Jay Smith
Alex Chowdhry
Toby Jepson
James Schaeffer
BIBBIA
PAROLA DI DIO
101 risposte bibliche
alle obiezioni di gnostici, scettici e critici
Editrice Uomini Nuovi
21030 Marchirolo (Varese) Italia
www.eun.ch
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Titolo originale 101 Cleared Up “Contradictions” in the Bible
© Copyright Dr. Jay Smith
Traduzione a cura di Francesco Maggio
Collaborazione editoriale Rinaldo Diprose
Impaginazione Yolanda Risi
Copertina Carta e Penna, [email protected]
Stampa Multimedia, Giugliano / NA
1a Edizione italiana marzo 2010
Edizione a cura di Giuseppe E. Laiso
© Copyright by
Editrice Uomini Nuovi
21030 Marchirolo (Varese) Italia
Telefono (0332) 723.007 - Fax (0332) 99.80.80
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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare,
a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia,
perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato
per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16-17).
La Bibbia, Parola di Dio
I lettori troveranno interessante ed attuale il libro che proponiamo.
Ringraziamo Francesco Maggio che con grande determinazione ha
voluto la pubblicazione in italiano ed ha lavorato con i suoi
collaboratori per la traduzione.
Grazie al Prof. Rinaldo Diprose, direttore dell’Istituto Biblico
Evangelico Italiano a Roma, per la preziosa collaborazione
redazionale di tutti i temi affrontati nel presente volume.
Gli autori, biblisti molto stimati e apprezzati, ci presentano il
risultato delle loro ricerche per incoraggiarci che la Bibbia dice il
vero ed è la Parola eterna di Dio. Hanno cercato e risposto ad
alcune obiezioni che vengono mosse contro l’autenticità della Bibbia.
E lo hanno fatto partendo da un testo di un autore musulmano il cui
intento era quello di mettere in discussione la Parola di Dio.
Il Corano, secondo la tradizione islamica è stato scritto da Dio
stesso, non da Maometto, che lo ha semplicemente ricevuto.
I cristiani da sempre sostengono che la Bibbia non è stata data,
né dettata da Dio, ma ispirata dal Signore che si è servito di persone
comuni per tradurla nel linguaggio della gente. Questa collaborazione
tra agente divino ed agente umano è completamente assente nel
Corano, il libro sacro dei musulmani.
Le 101 risposte bibliche alle obiezioni mosse dallo scrittore
Ally, potrebbero benissimo essere messe in un testo a parte, intitolato:
“101 risposte alle critiche mosse alla Bibbia”. Pur in questo
contesto di risposta alle accuse mosse dallo scrittore musulmano,
questo libro conserva una sicura efficacia e risponde puntualmente
a tutte le obiezioni che nel corso degli anni, miscredenti, scettici o
appartenenti ad altre confessioni religiose, hanno evidenziato.
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Ne esce un testo biblico rafforzato; di esso ogni credente troverà
conferma che si tratta della vera Parola di Dio. Questo non significa
che tutta la Bibbia è facilmente comprensibile oppure che essa è
esente da apparenti contraddizioni. Esse ci sono a motivo del fatto
che la Bibbia è un testo storico, tiene conto cioè delle diverse
epoche in cui i brani sono scritti ed anche degli eventuali errori
degli scribi; errori non voluti, ma dovuti a circostanze occasionali.
Lo stesso ritrovamento di Qumram di più di mezzo secolo fa,
non ha fatto altro che confermare che la Bibbia è un testo affidabile.
Resta a questo punto il compito del lettore di esaminare il presente
volume con la convinzione che le sue eventuali perplessità verranno
dipanate e la sua fede rafforzata.
Pastore Dr Giuseppe E. Laiso
Direttore Editrice Uomini Nuovi
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A conferma dell’Evangelo
Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una esponenziale invasione
di libri, scritti da scettici e ignoranti detrattori della verità. Questi
credono di costituire lo pseudoimpianto accusatorio per dimostrare
che la Bibbia non è la Parola di Dio con vacue strumentalizzazioni
contro apparenti discrepanze contenute nella Bibbia.
Agli scettici e filosofi occidentali ora si sono aggiunti anche i critici
musulmani, i quali riciclano dagli occidentali le critiche contro la
Bibbia, per dimostrare che il Corano ne esce vincitore.
Il presente libro si rivolge specialmente a quell’utenza di cristiani
biblici che:
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Sono profondamente consapevoli del compito doveroso di affermare la difesa e conferma dell’Evangelo; o aiutare altri non
credenti a superare i dubbi sulla inerranza della Bibbia.
Studenti e gruppi universitari che si pongono profonde domande
critiche concernenti la Bibbia.
Essere disponibili ad accrescere la loro conoscenza e comprensione della Bibbia e pertanto accrescere la propria fede in Cristo.
che hanno poca familiarità con la Bibbia, a comprendere quei
passaggi che apparentemente sono meno chiari contro coloro
che torcono la Verità contenuta nella Bibbia.
il contenuto di questo volumetto conferma a voce alta la inerranza
della Bibbia e che Gesù Cristo è il Fglio di Dio e Salvatore del
mondo.
Dato il formato ridotto può essere che certe note non siano,
per un lettore molto esigente, pienamente esaustive. Pertanto
rimandiamo quel tipo di lettore a consultare altri eccellenti libri
che trattano, con contenuti più approfonditi, le stesse tematiche.
Infatti questo testo condensato vuole servire più come sprono
che da compendio teologico.
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Colui che mediante lo Spirito Santo, per bocca del Padre nostro
e tuo servitore Davide, ha detto: Perché hanno fremuto le genti,
e i popoli hanno meditato cose vane?
NON TUTTI I LIBRI sono scritti per tutti; infatti questo libro
compare come un contenitore di critiche ed attacchi indiscriminati
alle Scritture lasciando probabilmente confuso chi non è abituato a
confrontarsi con critici e scettici specializzati alla scuola d’oggi.
Alle presunte contraddizioni presenti nella Bibbia sono opposte in
questo libro altrettante risposte che sostengono la veridicità della
Parola di Dio, la sua visione d’insieme, le sue dottrine sostenute dai
primi libri sino agli ultimi. Il credente può far tesoro di queste
risposte, studiarle, farle proprie per poter eventualmente rispondere
poi ad attacchi contro la Bibbia.
Negli ultimi anni la Bibbia ed il Cristianesimo in genere sono
stati oggetto di derisioni irriverenti come non mai, critiche distruttive gratuite, attacchi razionali che ne vogliono distruggere a tutti i
costi l’autenticità e l’attendibilità dei contenuti, ritenuti troppo fantasiosi. Internet fa da cassa di risonanza a numerosi video fatti in
casa da atei o agnostici, a siti costruiti su misura da personaggi
anche noti provenienti da ambienti scientifici, filosofici, ad associazioni agnostiche che ricevono addirittura il 5 per mille dai contribuenti (es. Uaar), per diffondere gli attacchi indirizzati soprattutto
alla chiesa cattolica e distruggere così indirettamente, si vorrebbe,
l’immagine di Gesù, screditata e bistrattata ultimamente senza
remore. Sempre più ormai si reclama da più parti il bisogno di uno
stato che sia esplicitamente laico, in cui la religione o l’etica suggerita da valori spirituali devono obbligatoriamente lasciare il passo
ad un pensiero sgombro da pesanti oscurantismi dettati dai dogmi
della chiesa cattolica. Pubblicazioni di libri, saggi, inchieste sulla
dubbia origine di Gesù, dei suoi discepoli e discepole, di presunti
misteri tenuti celati per millenni, riempiono le prime posizioni di
classifiche di vendita di bestseller.
Insomma chi vuole attaccare la Bibbia o Gesù, o qualche
altro personaggio biblico, può prendere spunto da numerose fonti
già ampiamente disponibili e perfezionare così oltraggi senza
pari. Che cosa fa la vera Chiesa di Cristo? Satana sta sferrando i
suoi più subdoli e feroci attacchi. Molti dei video in lingua italiana
contrari a Gesù su Youtube ricevono migliaia di visite al giorno e in
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opposizione ben poco materiale cristiano è disponibile e
conseguentemente visionato. Troppi libri parlano male delle Scritture
senza valutarle onestamente e con atteggiamento di studio, pochi
lettori si avvicinano alla Bibbia, sempre più impolverata e
abbandonata in biblioteca. Non si può rimanere indifferenti davanti
a questo fenomeno voluto da satana e seguito da numerosissimi
suoi adepti che si vantano della loro mente razionale e non” infetta”
da virus religiosi. Non possiamo rimanere inermi e subire rassegnati.
Ecco perché ritengo che questo libro meriti di essere letto, studiato
e capirne la portata. La nostra risposta in difesa della Parola di Dio
deve essere altrettanto forte e voluta. Il libro che hai in mano mostra
solo una parte degli attacchi contro la Bibbia; infatti se lo leggerai e
lo troverai utile in seguito ti sensibilizzerai a “sentire” come ogni
giorno nuovi dardi infuocati da più parti sono indirizzati contro
Cristo.
Se cerchi quindi un manuale teorico per la vita cristiana questo
testo non risponderà alle tue lecite esigenze, se vuoi scendere in
campo di battaglia invece, combattendo contro armi moderne,
multimediali, travolgenti, che pur sembrando così virtuali sanno
invece ben influenzare assai concretamente i pensieri della società
attorno a Dio, allora posso augurarti già una benedetta lettura.
Francesco Maggio
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Bibbia, Parola di Dio
101 risposte bibliche
alle obiezioni di gnostici, scettici e critici
“Uno strumento utile per il credente che vuole essere pronto per
rispondere a chi chiede ragione della sua fede.
Apparenti e presunte contraddizioni bibliche qui vengono abilmente chiarite e smontate. In modo ordinato, dettagliato e puntiglioso, Jay Smith propone risposte convincenti e credibili a ben 101
apparenti contraddizioni bibliche.
Uno strumento strategico per affrontare il dialogo con i musulmani
e non solo.
In un’era quando la credibilità della Bibbia viene fortemente
attaccata, è vitale che non solo comprendiamo ed accettiamo la
dottrina dell’ininerranza biblica ma che la sappiamo difendere dai
crescenti attacchi sferrati da tante parti. Sebbene l’intento apologetico
di questo scritto sia di confutare l’accusa di contraddizioni bibliche
mossa dai musulmani, di fatto la sua valenza è molto più vasta.
Viviamo in un’Italia multietnica dove il contatto con altre fedi non
è soltanto una remota possibilità ma piuttosto qualcosa che noi,
chiesa, dovremo intenzionalmente volere e ricercare. Vivere la missione implica essere ben addestrati e scendere in campo tenendo
alta la verità del Vangelo.
Pur essendo soggetto delicato, con grande abilità il Professor Jay
Smith controbatte a chi, come il musulmano, afferma che la Bibbia
è piena di contraddizioni. In questo breve scritto il Professor Jay
Smith mette in risalto il modo in cui affrontare occasionali dettagli
biblici che potrebbero sembrare difficili da comprendere...
Sicuramente da leggere, studiare e usare.
Jonathan Gilmore
Missionario e Presidente di I.M.
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Si può dialogare con chi
la pensa diversamente?
La questione sta diventando sempre più importante. La presenza
di religiosità sempre più diverse pone il problema in termini sempre
più urgenti. Nel medesimo tempo in cui si fa strada la necessità del
confronto, traspare anche una certa difficoltà all’idea di conflitto.
In campo religioso si preferisce fare un’opera di grande rimozione
delle differenze. Si diffonde l’idea che il miglior modo per praticare
il dialogo consista nell’occultare le opinioni che possono “disturbare” i propri interlocutori. In questo modo si cerca di rimuovere un
ostacolo alla comunicazione. Nel nostro tempo c’è un vero e proprio fanatismo della simulazione. Non è un vero e proprio consenso, ma la tendenza ad occultare la diversità. La fiacchezza delle
convinzioni sembra favorire un simile atteggiamento. Con il passare del tempo però, quest’atteggiamento non premia. Diventa sempre
più evidente che l’occultamento delle opinioni non è un buon viatico
per la relazione. Appena ce n’è l’occasione, quello che è stato
nascosto riappare in maniera più o meno esplicita compromettendo
le buone intenzioni originarie.
Francesco Maggio non pratica la strada della simulazione.
Ha l’ardire di porsi sul terreno del confronto. Ha il coraggio di
prendere l’interlocutore per quel che dice di pensare, di confrontarsi
con esso e, se è il caso, di dissentire. Nessun irenismo o atteggiamento di facciata. Ecco perché questo testo merita di essere preso
in considerazione. Le ragioni sono molteplici.
Aiuta a capire l’islam. Il primo passo del dialogo è l’informazione. Inutile rapportarsi a qualcuno di diverso se non si cerca di
ascoltare e studiare le sue convinzioni. Qui non si affrontano le
dimensioni storiche, sociali, economiche, politiche dell’islam, ma
le sue pretese religiose. Siccome l’islam è a tutti gli effetti una
religione, bisogna prenderla sul serio in quanto tale. Bisogna capire
quali siano le sue pretese veritative.
Aiuta a rapportarsi all’islam. Per rapportarsi all’islam non basta
studiarlo, bisogna penetrarne la dimensione spirituale. La conoscenza formale e libresca non è sufficiente. Il discernimento spirituale esige di più. C’è bisogno di una relazione sul campo. Bisogna
investire delle risorse spirituali. Impegnarsi nel penetrare
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l’interlocutore sul piano spirituale. Bisogna che l’argomentazione
sia impregnata di preghiera. Il coraggio non esclude l’umiltà, anzi,
la vivifica.
Aiuta a sfidare l’islam. La comprensione ed il discernimento non
sono il tutto. La vocazione cristiana non si esaurisce con queste
dimensioni. Il rischio sarebbe quello di fermarsi ad una scaramuccia
verbale. Non ha senso. Sarebbe un polemica sterile e fine a sé
stessa. Ogni persona ha bisogno di entrare nell’alleanza con Dio.
Senza di essa non c’è alcuna salvezza possibile. Per questo bisogna
credere che la comprensione dell’islam e la relazione con esso apra
scenari ancora più ampi.
Questo libro può servire anche a ciò. Può mettere in discussione
presupposti che tutti hanno. Verificare la possibilità di una loro
compatibilità con la rivelazione di Dio. Ci auguriamo allora che lo
Spirito Santo se ne serva per problematizzare i troppi luoghi comuni e ad interrogarsi davanti a Dio se si sia nell’alleanza o fuori di
essa.
Pietro Bolognesi
Professore di teologia sistematica
IFED, Padova
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La Bibbia, l’infallibile Parola di Dio
In questi tempi è molto importante che ogni credente cresca
nella conoscenza della Bibbia e ringraziamo Dio delle meravigliose
opportunità di numerosi testi, commentari e dizionari biblici resi
disponibili dall’impegno dei nostri autori ed editori cristiani.
Sono particolarmente grato al nostro Dio, l’Iddio della Bibbia,
che non solo ci ha donato la “sua Parola” in forma scritta, ma che
l’ha preservata nei secoli dai tanti personaggi che hanno cercato di
eliminarla con tutti i mezzi. Falliti tutti questi tentativi, ai nostri
giorni, c’è chi esercita l’arte ignobile della ricerca cavillosa e del
discredito del libro divino.
L’autore di questo libro, il Dr. Jay Smith, con grande saggezza
risponde alle apparenti contraddizioni della Bibbia relative alla
nomenclatura, geografia, numeri, nomi ed altro adducendone la contestazione ad una superficiale lettura del testo biblico ma, a mio
parere, non si tratta di una lettura superficiale da parte dei contestatori nostrani o musulmani, bensì di una lettura volutamente strumentale diretta alla contestazione e al discredito per spirito di parte.
Noi cristiani non ci siamo mai soffermati su alcuni difetti di
forma della Bibbia, ma sulla sua sostanza spirituale e dottrinale,
anche perché consapevoli del grande lavoro di copia di ognuno dei
66 libri fatto a mano dagli scribi ebrei e da altri amanuensi prima
dell’invenzione della stampa (ricorderemo anche che il primo libro
stampato da Gutenberg fu la Bibbia).
La Bibbia è e rimane per noi il libro divino, l’infallibile parola di
Dio!
Concludo esprimendo il mio personale apprezzamento per questo libro ritenendolo utile se non indispensabile per ogni credente
cristiano, quale semplice e pratico strumento di studio per essere
adeguatamente preparati ad affrontare i contestatori biblici con le
giuste risposte e, soprattutto, con la guida dello Spirito Santo.
Pastore Dr Remo Cristallo
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L’UNICITÀ DELLA BIBBIA
di JAY SMITH
1. La Bibbia è il solo libro al mondo che dimostra con prove
oggettive di essere la Parola di Dio. Soltanto la Bibbia offre prove
concrete della propria ispirazione divina.
2. La Bibbia è il solo scritto religioso al mondo senza errore.
3. La Bibbia è l’unico testo antico che contiene documentate
indicazioni scientifiche e mediche. Nessun altro libro antico viene
mai analizzato attentamente secondo una linea scientifica, mentre
molti libri sono stati scritti sul tema della correlazione fra la Bibbia
e la scienza moderna (vedi idrologia, geologia, astronomia,
meteorologia, biologia e fisica).
4. La Bibbia è il solo testo religioso che offre la salvezza eterna come
dono gratuito, interamente frutto della pietà e della grazia di Dio.
5. La Bibbia contiene i più alti standard morali di qualunque altro
libro.
6. Solo la Bibbia si apre con la creazione dell’universo da parte di
un atto di Dio e contiene un continuo racconto storico - anche se
spesso breve e sparso - della storia dell’umanità, dal primo uomo,
Adamo, fino alla fine della storia.
7. Solo la Bibbia ha la visione più realistica della natura umana e la
potenza di convincere le persone del loro peccato, insieme alla
capacità di cambiare la natura umana.
8. Solo la Bibbia ha ricevuto conferma storica della propria
accuratezza da parte dell’archeologia, dell’analisi testuale, della
scienza e di altre simili discipline.
9. Le caratteristiche interne e storiche della Bibbia sono uniche
nella loro unità e coerenza interne, nonostante la sua produzione si
estende per un periodo di 1.500 anni, da parte di oltre 40 autori in
tre lingue e tre diversi continenti, discute una gran quantità di
argomenti controversi eppure si trova sempre in accordo su di essi.
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10. Solo la Bibbia proclama una risurrezione della propria figura
centrale che è provata storicamente.
11. Solo la Bibbia ha modellato la storia della civiltà occidentale,
più che qualsiasi altro testo. La Bibbia ha avuto più influenza nella
storia del mondo di qualsiasi altro libro (Finis)
12. Solo la Bibbia presenta una natura personale-specifica (centrata
su Cristo) in tutti i suoi 66 libri, i quali descrivono in dettaglio la
vita di quella persona attraverso profezie, modelli, anti-modelli e
altro, in un tempo da 400 a 1.500 anni prima della nascita di quella
persona.
13. Solo la Bibbia offre una prova storica del fatto che il solo vero
Dio ama l’umanità.
14. La Bibbia è il solo grande scritto religioso antico la cui
preservazione testuale è stata stabilita come fondamentalmente
autografica.
15. Solo la Bibbia contiene profezie dettagliate circa la venuta del
Salvatore del mondo, le cui profezie si sono dimostrate storicamente
accurate.
16. Solo la Bibbia ha un contenuto teologico unico, comprendente
le proprietà teologiche (Trinità, gli attributi di Dio), soteriologia
(depravazione, imputazione, grazia, propiziazione/espiazione,
riconciliazione, rigenerazione, unione con Cristo, giustificazione,
adozione, santificazione, sicurezza eterna, elezione, ecc); Cristologia
(incarnazione, unione ipostatica); pneumatologia (la Persona e l’opera
dello Spirito Santo); escatologia (predizioni dettagliate sulla fine
della storia); ecclesiologia (la natura della chiesa come sposa di
Cristo e in unione organica con lui), e così via.
17. Solo la Bibbia offre una soluzione realistica e permanente al
problema del peccato e della malvagità umana.
18. La Bibbia è il libro più tradotto, acquistato, memorizzato e
perseguitato della storia. Ad esempio, è stato tradotto in oltre 1.700
lingue.
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19. Solo la Bibbia è un libro profetico per oltre un quarto del
proprio contenuto, ovvero contenente ben 400 pagine di informazioni
profetiche.
20. Solo la Bibbia ha superato 2.000 anni di intenso scrutinio da
parte di critici, e non soltanto è sopravvissuta agli attacchi, ma ha
prosperato ed è uscita incredibilmente rafforzata da tali critiche.
(Voltaire predisse che la Bibbia si sarebbe estinta nel giro di 100
anni; nel giro di 30 anni Voltaire si era estinto, e la sua casa era
diventata un magazzino per Bibbie della Società Biblica di Ginevra).
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PRESUNTE CONTRADDIZIONI
Ad una superficiale prima lettura del testo biblico, possono affiorare apparenti contraddizioni a riguardo della nomenclatura, geografia, numeri, nomi ecc.
Il fatto poi che nel corso dei secoli nessuno abbia cercato di
rimuovere quelle aree nel testo biblico che potevano essere soggette
a gratuite strumentalizzazioni, dimostra la serietà e il timore di Dio
di mantenere la sua Parola intatta.
Anzi, piuttosto la trasparenza paga ancora una volta. Infatti
laddove ci sono situazioni presenti nel testo biblico alcune edizioni
presentano le dovute note di chiarimento a piè di pagina, rispettando in questo modo il lettore che potrà trarre le proprie conclusioni.
Non così per i critici testuali musulmani che, ben sapendo le
innumerevoli contraddizioni ed errori di grammatica araba nel Corano, evidenti solo a coloro che hanno accesso alla lingua araba,
compiono contorsionismi nel testo tradotto in italiano (ed in altre
lingue europee) non ammettendoli come tali all’utenza.
“Il primo a perorare la propria causa sembra che abbia ragione; ma viene poi l’altro e lo esamina” (Proverbi 18:17, La Nuova
Diodati)
L’accusa di contraddizione
I musulmani parlano spesso delle molte contraddizioni che, a
parer loro, si trovano nella Bibbia. Il numero di queste presunte
contraddizioni varia a seconda della persona con cui ci si trova a
parlare.
Izhar-ul-Haq di Kairanvi ne presenta 119, mentre altri, come
Shabir Ally, ne conta 101. Dal loro punto di vista, il problema
nasce dal presupposto che qualunque testo religioso derivante dall’assoluta autorità divina non possa contenere contraddizioni, perché un messaggio che proviene dall’Onnisciente deve essere coerente in tutto ciò che attesta.
A sostegno di questa posizione, i musulmani citano Sura 4:82
del Corano che dice “…non considerano essi il Corano (con attenzione). Se fosse proceduto da chiunque altro a parte Allah, vi avrebbero trovato molte discrepanze”.
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Una definizione di rivelazione
Per rispondere a questa sfida è importante, in via preliminare,
comprendere bene questo presupposto e il modo di pensare da cui
nasce. Si tratta del principio della noncontraddizione, elevato alla
posizione di criterio assoluto, di cui gli esseri umani possono servirsi per giudicare l’autenticità della Parola di Dio. Un cristiano
sarà ben lieto di riconoscere che la Scrittura, in ultima analisi, non
si contraddice, ma allo stesso tempo non può accettare che il principio della noncontraddizione, a cui i musulmani ricorrono nelle discussioni riguardanti la rivelazione, sia stato dato agli uomini come
criterio per giudicare la Parola di Dio.
Si tratta di un errore in cui è facile cadere: valutare ciò che non ci
è familiare con un metro di giudizio che ci è più familiare; in questo
caso, giudicare la Bibbia con un criterio preso in prestito dal Corano.
Molti musulmani credono che il loro libro, il Corano, sia stato
inviato dal cielo (Tanzil) senza alcun intervento umano. Questa
concezione della Scrittura come una rivelazione inviata dal cielo
viene imposta sulla Bibbia. Ma i musulmani sbagliano quando ritengono che si possa valutare la Bibbia usando lo stesso criterio di valutazione a cui assoggettano il Corano (compilato solo da Maometto).
La Bibbia non è un libro compilato da un solo uomo, come
invece i musulmani ritengono che sia il loro Corano, bensì una
composizione di 66 libri scritti da più di 40 autori durante un periodo di circa 1500 anni! Per questa ragione i cristiani hanno sempre
sostenuto che l’intera Bibbia porti l’impronta di mani umane. Ne abbiamo la prova nella molteplicità dei linguaggi umani che essa
contiene, i diversi generi letterari, la diversità d’intelletto e di personalità degli autori, nonché le allusioni a modi di comprendere i
fatti scientifici propri del loro tempo, senza i quali le Scritture non
sarebbero state comprensibili per la gente dell’epoca in cui sono
state scritte.
Definizione di ispirazione
In 2 Timoteo 3:16 ci viene detto che tutta la Scrittura è ispirata.
Il termine greco usato per descrivere il concetto di “ispirazione” è
theopneustos, che significa: “emanato/soffiato da Dio”. Se ne deduce
che la Scrittura ha avuto origine in Dio stesso. Infatti, in 2 Pietro 1:21
leggiamo che gli autori sono stati “spinti dallo Spirito Santo”.
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Quindi Dio ha usato degli uomini, ognuno con la propria personalità,
per portare a termine un’opera con autorità divina e priva di errori.
La Bibbia parla molte volte della sua qualità di parola ispirata.
In Luca 24:27, 44, Giovanni 5:39 ed Ebrei 10:7, Gesù afferma che
tutto ciò che era stato scritto di lui nell’Antico Testamento, si sarebbe adempiuto.Anche Romani 3:2 ed Ebrei 5:12 fanno riferimento agli Scritti sacri, comunemente definiti “Antico Testamento”
riconosciuto come Parola di Dio. Questo è confermato in 2 Timoteo 3:16,
come abbiamo visto sopra.
Quanto alla letteratura del nuovo patto, opportunamente chiamati “Nuovo Testamento”, leggiamo in 1 Corinzi 2:13: “Di questo
anche parliamo, non con parole insegnate dalla sapienza umana
ma insegnate dallo Spirito Santo ”.
Pietro parla delle lettere di Paolo in questi termini: “…Paolo vi
ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa
in tutte le sue epistole...” (2 Pietro 3:15-16). È nella stessa epistola
(1:21) che scrive: “nessuna profezia infatti è mai proceduta da
volontà d’uomo, ma i santi uomini di Dio hanno parlato, perché
spinti dallo Spirito Santo” .
Infine, in Apocalisse 22:18,19, l’autore Giovanni, riferendosi al
libro dell’Apocalisse, scrive “…se qualcuno aggiunge a queste cose,
Dio manderà su di lui le piaghe descritte in questo libro.E se
alcuno toglie dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli
toglierà la sua parte dall’albero della vita..
Charles Wesley riassume brillantemente questa concezione alta
dell’ispirazione quando afferma: “la Bibbia deve essere stata inventata o da uomini buoni o da angeli, o da uomini malvagi o
demoni, oppure da Dio. Sennonché è da escludere che sia stata
scritta da uomini buoni perché gli uomini buoni non mentirebbero
dicendo: “Così dice il Signore”; non è stata scritta nemmeno da
uomini malvagi perché essi non scriverebbero riguardo al fare
buone opere, condannando così il peccato e se stessi all’inferno;
quindi, deve essere stata scritta per ispirazione divina” (Josh
McDowell 1990:178).
In che modo Dio ha ispirato gli autori? Semplicemente spronando il loro cuore a raggiungere nuove vette, come nelle opere di
Shakespeare, Milton, Homer, Dickens, Dante Alighieri e tutti i capolavori della letteratura umana? Oppure facendo convivere le
parole di Dio insieme con miti, inesattezze e leggende, creando
(n.d.r: tale è il Corano) quindi un libro dove coesistono porzioni
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della Parola di Dio mischiate con quelle di uomini limitati e fallibili?
Oppure, le Scritture sono l’infallibile Parola di Dio in ogni loro
parte?
Ma, chiederanno i musulmani, come avviene quest’ispirazione?
Dio ispira tramite dettatura, come dicono sia stato rivelato il Corano, oppure si serve delle menti e delle cognizioni degli autori?
La risposta, in parole semplici, è che Dio controllava costantemente gli scrittori umani durante la stesura dei loro scritti così che
la Bibbia non è altro che “La Parola di Dio in parole di uomini“
(Josh McDowell 1990:176). Ciò significa che Dio si è avvalso della
cultura e dei costumi dell’ambiente culturale in cui vivevano i suoi
autori, ambiente controllato da Dio nella sua somma provvidenza.
Per questa ragione la storia va trattata come storia, la poesia come
poesia, le iperbole e le metafore come iperbole e metafore, le
generalizzazioni e le approssimazioni per quelle che sono, e così
via. Inoltre bisogna rispettare la differenza fra le convenzioni letterarie dei tempi biblici e quelle odierne. Ad esempio, nei tempi
biblici rientrava nella norma una narrazione che non seguiva la
cronologia esatta degli eventi, come pure citazioni approssimative.
Quindi non dobbiamo ritenere esempi di tali convenzioni, degli
errori quando li incontriamo nella Bibbia. Quando una totale precisione di qualsiasi tipo non è né prevista né tentata dallo scrittore, la
sua assenza non è da considerare un errore.
La Bibbia è senza errori non nel senso della precisione assoluta,
se giudicata in base a criteri moderni, ma nel senso di non venir
meno a quello che dichiara di essere e in quanto comunica fedelmente la verità che i suoi autori si sono proposti di comunicare.
La veridicità della Scrittura non è smentita dalla presenza di
irregolarità grammaticali od ortografiche, o da descrizioni fantastiche della natura, la citazione di false affermazioni (le bugie di
satana, per esempio), o di quelle che sembrano delle discrepanze
quando versetti vengono estrapolati dal proprio contesto. Non è
corretto porre i cosiddetti “fenomeni” della Scrittura in contrasto
con l’insegnamento della Scrittura riguardo a sé stessa. Le incoerenze apparenti non dovrebbero essere ignorate. Trovarne la spiegazione, laddove ciò sia possibile (come abbiamo cercato di fare nelle
pagine che seguono), rafforzerà la nostra fede; tuttavia, laddove
non esistano per il momento spiegazioni convincenti, onoreremmo
Dio grandemente se facessimo tesoro della sua rassicurazione che
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la sua Parola è verace, nonostante le apparenze, e rimanessimo
fiduciosi che un giorno la nostra fede si dimostrerà tutt’altro che
illusoria.
Non si tratta di una speranza vana. Tantissime presunte
discrepanze sono state chiarite grazie alle ricerche fatte ed alla
maggiore comprensione che ne deriva. Se Shabir Alì fosse vissuto
un secolo fa, nella sua lista ci potevano essere facilmente 1001
presunte contraddizioni e non solo 101. A mano a mano che vengono
alla luce nuove informazioni, scopriamo anche le risposte a molti
enigmi della storia.
Siamo pienamente consapevoli che i criteri cristiani della rivelazione sono inaccettabili per i musulmani perché sono in contrasto
con i loro criteri. Eppure, nell’avvicinarsi alla Bibbia con il concetto Tanzil (mandato giù) che essi attribuiscono al loro Corano, i
musulmani si dimostrano incoerenti, poiché esigono dal Nuovo Testamento ciò che non esigono dalle rivelazioni precedenti, il Taurat
(in arabo corrisponde al Pentateuco - Torà) e lo Zabuur (Salmi),
pur essendo entrambi stimate da tutti i musulmani come rivelazioni
ispirate alla stregua del Corano. Secondo i musulmani Mosè scrisse
il Taurate, Davide lo Zabuur. Però nessuno dei due ha mai dichiarato di aver ricevuto le sue rivelazioni per mezzo di un messaggio
Tanzil (dettato-mandato giù). Perché allora insistere che questo dev’essere avvenuto per il Nuovo Testamento per poterlo considerare
un libro ispirato, anche perché il Nuovo Testamento non ha questa
pretesa per sé stesso?
Il motivo di fondo forse risiede nel fatto che i musulmani
reputano il Corano la Parola di Allah assolutamente inconfutabile ed evidente, proprio perché – come vogliono far credere erroneamente agli occidentali - sarebbe l’unica rivelazione tramandata senza intervento umano (ma sanno che non è vero nemmeno per il Corano).
Quindi questo Corano soppianterebbe tutte le rivelazioni
precedenti, annullandole, e ciò a motivo del fatto che si suppone
che le Scritture siano state contaminate dalle limitatezze degli autori
umani.
Però si è taciuto riguardo all’ironia lampante della pretesa che il
Corano sia una rivelazione Tanzil da un’unica fonte, cioè Maometto
stesso, l’uomo cui si suppone sia stato il destinatario. Eppure non
esistono testimoni esterni, né prima né durante quell’epoca che
avvalorino la testimonianza di Maometto. Non c’è nemmeno traccia
21
di miracoli che comprovassero le sue dichiarazioni, né esistono
documenti conosciuti, che risalgono al secolo in cui si suppone sia
stato rivelato, di un tale Corano. Anche se tralasciassimo i problemi
storici relativi ai primi Corani (e alle attuali 7 versioni (non edizioni,
ma versioni del Corano nel mondo! - N.d.T.), un ulteriore problema
riguarda le numerose tradizioni musulmane che parlano di molte
copie dei codici coranici diverse fra di loro, molto diffuse alla
metà del settimo secolo quando si stava conducendo uno studio
minuzioso della recensione Uthmanica (da Uthman) del Corano.
Le fonti islamiche parlano altresì della distruzione di tutte le
recensioni i cui contenuti erano in conflitto con questa recensione.
Quindi non possiamo sapere oggi se il Corano in nostro possesso
fosse simile o meno al primo Corano rivelato. Ciò che è
fondamentale in questa discussione è il bisogno che hanno i
musulmani di comprendere che i cristiani hanno sempre sostenuto
che la Parola di Dio, la Bibbia, è stata senz’altro scritta da uomini,
ma che questi uomini sono sempre stati sotto la diretta ispirazione
dello Spirito Santo (2 Pietro 1:20-21).
Pur ben sapendo la precarietà della canonizzazione del Corano, essi insistono e affermano che il Corano sarebbe esente da
qualunque intervento umano, per la Bibbia Dio scelse
deliberatamente di rivelare la Parola a individui che erano profeti
ed apostoli ispirati, di modo che la sua Parola non soltanto sarebbe
stata comunicata all’umanità in maniera esatta e completa, ma anche in modo comprensibile alla mente umana. Questo non è possibile nel caso del Corano dato che, come sostengono i musulmani,
esso non contiene alcun elemento umano.
La convinzione dei musulmani che la Bibbia sia piena di contraddizioni genera per loro altri problemi ancora. Per esempio, come
devono considerare l’autorità che lo stesso Corano riconosce alla
Bibbia?
Il Corano attribuisce autorità alla Bibbia
Il Corano, la fonte autorevole in assoluto per tutti i musulmani,
riconosce l’autorità della Bibbia, dando per scontata la sua autenticità, almeno fino al 7°-9° secolo. Considerate le seguenti Sure:
●
22
Sura Baqara 2:136 fa notare che non c’è nessuna differenza tra
le scritture antecedenti ed il Corano:“ ..le rivelazioni date a noi…e
a Gesù…non facciamo differenze tra le une e le altre”.
●
●
●
●
Sura Al-I-Imran 3:2 continua dicendo:”…Allah…lui ha (fatto
pervenire/inviato) (la Legge (di Mosè) ed il Vangelo (di
Gesù)..come guida per l’umanità”.
Sura Nisaa 4:136 va oltre, ammonendo i musulmani a
“…credere……ed alla scrittura che egli ha mandato prima di lui”.
Nella Sura (capitolo) Maa-ida 5:47, 49, 50, 52, troviamo un
diretto richiamo ai cristiani di credere nelle loro Scritture: “abbiamo mandato Gesù, il figlio di Maria, confermando la Legge
che era pervenuta prima di lui. Gli abbiamo inviato il Vangelo...
lascia che il popolo del Vangelo giudichi tramite ciò che Allah
ivi ha rivelato, se alcuno viene meno nel giudicare mediante la
luce di ciò che Allah ha rivelato, essi non sono migliori dei
ribelli…”.
Ancora, nella Sura Maa-ida 5:68 troviamo un simile richiamo:
“Popolo del libro! Attenetevi alla Legge, il Vangelo ed a tutta la
rivelazione che vi è pervenuta dal Vostro Signore. È la rivelazione che vi è giunta dal VOSTRO SIGNORE”.
Questa idea dell’autorità dell’Antico e Nuovo Testamento è rafforzata nella Sura 10:49, dove ai musulmani si raccomanda di consultare queste scritture se hanno dei dubbi sulla loro fede.
La stessa raccomandazione viene ripetuta nella Sura 21:7, come
a voler sottolineare questo punto: “Se vi trovaste nel dubbio riguardo a ciò che vi abbiamo rivelato, allora interrogate coloro che
hanno letto il Libro prima di voi. La verità vi è giunta, in effetti, dal
vostro Signore”.
“…Noi abbiamo mandato gli apostoli che erano semplicemente
degli uomini, che noi abbiamo ispirato. Se non riconoscete questo,
chiedete a coloro che posseggono il messaggio”.
E infine, nella Sura Ankabut 29:46, ai musulmani viene richiesto
di non dubitare dell’autorità delle Scritture dei cristiani: “E non
disputate con il popolo del libro, ma dite: Noi crediamo nella rivelazione che è giunta a noi ed a quella giunta a voi”.
Se qualcosa risulta chiaro da queste sure (capitoli), è che il Corano concorda fermamente che la Torà ed il Vangelo sono rivelazioni
autentiche e autorevoli di Dio. Questo coincide perfettamente con
ciò che i cristiani credono.
23
Difatti, nel Corano non troviamo nessun accenno che le Scritture
precedenti fossero state alterate o contraddittorie. Se il Corano era
veramente la rivelazione finale e completa, il sigillo di tutte le rivelazioni precedenti, come sostengono i musulmani, allora certamente
l’autore del Corano avrebbe incluso un’ammonizione contro le scritture precedenti, se fossero state alterate. Ma non troviamo da nessuna parte una pur minima allusione al fatto che la Bibbia fosse
contraddittoria o alterata.
Tuttavia oggi alcuni musulmani sostengono, appellandosi alla
Sura 2:140, che i giudei ed i cristiani hanno corrotto le proprie
scritture. Questa aya (verso) dice a proposito dei giudei: “…chi è
più ingiusto di coloro che nascondono la testimonianza ricevuta da
Allah?” Eppure questa aya non parla affatto di giudei e cristiani
che hanno alterato le loro scritture. Afferma soltanto che certi giudei
hanno nascosto “la testimonianza che hanno ricevuto da Allah”. In
altre parole, la testimonianza esiste ancora (ecco perché le Sure
citate in precedenza ammoniscono i musulmani affinché rispettino
le Scritture anteriori), nonostante i seguaci di questa testimonianza
abbiano scelto di tenerla nascosta. Semmai questa aya dimostra in
modo lampante l’approvazione della credibilità delle scritture anteriori, dal momento che riconosce l’esistenza di una testimonianza
di Allah all’interno della comunità giudaica.
Dio non cambia la sua Parola
Per di più, secondo sia le Scritture giudeo-cristiane sia il Corano,
Dio non cambia la sua Parola. Egli non cambia la sua rivelazione
(nonostante la legge dell’abrogazione della parola di allah trovata
nel Corano).
La Sura 10:64 afferma: “Non vi può essere nessun cambiamento
nelle parole di Allah”. Questo è ripetuto nella Sura 6:34: “Nessuno
può alterare le parole di Allah,” e lo si trova anche nella Sura 50:28-29.
Similmente, ci sono diversi riferimenti nella Bibbia all’immutabilità della Parola di Dio, ad esempio Deuteronomio 4:1-2; Isaia 8,20;
Matteo 5:17-18 ed Apocalisse 22:18-20.
Se questo è un tema ricorrente sia nella Bibbia sia nel Corano,
appare inverosimile che ci siano nella Bibbia la molteplicità di contraddizioni che i musulmani affermano di trovare nella Bibbia.
Che cosa dobbiamo fare dunque con le contraddizioni che, secondo i musulmani, ci sarebbero nella Bibbia?
24
L’analisi delle contraddizioni
Quando prendiamo in esame le presunte contraddizioni nella
Bibbia additate dai musulmani, scopriamo che molti di esse non
sono affatto errori, ma piuttosto un fraintendimento del contesto,
o semplicemente dovute a inesattezze nella trascrizione. È facile
spiegare le prime mentre le inesattezze nella trascrizione vanno
esaminate con più attenzione. È abbastanza chiaro che i libri dell’Antico Testamento furono scritti tra il 16° ed il 5° secolo a.C.
sull’unico tipo di materiale disponibile a quel tempo, cioè pezzi di
papiro che si deterioravano piuttosto velocemente, perciò bisognava ricopiarli di continuo. Sappiamo che per 3.000 anni l’Antico Testamento è stato copiato a mano, mentre il Nuovo Testamento è stato copiato a mano per 1.400 anni nell’ambito di comunità isolate, in diversi paesi e continenti. Eppure questi scritti
sono rimasti fondamentalmente immutati.
Fino ad oggi sono stati scoperti molti manoscritti più o meno
antichi che possono essere messi a confronto con quelli più primitivi. Infatti abbiamo a disposizione una vastissima collezione di manoscritti, da utilizzare per la conferma della credibilità testuale del documento in questione. Per quanto riguarda i manoscritti del Nuovo
Testamento, siamo in possesso di 5.300 manoscritti greci o frammenti di esso; 10.000 manoscritti della Vulgata in Latino ed almeno altri
9.300 di antiche traduzioni. Al momento sono disponibili più di 24.000
manoscritti dell’intero Nuovo Testamento o parte di esso.
Abbiamo perciò molto più materiale con cui delineare eventuali
punti discordanti. Dove ci sono state variazioni del testo, queste
forme sono state identificate e tolte, e annotate in note a piè di
pagina ai punti appropriati del testo. Ciò non implica in nessun
modo eventuali difetti nella nostra Bibbia (che si possono far risalire alle copie autografe).
I cristiani riconoscono apertamente l’esistenza di trascurabili errori introdotti da copisti nelle copie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Va oltre le capacità umane riuscire a non commettere alcun
errore di trascrizione quando ci si mette a copiare pagina dopo
pagina di un testo, sacro o secolare che sia.
Coloro che erano incaricati della trascrizione (scribi o copisti)
tendevano a commettere due tipi di errore di trascrizione ben conosciuti e documentati dagli esperti d’analisi di manoscritti. Uno riguarda la morfologia dei nomi propri (soprattutto nomi stranieri
poco conosciuti), e l’altro i numeri. Il fatto che questi siano i tipi di
25
errore più comuni anche nel caso della Bibbia, conferma che l’origine di tali errori è da ricercare nel processo di trascrizione del
testo. D’altra parte, se gli originali fossero davvero in contraddizione, se ne troverebbe evidenza nel contesto delle narrazioni stesse.
(Archer 1982:221-222).
È importante ricordare, tuttavia, che nessuna variante del testo
biblico ben documentata nelle copie dei manoscritti pervenute a noi,
modifica alcuna delle dottrine insegnate nella Bibbia, a dimostrazione
che, in quanto alla dottrina, lo Spirito Santo ha esercitato un controllo
determinante nella trasmissione del testo.
Dal momento che Dio non ha mai assicurato che le Scritture
sarebbero state tramandate senza errori – in questo senso soltanto la
copia autografa di ogni libro è pienamente ispirata - appare necessaria la critica testuale come strumento per identificare gli errori
infiltratisi nel testo, a mano a mano che veniva tramandato nel
tempo. Il verdetto di questo ramo della filologia è che il testo
ebraico dell’Antico Testamento e quello greco del Nuovo Testamento della Bibbia, sono stati sorprendentemente ben conservati,
sicché possiamo affermare tranquillamente, come fa la Confessione
di Westminster, che Dio è intervenuto in modo singolare in tutta
l’impresa, e possiamo altresì dichiarare che l’autorità delle Scritture
non è per nulla pregiudicata a motivo del fatto che le copie attualmente disponibili del testo ebraico e greco della Bibbia non sono
del tutto esenti di errori marginali.
Similmente, nessuna traduzione è, o può essere, perfetta, e con
ogni traduzione ci si allontana un altro passo dall’autografo. Malgrado ciò, la scienza linguistica afferma, che i cristiani hanno oggi
a disposizione moltissime traduzioni eccellenti, e non hanno ragione di dubitare di avere in mano l’autentica Parola di Dio.
In effetti, considerata la frequente ripetizione, nella Scrittura,
delle questioni principali che essa tratta e con la testimonianza
costante dello Spirito Santo alla Parola e per mezzo di essa, nessuna traduzione affidabile della Sacra Scrittura potrà mai oscurare il
suo significato al punto tale da toglierle la capacità di rendere il
lettore “savio a salvezza per mezzo della fede che è in Cristo Gesù”
(2 Timoteo 3:15).
Tenendo in mente queste considerazioni, esaminiamo ora gli
esempi che il teologo musulmano Shabir Ally riporta nel suo libretto, per meglio accertare se le Scritture possano o meno reggere la
prova dell’autorità descritta sopra.
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Alla seconda pagina del suo libretto “101 contraddizioni evidenti della Bibbia”, Shabir Ally afferma: “Si concede il permesso
di copiare questo libretto per divulgare la verità”. Noi, gli autori del
presente documento, siamo ben lieti di adempiere alla richiesta del
signor Ally. Anche se non abbiamo copiato tutte le sue parole, abbiamo comunque riprodotto le presunte contraddizioni contenute nel
libretto, confutandole punto per punto. Attraverso queste confutazioni
facciamo proprio ciò che Ally vuole, cioè, divulgare la verità! Infatti
dimostriamo il solido fondamento della Bibbia, che è la verità.
Noterete che dopo alcune domande abbiamo dato più di una risposta. L’abbiamo fatto per dimostrare che ci sono diversi modi
d’intendere un problema apparente all’interno del testo biblico.
1.
È Dio che istiga Davide a fare il censimento del suo popolo
(2 Samuele 24:1) oppure è satana a farlo (1 Cronache 21:1)?
* Categoria: frainteso come Dio opera nel corso della Storia
Possono sembrare due dichiarazioni contrastanti, a meno che,
naturalmente, non siano entrambe vere. Il fatto sotto esame ebbe
luogo verso la fine del regno di Davide. Il re passò in rassegna le sue
brillanti conquiste che avevano visto ridurre in uno stato di vassallaggio
e dipendenza da Israele i regni di Canaan, Siria e Fenicia. Nell’ordinare il censimento, il Re manifestò orgoglio e presunzione, a causa
dei suoi successi, e dimostrò di pensare più in termini di armamenti
e truppe che non in termini della misericordia di Dio.
Perciò il Signore decise di costringere Davide a abbassarsi, affinché tornasse a dipendere dalla misericordia di Dio. Perciò lo
lasciò libero di portare avanti il suo censimento, di modo che alla
fine potesse rendersi conto da solo quanto di buono ne sarebbe
scaturito per lui, poiché l’unico risultato del censimento sarebbe
stato quello di gonfiare l’orgoglio patriottico (come previsto da
Joab nel suo avvertimento in 1 Cronache 21:3). Appena il censimento fu portato a termine, Dio portò ad effetto il suo proponimento di punire gli israeliti con una piaga disastrosa che provocò la
morte di 70.000 persone, come descritto in 2 Samuele 24:15.
E satana? Perché mai avrebbe dovuto immischiarsi in questa
faccenda (1 Cronache 21:1) se era Dio a indurre Davide a compiere
_________________________________________________________________________
* Quando leggi Categoria, vai a pag. 103 per esaminare quante volte lo stesso
argomento viene affrontato come contraddizione negli scritti di Shabir Ally.
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la pazzia che aveva pensato? Le intenzioni del diavolo appaiono di
natura puramente malevola, perché sapeva che un censimento sarebbe dispiaciuto al Signore (1 Cronache 21:7-8), quindi anche lui
incitò Davide a portarlo a termine.
Non si tratta di qualcosa di singolare; infatti anche in altre parti
della Bibbia troviamo avvenimenti in cui il Signore e satana figurano insieme dietro le quinte di esperienze di afflizione che avevano
lo scopo di mettere l’uomo alla prova:
a) Nel libro di Giobbe, ai capitoli 1 e 2 vediamo Dio che lancia una
sfida a satana, permettendogli di far piovere delle calamità su
Giobbe. Il proposito di Dio era di purificare la fede di Giobbe e
rafforzargli il carattere per mezzo della disciplina nelle avversità, mentre satana aveva unicamente propositi malvagi, desiderando che Giobbe ricevesse quanto più danno possibile, al punto
di rinnegare il suo Signore.
b) Allo stesso modo sia Dio che satana sono coinvolti nelle sofferenze dei cristiani perseguitati, come è scritto in 1 Pietro 4:19 e
5:8. Il proposito di Dio è di rafforzare la loro fede, per metterli
in condizione di partecipare, in questa vita, alle sofferenze di
Cristo, affinché possano rallegrarsi con lui nella futura manifestazione della sua gloria (1 Pietro 4:13-14); al contrario, il proposito di satana è di divorare i cristiani (1 Pietro 5:8), ovvero di
trascinarli nell’autocommiserazione e nell’amarezza, e farli scendere giù al suo livello.
c) Sia Dio che satana erano coinvolti nella triplice tentazione che
Gesù subì durante il suo ministero sulla terra. Nel proposito di
Dio, queste tentazioni lo avrebbero fatto trionfare completamente sullo stesso tentatore che aveva fatto cadere il primo Adamo,
mentre lo scopo di satana era di far desistere Gesù dal compiere
la sua missione messianica.
d) Nel caso di Pietro che rinnegò tre volte Gesù nel cortile del
sommo sacerdote, è Gesù stesso ad indicare i propositi di entrambi le parti in questione, dicendo in Luca 22:31-32: “Simone,
Simone, ecco, satana ha chiesto di vagliarti come si vaglia il
grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga
meno; e tu, quando sarai tornato, conferma i tuoi fratelli”.
e) E infine la stessa crocifissione costituisce un altro esempio in
cui Dio e satana sono entrambi coinvolti. Il piano di satana si
palesò nel momento in cui ebbe riempito il cuore di Giuda con
odio ed inganno (Giovanni 13:27) inducendolo a tradire Gesù.
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Il proponimento del Signore nella crocifissione, invece, era che
Gesù, l’Agnello ucciso sin dalla fondazione del mondo, dovesse
dare la sua vita come riscatto per molti, affinché l’uomo ritornasse a godere di quella relazione con Dio che era stata interrotta
nel giardino dell’Eden, ma che ora diventa eterna.
Abbiamo quindi ben cinque esempi dove sono coinvolti nello
stesso momento sia Dio che satana, ma con propositi totalmente
opposti. I piani di satana in tutti i casi, tra cui il censimento di
Davide, erano motivati da intenti malvagi, mentre il Signore dimostra un proponimento totalmente diverso. Il suo scopo era benevolo,
avendo di mira la vittoria finale ma al tempo stesso il rafforzamento
della persona messa alla prova. In tutti i casi, il trionfo di satana è
risultato limitato e passeggero, mentre nell’esito dell’accaduto il
proposito di Dio fu raggiunto, contribuendo in modo sostanziale
all’avanzamento della sua causa. (Archer 1982:186-188).
2.
In 2 Samuele 24:9 è scritto che la popolazione totale
d’Israele era di 800.000 mentre in 1 Cronache 21:5
è di 1.100.000.
Categoria: frainteso il contesto storico oppure l’intento dell’autore
Ci sono vari modi per intendere questo problema, ed anche quello successivo, dato che entrambi si riferiscono agli stessi brani ed al
medesimo censimento. È possibile che le differenze tra i due resoconti siano in relazione alla natura non ufficiale ed incompleta del
censimento (analizzeremo quest’aspetto in seguito), oppure che il
libro di Samuele presenti cifre arrotondate, soprattutto per Giuda.
La risposta più plausibile tuttavia è che il censimento descritto in
un brano includa categorie di uomini escluse nell’altro brano.
Si può pensare che 1 Cronache 21:5 includa tutti gli uomini disponibili in età da combattimento, guerrieri esperti e non, mentre il
resoconto in 2 Samuele 24:9 si riferisca solo agli uomini pronti alla
battaglia. Nel resoconto di Joab, in 2 Samuele 24, viene usata la
parola “hayil”, tradotta “uomini forti” o truppe con esperienza di
guerra, parlandone come se si trattasse di 800.000 veterani. È ragionevole pensare che vi fossero altri 300.000 uomini in età da combattimento tenuti in riserva, che non erano stati ancora impegnati sul
campo di battaglia. I due gruppi perciò ammonterebbero a 1.100.000
29
uomini come descritti in 1 Cronache 21, dove il termine ebraico ‘is
hayil non è usato per descriverli. (Archer 1982-1189 e Light of Life II
1992:189-190).
3.
2 Samuele 24:9 indica la cifra tonda di 500.000 uomini
combattenti in Giuda, cioè 30.000 in più della voce
corrispondente riportata in 1 Cronache 21:5
Categoria: frainteso il contesto storico
È interessante notare che in 1 Cronache 21:6 viene specificato
chiaramente che Joab non completò il conteggio, dato che non aveva ancora censito le tribù di Beniamino e di Levi. Questo era dovuto al fatto che Davide si sentiva colpevole di peccato e non sapeva
se portare ancora avanti o meno il censimento. Di conseguenza, i
numeri discordanti possono indicare l’inclusione o l’esclusione di
certi gruppi non specificati. Troviamo ancora un riferimento a questo aspetto del censimento in 1 Cronache 27:23-24, dove è scritto
che Davide non aveva incluso quelli al di sotto dei vent’anni.
Ed ancora, poiché Joab non aveva portato a termine il censimento,
il numero non fu registrato nelle cronache di Re Davide.
Fu stabilito che il censimento doveva cominciare con le tribù al
di là del Giordano (2 Samuele 24:5-9) seguita dalla tribù più a nord,
ossia Dan, per poi scendere a sud verso Gerusalemme (versetto 7).
Quindi il censimento di Beniamino sarebbe stato fatto per ultimo.
Ne consegue che Beniamino non sarebbe stato incluso nel totale, né
d’Israele né di Giuda. Nel caso di 2 Samuele 24, il numero di Giuda
includeva il totale delle 30.000 truppe messe in campo da Beniamino.
Quindi il totale di 500.000 comprendeva il contingente beniamita.
È importante osservare che in seguito alla divisione del regno in
nord e sud, dopo la morte di re Salomone nel 930 a.C., la maggior
parte dei beniamiti rimase fedele alla dinastia di Davide e costituì
(con la tribù di Simeone a sud) il regno di Giuda. È legittimo quindi
pensare che fosse stato incluso Beniamino insieme a Giuda e
Simeone nel sub totale di 500.000, anche se Joab potrebbe non
averlo elencato nel primo resoconto che fece a Davide (1 Cron.21:5);
perciò il totale finale complessivo dei soggetti adatti al combattimento risulta 1.600.000 (1.100.000 di Israele; 470.000 da GiudaSimeone e 30.000 da Beniamino). (Archer 1982:188-189 e Light of
Life II 1992:189).
30
4.
In 2 Samuele 24:13 si parla di sette anni di carestia
mentre in 1 Cronache 21:12 solo di tre.
Categoria: frainteso l’intento dell’autore e fraintesa la dicitura
Possiamo considerare questa diversità di cifre in due modi diversi. Il primo è di ipotizzare che l’autore di 1 Cronache abbia inteso
enfatizzare il periodo di tre anni in cui la carestia sarebbe stata più
intensa, mentre l’autore di 2 Samuele ha incluso i due anni precedenti ed i due successivi a quel periodo, quando la carestia rispettivamente si stava aggravando e diminuendo.
L’altro modo prende in considerazione le parole usate in ciascun
versetto; a ben guardare la dicitura in 1 Cronache 21 è molto diversa
da quella usata in 2 Samuele 24. In 2 Samuele 24:13 la domanda è:
“Vuoi che vengano per te sette anni di carestia? In 1 Cronache 21:12
troviamo invece: “scegliti o tre anni di carestia oppure …” Potremmo
concludere che 2 Samuele 24:13 si riferisca al primo contatto del
profeta Gad con Davide, quando una delle alternative era “sette
anni”; mentre Cronache 21:12 si riferisca al secondo e ultimo contatto
tra Nathan ed il Re quando il Signore (sicuramente in risposta alla
supplica intensa di Davide) ridusse la severità di quella tremenda
alternativa a tre anni di carestia invece di sette. Davide optò, invece,
per la terza alternativa proposta dal Signore, sottostando a tre giorni
di terribile pestilenza che provocò la morte di 70.000 uomini in
Israele. (Archer 1982:189-190 e Light of Life II 1992:190).
5.
Il Re Achaziah aveva 22 anni (2 Re 8:26) o 42 (2 Cronache 22:2)
quando iniziò a regnare su Gerusalemme?
Categoria: errore del copista
Dato che abbiamo a che fare con resoconti scritti migliaia di
anni fa, non possiamo aspettarci di avere oggi in mano le copie
originali degli stessi, dato che si sono deteriorati nel corso dei
secoli. Dobbiamo affidarci alle copie degli originali che, a loro
volta, furono copiate in un processo che si ripeteva per secoli.
Abbiamo notato che i copisti tendevano a commettere due tipi
di errori ortografici: la trascrizione dei nomi di persona e dei
numeri.
31
L’ esempio di contraddizione numerica riguarda il decennio indicato nel numero. Secondo 2 Re 8:26, Achaziah aveva 22 anni
mentre secondo 2 Cronache 22:2 ne aveva 42. Felicemente, nel
testo biblico ci sono sufficienti informazioni aggiuntive per dimostrare che il numero corretto è 22. Più indietro in 2 Re 8:17, l’autore scrive che il padre di Achaziah, Jehoram, aveva 32 anni quando
divenne re, morendo otto anni più tardi all’età di 40. Perciò Achaziah
non poteva avere 42 anni al momento della morte di suo padre
quarantenne!
Simili errori di copiatura non intaccano minimamente la fede
degli Ebrei e dei Cristiani. Spesso in casi del genere, troviamo
altrove nella Bibbia un’informazione atta a correggere l’errore (in
questo caso l’abbiamo trovato in 2 Re 8:26. (Inoltre va notato che
gli scribi responsabili di fare le copie erano scrupolosamente onesti
nella trasmissione dei testi biblici, trasmettendoli così come li avevano ricevuti, senza modificare nemmeno gli errori più evidenti che
erano veramente rari).
Nel rispondere alla prossima domanda presentiamo in modo più
approfondito il modo in cui gli scribi potevano fraintendere i numeri nei manoscritti. (Archer 1982:188-189 e Light of Life II 1992:189)
6.
Jehoiakin aveva 18 ann i (2 R e 2 4: 8) oppur e 8
(2 Cronache 36:9) quando divenne re di Gerusalemme?
Categoria: errore di copiatura
Ancora una volta il contesto di questi due brani fornisce informazione a sufficienza per dedurre che le cifra 8 è sbagliata mentre
18 è corretta. Otto anni è un’età insolitamente giovane per assumere il comando di una nazione. Alcuni commentatori ritengono invece che ciò fosse verosimile. Sostengono che il padre di Jehoiakin lo
fece regnare al suo fianco per addestrarlo alla guida futura del
regno. In questo caso Jehoiakin sarebbe diventato ufficialmente re
all’età di 18 anni, alla morte del padre.
Però è più verosimile pensare che si tratti di un tipico caso
d’errore nella trascrizione di numeri. Può essere utile ricordare che
in ebraico c’erano tre modi di scrivere i numeri. Il più antico (descritto in dettaglio più avanti), consisteva in una serie di segni.
32
Questo metodo è testimoniato nei Papiri di Elefantina, e fu usato
da Giudei che si stabilirono vicino al Nilo nel 5° secolo a.C. Il
secondo modo era l’utilizzo di lettere dell’alfabeto a cui venivano
attribuite un valore numerico. Infine fu introdotto un terzo sistema, con il quale fu imposto, dalla corporazione di so-perim, la
scrittura per estesa del numero. Fortunatamente possiamo consultare un vasto archivio di documenti scritti su papiri che testimoniano questi tre modi.
Come per molte discrepanze numeriche, nel caso citato sopra
è il numero indicante la decade che varia. È istruttivo osservare
che le notazioni numeriche usate dai Giudei al tempo di Ezra e
Nehemia, e testimoniate nei Papiri di Elefantina, evidenziano il
modo primitivo di scrivere i numeri. Tratti orizzontali che terminavano verso destra con un uncino discendente rappresentavano le decine (due tratti orizzontali, uno sopra l’altro, stava per
indicare 20).
I numeri sotto il 10 erano rappresentati da tratti verticali. Quindi
il numero 8 sarebbe stato /III IIII, ma 18 sarebbe stato /III IIII con
l’aggiunta di una linea orizzontale con uncino discendente. Similmente 22 sarebbe stato /I seguito da due uncini orizzontali, mentre
42 sarebbe stato /I seguito da due serie di uncini orizzontali.
Quindi, se nel manoscritto originario da cui si ricavava la copia,
erano presenti sbavature o macchie, uno o più segni numerici
rappresentanti le decine potrebbero essere sfuggiti al copista. È più
facile che al copista sfuggisse un fregio sfocato o scancellato,
piuttosto che avesse erroneamente pensato di aver visto un tratto in
più non presente nell’originale.
Nella Bibbia detta “con note e commenti di John MacArthur”
(Nuova Riveduta 2006), per una migliore chiarezza, le note a piè di
pagina informano il lettore che i MSS (manoscritti) ebraici antichi
portano l’errore di trascrizione, mentre i MSS della traduzione greca (detta LXX), portano le cifre corrette. È logico correggere i
numeri una volta scoperto l’errore di trascrizione. Questo non nega
assolutamente l’autenticità né l’autorità delle Scritture in nostro
possesso.
La conferma di questo tipo d’errore di copiatura si trova anche
in diverse opere di autori pagani. Per esempio, nell’iscrizione nella
roccia Behistun eretta da Dario 1, il numero dei morti nella carneficina dell’armata di Frada viene indicato come 55.243, con 6.572
prigionieri, secondo la colonna babilonese.
33
Copie di quest’iscrizione trovate in Babilonia, invece, registrano
il numero dei prigionieri in 6.973. Tuttavia, nella traduzione aramaica
di quest’iscrizione scoperta a Elefantina in Egitto, il numero dei
prigionieri risulta 6.972.
Similmente, nella sezione 31 della stessa iscrizione, la colonna
Babilonese indica come 2.045 i prigionieri uccisi dell’armata ribelle di Frawartish, con 1.558 prigionieri, mentre nella copia aramaica,
il conto dei prigionieri ammonta a più di 1.575. (Archer 1982:206-207,
214-215, 222, 230; Nehls pp.17-18; Light of Life II 1992:204-205)
7.
Il re Jehoiakin regnò su Gerusalemme per tre mesi
(2 Re 24 :8) o per tre mesi e dieci giorni (2 Cronache 36:9)?
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
Qui di nuovo, come abbiamo visto nelle confutazioni numero
1 e 2, l’autore delle Cronache è stato più specifico nelle sue numerazioni, mentre l’autore del libro dei Re ha semplicemente arrotondato il numero dei mesi, ritenendo i dieci giorni aggiuntivi troppo
poco rilevanti da essere menzionati.
8.
Il capo dei valorosi di Davide trafisse, uccidendoli,
800 uomini (2 Samuele 23:8) o soltanto 300
(1 Cronache 11:11)?
Categoria: frainteso il contesto storico o l’intento dell’autore
È possibile che entrambi gli autori abbiano descritto due diverse
vicende, protagonista sempre la stessa persona, oppure un autore
potrebbe aver narrato in parte quello che l’altro descrive per intero.
(Light of Life II 1992:187). La Bibbia, con note e commenti di John
MacArthur (Nuova Riveduta 2006), riporta che si tratta probabilmente di un errore di copista in 1 Cronache 11:11.
34
9.
L’Arca del Patto fu trasportata da Davide a
Gerusalemme dopo aver sconfitto i Filistei (2 Samuele 5 e 6)
oppure prima (1 Cronache capitoli 13 e 14)?
Categoria: non ha letto il testo per intero
Questo non è un problema vero e proprio. Shabir Ally avrebbe
dovuto continuare a leggere fino a 1 Cronache 15, così avrebbe
visto che Davide trasferì l’Arca dopo aver sconfitto i Filistei.
Il motivo è che gli Israeliti avevano trasferito l’Arca per due volte;
la prima da Baalè, prima della sconfitta dei Filistei, come leggiamo
in 2 Samuele 5 e 6 ed in 1 Cronache 15. Quando il profeta narra la
vittoria di Davide sui Filistei, parla anche delle due volte in cui
l’Arca venne trasferita. In ogni modo, in 1 Cronache l’ordine è il
seguente: L’Arca fu spostata la prima volta da Baalè, poi Davide
sconfisse i Filistei, infine l’Arca fu spostata dalla casa di ObedEdom a Gerusalemme.
Quindi, i due resoconti non sono per niente contradditori. Semplicemente, qui abbiamo un profeta che ha scelto di narrare in un
unico racconto l’intera storia dell’Arca (piuttosto che riferirne in
seguito), ed un altro scrittore che ci presenta questa storia in modo
diverso. In entrambi i casi, la collocazione nel tempo della vicenda
è la stessa.
Si potrebbe dire altrettanto del Corano. Nella Sura 2 ci viene
presentata la caduta di Adamo, poi la misericordia di Dio è manifestata agli Israeliti, poi c’è l’episodio dell’annegamento del Faraone,
dopodiché abbiamo Mosè ed il vitello d’oro, poi le lamentele degli
Israeliti per il cibo e l’acqua, e di nuovo l’episodio del vitello d’oro.
In seguito a questo, leggiamo di Mosè e Gesù, poi leggiamo di
Mosè e del vitello d’oro, e poi di Salomone e Abraamo. Volendo
parlare di cronologia, cosa ha a che fare Mosè con Gesù, o Salomone con Abraamo?
Secondo l’ordine cronologico la Sura avrebbe dovuto iniziare
dalla caduta d’Adamo, per proseguire, in quest’ordine: Caino ed
Abele, Enoc, Abraamo, Lot, Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe, i
figli d’Israele, e Mosè. Se si trova un tale capovolgimento cronologico in questa Sura del Corano, allora Ally avrebbe fatto meglio a
spiegarlo prima di criticare ciò che, a suo parere, è un errore nella
Bibbia. (Light of Life II 1992:176)
35
10.
Noè doveva portare con sé nell’Arca 2 paia di ogni specie
di creature viventi (Genesi 6:20) oppure 7 paia di animali
“puri” (Genesi 7:2; Genesi 7:8,9)?
Categoria: citazione erronea del testo
Questa è davvero una domanda strana. È ovvio che Shabir Ally
ha citato in modo errato il testo del 6° capitolo della Genesi, che
non parla di “due paia”, bensì di “due di ogni specie”. Inoltre c’è da
notare che nel capitolo 7 si fa una distinzione tra animali puri ed
impuri. Genesi 7:2 dice che Noè doveva prendere 7 paia di animali
puri e un paio di ogni specie di animale impuro. È curioso che Ally,
nel formulare la sua sfida, non ha menzionato la seconda parte di
questo versetto che specifica un paio. È ovvio che non c’è nessuna
discrepanza tra i due racconti. Il problema è nella domanda.
Shabir Ally tenta di avvalorare la sua tesi affermando che i versetti 8 e 9 del capitolo 7 dimostrano che soltanto 2 coppie entrarono
nell’arca. Tuttavia, questi versetti non dicono nulla a proposito di
quante coppie entrano nell’arca; dicono semplicemente che nell’arca entrarono delle coppie di animali, uccelli e creature, puri ed
impuri.
Il motivo per cui vennero inclusi 7 paia di ogni specie pura è
perfettamente evidente: dovevano servire per gli olocausti da offrire
dopo il ritiro delle acque, come infatti accadde (Genesi 8:20). È ovvio
che, se non ce ne fossero stati più di due di ciascuna specie pura, se
ne sarebbe causata l’estinzione dopo il sacrificio sull’altare. Ma nel
caso degli animali e uccelli impuri, un solo paio di ciascuna specie
sarebbe stato sufficiente, dato che non sarebbero serviti per i sacrifici di sangue. (Archer 1982:81-82)
11.
Davide catturò 1.700 cavalieri del re Tsobah (2 Samuele 8:4)
o 7.000 (1 Cronache 18:4)?
Categoria: errore del copista
Ci sono due possibili spiegazioni di queste cifre discordanti.
La prima, di Keil e Delitzsh (p.360) è molto convincente; essi
affermano che la parola per “fanteria” (o cavalleria, milizie) rekeb,
fu inavvertitamente omessa dallo scriba nel ricopiare 2 Samuele 8:4,
36
e che la seconda cifra, 7.000 (dei parasim “cavalieri) fu necessariamente ridotto a 700 dai 7.000 che aveva visto nel suo Vorlage, per
il semplice motivo che nessuno poteva scrivere 7.000 dopo aver
scritto 1.000, nel registrare un’unica e medesima cifra.
L’omissione di rekeb potrebbe essere avvenuta ad opera di qualche scriba precedente e una riduzione da 7.000 a 700 sarebbe stata
ripetuta anche da copisti successivi. Ma con ogni probabilità, la
cifra in Cronache è quella giusta e i numeri in Samuele andrebbero
corretti per concordare con essi.
Una seconda spiegazione parte dalla premessa che il numero
ridotto a 700 in realtà si riferisse a 700 schiere, ciascuna composta
di 10 cavalieri, ottenendo quindi il totale di 7.000.
(Archer 1982:184: Keil & Delitzsch 1949:360; Light of Life II
1992:182)
La Bibbia, con note e commenti di John MacArthur (Nuova
Riveduta 2006), afferma attendibile i dati in 1 Cronache 18:4.
12.
Salomone possedeva 40.000 scuderie per i suoi cavalli
(1 Re 4:26) o piuttosto 4.000 (2 Cronache 9:25)?
Categoria: errore del copista, o frainteso il contesto storico
Ci sono diversi modi di spiegare questa differenza di una dimensione tale che lascia perplessi. Il più plausibile è simile a quello che
si trova nelle confutazioni cinque e sei (si veda sopra), dove è stato
suggerito che il numero che indicava la decade poteva essere stato
cancellato o sfocato per l’usura.
Altri credono che le scuderie a cui si riferisce in 2 Cronache
fossero in realtà delle grandi stalle che ospitavano 10 cavalli ciascun, quindi, una fila di 10 stalle. Pertanto 4.000 di queste grandi
stalle equivarrebbero a 40.000 di quelle piccole.
Un altro commentatore sostiene che il numero delle scuderie
riportato in 1 Re fosse il numero delle stalle quando Salomone
iniziò a regnare, mentre il numero riportato in 2 Cronache indicherebbe il numero delle scuderie esistenti alla fine del suo regno. Sappiamo che Salomone regnò per 40 anni; senza dubbio, molti cambiamenti erano avvenuti durante quel periodo. È assai probabile che,
nel clima di pace che caratterizzava il suo regno, egli avesse ridotto la portata dell’apparato militare che suo padre Davide gli
aveva lasciato.
37
(Archer 1982:184: Keil & Delitzsch 1949:360; Light of Life II
1992:182)
Un altro commentatore, John MacArthur (Nuova Riveduta 2006),
concorda che dovrebbe trattarsi di 4.000, come in 2 Cr 9:25.
13.
Secondo l’autore, il re d’Israele Baasa morì nel 26° anno
del regno di re Asa (1 Re 15:33) o era, invece, ancora vivo
nel 36° anno (2 Cronache 16:1)?
Categoria: frainteso il contesto storico, o errore del copista
Ci sono due possibili spiegazioni. Per cominciare, gli studiosi
che hanno esaminato questi due brani hanno concluso che il 36°
anno di Asa dovrebbe essere calcolato dal momento del ritiro delle
10 tribù di Israele da Giuda e Beniamino, ritiro che causò la suddivisione del paese nei due regni di Giuda e Israele. Visto in quest’ottica, il 36° anno del regno diviso corrisponderebbe al 16° anno di
Asa. Questo è avvalorato dal Libro dei Re di Giuda e Israele, così
come da documentazioni contemporanee che seguono questa convenzione. (Per una spiegazione più dettagliata di questa teoria, cfr.
Archer,p. 225).
Keil e Delitzch (pp. 336-337) erano più propensi a considerare il
numero 36 in 2 Cronache 16:1 ed il numero 35 in 15:19 come errori
del copista, rispettivamente per 16 ed 15. Questo problema è simile
a quanto discusso nel rispondere alle presunte contraddizioni 5 e 6.
In questo caso, comunque, i numeri furono scritti usando l’alfabeto
ebraico, invece del tipo egiziano dai tratti multipli, usato nel Papiri
Elefantini, menzionati nel rispondere alle domande 5 e 6.
Quindi è abbastanza probabile che il numero 16 potesse essere
facilmente confuso con il 36. Questo era dovuto al fatto che fino al
7° sec. a.C, la lettera yod (=10) assomigliava moltissimo alla lettera
lamed (30), a parte due trattini minuscoli attaccati a sinistra dei
tratti verticali principali. Per l’eccessiva usura del rotolo, era facile
provocare una lieve sbavatura e sfocare così una parola; poteva
succedere così che la lettera yod finisse per assomigliare a lamed.
È possibile che questo errore fosse occorso per primo nel brano
precedente, 2 Cronache 15:19 (con il 35 copiato erroneamente al
posto del 15 originale); poi, per renderlo compatibile in 16:1, lo
stesso scriba (o forse uno dopo di lui) concluse che 16 stava per 36,
e pertanto, nella sua copia, lo cambiò.
38
(Archer 1982:226: Keil & Delitzsch 1949:366-367; Light of Life II
1992:194)
14.
Salomone designò 3.600 sorveglianti (2 Cronache 2:2) per
il lavoro di costruzione del tempio o erano invece soltanto
3.300 (Re 5:16)?
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
Non si tratta di un problema poi così grave. La spiegazione più
verosimile è che l’autore di 2 Cronache avesse incluso i 300 uomini
selezionati come riserve, che avrebbero dovuto eventualmente rimpiazzare quei sorveglianti che si ammalavano o morivano, mentre
l’autore del brano di 1 Re 5:16 avrebbe tenuto conto soltanto del
gruppo dei sorveglianti effettivi. In un gruppo di 3.300, senz’altro
ci sarebbero state persone che s’ammalavano o morivano durante
un tempo lungo di costruzione del tempio, da qui la necessità di
avere delle riserve da chiamare all’occorrenza. (Light of Life II
1992:192)
15.
Salomone costruì una struttura che conteneva 2.000 bati
(1 Re 7:26) oppure 3.000 (2 Cronache 4:5)?
Categoria: frainteso l’intento dell’autore, o errore del copista
Il verbo ebraico tradotto “conteneva” in 1 Re 7:26 è diverso da
quello usato in 2 Cronache 4:5, che può significare “riceveva”.
Il significato potrebbe essere che il mare normalmente conteneva
2.000 bati (ca 80.000 litri), ma una volta riempito fino alla massima
capacità, poteva ricevere e contenere 3.000 bati (ca 120.000 litri).
Quindi, il narratore accenna alla quantità d’acqua che avrebbe reso
il mare simile ad un corso d’acqua corrente, piuttosto che ad un
lago stagnante. Da questo apprendiamo che ci volevano 120.000
litri di acqua per riempire completamente il mare, che normalmente
ne conteneva 80.000 litri.
Un’altra spiegazione si basa su un ragionamento menzionato in
precedenza, cioè, che il numero 2000 scritto in caratteri ebraici è
stato confuso dallo scriba con un numero alfabetico simile, che
stava per il numero 3.000.
39
Bisogna notare che Shabir Ally (nel suo dibattito del 25 febbraio
1998 contro Jay Smith, a Birmingham, UK) ha citato questa “contraddizione” ed ha altresì aggiunto che se la vasca (detto “mare”) avesse
avuto un diametro di 10 cubiti, non avrebbe potuto avere una circonferenza di 30 cubiti, come dice il testo ( dato che “pi” stabilisce che
avrebbe avuto una circonferenza di 31.416 cubiti o un diametro di 9.549).
In quell’occasione Ally fece un commento spiritoso: “Trovatemi
una vasca come quella ed io mi ci battezzerò!” Ma Shabir non
aveva letto correttamente il testo, oppure voleva solo fare due risate
a buon mercato (e fuori posto). Perché? Perché il testo dice che era
di circa 8 cm di spessore ed aveva l’orlo a forma di giglio. Quindi,
tutto dipende da che parte si prendono le misure.
Misurando la vasca partendo dalla parte superiore o dalla parte
inferiore dell’orlo, o dall’interno o l’esterno della vasca, si avranno
dei diametri diversi; inoltre, a seconda che si parta dalla cima dell’orlo o dal punto più stretto, si avrà anche una circonferenza diversa.
In altre parole, potrebbe andare a finire che Shabir Ally si battezzi
per davvero, se qualcuno si prendesse la briga di fare una copia
della vasca! (Haley p. 382; Light of Life II 1992:192)
16-21. Le cifre esatte che indicano il numero di Israeliti fatti
uscire dalla cattività in Babilonia, si trovano in
Esdra (2:6, 8, 12, 15, 19, 28) oppure in
Nehemia (7:11, 13, 17, 20, 22, 32)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Sia nel capitolo 2 di Esdra che nel capitolo 7 di Nehemia,
sono elencate circa trentatré famiglie che fanno ritorno in Giudea
dalla Babilonia. Di queste trentatré, diciannove famiglie sono
identiche, mentre quattordici mostrano delle discrepanze nel
numero di membri all’interno dei gruppi familiari (anche se
Shabir ne elenca soltanto sei). In due casi c’è una persona in più
o in meno, in un caso la differenza è di quattro persone, in due
casi è di sei, in altri due casi è di nove, un’altra volta di undici,
altre due volte di cento, un’altra ancora di duecentouno, un’altra
di centocinque, un’altra famiglia differisce di trenta, mentre la
_________________________________________________________________________
* Poiché le domande dal 16 al 21 parlano tutte del medesimo censimento, le ho
messe insieme (N.d.A.)
40
differenza più grande è nella cifra che sta a indicare i figli di
Azgad; una differenza di ben millecento tra il resoconto di Esdra
2 e quello di Nehemia 7.
Come dobbiamo spiegare, allora, queste quattordici discrepanze?
La risposta è piuttosto semplice, e Shabir, se avesse studiato un po’ la
storia di questi due resoconti, non avrebbe perso il suo tempo a far
domande del genere. Il fatto che nei due elenchi coesistano discrepanze
ed analogie, avrebbe dovuto permettergli di afferrare la spiegazione.
Ci sono due fattori essenziali da tenere a mente quando si considerano le discrepanze tra le due liste. La prima è la probabilità che,
dal momento in cui le famiglie che volevano partire si erano registrate, fino al momento della partenza, c’era stato un lasso di tempo
in cui qualcuno sarà deceduto, o si sarà ammalato così gravemente
da non poter affrontare il viaggio, oppure erano intervenuti ostacoli
insormontabili di qualche sorta. Così, il numero effettivo di chi era
partito effettivamente non era uguale al numero di coloro che avevano avuto l’intenzione di partire.
Un altro fattore, ancora più importante, riguarda le circostanze
diverse in cui furono compilato i registri, un fatto importante che
Shabir sembra ignorare completamente. Il registro di Esdra fu compilato mentre gli esuli erano ancora in Babilonia (fra il 460 e il 450
a.C.); Esdra 2:1-2), mentre il registro di Nehemia fu compilato in
Giudea (intorno al 445 a.C) dopo la ricostruzione delle mura di
Gerusalemme (Nehemia 7:4-6). Quell’intervallo che va dai 5 ai 15
anni tra la compilazione delle due liste, avrà certamente comportato
delle differenze nei numeri riguardanti le famiglie elencate, se si
considerano i decessi e altro.
La maggioranza degli studiosi pensa che Nehemia avesse registrato coloro che effettivamente erano arrivati a Gerusalemme sotto
la guida di Zorobabele e di Jeshua (Nehemia 7:7). D’altro lato,
Esdra, fa riferimento alla lista precedente di coloro che all’inizio, in
Babilonia, avevano manifestato l’intenzione di unirsi agli esuli che
stavano per fare ritorno, verso il 450 a.C.
Le discrepanze tra queste due liste ci fanno notare che erano
sorti dei nuovi fattori che fecero loro cambiare idea. Alcuni potrebbero non essere stati più d’accordo, altri potrebbero aver rinviato la
partenza per via degli affari, mentre di sicuro ci saranno stati decessi e malattie, ed in altri casi, qualcuno, tra quelli che volevano
rimanere in Babilonia, potrebbe averci ripensato e deciso di partire
all’ultimo minuto. Solo nel caso di alcuni gruppi familiari e gruppi
41
di persone provenienti da una stessa città, si verificò una riduzione
nel numero delle persone che fecero ritorno. Tutti gli altri gruppi
aumentarono di numero all’ultimo minuto, con un aumento che
variava da 1 a 1.100 unità.
Quando esaminiamo i nomi negli elenchi, vediamo che alcuni
sono scritti in modi diversi. Tra i giudei di quel tempo (come quelli
che vivevano nelle regioni orientali), le persone avevano un nome,
un titolo ed un cognome. Quindi, i figli di Harif (Nehemia7:24)
sono i figli di Jorah (Esdra 2:18), mentre i figli di Sia (Nehemia 7:47)
sonoda identificare con i figli di Siaha (Esdra 2:44).
Quando consideriamo tutti questi fattori, le differenze nei totali
che appaiono in questi due conteggi non dovrebbero affatto sorprenderci. Lo stesso tipo di controversie si possono ritrovare in tutte
le grandi migrazioni della storia dell’uomo.(Archer 1982:229-230 e
Light of Life II 1992:219-220)
22.
Pur concordando i totali (42.360) in Esdra 2:64 e
Nehemia 7:66 per l’intera assemblea, quando le singole
cifre elencati in questi due libri vengono sommati, risultano 29.818 in Esdra e 31.089 in Nehemia. Come mai?
Categoria: errore del copista
Si tratta con tutta probabilità di un errore del copista. I testi
originali senz’altro riportavano i totali giusti, ma ad un certo punto,
nelle copie eseguite durante i secoli, qualche scriba deve avere
copiato in modo errato una delle liste, cambiando il totale con
l’altro per farli collimare, senza aver prima sommato i numeri delle
famiglie di ciascuna lista. Oppure si ipotizza che un copista abbia
inavvertitamente registrato i totali dell’intera assemblea che si trovava a Gerusalemme, alla stessa epoca dello scriba. Ma poiché si
era in epoca più tardiva, il numero sarebbe stato maggiore.
Errori simili non cambiano assolutamente la storicità del resoconto, dato che in questi casi un’altra porzione delle Scritture generalmente corregge l’errore (in questo caso i conteggi). Come scrisse
una volta il noto commentatore Matthew Henry: “pochi libri vengono stampati senza errori; eppure, gli autori non li rigettano per questo,
né vengono attribuiti all’autore gli errori di stampa. Il lettore attento
li corregge, valutandoli secondo il contesto o confrontandoli con
altre porzioni della stessa opera”. (Light of Life II 1992:201, 219)
42
23.
Erano 200 (Esdra 2:65) i cantori che accompagnavano
l’assemblea o 245 (Nehemia 7:67)?
Categoria: errore del copista
Come alla domanda 7, si tratta anche qui di un errore del copista,
dove uno scriba che stava ricopiando i numeri nel resoconto di
Esdra ha semplicemente arrotondato la cifra di 245 a 200.
24.
La madre di re Abijaha si chiamava Mikaiah, figlia di
Uriel di Ghibeah (2 Cronache 13:2) oppure
Maakah, figlia di Absalom (2 Cronache 11:20 e
2 Samuele 13:27)?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Questa apparente contraddizione è legata alla comprensione del
termine ebraico bat, l’equivalente dell’italiano figlia. Anche se usato normalmente per indicare una discendente femmina di prima
generazione, può ugualmente riferirsi ad una parentela più distante.
Se ne può vedere un esempio in 2 Samuele1:24, che dice: “O figlie
d’Israele, piangete per Saulo…”. Dato che Israele (chiamato anche
Giacobbe) era morto circa 900 prima, è chiaro che si riferisce alle
donne israelite, ossia la lontana discendenza femminile di Giacobbe.
Vista in questa prospettiva, la contraddizione non sussiste più.
2 Cronache 13:2 afferma giustamente che Mikaiah è figlia di Uriel.
Possiamo presumere che Uriel abbia sposato Tamar, l’unica figlia
diretta di Absalom. Insieme ebbero Mikaiah che sposò il re Rehoboam
e divenne madre di Abijah. Nell’affermare che Maakah era una figlia
di Absalom, 2 Cronache 11:20 e 1 Re 15:2, non fanno altro che
ricollegarla, invece che con il padre che era meno conosciuto, con il
nonno. Abishalom è una variante di Absalom e Mikaia una variante
di Maakah, quindi, l’albero genealogico è come segue:
Absalom / Abishalom
Tamar------Uriel
Rehoboam-----Maakah/Mikaiah
Abijah
43
25.
Giosuè e gli Israeliti conquistarono (Giosuè 10:23,40) o
non conquistarono Gerusalemme (Giosuè 15:63)?
Categoria:una lettura poco attenta del testo
La risposta breve è: non durante questa campagna. I versetti
indicati sopra sono in completa armonia; la confusione nasce da
una lettura errata del brano in questione.
In Giosuè 10, è il re di Gerusalemme che viene ucciso: la sua
città non viene conquistata (versetti 16-18 e 22-26). I cinque re
Amorei ed i loro eserciti lasciarono le loro città per andare ad
attaccare Gabaon. Giosuè e gli Israeliti li misero in rotta e i cinque
re si rifugiarono nella caverna di Makkedah, dove furono catturati e
portati a Giosuè.
Per quanto riguarda i loro eserciti, il versetto 20 dice: “...i loro
superstiti che sfuggirono si furono rifugiati nelle loro città fortificate” che indica chiaramente che le città non vennero occupate.
In Giosuè 10:28-42 leggiamo il resto di questa particolare campagna militare. È scritto che varie città furono occupate e distrutte:
Makkedah, Libnah, Lakish, Eglon, Hebron e Debir. Tutte queste
città si trovavano a sud-est di Gerusalemme. Il re di Gezer ed il suo
esercito furono sconfitti sul campo mentre saliva in aiuto a Lakish
(versetto 33) e al versetto 30 viene fatto il confronto con la conquista
precedente di Gerico; ma qui, in questo momento, nessuna di queste
due città furono conquistate. I versetti 40 e 41 descrivono i limiti di
questa campagna, che ebbe luogo a sud e a est di Gerusalemme.
È importante notare che Gabaon, al limite orientale di questa campagna, si trova ancora a 10 miglia circa a nord-est di Gerusalemme.
Quindi, nel resoconto di Giosuè 10, non risulta che Gerusalemme
fu conquistata. Questo corrisponde perfettamente a Giosuè 15:63,
che afferma che Giuda non riuscì a scacciare completamente i
Gebusei che abitavano in Gerusalemme.
26.
Era Giacobbe (Matteo 1:16) oppure Eli (Luca 3:23)
il padre di Giuseppe, marito di Maria?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
La risposta è semplice ma necessita comunque di una spiegazione. Molti studiosi oggi concordano sul fatto che Matteo descrive la
44
genealogia di Giuseppe, mentre Luca descrive quella di Maria, di
modo che Giacobbe risulta essere il padre di Giuseppe ed Eli il
padre di Maria.
Questo è dimostrato dalle due narrazioni della nascita verginale.
Matteo 1:18-25 espone la vicenda soltanto dalla prospettiva di Giuseppe, mentre in Luca 1:26-56 è narrata interamente dal punto di
vista di Maria.
È logico chiedersi perché Giuseppe venga menzionato in entrambe le genealogie. La risposta, ancora una volta, è semplice. Luca
segue la rigorosa tradizione ebraica menzionando soltanto i maschi.
In questo caso, dunque, Maria viene citata in base al nome del marito.
Questo ragionamento è chiaramente supportato da due linee di
evidenza. Nella prima, ciascun nome nel testo greco della genealogia
elencata in Luca, ad eccezione di Giuseppe, è preceduto dall’articolo determinativo (es: “L’ Eli, “il” Matthat”). Anche se non risulta
evidente nelle traduzioni in italiano, lo noterebbe chiunque legga il
greco, rendendosi conto che si sta descrivendo la stirpe della moglie di Giuseppe, pur essendovi registrato il nome di lui.
La seconda linea di evidenza è il Jerusalem Talmud ebraico, che
riconosce che la genealogia in questione è quella di Maria, in quanto si fa riferimento a lei come la figlia di Eli (Hagigah 2:4)
(Fruchtenbaum 1993:10-13)
27.
Gesù discendeva da Salomone (Matteo 1:6) o da Natan
(Luca 3:31), entrambi figli di Davide?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Questa domanda è collegata direttamente alla n° 26. Avendo
dimostrato che in Matteo è descritta la genealogia di Giuseppe e in
Luca quella di Maria, risulta chiaro che Giuseppe discendeva da
Davide attraverso Salomone, e Maria attraverso Natan.
28.
Era Jechoniah (Matteo 1:12) o Neri (Luca 3:27) il padre
di Salatiel?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Ancora una volta, il problema non sussiste una volta che si è
compreso che le due diverse genealogie partono da Davide fino ad
45
arrivare a Gesù: stiamo parlando delle genealogie di Maria e quella di
Giuseppe (vedi n° 26). Due diverse genealogie significano due uomini diversi di nome Salatiel, un nome comune ebraico. Quindi,
non ci deve sorprendere il fatto che avessero un padre diverso!
29.
Quale dei figli di Zorobabele era antenato di Gesù,
Abiud (Matteo 1:13) o Resa (Luca 3:27)
e che dire di Zorobabele in 1 Cronache 3:19-20?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Come al n°28, due diversi Salatiel esigono necessariamente due
diversi Zorobabele; quindi il fatto che i loro figli avessero nomi
diversi non costituisce affatto un problema. Non dovremmo stupirci
nel trovare un Zorobabele figlio di Salatiel sia fra gli antenati di
Maria che tra quelli di Giuseppe.
In Matteo leggiamo che il padre di Giuseppe si chiamava
Giacobbe. Naturalmente la Bibbia conosce anche un altro Giuseppe,
figlio di Giacobbe, che diventò il secondo in comando del governo
d’Egitto (Genesi 37-47). Non c’è motivo per pensare che questi due
uomini fossero la medesima persona, similmente l’esistenza di due
uomini che si chiamavano entrambi “Zorobabele, figlio di Salatiel”,
non presenta alcun problema.
È m o l t o p r o b abile che lo Z orobab e le me nz iona to in
1 Cronache 3:19-20 fosse una terza persona con lo stesso nome.
Ancora una volta, nessun problema: varie Maria sono rammentate
nei Vangeli, essendo il nome Maria comunissimo. La stessa cosa
potrebbe dirsi anche per il caso citato nella domanda. Lo Zorobabele
menzionato in Luca 3:27 potrebbe anche essere stato cugino di
quello citato in Matteo 1:12-13. Un confronto tra Matteo e 1 Cronache ci dà il seguente possibile albero genealogico:
Jehoiachin
Salatiel---Malkiram---Pedaiah---Shenazzar---Jekamiah---Hoshama---Nedabiah---...
Zorobabele
Abiud
Zorobabele----Shimei----...
7 figli
(1 Cronache 3:19,20)
Giuseppe
46
30.
Era Ioram (Matteo 1:8) o Amaziah (2 Cronache 26:1)
il padre di Ozia?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
La risposta è di natura simile a quella della n° 24. Il termine
ebraico bat(figlia) può essere usato per indicare una discendente
diretta oppure una più remota, e così pure il termine ben (figlio).
In Matteo 1:1 Gesù è indicato come figlio di Davide, il figlio di
Abrahamo. Entrambe le genealogie tracciano il lignaggio di Gesù
attraverso entrambi questi uomini, illustrando come “figlio” veniva
usato in senso più ampio. Anche se non esistono manoscritti ebraici
del Vangelo di Matteo, è chiaro che lui era un ebreo che scriveva in
un’ottica ebraica, quindi era perfettamente familiare con il concetto
ebraico di progenie.
Con questo in mente, si può facilmente dimostrare che Amaziah
era il padre effettivo di Ozia, (chiamato anche Azariah). Ioram/
Jehoram, d’altra parte, era il trisavolo di Ozia. La linea corre come
segue:Joram/Jehoram - Ahaziah - Joash - Amaziah - Azariah/Uzziah
(2 Cronache 21:4; 26:1).
Il modo in cui Matteo descrive la discendenza, a mo’ di
caleidoscopio, è completamente accettabile, dato che il suo scopo è
semplicemente quello di dimostrare la linea della discendenza. Egli
commenta in 1:17 che c’erano tre sequenze di quattordici generazioni. Questo ci rivela la sua passione per i numeri e si collega
direttamente alla definizione di Gesù come figlio di Davide. Nella
lingua ebraica viene attribuito un valore numerico a ogni lettera.
Il valore totale del nome Davide è quattordici ed è questo probabilmente il motivo per cui Matteo registra soltanto quattordici generazioni in ciascuna sezione, per sottolineare la posizione di Gesù
come figlio di Davide.
31.
Era Giosia (Matteo 1:11) o Jehoiakim (1 Cronache 3:16)
il padre di Ieconiah?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
In sostanza questa domanda è la stessa della n°30. Jehoiakim era
il padre di Ieconia e Giosia era suo nonno. Quindi la definizione di
47
Giosia come padre di Ieconiah è determinata dalla natura estetica
della genealogia, e non da errori.
32.
Erano quattordici (Matteo 1:17) o tredici (Matteo 1:12-16)
le generazioni dalla deportazione in Babilonia fino a
Cristo?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Come chiaramente attestato in Matteo 1:17, le generazioni erano
quattordici. Nella prima sezione ci sono quattordici nomi, nella
seconda quindici e nella terza quattordici. Forse il modo più semplice per risolvere il problema è presupporre che nella prima e nella
terza sezione, la prima e l’ultima persona sono registrate come
generazione, mentre nella seconda no. Se sia andato perduto qualche nome dalla lista originale a causa di errori di copiatura, non lo
sappiamo. Qualunque sia la vera situazione rispecchiata qui, è perfettamente lecito addurre una semplice spiegazione come sopra.
33.
Chi era il padre di Sala: Cainan (Luca 3:35-36) oppure
Arphakshad (Genesi 11:12)?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
Anche se non si può dare una risposta definitiva in merito, ci
sono comunque delle spiegazioni plausibili. La riposta più probabile è che nella genealogia descritta nel testo Masoretico della Genesi, le generazioni sono riassunte, come nel testo di Matteo. Quando
esaminiamo la LXX (traduzione greca dell’AT), troviamo il nome
Cainan registrato come padre di Sala, come in Luca.
34.
Giovanni Battista era l’Elia che doveva venire
(Matteo 11:14; 17:10-13) oppure no (Giovanni 1:19-21)?
Categoria: frainteso il contesto storico
In Matteo, Gesù afferma che Giovanni il Battista era l’Elia che
doveva venire, mentre in Giovanni sembra che il Battista lo neghi.
Il motivo di questa discrepanza apparente è la mancata contestualizzazione da parte di chi legge.
48
I sacerdoti ed i Leviti si presentarono a Giovanni il Battista chiedendogli se era Elia. Una domanda un po’ strana da porre a chi non
conosce le Scritture ebraiche. Dio dice per mezzo del profeta Malachia
che manderà Elia al popolo d’Israele prima della venuta del Signore
(Malachia 3:1-2; 4:5-6). Quindi, una domanda del genere, visto che
gli ebrei stavano aspettando Elia, non è affatto fuori luogo.
Giovanni aveva circa 30 anni quando gli fu rivolta questa domanda. I suoi genitori erano già morti e lui era l’unico figlio di
Zaccaria della tribù di Levi. Quindi, quando gli fu chiesto se fosse
Elia, asceso al cielo circa 878 anni prima, la risposta ovviamente
fu: “No, io non sono Elia”.
Anche Gesù testimonia, seppur indirettamente, che Giovanni non
era Elia, in Matteo 11:11, dove afferma che Giovanni è il più grande fra tutti i nati da donna. Mosè era più grande di Elia, ma Giovanni era più grande di entrambi.
Perciò, cosa intendeva Gesù quando, parlando a proposito di
Giovanni, afferma “egli è l’Elia che doveva venire?” L’angelo Gabriele (Jibril in arabo) parla a Zaccaria riguardo a suo figlio Giovanni, non ancora nato, dicendo: “andrà avanti a lui con lo spirito e
la potenza di Elia, per volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla
saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto” (Luca 1:17).
L’angelo cita due profezie: Isaia 40:3-5 (cfr. Luca 3:4-6, dove si
fa nuovamente riferimento a Giovanni il Battista) e Malachia 4:5-6,
già menzionato sopra, che dice: “Ecco, io vi manderò Elia, il profeta, prima che venga il giorno grande e spaventevole dell’Eterno.
Egli farà ritornare il cuore dei figli ai padri”.
Inequivocabilmente Gabriele dichiara che Giovanni è l’Elia che
Dio aveva preannunciato per bocca di Malachia.
Dunque, Giovanni era Elia o no?
No, non lo era in senso letterale. Ma se i sacerdoti ed i Leviti gli
avessero chiesto: “Sei tu colui di cui ci parla il profeta Malachia?
Giovanni avrebbe risposto affermativamente.
Gesù, in Matteo 17:11-13, asserisce che la profezia di Malachia
è veritiera, ma che Elia era già venuto. Dice che questo “Elia”
aveva sofferto come avrebbe sofferto lui, Gesù: “I discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni Battista”. Dunque, una
volta capito il contesto, risulta tutto chiaro. Giovanni non era Elia
nel senso letterale, ma lo era in senso analogico: era l’Elia di cui
parlò la profezia, colui che doveva preparare (e preparò) la via al
49
Messia, a Gesù, all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”
(Giovanni 1:29).
35.
Gesù avrebbe ereditato il trono di Davide (Luca 1:32) o
no (Matteo 1:11; 1 Cronache 3:16 e Geremia 36:30)?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata
La risposta segue direttamente quella della n° 26. Avendo dimostrato che la discendenza elencata in Matteo è quella di Giuseppe,
risulta chiaro da Geremia 36:30 che nessuno dei discendenti, fisicamente parlando, era idoneo per sedersi sul trono di Davide, dato
che lui stesso discendeva da Jekonia.
Tuttavia, come spiega chiaramente Matteo, Gesù NON era un
discendente di Giuseppe in senso fisico. Dopo aver registrato la
genealogia di Giuseppe, che comprende la discendenza da Jekonia,
Matteo narra la storia della nascita virginale. Egli dimostra in questo modo come Gesù elude il problema Jekonia, pur avendo il
diritto legale di sedersi sul trono di Davide.
Luca, dall’altra parte, dimostra che la vera discendenza fisica di
Gesù veniva da Davide, non passando per Jekonia, quindi Gesù era
pienamente qualificato di ereditare il trono di suo padre Davide.
L’annuncio dell’angelo in Luca 1:32 completa il quadro: il Signore
Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. Questo appuntamento
divino, insieme alla sua discendenza fisica, fanno di lui l’unico
erede, a pieno titolo, del trono di Davide. (Fruchtenbaum 1993:12)
36.
Gesù entrò in Gerusalemme cavalcando soltanto
un puledro (Marco 11:7; cfr. Luca 19:35) oppure
un puledro ed un’asina? (Matteo 21:7)
Categoria: frainteso sia il testo che il contesto storico e il modo in cui
la lingua ebraica viene usata
L’accusa che viene mossa è che i Vangeli sono in contraddizione riguardo al numero di asini che Gesù cavalcava mentre entrava
in Gerusalemme, e nasce dal fatto che il testo di Matteo non è stato
letto correttamente per cui l’intento di Matteo è stato trascurato.
Prima di tutto bisogna notare che tutti e quattro i Vangeli
citano questo episodio (nella domanda manca un riferimento a
50
Giovanni 12:14-15). Marco, Luca e Giovanni concordano tutti sul
fatto che Gesù cavalcava un puledro. La logica ci dimostra che non
esiste alcuna “contraddizione” dato che Gesù non poteva cavalcare
due animali allo stesso tempo, vi pare? Quindi, perché Matteo rammenta due animali? La ragione è molto semplice.
Anche esaminando Matteo separatamente, possiamo capire dal
testo che Gesù non cavalcava due animali, ma solamente il puledro,
perché nei due versetti che precedono Matteo 21:7, citato da Shabir
Ally, Matteo rammenta due profezie dell’Antico Testamento
(Isaia 62:11 e Zaccaria 9:9). In Matteo troviamo scritto: “Dite alla
figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te mansueto, cavalcando un
asino, anzi un puledro, figlio di una bestia da soma” (Matteo 21:5)
Nel dire “un asino” e poi “su un puledro, figlio di una bestia da
soma”, Zaccaria sta costruendo la frase alla tipica maniera ebraica,
usando un linguaggio poetico conosciuto come “parallelismo”, che
consiste semplicemente nel ripetere la stessa cosa in un modo diverso, come un’affermazione parallela. Nella Bibbia troviamo spesso esempi di parallelismo (cfr. il Salmo 119:105: “la tua parola è
una lampada ai miei piedi e una luce sul mio sentiero”: la stessa
cosa detta due volte in successione).
È evidente che si sta facendo riferimento ad un solo animale;
Matteo afferma chiaramente, così come gli altri tre evangelisti, che
Gesù cavalcava solamente un puledro. Allora perché al versetto 7
Matteo dice che fu portato un puledro insieme alla madre? La ragione è semplice: Matteo, che era un testimone oculare (Marco e
Luca no), vuole sottolineare l’immaturità del puledro, troppo giovane per essere separato dalla madre. Dato che il puledro non era mai
stato cavalcato prima, è molto probabile che dipendesse ancora
dalla madre. L’entrata a Gerusalemme starebbe stata molto più facile se mamma asina fosse stata condotta giù per la strada insieme al
puledro che naturalmente l’avrebbe seguita, pur non essendo mai
stato cavalcato prima né addestrato a perseguire una strada.
Qui vediamo ancora una volta che non c’è alcuna contraddizione
tra i resoconti sinottici; ci sono soltanto dei dettagli che Matteo ha
aggiunto, essendo uno che aveva seguito l’evento in prima persona.
Questa è soltanto una delle molte profezie adempiute da Gesù;
aveva adempiuto quelle sulle quali aveva controllo, ma anche quelle
su cui non poteva avere controllo, come il momento ed il luogo della
sua nascita (Daniele 9:24-26, Michea 5:1-2, Matteo 2:1-6) e la sua
risurrezione (Salmo 16:10, Atti 2:24-32), tanto per citarne alcune.
51
Alcuni musulmani credono che nella Taurat ci sia un riferimento alla profezia di cui parla il Corano, nella Sura 7:157 e 61:16 che
riguardano Maometto. Se nonché questi musulmani devono ancora
trovarne una, mentre sono numerose le predizioni esplicite riguardanti Gesù.
37.
Simon Pietro scopre che Gesù è il Cristo tramite una
rivelazione dal cielo (Matteo 16:17) oppure da suo fratello
Andrea (Giovanni 1:41)
Categoria: un’interpretazione troppo letterale
L’enfasi delle parole di Gesù in Matteo 16:17 è che Simone non
lo aveva semplicemente sentito dire il fatto da qualcun altro: Dio
stesso aveva illuminato Pietro a questo riguardo in modo certo. Ciò
non vuol dire che non lo potesse avere saputo anche da qualche
persona. Gesù vuole sottolineare che Simon Pietro non stava semplicemente ripetendo quello che un altro aveva detto. Lui aveva
vissuto e operato con Gesù ed ora per lui era molto chiaro che Gesù
altro non era che il Cristo (il Messia) il Figlio del Dio Vivente.
Gesù non aveva chiesto: “Che cosa avete sentito dire riguardo a
chi io sia?” Ma: “chi dite voi che io sia?” C’è una differenza enorme tra queste due domande, e ora Pietro non aveva più dubbi.
38.
Gesù incontrò Simon Pietro ed Andrea presso il Mare di
Galilea (Matteo 4:18-22) oppure sulle rive del fiume
Giordano (Giovanni 1:42-43)?
Categoria: frainteso il testo
L’accusa mossa è che un Vangelo racconta di Gesù che incontra
Simon Pietro e Andrea presso il mare di Galilea, mentre l’altro
Vangelo dice che li incontrò sulla riva del fiume Giordano.
Tuttavia, questa accusa fa proprio cilecca in quanto i due autori
parlano di due episodi ambientati in luoghi diversi. Entrambi i resoconti sono veri.
Giovanni 1:35-43 racconta che Gesù incontrò Andrea sulla riva
del Giordano, Andrea andò e chiamò Simone e poi Gesù passò il
resto del giorno con loro. Andrea (e probabilmente anche Pietro)
52
erano discepoli di Giovanni il Battista. Essi partirono di lì e andarono in Galilea, regione in cui si trovava il villaggio di Cana, dove
Gesù compì il suo primo miracolo documentato. “Dopo questo, egli
discese a Capernaum con sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli ed essi rimasero lì pochi giorni” (Giovanni 2:12).
Pietro e Andrea provenivano da un villaggio chiamato
Betsaida (Giovanni 2:44) ma, da tempo, abitavano a Capernaum
(Matteo 8:14-15; Marco 1:30-31; Luca 4:38-39), pochi chilometri
da Betsaida. Di mestiere erano pescatori quindi era perfettamente
normale per loro andare a pescare mentre si trovavano a casa per
alcuni giorni (Gesù aveva da poco cominciato il suo ministero pubblico di insegnamento e guarigione).
Dopo un ulteriore periodo di ministero in Giudea, Gesù tornò in
Galilea (Matteo 4:12). È a questo punto che il racconto di Matteo
riprende (Matteo 4:13,18-22). Mentre Pietro e Andrea pescano nel
lago della Galilea, Gesù li chiama a seguirlo: cioè a lasciare tutto e
diventare i suoi discepoli per sempre. Prima di questo momento
non li aveva invitato a fare questo; l’avevano seguito perché Giovanni il Battista aveva testimoniato di lui (Giovanni 1:35-39). Ora,
sia a motivo dalla sua testimonianza, ma anche a motivo delle cose
dette da Gesù e del tempo trascorso con il più saggio e l’unico
uomo perfetto mai vissuto (Giovanni 1:47-51), nonché a motivo del
miracolo a Cana, è più che comprensibile la loro decisione di lasciare tutto per seguirlo. Non sarebbe stato tanto comprensibile se
avessero lasciato la vita che conoscevano per seguire una persona
sconosciuta semplicemente per invitati a farlo, come i bimbi che
seguirono il flautista incantatore. Ma Gesù non aveva incantato
nessuno; lo seguirono perché sapevano chi era: Colui di cui avevano parlato tutti i profeti, il Messia, Figlio di Dio.
39.
Quando Gesù incontrò Iairo, sua figlia “era appena morta” (Matteo 9:18) o era “in punto di morte” (Marco 5:23)?
Categoria: interpretazione troppo letterale
Quando Iairo partì da casa, sua figlia stava molto male, ed era
“in punto di morte”. Altrimenti egli non sarebbe andato in cerca di
Gesù. Nel momento in cui lo incontrò, non poteva essere sicuro se
la figlia fosse morta o meno. Quindi avrebbe potuto benissimo
53
proferire entrambe le affermazioni, di cui Matteo registra la definizione “morte” mentre Marco parla della sua infermità.
Vanno sottolineate comunque due cose: a fare l’eventuale errore
fu il padre, non Gesù o la Bibbia, e non si tratta di un dettaglio di
rilievo né per il racconto stesso, tanto meno per noi. I punti cruciali
sono chiari:
●
la figlia di Iario aveva una malattia mortale.
●
tutto quello che si poteva fare era già stato fatto; era spacciata,
anche se non era ancora morta.
●
Iario sapeva che Gesù poteva sia guarirla che risuscitarla. Per
quanto ci riguarda, non fa molta differenza.
Quindi non ha veramente importanza se la ragazza era morta o
in punto di morte al momento in cui Iario riuscì ad incontrare Gesù.
40.
Gesù permise (Marco 6:8) o no (Matteo 10:9; Luca 9:3)
ai suoi discepoli di portarsi un bastone per il viaggio?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua greca viene usata
Qui si vuol presupporre che gli autori dei Vangeli siano in contraddizione l’uno con l’altro riguardo alla questione se Gesù avesse
permesso o meno ai discepoli di portarsi un bastone per il viaggio.
Si tratta semplicemente di un problema di traduzione.
La traduzione inglese (Versione autorizzata di Re Giacomo) dell’imperativo greco ktesesthe usato in Matteo 10:9, è: “Non munitevi
di oro, né argento né di schiavi”. Secondo il lessico curato da A.T.
Robinson, il termine significa “provvedersi con, acquisire, procurare, tramite l’acquisto o diversamente” (cfr. la Nuova Riveduta:
“Non provvedetevi…”). Quindi, in questo brano, il senso delle parole di Gesù è: “Non vi procurate nient’altro oltre a quello che già
avete. Andate così come siete”.
Matteo 10 e Marco 6 concordano sul fatto che Gesù abbia ordinato ai suoi discepoli di non portare con sé altro equipaggiamento.
Luca 9:3 concorda in parte con quanto scritto in Marco 6:8, usando
il verbo in greco me airete (“non prendere”); ma poi, come in
Matteo, aggiunge: “nessun bastone, né sacca, né pane, né denaro”.
Ma Matteo 10:10 include quello che sembrerebbe un ulteriore
chiarimento: non dovevano acquistare un bastone come parte del
loro equipaggiamento speciale per il viaggio. Marco 6:8 sembra
54
indicare che ciò non implicasse necessariamente disfarsi dei bastoni
che già avevano mentre andavano percorrendo il paese insieme a
Gesù.
Tuttavia, quanto detto sopra non è una risposta definitiva, soltanto una possibile spiegazione. In ogni modo questa differenza
insignificante non cambia l’uniformità sostanziale dei Vangeli. Non
ci preoccuperebbe se si trattasse di una contraddizione, dato che
non valutiamo questi Vangeli con gli stessi criteri che al musulmano
viene insegnato a considerare il Corano. Se questo risultasse il
massimo delle contraddizioni bibliche, allora rimarrebbe deluso chi
parte considerando la Bibbia “piena di contraddizioni” e “completamente corrotta”. Se effettivamente gli scribi ed i traduttori cristiani avessero voluto alterare di proposito i Vangeli originali, questa
presunta “contraddizione” non ci sarebbe stata. È’ un indice dell’autenticità del testo come resoconto umano di ciò che è avvenuto,
nonché un segno chiaro che il testo non è stato affatto deliberatamente alterato.
41.
Erode credeva che Gesù fosse Giovanni Battista
(Matteo 14:2; Marco 6:16) oppure no (Luca 9:9)?
Categoria: lettura non attenta del testo
Non c’è alcuna contraddizione qui. In Luca 9:9 Erode chiede chi
possa mai essere questo personaggio incredibile, dato che Giovanni
era già morto. In Matteo 14:2 e Marco 6:16 abbiamo la risposta:
dopo aver riflettuto su chi potesse essere Gesù, egli conclude che
non poteva essere altro che Giovanni Battista, risorto dai morti.
Quando Erode ebbe un incontro personale con Gesù, durante il
processo, potrebbe darsi che non pensasse più che si trattasse di
Giovanni (Luca 23:8-11). Se così fosse, è molto probabile che
avesse saputo qualcosa di più sul suo conto e che comprendesse le
affermazioni di Giovanni riguardo al compito affidato a lui di preparare la strada per colui che doveva venire (Giovanni 1:15).
Potrebbe benissimo aver saputo che Gesù era stato battezzato da
Giovanni, il che avrebbe escluso a priori la possibilità che si trattasse della stessa persona.
55
42.
Giovanni Battista riconobbe Gesù prima che fosse battezzato (Matteo 3:13-14) oppure no (Giovanni 1:32-33)?
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
L’affermazione del Battista in Giovanni 1:33, dove dice che non
avrebbe riconosciuto Gesù se non avesse visto lo Spirito Santo
discendere su di lui e rimanervi, potrebbe significare che Giovanni
non avrebbe saputo con certezza che fosse il Messia promesso se
non fosse per questo segno ben specifico. Giovanni era ripieno
dello Spirito Santo già prima di nascere (Luca 1:15) e c’è la
straordinaria descrizione di come aveva identificato Gesù quando si
trovava ancora nel grembo materno. Luca 1:41-44 racconta che
quando Maria fece visita alla madre di Giovanni, il bambino, dal
grembo materno, sobbalzò al solo udire la sua voce e riconobbe
Maria come la madre del Signore.
Da questo brano possiamo vedere anche che la madre di Giovanni sapeva qualcosa riguardo a ciò che Gesù sarebbe diventato.
È molto probabile che ella ne abbia parlato a Giovanni a mano a mano
che cresceva (si pensa che ella morì quando lui era ancora giovane).
Alla luce di questa conoscenza e della testimonianza dello Spirito Santo in Giovanni, è molto probabile che il segno dello Spirito
Santo, che scese e riposò su Gesù dopo il suo battesimo, fosse semplicemente una conferma inequivocabile di quello che già pensava.
In questo modo Dio aveva rimosso qualsiasi dubbio da Giovanni.
43.
Giovanni Battista riconobbe Gesù dopo che fu battezzato
(Giovanni 1:32-33) oppure no (Matteo 11:2)
Categoria: interpretato erroneamente il testo
In Giovanni 1:29-36 appare molto chiaro che Giovanni aveva
riconosciuto Gesù, quindi non ci dovrebbe essere alcun dubbio a
riguardo.
Il secondo brano succitato, Matteo 11:2, si riferisce a un tempo
molto più tardi e molte cose erano successe nel frattempo. La conoscenza iniziale che Giovanni aveva di Gesù era limitata e sembra che eventi successivi lo avessero piuttosto disilluso. Non
sapeva esattamente quale forma avrebbe preso il ministero di
56
Gesù. In Matteo 3:11,12 possiamo vedere alcune delle cose che
Giovanni conosceva: “Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con
il fuoco. Egli ha in mano il suo ventilabro e pulirà interamente la
sua aia; raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula
con fuoco inestinguibile”.
Questo è il classico ritratto del Messia come re conquistatore che
avrebbe operato il giudizio di Dio su tutti coloro che lo rigettavano,
e pace e giustizia per coloro che lo avrebbero seguito. Ovviamente,
Giovanni questo lo aveva compreso.
Tuttavia, il Messia era anche raffigurato nelle Scritture come
un servo afflitto che avrebbe sofferto per conto del popolo di
Dio. Questo è chiaramente dimostrato in Isaia 53, soprattutto al
versetto 12: “Egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto
per i trasgressori”. Giovanni aveva compreso pure questo; lo si
capisce dalla sua affermazione riportata in Giovanni 1:29:
“Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!”
Quello che a volte non si riusciva a comprendere appieno era il
modo in cui queste due raffigurazioni del Messia potessero combaciare. Molti pensavano che il Messia avrebbe esercitato il suo terribile
giudizio al suo arrivo. In effetti, ciò accadrà alla sua seconda venuta
(a cui si accenna in Atti 1:11). Alcuni erano perplessi, quindi, a
causa della riluttanza di Gesù ad agire come un leader militare per
liberare la nazione d’Israele, a quel tempo sotto l’oppressione romana.
Questa perplessità si manifesta in Luca 24:13-33, che riporta la
conversazione di Gesù con due dei suoi seguaci sulla strada di
Emmaus, dopo la sua risurrezione. I loro occhi, dapprima, erano
impediti dal riconoscerlo (versetto 16) e gli spiegarono come “avevano sperato che fosse lui quello che avrebbe liberato Israele”
(versetto 21). Non avevano sbagliato a sperare, ma non avevano
compreso la prima fase del piano di redenzione di Dio. Segue il
rimprovero e il chiarimento di Gesù: “O insensati e tardi di
cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non
doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?” (versetti 25-26).
È molto probabile che un simile fraintendimento abbia indotto
Giovanni a fare la domanda in Matteo 11:2. Malgrado fosse certo
dell’identità di Gesù come il Messia che toglie il peccato del mondo, eventi successivi l’avevano forse indotto a domandarsi se non
avessero ragione gli Esseni ad attendere due figure messianiche,
una di tipo levitico (come annunciato dal Battista in Giovanni 1:29)
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e una di tipo davidico che si sarebbe presentato come leader militare. Così dopo aver aspettato in vano di vedere Gesù cacciare i
romani e restaurare il regno d’Israele come ai tempi di Davide,
sentiva dire che insegnava e predicava nelle città della Galilea
(Matteo 11:1), senza mai parlare di cose come campagne militari.
Di sicuro Giovanni si sarà chiesto cos’era che non quadrava: aveva
forse frainteso il ruolo del Messia?
È importante notare che era la notizia delle grandi opere che
Gesù stava facendo, e non qualche segno di debolezza, a determinare
la domanda del Battista (Matteo 11:2-3). Questo fatto suggerisce
che il Battista propendesse per l’identificazione in Gesù di entrambe
queste figure messianiche ma il suo permanere in prigione, per
volontà del governatore locale del potere romano, non gli permetteva
di raggiungere una conclusione certa su questo punto. Quindi
mandò a chiedere a Gesù se egli fosse anche il messia apocalittico
atteso dalla nazione o se bisognava attendere un altro messia di
questo tipo.
La risposta di Gesù in Matteo 11:4-6 rende tutto chiaro:
“Andate e riferite a Giovanni le cose che udite e vedete: i ciechi
recuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono mondati e i sordi odono; i morti resuscitano e l’evangelo è annunziato ai
poveri. Beato è colui che non si sarà scandalizzato di me!”
Queste attività erano prerogative messianiche, come predetto in
Isaia 29:18; 35:5,6 e 61:1-3. Nonostante la disillusione di Giovanni
fosse stata una normalissima reazione umana, egli aveva visto giusto
la prima volta. Gesù termina esortando Giovanni a non perdere la
speranza. Il Messia era presente e ce n’è uno solo; tutto sarebbe
stato rivelato e adempiuto a tempo debito.
44.
Quando Gesù testimonia di sé stesso, la sua testimonianza
è falsa (Giovanni 5:31) oppure verace (Giovanni 8:14)?
Categoria: frainteso il contesto storico
La presunta contraddizione nasce da un confronto fra questi due
versetti: “Se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza non è
verace” (Giovanni 5:31), e “Anche se testimonio di me stesso, la
mia testimonianza è verace” (8:14). Sembra che ci sia contraddizione, ma soltanto se si ignora il contesto di ciascun brano.
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In Giovanni 5 Gesù sta dicendo che non può dichiarare da sé
stesso di essere il Messia, e nemmeno il Figlio di Dio, a meno che
egli non sia in accordo con la parola rivelata di Dio, ovvero, senza
che la sua dichiarazione sia avvalorata dall’adempimento delle profezie dell’Antico Testamento. Ma poiché Gesù le aveva adempiute,
oltre che essere stato proclamato Messia da Giovanni Battista (di
cui anche i profeti avevano parlato come il precursore che avrebbe
preparato la via al Messia, (si veda n° 34), significa che Gesù è
veramente quello che dice di essere, cioè il Figlio di Dio. Gesù, a
proposito delle Scritture ebraiche che i suoi ascoltatori studiavano
diligentemente, afferma: “esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Giovanni 5:39).
Leggendo Giovanni 8 troviamo un contesto alquanto diverso.
Gesù aveva nuovamente dichiarato di essere il Messia in base alle
profezie messianiche dell’Antico Testamento che trovavano adempimento in lui (Giovanni 8:12; Isaia 9:2; Malachia 4:2). “Allora i
farisei gli dissero: Tu testimoni di te stesso; la tua testimonianza
non è verace” (Giovanni 8:13).
È a questa obiezione che Gesù risponde, riguardo alla veridicità
della sua testimonianza: “Sì, lo è”. Perché? Perché i farisei facevano riferimento a una legge in Deuteronomio 19:15 che recita: “Un
solo testimone non è sufficiente contro ad alcuno, qualunque sia il
delitto o il peccato che questi abbia commesso: il fatto sarà stabilito sulla deposizione di due o tre testimoni”.
Dunque essi avevano ampliato il significato della legge a proprio
uso, per farle dire più di quanto in realtà dica. La testimonianza di un
uomo era sì valida, ma non abbastanza per mettere un’altra persona sotto
accusa, tuttavia sufficiente per il proscioglimento in sede di difesa.
Perciò, quando Gesù risponde ai farisei: “Anche se testimonio di
me stesso, la mia testimonianza è verace”, dice bene, dato che ciò a
cui la legge si riferiva non era pertinente a questo caso. Egli dichiara pure di sapere esattamente chi era, mentre loro non lo sapevano.
Egli non stava mentendo loro: Egli era il Messia di Dio, senza
peccato. Quindi la sua parola era affidabile.
Tuttavia, è buona regola non credere a qualunque persona che
dichiari di essere il Messia. Chiunque abbia di queste pretese deve
anche fornire delle prove. Quindi, la seconda cosa che Gesù dichiara (in Giovanni 8:18) è che egli ha le prove che i farisei volevano.
“Or sono io a testimoniar di me stesso, e il Padre che mi ha
mandato testimonia pur di me”. Anche la dichiarazione di Gesù
59
riportata in Giovanni 5:36-40, di adempiere le profezie che essi
conoscevano (si veda Giovanni 7:42) ne dà ulteriore conferma.
Non c’è nessuna contraddizione, bensì chiarezza e grande profondità che si può ravvisare quando Gesù viene considerato nel
contesto della sua ricca cultura ebraica.
45.
Quando Gesù entrò in Gerusalemme, purificò il tempio
quello stesso giorno (Matteo 21:12) oppure in quello
successivo? (Marco 11:1-17).
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
Per comprendere questa contraddizione apparente, bisogna considerare lo stile narrativo di Matteo. A volte sembra che egli organizzi il suo materiale secondo i soggetti trattati piuttosto che seguendo una rigida sequenza cronologica. (Per ulteriori dettagli si
veda la risposta alla n°46)
Tenendo questo in mente, è probabile che Matteo narri la
purificazione del tempio insieme all’ingresso trionfale, sebbene la
purificazione abbia avuto luogo il giorno seguente. Il versetto 12
afferma che Gesù entrò nel tempio, ma non dice in modo esplicito
se ciò fosse accaduto subito dopo l’ingresso in Gerusalemme.
Il versetto 17 afferma che egli partì da Gerusalemme per andare a
Betania dove passò la notte. Anche Marco 11:11 ci informa che
egli passò la notte a Betania, ma si tratta di qualcosa che faceva
ogni notte durante quella settimana a Gerusalemme.
Matteo 21:23 dice “e quando fu venuto nel tempio” in modo
simile a quanto affermato nel verso 12, eppure Luca 20:1 dice che
l’avvenimento seguente accadde “un giorno”, indicando che è possibile che non sia accaduto immediatamente dopo l’episodio del fico.
Secondo questa possibile interpretazione, Gesù sarebbe entrato
nel tempio lo stesso giorno del suo ingresso trionfale e si sarebbe
guardato intorno, ritirandosi poi a Betania. Il mattino seguente avrebbe maledetto il fico mentre si recava a Gerusalemme (momento in
cui iniziò ad appassire) e al suo arrivo nel tempio, lo avrebbe purificato. Sulla strada del ritorno a Betania, quella stessa sera, è probabile che fosse già abbastanza buio ed i discepoli potrebbero non
aver notato il fico seccato. Solo al mattino seguente, nella piena
luce del giorno, avrebbero visto ciò che era successo.
60
46.
Matteo 21:19 dice che l’albero che Gesù maledisse
appassì all’istante, mentre Marco 11:20 dice che
seccò durante la notte.
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
Le differenze che troviamo nei due resoconti di Matteo e Marco
a proposito del fico sono strettamente legate al modo in cui Matteo
e Marco hanno organizzato il loro materiale. Quando studiamo la
tecnica narrativa di Matteo in generale, troviamo (come osservato
sopra al n° 45) che egli a volte ordinava il suo materiale per argomenti, piuttosto che in maniera rigidamente cronologica; caratteristica quest’ultima che troviamo più spesso in Marco e Luca.
Prendiamo ad esempio i capitoli 5-7 di Matteo che contengono
ciò che viene chiamato “il sermone sul Monte”: è assai probabile
che porzioni degli insegnamenti di questo sermone si trovino alcune volte in altri contesti, come nel sermone ai piedi del monte
riportato in Luca 6:20-49. La tendenza di Matteo era di raggruppare
il suo materiale per argomenti secondo una sequenza logica.
Ne troviamo un altro esempio nella serie di parabole sul Regno di
Dio che compongono il capitolo 13. Una volta iniziato un argomento, come regola generale Matteo preferisce esaurirlo.
Quando si osserva la cosa in questa prospettiva, è a Marco che
guardiamo quando cerchiamo di accertare la cronologia di un evento. Nel racconto di Marco, vediamo che Gesù si era recato al
tempio sia la domenica delle Palme sia il lunedì seguente. Ma in
Marco 11:11-19 viene detto esplicitamente che Gesù non scacciò i
mercanti dal tempio se non lunedì, dopo che aveva maledetto il fico
(versetti 12-14).
Quindi, per concludere, Matteo ritenne più appropriato disporre
il suo resoconto in modo da includere l’azione del lunedì pomeriggio
con l’osservazione iniziale del pomeriggio della domenica, mentre
Marco preferì seguire una sequenza strettamente cronologica.. Queste
differenze non sono contraddittorie; dimostrano semplicemente la
diversità di stile di ciascun autore nell’ordinare il materiale contenuto
nel libro.
61
47.
In Matteo 26:48-50, Giuda si accostò a Gesù e lo baciò,
mentre in Giovanni 18:3-12 Giuda non riuscì ad
avvicinarsi abbastanza a Gesù per baciarlo.
Categoria: il testo citato erroneamente
Questa discrepanza rilevata da Shabir Ally appare piuttosto strana, perché da nessuna parte in Giovanni leggiamo (come Ally sostiene esplicitamente) che Giuda non sia riuscito ad avvicinarsi
abbastanza a Gesù per baciarlo. L’impossibilità delle guardie di
avvicinarsi a Gesù, quindi, non ha niente a che vedere con il fatto
che Giuda lo abbia baciato o meno. Ally si immagina che il problema incontrato dalle guardie riguardasse anche Giuda e poi impone
questo problema al testo in questione.
Il fatto che Giovanni non faccia menzione di un bacio non significa
che Giuda non abbia baciato Gesù. Molte volte abbiamo visto casi in
cui l’autore di uno dei Vangeli include un pezzo di informazione che
un altro tralascia. Ciò non implica che uno dei due sia in errore; significa che, come testimoni, essi vedono la vicenda da punti di vista diversi,
includendo quindi nel loro racconto soltanto quello che riveste importanza per il raggiungimento degli scopi prefissi. (Light of Life III 1992:107)
48.
Pietro rinnegò Cristo tre volte prima che il gallo cantasse
(Giovanni 13:38) oppure tre volte, prima che il gallo
cantasse due volte (Marco 14:30,72)?
Categoria: scoperta di manoscritti più antichi
L’accusa si fonda sul discorso che Gesù fece a Pietro “il gallo non
canterà che già tu mi avrai rinnegato tre volte” (Giovanni 13:38) ed
anche: Avanti che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre
volte” (Marco 14:30). Tuttavia, secondo la Bibbia, il gallo avrebbe
cantato prima del terzo diniego in Marco, il che implica che la
predizione di Gesù, come appare in Giovanni 13, sarebbe fallita.
Si tratta di un problema che riguarda la storia dei manoscritti.
Matteo 26:33-35¸74-75 “prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”
Luca 22:31-34, 60-62 “prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte”
62
Giovanni 13:3 “il gallo non canterà prima che già tu non mi
abbia rinnegato tre volte”.
Quindi Marco è l’unico dei quattro evangelisti a riferire che il
gallo cantò due volte. Con ogni probabilità il secondo canto del
gallo è un’aggiunta tardiva al Vangelo originale per qualche motivo
che non conosciamo. Alcuni dei primi MSS di Marco (ad esempio
l’importante “codice Sinaiticus”) non contengono le parole “una
seconda volta” e nemmeno “due volte” in 14:72, e nemmeno la
parola “due volte” al 14:30, e neppure il gallo che canta una prima
volta al verso 14:68 come nella versione inglese autorizzata da re
Giacomo. Si scopre la natura di quest’aggiunta erronea in base alla
chiarezza dei quattro racconti dell’evento in nostro possesso e la
scoperta di alcuni antichi MSS del Vangelo di Marco che non contengono queste aggiunte.
Tuttavia, ci potrebbe essere un’altra spiegazione nel caso che il
primo canto del gallo (Marco 14:68) non ci fosse stato nell’originale, mentre gli altri (“due volte” al 30 e al 72) sì! Dato che un gallo
può cantare più volte di fila (e spesso lo fa), non ci sarebbe nessuna
contraddizione (essendo il primo e il secondo canto prossimi nel
tempo, con Pietro che ricorda la predizione di Gesù riguardo al
secondo canto); possiamo essere certi che se un gallo canta due
volte, vuol dire che ha già cantato perlomeno una volta. Se le cose
stanno così Marco avrebbe semplicemente aggiunto ulteriori informazioni che non contraddicono quanto scritto dagli autori degli
altri Vangeli.
49.
Gesù portò la propria croce (Giovanni 19:17) oppure no
(Matteo 27:31-32)?
Categoria: frainteso il testo oppure i testi appaiono compatibili dopo un
po’ di riflessione
Giovanni 19:17 afferma che egli venne al luogo del Teschio
portando personalmente la sua croce. In Matteo 27:31-32 leggiamo
che egli fu portato via per essere crocifisso, e soltanto al momento
di uscire per dirigersi al Golgota costrinsero Simone a portare la
croce di Gesù.
Marco 15:20-21 concorda con Matteo e fornisce un’ulteriore informazione molto utile, facendo sapere che Gesù partì dall’interno
del palazzo (il Pretorio). Dato che Simone stava rientrando dalla
63
campagna, è chiaro che egli si trovava per strada. Questo implica che
Gesù abbia portato la sua croce per una certa distanza, dal palazzo
alla strada. Indebolito dalle flagellazioni e le torture subite, è probabile che egli sia collassato sotto il peso della croce, oppure che stesse
avanzando con molta fatica. In ogni modo, i soldati obbligarono
Simone a portare la croce al posto di Gesù. Luca 23:26 è conforme
nell’affermare che Simone fu preso mentre conducevano via Gesù.
La contraddizione, quindi, svanisce. Gesù era partito portando la
croce e Simone gli era subentrato ad un certo punto del tragitto.
50.
Gesù spirò prima (Matteo 27:50-51) o dopo (Luca 23:45-46)
che la cortina del tempio si squarciasse?
Categoria: interpretato male il testo
Dopo aver letto i tre brani in Matteo 27:50-51, Marco 15:37-38 e
Luca 23:45-46, non è chiaro dove sia la contraddizione di cui parla
Shabir Ally. Tutti e tre i brani si riferiscono al momento della morte
di Gesù, quando la cortina del tempio si squarciò. Non ha senso
ritenere, solo perché Matteo e Marco menzionano la morte di Cristo
prima di menzionare lo squarcio della cortina, mentre Luca riporta
questi due eventi in ordine inverso, che gli autori siano in contraddizione, dato che Matteo afferma che i due eventi accaddero “in
quel momento” (gr. kai idou), e negli altri due brani non troviamo
nulla che lo neghi.
Gli autori dei Vangeli sono tutti concordi sul fatto che i due
eventi accaddero simultaneamente, per motivi molto validi: la cortina rappresentava la barriera tra Dio e l’uomo. La distruzione della
cortina coincide con la morte del Messia, concedendo, quindi, all’uomo l’opportunità di riconciliarsi di nuovo con Dio, per la prima volta
dopo la cacciata di Adamo dalla sua presenza nel giardino dell’Eden.
51.
Gesù diceva ogni cosa apertamente (Giovanni 18:20)
oppure parlava in segreto ai suoi discepoli
(Marco 4:34; Matteo 13:10-11)?
Categoria: frainteso il contesto storico
La ragione per cui qualcuno dice che Gesù si contraddice nell’affermare di aver detto o di non aver detto le cose in segreto,
64
soprattutto nelle sue parabole, è dovuta ad una mancata
contestualizzazione culturale e testuale.
Questa risposta richiede un notevole supporto di informazioni di
base. Prima di tutto, riguardo alla natura di un parabola. È un racconto che serve a chiarire, enfatizzare o illustrare un insegnamento, non è un insegnamento in sé. Gesù era un rabbino ebraico. Nella
letteratura rabbinica ci sono circa 4000 parabole documentate.
I rabbini ritenevano opportuno dividere gli insegnamenti che davano al popolo in tre parti, di cui la terza parte (l’ultima nell’ordine)
consisteva solitamente in due parabole rappresentative delle prime
due dell’insegnamento. Gesù continuò questa tradizione insegnando con l’ausilio di parabole.
Gesù si servì di una nutrita gamma di immagini rappresentative
che gli israeliti di quei tempi conoscevano bene, usando per soggetti
piante, animali, e così via. Quindi, il nocciolo di ciascuna parabola narrata da Gesù era chiaro a tutti gli ascoltatori, il che risulta dai Vangeli.
Le parabole erano talmente ricche, ma anche talmente sottili, che
non solo erano in grado di far comprendere all’ascoltatore comune
un concetto in modo semplice e chiaro, ma pure gli studiosi potevano
rifletterci sopra ripetutamente, ricavandone ogni volta una chiarezza ed una comprensione sempre più profonda. Pertanto Gesù spesso
approfondiva e sviluppava il significato di una parabola parlando
con i suoi discepoli, i suoi allievi più stretti, in risposta alle loro
domande oppure per istruirli maggiormente, come avrebbe fatto
qualunque altro rabbi ebraico.
Questo si può vedere leggendo Marco 4:34 nel contesto, dove è
scritto: “Con molte parabole di questo genere Gesù annunciava
loro (le folle) la parola, come essi erano in grado di capire. E non
parlava loro senza parabole [per chiarire, enfatizzare o illustrare
un insegnamento]; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni
cosa [insegnava loro di più, perché essi erano in grado di intendere
di più delle folle]. (Marco 4:33-34).
Quindi le parabole non erano degli insegnamenti segreti. Non si
tratta di nozioni per soli intenditori. Non ha senso (e non esiste un
solo presupposto storico per) affermare che Gesù andava in giro
confondendo la gente. Egli andava in giro per insegnare ed istruire
la gente. Infatti quando, durante il processo (Giovanni 18:20), Gesù
fu interrogato riguardo al suo insegnamento, egli affermò di aver
insegnato pubblicamente, tutti hanno ascoltato le mie parole”…
“Non ho insegnato in segreto”. Ed aveva ragione.
65
Se questo è vero, quali sarebbero i “segreti del Regno di Dio” di
cui Gesù parla? L’unico “segreto” (“il mistero celato per molti
secoli addietro, e ora manifestato e rivelato tra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno
Dio, per indurli all’ubbidienza della fede” (Romani 16:25-26) riguarda l’identità della persona di Gesù!
Il segreto era che la missione di Gesù era stata predetta dai
profeti; che egli sarebbe stato l’adempimento di queste profezie e
quindi la più grande rivelazione mai data all’umanità. Le sue parole
non erano soltanto per la salvezza delle persone, ma anche per il
giudizio delle stesse, perché “vedendo non vedano, e udendo non
odano né comprendono” (Matteo 13:14), proprio come molti ascoltatori delle parabole che non avevano nessuna volontà di ravvedersi
e sottomettersi a Dio.
Gli insegnamenti di Gesù piacevano a molti: venivano per ascoltare i
bei discorsi moralistici e le eccellenti parabole, ma non erano in tanti a
seguirlo perché il costo era troppo elevato (Luca 9:57-61; 14:25-27,33).
Ma erano queste le cose che i discepoli stavano iniziando a comprendere, perché seguivano veramente Gesù. I segreti del regno dei cieli
sono spiegati da Gesù nei versetti che seguono Matteo 13:10-11:
“Ma beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché
odono [a differenza delle folle]. Perché in verità vi dico che molti profeti
e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete e non le videro, e
udire le cose che voi udite e non le udirono! [dato che essi non erano
vissuti al tempo di Gesù; tutti i profeti erano venuti prima di lui].
Il segreto è che Gesù è il Signore, Gesù è il re, Gesù è il Messia,
Gesù è colui di cui tutti i profeti parlarono, la salvezza dell’umanità, la più grande rivelazione di Dio, l’Alfa e l’Omega (Apocalisse 21:6-8;
22:12-16), l’unica via per essere riconciliati con Dio (Giovanni 3:36;
Romani 6:23).
52.
Gesù si trovava sulla croce (Marco 15:23) o nella corte
di Pilato (Giovanni 19:14) alla sesta ora del giorno
della crocifissione?
Categoria: frainteso il contesto storico
La semplice risposta a questa domanda è che gli scrittori sinottici
(Matteo, Marco e Luca) impiegarono un metodo di conteggio delle
ore del giorno diverso da quello usato da Giovanni. I sinottici usarono
66
il metodo tradizionale ebraico, secondo cui le ore del giorno venivano
conteggiate a partire dall’alba (circa le 6:00 del mattino), di modo
che la crocifissione, secondo questo calcolo, avvenne intorno alle 9
del mattino, ovvero alla terza ora.
Giovanni, dall’altra parte, segue lo schema romano del giorno,
come facciamo noi oggi, secondo cui il giorno inizia a mezzanotte
e finisce a mezzanotte. Plinio il Vecchio (Natural History 2.77) e
Macrobius (Saturnalia 1:3) ce lo confermano. Quindi, secondo il
metodo romano seguito da Giovanni, il processo a Gesù, avvenuto
di notte, era giunto alle battute finali verso la sesta ora (ore 6 del
mattino), che corrispondeva alla prima ora secondo il calcolo ebraico usato nei sinottici. Nel lasso di tempo tra questo punto e la
crocifissione, Gesù subì una brutale flagellazione e fu ripetutamente
schernito dai soldati nel Pretorio (Marco 15:16-20). La crocifissione avvenne alla terza ora secondo il calcolo ebraico, che corrisponde alla nona ora per i romani, ossia le 9:00 del mattino.
Non si tratta di una spiegazione elaborata ad arte per eludere un
problema; ci sono tutti i motivi per supporre che Giovanni usasse il
sistema romano, anche se lui era un giudeo quanto lo erano Matteo
e Marco, autori dei due dei Vangeli sinottici.
Il Vangelo secondo Giovanni fu scritto dopo gli altri tre, verso
l’anno 90 d.C, mentre l’apostolo viveva a Efeso. Questa era la
capitale della provincia romana dell’Asia, e si può supporre che
egli fosse abituato a suddividere il giorno secondo l’usanza romana.
Ulteriore evidenza di questo la si può trovare in Giovanni 20:19,
dove si parla della “sera di quello stesso giorno, che era il primo
della settimana”. Si trattava della domenica sera, che secondo il
calcolo ebraico faceva già parte del secondo giorno, dato che per
loro il giorno iniziava al tramonto. (Archer 1994:363-364).
53.
I due ladroni crocifissi con Gesù schernirono Gesù
(Marco 15:32) oppure no (Luca 23:43)?
Categoria: un’interpretazione troppo letterale
In questa contraddizione apparente, la domanda che nasce è se
entrambi i ladroni crocifissi con Gesù avessero schernito Gesù oppure se era stato uno solo di loro a farlo. Marco 15:23 dice che lo
fecero entrambi. Luca 23:43 dice che uno di essi schernì Gesù
mentre l’altro difendeva Gesù.
67
Non è troppo difficile capire cosa sta succedendo qui. La conclusione più ovvia è che entrambi, inizialmente, schernirono Gesù.
Tuttavia, dopo che Gesù ebbe dichiarato: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, pare che uno dei ladri avesse
avuto un cambiamento di cuore, ravvedendosi sulla croce, mentre
l’altro continuava a schernire.
Qui c’è una lezione da non sottovalutare: il Signore dà l’opportunità di ravvederci in qualunque momento, non importa quale crimine o peccato abbiamo commesso. Alcuni di noi, di fronte alla
realtà di Cristo, continuano a rigettarlo e a schernirlo, mentre altri
riconoscono la propria condizione di peccato e chiedono perdono.
La buona notizia è che, come per il ladrone sulla croce, anche noi
possiamo essere prosciolti dal nostro peccato in qualunque momento, anche quando “vediamo la morte in faccia”.
54.
Gesù ascese al cielo lo stesso giorno della sua crocifissione
(Luca 23:43) oppure due giorni più tardi (Giovanni 20:17)?
Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia
L’idea che Gesù si contraddica da solo (oppure che i Vangeli si
contraddicono) circa al fatto se egli fosse salito al cielo o no dopo
la sua morte in croce, nasce da supposizioni che si fanno riguardo
al Paradiso e la contestualizzazione.
Gesù dice al ladrone sulla croce: “Oggi tu sarai con me in paradiso”. Questo era vero, in effetti. Perché il ladrone avrebbe dovuto
morire quello stesso giorno sulla terra, ma in paradiso “oggi” potrebbe corrispondere a qualsiasi giorno su questa terra, dato che il
Cielo è fuori dal tempo.
Gesù dice a Maria Maddalena che egli non era ancora “salito”al
Padre. Tuttavia, questo potrebbe essere anche tradotto con ”ritornato” al Padre.
Gesù era con Dio prima della fondazione del mondo
(Giovanni 1:1-18 e Filippesi 2:6-11). Egli lasciò tutta la sua gloria
per diventare, oltre che già pienamente Dio, anche pienamente umano. Più tardi, Dio Padre avrebbe nuovamente esaltato Gesù al posto
più alto dei cieli, mettendolo a sedere alla sua destra (Atti 7:56;
Ebrei 1:3). Al momento della circostanza descritta in Giovanni 20:17
questo non era ancora avvenuto. Che Gesù abbia detto “perché non
sono ancora ritornato al Padre” non esclude la possibilità che egli
68
fosse salito in cielo nel tempo intercorso tra la sua morte e la sua
risurrezione “secondo la nostra nozione di tempo” (anche se il paradiso è fuori dal nostro tempo).
Tuttavia, un modo più verosimile di rendere il testo è: “Non ti
aggrappare a me, perché non sono ancora salito al padre mio; ma va
dai miei fratelli”, ovvero: “Maria, non ti aggrappare a me, non vi ho
lasciati ancora. Mi rivedrete. Ma adesso voglio che tu vada a dire ai
miei discepoli che presto me ne andrò al Padre, ma non subito”.
Il fattore tempo rende questo alquanto paradossale ed i testi non
si escludono a vicenda. Non c’è alcuna contraddizione.
55.
Quando Paolo si trovava sulla via di Damasco, vide una
luce e udì una voce. Quelli che erano con lui udirono
anche loro la voce (Atti 9:7) oppure no (Atti 2:9)?
Categoria: fraintesa il senso delle parole greche; in realtà i testi citati
appaiono compatibili dopo un po’ di riflessione
Nonostante venga usato in entrambi i resoconti lo stesso verbo
greco akouo (“sentire”/“ascoltare”) e lo stesso sostantivo greco phone
(“suono”/“voce”), una lettura attenta dei due brani dimostra che
entrambi i termini vengono usati con le sfumature diverse indicate
nella traduzione in italiano, e quindi con riferimento ad aspetti
diversi dell’evento. Secondo 9:7 coloro che viaggiavano con Saulo
avevano soltanto “sentito un suono” incomprensibile a loro; 22:9 lo
conferma precisando che non hanno percepito la voce (di Cristo)
che parlava. Soltanto Paolo ebbe una visione di Cristo e apprese le
parole che diceva.
Quindi, non c’è alcuna contraddizione in quello che i due versetti affermano.
(Diprose, Il Libro degli Atti, p. 82; Haley p.359)
56.
Quando Paolo vide la luce e cadde a terra, caddero anche
i suoi compagni di viaggio (Atti 26:14) oppure no (Atti 9:7)?
Categoria: frainteso il senso delle parole greche oppure i due brani
sono compatibili quando si tiene conto della dinamica dell’evento
Ci sono due possibili spiegazioni a questo aspetto dell’evento.
Le parole “rimasero stupiti” in Atti 9:7, prese insieme possono
69
significare “rimanere inchiodati, senza parole”. Questo lo si può
sperimentare sia stando in piedi che sbattuti per terra. In pratica, il
contrario di camminare.
Un’altra spiegazione è questa: Atti 26:14 dice che la caduta
iniziale a terra avvenne quando la luce sfolgorò attorno ai presenti,
prima che la voce fosse udita. Atti 9:7 dice che gli uomini “si
fermarono attoniti” dopo che la voce ebbe parlato. Avrebbero avuto
abbastanza tempo per rialzarsi mentre la voce parlava a Saulo
(Paolo), soprattutto visto che la voce era incomprensibile a loro.
Saulo, d’altra parte, comprendeva ciò che la voce diceva e era
senza dubbio paralizzato dal terrore, mentre realizzava, tutt’ad un
tratto, che per lungo tempo egli aveva perseguito e ucciso coloro
che seguivano il vero Dio. Così facendo aveva operato contro quel
Dio che credeva di servire. Evidentemente, questa tremenda presa
di coscienza lo aveva tenuto inchiodato a terra più a lungo dei suoi
compagni. (Haley p:359)
57.
La voce disse immediatamente a Paolo che cosa doveva
fare (Atti 26:16-18) oppure gli comandò di andare a
Damasco dove gli sarebbe stato annunziato che cosa
doveva fare (Atti 9:7; 22:10)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Fu a Damasco che a Paolo fu ordinato cosa doveva fare, come si
apprende da Atti 9 e 22. Il dialogo riportato in Atti 26 fu pronunciato in un contesto molto diverso. Qui Paolo non si preoccupa dell’ordine cronologico o geografico degli eventi perché sta parlando a
persone che già conoscevano la sua storia.
In Atti 9:1-31, Luca, l’autore degli Atti, narra la conversione di
Saulo mentre in Atti 22:1-21 riporta il suo discorso ai giudei, che
sapevano chi era e che avevano determinato il suo arresto e detenzione nella caserma dell’esercito romano a Gerusalemme. Egli parla ai giudei dagli scalini della caserma e apre il discorso elencando
le sue credenziali di giudeo, prima di lanciarsi in un resoconto
dettagliato riguardante il suo incontro con Gesù, Messia e Signore,
e della sua conversione.
In Atti 26:2-23, invece, Luca riporta il discorso di Paolo dopo
che era stato in prigione per almeno due anni in seguito al suo
70
arresto a Gerusalemme quando aveva pronunciato il suo discorso
riportato in Atti 22. Il discorso era diretto al governatore romano
Festo e al re Erode Agrippa, entrambi già a conoscenza del caso.
(Leggere i capitoli precedenti). Quindi a loro bastava un semplice
riassunto del caso, non un’esposizione completa. E fu proprio questo che Paolo fece. Questo trova conferma nel modo lapidario in
cui l’apostolo rammenta le proprie credenziali: “..son vissuto come
un fariseo” (cfr. le due frasi in Atti 22:3). Inoltre, più avanti nel
capitolo, Paolo si dimostra consapevole del fatto che il re Agrippa è
a conoscenza delle cose che erano accadute (vedi versetti 25-27).
58.
Erano 24.000 gli israeliti che morirono nella piaga a
Scittim (Numeri 25:1,9) o ne morirono soltanto 23.000
(1 Corinzi 10:8)?
Categoria: confuso un evento con un altro
Con quest’apparente contraddizione ci si chiede quante persone
morirono a motivo della piaga avvenuta a Scittim (scritto erroneamente “Shittin” nell’opuscolo di Shabir Ally). Si vuole che
Numeri 25:1-9 e 1 Corinzi 10:8 siano discordanti. Sennonché Shabir
fa riferimento alla piaga sbagliata qui. Se egli avesse controllato il
contesto di 1 Corinzi 10, avrebbe notato che Paolo si stava riferendo alla piaga di Esodo 32:28, avvenuta sul Monte Sinai, e non a
quella di cui parla Numeri 25, che ha luogo a Scittim, tra i moabiti.
Chi ne avesse dubbi, può rileggere il versetto 7 di 1 Corinzi 10, che
è praticamente lo stesso di Esodo 32:6: “il popolo si sedette per
mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi”.
Secondo alcuni il numero degli uccisi in Esodo 32 sarebbero
stati 3:000 (Esodo 32:28), un’altra contraddizione apparente, ma
che si può facilmente correggere una volta letto il resto del brano.
La cifra di 3.000 uccisi nel versetto 28 si riferisce soltanto a quelli
uccisi dagli uomini con la spada. In seguito, arriva la piaga che il
Signore manda contro quelli che avevano peccato nei suoi confronti. Il versetto 35 dice: “Così l’Eterno percosse il popolo [con una
piaga] perché aveva fatto il vitello che Aaronne aveva modellato”.
È questa la piaga a ci si riferisce Paolo in 1 Corinzi 10:8. (Geisler/
Howe 1992:458-459)
71
59.
Erano 70 le persone della casa di Giacobbe che erano
andate in Egitto (Genesi 46:27) o erano invece 75
(Atti 7:14)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Con quest’apparente contraddizione ci si chiede quante fossero
le persone della casa di Giacobbe che erano andate in Egitto. I due
brani discordanti sono Genesi 46:27 e Atti 7:14. Ciò nonostante,
entrambi i brani sono precisi. In Genesi 46:1-27 il numero totale
dei discendenti diretti di Giacobbe che andarono in Egitto con
Giacobbe erano 66, secondo il versetto 26, questo dipende dal fatto
che Giuda era andato avanti (versetto 28) e anche perché Giuseppe
ed i suoi due figli si trovavano in Egitto. Tuttavia, al verso 27, sono
inclusi tutti i membri della famiglia, tra cui anche Giuda e Giuseppe
con i figli, facendo il totale salire a 70, con riferimento a tutti i
membri della sua famiglia che finirono in Egitto.
Nella Septuaginta (LXX) più antica e nei MSS del Mar Morto, il
numero totale dato nel versetto 27 è settantacinque persone. Questo
perché vi sono inclusi anche tre nipoti di Giuseppe e due bisnipoti
elencati in Numeri 26:28-37 e, almeno nella LXX i loro nomi sono
elencati in Genesi 46:20. Quindi la citazione in Atti 7:14, nel discorso che Stefano pronunciò prima del suo martirio, è corretta
perché presa dalla Versione dei LXX. (Si veda anche Nuova Riveduta 2008 con note di John MacArthur pag.122)
60.
Giuda comprò un campo (Atti 1:18) con i soldi
con il compenso dell’iniquità per aver tradito Gesù,
oppure li gettò nel tempio (Matteo 27:5)?
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
Di fronte a quest’apparente contraddizione, ci si chiede: “Che
cosa ne fece Giuda dei soldi ricevuti come compenso per aver
tradito Gesù? In Atti 1:18 è scritto che Giuda acquistò un campo. In
Matteo 27:5 è scritto che il denaro fu gettato nel tempio dove i
sacerdoti lo usarono per comprare un campo. Tuttavia, osservando
più in dettaglio, si vede che un versetto è semplicemente il riassunto dell’altro.
72
Matteo 27:1:10 narra in dettaglio gli eventi riguardanti il tradimento di Giuda nei confronti di Gesù, e la loro importanza in
termini di adempimento delle Scritture. In particolare, Matteo cita il
brano 11:12-13 del profeta Zaccaria, che molti ritengono chiarificatore
delle profezie che si trovano in Geremia 19:1-13 e 32:6-9.
In Atti 1:18-19, invece, Luca fornisce un breve riassunto di qualcosa già risaputo, per chiarire ulteriormente il discorso di Pietro alle
centoventi persone che aspettavano insieme la Pentecoste (abbiamo
visto lo stesso tipo di fenomeno nella nostra risposta alla domanda
n° 57). Ne abbiamo la conferma nel versetto 19 dove leggiamo:
Questo divenne noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme”. Inoltre, è
molto probabile che il racconto che appare nel Vangelo di Matteo
stesse già circolando tra i credenti al tempo in cui Luca scriveva.
Pertanto non era necessario che Luca scendesse nei dettagli per
quanto concerneva i fatti della morte di Giuda.
61.
Giuda morì impiccandosi (Matteo 27:5) oppure cadendo
in avanti squarciandosi in mezzo, con tutte le viscere
sparse (Atti 1:18)?
Categoria: i testi appaiono compatibili con un minimo di riflessione
Questa presunta contraddizione si riferisce a quanto scritto da
Matteo nel suo Vangelo, che Giuda andò ad impiccarsi. In Atti 1:18,
però, Luca parla di Giuda che cade in avanti, squarciandosi in mezzo con le viscere che fuoriuscivano. Malgrado ciò, entrambe le
affermazioni sono vere.
Matteo 27:1-10 narra che Giuda morì impiccandosi. Luca, tuttavia, nel suo resoconto in Atti 1:18-19, vuole provocare un senso di
ripugnanza nei suoi lettori, sia riguardo al campo stesso sia riguardo a Giuda, senza smentire il fatto che Giuda fosse morto impiccato. Secondo la tradizione, Giuda si sarebbe impiccato sull’orlo di
un baratro, sovrastante la valle di Hinnon. La corda si sarebbe
spezzata oppure fu tagliata o slegata e quindi Giuda andò a finire
nel campo sottostante, nel modo descritto da Luca.
73
62.
Il campo si chiamava “Campo di sangue” perché il sacerdote lo aveva acquistato a prezzo di sangue (Matteo 27:8)
oppure a motivo della morte cruenta di Giuda (Atti 1:19)?
Categoria: fraintesa la dicitura
Ancora una volta, osservando gli stessi due brani che figurano
nelle ultime due presunte contraddizioni considerate, Shabir Ally
chiede come mai il campo dove Giuda fu sepolto si chiamasse
“Campo di Sangue”. Matteo 27:8 dice che ciò dipendeva dal fatto
che fu acquistato con prezzo di sangue, mentre, secondo Shabir,
Atti 1:19 direbbe che fosse a motivo della morte cruenta di Giuda.
Entrambi i brani, tuttavia, concordano sul fatto che il campo
prese il nome dall’acquisto a prezzo di sangue; Atti 1:18-19 inizia
dicendo: “Egli [Giuda] dunque acquistò un campo con il compenso
dell’iniquità”. Quindi, il racconto parte dal fatto che il campo fu
acquistato con il prezzo di sangue, e dopo, per provocare un senso
di ripugnanza nel lettore, l’autore descrive la fine sanguinosa di
Giuda su quel pezzo di terra.
63.
Come può essere che il riscatto pagato da Cristo per tutti,
che è una cosa buona (Marco 10:45; 1 Timoteo 2:5-6) sia
lo stesso riscatto pagato per gli empi (Proverbi 21:18)?
Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia
Qui la domanda è “Chi è un riscatto per chi”? Shabir Ally cita
Marco 10:45 e 1 Timoteo 2:5-6 per dimostrare che Gesù è il riscatto per tutti. Poi mette questi brani a confronto con Proverbi 21:18
dove è scritto: “L’empio servirà di riscatto al giusto; e il perfido al
posto degli uomini retti”.
Non c’è alcuna contraddizione qui, dato che parlano di due tipi
diversi di riscatto. Un riscatto è un pagamento effettuato da una
persona ad un’altra. Può essere effettuato da una persona buona a
favore di altri, come ha fatto Cristo per il mondo, o effettuato da
persone malvagie come risarcimento per le loro malvagità, come si
legge nel suddetto brani di Proverbi.
74
Nel leggere i brani di Marco e 1 Timoteo, Shabir ragiona che,
siccome Gesù era buono, non poteva figurare come un riscatto per
gli ingiusti. Con questo egli riflette il pensiero islamico che rifiuta di
credere che una persona possa scontare i peccati di un’altra, o che
possa costituire un riscatto per qualcuno. Ma Shabir sbaglia se cerca
di fondare questa sua interpretazione sulla Bibbia. La Bibbia insegna
chiaramente che Cristo è un riscatto per molti. In Galati 3:13-14 e
1 Pietro 2:23-25 si parla di Gesù divenuto per noi maledizione. Quindi, Gesù ha adempiuto anche questo proverbio.
Ancora una volta il presupposto di Shabir si appoggia su citazioni prese fuori dal loro contesto. In Marco 10:45 Gesù afferma:
“Poiché anche il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito,
ma per servire e dare la sua vita come prezzo di riscatto per
molti”.
Gesù disse queste parole perché i discepoli si erano messi a
discutere tra loro, perché Giacomo e Giovanni avevano sollevato la
questione di chi doveva sedersi alla sua destra e alla sua sinistra
quando il Cristo sarebbe entrato nella sua gloria. Qui Gesù sta di
nuovo profetizzando la propria morte che doveva avvenire e il motivo di questa morte era che egli stesso sarebbe diventato il riscatto
per pagare i peccati di tutti.
In 1 Timoteo 2:5-6, l’apostolo Paolo scrive:
“Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli
uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di
riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo”.
Quest’affermazione fa parte di un brano in cui Paolo dà istruzioni alla chiesa primitiva riguardo a come adorare Dio. I due versetti
spiegano il motivo ed il significato dell’adorazione di Dio: il riscatto che Dio ha provveduto affinché, tramite l’opera d’espiazione
compiuta da Gesù sulla croce, egli potesse ancora una volta avere
quella relazione salvifica con l’uomo.
L’altro brano, Proverbi 21:18, parla, invece, del riscatto che Dio
pagò, servendosi dell’ Egitto per questo scopo, al tempo dell’Esodo
d’Israele da quella nazione. Se ne parla il libro di Isaia, soprattutto
al capitolo 43:3:
“Perché io sono il SIGNORE, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo
salvatore; io dò l’Egitto come tuo riscatto , l’Etiopia e Seba al tuo
posto”.
75
Quest’immagine è ulteriormente messa in risalto nei versetti 16
e 17 dello stesso capitolo. Questo si basa, in una certa misura, sul
libro dell’Esodo (7:5; 8:19; 10:7; 12:33). I capitoli 13 e 14 di Esodo
lo sottolineano in modo particolare. Come narra la Bibbia, fu
tramite quest’azione che Dio istituì il patto mosaico con la nazione
d’Israele.
64.
Tutta la Scrittura è utile (2 Timoteo 3:16)
oppure no (Ebrei 7:18)?
Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia
L’accusa è che, mentre la Bibbia dice che tutta la Scrittura è
utile, allo stesso tempo afferma che un comandamento precedente è
debole ed inutile, e perciò la Bibbia cade in contraddizione. Si tratta
di un problema contestuale che nasce dall’ignoranza di quanto promesso da Dio per bocca dei profeti riguardo ai due patti di cui si
parla Ebrei capitolo 7. In particolare chi ha fatto la domanda fa
confusione fra la valenza della Parola di Dio, che è eterna, e dei
patti, alcuni dei quali hanno un valore limitato nel tempo.
Per mancanza di spazio, non possiamo approfondire questo soggetto meraviglioso. Tuttavia, possiamo dare delle informazioni di
fondo per mettere in grado il lettore, che ha poca familiarità con la
Bibbia, di comprendere quanto stiamo dicendo. Farò un confronto
con la domanda n° 92 che parla della molteplicità dei significati dei
termini ebraici usati nella Bibbia, in particolare, della possibilità di
interpretare la parola “niham” sia come “cambiare idea”, pentirsi”,
sia come “affliggersi” (fare riferimento alla domanda n° 92 per una
migliore comprensione del contesto).
La Parola di Dio ovviamente prende la sua origine unicamente
da Dio stesso ed è tutta utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare, come scritto in 2 Timoteo 3:14-17. Si tratta di
un’affermazione generale che si riferisce a tutto ciò che proviene
da Dio.
Ebrei capitolo 7 parla di un comandamento particolare dato ad
un popolo in un momento particolare: le norme relative ai sacrifici
nel Tabernacolo e più tardi nel Tempio a Gerusalemme. Dio aveva
stabilito nel suo patto con il suo popolo Israele delle norme secondo
76
cui gli israeliti dovevano offrire dei sacrifici, animali che venivano
uccisi affinché Dio perdonasse i peccati del popolo. Per approfondire questo argomento, si può leggere i capitoli da 4 a 6 di Levitico
dove vengono date istruzioni per il “sacrificio per il peccato” e per
il “sacrificio per la colpa”.
Il concetto della morte sostitutiva è un concetto sconosciuto
all’islam, ma fondamentale per il Giudaismo biblico e per la fede
cristiana. L’espiazione deve essere compiuta per rimediare al peccato. Il salario del peccato è la morte e qualcuno deve pagare questo
prezzo. Non c’è perdono dei peccati senza spargimento di sangue
perché Dio esige giustizia. Egli non può ignorarlo perché non sarebbe giusto da parte sua.
Che sia stato Dio a stabilire questo metodo per l’espiazione è
evidente dal fatto che, nell’Antico Testamento, il bisogno di una
simile espiazione viene affermato ben 79 volte! Tuttavia, sempre
nell’Antico Testamento, leggiamo pure le seguenti parole pronunciate da parte di Dio:
“Ecco, i giorni vengono, dice l’Eterno, che io farò un nuovo
patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il
patto che fermai con i loro padri il giorno che li presi per mano
per trarli fuori dal paese d’Egitto” (cioè sul Monte Sinai, dove egli
istituì il primo patto nazionale con il popolo d’Israele, dopo che li
ebbe salvati dall’Egitto) (Geremia 31:31-33). Il motivo per cui Dio
avrebbe istituito il nuovo patto è che il popolo non era rimasto
fedele al primo. Quindi, il nuovo patto sarebbe stato diverso; infatti
Dio dice al versetto 33: “Io metterò la mia legge nell’intimo loro,
la scriverò sul loro cuore”. Egli dichiara inoltre che questo nuovo
patto avrebbe provveduto un riscatto per i loro peccati da
compiersi una volta per sempre, a differenza del patto precedente
(Geremia 31:34; Daniele 9:24-25).
Dio, inoltre, nell’Antico Testamento, parla di un Messia che
avrebbe messo in atto questo nuovo patto; un Messia non legato al
sacerdozio levitico, bensì un uomo perfetto della tribù di Giuda,
che sarebbe stato un sacerdote dell’Altissimo. Egli, il Messia, sarebbe
stato il sacrificio che avrebbe pagato tutti i peccati una volta per
sempre, avvicinandosi a Dio non in virtù della propria discendenza
(come nel caso dei sacerdoti leviti) bensì per merito proprio, avendo
lui l’attributo divino della perfezione. Se il popolo segue questo
Messia ed accetta il suo riscatto per il peccato, allora Dio scriverà
la legge nelle loro menti e nel loro cuore, e Dio avrà misericordia di
77
loro, dato che la sua sete di giustizia sarebbe stata soddisfatta.
Di conseguenza il popolo avrebbe potuto avvicinarsi a Dio perché,
da sempre, Dio vuole avere una relazione con la sua creazione
(Genesi 3:8-11) e l’unica cosa che l’impedisce è il peccato.
Ovviamente, solo una lettura globale dell’Antico Testamento potrà
chiarire queste cose in maniera più esauriente. Tutta la Scrittura è
utile, incluso quella che concerne il sistema sacrificale. Allo stesso
tempo, Dio nella sua Parola ha anche promesso di fare un nuovo
patto con il suo popolo. Con ciò, il vecchio sistema, che non poteva
togliere il peccato (in questo senso era inutile), è stato rimpiazzato
dal sacrificio perfetto del Messia, ovvero, di Gesù.
Molte scritture descrivono questo Messia che avrebbe reso operativo questo nuovo patto. In questo, egli “ha dato la sua vita in
sacrificio per la colpa”, e “…erano le nostre malattie che egli
portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato; il castigo,
per cui abbiamo pace (con Dio), è stato su di lui” (Isaia 53).
Tu puoi pagare da solo il prezzo del tuo peccato, se vuoi, ma ti
costerà la vita per l’eternità: morirai a motivo del tuo peccato e
andrai all’inferno. Oppure, grazie all’amore di Dio, il prezzo pagato
dal Messia potrà valere per te. Infatti se tu credi in Gesù, egli
risulterà essere stato “trafitto” al tuo posto, e questo farà sì che tu
sarai riconciliato con Dio. Allora Dio ti permetterà di entrare in
Paradiso per l’eternità, dato che la sua sete di giustizia è stata
soddisfatta. Giovanni Battista, vedendo Gesù, esclamò: “Ecco
l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” Non è meraviglioso? Il peccato è stato pagato una volta per sempre da “l’Agnello
di Dio che toglie il peccato del mondo”, esattamente come predetto nell’Antico Testamento e annunciato da Giovanni Battista (vedi
le risposte alle domande 34 e 44). Così è stato istituito il nuovo
patto. Gesù stesso promette e avverte: “Chiunque crede nel
Figliolo (Gesù) ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al
Figliolo non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui”
(Giovanni 1:29; 3:36).
Così, mediante la morte e la risurrezione di Gesù il vecchio
sistema di sacrifici e di offerte ripetute di animali fu reso obsoleto.
L’alternativa provveduta da Dio, infinitamente superiore e completa,
ha reso il vecchio sistema inutile (Ebrei 8:7-13). Però, attenzione!
Dio non ha cambiato idea riguardo al suo piano per la riconciliazione dell’uomo con sé (vedi la risposta alla domanda n° 92). Dio non
è un uomo che cambi idea. Era suo intento e proposito portare
78
questo nuovo patto in essere come adempimento del vecchio patto,
così come dimostrato nell’Antico Testamento.
C’è un altro punto qui da considerare: le leggi cerimoniali del
patto levitico venivano applicati solo nell’ambito d’Israele con cui
Dio aveva stipulato il patto mosaico con le sue ordinanze e decreti,
e chiunque volesse convertirsi al giudaismo, sia Gentile che nonIsraelita, doveva osservare queste ordinanze. Ma i cristiani non si
convertono alla religione giudaica basata sul patto mosaico. Credendo nel Salvatore Gesù, il Messia e Figlio di Dio, essi vivono nel
contesto del “nuovo patto”. Questo patto è fondato sul sangue
espiatorio di Gesù. In questo nuovo patto, ci sono anche dei comandamenti per i cristiani da osservare, che in un modo o l’altro si
rifanno a quanto scritto nell’Antico Testamento, ma in un contesto
totalmente nuovo, cioè quello del nuovo patto, reso possibile dall’adempimento delle promesse di salvezza.
Quindi c’è una chiara linea di continuità, rivelazione e rinnovamento tra i due patti - il vecchio ed il nuovo - perché sia Israele che
la cristianità hanno in comune il Messia, ed egli ha adempiuto le
Scritture ebraiche. Quindi, tutte quelle Scritture sono utili per lo
studio e per scoprire da dove veniamo e dove andiamo. Ma non
ogni comandamento, ordinanza o decreto del vecchio patto continua a essere applicabile ai cristiani come lo erano per Israele che
viveva sotto il patto mosaico. Anche se ci sono molte cose in comune, i patti sono diversi. Anche i Giudei devono conoscere ed
accettare il nuovo patto, dato che esso significa l’adempimento di
tutto ciò che Israele stava cercando e che continua ad aspettare.
Nota: si può trarre un parallelo, seppur imperfetto, con quanto
detto sopra dal Corano per il musulmano. Secondo Sura 3:49-50,
Gesù viene e dice al popolo d’Israele: “Io sono venuto a voi per
confermare la Legge che era prima di me. E per rendervi legittimo
ciò che per voi era proibito, oppure di rendere “halal” ciò che era
“haram”. Secondo quest’affermazione, Gesù sarebbe venuto a confermare la legge che Dio aveva dato loro, ma aveva reso alcune
cose lecite che prima erano state proibite da Dio. Questo non
descrive precisamente il rapporto fra il Giudaismo ed il Cristianesimo. È solo una similitudine per dimostrare ai musulmani che anche
il loro Corano testimonia delle cose simili.
79
65.
L’iscrizione posta sulla croce differisce secondo
Matteo 27:37; Marco 15:26; Luca 23:38 e Giovanni 19:19,
oppure no?
Categoria: frainteso il testo
Con questa presunta contraddizione viene chiesto: “Qual’era precisamente l’iscrizione posta sulla croce?”, affermando che
Matteo 27:37, Marco 15:26, Luca 23:38 e Giovanni 19:19 usano
tutti parole diverse per descrivere l’iscrizione sulla croce, posta
sopra la testa di Gesù. Questo si può comprendere meglio osservando quanto dice Giovanni 19:20:
“Molti dunque dei Giudei lessero questa iscrizione, perché il
luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; e l‘iscrizione
era in ebraico [aramaico], latino e greco”.
È interessante notare che sarebbe stato Pilato a scrivere quest’iscrizione, e potrebbe dunque aver scritto cose leggermente diverse in ciascuna lingua, in base alla sua conoscenza di ognuna.
L’accusa principale che venne mossa contro Gesù è che egli si era
proclamato “Re dei giudei”. Se questo fosse mancato in qualcuno
dei resoconti, allora ci sarebbe stato motivo di credere ad una contraddizione; ma non è così. Per una spiegazione più approfondita,
consultare la spiegazione di Archer. (Archer 1982:345-346)
66.
Fu Erode a volere la morte di Giovanni Battista
(Matteo 14:5) oppure sua moglie Erodiada (Marco 6:20).
Categoria: frainteso l’intento dell’autore
I brani che Shabir cita per rilevare questa presunta contraddizione sono Matteo 14:5, dove pare che fosse Erode a volere la morte
del Battista, e Marco 6:20, dove Shabir insinua che Erode non
voleva farlo uccidere. Tuttavia, in realtà i brani in questione sono
complementari.
Quando consideriamo l’episodio nel suo complesso, vediamo
che Matteo 14:1-11 e Marco 6:14-29 non sono affatto in contraddizione. Sembra piuttosto un tentativo mal concepito di trovare per
80
forza una contraddizione nella Bibbia, come per la n° 50. In entrambi i brani citati sopra, leggiamo che Erode fa imprigionare
Giovanni a causa di sua moglie Erodiada. Quindi, l’elemento di
fondo che cagiona la decapitazione di Giovanni va ricercata nell’influenza che Erodiada esercitava su Erode. Il resoconto di Marco è
più dettagliato rispetto a quello di Matteo, il cui Vangelo si presume sia stato scritto più tardi, perché Matteo non vuole sprecare
tempo a narrare cose già riportate nel Vangelo di Marco. Bisogna
notare anche che Marco non ha mai sostenuto che Erode volesse
uccidere Giovanni, ma dice che ne aveva paura a causa della rettitudine e la santità di Giovanni, e, come aggiunge Matteo, del suo
ascendente sulle persone.
67.
Era Taddeo il decimo discepolo di Gesù della lista dei
Dodici (Matteo 10:1-4; Marco 3:13-19) oppure Giuda,
figlio di Giacomo (Luca 6:12-16)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Possono essere giuste entrambe. Non era inusuale, per la gente
di quel tempo, usare più di un nome. Simone veniva chiamato
anche Pietro o Cefa (Marco 3:16), e Saulo era chiamato anche
Paolo. (Atti 13:9). I loro doppi nomi erano intercambiabili. C’è da
aggiungere che il nome “Taddeo” viene da una radice che significa
qualcosa come “l’amato”. Quindi D.A. Carson (Matthew, p. 239)
suggerisce che forse quest’apostolo veniva chiamato Giuda-Taddeo
(“Giuda l’amato”), poi con il passare del tempo semplicemente
“Taddeo”, per distinguerlo dall’altro Giuda (cfr. Giovanni 14:22).
68.
Si chiamava Matteo l’uomo che Gesù vide seduto al banco
delle imposte (Matteo 9:9), chiamato ad esser suo
discepolo, oppure Levi (Marco 2:14: Luca 5:27)?
Categoria: frainteso il contesto storico
La risposta a questa domanda è esattamente la stessa della precedente, in quanto entrambe le affermazioni sono corrette. Matteo si
chiamava anche Levi, come attestano le suddette Scritture.
81
È un fatto piuttosto curioso che il Sig. Ally dedichi tanta attenzione a questa legittima consuetudine. Nella fase introduttiva di un
dibattito che ebbe luogo a Birmingham (Inghilterra) nel febbraio
1998, egli si sentì libero di presentarsi con un altro nome (Abdul
Abu Safiyah, che significa : “Abdul, il padre di Saffiyah, nome di
sua figlia), allo scopo di guadagnarsi un vantaggio sul suo avversario il Sig. Jay Smith. Adesso qui lui trova contraddittorio il fatto
che nel 1° secolo gli abitanti della terra d’Israele usassero indifferentemente l’uno o l’altro nome, una pratica niente affatto illegale.
Vi sono dei motivi perfettamente leciti per usare un nome alternativo. Tuttavia, alla luce del gesto ingiusto e scorretto di cui sopra del
Sig. Ally, c’è un certo alone di ipocrisia nelle due domande da lui
sollevate a questo riguardo.
69.
Gesù fu crocifisso di giorno, dopo aver mangiato la
pasqua (Marco 14:12-17) oppure di giorno, prima della
festa di Pasqua (Giovanni 13:1,30,29, 18:28, 19:14)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Gesù fu crocifisso di giorno, dopo aver mangiato la pasqua.
Sono motivi culturali e contestuali che danno l’impressione che,
secondo Marco, la crocifissione fosse avvenuta dopo la pasqua.
L’evidenza che i Vangeli ci forniscono del fatto che Gesù morì
durante la vigilia della Pasqua, e quindi prima che il pasto pasquale
venisse mangiato, dopo il tramonto del sole, è molto solida. Prima
di approfondire (sebbene brevemente) tale questione, vale la pena
notare che secondo Marco capitolo 14 il pasto che Gesù mangiò insieme ai suoi discepoli non era la pasqua vera e propria. Marco 14:12
afferma che era “la festa degli azzimi”, detta anche “Pasqua”. Come
ci suggerisce il nome, la festa consisteva, tra le altre cose, nel
mangiare pane senza lievito. È un comandamento che gli Ebrei
osservano tutt’oggi, poiché Dio comanda espressamente “di mangiare pane senza lievito; chiunque ne mangia deve essere tagliato
fuori dalla comunità di Israele. Non mangiate niente che contenga
lievito. Ovunque vivrete, dovrete mangiare pane non lievitato”. Vedi
anche Esodo 12:1-20.
La parola greca per “pane senza lievito” è azymos. Questo è il
temine usato da Marco per “la festa degli azzimi” (14:12). La parola greca per il pane normale (con lievito) è artos. Tutti gli autori del
82
Vangelo, Marco incluso, sono concordi sul fatto che nell’ultima
cena con i discepoli, il pane che essi mangiarono era artos, vale a
dire, pane con lievito. “E mentre mangiavano, Gesù prese del pane;
e fatta la benedizione lo ruppe e lo diede loro e disse: Prendete,
questo è il mio corpo” (Marco 14:22). È molto probabile quindi che
quel pasto non fosse un pasto di pasqua. L’uso di parole diverse
nello stesso brano ce lo avvalora fortemente. Sarebbe stato impensabile per loro mangiare qualcosa che Dio aveva proibito (pane con
lievito – artos) anziché mangiare ciò che Dio aveva comandato loro
di mangiare (pane senza lievito- azymos).
Ma, se questo è vero, che cosa vuol dire Marco in 14:12-17? Per
prima cosa, leggiamo che “era consuetudine sacrificare l’agnello
pasquale”. Esodo 20:18 dice che ciò doveva avvenire nel 14° giorno del mese giudaico Nisan. Tuttavia, c’era una discussione riguardo a quando questo giorno cadeva, per via dell’uso di calendari
diversi per calcolare i giorni festivi. È possibile che fossero in uso,
a quel tempo, delle tradizioni distinte. Pertanto, è possibile che per
alcuni fosse “consuetudine” sacrificare l’agnello in quel giorno,
mentre per altri la Pasqua cadeva la sera successiva.
In secondo luogo, i discepoli chiesero a Gesù dove dovevano
preparare la Pasqua. Loro non avevano idea che Gesù stesse per
dare la sua vita per i peccati del mondo, come l’agnello pasquale di
Esodo 20, che salvò gli israeliti dall’ira di Dio versato sull’Egitto.
Gesù glielo aveva spiegato, ma essi, per vari motivi, non erano
riusciti a comprenderlo. Questi motivi comprendevano le grida di
accoglienza trionfale di Gesù come Messia, da parte del popolo;
grida che “stavano ancora risuonando nelle loro orecchie”. Gesù
non disse che avrebbe mangiato la pasqua insieme ai discepoli;
avrebbe voluto, ma sapeva che non lo avrebbe fatto. Non è opportuno fare affermazioni dogmatiche qui del tipo che la pasqua doveva
essere mangiata lo stesso giorno in cui si affittava o si preparava la
stanza. In verità, i Giudei, conforme a Esodo 12, preparavano rigorosamente le loro case per la festa degli azzimi.
In terzo luogo, per certi versi i Vangeli parlano dell’ultima cena
in termini di adempimento; in particolare, in Luca 22 Gesù dice che
egli avrebbe desiderato mangiare “questa” pasqua con loro. Quindi,
Luca sta parlando della cena di Pasqua? C’è da dubitarne visto (tra
le altre ragioni) lo stesso uso di artos e azymos che abbiamo riscontrato nel Vangelo di Marco. Gesù fece di quella cena una cena di
Pasqua, anche se non lo era in realtà. Egli voleva avere questa
83
comunione speciale con i suoi discepoli, i suoi amici, essendo dolorosamente consapevole dell’agonia che lo aspettava da lì a poche
ore. Voleva anche mostrare ai suoi discepoli che la Pasqua parlava
di lui; che era lui il sacrificio che avrebbe istituito il nuovo patto
promesso da Dio (vedi domande n° 64 e 65), proprio come gli
agnelli che venivano sacrificati 1.500 anni prima per salvare il popolo d’Israele dall’ira di Dio. Egli illustrò tramite quella cena che
lui è “L’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, come fu
chiamato da Giovanni il Battista (Giovianni 1:29). Egli voleva mangiare la Pasqua con loro perché dice: “Poiché io vi dico che non ne
mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio” (Luca 22:16).
La sua morte imminente ne era l’adempimento, “perché anche la
nostra pasqua, cioè Cristo, è stata immolata” (1 Corinzi 5:7).
Se questa interpretazione è corretta, significa che non c’è contraddizione. Gesù morì prima della Festa di Pasqua.
70.
Gesù pregò il Padre per impedire la crocifissione?
(Matteo 26:39; Marco 14:36; Luca 2:42) oppure no
(Giovanni 12:27)?
Categoria: frainteso il testo
Con questa apparente contraddizione viene chiesto: “Gesù pregò
il Padre per impedire la crocifissione oppure no? Sembrerebbe
di sì, secondo Matteo 26:39, Marco 14:36; Luca 2:42. Tuttavia
Giovanni 12:27 pare sottintendere che non lo facesse.
Questo è un tentativo piuttosto debole di insinuare che si tratti di
una contraddizione dal momento che la forza di quest’ipotetica
contraddizione dipende dall’ignoranza del lettore. Matteo 26:39,
Marco 14:36 e Luca 22:42 sono brani paralleli che narrano quanto
ebbe luogo nel giardino dei Getsemani poco prima dell’arresto di
Gesù. Secondo tutti questi brani, Gesù non chiese mai di evitare la
crocifissione, ma espresse piuttosto la sua paura per le difficoltà, i
dolori e le sofferenze atroci che avrebbe dovuto subire da lì a poche
ore, sotto forma di travagli, percosse, flagellazione, solitudine ed
allontanamento dalla sua gente e da Dio, nonché la crocifissione
stessa e l’imminente trionfo su satana. Ma ciò che è più importante
è che chiese che la volontà di Dio venisse fatta nelle ore successive,
sapendo che era così che egli, morendo e risuscitando, avrebbe
espiato il peccato del mondo.
84
Giovanni 12:27 è da collocare in un contesto totalmente differente; infatti quanto descritto in questo capitolo ebbe luogo prima
degli avvenimenti di cui sopra. È scritto che Gesù parlò alla folla
nel periodo della festa della Pasqua nel tempio di Gerusalemme
(prima ancora che i dodici si riunissero con Gesù nella sala di
sopra). In questa occasione, Gesù disse qualcosa di molto simile a
quanto descritto negli altri brani di cui sopra:
“Ora è turbata l’anima mia; e che dirò? Padre, salvami da
quest’ora!) ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora.
Padre, glorifica il tuo nome!”
Di nuovo si rievoca il fatto che egli si sente turbato. Sa bene che
gli eventi intorno a lui si stanno muovendo molto rapidamente.
Eppure, quest’affermazione è data in risposta ad alcuni greci che
avevano fatto domande ai discepoli riguardo a Gesù. Erano lì per
offrirgli una scappatoia? Può darsi, ma Gesù non va incontro a loro,
anzi risponde con quanto detto sopra. Vi pare che quest’uomo voglia davvero impedire che la crocifissione abbia luogo? Non credo
proprio!
71-72. Gesù si allontanò tre volte (Matteo 26:36-46) dai suoi
discepoli per andare a pregare, oppure una volta sola
(Luca 22:39-46)?
Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili
Shabir Ally chiede quante volte si era allontanato Gesù dai discepoli per pregare da solo nei Getsemani la notte in cui fu arrestato. Matteo 26:36-46 e Marco 14:32-42 dicono tre volte, ma
Luca 22:39-46 parla di una volta sola. Di nuovo, non sussiste alcuna contraddizione una volta che ci si rende conto che questi testi
sono complementari.
Va notato che il brano di Luca non afferma che Gesù non si era
allontanato tre volte per andare a pregare; il fatto che non vengono
menzionate tutte e tre le volte non significa che Gesù non lo abbia
fatto. È ovvio che Luca non lo ritiene un fattore rilevante per il suo
resoconto. Va ricordato che si considera il Vangelo di Luca come il
terzo ad essere messo per iscritto in ordine cronologico, quindi è
normale che egli non abbia incluso tutte le informazioni che si
trovano negli altri due Vangeli.
85
73.
Il centurione disse che Gesù era innocente (Luca 23:47)
oppure che era il Figlio di Dio (Marco 15:39)?
Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili
La domanda sollevata riguarda quanto detto dal centurione presso la croce quando Gesù spirò. I due versetti citati sono Marco 15:39
e Luca 23:47. In realtà, come abbiamo visto più volte, questi brani
non sono contraddittori bensì complementari.
Matteo 27:54 e Marco 15:39 concordano sul fatto che il centurione
esclamò che “Costui era il Figlio di Dio!” Luca 23:47 tuttavia
rammenta che il centurione si riferisce a Gesù come “un uomo
giusto”. È così difficile credere che il centurione possa avere detto
entrambi le cose, come i Vangeli affermano? Non sta a noi istruire gli autori dei Vangeli su ciò che il centurione avrebbe o non
avrebbe detto.
Matteo e Marco erano più interessati a registrare la dichiarazione
di divinità proferita dal centurione, mentre Luca era interessato
all’umanità di Gesù, uno dei temi principali del suo Vangelo. Quindi,
egli fa riferimento alla relativa dichiarazione fatta dal centurione.
(Archer 1982:346-347).
74.
Gesù esclamò: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? in lingua ebraica (Matteo 26:46) oppure
in aramaico (Marco 15:34)?
Categoria: fraintesa l’usanza ebraica
Alla domanda se Gesù abbia parlato in ebraico o aramaico mentre era sulla croce è possibile rispondere. Tuttavia, il motivo per cui
Matteo e Marco lo hanno riportato in due modi diversi è probabilmente dovuto al modo in cui si parlava dell’evento in aramaico
dopo il fatto, e anche in considerazione dei destinatari del Vangelo.
Intanto non è un motivo valido per criticare la Bibbia.
Le parole “Eloi, Eloi, lama sabakthani” in Marco 15:34 sono
l’aramaismo probabilmente più citato nel Nuovo Testamento. Tuttavia, non si può essere sicuri che Gesù abbia parlato effettivamente
nella lingua come riportata da Marco. Il motivo è semplice: le
86
persone che udirono le parole di Gesù pensarono che egli stesse
invocando Elia (Matteo 27:47 e Marco 15:35-36). Questo fraintendimento da parte degli spettatori avrebbe dovuto esser indotta dal
fatto che Gesù avesse gridato “Eli, Eli” e non “Eloi, Eloi”. Perché? Perché in ebraico Eli può significare sia “mio Dio” sia la
forma abbreviata di Eliyachu, che è l’ebraico per Elia”. Invece, in
aramaico Eloi può significare soltanto “Dio mio”.
È interessante altresì notare che lama (“perché”) è comune a
entrambe le lingue, e sabak è un verbo che si trova non solo in
aramaico, ma anche nell’ebraico della Mishna.
Quindi Gesù probabilmente proferì la frase in ebraico. Perché
allora viene registrata anche in aramaico? Gesù faceva parte di una
società multilingue; con ogni probabilità parlava il greco (la lingua
franca di Grecia e Roma), l’aramaico (la lingua comune dell’antico
Vicino Oriente) e l’ebraico, la lingua sacra dei Giudei, che era
ritornata in uso per il culto durante il periodo del Secondo Tempio.
L’ebraico e l’aramaico sono lingue semantiche strettamente collegate. Quindi, non c’è da stupirsi se nei Vangeli troviamo dei termini di entrambi.
Per i cristiani, non c’è alcun problema se un autore del Vangelo
riporta la frase in ebraico ed un altro in un aramaico molto simile,
né si tratta di un motivo valido per criticare la Scrittura. La semplice
ragione di questa differenza è che probabilmente, quando uno degli
autori ricordava e discuteva gli eventi della vita, morte e risurrezione
di Gesù, era abbastanza prevedibile che questa frase venisse ripetuta
in aramaico in quanto si trattava di qualcosa di normalissimo. Quindi,
l’autore avrebbe potuto decidere di registrare la frase come veniva
trasmessa oralmente. Comunque, i motivi enunciati sono semplicemente delle ipotesi. Se Marco stesso avesse deciso di registrare tali
parole in aramaico, per quale motivo ce ne preoccuperemmo! (Blivin/
Blizzard 1994:10)
75.
Le ultime parole pronunciate da Gesù furono:
“Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46)
oppure “È compiuto” (Giovanni 19:30)?
Categoria: con un minimo di riflessione, i testi sono compatibili
“Quali furono le ultime parole di Gesù prima di spirare?” è la
domanda posta da Shabir Ally nel formulare questa presunta
87
contraddizione. In realtà la contraddizione è più nel pensiero di
Shabir che non in ciò che Luca e Giovanni hanno scritto nei Vangeli.
Giovanni riporta l’ultima, importante dichiarazione di Gesù, che
riguardava il compimento della salvezza: “È compiuto”; non rimane
più nulla da fare per renderla possibile. Però va notato che dopo la
dichiarazione, “È compiuto”, il racconto di Giovanni si conclude
con le parole: “E, chinato il capo, rese lo spirito” (Giovanni 19:30).
Il racconto di Luca ci informa sul modo in cui Gesù rese lo spirito;
lo fece dicendo: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio”
(Luca 23:46).
Del resto, non c’è contraddizione più di quanta ce ne sarebbe
laddove due persone che assistono ad un incidente descrivessero
due diversi scenari dell’accaduto, a seconda del punto in cui si
trovavano. Nessuna delle due testimonianze sarebbe in errore, visto
che entrambi descrivono un unico evento da una prospettiva differente. Luca non era testimone oculare dell’evento e quindi doveva
affidarsi a coloro che lo furono. Giovanni lo era. Quello che entrambi raccontano è che alla fine Gesù dette la sua vita in sacrificio
e affidò il suo spirito al Padre.
Si potrebbe dire che Giovanni, oltre alle ultime parole di
Gesù, era interessato al compimento della salvezza, quindi riportò:
“È compiuto” l’ultima frase detta dalla croce, mentre Luca abbia
citato le ultime parole che egli riteneva appropriate per il suo resoconto, concentrato com’è sull’umanità di Cristo.
76.
Il centurione di Capernaum venne di persona a Gesù per
chiedergli di guarire il suo schiavo (Matteo 8:5) oppure
mandò degli anziani dei Giudei e i suoi amici (Luca 7:3-6)?
Categoria: fraintesa l’intenzione dell’autore e, con un po’ di riflessione
i due brani risultano compatibili
Non si tratta di una contraddizione ma piuttosto del fraintendimento della sequenza degli eventi e di ciò che gli autori intendevano comunicare. Inizialmente il centurione fece recapitare il suo
messaggio tramite degli anziani dei Giudei. È anche possibile che
egli si fosse recato di persona da Gesù, dopo avervi mandato gli
anziani. Matteo menziona il centurione perché era lui quello che era
nel bisogno, mentre Luca menziona l’impegno dei Giudei perché
erano stati loro a stabilire il primo contatto.
88
Sappiamo di altri casi dove una mansione che una persona comanda altri a fare viene inteso come compiuto dalla persona da cui
l’ordine era partito. Un buon esempio è il battesimo eseguito dai
discepoli di Gesù, eppure si diceva che era Gesù che battezzava
(Giovanni 4:1-2).
Peraltro possiamo capire perché ciascun autore scelse di riportare l’episodio in modo diverso quando comprendiamo il motivo per
cui l’hanno riportato. Il motivo principale che spinse Matteo a raccontare l’episodio non riguardava il fatto in sé bensì il desiderio di
illustrare, con quest’evento, l’importanza che le nazioni rivestono
per Cristo. Ecco perché Matteo parla del centurione piuttosto che
dei messaggeri del centurione. Anche per questo Matteo dedica più
spazio alla parabola del regno dei cieli (Matteo 8:11-13) e meno
spazio all’episodio in sé. Matteo vuole dimostrare che Gesù vuole
stabilire un rapporto con tutti i popoli.
Luca, nel raccontare l’episodio, non dice nulla della parabola
che Gesù raccontò alla gente, ma si concentra piuttosto su una
narrazione più dettagliata. Così facendo attira l’attenzione sull’umanità di Gesù manifestata nell’ascolto che dà ai messaggeri e nel
fatto che rimane colpito dalla fede del centurione insieme con il
motivo: perché il centurione non si considera neppure “degno” di
presentarsi davanti a Gesù. La fede e la modestia del centurione
trovano risposta nella compassione dimostrata da Gesù che guarisce il servo del centurione senza neppure recarsi alla casa del
centurione.
77.
Adamo morì lo stesso giorno (Genesi 2:17) oppure
continuò a vivere fino all’età di 930 anni (Genesi 5:5)?
Categoria: frainteso come Dio opera nella storia
Le Scritture descrivono la morte in tre modi diversi:
1) La morte fisica, con cui si conclude la nostra vita terrena;
2) La morte spirituale, che è separazione da Dio;
3) La morte eterna, nell’inferno.
La morte a cui accenna Genesi 2:17 è il secondo di questi tipi di
morte, ossia separazione da Dio, mentre la morte menzionata in
Genesi 5:5 è il primo tipo, ossia la morte fisica con cui la vita
terrena si conclude.
89
Shabir Ally denuncia una contraddizione perché non comprende il significato della morte spirituale come completa separazione da Dio, perché egli esclude a priori che Adamo, mentre
viveva nel giardino dell’Eden, avesse una relazione personale
con Dio. La separazione spirituale (ovvero la morte spirituale) è
dimostrata chiaramente in Genesi capitolo 3, che narra di come
Adamo fu buttato fuori dal giardino dell’Eden e scacciato dalla
presenza di Dio.
Ironia della sorte, la cacciata di Adamo dall’Eden viene menzionata anche nel Corano (Sura 2:36), anche se non ce ne sarebbe
alcun motivo visto che Adamo (come credono i musulmani) fu
perdonato del suo peccato. Qui abbiamo un esempio di come il Corano prende a prestito un episodio dalle Scritture già esistenti senza
comprenderne il significato o l’intento; ecco da dove nasce la contraddizione. (Per una maggior comprensione riguardo al significato
della morte spirituale e come questo si riflette in quasi tutti gli aspetti
del contrasto tra cristiani e l’islam, leggete il documento intitolato
“The Hermeneutical Key” di Jay Smith, che si trova in internet alla
pagina: http://debate.org.uk/theological/)
78.
Dio decise che la durata della vita umana doveva
essere soltanto di 120 anni (Genesi 6:3)
oppure di più (Genesi 11:12-16)?
Categoria: frainteso il testo
In Genesi 6:3 leggiamo: “Il Signore disse: lo Spirito mio non
contenderà per sempre con l’uomo, poiché nel suo traviamento,
egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi
anni”. Shabir trova questa dichiarazione in contraddizione con la
menzione, in Genesi 11:12-16, di persone che sono vissuti più a
lungo di 120 anni.
Qualunque sia la presunta contraddizione mi sembra evidente
che essa si basi su un fraintendimento del testo. Infatti i 120 anni di
cui Dio parla in Genesi 6:3 non possono significare la durata della
vita umana dato che troviamo persone ancora più vecchie menzionate qualche capitolo dopo, sempre nel libro della Genesi (ivi incluso lo stesso Noè). La spiegazione più plausibile è che il Diluvio di
cui Dio avvisò Noè non avrebbe avuto luogo se non 120 anni dopo
90
l’avvertimento iniziale dato a Noè. Questo trova ulteriore conferma
in 1 Pietro 3:20, dove leggiamo:
“…la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si
preparava l’arca”.
Quindi, tenendo presente il contesto di Genesi 6:3, la dichiarazione fatta in questo versetto appare in accordo con quanto affermato al capitolo 11 dello stesso libro.(Geisler/Howe 1992:41)
79.
A parte Gesù, nessun altro (Giovanni 3:13) è asceso
al cielo, oppure ci sono state altre persone che sono
ascese al cielo (2 Re 2:11)?
Categoria: frainteso l’uso delle parole
Ci sono state altre persone che sono ascese al cielo senza passare per la morte, come Elia ed Enoc (Genesi 5:24). In Giovanni 3:13,
Gesù sta esponendo la superiorità della sua conoscenza delle cose
celestiali. In sostanza sta dicendo che nessuno è asceso in cielo per
poi ritornarsene giù con un messaggio come quello che lui ha portato al mondo. Ma in nessun modo sta negando che ci siano altri in
cielo come Elia e Enoc.
80.
Il sommo sacerdote era Abiatar (Marco 2:26), oppure
Aimelec (1 Samuele 21:1; 22:20) quando Davide entrò
nella casa di Dio e mangiò il pane consacrato?
Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata e il
contesto storico
Gesù asserisce che l’episodio avvenne ai tempi di Abiatar, il
sommo sacerdote, ma apprendiamo da 1 Samuele che Abiatar non
era in realtà il sommo sacerdote, ma lo era suo padre, Aimelec.
Se volessimo introdurre un aneddoto che riporta alla giovinezza
di Davide usando parole quali: “Quando il re Davide era un
pastorello” non sarebbe considerato un errore, anche se Davide non
era re a quel tempo. Allo stesso modo Abiatar sarebbe diventato, da
lì a poco, sommo sacerdote ed è conosciuto alla storia avente tale
incarico; quindi Abiatar, che portò a Davide la notizia di ciò che era
91
successo dopo la sua partenza, è menzionato nel Vangelo di Marco
con questo titolo. Marco dice il vero quando afferma che l’episodio
accadde nei giorni di Abiatar, dato che questi era presente durante
l’accaduto. Sappiamo da 1 Samuele 22:20 che egli sfuggì per un
pelo alla morte quando il resto della famiglia e la città del padre
furono distrutti dagli uomini di Saul. Quindi, l’affermazione di Gesù
non fa una piega. (Archer 1994-362).
81.
Il corpo di Gesù fu cosparso con sostanze aromatiche
prima della sepoltura, in conformità con l’usanza ebraica
(Giovanni 19:39-40) oppure le donne andarono a cospargerlo in seguito, a sepoltura avvenuta (Marco 16:1)?
Categoria: con un po’ di riflessione i due testi appaiono compatibili
Giovanni 19:39-40 dice chiaramente che Giuseppe e Nicodemo
avvolsero il corpo in 75 libbre di mirra e aloe, oltre alle bende di lino.
Sappiamo anche dagli autori dei Vangeli sinottici che il corpo fu
coperto da un ampio sudario. Non c’è alcun motivo per pensare che
ci sia contraddizione. Il fatto che i sinottici non menzionano le spezie
durante la sepoltura non significa che non furono usate.
Se si intende, sulla base di Marco 16:1, che le donne speravano
di eseguire tutto il processo da sole, avrebbero avuto bisogno
anche delle bende di lino, che non vengono menzionate. È probabile
che volessero semplicemente compiere un ulteriore atto di devozione al loro maestro aggiungendo altre spezie a quelle già usate da
Giuseppe.
Dato che Gesù spirò verso l’ora nona (Marco 15:34-37), Giuseppe e Nicodemo avevano almeno tre ore di tempo per eseguire tutte
le procedure per la sepoltura prima dell’inizio del sabato. Non c’è
alcun motivo per pensare che non ci fosse tempo per fare altro che
avvolgere il corpo di Gesù nel sudario e depositarlo nella tomba.
82.
Le donne comprarono le spezie dopo il sabato
(Marco 16:1) o prima (Luca 23:55 fino al 24:1)?
Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili
Vari dettagli nei due resoconti sulla risurrezione suggeriscono
che ci fossero in effetti due gruppi di donne che si stavano recando
92
al sepolcro, dandosi appuntamento lì. Per maggiori dettagli circa
questi due gruppi si può vedere la risposta alla domanda n° 86.
Adesso appare chiaro che Maria Maddalena e il suo gruppo
avevano acquistato le loro spezie dopo il sabato, come riportato in
Marco 16:1. Dall’altra parte, Giovanna ed il suo gruppo le avevano
acquistate prima del sabato, come leggiamo in Luca 23:56. È interessante notare che Giovanna viene menzionata soltanto in Luca, il
che aumenta la probabilità che fosse il suo gruppo quello menzionato nel resoconto di Luca.
83.
Le donne visitarono la tomba
“verso l’alba” (Matteo 28:1) oppure
“al levar del sole” (Marco 16:2)?
Categoria: con un minimo di riflessione i due brani citati appaiono
compatibili
Una breve occhiata ai quattro brani in questione toglierà ogni
dubbio.
➛
➛
➛
➛
Matteo 28:1 - Verso l’alba…andarono a vedere il sepolcro.
Marco 16:2 - molto presto, al levar del sole vennero al sepolcro.
Luca 24:1 - la mattina prestissimo ..si recarono al sepolcro.
Giovanni 20:1 - La mattina presto, mentre era ancora buio…
andò al sepolcro.
Quindi, vediamo che i quattro resoconti sono facilmente compatibili a questo riguardo.
Non è neppure necessario tenere in considerazione che c’erano
due gruppi di donne, dato che la concordanza è molto chiara.
Da Luca, comprendiamo che era ancora molto presto quando le
donne si avviarono alla tomba.
Da Matteo, si capisce che stava albeggiando, anche se Giovanni
fa capire che il sole non si era ancora levato del tutto: l’oscurità se
ne stava ancora in fase di superamento.
L’affermazione di Marco, che il sole era sorto, viene dopo quando le donne erano per la strada. È del tutto legittimo presumere che
il sole avesse avuto il tempo di sorgere mentre attraversavano
Gerusalemme per recarsi sul posto.
93
84.
Le donne vanno alla tomba per ungere il corpo di Gesù
con spezie (Marco 16:1; Luca 23:55 – 24:1),
oppure per vedere la tomba (Matteo 28:1),
oppure per nessuna ragione (Giovanni 20:1)?
Categoria: con un minimo di riflessione i brani citati appaiono
compatibili
La risposta è collegata alla risposta alla domanda n° 81.
Sappiamo che le donne andarono alla tomba allo scopo di cospargere ancora dell’unguento sul corpo di Gesù, come Luca e Marco ci
raccontano. Il fatto che Matteo e Giovanni non specificano il motivo, non significa che non ce ne fosse uno. Esse stanno andando a
mettere delle spezie, che tutti i Vangeli lo menzionino o meno. Non
ci aspettiamo certo che ogni dettaglio debba essere incluso in tutti i
resoconti, altrimenti non ci sarebbe bisogno di averne quattro di
Vangeli!
85.
Quando le donne arrivarono alla tomba, la pietra era
stata “rotolata” (Marco 16:4), “rotolata via” (Luca 24:2)
oppure “tolta” (Giovanni 20:1), oppure videro un angelo
rotolarla via (Matteo 28:1-6)?
Categoria: frainteso il testo
Matteo non dice che le donne videro l’angelo rotolare la pietra.
L’accusa mossa da Shabir Ally è molto banale. Dopo avere narrato
delle donne che si recano alla tomba, Matteo parla di un terremoto,
che ebbe luogo mentre erano ancora per la via.
Matteo 28:2 inizia con: “ed ecco si fece un gran terremoto”.
Il testo greco rende il senso seguente: “Ora c’era stato un violento
terremoto”.
Quando le donne parlano con l’angelo, si capisce da Marco 16:5
che esse erano arrivate al sepolcro e vi erano entrate, dove l’angelo
stava seduto sul ripiano su cui c’era stato il corpo di Gesù.
La risposta a questa domanda è che la pietra era stata rotolata
quando arrivarono: non ci sono contraddizioni.
94
86.
In Matteo 16:2; 28:7; Marco 16:5-6; Luca 24:4-5, 23,
alle donne viene detto che cosa è accaduto al corpo
di Gesù, mentre in Giovanni 20:2, a Maria non viene
detto.
Categoria: con un po’ di riflessione i brani citati risultano compatibili
Gli angeli dissero alle donne che Gesù era risuscitato dai morti.
Matteo, Marco e Luca sono tutti chiari su questo punto. L’apparente discrepanza riguardo al numero di angeli scompare quando ci
rendiamo conto che c’erano due gruppi di donne. Maria Maddalena
ed il suo gruppo probabilmente erano partite dalla casa di Giovanni
Marco, dove si pensa sia stata consumata l’Ultima Cena; Giovanna
e altre donne di cui non conosciamo i nomi, probabilmente erano
partite dalla residenza di Erode, in un’altra parte della città. Giovanna era la moglie di Cuza, l’amministratore di Erode (Luca 8:3),
ed è quindi possibile che Giovanna e le sue compagne fossero
partite dalla residenza reale.
Con questo in mente, è chiaro che il primo angelo (quello che
rotolò via la pietra e disse a Maria e Salome dove Gesù si trovava)
era scomparso quando Giovanna e le altre donne arrivarono. Arrivate sul posto (Luca 24:3-8) apparvero due angeli comunicando
loro la buona notizia, dopodiché le donne corsero via per farne
parte agli apostoli. In Luca 24:10 tutte le donne vengono menzionate insieme, dato che tutte andarono agli apostoli.
Adesso siamo in grado di capire come mai Maria Maddalena
non vide gli angeli.
Giovanni 20:1 afferma che Maria arrivò al sepolcro e sappiamo
dagli altri Vangeli che Salome ed un’altra Maria erano con lei.
Appena vide la pietra rotolata, Maria Maddalena corse a dirlo agli
apostoli, pensando che Gesù fosse stato portato via. L’altra Maria e
Salome, d’altro canto, soddisfecero la loro curiosità guardando dentro al sepolcro, dove trovarono l’angelo che disse loro ciò che era
avvenuto. Quindi, vediamo che gli angeli informarono in effetti le
donne, ma che Maria Maddalena corse via prima di poterli incontrare.
95
87.
Maria Maddalena incontrò il Signore risorto durante la
sua prima visita (Matteo 28:9) o durante la seconda visita
(Giovanni 20:11-17)? E come reagì?
Categoria: con un po’ di riflessione i brani citati risultano compatibili
Abbiamo specificato nella risposta precedente che Maria
Maddalena ritornò di corsa dagli apostoli non appena vide che la
pietra era stata rotolata via. Quindi, quando Matteo 28:9 narra dell’incontro di Gesù con alcune donne, lei non era presente. Infatti, si
capisce da Marco 16:9 che Gesù apparve prima a Maria Maddalena,
cioè dopo che lei, Pietro e Giovanni erano ritornati al sepolcro la
prima volta (Giovanni 20:1-18). Qui vediamo che Pietro e Giovanni videro il sepolcro e poi tornarono a casa, lasciando Maria a
piangere all’entrata del sepolcro. Dopodiché ella vide i due angeli
dentro il sepolcro e poi incontrò Gesù in persona.
Poiché tutto questo avvenne prima che Gesù fosse apparso alle
altre donne, sembra che qualcosa abbia rallentato il cammino delle
donne dirette agli apostoli. Possiamo capirne il motivo mettendo
a confronto i vari resoconti complementari. Da Matteo 28:8 apprendiamo che le donne (Maria madre di Giacomo e Salome) corsero via
“con spavento e grande gioia.. ad annunziarlo ai suoi discepoli”.
Sembra che il loro spavento iniziale abbia avuto la meglio perché esse
”non dissero nulla a nessuno” (Marco 16:8). Era a questo punto che
Gesù le incontrò all’improvviso (Matteo 28:9-10). Qui, egli calmò le
loro paure e disse nuovamente a loro di andare a dirlo agli apostoli.
Chi cerca di armonizzare i racconti della risurrezione incontra
diversi problemi che non sono stati commentati qui. Non sarebbe
appropriato dilungarci qui in una spiegazione esaustiva. A chi
desiderasse leggere una trattazione completa, consigliamo il libro:
Easter Enigma, di John Wenham, della Paternoster Press.
Bisogna ammettere che in alcuni casi abbiamo dato delle spiegazioni o interpretazioni che non sono esplicitamente affermate nel
testo. Questo è perfettamente lecito, dato che si tratta di spiegazioni
plausibili. È chiaro che gli autori dei Vangeli scrivono da diversi
punti di vista, aggiungendo o tralasciando vari dettagli. Questo è da
aspettarsi da quattro autori che scrivono indipendentemente. Ma lungi
dal gettare dubbi sulla veridicità dei loro resoconti, questo fatto ne
aumenta la credibilità in quanto dettagli che in un primo momento
96
sembrano essere in conflitto, possono essere risolti con un po’ di
riflessione; intanto non ci sono segni di collusione da parte dei
testimoni oculari né da parte degli autori dei Vangeli.
88.
Gesù disse ai discepoli di aspettarlo in Galilea
(Matteo 28:10), oppure che stava salendo a suo Padre e Dio
(Giovanni 20:17)?
Categoria: letto male il testo
Con quest’apparente contraddizione viene chiesto: “Quale furono le istruzioni date da Gesù ai discepoli? Shabir Ally cita
Matteo 28:10 e Giovanni 20:17 e ne fa nascere una contraddizione
apparente. Tuttavia, i due brani riguardano momenti diversi della
stessa giornata e non c’è motivo di pensare che Gesù avesse dato ai
discepoli una sola istruzione.
Questa è un’altra presunta contraddizione che fa leva sull’ignoranza, di chi legge il libro di Shabir, dei relativi brani biblici e delle
vicende attinenti a quella domenica mattina di risurrezione. I due
brani infatti sono complementari, e non contradditori. Questo perché non si riferiscono allo stesso momento.
Matteo 28:10 parla di un gruppo di donne che incontrano Gesù
risorto mentre stanno andando a riferire ai discepoli quanto avevano
scoperto. Un sepolcro vuoto!? Gesù affida a queste donne alcune
istruzioni da riferire ai discepoli. Quanto riferito nel secondo brano
(Giovanni 20:17) ha luogo un po’ di tempo dopo (per capire meglio
l’arco di tempo, leggete dall’inizio del capitolo), quando Maria è
sola, piangendo all’entrata del sepolcro, scossa dagli avvenimenti
che si stanno vorticosamente svolgendo intorno a lei. Vede Gesù
che le dà altre istruzioni da riferire ai discepoli.
89. In osservanza delle istruzioni di Gesù, i discepoli ritornarono in Galilea immediatamente (Matteo 28:17) oppure
dopo almeno 40 giorni (Luca 24:33,49; Atti 1:3-4)?
Categoria: il testo biblico non è stato letto per intero ed è stato citato
erroneamente
Questa presunta contraddizione chiede quand’è che i discepoli
ritornarono in Galilea dopo la crocifissione. Si dice, in base a
97
Matteo 28.17, che vi ritornarono immediatamente, mentre da
Luca 24:33 49 e Atti 1:4 apprendiamo che vi andarono almeno 40
giorni dopo. In realtà entrambe queste supposizioni sono errate.
La lettura integrale di questi brani fa comprendere che Gesù
apparve loro molte volte; a volte individualmente, altre volte a gruppi,
nonché all’intero gruppo che si trovava radunato insieme, ma anche
a Paolo e Stefano dopo l’Ascensione (si veda 1 Corinzi 15:5-8 e
Atti 7:55-56). Egli apparve in Galilea, a Gerusalemme ed anche in
altri luoghi. Matteo 28:16–20 non è un riassunto di tutte le apparizioni
di Cristo, ed è per questa ragione che non è consigliabile enfatizzare
più del dovuto la questione dell’ordine cronologico in questo resoconto,
come sembra aver voluto fare Shabir.
Il secondo termine di questa presunta contraddizione (quanto
scritto in Atti 1:3-4) è ancora più debole. Atti 1:4, che Shabir
Ally non ha citato, dice: “Trovandosi con loro, ordinò loro di
non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’attuazione
della promessa del Padre, “la quale”, egli disse, “avete udita
da me”. Ora, l’autore del libro degli Atti, cioè, Luca, in questo
brano non specifica quando Gesù disse queste parole. Tuttavia,
nel suo Vangelo fa come Matteo, cioè raggruppa le varie apparizioni; quindi non sarebbe consigliabile dare troppo valore cronologico a Luca 24:36-49.
Appare evidente, in ogni modo, dai Vangeli di Matteo e Giovanni che alcuni discepoli si recarono in effetti in Galilea ed incontrarono Gesù là; presumibilmente dopo il primo incontro a
Gerusalemme e certamente prima della fine del periodo di 40 giorni
quando avvenne l’ascensione di Cristo in cielo.
90.
I Madianiti vendettero Giuseppe “agli Ismaeliti”
(Genesi 37:28) o a Potifar, ufficiale del faraone
(versetto 36)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Ritenere questi due versetti in contraddizione è molto strano in
quanto denota una mancanza di comprensione di tutto il brano di
cui essi fanno parte (Genesi 37:25-36). La domanda è: “I Madianiti,
a chi vendettero Giuseppe?” Il versetto 28 viene usato per dire che
fu venduto agli Ismaeliti, il 36 per dire che fu venduto a Potifar.
98
In realtà i mercanti nomadi a cui Giuseppe fu venduto e che lo
vendettero a Potifar in Egitto non possono essere divisi in “ismaeliti”
e “madianiti”. I termini “Ismaeliti” e “Madianiti” vengono usati in
modo interscambiabile. Ciò appare ovvio quando i versetti 27 e 28
vengono letti insieme. Un uso più chiaro di questi due nomi lo si
può trovare anche in Giudici 8:24.
91.
Furono gli Ismaeliti a portare Giuseppe in Egitto
(Genesi 37:28) oppure i Madianiti (versetto 36), o i fratelli
di Giuseppe (45:4)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Questa presunta contraddizione segue la precedente e ancora una
volta mette in evidenza i problemi che Shabir ha con la situazione
storica, nonché la sua incapacità di comprendere ciò che il testo sta
dicendo. Stavolta la domanda è: “Chi portò Giuseppe in Egitto?”
Dalla risposta all’ultima domanda sappiamo che sia gli Ismaeliti
che i Madianiti furono responsabili d’avercelo portato fisicamente
(dato che si tratta del medesimo popolo), mentre i fratelli di Giuseppe ne furono altrettanto responsabili, dato che furono loro a
venderlo ai mercanti per cui sono da considerare i veri colpevoli,
come Giuseppe afferma in Genesi 45:4. In conclusione, sia gli
Ismaeliti/Madianiti sia i fratelli di Giuseppe, ebbero un ruolo nel
portare Giuseppe in Egitto.
92.
Dio cambia idea (Genesi 6:7; Esodo32:14; 1 Samuele
15:10-11,35) oppure non cambia idea (1 Samuele 15:29)?
Categoria: frainteso come Dio opera nella storia e il modo di pensare
ebraico
Questa “contraddizione” generalmente appare solo nelle traduzioni
più antiche del testo ebraico. L’accusa nasce dalle difficoltà di traduzione e viene risolta osservando il contesto dell’evento in questione.
Dio sapeva che Saul avrebbe fallito la sua missione come re
d’Israele. Ciononostante, Dio gli permise di diventare re e lo usò
grandemente per compiere la sua volontà. Saul era molto efficiente
99
come leader d’Israele, per infondere coraggio nel suo popolo e
suscitare in loro orgoglio per la propria nazione, e nel guidare il
popolo durante i tempi di guerra.
Tuttavia, Dio aveva fatto chiaramente capire molto tempo prima
(Genesi 49:8-10) che egli avrebbe costituito dalla tribù di Giuda i re
che avrebbero regnato su Israele. Quindi non ci sono dubbi sul fatto
che Saul o i suoi discendenti non erano stati scelti per sedersi per
sempre sul trono d’Israele. Il suo successore Davide, invece, veniva
dalla tribù di Giuda e quindi la sua discendenza avrebbe continuato
in questo ruolo.
Quindi, Dio, che conosce ogni cosa, non “cambiò idea” riguardo
a Saul, perché egli sapeva che gli avrebbe voltato le spalle e che il
trono sarebbe stato dato ad un altro.
La parola ebraica usata per esprimere ciò che Dio pensava e
come si sentiva riguardo all’abbandono di Dio da parte di Saul, è
“niham”, tradotta “pentirsi” in 1 Samuele 15:11 e 35 (Nuova Riveduta). Tuttavia, come spesso succede con le lingue, il termine può
avere più di un significato. Per esempio, l’inglese ha una sola parola per dire ”amore” mentre il greco ne ha almeno quattro e l’ebraico
ancora di più. Un termine ebraico o greco per “amore” non può
essere tradotto sempre con “amore” se si vuole conservare il pieno
significato del termine originale. Questo è un problema che devono
affrontare i traduttori della Bibbia.
I traduttori della versione inglese della Bibbia citata da Shabir
(la “Versione autorizzata” di Re Giacomo, del 1611), tradussero la
parola niham 41 volte con il verbo “pentirsi”, su 108 volte in cui la
parola niham ricorreva in forme diverse nei manoscritti ebraici. I
traduttori avevano a disposizione meno manoscritti di quelli che ne
hanno i traduttori più recenti, che tra l’altro hanno accesso anche a
manoscritti ancora più antichi oltre che una migliore comprensione
dei termini biblici ebraici. Quindi i traduttori più recenti hanno tradotto nahim in modo molto più esatto, con altri termini attinenti al
suo significato in ebraico, rendendo significati quali: placarsi, addolorarsi, consolare, confortare, cambiare idea, ecc., secondo quello che
il testo ebraico intende comunicare in ciascun caso.
Tenendo questo in mente, una traduzione più esatta del termine
ebraico niham in 1 Samuele 15:11 sarebbe “addolorato”; Dio era
“addolorato” per avere fatto Saul re. Dio non mente, né cambia
idea; perché egli non è come l’uomo, che cambia idea. Dio era
addolorato per avere fatto Saul re. Dio ci dimostra nella Bibbia che
100
ha delle emozioni vere. Egli ha compassione per il dolore dell’uomo
e ascolta le sue suppliche. La sua ira e la sua collera sorgono
quando egli vede la sofferenza delle persone motivata dalle azioni
degli altri.
Come risultato della disubbidienza di Saul, Dio ne fu addolorato
ed anche il popolo d’Israele. Ma, oltre a questo, era nei piani di Dio
sin dall’inizio che la discendenza di Saul, non essendo nemmeno
dalla tribù di Giuda, non sarebbe stata quella a sedersi sul trono.
Quindi, quando Saul supplica il profeta Samuele ai versetti 24 e 25,
di riconciliarlo con Dio di modo che non venisse detronizzato,
Samuele risponde che Dio ha decretato che le cose devono andare
così. Egli non avrebbe cambiato idea; era stato decretato così già
centinaia d’anni prima che Saul fosse re.
Non c’è alcuna contraddizione qui. La domanda era: Dio cambia
idea? La risposta è “NO”. Ma egli risponde alle situazioni ed alla
condotta delle persone, con compassione o con collera, e può essere
addolorato quando esse compiono malvagità. (Archer 1994).
93.
Come facevano i maghi egiziani a trasformare l’acqua
in sangue (Esodo 7:22) se tutta l’acqua disponibile era
già stata trasformata in sangue da Mosè ed Aaronne
(7:20-21)?
Categoria: poca considerazione della realtà idrica dell’Egitto e imposizione della propria idea
La presunta contraddizione potrebbe basarsi sul versetto 19
“Vi sarà sangue in tutto il paese d’Egitto”, letto senza considerare
che tutto il sistema idrico egiziano, in tutto il paese, dipendeva dal
Nilo. In effetti furono le acque del Nilo a essere trasformate in
sangue da Mosè e Aaronne (versetto 20). C’era l’acqua dei pozzi a
disposizione per i maghi del faraone. Il versetto 24, poco più avanti, ce ne dà la conferma:
“Tutti gli Egiziani fecero degli scavi nei pressi del Fiume per trovare dell’acqua da bere, perché non potevano bere l’acqua del Fiume”.
Quindi, dove sta la difficoltà per cui i maghi non avrebbero
potuto dimostrare che anche loro potevano fare la stessa cosa?
Non solo Shabir ha omesso di leggere il testo integralmente, ha
pure imposto al testo ciò che non è scritto in esso.
101
94.
Fu Davide (1 Samuele 17:23, 50) oppure Elcanam
(2 Samuele 21:19) ad uccidere Golia?
Categoria: errore del copista
Questa discrepanza riguardo a chi abbia ucciso Goliat (Davide o
Elcanam) è dovuto ad un errore del copista o dello scriba; il che si
può vedere chiaramente. Infatti il testo in 2 Samuele 21:19 recita:
“Ci fu di nuovo battaglia con i Filistei a Gob; ed Elcanam, figlio
di Iaare-Oreghim di Betlemme, uccise Goliat di Gat, che aveva una
lancia robusta come un subbio da tessitore”.
Come appare nel testo ebraico Masoretico, questo è sicuramente
in evidente contraddizione con quanto scritto in 1 Samuele a
proposito di Davide che uccise Goliat. Tuttavia, c’è un motivo
molto semplice per questa contraddizione, come dimostrato nel brano
parallelo di 1 Cronache 20:5, che descrive l’episodio come segue:
“Ci fu un’altra battaglia con i Filistei; ed Elcanan, figlio di Iair,
uccise Lami, fratello di Goliat di Gat, la cui asta della lancia era
come un subbio da tessitore”.
Quando si esaminano questi testi in ebraico, il motivo della contraddizione diventa chiaro ed il testo di 1 Cronache appare quello
corretto. Questo non solo perché sappiamo che Davide uccise Goliat,
ma anche basandoci su quanto è stato scritto. Mentre lo scriba stava
ricopiando il manoscritto precedente, probabilmente il punto dove
si trovava il versetto in 2 Samuele era scolorito o danneggiato e di
conseguenza lo scriba fu stato indotto in errore (Gleason L. Archer,
Encyclopedia of Bible Difficulties, p. 179):
1. Il segno corrispondente all’oggetto diretto in 1 Cronache era ‘-t
che viene subito prima di “Lahmi”, nella sequenza della frase.
Lo scriba lo ha scambiato con b-t or b-y-t (“Bet”) e quindi lesse
BJt hal-Lahmi (“il Bethlehemita)”, ricopiandolo così.
2. Ha scambiato la parola per “fratello” (‘-h, l’h con un puntino
sotto) come il segno dell’oggetto diretto (‘-t) prima di g-l-y-t
(Goliat). Quindi lo scriba ha messo Goliat come oggetto del
102
termine “uccise” invece di “fratello” di Goliat, come in
1 Cronache.
3. Il copista ha messo nel posto sbagliato la parola per “tessitori”
(‘-r-g-ym) così da porla subito dopo “Elanan” come cognome
(ben Y->-r-y=-r—g-ym, ben ya>arey =ore-gim,“il figlio della foresta dei tessitori”, un nome piuttosto improbabile per il padre di
chiunque). In Cronache ore-gim ( tessitori) viene subito dopo oregim (“tessitori”), rendendo così un senso perfetto.
Per concludere, quanto dedotto da 2 Samuele 21:19 è interamente riconducibile ad un errore da parte del copista nel ricopiare il testo
originale la cui forma si è mantenuta, invece, in 1 Cronache 20:5.
Fu Davide ad uccidere Goliat.
Questo testimonia l’onestà degli scribi e traduttori (sia Giudei
che Cristiani). Anche se sarebbe facile correggere questo errore ben
riconosciuto, ciò non è stato fatto per rimanere fedeli ai manoscritti.
Anche se lascia adito a critiche superficiali, come quelle di Shabir,
è una critica che non ci fa paura. Un eccellente esempio di errore
umano di copiatura, dovuto al deterioramento del papiro.
95.
Fu Saul che prese la sua stessa spada e ci cadde
sopra (1 Samuele 31:4-6) oppure fu un Amalechita
ad ucciderlo (2 Samuele 1:16)?
Categoria: frainteso il testo
Bisogna notare che l’autore di 1 e 2 Samuele non dà alcun
valore alla storia dell’Amalechita. Quindi, con ogni probabilità fu
Saul che si uccise da solo, anche se l’Amalechita si attribuisce il
merito di averlo fatto. L’autore racconta come morì Saul e poi
riporta quanto detto dall’Amalechita. La sua affermazione - che egli
si trovava per caso lì sul Monte Ghilboa - (2 Samuele 1:16) non era
un’affermazione del tutto sincera; con ogni probabilità era lì per
depredare i cadaveri. In ogni caso, egli era certamente arrivato lì
prima dei Filistei, che non trovarono il corpo di Saul fino al giorno
dopo (1 Samuele 31:8). Abbiamo la testimonianza dello stesso Davide, ossia che l’Amalechita pensava di portare una buona notizia
della morte di Saul (2 Samuele 4:10). È verosimile, quindi, che egli
abbia trovato il corpo di Saul, gli abbia tolto la corona e il bracciale
103
per poi inventarsi la storia della morte di Saul allo scopo di essere
magari ricompensato da Davide per aver sconfitto il suo nemico.
Il piano malvagio dell’Amalechita, tuttavia, fallì ritorcendosi drammaticamente contro di lui.
96.
Pecchiamo tutti quanti (1 Re 8:46; 2 Cronache 6:36;
Proverbi 20:9; Ecclesiaste 7:20; 1 Giovanni 1:8-10),
oppure ci sono alcuni che non peccano
(1 Giovanni 3:1,8-9; 4:7; 5:1)?
Categoria: frainteso il significato della sintassi greca per poi imporre
la propria opinione
Di fronte a quest’apparente contraddizione si pone la domanda:
“Peccano tutti gli uomini?” Una risposta positiva viene sostenuta
da un elenco di brani dell’Antico Testamento, insieme a questo
brano del Nuovo Testamento:
“Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la
verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e
giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità.
Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua
parola non è in noi” (1 Giovanni 1:8-10).
Riferendosi a questo brano, Shabir asserisce che: “I veri cristiani
non possono affatto peccare, perché sono figli di Dio”. Poi cita
diversi brani dalla Prima Epistola di Giovanni che dimostrano che i
cristiani sono figli di Dio. Shabir qui sta imponendo la sua veduta
sul testo, dando per scontato che coloro che sono figli di Dio improvvisamente non hanno più peccato. È vero che una persona che
è nata da Dio non dovrebbe peccare per abitudine (Giacomo 2:14),
ma ciò non vuol dire che non possa cadere qualche volta in peccato,
dato che viviamo in un mondo peccaminoso e ne siamo influenzati
in qualche modo. L’ultimo versetto citato nella sua trattazione è
1 Giovanni 3:9, tradotto così nella Nuova Riveduta:
“Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato,
perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccato perché è nato da Dio”.
Shabir, nel citare questo versetto, fa uso di una traduzione più
vecchia di 1 Giovanni 3:9, che recita: “Nessuno nato da Dio
104
commette peccato... e non può peccare”, ma questo non è la vera
traduzione del testo greco perché il tempo presente del verbo dà il
significato di un’azione continua oppure ripetuta nel tempo. Così la
Nuova Riveduta (si veda sopra) rende correttamente il testo greco.
Giovanni afferma che una persona nata da Dio non continuerà a
peccare, perché ha ricevuta una nuova vita che viene assistita dallo
Spirito Santo. La presenza in lui o lei di questo “seme divino”
assicura che, sebbene possa cadere nel peccato di tanto in tanto
(2:1-2), non vivrà più come schiavo del peccato.
È interessante notare come Shabir salta da un punto all’altro
del testo per dimostrare il proprio punto di vista. Nel tentativo
di dimostrare l’esistenza di una contraddizione, egli inizia con
1 Giovanni capitolo 1 poi va ai capitoli 3-5, per poi ritornare al
primo capitolo versetto 8, che afferma che tutti gli uomini peccano. Shabir ovviamente non ha compreso quanto scritto dall’apostolo, né ha afferrato il fatto che la lettera sviluppa il suo tema in
modo progressivo. Citare dall’inizio per poi saltare al centro e
ritornare all’inizio non è certo la maniera giusta di leggere una
lettera. Nel suo tentativo di dimostrare l’esistenza di una contraddizione, Shabir ha perfidamente modificato l’ordine originale del
discorso, così da avvalorare una contraddizione che non esiste.
Non c’è alcuna contraddizione nella 1 Giovanni.
Le Scritture insegnano chiaramente che tutti gli uomini hanno
peccato eccetto uno, il Signore Gesù Cristo, quindi non c’è niente da eccepire in ciò che Shabir afferma nel suo primo punto.
Per quanto riguarda il suo secondo punto, c’è da rallegrarsi che
egli si sia reso conto che i cristiani sono figli di Dio; quindi,
nemmeno su questo soggetto c’è da discutere. È il terzo punto di
Shabir che risulta contradditorio perché rispecchia lo sviluppo
della tematica della lettera, in particolare la chiamata alla santità
e alla giustizia a motivo dell’avvenuto perdono dei peccati grazie all’espiazione operata dalla morte in croce di Gesù Cristo. È
per questo motivo che noi siamo chiamati a non continuare a
camminare nelle nostre vie di peccato, ma a essere trasformati
all’immagine perfetta di Cristo.
105
97.
Dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri (Galati 6:2)
oppure dobbiamo portare soltanto i nostri di pesi
(Galati 6:5)?
Categoria: frainteso il testo
La domanda è: “Chi deve portare i pesi di chi?” Galati 6:2 e 6:5
vengono posti a confronto: uno dice i pesi gli uni degli altri, l’altro
dice i propri.
Ma se si legge il testo di seguito non appare alcuna contraddizione. Il brano non ci permette di scegliere fra “l’uno/o l’altro”, esso
insegna sia questo, sia quello. Chi legge Galati 6:1-5 con attenzione
noterà che ai credenti viene chiesto di aiutarsi l’un l’altro nei momenti di bisogno, difficoltà o tentazione; ma sono anche chiamati
ad assumere la responsabilità delle proprie azioni. Non c’è né difficoltà né contraddizione in questo.
98.
Gesù apparve ai dodici discepoli dopo la sua risurrezione
(1 Corinzi 15:5), o apparve a undici di loro (Matteo 27:3-5;
28:16; Marco 16:14; Luca 24:9,33; Atti 1:9-26)?
Categoria: frainteso il testo
Un esame attento di come le parole vengono usate dimostra che
non c’è contraddizione qui. In tutti i riferimenti in cui vengono
indicati undici discepoli, l’intento dell’autore è di narrare con precisione i fatti riguardanti il particolare momento di cui parla il testo.
Dopo la morte di Giuda, c’erano soltanto undici discepoli, e così
rimasero finché non venne scelto Mattia per rimpiazzare Giuda.
In 1 Corinzi 15:5 il termine generico “i Dodici” è usato per
indicare gli apostoli perché ormai anche Mattia viene annoverato
tra i Dodici, dato che anche lui era testimone sia della Morte che
della Risurrezione di Gesù Cristo, come indicato in Atti 1:21-22, un
brano che Shabir stesso cita.
106
99.
Gesù andò immediatamente nel deserto dopo il suo
battesimo (Marco 1:12-13) oppure si recò prima in
Galilea, dove incontrò dei discepoli e partecipò ad un
banchetto di nozze (Giovanni 1:35,43; 2:1-11).
Categoria: fraintesa l’intenzione dell’autore
La domanda è: “Dove si trovava Gesù nei giorni immediatamente dopo il suo battesimo? Marco 1:12-13 afferma che andò subito
nel deserto dove rimase per quaranta giorni, mentre in Giovanni
sembra che il giorno successivo Gesù si trovasse a Betania, il secondo giorno in partenza per la Galilea e, tre giorni dopo, a Cana
(Giovanni 1:35; 1:43; 2:1-11).
Questo problema scompare non appena ci si rende conto che Giovanni, a partire dagli eventi descritti in Giovanni 1:29, non sta parlando del giorno successivo al battesimo di Gesù, bensì del giorno dopo
il suo ritorno dal deserto. Giovanni non dice che Gesù andò a Cana
subito dopo il battesimo. Giovanni 2:1 parla di un terzo giorno, ma si
tratta del terzo giorno dopo aver fatto ritorno in Galilea, non del terzo
giorno dopo il suo battesimo. Giovanni semplicemente non menziona
la tentazione di Cristo nel deserto perché gli altri Vangeli avevano
già riportato questo evento. (The True Guidance III:129)
100. Giuseppe fuggì con il bambino Gesù in Egitto
(Matteo 2:13-23) oppure lo presentò in tutta tranquillità
al tempio in Gerusalemme per poi ritornare in Galilea
(Luca 2:21-40)?
Categoria: frainteso il contesto storico
Dietro questa presunta contraddizione c’é la seguente domanda:
“La vita del bambino Gesù era in pericolo a Gerusalemme?”
Matteo 2:13.23 dice di sì. Luca 2:21-40 sembrerebbe dire di no.
In realtà si tratta di due resoconti complementari dei primi anni
di vita di Gesù, per nulla contradditori. È chiaro che ci sarebbe
voluto del tempo prima che Erode si fosse reso conto di essere stato
messo nel sacco dai magi. Il Vangelo di Matteo dice che egli fece
uccidere tutti i bambini maschi in Betlemme e nelle vicinanze,
sotto ai due anni d’età. Questo avrebbe dato a Giuseppe e Maria il
107
tempo necessario per effettuare il loro rituale al tempio in
Gerusalemme e poi ritornare a Nazareth in Galilea da dove poi
sarebbero partiti per l’Egitto, per ritornare nuovamente a Nazareth
dopo la morte di Erode.
101. Quando Gesù camminò sull’acqua, i discepoli lo
adorarono (Matteo 14:33) oppure erano letteralmente
sconvolti a causa della loro durezza di cuore
(Marco 6:51-52)?
Categoria: non è stato letto il testo per intero
La domanda è: “Quando Gesù camminò sull’acqua, come reagirono i discepoli?” Matteo 14:33 dice che lo adorarono. Marco 6:51-52
dice che essi erano sconvolti e che non avevano compreso ciò che
Gesù aveva inteso insegnare loro con il miracolo che egli aveva
compiuto, dando da mangiare ai 5.000 uomini.
Ancora una volta, non si tratta di una contraddizione ma di due
brani complementari. Se Shabir avesse letto per intero il brano in
Matteo, avrebbe visto che sia il resoconto di Matteo (Matteo 14:26-27)
sia quello di Marco affermano che i discepoli dapprima erano
sconvolti, pensando si trattasse di un fantasma. Questo perché non
avevano compreso dal miracolo precedente chi fosse Gesù; ma
passato lo shock iniziale, il resoconto di Matteo spiega che essi lo
adorarono.
108
Conclusione
Abbiamo visto che, una volta soppesata l’evidenza, molte, se
non addirittura tutte, le contraddizioni avanzate da Shabir Ally possono essere adeguatamente spiegate.
Quando rivediamo le 101 presunte contraddizioni, notiamo che
esse rientrano in 15 categorie o tipi di errori generali. Qui di seguito
sono elencate quelle categorie che spiegano in una frase gli errori
alla base delle contraddizioni avanzate da Shabir. Dopo ogni ciascuna categoria un numero indica quante volte Shabir commette
tale tipo di errore. Se ne fai la somma, il totale è maggiore di 101.
La ragione è che, come avrete già notato, Shabir molte volte commette più di un errore nella formulazione della domanda.
Le categorie di errori che figurano nel libretto di Shabir:
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
➛
ha frainteso il contesto storico = 25 volte
ha frainteso o letto male il testo = 15 volte
ha frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata = 13 volte
ha frainteso l’intento dell’autore = 12 volte
non ha riflettuto sui testi citati laddove un po’ di riflessione ne
avrebbe dimostrato la compatibilità = 13 volte
si trattava semplicemente di un errore del copista = 9 volte
ha frainteso il modo in cui Dio opera nella storia = 6 volte
ha frainteso il modo in cui la lingua greca viene usata = 4 volte
ha omesso di leggere il testo per intero = 4 volte
ha capito male la formulazione delle parole = 3 volte
ha citato erroneamente il testo = 4 volte
ne ha dato un’interpretazione troppo letterale = 3 volte
ha imposto il proprio punto di vista sul testo = 3 volte
ha confuso un evento con un altro = 1 volta
si è basato su un manoscritto recente mentre ora ne è stato scoperto uno più antico in cui il problema non figura = 1 volta
Dobbiamo ammettere che in certi casi abbiamo offerto delle
spiegazioni o interpretazioni che non sono specificamente riportate
nei testi. Questo è perfettamente lecito dato che il requisito da
soddisfare è che le spiegazioni siano semplicemente plausibili.
109
È chiaro che gli autori dei Vangeli scrivono da diversi punti di
vista, aggiungendo o tralasciando alcuni dettagli menzionati
altrove. Questo è da aspettarsi da quattro autori che scrivono indipendentemente. Lungi dal seminare dubbi riguardo ai resoconti, questo
aggiunge credibilità dato che quei dettagli, che dapprima appaiono
in conflitto, possono essere risolti con un po’ di riflessione, mentre
dimostra che i racconti non contengono segni di collusione, sia da
parte degli autori originali sia nel lavoro svolto succes-sivamente
da redattori.
Ciò testimonia dell’onestà e della trasparenza degli scribi e traduttori (sia Giudei che Cristiani). Anche se sarebbe facile correggere un errore ben conosciuto, ciò non è stato fatto; si è preferito
rispettare fedelmente la testimonianza dei manoscritti. Questa prassi lascia adito a critiche superficiali, come quelle di Shabir, ma si
tratta di una critica che non ci spaventa.
Nel suo libretto, Shabir mette due versetti in fondo a ciascuna
pagina. Desideriamo rispondere qui a queste citazioni, che sono:
1) “Dio non è un Dio di confusione...” (1 Corinzi 14:33)
È vero, Dio non è autore di confusione. C’è molto poco nella
Bibbia di confuso. Quando comprendiamo tutti i manoscritti originali e il contesto in cui sono collocati, la confusione praticamente
scompare. Naturalmente abbiamo bisogno di conoscenza per comprendere il tutto, dato che viviamo a 2.400-3.500 anni distanti dai
primi lettori e, generalmente, leggiamo la Bibbia non nelle lingue e
nel contesto in cui è stata scritta, bensì in traduzione, ma ci vuole
conoscenza anche per comprendere il Corano. Alla prima (e alla
decima) lettura, ci sono molte cose che non sono evidenti a milioni
e milioni di musulmani.
2) “Una casa divisa contro sé stessa, va in rovina” (Luca 11:17).
La Bibbia non è divisa contro sé stessa. Gesù stava parlando di
una divisione maggiore (satana che distrugge i propri demoni). Questo è ben lontano dalla Bibbia: un libro quattro volte la grandezza
del Corano, con un residuo di problemi che si possono contare sulle
dita dei piedi e delle mani, e quindi con una concordanza al 99,999%!
Questo è davvero qualcosa di eccezionale!
Non si può dire altrettanto del Corano che presenta fin troppe
contraddizioni palesi, come frutto di mescolanza di varie fedi e da
110
molteplici fonti religiose del tempo copiate e “ incollate” da Maometto (del 70%) nel testo coranico .
Concludiamo con due citazioni nostre della Bibbia:
“Il primo a perorare la propria causa par che abbia ragione;
ma vien l’altra parte, e scruta quello a fondo” (Proverbi 18:17).
“…il nostro caro fratello Paolo ve l’ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data… nelle sue epistole ci sono alcune cose
difficili a capire che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come
anche le altre Scritture”(2 Pietro 3:15-16).
111
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The True Guidance, Part Two, (‘False Charges against the Old
Testament’), Light of Life, Austria, 1992
The True Guidance, Part Three, (‘False Charges against the New
Testament’), Light of Life, Austria, 1992.
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101 risposte di Jay Smith