DIARIO
MERCOLED 25 AGOSTO 2004
LA REPUBBLICA 43
DI
SESSANT’ANNI FA LA LIBERAZIONE
Il 24 agosto
l’insurrezione
E il giorno
dopo la resa
dei tedeschi
La festa
popolare
e la vergogna
collettiva
di Vichy
Le truppe americane
sfilano sugli ChampsElysées
(segue dalla prima pagina)
ancora: Albert Camus che prepara
Combat, il giornale
non più clandestino, mentre il cronista Jean Paul Sartre raccoglie notizie sulle
due sponde della Senna. Il
“generale” Henri RollTanguy, ex operaio della
Renault di Billancourt, comunista e combattente
della guerra di Spagna, che
dirige l’insurrezione dalle
fogne, sotto piazza Denfert
— Rochereau. La ragazza
amica di un tedesco rapata
a zero e presa a calci in rue
du Faubourg Saint-Antoine.
Il giorno dopo, il 26 agosto 1944, de Gaulle che
scende i Campi Elisi, mentre quel che resta di tedeschi e collaborazionsiti
spara le ultime cartucce dai tetti, tra
l’indifferenza dei parigini troppo
presi dall’entusiasmo per badare all’agonia dei vinti. Intanto nel suo appartamento di avenue de Breteuil,
Pierre Drieu La Rochelle, autore di
Feu Follet e Gilles, divenuto il dandy
della collaborazione, si prepara al
suicidio, che tenterà più volte invano, prima col veleno poi con un rasoio, e che infine riuscirà con il gas,
qualche mese dopo, giudicando
troppo vergognoso passare dal fascismo al comunismo come gli suggeriva l’istinto. E saranno vani gli sforzi
per salvarlo compiuti dai vecchi amici, tra i quali il comunista Louis Aragon e il futuro ministro gollista André
Malraux. Simone de Beauvoir scriverà di quei giorni: «Avere venti o
venticinque anni... sembrava una
enorme fortuna: tutte le strade si spalancavano». Lei di anni ne aveva trentasei e Sartre trentanove.
La memoria è il deperibile, prezioso patrimonio dei sopravvissuti,
esposto alla dialettica del ricordo e
dell’amnesia. È una verità soggettiva
insidiata da mode, interessi e sentimenti, annebbiata dalla nostalgia,
traboccante dettagli sempre più fluidi. Insomma, è ancora la vita, minata da fragilità e incertezze, ma unica
e insostituibile. La storia è invece una
problematica, monca, incompleta
rappresentazione di quel che non è
più. Questo anniversario della liberazione di Parigi è in bilico tra le due.
Un altro passo nel tempo e la memoria svanirà per sempre, con gli ultimi
protagonisti e testimoni, suoi estremi palpiti vitali. Sarà la sua resa definitiva ai cangianti, spesso capricciosi umori della storia…
Vista attraverso questa ottica, oggi la liberazione di Parigi ci appare
come una grande purificazione.
Nella rivolta dei giorni precedenti alla resa tedesca del 25 agosto (gli scioperi del 18 e le azioni della resistenza, con forte partecipazione popolare, a partire dal 19) è impossibile non
vedere il desiderio di catarsi della Parigi che per quattro anni, per cinquanta mesi, era stata il teatro — oltre che di umiliazioni e privazioni —
della collaborazione con gli occupanti tedeschi. Per i quali la capitale
francese, conquistata e rassegnata,
era la metropoli del piacere, dove gli
uomini della Wermacht e delle SS,
reduci dal fronte russo in viaggio
premio, potevano frequentare, in
tutta tranquillità, l’Alcazar, il Casino
de Paris, le Folies Bergère, l’Alham-
E
‘
PARIGI 44
Il grande giorno del riscatto
BERNARDO VALLI
bra, il Sherazade, in cui si esibivano
Edith Piaf, Tino Rossi, Maurice Chevalier, Mistinguette e Georges Guétary, con le consuete ballerine.
E nei palazzi ufficiali, sulle facciate dei quali erano appesi ampi drappi rossi con le svastiche del Terzo
Reich, non mancavano i collaboratori francesi: imprenditori, tecnocrati (i famosi grands commis usciti
dalle prestigiose scuole repubblicane), giornalisti, scrittori. Non pochi
protagonisti di quella che era stata la
capitale mondiale della cultura si
erano inchinati davanti ai vincitori
nazisti, per convinzione ma più ancora per convenienza. Insieme alle
difficoltà della vita quotidiana (tra le
quali, negli ultimi mesi, per alcuni
non era mancata la fame) Parigi aveva dovuto affrontare il disonore.
Ed è per lavare questo disonore
che è insorta nel torrido agosto del
‘44, ritornando alla tradizione barricardiera. De Gaulle ha riassunto il
dramma con poche parole appena
entrato in città: «Parigi oltraggiata
ma liberata». Certo, gli alleati sbarcati in giugno in Normandia, e più tardi
in Provenza, erano ormai alle porte.
Ma il comando americano non si voleva impegnare in un assedio. La
guarnigione tedesca non era invincibile (16mila soldati, 3mila del quali
attorno agli Hotel Majestic e Meurice, con pochi mezzi corazzati); tutta-
ERNEST HEMINGWAY
‘
“
PARIGI 44.
TORNAMMO nella città che
avevamo conquistato nel
pomeriggio e ci fermammo
davanti a un caffè, di fronte alla chiesa. La strada era ingombra di forze corazzate che passavano in un gemito
stridulo e metallico, e il rumore di una carro si spegneva
nell’avvicinarsi crescente, rauco e cigolante, di quello
successivo. I carri avevano le torrette scoperte e i loro
equipaggi rispondevano macchinalmente ai saluti che
rivolgevano loro i ragazzi. Un vecchio francese con un
feltro nero, camicia inamidata e un abito nero polveroso,
se ne stava sulla terrazza della chiesa con un mazzo di
fiori nella mano destra, e ad ogni veicolo indirizzava con
quei fiori un saluto formale.
«Chi è quell’uomo davanti alla chiesa?» domandai alla padrona del caffè mentre stavamo sulla soglia per lasciar passare i carri. «E’ un po’ matto» disse lei «ma molto patriota. Se ne sta lì da stamattina quando siete arrivati voi. Non ha neanche pranzato. Due volte sono
venuti a prenderlo i suoi familiari, ma lui è rimasto lì».
via un combattimento strada per
strada avrebbe fatto perdere uomini
e tempo. Meglio dunque aggirare Parigi, isolarla, e dirigersi a Nord. Inoltre bisognava tenere a bada lo scalpitante de Gaulle, non ancora riconosciuto dagli americani come capo del
governo provvisorio. Lo sarebbe stato solo due mesi dopo, in ottobre.
Escluso dallo sbarco in Normandia, de Gaulle chiedeva che venisse
consentito a una divisione francese
(quella del bravo generale Leclerc)
di entrare per prima a Parigi. Esigeva
questo onore. Temeva che gli americani perseverassero nel progetto di
imporre alla Francia un’autorità
d’occupazione, come se si fosse trat-
tato di un paese nemico e conquistato; in sostanza come se per loro contasse la collaborazione con la Germania della Francia del maresciallo
Pétain, e non la resistenza della
Francia libera della quale lui, de
Gaulle, era stato il promotore ed era
il capo. Oltre che per questa esenziale ragione, de Gaulle aveva fretta
perché voleva evitare che le Ffi (Forze francesi dell’interno), comandate
dal comunista Rol-Tanguy, prendessero l’iniziativa e si installassero
nelle sedi ufficiali del potere.
Alla fine, quando già le Ffi di RolTanguy erano entrate in azione nel
cuore di Parigi, il generale Eisenhower, comandante delle truppe
alleate, sempre assillato da
de Gaulle e ormai trascinato
dagli avvenimenti, dette via
libera alla divisione di Leclerc. Il quale non perse tempo e lanciò i suoi uomini sulla capitale. Cosi lui, Leclerc,
arrivò puntuale per firmare
la resa di von Choltitz. Ma de
Gaulle storse il naso, non nascose il fastidio, quando vide
che accanto al nome del suo
generale c’era quello del comunista Rol-Tanguy. Fu lo
slancio popolare a sommergere quei primi dissidi. In
quel momento non si potevano soffocare i toni epici
(poetici per un’estetica aristotelica), che infine si imponevano nella tragedia,
dandole unì carattere catartico. Nessuno osò turbare
oltre misura il processo di
purificazione aprendo una
tenzone tra i liberatori. Con
grande intelligenza, de Gaulle coinvolse tutti nell’impresa.
Quest’ultima imponeva comunque un’espiazione: un castigo. E fu
la “repubblica degli scrittori”, ossia i
rappresentanti dell’umiliata, oltraggiata Parigi, capitale della cultura, a dibattere subito la questione. Il
Comitato Nazionale degli Scrittori
(Cne), che nella clandestinità riuniva non più di quindici persone, nei
giorni successivi alla liberazione di
Parigi scoprì di contare almeno cento aderenti. In un primo documento, pubblicato dalle Lettres Françaises, organo del Cne, firmato da
Duhamel, Mauriac, Valéry, Camus,
Vercors, Eluard, Paulhan, Queneau,
Sartre, Aragon, Benda, Malraux,
Martin du Gard, si cominciò col
chiedere «il giusto castigo degli impostori e dei traditori». Inoltre la rivista rese noto l’impegno unanime
dei membri del Cne a non affiancare la propria firma a quella di collaborazionisti su giornali o collezioni
editoriali.
La prima lista nera degli scrittori
comprendeva: Brasillach, Céline,
Jean Giono, Marcel Jouhandeau,
Henry de Monterland, Paul Morand, Chardonne, Drieu La Rochelle, Charles Maurras.... Tutti accusati
di avere ceduto alle lusinghe naziste,
o più semplicemente a quelle dell’abile ambasciatore tedesco Abetz, e
di Gerhard Heller, colto e singolare
incaricato della propaganda (al quale capitò spesso di scoprirsi molto
più liberale degli scrittori che doveva convincere ad agevolare l’azione
della Germania hitleriana). L’unanimità in favore del «giusto castigo»
si frantumò tuttavia assai presto.
Quando Robert Brasillach, considerato dalla società letteraria parigina
«un talento smarritosi nella collaborazione» (lui stesso diceva: «Sono
andato a letto con la Germania»), fu
condannato a morte, non pochi
scrittori del Cne, anche comunisti,
intervennero invano presso de
Gaulle perché concedesse la grazia.
Ma subito si formarono due campi:
da un lato la stragrande maggioranza
degli intransigenti, non soltanto comunisti, dall’altro la minoranza degli
indulgenti. Nel primo gruppo spiccava Camus, che chiedeva «la giustizia
prima della carità» (ma che poi avrebbe abbandonato questo concetto).
Nel secondo gruppo, i più attivi erano
Mauriac e Paulhan. Quest’ultimo diceva che «la parola non è mai un crimine».
“
DIARIO
44 LA REPUBBLICA
LE TAPPE
PRINCIPALI
LA DISFATTA MAGGIO-GIUGNO ’40
Dalle Ardenne parte il principale attacco
tedesco. La disfatta si consuma in sei
settimane. Il 14 giugno i tedeschi entrano
a Parigi. Il 17 giugno nasce il governo
guidato dal maresciallo Pétain
VICHY 1940
Dpopo l’armistizio la capitale è trasferita a
Vichy, nella Francia centrale. Qui si insedia
il governo collaborazionista che impone
un regime di stampo fascista,
strettamente dipendente dalla Germania
MERCOLED 25 AGOSTO 2004
IL PIANO ALLEATO NOVEMBRE ’43
Roosvelt e Churchill fissano l’invasione
della Francia occupata dai tedeschi per la
primavera 1944. Il piano, che prende il
nome di “Operazione Overlord”, è affidato
a Eisenhower
IL RICORDO DELLO SCRITTORE DOMINIQUE FERNANDEZ
MIO PADRE FASCISTA
MIA MADRE PARTIGIANA
GIAMPIERO MARTINOTTI
I LIBRI
SVEN
HASSEL
Liquidate
Parigi,
Sonzogno
1999
YVES
DURAND
Il nuovo ordine
europeo. La
collaborazion
e nell’Europa
tedesca, Il
Mulino 2002
FRANCO
VENTURI
La lotta per la
libertà,
Einaudi 1996
RICHARD
OVERY
La strada della
vittoria.
Perché gli
alleati hanno
vinto la
seconda
guerra
mondiale, il
Mulino 2002
LARRY
COLLINS
DOMINIQUE
LAPIERRE
Parigi brucia?,
Mondadori
1987
ROBERT
O.PAXTON
Vichy
1940-1944
Il regime
del disonore,
Net 2002
ROBERT
ARON
La Francia di
Vichy, Rizzoli
1972
JOHN
KEEGAN
La seconda
guerra
mondiale,
Rizzoli 2002
PIERRE
DRIEU LA
ROCHELLE
Diario 19391945, Il Mulino
1995
GERTRUDE
STEIN
Le guerre che
ho visto,
Mondadori
1946
ARTHUR
KOESTLER
Schiuma della
terra, Il Mulino
1989
Parigi
era nell’atmosfera una grande
eccitazione. Si
sentiva che l’occupazione stava per finire. Avevo quindici
anni e li ho compiuti proprio il
giorno della Liberazione di Parigi. Non avevamo né gas, né
luce, me lo ricordo bene, ma
mi sentivo addosso una specie
di febbre, di felicità». Dominique Fernandez festeggiava i
suoi quindici anni proprio
mentre il generale Dietrich von
Choltitz si recava in Questura per firmare la
capitolazione
tedesca.
Lo
scrittore francese era uno dei
tanti parigini che
aspettavano fremendo l’arrivo
degli Alleati. Ma la
sua storia è particolare: il padre, il
grande critico Ramon, era entrato
nel Partito fascista
di Jacques Doriot ed
era diventato uno
degli intellettuali
collaborazionisti,
mentre la madre,
professoressa, era vicina alla Resistenza. Separato
dalla moglie nel 1936, Ramon
muore all’inizio di agosto, poco più di tre settimane prima
della Liberazione.
L’eccitazione non si mischiava alla paura, al timore
che i tedeschi opponessero
una forte resistenza e che la
città fosse bombardata?
«I miei genitori, forse, avevano paura, ma per i ragazzi era
come un’avventura. A partire
dal 18 agosto ci sono stati degli
scontri a Parigi, nelle strade
c’erano i partigiani delle Ffi
(Forces françaises de l’intérieur, ndr.), sui tetti c’erano i
tedeschi. Vivevo con mia madre nel quartiere dell’Ecole
militaire, si sentivano gli spari
ed era molto eccitante per un
ragazzo di quindici anni. No,
non avevo paura. Penso mia
madre ne avesse, ma per me
era come vivere una specie di
euforia».
Nonostante il coprifuoco e il
razionamento?
«Mi ricordo soprattutto che
a causa della mancanza di luce
e gas cucinavamo su dei fornelli “a carta”. Erano scatole di
conserve cilindriche, messe su
un treppiede. Sotto si appollottolava la carta di giornale e le
si dava fuoco. La mia torta di
compleanno era fatta con farina di fagioli e venne cotta su un
fornellino fatto così, ma eravamo talmente felici che non
aveva nessuna importanza.
Vedere la fine dell’Occupazione il giorno dei miei quindici
anni era straordinario, la mia
vita privata s’incrociava con la
storia».
Usciva durante le giornate
precedenti la Liberazione?
«Avevano detto a mia madre
che non dovevo uscire, altrimenti i tedeschi avrebbero potuto portarmi via. Si andava
fuori, ma si restava nel quartiere. Sa, non ci sono state così
tante barricate, in seguito si è
un po’ esagerato. Ce n’erano
alcune, c’era qualche sparatoria localizzata, ma non c’è sta-
«C’
‘‘
,,
IL COMPLEANNO
Proprio nel giorno della Liberazione
compivo i miei quindici anni, la mia
torta era fatta con farina di fagioli
e venne cotta su un fornellino
ta un’insurrezione generale».
Sua padre era morto qualche settimana prima.
«E’ morto il 2 agosto. Meglio
per lui, perché sarebbe stato
arrestato».
I funerali si svolsero nella
chiesa di Saint-Germain-desPrès e c’erano molti intellettuali che avevano conosciuto
bene Ramon Fernandez...
«Era il 4 o il 5 agosto. Non c’erano solo i fascisti, sono venuti anche molti suoi amici che
erano entrati nella Resistenza.
Lo amavano molto, malgrado i
suoi errori politici. E’ venuto
François Mauriac, che in quel
periodo si nascondeva. E c’era
anche anche Jean Paulhan, il
direttore della Nrf prima e dopo la guerra. Ho ritrovato il li-
bro delle condoglianze con le
firme. Allora ero troppo giovane per capire, non li conoscevo
e non potevo sapere chi fossero. Mi sembrava che tutti
aspettassero la Liberazione. E
credo fossero tutti sollevati per
mio padre: la morte gli aveva
evitato un processo e tutto il
resto. Sarebbe stato terribile».
Non avrebbe potuto seguire
gli intellettuali collaborazionisti in fuga verso altri paesi?
«No, era malato e aveva rifiutato di partire. Il suo è stato una
specie di suicidio. Sapeva benissimo che stava commettendo un errore madornale. Non
era germanofilo, non era nazista, si è lasciato trascinare. Nel
suo ultimo anno di vita si è
messo a bere moltissimo, mal-
grado gli avvertimenti dei medici, e praticamente si è ucciso.
Gli avevano proposto di partire in Svizzera con un’ambulanza e ha risposto: mai».
Sua madre, invece, era gollista.
«Era professoressa e gli insegnanti, in generale, erano gollisti. Io ero al liceo Buffon e
molti professori sono spariti
nei lager tedeschi. Era un centro non di resistenza attiva, ma
di resistenza intellettuale. E alcuni liceali più
grandi di me sono stati fucilati.
La sera ascoltavamo Radio
Londra ed eravamo molto ben
informati su quel
che accadeva. Mi
ricordo che il 6
giugno un’amica
ha telefonato a
mia madre alle
sette del mattino
per dire: “Sono
sbarcati”. Da tempo si parlava dello
sbarco in Normandia, lo aspettavamo
e lo abbiamo saputo
immediatamente».
Lei non ha mai esitato tra suo padre
collaborazionista e
sua madre vicina alla resistenza?
«Io disapprovavo completamente mio padre dal punto di
vista politico. Eravamo veramente gollisti: in camera mia
avevo una carta del fronte in
Normandia, con le bandierine
che indicavanzo l’avanzata
degli Alleati. Tra le nostre frequentazioni c’era anche Georges Bidault (il presidente del
Consiglio nazionale della Resistenza, ndr.), che abitava dalla
migliore amica di mia madre, a
due passi da casa nostra. Negli
ultimi tempi dell’Occupazione vedevo Bidault il giovedì e la
domenica mio padre. Era una
situazione curiosa».
E il 26 agosto, all’indomani
della Liberazione, andò sugli
WINSTON CHURCHILL
Pur essendo disposto a
unirci agli Stati Uniti per
attaccare il fronte tedesco
in Francia, non ero
convinto che fosse l’unico
mezzo per la vittoria
La seconda guerra mondiale
1954
MARGUERITE DURAS
Alle undici di sera c’è stata
la Liberazione. Deve averlo
sentito anche lui, il
frastuono delle campane, e
forse ha visto anche la folla
che si riversava nelle strade
Il dolore
1985
FESTA
Le parigine
festeggiano
per strada la
liberazione. A
sinistra,
Combat, la
rivista di
Albert Camus,
e la copertina
di un opuscolo
che celebra
l’epoca
esistenzialista
Champs-Elysées per acclamare de Gaulle?
«No, non andammo. Non so
perché. Ma mi ricordo bene
l’accoglienza riservata agli Alleati. Ci fu una vera “americanofollia”. Tutti abbracciavano
i soldati. Avevamo una straordinaria gratitudine, non solo
perché portavano cioccolato,
sigarette, corn beef: sapevamo
che senza di loro saremmo rimasti occupati a vita. Detestavamo i tedeschi. Mi ricordo ancora il rumore degli stivali tedeschi sui sampietrini, i canti
tedeschi. E tutti i cartelli a Parigi erano in tedesco, tutti i luoghi pubblici erano indicati in
tedesco. Era umiliante. Gli
americani erano i nostri salvatori».
IL PENSIERO DI SARTRE E LA CATASTROFE EUROPEA
L’ESISTENZIALISMO
È FRUTTO DI QUEI GIORNI
FRANCO VOLPI
l 27 maggio 1944, poco prima dello sbarco in Normandia, andò in scena al Vieux
Colombierdi Parigi A porte chiusedi Sartre. Tra gli spettatori, in compagnia della
sua ultima amante, uno sdegnoso Drieu La
Rochelle, che appunta: «E’ l’universo di un
disperato». Curiosamente fu più lungimirante la stampa tedesca, piena di elogi per
l’esistenzialismo. Ma a che cosa dovette la
sua fortuna la nuova «filosofia della crisi»?
Evidentemente lo spirito del tempo – segnato dalle catastrofi materiali e dalla distruzione dei valori della vecchia Europa,
dalla barbarie dei totalitarismi e dall’incertezza dell’avvenire – ben si rispecchiava
nel principio dell’esistenzialismo che affermava: «L’uomo è quell’ente in cui l’esistenza precede e determina l’essenza». Era
il sentimento che nutriva dentro di sé ogni
I
buon europeo ridotto dalla guerra alla sua
nuda esistenza.
Ne nacque una filosofia. L’uomo, gettato nella sua insormontabile storicità e fatticità, non può essere compreso entro una
«essenza» – desunta da una religione o una
visione del mondo – che definisca a priori
ciò che egli è, e a cui egli dovrebbe poi adeguare la sua «esistenza».
L’uomo non è una realtà data, ma una
possibilità che deve farsi. Sta nudo di fronte al suo nudo destino. E’ quello che di volta in volta decide di essere nelle sue effettive scelte di vita: angelo o bestia, libero di inventare se stesso.
Questa tesi – pronunciata da Sartre all’indomani della guerra, il 28 ottobre 1945,
nella leggendaria conferenza L’esistenzialismo è un umanismo? – da Parigi fece in
DIARIO
MERCOLEDÌ 25 AGOSTO 2004
LA RESISTENZA 1943
Il generale Charles de Gaulle crea con il
generale Giraud il Comitato francese di
liberazione nazionale. La guerra partigiana
costa la vita a 24mila volontari: altri 25mila
vengono condannati a morte
LA REPUBBLICA 45
LO SBARCO 6 GIUGNO 1944
All’alba gli Alleati sbarcano sulle
spiagge normanne. E’ il D-day.
Centinaia di navi invadono le coste. La
Resistenza francese è pronta ad
affiancare le truppe alleate
PARIGI 25 AGOSTO 1944
Il 25 agosto Parigi, già liberata da
un’insurrezione popolare, accoglie le
truppe alleate e quelle di de Gaulle. Dieci
giorni dopo il generale formava il governo
provvisorio della Francia libera
UN OMAGGIO SIMBOLICO DELLE TRUPPE DI LIBERAZIONE ALLA FRANCIA
PRIMA DE GAULLE
POI GLI ALLEATI
PAOLO VIOLA
e non fossero riusciti a fermare
gli alleati sulle spiagge della
Normandia il 6 giugno 1944, e
infatti non ci riuscirono, i tedeschi
non avrebbero potuto più opporsi
all’avanzata anglo-americana, che
godeva di superiorità numerica, e
ormai anche tecnologica, oltre ad
un’enorme preponderanza aerea.
Potevano provare a resistere a Parigi, farne la loro Stalingrado, al prezzo della sua distruzione; ed è possibile che Hitler abbia dato quest’ordine, che comunque non fu eseguito. In ogni caso i tedeschi ci misero
due mesi e mezzo ad arretrare dalla
Normandia alla capitale francese, gli stessi in cui in Italia perdevano Lazio e Toscana e sul
fronte orientale Ucraina e
Bielorussia.
A differenza di Roma,
Parigi fu liberata anche
dai francesi stessi, oltre
che dagli anglo-americani; anzi formalmente
prima. O meglio gli alleati lasciarono che fossero i francesi a scacciare
il nemico dalla loro capitale. I partigiani delle Ffi
(Forces Françaises de l’Intérieur), comandate dal comunista Rol-Tanguy, attaccarono i tedeschi il 19 agosto, con il contributo della popolazione e della polizia
municipale, che si unì alla resistenza. Il comando alleato lasciò il passo alla divisione Leclerc, che entrò
in città da sud-est (porte d’Italie) il
24. Il giorno seguente il comandante tedesco Von Choltitz firmò la resa nelle mani di Leclerc e di RolTanguy. Gli alleati entrarono solo
dopo, preceduti il 26 da De Gaulle,
in parata sugli Champs-Elysées in
mezzo a due ali di folla entusiasta.
In Italia diverse città del nord sono
state liberate dai partigiani il 25
aprile 1945, alcune ore o un giorno
prima dell’ingresso degli alleati; ma
senza il riconoscimento ufficiale, il
partneriato concesso dai liberatori,
e senza un ruolo visibile e apprezzabile delle truppe italiane; e comunque non la capitale. L’Italia è stata
fatta passare fra gli sconfitti del conflitto mondiale, e fra la Francia i vincitori, perché nel 1939 la prima stava con la Germania e la seconda
S
GLI AUTORI
LE IMMAGINI
Dominique Fernandez è uno dei
più noti romanzieri
francesi e italianista. Il Sillabario di
Ernest Hemingway,
tratto da un reportage uscito sulla rivista Collier nel’44, è
raccolto nel libro By
Line (Mondadori).
Paolo Viola insegna
Storia Moderna all’Università di Palermo. Franco Volpi
insegna Storia della
Filosofia all’Università di Padova
La liberazione di
Parigi era stata a
lungo attesa e preparata, non solo sul
piano politico e
militare. Insieme
alle truppe Usa si
trovavano in veste
di cronisti famosi
scrittori
(Hemingway) e fotoreporter (Robert Capa). Anche per questo fu uno degli avvenimenti più fotografati della Seconda
Guerra
Mondiale
‘‘
,,
DIFFERENZE
Perché la Francia fu considerata tra i
vincitori della guerra, anche se
ebbe, come l’Italia, la Resistenza e
un regime collaborazionista
contro; anche se le cose non erano
poi andate, durante la guerra, in
modo tanto diverso. Nei due paesi
c’era stato un regime collaborazionista e una resistenza soprattutto
comunista; e si erano combattute
tre guerre interne, di liberazione
nazionale, rivoluzionaria e civile.
L’atto di riguardo simbolico usato verso la Francia nella liberazione
di Parigi favorì il processo di ricostruzione del sentimento patriottico francese reduce dal disastro del
1940, quando la Francia, che sulla
carta aveva un esercito addirittura
più forte di quello tedesco, era stata
sbaragliata in due settimane, e aveva opposto meno resistenza della
Polonia e quanto la Norvegia. Il collasso del giugno 1940 era venuto dopo mesi di una “ridicola guerra” (la
drôle de guerre) in cui invece di com-
TRIONFO
Charles de
Gaulle vive la
sua giornata
trionfale il 26
agosto del
1944, quando
può sfilare per
le strade di
Parigi accolto
dagli abitanti
in festa
TZVETAN TODOROV
A sinistra, Jean-Paul
Sartre. La sua pièce A
porte chiuse ando in
scena il 27 maggio del
’44, poco prima dello
sbarco in Normandia e
qualche settimana
prima della liberazione
di Parigi
breve il giro d’Europa. La nuova filosofia
captava lo spirito del tempo con il suo sottofondo relativista e nichilista, riflettendo
sul senso dell’esistenza individuale in quel
teatro dell’assurdo che è il mondo.
Finitudine, angoscia, decisione, situazioni-limite, aut-aut divennero motivi
portanti. Per questo l’esistenzialismo fu
accusato, specie da parte marxista e cattolica, di disimpegno e disfattismo. In verità
esso riteneva che, dopo la «morte di Dio», i
valori dell’umanesimo potevano essere ri-
scattati solo se l’uomo, anziché ancorarli
all’ormai tramontato firmamento delle
stelle fisse, li avesse reinventarli unicamente in base a sé stesso, con il proprio impegno.
Per essere davvero intesa, la formula andava collegata al capolavoro che Sartre
pubblicò in piena guerra, L’essere e il nulla
(1943), ma anche a La nausea (1938), il romanzo esistenzialista che fece scuola. E
soprattutto alla grande opera cui Sartre si
era ispirato, Essere e tempo (1927) di Heidegger, di cui allora si potevano leggere in
Francia le pagine tradotte da Henry Corbin. Furono questi – assieme a Filosofia
(1932) di Jaspers – i fondamenti teorici dell’esistenzialismo, che nel dopoguerra dilagò in tutta Europa fino a diventare una
moda.
Nell’agosto 1944, i parigini
insorgono invece di
attendere l’arrivo delle
truppe. Contribuiscono al
formarsi dell’immagine che
la collettività avrà di sé
Una tragedia vissuta
1994
JEAN GENET
Vorrei ancora sottolineare
la bellezza dei tedeschi
vinti, in fuga: i loro occhi
severi, i lineamenti rigidi,
talora un sorriso di una
tristezza infinita
Pompe funebri
1947
battere il nemico, il governo francese aveva ipotizzato di intervenire a
migliaia di chilometri di distanza, in
difesa della Finlandia attaccata dall’Unione Sovietica. O aveva pensato a come impossessarsi delle riserve petrolifere del Caspio. E dopo
l’invasione tedesca e il tracollo del
giugno ‘40 era nato il regime collaborazionista di Vichy: non solo un
governo fantoccio imposto a un
paese ostile, come sarebbe stato
quello di Salò nell’Italia settentrionale, ma proprio un regime autoritario e nazionalista molto simile ai
tanti altri fascismi europei, portatore di una sua pretesa “rivoluzione
nazionale”, appoggiato dalle
classi dirigenti, dai tecnocrati, dai militari (non tutti),
dalla chiesa (non tutta).
Vichy aveva partecipato
autonomamente e volentieri alla deportazione degli ebrei francesi
verso i campi di sterminio. Aveva diviso la coscienza nazionale, scossa pochi anni prima dai
fascisti che avevano cercato di prendere il potere,
poi sconfitti dal governo di
Fronte popolare appoggiato
dai comunisti, nel momento in
cui tutta l’Europa si lacerava nella
guerra di Spagna. I fascisti in Francia con il governo collaborazionista
erano di nuovo vittoriosi.
Si è potuto affermare che in Italia
la patria è morta l’8 settembre 1943
con l’armistizio e la nascita di un’identità e una memoria divisa. La
patria francese è morta nel giugno
1940, col collasso militare e poi il
collaborazionismo. Le famiglie furono lacerate, il tessuto sociale ferito. Invece di combattere il nazismo
che aveva invaso la metà settentrionale e umiliato la dignità del paese,
il governo perseguitava i comunisti,
che però di lì a poco sarebbero stati
fra i liberatori di Parigi, nonché alleati della parte migliore della Francia e degli americani. Vero è che
contro il disonore del collaborazionismo, il generale De Gaulle aveva
lavorato con grande tenacia per
unire la resistenza, in maggioranza
comunista, per ricostruire la patria.
Ma c’erano due France, una fascista
e una resistente, proprio come c’erano due Italie, e anche lì come da
noi si intrecciavano una guerra per
il riscatto nazionale con una guerra
rivoluzionaria e una guerra civile.
Le patrie però, a differenza degli
esseri viventi, non muoiono definitivamente, e la liberazione di Parigi
la fece risuscitare in Francia, con
maggiore successo che in Italia, la
cui credibilità internazionale non è
stata più restituita per decenni. Il
patriottismo dei francesi è stato ricostruito, a patto di una sostanziale
amnesia, che è durata a lungo, fino
a tempi recenti. Si è dimenticato Vichy, quanto consenso quel regime
avesse avuto. Si è dimenticata anche la violenza dopo la liberazione
contro i collaborazionisti, o presunti tali. Lo stesso è avvenuto in
Italia. E in entrambi i paesi la memoria si restituisce oggi con operazioni discutibili, con macabri conteggi, come se la morte degli uni risarcisse la morte degli altri. Quei
diecimila presunti fascisti uccisi in
Francia e qualcosa di più in Italia
avrebbero dovuto vendicare le molte decine di migliaia di partigiani fucilati, le centinaia di migliaia di
ebrei deportati di Vichy e di Salò.
Naturalmente non risarcirono nulla. E ora non risarcisce rivendicarli e
contarli. Non basta a ricostruire la
patria. Non basta a ristabilire la verità.
I FILM
LA
TRAVERSATA
DI PARIGI
di Claude
Autant-Lara,
1956
Jean Gabin
e Bourvil
sono
impegnati
a trasportare
di notte
una valigia
carica di carne
da smerciare
sul mercato
nero, nella
Parigi
occupata dai
nazisti. Dal
racconto di
Marcel Aymé
PARIGI
BRUCIA?
di René
Clement, 1967
La storia degli
avvenimenti
che portarono
alla liberazione
di Parigi,
interpretata da
un grande cast
di attori. Da
Belmondo a
Welles; da
Trintignant a
Montand.
Sceneggiatura
di Gore Vidal e
Francis Ford
Coppola
L’ULTIMO
METRÒ
di François
Truffaut, 1980
Nella capitale
francese
occupata
il teatro
va avanti.
Almeno fino
all’orario
di partenza
dell’ultimo
metrò. E tra
Catherine
Deneuve
e Gérard
Depardieu
nasce
l’amore
LAISSEZPASSER
di Bertrand
Tavernier,
2001
Un aiutoregista e uno
sceneggiatore
entrambi
parigini
continuano
le loro vite
tra il cinema
e le donne,
nonostante
l’occupazione
tedesca.
Fondatore Eugenio Scalfari
ALVOHXEBbahaajA CIDEDWDGDT
40825
9 770390 107009
Anno 29 - Numero 201
Direttore Ezio Mauro
€ 0,90 in Italia
mercoledì 25 agosto 2004
(con “IL MULINO SULLA FLOSS” € 8,80)
SEDE: 00185 ROMA, Piazza Indipendenza 11/b,
tel. 06/49821, fax 06/49822923.
Sped. abb. post., art. 1, legge 46/04 del 27 febbraio 2004 - Roma.
Concessionaria di pubblicità:
A. MANZONI & C. Milano - via Nervesa 21, tel. 02/574941.
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(Azzorre, Madeira, Canarie € 1,40); Grecia € 1,60; Austria, Belgio,
Francia (se con D o Il Venerdì € 2,00), Germania, Lussemburgo,
Monaco P., Olanda € 1,85; Finlandia, Irlanda € 2,00; Albania
Lek 280; Canada $1; Costa Rica Col 1.000; Croazia Kn 13;
Danimarca Kr.15; Egitto EP 15,50; Malta Cents 53; Marocco
MDH 24; Norvegia Kr. 16; Polonia Pln 8,40; Regno Unito Lst. 1,30;
Repubblica Ceca Kc 56; Slovacchia Skk 71; Slovenia Sit. 280;
Svezia Kr. 15; Svizzera Fr. 2,80; Svizzera Tic. Fr. 2,5 (con il Venerdì
Fr. 2,80); Tunisia TD 2; Ungheria Ft. 350; U.S.A $ 1.
INTERNET
www.repubblica.it
1 2
Messaggio dell’Esercito islamico trasmesso da Al Jazeera. Enzo Baldoni appare in buone condizioni. Palazzo Chigi: “Non cederemo ai ricatti”
Iraq, ultimatum all’Italia
In un video il giornalista rapito. I terroristi: via le truppe entro 48 ore o morirà
IL DOVERE
DEL SILENZIO
I
UN GRUPPO
ANTISCIITA
RENZO GUOLO
“ESERCITO islamico
dell'Iraq” è una sigla nota nel panorama in
ebollizione della guerriglia irachena. Il gruppo è probabilmente di matrice sunnita; lo fa pensare sia il teatro d'azione del sequestro, sulla strada che da Bagdad
conduce a Najaf, sia le precedenti occasioni in cui è salito alla ribalta. Il gruppo che si definisce
con orgoglio «vicino ad Al Qaeda» è stato protagonista d’altri
rapimenti, come quello dell'ostaggio filippino liberato dopo
aver ottenuto il ritiro del contingente di Manila e del console iraniano a Kerbala. Un caso, quest'ultimo, che ha fatto pensare a
Teheran di trovarsi di fronte a
una sorta di “sequestro di Stato”.
SEGUE A PAGINA 17
L’
CON REPUBBLICA
La moglie: serve la Croce rossa
Lunedì 30 agosto in regalo
“La Storia”, primo volume
“Dalla preistoria
all’antico Egitto”
La famiglia: “È vivo
ma adesso salvatelo”
GIUSEPPE D’AVANZO
N UN Paese ammalato di protagonismo e ipocrisia, come
privo di ogni etica della responsabilità (impone di tener conto
delle conseguenze delle decisioni
che si assumono), il più lucido è
Mirko Tremaglia, che è anche il
più avanti con gli anni. Appena Al
Jazeera diffonde le immagini di
Enzo Baldoni prigioniero
dell’“Esercito islamico dell’Iraq”
— il free lanceitaliano vi appare solo, alquanto sereno, sbarbato — il
ministro si è affrettato a raccomandare silenzio e ancora silenzio. Ha detto Tremaglia: «Più si sta
in silenzio senza fare inutili dichiarazioni e meglio è».
Raccomandazione vana, come
usa dire. Si è subito messa in movimento la spensierata giostra delle
“inutili dichiarazioni” di ex ostaggi (Maurizio Agliana dà addirittura qualche consiglio al governo) e
di madri e sorelle di ex ostaggi, di
politici di prima seconda e terza fila, di qualche sottosegretario, dell’immancabile commissario
straordinario della Croce Rossa.
SEGUE A PAGINA 17
ALL’INTERNO
SERVIZI A PAGINA 4
Raccoglieva storie di guerriglia
“Preparavo un libro
sulla vostra resistenza”
SERVIZI A PAGINA 2
Atene, venerdì match con gli azzurri
I calciatori iracheni
“Non uccidetelo”
ROMAGNOLI A PAGINA 6
La commissione Schlesinger
“Inferno Abu Ghraib”
accuse al Pentagono
Baldoni nel video trasmesso da Al Jazeera
DA PAGINA 2 A PAGINA 7
SERVIZI A PAGINA 7
16 volumi di 800 pagine con
8000 immagini a colori: la
storia completa dell’umanità.
Un’opera indispensabile
per la famiglia
La legge sarà “affinata”. Nuovi sbarchi a Lampedusa. Tokyo polemica con Roma per il seggio Onu
DIARIO
Immigrati,modificheallaBossi-Fini
Parigi ’44
il giorno
del grande
riscatto
Vertice Berlusconi-Pisanu. Oggi il premier incontra Gheddafi
Ègiallo, il corpo riaffiora nel Tevere
Trovata morta
la ragazza tedesca
sparita a Roma
FEDERICA ANGELI
A PAGINA 22
Vera Heinzl
IL CASO
Venerdì nei cinema “Farenheit 9/11” di Moore, vincitore a Cannes e grande successo negli Usa
Arriva il film che sfida Bush
INCUBI AMERICANI
UN BOOMERANG
NATALIA ASPESI
MASSIMO CACCIARI
OME tutti i filmoni americani di
successo, Fahrenheit 9/11 entusiasma, orrifica, diverte, spaventa,
commuove, irrita, invita al singhiozzo,
alla risata, all’indignazione: ha per protagonista uno raccontato come un buffone, Bush, con tutta la sua corte di ricchi
spietati e di strateghi sciocchi, come antagonista un soave angelo vendicatore,
Moore stesso, con la sua folla di vittime,
d’eroi, d’ingannati, di poveri, di sfruttati.
SEGUE A PAGINA 17
PERO ardentemente di sbagliarmi,
ma credo che il film-documentario
di Moore non toglierà il sonno a Bush. Vi si mescolano troppe prospettive,
troppe suggestioni, senza che nessuna
venga presentata con forza davvero persuasiva. L’approccio grottesco al personaggio-Bush e al suo clan minaccia, anzi,
d’occultare la denuncia dell’impressionante intreccio tra politica e affari che domina l’amministrazione Usa.
SEGUE A PAGINA 17
C
S
Michael Moore
ROMA — La legge Bossi-Fini sull’immigrazione sarà “rafforzata e
affinata”. Lo promette il premier
Silvio Berlusconi, alla vigilia dell’incontro in Libia con il colonnello Gheddafi, dopo un vertice con
il ministro dell’Interno Pisanu. A
Lampedusa, intanto, nuovo sbarco: ieri 275 clandestini stipati in
un peschereccio. Polemiche sulla
richiesta italiana di un seggio al
consiglio di sicurezza Onu: Tokyo
rivendica il suo diritto al posto.
ANSALDO, CASADIO
NIGRO e ZAMPAGLIONE
ALLE PAGINE 8 e 9
Marzano: “Sms sui prezzi”
Luce e gas
stangata
sulle tariffe
GIORGIO LONARDI
A PAGINA 29
BERNARDO VALLI
PARIGI
A MEMORIA non è la storia. Non sono sinonimi. Lo
senti in queste ore a Parigi,
mentre il 60° anniversario della
sua liberazione rispolvera tante
immagini, cariche di passioni
ed emozioni. Il generale von
Choltitz che rinuncia a distruggere ponti, palazzi e monumenti, come gli ha ordinato Hitler; e
che all’hotel Meurice, a due passi dal Louvre, indossa la tenuta
di gala e s’arrende ai francesi. Le
centinaia di morti tra l’Arco di
Trionfo e l’Hotel de Ville, espugnato da
una manciata d’intellettuali,
guidati dallo
scrittore Roger Stephane. Il poeta
Paul Eluard
che distribuisce manifestini in
rue du Dragon, mentre De Gaulle
a due passi i
soldati della Wermachtrasentano i muri di boulevard SaintGermain. Sylvia Beach, la fedele
libraia della Shakespeare&Co.,
che davanti al numero 12 di rue
de l’Odéon vede fermarsi una
jeep, dalla quale scende Hemingway, che di corsa l’abbraccia e subito riparte per andare a
«liberare la cantina dell’Hotel
Ritz», in Place Vendome.
SEGUE A PAGINA 43
MARTINOTTI, VIOLA e VOLPI
ALLE PAGINE 43, 44 e 45
L
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Il grande giorno del riscatto