DIARIO MERCOLED 25 AGOSTO 2004 LA REPUBBLICA 43 DI SESSANT’ANNI FA LA LIBERAZIONE Il 24 agosto l’insurrezione E il giorno dopo la resa dei tedeschi La festa popolare e la vergogna collettiva di Vichy Le truppe americane sfilano sugli ChampsElysées (segue dalla prima pagina) ancora: Albert Camus che prepara Combat, il giornale non più clandestino, mentre il cronista Jean Paul Sartre raccoglie notizie sulle due sponde della Senna. Il “generale” Henri RollTanguy, ex operaio della Renault di Billancourt, comunista e combattente della guerra di Spagna, che dirige l’insurrezione dalle fogne, sotto piazza Denfert — Rochereau. La ragazza amica di un tedesco rapata a zero e presa a calci in rue du Faubourg Saint-Antoine. Il giorno dopo, il 26 agosto 1944, de Gaulle che scende i Campi Elisi, mentre quel che resta di tedeschi e collaborazionsiti spara le ultime cartucce dai tetti, tra l’indifferenza dei parigini troppo presi dall’entusiasmo per badare all’agonia dei vinti. Intanto nel suo appartamento di avenue de Breteuil, Pierre Drieu La Rochelle, autore di Feu Follet e Gilles, divenuto il dandy della collaborazione, si prepara al suicidio, che tenterà più volte invano, prima col veleno poi con un rasoio, e che infine riuscirà con il gas, qualche mese dopo, giudicando troppo vergognoso passare dal fascismo al comunismo come gli suggeriva l’istinto. E saranno vani gli sforzi per salvarlo compiuti dai vecchi amici, tra i quali il comunista Louis Aragon e il futuro ministro gollista André Malraux. Simone de Beauvoir scriverà di quei giorni: «Avere venti o venticinque anni... sembrava una enorme fortuna: tutte le strade si spalancavano». Lei di anni ne aveva trentasei e Sartre trentanove. La memoria è il deperibile, prezioso patrimonio dei sopravvissuti, esposto alla dialettica del ricordo e dell’amnesia. È una verità soggettiva insidiata da mode, interessi e sentimenti, annebbiata dalla nostalgia, traboccante dettagli sempre più fluidi. Insomma, è ancora la vita, minata da fragilità e incertezze, ma unica e insostituibile. La storia è invece una problematica, monca, incompleta rappresentazione di quel che non è più. Questo anniversario della liberazione di Parigi è in bilico tra le due. Un altro passo nel tempo e la memoria svanirà per sempre, con gli ultimi protagonisti e testimoni, suoi estremi palpiti vitali. Sarà la sua resa definitiva ai cangianti, spesso capricciosi umori della storia… Vista attraverso questa ottica, oggi la liberazione di Parigi ci appare come una grande purificazione. Nella rivolta dei giorni precedenti alla resa tedesca del 25 agosto (gli scioperi del 18 e le azioni della resistenza, con forte partecipazione popolare, a partire dal 19) è impossibile non vedere il desiderio di catarsi della Parigi che per quattro anni, per cinquanta mesi, era stata il teatro — oltre che di umiliazioni e privazioni — della collaborazione con gli occupanti tedeschi. Per i quali la capitale francese, conquistata e rassegnata, era la metropoli del piacere, dove gli uomini della Wermacht e delle SS, reduci dal fronte russo in viaggio premio, potevano frequentare, in tutta tranquillità, l’Alcazar, il Casino de Paris, le Folies Bergère, l’Alham- E ‘ PARIGI 44 Il grande giorno del riscatto BERNARDO VALLI bra, il Sherazade, in cui si esibivano Edith Piaf, Tino Rossi, Maurice Chevalier, Mistinguette e Georges Guétary, con le consuete ballerine. E nei palazzi ufficiali, sulle facciate dei quali erano appesi ampi drappi rossi con le svastiche del Terzo Reich, non mancavano i collaboratori francesi: imprenditori, tecnocrati (i famosi grands commis usciti dalle prestigiose scuole repubblicane), giornalisti, scrittori. Non pochi protagonisti di quella che era stata la capitale mondiale della cultura si erano inchinati davanti ai vincitori nazisti, per convinzione ma più ancora per convenienza. Insieme alle difficoltà della vita quotidiana (tra le quali, negli ultimi mesi, per alcuni non era mancata la fame) Parigi aveva dovuto affrontare il disonore. Ed è per lavare questo disonore che è insorta nel torrido agosto del ‘44, ritornando alla tradizione barricardiera. De Gaulle ha riassunto il dramma con poche parole appena entrato in città: «Parigi oltraggiata ma liberata». Certo, gli alleati sbarcati in giugno in Normandia, e più tardi in Provenza, erano ormai alle porte. Ma il comando americano non si voleva impegnare in un assedio. La guarnigione tedesca non era invincibile (16mila soldati, 3mila del quali attorno agli Hotel Majestic e Meurice, con pochi mezzi corazzati); tutta- ERNEST HEMINGWAY ‘ “ PARIGI 44. TORNAMMO nella città che avevamo conquistato nel pomeriggio e ci fermammo davanti a un caffè, di fronte alla chiesa. La strada era ingombra di forze corazzate che passavano in un gemito stridulo e metallico, e il rumore di una carro si spegneva nell’avvicinarsi crescente, rauco e cigolante, di quello successivo. I carri avevano le torrette scoperte e i loro equipaggi rispondevano macchinalmente ai saluti che rivolgevano loro i ragazzi. Un vecchio francese con un feltro nero, camicia inamidata e un abito nero polveroso, se ne stava sulla terrazza della chiesa con un mazzo di fiori nella mano destra, e ad ogni veicolo indirizzava con quei fiori un saluto formale. «Chi è quell’uomo davanti alla chiesa?» domandai alla padrona del caffè mentre stavamo sulla soglia per lasciar passare i carri. «E’ un po’ matto» disse lei «ma molto patriota. Se ne sta lì da stamattina quando siete arrivati voi. Non ha neanche pranzato. Due volte sono venuti a prenderlo i suoi familiari, ma lui è rimasto lì». via un combattimento strada per strada avrebbe fatto perdere uomini e tempo. Meglio dunque aggirare Parigi, isolarla, e dirigersi a Nord. Inoltre bisognava tenere a bada lo scalpitante de Gaulle, non ancora riconosciuto dagli americani come capo del governo provvisorio. Lo sarebbe stato solo due mesi dopo, in ottobre. Escluso dallo sbarco in Normandia, de Gaulle chiedeva che venisse consentito a una divisione francese (quella del bravo generale Leclerc) di entrare per prima a Parigi. Esigeva questo onore. Temeva che gli americani perseverassero nel progetto di imporre alla Francia un’autorità d’occupazione, come se si fosse trat- tato di un paese nemico e conquistato; in sostanza come se per loro contasse la collaborazione con la Germania della Francia del maresciallo Pétain, e non la resistenza della Francia libera della quale lui, de Gaulle, era stato il promotore ed era il capo. Oltre che per questa esenziale ragione, de Gaulle aveva fretta perché voleva evitare che le Ffi (Forze francesi dell’interno), comandate dal comunista Rol-Tanguy, prendessero l’iniziativa e si installassero nelle sedi ufficiali del potere. Alla fine, quando già le Ffi di RolTanguy erano entrate in azione nel cuore di Parigi, il generale Eisenhower, comandante delle truppe alleate, sempre assillato da de Gaulle e ormai trascinato dagli avvenimenti, dette via libera alla divisione di Leclerc. Il quale non perse tempo e lanciò i suoi uomini sulla capitale. Cosi lui, Leclerc, arrivò puntuale per firmare la resa di von Choltitz. Ma de Gaulle storse il naso, non nascose il fastidio, quando vide che accanto al nome del suo generale c’era quello del comunista Rol-Tanguy. Fu lo slancio popolare a sommergere quei primi dissidi. In quel momento non si potevano soffocare i toni epici (poetici per un’estetica aristotelica), che infine si imponevano nella tragedia, dandole unì carattere catartico. Nessuno osò turbare oltre misura il processo di purificazione aprendo una tenzone tra i liberatori. Con grande intelligenza, de Gaulle coinvolse tutti nell’impresa. Quest’ultima imponeva comunque un’espiazione: un castigo. E fu la “repubblica degli scrittori”, ossia i rappresentanti dell’umiliata, oltraggiata Parigi, capitale della cultura, a dibattere subito la questione. Il Comitato Nazionale degli Scrittori (Cne), che nella clandestinità riuniva non più di quindici persone, nei giorni successivi alla liberazione di Parigi scoprì di contare almeno cento aderenti. In un primo documento, pubblicato dalle Lettres Françaises, organo del Cne, firmato da Duhamel, Mauriac, Valéry, Camus, Vercors, Eluard, Paulhan, Queneau, Sartre, Aragon, Benda, Malraux, Martin du Gard, si cominciò col chiedere «il giusto castigo degli impostori e dei traditori». Inoltre la rivista rese noto l’impegno unanime dei membri del Cne a non affiancare la propria firma a quella di collaborazionisti su giornali o collezioni editoriali. La prima lista nera degli scrittori comprendeva: Brasillach, Céline, Jean Giono, Marcel Jouhandeau, Henry de Monterland, Paul Morand, Chardonne, Drieu La Rochelle, Charles Maurras.... Tutti accusati di avere ceduto alle lusinghe naziste, o più semplicemente a quelle dell’abile ambasciatore tedesco Abetz, e di Gerhard Heller, colto e singolare incaricato della propaganda (al quale capitò spesso di scoprirsi molto più liberale degli scrittori che doveva convincere ad agevolare l’azione della Germania hitleriana). L’unanimità in favore del «giusto castigo» si frantumò tuttavia assai presto. Quando Robert Brasillach, considerato dalla società letteraria parigina «un talento smarritosi nella collaborazione» (lui stesso diceva: «Sono andato a letto con la Germania»), fu condannato a morte, non pochi scrittori del Cne, anche comunisti, intervennero invano presso de Gaulle perché concedesse la grazia. Ma subito si formarono due campi: da un lato la stragrande maggioranza degli intransigenti, non soltanto comunisti, dall’altro la minoranza degli indulgenti. Nel primo gruppo spiccava Camus, che chiedeva «la giustizia prima della carità» (ma che poi avrebbe abbandonato questo concetto). Nel secondo gruppo, i più attivi erano Mauriac e Paulhan. Quest’ultimo diceva che «la parola non è mai un crimine». “ DIARIO 44 LA REPUBBLICA LE TAPPE PRINCIPALI LA DISFATTA MAGGIO-GIUGNO ’40 Dalle Ardenne parte il principale attacco tedesco. La disfatta si consuma in sei settimane. Il 14 giugno i tedeschi entrano a Parigi. Il 17 giugno nasce il governo guidato dal maresciallo Pétain VICHY 1940 Dpopo l’armistizio la capitale è trasferita a Vichy, nella Francia centrale. Qui si insedia il governo collaborazionista che impone un regime di stampo fascista, strettamente dipendente dalla Germania MERCOLED 25 AGOSTO 2004 IL PIANO ALLEATO NOVEMBRE ’43 Roosvelt e Churchill fissano l’invasione della Francia occupata dai tedeschi per la primavera 1944. Il piano, che prende il nome di “Operazione Overlord”, è affidato a Eisenhower IL RICORDO DELLO SCRITTORE DOMINIQUE FERNANDEZ MIO PADRE FASCISTA MIA MADRE PARTIGIANA GIAMPIERO MARTINOTTI I LIBRI SVEN HASSEL Liquidate Parigi, Sonzogno 1999 YVES DURAND Il nuovo ordine europeo. La collaborazion e nell’Europa tedesca, Il Mulino 2002 FRANCO VENTURI La lotta per la libertà, Einaudi 1996 RICHARD OVERY La strada della vittoria. Perché gli alleati hanno vinto la seconda guerra mondiale, il Mulino 2002 LARRY COLLINS DOMINIQUE LAPIERRE Parigi brucia?, Mondadori 1987 ROBERT O.PAXTON Vichy 1940-1944 Il regime del disonore, Net 2002 ROBERT ARON La Francia di Vichy, Rizzoli 1972 JOHN KEEGAN La seconda guerra mondiale, Rizzoli 2002 PIERRE DRIEU LA ROCHELLE Diario 19391945, Il Mulino 1995 GERTRUDE STEIN Le guerre che ho visto, Mondadori 1946 ARTHUR KOESTLER Schiuma della terra, Il Mulino 1989 Parigi era nell’atmosfera una grande eccitazione. Si sentiva che l’occupazione stava per finire. Avevo quindici anni e li ho compiuti proprio il giorno della Liberazione di Parigi. Non avevamo né gas, né luce, me lo ricordo bene, ma mi sentivo addosso una specie di febbre, di felicità». Dominique Fernandez festeggiava i suoi quindici anni proprio mentre il generale Dietrich von Choltitz si recava in Questura per firmare la capitolazione tedesca. Lo scrittore francese era uno dei tanti parigini che aspettavano fremendo l’arrivo degli Alleati. Ma la sua storia è particolare: il padre, il grande critico Ramon, era entrato nel Partito fascista di Jacques Doriot ed era diventato uno degli intellettuali collaborazionisti, mentre la madre, professoressa, era vicina alla Resistenza. Separato dalla moglie nel 1936, Ramon muore all’inizio di agosto, poco più di tre settimane prima della Liberazione. L’eccitazione non si mischiava alla paura, al timore che i tedeschi opponessero una forte resistenza e che la città fosse bombardata? «I miei genitori, forse, avevano paura, ma per i ragazzi era come un’avventura. A partire dal 18 agosto ci sono stati degli scontri a Parigi, nelle strade c’erano i partigiani delle Ffi (Forces françaises de l’intérieur, ndr.), sui tetti c’erano i tedeschi. Vivevo con mia madre nel quartiere dell’Ecole militaire, si sentivano gli spari ed era molto eccitante per un ragazzo di quindici anni. No, non avevo paura. Penso mia madre ne avesse, ma per me era come vivere una specie di euforia». Nonostante il coprifuoco e il razionamento? «Mi ricordo soprattutto che a causa della mancanza di luce e gas cucinavamo su dei fornelli “a carta”. Erano scatole di conserve cilindriche, messe su un treppiede. Sotto si appollottolava la carta di giornale e le si dava fuoco. La mia torta di compleanno era fatta con farina di fagioli e venne cotta su un fornellino fatto così, ma eravamo talmente felici che non aveva nessuna importanza. Vedere la fine dell’Occupazione il giorno dei miei quindici anni era straordinario, la mia vita privata s’incrociava con la storia». Usciva durante le giornate precedenti la Liberazione? «Avevano detto a mia madre che non dovevo uscire, altrimenti i tedeschi avrebbero potuto portarmi via. Si andava fuori, ma si restava nel quartiere. Sa, non ci sono state così tante barricate, in seguito si è un po’ esagerato. Ce n’erano alcune, c’era qualche sparatoria localizzata, ma non c’è sta- «C’ ‘‘ ,, IL COMPLEANNO Proprio nel giorno della Liberazione compivo i miei quindici anni, la mia torta era fatta con farina di fagioli e venne cotta su un fornellino ta un’insurrezione generale». Sua padre era morto qualche settimana prima. «E’ morto il 2 agosto. Meglio per lui, perché sarebbe stato arrestato». I funerali si svolsero nella chiesa di Saint-Germain-desPrès e c’erano molti intellettuali che avevano conosciuto bene Ramon Fernandez... «Era il 4 o il 5 agosto. Non c’erano solo i fascisti, sono venuti anche molti suoi amici che erano entrati nella Resistenza. Lo amavano molto, malgrado i suoi errori politici. E’ venuto François Mauriac, che in quel periodo si nascondeva. E c’era anche anche Jean Paulhan, il direttore della Nrf prima e dopo la guerra. Ho ritrovato il li- bro delle condoglianze con le firme. Allora ero troppo giovane per capire, non li conoscevo e non potevo sapere chi fossero. Mi sembrava che tutti aspettassero la Liberazione. E credo fossero tutti sollevati per mio padre: la morte gli aveva evitato un processo e tutto il resto. Sarebbe stato terribile». Non avrebbe potuto seguire gli intellettuali collaborazionisti in fuga verso altri paesi? «No, era malato e aveva rifiutato di partire. Il suo è stato una specie di suicidio. Sapeva benissimo che stava commettendo un errore madornale. Non era germanofilo, non era nazista, si è lasciato trascinare. Nel suo ultimo anno di vita si è messo a bere moltissimo, mal- grado gli avvertimenti dei medici, e praticamente si è ucciso. Gli avevano proposto di partire in Svizzera con un’ambulanza e ha risposto: mai». Sua madre, invece, era gollista. «Era professoressa e gli insegnanti, in generale, erano gollisti. Io ero al liceo Buffon e molti professori sono spariti nei lager tedeschi. Era un centro non di resistenza attiva, ma di resistenza intellettuale. E alcuni liceali più grandi di me sono stati fucilati. La sera ascoltavamo Radio Londra ed eravamo molto ben informati su quel che accadeva. Mi ricordo che il 6 giugno un’amica ha telefonato a mia madre alle sette del mattino per dire: “Sono sbarcati”. Da tempo si parlava dello sbarco in Normandia, lo aspettavamo e lo abbiamo saputo immediatamente». Lei non ha mai esitato tra suo padre collaborazionista e sua madre vicina alla resistenza? «Io disapprovavo completamente mio padre dal punto di vista politico. Eravamo veramente gollisti: in camera mia avevo una carta del fronte in Normandia, con le bandierine che indicavanzo l’avanzata degli Alleati. Tra le nostre frequentazioni c’era anche Georges Bidault (il presidente del Consiglio nazionale della Resistenza, ndr.), che abitava dalla migliore amica di mia madre, a due passi da casa nostra. Negli ultimi tempi dell’Occupazione vedevo Bidault il giovedì e la domenica mio padre. Era una situazione curiosa». E il 26 agosto, all’indomani della Liberazione, andò sugli WINSTON CHURCHILL Pur essendo disposto a unirci agli Stati Uniti per attaccare il fronte tedesco in Francia, non ero convinto che fosse l’unico mezzo per la vittoria La seconda guerra mondiale 1954 MARGUERITE DURAS Alle undici di sera c’è stata la Liberazione. Deve averlo sentito anche lui, il frastuono delle campane, e forse ha visto anche la folla che si riversava nelle strade Il dolore 1985 FESTA Le parigine festeggiano per strada la liberazione. A sinistra, Combat, la rivista di Albert Camus, e la copertina di un opuscolo che celebra l’epoca esistenzialista Champs-Elysées per acclamare de Gaulle? «No, non andammo. Non so perché. Ma mi ricordo bene l’accoglienza riservata agli Alleati. Ci fu una vera “americanofollia”. Tutti abbracciavano i soldati. Avevamo una straordinaria gratitudine, non solo perché portavano cioccolato, sigarette, corn beef: sapevamo che senza di loro saremmo rimasti occupati a vita. Detestavamo i tedeschi. Mi ricordo ancora il rumore degli stivali tedeschi sui sampietrini, i canti tedeschi. E tutti i cartelli a Parigi erano in tedesco, tutti i luoghi pubblici erano indicati in tedesco. Era umiliante. Gli americani erano i nostri salvatori». IL PENSIERO DI SARTRE E LA CATASTROFE EUROPEA L’ESISTENZIALISMO È FRUTTO DI QUEI GIORNI FRANCO VOLPI l 27 maggio 1944, poco prima dello sbarco in Normandia, andò in scena al Vieux Colombierdi Parigi A porte chiusedi Sartre. Tra gli spettatori, in compagnia della sua ultima amante, uno sdegnoso Drieu La Rochelle, che appunta: «E’ l’universo di un disperato». Curiosamente fu più lungimirante la stampa tedesca, piena di elogi per l’esistenzialismo. Ma a che cosa dovette la sua fortuna la nuova «filosofia della crisi»? Evidentemente lo spirito del tempo – segnato dalle catastrofi materiali e dalla distruzione dei valori della vecchia Europa, dalla barbarie dei totalitarismi e dall’incertezza dell’avvenire – ben si rispecchiava nel principio dell’esistenzialismo che affermava: «L’uomo è quell’ente in cui l’esistenza precede e determina l’essenza». Era il sentimento che nutriva dentro di sé ogni I buon europeo ridotto dalla guerra alla sua nuda esistenza. Ne nacque una filosofia. L’uomo, gettato nella sua insormontabile storicità e fatticità, non può essere compreso entro una «essenza» – desunta da una religione o una visione del mondo – che definisca a priori ciò che egli è, e a cui egli dovrebbe poi adeguare la sua «esistenza». L’uomo non è una realtà data, ma una possibilità che deve farsi. Sta nudo di fronte al suo nudo destino. E’ quello che di volta in volta decide di essere nelle sue effettive scelte di vita: angelo o bestia, libero di inventare se stesso. Questa tesi – pronunciata da Sartre all’indomani della guerra, il 28 ottobre 1945, nella leggendaria conferenza L’esistenzialismo è un umanismo? – da Parigi fece in DIARIO MERCOLEDÌ 25 AGOSTO 2004 LA RESISTENZA 1943 Il generale Charles de Gaulle crea con il generale Giraud il Comitato francese di liberazione nazionale. La guerra partigiana costa la vita a 24mila volontari: altri 25mila vengono condannati a morte LA REPUBBLICA 45 LO SBARCO 6 GIUGNO 1944 All’alba gli Alleati sbarcano sulle spiagge normanne. E’ il D-day. Centinaia di navi invadono le coste. La Resistenza francese è pronta ad affiancare le truppe alleate PARIGI 25 AGOSTO 1944 Il 25 agosto Parigi, già liberata da un’insurrezione popolare, accoglie le truppe alleate e quelle di de Gaulle. Dieci giorni dopo il generale formava il governo provvisorio della Francia libera UN OMAGGIO SIMBOLICO DELLE TRUPPE DI LIBERAZIONE ALLA FRANCIA PRIMA DE GAULLE POI GLI ALLEATI PAOLO VIOLA e non fossero riusciti a fermare gli alleati sulle spiagge della Normandia il 6 giugno 1944, e infatti non ci riuscirono, i tedeschi non avrebbero potuto più opporsi all’avanzata anglo-americana, che godeva di superiorità numerica, e ormai anche tecnologica, oltre ad un’enorme preponderanza aerea. Potevano provare a resistere a Parigi, farne la loro Stalingrado, al prezzo della sua distruzione; ed è possibile che Hitler abbia dato quest’ordine, che comunque non fu eseguito. In ogni caso i tedeschi ci misero due mesi e mezzo ad arretrare dalla Normandia alla capitale francese, gli stessi in cui in Italia perdevano Lazio e Toscana e sul fronte orientale Ucraina e Bielorussia. A differenza di Roma, Parigi fu liberata anche dai francesi stessi, oltre che dagli anglo-americani; anzi formalmente prima. O meglio gli alleati lasciarono che fossero i francesi a scacciare il nemico dalla loro capitale. I partigiani delle Ffi (Forces Françaises de l’Intérieur), comandate dal comunista Rol-Tanguy, attaccarono i tedeschi il 19 agosto, con il contributo della popolazione e della polizia municipale, che si unì alla resistenza. Il comando alleato lasciò il passo alla divisione Leclerc, che entrò in città da sud-est (porte d’Italie) il 24. Il giorno seguente il comandante tedesco Von Choltitz firmò la resa nelle mani di Leclerc e di RolTanguy. Gli alleati entrarono solo dopo, preceduti il 26 da De Gaulle, in parata sugli Champs-Elysées in mezzo a due ali di folla entusiasta. In Italia diverse città del nord sono state liberate dai partigiani il 25 aprile 1945, alcune ore o un giorno prima dell’ingresso degli alleati; ma senza il riconoscimento ufficiale, il partneriato concesso dai liberatori, e senza un ruolo visibile e apprezzabile delle truppe italiane; e comunque non la capitale. L’Italia è stata fatta passare fra gli sconfitti del conflitto mondiale, e fra la Francia i vincitori, perché nel 1939 la prima stava con la Germania e la seconda S GLI AUTORI LE IMMAGINI Dominique Fernandez è uno dei più noti romanzieri francesi e italianista. Il Sillabario di Ernest Hemingway, tratto da un reportage uscito sulla rivista Collier nel’44, è raccolto nel libro By Line (Mondadori). Paolo Viola insegna Storia Moderna all’Università di Palermo. Franco Volpi insegna Storia della Filosofia all’Università di Padova La liberazione di Parigi era stata a lungo attesa e preparata, non solo sul piano politico e militare. Insieme alle truppe Usa si trovavano in veste di cronisti famosi scrittori (Hemingway) e fotoreporter (Robert Capa). Anche per questo fu uno degli avvenimenti più fotografati della Seconda Guerra Mondiale ‘‘ ,, DIFFERENZE Perché la Francia fu considerata tra i vincitori della guerra, anche se ebbe, come l’Italia, la Resistenza e un regime collaborazionista contro; anche se le cose non erano poi andate, durante la guerra, in modo tanto diverso. Nei due paesi c’era stato un regime collaborazionista e una resistenza soprattutto comunista; e si erano combattute tre guerre interne, di liberazione nazionale, rivoluzionaria e civile. L’atto di riguardo simbolico usato verso la Francia nella liberazione di Parigi favorì il processo di ricostruzione del sentimento patriottico francese reduce dal disastro del 1940, quando la Francia, che sulla carta aveva un esercito addirittura più forte di quello tedesco, era stata sbaragliata in due settimane, e aveva opposto meno resistenza della Polonia e quanto la Norvegia. Il collasso del giugno 1940 era venuto dopo mesi di una “ridicola guerra” (la drôle de guerre) in cui invece di com- TRIONFO Charles de Gaulle vive la sua giornata trionfale il 26 agosto del 1944, quando può sfilare per le strade di Parigi accolto dagli abitanti in festa TZVETAN TODOROV A sinistra, Jean-Paul Sartre. La sua pièce A porte chiuse ando in scena il 27 maggio del ’44, poco prima dello sbarco in Normandia e qualche settimana prima della liberazione di Parigi breve il giro d’Europa. La nuova filosofia captava lo spirito del tempo con il suo sottofondo relativista e nichilista, riflettendo sul senso dell’esistenza individuale in quel teatro dell’assurdo che è il mondo. Finitudine, angoscia, decisione, situazioni-limite, aut-aut divennero motivi portanti. Per questo l’esistenzialismo fu accusato, specie da parte marxista e cattolica, di disimpegno e disfattismo. In verità esso riteneva che, dopo la «morte di Dio», i valori dell’umanesimo potevano essere ri- scattati solo se l’uomo, anziché ancorarli all’ormai tramontato firmamento delle stelle fisse, li avesse reinventarli unicamente in base a sé stesso, con il proprio impegno. Per essere davvero intesa, la formula andava collegata al capolavoro che Sartre pubblicò in piena guerra, L’essere e il nulla (1943), ma anche a La nausea (1938), il romanzo esistenzialista che fece scuola. E soprattutto alla grande opera cui Sartre si era ispirato, Essere e tempo (1927) di Heidegger, di cui allora si potevano leggere in Francia le pagine tradotte da Henry Corbin. Furono questi – assieme a Filosofia (1932) di Jaspers – i fondamenti teorici dell’esistenzialismo, che nel dopoguerra dilagò in tutta Europa fino a diventare una moda. Nell’agosto 1944, i parigini insorgono invece di attendere l’arrivo delle truppe. Contribuiscono al formarsi dell’immagine che la collettività avrà di sé Una tragedia vissuta 1994 JEAN GENET Vorrei ancora sottolineare la bellezza dei tedeschi vinti, in fuga: i loro occhi severi, i lineamenti rigidi, talora un sorriso di una tristezza infinita Pompe funebri 1947 battere il nemico, il governo francese aveva ipotizzato di intervenire a migliaia di chilometri di distanza, in difesa della Finlandia attaccata dall’Unione Sovietica. O aveva pensato a come impossessarsi delle riserve petrolifere del Caspio. E dopo l’invasione tedesca e il tracollo del giugno ‘40 era nato il regime collaborazionista di Vichy: non solo un governo fantoccio imposto a un paese ostile, come sarebbe stato quello di Salò nell’Italia settentrionale, ma proprio un regime autoritario e nazionalista molto simile ai tanti altri fascismi europei, portatore di una sua pretesa “rivoluzione nazionale”, appoggiato dalle classi dirigenti, dai tecnocrati, dai militari (non tutti), dalla chiesa (non tutta). Vichy aveva partecipato autonomamente e volentieri alla deportazione degli ebrei francesi verso i campi di sterminio. Aveva diviso la coscienza nazionale, scossa pochi anni prima dai fascisti che avevano cercato di prendere il potere, poi sconfitti dal governo di Fronte popolare appoggiato dai comunisti, nel momento in cui tutta l’Europa si lacerava nella guerra di Spagna. I fascisti in Francia con il governo collaborazionista erano di nuovo vittoriosi. Si è potuto affermare che in Italia la patria è morta l’8 settembre 1943 con l’armistizio e la nascita di un’identità e una memoria divisa. La patria francese è morta nel giugno 1940, col collasso militare e poi il collaborazionismo. Le famiglie furono lacerate, il tessuto sociale ferito. Invece di combattere il nazismo che aveva invaso la metà settentrionale e umiliato la dignità del paese, il governo perseguitava i comunisti, che però di lì a poco sarebbero stati fra i liberatori di Parigi, nonché alleati della parte migliore della Francia e degli americani. Vero è che contro il disonore del collaborazionismo, il generale De Gaulle aveva lavorato con grande tenacia per unire la resistenza, in maggioranza comunista, per ricostruire la patria. Ma c’erano due France, una fascista e una resistente, proprio come c’erano due Italie, e anche lì come da noi si intrecciavano una guerra per il riscatto nazionale con una guerra rivoluzionaria e una guerra civile. Le patrie però, a differenza degli esseri viventi, non muoiono definitivamente, e la liberazione di Parigi la fece risuscitare in Francia, con maggiore successo che in Italia, la cui credibilità internazionale non è stata più restituita per decenni. Il patriottismo dei francesi è stato ricostruito, a patto di una sostanziale amnesia, che è durata a lungo, fino a tempi recenti. Si è dimenticato Vichy, quanto consenso quel regime avesse avuto. Si è dimenticata anche la violenza dopo la liberazione contro i collaborazionisti, o presunti tali. Lo stesso è avvenuto in Italia. E in entrambi i paesi la memoria si restituisce oggi con operazioni discutibili, con macabri conteggi, come se la morte degli uni risarcisse la morte degli altri. Quei diecimila presunti fascisti uccisi in Francia e qualcosa di più in Italia avrebbero dovuto vendicare le molte decine di migliaia di partigiani fucilati, le centinaia di migliaia di ebrei deportati di Vichy e di Salò. Naturalmente non risarcirono nulla. E ora non risarcisce rivendicarli e contarli. Non basta a ricostruire la patria. Non basta a ristabilire la verità. I FILM LA TRAVERSATA DI PARIGI di Claude Autant-Lara, 1956 Jean Gabin e Bourvil sono impegnati a trasportare di notte una valigia carica di carne da smerciare sul mercato nero, nella Parigi occupata dai nazisti. Dal racconto di Marcel Aymé PARIGI BRUCIA? di René Clement, 1967 La storia degli avvenimenti che portarono alla liberazione di Parigi, interpretata da un grande cast di attori. Da Belmondo a Welles; da Trintignant a Montand. Sceneggiatura di Gore Vidal e Francis Ford Coppola L’ULTIMO METRÒ di François Truffaut, 1980 Nella capitale francese occupata il teatro va avanti. Almeno fino all’orario di partenza dell’ultimo metrò. E tra Catherine Deneuve e Gérard Depardieu nasce l’amore LAISSEZPASSER di Bertrand Tavernier, 2001 Un aiutoregista e uno sceneggiatore entrambi parigini continuano le loro vite tra il cinema e le donne, nonostante l’occupazione tedesca. Fondatore Eugenio Scalfari ALVOHXEBbahaajA CIDEDWDGDT 40825 9 770390 107009 Anno 29 - Numero 201 Direttore Ezio Mauro € 0,90 in Italia mercoledì 25 agosto 2004 (con “IL MULINO SULLA FLOSS” € 8,80) SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b, tel. 06/49821, fax 06/49822923. Sped. abb. post., art. 1, legge 46/04 del 27 febbraio 2004 - Roma. Concessionaria di pubblicità: A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941. PREZZI DI VENDITA ALL’ESTERO: Portogallo, Spagna € 1,20 (Azzorre, Madeira, Canarie € 1,40); Grecia € 1,60; Austria, Belgio, Francia (se con D o Il Venerdì € 2,00), Germania, Lussemburgo, Monaco P., Olanda € 1,85; Finlandia, Irlanda € 2,00; Albania Lek 280; Canada $1; Costa Rica Col 1.000; Croazia Kn 13; Danimarca Kr.15; Egitto EP 15,50; Malta Cents 53; Marocco MDH 24; Norvegia Kr. 16; Polonia Pln 8,40; Regno Unito Lst. 1,30; Repubblica Ceca Kc 56; Slovacchia Skk 71; Slovenia Sit. 280; Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr. 2,5 (con il Venerdì Fr. 2,80); Tunisia TD 2; Ungheria Ft. 350; U.S.A $ 1. INTERNET www.repubblica.it 1 2 Messaggio dell’Esercito islamico trasmesso da Al Jazeera. Enzo Baldoni appare in buone condizioni. Palazzo Chigi: “Non cederemo ai ricatti” Iraq, ultimatum all’Italia In un video il giornalista rapito. I terroristi: via le truppe entro 48 ore o morirà IL DOVERE DEL SILENZIO I UN GRUPPO ANTISCIITA RENZO GUOLO “ESERCITO islamico dell'Iraq” è una sigla nota nel panorama in ebollizione della guerriglia irachena. Il gruppo è probabilmente di matrice sunnita; lo fa pensare sia il teatro d'azione del sequestro, sulla strada che da Bagdad conduce a Najaf, sia le precedenti occasioni in cui è salito alla ribalta. Il gruppo che si definisce con orgoglio «vicino ad Al Qaeda» è stato protagonista d’altri rapimenti, come quello dell'ostaggio filippino liberato dopo aver ottenuto il ritiro del contingente di Manila e del console iraniano a Kerbala. Un caso, quest'ultimo, che ha fatto pensare a Teheran di trovarsi di fronte a una sorta di “sequestro di Stato”. SEGUE A PAGINA 17 L’ CON REPUBBLICA La moglie: serve la Croce rossa Lunedì 30 agosto in regalo “La Storia”, primo volume “Dalla preistoria all’antico Egitto” La famiglia: “È vivo ma adesso salvatelo” GIUSEPPE D’AVANZO N UN Paese ammalato di protagonismo e ipocrisia, come privo di ogni etica della responsabilità (impone di tener conto delle conseguenze delle decisioni che si assumono), il più lucido è Mirko Tremaglia, che è anche il più avanti con gli anni. Appena Al Jazeera diffonde le immagini di Enzo Baldoni prigioniero dell’“Esercito islamico dell’Iraq” — il free lanceitaliano vi appare solo, alquanto sereno, sbarbato — il ministro si è affrettato a raccomandare silenzio e ancora silenzio. Ha detto Tremaglia: «Più si sta in silenzio senza fare inutili dichiarazioni e meglio è». Raccomandazione vana, come usa dire. Si è subito messa in movimento la spensierata giostra delle “inutili dichiarazioni” di ex ostaggi (Maurizio Agliana dà addirittura qualche consiglio al governo) e di madri e sorelle di ex ostaggi, di politici di prima seconda e terza fila, di qualche sottosegretario, dell’immancabile commissario straordinario della Croce Rossa. SEGUE A PAGINA 17 ALL’INTERNO SERVIZI A PAGINA 4 Raccoglieva storie di guerriglia “Preparavo un libro sulla vostra resistenza” SERVIZI A PAGINA 2 Atene, venerdì match con gli azzurri I calciatori iracheni “Non uccidetelo” ROMAGNOLI A PAGINA 6 La commissione Schlesinger “Inferno Abu Ghraib” accuse al Pentagono Baldoni nel video trasmesso da Al Jazeera DA PAGINA 2 A PAGINA 7 SERVIZI A PAGINA 7 16 volumi di 800 pagine con 8000 immagini a colori: la storia completa dell’umanità. Un’opera indispensabile per la famiglia La legge sarà “affinata”. Nuovi sbarchi a Lampedusa. Tokyo polemica con Roma per il seggio Onu DIARIO Immigrati,modificheallaBossi-Fini Parigi ’44 il giorno del grande riscatto Vertice Berlusconi-Pisanu. Oggi il premier incontra Gheddafi Ègiallo, il corpo riaffiora nel Tevere Trovata morta la ragazza tedesca sparita a Roma FEDERICA ANGELI A PAGINA 22 Vera Heinzl IL CASO Venerdì nei cinema “Farenheit 9/11” di Moore, vincitore a Cannes e grande successo negli Usa Arriva il film che sfida Bush INCUBI AMERICANI UN BOOMERANG NATALIA ASPESI MASSIMO CACCIARI OME tutti i filmoni americani di successo, Fahrenheit 9/11 entusiasma, orrifica, diverte, spaventa, commuove, irrita, invita al singhiozzo, alla risata, all’indignazione: ha per protagonista uno raccontato come un buffone, Bush, con tutta la sua corte di ricchi spietati e di strateghi sciocchi, come antagonista un soave angelo vendicatore, Moore stesso, con la sua folla di vittime, d’eroi, d’ingannati, di poveri, di sfruttati. SEGUE A PAGINA 17 PERO ardentemente di sbagliarmi, ma credo che il film-documentario di Moore non toglierà il sonno a Bush. Vi si mescolano troppe prospettive, troppe suggestioni, senza che nessuna venga presentata con forza davvero persuasiva. L’approccio grottesco al personaggio-Bush e al suo clan minaccia, anzi, d’occultare la denuncia dell’impressionante intreccio tra politica e affari che domina l’amministrazione Usa. SEGUE A PAGINA 17 C S Michael Moore ROMA — La legge Bossi-Fini sull’immigrazione sarà “rafforzata e affinata”. Lo promette il premier Silvio Berlusconi, alla vigilia dell’incontro in Libia con il colonnello Gheddafi, dopo un vertice con il ministro dell’Interno Pisanu. A Lampedusa, intanto, nuovo sbarco: ieri 275 clandestini stipati in un peschereccio. Polemiche sulla richiesta italiana di un seggio al consiglio di sicurezza Onu: Tokyo rivendica il suo diritto al posto. ANSALDO, CASADIO NIGRO e ZAMPAGLIONE ALLE PAGINE 8 e 9 Marzano: “Sms sui prezzi” Luce e gas stangata sulle tariffe GIORGIO LONARDI A PAGINA 29 BERNARDO VALLI PARIGI A MEMORIA non è la storia. Non sono sinonimi. Lo senti in queste ore a Parigi, mentre il 60° anniversario della sua liberazione rispolvera tante immagini, cariche di passioni ed emozioni. Il generale von Choltitz che rinuncia a distruggere ponti, palazzi e monumenti, come gli ha ordinato Hitler; e che all’hotel Meurice, a due passi dal Louvre, indossa la tenuta di gala e s’arrende ai francesi. Le centinaia di morti tra l’Arco di Trionfo e l’Hotel de Ville, espugnato da una manciata d’intellettuali, guidati dallo scrittore Roger Stephane. Il poeta Paul Eluard che distribuisce manifestini in rue du Dragon, mentre De Gaulle a due passi i soldati della Wermachtrasentano i muri di boulevard SaintGermain. Sylvia Beach, la fedele libraia della Shakespeare&Co., che davanti al numero 12 di rue de l’Odéon vede fermarsi una jeep, dalla quale scende Hemingway, che di corsa l’abbraccia e subito riparte per andare a «liberare la cantina dell’Hotel Ritz», in Place Vendome. SEGUE A PAGINA 43 MARTINOTTI, VIOLA e VOLPI ALLE PAGINE 43, 44 e 45 L