Voci Giovani a cura dell’Oratorio-Circolo Anspi San Giovanni Elemosiniere
Voci Giovani
N U M E R O
I X
A P R I L E
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Redazione
Parrocchia Maria Santissima Annunziata
Oratorio-Circolo Anspi “San Giovanni Elemosiniere”
Corte Tancredi, 1 - 73042 Casarano (LE)
Tel/Fax: 0833 501628
E-mail: [email protected]
Sito web: www.oratoriosangiovannielemosiniere.it
Direttore responsabile: Don Agostino Bove
Coordinatore: Don Giuseppe Montenegro
Caporedattore: Alberto Nutricati
La redazione al lavoro
Redazione: Lorenzo Casarano, Marina Mazzeo, Emanuela Panico, Rachele Panico, Federica Primiceri, Marco Schito, Isabella
Scorrano, Maura Sorrone, Maria Toma
L’immagine di copertina è stata realizzata dal Prof. Salvatore
Mercuri
Sommario
VOCI
Pag. 1
Solo in Cristo ritroviamo la nostra pienezza
Pag. 1
La Pasqua ebraica, tra ricerca storica e Sacre Scritture
Pag. 3
Convegno teologico diocesano: “Rigenerati per una speranza unita”
Pag. 4
L’oratorio nel progetto formativo parrocchiale
Pag. 5
Gruppo Adulti AC: un’esperienza di confronto e condivisione
Pag. 5
La pace soffia forte con la festa degli aquiloni
Pag. 6
Padre dei poveri, pastore di anime e testimone del Vangelo
Pag. 8
Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, due papi, due santi
Pag. 9
I fedeli si mobilitano per festeggiare il Santo Patrono
Pag. 10
Dal romanzo Hunger games, l’invito a non arrendersi alle ingiustizie
Pag. 11
Fermare la violenza sulle donne è un dovere di tutti
Pag. 12
In AC con responsabilità, servizio e gratuità
Pag. 12
L’angolo della ricetta
Pag. 12
Resoconto Focara di San Giuseppe
Pag. 13
L’angolo del divertimento
GIOVANI
PAGINA
Solo in Cristo ritroviamo la nostra pienezza
Carissimi fratelli e sorelle,
la liturgia pasquale canta con grande gioia così: “Questo è il
giorno che ha fatto il Signore,
esultiamo e rallegriamoci in esso”.
È particolarmente incantevole e
commovente questo grido; ci dichiara che solo Lui, il Signore,
poteva donarci un giorno così
bello, il giorno della vita nuova ed
eterna, sul quale si fondano tutti gli
altri. La nostra vita senza la Pasqua
è vuota e vana, solo apparenza e
illusione.
La risurrezione di Cristo diventa
dunque il fondamento su cui poggia l’uomo, la sua esistenza. San
Gregorio Nazianzeno a questo
proposito pronuncia parole splendide: “Accendiamo la nostra luce
in questo giorno di festa. Abbracciamoci l’un l’altro…
Ieri ero crocifisso con Cristo, oggi
sono glorificato assieme a lui; ieri morivo con lui, oggi veniamo entrambi vivificati; ieri ero seppellito insieme con Cristo,
oggi io e lui risorgeremo”. E più avanti, quasi volendo spiegare queste parole, afferma: “Restituiamo all’immagine
(all’uomo immagine di Dio) quanto le si addice, riconosciamo la
dignità che ci è ascritta, rendiamo
onore all’archetipo (al modello),
adoperiamoci a intendere l’importanza del mistero e a capire nel
nome di chi Cristo è morto”.
Solo in Cristo, nostra vita e nostra
speranza, ciascuno di noi trova e
ritrova veramente la pienezza del
suo esistere. Con questi sentimenti, auguriamo a voi tutti una buona
e santa Pasqua di rinascita nel
Signore risorto. Questi auguri, ai
quali si aggiungono quelli del nostro Vescovo, S.E. Mons. Fernando Filograna, vogliono raggiungere
anche chi è lontano, chi vive nella
solitudine e nella sofferenza.
Don Agostino e don Giuseppe
La Pasqua ebraica, tra ricerca storica e Sacre Scritture
La Pasqua ebraica, anticipazione della Risurrezione di Cristo,
è il sigillo dell’Alleanza che Dio ha stabilito con il suo popolo.
Il termine deriva dall’ebraico Pesach che significa “passaggio”, poiché rappresenta il passaggio, appunto, dalla
schiavitù alla libertà.
Il rito della Pasqua
ebraica nasce in Egitto
nel XIII sec. a.C.
All’epoca, il popolo
ebraico era costretto
ai lavori forzati dal
faraone, che impiegava
gli israeliti nella costruzione di grandi opere
pubbliche.
Gli storici datano la
fuga dall’Egitto, e quindi
l’istituzione della pasqua ebraica narrata
dall’Esodo, intorno al
1250, al tempo del
grande faraone Ramses II (1301-1234). Esistono prove storiche che attestano che, intorno al 1230, Israele fosse già fuori
dall’Egitto, ma ancora in fuga nel deserto ed esposto a peri-
coli di ogni tipo, come le rappresaglie da parte dell’esercito
egizio guidato dal figlio di Ramses II, Mernefta (1234-1225).
Dalla Scrittura apprendiamo che l’uscita dall’Egitto si verificò nella
notte di Pasqua.
L’Esodo descrive nei
dettagli quella notte ed
il complesso rituale
seguito da tutti gli israeliti per poter scampare
alla decima piaga: la
morte dei primogeniti.
Benché la Pasqua sia
l’evento costitutivo del
popolo ebraico, essa
affonda le proprie radici
nei più antichi usi dei
popoli nomadi di origine semitica che si dedicavano alla pastorizia.
Lo stato nomadico
implicava una vita caratterizzata dall’incertezza.
Per sopravvivere era necessario che le tribù nomadi, accomunate dallo stesso destino, rinsaldassero i vincoli di solidarietà ed assistenza reciproca essenziali per la loro sopravvivenza.
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Ciò soprattutto in prossimità di un
viaggio. Il rito, in questo contesto,
aveva una funzione sociale e apotropaica.
Il rito celebrato dagli ebrei era da
collegarsi, quindi, ad un’usanza dei
nomadi tipica del periodo primaverile. Prima di partire alla ricerca di
nuovi pascoli, i nomadi cercavano
di propiziarsi la divinità, prendendo
un capo di bestiame, in genere un
agnello, con il cui sangue aspergevano i sostegni delle tende. La forza
vitale presente in quel sangue avrebbe protetto tutti gli
abitanti della tenda e, soprattutto, avrebbe tenuto
lontano il male. Dopo
l’aspersione, i nomadi mangiavano insieme la carne
dell’agnello, rafforzando il
legame che li teneva uniti e
che avrebbe rappresentato
l’unica ancora di salvezza
nelle difficoltà incontrate
nel corso del viaggio che si
accingevano a compiere.
Poiché si partiva all’alba, il
rito si svolgeva durante la
notte.
Le analogie con la Pasqua
ebraica sono evidenti, tuttavia, nonostante gli elementi
riscontrati siano gli stessi, i
significati che essi assumono sono
del tutto nuovi.
Questo antico rito assume, per gli
ebrei d’Egitto, un significato nuovo:
da un lato il rito pasquale rinnova la
precedente esperienza di popolo
nomade e dall’altro il ricordo diviene premonizione, perché questa
volta gli israeliti dovranno veramente affrontare un viaggio; un
viaggio non più verso nuovi pascoli,
ma alla ricerca della libertà.
Torniamo al racconto dell’Esodo.
Dovendo partire e non avendo
tempo a disposizione, gli ebrei
dovranno consumare l’agnello con
pani azzimi ed erbe amare, «con i
fianchi cinti, i sandali ai piedi, il
bastone in mano». «Lo mangerete
in fretta. È la pasqua del Signore!»
dice il Signore a Mosè. Poi, con il
sangue dell’agnello dovranno aspergere gli stipiti e l’architrave delle
loro porte con il sangue dell’agnello. Nelle case contrassegnate, l’angelo della morte non entrerà
e i primogeniti saranno risparmiati.
“la Pasqua di
redenzione
passa
attraverso un
sacrificio non
fine a se stesso,
ma un sacrificio
di dolore e
liberazione,
come quello di
Cristo”
VOCI
GIOVANI
La Pasqua, in questo momento,
diventa qualcosa di nuovo: il
segno di Dio che protegge e
guida i suoi fedeli nel cammino
del deserto; ma diventa anche il
segno dell’inizio del vincolo di
solidarietà tra tutti gli ebrei,
ponendo le premesse per la
nascita di un nuovo popolo.
Quell’ultima Pasqua, celebrata in
terra d’Egitto, diventerà non più
un rito nomadico, ma il ricordo
o, meglio, il memoriale, il ricordo che si attualizza, lo zikkaròn
(dal verbo ebraico zakàr che
vuol dire “ricordare”) della presenza viva di Dio nella storia.
Ogni pio ebreo, ancora oggi,
tutte le volte che recita i versetti
contenuti in Dt 26,5-9, rammenta quanto avvenne ai suoi padri e
lo rivive con loro.
Qualcosa di analogo avviene per
noi cristiani durante la celebrazione dell’Eucaristia, quando il
sacrificio di Cristo diviene, come
si recita nelle preghiere eucaristiche, “memoriale per noi”.
Quello che accadde duemila anni
fa a Gerusalemme, accade ancora oggi, ogni giorno, nella celebrazione eucaristica quando
Gesù, l’Agnello pasquale (e di
nuovo ritorna il parallelismo con
la Pasqua ebraica) rinnova il suo
estremo atto d’amore per il suo
Popolo. Tutto ciò è stato in
qualche modo anticipato da quello che avvenne la notte della fuga
dall’Egitto, quando Dio decise di
intervenire a favore di una col-
lettività, di un insieme di schiavi a
cui Dio stesso diede la dignità di
popolo. È bello notare come Dio
non scelga i colti e potenti egiziani, i temibili assiri o i raffinati
babilonesi. Dio sceglie un gruppo
di schiavi. E poiché un popolo di
schiavi non è un vero popolo,
Dio sceglie questo “non popolo”
e lo trasforma nella nazione prediletta.
È questa un’esperienza che noi
facciamo ogni giorno. Dio ci
chiama, ci sceglie e ci invita ad
essere suoi figli. E di
nuovo ci libera dalla
schiavitù, non più dalla
schiavitù fisica degli
egiziani, ma della schiavitù morale del nostro
egoismo, della nostra
indifferenza, della nostra cattiveria. E, del
resto, che significa cattivo, se non captivus, vale
a dire prigioniero?
La Pasqua diviene l’evento alla cui luce viene
rivisitata l’intera storia
di Israele che, solo ora,
assume una prospettiva
ed un significato diversi.
La grandezza del popolo di Israele, dei nostri
fratelli maggiori nella fede, sta
proprio nell’aver compreso che
l’uomo non avrebbe potuto fare
nulla di tutto ciò che ha caratterizzato la prodigiosa storia di
Israele senza l’intervento divino.
Anche noi dovremmo leggere
negli avvenimenti della nostra
vita, persino nei più drammatici,
la presenza di Dio. Non scordiamo che Israele conquista la libertà, vale a dire la pienezza di popolo, solo dopo la schiavitù e la
sofferenza del deserto.
Ecco la Pasqua di redenzione che
passa attraverso il sacrificio sommo, un sacrificio non fine a se
stesso, ma un sacrificio di dolore
e liberazione al tempo stesso,
come era stato quello degli israeliti e come, ancor di più, sarà
quello di Cristo.
Alberto Nutricati
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IX
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Convegno teologico diocesano: “Rigenerati per una speranza unita”
Suor Elena Bosetti
Dal 25 al 28 febbraio, nella meravigliosa
cornice artistico-culturale-spirituale della
Concattedrale di Gallipoli, la nostra Chiesa
locale ha vissuto, come di tradizione, il
Convegno Biblico diocesano dal tema:
“Rigenerati per una speranza viva”. Da
tutte le parrocchie della diocesi, numerosi
fedeli hanno seguito con entusiasmo i lavori
aperti dal nostro amato Pastore Monsignor
Fernando Filograna. La prima serata Monsignor Slawomir Oder (postulatore della
canonizzazione di Giovanni Paolo II) ci ha
guidati a ripercorrere, rivivere e gustare il
pontificato del Beato Giovanni Paolo II
uomo e Pontefice di grande speranza che
non solo ha vissuto ma annunciato, testimoniato e celebrato la “Speranza”; ha guidato la Chiesa e introdotto il mondo nel III
millennio, abbattendo muri e costruendo
ponti per avviare il dialogo con ogni uomo
e donna di buona volontà, con lo sguardo
puntato sul Cristo Speranza dell’umanità.
Durante le altre tre serate suor Elena Bosetti (suore di Gesù Buon Pastore) con un
linguaggio fresco, vivace e coinvolgente ci
ha fatto ripercorrere la Prima lettera di
Pietro per cogliere la dinamica contenuta in
questa meravigliosa lettera che dice subito
un’identità cristiana con un chiaro riferimento alla Santa Trinità e all’Alleanza. Dopo il saluto la benedizione riprende il riferimento trinitario del Padre che ci rigenera
nella sua Misericordia, mediante la risurre-
zione di Cristo per una speranza viva. In
questa lettera, Pietro sembra dirci:
“prendete consapevolezza della vostra
dignità di cristiani perché per voi hanno
annunziato i profeti, per voi hanno parlato
gli evangelizzatori perciò siate nella gioia,
sperate, siate santi in tutta la vostra condotta, comportatevi con timore, amatevi
intensamente di vero cuore perché la vostra speranza sia ancorata in Dio; questa è
vita vera perché rigenerati”. Pietro dice:
“Adorate Cristo nei vostri cuori… pronti a
dare ragione della Speranza che è in voi” (1
Pt 3,15); adora Cristo nel cuore: se io adoro Cristo che è in me devo adorare Cristo
che è nel fratello, perché come Cristo abita
nel mio cuore, abita nel cuore del fratello e
chi ci guarda fuori della Chiesa deve poter
vedere sul nostro volto lo sguardo di amore, di misericordia, di accoglienza dell’altro
perché abitato da Dio come me, perché
ognuno è “Ostensorio” di Gesù. Se hai
Gesù nel cuore cambiano le relazioni, in
ognuno vedi Gesù e a chi ti chiede perché
sei così felice dirai: “perché nella mia vita
ho incontrato Gesù”. Il vescovo ha definito
il convegno come esperienza ecclesiale di
formazione, a conclusione della quale ha
lasciato alla chiesa locale un messaggio che
traccia anche le linee guida per continuare
a riflettere e dare continuità al convegno
perché questo produca frutti di grazia e di
rinnovata speranza. Prima considerazione è
ridare il primato a Dio attraverso la lettura
orante della Parola: dalla Parola scaturisce la
speranza, dall’ascolto della parola l’ascolto
della nostra storia per cogliere i segni dei
tempi. E’ dovere della Chiesa non solo scrutare i segni dei tempi ma anche interpretarli
alla luce del Vangelo. Grande maestro è
stato il Beato Giovanni Paolo II che con il
suo pontificato ha dimostrato come si può e
si deve stare da credenti nella storia. Il pontificato di Papa Francesco ha riacceso la speranza nel mondo, ci incoraggia ad uscire dai
nostri recinti per andare incontro ai fratelli e
saperci fare “buoni samaritani”. Siamo chiamati a reagire al soggettivismo, all’individualismo, per vivere con gioia evangelica
il servizio alle coscienze per formarle ai valori fondamentali perché senza di essi è in
pericolo l’uomo, la vita della chiesa e della
società. Troviamo il coraggio di dire la verità
e seguirla. Incoraggiamo i giovani a desiderare una vita veramente bella e buona curando
la vita interiore quale luogo unificatore
dell’essere e dell’agire. Riconoscerci figli e
figlie di Dio rallegra davvero il cuore. Il mondo ha bisogno di una rinnovata consapevolezza della speranza che abita il cuore
dell’uomo per vincere le sfide e uscire dal
deserto e dal vuoto.
Giovanna Crudo
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L'oratorio nel progetto formativo parrocchiale
L'oratorio "strumento educativo", "luogo della missione". Suo unico scopo: educare nella fede e alla fede. In
più, "strumento della parrocchia", non realtà a sé che
opera con finalità, metodologie ed intendimenti diversi
da quelli di tutta la comunità cristiana.
Come luogo educativo, l'oratorio deve essere ambiente
di crescita per tutti e caratterizzarsi come luogo di
attenzioni, che si esprime proponendo cammini differenziati per la crescita umana e cristiana di ragazzi, giovani, adulti, anziani e di un privilegiato nucleo
d’aggregazione che è la famiglia. Se da un lato esso permetterà di volgere lo sguardo verso chi ancora non
"frequenta", liberando dal rischio della chiusura, in un
reale slancio missionario, dall’altro inviterà a curare la
formazione dei più motivati, per garantire un futuro alla
vita delle nostre comunità ed una reale valorizzazione
dei laici nella formazione e nell'evangelizzazione.
Per quanto riguarda la missionarietà, l'oratorio è e deve
essere “luogo di cristiani per cristiani e non cristiani”, ai
quali comunque la comunità deve sempre rivolgere la
propria attenzione evangelizzatrice. Gli educatori devono riconoscere la propria vocazione come scaturente
dall’appartenenza alla comunità cristiana, riassunta in un
ambiente, un clima, uno stile, un insieme di atteggiamenti e rapporti consoni alla natura cristiana. Ma un ambiente è anche un luogo che deve essere accogliente,
pulito, regolato, non sostitutivo di altre agenzie educative (non intende prendere il posto della famiglia o fare
concorrenza a sale giochi o centri sportivi); richiede a
chi vi entra la disponibilità a fare un cammino, non importa con quali ritmi o risultati; chiede anche la volontà
di costruire assieme, e non soltanto di adoperare, in
maniera "anonima", impianti ed attrezzature. L’oratorio
è l’ambiente nel quale una comunità parrocchiale concretizza un metodo educativo per la crescita cristiana
delle nuove generazioni. Quindi, obiettivo specifico
dell’oratorio è accompagnare queste nuove generazioni
all’incontro con Dio. Per favorire questa prospettiva
specifica l’oratorio adotta gli strumenti più idonei: liturgia, sacramenti, catechismo, formazione alla preghiera,
iniziative di tipo sportivo (tornei, feste, serate,
VOCI
GIOVANI
Grest…), culturale (musica, spettacoli…), per lo sviluppo cristiano armonico del bambino, ragazzo, adolescente, giovane, fidanzato, adulto, anziano e per le coppie. L'oratorio, quindi, deve essere e deve presentarsi
come “soggetto credibile di evangelizzazione”. A tale
scopo risulta necessario che ogni singola persona che
abita l'oratorio esprima lo sforzo di una coerenza di vita
che caratterizzi la propria quotidianità ed i propri rapporti personali. Per realizzare questa credibilità è fondamentale mettere i soggetti-cristiani nelle condizioni di
prendere coscienza di quanto sono chiamati a compiere:
assume particolare importanza la formazione degli educatori. Presentandosi dunque come soggetto credibile (o
avendo tra gli educatori almeno alcune figure che dimostrano la loro assidua ricerca della coerenza di vita sopra
auspicata), l'oratorio ha il compito di educare ed iniziare
i più giovani ad incontrare il Signore Gesù nell'esperienza
ecclesiale: ciò proprio in virtù dell'aspetto missionario che l'oratorio deve assumere e per la sua stessa
natura di luogo di cristiani per cristiani e non cristiani. In
questa ottica, che vede l'oratorio come luogo di crescita,
è importante anche che l'oratorio si incarichi di facilitare
ed accompagnare l'entrata dei giovani nella comunità
adulta; in questo senso l'oratorio deve anche avere la
capacità di formare persone che sappiano "partire", per
camminare da sole e testimoniare la vita cristiana che
hanno sperimentato.
Di più: l'oratorio deve essere per i giovani trampolino di
lancio della vita ecclesiale e sociale nel suo insieme e non
diventare solo dimora calda e accogliente ove rimanere.
Scopo dell'oratorio è quello di introdurre alla pienezza
della vita cristiana. Per questo l'educazione alla fede data
nell'oratorio deve essere globale, cioè deve comprendere tutte le dimensioni della persona; armonica e graduale, perché l'educazione è un cammino che ha una sua
gradualità, una progressione e dei salti di qualità.
Don Fernando Stefanelli
Presidente zonale ANSPI
NUMERO
IX
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Gruppo Adulti AC: un’esperienza di confronto e condivisione
Il gruppo giovani adulti di Azione Cattolica rappresenta una
nuova, bella esperienza parrocchiale di confronto e condivisione su temi, problematiche e difficoltà attuali, legate al mondo
di adulti e coppie con fascia d’età compresa tra i 30 e i 60 anni.
Un’occasione formativa che accogliamo con gioia attraverso
un cammino intrapreso da pochi mesi e che prevede degli
incontri ogni tre settimane, seguendo il percorso che l’Ac ha
tracciato per l’anno pastorale 2013-2014. Questa realtà è linfa
per il settore adulti, testimonianza autentica per l’intera associazione, apripista ed esempio per il mondo dei giovani. Il Progetto giovani adulti nasce dalla necessità di far confluire in
un’esperienza formativa di gruppo, parrocchiani, educatori di
Acr, coppie impegnate in varie iniziative parrocchiali, che quin-
di testimoniano il mondo del laicato a tutte
quelle persone che in punta di piedi si avvicinano a tale esperienza. Inoltre il gruppo ha
accolto anche tante altre persone che, per la
prima volta, hanno voluto unirsi a noi per
crescere insieme dando l’immagine di un
luogo aperto, dove chiunque è ben accolto,
divenendo così, attraverso la propria persona
e la propria partecipazione, fonte autentica di
una formazione cristiana non solo individuale
ma anche collettiva, d’insieme. Lo start esperienziale è avvenuto lunedì 3 Febbraio con un
incontro introduttivo di conoscenza, nel
quale è stato presentato il progetto dall’equipe del settore adulti, formata dai responsabili
Leonardo Mita e Antonella Parrotto, e dalle
educatrici Anna Rita Muscella e Rosaria Rizzello, che hanno sposato a pieno il nuovo
progetto integrandolo a quello del gruppo
adultissimi che si incontra con regolarità ogni
settimana. Nel primo incontro si è riflettuto
sul tema della “festa”, perché così vogliamo
definire la nostra esperienza, mettendo al
centro del gruppo l’immagine di Cristo. A seguire si sono
tenuti due altri appuntamenti, entrambi sul tema della fiducia,
con momenti di riflessione, condivisione nei gruppi, proiezione di video e dinamiche; un metodo progettuale coinvolgente
e pieno di aspettative. L’AC parrocchiale procede così verso
un’opera di attenzione educativa per ogni fascia d’età, a partire dai bambini di prima elementare, per arrivare agli adultissimi, persone che hanno raggiunto anche gli 80 anni di tesseramento associativo, e alle quali guardiamo con gioia ed entusiasmo. Tutto ciò a testimonianza di un cammino verso Dio che,
è proprio il caso di dirlo, dura una vita.
Luca Orsini
La pace soffia forte con la festa degli aquiloni
Quest’anno il tema scelto dall’Azione Cattolica Ragazzi per il
mese della pace è stato il vento. La pace, infatti, è simile al
vento, è invisibile, sempre in movimento, silenziosa, capace di
arrivare ovunque e di stravolgere ogni cosa con la sua forza.
Con il vento, però, si può anche giocare, lo si può usare per
far volare alto un aquilone che diventa, così, il simbolo del
soffio della pace, che è capace di arrivare in ogni angolo della
terra, fin nel profondo del cuore degli uomini.
Per tutto il mese di gennaio, gli accierrini hanno riflettuto
sulla forza della pace e, nello stesso tempo, si sono impegnati
a costruire, con l’aiuto dei loro educatori ed animatori, degli
aquiloni che poi hanno fatto volare durante la festa conclusiva per il mese della pace.
Il 15 febbraio, presso il piazzale antistante la fabbrica Elata, i
ragazzi di A.C.R. della parrocchia Maria Santissima Annunziata e della parrocchia di San Domenico si sono incontrati per
festeggiare insieme.
Grazie al caldo sole e alla piacevole giornata, che sembrava
quasi primaverile, i ragazzi si sono ritrovati nel primo pomeriggio per passare insieme alcune ore, divertendosi con le
loro “opere”. Dopo alcuni bans insieme alle animatrici per
attendere l’arrivo di don Agostino e don Giuseppe, per un
momento di preghiera iniziale, i ragazzi si sono divisi in vari
gruppi, dalla prima elementare alla terza media, e a turno
hanno fatto volare i loro aquiloni.
Nonostante alcuni aquiloni non abbiano preso molta quota, i
ragazzi hanno assaporato il piacere di stare insieme e di divertirsi con i loro amici della parrocchia di San Domenico,
come già in altre occasioni in cui le due parrocchie si sono
unite per delle attività o feste fatte insieme.
Rachele Panico
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Padre dei poveri, pastore
“Exemplis ac sermonibus,/consiliis et monitis/
pascebat salutaribus/ille praeceptis animas. (Egli
pasceva le anime con gli esempi e le parole,
con i consigli e gli ammonimenti e con salutari
precetti).
Con questi versi (dimetri giambici) don Felice
Una sacra
rappresentazione
per evidenziare la
statura morale,
spirituale e umana
di San Giovanni
Elemosiniere
VOCI
GIOVANI
Lezzi, parroco di Casarano, nonché cultore
della lingua latina e socio di alcune Accademie
letterarie, nel lontano 1782 ha sintetizzato le
virtù, la santità e la pietà del patrono San Giovanni Elemosiniere, accogliendo l’invito del
duca Giacomo D’Aquino, signore di Casarano,
NUMERO
IX
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e di anime e testimone del Vangelo
propenso a incrementare il culto verso il Santo anche attraverso un’opera letteraria che ne cantasse le lodi.
A diversi secoli di distanza, pur mediante un lavoro più modesto e meno ambizioso, l’Oratorio San Giovanni Elemosiniere ha curato la messa in scena di una “Sacra rappresentazione della vita di San Giovanni Elemosiniere” scritta dal viceparroco don Giuseppe Montenegro.
L’evento, tenutosi il 19 gennaio e replicato il 22 gennaio, in
prossimità della commemorazione del Santo del 23 gennaio,
ha voluto presentare il profilo
biografico del personaggio,
amatissimo patrono della città,
cogliendo i momenti salienti
della sua esperienza terrena
così come narrati da alcuni
biografi subito dopo la sua
morte. Ne è emersa la possente statura morale, spirituale ed
umana che lo ha reso agli occhi
dei posteri autentico e coerente testimone del Vangelo, in un
momento storico caratterizzato da tensioni drammatiche e
violente tra impero bizantino e
forze esterne (persiani e, soprattutto,
musulmani ormai
pronti ad avviare la conquista
sia del regno persiano che dei
territori bizantini dell’Asia).
L’aula liturgica, per l’occasione
trasformata in teatro, ha ospitato
attori e comparse, oltre un centinaio, individuati tra i vari gruppi parrocchiali e le confraternite. I protagonisti, dopo essersi impegnati per
mesi, hanno degnamente impersonato i ruoli loro affidati.
Per molti casaranesi è stata una vera
sorpresa scoprire i dettagli della vita
del santo Patrono, in particolare
della fase precedente alla nomina a
Patriarca: di sua moglie e dei suoi
due figli, tutti perduti prematuramente, pochi conoscevano l’esistenza.
Così il pubblico ha potuto assistere
con interesse alle vicissitudini giovanili del Santo “Elemosiniere”, alle
vicende che hanno condotto alla sua
nomina a Patriarca, alla sua prima
Messa, fino a commuoversi per il
miracoloso perdono concesso alla
donna di Amatonte.
Un modo alternativo, fresco e facilmente fruibile per onorare il nostro Santo con quella semplicità di fede e
quell’ardore di devozione di cui egli stesso è stato credibile
testimone.
Marco Nicolazzo
Foto di Giovanni De Micheli
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Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, due papi, due santi
Il 27 aprile Papa Francesco, nella domenica dedicata alla
Divina Misericordia, proclamerà santi papa Giovanni
XXIII e papa Giovanni Paolo II. Di seguito due brevissimi ritratti. Papa Giovanni XXIII fu l’artefice del Concilio
Vaticano II che riunì circa 2500 tra cardinali, patriarchi e
vescovi cattolici di tutto il mondo ed è ricordato con
l’appellativo del “Papa buono” perché la sua bontà verso
la gente traspariva da ogni sua parola. Ma è anche grazie
ad alcuni filmati di repertorio che oggi riusciamo ad
apprezzarne le sue grandi doti umanitarie, soprattutto in
occasione del celebre “discorso della luna” tenutosi l’11
ottobre 1962 in una piazza San Pietro gremita di fedeli,
dove tenne un discorso che racchiude in sé l’amore, la
dolcezza, la poesia, l’umiltà e tutta la sua umanità: «Cari
figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma
riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo
è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera - osservatela in alto - a guardare a questo spettacolo». «La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di
Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e fraternità è
grazia di Dio (...). Facciamo onore alle impressioni di
questa sera, che siano sempre i nostri sentimenti, come
ora li esprimiamo davanti al cielo, e davanti alla terra:
fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli. E
poi tutti insieme, aiutati così, nella santa pace del Signore, alle opere del bene». «Tornando a casa, troverete i
bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da
asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza». Papa
Giovanni Paolo II, indimenticabile per carisma, autorevolezza, forza e determinazione nell’esercitare il suo
ministero con instancabile spirito missionario, attraverso i suoi numerosissimi viaggi apostolici in ogni angolo
della terra, ha promosso con successo la diffusione del
Cattolicesimo nel mondo. Ha affermato con forza la
dignità dell’uomo e il diritto alla vita che è il fondamento
di ogni altro diritto, in quanto ogni individuo è unico ed
VOCI
GIOVANI
irripetibile “ogni persona è ad immagine e somiglianza
di Dio”. Nelle sue omelie ha sempre sottolineato il
dono della famiglia e il dono della sofferenza, ha posto
le basi per il dialogo con le altre religioni, oltre al suo
viscerale amore per i giovani che lo ha spinto ad istituire le Giornate Mondiali della Gioventù, incontro internazionale di spiritualità e cultura che coinvolge da anni
milioni di giovani cattolici di tutto il mondo, uniti da un
unico amore in Gesù Cristo morto sulla croce. Una
croce di legno come quella donata ai giovani proprio da
Giovanni Paolo II nel 1984, nel corso della prima giornata come simbolo dell’amore del Signore Gesù per
tutta l’umanità e come annuncio che: “solo in Cristo
morto e risorto c’è salvezza e redenzione”. Nei suoi 26
anni di pontificato, tante sono le immagini di Giovanni
Paolo II che riaffiorano nella nostra mente da quelle
drammatiche dell’attentato in piazza San Pietro, il 13
maggio del 1981, a quelle in preghiera al muro del pianto a Gerusalemme, a quelle durante le sue omelie con
le frasi dal tono perentorio che colpivano dritto al cuore: “Fratelli e sorelle non abbiate paura di accogliere
Cristo e di accettare la sua potestà… Non abbiate paura. Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo”. Le scene
sicuramente più toccanti e di grande impatto emotivo
rimangono, comunque, quelle relative agli ultimi anni di
vita, dove l’età avanzata ed i segni della malattia si face-
vano sempre più evidenti dove anche la incredibile difficoltà nel pronunciare alcune frasi inteneriva e scaldava i
nostri cuori. Sembrava il nonno di tutti noi, tanto bisognoso d’affetto, ma nel contempo autorevole e coraggioso sia nel trasmetterci la parola di Dio che nell’applicare la stessa affrontando con grande forza e serenità il
percorso impervio della malattia, con i frequenti ricoveri al policlinico Gemelli, con la sofferenza vissuta e mostrata a tutti noi come un dono ricevuto.
Con gli occhi pieni di lacrime.
Franco Bisanti
Genny Vitali
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IX
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I fedeli si mobilitano per festeggiare il Santo Patrono
La città di Casarano si prepara a rivivere, il 17-18 e 19 Maggio, i
festeggiamenti in onore del suo Santo Patrono. Quest’anno, però,
i festeggiamenti sono iniziati in anticipo, il 16 Marzo, con la Peregrinatio nelle Parrocchie e nella cappella dell’Ospedale, che oltre
al Comitato Feste Patronali ha coinvolto la Confraternita del
Santo. Si potrebbe partire proprio da una considerazione: nei
giorni della Peregrinatio si è visto tutto l’affetto e la devozione
verso il Patriarca d’Alessandria d’Egitto, conosciuto dalla cittadina
di “Caesaranum” attorno al X secolo quando i monaci basiliani
introdussero la sua figura. La devozione verso l’Elemosiniere non
è finita, è ancora forte: deve essere esempio vivo, non d’altri
tempi e la responsabilità di far conoscere alle generazioni future
la sua straordinaria vita è di ogni casaranese. Proprio per questo
motivo il Comitato Feste Patronali sta lavorando affinché sia una
festa al Patrono da parte di tutti i casaranesi, una festa degna
tenendo conto anche delle difficoltà economiche che purtroppo
da diverso tempo stagnano nella nostra amata città; rispetto a
pochi anni fa i costi relativi alla realizzazione della festa sono diminuiti di oltre il 35% a causa di alcuni fattori negativi concomitanti,
ma la sfida del Comitato è questa: ottimizzare le risorse disponibili colmando le difficoltà economiche con l’entusiasmo di realizzare una festa che rappresenti tutta la città. In concomitanza dei
festeggiamenti in onore della Madonna della Campana sarà pubblicato l’opuscolo con i programmi civili e religiosi. Non mancherà
nulla rispetto agli anni precedenti, anzi il Comitato propone piccole novità che servono senz’altro ad arricchire la festa stessa.
Infine vale la pena ricordare che il centro della festa non sono le
bande musicali, i cantanti o le lu-minarie; il centro della festa è
San Giovanni Ele-mosiniere e il nostro ringraziamento deve andare a Lui, nella certezza che, co-me ha già fatto nel passato,
“continui a proteggerci sempre, fino a condurci Lui stesso dinanzi
al trono di Dio nella vita eterna” (don Raffaele Martina, 1985).
Francesco Cosimo Orsini
Foto di Giovanni De Micheli
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Dal romanzo Hunger games, l’invito a non arrendersi alle ingiustizie
In un’epoca futura il nord America è stato diviso in tredici
distretti tiranneggiati dalla capitale Capitol City, in cui vivono
solo pochi privilegiati che godono della schiavitù degli abitanti
del resto di Panem.
Ogni anno, per ricordare alla popolazione l’errore commesso
74 anni prima nel ribellarsi, il presidente Snow organizza un
reality show, gli Hunger Games in cui 24 ragazzi tra gli 11 e i
17 anni, due da ogni distretto (il tredicesimo è stato infatti
distrutto dopo la guerra come monito alla popolazione) dovranno combattere l’uno contro l’altro fino alla sopravvivenza
di uno solo di loro, il “vincitore” dell’edizione, a cui saranno
garantiti cibo a vita, ricchezza e la certezza di non dover più
prendere parte ai giochi.
Katniss Everdeen proviene dal distretto dodici. Ha imparato a
prendersi cura fin da piccola della famiglia: avendo infatti perso il padre a causa di un’esplosione mentre lavorava in una
miniera di carbone, ha dovuto sostituire la madre caduta in
depressione, imparando a guadagnarsi da vivere con l’arco e
le frecce infrangendo le leggi di Capitol City andando a caccia
nei boschi al di fuori del distretto.
Nel giorno della mietitura, in cui vengono sorteggiati i nomi
dei partecipanti alla nuova edizione del reality show, Effie
Trinket estrae dalla boccia con i nomi delle ragazza l’unico
biglietto con il nome della sorellina di Katniss, Prim e la ragazza che sa che sua sorella non ha nessuna possibilità di sopravvivere, si offre volontaria e parte alla volta della capitale insie-
VOCI
GIOVANI
me al tributo maschio Peeta Mellark, “pronta” per combattere fino alla morte in un’arena speciale, sotto il controllo del
presidente e degli strateghi.
E’ questa la storia che Suzanne Collins narra nel primo libro
della trilogia distopica degli Hunger Games che è i poco tempo diventato un best-seller spopolando soprattutto tra gli
adolescenti e che ha ricevuto non poche critiche.
La storia narrata dalla Collins è una storia cruenta in cui non
mancano, sia nel libro che nell’omonimo film uscito nelle sale
cinematografiche nel 2012, numerose scene di violenza che
rendono il romanzo adatto ad un pubblico maturo che possa
non fraintendere i messaggi che la scrittrice vuole comunicare.
Ciò che la scrittrice descrive all’interno della sua opera è
stato da molti definito crudele, diseducativo e soprattutto
simbolo di una violenza che nel mondo di oggi non ha ragione di esistere e che probabilmente non esisterà mai. Però
basta confrontare attentamente la storia con la realtà che ci
circonda per vedere che effettivamente non è così.
Ad esempio, i distretti vengono descritti come posti in cui le
persone muoiono di fame o di freddo, sono costrette ai
lavori forzati se non vogliono essere punite, possono essere
uccise in qualsiasi momento dai pacificatori, non possono
ribellarsi e non hanno la possibilità di lamentarsi per la loro
condizione… un po’ come avveniva nei campi di concentramento. I ragazzi mandati nell’arena a combattere assomigliano tantissimo ai gladiatori dell’antica Roma o comunque ai
tanti bambini soldato che ancora oggi vengono impiegati nelle
guerre. E quello che è peggio, gli abitanti di Capitol City che
si divertono guardando i ragazzi uccidersi tra di loro e che
basano la loro vita su cose frivole e assolutamente insignificanti, sono l’esatto specchio della nostra società.
Il romanzo della Collins non diventa perciò la semplice descrizione di una violenza gratuita senza senso, ma vuole essere un’esortazione, accentuata dall’esagerazione con cui comunque vengono presentati i fatti nel libro, a ribellarsi a
tutto ciò. E l’esempio di questa ribellione è Katniss che grazie
al suo coraggio, al suo carattere ribelle incapace di rassegnarsi alle ingiustizie che le vengono imposte, grazie all’aiuto delle
persone che le staranno vicine, riuscirà a trasformarsi da una
semplice abitante di uno dei distretti alla Ghiandaia Imitatrice, la scintilla della rivoluzione per la libertà.
Marina Mazzeo
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IX
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Fermare la violenza è un dovere di tutti
È dal 1922 che in Italia, come in molti altri Stati del mondo, l’8
marzo di ogni anno si celebra la giornata internazionale della
donna. La festa della donna, come viene generalmente - e forse erroneamente - definita, con il suo corredo di mimose
gialle, nasce per ricordare le conquiste sociali, politiche ed
economiche delle donne, ma oggi, forse ancora più di ieri,
deve essere un’occasione per dare voce alle numerose discriminazioni e violenze delle quali esse sono ancora vittime in
molte parti del mondo e individuare le strade da percorrere
perché la violenza sulle donne non faccia più parte del nostro
patrimonio culturale.
Spesso, parlando di violenza sulle donne, si fa riferimento a
violenza fisica e sessuale, mentre il concetto è molto più ampio. La Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite (1993) ha
definito la violenza contro le donne come «qualsiasi atto di
violenza che comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese le
minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale, sia che si verifichino
nel contesto della vita privata che di quella pubblica».
L’ONU aggiunge che questa violenza può essere perpetrata da
singoli uomini o anche da istituzioni, dichiarando che il più
delle volte è strutturale, cioè culturalmente e socialmente
definita. La violenza si esercita anche ostacolando l’accesso alle
donne ad alcune professioni o quando queste ultime vengono
relegate in casa per prendersi cura dei figli o quando, ancora, i
mezzi di comunicazione veicolano l’immagine femminile degradata allo stereotipo di una donna poco vestita.
Letta in questi termini, la violenza contro le donne è un fenomeno molto ampio, che non comprende solo i femicidi, cioè le
uccisioni di donne avvenute per motivi di genere, ma anche i
femminicidi, cioè ogni pratica sociale violenta fisicamente o
psicologicamente, che attenta allo sviluppo psicofisico, alla
salute, alla libertà o alla vita delle donne, mirando ad annientarne l’identità.
Secondo l’ultima ricerca Istat sulla violenza di genere del
2006, il 31,9% delle donne fra i 16-70 anni ha subito violenza
fisica/sessuale nel corso della sua vita. Questi dati non comprendono i casi di violenza psicologica, che priva la donna di
qualsiasi libertà personale. Non bisogna dimenticare che la
violenza contro le donne ha un sommerso enorme: spesso le
donne non raccontano delle violenze subite e la maggior
parte delle denunce viene archiviata.
Purtroppo ancora oggi la violenza contro le donne è legittimata a livello sociale e culturale, è un fenomeno spesso minimizzato, giustificato e psicologizzato. Il più delle volte, questi
atti di violenza sono intenzionali e conseguenza di una lunga
storia di violenza che si è perpetrata senza che le donne potessero trovare un sistema di protezione efficace.
Proteggere. Prevenire. Punire. Queste sono le parole chiave
per affrontare e contrastare tale violenza. Bisogna comprendere che questa crudeltà non è un fatto privato, ma sociale e
pubblico. Tutti siamo coinvolti in questo fenomeno. E tutti
possiamo e dobbiamo fare qualcosa per fermarlo.
Isabella Scorrano
Maria Toma
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In AC con responsabilità, servizio e gratuità
“Un lungo periodo di
cammino è necessario
per interiorizzare un
assoluto senza confini,
per vedere fiorire il proprio cuore”: con queste
parole l’Assistente Nazionale Giovani, don
Tony Drazza, plaude al
traguardo
raggiunto
dall’AC della parrocchia
Cuore Immacolato di
Maria che ha festeggiato i
suoi 30 anni di percorso
lo scorso 28 Marzo.
Un’occasione colta al
volo dal parroco don
Antonio Pinto per riflettere insieme alla comunità cittadina sul
ruolo svolto dall’AC nella nostra realtà
territoriale, con l’aiuto di due personalità speciali: don Tony, già conosciuto a
Casarano come viceparroco della parrocchia SS. Giuseppe e Pio, e l’attore
Fabrizio Bucci, interprete di diverse
fiction televisive d’argomento religioso
come Maria Goretti, Don Bosco, San
Pietro, Giovanni Paolo II, Chiara e Francesco, per citare solo le più note. Di
certo un confronto interessante: da un
lato un sacerdote, un ministro di Dio
che invita a leggere il concetto di re-
L’angolo della ricetta
La cuddhura cu l’ou
Ingredienti per l’impasto:
Farina 1kg
Ammoniaca 20 g
Bustine di vaniglia 2
Uova 5
Zucchero 400 g
Strutto 150 g
Succo di una arancia
Per decorare:
Uova sode
Confettini colorati
Preparazione: Mettere in un recipiente la farina e fare un
buco centrale. Aggiungere le bustine di vaniglia, le uova, lo
zucchero, lo strutto fatto sciogliere in precedenza a bagnomaria e il succo di arancia. Impastare bene tutti gli ingredienti
fino ad ottenere una pasta completa e omogenea. Con la
rotella tagliapasta dividere la pasta, spianarla con il matterello
e ritagliare le forme desiderate. Mettere su ogni forma un
uovo sodo e ricoprirlo con delle striscioline di pasta. Spennellare la colomba con l’uovo sbattuto ed aggiungere le caramelline, infornare per circa 20 minuti a 200 gradi.
Federica Primiceri
VOCI
GIOVANI
sponsabilità nell’ambito di un cammino di
fede inteso come
risposta alla chiamata
del Signore; dall’altro
un attore che ama
interpretare storie di
uomini semplici ma
grandi per aver saputo rispondere, con
coerenza e tenacia,
alla chiamata-vocazione di Dio.
“Nella vita - ha detto
l’attore nel corso del
suo intervento - non
ci sono scorciatoie. A
tutti, soprattutto ai
più giovani, vorrei lanciare questo messaggio: i risultati si ottengono solo con
l’impegno e il sacrificio. Bisogna credere
in ciò che si fa e non risparmiarsi. Chi vi
dice il contrario, mente”.
Emanuela Panico
Resoconto Focara di San Giuseppe
- 19 Marzo 2014 ENTRATE
Totale: € 767,00
USCITE
Pane: € 67,50
Carne: € 232,43
Diavolina: € 1,68
Tovaglioli: € 6,27
Guanti: € 7,55
Forchette: € 3,98
Piatti: € 7,70
Bibite: € 99,84
Carbonella: € 9,16
Fuochi: € 70,00
Protezione civile: € 50,00
ATTIVO
Totale: € 210,89
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L’angolo del divertimento
Quiz
1. A quale città si diressero i Giudei e molti dalla regione, prima
della Pasqua, per purificarsi?
a. Gerico
b. Galilea
c. Gerusalemme
d. Giudea
5. Che tipo di profumo prese Marta per cospargere i piedi di Gesù?
a. Profumo di rose
b. Profumo di gelsomino
c. Profumo di incenso
d. Profumo di nardo puro
2. Quanti giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània?
a. 6
b. 7
c. 5
d. 3
6. Il profumo che Maria ha cosparso sui piedi di Gesù valeva...
a. 500 denari
b. 300 denari
c. 700 denari
d. 400 denari
3. Chi era colei che serviva Gesù e Lazzaro alla mensa?
a. Maria
b. Maddalena
c. Elisabetta
d. Marta
7. Con quale momento solenne si apre la festa pasquale ebraica?
a. con la celebrazione pasquale
b. con la preghiera pasquale
c. con la cena pasquale
d. liberando la colomba, simbolo di pace
4. In casa di chi Gesù si trovava mentre stava cenando con i suoi
amici?
a. Pietro
b. Lazzaro
c. Andrea
d. Giuda
8. In quale episodio Gesù si manifestò per la terza volta ai suoi
discepoli, subito dopo la morte?
a. mentre stavano pregando
b. mentre pescavano
c. mentre cenavano
d. mentre parlavano con un cieco
La luce di Cristo Risorto doni gioia ai vostri cuori
Buona Pasqua
dalla Redazione di Voci Giovani
PER IL PRESENTE NUMERO E PER I PROSSIMI SI CHIEDE UN'OFFERTA
ALL’UNICO SCOPO DI COPRIRE LE ONEROSE SPESE DI STAMPA
WWW.ORATORIOSANGIOVANNIELEMOSINIERE .IT
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Voci Giovani - Oratorio San Giovanni Elemosiniere