Jay Smith Alex Chowdhry Toby Jepson James Schaeffer BIBBIA PAROLA DI DIO 101 risposte bibliche alle obiezioni di gnostici, scettici e critici Editrice Uomini Nuovi 21030 Marchirolo (Varese) Italia www.eun.ch 1 Titolo originale 101 Cleared Up “Contradictions” in the Bible © Copyright Dr. Jay Smith Traduzione a cura di Francesco Maggio Collaborazione editoriale Rinaldo Diprose Impaginazione Yolanda Risi Copertina Carta e Penna, [email protected] Stampa Multimedia, Giugliano / NA 1a Edizione italiana marzo 2010 Edizione a cura di Giuseppe E. Laiso © Copyright by Editrice Uomini Nuovi 21030 Marchirolo (Varese) Italia Telefono (0332) 723.007 - Fax (0332) 99.80.80 [email protected] - www.eun.ch _______________________________________________________________________________________________________ Senza l'autorizzazione scritta dell'Editore è vietata la riproduzione, anche parziale, del presente volume, l'inserimento in circuiti informatici, la trasmissione sotto qualsiasi mezzo elettronico e meccanico, la fotocopiatura, la registrazione e la duplicazione con qualsiasi mezzo. Secondo la "Legge sulla stampa" l'eventuale citazione deve fare esplicito riferimento all'autore, al titolo e all'editore. 2 “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Timoteo 3:16-17). La Bibbia, Parola di Dio I lettori troveranno interessante ed attuale il libro che proponiamo. Ringraziamo Francesco Maggio che con grande determinazione ha voluto la pubblicazione in italiano ed ha lavorato con i suoi collaboratori per la traduzione. Grazie al Prof. Rinaldo Diprose, direttore dell’Istituto Biblico Evangelico Italiano a Roma, per la preziosa collaborazione redazionale di tutti i temi affrontati nel presente volume. Gli autori, biblisti molto stimati e apprezzati, ci presentano il risultato delle loro ricerche per incoraggiarci che la Bibbia dice il vero ed è la Parola eterna di Dio. Hanno cercato e risposto ad alcune obiezioni che vengono mosse contro l’autenticità della Bibbia. E lo hanno fatto partendo da un testo di un autore musulmano il cui intento era quello di mettere in discussione la Parola di Dio. Il Corano, secondo la tradizione islamica è stato scritto da Dio stesso, non da Maometto, che lo ha semplicemente ricevuto. I cristiani da sempre sostengono che la Bibbia non è stata data, né dettata da Dio, ma ispirata dal Signore che si è servito di persone comuni per tradurla nel linguaggio della gente. Questa collaborazione tra agente divino ed agente umano è completamente assente nel Corano, il libro sacro dei musulmani. Le 101 risposte bibliche alle obiezioni mosse dallo scrittore Ally, potrebbero benissimo essere messe in un testo a parte, intitolato: “101 risposte alle critiche mosse alla Bibbia”. Pur in questo contesto di risposta alle accuse mosse dallo scrittore musulmano, questo libro conserva una sicura efficacia e risponde puntualmente a tutte le obiezioni che nel corso degli anni, miscredenti, scettici o appartenenti ad altre confessioni religiose, hanno evidenziato. 3 Ne esce un testo biblico rafforzato; di esso ogni credente troverà conferma che si tratta della vera Parola di Dio. Questo non significa che tutta la Bibbia è facilmente comprensibile oppure che essa è esente da apparenti contraddizioni. Esse ci sono a motivo del fatto che la Bibbia è un testo storico, tiene conto cioè delle diverse epoche in cui i brani sono scritti ed anche degli eventuali errori degli scribi; errori non voluti, ma dovuti a circostanze occasionali. Lo stesso ritrovamento di Qumram di più di mezzo secolo fa, non ha fatto altro che confermare che la Bibbia è un testo affidabile. Resta a questo punto il compito del lettore di esaminare il presente volume con la convinzione che le sue eventuali perplessità verranno dipanate e la sua fede rafforzata. Pastore Dr Giuseppe E. Laiso Direttore Editrice Uomini Nuovi 4 A conferma dell’Evangelo Negli ultimi anni stiamo assistendo ad una esponenziale invasione di libri, scritti da scettici e ignoranti detrattori della verità. Questi credono di costituire lo pseudoimpianto accusatorio per dimostrare che la Bibbia non è la Parola di Dio con vacue strumentalizzazioni contro apparenti discrepanze contenute nella Bibbia. Agli scettici e filosofi occidentali ora si sono aggiunti anche i critici musulmani, i quali riciclano dagli occidentali le critiche contro la Bibbia, per dimostrare che il Corano ne esce vincitore. Il presente libro si rivolge specialmente a quell’utenza di cristiani biblici che: ● ● ● ● ● ● Sono profondamente consapevoli del compito doveroso di affermare la difesa e conferma dell’Evangelo; o aiutare altri non credenti a superare i dubbi sulla inerranza della Bibbia. Studenti e gruppi universitari che si pongono profonde domande critiche concernenti la Bibbia. Essere disponibili ad accrescere la loro conoscenza e comprensione della Bibbia e pertanto accrescere la propria fede in Cristo. che hanno poca familiarità con la Bibbia, a comprendere quei passaggi che apparentemente sono meno chiari contro coloro che torcono la Verità contenuta nella Bibbia. il contenuto di questo volumetto conferma a voce alta la inerranza della Bibbia e che Gesù Cristo è il Fglio di Dio e Salvatore del mondo. Dato il formato ridotto può essere che certe note non siano, per un lettore molto esigente, pienamente esaustive. Pertanto rimandiamo quel tipo di lettore a consultare altri eccellenti libri che trattano, con contenuti più approfonditi, le stesse tematiche. Infatti questo testo condensato vuole servire più come sprono che da compendio teologico. 5 Colui che mediante lo Spirito Santo, per bocca del Padre nostro e tuo servitore Davide, ha detto: Perché hanno fremuto le genti, e i popoli hanno meditato cose vane? NON TUTTI I LIBRI sono scritti per tutti; infatti questo libro compare come un contenitore di critiche ed attacchi indiscriminati alle Scritture lasciando probabilmente confuso chi non è abituato a confrontarsi con critici e scettici specializzati alla scuola d’oggi. Alle presunte contraddizioni presenti nella Bibbia sono opposte in questo libro altrettante risposte che sostengono la veridicità della Parola di Dio, la sua visione d’insieme, le sue dottrine sostenute dai primi libri sino agli ultimi. Il credente può far tesoro di queste risposte, studiarle, farle proprie per poter eventualmente rispondere poi ad attacchi contro la Bibbia. Negli ultimi anni la Bibbia ed il Cristianesimo in genere sono stati oggetto di derisioni irriverenti come non mai, critiche distruttive gratuite, attacchi razionali che ne vogliono distruggere a tutti i costi l’autenticità e l’attendibilità dei contenuti, ritenuti troppo fantasiosi. Internet fa da cassa di risonanza a numerosi video fatti in casa da atei o agnostici, a siti costruiti su misura da personaggi anche noti provenienti da ambienti scientifici, filosofici, ad associazioni agnostiche che ricevono addirittura il 5 per mille dai contribuenti (es. Uaar), per diffondere gli attacchi indirizzati soprattutto alla chiesa cattolica e distruggere così indirettamente, si vorrebbe, l’immagine di Gesù, screditata e bistrattata ultimamente senza remore. Sempre più ormai si reclama da più parti il bisogno di uno stato che sia esplicitamente laico, in cui la religione o l’etica suggerita da valori spirituali devono obbligatoriamente lasciare il passo ad un pensiero sgombro da pesanti oscurantismi dettati dai dogmi della chiesa cattolica. Pubblicazioni di libri, saggi, inchieste sulla dubbia origine di Gesù, dei suoi discepoli e discepole, di presunti misteri tenuti celati per millenni, riempiono le prime posizioni di classifiche di vendita di bestseller. Insomma chi vuole attaccare la Bibbia o Gesù, o qualche altro personaggio biblico, può prendere spunto da numerose fonti già ampiamente disponibili e perfezionare così oltraggi senza pari. Che cosa fa la vera Chiesa di Cristo? Satana sta sferrando i suoi più subdoli e feroci attacchi. Molti dei video in lingua italiana contrari a Gesù su Youtube ricevono migliaia di visite al giorno e in 6 opposizione ben poco materiale cristiano è disponibile e conseguentemente visionato. Troppi libri parlano male delle Scritture senza valutarle onestamente e con atteggiamento di studio, pochi lettori si avvicinano alla Bibbia, sempre più impolverata e abbandonata in biblioteca. Non si può rimanere indifferenti davanti a questo fenomeno voluto da satana e seguito da numerosissimi suoi adepti che si vantano della loro mente razionale e non” infetta” da virus religiosi. Non possiamo rimanere inermi e subire rassegnati. Ecco perché ritengo che questo libro meriti di essere letto, studiato e capirne la portata. La nostra risposta in difesa della Parola di Dio deve essere altrettanto forte e voluta. Il libro che hai in mano mostra solo una parte degli attacchi contro la Bibbia; infatti se lo leggerai e lo troverai utile in seguito ti sensibilizzerai a “sentire” come ogni giorno nuovi dardi infuocati da più parti sono indirizzati contro Cristo. Se cerchi quindi un manuale teorico per la vita cristiana questo testo non risponderà alle tue lecite esigenze, se vuoi scendere in campo di battaglia invece, combattendo contro armi moderne, multimediali, travolgenti, che pur sembrando così virtuali sanno invece ben influenzare assai concretamente i pensieri della società attorno a Dio, allora posso augurarti già una benedetta lettura. Francesco Maggio 7 Bibbia, Parola di Dio 101 risposte bibliche alle obiezioni di gnostici, scettici e critici “Uno strumento utile per il credente che vuole essere pronto per rispondere a chi chiede ragione della sua fede. Apparenti e presunte contraddizioni bibliche qui vengono abilmente chiarite e smontate. In modo ordinato, dettagliato e puntiglioso, Jay Smith propone risposte convincenti e credibili a ben 101 apparenti contraddizioni bibliche. Uno strumento strategico per affrontare il dialogo con i musulmani e non solo. In un’era quando la credibilità della Bibbia viene fortemente attaccata, è vitale che non solo comprendiamo ed accettiamo la dottrina dell’ininerranza biblica ma che la sappiamo difendere dai crescenti attacchi sferrati da tante parti. Sebbene l’intento apologetico di questo scritto sia di confutare l’accusa di contraddizioni bibliche mossa dai musulmani, di fatto la sua valenza è molto più vasta. Viviamo in un’Italia multietnica dove il contatto con altre fedi non è soltanto una remota possibilità ma piuttosto qualcosa che noi, chiesa, dovremo intenzionalmente volere e ricercare. Vivere la missione implica essere ben addestrati e scendere in campo tenendo alta la verità del Vangelo. Pur essendo soggetto delicato, con grande abilità il Professor Jay Smith controbatte a chi, come il musulmano, afferma che la Bibbia è piena di contraddizioni. In questo breve scritto il Professor Jay Smith mette in risalto il modo in cui affrontare occasionali dettagli biblici che potrebbero sembrare difficili da comprendere... Sicuramente da leggere, studiare e usare. Jonathan Gilmore Missionario e Presidente di I.M. 8 Si può dialogare con chi la pensa diversamente? La questione sta diventando sempre più importante. La presenza di religiosità sempre più diverse pone il problema in termini sempre più urgenti. Nel medesimo tempo in cui si fa strada la necessità del confronto, traspare anche una certa difficoltà all’idea di conflitto. In campo religioso si preferisce fare un’opera di grande rimozione delle differenze. Si diffonde l’idea che il miglior modo per praticare il dialogo consista nell’occultare le opinioni che possono “disturbare” i propri interlocutori. In questo modo si cerca di rimuovere un ostacolo alla comunicazione. Nel nostro tempo c’è un vero e proprio fanatismo della simulazione. Non è un vero e proprio consenso, ma la tendenza ad occultare la diversità. La fiacchezza delle convinzioni sembra favorire un simile atteggiamento. Con il passare del tempo però, quest’atteggiamento non premia. Diventa sempre più evidente che l’occultamento delle opinioni non è un buon viatico per la relazione. Appena ce n’è l’occasione, quello che è stato nascosto riappare in maniera più o meno esplicita compromettendo le buone intenzioni originarie. Francesco Maggio non pratica la strada della simulazione. Ha l’ardire di porsi sul terreno del confronto. Ha il coraggio di prendere l’interlocutore per quel che dice di pensare, di confrontarsi con esso e, se è il caso, di dissentire. Nessun irenismo o atteggiamento di facciata. Ecco perché questo testo merita di essere preso in considerazione. Le ragioni sono molteplici. Aiuta a capire l’islam. Il primo passo del dialogo è l’informazione. Inutile rapportarsi a qualcuno di diverso se non si cerca di ascoltare e studiare le sue convinzioni. Qui non si affrontano le dimensioni storiche, sociali, economiche, politiche dell’islam, ma le sue pretese religiose. Siccome l’islam è a tutti gli effetti una religione, bisogna prenderla sul serio in quanto tale. Bisogna capire quali siano le sue pretese veritative. Aiuta a rapportarsi all’islam. Per rapportarsi all’islam non basta studiarlo, bisogna penetrarne la dimensione spirituale. La conoscenza formale e libresca non è sufficiente. Il discernimento spirituale esige di più. C’è bisogno di una relazione sul campo. Bisogna investire delle risorse spirituali. Impegnarsi nel penetrare 9 l’interlocutore sul piano spirituale. Bisogna che l’argomentazione sia impregnata di preghiera. Il coraggio non esclude l’umiltà, anzi, la vivifica. Aiuta a sfidare l’islam. La comprensione ed il discernimento non sono il tutto. La vocazione cristiana non si esaurisce con queste dimensioni. Il rischio sarebbe quello di fermarsi ad una scaramuccia verbale. Non ha senso. Sarebbe un polemica sterile e fine a sé stessa. Ogni persona ha bisogno di entrare nell’alleanza con Dio. Senza di essa non c’è alcuna salvezza possibile. Per questo bisogna credere che la comprensione dell’islam e la relazione con esso apra scenari ancora più ampi. Questo libro può servire anche a ciò. Può mettere in discussione presupposti che tutti hanno. Verificare la possibilità di una loro compatibilità con la rivelazione di Dio. Ci auguriamo allora che lo Spirito Santo se ne serva per problematizzare i troppi luoghi comuni e ad interrogarsi davanti a Dio se si sia nell’alleanza o fuori di essa. Pietro Bolognesi Professore di teologia sistematica IFED, Padova 10 La Bibbia, l’infallibile Parola di Dio In questi tempi è molto importante che ogni credente cresca nella conoscenza della Bibbia e ringraziamo Dio delle meravigliose opportunità di numerosi testi, commentari e dizionari biblici resi disponibili dall’impegno dei nostri autori ed editori cristiani. Sono particolarmente grato al nostro Dio, l’Iddio della Bibbia, che non solo ci ha donato la “sua Parola” in forma scritta, ma che l’ha preservata nei secoli dai tanti personaggi che hanno cercato di eliminarla con tutti i mezzi. Falliti tutti questi tentativi, ai nostri giorni, c’è chi esercita l’arte ignobile della ricerca cavillosa e del discredito del libro divino. L’autore di questo libro, il Dr. Jay Smith, con grande saggezza risponde alle apparenti contraddizioni della Bibbia relative alla nomenclatura, geografia, numeri, nomi ed altro adducendone la contestazione ad una superficiale lettura del testo biblico ma, a mio parere, non si tratta di una lettura superficiale da parte dei contestatori nostrani o musulmani, bensì di una lettura volutamente strumentale diretta alla contestazione e al discredito per spirito di parte. Noi cristiani non ci siamo mai soffermati su alcuni difetti di forma della Bibbia, ma sulla sua sostanza spirituale e dottrinale, anche perché consapevoli del grande lavoro di copia di ognuno dei 66 libri fatto a mano dagli scribi ebrei e da altri amanuensi prima dell’invenzione della stampa (ricorderemo anche che il primo libro stampato da Gutenberg fu la Bibbia). La Bibbia è e rimane per noi il libro divino, l’infallibile parola di Dio! Concludo esprimendo il mio personale apprezzamento per questo libro ritenendolo utile se non indispensabile per ogni credente cristiano, quale semplice e pratico strumento di studio per essere adeguatamente preparati ad affrontare i contestatori biblici con le giuste risposte e, soprattutto, con la guida dello Spirito Santo. Pastore Dr Remo Cristallo 11 12 L’UNICITÀ DELLA BIBBIA di JAY SMITH 1. La Bibbia è il solo libro al mondo che dimostra con prove oggettive di essere la Parola di Dio. Soltanto la Bibbia offre prove concrete della propria ispirazione divina. 2. La Bibbia è il solo scritto religioso al mondo senza errore. 3. La Bibbia è l’unico testo antico che contiene documentate indicazioni scientifiche e mediche. Nessun altro libro antico viene mai analizzato attentamente secondo una linea scientifica, mentre molti libri sono stati scritti sul tema della correlazione fra la Bibbia e la scienza moderna (vedi idrologia, geologia, astronomia, meteorologia, biologia e fisica). 4. La Bibbia è il solo testo religioso che offre la salvezza eterna come dono gratuito, interamente frutto della pietà e della grazia di Dio. 5. La Bibbia contiene i più alti standard morali di qualunque altro libro. 6. Solo la Bibbia si apre con la creazione dell’universo da parte di un atto di Dio e contiene un continuo racconto storico - anche se spesso breve e sparso - della storia dell’umanità, dal primo uomo, Adamo, fino alla fine della storia. 7. Solo la Bibbia ha la visione più realistica della natura umana e la potenza di convincere le persone del loro peccato, insieme alla capacità di cambiare la natura umana. 8. Solo la Bibbia ha ricevuto conferma storica della propria accuratezza da parte dell’archeologia, dell’analisi testuale, della scienza e di altre simili discipline. 9. Le caratteristiche interne e storiche della Bibbia sono uniche nella loro unità e coerenza interne, nonostante la sua produzione si estende per un periodo di 1.500 anni, da parte di oltre 40 autori in tre lingue e tre diversi continenti, discute una gran quantità di argomenti controversi eppure si trova sempre in accordo su di essi. 13 10. Solo la Bibbia proclama una risurrezione della propria figura centrale che è provata storicamente. 11. Solo la Bibbia ha modellato la storia della civiltà occidentale, più che qualsiasi altro testo. La Bibbia ha avuto più influenza nella storia del mondo di qualsiasi altro libro (Finis) 12. Solo la Bibbia presenta una natura personale-specifica (centrata su Cristo) in tutti i suoi 66 libri, i quali descrivono in dettaglio la vita di quella persona attraverso profezie, modelli, anti-modelli e altro, in un tempo da 400 a 1.500 anni prima della nascita di quella persona. 13. Solo la Bibbia offre una prova storica del fatto che il solo vero Dio ama l’umanità. 14. La Bibbia è il solo grande scritto religioso antico la cui preservazione testuale è stata stabilita come fondamentalmente autografica. 15. Solo la Bibbia contiene profezie dettagliate circa la venuta del Salvatore del mondo, le cui profezie si sono dimostrate storicamente accurate. 16. Solo la Bibbia ha un contenuto teologico unico, comprendente le proprietà teologiche (Trinità, gli attributi di Dio), soteriologia (depravazione, imputazione, grazia, propiziazione/espiazione, riconciliazione, rigenerazione, unione con Cristo, giustificazione, adozione, santificazione, sicurezza eterna, elezione, ecc); Cristologia (incarnazione, unione ipostatica); pneumatologia (la Persona e l’opera dello Spirito Santo); escatologia (predizioni dettagliate sulla fine della storia); ecclesiologia (la natura della chiesa come sposa di Cristo e in unione organica con lui), e così via. 17. Solo la Bibbia offre una soluzione realistica e permanente al problema del peccato e della malvagità umana. 18. La Bibbia è il libro più tradotto, acquistato, memorizzato e perseguitato della storia. Ad esempio, è stato tradotto in oltre 1.700 lingue. 14 19. Solo la Bibbia è un libro profetico per oltre un quarto del proprio contenuto, ovvero contenente ben 400 pagine di informazioni profetiche. 20. Solo la Bibbia ha superato 2.000 anni di intenso scrutinio da parte di critici, e non soltanto è sopravvissuta agli attacchi, ma ha prosperato ed è uscita incredibilmente rafforzata da tali critiche. (Voltaire predisse che la Bibbia si sarebbe estinta nel giro di 100 anni; nel giro di 30 anni Voltaire si era estinto, e la sua casa era diventata un magazzino per Bibbie della Società Biblica di Ginevra). 15 16 PRESUNTE CONTRADDIZIONI Ad una superficiale prima lettura del testo biblico, possono affiorare apparenti contraddizioni a riguardo della nomenclatura, geografia, numeri, nomi ecc. Il fatto poi che nel corso dei secoli nessuno abbia cercato di rimuovere quelle aree nel testo biblico che potevano essere soggette a gratuite strumentalizzazioni, dimostra la serietà e il timore di Dio di mantenere la sua Parola intatta. Anzi, piuttosto la trasparenza paga ancora una volta. Infatti laddove ci sono situazioni presenti nel testo biblico alcune edizioni presentano le dovute note di chiarimento a piè di pagina, rispettando in questo modo il lettore che potrà trarre le proprie conclusioni. Non così per i critici testuali musulmani che, ben sapendo le innumerevoli contraddizioni ed errori di grammatica araba nel Corano, evidenti solo a coloro che hanno accesso alla lingua araba, compiono contorsionismi nel testo tradotto in italiano (ed in altre lingue europee) non ammettendoli come tali all’utenza. “Il primo a perorare la propria causa sembra che abbia ragione; ma viene poi l’altro e lo esamina” (Proverbi 18:17, La Nuova Diodati) L’accusa di contraddizione I musulmani parlano spesso delle molte contraddizioni che, a parer loro, si trovano nella Bibbia. Il numero di queste presunte contraddizioni varia a seconda della persona con cui ci si trova a parlare. Izhar-ul-Haq di Kairanvi ne presenta 119, mentre altri, come Shabir Ally, ne conta 101. Dal loro punto di vista, il problema nasce dal presupposto che qualunque testo religioso derivante dall’assoluta autorità divina non possa contenere contraddizioni, perché un messaggio che proviene dall’Onnisciente deve essere coerente in tutto ciò che attesta. A sostegno di questa posizione, i musulmani citano Sura 4:82 del Corano che dice “…non considerano essi il Corano (con attenzione). Se fosse proceduto da chiunque altro a parte Allah, vi avrebbero trovato molte discrepanze”. 17 Una definizione di rivelazione Per rispondere a questa sfida è importante, in via preliminare, comprendere bene questo presupposto e il modo di pensare da cui nasce. Si tratta del principio della noncontraddizione, elevato alla posizione di criterio assoluto, di cui gli esseri umani possono servirsi per giudicare l’autenticità della Parola di Dio. Un cristiano sarà ben lieto di riconoscere che la Scrittura, in ultima analisi, non si contraddice, ma allo stesso tempo non può accettare che il principio della noncontraddizione, a cui i musulmani ricorrono nelle discussioni riguardanti la rivelazione, sia stato dato agli uomini come criterio per giudicare la Parola di Dio. Si tratta di un errore in cui è facile cadere: valutare ciò che non ci è familiare con un metro di giudizio che ci è più familiare; in questo caso, giudicare la Bibbia con un criterio preso in prestito dal Corano. Molti musulmani credono che il loro libro, il Corano, sia stato inviato dal cielo (Tanzil) senza alcun intervento umano. Questa concezione della Scrittura come una rivelazione inviata dal cielo viene imposta sulla Bibbia. Ma i musulmani sbagliano quando ritengono che si possa valutare la Bibbia usando lo stesso criterio di valutazione a cui assoggettano il Corano (compilato solo da Maometto). La Bibbia non è un libro compilato da un solo uomo, come invece i musulmani ritengono che sia il loro Corano, bensì una composizione di 66 libri scritti da più di 40 autori durante un periodo di circa 1500 anni! Per questa ragione i cristiani hanno sempre sostenuto che l’intera Bibbia porti l’impronta di mani umane. Ne abbiamo la prova nella molteplicità dei linguaggi umani che essa contiene, i diversi generi letterari, la diversità d’intelletto e di personalità degli autori, nonché le allusioni a modi di comprendere i fatti scientifici propri del loro tempo, senza i quali le Scritture non sarebbero state comprensibili per la gente dell’epoca in cui sono state scritte. Definizione di ispirazione In 2 Timoteo 3:16 ci viene detto che tutta la Scrittura è ispirata. Il termine greco usato per descrivere il concetto di “ispirazione” è theopneustos, che significa: “emanato/soffiato da Dio”. Se ne deduce che la Scrittura ha avuto origine in Dio stesso. Infatti, in 2 Pietro 1:21 leggiamo che gli autori sono stati “spinti dallo Spirito Santo”. 18 Quindi Dio ha usato degli uomini, ognuno con la propria personalità, per portare a termine un’opera con autorità divina e priva di errori. La Bibbia parla molte volte della sua qualità di parola ispirata. In Luca 24:27, 44, Giovanni 5:39 ed Ebrei 10:7, Gesù afferma che tutto ciò che era stato scritto di lui nell’Antico Testamento, si sarebbe adempiuto.Anche Romani 3:2 ed Ebrei 5:12 fanno riferimento agli Scritti sacri, comunemente definiti “Antico Testamento” riconosciuto come Parola di Dio. Questo è confermato in 2 Timoteo 3:16, come abbiamo visto sopra. Quanto alla letteratura del nuovo patto, opportunamente chiamati “Nuovo Testamento”, leggiamo in 1 Corinzi 2:13: “Di questo anche parliamo, non con parole insegnate dalla sapienza umana ma insegnate dallo Spirito Santo ”. Pietro parla delle lettere di Paolo in questi termini: “…Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue epistole...” (2 Pietro 3:15-16). È nella stessa epistola (1:21) che scrive: “nessuna profezia infatti è mai proceduta da volontà d’uomo, ma i santi uomini di Dio hanno parlato, perché spinti dallo Spirito Santo” . Infine, in Apocalisse 22:18,19, l’autore Giovanni, riferendosi al libro dell’Apocalisse, scrive “…se qualcuno aggiunge a queste cose, Dio manderà su di lui le piaghe descritte in questo libro.E se alcuno toglie dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dall’albero della vita.. Charles Wesley riassume brillantemente questa concezione alta dell’ispirazione quando afferma: “la Bibbia deve essere stata inventata o da uomini buoni o da angeli, o da uomini malvagi o demoni, oppure da Dio. Sennonché è da escludere che sia stata scritta da uomini buoni perché gli uomini buoni non mentirebbero dicendo: “Così dice il Signore”; non è stata scritta nemmeno da uomini malvagi perché essi non scriverebbero riguardo al fare buone opere, condannando così il peccato e se stessi all’inferno; quindi, deve essere stata scritta per ispirazione divina” (Josh McDowell 1990:178). In che modo Dio ha ispirato gli autori? Semplicemente spronando il loro cuore a raggiungere nuove vette, come nelle opere di Shakespeare, Milton, Homer, Dickens, Dante Alighieri e tutti i capolavori della letteratura umana? Oppure facendo convivere le parole di Dio insieme con miti, inesattezze e leggende, creando (n.d.r: tale è il Corano) quindi un libro dove coesistono porzioni 19 della Parola di Dio mischiate con quelle di uomini limitati e fallibili? Oppure, le Scritture sono l’infallibile Parola di Dio in ogni loro parte? Ma, chiederanno i musulmani, come avviene quest’ispirazione? Dio ispira tramite dettatura, come dicono sia stato rivelato il Corano, oppure si serve delle menti e delle cognizioni degli autori? La risposta, in parole semplici, è che Dio controllava costantemente gli scrittori umani durante la stesura dei loro scritti così che la Bibbia non è altro che “La Parola di Dio in parole di uomini“ (Josh McDowell 1990:176). Ciò significa che Dio si è avvalso della cultura e dei costumi dell’ambiente culturale in cui vivevano i suoi autori, ambiente controllato da Dio nella sua somma provvidenza. Per questa ragione la storia va trattata come storia, la poesia come poesia, le iperbole e le metafore come iperbole e metafore, le generalizzazioni e le approssimazioni per quelle che sono, e così via. Inoltre bisogna rispettare la differenza fra le convenzioni letterarie dei tempi biblici e quelle odierne. Ad esempio, nei tempi biblici rientrava nella norma una narrazione che non seguiva la cronologia esatta degli eventi, come pure citazioni approssimative. Quindi non dobbiamo ritenere esempi di tali convenzioni, degli errori quando li incontriamo nella Bibbia. Quando una totale precisione di qualsiasi tipo non è né prevista né tentata dallo scrittore, la sua assenza non è da considerare un errore. La Bibbia è senza errori non nel senso della precisione assoluta, se giudicata in base a criteri moderni, ma nel senso di non venir meno a quello che dichiara di essere e in quanto comunica fedelmente la verità che i suoi autori si sono proposti di comunicare. La veridicità della Scrittura non è smentita dalla presenza di irregolarità grammaticali od ortografiche, o da descrizioni fantastiche della natura, la citazione di false affermazioni (le bugie di satana, per esempio), o di quelle che sembrano delle discrepanze quando versetti vengono estrapolati dal proprio contesto. Non è corretto porre i cosiddetti “fenomeni” della Scrittura in contrasto con l’insegnamento della Scrittura riguardo a sé stessa. Le incoerenze apparenti non dovrebbero essere ignorate. Trovarne la spiegazione, laddove ciò sia possibile (come abbiamo cercato di fare nelle pagine che seguono), rafforzerà la nostra fede; tuttavia, laddove non esistano per il momento spiegazioni convincenti, onoreremmo Dio grandemente se facessimo tesoro della sua rassicurazione che 20 la sua Parola è verace, nonostante le apparenze, e rimanessimo fiduciosi che un giorno la nostra fede si dimostrerà tutt’altro che illusoria. Non si tratta di una speranza vana. Tantissime presunte discrepanze sono state chiarite grazie alle ricerche fatte ed alla maggiore comprensione che ne deriva. Se Shabir Alì fosse vissuto un secolo fa, nella sua lista ci potevano essere facilmente 1001 presunte contraddizioni e non solo 101. A mano a mano che vengono alla luce nuove informazioni, scopriamo anche le risposte a molti enigmi della storia. Siamo pienamente consapevoli che i criteri cristiani della rivelazione sono inaccettabili per i musulmani perché sono in contrasto con i loro criteri. Eppure, nell’avvicinarsi alla Bibbia con il concetto Tanzil (mandato giù) che essi attribuiscono al loro Corano, i musulmani si dimostrano incoerenti, poiché esigono dal Nuovo Testamento ciò che non esigono dalle rivelazioni precedenti, il Taurat (in arabo corrisponde al Pentateuco - Torà) e lo Zabuur (Salmi), pur essendo entrambi stimate da tutti i musulmani come rivelazioni ispirate alla stregua del Corano. Secondo i musulmani Mosè scrisse il Taurate, Davide lo Zabuur. Però nessuno dei due ha mai dichiarato di aver ricevuto le sue rivelazioni per mezzo di un messaggio Tanzil (dettato-mandato giù). Perché allora insistere che questo dev’essere avvenuto per il Nuovo Testamento per poterlo considerare un libro ispirato, anche perché il Nuovo Testamento non ha questa pretesa per sé stesso? Il motivo di fondo forse risiede nel fatto che i musulmani reputano il Corano la Parola di Allah assolutamente inconfutabile ed evidente, proprio perché – come vogliono far credere erroneamente agli occidentali - sarebbe l’unica rivelazione tramandata senza intervento umano (ma sanno che non è vero nemmeno per il Corano). Quindi questo Corano soppianterebbe tutte le rivelazioni precedenti, annullandole, e ciò a motivo del fatto che si suppone che le Scritture siano state contaminate dalle limitatezze degli autori umani. Però si è taciuto riguardo all’ironia lampante della pretesa che il Corano sia una rivelazione Tanzil da un’unica fonte, cioè Maometto stesso, l’uomo cui si suppone sia stato il destinatario. Eppure non esistono testimoni esterni, né prima né durante quell’epoca che avvalorino la testimonianza di Maometto. Non c’è nemmeno traccia 21 di miracoli che comprovassero le sue dichiarazioni, né esistono documenti conosciuti, che risalgono al secolo in cui si suppone sia stato rivelato, di un tale Corano. Anche se tralasciassimo i problemi storici relativi ai primi Corani (e alle attuali 7 versioni (non edizioni, ma versioni del Corano nel mondo! - N.d.T.), un ulteriore problema riguarda le numerose tradizioni musulmane che parlano di molte copie dei codici coranici diverse fra di loro, molto diffuse alla metà del settimo secolo quando si stava conducendo uno studio minuzioso della recensione Uthmanica (da Uthman) del Corano. Le fonti islamiche parlano altresì della distruzione di tutte le recensioni i cui contenuti erano in conflitto con questa recensione. Quindi non possiamo sapere oggi se il Corano in nostro possesso fosse simile o meno al primo Corano rivelato. Ciò che è fondamentale in questa discussione è il bisogno che hanno i musulmani di comprendere che i cristiani hanno sempre sostenuto che la Parola di Dio, la Bibbia, è stata senz’altro scritta da uomini, ma che questi uomini sono sempre stati sotto la diretta ispirazione dello Spirito Santo (2 Pietro 1:20-21). Pur ben sapendo la precarietà della canonizzazione del Corano, essi insistono e affermano che il Corano sarebbe esente da qualunque intervento umano, per la Bibbia Dio scelse deliberatamente di rivelare la Parola a individui che erano profeti ed apostoli ispirati, di modo che la sua Parola non soltanto sarebbe stata comunicata all’umanità in maniera esatta e completa, ma anche in modo comprensibile alla mente umana. Questo non è possibile nel caso del Corano dato che, come sostengono i musulmani, esso non contiene alcun elemento umano. La convinzione dei musulmani che la Bibbia sia piena di contraddizioni genera per loro altri problemi ancora. Per esempio, come devono considerare l’autorità che lo stesso Corano riconosce alla Bibbia? Il Corano attribuisce autorità alla Bibbia Il Corano, la fonte autorevole in assoluto per tutti i musulmani, riconosce l’autorità della Bibbia, dando per scontata la sua autenticità, almeno fino al 7°-9° secolo. Considerate le seguenti Sure: ● 22 Sura Baqara 2:136 fa notare che non c’è nessuna differenza tra le scritture antecedenti ed il Corano:“ ..le rivelazioni date a noi…e a Gesù…non facciamo differenze tra le une e le altre”. ● ● ● ● Sura Al-I-Imran 3:2 continua dicendo:”…Allah…lui ha (fatto pervenire/inviato) (la Legge (di Mosè) ed il Vangelo (di Gesù)..come guida per l’umanità”. Sura Nisaa 4:136 va oltre, ammonendo i musulmani a “…credere……ed alla scrittura che egli ha mandato prima di lui”. Nella Sura (capitolo) Maa-ida 5:47, 49, 50, 52, troviamo un diretto richiamo ai cristiani di credere nelle loro Scritture: “abbiamo mandato Gesù, il figlio di Maria, confermando la Legge che era pervenuta prima di lui. Gli abbiamo inviato il Vangelo... lascia che il popolo del Vangelo giudichi tramite ciò che Allah ivi ha rivelato, se alcuno viene meno nel giudicare mediante la luce di ciò che Allah ha rivelato, essi non sono migliori dei ribelli…”. Ancora, nella Sura Maa-ida 5:68 troviamo un simile richiamo: “Popolo del libro! Attenetevi alla Legge, il Vangelo ed a tutta la rivelazione che vi è pervenuta dal Vostro Signore. È la rivelazione che vi è giunta dal VOSTRO SIGNORE”. Questa idea dell’autorità dell’Antico e Nuovo Testamento è rafforzata nella Sura 10:49, dove ai musulmani si raccomanda di consultare queste scritture se hanno dei dubbi sulla loro fede. La stessa raccomandazione viene ripetuta nella Sura 21:7, come a voler sottolineare questo punto: “Se vi trovaste nel dubbio riguardo a ciò che vi abbiamo rivelato, allora interrogate coloro che hanno letto il Libro prima di voi. La verità vi è giunta, in effetti, dal vostro Signore”. “…Noi abbiamo mandato gli apostoli che erano semplicemente degli uomini, che noi abbiamo ispirato. Se non riconoscete questo, chiedete a coloro che posseggono il messaggio”. E infine, nella Sura Ankabut 29:46, ai musulmani viene richiesto di non dubitare dell’autorità delle Scritture dei cristiani: “E non disputate con il popolo del libro, ma dite: Noi crediamo nella rivelazione che è giunta a noi ed a quella giunta a voi”. Se qualcosa risulta chiaro da queste sure (capitoli), è che il Corano concorda fermamente che la Torà ed il Vangelo sono rivelazioni autentiche e autorevoli di Dio. Questo coincide perfettamente con ciò che i cristiani credono. 23 Difatti, nel Corano non troviamo nessun accenno che le Scritture precedenti fossero state alterate o contraddittorie. Se il Corano era veramente la rivelazione finale e completa, il sigillo di tutte le rivelazioni precedenti, come sostengono i musulmani, allora certamente l’autore del Corano avrebbe incluso un’ammonizione contro le scritture precedenti, se fossero state alterate. Ma non troviamo da nessuna parte una pur minima allusione al fatto che la Bibbia fosse contraddittoria o alterata. Tuttavia oggi alcuni musulmani sostengono, appellandosi alla Sura 2:140, che i giudei ed i cristiani hanno corrotto le proprie scritture. Questa aya (verso) dice a proposito dei giudei: “…chi è più ingiusto di coloro che nascondono la testimonianza ricevuta da Allah?” Eppure questa aya non parla affatto di giudei e cristiani che hanno alterato le loro scritture. Afferma soltanto che certi giudei hanno nascosto “la testimonianza che hanno ricevuto da Allah”. In altre parole, la testimonianza esiste ancora (ecco perché le Sure citate in precedenza ammoniscono i musulmani affinché rispettino le Scritture anteriori), nonostante i seguaci di questa testimonianza abbiano scelto di tenerla nascosta. Semmai questa aya dimostra in modo lampante l’approvazione della credibilità delle scritture anteriori, dal momento che riconosce l’esistenza di una testimonianza di Allah all’interno della comunità giudaica. Dio non cambia la sua Parola Per di più, secondo sia le Scritture giudeo-cristiane sia il Corano, Dio non cambia la sua Parola. Egli non cambia la sua rivelazione (nonostante la legge dell’abrogazione della parola di allah trovata nel Corano). La Sura 10:64 afferma: “Non vi può essere nessun cambiamento nelle parole di Allah”. Questo è ripetuto nella Sura 6:34: “Nessuno può alterare le parole di Allah,” e lo si trova anche nella Sura 50:28-29. Similmente, ci sono diversi riferimenti nella Bibbia all’immutabilità della Parola di Dio, ad esempio Deuteronomio 4:1-2; Isaia 8,20; Matteo 5:17-18 ed Apocalisse 22:18-20. Se questo è un tema ricorrente sia nella Bibbia sia nel Corano, appare inverosimile che ci siano nella Bibbia la molteplicità di contraddizioni che i musulmani affermano di trovare nella Bibbia. Che cosa dobbiamo fare dunque con le contraddizioni che, secondo i musulmani, ci sarebbero nella Bibbia? 24 L’analisi delle contraddizioni Quando prendiamo in esame le presunte contraddizioni nella Bibbia additate dai musulmani, scopriamo che molti di esse non sono affatto errori, ma piuttosto un fraintendimento del contesto, o semplicemente dovute a inesattezze nella trascrizione. È facile spiegare le prime mentre le inesattezze nella trascrizione vanno esaminate con più attenzione. È abbastanza chiaro che i libri dell’Antico Testamento furono scritti tra il 16° ed il 5° secolo a.C. sull’unico tipo di materiale disponibile a quel tempo, cioè pezzi di papiro che si deterioravano piuttosto velocemente, perciò bisognava ricopiarli di continuo. Sappiamo che per 3.000 anni l’Antico Testamento è stato copiato a mano, mentre il Nuovo Testamento è stato copiato a mano per 1.400 anni nell’ambito di comunità isolate, in diversi paesi e continenti. Eppure questi scritti sono rimasti fondamentalmente immutati. Fino ad oggi sono stati scoperti molti manoscritti più o meno antichi che possono essere messi a confronto con quelli più primitivi. Infatti abbiamo a disposizione una vastissima collezione di manoscritti, da utilizzare per la conferma della credibilità testuale del documento in questione. Per quanto riguarda i manoscritti del Nuovo Testamento, siamo in possesso di 5.300 manoscritti greci o frammenti di esso; 10.000 manoscritti della Vulgata in Latino ed almeno altri 9.300 di antiche traduzioni. Al momento sono disponibili più di 24.000 manoscritti dell’intero Nuovo Testamento o parte di esso. Abbiamo perciò molto più materiale con cui delineare eventuali punti discordanti. Dove ci sono state variazioni del testo, queste forme sono state identificate e tolte, e annotate in note a piè di pagina ai punti appropriati del testo. Ciò non implica in nessun modo eventuali difetti nella nostra Bibbia (che si possono far risalire alle copie autografe). I cristiani riconoscono apertamente l’esistenza di trascurabili errori introdotti da copisti nelle copie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Va oltre le capacità umane riuscire a non commettere alcun errore di trascrizione quando ci si mette a copiare pagina dopo pagina di un testo, sacro o secolare che sia. Coloro che erano incaricati della trascrizione (scribi o copisti) tendevano a commettere due tipi di errore di trascrizione ben conosciuti e documentati dagli esperti d’analisi di manoscritti. Uno riguarda la morfologia dei nomi propri (soprattutto nomi stranieri poco conosciuti), e l’altro i numeri. Il fatto che questi siano i tipi di 25 errore più comuni anche nel caso della Bibbia, conferma che l’origine di tali errori è da ricercare nel processo di trascrizione del testo. D’altra parte, se gli originali fossero davvero in contraddizione, se ne troverebbe evidenza nel contesto delle narrazioni stesse. (Archer 1982:221-222). È importante ricordare, tuttavia, che nessuna variante del testo biblico ben documentata nelle copie dei manoscritti pervenute a noi, modifica alcuna delle dottrine insegnate nella Bibbia, a dimostrazione che, in quanto alla dottrina, lo Spirito Santo ha esercitato un controllo determinante nella trasmissione del testo. Dal momento che Dio non ha mai assicurato che le Scritture sarebbero state tramandate senza errori – in questo senso soltanto la copia autografa di ogni libro è pienamente ispirata - appare necessaria la critica testuale come strumento per identificare gli errori infiltratisi nel testo, a mano a mano che veniva tramandato nel tempo. Il verdetto di questo ramo della filologia è che il testo ebraico dell’Antico Testamento e quello greco del Nuovo Testamento della Bibbia, sono stati sorprendentemente ben conservati, sicché possiamo affermare tranquillamente, come fa la Confessione di Westminster, che Dio è intervenuto in modo singolare in tutta l’impresa, e possiamo altresì dichiarare che l’autorità delle Scritture non è per nulla pregiudicata a motivo del fatto che le copie attualmente disponibili del testo ebraico e greco della Bibbia non sono del tutto esenti di errori marginali. Similmente, nessuna traduzione è, o può essere, perfetta, e con ogni traduzione ci si allontana un altro passo dall’autografo. Malgrado ciò, la scienza linguistica afferma, che i cristiani hanno oggi a disposizione moltissime traduzioni eccellenti, e non hanno ragione di dubitare di avere in mano l’autentica Parola di Dio. In effetti, considerata la frequente ripetizione, nella Scrittura, delle questioni principali che essa tratta e con la testimonianza costante dello Spirito Santo alla Parola e per mezzo di essa, nessuna traduzione affidabile della Sacra Scrittura potrà mai oscurare il suo significato al punto tale da toglierle la capacità di rendere il lettore “savio a salvezza per mezzo della fede che è in Cristo Gesù” (2 Timoteo 3:15). Tenendo in mente queste considerazioni, esaminiamo ora gli esempi che il teologo musulmano Shabir Ally riporta nel suo libretto, per meglio accertare se le Scritture possano o meno reggere la prova dell’autorità descritta sopra. 26 Alla seconda pagina del suo libretto “101 contraddizioni evidenti della Bibbia”, Shabir Ally afferma: “Si concede il permesso di copiare questo libretto per divulgare la verità”. Noi, gli autori del presente documento, siamo ben lieti di adempiere alla richiesta del signor Ally. Anche se non abbiamo copiato tutte le sue parole, abbiamo comunque riprodotto le presunte contraddizioni contenute nel libretto, confutandole punto per punto. Attraverso queste confutazioni facciamo proprio ciò che Ally vuole, cioè, divulgare la verità! Infatti dimostriamo il solido fondamento della Bibbia, che è la verità. Noterete che dopo alcune domande abbiamo dato più di una risposta. L’abbiamo fatto per dimostrare che ci sono diversi modi d’intendere un problema apparente all’interno del testo biblico. 1. È Dio che istiga Davide a fare il censimento del suo popolo (2 Samuele 24:1) oppure è satana a farlo (1 Cronache 21:1)? * Categoria: frainteso come Dio opera nel corso della Storia Possono sembrare due dichiarazioni contrastanti, a meno che, naturalmente, non siano entrambe vere. Il fatto sotto esame ebbe luogo verso la fine del regno di Davide. Il re passò in rassegna le sue brillanti conquiste che avevano visto ridurre in uno stato di vassallaggio e dipendenza da Israele i regni di Canaan, Siria e Fenicia. Nell’ordinare il censimento, il Re manifestò orgoglio e presunzione, a causa dei suoi successi, e dimostrò di pensare più in termini di armamenti e truppe che non in termini della misericordia di Dio. Perciò il Signore decise di costringere Davide a abbassarsi, affinché tornasse a dipendere dalla misericordia di Dio. Perciò lo lasciò libero di portare avanti il suo censimento, di modo che alla fine potesse rendersi conto da solo quanto di buono ne sarebbe scaturito per lui, poiché l’unico risultato del censimento sarebbe stato quello di gonfiare l’orgoglio patriottico (come previsto da Joab nel suo avvertimento in 1 Cronache 21:3). Appena il censimento fu portato a termine, Dio portò ad effetto il suo proponimento di punire gli israeliti con una piaga disastrosa che provocò la morte di 70.000 persone, come descritto in 2 Samuele 24:15. E satana? Perché mai avrebbe dovuto immischiarsi in questa faccenda (1 Cronache 21:1) se era Dio a indurre Davide a compiere _________________________________________________________________________ * Quando leggi Categoria, vai a pag. 103 per esaminare quante volte lo stesso argomento viene affrontato come contraddizione negli scritti di Shabir Ally. 27 la pazzia che aveva pensato? Le intenzioni del diavolo appaiono di natura puramente malevola, perché sapeva che un censimento sarebbe dispiaciuto al Signore (1 Cronache 21:7-8), quindi anche lui incitò Davide a portarlo a termine. Non si tratta di qualcosa di singolare; infatti anche in altre parti della Bibbia troviamo avvenimenti in cui il Signore e satana figurano insieme dietro le quinte di esperienze di afflizione che avevano lo scopo di mettere l’uomo alla prova: a) Nel libro di Giobbe, ai capitoli 1 e 2 vediamo Dio che lancia una sfida a satana, permettendogli di far piovere delle calamità su Giobbe. Il proposito di Dio era di purificare la fede di Giobbe e rafforzargli il carattere per mezzo della disciplina nelle avversità, mentre satana aveva unicamente propositi malvagi, desiderando che Giobbe ricevesse quanto più danno possibile, al punto di rinnegare il suo Signore. b) Allo stesso modo sia Dio che satana sono coinvolti nelle sofferenze dei cristiani perseguitati, come è scritto in 1 Pietro 4:19 e 5:8. Il proposito di Dio è di rafforzare la loro fede, per metterli in condizione di partecipare, in questa vita, alle sofferenze di Cristo, affinché possano rallegrarsi con lui nella futura manifestazione della sua gloria (1 Pietro 4:13-14); al contrario, il proposito di satana è di divorare i cristiani (1 Pietro 5:8), ovvero di trascinarli nell’autocommiserazione e nell’amarezza, e farli scendere giù al suo livello. c) Sia Dio che satana erano coinvolti nella triplice tentazione che Gesù subì durante il suo ministero sulla terra. Nel proposito di Dio, queste tentazioni lo avrebbero fatto trionfare completamente sullo stesso tentatore che aveva fatto cadere il primo Adamo, mentre lo scopo di satana era di far desistere Gesù dal compiere la sua missione messianica. d) Nel caso di Pietro che rinnegò tre volte Gesù nel cortile del sommo sacerdote, è Gesù stesso ad indicare i propositi di entrambi le parti in questione, dicendo in Luca 22:31-32: “Simone, Simone, ecco, satana ha chiesto di vagliarti come si vaglia il grano. Ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai tornato, conferma i tuoi fratelli”. e) E infine la stessa crocifissione costituisce un altro esempio in cui Dio e satana sono entrambi coinvolti. Il piano di satana si palesò nel momento in cui ebbe riempito il cuore di Giuda con odio ed inganno (Giovanni 13:27) inducendolo a tradire Gesù. 28 Il proponimento del Signore nella crocifissione, invece, era che Gesù, l’Agnello ucciso sin dalla fondazione del mondo, dovesse dare la sua vita come riscatto per molti, affinché l’uomo ritornasse a godere di quella relazione con Dio che era stata interrotta nel giardino dell’Eden, ma che ora diventa eterna. Abbiamo quindi ben cinque esempi dove sono coinvolti nello stesso momento sia Dio che satana, ma con propositi totalmente opposti. I piani di satana in tutti i casi, tra cui il censimento di Davide, erano motivati da intenti malvagi, mentre il Signore dimostra un proponimento totalmente diverso. Il suo scopo era benevolo, avendo di mira la vittoria finale ma al tempo stesso il rafforzamento della persona messa alla prova. In tutti i casi, il trionfo di satana è risultato limitato e passeggero, mentre nell’esito dell’accaduto il proposito di Dio fu raggiunto, contribuendo in modo sostanziale all’avanzamento della sua causa. (Archer 1982:186-188). 2. In 2 Samuele 24:9 è scritto che la popolazione totale d’Israele era di 800.000 mentre in 1 Cronache 21:5 è di 1.100.000. Categoria: frainteso il contesto storico oppure l’intento dell’autore Ci sono vari modi per intendere questo problema, ed anche quello successivo, dato che entrambi si riferiscono agli stessi brani ed al medesimo censimento. È possibile che le differenze tra i due resoconti siano in relazione alla natura non ufficiale ed incompleta del censimento (analizzeremo quest’aspetto in seguito), oppure che il libro di Samuele presenti cifre arrotondate, soprattutto per Giuda. La risposta più plausibile tuttavia è che il censimento descritto in un brano includa categorie di uomini escluse nell’altro brano. Si può pensare che 1 Cronache 21:5 includa tutti gli uomini disponibili in età da combattimento, guerrieri esperti e non, mentre il resoconto in 2 Samuele 24:9 si riferisca solo agli uomini pronti alla battaglia. Nel resoconto di Joab, in 2 Samuele 24, viene usata la parola “hayil”, tradotta “uomini forti” o truppe con esperienza di guerra, parlandone come se si trattasse di 800.000 veterani. È ragionevole pensare che vi fossero altri 300.000 uomini in età da combattimento tenuti in riserva, che non erano stati ancora impegnati sul campo di battaglia. I due gruppi perciò ammonterebbero a 1.100.000 29 uomini come descritti in 1 Cronache 21, dove il termine ebraico ‘is hayil non è usato per descriverli. (Archer 1982-1189 e Light of Life II 1992:189-190). 3. 2 Samuele 24:9 indica la cifra tonda di 500.000 uomini combattenti in Giuda, cioè 30.000 in più della voce corrispondente riportata in 1 Cronache 21:5 Categoria: frainteso il contesto storico È interessante notare che in 1 Cronache 21:6 viene specificato chiaramente che Joab non completò il conteggio, dato che non aveva ancora censito le tribù di Beniamino e di Levi. Questo era dovuto al fatto che Davide si sentiva colpevole di peccato e non sapeva se portare ancora avanti o meno il censimento. Di conseguenza, i numeri discordanti possono indicare l’inclusione o l’esclusione di certi gruppi non specificati. Troviamo ancora un riferimento a questo aspetto del censimento in 1 Cronache 27:23-24, dove è scritto che Davide non aveva incluso quelli al di sotto dei vent’anni. Ed ancora, poiché Joab non aveva portato a termine il censimento, il numero non fu registrato nelle cronache di Re Davide. Fu stabilito che il censimento doveva cominciare con le tribù al di là del Giordano (2 Samuele 24:5-9) seguita dalla tribù più a nord, ossia Dan, per poi scendere a sud verso Gerusalemme (versetto 7). Quindi il censimento di Beniamino sarebbe stato fatto per ultimo. Ne consegue che Beniamino non sarebbe stato incluso nel totale, né d’Israele né di Giuda. Nel caso di 2 Samuele 24, il numero di Giuda includeva il totale delle 30.000 truppe messe in campo da Beniamino. Quindi il totale di 500.000 comprendeva il contingente beniamita. È importante osservare che in seguito alla divisione del regno in nord e sud, dopo la morte di re Salomone nel 930 a.C., la maggior parte dei beniamiti rimase fedele alla dinastia di Davide e costituì (con la tribù di Simeone a sud) il regno di Giuda. È legittimo quindi pensare che fosse stato incluso Beniamino insieme a Giuda e Simeone nel sub totale di 500.000, anche se Joab potrebbe non averlo elencato nel primo resoconto che fece a Davide (1 Cron.21:5); perciò il totale finale complessivo dei soggetti adatti al combattimento risulta 1.600.000 (1.100.000 di Israele; 470.000 da GiudaSimeone e 30.000 da Beniamino). (Archer 1982:188-189 e Light of Life II 1992:189). 30 4. In 2 Samuele 24:13 si parla di sette anni di carestia mentre in 1 Cronache 21:12 solo di tre. Categoria: frainteso l’intento dell’autore e fraintesa la dicitura Possiamo considerare questa diversità di cifre in due modi diversi. Il primo è di ipotizzare che l’autore di 1 Cronache abbia inteso enfatizzare il periodo di tre anni in cui la carestia sarebbe stata più intensa, mentre l’autore di 2 Samuele ha incluso i due anni precedenti ed i due successivi a quel periodo, quando la carestia rispettivamente si stava aggravando e diminuendo. L’altro modo prende in considerazione le parole usate in ciascun versetto; a ben guardare la dicitura in 1 Cronache 21 è molto diversa da quella usata in 2 Samuele 24. In 2 Samuele 24:13 la domanda è: “Vuoi che vengano per te sette anni di carestia? In 1 Cronache 21:12 troviamo invece: “scegliti o tre anni di carestia oppure …” Potremmo concludere che 2 Samuele 24:13 si riferisca al primo contatto del profeta Gad con Davide, quando una delle alternative era “sette anni”; mentre Cronache 21:12 si riferisca al secondo e ultimo contatto tra Nathan ed il Re quando il Signore (sicuramente in risposta alla supplica intensa di Davide) ridusse la severità di quella tremenda alternativa a tre anni di carestia invece di sette. Davide optò, invece, per la terza alternativa proposta dal Signore, sottostando a tre giorni di terribile pestilenza che provocò la morte di 70.000 uomini in Israele. (Archer 1982:189-190 e Light of Life II 1992:190). 5. Il Re Achaziah aveva 22 anni (2 Re 8:26) o 42 (2 Cronache 22:2) quando iniziò a regnare su Gerusalemme? Categoria: errore del copista Dato che abbiamo a che fare con resoconti scritti migliaia di anni fa, non possiamo aspettarci di avere oggi in mano le copie originali degli stessi, dato che si sono deteriorati nel corso dei secoli. Dobbiamo affidarci alle copie degli originali che, a loro volta, furono copiate in un processo che si ripeteva per secoli. Abbiamo notato che i copisti tendevano a commettere due tipi di errori ortografici: la trascrizione dei nomi di persona e dei numeri. 31 L’ esempio di contraddizione numerica riguarda il decennio indicato nel numero. Secondo 2 Re 8:26, Achaziah aveva 22 anni mentre secondo 2 Cronache 22:2 ne aveva 42. Felicemente, nel testo biblico ci sono sufficienti informazioni aggiuntive per dimostrare che il numero corretto è 22. Più indietro in 2 Re 8:17, l’autore scrive che il padre di Achaziah, Jehoram, aveva 32 anni quando divenne re, morendo otto anni più tardi all’età di 40. Perciò Achaziah non poteva avere 42 anni al momento della morte di suo padre quarantenne! Simili errori di copiatura non intaccano minimamente la fede degli Ebrei e dei Cristiani. Spesso in casi del genere, troviamo altrove nella Bibbia un’informazione atta a correggere l’errore (in questo caso l’abbiamo trovato in 2 Re 8:26. (Inoltre va notato che gli scribi responsabili di fare le copie erano scrupolosamente onesti nella trasmissione dei testi biblici, trasmettendoli così come li avevano ricevuti, senza modificare nemmeno gli errori più evidenti che erano veramente rari). Nel rispondere alla prossima domanda presentiamo in modo più approfondito il modo in cui gli scribi potevano fraintendere i numeri nei manoscritti. (Archer 1982:188-189 e Light of Life II 1992:189) 6. Jehoiakin aveva 18 ann i (2 R e 2 4: 8) oppur e 8 (2 Cronache 36:9) quando divenne re di Gerusalemme? Categoria: errore di copiatura Ancora una volta il contesto di questi due brani fornisce informazione a sufficienza per dedurre che le cifra 8 è sbagliata mentre 18 è corretta. Otto anni è un’età insolitamente giovane per assumere il comando di una nazione. Alcuni commentatori ritengono invece che ciò fosse verosimile. Sostengono che il padre di Jehoiakin lo fece regnare al suo fianco per addestrarlo alla guida futura del regno. In questo caso Jehoiakin sarebbe diventato ufficialmente re all’età di 18 anni, alla morte del padre. Però è più verosimile pensare che si tratti di un tipico caso d’errore nella trascrizione di numeri. Può essere utile ricordare che in ebraico c’erano tre modi di scrivere i numeri. Il più antico (descritto in dettaglio più avanti), consisteva in una serie di segni. 32 Questo metodo è testimoniato nei Papiri di Elefantina, e fu usato da Giudei che si stabilirono vicino al Nilo nel 5° secolo a.C. Il secondo modo era l’utilizzo di lettere dell’alfabeto a cui venivano attribuite un valore numerico. Infine fu introdotto un terzo sistema, con il quale fu imposto, dalla corporazione di so-perim, la scrittura per estesa del numero. Fortunatamente possiamo consultare un vasto archivio di documenti scritti su papiri che testimoniano questi tre modi. Come per molte discrepanze numeriche, nel caso citato sopra è il numero indicante la decade che varia. È istruttivo osservare che le notazioni numeriche usate dai Giudei al tempo di Ezra e Nehemia, e testimoniate nei Papiri di Elefantina, evidenziano il modo primitivo di scrivere i numeri. Tratti orizzontali che terminavano verso destra con un uncino discendente rappresentavano le decine (due tratti orizzontali, uno sopra l’altro, stava per indicare 20). I numeri sotto il 10 erano rappresentati da tratti verticali. Quindi il numero 8 sarebbe stato /III IIII, ma 18 sarebbe stato /III IIII con l’aggiunta di una linea orizzontale con uncino discendente. Similmente 22 sarebbe stato /I seguito da due uncini orizzontali, mentre 42 sarebbe stato /I seguito da due serie di uncini orizzontali. Quindi, se nel manoscritto originario da cui si ricavava la copia, erano presenti sbavature o macchie, uno o più segni numerici rappresentanti le decine potrebbero essere sfuggiti al copista. È più facile che al copista sfuggisse un fregio sfocato o scancellato, piuttosto che avesse erroneamente pensato di aver visto un tratto in più non presente nell’originale. Nella Bibbia detta “con note e commenti di John MacArthur” (Nuova Riveduta 2006), per una migliore chiarezza, le note a piè di pagina informano il lettore che i MSS (manoscritti) ebraici antichi portano l’errore di trascrizione, mentre i MSS della traduzione greca (detta LXX), portano le cifre corrette. È logico correggere i numeri una volta scoperto l’errore di trascrizione. Questo non nega assolutamente l’autenticità né l’autorità delle Scritture in nostro possesso. La conferma di questo tipo d’errore di copiatura si trova anche in diverse opere di autori pagani. Per esempio, nell’iscrizione nella roccia Behistun eretta da Dario 1, il numero dei morti nella carneficina dell’armata di Frada viene indicato come 55.243, con 6.572 prigionieri, secondo la colonna babilonese. 33 Copie di quest’iscrizione trovate in Babilonia, invece, registrano il numero dei prigionieri in 6.973. Tuttavia, nella traduzione aramaica di quest’iscrizione scoperta a Elefantina in Egitto, il numero dei prigionieri risulta 6.972. Similmente, nella sezione 31 della stessa iscrizione, la colonna Babilonese indica come 2.045 i prigionieri uccisi dell’armata ribelle di Frawartish, con 1.558 prigionieri, mentre nella copia aramaica, il conto dei prigionieri ammonta a più di 1.575. (Archer 1982:206-207, 214-215, 222, 230; Nehls pp.17-18; Light of Life II 1992:204-205) 7. Il re Jehoiakin regnò su Gerusalemme per tre mesi (2 Re 24 :8) o per tre mesi e dieci giorni (2 Cronache 36:9)? Categoria: frainteso l’intento dell’autore Qui di nuovo, come abbiamo visto nelle confutazioni numero 1 e 2, l’autore delle Cronache è stato più specifico nelle sue numerazioni, mentre l’autore del libro dei Re ha semplicemente arrotondato il numero dei mesi, ritenendo i dieci giorni aggiuntivi troppo poco rilevanti da essere menzionati. 8. Il capo dei valorosi di Davide trafisse, uccidendoli, 800 uomini (2 Samuele 23:8) o soltanto 300 (1 Cronache 11:11)? Categoria: frainteso il contesto storico o l’intento dell’autore È possibile che entrambi gli autori abbiano descritto due diverse vicende, protagonista sempre la stessa persona, oppure un autore potrebbe aver narrato in parte quello che l’altro descrive per intero. (Light of Life II 1992:187). La Bibbia, con note e commenti di John MacArthur (Nuova Riveduta 2006), riporta che si tratta probabilmente di un errore di copista in 1 Cronache 11:11. 34 9. L’Arca del Patto fu trasportata da Davide a Gerusalemme dopo aver sconfitto i Filistei (2 Samuele 5 e 6) oppure prima (1 Cronache capitoli 13 e 14)? Categoria: non ha letto il testo per intero Questo non è un problema vero e proprio. Shabir Ally avrebbe dovuto continuare a leggere fino a 1 Cronache 15, così avrebbe visto che Davide trasferì l’Arca dopo aver sconfitto i Filistei. Il motivo è che gli Israeliti avevano trasferito l’Arca per due volte; la prima da Baalè, prima della sconfitta dei Filistei, come leggiamo in 2 Samuele 5 e 6 ed in 1 Cronache 15. Quando il profeta narra la vittoria di Davide sui Filistei, parla anche delle due volte in cui l’Arca venne trasferita. In ogni modo, in 1 Cronache l’ordine è il seguente: L’Arca fu spostata la prima volta da Baalè, poi Davide sconfisse i Filistei, infine l’Arca fu spostata dalla casa di ObedEdom a Gerusalemme. Quindi, i due resoconti non sono per niente contradditori. Semplicemente, qui abbiamo un profeta che ha scelto di narrare in un unico racconto l’intera storia dell’Arca (piuttosto che riferirne in seguito), ed un altro scrittore che ci presenta questa storia in modo diverso. In entrambi i casi, la collocazione nel tempo della vicenda è la stessa. Si potrebbe dire altrettanto del Corano. Nella Sura 2 ci viene presentata la caduta di Adamo, poi la misericordia di Dio è manifestata agli Israeliti, poi c’è l’episodio dell’annegamento del Faraone, dopodiché abbiamo Mosè ed il vitello d’oro, poi le lamentele degli Israeliti per il cibo e l’acqua, e di nuovo l’episodio del vitello d’oro. In seguito a questo, leggiamo di Mosè e Gesù, poi leggiamo di Mosè e del vitello d’oro, e poi di Salomone e Abraamo. Volendo parlare di cronologia, cosa ha a che fare Mosè con Gesù, o Salomone con Abraamo? Secondo l’ordine cronologico la Sura avrebbe dovuto iniziare dalla caduta d’Adamo, per proseguire, in quest’ordine: Caino ed Abele, Enoc, Abraamo, Lot, Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe, i figli d’Israele, e Mosè. Se si trova un tale capovolgimento cronologico in questa Sura del Corano, allora Ally avrebbe fatto meglio a spiegarlo prima di criticare ciò che, a suo parere, è un errore nella Bibbia. (Light of Life II 1992:176) 35 10. Noè doveva portare con sé nell’Arca 2 paia di ogni specie di creature viventi (Genesi 6:20) oppure 7 paia di animali “puri” (Genesi 7:2; Genesi 7:8,9)? Categoria: citazione erronea del testo Questa è davvero una domanda strana. È ovvio che Shabir Ally ha citato in modo errato il testo del 6° capitolo della Genesi, che non parla di “due paia”, bensì di “due di ogni specie”. Inoltre c’è da notare che nel capitolo 7 si fa una distinzione tra animali puri ed impuri. Genesi 7:2 dice che Noè doveva prendere 7 paia di animali puri e un paio di ogni specie di animale impuro. È curioso che Ally, nel formulare la sua sfida, non ha menzionato la seconda parte di questo versetto che specifica un paio. È ovvio che non c’è nessuna discrepanza tra i due racconti. Il problema è nella domanda. Shabir Ally tenta di avvalorare la sua tesi affermando che i versetti 8 e 9 del capitolo 7 dimostrano che soltanto 2 coppie entrarono nell’arca. Tuttavia, questi versetti non dicono nulla a proposito di quante coppie entrano nell’arca; dicono semplicemente che nell’arca entrarono delle coppie di animali, uccelli e creature, puri ed impuri. Il motivo per cui vennero inclusi 7 paia di ogni specie pura è perfettamente evidente: dovevano servire per gli olocausti da offrire dopo il ritiro delle acque, come infatti accadde (Genesi 8:20). È ovvio che, se non ce ne fossero stati più di due di ciascuna specie pura, se ne sarebbe causata l’estinzione dopo il sacrificio sull’altare. Ma nel caso degli animali e uccelli impuri, un solo paio di ciascuna specie sarebbe stato sufficiente, dato che non sarebbero serviti per i sacrifici di sangue. (Archer 1982:81-82) 11. Davide catturò 1.700 cavalieri del re Tsobah (2 Samuele 8:4) o 7.000 (1 Cronache 18:4)? Categoria: errore del copista Ci sono due possibili spiegazioni di queste cifre discordanti. La prima, di Keil e Delitzsh (p.360) è molto convincente; essi affermano che la parola per “fanteria” (o cavalleria, milizie) rekeb, fu inavvertitamente omessa dallo scriba nel ricopiare 2 Samuele 8:4, 36 e che la seconda cifra, 7.000 (dei parasim “cavalieri) fu necessariamente ridotto a 700 dai 7.000 che aveva visto nel suo Vorlage, per il semplice motivo che nessuno poteva scrivere 7.000 dopo aver scritto 1.000, nel registrare un’unica e medesima cifra. L’omissione di rekeb potrebbe essere avvenuta ad opera di qualche scriba precedente e una riduzione da 7.000 a 700 sarebbe stata ripetuta anche da copisti successivi. Ma con ogni probabilità, la cifra in Cronache è quella giusta e i numeri in Samuele andrebbero corretti per concordare con essi. Una seconda spiegazione parte dalla premessa che il numero ridotto a 700 in realtà si riferisse a 700 schiere, ciascuna composta di 10 cavalieri, ottenendo quindi il totale di 7.000. (Archer 1982:184: Keil & Delitzsch 1949:360; Light of Life II 1992:182) La Bibbia, con note e commenti di John MacArthur (Nuova Riveduta 2006), afferma attendibile i dati in 1 Cronache 18:4. 12. Salomone possedeva 40.000 scuderie per i suoi cavalli (1 Re 4:26) o piuttosto 4.000 (2 Cronache 9:25)? Categoria: errore del copista, o frainteso il contesto storico Ci sono diversi modi di spiegare questa differenza di una dimensione tale che lascia perplessi. Il più plausibile è simile a quello che si trova nelle confutazioni cinque e sei (si veda sopra), dove è stato suggerito che il numero che indicava la decade poteva essere stato cancellato o sfocato per l’usura. Altri credono che le scuderie a cui si riferisce in 2 Cronache fossero in realtà delle grandi stalle che ospitavano 10 cavalli ciascun, quindi, una fila di 10 stalle. Pertanto 4.000 di queste grandi stalle equivarrebbero a 40.000 di quelle piccole. Un altro commentatore sostiene che il numero delle scuderie riportato in 1 Re fosse il numero delle stalle quando Salomone iniziò a regnare, mentre il numero riportato in 2 Cronache indicherebbe il numero delle scuderie esistenti alla fine del suo regno. Sappiamo che Salomone regnò per 40 anni; senza dubbio, molti cambiamenti erano avvenuti durante quel periodo. È assai probabile che, nel clima di pace che caratterizzava il suo regno, egli avesse ridotto la portata dell’apparato militare che suo padre Davide gli aveva lasciato. 37 (Archer 1982:184: Keil & Delitzsch 1949:360; Light of Life II 1992:182) Un altro commentatore, John MacArthur (Nuova Riveduta 2006), concorda che dovrebbe trattarsi di 4.000, come in 2 Cr 9:25. 13. Secondo l’autore, il re d’Israele Baasa morì nel 26° anno del regno di re Asa (1 Re 15:33) o era, invece, ancora vivo nel 36° anno (2 Cronache 16:1)? Categoria: frainteso il contesto storico, o errore del copista Ci sono due possibili spiegazioni. Per cominciare, gli studiosi che hanno esaminato questi due brani hanno concluso che il 36° anno di Asa dovrebbe essere calcolato dal momento del ritiro delle 10 tribù di Israele da Giuda e Beniamino, ritiro che causò la suddivisione del paese nei due regni di Giuda e Israele. Visto in quest’ottica, il 36° anno del regno diviso corrisponderebbe al 16° anno di Asa. Questo è avvalorato dal Libro dei Re di Giuda e Israele, così come da documentazioni contemporanee che seguono questa convenzione. (Per una spiegazione più dettagliata di questa teoria, cfr. Archer,p. 225). Keil e Delitzch (pp. 336-337) erano più propensi a considerare il numero 36 in 2 Cronache 16:1 ed il numero 35 in 15:19 come errori del copista, rispettivamente per 16 ed 15. Questo problema è simile a quanto discusso nel rispondere alle presunte contraddizioni 5 e 6. In questo caso, comunque, i numeri furono scritti usando l’alfabeto ebraico, invece del tipo egiziano dai tratti multipli, usato nel Papiri Elefantini, menzionati nel rispondere alle domande 5 e 6. Quindi è abbastanza probabile che il numero 16 potesse essere facilmente confuso con il 36. Questo era dovuto al fatto che fino al 7° sec. a.C, la lettera yod (=10) assomigliava moltissimo alla lettera lamed (30), a parte due trattini minuscoli attaccati a sinistra dei tratti verticali principali. Per l’eccessiva usura del rotolo, era facile provocare una lieve sbavatura e sfocare così una parola; poteva succedere così che la lettera yod finisse per assomigliare a lamed. È possibile che questo errore fosse occorso per primo nel brano precedente, 2 Cronache 15:19 (con il 35 copiato erroneamente al posto del 15 originale); poi, per renderlo compatibile in 16:1, lo stesso scriba (o forse uno dopo di lui) concluse che 16 stava per 36, e pertanto, nella sua copia, lo cambiò. 38 (Archer 1982:226: Keil & Delitzsch 1949:366-367; Light of Life II 1992:194) 14. Salomone designò 3.600 sorveglianti (2 Cronache 2:2) per il lavoro di costruzione del tempio o erano invece soltanto 3.300 (Re 5:16)? Categoria: frainteso l’intento dell’autore Non si tratta di un problema poi così grave. La spiegazione più verosimile è che l’autore di 2 Cronache avesse incluso i 300 uomini selezionati come riserve, che avrebbero dovuto eventualmente rimpiazzare quei sorveglianti che si ammalavano o morivano, mentre l’autore del brano di 1 Re 5:16 avrebbe tenuto conto soltanto del gruppo dei sorveglianti effettivi. In un gruppo di 3.300, senz’altro ci sarebbero state persone che s’ammalavano o morivano durante un tempo lungo di costruzione del tempio, da qui la necessità di avere delle riserve da chiamare all’occorrenza. (Light of Life II 1992:192) 15. Salomone costruì una struttura che conteneva 2.000 bati (1 Re 7:26) oppure 3.000 (2 Cronache 4:5)? Categoria: frainteso l’intento dell’autore, o errore del copista Il verbo ebraico tradotto “conteneva” in 1 Re 7:26 è diverso da quello usato in 2 Cronache 4:5, che può significare “riceveva”. Il significato potrebbe essere che il mare normalmente conteneva 2.000 bati (ca 80.000 litri), ma una volta riempito fino alla massima capacità, poteva ricevere e contenere 3.000 bati (ca 120.000 litri). Quindi, il narratore accenna alla quantità d’acqua che avrebbe reso il mare simile ad un corso d’acqua corrente, piuttosto che ad un lago stagnante. Da questo apprendiamo che ci volevano 120.000 litri di acqua per riempire completamente il mare, che normalmente ne conteneva 80.000 litri. Un’altra spiegazione si basa su un ragionamento menzionato in precedenza, cioè, che il numero 2000 scritto in caratteri ebraici è stato confuso dallo scriba con un numero alfabetico simile, che stava per il numero 3.000. 39 Bisogna notare che Shabir Ally (nel suo dibattito del 25 febbraio 1998 contro Jay Smith, a Birmingham, UK) ha citato questa “contraddizione” ed ha altresì aggiunto che se la vasca (detto “mare”) avesse avuto un diametro di 10 cubiti, non avrebbe potuto avere una circonferenza di 30 cubiti, come dice il testo ( dato che “pi” stabilisce che avrebbe avuto una circonferenza di 31.416 cubiti o un diametro di 9.549). In quell’occasione Ally fece un commento spiritoso: “Trovatemi una vasca come quella ed io mi ci battezzerò!” Ma Shabir non aveva letto correttamente il testo, oppure voleva solo fare due risate a buon mercato (e fuori posto). Perché? Perché il testo dice che era di circa 8 cm di spessore ed aveva l’orlo a forma di giglio. Quindi, tutto dipende da che parte si prendono le misure. Misurando la vasca partendo dalla parte superiore o dalla parte inferiore dell’orlo, o dall’interno o l’esterno della vasca, si avranno dei diametri diversi; inoltre, a seconda che si parta dalla cima dell’orlo o dal punto più stretto, si avrà anche una circonferenza diversa. In altre parole, potrebbe andare a finire che Shabir Ally si battezzi per davvero, se qualcuno si prendesse la briga di fare una copia della vasca! (Haley p. 382; Light of Life II 1992:192) 16-21. Le cifre esatte che indicano il numero di Israeliti fatti uscire dalla cattività in Babilonia, si trovano in Esdra (2:6, 8, 12, 15, 19, 28) oppure in Nehemia (7:11, 13, 17, 20, 22, 32)? Categoria: frainteso il contesto storico Sia nel capitolo 2 di Esdra che nel capitolo 7 di Nehemia, sono elencate circa trentatré famiglie che fanno ritorno in Giudea dalla Babilonia. Di queste trentatré, diciannove famiglie sono identiche, mentre quattordici mostrano delle discrepanze nel numero di membri all’interno dei gruppi familiari (anche se Shabir ne elenca soltanto sei). In due casi c’è una persona in più o in meno, in un caso la differenza è di quattro persone, in due casi è di sei, in altri due casi è di nove, un’altra volta di undici, altre due volte di cento, un’altra ancora di duecentouno, un’altra di centocinque, un’altra famiglia differisce di trenta, mentre la _________________________________________________________________________ * Poiché le domande dal 16 al 21 parlano tutte del medesimo censimento, le ho messe insieme (N.d.A.) 40 differenza più grande è nella cifra che sta a indicare i figli di Azgad; una differenza di ben millecento tra il resoconto di Esdra 2 e quello di Nehemia 7. Come dobbiamo spiegare, allora, queste quattordici discrepanze? La risposta è piuttosto semplice, e Shabir, se avesse studiato un po’ la storia di questi due resoconti, non avrebbe perso il suo tempo a far domande del genere. Il fatto che nei due elenchi coesistano discrepanze ed analogie, avrebbe dovuto permettergli di afferrare la spiegazione. Ci sono due fattori essenziali da tenere a mente quando si considerano le discrepanze tra le due liste. La prima è la probabilità che, dal momento in cui le famiglie che volevano partire si erano registrate, fino al momento della partenza, c’era stato un lasso di tempo in cui qualcuno sarà deceduto, o si sarà ammalato così gravemente da non poter affrontare il viaggio, oppure erano intervenuti ostacoli insormontabili di qualche sorta. Così, il numero effettivo di chi era partito effettivamente non era uguale al numero di coloro che avevano avuto l’intenzione di partire. Un altro fattore, ancora più importante, riguarda le circostanze diverse in cui furono compilato i registri, un fatto importante che Shabir sembra ignorare completamente. Il registro di Esdra fu compilato mentre gli esuli erano ancora in Babilonia (fra il 460 e il 450 a.C.); Esdra 2:1-2), mentre il registro di Nehemia fu compilato in Giudea (intorno al 445 a.C) dopo la ricostruzione delle mura di Gerusalemme (Nehemia 7:4-6). Quell’intervallo che va dai 5 ai 15 anni tra la compilazione delle due liste, avrà certamente comportato delle differenze nei numeri riguardanti le famiglie elencate, se si considerano i decessi e altro. La maggioranza degli studiosi pensa che Nehemia avesse registrato coloro che effettivamente erano arrivati a Gerusalemme sotto la guida di Zorobabele e di Jeshua (Nehemia 7:7). D’altro lato, Esdra, fa riferimento alla lista precedente di coloro che all’inizio, in Babilonia, avevano manifestato l’intenzione di unirsi agli esuli che stavano per fare ritorno, verso il 450 a.C. Le discrepanze tra queste due liste ci fanno notare che erano sorti dei nuovi fattori che fecero loro cambiare idea. Alcuni potrebbero non essere stati più d’accordo, altri potrebbero aver rinviato la partenza per via degli affari, mentre di sicuro ci saranno stati decessi e malattie, ed in altri casi, qualcuno, tra quelli che volevano rimanere in Babilonia, potrebbe averci ripensato e deciso di partire all’ultimo minuto. Solo nel caso di alcuni gruppi familiari e gruppi 41 di persone provenienti da una stessa città, si verificò una riduzione nel numero delle persone che fecero ritorno. Tutti gli altri gruppi aumentarono di numero all’ultimo minuto, con un aumento che variava da 1 a 1.100 unità. Quando esaminiamo i nomi negli elenchi, vediamo che alcuni sono scritti in modi diversi. Tra i giudei di quel tempo (come quelli che vivevano nelle regioni orientali), le persone avevano un nome, un titolo ed un cognome. Quindi, i figli di Harif (Nehemia7:24) sono i figli di Jorah (Esdra 2:18), mentre i figli di Sia (Nehemia 7:47) sonoda identificare con i figli di Siaha (Esdra 2:44). Quando consideriamo tutti questi fattori, le differenze nei totali che appaiono in questi due conteggi non dovrebbero affatto sorprenderci. Lo stesso tipo di controversie si possono ritrovare in tutte le grandi migrazioni della storia dell’uomo.(Archer 1982:229-230 e Light of Life II 1992:219-220) 22. Pur concordando i totali (42.360) in Esdra 2:64 e Nehemia 7:66 per l’intera assemblea, quando le singole cifre elencati in questi due libri vengono sommati, risultano 29.818 in Esdra e 31.089 in Nehemia. Come mai? Categoria: errore del copista Si tratta con tutta probabilità di un errore del copista. I testi originali senz’altro riportavano i totali giusti, ma ad un certo punto, nelle copie eseguite durante i secoli, qualche scriba deve avere copiato in modo errato una delle liste, cambiando il totale con l’altro per farli collimare, senza aver prima sommato i numeri delle famiglie di ciascuna lista. Oppure si ipotizza che un copista abbia inavvertitamente registrato i totali dell’intera assemblea che si trovava a Gerusalemme, alla stessa epoca dello scriba. Ma poiché si era in epoca più tardiva, il numero sarebbe stato maggiore. Errori simili non cambiano assolutamente la storicità del resoconto, dato che in questi casi un’altra porzione delle Scritture generalmente corregge l’errore (in questo caso i conteggi). Come scrisse una volta il noto commentatore Matthew Henry: “pochi libri vengono stampati senza errori; eppure, gli autori non li rigettano per questo, né vengono attribuiti all’autore gli errori di stampa. Il lettore attento li corregge, valutandoli secondo il contesto o confrontandoli con altre porzioni della stessa opera”. (Light of Life II 1992:201, 219) 42 23. Erano 200 (Esdra 2:65) i cantori che accompagnavano l’assemblea o 245 (Nehemia 7:67)? Categoria: errore del copista Come alla domanda 7, si tratta anche qui di un errore del copista, dove uno scriba che stava ricopiando i numeri nel resoconto di Esdra ha semplicemente arrotondato la cifra di 245 a 200. 24. La madre di re Abijaha si chiamava Mikaiah, figlia di Uriel di Ghibeah (2 Cronache 13:2) oppure Maakah, figlia di Absalom (2 Cronache 11:20 e 2 Samuele 13:27)? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Questa apparente contraddizione è legata alla comprensione del termine ebraico bat, l’equivalente dell’italiano figlia. Anche se usato normalmente per indicare una discendente femmina di prima generazione, può ugualmente riferirsi ad una parentela più distante. Se ne può vedere un esempio in 2 Samuele1:24, che dice: “O figlie d’Israele, piangete per Saulo…”. Dato che Israele (chiamato anche Giacobbe) era morto circa 900 prima, è chiaro che si riferisce alle donne israelite, ossia la lontana discendenza femminile di Giacobbe. Vista in questa prospettiva, la contraddizione non sussiste più. 2 Cronache 13:2 afferma giustamente che Mikaiah è figlia di Uriel. Possiamo presumere che Uriel abbia sposato Tamar, l’unica figlia diretta di Absalom. Insieme ebbero Mikaiah che sposò il re Rehoboam e divenne madre di Abijah. Nell’affermare che Maakah era una figlia di Absalom, 2 Cronache 11:20 e 1 Re 15:2, non fanno altro che ricollegarla, invece che con il padre che era meno conosciuto, con il nonno. Abishalom è una variante di Absalom e Mikaia una variante di Maakah, quindi, l’albero genealogico è come segue: Absalom / Abishalom Tamar------Uriel Rehoboam-----Maakah/Mikaiah Abijah 43 25. Giosuè e gli Israeliti conquistarono (Giosuè 10:23,40) o non conquistarono Gerusalemme (Giosuè 15:63)? Categoria:una lettura poco attenta del testo La risposta breve è: non durante questa campagna. I versetti indicati sopra sono in completa armonia; la confusione nasce da una lettura errata del brano in questione. In Giosuè 10, è il re di Gerusalemme che viene ucciso: la sua città non viene conquistata (versetti 16-18 e 22-26). I cinque re Amorei ed i loro eserciti lasciarono le loro città per andare ad attaccare Gabaon. Giosuè e gli Israeliti li misero in rotta e i cinque re si rifugiarono nella caverna di Makkedah, dove furono catturati e portati a Giosuè. Per quanto riguarda i loro eserciti, il versetto 20 dice: “...i loro superstiti che sfuggirono si furono rifugiati nelle loro città fortificate” che indica chiaramente che le città non vennero occupate. In Giosuè 10:28-42 leggiamo il resto di questa particolare campagna militare. È scritto che varie città furono occupate e distrutte: Makkedah, Libnah, Lakish, Eglon, Hebron e Debir. Tutte queste città si trovavano a sud-est di Gerusalemme. Il re di Gezer ed il suo esercito furono sconfitti sul campo mentre saliva in aiuto a Lakish (versetto 33) e al versetto 30 viene fatto il confronto con la conquista precedente di Gerico; ma qui, in questo momento, nessuna di queste due città furono conquistate. I versetti 40 e 41 descrivono i limiti di questa campagna, che ebbe luogo a sud e a est di Gerusalemme. È importante notare che Gabaon, al limite orientale di questa campagna, si trova ancora a 10 miglia circa a nord-est di Gerusalemme. Quindi, nel resoconto di Giosuè 10, non risulta che Gerusalemme fu conquistata. Questo corrisponde perfettamente a Giosuè 15:63, che afferma che Giuda non riuscì a scacciare completamente i Gebusei che abitavano in Gerusalemme. 26. Era Giacobbe (Matteo 1:16) oppure Eli (Luca 3:23) il padre di Giuseppe, marito di Maria? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata La risposta è semplice ma necessita comunque di una spiegazione. Molti studiosi oggi concordano sul fatto che Matteo descrive la 44 genealogia di Giuseppe, mentre Luca descrive quella di Maria, di modo che Giacobbe risulta essere il padre di Giuseppe ed Eli il padre di Maria. Questo è dimostrato dalle due narrazioni della nascita verginale. Matteo 1:18-25 espone la vicenda soltanto dalla prospettiva di Giuseppe, mentre in Luca 1:26-56 è narrata interamente dal punto di vista di Maria. È logico chiedersi perché Giuseppe venga menzionato in entrambe le genealogie. La risposta, ancora una volta, è semplice. Luca segue la rigorosa tradizione ebraica menzionando soltanto i maschi. In questo caso, dunque, Maria viene citata in base al nome del marito. Questo ragionamento è chiaramente supportato da due linee di evidenza. Nella prima, ciascun nome nel testo greco della genealogia elencata in Luca, ad eccezione di Giuseppe, è preceduto dall’articolo determinativo (es: “L’ Eli, “il” Matthat”). Anche se non risulta evidente nelle traduzioni in italiano, lo noterebbe chiunque legga il greco, rendendosi conto che si sta descrivendo la stirpe della moglie di Giuseppe, pur essendovi registrato il nome di lui. La seconda linea di evidenza è il Jerusalem Talmud ebraico, che riconosce che la genealogia in questione è quella di Maria, in quanto si fa riferimento a lei come la figlia di Eli (Hagigah 2:4) (Fruchtenbaum 1993:10-13) 27. Gesù discendeva da Salomone (Matteo 1:6) o da Natan (Luca 3:31), entrambi figli di Davide? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Questa domanda è collegata direttamente alla n° 26. Avendo dimostrato che in Matteo è descritta la genealogia di Giuseppe e in Luca quella di Maria, risulta chiaro che Giuseppe discendeva da Davide attraverso Salomone, e Maria attraverso Natan. 28. Era Jechoniah (Matteo 1:12) o Neri (Luca 3:27) il padre di Salatiel? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Ancora una volta, il problema non sussiste una volta che si è compreso che le due diverse genealogie partono da Davide fino ad 45 arrivare a Gesù: stiamo parlando delle genealogie di Maria e quella di Giuseppe (vedi n° 26). Due diverse genealogie significano due uomini diversi di nome Salatiel, un nome comune ebraico. Quindi, non ci deve sorprendere il fatto che avessero un padre diverso! 29. Quale dei figli di Zorobabele era antenato di Gesù, Abiud (Matteo 1:13) o Resa (Luca 3:27) e che dire di Zorobabele in 1 Cronache 3:19-20? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Come al n°28, due diversi Salatiel esigono necessariamente due diversi Zorobabele; quindi il fatto che i loro figli avessero nomi diversi non costituisce affatto un problema. Non dovremmo stupirci nel trovare un Zorobabele figlio di Salatiel sia fra gli antenati di Maria che tra quelli di Giuseppe. In Matteo leggiamo che il padre di Giuseppe si chiamava Giacobbe. Naturalmente la Bibbia conosce anche un altro Giuseppe, figlio di Giacobbe, che diventò il secondo in comando del governo d’Egitto (Genesi 37-47). Non c’è motivo per pensare che questi due uomini fossero la medesima persona, similmente l’esistenza di due uomini che si chiamavano entrambi “Zorobabele, figlio di Salatiel”, non presenta alcun problema. È m o l t o p r o b abile che lo Z orobab e le me nz iona to in 1 Cronache 3:19-20 fosse una terza persona con lo stesso nome. Ancora una volta, nessun problema: varie Maria sono rammentate nei Vangeli, essendo il nome Maria comunissimo. La stessa cosa potrebbe dirsi anche per il caso citato nella domanda. Lo Zorobabele menzionato in Luca 3:27 potrebbe anche essere stato cugino di quello citato in Matteo 1:12-13. Un confronto tra Matteo e 1 Cronache ci dà il seguente possibile albero genealogico: Jehoiachin Salatiel---Malkiram---Pedaiah---Shenazzar---Jekamiah---Hoshama---Nedabiah---... Zorobabele Abiud Zorobabele----Shimei----... 7 figli (1 Cronache 3:19,20) Giuseppe 46 30. Era Ioram (Matteo 1:8) o Amaziah (2 Cronache 26:1) il padre di Ozia? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata La risposta è di natura simile a quella della n° 24. Il termine ebraico bat(figlia) può essere usato per indicare una discendente diretta oppure una più remota, e così pure il termine ben (figlio). In Matteo 1:1 Gesù è indicato come figlio di Davide, il figlio di Abrahamo. Entrambe le genealogie tracciano il lignaggio di Gesù attraverso entrambi questi uomini, illustrando come “figlio” veniva usato in senso più ampio. Anche se non esistono manoscritti ebraici del Vangelo di Matteo, è chiaro che lui era un ebreo che scriveva in un’ottica ebraica, quindi era perfettamente familiare con il concetto ebraico di progenie. Con questo in mente, si può facilmente dimostrare che Amaziah era il padre effettivo di Ozia, (chiamato anche Azariah). Ioram/ Jehoram, d’altra parte, era il trisavolo di Ozia. La linea corre come segue:Joram/Jehoram - Ahaziah - Joash - Amaziah - Azariah/Uzziah (2 Cronache 21:4; 26:1). Il modo in cui Matteo descrive la discendenza, a mo’ di caleidoscopio, è completamente accettabile, dato che il suo scopo è semplicemente quello di dimostrare la linea della discendenza. Egli commenta in 1:17 che c’erano tre sequenze di quattordici generazioni. Questo ci rivela la sua passione per i numeri e si collega direttamente alla definizione di Gesù come figlio di Davide. Nella lingua ebraica viene attribuito un valore numerico a ogni lettera. Il valore totale del nome Davide è quattordici ed è questo probabilmente il motivo per cui Matteo registra soltanto quattordici generazioni in ciascuna sezione, per sottolineare la posizione di Gesù come figlio di Davide. 31. Era Giosia (Matteo 1:11) o Jehoiakim (1 Cronache 3:16) il padre di Ieconiah? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata In sostanza questa domanda è la stessa della n°30. Jehoiakim era il padre di Ieconia e Giosia era suo nonno. Quindi la definizione di 47 Giosia come padre di Ieconiah è determinata dalla natura estetica della genealogia, e non da errori. 32. Erano quattordici (Matteo 1:17) o tredici (Matteo 1:12-16) le generazioni dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Come chiaramente attestato in Matteo 1:17, le generazioni erano quattordici. Nella prima sezione ci sono quattordici nomi, nella seconda quindici e nella terza quattordici. Forse il modo più semplice per risolvere il problema è presupporre che nella prima e nella terza sezione, la prima e l’ultima persona sono registrate come generazione, mentre nella seconda no. Se sia andato perduto qualche nome dalla lista originale a causa di errori di copiatura, non lo sappiamo. Qualunque sia la vera situazione rispecchiata qui, è perfettamente lecito addurre una semplice spiegazione come sopra. 33. Chi era il padre di Sala: Cainan (Luca 3:35-36) oppure Arphakshad (Genesi 11:12)? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata Anche se non si può dare una risposta definitiva in merito, ci sono comunque delle spiegazioni plausibili. La riposta più probabile è che nella genealogia descritta nel testo Masoretico della Genesi, le generazioni sono riassunte, come nel testo di Matteo. Quando esaminiamo la LXX (traduzione greca dell’AT), troviamo il nome Cainan registrato come padre di Sala, come in Luca. 34. Giovanni Battista era l’Elia che doveva venire (Matteo 11:14; 17:10-13) oppure no (Giovanni 1:19-21)? Categoria: frainteso il contesto storico In Matteo, Gesù afferma che Giovanni il Battista era l’Elia che doveva venire, mentre in Giovanni sembra che il Battista lo neghi. Il motivo di questa discrepanza apparente è la mancata contestualizzazione da parte di chi legge. 48 I sacerdoti ed i Leviti si presentarono a Giovanni il Battista chiedendogli se era Elia. Una domanda un po’ strana da porre a chi non conosce le Scritture ebraiche. Dio dice per mezzo del profeta Malachia che manderà Elia al popolo d’Israele prima della venuta del Signore (Malachia 3:1-2; 4:5-6). Quindi, una domanda del genere, visto che gli ebrei stavano aspettando Elia, non è affatto fuori luogo. Giovanni aveva circa 30 anni quando gli fu rivolta questa domanda. I suoi genitori erano già morti e lui era l’unico figlio di Zaccaria della tribù di Levi. Quindi, quando gli fu chiesto se fosse Elia, asceso al cielo circa 878 anni prima, la risposta ovviamente fu: “No, io non sono Elia”. Anche Gesù testimonia, seppur indirettamente, che Giovanni non era Elia, in Matteo 11:11, dove afferma che Giovanni è il più grande fra tutti i nati da donna. Mosè era più grande di Elia, ma Giovanni era più grande di entrambi. Perciò, cosa intendeva Gesù quando, parlando a proposito di Giovanni, afferma “egli è l’Elia che doveva venire?” L’angelo Gabriele (Jibril in arabo) parla a Zaccaria riguardo a suo figlio Giovanni, non ancora nato, dicendo: “andrà avanti a lui con lo spirito e la potenza di Elia, per volgere i cuori dei padri ai figli e i ribelli alla saggezza dei giusti, per preparare al Signore un popolo ben disposto” (Luca 1:17). L’angelo cita due profezie: Isaia 40:3-5 (cfr. Luca 3:4-6, dove si fa nuovamente riferimento a Giovanni il Battista) e Malachia 4:5-6, già menzionato sopra, che dice: “Ecco, io vi manderò Elia, il profeta, prima che venga il giorno grande e spaventevole dell’Eterno. Egli farà ritornare il cuore dei figli ai padri”. Inequivocabilmente Gabriele dichiara che Giovanni è l’Elia che Dio aveva preannunciato per bocca di Malachia. Dunque, Giovanni era Elia o no? No, non lo era in senso letterale. Ma se i sacerdoti ed i Leviti gli avessero chiesto: “Sei tu colui di cui ci parla il profeta Malachia? Giovanni avrebbe risposto affermativamente. Gesù, in Matteo 17:11-13, asserisce che la profezia di Malachia è veritiera, ma che Elia era già venuto. Dice che questo “Elia” aveva sofferto come avrebbe sofferto lui, Gesù: “I discepoli compresero che aveva parlato loro di Giovanni Battista”. Dunque, una volta capito il contesto, risulta tutto chiaro. Giovanni non era Elia nel senso letterale, ma lo era in senso analogico: era l’Elia di cui parlò la profezia, colui che doveva preparare (e preparò) la via al 49 Messia, a Gesù, all’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Giovanni 1:29). 35. Gesù avrebbe ereditato il trono di Davide (Luca 1:32) o no (Matteo 1:11; 1 Cronache 3:16 e Geremia 36:30)? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata La risposta segue direttamente quella della n° 26. Avendo dimostrato che la discendenza elencata in Matteo è quella di Giuseppe, risulta chiaro da Geremia 36:30 che nessuno dei discendenti, fisicamente parlando, era idoneo per sedersi sul trono di Davide, dato che lui stesso discendeva da Jekonia. Tuttavia, come spiega chiaramente Matteo, Gesù NON era un discendente di Giuseppe in senso fisico. Dopo aver registrato la genealogia di Giuseppe, che comprende la discendenza da Jekonia, Matteo narra la storia della nascita virginale. Egli dimostra in questo modo come Gesù elude il problema Jekonia, pur avendo il diritto legale di sedersi sul trono di Davide. Luca, dall’altra parte, dimostra che la vera discendenza fisica di Gesù veniva da Davide, non passando per Jekonia, quindi Gesù era pienamente qualificato di ereditare il trono di suo padre Davide. L’annuncio dell’angelo in Luca 1:32 completa il quadro: il Signore Dio gli darà il trono di Davide, suo padre. Questo appuntamento divino, insieme alla sua discendenza fisica, fanno di lui l’unico erede, a pieno titolo, del trono di Davide. (Fruchtenbaum 1993:12) 36. Gesù entrò in Gerusalemme cavalcando soltanto un puledro (Marco 11:7; cfr. Luca 19:35) oppure un puledro ed un’asina? (Matteo 21:7) Categoria: frainteso sia il testo che il contesto storico e il modo in cui la lingua ebraica viene usata L’accusa che viene mossa è che i Vangeli sono in contraddizione riguardo al numero di asini che Gesù cavalcava mentre entrava in Gerusalemme, e nasce dal fatto che il testo di Matteo non è stato letto correttamente per cui l’intento di Matteo è stato trascurato. Prima di tutto bisogna notare che tutti e quattro i Vangeli citano questo episodio (nella domanda manca un riferimento a 50 Giovanni 12:14-15). Marco, Luca e Giovanni concordano tutti sul fatto che Gesù cavalcava un puledro. La logica ci dimostra che non esiste alcuna “contraddizione” dato che Gesù non poteva cavalcare due animali allo stesso tempo, vi pare? Quindi, perché Matteo rammenta due animali? La ragione è molto semplice. Anche esaminando Matteo separatamente, possiamo capire dal testo che Gesù non cavalcava due animali, ma solamente il puledro, perché nei due versetti che precedono Matteo 21:7, citato da Shabir Ally, Matteo rammenta due profezie dell’Antico Testamento (Isaia 62:11 e Zaccaria 9:9). In Matteo troviamo scritto: “Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te mansueto, cavalcando un asino, anzi un puledro, figlio di una bestia da soma” (Matteo 21:5) Nel dire “un asino” e poi “su un puledro, figlio di una bestia da soma”, Zaccaria sta costruendo la frase alla tipica maniera ebraica, usando un linguaggio poetico conosciuto come “parallelismo”, che consiste semplicemente nel ripetere la stessa cosa in un modo diverso, come un’affermazione parallela. Nella Bibbia troviamo spesso esempi di parallelismo (cfr. il Salmo 119:105: “la tua parola è una lampada ai miei piedi e una luce sul mio sentiero”: la stessa cosa detta due volte in successione). È evidente che si sta facendo riferimento ad un solo animale; Matteo afferma chiaramente, così come gli altri tre evangelisti, che Gesù cavalcava solamente un puledro. Allora perché al versetto 7 Matteo dice che fu portato un puledro insieme alla madre? La ragione è semplice: Matteo, che era un testimone oculare (Marco e Luca no), vuole sottolineare l’immaturità del puledro, troppo giovane per essere separato dalla madre. Dato che il puledro non era mai stato cavalcato prima, è molto probabile che dipendesse ancora dalla madre. L’entrata a Gerusalemme starebbe stata molto più facile se mamma asina fosse stata condotta giù per la strada insieme al puledro che naturalmente l’avrebbe seguita, pur non essendo mai stato cavalcato prima né addestrato a perseguire una strada. Qui vediamo ancora una volta che non c’è alcuna contraddizione tra i resoconti sinottici; ci sono soltanto dei dettagli che Matteo ha aggiunto, essendo uno che aveva seguito l’evento in prima persona. Questa è soltanto una delle molte profezie adempiute da Gesù; aveva adempiuto quelle sulle quali aveva controllo, ma anche quelle su cui non poteva avere controllo, come il momento ed il luogo della sua nascita (Daniele 9:24-26, Michea 5:1-2, Matteo 2:1-6) e la sua risurrezione (Salmo 16:10, Atti 2:24-32), tanto per citarne alcune. 51 Alcuni musulmani credono che nella Taurat ci sia un riferimento alla profezia di cui parla il Corano, nella Sura 7:157 e 61:16 che riguardano Maometto. Se nonché questi musulmani devono ancora trovarne una, mentre sono numerose le predizioni esplicite riguardanti Gesù. 37. Simon Pietro scopre che Gesù è il Cristo tramite una rivelazione dal cielo (Matteo 16:17) oppure da suo fratello Andrea (Giovanni 1:41) Categoria: un’interpretazione troppo letterale L’enfasi delle parole di Gesù in Matteo 16:17 è che Simone non lo aveva semplicemente sentito dire il fatto da qualcun altro: Dio stesso aveva illuminato Pietro a questo riguardo in modo certo. Ciò non vuol dire che non lo potesse avere saputo anche da qualche persona. Gesù vuole sottolineare che Simon Pietro non stava semplicemente ripetendo quello che un altro aveva detto. Lui aveva vissuto e operato con Gesù ed ora per lui era molto chiaro che Gesù altro non era che il Cristo (il Messia) il Figlio del Dio Vivente. Gesù non aveva chiesto: “Che cosa avete sentito dire riguardo a chi io sia?” Ma: “chi dite voi che io sia?” C’è una differenza enorme tra queste due domande, e ora Pietro non aveva più dubbi. 38. Gesù incontrò Simon Pietro ed Andrea presso il Mare di Galilea (Matteo 4:18-22) oppure sulle rive del fiume Giordano (Giovanni 1:42-43)? Categoria: frainteso il testo L’accusa mossa è che un Vangelo racconta di Gesù che incontra Simon Pietro e Andrea presso il mare di Galilea, mentre l’altro Vangelo dice che li incontrò sulla riva del fiume Giordano. Tuttavia, questa accusa fa proprio cilecca in quanto i due autori parlano di due episodi ambientati in luoghi diversi. Entrambi i resoconti sono veri. Giovanni 1:35-43 racconta che Gesù incontrò Andrea sulla riva del Giordano, Andrea andò e chiamò Simone e poi Gesù passò il resto del giorno con loro. Andrea (e probabilmente anche Pietro) 52 erano discepoli di Giovanni il Battista. Essi partirono di lì e andarono in Galilea, regione in cui si trovava il villaggio di Cana, dove Gesù compì il suo primo miracolo documentato. “Dopo questo, egli discese a Capernaum con sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli ed essi rimasero lì pochi giorni” (Giovanni 2:12). Pietro e Andrea provenivano da un villaggio chiamato Betsaida (Giovanni 2:44) ma, da tempo, abitavano a Capernaum (Matteo 8:14-15; Marco 1:30-31; Luca 4:38-39), pochi chilometri da Betsaida. Di mestiere erano pescatori quindi era perfettamente normale per loro andare a pescare mentre si trovavano a casa per alcuni giorni (Gesù aveva da poco cominciato il suo ministero pubblico di insegnamento e guarigione). Dopo un ulteriore periodo di ministero in Giudea, Gesù tornò in Galilea (Matteo 4:12). È a questo punto che il racconto di Matteo riprende (Matteo 4:13,18-22). Mentre Pietro e Andrea pescano nel lago della Galilea, Gesù li chiama a seguirlo: cioè a lasciare tutto e diventare i suoi discepoli per sempre. Prima di questo momento non li aveva invitato a fare questo; l’avevano seguito perché Giovanni il Battista aveva testimoniato di lui (Giovanni 1:35-39). Ora, sia a motivo dalla sua testimonianza, ma anche a motivo delle cose dette da Gesù e del tempo trascorso con il più saggio e l’unico uomo perfetto mai vissuto (Giovanni 1:47-51), nonché a motivo del miracolo a Cana, è più che comprensibile la loro decisione di lasciare tutto per seguirlo. Non sarebbe stato tanto comprensibile se avessero lasciato la vita che conoscevano per seguire una persona sconosciuta semplicemente per invitati a farlo, come i bimbi che seguirono il flautista incantatore. Ma Gesù non aveva incantato nessuno; lo seguirono perché sapevano chi era: Colui di cui avevano parlato tutti i profeti, il Messia, Figlio di Dio. 39. Quando Gesù incontrò Iairo, sua figlia “era appena morta” (Matteo 9:18) o era “in punto di morte” (Marco 5:23)? Categoria: interpretazione troppo letterale Quando Iairo partì da casa, sua figlia stava molto male, ed era “in punto di morte”. Altrimenti egli non sarebbe andato in cerca di Gesù. Nel momento in cui lo incontrò, non poteva essere sicuro se la figlia fosse morta o meno. Quindi avrebbe potuto benissimo 53 proferire entrambe le affermazioni, di cui Matteo registra la definizione “morte” mentre Marco parla della sua infermità. Vanno sottolineate comunque due cose: a fare l’eventuale errore fu il padre, non Gesù o la Bibbia, e non si tratta di un dettaglio di rilievo né per il racconto stesso, tanto meno per noi. I punti cruciali sono chiari: ● la figlia di Iario aveva una malattia mortale. ● tutto quello che si poteva fare era già stato fatto; era spacciata, anche se non era ancora morta. ● Iario sapeva che Gesù poteva sia guarirla che risuscitarla. Per quanto ci riguarda, non fa molta differenza. Quindi non ha veramente importanza se la ragazza era morta o in punto di morte al momento in cui Iario riuscì ad incontrare Gesù. 40. Gesù permise (Marco 6:8) o no (Matteo 10:9; Luca 9:3) ai suoi discepoli di portarsi un bastone per il viaggio? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua greca viene usata Qui si vuol presupporre che gli autori dei Vangeli siano in contraddizione l’uno con l’altro riguardo alla questione se Gesù avesse permesso o meno ai discepoli di portarsi un bastone per il viaggio. Si tratta semplicemente di un problema di traduzione. La traduzione inglese (Versione autorizzata di Re Giacomo) dell’imperativo greco ktesesthe usato in Matteo 10:9, è: “Non munitevi di oro, né argento né di schiavi”. Secondo il lessico curato da A.T. Robinson, il termine significa “provvedersi con, acquisire, procurare, tramite l’acquisto o diversamente” (cfr. la Nuova Riveduta: “Non provvedetevi…”). Quindi, in questo brano, il senso delle parole di Gesù è: “Non vi procurate nient’altro oltre a quello che già avete. Andate così come siete”. Matteo 10 e Marco 6 concordano sul fatto che Gesù abbia ordinato ai suoi discepoli di non portare con sé altro equipaggiamento. Luca 9:3 concorda in parte con quanto scritto in Marco 6:8, usando il verbo in greco me airete (“non prendere”); ma poi, come in Matteo, aggiunge: “nessun bastone, né sacca, né pane, né denaro”. Ma Matteo 10:10 include quello che sembrerebbe un ulteriore chiarimento: non dovevano acquistare un bastone come parte del loro equipaggiamento speciale per il viaggio. Marco 6:8 sembra 54 indicare che ciò non implicasse necessariamente disfarsi dei bastoni che già avevano mentre andavano percorrendo il paese insieme a Gesù. Tuttavia, quanto detto sopra non è una risposta definitiva, soltanto una possibile spiegazione. In ogni modo questa differenza insignificante non cambia l’uniformità sostanziale dei Vangeli. Non ci preoccuperebbe se si trattasse di una contraddizione, dato che non valutiamo questi Vangeli con gli stessi criteri che al musulmano viene insegnato a considerare il Corano. Se questo risultasse il massimo delle contraddizioni bibliche, allora rimarrebbe deluso chi parte considerando la Bibbia “piena di contraddizioni” e “completamente corrotta”. Se effettivamente gli scribi ed i traduttori cristiani avessero voluto alterare di proposito i Vangeli originali, questa presunta “contraddizione” non ci sarebbe stata. È’ un indice dell’autenticità del testo come resoconto umano di ciò che è avvenuto, nonché un segno chiaro che il testo non è stato affatto deliberatamente alterato. 41. Erode credeva che Gesù fosse Giovanni Battista (Matteo 14:2; Marco 6:16) oppure no (Luca 9:9)? Categoria: lettura non attenta del testo Non c’è alcuna contraddizione qui. In Luca 9:9 Erode chiede chi possa mai essere questo personaggio incredibile, dato che Giovanni era già morto. In Matteo 14:2 e Marco 6:16 abbiamo la risposta: dopo aver riflettuto su chi potesse essere Gesù, egli conclude che non poteva essere altro che Giovanni Battista, risorto dai morti. Quando Erode ebbe un incontro personale con Gesù, durante il processo, potrebbe darsi che non pensasse più che si trattasse di Giovanni (Luca 23:8-11). Se così fosse, è molto probabile che avesse saputo qualcosa di più sul suo conto e che comprendesse le affermazioni di Giovanni riguardo al compito affidato a lui di preparare la strada per colui che doveva venire (Giovanni 1:15). Potrebbe benissimo aver saputo che Gesù era stato battezzato da Giovanni, il che avrebbe escluso a priori la possibilità che si trattasse della stessa persona. 55 42. Giovanni Battista riconobbe Gesù prima che fosse battezzato (Matteo 3:13-14) oppure no (Giovanni 1:32-33)? Categoria: frainteso l’intento dell’autore L’affermazione del Battista in Giovanni 1:33, dove dice che non avrebbe riconosciuto Gesù se non avesse visto lo Spirito Santo discendere su di lui e rimanervi, potrebbe significare che Giovanni non avrebbe saputo con certezza che fosse il Messia promesso se non fosse per questo segno ben specifico. Giovanni era ripieno dello Spirito Santo già prima di nascere (Luca 1:15) e c’è la straordinaria descrizione di come aveva identificato Gesù quando si trovava ancora nel grembo materno. Luca 1:41-44 racconta che quando Maria fece visita alla madre di Giovanni, il bambino, dal grembo materno, sobbalzò al solo udire la sua voce e riconobbe Maria come la madre del Signore. Da questo brano possiamo vedere anche che la madre di Giovanni sapeva qualcosa riguardo a ciò che Gesù sarebbe diventato. È molto probabile che ella ne abbia parlato a Giovanni a mano a mano che cresceva (si pensa che ella morì quando lui era ancora giovane). Alla luce di questa conoscenza e della testimonianza dello Spirito Santo in Giovanni, è molto probabile che il segno dello Spirito Santo, che scese e riposò su Gesù dopo il suo battesimo, fosse semplicemente una conferma inequivocabile di quello che già pensava. In questo modo Dio aveva rimosso qualsiasi dubbio da Giovanni. 43. Giovanni Battista riconobbe Gesù dopo che fu battezzato (Giovanni 1:32-33) oppure no (Matteo 11:2) Categoria: interpretato erroneamente il testo In Giovanni 1:29-36 appare molto chiaro che Giovanni aveva riconosciuto Gesù, quindi non ci dovrebbe essere alcun dubbio a riguardo. Il secondo brano succitato, Matteo 11:2, si riferisce a un tempo molto più tardi e molte cose erano successe nel frattempo. La conoscenza iniziale che Giovanni aveva di Gesù era limitata e sembra che eventi successivi lo avessero piuttosto disilluso. Non sapeva esattamente quale forma avrebbe preso il ministero di 56 Gesù. In Matteo 3:11,12 possiamo vedere alcune delle cose che Giovanni conosceva: “Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco. Egli ha in mano il suo ventilabro e pulirà interamente la sua aia; raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile”. Questo è il classico ritratto del Messia come re conquistatore che avrebbe operato il giudizio di Dio su tutti coloro che lo rigettavano, e pace e giustizia per coloro che lo avrebbero seguito. Ovviamente, Giovanni questo lo aveva compreso. Tuttavia, il Messia era anche raffigurato nelle Scritture come un servo afflitto che avrebbe sofferto per conto del popolo di Dio. Questo è chiaramente dimostrato in Isaia 53, soprattutto al versetto 12: “Egli ha portato il peccato di molti e ha interceduto per i trasgressori”. Giovanni aveva compreso pure questo; lo si capisce dalla sua affermazione riportata in Giovanni 1:29: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” Quello che a volte non si riusciva a comprendere appieno era il modo in cui queste due raffigurazioni del Messia potessero combaciare. Molti pensavano che il Messia avrebbe esercitato il suo terribile giudizio al suo arrivo. In effetti, ciò accadrà alla sua seconda venuta (a cui si accenna in Atti 1:11). Alcuni erano perplessi, quindi, a causa della riluttanza di Gesù ad agire come un leader militare per liberare la nazione d’Israele, a quel tempo sotto l’oppressione romana. Questa perplessità si manifesta in Luca 24:13-33, che riporta la conversazione di Gesù con due dei suoi seguaci sulla strada di Emmaus, dopo la sua risurrezione. I loro occhi, dapprima, erano impediti dal riconoscerlo (versetto 16) e gli spiegarono come “avevano sperato che fosse lui quello che avrebbe liberato Israele” (versetto 21). Non avevano sbagliato a sperare, ma non avevano compreso la prima fase del piano di redenzione di Dio. Segue il rimprovero e il chiarimento di Gesù: “O insensati e tardi di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto! Non doveva il Cristo soffrire tali cose, e così entrare nella sua gloria?” (versetti 25-26). È molto probabile che un simile fraintendimento abbia indotto Giovanni a fare la domanda in Matteo 11:2. Malgrado fosse certo dell’identità di Gesù come il Messia che toglie il peccato del mondo, eventi successivi l’avevano forse indotto a domandarsi se non avessero ragione gli Esseni ad attendere due figure messianiche, una di tipo levitico (come annunciato dal Battista in Giovanni 1:29) 57 e una di tipo davidico che si sarebbe presentato come leader militare. Così dopo aver aspettato in vano di vedere Gesù cacciare i romani e restaurare il regno d’Israele come ai tempi di Davide, sentiva dire che insegnava e predicava nelle città della Galilea (Matteo 11:1), senza mai parlare di cose come campagne militari. Di sicuro Giovanni si sarà chiesto cos’era che non quadrava: aveva forse frainteso il ruolo del Messia? È importante notare che era la notizia delle grandi opere che Gesù stava facendo, e non qualche segno di debolezza, a determinare la domanda del Battista (Matteo 11:2-3). Questo fatto suggerisce che il Battista propendesse per l’identificazione in Gesù di entrambe queste figure messianiche ma il suo permanere in prigione, per volontà del governatore locale del potere romano, non gli permetteva di raggiungere una conclusione certa su questo punto. Quindi mandò a chiedere a Gesù se egli fosse anche il messia apocalittico atteso dalla nazione o se bisognava attendere un altro messia di questo tipo. La risposta di Gesù in Matteo 11:4-6 rende tutto chiaro: “Andate e riferite a Giovanni le cose che udite e vedete: i ciechi recuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono mondati e i sordi odono; i morti resuscitano e l’evangelo è annunziato ai poveri. Beato è colui che non si sarà scandalizzato di me!” Queste attività erano prerogative messianiche, come predetto in Isaia 29:18; 35:5,6 e 61:1-3. Nonostante la disillusione di Giovanni fosse stata una normalissima reazione umana, egli aveva visto giusto la prima volta. Gesù termina esortando Giovanni a non perdere la speranza. Il Messia era presente e ce n’è uno solo; tutto sarebbe stato rivelato e adempiuto a tempo debito. 44. Quando Gesù testimonia di sé stesso, la sua testimonianza è falsa (Giovanni 5:31) oppure verace (Giovanni 8:14)? Categoria: frainteso il contesto storico La presunta contraddizione nasce da un confronto fra questi due versetti: “Se io testimonio di me stesso, la mia testimonianza non è verace” (Giovanni 5:31), e “Anche se testimonio di me stesso, la mia testimonianza è verace” (8:14). Sembra che ci sia contraddizione, ma soltanto se si ignora il contesto di ciascun brano. 58 In Giovanni 5 Gesù sta dicendo che non può dichiarare da sé stesso di essere il Messia, e nemmeno il Figlio di Dio, a meno che egli non sia in accordo con la parola rivelata di Dio, ovvero, senza che la sua dichiarazione sia avvalorata dall’adempimento delle profezie dell’Antico Testamento. Ma poiché Gesù le aveva adempiute, oltre che essere stato proclamato Messia da Giovanni Battista (di cui anche i profeti avevano parlato come il precursore che avrebbe preparato la via al Messia, (si veda n° 34), significa che Gesù è veramente quello che dice di essere, cioè il Figlio di Dio. Gesù, a proposito delle Scritture ebraiche che i suoi ascoltatori studiavano diligentemente, afferma: “esse sono quelle che rendono testimonianza di me” (Giovanni 5:39). Leggendo Giovanni 8 troviamo un contesto alquanto diverso. Gesù aveva nuovamente dichiarato di essere il Messia in base alle profezie messianiche dell’Antico Testamento che trovavano adempimento in lui (Giovanni 8:12; Isaia 9:2; Malachia 4:2). “Allora i farisei gli dissero: Tu testimoni di te stesso; la tua testimonianza non è verace” (Giovanni 8:13). È a questa obiezione che Gesù risponde, riguardo alla veridicità della sua testimonianza: “Sì, lo è”. Perché? Perché i farisei facevano riferimento a una legge in Deuteronomio 19:15 che recita: “Un solo testimone non è sufficiente contro ad alcuno, qualunque sia il delitto o il peccato che questi abbia commesso: il fatto sarà stabilito sulla deposizione di due o tre testimoni”. Dunque essi avevano ampliato il significato della legge a proprio uso, per farle dire più di quanto in realtà dica. La testimonianza di un uomo era sì valida, ma non abbastanza per mettere un’altra persona sotto accusa, tuttavia sufficiente per il proscioglimento in sede di difesa. Perciò, quando Gesù risponde ai farisei: “Anche se testimonio di me stesso, la mia testimonianza è verace”, dice bene, dato che ciò a cui la legge si riferiva non era pertinente a questo caso. Egli dichiara pure di sapere esattamente chi era, mentre loro non lo sapevano. Egli non stava mentendo loro: Egli era il Messia di Dio, senza peccato. Quindi la sua parola era affidabile. Tuttavia, è buona regola non credere a qualunque persona che dichiari di essere il Messia. Chiunque abbia di queste pretese deve anche fornire delle prove. Quindi, la seconda cosa che Gesù dichiara (in Giovanni 8:18) è che egli ha le prove che i farisei volevano. “Or sono io a testimoniar di me stesso, e il Padre che mi ha mandato testimonia pur di me”. Anche la dichiarazione di Gesù 59 riportata in Giovanni 5:36-40, di adempiere le profezie che essi conoscevano (si veda Giovanni 7:42) ne dà ulteriore conferma. Non c’è nessuna contraddizione, bensì chiarezza e grande profondità che si può ravvisare quando Gesù viene considerato nel contesto della sua ricca cultura ebraica. 45. Quando Gesù entrò in Gerusalemme, purificò il tempio quello stesso giorno (Matteo 21:12) oppure in quello successivo? (Marco 11:1-17). Categoria: frainteso l’intento dell’autore Per comprendere questa contraddizione apparente, bisogna considerare lo stile narrativo di Matteo. A volte sembra che egli organizzi il suo materiale secondo i soggetti trattati piuttosto che seguendo una rigida sequenza cronologica. (Per ulteriori dettagli si veda la risposta alla n°46) Tenendo questo in mente, è probabile che Matteo narri la purificazione del tempio insieme all’ingresso trionfale, sebbene la purificazione abbia avuto luogo il giorno seguente. Il versetto 12 afferma che Gesù entrò nel tempio, ma non dice in modo esplicito se ciò fosse accaduto subito dopo l’ingresso in Gerusalemme. Il versetto 17 afferma che egli partì da Gerusalemme per andare a Betania dove passò la notte. Anche Marco 11:11 ci informa che egli passò la notte a Betania, ma si tratta di qualcosa che faceva ogni notte durante quella settimana a Gerusalemme. Matteo 21:23 dice “e quando fu venuto nel tempio” in modo simile a quanto affermato nel verso 12, eppure Luca 20:1 dice che l’avvenimento seguente accadde “un giorno”, indicando che è possibile che non sia accaduto immediatamente dopo l’episodio del fico. Secondo questa possibile interpretazione, Gesù sarebbe entrato nel tempio lo stesso giorno del suo ingresso trionfale e si sarebbe guardato intorno, ritirandosi poi a Betania. Il mattino seguente avrebbe maledetto il fico mentre si recava a Gerusalemme (momento in cui iniziò ad appassire) e al suo arrivo nel tempio, lo avrebbe purificato. Sulla strada del ritorno a Betania, quella stessa sera, è probabile che fosse già abbastanza buio ed i discepoli potrebbero non aver notato il fico seccato. Solo al mattino seguente, nella piena luce del giorno, avrebbero visto ciò che era successo. 60 46. Matteo 21:19 dice che l’albero che Gesù maledisse appassì all’istante, mentre Marco 11:20 dice che seccò durante la notte. Categoria: frainteso l’intento dell’autore Le differenze che troviamo nei due resoconti di Matteo e Marco a proposito del fico sono strettamente legate al modo in cui Matteo e Marco hanno organizzato il loro materiale. Quando studiamo la tecnica narrativa di Matteo in generale, troviamo (come osservato sopra al n° 45) che egli a volte ordinava il suo materiale per argomenti, piuttosto che in maniera rigidamente cronologica; caratteristica quest’ultima che troviamo più spesso in Marco e Luca. Prendiamo ad esempio i capitoli 5-7 di Matteo che contengono ciò che viene chiamato “il sermone sul Monte”: è assai probabile che porzioni degli insegnamenti di questo sermone si trovino alcune volte in altri contesti, come nel sermone ai piedi del monte riportato in Luca 6:20-49. La tendenza di Matteo era di raggruppare il suo materiale per argomenti secondo una sequenza logica. Ne troviamo un altro esempio nella serie di parabole sul Regno di Dio che compongono il capitolo 13. Una volta iniziato un argomento, come regola generale Matteo preferisce esaurirlo. Quando si osserva la cosa in questa prospettiva, è a Marco che guardiamo quando cerchiamo di accertare la cronologia di un evento. Nel racconto di Marco, vediamo che Gesù si era recato al tempio sia la domenica delle Palme sia il lunedì seguente. Ma in Marco 11:11-19 viene detto esplicitamente che Gesù non scacciò i mercanti dal tempio se non lunedì, dopo che aveva maledetto il fico (versetti 12-14). Quindi, per concludere, Matteo ritenne più appropriato disporre il suo resoconto in modo da includere l’azione del lunedì pomeriggio con l’osservazione iniziale del pomeriggio della domenica, mentre Marco preferì seguire una sequenza strettamente cronologica.. Queste differenze non sono contraddittorie; dimostrano semplicemente la diversità di stile di ciascun autore nell’ordinare il materiale contenuto nel libro. 61 47. In Matteo 26:48-50, Giuda si accostò a Gesù e lo baciò, mentre in Giovanni 18:3-12 Giuda non riuscì ad avvicinarsi abbastanza a Gesù per baciarlo. Categoria: il testo citato erroneamente Questa discrepanza rilevata da Shabir Ally appare piuttosto strana, perché da nessuna parte in Giovanni leggiamo (come Ally sostiene esplicitamente) che Giuda non sia riuscito ad avvicinarsi abbastanza a Gesù per baciarlo. L’impossibilità delle guardie di avvicinarsi a Gesù, quindi, non ha niente a che vedere con il fatto che Giuda lo abbia baciato o meno. Ally si immagina che il problema incontrato dalle guardie riguardasse anche Giuda e poi impone questo problema al testo in questione. Il fatto che Giovanni non faccia menzione di un bacio non significa che Giuda non abbia baciato Gesù. Molte volte abbiamo visto casi in cui l’autore di uno dei Vangeli include un pezzo di informazione che un altro tralascia. Ciò non implica che uno dei due sia in errore; significa che, come testimoni, essi vedono la vicenda da punti di vista diversi, includendo quindi nel loro racconto soltanto quello che riveste importanza per il raggiungimento degli scopi prefissi. (Light of Life III 1992:107) 48. Pietro rinnegò Cristo tre volte prima che il gallo cantasse (Giovanni 13:38) oppure tre volte, prima che il gallo cantasse due volte (Marco 14:30,72)? Categoria: scoperta di manoscritti più antichi L’accusa si fonda sul discorso che Gesù fece a Pietro “il gallo non canterà che già tu mi avrai rinnegato tre volte” (Giovanni 13:38) ed anche: Avanti che il gallo abbia cantato due volte, mi rinnegherai tre volte” (Marco 14:30). Tuttavia, secondo la Bibbia, il gallo avrebbe cantato prima del terzo diniego in Marco, il che implica che la predizione di Gesù, come appare in Giovanni 13, sarebbe fallita. Si tratta di un problema che riguarda la storia dei manoscritti. Matteo 26:33-35¸74-75 “prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte” Luca 22:31-34, 60-62 “prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte” 62 Giovanni 13:3 “il gallo non canterà prima che già tu non mi abbia rinnegato tre volte”. Quindi Marco è l’unico dei quattro evangelisti a riferire che il gallo cantò due volte. Con ogni probabilità il secondo canto del gallo è un’aggiunta tardiva al Vangelo originale per qualche motivo che non conosciamo. Alcuni dei primi MSS di Marco (ad esempio l’importante “codice Sinaiticus”) non contengono le parole “una seconda volta” e nemmeno “due volte” in 14:72, e nemmeno la parola “due volte” al 14:30, e neppure il gallo che canta una prima volta al verso 14:68 come nella versione inglese autorizzata da re Giacomo. Si scopre la natura di quest’aggiunta erronea in base alla chiarezza dei quattro racconti dell’evento in nostro possesso e la scoperta di alcuni antichi MSS del Vangelo di Marco che non contengono queste aggiunte. Tuttavia, ci potrebbe essere un’altra spiegazione nel caso che il primo canto del gallo (Marco 14:68) non ci fosse stato nell’originale, mentre gli altri (“due volte” al 30 e al 72) sì! Dato che un gallo può cantare più volte di fila (e spesso lo fa), non ci sarebbe nessuna contraddizione (essendo il primo e il secondo canto prossimi nel tempo, con Pietro che ricorda la predizione di Gesù riguardo al secondo canto); possiamo essere certi che se un gallo canta due volte, vuol dire che ha già cantato perlomeno una volta. Se le cose stanno così Marco avrebbe semplicemente aggiunto ulteriori informazioni che non contraddicono quanto scritto dagli autori degli altri Vangeli. 49. Gesù portò la propria croce (Giovanni 19:17) oppure no (Matteo 27:31-32)? Categoria: frainteso il testo oppure i testi appaiono compatibili dopo un po’ di riflessione Giovanni 19:17 afferma che egli venne al luogo del Teschio portando personalmente la sua croce. In Matteo 27:31-32 leggiamo che egli fu portato via per essere crocifisso, e soltanto al momento di uscire per dirigersi al Golgota costrinsero Simone a portare la croce di Gesù. Marco 15:20-21 concorda con Matteo e fornisce un’ulteriore informazione molto utile, facendo sapere che Gesù partì dall’interno del palazzo (il Pretorio). Dato che Simone stava rientrando dalla 63 campagna, è chiaro che egli si trovava per strada. Questo implica che Gesù abbia portato la sua croce per una certa distanza, dal palazzo alla strada. Indebolito dalle flagellazioni e le torture subite, è probabile che egli sia collassato sotto il peso della croce, oppure che stesse avanzando con molta fatica. In ogni modo, i soldati obbligarono Simone a portare la croce al posto di Gesù. Luca 23:26 è conforme nell’affermare che Simone fu preso mentre conducevano via Gesù. La contraddizione, quindi, svanisce. Gesù era partito portando la croce e Simone gli era subentrato ad un certo punto del tragitto. 50. Gesù spirò prima (Matteo 27:50-51) o dopo (Luca 23:45-46) che la cortina del tempio si squarciasse? Categoria: interpretato male il testo Dopo aver letto i tre brani in Matteo 27:50-51, Marco 15:37-38 e Luca 23:45-46, non è chiaro dove sia la contraddizione di cui parla Shabir Ally. Tutti e tre i brani si riferiscono al momento della morte di Gesù, quando la cortina del tempio si squarciò. Non ha senso ritenere, solo perché Matteo e Marco menzionano la morte di Cristo prima di menzionare lo squarcio della cortina, mentre Luca riporta questi due eventi in ordine inverso, che gli autori siano in contraddizione, dato che Matteo afferma che i due eventi accaddero “in quel momento” (gr. kai idou), e negli altri due brani non troviamo nulla che lo neghi. Gli autori dei Vangeli sono tutti concordi sul fatto che i due eventi accaddero simultaneamente, per motivi molto validi: la cortina rappresentava la barriera tra Dio e l’uomo. La distruzione della cortina coincide con la morte del Messia, concedendo, quindi, all’uomo l’opportunità di riconciliarsi di nuovo con Dio, per la prima volta dopo la cacciata di Adamo dalla sua presenza nel giardino dell’Eden. 51. Gesù diceva ogni cosa apertamente (Giovanni 18:20) oppure parlava in segreto ai suoi discepoli (Marco 4:34; Matteo 13:10-11)? Categoria: frainteso il contesto storico La ragione per cui qualcuno dice che Gesù si contraddice nell’affermare di aver detto o di non aver detto le cose in segreto, 64 soprattutto nelle sue parabole, è dovuta ad una mancata contestualizzazione culturale e testuale. Questa risposta richiede un notevole supporto di informazioni di base. Prima di tutto, riguardo alla natura di un parabola. È un racconto che serve a chiarire, enfatizzare o illustrare un insegnamento, non è un insegnamento in sé. Gesù era un rabbino ebraico. Nella letteratura rabbinica ci sono circa 4000 parabole documentate. I rabbini ritenevano opportuno dividere gli insegnamenti che davano al popolo in tre parti, di cui la terza parte (l’ultima nell’ordine) consisteva solitamente in due parabole rappresentative delle prime due dell’insegnamento. Gesù continuò questa tradizione insegnando con l’ausilio di parabole. Gesù si servì di una nutrita gamma di immagini rappresentative che gli israeliti di quei tempi conoscevano bene, usando per soggetti piante, animali, e così via. Quindi, il nocciolo di ciascuna parabola narrata da Gesù era chiaro a tutti gli ascoltatori, il che risulta dai Vangeli. Le parabole erano talmente ricche, ma anche talmente sottili, che non solo erano in grado di far comprendere all’ascoltatore comune un concetto in modo semplice e chiaro, ma pure gli studiosi potevano rifletterci sopra ripetutamente, ricavandone ogni volta una chiarezza ed una comprensione sempre più profonda. Pertanto Gesù spesso approfondiva e sviluppava il significato di una parabola parlando con i suoi discepoli, i suoi allievi più stretti, in risposta alle loro domande oppure per istruirli maggiormente, come avrebbe fatto qualunque altro rabbi ebraico. Questo si può vedere leggendo Marco 4:34 nel contesto, dove è scritto: “Con molte parabole di questo genere Gesù annunciava loro (le folle) la parola, come essi erano in grado di capire. E non parlava loro senza parabole [per chiarire, enfatizzare o illustrare un insegnamento]; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa [insegnava loro di più, perché essi erano in grado di intendere di più delle folle]. (Marco 4:33-34). Quindi le parabole non erano degli insegnamenti segreti. Non si tratta di nozioni per soli intenditori. Non ha senso (e non esiste un solo presupposto storico per) affermare che Gesù andava in giro confondendo la gente. Egli andava in giro per insegnare ed istruire la gente. Infatti quando, durante il processo (Giovanni 18:20), Gesù fu interrogato riguardo al suo insegnamento, egli affermò di aver insegnato pubblicamente, tutti hanno ascoltato le mie parole”… “Non ho insegnato in segreto”. Ed aveva ragione. 65 Se questo è vero, quali sarebbero i “segreti del Regno di Dio” di cui Gesù parla? L’unico “segreto” (“il mistero celato per molti secoli addietro, e ora manifestato e rivelato tra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede” (Romani 16:25-26) riguarda l’identità della persona di Gesù! Il segreto era che la missione di Gesù era stata predetta dai profeti; che egli sarebbe stato l’adempimento di queste profezie e quindi la più grande rivelazione mai data all’umanità. Le sue parole non erano soltanto per la salvezza delle persone, ma anche per il giudizio delle stesse, perché “vedendo non vedano, e udendo non odano né comprendono” (Matteo 13:14), proprio come molti ascoltatori delle parabole che non avevano nessuna volontà di ravvedersi e sottomettersi a Dio. Gli insegnamenti di Gesù piacevano a molti: venivano per ascoltare i bei discorsi moralistici e le eccellenti parabole, ma non erano in tanti a seguirlo perché il costo era troppo elevato (Luca 9:57-61; 14:25-27,33). Ma erano queste le cose che i discepoli stavano iniziando a comprendere, perché seguivano veramente Gesù. I segreti del regno dei cieli sono spiegati da Gesù nei versetti che seguono Matteo 13:10-11: “Ma beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché odono [a differenza delle folle]. Perché in verità vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete e non le videro, e udire le cose che voi udite e non le udirono! [dato che essi non erano vissuti al tempo di Gesù; tutti i profeti erano venuti prima di lui]. Il segreto è che Gesù è il Signore, Gesù è il re, Gesù è il Messia, Gesù è colui di cui tutti i profeti parlarono, la salvezza dell’umanità, la più grande rivelazione di Dio, l’Alfa e l’Omega (Apocalisse 21:6-8; 22:12-16), l’unica via per essere riconciliati con Dio (Giovanni 3:36; Romani 6:23). 52. Gesù si trovava sulla croce (Marco 15:23) o nella corte di Pilato (Giovanni 19:14) alla sesta ora del giorno della crocifissione? Categoria: frainteso il contesto storico La semplice risposta a questa domanda è che gli scrittori sinottici (Matteo, Marco e Luca) impiegarono un metodo di conteggio delle ore del giorno diverso da quello usato da Giovanni. I sinottici usarono 66 il metodo tradizionale ebraico, secondo cui le ore del giorno venivano conteggiate a partire dall’alba (circa le 6:00 del mattino), di modo che la crocifissione, secondo questo calcolo, avvenne intorno alle 9 del mattino, ovvero alla terza ora. Giovanni, dall’altra parte, segue lo schema romano del giorno, come facciamo noi oggi, secondo cui il giorno inizia a mezzanotte e finisce a mezzanotte. Plinio il Vecchio (Natural History 2.77) e Macrobius (Saturnalia 1:3) ce lo confermano. Quindi, secondo il metodo romano seguito da Giovanni, il processo a Gesù, avvenuto di notte, era giunto alle battute finali verso la sesta ora (ore 6 del mattino), che corrispondeva alla prima ora secondo il calcolo ebraico usato nei sinottici. Nel lasso di tempo tra questo punto e la crocifissione, Gesù subì una brutale flagellazione e fu ripetutamente schernito dai soldati nel Pretorio (Marco 15:16-20). La crocifissione avvenne alla terza ora secondo il calcolo ebraico, che corrisponde alla nona ora per i romani, ossia le 9:00 del mattino. Non si tratta di una spiegazione elaborata ad arte per eludere un problema; ci sono tutti i motivi per supporre che Giovanni usasse il sistema romano, anche se lui era un giudeo quanto lo erano Matteo e Marco, autori dei due dei Vangeli sinottici. Il Vangelo secondo Giovanni fu scritto dopo gli altri tre, verso l’anno 90 d.C, mentre l’apostolo viveva a Efeso. Questa era la capitale della provincia romana dell’Asia, e si può supporre che egli fosse abituato a suddividere il giorno secondo l’usanza romana. Ulteriore evidenza di questo la si può trovare in Giovanni 20:19, dove si parla della “sera di quello stesso giorno, che era il primo della settimana”. Si trattava della domenica sera, che secondo il calcolo ebraico faceva già parte del secondo giorno, dato che per loro il giorno iniziava al tramonto. (Archer 1994:363-364). 53. I due ladroni crocifissi con Gesù schernirono Gesù (Marco 15:32) oppure no (Luca 23:43)? Categoria: un’interpretazione troppo letterale In questa contraddizione apparente, la domanda che nasce è se entrambi i ladroni crocifissi con Gesù avessero schernito Gesù oppure se era stato uno solo di loro a farlo. Marco 15:23 dice che lo fecero entrambi. Luca 23:43 dice che uno di essi schernì Gesù mentre l’altro difendeva Gesù. 67 Non è troppo difficile capire cosa sta succedendo qui. La conclusione più ovvia è che entrambi, inizialmente, schernirono Gesù. Tuttavia, dopo che Gesù ebbe dichiarato: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, pare che uno dei ladri avesse avuto un cambiamento di cuore, ravvedendosi sulla croce, mentre l’altro continuava a schernire. Qui c’è una lezione da non sottovalutare: il Signore dà l’opportunità di ravvederci in qualunque momento, non importa quale crimine o peccato abbiamo commesso. Alcuni di noi, di fronte alla realtà di Cristo, continuano a rigettarlo e a schernirlo, mentre altri riconoscono la propria condizione di peccato e chiedono perdono. La buona notizia è che, come per il ladrone sulla croce, anche noi possiamo essere prosciolti dal nostro peccato in qualunque momento, anche quando “vediamo la morte in faccia”. 54. Gesù ascese al cielo lo stesso giorno della sua crocifissione (Luca 23:43) oppure due giorni più tardi (Giovanni 20:17)? Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia L’idea che Gesù si contraddica da solo (oppure che i Vangeli si contraddicono) circa al fatto se egli fosse salito al cielo o no dopo la sua morte in croce, nasce da supposizioni che si fanno riguardo al Paradiso e la contestualizzazione. Gesù dice al ladrone sulla croce: “Oggi tu sarai con me in paradiso”. Questo era vero, in effetti. Perché il ladrone avrebbe dovuto morire quello stesso giorno sulla terra, ma in paradiso “oggi” potrebbe corrispondere a qualsiasi giorno su questa terra, dato che il Cielo è fuori dal tempo. Gesù dice a Maria Maddalena che egli non era ancora “salito”al Padre. Tuttavia, questo potrebbe essere anche tradotto con ”ritornato” al Padre. Gesù era con Dio prima della fondazione del mondo (Giovanni 1:1-18 e Filippesi 2:6-11). Egli lasciò tutta la sua gloria per diventare, oltre che già pienamente Dio, anche pienamente umano. Più tardi, Dio Padre avrebbe nuovamente esaltato Gesù al posto più alto dei cieli, mettendolo a sedere alla sua destra (Atti 7:56; Ebrei 1:3). Al momento della circostanza descritta in Giovanni 20:17 questo non era ancora avvenuto. Che Gesù abbia detto “perché non sono ancora ritornato al Padre” non esclude la possibilità che egli 68 fosse salito in cielo nel tempo intercorso tra la sua morte e la sua risurrezione “secondo la nostra nozione di tempo” (anche se il paradiso è fuori dal nostro tempo). Tuttavia, un modo più verosimile di rendere il testo è: “Non ti aggrappare a me, perché non sono ancora salito al padre mio; ma va dai miei fratelli”, ovvero: “Maria, non ti aggrappare a me, non vi ho lasciati ancora. Mi rivedrete. Ma adesso voglio che tu vada a dire ai miei discepoli che presto me ne andrò al Padre, ma non subito”. Il fattore tempo rende questo alquanto paradossale ed i testi non si escludono a vicenda. Non c’è alcuna contraddizione. 55. Quando Paolo si trovava sulla via di Damasco, vide una luce e udì una voce. Quelli che erano con lui udirono anche loro la voce (Atti 9:7) oppure no (Atti 2:9)? Categoria: fraintesa il senso delle parole greche; in realtà i testi citati appaiono compatibili dopo un po’ di riflessione Nonostante venga usato in entrambi i resoconti lo stesso verbo greco akouo (“sentire”/“ascoltare”) e lo stesso sostantivo greco phone (“suono”/“voce”), una lettura attenta dei due brani dimostra che entrambi i termini vengono usati con le sfumature diverse indicate nella traduzione in italiano, e quindi con riferimento ad aspetti diversi dell’evento. Secondo 9:7 coloro che viaggiavano con Saulo avevano soltanto “sentito un suono” incomprensibile a loro; 22:9 lo conferma precisando che non hanno percepito la voce (di Cristo) che parlava. Soltanto Paolo ebbe una visione di Cristo e apprese le parole che diceva. Quindi, non c’è alcuna contraddizione in quello che i due versetti affermano. (Diprose, Il Libro degli Atti, p. 82; Haley p.359) 56. Quando Paolo vide la luce e cadde a terra, caddero anche i suoi compagni di viaggio (Atti 26:14) oppure no (Atti 9:7)? Categoria: frainteso il senso delle parole greche oppure i due brani sono compatibili quando si tiene conto della dinamica dell’evento Ci sono due possibili spiegazioni a questo aspetto dell’evento. Le parole “rimasero stupiti” in Atti 9:7, prese insieme possono 69 significare “rimanere inchiodati, senza parole”. Questo lo si può sperimentare sia stando in piedi che sbattuti per terra. In pratica, il contrario di camminare. Un’altra spiegazione è questa: Atti 26:14 dice che la caduta iniziale a terra avvenne quando la luce sfolgorò attorno ai presenti, prima che la voce fosse udita. Atti 9:7 dice che gli uomini “si fermarono attoniti” dopo che la voce ebbe parlato. Avrebbero avuto abbastanza tempo per rialzarsi mentre la voce parlava a Saulo (Paolo), soprattutto visto che la voce era incomprensibile a loro. Saulo, d’altra parte, comprendeva ciò che la voce diceva e era senza dubbio paralizzato dal terrore, mentre realizzava, tutt’ad un tratto, che per lungo tempo egli aveva perseguito e ucciso coloro che seguivano il vero Dio. Così facendo aveva operato contro quel Dio che credeva di servire. Evidentemente, questa tremenda presa di coscienza lo aveva tenuto inchiodato a terra più a lungo dei suoi compagni. (Haley p:359) 57. La voce disse immediatamente a Paolo che cosa doveva fare (Atti 26:16-18) oppure gli comandò di andare a Damasco dove gli sarebbe stato annunziato che cosa doveva fare (Atti 9:7; 22:10)? Categoria: frainteso il contesto storico Fu a Damasco che a Paolo fu ordinato cosa doveva fare, come si apprende da Atti 9 e 22. Il dialogo riportato in Atti 26 fu pronunciato in un contesto molto diverso. Qui Paolo non si preoccupa dell’ordine cronologico o geografico degli eventi perché sta parlando a persone che già conoscevano la sua storia. In Atti 9:1-31, Luca, l’autore degli Atti, narra la conversione di Saulo mentre in Atti 22:1-21 riporta il suo discorso ai giudei, che sapevano chi era e che avevano determinato il suo arresto e detenzione nella caserma dell’esercito romano a Gerusalemme. Egli parla ai giudei dagli scalini della caserma e apre il discorso elencando le sue credenziali di giudeo, prima di lanciarsi in un resoconto dettagliato riguardante il suo incontro con Gesù, Messia e Signore, e della sua conversione. In Atti 26:2-23, invece, Luca riporta il discorso di Paolo dopo che era stato in prigione per almeno due anni in seguito al suo 70 arresto a Gerusalemme quando aveva pronunciato il suo discorso riportato in Atti 22. Il discorso era diretto al governatore romano Festo e al re Erode Agrippa, entrambi già a conoscenza del caso. (Leggere i capitoli precedenti). Quindi a loro bastava un semplice riassunto del caso, non un’esposizione completa. E fu proprio questo che Paolo fece. Questo trova conferma nel modo lapidario in cui l’apostolo rammenta le proprie credenziali: “..son vissuto come un fariseo” (cfr. le due frasi in Atti 22:3). Inoltre, più avanti nel capitolo, Paolo si dimostra consapevole del fatto che il re Agrippa è a conoscenza delle cose che erano accadute (vedi versetti 25-27). 58. Erano 24.000 gli israeliti che morirono nella piaga a Scittim (Numeri 25:1,9) o ne morirono soltanto 23.000 (1 Corinzi 10:8)? Categoria: confuso un evento con un altro Con quest’apparente contraddizione ci si chiede quante persone morirono a motivo della piaga avvenuta a Scittim (scritto erroneamente “Shittin” nell’opuscolo di Shabir Ally). Si vuole che Numeri 25:1-9 e 1 Corinzi 10:8 siano discordanti. Sennonché Shabir fa riferimento alla piaga sbagliata qui. Se egli avesse controllato il contesto di 1 Corinzi 10, avrebbe notato che Paolo si stava riferendo alla piaga di Esodo 32:28, avvenuta sul Monte Sinai, e non a quella di cui parla Numeri 25, che ha luogo a Scittim, tra i moabiti. Chi ne avesse dubbi, può rileggere il versetto 7 di 1 Corinzi 10, che è praticamente lo stesso di Esodo 32:6: “il popolo si sedette per mangiare e bere, e poi si alzò per divertirsi”. Secondo alcuni il numero degli uccisi in Esodo 32 sarebbero stati 3:000 (Esodo 32:28), un’altra contraddizione apparente, ma che si può facilmente correggere una volta letto il resto del brano. La cifra di 3.000 uccisi nel versetto 28 si riferisce soltanto a quelli uccisi dagli uomini con la spada. In seguito, arriva la piaga che il Signore manda contro quelli che avevano peccato nei suoi confronti. Il versetto 35 dice: “Così l’Eterno percosse il popolo [con una piaga] perché aveva fatto il vitello che Aaronne aveva modellato”. È questa la piaga a ci si riferisce Paolo in 1 Corinzi 10:8. (Geisler/ Howe 1992:458-459) 71 59. Erano 70 le persone della casa di Giacobbe che erano andate in Egitto (Genesi 46:27) o erano invece 75 (Atti 7:14)? Categoria: frainteso il contesto storico Con quest’apparente contraddizione ci si chiede quante fossero le persone della casa di Giacobbe che erano andate in Egitto. I due brani discordanti sono Genesi 46:27 e Atti 7:14. Ciò nonostante, entrambi i brani sono precisi. In Genesi 46:1-27 il numero totale dei discendenti diretti di Giacobbe che andarono in Egitto con Giacobbe erano 66, secondo il versetto 26, questo dipende dal fatto che Giuda era andato avanti (versetto 28) e anche perché Giuseppe ed i suoi due figli si trovavano in Egitto. Tuttavia, al verso 27, sono inclusi tutti i membri della famiglia, tra cui anche Giuda e Giuseppe con i figli, facendo il totale salire a 70, con riferimento a tutti i membri della sua famiglia che finirono in Egitto. Nella Septuaginta (LXX) più antica e nei MSS del Mar Morto, il numero totale dato nel versetto 27 è settantacinque persone. Questo perché vi sono inclusi anche tre nipoti di Giuseppe e due bisnipoti elencati in Numeri 26:28-37 e, almeno nella LXX i loro nomi sono elencati in Genesi 46:20. Quindi la citazione in Atti 7:14, nel discorso che Stefano pronunciò prima del suo martirio, è corretta perché presa dalla Versione dei LXX. (Si veda anche Nuova Riveduta 2008 con note di John MacArthur pag.122) 60. Giuda comprò un campo (Atti 1:18) con i soldi con il compenso dell’iniquità per aver tradito Gesù, oppure li gettò nel tempio (Matteo 27:5)? Categoria: frainteso l’intento dell’autore Di fronte a quest’apparente contraddizione, ci si chiede: “Che cosa ne fece Giuda dei soldi ricevuti come compenso per aver tradito Gesù? In Atti 1:18 è scritto che Giuda acquistò un campo. In Matteo 27:5 è scritto che il denaro fu gettato nel tempio dove i sacerdoti lo usarono per comprare un campo. Tuttavia, osservando più in dettaglio, si vede che un versetto è semplicemente il riassunto dell’altro. 72 Matteo 27:1:10 narra in dettaglio gli eventi riguardanti il tradimento di Giuda nei confronti di Gesù, e la loro importanza in termini di adempimento delle Scritture. In particolare, Matteo cita il brano 11:12-13 del profeta Zaccaria, che molti ritengono chiarificatore delle profezie che si trovano in Geremia 19:1-13 e 32:6-9. In Atti 1:18-19, invece, Luca fornisce un breve riassunto di qualcosa già risaputo, per chiarire ulteriormente il discorso di Pietro alle centoventi persone che aspettavano insieme la Pentecoste (abbiamo visto lo stesso tipo di fenomeno nella nostra risposta alla domanda n° 57). Ne abbiamo la conferma nel versetto 19 dove leggiamo: Questo divenne noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme”. Inoltre, è molto probabile che il racconto che appare nel Vangelo di Matteo stesse già circolando tra i credenti al tempo in cui Luca scriveva. Pertanto non era necessario che Luca scendesse nei dettagli per quanto concerneva i fatti della morte di Giuda. 61. Giuda morì impiccandosi (Matteo 27:5) oppure cadendo in avanti squarciandosi in mezzo, con tutte le viscere sparse (Atti 1:18)? Categoria: i testi appaiono compatibili con un minimo di riflessione Questa presunta contraddizione si riferisce a quanto scritto da Matteo nel suo Vangelo, che Giuda andò ad impiccarsi. In Atti 1:18, però, Luca parla di Giuda che cade in avanti, squarciandosi in mezzo con le viscere che fuoriuscivano. Malgrado ciò, entrambe le affermazioni sono vere. Matteo 27:1-10 narra che Giuda morì impiccandosi. Luca, tuttavia, nel suo resoconto in Atti 1:18-19, vuole provocare un senso di ripugnanza nei suoi lettori, sia riguardo al campo stesso sia riguardo a Giuda, senza smentire il fatto che Giuda fosse morto impiccato. Secondo la tradizione, Giuda si sarebbe impiccato sull’orlo di un baratro, sovrastante la valle di Hinnon. La corda si sarebbe spezzata oppure fu tagliata o slegata e quindi Giuda andò a finire nel campo sottostante, nel modo descritto da Luca. 73 62. Il campo si chiamava “Campo di sangue” perché il sacerdote lo aveva acquistato a prezzo di sangue (Matteo 27:8) oppure a motivo della morte cruenta di Giuda (Atti 1:19)? Categoria: fraintesa la dicitura Ancora una volta, osservando gli stessi due brani che figurano nelle ultime due presunte contraddizioni considerate, Shabir Ally chiede come mai il campo dove Giuda fu sepolto si chiamasse “Campo di Sangue”. Matteo 27:8 dice che ciò dipendeva dal fatto che fu acquistato con prezzo di sangue, mentre, secondo Shabir, Atti 1:19 direbbe che fosse a motivo della morte cruenta di Giuda. Entrambi i brani, tuttavia, concordano sul fatto che il campo prese il nome dall’acquisto a prezzo di sangue; Atti 1:18-19 inizia dicendo: “Egli [Giuda] dunque acquistò un campo con il compenso dell’iniquità”. Quindi, il racconto parte dal fatto che il campo fu acquistato con il prezzo di sangue, e dopo, per provocare un senso di ripugnanza nel lettore, l’autore descrive la fine sanguinosa di Giuda su quel pezzo di terra. 63. Come può essere che il riscatto pagato da Cristo per tutti, che è una cosa buona (Marco 10:45; 1 Timoteo 2:5-6) sia lo stesso riscatto pagato per gli empi (Proverbi 21:18)? Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia Qui la domanda è “Chi è un riscatto per chi”? Shabir Ally cita Marco 10:45 e 1 Timoteo 2:5-6 per dimostrare che Gesù è il riscatto per tutti. Poi mette questi brani a confronto con Proverbi 21:18 dove è scritto: “L’empio servirà di riscatto al giusto; e il perfido al posto degli uomini retti”. Non c’è alcuna contraddizione qui, dato che parlano di due tipi diversi di riscatto. Un riscatto è un pagamento effettuato da una persona ad un’altra. Può essere effettuato da una persona buona a favore di altri, come ha fatto Cristo per il mondo, o effettuato da persone malvagie come risarcimento per le loro malvagità, come si legge nel suddetto brani di Proverbi. 74 Nel leggere i brani di Marco e 1 Timoteo, Shabir ragiona che, siccome Gesù era buono, non poteva figurare come un riscatto per gli ingiusti. Con questo egli riflette il pensiero islamico che rifiuta di credere che una persona possa scontare i peccati di un’altra, o che possa costituire un riscatto per qualcuno. Ma Shabir sbaglia se cerca di fondare questa sua interpretazione sulla Bibbia. La Bibbia insegna chiaramente che Cristo è un riscatto per molti. In Galati 3:13-14 e 1 Pietro 2:23-25 si parla di Gesù divenuto per noi maledizione. Quindi, Gesù ha adempiuto anche questo proverbio. Ancora una volta il presupposto di Shabir si appoggia su citazioni prese fuori dal loro contesto. In Marco 10:45 Gesù afferma: “Poiché anche il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Gesù disse queste parole perché i discepoli si erano messi a discutere tra loro, perché Giacomo e Giovanni avevano sollevato la questione di chi doveva sedersi alla sua destra e alla sua sinistra quando il Cristo sarebbe entrato nella sua gloria. Qui Gesù sta di nuovo profetizzando la propria morte che doveva avvenire e il motivo di questa morte era che egli stesso sarebbe diventato il riscatto per pagare i peccati di tutti. In 1 Timoteo 2:5-6, l’apostolo Paolo scrive: “Infatti c’è un solo Dio e anche un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo, che ha dato sé stesso come prezzo di riscatto per tutti; questa è la testimonianza resa a suo tempo”. Quest’affermazione fa parte di un brano in cui Paolo dà istruzioni alla chiesa primitiva riguardo a come adorare Dio. I due versetti spiegano il motivo ed il significato dell’adorazione di Dio: il riscatto che Dio ha provveduto affinché, tramite l’opera d’espiazione compiuta da Gesù sulla croce, egli potesse ancora una volta avere quella relazione salvifica con l’uomo. L’altro brano, Proverbi 21:18, parla, invece, del riscatto che Dio pagò, servendosi dell’ Egitto per questo scopo, al tempo dell’Esodo d’Israele da quella nazione. Se ne parla il libro di Isaia, soprattutto al capitolo 43:3: “Perché io sono il SIGNORE, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore; io dò l’Egitto come tuo riscatto , l’Etiopia e Seba al tuo posto”. 75 Quest’immagine è ulteriormente messa in risalto nei versetti 16 e 17 dello stesso capitolo. Questo si basa, in una certa misura, sul libro dell’Esodo (7:5; 8:19; 10:7; 12:33). I capitoli 13 e 14 di Esodo lo sottolineano in modo particolare. Come narra la Bibbia, fu tramite quest’azione che Dio istituì il patto mosaico con la nazione d’Israele. 64. Tutta la Scrittura è utile (2 Timoteo 3:16) oppure no (Ebrei 7:18)? Categoria: frainteso il modo in cui Dio opera nella storia L’accusa è che, mentre la Bibbia dice che tutta la Scrittura è utile, allo stesso tempo afferma che un comandamento precedente è debole ed inutile, e perciò la Bibbia cade in contraddizione. Si tratta di un problema contestuale che nasce dall’ignoranza di quanto promesso da Dio per bocca dei profeti riguardo ai due patti di cui si parla Ebrei capitolo 7. In particolare chi ha fatto la domanda fa confusione fra la valenza della Parola di Dio, che è eterna, e dei patti, alcuni dei quali hanno un valore limitato nel tempo. Per mancanza di spazio, non possiamo approfondire questo soggetto meraviglioso. Tuttavia, possiamo dare delle informazioni di fondo per mettere in grado il lettore, che ha poca familiarità con la Bibbia, di comprendere quanto stiamo dicendo. Farò un confronto con la domanda n° 92 che parla della molteplicità dei significati dei termini ebraici usati nella Bibbia, in particolare, della possibilità di interpretare la parola “niham” sia come “cambiare idea”, pentirsi”, sia come “affliggersi” (fare riferimento alla domanda n° 92 per una migliore comprensione del contesto). La Parola di Dio ovviamente prende la sua origine unicamente da Dio stesso ed è tutta utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare, come scritto in 2 Timoteo 3:14-17. Si tratta di un’affermazione generale che si riferisce a tutto ciò che proviene da Dio. Ebrei capitolo 7 parla di un comandamento particolare dato ad un popolo in un momento particolare: le norme relative ai sacrifici nel Tabernacolo e più tardi nel Tempio a Gerusalemme. Dio aveva stabilito nel suo patto con il suo popolo Israele delle norme secondo 76 cui gli israeliti dovevano offrire dei sacrifici, animali che venivano uccisi affinché Dio perdonasse i peccati del popolo. Per approfondire questo argomento, si può leggere i capitoli da 4 a 6 di Levitico dove vengono date istruzioni per il “sacrificio per il peccato” e per il “sacrificio per la colpa”. Il concetto della morte sostitutiva è un concetto sconosciuto all’islam, ma fondamentale per il Giudaismo biblico e per la fede cristiana. L’espiazione deve essere compiuta per rimediare al peccato. Il salario del peccato è la morte e qualcuno deve pagare questo prezzo. Non c’è perdono dei peccati senza spargimento di sangue perché Dio esige giustizia. Egli non può ignorarlo perché non sarebbe giusto da parte sua. Che sia stato Dio a stabilire questo metodo per l’espiazione è evidente dal fatto che, nell’Antico Testamento, il bisogno di una simile espiazione viene affermato ben 79 volte! Tuttavia, sempre nell’Antico Testamento, leggiamo pure le seguenti parole pronunciate da parte di Dio: “Ecco, i giorni vengono, dice l’Eterno, che io farò un nuovo patto con la casa d’Israele e con la casa di Giuda; non come il patto che fermai con i loro padri il giorno che li presi per mano per trarli fuori dal paese d’Egitto” (cioè sul Monte Sinai, dove egli istituì il primo patto nazionale con il popolo d’Israele, dopo che li ebbe salvati dall’Egitto) (Geremia 31:31-33). Il motivo per cui Dio avrebbe istituito il nuovo patto è che il popolo non era rimasto fedele al primo. Quindi, il nuovo patto sarebbe stato diverso; infatti Dio dice al versetto 33: “Io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore”. Egli dichiara inoltre che questo nuovo patto avrebbe provveduto un riscatto per i loro peccati da compiersi una volta per sempre, a differenza del patto precedente (Geremia 31:34; Daniele 9:24-25). Dio, inoltre, nell’Antico Testamento, parla di un Messia che avrebbe messo in atto questo nuovo patto; un Messia non legato al sacerdozio levitico, bensì un uomo perfetto della tribù di Giuda, che sarebbe stato un sacerdote dell’Altissimo. Egli, il Messia, sarebbe stato il sacrificio che avrebbe pagato tutti i peccati una volta per sempre, avvicinandosi a Dio non in virtù della propria discendenza (come nel caso dei sacerdoti leviti) bensì per merito proprio, avendo lui l’attributo divino della perfezione. Se il popolo segue questo Messia ed accetta il suo riscatto per il peccato, allora Dio scriverà la legge nelle loro menti e nel loro cuore, e Dio avrà misericordia di 77 loro, dato che la sua sete di giustizia sarebbe stata soddisfatta. Di conseguenza il popolo avrebbe potuto avvicinarsi a Dio perché, da sempre, Dio vuole avere una relazione con la sua creazione (Genesi 3:8-11) e l’unica cosa che l’impedisce è il peccato. Ovviamente, solo una lettura globale dell’Antico Testamento potrà chiarire queste cose in maniera più esauriente. Tutta la Scrittura è utile, incluso quella che concerne il sistema sacrificale. Allo stesso tempo, Dio nella sua Parola ha anche promesso di fare un nuovo patto con il suo popolo. Con ciò, il vecchio sistema, che non poteva togliere il peccato (in questo senso era inutile), è stato rimpiazzato dal sacrificio perfetto del Messia, ovvero, di Gesù. Molte scritture descrivono questo Messia che avrebbe reso operativo questo nuovo patto. In questo, egli “ha dato la sua vita in sacrificio per la colpa”, e “…erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato; il castigo, per cui abbiamo pace (con Dio), è stato su di lui” (Isaia 53). Tu puoi pagare da solo il prezzo del tuo peccato, se vuoi, ma ti costerà la vita per l’eternità: morirai a motivo del tuo peccato e andrai all’inferno. Oppure, grazie all’amore di Dio, il prezzo pagato dal Messia potrà valere per te. Infatti se tu credi in Gesù, egli risulterà essere stato “trafitto” al tuo posto, e questo farà sì che tu sarai riconciliato con Dio. Allora Dio ti permetterà di entrare in Paradiso per l’eternità, dato che la sua sete di giustizia è stata soddisfatta. Giovanni Battista, vedendo Gesù, esclamò: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!” Non è meraviglioso? Il peccato è stato pagato una volta per sempre da “l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, esattamente come predetto nell’Antico Testamento e annunciato da Giovanni Battista (vedi le risposte alle domande 34 e 44). Così è stato istituito il nuovo patto. Gesù stesso promette e avverte: “Chiunque crede nel Figliolo (Gesù) ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figliolo non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui” (Giovanni 1:29; 3:36). Così, mediante la morte e la risurrezione di Gesù il vecchio sistema di sacrifici e di offerte ripetute di animali fu reso obsoleto. L’alternativa provveduta da Dio, infinitamente superiore e completa, ha reso il vecchio sistema inutile (Ebrei 8:7-13). Però, attenzione! Dio non ha cambiato idea riguardo al suo piano per la riconciliazione dell’uomo con sé (vedi la risposta alla domanda n° 92). Dio non è un uomo che cambi idea. Era suo intento e proposito portare 78 questo nuovo patto in essere come adempimento del vecchio patto, così come dimostrato nell’Antico Testamento. C’è un altro punto qui da considerare: le leggi cerimoniali del patto levitico venivano applicati solo nell’ambito d’Israele con cui Dio aveva stipulato il patto mosaico con le sue ordinanze e decreti, e chiunque volesse convertirsi al giudaismo, sia Gentile che nonIsraelita, doveva osservare queste ordinanze. Ma i cristiani non si convertono alla religione giudaica basata sul patto mosaico. Credendo nel Salvatore Gesù, il Messia e Figlio di Dio, essi vivono nel contesto del “nuovo patto”. Questo patto è fondato sul sangue espiatorio di Gesù. In questo nuovo patto, ci sono anche dei comandamenti per i cristiani da osservare, che in un modo o l’altro si rifanno a quanto scritto nell’Antico Testamento, ma in un contesto totalmente nuovo, cioè quello del nuovo patto, reso possibile dall’adempimento delle promesse di salvezza. Quindi c’è una chiara linea di continuità, rivelazione e rinnovamento tra i due patti - il vecchio ed il nuovo - perché sia Israele che la cristianità hanno in comune il Messia, ed egli ha adempiuto le Scritture ebraiche. Quindi, tutte quelle Scritture sono utili per lo studio e per scoprire da dove veniamo e dove andiamo. Ma non ogni comandamento, ordinanza o decreto del vecchio patto continua a essere applicabile ai cristiani come lo erano per Israele che viveva sotto il patto mosaico. Anche se ci sono molte cose in comune, i patti sono diversi. Anche i Giudei devono conoscere ed accettare il nuovo patto, dato che esso significa l’adempimento di tutto ciò che Israele stava cercando e che continua ad aspettare. Nota: si può trarre un parallelo, seppur imperfetto, con quanto detto sopra dal Corano per il musulmano. Secondo Sura 3:49-50, Gesù viene e dice al popolo d’Israele: “Io sono venuto a voi per confermare la Legge che era prima di me. E per rendervi legittimo ciò che per voi era proibito, oppure di rendere “halal” ciò che era “haram”. Secondo quest’affermazione, Gesù sarebbe venuto a confermare la legge che Dio aveva dato loro, ma aveva reso alcune cose lecite che prima erano state proibite da Dio. Questo non descrive precisamente il rapporto fra il Giudaismo ed il Cristianesimo. È solo una similitudine per dimostrare ai musulmani che anche il loro Corano testimonia delle cose simili. 79 65. L’iscrizione posta sulla croce differisce secondo Matteo 27:37; Marco 15:26; Luca 23:38 e Giovanni 19:19, oppure no? Categoria: frainteso il testo Con questa presunta contraddizione viene chiesto: “Qual’era precisamente l’iscrizione posta sulla croce?”, affermando che Matteo 27:37, Marco 15:26, Luca 23:38 e Giovanni 19:19 usano tutti parole diverse per descrivere l’iscrizione sulla croce, posta sopra la testa di Gesù. Questo si può comprendere meglio osservando quanto dice Giovanni 19:20: “Molti dunque dei Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; e l‘iscrizione era in ebraico [aramaico], latino e greco”. È interessante notare che sarebbe stato Pilato a scrivere quest’iscrizione, e potrebbe dunque aver scritto cose leggermente diverse in ciascuna lingua, in base alla sua conoscenza di ognuna. L’accusa principale che venne mossa contro Gesù è che egli si era proclamato “Re dei giudei”. Se questo fosse mancato in qualcuno dei resoconti, allora ci sarebbe stato motivo di credere ad una contraddizione; ma non è così. Per una spiegazione più approfondita, consultare la spiegazione di Archer. (Archer 1982:345-346) 66. Fu Erode a volere la morte di Giovanni Battista (Matteo 14:5) oppure sua moglie Erodiada (Marco 6:20). Categoria: frainteso l’intento dell’autore I brani che Shabir cita per rilevare questa presunta contraddizione sono Matteo 14:5, dove pare che fosse Erode a volere la morte del Battista, e Marco 6:20, dove Shabir insinua che Erode non voleva farlo uccidere. Tuttavia, in realtà i brani in questione sono complementari. Quando consideriamo l’episodio nel suo complesso, vediamo che Matteo 14:1-11 e Marco 6:14-29 non sono affatto in contraddizione. Sembra piuttosto un tentativo mal concepito di trovare per 80 forza una contraddizione nella Bibbia, come per la n° 50. In entrambi i brani citati sopra, leggiamo che Erode fa imprigionare Giovanni a causa di sua moglie Erodiada. Quindi, l’elemento di fondo che cagiona la decapitazione di Giovanni va ricercata nell’influenza che Erodiada esercitava su Erode. Il resoconto di Marco è più dettagliato rispetto a quello di Matteo, il cui Vangelo si presume sia stato scritto più tardi, perché Matteo non vuole sprecare tempo a narrare cose già riportate nel Vangelo di Marco. Bisogna notare anche che Marco non ha mai sostenuto che Erode volesse uccidere Giovanni, ma dice che ne aveva paura a causa della rettitudine e la santità di Giovanni, e, come aggiunge Matteo, del suo ascendente sulle persone. 67. Era Taddeo il decimo discepolo di Gesù della lista dei Dodici (Matteo 10:1-4; Marco 3:13-19) oppure Giuda, figlio di Giacomo (Luca 6:12-16)? Categoria: frainteso il contesto storico Possono essere giuste entrambe. Non era inusuale, per la gente di quel tempo, usare più di un nome. Simone veniva chiamato anche Pietro o Cefa (Marco 3:16), e Saulo era chiamato anche Paolo. (Atti 13:9). I loro doppi nomi erano intercambiabili. C’è da aggiungere che il nome “Taddeo” viene da una radice che significa qualcosa come “l’amato”. Quindi D.A. Carson (Matthew, p. 239) suggerisce che forse quest’apostolo veniva chiamato Giuda-Taddeo (“Giuda l’amato”), poi con il passare del tempo semplicemente “Taddeo”, per distinguerlo dall’altro Giuda (cfr. Giovanni 14:22). 68. Si chiamava Matteo l’uomo che Gesù vide seduto al banco delle imposte (Matteo 9:9), chiamato ad esser suo discepolo, oppure Levi (Marco 2:14: Luca 5:27)? Categoria: frainteso il contesto storico La risposta a questa domanda è esattamente la stessa della precedente, in quanto entrambe le affermazioni sono corrette. Matteo si chiamava anche Levi, come attestano le suddette Scritture. 81 È un fatto piuttosto curioso che il Sig. Ally dedichi tanta attenzione a questa legittima consuetudine. Nella fase introduttiva di un dibattito che ebbe luogo a Birmingham (Inghilterra) nel febbraio 1998, egli si sentì libero di presentarsi con un altro nome (Abdul Abu Safiyah, che significa : “Abdul, il padre di Saffiyah, nome di sua figlia), allo scopo di guadagnarsi un vantaggio sul suo avversario il Sig. Jay Smith. Adesso qui lui trova contraddittorio il fatto che nel 1° secolo gli abitanti della terra d’Israele usassero indifferentemente l’uno o l’altro nome, una pratica niente affatto illegale. Vi sono dei motivi perfettamente leciti per usare un nome alternativo. Tuttavia, alla luce del gesto ingiusto e scorretto di cui sopra del Sig. Ally, c’è un certo alone di ipocrisia nelle due domande da lui sollevate a questo riguardo. 69. Gesù fu crocifisso di giorno, dopo aver mangiato la pasqua (Marco 14:12-17) oppure di giorno, prima della festa di Pasqua (Giovanni 13:1,30,29, 18:28, 19:14)? Categoria: frainteso il contesto storico Gesù fu crocifisso di giorno, dopo aver mangiato la pasqua. Sono motivi culturali e contestuali che danno l’impressione che, secondo Marco, la crocifissione fosse avvenuta dopo la pasqua. L’evidenza che i Vangeli ci forniscono del fatto che Gesù morì durante la vigilia della Pasqua, e quindi prima che il pasto pasquale venisse mangiato, dopo il tramonto del sole, è molto solida. Prima di approfondire (sebbene brevemente) tale questione, vale la pena notare che secondo Marco capitolo 14 il pasto che Gesù mangiò insieme ai suoi discepoli non era la pasqua vera e propria. Marco 14:12 afferma che era “la festa degli azzimi”, detta anche “Pasqua”. Come ci suggerisce il nome, la festa consisteva, tra le altre cose, nel mangiare pane senza lievito. È un comandamento che gli Ebrei osservano tutt’oggi, poiché Dio comanda espressamente “di mangiare pane senza lievito; chiunque ne mangia deve essere tagliato fuori dalla comunità di Israele. Non mangiate niente che contenga lievito. Ovunque vivrete, dovrete mangiare pane non lievitato”. Vedi anche Esodo 12:1-20. La parola greca per “pane senza lievito” è azymos. Questo è il temine usato da Marco per “la festa degli azzimi” (14:12). La parola greca per il pane normale (con lievito) è artos. Tutti gli autori del 82 Vangelo, Marco incluso, sono concordi sul fatto che nell’ultima cena con i discepoli, il pane che essi mangiarono era artos, vale a dire, pane con lievito. “E mentre mangiavano, Gesù prese del pane; e fatta la benedizione lo ruppe e lo diede loro e disse: Prendete, questo è il mio corpo” (Marco 14:22). È molto probabile quindi che quel pasto non fosse un pasto di pasqua. L’uso di parole diverse nello stesso brano ce lo avvalora fortemente. Sarebbe stato impensabile per loro mangiare qualcosa che Dio aveva proibito (pane con lievito – artos) anziché mangiare ciò che Dio aveva comandato loro di mangiare (pane senza lievito- azymos). Ma, se questo è vero, che cosa vuol dire Marco in 14:12-17? Per prima cosa, leggiamo che “era consuetudine sacrificare l’agnello pasquale”. Esodo 20:18 dice che ciò doveva avvenire nel 14° giorno del mese giudaico Nisan. Tuttavia, c’era una discussione riguardo a quando questo giorno cadeva, per via dell’uso di calendari diversi per calcolare i giorni festivi. È possibile che fossero in uso, a quel tempo, delle tradizioni distinte. Pertanto, è possibile che per alcuni fosse “consuetudine” sacrificare l’agnello in quel giorno, mentre per altri la Pasqua cadeva la sera successiva. In secondo luogo, i discepoli chiesero a Gesù dove dovevano preparare la Pasqua. Loro non avevano idea che Gesù stesse per dare la sua vita per i peccati del mondo, come l’agnello pasquale di Esodo 20, che salvò gli israeliti dall’ira di Dio versato sull’Egitto. Gesù glielo aveva spiegato, ma essi, per vari motivi, non erano riusciti a comprenderlo. Questi motivi comprendevano le grida di accoglienza trionfale di Gesù come Messia, da parte del popolo; grida che “stavano ancora risuonando nelle loro orecchie”. Gesù non disse che avrebbe mangiato la pasqua insieme ai discepoli; avrebbe voluto, ma sapeva che non lo avrebbe fatto. Non è opportuno fare affermazioni dogmatiche qui del tipo che la pasqua doveva essere mangiata lo stesso giorno in cui si affittava o si preparava la stanza. In verità, i Giudei, conforme a Esodo 12, preparavano rigorosamente le loro case per la festa degli azzimi. In terzo luogo, per certi versi i Vangeli parlano dell’ultima cena in termini di adempimento; in particolare, in Luca 22 Gesù dice che egli avrebbe desiderato mangiare “questa” pasqua con loro. Quindi, Luca sta parlando della cena di Pasqua? C’è da dubitarne visto (tra le altre ragioni) lo stesso uso di artos e azymos che abbiamo riscontrato nel Vangelo di Marco. Gesù fece di quella cena una cena di Pasqua, anche se non lo era in realtà. Egli voleva avere questa 83 comunione speciale con i suoi discepoli, i suoi amici, essendo dolorosamente consapevole dell’agonia che lo aspettava da lì a poche ore. Voleva anche mostrare ai suoi discepoli che la Pasqua parlava di lui; che era lui il sacrificio che avrebbe istituito il nuovo patto promesso da Dio (vedi domande n° 64 e 65), proprio come gli agnelli che venivano sacrificati 1.500 anni prima per salvare il popolo d’Israele dall’ira di Dio. Egli illustrò tramite quella cena che lui è “L’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, come fu chiamato da Giovanni il Battista (Giovianni 1:29). Egli voleva mangiare la Pasqua con loro perché dice: “Poiché io vi dico che non ne mangerò più finché sia compiuta nel regno di Dio” (Luca 22:16). La sua morte imminente ne era l’adempimento, “perché anche la nostra pasqua, cioè Cristo, è stata immolata” (1 Corinzi 5:7). Se questa interpretazione è corretta, significa che non c’è contraddizione. Gesù morì prima della Festa di Pasqua. 70. Gesù pregò il Padre per impedire la crocifissione? (Matteo 26:39; Marco 14:36; Luca 2:42) oppure no (Giovanni 12:27)? Categoria: frainteso il testo Con questa apparente contraddizione viene chiesto: “Gesù pregò il Padre per impedire la crocifissione oppure no? Sembrerebbe di sì, secondo Matteo 26:39, Marco 14:36; Luca 2:42. Tuttavia Giovanni 12:27 pare sottintendere che non lo facesse. Questo è un tentativo piuttosto debole di insinuare che si tratti di una contraddizione dal momento che la forza di quest’ipotetica contraddizione dipende dall’ignoranza del lettore. Matteo 26:39, Marco 14:36 e Luca 22:42 sono brani paralleli che narrano quanto ebbe luogo nel giardino dei Getsemani poco prima dell’arresto di Gesù. Secondo tutti questi brani, Gesù non chiese mai di evitare la crocifissione, ma espresse piuttosto la sua paura per le difficoltà, i dolori e le sofferenze atroci che avrebbe dovuto subire da lì a poche ore, sotto forma di travagli, percosse, flagellazione, solitudine ed allontanamento dalla sua gente e da Dio, nonché la crocifissione stessa e l’imminente trionfo su satana. Ma ciò che è più importante è che chiese che la volontà di Dio venisse fatta nelle ore successive, sapendo che era così che egli, morendo e risuscitando, avrebbe espiato il peccato del mondo. 84 Giovanni 12:27 è da collocare in un contesto totalmente differente; infatti quanto descritto in questo capitolo ebbe luogo prima degli avvenimenti di cui sopra. È scritto che Gesù parlò alla folla nel periodo della festa della Pasqua nel tempio di Gerusalemme (prima ancora che i dodici si riunissero con Gesù nella sala di sopra). In questa occasione, Gesù disse qualcosa di molto simile a quanto descritto negli altri brani di cui sopra: “Ora è turbata l’anima mia; e che dirò? Padre, salvami da quest’ora!) ma è per questo che son venuto incontro a quest’ora. Padre, glorifica il tuo nome!” Di nuovo si rievoca il fatto che egli si sente turbato. Sa bene che gli eventi intorno a lui si stanno muovendo molto rapidamente. Eppure, quest’affermazione è data in risposta ad alcuni greci che avevano fatto domande ai discepoli riguardo a Gesù. Erano lì per offrirgli una scappatoia? Può darsi, ma Gesù non va incontro a loro, anzi risponde con quanto detto sopra. Vi pare che quest’uomo voglia davvero impedire che la crocifissione abbia luogo? Non credo proprio! 71-72. Gesù si allontanò tre volte (Matteo 26:36-46) dai suoi discepoli per andare a pregare, oppure una volta sola (Luca 22:39-46)? Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili Shabir Ally chiede quante volte si era allontanato Gesù dai discepoli per pregare da solo nei Getsemani la notte in cui fu arrestato. Matteo 26:36-46 e Marco 14:32-42 dicono tre volte, ma Luca 22:39-46 parla di una volta sola. Di nuovo, non sussiste alcuna contraddizione una volta che ci si rende conto che questi testi sono complementari. Va notato che il brano di Luca non afferma che Gesù non si era allontanato tre volte per andare a pregare; il fatto che non vengono menzionate tutte e tre le volte non significa che Gesù non lo abbia fatto. È ovvio che Luca non lo ritiene un fattore rilevante per il suo resoconto. Va ricordato che si considera il Vangelo di Luca come il terzo ad essere messo per iscritto in ordine cronologico, quindi è normale che egli non abbia incluso tutte le informazioni che si trovano negli altri due Vangeli. 85 73. Il centurione disse che Gesù era innocente (Luca 23:47) oppure che era il Figlio di Dio (Marco 15:39)? Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili La domanda sollevata riguarda quanto detto dal centurione presso la croce quando Gesù spirò. I due versetti citati sono Marco 15:39 e Luca 23:47. In realtà, come abbiamo visto più volte, questi brani non sono contraddittori bensì complementari. Matteo 27:54 e Marco 15:39 concordano sul fatto che il centurione esclamò che “Costui era il Figlio di Dio!” Luca 23:47 tuttavia rammenta che il centurione si riferisce a Gesù come “un uomo giusto”. È così difficile credere che il centurione possa avere detto entrambi le cose, come i Vangeli affermano? Non sta a noi istruire gli autori dei Vangeli su ciò che il centurione avrebbe o non avrebbe detto. Matteo e Marco erano più interessati a registrare la dichiarazione di divinità proferita dal centurione, mentre Luca era interessato all’umanità di Gesù, uno dei temi principali del suo Vangelo. Quindi, egli fa riferimento alla relativa dichiarazione fatta dal centurione. (Archer 1982:346-347). 74. Gesù esclamò: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? in lingua ebraica (Matteo 26:46) oppure in aramaico (Marco 15:34)? Categoria: fraintesa l’usanza ebraica Alla domanda se Gesù abbia parlato in ebraico o aramaico mentre era sulla croce è possibile rispondere. Tuttavia, il motivo per cui Matteo e Marco lo hanno riportato in due modi diversi è probabilmente dovuto al modo in cui si parlava dell’evento in aramaico dopo il fatto, e anche in considerazione dei destinatari del Vangelo. Intanto non è un motivo valido per criticare la Bibbia. Le parole “Eloi, Eloi, lama sabakthani” in Marco 15:34 sono l’aramaismo probabilmente più citato nel Nuovo Testamento. Tuttavia, non si può essere sicuri che Gesù abbia parlato effettivamente nella lingua come riportata da Marco. Il motivo è semplice: le 86 persone che udirono le parole di Gesù pensarono che egli stesse invocando Elia (Matteo 27:47 e Marco 15:35-36). Questo fraintendimento da parte degli spettatori avrebbe dovuto esser indotta dal fatto che Gesù avesse gridato “Eli, Eli” e non “Eloi, Eloi”. Perché? Perché in ebraico Eli può significare sia “mio Dio” sia la forma abbreviata di Eliyachu, che è l’ebraico per Elia”. Invece, in aramaico Eloi può significare soltanto “Dio mio”. È interessante altresì notare che lama (“perché”) è comune a entrambe le lingue, e sabak è un verbo che si trova non solo in aramaico, ma anche nell’ebraico della Mishna. Quindi Gesù probabilmente proferì la frase in ebraico. Perché allora viene registrata anche in aramaico? Gesù faceva parte di una società multilingue; con ogni probabilità parlava il greco (la lingua franca di Grecia e Roma), l’aramaico (la lingua comune dell’antico Vicino Oriente) e l’ebraico, la lingua sacra dei Giudei, che era ritornata in uso per il culto durante il periodo del Secondo Tempio. L’ebraico e l’aramaico sono lingue semantiche strettamente collegate. Quindi, non c’è da stupirsi se nei Vangeli troviamo dei termini di entrambi. Per i cristiani, non c’è alcun problema se un autore del Vangelo riporta la frase in ebraico ed un altro in un aramaico molto simile, né si tratta di un motivo valido per criticare la Scrittura. La semplice ragione di questa differenza è che probabilmente, quando uno degli autori ricordava e discuteva gli eventi della vita, morte e risurrezione di Gesù, era abbastanza prevedibile che questa frase venisse ripetuta in aramaico in quanto si trattava di qualcosa di normalissimo. Quindi, l’autore avrebbe potuto decidere di registrare la frase come veniva trasmessa oralmente. Comunque, i motivi enunciati sono semplicemente delle ipotesi. Se Marco stesso avesse deciso di registrare tali parole in aramaico, per quale motivo ce ne preoccuperemmo! (Blivin/ Blizzard 1994:10) 75. Le ultime parole pronunciate da Gesù furono: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46) oppure “È compiuto” (Giovanni 19:30)? Categoria: con un minimo di riflessione, i testi sono compatibili “Quali furono le ultime parole di Gesù prima di spirare?” è la domanda posta da Shabir Ally nel formulare questa presunta 87 contraddizione. In realtà la contraddizione è più nel pensiero di Shabir che non in ciò che Luca e Giovanni hanno scritto nei Vangeli. Giovanni riporta l’ultima, importante dichiarazione di Gesù, che riguardava il compimento della salvezza: “È compiuto”; non rimane più nulla da fare per renderla possibile. Però va notato che dopo la dichiarazione, “È compiuto”, il racconto di Giovanni si conclude con le parole: “E, chinato il capo, rese lo spirito” (Giovanni 19:30). Il racconto di Luca ci informa sul modo in cui Gesù rese lo spirito; lo fece dicendo: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46). Del resto, non c’è contraddizione più di quanta ce ne sarebbe laddove due persone che assistono ad un incidente descrivessero due diversi scenari dell’accaduto, a seconda del punto in cui si trovavano. Nessuna delle due testimonianze sarebbe in errore, visto che entrambi descrivono un unico evento da una prospettiva differente. Luca non era testimone oculare dell’evento e quindi doveva affidarsi a coloro che lo furono. Giovanni lo era. Quello che entrambi raccontano è che alla fine Gesù dette la sua vita in sacrificio e affidò il suo spirito al Padre. Si potrebbe dire che Giovanni, oltre alle ultime parole di Gesù, era interessato al compimento della salvezza, quindi riportò: “È compiuto” l’ultima frase detta dalla croce, mentre Luca abbia citato le ultime parole che egli riteneva appropriate per il suo resoconto, concentrato com’è sull’umanità di Cristo. 76. Il centurione di Capernaum venne di persona a Gesù per chiedergli di guarire il suo schiavo (Matteo 8:5) oppure mandò degli anziani dei Giudei e i suoi amici (Luca 7:3-6)? Categoria: fraintesa l’intenzione dell’autore e, con un po’ di riflessione i due brani risultano compatibili Non si tratta di una contraddizione ma piuttosto del fraintendimento della sequenza degli eventi e di ciò che gli autori intendevano comunicare. Inizialmente il centurione fece recapitare il suo messaggio tramite degli anziani dei Giudei. È anche possibile che egli si fosse recato di persona da Gesù, dopo avervi mandato gli anziani. Matteo menziona il centurione perché era lui quello che era nel bisogno, mentre Luca menziona l’impegno dei Giudei perché erano stati loro a stabilire il primo contatto. 88 Sappiamo di altri casi dove una mansione che una persona comanda altri a fare viene inteso come compiuto dalla persona da cui l’ordine era partito. Un buon esempio è il battesimo eseguito dai discepoli di Gesù, eppure si diceva che era Gesù che battezzava (Giovanni 4:1-2). Peraltro possiamo capire perché ciascun autore scelse di riportare l’episodio in modo diverso quando comprendiamo il motivo per cui l’hanno riportato. Il motivo principale che spinse Matteo a raccontare l’episodio non riguardava il fatto in sé bensì il desiderio di illustrare, con quest’evento, l’importanza che le nazioni rivestono per Cristo. Ecco perché Matteo parla del centurione piuttosto che dei messaggeri del centurione. Anche per questo Matteo dedica più spazio alla parabola del regno dei cieli (Matteo 8:11-13) e meno spazio all’episodio in sé. Matteo vuole dimostrare che Gesù vuole stabilire un rapporto con tutti i popoli. Luca, nel raccontare l’episodio, non dice nulla della parabola che Gesù raccontò alla gente, ma si concentra piuttosto su una narrazione più dettagliata. Così facendo attira l’attenzione sull’umanità di Gesù manifestata nell’ascolto che dà ai messaggeri e nel fatto che rimane colpito dalla fede del centurione insieme con il motivo: perché il centurione non si considera neppure “degno” di presentarsi davanti a Gesù. La fede e la modestia del centurione trovano risposta nella compassione dimostrata da Gesù che guarisce il servo del centurione senza neppure recarsi alla casa del centurione. 77. Adamo morì lo stesso giorno (Genesi 2:17) oppure continuò a vivere fino all’età di 930 anni (Genesi 5:5)? Categoria: frainteso come Dio opera nella storia Le Scritture descrivono la morte in tre modi diversi: 1) La morte fisica, con cui si conclude la nostra vita terrena; 2) La morte spirituale, che è separazione da Dio; 3) La morte eterna, nell’inferno. La morte a cui accenna Genesi 2:17 è il secondo di questi tipi di morte, ossia separazione da Dio, mentre la morte menzionata in Genesi 5:5 è il primo tipo, ossia la morte fisica con cui la vita terrena si conclude. 89 Shabir Ally denuncia una contraddizione perché non comprende il significato della morte spirituale come completa separazione da Dio, perché egli esclude a priori che Adamo, mentre viveva nel giardino dell’Eden, avesse una relazione personale con Dio. La separazione spirituale (ovvero la morte spirituale) è dimostrata chiaramente in Genesi capitolo 3, che narra di come Adamo fu buttato fuori dal giardino dell’Eden e scacciato dalla presenza di Dio. Ironia della sorte, la cacciata di Adamo dall’Eden viene menzionata anche nel Corano (Sura 2:36), anche se non ce ne sarebbe alcun motivo visto che Adamo (come credono i musulmani) fu perdonato del suo peccato. Qui abbiamo un esempio di come il Corano prende a prestito un episodio dalle Scritture già esistenti senza comprenderne il significato o l’intento; ecco da dove nasce la contraddizione. (Per una maggior comprensione riguardo al significato della morte spirituale e come questo si riflette in quasi tutti gli aspetti del contrasto tra cristiani e l’islam, leggete il documento intitolato “The Hermeneutical Key” di Jay Smith, che si trova in internet alla pagina: http://debate.org.uk/theological/) 78. Dio decise che la durata della vita umana doveva essere soltanto di 120 anni (Genesi 6:3) oppure di più (Genesi 11:12-16)? Categoria: frainteso il testo In Genesi 6:3 leggiamo: “Il Signore disse: lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo, poiché nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni”. Shabir trova questa dichiarazione in contraddizione con la menzione, in Genesi 11:12-16, di persone che sono vissuti più a lungo di 120 anni. Qualunque sia la presunta contraddizione mi sembra evidente che essa si basi su un fraintendimento del testo. Infatti i 120 anni di cui Dio parla in Genesi 6:3 non possono significare la durata della vita umana dato che troviamo persone ancora più vecchie menzionate qualche capitolo dopo, sempre nel libro della Genesi (ivi incluso lo stesso Noè). La spiegazione più plausibile è che il Diluvio di cui Dio avvisò Noè non avrebbe avuto luogo se non 120 anni dopo 90 l’avvertimento iniziale dato a Noè. Questo trova ulteriore conferma in 1 Pietro 3:20, dove leggiamo: “…la pazienza di Dio aspettava, al tempo di Noè, mentre si preparava l’arca”. Quindi, tenendo presente il contesto di Genesi 6:3, la dichiarazione fatta in questo versetto appare in accordo con quanto affermato al capitolo 11 dello stesso libro.(Geisler/Howe 1992:41) 79. A parte Gesù, nessun altro (Giovanni 3:13) è asceso al cielo, oppure ci sono state altre persone che sono ascese al cielo (2 Re 2:11)? Categoria: frainteso l’uso delle parole Ci sono state altre persone che sono ascese al cielo senza passare per la morte, come Elia ed Enoc (Genesi 5:24). In Giovanni 3:13, Gesù sta esponendo la superiorità della sua conoscenza delle cose celestiali. In sostanza sta dicendo che nessuno è asceso in cielo per poi ritornarsene giù con un messaggio come quello che lui ha portato al mondo. Ma in nessun modo sta negando che ci siano altri in cielo come Elia e Enoc. 80. Il sommo sacerdote era Abiatar (Marco 2:26), oppure Aimelec (1 Samuele 21:1; 22:20) quando Davide entrò nella casa di Dio e mangiò il pane consacrato? Categoria: frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata e il contesto storico Gesù asserisce che l’episodio avvenne ai tempi di Abiatar, il sommo sacerdote, ma apprendiamo da 1 Samuele che Abiatar non era in realtà il sommo sacerdote, ma lo era suo padre, Aimelec. Se volessimo introdurre un aneddoto che riporta alla giovinezza di Davide usando parole quali: “Quando il re Davide era un pastorello” non sarebbe considerato un errore, anche se Davide non era re a quel tempo. Allo stesso modo Abiatar sarebbe diventato, da lì a poco, sommo sacerdote ed è conosciuto alla storia avente tale incarico; quindi Abiatar, che portò a Davide la notizia di ciò che era 91 successo dopo la sua partenza, è menzionato nel Vangelo di Marco con questo titolo. Marco dice il vero quando afferma che l’episodio accadde nei giorni di Abiatar, dato che questi era presente durante l’accaduto. Sappiamo da 1 Samuele 22:20 che egli sfuggì per un pelo alla morte quando il resto della famiglia e la città del padre furono distrutti dagli uomini di Saul. Quindi, l’affermazione di Gesù non fa una piega. (Archer 1994-362). 81. Il corpo di Gesù fu cosparso con sostanze aromatiche prima della sepoltura, in conformità con l’usanza ebraica (Giovanni 19:39-40) oppure le donne andarono a cospargerlo in seguito, a sepoltura avvenuta (Marco 16:1)? Categoria: con un po’ di riflessione i due testi appaiono compatibili Giovanni 19:39-40 dice chiaramente che Giuseppe e Nicodemo avvolsero il corpo in 75 libbre di mirra e aloe, oltre alle bende di lino. Sappiamo anche dagli autori dei Vangeli sinottici che il corpo fu coperto da un ampio sudario. Non c’è alcun motivo per pensare che ci sia contraddizione. Il fatto che i sinottici non menzionano le spezie durante la sepoltura non significa che non furono usate. Se si intende, sulla base di Marco 16:1, che le donne speravano di eseguire tutto il processo da sole, avrebbero avuto bisogno anche delle bende di lino, che non vengono menzionate. È probabile che volessero semplicemente compiere un ulteriore atto di devozione al loro maestro aggiungendo altre spezie a quelle già usate da Giuseppe. Dato che Gesù spirò verso l’ora nona (Marco 15:34-37), Giuseppe e Nicodemo avevano almeno tre ore di tempo per eseguire tutte le procedure per la sepoltura prima dell’inizio del sabato. Non c’è alcun motivo per pensare che non ci fosse tempo per fare altro che avvolgere il corpo di Gesù nel sudario e depositarlo nella tomba. 82. Le donne comprarono le spezie dopo il sabato (Marco 16:1) o prima (Luca 23:55 fino al 24:1)? Categoria: con un po’ di riflessione i testi appaiono compatibili Vari dettagli nei due resoconti sulla risurrezione suggeriscono che ci fossero in effetti due gruppi di donne che si stavano recando 92 al sepolcro, dandosi appuntamento lì. Per maggiori dettagli circa questi due gruppi si può vedere la risposta alla domanda n° 86. Adesso appare chiaro che Maria Maddalena e il suo gruppo avevano acquistato le loro spezie dopo il sabato, come riportato in Marco 16:1. Dall’altra parte, Giovanna ed il suo gruppo le avevano acquistate prima del sabato, come leggiamo in Luca 23:56. È interessante notare che Giovanna viene menzionata soltanto in Luca, il che aumenta la probabilità che fosse il suo gruppo quello menzionato nel resoconto di Luca. 83. Le donne visitarono la tomba “verso l’alba” (Matteo 28:1) oppure “al levar del sole” (Marco 16:2)? Categoria: con un minimo di riflessione i due brani citati appaiono compatibili Una breve occhiata ai quattro brani in questione toglierà ogni dubbio. ➛ ➛ ➛ ➛ Matteo 28:1 - Verso l’alba…andarono a vedere il sepolcro. Marco 16:2 - molto presto, al levar del sole vennero al sepolcro. Luca 24:1 - la mattina prestissimo ..si recarono al sepolcro. Giovanni 20:1 - La mattina presto, mentre era ancora buio… andò al sepolcro. Quindi, vediamo che i quattro resoconti sono facilmente compatibili a questo riguardo. Non è neppure necessario tenere in considerazione che c’erano due gruppi di donne, dato che la concordanza è molto chiara. Da Luca, comprendiamo che era ancora molto presto quando le donne si avviarono alla tomba. Da Matteo, si capisce che stava albeggiando, anche se Giovanni fa capire che il sole non si era ancora levato del tutto: l’oscurità se ne stava ancora in fase di superamento. L’affermazione di Marco, che il sole era sorto, viene dopo quando le donne erano per la strada. È del tutto legittimo presumere che il sole avesse avuto il tempo di sorgere mentre attraversavano Gerusalemme per recarsi sul posto. 93 84. Le donne vanno alla tomba per ungere il corpo di Gesù con spezie (Marco 16:1; Luca 23:55 – 24:1), oppure per vedere la tomba (Matteo 28:1), oppure per nessuna ragione (Giovanni 20:1)? Categoria: con un minimo di riflessione i brani citati appaiono compatibili La risposta è collegata alla risposta alla domanda n° 81. Sappiamo che le donne andarono alla tomba allo scopo di cospargere ancora dell’unguento sul corpo di Gesù, come Luca e Marco ci raccontano. Il fatto che Matteo e Giovanni non specificano il motivo, non significa che non ce ne fosse uno. Esse stanno andando a mettere delle spezie, che tutti i Vangeli lo menzionino o meno. Non ci aspettiamo certo che ogni dettaglio debba essere incluso in tutti i resoconti, altrimenti non ci sarebbe bisogno di averne quattro di Vangeli! 85. Quando le donne arrivarono alla tomba, la pietra era stata “rotolata” (Marco 16:4), “rotolata via” (Luca 24:2) oppure “tolta” (Giovanni 20:1), oppure videro un angelo rotolarla via (Matteo 28:1-6)? Categoria: frainteso il testo Matteo non dice che le donne videro l’angelo rotolare la pietra. L’accusa mossa da Shabir Ally è molto banale. Dopo avere narrato delle donne che si recano alla tomba, Matteo parla di un terremoto, che ebbe luogo mentre erano ancora per la via. Matteo 28:2 inizia con: “ed ecco si fece un gran terremoto”. Il testo greco rende il senso seguente: “Ora c’era stato un violento terremoto”. Quando le donne parlano con l’angelo, si capisce da Marco 16:5 che esse erano arrivate al sepolcro e vi erano entrate, dove l’angelo stava seduto sul ripiano su cui c’era stato il corpo di Gesù. La risposta a questa domanda è che la pietra era stata rotolata quando arrivarono: non ci sono contraddizioni. 94 86. In Matteo 16:2; 28:7; Marco 16:5-6; Luca 24:4-5, 23, alle donne viene detto che cosa è accaduto al corpo di Gesù, mentre in Giovanni 20:2, a Maria non viene detto. Categoria: con un po’ di riflessione i brani citati risultano compatibili Gli angeli dissero alle donne che Gesù era risuscitato dai morti. Matteo, Marco e Luca sono tutti chiari su questo punto. L’apparente discrepanza riguardo al numero di angeli scompare quando ci rendiamo conto che c’erano due gruppi di donne. Maria Maddalena ed il suo gruppo probabilmente erano partite dalla casa di Giovanni Marco, dove si pensa sia stata consumata l’Ultima Cena; Giovanna e altre donne di cui non conosciamo i nomi, probabilmente erano partite dalla residenza di Erode, in un’altra parte della città. Giovanna era la moglie di Cuza, l’amministratore di Erode (Luca 8:3), ed è quindi possibile che Giovanna e le sue compagne fossero partite dalla residenza reale. Con questo in mente, è chiaro che il primo angelo (quello che rotolò via la pietra e disse a Maria e Salome dove Gesù si trovava) era scomparso quando Giovanna e le altre donne arrivarono. Arrivate sul posto (Luca 24:3-8) apparvero due angeli comunicando loro la buona notizia, dopodiché le donne corsero via per farne parte agli apostoli. In Luca 24:10 tutte le donne vengono menzionate insieme, dato che tutte andarono agli apostoli. Adesso siamo in grado di capire come mai Maria Maddalena non vide gli angeli. Giovanni 20:1 afferma che Maria arrivò al sepolcro e sappiamo dagli altri Vangeli che Salome ed un’altra Maria erano con lei. Appena vide la pietra rotolata, Maria Maddalena corse a dirlo agli apostoli, pensando che Gesù fosse stato portato via. L’altra Maria e Salome, d’altro canto, soddisfecero la loro curiosità guardando dentro al sepolcro, dove trovarono l’angelo che disse loro ciò che era avvenuto. Quindi, vediamo che gli angeli informarono in effetti le donne, ma che Maria Maddalena corse via prima di poterli incontrare. 95 87. Maria Maddalena incontrò il Signore risorto durante la sua prima visita (Matteo 28:9) o durante la seconda visita (Giovanni 20:11-17)? E come reagì? Categoria: con un po’ di riflessione i brani citati risultano compatibili Abbiamo specificato nella risposta precedente che Maria Maddalena ritornò di corsa dagli apostoli non appena vide che la pietra era stata rotolata via. Quindi, quando Matteo 28:9 narra dell’incontro di Gesù con alcune donne, lei non era presente. Infatti, si capisce da Marco 16:9 che Gesù apparve prima a Maria Maddalena, cioè dopo che lei, Pietro e Giovanni erano ritornati al sepolcro la prima volta (Giovanni 20:1-18). Qui vediamo che Pietro e Giovanni videro il sepolcro e poi tornarono a casa, lasciando Maria a piangere all’entrata del sepolcro. Dopodiché ella vide i due angeli dentro il sepolcro e poi incontrò Gesù in persona. Poiché tutto questo avvenne prima che Gesù fosse apparso alle altre donne, sembra che qualcosa abbia rallentato il cammino delle donne dirette agli apostoli. Possiamo capirne il motivo mettendo a confronto i vari resoconti complementari. Da Matteo 28:8 apprendiamo che le donne (Maria madre di Giacomo e Salome) corsero via “con spavento e grande gioia.. ad annunziarlo ai suoi discepoli”. Sembra che il loro spavento iniziale abbia avuto la meglio perché esse ”non dissero nulla a nessuno” (Marco 16:8). Era a questo punto che Gesù le incontrò all’improvviso (Matteo 28:9-10). Qui, egli calmò le loro paure e disse nuovamente a loro di andare a dirlo agli apostoli. Chi cerca di armonizzare i racconti della risurrezione incontra diversi problemi che non sono stati commentati qui. Non sarebbe appropriato dilungarci qui in una spiegazione esaustiva. A chi desiderasse leggere una trattazione completa, consigliamo il libro: Easter Enigma, di John Wenham, della Paternoster Press. Bisogna ammettere che in alcuni casi abbiamo dato delle spiegazioni o interpretazioni che non sono esplicitamente affermate nel testo. Questo è perfettamente lecito, dato che si tratta di spiegazioni plausibili. È chiaro che gli autori dei Vangeli scrivono da diversi punti di vista, aggiungendo o tralasciando vari dettagli. Questo è da aspettarsi da quattro autori che scrivono indipendentemente. Ma lungi dal gettare dubbi sulla veridicità dei loro resoconti, questo fatto ne aumenta la credibilità in quanto dettagli che in un primo momento 96 sembrano essere in conflitto, possono essere risolti con un po’ di riflessione; intanto non ci sono segni di collusione da parte dei testimoni oculari né da parte degli autori dei Vangeli. 88. Gesù disse ai discepoli di aspettarlo in Galilea (Matteo 28:10), oppure che stava salendo a suo Padre e Dio (Giovanni 20:17)? Categoria: letto male il testo Con quest’apparente contraddizione viene chiesto: “Quale furono le istruzioni date da Gesù ai discepoli? Shabir Ally cita Matteo 28:10 e Giovanni 20:17 e ne fa nascere una contraddizione apparente. Tuttavia, i due brani riguardano momenti diversi della stessa giornata e non c’è motivo di pensare che Gesù avesse dato ai discepoli una sola istruzione. Questa è un’altra presunta contraddizione che fa leva sull’ignoranza, di chi legge il libro di Shabir, dei relativi brani biblici e delle vicende attinenti a quella domenica mattina di risurrezione. I due brani infatti sono complementari, e non contradditori. Questo perché non si riferiscono allo stesso momento. Matteo 28:10 parla di un gruppo di donne che incontrano Gesù risorto mentre stanno andando a riferire ai discepoli quanto avevano scoperto. Un sepolcro vuoto!? Gesù affida a queste donne alcune istruzioni da riferire ai discepoli. Quanto riferito nel secondo brano (Giovanni 20:17) ha luogo un po’ di tempo dopo (per capire meglio l’arco di tempo, leggete dall’inizio del capitolo), quando Maria è sola, piangendo all’entrata del sepolcro, scossa dagli avvenimenti che si stanno vorticosamente svolgendo intorno a lei. Vede Gesù che le dà altre istruzioni da riferire ai discepoli. 89. In osservanza delle istruzioni di Gesù, i discepoli ritornarono in Galilea immediatamente (Matteo 28:17) oppure dopo almeno 40 giorni (Luca 24:33,49; Atti 1:3-4)? Categoria: il testo biblico non è stato letto per intero ed è stato citato erroneamente Questa presunta contraddizione chiede quand’è che i discepoli ritornarono in Galilea dopo la crocifissione. Si dice, in base a 97 Matteo 28.17, che vi ritornarono immediatamente, mentre da Luca 24:33 49 e Atti 1:4 apprendiamo che vi andarono almeno 40 giorni dopo. In realtà entrambe queste supposizioni sono errate. La lettura integrale di questi brani fa comprendere che Gesù apparve loro molte volte; a volte individualmente, altre volte a gruppi, nonché all’intero gruppo che si trovava radunato insieme, ma anche a Paolo e Stefano dopo l’Ascensione (si veda 1 Corinzi 15:5-8 e Atti 7:55-56). Egli apparve in Galilea, a Gerusalemme ed anche in altri luoghi. Matteo 28:16–20 non è un riassunto di tutte le apparizioni di Cristo, ed è per questa ragione che non è consigliabile enfatizzare più del dovuto la questione dell’ordine cronologico in questo resoconto, come sembra aver voluto fare Shabir. Il secondo termine di questa presunta contraddizione (quanto scritto in Atti 1:3-4) è ancora più debole. Atti 1:4, che Shabir Ally non ha citato, dice: “Trovandosi con loro, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’attuazione della promessa del Padre, “la quale”, egli disse, “avete udita da me”. Ora, l’autore del libro degli Atti, cioè, Luca, in questo brano non specifica quando Gesù disse queste parole. Tuttavia, nel suo Vangelo fa come Matteo, cioè raggruppa le varie apparizioni; quindi non sarebbe consigliabile dare troppo valore cronologico a Luca 24:36-49. Appare evidente, in ogni modo, dai Vangeli di Matteo e Giovanni che alcuni discepoli si recarono in effetti in Galilea ed incontrarono Gesù là; presumibilmente dopo il primo incontro a Gerusalemme e certamente prima della fine del periodo di 40 giorni quando avvenne l’ascensione di Cristo in cielo. 90. I Madianiti vendettero Giuseppe “agli Ismaeliti” (Genesi 37:28) o a Potifar, ufficiale del faraone (versetto 36)? Categoria: frainteso il contesto storico Ritenere questi due versetti in contraddizione è molto strano in quanto denota una mancanza di comprensione di tutto il brano di cui essi fanno parte (Genesi 37:25-36). La domanda è: “I Madianiti, a chi vendettero Giuseppe?” Il versetto 28 viene usato per dire che fu venduto agli Ismaeliti, il 36 per dire che fu venduto a Potifar. 98 In realtà i mercanti nomadi a cui Giuseppe fu venduto e che lo vendettero a Potifar in Egitto non possono essere divisi in “ismaeliti” e “madianiti”. I termini “Ismaeliti” e “Madianiti” vengono usati in modo interscambiabile. Ciò appare ovvio quando i versetti 27 e 28 vengono letti insieme. Un uso più chiaro di questi due nomi lo si può trovare anche in Giudici 8:24. 91. Furono gli Ismaeliti a portare Giuseppe in Egitto (Genesi 37:28) oppure i Madianiti (versetto 36), o i fratelli di Giuseppe (45:4)? Categoria: frainteso il contesto storico Questa presunta contraddizione segue la precedente e ancora una volta mette in evidenza i problemi che Shabir ha con la situazione storica, nonché la sua incapacità di comprendere ciò che il testo sta dicendo. Stavolta la domanda è: “Chi portò Giuseppe in Egitto?” Dalla risposta all’ultima domanda sappiamo che sia gli Ismaeliti che i Madianiti furono responsabili d’avercelo portato fisicamente (dato che si tratta del medesimo popolo), mentre i fratelli di Giuseppe ne furono altrettanto responsabili, dato che furono loro a venderlo ai mercanti per cui sono da considerare i veri colpevoli, come Giuseppe afferma in Genesi 45:4. In conclusione, sia gli Ismaeliti/Madianiti sia i fratelli di Giuseppe, ebbero un ruolo nel portare Giuseppe in Egitto. 92. Dio cambia idea (Genesi 6:7; Esodo32:14; 1 Samuele 15:10-11,35) oppure non cambia idea (1 Samuele 15:29)? Categoria: frainteso come Dio opera nella storia e il modo di pensare ebraico Questa “contraddizione” generalmente appare solo nelle traduzioni più antiche del testo ebraico. L’accusa nasce dalle difficoltà di traduzione e viene risolta osservando il contesto dell’evento in questione. Dio sapeva che Saul avrebbe fallito la sua missione come re d’Israele. Ciononostante, Dio gli permise di diventare re e lo usò grandemente per compiere la sua volontà. Saul era molto efficiente 99 come leader d’Israele, per infondere coraggio nel suo popolo e suscitare in loro orgoglio per la propria nazione, e nel guidare il popolo durante i tempi di guerra. Tuttavia, Dio aveva fatto chiaramente capire molto tempo prima (Genesi 49:8-10) che egli avrebbe costituito dalla tribù di Giuda i re che avrebbero regnato su Israele. Quindi non ci sono dubbi sul fatto che Saul o i suoi discendenti non erano stati scelti per sedersi per sempre sul trono d’Israele. Il suo successore Davide, invece, veniva dalla tribù di Giuda e quindi la sua discendenza avrebbe continuato in questo ruolo. Quindi, Dio, che conosce ogni cosa, non “cambiò idea” riguardo a Saul, perché egli sapeva che gli avrebbe voltato le spalle e che il trono sarebbe stato dato ad un altro. La parola ebraica usata per esprimere ciò che Dio pensava e come si sentiva riguardo all’abbandono di Dio da parte di Saul, è “niham”, tradotta “pentirsi” in 1 Samuele 15:11 e 35 (Nuova Riveduta). Tuttavia, come spesso succede con le lingue, il termine può avere più di un significato. Per esempio, l’inglese ha una sola parola per dire ”amore” mentre il greco ne ha almeno quattro e l’ebraico ancora di più. Un termine ebraico o greco per “amore” non può essere tradotto sempre con “amore” se si vuole conservare il pieno significato del termine originale. Questo è un problema che devono affrontare i traduttori della Bibbia. I traduttori della versione inglese della Bibbia citata da Shabir (la “Versione autorizzata” di Re Giacomo, del 1611), tradussero la parola niham 41 volte con il verbo “pentirsi”, su 108 volte in cui la parola niham ricorreva in forme diverse nei manoscritti ebraici. I traduttori avevano a disposizione meno manoscritti di quelli che ne hanno i traduttori più recenti, che tra l’altro hanno accesso anche a manoscritti ancora più antichi oltre che una migliore comprensione dei termini biblici ebraici. Quindi i traduttori più recenti hanno tradotto nahim in modo molto più esatto, con altri termini attinenti al suo significato in ebraico, rendendo significati quali: placarsi, addolorarsi, consolare, confortare, cambiare idea, ecc., secondo quello che il testo ebraico intende comunicare in ciascun caso. Tenendo questo in mente, una traduzione più esatta del termine ebraico niham in 1 Samuele 15:11 sarebbe “addolorato”; Dio era “addolorato” per avere fatto Saul re. Dio non mente, né cambia idea; perché egli non è come l’uomo, che cambia idea. Dio era addolorato per avere fatto Saul re. Dio ci dimostra nella Bibbia che 100 ha delle emozioni vere. Egli ha compassione per il dolore dell’uomo e ascolta le sue suppliche. La sua ira e la sua collera sorgono quando egli vede la sofferenza delle persone motivata dalle azioni degli altri. Come risultato della disubbidienza di Saul, Dio ne fu addolorato ed anche il popolo d’Israele. Ma, oltre a questo, era nei piani di Dio sin dall’inizio che la discendenza di Saul, non essendo nemmeno dalla tribù di Giuda, non sarebbe stata quella a sedersi sul trono. Quindi, quando Saul supplica il profeta Samuele ai versetti 24 e 25, di riconciliarlo con Dio di modo che non venisse detronizzato, Samuele risponde che Dio ha decretato che le cose devono andare così. Egli non avrebbe cambiato idea; era stato decretato così già centinaia d’anni prima che Saul fosse re. Non c’è alcuna contraddizione qui. La domanda era: Dio cambia idea? La risposta è “NO”. Ma egli risponde alle situazioni ed alla condotta delle persone, con compassione o con collera, e può essere addolorato quando esse compiono malvagità. (Archer 1994). 93. Come facevano i maghi egiziani a trasformare l’acqua in sangue (Esodo 7:22) se tutta l’acqua disponibile era già stata trasformata in sangue da Mosè ed Aaronne (7:20-21)? Categoria: poca considerazione della realtà idrica dell’Egitto e imposizione della propria idea La presunta contraddizione potrebbe basarsi sul versetto 19 “Vi sarà sangue in tutto il paese d’Egitto”, letto senza considerare che tutto il sistema idrico egiziano, in tutto il paese, dipendeva dal Nilo. In effetti furono le acque del Nilo a essere trasformate in sangue da Mosè e Aaronne (versetto 20). C’era l’acqua dei pozzi a disposizione per i maghi del faraone. Il versetto 24, poco più avanti, ce ne dà la conferma: “Tutti gli Egiziani fecero degli scavi nei pressi del Fiume per trovare dell’acqua da bere, perché non potevano bere l’acqua del Fiume”. Quindi, dove sta la difficoltà per cui i maghi non avrebbero potuto dimostrare che anche loro potevano fare la stessa cosa? Non solo Shabir ha omesso di leggere il testo integralmente, ha pure imposto al testo ciò che non è scritto in esso. 101 94. Fu Davide (1 Samuele 17:23, 50) oppure Elcanam (2 Samuele 21:19) ad uccidere Golia? Categoria: errore del copista Questa discrepanza riguardo a chi abbia ucciso Goliat (Davide o Elcanam) è dovuto ad un errore del copista o dello scriba; il che si può vedere chiaramente. Infatti il testo in 2 Samuele 21:19 recita: “Ci fu di nuovo battaglia con i Filistei a Gob; ed Elcanam, figlio di Iaare-Oreghim di Betlemme, uccise Goliat di Gat, che aveva una lancia robusta come un subbio da tessitore”. Come appare nel testo ebraico Masoretico, questo è sicuramente in evidente contraddizione con quanto scritto in 1 Samuele a proposito di Davide che uccise Goliat. Tuttavia, c’è un motivo molto semplice per questa contraddizione, come dimostrato nel brano parallelo di 1 Cronache 20:5, che descrive l’episodio come segue: “Ci fu un’altra battaglia con i Filistei; ed Elcanan, figlio di Iair, uccise Lami, fratello di Goliat di Gat, la cui asta della lancia era come un subbio da tessitore”. Quando si esaminano questi testi in ebraico, il motivo della contraddizione diventa chiaro ed il testo di 1 Cronache appare quello corretto. Questo non solo perché sappiamo che Davide uccise Goliat, ma anche basandoci su quanto è stato scritto. Mentre lo scriba stava ricopiando il manoscritto precedente, probabilmente il punto dove si trovava il versetto in 2 Samuele era scolorito o danneggiato e di conseguenza lo scriba fu stato indotto in errore (Gleason L. Archer, Encyclopedia of Bible Difficulties, p. 179): 1. Il segno corrispondente all’oggetto diretto in 1 Cronache era ‘-t che viene subito prima di “Lahmi”, nella sequenza della frase. Lo scriba lo ha scambiato con b-t or b-y-t (“Bet”) e quindi lesse BJt hal-Lahmi (“il Bethlehemita)”, ricopiandolo così. 2. Ha scambiato la parola per “fratello” (‘-h, l’h con un puntino sotto) come il segno dell’oggetto diretto (‘-t) prima di g-l-y-t (Goliat). Quindi lo scriba ha messo Goliat come oggetto del 102 termine “uccise” invece di “fratello” di Goliat, come in 1 Cronache. 3. Il copista ha messo nel posto sbagliato la parola per “tessitori” (‘-r-g-ym) così da porla subito dopo “Elanan” come cognome (ben Y->-r-y=-r—g-ym, ben ya>arey =ore-gim,“il figlio della foresta dei tessitori”, un nome piuttosto improbabile per il padre di chiunque). In Cronache ore-gim ( tessitori) viene subito dopo oregim (“tessitori”), rendendo così un senso perfetto. Per concludere, quanto dedotto da 2 Samuele 21:19 è interamente riconducibile ad un errore da parte del copista nel ricopiare il testo originale la cui forma si è mantenuta, invece, in 1 Cronache 20:5. Fu Davide ad uccidere Goliat. Questo testimonia l’onestà degli scribi e traduttori (sia Giudei che Cristiani). Anche se sarebbe facile correggere questo errore ben riconosciuto, ciò non è stato fatto per rimanere fedeli ai manoscritti. Anche se lascia adito a critiche superficiali, come quelle di Shabir, è una critica che non ci fa paura. Un eccellente esempio di errore umano di copiatura, dovuto al deterioramento del papiro. 95. Fu Saul che prese la sua stessa spada e ci cadde sopra (1 Samuele 31:4-6) oppure fu un Amalechita ad ucciderlo (2 Samuele 1:16)? Categoria: frainteso il testo Bisogna notare che l’autore di 1 e 2 Samuele non dà alcun valore alla storia dell’Amalechita. Quindi, con ogni probabilità fu Saul che si uccise da solo, anche se l’Amalechita si attribuisce il merito di averlo fatto. L’autore racconta come morì Saul e poi riporta quanto detto dall’Amalechita. La sua affermazione - che egli si trovava per caso lì sul Monte Ghilboa - (2 Samuele 1:16) non era un’affermazione del tutto sincera; con ogni probabilità era lì per depredare i cadaveri. In ogni caso, egli era certamente arrivato lì prima dei Filistei, che non trovarono il corpo di Saul fino al giorno dopo (1 Samuele 31:8). Abbiamo la testimonianza dello stesso Davide, ossia che l’Amalechita pensava di portare una buona notizia della morte di Saul (2 Samuele 4:10). È verosimile, quindi, che egli abbia trovato il corpo di Saul, gli abbia tolto la corona e il bracciale 103 per poi inventarsi la storia della morte di Saul allo scopo di essere magari ricompensato da Davide per aver sconfitto il suo nemico. Il piano malvagio dell’Amalechita, tuttavia, fallì ritorcendosi drammaticamente contro di lui. 96. Pecchiamo tutti quanti (1 Re 8:46; 2 Cronache 6:36; Proverbi 20:9; Ecclesiaste 7:20; 1 Giovanni 1:8-10), oppure ci sono alcuni che non peccano (1 Giovanni 3:1,8-9; 4:7; 5:1)? Categoria: frainteso il significato della sintassi greca per poi imporre la propria opinione Di fronte a quest’apparente contraddizione si pone la domanda: “Peccano tutti gli uomini?” Una risposta positiva viene sostenuta da un elenco di brani dell’Antico Testamento, insieme a questo brano del Nuovo Testamento: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi” (1 Giovanni 1:8-10). Riferendosi a questo brano, Shabir asserisce che: “I veri cristiani non possono affatto peccare, perché sono figli di Dio”. Poi cita diversi brani dalla Prima Epistola di Giovanni che dimostrano che i cristiani sono figli di Dio. Shabir qui sta imponendo la sua veduta sul testo, dando per scontato che coloro che sono figli di Dio improvvisamente non hanno più peccato. È vero che una persona che è nata da Dio non dovrebbe peccare per abitudine (Giacomo 2:14), ma ciò non vuol dire che non possa cadere qualche volta in peccato, dato che viviamo in un mondo peccaminoso e ne siamo influenzati in qualche modo. L’ultimo versetto citato nella sua trattazione è 1 Giovanni 3:9, tradotto così nella Nuova Riveduta: “Chiunque è nato da Dio non persiste nel commettere peccato, perché il seme divino rimane in lui, e non può persistere nel peccato perché è nato da Dio”. Shabir, nel citare questo versetto, fa uso di una traduzione più vecchia di 1 Giovanni 3:9, che recita: “Nessuno nato da Dio 104 commette peccato... e non può peccare”, ma questo non è la vera traduzione del testo greco perché il tempo presente del verbo dà il significato di un’azione continua oppure ripetuta nel tempo. Così la Nuova Riveduta (si veda sopra) rende correttamente il testo greco. Giovanni afferma che una persona nata da Dio non continuerà a peccare, perché ha ricevuta una nuova vita che viene assistita dallo Spirito Santo. La presenza in lui o lei di questo “seme divino” assicura che, sebbene possa cadere nel peccato di tanto in tanto (2:1-2), non vivrà più come schiavo del peccato. È interessante notare come Shabir salta da un punto all’altro del testo per dimostrare il proprio punto di vista. Nel tentativo di dimostrare l’esistenza di una contraddizione, egli inizia con 1 Giovanni capitolo 1 poi va ai capitoli 3-5, per poi ritornare al primo capitolo versetto 8, che afferma che tutti gli uomini peccano. Shabir ovviamente non ha compreso quanto scritto dall’apostolo, né ha afferrato il fatto che la lettera sviluppa il suo tema in modo progressivo. Citare dall’inizio per poi saltare al centro e ritornare all’inizio non è certo la maniera giusta di leggere una lettera. Nel suo tentativo di dimostrare l’esistenza di una contraddizione, Shabir ha perfidamente modificato l’ordine originale del discorso, così da avvalorare una contraddizione che non esiste. Non c’è alcuna contraddizione nella 1 Giovanni. Le Scritture insegnano chiaramente che tutti gli uomini hanno peccato eccetto uno, il Signore Gesù Cristo, quindi non c’è niente da eccepire in ciò che Shabir afferma nel suo primo punto. Per quanto riguarda il suo secondo punto, c’è da rallegrarsi che egli si sia reso conto che i cristiani sono figli di Dio; quindi, nemmeno su questo soggetto c’è da discutere. È il terzo punto di Shabir che risulta contradditorio perché rispecchia lo sviluppo della tematica della lettera, in particolare la chiamata alla santità e alla giustizia a motivo dell’avvenuto perdono dei peccati grazie all’espiazione operata dalla morte in croce di Gesù Cristo. È per questo motivo che noi siamo chiamati a non continuare a camminare nelle nostre vie di peccato, ma a essere trasformati all’immagine perfetta di Cristo. 105 97. Dobbiamo portare i pesi gli uni degli altri (Galati 6:2) oppure dobbiamo portare soltanto i nostri di pesi (Galati 6:5)? Categoria: frainteso il testo La domanda è: “Chi deve portare i pesi di chi?” Galati 6:2 e 6:5 vengono posti a confronto: uno dice i pesi gli uni degli altri, l’altro dice i propri. Ma se si legge il testo di seguito non appare alcuna contraddizione. Il brano non ci permette di scegliere fra “l’uno/o l’altro”, esso insegna sia questo, sia quello. Chi legge Galati 6:1-5 con attenzione noterà che ai credenti viene chiesto di aiutarsi l’un l’altro nei momenti di bisogno, difficoltà o tentazione; ma sono anche chiamati ad assumere la responsabilità delle proprie azioni. Non c’è né difficoltà né contraddizione in questo. 98. Gesù apparve ai dodici discepoli dopo la sua risurrezione (1 Corinzi 15:5), o apparve a undici di loro (Matteo 27:3-5; 28:16; Marco 16:14; Luca 24:9,33; Atti 1:9-26)? Categoria: frainteso il testo Un esame attento di come le parole vengono usate dimostra che non c’è contraddizione qui. In tutti i riferimenti in cui vengono indicati undici discepoli, l’intento dell’autore è di narrare con precisione i fatti riguardanti il particolare momento di cui parla il testo. Dopo la morte di Giuda, c’erano soltanto undici discepoli, e così rimasero finché non venne scelto Mattia per rimpiazzare Giuda. In 1 Corinzi 15:5 il termine generico “i Dodici” è usato per indicare gli apostoli perché ormai anche Mattia viene annoverato tra i Dodici, dato che anche lui era testimone sia della Morte che della Risurrezione di Gesù Cristo, come indicato in Atti 1:21-22, un brano che Shabir stesso cita. 106 99. Gesù andò immediatamente nel deserto dopo il suo battesimo (Marco 1:12-13) oppure si recò prima in Galilea, dove incontrò dei discepoli e partecipò ad un banchetto di nozze (Giovanni 1:35,43; 2:1-11). Categoria: fraintesa l’intenzione dell’autore La domanda è: “Dove si trovava Gesù nei giorni immediatamente dopo il suo battesimo? Marco 1:12-13 afferma che andò subito nel deserto dove rimase per quaranta giorni, mentre in Giovanni sembra che il giorno successivo Gesù si trovasse a Betania, il secondo giorno in partenza per la Galilea e, tre giorni dopo, a Cana (Giovanni 1:35; 1:43; 2:1-11). Questo problema scompare non appena ci si rende conto che Giovanni, a partire dagli eventi descritti in Giovanni 1:29, non sta parlando del giorno successivo al battesimo di Gesù, bensì del giorno dopo il suo ritorno dal deserto. Giovanni non dice che Gesù andò a Cana subito dopo il battesimo. Giovanni 2:1 parla di un terzo giorno, ma si tratta del terzo giorno dopo aver fatto ritorno in Galilea, non del terzo giorno dopo il suo battesimo. Giovanni semplicemente non menziona la tentazione di Cristo nel deserto perché gli altri Vangeli avevano già riportato questo evento. (The True Guidance III:129) 100. Giuseppe fuggì con il bambino Gesù in Egitto (Matteo 2:13-23) oppure lo presentò in tutta tranquillità al tempio in Gerusalemme per poi ritornare in Galilea (Luca 2:21-40)? Categoria: frainteso il contesto storico Dietro questa presunta contraddizione c’é la seguente domanda: “La vita del bambino Gesù era in pericolo a Gerusalemme?” Matteo 2:13.23 dice di sì. Luca 2:21-40 sembrerebbe dire di no. In realtà si tratta di due resoconti complementari dei primi anni di vita di Gesù, per nulla contradditori. È chiaro che ci sarebbe voluto del tempo prima che Erode si fosse reso conto di essere stato messo nel sacco dai magi. Il Vangelo di Matteo dice che egli fece uccidere tutti i bambini maschi in Betlemme e nelle vicinanze, sotto ai due anni d’età. Questo avrebbe dato a Giuseppe e Maria il 107 tempo necessario per effettuare il loro rituale al tempio in Gerusalemme e poi ritornare a Nazareth in Galilea da dove poi sarebbero partiti per l’Egitto, per ritornare nuovamente a Nazareth dopo la morte di Erode. 101. Quando Gesù camminò sull’acqua, i discepoli lo adorarono (Matteo 14:33) oppure erano letteralmente sconvolti a causa della loro durezza di cuore (Marco 6:51-52)? Categoria: non è stato letto il testo per intero La domanda è: “Quando Gesù camminò sull’acqua, come reagirono i discepoli?” Matteo 14:33 dice che lo adorarono. Marco 6:51-52 dice che essi erano sconvolti e che non avevano compreso ciò che Gesù aveva inteso insegnare loro con il miracolo che egli aveva compiuto, dando da mangiare ai 5.000 uomini. Ancora una volta, non si tratta di una contraddizione ma di due brani complementari. Se Shabir avesse letto per intero il brano in Matteo, avrebbe visto che sia il resoconto di Matteo (Matteo 14:26-27) sia quello di Marco affermano che i discepoli dapprima erano sconvolti, pensando si trattasse di un fantasma. Questo perché non avevano compreso dal miracolo precedente chi fosse Gesù; ma passato lo shock iniziale, il resoconto di Matteo spiega che essi lo adorarono. 108 Conclusione Abbiamo visto che, una volta soppesata l’evidenza, molte, se non addirittura tutte, le contraddizioni avanzate da Shabir Ally possono essere adeguatamente spiegate. Quando rivediamo le 101 presunte contraddizioni, notiamo che esse rientrano in 15 categorie o tipi di errori generali. Qui di seguito sono elencate quelle categorie che spiegano in una frase gli errori alla base delle contraddizioni avanzate da Shabir. Dopo ogni ciascuna categoria un numero indica quante volte Shabir commette tale tipo di errore. Se ne fai la somma, il totale è maggiore di 101. La ragione è che, come avrete già notato, Shabir molte volte commette più di un errore nella formulazione della domanda. Le categorie di errori che figurano nel libretto di Shabir: ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ➛ ha frainteso il contesto storico = 25 volte ha frainteso o letto male il testo = 15 volte ha frainteso il modo in cui la lingua ebraica viene usata = 13 volte ha frainteso l’intento dell’autore = 12 volte non ha riflettuto sui testi citati laddove un po’ di riflessione ne avrebbe dimostrato la compatibilità = 13 volte si trattava semplicemente di un errore del copista = 9 volte ha frainteso il modo in cui Dio opera nella storia = 6 volte ha frainteso il modo in cui la lingua greca viene usata = 4 volte ha omesso di leggere il testo per intero = 4 volte ha capito male la formulazione delle parole = 3 volte ha citato erroneamente il testo = 4 volte ne ha dato un’interpretazione troppo letterale = 3 volte ha imposto il proprio punto di vista sul testo = 3 volte ha confuso un evento con un altro = 1 volta si è basato su un manoscritto recente mentre ora ne è stato scoperto uno più antico in cui il problema non figura = 1 volta Dobbiamo ammettere che in certi casi abbiamo offerto delle spiegazioni o interpretazioni che non sono specificamente riportate nei testi. Questo è perfettamente lecito dato che il requisito da soddisfare è che le spiegazioni siano semplicemente plausibili. 109 È chiaro che gli autori dei Vangeli scrivono da diversi punti di vista, aggiungendo o tralasciando alcuni dettagli menzionati altrove. Questo è da aspettarsi da quattro autori che scrivono indipendentemente. Lungi dal seminare dubbi riguardo ai resoconti, questo aggiunge credibilità dato che quei dettagli, che dapprima appaiono in conflitto, possono essere risolti con un po’ di riflessione, mentre dimostra che i racconti non contengono segni di collusione, sia da parte degli autori originali sia nel lavoro svolto succes-sivamente da redattori. Ciò testimonia dell’onestà e della trasparenza degli scribi e traduttori (sia Giudei che Cristiani). Anche se sarebbe facile correggere un errore ben conosciuto, ciò non è stato fatto; si è preferito rispettare fedelmente la testimonianza dei manoscritti. Questa prassi lascia adito a critiche superficiali, come quelle di Shabir, ma si tratta di una critica che non ci spaventa. Nel suo libretto, Shabir mette due versetti in fondo a ciascuna pagina. Desideriamo rispondere qui a queste citazioni, che sono: 1) “Dio non è un Dio di confusione...” (1 Corinzi 14:33) È vero, Dio non è autore di confusione. C’è molto poco nella Bibbia di confuso. Quando comprendiamo tutti i manoscritti originali e il contesto in cui sono collocati, la confusione praticamente scompare. Naturalmente abbiamo bisogno di conoscenza per comprendere il tutto, dato che viviamo a 2.400-3.500 anni distanti dai primi lettori e, generalmente, leggiamo la Bibbia non nelle lingue e nel contesto in cui è stata scritta, bensì in traduzione, ma ci vuole conoscenza anche per comprendere il Corano. Alla prima (e alla decima) lettura, ci sono molte cose che non sono evidenti a milioni e milioni di musulmani. 2) “Una casa divisa contro sé stessa, va in rovina” (Luca 11:17). La Bibbia non è divisa contro sé stessa. Gesù stava parlando di una divisione maggiore (satana che distrugge i propri demoni). Questo è ben lontano dalla Bibbia: un libro quattro volte la grandezza del Corano, con un residuo di problemi che si possono contare sulle dita dei piedi e delle mani, e quindi con una concordanza al 99,999%! Questo è davvero qualcosa di eccezionale! Non si può dire altrettanto del Corano che presenta fin troppe contraddizioni palesi, come frutto di mescolanza di varie fedi e da 110 molteplici fonti religiose del tempo copiate e “ incollate” da Maometto (del 70%) nel testo coranico . Concludiamo con due citazioni nostre della Bibbia: “Il primo a perorare la propria causa par che abbia ragione; ma vien l’altra parte, e scruta quello a fondo” (Proverbi 18:17). “…il nostro caro fratello Paolo ve l’ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data… nelle sue epistole ci sono alcune cose difficili a capire che gli uomini ignoranti e instabili torcono, come anche le altre Scritture”(2 Pietro 3:15-16). 111 Bibliografia: Archer, Gleason, L., Encyclopedia of Bible Difficulties, 1982; ed. riv., Grand Rapids, MI, Zondervan, 1994. Bivin, David e Blizzard, Roy, Jr., Understanding the Difficult Words of Jesus, ed. riv., Destiny Image Publishers, 1994. Dizionario Biblico GBU, a cura di I. H. Marshall, A. R. Millard, J.I. Packer, D.J. Wiseman; ed. it. a cura di Rinaldo Diprose, ChietiRoma, GBU, 2008. Fruchtenbaum, Arnold, The Genealogy of the Messiah, The Vineyard, novembre, 1993, pp.10-13. 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