Terzapagina:comunicazione, informazione e cultura. Iscrizione presso il Registro della Stampa Tribunale di Roma N°322/2009 Direttore responsabile Stefano Trocini Proprietà bauhaus srl / via dei Santi Quattro 16 / 00184 Roma 06.70491500 / Fax 06.77256858 e-mail [email protected] / www.terzapagina.eu / Webmaster Luigi Brillante Direttore editoriale Renato Baruffi / Graphic designer Rinaldo Cutini Numero 6 del 12-10-2010 LA FEBBRE DELL'ORO Gli uomini più ricchi del mondo, un pugno di miliardari, alcuni dei quali innominati, stanno comprando tonnellate di oro in lingotti. Lo annuncia l'Agenzia Reuters, riportando le parole di Josef Stadler, topmanager della UBS, la più grande banca svizzera. I lingotti sono talmente tanti, che un'altra banca la J.P.Morgan, ha deciso di riaprire i suoi caveau rimasti chiusi e vuoti dai lontani anni '90. Cosa significa questa corsa all'oro da parte dei miliardari di tutto il mondo uniti? Per rispondere correttamente a questo interrogativo si debbono individuare le cause e gli effetti del fenomeno. Fra le cause, come ci spiega lo stesso banchiere Josef Stadler, prevale il timore che a breve si scateni la seconda ondata della crisi economicofinanziaria in corso. Perciò i paperoni dei paperoni si rifugiano nel metallo giallo, l'ultimo bene di investimento non ancora a rischio di "bolla". Quanto agli effetti, quello più deleterio, a nostro parere, è che in questo modo i paperoni congelano nei lingotti d'oro e rinchiudono nei forzieri impenetrabili di alcune banche (le loro) immense risorse finanziarie, rendendole inutilizzabili per il superamento della grande crisi. Crisi che essi stessi hanno provocato con le loro forsennate speculazioni nell'economia virtuale, ovvero nel mercato volatile della moneta (soprattutto quella degli U$A). In sostanza la cupola dei miliardari ha deciso che il processo economico-produttivo capitalistico debba svolgersi non più secondo la formula DMD (denaro-merce-denaro), bensì secondo quest'altra formula: DOD (denaro-oro-denaro... e poi ancora denarooro-denaro). Insomma l'odierno sistema capitalistico dominato dagli odierni miliardari, coll'intramontabile cilindro sulla testa e i denti di squalo, si preparerebbe a sostituire gran parte della produzione di merci (beni materiali fruibili) con la produzione di oro, tant' è che stanno aumentando di giorno in giorno le quotazioni in borsa delle compagnie minerarie. Perché una simile aberrazione in una fase di depressione planetaria, quando occorrerebbe impiegare nell'economia reale tutte le risorse finaziarie disponibili? Perché i miliardaripadroni avvertono che la loro moneta di riferimento, il $, sta diventando carta straccia dopo le loro "geniali" trovate speculative. Ricordiamo a questi signori che il re Mida dovette pregare Dioniso di togliergli la "virtù" di tramutare in oro tutto ciò che toccava altrimenti sarebbe morto dalla fame. I novelli re Mida, se vogliono, si immolino pure al Dio Oro, ma non si possono permettere di affamare centinaia di milioni di esseri umani. A noi sembra che essi temano sì la seconda ondata della grande crisi, ma nel contempo stiano anche premeditando la catastrofe. Essi sperano, forse, alla fine di questa catastrofe, in un mondo di macerie e dopo sterminii per guerre o per fame, di potersi ripresentare sulla scena della storia per rimettere in moto con il loro oro insanguinato le "sorti progressive" del capitalismo. In piena prima guerra mondiale, nel settembre 1917, il rivoluzionario Lenin scrisse un opuscolo intitolato "La catastrofe imminente e come lottare contro di essa", dove esponeva un programma di intervento con al primo posto la nazionalizzazione delle banche. Tre anni dopo, resosi conto che questo non bastava, presentò il Piano statale di elettrificazione della Russia come base di uno sviluppo reale inattaccabile dai virus della moneta, dei tassi di cambio e della legge del profitto, strumenti da sempre nelle mani dei miliardari di turno e delle loro banche. Il Piano stabiliva che il valore dei prodotti doveva corrispondere alla quantità di energia occorsa alla loro realizzazione, che il costo della energia doveva ridursi grazie all'elettrificazione e al progresso tecnico e di conseguenza dovevano abbassarsi gradualmente i prezzi di tutti i beni, strumentali e di consumo. Di nazionalizzazione delle banche e di economia reale si è parlato molto in questo periodo, anche in Italia, ma non si è fatto niente. Infatti, come ha ha dichiarato il ministroTremonti, mostrando un ghigno sottile, "le banche sono tornate". Va bene, ma noi vogliamo sapere chi in questo nostro paese, in parlamento, nel governo, nelle istituzioni imprenditoriali, nell'apparato giudiziario e nei sindacati, favorisce il comportamento criminale del Gotha miliardario. Questo comportamento mette in pericolo la sopravvivenza non solo dei proletari occupati e disoccupati, dei govani e delle donne, ma anche di tanti imprenditori piccoli e medi, di agricoltori e commercianti. Vogliamo sapere, ripeto, chi favorisce o non fa nulla per contrastare un simile scempio. Qualcuno dice: tutti! Se così fosse, e non me lo auguro, a che vale parlare e straparlare di elezioni vicine (marzo 2011) e lontane (2013). Bisognerebbe semplicemente domandarsi: chi andrà a votare per una democrazia rappresentativa che non rappresenta nessuno? Stefano Trocini P.S. Avevamo appena licenziato questo numero del nostro giornale quando abbiamo trovato in fondo alla pagina diciassettesima di "Repubblica" del 12/10/2010 un trafiletto pressoché INVISIBILE, di cui riportiamo di seguito il testo integrale: "Il Papa: "I capitali anonimi una minaccia per l'uomo". Città del Vaticano – I capitali anonimi, "una delle grandi potenze della nostra storia" sono una delle forme di schiavitù contemporanea, un "potere distruttore che minaccia il mondo" è quanto ha detto Benedetto XVI in apertura del Sinodo per il Medio Oriente che si sta tenendo in Vaticano. Il Papa ha così denunciato i rischi provenienti da un capitalismo finanziario senza freni e controlli." Nel nostro editoriale ci chiedevamo chi fosse a favore e chi invece si opponesse al comportamento diabolico dei miliardari di tutto il mondo (possessori dei "capitali anonimi"). Papa Benedetto XVI è evedentemente CONTRARIO a tale comportamento, "la Repubblica" evidentemente NO. S. T. Un'architettura senza dei Nella città di New York, soprattutto nel distretto di Manhattan, un edificio, spettacolare per la sua altezza, forma e trasparenza, non potrà mai essere un corpo estraneo al tessuto urbano. Anzi ne definisce la grandiosità e opulenza, si fa segno inconfondibile dell'identità economica americana. Famosi architetti hanno contribuito a rendere tale la Grande Mela. Essi si sono sfidati, esibiti in una gara di bravura con costruzioni esemplari, integrandole nel naturale sviluppo dinamico della città, anche grazie allo zelo di amministrazioni comunali responsabili. Sotto questo aspetto New York con la sua Manhattan è l'archetipo per eccellenza dell'architettura moderna. Una quasi perfetta razionalità urbana. Nuovi grattacieli svetteranno a Ground Zero in memoria delle Twin Towers. Ma il distretto di Manhattan è un paradigma con il quale pochi quartieri al mondo, possono competere quanto a genius architettonicus. Altri potrebbero farlo solo in virtù di un pari sviluppo e un'autentica innovazione urbana. Ma si è guardato soprattutto al terziario avanzato: grandi uffici, grandi centri commerciali,musei, sedi per la cultura, lo spettacolo, lo sport: non si è guardato alla città nel suo insieme. Una città realmente moderna non deve relegare la modernità a una sola parte di essa e per il resto essere un agglomerato di edifici senza ordine, né equilibrio architettonico. Così abbiamo una netta dicotomia tra giusto senso e degrado e l'architetto si dimostra autoreferenziale, scevro da responsabilità sociale e spesso non all'altezza di compiti impegnativi. Ma quanto più egli è capace, tanto più la città ne beneficia. Quanto più interviene positivamente nella dialettica abitativa e sul piano urbanistico, tanto più ha senso il costruito. Un senso che risente fortemente della speculazione di imprenditori -conquistatori su vaste aree per una edificabilità nient'affatto intelligente e priva di dignità urbana. Sotto quest'assenza di scrupolo sono state seppellite ogni virtù professionale e ogni progettualità innovativa. E che dire dell'abusivismo per omessa vigilanza degli addetti al controllo, evidentemente interessati a chiudere un occhio, se non tutti e due? A causa di ciò una città rimarrà sempre soggetta ad un incompiuto sviluppo. Allora mi pongo la domanda: qual'é oggi lo stato dell'architettura di cui potremmo andare fieri nella nostra città: Roma, "Caput Mundi"?. Risponderei: sconfortante. Potrei dire paradossalmente che esiste l'architetto e non l'architettura, l'urbanista e non l'urbanizzazione. No! Non faccio un'affermazione provocatoria, ma oggettiva. Fate una fotografia d'insieme della città, togliete tutto ciò che è storico e poi traete le conclusioni: drammatiche per degrado, bruttezza e senza ordine. Gli ultimi recenti progetti conclusi e in via di conclusione affidati dall'amministrazione capitolina, in cerca di gloria, ad alcuni grandi architetti, vorrebbe dimostrare che la città sta evolvendo al pari di capitali europee meglio risolte nei loro piani urbanistici come: Parigi, Berlino, Londra, Barcellona. Tuttavia l'argomento dell'innovazione e dello sviluppo nella nostra città rimane secondario. Mentre è prioritaria la scelta dei soggetti protagonisti voluti per soddisfare precise ambizioni. Ma non sempre un progetto è valido nella sua ideazione. Spesso avviene che la particolarità, spettacolarità e unicità rimangono come elemento monumentale, estraneo, come oggetto alieno che non si lega con il linguaggio architettonico circostante. Si parla di diverso evoluto e lo sarà di sicuro se pensiamo a progetti conclusi e in corso d'opera come: la Nuvola di Massimiliano Fuxsas, l'Ara Pacis di Meier , il MAXXI di Zaha Adid, l'Auditorium di Renzo Piano. La pubblicistica di settore chiama questi autori Archi-star. Costoro hanno saputo unire la professione alla politica, la politica al successo,il successo al business. Infatti, dominano la scena da primi attori senza chiedersi se il loro repertorio interessi il pubblico fruitore, per esempio, quello dei quartieri suburbani degradati, nei quali si sprigionano tensioni e disagio sociale che bisognerebbe risolvere, prima di pensare alle grandi opere, con appropriati e radicali interventi di buona architettura e logicità urbanistica. Ma le Archistar prediligono tutto ciò che può assegnargli l'aureola del primato attraverso importanti incarichi per grandi lavori. Non ci sarebbe nulla di male, se ciò fosse preceduto da uno schietto confronto con le pubbliche amministrazioni, poco inclini ad intervenire con giudizio sul tessuto urbano, e con i comitati cittadini. Una migliore città non si forma indipendentemente da una logica costruttiva di sviluppo oltre che dalla qualità architettonica. Abbiamo invece la personalizzazione, dell'opera architettonica, fine a se stessa, disarticolata e disaggregata dal contesto: la particolarità esprime solo spettacolarità, la spettacolarità esula dalla collettività. Gli appellativi non debbono suggestionare. Le loro audaci forme architettoniche non possono sublimare carenze di ordine ed equilibrio. Invadere un'area con dimensioni fuori scala, quando si sarebbe richiesto un più razionale rapporto di volumi, significa aderire alla nuova retorica della monumentalità dove tutto deve'essere clamoroso. Una esaltazione della personale creatività. Sono le soluzioni d'insieme che definiscono il tutto e non la singola opera architettonica. Da sole l'originalità e importanza architettonica non risolvono il degrado leggibile nell'orrendo scenario delle periferie urbane e suburbane, testimonianza di un fallimento urbanistico senza appello.. Ma cosa si sarebbe dovuto fare per la nostra città ? Evitare certi progetti ambiziosi? No! Ma avremmo dovuto prima abbattere gradualmente l'orrendo costruito e poi introdurre ordine ed equilibri architettonici per una migliore vivibilità urbana. Occorre una nuova pedagogia dell'abitare. Allora avremmo di sicuro reso migliori la città, che noi stessi. Gli architetti dovrebbero capirlo più dei politici che contribuire a risolvere le grandi sfide per la vivibilità delle città è un dovere. A cosa mi serve un bell'edificio per la cultura, se poi il mio quartiere è degradato, la strada ingolfata, i marciapiedi stretti, il verde divorato, l'aria irrespirabile. A cosa mi serve stupirmi delle grandi opere architettoniche, se ciò che mi circonda è degrado che mi degrada.? Ma per le Archi-star paiono più importanti il successo e la gloria, attraverso gli assolo, che la soluzione d'insieme. Roma non è New York, le sue periferie non sono il distretto di Manhattan. Ma queste periferie potrebbero prenderlo come esempio per darsi dignità e modernità. Se così avverrà avremo sconfitto l'enfasi, la retorica e la deità delle Archi-star e ottenuto un libero confronto di idee e progetti per il futuro della città. Renato Baruffi Broadway L'asfalto è vetro. Cammino e tintinno. Alberi e fili d'erba ben rasati. Da sud a nord vanno le avenues da est a ovest le streets. E in mezzo (dove il costruttore le ha portate) le case di impossibile lunghezza. Alcune lunghe fino alla luna, altre fino alle stelle. Gli yankee sono pigri a far andare le suole: è più semplice e rapido l'ascensore. Alle sette è il flusso umano alle diciassette il riflusso. Stridono i congegni, un rumore infernale, e nel chiasso la gente non dice una parola, ma più lenta mastica il suo chewing gum solo per lanciare un make money. Una mamma dà il seno al bambino. Il bambino, col naso che cola, al serio business è tutto intento: non un seno, ma un dollaro pare che succhi. È finito il lavoro. Avvolgi il corpo nell'incessante vento elettrico. Se vuoi andare sotterra prendi il subway, per il cielo c'è l'elevated I vagoni viaggiano alti come fumo, si sfregano ai calcagni delle case, cacciano la coda sul ponte di Brooklyn e la nascondono negli antri sotto l'Hudson. Sei assonnato, abbagliato. E dalla tenebra come un tamburo, ti batte sulle tempie: "Coffee Maxwell good to the last drop". E quando le luci commciano a scavare la notte, beh, non esagero, è tutto un bagliore! Guardi a sinistra: mammina mia! A destra: madre mia, mammina! Che spettacolo per gli amici di Mosca. A vederne la fine un giorno non basta. Questa è New York. Questa è Broadway. How do you do! Della città di New York sono entusiasta, ma non mi strappo il berretto dalla testà. I sovietici hanno di che essere fieri: noi i borghesi li guardiamo dall'alto. Datata 6 agosto 1925, New York. Trad. F.Lepre (da AMERICA di V. Majakovskij, Voland, 2004, progetto di F.Lepre e S.Trocini)