la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Anno XVI (1978-79)
Parte I
n. 1-6 (genn.-dic.)
RELAZIONE MORALE AL
BILANCIO DI PREVISIONE PER
L’ESERCIZIO FINANZIARIO 1979
del Presidente Avv. FRANCESCO KUNTZE
Signor Presidente, Colleghi Consiglieri
innanzi tutto mi preme rivolgere a Lei, signor Presidente, e a tutti gli
onorevoli invitati il grazie sentito dell’intero Consiglio Provinciale per
aver accolto l’invito indirizzatole.
Questo incontro nella Sala del Consiglio Provinciale di Foggia tra
la Regione e la Provincia alla presenza degli amministratori dei Comuni, delle categorie produttive, delle organizzazioni sindacali, delle
forze politiche democratiche della nostra Provincia ha un significato
che va al di là del contingente rappresentato dalla presentazione dei bilancio di previsione 1979, ma vuoi essere l’esaltazione delle autonomie locali e testimoniare l’impegno delle stesse ai raggiungimento
dell’ambizioso traguardo della crescita democratica dei nostro Paese,
crescita che solo si può realizzare con il pieno coinvolgimento degli
Enti Locali nella vita politico-amministrativa della Regione e del Paese intero. Vuoi significare ancora, a mio modo di vedere, la partecipazione demo cratica diretta di tutti i livelli istituzionali dalla Regione al
Comune alla vita politico-amministrativa della nostra Provincia, occasionata, come detto, dalla presentazione del bilancio di previsione e
dalla discussione che ne seguirà e che mi auguro possa svolgersi con
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serenità e lealtà di intenti e con l’apporto costruttivo dell’intero Consiglio e di tutte le forze politiche, sindacali, sociali, che ritengo non
possono non essere interessate al documento che ci auspichiamo trovi
il consenso, il più largo possibile per la realizzazione del programma
presentato con l’esercizio 1979. Consenso, che a me pare, non potrà
non essere manifestato in special modo per le parti del bilancio che
cercano di affrontare, in via programmatoria, senza avere l’ambizione
di risolverli, i problemi dello sviluppo, della situazione economica,
dell’occupazione della nostra provincia.
Anche nella nostra provincia, e non scopro nulla di nuovo essendo
un dato comune al Paese, si riflette la crisi drammatica che l’Italia attraversa ed a mio modo di vedere è necessario lo sforzo sincero e leale
di tutte le forze politiche e democratiche per governare l’emergenza
senza che questo possa minimamente significare per le forze politiche
l’affievolirsi della propria autonomia di giudizio o di decisione. Proprio nel momento in cui il Governo nazionale è in crisi si avverte ancor più l’urgenza, anche a livello periferico, di farsi carico di tutti i
gravi e annosi problemi la cui soluzione è indifferibile ed è attesa con
ansia dalle popolazioni amministrate.
Anche in Capitanata ritengo sia indispensabile perseguire la strada
delle forze democratiche e che siano assicurati con tempestività, giustizia e competenza quei provvedimenti che consentirebbero di dare
una risposta al soddisfacimento dei bisogni, alla richiesta di servizi, alla domanda di occupazione che in modo sempre più pressante sono rivolti ai pubblici amministratori e che consentirebbero altresì di fugare
la scarsa credibilità della presenza di qualunquismo strisciante tanto
più dannoso in quanto molte volte neppure motivato.
Questa Amministrazione si è mossa, pur con i limiti derivanti da
ritardi storici e da pesanti eredità, con lo intento di cercare innanzi tutto un consenso nelle sue scelte attraverso la consultazione e la partecipazione democratica, ed ha assolto, mi sia consentito affermano,
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ai compiti che ad essa derivano anche quale ente intermedio e con riferimento essenzialmente alla partecipazione diretta dell’ente per la
salvaguardia dei livelli occupazionali nella nostra Provincia.
Nel corso di questa mia relazione, ed ancor più di quella del Vice
Presidente, compagno Moretti, potrà essere compiuta anche, per raffronto, una valutazione di quanto fatto e di quanto ci si accinge a fare.
In proposito intendo subito riferire che tutte le iniziative e gli impegni,
di cui al bilancio, hanno il respiro della programmazione triennale, potendo usufruire di una massa finanziaria per investimenti per l’anno
1979 ammontante a circa L. 30.000.000.000 e per l’anno 1980 e 1981
a circa L. 10.000.000.000.
L’orientamento dell’Amministrazione di darsi una programmazione triennale riviene, oltre che dall’impegno programmatico assunto da
questa maggioranza all’atto del suo insediamento, anche
dall’orientamento generale, e condiviso, presente nel Paese (piano
Pandolfi) e nella Regione. Questo impegno programmatico
dell’Amministrazione Provinciale, risente, però me lo consentirà Sig.
Presidente, della mancata adozione del bilancio regionale, certo non
imputabile a responsabilità di alcuno, ma certamente, e ciò non può
negarsi, manca un punto di riferimento essenziale per la programmazione in quanto non vi è la possibilità di conoscere, allo stato, sia le
leggi adottande sia le relative quantificazioni di risorse.
A tal proposito è utile ricordare che un punto qualificante del documento dell’A.N.C.I. e dell’U.P.I. Regionali è quello in cui viene
sottolineata l’urgenza che la Regione superi i gravi ritardi nella elaborazione del piano di sviluppo regionale: desidero segnalare la necessità che gli Enti Locali siano coinvolti nel processo programmatorio regionale in via anche operativa con un rapporto organico con il Comitato Regionale per il piano quali interlocutori primari con pari dignità
istituzionale con la Regione.
Per parte nostra, siamo impegnati nel concretizzare e spingere ancora oltre queste nuove forme di partecipazione: il 12 febbraio, giorno
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nel quale abbiamo convocato i Comuni, le Comunità Montane, i Sindacati, forze sociali e produttive, oltre le varie istanze della Regione
per la presentazione delle proposte tecniche di bilancio di previsione
1979 che oggi presentiamo al Consiglio, ha rappresentato per la Provincia di Foggia una tappa importante che certamente determinerà ulteriori sviluppi.
Il coinvolgimento della Regione, dei Comuni, delle Comunità
Montane, delle forze sociali e produttive nella fase di elaborazione del
bilancio della Provincia di Foggia per sollecitare indicazioni e stimoli
vuoi essere, l’esempio di un nuovo modo di governare, nell’ottica della vera partecipazione e del pluralismo.
A tale incontro intendo riferirmi non tanto per il bisogno di richiamare i consensi che unanimemente sono venuti alla iniziativa di
chiamare e discutere e quindi non soltanto ad ascoltare i pareri, altre
realtà istituzionali proprio nel momento primario dell’elaborazione del
documento politico più essenziale della vita dell’Ente, quanto per sottolineare la positività degli apporti offerti dagli intervenuti ai quali
consentitemi di rivolgere, anche in questa sede, il più vivo ringraziamento.
In quella sede, l’Assessore Regionale agli EE.LL. Brizio Aprile, e
il Vice Presidente della Commissione Bilancio della Regione, Fiore,
hanno sottolineato la necessità di mantenere fermi nel bilancio gli agganci programmatici e di spesa tra Regione e Provincia per evitare
sperperi o inutili doppioni nell’attività dei due Enti, anche per determinare la reciproca integrazione. A altri amministratori sottolinearono
la necessità di rare per progetti coordinati inseriti nell’ambito della
programmazione regionale e nazionale, nell’ottica dell’art. 11 del
D.P.R. 616 nel quale, tra l’altro, viene riaffermato il principio non solo
del coordinamento tra i vari momenti di programmazione, ma anche
dell’unicità della pubblica.
A questi principi sostanzialmente si ispira, lo ripeto il bilancio di
previsione che esamineremo.
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La delega delle funzioni amministrative strumenti di qualificazione
nell’intervento pubblico programmato
In questo quadro credo che solo la delega delle funzioni rappresenti lo strumento essenziale per attuare i principi sopra elencati. Infatti, i
programmi da attuare una volta definito il piano regionale di sviluppo
dovranno trovare, se si vorrà evitare che rimangano mera enunciazione, pronta attuazione decentrando il momento amministrativo della
gestione degli Enti Locali di base i più vicini naturalmente alle istanze
dei cittadini.
Il Comitato di intesa, Signor Presidente, può e deve assolvere a
questa funzione e deve essere impegno costante dei signori comp onenti del Comitato individuare, non ci stancheremo mai di dirlo, con il
concorso e la partecipazione democratica dei vari livelli istituzionali
presenti nel nostro ordinamento, le forme di intervento e le scelte che
siano le più idonee ad assicurare lo sviluppo d’ella nostra Regione, e
quindi della nostra Provincia, nel più generale quadro rappresentato
dalla situazione del Paese e in particolare del Mezzogiorno.
Il Comitato d’intesa deve fornire al Governo Regionale
l’indicazione di una volontà concorde sì da superare iniziative e visioni di singoli, per questo anguste.
Ho ritenuto di dover fare questa precisazione in quanto la delega
non è una rivendicazione corporativa degli Enti Locali, ma, al contrario, lo strumento per la qualificazione dell’intervento pubblico programmato.
Per questo è necessario che sia concordato nei modi e nei contenuti
tra i soggetti del rapporto.
Particolare attenzione va dedicata inoltre al rapporto che collega la
delega, la programmazione e la politica delle riforme.
La grave crisi economica che investe il nostro Paese, imponendo
un accurato censimento di tutte le risorse umane e materiali necessarie
ad affrontarla, pone altresì l’esigenza di un loro impiego simultaneo e
coordinato finalizzato ad un allargamento qualificato della base produttiva ed occupazionale.
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Nella battaglia — per altro lunga e difficile — impegnata ormai da
anni da un vasto arco di forze politiche, democratiche, sindacali produttive, da vastissimi settori della ricerca e della cultura, un posto centrale occupa l’intero sistema delle autonomie locali, vero e proprio volano di un impiego programmato e finalizzato delle risorse finanziarie,
oltre che naturalmente punto di riferimento dialettico, e, comu nque ineludibile delle forze sociali e delle popolazioni presenti ed operanti
sul territorio.
E se un ruolo fondamentale assolvono nella lotta contro la stagnazione le Regioni ed i Comuni — attivando attraverso una gamma articolata e complessa di strumenti — flussi di risorse finanziarie in direzione dei settori produttivi, una funzione in ogni caso insostituibile e
oseremo dire nevralgica sono chiamate ad assolvere le Amministrazioni Provinciali soprattutto nell’ottica —ormai diffusamente acquisita
alla cultura autonomistica del nostro paese — dell’Ente intermedio.
Collocate tra le scelte macroeconomiche dei piani di sviluppo regionali, laddove sono stati naturalmente formulati e le scelte microeconomiche delle amministrazioni comunali, le province hanno il compito delicatissimo soprattutto in una realtà estremamente articolata
come quella della Provincia di Foggia di mediare, raccordare dal basso e rappresentare verso l’alto le esigenze, i bisogni, le tensioni —
spesso — e in ogni caso le aspirazioni delle popolazioni dislocate nel
territorio di competenza. E tali funzioni di raccordo, mediazione e
rappresentazione delle esigenze che scaturiscono dal territorio sono
per la Provincia funzioni e compiti squisitamente ed eminentemente
politici e di programmazione.
L’ipotesi costituzionale e quella dello statuto della Regione Puglia,
gli accordi che sono stati sottoscritti all’atto dell’insediamento della
Giunta confermano l’ipotesi di un’amministrazione regionale basata
sulla delega dell’esercizio delle funzioni amministrative agli enti locali, e di un sistema di decentramento e di organizzazione funzionale
al metodo di governo fondato sulla programmazione e quindi la modi-
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fica dei sistemi decisionali, che purtroppo non sono stati superati.
Quando sottolineo la necessità della delega, non penso ad una mera trasposizione organizzativa di funzioni verso un livello istituzionale
diverso, bensì al rinnovamento radicale delle funzioni da delegare e
dei mo menti trascendentali ed organizzativi oggi esistenti.
Penso insomma alla delega come ad uno strumento per snellire il
procedimento amministrativo in modo che ne risulti non una semplice
razionalizzazione della spesa pubblica, ma la modifica del modello di
sviluppo nei suoi rapporti sociali e di produzione.
Di qui la necessità di condizionare l’erogazione degli incentivi e
l’esercizio delle funzioni amministrative ad un sistema di programmazione in cui ci sia chiarezza di obiettivi politici, per il superamento,
quindi, della settorialità e parcellizzazione dei contributi finanziari, attraverso l’intersettorialità della previsione programmatica e degli in terventi.
Attraverso la delega, dunque, diventa possibile — con il concorso
della programmazione — realizzare un intervento selettivo della spesa
pubblica che eviti il controproducente fenomeno degli interventi a
pioggia, l’uso cioè dell’e risorse per la creazione di consenso e non di
altre risorse, e trasformi l’economia italiana, a tutti i livelli, da una economia di trasferimenti ad una economia di investimenti.
Esistono oggi tutti i presupposti per una nuova e diversa impostazione del metodo programmatorio; da un lato, infatti, l’emanazione
del D.P.R. 616 che impone all’art. 11 la programmazione come metodo di governo nei rapporti tra Stato e Regioni e tra queste e gli enti locali, dall’altro l’entrata in vigore della legge 335/76, che ha introdotto
nuovi e significativi strumenti quali il programma regionale di sviluppo ed il bilancio pluriennale ed a ultimo la legge finanziaria dello Stato. Questa nuova impostazione legislativa si muove verso il conseguimento dell’obiettivo irrinunciabile della qualificazione della spesa, nel
senso che essa deve contribuire alla realizzazione degli obiettivi
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programmatici regionali e nazionali.
Tutto ciò comporta, evidentemente, un nuovo rapporto tra pubblica
amministrazione ed operatore pubblico e privato, intendendo
quest’ultimo non più nel senso di semplice destinatario di fondi o contributi regionali ma come soggetto partecipe di programmazione regionale; in questa logica di rapporto reciproco finalizzato al raggiungimento di comuni obiettivi finisce di essere superato ogni atteggiamento di garantismo esagerato.
Per altro lo svilupparsi di questo processo di revisione normativa
comporta una sensibile riduzione del fenomeno, tanto discusso, dei residui passivi che in Puglia — pare — ammontino a circa
750.000.000.000 alla riduzione dei quali la Giunta Regionale deve dedicare in questi giorni particolare cura prima dell’adottando bilancio
regionale.
Ma se « programmare » significa « qualificare » la spesa, occorre
definire i contenuti di un nuovo tipo di rapporto tra pubblica amministrazione e privato che esprima per l’uno e per l’altro impegni e responsabilità in [unzione del raggiungimento di risultati conformi ad
obiettivi programmatori.
Con questa visione di unicità e selettività della spesa, con gli strumenti della delega e della programmazione viene esaltato il ruolo
dell’ente intermedio, così come il dibattito intorno alla Provincia, già
in precedenza anche da noi affrontato, sta dimostrando, è agevole desumere come la Provincia debba riqualificarsi e ristrutturarsi finalizzando la propria attività in direzione di ente di coordinamento e di
programmazione.
La nuova dimensione politica ed istituzionale della Provincia ed il suo
ruolo nei settori produttivi
Ritengo, come si è accennato in precedenza, che la Provincia abbia
un suo ruolo da coprire, che passa certa mente attraverso il superamento della visione di ente erogatore di assistenza e di altri servizi che
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deve essere assicurato al comune per assumere un nuovo protagonismo soprattutto nella programmazione e nei settori economici e produttivi e ritengo, quindi, che la Provincia di Foggia debba sempre più
orientare la sua attività in questa direzione.
Siamo ormai vicini al varo di una fondamentale riforma
dell’ordinamento delle autonomie locali, intorno alla quale, sia pure
con difficoltà tra le forze politiche della vecchia maggioranza, procede
a grandi passi la ricerca positiva dell’accordo e ritengo debba essere
auspicato da tutti che questo processo non abbia a subire freni di sorta.
Particolarmente importanti sono i passi avanti che si sono fatti riguardo al così detto ente intermedio al quale per concorde orientamento
sarà confermato il nome di Provincia. Si tratta di un ricco dibattito
quello che si è avuto in questi ultimi tempi, e che è giunto a definire
un unico ente intermedio tra regione e comuni con funzioni di programmazione e di coordinamento intercomunali. Si tratta di un ulteriore passo concreto sulla via della definizione della mappa del potere locale che vede la regione delegata a compiti di legislazione, di coordinamento ed indirizzo della programmazione e che attribuisce alla Provincia, all’ente cioè di una area vasta, concrete funzioni nel complessivo processo della programmazione intesa come definizione delle
scelte e metodo di governo.
Una nuova Provincia, dunque, che svolga un ruolo concreto nella
programmazione economica in aree non omogenee e con organiche
funzioni nell’assetto e nel governo del territorio, nelle quali cioè la
programmazione possa esplicitarsi nella precipua direzione del superamento dei divari e delle sproporzioni tra zone diverse del Paese, tra
parti diverse di una singola zona geografica, sicché sarà anche necessario in alcuni casi, ridefinire le circoscrizioni territoriali delle Province per renderle più funzionali al loro ruolo nuovo.
Dette queste cose, però, che in larga misura fanno parte del patrimonio comune delle forze politiche che si battono intorno ai futuri
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destini delle autonomie locali, incorreremmo in un grave errore se non
ci disponessimo fin d’ora a modificare il nostro modo di agire in funzione dei compiti nuovi che saremo chiamati ad assolvere.
Non faremmo che ritardare ed oggettivamente ostacolare il pronto
aderire delle Province e dei comuni non tanto alla nuova normativa
quanto alle attese delle popolazioni.
E’ dunque possibile in un certo qual modo precedere la legge?
Penso che a questa domanda si debba senza indugi rispondere affermativamente e che tocchi a noi concretamente individuare gli strumenti attraverso cui questa preparazione deve avanzare.
E’ dunque necessario che a livello regionale si consideri attentamente la necessità di delegare alle Province, alle attuali Province,
competenze in materia di programmazione, di gestione del territorio,
ecc.
Si tratta, come è facile osservare, di settori vitali per la ripresa economica del Paese e del Mezzogiorno in particolare.
I tradizionali appuntamenti dell’U.P.I e dell’A.N.C.I. celebratisi
nel corso del 1978 hanno ribadito la necessità che si pervenga ad un
nuovo quadro normativo ed istituzionale che configuri Province e comuni secondo questi principi ed orientamenti.
Nè può essere ignorato il prosieguo di dibattiti che nella nostra
Regione si va sviluppando in questi mesi; nelle settimane scorse, infatti, si sono avuti due convegni molto significativi, quello della Lega
delle Autonomie e i Poteri Locali da un lato e l’Assemblea Regionale
della U.R.P.P., che pure convocati per discutere sulla preparazione del
bilancio 1979, hanno affrontato la vasta tematica della riforma delle
autonomie.
La nuova legge delle autonomie per la difesa dello stato repubblicano
La quarta consulta Nazionale dell’U.P.I. tenutasi lo scorso anno a
Fiuggi, ha ribadito la necessità che la legge di riforma delle autonomie
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locali possa essere approvata nel corso del 1979 per divenire operante
con le elezioni amministrative del 1980, ed a tal fine ha auspicato che
si possa sviluppare un impegno massiccio e unitario delle forze autonomistiche per sollecitare la discussione in Parlamento e per cointeressare la stessa opinione pubblica.
Credo che debba essere questo lo sforzo primario in cui dovranno
essere impegnate le forze politiche demo cratiche. Indubbiamente, in
tal senso, molti passi avanti sono stati fatti, come dimostrano i vari disegni di legge proposti ormai da tutti i partiti.
E tempo, quindi, che si sconfigga ogni tentativo di rinvio per giungere rapidamente alla definizione della nuova legge sulle autonomie
locali, con largo anticipo rispetto alla scadenza elettorale de1 1980.
Sarebbe quanto mai deprecabile se a ritardi storici vi si aggiungesse la
inerzia politica.
L’annuale appuntamento della discussione del bilancio di previsione di ogni ente elettivo credo che sia l’occasione più opportuna per
l’importanza della scadenza — per riaffermare alcune opzioni politiche di fondo.
La situazione di crisi che viviamo se deve farci concentrare
l’attenzione in maniera particolare sulla situazione economica in quanto essa ha immediati risvolti sull’occupazione e sull’intero sistema
produttivo non può e non deve distogliere l’attenzione dalla riorganizzazione dell’assetto delle autonomie locali per la capacità che esse
hanno nella tenuta democratica a difesa delle istituzioni repubblicane
in un momento in cui il terrorismo ha preso di mira il sistema democratico con rinnovata, spregiudicata violenza. E questa Amministrazione, pur inchinandosi riverente, come è doveroso che sia, dinanzi ai
caduti — tra gli ultimi ricordo il compagno Rossa e il giudice Alessandrini — di questa assurda folle violenza, ritiene che inutile sarebbe
limitare la propria presenza, pur importante, ad una testimonianza di
solidarietà e di partecipazione al lutto delle famiglie colpite; è indi-
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spensabile invece stimolare forme di partecipazione democratica e diretta perché nessuno domani abbia a rimproverarci, come avvenne per
il ventennio fascista, di essere rimasti indifferenti nel convincimento,
poi dimostratosi errato, che quegli avvenimenti, come questi che stiamo vivendo, fossero lontani da lui e che lo avrebbero lasciato indenne
da conseguenze da noi tutti unanimemente giudicate nefaste. È. indispensabile che sia assicurato l’ordine democratico nel nostro Paese e
ritengo che in questa direzione possa utilmente andare la riforma della
polizia, la legge Reale bis, provvedimenti la cui adozione non può essere oltre rinviata, perché altrimenti domani, intendo ribadirlo, potrebbe esserci imputata una colpevole inerzia e noi, credo, non intendiamo
e non vogliamo essere fra questi.
In questo quadro di riferimenti ricordo che proprio nel corso
dell’annuale Convegno dell’A.N.C.I. a Viareggio, è stato ricordato
che se nel 1922 maggiore fosse stata la coscienza autonomistica, probabilmente all’ Italia sarebbe stato evitato il ventennio fascista le cui
conseguenze, già da me qualificate nefaste, stiamo ancora pagando in
termini di ritardo economico, politico e culturale soprattutto nel Sud.
Pertanto, valida e da condividersi è l’iniziativa assunta dal Comitato nominato dal Consiglio Regionale Pugliese per la celebrazione del
XXX della Costituzione di riservare una giornata nella quale richiamare l’attenzione della pubblica opinione sul ruolo che hanno svolto e
che dovranno svolgere le autonomie locali per consolidare la Repubblica, come pure è da condividersi l’altra iniziativa sempre del Comitato di dibattere e di sensibilizzare ulteriormente la pubblica opinione
sui triste fenomeno del terrorismo.
Il quadro di riferimento per il regime degli enti locali nell’unicità della finanza pubblica
L’incontro annuale di Viareggio va richiamato per le risultanze
conclusive del convegno, peraltro condivi dal Presidente dell’U.P.I
Ravà e successivamente fatte proprie del Direttivo Nazionale per me-
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glio capire su quali linee i bilanci locali debbono orientarsi.
Il documento di quel convegno sottolineava in particolare la necessità di:
— adeguamento delle misure finanziarie nell’ambito di una generale politica di riqualificazione della spesa pubblica;
— finanziamento di programmi urgenti di investimento;
— certezza e tempestività dei trasferimenti;
— misure particolari a favore degli enti locali meridionali;
— definitiva sistemazione dei debiti pregressi;
— l’adeguamento delle strutture operative e funzionali degli enti
locali per far fronte ai nuovi compiti, sia pure all’interno di un contenimento oggettivo degli organici.
Veniva ribadito, inoltre, che la riforma finanziaria avrebbe dovuto
tenere presente:
— l’effettiva unità della finanza pubblica di cui la finanza locale è
parte integrante, con il riconoscimento dell’autonomia gestionale degli
enti locali e il coordinamento della finanza locale con quella regionale
e statale;
— l’obbligatorio equilibrio finanziario degli enti locali e
l’autonomia finanziaria fondata da un lato sulla restituzione di una
parziale autonomia impositiva e dall’altra da influssi di finanza derivata, discendenti da una partecipazione alle entrate globali tributarie
dello Stato.
I contributi di idee e di esperienza che gli amministratori locali
hanno offerto al dibattito dei convegni di Fiuggi e Viareggio hanno
rappresentato punti di riferimento per lo sviluppo del quadro normativo nazionale relativo agli enti locali, che si è concretizzato nell’adozione di provvedimenti legislativi non solo riguardanti da un lato la finanza pubblica e dall’altro l’intero comparto produttivo e il sistema
del Paese. La battaglia autonomistica condotta con un grande senso
dello Stato, paga.
Oggi, infatti, le autonomie locali possono dichiararsi moderata-
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mente soddisfatte non tanto e non solo per la tranquillità finanziaria
loro assicurata, ma anche perché nel settore della finanza locale si registra l’inizio di una vera e propria inversione di tendenza: la nuova
struttura del bilancio di competenza e di cassa, la certezza e la regolarità dei flussi finanziari ha consentito di superare la deprecabile è indecorosa caccia ad uno sportello pagatore per poter garantire gli stipendi ai dipendenti offrendo la possibilità di garantirsi che ogni previsione inserita nel bilancio può essere attuata, purché se ne abbia volontà e capacità.
La spesa locale viene ormai considerata come parte organica del
bilancio pubblico allargato, la operazione « verità » che ha consentito
di riconoscere l’esatta dimensione del « debito sommerso » già con i
decreti Stammati si sta ormai concludendo, mentre ora le pescrizioni
riaffermate dal D.L. 702/78 sull’obbligatorietà di provvedere alla ristrutturazione e riorganizzazione dei servizi entro il 30-6-1979 consentiranno a Comune e Province da un lato di riordinare con chiarezza
i loro organici, e dall’altro di attrezzarsi per le nuove funzioni cui di
fatto avrebbero già dovuto attendere.
Valutiamo la positività della fine della « spirale perversa » dei mutui a ripiano, del trasferimento del debitore degli EE.LL. al bilancio
statale, del trasferimento allo Stato delle esposizioni debitorie del settore pubblico allargato e, quel che è più importante, la positività di alcuni elementi indicatori di un nuova modo di erogare la spesa fondata
sul principio della programmazione degli investimenti a tutti i livelli
istituzionali di governo.
Novità interessanti, peraltro, si registrano nell’intervento della
Cassa DD.PP. che deve essere sempre più l’Istituto di Credito per il
finanziamento degli investimenti degli EE.LL. ed al quale occorre fare
costante riferimento per la realizzazione di OO.PP.
Nel recente incontro svoltosi a Bari sotto l’auspicio dell’A.N.C.I. e
dell’U.P.I. regionali il direttore generale della Cassa Prof. Falcone ebbe ad affermare che gli EE.LL. sono i soli protagonisti delle decisioni
sull’accesso al credito della Cassa con il solo vincolo che si tratti di
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opere e di infrastrutture pubbliche e che le procedure delle decisioni di
spesa siano accelerate al massimo.
Gli EE.LL. hanno a disposizione per il 1979 oltre 2.500 miliardi
mutui per opere pubbliche dei quali il 50% è destinato alle regioni meridionali.
L’azione degli EE.LL. ed il « piano triennale »
Ma gli impegni programmatici del governo locale, nel suo insieme
debbono collegarsi con gli obiettivi del « piano triennale », recentemente predisposto dal Governo e che può essere condiviso solo come
avvio di un discorso, tutto da verificare, specie per quanto attiene il
Mezzogiorno.
Riteniamo infatti indispensabile che sugli obiettivi che il Piano si
propone, si registri il massimo dei consensi delle parti politiche, sociali ed economiche. Siamo di fronte ad un piano economico che, come
già detto, va discusso ed approfondito e ritengo anche, lo dico con
chiarezza, emendato ed integrato.
Il piano rappresenta un tentativo di programmazione che deve essere condiviso con metodologia di lavoro, al di là della analisi specifica nei singoli settori: e quando nel « piano » vengono indicati obiettivi
tra prioritari l’occupazione ed il Mezzogiorno, si è centrato, come è
unanimemente riconosciuto, il problema cardine della crisi italiana. E
ritengo anche di dover aggiungere che se l’obiettivo è centrato, insufficienti a mio modo di vedere, risultano essere le indicazioni emergenti dal « piano » stesso.
E’, in fatti, nel Sud che occorre sviluppare tutti gli sforzi per una
maggiore occupazione.
E’ nel Sud che si scoprono le origini delle tensioni sociali su cui
più facilmente possono svilupparsi le forze eversive.
Nel riaffermare la centralità del Mezzogiorno il Piano Pandolfi individua come essenziale l’intervento pubblico per la messa in moto
dei processi moltiplicativi degli investimenti produttivi e
dell’occupazione.
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Forse non è inutile sottolineare ancora una volta la inderogabile
necessità del coordinamento dell’intervento pubblico, sia quello straordinario che quello ordinario, statale, regionale e sub-regionale.
Questa capacità di programmare, che già dal livello più piccolo di
governo registra le stesse difficoltà per l’assenza di un riferimento di
quadro programmatico a livello nazionale per cui si è spesso portati ad
agire in situazioni di emergenza, può oggi avere nel piano triennale
una positiva risposta nel senso che lo sforzo di programmare può oggi
trasformarsi in effettiva esperienza di programmazione. Il sistema delle autonomie può essere un rilevante momento di programmazione
economica soprattutto per la riconversione produttiva della sua spesa
poiché il compito degli EE.LL. non è solo quello di favorire la crescita
dei servizi sociali ma soprattutto di promuovere verifiche di investimento capaci di incidere in concreto per il rilancio dell’economia del
Paese.
In un discorso programmatorio è essenziale che gli investimenti si
distribuiscano avendo presente le eccedenze delle offerte di lavoro, e
ciò per determinare possibilità occupazionali in loco capaci di porre
un argine ai flussi migratori che tanti guasti hanno determinato.
Bisogna evitare che risorse umane di così grande valore, rappresentate dai nostri conterranei costretti ad emigrare, siano utilizzate altrove senza poter contribuire allo sviluppo della loro terra che sono
stati costretti ad abbandonare appunto per il difetto di una seria programmazione.
In questa occasione si devono segnalare le costanti iniziative di
questo Consiglio e del Comitato Provinciale per l’Occupazione e lo
Sviluppo sulla situazione occupazionale della provincia e le iniziative
che in tempi brevi dovranno essere avviate per una rilevazione sul
campo dello stato di crisi di molte piccole e medie aziende della provincia e sulla situazione di occupazione attuale e potenziale di alcuni
comparti produttivi.
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Intanto, nelle pagine seguenti, emblematicamente sottopongo alla
vostra attenzione e riflessione una prima mappa delle aziende in crisi
in provincia di Foggia:
1) FILDAUNIA (ENI)
Dipendenti: 700 contro i 1.050 del 1974.
Produzione: filato acrilico e misto lana in minima percentuale.
Il Piano ENI prevede la chiusura. Si tratta di una proposta inaccettabile, perché questa azienda ha un suo preciso ruolo nell’ambito del
settore T.A., soprattutto meridionale.
Occorre completare il processo di ristrutturazione diversificando la
produzione non solo in acrilico ma anche nel settore lana.
Occorre anche dire che la Fildaunia è l’unica azienda che produce
filato in tutta la Regione Puglia.
Si terrà, entro breve tempo, un incontro specifico con l’ENI e il
Ministero dell’industria.
2) SCIVAR
Dipendenti: 200.
Produzione: Confezioni in serie.
Attività sospesa dal dicembre 1977 ed Amministrazione controllata.
Nell’incontro con il Ministero dell’Industria v’è stato l’impegno
del sottosegretario Sinesio a realizzare un intervento della GEPI.
In data 5-2-78, l’azienda ha licenziato tutte le unità lavorative mettendo in forse anche la validità dell’Amministrazione controllata.
Dalla data di cessazione dell’attività produttiva, anche in presenza
di domanda, questi lavoratori non hanno usufruito di C.I.G..
L’ammontare dei loro crediti nei confronti dell’azienda in termini
di salario è di circa 100 milioni.
La situazione debitoria della società ammonta a circa 4 miliardi.
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3) EX AJINOMOTO (REALTUR):
Dipendenti: 230 a C.I.G.S. dal settembre del 1977, con scadenza 53-78.
Produzione: Glutammato monosodico.
L’attività è cessata a causa del disimpegno delle PP.SS. e
dell’andata via dei partners giapponesi. Fu concordata una riconversione nel campo dell’industria alimentare (precotto e surgelati) e si
ebbe un nuovo assetto proprietario con l’ingresso della General Investimenti, tramite la sua consociata Realtur.
Il processo di riconversione non è ancora iniziato.
Il Governo, nell’ultimo incontro (2-2-79) con i sindacati e le forze
politiche, ha riconfermato l’impegno a salvaguardare i livelli occupazionali, a mantenere la C.I.G.S. e, in mancanza di progetti seri da parte
della Realtur, da presentare entro il mese di febbraio, a individuare
una alternativa valida che risponda ai seguenti due precisi requisiti:
1) Salvaguardia dei livelli occupazionali (230 unità lav.);
2) La scelta di un settore produttivo che, possibilmente, si colleghi
con la realtà economica della ns. provincia e, comunque, che sia un
settore in espansione e non di crisi.
Entro febbraio a livello di Ministero dell’industria ci sarà un nuovo
incontro per verificare ulteriormente la situazione.
4) EX ILCA (LATERDAUNIA):
Dipendenti: 25-50 1976.
Produzione: Mattoni per costruzioni.
L’attività produttiva è sospesa dall’anno 1977.
Da circa 8 mesi i lavoratori sono in C.I.
L’azienda ha preparato un piano di ristrutturazione che deve ancora essere discusso con i sindacati.
Ha presentato, inoltre, una richiesta di finanziamento utilizzando la
legge 183 ma l’ISVEIMER non ha espresso ancora il proprio parere.
Ci facciamo carico di sollecitarlo.
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
5) C.M.S. S. SEVERO:
Dipendenti: 57.
Produzione: Macchine utensili.
L’attività lavorativa è cessata dal giugno 78.
L’azienda ha ottenuto 6 mesi di amministrazione controllata
(luglio/dicembre 78).
Motivi della chiusura:
1) Difficoltà finanziaria, hanno usufruito di 350 milioni dalla
Cassa per il Mezzogiorno.
2) L’ammontare della situazione debitoria è di 2 miliardi.
L’impianto ha un valore di 1,3 miliardi.
L’azienda non ha mai avuto difficoltà a collocare il prodotto
sul mercato.
I lavoratori non hanno usufruito di C.I.
6) OLIVERCOOP:
Dipendenti: 100.
Produzione: conservazione prodotti ortivi.
Nel 1978 tutti i lavoratori hanno usufruito di 3 mesi di C.I.G.
Nel 1979 il 50% delle maestranze sono in C.I.G.
Le difficoltà di questa azienda sono principalmente di ordine
commerciale, e, in secondo luogo, per la superata tecnologia esistente.
L’E.R.S.A.P. ha elaborato un piano per installare una nuova struttura produttiva nella zona industriale di Cerignola.
Tale piano non è stato ancora approvato dagli organi competenti
della Regione con i relativi finanziamenti.
I ritardi sono dannosi.
Ovviamente non solo per gli interessi dei lavoratori sospesi ma per
la stessa attività produttiva dell’azienda.
Occorre rendere, nel più breve tempo, esecutivo il piano e iniziare
la costruzione dei nuovi impianti.
Abbiamo voluto, in rapida sintesi, tracciare una prima mappa delle
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
aziende in crisi, per non perdere l’occasione costituita dalla presenza
del Presidente di mo strare come da parte nostra non si intenda perdere
tempo nell’apprestare anche solo a livello conoscitivo un quadro aggiornato della situazione. Ma non vogliamo limitarci ad essere i registratori notabili delle varie situazioni di crisi, esprimendo poi solidarietà politica e morale ai lavoratori, senza essere capaci di fare altro.
No, Signor Presidente, Colleghi Consiglieri, noi vogliamo avanzare proposte concrete per la soluzione delle varie situazioni di crisi, certo senza velleitarismi, ma con la precisa consapevolezza di avere anche noi un contributo propositivo da offrire a riguardo, su cui poi impegnare gli interlocutori governativi e le controparti aziendali.
Intanto diciamo subito che per la ex Ajinomoto, ove la Generai Investimenti non presenti seri progetti dell’azienda entro febbraio, si potrebbe esplorare la possibilità di costituire una società che veda impegnata o la stessa Insud, o la Finanziaria Meridionale (FIME) o la Finanziaria Agricola Meridionale (FINAM), l’Ersap e le grandi centrali
operative (LEGA e/o Confcooperative) creata per rilevare lo stabilimento, riconvertirlo alla produzione dei surgelati, con la Frigodaunia e
ricollocarlo sul mercato. Salvare e riconvertire la ex Ajinomoto significa operare certo nella crisi ma con un’ottica non meramente congiunturale che consentirebbe di dotare la Capitanata di una struttura
produttiva di grande avvenire, soprattutto in un’agricoltura irrigua
come deve avviarsi a divenire in tempi brevi quella della nostra provincia.
Per le altre aziende in crisi — a parte il caso della Fildaunia il cui
smantellamento rientrerebbe nei piani di riassetto della TESCON del
gruppo ENI e per la quale, quindi, il discorso è da portare innanzi
congiuntamente con la Regione a livello nazionale nell’ambito del
piano di riordino dell’ENI stesso — in che misura si è utilizzata la
consulenza di esperti facenti capo all’IASM l’Istituto operante
nell’ambito dell’intervento straordinario i cui suggerimenti potrebbero
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
forse ancora fornire utili indicazioni in merito alle strategie migliori
per affrontare i delicati e non facili problemi finanziari tecnologici e di
mercato che le aziende prima ricordate hanno dovuto affrontare? E
perché non impiegare subito nel tracciare soluzioni possibili, le competenze di set tori qualificati della ricerca operanti in Puglia presso le
due università della stessa? penso in modo particolare alle competenze
disponibili presso la Facoltà di ingegneria meccanica dell’Università
di Bari e presso il CSEI – il centro Studi dell’economia applicata
all’ingegneria —operante presso la stessa facoltà che già in passato ha
saputo offrire a piccoli e medi operatori industriali del la nostra regione qualificati servizi di consulenza.
Perché, ad esempio, in attesa che si istituisca l’Ente regionale per
la promozione della piccola e media industria, del quale in ogni caso
dovrà rapidamente promuoversi il varo legislativo e la operatività
concreta, non redigere una convenzione fra Regione, Centri di ricerca
e imprenditori che assicuri a questi ultimi le consulenze tecniche, manageriali e finanziarie necessarie a prevenire — nei limiti del possibile
— le stesse crisi aziendali?
Sono questi solo alcuni schematici suggerimenti su quali per altro la
nostra Amministrazione intende lavorare ulteriormente con i suoi esperti, arrivando già a] le prime riunioni del gruppo di lavoro istituito
presso la Regione sulle fabbriche in crisi, con un paccheto di proposte
ben articolate, rigorosamente definite nella loro fattibilità e agilmente
traducibili in concrete iniziative. Al riguardo, l’Amministrazione Provinciale intende avvalersi delle consulenze del Consorzio per l’Area di
sviluppo industriale di cui l’Amministrazione stessa i socio fondatore
e nel quale, peraltro, intendiamo torna re ad assolvere un ruolo attivo e
protagonista, nonchè dei suggerimenti che potranno provenirci — e
che in ogni caso solleciteremo in appositi incontri — dalla locale Associazione degli industriali che, fra l’altro da anni, è giusto ricordano,
porta innanzi un interessante lavoro di analisi e di scavo conoscitivo
della realtà socio-economica di Capitanata.
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Ma sul tema di ulteriori interventi propositivi dell’Amministrazione Provinciale in materia industriale ovviamente solo
indicativa — nulli essendo infatti i poteri della stessa Provincia nella
materia suddetta — tornerò più in là quando analizzerò gli interventi
da noi promuovibili in materia di artigianato.
Ora, noi faremo la nostra parte con impegno e slancio propositivo,
ma deve essere ben chiaro a tutti che, in materia di politica industriale
è la Regione — ancorché i suoi poteri siano, ma solo in apparenza, esigui — a dotarsi di iniziative di largo respiro, come peraltro richiesto
ormai perentoriamente dagli stessi sindacati. E un’occasione immediata di rilancio dell’intera tematica concernente lo sviluppo industriale
della Puglia, può essere costituito dall’apertura di una sessione di lavori della Conferenza regionale sulla occupazione.
Non dimentichiamo infatti che la conferenza regionale
dell’occupazione, avviata nel 1977, fu pensata e voluta come una assise permanente che non ha quindi esaurito le sue finalità nè concluso i
suoi lavori: l’occasione dunque sarebbe utile per la ripresa
dell’iniziativa per trarre le necessarie indicazioni da fornire sia al Governo nazionale per il piano triennale, sia al Governo regionale per gli
interventi programmatori da realizzarsi nel prossimo triennio.
La situazione occupazionale nella nostra provincia anche se non
raggiunge punte drammatiche, non può lasciarci indifferenti;
l’inclemenza atmosferica di un inverno rigido con gelate di eccezionale durezza ha provocato danni gravi all’economia agricola della nostra
provincia, che sono stati valutati nell’ordine di decine di miliardi a
volte concentrati in piccoli centri.
A tale proposito, Sig. Presidente, non posso non richiamare la sua
cortese attenzione, come quella dell’intera Giunta Regionale, ed in
particolare dell’Assessore all’agricoltura Monfredi, nonché di tutto il
Consiglio Regionale, proprio nel momento in cui si dà concretezza di
contenuti ad atti legislativi di delega adottandi dalla Regione in questo
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
settore, sulla grave situazione occupazionale, derivata dai danni conseguenti alle gelate, danni di una gravità e di una intensità tali, si pensi
che interi oliveti, mandorleti e vigneti sono andati completamente distrutti, con la inevitabile conseguenza di una impossibilità a reperire
lavoro per migliaia di braccianti della nostra provincia ed in particolare dell’Alto e Basso Tavoliere di Capitanata.
Problema questo che si pone all’attenzione di noi tutti, ma che diciamo subito non può essere visto e risolto in chiave assistenziale.
E pertanto è conseguenziale, come ho detto, che questa situazione
si rifletta sulla situazione bracciantile e contadina ed in quella occupazionale più in generale. Ma su tale argomento tornerò più ampiamente
fra breve.
Personale: ristrutturazione degli uffici e dei servizi provinciali
L’anno 1978 si è chiuso con il raggiungimento di importanti obiettivi:
a) la concretizzazione da parte dei dipendenti di tutti i benefici economici derivanti dall’applicazione del primo accordo nazionale;
b) l’attuazione del nuovo regolamento del servizio di igiene mentale;
c) l’eliminazione generale dell’avventiziato e l’inquadramento del
personale nei posti di organico corrispondenti alle effettive posizioni
di lavoro funzionali;
d) l’adozione del piano di utilizzazione dei posti disponibili, con
accesso dall’interno e dall’esterno; allo esterno bisogna fare riferimento per l’impiego di energie fresche in modo da assicurare quel rinnovamento di quadri necessario per una azione dinamica e pronta alle
crescenti esigenze sociali.
Pur dichiarandoci soddisfatti dei risultati raggiunti, ritengo che nel
1979 debba essere intensificato il nostro impegno nel settore, concentrando ogni sforzo politico ed operativo: il 1979 sarà l’anno dei grandi
appuntamenti, ai quali non possiamo mancare senza vanificare i risul-
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
vanificare i risultati conseguiti e senza pregiudicare per l’avvenire
l’efficienza dell’apparato, che rappresenta l’indispensabile strumento
per ogni azione politica ed amministrativa, da cui discende la stessa
valenza dell’Ente.
Un ruolo centrale — nel riordino complessivo delle branche operative della Provincia — spetterà ad una struttura dipartimentale che intendiamo creare con compiti di programmazione.
Il terreno della programmazione, infatti, è quello sul quale dovranno sempre più misurarsi le Amministrazioni Provinciali, soprattutto
nell’ottica dell’Ente intermedio. Tale struttura dipartimentale inoltre
dovrà ricostruire l’ufficio studi — che noi intendiamo rilanciare con
compiti di rilevazione analitico-ricognitiva della realtà socioeconomica di Capitanata. Tale ufficio studi si avvarrà di consulenze di
esperti esterni all’apparato dell’Amministrazione, il cui compito sarà
quello di arricchire e qualificare ulteriormente il lavoro avviato all’interno delle nostre strutture.
Inoltre, alcune fra le scadenze più importanti e significative
dell’anno 1979 riguardano l’applicazione del nuovo accordo nazionale
siglato il 23 dicembre scorso, che attende ormai la sua formalizzazione legislativa, e l’approvazione del piano generale di riorganizzazione
degli uffici e dei servizi, che deve essere adottato entro il 30 giugno
p.v., a norma dell’art. 4 del D.L. n.. 702 del 10-11-78, convertito con
modificazioni nella legge 8-1-1979 n. 3.
Per quanto concerne l’accordo nazionale, la cui validità è stata
contenuta entro il termine del 28 febbraio p.v. per consentire un anticipato rinnovo contrattuale, l’impegno che l’Amministrazione assume,
è di applicano con rigorosa puntualità e fedeltà, senza ritardo alcuno,
che sarebbe questa volta ingiustificato atteso il carattere vincolante ed
esecutivo dell’Accordo, derivante dall’emanazione del previsto D.P.R.
Ben più complessa ed impegnativa sarà invece la operazione per
giungere alla ristrutturazione dei servizi e degli uffici. Intendiamo av-
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
viare seminari di discussione e di approfondimento sul delicato tema.
Essi si articoleranno al centro ed in periferia, coinvolgendo l’interesse
e la partecipazione del personale provinciale dei vari servizi, per affrontare, con la sensibilizzazione diretta della base, i problemi
dell’informazione, della organizzazione del lavoro e delle procedure,
oltre a quelli di carattere istituzionale. Sulla scorta della consultazione,
così allargata, si procederà alla redazione di un progetto di ristrutturazione degli uffici e dei servizi, con la stretta collaborazione dei responsabili degli stessi ed in costante collegamento con i rappresentanti
dell’Amministrazione.
Si passerà quindi alla fase della verifica del progetto e del confronto per l’Amministrazione e per le OO.SS., onde pervenire entro i limiti
ed i termini fissati dalla legge, alla effettiva adozione del piano.
Questi i tempi e la procedura.
L’importante, però, è il conseguimento della finalità che la legge
pone, e che tutti noi ci proponiamo di rag. giungere con il piano e cioè
la massima efficienza e la produttività di gestione.
E’ indispensabile, pertanto, che venga concepita una struttura che
assicuri la maggiore responsabilizzazione e che stimoli la capacità di
iniziativa degli operatori, che eviti inutili e dannose duplicazioni o
contrapposizioni di competenze, che definisca ed unifichi i servizi tra
loro omogenei e garantisca comunque il coordinamento delle attività
dei vari settori.
Riteniamo essenziale perciò che il riassetto strutturale dell’Ente
renda razionale e funzionale l’organizzazione del lavoro, non soltanto
mediante la riforma delle procedure amministrative e l’utilizzazione di
nuove tecnologie per l’ammodernamento dei servizi e delle attrezzature, ma anche attraverso la costituzione di unità organizzative ed operative intersettoriali, con compiti ben definiti o per programmi specifici da realizzare, nelle quali ciascun dipendente si senta personalmente
impegnato e consapevole degli scopi del proprio lavoro.
Ci attendiamo infine, che il piano nella sua organica articolazione,
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
colmi le carenze strutturali, già da tempo denunciate, così come predisponga serv izi e strutture correlate alle nuove competenze dell’Ente,
quali risultano già individuate dalle forze politiche nei progetti di riforma delle Autonomie locali.
La battaglia per le deleghe regionali e per l’attribuzione di nuove e
diverse funzioni alla Provincia potrà passare con successo soltanto attraverso la disponibilità di una struttura moderna ed efficiente, in grado di assolvere degnamente i compiti ad essa affidati.
Voglio esprimere, a questo punto, ed in modo non formale, un ringraziamento a tutto il personale della Provincia che considero partecipe della nostra fatica quotidiana e che deve comunque sentirsi ulteriormente
impegnato
nella
realizzazione
delle
scelte
dell’Amministrazione perché la stessa possa assolvere i suoi compiti
istituzionali e nel contempo caratterizzarsi sempre di più quale Ente di
promozione, di coordinamento e di programmazione.
La situazione economica in provincia di Foggia
La situazione economica in provincia di Foggia, anche se contrassegnata da andamenti diversificati a seconda dei comparti analizzati,
mostra tuttavia complessivamente sintomi di indebolimento che non
possono non preoccuparci.
L’annata agraria 1978 è stata contrassegnata da un apprezzabile
incremento delle produzioni cerealicole ed ortive, ma un’analisi che
voglia misurare l’andamento della nostra agricoltura sul lungo periodo
consente di rilevare, fra l’altro come il tasso di crescita del settore
primario in Capitanata — dall’inizio degli anni ‘70 —pur collocandosi
al di sopra di quello regionale, sia stato inferiore a quello meridionale
e nazionale.
Se infatti guardiamo un po’ più indietro nel tempo, ad un periodo
cioè che va dal 1970 al 1976 — assolutamente necessario per chi voglia conoscere l’evoluzione strutturale di lungo periodo dei processi
economici — ci accorgiamo che il valore aggiunto al costo dei fattori
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
del settori agricolo (inclusivo anche di quello della pesca) in provincia
di Foggia ha avuto un incremento percentuale — a prezzi correnti —
del 102,35%, a fronte di un incremento regionale dell’88,30%, di uno
meridionale del 106,50% e di uno nazionale del 119,21%.
Questo significa che se il comparto primario in provincia di Foggia
è cresciuto — nell’arco di tempo considerato — in misura superiore a
quello regionale, si è collocato invece al di sotto, sempre per quel che
concerne l’incremento percentuale del valore aggiunto a prezzi correnti di quello meridionale e nazionale.
E’ interessante osservare inoltre che mentre nel 1970 la provincia
di Foggia era al primo posto in Italia per il valore aggiunto nel comparto primario, pari a 158 miliardi e 391 milioni, nel 1976 la provincia
di Foggia è scesa al terzo posto — dopo quelle di Napoli e di Ve rona
— con un valore aggiunto pari a L. 320.516.000.000.
Siamo dunque in presenza di un rallentamento —misurato sul lungo periodo — del tasso di crescita dell’agricoltura foggiana che rimane tuttavia una grande base produttiva sulla quale è possibile e necessario innescare e consolidare processi di sviluppo che allarghino e rafforzino le stesse basi strutturali della accumulazione in Capitanata.
Nel nostro settore industriale nel 1978 si è registrato — sempre per
la nostra provincia — un incremento delle ore di cassa integrazione
passate da 1.003.410 del ‘77 a 1.888.519 del ‘78, con un incremento
dell’80% circa.
Gli insediamenti industriali in esercizio negli agglomerati dell’ Incoronata, di Ascoli Satriano e di Manfredonia ricadenti nel perimetro
dell’Area di sviluppo industriale, al 5/12/1978 erano 17 per un totale
di 3518 addetti, mentre altri 3 erano in costruzione ed altri 15 in programma.
Uno sguardo generale all’intero comparto manufatturiero della nostra provincia, dislocata anche all’esterno del consorzio ASI, pone in
rilievo la sostanziale debolezza dell’armatura industriale della Capitanata, anche se il recente insediamento della SOFIM e quello program-
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
mato dell’Aeritalia, pongono le premesse per promettenti sviluppi nei
settori dell’indotto che noi, come Amministrazione Prov/le e
nell’ambito dei compiti di indirizzo che vogliamo assolvere, ci imp egneremo a promuovere e sviluppare.
Ma su tale aspetto tornerò con alcune proposte concrete quando
tratterò degli interventi nel settore artigiano.
I due fondamentali comparti produttivi della nostra provincia,
dunque, presentano sintomi preoccupanti di ristagno, che, se non configurano ancora una situazione vicina ad una vera e propria crisi di
sfascio, potrebbero, tuttavia, se non contrastati con una grande mobilitazione unitaria, portare sul medio periodo ad un declino irreversibile
della Capitanata.
Vi è bisogno quindi — intervenendo con rapidità ed efficacia nelle
situazioni di emergenza — di rilanciare con forza processi di sviluppo
articolati territorialmente, settorialmente e temporalmente, capaci di
realizzare una fase di crescita della provincia imperniata su impieghi
simultanei e coordinati delle risorse umane e finanziarie.
Tali processi di sviluppo potranno inoltre avvalersi sempre di più
della fondamentale risorsa costituita dall’acqua. Il suo arrivo nella nostra provincia rappresenta una conquista storica delle forze politiche e
sociali democratiche della Daunia; ma dobbiamo sapere che una mancata utilizzazione di questa fondamentale risorsa o una sua sottoutilizzazione comporteranno — insieme ad un enorme spreco di risorse finanziarie necessarie per la costruzione delle opere di captazione e adduzione —un colpevole degrado dei grandi fattori produttivi di cui ancora disponiamo e, sul lungo periodo, l’inarrestabile declino di un
comparto che produce ricchezza per le nostre genti, per l’intera regione e, come le cifre ci confermano, per l’intero Paese. E’ questo dunque
un terreno sul quale dobbiamo impegnare le nostre migliori energie
per battere la stagnazione che è la insidia mortale per la nostra agri-
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
coltura; e dobbiamo sapere che o avviamo oggi la grande battaglia popolare, democratica e di massa contro il ristagno e per rilanciare con
forza l’accumulazione nell’agricoltura di Capitanata, oppure i tempi
tecnici e le risorse necessarie per riavviare processi di sviluppo saranno sempre più rilevanti.
Oggi, in Capitanata, si gioca una partita di dimensioni storiche che
avrà riflessi decisivi per il suo sviluppo generale negli anni 80 e 90.
E’ dunque su questa trincea avanzatissima che siamo chiamati tutti
a misurarci nella consapevolezza che la battaglie per un nuovo, grande
sviluppo dell’agricoltura foggiana è terreno di mobilitazione, di esaltazione di tutte le energie vitali di cui questa provincia è ancora ricca
ed è battaglia di civiltà che ci qualificherà agli occhi e alla memoria
delle generazioni future.
E perché questo discorso non resti solo una mozione d’intenti ma
diventi stimolo per grandi e unitarie Iniziative di lavoro, crediamo sia
necessario annunziare che l’Amministrazione Provinciale di Capitanata — nella piena esaltazione ed anticipazione delle funzioni programmatorie che essa andrà ad assumere nell’ottica e nella prospettiva
dell’Ente intermedio, intende lavorare — nell’ultimo scorcio di questa
legislatura — alla defi- nizione e all’avvio di un grande PROGETTO
CAPITANATA che sia quadro di riferimento generale per uno sviluppo multisettoriale integrato che rafforzi le basi strutturali
dell’accumulazione provinciale, allargandone e qualificandone il perimetro occupazionale.
Un PROGETTO CAPITANATA che partendo dai problemi e dalle emergenze del presente, abbia capacità prospettiche e proiettive nel
futuro, indicando le linee di fondo lungo le quali far marciare lo sviluppo della nostra provincia.
Naturalmente sarà nostra fondamentale preoccupazione quella di
avviare un confronto ampio, serrato, qualificato, con tutte le forze politiche e sociali demo cratiche, con i soggetti istituzionali (comuni,
comunità montane, consorzi) presenti ed operanti sul nostro territorio,
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
con le forze imprenditoriali pubbliche e private, con le associazioni di
categoria, con il mondo della cultura e della ricerca, con le istituzioni
creditizie, per la messa a punto del PROGETTO CAPITANATA.
Tale progetto intende costituire un vero e proprio supporto strategico, uno schema di regìa per l’impiego simultaneo e coordinato di risorse umane e finanziarie finalizzato alla crescita generale della nostra
realtà territoriale, un progetto complessivo di sviluppo alla cui definizione dovranno lavorare insieme a noi le potenze sociali ed istituzionali presenti nel foggiano e alla cui realizzazione dovranno concorrere
con i loro comportamenti, con le loro decisioni di investimento, e con
la loro attività quotidiana quelle stesse potenze sociali ed istituzionali.
Un PROGETTO CAPITANATA, quello cui noi intendiamo lavorare, che dovrà essere parte integrante di un più generale disegno di
sviluppo programmato della Regione Puglia, di cui bisogna rapidamente tracciare le linee fondamentali.
Un PROGETTO CAPITANATA, infine, che dovrà rappresentare
la cerniera fra l’impiego delle risorse provenienti dall’intervento ordinario e straordinario dello Stato e quelle attivate localmente da Comuni, Comunità Montane, Consorzi, Enti, Istituti, soggetti imprenditoriali
pubblici e privati e cooperativi operanti nel settore agricolo, in quella
industriale e nel terziario qualificato.
Quali, a nostro avviso, le idee forza di questo PROGETTO CAPITANATA?
Senza ora volerle prefigurare in dettaglio, sentiamo tuttavia il bisogno di indicarne alcune sulle quali poi aprire l’ampio confronto cui
prima si faceva riferimento.
In primo luogo il PROGETTO CAPITANATA dovrà assumere
come scelta fondamentale per la crescita dell’intera area territoriale
una opzione agro-industriale. Tale asse non escluderà naturalmente la
crescita e lo sviluppo di comparti produttivi non legati al territorio,
come ad esempio quello aeronautico, ma comporterà una scelta preferenziale per quella gamma peraltro vasta e complessa di comparti che
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARI O 1979
gravita sull’agro-industria e che solo molto limitatamente è sviluppato
in provincia di Foggia.
Dal punto di vista territoriale poi, il PROGETTO CAPITANATA,
dovrà imperniarsi sul pieno recupero sulla altrettanto piena rivitalizzazione economico-produttiva delle aree interne montano-collinari.
L’economia della montagna non dovrà essere qual cosa di separato
dall’economia della pianura, ma dovrà trovare con essa tutte le integrazioni che potranno avviare — sia pure in tempi purtroppo non brevi — un recupero apprezzabile della corona subappenninica, del promontorio del Gargano interno.
La Provincia, questo Consiglio, ha già espresso la sua volontà votando un ordine del giorno con il quale si sollecitava l’inclusione della
fascia subappenninica e del Gargano nel progetto speciale aree interne
della Cassa per il Mezzogiorno. Tale richiesta rivolta alla Regione Puglia congiuntamente dalla Provincia e dalle Comunità Montane interessate, scaturiva oltre che dal profondo convincimento che non potesse « saltarsi » l’intera fascia subappenninica collocata tra il Mouse e
l’Irpinia anche da uno studio predisposto dalla Regione, dal quale si
desume che il 70% delle aree depresse dell’intera Regione trovansi ubicate proprio in provincia di Foggia. Riteniamo quindi di dover insistere con la necessaria fermezza l’inclusione nel progetto speciale aree
interne della Provincia di Foggia e delle zone innanzi indicate.
Il PROGETTO CAPITANATA, infine, dovrà operare una piena
valorizzazione di tutte le risorse e le energie produttive già oggi disponibili sul territorio, impiegandole in maniera coordinata al fine soprattutto di un allargamento della base occupazionale e di un consolidamento di quella produttiva.
Abbiamo voluto soffermarci con una certa ampiezza sulle linee
generali del PROGETTO CAPITANATA, non per indulgere al fascino dell’utopia, ma perché su quelle linee intendiamo già a partire dal
bilancio 1979 orientare la nostra spesa d’investimento in modo tale da
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orientare, in quelle direzioni, la spesa e l’intervento di altri soggetti.
Nel documento programmatico del ‘76, riconfermato in tempi successivi per i suoi contenuti dalle forze demo cratiche presenti in questo
Consiglio, venivano elencate funzioni che la Provincia può assolvere
solo se investita per delega della Regione: in questa direzione
l’impegno che assumiamo è quello di sviluppare ogni e più utile confronto con la Regione.
Riconfermiamo il ruolo della Provincia — per delega regionale —
nelle seguenti attività:
a) elaborazione dei piani di zona e, conseguentemente, approvazione dei piani aziendali, con il concorso e nel rispetto delle comp etenze tecniche degli Enti strumentali in un quadro di indirizzo e di
procedure fissate con legge regionale e con la partecipazione delle
Comu nità montane e delle Associazioni fra i Comuni che la Provincia
deve promuovere ed organizzare;
b) elaborazione di piani di intervento per la forestazione produttiva
e per la zootecnia, due settori, questi, in cui la funzione dell’Ente pubblico ad area vasta può essere meglio valorizzata per la sua « capacità
economica » di operare investimenti a lungo termine che per loro natura, mal si adattano ad essere oggetto di attenzione da parte
dell’operatore privato;
c) incentivazione dell’associazionismo e della cooperazione che,
nel quadro di una politica programmata di sviluppo del settore agricolo, costituiscono elementi di grande rilievo per la riorganizzazione e la
riduzione dei costi di conduzione delle aziende agricole, la realizzazione di condizioni per l’elevazione della forza contrattuale dei produttori agricoli sui mercati e per il riaccorpamento delle unità produttive, oggi troppo frazionate e incolte o malcoltivate;
d) l’esperienza e le strutture della Provincia nel settore della viabilità possono costituire importanti elementi perché con i Comuni possa
assolversi ai compiti di messa in opera e manutenzione della viabilità
minore.
Un’attività concertata e razionalizzata può consentire una migliore
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
utilizzazione delle risorse ed una più tempestiva e qualificata opera in
questo settore.
Occorre perciò guardare alla realizzazione di uno strumento di coordinamento che consenta una efficiente conduzione della comune attività nel settore della viabilità.
e) Partendo dall’esigenza di meglio qualificare gli interventi in agricoltura, occorre assicurare una vasta rete di « centri di assistenza »
e di formazione professionale sul territorio in modo che l’operatore
agricolo abbia un costante e puntuale punto di riferimento per tutti i
problemi riguardanti lo sviluppo produttivo, economico e sociale
dell’agricoltura.
Nell’ambito della utilizzazione delle proprie risorse sarà redatto
quanto prima un progetto che consenta di contrarre un mutuo con la
Cassa DD.PP. per i programmati interventi a sostegno della cooperazione e dell’associazionismo.
Ruolo della Provincia nella ricerca collegata alla produzione zootecnica ed agricola
L’Amministrazione Provinciale di Foggia esprime la volontà di
valorizzare le strutture della Fondazione di Sangro e Fondazione Zaccagnino, in piena autonomia di intenti con le Fondazioni, in direzione
della ricerca in agricoltura che noi consideriamo fondamentale ai fini
di sempre più elevati rendimenti di un comparto che come abbiamo
già visto, occupa un posto centrale nello sviluppo della Capitanata.
Riprendendo quanto già sperimentato con successo dagli amici
dell’Amministrazione Provinciale di Bari, per la loro fondazione Bonomo, sarebbe possibile avviare contatti con il CNR e l’Università di
Bari per valutare l’opportunità di creare una struttura di ricerca finalizzata che sia raccordata alle esigenze dei produttori di Capitanata.
Al fine tuttavia di evitare la creazione di strutture che risultino
doppioni di altre già esistenti sul territorio regionale, noi crediamo che
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si debba preliminarmente redigere una vera e propria carta degli istituti di ricerca operanti sul territorio ove, come è noto, sono presenti
Università, Centri di ricerca del M.A.F. ed altre strutture che svolgono
compiti analoghi. La Regione dovrebbe procedere rapidamente alla
elaborazione di tale cartografia della ricerca esistente e di quella comunque necessaria per lo sviluppo dell’agricoltura pugliese. In tale
contesto verrebbe quindi ad inserirsi la scelta dell’Amministrazione
Provinciale di Foggia che intende collaborare con le Fondazioni di
Sangro e Zaccagnino per compiti di supporto scientifico
all’agricoltura della Daunia.
Per quel che concerne la Daunia Risi, invece, anche qui, salvo a
sperimentarla in concreto con la volontà del Comune di Manfredonia,
è nostra intenzione proporre la costituzione di una moderna ed efficiente struttura cooperativa che possa valorizzare, anche con
l’eventuale supporto finanziario della FINAM (la Finanziaria Agricola
Meridionale) un’area produttiva di grandi prospettive come esperienza
pilota per l’intera provincia.
Infrastrutture: edilizia scolastica, viabilità, edifici provinciali - Problemi e interventi nel settore della cultura
La diffusione dell’istruzione e la promozione della cultura costituiscono ormai da anni severo impegno della Provincia per assicurare alla popolazione amministrata la espansione della sfera produttiva e,
quindi, effettivo progresso della civiltà.
Pertanto, grande rilievo è stato dato alla spesa per le strutture scolastiche, per la creazione di centri di diffusione della cultura, per favorire un più rapido inserimento dei giovani nella vita sociale, politica e
professionale.
Per il raggiungimento degli obiettivi fissati nel programma per
l’edilizia scolastica, per soddisfare la domanda crescente di strutture
scolastiche adeguate e razionali, è necessario ricorrere ai tempi brevi
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
per consentire il massimo possibile impiego delle risorse disponibili
sia regionali che proprie e per stimolare la crescita dei settori industriali e per realizzare il maggior numero possibile di posti di lavoro.
Ed in « tempi brevi », dovrà essere realizzato il piano di edilizia
scolastica con la costruzione, prevista, di aule nei distretti scolastici
che presentano carenze e che ha già formato esame della competente
Commissione Consiliare.
Sicché complessivamente per l’edilizia scolastica tra risorse proprie e contributi regionali si prevede un investimento che complessivamente dovrebbe superare la somma di 15 miliardi per l’anno 1979.
Nel 1979 dovranno, inoltre, essere costruiti tutti gli edifici scolastici previsti nel piano di edilizia scolastica, ma che non ancora hanno
ottenuto l’approvazione di tutti i rituali atti amministrativi. Tali edifici
riguarderanno il distretto di Foggia, Cerignola, Trinitapoli, S. Severo,
Apricena, S. Giovanni Rotondo, Vieste, Lucera, Candela, Manfredonia.
Ma l’impegno della Provincia e, in particolare dell’Assessorato ai
LL.PP., è rivolto in maniera puntigliosa ai completamenti di tutti gli
edifici scolastici iniziati e sospesi a causa di carenza di finanziamenti
statali. Così saranno completati nel biennio 1979-1980 gli edifici scolastici di: Istituto Tecnico Commerciale di Cerignola, Liceo Scientifico e Istituto Tecnico Commerciale di S. Severo, Liceo Scientifico e Istituto Tecnico Commerciale di Manfredonia, Liceo Scientifico « Vo lta » Foggia, Istituto Tecnico Femminile « Montessori » Foggia, Istituto Tecnico Industriale Foggia, e ampliamento dell’Istituto Tecnico
Commerciale « Giannone » e Liceo Scientifico « Marconi » Foggia.
Peraltro, tali lavori di completamento hanno già avuto un avvio
con l’approvazione di progetti stralcio funzionali in attesa di perfezionare e di determinare i modi di finanziamento degli interi progetti generali.
La politica dei beni culturali in Puglia deve coinvolgere tutti gli
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Enti pubblici, non solo per la gran mole di lavoro che in questo settore
è ancora da svolgere, ma anche e soprattutto per lo stretto legame che i
beni culturali ed ambientali hanno con i problemi dello sviluppo generale del territorio.
Anni di accentramento statale, deformazioni « separatiste » degli
addetti ai lavori della cultura hanno contribuito all’assenza di una politica culturale intesa come intervento consapevole e pianificato da parte
degli enti pubblici. Il D.P.R. 616 ha delegato funzioni amministrative
di coordinamento nei confronti degli enti locali alle Regioni. Ma un
ruolo fondamentale possono assolvere nel settore le Amministrazioni
provinciali chiamate a compiti di coordinamento fra Regione, Comuni, Comunità Montane, Istituzioni culturali, Sopraintendenza per i beni ambientali, Sopraintendenza ai beni archeologici.
Sarebbe necessario promuovere, nell’ambito della Provincia di
Foggia, uno studio sul numero dei centri e dei soggetti che svolgono
promozione culturale (Archeoclub, Centri di ricerca, Centri di servizi
culturali, centri spontanei) sia sulle attività da essi svolte sia su quelle
in corso.
In particolare, val la pena ricordarlo e con soddisfazione, la scelta
dell’Amministrazione di costituire l’Archivio della cultura di base, si è
dimostrata valida non solo al fine di recuperare un patrimonio di tradizioni di valori sociali e culturali in via di estinzione ma anche per la
volontà di stabilire un rapporto ravvicinato tra i concreti bisogni culturali della collettività e l’iniziativa dell’Ente Provincia.
Avvertiamo ancora l’esigenza di dare una risposta al bisogno di
cultura con un’azione di programmazione e coordinamento complessivo delle iniziative con la istituzione di una Consulta Provinciale per
le attività culturali.
E ci sentiamo impegnati nello sviluppo e le qualificazioni degli Istituti Superiori; l’aver ristrutturato la Scuola di Servizio Sociale,
l’essere stati tra i protagonisti della richiesta di istituzione dell’I.S.E.F.
a Foggia, ci impegna oggi a svolgere eguale ruolo positivo per la rea-
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BILANCIO FINANZIARIO 1979
lizzazione dell’Università.
Riteniamo che, al di là dei discorsi sulle occasioni perdute, sui limiti imposti dall’art. 10 dei provvedimenti urgenti sull’Università, ci
sia la necessità di porre al. l’attenzione delle forze politiche, sociali e
culturali, anche a livello nazionale, una programmazione delle istituzioni universitarie nel Mezzogiorno e nelle Puglie, come elemento di
sviluppo della nostra realtà in un’ipotesi di creazione di un sistema
delle università meridionali.
In questo quadro va vista la nostra presenza nell’ambito del Comitato Promotore per l’Università di Foggia in seno al quale portiamo
l’esigenza che ogni richiesta di decentramento delle attività didattiche
dell’Università di Bari sia collegato alle scelte di sviluppo della nostra
provincia e del Mezzogiorno.
Lavorare infatti per il PROGETTO CAPITANATA significa m
ipegnarsi per dotare la nostra provincia di una Università il cui ruolo e
le cui attività di ricerca siano strettamente raccordate al territorio. Sia
ben chiaro a tutti che è questo un terreno sul quale l’Amministrazione
Provinciale intende lavorare con particolare impegno, ma non già nella logica deformante finalizzata ad acquisire « una facoltà per ogni
campanile ». Non è questo il nostro obiettivo, bensì quello di puntare
con forza all’acquisizione, all’area di Foggia, di un nucleo di facoltà, a
carattere prevalentemente scientifico, profondamente raccordato col
territorio.
Naturalmente, intendiamo lavorare su tale terreno in collegamento
con le Università di Bari e Lecce, nel quadro di una programmazione
universitaria regionale che dislochi in Capitanata solo strutture accademiche necessarie al suo sviluppo e non quelle necessarie a qualche
onorevole di provincia o a qualche consigliere regionale per acquisire
consensi elettorali.
Ma tornando al campo dei LL.PP. bisogna dire che in esso operiamo scelte concrete e qualificanti anche nel settore delle strade. Oltre
alla manutenzione del vasto parco stradale provinciale, già eseguita
nel 1978, ed ai numerosi interventi per dare sicurezza alla circolazione, per il triennio 1979-81 è stato impostato un programma che sarà
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esaminato dalla competente Commissione Consiliare di concreti interventi per risolvere in gran parte i più gravi problemi della viabilità
provinciale non avulsi da immediati vantaggi alle intere popolazioni
amministrate e dalle esigenze regionali.
Detto programma prevede il completamento di quelle opere di
primario interesse provinciale non portato a termine, nonché la ristrutturazione e la sistemazione di strade provinciali di grande interesse
sociale, turistico e agricolo.
A tal uopo l’Amministrazione ha ritenuto di doversi avvalere del
FEOGA per il tramite dell’Assessorato Agricoltura per la viabilità rurale.
All’attenzione dell’Assessorato ai LL.PP. vengono, quindi, le strade, gli edifici scolastici, nonché il problema dei trasporti, colti nel
momento essenziale della incidenza che di un discorso globale sulle
strutture essenziali dello sviluppo economico può e deve determinare.
Artigianato
L’importanza dell’artigianato è stata più volte sottolineata in sede
di dibattito sulla situazione occupazionale in Capitanata e di tale settore si sottolineò la capacità intrinseca di porsi in funzione attiva rispetto
alla domanda di lavoro.
Nel settore la media dei nuovi posti di lavoro e degli investimenti,
nonostante la crisi generale del nostro Paese, hanno mantenuto un livello indubbiamente superiore rispetto ad altri comparti produttivi non
solo per la concretezza e l’economicità degli interventi, ma anche per
la prontezza con cui gli stessi possono essere predisposti.
E’ noto che in questo settore la Provincia non ha competenze specifiche; pur tuttavia un Ente che intende porsi in funzione sul territorio, deve ricercare soprattutto nei settori produttivi uno spazio operativo che in questo caso si concretizzerà in un’azione di carattere promo -
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zionale ed incentivante dell’artigianato locale in collaborazione con
quegli Enti che hanno più diretta competenza nel settore e cioè la Camera di Commercio e la Sezione Pugliese dell’ICE.
La Provincia, quale Ente intermedio tra la Regione e i Comuni,
può assolvere ad una funzione promozionale per la Soluzione di aspetti fondamentali della problematica artigiana.
Tale funzione, opportunamente finalizzata, può in tegrare con specifiche iniziative, quella più generale della Regione esaltando
nell’ambito territoriale e provinciale le energie tipiche e tradizionali
dell’artigianato della Capitanata.
Al riguardo è intenzione dell’Amministrazione Provinciale varare
una iniziativa imperniata su una Mostra permanente dell’Artigianato
in Capitanata, venendo incontro alle attese del Consorzio fra artigiani
costituitosi lo scorso anno dietro sollecitazioni delle organizzazioni
sindacali e sotto il patrocinio della Camera di Commercio.
Le iniziative promozionali che l’Amministrazione Provinciale ni tende perseguire mobilitando insieme alle categorie interessate, la
Camera di Commercio, la Regione Puglia, gli Enti locali, le Comunità
montane e l’Ente Provinciale per il Turismo, persegue tuttavia un obiettivo più ambizioso di quello, pur importante, della mo stra permanente dell’artigianato Dauno.
E’ nostra intenzione, infatti, promuovere mostre itineranti
dell’artigianato di Capitanata, che riteniamo abbia grandi possibilità di
affermarsi oltreché sul mercato meridionale, anche su quello nazionale
ed internazionale.
Una collocazione nel mercato extra provinciale delle produzioni
tipiche del settore, presuppone una iniziativa costante
dell’Amministrazione Provinciale in direzione dello stesso; organizzare inoltre una mostra itinerante significa instaurare rapporti con fiere
nazionali ed estere con personale altamente qualificato che è compito
delle stesse categorie interessate selezionare e adibire esclusivamente
a tali compiti.
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L’amministrazione Provinciale intende avvalersi della consulenza
dell’ICE e della sua sede regionale di Bari per organizzare quelle iniziative itineranti che riteniamo siano forse più efficaci delle stesse mostre permanenti. Ricordiamo al riguardo che il D.P.R. 28-9-78 n. 818,
recante norme per il riordinamento dell’istituto nazionale per il commercio estero, all’art. 2 del regolamento annesso al decreto stesso recita testualmente:
« L’ICE nel quadro della programmazione economica nazionale e
sulla base delle direttive del Ministero per il commercio estero, è
l’ente che, con particolare riguardo alle esigenze delle piccole e medie imprese ha il compito di promuovere e sviluppare gli scambi commerciali con l’estero, assumendo le necessarie iniziative e curandone
la realizzazione ».
Inoltre il comma 2 dell’art. 4 dello stesso regolamento recita testualmente:
« L’ICE al medesimo scopo di potenziare e di promuovere lo sviluppo delle attività esportative, avvia tramite i propri uffici regionali,
ogni utile collaborazione con le regioni stipulando anche apposite
convenzioni ».
V’è dunque anche alla luce del D.P.R. citato, ampia possibilità di
utilizzazione della struttura dell’ICE e noi ci impegneremo, stimolando la Regione ad assumere iniziative coordinate con le Amministrazioni provinciali e le categorie interessate, a valorizzare sui mercati interni ed esteri le nostre produzioni artigianali.
Industria: l’indotto SOFIM
Per quel che concerne poi il settore specificamente industriale ,pur
non avendo come è noto l’Amministrazione provinciale competenze
specifiche in materia, non intendiamo tuttavia rinunciare ad assolvere
un ruolo propositivo, convinti come siamo che tale compito rientri fra
quelli specificamente programmatori del futuro Ente intermedio.
In primo luogo, per l’ormai noto problema del cosiddetto « INDOTTO SOFIM », noi riteniamo che per uscire dalle formulazioni
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generiche e dalle attese che alla lunga potrebbero risultare vane, sia
necessario andare ad un confronto ravvicinato con la direzione aziendale che contenta, in primo luogo di definire merceologica. mente e
quantificare una borsa delle subforniture attivabili in loco. Una volta
ottenuto, a livello conoscitivo un quadro esatto dei flussi di indotto
avviabili a partire dallo stabilimento SOFIM, un secondo momento di
iniziativa potrebbe consistere nel censimento delle aziende che, sempre in loco, possono rispondere alla domanda proveniente dall’azienda
madre; e, ove le aziende locali solo parzialmente siano in grado di
soddisfarla, potrebbe promuoversi una vera e propria azione di marketing industriale, volta a sollecitare insediamenti nei nostri territori di
operatori provenienti anche da altre regioni, che siano interessati a legare parte dei loro cicli produttivi per soddisfare il blocco di domanda
aggregata proveniente dalla SOFIM. Questa azione promozionale potrebbe avvalersi della consulenza dello IASM e delle sue filiali — da
qualche tempo in via di decentramento —, potrebbe fornire ad imprenditori di altre regioni interessati, elementi conoscitivi sulle condizioni insediative della Capitanata utilizzando l’ormai noto ATLANTE
DELLE CONDIZIONI INSEDIATIVE INDUSTRIALI messo a punto alcuni anni orsono dall’associazione degli industriali pugliesi.
E ove si giungesse all’insediamento di nuove realtà produttive nella nostra provincia, potrebbero utilizzarsi con funzioni di promozione
e di sostegno due delle tre finanziarie della Cassa e cioè la FIME e la
INSUD.
Al riguardo, è notizia di queste ultime settimane che la CONFAPI
dell’Emilia-Romagna ha allo studio un progetto di insediamenti di
imprese associate che intendono investire nel Mezzogiorno e che per
questo ha sollecitato un’azione promozionale diretta dalla stessa Regione Emilia.
Perché non lanciare allora un confronto con gli imprenditori emiliano-romagnoli — anche magari sulle colonne della stampa di quella
regione — per far conoscere le grandi potenzialità insediative che esi-
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stono in Capitanata a ridosso degli insediamenti della SOFIM, dell’AERITALIA, ma non solo di questi?
Noi crediamo che oltre a reclamizzare il sole e il mare di Siponto e
del Gargano sia possibile reclamizzare, anche se la cosa è certamente
usuale, i fattori generali che incentivano le localizzazioni industriali
nel foggiano.
Come ho già detto — e intendo ripeterlo anche a questo proposito
— insieme all’acqua una delle grandi risorse necessarie a dare basi di
fattibilità al PROGETTO CAPITANATA è il metano. Ed è questo un
terreno sul quale l’Amministrazione Provinciale intende impegnarsi
con particolare vigore, nella consapevolezza che battersi per rafforzare
le risorse energetiche dell’intera regione e, in essa, dell’area foggiana,
significa lavorare consapevolmente per lo sviluppo almeno dei prossimi due decenni delle nostre zone.
Il metano algerino, infatti, è occasione troppo grande perché la Puglia possa perderla; insieme pertanto alle forze politiche, istituzionali,
sindacali, produttive e scientifiche, intendiamo offrire il nostro contributo di idee e di proposte perché sia rapidamente avviata la gigantesca
— usiamo consapevolmente tale aggettivazione — opera di metanizzazione dei centri urbani della Puglia che, in particolare per la nostra
provincia, deve raccordarsi alla rete già allacciata ai pozzi metaniferi
del Subappennino.
TUTELA DELL’AMBIENTE - INQUINAMENTO
In materia di inquinamento, le Province sono state investite da una
serie di competenze abbastanza notevoli, in particolare con la legge 19
maggio 1977 n. 319 (Norme per la tutela delle acque
dall’inquinamento) e legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti
contro l’inquinamento atmosferico).
Accanto a queste, molte altre funzioni potrebbero assolvere utilizzando leggi regionali già in vigore e nelle quali può essere colto un
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ruolo per il futuro ente intermedio L.R. 7.6.1975 n. 50 « Istituzione di
parchi nazionali attrezzati ».
Art. 1 « Enti pubblici, consorzi amministrativi, società e privati, possono istituire, su terreno proprio o di cui abbiano la disponibilità, parchi naturali attrezzati con le caratteristiche e secondo le
procedure stabilite dalla presente legge. Specifica iniziativa in
materia compete alle Province, alle Comunità montane e ai
Comuni, eventualmente consorziati fra loro, mentre la Regione
promuove l’azione di tali Enti e coordina qualsiasi intervento
in materia ».
L.R. 21.5.1975 n. 42 « Interventi per il controllo e la prevenzione dagli inquinamenti ».
Art. 4 « Per l’attuazione dei compiti stabiliti dall’art. 3 la Regione individua nei Laboratori Provinciali di Igiene e Profilassi adeguatamente attrezzati i presidi tecnici di base ».
L.R. 16.7.1974 n. 25 « Interventi per la tutela del patrimo nio
boschivo ».
Art. 8 « La Regione può altresì concedere contributi agli Enti territoriali, Enti pubblici, Consorzi, cooperative, ecc, per iniziative
relative alla ricostituzione dei beni silvo-pastorali danneggiati e
distrutti dal fuoco ».
Impianti di smaltimento rifiuti solidi urbani
L.R. 18.8.1973 n. 21 « Contributi della Regione a Comuni e
Consorzi di Comuni per l’impianto di inceneritori di rifiuti solidi urbani ».
Art. 1 « La Giunta Regionale è autorizzata a concedere contributi a
consorzi tra Enti locali e, nei casi di riconosciuta convenienza
ed economicità, a singoli Comuni per l’impianto di inceneritori
di rifiuti solidi urbani ».
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Ritengo altresì di dover precisare anche la volontà dell’A.P.
sull’incidente ANIC.
In seguito all’incidente ANIC del 26.9.1976, che ha interessato i
territori dei Comuni di Manfredonia e Monte S. Angelo, si è riconosciuta la necessità di definire gli interventi per combattere i danni provocati dalla nube arseniosa, sottoponendo a rigorosi controlli le persone, l’aria e la terra.
A tale scopo vennero iniziati subito lavori di analisi e di ricerca e,
successivamente si costituì un Comitato tecnico-scientifico per operare in diversi settori (settore agronomico - settore zootecnico - settore
biologia marina - settore idrogeologico - settore impianti industriali e
relativi processi produttivi - settore inquinamento atmosferico - settore
sanitario per il controllo sull’uomo.
Detto Comitato ha approvato dei piani di lavoro, già inviati alla
Regione Puglia — Assessorato alla Sanità —per il finanziamento:
1) Piano di studi e ricerche dell’Istituto di Chimica Agraria della
Università di Bari per indagare sull’evoluzione dell’arsenico nei terreni e nelle piante interessate alla contaminazione, L. 34.120.000;
2) Piano di studi e ricerche dell’Istituto di Geologia e Palenteologia dell’Università di Bari per indagare sull’evoluzione dell’arsenico
nel suolo e nel sottosuolo e nelle acque, L. 19.000.000;
3) Piano di Studi e di ricerche del Laboratorio di Biologia marina
di Bari, per l’esame delle acque, sabbie di fondo, fito e zoobentos,
molluschi filtratori, fito e zooplanton e pesci bentonici e demersali, L.
8.150.000;
4) Piano di studi e ricerche dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Puglia e Basilicata per i settori marino, zoosanitario e alimenti di origine animale, L. 33.995.000;
5) Piano studi e ricerche del Laboratorio Provinciale di Igiene e
Profilassi — Reparto Chimico — per analisi e elaborazione dei dati
interdisciplinari e acquisto apparecchiature e reagenti, L. 142.747.500.
Inoltre questa Amministrazione ha sostenuto già, fino alla data del
31.12.78 la spesa di L. 73.366.965 per stipendi al personale assunto
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provvisoriamente presso la sez. chimica del Laboratorio provinciale.
Infine, l’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Bari,
nello scorso novembre, ha trasmesso alla Regione Puglia ed a questa
Amministrazione, per i finanziamento, un piano di studi e ricerche
sull’uomo per l’importo di L. 171.500.000. Detto piano è ancora da
definirsi con la Regione Puglia. E manifestiamo qui la volontà di proseguire senza indugi nell’attuazione de programmi per rassicurare e
dare tranquillità alle po- polazioni colpite.
PESCA
Un posto rilevante nell’economia della provincia di Foggia deve
essere riconosciuto alla pesca, un settore spesso dimenticato e sottovalutato, ma che occorre rivitalizzare, predisponendo un progetto specifico finalizzato.
Negli ultimi anni, si è consolidata la tendenza alla contrazione della produzione e tale processo non può essere considerato dipendente
solo da fattori contingenti o «congiunturali», ma va inquadrato in una
realtà che presenta le sue pesanti strozzature sia quanto a strutture specifiche, sia quanto ad organizzazione commerciale e sia, infine, quanto
a caratteristiche ed orientamenti della domanda interna.
L’Amministrazione Provinciale di Foggia — pur consapevole che
il problema è complesso e può essere affrontato e avviato a soluzione
nell’ambito di un organico disegno di sviluppo del comparto a livello
nazionale, articolato regionalmente — intende anche in questo settore
lanciare — senza velleitarismi ma con la consapevolezza di poter definire un intervento concreto — un suo progetto pesca impiegando
una quota parte delle sue risorse destinate a fini produttivi.
Un progetto pesca finalizzato soprattutto a sviluppare la piccola
pesca, quella di piccolo cabotaggio.
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Un intervento positivo, dunque, che parta dai seguenti presupposti:
1) delineazione di una carta della pescosità della nostra costa;
2) individuazione dei bacini d’addensamento della pescosità medesima e delle attività peschereccie;
3) individuazione delle cause di depauperamento ittico nel nostro
litorale;
4) studio delle varietà da coltivare ai fini di un ripopolamento progressivo e graduato nel tempo del patrimonio ittico;
5 ) avvio della stessa azione di ripopolamento.
Quali strumenti impiegare in tale direzione? In primo luogo utilizzo delle competenze del Laboratorio di Biologia marina, dell’Istituto
talassografico di Taranto recentemente acquisito dal C.N.R. e del laboratorio di biologia lagunare e marina di Lesina del C.N.R. che va
adeguatamente potenziato.
In secondo luogo attivazione di un flusso di risorse finanziarie da
definire nella quantità e nella tempistica di spesa — per la definizione
del progetto. In terzo luogo valutare l’opportunità di raccordare tale
intervento con il progetto per l’acquacoltura, recentemente consegnato
dalla SOPAL, gruppo EFIM alla Regione.
Si avverte comunque l’esigenza di avviare in tempi rapidi una consultazione delle categorie interessate che potrebbe articolarsi in incontri di zona, che potrebbero culminare in una conferenza provinciale
sulla pesca che metta a punto definitivamente il progetto pesca e lo
avvii alla fase esecutiva.
In questo quadro non può non pensarsi quali enormi potenzialità di
sviluppo siano presenti anche nel Gargano Nord. I laghi di Lesina e di
Varano, opportunamente ed adeguatamente risanati con intervento a
questo fine orientati e non come si è tentato di fare per il passato dalla
Regione, sono suscettivi di creare condizioni tali di sviluppo da consentire la immissione in produzione di notevoli risorse umane.
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TRASPORTI
Ora che il nuovo governo regionale si è posto l’obiettivo di realizzare un più efficace e valido sistema di trasporti con la realizzazione
dell’azione fino ad ora svolta e con la piena attuazione del processo di
pubblicizzazione, diretto ad assicurare condizioni di equilibri nel territorio pugliese, nonché adeguati rapporti di integrazione e di complementarietà tra i diversi « modi » di trasporto, un importante e nuovo
ruolo vuole assumere questa Amministrazione.
L’Ente Regione si accinge a varare la delega di tutte le funzioni
amministrative attualmente esercitate direttamente ad appositi consorzi che verranno costituiti appunto tra la Provincia, i Comuni e l’E.P.T..
Da parte di quest’ultimo, che è l’ente che istituzionalmente deve
promuovere tali organismi, è pervenuta una prima proposta a questa
Amministrazione, perché si renda promotrice di un approfondito esame e di ogni eventuale emendamento alla bozza di statuto.
Fortemente sentito è dalle popolazioni daune il problema del trasporto, specialmente in quelle zone dove non esiste il servizio ferroviario nazionale, dal Gargano al Subappennino; basti pensare alla questione della ferrovia garganica e della Foggia-Lucera.
Sino ad ora erano ostative alla volontà dell’Amministrazione Provinciale di assumere l’onere di un tale nuovo impegno, la frammentarietà della legislazione, nazionale e regionale in materia, specialmente
per gli aspetti finanziari.
La proposta dell’E.R.P.T., riformulata nell’estate scorsa, malgrado
tutto risentiva ancora di tali limiti e si basava essenzialmente su strumenti legislativi in vigore per le gestioni « precarie », fino a
quell’epoca e speriamo ancora per poco; limiti legislativi che certamente hanno contribuito alla non soddisfacente situazione che in tutte
le gestioni si può riscontrare e non solo in quella provinciale.
Perché si possano accelerare i tempi del passaggio dei poteri, questa Amministrazione ritiene di dover andare in tempi brevi alla costi-
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tuzione del Consorzio, assumendosi il ruolo di promuovere tutte le iniziative necessarie, a partire dalla convocazione degli altri enti interessati, per poter offrire un fattivo contributo anche nella fase
dell’elaborazione di proposte concrete per la più funzionale regolamentazione del passaggio dei poteri, nonché per addivenire alla pratica costituzione di un organismo che — nella pienezza dei poteri necessari —possa, fra l’altro, gestire il servizio pubblico del trasporto
extra urbano su gomma secondo le aspettative e le esigenze del personale addetto, delle popolazioni della Provincia, contemperando
l’azione con l’altra fondamentale esigenza della efficienza e
dell’incremento della produttività, in quanto molto alto è l’impegno
della finanza pubblica nel settore.
AEROPORTO
I problemi connessi al rilancio e alla piena valorizzazione delle
strutture aeroportuali di Foggia sono stati oggetti di attenzione della
stampa locale anche negli ultimi giorni.
L’Amministrazione Provinciale di Foggia intende farsi carico sino
in fondo della necessità di avviare a tutti i livelli un grande e civile
confronto perché la Capitanata riacquisti in pieno l’uso di una struttura
fondamentale per il suo sviluppo.
Nell’ambito di un sistema aeroportuale regionale che raggiunga,
nel più breve tempo possibile elevati livelli di efficienza e di integrazione — necessaria quest’ultima nella misura in cui si vogliono evitare inutili e assurdi doppioni negli impianti aeroportuali, noi crediamo
che lo scalo di Foggia possa assolvere una duplice funzione raccordata
strettamente all’economia territoriale.
E’ necessario infatti valorizzare il « Gino Lisa » in direzione delle
attività di imbarco e sbarco di prodotti dell’economia locale ad essa
necessari e del trasporto passeggeri su voli charter, sempre più legati
alla esaltazione turistica di tante zone della nostra provincia.
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Dobbiamo dunque lavorare insieme con la Regione perché la stessa, da una parte sappia definire — nel suo piano di assetto del territorio — un modello di integrazione funzionale fra gli aeroporti della Puglia, e dall’altra sappia confrontarsi con le autorità centrali perché non
vengano disconosciute le legittime aspettative delle nostre popolazioni
e dei nostri operatori economici.
SERVIZI SOCIALI
L’intervento di questa Amministrazione in materia di assistenza
sociale avviene in presenza di un quadro riformatore che, se già trova
riferimento normativo nella recente legge n. 833 di Riforma Sanitaria,
ed in altri atti legislativi, quali la legge n. 180 ed il D.P.R. n. 616, attuativo della legge n. 382, registra, da un canto, i limiti derivanti dalla
mancata approvazione della legge nazionale di Riforma
dell’Assistenza, dall’altro la grave carenza di adeguata ed organica
normativa regionale nel settore.
La risposta assistenziale nella nostra Provincia è quasi totalmente
caratterizzata dalle consolidate metodologie di intervento di Enti Nazionali, di Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza e dei minori enti locali, in forma tale da non riuscire a realizzare ancora quella
alternativa democratica presente, con grande unità, nel dibattito nazionale tra i partiti, le forze sociali e culturali, gli operatori del settore e
larga parte delle masse cattoliche, diretta a contenere l’esasperata
quanto spesso clientelare monetizzazione del bisogno, a prevenire e
combattere l’emarginazione indiscriminata in istituti dì ricovero, a
realizzare la programmazione e l’attuazione di servizi integrati e partecipati.
Alla mancata razionalizzazione ed integrazione degli interventi socio-assistenziali si aggiunge una grave carenza di strutture da destinare
a servizi alternativi, e spesso poi « gelosie istituzionali » tra Enti ed interessi precostituiti non democraticamente controllati, vanificano la
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ricerca di soluzioni, di talché, nella migliore delle ipotesi vi è una sottoutilizzazione di beni pubblici immobiliari, rustici e urbani, e nella
peggiore, un totali abbandono e distruzione di ricchezza.
Necessaria, allora, si pone non solo una riqualificazione della spesa, ma una diversa utilizzazione dei patrimoni, una diversità politica
del personale socio-assistenziale e sanitario, sia in termini quantitativi
che in termini qualitativi.
Per i compiti di istituto di questa Amministrazione si provvederà,
sulla scorta di quanto sopra e in adesione alle linee programmatiche,
ad una ridefinizione quantitativa e qualitativa degli interventi in favore
delle diverse figure di destinatari, quali le madri nubili, gli illegittimi, i
ciechi, i sordomuti, etc., perché sia pure nella limitatezza dei mezzi di
bilancio la spesa possa quanto più adeguarsi a livelli di riconosciuto
minimo vitale.
A partire da questo esercizio l’Amministrazione si troverà imp egnata alla realizzazione della rete di Centri di Igiene Mentale che, pur
in mancanza di un intervento regionale, sia nella definizione degli
ambiti territoriali, nonché del necessario sostegno finanziario per attuare concretamente l’alternativa alla struttura manicomiale, si pone
come carattere di estrema urgenza.
I signori consiglieri Provinciali hanno già dibattuto questo tema
nella seduta del 28 luglio si tratta ora di avviare concretamente il Servizio di Igiene Mentale.
La strada da percorrere non sarà aliena da difficoltà; dovranno s uperarsi ostacoli burocratici, pregiudizi, mentalità arretrate ed antiriformatrici, talora difficoltà nei contesti familiari ecc.
Sarà allora compito di questo onorevole Consesso, ma di tutte le forze
politiche democratiche e della cultura del movimento democratico,
misurarsi su questi temi e dimostrare che senza operazioni di « improduttiva colonizzazione », le esperienze di Trieste, di Perugia, di Arezzo, a sola parziale esemplificazione per la direttrice che le connota,
possono trovare anche qui, in un rinnovato meridionalismo, terreno
fertile per concreti sbocchi positivi.
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___________________________________________RELAZIONE MORALE AL BI LANCIO FINANZIARIO 1979
LOTTA ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE
La lotta alla disoccupazione è uno dei cardini della nostra iniziativa generale e su tale obiettivo intendiamo mobilitare, insieme alle nostre, anche le risorse di altri soggetti imprenditoriali, industriali, cooperativi, commerciali.
Attenzione particolare in questa battaglia per allargare in maniera
qualificata il perimetro occupazionale della nostra provincia merita il
problema della disoccupazione giovanile e di quella intellettuale. Per
progettare e costruire i suo futuro, la Capitanata ha bisogno delle sue
energie migliori che devono assolvere il compito di forze trainanti per
tutti coloro che vogliono impegnarsi in una grande battaglia di civiltà
e di progresso.
Non intendiamo rassegnarci affatto come amministratori pubblici,
come uomini politici, come cittadini, a perdere le energie migliori cui
non si offrono prospettive per una occupazione stabile e qualificata.
L’Amministrazione provinciale intende su questo terreno riavviare
processi di mobilitazione popolare e in modo particolare giovanile per
la ripresentazione integrale dei progetti già da noi elaborati per
l’occupazione giovanile nel 1977 ed inoltrati alla Regione. Vogliamo
risposte certe dalla stessa; non possiamo infatti accontentarci di risposte evasive, nè tanto meno di passività e di inettitudine da parte di
chicchessia e soprattutto appunto dalla Regione.
Ritengo a questo punto di poter concludere e preciso ancora una
volta di aver voluto dare con questa mia esposizione solo alcune indicazioni e riflessioni che io spero nel Consiglio e fuori siano suscettive
di un dibattito proficuo nel sovrano interesse dell’e comunità amministrate.
Prima di concludere ritengo però di dover annunciare al Consiglio,
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FRANCESCO KUNTZE__________________________________________________________________________
che la Provincia di Foggia si renderà promotrice nell’immediato futuro, quale Ente intermedio, di tre iniziative:
1) In relazione all’art. 3/843 - un’assemblea generale dei Comuni e
delle Comunità montane per redigere un programma di OO.PP. in riferimento ai cespiti delegabili;
2) In relazione all’art. 4/702 una conferenza di servizio tra Provincia e Comuni per la riorganizzazione degli uffici;
3) In relazione all’art. 25/616 e art. 11/833 un convegno sull’area
ottimale di servizio;
4) Una conferenza provinciale sull’occupazione e lo sviluppo che
aggiorni l’analisi della situazione.
Sig. Presidente, Colleghi, ho ritenuto di dover impegnare la vostra
attenzione per così lungo tempo, e spero non me ne vorrete, in quanto
grave è il momento di crisi che il Paese attraversa e decisivo pertanto
deve essere il nostro impegno e chiara la nostra volontà per concorrere
con le forze sane del Paese ad un unico fine:
la salvaguardia della vita democratica del nostro Paese che sola
può garantire l’ordinato sviluppo e il risanamento della grave crisi che
ci attanaglia.
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NOTE ILLUSTRATIVE
AL BILANCIO DI PREVISIONE
1979
Relazione del Vice Presidente ed Assessore alle Finanze
Prof. Teodoro Moretti
Cari colleghi Consiglieri,
senza dubbio, il 1978 per gli Enti Locali ha costituito una tappa
importante verso l’ineluttabile traguardo della definitiva attuazione
della riforma della finanza locale.
Con i due decreti del 1977 (meglio noti sotto il nome di « Stammati ») si è mirato soprattutto a stroncare la spirale dell’indebitamento,
gettando le basi in proiezione del disegno della testé cennata riforma.
Con la legge 843 del 21.12.1978 recante altresì disposizioni in materia di Finanza locale e con la legge n. 3 dell’8.1.79 di conversione
del D.L. 702 del 10.11.78 in merito all’approvazione dei bilanci di
previsione degli Enti locali, il Parlamento ha voluto imprimere una
nuova fisionomia, che può definirsi molto più realistica e rispondente
all’esigenza di una attualità più concreta e più dinamica.
E’ vero che un grosso balzo in avanti è stato compiuto nell’intento
di necessariamente eliminare le distanze ancora esistenti tra il bilancio
tecnico e bilancio effettivo, è vero che i benefici apportati non sono tali da essere ritenuti trascurabili, ma è altrettanto vero che permangono
pur sempre delle « zone d’ombra », che gli Enti continuano ad incontrare nel soddisfacimento dei servizi primari d’istituto e delle spese
d’investimento.
Si è ognora sulle grandi linee di due provvedimenti « Stammati »,
ma con l’introduzione di alcune importanti innovazioni:
1) le « spese correnti» non potranno aumentare più del 13 % (per
gli Enti del Mezzogiorno) dell’ammontare previsto nei bilanci di pre-
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TEODORO MORETTI___________________________________________________________________________
visione del 1978 ed approvato dall’Organo regionale di controllo, con
esclusione delle spese per il personale, degli interessi passivi riferiti
unicamente a quei mutui perfezionati al 31.12.78 e che sono entrati in
ammortamento nel 1979, nonché quelli relativi ad anticipazioni di tesoreria, calcolati per una durata non superiore a tre mesi;
2) i bilanci di previsione 1979 devono essere deliberati in pareggio
entro il 28.2.79 ed il pareggio stesso è assicurato da trasferimenti a carico del bilancio dello Stato mediante erogazioni da parte del Ministero dell’Interno con scadenza trimestrale e non bimestrale come per il
1977;
3) il piano generale di riorganizzazione degli uffici deve essere deliberato entro e non oltre il 30 giugno 1979 (la sua attuazione in uno
con l’approvazione assicurerà con le nuove strutture la massima efficienza e produttività di gestione e può di certo costituire un momento
importante della vita dell’Ente, in ispecie se si tiene presente che la
maggiore spesa derivante dall’approvazione del piano di riorganizzazione è garantita da altrettanti trasferimenti a carico dello Stato);
4) l’impegno per spese di investimento non potrà superare il 25%
dell’ammontare a netto dell’entrate relative ai primi tre titoli del Bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 1979.
Si può, di conseguenza, affermare con obiettività che un primo aspetto positivo dei provvedimenti esaminati è rappresentato
dall’incalcolabile vantaggio di poter gestire il bilancio con la inerente
possibilità di programmare la massa finanziaria disponibile.
L’impostazione del bilancio 1979, come per il 1978, prende avvio
dalla parte II — USCITA — che in un secondo momento determina le
entrate.
Il punto di partenza per la compilazione del Bilancio 1979 è stato
caratterizzato dall’ammontare complessivo delle spese previste per il
1978 alla stregua del bilancio di previsione approvato dall’Organo regionale di controllo.
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_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
Delle « spese correnti » sono state messe in evidenza le seguenti
categorie, che configurano nel loro complesso il quadro del bilancio:
a) spese per il personale;
b) spese per interessi passivi su mutui in ammortamento e anticipazioni da tesoreria;
c) altre spese contenute entro i limiti di cui all’art. 4 della 843.
A tal uopo, v’è da precisare che la spesa relativa alle prime due categorie (personale ed interessi passivi) è stata extrapolata dalla massa
complessiva edile « spese correnti » previste dall’art. 4 con finanziamento mediante trasferimento a carico dello Stato. Le altre « spese
correnti », previste dallo stesso art. 4, sono state fronteggiate dalle
ENTRATE di cui all’art. 1 e da altre ENTRATE proprie.
L’importo globale delle « spese correnti » 1978, depurato come
innanzi, è stato maggiorato del 13% (3° comma - art. 4).
Non è certamente la soluzione ideale, se si pensi che il nostro Ente
dovrà far fronte a nuovi e maggiori impegni derivanti dall’incremento
naturale dei compiti dell’Istituto (manutenzione delle strade provinciali, assistenza, istituizione di nuove scuole, ecc.), oltre al progressivo
aumento dei costi per forniture di beni e prestazioni di servizi.
Stabilito il quadro complessivo della « spesa corrente », si è determinato automaticamente anche il quadro delle entrate, composto,
oltre che dalle entrate proprie con le relative maggiorazioni previste
dall’art. 1 della precitata legge 843, anche dal trasferimento a carico
dello Stato dell’importo occorrente per il pareggio del bilancio.
E passo ora all’esposizione delle cifre, con preghiera di non volermene, se vi tedierò con tanti numeri, ma il mio compito è purtroppo
arido, senza però essere sterile.
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PARTE 11 - Titolo I (spese correnti) - Sez. I (Amministrazione generale) - Rubrica II (servizi generali).
L. 500.000.000 (50.000.000 per il 1978) per realizzazione dipartimento di programmazione (documentazione, ricerca, statistica, indagine, studio della Finanza locale, dell’assetto del territorio, del servizio sociale sanitario e di coordinamento tecnico, interventi nel settore
agrituristico e sociale del Subappennino, beni culturali, convegni,
ecc.).
E’ una voce che si commenta da sé ed era tempo che si provvedesse, poiché la vita amministrativa è d’uopo proceda in maniera armonica e con mete ben precise. E tutto questo non è possibile senza una
appropriata programmazione.
Permetteterni, ora, di toccare alcuni punti del nostro bilancio, che,
a mio sommesso avviso, sembrano meritevoli di particolare menzione.
ISTRUZIONE E CULTURA
A) Parte II - Titolo I (spese correnti) - Sez. II (istruzione e cultura):
1) spese per intervento presso l’Istituto Tecnico Industriale di
Manfredonia, 100.000.000 in cui vi è necessità di realizzare dei capannoni;
2) spese varie per la istituzione dell’Istituto Superiore per il Turismo 10.000.000 (è stata avanzata richiesta. È inconcepibile la sua assenza in una Provincia, veramente aggredita da un flusso turistico
sempre più crescente);
3) contributo per la costituendo Università a Foggia 100.000.000
(L’ISEF sezione staccata è qualcosa, ma è ora che Foggia abbia la sua
Università);
4) contributi per impianti sportivi polivalenti a Comuni d’ella Provincia 350.000.000 (il 20% a Comuni non in grado di sopportare siffatta spesa).
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_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
B) Parte II - Titolo II (spese in conto capitale) - Sez. II Istruzione Cultura)
L. 14.500.000.000 (L. 13.500.000.000 da finanziarsi con mutuo +
L. 1.000.000.000 con contributo regionale in corso di promessa).
Si tratta di maggiore sforzo dell’Ente, volto alla costruzione di sedi
proprie di Istituti gestiti dalla Provincia (si avrà un risparmio di tanti
milioni per onerosi fitti e per l’ordinaria manutenzione di locali di alcuni vani abbisognevoli di continui lavori). Si daranno edifici decorosi
ed in rispondenza alle esigenze scolastiche odierne.
Parte II - Titolo I (spese correnti) - Sez. IX (azioni ed interventi in
campo sociale) - Rubrica V (assistenza agli infermi di mente).
a) mantenimento infermi di mente nell’Ospedale Psichiatrico « S.
Maria » di Foggia L. 7.000.000.000 di fronte ai 9.467.500.000 del
1978 (con una previsione in meno di L. 2.467.500.000).
1) La Legge 17.5.78 n. 180 ha posto una buona volta per tutte la
parola « fine » a quegli obbrobi per una società civile, che erano rappresentate dai manicomi.
2) Tenuto presente che la competenza della Provincia fissata al
31.12.78 è slittata di un anno in base alla legge finanziaria dello Stato
che ne attua di fatto una proroga fino al funzionamento delle unità sanitarie locali ed in considerazione che la riforma sanitaria dispone la
cessazione di tutte le convenzioni con gli Istituti privati alla data del
31.12.80 occorre decisamente pervenire allo svuotamento di quegli
autentici reclusori a vita, i cui ergastolani non avevano affatto violato
il codice penale per dover espiare pene tanto gravissime quanto inaudite.
3) La diminuita previsione della spera di L. 7 miliardi vuole significare la ferma volontà di compensare l’aumento del costo d’ella retta
con la riduzione almeno nella percentuale corrispondente, del numero
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TEODORO MORETTI___________________________________________________________________________
di giornate di presenza, (nel 1978 si sono registrate dimissioni per un
centinaio e passa, nell’anno in corso si potranno più che triplicare).
4) nella prospettiva della riqualificazione della spesa, il servizio di
difesa e tutela salute mentale (S.I.M.) e C.I.M. L. 1.300.000.000 sui
200.000.000 del 1978 (con un incremento di L. 1.100.000.000). Non è
da sottovalutare che il S.I.M., oltre all’opera di prevenzione interna di
infermità mentale, ha il precipuo fine di porre in essere il processo di
diminuzione dei ricoverati almeno in quei casi in cui la collaborazione
delle famiglie lo consenta.
5) Fondo assistenza infermi di mente dimessi dagli Ospedali Psichiatrici L. 1.000.000.000 (si tratta del sussidio omofamiliare anche
per coloro, ai quali la sua erogazione ha impedito l’ingresso negli
O.P.).
Ovviamente siffatto sussidio sarà concesso in una misura congrua
e comunque tale da restituire il destinatario del servizio ad una attività
produttiva su di un massimo di livello possibile.
b) Interventi in campo sociale (sempre tra le spese correnti) L.
1.000.000.000.
Parte II - Titolo II (spese in conto capitale) - Sezione IV - Rubrica II Strutture alternative nel campo socio-assistenziale L.
4.500.000.000 (550.000.000 nel 1978) i ncremento 3.950.000.000.
Nella risocializzazione degli infermi di mente, si intende creare
strutture a sostegno, che si impongono in alternativa alla 18 (casealloggio, case-albergo, case-parcheggio, ecc.).
1) solo così si giustificano le scelte finanziarie, che vengono proposte all’approvazione del Consiglio;
2) è vero che le spese in campo sociale si appalesano notevolmente
onerose, ma è anche vero che la spesa stessa si presenta oggidì ampiamente riqualificata, in quanto negli anni decorsi con un crescendo
da « tourbillon » la stessa spesa minacciava di assorbire quasi la tota-
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_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
lità delle spese correnti e con il desolante risultato di sperperare denaro pubblico unicamente per condannare alla « morte civile » delle vittime innocenti, mentre allo stato attuale essa spesa riveste un ben altro
ruolo, vale a dire quello di ridare ala Società delle persone che la società medesima ha il sacrosanto dovere di aiutare ed inserire nel contesto di un vivere civile quanto dignitoso.
Né si può chiudere la sezione IV della parte II senza un sia pur minimo cenno alla Rubrica VIII (interventi assistenziali vari), in cui balza il Consorzio Provinciale per l’assistenza agli handicappati con un
impegno di L. 1.000.000.000 (200.000.000 nel 1978), incremento L.
800.000.000. Nel pieno rispetto della tematica sanitaria in atto, la Provincia si è resa promotrice unitamente a pochi altri Comuni di rilevare
un organismo agonizzante, che con la sua rovina stava per coinvolgere
un servizio dell’infanzia tanto prezioso per la Comunità di Capitanata.
Ne è derivato un fardello oltremodo pesante, ma la spesa — anche
la più onerosa — non è mai improduttiva, quando trova la sua ragion
d’essere in un servizio, destinato, al miglioramento delle attività funzionali di bambini verso i quali la natura ha voluto essere matrigna, ripeterebbe ancora il Leopardi.
AZIONE ED INTERVENTI IN CAMPO ECONOMICO
a) Parte II - Titolo I (spese correnti) - Sez. V
1) Rubrica II - Interventi a favore dell’Artigianato 100.000.000
(10 milioni 1978). Incremento 90 milioni.
2) Rubrica III - Viabilità - Spese per la sistemazione e manutenzione strade provinciali L. 2.970.000.000 (lire 1.147.200.000 nel
1978). Incremento di L. 1.822.800.000.
Funzionamento squadre addette alla manutenzione della rete stradale provinciale L. 620.000.000 (120.000.000 n el 1978). Incremento
L. 500.000.000.
3) Rubrica IV - Interventi diversi nel campo dei trasporti L.
50.000.000.
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b) Parte II - Titolo II (spesa per conto capitale) -Sezione V.
1) Rubrica I - Investimenti per la viabilità lire 8.500.000.000
(7.500.000.000 da finanziarsi con mutuo + 1.000.000.000 con contributo regione in corso di pro messa).
2) Rubrica II - Investimenti per l’Agricoltura lire 1.000.000.000.
3) Rubrica III - Investimenti per il Turismo lire 850.000.000.
4) Rubrica IV - Investimenti per lo sviluppo dell’economia locale
L. 1.500.000.000.
Quasi di pari passo con l’istruzione e la cultura, uno sforzo notevole viene compiuto nel settore della viabilità. Abbiamo una rete che in
più zone è largamente dissestata, anche per il frequente verificarsi del
fenomeno delle frane. In questa visione la priorità, in senso assoluto
spetta al Subappennino da cui ci provengono i reiterati appelli dei
malcapitati amministratori. Occorre intervenire con tutte le nostre forze per rendere più efficace possibile il tessuto viario provinciale.
L’importo di lire 8.500.000.000, anche se in effetti non può far fronte
a tutte le necessità, è pur sempre considerevole e rappresenta comu nque la decisa volontà di arrivare rapidamente ad una decente soluzione
di una piaga sì assillante. Né è da trascurarsi l’elevazione della spesa
corrente da L. 1.147.200.000 (1978) a L. 1.970.000.000 (1979) per la
sistemazione e manutenzione ordinaria delle strade provinciali per cui
si è tranquilli di aver destinato gran parte della disponibilità nella direzione giustamente invocata.
Se non si tenga in non cale l’aumento della spesa di L.
120.000.000 - 1978 — L . 2.970.000.000 - 1979 — per il funzionamento di squadre addette alla manutenzione della rete stradale provinciale, se non si sottovaluti la somma di L. 50.000.000 per il costituendo Consorzio dei Trasporti, si evincerà come l’Ente è ben intenzionato
a recitare il suo ruolo in questo delicato settore.
Ciò stante, non vengono obliterati, sia pure nei limiti delle nostre
fonti di attingimento:
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_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
l’Agricoltura (1.000.000.000) anche se l’attività della Provincia è
soltanto circoscritta a quella di carattere promozionale (come sarebbe
benefica per tutti una opportuna delega di funzioni ad opera della Regione);
il Turismo (850.000.000) Completamente interno Albergo S. Cristoforo in S. Marco la Catola (250.000.000). Insediamento plesso turistico Foresta Umbra (350 milioni). Valorizzazione turistica del bosco
di Faeto (250 milioni);
l’Artigianato (100.000.000) anche se l’attività rimane ancorata ad
una funzione puramente promozionale;
l’Economia locale (1.500.000.000) in considerazione che la Provincia è proiettata anche sul mare e non può restarne sorda alle incombenze a lei derivanti.
Dopo quanto esposto mi pare doveroso sottoporre alla vostra particolare attenzione che le spese in conto capitale registreranno un imp egno di ben 30 miliardi e 851 milioni. Siffatte spese trovano adeguata
copertura con l’utilizzazione consentita del 2594 dei capitali delegabili
disponibili, che ammontano a L. 3.807.050.681 e che sviluppano la
precitata massa finanziaria in relazione a mutui da contrarsi alle condizioni agevolate praticate dalla Cassa DD.PP.
Se si valuti infatti che il totale al netto delle entrate relative ai primi tre titoli di bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 1979 è
di L. 25.762.843.000, se si deduce che il 25% di esse entrate è di L.
6.440.710.750, se si depura il testé cennato importo di L.
2.633.660.069 corrispondente agli impegni di mutui regolarmente perfezionati ed in ammortamento all’1.1.79, si ricava l’ammontare dei cespiti delegabili disponibili di lire 3.807.050.681.
Considerando che le spese di investimento formano la parte più
qualificante dei bilanci odierni, non sottovalutando che le spese in
conto capitale per il passato avevano una funzione meramente simb olica e servivano sostanzialmente a dare una concezione distorta e fuorviante della effettiva realtà dei bilanci medesimi, tenendo conto che le
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TEODORO MORETTI___________________________________________________________________________
summenzionate spese rappresentano allo stato attuale quanto di più
concreto e di più realizzabile possa essere posto in atto da una Amministrazione oculata e vigile, balza lapalissiano come la somma di
30.851.000.000 consentirà all’Ente quegli investimenti produttivi che
prima erano relegati al ruolo di pii desideri. Ma qual è l’altra innovazione del bilancio preventivo 1979?
Il nostro bilancio, pur essendo limitato all’anno in corso, poggia su
di una programmazione triennale, vale a dire dal 1979 al 1981.
Mantenendosi esclusivamente ai criteri certi per l’utilizzazione dei
cespiti delegabili previsti dalle attuali disposizioni e senza ovviamente
considerare le eventuali modificazioni non certo peggiorative da registrarsi per 1’avvenire, si prevedono spese di investimento per un importo non inferiore a L. 10.000.000.000, distribuiti equamente negli
anni 1980-81 senza l’individuazione delle specifiche analitiche destinazioni.
La Provincia non vuole vivere alla giornata ed in maniera avventurosa, ma ha avvertito l’indifferibilità e l’improcrastinabilità di marciare al passo coi tempi, avendo sempre davanti a sè come filo conduttore
uno stretto collegamento fra il presente ed il futuro, che non può essere che il completamento e il perfezionamento del presente.
OCCUPAZIONE GIOVANILE E FORMAZIONE
PROFESSIONALE
Parte II - Titolo I - (Spese correnti) Sez. VI (Oneri non ripartibili)
Rubrica V (Erogazioni diverse) - Iniziativa per l’occupazione giovanile L. 100.000.000.
Parte II - Titolo IV (Contabilità speciale) - Parte I (Partite di giro)
- Preavviamento del lavoro dei giovani e loro formazione professionale L. 40.000.000.
Progetti presentati dalla Provincia:
Progetto n. 1.Automazione dei servizi della Biblioteca Provinciale.
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_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
Obiettivi: Razionalizzare ed estendere il servizio bibliotecario e di
formazione ed informazione culturale attraverso la preparazione di
nuovi operatori di servizi diffusi sul territorio. Importo globale del
progetto L. 118.860.588.
Progetto n. 2. Carta geologica del Subappennino e del Gargano.
Obiettivi: Tracciare una carta geologica delle zone che maggiormente
sono interessate da dissesti e frane. Importo globale del progetto L.
108.620.480.
Progetto n. 3. Carta delle acque e catasto degli scarichi. Obiettivi:
Formazione e tenuta del catasto di tutti gli scarichi pubblici e privati e
censimenti dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Importo globale
del progetto L. 119.339.888.
Progetto n. 4. Censimento ed estimo dei beni mobili ed immobili
dell’Amministrazione Prov.le. Obiettivi: Creazione di un inventano
dell’amm.ne Prov.le. Importo globale del progetto L. 46.113.760.
Progetto n. 5. Indagine sulle strutture turistico-alberghiere ed extra-alberghiere. Obiettivi: Creare un quadro di riferimento per interventi programmatori nel settore turistico. Importo globale del progetto
L. 46.224.788.
Progetto n. 6. Sistemazione del verde pubblico e del verde turistico attrezzato della Foresta Umbra e del bosco S. Cristoforo. Obiettivi:
Sistemazione e potenziamento delle aree di verde attrezzato del bosco
S. Cristoforo e della Foresta Umbra. Recupero di vivificazione del
verde presente negli Istituti della Provincia. Impianto di vivai. Importo
globale del progetto L. 116.480.036.
Progetto n. 7. Indagine sugli impianti sportivi e per il tempo libero. Obiettivi: Creare un quadro di riferimento per interventi programmatori nel settore dello sport e tempo libero. Importo globale del progetto lire 46.224.788.
Progetto n. 8. Centri territoriali di assistenza e di animazione sportiva. Obiettivi: diffondere l’attività sportiva di massa ed animare
l’attività motorie dei bambini, degli anziani e degli handicappati. Importo globale del progetto L. 275.273.360.
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Progetto n. 9. Centri territoriali di assistenza tecnica in agricoltura. Obiettivi: Applicazione in agricoltura di appropriate tecniche colturali, assistenza per l’organizzazione e la conduzione delle Aziende, assistenza ed incentivazione delle forme cooperativistiche. Importo globale del progetto L. 417.008.968.
Progetto n. 10. Centro di assistenza e sperimentazione della pesca.
Obiettivi: tutelare ed arricchire il patrimonio ittico dei laghi di Lesina
e di Varano e della zona paludosa di Manfredonia. Ripopolamento ittico. Assistenza ed incentivazione delle forme cooperativistiche. Importo globale del progetto L. 189.059.348.
Progetto n. 11. Centri-Scuola per la lavorazione e la decorazione
della ceramica. Obiettivi: utilizzazione dell’argilla del Subappennino e
formazione professionale della ceramica. Importo globale del progetto
L. 480.980.800.
Progetto n. 12. Centro di studi per la programmazione. Obiettivi:
creare una base di studi programmatori per gli interventi
dell’Amministrazione Provinciale e degli altri Enti sul territorio. Importo globale del progetto L. 60.372.884.
Progetto n. 13. Sistemazione della rete viaria provinciale. Obiettivi: sistemazione e piccola manutenzione della rete viaria provinciale
non tenuta dai cantonieri. Importo globale del progetto L.
749.017.176.
Progetto n. 14. Indagine sui minori in stato di abbandono. Obiettivi: approfondire e configurare il fenomeno dell’abbandono dei minori
ed indicare proposte per una soluzione efficiente del problema. Importo globale del progetto L. 41.630.800.
Progetto n. 15. Unità locali dei servizi sociali. Obiettivi: sostituire
attraverso le Unità locali di servizi sociali il vecchio metodo di interventi assistenziali con una politica organica di servizi sul territorio.
Importo globale del progetto L. 127.892.400.
Progetto n. 16. Riconversione delle strutture di Candela per fini
sociali. Obiettivi: utilizzo delle strutture dell’Antitracomatoso di Candela collegate alla politica di destituzionalizzazione dei minori, degli
anziani e degli infermi di mente. Importo globale del progetto lire
247.705.770 (basterebbe finanziare questo progetto).
64
_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
Progetto n. 17. Censimento delle terre incolte e mal-coltivate. Obiettivi: censimento ed estimo delle terre incolte e malcoltivate e stesura di una carta delle terre incolte. Importo globale del progetto L.
178.230.600.
Dunque n. 17 progetti speciali per un importo globale di L.
3.361.044.724 con un impiego di 518 giovani per 19 mesi.
1) Oltre a realizzare improcrastinabili servizi pubblici provinciali
(quasi impossibili a realizzarsi diversamente), si darebbe lavoro ai
giovani, provvendosi altresì alla loro formazione professionale.
Ma v’è di più! Nella fattispecie, si assicurerebbe ai giovani una
qualifica professionale in stretta relazione con gli interessi produttivi e
‘siffatta sincronizzazione è richiesta da una programmazione degna di
questo nome, poiché adegua l’offerta del lavoro alla relativa domanda
in perfetta intercomunicabilità.
2) Come abbiamo fatto noi, anche la maggior parte dei Comuni
della Capitanata hanno presentato numerosi progetti per l’occupazione
giovanile. Non uno è stato sinora Finanziato ed altrettanto per i Comuni.
3) Con le spese correnti (100.000.000) — anche se irrisori — la
Provincia, in assenza di qualsiasi intervento di quelli richiesti, vuole
almeno simbolicamente assumere l’effettiva iniziativa di cominciare a
realizzare effettivamente con mezzi propri qualcuno più necessario ed
inevitabile dei suoi progetti speciali, stimolando in tal modo l’ulteriore
finanziamento degli altri progetti da parte della Regione. Dunque fase
effettivamente operativa, infrangendo ogni ulteriore indugio.
4) Con la contabilità speciale (30.000.000). Che cosa si può fare
con una somma così striminzita? Con questa voce, la Provincia ha voluto nel suo bilancio consacrare « un tèmosignage » (una doverosa testimonianza) sull’assillante problema dei giovani. È una voce di richiamo nei confronti della Regione, che dovrà finanziare i progetti
presentati. Dunque, partita di giro, che speriamo sia notevolmente
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TEODORO MORETTI___________________________________________________________________________
incrementata dalla Regione in accoglimento massimo delle nostre richieste.
5) Occorre uscire dalla « morta gora » e porre in attuazione la 285.
6) Sarebbe ora che la Regione si sensibilizzasse in tal senso, poiché i giovani non possono continuare a sentirsi gabellati ed hanno bisogno di un lavoro e di una qualificazione professionale, che diano loro la serenità rinveniente dalla tranquillità economica, oltre a metterli
nelle condizioni di ben maturarsi per creare la classe dirigente del domani, fondata sulla dirittura morale, sulla fede incrollabile nei valori
della democrazia e sull’impegno di servire la collettività con altruismo
e dedizione.
1) Quale è ancora una novità sostanziale del bilancio 1979 di questa Provincia? Essa riassume un rilevante e profondo significato politico, poiché afferma un principio del resto elementare di come va gestita la cosa pubblica.
2) A parte le spese correnti che sono ascritte nei limiti tuttora angusti delle rigide — anche se un po’ più flessibili — disposizioni legislative, avete potuto notare che nelle spese in conto capitale (là dove si
qualifica la spesa odierna) la Giunta ha indicato soltanto l’ammontare
globale delle cifre di investimento nelle varie rubriche, ma non le ha
analiticamente riempite di contenuti.
3) La Giunta lo ha fatto volutamente, perché, pur essendo
l’espressione elettiva delle popolazioni di Capitanata, ha inteso affidare le scelte alle popolazioni stesse, quasi a sentirsi più confortata di
quanto lo sarebbe stata con una operazione comunque di vertice.
4) Chi meglio dei Sindaci e degli amministratori della comunità
provinciale, essi che sono i portatori delle esigenze e delle necessità
dei singoli Comuni, chi meglio dei legali rappresentanti degli Enti di
base potrà assicurare quel valido contributo per colmare nella sostanza
migliore e più rispondente le singole cifre, in modo da aversi delle sintesi che possano rispecchiare più fedelmente la realtà della nostra Provincia?
66
_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
Un primo apporto si è avuto nella riunione del 12 u.s. con gli amministratori nell’Auditorium della Biblioteca Provinciale; siamo in attesa di conoscere ogni utile notizia di quei comuni, che erano assenti e
che sono stati immediatamente sollecitati a partecipare le loro questioni annesse e connesse con l’Ente Provincia.
5) In tal modo, si potranno raccogliere le istanze dagli angoli più
remoti della Capitanata e la Giunta, di concerto con le Commissioni
consiliari, potrà essere in grado di recepirle compatibilmente con le
sue possibilità e di rassegnarle al Consiglio per la definitiva ratifica.
6) Allo stato, il bilancio 1979 è dunque « un livre ouvert », è una
casa di vetro con libero accesso, dove tutti indistintamente sono chiamati a collaborare per il supremo bene della collettività provinciale.
7) Non vi è chi non veda come, solo attraverso una democrazia
pluralista e partecipata, gli Enti locali trovano la loro ragion d’essere
ed il necessario substrato per un potenziamento vieppiù marcato e più
stabile.
8) D’altro canto, se il nostro bilancio previsionale è interamente
predisposto verso i bisogni essenziali delle genti del nostro territorio,
il bilancio stesso è altresì aperto all’apporto dello Stato, della Cassa
per il Mezzogiorno, della CEE, soprattutto della Regione e ciò ai fini
della sincronizzazione di ogni energia per mettere a frutto il massimo
delle risorse per una vita più rigogliosa dell’Ente.
9) Gli sforzi di questa Provincia nel settore delle spese di investimento, sono — oserei dire — massicci, ma sono pur sempre insufficienti per soddisfare la gbbalità delle attese delle nostre popolazioni,
per cui occorrerà ognora operare dolorose scelte.
10) Quanto diversa sarebbe la situazione, se gli Enti testé menzionati ci venissero concretamente incontro. Non si dimentichi — fra
l’altro — che l’economia ha ricevuto un durissimo colpo in questi
giorni, quando le malaugurate calamità atmosferiche hanno prostrato
la nostra agricoltura, già in condizioni di crisi chiara e magnificata. La
produzione, le colture arboree e le speranze dei nostri contadini sono
67
TEODORO MORETTI___________________________________________________________________________
state di colpo vanificate e si è piombati nella desolazione, nello sconforto, nella miseria.
11) Noi ci auspichiamo che la Regione Puglia ci sia più vicina e
renda con il suo concorso il nostro bilancio più ricco di contenuti. Per
il passato, non abbiamo di troppo rallegrarcene ma vogliamo solo augurarci che da oggi suoni autorevolmente il suo impegno per una sua
più determinante e più effettiva partecipazione alla crescita civile ed
ordinata di questa nostra Provincia.
Colleghi Consiglieri,
il bilancio, che vi ho presentato, è quanto di meglio si potesse offrire
in frangenti tanto difficili quali quelli che viviamo.
1) Sta a voi, ora, dare quei suggerimenti, quelle indicazioni, quelle
direttive, che possano eliminare eventuali squilibri o disfunzioni esistenti nell’unico strumento fondamentale ed operativo del nostro Ente.
2) In piena coscienza, possiamo dirvi di aver gettato tutto il peso
della nostra passione della nostra responsabilità, ma, senza volerlo,
potremmo aver lasciato dei varchi scoperti e ve ne chiediamo venia.
3) Una sola cosa è certa! Noi vi garantiamo che il bilancio sarà gestito con l’afflato costante dell’onestà e del massimo rigore morale,
senza ricorso ad azioni torbide o settarismi, che finiscono con lo squalificare ogni Ente pubblico e creare pericolosa sfiducia sulle nostre Istituzioni repubblicane, sorte attraverso il sangue cosparso dei nostri
martiri della Resistenza.
4) Giorno dopo giorno, saremo gelosi custodi dell’inalterabilità di
questo atto, che noi ci accingiamo ad approvare.
La spesa corrente sarà estremamente difesa, quando sarà contenuta
nei limiti precisi degli stanziamenti previsionali e senza quei superi
degli impegni, che vanno poi a detrimento di altre voci ed al conseguente travisamento delle finalità assegnate al bilancio medesimo.
Di rincontro, la spesa in conto capitale sarà altrettanto strenuamente difesa, quando, « maximis itineribus » dopo l’approvazione del
68
_________________________________________NOTE ILLUSTRATIVE AL BILANCIO DI PREVISIONE 1979
bilancio, l’Amministrazione si renderà diligente ed attiva per far rivivere ed operare quelle cifre, pur imp onenti per un processo indiscutibilmente produttivo del nostro Ente, e quindi della nostra gente
laboriosa e generosa.
Diciamolo « apertis verbis », le spese di investimento resteranno
lettera morta nella parte II - titolo II, se tutti noi non ci adopereremo
quotidianamente per « snidare » quelle cifre dai loro guscio e darle un
senso vivo e palpitante.
Altrimenti, dovremmo soltanto vergognarci di aver, per colpa della
nostra inettitudine, reso un obbrobrioso servigio a quelle comunità,
che pur professiamo di voler servire con amore ed abnegazione senza
fine!
Colleghi Consiglieri,
la finanza locale ha fatto registrare indubbiamente lusinghieri progressi, ma estremamente urge che il traguardo finale della grande Riforma
sia raggiunto senza ulteriori remore, se si vorrà che gli Enti locali, uniche roccaforti della democrazia di base, possano unitamente allo
Stato vivere una vita serena, armoniosa, equilibrata, senza sussulti,
senza patemi d’animo. In questo augurio, vi ringrazio per la cortese attenzione accordatami e sono convinto che la discussione sarà decisamente proficua per una migliore messa a punto del nostro bilancio di
previsione.
69
IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TRA STRUTTURAZIONE QUANTITATIVA ED EVOLUZIONE QUALITATIVA
La necessità di condurre un’indagine sulla specifica situazione
demografico-sociale del comune di Monte Sant’Angelo si è prodotta a
partire dalla sempre più forte evidenziazione della sua disgregazione,
nel contesto provinciale e regionale. Tale disgregazione rappresenta la
conseguenza diretta e storicamente determinata di un processo di sviluppo più vasto, fondato intimamente e strutturalmente sul nesso contraddittorio di vecchio e nuovo, di sviluppo e sottosviluppo, di modernizzazione e arretratezza.
Esemplare e paradigmatica di questa contraddittorietà intrinseca di
organizzazione sociale è la vicenda evolutiva di Monte Sant’Angelo,
che riflette e specifica, al suo interno, le distorsioni e gli squilibri che
hanno così incisivamente segnato la storia meridionale.
Il mezzogiorno risulta per intero attraversato da una estesa e ramificata polarizzazione di sviluppo (compresenza di aree di « polpa » e
di aree di « osso », di aree, cioè, di polo di sviluppo e di aree di arretratezza), che trova il suo punto d’innesco nella forma di espansione
ed organizzazione dipendente e marginale assegnata alla società meridionale, nel contesto italiano.
Il sottosviluppo del sud nasce, infatti, a ridosso della scelta effettuata in sede di politica economica nazionale, volta alla funzionalizzazione ed organizzazione del territorio meridionale secondo le esigenze
economico-politiche del sistema produttivo centro-settentrionale. Il
trend espansivo del mezzogiorno, di conseguenza, assume progressivamente il volto dello sviluppo dipendente, che viene garantito nella
sua continuità e stabilità dello Stato che interviene in prima persona a
gestire e mediare le contraddizioni socialmente emergenti, che poteva-
70
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
no minacciare l’equilibrio complessivo della società italiana. L’attività
dello Stato, in chiave di stabilizzazione e compensazione economicosociale, acquista un carattere marcatamente assistenziale, che finisce
per immobilizzare e congelare ulteriormente le possibilità di sviluppo
autonomo e produttivo del sud1 .
La riproduzione del sottosviluppo meridionale, nella sua forma di
integrazione marginale e subalterna al meccanismo espansivo del sistema capitalistico nazionale, si è specificata nel:
1. processo di immobilizzo e progressiva compressione del sistema
agricolo-contadino;
2. processo di contenimento e ostacolamento della crescita industriale
(anni ‘50);
3. processo di industrializzazione selettiva e per « poli » (anni ‘60);
4. processo di terziarizzazione ed urbanizzazione terziarizzata indiscriminata (anni ‘50/’70);
5. processo di riorganizzazione e ristrutturazione capitalistica delle
basi produttive, su basi selettive e restrittive (anni ‘60/’70).
Il centro di unità e coesione di questa distorta articolazione di sviluppo è appunto rappresentato dallo Stato, che opera come soggetto
correttivo e sostitutivo dei meccanismi di mercato e dei vuoti che si
producono nel tessuto complessivo del Sud. Lo Stato tramite i suoi
canali tradizionali di intervento (politica legislativa, finanziaria, monetaria, delle spese pubbliche, ecc.) e attraverso l’ampliamento delle
1
Per ulteriori specificazioni teorico-analitiche si rinvia all’ampio dibattito che si è
sviluppato su questa problematica, di cui segnaliamo in particolare: M D’ANTONIO,
Stato ed economia nel Mezzogiorno dagli anni ‘50 ad oggi, in AA.VV., Il governo democratico dell’economia, De Donato, Bari, 1976; A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno
nell’economia italiana oggi, in Inchiesta, a. VII, n. 29, luglio-agosto 1977; AA.VV.,
Sussidi, lavoro, Mezzogiorno, F. Angeli, Milano, 1978; AA.VV., Problematiche territoriali dello sviluppo italiano, Feltrinelli, Milano, 1978; A. BAGNASCO, Tre Italie, Mulino, Bologna, 1977; R. CATANZARO, R. MOSCATI, Classi sociali e riproduzione
della marginalità nel Mezzogiorno, in Rassegna Sin dacale, a. XVI, ti. 71, marzo-aprile,
1978.
71
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
sue funzionali assistenziali (trasferimento di risorse dal nord al sud,
sotto forma di pensioni, sussidi, integrazioni agricole, ecc.) ha garantito la riproduzione allargata della marginalità meridionale, che ha visto
il mezzogiorno funzionare come:
1. serbatoio di forza lavoro scarsamente qualificata da utilizzare
nelle industrie centro-settentrionali;
2. mercato interno stabile e sicuro, in cui allocare le merci prodotte
dal settore industriale del nord;
3. mercato di consumo politicamente assistito e protetto, tramite la
politica di sostegno dei redditi;
4. area terziario-burocratica, centro del nuovo blocco di potere e
della nuova forma della ricomposizione di classe (politica di tipo corporativo su basi di massa);
5. area di formazione/acquisizione di consenso e legittimazione
(socialmente diffusi) verso le strutture di potere istituzionalizzato.
Le principali conseguenze, da tutto questo implicate, sono macroscopicamente visibili nell’esteso processo di disgregazione e sottoutilizzazione dell’agricoltura, nella compressione della struttura industriale nella inadeguata ed esasperata terziarizzazione, nella generalizzata restrizione della base occupazionale, nella forte accentuazione
della disoccupazione di massa, nella persistenza dei flussi migratori (a
carattere provinciale, regionale, nazionale ed estero).
Vittime di questa negativa situazione economico-sociale sono stati
soprattutto i comuni disseminati nelle zone interne del sud, di tipo
montano e collinare, che risultavano esclusi da ogni reale politica di
incentivazione economica e sostegno produttivo, e che, a causa di
questo, hanno continuato a riprodursi principalmente attraverso
l’assistenzialismo di Stato (garante della loro riproduzione in una economia di pura sussistenza).
In guasti determinatisi a ridosso della tenace logica di sottosviluppo e marginalizzazione dipendente hanno toccato, in queste zone, indici drammatici e a volte irreversibili, di cui costituiscono significative
testimonianze: il forte spopolamento, l’esodo di massa, l’abbandono e
la distruzione delle campagne, la rottura della civiltà agricolocontadina, la degradazione delle ris orse fisiche ed umane, l’estesa miseria e povertà (solo per citarne alcune).
72
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
Di questo « circolo vizioso del sottosviluppo » e del suo inevitabile
ravvitamento su se stesso, Monte Sant’Angelo rappresenta una concretizzazione emblematica, che si manifesta nella sua storia di lenta
ma progressiva degradazione. Degradazione leggibile su ogni specifico livello di articolazione del suo tessuto sociale (demograficosociale, economico-produttivo, occupazionale-lavorativo) ponendosi
come implicito risvolto e necessario effetto della contraddittorietà dello sviluppo economico-sociale.
In questa sede, in particolare, s’intende approfondire l’analisi di
Monte Sant’Angelo dal lato della sua evoluzione ed organizzazione
demografico-sociale, recuperando su tale piano la dinamica e
l’incidenza del suo arretramento e decadenza.
Il sottosviluppo di Monte Sant’Angelo è strettamente intrecciato al
processo di progressivo crollo e schiacciamento della sua struttura economico-produttiva: degrado ed abbandono dell’agricoltura (nonostante il permanere della sua centralità nell’economia del paese); sviluppo irrisorio delle attività industriali propriamente dette e rigonfio
sproporzionato del settore edilizio (con la connessa crescita
dell’occupazione precaria); incremento eccessivo del terziario (soprattutto commercio e Pubblica Amministrazione). Queste, in modo estremamente schematico e solo per richiamarle, le principali connotazioni
dello, sviluppo economico del paese, che risultano influenzate direttamente dalla generale compressione produttiva del territorio meridionale. Il deterioramento delle strutture di base si ritraduce in una disgregazione della composizione ed evoluzione demografica, sia dal lato meramente quantitativo, attinente al processo di incremento/decremento naturale e alla dinamica migratoria, che da quello qualitativo, relativo alla specificazione configurativa della popolazione secondo età, sesso e istruzione. L’andamento demografico, cioè, è fortemente determinato e condizionato dalla evozione economica complessiva, di cui registra gli squilibri e gli « oscillamenti » di evoluzione ed organizzazione.
L’analisi dei dati relativi allo sviluppo nel tempo della popolazione
73
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
residente a Monte Sant’Angelo, nei periodi intercensuari 1861 - 1971,
mostra con chiarezza che il trend della popolazione è andato progressivamente aumentando dal 1861 al 1951, passando da 15.444 abitanti
a 22.578, toccando proprio nel 1951 il valore più alto nel popolamento. Invece, a partire dal 1951 si è bruscamente contratto, scendendo a
18.388 abitanti nel 1971 (Tav. 1).
TAV. I — SVILUPPO NEL TEMPO DELLA POPOLAZIONE
RESIDENTE NEL COMUNE
________________________________________________________
Anni
Valori assoluti
________________________________________________________
1861
15.444
1871
15.000
1881
16.534
1901
19.044
1911
20.147
1921
20.251
1931
20.805
1936
21.413
1951*
22.578
1961
21.601
1971
18.388
* Al dato del 1951 è stata sottratta la popolazione residente di Mattinata, allora
frazione di Monte, e costituit asi in comune nel 1955. Tale popolazione era di 4.793 unità.
Tale contrazione e flessione negativa si è confermata anche negli
anni successivi, in cui Monte Sant’Angelo ha continuato a perdere
abitanti, con una tendenza lenta ma costante, tanto è vero che nel 1977
si è scesi a 17.574 ab.
Né d’altronde, allo stato attuale, è possibile ipotizzare un arresto
di questo processo di flessione demografica, che per essere bloccato e
riconvertito necessiterebbe d’interventi strutturali, sull’intero sistema
economico-sociale del comune.
Dal 1951 al 1971 Monte Sant’Angelo perde esattamente 4.190
unità con una variazione percentuale che tende negativamente ad aumentare (Tav. 3). Infatti, nel periodo 1951/1961 la variazione è di —
4,3%, successivamente nel periodo
74
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV.2—ANDAMENTO DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE
NEL COMUNE ‘72-77
________________________________________________________
Anni
Valori assoluti
________________________________________________________
1972
18.233
1973
18.142
1974
17.870
1975
17.716
1976
17.641
1977
17.574
Fonte: ISTAT.
TAV.3 —VARIAZIONI ASSOLUTE E PERCENTUALI DELLA
POPOLAZIONE RESIDENTE A MONTE SANT’ANGELO 1861-1971
________________________________________________________
Anni
Variazioni Assolute
Variazioni %
________________________________________________________
1861-1871
- 400
- 2,5
1871-1881
+ 1.543
+ 10,2
1881-1901
+ 2.510
+ 15,2
1901-1911
+ 1.103
+ 5,8
1911-1921
+ 104
+ 0,5
1921-1931
+ 554
+ 2,7
1931-1936
+ 608
+ 2,9
1936-1951
+ 1.165
+ 5,4
1951-1961
- 977
- 4,3
1961-1971
- 3.213
- 14,3
1861-1971
+ 2.944
+ 19,1
1951-1971
- 4.190
- 18,6
Nostre elaborazioni su fonte: ISTAT.
1961/1971 è aumentata a — 14,8% e complessivamente ne periodo
1951/1971 si è avuta una variazione della popolazione residente pari a
— 18,6%.
La variazione è stata molto forte, tanto più se la confrontiamo con
quelle registrate a livello provinciale e regionale, attraverso cui appaiono in pieno le profonde differenziazioni di sviluppo sociodemografico (Tav. 4).
75
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Anni
1951-1961
1961-1971
1951-1971
Anni
1951-1961
1961-1971
1951-1971
Anni
1951-1961
1961-1971
1951-1971
TAV. 4 - COMUNE
Variazioni %
- 4,3
- 14,9
- 18,6
PROVINCIA
Variazioni %
+
0,9
1,2
0,3
REGIONE
Variazioni %
+ 6,2
+ 4,7
+ 11,2
Nostre elaborazioni su fonte: ISTAT.
Nel ventennio considerato si registra a livello provin- ciale una variazione negativa pari a — 0.3%, mentre a livello regionale si nota un
incremento pari a + 11,2%, contro la diminuzione del comune che,
come si è detto, è stata di — 18,6%. Poiché Monte Sant’Angelo registra una flessione negativa della popolazione residente, superiore al
15% entra a far parte dei comuni definiti di alto spopolamento2 .
Lo spopolamento continua anche nell’epoca più recente, nonostante a livello sia provinciale che regionale si sia determinata
un’inversione di tendenze, che ha portato all’incremento demografico.
2
Si fa riferimento, e si rinvia per ulteriori specificazioni al lavoro di G. ROSA,
Struttura demografica della provincia di Foggia, a cura dell’Associazione Provinciale
degli industriali di Capitanata, Foggia 1976.
Il criterio adottato, nella citata ricerca, per definire le aree dal punto di vista demografico consiste nelle oscillazioni registrate dalla popolazione residente, nel periodo
1951-1971.
Comuni ad alto spopolamento sono quelli in cui la popolazione residente ha subito
una flessione maggiore del 15%.
Comuni a medio spopolamento sono quelli in cui si è avuta una flessione inferiore
al 15%.
Comuni in espansione demografica sono quelli che nel periodo intercensuale considerato hanno visto una lievitazione della popolazione residente.
76
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
Parallelamente l’indice di densità del comune, che si riferisce al
rapporto tra abitante e superficie territoriale, si è andato progressivamente abbassando (Tav. 5).
TAV. 5 — DENSITÀ DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE NEL
COMUNE, PROVINCIA E REGIONE
________________________________________________________
Ab./Kmq.
1951
1961
1971
________________________________________________________
Comune
87
89
75
Provincia
92
93
91
Regione
166
177
185
Fonte: ISTAT.
Per cui si passa da una densità media di 87 ab. per Kmq., nel 1951,
a quella di 75 nel 1971, contro quella corrispondente della provincia,
pari a 91, e della regione pari a 185.
Come si diceva in precedenza, il trend demografico del paese ha
assunto nell’ultimo ventennio una curva costantemente discensiva, ponendosi come espressione più evidente del processo di abbandono ed
emarginazione a cui è stata relegata la società montanara, che non ha
conosciuto nella sua storia contemporanea di sviluppo, momenti effettivi di funzionalità economica e vitalità sociale. Tale situazione di
TAV. 6 — COMUNI SUPERIORI AI 10.000 AB., 1901
________________________________________________________
Anno
Comuni
Valori assoluti
________________________________________________________
1901
1) Foggia
53.134
2) Cerignola
31.958
3) San Severo
28.550
4) Monte Sant’Angelo
19.044
5) San Marco in Lamis
17.531
6) Lucera
16.962
7) Manfredonia
11.549
8) Torremaggiore
11.124
9) Sannicandro Garg.
10.830
10) Trinitapoli
10.343
Nostre elaborazioni su fonte: ISTAT.
77
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
progressiva degradazione si manifesta appieno se si pensa che, in tutto
il ‘900, Monte Sant’Angelo ha perso centralità nel contesto garganico
e peso in quello provinciale.
Infatti, al censimento del 1901 Monte rappresentava, con i suoi
19.044 abitanti il centro più importante del Gargano e il quarto centro
su scala provinciale (tra i dieci comuni superiori ai 10.000 ab.).
Come si vede nella Tav. 6, nel 1901 Monte era preceduto solo dal
capoluogo (53.134 ab.), da Cerignola (31.958) e da San Severo
(28.550).
Negli anni successivi si è avuto un ribaltamento della situazione,
per cui al 1971 Monte per consistenza demografica risulta al settimo
posto, tra i comuni superiori ai 10.000 ab. (aumentati complessivamente a 16).
Ma c’è da aggiungere che (come è possibile vedere dalla Tav. 7)
non solo Monte Sant’Angelo muta collocazione nella gerarchia demo TAV. 7 — COMUNI SUPERIORI AI 10.000 AB., 1971
________________________________________________________
Anno
Comuni
Valori assoluti
________________________________________________________
1971
1) Foggia
141.711
2) San Severo
49.741
3) Cerignola
47.797
4) Manfredonia
47.521
5) Lucera
31.314
6) San Giovanni Rotondo
19.635
7) Monte Sant’Angelo
18.388
8) Sannicandro Garganico
17.939
9) Torremaggiore
16.316
10) San Marco in Lamis
16.258
11) Ortanova
14.633
12) Apricena
13.204
13) Trinitapoli
13.019
14) San Ferdinando di Puglia
12.971
15) Margherita di Savoia
12.300
16) Vieste
11.820
Nostre elaborazioni su fonte: ISTAT.
grafico - territoriale provinciale, quanto piuttosto, aumenta il suo divario con gli altri comuni, che hanno risentito di una dinamica economisociale più intensa. A parte Foggia, che triplica quasi il suo valore ini-
78
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 8 — ISCRIZIONI E CANCELLAZIONI ANAGRAFICHE DI MONTE SANT’ANGELO
_______________________________________________________________________________
PER MOVIMENTO
PER TRASFERIMENTO DI RESIDENZA
_________NATURALE
ISCRITTI
CANCELLATI____
Anno Nati vivi
1958
659
1959
627
1960
671
1962
629
1963
577
1964
658
1965
572
1966
581
1967
553
1968
490
1969
445
1970
423
1972
369
1973
357
1974
341
1975
360
1976
294
TOTALE 8.606
Morti Da altro comune dall’estero Per altro comune per l’estero____
195
152
1
518
—
204
189
—
602
—
211
159
—
642
—
215
279
15
650
1
213
187
17
570
—
150
192
33
774
—
176
167
11
810
13
167
176
15
730
192
196
162
21
865
96
160
192
35
956
168
170
147
40
819
31
152
188
28
771
44
138
152
35
559
21
119
152
26
502
7
135
151
53
642
40
149
152
18
517
18
134
155
27
404
13
2.884
2.952
375
11.331
643
Fonte: ISTAT.
79
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
ziale, eclatante è il caso di Manfredonia, che s’inserisce al quarto posto per incremento demografico, avendo più che quadruplicato l’entità
della sua popolazione (in seguito alla localizzazione dell’ANIC).
La forte compressione dell’andamento demografico di Monte
Sant’Angelo è la conseguenza diretta della eccedenza negativa del
saldo migratorio, che ha annullato e vanificato il positivo bilancio naturale della popolazione3 .
Analizzando il movimento demografico (Tav. 8), si registra nel
comune una forte flessione dei nati vivi, che passano da 659 unità nel
1958 a 294 nel 1976, con un decremento netto di 365 unità e una variazione di — 55,3%.
Invece, una flessione più contenuta è stata registrata nel numero
dei morti, che sono scesi da 195 a 134 unità, con un decremento pari a
134 unità, e una variazione di —31,2%.
Il dato più saliente consiste proprio nella forte flessione della natalità, che interessa, altrettanto, tutta l’area regionale e provinciale, presentando, però, una maggiore accentuazione nelle zone montane e collinari, maggiormente colpite dall’emigrazione e dallo spopolamento.
Il saldo migratorio presenta, in tutto il periodo considerato, una
tendenza fortemente negativa, che è stata di entità tale da neutralizzare
persino l’eccedenza positiva del movimento naturale (Tav. 9).
TAV.9 - SALDO DEL MOVIMENTO NATURALE E
MIGRATORIO NEL COMUNE
___
______________________________________________________________________________
Anno Movimento naturale Movimento migratorio Incremento
eccedenza
eccedenza
complessivo
1958
1959
1960
1962
1963
1964
1965
+
+
+
+
+
+
+
464
423
460
414
364
508
396
—365
—413
—483
— 355
—366
—549
—645
+ 99
+ 10
+ 23
+ 59
— 2
— 41
—249
3
Il saldo migratorio è dato dal rapporto tra iscritti al comune e cancellati dal comune; il saldo naturale è dato dal rapporto tra nati vivi e morti.
80
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
1966
1967
1968
1969
1970
1972
1973
1974
1975
1976
+414
+357
+330
+275
+271
+231
+238
+206
+211
+160
—731
—778
—897
—663
—599
—393
—331
—478
—365
—235
—317
—421
—897
—388
—328
—162
— 93
—272
—154
— 75
TOTALE
‘58-’77
+ 5722
—8647
— 2925
Dati ISTAT: nostre elaborazioni.
Il movimento migratorio ha tuttavia registrato un andamento ciclico, pur nella persistenza del saldo negativo:
1)
primo ciclo (1962/1968), con tendenza accentuata ad aumentare,
in senso negativo, in forme continue e progressive; per cui il saldo netto tra iscritti e cancellati passa da — 355 a — 897 unità,
nel 1968, (anno in cui il saldo migratorio presenta l’eccedenza
negativa più alta di tutto il periodo considerato);
2) secondo ciclo (1968/1973), in cui si registra una diminuzione della flessione del movimento migratorio; per cui il saldo netto decresce da — 897 a — 331 unità nel 1973);
3) terzo ciclo (1973/1976), in cui, dopo una brusca e mo mentanea
impennata in corrispondenza del 1974 (l’eccedenza del movimento migratorio sale improvvisamente da — 331 a — 478 unità), il movimento migratorio tende a diminuire, presentando un
saldo netto in contrazione. Nel 1976, infatti, l’eccedenza negativa
è scesa a — 235 unità, toccando il valore più basso di tutto il periodo in questione.
Appare evidente il collegamento stretto tra dinamica demografica
e dinamica economico-produttiva. Nel senso che
81
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
i periodi di positiva espansione economico-occupazionale sul territorio (sviluppo industriale di Manfredonia, sviluppo dell’agricoltura nel
foggiano, espansione della edilizia nel circondario, crescita delle attività terziarie e di servizio nel territorio, sviluppo industriale centrosettentrionale) hanno coinciso con il periodo di maggiori ‘uscite’
dall’area comu nale. In quanto Monte Sant’Angelo non è stato investito al suo interno dai processi di sviluppo, ma è cresciuto in forme subalterne, dipendenti e a ridosso delle tendenze esterne di espansione
economico-produttiva.
Di conseguenza, il movimento migratorio è aumentato, presentando un’eccedenza largamente negativa.
Di converso, nei periodi di generale stallo e crisi economica, nella
misura in cui tendeva a decrescere la domanda esterna di forza lavoro,
il flusso delle uscite si andava contraendo, pur accompagnandosi a un
saldo migratorio negativo. Fenomeno che testimonia chiaramente, che
la situazione interna al comune ha sempre conservato il suo carattere
di arretratezza e marginalità, e che proprio per questo, continua e persistente è stata l’espulsione e la fuoriuscita dei suoi abitanti. Espulsione che si è orientata sia verso i paesi stranieri, come Germania, Venezuela, Canada, America, ecc., sia verso le aree intra-provinciali, come
Foggia e Manfredonia, che intra-nazionale, come le zone del triangolo
industriale (in particolare Nova Milanese, dove addirittura viene festeggiato San Michele).
Leggendo le voci relative alla dinamica demografica, vediamo che
l’esodo dal comune è stato consistente, infatti, i « cancellati » hanno
avuto la predominanza sugli « iscritti ».
Nel periodo considerato 1958-1976 si sono iscritte al comune
3.327 persone, di cui 2.952 provenienti da altro comune e 375
dall’estero.
In parallelo sono state cancellate 11.974 persone, di cui 11.331 per
altri comuni e 643 per l’estero.
Il saldo netto è stato di — 8.647 unità.
La voce « cancellati » ha visto una tendenza all’aumento nel periodo ‘58/’68 (in cui vengono cancellati 7.587 persone), toccando i valori più alti nel periodo 1965/1968.
82
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
La cancellazione è stata diretta, in modo preponderante, dal comune verso altri paesi interni, con minore incidenza per l’estero, che solo
nel 1966 e 1968 vede le punte più alte di fuoriuscita.
Nel periodo 1968/1976 i cancellati tendono a diminuire toccando
la soglia più bassa nel 1976, pari a — 417 unità.
Dinamica più contenuta ed equilibrata è quella relativa agli « iscritti », che presenta un andamento nettamente inferiore rispetto ai
cancellati. Il numero degli iscritti ha visto comunque momenti di crescita, che hanno interessato soprattutto la voce « da altro comune »;
questi nel periodo 1958/1976 sono stati complessivamente 2.952 unità, contro gli iscritti dall’estero che sono stati 375. Quest’ultimi hanno
toccato nel 1974 il punto più alto, pari a 53 unità, come risposta, anche
se contenuta, al deterioramento del quadro economico internazionale,
che ha innescato tendenze al rientro degli emigrati.
L’analisi demografico-qualitativa condotta sul comune di Monte
Sant’Angelo ha permesso di cogliere le principali trasformazioni, che
si sono prodotte e consolidate nella struttura della popolazione residente, a partire dal 1861, data del primo censimento, fino al 1971, data
dell’ultimo censimento (con relativo aggiornamento dei dati sulla popolazione al 1977). Il che ha consentito di evidenziare il negativo
trend di sviluppo demografico dell’area comunale, che appare attualmente inserita in una realtà di profonda e strutturale crisi economico sociale. La situazione di stallo economico e degenerazione produttiva
ha inciso significativamente sulla sua dinamica di organizzazione demografica, che si è andata sempre più caratterizzando per la sua brusca contrazione e diminuzione, e per la sua ormai endemica spinta
centrifuga.
Realtà di alto spopolamento, tendenza persistente alle migrazioni,
accentuato bilancio negativo del movimento demografico: questi sono
gli aspetti più salienti di caratterizzazione di un comune, che come
Monte Sant’Angelo, risulta investito in pieno dalla logica distorta dello sviluppo dipendente e marginale del Mezzogiorno, nel contesto nazionale.
83
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Il rapporto popolazione-territorio, tuttavia, non può essere solo risolto nell’analisi delle variazioni numerico-quantitative, registrate
nell’assetto demografico-sociale, quanto, invece, deve essere letto anche all’interno delle peculiarità qualitative della popolazione e delle
trasformazioni che queste hanno evidenziato, durante la loro evoluzione storica. Di fatti, le forme di organizzazione e sviluppo del territorio sono strettamente intrecciate alla qualità della popolazione in esso presente; qualità che, d’altro canto, risulta fortemente condizionata
dalla dinamica quantitativa, che attiene sia all’evoluzione economicoproduttiva, che a quella demografico-sociale.
Il processo di spopolamento, ad esempio, incide negativamente
sulla struttura demografica, producendo alterazioni profonde sulle
classi d’età e sulla distribuzione per sesso della popolazione, il che,
poi, implica una conseguente variazione nella composizione della popolazione attiva e, tramite questa, una parallela trasformazione della
produttività del sistema economico. Tale trasformazione finisce a sua
volta, con l’influenzare ulteriormente e nuovamente l’andamento e
l’organizzazione demografica, determinandone i ritmi e i tempi di sviluppo.
Il sistema delle interdipendenze appare, quindi, profondamente articolato e in movimento, necessitando, proprio per questo, di essere ricostruito attentamente in tutta la polivalenza della sua forma evolutiva.
Sulla struttura qualitativa della popolazione di Monte ha notevolmente inciso, come si affermava in precedenza, l’entità e la continuità
del flusso migratorio (riflesso nel saldo migratorio costantemente deficitario), che ha condizionato negativamente il rinnovamento demografico. Infatti, si è registrato il ristagno, o peggio, il deterioramento
qualitativo della popolazione, nelle sue interne specificazioni di età e
sesso.
L’andamento della popolazione residente nel comune, secondo il
sesso, nei suoi valori assoluti e percentuali totali, non evidenzia a prima vista, una grossa differenziazione; infatti, i maschi nel periodo
1951-1961-1971 rappresentano il 49,0%, il 49,1% e il 49,4% del totale, mentre le femmine, sempre nello stesso periodo, costituiscono il
84
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
51,0%, il 50,9% e il 50,6%. Valori che non si discostano molto da
quelli provinciali e regionali, anch’essi attestati per quanto riguarda i
maschi, sul valore del 49% circa, e per le femmine sul 50% circa.
Nei dati complessivi si cela, comunque, l’effettiva realtà di forte
divaricazione tra un sesso e l’altro, nel processo d evoluzione della
popolazione residente; infatti, lo sviluppo
demografico presenta degli oscillamenti differenziati a seconda
della correlazione tra il sesso e le classi d’età. Cioè, se il totale maschile e femminile risulta pressocché stabile e bilanciato, non altrettanto accade se incrociamo il sesso con l’età. Tale diversità è il prodotto storicamente determinato della dialettica capitalistica di sviluppo
economico-sociale, che si muove attraverso criteri rigidi di selezione
ed espulsione dei soggetti sociali, dalla scena dello sviluppo economico-produttivo generale. Infatti, il particolare modello economico di
crescita ed espansione della società italiana si è costituito e organizzato in modo tale da penalizzare ed emarginare le donne e le fasce sociali troppo giovani o anziane, mentre di converso, prediligeva i maschi
nelle fasce centrali d’età, ritenuti maggiormente idonei ad un lavoro
intensificato, per ritmi e tempi produttivi, e standardizzato nella sua
restante e mo notona ripetitività.
Ed è per questo, proprio cioè sulla base di una domanda di forza
lavoro fortemente rigida e selettiva, che ad emigrare in cerca di lavoro,
all’estero come all’interno, sono stati i maschi giovani o d’età centrale, che hanno dato, così, il via a quella che sarà la caratteristica della
politica economico-occupazionale italiana, basata sulla segmentazione/selettività del mercato del lavoro e sul sistematico spreco delle risorse produttive.
Analizzando i dati su Monte Sant’Angelo 4 , dapprima per ogni
4
Per poter analizzare e confrontare i dati del censimento, che risultano differenziati
nel criterio di classificazione e disaggregati per vaste fasce d’età, abbiamo omogeneizzato e sintetizzato i dati ISTAT, rispettando, comunque, i criteri metodologici adottati
dalla fonte statistica, secondo cui, come si legge nelle Avvertenze al Censimento generale della popolazione, nel:
1951— « L’età è misurata in anni compiuti e pertanto nelle classificazioni per
gruppi gli estremi inferiori e superiori di ciascuna classe sono espressi in anni compiuti.
Così ad es.: fino a 6 anni: dalla nascita fino al 60 anno di vita compiuto (cioè fino al 60
compleanno) ».
1961 — « L’età è computata in anni di vita. Così ad es.: fino a 6 anni: dalla nascita
fino al 60 compiuto (cioè fino al 60 compleanno) ».
1971 — « L’età è computata in anni compiuti. Così ad es.: meno di 5 anni: dalla
nascita al giorno precedente il 50 compleanno (..). Ai fini del confronto con i dati del
censimento del 1961 è da tener presente che in detto censimento l’età venne computata
in anni di vita (….). Pertanto per il censimento del 1971 la classe ‘meno di 6 anni’ va
confrontata con la classe ‘fino a 6 anni’, e così di seguito ».
Per maggiore chiarificazione abbiamo, comunque, riportato le originarie tavole ISTAT, su cui abbiamo elaborato le sintetiche e comuni classi d’età.
85
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
periodo di censimento e successivamente per raffronti intercensuari,
verrà maggiormente chiarito il senso delle nostre affermazioni.
Nel 1951 la popolazione residente complessiva del comune è pari
a 22.578 abitanti, di cui 11.042 maschi e 11.536 femmine. I maschi
rappresentano il 49,0% e le femmine il 51,0% del totale dei residenti
(Tav. 10).
Analizzando le classi d’età si nota che le classi non superiori ai 25
anni rappresentano, sul totale, la componente più forte, pari al 54,2%,
di cui: meno di 6 anni 15,4%, da 6 a 13 15,0%, da 14 a 24 23,8%;
l’incidenza più forte è costituita dalla fascia compresa tra i 14 e i 24
anni.
La classe 25-44, ha un peso considerevole, pari a 22,5%. Mentre la
classe superiore ai 44 anni rappresenta, globalmente considerata, il
23,3% del totale, di cui 45-54, 6,2%, 55-6, 9,0%, oltre 65, 8,1%; il valore più alto viene toccato dalla classe compresa tra i 55 e i 64 anni.
86
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Tav. 10 - POPOLAZIONE RESIDENTE NEL COMUNE PER SESSO E CLASSE DI ETÀ, 1951
VALORI ASSOLUTI E PERCENTUALI
MASCHI
Meno di 6
Valori assol.
1.792
% M + F = 100 51,5
% P.R.
7,9
% M = 100
16,1
6-13
1.698
50,0
7,5
15,3
14-24
25-44
2.949
2.200
54,8
43,2
13,1
9,7
27,0
20,0
45-54
376
27,4
1,6
3,3
10,3
55-64
Oltre 65 Totale
1.144 883
11.042
56,2 48,4
49,0
5,0
3,9
8,0
100,0
FEMMINE
Valori assol.
1.687
% M + F = 100 48,5
% P. R.
7,5
% F = 100
14,6
1.697
50,0
7,5
14,7
Valori assol.
% P. R. = 100
3.395
15,0
2.434
45,2
10,8
21,1
2.890
56,8
12,8
25,1
995
72,6
4,4
8,6
893
43,8
4,0
7,7
940
51,6
4,2
8,2
11.536
51,0
1.371
6,2
2.037
9,0
1.823 22.578
8,1 100,0
100,0
TOTALE
3.479
15,4
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
87
5.383
23,8
5.090
22,5
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
In parallelo, i dati provinciali (Tav. 11) evidenziano
TAV. 11 — POPOLAZIONE RESIDENTE IN PROVINCIA
PER CLASSI D’ETÀ, 1951. VALORI %, P. R. = 100.
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
=
=
=
=
=
=
=
=
15,2
16,6
20,5
25,5
9,1
6,5
6,6
100,0
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
che un ruolo centrale è detenuto dalla popolazione compresi tra i 25 e
i 44 anni, che rappresenta il 25,5% del totale contro il 22,5% del dato
comunale.
Nelle classi inferiori ai 25 anni, si tocca complessiva mente il valore di 52,3%, contro il 54,2% comunale, di cui la fascia tra i 14 e i 24
ha un peso principale (20,5% contro il 23,8% comunale).
Infine, nelle classi d’età superiori si tocca in totale i valore del
22,2%, contro il 23,3% di Monte, con la maggiore incidenza dei residenti compresi tra i 45 e i 54 anni (9,1%).
La provincia registra cioè, rispetto ai valori del comune punti più
alti nella classe centrale d’età e punti più bassi in quelle laterali, inferiori/superiori ai 25 anni.
Ritornando ai dati comunali, altre peculiarità si notano nella composizione demografica, rispetto alla evoluzione della componente maschile e femminile secondo l’età.
Leggendo i valori di ogni classe d’età secondo il sesso sul totale
relativo alla stessa classe d’età, si nota che, nel 1951, i maschi rispetto
alle femmine toccano posizioni consistenti nelle fasce: meno di 6 anni,
14-24 e 55-64, con valore più alto proprio in quest’ultimo (56,2%).
Le femmine, invece, presentano una maggiore incidenza nelle
classi superiori ai 25 anni, con un peso considerevole nella fascia tra i
88
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
45 e i 54 anni (72,6% contro il 27,4% di M.); seguito da quello nei 2544 (56,8% contro 43,2% di M.).
Tale tendenza viene ulteriormente confermata se leggiamo la classe d’età di un sesso sul totale della popolazione residente dello stesso
sesso. Infatti, la fascia maschile tra i 14 e i 24 anni è preponderante sul
totale dei residenti maschili (27,0%); mentre le femmine sono maggiormente concentrate percentualmente nella classe 25-44, che sul totale femminile, rappresenta il 25,1 %.
Altro dato importante è che le classi maschili inferiori ai 25 anni,
rapportate alla popolazione residente complessiva, costituiscono il
28,5% del totale, contro il 25,8% delle donne; mentre nella fascia 2544 rappresentano il 9,7% contro il 12,8% delle donne; infine oltre i 25
anni costituiscono il 10,5% contro il 12,6% femminile.
Dai dati fin qui richiamati è possibile trarre alcune conclusioni circa l’evoluzione della popolazione residente nel comune secondo l’età
e il sesso. Nel 1951 la popolazione di Monte conserva ancora una sua
forte consistenza, e di fatto, chiude il ciclo dell’espansione demografica del comune. Questo significa che si è in presenza di una realtà non
ancora toccata profondamente dai guasti di una crisi strutturale, che
diventerà endemica, proprio a partire da questo momento in poi. Si
avvertono comunque, i primi effetti di una mancata politica territoriale
di sviluppo economico-sociale, che si sono rovesciati nelle spinte centrifughe interne ed esterne.
Il che ha implicato un minore peso della componente maschile nelle fasce centrali d’età e in quelle superiori ai 25 anni (perché interessate in prima persona dalle correnti migratorie) e, invece, un maggiore
peso nelle classi d’età più piccole. Mentre di converso la componente
femminile si sviluppava soprattutto nella fascia d’età centrale e superiore ai 25 anni.
Il 1961 ha già scandito per Monte Sant’Angelo una prima grossa
battuta d’arresto sul piano dell’espansione demo grafica: calo della popolazione residente, che perde rispetto al 1951 circa mille unità, con
una variazione percentuale di — 4,3%, mentre nello stesso decennio
sia la popolazione provinciale che regionale registra un positivo
89
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
aumento demografico; saldo migratorio negativo, che è di tale peso da
azzerare persino il positivo aumento naturale; caratterizzazione de
comune come economia di sottosviluppo e zona di spopola mento.
Questo trend discendente di articolazione del complessivo sistema
sociale non poteva non condizionare in forme negative, la stessa qualità della popolazione, che, infatti, risente, al suo interno, delle conseguenze deteriori provocate dal sempre più accentuato ‘ravvitamento’
nel sottosviluppo
La popolazione residente è scesa a 21.601 abitanti (Tav.12), di cui
10.602 maschi e 10.999 femmine (rispettivamente 49,1% e 50,9%).
Rispetto alla popolazione residente totale gli abitanti di età inferiore ai
25 anni costituiscono il 49,0% quelli compresi tra i 25 e i 44 anni il
25,2%, quelli infine superiori ai 44 anni il 25,8% del totale.
Si nota già una prima differenziazione con i dati del ‘51, in quanto
si ha una flessione dei residenti nella fascia inferiore, con incremento
in quella centrale e superiore. Nella prima si ha un valore del 49,0%
contro il precedente 54,2% la flessione interessa le due classi d’età,
meno di 6 anni e 14-24, con particolare riferimento a quest’ultima, che
da 23,8% scende a 17,8%.
Nella fascia centrale si ha un incremento percentuale di 2,7% rispetto al valore del ‘51 (25,2%); mentre, nell’ultima (25,8%) si nota
un aumento da attribuire alla crescita dei residenti tra i 45 e i 54 anni e
tra quelli oltre i 65, mentre sempre in questa area diminuisce il peso
della classe 55-64, che perde l’1,7%.
La tendenza al decremento della classe inferiore ai 25 anni e
all’aumento di quella superiore è attestata anche dalla dinamica provinciale, che vede un calo della prima classe d’età, quella inferiore ai
25 anni, che passa dal 32,3% al 49,2%, e un aumento dell’altra, che
90
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 12 — POPOLAZIONE RESIDENTE NEL COMUNE PER SESSO E CLASSI D’ETÀ, 1961
VALORI ASSOLUTI E PERCENTUALI
MASCHI
Valori assol.
% M + F. = 100
% P. R.
% M = 100
Meno di 6
1.577
51,3
7,3
14,8
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64 Oltre 65
Totale
1.892
1.996
2.613
1.009
752
813
10.602
51,3
50,6
48,0
48,4
47,7 42,8
49,1
8,8
9,0
12,1
4,7
3,5
3,8
17,8
18,4
24,6
9,5
7,1
7,7
100,0
Valori assol.
% M + F = 100
% P.R.
% F. = 100
1.495
48,7
6,9
13,6
1.789
1.899
2.829
1.077
48,6
49,3
52,2
51,6
8,3
8,8
13,1
5,0
3,8
16,3
17,3
25,7
9,8
7,5
Valori assol.
% P. R. = 100
3.072
14,2
—
FEMMINE
823 1.087
10.999
52,3 57,2
50,9
5,0
9,9
100,0
TOTALE
3.681
3.845
17,0
17,8
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
91
5.442
25,2
2.086
9,7
1.575 1.900
7,3
8,8
21.601
100,0
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
sale dal 22,2% al 25,6%, mentre una lieve contrazione si produce in
quella centrale (Tav. 13).
TAV. 13 — POPOLAZIONE RESIDENTE IN PROVINCIA
PER CLASSI D’ETÀ, 1961. VALORI PERCENTUALI, P.R. = 100.
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
= 13,3%
= 17,0
= 18,9
= 25,2
= 10,4
=
7,7
=
7,5
= 100,0
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
Relativamente alla dinamica evolutiva secondo il sesso, si nota
che, nel comune, l’incidenza del sesso maschile sul totale M + F relativo alla stessa classe d’età, è preponderante rispetto a quella femminile, in tutte e tre le fasce inferiori ai 25 anni, mentre diventa percentualmente minoritario nelle classi superiori ai 25 anni, compresa anche
quella centrale.
Di rimando, si ha una prevalenza femminile nelle classi dai 25 anni in su, e una più contenuta incidenza, rispetto ai maschi, nelle fasce
d’età più piccole.
Occorre, tuttavia, notare che i residenti tra i 25 e i 44 anni, che sono aumentati dal 22,5% al 25,2%, registrano un più forte aumento
percentuale dal lato maschile, che sul totale M + F relativo a tale classe d’età, passano dal 43,2% al 48,0%, contro il calo femminile, che
passa d al 56,8% al 52,2%.
Infatti, i residenti maschi tra i 25 e 44 anni sono aumentati sul totale della popolazione residente (dal 9,7% al 12,1%) e sul totale dei residenti maschi (dal 20,0% al 24,6%).
Resta comunque confermata la tendenza ad una maggiore preponderanza della componente maschile nelle classi inferiori ai 25 anni,
anche se cade il suo valore percentuale che passa dal 28,5% del ‘51 al
25,1% del ‘61; contro il parallelo valore femminile che nel ‘61 è pari
al 24,0% (anch’esso diminuito, perché nel 1951 era del 25,8%).
92
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
Queste diminuzioni sono bilanciate tuttavia, dall’aumento dei
residenti sia maschili che femminili nella fascia 25-44, e in quelle superiori, dove predomina la tendenza alla femminilizzazione.
Di fatti, le femmine rappresentano nelle classi d’età inferiori il
24,0% della popolazione residente (1951=25,8%) e il 47,2% del totale
femminile (1951 =50,4%).
Nella fascia tra i 25 e i 44 anni le femmine costituiscono, invece, il 13,1% della popolazione residente (1951= 12,8%) e il 25,7%
della residente femminile (1951=25,1%), con valori superiori, anche
se di poco, a quelli maschili. Superiorità che viene confermata anche
nelle classi più alte, dove rappresentano il 13,8% del totale residente,
contro il 12,0% maschile (1951, F=12,6%, M=10,5%).
Nel 1971 si è consolidata per Monte Sant’Angelo la realtà di disgregazione e compressione, che si era andata profilando a partire dal
1951.
La popolazione residente è ulteriomente diminuita —3.213 unità rispetto al 1961, e —4.190 unità rispetto al 1951 — con una variazione di — 14,8% (‘61-’71) e di —18,6% (‘51-’71).
In questi anni, si è sempre più accentuata la realtà dello spopolamento e dell’emigrazione, che ha fatto registrare un saldo migratorio
costantemente in eccedenza negativa.
Nel 1971 il totale dei residenti è di 18.388 abitanti, di cui il
49,4% maschi e il 50,6% femmine (Tav. 14).
I residenti della fascia inferiore ai 25 anni rappresentano il
48,0%, mentre nel 1951 erano il 54,2% e nel 1961 il 49,0%.
Quelli dell’area centrale sono il 22,8%, contro il 22,5% del
1951 e il 25,2% del 1961.
Quelli, infine, delle classi superiori rappresentano il 29,2%,
contro il 23,3% del 1951 e il 25,8% del 1961.
L’evoluzione demografica per classi d’età sottolinea che, durante il ventennio, si sono prodotte consistenti trasformazioni nella struttura qualitativa della popolazione di Monte Sant’Angelo.
Infatti, nel 1971 appare ridimensionata la popolazione giovanile
(— 6,2% rispetto al ‘51), con una netta contrazione nella classe dei
93
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
TAV. 14 — POPOLAZIONE RESIDENTE NEL COMUNE PER SESSO E CLASSI D’ETÀ, 1971
VALORI ASSOLUTI E PERCENTUALI
MASCHI
Valori assol.
% M + F. = 100
% P. R.
% M = 100
Meno di 6 6-13
14-24
25-44
45-54
55-64 Oltre 65
Totale
1.007
2.037
1.547
2.040
790
754
908
9.083
51,8
52,4
51,3
48,7
46,9
46,3
44,5
49,4
5,5
11,0
8,4
11,1
4,3
4,1
4,9
—
11,1
22,4
17,0
22,5
8,7
8,3 10,0
100,0
FEMMINE
Valori assol.
% M + F = 100
% P.R.
% F. = 100
939
48,2
5,1
10,1
1.847
1.469
2.147
47,6
49,3
51,3
10,0
8,0
11,7
4,9
19,8
15,7
23,2
9,6
896
53,1
4,7
9,4
873 1.134
53,7 55,5
6,2
—
12,2
100,0
9.305
50,6
TOTALE
Valori assol.
% P. R. = 100
1.946
10,5
3.884
3.016
21,1
16,4
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
94
4.187
22,8
1.686
9,2
1.627 2.042
8,8
11,2
18.388
100,0
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
residenti di meno sei anni (1951= 15,4%, 1971=10,5%) e in quella dai
14 ai 24 (1951=23,8%, 1971=16,4%); mentre di converso aumenta
quella dei 6-13 anni (1951=15,0%, l971=21,1%).
La classe d’età centrale rappresenta sul totale dei residenti la componente principale, anche se appare in flessione rispetto al dato del
1961 (l961=25,2%, 1971=22,8%).
In ultimo, i residenti d’età superiore ai 45 anni sono andati progressivamente crescendo, aumentando il loro peso nella composizione
demografica del comune. Il loro valore è passato dal 23,3% del 1951
al 29,2% del 1971; tra cui la maggiore crescita è stata registrata dai residenti oltre i 65 anni, che sono passati dall’8,1% del 1951 all’11,2%
del 1971, e da quelli compresi tra i 45 e i 54 anni, 1951=6,2%, 1971=
9,2%. Invece, la popolazione tra i 55 e 64 anni appare cresciuta rispetto al 1961 e diminuita rispetto al 1951 (1951=9,0%, 1961=7,3%,
1971=8,8%).
I dati provinciali mettono, invece, in evidenza una situazione di
minore incidenza (rispetto al comune) dei residenti nelle fasce laterali
d’età e un peso maggiore in quella centrale (Tav. 15).
TAV. 15 — POPOLAZIONE RESIDENTE IN PROVINCIA
PER CLASSI D’ETÀ, 1971. VALORI PERCENTUALI, P.R. = 100.
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
= 12,4
= 16,3
= 18,4
= 24,1
= 9,8
= 9,2
= 9,8
= 100,0
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
Come si legge dai dati, nell’area provinciale la classe più ampia è
quella centrale, pari al 24,1% del totale, mentre un peso più contenuto
viene esercitato da quelle inferiori, che sono il 47,1% del totale (in
diminuzione rispetto al passato, 1951=52,3%, 1961=49,2%) e da quel-
95
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
le superiori, che sono il 28,8% (in aumento rispetto agli anni precedenti, 1951= 22,2%, 1961=25,6%).
Anche nella provincia si conferma la tendenza, nel 1971, di tipo
ascensivo delle classi d’età più anziane e discensivo di quelle giovanili; chiaro sintomo del processo di sottosviluppo economico-sociale,
che ha colpito il territorio meridionale e regionale nelle sue aree meno
avvantaggiate dalla politica di espansione ed incremento produttivo, e
che si è poi ritradotto nella tendenza all’esodo delle forze lavorative
dell’età giovanile, e quindi, nel maggiore invecchiamento della popolazione.
La struttura per sesso della popolazione, correlata alle classi d’età,
evidenzia che, nel comune, durante il ‘70, i maschi, sul totale M + F
relativo ad ogni livello d’età, hanno la netta prevalenza nelle classi inferiori ai 25 anni; mentre le donne la registrano in quelle superiori. Inoltre, va sottolineato che, nella fascia 25-44 si produce il relativo incremento della componente maschile (1951=43,2%, 1961=48,0%,
1971=48,7%) mentre decresce il peso di quella femminile
(1951=56,8%, 1961=52,8%, 1971=51,3%), che rimane tuttavia predominante rispetto ai maschi.
I dati vengono ulteriormente confermati se raffrontiamo le diverse
voci con il totale della popolazione: i maschi, da meno di 6 anni ai 24,
costituiscono il 24,9%, contro il 23,1% delle donne.
Nella fascia d’età 25-44 i maschi sono 1’11,1% e le donne l’11,7%
del totale.
Nelle ultime classi, infine, i maschi sono il 13,3% e le donne il
15,8%. C’è da notare che nel 15,8% femminile un peso determinante è
svolto dalle residenti di oltre 65 anni, che sono il 6,2%. Valore che è
andato progressivamente aumentando, in quanto è passato dal 4,2%
del 1951 al 5,0% del 1961 al 6,2% del 1971.
Sintetizzando il quadro demografico di Monte Sant’Angelo, con
l’ausilio delle variazioni percentuali della popolazione secondo età e
sesso, (Tav. 16), si può meglio visualizzare la struttura qualitativa del
suo sistema sociale, nel corso del ventennio in esame.
96
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 16 —VARIAZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE PER CLASSI
D’ETÀ, E SESSO, ANNI 151-171
MASCHI
Anni
‘51/’61
‘61/’71
‘51/’71
Meno di 6
—12,0
—36,1
—43,8
6-13
—11,4
+ 7,7
+ 20,0
14-24
—34,0
—20,5
—47,5
‘51/’61
‘61/’71
‘51/’71
—11,4
—37,1
—44,3
+ 5,4
+ 3,2
— 8,8
—22,0
—22,6
—39,6
‘51/’61
‘61/’71
‘51/’71
—11,7
—36,7
—44,1
+ 8,4
+ 5,5
+ 14,4
—28,5
—21,6
—44,0
25-44
45-54
55-64
+ 18,8
+ 168,3
—34,3
—22,0
— 21,7
+ 0,3
— 7,3
+ 110,1
—34,1
Oltre 65 Totale
— 7,9 —
+ 11,6 — 14,3
+ 2,8 —
FEMMINE
— 2,1
—24,1
—25,7
+
8,2
— 16,8
— 9,9
— 7,8
+ 6,1
— 2,2
+ 15,6
+ 4,3
+ 20,6
—
—15,4
—19,3
+ 52,2
— 19,2
+22,9
—22,7
+ 3,3
—20,1
+ 4,2 —
+ 7,4 — 14,9
+ 12,0 — 18,6
TOTALE
+ 6,9
—23,1
—17,7
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
97
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Infatti, si nota che le flessioni più consistenti hanno riguardato essenzialmente la fascia dei giovani, con punte elevate di erosione della
classe meno di 6 anni, che ha visto una variazione di —44,1%, e di
quella dei 14-24, — 44,0% contro un incremento di quella dei 6-13
pari a + 14,4%.
La diminuzione è stata molto accentuata, se pensiamo che in provincia, la diminuzione, che pure si è avuta, è stata di — 18,8% (‘51’71) nella fascia inferiore ai 6 anni e di — 10,5% in quella dei 14-24
(Tav. 17).
TAV. 17— VARIAZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE
RESIDENTE IN PROVINCIA PER CLASSI D’ETÀ. 1951/1971
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
1951/1961
—12,3
+ 3,9
— 7,3
— 0,4
+ 14,9
+ 20,6
+ 15,7
+ 0,9
1961/1971
— 7,3
— 5,7
— 3.5
— 5,7
— 7,3
+ 18,1
+ 29,0
— 1,2
1951/1971
— 18,8
— 2,1
—10,5
— 6,1
+ 6,5
+ 42,4
+ 49,2
— 0,4
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
Invece il valore percentuale di flessione nel comune della classe
d’età inferiore a 6 anni si avvicina molto di più a quello dei paesi definiti di alto spopolamento, in quanto entrambi evidenziano comuni tendenze all’emigrazione di soggetti di età centrale. Emigrazione che si
riflette sulla diminuzione della nuzialità e, tramite questa, su quella
della natalità (ne è un sintomo la forte diminuzione della fascia inferiore ai 6 anni) determinando, di converso, l’invecchiamento della popolazione residente (Tav. 18).
Di fatti, la diminuzione registrata in queste zone è altamente consistente nelle fasce d’età giovanili, interessando tutte le classi d’età, da
quella inferiore ai 6 anni a quella dei 25-44, mentre l’aumento registrato nei residenti riguarda esclusivamente le classi d’età superiori
(tranne quella compresa tra i 45 e i 54 anni, che diminuisce
anch’essa), con maggiore accentuazione in quella oltre i 65 anni.
98
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 18 — VARIAZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONI RESIDENTE PER CLASSI D’ETÀ, 1951/1971
PAESI DI ALTO SPOPOLAMENTO
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
=
=
=
=
=
=
=
=
— 48,0
— 38,5
— 39,9
— 37,3
— 24,1
+ 11,7
+ 21,7
— 30,3
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
Rispetto a questi dati, la situazione di Monte, che pur è un paese di
alto spopolamento, è comunque più contenuta presentando un aumento di variazione nella fascia 6-13 pari a + 14,4 (‘51/’71) e una diminuzione in quella dei 55-64 (—20,1%); mentre l’aumento registrato nella
classe superiore ai 65 anni è più limitato rispetto a quello degli altri
paesi di spopolamento (+12,0% contro + 21,7%).
La diminuzione di variazione nel comune è stata mo lto più accentuata nella componente maschile che in quella femminile, soprattutto
nella fascia dei residenti tra i 14 e i 24 anni, — 47,5% contro —
39,6% delle femmine.
Nella fascia centrale, la flessione è stata forte se confrontata al dato provinciale, ma molto meno accentuata se confrontata con quello
dei comuni di alto spopolamento:
Comune:
25-44 = — 17,7% (1951/1971)
Provincia:
» = — 6,1%
»
Alto spop.:
»
= — 37,3%
»
Nella fascia superiore d’età, si ha un netto incremento delle classi
45-54 e oltre 65, e una diminuzione di variazione di quella tra i 55 e i
64 anni (come si è già detto).
L’aumento di queste due classi è stato considerevole, se si pensa
che, oltre queste, sul totale dei residenti di Monte è cresciuta solo la
classe tra i 6 e i 13 anni, mentre tutte le altre hanno registrato nel ventennio variazioni negative.
99
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Ne è derivato un processo di invecchiamento della popolazione
montanara, che si è progressivamente e lentamente consolidato; infatti, i residenti tra i 45 e i 54 anni hanno visto una variazione di +22,9%
e quelli oltre i 65 anni, una di +12,0%. In quest’ultima classe appare
preponderante il peso della componente femminile, +20,6% di variazione.
Evidenziando, quindi, le peculiarità di sviluppo qualitativo della
popolazione di Monte, si registra una tenuta e un incremento dal 1951
al 1971 di tutte le classi superiori, sul totale della popolazione:
45-54
: 1951 = 6,2%
55-64
: 1951 = 9,0%
65 e oltre: 1951 = 8,1%
1971 = 9,2%
1971 = 8,8%
1971 = 11,2%
Nelle classi inferiori si nota una tendenza alla contrazione che colpisce le classi:
Meno di 6: 1951 = 15,4%
14-24
: 1951 = 23,8%
1971 = 10,5%
1971 = 16,4%
mentre la classe 6-13 aumenta, passando da 15,0% a 21,1%, con maggiore incidenza del sesso maschile.
Infine, i residenti della fascia d’età centrale aumentano lievemente,
da 22,5% a 22,8%, con un peso più consistente da parte maschile.
La peculiarità di questo trend di sviluppo si sottolinea ulteriormente se si raffronta tale situazione con quella relativa ai paesi in fase di
espansione demografica e di popolamento; in cui si evidenzia un processo di incremento in tutte le classi d’età, anche se viene confermata
la tendenza, che è sia provinciale che regionale, alla crescita più forte
delle classi superiori d’età (Tav. 19).
Concludendo, non è un caso che il quadro sociale di Monte
Sant’Angelo, come anche dei comuni dell’entroterra montano e collinare, risulti più deteriorato sul piano della sua composizione sia quantitativa che qualitativa.
I guasti di una politica ormai trentennale di « sviluppo nel sotto-
100
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 19— VARIAZIONE PERCENTUALE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE
PER CLASSI D’ETÀ, 1951/1971
COMUNI IN ESPANSIONE DEMOGRAFICA
Meno di 6
6-13
14-24
25-44
45-54
55-64
Oltre 65
Totale
= + 5,6
=
+ 25,2
=
+ 18,0
=
+ 24,6
=
+ 39,0
=
+ 73,7
=
+ 81,4
=
+ 27,7
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
sviluppo » si sono profondamente radicati nella storia e nella realtà
della popolazione, che è stata coinvolta da questa distorta logica di
sviluppo, e che ha finito con il pagarne i grossi costi implicati.
Emigrazione, mancanza di lavoro, estese sacche di miseria, invecchiamento della popolazione con tendenza alla sua femminilizzazione,
questi ed altri sono le caratteristiche principali di sviluppo della storia
montanara, che vanno analizzate e affrontate urgentemente, se non si
vuole ulteriormente consolidare il cerchio di isolamento e marginalità
in cui è racchiuso Monte Sant’Angelo.
Nello studio sulla popolazione, analizzata attraverso la sua strutturazione qualitativa, un ruolo significativo è svolto dall’istruzione e dai
processi di scolarizzazione. La centralità del settore formativoscolastico si va a stabilire all’incrocio, contraddittorio, tra istruzione e
sviluppo, tra scolarizzazione e mercato del lavoro.
L’istruzione, cioè, diventa il luogo dove più ‘visivamente’ precipitano e si condensano le contraddizioni e gli squilibri di una realtà, che
si muove simultaneamente lungo i binari dello sviluppo e del sottosviluppo (entrambi implicati dalla logica capitalistica).
Ricostruire compiutamente le sue forme intrinseche di organizzazione e i suoi tempi/ritmi di espansione, significa coglierne la specificità, in relazione a processi di caratterizzazione demografica ed econo-
101
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
mico-occupazionale.
L’analisi della popolazione di Monte Sant’Angelo, secondo i titoli
di studio conseguiti, mostra che, nel periodo 1951-1971, il livello
dell’istruzione è andato aumentando progressivamente. Gli analfabeti
che, nel 1951, erano 6.516 unità, nel 1961 sono calati a 4.328, e a
2.297 nel 1971. La variazione registrata è stata pari a — 33,6% nel
1951/1961, a — 47,0% nel 1961/1971 e a — 64,7% nel 1951/1971.
Gli analfabeti si sono pertanto fortemente contratti, perdendo di
peso sul totale della popolazione residente in età scolare; peso che è
passato dal 34,1% nel 1951 al 14,3% nel 1971.
Tuttavia, c’è da precisare che il loro valore assoluto percentualmente è ancora molto alto, se si pensa che a livello provinciale, nel
1971, gli analfabeti rappresentavano il 10,3% della popolazione contro
il 9,8% regionale e il 5,2% nazionale. Il miglioramento intracomunale
è comunque evidente, anche se si è lontani da una situazione di effettivo ed omo geneo incremento della alfabetizzazione e in ritardo rispetto ai livelli guadagnati su scala provinciale e regionale. Il valore raggiunto dall’analfabetismo è più omogeneo con quello registrato nelle
zone di alto spopolamento, di montagna e di collina, che risultano aree
socialmente ed economicamente più affini:
Comune: 1971
Alto spop.
Montagna
Collina
=
=
=
=
14,3%
12,8%
12,8%
12,8%
Il livello di arretratezza quantitativa e qualitativa della struttura sociale delle aree più emarginate e isolate, diventa diretta funzione di un
indice di analfabetismo, ancora alto e in lenta trasformazione.
Il resto della popolazione in età scolare e alfabetizzata tende ad
aumentare, passando da 65,9% nel 1951 a 76,6% nel 1961 a 85,7% nel
1971.
Il dato più appariscente è appunto consistente nel miglioramento
del livello di alfabetizzazione, nel territorio comunale; tale miglioramento ha interessato tutti i titoli di studio, dalla licenza elementare alla
102
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
laurea, anche se con differenziazioni al suo interno.
La popolazione fornita di licenza elementare è senz’alcun dubbio,
una delle componenti più forti nella fascia scolarizzata, rappresentando nel 1971 il 30,9% del totale.
Altra componente consistente è quella degli alfabeti privi di titoli
di studio (tutti quelli che pur sapendo leggere e scrivere non hanno
conseguito neanche la licenza elementare che rappresentano
l’elemento prioritario, pari al 41,1% del totale. Tale fascia ha notato
un incremento considerevole, in quanto ha quasi raddoppiato i suoi
valori iniziali (1951 = 20,9%).
I residenti forniti di licenza media inferiore, che nel 1951 erano in
valori assoluti pari a 308 (1,6%), nel 1971 sono saliti a 1.203 (7,5%).
I diplomati sono anch’essi aumentati, passando dalle 282 unità del
1951 (1,5%) alle 744 unità del 1971 (4,6%).
I laureati, infine, che costituivano lo 0,4% del totale nel 1951 (85
unità), nel 1971 sono saliti all’1,6% (253 unità).
Come si vede un incremento delle diverse voci della istruzione si è
effettivamente prodotto nel territorio comu nale, tuttavia, marcate sono
le differenze con le altre aree provinciali; con la Tav. 24 è possibile
avere un quadro d’insieme più preciso dei livelli d’istruzione raggiunti
sul territorio.
Infatti, rispetto ai valori raggiunti nelle aree in espansione demografica della provincia, quelli di Monte Sant’Angelo e degli altri comuni soggetti a intenso spopolamento presentano delle particolarità.
1. una più alta incidenza dei titoli di studio inferiori;
2. una minore incidenza e consistenza di quelli superiori;
3. un livello di analfabetismo più elevato.
Di contro sia la provincia, che la regione, che le altre aree del foggiano in espansione demografica presentano:
1. maggiori valori nei settori alti dell’istruzione;
2. valori più contenuti in quelli bassi;
3. minore peso degli analfabeti.
103
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Tramite i raffronti con le altre aree del territorio si nota un peso più
elevato, nel comune, dei livelli d’istruzione medio-bassi, tuttavia
dall’analisi delle variazioni percentuali emerge che gl’incrementi più
forti sono stati conseguiti proprio dai settori medio-alti dell’istruzione.
TAV. 20 — POPOLAZIONE RESIDENTE NEL COMUNE PER SESSO E
TITOLO DI STUDIO, 1951
Titolo di studio
Maschi Femmine Totale M/F
Laurea
Diploma
Licenza media inf.
Licenza elementare
Totale
Alfabeti privi di titolo di studio
Totale complessivo
Analfabeti
75
166
214
4.062
4.517
1.969
6.486
2.808
10
116
94
3.879
4.099
2.027
6.126
3.708
85
282
308
7.941
8.616
3.996
12.612
6.516
Totale popolazione residente da
6 anni in poi
9.294
9.834
19.128
Fonte: ISTAT.
TAV. 21 — POPOLAZIONE RESIDENTE PER SESSO E TITOLO
DI STUDIO NEL COMUNE, 1961
Titolo di studio
Maschi Femmine Totale M/F
Laurea
Diploma
Licenza media inf.
Licenza elementare
Totale
Alfabeti privi di titolo di studio
Totale complessivo
Analfabeti
119
271
520
4.295
5.205
2.045
7.250
1.775
17
223
213
4.352
4.805
2.146
6.951
2.553
136
494
733
8.647
10.010
4.191
14.201
4.328
Totale popolazione residente da
6 anni in poi
9.025
9.504
18.529
Fonte: ISTAT.
104
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
TAV. 22 — POPOLAZIONE RESIDENTE PER SESSO E TITOLO
DI STUDIO NEL COMUNE, 1971
Titolo di studio
Maschi Femmine Totale M/F
Laurea
Diploma
Licenza media inf.
Licenza elementare
Totale
Alfabeti privi di titolodi studio
Totale complessivo
Analfabeti
180
400
810
2.584
3.974
2.917
6.891
957
73
344
403
2.363
3.183
3.663
6.846
1.340
Totale popolazione residente da
6 anni in poi
7.848
8.186
253
744
1.203
4.947
7.147
6.590
13.737
2.297
16.034
Fonte: ISTAT.
TAV. 23 — VALORI PERCENTUALI DELLA POPOLAZIONE
RESIDENTE NEL COMUNE DA 6 ANNI IN POI
PER GRADO D’ISTRUZIONE
Titolo di studio
Laurea
Diploma
Licenza media inf.
Licenza elementare
Alfabeti privi di titolo di studio
Totale alfabeti
Analfabeti
Totale popol. res. 6 anni in poi
1951
0,4
1,5
1,6
41,5
20,9
65,9
34,1
100,0
1961
0,7
2,7
4,0
46,7
22,6
76,6
23,3
100,0
1971
1,6
4,6
7,5
30,9
41,1
85,7
14,3
100,0
Fonte: ISTAT e nostre elaborazioni.
TAV. 24 - POPOLAZIONE RESIDENTE IN ETÀ DA 6 ANNI IN POI PER
GRADO D’ISTRUZIONE. VALORI PERCENTUALI NELL’ANNO 1971
Laurea Diploma
Aree di alto spopol.
0,9
Aree di espans. demog. 1,7
Comune
1,6
Provincia
1,3
Regione
1,5
4,3
7,7
4,6
6,1
6,1
Lic. Lic.Elem. Totale Analfabeti
media e alfabeti
inferiore privi tit.
8,4
11,6
7,5
10,0
11,4
73,6
70,5
71,8
72,3
71,2
87,2
91,5
85,7
89,7
90,2
12,8
8,5
14,3
10,3
9,8
Nostre elaborazioni su Fonte: ISTAT.
105
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
Incremento che senz’alcun dubbio è da collegare, in via prioritaria,
alla lenta ma inesorabile decadenza dell’apparati economicoproduttivo. Infatti, a ridosso della perdita di produttività/funzionalità
del settore agricolo, e a ridosso della irrisoria espansione delle restanti
attività extra-agricole, nel territorio comunale (come anche nazionale e
meridionale ne complesso) il settore scuola/università ha funzionato
sempre più come « aera di parcheggio » e come « strumento/tampone
», in grado di dilazionare e arginare nel tempo, il problema dello sbocco occupazionale. Funzione che si andava rigonfìare quanto più si evidenziava il carattere « labour saving », cioè risparmiatore di forza
lavoro, del sistema economico-produttivo e quanto più si accentuavano i processi di crisi e degenerazione complessiva del sistema economico
In un comune come Monte Sant’Angelo, che risulta colpito in pieno dalla destrutturazione economica e dalla disgregazione sociale, la
scuola, nelle sue fasce medio-alte, e l’università hanno svolto compiti
sostitutivi del mercato del lavoro, garantendo ai giovani forme di « attività » e di pro mozione sociale che non potevano essere altrimenti
soddisfatte. Inoltre la crescita di una scolarizzazione medio-alta di
massa assecondava il processo di terziarizzazione dell’economia meridionale, sfornando a getto continuo diplomati o laureati che avrebbero, nella migliore delle ipotesi, trovato un’occupazione nelle attività
terziarie e di servizio.
In questo processo d’indiscriminata crescita dell’istruzione, vengono coinvolti sia i maschi che le donne; anzi nel comune, le femmine
dotate di titolo di studio e alfabetizzate crescono con un ritmo superiore a quello maschile (1951 = 32,0%, 1971=42,6%, contro il 34,0% dei
maschi nel 1951 e il 43,1% nel 1971), ferma restando la predominanza
della componente maschile nei livelli di alfabetizzazione. Di fatti,
l’incidenza dell’analfabetismo è maggiormente consistente dal lato
delle donne, 58,3% contro il 41,7% dei maschi, nel 1971, come conseguenza implicita del maggiore processo di esclusione ed emarginazione della donna dai processi di sviluppo.
In sintesi, anche attraverso l’analisi del ruolo svolto dalla scuola e
della sua evoluzione nel contesto territoriale del comune, viene riconfermata la realtà di crisi endemica e strutturale di Monte Sant’Angelo,
106
___________________________________________IL SISTEMA DEMOGRAFICO DI MONTE SANT’ANGELO
che nella particolare configurazione del suo trend economicoproduttivo di sviluppo, trova il suo reale ed effettivo supporto causale.
Fare i conti con questa crisi, che in questa sede abbiamo analizzato dal
lato geografico-sociale, significa di conseguenza fare i conti con la
globalità del processo di sottosviluppo o sviluppo distorto che ha interessato così drammaticamente questo paese.
STELLA VITUCCI
107
FUNZIONI E CONTRADDIZIONI
DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
INTRODUZIONE
Più che mai urgente è tornato a porsi, nell’attuale fase economicopolitica, il dibattito sull’edilizia e come industria delle costruzioni e
come politica della casa.
Il quadro generale di riferimento nel quale esso va a collocarsi è
definito dalla necessità di dichiarare « lotta agli sprechi »: in nessun
settore, come sembra ormai unanimemente riconosciuto e da più parti
dimostrato, si è avuto uno spreco così spettacolare come nell’edilizia
residenziale, nella quale si sono riversate a suo tempo gran parte delle
risorse del « miracolo economico », con il risultato di produrre la più
grave crisi degli alloggi di tutta la storia italiana1 . Conseguenza questa
solo apparentemente paradossale a causa della presenza all’interno del
settore di una domanda segmentata a cui ha fatto tradizionalmente riscontro una offerta tendenzialmente omogenea2 .
1
STIME DEL DEFICIT DI ABITAZIONI, PER CIRCOSCRIZIONE, AL 1971
Stima SVIMEZ (A)
Stima CRESME (B)
Abitazioni
Stanze
Abitazioni
Stanze
Mezzogiorno
604.150
2.516.042
1.805.491
7.221.964
Centro-nord
357.569
1.369.152
2.470.030
9.880.120
Italia
961.719
3.885.194
4.275.521
17.102.084
Nota: In ambedue le stime sono state prese in considerazione le abitazioni improprie e le abitazioni con condizioni di affollamento superiori ad un determinato rapporto
limite tra numero dei componenti e numero di stanze.
I rapporti limite adottati nelle due stime sono i seguenti:
Numero di occupanti
123456789+
Numero di stanze (A)
122334456
(B)
234444444
Il rapporto (A) considera inadeguate le abitazioni che hanno 2 o più abitanti per
stanza.
Il rapporto (B) rappresenta lo standard medio nazionale assunto da CRESME, corrispondente al valore modale della distribuzione delle abitazioni per numero di stanze e
numero di occupanti (cfr. CRESME, Il deficit abitativo in Italia, a cura di G. Dandri,
Roma, 1978, pag. 49).
In ambedue le stime riportate sono state considerate riutilizzabili le abitazioni, rese
libere dagli occupanti in condizioni di sovraffollamento, per nuclei di occupanti di minori dimensioni, a loro volta in condizioni di sovraffollamento.
Ambedue le stime sono state effettuate sui dati regionali.
Fonte: Stime SVIMEZ e CRESME.
108
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMP RENDITORE EDILE
Quello che comunque sembra essere il dato più significativo e sul
quale a nostro avviso occorre riflettere, è il fatto che il dibattito diventa improvvisamente meno vivace e più irto di contraddizioni, se si
passa dalle dichiarazioni di principio e programmatiche agli sbocchi
concreti e alle applicazioni operative, sulle quali è difficile raggiungere sia pur provvisori consensi, come del resto dimostra ampiamente il
letargo di praticamente tutti i più recenti provvedimenti e proposte governative in tema di edilizia privata, sovvenzionata e agevolata.
Tra le analisi elaborate a questo proposito non appaiono del tutto
convincenti né quelle che ritrovano le cause del fallimento sistematico
di ogni tentativo di riforma solo all’interno della struttura e
dell’organizzazione produttiva del settore delle costruzioni3 , né quelle
che vedono la politica della casa come patologicamente distorta, dettata unicamente dalla miopia politica o dal prevalere di interessi parassitari e speculativi sull’interesse generale 4 , né quelle che, pur spingendo
più a fondo l’analisi, si fermano a rilevare le interconnessioni esistenti
tra indirizzi di politica economica generale e politica della casa5 .
L’ipotesi che tenteremo a questo proposito di problematizzare è
invece che le contraddizioni insite negli indirizzi della politica della
casa fin qui perseguiti, siano da ricondurre al ruolo « strategico » che
essa ha avuto all’interno della formazione sociale italiana, a livello economico, politico ed ideologico e che su questo snodo siano da rintracciare le ragioni dell’attuale insolubilità del problema.
La politica della casa in Italia è stata infatti uno strumento fondamentale dal dopoguerra sia nel controllo delle forze sociali del paese
che nella organizzazione del modello di sviluppo economico.
Tale strumento proprio per questo diviene difficile e pericoloso nel
momento che viviamo, in cui la dialettica delle forze sociali e produttive ha posto in evidenza l’esistenza di contraddizioni profonde nel
modello organizzativo della società.
2
Particolarmente interessante in tal senso è l’introduzione di F. INDOVINA in Lo
spreco edilizio, Marsilio, Padova, 1972, in cui l’autore analizza il settore dal punto di
vista dello « spreco » venutosi a creare tra risorse im piegate e benefici ottenuti.
3
Ci riferiamo ad esempio a CACCIARI e POTENZA, Il ciclo edilizio, Officina,
Roma, 1973.
4
Si veda RUFFOLO, Riforme e controriforme, Laterza, Bari 1975.
5
Si può fare riferimento a questo proposito al saggio di SECCHI, Il settore edilizio
e fondiario in un processo di sviluppo economico, in CERI (a cura di) CASA, Città e
struttura sociale, Ed. Riuniti, Roma, 1975.
109
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
Una corretta analisi del problema dell’abitazione va dunque secondo noi inserita nell’ambito del più complesso e generale ruolo che
lo Stato ha avuto in Italia dal dopoguerra ad oggi6 .
6
Ci rendiamo conto delle critiche cui può essere sottoposta una analisi che prende
le mosse da una concezione « monistica » ed antropomorfa di Stato e che riporta tutte le
contraddizioni a « piani segreti di lungo periodo »; per questo motivo riteniamo utile,
prima di affrontare l’analisi sul comportamento concreto dello Stato in una congiuntura
storica specifica, esplicitare le principali delle nostre coordinate teoriche.
Il nodo fondamentale intorno a cui si articola l’attuale dibattito sullo Stato è costituito dal dilemma tra una concezione di Stato come « cosa », vale a dire strumento o utensile passivo, manipolabile a piacere dalle classi dominanti, ed una di Stato come «
soggetto » vale a dire arbitro tecnico e neutrale, esterno alle contraddizioni, dotato di
una sua intrinseca volontà « razionalizzatrice ». All’interno di questo dibattito che vede
quindi contrapposte posizioni che a nostro avviso peccano entrambe per essere basate
sulla concezione di un rapporto di « esteriorità » tra Stato e classi, per cui in ultima analisi risultano essere più simili di quanto non possa sembrare (uno strumento possiede
una sua utilità tecnica e neutra e come tale può nello stesso tempo essere adoperato a
piacere da chi lo possiede), un contributo di estrema importanza ci viene in questo momento da talune proposte francesi, che, pur con varie sfumature al loro interno, si sono
mosse nella direzione di superare la visione di una concezione strumentale dello Stato.
Se è da queste condivisa una concezione di Stato come « rapporto », vale a dire
come risultante della lotta e delle contraddizioni di classe che al suo interno si condensano e si esprimono, rimane tuttavia aperto il problema dei « margini di autonomia » attribuibili all’azione dello Stato in tale contesto.
Particolarmente stimolante ci sembra a questo proposito il contributo di POULANTAS, (Classi sociali e capitalismo oggi, Etas Libri, Milano, 1975) il quale ha utilizzato
nell’analisi del ruolo dello Stato la categoria di « autonomia relativa ».
Secondo P.lo Stato è « il fattore di coesione dei livelli di una formazione sociale »
nonché « il fattore di coesione del suo equilibrio globale in quanto sistema ». Ciò equivale a dire che lo Stato pur rappresentando gli interessi della classe o frazione di classe
egemone, riveste una certa autonomia perché da un lato si fa carico del loro interesse
politico glo bale, dall’altro ne organizza l’egemonia nei confronti della formazione sociale nel suo complesso. Detto in altre parole l’autonomia relativa dello Stato sia rispetto alla contraddizione principale (borghesia - classe operaia) sia rispetto alle contraddizioni interne alla stessa borghesia, è necessaria per mantenere su tempi lunghi la struttura di dominio esistente.
Partendo da una tale concezione dello Stato è possibile leggere le strategie insite
nelle scelte di politica economica dello Stato in Italia, le cui contraddizioni interne altro
non sono se non il prodotto intrinseco al suo ruolo di fattore di coesione della formazione sociale.
Dunque, se da un lato è assolutamente indispensabile parlare di carattere di classe
dello Stato, insito nella selettività delle sue pratiche, tendenti sempre a difendere il capitale o dalla sua falsa coscienza o da una coscienza anticapitalistica, riteniamo difficile
una teoria in quanto tale cioè in quanto rappresentazione oggettivante di funzioni statali
e del loro riferimento a determinati interessi.
In questo senso particolarmente stimolante ci sembra la tesi di OFFE (Lo Stato nel
capitalismo maturo, Etas, 77) il quale afferma che i modelli di comportamento
dell’operare amministrativo, funzionali al mantenimento della formazione sociale complessiva, sono spiegabili con l’aiuto di regole selettive che guidano sulla opportunità o
inopportunità di affrontare temi, argomenti, problemi e interessi.
E’ chiaro che una simile impostazione va testata storicamente stabilendo un legame
dialettico tra dimensione economica e politica. Solo praticando questastrada in ultima
analisi è possibile pervenire ad una reale comprensione del ruolo dello Stato « regolatore di tensioni » e a comprendere perché, come cercheremo di dimostrare a proposito del
ruolo dello Stato nella politica della casa in Italia, non sia possibile parlare di gestione
dall’esterno delle contraddizioni che si producono spontaneamente, ma di una risposta
contraddittoria ai termini della contraddizione.
110
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
Facendo ciò muoveremo dalla ipotesi che sia possibile parlare di
un « problema dell’abitazione » in generale, riconducendolo al criterio
« funzionale » che lo Stato segue nei privilegiamenti e negli indirizzi
operativi rispetto ai fini di stabilità economica ed integrazione sociale;
vale a dire che l’apparato statale aggiudica di volta in volta la quota
maggiore di sostegno politico a gruppi o a settori che, in relazione a
determinate circostanze, riescono in maniera più efficace a contribuire
alla stabilità del sistema.
Se accettiamo lo schema utilizzato da Offe 7 che pone i bisogni sociali in uno schema concentrico di priorità in cui essi si collocano in
un punto tanto più vicino al centro, cioè al grado di urgenza, quanto
più il disattendere le relative necessità di intervento da parte dello Stato porrebbe in discussione uno o più presupposti fondamentali della
stabilità, è possibile praticare la seguente periodizzazione in tre fasi
dell’intervento dello Stato rispetto al bisogno-abitazione in Italia:
— nel periodo della ricostruzione il problema si pone al centro
dell’intervento statale per innescare meccanismi di controllo e di accumulazione;
— a partire dagli anni ‘60 il bisogno da periferico torna a diventare
centrale perché minaccia di provocare una crisi nel subsistema economico, riversando effetti negativi sui meccanismi di accumulazione;
— dopo il ‘69 il bisogno-abitazione si riavvicina al centro poiché
diventando per la prima volta oggetto di organizzazione e minaccia
una crisi nel subsistema di integrazione sociale, generando conflitti.
Nella lettura della politica della casa, in Italia è infatti particolarmente difficile sviluppare un’analisi unicamente nei termini
dell’esistenza di una classe egemone che ha diretto, al fine dei propri
interessi, un particolare tipo di sviluppo del settore, si può invece parlare di una « funzione », o meglio di più funzioni, spesso anche in apparente contrasto tra loro e temporalmente e territorialmente differenziate, che il settore ha svolto all’interno delle varie fasi di sviluppo economico politico e sociale: proprio in relazione a queste sue specifi-
7
OFFE, Op. Cit.
111
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
che funzioni, lo Stato ha favorito la nascita e il progressivo rafforzamento di quel coacervo di interessi diversi che costituisce il cosiddetto « blocco edilizio », le cui componenti sociali non a caso sono tenute insieme oltre che da interessi economici da legami di tipo sovrastrutturale e ideologico8 .
Solo dunque ricostruendo i nessi strutturali tra contesto sociopolitico e situazione economica è possibile da un lato rendere leggibile
la « coerenza » del ruolo dello Stato come « imprenditore edile »9 ,
ruolo che altrimenti sembrerebbe avere avuto come solo effetto sistematico quello di far aumentare anziché diminuire il fabbisogno edilizio reale del paese; dall’altro evidenziare l’insufficienza analitica di
alcuni tipi di lettura del problema di stampo prettamente economicistico sviluppati nell’ambito della sinistra.
Ci riferiamo in particolare a quelle analisi che, affrontando il bene
casa come un bene sottoposto unicamente ai meccanismi di mercato,
considerano il mercato edilizio quasi alla stregua dei posti di un teatro
in cui le priorità di accesso sono date unicamente dalle differenti capacità di domande dei soggetti, senza considerare quindi l’interferenza
del politico che interviene modificando, rispetto a quei fini di stabilità
economica e politica di cui abbiamo detto sopra, le chances di accesso
al bene-abitazione per individui e gruppi, indipendentemente dal loro
reddito monetario, provocando in tal modo un livello di nuova disparità « orizzontale » di origine politica.
Il fatto poi che nella realtà sia nella zona più bassa della scala del
reddito, che vadano a sommarsi gli effetti negativi della sperequazione
distribuitiva e quelli della nuova disparità di origine politica, (per cui,
come appare dimostrato10 , è ancora limitato il numero di famiglie con
8
E’ un blocco nel quale troviamo insieme « residui di nobiltà fondiaria e gruppi finanziari, imprenditori spericolati e colonnelli in pensione, proprietari di qualche appartamento, grandi professionisti ed impiegati statali incatenati al riscatto di una casa che
sta già deperendo, funzionari ed uomini polit ici corrotti, piccoli risparmiatori.., grandi
imprese e capimastri, cottimisti, ecc. » da VALENTINO PARLATO, in Lo spreco edilizio, op. cit.
9
Usando il termine di Stato imprenditore in senso lato intendiamo riferirci non solo
all’attività collegata ad im prese controllate direttamente dallo Stato o ad imprese che agiscono su commesse statali, ma al ruolo più generale dello Stato come amministratore
che regola con i mezzi della pianificazione globale la circolazione economica complessiva. Sotto questo aspet to rientrano nell’attività dello Stato « imprenditore edile » tutti i
provvedimenti destinati a regolare gli investimenti e la domanda globale, vale a dire la
concessione di crediti, le sovvenzioni, i prestiti, la regolamentazione fiscale nel campo
immobiliare, le regolamentazioni amministrative come l’equo canone, ecc.
10
Vedi a questo proposito, Tendenze della occupazione, anno III, n. 2. febbraio
1978, in cui sono analizzati i seguenti dati di una recente indagine della Banca d’Italia
sul titolo di godimento dell’abitazione per reddito, risparmio e ricchezza della famiglia:
112
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
un reddito annuo inferiore ai 7 milioni che gode di una abitazione in
proprietà) non autorizza a praticare scorciatoie analitiche che, perdendo di vista la complessità del problema, possono dimostrarsi fuorvianti
proprio ai fini di una strategia politica di classe.
(percentuali di composizione per riga)
Altro
Proprietà Riscatto Affitto titolo
Totale famiglie
Classi di reddito familiare annuo:
da 1 a 2 milioni
fino a 1 milione
da 2 a 3,5 milioni
da 3,5 a 5 milioni
da 5 a 7 milioni
oltre 7 milioni
46,3
2,2
46,1
5,4
45,1
26,7
41,8
44,2
46,9
62,7
1,5
1,6
1,9
2,4
2,6
1,7
46,9
53,3
50,3
49,2
44,9
33,6
6,5
18,4
5,4
4,2
5,6
2,0
Titolo di studio del capo famiglia:
laurea
media superiore
media inferiore
licenza elementare
alfabeta
analfabeta
55,0
40,2
36,5
48,7
50,3
55,5
1,2
1,8
3,2
2,6
1,1
2,0
40,2
53,6
56,3
42,8
40,8
35,7
3,6
4,4
4,0
6,9
7,3
6,8
Età del capo famiglia:
fino a 30 anni
da 31 a 40 anni
da 41 a 50 anni
da 51 a 65 anni
oltre 65 anni
21,4
36,8
52,8
52,4
52,7
0,4
2,5
2,8
2,5
1,5
68,8
55,2
41,8
40,6
37,4
9,4
5,5
2,6
4,5
8,4
Settore di attività del capo famiglia:
agricoltura
industria e artigianato
pubblica amministrazione
altre attività
74,4
39,3
41,1
44,0
—
2,5
3,3
1,7
16,8
54,5
49,9
49,8
8,8
3,7
5,7
4,5
Condizione professionale del capo famiglia:
imprenditore, professionista
58,3
dirigente
53,2
impiegato
38,9
salariato agricolo
50,4
salariato in altri settori
34,7
lavoratore autonomo in agricoltura
85,0
lavoratore autonomo in altri settori
56,4
persone in condizioni non professionali 50,0
—
—
2,8
—
3,0
—
1,5
1,9
35,9
45,2
54,3
39,3
56,2
6,7
40,4
41,4
5,8
1,6
4,0
10,3
6,1
8,3
1,7
6,7
Ampiezza dei comuni di residenza delle famiglie:
fino a 5.000 abitanti
65,3
da 5.000 a 20.000 abitanti
54,9
da 20.000 a 50.000 abitanti
46,1
da 50.000 a 200.000 abitanti
36,5
oltre 200.000 abitanti
25,8
2,1
1,4
2,1
3,9
2,0
24,7
36,9
46,2
55,2
70,0
7,9
6,8
5,6
4,4
2,2
Fonte: Banca d’Italia, Bollettino, gennaio-marzo 1977, p. 203.
113
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
IL PERIODO DELLA RICOSTRUZIONE (1948-55)
LE FUNZIONI DEL SETTORE EDILIZIO
RISPETTO AL NUOVO QUADRO ECONOMICO SOCIALE:
L’ESIGENZA DI COSTRUIRE A QUALUNQUE COSTO
La funzioni del settore edilizio vanno lette allora a partire da quelle
che sono le principali esigenze dello Stato nel dopo guerra: di stabilizzazione e di controllo sociale da un lato e d razionalizzazione e di sostegno all’accumulazione dall’altro 1 . L’esistenza di un settore industriale in rapido progresso comporta infatti da un lato la necessità di
gestire una gran quantità di forza lavoro eccedente, garantendo « la
pace sociale » e ammortizzando le tensioni, dall’altro la necessità sia
1
Prendiamo le mosse dal dopoguerra poiché è un dato ormai acquisito tanto da coloro che parlano per quegli anni di « scelte evitabili », tanto da quelli che vi hanno voluto vedere percorsi « obbligati », i vincoli chi avranno sul futuro le decisioni effettuate in
quegli anni ed in particolare gli strumenti ed i comportamenti attraverso i quali il maggiore partito a governo costruisce intorno alle scelte economiche di fondo la piattaforma
del consenso.
Con le elezioni del 1948 il sistema politico italiano assume una configurazione che
viene definita «a partito dominante ». La Dc infatti aveva ottenuto la maggioranza dei
seggi in Parlamento rendendo quindi inutile li formazione di un governo di coalizione.
La linea di tendenza di fondo del primo periodo che va dal ‘48 al ‘54 detto di « centrismo stabile » è data dall’obbiettivo di inserire l’industria italiana nei mercati internazionali e consolidare il patrimonio dei voti ottenuti, da un lato non sconvolgendo i rapporti egemonici tradizionali
dall’altro bloccando l’espansione delle sinistre nel mezzogiorno con delle riforme «
politiche» (Cassa, Riforma agraria). Ma è proprio in questa opera di controllo delle tensioni sociali che la Dc deve fare i conti con le proprie contraddizioni interne che determinano la sua « sconfitta » elettorale del 1953.
Vogliamo con ciò riferirci alla contraddizione insita tra volontà ci porsi come organizzazione politica portatrice di disegni progressisti e la composizione sociale del suo
elettorato, dei suoi iscritti e dei suoi quadri dirigenti, legati, soprattutto nel mezzogiorno, a tradizioni conservatrici e reazionarie. La contraddizione esplode non a caso subito
dopo la riforma agraria stralcio che aveva dimostrato che il partito non era in grado né
di accogliere la domanda di trasformazioni radicali che provenivano dal movimento
contadino né quella in senso opposto che proveniva dai ceti conservatori del mezzogiorno. La via d’uscita emerge col progetto fanfaniano del ‘54 che rappresenta una svolta di importanza fondamentale ai fini della comprensione del sistema politico italiano.
Fanfani propone di fare della DC « un moderno partito di massa », il che equivale a dire
non sacrificare né il programma avanzato né l’elettorato conservatore ma tentare di rafforzare ambedue allargando gli strumenti di intervento economico dello Stato. Ciò non
già in direzione di uno sviluppo equilibrato ma ai fini di distribuzioni di provvidenze
particolaristiche a vaste masse. In altre parole comincia ad innescarsi l’uso del sistema
delle incentivazioni economiche e delle compensazioni corporative che sfocerà in quella
che poi verrà definita « l’orgia della politica delle mance» ai fini del controllo del processo sociale e della aggregazione del consenso e che qualificherà la centralità del ruolo
di uno Stato sempre più « assistenziale. interventista ».
114
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di ottenere elevati saggi di accumulazione, che avrebbero consentito
elevati saggi di sviluppo aggregato, sia di sostenere artificiosamente la
domanda di beni di consumo durevoli. Tali funzioni, vengono affidate
alla pubblica amministrazione e, soprattutto, all’edilizia.
Il sostegno diretto e indiretto che viene dato in questa fase
all’edilizia, consente infatti di creare e riprodurre un blocco sociale,
intrecciato con vari livelli dell’articolazione di classe, con essenziali
funzioni economiche e politiche; nel contempo rende possibile la creazione di un esercito industriale di riserva controllato tramite
l’occupazione precaria e di sussistenza, facendo così diventare compatibile sviluppo economico e stabilità del mercato del lavoro.
Esemplare rispetto a questo primo periodo è tutta la vicenda del
così detto Piano Fanfani del 1949. Con la legge del 28-2-’49 n. 43
prorogata nel ‘55 per altri 7 anni, si istituisce il « Comitato di attuazione di un piano per incrementare l’occupazione operaia mediante la
costruzione di case per lavoratori
Oltre al suddetto comitato si istituisce la gestione INA-Casa sotto
la vigilanza del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. I
fondi necessari per il finanziamento degli alloggi sono reperiti con il
versamento di una quota da parte dei lavoratori sulle retribuzioni mensili, una quota da parte dei datori di lavoro, ed un contributo da parte
dello Stato. Gli alloggi che vengono così realizzati sono ceduti parte in
fitto, parte in proprietà e riscatto. Nel secondo settennio (56/62), viene
consentita la concessione di finanziamenti anche a cooperative edilizie
purché abbiano a disposizione l’area edificatoria necessaria. In tali
contenuti apparentemente tecnici del piano sono per la prima volta
presenti e vengono esemplarmente teorizzati tutti i fondamenti politici
sociali ed economici della « filosofia costruttrice ».
Il piano, che ipotizza l’occupazione di 70.000 operai, nasce innanzitutto per dare un contributo al riassorbimento della disoccupazione:
« Reputai utile — affermava infatti Fanfani —rivolgere il mio sguardo
alle costruzioni edilizie, visto che sono le più efficaci a fungere da volano nel sistema economico italiano. Mi sembrò che fosse tempo di
dare un concreto esempio di solidarietà nazionale, chiamando gli occupati a dare un contributo finanziario, benché minimo, per la dotazione di un Piano diretto ad assorbire al lavoro i disoccupati » 2 .
E’ dunque la promessa immediata di occupazione che fa accettare
anche alle sinistre 3 il principio ispiratore del Piano che, affrontando
per la prima volta il problema dell’edilizia, lo subordina all’obbiettivo
di introdurre un «ordine » nella struttura sociale del paese.
2
In Architettura e Cantiere, fasc. 12, Milano, 1957.
Solo il sindacalista F. Santi si domandò in parlamento se questa era per le sinistre
la strada da seguire per affrontare il problema dell’edilizia, ma la questione di principio
venne sommersa dalla esigenza immediata di occupazione. La sinistra fu allora paga di
fare abbassare la quota a carico dei lavoratori. In AMATO, Economia, politica ed istituzioni in Italia, il Mulino, 1976, p. 20.
3
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Tale immediata funzione politico sociale del Piano emerge altrettanto chiaramente in un documento INACASA del 1963: «... terzo anno del dopoguerra, quarto Ministero De Gasperi, nato dalla consultazione popolare del 18 aprile 1948: occorreva dare respiro con un lavoro effettivo alla disoccupazione ed alla pseudo occupazione che gravavano sulle industrie con un piano che introducesse un ordine nel
gioco delle forze economiche in un momento difficile in vista » 4 .
Appare quindi chiara la finalità del piano di disperdere la concentrazione presente in molte zone « depresse » del paese, offrendo « prospettive », indicazioni, e localizzazioni « forzate »per posti di lavoro
ed abitazioni a molti lavoratori5 . Non è certo un caso che queste prospettive ed indicazioni giochino un ruolo tutto subalterno, o comunque
funzionale, allo sviluppo delle industrie manifatturiere del nord. Le
realizzazioni INA-CASA, sia nel primo settennio che nel secondo,
vanno infatti a localizzarsi soprattutto nel centro nord (anche se il sud
presenta un indice di affollamento più elevato) facendo così funzionare i cantieri che vanno sorgendo alle periferie delle città come altrettanti centri di raccolta e di « filtraggio » per il mercato del lavoro
urbano-industriale della manodopera contadina proveniente dal meridione.
Il fine, neppure troppo recondito, di « regolazione» e controllo sociale che veniva assumendo il settore dell’edilizia, emerge anche da un
altro punto di vista, vale a dire dalla funzione politico-sociale che viene fatta assumere alla proprietà della casa. « L’assegnazione di case a
riscatto — affermava sempre Fanfani — non solo fa fare notevoli economie di spese di manutenzione e di amministrazione, ma influisce
moltissimo sulla psicologia morale e politica dell’assegnatario 6 ». I
concetti di psicologia morale e politica, a cui si fa riferimento, possono essere esemplarmente chiariti da quanto affermava il Ministro Luzzati già nel 1902, preparando il terreno alla prima legge sulle case popolari: « Noi abbiamo urgente bisogno di moltiplicare i piccoli proprietari di case e di terre e di consolidare quelli che esistono. Così soltanto si può salvare l’ordine sociale minacciato » 7 .
4
P.L.CERVELLATI, Rendita urbana e trasformazioni del territorio, in V. CASTRONOVO (a cura di), L’Italia Contemporanea, Einaudi, Torino, 1976, pag. 342.
5
Vedi a questo proposito P. L. CERVELLATI, op. cit.
6
In C. MELOGRANI, Le case in lotteria, in il Contemporaneo, n. 3, 1958.
7
In BORTOLOTTI, Storia della politica edilizia in Italia, ed. Riuniti, 1978.
116
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Questo « bisogno », così bene teorizzato dal ministro Luzzati, è alla base di quella « ideologia proprietaria » che sarà sempre tenacemente perseguita dall’intervento dello Stato, da un lato con la messa in
vendita sistematica degli alloggi popolari8 , dall’altro rendendo « conveniente » l’acquisto della casa con facilitazioni fiscali e creditizie.
Importante è la legge Tupini, quasi contestuale al piano Fanfani,
per capire come l’edilizia pubblica funzioni più per strati sociali appartenenti al ceto medio che non per gli strati popolari e ciò coerentemente alla linea politica generale della DC. A fronte della ipotesi di
farsi grande partito di massa, essa va sempre più rivolgendo le sue attenzioni ai ceti medi, dopo aver controllato i contadini con concessioni
di terre e con l’opera capillare della Chiesa e di organizzazioni come
la Coldiretti e dopo aver congelato la classe operaia all’opposizione; il
rafforzamento di un ceto medio ideologicamente e politicamente integrato diventa quindi un obiettivo politico della DC sempre più esplicitamente perseguito.
La legge Tupini diviene ben presto il polmone finanziario delle
cooperative pseudo popolari, in realtà sostegno finanziario dei consumi abitativi dei ceti medi, che grazie all’ « aiuto » dello Stato, si danno
dignitosissime case in proprietà nelle città. La forma cooperativistica
infatti, per sua natura non modifica in alcun modo il meccanismo di
mercato, ma agisce facilitando l’accesso alla casa, nella forma specifica della proprietà, privilegiando le cooperative a proprietà «divisa »,
per quelle categorie medio-borghesi, che vengono così bene individuate nella legge9 .
8
Al concludersi del programma Ina-Casa verranno posti in vendita tutti i 355.000
alloggi realizzati così come verrà successivamente stabilita (D.P.R. 16 gennaio 1959 n.
2) la cessione in proprietà degli alloggi degli Istituti per le case popolari.
9
Il testo unico delle disposizioni sull’edilizia popolare ed economica, approvato nel
1938, costituisce la normativa più importante in materia di cooperative edilizie. Queste
erano divise in due classi a seconda che i soci che le componevano appartenessero alle
categorie indicate nell’art. 91 (dipendenti delle due Camere dello Stato, impiegati civili
di ruolo dello Stato, personale militare e dei corpi armati dello Stato e della Pubblica Sicurezza, pensionati dello Stato godenti di assegno vitalizio, personale di ruolo in servizio o in pensione nelle Ferrovie dello Stato, pensionati dell’opera di Previdenza a favore
degli impiegati statali, e i loro superstiti non aventi diritto a pensione, il personale di
ruolo in pensione o in servizio dell’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato) e
nel secondo comma dell’art. 90 (membri delle due Camere del Parlamento; impiegati
addetti alle istituzioni create in virtù di legge ed aventi funzioni essenzialmente statali),
dall’altra a tutte le categorie di lavoratori. Mentre nel primo caso le cooperative avevano
diritto al contributo o al concorso dello Stato anche se costituite a proprietà divisa ed al
mutuo della Cassa Depositi e Prestiti, le rimanenti categorie erano ammesse al contributo e al concorso dello Stato solo se costituite a proprietà indivisa ed inalienabile, nonché
obbligate, in caso di scioglimento a cedere il patrimonio agli Istituti autonomi per le case popolari; non avevano inoltre alcun diritto al mutuo della Cassa Depositi e Prestiti.
Questa normativa si tradusse nella realtà in un eccezionale incremento delle sole cooperative a proprietà divisa tra i dipendenti dello Stato. Per una analisi completa del sistema
Cooperativo vedi P. D’ALFONSO, Il sistema cooperativo nel quadro della legge 865,
in Costruire ed Abitare, vol. III, Credito Fondiario, Roma, 1975.
117
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Essa si trasforma perciò in un formidabile strumento di controllo e
di integrazione politico-ideologico, regolando l’accesso al bene-casa
in base ad un privilegio di categoria ed allevando così una fucina di
piccoli speculatori immobiliari per i quali i profitti e le rendite sono
tanto maggiori quanto maggiori sono state le agevolazioni di cui hanno goduto.
Apparirà dunque chiaro come non è stato un caso che, mentre ci si
preoccupa di individuare in maniera scrupolosa le svariatissime corporazioni e categorie che possono usufruire dei benefici delle cooperative, e gli innumerevoli enti pubblici settoriali, a cui viene dato il compito di costruire case per i propri dipendenti o per particolari gruppi di
cittadini10 , (mettendo così in moto un meccanismo discriminatorio e
selettivo che agisce come potente mezzo di aggregazione e di consenso da parte di coloro che possono usufruire del « beneficio-casa »), si
tralascia, proprio perché questo meccanismo possa funzionare, di definire alcun criterio di edilizia popolare gratuita11 .
Perché il quadro sia completo, cioè si intenda a fondo in tutto il
suo significato a cosa si riferisce Fanfani quando afferma che « le costruzioni edilizie sono le più efficaci a fungere da volano nel sistema
economico italiano », è necessario che sia chiarita ancora la funzione
che è affidata al settore all’interno del processo di accumulazione.
La particolare struttura, che non richiede impianti costosi, materiali di importazione, né imprenditori particolarmente esperti e manodopera particolarmente qualificata, lo rende adatto a « mettere in moto »
proprio come un volano, il processo di sviluppo economico, fungendo
da pompa finanziaria per il settore industriale-avanzato.
10
Ne citiamo solo alcuni a titolo di esempio, tra quelli sanciti nella legge Tupini:
ist. di previdenza giornalisti, ist. per le case ai maestri, ist. postelegrafonici, ist. per le
case ad invalidi di servizio, ist. per le case alle famiglie dei caduti di guerra, ente edilizio per invalidi e mutilati di guerra; e tra quelli che costruiscono case per i propri dipendenti: Cassa per il Mezzogiorno, I.N.A.I.L., I.N.P.S., I.N.A.M., Opera invalidi di guerra,
Opera orfani di guerra, ecc.
11
Esistono a questo proposito solo «leggine» eccezionali e provvisorie vale a dire
quella per i Sassi di Matera (legge 17 maggio 1952 n. 619) e la legge per la città di Napoli (legge 28 marzo 1952 n. 200), oltre alla più nota legge Romita del 1954 (legge n.
640) per l’eliminazione delle abitazioni malsane) che prevedeva alloggi a totale carico
dello Stato ma entro i limiti di uno stanziamento anzicché di programma.
118
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L’obiettivo di incentivare il settore edilizio, rendendo remunerativo l’investimento, aiuta a comprendere la funzione di sostegno e di incentivazione che gli interventi pubblici esercitano rispetto alla espansione privata12 .
In tutta Italia i quartieri popolari realizzati con il Piano Fanfani
(ma potremmo aggiungere, tutti i quartieri popolari realizzati anche
successivamente) agiscono come punto di riferimento per la speculazione edilizio-immobiliare; il meccanismo che opera a questo proposito è semplicissimo. Basta localizzare gli interventi in posizione periferica e marginale rispetto a territorio comunale: urbanizzando i nuovi
quartieri si urbanizzeranno tutte le aree comprese tra questi e la città,
accorciando così i tempi per la trasformazione del terreno da agricolo
in area edificabile facendone lievitare il prezzo e facendo grazie agli
imprenditori di qualsiasi costo esterno alla produzione del
l’immobile 13 .
Perché il processo si metta in moto, viene sistematicamente trascurata l’applicazione della legge urbanistica del 194214 che pur con i
suoi limiti, avrebbe permesso di controllare l’espansione urbana e di
svolgere un’azione calmieratrice sul prezzo delle aree.
Alla luce di quanto siamo venuti sin qui dicendo risulterà chiaro
come l’intervento dello Stato in tutto questo primo periodo, essendo
finalizzato alle più ampie funzioni che il settore edilizio è chiamato a
12
Ricordiamo a questo proposito il ruolo non secondario che è da attribuire alla politica di opere pubbliche realizzata dallo Stato che agisce incentivando la nascita di imprese e costruttori edili spesso « improvvisati », la cui attività, nata a ridosso dei lavori
pubblici sarà nella maggior parte dei casi destinata ad essere alimentata dalla tumultuosa domanda di case che avrà luogo negli anni successivi.
13
La collocazione periferica degli interventi statali ci induce ad uni ulteriore riflessione: Lo Stato come capitalista « promozionale» osservi perfettamente le regole del
gioco adattando da un lato i prezzi di realizzo alla clientela, dall’altro l’immobile prodotto alla divisione sociale dello spazio. Vedi a questo proposito A. LIPIETZ, La rendita fondiaria nella città Feltrinelli, 1977.
14
La legge prevede la possibilità da parte dei Comuni di redigere piani regolatori,
cioè programmi urbanistici concernenti lo sviluppo del territorio. I piani, facoltativi
tranne che per i comuni compresi in un elenco pubblicato dal Ministero dei Lavori Pubblici, contengono anche le indicazioni delle aree riservate alle infrastrutture pubbliche,
da trasferire alle pubbliche amministrazioni mediante l’esproprio, con indennizzo al valore venale dell’immobile. La legge è stata completamente trascurata: basti questo proposito pensare che risale solo al 1954 l’approvazione del primo elenco di Comuni tenuti
a dotarsi di Piano Regolatore; per i comuni maggiori, che indiscutibilmente avevano bisogno del piano, le procedure d approvazione, estremamente complesse che culminavano con un decreto del Presidente della Repubblica, duravano diversi anni. Milano, ad
esempio si vide approvare il piano del 1948 solo nel 1953. Per una analisi dettagliate
della legge e dei limiti in essa insiti, vedi STEFANELLI, La questione delle abitazioni
in Italia, Sansoni, Firenze, 1976.
119
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svolgere nello ambito del processo di ripresa economica e di controllo
sociale del paese, si riduce nella sostanza ad uno « sconto » praticato a
determinate categorie di cittadini: da un lato a coloro ai quali si facilita
l’accesso alla proprietà della casa, e dall’altro, nella misura in cui il
contributo statale attiva il mercato privato, anche a quelle altre categorie « privilegiate » (grandi e piccoli proprietari di fondi « urbani »,
improvvisati costruttori edili, banche, amministratori, piccoli e grandi
commercianti) vale a dire a tutti quei gruppi che si lanciano nel campo
della speculazione edilizio-immobiliare e che. riescono in questa fase
a concrescere, grazie ai margini di appropriazione di risorse che sono
sufficienti per tutti.
Restano completamente fuori dall’azione dello Stato da un lato la
struttura dell’offerta reale, in un settore destinato a diventare sempre
più « privatizzato »15 e quindi sempre più teso a considerare la casa
non come bisogno da soddisfare, ma merce, vale a dire strumento per
la realizzazione di plusvalore, dall’altro l’intero quadro riguardante la
formazione dei costi, destinato, come vedremo, a subire aumenti a valanga in un mercato reso dinamico da fattori generali di mutamento
che investiranno l’Italia dopo la metà degli anni ‘50.
Il germogliare ed il moltiplicarsi di grandi e piccole sacche di rendita e di gruppi di interesse fondati su di esse è lasciato avanzare con
un atteggiamento permissivo ed omissivo ad un tempo, in vista dei
benefici economici e del consenso politico, correlato al potere clientelare. che ne possono derivare.
« Qualunque intervento sul funzionamento complessivo
dell’urbano — scrive Fabbri — avrebbe inciso sulla rendita fondiaria
ed il capitale italiano ne aveva troppo bisogno, come strumento generale di accumulazione, di integrazione sociale, di coinvolgimento in
un blocco unitario di piccoli e grandi proprietari, di piccole, grandi e
medie imprese, di allargamento del consenso e di meccanismo di selezione, alzando il prezzo e la desiderabilità del bene casa e di tutti i
modelli di consumo che ne discendevano » 16 .
15
Dopo aver svolto una funzione di supplenza e di messa in moto di meccanismi
volti a garantire la redditività del settore, l’incidenza degli investimenti pubblici nel settore delle abitazioni diminuirà vorticosamente passando dal 25,3% nel 1951 al 15% nel
1954 a solo il 6% nel 1962 sul totale degli investimenti del settore.
16
M. FABBRI, Le ideologie degli urbanisti nel dopoguerra, De Donato, Bari 1975.
120
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IL PERIODO DELLE MIGRAZIONI (1955-63)
DALLA STRATEGIA DELLO «SPONTANEISMO LIBERISTICO»
ALLA POLITICA DELLE RIFORME
Se alla base dell’attività edilizia per tutto il primo periodo vi è una
consistente domanda di abitazioni, dovuta alla obiettiva scarsità di alloggi provocata dalla stasi dell’attività edilizia ne periodo prebellico e
bellico ed alle distruzioni della guerra 1 , successivamente, negli anni
della fase espansiva dell’economia, soprattutto il gigantesco movimento migratorio che agisce operando una espansione vorticosa della
domanda di case: sono infatti all’incirca 12 milioni i cambiamenti di
residenza registrai tra il 1951 ed il 1960, e ciò in relazione al fatto che,
secondo stime effettuate dallo SVIMEZ, solo 1/5 dei posti di lavoro
extragricolo creati nel periodo 1950-62 nelle regioni nord occidentali
del paese viene coperto dall’incremento naturale delle forze di lavoro
locali; per i restanti 4/5 si ricorre a manodopera immigrata2 .
Il fenomeno della concentrazione urbana ha un duplice effetto: da
un lato in presenza di un’offerta inadeguata nelle are di immigrazione
produce un vorticoso aumento della domandi di suoli agricoli fabbricabili, del loro prezzo, dei costi e conseguentemente dei prezzi di mercato delle abitazioni e dei canoni di affitto; dall’altro, provocando nelle aree di emigrazione l’usciti di servizio, in certi casi la distruzione,
di milioni di vecchie abitazioni, mette in moto un forte processo di redistribuzioni dei redditi. Mentre l’abitazione del borgo in via
d’abbandono un capitale che si distrugge, i proprietari di queste abitazioni affluendo ad alimentare la domanda nelle aree di concentrazione
urbana, diventano a loro volta i contribuenti3 degli operatori del settore
edilizio immobiliare delle zone in espansione .
Sono anche altri i fattori che agiscono simultaneamente in questa
fase da propulsori dello sviluppo edilizio, rendendo i settore « appetibile » per le imprese private4 .
1
Si calcola che alla fine del conflitto più di 45 milioni di persone erano alloggiate
in poco meno di 36 milioni di stanze.
2
Per una analisi del fenomeno della mobilità settoriale e territoriali in Italia negli
anni 50-60, cfr. E. PERSICHELLA, L’obbligo del diploma, De Donato, 1978.
3
Per quello che riguarda il fenomeno dell’aumento del prezzo delle aree possiamo
esaminare in proposito il caso di Milano; secondo l’ILSES tra il ‘56 ed il ‘62 il valore
del patrimonio fondiario è passato per Milano città da 3.844 miliardi a 9.745, per le zone periferiche da 905 a 3.396, per le zone « esterne » da 1.468 a 3.523, per l’hinterland
da 1.192 a 4.655. Il valore delle aree residenziali a Milano (pari a 9.745 miliardi) nel
1962 è maggiori di tutte le società quotate in borsa (pari a 8.754 miliardi).
In F. SULLO, Lo scandalo urbanistico, Vallecchi Editore, Firenze 1964.
4
Il rendimento netto degli investimenti nell’industria edile è eccezionalmente alto;
esso può arrivare, per una ventina di anni dal dopoguerra, al 15%, ma secondo altre stime, addirittura al 35%, dei capitali investiti.
In BORTOLOTTI, op. cit.
121
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Innanzitutto l’aumento del benessere ed il relativo aumento di «
surplus del consumatore »5 , che da un lato fa accrescere il livello delle
spese voluttuarie delle classi possidenti (domanda di case di lusso) e
dall’altro fa aumentare il livello di consumo dei ceti medi, « figli del
miracolo »6 ; inoltre l’esistenza di un’organizzazione del lavoro incentrata su bassissimi salari7 che fa crescere a dismisura il numero delle
piccole imprese marginali8 .
Il settore edilizio, espandendosi a massima velocità il pro. cesso
innescato negli anni precedenti, assume dunque sempre più una funzione « centrale » all’interno del funzionamento complessivo del sistema: se da un lato assorbe forza lavoro « debole »9 e crea enormi
redditi di natura speculativa, che, venendo in gran parte trasferiti nel
settore industriale, contribuiscono al finanziamento degli investimenti
produttivi10 , dall’altro, effetto questo non meno fondamentale nel
meccanismo di sviluppo, raf- forza quella « classe » di speculatoricostruttori edili destinati a diventare sempre più la forza politica sul
cui consenso fanno affidamento i partiti dominanti. Ciò è soprattutto
vero per i centri urbani del Mezzogiorno, dove l’attività edilizia è
quella dominante ed i costruttori e gli speculatori edili rappresentano
l’unica figura di imprenditore che abbia peso nella scena politica, ed,
insieme con i burocrati, costituiscono la base dei nuovi equilibri sociali del sud11 .
5
Per il concetto di « surplus del consumatore », inteso come differenza tra quanto il
consumatore paga per un bene e quanto sarebbe disposto a pagare in più pur di non doverne fare a meno, vedi D. HARVEY, Giustizia sociale e città, vol. II, Feltrinelli 1978.
6
Questi ceti pur esprimendo una domanda di abitazioni in proprietà o come bene di
investimento producono un aumento complessivo dei prezzi dell’abitazione per effetto
dell’aumento globale della domanda, HARVEY, op. cit.
7
Basti pensare a questo proposit o che le retribuzioni nell’edilizia nel decennio
‘51/’61 aumentano del tasso medio annuo del 4,5% e che le retribuzioni giornaliere erano nel 1961 di 1.707 lire contro le 1.842 lire in media nel complesso dell’industria. Vedi, Il ciclo edilizio, op. cit., pag. 30.
8
Vedi dati ISFOL, Osservatorio n. 13, gennaio 1977.
E’ inutile a questo proposito osservare che saranno proprio queste piccole imprese
le prime ad entrare in crisi in relazione all’aumento retributivo, pari circa al 22%, che si
registrerà a partire dal 1962.
9
Per un quadro complessivo dell’occupazione nel settore, diversificata per ambiti
territoriali, vedi, Tendenze della occupazione, anno III, nr. 2, febbraio 1978.
10
Per il rapporto che si instaura in generale tra rendita e profitto vedi, SECCHI, op.
cit.; per l’analisi di come questo meccanismo agisce in un caso concreto, vedi AMENDOLA, La comunità illusoria, Mazzotta, Milano, 1976.
11
L’equilibrio asimmetrico creatosi in quegli anni e che vede al Nord instaurarsi la
leadership del capitalismo industriale e nel Sud quella dei burocrati e degli speculatori,
genera come conseguenza immediata il bisogno di evitare o perlomeno controllare lo
sviluppo industriale del Sud. Non a caso nel dibattito che fa seguito al piano Vanoni
prevale, sulla linea politica che prevede la formulazione di piani regionali di distribuzioni delle attività industriali, la concezione dello «sviluppo per poli» che nella pratica
fa sì che gli investimenti industriali siano iniziative isolate, tal da non mettere in moto
processi di ricomposizione sociale. Per verificano la complementarietà esterna tra nuova
grande industria dei poli ed il blocco edilizio, cfr. la ricerca Arpes, Progetto Taranto,
Roma 1971.
122
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Valore emblematico rispetto a quanto siamo andati sin qui dicendo, risulta perciò avere lo « schema di sviluppo dell’occupazione e del
reddito in Italia nel decennio 1955-64 », più conosciuto come piano
Vanoni, presentato al Governo nel dicembre 1954.
Il Piano, peraltro mai approvato ufficialmente, segna una tappa significativa in quanto per la prima volta in esso l’attività edilizia viene
assunta, a livello programmatorio generale, come elemento regolatore
del processo di sviluppo nazionale.
Il Piano fissa come obiettivo principale da raggiungere ne decennio la creazione di 4 milioni di nuovi posti di lavoro finalizzati al triplice obiettivo:
a) mantenere un saggio di incremento del reddito nazionale del 5%
annuo;
b) creare posti di lavoro addizionali fuori dell’agricoltura ;
c) aumentare l’efficienza e la concorrenzialità del sistema produttivo italiano.
Gli strumenti per raggiungere questi obiettivi sono scelti seguendo
il criterio « di individuare i settori di intervento propulsivi che possono essere più rapidamente e compiutamente influenzati dall’intervento
dello Stato ».
Tra questi settori « propulsivi », viene ad assumere un ruolo di
primo piano l’attività edilizia quale elemento regolatore per la manovra sul sistema produttivo e sul mercato di lavoro, in una visione meno parziale e settoriale, ma sostanzialmente identica, a quella del piano Fanfani.
In particolare nei confronti dell’edilizia per abitazioni, si legge nel
piano: « l’azione dello Stato è mossa fino ad un certo livello da gravi
esigenze sociali che occorre in ogni modo soddisfare; oltre tale livello
il programma edilizio può essere concepito come un eventuale stimolo
ulteriore al processo di espansione della domanda... Si può quindi
immaginare che la produzione di quel particolare bene di consumo costituito dalla abitazione, debba essere adeguato nel corso del processo
di sviluppo a quello che sarà l’effettivo andamento della domanda; più
precisamente la politica del settore edilizio dovrà promuovere e contenere gli investimenti nel settore delle costruzioni nella misura in cui la
domanda dei beni di consumo diversi dall’abitazione sia rispettivamente insufficiente o eccessiva in relazioni al processo di espansione
possibile ».
123
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Come appare chiaro, ancora una volta il problema della struttura
della offerta, cioè del possibile adeguamento di essa « anche » verso
particolari tipi di domande, non si pone neppure tra le righe12 , lasciando passare il carattere sempre più contradditorio che viene assumendo
lo sviluppo dell’edilizia, segnato da una espansione delle costruzioni a
cui fa riscontro uno scarsissimo soddisfacimento del bisognoabitazione espresso dagli strati meno abbienti13 .
12
Ci riferiamo alla discrasia sempre più accentuata tra offerta, domanda e fabbisogno: di fronte ad una domanda sempre più differenziati che va dalla domanda di case in
proprietà per uso proprio, ad una domande di case in affitto differenziata in base al livello di reddito, da una domandi improcrastinabile connessa ai movimenti migratori ad una
domanda legata al desiderio di migliorare la propria condizione abitativa, per arrivare
infine ad una domanda connessa all’investimento a scopo speculativo (domanda
quest’ultima destinata ad aumentare in relazione alla strutture stessa che veniva assumendo il mercato, che rendeva sicuro l’investimento casa garantendone l’incremento di
valore nel tempo), il mercato è teso sempre più omogeneamente a soddisfare solo un
segmento di essa, cioè quello tendente all’acquisto di una casa con caratteristiche medio
alte che è la più adatta a pagare i costi, la rendita e il profitto (Vedi, F. INDOVINA, op.
cit.).
Nel 1961 ben 31 milioni di vani risulteranno non occupati, indice questo (destinato
ad aumentare nel tempo) di riflusso della domanda. (Vedi R Ricci, Stock di abitazioni,
nuove costruzioni e fabbisogno futuro, Costruire ed Abitare, vol. I, Credito Fondiario
Roma 1973).
Motivi della non occupazione degli alloggi nel 1971 e ‘61. (dati ISTAT)
ANNO
abitazioni disponibili
per la rendita e l’affitto
abitazioni in restauro o
in riparazione
abitazioni secondarie
per vacanze
abitazioni non occupate
per altri motivi
TOTALE
13
1971
1961
1971
1961
1971
1961
1971
1961
1971
1961
numero
abitazioni
664.829
593.462
135.010
41.001
1.123.938
411.220
208.768
136.366
2.132.545
1.182.049
% sul totale
delle abitaz.
esistenti
3,80%
4,17%
0,77%
0,29%
6,44%
2,89%
1,19%
0,96%
12,20%
8,32%
Non è difficile intendere il ruolo che assumono in questo sistema di crescita della
città, le borgate abusive che dal dopoguerra si sostituiscono alle borgate ufficiali e diventano sempre più numerose essendo il prodotto diretto di quella « disgregazione urbana » causata dalla stretegia della speculazione edilizia. Vedi F. FERRAROTTI, Roma
da capitale a periferia, Bari Laterza, 1971.
124
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
Il problema di risolvere « le gravi esigenze sociali » non viene
dunque nella realtà affrontato14 mentre ci si preoccupa di sostenere il
processo di espansione dell’attività edilizia privata come fonte di profitto, strumento di accumulazione, crescita del blocco di potere urbano 15 .
Il « boom » edilizio avrà il suo culmine nel 1962 con la nazionalizzazione delle imprese produttrici di energia elettrica che darà la
possibilità ai privati di investire circa 200 miliardi di indennizzi, gran
parte dei quali affluirà nel settore edilizio immobiliare 16 .
Entrano nel settore le grandi finanziarie, le banche, gli istituti assicurativi e previdenziali rendendo così più intricato quel « blocco edilizio », divenuto ormai vero e proprio blocco di potere, dal quale sarebbero venuti i colpi più gravi a quelle istanze riformatrici che dagli anni
‘60 cominciano ad emergere in seno alla stessa sinistra democristiana17 .
14
Come scrive Fabbri (op. cit.) « La grande invenzione burocratica dell’epoca furono i quartieri CEP, grandi agglomerati satelliti che vivevano isolati dalla città; non più
quartieri popolari come strumento di filtro e mediazione interclassista, ma la « segregazione pianificata » che continua ad agire da acceleratore per l’espansione della rendita
fondiaria, con meccanismi e strutture anche di potere già consolidate con la creazione
dei quartieri INA-CASA, e la valorizzazione speculativa dei quartieri intermedi ».
Quella che prevale ancora una volta è in una parola la « politica del tornaconto economico », che così lucidamente viene espressa dal ministro Togni nel 1959 in occasione
della sua replica sul Bilancio dei Lavori Pubblici: « I1 settore dell’edilizia per abitazioni
è e resta un campo di azione prevalentemente privato, nel quale lo sforzo dello Stato e
l’intervento della collettività non possono che assumere aspetti di stimolo e di incoraggiamento all’attività privata, laddove il confine del tornaconto economico non debba
essere valicato da considerazioni di prevalente carattere sociale ».
15
Alcuni dati che diano un’idea del gigantesco meccanismo del settore registratosi
in quegli anni: nonostante si ipotizzi nel piano la costruzione di 15 milioni di vani, i vani realizzati nel decennio superano i 19 milioni; gli investimenti in abitazioni in relazione al reddito nazionale lordo passano dal 3,3% al 5,7% la produzione edilizia nel suo
complesso si sviluppa ad un tasso medio annuo del 12,1% circa nel decennio 51/61
mentre l’industria nel suo complesso si sviluppa ad un tasso medio annuo di 8,2% (P.
CACCIARI, S. POTENZA, op. Cit.).
In questo quadro generale e difficile sottrarsi all’impressione di una manovra del
settore subordinata all’andamento ed agli interessi del settore privato. In effetti appena
sale il numero dei vani realizzati dall’edilizia privata, cala sensibilmente quello
dell’edilizia pubblica, quali che siano i programmi.
16
Per una analisi delle vicende che portano alla particolare forma di esproprio adottata e del dibattito teorico e politico che ne era alla base circa l’opportunità di sacrificare
il diritto di proprietà o il diritto di iniziativa privata, vedi F. FORTE, La nazionalizzazione dell’industria elettrica, in A. GRAZIANI, L’Economia italiana: 1945-70, Il Mulino, 1972.
17
Secondo una recente indagine affidata dal Ministero dei lavori pubblici al Cresme
e al Censis, i cui risultati sono stati resi noti nel giugno 1977, la struttura delle proprietà
delle abitazioni in affitto (che costituiscono il 44,9% delle abitazioni occupate) appare
così costituita:
6% posseduto da Società immobiliari ed istituti di previdenza ed assicurazioni;
94% detenuto dai privati, di cui:
il 65% appartiene a piccoli proprietari (con meno di 6 alloggi);
il 20% appartiene ai medi proprietari (6-20 alloggi);
il 9% appartiene ai grandi proprietari (oltre 20 alloggi).
125
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
E’ infatti durante il governo Fanfani del 1962-’63 che si evidenziano alcune significative anticipazioni delle contraddizioni e delle
sconfitte che il centro sinistra e la sua politica delle riforme avrebbero
dovuto subire.
Sono questi gli anni della prima proposta che tenta di risolvere alla
radice il problema della rendita fondiaria urbana: ci riferiamo alla proposta di Fiorentino Sullo, ministro dei Lavori Pubblici dal gennaio
1962. Il disegno di legge è costruito su basi completamente nuove e
originali; in sintesi modifica profondamente il regime proprietario delle aree: di proprietà privata resta solo una parte delle aree edificate, le
altre edificate o edificabili, passano gradualmente in mano ai Comuni
che cedono ai privati il diritto di superficie per le utilizzazioni previste
dai piani Regolatori.
Il 14 luglio 1962 la Presidenza del Consiglio dei ministri afferma di
condividere in linea di massima i criteri informatori della nuova disciplina, e muove solo alcune osservazioni di natura tecnica, tuttavia decide di chiedere il parere del CNEL e rinvia perciò l’esame del provvedimento. Improvvisamente nell’aprile del 1963 (le elezioni sono fissate per il 28 aprile) si scatena quello che verrà poi definito « lo scandalo urbanistico »: una furibonda campagna di stampa condotta in
primo luogo dal quotidiano romano il Tempo, contro il ministro, accusato di « voler togliere la casa agli italiani ».
Con una « dolorosa nota » il 13 aprile il quotidiano Il Popolo annuncia che la DC dissocia la propria responsabilità dall’operato del
ministro. « Se i lavoratori non erano sufficientemente mobilitati a favore della legge — commenterà Sullo — la mobilitazione dei proprietari di case e di aree era invece massiccia ».
Sullo viene intanto sostituito dal socialista Pierracini nel primo governo di centro sinistra; negli accordi interpartitici che precedono la
formazione del governo Moro, è accordato che la riforma urbanistica
avrebbe assicurato « la preminenza dell’interesse pubblico ».
126
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
IL PERIODO DELLE LOTTE SINDACALI (1963-69)
L’ABITAZIONE DA SETTORE DI INVESTIMENTO PRIVATO
A SETTORE DI IMPIEGO SOCIALE DEL REDDITO
Un fatto di estrema importanza si profila sull’orizzonte politico italiano all’inizio degli anni ‘60, mettendo a repentaglio gli equilibri che
si sono precedentemente creati: il sindacato comincia a porsi sulla
scena economica come forza autonoma contrapposta agli imp renditori.
Tra il ‘59 e il ‘61 si verificano i primi scioperi di contenuto economico
e, con gli scioperi per i rinnovi contrattuali del ‘62-’63, per la prima
volta dal dopoguerra, l’aumento salariale è più elevato dell’aumento
della produttività del lavoro; ciò pone fine a quello che era stato il
principale vantaggio delle industrie esportatrici sui mercati internazionali, erode i margini di profitto delle industrie arretrate, crea un
immediato sbilancio dei conti con l’estero sul versante agricoloalimentare.
In questa situazione di fine del « boom economico », si mettono in
moto processi di razionalizzazione basati su un controllo dei valori
monetari in corrispondenza di un aumento di produttività: in cambio
di ciò il sistema offre la possibilità (destinata però a rivelarsi illusoria)
di aumentare i salari reali con una politica di riforme che viene garantita dalla nuova formula di governo del centro-sinistra.
La strategia del Piano Vanoni viene in pratica ripresa in questi anni, sostituendo alle enunciazioni « sociali », che nel 1954 avevano avuto la funzione di sollecitare il consenso in un paese ancora imp egnato nella ricostruzione, dichiarazioni destinate a subordinare le riforme
alla ripresa complessiva del ciclo economico.
E’ in questo quadro che si viene a porre il progetto di piano Giolitti, presentato nel ‘64 e riedito nel 1965 come piano Pieraccini. Ed è
proprio nel piano Giolitti che torna a porsi come centrale il molo della
politica dell’abitazione, all’interno di una nuova politica degli impieghi sociali del reddito, ai fini della ripresa del sistema economico.
L’assunto fondamentale del progetto Giolitti è infatti che « durante
lo scorso decennio, alla rapida espansione dei consumi privati non ha
corrisposto un parallelo sviluppo degli imp ieghi sociali. Come risultato, beni e servizi, destinati a soddisfare bisogni collettivi essenziali,
sono forniti alla società in misura inadeguata e non di rado a costi eccessivi. Il programma si propone di ovviare a queste deficienze che
127
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
contribuiscono a perpetuare gravi squilibri sociali, e minacciano, a
lungo andare, di impoverire la vita civile del paese » 1 .
E’ presente dunque nel Piano Giolitti, così come nei successivi
Piani, la necessità di una nuova legislazione urbanistica che vada ad
incidere contemporaneamente sulla struttura della domanda e
dell’offerta del settore. Tuttavia ciò che in quegli anni si verrà realizzando in concreto non sarà una correzione delle distorsioni, ma un accollarsi progressivo da parte dello Stato dei costi di queste distorsioni.
La riforma urbanistica, il cui contenuto era stato oggetto di accordo tra le forze politiche che avevano dato vita al nuovo governo, nonostante costituisse l’elemento più qualificante del programma governativo, non viene varata2 ; passa invece la legge n. 167 che agisce nella
realtà facendo lievitare enormemente il valore delle aree fabbricabili al
di fuori di piani regolatori, con conseguente aumento della rendita
fondiaria ed esclusivo vantaggio dei proprietari di aree3 .
A funzionare da pesanti ostacoli rispetto ad un processo di reale riforma del settore sono, secondo le dichiarazioni esplicite che da più
parti vengono fatte, il ricatto della produttività in crisi e della disoccupazione crescente in relazione alla crisi che ha investito il settore tra il
1965 e il 1967, con una lieve sfasatura temporale rispetto alla crisi
1
Da, La programmazione economica in Italia, Roma 1970, vol. IV, pag. 101, a cura del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica.
2
Il primo disegno di legge, di Pieraccini, che conservava il principio dell’esproprio
generalizzato, con indennizzo però non pari al prezzo agricolo, ma rapportato al valore
di mercato del 1958, cadeva insieme col go verno a causa della durissima reazione della
proprietà fondiaria e degli imprenditori edili. Durante il secondo governo Moro, il ministro dei Lavori Pubblici, Mancini, presentava una nuova legge che rappresentava di fatto un passo indietro rispetto alla precedente; l’indennità di esproprio veniva questa volta
valutata in base alla legge 1865 (che lasciava ai privati gran parte dei plusvalori) inoltre
erano previste così ampie possibilità di esonero dall’esproprio che la legge fu soprannominata « dell’esonero generalizzato ». Anche questa legge, come quella di Pieraccini,
non arriverà mai in Parlamento.
3
La legge n. 167, nata «per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia
economica e popolare, attribuiva ai Comuni la possibilità di costituire, anche attraverso
l’esproprio, aree da assegnare ad operatori pubblici e privati che realizzassero quartieri
dotati di soddisfacenti livelli di infrastrutture ». In realtà se i Comuni utilizzarono realmente la possibilità di vincolare coi piani di zona un notevole numero di aree, la mancanza di finanziamenti pubblici non permise di fatto la successiva operazione di acquisizione ed urbanizzazione. Oltre che sul piano finanziario, la legge troverà tutta una serie di ostacoli a livello amministrativo (le stime degli uffici erariali risultarono infatti essere molte volte superiori ai valori di mercato delle aree mentre il ricorso al contenzioso
per le pratiche di esproprio era estremamente lungo) e sul piano costituzionale (la sentenza della corte costituzionale n. 55 che dichiarava l’in costituzionalità dei vincoli imposti sulla proprietà privata).
128
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
degli altri settori. Tale crisi infatti, mentre da un lato produce effetti
all’interno del settore, con una intensificazione dello sfruttamento della manodopera e l’uscita dal mercato di una serie di piccole e medie
imprese, dall’altro fa sì che agisca come preoccupazione costante espressa a livello parlamentare, quella di non scoraggiare l’attività edilizia e di far funzionare l’intervento pubblico, come « sostegno della
produttività in crisi ».
Esemplare a questo riguardo è la vicenda della cosiddetta legge
ponte 4 . L’anno di moratoria concesso dal 1° settembre 1967 al 31 agosto 1968, permette di rilasciare licenze edilizie per la costruzione di 8
milioni e mezzo di vani residenziali: quasi il triplo della media annuale di vani autorizzati nel decennio precedente; non è certo un caso che
le nuove licenze riguardino poco più di un quinto dei comuni italiani,
vale a dire quelli delle aree più congestionate e dei territori di maggior
pregio paesaggistico. Si conclude in questo sconcertante quadro prodotto dalla legge ponte quello che più tardi sarà da molti definito come
« il periodo delle occasioni mancate ».
Il fatto però che lo Stato abbia posto tra i suoi obiettivi di politica
economica il soddisfare il bisogno-alloggio, considerandolo quindi alla stregua di un bene il cui soddisfacimento non può essere affidato al
mercato regolato dal gioco della domanda e della offerta, così come il
fatto di aver indebolito il potenziale giustificatorio di alcune « tradizioni » distruggendone la loro indiscutibilità, come nel caso della proprietà privata del suolo, avrebbe messo in moto processi rivendicativi
e ondate di crescenti « aspettative » nei confronti dello Stato che esso
non sarebbe più stato in grado di governare.
Le tendenze di crisi si spostano perciò dal sistema economico in
quello amministrativo poiché il management statale ricade esso stesso
4
Tale legge, così definita perché doveva servire ad aprire la strada ad una più organica legge urbanistica, rispecchia il clima in cui era nata avendo le caratteristiche di un
provvedimento provvisorio e di emergenza determinato da fatti eccezionali.
Nel 1966 si era infatti verificata una frana ad Agrigento dovuta ad un enorme carico
edilizio (8.500 vani) costruito in contrasto con le norme vigenti su un esiguo spazio a ridosso del vecchio centro abitato. L’episodio aveva profondamente scosso l’opinione
pubblica e ne era seguito un dibattito piuttosto ampio. La legge, pur risentendo di questo
clima e quindi rinunciando ad affrontare i nodi fondamentali del problema, introduceva
però alcune innovazioni fondamentali: le norme riguardanti l’obbligo delle lottizzazioni
convenzionate nelle aree di espansione, con un’attribuzione degli oneri di urbanizzazione ai proprietari; le norme che incentivavano la formazione degli strumenti urbanistici,
ponendo una serie di limitazioni nell’edificazione per i Comuni sprovvisti di piano e
vietando qualsiasi lottizzazione a scopo edificatorio in assenza dei predetti strumenti;
l’introduzione degli standards urbanistici riguardanti i rapporti tra spazi pubblici e volumi edificati.
129
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
dietro le pretese programmatiche che ha fatto valere ed è punito con
una sottrazione di legittimazione5 .
Le mancate riforme, o meglio la loro curvatura tutta parti colare,
che si ispira ad una strategia mirante ad una soluzione settoriale e
provvisoria dei problemi rimandando le soluzioni generali, trovano
spiegazione se si tiene conto del fatto che essi comportavano se realizzate, al di là di costi economici, anche soprattutto un costo politico
poiché la loro realizzazione significava un mutamento dell’equilibrio
delle forze sociali in gioco e quindi una ridislocazione di consensi e di
dissensi.
La riforma urbanistica in particolare avrebbe a questo proposito alterato fortemente gli equilibri sui quali si era costruita la piattaforma
del consenso: avrebbe in particolare colpito quella molteplicità di interessi sottesi alla produzione edilizia, dei grandi e piccoli proprietari di
aree, degli imprenditori, del piccolo risparmio e della piccola speculazione edilizia, vale a dire quella compagine sociale che la politica della casa sino ad allora perseguita attraverso l’uso discriminatorio e
clientelare di tutti gli strumenti di intervento, aveva creato e reso compatta attorno all’ideologia della proprietà ed in difesa dell’uso speculativo del suolo urbano e del mercato della casa.
Tutte queste categorie, che erano cresciute in un rapporto che potremmo definire di partecipazione a benefici contro consenso, non
chiedevano riforme, ma un aumento dei privilegi nel quadro della situazione esistente; si facevano cioè portatrici di una domanda politicosociale di remunerazione.
Poiché ogni remunerazione è settoriale essa è naturalmente incompatibile con una vera politica di riforma per il fatto che questa costituisce un tentativo di razionalizzazione pubblica generale, sacrificando
piuttosto che remunerando gli interessi privati di categoria.
Non a caso dunque è risultata vincente una linea di intervento basata sull’incremento degli interessi di categoria con il relativo spreco
di risorse economiche da parte dello Stato. Esemplare a questo riguardo è la legge i novembre 1965 nr. 1179 che introduce accanto ai meccanismi consueti di sostegno a favore delle cooperative edilizie e di
particolari categorie di utenti, agevolazioni dirette in favore delle imprese edilizie.
La spesa pubblica nell’edilizia residenziale ha così per tutto il periodo un andamento contrario a quello programmato, accentuandosi a
scapito degli impieghi « sociali » l’incremento dell’abitazione attraverso la tradizionale edilizia ad alto costo.
Alcuni dati possono essere significativi: dal 1963 al 1969 su un totale di un milione di alloggi la Gescal6 ne produce meno di 40.000.
5
Cfr. HABERMAS, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Laterza ‘75,
pag. 35.
6
Il programma decennale della Gescal, elaborato nel 1963 basato sulle stesse fonti
di finanziamento della precedente gestione Ina-casa, in realtà fu una enorme truffa giocata alle spalle dei lavoratori. La Gescal depositava infatti i fondi raccolti in diverse
banche prelevandone poi di tanto in tanto solo quanto bastava a giustificarne l’attività.
Circa l’80% dei fondi è rimasto presso le banche che lo hanno investito in operazioni finanziarie e industriali, probabilmente nello stesso settore edilizio immobiliare. Nel contempo i naturali destinatari dei finanziamenti Gescal, gli IACP, erano costretti a ricorrere al credito ordinario soggiacendo ad altissimi tassi attivi di interesse.
130
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
C’è da aggiungere inoltre che la legge istitutiva della Gescal determina che il 25% dei fondi debba andare alle cooperative dalle quali
vengono però escluse quelle a proprietà indivisa7 .
Eppure nella stessa DC si comincia a prendere coscienza della
gravità di una situazione in cui si vanno aggravando i vecchi problemi
e se ne aggiungono nuovi, in un groviglio che si sarebbe ben presto
dimostrato inestricabile.
Al convegno del 1968 tenutosi a Perugia su iniziativa dell’ufficio
del Lavoro della Democrazia Cristiana cominciano a profilarsi posizioni come quella espressa dall’on. Paolo Barbi: « La DC conviene
oggi sulle considerazioni che consigliano di « demitizzare » la proprietà della casa, sia in riferimento alla mobilità territoriale e professionale, sia per evitare l’inconveniente di un intervento pubblico che
può aiutare famiglie non indigenti a diventare proprietarie di una casa
che spesso viene fittata ad altri e non risponde ai bisogni più urgenti
»8.
Parole queste che sembrano presagire gli effetti fortemente negativi che la politica della casa perseguita avrebbe di lì a poco fatto esplodere a livello produttivo, sociale e territoriale.
Da un lato infatti gli inconvenienti della congestione urbana si sarebbero riversati sullo stesso sviluppo delle attività produttive;
dall’altro il bisogno-abitazione sarebbe diventato uno dei temi su cui
la classe operaia avrebbe impostato le sue battaglie più dure: la « rarità
» del bene-casa che era stato fino ad allora paradossalmente punto di
forza e strumento di aggregazione del consenso, diventerà, dopo gli
anni ‘60, oggetto di gravi ed incontrollate tensioni sociali.
7
Interessante, a completare il quadro, può essere un dato emerso da un’indagine effettuata dal Ministero dei lavori pubblici nel gennaio 1977, nella quale si evidenzia che
il 22% delle famiglie assegnatarie di un alloggio popolare, aveva un reddito superiore a
quello massimo di 6.000.000, previsto per essere assegnatari.
8
Bisogna rilevare che posizioni come quella sopra citata convivono ancora con una
serie di giudizi ed opinioni che riconoscono come validi gli indirizzi fin lì perseguiti.
Valga per tutte l’affermazione del ministro democristiano Bosco: «conferisce più dignità alla persona umana avere la casa in proprietà anziché in affitto ».
131
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
LA SCONFITTA DELL’ALLEANZA RIFORMISTICA
CONTRO LA RENDITA
Alla fine degli anni ‘60 la questione delle riforme, ed in particolare
della riforma riguardante il settore edilizio, si ripropone al centro del
dibattito, ma in un quadro politico, sociale ed economico che è del tutto mutato rispetto agli anni precedenti e che ne rende perciò maggiore
l’articolazione e più definite le varie posizioni.
Nel ‘68-69 si apre infatti una fase di recessione connessa ad un più
alto livello di conflittualità di classe, che rende estremamente ridotte
rispetto alla fase precedente, le cosiddette « compatibilità del sistema
».
Il fallimento della programmazione e delle riforme nell’ambito di
quello più complessivo del centro sinistra, possono essere considerati
fattori determinanti, ma non unici, di quel « movimento collettivo »
che nasce appunto in relazione all’uso mancato o sbagliato di risorse
istituzionali e alla sclerosi dei rapporti di rappresentanza.
Si registrano infatti in quegli anni alla ribalta della scena politica
tutta una serie di fatti nuovi che sono da considerare come segni manifesti della profonda crisi che investe il sistema politicorappresentativo. Ci riferiamo da un lato alle profonde trasformazioni
delle lotte sindacali, che segnano la legittimazìone del nuovo ruolo politico del sindacato, dall’altro all’intensa mobilitazione che viene da
parte dei gruppi spontanei all’interno della società civile e delle istituzioni.
Possiamo dunque affermare che il primo grosso mutamento che si
registra in quegli anni è il venir meno del monopolio di aggregazione
della domanda politica da parte dei partiti con l’emergere del sindacato a portavoce di istanze sino allora di esclusiva competenza dei partiti.
Si assiste infatti per la prima volta ad una dura battaglia condotta
dal sindacato sul tema della casa, per un processo regolato di urbanizzazione, per un sistema di infrastrutture più efficienti e soprattutto per
un orientamento programmato dei bisogni da individuali a sociali,
questi ultimi intesi come alternativa ai primi 1 .
1
Va a questo proposito sottolineato un ulteriore aspetto del problema: la pianificazione in un sistema capitalistico può agire modificando dati esterni che influenzano il
comportamento dei suoi destinatari, ossia può agire modificando in senso conforme al
sistema grandezze monetarie, vale a dire operando su tassi di interesse, imposte, sovvenzioni, commesse, ecc. Questi interventi però sono destinati a perdere il loro effetto
di controllo quanto più si indeboliscono gli orientamenti in base al valore di scambio e
si affermano quelli orientati in base al valore d’uso: nel caso dell’abitazione appunto
con l’affermarsi di una domanda di casa come bene sociale che si sottrae alla forma di
merce. Cfr. HABERMAS, op. cit., p. 75.
132
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
Per la prima volta appare chiaro che aumenti del salario monetario
possono risultare vanificati da decisioni di uso delle risorse e da scelte
di impiego del capitale che determinano l’accesso dei lavoratori alla
fruizione del capitale immobiliare, de territorio e di qualunque altra risorsa.
E’ a questo livello che si pone alla fine degli anni ‘60 l’azione del
sindacato, anche se poi registrerà nella pratica attuazione debolezze ed
indecisioni che si dimostreranno fatali2 .
Tale azione si va ad intrecciare con la richiesta di riorganizzazione
del sistema socio-economico proveniente dagli interessi più dinamici
del capitale che premono per una « programmazione democratica » e
in particolare per una « pianificazione urbanistica ».
Ciò è in relazione ad un altro fatto nuovo che si verifica concorrendo a modificare sostanzialmente il quadro di riferimento, anzi costituendo forse la condizione inglobante tutte le altre: l’intensificarsi
delle interdipendenze economiche, vale a dire il crearsi di una situazione in cui i costi sociali, i costi esterni all’azienda, si riversano
all’interno delle stesse imprese.
Se c’è congestione urbana, se le case costano troppo e sono troppo
lontane, l’impresa, in un sistema in cui la concorrenza internazionale
si fa più agguerrita, ha bisogno che sia razionalizzata non solo la sua
organizzazione interna, ma anche e soprattutto « l’esternalità » nella
quale essa opera. Oltre l’incidenza dell’alto costo della casa sul salario
e l’assoluta mancanza di infrastrutture che generano una tensione sociale che si ripercuote direttamente nella fabbrica, il settore edilizioimmobiliare provoca altri effetti distorcenti e non meno dannosi.
In particolare esso comincia a sottrarre quote sempre più cospicue
di capitale dal settore industriale e dal risparmio con gelandole al suo
interno.
Vengono mutando quindi radicalmente quelle condizioni che hanno permesso sino ad allora una silenziosa alleanza tra il settore industriale avanzato e il settore edilizio-immobiliare.
In particolare diminuisce la capacità del settore edilizio di rendere
disponibili grosse quote di capitali per investimenti e consumi industriali e di regolare il mercato del lavoro, assorbendo cioè forza lavoro
disoccupata senza peraltro creare rigidità e stornarla stabilmente dal
settore industriale, data la tradizionale situazione di sfruttamento e di
precarietà del lavoro nell’edilizia.
2
Quello che ci sembra essere stato in particolare il grande errore strategico del sindacato sul tema della casa è stato quello di accompagnare l’obiettivo della casa come «
servizio sociale », dichiarato di lungo periodo ad una serie di richieste a breve termine
che il governo non avrebbe mancato di appagare. Si seguiva cioè la prassi, che avrebbe
condotto al falli mento della intera iniziativa sindacale, di rivendicare provvedimenti
immediati indipendenti, a volte persino contraddittori, con gli obiettivi finali.
133
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
Suggestiva infatti, anche se non ancora del tutto verificata è
l’ipotesi che anche il ruolo di controllo della forza lavoro svolta dal
settore tende ad esaurirsi in relazione ai mutamenti avvenuti
all’interno del mercato del lavoro 3 . In particolare l’aumento del reddito e quello connesso della scolarità, gli aumenti dei costi di inurbamento e le maggiori possibilità del proletariato di inserirsi in attività
collegate al terziario, avrebbero notevolmente fatto diminuire, come
appare dimostrato sulla base di dati ufficiali, la presenza di quella manodopera « fluttuante » che tradizionalmente aveva trovato sbocco
nell’edilizia, facendole perdere la funzione di « settore filtro » rispetto
al settore industriale avanzato4 .
Probabilmente anche queste mutate condizioni del mercato del lavoro sono alla base delle richieste che in modo sempre più pressante si
fanno avanti da parte del capitale avanzato, di una riforma del settore
edilizio che passi attraverso la razionalizzazione dei processi produttivi e dei criteri organizzativi, il che equivale a dire attraverso
l’eliminazione di un numero enorme di piccole imprese.
Eppure una alleanza così forte tra capitale avanzato e sindacato, in
un quadro che pareva tanto favorevole, ancora una volta sarebbe uscita
sconfitta dalla battaglia riformistica.
Il dato che forse gioca maggiormente in questa direzione è proprio
ancora una volta, come cercheremo di dimostrare, il ruolo che viene
assumendo lo Stato all’interno di questo quadro strutturale fortemente
modificato.
In un momento in cui il conflitto intorno all’uso del territorio si articola contemporaneamente su più assi, vale a dire che accanto allo antagonismo fondamentale tra proletariato e borghesia, assumono rilievo
i conflitti infracapitalistici, all’interno della stessa borghesia, la funzione dello Stato, che è stata fino ad allora, come visto, quella di indirizzare i processi in atto in favore di tutti quei gruppi che riusciva-
3
Bisognerebbe dimostrare a questo proposito se non sia piuttosto il tipo di domanda di forza lavoro espressa dal settore a mutare in una situazione in cui l’offerta rimane
sostanzialmente immutata. Ci riferiamo al fatto che la diminuzione degli addetti « precari » potrebbe essere posta in relazione agli aumenti salariali e quindi alla richiesta da
parte degli imprenditori edili (non di tutti si intende ma in relazione anche al tipo di impresa), di forza lavoro che dia maggiori garanzie di produttività, e quindi rientri nella
fascia « forte » del mercato del lavoro.
4
Ci riferiamo alla ricerca Isfol, Osservatorio n. 13, gennaio 1977, che utilizza i dati
ISTAT sulla base dei quali dimostra come sia avvenuta una diminuzione degli addetti «
precari » nell’edilizia tra il 61-71 (calcolati in base alla differenza tra i dati degli occupati nel settore edilizio dei censimenti industriali e quelli risultanti dalle rilevazioni delle forze lavoro). E’ chiaro come da questo tipo di analisi resti fuori una soddisfacente
valutazione del fenomeno del « lavoro nero ». Ci riserviamo pertanto di sviluppare e
approfondire in altra sede il problema connesso al rapporto tra domanda e offerta di lavoro nell’edilizia.
134
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
no a concrescere l’uno accanto all’altro, muta profondamente e si trova al centro d richieste di intervento fortemente differenziate.
Rispetto ad una serie di imperativi di direzione contraddittoria, e
alla moltiplicazione dei canali di pressione e di « veto » emerge dopo
gli anni ‘60, la difficoltà di impostare una politica secondo direttive e
criteri stabili e una pratica consistente ne perseguire contemporaneamente obiettivi incompatibili tra loro La strada che viene privilegiata
infatti è quella dei provvedimenti definiti « anticongiunturali » e « di
emergenza » che in realtà eludono la definizione di piani di intervento
globale e tamponano le richieste provenienti dai vari strati o gruppi
sociali cointe- ressati alla vicenda del settore.
Solo così, secondo noi, è leggibile, non solo la vicenda di quella
che è stata definita « una interessante mescolanza di inte- ressi contrapposti », vale a dire la legge di riforma della casa ma anche quella
di tutti i successivi interventi statali che nulla hanno in comune tranne
il fatto di essere quasi tutti dei provvedimenti « tampone », che privilegiano interessi settoriali e d categoria in una visione di gestione e di
recupero del consenso che provoca in ultima analisi crescenti erogazioni di spesa pubblica con conseguente spreco di risorse5 .
Moltissimo è stato detto in questi anni su quella famosa legge varata il 22 ottobre 1971 col nome di « riforma della casa Almeno due
elementi vorremmo però che emergessero dalla sua analisi: da un lato
il fatto che, con un meccanismo che stabilisce i prezzi di indennizzo
5
Interessante è notare a questo proposito come aumenti in valori assoluto e percentuale l’incidenza delle abitazioni private realizzate coi contributo della P. A.
Tab. 2 ABITAZIONI IN CORSO DI COSTRUZIONE
NEI GRANDI COMUNI PER TIPO DI PROMOZIONE
(giugno di ciascun anno: migliaia di unità)
Private
Anni
1970
1971
1972
1973
1974
1975
1976
1977
1978
Abitaz.
Incidenza
%
247,5
161,3
127,6
125,4
137,6
119,1
96,7
90,1
86,7
90,8
87,1
82,2
80,3
81,1
79,7
69,3
64,0
63,5
Private e con
contributo
della P.A.
Pubblica
Amministraz.
Totale
abitaz.
Incidenza
Incidenza
Abitaz.
% Abitaz.
%
13,1
11,6
12,7
13,3
11,7
12,3
20,9
25,3
27,3
4,8
6,3
8,2
8,5
6,9
8,2
15,0
18,0
20,0
12,0
12,2
14,9
17,4
20,4
18,1
22,0
25,2
22,6
4,4
6,6
9,6
11,2
12,0
12,1
15,7
18,0
16,5
272,4
185,1
155,2
156,1
l69,7
149,5
139,6
140,6
136,6
135
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
delle aree in base a coefficienti variabili secondo la posizione e le caratteristiche delle aree interessate6 viene sancito il riconoscimento giuridico della rendita assoluta differenziale; dall’altro la creazione del sistema della « convenzione » che definisce l’ingresso nel settore delle
grandi imprese pubbliche e private.
Tale fatto merita a nostro avviso di non essere sottovalutato. Il mutamento degli interessi del grande capitale sui problemi territoriali, se
da un lato è dovuto, come detto, ai riflessi negativi che determinano
nella stessa organizzazione produttivi le storture territoriali, dall’altro
è però anche dovuto al fatto che l’intervento nel settore edilizio può
ora rappresentare un campo di redditività non marginale: il grande capitale industriali che si impegna sul piano della lotta alla rendita contemporaneamente si impegna sul piano della appropriazione della rendita stessa7 .
Per concludere sulla legge in esame vogliamo ancora aggiungere
che è poi a livello di attuazione pratica che si manifesta il suo carattere
mistificatorio poiché essa è così disarticolata da riuscire per molti aspetti inapplicabile 8 .
Accanto alla linea del grande capitale e della rendita, che la legge
sulla casa mostra di accogliere ed interpretare, vi sono però gli interessi del ceto imprenditoriale tradizionale rappresentati dall’Ance (Associazione Nazionale costruttori edili) che in alternativa alla uscita forzata dal mercato, non potendo reggere la concorrenza delle grandi
6
I prezzi di indennizzo sono determinati moltiplicando il valore agricolo medio della coltura più redditizia per coefficienti da 4 a 5 se l’area da espropriare ricade nel centri
storici di comuni con popolazione superiori a 100.000 abitanti; per coefficienti da 2 a 4
se ricade nei centri storici di altri comuni; per coefficienti man mano minori allontanandosi dai centri storici.
7
Sul duplice scopo, politico ed economico, che guida l’intervento del grande capitale nel campo dell’edilizia abitativa e dell’assetto del territorio. Cfr. M. DELLE DONNE, La questione edilizia, De Donato, Bari, 1974.
8
Gli esperti della rivista Edilizia popolare hanno contato ben 27 passaggi solo nel
meccanismo di distribuzione dei fondi, per cui dovevano trascorrere almeno 395 giorni
prima che si giungesse al solo appalto delle nuove costruzioni.
La legge inoltre conteneva in un unico calderone norme transitorie, norme rivolte
ad operatori privati, alle regioni, norme di principio, norme con sanzioni penali, con
sanzioni amministrative, il che ne rendeva estremamente difficile l’attuazione pratica.
Non sembra certo un caso che lo stesso destino sembra toccare alla più recente legge Bucalossi sulla edificabilità dei suoli (numero 10 del 28-1-77), destinata a vedere
mortificata la sua efficacia applicativa in un in tricato groviglio di dubbi, di riserve di incostituzionalità, di ritardi, di inadempienze. (Per un commento ampio ed articolato sulla
legge vedi, A. PREDIERI, La legge n. 10 del 28-1-77, collana Territorio e Casa, Milano, 1977) e alla tanto attesa legge sull’equo canone (n. 392 del 27-7-78) che ad un primo bilancio sembra aver prodotto solo confusione e difficoltà applicative (vedi M.
DELLE DONNE, L’equo canone, Liguori, Napoli 1978).
136
_____________________________FUNZIONI E CONTRADDIZIONI DELLO STATO IMPRENDITORE EDILE
aziende né sul piano della capacità finanziaria né su quello delle tecnologie, chiedono un maggiore intervento dello Stato secondo vecchi
moduli di aiuti e contributi pubblici.
E’ alle loro richieste che vanno incontro due leggi quasi contestuali alla riforma che ripristinano il sistema delle agevolazioni fiscali e
creditizie all’operatore privato9 .
Concludendo possiamo affermare che esistono e coesistono chiaramente almeno tre diversi tipi di orientamento pubblico nell’ambito
della edilizia residenziale, volti a privilegiare tre differenti tipi di interlocutori:
— edilizia agevolata rivolta alla piccola e media imprenditoria e mirante a garantire i livelli occupazionali del settore;
— interventi volti a privilegiare la realizzazione di complessi residenziali su larga scala da parte di imprese del grande capitale pubblico
e privato;
— interventi volti ad affrontare il problema della domanda « sociale
» di abitazioni con l’attuazione di programmi pubblici di costruzione
di case a carico dello Stato10 .
Proprio quando più urgente diventa la razionalità amministrativa,
essa appare distrutta dalla presenza di singoli interessi contrastanti, vale a dire dall’acuirsi delle contraddizioni tra interessi capitalistici particolari da un lato e interesse capitalistico globale della conservazione
del sistema dall’altro, per cui l’intervento dello Stato appare sempre
più disarticolato e contraddittorio 11 . Il deficit di razionalità sarebbe così « l’inevitabile risultato di una trappola di rapporti in cui cade lo Stato nella quale le sue attività contraddittorie sono destinate ad imbrogliarsi sempre più » 12 .
9
Ci riferiamo al provvedimento di rifinanziamento della legge n. 1179 del 4-10-65
che formula norme per l’incentivazione edilizia attraverso la concessione di mutui agevolati venticinquennali per l’acquisto e la costruzione di abitazioni sino al 75% delle
spese necessarie e del valore dell’immobile acquistato; ed alla legge n. 291 dell’1-6-7l
che eroga ancora fondi per l’incentivazione della edilizia privata con un’investimento
complessivo di 600 miliardi di lire circa. La legge oltre a servire a collocare il patrimonio rimasto invenduto dopo la recessione del 1964, prevede la possibilità di intervenire
fuori dalle aree di 167, non attua restrizioni in base al prodotto abitativo e non prevede
una reale selezione in relazione al livello di reddito dei destinatari delle agevolazioni.
10
Emblematico ci sembra un recente disegno di legge che stanzia circa 6.000 miliardi di lire per la costruzione di 18.000 alloggi da destinare agli appartenenti alle forze
dell’ordine affidandone la realizzazione ad una azienda guidata dal gruppo IRI, in cui
sembrano esemplarmente convivere vecchie logiche e nuove strategie.
11
Particolarmente illuminante ci sembra a questo proposito la legge sull’equo canone, la cui prima proposta fu presentata da Pietro Amendola quasi venti anni fa.
Dopo circa quaranta proroghe (la cui unica diversità è segnata dal tipo di attributo
che le ha accompagnate: corta, corretta, lungimirante, tecnica, ecc.), è venuta fuori una
legge il cui unico effetto a tutt'oggi è stato quello di aprire il campo a mille contestazioni. Ma anche qui non a caso. Significativi, al punto da rendere inutile ogni ulteriore
commento, sono alcune dichiarazioni fatte da esponenti politici a proposito di tale legge. « Il provvedimento si pone come punto di incontro e di contemperamento di posizioni diverse, di mediazione tra interessi diversi e contrapposti e tuttavia meritevoli, tutti, di protezione per il loro peso nella so cietà » (Ministro Stammati).
« La legge è un compromesso malriuscito, nel tentativo non riuscito, di conciliazione tra interessi tutti legittimi, ma assolutamente non conciliabili » (esponente del PCI).
12
HABERMAS, op. cit., pag. 70.
137
EMMA CORIGLIANO___________________________________________________________________________
Stimolante ed in una certa misura complementare appare la tesi recentemente avanzata da Fedele sulla scia di Forsthoff, secondo cui «
quanto più le società di capitalismo maturo si organizzano secondo il
‘principio sindacale’, tanto più gli interessi generali non solo non riescono a trovare un loro patrono nella società, ma hanno addirittura
contro di sé quanti difendono singoli interessi legittimi e però contrastanti perché particolari » 13 .
EMMA CORIGLIANO
13
Relazione di M. Fedele al seminario dell’Istituto Gramsci su Partiti ed Istituzioni
del 18-19 gennaio 1979.
138
LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
DALLE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO AI FASCI OPERAI
∗
Introduzione.
Esiste un problema relativo all’origine delle forme associative del
proletariato, che da qualche anno è all’attenzione di molti storici del
movimento operaio e sindacale; un problema che tende a retrodatare la
comparsa delle organizzazioni delle classi subalterne e ad inserirle in
un criterio metodologico svincolato da una storiografia che ha teso a
dimostrare la coincidenza cronologica delle organizzazioni dei lavoratori con la comparsa dei partiti moderni e del sindacato, laddove tale
coincidenza importantissima e necessaria rappresenta un secondo e
più maturo momento della coscienza autonoma delle classi lavoratrici.
Ma rappresenta solo il secondo momento. Retrodatare la comparsa di
un proletariato organizzato o di sue importanti isole — o meglio ancora considerare espressioni di una nuova classe sociale in formazione
tutte quelle lotte e quelle forme organizzative anteriori alla comparsa
dei partiti politici e del sindacato in cui però i proletari erano reali e
necessari protagonisti —, significa in ogni caso porre in luce ulteriori
elementi di conoscenza storica e significa riconoscere al « Paese legale » la capacità di essere storia alla pari del « Paese legale ».
Sotto altra luce quanto su detto rappresenta un diverso aspetto dello stesso problema che è sorto nella fissazione della data di nascita
dell’industria italiana, molto spesso e con insistenza confusa con la
nascita della industria pesante nazionale agli inizi di questo secolo,
giacché questi due problemi non sono altro che diverse angolazioni
dello stesso sviluppo storico che ha visto l’affermazione del sistema
capitalistico.
E tale questione esiste anche per la Capitanata. Esiste per la storia
del suo movimento sindacale e per l’ingresso del capitalismo agrario
nel mondo contadino. Solitamente, infatti, il movimento contadino in
Capitanata viene dato per nato nel momento in cui aderisce alla Federterra, nel momento in cui nasce la Camera del Lavoro di Foggia, ecc.,
cioè ai principi del Novecento, quando invece nei fatti e con grosse
ingenuità e altrettanto grosse lacerazioni comincia a muovere i primi
passi già a partire dagli anni ‘70 del secolo passato con le Società di
Mutuo Soccorso.
∗
Avvertenza: nel corso del saggio nelle note figureranno delle abbreviazioni che
dovranno così essere lette:
ACS = Archivio Centr. Stato; ASF = Archivio Stato Foggia; b. = busta; F = fascio; f =
fascicolo.
139
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Questo saggio ha per oggetto appunto le Società di Mutuo Soccorso di Capitanata nelle multiformi espressioni che assunsero, in cui i
contadini non furono gli unici protagonisti, ma protagonisti necessari
per la definizione seguente delle organizzazioni padronali e politicoconservatrici da un lato e delle organizzazioni proletarie e politicoprogressiste dall’altro.
In una società di transizione dalla civiltà contadina a quella capitalistica le Società di Mutuo Soccorso fungono proprio da anello organizzativo di congiunzione fra le corporazioni e le associazioni di categoria e nello stesso tempo da crogiolo della futura organizzazione di
classe.
E’ comunque chiaro che questo saggio risente della carenza di un
discorso più ampio sulla formazione del proletariato di Capitanata che
richiede uno studio sull’affermazione del capitalismo agrario in parallelo allo sviluppo delle espressioni di lotta dei contadini — dal ribellismo sociale alla lotta di classe. Tuttavia già così il lavoro, oltre alla
necessità di fare luce sulla nostra storia locale della Capitanata, può
offrire un contributo alla conoscenza e all’approfondimento di un argomento — le Società di Mutuo Soccorso — ancora oggetto di dibattito e d ricerca sia per le questioni organizzative sia per quelle più
prettamente politiche che ne alimentarono e sorressero lo sviluppo e la
fortuna su tutto il territorio italiano.
Le Società di Mutuo Soccorso fra mutualismo borghese e organizzazione di classe.
La comparsa dell’organizzazione proletaria nella provincia di Foggia fu contemporanea all’articolazione delle nuove forme di produzione che introdussero la logica capitalistica nei rapporti di lavoro fra
imprenditori e lavoratori. E fu precisamente sulla Società di Mutuo
Soccorso (d’ora in poi abbreviata con SMS), che, per circa un trentennio, rappresentò il naturale punto di confluenza delle esigenze organizzative è politiche de proletariato foggiano, che prese forma il primo
associazionismo popolare.
In provincia di Foggia, già nei primi anni del ‘70, infatti esistevano
SMS sorte su diverse piattaforme ideologiche, comunque accomunate
dalla costante che voleva i proletari in un ruolo di subalternità rispetto
al ‘socio benemerito’ necessariamente di estrazione sociale privilegiata; e tale ruolo si manifestava ne subire anziché promuovere
l’iniziativa politica. Sulle corde dà mutuo soccorso, infatti, suonavano
le loro campane filantropi o preti, agrari o notabili, ma mai i proletari
in prima persona. Solo con la presa di coscienza e con la gestione delle proprie lotte, si modificò la struttura organizzativa delle SMS e
140
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
maturò inoltre, la coscienza della incompatibilità degli interessi proletari con quelli borghesi.
Dalla lettura dei documenti reperiti emerge l’esistenza di una sorta
di duplicità di interessi che intervennero nella costruzione e nello sviluppo di questa forma associativa, e si accavallarono e si risolsero parzialmente soltanto agli inizi del ‘900 con la nascita della lega operaia.
Gli interessi che stavano alla base delle istanze dell’associazionismo mutualistico erano di carattere politico e di carattere economico; tale convivenza rivela una complessità di fattori per cui l’analisi
non può essere risolta secondo un piano deterministico dove
s’immagina l’evoluzione lineare delle SMS da mu tuo appoggio a trade-union, a sezione di partito o della Camera del Lavoro 1 . Dallo studio
delle SMS di Capitanata emerge, infatti, proprio una complessità che
sottolinea la presenza di due precise logiche: una proletaria che in
quel momento rappresentava la necessità dell’unione per la difesa degli interessi materiali contingenti, ossia per un motivo economico;
l’altra borghese che indicava la consapevolezza di utilizzare le SMS
come formidabile arma politica in un ambito politico elettorale che
non conosceva ancora la moderna organizzazione partitica. Di tale divisione erano a conoscenza le stesse autorità governative, che più volte indicavano la presenza di « persone estranee » alla classe proletaria.
In questa direzione, infatti, si esprimeva il Prefetto di Foggia ancora
nel 1883, quando nella consueta relazione semestrale al Ministro degli
Interni sottolineava che « da quanto avviene [...] si riconosce che le
Società Operaie nel loro vero scopo [il mutualismo] hanno vita poco
prospera, che i loro atti più importanti [quelli politici]: sono ispirati,
diretti ed eseguiti da persone estranee e su di un campo estraneo alle
associazioni stesse » 2 .
E’, dunque, importante chiarire, per inquadrare nella giusta luce il
fenomeno del mutualismo, questa duplicità all’interno delle SMS che,
appunto, si manifestava nella convivenza di istanze economiche e di
istanze politiche provenienti da due diverse classi sociali ancora in via
di propria definizione. Su tale base, allora, è possibile andare a definire il reale significato storico che il mutualismo assunse nel rappresentare ancora un legame fra interessi proletari e borghesi ma, nello stesso tempo, nell’indicare il primo tentativo di organizzazione del proletariato.
Occorre perciò approfondire la funzione delle SMS, chiarire in
1
Stefano Merli sembra confermare il piano evoluzionista delle SMS in Proletariato
di fabbrica e capitalismo industriale, Firenze 1972, pagg 58 e segg.
2
ACS, Ministero degli Interni, rapporti prefettizi, b. 7, f. 26. Foggia (anno 1883).
141
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
tutti i suoi termini la battaglia che si sviluppò intorno alla gestione di
tali società, sia da parte dei notabili locali che dalle associazioni politiche repubblicane, internazionaliste, conservatrici, ecc., le quali ebbero in considerazione l’associazionismo dei proletari soltanto in funzione delle loro strategie politiche, in nome di una giustizia sociale
che i proletari, come classe ancora in formazione, non riuscivano a focalizzare politicamente.
Ecco, dunque, che ad un’interpretazione basata esclusiva mente
sull’analisi della nascita e dello sviluppo della forma organizzativa
questi elementi sfuggono, per cui si rendono necessarie una classificazione ed uno studio delle SMS che non derivino soltanto dall’analisi
dello sviluppo dell’ente associativo ma anche dalla convivenza nelle
società dell’elemento di difesa degli interessi immediati (l’economico)
e della sovrastruttura ideologica (il politico); quegli stessi elementi
che poi riescono a spiegare la presenza in una stessa località di più società con identiche finalità mutualistiche e con identica composizione
sociale in lotta fra di loro.
Lo sviluppo delle Società di Mutuo Soccorso in Capitanata3 .
Le SMS divennero un fenomeno generalizzato intorno al decennio
1875-1885 per declinare gradatamente intorno alla fine del secolo sino
ad essere soppiantate da quelle forme organizzative che si muovevano
in un diverso ambito politico e rivendicativo: i Fasci Operai, le Leghe
di Resistenza, le Camere del Lavoro, le sezioni dei partiti operai.
Perno fondamentale dell’analisi delle SMS diviene, pertanto,
l’individuazione di quegli elementi che contribuirono alla loro nascita
e al loro sviluppo; come pure tracciare una geografia delle SMS nel
quadro dello sviluppo capitalistico della Capitanata rappresenta un
motivo altrettanto essenziale per la comprensione della loro fortuna e
della loro storia.
La nascita del mercato nazionale e l’ingresso in esso della Capitanata costituivano — come altrove — l’elemento divisorio fra la logica
contadina di un’economia di autosussistenza e quella capitalistica, nella quale si inseriva il fiorire e lo sviluppo territoriale delle SMS. Esse
rappresentarono, infatti, l’incontro fra l’interesse mutualistico del proletariato e l’interesse politico del socio ‘onorario’; anzi la sedimentazione di questa società fu resa possibile, soprattutto, dalla concretizzazione di quell’interesse proletario che era il mutualismo, il quale si
manifestava attraverso la concessione di contributi in caso di
3
Nell’Appendice A sono riportate tutte le società operaie rintracciate in provincia
di Foggia dalla comparsa alla loro estinzione.
142
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
malattia, di spese funebri, di prestiti e, talvolta di sussidi per disoccupazione.
Certamente tali società erano « frutto del paternalismo e della filantropia o, meglio, di una concezione dell’organizzazione di massa
che si esprimeva attraverso il paternalismo e la filantropia »4 , tuttavia
non può essere tralasciato un elemento fondamentale della comparsa e
dello sviluppo delle SMS e cioè quello economico e, più precisamente, capitalistico che determinò il loro sviluppo, almeno in Capitanata.
Infatti, sulla base della divisione fra interesse materiale e gestione politica delle SMS, emerge che tutte le società rintracciate nella provincia di Foggia sancivano come base fondamentale del sodalizio
l’unione dei lavoratori per la previdenza e la promozione sociale, al di
là dell’ingerenza borghese che si manifestava attraverso la presenza di
soci ‘onorari’, molto spesso poco filantropi e mai paternalisti, come
invece avveniva nelle zone industrializzate del nord 5 .
Inoltre emerge chiaramente l’esigenza del proletariato di darsi una
struttura organizzativa diversa dai residui corporativi che ancora vivevano agli inizi degli anni ‘60, proprio quando il processo capitalistico
cominciava a prendere forma. Ad esempio associazione ancora legata
a concezioni corporative doveva essere la Società Cooperativa dei Falegnami di San Severo che, fondata il 20 marzo 1864, aveva per scopo
la cooperazione di tutti i soci al lavoro, mettendosi a disposizione degli altri in ogni momento6 . La sua stessa data di fondazione (questa società fu una delle più antiche della provincia) implica l’origine transitoria della società che doveva essere una sorta di corporazione. Non a
caso la Statistica delle SMS del 1878, redatta a cura del Ministero Agricoltura Industria e Commercio (d’ora in poi MAIC), non la riportava, mentre la Statistica del 1885 annotava il silenzio di questa società
ai quesiti ministeriali7 . E sicuramente a quella associazione dovette ispirarsi la Società dei Mugnai di San Severo che, fondata il 30 agosto
1880, con 32 soci si proponeva la cooperazione al lavoro 8 in ogni caso
ancora diverso dalla concezione cooperativista che cominciava a muovere gli operai del tempo9 . Invero queste associazioni
4
S. MERLI, op. cit., pag. 585.
Uno studio ampio sul filantropismo padronale nelle SMS a composizione operaia
è stato condotto da S. MERLI, op. cit., pagg. 357 e segg., pag. 517 e segg.
6
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1879.
7
MAIC, Statistica delle Società di Mutuo Soccorso e delle istituzioni cooperative
annesse alle medesime - anno 1885, Roma 1888, pag. 564.
8
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1879.
9
Sull’origine e lo sviluppo del cooperativismo cfr. F. FABBRI, (a. c.), Il movimento cooperativo nella storia d’Italia - 1854/1975 Milano 1979.
5
143
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
formate da artigiani e non da operai salariati si collocavano in una posizione proto-mutualistica e proto-cooperativistica10 .
Fra l’altro il persistere delle corporazioni in via di trasformazione
in associazioni e sodalizi fra artigiani indicava la crescente polarizzazione dei produttori diretti nelle moderne categorie socio-economiche
di artigiani e operai, scaturite dà processo capitalistico in atto. Resta,
comunque, senza ombra di dubbio che la nascita dell’associazionismo
si sviluppò parallela. mente ai focolai capitalistici. Ciò significa che le
dinamiche delle sviluppo territoriale delle SMS e la distinzione di
quelle da altre forme associative coincidevano con le dinamiche dello
sviluppo capitalistico nella provincia.
Sostanzialmente riscontriamo tre fasi nello sviluppo e nella sedimentazione delle SMS, come risulta dalla Tav. I compilata sulla base
delle notizie reperite presso l’Archivio di Stato di Foggia, dei dati reperiti dalla Statistiche del MAIC e dalle informazioni desunte dagli
statuti delle SMS rintracciati.
La prima fase arriva al 1875 con un mo mento di concentrazione
fra il 1866 e il 1870; la seconda abbraccia il decennio 1875-1885 e segna il periodo di maggior splendore delle SMS, ma nello stesso tempo
indica il loro limite previdenziale; la terza fase inquadra le SMS in una
logica previdenziale riconosciuta dal Governo e, contemporaneamente, evidenzia l’esaurimento della carica innovatrice del filantropismo
borghese che scompare per far strada ad una politicizzazione che si
avvicina sempre più alle istanze partitiche dei diversi gruppi sociali.
Le società che comparvero nel primo periodo erano limitate alle
zone più aperte alla penetrazione della logica capitalistica, per cui le
prime forme associative sicuramente mutualistiche di cui si ha notizia
sorsero, fra il 1865 e il 1866 a San Severo, Cerignola, Foggia, Ascoli
Satriano; quindi, intorno al 1870 a Torremaggiore, S. Marco in Lamis,
Sannicandro G., Apricena e Castelnuovo della Daunia. Erano queste
tutte località sottoposte ad un regime di relativa libertà economica e
situate sulle più importanti vie di comunicazione della provincia. Le
relazioni degli osservatori economici del tempo riflettevano, infatti,
questa relativa libertà economica, che doveva aprire la strada all’economia capitalistica ed evidenziavano, inoltre, suggerimenti e alternative al vecchio sistema pastorizio 11 elencando gli elementi innovatori
che necessitavano al decollo economico della Capitanata, quali
l’istituzione di una scuola tecnica agraria e di un laboratorio per la
10
Soprattutto S. Severo registrava un elevato numero di tali società che per il loro
carattere spiccatamente artigiano e non operaio non sono state prese in considerazione
in questo studio.
11
« Qui manca il vero elemento operaio — annotava Giacinto Scelsi —che costituisce il brio, la vita, la forza della moderna civiltà ». Cfr. G. SCELSI, Statistica generale della provincia di Capitanata, Milano 1867, pag. XIX.
144
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Tav. I — CRONOLOGIA DELLE SOCIETÀ DI MUTUO SOCCORSO
IN CAPITANATA
____________________________________________________________________
n°
località
anno in cui è stata
fondata per la prima
volta una società
_______________________________________________________
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
SAN SEVERO
FOGGIA
ASCOLI SATRIANO
CANDELA
CERIGNOLA
APRICENA
CASALNUOVO MONTEROTARO
S. MARCO IN LAMIS
SANNICANDRO GARGANICO
TORREMAGGIORE
S. AGATA DI PUGLIA
LUCERA
ROSETO VALFORTORE
S. PAOLO DI CIVITATE
FAETO
CAGNANO VARANO
CARPINO
SERRACAPRIOLA
CASTELLUCCIO VALMAGGIORE
TROIA
LESINA
MARGHERITA DI SAVOIA
MONTE S. ANGELO
VIESTE
VICO DEL GARGANO
S. MARCO LA CATOLA
RODI GARGANICO
S. FERDINANDO DI PUGLIA
CELENZA VALFORTORE
PIETRA MONTECORVINO
CHIEUTI
CASTELNUOVO DELLA DAUNIA
PANNI
ALBERONA
CELLE S. VITO
RIGNANO GARGANICO
BOVINO
MANFREDONIA
ORTA NOVA
STORNARELLA
BICCARI
POGGIO IMPERIALE
S. GIOVANNI ROTONDO
ISCHITELLA
DELICETO
9.7.1865
1865 ?
29.1.1866
1866
1866
1870
1870
1870
1870
1870
1.1.1874
1875
1876
14.5.1876
19.9.1876
1877
2.9.1877
16.4.1878
1878
1878
1879
1879
1879
1879
1880
14.11.1880
1881
1881
1.2.1882
26.3.1882
24.3.1883
1.6.1883
18.8.1883
1884
1884
1884
1885 ?
1885 ?
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1902
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FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
lavorazione e la fusione del ferro a Foggia; di una scuola di fabbroferraio a San Severo, di una tessitoria di felpa a San Marco in Lamis.
D’altronde già nel 1864 le proposte della Reale Società Economica di
Foggia 12 interessavano proprio queste stesse località dove, di conseguenza, si sarebbero sviluppate le nuove forme associative del ‘basso
popolo’, che costituiscono la piattaforma organizzativa del moderno
proletariato. La creazione di scuole e di nuove vie di comunicazione e
di scambio indicava, infatti, la chiara apertura dei politici locali verso
la creazione di infrastrutture necessarie al decollo capitalistico.
Dall’altro canto il frazionamento della proprietà terriera negli agri di
San Severo e di Cerignola, l’ingresso delle macchine agricole per la
cerealicoltura nelle masserie più grandi, l’introduzione di colture specializzate (la sperimentazione dei vitigni da vino, l’incremento
dell’olivocoltura su tutta la fascia costiera garganica, e nelle zone di
San Severo, Troia, Cerignola e Trinitapoli e la gelsicoltura a San Marco in Lamis e a Cerignola) erano chiari sintomi dello stravolgimento
dei precedenti rapporti di produzione, che ormai si erano avviati verso
meccanismi propri del capitalismo agrario. Se a tali attività si aggiungono l’industria della ceramica e dei laterizi su vasta scala a Lucera,
Cerignola, San Severo, Serracapriola e Ascoli Satriano13 , l’industria
casearia Boccardi di Candela (premiata all’esposizione di Dublino) e
la necessità di istituire filiali del Banco di Napoli in Foggia, San Severo, Lucera, Cerignola e Bovino si ha una visione tanto dinamica
dell’economia locale 14 che immancabilmente si doveva riflettere sullo
sviluppo delle SMS.
Indicativamente la Tav. II, qui allegata, dimostra lo stretto rapporto esistente, nel decennio 1860-1870, fra il processo di industrializzazione nelle città e nelle campagne e lo sviluppo delle SMS. Il risultato
è evidente in alcune zone come Torremaggiore, San Severo e Apricena dove la nascita delle SMS fu favorita dallo sviluppo capitalistico
che investì. tutti i settori economici: dall’agricoltura alla trasformazione dei prodotti agricoli, alla creazione di istituti bancari e assicurativi,
allo sviluppo dell’industria della ceramica; oppure in altre come Foggia che vide la nascita delle SMS affiancarsi allo sviluppo commerciale delle città, o come per Cerignola, Ascoli Satriano e Candela che
rappresentavano tre isole capitalistiche ben evidenziate dallo sviluppo
del mutualismo operaio.
Una delle più antiche e prestigiose Società operaie della provincia
di Foggia fu la Società Operaia di San Severo che, fondata il 9-71865, aveva per scopo il mutuo soccorso15 .
12
R. SOCIETÀ ECONOMICA DI FOGGIA, Relazione sull’andamento industriale
e commerciale della provincia di Capitanata , Napoli 1865.
13
G. SCELSI, op. cit., pag. XI.
14
Ibidem, pag. XXI.
15
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400 Società Operaie f. IV-9-1879.
146
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
La Statistica MAIC del 1878 la registra sotto la denominazione
Associazione Operaia di Mutuo Soccorso, comunque nella Statistica
del 1885 viene ristabilita l’originaria denominazione. Aveva tutti i caratteri del mutualismo; agli effetti di cronicismo con almeno 6 anni di
anzianità concedeva un sussidio, elargiva un contributo per le spese
funebri e faceva prestiti sull’onore 16 . Dal 1887 la società subì un lungo
periodo di crisi in concomitanza con la nascita del locale fascio operaio. Nel 1898 la Società era ancora funzionante e annoverava fra i suo
soci l’on. monarchico Nicola Tondi, Procuratore del Re. Questa in formazione chiarisce il ruolo prestigioso della Società e la sa funzione
filo-governativa dopo il radicamento del fascio operaio gestito dal
gruppo radicale capeggiato da Imbriani17 . Alla luce di queste informazioni possiamo individuare un processo abbastanza lineare in seno
all’associazione che conserva la formi mutualistica ma si allontana
dalle esigenze proletarie diventando un comitato elettorale legato al
locale partito monarchico.
Delle Società Operaie di Torremaggiore e di Apricena, fon date
entrambe nel 1870, parla il Sottoprefetto di San Severo ne rapporto
sullo spirito pubblico del secondo semestre del ’7018 . Sicuramente
queste due associazioni dovettero estinguersi entro il 1878, perché la
Statistica MAIC del 1878 non menziona alcuni società sorta nel 1870
in questi due paesi.
Dà notizia, invece, della Società Operaia di Foggia Giacinto Scelsi19 da cui si desume un periodo di crisi della società già nel 1867. Di
questa non si hanno ulteriori notizie, ma non escluso che fosse stata la
prima versione o, quanto meno, avesse ispirato la costruzione delle
successive società operaie foggiane.
Della Società Operaia di Cerignola si hanno soltanto notizie da
fonti indirette; fondata verso la metà del 186620 , fu l’unica società operaia con quella genovese a far pervenire l’adesione all’Associazione
Internazionale dei Lavoratori al 1° Congresso21 che si tenne a Ginevra
nel 1866, e nel 1867 rappresentava un importante punto di incontro
dei lavoratori di Cerignola 22 .
Più travagliata fu la vita della Società Operaia di Mutuo Soccorso
16
MAIC, Statistica delle Società di Mutuo Soccorso - anno 1878, Roma 1880, pagg.
62, 116 e 296.
17
UMBERTO PILLA, San Severo nel Risorgimento, San Severo 1978 pag. 136.
18
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, f. 394, f. IV-1-1870.
19
G. SCELSI, op. ca., pag. XXXV.
20
MICHELE MAGNO, La Capitanata dalla pastorizia al capitalismo agraria (14001900), Roma 1975, pag. 179.
21
PIER CARLO MASINI, Storia degli anarchici italiani, Milano 1974, pag. 30.
22
G. SCELSI, op. cit., pag. XXXV.
147
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
di Ascoli Satriano, fondata il 28-1-1866 e rifondata nel 1870 e nel
1873; nel 1885 non era più annoverata dalla Statistica del MAIC, per
cui deve considerarsi estinta. Nel 1866 contava 100 soci e l’indirizzo
era apolitico. Della seconda fondazione accennata nelle carte
d’Archivio, non si ha la data precisa; la Statistica MAIC del 1878 pone la data della rifondazione ne 1870 con 36 soci, di cui 4 onorari; i
soci erano tutti i sesso maschile, la società aveva per scopi la concessione di contributi per gli impedimenti temporanei dei soci al lavoro e
distribuiva gratuitamente le medicine ai soci infermi 23 . La rifondazione de 14-12-1873 fu il tentativo più maturo che si registrò ad Ascoli
S.; gli obbiettivi dei 180 soci erano quelli noti al filantropismo cioè
l’istruzione, la moralizzazione e il mutuo soccorso, « le tendenze politiche di questa associazione [erano] liberali e un poco progressiste » 24 .
Il motivo predominante che, intorno al 1870, spinse alla formazione di SMS a Sannicandro Garganico, Casalnuovo Monterotaro e a San
Marco in Lamis apparteneva, invece, ad un ordine di cause diverso da
quello appena delineato, ma sempre derivante dalla logica liberista, introdotta dall’affermazione del mercato nazionale. Se, infatti, le precedenti società si erano sviluppate in un tessuto socio-economico di sicura tendenza capitalistica, queste ultime si muovevano in funzione
anti-feudale, arrivando perfino ad individuare nei notabili la classe antagonista del popolo, come fu il caso della Società di Mutuo Soccorso
di Sant’Agata di Puglia che, sebbene fondata nel 1874, si ricollega al
tipo di SMS, ora delineata.
Fondata ufficialmente il primo gennaio 1874, aveva per scopo il
mutuo soccorso, l’istruzione e la carità fraterna, ma sicuramente doveva rappresentare l’esigenza organizzativa del basso popolo’ in seguito
alla lotta che si era accesa contro gli amministratori locali nel 1873 per
la divisione dei terreni comunali25 . Composta da 435 soci, sicuramente
tutti nullatenenti, la Società di Sant’Agata rappresentò il più chiaro esempio di associazionismo proletario in funzione anti-borghese di
questo periodo, come testimonia il rapporto dei carabinieri che evidenziava « la tendenza ad idee politiche molto spinte in odio soprattutto
alle primarie famiglie del paese »26 . Era questo il sintomo di una precisa impostazione di classe di tale società, che significava anche il tentativo di superare gli scomposti movimenti che Caratterizzavano il ribellismo sociale, ma che, tuttavia, non indicava ancora la capacità politica dei proletari di opporsi alla borghesia e di resistere ai suoi attacchi.
23
24
25
26
MAIC, Statistica…. anno 1878, cit., pagg. 63 e 116.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8, Società operaie.
ASF, Polizia I, F. 228, f. 2200.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8, Gabinetto - società operaie.
148
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Infatti il 13 agosto dello stesso anno « per ordine dell’Autorità »
l’associazione veniva sciolta27 senza lasciare un’eredità ideale, in
quanto non vi furono ulteriori proposte di associazionismo ispirate alla
lotta anti-borghese, né da tale esperienza scaturirono simpatizzanti
l’Internazionale.
Nel 1870 il problema dell’assegnazione dei terreni fu posto con
forza a Casalnuovo Monterotaro dai contadini poveri che dettero vita
ad una locale Società Operaia28 . In realtà questa società non aveva alcuno scopo mutualistico, dovette funzionare da rudimentale comitato
di agitazione per spartizione dei terreni incolti. Analoga impostazione
ebbe Società di Mutua Patrocinio di San Marco in Lamis che si sviluppò intorno alla lotta per i terreni demaniali29 senza arrivare tuttavia,
ad assumere caratteri politici anti-borghesi, come avvenne alla Società
Operaia di Sannicandro G. 30 che, alterne vicende, concretizzò la sua
lotta nella scelta internazionalista.
La lotta per la spartizione dei demani comunali fu, di un elemento
che caratterizzò anche le società di Sannicandro G., San Marco in Lamis e Casalnuovo M. senza tuttavia provocare reazioni violente delle
autorità, come avvenne per la Società di Sant’Agata di Puglia.
Invero, la lotta contro i residui feudali (sia la spartizione delle terre
incolte, sia contro la corrutela degli amministratori locali) è stato un
referente storico della lotta di classe in Capitanata che si è trovato
sempre nelle lotte sociali e politiche dei lavoratori, articolandosi in diversi modi a seconda delle loro capacità politiche e organizzative. Tuttavia le lotte di queste società si inquadravano in quegli episodi di ribellismo sociale che avevano tratto dal brigantaggio una pratica di lotta, senza presentare alcuna velleità politica. Non fu, dunque, un caso
scelta che in seguito gli aderenti di quelle società furono costretti a fare: continuare con lo spontaneismo e gli scomposti movimenti popolari propri della jacquerie moderna, per sparire poi in breve tempo, o assumere una sistemazione politica — a dire il vero ancora rudimentale
— che allora solo l’Internazionale poteva proporre.
La fase di massima diffusione, quella fra il 1875 e il 1885 sviluppò
direttamente le tematiche delle prime esperienze, ma mentre segnava
il momento di maggiore fortuna del mutualismo, aprì la strada al superamento di questo stesso. Nel decennio in questione le società operaie
fiorirono in tutta la provincia con l’apparente scopo del mutualismo
27
28
29
30
Ibidem. Cfr. inoltre F. 306, f. 8-10-2, Partiti politici - gabinetto.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1883.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-1-1876.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f. IV-1-1870.
149
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
ma spinte in realtà da interessi politici di parte. Infatti queste società
divennero, in poco tempo, centri di prestigio e di manovre elettorali,
fino a quando con il riconoscimento governativo (legge del 15 aprile
1886) giunsero ad integrarsi nella logica interclassista e assunsero
sempre più un carattere previdenziale da un lato e di accaparramento
politico dall’altro.
La Società di Mutua Soccorso di Apricena, fondata il 3 maggio
1883, nascondendosi dietro il mutuo soccorso, aveva un’impostazione
politica moderata31 e sicuramente era un centro elettorale.
La Società Operaia di Mutua Soccorso di Biccari su posizioni
conservatrici doveva funzionare da comitato elettorale, infatti nel 1890
appoggiava la candidatura del blocco conservatore SalandraPavoncelli-Maury 32 .
La Società Operaia di Mutuo Soccorso di Casalnuovo Monterotaro, fondata il primo luglio 1883 sotto la presidenza dell’agrario
Vincenzo Veneziano33 , nascondeva dietro il filantropismo un partito
locale che sicuramente si opponeva a quello raccolto intorno alla
compaesana Società Operaia che, fondata il 28 marzo 1883, era diretta dal sacerdote Vincenzo Agnusdei34 .
Alla Società Operaia di Mutua Soccorso di Chieuti, fondata il 24
marzo 1883 e presieduta dal possidente Vitali si opponeva l’Unione
Fraterna, fondata il primo aprile 1883 e presieduta dall’altro possidente Giorgio Maurea; entrambe inquadrate nel blocco costituzionale
ed aventi per scopo il mutua soccorso e l’istruzione35 sicuramente dovevano rappresentare le due fazioni che si contendevano
l’Amministrazione Comunale.
Un carattere elettorale aveva anche la piccola, ma longeva, Società
di Mutua Soccorso fra Cuochi e Camerieri di Foggia che, fondata nel
1870 e composta mediamente da una trentina di soci36 , nel 1890 appoggiava il blocco di Salandra 37 così come facevano la Società Centrale e la Società fra Cocchieri entrambe foggiane che nascondevano
dietro il mutualismo una funzione elettorale, oppure come la vecchia
associazione lucerina, la Società di Mutua Soccorso degli Operai, che
scesa al fianco di Salandra.
Parimenti la Società Operaia di Mutua Soccorso di Troia, fondata
nel 1878, parteggiò per il partito conservatore appoggiando Salandra
alle elezioni del 1890.
31
32
33
34
35
36
37
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, So cietà operaie, f. IV-9-1883.
La lotta, giornale elettorale, Foggia 18-11-1890, anno I, n. 4.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, Società operaie, f. IV-9-1883.
Ibidem .
Ibidem .
MAIC, Statistica del 1885 cit., pagg. 364, 370 e 371.
La Lotta, cit.
150
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Carattere elettorale ebbero probabilmente le tre omonime e contemporanee Società Cooperative Operaie di Orta Nova e le due società
operaie di Manfredonia, tutte agenti nel 188538 .
Più evidente fu il carattere elettorale della Società Operaia «
Trionfo Dauno » di Panni. Fondata il 18 agosto 1883 era composta da
tutti i notabili del paese39 e il suo indirizzo politico era governativo,
infatti in una lettera del segretario particolare del re, datata 18-10-1883
e spedita al Sottoprefetto di Bovino, si chiedeva di ringraziare la società per aver indirizzato un saluto al monarca. Questa società più che
rappresentare una fazione opposta all’Amministrazione Comunale indicava la creazione di un cartello politico unico che, tuttavia, cominciò
a spaccarsi già dal 1884 proprio in merito alla gestione del Comune,
indicando diverse correnti in seno allo stesso partito. Probabilmente
questa divergenza portò al lungo periodo di crisi che dovette causare
lo sfascio della società prima di poter rispondere ai quesiti per la Statistica MAIC del 1885.
Anche la Società Operaia Agricola di Mutuo Soccorso di Pietramontecorvino, fondata il 26 marzo 1882 e presieduta da un certo Tito
Serra, era in realtà un comitato elettorale a favore del vice-presidente
Di Sabato40 .
Sicuramente, dunque, l’ingerenza della borghesia nelle SMS allontanò queste associazioni dalla genuinità iniziale di quel mu tualismo
sociale che si era concretizzato nella lotta all’analfabetismo, nel sollevamento morale e sociale dei lavoratori, nelle scelte dell’azione collettiva contro quella individuale ed emarginata, lasciando loro solo
l’aspetto formale della previdenza. Non fu, quindi, un caso che il Governo attribuisse alle SMS unicamente un’importanza previdenziale e,
in seguito, le sorresse e alimentò in funzione anti socialista, proprio
quando la crisi economica degli anni ‘80, sollevando drammaticamente il problema occupazionale, evidenziava i limiti del pensiero mutualistico che non contemplava un potere contrattuale dei. soci e una capacità difensiva e di resistenza agli attacchi che la crisi sferrava ai salariati attraverso il licenziamento o le riduzioni del potere effettivo
d’acquisto del salario. Soltanto verso il 1880 si riscontrano le prime
tracce di una resistenza larvale di alcune società nel tentativo di superare il carattere mutualistico ed assumere quello del miglioramento
economico. Concedevano, infatti, un sussidio di disoccupazione, indicando, così, una prevalente presenza di salariati. la Società Operaia di
Castelluccio Valmaggiore e le Società di Mutuo Soccorso fra Cuochi e
Camerieri, Operaia di Mutuo Soccorso ‘Giuseppe Ricciardi’ e la Lega
di Mutuo Soccorso fra i Falegnami di Foggia 41 .
38
39
40
MAIC, Statistica del 1885, cit. pag. 564.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8, società operaie.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, società operaie, f. IV-9-1882.
151
41
MAIC, Statistica del 1885, cit., pagg. 370, 371.
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Soprattutto, quest’ultima precorrendo nella denominazione le le ghe di resistenza, sottolineava una logica diversa dal mutualismo, anche se non ancora estrinsecata.
La Società Agricola di Faeto, fondata il primo gennaio 1878 con
117 soci, fu l’esempio di quel tentativo di superamento del mutualismo, nonostante evidenti contraddizioni. Essa, infatti, rappresentava
un chiaro esempio di mutualismo con le concessioni di sussidi di malattia dal quinto giorno di degenza e con la gestione di una scuola serale, ma nello stesso tempo si poneva come scopo il miglioramento
della classe42 . Questa diversità di intenti provocò una crisi all’interno
della società, tanto che i soci furono costretti a denunciare continui
abusi del direttivo43 . Nel gennaio dell’84 fu ristrutturata e arrivò a
contare un centinaio di soci alla fine dell’anno44 , tuttavia l’aver tentato
una soluzione diversa dal mutualismo, proponendo elementi di resistenza operaia, aveva provocato una crisi insanabile, che evidenziava i
grossi limiti della previdenza; molto probabilmente lo scioglimento
della società che avvenne il 24 marzo del 188945 dovette essere causato dalla progressiva scoperta dei limiti previdenziali da parte dei soci,
che, però, non riuscirono a concretizzare una nuova forma associativa.
Una posizione analoga fu assunta dalla Società Operaia di San
Marco la Catola. Fondata il 14 novembre 1880, aveva per scopi
l’istruzione gratuita e il miglioramento economico e sociale delle condizioni dei soci. Sebbene questa società avesse avuto una vita breve,
— la Statistica MAIC del 1885 non la riporta, per cui dovette estinguersi entro il 1884 — assunse un significato importante perché propose chiaramente il problema del miglioramento economico in un
momento in cui si era lontani da una qualsiasi influenza socialista e si
era ormai distanti da possibili proposte internazionaliste. Inoltre, la
presenza’ di una contemporanea Società Operaia ‘Morale e Lavoro’
di chiara posizione conservatrice, fondata nel 1882 per contrastare
l’attività della Società Operaia indicava la necessità dei notabili locali
di mettere in crisi l’azione di miglioramento portata avanti da quel sodalizio. Infatti il rapporto dei carabinieri rilevava chiaramente la costruzione strumentale della ‘Morale e Lavoro’ da parte del clero e dei
proprietari locali in funzione anti-operaia: « 1) La nuova società viene
presieduta dal signor arciprete Liberato Capone, 2) la sua istituzione è
42
43
44
45
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8, società operaie.
Ibidem .
MAIC, Statistica del 1885, cit., pagg. 370, 371.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-10, Gabinetto - Società operaie.
152
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
da due mesi, 3) il numero dei soci è di un 300 (la maggior parte proprietari), 4) per ora dispone di quelle solo piccole contribuzioni dei
soci, 5) lo Statuto non è ancora compilato, 6) Lo scopo è l’istruzione e
mutuo soccorso » 46 . Questa società ebbe un carattere temporaneo, nonostante la possibilità economica dei soci; invero la scomparsa del
‘Morale e Lavoro’ è in diretta relazione alla scomparsa dell’altra Società Operaia, a dimostrazione di un certo ruolo strumentale del mutualismo.
Un ulteriore caso di Società di miglioramento si registrò a Torremaggiore, dove il 20 aprile 1884 veniva fondata la Società Cooperativa dei Lavoratori che aveva per scopo « riunire in una sola famiglia i
lavoratori a fine di migliorare la condizione loro »47 . « I soci [erano] in
maggior parte dei contadini ad eccezione di due individui nullatenenti
e disoccupati. Di politica non ne capi[vano] affatto, né se ne occupa[vano] »48 . Era questo il caso più evidente della maturazione di proletari verso un’elaborazione di un organismo di difesa e di resistenza
che, tuttavia, restava ancora radicato nell’ambito del mutualismo o,
quanto meno, della rivendicazione economica, poiché escludeva qualsiasi funzione politica della società.
Da un altro canto, invece, si stava sviluppando la necessità dei proletari di staccarsi dalle ingerenze borghesi e, quindi, di concretizzare
un superamento del mutualismo con la creazione di un associazionismo prettamente politico e, per di più, sganciato dall’influsso dei ‘soci
onorari’, come avvenne intorno al 1885 per le società garganiche.
Forte dell’influsso internazionalista il Gargano si presentò intorno
al 1885 con alcune società prive di soci onorari e con un sicuro orientamento politico autonomo, anche se non ancora socialista.
La Società Operaia di Mutuo Soccorso di San Marco in Lamis fu,
forse, l’esempio più chiaro di questa maturazione. Fondata il 29 settembre 1882, aveva un adesione di massa con 587 soci e gli scopi dichiarati erano il mutuo soccorso e l’istruzione, ma in realtà aveva
un’impostazione decisamente di classe e coltivava i contatti con le Società di Carpino, S. Giovanni Rotondo e Sannicandro 49 tanto che
l’anno successivo il Sottoprefetto di San Severo denunciava il tentativo della società di assumere una fisionomia più politica e di passare
dal mutualismo all’associazionismo politico50 .
Su identica posizione si trovava la vecchia Società Operaia di Mutuo Soccorso di Carpino che ancora meglio indicava in prosieguo
46
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1882.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1885.
48
Ibidem.
49
Ibidem.
50
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f. IV-1-1879.
47
153
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
ideale dell’Internazionalismo al Socialismo moderato. Infatti, fondata
il 2 settembre 1877 con 35 soci51 , faceva parte del gruppo di Società
gestite dagli internazionalisti e rappresentava con quelle la loro roccaforte in Capitanata. Non fu, dunque, un caso che proprio dal Gargano
partì il rinato movimento di classe dopo la crisi dell’Internazionale
degli anni ‘80. Sicuramente, quindi, la « nuova società » in Carpino, a
cui accennava il sottoprefetto di San Severo nella relazione sullo spirito pubblico del secondo semestre 1886, dovette essere la rifondazione
di questa società — ripresasi dalla stretta reazionaria e antiinternazionalista — avvenuta nel settembre 188652 , La su citata relazione prefettizia riconfermava, appunto, la tendenza di classe e sottolineava il tentativo di trasformarsi in associazione politica e riprendere
i legami con le altre società garganiche.
Analogo iter ebbe la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Sannicandro, che fondata il primo agosto 1876, assunse spiccate posizioni
internazionaliste53 per scomparire provvisoriamente intorno agli anni
‘80; infatti anche per questa società la Statistica del MAIC dell’85
tacque. Soltanto nel 1887 si ripre. sentò all’attenzione delle autorità
locali54 , riproponendosi su posizioni progressiste.
L’altra società, indicata dal rapporto dei carabinieri di avere contatti con San Marco in Lamis, Carpino e Sannicandro Garganico, era
la Società Operaia di Mutuo Soccorso di S. Giovanni Rotondo, fondata nel 1885, della quale purtroppo si hanno soltanto le scarne informazioni Statistiche MAIC del 188555 da cui, tuttavia, si delinea una sua
impostazione progressista nell’avere incluso fra i soci le donne e nel
rifiutare i soci onorari. Questi dati non possono che confermare una
sua scelta politica di classe, tanto più che la presenza di una contemporanea società, gestita dal clero 56 sottolinea il carattere progressista
della società in questione.
Fu, allora, intorno al 1885, che si delinearono definitivamente la
funzione e il ruolo delle SMS nei confronti della classe proletaria. Se
infatti la scomparsa dell’azione internazionalista come ipotesi politica
aveva permesso la penetrazione dell’interclassismo, mutuato dal filantropismo, in seno ai proletari, nello stesso tempo aveva lasciato un
51
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1879.
Ibidem, F. 394, f. IV-l-1886. In una relazione dei carabinieri del 1886 la società
viene riportata sotto la denominazione di Federazione Operaia con l’intenzione di « costituirsi in partito politico ultra repubblicano ». Cfr. ASF., Ibidem, F. 401. f. IV-10-1886.
53
Ibidem, F. 390, f. IV-5-1880.
54
Ibidem. F. 400, f. IV-9-1887.
55
MAIC, Statistica 1885, cit., p. 364, 370 e 371.
56
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, f. IV-9-1885.
52
154
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
retaggio culturale che a lungo termine influenzò la scelte dei proletari,
i quali assunsero dalle esperienze e dalla pratica internazionalista quegli elementi che potevano diventare momenti organizzativi e di difesa
materiale delle condizioni di vita.
In quel contesto, allora, si delineò una modificazione delle SMS
che sempre più era determinata da precise scelte politiche dei proletari, fra un’organizzazione autonoma e un organismi filo-padronale. Si
creava, così una polarizzazione politica di cui i proletari erano gli artefici nello scegliere una propria reale autonomia dalla borghesia oppure
nel continuare a farsi gestire come massa di manovra dai vari notabili.
Fu in quel frangente che il mutualismo e il filantropismo cedettero il
passo alla polarizzazione politica fra padronato e proletariato che si
manifestò sempre più apertamente fino a quando le SMS, ridotti ormai
in un ambito previdenziale, assunsero un evidente carattere conservatore nei confronti dei Fasci Operai, e delle Leghe di resistenza successivamente.
La scelta del Governo, che, con la legge del 15 aprile 1886 affidava alle SMS un ruolo unicamente previdenziale, deve considerarsi
l’ultima spiaggia del mutualismo Proletario nelle SMS in quanto il riconoscimento legale richiedeva necessariamente dei mallevadori politici che soltanto la classe dominante poteva fornire. La dis criminazione nel concedere il riconoscimento accentuava, così, la frattura fra
borghesia e proletariato nel momento in cui l’occupazione diventava
un drammatico problema risolvibile soltanto con nuove forme associative e contemporaneamente, politiche o con l’emigrazione che cominciava ad assumere i caratteri dell’esodo di massa. Infatti nove soltanto
furono le società riconosciute legalmente, proprio ad indicare lo stretto
controllo che le autorità locali esercitavano sulle associazioni proletarie 57 .
Certamente il processo di crescita del proletariato non fu lineare,
né tanto meno i nuovi tempi imposti dalla crisi economica e dalle sue
conseguenze videro l’intera classe proletaria maturare una coscienza
politica autonoma. Le SMS, tuttavia, smisero di essere l’unico momento organizzativo del proletariato per diventare sempre più una
struttura filo-padronale in funzione antisocialista.
57
Le società riconosciute erano:
Società di Mutuo Soccorso - Bovino, registrata il 31-8-1886;
Società di Mutuo Soccorso - Margherita di S., registrata il 31 agosto 1886;
Società Operaia mista di Mutuo Soccorso - Vieste, registrata il 10 settembre
1886:
Società Operaia di Mutuo Soccorso - S. Agata di Puglia, registrata il 12 ottobre
1886;
Società Operaia di Mutuo Soccorso di Poggio Imperiale, registrata il 2 agosto
1887;
Fascio Operaio di Lucera, registrato il 19 agosto 1887.
155
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Ormai il mutualismo puro andava incontro ad una crisi profonda,
come è manifestata dai brevi periodi di vita delle società mutualistiche
sorte intorno al 1885.
In particolare la Società Operaia ‘Onestà, Luce e Lavoro’ di Celle
San Vito che raccoglieva quasi tutti gli uomini adulti del paese, fondata nel 1884 con 130 soci, scendeva a 98 aderenti l’anno successivo58 e
chiudeva per estinzione il 31 marzo 188859 Allo stesso modo si comportava la Società Operaia di Mutuo Soccorso di Castelnuovo che,
fondata il primo giugno 1883, si scioglieva il 29 marzo dell’8660 .
Ma generalmente le società a carattere prevalentemente previdenziale scomparvero Intorno alla fine degli anni ‘80 mentre si delineava
lo schieramento in due blocchi antagonisti delle altre società.
A questo schieramento di fronti apparteneva la Società Operaia di
Ischitella, di cui si ha l’unica informazione da un rapporto dei carabinieri del 16 marzo 1886, da cui si rileva uno spaccato della situazione
economica del paese e il ruolo della società operaia.
« Non si può negare che la grandine caduta nel marzo decorso
anno abbia distrutto quelle campagne e abbia ridotto la maggior
parte di quelle popolazioni nella miseria, mancando alla povera
gente il pane e anche il lavoro giornaliero, poiché i proprietari non
possono far eseguire lavori per mancanza di mezzi a causa del fallito raccolto.
Per questo nelle classi povere di quel comune regna un po’ di
malcontento perché oltre a [ritrovarsi] loro malagevole il pagamento delle tasse esistenti, si trovano ancora sotto il peso di quella
fuocatico, messa pochi anni addietro.
Traendo presto da ciò il presidente di quella Società Operaia
D’Errico Giuseppe cominciò a far propaganda, che ricorrendo si
sarebbe ottenuto la soppressione della tassa fuocatico e la sospensione delle altre e così indusse molta gente a firmare i due reclami
da lui fatti redigere allo scopo di discreditare l’attuale amministrazione comunale alla quale vorrebbe sostituire sé e i suoi alle
venture elezioni […]61.
Comunque, da quanto appena riportato, pur notando un sentimento
contestativo della società, nulla da’ la possibilità di individuare
nell’eventualità delle lotte un carattere socialista, come nulla permette
58
59
60
61
MAIC, Statistica del 1885, cit., pp. 368-369.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-10.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, f. IV-9-1883 e f. IV-9-1887.
Ibidem, f. IV-9-1886.
156
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
di vedere dietro il rinfocolamento della rivolta sociale una manovra
elettorale.
Una situazione simile si riscontra a Roseto Valfortore, dove la Società Operaia Agricola « Capi-famiglia» con gli 816 soci e l’assenza
di persone benemerite si poneva su una chiara posizione di classe.
Più evidente fu, invece, la posizione assunta dalla Società Operaia
«I figli del Lavoro» di Rodi Garganico che, fondata il 4 ottobre 1884
con lo scopo del mutualismo e dell’istruzione, attirava l’attenzione del
locale delegato di P.S. per l’influenza che esercitava sulla classe proletaria 62 e sicuramente, uno dei primi scioperi della provincia avvenuto a
Rodi G. nel 189463 era frutto degli ideali nati in seno a quella società.
Con un’evidente contraddizione si presentava la Società di Mutua
Soccorso « Principe di Napoli » di S. Giovanni Rotondo, che fondata
nel 1891 e diretta da vecchi internazionalisti, adottava la denominazione filo-monarchica e finiva con l’attirare l’attenzione dei carabinieri, i quali annotavano che l’ispiratore « [era] certo Bramante Luigi,
avvocato, persona di equivoca condotta morale e di principi contrari
alle istituzioni. I soci [erano] gran parte operai e contadini, alcuni dei
quali pregiudicati per delitti comuni. Il presidente, certo Serritelli
Giovanni, di Tommaso, di anni 36 [era] maestro elementare [...] ligio
al Bramante »64 . Non si deve escludere, dunque, che l’intestazione al
principe potesse essere una manovra per evitare rappresaglie dalle autorità locali ma non si può tralasciare anche l’eventuale mancanza di
chiarezza politica.
La chiarezza, invece, era evidente nelle scelte politiche che fece
Calvitto nel presiedere la Fratellanza Operaia di S. Marco in Lamis.
Fondata il 25 aprile 1890 la società contò ben presto 300 soci tutti appartenenti alla classe contadina e, per la prima volta, oltre al mutualismo, si proponeva di partecipare alle elezioni come forza autonoma 65 .
Dunque soltanto agli inizi del nuovo secolo la parabola delle SMS
si avvia a concludersi. E se da un lato i proletari riconoscevano la necessità della previdenza, dall’altro indirizzarono la loro attività in un
ambito extra-legale rifiutando il riconoscimento del tribunale per accettare la copertura della Camera del Lavoro. Era il caso della Società
Ferroviaria « A. Volta » di Foggia del 1902, che, pur legandosi alla
tradizione mutualistica, si schierava dalla parte dell’organizzazione
proletaria 66 .
62
Ibidem, f. IV-9-1887.
MAIC, Statistica degli scioperi avvenuti nell’industria e nell’agricoltura durante
l’anno 1894, Roma 1896, p. 44.
64
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1884.
65
Ibidem, f. IV-9-1890.
66
Cfr. Il Foglietto, Lucera 16-1-1902 anno V, n. 5, Foggia - Nuova società tra ferrovieri e cfr. Il Mattino 12/13-1-1904, anno XIII, n. 12, L’ordine del giorno della CdL di
Foggia.
63
157
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Ma il mutualismo rappresentò anche un disimpegno politico che
coincideva con la conservazione dello status sociale, come affermava
nell’art. 2 lo statuto della Società di Mutuo Soccorso fra gli agenti del
dazio di Foggia, fondata il primo marzo 1900 il quale recitava: « scopo unico dell’Associazione è quello di sovvenire i soci in caso di malattia e le loro famiglie in caso di morte »67 senza spingersi in là nelle
battaglie che infervoravano gli animi dei proletari in quel periodo.
Meglio ancora si spiegava l’ art. 2 dello statuto della Società dei Muratori di Foggia, fondata il 16 marzo 1901, dove era sottolineato che «
la società si propone l’aiuto reciproco, il risparmio e il benessere morale e materiale dei suoi membri, esclude ogni ingerenza amministrativa e politica » 68 .
Il mutualismo arrivò, quindi, a schierarsi contro gli stessi interessi
proletari che, attraverso la sperimentazione di nuove forme associative, erano giunti alla formazione della Lega. L’esempio più evidente
della funzione antioperaia delle SMS nel nuovo secolo fu quello registrato a Deliceto nel 1902.
Nel gennaio 1902 veniva inaugurata la società operaia di Deliceto;
la notizia veniva riportata dal periodico Il Foglietto:
« Si è qui costituita fra liberi e onesti operai una società operaia, che porta il nome di « Associazione di Mutuo Soccorso Principessa Jolanda ». Essa mentre deve mantenersi del tutto estranea
alle questioni politiche, mira a stringere più fortemente i legami di
solidarietà già esistenti tra i soci, a stabilire un centro di relazioni
amichevoli fra essi e a tutelare gli interessi che abbiano immediata
attinenza con l’opera benefica di sussidi e soccorsi a vantaggio di
quelli riconosciuti bisognosi e meritevoli »69.
Ma nonostante il cronista si fosse sforzato di presentare sotto la più
delicata luce filantropica l’attività della società, era costretto a riportare alcuni giorni dopo sullo stesso giornale che « la locale lega dei contadini [aveva inaugurato] [...] la propria bandiera verde. Per le circostanze vennero ‘compagni’ da Foggia e si pronunziarono discorsi » 70 .
L’infelice tentativo di opporre all’organizzazione proletaria una struttura ormai decadente falliva nel giro di un paio di anni con la chiusura
della società operaia, come attesta una relazione del Sottoprefetto di
Bovino 71 .
67
Statuto e regolamento della Società di Mutuo Soccorso fra gli agenti daziari di
Foggia , Foggia 1901.
68
Statuto della Società dei Muratori di Foggia , Foggia 1901.
69
Il Foglietto, Lucera 12-1-1902, anno V, n. 4, Da Deliceto Nuova Società di Mutuo
Soccorso.
70
Il Foglietto, Lucera 20-2-1902, anno V, n. 15, Deliceto - la bandiera dei contadini.
158
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Si esauriva dunque, il ruolo della SMS all’inizio del ‘900, cedendo
il posto a nuove forme organizzative più incisive e autonome di essa,
che avrebbero potuto servire meglio le lotte proletarie sempre più numerose e virulente.
71
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 22, f. 2-7-17 (1905).
159
Le società di Mutuo Soccorso e l’Internazionale
Il rapporto che intercorse fra l’Internazionale le SMS in provincia
di Foggia assunse importanza rilevante nel successivo sviluppo organizzativo e politico del proletariato locale, sopra tutto per il particolare
interesse che spinse le locali sezioni dell’Internazionale a preferire un
lavoro di massa all’ideologizzazione delle lotte. Un lavoro, questo,
che fuori dubbio poneva come presupposto una strategia politica diversa da quella adottata dal più ampio numero di sezioni italiane
dell’Internazionale.
Il grande momento dell’Internazionale coincise con la Comune di
Parigi del 1871, cui seguì in Italia la rottura con i mazziniani, e con la
Conferenza di Rimini del 4-6 agosto 1872, che rappresentò contemp oraneamente la rottura con la frazione « autoritaria » dell’Associazione
Internazionale dei Lavoratori la nascita del primo moderno partito del
proletariato italiano1 .
Prima di tali avvenimenti l’internazionale in Italia era piuttosto una
rappresentanza onorifica che un’associazione a livello nazionale, infatti, pur contandosi numerose associazioni operaie si dichiaravano
sezioni dell’AIL soltanto quella Napoletana, che dopo l’episodio della
Comune, assunse la denominazione di Federazione Operaia Napoletana, e quella siciliana di Sciacca, diretta da Saverio Friscia 2 .
Soltanto in seguito alla rottura con Londra 3 , consapevole della portata politica dell’avvenimento e sotto la guida di un nutrito gruppo di
quadri noti a livello europeo4 , quell’associazione riuscì ad estendersi a
tutto il territorio italiano.
Le prime notizie di sezioni internazionaliste sono riportate da
1
Cfr. Volontà anno XXV, n. 5, speciale per il centenario della Conferenza di Rimini; inoltre cfr. PIER CARLO MASINI, op. cit., pp. 45-69 e cfr. GIULIANO MANACORDA, Il movimento operaio italiano, Roma 1974, pp. 45-69.
2
MAX NETTLAU, Bakunin e l’Internazionale in Italia, Ginevra 1928, p. 228 e
NELLO ROSSELLI, Mazzini e Bakunin, Torino 1967, p. 195.
3
La sezione italiana dell’AIL fu categorica in merito, decidendo di non riconoscere
il Consiglio Generale di Londra e rifiutandosi di partecipare al Congresso de l’Aja dello
stesso anno; cfr. H. COLE, Storia del pensiero socialista, Bari 1972, vol. II, p. 208. Inoltre cfr. i testi indicat i nella nota I di questo paragrafo.
4
Come Malatesta, Costa, Covelli, Cafiero, Palladino, Cerretti, Tucci Fanelli, ecc.
160
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Antonio Lucarelli, che data intorno al 1871 la presenza di internazionalisti organizzati a Foggia, Cerignola, Bovino, Cagnano V., Carpino
e Sannicandro 5 ; e dal 1874 pure a S. Marco in Lamis 6 . In realtà di anarchici dichiarati non ne esistevano molti, tanto più che i rapporti dei
carabinieri dell’epoca favorivano la confusione fra « anarchici » e «
repubblicani » accomunando o dividendo gli schedati a seconda delle
situazioni e delle relazioni fra i due partiti, che a dirla con Errico Malatesta « furono in certi momenti amichevoli ed intime in vista di progettate azioni comuni, ed in certi altri momenti violentemente ostili » 7 .
Pur non trovando conferma dell’esistenza di sezioni internazionaliste in Capitanata nei lavori di ricerca compiuti dagli studiosi
dell’Internazionale italiana8 il ritrovamento dell’elenco degli schedati
negli anni ‘70 del secolo scorso presso l’Archivio di Stato di Foggia
permette di avallare le informazioni del Lucarelli, con un margine di
dubbio per la presenza dell’Internazionale a Cerignola e a Bovino.
Dall’appendice B, dove sono riportati i nomi dei sovversivi foggiani
schedati fra il 1873 e il 1893 individuati dai servizi di sicurezza, oltre
a quelli ricavati da diversa fonte si può verificare la presenza diffusa
degli internazionalisti per gran parte della provincia, che conferma
l’esistenza di un partito internazionalista organizzato, cui aderirono
nel periodo di massimo sviluppo intorno al 1879 un centinaio di associati, noti alle autorità.
Certamente l’area effettiva degli affiliati e dei simpatizzanti doveva essere più vasta, anche se non tutti avevano una lucidità politica effettiva. Anzi la confusione ideologica non era soltanto propria dei
simpatizzanti o dei redattori delle schedature politiche, ma investiva
gli stessi quadri dell’Internazionale.
In una lettera al suo compagno di Foggia, Giovanni Canziano,
Carmela Palladino denunciava l’equivoco in cui tale signor Fini « ha
navigato e naviga tuttora ».
« Costui » — infatti — « si è atteggiato a socialista e con tale vezzo ha avvicinato più d’uno dei nostri. [...] L’equivoco deve cessare.
D’ora in poi non godrà più la fiducia dei socialisti e quindi bisogna
averlo in questo conto che merita » 9 .
5
ANTONIO LUCARELLI, Carmelo Palladino, Roma 1949, p. 5.
La prima notizia sulla presenza dell’Internazionale a S. Marco in Lamis è testimoniata da un rapporto del delegato di P.S., datato 28-7-1874 in cui si legge che « il partito
Repubblicano-Internazionale è minimo e nascente composto da pochi cittadini mossi a
questi principi più per spirito di parte e da gare municipali ed a cui non farebbe bene
nessuna forma di governo all’infuori di quella del Comunismo ». Cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1874.
7
M. NETTLAU, op. cit., p. XVI.
8
Come Max Nettlau, Pier Carlo Masini, Nello Rosselli, ecc.
9
La lettera, sequestrata dalla polizia nell’abitazione del Canziano, sicuramente anteriore al 1879, è riportata nell’appendice C.
6
161
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Antonio Fini era un noto attivista, l’organizzatore della Società
Operai di Cagnano Varano e stretto collaboratore di Carmela Palladino e Emilio Covelli, come si ricava da una nota del 1877 del Sottoprefetto di San Severo al Prefetto di Foggia 10 , che, tuttavia, in occasione
di una visita del re a Foggia voleva presentarsi a nome della Società
Operaia per porgergli un saluto di benvenuto.
Comunque, al di là di etichette precise, la funzione repressiva degli
apparati statali serrò più volte le file della resistenza politica dei « partiti estremi », provocando quelle relazioni amichevoli di cui parlava
Malatesta. Però è certo che l’attività dell’Internazionale nella provincia di Foggia divenne alacre e per seguì una strategia diversa da quella
dei più autorevoli internazionalisti italiani, rifiutando la vita della propaganda del fatto, istituita dal Comitato Italiano per la Rivoluzione
Sociale11 .
Sebbene in provincia di Foggia si fosse registrata una seri di sollevamenti popolari12 , i dirigenti internazionalisti più autorevoli scelsero
una via diversa da quella insurrezionale. Si trattava, evidentemente,
della sperimentazione di una diversa strategia, contraria all’eclatante
azione esemplare per una politica più sotterranea di ricomposizione
della classe che trovava li Carmela Palladino il suo, massimo portavoce13 . Un portavoce che certamente aveva un ampia chiarezza del quadro politica internazionale e delle dispute fra il Consiglio Generale di
Londra e le sezioni bakuniniste e che si schierava decisamente con
queste ultime.
« Mi duole che fin dalla prima lettera che io vi dirigo, io porti opinione opposta al Consiglio Generale, ma come tra noi non debbono
esservi equivoci, così ho voluto aprirvi francamente l’animo mio »,
scriveva, infatti, il 13 novembre 1871 ad Engels, dichiarando la sua
scelta socialista-anarchica, che tuttavia nelle sue articolazioni strategiche si differenziava dagli stessi Costa e Cafiero.
10
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 396, f. IV-2-1877.
Il più autorevole gruppo degli internazionalisti italiani guidato da Malatesta, Cafiero e Costa, fondarono nel 1873 il Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale che teorizzava l’insurrezionalismo, sulla scia dei sollevamenti popolari spagnoli e del diffuso
disagio delle classi subalterne italiane, prima fra tutte quella contadina. Cfr. GINO
CERRITO in Volontà anno 1872, n. 5, pp. 342 e segg.
12
MICHELE MAGNO, op. cit. pagg. 167-168, 169.
13
Sulla figura di Carmelo Palladino le notizie e le pubblicazioni sono poche e
frammentarie, nonostante il suo ruolo di primo piano nella definizione teorica
dell’anarchismo italiano dalla rottura con l’Internazionale di ispirazione marxista. Ancora oggi resta valido il breve saggio di Antonio Lucarelli, pubblicato su Umanità Nova,
organo della Federazione Anarchica Italiana, in più riprese, da cui nel 1949 se ne trasse
l’opuscolo, Carmelo Palladino, qui più volte citato.
11
162
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E in effetti la sua posizione rimase pressoché immutata anche
quando il fallimento dell’insurrezionalismo portava Andrea Costa a
scegliere la via di un anarchismo moderato cui seguì la svolta socialista. Anzi in quella occasione non esitava a scagliare un duro attacco al
vecchio internazionalista passato al socialismo evoluzionista:
« Da quanto ho detto risulta che Costa invece di dire francamente,
come avrebbe dovuto fare: io rinnego il mio passato, ed abbandonando il campo del socialismo anarchico, passo armi e bagagli in quello
del socialismo borghese e del repubblicanismo, col quale il socialismo
legale si connette, è venuto preparando con astuzia, e man mano, la
sua diserzione per figurare in questa a capo di un sedicente partito socialista e continuare a sfruttare l’ammirazione di pochi illusi — che in
conseguenza egli non è in buona fede; e finalmente che la sua non è
evoluzione, ma reazione e apostasia »14.
Ma nello stesso tempo sottolineava la sua precisa divergenza da
Carlo Cafiero, il più acceso dei propugnatori della lotta armata:
« Carlo Cafiero ha compiuto anch’egli un’evoluzione, ma vera,
ma dignitosa; non fallace e gesuitica come quella di Costa »15;
proprio quando l’internazionalista di Barletta si avviava inesorabilmente verso la pazzia, suggellando la fine dell’idea di una rivoluzione immediata in Italia.
La posizione antiinsurrezionalista ricavabile dai pochi dati rintracciati sembrava, dunque, interessare la maggioranza degli internazionalisti di Capitinata, anche se non si deve tralasciare
il peso della frazione che già agli inizi del 1874, sulla scorta del
Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale, progettava la realizzazione di bande armate sul Gargano16 .
Che, comunque, la corrente anti-insurrezionalista mantenesse la
maggioranza in Capitanata fino alla stretta repressiva che seguì
l’attentato di Passanante del novembre 187817 — definibile come
14
A. LUCARELLI, op. cit., p. 7.
Ibidem.
16
Il progetto di banda armata nella zona di S. Marco in Lamis era noto alle autorità
locali, come si deduce da una nota del Prefetto di Foggia al Sottoprefetto di San Severo,
datata 4-4-1874. Cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f. IV-2-1874.
17
Il 17 novembre 1878 l’anarchico Giovanni Passanante attentava, a Napoli, alla vita di Umberto I. Il 18 novembre a Firenze veniva scagliata una bomba contro un corteo
che manifestava per lo scampato pericolo del re, provocando quattro morti e dieci feriti.
Il 19 a Pisa un’altra bomba veniva scagliata contro un corteo senza provocare vittime.
Giorgio Candeloro afferma che le due bombe erano quasi sicuramente un atto provocatorio per accentuare la repressione contro l’Internazionale; cfr. G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna, vol. V, Milano 1978, p. 144.
15
163
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culmine della pratica insurrezionalista —, lo si deduce dalla posizione
che assunse Palladino in occasione del moto di Castel del Monte
dell’estate 1874.
Incontrandosi clandestinamente a Foggia il 3 agosto 187 alla vigilia dell’insurrezione con Malatesta e Buonfantini18 .Carmelo Palladino
dichiarava il suo aperto dissenso da tale azione e sicuramente dovette
riferire ai promotori di quella insurrezione una posizione collettiva che
rifletteva la strategia dell’intervento di massa degli internazionalisti
della provincia, tant’è che un rapporto dei carabinieri al Sottoprefetto
di San Severo, all’indomani del fallito moto, informava:
« In questo circondario non si è data alcuna importanza ai fatti avvenuti in Romagna, nè a quelli ripetuti nel prossimo circondario di
Barletta [da cui dipendeva Castel del Monte]. Qui fin al giorno d’oggi
tutto è tranquillo, né vi sono sintomi da fa credere che la posizione
possa cambiare »19.
E ciò accadeva non certamente per deficienza di quadri ma, sicuramente, per una chiara strategia politica.
Fu soltanto la reazione governativa rinforzatasi dopo il 1878 a corredo dell’attentato di Passanante a Umberto I che, indubbiamente, ricacciò indietro le realizzazioni di tale strategia, adottata dagli internazionalisti foggiani.
Come gli altri massimi esponenti anarchici, Carmelo Palladino si
vide costretto a riparare in Svizzera per sventare la repressione antirivoluzionaria; era questo il grande momento del rilancio
dell’insurrezionalismo in Capitanata20 .
L’importanza delle sezioni della provincia di Foggia doveva essere
rilevante, poiché fra la fine di luglio e l’inizio di agosto 1881, prima
ancora della pubblicazione in lingua italiana degli Atti del Congresso
Internazionale di Londra di quell’anno che teorizzavano la pratica della lotta clandestina21 la polizia era già al corrente di un’insurrezione
nazionale, che sarebbe dovuta partire da alcuni punti chiave della pe-
18
A. LUCARELLI, op. Cit., p. 6.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1874.
20
Un’esauriente spiegazione delle scelte e dei limiti dell’insurrezionalismo è stata
data da G. CERRITO, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa - Per una storia
dell’anarchismo (1981-1914), Firenze 1977; cfr. anche G. CERRITO in Volontà, cit.,
pagg. 325 e segg. sull’insurrezionalismo degli anni ‘70.
21
Gli atti furono pubblicati sul n. 18 del 17-8-1881 del Grido del popolo di Napoli;
cfr. G. Cerrito, op. cit., p. 9, nota 1.
19
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nisola fra cui Foggia 22 mentre segnalava la partenza per la Puglia la
partenza di Costa Minardi e Bianchini23 , quest’ultimo noto comp onente della « Banda del Matese » 24 .
Tuttavia, al di là di questa intenzione, mai realizzata, no esistono
ulteriori notizie che indichino una continuità insurrezionalista nella
provincia, anche perché a Carmelo Palladino si affiancò dal 1881 il
maestro elementare di Manfredonia, Antonio Murgo, che ispirato da
Saverio Merlino si poneva nell’ottica d riorganizzare in movimento
anarchico in Puglia su basi di massa.
E certo, comunque, che la stretta reazionaria degli ultimi anni del
‘70 provocò in Capitanata uno strozzamento dell’Internazionale, che,
avviatasi sulla via dell’anti-organizzazione e della massima ideologizzazione, avrebbe sempre più perso i contatto con il proletariato, nonostante i tentativi estremi di rinserrare le file sulla linea strategica degli
anni passati, ormai frantumati e difficilmente riproponibile.
Intorno al 1881 si presentò l’esigenza, di alcuni internazionalisti,
di riorganizzare il movimento anarchico, che però risentiva del cataclisma avvenuto, soprattutto in seguito al defilarsi di alcuni dei suoi
più autorevoli quadri. Il passaggio d Andrea Costa al socialismo evoluzionista, l’incipiente follia d Carlo Cafiero, l’esilio di Errico Malatesta, i dissidi nella sezione napoletana — molto influente in Capitanata
— e la scelta anti organizzatrice di Emilio Covelli, prefigurata nel carteggio con Antonio Murgo25 ponevano problemi ben più complessi,
perchè il movimento andava sempre più frantumandosi e perdendosi
in lunghi dibattiti interni sulla purezza della teoria.
Un’ampia testimonianza di questo dibattito anche in pro vincia di
Foggia è fornita dal carteggio di Antonio Murgo con Andrea Costa,
Emilio Covelli e Saverio Merlino fra gli anni 1881 e 1883 e delle articolazioni tattiche che confondevano elementi strategici evoluzionisti e
comunisti anarchici26 .
Su tali basi l’opera di riorganizzazione dell’Internazionale in Capitanata si concentrò intorno al già noto Carmelo Palladino, ad
22
Le città interessate erano Imola, Rimini, Cesena, Lecco, Lodi, Lugo, Foggia, Benevento, Catania e Girgenti; cfr. ASF, Polizia I, F. 331, f. 2479.
23
Ibidem.
24
Prese il nome di Banda del Matese la formazione armata anarchica guidata da Cafiero e Malatesta, che conquistò il paese di S. Lupo nel beneventano nell’anno 1876. Su
questo avvenimento cfr. P. C. MASINI, op. Cit., pp. 105 e segg. e FRANCO DELLA
PERUTA, Democrazia e Socialismo nel Risorgimento, Roma 1977, p. 247 e segg.
25
« Il socialismo io per me sono sempre più convinto » — diceva Covelli a Murgo
— «non deve essere organizzazione formale, nè pubblica ne segreta, deve consistere nella propaganda, nella partecipazione alla vita pubblica [...] » in F. DELLA PERUTA, op.
cit., p. 425.
26
Ibidem, appendice III.
165
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Antonio Murgo e a Saverio Merlino, che in quel periodo tentava
un’operazione di ricucitura del movimento in seguito alle ferite inflittegli dagli avvenimenti degli anni precedenti.
« E’ da molto tempo » — scriveva infatti a Murgo il 24 novembre
1881 — « che io cerco di unire gli amici di codeste province per organizzare una Federazione delle Puglie dell’Associazione de
l’Associazione Internazionale dei Lavoratori; ma tutti i miei sforzi finora sono stati invano »27.
e nello stesso tempo indicava una metodologia efficace per l’opera di
ricomposizione:
« il nostro lavoro non potrà riuscire che ad un patto, il più assoluto segreto. Almeno ciò deve valere per il lavoro propriamente detto, perché poi vi sono tante altre cose che si possono fari apertamente »28.
Cosa fossero quelle cose che si potevano fare apertamente lo spiegava in una successiva lettera, in cui non risparmiava accuse ai vecchi
militanti;
« bisogna lavorare a trovarne di nuovi; bisogna penetrare di sottecchi
nelle Società Operaie, bisogna accaparrarci i migliori, anche senza
pretendere che essi fin dal principio accettino parola per parola, e virgola per virgola il nostro programma, salvo a spiegarlo loro poco per
volta; bisogna, a parer mio, mettere avanti l’idea della solidarietà fra
gli operai, dell’intesa che è loro necessaria per migliorare la loro posizione, ripetere per loro l’apologo di Menenio Agrippa, se non ricordo
male, e far risuonare questa sola predica, fino a che non li si è radunati, e non li si è trascinati nella lotta. Allora poi sarà il caso di far loro
vedere praticamente che l’unica soluzione possibile è quella che noi
proponiamo. Insomma bisogna capovolgere l’ordine della nostra propaganda; altrimenti non giungeremo che a gettare l’allarme, lo spavento, la incertezza negli stessi operai »29.
Era, dunque, estremamente lucida la strategia elaborata dal Merlino che tendeva alla creazione di un comitato ristretto all’interno della
classe proletaria, ossia proponeva la creazione di una rete di quadri,
quale intelaiatura necessaria del partito, che doveva articolare la pro-
27
28
29
Ibidem, p. 438.
Ibidem.
Ibidem, pp. 439, 440.
166
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
pria attività a due livelli: una interna (la creazione del « comitato segreto ») e una esterna (la diffusione delle idee comuniste anarchiche
attraverso l’intervento).
« Sul principio credo che potresti dare anche un’altra intonazione
al lavoro ». Continuava l’avvocato anarchico. « Forse sarebbe bene di
evitare certi nomi e certe formole: l’essenziale è di raccogliere gente,
di costituire un vincolo d’unione. Poi alla prima occasione, come hanno fatto gli operai spagnoli al recente congresso di Barcellona, aderire
in massa all’Internazionale e votarne gli statuti »30.
Con questo dibattito, quindi, andava sviluppandosi una nuova organizzazione comunista-anarchica, forte anche della presenza del vecchio militante Palladino, il quale accettava di partecipare al « comitato
ristretto » che doveva « essere il nerbo de partito intransigente » 31 .
Si riorganizzava, così, verso il 1883, il partito anarchico in Puglia
sotto la direzione strategia di Palladino, Murgo, Cataldo Malcangi di
Corato e altri con sezioni operanti in Capitanata, delle quali sicuramente operanti quelle di Cagnano Varano, Manfredonia e Foggia.
E, sebbene il Costa e il Covelli avessero messo in dubbio
l’esistenza di tale associazione, la presenza degli anarchici di Capitanata si notò anche nei momenti nazionali con una chiara lucidità teorica.
Nel 1884, infatti, la sezione di Foggia sottoscriveva la proposta
avanzata da « La Questione Sociale » per le dimissioni di Costa da
deputato a favore di Amilcare Cipriani32 e il 15 marzo 1885 partecipava al congresso nazionale anarchico di Forlì. Tuttavia la crisi che colpiva nell’87 il movimento anarchico, nonostante la volontà espressa
dei congressi di Palermo dell’8233 e di Forlì dell’85 di aprirsi ad un intervento nella classe, era aggravato dall’esilio di Malatesta e di Merlino e dallo sviluppo dell’individualismo come prassi politica e poneva,
quindi, fine all’esperienza di Murgo e Palladino, che ritiratisi molto
probabilmente dall’attività politica lasciavano senza direttive quelle
associazioni proletarie sorte intorno al progetto elettorale di Merlino34 .
30
Ibidem, p. 440.
Ibidem, p. 449.
32
P. C. MASINI, op. cit., pp. 213, 214.
33
F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 447.
34
Merlino, infatti, proponeva di aggirare l’ostacolo del reclutamento di nuovi militanti con la proposta di centri elettorali: « se riesce difficile fare altre associazioni, un
Circolo operaio elettorale, come quello di cui unisco il programma, può essere un buon
ritrovato o pretesto per fare della propaganda ». Ibidem, p. 446.
31
167
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Analogamente chiari furono i rapporti che l’Internazionale strinse
con il proletariato foggiano e, in particolare, con le SMS.
Già dal 1875 si era aperto un dibattito in seno alle sezioni internazionaliste della Capitanata, in merito alla strategia da adottare in quel
periodo.
Ignorato dagli studiosi dell’Internazionale italiana, rivolti piuttosto
a dimostrare la tesi della naturale tendenza di questa ad estinguersi o a
scegliere la via parlamentare di Andrea Costa, quel dibattito è stato
trascurato a favore della tendenza insurrezionalista che, sebbene fosse
l’elemento plateale dell’Internazionale anarchica, non fu, tuttavia, la
sua unica espressione politica.
In tal modo si è protratta nel corso dell’analisi storica una lacuna
rilevante ai fini dello sviluppo teorico e strategico del movimento politico ed economico del proletariato italiano.
Da parte mia, nella ricerca mi sono limitato a raccogliere tutte le
informazioni disponibili al riguardo nella provincia di Foggia, per la
verità esigue, ma approssimativamente sufficienti per offrire l’idea del
dibattito locale sulla strategia da adottare.
Sicuramente i quadri locali dovevano avere avuto i documenti del
« Comitato Socialista di Locarno » di cui parla in una relazione riservata, in data 20 novembre 1875, il Prefetto di Foggia ai Sottoprefetti
di San Severo e Bovino, dove si attesta che
« alcuni delegati speciali delle sezioni Italiane dell’Internazionale avrebbero ricevute, dal Comitato Socialista di Locarno, istruzioni di
adoperarsi per una fusione del partito repubblicano colla setta internazionale allo scopo di sostenere vicendevolmente il suffragio universale, l’istruzione obbligatoria laica, la diminuizione delle ore di lavoro e
l’aumento dei salari »35.
Sulla base di queste indicazioni i quadri pugliesi avevano elaborato
una strategia d’intervento che si riassume egregiamente nelle parole
del Prefetto di Foggia al Sottoprefetto di Sansevero in una nota riservata del 19 febbraio 1877:
« L’Associazione Internazionale di S. Nicandro Garganico ha spedito
giorni sono una circolare a tutte le altre associazioni per organizzarsi
ed estendersi sotto il manto di Società di Mutuo Soccorso, ma col vero
scopo di propagandare massime internazionaliste. A capi di queste
dovrebbero essere prescelti individui noti per opinioni esaltatissime
»36.
35
La circolare in ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1875, è riportata
integralmente in appendice C.
36
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1877.
168
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Tale valutazione era espressa più organicamente dal Sottoprefetto
di San Severo nella Relazione sullo spirito pubblico del II semestre
1877, laddove si specifica che gli internazionalisti «hanno avuto la
scaltrezza di farsi ispiratori di società operaie, e di altre consimili associazioni, di allettare gli affiliati col protettorato che dichiaravano di
assumere de’ loro diritti, coll’eccittarli a rivendicazioni di [tutto] [...],
sicché non v’ha sorveglianza bastevole per seguirli nei loro atti » 37 .
Le circolari delle autorità locali, peraltro, riferivano i temi di un
dibattito già protrattosi a livello provinciale, e certamente dovevano
trarre spunto da esperienze già praticate. Del resto, se l’attività
dell’Internazionale verso le SMS trovava ora una sua definizione teorica e pratica, va detto che già dal 1873 essa era presente in quelle, attirandosi l’attenzione delle forze dell’ordine. Era il caso della Società
di Mutuo Soccorso fra gli operai di Candela, che, fondata il 16 luglio
1873 con 82 soci38 , raccoglieva intorno alle più schiette manifestazioni mutualistiche (pensione di vecchiaia, prestiti sull’onore, sussidi ai
famigliari dei soci defunti e distribuzione gratuite di medicinali39 ) un
primo nucleo di simpatizzanti dell’Internazionale. Di questa società
scriveva, infatti, il tenente dei carabinieri di Bovino il 30 luglio 1874
che « di setta Internazionale o Repubblicana in quella società [erano
il] Presidente, Segretario, Segretario, Cassiere e qualcheduno altro » e
« il loro scopo tende[va] tutto a vedere migliorato [sic!] la posizione
degli operai, e di non essere schiavi della classe aristocratica, la quale
in paese vorrebbe tenere il monopolio su tutto, ed imperare su di tutta
la povera gente, come nei tempi del cessato feudalesimo » 40 .
Il 25 settembre 1876 il più noto internazionalista del Subappennio,
Alberico Altieri, fondava a Faeto una prima società ad indirizzo internazionalista. La prima notizia di quella società è testimoniata da un telegramma, spedito dallo stesso Altieri, a Giovanni Bovio a nome della
società e bloccato dal Sindaco di Troia 41 . Anche questa associazione
aveva per scopo il mutuo soccorso, tuttavia non riuscì a svilupparsi e
sicuramente fu chiusa quando si generalizzò la repressione contro
l’Internazionale; non raggiunse il 1878, infatti, la Statistica del MAIC
di quell’anno non la riporta.
Sul Gargano, invece, l’Internazionale creò la sua roccaforte con la
costituzione quasi contemporanea delle società operaie in Carpino,
Cagnano Varano e Sannicandro Garganico (cfr. appendice E), cui si
37
38
39
40
41
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-l-l878.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8.
MAIC, Statistica del 1878, cit., pp. 62 e 116.
ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 307, f. 8-10-8.
Il testo integrale del telegramma è riportato in appendice D.
169
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
aggiunse qualche anno più tardi quella di S. Marco in Lamis. E tale attività non sfuggiva alle autorità di polizia; il Prefetto di Foggia, infatti,
scriveva in una nota riservata del 1877 « che Antonio Fino di Cagnano
Varano in concerto col noto Carmelo Palladino e sotto l’ispirazione di
Covelli Emilio di Napoli si da[va] briga per organizzare in Cagnano,
in Sannicandro, in Carpino alcune società operaie col pretesto del mutuo soccorso, ma con tendenze internazionaliste » 42 .
Il primo agosto 1876 veniva fondata, dunque, la Società di Mutuo
Soccorso a Sannicandro Garganico. Presieduta dall’internazionalista
Luigi Della Monica, affiancato nel 1878 dall’orafo Pietro Colletta in
qualità di vicepresidente e da Luigi Colletta, in qualità di cassiere, entrambi internazionalisti (cfr. Appendice B), aveva i caratteri del più
puro mutualismo, in quanto concedeva sussidi temporanei per malattia
e gestiva una scuola serale, sotto cui si sviluppò la tendenza internazionalista,
« non solo per essere al Municipio di S. Nicandro avversa, [...] ma per
idee sovversive dell’attuale forma di governo, perciò nella bassa plebe
tutti si dice[va] che [dovessero] avere non solo le paludi, il lago e i terreni, ma si [dovevano] arricchire perché ciò che [avevano] i padroni
[doveva] essere di loro. Le riunioni di essa e della società operaia si
[facevano] di sera inoltrata [...]. [Era] chiarissimo il socialismo e
l’internazionale che colà si rappresenta[va] sotto modeste forme e sotto i pretesti di fare bene agli operai [...] »44.
Nel 1877 con 141 soci, di cui 6 onorari, veniva fondata la Società
Operaia di Mutuo Soccorso di Cagnano Varano45 , anche essa basata
sul mutuo soccorso, ma di sicura tendenza internazionalista, infatti nel
1878 veniva rappresentata da Antonio Fioritto al Congresso repubblicano di Roma 46 . Su analoghe posizioni internazionaliste si trovava la
Società Operaia di Mutuo Soccorso di Carpino, fondata il 2 settembre
1877, di cui si è già parlato. A tale Proposito va detto che questa società fino a alla metà degli anni ‘80 subirono i contraccolpi della repressione governativa che si scatenò contro l’Internazionale; esse si
ripresero dopo il momento di crisi dei primi anni dell’80 con un’impostazione elettoralista — come si è visto in precedenza — in concomitanza all’azione di Murgo e Palladino, per poi maturare, quando la
44
Un altro documento sottolinea l’indirizzo internazionalista della società, infatti «
il signor Fioritti in una adunata della società disse che la proprietà è un furto. Tali insinuazioni al certo sono nocive […] anche a riguardo dello stato d’animo di questi cittadini
continuamente eccitati contro i proprietari ». Cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F.
400 (fuori collocazione).
45
MAIC, Statistica del 1878, cit., pp. 63 e 116.
46
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 395, f. IV-2-1878.
170
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
crisi del movimento anarchico fece sparire l’organizzazione in Puglia,
una coscienza di classe abbastanza autonoma verso quelle forme di
lotta e organizzative proletarie, proprie del movimento operaio e sindacale del Novecento.
Bisogna, comunque, notare che già negli anni ‘70 non sfuggiva agli internazionalisti foggiani il livello della coscienza proletaria, ancora molto basso.
Di fronte alle difficoltà di realizzazione del loro progetto, maturato
« nella maggior parte degli operai », essi avevano, infatti, deciso di
costituire
« un gruppo internazionalista, lasciando però nelle società di mutuo
soccorso gli internazionalisti che vi apparten[evano] affinché continu[assero] a far propaganda dei loro principi fra i soci »47.
Questa in fondo era la preconizzazione di quella struttura che Merlino proponeva agli internazionalisti foggiani e trovava consenziente il
rigoroso Palladino.
A fianco di questa penetrazione nelle società operaie, l’Internazionale dovette sicuramente avere un rilevante peso fra gli operai
delle ferrovie foggiane, che storicamente rappresentarono la punta di
diamante del movimento operaio in provincia di Foggia.
La presenza dell’Internazionale fra i ferrovieri è chiaramente deducibile dal numero di operai aderenti al progetto anarchico; inoltre
una nota del Prefetto di Foggia del 17 settembre 1881 sui rapporti politici di Giovanni Canziani — il più noto internazionalista foggiano
del tempo — che parla di « molte relazioni col personale viaggiante
delle Ferrovie »48 e le segnalazioni di Merlino a Murgo di ferrovieri
anarchici in Foggia nel 1882 ci permettono, perfino, di trarre delle
conclusioni sulla Società Operaia Ferroviaria di Foggia.
Agente intorno al 1885 con i suoi 400 aderenti, era la società operaia più numerosa della città49 e rappresentò la prima associazione operaia di categoria, intorno a cui maturarono gli scioperi dell’86, uno
dei quali, partito da Foggia, assunse un carattere nazionale con
l’adesione dei grossi centri ferroviari della linea adriatica50 .
47
Ibidem, F. 396, f. IV-2-l877.
Ibidem, f. IV-2-188l.
49
MAIC, Statistica del 1885, cit., p. 564.
50
Sugli scioperi ferroviari della metà degli anni ‘80 cfr. GIUSEPPE DE LORENZO,
La prima organizzazione di classe dei ferrovieri, Roma 1977, pp. 98 e segg. e cfr. ENRICO FINZI, Alle origini del movimento sindacale: i ferrovieri, Bologna 1975, pp. 31,
32.
48
171
Il rapporto fra Società di Mutuo Soccorso e classe dominante.
Quando nel 1869 Michele Bakunin osservava che:
« Ogni politica borghese, qualunque sia il suo nome colore non
può avere in fondo che un solo scopo: il mento del dominio borghese;
e il dominio borghese è la del proletariato »1
sembrava preconizzare una situazione che, appena allora, stava maturando nel Meridione d’Italia, proprio quando il proletariato cominciava a darsi una forma organizzativa precisa nelle SMS.
Non esisteva qui quella precisa borghesia, a cui Bakunin si riferiva, ma prosperava una classe, secolarmente privilegiata antagonista
del ‘basso popolo’, che, per la prima volta, scossa dal significato e
dallo stravolgimento economico e culturale dell’Unità, decideva di usare questo popolo come strumento politico.
Erano la classe ascendente degli agrari, le stesse autorità periferiche, qualche sparuto filantropo ed anche, seppure con premesse leggermente diverse, i clericali ad interessarsi del proletariato organizzato, nel momento in cui questo stava acquisendo i primi rudimentali elementi di classe autonoma. L’azione di questi personaggi, apparentemente al di sopra delle barricate di classe, andava ad inserirsi col
preciso scopo di gestire il peso politico che inevitabilmente i proletari
esprimevano attraverso le prime forme di organizzazione.
Come si è notato poche erano le SMS che avevano una pura ed esclusiva matrice filantropica, anche se tutti i rapporti delle autorità locali tendevano a sottolineare il carattere puramente assistenziale di
queste associazioni e se tutti gli Statuti reperiti parlano soltanto di mutuo soccorso e, a volte, di istruzione fra gli operai.
Nei rapporti ufficiali dei Sottoprefetti, redatti semestralmente, quasi sempre si cercava di normalizzare le contraddizioni sociali per ovvi
motivi di prestigio all’interno delle gerarchie ministeriali2 . I rapporti,
generalmente identici nella formulazione e nelle conclusioni, tendeva-
1
MICHELE BAKUNIN, Politica dell’Internazionale, apparso su L’Egalité del 7
agosto 1869, ora in M. BAKUNIN, Azione diretta e coscienza operaia, Milano 1977, p.
34.
2
Questa tesi è stata posta da Mario Assennato, anche se soltanto accennata nella
conferenza tenutasi nel 1977 alla Biblioteca Provinciale di Foggia sul tema Radicali e
Socialisti in Capitanata.
172
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
no, com’è ovvio, ad affermare la osservanza delle istituzioni da parte
della popolazione, anche se talora trasparivano motivi acuti di contestazioni sociali e politica.
La manovra di minimizzare tutti quegli avvenimenti che potessero
ledere il prestigio dell’istituzione vigente e la capacità delle autorità
locali a far rispettare questo prestigio era evidente in alcuni rapporti
dei carabinieri o dei delegati di P.S. sulla presenza di internazionalisti
e socialisti nel Circondano di San Severo, laddove a fianco delle note
era aggiunta a mano dal Sottoprefetto la parola « fasulla » 3 .
Anche l’altra fonte d’indagine (gli Statuti delle SMS) non riesce a
fornire elementi tali da individuare le spinte che si nascondevano dietro l’enunciazione del mutuo soccorso. Tutti gli statuti rispecchiavano
uno schema unico e generalizzato, con variazioni soltanto circa le quote e le chiamate dei sussidi. Raramente lo statuto forniva ulteriori elementi soprattutto in relazione agli scopi e alle modalità d’ingresso (il
sesso, l’età, ecc.). Unica nota di rilievo era il riferimento ai precedenti
penali dei soci: quasi tutti gli statuti richiedevano una buona condotta
e solo qualcuno eludeva tale richiesta, accettando implicitamente il
reinserimento del pregiudicato e del renitente alla leva. Ed erano proprio quelle società che avevano un’impostazione meno interclassista
ad elaborare quest’ultimo tipo di statuto.
In realtà tutte le SMS, sebbene fossero teoricamente filantropiche,
nascondevano grossolanamente gli interessi dei vari personaggi locali.
Di quelle strumentalizzazioni parlarono spesso le autorità locali
senza, però, dare indicazioni al riguardo delle società e personaggi che
agivano in tale ottica. Già nel 1878 il Sottoprefetto di San Severo scriveva che «esist[evano] società il cui scopo apparente è eminentemente
filantropico, ma in realtà tend[evano] a ottenere la preminenza nei
consigli comunali avversando un partito a vantaggio di un altro e monopolizzare la pubblica cosa del comune, servendo non di rado di sgabello a meschine ambizioni personali » 4 .
Nel 1885 il ruolo elettorale delle SMS era tanto evidente che
l’allora Sottoprefetto di San Severo esprimeva con le seguenti parole
una sua valutazione negativa:
« Piuttosto che mirare all’istruzione [...] e al miglioramento della
classe, [le SMS] furono create per servire da istrumento dei partiti che
si contendono l’amministrazione dei comuni »5.
3
4
5
ASF, Sottoprefettura di San Severo , F. 396, f. IV-2-1893.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f. IV-1-l878.
Ibidem , f. IV-1-1885.
173
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Analoga valutazione era espressa nel 1890, tuttavia in termini meno violenti, in quanto le SMS stavano diventando sempre più funzionali al potere Costituito, in funzione anti-socialista; infatti il Sottoprefetto di San Severo, pur evidenziando il suolo elettorale delle SMS,
giustificava a suo modo tale funzione.
« Generalmente » — osservava infatti — « le Società Operaie di
questo Circondano si mantengono fedeli allo scopo della loro istituzione, tuttavia non è infrequente il caso che, pur rappresentando la
medesima una forza, altri si prepari e voglia sfruttarla in occasione
delle elezioni amministrative e politiche. Ma se questo pur avviene e
non potrebbe impedirsi, è da notare con compiacimento che lo scopo
del mutuo soccorso è in generale abbastanza osservato nella maggioranza dei predetti sodalizi, e che solo cinque comuni annoverano una
doppia società. Questa duplicità è conseguenza di vecchie ma tenaci
scissure e di ire partigiane, ed è sorta e mantenuta a sostegno e contro
le rispettive Amministrazioni comunali, onde i singoli adepti possono
mantenersi forti per combattere con maggiori probabilità nei Comizi
elettorali »6.
Naturalmente questo atteggiamento delle autorità di polizia seguiva una precisa logica anti-progressista. Fra gli esempi più concilianti,
in merito alla partecipazione alle lotte elettorali, è da segnalare il caso
della Società Centrale Operaia, della Società fra cuochi e camerieri,
della Società fra cocchieri — tutte foggiane —, della Società Operaia
Cooperativa e della Società di Previdenza di Cerignola e delle Società
Operaie di Troia e Biccari, in occasione della costituzione del blocco
conservatore Salandra-Pavoncelli-Maury, che si appoggiava, appunto,
su una serie di società operaie e di fasci operai7 . Un atteggiamento intollerante, invece, si manifestava l’anno successivo, allorché lo stesso
Sottoprefetto di San Severo scriveva che le SMS
« generalmente si manten[evano] ferme al filantropico scopo del mutuo soccorso, ma non [era] raro il caso che i mestatori [riuscissero] a
sfruttarle nelle lotte comunali, specialmente in quei comuni dove più
antiche [erano] le divisioni politiche »8.
Era evidente che i « mestatori » appartenevano, quasi certamente,
ai partiti progressisti, e andavano colpiti energicamente.
6
Ibidem, f. IV-l-1891.
Cfr. La lotta - giornale elettorale che era l’organo di quel blocco politico, Foggia
novembre 1890, anno I, n. 4.
8
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f. IV-l-1892.
7
174
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Una prova fu l’eccezionale provvedimento autoritario che colpì la
Società Operaia di Sant’Agata di Puglia nel 1874, che, scivolata su
chiare posizioni di lotta di classe, veniva stroncata con l’ordine di
scioglimento.
Le autorità governative locali avevano capito, dunque, l’importanza delle SMS e le avevano complessivamente accettate, tollerandole fin quando rimasero nell’ambito assegnato loro dal potere costituito.
Fin dal 13 luglio 1865, il Sottoprefetto di San Severo, scrivendo al
Prefetto di Foggia sulla società operaia di San Severo, rivelava un sostanziale atteggiamento di benevolenza:
« Gode l’anima al sottoscritto di poter partecipare alla Sig. V. Ill.ma
che in questa città si è costituita il giorno 10 stante una di quelle istituzioni, che tanto onora l’umanità, ed i Governi che le favoriscono, voglio dire la società di mutuo soccorso »9.
Da questi principi derivò, dunque la concessione alle nove società
già citate soltanto di essere registrate in tribunale secondo la legge del
15 aprile 1886 e la relegazione ditale istituzione in un ambito sempre
più esclusivamente assistenziale.
In ultima analisi, si può sostenere che tutte le società operaie, escludendo quelle legate all’Internazionale e quelle ispirate dai clericali
delle quali si parlerà in seguito, erano legate a personaggi locali, più o
meno ammanettati alle sfere del potere costituito, dietro apparenti motivi filantropici. Ciò può spiegare, fra l’altro, la presenza contemporanea di più società in uno stesso comune ed anche avanzare l’ipotesi di
sviluppo di quelle prime forme di clientelismo che sarà spesso la pedina di lancio della classe dominante nell’agone politico della provincia di Foggia.
9
ASF, Sottoprefettura di San Severo, F. 401, f. IV-10-1865.
175
Le Società di Mutuo Soccorso e i clericali
Un discorso leggermente diverso va fatto per le società di ispirazione clericale, alla luce degli elementi emersi dall’analisi dei dati reperiti. L’attività dei clericali nelle SMS rappresenti infatti, una svolta
importante nella più ampia collocazione dei gruppi sociali della provincia.
Al momento dell’Unità, il partito clericale vantava l’unica organizzazione politica reale in Capitanata e rappresentava un sorta di unione fra agrari in formazione, aristocrazia e ‘basso popolo’ in funzione antiliberale e antipiemontese; ancora agi inizi dei 1874 il Sottoprefetto di San Severo annotava che « i sentimento nazionale non [era]
affatto sentito da queste popolazioni » mentre « se ricorre[va] la festa
di un santo [c’era da stordirsi per le manifestazioni » 1 .
Era uno stato di fatto che col tempo, comunque, venni ad essere
incrinato da due fattori principali: l’erosione della diffidenza verso il
governo centrale di molti rappresentanti delle classi dominanti locali e
io sviluppo dell’Internazionale.
Non a caso la relazione del II semestre del 1874 sullo spirito pubblico del Circondano di San Severo, il locale Sottoprefetto pur riaffermando la supremazia di un sentimento borbonico clericale, sottolineava il timore di manifestare questa ideologia in piazza per paura di
compromettersi2 , indicando così un lento e forse, inconsapevole mutamento della composizione sociale del partito clericale.
Spaccatasi questa alleanza politica eterogenea, che era stata sostenuta ed alimentata per un ventennio dalle curie e dalle parrocchie, il
partito clericale fu costretto a trasformarsi in forza anti-proletaria, andando a coincidere con gli interessi degli agrari3 .
1
ASF, Sottoprefettura di San Severo , F. 394, f. IV-1-1874.
Ibidem, f. IV-1-1875.
3
« [I clericali] si astengono da ogni atto illegale e compromissivo. Molti poi che si
qualificano clericali e borbonici non sono che uomini conservatori, i quali si riappacificherebbero coll’ordine attuale di cose se meglio vedessero conservato l’ordine e tutelate
le vite e le sostanze dei cittadini [...] ». Dalla relazione sullo spirito pubblico del II semestre 1878 del Circondano di San Severo, cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 394, f.
IV-1-1878.
2
176
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Tale sviluppo si concretizzò con l’ingresso degli esponenti di questo partito nelle società di mutuo soccorso a partire dal 1877: una decisione non tanto determinata da un’evoluzione interna al partito clericale locale, quanto da una serie di manovre a livello nazionale da parte
di organismi ufficiosi della Chiesa, di cui rimane traccia nello stesso
Archivio di Stato di Foggia.
I due documenti più importanti, ritrovati fra le carte d’Archivio,
sono in se stessi esaustivi, rispetto all’ipotesi sopposta.
Il 19 novembre 1877 il Prefetto di Foggia inviava una circolare riservata ai Sottoprefetti di San Severo e Bovino in cui si informava della divulgazione ad opera del Consiglio Generale delle Unioni Operaie
Cattoliche di Torino di un programma sociale in opposizione al tentativo di laicizzare le classi operaia e contadina (cfr. Appendice F). Tale
programma seguiva fedelmente le disposizioni emanate qualche mese
addietro dal Consiglio Generale della Gioventù Cattolica inviate a tutti
i giovani cattolici italiani. Il programma era permeato da spunti sociali
e filantropici che, tuttavia, nascondeva la paura delle gerarchie cattoliche di vedersi sottratta la classe operaia dalle proposte
dell’Internazionale; la circolare si chiudeva con una « preghiera » di
istituire e favorire « le Società di Mutuo Soccorso fra gli operai cattolici, modellandole possibilmente sulle antiche Corporazioni d’arti e
mestieri, facendo sì che l’elemento religioso predomin[asse] in esse »
(cfr. appendice G).
L’obbiettivo strategico del partito clericale si spostava, così,
dall’interesse palesemente religioso, consistente nel mantenere il privilegio della Chiesa sullo Stato, ad un interesse nuovo rappresentato
dall’esigenza di un blocco antiprogressista.
Le direttive, non a caso, partirono da Torino, che, come realtà capitalistica avanzata, registrava la crescita di una precisa coscienza di
classe.
Tali indicazioni nella provincia di Capitanata provocarono, di fatto, l’abbandono dell’integralismo in funzione antigovernativa per
scendere ad accordi con le frange emergenti di un capitalismo agrario
conservatore, che trovò qualche anno dopo in Antonio Salandra
l’esponente più rappresentativo. L’obbiettivo comune era indicato nella lotta alle classi più povere, ormai per molti versi sotto la spinta
dell’Internazionale, aggregatesi intorno alla questione degli espropri
dei terreni demaniali e delle contestazioni alle Amministrazioni Comunali.
Non fu, dunque, un caso che le società operaie cattoliche si svilupparono in quelle zone in cui l’Internazionale e lo spirito laico erano
più radicati.
A Cagnano Va rano si realizzava nella metà del 1878 l’intenzione
di alcuni cattolici di istituire una locale società operaia.
177
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Sorta con 140 soci di cui 20 onorari4 la Società di Mutuo Soccorso
« Benefattrice » si pose immediatamente in posizione antagonista alla
coeva società internazionalista, tanto che nel dicembre di quell’anno
lo stesso Sottoprefetto di San Severo ne periodico rapporto sullo spirito pubblico poneva questa società in un ambito reazionario « in antitesi di quella operaia » 5 .
Analoghi tentativi si ebbero a Sannicandro Garganico e Carpino, e
continuarono per tutta l’ultima parte del secolo scorso, quando la contrapposizione alle società operaie progressiste assunse un carattere di
aperta reazione (cfr. Appendice H).
Nel 1885 veniva fondata a S. Giovanni Rotondo la Società Cattolica Artistica « Cuore di Gesù » sotto la presidenza del canonico Matteo
Siena; con 158 soci si poneva in posizione antagonista all’altra società
di carattere progressista. La chiara testimonianza di un rapporto del 23
aprile 1885, in cui si affermava che « [erano] tutti operai meni i capi
(che sono preti) »6 rispecchiava precisamente il ruolo di frazionamento
della classe contadina, assunto dalla Chiesa locale.
Analogamente il 16 luglio 1882 veniva fondata la Società Operaia
di Mutuo Soccorso di Casalvecchio di Puglia, diretta da] prete don Pasquale Andreano, che, proclamando la necessità del mutualismo e
dell’istruzione, si poneva in realtà in concorrenza all’altra società operaia locale 7 .
Il legame fra Chiesa e padronato fu più evidente nella istituzione
della già citata Società Operaia « Morale e Lavoro» di San Marco la
Catola, dove i 300 soci, quasi tutti proprietari, avevano eletto a loro
presidente l’arciprete Liberato Capone8 nella lotta contro la classe
bracciantile organizzata nella coeva Società Operaia.
Ma l’attività dei cattolici non si risolse nel contrastare soltanto
l’azione delle società operaie internazionaliste o socialiste, giunse ad
opporsi anche alle frange moderate del ceto padronale. Ad esempio un
caso si verificò a Casalnuovo Monterotaro con la fondazione della Società Operaia il 28 marzo 1883. sotto la presidenza del sacerdote Vincenzo Agnusdei9 . Questa società rappresentava una delle due fazioni
che tendevano alla gestione del paese, e si contrapponeva all’altra che
si raggruppava intorno ad un proprietario terriero che dirigeva la Società Agricola, fondata nello stesso anno10 .
Sotto la copertura del mutualismo, quindi, l’attività dei clericali di
4
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, (fuori collocazione).
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-1-1878.
6
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, f. IV-9-1885.
7
Ibidem, f. IV-9-1883 e cfr. MAIC, Statistica del 1885, cit., p. 187.
8
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1882.
9
Ibidem, f. IV-9-1883.
10
Ibidem.
5
178
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Capitanata celò sempre un profondo antagonismo alla laicizzazione
della classe proletaria, che passava attraverso le articolazioni del socialismo e attraverso le rivendicazioni economiche, o anche per la via
del filantropismo liberale.
L’attività dei clericali, inoltre, si manifestò sempre più chiaramente in funzione antioperaia, ogni volta che le società operaie cattoliche nacquero e vissero di riflesso e nel tentativo di ostacolare le associazioni operaie dello stesso tipo con imp ostazione laica.
Dall’analisi dei dati è emerso, infatti, che tutte le società operaie
cattoliche sorsero in conseguenza della presenza di società operaie
progressiste, funzionarono in loro antitesi ed ostacolo e scomparvero
appena i sodalizi progressisti chiudevano. Questa particolarità pone in
una posizione diversa la funzione e il ruolo delle società cattoliche,
che in modo aperto usarono i proletari credenti contro quelli laici con
lo scopo di tamponare qualsiasi falla nel sistema di dipendenza culturale e religiosa che vedeva l’apparato cattolico in una posizione di
schiacciante preminenza.
179
I Fasci Operai.
Proprio negli anni in cui le Società di Mutuo Soccorso assumevano
una veste istituzionale, compariva una diversa forma associativa dei
lavoratori di Capitanata, che nell’ultimo quindicennio del secolo scorso caratterizzò l’organizzazione della classe proletaria; era il fascio
operaio che nel suo periodo di massimo splendore, ossia nella prima
metà degli anni ‘90, si presentò con caratteristiche molto diverse dalle
SMS, anche se nella fase di gestazione ebbe elementi previdenziali
comuni alle Società di Mutuo Soccorso.
I Fasci Operai si estesero soprattutto nell’Alto Tavoliere, rappresentando l’elemento transitorio dell’organizzazione politica della classe proletaria, fra le SMS e le Leghe o le sezioni di partito.
Tuttavia, sebbene l’impronta politica fosse la caratteristica predominante dei Fasci Operai della Capitanata, resta complesso delineare
un quadro completo delle forze politiche che li gestirono, perché non
tutti i fasci si schierarono su posizioni progressiste. Comunque, è certo
che all’interno di questi organismi si era già stabilizzato un frontismo
politico che caratterizzava immediatamente l’azione di questi organismi in senso progressista o in chiave conservatrice.
Più difficile è. invece, tracciare il loro sviluppo geografico, data
l’esiguità delle informazioni; però, anche se per difetto, è possibile avere un panorama abbastanza completo dell’attività e della dislocazione dei fasci operai, limitatamente alla zona settentrionale della Provincia di Foggia che coincideva con il territorio amministrativo affidato
al Sottoprefetto di San Severo.
La tav. III indica abbastanza chiaramente la dislocazione geografica dei Fasci operai e la loro natura politica. Era nuovamente San Severo a mostrarsi all’avanguardia con un Fascio Operaio chiaramente
progressista, a cui facevano riferimento quelli di Apricena, Torremaggiore, Vico Garganico e San Marco in Lamis, mentre un carattere conservatore contrassegnava l’attività dei fasci operai di Lucera e Cerignola.
I Fasci non conobbero la fortuna delle SMS, rimanendo sempre
un’espressione propria dei centri più grossi della provincia: due motivi
fondamentali spiegano il loro mancato sviluppo su tutto il territorio
180
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
provinciale. Innanzitutto perché ponendosi immediatamente come organismo politico, per giunta non ancora inquadrato in un partito nazionale, il Fascio operaio non offriva garanzie di difesa economica e
di stabilità politica alla classe proletaria — garanzie che invece erano
ancora offerte dal mutualismo e dal previdenzialismo delle SMS. Inoltre perché le leghe di resistenza, che comparvero e assunsero un carattere veramente di massa dopo i fatti del ‘98, che si verificarono in tutta
la provincia, mostrarono di avere una capacità di lotta economica e,
nello stesso tempo, di realizzare l’autonomia totale dalle ingerenze politiche borghesi, che il Fascio operaio non riusciva ancora ad offrire.
I primi fasci operai comparvero a Lucera e a Foggia fra il 1885 e il
1886, sebbene si parli di una simile istituzione a San Severo dal lontano 18751 su cui si devono nutrire seri dubbi.
Essi non apparvero con connotazioni socialiste, anzi si inserirono
nella scia del mutualismo, dichiarando una chiara apoliticità, che in
realtà nascondeva la scelta conservatrice nel mo mento in cui si decideva di non porsi problemi di opposizione alla condizione economica
e politica del tempo.
Illuminante è l’esempio del Fascio Operaio Lorenzo Scillitani di
Foggia.
Fondata ufficialmente il primo gennaio 1886, l’associazione, seguendo un criterio filantropico di matrice borghese, discriminava
l’adesione sulla base della buona condotta giudiziaria. Infatti lo Statuto impediva espressamente l’ingresso agli « operai riconosciuti come
notoriamente immorali », i renitenti alla leva, quelli che erano incorsi
in condanne penali; erano invece ammissibili solo coloro che potevano offrire « garanzie sufficienti per buoni costumi e ottima condotta
»2.
Come si nota questo tipo di fascio operaio apolitico assume un carattere particolare delle Società di Mutuo Soccorso, ossia il miglioramento morale, rappresentando nel frattempo lo stadio più elevato del
paternalismo filantropico. Se, infatti, nelle Società di Mutuo Soccorso
il miglioramento morale degli aderenti si perseguiva attraverso e, soprattutto, con la previdenza economica, nel fascio operaio in questione
il previdenzialismo si perde di vista a favore dell’ente morale e della
sovrastruttura ideologica. Il socio, l’operaio doveva fornire garanzie di
moralità inequivocabili; una moralità che ovviamente significava rispetto del codice culturale della classe dominante, che ovviamente rifiutava le rivendicazioni salariali e politiche perché non appartenenti a
questo codice di comportamento. La funzione moralizzatrice sulla
classe operaia svolta dal fascio operaio nascondeva, dunque, la neces-
1
2
U. PILLA, op. cit., p. 182.
Statuto della Società Fascio Operaio Lorenzo Scillitani, Foggia 1886.
181
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
sità di estendere gli schemi comportamentali della borghesia ai lavoratori manuali, che dovevano essere dirozzati e guidati o, in ogni caso,
colpevolizzati nel momento in cui esprimevano modelli comportamentali autonomi e propria in una nuova classe sociale. Non fu, infatti, un caso che il Fascio Operaio « Lorenzo Scillitani » cominciasse a
funzionare proprio in una particolare situazione sociale, quando i ferrovieri foggiani realizzavano il primo sciopero di categoria e mostravano chiari sintomi di insofferenza al conformismo che a tutti i costi la
classe dominante voleva che fosse rispettato dai salariati e più in genere, delle classi subalterne.
Un analogo caso di mutualismo è osservabile nel Fascio Operaio
di Lucera, che, fondato nel 1885, risulta essere il più antico della provincia. Questa associazione si trova menzionata addirittura
nell’Elenco statistico del MAIC del 1885, da cui rileva peraltro
l’elevato numero di soci che ammontava a 1604 3 . In realtà fu il risultato della fusione di cinque Società Operaie di Lucera 4 , per cui la sua
nuova denominazione non stava tanto a significare una diversa imp ostazione organizzativa e politica, quanto la più semplice unione di diverse associazioni. Come il fascio foggiano anch’esso dichiarava una
apoliticità che indicava una scelta politica conservatrice, infatti il 19
agosto 1887 otteneva il riconoscimento legale 5 e nel 1890 scendeva
nella lotta elettorale al fianco di Antonio Salandra 6 .
Questo fascio continuò a funzionare nel nuovo secolo, anche se registrò una continua emorragia di soci verso posizioni socialiste, fino a
quando si estinse.
Un’analoga posizione politica conservatrice fu assunta dal Fascio
Operaio di Cerignola che appoggiò nel ‘90 l’elezione dell’ agrario Pavoncelli7 .
La corrente apolitica, comunque, non fu soltanto l’espressione
primordiale dei fasci operai; essa continuò ad essere presente, anche
quando notoriamente i fasci assunsero caratteristiche più politiche ed
abbandonarono la funzione moralizzatrice dei lavoratori, come ad esempio il Fascio Operaio di Trinitapoli, fondato nel dicembre del
1867,
« che [aveva] lo scopo di sussidiare i soci in caso di malattia, di
prestare appoggio a quelli fra essi che, senza colpa, rimanessero disoccupati, diffondere l’istruzione fra i soci e i loro figli, [...] e infine
promuovere in ogni occasione e con tutti i mezzi il benessere materiale e morale dei soci »8.
3
4
5
6
7
8
MAIC, Statistica del 1885, cit., pagg. 486, 487 e 574.
ACS, Ministero Interni, Rapporti Prefettizi b. 7, f. 25 Foggia, anno 1885.
MAIC, Elenco... cit., pag. 32.
La lotta, numero cit.
Ibidem .
Il Foglietto, 19 dicembre 1897, a. I, n. 1, Da Trinitapoli.
182
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
Nello stesso Statuto però si dichiarava espressamente che il fascio
voleva mantenersi estraneo a qualunque agitazione politica.
Ma mentre si registra uno sviluppo di Fasci Operai ostili ad
un’attività politica autonoma dei proletari, o, in ogni caso, legati alle
classi dominanti, nella zona di San Severo andava formandosi un punto di riferimento dell’intera classe proletaria delle zone rurali e dei paesi viciniori: era il Fascio Operaio di San Severo che fra il 1890 e il
1894 funse da palestra di lotta del giovane movimento socialista.
Preceduto da un dibattito pluriennale e sotto la spinta di un piccolo
gruppo di intellettuali locali, nel dicembre del 1889 si apriva ufficialmente la sede del Fascio Operaio di San Severo 9 .
Per tutta la sua vita il fascio operaio rappresentò il luogo di incontro dell’intera classe proletaria e delle avanguardie politiche progressiste, conservando al suo interno un pluralismo ideologico eccezionale,
che, comunque, non impediva all’ala maggioritaria di imporre la sua
linea politica attraverso le nomine dei dirigenti. Infatti a seconda della
forza interna, il Fascio passò da un’impostazione progressista, ad una
radicale, per arrivare all’adesione al Partito Socialista dei Lavoratori
Italiani.
La linea politica che prevaleva al momento della sua fondazione
era di carattere progressista, espressa con la presidenza di Guglielmo
Tafuri, con la scelta del giornale progressista Apulia, quale organo ufficioso del Fascio e con l’adozione del tricolore con il motto « vis et
virtus » quale vessillo del sodalizio10 . Inoltre la stessa scelta di partecipare soltanto all’elezioni amministrative, tralasciando la lotta politica11 indicava una posizione certamente progressista ma ancora isolata
dal resto del Paese. In fondo la situazione politica del tempo che vedeva la città di San Severo divisa in due blocchi elettorali contrapposti
assorbiva tutti gli interessi del Fascio, che si era legato profondamente
alla figura politica del radicale Imbriani. In effetti, verso l’aprile del
1890 il Fascio scivolava su posizioni radicali12 , ma restava pur sempre
in un ambito estraneo al movimento operaio e socialista; sorregge
questa considerazione il fatto che avesse ignorato una scadenza quanto
mai qualificante e discriminante, come il 1° Maggio. Infatti il 10 maggio 1890 passava inosservato, tanto che i carabinieri, messi sull’avviso
per eventuali manifestazioni, registrarono l’assenza di una qualsiasi di
mostrazione pubblica o privata che potesse in qualche modo
9
ASF, Sottoprefettura di San Severo , F. 390, f. IV-5-1889.
Ibidem .
11
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-1-1889.
12
ACS, Serie Crispi-Roma, f. 281, docum ento 1.
10
183
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
riguardare la commemorazione degli uccisi di Chicago13 .
Comunque già dal 1891 i socialisti si facevano luce ne Fascio proponendo l’adesione al Congresso del Partito Socialista dei Lavoratori
di Milano14 . Doveva essere, però, il 1892 l’anno della svolta politica
che concise con un rinnovamento completo anche se restava consistente l’ipoteca radicale sulla scelte politiche attraverso i due leaders
Imbriani e Fraccacreta.
Il rinnovamento fu decisamente voluto dai socialisti, che cominciarono a raccogliere all’interno del Fascio un cospicuo numero di aderenze. Il 13 dicembre 1891 Imbriani inaugurava la nuova bandiera
(rosso-nera) del Fascio Operaio al suono della « Marsigliese »15 mentre il socialista Rocco De Gregorio n assumeva la presidenza. Nello
stesso tempo si individuava nelle elezioni politiche un momento qualificante della lotta e si metteva in evidenza maggiormente il ruolo antagonista della borghesia e degli agrari nei confronti del proletariato;
si comprendeva la necessità di un collegamento più ampio con il resto
della provincia e si stringevano i contatti con i fasci operai di Torremaggiore, Apricena, Vico del Gargano e San Marco in Lamis 16 .
Continuando sulla via del rinnovamento nell’aprile del ‘92 il fascio
assumeva la denominazione di Fascio Operaio Pensiero e Azione e
pubblicava dal 17 luglio il giornale denominato Fascio Operaio della
Democrazia Dauna17 , che mostra chiaramente gli obbiettivi politici
che i dirigenti dell’associazione si ponevano.
Dopo aver dato una sterzata a sinistra l’obbiettivo importante del
Fascio era rompere l’isolamento che si era creato intorno per essersi
chiuso nell’agone amministrativo. La fondazione di un giornale proprio tendeva a far penetrare la voce socialista laddove fisicamente erano assenti i socialisti e, nello stesso tempo, tendeva ad inserire la Capitanata nel dibattito nazionale allora in corso. Prove evidenti della
funzione divulgativa delle idee socialiste, più della divulgazione delle
esperienze di lotta, è data dalla continua pubblicità ai giornali socialisti più noti, quali la Critica Sociale e La Question Social della Michel18 o dalla pubblicazione di articoli a carattere formativo, come il
saggio La morale e il socialismo di Antonio Labriola 19 .
Chiaramente un’impostazione giornalistica e politica del genere richiedeva, oltre ad una redazione di socialisti convinti ed omogenei politicamente, una partecipazione attiva al dibattito nazionale.
13
14
15
16
17
18
19
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-7-1893.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 396, f. IV-2-1891.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-1-1891.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 394, f. IV-1-1892.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 390, f. IV-5-1891.
Il Fascio della Democrazia Dauna, 31luglio 1892, a I, n. 3.
Il Fascio della Democrazia Dauna, 4 marzo 1893, a. II, n. 9.
184
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
I frutti di questa operazione non tardarono a venire: n 1893 mentre
i lavoratori siciliani, organizzati nel movimento dei Fasci Operai e poi
nel Partito Socialista Siciliano, aderente al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, scuotevano la Sicilia con le loro lotte, il Fascio Operaio
faceva il passo decisivo schierandosi pubblicamente a favore dei criteri e dei metodi di lotta dei Fasci Siciliani20 .
Ormai a San Severo il socialismo era una realtà organizzata e
combattiva, seppure minima, che aveva la capacità di essere il punto
di riferimento dell’intero movimento socialista di Capitanata.
La scelta politica di scendere pubblicamente al fianco dei lavoratori siciliani significava la precisa determinazione di dichiararsi e agire
da socialisti, in contrapposizione ai fasci opera di tendenza conservatrice, e indicava anche la consapevolezza d esporre i propri soci alla
repressione governativa. Fu propri alla luce di queste decisioni che il
10 maggio 1893 si celebrava per la prima volta, anche se sotto forma
di un incontro privato, la giornata dei lavoratori21 .
La gestione socialista del Fascio, comunque, non si limiti ad allargare l’ambito del confronto e dei contatti con i socialisti isolati della
provincia, impose anche una revisione delle stesse lotte locali, non più
limitatamente alla questione elettorale ma che invece investivano i
problemi reali della classe prole tana; insomma, sulla scia delle indicazioni nazionali e sull’esigenza di portare i movimenti delle jacqueries contadine su posizioni di classe più politiche e fondate, il Fascio
Operaio di San Severo non si limitava ad essere un’associazione politica nei modi propri dei comitati elettorali, ma tendeva ad assumere
tutti i caratteri peculiari del moderno partito politico. Tale attività veniva descritta dal sindaco di San Severo in una relazione dell’8 gennaio 1894, in cui affermava che il Fascio Operaio
« alla sordina va cercando occasioni per produrre disordini, quali
quando fossero incominciati sarebbe non molto più facile reprimere.
Qui non vi sono pretesti giustificabili per le insurrezioni della plebe.
Le tasse comunali sono ristrette a quelle che ai Municipi impone la
legge. Il lavoro, ben retribuito, non manca [...]. Non-di-meno basta la
intemperia un po’ ostinata della stagione, od un’eventuale caduta di
neve per dar pretesto d’insorgere alla plebe, sempre impreveggente. Di
questa inclusione però, come alle Autorità è agevole persuadersi la
colpa principale deve descriversi a pochi caporioni sobillatori che star
dietro le quinte, e che, dicendosi evoluzionisti piuttosto che rivoluzio-
20
21
ACS, Serie Crispi-Roma, f. 431 (II), documento II.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, f. IV-7-1893.
185
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
nari, voglio rigorosamente e senza molti riguardi esser tenuti d’occhio
»22.
Nel frattempo anche il rapporto con il territorio circostante continuava a dare i suoi frutti con la fondazione del Fascio Operaio di Pietra Montecorvino del 28 maggio 1894, che sicuramente fu curata dal
Fascio di San Severo 23 .
Sui rapporti e sulla coscienza politica dei socialisti di questo periodo non esistono documenti interessanti, se si fa eccezione di un
rapporto riservato del delegato di P.S. di Torremaggiore del 1894, riportato integralmente nell’appendice I. Non esisteva ancora una reale
organizzazione socialista, anche se l’area dei simpatizzanti era abbastanza vasta. In realtà la mancanza di un nucleo dirigente si faceva
sentire, nonostante l’intensa attività nei fasci e nelle società operaie —
attività che non sfuggiva alla polizia locale.
La caduta di Giolitti e la gestione di Crispi provocarono un improvviso inasprimento della reazione antisocialista, che, partita per reprimere i Fasci Siciliani, in breve si manifestò essere un più ampio
piano di smobilitazione delle organizzazioni operaie e socialiste. Presi
a pretesto i sollevamenti popolari socialisti in Sicilia e anarchici in
Lunigiana Crispi di fatto riuscì ad imporre l’accerchiamento delle organizzazioni sovversive e la loro distruzione su tutto il territorio nazionale 24 .
A seguito ditali indicazioni governative si intensificò, dunque,
l’azione repressiva della Prefettura di Foggia su tutte le organizzazioni
che in qualche modo avevano legami con i moti scoppiati in Sicilia e
in Toscana. Nell’estate del ‘94 fasci e società operaie sospettate di intrattenere contatti con il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani furono tenute sotto costante controllo: il 22 giugno il delegato di P.S. di
San Marco in Lamis informava i suoi superiori dell’assenza di partiti
estremisti organizzati in quel paese25 ; il giorno successivo perveniva la
nota del delegato di Torremaggiore che, escludendo la presenza di partiti organizzati, non nascondeva l’attività di alcuni « esaltati, ma non
di azione, i quali seguono con simpatia il movimento dei partiti estremi e la sorte dei condannati di Palermo »26 ; nel settembre dello stesso
anno, così, il Sottoprefetto di San Severo poteva informare il suo diretto superiore che nessuno dei fasci operai di Torremaggiore, Pietra
Montecorvino, Rodi Garganico e delle società operaie di San Marco la
Catola, San Paolo di Civitate e Casalvecchio di Puglia
22
23
24
25
26
Ibidem, f. IV-7-1894.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 390, f. IV-5-1890.
G. CANDELORO, op. cit., vol. VI, pp. 434 e segg.
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1894.
Ibidem.
186
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
avevano aderito al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani27 . Restavano soltanto i fasci operai di San Severo e di Apricena che, pur non dichiarandosi sezioni di quel partito, ne avevano chiesto l’adesione
nell’agosto dello stesso anno28 . E fu appunto su queste due associazioni che si abbatté la repressione governativa.
Il 22 ottobre 1894, nello stesso giorno in cui Crispi decreteva lo
scioglimento del Partito Socialista dei Lavoratori e di tutte le associazioni ad esso aderenti29 , il Prefetto di Foggia intimava ai fasci operai
di San Severo e Apricena « di desistere dall’affermarsi ulteriormente
[aderenti] all’Associazione del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani », posta essa fuori legge30 . Così dopo due giorni, il 24 ottobre, il
presidente Spagnoli del Fascio Operaio di Apricena e il presidente De
Gregorio di quello sanseverese dichiaravano che l’adesione sottoscritta al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani « aveva scopo unico il
miglioramento delle classi operaie con mezzi puramente legali e non
mai il sovvertimento degli ordinamenti sociali e tanto meno la lotta di
classe »31 , per cui, avuta notizia dello scioglimento di tale partito, i fasci operai da loro presieduti ritiravano l’adesione fatta.
Ma questa operazione che nell’intenzione di Crispi doveva eliminare il movimento operaio e socialista organizzato divenne un formidabile momento di crescita e di rafforzamento del mo vimento socialista anche in Capitanata. Lungi dall’avere spezzato le gambe ad un
movimento ancora giovane la repressione del ‘94 fornì un catalizzante
ai socialisti isolati per la vasta provincia di Foggia, che nel giro di un
biennio riuscirono a riorganizzarsi su basi più sicure e incisive. Infatti
il 12 ottobre 1896 il Prefetto di Foggia era costretto a registrare la rinascita di gruppi organizzati di socialisti, proprio dove la repressione
aveva colpito maggiormente: a San Severo, ad Apricena e a Torremaggiore 32 . E appunto qui si formarono le prime sezioni socialiste in
seguito al 1° Congresso Provinciale Socialista, che si tenne in San Severo nella casa dell’avvocato Luigi Mucci alla presenza di Andrea Costa il 19 settembre 189633 .
I fasci operai lasciavano, così, il campo al partito che nel giro di un
quinquennio riuscì a raggiungere una stabilità politica e una forza numerica considerevole tale da assurgere a forza politica ufficiale, antagonista al blocco agrario dei Salandra e dei Pavoncelli.
27
ASF, Sottoprefettura di S. Severo , F. 400, f. IV-9-1894.
Ibidem.
29
G. CANDELORO, op. cit., vol. II, p. 440.
30
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 400, f. IV-7-1894 e f. IV-9-1894.
31
Ibidem .
32
R. MASCOLO, Domenico Fioritto e il movimento socialista in Capitanata, Foggia 1978, p. 20.
33
Ibidem.
28
187
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
Infatti in quello stesso anno, il 1896, la rete organizzativa provinciale era già abbastanza fitta e copriva le località più importanti della
provincia. Al citato Congresso provinciale partecipavano i gruppi di
Apricena, Foggia, Lucera, San Severo e Serracapriola, mentre inviavano adesioni i socialisti di Cerignola, San Marco in Lamis, Castelluccio, Torremaggiore e Troia (Tav. 4).
Avveniva, dunque, la coagulazione di un gruppo dirigenziale socialista che prima non era riuscito a formarsi. Erano i Domenico Fioritto, i Leone Mucci, i Michele Maitilasso, gli Ercolino Ferreri i primi
reali militanti della causa socialista, « pronti ad affrontare le responsabilità e i rigori delle leggi », per parafrasare il delegato di P.S. di Torremaggiore che qualche anno prima aveva riscontrato nel movimento
socialista il limite di non avere quadri disposti ad affrontare appunto le
responsabilità, ecc.
FRANCO M ERCURIO
188
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
(1) fonti:
per Apricena cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-21880;
per Carpino (rapporto del 1879) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo,
F. 396, f. IV-2-1879;
per Carpino (rapporto del 1893) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo,
F. 395, f. IV-2-1893;
per Cagnano Varano (rapporto del 1879) cfr. ASF, Sottoprefettura di
S. Severo, F. 396, f. IV-2-1879;
per Cagnano Varano (lettera di Merlino a Murgo) cfr. F. DELLA PERUTA, op. cit., p. 442;
per Faeto (rapporto del 1881) cfr. ASF, Sottoprefettura di Bovino, F.
306, f. 8-10-2: partiti politici: internazionale;
per Foggia (verbale di perquisizione a Giovanni Canziano) cfr. ASF,
Polizia, I, F. 330, f. 2461;
per Foggia (lettera di Merlino a Murgo) cfr. F. DELLA PERUTA, op.
cit., pp. 439, 442;
per Manfredonia cfr. il testo;
per Panni (rapporto del 1873) cfr. ASF, Sottoprefettura di San Severo,
F. 395, f. IV-2-1873;
per Rodi Garganico (rapporto del 1874) cfr. ASF, Sottoprefettura di S.
Severo, F. 395, f. IV-2-1874;
per S. Giovanni Rotondo (rapporto del 1879) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1879;
per S. Marco la Catola (rapporto del 1874) cfr. ASF, Sottoprefettura
di S. Severo, F. 395, f. IV-2-1874;
per S. Marco in Lamis (rapporto del 1874) cfr. ASF, Sottoprefettura
di S. Severo, F. 396, f. LV-2-1874;
per Ripalta (rapporto del 1880) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo,
F. 396, f. IV-2-1880;
per Castelluccio dei Sauri (rapporto del 1881) cfr. ASF, Sottoprefettura di Bovino, F. 306, f. 8-10-2: partiti politici: int.;
per Sannicandro G. (rapporto del 1893) cfr. ASF, Sottoprefettura di S.
Severo, F. 395, f. IV-2-1893;
per Sannicandro Garganico (rapporto del 1879) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 396, f. IV-2-1879;
per Troia (rapporto del 1881) cfr. ASF, Sottoprefettura di Bovino, F.
306, f. 8-10-2: partiti politici: internazionale;
per Torremaggiore (rapporto del 1894) cfr. ASF, Sottoprefettura di S.
Severo, E. 394, f. IV-2-1895;
per San Severo (rapporto del 1880) cfr. ASF, Sottoprefettura di S. Severo, E. 396, f. IV-2-1880.
189
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
APPENDICE C
LETTERA DI CARMELO PALLADINO
A GIOVANNI CANZIANO
DATATA 10 NOVEMBRE 1878 ∗
Mio caro Giovanni è di passaggio per Foggia il porgitore della presente Gaetano De Guglielmo, nostro amico e compagno. Profitto
dell’occasione per comunicarti alcune cose importanti Avrai conosciuto per mezzo di Errico [Malatesta] un tale Antonio Fini di qui. Orbene
costui finora si è atteggiato a socia lista e con tale vezzo ha avvicinato
più d’uno dei nostri. Ora egli, in occasione del passaggio per codesta
città del re Umberto verrà con una comunicazione della Società Operaia da lui fon data a presenziare gli omaggi al re. Dopo tale fatto ogni
lusinga non è più possibile e l’equivoco deve cessare. D’ora in poi noi
godrà più la fiducia dei socialisti e quindi bisogna averlo in questo
conto che merita. Intanto tu mi manderai tutti i giornali che si pubblicheranno costi nell’occasione suddetta; finché v saranno indirizzi, discorsi, ecc. che bisognano per [parola indecifrabile] notizie, per scrivere ai nostri giornali, sempre per smascherare l’equivoco in cui il signor Fini ha navigato e naviga tutt’ora. Dalla colletta che ho iniziato è
risultata pochissimi cosa, tanto che non mi basta l’animo di mandartela. Intanto il dì 25 Corrente io sarò a Foggia ad ogni costo. Prepara
ogni cosa. Devo essere anche in Lucera per affari, regola quindi tu se
un paio di giorni bastano per ordinare ogni nostro affare. Avvisa Altieri che bramo vederlo. A far che potessi subito ravvisarmi, ti mando la
mia fotografia. Io ho la tua. Ti abbraccio Carmelo.
* Copia tratta da un verba le di perquisizione presso l’abitazione di Giovanni Canziano in Foggia, in ASF, Polizia I, F. 330, f. 2461.
APPENDICE D
TELEGRAMMA DI ALBERICO ALTIERI
A GIOVANNI BOVIO - TRANI 17 SETTEMBRE 1876 *
« Società Operaia Faeto manda a voi fervido propunatore principi
repubblicani patriota intemerato, caro affettuoso saluto.
Alberico Altieri »
∗
ASF, Sottoprefettura di Bovino Fascio 307, fascicolo 8-10-8.
190
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
APPENDICE E
STRALCIO DELLA RELAZIONE
SULLO SPIRITO PUBBLICO DEL CIRCONDARIO
DI SAN SEVERO - I SEMESTRE 1878 ∗
San Severo 3 luglio 1878
« Partiti Politici.
I partiti, retrivo e liberale moderato, appena danno qualche segno
di esistenza, ed il primo non ostante le istruzioni che diconsi partite
dal Vaticano, e diramate dai Vescovi, non dimostra altrimenti la propria vitalità che colla frequenza delle sette religiose, le quali per basso
popolo costituiscono simultaneamente un mezzo per esercitare le pratiche religiose e per fare baldoria.
Quello liberale moderato sta in attitudine raccolta e riservata, in
aspettativa di tempi migliori per riprendere la propria prevalenza.
Il partito del progresso, in vece, è il più operoso, specialmente in
alcuni comuni del Gargano, cioè in S. Nicandro, Cagnano e Carpino,
le cui società operaie si occupano poco o nulla del miglioramento e
soccorso dei lavoratori, e solo intendono a discussioni amministrative
e politiche, talvolta anche in senso sovversivo: di esse fan parte repubblicani e internazionalisti, i quali non desistono mai dal proposito
di regolare secondo le proprie vedute le elezioni politiche e amministrative; di dominare le rappresentanze comunali, inserendo in esse
tutt’i loro affiliati; di disporre a loro modo delle pubbliche risorse; ed
infine di eccitare il basso popolo a movimenti illegali e incomposti
nello scopo di rivindicare veri o supposti dritti che proclamano competergli su terre possedute da privati cittadini.
(Né questi movimenti si limitarono a quei tre comuni ma altri della
stessa natura se ne commisero, abbenché in minori proporzioni in S.
Paolo [di Civitate] ed Apricena: ed altri consimili se ne temono in Vico, Peschici, Rignano e S. Giovanni Rotondo.
Però le disposizioni impartite dall’Autorità Governativa colla spedizione nei primi tre Comuni di funzionari di pubblica sicurezza, ed
anche della pubblica forza, hanno influito a ristabilire l’ordine, ed a far
cessare nella massima parte, se non in tutto, gli attentati commessi, ma
non sarei quanto meravigliato se verificandosi in altre parti d’Italia de’
∗
Questa è la minuta della relazione del Sottoprefetto; le parentesi tonde che raccolgono la seconda parte della relazione indicano la parte omessa nella relazione ufficiale e
che nella stessa minuta risulta cancellata, in ASF, Sottoprefettura di San Severo, Fascio
394. fascicolo IV.l-1878.
191
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
movimenti in senso socialista si ripetessero e acquistassero pure tal carattere quelli che da 10 mesi sono si deplorati in quella contrada. Non
manco da parte mia al dovere che mi corre per sorvegliare il lavoro
continuo di quelle tre società, donde parte la parola d’ordine per tutti
gli abusi che si commettono da miseri e illusi Contadini, pronti sempre
più a favorire chi più li solletica nei loro interessi e aspirazioni. Mi
[rincresce] però che quei movimenti popolari, incoraggiati ed eccitati
dalle Società Operaie, ed in S. Nicandro incoraggiati e sostenuti anche
dagli Amministratori Comunali, non sempre sonosi limitati ai fondi di
origine demaniale, e pei quali i cittadini credono vantar dritti, ma sono
trascesi talvolta anche a quelli privati, il che è avvenuto meno per tendenze socialiste degli autori dei disordini, quanto perché tratti essi in
errore, e per vedute di privata vendetta da parte dei promotori »),
[qui il manoscritto s’interrompe]
APPENDICE E
CIRCOLARE DEL PREFETTO DI FOGGIA
AI SOTTOPREFETTI DELLA PROVINCIA
SULLE «UNIONI OPERAIE CATTOLICHE » ∗
Foggia lì 19 novembre 1877
riservata
« Dal Ministro degli Interni mi viene scritto che il Consiglio Centrale delle ‘Unioni cattoliche operaie’ di Torino ha pubblicato una circolare a stampa per raccomandare vivamente la istituzione delle unioni operaie in tutto il regno, e per chiedere soccorsi allo scopo di dare
incremento all’opera delle Unioni medesime.
In quella circolare si definisce lo scopo di quelle associazioni nei
termini seguenti ‘esse mirano precisamente a richiamare e raccogliere
a pié degli altari la grande famiglia degli Operai, ravvivare e conservare in essi la fede; in una parola delle Unioni si propongono di opporsi
alla esecuzione dell’infernale programma della frammassoneria: separare la Chiesa dal popolo!’.
Si indicano quindi come mezzi di propagare e sviluppare tali società; la istituzione di scuole cattoliche festive per il popolo, di magazzini alimentari, di giardini festivi per gli operai, con annessa cap-
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
∗
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 305, Partito clericale, f. IV-2-1877.
192
pella, biblioteca ecc.; e di conferenze scientifiche popolari, nonché la
distribuzione di oggetti di vestiario a titoli di premio, la vasta propagazione gratuita di buona stampa, l’allestimento di splendide funzioni
religiose, e la fondazione di casse per vecchi inabili al lavoro, per le
vedove e gli orfani dei soci.
Credo opportuno rendere di ciò informata la S.V. in relazione a
precedenti mie circolari, e per le occorrenti indagini e disposizioni di
sorveglianza, delle quali gradirò conoscere i risultati ».
IL PREFETTO
APPENDICE G
CIRCOLARE DEL CONSIGLIO GENERALE
DELLA GIOVENTÙ CATTOLICA
(tratta da una nota riservata del Prefetto di Foggia ai Sottoprefetti
della Provincia di Capitanata datata 28 settembre 1877) ∗
« Considerando che pei giorni della infermità e delle sventure
l’operaio sprovvisto di mezzi e di risorse, oltre che troppo crudelmente sente la miseria per se e per la famiglia, è più esposto ai pericoli
della seduzioni per parte dei nemici di Dio e della Società;
« Considerando che attesi i tempi difficili è la società del lavoro e
del guadagno, ben difficilmente può un operaio, anche misurato nelle
proprie spese, fare risparmi che servire gli possano nel tempo della
[sic!] od altro infortunio;
« Considerando che colle società di mutuo soccorso ispirate dalla
carità cattolica si salva l’operaio dal carcere tali risorse presso Associazioni con tendenza sovversive e contrarie alla religione;
« Considerando che siffatte Associazioni di Mutuo soccorso fra gli
Operai, non sono in sostanza che una riproduzione sotto altra forma e
con ispirato opposto a quella delle antiche Corporazioni d’Arte, che
particolarmente fiorivano in Italia sotto la guida della Chiesa ed animate da vero sentimento di fraterna ed evangelica carità;
« Considerando che la primaria Associazione Cattolica Artistica ed
operaia Romana di carità reciproca è stata arricchita dalla Chiesa di
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
∗
ASF, Sottoprefettura di S. Severo, F. 395, Partito clericale, f. IV-2-1877.
193
larghe indulgenze le quali sono estensibili alle società tutto che si istituiscono altrove e si affigliano alla medesima assumendone l’identico
nome, si fa preghiera
« 1° Perché si istituiscano e favoriscano con ogni mezzo possibile
le Società di Mutuo Soccorso fra gli operai cattolici, modellandole
possibilmente sulle antiche Corporazioni d’arti e mestieri, facendo sì
che l’elemento religioso predomini in esse e siano basate sul vicendevole affetto e sulla Cristiana carità;
« 2° Perché le nuove Società di Mutuo soccorso che si istituiranno
in Italia assumano preferibilmente il nome di ‘Associazione Cattolica
Artigiana ed Operaia di carità reciproca’ e si affiglino alla primaria
Romana ».
APPENDICE H
NOTA DEL TENENTE DEI CARABINIERI DI S. SEVERO
SULLA SOC. OP. CATTOLICA DI CAGNANO VARANO ∗
San Severo lì 18 ottobre 1877
In ordine a quanto la S.V. Ill.ma mi comunica colla nota a fianco
descritta sono in grado di rispondere quanto appresso.
A Cagnano Varano si sta organizzando fra i proprietari di quel
Comune una Società Cattolica a cui hanno dato il nome di Benefattrice, forse per nascondere il colore politico.
Desta ha per scopo di neutralizzare l’azione della Società Operaia
colà esistente.
A tal fine farà provviste di granaglie per rivenderle al prezzo di costo alla classe proletaria, escludendo da questo beneficio i soci della
Società Operaia.
Anche a Sannicandro e Carpino dicono si organizzerà simile istituzione per lo stesso scopo di quella di Cagnano.
Non posso darle maggiori ragguagli perché mi mancano e però mi
riservo farle conoscere in seguito il nome dei capi della Società, il
numero dei soci, i mezzi di cui dispongono e gli statuti se sarà possibile averli.
Ho motivo di credere che queste società abbiano origine dalle disposizioni contenute nella circolare spedita dal Consiglio Generale
della Gioventù Cattolica ai comitati regionali.
Così rispondo alla di lei sopraccennata lettera.
IL TENENTE
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
∗
ASF, Sottoprefettura di S. Severo F. 395, Partito clericale, f. 4-2-1877.
194
APPENDICE I
RELAZIONE DEL DELEGATO DI P.S.
DI TORREMAGGIORE SULL’ATTIVITÀ
DEGLI ANARCHICI E DEI SOCIALISTI RIVOLUZIONARI
IN TORREMAGGIORE, DATATA 26 GIUGNO 1894 ∗
Riservatissima
[...] Ho già scritto che qui non vi sono veri anarchici o socialisti rivoluzionari, e quindi non esistono gruppi ed associazioni di tal genere.
Non mancano però molti esaltati i quali hanno comuni sentimenti
con i socialisti e più specialmente con i repubblicani-socialisti. Molti
di costoro fanno parte del fascio operaio altri no [...].
In una parola io posso assicurala [sic!] che qui l’ambiente sarebbe
favorevole alla propaganda socialista se per poco vi fossero pronte ad
affrontare le responsabilità ed i rigori delle nostre leggi. Per ora queste
persone mancano, o per dir meglio, si nascondono per il timore che
hanno di compromettersi.
Se domani però il partito socialista-repubblicano registrasse delle
vittorie e si affermasse maggiormente, allora son certo che, anche questi radicali, non mancherebbero di agitarsi per imitare il detto partito e
dare la scalata alle nostre gloriose Istituzioni.
A Torremaggiore i monarchici convinti sono pochi, in politica regna l’indifferentismo e di ciò ne approfittano i radicali appartenenti a
più scuole, per infiltrare pian piano nelle masse le loro idee, che pur
troppo si fanno strada, perché a queste nessuno pensa contrapporne altre savie ed oneste.
E neppure devesi sperare nella generazione nascente, perché come
altre volte ho riferito, qui i più esaltati sono i maestri elementari. Costoro per timore si camuffano, ma non trascurano egualmente di seminare teorie sovversive e di mostrarsi entusiasti di tutti gli uomini che
compongono l’estrema sinistra e dei loro correligionari.
I maestri, difatti, sono i più sinceri uomini del fascio operaio e i
nemici più tenaci della classe agiata. Il più pericoloso e il maestro della 4a classe e praticamente il sig. Mariani Achille [...]. Il Mariani è
sempre l’anima del Fascio ad onta delle precedenti ammonizioni e
provvedimenti adottati a suo carico.
Urge che il R° Ispettore Scolastico del Circondano sorvegli attentamente questi maestri, richiamandoli con energia all’adempimento
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
∗
ASF, Sottoprefettura di San Severo fascio 394, fascicolo IV-2-1895.
195
scrupoloso dei loro doveri professionali, morali e politici.
Altro radicale convinto è l’impiegato municipale Bassetti [Rossetti] Michele. Costui non manca d’incoraggiare il partito operaio ad organizzarsi e presta tutto il suo appoggio al predetto Fascio. Inoltre il
segretario di questo sodalizio è Pisani [o Pironti] Giovanni fu Antonio,
messo della locale Conciliazione. Anche costui potrebbe essere richiamato al dovere, sia dal Sindaco che dall’Autorità Giudiziaria.
Questo è lo stato vero delle cose; per ora il movimento dei partiti
estremi è limitato, legale e non d’imminente pericolo. Potrebbe però
diventarlo se in tempo la corrente non verrà frenata.
E necessario rinsaldare gli elementi d’ordine e ridare alle Istituzioni quel prestigio che si è andato perdendo, rimuovendo per ogni dove
le cause che tutto di vanno scalzando la fede nelle Istituzioni stesse.
Per Torremaggiore, oltre i provvedimenti cennati, bisogna per purgare le liste elettorali politiche ed amministrative.
Infine [...] qui sotto trascrivo le generalità delle persone del luogo
più sospette in politica, le quali, pur non essendo socialisti Propriamente detti, con questi hanno però comuni quasi tutti i principi e le
aspirazioni.
1) Iuppa Antonio Luigi di Alfonso
2) Galassi Felice, geometra ed ex presidente del Fascio
3) Petrozzi Giuseppe fu Ferdinando
4) Iuppa Carmine di Alfonso
5) Iuppa Pasquale di Francesco
6) Petrozzi Sabino fu Ferdinando
7) Santoro Giuseppe fu Giovanni
8) Accettura Giuseppe di Arbace
9) Arnetta [...]; Pasquale
10) Palma Leonardo fu Domenico
11) Vocino Luigi fu Matteo d’anni 34
12) Maschietti Vittorio, ragioniere presso questa Banca Agricola
13) La Medica Salvatore, farmacista
14) Diomede Gennaro fu Francesco
15) Brunetti Carlo (fabbro)
16) Borrelli Vincenzo di Giuseppe
17) Cipriano Domenico fu Matteo
18) Cosenza Giuseppe fu Nicola
19) Cucino Giuseppe, vignaiuolo
20) Grasso Francesco di Gennaro
21) Pensato Vincenzo fu Matteo
22) Pensato Tommaso di Michele
196
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CA PITANATA
23) Padalino Vincenzo fu Tommaso
ed altri, che hanno minore importanza.
Dimora poi qui un certo Bonanno Vittorio, nato a Palermo ed emigrato presso l’avv.o Caracciolo di Sansevero. Costui ha per moglie
una maestra elementare, che serve da circa un anno questo Comune.
Bonanno ha principi molto avanzati e può dirsi la staffetta, il porta
notizie fra questi radicali e quelli di Sansevero e Foggia [...].
IL DELEGATO
[illeggibile]
197
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
198
_____________________________________________LE ORGANIZZAZIONI PROLETARIE DI CAPITANATA
199
FRANCO MERCURIO__________________________________________________________________________
200
CONTENUTI SOCIALI
NELLA NARRATIVA VERGHIANA
VERISMO ED ARTE
Si smorzava l’eco di un lontano gusto romantico e neoclassico,
quando Giovanni Verga attinse al chiuso ambiente della umile gente
della sua Sicilia, cogliendone l’autentica semplicità, l’intenso sentire e
l’affannoso vivere.
Fu vate di una narrativa che egli stesso, nella premessa a «
L’amante di Gramigna » ed in seguito nella prefazione « I Malavoglia
», amò definire verista. Ed in aderenza al su enunciato credo estetico
espresse il lirico mondo poetico delle sue creature operando, con tono
di impersonale distacco, un trasposizione ambientale estremamente
vendica e fedele, che rese ancor più viva e naturale con un linguaggio
asciutto scarno, costruito su moduli dialettali ed intriso di immagini
tipiche dell’antica e primitiva saggezza di contadini e pescatori. L ambiente impregna di sé tutta la veste narrativa, ed in un pittorica sintesi
di voci, di suoni e di immagini, si schiude alle vicende, animate da una
tempestosa trama psicologica generata solo dall’azione dei personaggi
e dal loro umano atteggiarsi. La sua opera, in apparenza, non rivela «la
mente in cui germogliò », né « alcuna ombra dell’occhio che la intravide », sembra « essersi fatta da sé », lasciando la tangibile sensazione
che in essa l’autore sia sparito ed in essa si sia fuso, rendendo misterioso ed ignoto il processo della sua creazione.
Solo in tal senso il Verga fu, come volle, sommo verista giacché,
come non ha mancato di sottolineare la più recente critica, distaccato
ed impersonale egli fu solo nell’esteriore architettura del suo narrare,
che, nella sostanza, fu modellato e dominato dal tragico e pessimistico
suo senso della vita. Un greco eschileo fato sovrasta, infatti, le sue
creature, vinte dalla sacra morte perché vollero erigersi contro il fatale
destino o intesero ad esso sottrarsi nel vano tentativo di superare la loro penosa condizione sociale, o che infransero i severi canoni antichi e
il religioso culto della casa, della famiglia, degli affetti, dell’onore, del
dovere, del lavoro, dell’onestà, della rinuncia. La loro esistenza di vinti si compie in una suprema catarsi, in un fatale perire riconosciuto
come un misterioso castigo accettato con mesta rassegnazione e con
virile dignità, quasi che il loro penoso vivere fosse naturalmente proteso verso una mistica morte.
201
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
E così, in una natura rovente, arsa e desolata, che sempre anticipa,
asseconda ed accentua l’angoscioso incedere della tragedia, Nanni Lasca uccide la magnetica Lupa che lo aveva costretto a colpa incestuosa, compare Alfio uccide Turiddu che lo avevi offeso nell’onore, Ieli
uccide il signorino Alfonso che era stato suo compagno d’infanzia e
gli aveva poi preso Mara, Pentolaccia uccide il compare che lo aveva
tradito, Rosso Malpelo « torvo, ringhioso e selvatico » è stroncato dallo stesso impietoso destino che gli aveva ucciso il padre nella cava di
rena, e la furia del mare affoga Bastianazzo che sperava un piccolo
guadagno dal carico di lupini e la sventura si sparge su tutti i Malavoglia, e la sorte non risparmio l’epica fatica di Mastro don Gesualdo,
vinto nella generosità degli affetti e nel suo stesso inesausto amore per
la roba.
L’oscuro loro dramma, nel muto dolore delle lacrime dei superstiti,
ha sembianza di monito che riafferma la perenne santità degli ideali e
delle costumanze tramandate dai padri e l’eterno valore degli antichi e
disconosciuti principi di una seco lare saggezza. L’austero pathos di
questa umile gente ha qual. cosa di eroico e di gentilizio insieme, quasi l’antica virtù di una tradizione omerica non sopita ed ancor viva in
talune infles-sioni dialettali.
Nella semplice e rude statura di questi silenziosi eroi, rivive tutta
l’anima di Giovanni Verga con i suoi ideali ed i suoi affetti, tutto il
vergine mondo dei suoi ricordi casalinghi e paesani ove si addensano
le angustie e le miserie di tante esistenze tormentate e sofferte. Il suo
fermo proposito verista, più che da esotiche acquisizoni, può dirsi sorto dalla interiore esigenza di sublimare il nativo sentire siciliano nella
incontaminata purezza paesana della gente della sua terra; già in «
Nedda », infatti, aveva anticipato il suo tema dei vinti in una fedele
aderenza alla realtà dell’ambiente, pur essendo, in quel tempo, ancora
legato ai ceppi della sua primitiva esperienza letteraria e pur non avendo ancora professato alcuna fede nei canoni del verismo. Non intese offrire un documento a testimonianza del penoso vivere degli umili
della sua Sicilia, né il suo verismo volle essere un mero artificio di stile, fu verista solo per rappresentare la vera essenza della sua terra,
poiché solo in essa poteva fondere quel suo fatale sentire, e quel senso
di amara tristezza che quella terra aveva generato; la stessa dottrina
della impersonalità e del distacco, realizzando l’apparente eclissarsi
dell’autore nella vicenda narrata, valse ad accentuare la tragica intonazione della sua grande arte ed il lirico senso poetico dello stento,
dell’amara conquista della vita, degli affetti primitivi e sacri.
Per tal motivo, il suo verismo non divenne mai l’asettico naturalismo di uno Zola, di un Flaubert, di un Balzac, di un Maupassant o di
un Daudet.
202
__________________________________________CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERGHIANA
Il suo narrare è depurato degli aspetti più crudi e deteriori e mai
indulge al naturale abbrutimento ed allo squallore morale della plebe
derelitta; volle solo scrutare l’animo antico e puro delle sue povere figure; la ipocrisia, la meschinità, il tradimento sono resi in controluce,
quasi che la loro ombra serva a contrastare la luce delle umane virtù
per dare ad esse maggior risalto. Non giunse mai, come lo Zola, a rappresentare dei personaggi nel loro nudo essere e nel loro naturale divenire, ma su di essi lasciò sedimentare, con eguale dosaggio, la sua
commossa ed accorata pietà umana e il fatalistico senso della vita ereditato dalla sua terra: mentre, infatti Teresa Raquin e Maddalena Ferat
vivono la loro turpe esistenza la Lupa espia l’empio peccato incestuoso in un destino mortale cui si avvia quasi di sua volontà, e Lia Malavoglia, per essersi perduta, vive nel racconto come un’ombra in una
pudica lontana eco.
CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERISTA
Le correnti critiche, anche recenti, se hanno compiutamente esplorato la narrativa verghiana nel suo profilo estetico e ne suoi contenuti
poetici, non ne hanno sondato con eguale efficacia le componenti sociali: qualche vago e fumoso cenno ha serbato al riguardo un carattere
estremamente incerto e nebuloso Eppure le storie del Verga, se anche
non sfiorano temi di tensioni o di virtuale conflittualità, sono pregne di
contenuti sociali alterati solo dal tragico incedere delle vicende. La sua
arte veri sta ha ritratto, con lucido distacco e con desolata amarezza d.
toni, il secolare abbandono della povera gente di Sicilia, il suo rassegnato fatalismo, la sua degradante missione storica di servitù e di soggezione al potere economico padronale, l’avvilente sua condizione sociale, il suo faticoso e stentato vivere. L’unica ricchezza di questa categoria sociale si riassume in un sano patrimonio etico fatto di antiche
tradizioni, di severe costumanze di un religioso senso del lavoro,
dell’onestà, dell’onore e degli affetti primitivi e sacri.
Il movente economico agita le sue sorti, e si risolve in una dignitosa e sofferta lotta per la sopravvivenza nel lavoro subordinato, nelle
vaghe inquietudini di benessere nel lavoro autonomo a conduzione
familiare dei Malavoglia, nell’eroica fatica di Mastro don Gesualdo
che costruisce una ricchezza e con indomita volontà lavora incessantemente per accrescerla.
203
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
a) NOVELLE
Nella più elementare espressione di questa spirale, uomini e donne
prestano un duro lavoro per un magro salario chi appena consente ad
essi di soddisfare le primarie esigenze vitali. I loro volti sono solcati e
corrosi dai segni di una estenuanti fatica, da una penosa vita di stenti,
dallo spettro pauroso della fame che sovrasta la loro disperata esistenza, dalla speranza d sopravvivere riposta unicamente nella forza delle
loro braccia Ogni menomazione della capacità lavorativa, per la mancanza di beni patrimoniali capaci di sostituire il mancato guadagno è
per essi fame e miseria. E dal loro istintivo identificare i lavoro con la
vita, e dalla latente paura di restarne privi, discende quell’atavico attaccamento al lavoro elevato a religioso culto di vita. Nedda, infatti,
benché porti in grembo il frutto del su amore con Ianu, continua a peregrinare per racimolare qualche soldo nel lavoro dei campi, mentre
Ianu, che voleva consacrare quel sentimento e quel portato, si ostina a
lavorare benché ubriaco di malaria e, precipitando da un albero, mu ore. Quando la sua creatura nasce, rimasta sola e senza la possibilità di
lavo. rare come prima, non è in grado di alimentarla a sufficienza pur
avendo venduto le sue povere cose, e la bambina muore di stenti. Allo
stesso modo Rosso Malpelo resta avvinto al lavoro della miniera, poiché quello era stato il mestiere di suo padre ed in quel mestiere lui era
nato; odia quel lavoro, ma lo esegue.
L’irrinunciabile lavoro, in quanto primaria necessità di vita, esige
da questi laceri esseri anche il sacrificio degli affetti più sacri, quasi
che il culto degli affetti costituisca per i poveri una illecita ricchezza.
Nella, per sopravvivere, è costretta a cercare lavoro lontana dalla sua
casa ove deve abbandonare la madre gravemente inferma, e tornerà
appena in tempo per vederla morire. Rosso Malpelo deve soffocare in
se stesso l’immagine dolorosa di suo padre travolto dal crollo nella
cava di rena ove lavorava. La madre di Ieli il pastore muore un sabato
sera ed il lunedì lui torna alla mandria di puledri « e li spingeva mogio
mogio verso la collina; però davanti agli occhi ci aveva sempre la sua
mamma, col capo avvolto nel fazzoletto bianco, che non gli parlava
più ». Più tardi, in « Pane nero », nella rissa della povera famiglia avanti al cadavere del padre morto, per la divisione dei pochi miseri
averi, riappare lo stesso motivo della miseria che sacrifica gli affetti
alla volontà di sopravvivere: « il guaio è che non siamo ricchi per volerci sempre bene ».
I cenciosi contadini del Verga vivono in balia di un destino avaro,
inesorabile e subiscono le esose leggi della società che li domina giacché la loro sorte, avvilita dal bisogno, quasi dipende dai voleri del padrone: la loro è una predestinata soggezione ad una funzione di servitù, ed il loro sacrificio un tributo dovuto all’ignoto e misterioso idolo
della roba.
204
__________________________________________CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERGHIANA
E la consapevolezza di questa immutabile condizione di inferiorità
sociale perpetua quel rassegnato fatalismo che trascina le loro tormentate esistenze verso una morte liberatrice. Quando Nedda, con gli occhi asciutti ed aridi, spalancati da un selvaggio dolore e da un attonito
stupore, depose il corpicino senza vita della sua creatura i dove era
morta sua madre « Oh! benedette voi, che siete morte! — esclamò —
Oh! benedetta Voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura
per non farla soffrire come me! ».
Rosso Malpelo, come Nedda, è convinto che « sarebbe stato meglio non fosse mai nato »; nel suo tenero ed innocente senso di ostilità
verso il mondo degli uomini che gli aveva ucciso i padre, fa crollare
pezzi di galleria e passivamente subisce i percosse dei padroni, e
quando io mandano in una pericolosa esplorazione, da cui non tornerà,
sembra presagire il suo destino e quasi pare che verso di esso si avvii
di sua volontà: « si risovvenne del minatore, il quale si era smarrito,
da anni ed anni, e cammina e cammina ancora ai buio, gridando aiuto,
senza che nessuno possa udirlo. Ma non disse nulla... Prese gli arnesi
di suo padre, il piccone, la zappa, la lanterna, il sacco col pane, il fiasco del vino, e se ne andò: né più si seppe nulla di lui ».
Un primitivo senso di giustizia sociale affiora esitante ne loro animi, ma viene subito represso dal rispetto verso la roba ed il suo padrone, e soprattutto dalla rassegnazione di chi noi concepisce che le cose
possano andare diversamente da come vanno. Nedda, in un’alba piovosa che impedisce il lavoro de campi ed assottiglia i pochi soldi del
salario, partecipa al ragionare che si intreccia tra i contadini. La pioggia fa cadere nel fango le olive mature degli alberi, nessuno di essi osa
raccoglierle per mangiarne: « E’ giusto, perché le olive non sono nostre » osserva una donna a chi lamenta che sono destinate marcire, «
Ma non sono nemmeno della terra che se le mangia! replica un’altra, «
La terra è dei padrone, tò! » aggiunge Nedda « E vero anche questo »
— risponde un’altra, la quale non sapeva che dire.
Rosso Malpelo soffre della ingiusta morte del padre e la cieca ribellione istintiva che serpeggia in lui è mortificata dalle percosse dei
padroni; non giunge egli a concepire che la sorti paterna poteva essere
diversa, se i padroni non lo avessero esposto ad un pericolo mortale.
Questo loro atteggiarsi verso la roba, prima che da un formale ossequio alla legge dello stato che pesantemente tutelava la proprietà
privata, deriva da un intimo sentire che affonda le sue radici
nell’antico terrore tramandato dalle lontane epoche in cui la roba era
protetta con la violenza e chi ne toccava indebitamente era assoggettato a pene severissime.
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CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
Il timore riverenziale per il potere del padrone trova, invece, la sua
ragion d’essere nella consolidata coscienza di un invincibile stato di
bisogno che relega la loro sorte ad una condizione di sudditanza morale e materiale, in un rispetto insito nella stessa concezione della roba
che quel potere assegna a chi la possiede, in una astensione a toccarne
che deriva dalla paura di essere privati del lavoro, che è fonte della loro esistenza, e di essere assoggettati ad una punizione disonorevole.
Traspare, anche, dai nuovi orizzonti aperti dal verismo verghiano,
l’atteggiarsi di una generazione padronale che, con l’esiguo salario
corrisposto, ritiene lecito disporre del lavoratore subordinato nella
maniera più completa. Essi sono considerati come « cose » da sfruttare
per l’accumulo di ricchezza, la loro stessa esistenza umana viene a
tradursi solo in termini di utilità economica. Nessuna umana solidarietà si riversa sulle loro sofferenze, sui loro sacrifici, sulla loro fatica;
nessun valore si attribuisce alle loro vite che sono sacrificate al pagano altare del potere e dell’interesse economico quando un pericoloso
lavoro dovesse imporlo. I contadini dormono sulla nuda terra, i minatori periscono nel buio delle sue viscere, alle giovani trovatelle si impone il sacrificio della loro virtù, si procreano vite innocenti di esseri
disconosciuti perché impuri: è la legge del lavoro dei vinti, è l’iniquo
prezzo che i potenti richiedono ai deboli per lasciarli sopravvivere.
b) I M ALAVOGLIA
Nel lavoro autonomo a conduzione familiare la fatica degli uomini
non è isolata ed arida, le loro fragili esistenze sono irrobustite dalla
coesione familiare, ma il loro vivere è stentato ed aspro, irto di mortali
pericoli, inciso da dolorosi lutti, ed anche la loro umana vicenda reca
le stimmate della soggezione, del sacrificio, della rinuncia.
In questo codice inesorabile è l’orma di una povera famiglia di pescatori, quella dei Malavoglia. Essa vive ad Acitrezza, nella casa del
Nespolo; la compongono il vecchio padron ‘Ntoni, suo figlio Bastianazzo e sua nuora Maruzza, i figli di costoro e suoi nipoti ‘Ntoni, Luca, Mena, Alessi e Lia; la casa con l’orto e la barca Provvidenza ne
esauriscono il patrimonio. Questa patriarcale comunità è come se avesse una sola anima, nel lavoro è come se avesse una sola mano, nelle disgrazie un solo cuore, nelle decisioni una volontà sola; nelle parole di ciascuno si scopre la voce ed il gesto dell’altro. Padron ‘Ntoni ne
è il patriarca: è lui il rude e tenace custode dei valori antichi, è lui il
depositario della secolare saggezza che mai non mentì, e la sua triste
austerità è la naturale grandezza della sua anima antica; in lui
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__________________________________________CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERGHIANA
si riassume la famiglia, poiché lui ne è il cuore e la famigli è il suo
cuore. E tutta la famiglia si stringe intorno a lui, e coi lui si congiunge,
anche quando il mare infuria tumultuoso contro la barca governata dai
suo coraggio e dalla sua perizia; «A quest’ora laggiù dicono il rosario
per noi », e questa sua voci pare attingere nuovo vigore dalla preghiera dei familiari in balia della stessa tormentosa ansia di sopravvivenza.
Essi sanno chi il mare dispone della loro vita così come il padrone della roba dispone delle braccia che lo servono, che al mare ed al suo alea
tono atteggiarsi sono soggetti i loro destini: i lutti del man sono la fame per i superstiti. Questa salda comunione è dunque dettata da un sacro culto di affetti, ma anche da una dura necessità di vita alimentata
dall’antica paura della fame. E’ in essa radicata l’istintiva coscienza
che solo concentrando nel comune mestiere le energie di tutta la famiglia è possibile contrastare le forze della natura e strappare ai mare
quei frutti che ripagano la loro fatica, e che solo restando tenacemente
avvinti possibile resistere alle tentacolari forze della società che li do
mina e non restare travolti dalle sue insuperabili leggi. Così quando le
energie assorbite dai loro lavoro si disperdono o sono distrutte dai dolenti tocchi della morte, la vita della famiglia affonda nella miseria e
diventa sempre più affannosa e disperata Costretti dal bisogno anche i
Malavoglia sono assoggettati a potere della roba ed alla sua legge di
pesante asservimento di parassitario sfruttamento.
Padron ‘Ntoni, per porre rimedio al fatto che « l’annata eri scarsa
ed il pesce bisognava darlo per l’anima dei morti », e che partito il
giovane ‘Ntoni, « le braccia rimaste a casa non basta vano più ai governo della barca », si era deciso ad acquistare i credito dall’usuraio
zio Crocifisso una partita di lupini da rivendere a Riposto. A questo
negozio si era indotto, non già per vaga bramosia di ricchezza, ma solo con la speranza di ricavarne un qualche guadagno che supplisse alla
inerzia della Provvidenza; e la stringente necessità di dover provvedere alle pur magre esigenze della famiglia gli impone di subire anche
l’esoso prezzo preteso per quei lupini avariati. Ma il mare, con quei
flutti rabbiosi sospinti da laceranti grida del vento, travolge quei prezioso carico e nei suoi gorghi lascia perire Bastianazzo che governava
la « Provvidenza ». Questo triste evento segna la rovina dei Malavoglia: la capacità di lavoro della famiglia diviene pressoché inesistente,
la « Provvidenza » è da riparare, ed alla miseria si aggiunge il debito
contratto con l’usuraio. In tanta avversa sorte risorge sulle cose la forza morale del vecchio Padron ‘Ntoni; egli subisce con coraggiosa rassegnazione anche la successiva morte di Luca e di Maruzza, la defezione di ‘Ntoni e la vergogna della giovane Lia, ma da tanta sventura
che si addensa sulla famiglia non si lascia debellare; il suo rozzo ed
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CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
istintivo eroismo, simbolo di una millenaria lotta dell’uomo contro le
forze della natura, secondo una rituale liturgia antica, persegue con fede e tenacia tre fini: ricostruire la salda unione della fa miglia che tende a sgretolarsi; estinguere, con il febbrile lavorio anche delle sue
stanche braccia, il debito dei lupini; e riscattare la casa del Nespolo finita nelle mani dell’usuraio. Padron ‘Ntoni non teme la povertà in cui
è cresciuto e che lo ha duramente temprato; il giovane ‘Ntoni, invece,
tornato dalla città ove fu soldato, più non si adatta alla miseria ed allo
stentato vivere della famiglia. Il vecchio nonno lo ammonisce che «
bisogna vivere come siamo nati », che la vita « bella o no, non l’abbiamo fatta noi »; ma a questa legge della rassegnazione si ribella tutto il
suo essere. Nel suo animo si agitano vaghe inquietudini di benessere
in cui non è cupidigia, né ambizione di ricchezza, ma solo una grezza
e disperata volontà di non restare imprigionato dalle ferree catene di
un fatale destino di miseria in cui mai penetra un raggio di speranza;
nella sofferenza che lo tormenta è il desiderio di affrancare dal bis ogno se stesso e la famiglia; nello scontento che lo rode serpeggia
l’evanescente fantasma di una sorte meno iniqua. E non ripone alcuna
fiducia nel consueto lavoro di cui altri si giova; è in lui l’amara consapevolezza che tanta fatica concede solo una perpetua soggezione ai
potenti, una ineluttabile ed irreversibile condizione di miseria e di avvilente inferiorità sociale. « Questo ci tocca a noi! a romperci la schiena per gli altri; e poi quando abbiamo messo assieme un po’ di soldi,
viene il diavolo e se li mangia »; ed a questo suo dire a bordo della paranza di Padron Fortunato, che « solo per carità » io aveva assunto a
giornata insieme al nonno, fa da eco la intimidazione dello zio Cola «
E tu vattene, che coi suoi denari Padron Fortunato ne troverà un altro
», e la voce di Padron ‘Ntoni « al servo pazienza, al padrone prudenza
». « Carne d’asino! — borbottava — ecco cosa siamo! Carne da lavoro! »; « Sì! — brontolava —, intanto quando avremo sudato e faticato
per farci il nido ci mancherà il panico; e quando avremo a recuperar la
casa del Nespolo, dovremo continuare a logorarci la vita dal lunedì al
sabato e saremo sempre da capo! ». « Non voglio più farla questa vita
— voglio cambiare stato, io e tutti voi voglio che siamo ricchi, la
mamma, voi, Mena, Alessi e tutti »: da questo suo grido affiora però
solo un tenero sentimento umano, una ingenua volontà di eguaglianza
degli uomini.
Avvertiva ‘Ntoni come il lusso smodato e lo sperpero di ricchezza
di pochi non fosse compensato da una esistenza dei deboli meno angustiata ed amara. « Eh! bella giustizia che certuni abbiano a rompersi
la schiena contro i sassi e degli altri stiano colla pancia al sole, a fumar la pipa, mentre gli uomini dovrebbero essere tutti fratelli... » dirà
allo speziale il rivoluzionario don Franco, che in tanto deserto vedeva
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__________________________________________CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERGHIANA
in ‘Ntoni l’unico che, avendo visto il mondo, « aveva aperto gli occhi,
come i gattini »; più tardi quando Padron ‘Ntoni, con accorato esempio, sollecita il suo aiuto (« Io che son vecchio e tuo fratello che è ancora un ragazzo ci siamo tirati su dal fosso »), riprende il lavoro, ma la
delusione soverchia il sentimento e lo riconduce ai primitivo isolamento; e sempre con don Franco si sfoga ancora « …eppure tutti siamo figli di Dio allo stesso modo, e ognuno dovrebbe avere la sua parte
egualmente ».
Dal vecchio nonno lo divide anche il suo senso della giustizia,
dell’onestà e dell’onore.
Così quando l’avvocato Scipioni consiglia di non pagare il debito
dei lupini, mentre Padron ‘Ntoni brontola che « Questo poi no, questo
non l’hanno mai fatto i Malavoglia; lo zio Crocifisso si piglierà la casa
e la barca e tutto, ma questo poi no! », ‘Ntoni è disposto ad accettare
quel parere costato venticinque lire, « non gli pagheremo niente, — ..
dice ... — perché non può prenderci né la casa, né la Provvidenza ...
non gli dobbiamo nulla ». Non sente egli quella onestà del nonno in
cui è la radice di un’antica paura, in cui è il timore riverenziale dei deboli verso i potenti; non avverte come disonorevole il mancato pagamento di quel debito originato da un agire disonesto, esoso e parassitario; non tollera la naturale ingiustizia e la sostanziale iniquità di un
prezzo già duramente pagato con la perdita di suo padre e di Menico,
con il naufragio dei lupini avariati, e con la miseria della famiglia.
‘Ntoni non è un fannullone, né un ozioso, né un vile; scivola
nell’apatia e nell’abulia perché si sente vinto, sente quanto friabili e
labili siano le sue speranze di sottrarre la famiglia a quel vivere amaro.
Dirige allora l’esasperato e cieco furore, che cova nell’animo, contro
quell’ordine sociale che reprime i deboli e li relega in un ghetto ove
non esiste giustizia; e scatena il suo odio istintivo contro il simbolo di
quella forza che lo sovrasta, lo sbirro don Michele. Non intende perché mai dovrebbe essere illecito il contrabbando praticato per sollevare le sorti della famiglia, mentre lecito e degno di ossequi resta
l’operato ingulatorio dello zio Crocifisso, che fonda il proprio benessere ed il proprio potere sul bisogno, sulla miseria e sull’affannosa fatica dei deboli. E nel suo delinquere è solo l’immagine speculare del
suo asociale atteggiarsi. Ma la giustizia degli uomini, per la conservazione e la sopravvivenza di iniqui privilegi, dispone le leggi inesorabili preordinate dai potenti e soffoca sul nascere, con severa condanna, quel suo agire in cui è la chiave di un pallido anelito di giustizia sociale.
Anche Lia, come ‘Ntoni, cresce nello scontento. Il suo avvenire si
annuncia cupo, denso di miseria e di rinunce; il disonorevole comportamento di ‘Ntoni e la povertà della famiglia non le consentono di ambire ad un matrimonio che la sottragga a quel destino disperato.
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Ella non è dotata della rassegnata mesti zia di Mena, del sofferto
silenzio di sua madre, né si adegua a faticoso e lento incedere di Alessi. Il suo peccaminoso concedersi a don Michele è un istintivo e disperato protendersi verso il simbolo di un benessere vagheggiato
nell’animo ed insieme il duro prezzo pagato dalla sua giovane età allo
scontento di una condizione sociale avvilita dal bisogno. Anche Lia,
come ‘Ntoni è vinta in se stessa prima che dalla sorte.
‘Ntoni e Lia, disperati di miseria ed arsi da fremiti di rigenerazione
sociale, si isolarono dalla famiglia, ne contrastarono gli atavici canoni
e furono vinti da un ignoto e oscuro destino cui non intesero acquietarsi, mentre la legge degli uomini tatua va sulle loro carni l’impronta
della vergogna. Sono essi i vinti gli altri, che con tenace rassegnazione
serbarono fede agli antichi e religiosi principi di Padron ‘Ntoni, vinsero la sventura anche nella morte. E l’impietoso fato li disperde e li dissemina lontano dalla casa dei Nespolo perché non profanassero, coi la
loro impura essenza, quei luogo ove erano custoditi i sacri penati. Ma
nella casa dei Nespolo, in questo guscio cui i Mala voglia sono tenacemente attaccati come un’ostrica allo scoglio su cui fu deposta dalla
fortuna, la triste vicenda delle loro povere figure accende un conflitto
di generazioni da cui si sprigionano le prime faville di una realtà sociale che più non si acconcia al rassegnato fatalismo della tradizione;
si insinuano, silenti e vischiosi, i primi fermenti di una esasperata e
cieca ribellioni ad un secolare stato di soggezione e di servitù, ad una
condizione di miseria resa più avvilente dall’altrui pesante sfruttamento, ad un ordine sociale che assoggettava i poveri pescatori alla
tassa sul sale e sulla pece, costringedoli quasi alla fame In essi, assunti
a simbolo degli umili e della loro lotta per la sopravvivenza, germinano i semi embrionali di quelle tensioni sociali che la storia registrerà
solo più tardi.
Intorno ad essi, in una rappresentazione corale, in un con certo di
immagini e di voci, ruota la vita del paese che, con k sue dicerie, le
sue superstizioni, la sua impenetrabile e diffusi ignoranza, i suoi mis eri peccati, le sue meschine ipocrisie, i suoi subdoli ricatti, le sue paternalistiche carità, e le sue velleitarie ed ingiallite utopie rivoluzionarie,
quasi scandisce la misura dà tempo ed attenua la tensione del dramma,
che non è solo quello dei Malavoglia, ma anche delle genti che, con la
solidità del loro spirito e con il sangue delle loro carni, lottarono e furono sconfitti perché uomini avessero, dopo di loro, una vita migliore
c) M ASTRO DON GESUALDO
Nell’attività imprenditoriale di Mastro don Gesualdo si riassume il
meteorico miracolo compiuto dalla epica fatica di un umile muratore;
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__________________________________________CONTENUTI SOCIALI NELLA NARRATIVA VERGHIANA
si condensa nel suo potere padronale il demo niaco sortilegio operato
da un lavoro incessante, accanito, eroico, da una tenace ed indomita
volontà, da un’avida ed inesausta cupidigia, dalla orgogliosa ambizione di creare una fortuna con quelle sole grosse mani corrose dalla calce. La esistenza di questo poderoso guerriero, che sconfisse la miseria
è votata solo a produrre ricchezza, ad accrescere la « roba ».
La ossessione dei profitto lo spinge ovunque sia un suo utilitaristico interesse, ovunque altri lavori per lui; non si concede mai
una festa, mai un momento di ozio, è « sempre in moto, sempre affaticato, sempre in piedi, di qua e di là, al vento, al sole, alla pioggia; colla testa grave di pensieri, il cuore grosso di inquietitudini, le ossa rotte
di stanchezza; dormendo due ore quando capitava, come capitava, in
un cantuccio della stalla, dietro una siepe, nell’aia, coi sassi sotto la
schiena; mangiando un pezzo di pane nero e duro dove si trovava, sul
basto della mula, all’ombra di un ulivo, lungo il margine di un fosso,
nella malaria, in mezzo ad un nugolo di zanzare ». Non risparmia se
stesso, e non risparmia le cenciose figure anonime scelte con cura in
quel mercato delle braccia, ancora consueto in Sicilia; da esse esige
prestazioni logoranti.
Mastro don Gesualdo non diviene mai l’inerte espressione della
rendita parassitaria; sembra quasi che respiri in lui lo spirito dei pionieri del capitalismo moderno. La febbre di ricchezza che arde nel suo
animo è riversata nel frenetico ed esoso sfruttamento di tante umili esistenze avvilite dall’incubo della fame ed assoggettate, con un mis ero
salario, ad un lavoro duro, estenuante. Quei volti senza nome, quelle
voci afone, quelle vite cui è concesso di esistere solo per le utilità che
son capaci di conferire, sono semplicemente delle « cose » da cui ricavare il massimo saggio di profitto con il minimo prezzo. Fedele a questa ferrea legge padronale, Mastro don Gesualdo estrae la sua « roba »
dalla miseria di tante braccia vigorose curvate alla fatica dall’alba ai
tramonto, dal sudore di tanti volti bruciati dal sole, dalla stanchezza di
tante schiene stremate, dal tormento di tante povere vite piegate da
una volontà di sopravvivenza a quel tributo di sofferenza e di sacrificio al potere del padrone. La sua presenza è come una frusta per i lavoranti: « Spicciamoci, ragazzi! Badate che vi sto sempre addosso
come la presenza di Dio! Mi vedrete comparire quando meno ve lo
aspettate! Sono del mestiere anch’io, e conosco poi se si è lavorato o
no!... »; non è il sadico aguzzino dei suoi dipendenti, l’autorità gli è
conferita dai segni della fatica che reca sul volto; così, quando il sole
arroventa le rupi brulle e senza un filo d’erba o di ombra, irrompe sugli uomini che, spossati dalla calura, giacciono addormentati nel fossato, e basta quella sua « faccia accesa e riarsa, bianca di polvere »,
con quegli occhi in cui è la febbre del lavoro, perché il martellare ri-
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CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
prenda « in coro nell’ampia vallata silenziosa, nel polverio che si levava sulle carni abbronzate, sui cenci svolazzanti, insieme ad un ansare secco che accompagnava ogni colpo »; quando crolla il ponte, di
cui aveva l’impresa, egli è tra gli uomini che tirano in salvo i « sue »
travi, e non si tira indietro, non si scansa, si confondi con essi « curvo
sotto l’acquazzone, sfangando sulla riva », nella melma; durante la
trebbiatura, sull’aia, ove è il frutto dei suo campi, e « sempre in moto,
con un fascio di taglie in mano segnando il frumento insaccato, facendo una croce per ogni barile di vino », che passava di mano in mano
quasi a spegnere un incendio, « contando le tregge che giungevano,
sgridando Dio data, disputando col sensale, vociando agli uomini da
lontano sudando, senza voce, colla faccia accesa, la camicia aperta, un
fazzoletto di cotone legato al collo, un cappellaccio di paglia in testa
».
Il pietroso Mastro don Gesualdo, instancabile e refrattario ai sacrifici e sofferenze, domina, con il potere che gli concede la « roba »,
quelle braccia che per lui la producono; nelle sue mani sono consegnate le sorti di quegli esseri protesi dalla fame verso una speranza di vita,
verso il miraggio di un misero sala rio che ripaga tanta fatica. Di questa situazione di stagnante miseria si giova il suo potere padronale per
acquisire l’utile valore dell’altrui fatica senza sopportarne il costo equivalente per convertire in ricchezza quanto ad altri sottratto con il
corrispondere salari pari ad elemosine, anzicché retribuzioni perequate
al lavoro prestato. Egli è l’effigie della generazione padronale borghese che incrementa la propria « roba », operando la sistematica spoliazione della estenuante fatica di operai e contadini e depredando le risorse ad essi destinate, che tiene segregati gli stessi in una condizione
di perenne miseria per assoggettarli ad un perpetuo sfruttamento e per
serbare quelle ragioni di sperequazione sociale, in cui è la causa del
dominio della roba. Nel sacrificio socialmente ingiusto di tante avvilite esistenze mai affrancate dal bisogno e macerate dagli stenti e dalle
privazioni è il prezzo della sua « roba » e del suo dominio, il compenso della sua febbrile attività. Non pago di tanto, sembra quasi esigere
dai deboli che per lui lavorano, dedizione, fedeltà e gratitudine in pegno della grazia di sopravvivere che ad essi elargisce; la schiva generosità che affiora talvolta dal suo rude aspetto ha l’amaro sapore della
carità.
Al padrone resta fedele solo l’esile Diodata. la innocente creatura
colpevole solo di essere nata; severi ed austeri volti senza nome pronunciarono, sol perciò, un disumano e spietato decreto di condanna
che la puniva lasciandola inerme, in balia di uno squallido e desolato
destino di miseria, di soggezione, di paura. Nella sua umile dedizione
affiora una istintiva paura insieme ad un velato e timido debito di gra-
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titudine e di affetto per il padrone che l’aveva sollevata da un disperato abbandono, che aveva alleviato la sua sofferta solitudine, che aveva
concepito le creature generate dal suo grembo.
Ma per don Gesualdo Motta, che aveva disposto della fatica delle
sue braccia, della sua virtù e del suo corpo, ella quasi non esiste come
persona, è solo una cosa, « come un vero cane affezionato e fedele »;
un padronale dis tacco è nella sua voce anche quando fa grazia di una
parola affettuosa a questa creatura che da lui accettava con esitazione
anche il cibo; con quel suo dire « — Ci hai lavorato, anche tu, nella
roba del tuo padrone! Hai le spalle grosse anche tu... povera Diodata
», riconosce il beneficio della sua esistenza solo nella roba. Nessuna
risonanza affettiva suscita nel suo animo quel viso supplichevole « su
cui erano passati gli stenti, la fame, le percosse, le carezze brutali, limandolo, solcandolo, rodendolo; lasciandovi l’arsura del solleone, le
rughe precoci dei giorni senza pane, il lividore delle notti stanche... »;
nessun sentimento paterno accendono in lui le carni innocenti di quei
figli nei quali è il suo sangue; ad essi ed alla loro triste sorte resta
sempre estraneo, e solo dopo molti anni, mentre giace in un letto consunto dalla malattia, gli rimorde la coscienza e vede in sogno le loro
brutte e sparute facce pallide ed irose. Egli è sempre e solo il padrone,
ed è in suo potere precipitarla nella primitiva paurosa solitudine quando si tratta di coronare la sua ascesa sociale nel matrimonio con
l’aristocratica Bianca Trao: le concede solo di questuare la sua avvilente carità con quelle monche parole « il Signore c’è per tutti... Anche tu sei una povera trovatella e il Signore ti ha aiutato!... Al caso poi
ci sono qua io... farò quello che potrò... non ho il cuore di sasso, no!...
lo sai! Vai, vai; vattene via contenta!... », dettate da una paternalistica
e sfumata umanità che si mescola e si diluis ce nelle incrostazioni di
una scostante indifferenza e di un egoistico assenteismo.
Non dismette il suo volto padronale neppure sulla lettiga che lo allontana dalla sua roba; solo Diodata gli porge un mesto saluto con un
devoto e dimesso sorriso rigato dalle lacrime, e da lei si congeda con
quell’impersonale « Povera Diodata! Tu sola ti rammenti del tuo padrone... » in cui una vibrazione di commossa riconoscenza pare cagionata ed accentuata dall’amarezza per l’ostentato disinteresse della sua
gente. La debole Diodata, invece, resta inchiodata alla sua indigenza e
deve solo subire tanta ingiustizia; può soltanto baciare la mano del padrone ed accettarne la volontà senza mai sindacarne l’operato; « Vo ssignoria siete il padrone» ella mormora, ed in questo suo dire è la frustrata rassegnazione della sua essenza inferiore ed impura, la servile
soggezione di tutto il suo essere ad un dominio padronale assoluto ed
incondizionato.
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Ella è emblematica di un proletariato che sotto la cenere della
rassegnazione soffoca il fuoco di un odio latente che, esasperato dalla
fame, divamperà più tardi in una disperata conflittualità contro il padronato borghese e sarà represso nel sangue nella morte. Mastro don
Gesualdo è, invece, il tipico esponente di una ricca ed attiva borghesia che assorbe i tradizionali potei di una sclerotizzata aristocrazia in
lento disfacimento. In un paese in cui anche i consanguinei gli sono
ostili egli difende la sua roba con occhio accorto e guardingo, mis urandosi e destreggiandosi con le astuzie di pericolosi alleati, con invidie implacabili, con falsi sorrisi, con la subdola ipocrisia, con le irose
minacce, con l’interessata condiscendenza; e quando nell’848 la « sua
roba » è attentata dalla rivoluzione dei contadini si risolve a difenderla
con rabbiosa ostinazione e tuona, minaccioso e furente, « Voglio ammazzarne prima una dozzina! a chi ti vuol togliere la roba, levagli la
vita ».
E’ immanente in questo mostruoso attaccamento alla roba uno
spregevole disvalore per la vita dei deboli; in un lucido delirio, invece,
quasi personifica la « sua terra »; il suo animo campestre, mai commosso dalla squallida e patetica indigenza de contadini, si lascia solo
intenerire dall’umore che, come un respiro ansante si leva all’alba dalla sua terra arata di fresco; il su cuore si contrae solo per lo stato di
abbandono di quelle « buona terre al sole, senza un sasso e sciolte così
che le mani vi sprofondavano e le sentivano grasse e calde al pari di
carne viva » che gli erano costate tanta fatica e che la figlia Isabella
man dava in cancrena. L’incubo della roba non si discosta dalla sa’
mente inquieta neppure quando la morte gli rapisce la vita in quella
casa ove si sperperava il suo danaro; ancora pensava a tutte le buone
cose che con quel danaro si sarebbero potuto pagare alle fattorie e ai
villaggi da fabbricare, alle terre da seminare fin dove giungeva la vista, ad eserciti di mietitori, alle montagne di grano da raccogliere, al
fiume di danaro da intascare.
In questo proscenio, nella trama intessuta dal protagonista e dalla
vittima della roba, assunti a simboli di classi sociali in virtuale conflitto, vi increspano le onde di una incessante dialettica sociale; si staglia
quel dominio sui deboli in cui è una storica stratificazione sociale, una
ingiusta separazione degli esser umani, in padroni e servi, in sfruttatori
e sfruttati, in privilegiati e disperati; si delinea in controluce il disegno
di un quadro sociale tracciato dal fosco ed immutato cono d’ombra
che spande la inesorabile legge della roba: l’unica legge che ancora
governa la vita e le vicende degli uomini, che ne accende i con flutti e
ne stringe le alleanze, che suggella i loro patti ed i loro tradimenti, che
piega al puro interesse economico i movimenti politici e degrada il
senso di ogni religione.
CATERINA CLEMENTE
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la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale
Direttore responsabile: m° Mario Taronna
Redazione: dott. Luigi Mancino
Tipografia Laurenziana - Napoli - Via Tribunali, 316
Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963
Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150
Tipografia Laurenziana - Napoli – Febbraio 1982
NICOLA ZINGARELLI
NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO
DELLA LETTERATURA ITALIANA »
(con stralci di una corrispondenza medita)
1. La collaborazione di Nicola Zingarelli al « Giornale Storico »
non va oltre un articolo nel volume 48°, 1906: 13 pagine (pp. 368380) di Appunti lessicali danteschi (una nota, più che un saggio vero e
proprio, anzi un « articoletto », per dirla col Renier che gliene annunziava la pubblicazione e l’invio dei 30 estratti di rito) e due recensioni, all’edizione della Vita nuova di Barbi (volume 520, 1908, pp.
202-210) ed al libro di Robert de Labusquette Auteur de Dante. Les
Beatrices (volume 770, 1921, pp. 288-298): di tono elogiativo, e si direbbe quasi riguardoso, com’era naturale, la prima sul lavoro del Barbi; severa, analitica, interpretativa, secondo il suo stile recensorio, la
seconda 1 .
* Relazione presentata al Convegno Nazionale « Piemonte e letteratura nel ‘900 »
(S. Salvatore Monferrato, 18-20 ottobre 1979) compresa nel voi, degli Atti di quel Convegno. Esprimo la mia gratitudine al dott. Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale
di Foggia, e al personale di quella biblioteca, per le cortesie prodigatemi nella consultazione delle carte del Fondo Zingarelli.
1
Si veda la serie ininterrotta, ed ormai vicina al centenario, del « Giornale storico
della letteratura italiana », Torino, Loescher, dal 1883,
1
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Un po’ poco, se si pensa alla immensa bibliografia del romanista
lessicografo pugliese distesa con ben 357; titoli in oltre 50 anni di attività erudita e letteraria su più disparati argomenti di materia neolatina,
romanza dantesca, linguistica e letteraria, in volumi, saggi, note recensioni nelle maggiori riviste, dalla « Rassegna critica della letteratura
italiana » a « Romania » a « Studi medioevali » al « Bullettino della
Società dantesca italiana» ai e Rendiconti del Regio Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere » all’ « Archivio glottologico » al « Giornale dantesco » a « La cultura » di De Lollis, e via dicendo, non senza frequenti puntate divulgative sulle terze pagine dei quotidiani, soprattutto «
La stampa » e « Il giornale d’Italia » di Bergamini2 .
Un po’ poco anche se si considerano le sollecitazioni che gli venivano dai direttori del « Giornale », dal Renier, dal Novati, e soprattutto dal Cian, come si può leggere nella corrispondenza di cui dirò tra
poco, nella quale è anche, sia pure nelle forme della civiltà epistolare
tra gente di lettere, non poca cordialità ed affermazioni di stima.
Certamente Zingarelli aveva le sue pigrizie epistolari e certe lentezze di lavoro, che sembravano contraddire una laboriosità e capacità
e l’utilissimo e precisissimo Indice compilato da C. DIONISOTTI, per i primi 100 volumi (1883-1932), Torino, Loescher, 1948.
2
Per la bibliografia dello Zingarelli si veda il volumetto di E. FLORI, Bibliografia
degli scritti di N. Zingarelli, MDCCCLXXXIV-MCMXXXII, Milano, Hoepli, 1933, offertogli in occasione dei cinquant’anni di insegnamento.
Intorno allo Zingarelli si vedano i profili di A. PIROMALLI, N. Z. e di F. PICCOLO, Z. filologo e critico, nella serie I critici dell’Editore Marzorati, Milano, 1969, II; la
bibliografia già accennata; il Saggio bio -bibliografico, di M. PENZA, nel vol. N. Zingarelli, Scritti vari e inediti nel primo centenario della nascita, 1860-1960, a cura di un
Comitato per le onoranze in Cerignola, Bari, Cressati, 1963; E. LOIODICE, Le tradizioni popolari nella Capitanata e N. Zingarelli nei ricordi dell’autrice, Foggia, Amministrazio ne Provinciale, 1974; A. VALLONE, Correnti letterarie e studiosi di Dante in
Puglia, Foggia, Studio editoriale dauno, 1966; dello stesso Vallone, le pagine relative
nel Dante, rifatto per la Storia dell’editore Vallardi e La critica dantesca nel 900, Firenze, Olschki, 1977; La critica dantesca nell’800, Firenze, Olschki, 1978; 1 Manoscritti
della Biblioteca provinciale di Foggia, a cura di P. DE Cicco, Foggia, Amministrazione
Provinciale, 1977.
2
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
sedentaria rimaste proverbiali; ma nel caso nostro esse non potrebbero
spiegare (o forse potrebbero fin troppo) tante cadute di offerta, la lentezza svogliata di certe recensioni, silenzi e rinvii di impegni pur assunti senza entusiasmo.
E’ vien quasi da chiedersi se non ci fosse qualcosa di non casuale,
di intimamente discordante, anche se mai dichiarato. Se non ci fosse,
insomma tra lo studioso ed il « Giornale » dall’una parte e dall’altra,
una certa freddezza e diffidenza resistenti negli anni e mai cadute
completamente.
Nel fondo dei manoscritti della biblioteca Zingarelli, acquisita dalla Biblioteca Provinciale di Foggia, ed attentamente catalogato, si possono leggere le lettere del Gaspary e di quasi tutti i personaggi grandi
e piccoli della romanistica e della filologia italiana ed europea, tra fine
Ottocento ed i primi trentacinque anni del Novecento: una corrispondenza di un cinquantennio, diligentemente conservata ed ora ordinata,
che getta luce su molti particolari di quella vita ed esperienza di studio, ed anche, tra le pieghe, su talune vicende non prive di interesse
della cultura e della vita accademica italiana. Su un tale carteggio si
era soffermato il Vallone pubblicando qualche lettera nel suo studio
sulle Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, ed ora si annunzia imminente la pubblicazione di tutta la corrispondenza con il Barbi
ed altri maestri della filologia italiana, a cura della Prencipe - Di Donna3 .
3
Lo studio del Vallone è indicato nella nota precedente. La pubblicazione della
Prencipe-Di Donna, annunziata come imminente, non è ancora disponibile all’atto della
presente relazione. La cortesia dell’autrice mi ha offerto copia del volume (N. Z. Carteggi, a cura di C. PRENCIPE DI DONNA, Foggia, Apulia, 1979) che ho potuto consultare mentre correggevo queste bozze per gli Atti, trovando molte conferme a quanto
avevo scritto. Il volume, preceduto da una breve introduzione, e accompagnato da note
precise, pubblica le lettere di Zingarelli al Barbi e a Pascarella e quelle di alcuni studiosi
allo Z. Dello stesso volume, successivamente, ho avuto incarico di fare la presentazione
in una serata organizzata in Foggia dell’Istituto Dauno di Cultura e della Biblioteca
Provinciale, e mi è occorso di recensirlo in « Rapporti », 16-17 (1980) pp. 108-110.
3
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Mi limiterò, pertanto, a dare solo qualche saggio di questa corrispondenza, che potrà lumeggiare il rapporto Zingarelli - « Giornale
storico », dal quale potrà trarsi forse, qualche considerazione su taluni
aspetti non trascurabili della storia della cultura italiana nei suoi contrastati svolgimenti ed opposizioni di scuole ed aree culturali.
2. Zingarelli, come si sa, pugliese di nascita e napoletano di studi,
era stato nei suoi giovani anni, intorno al 1880, allievo del D’Ovidio e
dello Zumbini, in una università quale Napoli che ancora risentiva del
rinnovamento desanctisiano e di una tradizione culturale romanticohegeliana, e che anche nei maestri della nuova generazione, quali
D’Ovidio e Zumbini appunto, e poi via via, Torraca, Montefredini,
Percopo e Scherillo, si mostrava attenta alle nuove dottrine del metodo
storico passate in Italia dopo il ‘70 per la suggestione della grande filologia tedesca e francese; ma non perdeva (e forse non poteva perdere) il collegamento con la tradizione « filosofica » più che « filologica
» di cui era nutrita fin dal Sei-Settecento; tentava perciò di elaborare
forme di metodo intermedio nell’ideale di una « critica intera », per
dirla con l’aspirazione del D’Ovidio, in cui glottologia, filologia, critica letteraria ed estetica si fondessero con pienezza di risultato. Così
non era raro negli scritti del D’Ovidio stesso e del Torraca e dello
Scherillo, tracce di resistente consenso e radicati semi fruttuosi
dell’insegnamento non solo del De Sanctis, ma di Settembrini, Villari,
De Meis, Spaventa4 .
4
Per quanto attiene alla cultura letteraria e filosofica napoletana nell’Ottocento, si
rimanda tra l’altro al vol. di G. OLDRINI, La cultura filosofica dell’Ottocento, Bari, Laterza, 1973; al saggio di M. SANSONE, La letteratura a Napoli, dal 1800 al 1860, nel
vol. IX della Storia di Napoli, Napoli, 1972; e, naturalmente, agli scritti del De Sanctis,
del Croce, del Nicolini, del Gentile, del Galasso, del Dotti, del Vallone e di quanti altri
hanno studiato quella cultura ed i relativi fenomeni. Mi sia consentito citare anche tre
miei contributi alla storia di quella cultura: M. DELL’AQUILA, Critica e letteratura in
tre hegeliani di Napoli, Bari, Adriatica, 1969; La cultura nell’Ottocento, nell’opera di
AA. VV., Storia delta Puglia,
4
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
E forse varrà non dimenticare che già quei maestri e
quell’hegelismo erano stati essi stessi partecipi e per sino iniziatori di
quel rinnovamento, e proprio di Pasquale Villari è quel noto saggio
sulla Filosofia positivi ed il metodo storico, pubblicato nel e « Politecnico » di Milano nel 1866, in una rivista dunque di un’area culturale
ben diversa da quella napoletana, richiamantesi alla lezione dei Cattaneo; saggio al quale si fa comunemente risalire la costituzione da noi
di un indirizzo « storico » degli studi.
Senza dire dei saggio desanctisiano su La scienza e la vita, del
1872, così denso di forti sollecitazioni.
Ma i pronunciamenti e le fratture d’ordine metodologico di quei
primi anni unitari della cultura italiana sono noti. I casi appunto di
Montefredini e dello Zumbini nei confronti del De Sanctis e del Settembrini risultano esemplari della inquietudine della cultura napoletana che avvertiva il suo crescente isolamento nella matrice « filosofica» spregiata dalla nuova filosofia e dall’orientamento predominante
verso forme di studio documentario e analitico, contrarie ad ogni tentativo di sintesi affrettata e ad ogni fumosità filosofica e divagazione
letteraria.
Nè va sottovalutato il fatto, che il Dionisotti ha ben rilevato, la
straordinaria congiura del silenzio (se non per le irose insofferenze
carducciane) che accompagnò per decenni la Storia desanctisiana da
parte della cultura accademica ormai monopolizzata dalla nuova scuola, e l’ambito ristrettamente napoletano della disputa intorno alla Storia del Settembrini, lasciata cadere come disputa su cosa di poco rilievo e fatto di una cultura ancora attardata5 .
Ed. RAI-Adda, Bari, 1978, II; Foscolo nel progetto pedagogico del De Sanctis, in Atti
del Convegno nazionale su Foscolo e la cultura napoletana, Napoli, Soc. Ed. Napoletana, 1980 e, più ampiamente, in « Italianistica » 1979, 2 e 1980, 2.
5
C. DIONISOTTI, La scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, UTET, III°, 1973. La scuola storica è anche il titolo di un recente studio di
D. CONSOLI, Ed. La Scuola, Brescia, 1979.
5
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Ma, si sa bene, i discepoli sopravanzano i maestri. E se Zumbini e
D’Ovidio e Torraca a Napoli, e Villari e De Meis a Pisa e a Firenze,
pur nelle diverse posizioni assunte, non tagliavano i legami con una
matrice filosofico-hegeliana; proprio in Firenze e a Pisa, tra il ‘70 e
1’80 e poi nei decenni successivi, si costituì e venne rafforzandosi una
tradizione di comparatistica neolatina, di studi filologici e letterari, un
metodo di ricerca che aveva i suoi maestri nel Bartoli, nei Vitelli, nel
Comparetti, nello stesso Villari e poi nel D’Ancona, Rajna, Del Lungo, Barbi.
I nomi dei maestri e dei discepoli di quella scuola, rifluiti poi nelle
università d’Italia, sono nella mente di tutti e ciò mi esime dal ricordarli.
Non era ancora una grande filologia, nel senso mo derno e « germanico » del metodo: ed anzi molti entusiasmi ed energie negli stessi
maestri risultavano disarmati di una sicura strumentazione, che sarà
acquisita solo più tardi, dai discepoli della seconda o terza generazione. Ma era la rottura con le fumosità e l’ideologismo tardoromantico. Era la ripresa, in prospettiva, con supporti scientifici e metodo
storico, di molte istanze della grande tradizione erudita tardoumanistica e settecentesca: la sola di cui i nostri maestri avessero reale
conoscenza e la sola sulla quale potessero fondarsi in attesa di assimilare i metodi della nuova filologia europea.
A quella scuola venne Zingarelli, piccolo e vivacis simo pugliese di
Cerignola, per un biennio di. specializzazione nel 1883-4, dopo una
laurea con D’Ovidio su Parole e forme della Divina Commedia aliene
dal dialetto fiorentino che il Monaci gli avrebbe pubblicato due anni
dopo negli « Studi di filologia romanza »; e vi trovò i maestri che si è
detto e conobbe tra gli scolari anche quasi tutti quelli che gli sarebbero
stati compagni nella carriera degli studi e dell’insegnamento. E da Firenze passò a Breslavia e Berlino, discepolo di Gaspary, di Tobler, di
Schwann, e fu corrispondente di Meyer e di Gaston Paris.
Un cursus, almeno a stare ai dati esterni, di alto livello, del tutto
6
_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
conforme al rigore degli studi ed alla progressione disciplinare che era
propria dei giovani d ingegno avviati alla carriera universitaria: di tutti
quei giovani-maestri nati, come Zingarelli, intorno al ‘60 e laureati intorno ai primi anni ‘80, il Renier, il Novati, con i quali sarebbe venuto
in contatto, ma con un diaframma di necessaria riverenza dovuta ad
una dismisura, di superiorità, per quelli, saliti presto in cattedra, e di
inferiorità per lo Zingarelli impaludatosi nell’insegnamento medio.
Un divario e diaframma che ritroveremo, nell’identico rapporto,
iniquo per il nostro, anche nei confronti di giovani della generazione
seguente, quali il Bertoni, il De Benedetti, laureatisi intorno al 1901,
quando Zingarelli saliva in cattedra a Palermo, eppure presto avviati
anch’essi con maggior rigore e disciplina agli studi.
Cosa era accaduto dunque ai piccolo pugliese di Cerignola per un
tal declassamento psicologico nei Confronti dei coetanei e poi dei giovanissimi leoni della moderna filologia?
Il ripiegamento, dopo gli anni in Germania, sull’insegnamento
medio era stato un grave handicap: un ripiegamento necessario per
ragioni economiche e familiari; ma quel lavoro e almeno le prime sedi, Santa Maria Capua Vetere, Campobasso, non agevolarono certo il
collegamento con gli studi e con i centri ove essi avevano dimora. Più
tardi, i licei di Ferrara e di Napoli, gli consentirono una ripresa, che
ormai non poteva essere più velocissima.
Dagli anni della borsa di studio in Germania e dalla frequentazione del
Gaspary aveva portato, oltre gli insegnamenti, anche l’impegno per la
traduzione della Storia della letteratura italiana dello studioso tedesco. La traduzione del primo volume dell’opera, portata avanti proprio
in quegli anni ingrati del primo insegnamento medio, gli procurò,
com’è noto, non poche amarezze. Innanzi tutto la relazione con il Gaspary andò deteriorandosi in seguito alle aspre critiche che il maestro
rivolgeva al suo traduttore, accusato di volta in volta di infedeltà, di
inesattezze grossolane, di scarsa conoscenza della lingua tedesca.
7
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Così, quella traduzione che Zingarelli aveva pensato potesse costituire un passo decisivo per un inserimento nel mondo accademico e
degli studi, diventava per lui una brutta vicenda di angustie e di critiche.
E v’era di peggio: il timore, rivelatosi poi fondato, che non gli venisse tolto di mano il secondo volume dell’opera, con gran danno e disdoro. Di qui la resistenza nei confronti del Gaspary; ma, com’è noto,
fu battaglia perduta.
Il Gaspary nelle sue lettere è implacabile e perfino collerico. E potrà farsi forte anche dei rilievi duri di non poche riviste (tra le quali il
« Giornale storico ») e di studiosi con cui fu accolta la traduzione del
primo volume 6 .
6
In alcune di queste lettere, pubblicate dal Vallone nello studio cit. Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, si parla di « grandissima negligenza », di inesattezza
nel riporto delle citazioni, di « frettolosa trasandatezza » e perfino di poca conoscenza
del tedesco: «Inoltre si vede di nuovo che Lei non conosce bene il tedesco, lavora col
dizionario, e ogni finezza le sfugge »; e si rasenta il litigio: « Pur troppo lo prevedevo
che più presto o più tardi la nostra amicizia pericolerebbe per causa di questa benedetta
traduzione, e perciò ho tentato in tutti i modi di distogliercela. Lei allora pieno d’ardore
per un lavoro di cui non sentiva bene tutte le noie e difficoltà, non ha voluto darmi retta.
Ed ora naturalmente Le dispiace di sentire da me la verità, perché è brutta ». Ed altre
cose terribili ancora, perfino nella competenza dantesca: « Ora che fa Lei, che pure s’è
occupato tanto di Dante? Mi corregge con una conseguenza mirabile il ‘Commedia’
sempre in ‘Divina Commedia’, e così io aveva continuamente a cancellare quella giunta
». Il tedesco conosceva l’italiano benissimo, e nel rivedere le bozze di traduzione forse
esagerava, nella durezza particolareggiata ed implacabile della reprimenda, come può
vedersi da quel carteggio, di cui un saggio ci ha offerto il Vallone. E Zingarelli ne era
stato mortificato e nello stesso tempo ne era stato furioso, aveva sentito la cosa come
una ingiustizia ed aveva replicato accusando il maestro di troppo amore per la sua opera. Ma il fatto dava ragione al Gaspary. Il primo volume si ebbe una accoglienza tiepida
e non mancarono le critiche anche severe soprattutto sulla traduzione italiana. Il « Giornale storico » uscì con una recensione assai dura nel fascicolo del vol. 120 del 1888; ma
anche il D’Ovidio non fu tenero, e giustamente il Gaspary poteva dire che « non mi
8
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
3. Quell’accenno al giudizio del « Giornale storico che poteva essere stato e malevolo » secondo l’espressione del Gaspary, fu il primo
non gradevole impatto dello Zingarelli con quella che si veniva affermando fu dai primi fascicoli come la massima rivista della scuola storica. Si trattò di una recensione assai dura nei con fronti della traduzione e del traduttore, con rilievo noi di rado meticolosi e pungenti.
Insomma, l’opera di un dilettante presuntuoso e maldestro, del quale si
dimenticava il curriculum scientifico regolare per sottolineare una cura frettolosa e arruffata e non poche inesattezze ed errori anche di contenuto storico. E si auspicavi che il secondo volume gli fosse tolto di
mano, come poi avvenne, affidato, come si è detto, a Vittorio Rossi.
Zingarelli se ne amareggiò molto. Quelli, intorno all’87 erano anni
difficili per lui. La cosa poteva voler dire l’uscita definitiva da ogni
possibilità di lavoro scientifico e di reinserimento universitario.
fondo sul giudizio del « Giornale storico » che può essere malevole, né su altri giornali,
che non ho veduto nemmeno, ma solamente su quello che veggo io stesso e che dettò il
D’Ovidio, che certo non potete accusare di parzialità... » (lettera del 25-12-1887). Si intuisce un carteggio tempestoso. Zingarelli era mortificato, ma adirato nello stesso tempo. Inoltre temeva di uscire dal l’intera faccenda ancor più compromesso nella reputazione se la traduzione del secondo volume fosse stata affidata ad altri. Fece altri tentativi cercò perfino di forzare la mano adducendo ragioni editoriali. Gaspary fu irremovibile e furibondo. Decise di togliere l’incarico al suo vecchio discepolo. Consentì solo che
nei confronti dell’Editore rimanessero celate le vere ragioni del mutamento, che apparve
dovuto a rinuncia dello Zingarelli; ma anche su questa faccenda il Gaspary non fu tenero e forse non fu senza ambiguità neppure la condotta dello Zingarelli. Il tedesco come
nel suo temperamento, glielo rinfacciò con molta durezza. La traduzione passò nelle
mani di Vittorio Rossi, del quale Gaspary non mancò di mostrar soddisfazione con lo
stesso Zingarelli ribadendo il suo giudizio nei confronti dell’antico discepolo: « Voi non
eravate l’uomo per un tal lavoro; siete troppo impetuoso e impaziente, ve lo dissi sempre e se aveste seguito i miei consigli, vi sareste risparmiato alcune amarezze. Ma ora
son cose passate, e se guardando il volume forse vi annoia il pensiero che un altro l’ha
dovuto tradurre, pure gli vorrete bene per amor mio, e vi troverete dentro non poche cose aggiunte all’originale tedesco » (lettera del 6 gennaio 1891).
9
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
E ad allontanarlo, in qualche modo, secondo la severa concezione
degli studi letterari d’allora esclusivamente identificati con la filologia, ed in gran parte con la medievistica, da quel mondo accademico e
delle riviste specialistiche era anche certa sua assidua frequentazione
con gli ambienti artistici e giornalistici napoletani, con scrittori, poeti,
critici militanti, artisti, gente della cultura viva e contemporanea, nella
cui cerchia rumorosa e cangiante veniva sfogando certi suoi umori, e
che, in qualche modo, accogliendolo ed offrendogli possibilità di discorso nei caffè, nei giornali e nelle sale di conferenze, lo risarcivano
quasi dell’esclusione dalla sfera accademica e scientifica, che egli sentiva irosamente, patendone.
Sia a Napoli, come poi a Palermo e a Roma, Zingarelli sarà frequentatore dei caffè letterari e delle redazioni dei giornali, e stringerà
relazioni affettuose con Ferdinando Russo, Di Giacomo, Pitrè, Salomone-Marino, Federico De Roberto, Ferdinando Martini, col De Bosis, Corrado Ricci, Bergamini e Pascarella.
D’altro canto, anche per indole, il vivacissimo piccolo Zingarelli,
era portato a certe forme di sdoppiamento: la severità e la passione
appartata e perfino certosina della ricerca o del lavoro, contrastava con
altre ostentazioni e forme di vita in cui si ritrovava l’umore del pugliese e del provinciale mescolato alla lepidezza napoletana e a irriducibili
orgogli di irregolare isolato.
Più tardi, in una sua prosa autobiografica, parlerà di « due vie »
che lo avrebbero portato alla comprensione dell’opera d’arte: quella
degli studi, e quella della diretta frequentazione degli artisti; complementari l’una all’altra per la interpretazione non solo del testo letterario, ma di quella matrice del testo che è la biografia dell’autore, che
sarà, com’è noto, uno dei suoi filoni di ricerca preferiti.
L’esempio delle ricerche biografiche su Dante, Petrarca, l’Ariosto,
sui trovatori provenzali, offerto da tanti suoi studi conferma questo filone d’interesse, nel quale, come sembra scorgere, l’inclinazione
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
storico-positivista per la ricerca documentaria s’incontra e avrebbe
dovuto fondersi, nelle intenzioni dello studioso, con una valutazione
d’ordine estetico postulata da un interesse mai venuto meno in lui per
le cose dell’arte e per la particolare dimensione in cui si muovono gli
artisti.
Naturalmente l’equilibrio tra i due poli d’orientamento non era facile e Zingarelli non sempre riuscì raggiungerlo; ed inoltre la sua ricerca tendeva ad accumular materiali che poi non gli riusciva di scartare che facevano ingorgo e disperdevano o confondevano li linea del
disegno interpretativo. Come sarà per il primo mastodontico Dante,
del 1902, vera e propria enciclopedia dantesca, ma disordinata e senza
una struttura come d’altro canto non poche opere degli studiosi della
scuola storica, più adatti al taglio del contributo che non alla sintesi
dell’opera complessiva7 .
7
Il carteggio e la relazione con il Barbi possono costituire la misura oltre che del
divario di statura critica tra i due studiosi, anche di questi dismisure e dispersioni erudite
dello Z., e della difficoltà ch’egli avevi a stringere in un discorso unitario, intorno a temi
essenziali e portanti tutto il discorso. La monografia su Dante, nella prima e nella secondi edizione, risulta indicativa dei caratteri e dei limit i di una tal forma d ricerca che
caratterizzò lo svolgimento dello studioso pugliese, e chi contrastava con i metodi della
nuova filologia, mentre rimaneva del tutto riprovata dalla critica estetica.
In tal senso anche il rapporto con il Croce, assai limit ato nel tempo e nella entità e
contraddistinto da freddezza e insofferenza dall’una parti e dall’altra, può essere rivelatore della dislocazione tutt’altro che felici e sicura dello Z. sia nei confronti della vera
filologia che nei confronti della critica d’indirizzo estetico. E può esser significativa una
letterina del giovane Croce in cui il filosofo, chiedendogli chi avesse trattato d proposito
la interpretazione dei versi danteschi Io mi son un che quando etc., aggiungeva: « Vedo
che nel vostro Dante non siete giunto a trattari la poetica dantesca ». (18-1-1901): con
invito sottinteso a venire al dunque dopo tanti preamboli eruditi. Ma com’è noto, sarebbe stata attesa vana ed il Croce stesso avrebbe poi scritto accennandone appena sull’«
Antologia » che « la non meno vasta e dotta monografia italiana dello Z., in vece dello
studio estetico della poesia dantesca, offre una classificazioni degli affetti e degli oggetti
che Dante ha rappresentati, e spogli filologici delle sue figure retoriche, e altrettali cose
»; provocando naturalmente il risentimento dello Z. che peraltro se ne lamentò solo con
gli amici
11
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
In Zingarelli però un tal ingombro ed affastellamento di materiali
eterogenei nasceva da una sua intima natura e connaturata irriverenza
per le regole e i dogmi delle scuole; tenne sempre, infatti, a dichiararsi
seguace di studi « liberi e franchi », non senza una punta d’orgoglio,
ben comprensibile per la lunga emarginazione patita.
E v’era, inoltre, e sarebbe stato sempre più negli anni, a nuocergli,
l’ingombro di un equivoco di orientamento metodologico, le cui cause, spesso, non erano da ricercare se non in una sua « irregolarità » e
farragine connaturata, orientato com’era verso la neolatina e la comp aratistica medioevale con ampiezza e acume di ricerca ma senza precisione e rigore di metodo; e, per contro, interessato ai problemi della
valutazione estetica senza avere peraltro canoni precisi di riferimento.
Tenuto in sospetto, negli ambienti della ortodossia storico-erudita
quali erano Firenze e Torino, per certa sua origine e filiazione « napoletana », senza ch’egli fosse assolutamente partecipe di quella fruttuosa eredità, vide accresciuti i sospetti negli anni per certe sue aperture
d’interesse meramente esteriori nei confronti delle posizioni estetiche
del crocianesimo, senza peraltro ch’egli avesse assimilato una sola riga di quel pensiero (ed il suo Dante 1902 e 1931 lo dimostra).
Dall’altro canto, da crociani e neodesanctisiani era considerato un perfetto estraneo. La sua posizione, in realtà, era vicina ai filologi eruditi,
ma con qualche scostamento e non poche confusioni.
Insomma, non era D’Ancona né Renier, e non era, men che mai,
un crociano né uno storicista meridionale; era in sospetto agli uni e agli altri; ai primi soprattutto, ai quali era vicino; e prendeva colpi da
tutti, tanto più in un’epoca in cui le scuole ergevano steccati e gettavano fuoco greco su nemici e transfughi, anche quando essi erano solo
presunti.
Risulta così assai utile la conoscenza del carteggio zingarelliano con il Barbi che la
Prencipe Di Donna pubblica in questi giorni (N. Z. Carteggi, Foggia, Apulia, 1979), insieme alle lettere al Pascarella e di alcuni altri studiosi allo Z.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma ne assestava anche, di colpi, con le sue recensioni puntigliose,
nutrite di una erudizione smisurata che intimoriva gli interlocutori.
Gli anni ingrati dell’insegnamento medio, intanto, trascorrevano
veloci; il piccolo operoso pugliese risaliva la china con le sue recensioni e gli studi su riviste dantesche e di studi romanzi. Nel 1896 prese
la libera docenza con il sostegno del suo maestro D’Ovidio. I suoi articoli (pubblicati soprattutto sul « Bullettino della Società Dantesca Italiana » per invito del Barbi, e sulla « Rassegna critica della letteratura italiana » da lui fondata a Napoli con il Percopo) riscuotevano consenso, anche se non ammirazione. Zingarelli ha la sensazione che potrà risalire la china e conquistare la cattedra che ritiene gli sia dovuta.
Nello stesso anno 1896 tenta il concorso bandito da Pavia, ma con
risultato negativo.
Il Novati, peraltro, che sarà poi suo patrocinatore nella carriera e
cui succederà nell’insegnamento a Milano, gli scrive con espressioni
incoraggianti, in qualche modo quasi una promessa per l’immediato
futuro: « Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia
stata tale da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che
il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir così, la somma del rammarico che i commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato —
almeno in apparenza — quegli studi ai quali s era rivolto dapprima
con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’ella
ha interpretato il giudizio come voleva essere interpretato; vale a dire
come un eccitamento a fare, e non dubito ch’ella potrà in breve dar
occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sentenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ».
Vincerà, con il sostegno del Novati, il concorso per la neolatina
bandito da Palermo e salirà in cattedra nel 1902.
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4. Ma sarà bene tornare al rapporto tra Zingarelli e il « Giornale »
ed i suoi direttori e redattori: un rapporto contraddistinto nel tempo da
una estrema civiltà e perfino cordialità oltre che stima a livello personale ed epistolare, contraddette peraltro da prese di posizioni recensorie e critiche della rivista (e dunque dei suoi direttori e collaboratori)
non sempre benevole e non di rado contrarie alle affermazioni di consenso ed ammirazione di certa corrispondenza.
Dei tre fondatori e poi direttori del « Giornale », nel fondo zingarelliano cui accennavo non vi sono lettere del Graf.
D’altro canto il rapporto dello Zingarelli con il « Giornale » non
risulta esser stato precoce; quando esso accenna ad instaurarsi, nei
primi anni del ‘900, Graf aveva già ceduto da un pezzo il peso della
rivista agli altri due colleghi, soprattutto alle solide spalle del Renier
che la sorreggevano dal ‘90, dopo il crescente disimpegno del Novati.
Renier, come moltissimi uomini di cultura e d’insegnamento
dell’Italietta tra Otto e Novecento, e poi via via fino a questi nostri anni di corrispondenza telefonica più che epistolare, scriveva quasi sempre su cartoline postali: e scriveva schietto, preciso, funzionale.
Era uomo rigoroso, come si sa, lavoratore eccezionale, autorevole,
circondato da universale stima ed ammirazione; reggeva il « Giornale
» con uno stile di perseverante fermezza, temperato da un tratto di naturale cortesia senza affettazione.
Il gruppo delle missive conservate, in numero di 17 (ma dovettero
essercene altre), vanno dal 1901 al ‘09, che sono poi gli anni della
prima modesta collaborazione di Zingarelli al « Giornale » ed i più
importanti della sua carriera accademica: il concorso di Palermo vinto,
lo straordinariato, l’ordinariato, la possibilità, poi sfumata, di passare a
Bologna o a Genova.
Ma il Renier parlava poco di queste cose, assai meno del « padrino
» Novati. Inoltre, sebbene facesse parte di tutte le commissioni di neolatina e fosse autorevolissimo, mostrava di mantenersi lontano
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO »
dalle grandi manovre concorsuali verso le quali ostentava una olimpica superiorità. E però i suoi giudizi avevano peso, proprio perché erano fondati sulle cose della scienza e quasi per nulla sulle ragioni del
sentimento o del partito preso.
Nella commissione di quel concorso di Palermo avrebbe dovuto
esserci anche lui, e lo Zingarelli doveva avergli scritto le cose che si
scrivono in questi casi, inviandogli i suoi lavori. Poi Renier si ammalò
e non poté partecipare ai lavori della commissione. Ma scrisse informandone lo Zingarelli e non gli fece mancare il conforto del suo
giudizio:
« Non dubito del resto, che la vittoria sarà sua, qualunque possa
essere la commissione. Ciò parmi conforme a giustizia, come già
scrissi al Novati, perché ella in questi ultimi anni ha lavorato assai ed
ha sempre migliorato la sua produzione critica ».
La « macula » dell’abbandono degli studi e del « traviamento »
giovanile, veniva ricordata, come già aveva fatto Novati
nell’occasione di Pavia; anche se questa volta per rimarcare un riscatto
quasi compiuto.
Al Renier Zingarelli, ormai in cattedra a Palermo, chiede che intervenga presso il Loescher per una eventuale ristampa del suo primo
volume della Storia del Gaspary al quale avrebbe voluto apportare
miglioramenti. Ma la ristampa, per il momento, non si presenta necessaria. E il Renier, dandogliene notizia con la risposta dell’editore, aggiunge:
« Per parte mia questo posso dirle. Se la Casa chiederà il mio parere, mostrerò per Lei, quella sincera stima che ho realmente da questi
anni; malgrado le distrazioni dell’insegnamento medio, Ella ha fatto
molto cammino. Ad una seconda edizione del Gaspary Ella potrebbe
accingersi con ottima preparazione ed anche nella forma darà al libro
quell’aspetto che meglio corrisponde all’invidiabile scioltezza del testo tedesco ».
Era una maniera elegante e ferma nello stesso tempo per ribadire il
giudizio negativo espresso dal « Giornale » a suo tempo su quella tra-
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
duzione (al quale giudizio il Renier stesso, nell’86 non ancora direttore ma redattore e fondatore del « Giornale », non poteva non aver sottoscritto), di indicarne ancora i punti deboli, ma di auspicarne la revisione nella fiducia della accresciuta esperienza del traduttore. Per non
dire della menzione dell’antica « macula » dell’insegnamento medio,
indelebile anche quando cancellata o in via di cancellazione, agli occhi
di un « regolare » come era Renier.
Frattanto, proprio in quei mesi, era imminente la pubblicazione
dell’attesa monografia su Dante.
Renier se ne dichiara desideroso, ed intanto non esita a riconoscere
che « Ella si è accinto ad impresa difficilissima e potrà compiacersi di
aver dato all’Italia la prima opera d’insieme sul sommo poeta, che corrisponda agli studi progrediti » (lettera del 6/1/’03).
Il Dante di Zingarelli uscì, nella sua prima edizione nel 1903, dopo
essere apparso in dispense dal 1898 al 02, e confermò la sua natura,
già rivelatasi di fascicolo in fascicolo, di vera e propria enciclopedia
dantesca, forse farraginosa e certamente piena di infinite minuzie, corriva all’orientamento più esteriore degli studi della scuola storica, priva di una linea unitaria di sviluppo e forse senza un’idea centrale; ma
utilissimo testo di riferimento e quasi « libro da indice » per tutti gli
studiosi che in un modo o nell’altro ebbero a farvi i conti.
Il Renier, ricevutane una copia, ne affidò la recensione a Luigi
Rocca e ne dava comu nicazione allo Zingarelli, prevedendone la pubblicazione nel « Giornale » in un fascicolo dell’annata 1905 (come poi
puntualmente avvenne), assicurandolo nel contempo in risposta ad una
sua maggior premura, che « non sarà troppo tardi perché di quel volume non si può parlare a cuor leggero » (cart. del 30/10/04). Frattanto
lo esortava a collaborare al « Giornale » e agli « Studi medievali » la
nuova rivista da lui fondata con il Novati.
Questa recensione non riuscì gradita allo Zingarelli che se ne amareggiò a lungo. Ne aveva avuta una dal Barbi sul « Bullettino » nella
quale il grande maestro, pur non lesinando critiche e rilievi particolari
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_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
e nel far rilevare pregi e manchevolezze, non tralasciava dal segnalare
il poderoso sforzo di scrivere un volume sintetico e aveva concluso affermando « che nel complesso l’opera è buona e la critica non deve ritardare all’autore la lode che si merita » 8 .
Rocca, invece, nel « Giornale » era stato più esigente; i suoi rilievi
erano puntigliosi e penetranti, più sul versante dei difetti « che, purtroppo, non mancano, anzi sono parecchi e gravi, e danno nell’occhio
più facilmente che i pregi ». E ne indicava i « capitali difetti » nel disegno e piano dell’opera, in cui s’è voluta separare la trattazione della
vita da quella degli scritti; la qual cosa se permise di approfondire
questioni particolari, « obbligò peraltro ad inutili ripetizioni e ad uno
smembramento della materia, tanto più deplorevole quanto più intimamente congiunte sono la vita e gli scritti di Dante ».
Ma non si faceva a meno, nell’enumerare gli altri difetti, di sottolineare « una grande ineguaglianza di esecuzione, trattazione talvolta
eccessivamente lunga e minuta, talaltra troppo lesta e schematica, nella forma stessa che, ordinariamente trascurata, varia da una pagina
all’altra e giunge alle volte a un grado inesplicabile di rilassatezza »;
ed ancora: una quantità di piccole inesattezze, di sviste, di citazioni
sbagliate o incomplete, errori di stampa, dimenticanze e semplici irregolarità che offendono l’attento lettore 9 .
La conclusione, come molti anni dopo scriverà il Cian, era che il
Rocca considerava l’opera « ancora in fieri e ne aveva raccomandato
la compattezza » auspicandone quanto prima il rimpasto.
Ma le espressioni con cui Rocca esprimeva un tale concetto erano
8
La recensione del Barbi si può leggere in «Bullettino della Società dantesca italiana » XI, 1904, pp. 1-58, e nel vol. Problemi di critica dantesca, Firenze, Sansoni, 1934.
9
La recensione del Rocca si legge nel vol. 460, 1905 del « Giornale storico della
letteratura italiana », pp. 136-176.
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più dure di quanto Cian avesse voluto ricordare; e assai più duro
l’articolo che vi si concludeva.
Zingarelli ne era stato assai amareggiato, e se ne sfogava con gli
amici. Arturo Farinelli, che non aveva molta simpatia per i sacerdoti
regolari della scuola storica, lui anima di girovago e di artista, oltre
che di filo. logo e di critico, e dunque in qualche modo vicino a Zingarelli, anche per certa stessa tendenza all’accumulo del materiale di ricerca e difficoltà nell’ordinarlo in disegno comp atto, gli scrisse, scusandosi di non aver recensito il volume dantesco e dolendosi per la recensione di Rocca « calcata in modo davvero infantile su quella di
Barbi, poco utile, poco giusta ed è peccato che sia stata accolta nel «
Giornale ». Quel bravo sacerdote poteva spacciare altrove la merce
sua ».
Ma questa storia delle recensioni all’opera zingarelliana nel «
Giornale » non era alla prima amarezza, e non sarebbe stata quella
neppure l’ultima.
Dopo le dure osservazioni alla traduzione della Storia del Gaspary,
di cui si è detto, il « Giornale » nel suo fascicolo autunnale del voi.
300, 1897 (pp. 328-29) aveva recensito brevemente l’articolo di Zingarelli su La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante. Se ne lodava la dottrina, lo studio analitico, ma si sollevava qualche riserva, a mio avviso di rilevante importanza, non tanto
in sé, quanto come spia di un atteggiamento e di una dislocazione nei
confronti non solo di un certo tipo di lavoro dello Zingarelli, ma soprattutto delle sue matrici culturali e di gusto letterario.
« A qualche lettore — notava il recensore — sembrerà che intorno
al soggetto siano qui spese parole più del necessario; né a tutti garberà
il modo come le notizie sono disposte, né quel carattere di variazioni
sul tema che da qualche tempo vengono assumendo gli scritti critici di
alcuni letterati meridionali. Troverà qualcuno che se una simile maniera di scrivere di erudizione riesce assai bene, talora persino mirabilmente, a qualche reputato maestro, non tutti i discepoli possono avervi
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
acconcia la penna e abbastanza disciplinato lo ingegno ».
La nota, come tante altre di indicazioni ed annunzi bibliografici,
non era firmata. Ma lo stile sembra essere di Renier. D’altro canto
quasi tutte le note prive di firma o di sigla si ascrivono a lui, negli anni
della sua direzione. E l’osservazione era, nel merito, irreprensibile,
soprattutto per quanto atteneva alla scrittura disordinata dello Zingarelli che non poteva riuscire in quelle variazioni sul tema in cui altri
riusciva. E l’allusione alle suggestioni desanctisiane ed estetizzanti
ancor vive in D’Ovidio e in Torraca era trasparente, e perfino, nella
stoccata, diplomaticamente riguardosa. Ma la cosa che risalta è proprio quella freddezza del maggior sacerdote del tempio torinese della
scuola storica, nei confronti dei residui di quella cultura critica meridionale guardata con condiscendenza e ristretta a prove di bello stile, a
piacevoli variazioni sul tema con spreco di parole ed ornamento di
svolazzi, come non pochi — bisogna dire — s’eran ridotti a fare.
Sarà inutile dire che quella cultura era stata ben altro, con i suoi
maestri e dis cepoli; e proprio i torinesi, per aver avuto ospiti molti esuli di quelle parti, lo sapevano bene. Ma i tempi erano mutati; anche
se di lì a poco, con Croce e Gentile, essa avrebbe preso nuova forza
per contestare l’egemonia degli eruditi e dei filologi.
Intanto il povero Zingarelli ne pativa, anche se non senza ragioni
ascrivibili alla sua farragine e dismisura, ma non solo per quelle; così
la « macula » di un peccato originale gli rimaneva addosso e non accennava a cancellarsi nella reputazione dei sacerdoti del tempio.
Ma Renier era galantuomo.
Nel 1899 Zingarelli aveva ripubblicato il suo Falchetto, con non
poche modificazioni. E puntualmente una noterella non firmata appariva nel « Giornale » (vol. 340, 1899, p. 424) con espressioni di compiacimento per aver l’autore tratto profitto dalle discussioni e critiche
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sollevate dalla prima edizione; con questa giunta sintetica ma eloquente: « Così va fatto ».
Altre brevi segnalazioni di scritti zingarelliani, tra il 1900 ed il
1904, rimarcano la solita diligenza di ricerca ed erudizione ampia.
Ma nel 1903 ( Zingarelli era già in cattedra a Palermo) una nuova
stoccata: breve recensione non firmata al Documentum liberalitatis,
un lavoro su testi francesi antichi, provenzali ed italiani, che aveva
avuto calorosi giudizi e ringraziamenti epistolari da molti. Ma il «
Giornale » non tralascia di notare con una punta di durezza: « Nocque
allo Zingarelli non essersi curato di quello che fu già scritto da diversi
sulla liberalità nel Medioevo francese. Pare che sia rimasta ignota (o
almeno non la menziona mai) persino la stessa grande e classica opera
di Alwin Schultz, che per ogni indagine intorno alla storia del costume
nell’età di mezzo è veramente fondamentale. » (Vol. 42, anno 1903,
2° semestre).
Ma dal Renier gli venivano anche sollecitazioni ad una collaborazione al « Giornale » e agli « Studi medievali », la nuova rivista da lui
fondata con Novati.
Forse è restrittivo pensare che quel poco di collaborazione zingarelliana alle due riviste, per ripetuta sollecitazione dei due direttori
coincidesse con l’anno 1906, che fu anche quello tra la prova di ordinariato dello Zingarelli, e l’occasione di passare a Bologna o a Genova
(ed anche per questo i sostegni erano indispensabili). Ma è un fatto
che dopo tale data la collaborazione s’interruppe.
Lo Zingarelli, intemperante com’era, commise perfino l’errore,
una volta spedito l’articolo degli Appunti lessicali danteschi, di sollecitarne la pubblicazione, certamente in quanto premuto dalle scadenze
dell’ordinanato, ricevendone un cortese ma fermo diniego: « subito
non mi è possibile inserirli; ma ritengo che nel fascicolo autunnale potranno entrare. Abbia pazienza, giacché il “Giornale” è sempre molto
occupato ».
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Ma poi l’articolo uscì in tempo per l’ordinariato10 .
E quando si trattò di sostenerlo per il passaggio a Bologna (andato
in porto, com’è noto, sia pure con molte difficoltà, ma poi revocato
dal Ministro, « non essendo la cattedra per ordinario »), gli chiedeva
di esserne informato ed aggiungeva: « A Bologna si tratta di fondare
l’insegnamento di neolatina che in verità non vi fu mai, tanto che non
hanno idea di quel che sia la materia nostra né i professori, né gli scolari. Sarebbe desiderabile che Ella ci andasse ».
Renier, il galantuomo che non aveva peli sulla lingua e sapeva dire
le cose giuste al momento giusto.
Renier poteva chiedergli con vivace entusiasmo una recensione per
la Vita Nuova di Barbi: « Mi dica. Le spiacerebbe di fare per il “Giornale” una recensione della Vita Nuova del Barbi? Ne avrei sincero
piacere, perché a me ormai il tema è venuto a noia. Mi dica si, se può,
e lasci che nella sua « Rassegna » ne parli altri. Me ne scriva qui, la
prego. A me basterebbe ricevere l’articolo in gennaio o giù di lì ».
Per Barbi non poteva dire di no, né menar la cosa per le lunghe. La
recensione uscì l’anno appresso, nel volume 52° 1908, 2° semestre
(pp. 202-210).
La sua « Rassegna » questa volta poteva aspettare.
10
« Giornale storico della letteratura italiana o, voi. 480 (1906), pp. 368-380. Il Renier si mostrava interessato alla sua pubblicazione sui Canzoniere di Dante: « questa
pubblicazione m’interessa immensamente e desidero assai di averla. Io stesso poi me ne
occuperò ». Ma sul « Giornale » non apparvero recensioni a riguardo.
Renier ebbe parole di sdegno e di solidarietà per gli attacchi denigratori di cui Zingarelli era stato oggetto da parte del Cesareo, suo terribile collega in Palermo, in alcuni
articoli della « Rivista d’Italia o, (si tratta della recensione di G. A. Cesareo al Dante di
Z.: L’ultimo Dante, in « Riv. d’Italia », 1906, fasc. 6, pp. 913-931) forse sferrati in concomitanza del ventilato passaggio a Bologna per una manovra di sbarramento accademico.
« Restai addolorato e indignato pei violenti articoli contro di Lei sulla « Riv.
d’Italia ». La ingiustizia, l’arroganza, l’insensatezza di questi articoli ne annullano ogni
valore agli occhi del pubblico serio o. Analoghe espressioni di stima e di solidarietà gli
scrisse il Rajna (lettera del 9-6-1907).
21
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5. La relazione con il Novati, riccamente documentata
dall’epistolario di questo fondo, ed estesa per tutto l’arco 1896-1915,
non riguarda direttamente il « Giornale » né l’ambiente torinese (Novati, com’è noto fu professore in Milano), riferendosi piuttosto ad una
serie di rapporti accademici e di studio di non poco interesse generale
e particolare.
Essa tra tutte è la più continua ricoprendo, con le missive conservate in questo fondo tutto il periodo dal 1896 al 1915, fino a pochi
mesi dalla morte del maestro-collega del quale lo Zingarelli avrebbe
occupato la cattedra succedendogli nell’Accademia milanese. Zingarelli era quasi coetaneo del Novati, come lo era quasi del Renier: solo
qualche anno, anagraficamente, li divideva; ma ciò che costituiva la
distanza e poneva lo Zingarelli nelle condizioni del discepolo o quanto
meno, almeno nei primi tempi, del magister additus, non erano quei
due o tre anni di età, ma quei quasi vent’anni che il Renier ed il Novati
avevano potuto non trascorrere nell’insegnamento medio e che potevano ora vantare di anzianità accademica, oltre che di autorità scientifica.
Il Novati poi, non solo nei primissimi anni della loro relazione, ma
in ogni fase successiva, per la sua autorevolezza, per le cariche ricoperte, per la direzione delle riviste, dall’e Archivio storico » agli «
Studi medievali » allo stesso « Giornale storico », per la direzione di
importanti collane editoriali, per la presidenza o vicepresidenza di sodalizi famosi e benemeriti come la Società storica lombarda », la «
Società bibliografica italiana », il « R. Istituto lombardo di scienze e
lettere », la e Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la
Lombardia », la « Società etnologica italiana », la e Società nazionale
per la storia del Risorgimento » etc., e soprattutto per le sue molte aderenze ministeriali ed accademiche, si offrì in veste di mentore e protettore dei quasi coetaneo professore che saliva con qualche ritardo gli
scalini della carriera.
Dallo scorcio del secolo, fino al ‘15 non vi è avvenimento importante della vicenda accademica e dell’attività scientifica dello Zingarelli che non trovi il Novati in veste di consigliere sagace e di sostenitore.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Certo la sua attività era largamente incentrata nella Milano tra i
due secoli, protesa a riconquistare un suo ruolo di capitale culturale e
nello stesso tempo imprenditoriale e a differenziarsi per questa strada
anche da Torino, rimasta più periferica, anche se la sua università poteva dirsi la roccaforte di quel metodo storico che li univa tutti, non
solo i letterati, ma gli storici, i filosofi, gli scienziati. D’altro canto,
com’è noto, il « Giornale » era nato dai discorsi dei giovani Graf, Renier e Novati a Firenze, alla scuola del Bartoli e del D’Ancona, anche
se poi divenne gloria e patrimonio torinese. In fondo una fede ed uno
spirito di scuola li teneva tutti uniti, al disopra della rivalità e delle dispute accademico-scientifiche. Si riconoscevano tutti, nelle diversificazioni ed ammodernamenti che gli anni avevano imposto, nell’antico
ceppo di Villari, D’Ancona, Comparetti, Bartoli, Rajna; avevano in
quegli ultimi vent’anni conquistato la cultura e l’università italiana. E
proprio al Novati il Renier poteva dedicare un suo ritratto con la dedica significativa e al compagno di battaglia e di vittoria », secondo la
testimonianza del Benedetto, giovane caro al Renier che ne seguiva
con ammirazione i progressi e la precocità sorprendenti11 .
Certo Novati era a Milano, come altri erano a Napoli, a Pavia, a
Roma, a Bologna, a Firenze, a Pisa, ed altrove, nei punti chiave del dispositivo accademico italiano, a governano e regolano affinché esso si
identificasse sempre più con e la scuola » e fosse esso stesso e scuola
»per la quale era giusto allevar giovani come il Benedetto, e recuperare studiosi valenti come lo Zingarelli, che si facessero onore « e facessero onore alla nostra scuola (la frase è di Renier in una cartolina allo
Zingarelli). L’orgoglio della scuola sopravvisse anche nella sua lunga
decadenza.
11
Si può leggere nella prolusione di L. F. BENEDETTO, Ai tempi del metodo storico, tenuta all’Università di Torino nel 1951, ora nel vol. Uomini e tempi, Milano - Napoli, Ricciardi, 1953.
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Studioso di infaticabile attività, di grandissima onestà intellettuale
e morale, scrittore e parlatore brillante, polemista vivace e qualche
volta ostinato nella difesa del suo punto di vista, il Novati, studioso
dell’umanesimo tre-quattrocentesco e del Salutati, era però anche lo
studioso delle origini, dei provenzali e di Dante, filologo romanzo oltre che cultore di studi francesi, non solo medioevali, e basterà citare i
suoi lavori su Stendhal.
Il suo rapporto con lo Zingarelli, nel corso di tanti anni, rimane
semp re sereno, improntato a stima, benevolenza e poi ad affettuosa
amicizia, senza scatti d’umore, senza esagerazioni o effusioni eccessive; il « lei » rimane fino all’ultimo, come con il Renier; ma era lo stile
degli uomini d’allora, più contegnosi di quanto non s’usi fare (non so
con qual vantaggio) tra conoscenti oggidì12 .
12
La prima lettera di questo fondo, del Novati, è del ‘96, in risposta ad una dello
Zingarelli allora professore al liceo « Genovesi » di Napoli. Vi si legge delle premure
esercitate dal Novati nei confronti del Vallardi affinché fosse affidato allo Zingarelli il
volume su Dante che poi uscirà in fascicoli dal ‘98 al 02, nella vallardiana Storia letteraria «a cura di una società di professori ».
In effetti il Novati scrisse al Renier affinché sollecitasse il Vallardi all’ « osservanza delle sue promesse », stante il fatto che «i miei rapporti col cav. Cecilio sono in questo momento così poco amichevoli che io non ho nessuna voglia di scrivergli » (cart. del
12-6-98).
Si fa riferimento inoltre al tentativo andato a vuoto dello Zingarelli nel concorso per
la cattedra di Pavia. Un risultato che non deve scoraggiarlo essendo la intenzione della
commissione di attendere ancora che i suoi studi si consolidassero prima di chiamarlo
all’insegnamento di ruolo. Novati trova modo di dirgli la cosa con sobrietà, distacco ed
incoraggiamento: « In quanto al concorso di Pavia io non gliene scrissi quand’Ella me
ne chiedea per non dare origine a discorsi, i quali avrebbero finito per lasciar il tempo
che trovavano. Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia stata tale
da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir
così, la somma del rammarico che i Commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato — almeno in apparenza — quegli studi ai quali s’era rivolto dapprima con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’Ella ha interpretato il giudizio
come voleva essere interpretato; vale a dire come un eccitamento a fare e non dubito
ch’Ella potrà in breve dar occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sen24
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Quegli anni di straordinariato furono anche di lavori intenso per
Zingarelli, Qualcuna delle sue cose, come si è visto andava al « Giornale »; ma più spesso a « Studi medievali » cui lo sollecitava il Novati, ed alla napoletana « Rassegna » che in qualche modo sentiva più
sua. E poi, naturalmente, l’« Archivio glottologico » il « Bullettino
dantesco » e via dicendo.
tenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ». Una cartolina del
12-4-1898 contiene suggerimenti e osservazioni intese a render più compatto l’ormai
compiuto lavoro dantesco di imminente pubblicazione: « Egregio professore, son contentissimo ch’Ella abbi riconosciuta la opportunità di restringere alquanto que’ capitoli
proemiali e vado certo che la compagine del lavoro ne diverrà più vigorosa. E anche rispetto alle note, creda pure che farebbe ottima cosa raggrupparle insieme per ogni capitolo; il Rossi ha fatto così; ed anzi ha stese le note ad opera finita; in questo modo è rimasto padrone di citar i vari lavori colà dove gli tornava più comodo. E così conto di fare ancor io ».
Un consiglio che sarebbe potuto valere per tutta l’opera e la vita dello Z., e di cui
non sempre questi seppe tener conto.
Entra poi nel merito di una osservazione fatta dallo Zingarelli all sue Noterelle dantesche circa Francesco da Buti, mantenendo il suo punto di vista e chiarendo la specificazione colta di quel commentatore, passato dal commento degli antichi, Valerio Massimo, Persio o Seneca, ai occuparsi di un poeta volgare.
La corrispondenza di quegli ultimi anni del secolo ci mostra un Novati che si lamenta delle sue molte occupazioni (sarà un leitmotiv di quasi tutti gli incipit della corrispondenza), chiede scusa dei ritardi nelle risposte, registra l’intensità e la qualità del lavoro dello Zingarelli, vera mente senza soste in quegli anni precedenti il concorso di Palermo, sia nel suo filone provenzale che in quello francese ed alto-italiano, oltre che
dantesco.
Questa volta, con il sostegno di Novati e degli altri, e per merito d quel suo prodigioso lavoro di recupero, risulterà vincitore. Ma la soddisfazione della vittoria verrà attenuandosi per certe accoglienze palermitane, dove pure aveva trovato colleghi valenti
che gli saranno affettuosamente vicini, come il Gentile.
Il filosofo siciliano gli scrisse infatti una lettera che merita di esser ricordata:
« Castelvetrano 15-3-1908. Ho appreso con molto ritardo, e per caso la tua vittoria
nel concorso di Bologna; e mentre mi rallegro sincera mente e cordialmente della bella e
e meritata e opportuna soddisfazioni che hai avuta, devo anche esprimerti un senso di
non meno sincero i cordiale rincrescimento pel sospetto che l’importanza dell’università
e i fastidio delle tante noie sofferte a Palermo possano indurti a lasciare la nostra Facoltà, nonostante la difficoltà dello straordinariato. Intendo che tu devi unicamente consi25
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Le cartoline dell’amico-maestro di quegli anni contengono esportazioni, ringraziamenti, indicazioni e sollecitazioni di bozze. La nuova
rivista « Studi medievali era stata fondata dal Renier e dal Novati, ma
era in gran parte sulle spalle di quest’ultimo, come il « Giornale » era
su quelle del primo. I primi fascicoli tengono impegnato il direttore,
che ne parla come di una creatura ai primi passi, chiede abbonamenti,
collaborazione, consensi, pareri.
Ma non mancano riconoscimenti, pur nel gran daffare, per il gran
lavoro dello Zingarelli.
« Il documentum liberalitatis è bel documento — mi permetta il
bisticcio — della grande padronanza che Ella possiede della vita e del
pensiero provenzale. Mi auguro che Ella faccia altri studi dello stesso
tipo: essi riusciranno utili agli studi e Le faranno onore ».(cart. del
21/3/03).
gliarti con gli interessi futuri della tua carriera d’insegnante e di studioso; e temo appunto per ciò di dover perdere quanto prima la tua compagnia. Ma desidero che tu creda,
che in Palermo lasceresti in me uno degli amici più affezionati e uno dei colleghi che
sentirebbero di più il tuo allontanamento [ ...] G. Gentile
Un’eco di questa situazione palermitana si coglie in una lettera del Novati di
qualche anno dopo, del 06, (« Quanto Ella mi ha detto nell’ultima sua riguardo agli att riti che hanno luogo nella Facoltà sua, non m’è stato cagione d’alcuna meraviglia. Conosco abbastanza il professore di lettere italiane dell’università di Palermo [il Cesareo]
per immaginarmi ch’egli non doveva aver preparato al suo collega di neolatina un letto
di rose ». Lo Zingarelli, anche per rendere più urgente e necessario il suo passaggio ad
altra facoltà (allora appunto sfumava l’occasione Bo logna) ed averne l’appoggio del
Novati, forse esagerava nel, rappresentare quelle contrarietà e l’ostilità del Cesareo nei
suoi confronti.
Ma Novati con molt a filosofia aggiungeva « Ma dal più al meno, tutto il mondo è
paese ed i prepotenti e vanagloriosi non mancano in nessun luogo. Il peggio è quando
alla prepotenza si accoppia il valore scientifico! Allora la vita è dura. Ella può credermi
in parola: Ella non ignora certo la lotta ventennale che ho sostenuta io qui. Ma il Cesareo? non è uomo che debba in fondo esserle capace di preoccupazioni Ad ogni modo
penso bene che ella preferirebbe essere lontano ». E gli proponeva Genova, ove forse si
sarebbe reso vacante un posto per il passaggio del De Lollis a Roma. « Certo Genova
non è Bologna, ma meglio di Palermo. Cosa ne pensa? ».
Lui, Novati, vent’anni prima era passato appunto da Palermo a Genova, prima di
approdare a Milano.
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Ma il giudizio più categoricamente positivo riferendosi ad un suo
contributo agli e Studi » lo aveva pronunciato Renier, ed il Novati lo
confiderà all’amico, sicuro di fargli il più gran piacere: « Il Renier ha
trovato il suo lavoro ‘eccellente’, ed aggiunge: ‘Parmi che abbia
un’importanza superiore al soggetto specifico, perché addita la via che
la critica deve battere per rendersi conto del valore reale delle biografie trovadoriche’. Credo che questo giudizio le farà piacere ». (cart.
del 20/7/1905)
Con tali garanti sottoporre la sua produzione al vaglio della commissione per l’ordinariato era andar a colpo sicuro, anche in tempi in
cui quel vaglio era severissimo, sovente puntiglioso, ed era campo,
non di rado, della fiera guerra delle scuole.
Lo Zingarelli ebbe anche qualche apprensione, e non mancò qualche rilievo, come gli racconta il Novati. Ma era ben sostenuto e la sua
opera era solida e varia.
Insomma, prova superata con pienezza di voti. E il Novati non rinunzia a riconoscersene qualche merito, se non altro per il sostegno
nella discussione e nella stesura della relazione: « La relazione è stata
stesa da me: ho, naturalmente, dovuto tener conto, dettandola, de’ vari
umori; ma siccome eran tutti bene disposti, così spero che Ella non la
troverà sgradita ». (lettera del 4/1/06)
Le lettere di Novati fanno cenno ad un progetto di viaggio in Sicilia, per una conferenza a Palermo su invito dello Zingarelli: progetto
sfumato per una serie di contrattempi.
E poi ancora la intricata vicenda e la stressante attesa per il passaggio a Bologna; le lettere di Novati parlano di prudenza,
dell’autorità del Carducci in sostegno di un suo scolaro, di pressioni
del Pascoli perché l’insegnamento gli sia lasciato per incarico; finché
la Facoltà, per troncare tutto, decide di mettere la cattedra a concorso.
Zingarelli, com’è noto, parteciperà e vincerà.
27
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Ma il Ministero non gli riconoscerà il passaggio, e non essendo la
cattedra per ordinario ».
Rimase a Palermo e continuò i suoi studi.
Continuamente dal Novati e dal Renier (ma anche dal Barbi per il
« Bullettino ») era sollecitato per collaborazioni e recensioni e si lodavano con schiettezza i suoi lavori, anche se non mancava di detrattori
e di critici difficili.
Novati nelle sue cartoline alternava scuse per i ritardi epistolari,
dichiarazioni di stanchezza (qualche volta sincera e pensosa, come avviene qualche volta anche a quanti si lamentano non senza una qualche compiacenza: « Io sono oppresso dalle troppe faccende che non
mi lasciano il tempo necessario a mandar innanzi i miei lavori. Purtroppo si perde una preziosissima parte della vita a far ciò che non
piace... Perché poi?! » (cart. del 16/6/07) e richieste di lavori (« Io le
raccomando molto Vivamente gli e Studi » che hanno bisogno di collaboratori volenterosi per potersi mantenere in vita, altrimenti andrà a
finire che, morto l’Arch. Glottol. morto tutto, resterà solo in piedi il
monumentale edificio della Soc. filologica Romana che non è poi così
eccelso da fare inorgoglire l’Italia di possederlo ». (cart. dell’8 gennaio 1907)
Questi inviti di collaborazione si estenderanno fino al ‘15, l’anno
della morte del Novati, che seguì di un anno appunto quella del Renier. In quell’ultimo anno, nonostante gli altri impegni, Novati si era
preso il fardello del « Giornale ».
In una lettera del 18 agosto del ‘15, nell’esprimere rammarico per
un mancato incontro a Milano in una visita fattagli dallo Zingarelli,
aggiungeva: « Il mio dispiacere è anche maggiore perché non mi è
possibile più di affidarle la recensione del recente volume del Barbi:
non appena il libro era uscito, alla fine di luglio, passò di qui il prof.
Debenedetti che si assunse l’ufficio di parlarne nel Giornale. Sarei
stato veramente lieto di rivederla tra i collaboratori del periodico nostro che ha bisogno più che mai di veder stringerglisi attorno gli amici
fidi ed illustri. Veda, caro Professore, di risarcirmi di questo danno,
28
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
inviandomi presto qualche cosa di suo: o articolo o recensione. Ella mi
farà un vero e proprio regalo ».
Si tratta di uno degli ultimi scritti del Novati in questo fondo.
Novati, com’è noto, sarebbe morto negli ultimi giorni di quel primo anno di guerra 1915. Il « Giornale » sarebbe passato per due anni
al Gorra, succeduto al Renier sulla cattedra di Torino, ed alla morte di
questi, nel 1918 al Cian. A succedere al Novati sulla cattedra di neolatina l’Accademia milanese avrebbe chiamato lo Zingarelli.
6. Vittorio Cian tenne la direzione del « Giornale storico » dal
1917 al 1937, gli anni in cui la seconda generazione della scuola storica doveva far sempre più i conti con il mutamento degli orientamenti
critici imposti dal Croce e con la progressiva supervisione politica della cultura imposta dal fascismo.
Quasi coetaneo dello Z., veneto di nascita, come il Renier ma torinese di studi e di vita, allievo del Graf e del Renier, il Cian fu come gli
altri lavoratore infaticabile, legato nella ricerca agli strumenti del metodo storico ma non del materialismo positivistico, che anzi nella contaminazione metodologica e nei confusi presupposti filosofici della
sua critica non si mostrava insensibile ad uno spiritualismo imprecisato e ai miti, non solo postrisorgimentali, del nazionalismo: la Torino
liberale, l’insegnamento desanctisiano ripreso, sia pure per mostrare al
Croce che esso apparteneva a Napoli quanto a Torino, alla scuola estetica quanto alla storica, e soprattutto una sincera ma retorica e qualche
volta perfino grottesca ideologia nazionalistica.
In cattedra a Messina fin dal ‘95 per letteratura italiana, e non neolatina come quasi tutti gli altri, passò poi a Pisa e a Pavia, ed infine nel
1913 a Torino, fino al ‘35. Deputato e poi senatore dal ‘29 non risparmiò, da posizioni nazionalistiche dichiarate, apologie
all’imperante fascismo.
29
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Nella sua corrispondenza un tal orientamento si sente assai più di
quanto non si sentisse in altri, come il Bertoni ed il Farinelli, che pure
avevano accettato cariche e funzioni dal regime.
La corrispondenza nei documenti di questo fondo zingarelliano si
estende dal ‘14 al ‘34 e risulta abbastanza continua soprattutto per vicende legate alla collaborazione sollecitata ma piuttosto svogliata dello Zingarelli al « Giornale ».
Ma vi sono anche numerose manifestazioni di stima, ringraziamenti, scambi di opuscoli ed estratti (« hai voluto fare — scriveva, ringraziando lo Zingarelli che gli aveva contraccambiato con alcuni opuscoli
un suo dono — come Romeo col suo Signore, sette e cinque per diece
»); c’è un riferimento al Pascarella e alla sua raccolta di sonetti di Storia nostra, un poema cui si dedicherà fino agli ultimi anni di vita, rivelatore del nazionalismo ch’era l’orientamento spirituale del Cian (« E
credi tu ch’egli possa darci più il ‘pomera della storia nostra’ ora che
ce l’hanno dato i nostri giovani cari con le armi, mentre il povero amico si è chiuso e sepolto in oscuro neutralismo tanto dis astroso quanto
inesplicabile? Ne hai tu notizie? »).
Ma soprattutto vi è una ripresa pressante di inviti alla collaborazione, destinati, anche questi a non produrre se non una breve recensione nel ‘21 al volume dantesco di Labusquette.
Zingarelli ormai era passato a Milano sulla cattedra di neolatina liberatasi con la morte del suo caro Novati. Ed in quegli anni collaborava intensamente a molte riviste autorevoli ed era impegnato in una intensa attività di dantista, di romanis ta e di lessicografo.
Cian, con inviti sempre più pressanti e confideziali, lo esortava a
dargli qualcosa; e Zingarelli non diceva di no; ma prendeva tempo e
altro tempo, fino a far cadere la cosa13 .
13
Ecco qualche esempio:
« Attendo l’adempimento delle tue belle promesse pel « Giornale » (14-12-1918).
30
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Naturalmente, aveva le sue buone ragioni, neppure polemiche, ma
di lavoro e di salute.
Era immerso sino al collo nel lavoro di revisione e di stampa del
Vocabolario, che sarebbe uscito in prima edizione, presso il Bietti, nel
1922.
Ma a scorrere la Bibliografia degli scritti, ci si avvede che anche in
quegli anni in cui si dichiarava impedito, non san pochi i suoi scritti su
riviste e quotidiani autorevoli.
Le richieste di collaborazione s’interrompono.
Il « Giornale » di Cian non trascura di segnalare, sia pur sobriamente i lavori dello Zingarelli. Lo farà anche per il Vocabolario.
28-7-1919: accoglie un saggio di un segnalato per il « Giornale ». « Ma più lieto sarei di
avere qualche cosa del mio Z., e tanto più lo spero da che mi dai la buona notizia che
lavori molto. Qualche briciola di codesto tuo lavoro, serbala al « Giornale ». E a proposito, mi vien un’idea. Giorni sono scrissi al Torraca proponendogli di prepararmi, fra un
anno circa, uno studio sintetico — 2 o 3 fogli di stampa — sopra Un mezzo secolo di
studi danteschi in Italia (1865-1921) destinato a quel numero straordinario del Suppl.
del Giorn. che vagheggio di dare in luce pel ‘21. Ora nel caso che il Torraca non
s’assumesse l’impegno, potresti sobbarcarti tu? Ne sarei lietissimo. Anche ho offerto al
Torraca di recensirmi il Dante del Granz (la D. C.) Qualora egli non accettase potrei fare assegnamento sull’amico Z.? Rispondimi etc. ».
Nel ‘20 una serie di cartoline sulla laboriosa correzione De Labusquette, che poi
uscirà nel vol. 77°, 1921, pp. 288-298.
6-7-1921. Sembra che Z. abbia accettato la rassegna di cinquant’anni di studi danteschi. Cian lo sollecita a consegnare l’articolo. Il vol. si comincia a stampare, con i contributi di Galletti, Zonta: « Attendo con impazienza il tuo che vorrei mettere in testa.
Vedi di fare uno sforzo e d’accontentarmi ».
C’è anche qualche impennata per mancate risposte: « Poiché non ho avuto l’onore
di una risposta ti riscrivo nella fiducia d’essere questa volta più fortunato ».
Nel ‘21 sollecitazioni per l’articolo pel Suppl. dantesco del « Giornale » del 1921.
(14.-sett.-21). « Bada poi, caro amico, che io vagheggio l’idea di affidare a te la rassegna cumulativa di quanto si pubblicherà di dantesco in occasione del centenario ».
21-8-21. Ancora sulla rassegna dantesca: « ora che hai offerto il tributo del tuo nobile dantismo al Monastero di Fonte Avellana (come t’ho invidiato!) spero bene che
penserai sul serio anche a me e al tuo contributo dantesco al quale tengo assaissimo.
Dunque ti prego, testina non lente ».
31
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Ma uscivano anche certe noterelle piuttosto polemiche dello specialista di studi petrarcheschi, prima il Chirboli, poi il Calcaterra, su
alcuni lavori zingarelliani, che, pur nel tono riguardoso che sembrava
ispirarli non risparmiavano qualche frecciatina su certe « forzature » e
precisazioni cronologiche e che non persuadono »; ed il Calcaterra entra anche in qualche garbata polemica personale.
Intanto usciva la seconda edizione del Dante vallardiano, accresciuto smisuratamente, migliorato sotto l’aspetto della precisione, ma
non certo sotto quello della compattezza e della struttura.
E v’era stato, com’è noto, tra le due edizioni, tutto un rinnovamento della critica dantesca, e la polemica, vivacissima, intorno al volume
crociano del 1921.
Zingarelli era molto timoroso di non incorrere in qualche nuovo
infortunio. Certo ormai, negli studi danteschi di un certo tipo la sua
fama era consolidata; ma era bene che il « Giornale » questa volta lo
sostenesse.
Infatti il « Giornale » non mancò di sostenere, con la penna stessa
del suo direttore Cian, il vecchio dantista ancora instancabile.
Glielo aveva promesso: 22/4/1931 « Il ‘Giornale’ ne parlerà degnamente, con lo scopo di informare con coscienziosa obiettività i
suoi lettori delle differenze che corrono fra la I e questa II edizione del
suo Dante. S’intende le differenze più notevoli. Farò di tutto per accontentarti.
Così nel volume 99°, 1932, uscì nel « Giornale » la recensione del
Cian, questa volta positiva e sotto ogni aspetto affettuosa. Si faceva
l’elogio di una lunga professione di dantismo scientifico e militante,
del coraggio di stringere in una monografia tutta la dantologia disponibile, si indicavano i miglioramenti della seconda edizione sulla prima; si dichiarava aperto e totale consenso; si cercava un collegamento
con certe posizioni desanctisiane sulla necessità di non trascurare in
Dante l’uomo e l’esule, la forza morale di certe sue posizioni; etc.
32
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma in quella difesa dello Zingarelli, così inusitata mente senza riserve, Cian e il « Giornale » sapevano di difendere il metodo storico e
certo orientamento della critica biografico-erudito, contro la montante
marea esteticocrociana e contro qualche resistente posizione della critica teologico-simbolica, di cui Pascoli e qualche pascoliano erano esempi.
Tutta la scuola storica e il « Giornale » erano sulla difensiva in
quegli anni trenta, arroccati nelle cittadelle universitarie, ma ormai insidiati anche in quelle; ed aveva dovuto accettare non pochi compromessi e capitolazioni, come Dionisotti stesso nel suo magistrale saggio
non ha mancato di rilevare 14 .
Valeva la pena allora spezzare una lancia in difesi di uno Zingarelli, che alla fin fine, in quegli anni noi certo floridi, usciva con
un’opera che, tutto sommato, sarebbe sempre stata una pietra di paragone con cui confrontarsi e alla quale ricorrere.
Così si spiega — e non va trascurato — quell’accenno al De Sanctis, il cui recupero, tentato in estremis da non pochi, e dal Cian innanzi tutto, era inteso nel segno nazionalistico ed anticrociano, come
un recupero dell’ethos contro l’invadenza dell’estetica della forma; ed
un maldestro tentativo di salvataggio di tante ricerche biografiche che
invece erano e rimanevano erudite.
La corrispondenza con Cian non presenta che qualche altro spunto.
Un ringraziamento per l’edizione del Furioso « semplicemente delizioso e, che per la sua originalità ed eleganza squisita è tale da far onore a te e al grande editore Hoepli. Naturalmente il ‘Giornale’, per la
penna del suo redattore più competente, il Debenedetti, compira il dover suo » (30/1/1934). Debenedetti, tra l’altro amico cordiale dello
Zingarelli, scriverà invece la recensione acidetta che vedremo.
Infine i rallegramenti per il passaggio, che egli stesso Cian, nella
sua qualità di presidente di sezione del Consiglio Superiore aveva
proposto di approvare, di Zingarelli alla cattedra di letteratura italiana
14
C. DIONISOTTI, La scuola storica, cit.
33
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di Milano, liberatasi nel 1931 dopo la morte dello Scherillo: « di proporre toto corde l’approvazione della proposta fatti con così bella e
giusta unanimità da codesta Facoltà pel trasferimento dell’amico
Nicola, il quale, in grazia d questo trasferimento, avrà il bollo ufficiale
come aveva titoli di figurare fra gli italianisti. Al futuro collega li italianità letteraria i miei rallegramenti e auguri cordiali ». (18/2/IX°
1931)
7. La corrispondenza e le relazioni con San torre Debenedetti e con
Giulio Bertoni si può dire comincino, tra il 1913 e il ‘20, quando quelle con il Reniere e con i Novati finivano.
E d’altro canto il Debenedetti ed il Bertoni appartenevano ad
un’altra generazione, di diciotto anni più giovani dello Zingarelli, si
laureavano entrambi alla scuola del Renier e degli altri maestri di Torino nel 1901, quando lo Zingarelli saliva in cattedra straordinario a
Palermo.
L’uno e l’altro, discepoli d’ingegno di quella gran. de scuola, dominata ora dal Rajna, erano andati a perfezionarsi a Firenze ed avevano subito il fascino di quella più duttile scuola filologica, tanto che il
Debenedetti pupillo del Renier al quale pure rimase legato da riconoscenza e da affetto, non esitò a dichiarare in uno dei suoi lavori maturi
che « se da queste pagine traspare un certo spirito d’abnegazione e
qualche oscura virtù di sacrifizio, sappia il lettore ch’io debbo tutto ai
miei Maestri di Firenze »15 . La crudeltà dei discepoli, non di rado,
com’è noto, è almeno pari all’egois mo dei maestri. Entrambi si erano
affinati nella frequentazione di università straniere ed avevano ascoltato i grandi maestri tedeschi, francesi, il Tobler, il Meyer, il Grober,
prendendo consuetudine con i metodi della grande filologia europea.
De Benedetti dopo il periodo all’Archivio di Stato di Firenze farà
il suo noviziato d’insegnamento universitario a Strasburgo allora tedesca, dall’08 al ‘13, quando conseguita la docenza e passata la tempesta
15
34
S. DEBENEDETTI, prefazione a Il Sollazzo, Torino, Bocca, 1922.
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della guerra, passò come incaricato a Pavia e poi, dal ‘23 ordinario, infine a Torino nel ‘28, ove ebbe pure responsabilità di redattore (1929)
e il condirettore (1938) del « Giornale ».
Le vicende dell’ultimo decennio di Debenedetti, costretto ad abbandonare l’insegnamento ed il « Giornale » per le leggi razziali
(1938 e ‘39) sono note, così il suo ritiro a Giaverno, la partecipazione
alla Resistenza ed alla lotta antifascista, il ritorno all’insegnamento
dopo la Liberazione, la sua solitudine, la sua morte nel ‘48: una vicenda che non tocca la relazione con lo Zingarelli che s’interrompe nel
‘35 per la morte di questi.
Così come è nota la sua fisionomia intellettuale, il suo gusto per la
ricerca, la sagacia dei suoi studi, il rigore e la sobrietà dello stile,
l’ideale aristocratico di discrezione ed eleganza che lo portava a scartare immensi materiali di scavo per trarne lavori apparentemente esigui, ma di estremo interesse e lucidezza. Con Zingarelli poteva incontrarsi ed ammirare la erudizione la vastità della ricerca, la curiosità intellettuale, non certo il disordine e la copia lutulenta di certi scritti e la
trasandatezza dello stile che caratterizza tante cose del piccolo pugliese.
Epperò la loro relazione fu rispettosa e misurata nei primi anni, via
via sempre più affettuosa e sciolta16 .
16
Ringraziamenti per pubblicazioni ricevute, contraccambi, richieste di giudizi e di
pareri, come in una cartolina del 27-2-27 in cui si ringrazia di un giudizio favorevole e
si chiede una opinione sull’articolo Intorno ad alcuni versi di Dante; si lodano alcuni
lavori che « hanno, oltre agli altri pregi, quello di essere molto coscienziosi, e perciò si
ricorre a lei volentieri ». (1922) si loda un articolo zingarelliano su Monti: « Dei contributi che sono apparsi in questo felice centenario (fra l’altro me lo vogliono far passare
per un gran poeta!) il tuo è uno dei più seri, importanti e conclusivi. Tutto quello che si
riferisce alla storia della lingua ha per noi — naturalmente senza scorze di pedanteria —
il massimo interesse ».
Lo invita ad una visita a T orino: « A Torino c’è una esposizione di cui si parla in
tutto il mondo: e tu la lasci passare senza nemmeno farci una capatina » (cart. del 14-1028).
Quando nel ‘28 è chiamato a Torino ne dà comunicazione affettuosa all’amico: «
Carissimo, Ricevo ora il telegramma che mi chiama a Torino a succedervi al Bertoni
sulla cattedra di filologia romanza.
35
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Affetto, simpatia, stima, dunque.
E tanto più stupisce la recensione puntigliosa e decisamente acida
che Debenedetti avrebbe scritto per il « Giornale » al Furioso uscito
presso Hoepli per le cure dello Zingarelli in edizione elegante ma destinata ad un vasto pubblico.
La votazione diede ottimi risultati: quindici votanti, quindici voti. Mi affretto a comunicano al mio ottimo amico, etc. » (cart. del 13-11-28); notizie sulla lunga preparazione della edizione del Furioso, « quando sia libero dalla influenza e dal Furioso, cioè
dalle due influenze, vengo a Milano a passarvi una sera con te. (Cart. del 2-4-28) sollecitazioni di corrispondenza ed augurio di lavoro: « Mio carissimo, da un secolo non ho
tue notizie, e per quanto sappia che hai sulle spalle grandi pesi, fra l’altro la nuova ed.
della Vita di Dante, non posso non dolermi di così lungo silenzio. La nuova Vita di Dante avrà certo un magnifico successo. Non è un augurio, ma una fermissima fiducia. Ho
letto in questi giorni quella un po’ romanzesca di Gallarati Scotti. Molto fervore, un
senso d’arte non comune, una visione nobile ed elevata della vita spirituale rendono agile il libro; ma troppi errori l’ingombrano che potevan senza gran fatica evitarsi e non
mancano le inclinazioni per far colpo. Io preferisco quelli che chiamano pane il pane, e
acciughe le acciughe ». (Cart. del 9-6-29). Chiede notizie del Dante: «A che punto è il
tuo Dante? Desidero che appena venga fuori il « Giorn. Storico » ne parli quando e come si conviene... Finito il Dante, prenditi qualche giorno di riposo a Torino ». (cart. del
16-10-29); si parla del Dante di Cosmo: « Il Dante di Cosmo, se già non ti è pervenuto è
in viaggio »: Z. ne avrebbe dovuto fare la recensione. Notizie di viaggi e di vacanze, la
Spagna, la Grecia. Si associa alle commemorazioni e necrologie dello Schenillo e « del
nostro Rajna »: «gli volevo bene anch’io e molto, e le tue parole così affettuose, pur nel
tono temperato e austero d’una pubblica commemorazione, mi hanno veramente commosso » (cart. del 19-2-31). Una commossa attestazione di amicizia: « Mio carissimo,
grazie di tutto e con cuore profondamente amico. Vorrei anch’io poterti una buona volta
servire in qualche cosa, e aspetto da lungo tempo tuoi ordini (mi si fanno troppe ordinazioni) con vivo desiderio. Ci siamo conosciuti tardi, e da pochi anni si è stretta la nostra
amicizia, ma quando ti penso, mi pare che risalga alle prime, alle più lontane, alle migliori ».
Ma quando, nel ‘33, si fecero onoranze solenni a Milano per i cinquant’anni di insegnamento dello Zingarelli, Debenedetti non fu invitato dal Comitato e se ne lamentò
con l’amico. Dopo una conferenza tenuta dallo Zingarelli a Torino per la Società di Cultura gli scrive affettuosamente: « Carissimo amico, quante volte ritorni nelle nostre conversazioni il tuo nome non ti saprei dire. La tua visita ha avuto un grande significato per
noi che non sapevamo più staccarci da te (fu una vera persecuzione!), e nei Soci della
Cultura che, dopo tanti chiacchiericci han sentito finalmente un oratore che dice delle
cose buone, lungamente meditate e conquistate con acume e fatica ».
36
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Mario Casella gli aveva scritto ringraziandolo del « tuo elegantissimo Ariosto con bella e sintetica (sic!) prefazione, dove hai saputo
adunare ed esporre con ammirevole chiarezza questioni intricate di
storia letteraria e d’arte » (lettera del 12/2/1934).
Cian, che era ancora direttore del « Giornale », se ne era dichiarato
assai contento, lo aveva detto « delizioso » e ne aveva lodato eleganza
ed originalità. Ma passato poi nelle mani dello specialista Debenedetti,
« perché il ‘Giornale’ compisse il dover suo », eccone la recensione,
cioè alcuni passi, tra ironia e sufficienza:
« Bella carta, bei caratteri, e soprattutto molta roba (ma già comincia in nota ad indicare imprecisioni e sconvenienze). Settantacinque
pagine d’introduzione. Poi il testo accompagnato da sunterelli che non
l’abbandonano mai, e finalmente un Indice del Furioso che è insieme
un Indice dell’Innamorato, etc.... Il Proemio discorre della Chanson
de Roland e dei suoi derivati, nonché dei poemi amorosi di Chrétien
de Troyes; discorre della poesia franco-veneta e della letteratura romanzesca toscana da cui trassero ispirazione il Pulci e il Boiardo. Poi
parla anche di Ariosto (da pag. 43). L’informazione è amplissima e
certo questo capitolo potrà giovare. Solo dispiacciono qua e là certe
osservazioni curiose... (e si Citano una serie di « ingenuità » che vanificano quella ombra di apprezzamento e consenso che sembrava pure
ci fosse). Al testo lo Z. dedica un paio di pagine e ce da rammaricare
che un uomo di tanto valore, certo per colpa della fretta, non ci abbia
dato intorno a questo punto quanto ci s i poteva ben aspettare da lui. Lo
Z. sa che certe correzioni ne implicherebbero non so quante altre; sa
Sulla « fretta » con cui era stata compilata l’edizione, Z. stesso non poteva non essere d’accordo, se aveva scritto al Barbi: « Causa (del ritardo) è stata l’ed. del Furioso,
sulla quale mi sono impegnato sei o sette mesi fa. Non ho potuto attendere ad altro, ho
trascurato corrispondenza di sorta. Ora è finita, rimangono le ultime revisioni... » (Z. 111-1933).
37
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che è doveroso dar le ragioni di quello che si fa; dice e ripete che edizione critica significa ‘fatta con criterio’. E poi... (ed anche qui esempi
su esempi di correzioni al testo ritenute arbitrarie e non coerenti).
Poi v’è la questione dei morti resuscitati: alcuni re che muoiono in
alcuni canti e si ritrovano resuscitati in altri (Furioso, XL, 73 e XVI,
81-83). Z. con molta ingenuità dichiara, almeno per alcuni, di rifarsi
alla « errata » della edizione 1521, e poi per l’ultimo di essi, che non
poteva giustificare altrimenti, tira fuori l’invenzione che l’Ariosto si
sarebbe rimesso « al benevolo lettore », non potendo far capire nel
verso altro dei nomi disponibili. La qual cosa pare « enorme » al Debenedetti, che si sostiene sulla tesi del Rajna circa le edizioni del Furioso, e non può consentire con una forzatura di tal fatta. La svista è
svista del poeta, e non valgono giustificazioni posticce.
La recensione prosegue con l’indicazione di qualche altra ingenuità del testo (XV, 23, etc.). Ironizza su certi sunti non corrispondenti al
fatto. Infine conclude:
« Molte altre cose si potrebbero osservare, ma non è opportuno. Al
libro, come già s’accennava, ha nociuto la troppa fretta. Ma anche così
com’è può rendere servizi, sia per quei sunterelli cui ho accennato (se
nelle scuole si fanno di questi esercizi) sia infine per l’amplissimo indice ». (« Giornale storico » vol. 105, 1935, pp. 181-184).
Certo Debenedetti era scrittore e critico assai meno currenti calamo dello Zingarelli. La sua edizione del Furioso per i classici di Laterza, uscita nel ‘28, era un miracolo di attenzione e di scrupolo critico; e più sarebbe stata, se l’editore non si fosse opposto alla documentazione completa di tutte le fasi di elaborazione del poema nelle successive edizioni curate dall’Ariosto (come sarà fatto poi nella sua edizione dal Segre del 1960, basata sui materiali debenedettiani). Inoltre
quella introduzione di Zingarelli era ben fragile ed affastellata e non
priva di forzature ed ingenuità.
38
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
La recensione, tra ironia e sufficienza, era ineccepibile. Ma non era
né affettuosa né amichevole, come pure era stato l’autore in tanta corrispondenza.
Si sa bene, Amicus Plato, sed magis amica veritas.
E poi il Debenedetti era di quelli che amavano « chiamar pane il
pane e acciughe le acciughe ». Il « Giornale », e in questo caso Debenedetti, sapeva ben fare queste spiacevoli scelte. E Zingarelli non era
alla prima amarezza 17 .
Con arguzia e cordialità aveva invece toccato il problema dei morti
resuscitati il Bertoni, il quale, sia pure in una corrispondenza privata e
non in una pagina a stampa, se ne era quasi complimentato con lo
Zingarelli, anche se non senza ironia:
« E’ saporitissimo (l’Ariosto novissimo): nella introduzione, nella
stampa, nei finissimi riassunti, nella magistrale appendice che tu
chiami Indice, mentre è una cosa preziosa da consultare. Ho subito notato varie novità. Per es. il disseppellimento, almeno di due morti operato dall’Ariosto pare divenga, per merito tuo, una fiaba. Te ne son
grato per messer Ludovico » (10/3/34).
Bertoni era modenese, ma torinese ed europeo di studi; allievo del
Graf, del Renier, anche lui aveva percorso il curriculum regolare a Firenze col Rajna, a Parigi, a Berlino, a Strasburgo, con maestri tedeschi
e francesi.
Più giovane di diciott’anni dello Zingarelli, la sua libera docenza è del
1905, l’insegnamento a Friburgo in Svizzera dura dal ‘05 al ‘21,
quando lo Zingarelli era già ordinario a Palermo e poi a Milano. Nel
‘22 è a Torino, sulla cattedra di Renier; dal ‘29 a Roma, su quella di
De Lollis. Una carriera pienamente realizzata, non ostacolata da in tralci politici; autorevole studioso, fu Accademico d’Italia, coordinatore di sezione della Enciclopedia Italiana.
17
La figura del Debenedetti è stata recentemente ricordata da C. DIONISOTTI in
un articolo in « Medioevo romanzo » 1978, 2-3, di cui ho avuto notizia solo dopo la
stesura di questa relazione. Il Dionisotti mi raccontava anche un aneddoto su certa «incomunicabilità » tra il gigantesco Cesareo e il piccolissimo Zingarelli che non si rivolgevano parola, per antiche ruggini accademiche palermitane; ed il Debenedetti, segretario nella commissione di concorso, che era costretto a far da tramite tra i due reciprocamente muti ed accigliati.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Le missive sue a Zingarelli sono 25, cominciano dagli anni di Friburgo e sciolgono progressivamente la reverenza iniziale verso «
l’illustre professore » « nel caro collega e amico » degli ultimi anni;
né presentano particolare interesse per il nostro discorso, riducendosi a
testimonianze di vita accademica e di civiltà tra letterati.
Ma proprio negli anni del suo maggior « rispetto » Bertoni non si
astenne dal venir fuori nel vol. 590, 1912, del « Giornale » con una recensione a due lavori zingarelliani, quello su Rambaldo di Vaqueiras e
l’altro sul Bei cavaliere, con due osservazioni sul primo: « Lo Z. intorno a questo breve e difficile componimento ha scritto alcune pagine
che a me paiono molto infelici, sopra tutto per questo: che, messo su
una falsa strada da una cattiva identificazione, s’è lasciato trascinare,
dietro vane parvenze, a conclusioni quanto mai arrischiate, anzi, debbo dire, erronee ». E passava ad esemplificare argutamente i suoi rilievi.
La stessa considerazione vale per le cinque cartoline di Ferdinando
Neri, un altro di quei prodigiosi laureati dell’anno 1901 della Università di Torino (De Benedetti, Bertoni, come si è visto, etc.), arrivati
speditamente in cattedra e redattore e poi direttore del « Giornale ».
Non contengono se non notizia di scambi di saluti e di opuscoli e un
accenno alla controversa questione della attribuzione del Fiore a Dante.
8. La corrispondenza con Arturo Farinelli, il germanista e filologo
romanzo di fama e frequentazioni europee, si estende dal 1905 al ‘34 e
copre dunque un arco di tempo più esteso. Farinelli era quasi coetaneo
di Z., di soli sette anni più giovane, e per giunta senza quel curriculum
regolare e prodigioso che faceva dei vari Debenedetti, Bertoni, Neri,
dei prodotti finiti della scuola, sempre e comunque diversi anche perché più giovani, rispetto a chi da quella regolarità era stato distolto da
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_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
ragioni di vita e solo più tardi era tornato agli studi.
Farinelli aveva cominciato con studi tecnici, era stato allievo del
Politecnico di Zurigo e solo dopo molti trascorsi avventurosi e romanticamente inquieti era approdato alla filologia romanza ed alla germanistica, passando da Zurigo a Parigi ad Innsbruck ove tenne un incarico d’insegnamento e da cui venne a Torino chiamato da quella università per la letteratura tedesca.
Inoltre la quasi ossessiva necessità d’indipendenza del Farinelli
s’incontrava con la incapacità e diffidenza dello Z. verso schematismi,
discipline scolastiche e accademiche. Farinelli aveva notato egli stesso
il contrasto ch’era in lui « di una fantasia accesa per un nulla sino al
delirio e di una ragione dimessa, fatta di prosa e di caparbietà che dai
voli del cielo (lo) conduceva prontamente alla terra.. .il piccolo pedante . . .a lato dell’entusiasta ardente che si riteneva non mai contenuto
da freni e da briglie... » 18 .
Senza i romantici atteggiamenti e fervori del germanista, Zingarelli
mescolava sovente nella vita e nel lavoro l’attività del certosino paziente e laborioso ricercatore con certi atteggiamenti ed ostentazioni di
sregolatezza e di indisciplina formale; e certi « pasticci » e « zibaldoni
» in cui spesso si risolvevano le sue ricerche più lunghe e che gli venivan rimproverati dalla critica, si dovevano in parte al rifiuto di quella
disciplina e di quella misura che eran dono di altri.
Farinelli, inoltre, dopo i suoi primi lavori nati da infaticabili ricerche particolari, da una congerie di erudizione e da una esasperazione
del metodo positivo, dopo l’incontro con Croce intorno al 1905-06,
veniva sempre più rendendosi conto che « scovar fonti, registrar confronti,. senza un pensiero alla creazione intima, desta dall’urto interiore, accesa dalle scintille cadute, è ozioso trastullo » (prefaz. al Dante
in Francia, Milano 1908, p. IX). E via via venne assumendo atteggiamenti
18
A. FARINELLI, Episodi di una vita. Milano, Garzanti, 1946, p. 36.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
e non lesinò dichiarazioni di indipendenza rispetto al metodo storico
(anche se in realtà la sua polemica finiva col rivolgersi contro i suoi
eccessi) e non rinunciando mai alla precisione ed alla cura inesausta
della ricerca, si avvicinò come molti altri in quegli anni, al filosofo
dell’Estetica e non fu alieno da atteggiamenti crociani, anche se meramente esteriori e sempre sotto l’equivoco di certe forme romanticoestetizzanti che gli erano proprie.
Un tal carattere e temperamento di studioso poteva forse essere di
esempio allo Z., proprio per certe Comuni debolezze delle quali, peraltro lo Z. non ebbe mai chiara coscienza e non seppe certo liberarsi.
Così Farinelli diventava più che lo specchio della coscienza, come
avrebbe potuto, l’amico cui sfogare certi malumori e dal quale avere
certi risarcimenti che gli ortodossi della scuola storica gli negavano19 .
19
Le prime corrispondenze di Farinelli sono degli anni di Innsbruck, cioè i primissimi del 900: e fin da allora il tono è appassionato, affet tuoso, qualche volta eccessivo
ed enfatico: « dammi ormai familiarmente del tu — mio diletto — stimatissimo amico.
Pur troppo debbo ripetere a te quello che nel marzo scorso scrissi al Galletti: Non parteciperò mai a nessun concorso in Italia neppure se mi promettessero l’oro di Creso o
quella pace ancor più preziosa che io sventuratissimo cercherò invano sino alla morte.
Diavolo, ch’io debba essermi mendico nella patria mia! (Da Vienna, 7-5-06, ove era andato per cercare di parare il colpo che lo escludeva da Innsbruck, dopo i moti antitaliani).
L’esempio sembra eloquente e indicativo del temperamento dell’uomo. Ma da Farinelli, insieme a quelle appassionate dichiarazioni di affetto e di sdegno, gli venivano
anche lodi per gli Appunti lessicali danteschi, per l’articolo sul Ventadorn; solidarietà
per « la disavventura della recensione del Rocca, per gli attacchi della « Rivista d’Italia
», per certe vicende accademiche e concorsuali, etc. ed ancora notizie di sé, foscoliani
atteggiamenti di esule desideroso di affetti, (« Ricordo le ore troppo fugaci che passai
ottimamente con te a Milano e poi a Roma e pare davvero che sia nei nostri spiriti una
specie di sicura consonanza non mai l’ombra di un disaccordo, malgrado la mia turbolenza e gli uragani che l’anima mia patisce ». 30-1-1918); alcune feroci accuse al De
Lollis, per certe ruggini e risentimenti accademici (pare si fosse opposto alla sua chiamata a Roma) (« Al D. L. ormai degeneratissimo, incapace di far altro che l’uom geniale poggiato sul nulla aggrappato ad un lembo dell’Estetica del Croce, che non assimila e
non comprende, presuntuoso quanto ignorante...») (16-11-1908): esempi di intemperanza e detriti di vita accademica, senza varianti negli anni.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
9. Intanto, lo Zingarelli, dopo il secondo Dante vallardiano del
‘31 e l’Ariosto di Hoepli del ‘34, compiuti i cinquant’anni di insegnamento, si spegneva nel giugno del 1935, quando s’accingeva a pronunciare la sua ultima lezione.
Quel volume di Scritti di varia letteratura nel quale gli amici avevano raccolto le sue cose più rappresentative per fargliene dono in
quel giorno che doveva essere di festa, si ebbe dal « Giornale » una recensione postuma nell’annata 1080 del 1936 in un breve annuncio a
firma di E. Testa nel quale in due righe si accennava ad un « omaggio
alla sua cara memoria» e al « compianto maestro ».
Nè il « Giornale », ancora diretto dall’amico Cian, ritenne doveroso pubblicarne un necrologio, come pure era costume ricorrente della
rivista e testimonianza di omaggio e riconoscimento. Ma il piccolo
pugliese di Cerignola certo non vi aveva fatto mai affidamento. Aveva
imparato a diffidare, e aveva mostrato di non aver mai scambiato i segni di civiltà e buon costume epistolare tra gente di lettere, con la pienezza del consenso.
Tra lui e il tempio della « scuola storica » — anzi, tra lui e i diversi
templi in cui la ricerca letteraria ormai si organizzava e si articolava la
feroce guerra delle « scuole » — vi sarebbe stata sempre la « macula»
di una origine ibrida, di certe frequentazioni e trascorsi, oltre, beninteso, e certamente innanzitutto, le sue bizzarrie e intemperanze di studioso.
M ICHELE DELL’A QUILA
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LA POESIA DI CRISTANZIANO SERRICCHIO
In un elzeviro apparso sulla « Gazzetta del Mezzogiorno » (6-11977), Aldo Vallone scriveva: «A guardar dentro a certa nuova poesia
del Sud, poniamo dell’alta Puglia, tra S. Agata di Puglia, Manfredonia
e Siponto, due modi sembrano più decisamente proporsi: quello di chi
guarda alle cose, alle piccole cose della realtà e della famiglia, e quello di chi, invece, dinanzi alle stesse si pone in stato di reminiscenza e
di soggezione [...] attraverso la prima via si giunge a quella civiltà «
contadina », di che mi pare genuino rappresentante Gerardo Maruotti,
attraverso la seconda via si approda al mito, ad una realtà che più vale
e pesa quanto più si sveste del concreto e si rifonde nel passato, e di
questo modo mi pare schietto rappresentante Cristanziano Serricchio.
E’ evidente che lì, nel primo, domina la cosa in quanto tale e per essa
l’elegia della vita rusticana: qui, nel secondo, la suggestione della realtà e per suo mezzo l’epica della vita umana che guardando nel passato
fila insieme presente e futuro [...]. Lì sono rappresentati il contadino, il
proprietario o il fattore, il vecchio e il giovane con legami insolubili
dinanzi alla casa e alla campagna; qui l’ombra impalpabile, eppure
presente, degli dei della terra o del cielo che si ridestano, la forza indomita di Diomede, creatore e custode di quei luoghi, presente ovunque « ora che il vento sibila (come si dice nella bella raccolta L’estate
degli ulivi), tra i ruderi di San Nicola e nelle cale il pescatore riascolta
‘l’urlo saraceno’ ».
E’ un modo questo abbastanza sui generis di avviare il discorso,
stabilire cioè un paragone tra due poeti, dando però più ampio spazio
al primo, con un’analisi anche molto lunga ed accurata che qui non riporto per comp rensibili ragioni di spazio, e lasciando un po’ in ombra
o, almeno, trattando solo di scorcio, il secondo, del quale, invece, andava seguita, mi pare, la ben più complessa e quasi trentennale evoluzione artistica.
Già il primo « tentativo » poetico del Serricchio, Nubilo et sereno
(Foggia, Società Dauna di Cultura, 1950), pur rivelando la carenza di
un suo nucleo centrale, di una sua reale forza di ispirazione, può essere assunto a paradigma di quel ben più nutrito e composto mosaico di
idee e di sentimenti presenti tanto nell’Ora del tempo (Lecce, Ed. dell’
« Albero », 1956) che nell’edizioncina Fuori sulle pietre, composta
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
« per gli amici » e ormai introvabile, tanto nell’Occhio di Noè (Padova, Rebellato, 1961 che nell’Estate degli ulivi (ivi, 1943) e, da ultimo,
nelle Stele daunie (Manduria, Lacaita, 1978).
I temi presenti nella prima raccolta (affetti familiari e domestici,
serene visioni di paesaggio, aspetti vari e contrastanti della vita), pur
ricchi di tepida affabulazione, rivelano una vaga e non mai bene organata struttura sentimentale e di pensiero. Il limite di questa silloge va
sicuramente indicato qui, in questo dimensionarsi del poeta su una realtà un poco troppo personale « privata » oserei dire, cosicché le immagini, le parole, i fatti non sono mai pienamente allusive, non si elevano a valore simbolico, non rivelano una loro pregnanza, ma sono
come invischiate dal duro impatto con la realtà della materia, si trascinano dietro un congenito torpore che fiacca loro le ali né con sente che
ci si possa liberare dalla tentazione di una poesia sola mente visiva, da
un impressionismo tout court: « Andiamo verso la sera. / S’accendono
insegne / lungo la strada / alla nuovi giornata. / L’aria fresca ristagna. /
Sui volti il riso ha il colore delle vetrine accese. / Passano figure snelle, / morbide sete, / pupille fugaci. / Diafani veli / innanzi a paurosi
misteri» (Miraggio); oppure: « Ora tace la sera sul mare / e già posano
lievi le forme / dei ricordi in quel lento cullare. / Tra le acacie si racqueta il vento / nel velato giardino che dorme / e nel sogno appoggiato
sul mento / dolci pupille vedo brillare» (Visione).
In altri componimenti, però (Sorrento, Distacco, Cara luminosa
innocenza, Il castello, Naufragio), l’impressione, l’immagine è come
sospesa, con distaccato candore, sui ricordi storici del l’antica Daunia,
sull’ampio ed assolato Tavoliere e sul Gargano interamente avvolti da
una solitudine millenaria, ma animati da un respiro d’Alba: « T’ho
colta con avidi occhi / emergente da mare. / Al tocco una corolla, / si
accese a rive lontane / e li barche, d’ombra nudate, / emersero fresche
nel porto. / Un richiamo / ruppe l’intatto silenzio. / Si scrollò una barca / nacque una vela »; un respiro quasi cosmico, universale: «
Dov’era un lago increspato di luce, / un vasto richiamo d’aspre cicale /
i corpo disfatto geme / dell’estate caduta. / Nell’innocente infantile
fiorire / di gemme a passi di bimbi / preme l’ansia d’ignote foreste, /
irte di venti e d’urli selvaggi, / risorte / dagli ossi de tempi » (Tavoliere).
Nell’Ora del tempo è presente ancora il tema dell’infanzia dei ricordi, che si è come ammantato di un’atmosfera crepuscolare. Alla
callida escogitazione di stampo ironico, caratteristica fondamentale
della poesia del « crepuscolo », succederà però qui una più attenta ricerca della parola, scavata in interiore homine recante una sua levità e
una sua precisa forza d’urto; inoltre all’iniziale impressionistico «gioco» descrittivo presente nella prima raccolta, fa qui seguito una più
coerente ricchezza e purezza di immagini ed una più meditata sistemazione degli « oggetti » poetici.
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
Liberatosi finalmente dalle facili tentazioni descrittivistiche ed entrato a più diretto contatto con il gruppo dei più noti poeti pugliesi del
secondo dopoguerra, orbitanti un poco tutti intorno alla forte personalità di Girolamo Comi, ma anche intorno alla rivista da lui fondata,
cioè 1’ « Albero », Serricchio sente il bisogno di conferire alla parola
e al verso una modernità di accenti, un valore simbolico, una musicalità nuova, una salda tensione lirica insomma: « A screpolati muri
chiama il sole / a tepori di fibre abbandonate / vecchi simili a barche
secche sulla riva / che il vento sfalda lentamente in polvere. / Il tempo
è ora quiete, attesa d’ombre, / lento gabbiano che disegna in volo / fili
di lievi pensieri, memorie / che tornano al tramonto come vele. / La
vita fu penoso remigare / in mari senza prode: / in legno che andò contro le tempeste / a sera è un po’ di carta in fondo al tino... ». (Ai muri
chiama il sole); bisogno che in parte, ad esempio, si realizza anche in
questa raccolta immagine di famiglia: « La sera è ancora un alito di
luce / che tinge le vetrine. Un filo / invisibile, che penetra nell’ombra,
/ è la quiete e ci conduce / fuori del tempo, dove le bimbe / giocano e
si tengono per mano / la fanciullezza lieve. / Con occhi d’adolescente /
assorta a riposare / riascolti i tempestosi silenzi / gli ignari approdi
dell’anima / risolti in docile abbandono. / Sei nella casa lo sguardo
buono / che fa crescere, come il pane, / giorno per giorno segreta /
un’altra vita » (Segreta un’altra vita). L’ultima lirica della raccolta,
Dove ti cerco, mio Dio, già contiene in nuce l’anelito alla preghiera e
alla ricerca del Divino, ossia i pressanti interrogativi che costituiranno
la tematica di fondo dell’Occhio di Noè: « Nella vastità dei cieli / dove ti cerco, mio Dio, la voce è grido / fra mura abbandonate. / Per meandri, senz’eco, m’aggiro, / per labirinti di mondi / che accendono il
silenzio delle notti / di minuscole forme. / Innumeri fili di luce / una
mano pietosa / mi tende da abissi remoti... ».
In questo gruppo di componimenti il poeta mette a frutto la sua capacità di filtrazione della parola, alla quale restituisce la primitiva
immagine di purezza, « un modo continuamente felice — ha osservato
bene il Rosato — di scoprirsi, trovarsi nuovo, lavato e purificato in
ogni suo aspetto come dopo il biblico diluvio dovevano mostrarsi i
prototipi delle nuove generazioni. L’occhio del Poeta guarda con la
stessa colma vibrazione del mistico patriarca sopravvissuto al finimondo, ma con in più il presentimento — voluto ad ogni costo per un
incondizionato atto di fede — che qualcosa di quella rinnovata verginità possa essere ancora trovabile oggi, guardando nelle cose e negli
esseri al di là delle follie della materia »: « Ora i treni forano i monti
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
e dalle pietre / di stupefatte lucertole nuove freccie / corrono gli spazi
accesi di comete, / e ai tuoni, che innalzano in giganteschi / funghi atomi di luce velenosa, / gli uomini affidano tranquilli i minacciati / silenzi dei tetti sotto la luna » (L’occhio di Noè).
La furia tecnologica, con il conseguente perenne correre ed affannarsi dell’uomo, determina in questo poeta dal carattere schivo, taciturno, quasi contemplativo, un senso di smarrimento, di contenuta disperazione a volte: « Solo erravo legato al fragile moto / del remo su
rotte sconosciute. / Ma il filo dell’acqua giungeva / alle altezze di uccelli migratori » (Dopo il diluvio).
L’estate degli ulivi segna il momento di più consapevole forza espressiva del Serricchio, ché egli continua, è vero, ad indugiare orizzontalmente sul tempo e nello spazio della memoria, qualche volta
con venature di compiaciuta svenevolezza, ma cerca di attualizzare e
di rendere vivo il proprio discorso tanto dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista formale e stilistico.
Di tanto in tanto fan capolino nella raccolta moduli desunti dal repertorio della poesia ermetica (da « ...la sete [che] spacca le uova alla
vipera », « dorme il talamone con occhiaie di pietra », « Il mare rode
ancora le pietre e gli anni », « Riemersa dalle spume / una danzante
adolescente », un po’ quasimodiani, ai versi « Tre soldati in libera uscita / che fumano alla brezza... », penniani; dal « Si sta come
d’autunno... » e « Madre, di giorno in giorno / come il figlio nato / per
mettersi in ginocchio / e, amandoti... », di chiara derivazione ungarettiana, al « C’è sempre una timida lucertola / nel mio giardino », di sapore pascoliano; dall’ « attenta cicala » o dalle cicale nella stoppia »,
che ricordano il limìo montaliano delle cicale, al « sole a picco » di
Vincenzo Cardarelli), i quali non intaccano, però, il candore delle immagini né incrinano la compattezza del discorso. Tutto è sostanzialmente più lieve, più aerato, più sospeso: i ricordi, tristi o lieti, il
sole, i colori, il mare, il cielo, il vento, la stessa presenza dell’uomo di
pena su questa terra, creatura tanto fragile, inerme, diluviana insomma, che non tenta nemmeno di opporsi al dilagante fenomeno
dell’avanzata tecnologica: « Erompono frequenti mine dove tra uliveti
/ superstiti il sole odore di sansa / e nelle cale il mare è stato /
l’autunno dolce dei pescatori. / Fra unghie dissacrate si contorcono /
abbrividendo le radici e sotto la fragile / crosta, umana di selci scheggiate, / le ruspe scoperchiano acque e caverne. / Ma, calando nella
tramata armatura, il grasso cemento piomba carie e dolore / e attorno
alla mole che cresce l’asfalto / disegna strade e spiazzi deserti. / Vasti
contenitori d’alluminio / e perfette cupole d’argento / rifletteranno
domani, sorgendo, il sole, / e altissime canne refrattarie / gonfieranno
di fumo le nubi / e la rosata luce delle pietre / avrà brividi d’acciaio
nell’indifeso / disumanante spegnersi del giorno» (Erompono frequenti mine).
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
All’amara constatazione della forza diluviana, caratterizzata dalla
presenza del « cemento » e dell’ « acciaio », il Serricchio non ha che da
contrapporre il ritorno ancestrale, mitico alla propria fanciullezza, la
costante, dolente immagine, anch’essa rimemorata, di un’estate garganica, di un’ « estate degli ulivi » appunto, dov’egli possa appagare lo
sguardo e la mente e possa attingere un soffio di speranza per la dura
ripresa: « Non ho che le tue mani stasera / a ridarmi il tepore della
spenta estate, a suscitare nel tremulo tocco / della tastiera la luna dei
ricordi. / Si leveranno ancora dal mare / con strida di gabbiani e l’eco /
rimbalzerà tra i silenzi roccioso / senza voce che chiami / o tinga
un’esile speranza. / Non ho stasera che la dolcezza / dei sereni fuochi
nella piana / e l’onda che sollevi / muove tra le ventilate ginestre / la
calma luce della quiete » (Non ho che le tue mani).
Coglie, a mio avviso, nel segno Bartolo Pento quando scrive (Cfr.
« Messaggero veneto », 18 ottobre 1978) che questa lirica è « da annoverare tra le cose più finemente e comunicativamente calamitanti
del libro, sommossa com’è da un affiato tenero (e intenerito), da un
flusso affettivo-emozionale che si trasferisce nel segno alfabetico con
il fluttuare calmo e rasserenato, — ma saturato anche nel profondo da
una pungente e struggente iniziazione elegiaca —,di una condizione di
impagabile intimità domestica
L’ultimo libro del Serricchio, Stele daunie, comprende poesie
nuove e una cospicua cernita di poesie apparse già in precedenti raccolte.
Riandando idealmente alla storia delle nobili stirpi italiote, Japigie
e Messapiche, che popolarono l’antica Daunia e che, secondo una nota
leggenda (non ancora potuta accreditare, sebbene numerosissimi reperti archeologici della zona di Ascoli Satriano e di Ami facciano
supporre, abbastanza seriamente, che esiste ormai sufficiente materiale
per poter dimostrare, e forse in maniera inequivocabile e definitiva, la
derivazione greca della popolazione italica), ebbero nei Greci i loro
più diretti progenitori (si ricorderà, anzi, che una delle leggende più
famose è quella di Diomede, a cui già Orazio fece esplicito cenno nella quinta satira del libro primo: « Incinit ex illo montis Apulia notos
ostentare mihi, ciuos torret Atabulus [...] panis [...] nam Canusi lapidosus, aquae non ditior urna / ciui locus a forti Diomede est conditus
olim » [la sottolineatura è nostra]. Da qui la Puglia cominciò a mostrarmi / i noti monti che Scirocco avvampa [...] il pane [...] infatti a
Canosa / è duro come pietra: in quel paese / fondato da Diomede esiste solamente un orcio d’acqua »), il Serricchio propone al lettore le
asciutte ma eloquenti parole delle stele, cioè le « immagini non contestate d’un tempo / sepolto da spessi strati di silenzio, / i liberi segni
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
riscoperti di antichi / ritornanti drammi non conclusi / nel semplice
quadro inciso d’una pietra ». Attraverso un’ostinata paziente operazione di filtraggio della parola, che non rivela alcun « tremito di voce /
o concitato spasmo delle arterie », ma che, semmai, assume un valore
catartico e salvifico per l’uomo (Cfr. soprattutto quanto scrive in proposito Oreste Macrì nel saggio intitolato Momenti della poesia di Serricchio premesso alla raccolta). l’artista consegna alla pagina
l’immagine ricavata da quei « gesti fermi da millenni, passioni / calcificate vicende scolorite d’amore / e di lotta, divelte dagli aratri meccanici / all’infocato rumore di settembre... ». Serricchio disseppellisce,
dunque, parole e gesti e vicende d’amore e di lotta che i tempo non è
riuscito a scalfire e che le pietre incise han conservato. Nei luoghi garganici, così cari e familiari a questo poeta (egli vive e svolge attività di
preside in una scuola media superiore di Manfredonia, ma è nativo di
Monte S. Angelo, il balcone del Gargano, dal quale può ammirarsi
l’immensa « piana » di Puglia), « i Dauni primitivi non parole / ma
una lenta cronaca di morte / affidarono alle pietre sui dossi delle dune
»; qui essi « vennero con vele Quadrate / dalla Tracia [...] e costruirono / capanne rotonde lungo i fiumi / e barattarono anfore / colme di
grano coi vicini ».
I versi di quest’ultima raccolta sono intessuti di una materia litica,
in cui sono rinserrate « archeologiche e mitologiche risonanze ». «
Sono versi — come ha osservato Giovanni Tesio (Cfr. ‘Tuttolibri’, 2110-’78) — levigati e incisi di forte tensione emo tiva e civile », in
Quanto « Nei simboli della vecchia Daunia e dei suoi abitanti secolari
fanno irruzione improvvisa i simboli della nostra civiltà, nè la forza
del poeta si appaga di immagini a sé stanti. La presenza dell’oggi si
permea di lontani, un po’ misteriosi richiami, anche tristemente premonitori: ‘Pàgano antiche / colpe i braccianti-pastori di questa / morta
pianura, dove le stoppie / bruciano su bianche tombe / la fierezza antica’ ». E, giudizio non molto dissimile mi pare esprima Ugo Reale sull’
« Avanti! » (Cfr. il numero del 4 settembre 1978): « Nel Tavoliere,
terra cosparsa di memorie di antichissime civiltà, Serricchio legge nel
marmo le vicende di lontani fratelli di lavoro, di sofferenze e di speranze; compone una storia di vinti che è vicina a molte condizioni odierne, pur nell’evoluzione di millenni ».
La passione storico-archeologica del Serricchio affiora a chiare note soprattutto nelle Stele daunie e nel Canto di Diomede, i due poemetti che sono appena scanditi dalla tecnica versale e che nella loro
struttura tematica e stilistica seguono quasi diaristicamente le vicende
storiche del passato; una sorta di storia, anzi, che non è avvertita «
come romantica nostalgia del passato, ma con la stessa profondità del
nostro essere, come qualcosa che arricchisce e potenzia il sentimento
del tempo » (Cfr. V. TERENZIO, « La Gazzetta del Mezzogiorno, 22
luglio 1978).
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
Quest’ampio scenario di vicende umane e storiche non è turbato
però da momenti di intensa drammaticità, ché ogni immagine ogni resto d’antichità è come avvolto da un’atmosfera sacrale da un senso di
mistero profondo, da un « velano di solitudine » e di malinconia.
In quest’ultima silloge Serricchio pare raggiunga la sua maturità
artistica, poiché riesce a presentare elementi diversissimi fra di loro,
affioranti da stele spesse volte indecifrabili, e tuttavia suscitatrici di
sentimenti, che egli compone « in limpidi schemi compositivi », con «
mirabile senso delle sfumature e delle gradazioni ». Per questo la sua
musa è parsa « casta e sobria nel disseppellire i segni, le’ incontaminate briciole / della memoria... »: « delfini su tombe sommerse », nenia «
fenicia », il « talamone » le « isole di Diomede » dove uccelli piangono ancora la morte dell’eroe garganico analogo a Enea laziale, « il
riemerso ossame di trachite » dove si scopre il « ghigno di pietra »
della cartaginese dei Tanit. La sobrietà è data dallo stesso timore del
sacro o religio coi progenitori defunti, dal vano e dall’impossibile
d’una riedificazione alla vita » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 13). Ma si
tratta è evidente, di « sobrietà » scavata anche in altra direzione, in
quella, ad esempio, che scaturisce dall’esercizio attento della forma. I
versi del Serricchio sono, infatti, sempre « vigili e scanditi » e « sbalzano in ritmi nitidi e dolenti le atmosfere del tempo, in commistione
profonda di significati » (Cfr. G. TESIO, cit.); nel « loro riflettersi ed
atteggiarsi stilistico-discorsivo, linguisticocomp ositivo » risiede, anzi,
quella loro impronta di « classicità e di modernità » (Cfr. B. PENTO,
cit). E potrebbe trattarsi, infine, di una « sobrietà » desunta
dall’auscultazione di vibrazioni biografiche o dianistiche, connotate
dal quotidiano e dal domestico o ricavata da sensazioni sfumate, pronunciate appena in purezza di linea figurale, in lievitazione di ritmi,
come ad esempio accade di fronte alla visione del paesaggio di Borgo
Celano: « M’affaccio per empirmi il cuore / di nuovi germogli, sottilmente / verdi nell’incerto oro del giorno, / graffiato dalle unghie del
vento / nascosto fra muraglie mobili / di nuvole in lampeggii remoti. /
Un ramo ha il frullo timido / di passera ch’esca dal nido / e il filo di
frescura rinnova / le lontananze amiche: / tenero lume di ciclamino /
sulle nude colline ».
Il terreno sul quale il Serricchio realizza il nucleo ispiratore della
sua poesia non è solamente il recupero della storia passata, aureolata
di miti, ma anche quello, non meno realistico ed oggettivo, del paesaggio garganico, sul quale pare dispiegarsi appieno il canto
dell’Estate degli ulivi, silloge che, se per un verso ricorda — come ha
giustamente osservato il Macrì — suggestioni e prestiti di grandi poeti
meditemranei, Quali Valéry, Ungaretti, Montale, Quasimodo e Comi
(amico e maestro in un certo senso, quest’ultimo, del Serricchio),
50
______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
ovvero se si scopre in qualche modo vicino alla « peregrinazione lorchiana nella sotterranea Andalusìa », cui si conformeranno anche, secondo il folclore della propria terra, « Bodini salentino, Gatto camp ano, Sinisgalli lucano [e non calabro, come erroneamente crede il Macrì], Quasimodo siracusano », Carrieri pugliese — aggiungerei io —
per talune predilezioni cromatiche, per il verso opposto rivela la sua
piena aderenza alla concretezza della vita.
L’estate degli ulivi, maturato in seno all’insistito ma, per fortuna,
vario e mosso registro di « rive corrose, mummie dormienti, città sepolte, strade opache, vuote città, ceneri secche, sogni neri della morte,
cardi rinsecchiti, calcinati scogli, relitti di mare, lacrime nude della
madre, allucinanti gabbiani lampare campani cicale lucertole braccianti pugliesi » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 12), rivela, infine, un sincero desiderio del poeta, quello cioè di voler contribuire, come e quando può,
alla costruzione di un discorso di speranza e di liberazione per l’uomo:
un messaggio validissimo, mi pare, che è stato riproposto con più viva
partecipazione e con più sereno equilibrio anche nelle Stele daunie.
GIUSEPPE DE M ATTEIS
51
DUE INEDITI DEL POETA GIUSEPPE REGALDI
Di Giuseppe Regaldi1 , poeta piemontese dell’Ottocento, si
conservano, nella Biblioteca Comunale di Lucera, ricca di numerosi e preziosi manoscritti2 , due interessanti lettere, dirette
entrambe al sindaco dell’allora capoluogo culturale e letterario
della Daunia Giovan Battista Gifuni.
Nella prima lettera il Regaldi riferisce di una sua « accademia » (oggi diremmo recital di poesie) tenuta nel 1845 nella
casa della nobilissima famiglia Mosca, alla quale parteciparono
1
Giuseppe Regaldi (Varallo 1809 - Bolzano 1883) fu appassionato cultore
di lettere e « poeta estemporaneo ». Era noto soprattutto come improvvisatore,
e in questo genere ottenne successi notevoli sia per la prestanza fisica sia per il
modo enfatico e tuonante col quale soleva declamare i suoi versi (va però aggiunto che l’atteggiamento retorico fu una carat teristica piuttosto diffusa in
quell’epoca; ciò, anzi, dovrebbe indurre gli studiosi a riesaminare, dopo tanti
anni di silenzio e di abbandono, l’opera di questo poeta, specie le Poesie — ediz. postuma a cura di E. CAMERINI, Firenze 1894, voll. 2 —, nelle quali, a
prescindere dall’assai diffuso tono retorico ed ampolloso, vanno apprezzate la
versatilità — tutti i metri son da lui trattati con grande destrezza, e per qualsiasi
argomento egli sembra abbia pronto un suo armamentario di reminiscenze,
concetti e vocaboli —e le doti d’ingegno. Ciò che nocque al Regaldi, comunque, e che tarpò le ali della sua ispirazione, fu quel suo volersi ergere, a tutti i
costi, a poeta ufficiale della scienza). Fu definito l’ultimo degli improvvisatori,
né servì a togliergli questo marchio da dosso il lusinghiero giudizio che
l’amico e collega Carducci in più occasioni ne diede, lodandone l’ingegno e la
bontà. Sul versante della prosa, prodotta perlopiù negli ultimi anni, si dimostrò
più equilibrato, manifestando una squisita sensibilità nella descrizione di luoghi, di persone e curiosità varie (Cfr. La Dora, 2 a ed., Torino 1867 e L’Egitto
antico e moderno, Firenze 1882, entrambe apprezzate dal Carducci), conosciute dallo stesso poeta nei suoi numerosi viaggi attraverso l’Europa, l’Asia e
l’Egitto.
2
Tutti i manoscritti sono, per l’esattezza, 379 e trattano di diversi argomenti: filosofici, letterari, scientifici; riguardano anche la medicina e
l’astronomia. Tra le firme più autorevoli si ricordano quelle di Domenico Cotugno e Domenico Cirillo, scienziati, Francesco Lastaria, clinico, Del Prete, Di
Lecce, Corrado, Caracciolo, Lombardi, De Iorio ed Emanuele Cavalli, tutti interessati perlopiù a problemi giuridici, oltre che storici e letterari, - Antonio Salandra, statista, i cui diari (Cfr. G. B. GIFUNI, Il diario di Salandra e I retroscena di Versailles, editi entrambi a Milano, Pan, 1969 e 1971) offrono del ministro troiano un volto abbastanza originale; e, tra gli altri carteggi inediti, non
van dimenticati tutti i manoscritti teatrali di Umberto Bozzini, le prose di romanzo di Giuseppe Colucci, le poesie, le prose, e soprattutto l’assai cospicuo
carteggio di Giuseppe Checchia, che ebbe tra i suoi corrispondenti nomi di
grande prestigio della cultura nazionale: Camillo Antona Traversi, Roberto Ardigò, Giacomo Barzelletti, Giovanni Pastonchi, Giovanni Pascoli, Giacomo
52
__________________________________________________DUE INEDITI DEL POETA G. REGALDI
gli uomini più culturalmente impegnati della città e di alcuni
paesi vicini. Il poeta ebbe calorose accoglienze per il suo « estemporaneo poetare », tanto è vero che considerò questa sua
visita in Capitanata come uno dei suoi « ricordi » più graditi.
La prima lettera non è datata e non è contenuta in busta, così come è senza busta la seconda missiva, che però reca in calce la data in cui è stata scritta. Le parole che in entrambe questo poeta così amato dal Carducci rivolge al sindaco sono di
doveroso ringraziamento per le accoglienze ricevute, ma al sciano intendere anche la meraviglia che egli ha provato nel visitare l’antica città.
Rispettabile Signor Sindaco
L’invito che Le piacque farmi per un esperimento di estemporaneo poetare mi è caro argomento del pregio in che si hanno
le lettere, e del culto che si presta all’ospitalità nella illustre
memorabile Lucera 3 . Io non ho parole accomodate a riferire le
Zanella, Francesco Torraca, Giovanni Marradi, Benedetto Croce, Nicola Misasi, Alfredo Galletti, Giovanni Lanzalone, Gaetano Pitta, Mario Rapisardi, Achille Pellizzari, Ferdinando Russo, Bonaventura Zumbini, Egidio Corra (si
coglie qui l’occasione per comunicare che, a cura nostra, apparirà fra poco in
stampa tutto il carteggio Checchia). Vanno, infine, ricordati gli autografi di
Giacomo Leopardi, dell’archeologo Giuseppe Fiorelli, dello storico Teodoro
Mommsen, di Francesco De Sanctis, di Giuseppe Garibaldi, di Ruggiero Bonghi, di Umberto Giordano, di Ferdinando Martini, del Cialdini, Minghetti, Crispi, Ferri, Barattieri, Rosati, Zanardelli, Bovio, Zuppetta, Salvemini, Silvio
Spaventa, Paolo Ferrari, Lombroso, Cantù, Pitrè, D’Ovidio, D’Annunzio, De
Amicis, Fogazzaro, Settembrini, Gentile, Serao e Giustino Fortunato, le cui lettere, indirizzate al prof. Antonio Iamalio, segretario particolare del De Sanctis,
trattano, tra l’altro, della questione meridionale e dell’opera letteraria del grande critico irpino. Ma, per notizie più det tagliate su quest’argomento, e per tutto
quanto concerne anche l’antico e ricco patrimonio culturale conservato nella
Biblioteca Comunale di Lucera, si veda la rapida ma precisa sintesi di G.
TRINCUCCI, La Biblioteca « R. Bonghi», di Lucera, Lucera, Catapano, 1977,
soprattutto le pp. 16-37.
3
Lucera è una bella ed antica cittadina, di circa 30.000 abitanti, a solo 18
Km. da Foggia, capoluogo della Daunia. Per la ricchezza delle sue memorie
storiche è da considerare uno dei più importanti centri dell’Apulia. Dal punto
di vista artistico, oltre alla buona conservazione dell’anfiteatro romano,
d’epoca augustea, rivestono particolare importanza il castello e il Duomo. Il
primo, sorto sull’acropoli dell’antica città per opera di Federico II, venne successivamente ampliato, dal 1269 al 1283, da Carlo I d’Angiò. Enormi e solidissime sono le due torri cilindriche dette del « Leone » e della « Leonessa ».
L’entrata principale presenta un ampio portale a sesto ribassato all’esterno e a
sesto acuto all’interno. Altissime cortine recingono il fortilizio angioino, a
pianta di pentagono irregolare, rinforzato tutt’intorno lungo i lati da torri quadrilatere e pentagonali.
Sempre dai d’Angiò (presumibilmente da Carlo II) fu iniziato il secondo
complesso artistico, all’incirca intorno al 1300, misto di forme romaniche e go53
GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________
debite grazie a Lei, ed a’ suoi degni cittadini delle accoglienze
fattemi, e della benevolenza con che gli animi si dispongono a
ascoltare le mie povere rime. Siccome Ella largheggiando in
ogni maniera di cortesia lasciò in mio arbitrio il fissare il giorno del l’accademia, eleggo il 5 del volgente mese, sabato prossimo; ed ove un tale giorno a Lei, od a’ suoi concittadini non
convenga Ella potrà eleggere qualunque altro giorno che meglio si con faccia a’ que’ buoni che seco Lei si affamigliarono
per farmi onore.
La prego di gradire gli schietti sentimenti di riverenza e d
gratitudine coi quali mi reco a distinto onore di protestarmi di
Lei,
Dev.mo ed obb.mo Servo
G. Regaldi
Rispettabile Signor Sindaco
Le accoglienze largite a’ miei versi nella colta Sua Patria
staranno in ogni tempo fra le più care memorie della mia vita
poetica. Mi palpiterà il cuore tutte le volte che mi avverrà di ricordare l’illustre Lucera, scrivendo dei fatti memorabili, che la
rendono gloriosa nelle istorie italiane. Ricordando le rovine
maestose del Castello, e gli archi acuti della spendita Cattedrali
risentirò un grato olezzo di fiori, un suono soave di musiche,
un accorrere di gente festiva, ed un plauso ardente di generosi
che alla squisitezza dell’ingegno sanno accoppiare la bontà del
cuore. E Lei, rispettabile Signor Sindaco, ricorderò in particolar modo chè fatto cortese interprete de’ miei ottimi concittadini, tutto operò che potesse maggiormente onorarmi. Con animo
grato ed ossequente sono altero di protestarmi a Lei
8 luglio 1845.
G. Regaldi
tiche, fiancheggiato da una torre campanaria cuspidata con due piani di eleganti
bifore e monofore. Nell’interno, in tre navate a tetto e arcate di stile gotico, si
trovano l’altare maggiore, il ciborio, il pulpito e varie sculture e affreschi
d’epoca rinascimentale.
Ma, oltre a questi edifici, van ricordate anche la chiesa gotica di S. Francesco, fondata sempre da Carlo II d’Angiò, che, sotto il profilo strutturale, specie
negli sporgenti contrafforti dell’abside poligonale, richiama chiaramente il
Duomo, e la chiesa di S. Domenico, nella quale s può ammirare il coro ligneo,
di stile barocco, dello scultore Fabrizio Iannulo da Monopoli, eseguito nel
1640.
GIUSEPPE DE M ATTEIS
54
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI:
LE BIBLIOTECHE
I problemi e le questioni che sempre nascono e si agitano intorno
alle rare occasioni di riflessione tra operatori a vario titolo di settori
complessi come quello dei beni culturali, autorizzano qualche libertà
nello svolgimento dei temi assegnati.
Per quel che riguarda il settore in cui opero, mi preme sottolineare
l’impossibilità di affrontare alcun tema specifico della questione bibliotecaria — sia pure quello più tecnicamente e teoreticamente più
neutrale e astratto (ammesso che ve ne sia uno) — senza fare i conti
con il quadro complessivo e concreto della situazione. Tanto più che
non si tratta di un quadro qualsiasi: ignorano o, peggio, parcellizzarlo
in tanti problemi —poco importa se tecnico-organizzativi o più ampiamente culturali —, come spesso si è fatto e si continua a fare, significherebbe illudersi di espungere i problemi generali e di fondo. Come
è, infatti, possibile sperare che il caos, lo sperpero, la disorganicità,
accumulati in decenni di totale assenza di una politica bibliotecaria
non si riverberino su ogni specifico problema tecnico-organizzativo o
politico-culturale? Riandare costantemente ai « nodi » non è perciò
sintomo di una mancanza di immaginazione né di una volontà di fuga
dai problemi specifici e concreti; è, al contrario, voler fuggire il rischio di illusorie scorciatoie tecnocratiche o di una totale assenza di
analisi sulle cause, sui processi, sulle responsabilità che sono alla base
della situazione e sui meccanismi comuni da innescare per superarla.
Si può, per esempio, realisticamente pensare che le biblioteche diventino e funzionino quali moderne strutture informative aperte e come centri capaci di produrre oltre che di trasmettere e far circolare
cultura solo perché si è inventata a tavolino una riverniciata figura di
bibliotecario: fuori cioè di una rifondazione, di un duro e lungo lavoro
che assegni, ridefinisca moli, compiti, funzioni e obiettivi precisi ai
singoli e diversi tipi di istituti nell’ambito di un « sistema nazionale »
fondato su diversi livelli territoriali?
Relazione tenuta al Seminario « La formazione professionale nel set tore dei beni
culturali », organizzato dalla rivista Economia, istruzione e formazione professionale, in
collaborazione con l’Ufficio Studi del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e svoltosi a Bari nei giorni 18-19 maggio 1979. La rivista organizzatrice, in un numero doppio
(7/8, luglio-dicembre 1979) ha curato la pubblicazione degli atti.
55
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
E’ vero esattamente il contrario: prendono corpo e saranno più
precisamente delineate nuove figure professionali solo nel vivo di un
processo complessivo di costruzione di un moderno « sistema bibliotecario ».
Il capovolgimento del rapporto: problemi, scelte e volontà politicoculturali generali / problemi tecnici, è stata — secondo i casi, in buona
o cattiva fede — la paralizzante risposta data dagli addetti ai lavori e
dai responsabili della politica delle biblioteche a quello che resta, da
un secolo a questa parte, il problema di fondo della nostra cosiddetta
organizzazione bibliotecaria: realizzare il passaggio dalla struttura
immediatamente post-unitaria, élitaria, di classe, omogenea a un assetto sociale ed economico fondato sulla scarsa partecipazione dei cittadini, su bassi livelli di scolarizzazione e di cultura a una struttura
moderna che facesse e faccia i conti con la società di massa, con gli
accresciuti livelli di scolarizzazione e culturali, con la fondamentale
esigenza di produttività e di integrazione di tutto il sistema formativo,
educativo e culturale nel processo di trasformazione sociale ed economica.
Sono trascorsi così — tra resistenze, incapacità, tentativi di strumentalizzazione — cento anni di storia bibliotecaria italiana, nel corso
dei quali, non a caso, si è tentato di consolidare e rendere definitiva
una concezione tutta retorica delle biblioteche — sacrari della civiltà!
— nell’ambito di quella più generale dei beni culturali come beni da
godere non mai da usare!
In questo quadro non c’è problema tecnico che sfugga a un rapporto di funzionalità alla logica sostanzialmente paralizzante, conservatrice che ha caratterizzato la gestione di questo settore.
Non far nulla per modificare e adeguare alla radice la struttura bibliotecaria del Paese significa non vedere che per questa strada passa
ogni problema tecnico. Affrontare in questo modo per esempio il problema di fornire le biblioteche, le biblioteche italiane oggi, di strumenti catalografici, informativi e bibliografici nuovi, rispondenti al ruolo
nuovo che esse devono svolgere nella vita democratica, civile e culturale del Paese, significa ignorare che anche le tecniche catalografiche
sono espressione di un rapporto di totale identificazione ed omogeneità culturale tra le biblioteche e le ristrette élites di utenti che, prima
ancora di essere fruitori e destinatari di un codice e di un sistema informativo, erano, e sono tuttora in grande misura, coproduttori di quel
codice e di quello più generale del sistema culturale e sociale, la cui
chiave universale è rappresentata proprio da quella omogeneità.
In questo stesso quadro si comprende bene lo scars o peso che hanno avuto le riflessioni e le sollecitazioni di quanti pure in questi cento
anni sono riusciti talora a cogliere la scarsità del contributo che poteva
56
_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
venire dalla « vecchia e solida » e « pertinente » cultura umanistica dei
bibliotecari italiani al rinnovamento di strutture di cui si indovinavano
compiti ben più complessi, vasti e, soprattutto, qualitativamente nuovi.
Ma provvedimenti, iniziative, novità non ne sono venuti nemmeno
per quel che riguarda il reclutamento, la qualificazione,
l’aggiornamento degli addetti alle biblioteche. Anzi, di fronte al mo ltiplicarsi di problemi e ritardi di ogni genere — da quello della scarsità di mezzi e delle scelte legislative a quello della trasformazione e
crescita dell’utenza —, la tradizionale strumentazione tecnica e culturale non è bastata più nemmeno a garantire i compiti tradizionali delle
nostre biblioteche: conservazione e tutela dei fondi preziosi e antichi,
servizio a favore degli alti studi o della ricerca erudita.
Lo stato delle nostre più gloriose istituzioni bibliotecarie, lo scarsissimo livello di accessibilità del patrimonio, il tributo che siamo costretti a pagare all’estero in termini di strumenti di informazione e di
ricerca e quindi di dipendenza culturale ed economica sia in campo
umanistico che in quello scientifico, sono una conseguenza e una testimonianza assurte a livello di luogo comune.
L’immobilismo, la totale assenza di interventi anche in materia di
formazione di quadri tecnici e culturali ha prodotto una progressiva e,
almeno apparentemente, inarrestabile regressione dei livelli di professionalità: nei grandi istituti come nelle piccole strutture di base.
Nessun rapporto dialettico, di movimento, quindi, almeno fino a
ieri, tra nuova — reale o potenziale — utenza, figure professionali e
istituzioni bibliotecarie.
Come conseguenza: perdita di identità, confusione e sovrapposizione di compiti e funzioni, nebulosità di certi nuovi profili
professionali — « animatore culturale », « tecnico dell’informazione »
— che pure vorrebbero essere la risposta alla molteplicità della domanda che investe le nostre istituzioni.
Nonostante tutto però i bisogni obiettivi della nostra realtà economica e culturale, oltre che una domanda, esplicita o potenziale, complessa e di dimensioni rilevanti, la presa di coscienza dei termini reali
e generali dei problemi da parte di larghi strati di addetti ai lavori,
l’assunzione diretta di responsabilità da parte delle Regioni e degli Enti Locali, la conseguente, caotica per molti versi, ma pur sempre vivacissima proliferazione di esperienze formative: tutti questi fattori
spingono ed autorizzano a ritenere improponibile una posizione attendista che condizioni alla definizione e alla costruzione del « sistema
bibliotecario » la precisazione delle nuove professionalità che, viceversa, si possono cominciare a precisare, sperimentare, delineare immediatamente.
57
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
In particolare, appare fin d’ora chiaro che un’azione specifica va
condotta ai vari livelli — sia attuali sia quelli che emergeranno finalmente dalle riforme in cantiere ormai da qualche lustro — del nostro
sistema d’istruzione e di formazione. Uno dei pochi punti concreti che
possono essere segnati a favore dell’esperienza degli organi collegiali
della scuola è forse proprio la « scoperta » del ruolo che le biblioteche
— a cominciare da quelle scolastiche — possono giocare nella realizzazione di una ipotesi di radicale trasformazione dei modi e dei contenuti della pratica educativa.
E’ quindi necessario non solo che gli insegnanti acquisiscano quelle nozioni e quelle capacità — che dovranno poi trasmettere e usare
insieme agli studenti — relative alla ricerca bibliografica, all’uso delle
fonti e delle strutture informative, che devono entrare a far parte integrante della pratica educativa a tutti i livelli e in tutte le aree disciplinari; ma anche che la biblioteca scolastica sia messa in condizione di
diventare davvero strumento indispensabile all’attività formativa. E
questo è possibile — per quel che riguarda il personale — sia attraverso l’intervento diretto di Regioni ed Enti Locali (che portata reale avrebbe altrimenti ogni discorso sulla loro titolarità della competenza
in materia di diritto allo studio?), sia ipotizzando — nel quadro di una
riforma dell’istruzione che riconduca anche a una utilizzazione unitaria e coordinata delle risorse scolastiche — la istituzione di un ruolo di
bibliotecari scolastici, — la cui formazione sia specificamente caratterizzata sul piano psicopedagogico e didattico. Ma la perdurante fluidità di tutto il processo di riforma consente — a mio parere — ipotesi
più avanzate, quale per esempio — nell’ambito di uno stretto collegamento « secondaria superiore » / « formazione professionale » — la
individuazione di corsi biennali di formazione per aiuto-bibliotecari
innestati su un auspicabile biennio della « secondaria ».
Per quel che riguarda la biblioteca pubblica — luogo in cui si sono
in questi ultimi anni manifestate le esperienze più stimolanti, i bisogni
più tumultuosi e contraddittori e quindi anche le ipotesi di professionalità più nuove anche se talora confuse — è certo che ampio spazio
nella formazione degli addetti va fatto a quelle discipline in grado di
conferirle una dimensione sociale e ampiamente educativa rispetto a
un utenza complessa, in trasformazione e strettamente legata alla realtà del territorio. Non quindi una generica infarinatura di sociologia,
ma una formazione sociologica e antropologica in grado di cogliere e
interpretare i complessi e vari fenomeni della produzione, della comunicazione e della fruizione culturale; non una sommaria o invecchiata
infarinatura di « storia locale »fatta di dilettantismo, campanili e uomini illustri, ma un complesso di strumenti conoscitivi — dalla storia
culturale, economica e sociale alla statistica, all’analisi
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_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
delle culture popolari, etc. — collegati a livello pluridisciplinare e in
grado di concorrere a configurare la biblioteca pubblica non più come
la nebulosa struttura del passato — miraggio del contenitore universale ed enciclopedico delle conoscenze o sacrario della cultura provinciale — ma come luogo e strumento per l’accesso, veramente aperto a
tutti, al complesso delle risorse bibliografiche del territorio; ma soprattutto come referente pubblico dei bisogni e delle domande culturali e
di lettura di un’utenza organizzata, come strumento critico collettivo
attraverso il quale anche l’utenza individuale si moltiplica e si rafforza.
E’ evidente — a questo punto — che gli stessi aspetti più squis itamente tecnici della nuova professionalità del bibliotecario cosiddetto
pubblico: catalogazione, gestione dei servizi, cooperazione tra biblioteche, automazione etc., acquistano un ruolo diverso, perché fondamentalmente diretti a misurarsi con problemi affatto nuovi: da quelli
posti da un’utenza non tradizionale, a quelli della costituzione della
memoria storica dei gruppi sociali produttori di cultura in senso lato.
Non vi è dubbio: rispetto alle certezze immobili della tradizione
bibliotecaria italiana, mettersi su questa strada può apparire avventuroso. Così non è se si rinuncia all’immagine della biblioteca pubblica
come « universalità di beni ... immobili » e si sostituisce ad essa quella
di un complesso flessibile, variabile e mobile di beni il cui valore aumenta in funzione del numero di scambi che subisce e consente; se si
chiede ad essa ed al bibliotecario, come metodo di lavoro, un rapporto
costante con il territorio, le sue istituzioni, i suoi gruppi sociali, i suoi
bisogni e, come obiettivo, la trasformazione della cultura scritta — ma
non solo di essa — da strumento del privilegio culturale di pochi a patrimonio diffuso e utilizzabile potenzialmente da tutti. Si tratta, in somma, di non fermarsi all’obiettivo — che pure è tutto da realizzare
— di erogare servizi adeguati a favore dell’utenza così come è.
E’ quindi soprattutto con riferimento al settore della biblioteca
pubblica che le strutture formative devono assumersi non come date e
definite una volta per tutte, ma capaci, per un lungo periodo, di mis urarsi con i bisogni e le esigenze emergenti.
Questa parte innovativa del discorso sui bibliotecari delle biblioteche
pubbliche nulla toglie all’esigenza — soprattutto nelle grandi istituzioni di questo tipo e fatta salva l’ipotesi di strutture di conservazione
specifiche con compiti specifici di archivi del libro ai livelli regionali
— di formazione rispetto alla parte antica e di pregio del patrimonio:
anche se l’obiettivo della produttività culturale e di un diverso uso della professionalità pone ugualmente problemi ai vecchi metodi e ai
vecchi contenuti formativi.
59
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
Presenta minori problemi — almeno sul piano della definizione dei
profili professionali e degli stessi curricula — la formazione dei bibliotecari delle università e delle biblioteche speciali di Enti pubblici o
privati.
Per queste ultime — per le quali la natura dei materiali e
dell’utenza delineano abbastanza chiaramente il rapporto che deve
correre tra tecniche biblioteconomiche e di documentazione e conoscenze specifiche delle materie cui l’istituto si riferisce — il problema
fondamentale è quello di non lasciare più oltre all’autoformazione o
all’iniziativa del singolo Ente di appartenenza — con conseguenze di
estemporaneità e di eterogeneità facilmente immaginabili — ogni iniziativa.
Problema, questo, comune, d’altra parte, anche ai bibliotecari delle
università e che non sarà risolto fino a quando lo Stato — invece di
occuparsi del coordinamento e della gestione di istituzioni, servizi e
funzioni di carattere generale e nazionale — continuerà a voler gestire
strutture o settori d’intervento il cui carattere generale o nazionale
nessuno può sostenere.
Un ruolo determinante rispetto ai problemi di formazione, qualificazione e aggiornamento del settore bibliotecario spetta all’università,
aldilà dei termini appena accennati e su vari piani:
1) collaborazione e sostegno alle Regioni e agli Enti Locali nella
definizione e nella realizzazione di programmi e corsi di formazione
professionale del personale da immettere nei servizi e di aggiornamento del personale in servizio;
2) istituzione — in sedi universitarie in cui sono presenti strutture
bibliotecarie e di ricerca adeguate — di corsi di laurea imperniati su
un’area comune di discipline tecniche specifiche: procedure catalografiche e di classificazione, gestione dei servizi, bibliografia, storia delle
biblioteche e della documentazione, statistica, automazione e informazione etc.; e di formazione culturale: lingua e storia della cultura e
delle istituzioni culturali, storia della scienza, storia della filosofia, sociologia della comunicazione e della cultura, etc.; e completate da aree di specializzazione: per bibliotecari documentalisti, per bibliotecari conservatori, per bibliotecari moderni;
3) istituzione di corsi speciali intermedi pre-laurea;
4) istituzione — in relazione alla natura delle risorse bibliografiche del territorio, a specifici piani di sviluppo e al fine della formazione dei docenti — di corsi di specializzazione postlaurea.
Va, comunque, in conclusione ribadito, in presenza di una complessa e crescente domanda culturale e di lettura che non riesce a trovare referenti istituzionali con caratteristiche e funzioni chiare e defi-
60
_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
nite di bisogni di formazione che provengono da tutte le biblioteche
italiane; di esperienze formative disparate realizzate ai livelli locali e
regionali; di una latitanza pressoché totale da parte dello Stato: in questa situazione, va riaffermato che ogni discussione sui profili professionali che non voglia ridursi a mera esercitazione teorica deve costantemente far riferimento a una serie di precondizioni, che costituiscono
la griglia strategica complessiva di ogni ipotesi di politica bibliotecaria.
In particolare vanno — a mio parere — considerati come obiettivi
di fondo e immediati:
— liberare la figura professionale del bibliotecario da quelle connotazioni burocratico-amministrative che ne impediscono una caratterizzazione e uno sviluppo sul piano tecnico-scientifico;
— far coincidere questa battaglia con l’occasione della riforma di
tutto il settore del pubblico impiego e della Pubblica Amministrazione;
— ancorare, inoltre, le diverse professionalità non semplicisticamente alla natura — giuridica o culturale — del patrimonio librario, ma soprattutto alla destinazione di uso, all’utenza configurabile;
— definire — attraverso la emanazione delle leggi-quadro e la ripresa di un confronto ravvicinato e costruttivo — dei ruoli e delle funzioni rispettive dello Stato, delle Regioni e del sistema delle autonomie. Particolarmente per quel che riguarda la formazione del personale delle biblioteche, un’azione di coordinamento e di indirizzo da parte
dello Stato sarebbe auspicabile. Non costituisce certo un buon viatico
su questa strada l’assenza di qualsiasi riferimento al problema della
qualificazione e dell’aggiornamento professionale di cui soffre lo stesso decreto 805 istitutivo del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali;
— scongiurare — proprio attraverso il confronto delle esperienze
di formazione maturate in sede locale e spesso a livello di singole biblioteche come risposte immediate ai bisogni emergenti e concreti —
il rischio che prendano piede figure professionali parcellizate (più che
specialistiche) o anche generalissime (più che polivalenti);
— condurre nell’ambito delle strutture statali e di quelle operanti
sul territorio regionale, un’analisi sulla natura e sui livelli della professionalità; che costituisca un quadro preciso delle risorse .disponibili e
dei bisogni complessivi presenti nel settore delle biblioteche ai vari livelli.
Rendere produttiva un’ipotesi di formazione per il personale delle
biblioteche significa — come è ovvio — soprattutto legarla strettamente agli obiettivi fissati dalla programmazione del settore.
I segnali che continuano a pervenire non sono dei più confortanti.
61
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
Tarda a prendere corpo una sia pure iniziale ipotesi pro- grammatoria dello Stato, il quale per di più non trova di meglio — per quel
che riguarda la formazione professionale — che ipotizzare, attraverso
il Ministero dei Beni Culturali e li occasione della Conferenza Nazionale delle Biblioteche, un Centro Nazionale per la Formazione Professionale dei Bibliotecari che ha tutta l’aria di un miraggio nel deserto e
rischia di configurarsi — sia pure a livello di ipotesi — come del tutto
separato da quel Consiglio Nazionale che, per quanto progressivamente svuotato di poteri reali e di funzioni, resta pur sempre l’organo della
programmazione.
« Tractant fabrilia fabri »: è stato per decenni l’accorato slogan dei
bibliotecari italiani in lotta quotidiana con una burocrazia centrale
chiusa e arretrata. La dimensione dei problemi che affliggono il nostro
sistema bibliotecario deve, da sola, far giustizia dell’illusione che sia
sufficiente a risolverli un quadro professionale moderno e preparato.
Al contrario, solo l’impegno comune — accanto agli addetti ai lavori,
portatori di una rinnovata professionalità fortemente caratterizzata sul
piano sociale — delle istituzioni culturali pubbliche, titolari di strategie generali di sviluppo e di una nuova utenza, di nuovi soggetti, titolari di bisogni e diritti culturali, può allontanare la sensazione e la prospettiva di costruire un bibliotecario fantasma. destinato ad aggirarsi e
a celebrare vuoti rituali in immobili cimiteri di carta.
GUIDO PENSATO
62
FRANCESCO BARBERI E LA PUGLIA *
Avv. Francesco KUNTZE (Presidente Amministrazione Provinciale
Foggia).
Sono particolarmente lieto di poter accogliere questa sera nella
nuova sede della biblioteca Provinciale così illustri rappresentanti del
mondo della cultura e delle biblioteche e di poter porgere ad essi il saluto dell’Amministrazione Provinciale e dei cittadini di Capitanata.
L’incontro di questa sera, che la nostra biblioteca ha voluto organizzare con l’intelligenza che segna costantemente le sue iniziative, è
un’occasione particolare, in un certo senso atipica. rispetto alle consuetudini semplicemente celebrative che connotano talora gli incontri
con il mondo della cultura.
Al Prof. Barberi, ad uno dei maggiori bibliotecari e studiosi della
cultura scritta che possa vantare la storia contemporanea delle nostre
biblioteche, la biblioteca foggiana e la cultura dauna non tributano stasera un omaggio tradizionale, io credo, la cui opera di soprintendente
in Puglia in un momento storico, tragico e dolorosissimo per il paese e
per la Capitanata è tra le vicende più nobili che registri la cultura militante della nostra terra e di essa credo dirà efficacemente il nostro
Dott. Celuzza. Il prof. Barberi è con noi ancora una volta come intellettuale protagonista, come uomo di cultura non accademico, al
quale la cultura offre un omaggio diverso, nel modo che il prof. Barberi, ne sono certo, apprezzerà ben più di ogni altro tradizionale; un
omaggio vale a dire che è tutto un contributo di ricerca, di lavoro
intellettuale produttivo, di impegno culturale attivo. In una sede che è
forse il più bel segno della continuità fra ciò che l’opera vigile e persino trepida di Francesco Barberi ha voluto conservare, la vecchia Provinciale, è la nuova Biblioteca che ancora da Barberi hanno ricevuto il
segno della vocazione professionale nel suo senso più completo. Questa sera il prof. Petrucci e la dott.ssa Vinay dedicheranno a Barberi e a
tutti noi interessati al mondo del libro due contributi scientifici che avranno in sé oltre la formula del volume miscellaneo e dell’opera di
catalogazione a repertorio un valore ulteriore di riflessione critica e di
generalizzazione problematica.
* Tavola rotonda tenuta a Foggia nell’Auditorium della Biblioteca Provinciale 22
ott. 1977 con la partecipazione: Avv. F. KUNTZE, Prof. P. RICCIARDELLI, Dott. A.
CELUZZA, Dott. A. VINAY, Prof. A. PETRUCCI, Prof. F. BARBERI.
Nella stessa seduta il Prof. A. PETRUCCI ha presentato al pubblico il volume « I
manoscritti della Biblioteca Prov.le ».
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La intelligenza scientifica che dedica il meglio di sé negli studi biblioteconomici ad approfondire i temi della pubblica lettura, il loro
collegamento costante e dinamico con la polimorfi e talora contraddittoria — nel versante sociale e culturale — struttura del territorio; i
rapporti tra biblioteche ed istituzioni della nostra democrazia rinnovate, ancora profondamente da rinnovare: penso al solo grosso problema
della legge 382 così rilevante e così ancora aperta, per usare un eufemismo, nel campo delle biblioteche; i temi della strutturazione a livello nazionale delle maggiori istituzioni bibliotecarie e della loro adeguazione alla realtà contemporanea dei bisogni del paese, troveranno
tutti un’eco competente e appassionata in quanto ci dirà la dottoressa
Angela Vinay, che non per la prima volta ci onora della sua presenza e
che quale presidente dell’Associazione Nazionale degli operatori delle
biblioteche nonché per la sua opera intelligente di responsabile
dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico molto ci fa attendere in favore della nostra organizzazione bibliotecaria nazionale.
Al prof. Armando Petrucci, che questa biblioteca ha già avuto la
fortuna di ospitare presentando un suo interessantissimo volume «
Primo: non leggere », in una occasione di cultura anch’essa non formale anzi vivacissima, spetta questa sera un compito che egli troverà
non solo non sgradevole, ma anzi gradito presentando il « Catalogo
dei manoscritti della Biblioteca Provinciale », approntata dal valente
direttore dell’Archivio di Stato di Foggia dott. Di Cicco, al quale va il
nostro caldo ringraziamenti per l’opera realizzata anche con la valida
collaborazione degli operatori della nostra biblioteca: la signora Altobella-Galasso, i sig. Ventura e il dott. Mancino per la parte editoriale.
Presentando il catalogo il prof. Petrucci potrà essere spero ben lieto di
coniugare l’esercizio scientifico della sua nota competenza di paleografo e di studioso della cultura scritta con il piacere d farlo qui in una
biblioteca che è a lui carissima come lo fu per suo padre Alfredo Petrucci. Non a caso ho ricordato questo nome a tutti noi caro. Il prof.
Petrucci me lo consenta qui, così come mi vorrà consentire di rinnovargli il ringraziamento doveroso e caldo che la Capitanata, non solo
la Biblioteca Provinciale gli devono per la generosità da lui dimostrata
nel confronto del nostro maggiore istituto bibliotecario, donando ad
esso ed a suoi fruitori pubblici un patrimonio di opere che di Alfredo
Petrucci e della sua multiforme testimonianza di poeta e d artista insigne ci restituiscono la cifra e l’eredità maggiore.
Vorrei chiudere queste mie brevi parole di saluto a voi illustri ospiti ed al pubblico venuto così numeroso con un impegno che mi consentirete di esprimere, anche se esso, partendo, da occasioni di cultura
come queste di stasera ed anzi proiettandola in avanti per generalizzare il senso può, sembrare scavalcarne limiti; oggi accogliamo
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tra noi e festeggiamo un uomo come Francesco Barberi che della propria competenza di bibliotecario e di organizzatore di cultura ha fatto
non una missione solitaria ed in sé trattenuta ma un nodo di passione
civile al servizio della comunità. Il nostro impegno di amministratori
che lavorano nella stessa direzione di socializzazione delle competenze della cultura e dei valori per la reale democrazia nuova è di proseguire pur tra incertezze e difficoltà personali e storiche il lavoro che
uomini come lui ci insegnano e ci invitano a fare ed a proseguire. Una
nuova politica della pubblica lettura in Capitanata ha già segnato importanti successi. S un compito non facile per realizzarne l’intera curvatura di problemi e di implicazioni. Malgrado le difficoltà che ancora
esistono e sono realissime non saremmo amministratori autentici né
interpreti di una volontà democratica di massa qual è quella che si esprime nella « fame di leggere » dei cittadini di Capitanata se non dedicassimo le nostre migliori energie anche ai problemi di un potenziamento del Sistema Provinciale di Lettura, alle residue difficoltà di
gestione della nostra « Provinciale », alla collaborazione necessaria
con altri livelli di autonomia locale per la creazione di un sistema urbano di pubblica lettura. Impegni questi che, ne sono certo, sono
nell’auspicio anche dei nostri ospiti di stasera che leggeranno in esso
il senso del loro stesso impegno per la riappropriazione sociale viva
della cultura e per il rinnovamento civile della nostra società.
Prof. RICCIARDELLI (Presidente dell’Associazione
l’A.I.B.)
Pugliese del-
Gentili ospiti, signore e signori. Quale presidente della sezione regionale pugliese dell’A.I.B., vi ringrazio di essere intervenuti e porgo il
mio saluto cordiale a tutti. Ringrazio, con l’occasione, il presidente
della
Provincia
per
il
rinnovato
impegno
a
nome
dell’Amministrazione Provinciale di portare avanti più incisamente il
discorso per le biblioteche e per la rete bibliotecarie nella nostra provincia. Un impegno civile, politico e sociale che fa certamente onore
alla Giunta Provinciale in carica. Mi sia consentito di rivolgere un più
caloroso saluto, a nome dei bibliotecari pugliesi, ai nostri illustri ospiti
ed al prof. Barberi, al quale mi lega un antico sentimento di rispettosa
amicizia, unita ad una profonda riconoscenza per quanto egli ha saputo dare agli studi e alle battaglie di rinnovamento con lui condotte dai
bibliotecari italiani. In particolare, desidero personalmente ricordare la
lontanissima prima grossa battaglia democratica di Rimini, piena di
sussulti innovatori. Allora, per noi più giovani, Barberi fu subito amico oltre che maestro. Rivolgo, altresì, un saluto grato ed affettuoso alla
dott.ssa Vinay, cara amica e valentissima bibliotecaria, la quale, oggi,
alla guida dell’A.I.B. nazionale, va compiendo quella
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preziosissima opera di coordinamento operativo e di sensibilizzazione
di massa ai problemi delle biblioteche italiane, di cui le strutture fondamentali della pubblica lettura avevano inderogabile bisogno. Infine,
saluto il prof. Petrucci, che è caro agli studiosi del libro e della cultura
scritta, non solo per la sua autorevolezza scientifica (bene e meglio diceva il presidente della Provincia), ma anche per quella opera di rinnovamento e direi di codificazione che ha saputo introdurre in un ambito di studi finora contrassegnato, forse ingiustamente, da un’area di
aristocratica riservatezza. La mia singolare veste, doppia veste di amministratore e di bibliotecario, lungi dall’essere motivo di qualche imbarazzo, mi suggerisce un’osservazione che non mi pare inopportuna:
non credo sia casuale che un bibliotecario, un’operatore della cultura,
che si realizza compiutamente nella fruizione pubblica e nella sua socializzazione, si trovi in una certa fase della propria vita a gestire la
cosa pubblica. Lungi, altresì, dal considerare in qualche modo esemplare la mia personalissima piccola esperienza, credo di poterne generalizzare il senso, collegandomi proprio a quel che appunto intellettuali civilmente impegnati come Francesco Barberi, Angela Vinay ed
Armando Petrucci hanno fatto e continuano a fare ancora. Essi hanno
sentito, come pochi, che è impossibile essere uomini di cultura senza
essere in campo con gli altri e per gli altri, al di là di ogni narcisismo
ed ogni malinteso senso della neutralità della cultura. Per questo noi
siamo stasera lieti di averli tra noi; per questo sono con me ad essi grati tutti gli operatori pugliesi delle biblioteche e l’intera comunità civile
di Capitanata.
Dott. ANGELO CELUZZA
E’ ancora vivo in me il ricordo di una giornata di studi tenuta in
Arezzo, nell’ambito del Congresso Nazionale delle Biblioteche Italiane organizzato dall’A.I.B..
In quella circostanza bibliotecari italiani e stranieri, autorità, il Ministro ai Beni Culturali e Ambientali e il Direttore Ge nerale
dell’Ufficio Centrale delle Accademie e Biblioteche onorarono in maniera solenne il professore Francesco Barberi, presentando per la prima volta al pubblico il volume « Studi di biblioteconomia e di storia
del libro », curato e pubblicato dall’A.I.B. e realizzato con il concorso
del Ministero ai Beni Culturali e. Ambientali e della Scuola Speciale
per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma, per festeggiare i
70 anni dell’illustre maestro.
Ho partecipato con trepida commozione a quella cerimonia e ricordo l’applauso prolungato, insistente, dei bibliotecari e delle autorità
presenti, allorché, emozionato per quanto succedeva proprio a lui,
schivo di onori e di paludate cerimonie, prese la parola il prof.Barberi,
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per ricordare il suo lungo impegno a favore delle biblioteche italiane e
l’attività di studioso, impegnato in un paese in cui la biblioteca registrava e registra forti ritardi.
« In Italia — scrive infatti il Barberi — non è stato, non solo risolto, ma neppure impostato il problema della biblioteca, a causa delle
cui carenze, le popolazioni meridionali guadagnate all’istruzione, causa la mancanza di un servizio di pubblica lettura di che alimentarla,
sicché la giungla cresceva subito negli scarsi terreni bonificati, e la civiltà contadina — la civiltà degli analfabeti — sopravvive indisturbata
fino ai nostri giorni ». Direbbe Gavino Ledda oggi: « lo studio è roba
per i ricchi ... quello è per i leoni e noi siamo agnelli » (Padre Padrone,
p. 11).
Al bibliotecario, questo sconosciuto, e alla sua formazione ha dedicato molto dei suoi studi, che, nella bibliografia compresa nel volume citato, raggiungono, fino al 31 dicembre 1976, ben 180 voci.
Rammenterò alcuni titoli di questi importanti saggi:
1) Al bibliotecario, questo sconosciuto;
2) Il bibliotecario uomo di azione;
3) La formazione del bibliotecario;
4) Preparazione, specializzazione e utilizzazione del personale
delle biblioteche;
5) Gli studi del bibliotecario;
6) Il bibliotecario e la storia delle biblioteche;
7) Un monito coraggioso;
8) Bibliotecario educatore;
9) Obbiettività del bibliotecario.
E a proposito di quel sentimento di profonda insoddisfazione che
amareggia spesso i bibliotecari e in generale « tutti coloro che esercitano la professione come apostolato » il Barberi nota con acutezza che
ciò non dipende da « un sentimento di vanità insoddisfatti, [o da] una
velleità di esibizionismo» che fa lamentare ai bibliotecari di non essere abbastanza conosciuti dalla società a cui servono: bensì dipende
dalla « consapevolezza dell’importante loro funzione sociale e del loro
attaccamento ad essa », tutti protesi come sono a cancellare
l’immagine di un bibliotecario immerso in un passato di erudizione,
allorché il suo tavolo costituiva « un angolo di protetta, tranquilla operosità letteraria ».
A me preme questa sera riportare il discorso sulla Puglia e sul periodo trascorso in Puglia dal prof. Barberi, durante il quale egli operò
in qualità di Soprintendente Bibliografico.
La nostra terra di Puglia del resto è rimasta ben viva nel suo ricordo,
se a distanza di più di venti anni, ad apertura del suo saggio « Biblioteca e democrazia» pubblicato per la prima volta nella nostra rivista «
La Bibl. Prov. di Foggia» A. I (1962) N. 5-6 e poi compreso nel volume « Biblioteca e bibliotecario » riporta l’episodio di un ragazzo
pugliese, protagonista di un tentativo di incendio alla biblioteca civica,
perché tolto dal padre agli studi.
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« L’insano gesto — scrive il Barberi — di schietta marca meridionale, mirava giusto nel senso che il ragazzo, appena tredicenne,
volle vedere nella biblioteca pubblica quello che non ne riescono ancora oggi a vedere tanti educatori e sociologi italiani: lo strumento
principale quasi il simbolo della liberazione attraverso il libro — una
liberazione alla quale ogni individuo, desideroso e capace, ha diritto in
una società democratica ».
A me — dicevo — preme questa sera ricordare il notevole importante contributo dato dal prof. Barberi in favore della costituzione, della crescita e dello sviluppo delle biblioteche pugliesi, in genere, e della
Provinciale di Foggia, in particolare fondata 40 anni or sono dal Preside della Provincia pro tempore prof. Giustiniano Serrilli, e sostenuta
con notevoli sacrifici nella realtà che è sotto gli occhi di tutti, dalle
amministrazioni democratiche di questi ultimi 30 anni.
Lo farò con il sussidio dei scarsissimi documenti di archivio, sopravvissuti alle vicende belliche, che riguardano l’attività del prof.
Barberi e i suoi rapporti con la Biblioteca Provinciale di Foggia, e in
particolare con il suo primo direttore, il compianto dr. Arturo Marcone.
Quanta trepidazione si coglie dalla lettera del 28 dicembre 1940
con la quale il prof. Barberi approva la decisione di trasferire nel Convento di S. Matteo in S. Marco in Lamis i « manoscritti e stampati
pregevoli appartenenti alla biblioteca ».
Suggerisce per la tutela e la salvaguardia del materiale ogni possibile precauzione e precisa in ogni dettaglio le operazioni da effettuarsi
affinché — egli scrive — « nulla possa andare smarrito o deteriorato
».
La guerra purtroppo si avvicinava a grandi passi e il prof. Barberi
divideva con i pugliesi angosce e preoccupazioni.
E’ del 23 settembre 1943 il seguente laconico, ma preoccupato
messaggio telegrafico, indirizzato dal prof. Barberi al Marcone, in angoscia per la sorte dell’amico e della biblioteca, nata da poco ma ormai semidistrutta dalle bombe piovute dal cielo sulla nostra povera
città: « Pregola darmi notizie sue et biblioteca ».
Nella seconda lettera del 15 febbraio 1942, di grande interesse perché in essa il Barberi suggerisce, pensoso del futuro della biblioteca,
tutto quanto era da predisporre, e l’assunzione dei relativi oneri, per
l’applicazione della legge 24 aprile 1941 n. 393, che detta norme per
le biblioteche dei comuni capoluoghi di provincia.
Le ultime due lettere sono del prof. D’Amato, il soprintendente
della ricostruzione, succeduto in Puglia al Barberi e strappato al nostro
affetto prematuramente; e l’altra del dr. Marcone a Beniamino
D’Amato.
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Nella prima lettera il D’Amato dà notizia al Marcone del partenza
da Bari del prof. Barberi, chiamato dalla Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche a dirigere a Roma Biblioteca Angelica.
Tra l’altro Io informa di quanto accadde al Barberi in Bai in quegli
anni difficili, allorché tornando da Roma ebbe la sgradita sorpresa di
trovare la casa invasa e requisita e scrive della profonda amarezza del
prof. Barberi, ripartito poi per Roma nel luglio successivo.
La seconda lettera, per noi di estrema importanza, è indirizzata dal
Marcone al D’Amato. Dopo aver auspicato che buona parte della sua
[del D’Amato, cioè] futura attività sia spesa a favore della biblioteca
di Foggia, che, tra, le consorelle, è l’unico che abbia subito danni mo lto gravi e forse irreparabili dalla guerra, continua testualmente: « sarei
sconoscente e ingrato se anche parlando con lei e scrivendo a lei suo
successore, il mi pensiero non si fermasse un momento a ricordare
l’opera veramente mirabile che il dr. Barberi ebbe modo di svolgere i
queste stesse regioni, durante il suo lungo ministero di apostolato fra
le neglette biblioteche di nostra terra.
Io lo conobbi — continua — appena pochi giorni dopo aver accettato di dirigere, contro i miei meriti, questa biblioteca nel 1937. Egli
mi fu subito largo di consigli e di aiuti materiali.
Non disdegnò neppure farmi vedere praticamente, pedestremente
come si incollava una etichetta sul dorso di un libro. A me ignaro di
biblioteconomia fu il dr. Barberi che mi insegnò come si schedava un
libro, quali erano i criteri di scelta per incrementare le raccolte e via
via tutto quello che poteva servire per dare impulso all’allora nascente
Biblioteca Provinciale c Foggia. Soleva dire il dr. Barberi che questa
era la sua creatura fra tutte le sue predilette.
Ed invero egli l’aveva vista nascere, ne aveva seguito ogni passo
compiacendosene, e, dopo, fu fiero della crescente popolarità di quella
biblioteca che rapidamente si portava tra le principali di Capitanata.
Io stesso devo a lui tutto quello che so...Con lui — continua il dr.
Marcone — ho diviso i timori, le ansie, le gioie, i trionfi che la biblioteca ci dava ».
La lettera si conclude con un caloroso invito al prof. D’Amato a
non abbandonare la Biblioteca Provinciale di Foggia e lui stesso.
Purtroppo, poco tempo dopo, anche per le amarezze e i disagi affrontati, di fronte allo stato di lacrimevole abbandono in cui era la sua
biblioteca dopo il bombardamento dell’agosto 1942 e dopo aver invano chiesto aiuto a destra e a manca alle autorità, il Marcone si ammalò
gravemente e decedette, lasciando figli in tenera età.
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Ecco perché, prof. Barberi, abbiamo voluto che lei fosse qui questa
sera tra noi, nella rinnovata sede della Biblioteca Provinciale di Foggia, sicuri come siamo che questa sarà la degna continuatrice della sua
« creatura prediletta ».
Mi auguro di aver potuto, più che saputo, contenere la serata nei
limiti rigorosi di un incontro di studio, fra amici, senza fronzoli né
trionfalismi, e né compiacimenti retorici, così come mi ero impegnato
telefonicamente con lei.
Se così non fosse, vorrà perdonarmi!
Alla serata abbiamo voluto che fossero presenti il Presidente
dell’A.I.B., dott. Angela Vinay, che le esprimerà, prof. Barberi, il ringraziamento dell’Associazione che verso di lei ha contratto un grosso
debito, e il ch.mo prof. Armando Petrucci, ordinario di Paleografia
dell’Università di Roma, il quale, con entusiasmo e con squisita cortesia, ha accettato di presentare il recente importante volume edito dalla
Biblioteca « I manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia », a
cura di Pasquale Di Cicco.
Alla dott. Vinay e al prof. Petrucci un grazie sincero; all’amico
Armando il rinnovato ringraziamento, che gli esprimo anche a nome
di tutti gli studiosi di Capitanata, per aver voluto destinare, in dono a
questa Biblioteca, importanti autografi, un ricco epistolario e preziosi
disegni e incisioni dell’illustre compianto genitore, prof. Alfredo Petrucci, al quale la cultura di Capitanata deve moltissimo.
A lei prof. Barberi, insieme con l’omaggio resole questa sera dalla
Puglia tutta intera, la gratitudine dei bibliotecari, dei collaboratori di
ieri e di quelli di oggi, tutti uniti nel doveroso debito di rigorosa professionalità, che riconoscono nel suo lungo e appassionato insegnamento.
Dott.ssa Angela VINAY (Presidente A.I.B.)
Ringrazio per le amabili parole che il Presidente della Provincia e i
colleghi di Foggia hanno avuto nei miei riguardi. Debbo subito aggiungere che dovrei essere io a ringraziare gli amici di Foggia per
questi incontri.
Questa Miscellanea in onore del Prof. Barberi è stata voluta
dall’Associazione Italiana Biblioteche e dai bibliotecari tutti, non per
un omaggio formale ma per un doveroso atto di riconoscenza per
quello che il Prof. Barberi è stato nelle biblioteche da sempre. Non
possiamo pensare ad un sol momento della vita delle biblioteche in
questi ultimi venticinque anni senza avere Barberi come termine di
confronto; e Barberi la persona che ci ha sempre dato le direttive o ha
incoraggiato agli studi dei quali il volume miscellanea è la testimonianza. Gli studi infatti che sono stati raccolti in questa miscellanea
sono indicativi della ricchezza e della varietà degli interessi che hanno
animato la vita professionale del Prof. Barberi e dei riflessi che essi
hanno avuto sulla nostra vita professionale.
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Troviamo contributi più specificatamente bibliologici dal cinquecento al seicento, dall’arte illustrativa alla tipografica; temi che sappiamo più vicini agli interessi del Prof. Barberi. Ma troviamo anche, e
questo significativo e interessante, contributi più tecnici come ad esempio quello di Diego Maltese sulla ristrutturazione dei servizi tecnici di una biblioteca e quello della dott.ssa Carosella «Considerazione
di vent’anni di cooperazione nel campo dell’informazione» o ancora
della dott.ssa Califano-Tentori sulla « Biblioteca Nazionale della
scienza e della tecnica ». Temi tutti che indicane l’apertura delle biblioteconomia ad argomenti diversi da quelli che si è soliti pensare
possano avere interessato lo studioso della tipografia italiana.
La caratteristica infatti di Barberi nei confronti dei bibliotecari è
sempre stata questa: una grande disponibilità a considerare le novità
via via che esse si affacciavano sulla scena inter nazionale e ad indirizzare ad esse i giovani colleghi. Il che ha permesso ad intere generazioni di realizzarsi in settori specifici in maniera armoniosa e completa. La testimonianza più significativa di questa sua qualità, mi pare si
possa ricavare dal bellissimo saggio introduttivo del Prof. Wieder, amico personale di Barberi ed amico di molti bibliotecari italiani. Wieder traccia di Barberi un profilo molto suggestivo. Da un felice confronto tra Barberi e Luigi De Gregori — il bibliotecario della vecchia
generazione nel quale il giovane Barberi cercò un modello da imitare
— Wieder trae la conclusione di una certa rassomiglianza di carattere
tra i due, rafforzata da una singolare analogia di carriera
Barberi impersona quella virtù indicata da De Gregori come fondamentale per i bibliotecari: la modestia. « La semplicità e li schiettezza a lui proprie si riflettono perfino nel suo linguaggio dal quale
sono stati sempre assenti la declamazione, la retorica e ogni virtuosismo. La sua figura, piccola e certo non imponente sembra crescere
quando egli si trova ad esporre e a far valere con intimo vigore la propria opinione: chiara, intelligente, creta, sempre frutto di profonda
esperienza ».
« Energia e dinamismo, osserva sempre Wieder, nascevano in lui
dall’esemplare senso di responsabilità che lo aiutava a rispettare un
ordine di priorità nei suoi impegni. La coscienza del dovere, mai venuta meno, e la specifica competenza gli hanno permesso di trovare la
giusta via in un mondo di profondo rivolgimento e di continue tensioni come quelle che turbano oggi la professione dei bibliotecari nel
contrasto fra passato e presente fra tradizione e rinnovamento, fra teoria e pratica, fra attività scientifica e attività amministrativa ».
Si può capire come la sua vita professionale abbia dovute subire
amarezze e delusioni le quali, in un paese così pieno di ricchezze del
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passato, dovevano venirgli proprio dal fatto che nelle biblioteche italiane lo splendore e la miseria si trovano fianco a fianco e che è così
evidente il divario tra l’epoca della rinascenza dell’illuminismo e
l’inefficienza delle attrezzature di molte biblioteche del presente.
La conoscenza della letteratura specialistica internazionale della
biblioteconomia straniera, ad esempio degli Stati Uniti della Repubblica Federale Tedesca, paese nei quali aveva compiuto viaggi di studio non hanno fatto che accrescere in lui la convinzione che fossero
necessari sforzi giganteschi per raggiungere gli sviluppi e progressi
degli altri paesi democratici per uscire dall’inferiorità di struttura arretrata, di mezzi finanziari e di personale insufficiente, di edifici inadeguati.
Di qui i suoi continui decisi sforzi in favore della formazione professionale, della specializzazione adeguata ai tempi, dell’applicazione
dei più qualificati principi funzionali e tecnici, di qui la sua azione
impegnata, ammonitrice, stimolante di politica bibliotecaria e culturale e la sua propensione per la salvezza e il successo della nostra moderna società pluralistica. Particolarmente pensoso per lui è stato il
constatare che la famiglia dei bibliotecari italiani relativamente piccola ma operosa e vivace ha avuto scarsi risonanza e considerazione
nell’opinione pubblica, e che la missione da essa svolta non ha trovato
la dovuta comprensione nelle autorità politiche e responsabili della vita del paese Wieder osserva, inoltre, molto opportunamente come « un
tal instancabile amico dei libri delle biblioteche sia stato anche sempre
amico dei giovani e non soltanto grazie alla sua attività di docente universitario. Gli è accaduto così spesso di scoprire nuovi talenti che ha
saputo sempre incoraggiare e avviare ad una proficua attività
Questa miscellanea è il risultato di questa attività di stimolo del
Prof. Barberi. I contributi che vi sono contenuti sono per ciascuno di
coloro che li ha scritti il risultato di un colloquio di un suggerimento,
di una suggestione venutagli dal contatto con il Prof. Barberi: funzione instancabile che non ha a tutt’oggi avuto un termine.
Noi consideriamo questa miscellanea non il punto finale di
un’attività, ma un momento di riflessione, un momento che con senta
a tutti noi di fare un bilancio. Che la sua attività sia ancora nel suo
pieno sviluppo appare evidente dalla bibliografia a fin volume: si arriva al 1976 con la recensione, vivacissima, polemica, al volume del
prof. Petrucci « Primo: non leggere », volume che ha suscitato in Barberi naturalmente una serie di reazioni e di contrappunti a dimostrare
come tutti i problemi sollevati da Petrucci siano per lui ancora oggi
problemi vivi, noi problemi da trattare in maniera teorica. Per questo
la Miscellanea ha un preciso significato: non si è trattato di esercizio
accademico, non ha voluto essere un omaggio formale.
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Ha voluto veramente presentare al Prof. Barberi il frutto di quanto
egli ha seminato dimostrandogli che in tutti questi anni nei quali è stato « fuori » dall’amministrazione si è continuato a produrre qualche
cosa proprio grazie alla sua « presenza » in tutte le sedi dove si tratta
di biblioteche. Sottolineo questa sua presenza « produttiva » stimolo
ad affrontare i problemi, ad inserirli nel vivo della realtà in cui si vive,
calati in un discorso politico generali inteso come premessa necessaria
per consentirci di uscire dalle secche in cui da sempre siamo impantanati.
Prof. ARMANDO PETRUCCI
Il Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia,
che io questa sera ho il compito di presentare, è un’open importante ed
opportuna, perché rivela un fondo assai ricco di cui ben pochi « addetti ai lavori » conoscevano fino ad ogg l’esistenza. Esso comprende la
descrizione di circa trecento pezzi in parte già appartenuti alla Biblioteca Comunale, e in parti acquisiti dalla Provinciale per varie vie, e
soprattutto per acquisto. La descrizione dei vari pezzi, opera del Dr.
Pasquale Di Cicco Direttore dell’Archivio di Stato di Foggia, è accurata ed attenta sia agli aspetti esterni, sia a quelli interni dei singoli
manoscritti ma vorrei dire che il pregio maggiore del volume consiste
ne] l’organicità e unitarietà del fondo che è descritto: un fondi legato
direttamente alla storia della città che lo ospita e al suo territorio, e
prevalentemente moderno; tranne, forse, l’unico codice scritto in Toscana nel 1475, che contiene la Vita di Dante del Boccaccio (N. 1 del
Catalogo) e che proviene dalla biblioteca Zingarelli. In effetti la raccolta di manoscritti foggiana è prevalentemente costituita dai fondi già
privati appartenuti nel passato a tre studiosi dauni di notevole fama ed
importanza: Michele Bellucci, Nicola Zingarelli e Romolo Caggese.
I problemi di conservazione, ordinamento e catalogazione chi i
fondi di manoscritti moderni presentano agli studiosi ed a bibliotecari
sono molteplici e di non facile soluzione, anche per la diversa tipologia che essi di solito presentano. Essi possono infatti, essere semplicemente dei libri manoscritti, eseguiti a volte ad imitazione del libro a
stampa, soprattutto al fine di diffondere testi la cui stampa era proibita; possono essere minute, brogliacci, fogli sciolti costituenti la prima
stesura d autore di opere poi diversamente elaborate e quindi pubblicate possono consistere in archivi letterari veri e propri, ove, al di là dei
puri e semplici carteggi, confluivano materiali vari, a stampi e manoscritti, raccolti dal singolo personaggio, infine, essere veri e propri archivi o serie di natura archivistica; nel qual caso vari problemi
dell’ordinamento e della descrizione vanno risolti con metodi e criteri
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archivistici, non bibliotecari, privilegiando i concetti di unità organica
e di serie, non già quello di singolo pezzo.
Sento anche il dovere, a questo punto, di rispondere ad un quesito
che forse alcuni o molti dei presenti si pongono: come mai lo stesso
personaggio che qualche tempo fa è stato qui in questa stessa sala, a
discutere di temi assai diversi, riguardanti i problemi della pubblica
lettura, a proposito di un su libro un po’ « scandaloso » (Primo: non
leggere), scritto insiemi con Giulia Barone, torna oggi fra noi a farci
tutt’altro discorso di manoscritti moderni, di metodi di descrizione e di
conservazione, ecc. ecc.; come si collegano i due discorsi? Ebbene, io
credo che proprio a proposito di un fondo di manoscritti come quello
foggiano si possa avviare un discorso sul valore sociale, in rapporto
con il territorio, di raccolte di documentazione storica quali quella di
cui stiamo qui discorrendo; poiché, infatti, a me sembra che ove questi
fondi di manoscritti mantengano, come in questo nostro caso, la loro
integrità nei tempi, essi finiscono per costituire e rappresentare la
memoria storica di una regione, di una città, di un territorio. Ordinarli,
catalogarli, studiarli, metterli a disposizione del più vasto pubblico significa recuperare nelle sue stesse fonti una tradizione storicoculturale con la quale è necessario confrontarsi, anche per avviare processi di rinnovamento su strade tutt’affatto diverse da quelle che nelle
fonti rivivono.
Un esempio eloquente della validità di tale impostazione è fornito
qui dai due fondi Zingarelli e Caggese. Nicola Zingarelli, grande studioso di filologia romanza e dantista, autore di un famoso vocabolario
della lingua italiana, era nato a Cerignola, ma svolse tutta la sua attività di letterato e di professore fuori della Puglia, e morì a Milano nel
1935; ebbene, anche l’attività di studioso dello Zingarelli, apparentemente lontana dagli interessi specifici del territorio dauno, serve a
rappresentare al vivo la figura di uno di quei tanti intellettuali pugliesi
trasferitisi al Nord fra Ottocento e Novecento, a disegnare il profilo di
una figura caratteristica del panorama culturale italiano e della élite
colta meridionale del primo Novecento. Un tale discorso vale ancora
di più per Romolo Caggese, nato ad Ascoli Satriano, anche lui professore universitario, anche lui morto a Milano nel 1938, e protagonista
di una vicenda culturale e politica assai più complessa di quella di
Zingarelli, che lo vide prima socialista è poi anche fascista e vicino a
Giovanni Gentile. Ebbene, conoscere meglio, attraverso le lettere, i
documenti, gli appunti personali, l’archivio privato, le vicende intellettuali e politiche di uomini come Zingarelli o Caggese non è indifferente a quella presa di coscienza del proprio passato che è primo dovere di una comunità cosciente del proprio ruolo storico in una società
democratica.
76
FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA____________________________________________________________
E’ evidente a tutti che la ricostruzione della civiltà culturale di una
qualsiasi realtà geografico-politica è possibile soltanto se se ne ricostruiscono, ordinano, studiano gli archivi delle testimonianze. Ed io ritengo che sarebbe di grande importanza se qui a Foggia la Biblioteca
Provinciale e l’Archivio d Stato, attraverso opera di acquisti, ma anche
di rilevamento in loco e di riproduzioni, provvedessero a costituire un
archivio delle testimonianze della cultura scritta della Daunia di ogni
tempo, delle iscrizioni classiche e medievali, ai documenti, a quadernetti del movimento sionista del Manduzio di Sannicandro; e ciò in
parte già si sta facendo, e ho fiducia che si continuerà a fare.
Prof. BARBERI
Ringrazio di cuore, prima di tutto, dell’invito che mi è stato rivolto
a questa manifestazione; in secondo luogo, con commozione, delle
troppo benevole parole che nei miei riguardi hanno avuto il Presidente
dell’Amministrazione Provinciale, il Presi. dente della sezione pugliese dell’AIB, il Direttore della Biblioteca amico Celuzza e la signora
Vinay, Presidente nazionale del l’Associazione.
Penso che non si potesse celebrare in modo migliore il quarantesimo anniversario della fondazione della Biblioteca Provinciale
che presentando un’opera, la quale ha il valore scientifico che Armando Petrucci ha sottolineato, e secondo me ne ha anche un altro. Nella
descrizione dei manoscritti — il fondo più pregevole della Biblioteca
— mi sembra di cogliere un nesso con la Biblioteca Comunale, che fu
riunita a questa dopo cento anni dalla sua nascita. Questo è bello: dimostra, come meglio non si potrebbe, come una biblioteca viva, assume e valorizza l’eredità di istituti più modesti, che in passato assolsero una nobile funzione. La Comunale, infatti, fondata nel 1833, per
oltre un secolo custodì gelosamente il suo patrimonio librario.
L’amico Celuzza, in modo toccante, mi ha provocato riesumando
alcuni ricordi. A essi, se permettete, vorrei aggiungerne qualche altro.
Fui soprintendente della Puglia e della Lucania dal 1935 al ‘43. Torno
a Foggia dopo trentaquattro anni. Nel luglio del 1943 mi recavo da
Bari in Abruzzo, pochi giorni dopo un disastroso bombardamento di
Foggia. Il treno fu fermato alla stazione prima, perché la ferrovia era
saltata: come deportati in Siberia, di notte, attraversammo la città deserta e ridotta ad allucinanti cumuli di macerie, dalle quali emanava un
fetore di cadaveri. Questo ricordo, che si affaccia per primo, accresce
la mia ammirazione per una città oggi fiorente e per questa Biblioteca,
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____________________________________________________________FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA
la cui realizzazione spettacolosa dovrebb’essere conosciuta non solo
dai bibliotecari e dagli amministratori italiani, anche settentrionali, ma
da quegli stranieri che conoscono una realtà bibliotecaria italiana assai
diversa.
Nei ricordi che mi legano a questa città torno volentieri agli anni di
fervida operosità, quando la mia attività di soprintendente fu affiancata dalla iniziativa, che il Preside (così allora si chiamava) della Provincia, Giustiniano Serrilli, — uomo di lettere e umanista di San Marco in Lamis — coraggiosamente intraprese di creare una Biblioteca
Provinciale: una iniziativa nella quale fu sostenuto dal prefetto Avenanti, fascita tutto d’un pezzo, che andò volontario in Russia, di dove
non fece ritorno. I prefetti, in generale, non amano le biblioteche, tagliano dai bilanci comunali i modesti stanziamenti che le riguardano
(mai, però, quelli per le squadre di calcio); ma Avenanti faceva eccezione alla regola: una volta redarguì severamente il podestà di San
Giovanni Rotondo, il quale, alle prese con la distribuzione delle tessere annonarie, si era mostrato insofferente verso di me, che ero andato a
parlargli della povera biblioteca comunale (dopotutto, aveva ragione
lui).
Delle biblioteche, in particolare di capoluogo di provincia, quella
di Foggia mi dette le maggiori soddisfazioni, anche se non potevo
prevedere che il seme gettato avrebbe poi dato frutti così eccezionali.
Era fin da allora intenzione del Preside Serrilli di dare alla Provinciale
una sede più degna dì quella di palazzo Dogana; la guerra travolse il
progetto e, in parte, la Biblioteca stessa. Al nome di Serrilli va doverosamente associato quello del bravissimo, zelante incaricato della direzione Arturo Marcone — spentosi quarantaduenne, perché sofferente di cuore — e anche quello dell’anziano direttore della Comunale
Rodolfo Santollino: bibliotecario di vecchio stampo, che, tormentato
dal conflitto interiore di chi, geloso custode della sua biblioteca, doveva distaccarsene, pur convinto di ciò che rappresentava di positivo il
passaggio del vecchio istituto al nuovo.
In un primo tempo il Preside Serrilli pensò di affidare la direzione
di questa al migliore bibliotecario della Puglia, Giambattista Gifuni di
Lucera, morto pochi mesi fa in età molto avanzata. Gifuni era affezionatissimo alla sua città e alla sua biblioteca, e stimato cultore di storia
non soltanto locale; era perciò dubbioso se accettare l’incarico. Chi lo
dissuase fu l’amico Benedetto Croce, il quale gli disse: — che cosa
andate a fare a Foggia? Foggia non ha le tradizioni culturali di Lucera.
— Il filosofo napoletano concepiva le tradizioni culturali come qualcosa di statico, e la biblioteca volta esclusivamente al passato, riservata a una élite di intellettuali, sia pure di provincia; non si rendeva
conto della missione che in una città-capoluogo la biblioteca pubblica
assolve soprattutto verso i giovani, ma anche verso quelli che Giuseppe Lombardo-Radice chiamava gli analfabeti avvocati, e perfino verso
ceti proletari che si affacciavano al mondo dell’alfabeto e
dell’istruzione.
79
FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA____________________________________________________________
Questo, in una provincia dove qualche decennio prima il bracciante Giuseppe Di Vittorio aveva scoperto il vocabolario. Che Benedetto
Croce avesse torto non solo in teoria ma anche di fatto lo dimostrò il
numero dei lettori che prima della crisi bellica, che impose riduzioni
di nevamo le lezioni io, Marcone e Santollino.
Per dare un riconoscimento e una valorizzazione alla nascente
Provinciale, nel 1939 proposi al Ministero di tenere
Foggia il corso annuale per dirigenti di biblioteche popolari. I corso riuscì in modo sorprendente, perché maestre e aspiranti maestre,
che dal certificato di frequenza si ripromettevano i mezzo punto per la
loro carriera e i loro concorsi, parteciparono con vivo interesse, “scoprirono” la biblioteconomia e la bibliografia, si appassionarono a casi
difficili di catalogazione. Tenevamo le lezioni io, Marcone e Santallirio.
Lasciai la Puglia nel 1943; mi successe Beniamino D’Amato colto
e appassionato del suo lavoro; Celuzza lo ha ricordato poco fa, rammaricandosi per la grave perdita che la sua morte immatura rappresentò per la Provinciale di Foggia, e ovviamente non solo per essa.
Alle figure scomparse che ho ricordato vorrei aggiungere un’altra,
non di bibliotecario professionista e non foggiano: Giovanni Tancredi
di Monte S. Angelo. Egli fu insieme apostolo della biblioteca popolare
— che aveva fondato e gestiva con sacrificio nella sua città — e raccoglitore instancabile delle sue testimonianze orali, scritte, iconografiche, artigiane. Ho pubblicato anni fa su una rivista di Foggia una lunga lettera, che il Tancredi mi scrisse e nella quale si mescolava stranamente il pessimismo dell’intellettuale meridionale e una spolveratura di fascismo. L’opera di Giovanni Tancredi va ricordata da questa
Biblioteca, che ne ha assunto e sviluppato la duplice attività pionieristica.
Concludo questi brevi ricordi con le parole del Poeta: quel che è
scomparso, ridiviene (per un momento) reale, « und was verschwand,
wird mir zu Wirtalich, keiten ». Grazie.
80
MOSTRA BIBLIOGRAFICO-DOCUMENTARIA
NEL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DI ALFREDO PETRUCCI
Foggia. 8 ottobre 1979. Catalogo.
Nella ricorrenza del decimo anniversario della morte di Alfredo
Petrucci, l’Amministrazione Provinciale di Foggia e la Sezione Dauna
della Società di Storia Patria per la Puglia hanno organizzato per il
giorno 8 ottobre, presso la Biblioteca Provinciale, una cerimonia
commemorativa in onore dell’illustre conterraneo.
Per l’occasione è stata allestita una mostra, nella quale, accanto ad
opere a stampa, sono stati presentati manoscritti, autografi, incisioni di
Alfredo Petrucci, donati dal figlio professor Armando alla Biblioteca
Provinciale.
La mostra, allo scopo di meglio evidenziare gli interessi culturali e
l’attività artistico-letteraria di Alfredo Petrucci è stata articolata in
cinque sezioni: « Scritti su Gargano e sulla Puglia »; « Scritti d’arte e
di critica d’arte »; « Il poeta e il narratore »; « Incisioni e disegni »; «
Epistolario ».
Il contenuto delle opere presentate, i soggetti delle incisioni e dei
disegni, gli argomenti dibattuti negli articoli giornalistici e nella fittissima corrispondenza con molte personalità del mondo culturale italiano e straniero consentono di delineare l’eclettica personalità ed molteplici interessi di Alfredo Petrucci studioso ed artista « non provinciale
» della provincia di Foggia.
Nacque a Sannicandro Garganico il 12 marzo 1888 da Carlo e da
Gerolamina De Grazia e, poiché il Gargano del secolo scorso era una
regione estremamente periferica e depressa, tanto Alfredo quanto i
suoi sei fratelli dovettero affrontare notevoli difficoltà per studiare ed
inserirsi nella società.
81
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
A Napoli frequentò contemporaneamente l’Università e l’Istituto
di Belle Arti; si laureò in Lettere e Filosofia con il filosofo Igino Petrone e successivamente entrò nella carriera delle Antichità e Belle Arti. Fu soprintendente ad Ancona, a Siena, dove nel 1915 sposò Nilla
Ruggiero, a Bari ed infine a Roma nel 1922, qui rimase sino alla mo rte, nel 1969.
Nel 1923 vinse insieme ad Achille Geremicca il concorso nazionale dei romanzo, bandito dalla Società degli autori di Roma, con un libro intitolato nel manoscritto « La casa della sapienza » e
nell’edizione a stampa « Le parole per tutte le ore ».
Nello stesso anno organizzò a Roma, in Palazzo Salviati, una mostra di artisti pugliesi, che fece conoscere, tra gli altri, lo stesso Petrucci, il quale vi espose le sue due più note acqueforti: « Beethoven »
e « Leopardi ».
A Roma si affermò come esperto in materia di stampe antiche e
moderne, divenendo nel 1940 direttore dei Gabinetto Nazionale delle
Stampe; questo incarico, cui sarebbe seguita nel 1953 la nomina di
conservatore onorario dell’Istituto, fu ricoperto per molti anni, durante
i quali allestì importanti mostre: « I capolavori dell’incisione »; «
L’Ottocento italiano »; « L’Ottocento europeo »; « Il Durer ».
Sempre nel campo della storia dell’incisione pubblicò opere di rilievo come: « Le magnificenze di Roma di G. Vasi »; «Il Caravaggio
acquafortista e il mondo calcografico romano »; « I maestri incisori »;
le tre parti finora pubblicate del « Panorama della incisione italiana » e
cioè « Il Quattrocento »; « Il Cinquecento » e « L’Ottocento ». Infine
« Gli incisori italiani all’estero » .
Per questi studi gli fu conferita dal Presidente della Repubblica,
nel 1959, la medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte.
Gli interessi del Petrucci non si limitarono alla storia
dell’incisione; infatti, non dimenticò mai la terra d’origine, anzi i suoi
primi studi furono rivolti a descrivere e valorizzare i monumenti di
Puglia ed in particolare del Gargano, come testimoniano gli appunti, le
82
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
bibliografie, i disegni autografi e le fotografie conservati tra le sue carte.
D’altronde l’amore per la terra d’origine traspare chiaramente nelle opere; sia che descriva quello splendido monumento che è Castel
del Monte, sia che cerchi di risolvere l’affascinante mistero della
Tomba di Rotari, sia che si soffermi sui segreti dell’antichissima chiesa di Siponto, scoprendo in Capitanata, prima che in Toscana, alcuni
elementi del cosiddetto « stile pisano ».
Le continue ricerche sulle antichità pugliesi gli ispirarono ancora
le belle pagine su San Leonardo di Siponto e quelle intense per la riscoperta della rara e pregevole statua premillenaria in legno della Madonna di Siponto, da lui portata alla luce della notorietà.
Queste giovanili esperienze storico-artistiche pugliesi e l’amore
sempre presente per la sua terra si sintetizzarono, negli anni della vecchiaia, in una delle opere più riuscite e fortunate — « Cattedrali di Puglia » — ricca di incisioni e dis egni originali.
Nell’opera, oltre a rivendicare con forza gli elementi autoctoni
dell’arte pugliese, risolse anche il mistero dell’epigrafe all’interno della Tomba di Rotari, intuendo e spiegando che il termine « incolamontani » costituiva una unica parola per intendere « montanari », cioè abitanti di Monte Sant’Angelo.
Inoltre, segnalò due dei più preziosi manufatti in legno della Puglia
bizantina: il Cristo benedicente di S. Giovanni in Lamis, camuffato
poi da S. Matteo e la Madonna col bambino della chiesa sotterranea di
Siponto.
La terra natia divenne anche soggetto di disegni ed incisioni, apparsi in giornali, riviste, pubbliche esposizioni e conservati in gallerie
italiane ed estere.
Nei suoi disegni accanto ai più suggestivi angoli di antiche città italiane — Siena, Bari, Perugia, Cagliari — con le stradine, gli archetti,
le torri merlate, è sempre presente il Gargano raffigurato nei suoi mo lteplici volti: aspro e sereno; tempestoso e calmo. Basti pensare alla
Torre costiera, a Rodi, Montepuccio, Vieste ed al Castello dei
83
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Giganti, muraglia stagliata contro un cielo di tempesta.
La sensibilità artistica che si manifesta nei disegni e nelle acqueforti è la stessa che vibra nelle opere letterarie.
Poesie: da « Ruit hora » del 1910 al « Piccolo poema dei nostri
giorni » a « Dietro l’opaca siepe », « La Radice e la Fronda », « Tre
paesi e tre canti », sino alla raccolta più completa ed intensa « Esitazione della sera ».
Novelle: « La povera vita » del 1914, « Due scarpette di panno
rosso ».
Romanzi: « La luce che non si spegne », « Le parole per tutte le
ore », « Il romanzo di una primavera ».
In quasi sessant’anni di attività letteraria Alfredo Petrucci conobbe
le correnti poetiche degli ultimi tempi: Futurismo e Crepuscolarismo;
Ermetismo e Neo-realismo, ma tale conoscenza gli impedì di cadere
negli eccessi e gli consentì di rimanere ugualmente distante dal semplicismo crepuscolare o dall’aridità dell’esagerato ermetismo.
Come nella poesia anche nelle novelle Petrucci si mantenne in perfetto equilibrio tra concreto e fantastico e riuscì a portare la Puglia e le
sue genti nella letteratura. Nelle novelle, infatti, non appaiono soltanto
i luoghi ed i personaggi dei paesi pugliesi di mare e di montagna, ma
vive anche l’intima essenza della Puglia e della sua gente nei momenti
di gioia e di dolore.
Oltre che all’amore della terra natia, Petrucci si ispirò anche alla
vita quotidiana ed agli affetti familiari, sentimenti che animano opere
come il « Piccolo poema dei nostri giorni » del 1918, « La luce che
non si spegne » e « Le parole per tutte le ore ».
Si potrebbe parlare ancora a lungo del Petrucci artista, storico,
poeta, ma è estremamente difficile seguire tutte le fila della sua straordinaria operosità.
Fu, infatti, anche storico di Roma e del Risorgimento; novelliere
per l’infanzia in due opere edite dalla S.E.I.: « Fra terra e cielo » e «
Arcobaleno »; infine, pubblicista di grande successo nella terza pagina
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
de « Il Messaggero » e de « Il Gargano » che ospitarono a lungo le sue
prose d’arte e di storia, le novelle e le poesie.
Pertanto, oltre ogni altra considerazione, il ritratto che si ottiene di
Alfredo Petrucci dalla lettura delle opere, delle lettere e degli appunti
è quello di un uomo con una visione senza incertezze del dovere, del
giusto, del bene, addolcita però dalla profonda umanità e dalla vivacità
dell’intelligenza, pronte sempre a cogliere con sorriso l’intima essenza
della vita.
Antonio Ventura
BIBLIOGRAFIA
BIORDI, Raffaello, Alfredo Petrucci. In: GA RGANO (IL). Anno XX.
1969. N. 7, pag. 3.
CAPUANO, Michele, I grandi garganici. Foggia 1966, pp. 215-234.
D’ADDETTA, Giuseppe, Ricordo di Alfredo Petrucci. In: GA RGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 6, pag. 1.
FRATTAROLO, Renzo, Alfredo Petrucci. In: GARGANO (IL). Anno
II. 1951. N. 8, pag. 3.
RICORDO di Alfredo Petrucci. In: CRONACHE DI ALTRI TEMPI.
Anno XVI. 1969. N. 184.
SERRICCHIO, Cristanziano, Il Gargano, la Puglia, la Natura nell’opera di Alfredo Petrucci. Foggia, 1961. « Quaderni de Il Gargano. 15 ».
SERRICCHIO, Cristanziano, La Puglia nell’opera di un suo figlio. In:
STUDI di storia dell’arte bibliologia ed erudizione in onore di Alfredo Petrucci. Milano-Roma, s. d.
SOCCIO, Pasquale, Ultimo viaggio. In: PETRUCCI, Alfredo, Pernix
Apulia, pagine sparse di vita, di storia e di arte pugliese. Bari,
1971, pp. 5-14.
VALLONE, Aldo, La « vaga favolosità » di Petrucci. In: NUOVA
ANTOLOGIA. 1971. N. 2045, pp. 63-75.
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CATALOGO
MANOSCRITTI
1 - PETRUCCI, Alfredo
Antico e moderno. Dissidio fittizio.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 6; numerazione originale a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
2 - PETRUCCI, Alfredo
Appunti su correnti artistiche italiane.
Cart.; sec. XX; mm. 240 x 185; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte;
bianche le cc. 3 - 5 t., 10 - 14 t., 16 - 17 t.; autografo.
La disposizione degli appunti è la seguente: Neoclassicismo; Romanticismo;
Piemonte; Primo e Secondo romanticismo lombardo; Napoli.
3 - PETRUCCI, Alfredo
Artisti foggiani. Bibliografia ed appunti.
Cart.; sec. XX; mm. 220 xx 160; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte;
bianche le cc. 1 t., 2 - 6 t., 19 t.; autografo.
Sotto il frontespizio: « Di pertinenza personale collocate qui temporaneamente
per cavarne le notizie bibliografiche utili » e la firma.
Notizie su artisti foggiani nelle cc. 14 - 22: Niccolò da Foggia; Bartolomeo da
Foggia; Riccardo da Foggia; Gualtiero da Foggia.
4 - PETRUCCI, Alfredo
Bibliografia autografa.
Cart.; sec. XX (1903-1959); mm. 80 x 120; cc. 2000; sciolte; scritte solo recto; autografo.
Ricchissima bibliografia artistica, ordinata per schede, nella quale compaiono
tutte le opere di Alfredo Petrucci, le recensioni e le opere di vari critici d’arte.
5 - PETRUCCI, Alfredo
Bibliografia storico-artistica della Provincia di Bari. Cart.; sec. XX; mm. 310
x 210; cc. 30 (in origine numerate sino a 31); sciolte; scritte su r. e t.,; mancano le cc. 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12; le cc. 1, 15, 17, 19, 23, 25, 27, 29 sono numerate due volte; numerazione originale a penna; autografo.
La bibliografia riguarda le seguenti città: Acquaviva delle Fonti; Alberobello;
Altamura; Andria; Bari; Barletta; Bisceglie; Bitonto; Canosa; Castel del Monte; Ceglie; Conversano; Corato; Egnazia; Gioia del Colle; Giovinazzo; Gravina; Modugno; Mola di Bari; Molfetta; Monopoli; Ruvo; Terlizzi; Trani.
6 - PETRUCCI, Alfredo
Canti del tempo antico. Un amore provinciale.
Cart.; sec. XX; mm. 230 x 140; cc. 9; numerazione recente a matita; sciolte;
autografo.
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Poesie.
7 - PETRUCCI, Alfredo
Consolazione del canto.
Cart.; sec. XX; mm. 180 x 220; cc. 75; numerazione recente a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Poesie.
8 - PETRUCCI, Alfredo
Dietro l’opaca siepe. Poesie.
Cart.; sec. XX; mm. 285 x 200; cc. 58; numerazione originale a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni ed aggiunte autografe.
L’opera si divide in cinque parti: Terra dei padri; Ombre di nuvole in terra;
L’ilare burattinaio; Il mio pane; Consolazione del canto.
9 - PETRUCCI, Alfredo
Donatello.
Cart.; sec. XX (1908); mm. 210 x 140; cc. 44; numerazione originale a penna;
sciolte; scritte sul recto; autografo.
In fine la data 1908 e la firma.
L’opera fu pubblicata a Buenos Ayres nel 1914.
10 - PETRUCCI, Alfredo
Disegni, abbozzi di vedute di Siena (1915) e Bari (1915-1922).
Cart.; sec. XX (1915-1922); mm. 190 x 130; alcune di diverso formato; cc. 51,
sciolte; autografo.
I 51 disegni sono stati eseguiti ad inchiostro di china.
Ai bozzetti di Siena è allegato un dattiloscritto di cc. 9 intitolato “Vecchie
strade di Siena », pubblicato con i disegni a Bergamo nel 1917.
11 - PETRUCCI, Alfredo
E così cento e così mille di mille.
Cart.; sec. XX (1917); mm. 195 x 145; cc. 4; numerazione recente a matita;
sciolte; scritte su r. e t.,; autografo.
In fine la data « Bari, 12 giugno 1917 » e la firma.
Poesia dedicata ai caduti della Grande Guerra.
12 - PETRUCCI, Alfredo
Epigrammi della montagna. (La strigghia e ‘u punzeche).
Cart.; sec. XX (1950); mm. 250x 220; cc. 21; numerazione originale a matita;
sciolte; scritte su r. e t.; autografo.
Allegato dattiloscritto di cc. 23 e la presentazione di Cristanziano
Serricchio di cc. 4 dattiloscritte.
13 - PETRUCCI, Alfredo
F. Lenormant: “A’ travers l’Apulie et la Lucanie ».
87
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Cart.; sec. XX; mm. 227 x 160; cc. 4; sciolte; bianca la c. 4 t.; autografo.
Articolo sull’opera di F. Lenormant « A’ travers l’Apulie et la Lucanie ».
14 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano monum (entale).
Cart.; sec. XX; mm. 205 x 150; alcune di diverso formato; cc. 37; numerazione recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 5 t.,; 6 r.; 9 r. e t.; 10 t.; 17 t.; 20 t.; 22
t.; 26 t.; 29 t.; 30 - 31 r. e t.; 34 t.; 36 t.; autografo.
L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi; Tomba di Rotari (cc. 2-9);
Manfredonia. Cappella della Maddalena (cc. 10-16); Lesina (cc. 17-31); Castel del Monte (cc. 32-37).
15 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano monumentale.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 42; sciolte; dattiloscritte.
Dei dieci paragrafi ne sono conservati solo quattro: il 2° - S. Maria di Siponto;
il 5° - S. Maria Maggiore di Monte; l’8° - La Tomba di Rotari; il 10° - Tramonto dell’età monumentale (in doppia copia).
16 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano e i suoi monumenti medioevali. Con illustrazioni nel testo e fuori
testo.
Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 55 (in origine numerate sino a 123); sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe; numerazione originale a penna; sotto il frontespizio in un riquadro di mm. 50 x 50 un disegno autografo riproducente il « Pellegrino al Gargano ».
L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi: Il volto del promontorio (cc.
3-4); 1. Nascita d’uno stile (cc. 5-6); 2. Primitive botteghe garganiche (cc. 710; le cc. 7 a 9 sono in duplice copia); 3. I tre amboni di Acceptus (cc. 11-14);
mancano le cc. 15 a 38; 8. Il costruttore « Benedictus» (c. 39, manca la e. 40);
9. La cattedra del litigio (cc. 4146); 10. L’« Ecclesia deserta » di Calena (cc.
47-49); 11. Da Calena a Pizzomunno (c. 50, mancano le cc. 51-52); 12. Ricchezza e povertà di Montesacro (cc. 53-56, manca la c. 54); mancano le cc. 57
a 88; 21. S. Maria di Pulsano (cc. 89-91); 22. L’occhio del Ciclope (cc. 91 bis94); mancano le (cc. 95 a 110); Note (cc. 111-123).
Allegati 22 disegni autografi in bianco e nero.
17 - PETRUCCI, Alfredo
Giulio Giannelli.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 8; numerazione originale a penna; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
88
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
In fine la firma.
Allegata una poesia autografa con firma di Giulio Giannelli.
18 - PETRUCCI, Alfredo
I due solchi. Poema del Tavoliere. Testo di Alfredo Petrucci musica di Raffaele Gervasio.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 15; numerazione originale matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Allegata una seconda copia dattiloscritta del lavoro di cc. 10 numerate originalmente a matita da c. 4 a c. 14.
19 - PETRUCCI, Alfredo
Il paesaggio pugliese nella pittura.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 10; numerazione originale penna; sciolte;
scritte su r. e t., autografo.
Sono esaminate le opere dei pittori Francesco Netti, Saverio Altamura, Giuseppe De Nittis, Giuseppe Casciaro, Vincenzo Verrino, Salvatore Maddalena,
Francesco Romano.
20 - PETRUCCI, Alfredo
Il ratto di Cunizza. Tre atti di Alfredo Petrucci per la musica di [Ettore Porto].
Cart.; sec. XX (1919); mm. 300 x 200; cc. 7; numerazione recente a matita;
sciolte; scritte su recto; autografo.
Le cc. 1-6 contengono appunti sulla storia di Cunizza la c. 7 una minuta di
contratto tra Petrucci e Porto, il quale S’impegna d versare una somma di L.
800 per i tre atti, riservandosi il 10% su ogni utile del lavoro.
21 - PETRUCCI, Alfredo
La casa della sapienza (minuta).
Cart.; sec. XX (1923); mm. 290 x 210; cc. 24; numerazione recenti a matita;
sciolte; bianche le cc. 1-2 t.; 5-7 t.; 11-12 t.; 15-16 t. 20-23 t.; autografo.
Fu pubblicato nel 1923 col titolo « Le parole per tutte le ore e vinse il Concorso Nazionale del Romanzo bandito dalla Società degli Autori di Roma.
22 - PETRUCCI, Alfredo
La luce che non si spegne.
Cart.; sec. XX (1918); mm. 280 x 205; cc. 84; numerazione originale a matita;
sciolte; scritte sul recto; autografo.
In fine « Bari, luglio del 1918 » e la firma.
Allegate le bozze dell’opera che fu pubblicata a Siena nel 1921
23 - PETRUCCI, Alfredo
La maschera di Democrito.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 20; numerazione recente matita; sciolte;
bianche le cc. 2 t.; 4-12 t.; 15-19 t.; autografo.
89
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Il lavoro, secondo l’indice riportato a c. 20 t., doveva articolarsi in 4 paragrafi:
« Il paradosso del riso », « La sinfonia numerosa », « Il circolo dello spirito »,
« La visione della vita ». E’ presente solo il primo.
24 - PETRUCCI, Alfredo
La nostra lingua. Nozioni di grammatica.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 37, numerazione originale a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe.
25 - PETRUCCI, Alfredo
La terra canta.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 105 sciolte; dattiloscritte con correzioni e
note autografe.
Poesie.
26 - PETRUCCI, Alfredo
Lucera. Nicchia affrescata nella chiesa di S. Francesco.
Cart.; sec. XX (1916); mm. 285 x 205; alcune di diverso formato; cc. 9; numerazione recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 2 t.; 5-8 t.; autografo.
Minuta della relazione alla Soprintendenza ai monumenti della Puglia e del
Molise sul ritrovamento a Lucera nella chiesa di S. Francesco di una nicchia
affrescata. La c. 2 r. riporta un bozzetto autografo dell’affresco. Allegata una
foto.
27 - PETRUCCI, Alfredo
Manoscritto autografo di Cattedrali di Puglia.
Cart.; sec. XX (1960); mm. 290 x 225; cc. 269 sciolte; scritte sul r.; le cc. 27 a
88 dattiloscritte con correzione autografe; autografo. Allegati n. 33 disegni autografi di vario formato - 4 a colori e 29 in bianco e nero; n. 290 fotografie di
vario formato e la 1a edizione dell’opera con aggiunta e correzioni autografe.
28 - PETRUCCI, Alfredo
Materiali e appunti. Bari vecchia.
Cart.; sec. XX; mm. 210 x 140; cc. 14; numerazione recente a matita; bianche
le cc. 1 t; 3 t.; 4 r.; 7 r:; 9 r.; 10 t.; 11 r.; 12 t.; 14 r.; autografo.
29 - PETRUCCI, Alfredo
Nel buio delle anime.
Cart.; sec. XX (1905); mm. 225 x 150; cc. 5; numerazione recente a matita;
sciolte; autografo.
Infine « Scritto nel 1905, a 17 anni ».
30 - PETRUCCI, Alfredo
Obelischi e piramidi.
Cart.; sec. XX; mm. 265 x 210; cc. 8; numerazione recente a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Sul tergo di ciascuna carta sono riportati titoli autografi di racconti non pervenuti: c. 1 - Una battiraffia; c. 2 - Lo sguardo di Dio; c. 3 - Le scarpe
all’americana; c. 4 - Avventura sul campanile; c. 5 - Inferno e paradiso; c. 7 L’anello di Angelica; c. 8 - La sorte di capitan Soffione.
90
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
31 - PETRUCCI, Alfredo
Pensieri di critica d’arte (abbozzi autografi).
Cart. miscell.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 65, numerazione recente a matita;
sciolte; bianche le cc. 3 t.; 6 t.; 8 t.; 9-10 r. e t; 14-16 t.; 20 r.; 21 t.; 22 r. e t.;
24 t.; 26-28 t.; 32 r. e t.; 33-37 t; 39-40 t.; 41 r. e t.; 43 r. e t.; 45 r. e t.; 47-49
t.; 50 r. e t.; 51 t; 53 t.; 56 r. e t.; 59-61 t.; 63-65 t.; autografo.
L’argomento è così suddiviso: Il contenuto dell’esperienza (cc 3-10); Impressione ed espressione (cc. 11-13); La selezione (cc. 14-25); Il pittore e il quadro (cc. 24-32); Lo spettatore e il quadro (cc. 33-37); Il « luogo comune » (cc.
38-41); La materia speciale dell’arte (ce. 42-45); La funzione della cultura (ce.
60-61); Il talento del silenzio (e. 63); Il critico (cc. 64-65).
32 - PETRUCCI, Alfredo
Poesie.
Cart.; sec. XX (1906-1926-1929); mm. 230 x 140, alcune di diverso formato;
cc. 7; numerazione recente a matita; sciolte; autografo.
Le poesie sono: I sonetti della Bohéme (Napoli 1906); Spelonca di Calcante
(1929); Ecco, s’io batto le ciglia (1926); Solitudine della terra; Da te nato mi
sento; Di te felice ninna nanna.
33 - PETRUCCI, Alfredo
Relazione alla Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e Molise.
Cart.; sec. XX (1916); mm. 307 x 210; cc. 3; bianca la e. 2 t. autografo.
Minuta di una relazione alla Soprintendenza sui dipinti posseduti dalla signora
Giuseppina Villani. Dei diciotto quadri esaminati giudica di valore il « Cantastorie » e il « Ritratto di gentiluomo che attribuisce alla scuola di Giuseppe
Ribera.
La e. 2 r. riporta un bozzetto del « Cantastorie ».
34 - PETRUCCI, Alfredo
Romanzo d’una primavera. (Stesura per la stampa).
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 3, con 23 ritagli di giornale rimontati su
fogli bianchi; note e correzioni autografe.
Gli articoli di giornale sono i seguenti: La porta chiusa; L’agghiaccio; Inferno
e Paradiso; Le scarpe all’americana; Un batti- raffia; Esperienza antelucana;
L’anello di Angelica; La caduta de giganti; Lo sguardo di Dio; Storia d’un paesello di cartone; La Voce del mare; Avventure sul campanile; Il viaggio più
lungo La fiumara; Una cartolina illustrata; L’ultima scivolata; I ceri
91
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
dipinti; Che cosa è l’amore; Le prove; La seconda morte del Pinturicchio; Vedere il treno; I poveri occhi; Credo.
35 - PETRUCCI, Alfredo
5. Maria di Siponto. Appunti iconografici.
Cart.; sec. XX; mm. 285 x 220; cc. 9; numerazione recente a matita; bianche
le cc. 2 r.; 4 t.; 5 t.; 6 r.; 7 t.; autografo.
36 - PETRUCCI, Alfredo
Storia.
Cart.; sec. XX.; mm. 280 x 220; cc. 54; sciolte; dattiloscritte con correzioni
autografe.
L’impaginazione autografa del manoscritto è la seguente: cc. 24-31; cc. 37-43;
cc. 49-56; cc. 65-66; e. 76; cc. 84-87; cc. 90-91; cc. 96-98; cc. 107-108; cc.
114-117; cc. 134-136; cc. 143-147; cc. 150-152; cc. 157-158; Mancano le cc.
1-23; cc. 32-36; cc. 44-48; cc. 57-66; cc. 67-75; cc. 77-83; cc. 88-89; cc. 9295; cc. 99-106; cc. 109-113; cc. 118-133; cc. 137-142; cc. 148-149; cc. 153156.
Il materiale è suddiviso nei seguenti paragrafi: Una storia che sembra una favola (cc. 24-31); I primi martiri del Risorgimento (cc. 37-43); La prima guerra
per l’indipendenza (1848-1849) (cc. 84-87; 90-91); La terza guerra per
l’indipendenza (1866) (cc. 96-98; 107-108; 114-117; 134-136); La guerra
mondiale (1914-1918) (cc. 143-146; 150-152; 157-158).
37 - PETRUCCI, Alfredo
Stratosfera ovvero il diavolo appicca il fuoco. Romanzo.
Cart.; sec. XX; mm. 290 x 220; cc. 232; sciolte; dattiloscritto con correzioni
autografe.
Del romanzo sono presenti due copie uguali.
38 - PETRUCCI, Alfredo
Un processo di veneficio nel ‘600.
Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 8; sciolte; numerazione originale a penna;
tutte bianche sul tergo; autografo.
INCISIONI E DISEGNI
39 - PETRUCCI, Alfredo
Beethoven.
1923; incisione; mm. 290 x 190; firmato.
Nel margine inferiore la scritta autografa: « Beethoven, quest’è la tua voce,
fiume del mondo che cerca la foce ».
40 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano. Scogliera.
S.d.; incisione; mm. 170 x 240; non firmato.
41 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano. Castello dei Giganti.
S.d.; incisione; mm. 130x 160; firmato.
42 - PETRUCCI, Alfredo
La Ritrosetta.
92
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
S.d.; incisione; mm. 200 x 160; firmato.
43 - PETRUCCI, Alfredo
Leopardi.
1923; incisione; mm. 350 x 240; firmato.
44 - PETRUCCI, Alfredo
Pescatore.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 240 x 180; non firmato.
45 - PETRUCCI, Alfredo
Pescatore.
S.d.; incisione; mm. 240 x 180; non firmato.
[Riprodotto in G. D’ADDETTA, San Menaio e dintorni. Foggia, 1947, pag.
112.]
46 - PETRUCCI, Alfredo
Ritratto di vecchio.
S.d.; incisione; mm. 390 x 200; firmato.
47 - PETRUCCI, Alfredo
Architettura rustica di Sannicandro Garganico.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 270 x 140; firmato.
48 - PETRUCCI, Alfredo
Architettura rustica di Sannicandro Garganico.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 160 x 86; firmato.
49 - PETRUCCI, Alfredo
Arco della neve. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 155 x 100; non firmato.
50 - PETRUCCI, Alfredo
Arco Stalloreggi e angolo via Baldassarre Peruzzi. Bari.
[1922]; disegno a inchiostro; mm. 270 x 190; firmato.
51 - PETRUCCI, Alfredo
Bari vecchia.
10 aprile 1917; disegno a matita; mm. 280 x 200; non firmato.
52 - PETRUCCI, Alfredo
Campanile.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 210 x 130; non firmato.
53 - PETRUCCI, Alfredo
Capitello dell’ambone di Acceptus. Santuario S. Michele.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 95 x 90; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960,
pag. 36.]
54 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrale di Otranto. Mosaico pavimentale.
S.d.; acquerello a colori; mm. 125 x 175; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960,
pag. 98.]
55 - PETRUCCI, Alfredo
Chiesa abbaziale di San Benedetto a Conversano. Resti di mosaici.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 126 x 197; non firmato.
93
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
56 - PETRUCCI, Alfredo
Corte Colagnano. Bari vecchia.
1920; disegno a inchiostro; mm. 100 x 50; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 14.]
57 - PETRUCCI, Alfredo
Cripta del Duomo di Otranto. Particolare.
Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 110 x 110; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 113.]
58 - PETRUCCI, Alfredo
Cripta del Duomo di Otranto. Particolare.
Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 225 x 125; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 110.]
59 - PETRUCCI, Alfredo
Discesa di Fontebranda. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 190 x 135; firmato.
60 - PETRUCCI, Alfredo
Il campanile della Chiesa Madre a Sannicandro Garganico. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 110 x 215; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 175.]
61 - PETRUCCI, Alfredo
La Corte di San Giorgio a Sannicandro.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 87 x 58; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 131 e
A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 41.]
62 - PETRUCCI, Alfredo
La costa di Maletta.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 175; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 105.]
63 - PETRUCCI, Alfredo
Michele Vocino. Caricatura.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 85 x 160; firmato.
64 - PETRUCCI, Alfredo
Montesacro. Avanzi della primitiva cella.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 90 x 130; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 48.]
65 - PETRUCCI, Alfredo
Paesaggio garganico.
S.d.; dipinto a olio; mm. 335 x 240; firmato; in cornice.
66 - PETRUCCI, Alfredo
Portale di Sant’Antonio Abate. Monte S. Angelo.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 76 x 66; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 44.]
94
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
67 - PETRUCCI, Alfredo
Portale di Sant’Egidio.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 135 x 100; non firmato.
68 - PETRUCCI, Alfredo
Pozzo del Tritone. Squinzano.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 180 x 150; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 132.]
69 - PETRUCCI, Alfredo
Ricordo di Lecce.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 195; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 138.]
70 - PETRUCCI, Alfredo
Santa Caterina d’Alessandria. Galatina.
S.d.; disegno a matita; mm. 310 x 210; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 129.]
71 - PETRUCCI, Alfredo
Tomba di Rotari. Sezione W.E. Monte S. Angelo. S.d.; disegno a inchiostro;
mm. 105 x 65; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 46.]
72 - PETRUCCI, Alfredo
Tomba di Rotari. Finestre interne. Particolare.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 170 x 125; non firmato.
73 - PETRUCCI, Alfredo
Torre Alemanna presso Ascoli Satriano.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 125 x 110; non firmato.
74 - PETRUCCI, Alfredo
Veduta di Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 210x 135; firmato.
75 - PETRUCCI, Alfredo
Via de’ Termini. Arco delle travi. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 120x 70; firmato.
76 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo attraversato da archi.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 110 x 90; non firmato.
77 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo attraversato da archi.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 75; firmato.
78 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo del Contradino. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 180x 130; firmato.
79 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo del lauro. Bari.
1921; disegno a matita; mm. 260 x 180; non firmato.
95
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
[Riprodotta un’acquaforte dello stesso soggetto in A. PETRUCCI
Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 15.]
80 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo di Macta Salaia. Siena.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 120; firmato.
OPERE A STAMPA
81 - PETRUCCI, Alfredo
Acqueforti di Sanzio Giovannelli. Saggio critico di Alfredo Petrucci.
San Benedetto del Tronto, ed. tip. Sciocchetti, 1959. cm. 25, cc. 8 2 tav. f.t.
[Sul frontespizio dedica autografa dell’autore a Mario Simone.
82 - PETRUCCI, Alfredo
Antonio Piccinni pittore e incisore tranese. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1957.
cm. 28,4, pp. 51 tav. dp. n.t.. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fascicolo 3-4.
Marzo-Aprile 1957. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone]
83 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrali di Puglia.
Roma, ed. Carlo Bestetti, (Tivoli, tip. Chicca), 1960. cm. 30,7 pp. 146 300 tav.
dp. f.t. 1 allegato pp. 1-17. [Prima edizione di « Cattedrali di Puglia » con appunti correzioni e aggiunte autografe nel testo.]
(Recensioni allegate alla prima edizione di « Cattedrali di Pu glia »: 1)
BIANCALE, Michele, La Puglia delle cattedrali. In MOMENTO-SERA. 2 dicembre 1960; 2) BIORDI, Raffaello, Cattedrali di Puglia. In FOGLIETTO
(IL). 27 ottobre 1960; 3) BIORDI, Raffaello, Nelle sue meravigliose cattedrali
risplende la nobiltì della Puglia. In REALTA’ POLITICA. 15 ottobre 1960; 4)
CERAVOLO, Pasquale, Cattedrali di Puglia. In ECO (L’) DI BERGAMO 25
novembre 1960; 5) D’ADDETTA, Giuseppe, Cattedrali di Pu glia. In GARGANO (IL). 25 novembre 1960; 6) DEL PRETE, Pasquale, Arte e fede di popolo nelle Cattedrali di Puglia. In GAZZETTA (LA) DEL MEZZOGIORNO.
8 settembre 1960; 7) GABRIELI, Francesco, Pellegrini di Puglia. In MESSAGGERO (IL) 9 dicembre 1960; 8) MARTINELLI, Valentino, Cattedrali
pugliesi. In MOMENTO-SERA. 4 luglio 1964; 9) PISSACROIA, Raffaele A.,
Cattedrali di Puglia. In VOCE DEL POPOLO. 10 dicembre 1960; 10) SPAINI, Alberto, Invito in Puglia. In SECOLO (IL) XIX. 11 dicembre 1960; 11)
VOCINO, Michele, Le cattedrali di Puglia. In NUOVO MEZZOGIORNO. 10
ottobre 1960).
84 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrali di Puglia. Seconda edizione riveduta ed ampliata. Roma, ed. Carlo
Bestetti, (tip. Visigalli-Pasetti), 1963, ed. 2a . cm. 30,5 pp. 571 192 tav. dp. n.t.
[Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »]
96
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
85 - PETRUCCI, Alfredo
[Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »]
Dietro l’opaca siepe. Poesie. Introduzione di Cristanziano Serricchio.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1979. cm. 21 pp.
91. « L’Amministrazione Prov.le di Capitanata nel decennale della morte del
Poeta. »
86 - PETRUCCI, Alfredo
Due scarpette di panno rosso ed altre novelle. Illustrazioni di Salvatore Cabasino.
Roma, ed. tip. R. Danesi, 1942.
cm. 28 pp. 117 fig. « Edizione numerata. Esemplare n. 421. »
87 - PETRUCCI, Alfredo
Epigrammi della montagna. La strigghia, ‘u pungeche e li meravìgghie. Presentazione di Cristanziano Serricchio.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1973. cm. 20 pp.
53 6 tav. f.t.
88 - PETRUCCI, Alfredo
Forme d’arte paesana in Puglia.
Foggia, ed. Giuseppe Pilone, (tip. Frattarolo), 1930.
cm. 21,8 pp. 35 7 tav. f.t. «Monografie di arte e storia pugliese. 3.»
89 - PETRUCCI, Alfredo
Fra cielo e terra, ovvero il troppo... storpia. Avventura fiabesca. Illustrazioni
di A. Urbani Del Fabbretto.
Torino, ed. tip. Società Editrice Internazionale, 1953. cm. 26,8 pp. 114 fig.
90 - PETRUCCI, Alfredo
I diritti della fantasia e i doveri della civiltà letteraria. Sta in: “LEGGE (LA) di
Roger Vailland nel giudizio critico di M. Brandon Albini, T. Fiore, A. Petrucci, M. Vocino e a traverso l’inchiesta di « France-Observateur ». Disegni di
Petrucci e Vocino. Napoli, ed. Mario Simone, (Foggia, tip. Leone), 1958.
pp. 39-52.
91 - PETRUCCI, Alfredo
Il Caravaggio acquafortista e il mondo calcografico romano. L’indovina - Leoni - Borgianni - Maggi - Villamena – Onofri - Mercati - Amici del Caravaggio.
Roma, ed. tip. F.lli Palombi, 1956. cm. 25,7 pp. 160 26 tav. dp. f.t.
92 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano di Alfredo Petrucci. Roma, ed. tip. «La Italiana », 1932. cm. 28 pp.
68 fig.
93 - PETRUCCI, Alfredo
Il pellegrino al Gargano.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1968.
97
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
cm. 24 pp. 27 4 tav. dp. f.t. « Quaderni de La Capitanata 7. »
94 - PETRUCCI, Alfredo
La Madonna dagli occhi sbarrati.
Foggia, ed. tip. Giuseppe Pilone, 1927.
cm. 22 pp. 35 5 tav. f.t. « Monografie di arte e storia pugliese.»
95 - PETRUCCI, Alfredo
Le magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi. Roma, ed. tip. F.lli Palombi, s.d.
cm. 25,8 pp. 151 313 tav. dp. f.t.
96 - PETRUCCI, Alfredo
Le parole per tutte le ore. Avventura spirituale di questo e d’ogni altro tempo.
Roma, ed. « La Italiana », (Napoli, tip. Laurenziana), 1974. cm. 24 pp. 312
tav. f.t.
97 - PETRUCCI, Alfredo
L’incisione carraccesca.
Roma, ed. Libreria dello Stato, 1950.
cm. 28,6 pp. 131-144 [14] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero
della Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1950. »
98 - PETRUCCI, Alfredo
L’incisione italiana di Alfredo Petrucci. L’Ottocento. Roma, ed. tip. R. Danesi, 1941.
cm. 37,6 pp. 39 fig. 60 tav. f.t. [in contenitore]. “Edizione Speciale di 1500
esemplari ».
99 - PETRUCCI, Alfredo
Muratori in casa. Roma, ed. « Il Mezzogiorno », 1958.
cm. 28,5 pp. 3 fig. « Estratto da Il Mezzogiorno. Anno VII. N. 1. Gennaio
1958. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.]
100 - PETRUCCI, Alfredo
Pernix Apulia. Pagine sparse di Vita, di Storia e di Arte pugliese. Presentazione di Pasquale Soccio.
Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo litostampa), 1971. cm. 25 pp. 318 fig.
101 - PETRUCCI, Alfredo
Pittori pugliesi dell’800. Domenico Caldara.
Roma, ed. Associazione Pugliese (tip. Tullio Minervini), 1929. cm. 26,4 pp. 9
1 ritr. 3 tav. f.t. « Quaderni pugliesi. Collezione di cultura regionale diretta da
D.M. Simone. N. 1.»
102 - PETRUCCI, Alfredo
Rassegna d’arte personale di Luigi Schingo col patrocinio dell’ Ente Autonomo Fiera di Foggia. Presentazione di Alfredo Petrucci. Foggia. Palazzetto
dell’arte 29 aprile - 15 maggio 1962. Foggia, tip. Leone, s.d. [ma 1962].
cm. 17 pp. 36 7 tav. dp. n.t.
98
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
103 - PETRUCCI, Alfredo
Rembrandt fra noi.
Roma, ed. Libreria dello Stato, 1951.
cm. 28 pp. 188-191 [4] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero della
Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1951. »
104 - PETRUCCI, Alfredo
Roma. Novanta vedute moderne di D.R. 55 incisioni e disegni antichi. Testo
di Alfredo Petrucci.
Roma, ed. Banca Nazionale del Lavoro, (Torino, tip. Donaggio), 1949.
cm. 42 pp. 64 fig. 91 tav. f.t.
105 - PETRUCCI, Alfredo
Savino Papalia incisore. Testo di Alfredo Petrucci. Roma, tip. Lampo, 1959.
cm. 29,7 pp. 22 31 tav. f.t.
[Dedica autografa dell’autore a Michele Vocino.]
106 - PETRUCCI, Alfredo
Tre paesi tre canti.
Foggia, ed. Ente Prov. Turismo Foggia, (tip. Pescatore), s.d. cm. 21 pp. 38. «
Collana di Quaderni turistici dell’E.P.T. di Foggia. IV. »
107 - PETRUCCI, Alfredo
Una città morta: Siponto. Sta in: EMPORIUM. Bergamo giugno 1921. Vol.
LIII. N. 318. pp. 320-327 fig.
108 - PETRUCCI, Alfredo
Una terrazza, un arco. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1958.
cm. 28,4 pp. 7. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fasc. 5. Anno VII. Maggio
1958. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.]
109 - PETRUCCI, Alfredo
Un monumento misterioso: la Tomba di Rotari. Sta in:
EMPORIUM. Bergamo novembre 1919. Vol. L. N. 299. pp. 243-252 fig.
ARTICOLI GIORNALISTICI DA: EPOCA (L’); LAVORO (IL) D’ITALIA;
MESSAGGERO (IL); GARGANO (IL). 1921-1969 (in ordine cronologico).
110 - PETRUCCI, Alfredo
Movimento artistico pugliese. Vecchie e nuove mostre. Sta in:
EPOCA (L’). 19 febbraio 1921. [ritaglio di giornale]
111 - PETRUCCI, Alfredo
La tradizione pittorica in Puglia. Sta in:
EPOCA (L’). 26 maggio 1921. [ritaglio di giornale]
99
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
112 - PETRUCCI, Alfredo
Antiche sembianze d’Italia. Il fascino sempre vivo e nuovo delle contrade senesi. Sta in:
LAVORO (IL) D’ITALIA. 26 agosto 1927, pag. 3. [ritaglio di giornale]
113 - PETRUCCI, Alfredo
Ritorno al borgo natio. Dove non fu offesa la virtuosa Lucrezia.
Sta in: MESSAGGERO (IL). 4 giugno 1933, pag. 3. [ritaglio di giornale]
114 - PETRUCCI, Alfredo
L’agghiaccio. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 23 agosto 1933, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
115 - PETRUCCI, Alfredo
Credo. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 29 settembre 1933, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
116 - PETRUCCI, Alfredo
Il cuore di Brigida. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 16 novembre 1935, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
117 - PETRUCCI, Alfredo
Una lirica ed una prosa. Sta in:
GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 1, pag. 3.
118 - PETRUCCI, Alfredo
La grondaia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 5, pag. 3.
119 - PETRUCCI, Alfredo
Raggio sperduto. Sta in:
GARGANO (IL). Anno II. 1951. N. 9, pag. 3.
120 - PETRUCCI, Alfredo
Dove finisce il mare. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3.
121 - PETRUCCI, Alfredo
Al crocevia dei ricordi. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3.
122 - PETRUCCI, Alfredo
La piccola vita. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 12, pag. 3.
123 - PETRUCCI, Alfredo
Si spezza una corda. Sta in:
GARGANO (IL). Anno IV. 1953. N. 5-6, pag. 3.
124 - PETRUCCI, Alfredo
Dolce sulla tua zolla. Sta in:
GARGANO (IL). Anno V. 1954. N. 1, pag. 3.
100
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
125 - PETRUCCI, Alfredo
Come il mendico. Sta in:
GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 1, pag. 3.
126 - PETRUCCI, Alfredo
L’epigrafe della « Tomba di Rotari ». Sta in:
GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 3-4, pag. 3.
127 - PETRUCCI, Alfredo
Il vecchio campanile. Sta in:
GARGANO (IL). Anno VII. 1956. N. 9-11, pag. 3.
128 - PETRUCCI, Alfredo
Suono di lontananza. Sta in:
GARGANO (IL). Anno IX. 1958. N. 1-2, pag. 3.
129 - PETRUCCI, Alfredo
Una terrazza, un arco. Sta in:
GARGANO (IL). Anno X. 1959. N. 1-2, pag. 3.
130 - PETRUCCI, Alfredo
Casa. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XI. 1960. N. 1-5, pag. 3.
131 - PETRUCCI, Alfredo
Il ligustro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XI. N. 1-5, pag. 3.
132 - PETRUCCI, Alfredo
I becchini della civiltà. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XIV. 1963. N. 3, pag. 3.
133 - PETRUCCI, Alfredo
Terra di Puglia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 1, pag. 3.
134 - PETRUCCI, Alfredo
Una medaglia al valore. .Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 7, pag. 3.
135 - PETRUCCI, Alfredo
Tavoliere di Puglia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 8, pag. 3.
136 - PETRUCCI, Alfredo
Una musica dolce e veloce. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 11-12, pag. 3.
137 - PETRUCCI, Alfredo
Puglia di ieri e di oggi. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVI. 1965. N. 5, pag. 3.
138 - PETRUCCI, Alfredo
Circe e il Gargano. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVII. 1966. N. 9, pag. 3.
139 - PETRUCCI, Alfredo
Lo spettro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 1, pag. 3.
140 - PETRUCCT, Alfredo
La desolata. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 4, pag. 3.
101
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
141 - PETRUCCI, Alfredo
La « Murgia » di Sannicandro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XIX. 1968. N. 7, pag. 3.
142 - PETRUCCI, Alfredo
Hai pregato. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3.
143 - PETRUCCI, Alfredo
Preghiera. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3.
144 - PETRUCCI, Alfredo
Si spezza una corta. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 7, pag. 3.
EPISTOLARIO (1914-1965)
(I.) = lettera; (c) = cartolina; (t.) = telegramma; (b.p.) biglietto postale; (b.v.)
biglietto da visita; (b.) busta.
1 - J.J.G. ALEXANDER: Prospeet House. Upton. Dideat. Barkshire luglio
1963 (I.).
2 - Roberto ALMAGIA’: Roma 21 maggio 1957 (I.).
3 - Corrado ALVARO: Roma 4 gennaio 1941 (I.).
4 - Luciano ANCESCHI: Milano 16 gennaio 1952 (c.).
5 - Giuseppe ANDRETTA: Roma 19 settembre 1950 (I.).
6 - Ciro ANGELILLIS: 1) Capolona 6 luglio 1927 (I.); 2) Capolona (Arezzo)
29 settembre 1929 (I.); 3) Capolona 10 dicembre 1929 (I.); 4) Capolona 9
ottobre 1930 (c.); 5) Capolona 4 aprile 1931 (c.); 6) Capolona 11 aprile
1931 (c.); 7) Capolona 30 aprile 1931 (c.); 8) Capolona 18 maggio 1931
(c.); 9) Capolona 10 giugno 1931 (I.); 10) Capolona 26 aprile 1937 (c.);
11) Arezzo 18 settembre 1949 (I.); 12) Arezzo 12 febbraio 1954 (I.); 13)
Arezzo 10 marzo 1954 (I.); 14) 8.1 s.d. (I.).
7 - Gian Battista ANGIOLETTI: 1) Milano 22 giugno 1928 (b.p.); 2) Roma
13 gennaio 1936 (I.); 3) Roma 13 giugno 1946 (b.p.); 4) Roma 11 dicembre 1946 (b.p.).
8 - Guido ARCAMONE: Roma 22 aprile 1953 (I.).
9 - Paolo ARCARI: 1) 8.1. 17 febbraio 1941 (I.); 2) Roma 16 febbraio 1941
(c.).
10 -Carlo Giulio ARGAN: 1) Roma 3 maggio 1951 (b.p.); 2) Roma 20 maggio 1965 (I.).
11 -Romolo ARTIOLI: S.l. 25 febbraio 1929 (I.).
12 -Carlo AZZARITA: Roma 20 giugno 1953 (b.v.).
13 -Antonio BALDINI: 1) Roma 13 luglio 1935 (c.); 2) Roma 18 luglio 1935
(c.); 3) Roma 4 settembre 1937 (c.); 4) Roma 8 settembre 1937 (c.); 5)
Roma 28 gennaio 1938 (c.); 6) Roma 1 marzo 1938 (c.); 7) Roma 7 marzo
1938 (c.); 8) Roma 19 settembre 1938 (c.); 9) Roma 2 novembre 1940
(c.); 10) Roma 3 febbraio 1941 (c.); 11) Roma 7 novembre 1944 (c.); 12)
Roma 8 gennaio 1945 (c.); 13) Roma 2 gennaio 1947 (c.);
102
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
14) Roma 22 novembre 1947 (c.); 15) Roma 24 luglio 1950 (c.); 16) Roma 29 settembre 1950 (c.); 17) Roma 18 gennaio 1952 (c.); 18) Roma 1
giugno 1955 (I.); 19) Roma 6 novembre (b.v.); 20) Roma (b.v.); 21) Roma
13 novembre (b.v.); 22)Roma 20 settembre (b.v.); 23) Roma 17 settembre
(b.v.); 24)Roma 25 dicembre (b.v.).
14 -Gino BALZANI: Lecce 2 gennaio 1924 (I.).
15 -Carlo BARBIERI: 1) Portici 20 giugno 1953 (I.); 2) Portici 23 luglio 1953
(I.); 3) Portici 8 gennaio 1954 (c.); 4) Portici 7 novembre 1960 (b.p.).
16 -Piero BARGELLINI: s.l. 8 dicembre 1952 (b.v.).
17 -U. BARONE MELODIA: Roma 16 luglio 1924 (b.v.).
18 -Eugenio BARONI: 1) Sestri Levante 14 settembre 1926 (I.); 2) Genova 23
settembre 1926 (I.); 3) Genova 16 ottobre 1926 (c.).
18 bis - Domenico BARTOLINI: Roma 24 agosto 1953 (b.v.).
19 -Luigi BARTOLINI: 1) Roma 12 novembre 1951 (I.); 2) s.l. 16 giugno
1953 (I.); 3) Roma 22 luglio 1953 (c.); 4) Roma 31luglio 1953 (b.v.); 5)
Roma 27 dicembre 1953 (c.).
20 - Arturo BASSI: Trani 21 agosto 1926 (b.v.).
21 - Fortunato BELLONZI: 1) Roma 1 agosto 1951 (I.); 2) Roma 27 agosto
1951 (I.).
22 -Achille BERTINI-CALOSSO: 1) Roma 18 febbraio 1929 (I.); 2) Roma 3
aprile 1929 (c.); 3) Perugia 18 dicembre 1949 (c.).
23 -Antonietta Maria BESSONE-AURELJ: 1) s.l. 1925 (b.v.); 2) Roma 8
agosto 1933 (I.); 3) s.1. s.d. (c.).
24 -Ugo BETTI: 1) Camerino 3 settembre 1911 (c.); 2) Roma 19 gennaio
1933 (c.); 3) Roma 25 novembre 1940 (c.); 4) La Spezia 2 ottobre 1941
(c.); 5) Roma 19 gennaio 1951 (c.); 6) Roma 27 luglio 1951 (c.); 7) Roma
10 febbraio 1952 (c.); 8) Roma 14 ottobre (I.); 9) s.l. s.d. (I.); 10) s.l. s.d.
(I.); 11) s.l. s.d. (I.); 12) s.l. s.d. (I.); 13) s.l. s.d. (I.); 14) s.l. s.d. (b.v.; 15)
s.l. s.d. (b.v.).
25 - Michele BIANCALE: Roma 22 novembre 1940 (I.).
26 - D. BIANCHI: Fasano 18 ottobre 1926 (c.).
27 - Ranuccio BIANCHI BANDINELLI: Roma 18 ottobre 1945 (I.).
28 - Raffaello BIORDI: 1) Chieti 10 gennaio 1921 (c.); 2) Aquila 23 settembre 1931 (I.).
29 - Carlo BISI: 1) Milano 29 gennaio 1965 (I.); 2) Milano 12 febbraio 1965
(c.); 3) Milano 16 febbraio 1965 (I.).
30 - Mario BLASI: Osimo 30 gennaio 1921 (c.).
31 - Mario BLAVE: Chambéry 2 ottobre 1930 (I.).
32 - Marcello BOGLIONE: 1) Torino 17 gennaio 1930 (I.); 2) Torino 2 febbraio 1930 (I.).
33 - Giulio BONARELLI MODENA: Ancona 24 gennaio 1922 (I.).
34 - M assimo BONTEMPELLI: 1) Milano 11febbraio (I.); 2) Milano 23 marzo (I.); 3) Venezia 6 novembre (I.); 4) s.l. s.d. (I.).
35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.).
103
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.).
36 -BOTTEGA DI POESIA - Casa Editrice: 1) Milano 31 maggio 1923 (L);
2) 2 agosto 1923 (I.).
37 -S. BOTTO: Genova 4 aprile 1933 (c.).
38 -Cesare BRANDI: 1) Roma 15 settembre 1959 (I.); 2) Roma 20 gennaio
1961 (I.).
39 - Gustavo BRIGANTE-COLONNA: 1) Roma 1 settembre 1933 (I.); 2)
Roma 25 settembre 1932 (I.).
40 -Laetitia BOSCHI HUBER: Santa Marinella 1 ottobre 1931 (I.).
41 -Paolo BREZZI: Roma 5 giugno 1956 (I.).
42 -Antonio BRERES: Roma 15 marzo 1941 (I.).
43 -Bruno da Osimo: Ancona 25 ottobre 1941 (c.).
44 -Palma BUCARELLI: 1) Roma 28 agosto 1953 (I.); 2) Roma 6 giugno
1965 (I.).
45 -Anselmo BUCCI: 1) Monza 14 maggio 1952 (I.); 2) Monza 25 giugno
1952 (I.).
46 -Salvatore CABASINO: Roma 9 ottobre 1966 (I.).
47 -Giuseppe COCCIA: 1) Torino 5 dicembre 1953 (I.); 2) Torino 5 dicembre
1953 (I.); 3) Torino 26 aprile 1955 (I.).
48 -Sipontino CAFARELLI: Manfredonia 22 gennaio 1931 (I.).
49 -F. CAFFARELLI: Roma 29 dicembre 1960 (I.).
50 -G. CALO’: 1) Firenze 27 novembre 1923 (I.); 2) Roma 29 maggio 1923
(I.).
51 -Temistocle CALZECCHI: Roma 21 dicembre 1921 (b.v.).
52 -Carlo CALZECCHI-ONESTI: 1) s.l. 4 maggio 1929 (I.); 2) Milano 18
febbraio 1933 (I.); 3) s.l. 10 marzo 1933 (I.); 4) s.l. 10 novembre 1941 (I.);
5) Firenze 17 gennaio 1942 (I.); 6) Firenze 26 gennaio 1942 (I.).
53 -Pasquale CAMASSA: 1) Brindisi 25 aprile 1931 (I.); 2) Brindisi 9 giugno
1931 (I.).
54 -Leonardo CAMPANELLI: 1) Torino 10 luglio 1950 (I.); 2) Volturino s.d.
(c.).
55 -Raimondo CANAVESSO: Milano 10 novembre 1934 (I.).
56 -Alfredo CAPUANO: 1) Foggia 8 giugno 1914 (c.); 2) Foggia s.d. (b.p.).
57 -Michele CAPUANO: 1) S. Giovanni Rotondo 10 aprile 1959 (I.); 2) 5.
Giovanni Rotondo 8 ottobre 1965 (I.).
58 -Giuseppe CAPUTI: 1) Roma 19 agosto 1945 (I.); 2) Roma 12 aprile 1952
(I.).
59 -Antonio CARBONATI: Roma 26 novembre 1953 (b.v.).
60 -Tommaso CASCELLA: 1) Pescara 10 febbraio 1921 (L); 2) Montecatini
25 ottobre 1928 (c.); 3) Pescara 18 dicembre 1928 (I.); 4) Bari 14 gennaio
1929 (I.); 5) Siena s.d. (b.p.) (b.n. 1).
61 -Piero CASOTTI: Taranto 25 agosto 1926 (I.).
104
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
62 -Giuseppe CASSIERI: 1) Rodi 30 luglio 1952 (I.); 2) Roma 28 marzo 1953
(I.); 3) Roma ottobre 1958 (I.); 4) Roma 29 novembre 1960 (I.); 5) Roma
14 marzo 1961 (c.); 6) Roma 18 giugno (I.); 7) Roma 19 giugno (I.); 8)
s.l. 14 novembre (b.v.).
63 -Giorgio CASTELFRANCO: 1) 28 ottobre 1954 (I.); 2) 18 gennaio 1955
(I.).
64 -Enrico CASTELLANETA: 1) Gioia del Colle 7 giugno 1923 (c.); 2) Gioia
del Colle 19 marzo 1924 (I.); 3) Gioia del Colle 27 marzo 1924 (I.); 4)
Gioia del Colle 15 aprile 1925 (I.); 5) Gioia del Colle 16 aprile 1924 (I.);
6) Gioia del Colle 25 aprile 1924 (c.); 7) Gioia del Colle 30 aprile 1924
(c.); 8) Gioia del Colle 22 maggio 1924 (c.); 9) Gioia del Colle 4 giugno
1924 (I.); 10) Gioia del Colle 11 luglio 1924 (I.); 11) Gioia del Colle 26
luglio 1924 (c.); 12) Gioia del Colle 15 marzo 1925 (c.); 13) Gioia del
Colle 6 luglio 1925 (c.); 14) Gioia del Colle 7 luglio 1926 (c.); 15) Polignano a Mare 15 agosto 1926 (c.); 16) Polignano a Mare 24 agosto 1926
(c.); 17) Polignano a Mare 8 settembre 1926 (I.); 18) Gioia del Colle 27
settembre 1926 (c.); 19) Gioia del Colle 8 ottobre 1926 (c.); 20) Gioia del
Colle 14 ottobre 1926 (c.); 21) Gioia del Colle 2 novembre 1926 (c.); 22)
Gioia del Colle 13 novembre 1926 (c.); 23) Gioia del Colle 1 dicembre
1926 (c.); 24) Gioia del Colle 11 gennaio 1927 (c.); 25) Gioia del Colle 28
luglio 1927 (c.); 26) Gioia del Colle 16 gennaio 1931 (c.), (b.n. 3).
65 -Onorato CASTELLINO: 1) Torino 22 ottobre 1934 (c.); 2) Torino 25 ottobre 1934 (I.); 3) Torino 24 novembre 1934 (I.).
66 -Umberto CAVASSA: Genova 27 maggio 1960 (b.v.).
67 -Angelo CELUZZA: Foggia 16 giugno 1965 (I.).
68 -Pasquale CERAVOLO: 1) Cremona 3 giugno 1923 (I.); 2) Bergamo 12
ottobre 1928 (I.); 3) Retafuori (Bergamo) 14 agosto 1928 (I.); 4) Bergamo
10 maggio 1928 (c.); 5) Bergamo 6 dicembre 1929 (I.); 6) Bergamo 31 ottobre 1929 (I.): 7) Bergamo 22 ottobre 1929 (I.); 8) 19 aprile 1929 (I.); 9)
Bergamo 7 aprile 1929 (I.); 10) Bergamo 20 dicembre 1930 (I.); 11) Bergamo 26 gennaio 1930 (I.); 12) Bergamo 2 gennaio 1931 (I.); 13) Bergamo 26 gennaio 1931 (c.); 14) Bergamo 3 marzo 1931 (I.); 15) Bergamo 6
ottobre 1931 (b.v.); 16) Peveragno (Cuneo) 20 agosto 1932 (c.); 17) Peveragno 9 luglio 1932 (I.); 18) Bergamo 5 ottobre 1932 (I.); 19) Bergamo 27
aprile 1937 (I.); 20) Bergamo 3 giugno 1950 (I.); 21) Bergamo 16 agosto
1950 (I.); 22) Bergamo 14 gennaio 1952 (c.); 23) Bergamo 4 novembre
1960 (I.); 24) Bordighera 6 marzo 1965 (I.); 25) Bergamo s.d. (I.); 26) s.l.
s.d. (I.); 27) Bergamo s.d. (I.); 28) Bergamo s.d. (I.); 29) Bergamo s.d.
(b.p.); 30) Bergamo s.d. (I.); 31) Bergamo s.d. (I.).
105
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
69 -Armando CERMIGNANI: 1) Riviera di Castellammare 1 marzo 1931 (I.);
2) Pescara 18 marzo 1932 (I.); 3) Pescara 11 ottobre 1932 (I.); 4)11 ottobre 1933 (b.); 5) Pescara 2 dicembre 1934 (I.); 6) Peseara 13 febbraio
1941 (I.); 7) Roma 18 dicembre 1949 (b.v.), (b.n. 5).
La busta datata 11 ottobre 1933 contiene 5 prove di silografia.
70 -Arturo CECCHI: Firenze 6 febbraio 1954 (I.).
71 -Gustavo CHIANTORE: Torino 16 marzo 1929 (c.).
72 -Mario CIAMPI: Foggia 4 agosto 1949 (I.).
73 -Vincenzo CIAMPI: 1) Foggia 14 dicembre 1928 (c.); 2) Foggia 7 aprile
1929 (c.); 3) Foggia 18 giugno 1931 (I.).
74 -Vittorio CIAMPI: Lucera 18 gennaio 1920 (c.).
75 -Vincenzo CIARDO: 1) Pozzuoli 4 gennaio 1926 (I.); 2) Poz- zuoli 22 febbraio 1926 (c.); 3) Pozzuoli 8 giugno 1926 (c.) 4) Pozzuoli 8 agosto 1926
(c.); 5) Pozzuoli 14 agosto 1924 (I.); 6) Gagliano del Capo (Lecce) 31 agosto 1926 (c.); 7 Pozzuoli 19 agosto 1926 (c.); 8) Pozzuoli 2 novembre
1924 (c.); 9) Napoli 16 dicembre 1926 (c.); 10) Pozzuoli 20 giugno 1927
(c.); 11) Pozzuoli 3 marzo 1929 (I.); 12) Roma luglio 1932 (I.); 13) Napoli
8 marzo 1941 (I.); 14) Gaglian del Capo 27 dicembre 1950 (I.); 15) Roma
5 dicembre 1951 (I.); 16) Napoli 17 novembre 1952 (I.).
76 -Filippo CIFARIELLO: 1) Napoli 4 aprile 1919 (I.); 2) Roma 30 gennaio
1925 (c.); 3) Napoli 5 marzo (I.); (b.n. 6) La busta contiene inoltre una
scheda di adesione all’Associazione Nazionale Indipendente Artistico Industriale - Camera di Commercio Napoli - Direzione Sociale pel Mezzogiorno.
77 -Nicola CILENTI: Roma 14 ottobre 1954 (I.).
78 -Pietro CIMARA: Milano 28 settembre 1932 (I.).
79 -Giulio CISARI: Milano agosto 1953 (I.).
80 -Guelfo CIVININI: Firenze 5 febbraio (c.).
81 -Erminio COLANERA: 1) Foggia 8 ottobre 1930 (c.); 2) Foggia 11 gennaio 1931 (c.); 3) Foggia 31 gennaio 1931 (c.); 4) S. Severo 22 dicembre
1958 (I.).
82 -Virgilio COLANTONIO: Sannicandro Garganico 22 febbraio 1935 (I.).
83 -M ario COLUCCI: 1) Milano 15 marzo 1921 (I.); 2) Milano 19 marzo
1921 (c.).
84 -Girolamo CONCI: 1) Lucugnano (Lecce) 17 febbraio 1932 (c.); 2) Lucugnano 16 novembre 1950 (c.); 3) Lucugnano 8 aprile 1961 (I.).
85 -Francesco COMO: 1) Taranto 5 maggio 1924 (I.); 2) Manduria 28 aprile
1924 (I.); 3) Taranto 16 agosto 1926 (c.).
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
86 -Vittoria CONTINI BONACOSSI: s.l. 10 maggio 1941 (b.v.)
87 -Giovanni COPERTINI: 1) Parma 18 febbraio 1933 (I.); 2 Parma 22 maggio 1933 (c.); 3) Parma 22 maggio 1953 (I.).
82 bis - Carlo CORRA’: Rimini 6 giugno 1961 (I.).
83 bis - Carlo D’ALESSIO: Taranto 26 dicembre 1959 (I.).
84 bis - Maria DALL’OSSO OSTA: Ancona 12 agosto 1914 (l.).
85 bis - B. D’AMELJ CAROVITA: 1) S. Spirito 24 agosto 1924 (I.). 2) S.
Spirito 12 agosto 1924 (I.); 3) S. Spirito 20 agosto 1924 (I.).
86 bis - Silvio D’AMICO: Roma 28 gennaio 1954 (I.).
87 -Manlio DAZZI: 1) Venezia 13 luglio 1940 (I.); 2) Piné 34 agosto 1940
(I.).
88 -Guglielmo DE ANGELIS d’OSSAT: 1) Roma 16 aprile 1952: (I.); 2)
Roma Pasqua 1951 (c.); 3) Roma Capodanno 1955 (e); 4) Roma 9 giugno
1955 (I.); 5) Roma 19 luglio 1955 (c.) 6) Roma 20 dicembre 1955 (c.).
89 -Alba DE CESPEDES: 1) Roma 18 marzo 1941 (I.); 2) Roma 8 aprile
1941 (I.).
90 -Riccardo DEL GIUDICE: Roma s.d. (b.v.).
91 -Michelangelo DE GRAZIA: 1) Rodi Garganico 30 giugno 1923 (c.); 2)
Rodi Garganico 19 maggio 1937 (I.); 3) Rodi Garganico 15 ottobre 1941
(I.); 4) Rodi Garganico 11 gennaio 1952 (I.).
92 -Idilio DELL’ERA: Siena 1952 (c.).
93 -Matteo DELLI MUTI: Foggia 16 agosto 1929 (c.).
94 -Giuseppe DE LOGRI: Venezia 15 maggio 1956 (I.).
95 -Federico DE MARIA: 1) s.l. 2 settembre 1933 (e); 2) s.l s.d. (b.v.).
96 -Mario DE MEO: Foggia s.d. (I.).
97 -Enrico DE NICOLA: s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 7).
98 -Aldo DE RINALDIS: 1) Roma 11 agosto 1935 (c.); 2) s.1 s.d. (b.v.).
99 -Lina DE RINALDIS SFORZA: Roma 7 luglio 1941 (I.).
100 -Gino DE SANCTIS: 1) Roma 13 aprile 1942 (I.); 2) Roma 9 settembre
1942 (b.v.).
101 -G. DE RUBERTIS: 1) Roma 6 novembre 1920 (c.); 2) s.1. 27 febbraio
1929 (I.).
102 -Antony DE WITT: 1) Firenze 1 febbraio 1932 (c.); 2) Firenze 10 marzo
1932 (I.); 3) Firenze 4 marzo 1933 (c.); 4 Firenze 23 febbraio 1965 (I.).
103 -Teoerito DI GIORGIO: Siracusa 24 agosto 1929 (I.).
104 -Filippo DI PIETRO: Urbino 12 luglio 1929 (I.).
105 -Lamberto DONATI: 1) Roma 18 ottobre 1932 (I.); 2) Roma 10 novembre 1952 (c.).
106 -Teodoro EHRNESTAIN: Vienna 29 ottobre 1936 (c.).
107 -Giulio EINAUDI: Torino 28 novembre 1962 (I.).
108 -Nicola FABIANO: 1) S. Nicandro Garganico 3 luglio 193( (I.); 2) S. Nicandro Garganico 22 maggio 1932 (I.); 3) Roma 11 giugno 1932 (c.);
107
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
4) S. Nicandro Garganico 23 giugno 1932 (I.); 5) S. Nicandro Garganico
30 marzo 1933 (I.); 6) S. Nicandro Garganico 8 maggio 1933 (I.).
109 -Enrico FALQUI: 1) Roma 6 febbraio 1930 (I.); 2) Roma 1 dicembre
1930 (c.); 3) Roma 18 febbraio 1931 (c.); 4) Roma 19 marzo 1935 (c.); 5)
Roma 5 novembre 1949 (I.); 6) Roma 22 febbraio 1950 (I.); 7) Roma 7
novembre (b.p.); 8) novembre (I.); 9) 23 settembre (I.).
110 -Carlo A. FELCI: Milano 27 giugno 1925 (I.).
111 -Luigi FERRARIS: Roma 30 settembre 1957 (I.).
112 -FERROVIE E TRANVIE DEL MEZZOGIORNO: 1) Roma 4 gennaio
1932 (I.); 2) Roma 21 gennaio 1932 (I.); 3) Roma 17 giugno 1933 (I.); 4)
Roma 5 ottobre 1933 (I.); 5) Roma 13 ottobre 1933 (I.) (b.n. 9). La busta
contiene 4 bozzetti.
113 -Nicola Costantino FESTA: Roma 13 febbraio 1936 (I.).
114 -Filippo FICHERA: 1) Bergamo 18 dicembre 1949 (I.); 2 Bergamo 30
aprile 1950 (I.); 3) Bergamo 3 giugno 1952 (I.) 4) Bergamo 20 giugno
1952 (I.); 5) Bergamo 1 gennaio 1954 (I.); 6) Bergamo 4 marzo 1954 (I.);
7) Milano 15 agosto 1958 (I.); 2) Milano 25 dicembre 1958 (I.); 9) Milano
31 marzo 1964 (I.); 10) Milano 24 agosto 1964 (I.); 11) Milano 28 settembre 1964 (I.).
115 -Angiolo FINI: 1) Rodi 18 settembre 1949 (I.); 2) Bari 10 settembre 1960
(I.); 3) Bari 23 maggio 1965 (I.); 4) Bari 15 giugno 1965 (I.).
116 - Domenico FIORITTO: 1) Foggia s.d. (c.); 2) Napoli 20 dicembre 1933
(b.n. 8).
117 - Francesco FLORA: 1) Napoli 18 marzo 1931 (c.); 2) Ischia 14 aprile
1952 (c.); 3) Roma 28 agosto 1952 (c.); 4) Bologna 27 aprile 1953 (I.).
118 - Luciano FOLGORE: 1) Roma 12 febbraio 1941 (c.); 2) Roma s.d. (I.).
119 - Corrado FOSCARINI: 1) Gallipoli 15 giugno 1927 (I.); 2) Gallipoli 18
settembre 1927 (I.); 3) Gallipoli 30 aprile 1929 (c.).
120 - Rodolfo M. FOTI: Firenze 14 aprile 1951 (I.).
121 - Augusto FRACCACRETA: 1) Roma 20 marzo 1952 (I.); 2) Roma 22
settembre 1953 (I.); 3) Berlino s.d. (c.).
122 - Umberto FRACCACRETA: San Severo 30 aprile 1931 (c.).
123 - Giuseppe FRANCAVILLA: Roma s.d. (I.).
124 - Emilio FIORE: Foggia 21 gennaio 1921 (c.).
125 - Renzo FRATTAROLO: 1) Roma 2 novembre 1959 (I.); 2) Roma 26 dicembre 1960 (I.); 3) Roma 16 dicembre 1962 (I.).
126 - Arsenio FRUGONI: 1) 30 dicembre 1957 (I.); 2) Roma 4 luglio 1958
(I.).
127 - Giuseppe GABRIELI: 1) s.l. 2 marzo 1931 (I.); 2) Roma 2 agosto 1931
(I.); 3) Roma 29 marzo 1932 (I.); 4) Roma 5 settembre 1932 (c.).
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
128 - Francesco GALANTE: 1) s.l. 29 gennaio 1924 (I.); 2) Napoli 7 aprile
1924 (I.); 3) Napoli 9 settembre 1924 (I.); 4) Napoli s.d. (t.); 5) Napoli 8
agosto 1926 (I.); 6) Napoli 14 agosto 1926 (I.); 7) Napoli 28 agosto 1926
(I.); 8) Napoli 14 settembre 1926 (I.); 9) Napoli 23 settembre 1926 (I.);
10) Napoli 18 ottobre 1926 (I.); 11) Napoli 19 ottobre 1926 (I.); 12) Napoli 1 novembre 1926 (I.); 13) Napoli 2 gennaio 1927 (I.); 14) Napoli 12
dicembre 1954 (I.).
129 - C. GALASSI PALUZZI: 1) Roma 15 febbraio 1925 (I.); 2) Roma 27 ottobre 1928 (I.); 3) Roma 9 dicembre 1931 (I.); 4) 8.1. 31 dicembre 1931
(I.).
130 - Antonio GALEAZZO GALEAZZI: s.l. 1919 (I.).
131 - Nino GALIMBERTI: 1) Bergamo 1 ottobre 1929 (c.); 2) Bergamo 22
novembre 1929 (c.); 3) Roma 26 luglio 1930 (c.).
132 - Alfredo GALLETTI: Bologna 30 giugno 1931 (I.).
133 - Cesare GASTALDI: Milano 3 settembre 1959 (I.).
134 - Tiberio GENNARO: 1) Chieti 18 gennaio 1921 (c.); 2) Chieti 23 gennaio 1921 (c.).
135 - Carlo GENTILE: Foggia 12 giugno 1952 (c.).
136 - Giovanni GENTILE: 1) Roma 12 aprile 1933 (I.); 2) Roma 16 dicembre
1936 (I.); 3) Roma 5 gennaio 1937 (I.).
137 - Vincenzo GERACE: 1) s.l. 25 maggio 1921 (I.); 2) Roma 22 luglio
1921 (c.); 3) Castellammare Alviatico 18 agosto 1921 (c); 4) Roma 5 aprile 1922 (I.); 5) Roma 16 giugno 1926 (c.); 6) Roma 17 dicembre 1926
(c.); 7) Roma 18 gennaio 1928 (I.); 8) Roma 10 febbraio 1928 (I.); 9) Roma 13 marzo 1928 (I.); 10) Roma 26 febbraio 1929 (c.); 11) Roma 6 gennaio 1930 (c.); 13) s.l. s.d. (I.).
138 - Achille GEREMICCA: 1) s.l. 16 giugno 1923 (I.); 2) Napoli 28 agosto
1932 (I.).
139 - Michele GERVASIO: 1) Bari 24 aprile 1932 (I.); 2) Bari 31 maggio
1933 (c.); 3) Bari 12 settembre 1933 (c.); 4) Bari 24 dicembre 1933 (b.p.);
5) Bari 20 luglio 1934 (c.).
140 - Alberto Maria GHISALBERTI: Roma 11 marzo 1960 (I.).
141 - Giulio GIANELLI: 1) Roma 20 marzo 1913 (I.); 2) Ancona 25 settembre 1913 (c.); 3) Rosazza (Biellese) s.d. (I.).
142 - Gaetano GIGLI: 1) Roma 17 novembre 1931 (I.); 2) Roma 11 giugno
1941 (c.).
143 - Lucia GIGLI: 1) Roma 16 ottobre 1950 (I.); 2) Roma 18 agosto 1957
(I.).
144 - Lorenzo GIGLI: 1) Torino 7 dicembre 1930 (I.); 2) Torino 11 dicembre
1930 (I.).
145 - Odoardo GIGLIOLI: 1) Firenze 17 aprile 1930 (c.); 2) Firenze 1 luglio
1930 (e); 3) Firenze 25 novembre 1930 (c.); 4) Firenze 29 gennaio 1932
(c.).
146 - Gian Pietro GIORDANA: 1) Collemontano di Spoleto 13 agosto 1932
(I.); 2) s.l. s.d. (b.v.).
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ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
147 - Tullio GIORDANA: 1) s.l. 29 settembre (I.); 2) s.1. venerdì 31(I.).
148 – Sanzio GIOVANNELLI: 1) S. Benedetto del Tronto 21 dicembre 1958
(I.); 2) 8. Benedetto del Tronto 28 dicembre 1962 (I.); 3) s.l. Pasqua 1963
(I.); 4) S. Benedetto del Tronto 19 settembre 1963 (I.); 5) S. Benedetto del
Tronto 9 ottobre 1963 (I.); 6) S. Benedetto del Tronto 26 maggio 1964 (l.).
149 - Lorenzo GIUSSO: Roma s.d. (I.).
150 - R. GORJUX: Bari s.d. (c.).
151 - Corrado GOVONI: 1) Roma 27 luglio 1939 (c.); 2) Roma febbraio 1941
(c.); 3) Roma 10 febbraio 1941 (c.); 4) Roma 14 marzo 1951 (I.).
152 - Virgilio GUIDOTTO: Bergamo 4 febbraio 1931 (I.).
153 - Federico HERMANIN: 1) Roma 28 dicembre 1923 (I.); 2 Roma 9 aprile
1924 (c.); 3) Roma 10 ottobre 1924 (c.); 4) Roma 26 novembre 1924
(b.v.); 5) Roma 21 dicembre 1924 (I.); 6) Roma 20 aprile 1925 (I.); 7)
Roma 18 febbraio 1925 (1); 8) Roma 27 giugno 1925 (b.v.); 9) Roma 18
novembre 1925 (b.v.); 10) Roma 13 aprile 1925 (b.v.); 11) Roma 27 giugno 1925 (I.); 12) Roma 21 ottobre 1925 (I.); 13) Roma 11 novembre
1925 (b.v.); 14) Roma 23 febbraio 1926 (I.); 15) Roma 20 maggio 1926
(I.); 16) Roma 31luglio 1926 (I.); 17) Roma 20 ottobre 1926 (I.); 18) Roma 27 novembre 1926 (I.); 19) Roma 22 dicembre 1926 (c.); 20) Roma 5
gennaio 1927 (I.); 21) Roma 1 febbraio 1927 (I.); 22) Roma 13 aprile
1927 (I.); 23) Roma 26 aprile 1927 (I.); 24) Roma 10 maggio 1927 (I.); 25
Roma 20 maggio 1927 (I.); 26 s.l. 13 giugno 1927 (I.); 27) Roma 18 giugno 1927 (I.); 28) Roma 18 giugno 1927 (I.); 29) Roma 11 luglio 1927
(I.); 30) Roma 19 luglio 1927 (I.); 31) Roma 8 novembre 1927 (I.); 32)
Roma 10 novembre 1927 (I.); 33) Roma 10 ottobre 1927 (I.); 34) Roma
29 novembre 1927 (I.); 35) Roma 29 novembre 1927 (I.); 36) Roma 23
dicembre 1927 (I.); 37) Roma 2 gennaio 1928 (I.); 38) Roma 12 gennaio
1928 (I.); 39) Roma 28 gennaio 1928 (I.); 40) Roma 15 febbraio 1928 (I.);
41) Roma 17 marzo 1928 (I.); 42) Roma 28 marzo 1928 (I.); 43) Roma 9
aprile 1928 (I.); 44) Roma 26 aprile 1928 (I.); 45) Roma 8 maggio 1928
(I.); 46) Roma 18 maggio 1928 (I.); 47) Bari 7 luglio 1928 (c.); 48) Roma
18 agosto 1928 (b.v.); 49) Roma 28 settembre 1928 (b.v.); 50) Roma 1 ottobre 1928 (b.v.); 51) Roma 4 ottobre 1928 (I.); 52) Roma 16 ottobre 1928
(I.); 53) Roma 17 ottobre 1928 (I.); 54) Roma 30 ottobre 1928 (I.); 55)
Roma 15 novembre 1928 (I.); 56) Bari 22 novembre 1928 (c.); 57) Bari 29
dicembre 1928 (c.); 58) Roma 1 aprile 1929 (I.); 59) s.l. 14 aprile 1929
(b.v.); 60) Roma 28 dicembre 1929 (I.); 61) Roma 14 marzo 1930 (I.); 62)
Roma 7 agosto 1930 (b.v.); 63) Roma 3 giugno 1930 (I.);
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
64) Roma 18 giugno 1931 (I.); 65) Roma 10 settembre 1931 (I.); 66) Roma 10 agosto 1932 (I.); 67) s.1. 10 giugno (b.v.) 68) s.l. s.d. (b.v.); 69) s.l.
s.d. (I.); 70) s.l. s.d. (b.v.).
154 - Arthur M. HIND: s.l. 3 ottobre 1946 (I.).
155 - Tomaso IACOANGELI: 1) s.l. 18 giugno 1928 (I.); 2) s.l. 2 giugno
1928 (I.); 3) Roma 21 marzo 1929 (I.).
156 - Renato IAVARONE: 1) s.l. 1 maggio 1924 (I.); 2) Roma 1 settembre
1926 (I.).
157 - Enrico IRMICI: s.l. 17 febbraio 1921 (b.v.).
158 - ISTITUTO ITALIANO ARTI GRAFICHE: Bergamo 2 maggio 1917
(I.).
159 - ISTITUTO NAZIONALE LUCE: Roma 26 giugno 1934 (I.)
160 - Jules G. KIRALY: s.l. s.d. (b.v.).
161 - Rosario IURLARO: Brindisi 8 gennaio 1964 (I.). Allegata una lettera di
Petrucci: Roma 25 dicembre 1963
162 - Rosario LABADESSA: Roma 4 maggio 1937 (I.).
163 - Arturo LANCELLOTTI: 1) Roma 6 settembre 1926 (c.); 2 Roma 9 ottobre 1926 (c.). Allegata lettera di Petrucci: Roma 9 gennaio 1927.
164 - Giovanni LA SELVA: 1) S. Marco in Lamis 3 febbraio 1929 (I.); 2) S.
Marco in Lamis 8 aprile 1929 (I.).
165 - Saverio LA SORSA: 1) Bari 25 marzo 1924 (c.); 2) Bari 25 ottobre
1930 (c.); 3) Bari 22 dicembre 1930 (c.); 4) Bari 19 settembre 1951 (c.);
5) Bari 25 settembre 1955 (c.); 6) Bar 3 dicembre 1963 (I.); 7) Bari s.d.
(c.).
166 - Giuseppe LATERZA: Bari 18 aprile 1921 (I.).
167 - Emilio LAVAGNINO: Roma 20 ottobre (I.).
168 - Nadina LAVIANO: 1) Gallipoli 3 marzo 1925 (I.); 2) Gallipoli 17 marzo 1925 (I.); 3) Gallipoli 21 marzo 1925 (I.).
169 - Ester LOIODICE: 1) Foggia 28 gennaio 1928 (I.); 2) Foggia
8 febbraio 1932 (I.); 3) Foggia febbraio 1933 (I.); 4) Milano
24 giugno 1933 (I.); 5) Foggia 7 luglio 1933 (I.).
170 - A. LOMBARD: Neuchatel 1935 (I.).
171 - Momo LONGARELLI: 1) s.l. 11 giugno 1918 (c.); 2) Ancona 1 giugno
1922 (c.).
172 - Roberto LONGHI: 1) Firenze 11 gennaio 1955 (I.); 2) Firenze 14 aprile
1955 (I.).
173 - Aldo LUSINI: Siena 13 maggio 1959 (I.).
174 - Alessandro LUZIO: Mantova 12 agosto 1938 (c.).
175 - Eugenio MACCAGNANI: s.l. s.d. (I.).
176 - Mino MACCARI: s.l. 23 settembre 1965 (I.).
177 - Maffio MAFFII: Firenze 30 dicembre 1940 (I.).
178 - Giorgio MAGGIONI: Roma 29 marzo 1956 (I.).
179 - Domenico MAGGIORE: 1) Napoli 9 febbraio 1933 (I.); 2) Foggia 3 aprile 1933 (c.); 3) Napoli 27 giugno 1933 (I.); 4) Napoli 15 gennaio 1951
(I.).
180 - Guido MARANGONI: Milano 2 giugno 1926 (c.).
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181 -Matteo MARANGONI: Roma 1 marzo 1925 (I.).
182 -Francesco MARATEA: 1) Como 9 ottobre 1914 (I.); 2) Roma 31 dicembre 1958 (b.p.).
183 -Filippo Tommaso MARINETTI: Capri 20 agosto (c.).
184 -Ottavio MARINI: s.1. 30 maggio 1925 (b.v.).
185 -Gaetano MARTINEZ: 1) Roma 10 giugno 1926 (b.p.); 2) Galatina 7 agosto 1926 (c.); 3) Galatina 10 agosto 1926 (c.) 4) Roma 27 agosto 1926
(c.); 5) Galatina 6 ottobre 1926 (c.) 6) Roma 23 ottobre 1926 (b.p.); 7) s.l.
s.d. (I.).
186 -Arcangelo MASOTTI: Bari 21 ottobre 1941 (I.).
187 -Guido MASTROPASQUA: 1) Roma 18 ottobre 1925 (I.); 2) Roma 21
novembre 1925 (I.); 3) Roma 14 febbraio 1926 (I.) 4) Roma 28 febbraio
1926 (I.); 5) Roma 28 marzo 1927 (b.v.); 6) Roma 7 novembre 1927 (I.);
7) Roma 14 novembre 1927 (I.); 8) Roma 24 gennaio 1933 (I.); 9) Roma
24 dicembre 1934 (I.).
188 -Nunzietta MASTROVALERI: S. Menaio 8 luglio 1914 (c.)
189 -Luciano MATARAZZO: Roma 4 novembre 1933 (I.).
190 -Evelino MELCHIONDA: 1) Firenze 5 aprile 1965 (I.);2) Firenze 17
maggio 1965 (I.); 3) Firenze 14 giugno 1965 (I.). 4) Firenze 7 dicembre
1965 (I.).
191 -Salvatore MININNI: Roma 8 aprile 1931 (I.).
192 -Vincenzo MODONI: Lecce 10 dicembre 1930 (c.).
193 -Ottorino MODUGNO: Roma 12 gennaio 1931 (I.) (b.n. 10). Allegato
frontespizio a stampa dell’opera: « Ottorino Modugno: Il poema di Rossana ».
194 -Corradina MOLA: Milano 20 gennaio 1939 (I.).
195 -Enrico MOLE’: 1) Roma s.d. (b.v.); 2) Roma 25 novembre (b.v.); 3)
Roma 1 gennaio 1958 (b.v.).
196 -Giorgio MORANDI: 1) Bologna 9 luglio 1951 (I.); 2) Bologna 2 agosto
1953 (I.).
197 -Riccardo MORBELLI: Roma 18 ottobre 1960 (I.).
198 -Margherita MORCALDI PISTORESI: Roma 8 giugno 1951.
199 -Marino MORETTI: 1) Cesenatico 29 agosto 1914 (c.); 2) Roma 13 gennaio 1918 (c.); 3) Cesenatico 12 febbraio 1921 (c.); 4) Cesenatico 18 dicembre 1940 (I.); 5) Senigallia 10 luglio 1948.
200 -Raffaello MORGHEN: 1) Roma 20 marzo 1957 (I.); 2) Roma 19 ottobre
1960 (I.).
201 -Ciccio MOSCA: Bologna 14 aprile 1931 (I.) (b.n. 11).
202 -Nicola MOSCARDENI: 1) Roma 13 settembre 1921 (c.); 2) Roma 9
giugno 1931 (c.); 3) Ofena 1 agosto 1941 (I.); 4) Roma s.d. (I.).
203 -Giacomo NEGRI: Torremaggiore 10 ottobre 1931 (I.). Allegata fotografia dell’opera: « Giocatore di pallone: ‘Parata’ ».
204 -Francesco NEGRO: Roma 30 luglio 1931 (I.).
112
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
205 - Asbite Ezio NEPI: Roma 18 febbraio 1953 (I.).
206 - Giorgio NICODEMI: 1) Milano 29 aprile 1957 (I.); 2) Milano 25 settembre 1957 (I.); 3) Milano 24 marzo 1958 (I.); 4) s.l. 24 maggio 1958
(I.); 5) Milano 20 giugno 1958 (I.); 6) Milano 25 aprile 1959 (I.); 7) Milano 19 dicembre 1960 (I.); 8) Milano 7 novembre 1961 (I.); 9) Milano 24
dicembre 1963 (I.).
207 - Giuseppe NICOLI: Bergamo 24 ottobre 1950 (I.).
208 - Giuseppe NOTARNICOLA: 1) Alberobello 16 marzo 1925 (c.); 2) Bari
17 maggio 1927 (c.).
209 - Antonio NUNOZ: s.l. 13 giugno 1953 (I.).
210 - Ugo OIETTI: 1) Firenze 14 luglio 1922 (I.); 2) Firenze 21 novembre
1931 (I.); 3) Firenze 19 marzo 1935 (c.) (b.n. 12).
211 - Vincenzo OLIVIERI: s.l. 12 maggio 1961 (1).
212 - Aldo OLSHKI: Firenze 4 dicembre 1952 (I.).
213 - Paolo ORANO: 1) Siena 17 marzo 1914 (I.); 2) Siena 20 giugno 1914
(I.); 3) Perugia 5 dicembre (c.).
214 - Ramiro ORTIS: 1) Bucarest 18 aprile 1931 (c.); 2) Bucarest 27 aprile
1931 (c.).
215 - Giulio PAGLIANO: 1) Gallipoli 24 marzo 1924 (I.); 2) Gallipoli 10 aprile 1924 (I.); 3) Gallipoli 24 aprile 1924 (I.); 4) Gallipoli i maggio 1924
(I.); 5) Gallipoli 1 maggio 1924 (c.); 6) Gallipoli 21 maggio 1924 (I.); 7)
Gallipoli 26 maggio 1924 (c.); 8) Gallipoli 17 luglio 1924 (I.); 9) Gallipoli
21 luglio 1924 (I.); 10) Gallipoli 1 agosto 1924 (I.); 11) Gallipoli 15 agosto 1924 (I.); 12) Gallipoli 5 settembre 1924 (I.); 13) Gallipoli 23 settembre 1924 (I.); 14) Gallipoli 6 giugno 1926 (I.); 15) Gallipoli 7 agosto 1926
(c.); 16) Gallipoli 29 luglio 1926 (c.); 17) Gallipoli 19 agosto 1926 (I.);
18) GaIlipoli 24 agosto 1926 (I.); 19) Gallipoli 4 settembre 1926 (I.); 20)
Gallipoli 9 settembre 1926 (I.); 21) Gallipoli 29 settembre 1926 (I.); 22)
Gallipoli 13 ottobre 1926 (I.); 23) Gallipoli 16 ottobre 1926 (I.); 24) Gallipoli 31 ottobre 1926 (I.); 25) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 26) Gallipoli 14 novembre 1926 (c.); 27) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 28) Gallipoli 31 maggio 1927 (I.); 29) Gallipoli 18 giugno 1927 (I.); 30) Gallipoli
29 marzo 1929 (I.); 31) Gallipoli 23 ottobre 1929 (c.); 32) Gallipoli 12
maggio 1930 (e). (b.n. 13).
216 - Michele PALMIERI: 1) Bari 24 novembre 1968 (I.); 2) Bari 30 novembre 1968 (I.).
217 - Michele PALUMBO: 1) Lecce 4 aprile 1924 (c.); 2) Lecce 8 aprile 1924
(I.); 3) Lecce 4 agosto 1924 (I.).
218 - Pier Fausto PALUMBO: Bari 25 luglio 1957 (I.).
219 - Pietro PANCRAZI: S.1. 6 ottobre 1952 (I.).
220 - F. PAOLIERI: Firenze 5 dicembre 1914 (c.).
221 - Savino PAPALIA: Roma s.d. (I.).
222 - Giuseppe PAPIANI: Roma 12 giugno 1938 (c.).
113
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
223 - Gino PARENTI: Venezia 14 giugno (I.).
224 - Achille PELLIZZARI: Genova 5 aprile 1928 (I.).
225 - Giovanni PENSA: Roma 12 settembre 1953 (I.).
226 - Raffaele Pio PETRILLI: 1) Roma 7 aprile 1950 (I.); 2) Roma 26 dicembre 1951 (I.); 3) Roma 11 marzo 1953 (I.); 4) Roma 7 maggio 1956 (I.); 5)
Roma 25 dicembre 1957 (b.p.); 6) Roma 31 marzo 1959 (b.v.); 7) Roma
23 dicembre 1960 (b.p.).
227 - Guglielmo PETRONI: Roma s.d. (I.).
228 - Armando PETRUCCI (fratello): i) Foggia 26 maggio 1923 (I.); 2) New
York 2 febbraio 1931 (I.)..
229 - Michele PETRUCCI: Roma 31 gennaio 1921 (I.) (b.n. 13).
230 - Silvio PETRUCCI: 1) Fronte 9 novembre 1917 (c.); 2) Fronte 12 novembre 1917 (c.); 3) Fronte 13 novembre 1917 (c.); 4) Fronte 13 novembre 1917 (c.); 5) Fronte 14 novembre 1917 (c.); 6) Fronte 16 novembre
1917 (c.); 7) Fronte 19 novembre 1917 (c.); 8) Fronte 19 novembre 1917
(c.); 9) Fronte 23 novembre 1917 (c.); 10) Fronte 26 novembre 1917 (c.);
11) Fronte 30 novembre 1917 (c.); 12) Fronte 2 dicembre 1917 (c.); 13)
Fronte 9 dicembre 1917 (c.); 14) Fronte 20 dicembre 1917 (c.).
231 - Diego PETTINELLI: Roma 2 ottobre 1962 (I.).
232 - Ferdinando PICCININO: Torremaggiore 22 luglio 1922 (c.).
233 - Francesco PICCOLO: 1) Lucera 26 dicembre 1920 (c.); 2) La Spezia 13
gennaio 1921 (c.); 3) La Spezia 25 febbraio 1921 (c.); 4) La Spezia 4 aprile 1921 (c.); 5) La Spezia 12 maggio 1921 (c.); 6) Oneglia 12 gennaio
1925 (c.); 7) Roma 22 febbraio 1935 (I.); 8) Roma 6 ottobre 1940 (I.).
234 - Enrico PICENI: 1) Milano 18 giugno 1963 (I.); 2) Milano 11 novembre
1963 (I.); 3) Milano 4 luglio 1964 (I.); 4) Milano 20 luglio 1964 (I.).
235 - Giuseppe Mario PILO: 1) Bassano del Grappa 7 ottobre 1963 (I.); 2)
Bassano del Grappa 22 maggio 1964 (I.).
236 - Giuseppe PILONE: 1) Foggia 22 novembre 1926 (I.); 2) Foggia 28 novembre 1926 (I.); 3) Foggia 10 dicembre 1926 (I.); 4) Foggia 10 febbraio
1927 (I.); 5) Foggia 19 febbario 1927 (I.); 6) Foggia 22 febbraio 1927 (I.);
7) Foggia 27 febbraio 1927 (I.); 8) Foggia 2 marzo 1927 (I.); 9) Foggia 13
marzo 1927 (I.); 10) Foggia 1 aprile 1927 (I.); 11) Foggia 22 maggio 1927
(I.); 12) Foggia 4 giugno 1927 (I.); 13) Foggia 6 luglio 1927 (I.); 14) Foggia 19 ottobre 1927 (I.); 15) Foggia 4 novembre 1927 (I.); 16) Foggia 28
gennaio 1928 (I.); 17) Foggia 29 ottobre 1928 (I.); 18) Foggia 7 marzo
1929 (I.); 19) Foggia 15 marzo 1929 (I.); 20) Foggia 9 maggio 1929 (I.);
21) Foggia 31 maggio 1929 (I.); 22) Foggia 22 luglio 1929 (I.); 23) Foggia 20 settembre 1929 (I.); 24) Foggia 3 dicembre 1929 (I.); 25) Foggia 27
dicembre 1929 (I.); 26) Foggia 17 febbraio 1930 (I.); 27) Foggia 14 maggio 1930(I.); 28) Foggia s.d. (c.); 29) Foggia s.d. (b.v.); 30) Foggia s.d.
(b.v.); 31) Foggia s.d. (t.).
114
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
237 - Pietro (padre) PIRRI: 1) Roma 4 giugno 1953 (I.); 2) Roma 14 dicembre
1953 (I.); 3) Roma 26 aprile 1962 (I.); 4) Roma 4 luglio 1962 (I.); 5) Roma 17 febbraio 1965 (I.).
238 - Raffaele PISSACROIA: 1) Taranto 11 giugno 1950 (I.); 2) s.l. s.d. (I.);
3) s.l. s.d. (I.).
239 - G. PITTA: 1) Lucera 11 marzo 1913 (c.); 2) Sansevero 20 ottobre 1928
(I.).
240 - Nicola PITTA: 1) Apricena 25 luglio 1933 (I.); 2) Apricena 17 settembre 1933 (I.); 3) Apricena 7 dicembre 1958 (I.); 4) Apricena 4 ottobre
1965 (I.). Allegato un tema di Francesco Florio studente di II media su un
articolo di Petrucci: « L’antica arte del telaio »; Messaggero di Roma
3.8.1965.
241 - Mario PITTALUGA: 1) Firenze 20 marzo 1930 (c.); 2) Firenze 25 ottobre 1930 (I.); 3) Firenze 12 aprile 1951 (I.); 4) Firenze 14 aprile 1953 (I.);
5) Firenze 27 giugno 1963 (I.); 6) Firenze 12 luglio 1963 (I.); 7) Firenze
18 maggio 1964 (I.); 8) Vallombrosa 30 agosto 1964 (I.); 9) s.l. s.d. (I.).
242 - Ernesto PONTIERI: 1) Napoli 16 marzo 1956 (I.); 2) Napoli 10 giugno
1956 (I.); 3) Napoli 22 giugno 1956 (I.).
243 - Amadore PORCELLA: s.1. s.d. (b.v.).
244 - Fernando PORFIRI: Roma 16 novembre 1954 (I.).
245 - Giovanni PRATICO’: Mantova 26 agosto 1953 (I.).
246 - Carlo Felice PRENCIPE: Potenza 22 gennaio 1926 (I.).
247 - Umberto PRENCIPE: s.l. 17 febbraio 1961 (I.).
248 - Mario PUCCINI: 1) Senigallia 17 luglio 1942 (c.); 2) Formia 6 giugno
1952 (I.); 3) Roma 11febbraio (I.); 4) s.l. s.d. (b.v.); 5) s.l. s.d. (b.v.); 6)
s.l. s.d. (b.v.); 7) s.l. s.d. (b.v.); 8) s.1. s.d. (b.v.).
249 - Filippo Maria PUGLIESE: 1) Lecce 11 ottobre 1947 (I.); 2) Lecce 16
febbraio 1948 (I.); 3) Lecce aprile 1952 (I.).
250 - Giuseppe RASI: Milano 6 giugno 1927 (I.).
251 - Corrado RICCI: 1) Roma 29 marzo 1931 (I.); 2) Roma 18 novembre
1932 (I.); 3) Roma 9 luglio 1951 (c.) (b.n. 14).
252 - Domenico RICCI: 1) Mondano 5 settembre 1919 (I.); 2) Orvieto 3 novembre 1920 (c.); 3) Ancona 23 aprile 1923 (c.); 4) Ancona 28 maggio
1923 (c.); 5) Ancona 8 aprile 1924 (c.); 6) Ancona 24 gennaio 1931 (c.);
7) Ancona 2 aprile 1931 (c.); 8) Ancona 19 aprile 1931 (c.); 9) Roma 11
ottobre 1941 (c.).
253 - Mario RIVOSECCHI: 1) Roma 14 febbraio 1964 (I.); 2) Roma 9 gennaio 1965 (I.). 254 - Antonio RIZZO: 1) Taranto 20 dicembre 1949 (I.);
2) Taranto 22 maggio 1950 (I.); 3) Taranto 8 agosto 1950 (I.); 4) Taranto
21 ottobre 1965 (I.); 5) Taranto 26 aprile 1968(I.); 6) Taranto 4 maggio
1968 (I.); 7) Taranto 17 gennaio 1969 (l.).
115
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
255 - Francesco ROMANO: 1) Gioia del Colle 23 maggio 1917 (c.); 2) Gioia
del Colle 8 febbraio 1921 (I.); 3) Gioia del Colle 30 dicembre 1922 (c.).
256 - Rosso di San Secondo: 1) Lido di Camajore 18 novembre 1940 (I.); 2)
Lido di Camajore 5 dicembre 1940 (I.); 3) Lido di Camajore 23 giugno
1941 (b.v.); 4) Lido di Camajore 10 luglio 1941 (I.); 5) Lido di Camajore
18 agosto 1941 (I.); 6) Lido di Camajore 24 luglio 1942 (I.); 7) s.l. s.d.
(b.v.); 8) s.l. s.d. (b.v.).
257 - Alberico SALA: Bergamo s.d. (I.).
258 - Mario SALMI: 1) Milano 5 maggio 1922 (I.); 2) Firenze 10 marzo 1933
(c.); 3) Firenze 6 gennaio 1953 (I.); 4) Roma 15 marzo 1954 (I.); 5) Roma
1 gennaio 1955 (I.); 6) Firenze 1 febbraio 1955 (I.); 7) Roma 8 aprile 1957
(I.); 8) Roma 22 marzo 1963 (I.); 9) Porto S. Stefano 30 giugno 1963 (I.);
10) Arezzo 21 maggio 1965 (I.).
259 - Gina SALZA BOSCO: 1) Roma 21 giugno 1939 (I.); 2) Roma 15 luglio
1939 (I.).
260 - Fausto SALVATORI: Roma 24 febbraio 1924 (I.).
261 - Sergio SAMEK-LUDOVICI: 1) Modena 13 maggio 1953 (I.); 2) Modena 19 luglio 1953 (I.); 3) Modena 29 novembre 1957 (I.).
262 - Rodolfo SANTOLLINO: 1) Foggia 11 giugno 1923 (I.); 2) s.l. 7 luglio
1931 (I.); 3) Foggia 25 dicembre 1951 (c.); 4) Foggia 12 maggio 1932 (I.).
263 - Michele SAPONARO: 1) Milano 17 febbraio 1921 (c.); 2) Milano 1 dicembre 1940 (c.); 3) Milano 3 febbraio 1941 (c.).
264 - Francesco SAPORI: 1) Macerata 18 febbraio 1914 (c.); 2) Macerata 26
giugno 1914 (c.); 3) Roma 5 luglio 1921 (c.); 4) Roma 24 aprile 1922 (I.);
5) Roma 26 maggio 1923 (I.); 6) s.l. 27 febbraio 1925 (b.v.); 7) Roma 5
dicembre 1927 (I.); 8) Roma 18 marzo 1941 (I.); 9) Roma 19 luglio 1941
(I.); 10) Roma 1 ottobre 1941 (I.); 11) s.1. 27 ottobre 1941 (b.v.); 12) Roma 21 gennaio 1942 (I.); 13) Roma 13 aprile 1942 (I.); 14) Firenze 22 aprile 1942 (I.); 15) Firenze 25 luglio 1942 (I.); 16) s.l. 1 agosto 1942 (I.);
17) Roma 16 settembre 1942 (I.); 18) Roma 10 ottobre 1942 (I.); 19) Roma 28 maggio (I.); 20) s.l. 5 maggio (I.); 21) s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 15).
265 - Nino SAVARESE: Enna 22 dicembre (I.).
266 - Piero SCARPA: Roma 17 novembre 1952 (I.).
267 - Ignazio SCATURRO: 1) Roma 19 maggio 1931 (I.); 2) Roma 18 ottobre (I.); 3) s.l. s.d. (I.); 4) Roma 15 luglio 1952 (I.).
268 - Luigi SCHINGO: 1) Molfetta 14 aprile 1924 (I.); 2) Molfetta 7 settembre 1926 (c.); 3) Molfetta 30 ottobre 1926 (c.);
116
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
4) Salerno 28 settembre 1929 (I.); 5) Molfetta 18 dicembre 1930 (c.); 6)
s.l. 26 dicembre 1930 (I.); 7) Molfetta 6 gennaio 1931 (c.); 8) Molfetta 24
gennaio 1931 (c.); 9) San Severo 8 gennaio 1933 (c.); 10) San Severo 26
giugno 1933 (c); 11) San Severo 19 settembre 1933 (I.); 12) Lamiano 9
febbraio 1935 (c.).
269 - Giuseppe SCIORTINO: Roma 27 ottobre 1942 (I.).
270 - Leopoldo SEBASTIANI: Bari 13 aprile 1922 (c.).
271 - Eugenio SELVAGGI: 1) Lecce 31 gennaio 1921 (I.); 2) Manduria 22
marzo 1926 (I.); 3) Napoli 13 aprile 1926 (I.); 4) Manduria 19 aprile 1926
(c.); 5) Lecce 13 maggio 1926 (c.); 6) Roma 12 aprile 1952 (I.); 7) Roma
18 maggio 1952 (I.). Allegate n. 4 schede di articoli di A. Petrucci.
272 - Cristanziano SERRICCHIO: 1) Manfredonia li giugno 1950 (I.); 2)
Manfredonia 20 gennaio 1951 (I.); 3) Manfredonia 18 febbraio 1952 (I.);
4) Manfredonia 2 dicembre 1952 (I.); 5) Manfredonia 9 settembre 1953
(I.); 6) Napoli 10 luglio 1954 (I.); 7) Manfredonia 16 aprile 1957 (I.); 8)
Manfredonia 22 dicembre 1962 (I.); 9) Manfredonia 21febbraio 1965 (I.);
10) Manfredonia Pasqua 1967 (I.); 11) Manfredonia 25 dicembre 1968
(I.).
273 - Luigi SERVOLINI: 1) s.l. 5 marzo 1930 (c.); 2) Livorno Pasqua 1931
(c.); 3) Livorno 26 luglio 1931 (e); 4) Livorno 25 dicembre 1931 (c.); 5)
Urbino 14 gennaio 1932 (c.); 6) Urbino 20 gennaio 1933 (c.).
274 - Salvatore SIBILIA: Anagni 20 aprile 1950 (I.).
275 - Mario SIMONE: 1) Roma 13 marzo 1929 (c.); 2) Roma 12 maggio 1929
(I.); 3) Roma 6 luglio 1932 (I.); 4) Foggia 19 febbraio 1933 (I.); 5) Foggia
25 settembre 1933 (I.); 6) Foggia 28 settembre 1933 (I.); 7) Foggia 14 ottobre 1933 (I.); 8) Foggia 2 novembre 1933 (I.); 9) Foggia 31 marzo 1934
(I.); 10 Foggia 1 agosto 1934 (I.); 11) s.l. s.d. (I.).
276 - Pasquale SOCCIO: 1) S. Marco in Lamis 24 luglio 1931 (I.); 2) S. Marco in Lamis 24 novembre 1934 (I.); 3) S. Marco in Lamis 19 dicembre
1934 (I.); 4) Roma 10 aprile 1935 (c.); 5) Roma 22 ottobre 1935 (c.); 6)
Roma 29 ottobre 1935 (c.); 7) Roma 13 novembre 1935 (c.); 8) S. Marco
in Lamis 30 dicembre 1935 (I.); 9) S. Marco in Lamis 16 luglio 1936 (I.);
10) S. Marco in Lamis 14 luglio 1937 (I.); 12) S. Marco in Lamis 3 maggio 1938 (I.); 12) 5. Marco in Lamis 10 maggio 1938 (c.); 13) Lucera 24
gennaio 1941 (b.v.); 14) Lucera 19 gennaio 1961 (I.); 15) Lucera 15 febbraio 1964 (I.); 16) Lucera 5 dicembre 1964 (I.); 17) Lucera 10 marzo
1965 (I.); 18) Lucera 15 marzo 1965 (I.); 19) Lucera 6 ottobre 1965 (I.);
20) Lucera 19 gennaio 1968 (I.); 21) Lucera 22 giugno 1968 (I.).
277 - Ardengo SOFFICI: 1) Poggio a Caiano 13 marzo 1941 (I.);
117
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
2) Poggio a Calano 19 novembre 1941 (I.); 3) Poggio a Caiano 20 giugno
1942 (b.v.).
278 - Giacinto SPAGNOLETTI: 1) Taranto 9 febbraio 1947 (I.). 2) Taranto
23 giugno 1947 (I.); 3) Mozzano (Parma) 1 agosto 1947 (c.); 4) Mozzano
3 settembre 1947 (I.); 5) Parma ottobre 1947 (I.); 6) Taranto 7 ottobre
1947 (c.); 7) Taranto 14 ottobre 1947 (I.); 8) Milano 9 dicembre 1947 (c.);
9) Milano 26 maggio 1948 (I.).
279 - Alberto SPAINI: 1) Bologna 11febbraio 1942 (b.v.); 2) Roma 11 gennaio 1961 (I.); 3) Bologna 2 luglio (b.v.); 4) s.l. 28 giugno (I.); 5) Roma
14 agosto (I.).
280 - Raffaele SPATOCCO: Chieti 16 agosto 1946 (I.).
281 - Vittorio SPINAZZOLA: Milano i maggio 1942 (I.).
282 - Gaetano SPINELLI: 1) Firenze 5 aprile 1924 (I.); 2) Firenze 16 aprile
1924 (I.); 3) Firenze 30 aprile 1924 (I.); 4) Firenze 1 giugno 1924 (L); 5)
Firenze 9 giugno 1924 (I.); 6) Firenze 6 luglio 1924 (I.); 7) Firenze 21 agosto 1924 (c.); 8) Firenze 24 settembre 1924 (I.); 9) Firenze 1 settembre
1926 (I.) 10) Firenze 8 settembre 1926 (c.); 11) Firenze lunedì 27 settembre 1926 (c.); 12) Firenze 2 novembre 1926 (I.); 13) Firenze 30 novembre
1926 (c.); 14) Firenze 15 novembre 1926 (c.).
283 - Jacques STIENNON: 1) Liegi 2 dicembre 1963 (I.); 2) Liegi 6 gennaio
1964 (I.). Allegata una lettera di A. Petrucci: Roma 3 marzo 1964.
284 - Filippo SURICO: 1) Roma 8 giugno 1925 (c.); 2) Roma 6 gennaio 1926
(c.); 3) Roma 2 marzo 1931 (I.).
285 - Oiva Joh. TALLGREN-TUNLIO: 1) Helsinki 27 novembre 1931 (I.); 2)
Helsinki s.d. (b.v.).
286 - Alberto TALLONE: Alpignano 29 dicembre 1958 (I.).
287 - Mario TARONNA: Foggia 14 aprile 1935 (I.).
288 - Laura TERRACCIANO: s.l. 4 dicembre 1954 (I.).
289 - Adriano TILGHER: 1) s.l. 3 giugno 1931 (I.); 2) s.l. 20 gennaio 1932
(I.); 3) Roma s.d. (I.); 4) s.l. s.d. (I.).
290 - Eugenio TINTO: 1) s.l. 21 settembre 1929 (I.); 2) Bologna 12 ottobre
1934 (I.); 3) s.l. s.d. (I.).
291 - Pietro TOESCA: 1) Roma 17 febbraio 1933 (I.); 2) Roma 26 febbraio
1935 (I.).
292 - Fabio TOMBARI: Genova 10 gennaio 1941 (c.).
293 - Luigi TONELLI: 1) Parma 9 gennaio 1931 (c.); 2) Parma 13 gennaio
1931 (c.); 3) Parma 21 gennaio 1931 (I.); 4) Parma 26 gennaio 1931 (c.);
5) Parma 8 aprile 1931 (b.v.); 6) Parma 18 novembre 1931 (c.); 7) s.l.
1931-1932 (c.); 8) Roma 13 dicembre 1932 (c.) (b.n. 16).
294 - Walter TOSCANINI: Milano 7 marzo 1923 (I.).
295 - Orazio TOSCHL: 1) Arezzo 22 gennaio 1922 (c.); 2) Arezzo 23 novembre 1923 (c.); 3) Arezzo 20 maggio 1924 (c.); 4) Arezzo 8 maggio1929
(c.); 5) San Sepolcro 14 agosto 1929 (I.); 6) Arezzo 1 novembre 1930 (c.);
118
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
7) Arezzo 10 gennaio 1931 (I.); 8) Arezzo 15 febbraio 1931 (c.); 9) Arezzo 26 ottobre 1932 (c.); 10) Arezzo 10 dicembre 1932 (e); 11) Arezzo 30
gennaio 1933 (c.); 12) Conegliano 11 settembre 1945 (I.); 13) Firenze 16
giugno 1950 (I.); 14) Firenze 14 gennaio 1952 (I.); 15) Arezzo 28 aprile
1952 (c.); 16) Firenze 20 febbraio 1952 (I.); 17) Ovaro (Udine) 7 luglio
1960 (I.); 18) Firenze 21 aprile 1964 (I.); 19) Firenze 19 gennaio 1965
(b.v.); 20) Firenze 10 luglio 1966 (b.v.); 21) Firenze s.d. (b.v.).
296 - Paolo TOSCHI: 1) Livorno 13 gennaio 1929 (I.); 2) Livorno 8 ottobre
1930 (I.); 3) Livorno 16 novembre 1930 (c.); 4) Livorno 18 gennaio 1931
(I.); 5) Livorno 4 febbraio 1931 (I.); 6) Livorno 12 febbraio 1931 (c.); 7)
Livorno 20 febbraio 1931 (c.); 8) Livorno 8 marzo 1931 (c.); 9) Roma 27
giugno 1950 (I.).
297 - Carlo TRIDENTI: Roma 24 novembre 1946 (I.).
298 - Pietro Paolo TROMPEO: 1) Roma 13 giugno 1947 (I.); 2) s.l. s.d. (b.v.).
299 - Luigi TUCCI: i) Foggia 28 settembre 1929 (h.p.); 2) Foggia 26 febbraio
1930 (b.p.); 3) Foggia 11 gennaio 1931 (I.).
300 - Calogero TUMMINELLI: Milano 10 febbraio 1929 (I.).
301 - Giuseppe TUSIANI: 1) New York 30 marzo 1951 (I.); 2) New York 21
giugno 1952 (I.); 3) New York 10 luglio 1953 (I.); 4) New York 30 aprile
1955 (I.); 5) New York 5 ottobre 1955 (I.) (b.n. 17).
302 - Filippo UNGARO: 1) Roma 6 novembre 1960 (I.); 2) Roma 13 giugno
1969 (I.).
303 - Domenico VALENTINI-VISTA: Foggia 15 marzo 1931 (I.).
304 - Diego VALERI: 1) Venezia 21 dicembre 1952 (I.); 2) Venezia 22 aprile
1953 (I.); 3) Padova 10 maggio 1954 (c.); 4) Venezia 25 settembre 1954
(c.); 5) Venezia 1 maggio (c.).
305 - Jean VALLERY-RADET: 1) Parigi 31 agosto 1953 (I.); 2) Parigi 18
febbraio 1956 (I.); 3) Parigi 9 giugno 1956 (I.).
306 - Aldo VALLONE: 1) Galatina 5 agosto 1950 (c.); 2) Roma 22 gennaio
1951 (c.); 3) Roma 17 novembre 1951 (c.); 4) s.1. 24 aprile 1952 (c.); 5)
Roma 15 luglio 1954 (I.); 6) Galatina 28 giugno 1956 (c.); 7) Galatina 30
luglio 1956 (c.); 8) s.l. 7 marzo 1959 (I.); 9) Galatina 5 ottobre 1959 (I.);
10) Roma 7 settembre 1960 (I.); 11) s.I. 7 ottobre 1960 (I.).
307 - Alfredo VANNI: Roma 14 luglio 1931 (I.).
308 - Alessandro VARALDO: Roma 6 marzo 1941 (c.).
309 - Tommaso VENTRELLA: Ischitella 26 luglio 1.953 (I.).
310 - Lionello VENTURJ: 1) Roma 5 gennaio 1950 (I.): 2) Roma 24 novembre 1951 (I.); 3) Roma 13 febbraio 1953 (I.) (b.n. 18).
311 - Nicola VERNIERI: 1) Roma 29 settembre 1933 (I.); 2) Roma 9 nove-
119
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
mbre 1933 (I.); 3) Roma 7 aprile 1941 (I.); 4) Roma s.d. (b.v.).
Allegata la poesia « Vento sull’aula ».
312 - Renato VERNOLA: 1) Foggia 4 ottobre 1931 (c.); 2) Foggia 12 ottobre
1931 (c.); 3) Foggia 13 ottobre 1931 (I.); 4) Foggia 14 ottobre 1931 (I.); 5)
Foggia 21 marzo 1932 (c.); 6) Foggia 1 aprile 1932 (c.); 7) Foggia 5 dicembre 1932 (c.) (b.n. 19).
313 - Ettore VERNON: Gallipoli 19 maggio 1930 (I.).
314 - Renè VINCENTI: Roma 29 gennaio 1952 (I.).
315 - Cesare Giulio VIOLA: 1) Roma 9 aprile 1929 (I.); 2) s.1. 14 marzo
1941 (I.); 3) Roma 28 giugno 1947 (I.).
316 - Alfredo VIOLANTE: 1) Bari 18 maggio 1914 (I.); 2) Milano 20 luglio
1927 (I.); 3) Milano 11 aprile 1931 (I.).
317 - Michele VITERBO: 1) Roma i giugno 1922 (c.); 2) Bari 26 aprile 1930
(I.) (b.n. 20).
318 - Michele VOCINO: Roma 21 marzo 1923 (I.).
319 - Leo WOLLEMBORG: Padova 11 settembre 1932 (c.).
320 - Giuseppe ZUCCA: Roma 19 gennaio 1954 (I.).
LETTERE DI ALFREDO PETRUCCI A MARIO SIMONE.
(Dall’Archivio di Mario Simone).
1) Roma 10 gennaio 1936 (c.); 2) Roma 30 dicembre 1941 (c.); 3) Roma 21
marzo 1945 (c.).; 4) Roma 1 maggio 1945 (I.); 5) Roma 3 giugno 1945 (I.); 6)
Roma 9 luglio 1945 (I.); 7) Roma 15 luglio 1945 (I.); 8) Roma 14 ottobre
1945 (c.); 9) Roma 11febbraio 1945 (c.); 10) Roma 12 ottobre 1955 (I.).
INDICE TOPOGRAFICO DELLE OPERE CONTENUTE
NEL CATALOGO
(Il numero corrisponde alla posizione della scheda nel catalogo)
INCISIONI E DISEGNI: 10; 16; 27; 39; 40; 41; 42; 43; 44; 45; 46; 47; 48; 49;
50; 51; 52; 53; 54; 55; 56; 57; 58; 59; 60;61; 62; 63; 64; 65; 66; 67; 68;
69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80.
POESIE NOVELLE ROMANZI: 6; 7; 8; 11; 12; 18; 20; 21; 22; 24; 25; 29;
30; 32; 34; 36; 37; 38; 85; 86; 87; 89; 96; 99; 106; 108; 113; 114; 115;
116; 117; 118; 119; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 127; 128; 129; 130;
131; 132; 134; 136; 139; 140; 142; 143; 144.
SCRITTI D’ARTE E DI CRITICA D’ARTE: 1; 2; 4; 9; 10; 17; 19; 23; 26;
31; 33; 81; 82; 90; 91; 95; 97; 98; 102; 103; 104; 105; 110; 111; 112.
SCRITTI SUL GARGANO E SULLA PUGLIA: 3; 5; 13; 14; 15; 16; 27; 28;
35; 83; 84; 88; 92; 93; 94; 100; 101; 107; 109; 126; 133; 135; 137; 138;
141.
EPISTOLARIO.
120
INDICE DEI NOMI DI PERSONA
(I numeri corrispondono alle pagine)
Acceptus 88; 93
Alexander J.J.G. 102
Almagià Roberto 102
Altamura Saverio 89
Alvaro Corrado 102
Amministrazione Provinciale Foggia 81
Anceschi Luciano 102
Andretta Giuseppe 102
Angelillis Ciro 102
Angioletti Gian Battista 102
Arcamone Guido 102
Arcari Paolo 102
Argan Carlo Giulio 102
Artioli Romolo 102
Azzarita Carlo 102
Baldini Antonio 102
Balzani Gino 103
Barbieri Carlo 103
Bargellini Piero 103
Barone Melodia U. 103
Baroni Eugenio 103
Bartolini Luigi 103
Bartolomeo da Foggia 86
Bassi Arturo 103
Beethoven (incisione) 82; 92
Bellonzi Fortunato 103
Benedictus 88
Bertini-Calosso Achille 103
Bessone-Aurelj Antonietta Maria 103
Betti Ugo 103
Biancale Michele 96; 103
Bianchi D. 103
Bianchi Bandinelli Ranuccio 103
Biblioteca Provinciale Foggia 81
Biordi Raffaello 96; 103
Bisi Carlo 103
Blasi Mario 103
Blave Mario 103
Boglione Marcello 103
Bonarelli Modena Giulio 103
Bontempelli Massimo 103
Bottai Giuseppe 104
Bottega di poesia 104
Botto S. 104
Brandi Cesare 104
Brigante-Colonna Gustavo 104
Boschi Huber Laetitia 104
Brezzi Paolo 104
Breres Antonio 104
Bruno da Osimo 104
Bucarelli Palma 104
Bucci Anselmo 104
Cabasino Salvatore 97; 104
Coccia Giuseppe 104
Cafarelli Sipontino 104
Caffarelli F. 104
Caldara Domenico 98
Calò Giovanni 104
Calzecchi Temistocle 104
Camassa Pasquale 104
Campanelli Leonardo 104
Canavesso Raimondo 104
Capuano Alfredo 104
Capuano Michele 104
Caputi Giuseppe 104
Caravaggio (saggio su) 82; 97
Carbonati Antonio 104
Cascella Tommaso 104
Casciaro Giuseppe 89
Casotti Piero 104
Cassieri Giuseppe 105
121
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Castelfranco Giorgio 105
Castellaneta Enrico 105
Castellino Onorato 105
Cavassa Umberto 105
Celuzza Angelo 105
Ceravolo Pasquale 96; 105
Cermignani Armando 106
Cecchi Arturo 106
Chiantore Gustavo 106
Ciampi Mario 106
Ciampi Vincenzo 106
Ciampi Vittorio 106
Ciardo Vincenzo 106
Cifariello Filippo 106
Cilenti Nicola 106
Cimara Pietro 106
Cisarj Giulio 106
Civinini Guelfo 106
Colanera Erminio 106
Colantonio Virgilio 106
Colucci Mario 106
Conci Girolamo 106
Como Francesco 106
Contini Bonacossi Vittoria 107
Copertini Giovanni 107
Corrà Carlo 107
D’Addetta Giuseppe 93; 96
D’Alessio Carlo 107
Dall’Osso Osta Maria 107
D’Amelj Carovita B. 107
D’Amico Silvio 107
Dazzi Manlio 107
De Angelis D’Ossat Guglielmo 107
De Cespedes Alba 107
De Grazia Gerolamina 81
Del Giudice Riccardo 107
De Grazia Michelangelo 107
Dell’Era Idilio 107
Delli Muti Matteo 107
De Logri Giuseppe 107
Del Prete Pasquale 96
De Maria Federico 107
De Meo Mario 107
Democrito (manoscritto) 89
De Nicola Enrico 107
De Nittis Giuseppe 89
122
De Rinaldis Aldo 107
De Rinaldis Sforza Lina 107
De Rubertis G. 107
De Sanctis Gino 107
De Witt Antony 107
Di Giorgio Teocrito 107
Di Pietro Filippo 107
Donatello (manoscritto) 87
Donati Lamberto 107
Ehrnestain Teodor 107
Einaudi Giulio 107
EnteAutonomoFiera Foggia 98
Fabiano Nicola 107
Falqui Enrico 108
Felci Carlo A. 108
Ferraris Luigi 108
Ferrovie e Tranvie del Mezzogiorno
108
Festa Nicola Costantino 108
Fichera Filippo 108
Fini Angiolo 108
Fiore Emilio 108
Fiore Tommaso 97
Fioritto Domenico 108
Flora Francesco 108
Folgore Luciano 108
Foscarini Corrado 108
Foti Rodolfo M. 108
Fraccacreta Augusto 108
Fraccacreta Umberto 108
Francavilla Giuseppe 108
Frattarolo Renzo 108
Frugoni Arsenio 108
Gabrieli Francesco 96
Gabrieli Giuseppe 108
Galante Francesco 109
Galassi Paluzzi C. 109
Galeazzo Galeazzi Antonio 109
Galimberti Nino 109
Galletti Alfredo 109
Gastaldi Cesare 109
Gennaro Tiberio 109
Gentile Carlo 109
Gentile Giovanni 109
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Gerace Vincenzo 109
Geremicca Achille 82; 109
Gervasio Michele 109
Gervasio Raffaele 89
Ghisalberti Alberto Maria 109
Gianelli Giulio 88; 99; 109
Gigli Gaetano 109
Gigli Lucia 109
Gigli Lorenzo 109
Giglioli Odoardo 109
Giordana Gian Pietro 109
Giordana Tullio 110
Giovannelli Sanzio 96; 110
Giusso Lorenzo 110
Gorjux R. 110
Govoni Corrado 110
Gualtiero da Foggia 86
Guidotto Virgilio 110
Hermanin Federico 110
Hind Arthur M. 111
Iacoangeli Tomaso 111
Iavarone Renato 111
Irmici Enrico 111
Istituto Italiano Arti Grafiche 111
Istituto Nazionale Luce 111
Iurlaro Rosario 111
Maccagnani Eugenio 111
Maccari Mino 111
Maddalena Salvatore 89
Maffii Maffio 111
Maggioni Giorgio 111
Maggiore Domenico 111
Marangoni Guido 111
Maratea Francesco 112
Marinetti Filippo Tommaso 112
Marini Ottavio 112
Martinelli Valentino 96
Martinez Gaetano 112
Masotti Arcangelo 112
Mastropasqua Guido 112
Mastrovaleri Nunzietta 112
Matarazzo Luciano 112
Melchionda Evelino 112
Mininni Salvatore 112
Modoni Vincenzo 112
Modugno Ottorino 112
Mola Corradina 112
Molè Enrico 112
Morandi Giorgio 112
Morbelli Riccardo 112
Morcaldi Pistoresi Margherita 112
Moretti Marino 112
Morghen Raffaello 112
Mosca Ciccio 112
Moscardeni Nicola 112
Kiraly Jules 111
Labadessa Rosario 111
Lancellotti Arturo 111
La Selva Giovanni l11
La Sorsa Saverio 111
Laterza Giuseppe 111
Lavagnino Emilio 111
Laviano Nadina 111
Lenormant Francois (articolo su)
87
Leopardi (incisione) 82; 93
Loiodice Ester 111
Lombard A. 111
Longarelli Momo 111
Longhi Roberto 111
Lusini Aldo 111
Luzio Alessandro 111
Negri Giacomo 112
Negro Francesco 112
Nepi Asbite Ezio 113
Netti Francesco 89
Niccolò da Foggia 86
Nicodemi Giorgio 113
Nicoli Giuseppe 113
Notarnicola Giuseppe 113
Nunoz Antonio 113
Oietti Ugo 113
Olivieri Vincenzo 113
Olschki Aldo 113
Grano Paolo 113
Ortis Ramiro 113
Pagliano Giulio 113
Palmieri Michele 113
123
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Palumbo Michele 113
Palumbo Pier Fausto113
Pancrazi Pietro 113
Paolieri F. 113
Papalia Savino 99;113
Papiani Giuseppe 113
Parenti Gino 114
Pellizzari Achille 114
Pensa Giovanni 114
Petrilli Raffaele Pio 114
Petrone Igino 82
Petroni Guglielmo 114
Petrucci Alfredo 81; 82; 84; 85; 86102
Petrucci Armando (figlio) 81
Petrucci Armando (fratello) 114
Petrucci Carlo 81
Petrucci Michele 114
Rivosecchi Mario 115
Rizzo Antonio 115
Romano Francesco 89; 116
Rosso di San Secondo 116
Ruggiero Nilla 82
Rotari (Tomba di) 88; 99; 101
Sala Alberico 116
Salmi Mario 116
Salza Bosco Gina 116
Salvatori Fausto 116
Samek-Ludovici Sergio 116
San Francesco (chiesa) 90
Santollino Rodolfo 116
Saponaro Michele 116
Sapori Francesco 116
Petrucci Silvio 114
Pettinelli Diego 114
Piccinino Ferdinando 114
Piccinni Antonio 96
Piccolo Francesco 114
Piceni Enrico 114
Pilo Giuseppe Mario 114
Pilone Giuseppe 114
Pirri (Padre) Piero 115
Pissacroia Raffaele 96; 115
Pitta G. 115
Pitta Nicola 115
Pitta.luga Maria 115
Pontieri Ernesto 115
Porcella Amadore 115
Porfiri Fernando 115
Porto Ettore 89
Praticò Giovanni 115
Prencipe Carlo Felice 115
Prencipe Umberto 115
Puccini Mario 115
Pugliese Filippo Maria 115
Savarese Nino 116
Scarpa Piero 116
Scaturro Ignazio 116
Schingo Luigi 98; 116
Sciortino Giuseppe 117
Sebastiani Leopoldo 117
Selvaggi Eugenio 117
Serricchio Cristanziano 87; 97; 117
Servolini Luigi 117
Sibilia Salvatore 117
Simone Mario 96; 98; 99; 117
Soccio Pasquale 98; 117
Società Storia Patria per la Puglia
81
Soffici Ardengo 81; 117
Soprintendenza Monumenti Puglia
e Molise 90
Spagnoletti Giacinto 118
Spaini Alberto 96; 118
Spatocco Raffaele 118
Spinazzola Vittorio 118
Spinelli Gaetano 118
Stiennon Jacques 118
Surico Filippo 118
Rasi Giuseppe 115
Rembrandt (saggio su) 99
Ribera Giuseppe 91
Riccardo da Foggia 86
Ricci Corrado 115
Ricci Domenico 115
Tallgren-Tanlio Oiva Joh. 118
Tallone Alberto 118
Taronna Mario 118
Terracciano Laura 118
Tilgher Adriano 118
124
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Tinto Eugenio 118
Toesca Pietro 118
Tombari Fabio 118
Tonelli Luigi 118
Toscanini Walter 118
loschi Orazio 118
loschi Paolo 119
Tridenti Carlo 119
Trompeo Pietro Paolo 119
Tucci Luigi 119
Tumminelli Calogero 119
Tusiani Giuseppe 119
Ungaro Filippo 119
Urbani Del Fabbretto A. 97
Vailland Roger 97
Valentini-Vista Domenico 119
Valeri Diego 119
Vallery-Radet Jean 119
125
Vallone Aldo 119
Vanni Alfredo 119
Varaldo Alessandro 119
Vasi Giuseppe 82; 98
Ventrella Tommaso 119
Venturi Lionello 119
Vernieri Nicola 119
Vernola Renato 120
Vernon Ettore 120
Verrino Vincenzo 89
Villani Giuseppina 91
Vincenti Renè 120
Viola Cesare Giulio 120
Violante Alfredo 120
Viterbo Michele 120
Vocino Michele 94; 96; 99; 120
Wollemborg Leo 120
Zucca Giuseppe 120
INDICE DEI NOMI DI LUOGO
(I numeri corrispondono alle pagine)
Acquaviva delle Fonti 86
Alberobello 86; 113
Alpignano 118
Altamura 86
Anagni 117
Ancona 103; 104; 107; 111; 115
Andria 86
Apricena 115
Arezzo 102; 118; 119
Ascoli Satriano 95
Conversano 86; 93
Corato 86
Cremona 105
Egnazia 86
Enna 116
Fasano 103
Firenze 104; 106; 107; 109;111;112;
113; 115; 116; 118; 119
Foggia 104; 105; 106; 107; 108; 109;
111; 114; 115; 116; 118; 119
Bari 86; 87; 90; 93; 94; 95; 109; 111;
112; 113; 117; 120
Galatina 95; 112; 119
Barletta 86
Gallipoli 108; 111; 113; 120
Bassano del Grappa 114
Gargano 88; 92; 97; 101
Bergamo 105; 108; 109; 110; 111; 113; Genova 103; 105; 114; 118
116
Gioia del Colle 86; 105; 116
Berlino 108
Giovinazzo 86
Bisceglie 86
Gravina 86
Bitonto 86
Bologna 109; 112; 118
Helsinki 118
Brindisi 104; 111
Ischitella 119
Bucarest 113
Buenos Ayres 87
La Spezia 114
Lecce 103; 112; 113; 117
Cagliari 83
Lesina 88
Calena 88
Lido di Camajore 116
Camerino 103
Liegi 118
Canosa 86
Livorno 117; 119
Capri 112
Lucera 90; 106; 114; 115
Capolona 102
Lucugnano 106
Castel del Monte 86
Ceglie 86
Macerata 116
Cesenatico 112
Maletta 94
Chambèry 103
Manfredonia 104; 117
Chieti 103; 109; 118
Mantova 111; 115
Collemontano di Spoleto 109
Milano102;103;106;108;109;111
Como 112
112; 113; 114; 116; 118; 119
126
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Modena 116
Modugno 86
Mola di Bari 86
Molfetta 86; 116; 117
Monopoli 86
Monte S. Angelo 94;
Montesacro 88; 94
Monza 104
Napoli 106; 108; 109; 111; 115; 117
Neuchatel 111
New York 119
Osimo 103
Otranto 93; 94
Padova 119; 120
Parigi 119
Parma 107; 118
Perugia 103; 113
Pescara 104; 106
Poggio a Calano 117; 118
Polignano a mare 105
Portici 103
Potenza 115
Pozzuoli 106
Puglia 90; 96; 97; 99; 101
Rimini 107
Rodi Garganico 105; 107; 108
Roma 102; 103; 104; 106; 107; 108;
109; 110; 111; 112; 113; 114; 115;
116; 117; 118; 119; 120
Ruvo 86
Salerno 117
San Benedetto del Tronto 110
San Giovanni Rotondo 104
San Marco in Lamis 111; 117
San Menaio 93; 112
Sannicandro Garganico 93; 94; 102;
106; 107; 108
San Severo 108; 115; 117
Santa Marinella 104
Senigallia 115
Siena 87; 93; 94; 95; 96; 104; 107;
111; 113
Siponto 88; 99
Siracusa 107
Squinzano 95
Taranto 104; 106; 107; 115; 116; 118
Terlizzi 86
Torino 103; 104; 105; 106; 107; 109
Torremaggiore 112; 114
Trani 86
Urbino 107; 117
Venezia 104; 107; 114; 119
Vienna 107
Vieste 83
127
RECENSIONI
ENZO MANCINI, Isole Tremiti Milano.
Questa biografia delle piccole
Tremiti, dalla leggenda alla realtà attuale, si snoda nelle pagine che
Mancini ha scritto con cuore di innamorato, e scorrono come avvincente film fatto di sequenze luminose e di colori sempre più vivi e diversi.
L’ultima pagina è l’ultima ora di
un meraviglioso viaggio che fà nascere nel lettore il desiderio di tornare in quelle isole prima ancora di esserne partito o di averle conosciute.
Questo è il grande merito
dell’Autore che con il suo « andar
per isole » ha trovato il modo di avvicinarsi alle azzurrità marine che gli
mancavano nella sua regione di nascita (la verde Umbria) e non ha trovato nella sua regione di elezione (la
nebbiosa Lombardia).
Da attento biografo, Mancini ha
voluto conoscere il soggetto nel suo
ambiente e lo ha intervistato interrogandolo nelle diverse ore del giorno
per ascoltarne la voce segreta e la vita dei suoi lunghi millenni. Da esperto autore di radioteatro, è entrato nel
personaggio, lo ha sentito e descritto
con parole che sono pennellate di colore, date con mano maestra, sotto la
spinta (come si legge nella Premessa) di « un canto pieno di dolore che
mi tentava e mi
128
chiamava verso le uniche isole italiane di questo mare », intese anche
« come luogo giusto per essere più
vicini a Dio in un dialogo silenzioso
».
Che geologicamente siano i leggendari sassi scagliati dal. l’erculeo
Diomede, o le tre punte risparmiate
dal sollevamento del mare che coprì
le parti più basse dell’unica isola, resta la magnifica realtà di oggi che ne
fà un paradisiaco complesso offerto
dalla
natura
all’ammirazione
dell’uomo e alle sue cure, quale prezioso « risultato di una incessante irrequietezza o nervosismo della crosta terrestre » in quella zona, che fà
pensare ad una lontanissima condanna a sparizione per consunzione.
Oasi di godimento e di sofferenze, di morte e di isolamento
contemplativo, le isole Tremiti sono
tornate al loro destino di deliziosi
luoghi riservati ai visitatori in cerca
di pace e di riposo.
Appena cinque chilometri quadrati, per assicurare la vita ai residenti e la presenza di oltre centomila
ospiti
estivi,
rappresentano
un’assurdità fisica che, purtroppo, è
una qualità negativa da fronteggiare
e combattere per evitare nefaste conseguenze all’economia locale e alla
vitalità dell’ambiente, altrimenti destinato, come avverte l’Autore, « a
scoppiare in una esplosione che produce soltanto ruderi e nostalgici ri-
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
cordi di un tempo che si era annunciato felice e non lo è stato ».
Occorre meditare su questi richiami e intervenire perché si ricostituisca il giusto equilibrio di questo
microcosmo annullando errori e pretese di impossibile sfruttamento, che
possono rivelarsi origine e causa di
irreparabile collasso ecologico.
La difficile coltivazione delle
poche zone idonee, abbandonate per
attività più rimunerative, ha salvato
sopratutto la macchia mediterranea,
minacciata — come rileva Mancini,
giustamente preoccupato — da insediamenti turistici irrazionali e incontrollati.
Gli aspetti della costa, vista dal
mare, sono incantevoli e cambiano
ad ogni colpo di remo o giro di elica,
anche per la efficace punteggiatura
delle numerose « grotte » che ne aumentano il fascino, con sensazioni
che nel libro sono pagine di rara efficacia e di esaltazione di tanta bellezza.
Le tre sorelle maggiori sono descritte fissando le impressioni dirette
dello scrittore; come per la « perla
verde dell’Adriatico » (San Domino)
« prezioso gioiello naturalistico che
spes so cerchiamo di contaminare,
corrompere, lordare, e perfino distruggere »; o per San Nicola « tormentata e sconvolta massa rocciosa
sormontata dall’antica fortezza »; o
per la Caprara « piatto zatterone inclinato verso oriente, selvaggia e coperta da rada macchia di lentisco,
solitaria e silenziosa ».
La vegetazione spontanea, tipicamente mediterranea, va dalle pinete di S. Domino alle distese di rosmarino, capperi, euforbie, anemoni,
orchidee selvatiche.
Le piante coltivate comprendevano vigneti, agrumeti, frutteti, orti e leguminose. Attualmente, sono
quasi scomparse perché le zone fertili sono state trascurate dai tremitesi
allettati dal filone turistico disordinato e perciò distruttivo (si ripete anche qui il fenomeno
dell’industria incontrollata che scaccia l’agricoltura).
La fauna conta una ventina di
specie fra uccelli e terrestri, stanziali
e di passo. Le specie ittiche presenti
nel mare vicino sono oltre trenta, sapientemente descritte e catalogate
con la indicazione dei periodi utili
per la cattura.
La presenza dell’uomo sulle
Tremiti risale da settemila a quattromila anni prima di Cristo. Al III
sec. dopo Cristo, risalgono le prime
notizie storiche che poi si ordinano
in periodi ben precisi (Benedettino,
Cistercense,
Lateranense,
Borbonico, contemporaneo) ricchi di
eventi legati soprattutto alla presenza
di potenti comu nità religiose non estranee alle lotte fra i vari protettori
politici. In sole diciotto pagine, è
raccontata la storia di mille anni, con
abbondanza di nomi, fatti e date, tale
da costituire una vera miniera di notizie in efficace sintesi di conoscitore
che vede i personaggi spesso ignorati, ma di particolare interesse per la
129
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
la nostra provincia.
Miti, leggende, piccola storia, affiorano da una paziente opera di ricerca e sono esposti creati dall’uomo
nell’infanzia della sua intelligenza, e
li immagina — forse — ancora vivi
sulla scena delle isolette, facendo
pensare che potrebbero — con buona volontà e partecipazione di esperti — dare mano ad originali spettacoli di alto valore classico.
Da Diomede (principe sfortunato) a Giulia (insaziabile nipote
di Augusto); dal beato Tobia da
Como allo stravagante Federico Tiberi da Cesena; da padre Adamo (amico e sostenitore di pirati) all’abate
Desiderio (restauratore dei valori religiosi locali) a Francesco Maria della Rovere Duca di Urbino. Fino alle
cronache corali di deportati, contrabbandieri, prostitute, confinati politici; protagonisti di fosche vicende,
di sangue, di morte, di in cubi e di
sofferenze che il tempo ha sepolto
nell’archivio dei ricordi, purificando
l’aria e le pietre di questi scogli ricchi di segreti e di misteri non del tutto svelati.
La popolazione stanziale viveva
di abbondante pesca azzurra. Quando questa è cessata per esaurimento,
si è sviluppato il turismo che dura
una stagione e deve assicurare l’esistenza per l’intero anno.
Si tratta di una nuova pesca? Se
così è, « speriamo che i nuovi pesci,
cioè i turisti, un brutto giorno non
finiscano pure loro » osserva Manci-
130
ni, colpito da « certe piccole o grandi
ruberie di cui gli ospiti sono spesso
vittime », dovute al disaccordo su
come sviluppare l’attività turistica,
fra quantità e qualità degli ospiti.
Sta ai residenti decidere per il
meglio, guidati da chi ne ha il potere
e la competenza, in modo da sfruttare razionalmente la ricettività e le caratteristiche locali senza inaridirne le
fonti. E, infine, senza dare spazio alla sporcizia purtroppo abituale, da
combattere ed eliminare giorno per
giorno, evitando danni ecologici che
comprometterebbero il buon nome
dei Tremitesi ed i loro interessi legati al tesoro naturale di cui sono depositari.
Un libro è un atto di amore verso
il soggetto trattato, di fiducia nella
propria sensibilità, di rispetto e di richiamo verso il lettore.
Mancini si è uniformato a tali
principi ed ha scritto il suo bel volume, completo sotto ogni aspetto,
parlando delle Tremiti con devozione
filiale
e
consegnandolo
all’attenzione dei Tremitesi e della
intera nostra Provincia, perché questo tesoro naturale che Dio ha dato
all’Italia sia più protetto e conservato come merita per la gioia dei suoi
visitatori. Ringraziamolo con un
sincero applauso.
Se queste sono le Tremiti, viste
in ogni loro aspetto; se per la nostra
terra e per l’Italia rappresentano un
tesoro di arte naturale, esposto in un
ambiente generale che ogni giorno e
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
per mille ragioni perde le caratteristiche originarie rischiando di essere
sommerso dall’inquinamento fisico e
morale che è una concreta minaccia
per tutti gli esseri viventi; abbiamo il
dovere di preoccuparci in tempo e di
intervenire per conservare tale tesoro
che è patrimonio di tutti, da non abbandonare a se stesso e alla rozza avidità di chi non vede che il proprio
« particulare » poco curandosi del
bene comune.
Nell’opera di Mancini, come ho
accennato prima, sono indicate —
con molto garbo — alcune note stonate che riguardano l’avvenire delle
piccole Tremiti e la loro importanza
turistica. Si tratta di eliminarle e di
correggere gli errori commessi fino
ad oggi, per indifferenza, disinteresse, ignoranza dei problemi che riguardano la vita stessa del prezioso
arcipelago da conservare, proteggere, educare e integrare senza
strappi e deformazioni che possono
comprometterla e distruggerla.
Il destino delle nostre Isole è legato al turismo. Ma di quale turismo:
di qualità o di quantità? di rispetto
del suo ambiente o di abbandono al
peso negativo del numero e della
massa che possono cancellarne la originalità?
Deve guardarsi a un’attività locale e — quindi — a una economia turistica incontrollata, o ad uno sviluppo
guidato, non soltanto
nell’interesse dei residenti, con ni terventi diretti, concreti e costanti
delle autorità locali, provinciali e regionali responsabili e competenti?
Certamente, occorre conservare
senza soffocare le iniziative; sviluppare e utilizzare senza deturpare il
volto di questi antichi scogli. Occorre renderli produttivi assicurando la
vita dei suoi abitanti senza tentativi
di sfruttamento indiscriminato, capaci di comprometterne il futuro e la
sicurezza.
A Proposito del verde spontaneo,
Arrighetti (Dirigente del Settore Forestale dell’Alto Adige), si chiede «
dove finiranno tutte le altre specie
che si accompagnano alla macchia
mediterranea, come il lentisco e il terebinto, ricchi di caldi aromi? Perché
ci si dimentica di queste specie caratterizzanti 1’ inimitabile paesaggio
delle coste italiane? ».
Nel recente Convegno nazionale
di Napoli, sul futuro del turismo, tutti hanno sostenuto la necessità di
collaborazione concreta fra Regioni,
organismi subregionali, aziende di
soggiorno, EPT, pro loco, per combattere la rovinosa frammentarietà
attuale degli interventi. Si è detto
che occorre stimo lare gli interventi
anche tra i piccoli operatori, pensando soprattutto a una penetrazione turistica articolata e capillare nelle
singole zone. Si è riconosciuto che
occorre evitare il turismo di transito
con una efficace attivazione attraverso nuove infrastrutture e piani di azione
locale
per
riqualificare
l’offerta turistica in Italia. Per fare
131
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
questo, si è aggiunto, bisogna agire
in tre direzioni: maggiore assistenza
finanziaria (non nel senso assistenziale), adeguate strutture per i singoli
comprensori (le Tremiti ne sono uno
dei più caratteristici ed importanti),
attività promozionale di largo raggio
e respiro.
Non devono cadere nel nulla i
suggerimenti che vengono da voci
tanto qualificate, perché non si perda
la grande ricchezza che può derivare
alla nostra economia dalla riqualificata
direttrice
turistica
Gargano/Tremiti.
Per turismo di qualità non va inteso quello riservato a piccoli gruppi
chiusi ed esclusivi di frequentatori di
un certo tipo, ma quello organizzato
e articolato a tal punto da portare gli
ospiti ad essere e sentirsi amici fedeli degli operatori locali (per il trattamento loro riservato) e non critici severi e demolitori per le delusioni
provate.
Senza dimenticare che il turismo
corre anche sui binari della gastronomia. Perciò, prospera dove si offre
una cucina non stereotipata e monotona, ma viva, invitante, varia ed originale; accoppiata a vino possi-
bilmente prodotto in loco, genuino e
di facile avvicinamento. In un ambiente di assoluta pulizia (affidato
alla preoccupazione quotidiana di
tutti), difeso da gente educata alla
discrezione e al rispetto, perché ciò
che la natura ha prodigato sia bene
utilizzato in ogni stagione e per tutte
le esigenze, come punto di richiamo
e di riferimento, per l’intera provincia.
Il libro di Mancini è bello e completo, ma è sopratutto utile ed interessante, perché porta a considerare
anche i problemi da risolvere in modo che i « Sassi di Diomede » siano
fonte di razionale lavoro per i suoi
figli, nonché motivo di orgoglio e di
soddis fazione per chi ha la responsabilità di amministrarli e portarli allo splendore che meritano di raggiungere, tenendo presente gli esempi che vengono da altre regioni che
hanno valorizzato e bene (e in poco
tempo) altri sassi o isolette non più
belli e più dotati delle nostre Tremiti.
Non è difficile: basta svegliare la
volontà e sostenerla con l’amore per
le cose belle che Dio ci ha dato.
Mario Frejaville
132
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
CATHERINE DELANO SMITH, Daunia
vetus. Terra, vita e mutamenti
sulle coste del Tavoliere. Foggia,
Amministrazione Provinciale di
Capitanata 1978, pp. 249, 13 tav.
dp. nel testo.
E’ senz’altro degno di molta attenzione questo studio nel quale Catherine Delano Smith ha saputo sintetizzare i dati raccolti sul Tavoliere
in oltre dieci anni di ricerche svolte
dapprima presso l’Apulian Research
Project, dove nel 1963 subentrò a
John Bradford, e successivamente
presso la Notthingam University
come insegnante di geografia storica.
L’originalità e la novità di queste
sue indagini suscitarono consensi
anche al Convegno internazionale
sui paesaggi rurali europei, indetto a
Perugia nel 1973, quando tenne la
relazione sui villaggi abbandonati
del Tavoliere (cfr.: C. DELANO
SMITH, Villages désertés dans les
Pouilles: le Tavolière. In. PAESAGGI (I) RURALI EUROPEI. Perugia 1975 up. 125-140).
Oggi è opportuno attribuire alla
Delano Smith anche un altro merito
e cioè di aver saputo condurre a termine una ricerca fondamentale sullo
sfruttamento del terreno e sul paesaggio agricolo di Capitanata dalla
preistoria all’età del bronzo senza
l’ausilio di strumenti idonei a tale tipo di indagine, mancando del tutto
statistiche, mappe catastali ed un
museo di antichi strumenti agricoli
che potessero introdurla non solo ai
modi di utilizzazione del suolo, ma
anche alle attività agricole ed alla ripartizione della popolazione che vive va di agricoltura.
Pure l’utilizzazione dei reperti
archeologici è risultata inadeguata,
perché non forniscono che scarsi elementi per comprendere i più antichi sistemi agricoli, i rapporti tra territorio ed insediamenti e d conseguenza i mutamenti de paesaggio agricolo.
Il metodo di ricerca, pertanto, è
stato quasi esclusivamente quello
dell’analogia storica consistente nel
procedere a ritroso da ciò che è noto
a ciò che è sconosciuto. A partir
dall’inizio del XX o anche de XIX
secolo esiste un quadro fedele
dell’ambiente agricolo mentre la situazione cambia per il Medio Evo ed
ancora d più per il periodo romano e
preistorico. E sempre possibile, però,
conservare un legame con l’età precedente ad ogni passo indietro, tanto
più che frequentemente accade che
un epoca intermedia sia stata più
studiata ed abbia conservato una d ocumentazione più ricci di altre; in tal
caso lo studioso deve muoversi in
avanti o al l’indietro, partendo dai
dati certi, nel tentativo di creare una
continuità.
Nell’uso di questo metodo la Delano Smith è stata molto abile ed ha
documentato il su percorso attraverso i secoli nel l’ultima parte del lavoro intitolata appunto « In cerca di
testimonianze »; nelle altre due parti
di cui si comp one lo studio analizza
dapprima la natura geo-pedologica
del Tavoliere e succes sivamente la
sua storia agraria nel pe-
133
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
riodo neolitico e nell’età del bronzo.
Geologicamente la Capitanata è
un immenso accumulo di depositi,
formatisi tra il Pliocene ed il Pleistocene, nei quali notevole interesse
scientifico desta lo strato calcareo
della « crusta », che si venne formando immediatamente sotto il suolo tra il Quaternario e l’inizio
dell’Olocene e che tuttora conserva
nel suo spessore di parecchi metri
tracce del Neolitico, Mesolitico e Paleolitico.
Geograficamente la provincia di
Foggia ricopre un’area superiore ai
7000 chilometri quadrati, il suo territorio si divide in tre categorie: il 4%
è montuoso; il 42% collinoso; il rimanente pianeggiante costituisce il
Tavoliere. I condizionamenti sulla
vegetazione da parte del clima mediterraneo — estati calde ed asciutte e
inverni freschi ed umidi — determinano un paesaggio piatto e
spoglio a causa della mancanza di
alberi. Tuttavia le praterie del Tavoliere conservano ugualmente una
bellezza scenica incomparabile, perché se in estate la vegetazione è secca e la continua monotonia del paesaggio può apparire desolante, esso
si trasforma non appena cadono le
prime piogge autunnali, l’aratro rivolta le zolle che assumono un fresco colore marrone grigio e noi in
primavera il verde brillante dei campi contrasta con l’arido paesaggio estivo.
Il senso di vuoto dovuto alla
134
mancanza di alberi è accentuato anche dalla scarsa densità della popolazione, 93 abitanti per chilometro
quadrato, una delle più basse di tutta
l’Italia. Tale scarsezza di uomini
contrasta, però, con la ricchezza archeologica che attesta la costante
presenza di popolazioni per lunghi
millenni: dai preistorici neolitici e
dell’età del bronzo ai Dauni, Greci,
Romani,
Bizantini,
Longobardi,
Normanni, Svevi, Angioini, ai più
recenti.
Tuttavia, è l’amaro commento
della Delano Smith, malgrado una
simile ricchezza archeologica la
maggior parte dei viaggiatori nel
Meridione oggi passa velocemente e
distrattamente attraverso il Tavoliere, pochi sono coloro che si fermano
a Foggia e si avvicinano alla cultura
ed alle tradizioni delle comunità rurali delle colline e delle montagne.
Il lungo susseguirsi di civiltà nel
Tavoliere iniziò, secondo i reperti
archeologici, intorno al 6000 - 5500
a.C. ad opera di quei neolitici che,
per primi, in tutta la penisola italiana
praticarono l’agricoltura, anche se la
loro economia fu soprattutto di sussistenza, cioè vivevano di quanto
produceva la terra — prodotti agricoli e bestiame — con sporadici contatti esterni.
Le caratteristiche degli insediamenti sono tutte riscontrabili nel
sito più notevole, Passo di Corvo
(Foggia), le cui dimensioni sono m.
540 x m. 870; il fossato, che circon-
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
da il sito, è circolare ma poteva anche essere ovale, all’interno si aprono altri fossati, detti « compounds »,
ciascuno dei quali misura circa 20
m. di diametro, probabilmente erano
recinti domestici, perché sono ancora visibili in essi tracce di buche per
pali, forse sostegni di capanne; accanto, infine, restano ancora fosse
per depositare il grano e pozzi, tutti
elementi indispensabili per la vita
rurale del tempo.
I fossati delle aree domestiche
avevano sul bordo esterno un muretto a secco per evitare franamenti del
terreno oppure per tenere gli animali
lontani dall’acqua conservata in cisterne scavate nella « crusta ». Le
case dei neolitici dovevano avere
una sovrastruttura di pali che sorreggeva pareti ricoperte di fango e tetto
di rami o giunchi, i pavimenti quasi
certamente erano in terra battuta.
Per comprendere quali fossero le
disposizioni dei terreni coltivati durante il Neolitico, la Delano Smith
esamina oltre 70 siti nel Tavoliere e
prende le misure tra insediamento e
scarpata più vicina e tra insediamento e corso d’acqua. Giunge
così alla conclusione che la maggior
parte di essi si trovavano nel punto
in cui si incontravano due zone ecologiche contrastanti ma complementari: le foreste delle valli e gli interfluvi pianeggianti. I motivi della
scelta di tali luoghi per la costruzione dei villaggi sono evidenti: il fondo valle forniva foraggio estivo, ac-
qua per uomini ed animali e legno
per costruzioni e combustibile; le aree tra i fiumi, essendo più aride ed
aperte, si prestavano sia ad essere
arate che al pascolo.
Una evoluzione qualitativa e
quantitativa nelle colture si ve-del
bronzo, quando gli insediarificò nella media e tarda età menti diminuirono all’interno del Tavoliere ed
aumentarono nella regione costiera.
Contemporaneamente si distinse nell’ambiente sociale una classe di « aristocratici » che fondava il proprio
potere su di una agricoltura privilegiata, la quale produceva un surplus
agricolo eccedente rispetto alle richieste domestiche o locali e disponibile su un « mercato »regionale o
interregionale; in altre parole durante
l’età del bronzo l’agricoltura commerciale soppiantò quella di sussistenza dell’età neolitica.
Anche la pastorizia si adeguò alla
commercializzazione,
prevalendo
spesso sull’agricoltura; quest’ultima
circostanza può contribuire a spiegare il parziale abbandono del Tavoliere durante l’età del bronzo, infatti,
fu la pressione esercitata dagli allevatori sulle piccole fattorie di agricoltori, a causa della necessità di pascoli, a provocare una restrizione
degli insediamenti e persino un abbandono dei villaggi.
Il risultato, quindi, delle ricerche
della Delano Smith è che in età preistorica esistevano nel Tavoliere due
tipi di fattorie: una perseguiva esclusivamente scopi di sussistenza, l’al-
135
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
tra, con intenti soprattutto commerciali, apparve nell’età del bronzo insieme alla pastorizia transumante. I
due sistemi — sussistenza agricola e
specializzazione economica — dapprima coesistettero poi sembra che
siano venuti in contrasto con definitiva supremazia del sistema commerciale. Non è possibile, allo stato
attuale degli studi, precisare quali
siano stati i fattori che alterarono
l’equilibrio tra i due sistemi, perché
mentre si conosce abbastanza sul
ruolo svolto dagli elementi socioeconomici nei cambiamenti agricoli,
molto poco si sa ancora sulla storia
fisica del Tavoliere.
Come si vede, quindi, nel suo lavoro la Delano Smith accanto a problemi risolti ne ha lasciati altri in attesa di una soluzione; non per Questo, tuttavia. diminuisce il valore
scientifico del suo studio, che resta,
anzi, la più idonea premessa per le
future ricerche storiche ed archeologiche nel Tavoliere.
Antonio Ventura
136
CAPITALISMO AGRARIO E TERRITORIO
NEL TAVOLIERE DI PUGLIA
(1860-1900 — Appunti per uno studio di F. Crisafulli e A. Miccolis)
E’ già stato detto molto e molto è stato scritto sul Capitalismo Agrario e sul Territorio del Tavoliere di Puglia. La cosa, d’altra parte, è
dimostrata anche dalla vasta bibliografia citata dagli stessi autori degli
« appunti » che andiamo presentando.
Tuttavia Fabrizio Crisafulli e Adriana Miccolis nel saggio pubblicato nel n. 9/1979 della rivista STORIA URBANA (F. Angeli - Ed.
Milano) caratterizzano, rispetto alle altre, la loro ricerca, orientandola
verso sbocchi di natura urbanistica, molto interessanti per uno studio
panoramico e globale dell’aspetto degli agglomerati urbani pugliesi,
integrando in questo modo le ricerche che, sporadicamente, sono apparse, in campi limitati, con indagini sulla origine della città di Foggia.
Spaziando dagli Abruzzi alla Lucania, dalla capitale del Regno al
Tavoliere di Puglia, gli autori analizzano storicamente un arco di tempo che va dalla istituzione della obbligatorietà della transumanza
(1447) e dalla fondazione della Dogana della merce delle pecore, al
periodo post-unitario ed oltre, fino al fallimento delle borgate rurali
realizzate in epoca fascista, nel tentativo di una trasformazione agraria
del Tavoliere di Puglia.
Viene così inquadrato in una cornice vasta ma regionale, il susseguirsi di vicende sfavorevoli a tutto un territorio che va considerato, di
volta in volta, come « campagna » nei riguardi della grande città di
Napoli, e come « colonia pastorale » rispetto alle ricche proprietà armentizie ed ovine degli Abruzzi.
Il Tavoliere, legato per legge al vincolo della transumanza, viene
quasi tutto destinato ad erbaggio, mentre solo in minima parte viene
riservato a culture agricole del tipo estensivo, a cereali ed a carattere
137
RECENSI ONI__________________________________________________________________________________
di avvicendamento, con rotazioni triennali o quadriennali.
I conflitti tra i contrastanti interessi di allevatori e di agricoltori sono gravi e non favoriscono insediamenti fissi di contadini nelle campagne.
Né ad insediamenti di diverso tipo si può pensare a favore dei pastori, numerosamente presenti nel Tavoliere, ma a stagioni alterne,
perché legati al carattere nomade e migratorio della loro attività transumante.
Quando nel 1865 viene definitivamente liquidato il grande demanio pastorale, il diritto di prelazione a favore dei ricchi allevatori che
da anni aveva goduto della concessione di vaste estensioni, provocò
solo il sorgere del latifondo terriero e l’incremento delle primitive rare
masserie pastorali.
Il problema dell’agricoltura non era perciò stato risolto.
Il Tavoliere conservò per lunghi anni ancora l’aspetto di una sconfinata landa desolata, dove ristagni stagionali e paludi permanenti, se
pure giovavano all’allevamento di mandrie brade, portavano tristezza
e malaria, ostacolando sempre di più ogni forma di insediamento umano.
Non esistevano, per tali insediamenti incentivi costituiti da piccole
proprietà o da contratti di fitto a lunga scadenza, mentre le trasformazioni fondiarie, che avrebbero potuto assicurare raccolti vari e sempre
ricorrenti di stagione in stagione, per la stabilità di una sana economia
contadina, venivano realizzate con pigrizia dai grandi proprietari che,
con contratti a miglioria, miravano principalmente ad incrementare la
propria consistenza fondiaria, sfruttando la forza lavoro di una classe
povera, senz’altra risorsa che quella delle proprie bracce.
Praticamente ripudiati dalla campagna i contadini, o meglio i braccianti agricoli, non potevano che rifugiarsi nelle città, incrementando
lo sviluppo urbano dei grossi centri rurali che, in Puglia, andavano
sempre più assumendo caratteristiche di città dormitorio.
In questi centri rurali le periferie si sono estese senza disciplina, allineandosi lungo strade parallele, con soluzioni urbanistiche povere,
disordinate ed inorganiche, creando rioni di case basse, malsane ed architettonicamente inespressive.
Spesso affogando piccoli centri storici di grande bellezza, è questa
138
__________________________________________________________________________________RECENSIONI
l’origine dei grossi borghi rurali di Puglia, origine che con logica precisione, viene individuata, per gli obbiettivi che lo studio si propone.
Questi grossi borghi si sono sviluppati inconsapevolmente in periodi lunghi, ma sempre legati al tempo che storicamente li ha definiti.
Anche queste città, costituiscono pero un organismo vivo, che nasce cresce e si sviluppa, attraverso fasi spesso inosservate dai contemporanei, dimenticate dai posteri, riscoperte nei secoli successivi ed infine rivalutate o svalutate da moderne indagini storiche.
Esse tuttavia rimangono sempre l’espressione concreta e basilare
di una condizione umana che, attraverso l’evolversi di esperienze sociali, politiche ed economiche, costituiscono comunque la forza spirituale comune delle generazioni che, da quelle precedenti, le città hanno ereditato.
E’ compito delle popolazioni più giovani conservarne, quando esistono, i valori più rappresentativi dell’eredità accettata, ripudiare gli
episodi decadenti, sanare le anomalie, disciplinare il futuro sviluppo,
orientandolo verso obiettivi più sani, armonici e finalmente qualificati
per la salvaguardia degli interessi e dei diritti di tutti.
Nessuno può occuparsi di urbanistica senza aver prima imparato a
leggere nelle strutture della città la storia dalla quale le città stesse ebbero vita, trasformandosi nelle stratificazioni e nel sovrapporsi di interventi che rappresentano l’avvicendamento di generazioni lontane e
vicine.
Diventa allora necessaria una approfondita indagine ambientale e
territoriale per ricavarne il sufficiente bagaglio culturale che consenta
lo sviluppo di un rapporto diretto tra l’uomo e la città.
Ed è solo in questo rapporto che Fabrizio Crisafulli e Adriana
Miccolis credono che si possa favorire la crescita di una cosciente
possibilità operativa, per accettare o rinnegare, in tutto od in parte, un
passato urbanistico, col presupposto di definire una propria posizione,
nel particolare momento presente, in vista di una storica continuità futura delle città di Puglia e del Tavoliere in particolare.
UGO JARUSSI
139
BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA
Settore dei periodici
Il settore dei periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia, nel
fornire il suo contributo ai lavori del Convegno sul Distretto Scolastico organizzato dal Centro di Servizi Culturali e dal C.I.D.I., intende
assolvere ai compiti di documentazione tipici della struttura, mettendo
a disposizione anche quello strumento di informazione più puntuale ed
aggiornato che è il periodico.
Per una utilizzazione più completa dei periodici, si intende sollecitare una domanda non indifferenziata ma opportunamente guidata e su
prospettive abbastanza flessibili da poter accogliere contributi di particolari fasce di utenti, finalizzata alla riqualificazione stessa del servizio. Tutto questo non può assumere soltanto caratteristiche tecniche da
delegare al solo bibliotecario, ma presuppone la partecipazione e il
pieno coinvolgimento degli operatori dei vari campi di intervento. Si è
scelto come primo interlocutore la scuola perché essa costituisce
tutt’ora il luogo privilegiato in cui si forma la prima domanda di cultura e in cui si dovrebbero fornire i primi strumenti e le indicazioni di
metodo per una corretta impostazione scientifica della ricerca.
Riteniamo di contribuire anche per questa via a superare il vecchio
modello di scuola chiusa — dalle strutture edilizie alla lezione di tipo
tradizionale che aveva come unici strumenti « la voce del maestro e il
libro di testo » — e a creare una struttura aperta e impostata su un serio lavoro di studio e di ricerca che ne faccia un reale punto di riferimento per l’educazione permanente.
Per questo si rende necessaria sì la presenza nella scuola di biblioteche scolastiche purché qualificate da una dotazione libraria specifica
e in stretto collegamento con tutte le strutture esistenti nel territorio, in
particolare le biblioteche pubbliche, con una chiara definizione di aree
di dipendenza e di integrazione fissati dal distretto scolastico.
140
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
* * *
Diamo una prima informazione sulle principali caratteristiche del
settore periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia.
Le riviste della B.P. di Foggia sono in totale 1058 (situazione al
1976) di cui 761 correnti e 297 cessate. I periodici in lingua straniera
sono 131.
Rilevante è stato in questi ultimi anni, dopo il trasferimento dalla
vecchia sede, l’incremento negli acquisti, che vede il numero dei periodici correnti salire dai 380 titoli del 1976 ai 761 del 1976. Notevole
l’apporto arrecato ad alcune materie quali la filosofia, psicologia o sociologia, ai periodici di biblioteconomia e di documentazione e
l’inserimento di alcune pubblicazioni di argomento tecnicoscientifico.
Le riviste sono ordinate, come tutto il materiale bibliografico esistente in Biblioteca, con il sistema di Classificazione Decimale Dewey
(CDD) mentre nella preparazione del catalogo specifico si è seguita la
norma « UNI 6392 » elaborata dai gruppi Razionalizzazione, Meccanizzazione, Automazione (RMA) e il gruppo periodici dell’AIB in
collaborazione con il Comitato « Documentazione e Riproduzione documentaria » dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione.
Diamo qui di seguito l’indicazione di quei periodici che ci sembra
possano essere di utile consultazione per gli operatori della scuola:
370 (CDD) - EDUCAZIONE - PEDAGOGIA
Annali della pubblica istruzione
Cultura e scuola
Documentation et information pedagogiques
Giornale dei genitori
Problemi della pedagogia
Rassegna di pedagogia
Riforma della scuola
Scuola e città
371 - DIDATTICA, SCUOLE
Archimede
Cooperazione educativa
Didattica delle scienze
Scienze e loro insegnamento
Scuola italiana moderna
371.33 - MEZZI AUDIOVISIVI
Audiovisivi
Audiovisual instruction
141
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
371.425 - ORIENTAMENTO PROFESSIONALE
Orientamento scolastico e professionale
372 - ISTRUZIONE ELEMENTARE
Educateur. Pèdagogie Freinet
Infanzia
Scuola di base
373 - ISTRUZIONE SECONDARIA
Biennio
Giornale della scuola media e superiore
Istruzione tecnica e professionale
Rassegna dell’istruzione artistica
374 - EDUCAZIONE DEGLI ADULTI
Bollettino d’informazioni UNESCO
Confronter
Cultura popolare
Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle professioni
Pourquoi?
Quaderni di formazione ISFOL
150 - PSICOLOGIA
Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria
Giornale italiano di psicologia
Psicologia contemporanea
Revue francaise de psychanalise
Rivista di psicologia analitica
Rivista di psicanalisi
Rivista di psicologia
Neuropsichiatria infantile
Scilicet
300 - SCIENZE SOCIALI
Aggiornamenti sociali
AJS American Journal of sociology
Animazione sociale
Archives europeennes de sociologie
Critica sociologica
De Homine
Homme e société
Ikon
Inchiesta
Orientamenti sociali
Quaderni di sociologia
Rassegna internazionale di scienze sociali
Rassegna italiana di sociologia
Revue de l’Institut de sociologie
Revue internationale des sciences sociales
142
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Revue internationale de sociologie
Ricerche demoscopiche
Rivista internazionale di scienze sociali
Rivista di sociologia
Studi di sociologia
301.16 - COMUNICAZIONI DI MASSA
Annali della scuola superiore delle comunicazioni sociali
Communications
Edav. Educazione audiovisiva
Problemi dell’informazione
301.36 - URBANESIMO
Città classe
Archivio di studi urbani e regionali
945.7 - ITALIA MERIDIONALE
Basilicata
Cronache della Regione Puglia
Incontri meridionali
Informazioni Svimez
Meglio
Nel mese
Nord e Sud
Nuova Puglia
Nuovo Mezzogiorno
Politica e Mezzogiorno
Quaderni del Mezzogiorno e delle isole. Quaderni Calabresi
Realtà del Mezzogiorno
Regione
Rieti
Risveglio del Molise e del Mezzogiorno
Studi bitontini
Terra pugliese
945.757 - FOGGIA
Capitanata
Capitanata agricola e industriale
Gazzetta sanitaria dauno-lucana
Gazzetta di Foggia
Gazzettino dauno
Momento sud
Notiziario Consorzio per la bonifica della Capitanata
Ognigiorno
Progresso dauno
Punto
Risveglio
Sette giorni
Stampa
Stud (= Sud) Express
143
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Diamo di seguito, a titolo esemplificativo, uno spoglio dei periodici appartenenti alla sottoclasse 370 (CDD) Educazione Pedagogia
esistenti nella Biblioteca Provinciale di Foggia sui seguenti argomenti: Professionalità dell’insegnante, sperimentazione educativa, distretto scolastico e riforma della secondaria superiore.
-
PROFESSIONALITÀ DELL’INSEGNANTE
E SPERIMENTAZIONE EDUCATIVA
Abbolito E., Procopio M.
Agostini E.
Agostini E.
Armento V.
Becchi E.
Bertin G. M.
Borghi L.
Borghi L.
AA.VV.
Chiarante G.
Colonghi L.
Costa M.
Gozzer G.
144
In tema di sperimentazione di programmi
per il biennio. - sta in - « Istruzione tecnica
e professionale », 1974, n. 40
Formazione ed aggiornamento degli educatori. - sta in - « I problemi della pedagogia », 1974, n. ¾
Sperimentazione e decreti delegati. - sta in
- « I problemi della pedagogia », 1976, n. 7
La sperimentazione e la ricerca educativa.
- sta in - « Istruzione tecnica e professionale », 1974, n. 1
Lo sperimentalismo educativo. – sta in - «
Riforma della scuola » 1976, n. 8-9
La sperimentalizzazione e i decreti delegati. - sta in - « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 4-5
La libertà dell’insegnamento. - sta in - «
Scuola e città », 1975, n. 1
Formazione ed aggiornamento degli insegnanti in Francia, Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti, Unione
Sovietica. - sta in - « Scuola e città »,
1976, n. 5-6
Autoaggiornamenti e sperimentazione nella secondaria. - sta in - « Scuola e città »,
1974, n. 11/12
Gli insegnanti e la riforma. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Dall’esperienza alla sperimentazione. - sta
in - « Scuola di base », 1973, n. 2/3
Insegnanti e settori dell’insegnamento: gli
insegnamenti storico-sociali - sta in «
Scuola e città », 1974, n. 11/12
Sperimentazione: e adesso, documenti. sta in - « Il Biennio », 1977, n. 1
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Grussu S.
Grussu S.
Guidoni P., Vicentini M.
Lombardini S., Pii B.
Lombardo Radice L.
Magni V.
Maragliano R., Trittico M.
Raragliano R.
Merlini L.
Mori G.
Persichella V.
Pontecorvo C.
Procopio M., Abbolito E.
Trasformazione della scuola e fabbisogno
del personale docente. - sta in - « Riforma
della scuola », 1976, n. 1
Formazione professionale, riforma della
secondaria, programmazione economica sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 3
Insegnanti e settori d’insegnamento: insegnanti e ricercatori del settore scientifico. sta in - « Scuola e città », 1974, n. 11/12
Il lavoro nella secondaria. - sta in - « Riforma della scuola » 1977, n. 1
La formazione degli insegnanti di scienze.
- sta in - «Riforma della scuola», 1977, n.1
Riorganizzazione delle discipline e nuovi
profili professionali. - sta in - « Riforma
della scuola », 1976, n. 10
Verso una nuova qualifica della professione docente. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Interdisciplinarietà. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
L’istruzione tecnica di fronte alla sperimentazione. - sta in - « Istruzione tecnica e
professionale », 1974; n. 40
La preparazione degli insegnanti nella prospettiva di una « educazione permanente ».
- sta in - « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 4/5 Norme ministeriali sulle sperimentazioni. - sta in « Il Biennio », 1977,
n. 3/4
Gli insegnanti nella società meridionale. sta in - « Riforma della scuola », 1976, n.
10
La formazione degli insegnanti: un problema aperto. - sta in « Scuola e città »,
1974, n. 11/12
I programmi d’insegnamento delle materie
scientifiche nella sperimentazione del
biennio. - sta in - « Istruzione tecnica e
professionale », 1975, n. 41
Proposte per la sperimentazione, a cura del
Comitato tecnico-scientifico
145
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Rattazzi G. C.
Serpico L.
Tornatore L.
Trittico M.
Visalberghi A.
Vita M.
Zaccara E.
del Ministero della Pubblica Istruzione. sta in - « Il Biennio », 1977, N. 1 e 2.
Il difficile cammino della sperimentazione.
- sta in - « Riforma della Scuola », 1977,
n.1
Interventi sulla sperimentazione didattica e
sull’aggiornamento degli insegnanti. - sta
in - « Scuola e città », 1976, n. 5/6
Appunti per una sperimentazione responsabile. - sta in - « Istruzione Tecnica e
professionale », 1976, n. 46
Studi pedagogici e specializzazione. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 11
Ruolo dell’insegnante, sperimentazione e
nuovi contenuti educativi. – sta in - «
Scuola e città », 1976, n. 3
Insegnanti e scienze dell’educazione. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 11/12
Insegnanti e settori d’insegnamento. Gli
insegnanti pratici nell’istruzione professionale. - sta in - « Scuola e città », 1974,
n. 11/12
Iniziative di sperimentazione nella scuola
secondaria della Germania Federale. - sta
in - « Istruzione tecnica e professionale »,
1976, n. 47/48
DISTRETTO SCOLASTICO
E RIFORMA DELLA SECONDARIA SUPERIORE
Allulli G.
Ambrosoli
Arcomano A.
Balducci E.
Bonadusi L.
146
Il primo anno di partecipazione scolastica:
elementi per un bilancio. - sta in - « Annali
della pubblica istruzione », n.3
Scuola e territorio: i distretti. - sta in - «
Esperienze amministrative », 1977, n. 3
L’analfabetismo nel mezzogiorno. - sta in « Riforma della scuola, 1976, n. 10
Scuola cattolica e distretto scolastico. - sta
in - « Testimonianze », l974, n. 167
Distretto scolastico e servizi sociali. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 4/5
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Bertolini P., Frabboni F.
Bertozzi S.
Bettoni D.
Cives G.
Corradini L.
D’Albergo S.
Del Cormò L.
Fadiga Zavatta A.
Franchi G., Todeschini M.
Giugni G.
Gezezr G.
Grussu S.
Lombardo Radice L.
Montino F.
Mauceri C.
Manduni E.
Orefice P.
Chirurgia facciale per la materna. - sta in « Infanzia », 1976, n. 15
Distretti scolastici e pianificazione territoriale. - sta in - « Città e regione », 1976, n.
4
I nuovi progetti di riforma. - sta in - « Il
Biennio », 1977, n. 3/4
Scuola integrata, stato giuridico e distretto.
- sta in - «Scuola e città », 1974, n. 4/
I centri scolastici distrettuali. - sta in - «
Aggiornamenti sociali », 1974, n. 3
Distretti e democratizzazione dell’amministrazione. - sta in - « Città e regione »,
1976, n. 3
I cattolici e la partecipazione. - sta in - «
Riforma della scuola », 1977 n. 1
La secondaria oggi. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
La riforma in Europa. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
Distretto scolastico e sperimentazione pedagogica. - sta in - « Orientamento scolastico professionale », 1974, n. 54/55
Commento al progetto di riforma secondaria. - sta in « Il Biennio », 1977, n. 2
Scuola e sviluppo nel mezzogiorno. - sta in
- « Riforma della scuola », 1976, n. 10
La nuova proposta comunista per la scuola
secondaria. - sta in - « Il Biennio », 1977,
n. 3/4
Sul distretto scolastico. - sta in - « Annali
della pubblica istruzione », 1976, n. 2
Strutture, finalità e competenze del distretto. - sta in « Riforma della Scuola », 1976,
n. 1
Le elezioni per il distretto. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Distretto scolastico e società educativa. sta in « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 1
147
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Pagnoncelli L.
Rossi G.
Sciolla L.
Trentin B.
Visalberghi A.
Visone C.
Zappa F.
Zappa F.
Il distretto scolastico e l’educazione permanente. - sta in - « Scuola e Città », 1974,
n. 4/5
Decentramento e articolazione del potere
politico e amministrativo. – sta in - « Città
e regione », 1976, n. 4
Elezioni scolastiche: dalla partecipazione
in massa alla partecipazione « assente ». sta in - « Città classe », 1977, n. 11/12
Lotte per l’occupazione, il Mezzogiorno e
la riforma della scuola. - sta in - « Inchiesta », 1977, n. 27
Distretti scolastici: innovazione formale o
sostanziale? - sta in - « Città e Regione »,
1976, n. 4
Il distretto scolastico e la regione. - sta in « Orientamento scolastico professionale »,
1974, n. 54/55
Le elezioni un anno dopo. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Unitaria per modo di dire. - sta in - « Riforma della scuola, 1977, n. 1
FLORA M ARTELLI
148
IDEOLOGIA SOCIALE E PROFILI STORICI
NELLA NARRATIVA VERGHIANA
La mano sapiente di Giovanni Verga ha scolpito nell’arsa roccia
di Sicilia le meste figure di antichi lottatori vestiti di laceri panni; sui
loro volti ha striato i segni della fame, dei patimenti e dei lutti, nei loro
occhi incavati e asciutti ha fissato le ombre profonde di un’ignota paura ed il velo opaco di un dolente e rassegnato fatalismo; ha chinato il
loro capo in una spenta e stanca immagine di umile e servile soggezione; i loro corpi da forzati ha contorto nell’aspra fatica dei campi,
nel gravoso martellare del piccone, nello sforzo coraggioso e tenace di
resistere alla furia del mare, nel curvo incedere d’i polverose cariatidi
che recano sulla schiena il peso dei mattoni e della calce; ha raffigurato esauste ed ansanti le loro membra bruciate dal sole, scrosciate dalla
pioggia, disseccate dal vento, corrose dalla salsedine; sulla crosta del
pane nero delle povere mense ha posato il sudore delle fronti. Sulle
fragili e minute figure delle formelle impose, gigantesca, pesante ed
opulenta, l’avida e vorace mano del padrone; e su tavole marmoree incise le severe leggi dei padri. Ma la materia gli parve impura, e quelle
morti esistenze segregò in un insuperabile e viscido steccato dal quale
precipitano i corpi disperati vanamente protesi a ris alirlo.
Questo allegorico bassorilievo di Ghibertiana memoria, denominò:
i vinti. Da esso par che si levi un muto urlo disperato:
ma solo un angoscioso silenzio ristagna intorno a quei fantasmi
impietriti ed impenetrabili, nella cui immobile fissità è l’eterna attesa
di una liberazione che solo la morte può donare. Pare che l’artista, nel
rappresentare la penosa epopea degli umili, abbia voluto dare un volto
alla inesorabile sorte, antica ed eterna, di soggezione ai potenti; che
abbia voluto dare consistenza corporea ad una terrena desolazione in
cui non è divina clemenza né umana speranza; che abbia voluto creare
l’immagine di un fatale destino che, impietoso, recide le illusioni di
coloro che osano valicare la soglia di una impura condizione sociale.
149
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
Pare quasi che il rassegnato tormento di quella forma abbia egli realizzato lasciando calare sui deboli la incandescente lava del suo vulcano, per consegnare alla storia il veridico calco di una stirpe di vinti, la
stirpe dei vinti della società.
L’angoscioso messaggio sociale che trasuda dalla Composizione
fu, però, soffocato dal pensiero dell’autore e dalla progressiva involuzione del suo sociale atteggiarsi.
Il Verga aveva scritto che il progresso umano è alimentato dalle
ambiziose inquietudini degli uomini, in un incessante divenire che trasforma i vincitori di oggi nei vinti di domani. Ma egli, che, a differenza del Capuana, fu grande artista e misero teorico, tradì, nelle sue
opere, questo tema ideale. Dal progredire della umana civiltà escluse
il progresso sociale degli umili. Attingeva, forse, dal profondo del suo
animo, che gli umili, eterni sudditi di altrui dominio, erano gli unici
veri vinti della società; che, piegati dalla miseria e mossi solo da un
istinto di sopravvivenza, esaurivano la loro storica funzione sociale in
una naturale soggezione al potere della roba, ed erano, perciò, gli
strumenti passivi e le vittime, ma non gli artefici del progresso umano.
Rattristato e commosso, sentiva quanto fosse penosa ed avvilita la
condizione sociale dei miseri, ne sentiva i patimenti, le frustrazioni e
la fame, ma la sentiva come ineluttabile e fatale. L’intenso e religioso
suo culto della tradizione, personificato nel vecchio Padron ‘Ntoni,
perpetuava nel futuro l’autorità di antiche leggi sociali, ed alla sua
mente i tormenti, gli affanni e gli stenti, che i deboli trascinavano nel
loro affannoso vivere, apparivano come una sorte naturale ed immutabile. Quasi presagiva come sacrilega ed oltraggiosa per gli atavici
canoni la possibilità di una loro evoluzione sociale, di una loro liberazione dalla fame e dalla servitù. Nel loro vivere desolato e senza
speranza, scorgeva un fatale ed inesorabile destino di vinti. Elevava,
perciò, a dura legge di vita quel sentimento di paziente rassegnazione
sedimentato nel loro animo e stroncava, in un tragico destino, gli spiriti che, disperati, a quella legge non si acquietavano.
In questa concezione, chiusa ad ogni divenire sociale dei miseri, è
il limite angusto della sua ispirazione sociale. In essa è l’asfittica visione di un destino di vinti che investe la classe sociale degli umi li e
deboli proletari, e sempre ne consegna le sorti all’arbitrio del potere
150
________________________________________________________________IDEOLOGIA SOCIALE IN VERGA
economico. Nedda, infatti, è vinta nel perire dei suoi affetti, sol perché povera; Rosso Malpelo, come già suo padre Misciu ed il suo amico Ranocchio, è vinto dalla miseria che Io piega alla fatica della miniera, alla solitudine affettiva ed alle percosse dei padroni, finché anche la sua vita non è rapita dal loro vorace sfruttamento; la derelitta
Diodata, vinta dalla fame e dalla solitudine, è preda di un padrone che
ne divora la fatica e la virtù, ne deprime gli affetti, ne mortifica
l’esistenza con le percosse e l’abbandono. Par quasi che la sventura si
nutra solo di deboli, anche quando essi, come Nedda, Rosso Malpelo e
Diodata, sono le rassegnate vittime di un avaro ed inesorabile destino.
E la sventura trafigge anche i Malavoglia, « che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole », non appena ‘Ntoni
va militare e le braccia rimaste nella casa del Nespolo più non bastano
al governo della barca. Se si pensa che il negozio dei lupini era stato
combinato dal vecchio padron ‘Ntoni, simbolo della tradizione e della
rassegnazione, solo per « menare avanti la barca », pare quasi che i
lutti tendano ad assoggettare la famiglia al potere economico
dell’usuraio, a precipitarla in una voragine di povertà con quel debito
che assorbiva ogni loro fatica e condizionava il loro stesso vivere. Divenuti miseri liberti, i Malavoglia sono già dei vinti quando le disperate inquietudini, prima di ‘Ntoni e poi di Lia, lacerano l’unità della famiglia e sono punite da una umana impietosa giustizia. Questi sono i
vinti di una famiglia già vinta dalla società, poiché si ribellarono alla
legge della rassegnazione. Lo scrittore è un severo censore di quel loro
vano aggrapparsi ad una speranza di benessere, pur restando fiacchi ed
immersi in tanta miseria. Credeva egli fermamente che soltanto la roba e la possidenza determinano e mutano la condizione sociale degli
uomini e possono affrancarli dal bisogno, mentre illusorie sono le
stinte utopie egualitarie e le rivoluzionarie aspirazioni ad una chimerica giustizia sociale. Nella sua penna, infatti, stride una sottile ironia
quando descrive l’evangelica democrazia dello speziale don Franco
che «non aveva difficoltà di starsene in sinedrio con quelli senza scarpe purché non mettessero i piedi sui regoli delle scranne »; lo stesso
protendersi di ‘Ntoni Malavoglia verso una eguaglianza umana per
temperare le sperequazioni sociali, assume toni e sfumature
151
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
di parodia in quello oscillare di amorfa ignoranza e grottesca superstizione. Il Verga sentì ineguali gli esseri umani e, dall’alto di una superiore collocazione sociale, concepì una rigida separazione delle tradizionali classi sociali, ed osteggiò ogni interferenza del potere economico diretta a saldare e fondere natali e spiritualità di differente estrazione. Gli mancò l’evangelico cristianesimo e lo spirito popolare
di un Tolstoj, che, in «Guerra e Pace », consente all’ingenua ed istintiva saggezza di un uomo del popolo, Platone Karatajev, di determinare una crisi spirituale nel colto ed aristocratico Pierre Bezuchov; e in «
Resurrezione » lega di un saldo vincolo spirituale e sentimentale un
principe e una serva, pur nelle insormontabili difficoltà esogene che si
frappongono fra essi; mai, come Dostojevskj, si è avvicinato al popolo, umiliato ed offeso, per liberarlo da tanta umiltà e trasformarlo, rigenerarlo. Dai suoi scritti traspare il volto del geloso custode di una
tradizione di casta, del settario difensore della purezza dei ceti elevati,
e non nasconde una scostante ed endemica intolleranza razziale verso
gli impuri quando questi tentano di inquinare l’aristocratico sangue
della razza eletta. Nella vicenda de « Il marito di Elena » infatti, il protagonista è vittima di una moglie sposata al di fuori del suo ceto sociale con sacrificio della sua dignità e delle tradizioni della famiglia; nella relazione di Mastro don Gesualdo e Diodata vi è solo lo svago erotico di un padrone con una serva e la quasi accidentale procreazione di
una impura filiazione naturale, disconosciuta ed ignorata, però,
dall’autore del concepimento. Ed è questo sociale atteggiarsi ad indurre l’autore, che pur aveva assecondato l’eroica fatica del simbolo della
prorompente vigoria borghese, a negare ogni solidarietà a Mastro don
Gesualdo, quando questi, rivendicando i diritti che gli concede la sudata ricchezza, impalma la povera ma aristocratica Bianca Trao. il
Verga, mentre è indulgente con la Trao che a quel connubio fu costretta, quasi venduta dal suo peccato e dalla rovina economica della famiglia, quasi votata ad un sacrificio per donare alla creatura, che già recava in grembo e che era stata concepita da persona dello stesso suo
lignaggio, una legittima paternità ed una ricchezza spettante ad una aristocratica investitura, severamente condanna don Ge sualdo che volle
contaminare, con la sua impura estrazione sociale, l’aristocratica
152
________________________________________________________________IDEOLOGIA SOCIALE IN VERGA
purezza della donna, per una ragione di prestigio sociale. Alla loro vita coniugale concede una reciproca devozione, ma sempre nega una
comunione spirituale, e non consentì una commistione razziale tra le
loro essenze ineguali da essi non nasce una generazione impura. Ed è
in questo vincolo coniugale che Mastro don Gesualdo fu vinto, se vinti
può dirsi; la sua legittima paternità sulla pura ed aristocratica Isabella
restituiva infatti fatalmente la sua ricchezza a quel ceto sociale cui avevano osato rapirla le sue fatiche, i suoi sacrifici, e le sue privazioni,
quasi che altro essere impuro sarebbe stato indegno di possederla. Divenuto ricco borghese e rapace padrone si era egli affrancato dalla sua
originaria condizione sociale, non poteva essere intaccato da quel tragico destino che non risparmiava i deboli e che tanta sventura aveva
seminato nella famiglia Malavoglia.
Tutore di un inesorabile ordine sociale, lo scrittore rispetta in lui
la ricchezza ed il padrone, ma, con sottile disprezzo, noi dimentica la
sua origine impura, ed a quel prepotente e vertiginoso salire nella gerarchia sociale nega la dignità che solo natali e la tradizione possono
conferire; le ambizioni sociali d don Gesualdo sono illuso ne: egli è
solo il rozzo e tenace lavoratore che sfrutta i miseri ed è sfruttato dai
ranghi sociali elevati che, parassitariamente, risucchiano la sua roba.
Nella vicenda di Mastro don Gesualdo spunta anche il di stacco
del Verga dagli umili, le cui esistenze informi sono sfocate ed anonime, senza volto e senz’anima; essi sono sentiti come i potenziali nemici del padrone che nel 1848 avevano attentato alla sua roba; solo alla fedele dedizione di Diodata, sospettata di ignoti natali elevati,
l’autore rivolge una epidermica adesione.
Si delinea, così, la involuzione del pensiero sociale del l’autore che
degrada, nei confronti degli infimi strati sociali da una originaria
commossa adesione spirituale, alla diffidenza in « Mastro don Gesualdo », ed alla ingiusta ostilità al primo apparire delle organizzazioni del
movimento operaio ed al proliferare dei suoi proseliti. Nel 1905, infatti, nel romanzo « Da mio al tuo », il Verga, possidente borghese, rinnega il mesto poeta della dolorosa epopea degli umili e narra del tradimento di Luciano, un capolega operaio, che sposa Lisa, figlia del
153
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
padrone della solfatara, il barone don Raimondo Navarra, e si trova, al
momento del pirogeno sciopero, economicamente e socialmente contro i compagni di lotta. Negando alle inferiori classi sociali ogni divenire nell’unione e nella lotta degli uomini, palesava il conservatore e
reazionario credo politico che alimentava la sua ispirazione sociale.
Tale sua ideologia, che lo distingueva dal rivoluzionario e temerario
Zola, di « J’accuse », non aveva recepito i profetici moniti di Giuseppe Ferrari, di Ippolito Nievo e di tanti altri democratici ingegni che
auspicavano la soppressione di un regime agrario semifeudale e la evoluzione sociale delle masse rurali; non aveva egli intuito che il progresso umano è soprattutto progresso sociale; era rimasto assolutamente refrattario ed impermeabile alle brucianti tensioni sociali
che sorgevano dalla disperata miseria e dalla cieca esasperazione delle
masse contadine ed operaie, ed ai focolai di esplosive conflittualità
che in esse accendeva la conservazione di antichi privilegi di classi, ed
aveva opposto un ermetico diaframma di ostilità, alla nascente ideologia marxista, che, sul tronco dell’azione di Bakunin, tendeva con Antonio Labriola, Andrea Costa, Enrico Bignami, Filippo Turati, Claudio
Treves, Camillo Prampolini, Rinaldo Rigola e tanti altri fondatori del
socialismo italiano, alla emancipazione umana, sociale ed economica
di quelle masse derelitte, asservite e sfruttate allo spasimo. Pare quasi
che la sua idea si incarni in Mastro don Gesualdo il quale, contro i
contadini che vogliono prendergli la roba, urla furente « Voglio ammazzarne prima una dozzina! A chi ti vuol prendere la roba, levagli la
vita ».
Anche se involuto dalle strettoie di siffatta concezione sociale, che
rifletteva l’atteggiarsi della sua generazione e della sua epoca, sempre
si tenne fedele ad un realismo inconsueto per la narrativa italiana, ripudiando il borghese paternalismo e le retoriche mistificazioni del
Prati, il rusticano ed arcadico idillio del Nievo, il gesuitico paternalismo del Manzoni, in cui non era lo spirito egualitario del cristianesimo
evangelico. Con animo sgombero da tali incrostazioni, iscrisse negli
umili personaggi della sua terra il tratto di una sincera compassione. Si
tenne, così, lontano dal Manzoni che sentì per gli umili un amore che
aveva solo sostanza di astratto dovere dettato dalla morale cattolica, e
che cosparse di diffusa ironia le povere figure del sarto, di fra’ Galdi-
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no di Renzo, di Agnese, di Perpetua, di Gervasio e della stessa Lucia,
rappresentando queste creature come gente angusta e priva di vita interiore, mentre a fra’ Cristoforo, al Cardinale Borromeo,
all’Innominato, ed allo stesso don Rodrigo, che erano aristocratici,
conferì autorevole solennità insieme ad una intensa e profonda spiritualità destinata ad illuminare e guidare gli esseri inferiori. Ai miseri
ed al loro animo antico serbò autentica, austera e virile fisionomia e ad
essi si congiunse nei valori ideali generati dalla terra di Sicilia; con
crudo e poetico verismo, senza sbiadirne le tinte e senza alterarne i toni, rappresentò le spinose asperità del loro desolato vivere in cui non
era lume di divina provvidenza o di umana speranza, ma solo una servile soggezione ad un cinico utilitarismo padronale.
In questa poetica iconografia consacrò l’immagine della vita sociale dei suoi tempi, svolgendone i temi e le implicazioni non solo sentimentali e morali, ma anche economiche e di classe; né mancò di effigiare il decadimento ed il deterioramento dell’antica aristocrazia, che
fu soggetto de « I vicerè »di Federico De Roberto e, molto più tardi,
del « Gattopardo » di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Ma tanta verità non gli fu perdonata dalla falsa sonnolenza e dal
miope egoismo borghese, né dalla fatua e distaccata alterigia aristocratica. La cultura dei suoi tempi, adagiata in un sopito torpore ed incantata dalla spirituale contemplazione di aulici miti, non volle scorgere
l’amara poesia che animava la fame, i patimenti degli umili, e non intravide le nuove frontiere della narrativa italiana che la sua arte verista
aveva additato.
* * *
I profili sociali della narrativa verista di Giovanni Verga furono istoriati nella fucina di un’epoca irretita dalla mitica ed ossessiva unitarietà del sorto Regno d’Italia.
L’assetto politico e territoriale del nuovo Stato era stato concepito
e realizzato dal liberalismo del Cavour come una espansione dello Stato Piemontese e del dinastico patrimonio sabaudo, come conquista regia che strumentalizzava i temi ideali del risorgimento, patrimonio di
piccole minoranze di grandi intellettuali, e da essi derivava una
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investitura di legittimità.
Mancava, però, nella penisola una diffusa coscienza nazionale poiché i
sacerdoti, del risorgimento, nobili e borghesi, distinguendosi dalla positiva strategia dei giacobini francesi, per la conservazione di antichi
privilegi, non avevano osato utilizzare le possenti energie rivoluzionarie delle masse rurali, accogliendone le sostanziali rivendicazioni ed
associandole alla causa unitaria, ed avevano così smarrito la preziosa
occasione di depositare nelle masse popolari, lievitate in un più democratico ordine sociale, il solido cemento di una profonda coscienza nazionale unitaria. E questo indirizzo politico, chiuso ad ogni ispirazione
democratica, si perpetuava nella nazione italica accentuato da una feticistica concezione dell’unità suscitata dalla mancanza di un tessuto
sociale in cui fosse stata radicata una coscienza unitaria e nazionale. Il
Crispi ne diventava il fanatico interprete ed alla sua linea politica il
Giolitti arrecava solo marginali correttivi. L’unità nazionale si identificava, così, nella dinastia sabauda; si estendeva al territorio nazionale
il sistema di accentramento amministrativo dello Stato Piemontese
(legge comunale e provinciale di ispirazione napoleonica nella subordinazione delle autonomie locali al controllo dei prefetti che riassumevano alla periferia le prerogative del governo); si rinsaldava il potere industriale del settentrione per dare al paese una indipendenza economica al prezzo di un protezionismo doganale che apriva nel mezzogiorno e nelle isole una paurosa crisi commerciale. Il meridione era
così ridotto ad un mercato di vendita semicoloniale, ad una fonte di risparmio da utilizzare per finanziare un disegno politico che recava
vantaggi solo al settentrione, ad un’area di prelievo fiscale con imp osizioni prevalentemente indirette, che gravavano pesantemente i settori sociali più poveri. Il potere industriale del settentrione si ampliava e
si arricchiva, così, in proporzione all’impoverimento dell’economia e
dell’agricoltura del meridione, poiché il protezionismo e le tariffe doganali consentivano alle concentrazioni industriali del Nord di vendere
nel territorio nazionale quasi in regime di monopolio, mentre impedivano ai prodotti agricoli del Sud di penetrare nei mercati esteri per le
ritorsioni tariffarie adottate dagli altri paesi. E questa situazione che
aggravava sempre di più, anziché sanarlo, il divario fra il Nord e il
Sud, determinava quel triste fenomeno, teorizzato e diffuso come veri-
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tà scientifica da sociologi del positivismo (quali Niceforo, Ferri, Orano... etc.), che lasciava intendere l’endemico malcontento meridionale
e la penosa miseria ivi diffusa come l’effetto, quasi biologico, di una
organica incapacità della popolazione meridionale ad eguagliare i progressi sociali ed economici realizzati dalle più dotate genti del settentrione.
La politica dello Stato, sorretta nelle scelte impopolari da spietate
repressioni di ogni movimento di massa e da periodici eccidi di contadini, tendeva ad estendere i quadri della classe dirigente agli strati sociali elevati e potenti e ad assorbire nelle sfere della pubblica amministrazione gli esponenti della piccola borghesia che avrebbero potuto
organizzare il caotico e tumultuoso malcontento contadino. Gli aspetti
più negativi di questi politica discriminatoria ed ingiusta, erano proprio nelle cruenti repressioni dei fermenti insurrezionali dell’e masse
rurali meridionali ed in particolare della Sicilia. Basti pensare alla repressione attuata dal Bixio per sedare nel sangue la insurrezione contadina per la iniqua distribuzione delle terre demaniali durante la dittatura di Garibaldi; alla sanguinosa campagna del generale Cialdini per
stroncare il brigantaggio originato dalla esasperazione dei contadini
traditi dall’assegnazione ai borghesi delle terre demaniali confiscate
agli ordini ecclesiastici; alla repressione del movimento Siciliano dei
fasci dei lavoratori, in cui era la caotica disperazione di quei contadini,
realizzata dal Crispi con un vero stato d’assedio e con pesanti condanne pronunciate da Corti Marziali; alla strage di centinaia di persone
inermi, tra cui anche donne e bambini, che si ribellavano al rincaro del
prezzo del pane; agli abusi ed ai privilegi dei potenti, che fu perpetrata
dal generale Bava-Beccaris, poi decorato da Umberto I per tale nobile
gesto.
Il cieco nazionalismo, deteriore eredità del risorgimento. diveniva
così il sipario di una politica conservatrice dei privilegi e del dominio
sociale e politico dell’alta borghesia e dell’aristocrazia che non aveva
recepito i profetici moniti del liberale Cavour, che vanamente aveva
predicato la necessità di un decentramento amministrativo a livello regionale, di una politica economica che fosse estesa con eguaglianza a
tutto il territorio nazionale, di evitare la politica dello stato di assedio,
per assecondare il formarsi di una solida coscienza nazionale, unico
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vero presidio dello Stato; che « è pericolosa grettezza politica » quella
di commisurare le riforme non alle esigenze dei tempi e dei popoli, ma
« allo stretto indispensabile per allontanare il prossimo pericolo di politici sconvolgimenti ».
I disastrosi risultati di questa realtà socio-politica incrostata di
speciosa retorica, che una falsa prospettiva storica cerca invano di redimere, insegnando che l’Italia preesisteva come entità politica
smembrata e soffocata da forze straniere, mentre nella figurazione politica del 1870 non era mai esistita né poteva esistere se non nelle utopie, hanno tramandato, in una dimensione dilatata dal tempo, gravosi
problemi politici e sociali (Meridione, riforme, coscienza nazionale,
senso della dignità dello Stato e del cittadino... etc.) che ancora i nostri
governanti faticano ad intendere, sebbene il Cavour li avesse intuiti
già da oltre un secolo quando puntava a portare la società italiana al
livello di quelle di altre nazioni di più antica tradizione storica.
Il pessimismo del Verga, se pessimismo può dirsi il riflesso della
sua ideologia crispina, che lo indusse a rifuggire dalle lusinghe separatiste della sua Sicilia, traduce la realtà sociale e politica dei suoi tempi;
il suo sarcasmo nei confronti delle utopie rivoluzionarie e la involuzione del suo sentire sociale erano la ineluttabile conseguenza di quella realtà che, mediata dal suo sentire, affiorava nei suoi scritti. E la poetica immagine delle sue creature in cui sembra riconoscere il pathos
dei dannati danteschi, muta testimonianza delle miserie, dei tormenti,
dei patimenti inflitti ad una stirpe di vinti dall’egoismo padronale, distaccate dalla mente che le generò, par quasi che ammonisca i posteri
a riparare gli errori del passato ed a non perpetuarli nel futuro poiché
gli esseri umani, nati eguali, debbono rimanere eguali.
CATERINA CLEMENTE
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