le principal
auteur et Promoteur, et à qui nous ne pourrons assez témoigner notre reconnaissance. Après Dieu et
la très Ste Vierge, c'est à vous, Monseigneur, que nous devons tout. Dieu veuille m'accorder encore
quelques jours les forces nécessaires pour voir tout bien acheminé.
Nous travaillons maintenant à nous attirer un très digne sujet qui depuis 6 ans est entré dans la
Compagnie de Jésus, qui est actuellement Recteur à Ferentino, un des premiers et plus fervents
fondateurs de la Congrégation à Carignan, et qui serait en cas de la monter tout de suite avec cet
esprit intérieur et de régularité dont il a actuellement l'expérience et qui est si nécessaire pour faire
plus de bien tout de suite dans les âmes. C'est un religieux chéri et qui a la confiance de tous, et
actuellement il a donné lui-même une supplique à S.S. [Sainteté] pour obtenir la dispense de
repasser chez nous; nous supplions bien de cœur la très Ste Vierge qu'elle veuille nous l'accorder.
Je pense partir la semaine prochaine de Rome si nous pouvons dans celle-ci obtenir d'être présentés
aux pieds de S.S. [Sainteté]. Je passerai par Gênes pour rendre compte de tout à Monseigneur
l'Archevêque qui s'est aussi beaucoup intéressé pour notre affaire, et qui ira bientôt Nonce à Paris;
ensuite le plus tôt possible nous irons à Pignerol pour conférer avec V. Gr. de tout ce qui regarde
notre affaire.
En attendant D. Loggero et moi nous vous demandons humblement votre bénédiction pastorale, et
avec la plus grande vénération et reconnaissance j'ai l'honneur d'être…
C4,195:S
Lanteri al papa Leone XII
9 settembre 1826
Domanda di conferma dell'elezione del Lanteri a Rettor Maggiore della Congregazione
Copia in AOMV, S. 5,3,13:280
C4,195:I
Pubblicata in Positio, 453.
La petizione non ha – nella copia conservata – indicazione di data, ma deve risalire al 9 settembre 1826 in base a quanto
si legge nel Diario di P. Loggero, il quale sotto quel giorno scrive: “Fummo a portargli [al Card. Pacca] […] la Supplica
per la conferma dell'elezione del Sig. Teologo in Rettor Maggiore” (in Positio, 492). Il rescritto pontificio del 12
settembre suona così:
“Die 12 septembris 1826
Ex audientia Sanctissimi Sanctissimus re bene cognita electionem de qua in præsentibus benigne approbavit et
confirmavit, in contrarium forsan facientibus non obstantibus quibuscumque.
I. Arch. Ancyr. Secr.”
C4,195:T
Beatissimo Padre
Gli Oblati di Maria Santissima avendo li 6 ottobre dell'anno scorso 1825 a pieni voti eletto per loro
Rettor Maggiore il Teologo Pio Brunone Lanteri, prima che la Santità Vostra graziasse la loro
Congregazione della Pontificia Approvazione, e desiderando per loro quiete e sicurezza la
confermazione di questa di essi fatta elezione, prostrati ai piedi di Vostra Santità la supplicano
umilmente di degnarsi di accordare loro tale grazia.
Sacerdote Pio Brunone Lanteri Rettor Maggiore
Sacerdote Giuseppe Loggero Oblato di M.V.
a nome di tutti
C4,210:S
Lanteri al cavaliere Leopoldo Ricasoli
settembre 1826
Impossibilità di passare per Firenze nel viaggio di ritorno da Roma – Offerta di una tenuta del Ricasoli per una
fondazione degli Oblati
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:53b
C4,210:I
La minuta autografa del Lanteri non porta né data né indicazione di destinatario. Però è evidente che risale all'ultimo
mese di soggiorno del Lanteri a Roma.
C4,210:T
Ho differito finora a rispondere al graziosissimo di lei foglio sperando ogni giorno poterle
significare e il tempo di mia partenza, e quindi la mia consolazione di rivederla, ma fu invano. Ora
soltanto ho ultimata la mia commissione*1, dovendo nonostante fermarmi ancora qualche giorno per
ritirare alcune carte importanti, e questo ritardo così lungo unito agli incomodi di salute che vanno
tuttora crescendo, mi forzano ad accelerare il più che posso il mio ritorno, di modo che con sommo
mio rincrescimento non mi è più praticabile passare per Firenze, onde dovremo ambedue fare
questo sacrificio a Dio, il quale per me confesso che non è piccolo*2.
La ringrazio poi della graziosa esibizione della sua Campagna per la nostra Congregazione, non
essendo in stato di profittarne perché il numero dei soggetti è piccolo, e per anni ed anni non
potremo dilatarci fuori del paese*3.
Parto ancora con il rincrescimento di non aver potuto abbracciare il suo figlio Novizio Gesuita; io
sono andato più volte al Noviziato, ma non mi è riuscito di poterlo vedere*4; non ho potuto andarci
più sovente, stante l'allontananza del mio alloggio ed i miei incomodi di salute*5.
Già questa vita è destinata per fare continui sacrifici al Signore, e il P. Diessbach soleva dire che il
Paradiso paga tutto.
La prego d'avermi sempre presente particolarmente nelle sue fervide orazioni, e con i sentimenti
della più grande stima, considerazione e riconoscenza mi pregio…
C4,210:*1
La “commissione”, cioè lo scopo del viaggio del Lanteri a Roma, era l'approvazione della
Congregazione da parte della S. Sede.
C4,210:*2
Nel ritorno da Roma a Torino il Lanteri aveva progettato di visitare col Loggero il santuario di
Loreto, soddisfacendo così un voto che aveva fatto per ottenere dalla Madonna il buon esito della
sua pratica a Roma. Il pellegrinaggio a Loreto fu fatto poi durante il soggiorno romano, come dice il
Gastaldi: “Intanto, mentre si faceva a Roma l'esame dell'istituto, gli amici di Brunone e gli Oblati
rimasti in Piemonte caldamente raccomandavano la causa a Maria Ss. perché ora che sì bene aveva
incominciato, ugualmente bene finisse, e per parte sua Brunone le aveva promesso con voto che
sarebbe andato a visitarla nella sua santa Casa di Loreto, e quivi celebrato due Messe se ella, tanto
buona che è, lo avesse appagato nei suoi desideri” (Gastaldi, 283). Nel viaggio di ritorno, il Lanteri
passò per la Toscana e a Poggibonsi, al nord di Siena, si potè vedere per breve tempo col Ricasoli
(v. lettera del Ricasoli al Lanteri del 28 settembre 1826).
C4,210:*3
Di questa offerta del Ricasoli al Lanteri per una fondazione di Oblati in Toscana (che non si è mai
effettuata) è questo l'unico accenno che abbiamo.
C4,210:*4
Sul non avvenuto incontro del Lanteri col P. Luigi Ricasoli, S.J., figlio del marchese Leopoldo, v. la
lettera del P. Rossini in appendice alla lettera del Ricasoli al Lanteri del 28 settembre 1826
(Carteggio, IV, 201).
C4,210:*5
La distanza dal Collegio Clementino, dove alloggiava il Lanteri nel suo soggiorno romano (collegio
tenuto dai Somaschi, che si trovava nell'attuale lungotevere Prati, all'altezza di via dei Somaschi,
distrutto nel 1870 per costruire il lungotevere) a Sant'Andrea del Quirinale, noviziato dei gesuiti, era
di circa due chilometri.
C4,231:S
Lanteri al padre Paolo Beorchia
1 novembre 1826
Ringrazia della somma di lire 156 per la vendita di alcune copie delle “Riflessioni”
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:47a-3
C4,231:I
P. Pietro Paolo Beorchia, S.J., scrittore di storia, n. a Udine nel 1795, m. a Orvieto nel 1859, entrò nella Compagnia di
Gesù nel 1817. Nel 1845 lo troviamo nel collegio di Novara: per essersi opposto alla pubblicazione di un discorso del
cav. Giovanni Giovannetti, novarese, Carlo Alberto chiese al Generale P. Roothaan di rimuoverlo da Novara (Carteggio
di P. Luigi Taparelli d'Azeglio, a cura del P. Pirri, Torino 1932, 770; cfr. A. Monti, IV, 477-478; V. Gioberti, Il gesuita
moderno, II, 312-314, VII, 17-19).
C4,231:T
Il Sacerdote Pio Brunone Lanteri riverisce distintamente il M.o Rev.do Padre Beorchia e lo
ringrazia della somma di L. 156 trasmessagli ieri per commissione del M.o Rev.do P. Rettore del
Collegio di Reggio per tante copie Riflessioni*1 etc. che si è dato l'incomodo d'esitare a mio conto, e
lo prega della grazia di testificargliene la sua più grande riconoscenza, ricordandogli nuovamente
che è Padrone di disporre sempre liberamente gratis di tutte quelle copie che giudica opportuno,
seppure ve ne esistono ancora.
Di casa il primo novembre [1826]
C4,231:*1
Le Réflexions sur la sainteté et la doctrine du Bx Liguori, opera del Lanteri, pubblicata anonima a
Lione nel 1823, era stata tradotta in italiano dal P. Regoli, S.J., e pubblicata, parimenti anonima, a
Reggio Emilia nel 1825, poi a Monza nel 1827, a Ferentino nel 1834, ecc. Evidentemente il Lanteri
si riferisce qui all'edizione italiana di Reggio Emilia di due anni prima. Il P. Beorchia lavorò pure
un'altra edizione delle Riflessioni uscita in Voghera nel 1840 (E. Rosa, S. Alfonso M. de Liguori e la
lotta contro il giansenismo, in Civiltà Cattolica, XC, 1939, vol. I, 99).
C4,240:S
Lanteri al vescovo Pietro Rey
6 novembre 1826
Risposta alle insinuazioni del ministro Cholex e di altri contro gli Oblati
Minuta in AOMV, S. 2,1,6:47a
C4,240:I
Il Lanteri risponde alla lunga lettera di Mons. Rey del 3 novembre 1826 in cui il vescovo riferisce il suo colloquio avuto
col ministro degli Interni Roget de Cholex.
C4,240:T1
[Torino] 6 novembre 1826 a Monsignor Rey Pinerolo
Ho ricevuto ieri la pregiat.ma sua con sommo mio rammarico a causa della grandissima afflizione
che e
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Lanteri al Cavaliere Leopoldo Ricasoli