Erodoto (Alicarnasso, 490 circa-425 circa a.C.) Storico greco, nato in Asia Minore da famiglia aristocratica. Scrisse una delle più celebri opere dell’antichità, le Storie, in 9 libri, che gli valse da Cicerone il titolo di “padre della storia”. La parola storia (istorìe) infatti la si incontra per la prima volta in E. Viaggiò molto, recandosi anche nel vicino Oriente e in Egitto; infine si stabilì ad Atene, dove fu conquistato dalla ricchezza e vivacità del mondo culturale e politico, in cui vivevano personalità come Pericle e Sofocle, e dalla bellezza della città. Le Storie furono scritte, come affermò egli stesso, “affinché non sbiadisca col tempo il ricordo di ciò che fu prodotto dagli uomini, né rimangano prive di fama e di memoria le opere grandi e meravigliose compiute sia dai greci che dai Barbari”. I primi quattro libri esprimono una vivace curiosità per tutti gli aspetti della storia e della vita materiale, culturale e religiosa dei popoli che facevano parte dell’impero achemenide (famiglia regnante dell’antica Persia, 700-330 a. C.), da lui conosciuti nei suoi viaggi; gli altri cinque libri hanno un’ottica politico-militare, “grecocentrica” e filoateniese, e sono dedicati alle guerre persiane (490-479 a. C.), quando in due successive spedizioni i Persiani invasero la Grecia, ma furono respinti a Maratona, a Salamina e a Platea. Molto dibattuto è il problema della composizione dell’opera: si è pensato ad una fusione di varie monografie, poi unite insieme, oppure ad una storia essenzialmente persiana, poi estesa ad altri popoli che con i persiani vennero via via a contatto. L’opera, frutto del lavoro di un’intera vita, ebbe continui rimaneggiamenti e trasformazioni. Sin dall’antichità furono espressi severi giudizi sull’autore, perché egli appariva “meno scientifico” rispetto all’altro grande storico greco, Tucidide, a causa della presenza nell’opera di storie favolose e leggende, e della ambizione di allargare lo sguardo su ogni aspetto della vita umana e su vasti spazi geografici, oltre che per il fatto che essa appariva “filobarbara”. Le Storie di E. sono ancora un racconto di ciò che colpisce l’immaginazione di chi scrive: leggende, resoconti di ciò che è avvenuto e che si ritiene meritevole di essere raccontato. Non è ancora arrivata però l’esigenza e lo scrupolo dell’attendibilità, che avverrà con Tucidide. In ogni caso, la grandi capacità narrative dell’autore spiegano il fascino che l’opera ebbe e conserva tuttora. Solo di recente essa è stata completamente rivalutata, sia perché è stata accertata la sua attendibilità, sia perché l’approccio ad una storia “totale”, cioè che comprenda tutti gli aspetti della vita degli uomini, è in sintonia con le tendenze attuali della storiografia contemporanea. Tucidide (Atene, 460 circa- 404 circa) Storico greco, di famiglia ricca e influente. Scrisse la Guerra del Peloponneso, che narra in 8 libri il conflitto (431-404 a. C.) fra Atene e Sparta, e i loro alleati, in Grecia, in Sicilia e nel Mediterraneo, per l’egemonia sulla Grecia. Si concluse con la disfatta ateniese. Anche se la parola storia non compare mai nell’opera, con T. siamo però già in presenza di ciò che è storia per i moderni. I fatti, vagliati con il massimo scrupolo, sia quelli a cui lo storico ha assistito direttamente, sia quelli appresi da altri, sono al centro dell’opera tucididea. La sua eccezionale lucidità gli consentì di cogliere nessi anche tra avvenimenti lontani nello spazio e nel tempo, di evidenziare i reali moventi dei protagonisti, di prevedere le conseguenze a lungo termine delle scelte politiche e militari da essi compiute e, fattore non trascurabile per l’avanzamento metodologico, di vagliare l’attendibilità della testimonianza. Così, nella sua storia non c’è posto, com’era avvenuto con Erodoto, per il mitico, il favoloso, l’intervento divino: la sua è una storia tutta politica, tutta incentrata sui fatti e i loro svolgimenti politici e militari, senza digressioni su altre culture diverse da quella greca. L’opera, tra le più famose di tutti i tempi, rimase incompiuta, si 1 ferma al 411 a.C., perché a questo punto lo storico scelse di non scrivere più di avvenimenti lontani, e si dedicò solo ai fatti contemporanei, di cui poteva controllare le testimonianze. Adoperando tanto rigore egli ebbe la consapevolezza di scrivere un’opera non facile, e poco adatta alla lettura in pubblico e si pose con ciò, come fa esplicitamente in un passo del I libro, in contrasto con Erodoto e la cultura orale che questi rappresentava. Non c’è posto in T. per un’opera che sia attraente dal punto di vista artistico e che commuova o diletti. Egli infatti scriveva: “Riguardo…ai fatti verificatisi durante la guerra, non ho creduto opportuno descriverli per informazioni desunte dal primo venuto, né a mio talento; ma ho ritenuto di dover scrivere i fatti ai quali io stesso fui presente, e quelli riferiti dagli altri, esaminandoli, però, con esattezza a uno a uno, per quanto era possibile. Era ben difficile la ricerca della verità, perché quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia riuscirà, a udirla, meno dilettevole, perché non vi sono elementi favolosi; ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno indagare la chiara e sicura realtà di ciò che in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l’umana vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l’eternità è stata essa composta, non già da udirsi per il trionfo nella gara di un giorno”. (La guerra del Peloponneso, I, cap. 22) Allo storico interessava principalmente indagare sulla natura umana, per poter rendere la storia capace di prevedere i comportamenti degli uomini. Egli infatti era convinto che essa fosse immutabile e che quindi gli uomini si comportano più o meno allo stesso modo di fronte ad avvenimenti simili a quelli già accaduti. Così la conoscenza del passato significava poter meglio affrontare il presente e il futuro. Ciò che egli ha narrato “vince di mille secoli il silenzio”, è acquisizione perenne per l’umanità. La sua opera è il frutto di una grande intelligenza, di rigore nella critica della testimonianza e rappresentò da allora in poi un modello per tutti gli storici antichi, che sarà poi riscoperto dagli umanisti ed entrerà, con la “storia politica”, a far parte di un fattore costante della storiografia occidentale. Per il ruolo assegnato – con un pessimismo di fondo – sia alla morale individuale che alla politica è ritenuto un precursore di Machiavelli. Polibio (Megalopoli 200 a.C.-123-118 a.C. circa) Storico greco. Le sue vicende biografiche si intrecciano con gli eccezionali eventi storici ai quali si trovò ad assistere, cioè la conquista del Mediterraneo da parte di Roma e la sconfitta della Grecia, e che narrò poi nelle Storie. Dopo la sconfitta del sovrano macedone a Pidna (168 a.C.), Polibio fu tra i mille ostaggi inviati a Roma come garanzia del rispetto delle condizioni di pace. Questa esperienza dolorosa segnò un momento decisivo di svolta nella vita di P., orientando i suoi interessi verso la riflessione politologica e storica. A Roma egli fu adottato dal vincitore di Pidna, Paolo Emilio, che gli affidò l’educazione del figlio adottivo Scipione Emiliano. Aderì al programma culturale e politico del «circolo» degli Scipioni, che mirava alla fusione della cultura romana con quella greca, e alla evoluzione dello stato in senso monarchico. Le Storie di P., in 40 libri, di cui se ne conservano solo 5, sono una acuta riflessione sulla sorprendente ascesa della potenza romana e sui motivi che l’hanno determinata. Studiando i meccanismi di funzionamento dello stato e dell’organizzazione politica e militare romana, si convinse della superiorità di quest’ultima su quella greca. Egli si prefisse di comprendere “come e grazie a quale sistema di governo i romani abbiano vinto e ridotto sotto il proprio esclusivo dominio quasi tutto il mondo abitato”. Per P. infatti lo scopo dello storico è la ricerca delle cause “poiché – egli affermava – se si tolgono dallo studio della storia le cause, i mezzi e gli scopi che determinarono gli eventi e quale esito felice o infelice ebbero, ciò che resta nella storia è spettacolo declamatorio, non opera istruttiva, e se produce un momentaneo godimento, non giova affatto per il futuro…Le parti indispensabili della storia sono quelle che considerano le conseguenze, le circostanze concomitanti e specialmente le cause degli avvenimenti”. 2 Lo storico individuò i presupposti della potenza romana nella costituzione mista dello stato, che partecipava della forma monarchica (i consoli), aristocratica (il senato) e democratica (i tribuni della plebe), la quale rendeva meno forti le tensioni politiche e sociali. Il modello di P., anche se non è mai nominato nelle Storie, fu Tucidide, sia per la scelta di una storia di tipo politico-militare, sia per la scientificità a cui cercò di attenersi. Anche se egli rimase inferiore a Tucidide quanto a profondità di analisi, le Storie ebbero tuttavia grande fortuna e furono la fonte principale per Tito Livio e poi per altri storici romani. Scriptoria Termine latino medievale: officina scrittoria (da cui scrittoio). Locali annessi ad una chiesa, soprattutto cattedrale sede di vescovato, oppure ai monasteri, dove gli amanuensi (scribi) si dedicavano alla copiatura dei manoscritti, o anche alla manifattura dei codici (preparazione di pergamene, confezione dei fascicoli, legatura). Si moltiplicarono con la diffusione della regola benedettina che faceva per il monaco un obbligo il lavoro di copiatura. Oltre a scritti religiosi, si copiarono molti testi dell’antichità classica, ritenuti indispensabili per non disperdere la conoscenza della lingua latina, che nel XIV e XV secolo furono riscoperti dagli umanisti. Niccolò Machiavelli (Firenze 1469-ivi, 1527) Storico fiorentino, ambasciatore della repubblica della sua città, egli compie nelle sue opere una acuta analisi della realtà storica del suo tempo. La discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia (1494) e le guerre che ne erano seguite avevano mostrato la debolezza degli stati italiani rispetto alle grandi monarchie nazionali europee del tempo (Francia, Spagna, Inghilterra), le quali erano dotate di considerevoli eserciti e di un forte potere monarchico accentrato. M. si pone dunque il problema del mantenimento del potere da parte del principe. Egli scrisse le sue opere libero da qualsiasi condizionamento teorico e anche da quello stesso religioso, basandosi sulla “realtà effettuale” della natura degli uomini e della società. Le sue opere maggiori furono scritte dopo il ritiro dalla vita pubblica (1513). Nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1513-1519) mise a confronto gli eventi narrati dallo storico latino Tito Livio (59 a.C.-17 d.C.) con la realtà contemporanea e indicò chiaramente nelle religione «civile» dei romani un esempio da seguire. Scrisse anche Dell’arte della guerra ((1519-1520), nella quale affronta il problema degli eserciti mercenari, e le Istorie fiorentine (1520-1525), che narrano la storia di Firenze dalle origini al 1492, opera in cui si trovano tutti i temi più rilevanti del pensiero storico-politico di M. Egli ebbe una grandissima capacità di analizzare il presente e proporre soluzioni per il futuro; in ciò presenta quindi molti punti in comune con gli storici dell’antichità, ai quali si ispirava. La sua opera più importante è il Principe (1513), nella quale analizza le doti che il signore di uno stato deve possedere per mantenere il potere: era necessario, secondo M., che il principe facesse assegnamento unicamente sulle proprie virtù e sulla fortuna, senza condizionamenti morali e religiosi. Egli si pose quindi un problema fondamentale: quello dei rapporti tra le ragioni della politica, che coerentemente alla sua formazione umanistica cercava nel modello del mondo classico, e la visione della morale del tempo, che identificava nel cristianesimo. Machiavelli è ritenuto il fondatore della moderna scienza politica. Acta sanctorum Raccolta di biografie di santi promossa da un piccolo gruppo di gesuiti belgi (bollandisti, da Jean Bolland -1596-1665- gesuita belga fondatore dell’agiografia moderna) che nel XVII secolo 3 decisero sotto la guida appunto di J. Bolland di pubblicare per ogni giorno dell’anno le vite dei santi ricordati dalla chiesa universale. L’opera prese l’avvio ad Anversa con la stampa nel 1643 dei due tomi relativi ai santi del mese di gennaio e, a partire da quel momento, continuò incontrando il consenso della critica erudita. Iniziata con lo scopo di fornire una risposta apologetica alle tesi protestanti sui falsi contenuti dell’agiografia, l’opera si caratterizzò per l’elaborazione e l’applicazione, dovuta in particolare a Daniel van Papenbroeck, della fondamentale regola del metodo storico-critico, secondo la quale ogni affermazione deve essere suffragata da documenti autentici e attendibili. Interrotta nel Settecento, l’opera riprese negli anni Trenta dell’Ottocento a Bruxelles e continuò sino agli anni novanta del Novecento. Jean Mabillon (1632-1707) Erudito francese, appartenente all’ordine dei benedettini di Saint-Maur, congregazione che fece allora dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, a Parigi, un centro di studi di grande rilievo. Egli nel 1664 vi fu chiamato come aiuto bibliotecario. Il campo di studi dei padri maurini abbracciava i padri della Chiesa greci e latini, la storia della Chiesa, la storia dell’ordine benedettino. Nel 1681 Mabillon per confutare Papenbroeck scrisse il De re diplomatica, prima enunciazione scientifica dei principi che regolano la diplomatica (v.). Quest’opera pone le basi e fissa le regole che permettono di discernere l’autenticità degli atti pubblici o privati. La parte teorica presenta una reale severità di metodo necessario nel leggere i documenti, accertarne l’autenticità e confrontarli fra loro. Inoltre, attraverso lo studio sistematico delle fonti, mostra la volontà di determinare l’ampliamento della massa di documenti a disposizione degli studiosi, cosa che consentì uno conoscenza analitica del Medioevo. Archivio (v. anche la voce Archivio in pdf ) Il termine archivio ha sempre una duplice accezione, poiché indica sia il complesso documentario sia il luogo fisico, i locali di conservazione. Molte sono le definizioni che si sono susseguite nello sviluppo della teoria e della dottrina archivistica; indichiamo quella più completa: L'archivio è il complesso di documenti posti in essere nel corso di un'attività pratica, giuridica, amministrativa e per scopi pratici, giuridici e amministrativi, e perciò legati da un vincolo originario, necessario e determinato, e quindi disposti secondo la struttura, le competenze burocratiche, la prassi amministrativa dell'ufficio e dell'ente che li ha prodotti; struttura, competenze, prassi in continua evoluzione e perciò diversi da momento a momento, secondo un processo dinamico continuamente rinnovantesi. L'archivio nasce dunque “involontariamente”, spontaneamente, ed è costituito non solo dal complesso dei documenti, ma anche dal complesso delle relazioni che intercorrono tra i documenti (Elio Lodolini, Archivistica: principi e problemi, Milano, Franco Angeli 1995) Il termine «archivio» (dal greco archeion, che indicava sia la residenza dei magistrati, gli arconti, sia la documentazione da essi prodotta durante lo svolgimento delle loro attività amministrative) e dal latino tardo archium/archivum/archivium, ha mantenuto questo duplice significato: complesso di documenti prodotti o ricevuti da una persona fisica o giuridica, pubblica o privata nel corso dello svolgimento della propria attività e destinati ad essere conservati; luogo di conservazione. Fin dal mondo antico l’archivio costituisce la registrazione della memoria di un popolo. Da quando l'uomo si è costituito in società ha sentito il bisogno di tutelare la propria memoria storica e quindi la propria identità, e l'Archivio è un “corpo” di memoria. La causa prima della costituzione di un archivio è quindi l'esigenza di memoria in quanto auto-documentazione. In questo senso la memoria, per essere conservata, deve essere anche tutelata, protetta e organizzata. L'archivio diventa quindi anche struttura, edificio, si dota di regole e strumenti di conservazione, selezione, trasmissione. Occorre sottolineare, come scrive J. Le Goff, che la memoria collettiva “ha costituito un'importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle 4 massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società storiche" (J. Le Goff, Memoria, in Storia e Memoria, Torino, Einaudi 1986). Nell'analisi dell'Archivio non bisogna vedere il totale rispecchiamento tra l'Archivio e il soggetto produttore: esiste uno scarto tra la realtà dell'archivio e la realtà storica dell'ente, causato da una serie di fattori e condizionamenti empirici e storico-culturali di cui sono oggetto i processi di documentazione, primo fra tutti il rapporto con il potere (“i documenti sono l'immagine che il potere sceglie di conservare di se stesso nel futuro”, scrive Isabella Zanni Rosiello, Archivi e memoria storica, Bologna, Il Mulino 1987). La definizione dell'archivio in epoca romana e durante il periodo medievale è “locus in quo acta pubblica asservantur, ut fidem faciant” (luogo in cui si custodiscono gli atti pubblici affinché facciano fede). In epoca moderna viene aggiunta “ad perpetuam rei memoriam”, affermando così il valore della conservazione permanente della documentazione conservata nell'archivio. Fino alla metà del 1500 il fine della conservazione dei documenti d'archivio era essenzialmente giuridico (anche se non veniva escluso lo scopo di studio): in seguito gli archivi vengono "scoperti" dalla storiografia, cominciano ad essere interrogati in maniera diversa, diventano oggetto di studio, nascono la teoria e la disciplina archivistica e cominciano a delinearsi quelle che sono le caratteristiche peculiari dell'archivio (per esempio rispetto ad una biblioteca, o ad una raccolta di documenti) e gli elementi costitutivi. Gli archivi italiani costituiscono il patrimonio documentario più antico e più vasto al mondo: essi presentano diversità e disomogeneità rilevanti, eredità del particolarismo istituzionale e culturale che ha caratterizzato la storia d'Italia fino al XIX secolo, al quale ha corrisposto “un altrettanto diffuso e perdurante particolarismo di modi e di forme di produzione di documenti e di Archivi veri e propri” (Isabella Zanni Rosiello, Andare in archivio, Bologna, Il Mulino 1996). La realtà degli archivi italiani è quindi molto complessa e variegata, e le problematiche ad essa connesse sono molteplici e difficilmente riassumibili. L'Archivio è ormai un “bene culturale”, non perché conserva tutto, “ma perché rispecchia, nella conservazione e nell'eliminazione, i criteri e i valori di una data cultura”. (M. Stanisci, Elementi di Archivistica, Udine 1982). E’ di notevole rilievo il “mestiere dell'archivista” (M. Bloch) come ricercatore e come mediatore della ricerca, fondamentale in quanto conoscitore dell'archivio, della sua struttura, della sua storia e del suo patrimonio documentario. Il “documento archivistico” Sinché l'archivistica è rimasta entro l’ambito tradizionale dei supporti cartacei, e soprattutto dei documenti dell'età medievale e moderna, la Diplomatica (e la sua definizione di documento) era la disciplina di riferimento (v. Scienze ausiliarie della storia, Diplomatica). Ma bisogna sottolineare che il concetto di documento ha subito negli ultimi decenni una grande evoluzione, parallela a quella dei mezzi di comunicazione. Il concetto di documento, rispetto alla definizione tradizionale, oggi si è ampliato oltre il rapporto con la natura giuridica del suo contenuto, rimanendo pur sempre “strumento e residuo” di un’attività pratica. L'idea dell'allargamento delle tipologie documentarie è ben resa dalla definizione che ne viene data dalla studiosa Paola Carucci: “Cosa mobile, prodotta su un supporto (un foglio di carta, un nastro magnetico, un disco, una pellicola cinematografica, una lastra radiografica, un negativo, ecc.) tramite un mezzo scrittorio (penna a inchiostro, penna a sfera, matita, macchina da scrivere, stampante, ecc.) o un dispositivo per fissare l'immagine o la voce, o, contestualmente, l'immagine e la voce." (Paola Carucci, Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma, La Nuova Italia Scientifica 1987). Per quanto riguarda in particolare il documento cartaceo, bisogna tenere presenti i cambiamenti avvenuti nell'ambito delle materie e delle tecniche scrittorie che ne hanno determinato una costante evoluzione, le caratteristiche della redazione materiale e i caratteri formali e sostanziali del documento. Bisogna infatti considerare le modificazioni avvenute nel corso del tempo relative ai supporti scrittori (dal papiro, alla pergamena, alla carta, al supporto elettronico); agli strumenti scrittori (stilo, penna, inchiostro, macchina da scrivere, ecc); ai meccanismi della copia e della produzione scrittoria (dalla copia manoscritta (amanuensi), alla stampa, al ciclostile, alla fotocopia, ecc.) Differenze tra archivio e biblioteca E' stato detto che la prima registrazione scritta della memoria è nata per finalità pratiche di autodocumentazione: sul piano cronologico, quindi, nascono prima gli archivi delle biblioteche. Per molto tempo archivi e biblioteche sono stati assimilati sia sotto il punto di vista legislativo sia dal punto 5 di vista della teoria e delle tecniche di gestione e organizzazione. La confusione tra Archivi e Biblioteche nasce da alcune somiglianze superficiali (materie scrittorie, organizzazione degli spazi interni alle strutture, ecc.), mentre sfuggiva la natura di entrambi, che è un elemento di enorme diversificazione: l'archivio è un complesso organico di documenti, la biblioteca una collezione di libri non legati necessariamente tra loro da un rapporto storico o causale. Con l'affermazione del metodo storico (v.), Archivi e Biblioteche si separano e diventano sempre più frequenti le riflessioni non solo sulla loro diversità ma sull'antitesi che li separa profondamente. Archivistica Scienza che tratta degli archivi in quanto ne studia l'origine, la formazione, gli ordinamenti, la utilizzazione e la regolamentazione giuridica" (L. Sandri, Archivi di Stato, in Enciclopedia del diritto, Milano 1958, vol.II) Archiviazione Operazione con la quale documenti, fascicoli, registri, scritture in genere, vengono ordinatamente conservati nei locali dell'archivio utilizzando scanalature, armadi, classificatori, schedari ecc. destinati a tale uso. (R. De Felice, L'Archivio contemporaneo, Roma, NIS, 1992) Risponde al bisogno di conservare il materiale documentario in modo razionale e uniforme per renderlo recuperabile alla ricerca. Soggetto (Ente) produttore E’ il termine tecnico che designa chi materialmente produce documentazione quindi archivi. L’archivio si può definire "aperto" o "chiuso" a seconda se sia in corso o esaurita l’attività dell’ente. L’archivio è detto “storico” quando in esso viene versata la documentazione prodotta anteriormente all’ultimo quarantennio, che ha perso l'originale valore giuridico-amministrativo, acquistando valenza storico-culturale. L’archivio storico custodisce, pertanto, la documentazione destinata alla conservazione definitiva. Metodo storico Il metodo storico consiste nel riordinare l'archivio ricostituendone l'organizzazione originaria nella quale si riflette (non automaticamente, bensì in forme molto varie) il rapporto tra funzioni svolte dall'ente e documenti prodotti, i quali risultano tra loro legati da un vincolo di necessità (vincolo archivistico), costituitosi fin dall'epoca in cui i documenti venivano posti in essere. (Paola Carucci, Le fonti archivistiche: ordinamento e conservazione, Roma, NIS, 1990). Il concetto e l'elaborazione teorica intorno al "metodo storico" è specificamente italiano. In altri paesi è stato definito secondo criteri e locuzioni leggermente diversi. Inventario E’ lo strumento fondamentale per eseguire le ricerche: descrive tutte le unità che compongono un archivio ordinato. L'inventario, a differenza dell'elenco, presuppone che il fondo sia ordinato. Può essere analitico o sommario, a seconda del grado di analiticità adottato nella descrizione di ciascuna unità . (...) L'inventario deve essere corredato di indici, tanto più necessari quanto più è analitico. In certi casi la schedatura usata per l'ordinamento può essere usata per l'inventario, magari apportandovi qualche modifica e integrazione. (P. Carucci, Le fonti archivistiche, cit.). Fondo L'insieme della documentazione, senza distinzione di tipologia o di supporto, organicamente prodotta e/o accumulata e usata da una determinata persona, famiglia o ente nello svolgimento delle proprie attività e competenze. (P. Carucci, Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma, NIS, 1987). Provenienza (o soggetto produttore) L'organismo o la persona che ha prodotto, accumulato e/o conservato e usato la documentazione nello svolgimento della propria attività personale o istituzionale. Bibliografia: DGA (Direzione Generale degli Archivi)_ Glossario dei termini archivistici (accluso al Materiale didattico integrativo): http://www.archivi.beniculturali.it/tools/DGA-glossario/Glossario: http://www.retelilith.it/sito/glossa.htm 6 Cenni sulle fonti scritte -Fonti documentarie Diplomi (atti emanati da imperatori, re; il termine indica in generale una scrittura documentaria medievale, v. Diplomatica), bolle papali, istruzioni e dispacci di ministri degli esteri, relazioni e carteggi di ambasciatori, registri di cancelleria (papale, imperiale e principesca), registri ecclesiastici (v. allegato in pdf), registri parrocchiali (conservano a partire dal Concilio di Trento e fino al 1865 atti di stato civile: nascite, matrimoni, morti), atti di amministrazioni pubbliche (sia di natura politica che amministrativa), statistiche, bilanci, catasti, ecc. Inoltre, atti di contenuto privato: testamenti, donazioni, atti di compra e vendita o di affitto di terre o case, inventari di case o negozi, registri contabili di mercanti o di monasteri, epistolari ecc. -Fonti narrative Biografie, autobiografie, annali, cronache, memorie, iscrizioni (v. epigrafia), diari, lettere, agiografie (v. Acta sanctorum), romanzi e commedie, e infine giornali, riviste, libri, opuscoli. a) Biografia Narrazione della vita e dell’opera di un individuo che ha svolto un ruolo di rilievo e quindi per questo motivo ne viene ricostruita l’attività. Non si limita necessariamente ai soli fatti pubblici, ma si preoccupa di delineare lo sviluppo intellettuale, politico, morale di quella personalità. Lo storico può incorrere nel pericolo di “romanzare” la vita del protagonista, oppure di limitarsi a scegliere e disporre il materiale a disposizione. Occorre inserire la vita di cui si narra nel contesto spirituale, politico e culturale dell’epoca, collegarla al contemporaneo sviluppo dei fatti e delle idee. Ancora più problematica come fonte è l’autobiografia. b) Annali (e annales monastici) Racconti impersonali e molto sintetici, spesso continuati per diverse generazioni, che registravano gli eventi anno per anno. Venivano compilati nei conventi più importanti, o in altri istituti religiosi, spesso commissionati da principi o uomini di stato. Gli annali dell’Alto Medioevo erano quasi esclusivamente opera di ambiente monastico. Inizialmente furono creati sulla base di annotazioni che venivano poste sulle tavole indicanti per ogni anno la data di Pasqua. Persero importanza nel tardo Medioevo. c) Annalistica romana Genere storiografico antico che inaugurò la produzione ufficiale latina. Caratterizzato dalla narrazione anno per anno in forma schematica e cronologica, ebbe carattere ufficiale e sacro. Negli Annales i pontefici registravano annualmente gli avvenimenti più significativi. Ebbe origine alla fine del III sec. a.C. in forma poetica (Ennio e, in parte, la Guerra punica di Nevio) e proseguì poi in prosa: in prosa scrissero in greco Fabio Pittore, Lucio Cincio Alimento e altri, e poi Publio Cornelio Scipione, figlio di S. l’Africano. La prima opera storica in prosa latina, scritta come reazione al greco degli annalisti, fu quella di Catone il Censore (274-149 a.C.) Origini (7 libri, dalla fondazione di Roma ai suoi tempi, ne sono pervenuti solo frammenti); da allora in poi si abbandonò la lingua greca. Grande dignità letteraria il genere raggiunse nel I sec. a.C. con Livio, che in questa forma codificò la storia ufficiale di Roma. La forma annalistica fu adottata anche nel I sec. d.C. da Tacito, anche se ormai erano del tutto cambiate, rispetto agli inizi, le condizioni letterarie e politiche. 7 d) Cronaca Forma primitiva e molto semplice di narrazione storica, presente all’inizio della storiografia di tutti i popoli, acquistò in Europa particolare rilievo nel Medioevo. Nella cronaca non vi è valutazione critica, non si considerano cause né ripercussioni degli avvenimenti. Non può quindi definirsi storia. Seguendo uno schema annalistico, la c. tenta di ricostruire la cronologia del passato, descrivendo sinteticamente eventi in successione. Inizialmente furono gli ecclesiastici a dedicarsi alla stesura di cronache in latino. Così furono scritte nell’VIII sec. le storie dei longobardi e dei romani di Paolo Diacono, nel XII sec. le storie universali di Goffredo da Viterbo e quelle particolari di Milano, Genova e della Sicilia. Dalla fine del sec. XII l’attenzione si spostò dalle cronache universali o monastiche alla storiografia cittadina e le c. in genere riguardano soltanto una città o una regione, di cui il cronachista è stato testimone oculare. Mercanti e notai si vennero affiancando agli ecclesiastici, registrando mutamenti politici e imprese militari e aspetti della vita quotidiana. I primi cronisti laici si affermarono nell’Italia settentrionale, mentre si abbandonava il latino per raggiungere un pubblico più vasto. Si ricorda in particolare la Nuova Cronica (storia di Firenze dalle origini fino al 1364) di G. Villani (1276-1348), considerato per la ricchezza delle informazioni uno dei più importanti cronisti dell’Europa medievale. La Cronica, proseguita dal fratello Matteo, e poi dal nipote Filippo, è un esempio di matura cronachistica dell’età comunale. La sua crisi nel XIV sec. aprirà la strada alla storiografia umanistica. e) Memorie Opere a carattere biografico, autobiografico, cronachistico, considerate in riferimento ad un determinato paese o periodo storico. Possono essere annotazioni, narrazioni di avvenimenti degni di ricordo, ma spesso sono viziate dai sentimenti personali di chi le scrive, e quindi scarsamente attendibili. Progressivamente sono state considerate documenti ai margini della storia, sia a causa della ricerca di effetti letterari da parte dell’autore, sia perché il gusto della pura narrazione prevaleva molto spesso sulla ricerca della verità e le separava sempre più dalla storia stessa. f) Diari Appunti quotidiani degli eventi. L’uso di tenere un diario nacque nel Cinquecento e divenne presto una diffusa abitudine fra le persone colte. Si tratta di raccolta di annotazioni giornaliere, secondo un ordine cronologico, scritte al tempo in cui si svolgono. Come le memorie e le autobiografie, sono fonti storiografiche nelle quali gli avvenimenti sono narrati da chi ne è stato protagonista o testimone oculare. L’autore pone al centro le sue vicende personali, collegandole agli avvenimenti di interesse generale che maturano nell’ambiente in cui vive. In genere, sono i periodi di grandi crisi storiche, o passaggi epocali, a dar vita ad una più vasta produzione di memorie e diari, nel tentativo di sfogo individuale, di chiarificazione personale. Gli storici attribuiscono particolare importanza a questo tipo di fonti –anche perché in genere non sono scritture ufficiali, destinate alla pubblicazione (tranne che ad es. nel caso dei diari delle unità militari in tempo di guerra), quindi sono fonti non intenzionali – anche se nell’utilizzarle si preoccupano di accertare i dati e di confrontare i d. con memorie ed epistolario dello stesso autore, se ve ne sono conservati, con grande vantaggio per la ricostruzione storica. Dagli anni Sessanta del Novecento, comunque, per gli storici hanno anche grande valore i diari tenuti a scopo privato da singoli individui di estrazione sociale diversa, come testimonianza diretta dell’influenza di vicende generali sull’esperienza personale e la vita (v. Archivio della memoria, in Dizionario di storiografia, ad vocem). g) romanzi, commedie, ecc. Si tratta di un caso particolare di fonte per lo storico. E’ ovvio che le opere letterarie (romanzi, racconti, opere teatrali, poesie) non possono essere considerate resoconti di fatti, per quanto grandi siano in essi gli elementi di autobiografia o di analisi sociale e/o descrizione di costumi. 8 Né i romanzi storici, tanto in voga nel secolo XIX grazie allo scrittore scozzese Walter Scott (17711832), hanno alcuna autorità per le descrizioni a cui si riferiscono, ma nell’Ottocento essi acquistano particolare valore sia per la mitizzazione da parte romantica di epoche passate, come il Medioevo e la simbologia ad esso connessa, nella ricerca delle radici “nazionali” dei popoli, sia in funzione patriottica per il presente, di utilizzo della storia al fine politico dell’affermazione dell’idea di nazione e delle lotte per l’indipendenza. Anche i diari e i racconti di viaggio (ad es. il Viaggio in Italia di W. Goethe) possono essere buone fonti per lo storico. Ma qualsiasi produzione letteraria ha rilievo non solo per quello che narra, ma per come lo narra e offre uno spaccato dell’ambiente sociale e intellettuale in cui lo scrittore è vissuto, e spesso anche vivaci descrizioni dell’ambiente materiale. Inoltre l’autore riflette, interpreta ed espone i valori e la sensibilità dei suoi contemporanei rispetto alla società del tempo, di cui egli stesso è espressione (è appena il caso di ricordare ad es. la Divina commedia, il Decameron; o come gli autori neoclassici e romantici rappresentino la società in cui vissero, da Goldoni a Balzac, da Sthendal a Proust e Čhecov, a Th. Mann). Per quanto riguarda lo studio del XIX e il XX secolo, le opere letterarie diventano di fondamentale importanza. Charles Dickens ad es. può essere citato a testimonianza dell’atteggiamento mentale della classe media inglese nei confronti dell’Inghilterra vittoriana; Isabel Allende ha efficacemente descritto nei suoi romanzi il Cile della dittatura di Pinochet; il premio Nobel per la letteratura, 1982, G. Garcia Marquèz la Colombia. Fonti orali Si definiscono fonti orali i ricordi personali, tradizioni, miti, leggende, folklore, canti popolari, danze rituali e in generale tutte quelle testimonianze del passato che ci pervengono attraverso una testimonianza personale o di costume, o una tradizione orale, cioè racconti e descrizioni del passato tramandate oralmente da una generazione all’altra, come ad es. è avvenuto nell’Africa subsahariana fino ad alcuni decenni fa -prima che la progressiva alfabetizzazione portasse alla graduale scomparsa della tradizione orale- o in alcuni paesi del Terzo Mondo e in generale nelle società che o ignorano la scrittura, o la usano solo in via secondaria. Il ricorso alle fonti orali (come a quelle audiovisive) è diventato estremamente rilevante per la riflessione storica e l'analisi delle società e culture contemporanee, ma il “riconoscimento della specificità dei mondi orali [...] è preliminare ad ogni uso critico delle fonti orali". (Luisa Passerini, le testimonianze orali, in Il mondo contemporaneo, Firenze, NIS, 1983). Critica esterna e critica interna del documento Critica esterna (o di autenticità) La critica esterna, o critica di autenticità, tende a stabilire se il documento che si esamina è autentico o falso. Il falso può essere totale o parziale. Nel primo caso si tratta di documento fabbricato totalmente. Il caso più famoso è quello Donazione di Costantino. Altri falsi famosi, in epoca più recente, sono stati quello dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion (v.), e quello della Mappa di Vinland (v.). I falsi parziali possono riguardare la data, l’autore, e anche il testo, nel quale possono essere state introdotte interpolazioni, aggiunte (passi cioè che originariamente non c’erano), oppure esservi omissioni. Per esame esterno si intende un esame compiuto in base ad elementi che sono indipendenti dal contenuto del documento stesso. Anzitutto il materiale di scrittura: papiro, pergamena, carta, tipo di inchiostro. Tale materiale varia da epoca ad epoca. 9 Poi l’esame della scrittura: i vari modi di scrittura variano da un’epoca all’altra, occorre quindi verificare se essa corrisponde al tempo e luogo indicati nel documento (v. Paleografia). Lorenzo Valla provò la falsità della Donazione di Costantino mediante lo studio critico della lingua, che si rivelò essere dell’VIII secolo, anziché del IV, come avrebbe dovuto essere (v. Filologia). Sono indicative anche le varie forme di saluto, di datazione, di firma; le formule verbali distintive della istituzione che lo ha prodotto. Si deve poi tener conto della provenienza, sia immediata che remota. Per provenienza immediata si intende il modo in cui il documento ci è pervenuto (es.: archivio, caso in cui vi è presunzione di autenticità, che andrà comunque verificata; o altra provenienza: es. acquisto da un antiquario; o provenienza sconosciuta). Per provenienza remota si intende l’origine del documento: il documento può essere attribuito all’ufficio o alla persona che si suppone lo abbia prodotto? può trattarsi di un originale autografo, confermato dall’esame calligrafico, e in questo caso l’autenticità può considerarsi provata. Se si tratta di copia, occorre conoscere da chi e in quali circostanze sia stata fatta. Se esiste l’originale, la copia andrà confrontata con esso; se non esiste, ma esistono altre copie, andranno confrontate fra loro. Se non ve ne sono, bisognerà stabilire l’autenticità con la critica interna. Critica interna (o di attendibilità) Si chiama critica interna quella compiuta mediante l’analisi del contenuto del documento. Un documento può essere autentico, ma inattendibile. Occorre da parte dello storico valutare circostanze e motivazioni della testimonianza, interrogarsi sull’autore, sul tempo e sulle condizioni in cui scrive, controllare la provenienza delle sue informazioni, se è spinto da pregiudizi radicati, o di parte (politici, religiosi, morali ecc.), o dal desiderio di compiacere (ad es. i suoi superiori), o di lasciare volutamente ai posteri una testimonianza distorta, magari per attutire o nascondere (qualora si tratti di persona con un ruolo di rilievo in un contesto politico) le proprie responsabilità; oppure se, anche involontariamente, ha alterato qualcosa nel suo racconto; valutare infine, nel caso di fonte documentaria, l’evoluzione nel tempo della istituzione che ha prodotto il documento e il ruolo da essa tenuto all’interno di un corpo politico e del paese. Il contenuto di un documento autentico non deve contraddire quanto già si conosce con certezza su quell’argomento. Nel caso di un documento non attendibile, cioè falso nel suo contenuto, che non serve a provare ciò che dovrebbe, o vorrebbe, lo storico deve chiedersene le ragioni: proprio perché deliberatamente falsificato acquista un valore documentario diverso. Una menzogna è, in quanto tale, una testimonianza: anche le motivazioni che hanno condotto ad essa possono risultare illuminanti. E’ comunque importante sottolineare, insieme alla progressiva diminuzione di importanza delle fonti scritte (predominanti per lungo tempo, anzi si può parlare in alcuni casi e periodi, di monopolio vero e proprio) la odierna revisione e allargamento del concetto di “documento archivistico” (v. p. 5). Donazione di Costantino (v. Testo in pdf allegato) Il documento è costituito da due parti: la Confessio, la leggenda di papa Silvestro che guarisce Costantino, la conversione dell’imperatore al cristianesimo e il battesimo, e la Donatio, le concessioni fatte dall’imperatore al papa. L’imperatore romano Costantino, in segno di gratitudine per essere stato guarito dalla lebbra, avrebbe donato nel 313 a papa Silvestro I e ai suoi successori la città di Roma e le province italiane e occidentali dell’impero, dando così origine al potere temporale dei papi; e avrebbe riconosciuto a tutti gli effetti l’equiparazione della gerarchia ecclesiastica a quella civile, del potere religioso a 10 quello laico, del papa all’imperatore. Le clausole territoriali sono le più famose, ma il punto più importante è quello costituito dall’equiparazione dei due poteri e delle due gerarchie. Il documento, già rifiutato nel 1001 dall’imperatore Ottone III perché la pergamena non recava i caratteri esteriori che ne provassero l’autenticità (mancava del sigillo), fu poi adoperato ufficialmente da papa Leone IX nel 1053, e da allora per quattro secoli la Donatio rappresentò uno dei cardini del pensiero ecclesiastico e fu considerata un documento degno di fede anche dagli stessi avversari del potere temporale dei papi. Come provarono prima Nicola Cusano e poi Lorenzo Valla (De falso credita et ementita Costantini Donatione, 1440) sulla base dell’analisi linguistica del documento, esso era stato redatto intorno alla seconda metà dell’VIII sec. per ratificare e legittimare il potere e il prestigio del papato e della Chiesa. Tuttavia il documento se non serve alla storia del IV secolo, epoca a cui vorrebbe riferirsi, serve assai di più a quella del secolo VIII: anche se falso, è molto importante per la storia dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa nell’alto Medioevo in quanto, proprio perché fabbricato appositamente, si rivela testimonianza preziosa del potere del papato in quel periodo, che rivendica per sé la parità con il potere politico; avrebbe inoltre costituito la base alla legittimazione del potere temporale. Protocolli dei savi di Sion Il più celebre dei falsi prodotti dagli ambienti antisemiti intorno al 1900. Il libello con questo titolo presentava un piano ebraico di dominio del mondo da realizzarsi attraverso il controllo della finanza internazionale e la promozione di guerre e rivoluzioni ovunque. Pubblicato in Russia nel 1903, ebbe diffusione molto limitata sino al 1917, quando cominciarono a moltiplicarsi le traduzioni. Nel periodo 1918-21 i Protocolli furono ritenuti da molti un documento autentico che consentiva di attribuire al sionismo (da sion, collina di Gerusalemme: ideologia tendente alla costituzione di uno stato ebraico) la guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica e la crisi economica. Nel 1921 un giornalista del “Times” di Londra dimostrò che si trattava di un falso. In realtà erano stati redatti da agenti al servizio della polizia segreta dello Zar, che si erano serviti, cambiandone il contesto, di interi brani di un libello diretto contro Napoleone III. Mappa di Vinland Nel 1959 un anonimo benefattore della Yale University acquistò per una grossa somma da un antiquario una mappa che raffigurava la costa dell’America del Nord (“Vinland”), credendola del XV sec.: da essa si poteva dedurre che le precedenti scoperte dei Vichinghi non fossero sconosciute in Europa quando Colombo progettava il suo primo viaggio nell’Atlantico. Molti esperti dichiararono autentica la mappa, sino a quando nel 1974 se ne dimostrò con assoluta certezza la falsità attraverso l’analisi microscopica dell’inchiostro, che rivelò una notevole percentuale di un pigmento artificiale sconosciuto prima del 1920. 11 Scienze ausiliarie della storia Paleografia Disciplina che studia le scritture antiche, l’evoluzione e la loro storia, mediante l’analisi dei manoscritti e dei documenti archivistici. Le prime scritture di cui si abbia notizia risalgono al 3000 a.C. Si suddivide in greca, latina e medievale. Le sue basi scientifiche furono poste da J. Mabillon (De re diplomatica, 1681) e e B. de Montfaucon (Paleographia graeca, 1708). Per molto tempo paleografia e diplomatica non furono distinte, sino a quando negli ultimi decenni quest’ultima è divenuta una scienza autonoma. La paleografia, evolutasi metodologicamente, è divenuta anch’essa una scienza a se stante, così come la storia del manoscritto tende anch’essa a separarsi dalla paleografia per dar luogo alla codicologia, cioè la scienza dei codici. Oggi la scrittura viene considerata espressione della società che l’ha creata e viene quindi inserita nel contesto storico in cui è sorta. Si studiano i materiali usati (papiro, pergamena, carta), datazione, localizzazione, abbreviazioni Se in origine la paleografia studiava ogni testo scritto, indipendentemente dal supporto usato (papiro, moneta, sigilli, pietra o metalli), oggi questi hanno dato luogo ad altrettante discipline indipendenti e cioè, rispettivamente, la papirologia, la numismatica, la sfragistica, l’epigrafia (v.). Diplomatica Il nome deriva da diploma: in particolare, atto emanato da una cancelleria regia o imperiale; in generale scrittura documentaria medievale. La D. è la scienza che studia i documenti d’archivio per verificarne autenticità, datazione e anche il processo storico e giuridico che è alla base della formazione del documento. Essa si interessa delle carte scritte dall’Alto Medioevo fino all’età moderna, in massima parte in latino, più raramente in greco, dal sec. XIII anche in volgare. Prende anche in esame la storia del documento: originali, riproduzioni, copie, falsificazioni. La scoperta delle falsificazioni è uno dei suoi compiti, anzi era proprio questo il fine principale quando nacque, alla fine del sec. XVII, con gli studi di J. Mabillon (v. ). Le falsificazioni possono essere parziali (corruzioni); compiute togliendo o aggiungendo qualche elemento (interpolazioni); oppure totali, come ad es. la famosa Donazione di Costantino. Il “documento” per la Diplomatica. La definizione tradizionale di documento in ambito diplomatistico è: “Testimonianza scritta di un fatto di natura giuridica, compilata con l'osservanza di determinate forme, le quali sono destinate a procurarle fede e a darle forza di prova” (C. Paoli, Diplomatica, Firenze, Le Lettere, 1987). Il contenuto del documento per la D. deve necessariamente rappresentare un atto che crea un diritto; il documento deve essere stilato con forme che forniscono credibilità assoluta al documento. L'assenza di uno degli elementi formali mette in dubbio la veridicità e l'autenticità del documento (v. Critica esterna del documento, o di autenticità). La D. ha avuto, specie in questi ultimi decenni, una notevole e ampia evoluzione, tanto che non è più una semplice “scienza ausiliaria” della storia: si avvale anche dell’ausilio della paleografia e della storia del diritto per valutare anche autori e modalità di formazione del documento. Epigrafia Studio delle iscrizioni incise su materiale “durevole”, cioè non cartaceo (pietra, bronzo, legno, oggetti di uso quotidiano). Essa comprende sia lo studio della scrittura (paleografia, v.), che 12 l’analisi storica, cioè del contenuto dei documenti. Le epigrafi sono fondamentali come fonti per la storia dei popoli del mondo antico (antico Oriente, semiti, fenici, punici, ebrei; persiani, indiani, cinesi). Le epigrafi dell’antichità classica sono importanti fonti complementari e strettamente correlate a filologia classica, assirologia, egittologia. Il contenuto delle epigrafi può essere molto vario: da una semplice frase al testo di un’intera legge. Esse sono fonte assai rilevante per la storia dell’antichità: atti ufficiali o privati, editti, trattati, dediche onorifiche, liste cronologiche, contratti, testamenti, preghiere o maledizioni, epitaffi, testi poetici, ecc. Per le civiltà classiche si può parlare di epigrafia greca (iscrizioni di zone abitate dai greci o a contatto con essi, dalla comparsa della scrittura al IV secolo d.C. e oltre); etrusco-italica (iscrizioni etrusche e in alfabeti italici) e latina (iscrizioni dei territori abitati o dominati dai romani dal VII secolo a.C. sino alle paleocristiane, sepolcrali). Numismatica Scienza che studia le monete e le medaglie di ogni tempo e luogo, sia dal punto di vista storico e artistico che archeologico. Essa considera i materiali (metalli), i tipi e le leggende impresse (documento di storia artistica), il peso, il titolo (quantità di metallo prezioso contenuta) e le tecniche di produzione. Numerose le falsificazioni e le imitazioni. Scienza antichissima (aveva lo stesso ruolo ricoperto oggi dalle medaglie commemorative); alla fine del Medioevo risalgono le prime collezioni di medaglie e dal Rinascimento le monete antiche diventarono oggetto di collezione. Le monete sono utili per la conoscenza di date, simboli religiosi, costumi, titoli ufficiali; alcuni periodi della storia, come ad es. l’Impero romano nel III sec., sono messi in luce più dallo studio delle monete che da quello delle iscrizioni. La numismatica è fondamentale per lo studio dei problemi economici e finanziari (svalutazione, inflazione, ecc.) Metrologia Studio dei sistemi di misurazione e monetari antichi, nei diversi tempi e luoghi. Nata nel XVI sec. questa scienza indaga le misure usate prima dell’introduzione del metro, distinguendo tra le misure locali (di lunga durata) e quelle ufficiali (più pronte in genere ad adattare gli antichi sistemi a nuove esigenze). E’ necessario per lo storico conoscere le antiche misure (piede, passo, pollice, miglio, jugero) per comprendere viaggi, manovre militari, dimensioni di edifici antichi, tasse, tributi, salari, prezzi. Importante valutare il potere d’acquisto delle monete, anche se è difficile rapportarle alle monete attuali. Sono di grande apporto alla metrologia le fonti documentarie, letterarie e archeologiche integrate fra loro. Sfragistica (sigillografia) Termine coniato da studiosi del Settecento. Parte della numismatica che studia i sigilli, gli anelli con impronta (impressa nella cera, nel metallo, nella ceralacca) adoperati come mezzo di chiusura, convalida di documenti, timbro o mezzo di riconoscimento. La sigillografia, insieme alla diplomatica e all’araldica (studio degli stemmi), è importante per la conoscenza della consapevolezza del proprio ruolo da parte di re e nobiltà nel Medioevo 13 Papirologia Scienza recente che ricerca, decifra, interpreta i documenti su papiro, materiale scrittorio dell’antichità mediterranea. E’ parte speciale della paleografia, perchè studia e interpreta scritture greche e latine, la maggior parte delle quali proviene dall’Egitto (dominazione greco-romana dal IV sec a.C.): i papiri sono stati trovati dentro anfore, sepolture, bende di mummie e anche in discariche pubbliche (famosi i papiri di Ossirinco). A seconda della provenienza, lingua ed epoca si suddivide in antica e medievale. I testi in greco (i più abbondanti tra quelli pervenuti) sono stati notevoli per l’apporto fornito a quelli già noti o a quelli sconosciuti. I papiri hanno contribuito in modo notevole alla conoscenza della lingua greca, dell’antico cristianesimo e di altre religioni, e di riti magici. Sono pervenuti su papiro in lingua greca testi letterari (tra gli altri i poemi omerici) o frammenti altrimenti sconosciuti (di poesia, dramma, storia, filosofia, scienza, astrologia, di autori cristiani); ma la maggior parte è costituita da documenti vari, sia pubblici (editti, lettere di re e imperatori) che privati (contratti di vendita, di scambio). I papiri hanno apportato elementi nuovi e preziosi alla conoscenza della storia antica: istituzioni, costumi, vita economica e sociale. Oltre che della paleografia, la papirologia, in quanto decifrazione e studio di documenti d’archivio, è partecipe anche della filologia e della diplomatica. Araldica Studia stemmi e blasoni nobiliari. L’uso di segni distintivi compare inizialmente sui vessilli in battaglia, poi passa a simbolo di milizia o di ordine militare, e quindi a insegna di famiglia o di singoli individui. L’origine si può collocare nell’Europa nordoccidentale verso la metà del sec. XII. Il Basso Medioevo e i primi secoli dell’età moderna furono le epoche di massimo fulgore degli stemmi. Le collezioni più antiche di stemmi risalgono al XIIII sec., e sono quelle delle famiglie aristocratiche più in alto nella gerarchia, anche se, almeno inizialmente, anche persone non appartenenti alla nobiltà, borghesi e contadini, usavano portare segni distintivi della propria famiglia, cosa che fu poi contrastata in epoca rinascimentale dagli stessi sovrani, con la concessione di patenti regie (tra i primi Amedeo VIII di Savoia, 1430). Il nome deriva dagli araldi, cui spettava conoscere gli stemmi (o armi) conservati nei rotoli araldici (o stemmari). L’araldica è disciplina ausiliaria della storia. Filologia Il complesso delle discipline volte alla ricostruzione di documenti e testi di valore storico, letterario e culturale e alla loro corretta interpretazione e comprensione secondo metodologie appropriate. La f. può avere sia un interesse limitato all’aspetto letterario e linguistico, sia in senso più ampio quello diretto ad ampliare e approfondire, attraverso i testi e i documenti, la conoscenza di una civiltà e di una cultura di cui essi sono testimonianza. In età classica la f. si sviluppò nel III sec. a.C. ad Alessandria d’Egitto presso la famosa biblioteca, per opera di studiosi che curarono le edizioni commentate dei testi omerici. Nel II sec. a.C. ebbe iniziò la filologia latina, mentre nel VI sec. d.C. il metodo e gli studi furono trasmessi a conventi anglosassoni, carolingi e a quello di Montecassino. Con l’Umanesimo la f. comprese anche discipline come l’epigrafia, la storia, l’archeologia. Così molti testi furono riscoperti nei conventi da letterati (Petrarca, Lorenzo Valla, Poliziano). Nel Cinquecento si distinsero in questi studi Erasmo da Rotterdam, F. Melantone. Nei secoli XIX e XX esempi qualificati sono le pubblicazioni di grandi raccolte epigrafiche e papirologiche e quelle di grandi autori classici greci e latini 14 Nel XX sec. accanto alla f. classica e a quella germanica, si sono affermate la f. romanza, medievale, italiana, slava, secondo che l’oggetto dello studio sia la letteratura e la civiltà del mondo classico, quelle dei popoli germanici, le lingue e le letterature neolatine, ecc. e il metodo è rivolto a ricostruire e ad interpretare i testi tenendo conto di altre discipline come la storia, la linguistica, la metrica, la sociologia, la psicologia. La f. testuale è quella rivolta soprattutto alla ricostruzione critica dei testi (v. Donazione di Costantino). Storiografia e impegno civile. Pietro Lanza di Scordia Glossario Parlamento siciliano – organo di cui facevano parte i feudatari (braccio militare), gli arcivescovi, vescovi, abati, (braccio ecclesiastico) e le città regie (braccio demaniale). Il suo compito era di prendere in esame e approvare le richieste di denaro da parte della Corona (donativi). Poteva anche in qualche caso proporre al re alcune leggi o valutare particolari iniziative legislative regie Donativo – contributo finanziario offerto al re dal Parlamento siciliano. I donativi erano ordinari (automaticamente rinnovati ogni tre o nove anni), e straordinari ( cioè richiesti dal re e concessi dal Parlamento per occasioni particolari). Il donativo era in denaro, oppure consisteva nell’assunzione di oneri finanziari a scopo militare, o in diritti fiscali, doganali, ecc. Feudatario – proprietario di una terra feudale (feudo), assegnata dal re, o ricevuta in eredità; oppure acquistata dalla Corona. Al feudo erano connessi il titolo nobiliare e particolari privilegi Feudo – nel Medioevo bene (terra), o diritto, concesso tramite l’investitura dal signore a un vassallo per ricompensarlo della fedeltà o del servizio prestato. In Sicilia il feudo territoriale era concesso solo dal re e nella pratica era ereditario e vendibile Privilegio – attribuzione a un soggetto, a un ceto, ad una categoria (nobiltà, clero, abitanti di una città o di un territorio) di una posizione più favorevole rispetto agli altri in campo fiscale, giuridico, politico Demanio – l’insieme dei beni appartenenti allo stato. In Sicilia nell’età moderna l’insieme dei beni (terre, diritti e redditi fiscali) appartenenti alla Corona Usi civici – diritti acquisiti per antica consuetudine dai membri delle comunità contadine: facoltà di pascolo, di raccogliere legna, uso delle acque, semina e coltivazione delle terre comuni. Cessarono in seguito all’abolizione della feudalità da parte del Parlamento siciliano nel 1812 Gabelloto – affittuario delle terre del latifondo meridionale, particolarmente in Sicilia Annona (o sistema annonario) – organismi preposti, all’interno di un’entità politica, alla regolamentazione della produzione, distribuzione e trasformazione dei prodotti alimentari, e al controllo di qualità e prezzi, soprattutto del grano. Apostolica Legazìa – istituto in forza del quale i re di Sicilia, basandosi su una bolla del 1098 del papa Urbano II in favore del conte Ruggero, considerarono di loro esclusiva competenza la materia ecclesiastica dell’isola e la disciplina interna delle chiese siciliane. Il re aveva il privilegio di legato del pontefice in Sicilia. I re di Sicilia sorvegliavano la condotta del clero e intervenivano nei tribunali ecclesiastici. 15 Deputazione del Regno – istituto che restava in carica tra una sessione e l’altra del parlamento. Aveva competenze finanziarie (distribuzione dei pesi fiscali del donativo disposti dal parlamento) e di difesa dei privilegi del Regno. Tribunale del S. Uffizio – Istituito in Sicilia nei primi del Cinquecento, esisteva in Spagna sin dal 1482, quando Ferdinando il Cattolico aveva ottenuto da papa Sisto IV la facoltà di nominare nei suoi stati inquisitori contro la “eretica pravità”. L’Inquisizione fu soppressa nel 1782. L’anno successivo su richiesta dell’ultimo Grande Inquisitore, per ordine del re l’archivio segreto fu bruciato. Compromesso di Caspe (1412) – Il parlamento aragonese, riunito a Caspe, in Aragona, dal marzo al luglio 1412, stabilì che la corona aragonese e quella siciliana, inseparabili, fossero date all’infante Ferdinando di Castiglia, reggente del trono di Castiglia dal 1406 per conto del nipote Giovanni II. Nel 1415 il nuovo sovrano inviava come viceré in Sicilia il figlio Giovanni, duca di Penãfiel. Il regno di Sicilia scadeva definitivamente a viceregno. Nel 1416 gli successe Alfonso V il Magnanimo, quale re di Aragona, di Sicilia e di Sardegna (1416-58) e dal 1442 re di Napoli. Controversia tra Vittorio Amedeo II e la Chiesa Nel 1711 il vescovo di Lipari, isola appartenente al regno di Sicilia, aveva scomunicato alcuni funzionari locali che avevano imposto un dazio su un carico di fagioli senza rendersi conto del fatto che si trattava di proprietà del vescovato e quindi esente dall’imposta. Per quanto i funzionari avessero subito chiesto scusa, il vescovo non volle ritirarsi dalla lotta e il caso fu sottoposto agli ecclesiastici che componevano il tribunale della r. Monarchia (attraverso il quale il re esercitava i suoi diritti di legato pontificio, connessi cioè all’Apostolica Legazìa ) e questi revocarono la scomunica. Il papa appoggiò il vescovo, il viceré esibì le dichiarazioni di numerosi teologi secondo i quali l’autorità papale era limitata in Sicilia per antica tradizione. Vittorio Amedeo II (1713-1720) ereditò questa controversia dal suo predecessore spagnolo e si giunse ad uno scontro frontale fra il re e il papato, fra papisti e sostenitori del potere regio, sinché nel 1715 una bolla pontificia revocò il privilegio dell’Apostolica Legazìa. Il papa vietò al clero di pagare la sua parte di donativi. Centinaia di preti furono imprigionati o esiliati per aver ubbidito e i loro beni confiscati. I vescovati rimasero vacanti, e in molti luoghi il culto sospeso, mentre i cittadini si sentirono esentati dall’obbedienza al re. Nel 1728 l’Apostolica Legazìa fu restituita al re. Adolphe Thiers (1797-1877) Storico e uomo politico francese, raggiunse presto grande notorietà in seguito alla pubblicazione della Storia della Rivoluzione francese (1823-1827), alla quale seguì la Histoire du Consulat et de l’Empire (20 voll., 1845-1862). Ministro dell’Interno (1832-1835) durante la monarchia di luglio (1830-1848, denominazione data al regno di Luigi Filippo d’Orléans, chiamato al potere dopo la rivoluzione del luglio 1830 in Francia). Dopo la caduta di Napoleone III, divenne presidente della Repubblica (1871-73). 16 Cronologia dei re del regno di Sicilia e d’Italia 17