MIO NONNO COP 19-03-2007 12:45 Pagina 2 Nazario Sauro Onofri Mio nonno garibaldino alla guerra greco-turca (1897) MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 1 1 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 2 2 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 3 Nazario Sauro Onofri Mio nonno garibaldino alla guerra greco-turca (1897) 3 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 4 Questo volume – pubblicato a spese dell’autore – è fuori commercio. Sarà donato a parenti e amici. La foto della copertina (riprodotta nel testo) è una rielaborazione fatta nel 1933 da un fotografo-pittore che ha colorato con pastelli la foto originale di mio nonno in divisa di garibaldino scattata a Roma nel 1897. L’immagine riprodotta nella quarta pagina di copertina e nel testo è la foto originale del 1897 parzialmente rielaborata e restaurata dal computer. 4 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 5 Una piccola storia difficile da ricomporre Quella che pubblico è una piccola saga familiare. Grande, al contrario, è stata la fatica per ricostruirla. Nato in un’epoca in cui le trasmissioni radio erano all’inizio e quindi rappresentavano un lusso per pochi, mentre le proiezioni cinematografiche potevamo permettercele una volta la settimana, io e i miei fratelli la sera ingannavamo il tempo ascoltando i bellissimi racconti che nostra madre ricavava dai ricordi della sua triste infanzia. Nostro padre, intanto, smaltiva la sua dura giornata di operaio metallurgico pizzicando le corde di una chitarra. Tra i racconti di mia madre il più bello o, se vogliamo, il meno triste, era quello di suo padre andato volontario in Grecia nel 1897, con la legione garibaldina di Ricciotti Garibaldi, per combattere a fianco del popolo greco, insorto contro la secolare dominazione turca. Nei suoi racconti ricorrevano spesso le parole Epiro e Domokos. La prima è una regione greca sullo Ionio e la seconda una città della Tessaglia dove il nonno aveva fatto questo, aveva fatto quello e tante altre cose ancora e dove – a Domokos - era morto il suo amico onorevole Antonio Fratti, mentre lui, più fortunato, se l’era cavata con una brutta infezione di tifo. Mia madre Candia, che doveva avere vaghe nozioni di geografia, parlava dell’Epiro e di Domokos come se fossero 5 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 6 una cosa sola. Ma ne parlava così bene – con amore, più che con passione - che noi figli l’ascoltavamo affascinati. Questi racconti hanno avuto una grande importanza nella mia infanzia e mi hanno accompagnato a lungo nella vita, anche se di quel nonno non conoscevo molto. Pur avendo spesso accarezzato il desiderio di salvare la sua storia, non l’ho mai fatto, per un motivo o per un altro, anche se scrivo per mestiere, oltre che per passione. Ma quando finalmente ho acceso il computer, deciso a ricomporre la sua vita i cui pezzi erano sparsi in tanti racconti, mi sono reso conto che non sapevo da che parte cominciare perché in casa mia – ma anche in quella dei miei fratelli - di suo ci sono solo una foto sbiadita dal tempo e un quadro colorato con pastelli che lo ritraggono in divisa di garibaldino. Non un foglio, non una lettera. Nulla. Ho così cominciato le ricerche che faccio solitamente, a largo raggio, quando lavoro: documenti d’archivio, giornali dell’epoca, libri ecc. Insomma, la solita routine, con in più l’affetto per il nonno del quale – secondo mia madre - io sarei una copia per aspetto e carattere. Ma quale non è stata la mia delusione quando, scorrendo l’elenco ufficiale dei garibaldini che presero parte alla spedizione ellenica, ho avuto l’amara sorpresa di non trovare il suo nome. Quando sono arrivato alla fine di un secondo elenco, riportato in un altro libro, senza trovare il suo nome, non ho potuto non chiedermi: «Ma il nonno è stato in Grecia?». Per fortuna io non mi arrendo mai e, dopo questo deludente inizio, ho cominciato a setacciare i quotidiani dell’epoca, pienamente convinto che prima o poi – dell’onestà di mia madre cronista non ho mai dubitato – il suo nome sarebbe saltato fuori. E così è stato quando ho letto su “il Resto del Carlino” una notizia sulla partenza per la Grecia di quattro giovani di Mercato 6 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 7 Saraceno, il comune della provincia di Forlì – oggi ForlìCesena – dove era nato e abitava. I quattro erano Egisto Gattamorta, Pirro Ricchi, Ugo Dolcini e mio nonno Depalmo Onofri. Pochi giorni dopo il giornale pubblicò una seconda notizia, da Brindisi, nella quale era detto che i quattro romagnoli – dei quali riportò i nomi – erano salpati per la Grecia con altri volontari. «Partito è partito», mi dissi con un sospiro liberatorio, anche se quella fu l’ultima volta che il suo nome apparve sul quotidiano bolognese. Quando, verso la metà del mese di maggio del 1897, a Domokos fu combattuta una storica e decisiva battaglia tra greci e garibaldini da una parte e turchi dall’altra, “il Resto del Carlino” pubblicò dettagliate corrispondenze di guerra, con i nomi degli emiliani e dei romagnoli morti e feriti. Pubblicò anche quelli dei garibaldini che si erano distinti nello scontro durato un intero pomeriggio. Dei romagnoli rimasti indenni riferì i nomi di Gattamorta, Dolcini e Ricchi. «E mio nonno?», mi chiesi sconsolato, se non addirittura disperato. Se non figurava tra i morti e i feriti dov’era finito? A questo punto – anche se continuai a sfogliare libri e giornali e a scavare negli archivi – il problema non era più quello di scrivere una saga familiare o una storia di guerra, ma di sapere dove si era cacciato, dal momento che, alla fine della guerra, era tornato a casa con i suoi compagni romagnoli, come fu puntualmente registrato dal quotidiano bolognese ed ebbe, come gli altri, la sua parte di elogi pubblici sui giornali. Tra le ipotesi che azzardai, ne privilegiai due. Donnaiolo impenitente, poteva avere dimenticato la causa greca per una figlia della dea Athena. Spesso, nei racconti di mia madre, affiorava quest’aspetto, per lei deplorevole, della vita del nonno. 7 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 8 Ma poteva avere anche disertato, come avevano fatto molti garibaldini insofferenti della disciplina militare. I volontari della colonna di Amilcare Cipriani avevano disertato in massa perché non tolleravano la dura e pare insensata disciplina imposta dall’eroe della Comune di Parigi, come risulta dalle numerose lettere pubblicate dai giornali dell’epoca e in particolare dall’“Avanti!”. La soluzione del mio piccolo psicodramma – quando oramai disperavo di venirne a capo ed ero tentato dal desiderio di abbandonare - la trovai nel diario di guerra di due garibaldini imolesi, compagni d’avventura del nonno. Dopo uno scontro a fuoco con i turchi, avvenuto in Epiro – lontano quindi da Domokos – mio nonno aveva contratto il tifo ed era finito in un inglorioso letto d’ospedale. Un luogo poco ameno e meno eroico, ma preferibile – dico io oggi - all’infernale tritacarne di Domokos dove fu inviato il suo reparto e nel quale restarono per sempre non pochi suoi compagni e anche alcuni romagnoli suoi amici fraterni, a cominciare dall’onorevole Fratti. Se ho potuto salvare e narrare la piccola e singolare, oltre che insolita avventura bellica di mio nonno, lo devo a due garibaldini i quali, nella vita civile, facevano i giornalisti e all’epoca lavoravano nel settimanale socialista “Il Momento” di Imola. Mi ha fatto doppiamente piacere sapere di essere stato aiutato da due colleghi e compagni di lavoro e di fede, anche se hanno esercitato la professione oltre cent’anni orsono e, quindi, non li ho conosciuti. Ma gli sono grato egualmente. Anzi, doppiamente. N.S.O. 8 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 9 1) Un nonno appena conosciuto Senza preoccuparmi dei puristi della lingua romagnola e dei suoi tanti dialetti, potrei - dal momento che era un montanaro della Valle del Savio - dire fellinianamente «L’era e ba dla mi ma». Per me è il nonno materno che non ho conosciuto perché se n’era andato poco dopo il mio arrivo. Ma anche se ci siamo appena incrociati, lo conosco bene, pur avendo sempre saputo pochissimo della sua vita. Lo conosco bene e lo ricordo meglio perché per anni, quand’ero ragazzo, la prima cosa che vedevo quando mi alzavo la mattina era il suo ritratto in divisa di garibaldino. Si chiamava Depalmo Onofri. Quel nome laico - che non figura nell’elenco dei santi - era molto diffuso un tempo in Romagna. La cornice di legno laccato conteneva un’immagine a colori in un periodo - parlo degli anni tra il 1930 e il 1940 - in cui le foto riflettevano il bianco e il nero. Da un’immagine seppiata di fine Ottocento, un pittore-fotografo aveva ricavato una sagoma vuota, poi riempita e disegnata con pastelli. Arte minore, si dirà, se non artigianato, ma era il solo modo per tramandare nel tempo i colori autentici dell’epoca di mio nonno e della sua piccola epopea. Accanto al nonno - sulla parete che si trovava davanti al mio letto - mio padre aveva sistemato un quadro, una 9 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 10 pittura questa volta, di Giuseppe Mazzini. Sui quattro lati verdi della cornice spiccavano alcune scritte - passate alla porporina - che inneggiavano alla repubblica. Quei quadri hanno scandito i bellissimi, anche se poveri anni della mia infanzia. Sono stati per me molto importanti perché mi hanno accompagnato nelle prime letture, quando aprivo e divoravo le tante vite di Garibaldi, di Mazzini e degli eroi risorgimentali che mio padre comperava in continuazione. In quegli anni conoscevo a memoria l’inno di Mameli, non ancora inno nazionale. Quei due quadri qualche volta sono stati anche causa di paura, come quando, alla vigilia della guerra del 1940, un poliziotto - ma non era il primo - venne in casa nostra per controllare cosa facesse il sovversivo Gino Onofri, mio padre. Dopo essersi aggirato qua e là - ma la casa era di non grande metratura - ed avere aperto i cassetti della biancheria e la vetrina delle vivande, si fermò davanti ai due quadri. Al termine di un lungo calcolato silenzio, dopo avere emesso un sospiro che suonava rimprovero, disse a mio padre: «Sei messo male Onofrio». Fatta un’altra pausa - forse per vedere se era riuscito ad intimorire qualcuno, me compreso, che non perdevo una mossa né una parola - aggiunse: «Mazzini inneggia alla repubblica e tuo suocero ha la camicia rossa. Ti manca Garibbaldo». «No», replicò mio padre con un filo di voce - mentre mi parve di vedere un velo di tristezza, se non di paura nei suoi occhi - «Garibaldi è di là». Aprì una porta e mostrò una stanza ammobiliata modestamente, alle cui pareti campeggiavano un altro dipinto di Mazzini, senza 10 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 11 scritte, una foto d’Aurelio Saffi e un Peppino Garibaldi, con la camicia rosso fuoco, ritagliato da una dispensa dell’editore Zerbini e incorniciato in un telaio che aveva una qualche pretesa. Quando se ne fu andato il “questurino borbonico” com’erano chiamati certi personaggi nei quartieri dove sono nato e cresciuto, ma ad alcuni era concessa una certa dose d’umanità - posi non poche domande a mio padre. Non afferrai subito il nesso tra la camicia rossa di mio nonno, la repubblica di Mazzini e la parola sovversivo che quello sbirro aveva pronunciato in continuazione, ma fu come se un mondo nuovo si fosse materializzato davanti ai miei occhi. Capii che oltre al piccolo universo nel quale vivevo, ne esisteva almeno un altro del quale ignoravo tutto, anche se da tempo ne avevo intuito l’esistenza, in base ai discorsi dei miei genitori. Se non in quel giorno, certamente in quel periodo, in ogni caso quando scoppiò la guerra, cominciai ad essere indottrinato sistematicamente da mio padre e da mia madre. Avevo 13 anni, ma non ero alle prime armi perché da tempo, se non da sempre, mia madre era solita picchiare su un tasto, sempre quello. Per giustificare il modesto tenore di vita della famiglia, ricordava quasi quotidianamente a me e ai miei fratelli che nostro padre aveva fatto un lungo periodo di disoccupazione perché non iscritto al partito fascista. Anche se erano un operaio e una sarta - con una modesta frequentazione scolastica, avendo cominciato a lavorare dopo la terza elementare - risposero sempre alle mie domande. Quando non erano in grado di dare spiegazioni esaurienti, rimediavano con l’esperienza. Mio padre 11 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 12 con grande razionalità e anche con una certa cultura, frutto delle tante disordinate letture che faceva. Mia madre, un’affascinante affabulatrice, spesso con la fantasia, soprattutto quando ci parlava della sua triste infanzia, durante la quale aveva visto il padre sperperare una grande azienda agricola perché inadatto a dirigerla. Il suo viso cambiava radicalmente espressione quando dai guai familiari passava a parlare delle gesta militari del padre che aveva partecipato alla guerra d’indipendenza greca nel 1897 e combattuto contro i turchi a Domokos, nella colonna garibaldina comandata da Ricciotti Garibaldi, il primogenito di Peppino. Antimonarchico e iscritto alle organizzazioni mazziniane sin dalla giovinezza, oltre che antimilitarista convinto - a dire di mia madre aveva fatto pratiche illecite per eludere la chiamata di leva - a 37 anni era partito volontario come molti altri romagnoli, quando Ricciotti Garibaldi invitò la gioventù italiana ad accorrere in Grecia per aiutare gli abitanti dell’isola di Candia - oggi Creta - ribellatisi ai secolari dominatori turchi. Nell’aprile 1897 lasciò a Mercato Saraceno la promessa sposa Virginia Mordenti in attesa di un figlio, anche se, alla maniera romagnola del tempo, avrebbe celebrato le nozze dopo il lieto evento. Partì con tre amici e tornò ai primi di giugno con molti chili in meno perché debilitato dal tifo e dalla dissenteria. Ma era fiero e orgoglioso e in ottobre, quando gli nacque una figlia - mia madre - la chiamò Candia. Di mio nonno non ho saputo altro per molti anni. Conoscevo benissimo il suo volto e tutte le pieghe della divisa garibaldina, ma non molto di più, salvo il fatto che 12 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 13 a Domokos erano caduti l’onorevole Antonio Fratti e il suo caro amico Giovanni Capra, un socialista di Castel Bolognese. Fratti, oltre che suo amico, era il deputato repubblicano di Forlì eletto anche con il suo apporto, perché mio nonno era segretario della sezione del PRI di Mercato Saraceno “I figli dell’avvenire”. Per saperne di più - di lui e di quella guerra - ho dovuto sfogliare polverose carte d’archivio, più di un libro e non pochi giornali. Se sia riuscito a ricostruire completamente la sua breve epopea garibaldina non so. A me sembra esauriente, oltre che bellissima, anche se un tantino deludente perché ho scoperto che a Domokos, suo malgrado, mio nonno non andò e quindi non prese parte a quella battaglia, durante la quale i garibaldini si coprirono di gloria e salvarono l’onore militare della Grecia. 13 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 14 14 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 15 2) La gioventù italiana accorre in Grecia Tutto era cominciato nei primi mesi del 1897 quando il popolo ellenico - sfidando l’imbelle re di Grecia e i suoi pavidi figli, una dinastia danese imposta al paese - promosse un vasto e spontaneo movimento per l’enosis, l’unità di tutti i greci in una patria unita. Immediatamente in Italia - come nel resto dell’Europa - sorsero comitati Pro Candia o Filoellenici per solidarizzare con il popolo greco e condannare la secolare dominazione ottomana e i “barbari musulmani”. Nei giovani nati dopo le guerre risorgimentali e cresciuti nel mito di Garibaldi - come mio nonno materno - si accese «l’antico ardore volontaristico, rinverdendo il mito della guerra di liberazione, di redenzione dei popoli, il mito garibaldino per eccellenza» (1). Furono aperte sottoscrizioni e i segretari regionali del PRI, riunitisi a Bologna il 7 marzo, proposero di «promuovere spedizioni armate per la causa nazionale ellenica» (2). L’idea della spedizione, fatta propria dai figli di Garibaldi, ebbe successo anche se, morto da parecchi lustri “l’eroe dei 1) 2) L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza. 1957, p.135. “il Pensiero Romagnolo”, n.116, 25 aprile 1897. 15 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 16 due mondi”, non si sapeva chi l’avrebbe guidata. Ma, dal momento che era convinzione generale che un Garibaldi, prima o poi, ci sarebbe stato, gli aspiranti garibaldini si arruolarono a centinaia, nonostante le intimidazioni e gli ostacoli posti dal governo che non voleva noie diplomatiche. Per questo, tutto si svolse in silenzio, senza troppi squilli sui giornali e con grande riservatezza. Se i soldi delle sottoscrizioni uscivano con grande generosità dalle tasche di tutti gli italiani, i volontari provenivano, nella stragrande maggioranza, dalle file dei partiti della sinistra. Anche se non mancavano esponenti del centro democratico e della destra - mentre erano del tutto assenti i cattolici, perché contrari all’iniziativa - i più militavano in campo socialista, repubblicano ed anarchico. La regìa politico-organizzativa era stata affidata alla massoneria del Grande oriente d’Italia che aveva sede a Roma a Palazzo Giustiniani. Quanto alle motivazioni della scelta, chi avesse voluto interrogare gli aspiranti guerrieri avrebbe ricevuto le risposte più varie e disparate. Giuseppe Raffaele Serrantoni e Ercole Tamburini, due redattori de “Il Momento”, il settimanale del PSI d’Imola, quando tornarono dalla Grecia pubblicarono un bellissimo libro su quella guerra. Nella prefazione scrissero che erano partiti volontari perché i prinicipii socialisti «ci avevano insegnato che la patria non ha confine e che senza il compimento della propria nazionalità i popoli non possono avviarsi a conquiste economiche» (3). 3) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia. Aprile-maggio 1897, Imola, 1897, p.VII. Quando tornarono in Italia, almeno una 16 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 17 Per il deputato repubblicano Giovanni Bovio «Non si può combattere, non si può morire per un paese straniero, senza presentire la città universale..» (4). Per l’onorevole Fratti - un dotto umanista che non aveva nulla da dimostrare, avendo combattuto agli ordini di Garibaldi nel 1866 in Trentino, nel 1867 a Mentana e nel 1870 sui Vosgi in Francia - la guerra ellenica poteva essere anche un modo per rivivere spiritualmente un’epoca lontana secoli e un’occasione per visitare luoghi storici. Un suo biografo ha scritto che andò a combattere dopo aver messo nello zaino «una mezza biblioteca di libri di storia, d’arte e di letteratura della Grecia» (5). In Grecia si verificarono anche situazione tragicomiche, per troppa cultura. L’inviato del “Corriere della Sera” Adolfo Rossi ha scritto che, quando giunsero ad Atene, alcuni garibaldini freschi di studi classici ebbero «l’ingenuità di rivolgere la parola ai greci moderni in greco antico» (6). L’incomunicabilità non poteva essere più totale. Poi, per fortuna, tutti si misero a usare - almeno ad un 4) 5) 6) trentina di garibaldini pubblicarono i diari di guerra, mentre gli articoli di giornale e le lettere furono migliaia. Tra i libri, questo mi pare uno dei migliori perché gli autori hanno fatto, evitando toni retorici, un semplice resoconto degli avvenimenti, usando un linguaggio essenziale. Alcuni autori scrissero trattati di letteratura, scomodando la mitologia greca, mentre altri, per i loro diari di guerra, consultarono manuali militari. Bovio per Fratti, Discorso commemorativo pronunciato dall’On. Prof. Giovanni Bovio il 22 agosto 1897 nel Teatro comunale di Forlì. Foglio volante. A. Catelani, Antonio Fratti (Note biografiche), Roma, 1898, p.78. A. Rossi, Alla guerra greco turca. Aprile-maggio 1897. Impressioni e istantanee di un corrispondente, Firenze, Bemporad, 1897, p.38. 17 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 18 livello medio-alto - il francese. Gli operai e i contadini continuarono ad esprimersi a gesti. Cos’abbia spinto mio nonno a partire non lo so. Spero che lo stimolo gli sia venuto un poco da tutti questi motivi, anche se, da quanto mi diceva mia madre, non credo avesse grandi interessi culturali. Sicuramente non fu mosso da spirito d’avventura o dal bisogno di vincere la noiosa vita di un piccolo paese di montagna. Pare che abbia meditato a lungo prima di partire, anche perché non era giovanissimo e conduceva da sempre una vita molto agiata e comoda. Le mani lisce e senza calli erano il suo biglietto di visita. Partì da Mercato Saraceno il 12 aprile con i compaesani Egisto Gattamorta, Ugo Dolcini e Pirro Ricchi. Il settimanale del PRI di Forlì, pur non facendo nomi, scrisse che erano stati festeggiati nella sede del circolo mazziniano di Mercato, prima di partire «al fine di incorporarsi nella Legione Garibaldina in soccorso degli orientali che combattono per la loro indipendenza» (7). I nomi li fece il quotidiano bolognese “il Resto del Carlino”. In una breve corrispondenza da Cesena scrisse che «Provenienti da Mercato Saraceno, ove furono fatti segno a dimostrazioni di simpatia della popolazione, e salutati affettuosamente dagli amici, sono partiti stasera volontari per Candia…». Seguivano i quattro nomi con la specificazione che Gattamorta era socialista e gli altri repubblicani (8). Il 7) 8) Volontari per la Grecia, in “il Pensiero Romagnolo”, n.116, 25 aprile 1897. La partenza di volontari romagnoli, in “il Resto del Carlino”, 13 aprile 1897. 18 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 19 nome di mio nonno, tanto per cambiare e come avverrà per il resto della sua vita, era stato storpiato in Palmo. I quattro pagarono di tasca propria il biglietto del treno e partirono per la guerra. Prima tappa, Brindisi. Che cosa successe non lo so, ma restarono bloccati nella città pugliese per una settimana. Molto probabilmente l’organizzazione dalla massoneria non aveva funzionato a dovere. Fatto sta che il 18, quando con altri volontari romagnoli arrivarono a Brindisi, Serrantoni e Tamburini trovarono i quattro - indicati per nome nel libro - che si aggiravano smarriti tra le banchine del porto (9). Il giorno dopo, per loro fortuna, arrivò la motonave Cariddi che prese a bordo i volontari romagnoli e gli altri. Puntuale, “il Resto del Carlino”, in una corrispondenza dalla città pugliese, diede conto dell’imbarco con i nomi della maggior parte dei volontari, tra i quali i romagnoli e i bolognesi (10). Quella fu l’ultima volta che il nome di mio nonno apparve sui giornali. Dopo di allora il bisnonno Giobatta e la sua futura nuora, cioè mia nonna Virginia, non seppero più nulla di lui sino al ritorno dall’avventura greca. La guerra, per loro fortuna, durò un paio di mesi. Si può dire che i quattro aspiranti garibaldini di Mercato Saraceno e gli altri romagnoli presero in extremis l’ultimo... treno, anzi l’ultima nave per la Grecia perché, dopo la dichiarazione ufficiale di guerra tra greci e turchi, avvenuta il 18, il governo italiano vietò le partenze. Dalla lettura dei giornali risulta che furono centinaia 9) 10) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.2. Partenza di volontari italiani, in “il Resto del Carlino”, 19 aprile 1897. 19 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 20 i giovani rimasti arenati sulle spiagge o bloccati nei porti, molti dei quali dovettero andare ad imbarcarsi a Trieste, allora città austriaca, per cui non pochi arrivarono in Grecia a pace fatta. Anselmo Marabini - che nel 1919 sarà eletto deputato dai socialisti di Imola - ha scritto che alla fine di aprile, quando era già a bordo di una nave con un centinaio di volontari, intervenne un commissario del porto di Ravenna che li fece scendere a terra. Lui si recò a Brindisi e andò in Grecia spacciandosi per mercante di vini (11). La traversata della motonave Cariddi fu bellissima, grazie al mare tranquillo, e allietata dai cori dei volontari che cantavano in continuazione l’Inno di Garibaldi, l’Inno dei lavoratori e la Marsigliese. Dopo una sosta a Corfù, accolti festosamente dalla popolazione, sbarcarono a Patrasso e proseguirono in treno per Atene. Vi giunsero il 20. Appena messo piede a terra gli aspiranti garibaldini si resero subito conto di essere finiti - lo avevano previsto, ma non in modo tanto marcato - in un mondo del tutto diverso dal loro. Intanto il calendario era… sbagliato. Ma impararono presto a far collimare il calendario Gregoriano con quello Giuliano in uso nel mondo greco-ortodosso. Così come compresero subito che, anche se non si stancavano di gridare «Viva l’Italia» e continuavano ad offrire vino e sigarette, i greci non erano molto contenti di quella pacifica invasione di volontari. Sicuramente non lo erano i governanti e, meno che mai, la casa regnante, anche se dovevano fare buon viso a cattiva sorte. 11) A. Marabini, Prime lotte socialiste. Lontani ricordi di un vecchio militante, Rinascita, Roma, 1949, pp.272-6. 20 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 21 Nei primi giorni i volontari italiani, come quelli delle altre nazioni europee, furono ospitati in una caserma ricavata in locali di fortuna, perché nulla era stato approntato. Per questo Ricciotti Garibaldi, il comandante in capo degli italiani, fece sapere al comitato pro Candia di Roma di non inviare altri volontari perché «non si sa se la Grecia abbia il modo o l’intenzione di vettovagliarli» (12). Per dormire decentemente e mangiare in modo normale molti volontari, non ancora garibaldini, presero alloggio in alberghi e consumarono i pasti in trattoria. Tra questi, non dubito, vi dovette essere mio nonno che, quanto a soldi, doveva essere ben fornito. Solo che i baldi giovani ebbero grossi problemi con i cambiavalute che li truffavano e i commercianti che tutti i giorni aumentavano i prezzi. Al ritorno, uno di loro espresse così la sua delusione nel diario di guerra: «...credemmo di essere venuti in mezzo a un popolo degno discendente di quello che la storia ci ha insegnato» (13). Ma questo era ancora il meno. Ben più grave fu la loro delusione quando compresero che, se una parte del popolo si batteva per l’enosis, il re danese ed i suoi figli non ne volevano proprio sentir parlare di guerra. Il Diadoco Costantino, il principe ereditario, messo a capo dell’esercito e suo fratello Nicola, comandante dell’artiglieria, pare che avessero un solo pensiero, quello di non battersi con i turchi e di ordinare la ritirata dopo le prime fucila- 12) 13) Un’intervista con Ricciotti Garibaldi, in “il Resto del Carlino”, 22 aprile 1897. G. Papi, La guerra greco-turca. Note ed impressioni di un volontario garibaldino della colonna Mereu, Casalbordino, 1898, pp.11-2. 21 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 22 te. Ferdinando Cafiero, già ufficiale nelle guerre risorgimentali e ufficiale garibaldino in Grecia, ha scritto di Costantino: «Ma non si batte dunque mai questo signore?» […] «il principe coi suoi (è) sempre il primo a mettersi al sicuro» (14). Per colpa di Costantino, nonostante il valore di molti ufficiali e soldati greci, una grossa fetta della Tessaglia fu abbandonata ai turchi nei primi giorni della guerra, quasi senza combattere. Ma questo era ancora il meno del meno. Massimo fu il disappunto dei volontari arrivati in Grecia pieni di entusiasmo ed ardore, quando compresero che a quello greco doveva essere aggiunto il caos italiano. Il nostro non era il campo di Agramante, ma quasi. In Grecia era arrivato per primo, l’11 marzo, Amilcare Cipriani l’eroe della Comune di Parigi, con alle spalle decenni di colonia penale in Nuova Caledonia e di galera in Italia. Fedele ai suoi principii anarchici non volle rapporti con le autorità del paese e dopo avere organizzato una colonna con non più di cento uomini - non avevano divisa e non si chiamarono garibaldini - iniziò un lungo viaggio a piedi in su e giù per la Grecia alla ricerca dei turchi, con i quali ebbe un piccolo scontro in Epiro. L’unico risultato di queste lunghe maratone nelle pianure assolate o sulle montagne ancora innevate, fu quello di sfibrare e far ammalare i suoi volontari i quali, ad uno ad uno, lo lasciarono. Lui li accusò di essere dei pavidi e dei disertori e loro di essere un capo autoritario e incapace. 14) F. Cafiero, Alla guerra greco-turca del 1897. Impressioni di un filoellenico, Lucca, 1898, p.115. 22 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 23 Seguì una lunga polemica con lettere ai giornali e in particolare all’ “Avanti!” e con memoriali e contromemoriali. Il 18 aprile, stanco e sfiduciato per essere rimasto con pochi uomini, Cipriani sciolse la colonna (15). Dopo Cipriani, in marzo arrivò – ma si era preventivamente accordato con il governo greco - l’ex colonnello dell’esercito italiano Enrico Bertet con una colonna di oltre duecento garibaldini (16). Poiché la maggior parte dei volontari erano socialisti la colonna fu considerata uno strumento politico-militare del PSI, il quale aveva inviato in Grecia i propri militanti perché si esercitassero all’uso delle armi in vista della rivoluzione da fare in Italia. Questa tesi fu sostenuta da alcuni giornali italiani e, in modo particolare, dal “Corriere della sera”, il cui inviato Adolfo Rossi scrisse che non pochi socialisti erano in Grecia «principalmente per fare la rèclame al partito socialista» e che socialisti e anarchici erano «partiti con l’idea di esercitarsi in qualche esperimento rivoluzionario e per affermarsi come partito» (17). Era un ex colonnello, ma garibaldino, anche Luciano Mereu che aveva un glorioso passato (18). Allestì una colon- 15) 16) 17) 18) P. Guarino, La legione Cipriani nella guerra greco-turca, Napoli, 1897, pp.55. L’autore giustifica le diserzioni. Tutti i cosiddetti disertori tornarono ad Atene e si arruolarono nella colonna Mereu. Alcuni moriranno a Domokos. Per la legione Bertet cfr. O.C. Grossi, La legione Bertet in Grecia. Appunti e considerazioni, Roma, 1897, pp.103; N. Plata, La guerra greco turca. Impressioni e note di un volontario della legione Bertet (Manoscritto conservato al Museo del Risorgimento di Bologna). A. Rossi, Alla guerra greco turca, cit., pp.69 e 74. Mereu, a 17 anni, era stato con i Mille in Sicilia e in Aspromonte con Garibaldi. Nel 1863 andò in Polonia e combatté per l’indipendenza di 23 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 24 na prima dell’arrivo di Ricciotti, ma si mise ai suoi ordini quando il figlio “dell’eroe dei due mondi” sbarcò in Grecia. Il primogenito di Garibaldi fece subito sapere che potevano portare la camicia rossa e chiamarsi garibaldini solo i volontari che militavano nelle sue formazioni. Bertet – che non si qualificò mai come rappresentante del PSI - rivendicò l’uso della camicia rossa perché, disse, «non è un monopolio della famiglia di Garibaldi» (19). Un garibaldino ha scritto che, per risolvere la contesa, una mattina si presentò in caserma un ufficiale di Ricciotti il quale disse ai volontari: «Tutti quelli che sono venuti per Berthet fuori della caserma, gli altri rimangano» (20). Nacquero così due legioni garibaldine. Dopo una lunga disputa triangolare tra Ricciotti, Bertet e il governo greco, fu deciso che i due corpi avrebbero operato separatamente, pur vestendo tutti la camicia rossa. La differenza stava nel colore dei pantaloni: verde quello dei garibaldini di Ricciotti e grigio-azzurro gli altri. Pochi italiani - a conferma che erano quasi tutti socialisti, repubblicani e anarchici - si arruolarono nella divisione Filoellenica, una sorta di legione straniera comandata da ufficiali greci, per non dover giurare fedeltà al re greco-danese. La bandiera delle due legioni garibaldine era quella nazionale greca, con un nastro tricolore. 19) 20) quella nazione. Fu con Garibaldi nel 1866 nel Trentino e nel 1867 a Mentana. Nello stesso anno combatté contro i turchi a Creta e nel 1870 andò in Francia con Garibaldi. A. Rossi, Alla guerra greco turca, cit., p.72. P. Marincola Cattaneo, In Grecia. Ricordi e considerazioni di un reduce garibaldino, Catanzaro, 1897, p.19. 24 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 25 Mentre i capi questionavano fra loro sul colore delle divise, i garibaldini ingannavano l’attesa come potevano. Hanno scritto Serrantoni e Tamburini: «Nei momenti di tempo disponibile, noi visitammo i bellissimi monumenti, le strade, gli avanzi dell’antichità.» (21). Mio nonno e la maggior parte dei romagnoli - ma alcuni, come Anselmo Marabini d’Imola, andarono con Bertet - si arruolarono nella colonna Mereu. Ebbero finalmente la divisa e, soprattutto, il fucile. Era un Gras, un’arma francese a retrocarica nata vecchia - in un’epoca in cui furoreggiavano il tedesco Dreyse e lo Chassepot francese - che il governo parigino svendeva alle nazioni povere. Nella caserma di Atene i garibaldini si esercitarono alle armi per un paio di giorni, quasi certamente senza prove di tiro perché l’esercito greco era a corto di munizioni. Mio nonno, appassionato cacciatore, era pratico di fucili avendo fatto strage di daini, lepri e fagiani sin dalla gioventù. Tutti i volontari furono dichiarati abili, anche se continuarono ad aggirarsi per le strade di Atene come tanti turisti annoiati, 21) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.8. 25 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 26 26 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 27 3) La picola anàbasi di mio nonno Il 25 aprile Ricciotti, stanco di quella non guerra, decise che era giunto il momento di cominciare a fare la cosa per la quale lui e tanti giovani e meno giovani avevano lasciato la famiglia e il lavoro o gli studi in Italia e imbracciato le armi. Dopo avere avuto il permesso dal re, il quale sin dal primo giorno gli aveva intimato di non prendere iniziative senza il suo consenso, ordinò a Mereu di raggiungere l’Epiro. La colonna fu imbarcata su una nave che il giorno dopo le fece prendere terra a Zaverda, sul Mar Ionio. Con la coperta da campo a tracolla e il fucile in spalla, i garibaldini, quasi andassero a una scampagnata, raggiunsero a piedi Arta, una città situata in un luogo ameno e tranquillo, a ridosso del confine con la Turchia. All’epoca l’Epiro (che confina con l’Albania ed è bagnato dallo Ionio) era diviso a metà tra le parti. Grande fu la delusione dei garibaldini quando si resero conto di essere finiti non tanto su un fronte dimenticato se non abbandonato, quanto su un fronte dove greci e turchi se ne stavano tranquillamente al riparo nelle trincee, dopo essersi - forse - tacitamente accordati. Dopo una settimana di ozio forzato, Mereu informò il comando greco che la sua colonna avrebbe attraversato il confine e puntato su Jannina per liberare il nord dell’Epiro. Il primo maggio, con l’appoggio di alcuni reparti greci, 27 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 28 prese contatto con i turchi, i quali, non avendo gradito la variazione del programma, reagirono malamente. Dopo lo scambio di pochi colpi di fucile, hanno scritto Serrantoni e Tamburini, «vedemmo i Greci fuggire alla rinfusa verso Arta» con la conseguenza che «I volontari italiani allora si diedero a seguire i fuggitivi». Solo che, non potendo usare la strada controllata dai turchi, greci e garibaldini dovettero attraversare un fitto bosco privo di sentieri. Durante la notte, hanno scritto Serrantoni e Tamburini, «Ci perdemmo nel buio, ad ogni passo è un incespicare, un urtarsi, un cadere, un rotolare per avvallamenti di terreno». Quella marcia notturna al buio tra gli alberi e gli spuntoni delle rocce - costellata se non illuminata dalle spaventose bestemmie dei romagnoli, mentre gli ufficiali si sfiatavano a implorare il silenzio, perché i turchi potevano essere dietro ad ogni cespuglio - assunse presto i toni e le tinte di un dramma shakespeariano. Sicuramente divenne tale nei racconti di mia madre. Quella modesta anàbasi moderna mi veniva regolarmente in mente tutte le volte che al ginnasio leggevo Senofonte. Dire che i garibaldini avessero paura dei turchi è eccessivo. È vero però che facevano doppia attenzione a non cadere prigionieri. Ha scritto Ricciotti che all’inizio della contesa «i Turchi impalarono e arrostirono venti irregolari greci» e che annunciarono che «tale trattamento era riservato a tutti i volontari accorsi a combattere per la Grecia» (22) . Forse per questo, è sempre Ricciotti che scrive, i prigio22) R. Garibaldi, La Camicia Rossa alla guerra greco-turca 1897, Roma 1899, p.41. 28 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 29 nieri turchi «vennero tanto dai Greci quanto dagli Italiani uccisi senza pietà - e questo fu deplorevole» (23). Dopo quella notte di tregenda e le sette ore di duro e pericoloso cammino nel buio del bosco, i garibaldini raggiunsero le rive dell’Aracte in territorio greco «ove noi» - sono sempre Serrantoni e Tamburini che scrivono - «ad onta delle acque inquinate da carogne di cavalli e di capre galleggianti, ci dissetammo finalmente con grande ristoro delle fauci riarse». Purtroppo qualche giorno appresso - mentre i nostri erano tornati sulla linea di partenza e i turchi si erano rimessi a fumare il narghilè, dopo la ritrovata tranquillità - successe qualcosa di spiacevole. Almeno per mio nonno. Hanno scritto i due imolesi: «L’aria e l’acqua cattiva fecero ammalare alcuni di noi, fra i quali Onofri Dipalmo; e il giorno 5 gli infermi partirono per Atene donde guariti che fossero, avrebbero fatto ritorno in Italia» (24). Per mio nonno la guerra era finita, mentre per i suoi compagni stava per incominciare. Quella vera (25). Il 9 maggio Ricciotti - al termine dei soliti lunghi e complessi accordi con Bertet e il governo ellenico - ordinò a Mereu di rientrare ad Atene e di raggiungerlo a Domokos, in Tessaglia, dove lui lo precedeva con il gros- 23) 24) 25) R. Garibaldi, La camicia Rossa alla guerra greco-turca 1897, cit., p.155. G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., pp.19-23. Il nome di mio nonno non compare negli elenchi dei garibaldini che presero parte alla guerra greco-turca. Ricciotti Garibaldi, nel suo libro (cfr. nota 22) ha scritto che la maggior parte delle carte dell’archivio storico della spedizione andarono perdute durante la ritirata da Domokos ad Atene e che gli organici della legione furono ricostruiti alla meglio, una volta tornati in Italia. 29 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 30 so della legione, perché turchi e greci si stavano concentrando in quella località montana in previsione della battaglia decisiva. La nave che portò ad Arta i 600 garibaldini della colonna Bertet, mandata a presidiare un fronte dimenticato - mentre avrebbe potuto fare molto comodo a Domokos - riportò ad Atene quelli di Mereu (26). Dopo avere ricostituito le scorte, i garibaldini furono mandati a Lamia, via mare. A marce forzate, continuamente flagellati da una pioggia violenta, raggiunsero Domokos. Durante le nove ore quasi consecutive di cammino la colonna di circa 500 uomini - mille secondo altra versione, perché ad Atene si erano accodati non pochi sbandati e le nuove reclute arrivate dall’Italia - si spezzettò in tanti gruppetti. I garibaldini di Mereu arrivarono a destinazione alla spicciolata, con la divisa fradicia e le ossa rotte. Alcuni erano addirittura febbricitanti. La primavera inclemente aveva falcidiato le file dei garibaldini, mentre mio nonno e altri come lui facevano storia a parte avendo preso il tifo, con complicazioni intestinali. Intervistato da un giornalista de “il Resto del Carlino”, un garibaldino fece un quadro molto fosco sullo stato di salute dei volontari: «È da parecchie settimane che ci si mena su e giù per i monti della Macedonia» […] «Siamo stanchi morti, lo spossamento è tale che ci toglie il sonno, già contrastato dal freddo». E concluse «Noi siamo ormai una legione di febbricitanti e di reumatizza- 26) Nerino Plata, della legione Bertet, ha scritto che lui e i suoi compagni ebbero uno scontro con i turchi, durato un’ora, perché contravvennero agli ordini di Bertet. Stanco di non far nulla, con altri disertò e andò a Domokos, dove giunse a cose fatte (La guerra greco turca, cit.). 30 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 31 ti» (27). Non a caso, alla vigilia della battaglia di Domokos fu necessario organizzare un’infermeria per gli influenzati, in una piccola chiesa, alle spalle delle trincee. Andato a rapporto al comando di Ricciotti, per questi e altri problemi - i garibaldini non potevano cambiarsi le divise umide, perché non avevano ricambi, e dormivano all’addiaccio, perché quasi privi di tende - Mereu non era alla testa dei suoi uomini il 17 maggio quando i turchi attaccarono, con l’intenzione di dare il colpo mortale all’esercito greco. Erano forse 80 mila, contro 35 mila greci e circa duemila garibaldini. Sia pure a ranghi ridotti, perché i volontari continuavano ad arrivare a piccoli gruppi dopo essersi perduti durante la marcia forzata, la colonna Mereu fu collocata alla sinistra dello schieramento ellenico. Il grosso della legione garibaldina fu sistemato al centro e nessun italiano andò all’ala destra. Il comando della legione Mereu, per fortuna dei garibaldini e dei greci, fu assunto da Antonio Mosca, il vice capo. Era un ex sergente dell’esercito che aveva fatto le guerre risorgimentali e forse anche una campagna coloniale e che, quindi, conosceva bene il mestiere di soldato e sapeva per esperienza come si combatte. La guida morale della colonna fu assunta da Cipriani, aggregatosi ai garibaldini di Mereu all’ultimo momento. Svolse di fatto le funzioni di commissario politico. Trottando a piedi da una trincea all’altra, tenne alto il morale degli uomini e li incitò al combattimento. 27) R. Stevani, I nostri volontari in Grecia, in “il Resto del Carlino’, 24 aprile 1897. 31 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 32 32 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 33 4) I garibaldini combattono a Domokos I turchi sferrarono i primi duri colpi, verso la metà del pomeriggio, contro l’ala destra e i greci, dopo poche scaramucce, cominciarono ad abbandonare le posizioni. Quasi contemporaneamente andarono all’assalto dell’ala sinistra tenuta dai garibaldini della Mereu e da un reparto di Euzoni, un corpo greco di tiratori scelti. Pare che al momento dell’impatto fossero in trincea non più di quattro o cinquecento italiani, mentre il grosso dei garibaldini, guidato personalmente da Ricciotti, attese invano al centro l’assalto ottomano. Altri reparti italiani, perché lontani dai punti dello scontro, non furono impiegati. Impossibile dire con esattezza quanti garibaldini combatterono in quel giorno a Domokos perché i resoconti della battaglia sono uno diverso dall’altro. Furono calcolati tra i quattro e i cinquemila i turchi che fronteggiavano la Mereu. I garibaldini e gli Euzoni erano in alto, sotto la cima di una collina, e i turchi a fondovalle. Mosca - mentre l’artiglieria greca teneva sotto tiro i turchi avanzanti - ordinò ai garibaldini di tarare l’alzo dei Gras a 800 metri. Poi, a mano a mano che il nemico avanzava - nonostante i larghi vuoti provocati dal tiro mirato italiano e dalle cannonate greche - fece scalare a 700, 600, 500 e giù giù sino a 250 metri. Il tiro dei garibaldini era 33 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 34 preciso e micidiale e pochi colpi andarono sprecati. Quando la tacca dei fucili stava per raggiungere il punto più basso della scala, l’ex sergente diede un ordine fascinoso e terribile: «Baionetta in canna!». Pochi, se non pochissimi erano in grado di eseguirlo, perché la maggior parte di quei combattenti non avevano fatto il servizio militare. Ma tutti, sia pure con l’aiuto dei commilitoni, inastarono l’arma bianca che cominciò a lanciare minacciosi riflessi sotto i raggi del sole calante. Nelle trincee - hanno scritto Serrantoni e Tamburini, che erano della partita, anche se Serrantoni da anni aveva subìto l’amputazione del braccio sinistro - i garibaldini gridarono: «La camicia rossa non si ritira. Si ritiri il nemico» (28). Tutti erano molto eccitati, emozionati e forse impauriti da quella prova, ma nessuno si tirò indietro. Si rincuorarono l’un l’altro cantando e gridando slogan politici. Quando già i garibaldini erano pronti a lanciarsi all’assalto giù per il pendio, per respingere i nemici che salivano, i turchi si fermarono abbagliati e forse atterriti dalla lucentezza di quel muro di baionette. Dopo un attimo d’esitazione - ma ignoravano che fossero brandite da uomini poco o nulla esperti di arti marziali - cominciarono a ritirarsi ordinatamente. Erano soldati disciplinati e ben addestrati e tutti i garibaldini - come molti scrissero nei loro diari - riconobbero il loro valore. L’inviato dell’ “Avanti!” Giuseppe Ciancabilla - aggregatosi all’ultimo momento alla Mereu, dopo avere fatto 28) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.81. 34 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 35 parte della colonna Cipriani - scrisse del nemico: «Ma i turchi avanzano sempre. Nessuno di noi e dei greci stessi lo ha potuto negare. Quei nemici erano belli, erano splendidi!» [..] «E non ebbero un’esitazione, un’indecisione, un momento di sgomento. Avanti, avanti sempre!» (29). I garibaldini e gli Euzoni avevano fermato questi valorosi. Ma i turchi, falcidiati dai Gras, avevano vinto la battaglia. I greci dell’ala destra non solo non approfittarono dell’attimo di sbandamento degli ottomani per tornare sulle loro posizioni, ma abbandonarono definitivamente il campo. Quando il cannone tacque - si era combattuto dalle 16 alle 19 - i garibaldini salirono sulle trincee con il fucile carico in mano e per un istante guardarono le spalle dei nemici che si allontanavano, senza provare il desiderio di colpirli. Poi, hanno scritto i due imolesi, «fu un abbracciarsi affettuoso, un baciarsi ripetutamente l’un l’altro». La grande gioia fu interrotta quasi subito, quando cominciò la triste conta dei morti e dei feriti. «Li vedemmo così passare i poveri feriti dinanzi a noi, in lunga schiera, acclamanti all’Italia e al socialismo», conclusero la cronaca i due (30). I garibaldini ebbero 25 morti e tra loro l’onorevole Fratti e Giovanni Capra, gli amici di mio nonno. Una sessantina i feriti, tra i quali Cipriani e lo studente Alberto Calda che una decina d’anni dopo diverrà deputato socialista di Bologna. Anche il dolore durò poco perché prima di sera - mentre il sole tramontava facendo rifulgere maggiormente i 29) 30) G. Ciancabilla, La giornata di Domokos, in “Avanti!”, 25 maggio 1897. G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.36. 35 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 36 riflessi dorati del grano maturo - arrivò l’ordine della ritirata. Ancora una volta il Diadoco Costantino aveva scelto la soluzione sbagliata e meno onorevole. Furono abbandonati al nemico 17 cannoni con 34.318 proiettili e 8.169 fucili con 12.834 casse di munizioni, per non dire delle vettovaglie e il resto. I soldati greci, i garibaldini, con i loro feriti in spalla, e la popolazione atterrita che chiudeva la fila dei fuggitivi con carriaggi e greggi, camminarono un giorno e una notte per coprire i 50 chilometri che li separavano dalle Termopili. Nella storica località, che aveva visto il sacrificio di Leonida e dei suoi compagni, era stata sistemata l’ultima linea a difesa di Atene. Anche questa volta, per evitare le strade controllate dai turchi, i fuggitivi attraversarono folti boschi e luoghi impervi. Molti garibaldini si persero tra i monti e impiegarono alcuni giorni per arrivare a destinazione. Per fortuna di tutti, i turchi non sfruttarono a fondo la situazione voltasi a loro favore. Il principe Costantino, annotarono Serrantoni e Tamburini, «con una carrozza a due cavalli si era posto all’avanguardia di quell’orribile marcia» (31). Pur riconoscendo che molti greci avevano combattuto valorosamente e che «si lasciarono uccidere bene», Ciancabilla scrisse sull’“Avanti!” che dopo l’ordine di ritirata «ognuno se ne andò per suo conto» e che «cominciò la lunghissima sfilata di quel gregge soldatesco, che se ne andava impaurito, impressionato, istupidito». Dubito, aggiunse, «che questo popolo fiacco e imbelle abbia 31) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.38. 36 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 37 avuto tra i suoi antenati dei Leonida». E concluse: «… se un armistizio non giunge a tempo» i «turchi marceranno su Atene» (32). L’armistizio, imposto dalle grandi potenze europee ai turchi vittoriosi, arrivò in tempo e Atene fu salva. I garibaldini, per ringraziamento, furono invitati a tornarsene a casa di corsa. Il re, che aveva dovuto gestire una difficile crisi di governo nel bel mezzo della guerra e che sentiva di non avere la fiducia di oltre la metà del popolo, aveva deciso di liberarsi in fretta di quell’ingombrante presenza di sovversivi armati. Per lui, forse, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, era stata la notizia che a Domokos i garibaldini erano andati al combattimento, come scrisse l’ “Avanti!”, al grido di «Viva il socialismo», «Viva l’Internazionale» (33). A Bertet fu negato il permesso di fare sfilare la sua intatta colonna ad Atene, prima dell’imbarco, e Ricciotti rifiutò l’onorificenza che gli fu offerta. I garibaldini, che avevano ricevuto un “soldo” di 60 centesimi il giorno, ebbero un modesto premio di smobilitazione: venti lire e un pacchetto di sigarette. I feriti ne ebbero trenta. I reduci di Domokos furono imbarcati a Lamia e fu loro impedito di scendere a terra durante le soste nei porti. Solo ad Atene fu consentito a pochi di sbarcare per ricuperare i feriti e i malati - tra i quali mio nonno degenti negli ospedali. Poi, via di corsa verso casa. All’inizio di giugno giunsero a Brindisi i primi garibaldini che si affrettarono a prendere i treni per il nord. 32) 33) G. Ciancabilla, La giornata di Domokos, in “Avanti!”, 25 maggio 1897. G. Ciancabilla, Lettera dalla Grecia, in “Avanti!”, 29 maggio 1897. 37 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 38 Hanno scritto Serrantoni e Tamburini: «A Cesena cominciarono a scendere i nostri compagni romagnoli, Ricchi, Dolcini, Gattamorta e Onofri di Palmo» (34). Era la sera del 3 giugno, come annotò “il Resto del Carlino” in una corrispondenza da Cesena. Scrisse che «accolti festosamente alla stazione da una grande folla e al suono dell’inno di Garibaldi» erano scesi dal treno Dolcini, Gattamorta, Onofri e Ricchi (35). Pochi giorni dopo il giornale annotò che la sera del 7 «fu dato un banchetto d’onore ai nostri quattro valorosi reduci di Domokos» e che «la Democrazia mercatese (di Mercato Saraceno, N.d.A.) esternò i più caldi sentimenti di ammirazione per gli eroici compagni e di sincero compianto per i morti e i feriti di quella gloriosa battaglia» (36). L’epopea garibaldina si era conclusa, sia pure in modo insolito, anche per mio nonno. Come raccontava mia madre, riferendo i discorsi della nonna, impiegò mesi per rimettersi dai postumi del tifo e della dissenteria che lo avevano ridotto a pelle e ossa. A proposito della “colerina” del nonno, mia madre ricordava che Gattamorta, quando lo conobbe, era solito rievocare, molto divertito, quell’episodio. «Dolcini, Ricchi ed io» - le diceva - «che viaggiavamo a vino, in Grecia siamo stati benissimo, anche se era resinato. Quel patacca di tuo padre, che beve solo acqua, si è preso il tifo». 34) 35) 36) G.R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia, cit., p.44. Il ritorno dei garibaldini, in “il Resto del Carlino”, 4 giugno 1897. I garibaldini rimpatriati, in “il Resto del Carlino”, 9 giugno 1897. 38 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 39 5) Il governo scheda i garibaldini reduci dalla Grecia Mentre il popolo romagnolo e i reduci dalla Grecia festeggiavano - avendo trasformato in una grande vittoria la disfatta militare ellenica, solo perché il figlio di Garibaldi e i suoi garibaldini si erano battuti con valore e avevano lustrato il blasone di Peppino nella guerra durata poche settimane - polizia e carabinieri si misero a schedare i garibaldini a tutto spiano. Per mio nonno si limitarono ad aggiornare una vecchia scheda del 1893. Ma lui era nel “libro nero” della polizia sin dal 1884, quando aveva fondato, con il fratello Aldo, il circolo “I figli dell’avvenire”, che diverrà sezione del PRI dieci anni dopo. Il 14 dicembre 1896 - quando il governo aveva promosso il censimento delle sezioni del PRI, per accertare la consistenza del partito nato nel 1895 a Milano - il sottoprefetto di Cesena informò il prefetto di Forlì che i «40 giovinastri» del 1884 si erano ridotti a 12, che «L’associazione non è costituita militarmente e solo qualcuno dei soci prende parte alle esercitazioni del tiro a segno», ma che non avevano mai «dato luogo a fatti specifici interessanti l’ordine pubblico» (37). Mio nonno era 37) Archivio dello stato di Forlì, Gabinetto di prefettura, busta 171, cat.3, tit.1, vol.1, “Partiti sovversivi”. 39 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 40 uno di quei «qualcuno» che si esercitavano al tiro. Esperto cacciatore e buon tiratore, era solito girare con il fucile in spalla, come si legge nella scheda della polizia. La macchina poliziesca si era messa in moto contro i reduci dalla Grecia il 6 giugno 1897 quando il ministro dell’Interno, del governo di Antonio Di Rudinì, informò i prefetti che i garibaldini avevano dato «luogo ad inconvenienti gravi rendendosi pericolosi per l’ordine pubblico» greco e che, di conseguenza, occorreva «disporre sul loro conto attenta vigilanza» (38). Il 4 e il 6 luglio il sottoprefetto di Cesena informò il suo superiore che ai quattro garibaldini di Mercato, andava aggiunto Filippo Turchi di Cesena iscritto al PRI e che per tutti aveva disposto «la maggiore vigilanza» (39). Il 12 giugno 1898, quando inviò al prefetto di Forlì i risultati dell’aggiornamento delle biografie dei garibaldini del circondario di Cesena, il sottoprefetto puntualizzò che «Onofri De Palmo e non De Palmo Onofrio» è «un affiliato convinto al partito repubblicano di Mercato Saraceno, e ritengo che per isbaglio nel 1893, come risulta da un elenco in questi atti, fu dato in nota come anarchico». Comunque, «essendo egli un fervente propagandista capacissimo di organizzare associazioni e promuovere manifestazioni di partito, rendendosi pericoloso per l’ordine pubblico, è opportuno che figuri nello schedario biografico» (40). 38) 39) 40) Archivio dello stato di Forlì, Gabinetto di prefettura, busta 173, cat.4, tit.17, vol.1, “Guerra greco-turca”. Archivio dello stato di Forlì, Gabinetto di prefettura, busta 173, cat.4, tit.17, vol,1, “Guerra greco-turca”. Archivio dello stato di Forlì, Gabinetto di prefettura, busta 177, cat.4, tit.1, vol.3. 40 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 41 Solo che il 28 giugno 1898, quando aggiornò la scheda di mio nonno, il prefetto di Forlì scrisse l’esatto contrario. Si legge: «Ha poca educazione, di limitata intelligenza e nessuna coltura» (41). Non voglio difendere la sua memoria, ma avendo letto - per altri motivi - le 5.613 schede dei sovversivi bolognesi depositate all’archivio centrale di Roma, posso dire che il novanta per cento dei “biografati” sono descritti come poco intelligenti, ignoranti, violenti. Tutti - e anche questo è un dato comune alla maggioranza delle schede biografiche - godevano di cattiva, se non pessima fama e si comportavano male con la famiglia. Dopo di che il “ritratto” che il prefetto fece di mio nonno non poteva essere diverso da quello che fu. Di nonno Depalmo, secondo i racconti di mia madre, posso dire che era di modesta cultura, avendo frequentato le elementari, ma mite e di carattere dolce, anche se alla moda dei romagnoli dell’epoca - girava spesso con il fucile a tracolla, come confermano le condanne e le ammende collezionate. L’arma - e per me è già una colpa - la usava contro la selvaggina. Prese parte a numerose risse politiche con i cugini socialisti, con modeste conseguenze penali. Pagò numerose ammende, ma non fece un solo giorno di prigione. Se ebbe un difetto, fu quello di avere trascurato gli interessi della sua azienda agricola, per cui un bel giorno - anzi, un giorno molto brutto, secondo i dolorosi ricordi di mia madre - si ritrovò in mezzo alla strada. Seguirono anni bui per la famiglia, anche perché non 41) Archivio centrale dello stato, Casellario politico centrale, scheda di Onofri Depalmo. 41 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 42 sapeva fare un lavoro, avendo sempre esercitato, come si legge nella scheda della polizia, quello di «possidente». Nel gennaio 1910, non si sa bene in base a quale valutazione - anche perché mia madre di questa dolorosa parentesi della sua vita non parlava volentieri - attraversò l’Atlantico e andò a Boston. Due anni dopo, svanito il sogno americano, tornò a Mercato più povero di prima. Giusto il tempo di raccogliere le poche cose salvate dal naufragio della sua vita e poi un nuovo e definitivo trasferimento. A Bologna, questa volta, anche se non subito. Non andò a Cesena o Forlì perché tutto, uomini e cose, gli ricordavano il suo doloroso passato. Meglio un taglio netto. All’ombra delle Due torri esercitò lavori saltuari e marginali che gli consentirono di sbarcare decentemente il lunario. Mantenne intatti i propri ideali e, dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, chiese di partire volontario quando i figli di Ricciotti Garibaldi organizzarono una legione garibaldina in Francia, per combattere contro la Germania. Fu scartato per l’età e visse quell’avvenimento scorrendo le cartine geografiche dei giornali. Fu un interventista democratico, alla Salvemini e alla Bissolati - non alla Mussolini, tanto per intenderci - e auspicava il ritorno all’Italia di Trento e Trieste. Era un mazziniano interventista anche mio padre Gino - figlio di suo fratello Aldo - ma aveva avuto il torto di essere nato troppo tardi per potersi arruolare. Zio e nipote si consolarono come poterono e si rifecero quando nacqui imponendomi un nome impegnativo. Nel dopoguerra, a differenza di non pochi seguaci di Mazzini, mio nonno e mio padre non ebbero dubbi su 42 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 43 Mussolini. Non simpatizzarono e meno che mai si iscrissero al primo fascio fondato nell’aprile 1919 a Bologna da Pietro Nenni, sia pure su posizioni antimussoliniane. Furono decisi oppositori del secondo, quello ricostruito da Leandro Arpinati sulle rovine del primo, ma dopo avere espulso tutti i vecchi iscritti (42). Zio e nipote presero parte a più di uno scontro con i fascisti e subirono non poche bastonature. L’ultima - per mio nonno - fu nel 1924 quando una quindicina di squadristi penetrarono nella sede del circolo mazziniano in via Riva di Reno 77. Li guidava Arconovaldo Bonacorsi che conosceva tutti i seguaci di Mazzini per avere militato nel PRI sino a pochi anni prima. Ordinò ai suoi di distruggere tutto e di non risparmiare nessuno. «Tutti, meno quel vecchio lì», precisò, indicandolo con un robusto bastone da passeggio. Anche se romagnolo, mio nonno gli rispose alla bolognese: «Vecchio io? Caro te...» e giù con una tipica espressione dialettale. «Allora anche lui», tagliò corto Bonacorsi. Come mi raccontò più volte mio padre, seguì una “busseria” gigante, interrotta dall’intervento della polizia, quando le fiamme avevano già distrutto metà degli arredi della sede repubblicana. Tra le poche cose salvate, il quadro di Mazzini con la cornice verde e le scritte passate alla porporina e l’altro senza scritte. Mio nonno era vecchio - come gli aveva ricordato l’ex amico Bonacorsi - ma non vecchissimo, essendo nato nel 42) Per il primo e secondo fascio bolognese cfr. N.S. Onofri, La strage di Palazzo d’Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese (1919-1920), Feltrinelli, Milano, 1980, pp.326. 43 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 44 1860. Se n’andò alcuni anni dopo, senza avere mai preso una medicina, o avendone assunte pochissime secondo l’usanza del tempo. Ma non si trattava di una moda. Era la regola, tra i ceti medio-bassi, nell’epoca della cosiddetta selezione naturale. Correva l’anno 1928. Nonostante l’età avanzata, era ancora schedato, anche se giudicato non «più pericoloso». N.B. Nel 1945 - ritenendo di interpretare il pensiero di mio padre Gino, caduto nella lotta di liberazione - ho restituito alla federazione bolognese del PRI il quadro di Mazzini con le scritte inneggianti alla repubblica e l’altro senza scritte. Li ho consegnati personalmente al dottor Mario Protti, all’epoca segretario provinciale del partito mazziniano. Anni dopo ho saputo che non sono mai stati esposti nella sede repubblicana e nessuno sa dove siano finiti. 44 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 45 Bibliografia sulla guerra greco-turca del 1897 Avvenimenti, Gli, d’Oriente: la guerra greco turca, 1896-97. Cronaca illustrata, Treves, Milano, 1897, pp.252. A. Bianchedi, Un pensiero per A. Fratti, Forlì, Bordandini, 1902. F. Cafiero, Alla guerra greco-turca del 1897. Impressioni di un filoellenico, Lucca, 1898, pp.274. A. Catelani, Antonio Fratti. Note biografiche, Tiberina, Roma, 1898, pp.105. G. Cavaciocchi, La compagnia della morte, Napoli, 1898, pp.142. F. Cavallotti, Italia e Grecia, Catania, Giannotta, 1898, pp.168. (pp.103-59). P. Giangiacomi, La battaglia di Domokos, (Sonetti), Ancona, 1901, pp.27. R. Garibaldi, La camicia rossa nella guerra greco-turca del 1897, in “Nuova Antologia”, volume ottantaduesimo, 1899, pp.338-52. R. Garibaldi, La camicia rossa alla guerra greco-turca, Roma, 1899, pp.328. O.C. Grossi, La legione Bertet in Grecia. Appunti e considerazioni, Roma, 1897, pp.103. P. Guarino, La legione Cipriani nella guerra greco-turca, Napoli, 1897, pp.55. In memoria di Antonio Fratti, a cura di L. De Fazio, Roma, 1897, pp.117. L. Lotti, I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, Faenza, 1957, pp.510. G. Mambelli, La canzone a Fratti, Forlì, 1902. D. Manetti, Gente di Romagna, Bologna, Cappelli, 1924, pp.424. 45 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 46 A. Marabini, Prime lotte socialiste. Lontani ricordi di un vecchio militante, Rinascita, Roma, 1949, pp.329 (pp.272-6). P. Marincola Cattaneo, In Grecia. Ricordi e considerazioni di un reduce garibaldino, Catanzaro, 1897, pp.148. A. Panseri, Episodi di guerra. Impressioni di Creta e di Tessaglia, Bergamo, Cornazzani, 1899, pp.181. G. Papi, La guerra greco-turca. Note ed impressioni di un volontario garibaldino della Colonna Mereu, Casalbordino, 1898, pp.257. N. Plata, La guerra greco turca. Impressioni e note di un volontario della Legione Bertet, 1897. A. Rossi, Alla guerra greco turca, Aprile-maggio 1897, Impressioni e istantanee di un corrispondente, Firenze, Bemporad, 1897, pp.253. G. R. Serrantoni, E. Tamburini, Alla campagna di Grecia. Aprilemaggio 1897, Roma, 1897, pp.VIII+52. E. Socci, Grecia e Italia nella tradizione della Camicia rossa, in R. Garibaldi, La camicia rossa alla guerra greco-turca, Roma, 1899, pp.328. A. Spallicci, Antonio Fratti, Milano, Garzanti, 1965, pp.150. V. Valbonesi, Omaggio ad Antonio Fratti, Forlì, 1902, pp.12. S. Valori, I massoni a Domokos, in “Hiram”, 1980, n.3, pp.82-3. A. Zaccaria, Uomini politici di Romagna, Bologna, Zanichelli, 1895, pp.178. 46 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 47 Indice dei nomi Arpinati, Leandro, 43. Bertet, Enrico, 23, 24, 25, 29, 30, 37. Bissolati, Leonida, 42. Bonacorsi, Arconovaldo, 43. Bovio, Giovanni, 17. Cafiero, Ferdinando, 22. Calda, Alberto, 35. Capra, Giovanni, 13, 35. Catelani, Arturo, 17. Chassepot, Antoine Alphonse, 25. Ciancabilla, Giuseppe, 34, 35, 36, 37. Cipriani, Amilcare, 8, 22, 23, 31, 35. Costantino, Diadoco di Grecia, 21, 22, 36. Di Rudinì, Antonio, 40. Dolcini, Ugo, 7, 18, 38. Dreyse, Johann Nikolaus, 25. Fratti, Antonio, 5, 8, 12, 13, 17, 35. Garibaldi, Giuseppe, 10, 12, 24, 39. Garibaldi, Ricciotti, 5, 12, 21, 23, 24, 27, 28, 29, 31, 33, 37, 39, 42. Gattamorta, Egisto, 7, 18, 38. Gras, Basilio, 25. Grossi, O.C., 23. Guarino, Pasquale, 23. Lotti, Luigi, 15. Mameli, Goffredo, 10, 11. Marabini, Anselmo, 20, 25. 47 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 48 Marincola Cattaneo, Paride, 24. Mazzini, Giuseppe, 10, 11, 42, 43. Mereu, Luciano, 23, 25, 27, 29, 30, 31, 33, 34. Mordenti, Virginia, 12, 19. Mosca, Antonio, 31, 33. Mussolini, Benito, 42. Nenni, Pietro, 43. Nicola, fratello di Costantino Diadoco, 21. Onofri, Aldo, 39, 42. Onofri, Giobatta, 19. Onofri, Candia, 5, 12. Onofri, Gino, 10, 42, 44. Onofri, Nazario Sauro, 43. Papi, Gustavo, 21. Plata, Nerino, 23, 30. Protti, Mario, 44. Ricchi, Pirro, 7, 18, 38. Rossi, Adolfo, 17, 23. Saffi, Aurelio, 11. Salvemini, Giovanni, 42. Serrantoni, Giuseppe Raffaele, 16, 19, 25, 28, 29, 34, 35, 36, 38. Stevani, R., 31. Tamburini, Ercole, 16, 19, 25, 28, 29, 34, 35, 36, 38. Turchi, Filippo, 40. 48 MIO NONNO 19-03-2007 12:44 Pagina 49 49 MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina I Frontespizio della scheda di polizia. I MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina II Prefettura di Forlì Onofri Depalmo di Giobatta e di Galli Ninfa nato il 18 settembre 1860 a Mercato Saraceno (Circond. di Cesena, Provincia di Forlì), possidente, vedovo senza prole, domiciliato e residente a Mercato Saraceno, Circond. di Cesena, provincia di Forlì. Repubblicano. Cenno biografico al giorno 27 Giugno anno 1898. Nell’opinione pubblica riscuote poca buona fama. È di carattere vivace. Ha poca educazione, di limitata intelligenza e nessuna coltura. Ha frequentato le prime classi elementari e non ha titoli accademici. Vive di rendita. Frequenta la compagnia di affiliati al partito repubblicano. Con la famiglia non si comporta bene. Non ha mai ricoperto cariche ammve (amministrative) o politiche. È, dalla sua giovinezza, ascritto al partito repubblicano. Ha discreta influenza estesa anche ai paesi limitrofi al Comune di suo domicilio e specialmente a Cesena. È in relazione coi maggiorenti del partito repubblicano di Cesena. Non ha mai dimorato all’estero. Egli fondò il Circolo repubblicano a Monte Castello, frazione di Mercato Saraceno, ora sciolto e ne era Presidente. Non ha mai collaborato nella redazione di giornali. Riceve qualche giornale ed opuscolo repubblicano ma non ne spedisce. Fa propaganda fra gli operai con discreto profitto. Non è capace di tenere conferenze. trascrizione della scheda II MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina III III MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina IV Verso l’autorità si addimostra indifferente. Ha preso parte ad ogni manifestazione del partito cioè a riunioni, commemorazioni, anniversari. Non fu mai proposto né per l’ammonizione, né per l’assegnazione ad un domicilio coatto. Imputato di mancato omicidio fu dichiarato non luogo a procedere per insufficienza di indizio con ordinanza del 26 Novembre 1881 dalla Camera di consiglio presso il Tribunale di Forlì. Dal Pretore di Mercato S. il 17 Novembre 1883 fu condannato a L.5 di ammenda per porto di fucile. Dal detto Pretore il 24 Maggio 1892 fu condannato a L.15 di ammenda per contravvenzione all’Art. 488 del C.P. Dal Tribunale di Forlì fu condannato a un anno di carcere per ferimento con sentenza 15 maggio 1885. Per porto d’arma fu condannato a giorni 5 d’arresto e L.60 di multa con sentenza 29 dicembre 1892 dal Pretore di Mercato Saraceno. Con sentenza di detta Pretura, 6 Aprile 1894, fu condannato a giorni 8 di arresti per porto d’arma. IV MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina V V MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina VI 1903. Forlì 31 Luglio. Negativo. 1909. 31 Novembre. Ha chiesto ed ottenuto dalla Sottoprefettura di Cesena il passaporto per gli Stati Uniti dell’America del Nord. Sarà a suo tempo segnalata la partenza. 1910. 15 Gennaio. Il 4 andante è partito per Boston. 1911. 31.5. Continua a dimorare all’estero. È vigilato. 1912. 20.1. Ha fatto ritorno dall’America ed ha preso nuovamente dimora a Mercato Saraceno. VI MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina VII VII MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina VIII Forlì 31 Agosto 1921. Trasferitosi a Bologna ove abita in via Michele Antonio Colonna N.1 Pur professando principî repubblicani, non dà luogo a rimarchi sul suo conto; non esplica alcuna attività sovversiva e non è più pericoloso. VIII MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina IX IX MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina X Bologna 8 Maggio 1922. Pur mantenendosi ligio ai suoi principi repubblicani non dà luogo a speciali rilievi. Viene vigilato. X MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina XI XI MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina XII I garibaldini romagnoli. Il primo in alto a destra è Depalmo Onofri. Quasi sicuramente la foto è stata fatta in Grecia perché il terzo in alto da sinistra è Silvestrini e il secondo da sinistra in basso è Capra caduti a Domokos. XII MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina XIII I garibaldini a Domokos rendono omaggio ad Antonio Fratti caduto in combattimento (La stampa è tratta dall’opuscolo In memoria di Antonio Fratti). XIII MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina XIV I garibaldini sulla nave che li porta da Atene a Lamia in Tessaglia (Dal libro di Adolfo Rossi Alla guerra greco turca). XIV MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina XV I garibaldini sbarcano a Lamia in Tessaglia (Dal libro di Adolfo Rossi). XV MIO NONNO 16mo 19-03-2007 12:43 Pagina aI I garibaldini in marcia per raggiungere Domokos (Dal libro di Adolfo Rossi). XVI MIO NONNO COP 19-03-2007 12:44 Pagina 1