Anno VII - Numero 3 - Marzo 2011 IN ABBINAMENTO AL Orticaria, malattia sempre più frequente Imputati: alimenti, agenti chimici, fatica Calvizie? Spesso è fonte di stress Diverse le cause che la provocano Noccioline, patatine, biscotti… Rischio soffocamento del bambino Ipoacusia, quella debolezza d’udito che rischia di isolarci dal mondo La Medicina Predittiva è un bene? Non sono poche le perplessità www.azsalute.it lu t e A Z Sa timo l ogni duì del mese le merco to gratuitloia ga ici in aliloernale di S o al G o al t!u l i d e i Rich dicolante e AZ SALUTE Anno VII - Numero 3 MARZO 2011 Mensile in abbinamento gratuito al “Giornale di Sicilia” In questo numero 4 Gastrite, talora è colpa di un batterio. Stanarlo un’impresa non semplice di Cinzia Testa 19 Tennis, gomito e spalla messi a dura prova. Per le tendinopatie un nuovo laser fai-da-te di Roberto Urso Anno VII - Numero 3 - Marzo 2011 IN ABBINAMENTO AL Orticaria, malattia sempre più frequente Imputati: alimenti, agenti chimici, fatica 6 Calvizie? Spesso è fonte di stress Diverse le cause che la provocano Noccioline, patatine, biscotti… Rischio soffocamento del bambino Ipoacusia, quella debolezza d’udito che rischia di isolarci dal mondo La Medicina Predittiva è un bene? Non sono poche le perplessità e AZ Salut o ogni ultim del mese mercoledì gratuito ato di Sicilia ale in alleg Giorn con il edilo al tuo Richi lante! edico Calvizie? Spesso fonte di stress. Come si può ricorrere al trapianto di Marco Strambi 20 Ipoacusia, quella debolezza d’udito che rischia di isolarci dal mondo di Manuela Campanelli www.azsalute.it Storie di copertina di Giovanni Pepi Direttore Responsabile Carmelo Nicolosi Rubriche Adelfio Elio Cardinale Minnie Luongo Giuseppe Montalbano Luciano Sterpellone Arianna Zito Hanno collaborato a questo numero Manuela Campanelli Antonino Carolina Rossana Marcianò Paola Mariano Giuseppe Pizzo Marco Strambi Cinzia Testa Roberto Urso Coordinamento redazionale Monica Diliberti Giulio Francese Editrice Az Salute s.r.l. Registrazione del Tribunale di Palermo n. 22 del 14/09/2004 Redazione Via XX Settembre, 62 - 90141 Palermo Tel. 091-6255628 Fax 091-7826385 [email protected] Redazione di Milano Responsabile Cinzia Testa Sala Stampa Nazionale Via Cordusio, 4 - 20123 Milano Tel. 02-865052 Fax 02-86452996 Redazione grafica e coordinamento advertising Officinae s.r.l. Art director: Vincenzo Corona Pubblicità AZ Salute s.r.l. 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Necessaria la massima attenzione di Antonino Carolina 24 Se la pancia è una camera a gas c’è bisogno di più batteri-amici di Luciano Sterpellone 25 Orticaria, patologia sempre più frequente. Attenti a non sottovalutare alcuni segnali di Giulio Francese 26 Se gruppi farmaceutici e pazienti diventano “Alleati per la salute” 15 28 16 29 Perché si verifica un infarto? Gli scienziati vogliono capirlo di Rossana Marcianò Roche, leader mondiale in oncologia. Presentati a Basilea i risultati del Gruppo 18 Check-up per un Vip Charles De Gaulle. L’eroe della Grandeur nascondeva gli acciacchi di Luciano Sterpellone Focus Associazioni Trombosi e malattie cardiovascolari: Alt, un impegno per rilanciare la lotta di Minnie Luongo Salute da sfogliare Medici nella storia di Arianna Zito 30 Pillole di salute AZ SALUTE È IN EDICOLA IN ALLEGATO GRATUITO CON IL GIORNALE DI SICILIA L’ULTIMO MERCOLEDì DI OGNI MESE. RICHIEDILO AL TUO EDICOLANTE SALUTE AZ EDITORIALE Festeggiamo l’Italia unita ma non certo nella Sanità I l 17 marzo scorso, gli italiani hanno festeggiato l’unità della Nazione. E il tricolore, per una giornata, è stato nel cuore di tutti. No, per la verità non di tutti, visto il comportamento della Lega Nord. Ma sorvoliamo. E da più parti si è, giustamente, inneggiato all’unità del Paese. Purtroppo, è sotto gli occhi di tutti che l’unità è solo geografica. Politiche diverse nelle regioni, criteri di gestione della cosa pubblica diversi, litigiosità diversa, condizione finanziaria diversa, tasso occupazionale diverso, sanità diversa. Nel Meridione, la salute dei cittadini non ha di certo la stessa considerazione che ha in altre parti della Penisola, soprattutto al Nord. In Sicilia, per fare un esempio di una realtà a noi vicina, si sta tentando di tamponare al meglio le falle create negli anni trascorsi, di lavorare ad un modo razionale di gestire la spesa sanitaria, di formare punti di eccellenza. Ma a ben guardare alcuni dei nostri ospedali, a sentire i commenti della gente che ogni giorno giungono immancabilmente in redazione, non ci pare che ancora il paziente siciliano possa trovare nell’Isola il conforto medico che gli spetta di diritto. Chi vuol farsi un’idea reale della situazione, vada a farsi un giro per i Pronto Soccorso. La vita gli sembrerà veramente brutta. Di certo, per trovare soluzioni è necessario un forte impegno. Spesso, scordiamo che della medicina in urgenza possiamo avere bisogno tutti, senza esclusione e in qualsiasi momento: l’ictus, l’infarto, non guardano se sei ricco o povero, se sei un politico o un mendicante. Colpiscono e basta. Allora? Vogliamo chiederci perché siamo ridotti in maniera così precaria? Non ditemi perché mancano i soldi. Non lo accetto. Tutto dipende dalla volontà di fare, dall’organizzazione, dalla preparazione di certi medici e infermieri, dall’educazione personale. In altre parole, dall’uomo. È vero che il personale addetto al Pronto Soccorso è a volte insufficiente. Talora, in turno c’è personale medico giovane, specializzando, con non molta esperienza. Il lavoro, lo si sa, è massacrante e, di conseguenza, l’errore è sempre dietro l’angolo. Ma chi crea queste situazioni? Vogliamo una volta per tutte capire cosa c’è dietro a queste insufficienze e trovare rimedi? Mi racconta un amico che per un problema della figlia è entrato in un Pronto Soccorso di Palermo nelle prime ore della sera e ne è uscito alle sei del mattino del giorno dopo. E di aver visto di tutto! Per il mio lavoro, vado parecchio in giro per l’Italia e altre nazioni. A Barcellona, una mia collega, durante un congresso medico al quale partecipavamo, si è fratturata un piede. Se sei in una città straniera qualche momento di affanno lo vivi. Tutto accade così in fretta che vai in confusione, non sai a chi rivolgerti. Eppure, è bastata una telefonata ad un ospedale perché – e non volevamo crederci – all’ingresso della struttura d’emergenza c’era già una barella e il personale che attendeva il nostro arrivo, per non dire della celerità e della professionalità riscontrata… Sì, l’Italia è unita, lo scopriamo per i 150 anni della sua nascita. Peccato che in questa grande Penisola, non vi sia, tra tutte le sue regioni, la stessa possibilità e diritto alla salvaguardia della salute e della vita. Le mie non sono parole che emergono da concetti astratti, ma dalla vita reale, dall’esperienza professionale e personale. Molti malati siciliani si rifugiano al Nord o all’estero. E non posso non capire il disagio, il dolore, lo stress, il dissanguamento finanziario di intere famiglie. E la rabbia. Sì, la rabbia di essere costretti alla migrazione sanitaria, a lasciare la loro terra, la loro casa. Per carità, non vogliamo fare di tutta la proverbiale erba un fascio. Anche in Sicilia ci sono delle buone professionalità, purtroppo non in tutte le discipline mediche. Esistono anche delle buone realtà sanitarie, ma non tutto il sistema è all’altezza della migliore assistenza. Continuano a persistere problemi irrisolti da tempo, resistenze al cambiamento, ad una nuova mentalità. Di certo, occorre intervenire con forza e in fretta. È necessario individuare le sacche carenti e affondare il bisturi, avere il coraggio di intervenire pesantemente, senza tentennamenti e senza guardare in faccia a nessuno. Per il bene dei cittadini, se questo bene lo si vuole davvero. di Carmelo Nicolosi Nel Meridione, la salute dei cittadini non ha la stessa considerazione che ha in altre parti della Penisola AZ SALUTE Se lo stomaco fa i capricci può esserci il suo zampino Gastrite, talora è colpa di un batterio Stanarlo un’impresa non semplice S di Cinzia Testa Agisce in silenzio per anni, prima di colpire. Diagnosi: non c’è solo la gastroscopia. Miscela di antibiotici nelle nuove cure oprattutto nel cambio di stagione, la primavera può fare “brutti scherzi” allo stomaco. Il passaggio da un clima freddo a una temperatura calda e il maggior numero di ore di luce, comportano una fatica in più per tutti noi che, in genere, arriviamo in questi mesi dell’anno già stanchi fisicamente e psicologicamente. Questo stato di stress si ripercuote sulla parte del corpo più sensibile che, per molti, è proprio l’apparato digerente. Quando lo stomaco “fa i capricci”, può capitare che si tratti di gastrite. In questo caso, la colpa non è sempre dello stress o della cattiva alimentazione. In campo può entrare l’Helicobacter pylori, un batterio che “lavora” in silenzio, per anni, tra le pieghe della mucosa gastrica, cioè della pellicola che riveste lo stomaco. E possono trascorrere anche 10-15 anni prima che inizi a dar segno di sé, proprio con una dolorosa gastrite. Non è ancora ben chiaro come riesca a “entrare” nel nostro stomaco. È certa, però, la sua cattivissima fama, perché se non viene eliminato, aumenta il rischio di ammalarsi, nel tempo, di tumore dello stomaco. In caso di disturbi che non passano, meglio parlarne con il proprio medico. «Con grande sollievo di molti pazienti, non viene più effettuata di routine la gastroscopia», chiarisce il professore Dino Vaira, del dipartimento di gastroenterologia e medicina interna dell’università di Bologna. «Se il medico lo ritiene opportuno – aggiun- ge Vaira – questo esame viene sostituito dall’analisi delle feci o dal test del respiro che hanno ormai un’affidabilità certa, provata da numerosi studi». La scelta va fatta, quindi, dal punto di vista pratico. L’esame delle feci viene “passato” dal Servizio sanitario e si paga solamente il ticket. Si consegna al laboratorio di analisi il campione di feci prelevato la mattina, dopo otto ore di digiuno e, nell’arco di un paio di giorni, si ha il risultato. L’analisi identifica la presenza dell’antigene dell’Helicobacter pylori, cioè la “traccia” che il batterio lascia nelle feci. Il test del respiro, invece, è a pagamento e viene eseguito nei Centri diagnostici e in alcune farmacie specializzate. Consiste nell’esame dell’anidride carbonica che viene espirata dai polmoni. Prima dell’esame si deve bere una bevanda a base di urea e di una sostanza chiamata carbonio 13 o 14. Dopo mezz’ora si soffia in una provetta: se il batterio è presente, scatta una particolare reazione chimica, che si può vedere proprio dall’analisi dell’anidride carbonica contenuta nel respiro. Il risultato di questo esame è variabile. È immediato se nel Centro è disponibile lo spettrometro, cioè il macchinario che analizza l’anidride carbonica, mentre ci vogliono circa sette giorni se nel laboratorio non c’è questa attrezzatura. La gastroscopia, invece, viene prescritta a chi ha più di 55 anni e a chi ha avuto in famiglia dei casi di tumore SALUTE AZ gastrico. «In questi casi, oltre a scoprire la presenza del batterio, è utile osservare bene le pareti dello stomaco per escludere la presenza di una forma pre-tumorale – spiega il professor Vaira – . Per questo, durante l’esame, viene fatta anche una biopsia, cioè viene prelevato un piccolo campione di mucosa dello stomaco». Chi è particolarmente agitato può chiedere al medico un tranquillante: va preso almeno mezz’ora prima. Durante l’esame si è sdraiati su un lato e non si sente pressoché nulla, perché viene spruzzato in gola un farmaco anestetico. A volte, si può avere la sensazione di un raschiamento in gola: a provocarlo è il sottile tubicino con la microtelecamera che viene fatto scorrere fino allo stomaco. L’importante è non farsi prendere dal panico, ma iniziare a respirare profondamente e pensare a qualcosa di piacevole. L’esame dura circa cinque minuti e deve essere affrontato a digiuno, da almeno sei ore. Nelle ore successive si può mangiare: meglio però cibi freddi e liquidi. «Per eliminare l’Helicobacter Pilori, la cura più recente è composta da più farmaci che agiscono insieme», dice il professor Vaira. E aggiunge: «Anche la cura cosiddetta “standard”, cioè la tradizionale, è con più farmaci. A fare la differenza è la “miscela” di antibiotici usati. In pratica, anziché due antibiotici da prendere insieme per una settimana, come nella cura standard, se ne assumono tre, con azioni differenti, nell’arco di dieci giorni». I risultati parlano da soli. La nuova procedura curativa è efficace nel 92 per cento dei casi e riesce a debellare anche le forme di batterio più resistenti. Inoltre, è ben tollerata dall’organismo e questo fa sì che venga seguita da tutti i pazienti fino all’ultimo giorno di prescrizione. Durante la terapia, però, bisogna prestare attenzione anche al menù. «Per dieci giorni – spiega l’esperto – occorre far lavorare il meno possibile il sistema gastrico. È la regola base per agevolare la “battaglia” dei farmaci». Non c’è bisogno di mangiare in bianco. Qualche esempio di piatti amici dello stomaco? Bocconcini di petto di pollo cucinati con due cucchiai di acqua e il succo di un limone e completati con qualche goccia di aceto balsamico. Oppure fettine di pesce al vapore insaporite con erba cipollina. Sì anche al risotto con zucchine e piselli e alla pasta con i broccoletti. Niente zafferano e peperoncino, però, perché irritano lo stomaco. Meglio fare una pausa di due settimane per quanto riguarda tutte le bevande alcoliche e il caffè. I segnali che devono mettere sul “chi vive” Sintomi classici Come si fa a capire che si tratti veramente di gastrite? Il primo controllo si può fare da soli. Ecco i sintomi che devono mettere sul “chi vive”. • Dolore allo stomaco. In genere, è persistente e si attenua mangiando. • Nausea. È lieve, ma costante e presente tutto il giorno. • Bruciore. È simile a un lieve calore nello stomaco che peggiora dopo aver bevuto anche un bicchiere d’acqua. • Digestione difficile. Sembra di dover digerire dei sassi, anche se si è mangiata solo un’insalata. • Vomito. Sono vere e proprie crisi che si bloccano solo con un farmaco antivomito. Sintomi che confondono • Meteorismo. La pancia è gonfia e dura, perché è piena d’aria. • Senso di vuoto allo stomaco. È simile a quello che si prova in macchina su un dosso inaspettato, oppure sulle montagne russe all’inizio della brusca discesa. • Reflusso gastroesofageo. È la sensazione di acidità sgradevole in bocca, causata dal ritorno dallo stomaco verso l’esofago di cibo già “attaccato” dalle sostanze che permettono la digestione. • Cuore in gola. I battiti del cuore diventano veloci dopo aver mangiato qualsiasi cosa, anche una semplice caramella. • Dolore allo stomaco quando si ha fame. Non sono i crampi che a volte si possono avere, oppure il brontolio, ma fitte dolorose che passano mangiando anche solo un paio di cracker. Come regolarsi a tavola Vi sembra che i sintomi peggiorino a tavola? Alcuni alimenti attivano in modo diverso la secrezione e la motilità gastriche, a seconda delle loro caratteristiche, peggiorando i disturbi della gastrite, mentre altri cibi danno addirittura sollievo. I cibi da evitare: vino e alcolici in genere. Rallentano lo svuotamento gastrico: maggiore è la durata della digestione e più intensi sono i disturbi della gastrite. Menta, caffè e cioccolato: hanno un’azione irritativa a livello della mucosa gastrica. Aumentano i disturbi di reflusso gastroesofageo, cioè il ritorno dell’acido dallo stomaco alla bocca. Pomodori e agrumi: contengono sostanze che innalzano l’acidità dello stomaco, facendo peggiorare i sintomi di acidità e bruciore. AZ SALUTE Oggi è superato l’“effetto-bambola” Calvizie? Spesso fonte di stress Come si può ricorrere al trapianto di Marco Strambi G Col microinnesto di singole unità follicolari, prelevate da una zonadonatrice, eliminati i limiti delle tecniche tradizionali uardarsi allo specchio la mattina e accorgersi che i propri capelli si stanno diradando mette in allarme molti uomini e donne. Per diverse persone essere un po’ stempiate non rappresenta un problema, ma per altre la calvizie può essere una fonte di stress e di perdita di autostima. In questi casi, si può prendere in considerazione il ricorso a un trapianto. Come gran parte delle patologie, anche la calvizie è influenzata da cause ereditarie. È stato osservato che i figli di persone calve hanno una maggiore predisposizione alla perdita dei capelli. Inoltre, esistono cause occasionali e transitorie come stress, cattiva alimentazione, fumo, bevande alcoliche, uso di alcuni farmaci, gravidanza e allattamento, shampoo aggressivi, troppo mare, eccessiva esposizione al sole, inquinamento atmosferico. «In Italia, a soffrire di perdita di capelli sarebbe ben l’80 per cento degli uomini e il 35 delle donne, percentuale, questa, destinata a salire fino al 50 per cento dopo la menopausa» spiega il dottor Carlo Alberto Pallaoro, specialista in chirurgia estetica plastica a Padova. «Il trapianto di capelli – aggiunge Pallaoro – rappresenta oggi l’unico trattamento efficace nel lungo periodo per ripristinare i capelli nelle zone dove ormai i bulbi non sono più attivi e dove la calvizie ha avuto la meglio, un fenomeno comune a uomini e donne, ma difficilmente accettato con serenità, perché alla chio- ma sono legati significati simbolici che richiamano giovinezza, benessere e sex appeal». Per lo specialista, il trapianto è indicato in coloro che desiderano ripristinare una chioma omogenea, distribuendo capelli in aree circoscritte dove si nota un antiestetico diradamento o alopecia. «Trapiantare i capelli – sottolinea il dottore Pallaoro – non significa bloccare la calvizie, né creare dal nulla nuovi capelli. Semplicemente, con questa procedura chirurgica, i capelli già presenti vengono distribuiti secondo una nuova densità, ricreando otticamente un rinfoltimento. In altre parole, si prelevano dalla nuca i follicoli attivi (zona da cui geneticamente i capelli non cadono) e si trapiantano dove c’è necessità». Come si esegue un trapianto di capelli? Inizia con un prelievo, mediante il quale i bulbi vengono prelevati da una zona “donatrice”, ricca di capelli, generalmente la nuca (regione occipitale), per essere poi impiantati nelle zone povere o prive di capelli. Due sono le alternative previste per questa fase: è possibile prelevare le singole “unità follicolari” o una “losanga” di cuoio capelluto. Le unità follicolari, una volta prelevate, grazie a microbisturi circolari che permettono l’asportazione di piccolissime zone del cuoio capelluto, vengono reimpiantate direttamente, così come prelevate, senza essere oggetto di fasi intermedie di lavorazione. Il prelievo follicolare, ossia il prelievo della singola unità follicolare pronta per essere reimpiantata, presenta il SALUTE AZ IL COSTO DELL’INTERVENTO vantaggio di essere meno invasivo, ma presenta anche lo svantaggio di essere poco utilizzabile per calvizie di grosse entità. Nonostante questo, il microtrapianto di singole unità follicolari ha fatto superare i limiti delle tradizionali tecniche, tra cui l’effetto “bambola”. Inoltre, ben si presta per realizzare, in modo “naturale”, il reimpianto dei capelli nella zona frontale, quella particolarmente impegnativa dal punto di vista estetico. La losanga, invece, una volta prelevata, necessita di essere ridotta in tante unità follicolari pronte per essere reinnestate. Il lembo prelevato, generalmente, è costituito da una striscia allungata la cui altezza si avvicina al centimetro. Il numero delle unità follicolari contenute in un centimetro quadrato del cuoio capelluto varia da soggetto a soggetto e dipende da diversi fattori, quali capelli più o meno folti, più o meno sottili, lisci, ricci. Alcuni degli operatori dividono il lembo cutaneo prelevato in parti che possono contenere fino a 5-6 capelli e quindi più follicoli. Questa operazione richiede tanta pazienza e precisione. «Il problema principale – sostiene Pallaoro – è sempre stato l’esito estetico del trapianto: in molti casi la nuova disposizione dei capelli risulta fortemente artificiale, causando imbarazzi nel paziente. Questo è dovuto, principalmente, alla tecnica impiegata, che prevede il prelievo di un lembo di cuoio capelluto, poi frazionato in piccole porzioni che vengono distribuite per ricreare la presenza dei capelli nelle zone calve. Con la ricrescita dei capelli si evidenziano così le zolle, cioè veri e propri ciuffetti, con un effetto “bambola”, molto antiestetico. La soluzione di recente concezione, il trapianto delle singole unità follicolari, rappresenta l’ulteriore evoluzione». Quale che sia la tecnica utilizzata, va valutato il costo dell’intervento, che non è trascurabile. «Determinare il costo del trapianto di capelli è piuttosto difficile, in quanto è strettamente legato alla durata dell’operazione, che non dipende necessariamente dal numero dei capelli trapiantati, ma anche dal tipo di calvizie e diradamento presente e quindi dal “disegno” dell’intervento necessario» avverte il chirurgo estetico Carlo Alberto Pallaoro. «Il prezzo del trapianto di capelli, inoltre, deve essere sommato alle eventuali sedute successive di ritocco, quindi viene determinato solo al momento del colloquio e dell’analisi da parte del chirurgo. Solo in seguito ad una visita preoperatoria si potrà valutare economicamente il singolo intervento». Altra preoccupazione sono i risultati dopo il trapianto. «Non bisogna avere fretta di vedere il risultato dell’intervento: i capelli sono organi asincroni, ovvero hanno dei cicli sfasati di crescita» avverte il dottor Piero Tesauro, responsabile del servizio di Chirurgia della Calvizie dell’Istituto Dermatologico Europeo a Milano. «Così, anche nel paziente trapiantato la crescita può iniziare ordinatamente allo scoccare delle dieci settimane, ma a volte copre un periodo compreso tra le 10 e le 16 settimane. Per cui, prima del sesto mese i giudizi sull’efficacia del trapianto dovrebbero essere rinviati e l’ansia contenuta con fiducia». I risultati migliorano ulteriormente sia per densità sia per qualità sino a un anno di distanza dall’intervento. «Oggi – continua Tesauro – la maggioranza dei pazienti diradati può tranquillamente riprendere la propria vita normale, senza che qualcuno si accorga dell’intervento eseguito; per i soggetti dalla calvizie più avanzata, l’intervento può essere confuso con una dermatite. Nel periodo post-operatorio, bisogna attendere con pazienza che le piccole crosticine si distacchino senza traumi, shampoo dopo shampoo, e sopportare il lieve prurito del terzo-quarto giorno dopo l’intervento». Due, infine, le precauzioni da osservare nel periodo post-operatorio, che riguardano l’esposizione al sole e alle polveri. «Il sole determina l’abbronzatura del cuoio capelluto come di ogni altra parte del corpo.Nel caso ciò avvenga durante la fase di guarigione delle incisioni o del loro moderato rossore nei due mesi successivi, queste ultime possono intrappolare nel loro interno del pigmento, rimanendo leggermente più scure ad abbronzatura passata» conclude Tesauro. Le polveri è bene che non raggiungano un tessuto in fase di guarigione; pertanto, per almeno due settimane, bisogna evitare di rimanere scoperti in ambienti polverosi. Un cappellino da baseball rappresenta la soluzione ideale per entrambi i problemi. Le visite di controllo si eseguono il giorno dopo l’intervento, dopo due settimane, dopo 2-3 mesi, dopo 5-6 mesi e dopo un anno». AZ SALUTE La scoperta di un italiano negli Usa Ansia, depressione e stress da trauma Trovata la “chiave” per i farmaci del futuro S di Paola Mariano Alla base dei disturbi uno squilibrio nella produzione di ormoni del cervello tress post-traumatico, traumi difficili da dimenticare e tanta ansia: oggi si cominciano a comprendere meglio le radici profonde di questi disturbi. Alla base potrebbe esserci uno squilibrio molecolare nella produzione di “neuro-ormoni” (gli ormoni del cervello). Uno scienziato italiano che lavora in Usa, Graziano Pinna, professore associato del Dipartimento di Psichiatria presso l’Università dell’Illinois a Chicago, ha scoperto che la riduzione della concentrazione di una famiglia di molecole, dette neurosteroidi, derivanti dal colesterolo, è legata ad ansia e disturbi da stress. In collaborazione con colleghi della Yale University, lo scienziato ha pure scopero che i livelli di una di queste molecole, l’allopregnanolone, risultano ridotti nei pazienti con disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Ora da queste scoperte potrebbero presto sortire nuove terapie: sono già in fase di sperimentazione, in molti laboratori del mondo, farmaci che contrastano il deficit di neurosteroidi e che potrebbero rappresentare la prossima frontiera terapeutica contro ansia, stress e depressione, agendo su “tasti” diversi da quelli dei farmaci oggi in uso, non sempre efficaci e scevri da effetti collaterali. A Torino, in occasione del “6th International Meeting– Steroids and Nervous System”, i massimi esperti del settore hanno discusso di queste nuove strategie terapeutiche per il trattamento dell’ansia e del PTSD. «L’incidenza della sindrome da stress post-traumatico, che fa parte del complesso dei disturbi d’ansia, sta aumentando, per diversi motivi, nei paesi occidenta- li», ha spiegato Pinna ad “AZ Salute”, complici molti eventi della vita quotidiana che possono riguardarci direttamente o indirettamente (incidenti stradali, atti di violenza psicologica, fisica o sessuale, o catastrofi come un terremoto). «La frequenza del PTSD – aggiunge il professore – va aumentando soprattutto nei grossi centri urbani anche per via dei ritmi sempre più sostenuti e stressanti. Inoltre, l’ansia generalizzata è in aumento come effetto dell’isolamento sociale che molto spesso si vive, paradossalmente, proprio nelle grandi città e dello stress della vita moderna». I dati di prevalenza dei disturbi mentali nella popolazione adulta italiana – forniti dalla “World Mental Health (WMH) Survey Iniziative “dell’Organizzazione Mondiale della Sanità – mostrano che le donne hanno una probabilità tripla, rispetto agli uomini, di sviluppare un disturbo d’ansia. Circa l’11 per cento degli italiani ha sofferto di un disturbo d’ansia nella propria vita, il 6 per cento di fobie. Abbastanza comuni, in ordine di prevalenza, sono anche i disturbi da stress traumatico, la fobia sociale, l’ansia generalizzata. La maggior parte degli studi epidemiologici evidenzia che circa un terzo della popolazione ha avuto o avrà nel corso della sua vita un disturbo psichico. Tra questi, i più diffusi sono proprio i disturbi d’ansia e quelli di tipo depressivo. Il 60 per cento degli uomini e il 50 per cento delle donne vive l’esperienza di un evento traumatico durante la propria vita e può sviluppare il PTSD. Di fatto, l’8 per cento degli uomini e SALUTE AZ Graziano Pinna il 20 per cento delle donne reduci da un’esperienza traumatica sviluppano il disturbo, con gravi ripercussioni sulla qualità della vita. L’ansia non trattata o trattata inadeguatamente, ha conseguenze fisiche e psicologiche: problemi cardiovascolari, come ictus, infarto miocardico, oppure emicrania, asma, artrite, ma può portare anche a mancanza di autonomia, difficoltà lavorativa e nelle relazioni sociali, scarso rendimento scolastico, vita povera di stimoli e di soddisfazioni, nonché a un incremento del rischio di sviluppare altri disturbi psichiatrici. Oltre a un percorso di psicoterapia, che può primariamente essere risolutivo, i farmaci oggi più utilizzati per il trattamento dell’ansia sono le benzodiazepine, con azione sedativa e ansiolitica. Esse controllano l’azione di un messaggero chimico del cervello, il neurotrasmettitore “GABA”, “sedativo” naturale, il più abbondante a livello cerebrale. Ma l’uso di questi farmaci è limitato dai loro effetti collaterali, in quanto inducono problemi di assuefazione, sedazione e dipendenza. Si avverte, perciò, un gran bisogno di nuovi farmaci. Nella conferenza torinese sono emerse nuove strategie terapeutiche per il trattamento dell’ansia e della sindrome da stress post-traumatico. «Nelle nostre ultime ricerche – spiega Pinna – è emersa l’importanza giocata dai neurosteroidi nei meccanismi che nel cervello sono alla base dell’insorgenza dei disturbi d’ansia, dello stress post-traumatico e anche della depressione. I neurosteroidi risultano essere in concentrazione bassa nel cervello – come si vede dalla loro riduzione nel liquido cerebro-spinale – dei pazienti affetti da PTSD e depressione e questa diminuzione è strettamente associata ai disturbi comportamentali nei pazienti». Nei suoi ultimi studi, pubblicati sulle riviste Proceeding of the National Academy of Science of the USA e Behavioral Pharmacology, Pinna e i suoi colleghi hanno utilizzato topolini precedentemente sottoposti allo stress di isolamento sociale per mimare le risposte comportamentali osservate nei pazienti con stress post-traumatico. Hanno poi somministrato alle cavie farmaci che aumentano i livelli di neurosteroidi nel cervello. Per tutta risposta, gli animali hanno mostrato una riduzione della paura e del comportamento “ansioso”. I farmaci hanno ripristinato in loro i comportamenti normali. A ulteriore dimostrazione dell’importanza dei neurosteroidi nei disturbi d’ansia, Pinna ha svolto anche un altro esperimento: inibendo la produzione di allopregnanolone nel cervello dei topolini, si è osservato che questi animali sviluppano sintomi simili al disturbo da stress post-traumatico. Per lo scienziato italiano impegnato in questi studi a Chicago, «i nuovi farmaci che hanno la capacità di aumentare in maniera selettiva i livelli dei neurosteroidi nelle aree del cervello che controllano il tono dell’umore, quali l’ippocampo e l’amigdala, rappresentano la terapia del futuro per i disturbi d’ansia e la depressione». Con dei vantaggi rispetto alle terapie oggi in uso: lo psichiatra tedesco Rainer Rupprecht, del dipartimento di psichiatria dell’Università Ludwig-Maximilians e del Max Plank Institute di Monaco, ha dimostrato, per ora su modelli animali in una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Reviews Drug Discovery, che i nuovi farmaci che stimolano la produzione di neurosteroidi, al contrario delle benzodiazepine, sono esenti da effetti collaterali quali assuefazione, sedazione e dipendenza. Ansia, non solo farmaci Per ansia e stress post-traumatico non ci sono solo i farmaci, come primo approccio terapeutico si deve tentare la psicoterapia, per esempio le terapie cognitivo-comportamentali. Queste sono efficaci contro i sintomi da stress post-traumatico e anche quelli ansiosi e depressivi. Prevedono varie tecniche di trattamento. Esposizione. Il terapeuta aiuta i pazienti a confrontare i ricordi traumatici con le specifiche situazioni che risvegliano il trauma. Lo scopo è quello di dimostrare che la risposta fisica ed emotivamente intensa che viene generata automaticamente di fronte a queste situazioni, è eccessiva e che dette situazioni non sono pericolose. Terapia cognitiva. Il terapeuta aiuta il paziente a identificare e modificare le cognizioni eccessivamente negative che generano emozioni. L’obiettivo è la modificazione delle interpretazioni erronee che inducono il paziente a sopravvalutare le minacce per giungere a conclusioni maggiormente adattive. Gestione dello stress. Si insegnano una serie di strategie utili per fronteggiare lo stress (tecniche di rilassamento, training autogeno, pensiero positivo e dialogo con se stessi, training di assertività, blocco del pensiero). AZ SALUTE Coinvolge oltre 150 mila studenti siciliani di Arianna Zito Frutta nelle scuole Per la salute dei bambini S econdo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono cinque le porzioni di frutta e verdura che si dovrebbero consumare quotidianamente. Ma, a detta degli esperti di alimentazione, frutta e verdura, forse per l’effetto del carovita, o per la mancanza di tempo – ormai cronica – delle donne, divise tra lavoro-casa-figli, arrivano, in particolare la verdura, troppo di rado sulle nostre tavole. La frutta e la verdura, poi, non sono quasi mai in cima alla classifica degli alimenti preferiti dai bambini. Le istituzioni scolastiche della regione che hanno aderito al programma Province Agrigento Caltanissetta Catania Enna Messina Palermo Ragusa Siracusa Trapani Scuole 54 29 104 20 57 106 28 44 38 Plessi 101 57 211 40 172 201 46 71 92 Alunni 16.321 10.108 36.107 5.691 15.494 38.633 7.508 13.240 12.983 Totale 480 991 156.085 Nell’Isola, l’iniziativa europea attuata dall’assessorato alle Risorse Agricole ed Alimentari 10 Lo sanno bene le mamme che lavorando di fantasia, aggiungono un po’ di verdura al sugo di pomodoro, oppure tagliano carote o finocchi a strisce sottili affinché i bambini possano piluccare, quasi senza accorgersene. O, nel caso della frutta, cercano di renderla più invitante offrendola sotto forma di frullato o di macedonia. Anche quest’anno nella nostra Isola verrà attuato il Programma europeo, realizzato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, “Frutta nelle scuole” attraverso l’assessorato regionale alle Risorse Agricole ed Alimentari. «È un’iniziativa – ha affermato l’assessore, Elio D’Antrassi – che vede coinvolti, in tutto il territorio siciliano, più di 156 mila alunni della scuola primaria. Abbiamo scelto di presentarla all’interno di una fattoria didattica, cosa che permette di rafforzare non solo il legame tra luogo di produzione e consumo di frutta, ma evidenzia la fruibilità dell’azienda didattica, come disposto dalle misure di accompagnamento alla distribuzione di frutta nelle scuole». Frutta e verdura, sono considerati dagli esperti dei veri e propri salvavita, essendo un concentrato di di sostanze nutritive davvero preziose per la salute di tutti. Agli inizi degli anni ‘90, negli Stati Uniti, venne avviata dal National Cancer Institute la campagna “5a-day” che, secondo una ricerca dello stesso Istituto, ha fatto registrare un primo importante risultato: il calo dell’incidenza del cancro intestinale, la seconda forma tumorale per numero di decessi nei paesi industrializzati. Le iniziative, come “Frutta nelle scuole”, servono non solo a incentivare i bambini ad un consumo maggiore e regolare di frutta e verdura, ma anche a sensibilizzarli al fatto che non basta mangiare un po’ di frutta o verdura ogni tanto, ma è necessario farne uso quotidiano e più volte al giorno. «Quando abbiamo presentato questa iniziativa ai ragazzi di Ragusa – ha detto D’Antrassi – è stato facile constatare il loro interesse e l’apprezzamento per il valore della dieta mediterranea, intesa come sistema povero di grassi e ricco di verdura e di frutta, un sistema salutistico che rappresenta il vivere italiano anzi, a maggior ragione, il vivere siciliano, perché noi siamo la culla della dieta mediterranea». Gli obiettivi del Programma Comunitario “Frutta nelle scuole” sono quelli di incentivare il consumo di frutta e verdura tra i bambini compresi tra i 6 e gli 11 anni; realizzare un più stretto rapporto tra il “produttore-fornitore” e il consumatore, indirizzando i criteri di scelta e le singole azioni affinché si affermi una conoscenza e una consapevolezza nuova tra “chi produce” e “chi consuma”; offrire ai bambini più occasioni, ripetute nel tempo, per conoscere e “verificare concretamente” prodotti naturali diversi in varietà e tipologia, quali opzioni di scelta alternativa, per potersi orientare fra le continue pressioni della pubblicità e sviluppare una capacità di scelta consapevole. Le informazioni ai piccoli saranno finalizzate e rese con metodologie pertinenti e relative al loro sistema di apprendimento. Ci saranno, ad esempio, la creazione di orti scolastici, attività di giardinaggio e l’allestimento di laboratori sensoriali. I prodotti ortofrutticoli distribuiti saranno, naturalmente, di stagione e del territorio. Oggi, il mondo di domani Oggi il mondo di domani è l’impegno ad agire per un presente responsabile ed un futuro sostenibile. Per Bristol-Myers Squibb significa scoprire, sviluppare e offrire terapie innovative per aiutare i pazienti a sconfiggere malattie gravi. Ma significa anche avere la piena consapevolezza degli obblighi verso la comunità locale e globale, trasformandoli in impegno concreto. Il nostro impegno guarda al futuro e www.bms.it alle realtà più lontane ma inizia nel presente e dai luoghi a noi più vicini. Oggi per il domani. AZ SALUTE I NOSTRI BAMBINI Casa dolce casa, ma quanti incidenti Tutte le cautele per il bene dei figli di Giuseppe Montalbano Pediatra di famiglia, consigliere dell’Ordine dei Medici di Palermo C asa dolce casa! recita una famosa frase, ma, evidentemente, chi l’ha scritta non pensava minimamente che l’ambito domestico potesse rappresentare il luogo dove i bambini subiscono gli incidenti più gravi, determinando una delle prime cause di morte e di disabilità nell’infanzia. In Italia ogni anno gli incidenti domestici causano almeno 4.500 decessi, 130.000 ricoveri ospedalieri e 1.300.000 arrivi al pronto soccorso. Inoltre, un bambino con meno di 5 anni d’età ha un rischio almeno 5 volte maggiore di un adulto di finire in ospedale in seguito ad un incidente domestico. Per un anziano oltre i 75 anni tale rischio sale ad almeno dieci volte. Nonostante la frequenza e la gravità degli incidenti che avvengono tra le mura amiche rappresentino un vero e proprio problema sociale, sia per i costi in vite umane, sia per i costi degli interventi sanitari post-incidente, il problema viene ancora sottovalutato, a cominciare dalle famiglie. Mai, come in questo campo, la conoscenza dei potenziali pericoli e la loro prevenzione, rappresenta la vera ed unica arma di cui possiamo disporre. Quasi sempre nel leggere notizie di cronaca che riportano casi di incidenti domestici, si parla di tragiche fatalità, ma quante di queste sono da attribuire a tragiche “disattenzioni” di noi adulti, che siamo preposti a vigilare e tutelare sulla incolumità dei nostri figli? Le nostre case sono costruite a misura di adulto, per cui tutto ciò che è posto ad una altezza che per noi “grandi” è totalmente visibile, per il bambino rappresenta 12 un momento di curiosità e di scoperta, prima tappa di un percorso irto di incognite e di pericoli. Inizieremo a parlare dei pericoli per così dire generici, per poi passare (in un articolo successivo), ambiente per ambiente, ai pericoli specifici. Elettricità Non aspettate l’imposizione di una legge per mettere in sicurezza l’impianto elettrico della vostra abitazione: il così detto “salvavita” (come dice il suo stesso nome) a fronte di una spesa alquanto modesta, può rappresentare il confine tra la vita e la morte. Vale la pena di rischiare la vita dei nostri figli per così poco? Copriamo le prese con gli appositi tappi copripresa e non lasciamo in giro prolunghe varie o grovigli di fili che, a partire da prese multiple, alimentano più elettrodomestici. Oggetti pericolosi I bambini più piccoli portano istintivamente, come momento di conoscenza, tutto ciò che vedono o toccano in bocca, con gravissimi rischi per la propria incolumità. Basti pensare ad oggetti piccoli, ma sufficienti a provocare soffocamento, oppure a farmaci o ancora a detersivi. I bambini più grandicelli sono attratti dal fuoco e da tutto ciò che lo può provocare: non lasciate incustoditi fiammiferi, accendini e tutto ciò che può essere infiammabile; anche una sigaretta spenta male può rappresentare una tentazione per il piccolo “Nerone”. Per non parlare del fascino maligno che emanano le armi, sia da taglio, sia da fuoco: quante volte leggiamo di ragazzini che uccidono familiari o coetanei per far vedere loro la pistola che il papà tiene nel cassetto del comò, come se fosse un oggetto qualunque e non un dispensatore di lutti? Chiudere a chiave i cassetti non è mancanza di fiducia, ma atto di prudenza: ricordo un episodio accaduto ad un mio piccolo paziente di poco più di due anni, il quale aprendo i cassetti di un vecchio comò, piuttosto alto, a mò di piramide, si creò una scaletta sufficiente a farlo salire su quel mobile, per poi cadere rovinosamente a terra, provocandosi un forte trauma contusivo e parecchi punti di sutura. Spigoli e tappeti Possono rappresentare delle vere e proprie trappole: copriamo gli spigoli con i paraspigoli e mettiamo sotto i tappeti quegli adesivi che ne impediscono lo scivolamento o l’accartocciamento. Piante Molte piante ornamentali contengono sostanze tossiche, per cui sarebbe opportuno che di ognuna si conoscesse il nome: nel malaugurato caso di ingestione di qualche foglia, il centro antiveleni consultato sarebbe in grado, in pochissimo tempo, di fornire adeguati rimedi. SALUTE AZ OSSERVATORIO Medicina predittiva. è davvero un bene conoscere in anticipo la propria sorte? di Adelfio Elio Cardinale Direttore Scientifico Policlinico Universitario di Palermo P izia, nell’antica Grecia, era la vergine sacerdotessa che a Delfi, ricevute le richieste degli interroganti, entrava nell’adito del tempio e recitava i responsi dell’oracolo di Apollo. Agli inizi, l’oracolo profetava una sola volta all’anno, in primavera. Poi, per la quantità di quesiti da parte di privati cittadini e di re, provenienti da tutto il mondo, ogni giorno ben tre Pizie furono messe a disposizione dei consultanti. Un recente accadimento fa riemergere alla memoria le antiche storie su oracoli e predizioni. Una donna di 45 anni – con una predisposizione familiare al cancro del seno – dopo i risultati dell’esame genetico (gene BRCA1 e BRCA2 mutati e, quindi, con un rischio di malattia pari a oltre il 50 per cento) si è sottoposta, in un ospedale di Pavia, preventivamente all’asportazione chirurgica bilaterale delle mammelle e alla loro ricostruzione, non per curare, ma per prevenire l’eventuale insorgere di tumore maligno. Tale comportamento e l’instaurarsi di una “chirurgia preven- tiva” ha creato polemiche e dispareri. Inoltre, la rivista americana Science – una delle più autorevoli al mondo – ha pubblicato uno studio, secondo il quale si può prevedere geneticamente la morte di un uomo con il 77 per cento di accuratezza. Gli avanzamenti della ricerca biomedica sugli elementi e parametri per allungare la vita risale agli anni ’70 del secolo scorso, con studi su telomeri, gene che controlla l’apoliproteina E, gene p63, proteina p66 5hc, ecc. Tutto ciò è un passo avanti nella medicina o una predizione che può destare paura od orrore nella persona interessata? In relazione alla predittività del tumore della mammella, gli oncologi sono divisi, anche se la grande maggioranza invita alla prudenza. Monitorare il caso o mutilare la donna per cancellare la sola ipotesi di malattia? Chirurgia profilattica o diagnosi precoce? La seconda opzione è di gran lunga preferibile. Preliminarmente occorre ricordare che anche chi non è portatrice di gene mutato, corre il rischio di svilup- pare un tumore mammario. Per contro, nella fase affatto iniziale – quando il focolaio neoplastico non è palpabile, ma rilevabile solo con i raggi X – si prospetta una guarigione della neoplasia nel 98 per cento dei casi. Eventualità che è bene tenere presente, senza terrore o drammi ansiogeni. Pertanto screening e controlli accurati e periodici sono la soluzione più ragionevole: mammografia ogni anno, ecografia anche due volte l’anno, risonanza magnetica nei casi incerti o dubbi. Controlli continui e precisi sono, ad avviso della maggioranza degli specialisti, in grado di assicurare vita serena e tranquilla, anche in chi è portatore di una mutazione genetica. A fronte di terapie brutali, è dovere del medico garantire prestazioni con minima invasività del corpo, mediante trattamento efficace, quanto più ridotto possibile. In relazione alla possibile eventualità di conoscere anticipatamente la durata della propria vita, l’uomo oscilla tra due sentimenti opposti: l’istinto di voler sapere tutto del futuro; la tendenza, come gli struzzi, a nascondere la testa nella sabbia per non vedere nulla. Il passo avanti nella genomica personalizzata e nella medicina predittiva è certamente un importante avanzamento nella scienza biomedica. Ma non aggiunge un solo grano di felicità. Anzi, può essere causa di una devastante tempesta psicologica. A qualunque età è forte in noi la necessità teorica e ideale di una prospettiva infinita di futuro. Non cercare di sapere quel che avverrà domani, scriveva Orazio. Infatti il futuro è come il paradiso: tutti lo esaltano, ma nessuno ci vuole andare adesso. Se vogliamo giocare con l’avvenire, affidiamoci a maghi e cartomanti. Con ironica leggerezza. 13 AZ SALUTE Nuova frontiera dell’odontoiatria Bocca in salute, attenti agli stili di vita Dieta e igiene orale binomio vincente L di Giuseppe Pizzo Parodontologia Odontoiatria Preventiva e di Comunità Policlinico Universitario di Palermo Le buone abitudini da seguire ogni giorno per prevenire carie, erosioni dello smalto, parodontite e cancro orale 14 a prevenzione rappresenta un’arma straordinaria per battere sul tempo e con successo malattie diffuse e gravi, come le patologie cardiovascolari associate ad aterosclerosi (infarto, ictus, trombosi, embolia) e i tumori (mammella, utero, prostata, colon). Si basa soprattutto sulla capacità di compiere scelte “salutari” (smettere di fumare, mangiare meno e meglio, aumentare l’attività fisica quotidiana) e di mantenerle nel tempo. L’adozione di stili di vita corretti, pertanto, rappresenta oggi un obiettivo primario per ogni individuo che voglia mantenersi sano a lungo. Anche la salute della bocca e dei denti va costruita giorno per giorno, fin dalla più tenera età, attraverso l’adozione di stili di vita adeguati a prevenire le più importanti malattie del cavo orale (carie, erosioni dello smalto, parodontite cronica, cancro orale). Fumo e alcol abitudini ad alto rischio Il consumo di tabacco e di alcol rappresentano comportamenti individuali che mettono in serio pericolo la salute orale. Il fumo è l’unico fattore di rischio conosciuto per il cancro orale, temibile neoplasia maligna, che insorge più frequentemente nel fumatore di mezz’età e che, negli ultimi decenni, colpisce sempre di più anche le donne. L’associazione fumo e alcol, inoltre, fa crescere vertiginosamente il rischio di cancro orale. Il fumo rappresenta un importante fattore di rischio anche per la parodontite cronica, malattia infiammatoria che colpisce le gengive e l’osso di sostegno dei denti, causata dai batteri della placca dentale. Il consumo di tabacco è in grado di influire sia sulla progressione della parodontite, accelerandone il decorso, sia sulla risposta alla terapia, rendendola meno efficace. Recenti ricerche hanno altresì evidenziato che anche il consumo di alcol, così come uno stile di vita caratterizzato da stress, obesità e sedentarietà, possono aumentare il rischio di ammalarsi di parodontite. L’importanza di dieta e igiene orale L’adozione di abitudini alimentari adeguate e una corretta igiene orale, sono elementi fondamentali di uno stile di vita che assicuri il mantenimento della salute orale. Una dieta non bilanciata, povera in frutta e verdura, sembra favorire l’insorgenza del cancro orale, specie in giovani consumatori di alcol e fumatori. Un’alimentazione ricca in zuccheri semplici (saccarosio, glucosio) e caratterizzata da frequenti spuntini nel corso della giornata, specie a base di prodotti industriali zuccherati e morbidi (per esempio merendine), predispone all’insorgenza della carie dentaria (progressiva distruzione del dente ad opera dei batteri della placca). Oltre alla riduzione degli zuccheri e della frequenza della loro assunzione, la corretta rimozione della placca batterica, mediante l’uso dello spazzolino dopo ogni pasto, è un’abitudine da coltivare fin dall’infanzia per prevenire le malattie dento-parodontali. Il consumo eccessivo di bevande e cibi acidi (soft drinks, agrumi, integratori salini, vino) rappresenta una pericolosa minaccia per l’integrità dello smalto, il rivestimento esterno dei denti, che va incontro a fenomeni di erosione (progressiva distruzione dello smalto con conseguenti problemi estetici e di ipersensibilità). Prevenzione odontoiatrica e stili di vita Gli stretti legami esistenti tra malattie dento-parodontali e stili di vita, implicano che gli operatori sanitari odontoiatrici (dentisti e igienisti dentali) possono promuovere la salute orale non soltanto curando tali malattie, ma anche attraverso un approccio mirato a modificare gli stili di vita che influenzano la salute di denti e gengive. Questo approccio è particolarmente importante se si considera che gli odontoiatri sono gli specialisti più consultati dagli italiani e che, pertanto, tali professionisti si trovano nella condizione ideale per correggere gli stili di vita non salutari in una quota rilevante della popolazione. SALUTE AZ Presentato a Firenze lo studio “Opposites” Perché si verifica un infarto? Gli scienziati vogliono capirlo A ncora oggi, le malattie cardiovascolari rappresentano nel nostro Paese la principale causa di morte, essendo responsabili del 44 per cento di tutti i decessi. Non vi è dubbio che l’avere individuato negli anni ’50 molti fattori di rischio cardiovascolare, rappresenta un importante traguardo per la cardiologia. Sappiamo da tempo che chi fuma ha un rischio di sviluppare ictus cerebrali, infarti, di gran lunga superiore a chi si tiene alla larga dalle sigarette, così come chi soffre di ipercolesterolemia, ipertensione o diabete. Se si può affermare che la coesistenza di più fattori di rischio, aumenta ulteriormente la possibilità di andare incontro ad infarti, non si può negare che la completa assenza degli stessi, purtroppo, non ne elimina del tutto il rischio. L’infarto del miocardio può infatti colpire tutti. I fattori di rischio indicano soltanto la probabilità statistica del verificarsi degli eventi. Va ricordato, che il 30 per cento degli individui che ha un infarto presenta un solo fattore di rischio, il 20 non ne ha alcuno, mentre il 70 per cento dei soggetti che presentano 3 o più fattori di rischio muore spesso per cause non cardiache. Tra i fattori di rischio emergenti, sicuramente la predisposizione genetica è uno di quelli maggiormente indagati e la possibilità di utilizzare test genetici che predicano la suscettibilità alle malattie cardiovascolari potrebbe avere un enorme impatto in termini di prevenzione. Riuscire a capire perché alcune persone a rischio vengono effettivamente colpite da infarto, mentre in altre persone, ugualmente a rischio, l’attacco non avviene, potrà contribuire a ridurre la mortalità cardiovascolare. È questa la linea di partenza dello studio Opposites, ideato dalla Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto, insieme all’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e la Fondazione per il Tuo Cuore, che si pone l’ambizioso obiettivo di chiarire meglio in che modo e per quale motivo si verifica un attacco di cuore. Francesco Prati, direttore della Struttura Complessa di Cardiologia Interventistica dell’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma e Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto, nel corso della XXVIII edizione del Congresso di Cardiologia “Conoscere e curare il cuore” ha spiegato che, sebbene i fattori di rischio-infarto siano facilmente identificabili, questi non possono, in alcun modo farci capire se e quando l’attacco al cuore potrà verificarsi, poiché non sono ancora stati riconosciuti gli stimoli che fanno precipitare la situazione. Le cause che possono determinare un improvviso passaggio da una situazione di stabilità della malattia coronarica verso l’instabilità, e quindi l’infarto, sono verosimilmente molteplici e la loro individuazione rappresenta attualmente un obiettivo di ricerca strategica cruciale per lo sviluppo dei nuovi strumenti di prevenzione e terapia. Lo studio Opposites, valuterà in pazienti colpiti da un primo infarto, le caratteristiche delle placche aterosclerotiche e grazie a questo studio, in futuro, saremo in grado di identificare le caratteristiche specifiche, distintive delle lesioni che diventeranno instabili e che potrebbero non essere uguali in tutti i casi. La nuova sfida consiste quindi nella prevenzione degli stimoli trombogenici occasionali. La ricerca utilizza una tecnica morfologica innovativa, l’optical coherence tomography, che apre un nuovo capitolo della ricerca cardiologica. L’OCT studia le arterie del cuore con una precisione che si avvicina alle immagini che solo l’anatomo patologo può ottenere al tavolo antoptico. La differenza è che le informazioni vengono ottenute durante una semplice coronarografia, inserendo una piccola sonda all’interno delle coronarie. Questa tecnica consente di studiare le placche aterosclerotiche delle coronarie e correlare gli aspetti con gli eventi clinici negli anni successivi. Grazie a queste tecniche innovative, probabilmente, in un futuro prossimo, sarà più facile identificare i soggetti a rischio di infarto. di Rossana Marcianò I fattori di rischio indicano soltanto la probabilità statistica che si verifichi l’evento 15 AZ SALUTE quasi cinquanta miliardi di franchi svizzeri il fatturato del 2010 Roche, leader mondiale in oncologia Presentati a Basilea i risultati del Gruppo P In crescita la divisione diagnostica in Italia con un fatturato, lo scorso anno, di 440 milioni di euro 16 resentati recentemente a Basilea i risultati 2010 del Gruppo Roche. Leader mondiale in oncologia e nel biotech, l’azienda svizzera ha chiuso l’anno con un fatturato di 47,5 miliardi di franchi svizzeri, in linea con le previsioni: «Risultati solidi – ha commentato il numero uno del Gruppo Roche, Severin Schwan – nonostante un contesto di mercato sempre più difficile». Roche conta oltre 80.000 dipendenti nel mondo e lo scorso anno ha investito più di 9 miliardi di franchi svizzeri in ricerca e sviluppo. Roche è proprietaria di Genentech, negli Usa, ed ha interessi di maggioranza nella giapponese Chugoi Pharmaceutical. In Italia, Roche S.p.A., la divisione farmaceutica del Gruppo, ha registrato un fatturato complessivo di 993,9 milioni di euro, in lieve calo rispetto al 2009, confermandosi la terza azienda italiana nel settore farmaceutico e la prima in quello ospedaliero. Commentando i risultati, l’Amministratore Delegato di Roche S.p.A. e Vicepresidente di Farmindustria Maurizio de Cicco, ha sottolineato che “in presenza di un quadro non favorevole a investimenti e innovazione, ulteriormente complicato dalle battute d’arresto nello sviluppo di alcuni importanti prodotti della nostra pipeline, nel 2010 Roche ha contenuto la flessione attesa”. In crescita la divisione diagnostica del Gruppo in Italia, che chiude l’anno a 440 milioni di euro (+4,4 per cento) anche grazie alla nuova divisione Tissue Diagnostics senza la quale il segno positivo sarebbe stato più con- tenuto. «Un risultato – ha commentato Jean Claude Gottraux, Amministratore delegato di Roche Diagnostics S.p.A. – che conferma la posizione leader di Roche Diagnostics nel settore della diagnostica istologica e il riconoscimento dell’elevato contenuto tecnologico ed innovativo dei suoi prodotti». Nel 2011 Roche punterà a consolidare la propria leadership in oncologia ed ematologia, aree cui appartengono alcune delle terapie di riferimento nel tumore alla mammella, al colon retto, al polmone e nel linfoma non Hodgkin, nonché a potenziare la sua presenza in reumatologia e virologia. La novità dell’anno riguarda proprio l’oncologia, con la recente indicazione di trastuzumab nel trattamento del tumore dello stomaco, patologia, che ogni anno, in Italia, colpisce più di 12.500 persone e causa oltre 7.000 decessi. Il 16 per cento circa dei casi di tumore gastrico, sono di tipo HER2 positivo e chi ne è colpito può beneficiare del trattamento con trastuzumab in aggiunta alla chemioterapia. Un risultato importante, frutto dell’impegno costante in innovazione di Roche. Già terapia di riferimento per il tumore al seno HER2 positivo, di cui ne ha cambiato la storia naturale, trastuzumab potrà rivoluzionare ora, in modo analogo, il trattamento del carcinoma gastrico avanzato, grazie ai benefici sulla sopravvivenza. «Trastuzumab, nelle sue due indicazioni – aggiunge il dottore de Cicco – rappresenta un esempio concreto SALUTE AZ di medicina personalizzata, di target therapy, la prima approvata da EMEA ed FDA, in combinazione con la chemioterapia per i pazienti con tumore gastrico metastatico HER2 positivo, ed è frutto del lungo lavoro di ricerca del Gruppo che, proprio in queste aree di grandissima specializzazione, sta concentrando il suo Severin Schwan impegno, per offrire ai pazienti trattamenti “su misura”». Sono ben sei le nuove molecole target therapy, tra quelle giunte nelle fasi finali di sviluppo, a cominciare dal nuovo farmaco RG7204 per il trattamento di una delle forme di tumore cutaneo più aggressive e mortali, il melanoma in stadio avanzato positivo alla mutazione del gene BRAF V600. «Grazie ai suoi straordinari risultati preliminari – sottolinea il dottore Maurizio de Cicco – lo sviluppo della molecola sta procedendo in maniera estremamente rapida e potrebbe essere disponibile per i pazienti prima della fine del 2012». Nel caso della RG7204, un farmaco Roche è, per la prima volta, in co-sviluppo con un test diagnostico sperimentale: un ulteriore esempio di approccio personalizzato alla cura perseguito dal Gruppo Roche, attraverso le sue due componenti, diagnostica e farmaceutica. L’utilizzo di biomarcatori e di strumenti diagnostici altamente specializzati permette di orientare lo sviluppo del farmaco fin dalle sue fasi iniziali, verso l’individuazione della terapia mirata per uno specifico gruppo di pazienti. Intanto, nei laboratori Roche, non si arresta lo sviluppo clinico di bevacizumab, capostipite dei farmaci antiangiogenesi, che ha rivoluzionato il trattamento delle patologie oncologiche, tanto che il suo inventore, il catanese Napoleone Ferrara, è stato premiato con il Nobel americano, il “Lasker Award”. Nel 2012 è attesa la nuova importante indicazione terapeutica per il trattamento del tumore ovarico, patologia grave per la quale non esistono, al momento, terapie di riferimento. Il cancro ovarico in Italia colpisce, ogni anno, circa 5.000 donne. Una buona notizia per le pazienti italiane, considerato che una novità terapeutica nel settore era attesa da ben 15 anni. L’intervista a Maurizio de Cicco, Amministratore Delegato di Roche S.p.A. e Vicepresidente di Farmindustria Quali problemi vive in Italia un’industria farmaceutica? «In una situazione generale di difficoltà, la nostra affiliata sta vivendo tutte le contraddizioni di un “Sistema Paese” che offre poche certezze al comparto e continua a investire con poca convinzione in innovazione. Accanto a problemi noti, quali la burocrazia, i ritardi e l’assenza di una politica industriale chiara e stabile nel farmaceutico, si percepiscono i rischi, che potrebbero derivare al Paese, da un’applicazione non corretta del federalismo fiscale». Teme delle disparità tra regioni? «Sarà importante che le istituzioni lavorino sul chiarimento delle norme in grado di scongiurare l’accentuarsi delle disparità, tra le diverse aree d’Italia, nell’accesso ai farmaci innovativi. Ed è proprio sul concetto di “innovatività” dei farmaci che sarà importante concentrarsi». Un passo importante è l’accordo siglato nell’ambito della “Conferenza Stato-Regioni”… «Il recente accordo siglato in “Conferenza Stato-Regioni”, grazie al Ministro della Salute Ferruccio Fazio, per l’immediata disponibilità delle terapie innovative su tutto il territorio nazionale, dopo l’approvazione dell’Aifa, pur rappresentando un passo avanti importante nell’assicurare omogeneità d’accesso alle cure a tutti i cittadini, non chiarisce e non riconosce il contributo dei farmaci oncologici al miglioramento della sopravvivenza e della qualità di vita dei pazienti. Al momento, infatti, nessun farmaco oncologico sembra possedere i cosiddetti criteri di innovatività terapeutica stabiliti dalla Commissione tecnico-scientifica dell’Aifa. Un’assenza che appare certamente un’anomalia, considerate le conquiste più recenti delMaurizio de Cicco la ricerca scientifica. Ecco perché la condivisione dei criteri alla base della definizione di innovatività appare la necessaria premessa perché ai pazienti siano garantite le stesse opportunità di trattamento, ovunque essi risiedano». Un nuovo farmaco sperimentale contro il cancro della pelle Tra le novità di maggior rilievo attese dalla ricerca Roche, il nuovo farmaco sperimentale RG7204 per la terapia di una delle forme più aggressive e mortali di cancro della pelle, il melanoma in stadio avanzato positivo alla mutazione del gene BRAF V600. I pazienti arruolati in un ampio studio Internazionale di fase III, ai quali è stato somministrato RG7204, sono vissuti più a lungo e senza progressione di malattia, rispetto ai pazienti ai quali è stato somministrato l’attuale standard terapeutico. I dati completi dello studio saranno presentati entro il 2011. RG7204 rappresenta un esempio dell’approccio personalizzato adottato da Roche nelle terapie mediche, attraverso l’utilizzo di biomarcatori e strumenti diagnostici per l’individuazione del farmaco giusto per ogni paziente. 17 AZ SALUTE CHECK-UP PER UN VIP Charles De Gaulle L’eroe della Grandeur nascondeva gli acciacchi N di Luciano Sterpellone onostante la sua altezza che si stagliava di un palmo al di sopra delle teste della folla, anche il generale francese Charles De Gaulle, uno degli eroi della II guerra mondiale, aveva problemi di salute come ogni essere umano. Così nel 1959, poco dopo essere stato eletto presidente della Repubblica francese, cominciò a soffrire di disturbi urinari procuratigli da un’ipertrofia della prostata: l’aumento di volume della ghiandola impediva il libero passaggio di urina verso l’esterno, per cui fu necessario applicare un “catetere a permanenza”, che consentiva lo svuotamento periodico della vescica. Il giovamento fu immediato, a tal punto che il Generale, sapendo che quel tipo di catetere era stato inventato di recente, chiese di potersi congratulare con l’inventore. Ma con suo grande dispiacere venne a sapere che non si trattava di un’invenzione francese, bensì americana. E, poiché, nonostante la sua posizione di livello internazionale, continuasse ad essere un viscerale e irriducibile antiamericano, sulle prime rifiutò di servirsi ancora di quel catetere. Ma i medici insistevano sulla sua assoluta necessità e, pertanto, acconsentì a portarlo, a condizione – però – che il fatto fosse considerato “segreto di Stato” e non fosse reso pubblico. Oltre all’ipertrofia della prostata, Charles De Gaulle soffriva di ipertensione arteriosa e di arteriosclerosi. Un brutto momento fu quando gli venne riscontrato un aneurisma dell’aorta, di dimensioni allarmanti, con il pericolo di un’emorragia mortale per un’improvvisa rottura. 18 Chiunque, in condizioni del genere, avrebbe abbandonato fisime e antipatie personali. Ma l’avversione di De Gaulle per tutto ciò che non era francese, si manifestò nuovamente quando, avendogli i medici diagnosticato anche un diabete mellito e prescritto una serie di iniezioni di insulina, egli cercava di saltarne qualcuna, essendo venuto a sapere che anche l’insulina non era una scoperta francese, ma canadese. Il tutto, ovviamente, a proprio rischio e pericolo. E nemmeno quando il suo medico Lichtwitz scoprì un grave difetto di irrorazione degli arti inferiori (complicazione vascolare del diabete) si mostrò disposto a seguire le cure prescritte e a smettere di fumare le sue sessanta sigarette quotidiane. La scarsa attenzione che De Gaulle rivolgeva ai propri mali non mancò, quindi, di comportare varie complicazioni, che portarono dapprima all’asportazione chirurgica della prostata (un’operazione, allora, molto cruenta e dolorosa), indi – a causa del diabete e dell’ipertensione non controllati nel modo dovuto – a gravi alterazioni dei vasi sanguigni degli arti e degli occhi, in particolare a una cataratta diabetica bilaterale. Si dovette allora ricorrere all’asportazione del cristallino, operazione anche questa, a quel tempo, molto dolorosa. Non essendo stato risolutivo l’intervento alla cataratta, gli era stato prescritto un paio di occhiali: ciononostante, pur non riuscendo più a vedere chiaramente gli oggetti, né a distinguere la fisionomia degli interlocutori, il Generale gli occhiali li portava solo in privato, mai in pubblico o alle cerimonie ufficiali. Le sue condizioni di salute erano ormai divenute così precarie, che all’Eliseo (ove risiedeva) venne approntato un ben attrezzato Centro di pronto soccorso, con tanto di sala operatoria per affrontare ogni evenienza. Ma non ci fu nulla da fare quando, il 9 novembre 1970, l’aneurisma dell’aorta si ruppe improvvisamente: l’emorragia, implacabile, lo fulminò all’istante. Così anche la carriera di un generale come Charles De Gaulle, che era stato il Comandante supremo della Resistenza francese e che aveva personalmente partecipato alla riconquista della Francia dopo l’invasione nazista, fu stroncata da quelle malattie che egli aveva, con troppa disinvoltura, trascurato sistematicamente in nome della Grandeur francese. SALUTE AZ Ne ha parlato a Palermo uno dei massimi esperti Tennis, gomito e spalla messi a dura prova Per le tendinopatie un nuovo laser fai-da-te T ra le patologie più comuni nel mondo del tennis, sia dilettantistico che professionistico, l’epicondilite (il classico gomito del tennista) e oggi, ancor più, le tendinopatie alla spalla, rivestono un ruolo di primo piano. Sono, infatti, i disturbi più ricorrenti accusati dai tennisti. Dell’argomento si è parlato a Palermo con Pierfrancesco Parra, medico chirurgo di Grosseto, responsabile dello staff medico delle squadre nazionali di tennis di Coppa Davis e di Federation Cup e del centro tecnico della Federtennis a Tirrenia. Parra ha illustrato la sua lunga esperienza di trattamenti laser su tanti campioni dello sport, da Gelindo Bordin ad Alberto Tomba, a tanti professionisti della racchetta (Djokovic, Mauresmo, Liubjcic, Schiavone, Pennetta…) con il suo metodo Fp3 System, nel corso di un convegno, organizzato nella sede del Country club dalla “Polisportiva club service” del presidente Giovanni Natoli, in collaborazione con la Libertas, il Dismot, la facoltà di Scienze Motorie e la Federazione medico sportiva della Sicilia. Il medico toscano ha anche anticipato una innovazione nel campo delle apparecchiature laser da lui ideate: il “doc laser”, che a maggio verrà presentato ufficialmente a Milano. Si tratta di un apparecchio di formato ridotto, poco più grande di un telefonino cellulare programmato per un uso personale terapeutico di un atleta. «Il tennis negli ultimi decenni – ha spiegato Parra – ha modificato totalmente la sua espressione e la sua natura. Dalla tecnica pura, fino agli anni ‘70, via via si è passati ad una violenza dei colpi e ad una velocità dei movimenti, impressionanti. Tutto questo comporta, però, un forte logorio e una usura di alcune parti del corpo, tendini, legamenti e muscoli, più soggetti a fenomeni degenerativi. Con questo tennis super esasperato, sia tra i professionisti, sia tra i dilettanti che imitano i grandi campioni, sono aumentati soprattutto le tendinopatie prima al gomito ed ora, da più recente, alla spalla, per via dei movimenti estremi nell’eseguire il servizio». «Infiammazioni tendinee al gomito, ma ancora più alla spalla – aggiunge Parra – sono oggi riscontrabili anche tra i ragazzini. In gran parte di questi casi, però, sono la conseguenza di movimenti tecnici o di impugnature di racchetta non corretti. E in questo è importante che i maestri si accorgano subito di questi errori dei ragazzi e provvedano a correggere le anomalie». I tennisti alle prese con questi problemi possono trarre benefici con il trattamento laser. «In questi di Roberto Urso Pierfrancesco Parra ultimi dieci anni – sottolinea Parra – ho riscontrato che su mille sportivi che si sono sottoposti a terapie con Fp3 System, il 97 per cento ha risolto il problema. Dal 1997 ho abbandonato il primo apparecchio con il quale ho cominciato le terapie riabilitative: il Neodimio Yag focalizzato, capace di penetrare sino ad 8 centimetri. Una terapia a metà strada tra la chirurgia e il classico soft laser a bassa potenza. Era troppo pesante e intrasportabile. Così ho brevettato il più pratico e maneggevole Fp3 System, un apparecchio di poco più di tre chili e quindi portatile, per essere vicino agli atleti. Produce una miscela di cinque laser a tre diverse lunghezze d’onda. La novità di questa metodologia sta nella multifrequenza e nella simultaneità di emissioni di tre lunghezze d’onda ad alte potenze. Ogni trattamento dura 23 secondi per tre volte al giorno. Un effetto anti-infiammatorio e rigenerativo dei tessuti. Così si risolvono tendiniti, borsiti, strappi muscolari, microfratture da stress, distorsioni. Incidenti tipici dello sportivo». Oggi un altro passo avanti, forse rivoluzionario. Il “doc-laser” che ogni sportivo può portare nel borsone. Un piccolo apparecchio di pronto intervento di grande utilità soprattutto per gli sportivi professionistici. Ma attenzione, dice Parra: «È una sorta di fai-da-te che però non può fare a meno di indicazioni, consigli ed un corretto uso da parte del medico che segue l’atleta». Pierfrancesco Parra, responsabile dello staff medico azzurro, ha ideato il doc laser: si porta nel borsone per un uso terapeutico personale 19 AZ SALUTE Non sentire significa anche comunicare poco Ipoacusia, quella debolezza d’udito che rischia di isolarci dal mondo di Manuela Campanelli U Colpisce un bambino su mille nuovi nati, ma anche gli adulti, a tutte le età. Dai geni al rumore, le cause 20 dire poco significa anche comunicare poco. Un udito fragile non permette, infatti, di avere relazioni ottimali con le altre persone e interferisce con la propria qualità di vita. Se poi insorge in tenera età, non consente neppure di imparare a parlare come si deve. La Federazione Logopedisti Italiani (FLI), insieme al Coordinamento dei Logopedisti Europei (CPLOL), ha riportato l’attenzione sui suoi danni con la Giornata Europea della Logopedia. La diminuzione d’udito, detta ipoacusia, colpisce un bambino su mille nuovi nati, l’1 per cento dei piccoli sotto i 3 anni, il 2 tra i 4 e i 12 anni, il 4 tra i 13 e i 45 anni, il 10 tra i 46 e i 60 anni, il 25 tra i 61 e gli 80 anni e il 50 per cento degli ultra ottantenni. «I bambini sordi con età compresa tra 0 e 14 anni, sono circa 100 mila nel nostro Paese, dove ogni anno nascono oltre mille piccoli con sordità congenita», precisa Tiziana Rossetto, presidente FLI. La Rete Udito A questi numeri preoccupanti, che devono far riflettere, si affiancano tuttavia diversi aiuti per arginare il problema. La regione Lombardia si è mossa per prima e ha già istituito un network regionale, costituito da strutture ospedaliere pubbliche e private che garantiscono un’assistenza di elevato livello a chi non sente bene. «Qui, le persone affette da sordità di vario grado possono contare su figure specializzate, su percorsi diagnostici appropriati e su cure ad hoc per non aggravare il proprio udito e per non farlo diventare un handicap», spiega Eleonora Carravieri, presidente dell’Associazione Logopedisti Lombardi. E aggiunge che «molto si fa anche per la prevenzione. S’informano, per esempio, le future mamme sull’importanza di vaccinarsi contro rosolia, morbillo Tiziana Rossetto e parotite che, se contratte durante la gravidanza, possono alterare il normale sviluppo dell’apparato uditivo del feto. E si cerca di fare il possibile per evitare un abbassamento dell’udito dovuto a ittero neonatale, incompatibilità Rh, ototossicità da farmaci e alcune malattie infettive nei neonati e nei bambini molto piccoli». Sempre in Lombardia, dove ogni anno ben 250 piccoli nascono ipoacusici, è attiva anche una “Rete Udito” per lo screening neonatale, che coinvolge le province di Milano, Bergamo, Como, Lecco, Pavia e Mantova. Il bambino appena nato può essere sottoposto a una verifica dell’udito con una frequenza maggiore che in passato. Circa metà delle regioni hanno uno o più centri che eseguono screening neonatali universali, cioè su tutti i nuovi nati, o a “target”, vale a dire solo su bambini a rischio, partoriti prima del termine o che sono sottopeso, figli di genitori con problemi uditivi o venuti alla luce con un parto difficile, o in cui si sospetta una infezione virale o batterica durante la vita fetale. Screening neonatali I neonati vengono, di solito, sottoposti al test delle otoemissioni acustiche. Consiste nel sollecitare il loro apparato uditivo con alcuni suoni e nel rilevare e registrare le risposte sonore emesse dal loro orecchio interno, in risposta agli stimoli acustici ricevuti, con un piccolo microfono appoggiato sul condotto uditivo del piccolo. Gli apparecchi moderni, molto semplici da maneggiare, si avvalgono di segnali luminosi per verificare la capacità di sentire di un neonato: una luce verde segnala che l’udito del bambino è nella norma, mentre una luce rossa mette in evidenza che il suo udito non è perfetto. In quest’ultimo caso, il piccolo deve essere inviato in un centro audiologico di II o III livello nell’arco di 6 mesi, affinché possa avere una corretta diagnosi del suo deficit uditivo. I neonati possono essere sottoposti anche a un’altra indagine uditiva: si utilizzano un piccolo altoparlante, che convoglia alcuni suoni nell’orecchio e due o tre elettrodi da appoggiare sulla testa e sull’orecchio del piccolo, per raccogliere le risposte sonore provenienti dall’orecchio interno e dai centri nervosi dell’udito, in risposta agli stimoli acustici ricevuti. Perché si diventa ipoacusici A determinare una riduzione dell’udito è, molto spesso, una lesione della coclea o chiocciola, vale a dire di una piccola struttura dell’orecchio interno, tappezzata da 40 mila cellule cigliate, responsabili di tramutare i suoni in impulsi elettrici che, percorrendo le sottili fibre del nervo acustico, arrivano al cervello, determinando la percezione del segnale sonoro. «In più di un terzo dei casi, l’ipoacusia insorge per colpa dei geni, o meglio di un gene chiamato connexina 26, alterato sin dalla nascita. Ma l’età fa anch’essa la sua parte: la nostra capacità uditiva peggiora dai 30-40 anni in poi», sottolinea Tiziana Rossetto. «Il rumore eccessivo sui luoghi di lavoro – aggiunge la presidente FLI – è, inoltre, la causa primaria della perdita d’udito per 2 milioni di lavoratori nel nostro Paese. Quello ambientale non è, tuttavia, da meno: lo sperimentano le persone che vivono nelle grandi città e anche i giovani che vanno in discoteca: quelli con problemi uditivi sono passati dal 6 per cento negli anni Ottanta, agli attuali 18 per cento. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 41 milioni di italiani sono interessati all’inquinamento acustico, dovuto per il 60 per cento al traffico». Anche il fumo non va d’accordo con il buon udito. Chi non ne può fare a meno corre un rischio doppio di andare incontro a problemi uditivi, che aumentano con il numero di sigarette consumate. Allo stesso modo, chi vive assieme a un fumatore può andare incontro a ipoacusia: il fumo passivo è anch’esso nocivo per le cellule cigliate della coclea. Infezioni batteriche o virali, quali scarlattina, rosolia, parotite o meningite, possono danneggiare l’orecchio interno, come pure l’otite, che se trascurata può provocare forme irreversibili di sordità. Come accorgersi che qualcosa non va La sordità prima di diventare manifesta, quando è a circa metà del suo percorso evolutivo, non dà segni particolari di sé. Solo più tardi, quando la lesione è ormai avvenuta, si ha difficoltà a capire le parole o a sentire il suono del telefono. Nel caso dei bambini, la mamma può accorgersi, prima del pediatra, che il proprio figlio non sente bene. Può sospettare un deficit uditivo se il piccolo non volta la testa quando lo si chiama per nome, quando sbatte la porta o quando cade un oggetto metallico per terra. Se non ammicca e non chiude gli occhietti quando si battono le mani. Imbavagliare il rumore è possibile Ognuno di noi può, tuttavia, fare qualcosa per proteggere il proprio udito. Per attutire il rumore si possono installare i doppi vetri alle finestre o rivestire di sughero o di materiale isolante le pareti, il soffitto e il pavimento; abbassare il volume della radio o del walkman di due unità e di una quello del televisore; evitare le discoteche, gli stadi e i ristoranti troppo rumorosi. Prima di acquistare un elettrodomestico, è bene chiedere che abbia il requisito di “non rumoroso” e prima di comprare un’auto, è consigliabile domandare il livello di rumorosità che procura. È buona abitudine utilizzare le cuffie o i tappi fonoassorbenti, se si lavora in luoghi rumorosi o se si abita in strade trafficate: permetteranno di diminuire i tempi di esposizione al rumore. Il nostro udito, per essere in salute, necessita di lunghe pause di silenzio. Si capisce di essere in un ambiente poco rumoroso quando si sente un buon confort acustico, quando si può mantenere un tono di voce normale con la persone con cui si vuole comunicare senza doversi sforzare. 21 AZ SALUTE Un progetto a supporto di chi affronta la malattia Cancro al seno, la sfida delle donne per vincere la paura e andare avanti S di Monica Diliberti Sei opuscoli di informazione e consigli. L’importanza di confrontarsi in famiglia e di riscoprire la propria femminilità 22 ono oltre 37.000 le italiane che, ogni anno, ricevono una diagnosi di tumore al seno. L’incidenza della malattia è in continua crescita, anche se, parallelamente, aumentano le possibilità di guarigione. Oggi sono più di 450.000 le donne che convivono con la malattia. Talora, il percorso terapeutico può essere lungo e complesso, con conseguenze sia sulla sfera fisica, sia su quella psicologica, sociale, familiare. Si sperimentano cambiamenti importanti nel corpo e nell’anima e può essere facile cedere alla depressione e allo sconforto. Un supporto adeguato può però essere di grande aiuto. Nasce proprio con l’obiettivo di sostenere gli oncologi e le pazienti l’iniziativa “Io vado avanti”, di AstraZeneca. Il progetto consiste nella realizzazione, da parte di sei esperti, di sei opuscoli ricchi di informazioni e consigli sugli aspetti più importanti dopo la diagnosi e durante il trattamento. Si tratta, in pratica, di un’utile guida per ritrovare il benessere e la serenità. Gli opuscoli sono distribuiti agli oncologi e le pazienti possono richiederli a loro. «Ci auguriamo di poter contribuire ad offrire, anche con questo progetto, un supporto allo specialista ed un concreto aiuto alle donne, facendo sì che si sentano sostenute nella loro sfida contro questa importante malattia», dice il dottore Raffaele Sabia, vice presidente di AstraZeneca Italia. In “Conosci la malattia e vai avanti”, il dottore Luca Tondulli, specialista in oncologia medica, dà informazioni e consigli pratici per aiutare a capire ed affrontare la cura del tumore. Ma non solo. Molta importanza viene data alla prevenzione, ricordando alcune semplici regole per ridurre il rischio di ammalarsi. L’opuscolo “Parlane in famiglia”, curato dalla psicoterapeuta Daniela Ferriani, vuole essere un incoraggiamento alla donna-paziente a parlare apertamente delle sue sensazioni, dei suoi pensieri ed emozioni. Per poter andare avanti occorre affrontare la paura e lo smarrimento, gestire lo stress con coraggio e determinazione e cercare il supporto nelle relazioni su cui ci si sente di poter contare. In “Mangia bene”, la dottoressa Diana Scatozza, specialista in Scienza dell’Alimentazione, indirizzo dietologico-dietoterapico, offre consigli su come nutrirsi e su cosa evitare per prevenire le temibili recidive del tumore. Meglio dare la precedenza agli alimenti vegetali, ai cereali integrali, al pesce e all’acqua; variare i colori degli alimenti, della frutta e verdura, dei pasti principali; ridurre il consumo di alimenti contenenti grassi saturi. Un aspetto molto importante per riprendere in mano la propria vita durante e dopo la malattia è sentirsi nuovamente donna. In “Riscopri la tua femminilità”, la dottoressa Riccarda Serri, specialista in Dermatologia, ricorda che curare la pelle e l’estetica nel modo giusto aiuta a sentirsi meglio, a superare gli inconvenienti che le terapie antitumorali possono portare e a continuare a sentirsi donne, belle e attraenti. Il dottore Giuseppe Draetta, specialista in Medicina Legale, con “Non sei sola”, fa conoscere le misure assistenziali a disposizione delle malate. Le leggi del nostro ordinamento contemplano una serie di aiuti socio-economici in favore del paziente, come ad esempio l’assistenza psicologica presente in molti centri, lo stato di invalidità almeno per il periodo di trattamento, permessi e congedo straordinario retribuiti per i familiari che assistono una donna con invalidità. L’attività fisica svela nel tempo i suoi effetti benefici nell’affrontare le terapie e nel successivo recupero. Questo il messaggio del sesto libretto, “Riconoscersi e riapprendere”, realizzato dalla dottoressa Fulvia Gariboldi, specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione. Dopo l’intervento chirurgico, l’esercizio fisico può aiutare la riabilitazione e proseguirlo, quando possibile, durante la chemioterapia e la radioterapia, è un ottimo antidoto per combattere la fatica, mantenere il peso forma e svolgere le proprie attività quotidiane. SALUTE AZ Spesso è connesso a giocattoli e alimenti Rischio soffocamento nei bambini Necessaria la massima attenzione I rischi domestici cui va incontro il bambino nei primi periodi della vita sono di vario tipo ed in genere i genitori ne sono a conoscenza e vi prestano la massima attenzione; ma ve ne sono alcuni che la maggior parte della popolazione abitualmente non sospetta e per ciò molto pericolosi. Tra questi, il pericolo di soffocamento accidentale connesso con i giochi e l’alimentazione. Nel bambino molto piccolo, la correlazione deglutizione-inalazione, oltre ad essere del tutto inconsapevole, è molto insidiata dalla abituale realtà comportamentale dell’infanzia: avventatezza dei movimenti, frequente e repentino cambio di umore, imprevedibile e spesso continua variazione dell’attenzione, con conseguenti alterazioni emotive, improvviso pianto, tosse, starnuti ed altro. Se qualcuno di tali eventi si verifica mentre il bambino sta mangiando qualcosa di molto piccolo o che può frantumarsi minutamente, oppure mentre si diverte con giocattoli dai quali possono staccarsi minicomponenti, ecco che può accadere l’immissione del corpo estraneo anziché nelle vie digestive, in quelle respiratorie, ove può andare ad occupare uno o più bronchi di varie dimensioni di uno o entrambi i polmoni. In questi casi, si scatena subito una crisi di soffocamento con caratteristiche, spesso, di grande drammaticità: tosse, cianosi, deliquio, aspetto di “morte imminente”, circostanze che stravolgono improvvisamente la vita familiare inducendo peraltro i genitori a manovre empiriche quasi sempre incongrue come l’introduzione di dita in gola, con rischio di provocare vomito e peggioramento della situazione. Il consiglio è invece quello di dare dei colpi sulla schiena e, se possibile, porre il bambino per alcuni momenti a testa in giù; ove queste manovre non sortissero alcun effetto si raccomanda di condurre il piccolo immediatamente in ospedale avendo cura di tenerlo in posizione semiseduta. Presso l’Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica dell’Ospedale dei Bambini di Palermo ci si trova ad affrontare tali evenienze con relativa frequenza; le età più interessate vanno dai pochi mesi di vita fino a circa i quattro anni. Il percorso diagnostico, scandito dai tempi che caratterizzano l’urgenza, è costituito, se l’urgenza stessa lo consente, dalle indagini radiologiche per la conferma diagnosti- ca e la eventuale localizzazione dei frammenti inalati (quando radio-opachi) e degli esami ematochimici, al fine di preparare il bimbo alla rapida esecuzione, in anestesia generale, di una broncoscopia (immissione di uno strumento nei bronchi) onde rimuovere il corpo o i corpi estranei che si sono annidati in uno o più punti dell’albero bronchiale, pratica questa che richiede dei tempi abbastanza contenuti, ancorché di grande e tribolata attenzione. La soluzione del problema che così si ottiene, nella quasi totalità dei casi, non deve tuttavia portare minimamente a sminuire la gravità dell’evenienza clinica, poiché il piccolo ha realmente corso rischio di vita e perché la procedura terapeutica, altamente specialistica, è molto delicata e rischiosa e praticata in Sicilia solo nel nostro Centro, che potrebbe risultare distante dal luogo dell’evento. Stante l’alto numero di casi da noi trattati, diventa fortemente importante il messaggio di attenzione da trasmettere a quanti hanno bambini, perlomeno fino ai 4 anni: evitare di dar loro da mangiare alimenti molto piccoli o sbriciolabili (pastina, biscotti, patatine fritte, noccioline, frutta secca in genere, eccetera) se non in condizioni di assoluta serenità ambientale e sotto stretto controllo degli adulti, nonché bandire del tutto quei balocchi dai quali, prevedibilmente, possono staccarsi piccoli componenti o particelle. A tal proposito, non si raccomanderà mai a sufficienza l’opportunità di offrire ai bambini giocattoli che abbiano dei marchi ufficiali di sicurezza, allo scopo di minimizzare al massimo ogni rischio. di Antonino Carolina Direttore Unità Operativa di Chirurgia Pediatrica Ospedale dei Bambini “G. Di Cristina”, Palermo Le età più a rischio: da pochi mesi a quattro anni 23 AZ SALUTE Il problema del gonfiore addominale Se la pancia è una camera a gas c’è bisogno di più batteri-amici di Luciano Sterpellone L’uso per via orale di microrganismi, detti probiotici, aiuta a riequilibrare la flora batterica e a eliminare i disagi 24 L a “pancia”, si sa, non è solo dovuta a un eccesso di grasso, ma spesso anche a un gonfiore che proviene dall’intestino. Difatti, se questo produce una quantità eccessiva di gas, la tensione che ne deriva si manifesta esternamente con un rigonfiamento piuttosto antiestetico dell’addome. Ne consegue che per evitare che l’addome si gonfi, occorre confrontarsi seriamente con la produzione di gas intestinali. Pochi lo sanno, ma sulla parete interna del nostro intestino è distesa normalmente una sottilissima pellicola (un bio-film) che assolve a vari scopi. Un film formato da una sterminata popolazione di miliardi di batteri, la cui presenza è garanzia continua del nostro benessere. Questi batteri appartengono a oltre quattrocento specie diverse, alcune delle quali essenziali per la vita e per la buona salute, altre che possono invece diventare nocive. I microrganismi (buoni e cattivi) si trovano normalmente “in equilibrio” tra di loro; ma se intervengono cause varie come le diete non adeguate o povere di fibre, il consumo eccessivo di carne, l’assunzione di certi farmaci, gli stress, i “cattivi” possono prevalere. In tal caso, nell’intestino si produce una quantità eccessiva di gas, l’addome si gonfia, si prova un senso locale di pesantezza non di rado accompagnato da stitichezza o diarrea, colite e altri disturbi. Per evitare un tale inconveniente, già da tempo la ricerca scientifica è riuscita a utilizzare certi tipi di microrganismi (la cui scoperta fruttò il Premio Nobel 1908 allo scienziato russo Ilja Metchnikoff), che secondo la denominazione ufficiale dell’ONU e della FAO vengono detti probiotici (favorenti la vita). Possono essere assunti per via orale e sono a base di batteri “buoni”, vivi, di diversa specie, dotati del potere di attenuare e limitare lo sviluppo e la viru- lenza della flora batterica avversa, nonché di potenziare la proliferazione di quella... amica. Tra di essi emerge, per la sua efficacia, il Lactobacillus reuteri (dal nome del ricercatore tedesco Reuter che lo scoprì negli anni 1960), batterio che l’esperienza clinica ha poi dimostrato essere capace di migliorare o addirittura di ripristinare la normale flora intestinale, nonché di controllare eventuali disturbi, tra i quali appunto, la formazione di gas. Si ricorda che il Lactobacillus reuteri agisce con un meccanismo alquanto semplice, ma peculiare: difatti, diversamente da vari altri bacilli lattici che vengono distrutti dal succo gastrico, esso sopravvive all’ambiente acido dello stomaco e può, quindi, colonizzare l’intestino, regolarizzando la normale flora batterica, contrastando l’azione dell’enorme schiera di microrganismi potenzialmente nocivi e causa dei disturbi. Produce, infatti, una sostanza, la reuterina, dotata di attività antimicrobica e di stimolo del sistema immunitario che agisce come arma preventiva e terapeutica contro gli stati infiammatori e allergici. Una nutrita serie di lavori clinici comparsi negli ultimi anni nella letteratura scientifica, convalida nettamente tutti i dati precedenti, confermando ancora una volta che il Lactobacillus reuteri ha la proprietà di colonizzare il tratto gastrointestinale umano (e altre strutture) a scapito dei batteri potenzialmente nocivi e di integrare la normale flora batterica, consolidando, oltretutto, il naturale “biofilm” intestinale di difesa contro le sostanze tossiche e infiammatorie, causa dell’antiestetica e imbarazzante “crescita” della pancia. Un meccanismo d’azione quantomai ideale e mirato che si esplica, oltretutto, con il vantaggio di non comportare effetti collaterali di alcun genere. SALUTE AZ Il clamoroso caso Sculli in Lazio-Palermo Orticaria, patologia sempre più frequente Attenti a non sottovalutare alcuni segnali L uci accese sull’orticaria, una patologia sempre più frequente e che è salita, di recente, alla ribalta delle cronache sportive in occasione della sfida di calcio Lazio-Palermo, allo stadio Olimpico. A inizio del secondo tempo, l’attaccante di casa, Beppe Sculli, autore di una doppietta ai rosanero, è stato costretto a lasciare il campo, perché era diventato “rosso come un peperone”. Orticaria gigante, è stata la diagnosi. Ma che cos’è l’orticaria, come si manifesta e, soprattutto, cosa fare? «Si parla di orticaria – dicono il professore Sergio Bonini, docente di Medicina Interna alla II Università di Napoli e la dottoressa Elena Galli, responsabile dell’Unità operativa di Immunoallergologia pediatrica dell’Ospedale San Pietro a Roma e Allergologa della Clinica Paideia – quando la reazione è prevalentemente a livello cutaneo. Si parla invece di orticaria angioedema quando la reazione, oltre che a livello epidermico, è anche più profonda e, quindi, si manifesta con gonfiore, tumefazione del volto, eccetera. «Il meccanismo che provoca l’orticaria – spiegano i due esperti – consiste nella rottura di alcune cellule, con conseguente liberazione di istamina, sostanza che provoca vasodilatazione (rossore sulla pelle) e fuoriuscita di plasma dai vasi sanguigni (gonfiore, bolle, prurito). Nei soggetti predisposti, le cellule sono particolarmente fragili e quindi la loro rottura avviene con più facilità. A differenza delle allergie, dove la rottura delle cellule avviene quando l’organismo viene a contatto con una specifica sostanza verso la quale ha formato anticorpi. Nel caso dell’orticaria, non c’è una vera e propria sostanza alla quale il soggetto è allergico, ma piuttosto la rottura è legata ad un’iperattività dell’organismo». Vediamo allora di capire cosa la scatena. «Più che una singola causa scatenante – precisano Bonini e Galli – esistono delle situazioni d’insorgenza che, in soggetti predisposti all’orticaria, portano all’episodio acuto. Fatica fisica, stress, sbalzi di temperatura, sostanze irritanti, farmaci (soprattutto antinfiammatori e aspirina), conservanti e coloranti, alcuni alimenti: tutti questi fattori, nei soggetti predisposti, possono essere alla base della reazione. Nei bambini, le orticarie acute sono prevalentemente innescate da infezioni, sia virali, sia infettive. Proprio per la mancanza di una specifica causa alla base dell’orticaria, è difficile una corretta diagnosi eziologica, che porti a identificare le ragioni scatenanti specifiche per quel singolo individuo, in quel singolo momento». Ci sono, però, alcuni segnali che, nei soggetti predisposti, possono manifestarsi. Per esempio, un’esagerata reazione ad una puntura d’insetto. Oppure, un dermatografismo (la pelle si arrossa e si gonfia alla semplice pressione), o il gonfiore dopo essersi esposti al sole. Sono tutte reazioni, tuttavia, a cui si tende a non dare troppa importanza. Poi, all’improvviso, può comparire un attacco di orticaria. Ma cosa fare quando si manifesta? «La scarsa conoscenza dei meccanismi immunologici dell’orticaria – continuano i due esperti – consente, attualmente, solo trattamenti sintomatici rivolti a bloccare l’azione dell’istamina (istaminici) o a combattere l’infiammazione (cortisonici). Nelle forme più gravi la liberazione dell’istamina può provocare un gonfiore a livello della glottide che rende difficile la respirazione, oppure a livello di tutto l’organismo, provocando uno shock anafilattico. In questi casi è necessario ricorrere all’uso dell’adrenalina». di Giulio Francese Imputati diversi fattori: stress, fatica, agenti chimici, alimenti. Ma c’è una grande differenza con le allergie 25 AZ SALUTE Workshop di Novartis con le associazioni Se gruppi farmaceutici e pazienti diventano “Alleati per la salute” U Confronto stretto su accesso ai farmaci innovativi e coinvolgimento dei rappresentanti dei malati negli studi clinici 26 n dialogo sempre più intenso tra pazienti e aziende farmaceutiche, informazione chiara e trasparente sulle terapie innovative, la possibilità di garantire, su questo versante, l’accesso alle migliori cure disponibili. Su questi temi, i rappresentanti di oltre 35 associazioni italiane di pazienti si sono confrontati a Milano, nel corso del workshop di due giorni “Alleati per la salute”, organizzato per il secondo anno consecutivo da Novartis, che con questa esperienza vuole dare spazio alle esigenze e alle proposte delle Onlus con le quali il Gruppo farmaceutico svizzero collabora abitualmente. «Abbiamo voluto dare continuità ai risultati positivi ottenuti lo scorso anno, potenziando gli strumenti dell’ascolto reciproco e della partnership», sottolinea Mark Never, Country President di Novartis «La centralità del paziente è nel Dna del nostro modus operandi», aggiunge Luigi Boano, Oncology General Manager di Novartis Farma. Una scelta non da poco e in linea con i tempi. Fino a non molti anni fa, le aziende si rivolgevano quasi esclusivamente ai medici, perché è il medico che gestisce i pazienti. Oggi cercano, come fa Novartis, il dialogo diretto con i pazienti, attraverso le associazioni che li rap- presentano e che costituiscono, in tutto il mondo, una grande realtà. Così come in Europa, dove opera il 51 per cento di tutti i patient groups del mondo, anche in Italia l’universo dei pazienti associati è consistente, attivo e in costante avanzata: sono più di 6mila le associazioni impegnate nel campo della salute e coinvolgono oltre 3 milioni e mezzo di persone affette da patologie molto diverse tra loro. «La nostra sfida attuale – sottolinea Boano – è coinvolgere le associazioni dei pazienti, per informarle su tutte le nuove molecole innovative su cui stiamo lavorando, in modo tale che esse possano essere sempre aggiornate su ciò che l’azienda sta portando avanti rispetto a certe patologie. Così, quando si rendono disponibili nuovi dati che comprovano l’efficacia di queste molecole, questi devono essere condivisi con le associazioni pazienti. Altro aspetto sul quale stiamo lavorando è la stesura dei consensi informati, per il coinvolgimento dei pazienti negli studi clinici, affinché siano sempre più chiari e comprensibili, aiutando così il medico a dare, a quanti sono colpiti da patologie e ai familiari, tutte le informazioni per fare le scelte opportune». “Alleati per la salute” rappresenta una tappa di questo percorso di avvicinamento tracciato da SALUTE AZ La sfida delle terapie mirate Luigi Boano e Klaus Leisinger Novartis. Per Klaus Leisinger, Presidente della Fondazione Novartis per lo sviluppo sostenibile, «il problema del diritto alla salute coinvolge milioni di persone e tutti devono sentirsi coinvolti a incrementare l’accesso alle cure ed ai farmaci». Nella due giorni milanese si sono voluti condividere, con le associazioni dei pazienti, metodologie operative e mettere a punto strategie in grado di rendere più incisiva ed efficace l’attività di tutela dei diritti delle persone colpite da patologie. In primo piano la questione dell’accesso ai farmaci, specialmente quelli innovativi, argomento particolarmente sentito dai pazienti italiani, anche alla luce delle nuove politiche regionali, strette tra le istanze del federalismo sanitario e i vincoli di spesa. Altro tema comune e di primario interesse, è quello del coinvolgimento dei pazienti negli studi clinici, attraverso la messa a punto di protocolli condivisi, che tengano conto delle loro specifiche esigenze: un aspetto sul quale, fin dall’inizio, Novartis ha lavorato – come sottolinea una nota dell’azienda – a fianco delle associazioni, «consapevole che l’accesso alle sperimentazioni sui farmaci innovativi sia una declinazione importante del diritto alla cura, così come quello dell’accesso alle terapie». Il workshop è stato anche l’occasione per identificare temi e interessi comuni tra le associazioni, pur nelle differenze legate al diverso impatto delle patologie di riferimento. Si è posto, in particolare, l’accento sulla necessità di un maggiore collegamento, anche attraverso la ricerca di un linguaggio comune e procedure operative condivise, per superare l’eccessiva frammentarietà delle richieste, che indebolisce la posizione delle associazioni nei confronti degli interlocutori istituzionali. Da circa dieci anni Novartis Oncology è impegnata nello sviluppo di target therapy, cioè di farmaci rivolti a un paziente con precise caratteristiche, ovvero quel paziente con una determinata alterazione biologica che può essere colpita in modo specifico dal farmaco. «È stata una svolta radicale – spiega Luigi Boano, Oncology General Manager di Novartis Farma – rispetto all’approccio della chemioterapia: i farmaci chemioterapici, tuttora fondamentali, distruggono le cellule, indipendentemente dal fatto che vengano assunti da un paziente o da una persona sana. La terapia mirata, invece, colpisce solo le cellule che presentano una specifica alterazione e quindi funziona solo in un certo tipo di pazienti. Il passaggio fondamentale è l’identificazione del paziente adatto. A questo proposito – aggiunge Boano – parallelamente allo sviluppo delle terapie mirate, siamo impegnati nella messa a punto di metodologie diagnostiche che consentano di identificare con maggior precisione i pazienti che possono trarre beneficio da una terapia». Quali benefici comporta la personalizzazione della diagnosi e della terapia? «L’accurata selezione dei pazienti assicura una percentuale di risposta più alta perché il farmaco viene utilizzato solo per coloro che possono effettivamente trarne utilità, senza esporre inutilmente alla terapia tutta la popolazione dei pazienti. Tutto questo assicura, oltre ad una maggior efficacia, anche una migliore tollerabilità delle terapie. Siamo su questa strada da circa 10 anni e anche oggi continuiamo a cercare farmaci mirati, che abbiano un preciso bersaglio molecolare e quindi siano destinati a un gruppo scelto di pazienti. Parallelamente, sviluppiamo mezzi diagnostici che ci permettono di identificare al meglio questi pazienti». «Così – continua Boano – si riducono i tempi di sperimentazione, si accelera lo sviluppo dei farmaci innovativi e, a fronte di risultati positivi, si riesce a rendere i farmaci disponibili più rapidamente per il malato. Anche in questo modo si afferma la centralità del paziente e la completa finalizzazione delle nostre attività. L’obiettivo che ci proponiamo è quello di dare a ciascun paziente la specifica terapia di cui ha bisogno, nel minor tempo possibile». I progetti per aiutare i pazienti dei Paesi poveri Novartis ha una Fondazione per lo sviluppo sostenibile, impegnata in attività e progetti di educazione e assistenza sanitaria nei Paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di estendere il diritto alla salute in tutto il mondo. Collabora con governi, istituzioni mondiali, ONG, per rendere accessibili i servizi sanitari alle fasce più deboli della popolazione. Dalla donazione di farmaci, a programmi di ricerca per la lotta a malattie trascurate come la malaria, la tubercolosi e la lebbra nei Paesi in via di sviluppo, sono numerosi i progetti portati avanti. Di recente, la Fondazione Novartis ha avviato in Ghana un progetto di telemedicina imperniato sulla telefonia mobile, che ha l’obiettivo di consolidare le comunità locali e assicurare loro servizi sanitari primari di qualità, riducendo la necessità di lunghi spostamenti per i medici e i pazienti. Il progetto prevede l’attivazione di competenze ad hoc per gestire, tramite telefonia mobile, la valutazione dei referti medici. Il personale sanitario è incoraggiato a utilizzare tecnologie mobili e teleconsulto per la salute. Infine, è previsto un sistema per monitorare e valutare prestazioni e qualità dei servizi e di misurare in modo tempestivo gli effetti delle consultazioni di telemedicina mobile. 27 AZ SALUTE Focus sulle associazioni di pazienti Trombosi e malattie cardiovascolari Alt, un impegno per rilanciare la lotta I di Minnie Luongo nfarto, ictus, trombosi ed embolia sono ancora oggi la prima causa di morte e d’invalidità grave nel nostro Paese. Più probabili negli uomini sopra i 50 anni, queste malattie stanno diventando sempre più frequenti anche nelle donne sopra i 60, ma colpiscono anche giovani e perfino bambini. Eppure, tutte le patologie cardiovascolari possono essere riconosciute, curate e guarite e, soprattutto, evitate. In primo luogo, con uno stile di vita sano. Ne parliamo con la dottoressa Lidia Rota Vender, presidente di ALT, Associazione per la Lotta alla Trombosi. Presidente, cominciamo proprio dallo stile di vita. «La scienza ha ormai confermato che, da soli, possiamo fare molto per evitare le malattie da trombosi. Queste le indicazioni: fare attività fisica almeno 40 minuti tutti i giorni; non fumare; ridurre il peso in eccesso e tenerlo sotto controllo; verificare periodicamente la pressione del sangue. Per quanto riguarda le “buone” abitudini da seguire a tavola: ridurre il consumo di sale (non più di un cucchiaio da tè al giorno); limitare anche il consumo di grassi (non superare due cucchiai di olio d’oliva crudo al giorno); mangiare pesce almeno due volte la settimana; aumentare il consumo di verdura e frutta (almeno cinque porzioni quotidiane); ridurre il consumo di carni rosse e preferire quelle bianche; evitare cotture ricche di grassi animali cotti. E ancora: governare lo stress; misurare la glicemia e controllare il diabete; non esagerare con caffè e bevande eccitanti». monito per le donne di fare attenzione, perché trombosi, infarto e ictus non sono più prerogative maschili, come rivelano gli ultimi dati europei. Stress e stili di vita errati costituiscono le principali cause di questa “ascesa” della popolazione femminile, cui si aggiunge un altro fattore: il vantaggio di cui il sesso femminile godeva, soprattutto per la protezione degli ormoni nel periodo fertile, si sta via via assottigliando». Lidia Rota Vender Quando è nata ALT? «L’Associazione per la Lotta alla Trombosi e alle malattie cardiovascolari (oggi Onlus) si è costituita a Milano nel 1987. Tre le finalità principali: promuovere la prevenzione con campagne d’informazione e di sensibilizzazione sulla relazione tra stile di vita e salute cardiovascolare; finanziare la ricerca scientifica interdisciplinare sulle malattie cardiovascolari da trombosi; sostenere la formazione e la specializzazione di giovani medici e infermieri». Dottoressa Vender, ricordiamo un suo recente libro, firmato assieme al giornalista Mario Pappagallo. «S’intitola “Cuore di donna (Le scelte intelligenti per mantenerlo in forma)”. Non vuole essere un libro di medicina, piuttosto un Si può parlare di allarme rosso per il cuore delle donne? «Esattamente. Dirò di più: gli studi clinici e i protocolli sviluppati negli ultimi 20 anni nella diagnosi e nella cura delle malattie cardiovascolari mancano di un’adeguata differenziazione di genere e le donne continuano a morire più degli uomini per tali malattie. Eppure, prevenire le malattie da trombosi è così semplice, che la maggioranza della gente non ascolta i consigli». L’ipertensione è un problema che riguarda anche i bambini. «Spesso la diagnosi nei giovani e, soprattutto, nei bambini viene posta in ritardo poiché il medico fatica a capire di trovarsi di fronte a un ictus o ad un’embolia arteriosa periferica in un neonato. Per offrire un contributo a risolvere questo enorme problema, ALT ha finanziato la creazione di un Registro Italiano Trombosi Infantile (R.I.T.I.), che permette a tutti i medici di condividere le proprie conoscenze e i casi di trombosi nei bimbi, in modo da arrivare ad una migliore definizione delle possibilità di diagnosi e di cura». Saperne di più ALT - ASSOCIAZIONE PER LA LOTTA ALLA TROMBOSI E ALLE MALATTIE CARDIOVASCOLARI Via Ludovico da Viadana, 5 - 20122 Milano Telefono 02-5832.5028 Fax 02-5831.5856 [email protected] www.trombosi.org 28 SALUTE AZ SALUTE DA SFOGLIARE MEDICI NELLA STORIA di Arianna Zito H arvey, Koch, Fleming, Sabin, Barnard, Montalcini... Le loro biografie compaiono in ogni biblioteca e chiunque, anche se non è medico, ma solo appassionato di Medicina, ne ha letta qualcuna. Il nuovo libro di Luciano Sterpellone, “Medici nella storia” (Red@azione, pagg. 218, € 20,00), potrebbe quindi apparire superfluo se non fosse per la spiccata peculiarità (che lo differenzia dagli altri) di “umanizzare” l’opera di oltre cinquanta scienziati che con le loro scoperte hanno, nei secoli, rivoluzionato il sapere medico. Leggendo qui la storia delle grandi scoperte e invenzioni in Medicina, ci si rende infatti conto, ad ogni riga, che i grandi scienziati sono esseri umani come ciascuno di noi, a parte la particolare forma mentis e l’eccezionale preparazione. Prima di scoprire il bacillo della tubercolosi, Robert Koch era uno sconosciuto medico dello sperduto paesino di Wollstein, nella Prussia Orientale. Per il suo trentacinquesimo compleanno, la moglie Emma, vedendolo depresso e annoiato, gli donò un piccolo microscopio. Koch cominciò a prendervi confidenza, finché, dopo una serie di esperimenti riuscì a scoprire il bacillo responsabile di una delle più terribili malattie per l’Umanità. E, probabilmente, Rita Levi-Montalcini (Premio Nobel 1986) non avrebbe mai scoperto l’importante “fattore di crescita nervosa (GNF)”, se le turbolente vicende della sua vita (fu perseguitata dalle leggi antiebraiche del fascismo), non l’avessero portata dapprima a S. Louis, indi a Rio de Janeiro, dandole le possibilità – anche tecniche – di portare avanti le sue importanti ricerche. Da parte sua Christiaan Barnard, giovane chirurgo di Città del Capo, riuscì a legare il proprio nome al primo trapianto di cuore per un evento quasi fortuito. Già nel mondo alcuni cardiochirurghi erano pronti – dopo una faticosa preparazione – al grande evento: ma il destino volle che proprio a Città del Capo, la sera del 3 dicembre 1967 una ragazza di ventisei anni – per la storia Denise Durvall – venisse travolta da un’automobile. Il suo cuore – per poche ore ancora palpitante – risultò perfettamente compatibile per essere trapiantato nel torace di Louis Washkansky, un oriundo polacco in attesa del trapianto. Questi (e tanti altri) eventi “quotidiani”, comuni a qualsiasi essere umano, se coinvolgono uno studioso possono quindi condizionare in modo, anche determinante, la riuscita o meno di una ricerca o di una scoperta. L’avvincente nuovo libro di Sterpellone (alcuni dei suoi centoventi sono stati tradotti all’estero), patologo clinico e storico della Medicina, è una fonte inesauribile di notizie, spesso sorprendenti e inedite, che restituiscono ai protagonisti della Medicina un’immagine assai più vicina alla realtà, purtroppo distante da quella radicata nell’immaginario collettivo. E, soprattutto, sottolinea i profondi cambiamenti subìti nell’atteggiamento degli stessi medici nei riguardi dei grandi progressi della Medicina: oggi – si sa – ogni nuova acquisizione, scoperta o invenzione – dopo una drastica verifica – viene immediatamente condivisa e adottata su scala universale: ma almeno sino ai primi decenni dell’Ottocento (!) esse venivano sistematicamente recepite con diffidenza e, nel migliore dei casi, accettate solo dopo decenni o secoli di diatribe, principalmente perché turbavano un “ordine delle cose” prestabilito e immutabile: si pensi che ben una cinquantina di anni dopo la rivoluzionaria scoperta della circolazione del sangue da parte di William Harvey (1628), molti medici della Corte del Re Sole (quindi tra i migliori di Francia) erano increduli sulla validità della scoperta e si sollazzavano a denigrarla con ironici pamphlet. Un’occasione irrinunciabile – questo nuovo libro – per apprendere le vicende talora sorprendenti, ma spesso misconosciute, che hanno contrassegnato l’evoluzione verso la Medicina del Terzo Millennio. 29 AZ SALUTE pillole di salute supportare la popolazione giapponese colpita dal devastante terremoto e dallo tsunami. La donazione verrà effettuata alla Croce Rossa giapponese, tramite la Croce Rossa Americana. «Il nostro pensiero va a tutti coloro che in Giappone sono stati colpiti dal terremoto e dallo tsunami – afferma Miles D. White, Presidente e CEO di Abbott –. Con Abbott e Abbott Fund stiamo fornendo questo sostegno come contributo a portare avanti gli aiuti umanitari». Roche, per il cancro al seno sì dall’UE al bevacizumab La Commissione Europea ha confermato – sottolinea con una nota la Roche – l’utilizzo di un farmaco anticancro, il bevacizumab, in combinazione con paclitaxel, come trattamento per le donne affette da tumore alla mammella con metastasi. Il farmaco ha dimostrato di aiutare le pazienti a vivere più a lungo, senza che la malattia peggiori. Paclitaxel è la chemioterapia d’elezione in Europa e rappresenta il farmaco maggiormente utilizzato in combinazione con bevacizumab per il trattamento di prima linea del tumore mammario metastatico. «Siamo lieti che la Commissione Europea continui a supportare l’uso di bevacizumab in combinazione con paclitaxel – ha affermato Hal Barron, Chief Medical Officer e Head Global Product Development di Roche – è una notizia importante per le migliaia di donne affette da un tumore della mammella HER-2 negativo avanzato che vivono nell’Unione Europea». Giappone, Abbott stanzia fondi per I TERREMOTATI Abbott, tramite la sua fondazione filantropica Abbott Fund, ha stanziato 3 milioni di dollari (245 milioni di yen) per 30 Clikkiamo… in viaggio foto a concorso per affetti da sclerosi multipla Clikkiamo… in viaggio è il concorso destinato a persone affette da sclerosi multipla e a chi li accudisce, organizzato dalla Fondazione Cesare Serono. Premierà gli scatti dei più belli ed evocativi angoli del nostro Paese per veicolare il messaggio che si può “vivere oltre” la sclerosi multipla. I sentimenti verso la vita non devono mutare con la malattia. “Il concorso fotografico vuole offrire l’opportunità alle persone colpite dalla malattia e ai propri cari di comunicare le proprie emozioni attraverso le immagini”, spiega Giovanni Scacchi, presidente della Fondazione Serono. Il concorso scade alle ore 12 del 28 giugno di quest’anno. Tutte le istruzioni per parteciparvi su www.clikkiamo.org. “LipoForm”, nuovo laser efficace contro la cellulite Con l’approssimarsi dell’estate si ripropone per le donne il problema dei cuscinetti e della cellulite. Per il loro trattamento arriva, ora, un laser di ultima generazione, “LipoForm”. «È una delle tecnologie laser più efficaci e delicate per la liposcultura e la definizione del contorno del corpo e garantisce un intervento minimamente invasivo», spiega il professore Marco Floriani, chirurgo del Policlinico di Milano e responsabile del centro di Chirurgia Vascolare e Laser all’Istituto Medico Quadronno del capoluogo lombardo. «L’alto assorbimento in acqua – aggiunge – fa sì che nei vasi sanguigni l’emoglobina coaguli immediatamente, cosa che si traduce in minor sanguinamento, gonfiore e lividi nella fase post-operatoria». Semplice da utilizzare anche per i medici, il nuovo laser fornisce eccezionali risultati estetici per il paziente, praticamente senza dolore e ridotti tempi di recupero. Il laser di ultimissima generazione e le fibre ottiche utilizzate consentono una emissione ottimale dell’energia, che si traduce nella lisi delle membrane cellulari e nella liquefazione del grasso. Quest’ultimo, attraverso il sistema integrato di irrigazione e cannule di aspirazione, può essere estratto con facilità. Ricerca oncologica, al via la campagna «adotta un cervello» Prende il via la campagna di raccolta fondi «Adotta un… cervello», a sostegno della ricerca scientifica oncologica italiana. Nata da un’idea del Lions Club Nervesa della Battaglia, in provincia di Treviso, con la collaborazione della Fondazione Istituto Sacra Famiglia Onlus, che gestirà la raccolta fondi e sostenuta da Teva Italia, azienda leader mondiale nel settore dei farmaci equivalenti, ha lo scopo di finanziare borse di studio da destinare ai ricercatori italiani impegnati nella ricerca sul tumore del seno. I fondi raccolti, quest’anno, andranno alla ricercatrice Claudia Casarsa, del gruppo di ricerca del professor Saro Oriana, responsabile del Centro di Senologia della Casa di Cura Ambrosiana di Cesano Boscone e direttore scientifico del progetto di ricerca ministeriale “Dalla cellula normale alla lesione neoplastica: identificazione delle caratteristiche bio-molecolari associate alla trasformazione in senso neoplastico dell’epitelio mammario in relazione al microambiente circostante”. Possiamo sperare? LA VITA PONE DOMANDE. NOI CERCHIAMO LE RISPOSTE. L’innovazione è la nostra risposta alle continue sfide della salute. Lavoriamo ogni giorno per salvare le vite dei pazienti e per aiutare milioni di persone in tutto il mondo. Leader mondiali nelle biotecnologie: diagnostica in vitro, oncologia, trapiantologia, anemia, virologia, nefrologia e reumatologia sono le nostre aree di eccellenza. Focalizziamo il nostro impegno in ricerca e sviluppo sulla scoperta di nuovi farmaci e tecnologie diagnostiche in grado di combattere il cancro, l’AIDS, l’epatite, l’Alzheimer, l’artrite reumatoide ed il diabete. Grazie ai grandi progressi nella ricerca e alla sinergia tra diagnosi e terapia, siamo pionieri nello sviluppo di test diagnostici e farmaci personalizzati in base alle caratteristiche genetiche di gruppi di pazienti. Ci sono tante risposte quante sono le persone. Noi continuiamo a cercare soluzioni individuali. We Innovate Healthcare www.roche.it