Data e Ora: 21/11/09
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Giornale di Brescia
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Domenica 22 Novembre 2009
Cultura&Spettacoli
Il vescovo di Baghdad
«Il dramma? Incapaci
di riconciliazione»
L
Rolando Anni, poi, ha ricostruito la figura di
don Vender quale «prete degli sfollati», precisando, però, che dal ’45 al ’74 egli è stato per la
comunità parrocchiale di Santo Spirito molto
di più. Partendo dalle tracce archivistiche disseminate specie presso l’archivio parrocchiale
e presso quello della Camera di Commercio bresciana, Anni ha ripercorso il periodo in cui don
Vender è stato presidente della Cooperativa
Edile Quartiere Sfrattati e ispiratore della Cooperativa Corale di San Vincenzo. Don Giacomo, ha sottolineato Anni, è stato animato senza sosta da carità, giustizia e speranza, tradotte nella vita di ogni giorno nella ricerca di un
lavoro sicuro e di una casa per i suoi parrocchiani.
A conclusione del convegno è giunta la testimonianza della ex parrocchiana di Santo Spirito Elisabetta Rietti, carica di nostalgia e struggimento. Le sue parole, ricche di emotività,
non hanno fatto velo alla comprensione del personaggio e della sua opera, anzi l’hanno resa ancor più vera.
a riconciliazione in Iraq «o sarà frutto di solidarietà e ragione, o non sarà». Il cammino che si
prospetta è difficile nella frammentarietà del
Paese ripiombato nelle contrapposizioni tribali.
Mons. Jean Sleiman, vescovo di Baghdad, affida la speranza a un impegno di lungo periodo, nell’Iraq che «ha
bisogno di aiuto per liberarsi di un retaggio culturale: il
dramma di oggi è l’incapacità di una riconciliazione».
Su questo tema mons. Sleiman è intervenuto l’altra sera ad un partecipato incontro della Cooperativa cattolico-democratica di cultura nella sala Bevilacqua dei Padri Filippini della Pace. Libanese di origine maronita,
carmelitano scalzo autore di studi di spiritualità e di
scienze sociali, è arcivescovo di Baghdad dei Latini dal
2001: fautore del dialogo, con il libro «Nella trappola irachena» ha lanciato un appello alla riconciliazione nazionale autodeterminata.
Presentato dalla presidente della Ccdc Paola Paganuzzi, il suo intervento è stato preceduto da uno sguardo sulla situazione odierna dell’Iraq a cura di Riccardo
Redaelli, docente in Cattolica e coordinatore di un programma italiano di cooperazione scientifica con il sistema universitario iracheno. I cristiani sono presenti nel
Paese da tempi lontanissimi: erano un milione e 800mila negli anni ’80, oggi sono ridotti a 400mila e l’esodo
continua, in questo «Paese di profughi, verso l’esterno e
al suo interno». Al tempo della dittatura e delle sanzioni
internazionali in Occidente «si vedeva un solo tipo di
violenza». Al Qaeda ne ha fatto «una vetrina mediatica»
da sfruttare, fino al 2007, quando i capi tribali sunniti
hanno tolto l’appoggio all’organizzazione terroristica e gli
Usa hanno rafforzato la presenza. C’è
più sicurezza, ma
non sono migliorate
le condizioni politiche, mentre dilaga
la corruzione nell’apparato statale e, dopo il passaggio del
controllo militare alle forze irachene, gli
attacchi sono di nuoMons. Jean Sleiman
vo aumentati: «La
violenza fa comodo
a tanti, in vista delle elezioni di gennaio». L’Iraq ha alle
spalle una storia di violenze, osserva mons. Sleiman, «il
dramma dei cristiani e delle altre minoranze era già in
germe: la guerra ha rimesso a fuoco la dinamica strutturale di questa società eterogenea. Il regime l’aveva gestita, ma non l’ha rinnovata. Alla sua caduta sono riapparse le tribù, come attori politici e la tribù vuol dire che
non c’è persona, non c’è libertà, responsabilità, volontà
di andare oltre. Il fondamentalismo in poco tempo è diventato una maniera di pensare: è il rifiuto dell’altro e la
verità non ha posto». Restano «le ferite della storia, mai
affrontate nella verità». Incidono gli effetti di «una modernità entrata in maniera aggressiva nella società tradizionale, che prova frustrazioni nuove». Non manca l’intelligenza, ma viene degradata a furberia, perché «la ragione non arriva ad avere il suo ruolo», mentre la religione strumentalizzata diventa fanatismo.
I cristiani, presenza millenaria, hanno perso il legame
con il loro Paese, si rifugiano nelle tende dei profughi.
«La paura non era così grande sotto il regime - osserva il
vescovo -, ma la verità era spesso impossibile e oggi c’è
una riconciliazione da fare con la verità, con il coraggio,
con la speranza. Con Saddam c’era ordine, ma uccideva
gli animi. Impauriti sotto Saddam, i cristiani sono disincantati dopo Saddam: in certe aree hanno subito persecuzioni, in altre soffrono per la pressione psicologica, in
qualche isola si coesiste, con la condivisione di gioie e
dolori nei matrimoni e nei funerali. Al nord i rifugiati
non riescono ad inserirsi nell’ambiente curdo, all’estero
le famiglie sono divise». In questo Stato che è «un insieme di staterelli, non c’è un denominatore comune». Il
primo passo dovrebbe essere l’accettazione dello Stato,
come unico arbitro e detentore di armi. La riconciliazione ha bisogno di un progetto, il concetto di potere è un
fatto culturale e un aiuto si può dare con gli scambi culturali. «Ci vuole pazienza», dice mons Sleiman.
Elena Pala
Elisabetta Nicoli
DON
VENDER
Il «combattente» dello spirito
Un convegno in Cattolica ne ha ricostruito la poliedrica biografia, dagli anni del Seminario
all’impegno tra i soldati al fronte, dall’antifascismo all’azione come «parroco degli sfollati»
N
on lasciatevi ingannare dal titolo,
«Don Giacomo Vender: fonti per
una biografia». Quello organizzato
dall’Università Cattolica del Sacro
Cuore di Brescia, dall’Archivio storico della Resistenza bresciana in collaborazione con il Dipartimento di Scienze storiche e filologiche nella giornata di ieri, ospitato nella Sala della Gloria dell’ateneo di via Trieste in città, non è stato il semplice seminario riservato agli addetti
ai lavori che si limita - come recita il titolo - ad
illustrare le fonti archivistiche utili a ricostruire
la biografia di un personaggio. È stato molto di
più.
Un’appassionata biografia
Primo, per la «normale eccezionalità» del personaggio cui era dedicato l’incontro, don Giacomo Vender (Lovere, 1909-Brescia 1974). Seminarista e sacerdote nella relazione di Lucia Signori dell’Archivio Storico Diocesano, tenente
«Cravatta azzurra» sul fonte dei Balcani e prigioniero del regime fascista tra il 1944 e il 1945
nell’intervento di Inge Botteri dell’Università
Cattolica, «parroco degli sfollati» nel contributo di Rolando Anni (sempre dell’Università
Cattolica), infine straordinario pastore d’anime ed eccezionale «comunicatore» del Vangelo
nella rievocazione commossa e commovente di
Elisabetta Rietti della Parrocchia di Santo Spirito.
Secondo, per il respiro dei vari interventi. I
relatori hanno, infatti, mostrato al vivo alcuni
modi di fare storia trasmettendo una contagiosa passione di ricerca che ha avuto il suo punto
d’avvio in un imprescindibile scavo archivistico, sistematico e approfondito, come ha sottolineato il professor Mario Taccolini, moderatore
del seminario. Passione si diceva, perché i vari
relatori hanno sì trattato la materia con il distacco e il rigore propri del ricercatore professionale ma, al tempo stesso - per riprendere
un’espressione di Henri Marrou - con un evi- volontà. Un sacerdote disponibile nei confronti
dente «amor platonico», senza il quale il biogra- dei commilitoni al fronte, forse un po’ «ostinafo mai riuscirebbe a capire le ragioni profonde to» - come don Giacomo stesso si definisce del suo biografato.
ma, ha sottolineato Signori, «altrettanto aperArchivio del Seminario diocesano e Archivio to e generoso all’azione dello Spirito».
storico diocesano sono state le fonti da cui ha
Molteplici sono stati gli archivi sondati da Inattinto Lucia Signori sviluppando alcuni «pas- ge Botteri per ricostruire gli anni della seconda
saggi della vita di
guerra mondiale
don Vender legadella biografia di
ti vuoi alla sua
don Vender. La
formazione in Sestudiosa ha riperminario vuoi al
corso sia la storia
suo essere sacerdel protagonista
dote». Queste le
sia le vicende affitipologie docuni di altri cappellamentarie analizni militari (sopra
zate: dalla corritutte, quella di paspondenza della
dre Giulio Bevilacmadre con i paqua).
dri carmelitani di
In
particolar
Adro alle lettere
modo, ha illustraaccompagnatoto gli anni trascorrie di don Giovansi da don Vender
ni Martinazzoli
prima sul fronte
di Lovere, dalle
croato (tra il lupagelle scolastiglio 1940 e il giuche del ginnasio
gno 1943) con il
e dei successivi
73˚ Reggimento
studi di teologia
fanteria, le cosidai giudizi disciplidette «Cravatte
nari. Infine, la corazzurre», poi sul
rispondenza con
fronte francese al
Don Vender medaglia al valor militare e
il vescovo Giacinseguito del 2˚ Regto Tredici relatigimento Cavallenel corteo per i caduti delle Fiamme Verdi
va al periodo che
ria (tra il giugno e
corre dal seconil
settembre
do conflitto mondiale agli anni ’60.
1943). Don Giacomo è un giovane cappellano
In questa conversazione a distanza, emergo- che non si accontenta di operare nelle retrovie,
no alcuni tratti caratteristici della personalità ma vuole stare in prima linea con i suoi commidi don Vender: l’irruenza, l’esuberanza, l’impe- litoni.
gno profuso nel superamento dei propri limiti,
È il mediatore, ha precisato Botteri, «tra l’aula sincerità, il buon cuore, la costante forza di torità e il soldato, tra le esigenze di vita di guer-
ra e quelle della vita civile tanto lontana per i
soldati in trincea quanto sempre presente».
È, anche, negli anni della Resistenza, l’autore dell’opuscolo «Un verso dell’inferno dantesco e lo spirito dell’inferno fascista», edito in allegato al famoso foglio clandestino «Il Ribelle»
e firmato con lo pseudonimo «Sancio Empörer». Di non facile lettura né a portata di
ogni lettore, l’opuscolo - ha auspicato Botteri «sarebbe da studiare con approfondita attenzione», non solo perché «contiene la lucida posizione di don Vender sul fascismo, il suo spirito
combattivo e per nulla quiescente», ma anche
perché restituisce allo studioso la formazione
culturale e letteraria di don Giacomo.
Il «prete degli sfollati»
Il Lotto bresciano si fa «Capolavoro per Milano»
Va in mostra al Museo diocesano ambrosiano l’Adorazione dei pastori della nostra Pinacoteca
C
on la sua religiosità devota e
turbata, con la sua ansia di penetrazione psicologica, la sua
trepidazione per gli affetti della
vita domestica e per le sacre conversazioni calate nelle umili stanze, Lorenzo Lotto (Venezia 1480 ca. - Loreto 1556) fu viandante-pittore colto, irrequieto e sofisticato, coinvolto intimamente nella profonda
crisi religiosa, culturale ed economica dell’Italia del primo ’500: si sottolinea talvolta anche la sua affettuosa ironia, che risponde proprio all’esigenza di una parlata più naturalistica, confidenziale, che
porta ad introdurre anche nelle opere sacre, dove si preoccupò pure di «retrar poveri», certo «sermo humilis» tipico della
predicazione. La grandezza di Lotto è
proprio negli istanti quotidiani, fatti entrare «alla pari» in pittura, e nella capacità di interpretare i misteri della psiche, così da essere anche il vero inventore del ri-
L’Adorazione dei pastori di Lotto, 1530, va a Milano
tratto borghese (e celebrativo dei valori
della famiglia in ritratti coniugali). Già Berenson nella monografia del 1895 rivendicò la modernità di Lotto tra colpi di luce
audaci come colpi di teatro, ombre vaganti, colori preziosi come succhi d’erbe e fiori, a interpretare già non tanto l’uomo
pubblico, quanto l’uomo privato, introspettivo. Lotto fu attento agli impulsi che
la «devotio moderna», d’intima preghiera, aveva dettato all’evocazione dal vero
nella pittura nordica, ben documentata
in area veneto-padana.
La confidenziale presenza di persone e
cose, di moti e affetti quotidiani risalta anche nella bellissima «Adorazione dei pastori» o «Natività» della nostra Pinacoteca Tosio Martinengo (chiusa per lavori),
che domani sarà presentata al Museo Diocesano di Milano, all’insegna di «Un capolavoro per Milano», a cura di Paolo Biscottini ed Elena Lucchesi Ragni, dove resterà fino al 17 gennaio (ore 10-18, chiuso
lun., € 8 col museo, il martedì € 4, catalogo Silvana Editoriale, info 0289420019). Il
restauro che negli anni scorsi (per le mo-
stre in Pinacoteca collegate al ciclo goldiniano dello Splendore dell’arte) ha restituito la morbida tessitura di lume-colore
crepuscolare del dipinto (mosso però da
strepitosi acuti acidi e affilati o viceversa
da tremolii delicati e sussurri cangianti),
ha permesso di orientare definitivamente
anche la secolare questione della datazione, ora certa per la riemersa firma «L. Lotus 1530» in basso al centro, sul bordo della cesta che accoglie il Bambino, e della
destinazione a devozione privata. La scena mostra due pastori - si ipotizzano i
committenti - introdotti da due angeli riccioluti a rendere omaggio a Gesù nella cesta, vegliato da Maria orante inginocchiata e da Giuseppe. Il Bambino afferra il
muso dell’agnello in dono, a preconizzare
la Passione evocata anche dal telaio a croce della finestra della capanna.
Il dipinto è dalla fondazione nella nostra Pinacoteca, nel lascito del conte Paolo Tosio che l’acquistò tra l’agosto 1824 e
il gennaio 1825 dall’antiquario bergamasco Giovanni Querci della Rovere (con
cui avviò, con questo, una lunga serie di
acquisti). L’antiquario tramandò che era
stato dipinto per i Conti Baglioni di Perugia (e uno studioso ancora 10 anni fa
«identificò» nei pastori Braccio II e Sforza
figli di Grifonetto Baglione), ma già nel
1826 il Brognoli nella sua guida alle raccolte bresciane, scrisse che erano raffigurati
i fratelli Gussoni (nel primo ’500 un cavalier Gussoni è registrato a Venezia, ma
nel regesto dei beni della casata non risulta questo Lotto). In ogni caso, ora la data
riscoperta ha riportato l’esecuzione della
tela al soggiorno veneziano del pittore
rientrato da Bergamo, ed alla committenza devozionale privata.
Davvero la «sacra conversazione» di tradizione veneziana è calata nella contemplazione mistica della più umile quotidianità, la luce reale fatta «medium» di eventi spirituali, a cui molto dovranno anche i
nostri bresciani, specie Moretto e Savoldo. Ma il Longhi indicava qui anche uno
dei «precedenti» del Caravaggio del calmo, dolce «Riposo nella fuga in Egitto».
Fausto Lorenzi
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