L
L ibri del mese
Francesco, frate e papa
Sulla fortuna editoriale (e non solo) di un binomio
O
ggi «l’utopia francescana
ha in papa Francesco un
grande amico e un nuovo
discepolo»: queste parole
si leggono sulla fascetta
che avvolge un librettino (di 63 pagine
in sedicesimo piccolo) contenente due
brevi contributi di Thaddée Matura e
di Fabrice Hadjadj uniti sotto il titolo
di L’utopia di Francesco d’Assisi. Il li-
CXLI
brettino è inserito in una collana che
s’intitola appunto «smart books» pubblicata dall’editrice Messaggero di
Sant’Antonio.
La fascetta, oltre alla scritta, riporta
anche il volto sereno e rassicurante del
pontefice eletto nel marzo 2013, che ha
scelto il nome di «Francesco». Il librettino è una sorta di instant book, visto
che viene stampato «nel mese di aprile
2013». Nell’Introduzione p. Ugo Sartorio scrive: «Ci siamo abituati, ormai, a
collegare Francesco d’Assisi e Francesco
vescovo di Roma, figure d’ora in avanti
inseparabili». Un’abitudine, occorre sottolineare, impostasi immediatamente
dopo la presentazione del nuovo eletto ai
fedeli e al mondo, «sulla loggia della basilica di San Pietro».
Era inevitabile che l’editoria facesse
proprio questo «collegamento» incrementando la già non piccola produzione
di libri francescani che da anni prosegue
senza cedimenti: una produzione assai
variegata che va da seri e più o meno
corposi volumi di storici e teologi professionisti sino agli opuscoli devozionali.
Oggi la novità papa Francesco ha offerto una montante attualità a quella produzione e, quindi, al francescanesimo e
alla figura, in esso eminente, di Francesco d’Assisi, frate e santo.
Lo si ricava proprio, tra l’altro, dall’Introduzione di Ugo Sartorio, piena di
entusiasmo, scritta forse dopo che la
stampa dei due contributi di Matura e
Hadjadj era già stata decisa prima
dell’elezione papale del marzo 2013.
L’idea editoriale originaria necessitava
dunque di uno scritto preliminare che
quell’elezione imponeva, data la scelta
di Jorge Mario Bergoglio di assumere il
nome di Francesco, «un nome che tutti
– afferma Sartorio – hanno cominciato
a ripetere con gioia, con allegria, non
senza una punta di orgoglio».
Francesco
e la riforma della Chiesa
A ragione Giovanni Miccoli, nell’agosto 2013, introducendo la ristampa,
presso l’editore Donzelli, della selezione
dei «principali saggi» già pubblicati nel
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1991 nel volume einaudiano Francesco
d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana, scriveva come «del tutto singolare» fosse «la congiuntura di straripanti entusiasmi francescani, in cui»
quella sua «pubblicazione» veniva riproposta. Non è caso che l’Introduzione del
2013 abbia come sottotitolo l’espressione
«Otto secoli dopo: il santo e il papa» e
muova da domande all’apparenza scontate, eppure ripiene di temi e problemi di
fondo: «Perché questa scelta? Quale il
suo significato? A quali aspetti del Francesco storico guarda il nuovo papa? Difficile d’altra parte, proprio per la sua novità, non considerarla una scelta forte, densa di implicazioni. Inevitabilmente dunque un’ulteriore domanda: quali le prospettive che papa Francesco intende
aprire alla Chiesa e ai suoi rapporti con la
società?».
Tale complesso di questioni rinvia alle parole pronunciate «da papa Bergoglio
(…) a pochi giorni dalla sua elezione, ricevendo il 16 marzo i rappresentanti dei
media convenuti a Roma per il conclave». Esse hanno un valore decisivo poiché costituiscono «l’unica testimonianza
diretta» della scelta onomastica del nuovo vescovo di Roma. Di quelle parole,
che Giovanni Miccoli riporta «per intero», riprendiamo qui i riferimenti espliciti a Francesco d’Assisi: «Poi subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco
d’Assisi. Poi ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i
voti. E Francesco è l’uomo della pace. E
così è venuto il nome, nel mio cuore:
Francesco d’Assisi. È per me l’uomo della
povertà, l’uomo della pace, l’uomo che
ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato
una relazione non tanto buona, no? È
l’uomo che ci dà questo spirito di pace,
l’uomo povero… Ah, come vorrei una
Chiesa povera e per i poveri».
Dall’intero «racconto semplice, quasi
di basso profilo, volutamente sdrammatizzante, non privo di una sottile ironia»
Giovanni Miccoli ricava una sorta d’enunciazione «implicita» di una prospettiva d’«azione» del nuovo papa che non
esita a vedere Francesco d’Assisi come
«uomo della povertà, uomo della pace,
uomo che ama e custodisce il creato», anche se «inserito» in una volontà di operare
per «una Chiesa povera, ciò che la Chiesa, e meno mai la Chiesa di Roma, chiara-
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mente non è, comunque si intenda la “povertà” che essa dovrebbe assumere».
Saremmo dunque di fronte a una
«prospettiva di radicale riforma». Un’ulteriore domanda in ogni caso s’impone:
«Per quali tramiti e attraverso quali suggestioni Bergoglio è pervenuto ad associare Francesco d’Assisi a tale prospettiva, a individuare in lui il simbolo di riferimento per proporla e realizzarla?». Giovanni Miccoli fornisce prime importanti
indicazioni e acute riflessioni su «tramiti»
e «suggestioni», rivolgendo l’attenzione
al mondo da cui Jorge Mario Bergoglio
proviene e ricordando occasioni e personalità che hanno sostenuto «l’urgenza di
una Chiesa povera per poter riacquistare
voce e credibilità in una società dominata
dall’oppressione e dallo sfruttamento, di
una Chiesa aperta ai poveri perché ridivenuta capace di ravvivare in essi il volto
di Cristo e il senso profondo della sua testimonianza e del suo messaggio».
In modo immediato ed esemplare il
pensiero corre all’assemblea episcopale
di Medellín dell’agosto-settembre 1968 (e
a quanto ne è seguito) e a Hélder Câmara, nei cui scritti e nelle cui prese di posizione Francesco d’Assisi è «una presenza
ricorrente»: vale a dire, «il protagonista e
il punto di riferimento dei modi, dei termini e della direzione in cui una riforma
della Chiesa deve essere urgentemente
attuata».
D’altronde, Miccoli sottolinea come
lo stesso Bergoglio, «quando era ancora
arcivescovo di Buenos Aires», avesse
espresso pensieri assai chiari e significativi sull’Assisiate in quanto «santo riformatore», affermando che «Francesco ha apportato al cristianesimo una nuova concezione della povertà in opposizione al
lusso, all’orgoglio e alla vanità dei poteri
civili ed ecclesiastici dell’epoca. Ha sviluppato una mistica della povertà e della
privazione che ha cambiato la storia».
Tuttavia, il rinvio a certi orientamenti religiosi dell’America Latina non deve
essere considerato esclusivo. In maniera
opportuna e puntuale Giovanni Miccoli
ricorda come «a monte della scelta di
Bergoglio (…) riferimenti espliciti a Francesco d’Assisi e al modello da lui offerto
in funzione di una radicale riforma della
Chiesa siano presenti nei decenni del
postconcilio anche nell’ambito della
Compagnia di Gesù che, sotto la guida
del padre Arrupe, era venuta facendo
dell’opzione preferenziale per i poveri un
aspetto centrale del proprio impegno».
Lo stesso Arrupe, «in un discorso dell’agosto 1976 al Congresso eucaristico internazionale di Filadelfia», non esitò ad
affermare che «il mondo d’oggi ha bisogno dell’esempio di un nuovo Francesco
d’Assisi».
L’eredità difficile
Con l’Introduzione del 2013 di Miccoli siamo immessi in spazi di attese innovatrici che dopo il concilio Vaticano II
hanno avuto alterne fortune e, talora,
sono state duramente contrastate e represse. Il papato di Jorge Mario Bergoglio ha ridato nuova vitalità a quelle attese, che trovano espressione anche nell’editoria attraverso l’insistenza sull’accoppiamento dei «due Franceschi».
L’editrice bolognese EMI non si è lasciata sfuggire l’occasione, pubblicando,
nel febbraio 2014, la traduzione italiana
di un testo di Leonardo Boff dal titolo
Francesco d’Assisi, Francesco di Roma.
Una nuova primavera della Chiesa, comparso originariamente in lingua portoghese/brasiliana nel 2013 per la casa
editrice Mar de Idéias: sulla fascetta gialla che avvolge il volume italiano troviamo la dicitura «Il teologo “ribelle” si riconcilia con il Vaticano», oltre al ritratto
fotografico dell’autore, cioè il «teologo
“ribelle”».
La copertina riporta invece la riproduzione del classico affresco assisano della Predica agli uccelli di Giotto con una
finestra in cui compare la fotografia di
papa Francesco in un benedicente gesto
di saluto. Il libro è dedicato a «quelli che
dentro l’inverno credono nella primavera» ed esprime un auspicio: «Con papa
Francesco tutto indica che l’inverno ecclesiale di molti anni ha raggiunto la fine
per dare luogo a una ridente e speranzosa primavera». Nella seconda («Francesco d’Assisi e Francesco di Roma. Affinità e analogie») delle tre parti in cui è suddiviso il libro viene analizzata la «figura»
di papa Bergoglio, «sempre in parallelo
con san Francesco chiamato a restaurare
la Chiesa, missione imposta anche all’attuale papa».
Non è qui opportuno impegnarsi ad
analizzare le posizioni di Leonardo Boff
che in Italia sono note da tempo, per lo
meno dagli anni Ottanta del Novecento
quando furono tradotti in italiano alcuni
CXLII
suoi libri e saggi dedicati a Francesco
d’Assisi e al francescanesimo considerati
in stretta connessione con la «teologia
della liberazione». Di quella produzione
è stato scritto con pertinenza: «Si tratta
di un pensiero che non può esimersi da
una lettura attualizzante di Francesco e
del francescanesimo, mettendo all’opera
una serie di strumenti concettuali desunti dalla riflessione filosofica e sociologica
degli storicismi contemporanei.
Affascinante come molte proposte
d’attualizzazione, l’operazione di Boff –
com’è naturale – ne condivide anche i limiti. Il Francesco così caro al teologo
della liberazione finisce per essergli sempre più vicino, fino ad assomigliarli. E, in
effetti, la prospettiva di chi a un grande
personaggio del passato chiede ispirazione non può esimersi dal cogliere soprattutto gli aspetti più comprensibili al suo
presente (…). Boff, che è soprattutto teologo, è consapevole di riscrivere (…) la
vita di Francesco a partire dal proprio
modo di interpretarne il messaggio».
Queste considerazioni sono state formulate nel lontano 1989 da due (allora
giovani) studiosi, Roberto Lambertini e
Andrea Tabarroni, nel loro volume Dopo Francesco: l’eredità difficile delle Edizioni Gruppo Abele, che costituisce tuttora «uno strumento [assai utile] per tutti
coloro che sentono l’esigenza di un’introduzione al problema dell’eredità di
Francesco, non cercano tanto una nuova
chiave di lettura complessiva, quanto alcuni spunti per il loro desiderio di comprendere meglio quei tempi e le loro tensioni».
«Quei tempi» parrebbero limitati al
cosiddetto primo secolo di storia francescana, grosso modo dagli inizi del Duecento ai primi decenni del Trecento,
comprendendo la vicenda di Francesco
d’Assisi e di quanto (e quanti) essa mise
in moto – «l’eredità difficile», espressione assai efficace e fortunata – nei contesti
che via via si succedettero. C’è però il
fatto che quella «eredità difficile» non
esaurì i suoi effetti in poco più di un secolo. Già nel lontano 1977, trattando di
Francesco d’Assisi e ricerca storica sulla
rivista Laurentianum, Attilio Bartoli
Langeli avanzava una considerazione
che oggi ha conservato, se non moltiplicato, il suo valore: «Relativamente agli
studi francescani pare d’obbligo riflettere se e quanto sia possibile una storia per
CXLIII
il santo d’Assisi e per il francescanesimo
che prescinda da precomprensioni: gli
ideali suggeriti con tutta la forza dell’esempio di vita alla società dei primi decenni del secolo XIII, oltre che essere
tuttora vividi e incarnati in istituzioni religiose, sono estremamente operativi nella attuale coscienza cattolica».
Insomma, i contenuti della «eredità
difficile» di frate Francesco assai spesso
vengono determinati delle «precomprensioni» operanti in chi a essi abbia
guardato e guardi, sia pur da diversi e
particolari punti di vista, cristiani e non.
Allora le «precomprensioni» sono la griglia attraverso la quale ognuno definisce
gli «ideali» francescani e la figura stessa
dell’Assisiate.
In tal modo, per esempio, va considerato il Francesco d’Assisi di Ernesto
Balducci, uscito nel 1989 e riproposto
nel 2004 e, infine, nel 2014 dall’editore
fiorentino Giunti. L’ultima edizione è introdotta da uno scritto di Vito Mancuso
dal titolo «Francesco d’Assisi, Balducci e
papa Bergoglio», che vuole essere un testo per giustificare (ed esaltare) la riproposta di un’opera «venticinquenne»:
«Balducci non ha avuto la fortuna di vedere l’azione di papa Francesco, ma si
può dire che le sue parole, soprattutto in
questo libro su san Francesco d’Assisi,
l’hanno prevista, quasi invocata». Sembrerebbe che il binomio frate Francesco/papa Francesco possa diventare con
facilità un trinomio attraverso l’aggiunta
di una qualche altra personalità che al
primo si è accostato a suo tempo e il secondo ha preconizzato: si tratti di Leonardo Boff o di Ernesto Balducci o di altri ancora.
Grillo, Bergoglio
e il «terremoto dolce»
La tentazione apologetica, se non
agiografica, si ripropone inopinatamente
con vigore per finalità attualizzanti, ovvero per usare il passato in funzione del presente e del futuro. In proposito si ricordi
la fascetta del volume di Leonardo Boff:
«Il teologo “ribelle” si riconcilia con il
Vaticano». Dal canto suo Vito Mancuso
afferma: «Sotto la penna di Balducci san
Francesco d’Assisi diviene il modello della fede di oggi, una sorprendente anticipazione medievale di ciò che è chiamata
a diventare prossimamente la spiritualità
postmoderna».
D’altronde, nella premessa al volume del 1989 lo stesso Balducci formulava
la seguente proposta: «Le distanze cronologiche perdono d’importanza quando si prende come termine di confronto
un uomo in cui è emersa, in modo eccezionale, la natura umana nei suoi impulsi
costitutivi, cioè in quella sua densità ontologica che tende a dispiegarsi in forme
esistenziali ancora inedite ma che,
nell’urto con la realtà, è costretta a dispiegarsi su di sé in attesa di un tempo
propizio. Vorrei condurre i miei lettori a
riconoscere in Francesco quella eccedenza di umanità che, quando apparve, venne relegata, con ammirazione, tra le pretese impossibili dell’uomo storico, e che
oggi sembra avere dinanzi a sé le condizioni adatte a fornirle carne e sangue. Se
così è, il fenomeno Francesco esce
dall’ambito specialistico dell’agiografia
ed entra in quello dell’antropologia, esce
dagli spazi sacri ed entra in quelli laici».
Ecco ricomparire «l’utopia di Francesco d’Assisi» – «le pretese impossibili
dell’uomo storico» – e l’attualizzazione
più piena dell’Assisiate: «Francesco non
è un uomo del passato, è un uomo del
futuro». Con una certa sorpresa la visione balducciana presenta più di un elemento in comune con il «profetismo rivoluzionario» di Michael Hardt, «professore associato nel dipartimento di letteratura della Duke University», e Antonio Negri, docente di «Scienze politiche
alle università di Padova e Parigi VIII»,
più noto in Italia come Toni Negri: il
profetismo rivoluzionario che in rapida
sintesi si ritrova espresso a chiusura di un
loro volume dal titolo icastico, Empire,
ovvero Impero, comparso nel 2003 nella
popolare «Biblioteca universale Rizzoli».
Il libro intende illustrare «il nuovo
ordine della globalizzazione», nella convinzione che «l’Impero sia il nuovo soggetto politico che regola gli scambi mondiali, il potere sovrano che governa il
mondo» e nella prospettiva di individuare e supportare «le forze che contestano
l’Impero e prefigurano effettivamente
una società globale alternativa».
Al termine di molte e molte pagine, si
trova una sorta di medaglione che descrive i caratteri della militanza dell’«agente
della produzione biopolitica e della resistenza contro l’Impero»: una militanza
che «resiste nei contropoteri e si ribella
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Una
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forma del
Vangelo
Minore
L
a chiave del saggio di Grado Giovanni Merlo Frate
Francesco (il Mulino, Bologna 2013, pp. 184, € 15,00) si
trova già nell’Introduzione, quando l’autore, che insegna Storia del cristianesimo all’Università di Milano ed è tra
le figure più autorevoli nell’ambito degli studi francescani,
sottolinea la distinzione tra frate Francesco e san Francesco, e l’intento di «presentare la figura e l’esperienza umana» del primo piuttosto che aggiungere altro al «persino
troppo» che sappiamo sul secondo. Date tali premesse, la
lettura che egli compie sulle fonti, distinguendo tra gli scritti, e tra questi massimamente il Testamento, e gli altri documenti storici, da un lato, e la vasta produzione bioagiografica dei primi decenni, dall’altro, dando sempre ragione
degli uni e delle altre, risulta in una storia di frate Francesco
che non conduce affatto a negare san Francesco, ma anzi
ce lo fa meglio comprendere.
Tra le molte ricchezze di questo lavoro, si apprezza particolarmente la restituzione di tutta la loro forza a due parole «francescane» divenute piuttosto logore a causa
dell’uso e in qualche caso dell’abuso, come «frate» e «minore». La prima si è tradotta in sinonimo di qualunque forma
di vita religiosa maschile, anche quando appartiene a una
tradizione del tutto «altra». La seconda è ormai prigioniera
della sigla che identifica sbrigativamente gli appartenenti
alle attuali tre famiglie francescane maschili principali, mentre pochi chiamano i francescani «minori». Ecco invece le
parole «frate», fratello, e «minore», più piccolo, ricollocate
dal prof. Merlo alla radice del programma di Francesco:
proiettandosi in un progetto d’amore». E
qui assistiamo all’improvvisa e folgorante entrata in scena di san Francesco d’Assisi: «C’è un’antica leggenda che potrebbe illuminare la vita futura della militanza comunista: la leggenda di san Francesco di Assisi. Vediamo quale fu la sua
impresa. Per denunciare la povertà della
moltitudine, ne adottò la condizione comune e vi scoprì la potenza ontologica di
una nuova società. Il militante comunista fa lo stesso nel momento in cui identifica nella condizione comune della moltitudine la sua enorme ricchezza.
In opposizione al capitalismo nascente, Francesco rifiutava qualsiasi disciplina strumentale, e alla mortificazione della carne (nella povertà e nell’ordine
costituito) egli contrapponeva una vita
gioiosa che comprendeva tutte le creature e tutta la natura: gli animali, sorella
luna, fratello sole, gli uccelli dei campi,
gli uomini sfruttati e poveri, tutti insieme
contro la volontà di potere e la corruzione. Nella postmodernità, ci troviamo an-
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giacché sono le stesse che compaiono, una accanto all’altra, nel noto passo evangelico: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto
a me» (Mt 25,40).
Un programma che, con giustificata insistenza, il prof.
Merlo indica nell’espressione, tratta appunto dal Testamento di frate Francesco, «vivere secondo il modello del
santo Vangelo»; ma senza che ciò sia inteso come incompatibile con la «forma della santa Chiesa romana» secondo la
quale vivono rettamente i sacerdoti, sempre nelle parole di
frate Francesco. Con tale istituzione «dominativa» egli conduce i frati a un incontro quasi immediato, nel 1209, durante
il quale ottiene da Innocenzo III l’approvazione orale della
fraternità dei «minori», e a tale istituzione egli affida l’ordine stesso (tramite la figura del cardinale protettore), nell’intento – rivelatosi vano – di salvaguardarne la condizione
«subordinativa».
Ecco che in questa dialettica tra «dominativo» e «subordinativo» la scelta del card. Bergoglio di assumere, salendo
al vertice dell’istituzione, il nome di Francesco appare «ancor più significativa e ripiena di passato e di futuro». «Oltreché – prosegue l’autore – soprattutto di presente in riferimento a quella fede nel Dio/Trinità, di cui Gesù Cristo è la
seconda “persona”; fede senza la quale anche il francescanesimo subordinativo di frate Francesco non sarebbe altro
che un umanesimo ammirevole e, magari, commovente».
G. Mc.
cora nella situazione di Francesco, a contrapporre la gioia di essere alla miseria
del potere. Si tratta di una rivoluzione
che sfuggirà al controllo, poiché il biopotere e il comunismo, la cooperazione e la
rivoluzione restano insieme semplicemente nell’amore, e con innocenza.
Queste sono la chiarezza e la gioia incontenibile di essere comunisti».
Non è caso qui di dilungarsi su convergenze e divergenze del pensiero escatologico e palingenetico sia di Ernesto
Balducci sia di Michael Hardt/Antonio
Negri, nel loro reciproco rinviare a Francesco d’Assisi. Siano sufficienti i pochi
dati sin qui forniti che spingono piuttosto
verso ulteriori direzioni d’illustrazione
del tema centrale di questo nostro intervento: direzioni, come abbiamo visto,
non del tutto estranee a dimensioni escatologico-palingenetiche. Ed ecco, nella
nebulosa di tali dimensioni, riapparire il
binomio san Francesco/papa Francesco.
Nel blog di Beppe Grillo si è potuto (e
si può) leggere un testo intitolato L’importanza di chiamarsi Francesco, da cui
traiamo la seguente citazione: «Nessun
papa ha mai avuto il coraggio, perché di
vero coraggio si tratta, di chiamarsi
Francesco. Il santo che la Chiesa voleva
bruciare come eretico, il poverello di Dio
che si scagliò con il solo esempio contro
la lussuria dei cardinali del suo tempo
(…). C’è qualcosa di nuovo in questa primavera 2013, un terremoto dolce. Il nome Francesco scelto da papa Bergoglio,
un gesuita di mamma genovese, è già
molto, per ora può bastare, poi si vedrà.
È il primo papa low cost».
In modo quasi profetico, nel dialogo
con Dario Fo e Beppe Grillo avuto nel
dicembre 2012 e pubblicato nel successivo febbraio 2013 nel libro Il Grillo canta sempre al tramonto dell’editore Chiarelettere, Gianroberto Casaleggio aveva
sostenuto la non casualità dell’inesistenza di «un papa che si fosse fatto chiamare
Francesco» e, nel contempo, aveva sottolineato che «per la creazione del MoVimento [5 Stelle]» fosse stata scelta
«appositamente la data di San Francesco».
CXLIV
Nel blog di Grillo la cosa viene confermata a pieno: «Il M5S è nato, per scelta, il giorno di San Francesco, il 4 ottobre
del 2009. Era il santo adatto per un movimento senza contributi pubblici, senza
sedi, senza tesorieri, senza dirigenti. Un
santo ambientalista e animalista. La politica senza soldi è sublime, così come potrebbe diventare una Chiesa senza soldi,
un ritorno al cristianesimo delle origini. I
ragazzi del M5S (…) nel 2010, si autodefinirono i “pazzi della democrazia”, così
come i francescani erano detti i “pazzi di
Dio”. Ci sono molte affinità tra il francescanesimo e il M5S».
Il binomio san Francesco / papa
Francesco ha così una nuova espansione
trinonimica attraverso un soggetto collettivo, ossia il MoVimento 5 Stelle, i cui
«fondatori» rivendicano «molte affinità»
con il francescanesimo e dimostrano una
sorta di predilezione per il papa che con
«vero coraggio» ha scelto il nome di
Francesco, anche se rimangono in vigile
attesa circa le sue future azioni: «Habemus papam. Per il momento il suo nome
ci rallegra, speriamo che ci rallegrino
presto anche le sue opere».
Nell’ambito del dialogo avuto con
Beppe Brillo e Gianroberto Casaleggio,
a un certo punto Dario Fo se ne esce con
una sorprendente affermazione: «Un’altra storia incredibile è quella che ci raccontano da secoli su san Francesco e che
è completamente falsa». Quale sarebbe
allora la «storia vera»? La risposta di Dario Fo è altrettanto sorprendente: «Quella di cui tratta una ricercatrice straordinaria, Chiara Frugoni. La stessa storia
che poi ho ripreso e recitato per due anni
di seguito, Lo Santo Jullàre Françesco».
Il Francesco storico
e il problema delle fonti
Tale risposta interessa qui soltanto
come pretesto per introdurre l’avvincente e assai complessa questione del
cosiddetto «Francesco storico», ossia, se
vogliamo, la questione della «storia vera» di frate Francesco d’Assisi. Contributi importanti, per risolvere in modo
positivo la questione, non sono mancati
negli ultimi anni: basti ricordare, per
esempio, il Francesco d’Assisi. Tra storia
e memoria di André Vauchez, pubblicato, in versione italiana migliorativa,
dall’editore Giulio Einaudi nel 2010, e il
delizioso Storia di Chiara e Francesco di
CXLV
Chiara Frugoni, uscito presso lo stesso
editore nel 2011 («Ho scelto di privilegiare qui le voci di Chiara e Francesco e
ascoltare poco quelle dei suoi agiografi,
costretti spesso a seguire la volontà dei
committenti»).
Nel contempo, non sono mancate le
ristampe di opere, più o meno recenti,
dall’alta valenza metodologica ed euristica, oltre che contenutistica: per tutti,
si vedano il già ricordato Francesco di
Giovanni Miccoli e la raccolta di studi di
Luigi Pellegrini, Frate Francesco e i suoi
agiografi (Edizioni Porziuncola, Assisi
2004). Né mancano contributi assai fini
e puntuali sulla «spiritualità» di frate/
san Francesco a partire da quelli di
Thaddée Matura a quelli di Cesare Vaiani, passando per quelli di Carlo Paolazzi e di Cesare Manaresi. Un posto
eminente e particolare occupano le ricerche di Attilio Bartoli Langeli, di cui è
sufficiente menzionare la fondamentale
monografia su Gli autografi di frate
Francesco e di frate Leone, edita nel 2000
a Tourhout da Brepols, fondata su acute
e raffinate ricerche di carattere paleografico che hanno consentito di ricavare
indicazioni preziosissime sulla cultura e
sulla personalità dell’Assisiate e che bene s’incontrano e si integrano con gli
eminenti studi di Giovanni Pozzi su stile
e linguaggio di san Francesco.
In tutti questi lavori, larga, se non
esclusiva, parte hanno gli Scritti di frate
Francesco. D’altronde, già nel numero
di Concilium dedicato a «Francesco
d’Assisi, oggi», del 1981, Anton Rotzetter rilevava come «la nuova impostazione» degli studi sull’Assisiate assegnasse
«un valore autonomo e prioritario all’opera autentica del santo», rispetto alla
«antica prospettiva» che privilegiava le
fonti bio-agiografiche. Ciò nonostante,
ancora oggi qualcuno sostiene di aver
proposto con il proprio libro una «novità» facendo emergere «l’immagine di
Francesco (…) da suoi testi».
Il riferimento è al libro di Brunetto
Salvarani che, nell’aprile 2014, anche
considerando il «nuovo impulso dato al
suo [di Francesco d’Assisi] messaggio
dal carisma di papa Francesco», ha fornito l’ennesima traduzione italiana di
Tutti gli scritti di Francesco d’Assisi nel
volume Guardate l’umiltà di Dio per la
«nuova grande collana diretta da Vito
Mancuso», in modo impegnativo e am-
bizioso intitolata «I grandi libri dello spirito», della milanese editrice Garzanti
Libri.
Si tratta invero di un lavoro appassionato di un «teologo, giornalista e
scrittore» «non francescanista», che alla
traduzione vera e propria degli scritti
premette un’Introduzione di una settantina di pagine e pospone un apparato di
note di una cinquantina di pagine, dimostrando così di aver acquisito, sia pure in modo accumulativo, una adeguata
competenza «francescanistica».
Perciò, risulta non molto comprensibile il motivo per il quale l’autore abbia
scelto come «testo critico di riferimento
(…) quello stabilito» da Claudio Leonardi nel 2004 nel primo volume de La
letteratura francescana, quando successivamente, nel 2009, presso i Frati editori di Quaracchi, Carlo Paolazzi ha provveduto a fornire una rinnovata edizione
critica degli Scritti di Francesco d’Assisi,
comunque citata da Brunetto Salvarani
in bibliografia. Nell’articolazione del canone degli stessi scritti, inoltre, Salvarani ha optato per l’inserimento di testi dei
quali la critica filologica ha negato l’autenticità. Insomma, se l’obiettivo è di fare emergere «l’immagine di Francesco
(…) dai suoi testi», era forse doveroso
evitare le false partenze.
Per converso, esistono offerte editoriali che lasciano perplessi e attoniti, come nel caso della riproposta, nel 2014,
di una vecchia pubblicazione de La regola e altri scritti di Francesco d’Assisi, a
cura di Mariano d’Alatri, da parte delle
edizioni San Paolo, che forniscono un
prodotto obsoleto, ignorando e sottraendo al lettore le acquisizioni importanti
della critica recente. I suggerimenti, se
non le vere o presunte costrizioni, del
mercato – si dirà – impongono risposte
pronte e tempestive anche a costo di
operazioni culturali ed editoriali disinvolte per arrivare al prodotto, benché il
rispetto della ricerca e del pubblico dovrebbe andare in tutt’altro senso.
L’auspicio è che l’indubbia suggestione del binomio frate Francesco/papa Francesco sia motivo di conoscenza
del passato e del presente, realizzata e
offerta, a ogni livello, in modo rigoroso e
serio senza scorciatoie e senza strumentalizzazioni (e ideologizzazioni) di sorta.
Grado Giovanni Merlo
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Francesco, frate e papa - Edizioni Dehoniane