Erodoto (Alicarnasso, 490 circa-425 circa a.C.)
Storico greco, nato in Asia Minore da famiglia aristocratica. Scrisse una delle più celebri
opere dell’antichità, le Storie, in 9 libri, che gli valse da Cicerone il titolo di “padre della storia”. La
parola storia (istorìe) infatti la si incontra per la prima volta in E.
Viaggiò molto, recandosi anche nel vicino Oriente e in Egitto; infine si stabilì ad Atene, dove fu
conquistato dalla ricchezza e vivacità del mondo culturale e politico, in cui vivevano personalità
come Pericle e Sofocle, e dalla bellezza della città.
Le Storie furono scritte, come affermò egli stesso, “affinché non sbiadisca col tempo il ricordo di
ciò che fu prodotto dagli uomini, né rimangano prive di fama e di memoria le opere grandi e
meravigliose compiute sia dai greci che dai Barbari”. I primi quattro libri esprimono una vivace
curiosità per tutti gli aspetti della storia e della vita materiale, culturale e religiosa dei popoli che
facevano parte dell’impero achemenide (famiglia regnante dell’antica Persia, 700-330 a. C.), da lui
conosciuti nei suoi viaggi; gli altri cinque libri hanno un’ottica politico-militare, “grecocentrica” e
filoateniese, e sono dedicati alle guerre persiane (490-479 a. C.), quando in due successive
spedizioni i Persiani invasero la Grecia, ma furono respinti a Maratona, a Salamina e a Platea.
Molto dibattuto è il problema della composizione dell’opera: si è pensato ad una fusione di varie
monografie, poi unite insieme, oppure ad una storia essenzialmente persiana, poi estesa ad altri
popoli che con i persiani vennero via via a contatto. L’opera, frutto del lavoro di un’intera vita, ebbe
continui rimaneggiamenti e trasformazioni.
Sin dall’antichità furono espressi severi giudizi sull’autore, perché egli appariva “meno scientifico”
rispetto all’altro grande storico greco, Tucidide, a causa della presenza nell’opera di storie favolose
e leggende, e della ambizione di allargare lo sguardo su ogni aspetto della vita umana e su vasti
spazi geografici, oltre che per il fatto che essa appariva “filobarbara”. Le Storie di E. sono ancora un
racconto di ciò che colpisce l’immaginazione di chi scrive: leggende, resoconti di ciò che è
avvenuto e che si ritiene meritevole di essere raccontato. Non è ancora arrivata però l’esigenza e lo
scrupolo dell’attendibilità, che avverrà con Tucidide.
In ogni caso, la grandi capacità narrative dell’autore spiegano il fascino che l’opera ebbe e conserva
tuttora. Solo di recente essa è stata completamente rivalutata, sia perché è stata accertata la sua
attendibilità, sia perché l’approccio ad una storia “totale”, cioè che comprenda tutti gli aspetti della
vita degli uomini, è in sintonia con le tendenze attuali della storiografia contemporanea.
Tucidide (Atene, 460 circa- 404 circa)
Storico greco, di famiglia ricca e influente. Scrisse la Guerra del Peloponneso, che narra in
8 libri il conflitto (431-404 a. C.) fra Atene e Sparta, e i loro alleati, in Grecia, in Sicilia e nel
Mediterraneo, per l’egemonia sulla Grecia. Si concluse con la disfatta ateniese.
Anche se la parola storia non compare mai nell’opera, con T. siamo però già in presenza di ciò che
è storia per i moderni. I fatti, vagliati con il massimo scrupolo, sia quelli a cui lo storico ha assistito
direttamente, sia quelli appresi da altri, sono al centro dell’opera tucididea. La sua eccezionale
lucidità gli consentì di cogliere nessi anche tra avvenimenti lontani nello spazio e nel tempo, di
evidenziare i reali moventi dei protagonisti, di prevedere le conseguenze a lungo termine delle
scelte politiche e militari da essi compiute e, fattore non trascurabile per l’avanzamento
metodologico, di vagliare l’attendibilità della testimonianza. Così, nella sua storia non c’è posto,
com’era avvenuto con Erodoto, per il mitico, il favoloso, l’intervento divino: la sua è una storia
tutta politica, tutta incentrata sui fatti e i loro svolgimenti politici e militari, senza digressioni su
altre culture diverse da quella greca. L’opera, tra le più famose di tutti i tempi, rimase incompiuta, si
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ferma al 411 a.C., perché a questo punto lo storico scelse di non scrivere più di avvenimenti lontani,
e si dedicò solo ai fatti contemporanei, di cui poteva controllare le testimonianze.
Adoperando tanto rigore egli ebbe la consapevolezza di scrivere un’opera non facile, e poco adatta
alla lettura in pubblico e si pose con ciò, come fa esplicitamente in un passo del I libro, in contrasto
con Erodoto e la cultura orale che questi rappresentava. Non c’è posto in T. per un’opera che sia
attraente dal punto di vista artistico e che commuova o diletti.
Egli infatti scriveva:
“Riguardo…ai fatti verificatisi durante la guerra, non ho creduto opportuno descriverli per informazioni desunte dal
primo venuto, né a mio talento; ma ho ritenuto di dover scrivere i fatti ai quali io stesso fui presente, e quelli riferiti
dagli altri, esaminandoli, però, con esattezza a uno a uno, per quanto era possibile. Era ben difficile la ricerca della
verità, perché quelli che erano stati presenti ai singoli fatti non li riferivano allo stesso modo, ma secondo che uno aveva
buona o cattiva memoria, e secondo la simpatia per questa o quella parte. E forse la mia storia riuscirà, a udirla, meno
dilettevole, perché non vi sono elementi favolosi; ma sarà per me sufficiente che sia giudicata utile da quanti vorranno
indagare la chiara e sicura realtà di ciò che in passato è avvenuto e che un giorno potrà pure avvenire, secondo l’umana
vicenda, in maniera uguale o molto simile. Appunto come un acquisto per l’eternità è stata essa composta, non già da
udirsi per il trionfo nella gara di un giorno”. (La guerra del Peloponneso, I, cap. 22)
Allo storico interessava principalmente indagare sulla natura umana, per poter rendere la storia
capace di prevedere i comportamenti degli uomini. Egli infatti era convinto che essa fosse
immutabile e che quindi gli uomini si comportano più o meno allo stesso modo di fronte ad
avvenimenti simili a quelli già accaduti. Così la conoscenza del passato significava poter meglio
affrontare il presente e il futuro. Ciò che egli ha narrato “vince di mille secoli il silenzio”, è
acquisizione perenne per l’umanità.
La sua opera è il frutto di una grande intelligenza, di rigore nella critica della testimonianza e
rappresentò da allora in poi un modello per tutti gli storici antichi, che sarà poi riscoperto dagli
umanisti ed entrerà, con la “storia politica”, a far parte di un fattore costante della storiografia
occidentale. Per il ruolo assegnato – con un pessimismo di fondo – sia alla morale individuale che
alla politica è ritenuto un precursore di Machiavelli.
Polibio (Megalopoli 200 a.C.-123-118 a.C. circa)
Storico greco. Le sue vicende biografiche si intrecciano con gli eccezionali eventi storici ai
quali si trovò ad assistere, cioè la conquista del Mediterraneo da parte di Roma e la sconfitta della
Grecia, e che narrò poi nelle Storie. Dopo la sconfitta del sovrano macedone a Pidna (168 a.C.),
Polibio fu tra i mille ostaggi inviati a Roma come garanzia del rispetto delle condizioni di pace.
Questa esperienza dolorosa segnò un momento decisivo di svolta nella vita di P., orientando i suoi
interessi verso la riflessione politologica e storica. A Roma egli fu adottato dal vincitore di Pidna,
Paolo Emilio, che gli affidò l’educazione del figlio adottivo Scipione Emiliano. Aderì al programma
culturale e politico del «circolo» degli Scipioni, che mirava alla fusione della cultura romana con
quella greca, e alla evoluzione dello stato in senso monarchico.
Le Storie di P., in 40 libri, di cui se ne conservano solo 5, sono una acuta riflessione sulla
sorprendente ascesa della potenza romana e sui motivi che l’hanno determinata.
Studiando i meccanismi di funzionamento dello stato e dell’organizzazione politica e militare
romana, si convinse della superiorità di quest’ultima su quella greca. Egli si prefisse di comprendere
“come e grazie a quale sistema di governo i romani abbiano vinto e ridotto sotto il proprio esclusivo
dominio quasi tutto il mondo abitato”. Per P. infatti lo scopo dello storico è la ricerca delle cause
“poiché – egli affermava – se si tolgono dallo studio della storia le cause, i mezzi e gli scopi che
determinarono gli eventi e quale esito felice o infelice ebbero, ciò che resta nella storia è spettacolo
declamatorio, non opera istruttiva, e se produce un momentaneo godimento, non giova affatto per il
futuro…Le parti indispensabili della storia sono quelle che considerano le conseguenze, le
circostanze concomitanti e specialmente le cause degli avvenimenti”.
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Lo storico individuò i presupposti della potenza romana nella costituzione mista dello stato, che
partecipava della forma monarchica (i consoli), aristocratica (il senato) e democratica (i tribuni della
plebe), la quale rendeva meno forti le tensioni politiche e sociali.
Il modello di P., anche se non è mai nominato nelle Storie, fu Tucidide, sia per la scelta di una
storia di tipo politico-militare, sia per la scientificità a cui cercò di attenersi. Anche se egli rimase
inferiore a Tucidide quanto a profondità di analisi, le Storie ebbero tuttavia grande fortuna e furono
la fonte principale per Tito Livio e poi per altri storici romani.
Scriptoria
Termine latino medievale: officina scrittoria (da cui scrittoio). Locali annessi ad una chiesa,
soprattutto cattedrale sede di vescovato, oppure ai monasteri, dove gli amanuensi (scribi) si
dedicavano alla copiatura dei manoscritti, o anche alla manifattura dei codici (preparazione di
pergamene, confezione dei fascicoli, legatura). Si moltiplicarono con la diffusione della regola
benedettina che faceva per il monaco un obbligo il lavoro di copiatura. Oltre a scritti religiosi, si
copiarono molti testi dell’antichità classica, ritenuti indispensabili per non disperdere la conoscenza
della lingua latina, che nel XIV e XV secolo furono riscoperti dagli umanisti.
Niccolò Machiavelli (Firenze 1469-ivi, 1527)
Storico fiorentino, ambasciatore della repubblica della sua città, egli compie nelle sue opere una
acuta analisi della realtà storica del suo tempo. La discesa del re di Francia Carlo VIII in Italia
(1494) e le guerre che ne erano seguite avevano mostrato la debolezza degli stati italiani rispetto
alle grandi monarchie nazionali europee del tempo (Francia, Spagna, Inghilterra), le quali erano
dotate di considerevoli eserciti e di un forte potere monarchico accentrato. M. si pone dunque il
problema del mantenimento del potere da parte del principe. Egli scrisse le sue opere libero da
qualsiasi condizionamento teorico e anche da quello stesso religioso, basandosi sulla “realtà
effettuale” della natura degli uomini e della società.
Le sue opere maggiori furono scritte dopo il ritiro dalla vita pubblica (1513). Nei Discorsi sopra la
prima deca di Tito Livio (1513-1519) mise a confronto gli eventi narrati dallo storico latino Tito
Livio (59 a.C.-17 d.C.) con la realtà contemporanea e indicò chiaramente nelle religione «civile»
dei romani un esempio da seguire. Scrisse anche Dell’arte della guerra ((1519-1520), nella quale
affronta il problema degli eserciti mercenari, e le Istorie fiorentine (1520-1525), che narrano la
storia di Firenze dalle origini al 1492, opera in cui si trovano tutti i temi più rilevanti del pensiero
storico-politico di M.
Egli ebbe una grandissima capacità di analizzare il presente e proporre soluzioni per il futuro; in ciò
presenta quindi molti punti in comune con gli storici dell’antichità, ai quali si ispirava. La sua opera
più importante è il Principe (1513), nella quale analizza le doti che il signore di uno stato deve
possedere per mantenere il potere: era necessario, secondo M., che il principe facesse assegnamento
unicamente sulle proprie virtù e sulla fortuna, senza condizionamenti morali e religiosi. Egli si pose
quindi un problema fondamentale: quello dei rapporti tra le ragioni della politica, che
coerentemente alla sua formazione umanistica cercava nel modello del mondo classico, e la visione
della morale del tempo, che identificava nel cristianesimo. Machiavelli è ritenuto il fondatore della
moderna scienza politica.
Acta sanctorum
Raccolta di biografie di santi promossa da un piccolo gruppo di gesuiti belgi (bollandisti, da Jean
Bolland -1596-1665- gesuita belga fondatore dell’agiografia moderna) che nel XVII secolo
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decisero sotto la guida appunto di J. Bolland di pubblicare per ogni giorno dell’anno le vite dei santi
ricordati dalla chiesa universale. L’opera prese l’avvio ad Anversa con la stampa nel 1643 dei due
tomi relativi ai santi del mese di gennaio e, a partire da quel momento, continuò incontrando il
consenso della critica erudita. Iniziata con lo scopo di fornire una risposta apologetica alle tesi
protestanti sui falsi contenuti dell’agiografia, l’opera si caratterizzò per l’elaborazione e
l’applicazione, dovuta in particolare a Daniel van Papenbroeck, della fondamentale regola del
metodo storico-critico, secondo la quale ogni affermazione deve essere suffragata da documenti
autentici e attendibili. Interrotta nel Settecento, l’opera riprese negli anni Trenta dell’Ottocento a
Bruxelles e continuò sino agli anni novanta del Novecento.
Jean Mabillon (1632-1707)
Erudito francese, appartenente all’ordine dei benedettini di Saint-Maur, congregazione che fece
allora dell’abbazia di Saint-Germain-des-Prés, a Parigi, un centro di studi di grande rilievo. Egli nel
1664 vi fu chiamato come aiuto bibliotecario. Il campo di studi dei padri maurini abbracciava i
padri della Chiesa greci e latini, la storia della Chiesa, la storia dell’ordine benedettino. Nel 1681
Mabillon per confutare Papenbroeck scrisse il De re diplomatica, prima enunciazione scientifica dei
principi che regolano la diplomatica (v.). Quest’opera pone le basi e fissa le regole che permettono
di discernere l’autenticità degli atti pubblici o privati. La parte teorica presenta una reale severità di
metodo necessario nel leggere i documenti, accertarne l’autenticità e confrontarli fra loro. Inoltre,
attraverso lo studio sistematico delle fonti, mostra la volontà di determinare l’ampliamento della
massa di documenti a disposizione degli studiosi, cosa che consentì uno conoscenza analitica del
Medioevo.
Archivio (v. anche la voce Archivio in pdf )
Il termine archivio ha sempre una duplice accezione, poiché indica sia il complesso documentario sia
il luogo fisico, i locali di conservazione.
Molte sono le definizioni che si sono susseguite nello sviluppo della teoria e della dottrina archivistica;
indichiamo quella più completa:
L'archivio è il complesso di documenti posti in essere nel corso di un'attività pratica, giuridica,
amministrativa e per scopi pratici, giuridici e amministrativi, e perciò legati da un vincolo originario,
necessario e determinato, e quindi disposti secondo la struttura, le competenze burocratiche, la prassi
amministrativa dell'ufficio e dell'ente che li ha prodotti; struttura, competenze, prassi in continua evoluzione
e perciò diversi da momento a momento, secondo un processo dinamico continuamente rinnovantesi.
L'archivio nasce dunque “involontariamente”, spontaneamente, ed è costituito non solo dal complesso dei
documenti, ma anche dal complesso delle relazioni che intercorrono tra i documenti (Elio Lodolini,
Archivistica: principi e problemi, Milano, Franco Angeli 1995)
Il termine «archivio» (dal greco archeion, che indicava sia la residenza dei magistrati, gli arconti, sia la
documentazione da essi prodotta durante lo svolgimento delle loro attività amministrative) e dal latino tardo
archium/archivum/archivium, ha mantenuto questo duplice significato: complesso di documenti prodotti o
ricevuti da una persona fisica o giuridica, pubblica o privata nel corso dello svolgimento della propria attività
e destinati ad essere conservati; luogo di conservazione.
Fin dal mondo antico l’archivio costituisce la registrazione della memoria di un popolo. Da quando l'uomo si
è costituito in società ha sentito il bisogno di tutelare la propria memoria storica e quindi la propria identità, e
l'Archivio è un “corpo” di memoria. La causa prima della costituzione di un archivio è quindi l'esigenza di
memoria in quanto auto-documentazione. In questo senso la memoria, per essere conservata, deve essere
anche tutelata, protetta e organizzata. L'archivio diventa quindi anche struttura, edificio, si dota di regole e
strumenti di conservazione, selezione, trasmissione.
Occorre sottolineare, come scrive J. Le Goff, che la memoria collettiva “ha costituito un'importante posta in
gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze sociali. Impadronirsi della memoria e dell'oblio è una delle
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massime preoccupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e dominano le società
storiche" (J. Le Goff, Memoria, in Storia e Memoria, Torino, Einaudi 1986).
Nell'analisi dell'Archivio non bisogna vedere il totale rispecchiamento tra l'Archivio e il soggetto produttore:
esiste uno scarto tra la realtà dell'archivio e la realtà storica dell'ente, causato da una serie di fattori e
condizionamenti empirici e storico-culturali di cui sono oggetto i processi di documentazione, primo fra tutti
il rapporto con il potere (“i documenti sono l'immagine che il potere sceglie di conservare di se stesso nel
futuro”, scrive Isabella Zanni Rosiello, Archivi e memoria storica, Bologna, Il Mulino 1987).
La definizione dell'archivio in epoca romana e durante il periodo medievale è “locus in quo acta
pubblica asservantur, ut fidem faciant” (luogo in cui si custodiscono gli atti pubblici affinché facciano fede).
In epoca moderna viene aggiunta “ad perpetuam rei memoriam”, affermando così il valore della
conservazione permanente della documentazione conservata nell'archivio.
Fino alla metà del 1500 il fine della conservazione dei documenti d'archivio era essenzialmente giuridico
(anche se non veniva escluso lo scopo di studio): in seguito gli archivi vengono "scoperti" dalla storiografia,
cominciano ad essere interrogati in maniera diversa, diventano oggetto di studio, nascono la teoria e la
disciplina archivistica e cominciano a delinearsi quelle che sono le caratteristiche peculiari dell'archivio (per
esempio rispetto ad una biblioteca, o ad una raccolta di documenti) e gli elementi costitutivi.
Gli archivi italiani costituiscono il patrimonio documentario più antico e più vasto al mondo: essi presentano
diversità e disomogeneità rilevanti, eredità del particolarismo istituzionale e culturale che ha caratterizzato la
storia d'Italia fino al XIX secolo, al quale ha corrisposto “un altrettanto diffuso e perdurante particolarismo di
modi e di forme di produzione di documenti e di Archivi veri e propri” (Isabella Zanni Rosiello, Andare in
archivio, Bologna, Il Mulino 1996). La realtà degli archivi italiani è quindi molto complessa e variegata, e le
problematiche ad essa connesse sono molteplici e difficilmente riassumibili.
L'Archivio è ormai un “bene culturale”, non perché conserva tutto, “ma perché rispecchia, nella
conservazione e nell'eliminazione, i criteri e i valori di una data cultura”. (M. Stanisci, Elementi di
Archivistica, Udine 1982).
E’ di notevole rilievo il “mestiere dell'archivista” (M. Bloch) come ricercatore e come mediatore della
ricerca, fondamentale in quanto conoscitore dell'archivio, della sua struttura, della sua storia e del suo
patrimonio documentario.
Il “documento archivistico”
Sinché l'archivistica è rimasta entro l’ambito tradizionale dei supporti cartacei, e soprattutto dei documenti
dell'età medievale e moderna, la Diplomatica (e la sua definizione di documento) era la disciplina di
riferimento (v. Scienze ausiliarie della storia, Diplomatica). Ma bisogna sottolineare che il concetto di
documento ha subito negli ultimi decenni una grande evoluzione, parallela a quella dei mezzi di
comunicazione. Il concetto di documento, rispetto alla definizione tradizionale, oggi si è ampliato oltre il
rapporto con la natura giuridica del suo contenuto, rimanendo pur sempre “strumento e residuo” di
un’attività pratica. L'idea dell'allargamento delle tipologie documentarie è ben resa dalla definizione che ne
viene data dalla studiosa Paola Carucci: “Cosa mobile, prodotta su un supporto (un foglio di carta, un nastro
magnetico, un disco, una pellicola cinematografica, una lastra radiografica, un negativo, ecc.) tramite un
mezzo scrittorio (penna a inchiostro, penna a sfera, matita, macchina da scrivere, stampante, ecc.) o un
dispositivo per fissare l'immagine o la voce, o, contestualmente, l'immagine e la voce." (Paola Carucci, Il
documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma, La Nuova Italia Scientifica 1987).
Per quanto riguarda in particolare il documento cartaceo, bisogna tenere presenti i cambiamenti avvenuti
nell'ambito delle materie e delle tecniche scrittorie che ne hanno determinato una costante evoluzione, le
caratteristiche della redazione materiale e i caratteri formali e sostanziali del documento.
Bisogna infatti considerare le modificazioni avvenute nel corso del tempo relative ai supporti scrittori (dal
papiro, alla pergamena, alla carta, al supporto elettronico); agli strumenti scrittori (stilo, penna, inchiostro,
macchina da scrivere, ecc); ai meccanismi della copia e della produzione scrittoria (dalla copia manoscritta
(amanuensi), alla stampa, al ciclostile, alla fotocopia, ecc.)
Differenze tra archivio e biblioteca
E' stato detto che la prima registrazione scritta della memoria è nata per finalità pratiche di
autodocumentazione: sul piano cronologico, quindi, nascono prima gli archivi delle biblioteche.
Per molto tempo archivi e biblioteche sono stati assimilati sia sotto il punto di vista legislativo sia dal punto
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di vista della teoria e delle tecniche di gestione e organizzazione.
La confusione tra Archivi e Biblioteche nasce da alcune somiglianze superficiali (materie scrittorie,
organizzazione degli spazi interni alle strutture, ecc.), mentre sfuggiva la natura di entrambi, che è un
elemento di enorme diversificazione: l'archivio è un complesso organico di documenti, la biblioteca una
collezione di libri non legati necessariamente tra loro da un rapporto storico o causale.
Con l'affermazione del metodo storico (v.), Archivi e Biblioteche si separano e diventano sempre più
frequenti le riflessioni non solo sulla loro diversità ma sull'antitesi che li separa profondamente.
Archivistica
Scienza che tratta degli archivi in quanto ne studia l'origine, la formazione, gli ordinamenti, la utilizzazione e
la regolamentazione giuridica" (L. Sandri, Archivi di Stato, in Enciclopedia del diritto, Milano 1958, vol.II)
Archiviazione
Operazione con la quale documenti, fascicoli, registri, scritture in genere, vengono ordinatamente conservati
nei locali dell'archivio utilizzando scanalature, armadi, classificatori, schedari ecc. destinati a tale uso. (R. De
Felice, L'Archivio contemporaneo, Roma, NIS, 1992)
Risponde al bisogno di conservare il materiale documentario in modo razionale e uniforme per renderlo
recuperabile alla ricerca.
Soggetto (Ente) produttore
E’ il termine tecnico che designa chi materialmente produce documentazione quindi archivi. L’archivio si
può definire "aperto" o "chiuso" a seconda se sia in corso o esaurita l’attività dell’ente.
L’archivio è detto “storico” quando in esso viene versata la documentazione prodotta anteriormente
all’ultimo quarantennio, che ha perso l'originale valore giuridico-amministrativo, acquistando valenza
storico-culturale. L’archivio storico custodisce, pertanto, la documentazione destinata alla conservazione
definitiva.
Metodo storico
Il metodo storico consiste nel riordinare l'archivio ricostituendone l'organizzazione originaria nella quale si
riflette (non automaticamente, bensì in forme molto varie) il rapporto tra funzioni svolte dall'ente e
documenti prodotti, i quali risultano tra loro legati da un vincolo di necessità (vincolo archivistico),
costituitosi fin dall'epoca in cui i documenti venivano posti in essere. (Paola Carucci, Le fonti archivistiche:
ordinamento e conservazione, Roma, NIS, 1990). Il concetto e l'elaborazione teorica intorno al "metodo
storico" è specificamente italiano. In altri paesi è stato definito secondo criteri e locuzioni leggermente
diversi.
Inventario
E’ lo strumento fondamentale per eseguire le ricerche: descrive tutte le unità che compongono un archivio
ordinato. L'inventario, a differenza dell'elenco, presuppone che il fondo sia ordinato. Può essere analitico o
sommario, a seconda del grado di analiticità adottato nella descrizione di ciascuna unità . (...) L'inventario
deve essere corredato di indici, tanto più necessari quanto più è analitico. In certi casi la schedatura usata per
l'ordinamento può essere usata per l'inventario, magari apportandovi qualche modifica e integrazione. (P.
Carucci, Le fonti archivistiche, cit.).
Fondo
L'insieme della documentazione, senza distinzione di tipologia o di supporto, organicamente prodotta e/o
accumulata e usata da una determinata persona, famiglia o ente nello svolgimento delle proprie attività e
competenze. (P. Carucci, Il documento contemporaneo. Diplomatica e criteri di edizione, Roma, NIS, 1987).
Provenienza (o soggetto produttore)
L'organismo o la persona che ha prodotto, accumulato e/o conservato e usato la documentazione nello
svolgimento della propria attività personale o istituzionale.
Bibliografia: DGA (Direzione Generale degli Archivi)_ Glossario dei termini archivistici (accluso al Materiale
didattico integrativo): http://www.archivi.beniculturali.it/tools/DGA-glossario/Glossario:
http://www.retelilith.it/sito/glossa.htm
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Cenni sulle fonti scritte
-Fonti documentarie
Diplomi (atti emanati da imperatori, re; il termine indica in generale una scrittura documentaria
medievale, v. Diplomatica), bolle papali, istruzioni e dispacci di ministri degli esteri, relazioni e
carteggi di ambasciatori, registri di cancelleria (papale, imperiale e principesca), registri
ecclesiastici (v. allegato in pdf), registri parrocchiali (conservano a partire dal Concilio di Trento e
fino al 1865 atti di stato civile: nascite, matrimoni, morti), atti di amministrazioni pubbliche (sia di
natura politica che amministrativa), statistiche, bilanci, catasti, ecc. Inoltre, atti di contenuto privato:
testamenti, donazioni, atti di compra e vendita o di affitto di terre o case, inventari di case o negozi,
registri contabili di mercanti o di monasteri, epistolari ecc.
-Fonti narrative
Biografie, autobiografie, annali, cronache, memorie, iscrizioni (v. epigrafia), diari, lettere,
agiografie (v. Acta sanctorum), romanzi e commedie, e infine giornali, riviste, libri, opuscoli.
a) Biografia
Narrazione della vita e dell’opera di un individuo che ha svolto un ruolo di rilievo e quindi per
questo motivo ne viene ricostruita l’attività. Non si limita necessariamente ai soli fatti pubblici, ma
si preoccupa di delineare lo sviluppo intellettuale, politico, morale di quella personalità. Lo storico
può incorrere nel pericolo di “romanzare” la vita del protagonista, oppure di limitarsi a scegliere e
disporre il materiale a disposizione. Occorre inserire la vita di cui si narra nel contesto spirituale,
politico e culturale dell’epoca, collegarla al contemporaneo sviluppo dei fatti e delle idee.
Ancora più problematica come fonte è l’autobiografia.
b) Annali (e annales monastici)
Racconti impersonali e molto sintetici, spesso continuati per diverse generazioni, che registravano
gli eventi anno per anno. Venivano compilati nei conventi più importanti, o in altri istituti religiosi,
spesso commissionati da principi o uomini di stato. Gli annali dell’Alto Medioevo erano quasi
esclusivamente opera di ambiente monastico. Inizialmente furono creati sulla base di annotazioni
che venivano poste sulle tavole indicanti per ogni anno la data di Pasqua. Persero importanza nel
tardo Medioevo.
c) Annalistica romana
Genere storiografico antico che inaugurò la produzione ufficiale latina. Caratterizzato dalla
narrazione anno per anno in forma schematica e cronologica, ebbe carattere ufficiale e sacro. Negli
Annales i pontefici registravano annualmente gli avvenimenti più significativi. Ebbe origine alla
fine del III sec. a.C. in forma poetica (Ennio e, in parte, la Guerra punica di Nevio) e proseguì poi
in prosa: in prosa scrissero in greco Fabio Pittore, Lucio Cincio Alimento e altri, e poi Publio
Cornelio Scipione, figlio di S. l’Africano. La prima opera storica in prosa latina, scritta come
reazione al greco degli annalisti, fu quella di Catone il Censore (274-149 a.C.) Origini (7 libri,
dalla fondazione di Roma ai suoi tempi, ne sono pervenuti solo frammenti); da allora in poi si
abbandonò la lingua greca. Grande dignità letteraria il genere raggiunse nel I sec. a.C. con Livio,
che in questa forma codificò la storia ufficiale di Roma. La forma annalistica fu adottata anche nel
I sec. d.C. da Tacito, anche se ormai erano del tutto cambiate, rispetto agli inizi, le condizioni
letterarie e politiche.
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d) Cronaca
Forma primitiva e molto semplice di narrazione storica, presente all’inizio della storiografia di tutti
i popoli, acquistò in Europa particolare rilievo nel Medioevo. Nella cronaca non vi è valutazione
critica, non si considerano cause né ripercussioni degli avvenimenti. Non può quindi definirsi storia.
Seguendo uno schema annalistico, la c. tenta di ricostruire la cronologia del passato, descrivendo
sinteticamente eventi in successione. Inizialmente furono gli ecclesiastici a dedicarsi alla stesura di
cronache in latino. Così furono scritte nell’VIII sec. le storie dei longobardi e dei romani di Paolo
Diacono, nel XII sec. le storie universali di Goffredo da Viterbo e quelle particolari di Milano,
Genova e della Sicilia. Dalla fine del sec. XII l’attenzione si spostò dalle cronache universali o
monastiche alla storiografia cittadina e le c. in genere riguardano soltanto una città o una regione,
di cui il cronachista è stato testimone oculare. Mercanti e notai si vennero affiancando agli
ecclesiastici, registrando mutamenti politici e imprese militari e aspetti della vita quotidiana. I primi
cronisti laici si affermarono nell’Italia settentrionale, mentre si abbandonava il latino per
raggiungere un pubblico più vasto. Si ricorda in particolare la Nuova Cronica (storia di Firenze
dalle origini fino al 1364) di G. Villani (1276-1348), considerato per la ricchezza delle informazioni
uno dei più importanti cronisti dell’Europa medievale. La Cronica, proseguita dal fratello Matteo, e
poi dal nipote Filippo, è un esempio di matura cronachistica dell’età comunale. La sua crisi nel
XIV sec. aprirà la strada alla storiografia umanistica.
e) Memorie
Opere a carattere biografico, autobiografico, cronachistico, considerate in riferimento ad un
determinato paese o periodo storico. Possono essere annotazioni, narrazioni di avvenimenti degni
di ricordo, ma spesso sono viziate dai sentimenti personali di chi le scrive, e quindi scarsamente
attendibili. Progressivamente sono state considerate documenti ai margini della storia, sia a causa
della ricerca di effetti letterari da parte dell’autore, sia perché il gusto della pura narrazione
prevaleva molto spesso sulla ricerca della verità e le separava sempre più dalla storia stessa.
f) Diari
Appunti quotidiani degli eventi. L’uso di tenere un diario nacque nel Cinquecento e divenne presto
una diffusa abitudine fra le persone colte. Si tratta di raccolta di annotazioni giornaliere, secondo un
ordine cronologico, scritte al tempo in cui si svolgono. Come le memorie e le autobiografie, sono
fonti storiografiche nelle quali gli avvenimenti sono narrati da chi ne è stato protagonista o
testimone oculare. L’autore pone al centro le sue vicende personali, collegandole agli avvenimenti
di interesse generale che maturano nell’ambiente in cui vive. In genere, sono i periodi di grandi crisi
storiche, o passaggi epocali, a dar vita ad una più vasta produzione di memorie e diari, nel tentativo
di sfogo individuale, di chiarificazione personale. Gli storici attribuiscono particolare importanza a
questo tipo di fonti –anche perché in genere non sono scritture ufficiali, destinate alla pubblicazione
(tranne che ad es. nel caso dei diari delle unità militari in tempo di guerra), quindi sono fonti non
intenzionali – anche se nell’utilizzarle si preoccupano di accertare i dati e di confrontare i d. con
memorie ed epistolario dello stesso autore, se ve ne sono conservati, con grande vantaggio per la
ricostruzione storica. Dagli anni Sessanta del Novecento, comunque, per gli storici hanno anche
grande valore i diari tenuti a scopo privato da singoli individui di estrazione sociale diversa, come
testimonianza diretta dell’influenza di vicende generali sull’esperienza personale e la vita (v.
Archivio della memoria, in Dizionario di storiografia, ad vocem).
g) romanzi, commedie, ecc.
Si tratta di un caso particolare di fonte per lo storico. E’ ovvio che le opere letterarie (romanzi,
racconti, opere teatrali, poesie) non possono essere considerate resoconti di fatti, per quanto grandi
siano in essi gli elementi di autobiografia o di analisi sociale e/o descrizione di costumi.
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Né i romanzi storici, tanto in voga nel secolo XIX grazie allo scrittore scozzese Walter Scott (17711832), hanno alcuna autorità per le descrizioni a cui si riferiscono, ma nell’Ottocento essi
acquistano particolare valore sia per la mitizzazione da parte romantica di epoche passate, come il
Medioevo e la simbologia ad esso connessa, nella ricerca delle radici “nazionali” dei popoli, sia in
funzione patriottica per il presente, di utilizzo della storia al fine politico dell’affermazione dell’idea
di nazione e delle lotte per l’indipendenza.
Anche i diari e i racconti di viaggio (ad es. il Viaggio in Italia di W. Goethe) possono essere buone
fonti per lo storico.
Ma qualsiasi produzione letteraria ha rilievo non solo per quello che narra, ma per come lo
narra e offre uno spaccato dell’ambiente sociale e intellettuale in cui lo scrittore è vissuto, e spesso
anche vivaci descrizioni dell’ambiente materiale. Inoltre l’autore riflette, interpreta ed espone i
valori e la sensibilità dei suoi contemporanei rispetto alla società del tempo, di cui egli stesso è
espressione (è appena il caso di ricordare ad es. la Divina commedia, il Decameron; o come gli
autori neoclassici e romantici rappresentino la società in cui vissero, da Goldoni a Balzac, da
Sthendal a Proust e Čhecov, a Th. Mann). Per quanto riguarda lo studio del XIX e il XX secolo, le
opere letterarie diventano di fondamentale importanza. Charles Dickens ad es. può essere citato a
testimonianza dell’atteggiamento mentale della classe media inglese nei confronti dell’Inghilterra
vittoriana; Isabel Allende ha efficacemente descritto nei suoi romanzi il Cile della dittatura di
Pinochet; il premio Nobel per la letteratura, 1982, G. Garcia Marquèz la Colombia.
Fonti orali
Si definiscono fonti orali i ricordi personali, tradizioni, miti, leggende, folklore, canti popolari,
danze rituali e in generale tutte quelle testimonianze del passato che ci pervengono attraverso una
testimonianza personale o di costume, o una tradizione orale, cioè racconti e descrizioni del
passato tramandate oralmente da una generazione all’altra, come ad es. è avvenuto nell’Africa
subsahariana fino ad alcuni decenni fa -prima che la progressiva alfabetizzazione portasse alla
graduale scomparsa della tradizione orale- o in alcuni paesi del Terzo Mondo e in generale nelle
società che o ignorano la scrittura, o la usano solo in via secondaria.
Il ricorso alle fonti orali (come a quelle audiovisive) è diventato estremamente rilevante per la
riflessione storica e l'analisi delle società e culture contemporanee, ma il “riconoscimento della
specificità dei mondi orali [...] è preliminare ad ogni uso critico delle fonti orali". (Luisa Passerini,
le testimonianze orali, in Il mondo contemporaneo, Firenze, NIS, 1983).
Critica esterna e critica interna del documento
Critica esterna (o di autenticità)
La critica esterna, o critica di autenticità, tende a stabilire se il documento che si esamina è
autentico o falso. Il falso può essere totale o parziale. Nel primo caso si tratta di documento
fabbricato totalmente. Il caso più famoso è quello Donazione di Costantino. Altri falsi famosi, in
epoca più recente, sono stati quello dei famigerati Protocolli dei Savi di Sion (v.), e quello della
Mappa di Vinland (v.). I falsi parziali possono riguardare la data, l’autore, e anche il testo, nel
quale possono essere state introdotte interpolazioni, aggiunte (passi cioè che originariamente non
c’erano), oppure esservi omissioni.
Per esame esterno si intende un esame compiuto in base ad elementi che sono indipendenti dal
contenuto del documento stesso.
Anzitutto il materiale di scrittura: papiro, pergamena, carta, tipo di inchiostro. Tale materiale varia
da epoca ad epoca.
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Poi l’esame della scrittura: i vari modi di scrittura variano da un’epoca all’altra, occorre quindi
verificare se essa corrisponde al tempo e luogo indicati nel documento (v. Paleografia).
Lorenzo Valla provò la falsità della Donazione di Costantino mediante lo studio critico della
lingua, che si rivelò essere dell’VIII secolo, anziché del IV, come avrebbe dovuto essere (v.
Filologia).
Sono indicative anche le varie forme di saluto, di datazione, di firma; le formule verbali distintive
della istituzione che lo ha prodotto.
Si deve poi tener conto della provenienza, sia immediata che remota. Per provenienza immediata si
intende il modo in cui il documento ci è pervenuto (es.: archivio, caso in cui vi è presunzione di
autenticità, che andrà comunque verificata; o altra provenienza: es. acquisto da un antiquario; o
provenienza sconosciuta). Per provenienza remota si intende l’origine del documento: il documento
può essere attribuito all’ufficio o alla persona che si suppone lo abbia prodotto? può trattarsi di un
originale autografo, confermato dall’esame calligrafico, e in questo caso l’autenticità può
considerarsi provata. Se si tratta di copia, occorre conoscere da chi e in quali circostanze sia stata
fatta. Se esiste l’originale, la copia andrà confrontata con esso; se non esiste, ma esistono altre
copie, andranno confrontate fra loro. Se non ve ne sono, bisognerà stabilire l’autenticità con la
critica interna.
Critica interna (o di attendibilità)
Si chiama critica interna quella compiuta mediante l’analisi del contenuto del documento. Un
documento può essere autentico, ma inattendibile.
Occorre da parte dello storico valutare circostanze e motivazioni della testimonianza, interrogarsi
sull’autore, sul tempo e sulle condizioni in cui scrive, controllare la provenienza delle sue
informazioni, se è spinto da pregiudizi radicati, o di parte (politici, religiosi, morali ecc.), o dal
desiderio di compiacere (ad es. i suoi superiori), o di lasciare volutamente ai posteri una
testimonianza distorta, magari per attutire o nascondere (qualora si tratti di persona con un ruolo di
rilievo in un contesto politico) le proprie responsabilità; oppure se, anche involontariamente, ha
alterato qualcosa nel suo racconto; valutare infine, nel caso di fonte documentaria, l’evoluzione nel
tempo della istituzione che ha prodotto il documento e il ruolo da essa tenuto all’interno di un corpo
politico e del paese.
Il contenuto di un documento autentico non deve contraddire quanto già si conosce con certezza su
quell’argomento.
Nel caso di un documento non attendibile, cioè falso nel suo contenuto, che non serve a provare ciò
che dovrebbe, o vorrebbe, lo storico deve chiedersene le ragioni: proprio perché deliberatamente
falsificato acquista un valore documentario diverso. Una menzogna è, in quanto tale, una
testimonianza: anche le motivazioni che hanno condotto ad essa possono risultare illuminanti.
E’ comunque importante sottolineare, insieme alla progressiva diminuzione di importanza delle
fonti scritte (predominanti per lungo tempo, anzi si può parlare in alcuni casi e periodi, di
monopolio vero e proprio) la odierna revisione e allargamento del concetto di “documento
archivistico” (v. p. 5).
Donazione di Costantino (v. Testo in pdf allegato)
Il documento è costituito da due parti: la Confessio, la leggenda di papa Silvestro che guarisce
Costantino, la conversione dell’imperatore al cristianesimo e il battesimo, e la Donatio, le
concessioni fatte dall’imperatore al papa.
L’imperatore romano Costantino, in segno di gratitudine per essere stato guarito dalla lebbra,
avrebbe donato nel 313 a papa Silvestro I e ai suoi successori la città di Roma e le province italiane
e occidentali dell’impero, dando così origine al potere temporale dei papi; e avrebbe riconosciuto a
tutti gli effetti l’equiparazione della gerarchia ecclesiastica a quella civile, del potere religioso a
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quello laico, del papa all’imperatore. Le clausole territoriali sono le più famose, ma il punto più
importante è quello costituito dall’equiparazione dei due poteri e delle due gerarchie.
Il documento, già rifiutato nel 1001 dall’imperatore Ottone III perché la pergamena non recava i
caratteri esteriori che ne provassero l’autenticità (mancava del sigillo), fu poi adoperato
ufficialmente da papa Leone IX nel 1053, e da allora per quattro secoli la Donatio rappresentò uno
dei cardini del pensiero ecclesiastico e fu considerata un documento degno di fede anche dagli stessi
avversari del potere temporale dei papi.
Come provarono prima Nicola Cusano e poi Lorenzo Valla (De falso credita et ementita Costantini
Donatione, 1440) sulla base dell’analisi linguistica del documento, esso era stato redatto intorno
alla seconda metà dell’VIII sec. per ratificare e legittimare il potere e il prestigio del papato e della
Chiesa.
Tuttavia il documento se non serve alla storia del IV secolo, epoca a cui vorrebbe riferirsi, serve
assai di più a quella del secolo VIII: anche se falso, è molto importante per la storia dei rapporti tra
lo Stato e la Chiesa nell’alto Medioevo in quanto, proprio perché fabbricato appositamente, si rivela
testimonianza preziosa del potere del papato in quel periodo, che rivendica per sé la parità con il
potere politico; avrebbe inoltre costituito la base alla legittimazione del potere temporale.
Protocolli dei savi di Sion
Il più celebre dei falsi prodotti dagli ambienti antisemiti intorno al 1900. Il libello con questo titolo
presentava un piano ebraico di dominio del mondo da realizzarsi attraverso il controllo della finanza
internazionale e la promozione di guerre e rivoluzioni ovunque. Pubblicato in Russia nel 1903, ebbe
diffusione molto limitata sino al 1917, quando cominciarono a moltiplicarsi le traduzioni. Nel
periodo 1918-21 i Protocolli furono ritenuti da molti un documento autentico che consentiva di
attribuire al sionismo (da sion, collina di Gerusalemme: ideologia tendente alla costituzione di uno
stato ebraico) la guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica e la crisi economica. Nel 1921 un
giornalista del “Times” di Londra dimostrò che si trattava di un falso. In realtà erano stati redatti da
agenti al servizio della polizia segreta dello Zar, che si erano serviti, cambiandone il contesto, di
interi brani di un libello diretto contro Napoleone III.
Mappa di Vinland
Nel 1959 un anonimo benefattore della Yale University acquistò per una grossa somma da un
antiquario una mappa che raffigurava la costa dell’America del Nord (“Vinland”), credendola del
XV sec.: da essa si poteva dedurre che le precedenti scoperte dei Vichinghi non fossero sconosciute
in Europa quando Colombo progettava il suo primo viaggio nell’Atlantico. Molti esperti
dichiararono autentica la mappa, sino a quando nel 1974 se ne dimostrò con assoluta certezza la
falsità attraverso l’analisi microscopica dell’inchiostro, che rivelò una notevole percentuale di un
pigmento artificiale sconosciuto prima del 1920.
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Scienze ausiliarie della storia
Paleografia
Disciplina che studia le scritture antiche, l’evoluzione e la loro storia, mediante l’analisi dei
manoscritti e dei documenti archivistici. Le prime scritture di cui si abbia notizia risalgono al 3000
a.C. Si suddivide in greca, latina e medievale. Le sue basi scientifiche furono poste da J. Mabillon
(De re diplomatica, 1681) e e B. de Montfaucon (Paleographia graeca, 1708). Per molto tempo
paleografia e diplomatica non furono distinte, sino a quando negli ultimi decenni quest’ultima è
divenuta una scienza autonoma. La paleografia, evolutasi metodologicamente, è divenuta anch’essa
una scienza a se stante, così come la storia del manoscritto tende anch’essa a separarsi dalla
paleografia per dar luogo alla codicologia, cioè la scienza dei codici. Oggi la scrittura viene
considerata espressione della società che l’ha creata e viene quindi inserita nel contesto storico in
cui è sorta. Si studiano i materiali usati (papiro, pergamena, carta), datazione, localizzazione,
abbreviazioni Se in origine la paleografia studiava ogni testo scritto, indipendentemente dal
supporto usato (papiro, moneta, sigilli, pietra o metalli), oggi questi hanno dato luogo ad altrettante
discipline indipendenti e cioè, rispettivamente, la papirologia, la numismatica, la sfragistica,
l’epigrafia (v.).
Diplomatica
Il nome deriva da diploma: in particolare, atto emanato da una cancelleria regia o imperiale; in
generale scrittura documentaria medievale.
La D. è la scienza che studia i documenti d’archivio per verificarne autenticità, datazione e anche il
processo storico e giuridico che è alla base della formazione del documento. Essa si interessa delle
carte scritte dall’Alto Medioevo fino all’età moderna, in massima parte in latino, più raramente in
greco, dal sec. XIII anche in volgare. Prende anche in esame la storia del documento: originali,
riproduzioni, copie, falsificazioni. La scoperta delle falsificazioni è uno dei suoi compiti, anzi era
proprio questo il fine principale quando nacque, alla fine del sec. XVII, con gli studi di J. Mabillon
(v. ). Le falsificazioni possono essere parziali (corruzioni); compiute togliendo o aggiungendo
qualche elemento (interpolazioni); oppure totali, come ad es. la famosa Donazione di Costantino.
Il “documento” per la Diplomatica.
La definizione tradizionale di documento in ambito diplomatistico è:
“Testimonianza scritta di un fatto di natura giuridica, compilata con l'osservanza di determinate
forme, le quali sono destinate a procurarle fede e a darle forza di prova” (C. Paoli, Diplomatica,
Firenze, Le Lettere, 1987). Il contenuto del documento per la D. deve necessariamente
rappresentare un atto che crea un diritto; il documento deve essere stilato con forme che forniscono
credibilità assoluta al documento. L'assenza di uno degli elementi formali mette in dubbio la
veridicità e l'autenticità del documento (v. Critica esterna del documento, o di autenticità).
La D. ha avuto, specie in questi ultimi decenni, una notevole e ampia evoluzione, tanto che non è
più una semplice “scienza ausiliaria” della storia: si avvale anche dell’ausilio della paleografia e
della storia del diritto per valutare anche autori e modalità di formazione del documento.
Epigrafia
Studio delle iscrizioni incise su materiale “durevole”, cioè non cartaceo (pietra, bronzo, legno,
oggetti di uso quotidiano). Essa comprende sia lo studio della scrittura (paleografia, v.), che
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l’analisi storica, cioè del contenuto dei documenti. Le epigrafi sono fondamentali come fonti per la
storia dei popoli del mondo antico (antico Oriente, semiti, fenici, punici, ebrei; persiani, indiani,
cinesi). Le epigrafi dell’antichità classica sono importanti fonti complementari e strettamente
correlate a filologia classica, assirologia, egittologia.
Il contenuto delle epigrafi può essere molto vario: da una semplice frase al testo di un’intera
legge. Esse sono fonte assai rilevante per la storia dell’antichità: atti ufficiali o privati, editti,
trattati, dediche onorifiche, liste cronologiche, contratti, testamenti, preghiere o maledizioni,
epitaffi, testi poetici, ecc.
Per le civiltà classiche si può parlare di epigrafia greca (iscrizioni di zone abitate dai greci o a
contatto con essi, dalla comparsa della scrittura al IV secolo d.C. e oltre); etrusco-italica (iscrizioni
etrusche e in alfabeti italici) e latina (iscrizioni dei territori abitati o dominati dai romani dal VII
secolo a.C. sino alle paleocristiane, sepolcrali).
Numismatica
Scienza che studia le monete e le medaglie di ogni tempo e luogo, sia dal punto di vista storico e
artistico che archeologico. Essa considera i materiali (metalli), i tipi e le leggende impresse
(documento di storia artistica), il peso, il titolo (quantità di metallo prezioso contenuta) e le tecniche
di produzione. Numerose le falsificazioni e le imitazioni.
Scienza antichissima (aveva lo stesso ruolo ricoperto oggi dalle medaglie commemorative); alla
fine del Medioevo risalgono le prime collezioni di medaglie e dal Rinascimento le monete antiche
diventarono oggetto di collezione.
Le monete sono utili per la conoscenza di date, simboli religiosi, costumi, titoli ufficiali; alcuni
periodi della storia, come ad es. l’Impero romano nel III sec., sono messi in luce più dallo studio
delle monete che da quello delle iscrizioni. La numismatica è fondamentale per lo studio dei
problemi economici e finanziari (svalutazione, inflazione, ecc.)
Metrologia
Studio dei sistemi di misurazione e monetari antichi, nei diversi tempi e luoghi. Nata nel XVI sec.
questa scienza indaga le misure usate prima dell’introduzione del metro, distinguendo tra le misure
locali (di lunga durata) e quelle ufficiali (più pronte in genere ad adattare gli antichi sistemi a nuove
esigenze). E’ necessario per lo storico conoscere le antiche misure (piede, passo, pollice, miglio,
jugero) per comprendere viaggi, manovre militari, dimensioni di edifici antichi, tasse, tributi, salari,
prezzi. Importante valutare il potere d’acquisto delle monete, anche se è difficile rapportarle alle
monete attuali. Sono di grande apporto alla metrologia le fonti documentarie, letterarie e
archeologiche integrate fra loro.
Sfragistica (sigillografia)
Termine coniato da studiosi del Settecento. Parte della numismatica che studia i sigilli, gli anelli
con impronta (impressa nella cera, nel metallo, nella ceralacca) adoperati come mezzo di chiusura,
convalida di documenti, timbro o mezzo di riconoscimento. La sigillografia, insieme alla
diplomatica e all’araldica (studio degli stemmi), è importante per la conoscenza della
consapevolezza del proprio ruolo da parte di re e nobiltà nel Medioevo
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Papirologia
Scienza recente che ricerca, decifra, interpreta i documenti su papiro, materiale scrittorio
dell’antichità mediterranea. E’ parte speciale della paleografia, perchè studia e interpreta scritture
greche e latine, la maggior parte delle quali proviene dall’Egitto (dominazione greco-romana dal IV
sec a.C.): i papiri sono stati trovati dentro anfore, sepolture, bende di mummie e anche in discariche
pubbliche (famosi i papiri di Ossirinco).
A seconda della provenienza, lingua ed epoca si suddivide in antica e medievale.
I testi in greco (i più abbondanti tra quelli pervenuti) sono stati notevoli per l’apporto fornito a
quelli già noti o a quelli sconosciuti. I papiri hanno contribuito in modo notevole alla conoscenza
della lingua greca, dell’antico cristianesimo e di altre religioni, e di riti magici. Sono pervenuti su
papiro in lingua greca testi letterari (tra gli altri i poemi omerici) o frammenti altrimenti
sconosciuti (di poesia, dramma, storia, filosofia, scienza, astrologia, di autori cristiani); ma la
maggior parte è costituita da documenti vari, sia pubblici (editti, lettere di re e imperatori) che
privati (contratti di vendita, di scambio).
I papiri hanno apportato elementi nuovi e preziosi alla conoscenza della storia antica: istituzioni,
costumi, vita economica e sociale. Oltre che della paleografia, la papirologia, in quanto
decifrazione e studio di documenti d’archivio, è partecipe anche della filologia e della diplomatica.
Araldica
Studia stemmi e blasoni nobiliari. L’uso di segni distintivi compare inizialmente sui vessilli in
battaglia, poi passa a simbolo di milizia o di ordine militare, e quindi a insegna di famiglia o di
singoli individui. L’origine si può collocare nell’Europa nordoccidentale verso la metà del sec. XII.
Il Basso Medioevo e i primi secoli dell’età moderna furono le epoche di massimo fulgore degli
stemmi. Le collezioni più antiche di stemmi risalgono al XIIII sec., e sono quelle delle famiglie
aristocratiche più in alto nella gerarchia, anche se, almeno inizialmente, anche persone non
appartenenti alla nobiltà, borghesi e contadini, usavano portare segni distintivi della propria
famiglia, cosa che fu poi contrastata in epoca rinascimentale dagli stessi sovrani, con la concessione
di patenti regie (tra i primi Amedeo VIII di Savoia, 1430).
Il nome deriva dagli araldi, cui spettava conoscere gli stemmi (o armi) conservati nei rotoli
araldici (o stemmari). L’araldica è disciplina ausiliaria della storia.
Filologia
Il complesso delle discipline volte alla ricostruzione di documenti e testi di valore storico,
letterario e culturale e alla loro corretta interpretazione e comprensione secondo metodologie
appropriate. La f. può avere sia un interesse limitato all’aspetto letterario e linguistico, sia in senso
più ampio quello diretto ad ampliare e approfondire, attraverso i testi e i documenti, la conoscenza
di una civiltà e di una cultura di cui essi sono testimonianza.
In età classica la f. si sviluppò nel III sec. a.C. ad Alessandria d’Egitto presso la famosa biblioteca,
per opera di studiosi che curarono le edizioni commentate dei testi omerici. Nel II sec. a.C. ebbe
iniziò la filologia latina, mentre nel VI sec. d.C. il metodo e gli studi furono trasmessi a conventi
anglosassoni, carolingi e a quello di Montecassino. Con l’Umanesimo la f. comprese anche
discipline come l’epigrafia, la storia, l’archeologia. Così molti testi furono riscoperti nei conventi da
letterati (Petrarca, Lorenzo Valla, Poliziano). Nel Cinquecento si distinsero in questi studi Erasmo
da Rotterdam, F. Melantone. Nei secoli XIX e XX esempi qualificati sono le pubblicazioni di
grandi raccolte epigrafiche e papirologiche e quelle di grandi autori classici greci e latini
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Nel XX sec. accanto alla f. classica e a quella germanica, si sono affermate la f. romanza,
medievale, italiana, slava, secondo che l’oggetto dello studio sia la letteratura e la civiltà del
mondo classico, quelle dei popoli germanici, le lingue e le letterature neolatine, ecc. e il metodo è
rivolto a ricostruire e ad interpretare i testi tenendo conto di altre discipline come la storia, la
linguistica, la metrica, la sociologia, la psicologia. La f. testuale è quella rivolta soprattutto alla
ricostruzione critica dei testi (v. Donazione di Costantino).
Storiografia e impegno civile. Pietro Lanza di Scordia
Glossario
Parlamento siciliano – organo di cui facevano parte i feudatari (braccio militare), gli arcivescovi,
vescovi, abati, (braccio ecclesiastico) e le città regie (braccio demaniale). Il suo compito era di
prendere in esame e approvare le richieste di denaro da parte della Corona (donativi). Poteva anche
in qualche caso proporre al re alcune leggi o valutare particolari iniziative legislative regie
Donativo – contributo finanziario offerto al re dal Parlamento siciliano. I donativi erano ordinari
(automaticamente rinnovati ogni tre o nove anni), e straordinari ( cioè richiesti dal re e concessi dal
Parlamento per occasioni particolari). Il donativo era in denaro, oppure consisteva nell’assunzione
di oneri finanziari a scopo militare, o in diritti fiscali, doganali, ecc.
Feudatario – proprietario di una terra feudale (feudo), assegnata dal re, o ricevuta in eredità;
oppure acquistata dalla Corona. Al feudo erano connessi il titolo nobiliare e particolari privilegi
Feudo – nel Medioevo bene (terra), o diritto, concesso tramite l’investitura dal signore a un vassallo
per ricompensarlo della fedeltà o del servizio prestato. In Sicilia il feudo territoriale era concesso
solo dal re e nella pratica era ereditario e vendibile
Privilegio – attribuzione a un soggetto, a un ceto, ad una categoria (nobiltà, clero, abitanti di una
città o di un territorio) di una posizione più favorevole rispetto agli altri in campo fiscale, giuridico,
politico
Demanio – l’insieme dei beni appartenenti allo stato. In Sicilia nell’età moderna l’insieme dei beni
(terre, diritti e redditi fiscali) appartenenti alla Corona
Usi civici – diritti acquisiti per antica consuetudine dai membri delle comunità contadine: facoltà
di pascolo, di raccogliere legna, uso delle acque, semina e coltivazione delle terre comuni.
Cessarono in seguito all’abolizione della feudalità da parte del Parlamento siciliano nel 1812
Gabelloto – affittuario delle terre del latifondo meridionale, particolarmente in Sicilia
Annona (o sistema annonario) – organismi preposti, all’interno di un’entità politica, alla
regolamentazione della produzione, distribuzione e trasformazione dei prodotti alimentari, e al
controllo di qualità e prezzi, soprattutto del grano.
Apostolica Legazìa – istituto in forza del quale i re di Sicilia, basandosi su una bolla del 1098 del
papa Urbano II in favore del conte Ruggero, considerarono di loro esclusiva competenza la materia
ecclesiastica dell’isola e la disciplina interna delle chiese siciliane. Il re aveva il privilegio di legato
del pontefice in Sicilia. I re di Sicilia sorvegliavano la condotta del clero e intervenivano nei
tribunali ecclesiastici.
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Deputazione del Regno – istituto che restava in carica tra una sessione e l’altra del parlamento.
Aveva competenze finanziarie (distribuzione dei pesi fiscali del donativo disposti dal parlamento) e
di difesa dei privilegi del Regno.
Tribunale del S. Uffizio – Istituito in Sicilia nei primi del Cinquecento, esisteva in Spagna sin dal
1482, quando Ferdinando il Cattolico aveva ottenuto da papa Sisto IV la facoltà di nominare nei
suoi stati inquisitori contro la “eretica pravità”. L’Inquisizione fu soppressa nel 1782. L’anno
successivo su richiesta dell’ultimo Grande Inquisitore, per ordine del re l’archivio segreto fu
bruciato.
Compromesso di Caspe (1412) – Il parlamento aragonese, riunito a Caspe, in Aragona, dal marzo al
luglio 1412, stabilì che la corona aragonese e quella siciliana, inseparabili, fossero date all’infante
Ferdinando di Castiglia, reggente del trono di Castiglia dal 1406 per conto del nipote Giovanni II.
Nel 1415 il nuovo sovrano inviava come viceré in Sicilia il figlio Giovanni, duca di Penãfiel. Il
regno di Sicilia scadeva definitivamente a viceregno. Nel 1416 gli successe Alfonso V il
Magnanimo, quale re di Aragona, di Sicilia e di Sardegna (1416-58) e dal 1442 re di Napoli.
Controversia tra Vittorio Amedeo II e la Chiesa
Nel 1711 il vescovo di Lipari, isola appartenente al regno di Sicilia, aveva scomunicato alcuni
funzionari locali che avevano imposto un dazio su un carico di fagioli senza rendersi conto del fatto
che si trattava di proprietà del vescovato e quindi esente dall’imposta. Per quanto i funzionari
avessero subito chiesto scusa, il vescovo non volle ritirarsi dalla lotta e il caso fu sottoposto agli
ecclesiastici che componevano il tribunale della r. Monarchia (attraverso il quale il re esercitava i
suoi diritti di legato pontificio, connessi cioè all’Apostolica Legazìa ) e questi revocarono la
scomunica. Il papa appoggiò il vescovo, il viceré esibì le dichiarazioni di numerosi teologi secondo
i quali l’autorità papale era limitata in Sicilia per antica tradizione. Vittorio Amedeo II (1713-1720)
ereditò questa controversia dal suo predecessore spagnolo e si giunse ad uno scontro frontale fra il
re e il papato, fra papisti e sostenitori del potere regio, sinché nel 1715 una bolla pontificia revocò il
privilegio dell’Apostolica Legazìa. Il papa vietò al clero di pagare la sua parte di donativi.
Centinaia di preti furono imprigionati o esiliati per aver ubbidito e i loro beni confiscati. I vescovati
rimasero vacanti, e in molti luoghi il culto sospeso, mentre i cittadini si sentirono esentati
dall’obbedienza al re. Nel 1728 l’Apostolica Legazìa fu restituita al re.
Adolphe Thiers (1797-1877)
Storico e uomo politico francese, raggiunse presto grande notorietà in seguito alla pubblicazione
della Storia della Rivoluzione francese (1823-1827), alla quale seguì la Histoire du Consulat et de
l’Empire (20 voll., 1845-1862). Ministro dell’Interno (1832-1835) durante la monarchia di luglio
(1830-1848, denominazione data al regno di Luigi Filippo d’Orléans, chiamato al potere dopo la
rivoluzione del luglio 1830 in Francia). Dopo la caduta di Napoleone III, divenne presidente della
Repubblica (1871-73).
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Cronologia dei re del regno di Sicilia e d’Italia
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1 Erodoto (Alicarnasso, 490 circa-425 circa aC)