Giovanni De Marchi
Era una Signora più splendente del sole
(Era una Senhora mais brilhante que o Sol)
Visto, nulla osta: Don LUIGI CARNINO, Rev. Eccl. Torino, 4 maggio 1948
Imprimatur: Can. L. COCCOLO, Vic. Gen. Torino, 4 maggio 1948
Visto, nulla osta: P. V. SANDRONE I.M.C., Vice-Superiore Gen.
_____________________
INDICE
Lettera di Mons. Joao Pereira Venancio Vescovo di Leiria per la edizione francese
Prefazione alla terza edizione portoghese
Prefazione alla settima edizione portoghese
Introduzione: Il mio pellegrinaggio a Fatima (1943)
1. Lucia, oh che piccina!
2. Francesco sarebbe stato un uomo
3. Giacinta fu sempre tanto mansueta! ...
4. Sono una povera pastorella ... Prego sempre la Madonna ...
5. Non temete: sono l'Angelo della pace
6. Una Signora biancovestita, più splendente del sole ...
7. Oh, mamma, oggi ho visto la Madonna nella Cova da Iria ...
8. Oggi non voglio giocare!
9. Mamma, vieni con noi domani a vedere la Madonna!
10. Se ci maltrattano, soffriamo per i peccatori
11. Non vengo perché ho paura che sia il demonio
12. Immersi in un mare di fuoco i peccatori...
13. Il segreto ... oh questo!. .. nemmeno col cavatappi!
14. Mettevano tutto su carta
15. Era un inganno ... una vera malvagità
16. Fece preparare una caldaia d'olio bollente
17. Non tormentatemi che ne ho già basta dei miei crucci ...
18. Oh zia, abbiamo visto ancora la Madonna!
19. Pregate ... e fate sacrifici per i peccatori...
20. S. Giuseppe, la Madonna e il Bambino Gesù anch'essi fuggirono
21. Recitate il rosario per ottenere la fine della guerra ...
22. Feci sedere Giacinta sopra uno sgabello vicino a me
23. Un grande uomo, il dottor Formigao
24. Ahimè ... Dove mai andiamo a finire! ...
25. Vi era una folla immensa!
26. Io sono la Madonna del Rosario
27. Il sole incominciò a muoversi sobbalzando
28. Era vestita di bianco e aveva la corona nella mano ...
29. Lucia si sentiva esausta del tutto
30. Portarono via tutto ... e fecero una beffa a Santarém ...
31. Il più bello se ne va
32. E nessun sacerdote volle benedirla
33. Non voglio essere niente. Desidero morire e andare in Cielo!
34. Mentre voi andate a scuola io resto con «Gesù nascosto»
35. Egli conosceva bene il suo destino
36. Guarda mamma ... che bella luce là, vicino alla porta ...
37. Tua mamma ti porterà all'ospedale ... e là rimarrai sola ...
38. Ormai non sono più capace di piegarmi con la testa al suolo ...
39. Non ti vedrò più ...
40. Parlava con autorità ...
41. Fu la Madonna, ma alcune cose le penso io ...
42. Ahi, Madonna mia! ... Madonna mia ...
43. Tornerò a Fatima ... Dopo la mia morte!...
44. Tu resterai qui ancora un poco ...
45. Il giorno 13 di maggio la reazione subì un grande smacco
46. E Gilberto portò la statua e la pose nella nicchia
47. È una porcheria, una vergogna! Bisogna far chiudere tutto!
48. Decidiamo di autorizzare il culto alla Madonna di Fatima
49. Rammentiamo con animo commosso l'immensa moltitudine dei fedeli ...
50. Ricorriamo ancora a colei che ha mostrato il suo materno volto dolce e luminoso
Appendice
1. Una conversazione con Lucia
2. Lucia, in data 24 luglio 1927, propone alla madre la devozione al Cuore Immacolato di Maria
3. Esumazione dei resti mortali di Giacinta e di Francesco (1951-1952)
4. Il segreto di Fatima in un discorso del Card. Alfredo Ottaviani
LETTERA DI MONS. JOAO PEREIRA VENANCIO
VESCOVO DI LEIRIA,
PER LA EDIZIONE FRANCESE
Avvicinandosi l'anno giubilare delle apparizioni di Nostra Signora di Fatima è
con grande piacere che vediamo la pubblicazione di una nuova edizione, questa
volta in lingua francese, di un libro che ha tanto contribuito alla diffusione del
Messaggio di Fatima. Il gesto paterno di Sua Santità, Papa Paolo VI, il quale
alla chiusura della terza sessione del Concilio, non ha esitato a richiamare il
ricordo delle apparizioni di Fatima davanti all'assemblea dei Padri conciliari, ha
attirato di nuovo gli occhi del mondo intero su questo luogo benedetto,
santificato dalla presenza della Vergine Santissima.
Insistere sul Messaggio di Fatima, in quest'epoca che segue immediatamente il
Concilio, non significa distogliere l'attenzione dei fedeli da quel rinnovamento
della vita cristiana, attinto di più alle fonti, che i Padri conciliari, uniti al Sommo
Pontefice, hanno desiderato con tanta intensità. Il Messaggio di Fatima, infatti,
nei suoi elementi costitutivi, è essenzialmente evangelico, come ha attestato
Papa Paolo VI in pieno Concilio. La penitenza e la preghiera, richieste da Nostra
Signora di Fatima, altro non sono che l'espressione del Messaggio evangelico in
tutta la sua autenticità e saranno sempre l'unico mezzo di conversione e
santificazione degli uomini.
Questa nuova edizione e adattamento in lingua francese di Era una Senhora
mais brilhante que o Sol... continui a diffondere il Messaggio di Fatima,
affinché l'appello lanciato dalla Santissima Vergine dalla serra de Aire possa
estendersi sino ai confini del globo e raggiunga il maggior numero di anime.
Leiria, festa di Pentecoste, 29 maggio 1966.
JOAO, Vescovo di Leiria
Prefazione alla terza edizione portoghese
La prima edizione di questo libro si esaurì cosi rapidamente - e avevamo già
tante richieste e persino impegni della seconda edizione - che non ci è stato
possibile introdurre in questa, aggiunte e modifiche. La seconda edizione uscì
pertanto identica alla prima, arricchita però di illustrazioni fonografiche, più
indicate che non i disegni, per un libro che intende presentare con fedeltà gli
avvenimenti di Fatima.
Nello spazio di tempo dalla prima edizione - poco più di un anno ­ abbiamo
raccolto alcuni elementi importanti, abbiamo ascoltato nuovi particolari dalla
viva voce dei contemporanei e, soprattutto, abbiamo avuto il grande piacere e
inestimabile aiuto di parlare con la veggente Lucia - ora Suor Lucia das Dores che nel frattempo aveva letto diligentemente il nostro libro e annotate alcune
varianti che, a suo avviso, conveniva apportare.
Sarà questa l'edizione definitiva?
Per quanto si riferisce propriamente agli avvenimenti del 1917, non si potrà
certo aggiungere altro, a meno che ci sia sfuggito qualche particolare. Del
resto, la storia di Fatima si sta realizzando giorno per giorno. Sono gli stessi
devoti di Maria SS. a riviverla, accogliendo nel loro cuore il messaggio della
Signora più splendente del sole, percorrendo, nella sua scia luminosa, il
cammino che conduce a Dio.
Fatima 1946
P. GIOVANNI DE MARCHI
Prefazione alla settima edizione portoghese
Esce questo libro nella sua settima edizione, non per merito dell'autore, né
come opera letteraria, ma perché gli avvenimenti di Fatima non invecchiano,
anzi diventano di giorno in giorno più vivi e più palpitanti; di luogo in luogo - in
tutto il mondo - vengono accolti con sempre maggior trepidazione,
convinzione, speranza.
La promessa di pace da parte della Madonna a questo mondo agitato, va
facendo presa sugli spiriti, anche sui meno portati al soprannaturale. Non
sempre la parola preghiera e, meno ancora, la parola penitenza trovano una
eco, anche negli animi dei fedeli. La parola pace però, dopo che l'umanità è
stata così orrendamente tormentata dal flagello della guerra e dalle calamità di
ogni genere a cui essa dà origine, trova rispondenza vibrante, indelebile, anche
nella mente meno quieta e nel cuore meno delicato.
Non stupisce pertanto che le edizioni dei libri sopra Fatima continuino a
susseguirsi, specialmente quando gli autori abbiano avuto, come noi, il
privilegio di vivere per anni nel luogo delle apparizioni della Madre di Dio, di
studiare con calma e ponderatamente i fatti e di interrogare testimoni che il
tempo va facendo scomparire da questa scena appassionante, o la cui
memoria l'età va affievolendo.
Che la Vergine Santissima attraversi il nostro globo dall'uno all'altro polo, da
oriente a occidente, con la sua «luce più splendente del sole», illuminando il
cammino della pace che Lei stessa si degnò tracciare dalla povera landa della
Cova da Iria.
Nyeri 1966
P. G. D. M.
INTRODUZIONE
Gli straordinari avvenimenti della Cova da Iria, dal maggio all'ottobre 1917, risvegliarono,
soprattutto negli ultimi anni, un interesse eccezionale, non solo in Portogallo, ma in tutto il
mondo cattolico.
Di conseguenza, quasi prodigiosamente, si moltiplicarono le pubblicazioni intorno alle
apparizioni della SS. Vergine e alle figure commoventi dei pastorelli di Fatima. E non solo
in lingua portoghese, ma in varie altre lingue: mutua gara delle nazioni cattoliche
nell'onorare la Madonna per la prova singolarissima della sua bontà verso i figli della
Chiesa. Né poteva essere altrimenti. Nel cuore dei figli è innato l'amore materno.
Tra tutte le pubblicazioni meritano speciale nota le seguenti:
In portoghese:
VISCONDE DE MONTELO (pseud.) [Manuel Nunes Formigao], Os Episodios maravilhosos
de Fatima, Guarda 1921.
ID., As grandes maravilhas de Fatima, Guarda 1927.
Libro di incontestabile valore, specialmente per gli interrogatori ai veggenti. Il canonico
dotto Formigao fu uno dei pochi che prese in attenta considerazione i fatti della Cova da
Iria fin dall'inizio e lavorò seriamente a illuminare quegli avvenimenti.
JOSÉ ALVES CORREIA DA SILVA [vesc. di Leiria], Carta pastoral sobre o culto de Nossa
Senhora da Fatima, Leiria 1930.
È il documento riassuntivo che contiene il parere favorevole dell'episcopato portoghese
sulle apparizioni di Fatima.
ANTERO DE FIGUEIREDO, Fatima. Graças, Segredo, Mistérios, 12a ed., Lisboa 1944.
Il De Figueiredo è senza dubbio il cantore di Fatima per eccellenza. Il suo libro è un vero
poema in prosa. Mai Fatima sarebbe penetrata tanto facilmente nel ceto intellettuale senza
la sua penna brillante, che dipinge in modo magistrale la figura di Lucia, lasciata di
proposito in disparte dalla gran parte dei cronisti. Nella letteratura portoghese A. De
Figueiredo è ormai consacrato come il cronista di Fatima.
JOSÉ GALAMBA DE OLIVEIRA, Jacinta. Episodios inéditos das apariçoes de Nossa Senhora,
5a ediz., Leiria s. d.
Luis GONZAGA DA FONSECA, Nossa Senhora da Fatima. Apariçoes, Culto, Milagres,
Petropolis 1938.
JOSÉ MARIA FELIX, Fatima e a Redençao do Portugal, Vila Nova de Famalicao 1939.
MARQUES DA CRUZ, A Virgem de Fatima, S. Paulo 1927.
Un'ottima composizione poetica.
ROLIM, Florinhas de Fatima, Francisco, Lisboa 1944. SALESIANUS (pseud.) [Humberto
Pascoal], Os Videntes de Fatima, Braga 1944.
CARLOS DE AZEVEDO, Porqué apareceu Nossa Senhora da Fatima? Leiria 1944.
In italiano:
Luis GONZAGA DA FONSECA, Le meraviglie di Fatima, Casalmonferrato 1942, 4a ediz.
Il P. Da Fonseca, noto biblista, è grandemente benemerito per la esatta conoscenza degli
avvenimenti di Fatima. Egli che nelle numerose precedenti edizioni, curate dalla
Propaganda Mariana e dalla Società Apostolato Stampa, si era avvalso largamente dei
documenti scritti da Lucia in questa quarta edizione fece conoscere per primo preziosi
particolari sulle apparizioni del giugno e luglio 1917.
ICILIO FELICI, Fatima, Alba 1943.
PAOLO LIGGERI, La bianca Signora di Fatima, Milano 1943. LUIGI MORESCO, La Madonna
di Fatima, Milano 1942.
ID., Gli occhi che videro la Madonna, Roma 1942.
In quest'opera l'Autore traccia, con mano esperta, uno studio psicologico dei due veggenti
defunti, valendosi di molti episodi ancora inediti su Giacinta.
In francese:
CH. BARTHAS, Fatima, merveille inouie, Toulouse 1942, 2a ediz.
Traduzione e adattamento del libro del P. da Fonseca.
ID., Il était trois petits enfants, Toulouse 1941.
Lettura affascinante dall'inizio alla fine. Senza dubbio il miglior libro su Fatima in lingua
francese.
In tedesco abbiamo quattro eccellenti volumi di:
LUDWIG M. FISCHER, Fatima, das portugiesische Lourdes, Baden 1930.
ID., Fatima im Lichte der kirchlichen Autoritat, Bamberg 1931.
ID., Hyazintha, die kleine Blume von Fatima, Bamberg 1934.
ID., Die Botschaft unserer Lieben Frau von Fatima, Bamberg 1937.
I due primi libri sono stati tradotti (dal canonico dott. Sebastiao Brites) anche in lingua
portoghese. Lavori seri, spassionati, rigorosamente critici. Nel primo di questi libri il dotto
Fischer ci presenta uno studio completo, finito, sulle apparizioni; rincresce però che non
abbia avuto tra mano, in quel tempo, gli ultimi manoscritti di Lucia.
Nella biografia di Giacinta la malattia e la morte sono descritte con una precisione di
particolari che la rendono degno complemento del libro del rev. Dott. Galamba. Anche
questa biografia resta incompleta per la mancanza delle chiarificazioni che la veggente
superstite fornì poco più tardi.
Della rimanente bibliografia su Fatima, accenneremo al bel libro in inglese di:
FINBAR RYAN, Our Lady of Fatima, Dublin 1939. Tradotto, in portoghese, dal marchese de
Rio Maior. 1
Ove abbiamo succhiato «nettare prezioso» in maggior copia fu nei documenti ufficiali e
nelle opere dei reverendi dotto Galamba, Formigao, Fischer e Don Moresco. Non abbiam
fatto però solo il lavoro dell'ape. Molto abbiamo raccolto dalla viva voce delle famiglie dei
tre fanciulli privilegiati e delle persone che li conobbero, con i quali abbiamo avuto
prolungati e ripetuti colloqui. Proponendoci, per parte nostra, di ricostruire la storia delle
apparizioni di Fatima, abbiamo pensato di farlo nella cornice dell'ambiente agreste che la
Vergine si degnò scegliere come scenario per la manifestazione dei suoi disegni di
misericordia per il Portogallo e per tutto il mondo. E poiché abitiamo a Fatima, abbiamo
avuto l'opportunità di conoscere l'ambiente, i costumi, le caratteristiche di questo
simpaticissimo popolo nel quale la Vergine scelse gli strumenti del suo messaggio celeste.
Ecco alcuni tra i più accreditati superstiti di quei famosi sei mesi (maggio-ottobre 1917);
con loro avemmo la fortuna di parlare; con loro e per mezzo loro rivivemmo questi fatti
singolari; da loro potemmo udire una delle più meravigliose storie del nostro tempo: il
signor Manuel Marto (Ti Marto) e sua moglie, la signora Olimpia de Jesus (Ti Olimpia),
genitori di Francesco e Giacinta 2; la signora Maria dos Anjos, sorella maggiore di Lucia, e
le sue altre sorelle, Teresa, Carolina e Gloria; la signora Maria Carreira e suo figlio
Giovanni 3; il barone di Alvaiazere e il dott. Carlos de Azevedo Mendes, che si sono prestati
sempre e volenterosamente a fornirci tutte le informazioni di cui disponevano.
Dobbiamo lamentare che già manchino, nell'elenco dei principali personaggi dell'epoca di
Fatima, figure come la signora Maria Rosa, mamma di Lucia, e il signor José Alves da
Moita, ecc., e che al parroco di allora, gravemente infermo, sia stato impossibile di
contribuire con la sua testimonianza, che sarebbe certo del maggior interesse 4. Per il
complesso dei particolari d'ambiente e per lo svolgersi degli avvenimenti, i manoscritti di
Lucia suppliscono sufficientemente a queste mancanze 5.
Affinché questa ricostruzione sia il più possibile vivace realtà, cercammo di riprodurre
quasi alla lettera le parole di ogni personaggio, correggendo solo gli evidenti errori
grammaticali e le impurità di lingua, che avrebbero appesantito la lettura del libro. Tutte le
domeniche, nel pomeriggio, per sei mesi di seguito, recitato il rosario nel santuario della
Cova da Iria, ci trovammo con Ti Marto a parlare della sua Giacinta, del suo Francesco, del
parroco che «non ci credeva» e «non permetteva alla gente di crederci»,
dell'amministratore di Vila, ecc.: e tutto questo con una scrupolosità e coscienziosità rare
in uomini come lui, avanzati negli anni e disfatti dalle fatiche. Ti Marto ha il culto della
verità: «Non dobbiamo far le cose più di quel che sono», ci diceva frequentemente. E
spesso, udendo leggere qualche capitolo o qualche passo di libri su Fatima, se trovava
espressioni da correggere o fatti da aggiungere, esclamava: «Non fu così!». E subito
sciorinava una quantità di particolari, che mettevano nella loro vera luce gli argomenti che
si volevano discutere.
Qualche domenica, la nostra intervista non aveva luogo. «Non mi fu possibile», si scusava
alla prima occasione. «Alcuni impedimenti non mi lasciarono libero». Oppure: «Ebbi tante
interviste; non mi fu possibile venire. Si finisce per aver la testa chissà dove! ...». Perché
Ti Marto non si rifiuta a nessuno. «Quando mi chiedono se sono il papà di Giacinta, dico di
sì, perché io non mi faccio avanti, ma neppure mi rifiuto». Alla domanda se non sentisse
un certo orgoglio per aver avuto dei figliuoli favoriti di visioni celesti, rispondeva con
naturalezza: «La Madonna aveva stabilito di apparire qui, nel nostro paese. Avrebbe
potuto apparire ad altri... Toccò ai miei...».
È possibile che nelle sue narrazioni ci siano lacune e confusioni. Sarebbe ridicolo
pretendere dal buon vecchietto una precisione ed una oggettività assoluta. Possiamo però
assicurare che da parte sua c'è sempre la massima preoccupazione di essere esatto. In
verità, tutto quanto potemmo verificare per mezzo di altri, risultò concorde con le sue
affermazioni.
A questo riguardo ci fu particolarmente prezioso il libro del dott. Fischer, Die Botschaft
unserer Lieben Frau von Fatima (Il messaggio di N. S. di Fatima), che facilitò il controllo
delle testimonianze del Ti Marto. Mai potemmo notare contraddizioni, neppure nei minimi
particolari, sebbene fossero passati quindici anni, da quando il distinto professore
dell'Università di Bamberg si mise all'opera per verificare i fatti di questa lontana serra
d'Aire. Le stesse incertezze su alcuni punti, gli stessi particolari talvolta insignificanti, non
raramente le stesse parole.
Di Ti Olimpia, di Maria dos Anjos e di Maria da Capelinha, ecc., possiamo dire altrettanto.
«Sono molto trelida» (smemorata) ci diceva Maria Carreira (Maria da Capelinha). Ma non è
proprio così. Gli episodi di Fatima le si sono scolpiti nitidissimi nello spirito e nella
memoria. Anche se interrogata ripetutamente da molti su un punto determinato, lo
riferisce sempre allo stesso modo. Più sorprendente ancora: poche di queste persone
sanno leggere. Reputiamo inoltre di speciale importanza il fatto che nessuna di loro,
neppure tra le più anziane, confonde quello che ha conosciuto realmente con ciò che
recentemente si seppe dai manoscritti di Lucia e che esse ignoravano completamente.
Interrogate sopra uno o l'altro di questi punti, rispondono infallibilmente: «Di questo non
so niente». Eppure sarebbe così naturale lasciarsi suggestionare da tante centinaia e forse
migliaia di volte che si parla loro delle penitenze, delle preghiere, della santità dei fanciulli,
delle apparizioni dell'angelo ... «Non seppi mai nulla, - dice invariabilmente Ti Marta - né
della corda ... né dei digiuni ... nulla di nulla! Anche dopo le apparizioni li trovai sempre
fanciulli, e, all'infuori di qualche piccola differenza, come tutti gli altri!».
Mai avremmo supposto di trovare per questo nostro lavoro fonti tanto preziose!
Il mio pellegrinaggio a Fatima
(1943)
Dopo quattro giorni di cammino da Lisbona, giungo finalmente a Leiria, la città
principale del Liz, elegante e graziosa, raccolta come in una conca verdeggiante
formata dalla valle che il lento fiume taglia e abbraccia «in una stretta nostalgica»,
come disse Henriques Lobo, il poeta secentista della regione.
A sud-est è chiusa dal santuario di Nostra Signora dell'Incarnazione, che dall'alto
del colle si direbbe stia a vigilare con sorriso materno i caseggiati ineguali ed
irregolari, messi in risalto da ciuffi di vegetazione. A ponente è cinta dal castello
medioevale: muri alti e possenti, torrioni superbi, resistenti all'azione corrosiva
della natura e degli uomini.
Non mi mancherebbe il desiderio di salire il colle, per visitare le rovine di quella
fortezza che Don Alfonso Rodriguez costruì come baluardo contro le incursioni dei
Saraceni e come base per la liberazione del suolo lusitano dagli artigli delle bande
more. Vorrei rivivere questo periodo epico della storia portoghese, in cui una sola
idea dominava il popolo: liberare il paese dalla profanazione musulmana e
restituirlo al servizio di Dio, come si esprimono le vecchie carte dell'epoca: «Il re
prese il castello di Santarém (di Lisbona, ecc.) ai mori e lo offrì a lode di Dio».
Ma il tempo incalza. Ad ogni costo voglio arrivare a Fatima prima di notte. Ancora
25 chilometri: cinque ore di cammino. Del resto non mancheranno le occasioni di
visitare uno dei più insigni monumenti dell'epopea lusitana.
Ciò che invece non voglio tralasciare è di avvicinare il venerando prelato della
diocesi, il vescovo di Fatima 6 come lo chiama il mondo intero. Proprio questo fu il
motivo per cui scelsi la strada più lunga da Lisbona al santuario della Cova da Iria.
Già prima di partire da Roma mi urgeva il desiderio di presentargli le mie
felicitazioni. Venivo, oltre a ciò, con l'incarico di ossequiarlo da parte del vice rettore
del Collegio portoghese in Roma, il rev. Dott. Carreira, guida dei miei primi passi
nella lingua di Camoes, che tanto mi aveva parlato, e con tanta nostalgia, di S. E.
mons. José Alves Correia da Silva.
Il palazzo vescovile, semplice come un'abitazione privata, è situato nel cuore della
città. Introdotto nello studio dell'illustre prelato, sono da lui accolto con indicibile
bontà e con affabilità straordinaria. Davvero, penso, la Madonna sa scegliere bene.
Parliamo a lungo del Santo Padre, che mi ha benedetto prima della partenza.
Parliamo dell'epoca tremenda che stiamo attraversando, degli incessanti sforzi per
la pace, delle grandi sofferenze, vero calvario di Pio XII. La fisionomia del vescovo
riflette il più intenso dolore. Come si sentono qui, e si condividono, i dolori, le
preoccupazioni del Santo Padre nelle ore tragiche in cui si compiono alla lettera le
profezie della piccola veggente Giacinta:
«Io vidi il Santo Padre in una casa molto grande, inginocchiato davanti ad un
altare, con la faccia tra le mani, e piangeva. Fuori della casa v'era molta gente, e
alcuni gli lanciavano sassi, altri gli scagliavano maledizioni e gli dicevano molte
parole cattive. Povero Santo Padre! Dobbiamo pregare molto per lui!».
Il tempo vola. Bisogna partire. Ma monsignor vescovo spinge la sua amabilità al
punto di trattenermi alla sua mensa. Così, con gratitudine profonda, ricevo un'altra
prova della tradizionale ospitalità portoghese. Mi farà poi portare a Fatima con la
sua auto. E mi dice che non mi sarebbe mancata l'occasione di fare a piedi l'ultima
parte del mio pellegrinaggio.
A mensa ho il piacere di conoscere il rev. P. Augusto de Sousa Maia, segretario di
Sua Eccellenza. Di fronte mi sta il rev. Dott. José Galamba de Oliveira, il felice
autore del non meno fortunato libro «Giacinta», che tutto il Portogallo conosce. A
metà del pranzo entra un simpatico giovane. Al sentire P. Augusto sforzarsi per
abbozzare qualche frase italiana, s'affretta a stringere le mani con calore ed a
rivolgermi sorridente il «benvenuto». È il P. dotto José Correia da Silva, nipote e
autista di monsignor vescovo. Come il rev. Dott. Galamba fu in Roma, dove si
addottorò in diritto canonico.
Ed ora di che parlare? Ed in che lingua? Certo che si rivivono i tempi passati nella
Città Eterna, le passeggiate negli incantevoli suburbii, lungo la Via Appia, la Via
Latina ..., le escursioni ai Castelli Romani, Frascati, Rocca di Papa, Castel Gandolfo
... Ci sembra di ritrovarci a respirare quell'aria olezzante dei vigneti in fiore, a
correre lungo i viali dei platani, a riposare nei meravigliosi giardini di Villa
Mondragone ...
Batalha: l’epopea della Vergine
Proseguo il mio pellegrinaggio in auto.
Alle diciassette si esce dal palazzo, scivolando veloci lungo la strada nazionale. Ai
lati della strada, rilucente di asfalto, oliveti, pinete, vigneti, campi di granturco
maturo, piccoli villaggi sfuggono al nostro passaggio, finché arriviamo, dopo circa
una dozzina di chilometri, al Monastero di Batalha, costruzione gotica
d'insuperabile valore architettonico, un vero gioiello, forse la migliore creazione del
genio portoghese. L'auto ferma per offrirci il piacere d'una visita, sia pur fugace, al
monumento che è orgoglio della terra lusitana.
- Quindici minuti ... esatti! - ci dice amabilmente l'autista. Guardo l'orologio e
rispondo: - Benissimo! Saremo puntuali.
Scendo a terra e il primo minuto lo dedico a contemplare la massa imponente
dell'edificio. Perenne fioritura di pinnacoli e di guglie, lanci di cornici e di
balaustrate ricamate, archi rampanti, lavorati nei minimi particolari. Penetriamo
nel tempio attraverso il maestoso portale il cui timpano espone con disposizione
precisa, propria dello stile, in tonalità rosate del tramonto, una serie di statue
rappresentanti le figure più note dell'Antico e del Nuovo Testamento.
Le tre lunghe navate, debolmente illuminate dalle alte vetrate, spoglie di ogni
ornamento e di statue, fredde, severe, invitano al silenzio e alla meditazione. La
duplice fuga di pilastri forti e slanciati, coronati da eleganti capitelli, sostiene la
volta che pare proiettarsi fino al cielo.
Abituato alla luminosità e ricchezza delle chiese italiane, quasi non riesco ad
apprezzare debitamente quest'arte gotica sobria, solenne, silenziosa.
Completamente diversa è l'impressione che ricevo nella cappella reale - o del
Fondatore -, recinto ottagonale che sorregge con eleganza una volta stellata.
Al centro, il talamo funebre di D. Joao I e di D. Felipa de Lencastre. Con le mani
unite pare riposino in un sonno pacifico e sereno. Con la mano sinistra, il Re
impugna uno scettro possente; nella destra la Regina tiene il breviario aperto.
Scettro e breviario ...
Attorno alla cappella vi sono gli arcosoli, finemente scolpiti, dell'illustre stirpe.
Due nomi soltanto basterebbero ad immortalarla: D. Henrique, l'esperto
navigatore; D. Fernando, l'«Infante Santo», martire nelle prigioni saracene di Fez.
Quanti altri gioielli d'arte non racchiude questo meraviglioso edificio, ma «tempus
fugit», e l'orologio mi avverte inesorabilmente che i quindici minuti sono ridotti a
otto.
Corriamo, quindi, al chiostro reale: graziosi archi ogivali, con sfoghi ricamati nella
lussureggiante arte manuelina, delicati capitelli, colonnine intarsiate, ne fanno un
vero incanto, di cui l'occhio non si stanca. Fiori scolpiti sulle cornici di bosso
ravvivano l'ambiente; rompe il silenzio monastico lo stillicidio di una fontana, che si
erge in un angolo, in tre coppe sovrapposte.
Sul tramonto, tutta quella pietra lavorata con esuberanza, acquista una tonalità di
avorio dorato che ci rapisce in una terra di sogno. Sarebbe così bello sostare qualche
istante, pensavo tra me, in questo lembo di cielo.
Quasi mi dimenticavo dell'altro «lembo di Cielo», per il quale mi ero messo in
cammino da tanto lontano ...
Il mio compagno mi afferra per il braccio e mi mostra il suo orologio. È volato il
quarto d'ora che mi lascia per sempre ricordi indelebili.
Sempre di corsa attraversiamo la sala del Capitolo con la famosa volta di Afonso
Domingues; appena uno sguardo commosso per la tomba, a livello del pavimento,
omaggio del «Portogallo eterno sui mari, sui continenti, tra i popoli, al suo milite
ignoto, morto per la Patria».
E, mentre usciamo, un «Requiem aeternam» per i caduti portoghesi della
campagna del 1914- 1918 e per i milioni delle diverse nazioni falciati in questa
guerra che continua implacabile.
Così, lasciamo per altra occasione, il celebre chiostro di D. Afonso V, le cappelle
incompiute, conosciute come uno degli esemplari più significativi del fastoso stile
architettonico del Portogallo, questo gotico fiammeggiante che risente l'influenza
delle imprese marittime dell'età manuelina.
Terminata la visita, risaliamo sull'auto, che deve ora sempre più rallentare la sua
corsa per non investire i gruppi di stanchi pellegrini, venuti da chissà qual distanza,
e gli asinelli sbandati che trottano in mezzo alla via e che solo a suon di clakson si
riducono a lato.
Sulla strada di Reguengo do Fetal il pensiero risale i secoli. 1385, primi vespri
dell'Assunzione della Madonna: in Aljubarrota, prima della battaglia che doveva
consolidare definitivamente l'indipendenza lusitana, Don Giovanni I si
inginocchiava davanti alla statua della Vergine a chiedere il suo potente aiuto nella
lotta contro il Castigliano invasore e votava l'erezione del tempio che doveva
tramandare ai secoli la gratitudine sua e dei suoi vassalli. Simpatici questi re
dell'antichità, i quali, profondamente informati dalla fede, seppero elevare a gloria
di Dio monumenti di grandezza e di eleganza, di magnificenza e di opulenza
incomparabili! E ciò in un'epoca che noi, in questo secolo di indiscutibile progresso
tecnico e meccanico, in questo secolo di luce, chiamiamo barbara.
Che desolazione, oggi, vederli vuoti questi templi, che una volta, profumati di
incensi, risonavano delle glorie del Signore! Vederli ridotti a semplici monumenti di
arte, questi templi edificati con tanti sacrifici! Devono sudar sangue quelle pietre,
quei massi eburnei che si protendono in alto come in eterna gioiosa prece.
L'auto rimonta ora l'ardua salita di Reguengo. Ascendiamo la serra d'Aire, pietrosa
ed arida, qua e là disseminata di qualche striminzito olivo. Ma eccoci ad un
belvedere dove non possiamo tralasciare di fermarci un istante a contemplare un
panorama stupendo. Laggiù molto in basso, come in una conca, Reguengo, con il
suo santuario della Madonna del Fetal, una volta centro di grandi pellegrinaggi
mariani, ed ancor oggi molto frequentato, specialmente in tempo di siccità.
Lontano, le guglie di Batalha. Sopra le colline circostanti, qua e là, gruppi di bianche
casupole attorno a cappelle. All'estremo ponente i comignoli delle fabbriche di
cemento di Maceira-Liz, il fumo delle quali si fonde con le nubi. Di Leiria si scorge
solamente un abbozzo del quasi leggendario castello.
Riprendiamo la corsa. La strada ora serpeggia attraverso a pinete sterili, sorpassa
alcuni canali ed eccoci alla Cova da Iria.
La vigilia del gran giorno
Sono le ventuno e trenta circa quando entriamo nel recinto del santuario per il viale
che conduce direttamente all'ospedale ed alla Casa dei Ritiri. Del resto sarebbe
impossibile penetrare dall'entrata principale, tant'è la moltitudine che già vi sta
facendo ressa. Nel refettorio, tra il clero riunito, si distingue quello della diocesi di
Leiria, la diocesi privilegiata della Madonna. La cena, presieduta dal venerando
prelato, trascorre in una conversazione vivace, veramente fraterna, che mi ricorda i
cari compagni ora sparsi nel mondo, nelle missioni d'Africa, nella mia patria.
Desideroso di ritrarre il maggior profitto dal mio pellegrinaggio, non essendo
iniziate le funzioni, mi propongo di visitare almeno rapidamente il santuario, e
soprattutto di osservare il mareggiare dei pellegrini e le caratteristiche di cui udii
già tanto parlare in Italia.
Ma mi sono ingannato.
Appena raggiunto il piazzale dell'ospedale, subito a destra un vecchio, col lungo
berretto in mano, a sinistra una donna tutta imbacuccata, che mi pare sia
l'ambasciatrice di un gruppo di penitenti, si presentano domandando mi se posso
confessarli.
- Voi sì, - dico all'uomo, lasciando il gruppo delle donne costernato, perché il cader
della notte impedisce loro di ricevere il sacramento della penitenza. Mi inoltro tra la
moltitudine con il vecchietto alle calcagna e cerco di dirigermi in un luogo largo ove
trovarci liberi. In pochi minuti, penso tra me, lo sbrigo e torno a godere dello
spettacolo tanto imponente.
Qual non è però la mia delusione quando, inginocchiandosi l'uomo in terra, vedo
formarsi, venuta da non so dove né come, una lunga fila, né più né meno come le
formiche quando scoprono un deposito di provvigioni o, se più vi piace, come i
fumatori, in tempo di tesseramento, dinanzi alla privativa!
Pazienza! Fatima è luogo di sacrifici. Comunque finirà.
Ancora mi sono ingannato ... La fila pare interminabile non solo davanti a me, ma
anche davanti agli altri sacerdoti, come me sparpagliati in quella parte del recinto,
disseminata di blocchi di pietra intagliata, preparati per le costruzioni. Ogni tanto
sembra finire. Alzando gli occhi, mi vedo di fronte solo due o tre persone e,
facendomi coraggio, riabbasso la testa fra le mani, attento alla difficile
interpretazione delle espressioni popolari, estranee al mio vocabolario. Mentre il
penitente recita l'atto di contrizione, provo di nuovo a guardare chi lo segue, e i due
o tre si moltiplicano come per incanto, e sono già venti o trenta ... Ma queste mani
callose che si alzano di fronte a me, questi piedi calzati di zoccoli o addirittura
scalzi, questi volti abbronzati dal sole e alcuni già invecchiati dagli anni e dalle
fatiche, hanno tutto il diritto alla mia considerazione, possono esigere da me questo
sacrificio. Molti di essi son giunti da tanto lontano! Resto. Le ore passano. Si recita
il rosario in preparazione alla fiaccolata. Laggiù, un mare di luci ondeggia lento. Son
mille ... diecimila ... centomila? Forse anche di più, molti di più. Altrettante anime
simboleggiate in quei lumi, scintillanti come le più splendenti stelle del firmamento.
Mi giungono in tutta la loro nitidezza le strofe del semplice inno che si canta in
Fatima fin dai primi pellegrinaggi. Il coro fa vibrare l'atmosfera. Anche con la forza
dei polmoni i pellegrini dimostrano la loro fede.
A treze de Maio
Na Cova da Iria
Apar, ceu brilhando
A Virgem Maria.
Avè, Avè, Avè-Maria! 7
Dal profondo del cuore anch'io unisco le mie povere preghiere a quelle di questo
fervoroso popolo e T'invoco, o Vergine Santissima. Non solo per i fratelli di fede,
radunati in questo luogo benedetto, ma soprattutto per quei figli che ancora non Ti
amano perché non Ti conoscono, che non T'invocano perché non hanno mai sentito
parlare di Te ... Per i miei cari fratelli d'Africa, che vivono ancora nelle ombre di
morte; che Ti amerebbero tanto, se alcuno svelasse loro le tue glorie, le tue
misericordie ... Per i milioni e milioni di musulmani... induisti ... buddisti ... , per
tutti gli infedeli ai quali ancora non brilla la luce dell'Evangelo, i quali non ti
chiamano ancora Madre, io Ti invoco, o Regina del Cielo! Da molti occhi cade il
pianto: lacrime di penitenza, di tenerezza, lacrime di supplica, lacrime di gioia ...
Io pure non posso trattenerle e mi cadono ardenti, profuse, per la turba
innumerevole che non crede, non adora, non spera, non ama ...
Veglia d’armi
A notte alta assolvo l'ultimo penitente. Lo vedo scalzo e col volto molto affaticato.
Sebbene giovane - venticinque o trent'anni - si alza da terra con difficoltà. Lo
incoraggio e gli porgo la mano per aiutarlo.
- Venite da lontano, vero?
- Da Tras-os-Montes, dalle parti di Mogadouro. Io ricostruisco in spirito la carta
geografica del Portogallo. Tras-os­Montes ... È la provincia più a Nord, al lato del
Minho ...
- È molto lontano. Un duecento o trecento chilometri, non è vero?
- Un cinquanta leghe e più, - risponde egli, abituato a calcolare con le misure
antiche.
- Però, non avrete fatto tutta la strada a piedi. ..
- Sì, sì a piedi. Veda, era una promessa. S'era promesso, mia moglie ed io, di fare il
pellegrinaggio a piedi, se la Madonna ci avesse guarito la bambina, completamente
cieca, che i medici non avevano speranza di guarire. Era nata così, la piccina. Ed ora
ci vede! Una lacrima scivola sul suo volto abbronzato.
- Si fece una novena e tutte le sere si metteva negli occhi della piccola alcune gocce
dell'acqua miracolosa. L'ultimo giorno, quando ancora non ce l'aspettavamo, le
passo davanti, ed ella mi segue con lo sguardo ... Rimasi allibito. Chiamai mia
moglie, che stava uscendo per badare al bestiame. «O Maria, corri qua. Siamo stati
esauditi dalla Madonna. La nostra bimba ci vede!». Così si attese alcuni giorni e ci
ponemmo in cammino con la speranza di arrivare il giorno dodici. E così fu.
- Durò molto il viaggio?
- Otto giorni. Facemmo circa sei leghe al giorno. Dappertutto incontrammo gente
buona. Ci fu sempre un fienile per dormire. Alcune volte ci si offrì perfino la cena ed
il letto. Dio li ricompensi tutti. L'ultima notte però abbiamo dovuto dormire
all'aperto. Fu in una pineta tra Pombal e Leiria. Ma anche quella notte passò. Il
suono dell'organo che accompagna il canto del secondo turno di adorazione - sono
le due del mattino - interrompe il nostro colloquio. E mentre ci dirigiamo verso il
piazzale prospiciente la basilica per partecipare all'ora di adorazione, noto una
donna, ugualmente scalza, che si avvicina al mio compagno, portando in braccio
una piccina.
- Eccole qui,- mi dice presentandomele.
Commosso, metto la mano sulla testolina della bimba miracolata. Due occhietti
nerissimi splendono dal fondo di un cappuccio e dallo scialle esce una manina che
cerca di afferrare la mia barba. A tutti e tre vengono le lacrime.
Entriamo nella basilica.
Confuso nella moltitudine immensa che canta e prega, passo quell'ora e mezzo di
adorazione in un'indicibile gioia spirituale.
Che trasparente chiarezza hanno qui le verità di nostra santa religione! Come
palpita il soprannaturale! Com'è vicino il Cielo! Gesù, nel suo tempio dorato,
nascosto sotto le specie eucaristiche si sente vivo, palpitante di amore e di
misericordia, come nei trentatré anni della sua dimora in mezzo alla povera
umanità, della sua vita di uomo tra gli uomini.
Il sacerdote che presiede parla dei misteri gaudio si e tratteggia delicato, ma con
vivace nitidezza, l'arcangelo Gabriele nella sua missione sublime presso la Vergine
purissima di Nazareth; Maria che premurosa s'avvia attraverso i monti della Giudea
per portare la sua opera di carità alla cugina Elisabetta; la scena incantevole della
grotta di Betlemme, nella quale venne al mondo il Figlio di Dio; la sua
presentazione al tempio e la purificazione cui la Madonna, benché tutta pura ed
immacolata, non disdegna di sottomettersi; infine, le primizie degli insegnamenti di
Gesù, che meraviglia e confonde i sapienti dottori della legge. Mai come in questa
notte ho vissuto questi misteri. Mi pare di essere ai tempi di Nostro Signore. La
Cova da Iria non è per me un angolo di Portogallo, ma Nazareth, Betlemme,
Gerusalemme. Anzi è più: un lembo di Cielo!
Terminato il secondo turno di adorazione, quello della diocesi di Portalegre,
immediatamente ne succede un terzo, e poi un quarto, e così fino allo spuntar del
sole. È una veglia d'armi attorno a Gesù Sacramentato. Il mio cuore vorrebbe
passarvi la notte intiera, ma mi sento debole e stanco. Il sonno mi vince. Mi alzo e
mi dirigo verso la Casa dei Ritiri, dove il rettore del santuario mi aveva assegnato
una stanza per riposarmi alcune ore. Mi vergogno di avere un letto, quando la
maggioranza dei pellegrini, a centinaia, a migliaia, si stendono sulla dura terra,
oppure, i più favoriti, sull'erba secca, avvolti nei loro scialli o cappotti.
La notte è veramente fredda. Noto anche alcune persone distinte, non
sufficientemente provviste contro il clima della montagna, avvolte senza tante
cerimonie nelle coperte delle loro auto. Qua e là focherelli riscaldano ed illuminano
volti di aranti, incessantemente uniti alle preghiere dirette dall'altoparlante.
Più lontano, canti di gallo, ragliar di asinelli, qualche segnale d'auto o corriera
ritardataria. Null'altro.
Vado a coricarmi e subito m'addormento.
Preghiera e penitenza
Alle 7,30 celebro la S. Messa nella graziosa e raccolta cappella della Casa dei Ritiri.
È affollata. Termina di celebrare S. E. monsignor vescovo di Gurza.
Preso il caffè, ritorno tra la folla. Sono circa le nove. Vorrei visitare la cappella delle
apparizioni e fissare il mio sguardo sul volto della Madonna.
Con difficoltà posso avvicinarmi al piccolo atrio. Centinaia, migliaia di persone si
pigiano attorno, in piedi, in ginocchio, sedute a terra.
Ciò però che m'impressiona maggiormente è la fila dei pellegrini che strisciano
attorno alla cappella. Un seminarista che m'accompagna mi spiega: «È
l'adempimento di promesse fatte».
Non posso distogliermi da quegli uomini e da quelle donne, che con tanto sacrificio
vengono a ringraziare la Madre del Cielo per i favori ricevuti.
La scena è davvero commovente. Qui, un uomo con la corona in mano, il berretto ed
il bastone nell'altra. Più in là, una donna pallida: unico vigore, la fiamma della fede
nello sguardo scintillante. Più oltre, una madre col figliolino in braccio ed una
candela accesa in mano, sostenuta dal giovane marito. E poi ragazzi e ragazze, che
senza rispetto umano soddisfano agli obblighi contratti. Strisciando sul suolo
pietroso, non solo lacerano calze e vestiti, ma con le macchie di sangue
imporporano questo suolo benedetto. Come deve sorridere di compiacenza la dolce
Regina del Cielo per tante prove di amore! Certo, le preferenze divine sono per
queste anime semplici ed eroiche.
Davanti alla piccola cappella contemplo questo spettacolo, quando mi si avvicina
una donna non ancora di mezza età. Sembra completamente disfatta, mal
reggendosi sulle gambe. Con gli occhi gonfi di lacrime, mi confida un dubbio
tormentoso.
- Padre, avevo promesso alla Madonna di venire dalla chiesa di Fatima (circa due
chilometri e mezzo) fino alla cappella delle apparizioni, in ginocchio... Arrivai fino al
laghetto Carreira (80 m. dal santuario), ma non ne potevo più. Le ginocchia
sanguinavano ... sanguinavano ... Non ebbi il coraggio di continuare. Non avrei
resistito ... E venni a piedi. Mi creda, non fu per cattiva volontà.
E le lacrime le cadono copiose.
- Non affliggetevi, figliola. La Madonna è ugualmente contenta. La povera
contadina, che attendeva ansiosa la risposta del ministro di Dio, mi bacia la mano,
rassicurata, e va ad inginocchiarsi più vicino che può alla statua della Vergine.
Io pure mi avvicino alla cappella. Che povertà! Che semplicità! Istantaneamente il
pensiero corre a Loreto, alla Santa Casa dove visse la Sacra Famiglia.
Anche qui per brevi istanti dimorò la Vergine Maria. Qui avvenne la sua prima
apparizione in quell'indimenticabile 13 maggio 1917. La statua è sollevata sopra un
piedestallo che segna il luogo del cespuglio d'elce sopra il quale la Madonna si posò.
Confuso tra la moltitudine, anch'io m'inginocchio davanti alla bella statua e fisso i
miei occhi nei suoi, dolci e tristi, e mi sforzo di raffigurarmi quella «Menina
bonita», quella «Mulherzinha» raggiante di luce, in cui fissarono lo sguardo i tre
fanciulli predestinati. Quasi oso domandarle che ancora una volta scenda dal cielo e
si mostri all'umanità, che sempre più ha bisogno di lei.
Attorno a me, tutti invocano la Vergine con straordinaria confidenza. Le dicono che
è tanto buona. Che non c'è miseria che essa non possa soccorrere. La chiamano coi
più teneri nomi che cuore di figlio può escogitare. È l'amabile Regina del Cielo, la
Vergine benigna, l'Ausiliatrice, la Consolatrice degli afflitti ... È soprattutto la
Madre: la dolce Madre, la Madre clemente, la nostra Madre, la Madre di tutti gli
uomini.
- O dolce Madre del Portogallo ... - sospira dietro di me una voce giovanile. Quelle
parole suscitano nell'animo mio un'infinità di memorie nostalgiche e fra le lacrime
ripeto: - O dolce Madre della mia terra, o dolce Madre d'Italia ... - Col cuore dilatato
le ricordo i quarantacinque milioni di miei connazionali e le domando che volga
benigno su loro il suo sguardo.
E le preci continuano. Necessità temporali, necessità spirituali: tutto è gettato nel
suo seno materno. Potrà forse il suo Cuore di Madre rifiutare ciò che le vien chiesto
dalla moltitudine con tanta insistenza e semplicità?
La ressa è pressante. Mi alzo. Anche gli altri hanno diritto di passare alcuni istanti
ai piedi della Vergine.
M'avvio verso l'imponente mole della basilica. Arrivato però vicino alla cappella
delle confessioni, mi si avvicina una giovane con abito, velo bianco e croce azzurra
sul petto: una servita di Nostra Signora. Essa gentilmente mi domanda se posso
attendere alle confessioni. Alla risposta affermativa m'introduce nel tempio e mi
indica un confessionale vuoto, attorno al quale subito si forma un capannello di
donne e di ragazze. Non c'è, in quell'agglomerato, differenza di classe. La signora
distinta è uguale all'umile montanara e tutte aspettano pazienti il loro turno.
Le servite, con vigilante impegno, zelano il buon ordine e la tranquillità
dell'ambiente.
All'altare maggiore un sacerdote distribuisce continuamente il Pane del Cielo. La
distribuzione continuerà forse fino alle tre pomeridiane. E non è molto che si
effettuò sulla grande spianata la Comunione generale. Venti sacerdoti distribuirono
per due ore, ininterrottamente. Decine e decine di enormi pissidi si vuotarono per
saziare quella moltitudine affamata di Dio. È il rinnovarsi dello spettacolo della
moltiplicazione dei pani, ma in senso infinitamente superiore. Non cinque pani che
saziano cinquemila persone, ma il Redentore, Pane vivo disceso dal Cielo, che sazia
con la sua Carne immacolata e disseta col suo Sangue preziosissimo le anime
destinate all'eterna beatitudine.
Santos Anjos e Arcanjos,
Vinde em nossa companhia,
Ajudainos a louvar
A Divina Eucaristia 8.
La Bianca Signora tra il suo popolo e i figli sofferenti
La campana del santuario dà tre rintocchi: segno giornaliero per la recita
dell'«Angelus», al quale il giorno 13 di ogni mese segue il rosario in preparazione
alla processione.
Chiudo il tabernacolo.
Mi porto in sacrestia a deporre la cotta ed esco ad ammirare uno spettacolo
veramente affascinante.
Come d'incanto mi sento rianimato dalla fatica delle lunghe ore di confessionale.
Dalla gradinata della basilica alla vasta spianata, per tutto il recinto, un mare di
gente in un calmo ondeggiare. È, certo, tutto il Portogallo. Infatti tutta la terra di
Santa Maria è qui largamente rappresentata: dall'Algarve solatio al verde Minho,
dalla frontiera spagnola alle rive dell'Atlantico.
Vi sono tipi caratteristici di tutte le regioni. Donne d'Algarve, nei loro costumi
modesti, pelle bruna che risente l'influsso dei mori, grandi occhi neri pensosi fissi
sulla Madonna. Ribategiani, color vigoroso, forte, d'aria libera, modi disinvolti,
calzoni stretti, berrettone e grossi rosari nelle mani callose e nervose, use al governo
del gregge. Gente della riviera atlantica, abbronzata dallo iodio, emanante dagli
abiti ondate di salmastro, che abbandonò remi e reti per venire ad affidarsi alla
protezione della Stella del mare: uomini con grosse flanelle rigate, donne con
sottane pieghettate e cappellino rotondo. Ci sono contadini dei pressi di Lisbona in
giacca e cintura. Contadine dei dintorni di Coimbra e di Aveiro, scalze o con
zoccoletti, ma sempre con modi distinti. Ragazzette del Minho, fronte libera, labbra
fatte per il sorriso, che articolano le «Ave Maria» quasi intonandole. Transmontani
ed Alentegiani dall'aspetto stanco.
Gran parte della moltitudine si getta in ginocchio. Ha inizio la recita del rosario,
che, diretta al microfono dal canonico Marques dos Santos, procede impeccabile in
un'atmosfera di fede e di devozione impressionante.
Inginocchiato sopra le pietre o in terra, col capo scoperto sotto un sole bruciante, - è
mezzogiorno solare, - tutto questo popolo sembra insensibile ai sacrifici, anzi li
cerca scegliendo le posizioni più scomode, per essere maggiormente accetto a Colei
che tanto raccomandò in questo luogo la penitenza.
Infine si organizza la processione, se così può chiamarsi, con la statua della
Madonna. Giovani esploratori precedono e decine di bandiere e stendardi
circondano il trono dorato della Madonna. Portata dalle servite, la statua sorridente
passa in mezzo al suo popolo, in mezzo ai suoi figli che le gridano coi canti l'amore,
che le presentano coi gemiti le necessità, che implorano coi sospiri la materna
protezione. Lentamente, perché tutti la salutino, la vedano, la contemplino, la
Vergine compie il suo pellegrinaggio. Cadono su di lei a manciate i petali di rose, né
si sa donde vengano. Biancheggiano sopra le vesti rosse dei prelati, ci sfiorano il
viso volteggiando e cadono lentamente, come fiocchi di neve, fondendosi col
candore delle cotte dei sacerdoti e dei seminaristi nell'interminabile doppia fila che
precede il trono dell'Immacolata Signora.
La Vergine avanza maestosa. Migliaia di fazzoletti la salutano. Migliaia di cuori la
invocano. Migliaia di anime la supplicano, mentre negli occhi di tutti brillano
lacrime di nostalgia e di tenerezza filiale.
Arriva infine al limitare della gradinata. E perché il suo volto non sia sottratto al
bramoso sguardo della moltitudine, il trono viene girato, e, mentre la Madonna
ascende, ci si delizia nella sua contemplazione.
Posta davanti all'altare, mentre la sua immacolatezza risalta ancor più sulle tinte del
pannello di sfondo, la Vergine assiste ancor una volta con i suoi figli alla
rinnovazione del sacrificio del Calvario. La Santa Messa è celebrata da un prelato ed
il popolo accompagna il coro dei seminaristi propagato dagli altoparlanti.
Terminata la Messa, si espone solennemente il SS. Sacramento al canto dell'«O
salutaris Hostia» ed alcuni momenti dopo «Gesù nascosto» - come diceva la
piccola Giacinta - scende a benedire gli infermi.
Gesù passa e si ferma dinanzi ad ognuno. Son circa trecento e quasi tutti gravi. Vi
sono tubercolotici all'ultimo stadio, volti pallidi, sguardo languido e febbricitante,
per i quali la scienza si dichiara impotente e che solo dall'onnipotenza divina
attendono il rimedio o almeno un sollievo ai loro dolori. Stesi sulle barelle, vi sono
ammalati del morbo di Pott, immobilizzati, membra scheletrite, volti sfiniti, la cui
vita è un duro calvario. Dalla Regina dei Martiri sono venuti ad implorare la
guarigione o almeno la forza per portare una croce tanto pesante. Ciechi infelici con
le orbite vuote e le pupille spente: il movimento delle labbra rivela la speranza che
agita il loro cuore. Giovinetti e giovani, vitalità fiorente cui la vita avrebbe dovuto
essere brillante visione ed è soltanto un'ombra ... Mamme che recano in braccio
bimbi anormali, tronchi deformi, occhi senza intelligenza, teste sproporzionate. Con
quale ansietà esse attendono il loro turno, nella fiducia che il Taumaturgo divino
trasformi i loro piccoli infelici in fanciulli perfetti! Con che insistenza, con che
confidenza attendono l'ora del più stupendo miracolo!
La voce del sacerdote che dirige le cerimonie risuona vibrante di fede e di pietà!
«Signore, Vi adoriamo! Signore, confidiamo in Voi! Signore, crediamo in Voi, ma
Voi accrescete la nostra fede!».
E ad ogni invocazione risponde il grido della folla che si diffonde fino a perdersi
lontano nell'azzurro delle colline.
«Signore, Vi adoriamo! Signore, confidiamo in Voi! Signore, crediamo in Voi, ma
Voi accrescete la nostra fede!».
«Voi siete il mio Signore e il mio Dio! Voi la Risurrezione e la Vita!», ricomincia con
maggior forza il sacerdote.
«Voi siete il mio Signore e il mio Dio! Voi la Resurrezione e la Vita!», ripete la turba
con rinnovata confidenza.
«Signore, se vuoi, puoi guarirmi! Signore, di' una sola parola e sarò guarito!». Così,
ancora, il sacerdote. E così ripete il popolo, con la medesima fede con cui un giorno
s'invocava il Redentore lungo le strade di Palestina.
«Signore, fate che io veda! Signore, fate che io cammini! Signore, fate che io
senta!».
Nessuno può trattenere le lacrime. La carità cristiana affratella tutta la moltitudine.
Tutti hanno le medesime necessità. Tutti soffrono i medesimi dolori. La preghiera di
uno è l'invocazione di tutti.
Poi, con maggior veemenza, con maggior fervore, con maggior tenerezza, nella
consapevolezza della propria miseria, della propria indegnità, la preghiera è diretta
a Colei che nelle nozze di Cana ebbe il potere di affrettare l'ora del miracolo.
«Madre del Salvatore, prega per noi! Regina del SS.mo Rosario, prega per noi!
Consolatrice degli afflitti, prega per noi!». Passati ad uno ad uno i lettini dei
sofferenti, accompagniamo con nostalgico desiderio Gesù Eucaristico che sta per
lasciarci. D'ogni parte, negli sguardi fissi su di lui, si legge l'invocazione dei discepoli
d'Emmaus: «Mane nobiscum, Domine. - Rimani con noi, o Signore». In coro
maestoso si canta il Tantum ergo e ancora una volta la benedizione di Gesù scende
sui sani e sui malati, sull'immensa folla che è inginocchiata od almeno, dove la calca
non lo consente, inchinata. Gesù ora si ritira umilmente nella cappella delle
confessioni. Si ritira per lasciare il popolo solo con la sua Madre SS. in una
espansione entusiasta, solenne, delirante. È la processione dell'addio.
O Virgem do Rosario, Da Fatima Senhora,
De Portugal Rainha, Dos homens protectora!
O Virgem do Rosario,
Da Fatima Senhora,
Do vosso Santuario Forçoso é ir-me embora .... 9
Lacrimano gli occhi, ma i cuori sono esultanti. Tutti sentono nell'animo la dolcezza
dello sguardo materno. La bianca Madonna passa, ma tutti vorrebbero trattenerla
per dirle ancora una parola, per confidarle ancora un segreto o una pena, per
ringraziarla ancora di una grazia. Nell'impossibilità di gettarle i cuori, le si gettano i
fiori. L'agitarsi frenetico dei bianchi fazzoletti traduce il tumultuar dei sentimenti,
che l'anima non sa definire e che solo a Fatima le è concesso di provare. Rombano
nell'aria decine di apparecchi, lancianti essi pure fiori e preghiere.
Ricollocata sotto il semplice atrio, la Vergine riceve gli ultimi ossequi. È necessario
partire. Ma migliaia di cuori non partono. Rimangono, affascinati per sempre dalla
soavissima Madonna della Cova di Iria! Felici loro!
Storia e leggenda
- Gradireste visitare la basilica e salire sulla torre? - domanda il rettore del
santuario a quattro sacerdoti pellegrini.
- Tanto, signor rettore. Andiamo.
Raggiungiamo, quasi di corsa, lo spiazzo ove si eleva la basilica. - Sono ormai
quindici anni che fu benedetta la prima pietra, ­ spiega l'amabile cicerone, benedetta da S. E. l'arcivescovo di Evora, mons. Manuel Mendes da Conceiçao
Santos. Da allora la costruzione ha sempre progredito con relativa celerità,
sostenuta esclusivamente dalle spontanee elemosine dei pellegrini. Non si riceve
alcun aiuto dal governo.
- Non sarebbe più comodo lanciare una sottoscrizione nazionale, od anche
internazionale, come si fece per la basilica di Lourdes? ­ azzardo domandare.
- Forse no. È molto meglio che sia la libera offerta dei figli ad innalzare il palazzo
della Mamma.
Entriamo intanto nella basilica che, ultimata, sarà certamente un grandioso
monumento. L'interno misura ottantadue metri di lunghezza e cinquanta di altezza.
Contiene quattordici cappelle laterali, corrispondenti, con quella centrale, ai
quindici misteri del rosario. Ascendiamo fino alla volta in cemento armato. Sebbene
i ponti non permettano di abbracciare tutta la grandiosità dell'edificio, proviamo
una viva impressione di bellezza e di imponenza. Ascendiamo ancora, per scale
mobili, una decina di metri, e ci troviamo all'altezza dell'orologio della torre, la
quale, elevata di altri dieci metri, terminerà in una corona di bronzo, sormontata da
un globo di vetro reggente una croce.
Meraviglioso è il panorama che si estende dinanzi ai nostri occhi. Laggiù è la Cova
da Iria con la cappella delle apparizioni che sembra un balocco di cartone, e la fonte
con la statua dorata del S. Cuore, che in uno sfavillio di luci, rinfrange i raggi ardenti
del sole estivo. A destra, il grande fabbricato bianco dell'ospedale e della Casa dei
Ritiri. A sinistra, le fondamenta dell'edificio corrispondente, che conserva la
simmetria del recinto. In fondo, verso la strada, il portico, oltre il quale
intravvediamo baracche e baracche che, secondo il piano regolatore, dovranno
scomparire per dar luogo ad una piazza imponente che faciliterà il movimento dei
grandi pellegrinaggi. Girando a ponente, notiamo una costruzione moderna che,
anche a distanza, ci si presenta di proporzioni non comuni.
- È il Carmelo di S. Giuseppe - chiarisce il P. Amilcar.
- Come vennero qui le carmelitane?
- Come vien tanta gente da tutte le parti del mondo. In un Carmelo belga vi erano
alcune religiose che imparavano il portoghese per una fondazione in Brasile. Un
sacerdote belga, in visita a questi luoghi, parlò al nostro vescovo del piacere che
avrebbe avuto l'Ordine di fondare un convento anche in Portogallo e specialmente a
Fatima. Così le suore che dovevano attraversare l'oceano si fermarono qui, e l'opera
fu tanto benedetta che in poco tempo il Carmelo era già pieno, e si dovette pensare
ad un'altra fondazione a Oporto.
- Là è Fatima, non è vero? - chiedo, indicando a oriente una chiesa, vegliata da una
torre bianca e snella.
- Sì, Fatima.
- Curiosa la nomenclatura dei luoghi di questa regione: Cova da Iria, Ourém, Fatima
... Fino a cinque anni fa non conoscevo che Fatima, figlia di Maometto.
- Anche questa Fatima è di origine musulmana, - spiega il P. Amilcar. - Non sarà
rigorosamente storica, ma la leggenda dice così. Aldcer do Sal era la capitale della
provincia musulmana di Al-Kasar. Una notte uscì un gruppo di dame e cavalieri per
celebrare la festa di S. Giovanni, il grande profeta. Stavano divertendosi sulla
sponda del Sado, quando si precipitò sopra di essi una banda di cavalieri cristiani,
capitanati dal terribile Traga-Moiros, Gonçalo Hermingues. La sua azione fu così
terribile e violenta che parte dei musulmani rimasero uccisi; parte fatti prigionieri,
portati a Santarém e consegnati a Don Afonso Henriques. Il re domandò al valoroso
guerriero quale ricompensa volesse ed egli richiese solo la mano di Fatima, figlia del
Valì di Alcacer. l'avvenente saracena si convertì e fu battezzata col nome di Oureana.
Si sposarono e il re consegnò loro, quale regalo di nozze, la città di Abdegas, che fu
chiamata Oureana e attualmente Ourém ... Il povero Traga-Moiros però in breve
rimase vedovo e non volle più stare nel mondo senza la sua Oureana. Si ritirò nel
convento di Alcobaça, mentre il corpo della sposa era trasportato in una località ad
oriente di Ourém, ove si stava iniziando una fondazione del medesimo ordine. Frate
Gonçalo, abate del nuovo convento, terminò i suoi giorni nel luogo che oggi è
Fatima.
- Il nome di Iria non pare invece di origine musulmana, vero? ­ osservo io.
- No. È di origine cristiana. Cova da Iria, Ourém, Santarém, Leiria ... tutti questi
nomi derivano di fatto dal nome di una santa portoghese, S. Irene o S. Iria. Anche
qui però non tutto è storia. Nel secolo VII, così racconta il breviario di Braga, viveva
in un monastero di Tornar una giovane religiosa di grande virtù, che si chiamava
Irene o Iria e che fu, poi, martire della purezza. Il suo corpo, gettato nel Tago, fu
portato dalla corrente di fronte alla Scalabis dei romani che prese in seguito il nome
di S. Irene, donde Santarém.
Forse anche qui fu eretta una cappella in onore di S. Irene ... Quanto alle Cove ve ne
sono molte. Proprio dietro al santuario abbiamo la Cova da Raposa, la Cova da
Cebola, das Tormentas, dos Outerios, ecc .... O forse, semplicemente, questo
terreno, nei tempi remoti, è appartenuto a una signora di nome Iria.
Già da molto il rettore parla in piedi, volgendo di tanto in tanto lo sguardo in basso,
ove certamente lo richiamano le sue abituali occupazioni.
È dunque necessario scendere dall'osservatorio. Ma è quasi notte e ci riserviamo di
finire la nostra escursione all'indomani.
Nella casa del signor Marto
- Le piacerebbe fare conoscenza coi genitori di Giacinta e di Francesco? - mi
domanda, il giorno seguente a colazione, il reverendo P. Carlos de Azevedo,
amministratore della Voz da Fatima.
Il mio piacere a quella proposta si legge nel mio sguardo e vibra nell'entusiastico
«sì» che mi esce dalla bocca.
- Andiamo allora fino ad Aljustrel.
Mi unisco al P. Carlos e ci spingiamo sulla strada asfaltata che congiunge Batalha a
Vila Nova de Ourem. Dopo alquanto cammino, infiliamo a destra una stradetta
comoda, che scende per un buon tratto, e poi sale ad Aljustrel. Il terreno è in
generale sterile e pietroso, ma il lavoro assiduo dei montanari, che lo accudiscono
con vera passione, lo trasforma, qua e là, in campi fruttiferi e benedetti. Se Dio
manda a tempo le piogge e allontana le tempeste, giugno dona sempre alcune staia
di frumento e settembre colma le aie di grano turco e riempie qualche botte di vino.
La vera ricchezza della Serra è però sempre l'olio.
Le case di Aljustrel, una ventina, sono tutte di un sol piano, basse, la maggior parte
in calce bianca, d'aspetto rustico ma piacevole. Alcune con un piccolo atrio.
Subito all'ingresso del villaggio ci imbattiamo in alcuni bimbi, scalzi, moccio setti e
sudici, che giocano in terra. Oltrepassate poche case, il P. Carlos si ferma davanti ad
un gruppo di bambine, le une sedute per terra, le altre sulla soglia di una casa.
- Eh, bambina, - domanda ad una di esse. - Ti Marto sta in casa? Le piccole alzano le
testoline coperte di fazzoletti multicolori e la più grandicella risponde:
- Sì, signore!
Subito s'ode dal di dentro una voce amica: - Entrino ... entrino!
Ed un vecchietto - 70 anni all'incirca - apre un largo portone di legno e ci introduce
in un cortiletto ricoperto d'aghi di pino 10.
- Mi scusino se compaio così... Stavo preparandomi per andare alla Serra con l'asina
a tagliare un po' di legna per il fuoco.
Si toglie il berrettone e si china per baciare la mano.
- Le presento questo sacerdote che viene da Roma ove sta il Santo Padre, - dice il P.
Carlos, presentandomi.
- Oh, - esclama Ti Marto - da così lontano! ...
- Mi piacerebbe che mi dicesse qualcosa sulla sua Giacinta e il suo Francesco dichiaro io.
- Quasi non val la pena! Tutto sta già nei libri. .. Entrando in casa, dice alla moglie
affaccendata in cucina:
- Guarda qui, c'è il P. Carlos e un sacerdote che viene da Roma. Subito ci si presenta
la signora Olimpia, tutta amabile e sorridente. - Si accomodino ... si seggano - ci
ripete il signor Marto con ogni premura.
Ci sediamo sopra una panchina fuori della casetta. Al fondo, una mensola con molte
immagini, e più in alto, sulla parete, vari quadri, tra cui domina una fotografia del
Santo Padre con la sua benedizione alla fortunata famiglia. Ti Marto si accomoda
accanto a noi su di un rozzo sgabello e ci parla con entusiasmo dei suoi «piccoli». Si
alia, gesticola, intavola dialoghi e aggiunge commenti; parla dell'Africa ove da
giovane fu militare e passa con tutta naturalezza a tessere l'elogio del barone di
Alvaiazere, suo vecchio amico. Ma il discorso ritorna con compiacenza su Giacinta
che doveva essere la pupilla dei suoi occhi: «Tanto buona, tanto mite. Non se n'ebbe
nessun'altra così!».
La signora Olimpia si riferisce più particolarmente a Francesco quando il marito,
nella sua loquacità, le dà occasione di intromettersi nel soliloquio. Ad un certo
momento la buona donna si ritira discretamente e torna poco dopo portando un
cestino d'uva, una scodella d'acqua e un tovagliolo. Nonostante la sua rusticità, Ti
Olimpia non trascura questa regola di igiene che in quell'ambiente mi sorprende.
- Favoriscano, si rinfreschino. È stata raccolta oggi. Senza complimenti, non ne
manca e poi mio marito non beve vino ... Qualche volta alla domenica sta in giro
molto, ma non c'è pericolo che entri in un'osteria ...
- D'altronde in questi giorni, - interrompe il marito, - le intero viste sono tante che
prima che si possa arrivare a casa ...
E la conversazione riprende come se non dovesse più finire. Ma il tempo stringe e
noi si vuol andare in pellegrinaggio anche alla casa di Lucia, ai Valinhos e al Cabeço.
Il signor Marto si offre per accompagnarci.
La casa di Lucia è poco lungi di lì. Tutto approssimativamente si trova come al
tempo delle apparizioni. E anche la stanza ove nacque Lucia è rimasta sempre
quella della madre che lì si addormentò nell'ultimo sonno. Attualmente è la
residenza della figlia maggiore della signora Maria Rosa, Maria dos Anjos.
Nonostante la sua vita laboriosa di povera vedova, mantiene tutto in ordine e
l'ingresso è libero a qualunque visitatore.
Si va al pozzo, presso il quale i tre pastorelli passarono lunghe ore in celestiale
conversazione o in giochi innocenti. Qui ci sentiamo penetrati di soprannaturale e ci
distacchiamo a malincuore. Sulla strada dei Valinhos, Ti Marto non si stanca di
narrarci episodi ornati di ogni particolare e, ad onor del vero, anche noi non ci
stanchiamo di farlo parlare.
Il luogo ove la Madonna apparve la quarta volta ai tre fanciulli, il 19 agosto, è
segnato appena da alcune pietre in circolo, al cui centro doveva esserci l'elce. Ci
inginocchiamo raccolti. Niente perturba quella solitudine e una cappellina ne
accrescerebbe l'incanto.
Per uno scosceso sentiero attraverso il bosco saliamo al Cabeço, dove l'angelo del
Portogallo fece la sua prima e terza apparizione ai piccoli e insegnò loro le
meravigliose preghiere che essi avrebbero tante volte ripetute, prostrati a terra.
Qualche rupe, tra gli olivi e i cespugli, segna il luogo esatto dove si svolsero i
colloqui celestiali.
Ci inginocchiamo per terra e ripetiamo la preghiera dell'angelo: «Mio Dio, credo,
adoro, spero e Vi amo; Vi chiedo perdono per coloro che non credono, non adorano,
non sperano e non Vi amano».
In silenzio - quanto si desidera il silenzio qui! - torniamo ad Aljustrel. Entriamo
nella casa ove nacquero Francesco e Giacinta. Nella piccol9 stanza ove morì
Francesco, Ti Marto ci racconta commosso gli ultimi istanti del pastorello.
- Qui egli ricevette per la prima e ultima volta Nostro Signore. Voleva sedersi sul
letto, ma la violenza della malattia non glielo permise. Prima di spirare disse alla
mamma che gli stava vicino: «Guarda, mamma, che chiara luce sta alla porta ...». E
poco dopo: «Ora non vedo più nulla ...». Così morì. Sembrava sorridere ... e rimase
così...
Con la mano callosa e scarna, il buon vecchietto asciuga due lacrime che gli
scivolano sulle guance ...
Il nostro pellegrinaggio è finito.
Lasciamo il signor Marto con rincrescimento, sulla porta della sua casa.
- Così, già se ne vanno? ... - ci dice rassegnato.
Ci segue a lungo con lo sguardo, salutandoci amichevolmente con il gesto della
mano aperta.
- Simpatico questo Ti Marto, - confido al P. Carlos.
E il suono della sua voce pare echeggi ancora sui nostri passi.
Capitolo primo
Lucia, oh che piccina!
(Ti Marto)
I tre pastori ai quali apparve la S. Vergine erano tre bambini assolutamente
normali, per nulla differenti dai loro coetanei e, come essi, custodi di armenti.
Lucia, la più attempata, era nata il 22 marzo 1907, ultima dei sette figli che il
Signore diede ad Antonio dos Santos, chiamato col nomignolo di «Abobora», e a
Maria Rosa, residenti in un casolare di Aljustrel, che fiorisce come oasi tra l'aridezza
pietrosa della montagna 11.
A Lucia, sana e robusta, giunta all'età in cui i ragazzi hanno maggiormente bisogno
dei genitori, si poté già affidare con sicurezza il piccolo gregge di pecore. La piccina
svolgeva il suo compito con cura e soddisfazione.
Non era di fattezze delicate. L'unica attrattiva del suo volto bruno e tondo erano due
grandi occhi neri che brillavano sotto folte sopracciglia.
I capelli folti e corvini, con la scriminatura nel mezzo, le scappavano dal fazzoletto
che le cadeva sulle spalle, il naso un po' schiacciato, le labbra grosse e la bocca larga:
qualche fisionomista avrebbe potuto attribuirle un carattere aspro, se non cattivo.
Lucia, però non era cattiva. Al contrario possedeva un'indole eccellente e ottime
disposizioni di animo.
«Portavamo molta affezione ad essa, perché era molto sveglia e molto dolce - ci
diceva Maria dos Anjos, la sorella più anziana. - Quando, già grandicella, tornava a
casa col gregge, si gettava al collo della mamma e le faceva un mondo di carezze.
L'abbracciava, la baciava, ma a noi, sorelle più anziane, questo dava un poco fastidio
e con un certo spregio la definivamo "la piccola delle moine". Ma Lucia non
smetteva per questo. Era gustoso vederla divertirsi con la prima bambina che mi
nacque. Tornata dalla montagna, chiudeva le pecore e correva a casa mia, di fronte
a quella di mia madre. Prendeva tra le sue braccia la creaturina e la copriva di baci e
non pareva più di questa terra. Amava molto i piccoli e tutti le erano affezionati. A
volte se ne radunavano nel cortile di casa nostra otto, dieci, dodici, ed essa, contenta
ornava i più piccoli con fiori e con erbe, faceva processioni con immagini, preparava
altarini e troni, come se fosse in chiesa, cantava lodi alla Vergine. Ricordo ancora i
suoi motivi preferiti:
No Céu, no Céu, no Céu
Com minHa Mae estarei ...
Virgem pura, tua ternura
É de alivio ao meu penar;
Noite e dia de Maria
A beleza bei-de cantar.12
E tutto terminava con la benedizione.
Sapeva interessare i piccini che le mamme lasciavano nella nostra casa prima di
andare ai campi. Stando io tutto il giorno al telaio e la mia sorella Carolina a cucire,
potevo osservarli bene. Ma quando c'era Lucia, anche da piccola, ci pensava lei e noi
si era libere. Nei giuochi nessuno riusciva a raggiungerla. Giuocavano a rimpiattino
detto rogògò. Chi sotto i fichi, chi dietro ai muri, chi sotto i letti: ognuno nel suo
nascondiglio. Chi restava fuori gridava:
- Rogògò, rogògò, rogògò,
Todos se escondem,
Que eu ja la vou! 13
Giuocavano ai bottoni, alle pietre, a rincorrersi e quando tutti erano stanchi, si
sedevano all'ombra dei fichi e Lucia nel mezzo del crocchio cominciava a contare
storie senza fine, parte udite e parte inventate».
Fin d'allora dava buona prova di quell'eccellente memoria che più tardi le avrebbe
permesso di ricostruire, nei più minuti particolari, i colloqui con l'angelo e con la
Madre del Cielo. Dopo venticinque anni di vita claustrale, estranea del tutto alle
cose profane, poteva ancora ricordare e scrivere, su richiesta del vescovo di Leiria, le
scene campestri della sua infanzia, alcune delle quali accompagnate da danze nelle
quali si distingueva tra le sue amiche. Era molto socievole, franca e furba.
Dolcissima con il papà: papalino di qua, papalino di là.
«Oh Gesù, che ragazzina! - esclamava lo zio Manuel Marto. - Io lo dicevo che tu
saresti diventata o molto buona o molto cattiva».
Come tutte le giovinette della montagna, Lucia, in occasione di feste, si ornava con
collane dorate, con grandi orecchini che cadevano sugli omeri e un grazioso
cappellino guarnito di fregi e penne di vario colore.
«Nelle vicinanze - confessa ella - non vi era altra ragazza così ben messa, e le mie
sorelle e la mia madrina Teresa si sentivano orgogliose di vedermi tanto graziosa. Le
altre ragazze mi circondavano in gruppo, ammirando la bellezza della mia toeletta, e
io gongolavo per questa ammirazione. In verità, la vanità era il mio peggior difetto.
Tutti mi mostravano simpatia e stima ad eccezione di una orfanella che la madrina
Teresa aveva presa con sé alla morte della mamma. Pareva temere che io le rubassi
parte dell'eredità che sperava e di certo non si sarebbe ingannata, se Nostro Signore
non mi avesse destinata ad una eredità più preziosa».
«Era inesauribilmente faceta nelle sue trovate - racconta Maria dos Anjos. - Una
volta, sul far della notte, Lucia, dopo aver chiuso le pecorelle, disparve. Quando più
tardi entrò in casa, la madre le domandò donde venisse, ed ella:
- Sono andata all'elemosina con Giacinta e Francesco. Ci siamo recati dallo zio José
das Neves, dalla zia Maria Antonia e dalla madrina Teresa, che ci hanno dato delle
mele. Arrivati alla porta, fingendo di essere mendicanti, abbiamo detto: "Oh zia,
datemi qualche cosetta per amor di Dio". Di poi abbiamo recitato il Padre nostro.
Scoppiettando d'allegria chiese il coltello e divise le mele distribuendole ai presenti.
Lucia era di buon cuore, e amica con tutti! furono le apparizioni che portarono la
discordia in famiglia».
L'ambiente familiare era il più favorevole allo sviluppo delle naturali inclinazioni di
Lucia. A dire il vero, il padre non era troppo religioso, ma la madre - e in montagna
la madre è quella che alleva ed educa i figli - era una donna retta, donna d'oro, piena
di tatto e di intelligenza.
La signora Maria Rosa, profondamente convinta del cattivo effetto che potevano
produrre gli esempi paterni, raddoppiava gli sforzi e le cure nella educazione dei
figli e procurava di sviluppare in essi quelle virtù cristiane che ella praticava come
per una seconda natura.
«Nostra madre - ci diceva Maria dos Anjos - sapeva leggere ma non sapeva scrivere.
Tutte le sere, specialmente durante l'inverno, ci leggeva un brano dell'Antico
Testamento o del Vangelo, oppure qualche aneddoto sopra Nostra Signora di
Nazaré (Portogallo) o di Lourdes. Quando avvennero le apparizioni della Cova da
Iria, mi ricordo che ella diceva severamente a Lucia: - Pensi tu che la Madonna,
j'Jerché apparve a Lourdes e a Nazaré, debba apparire anche a te? - Durante la
quaresima le letture riguardavano la Passione di Nostro Signore. Lucia imparava
tutto a memoria e poi lo raccontava ai piccoli.
"C'insegnava il catechismo e non ci lasciava in libertà sino a tanto che non lo
sapessimo bene a memoria".
- Non voglio fare brutta figura - ella diceva - quando il signor priore domanda la
dottrina ai miei figli -. La brutta figura non l'ha mai fatta perché quando il priore ci
interrogava, restava sempre soddisfatto, anzi, quantunque fossimo ragazzini, ci
affidava l'insegnamento del catechismo presso altri gruppi di compagni. lo non
avevo più di nove anni quando mi creò catechista.
Ma la mamma non si accontentava che si sapesse la dottrina a memoria, voleva che
la capissimo e perciò moltiplicava le spiegazioni, perché saper la dottrina e non la
spiegazione non serve a niente. E noi le facevamo molte domande, alle quali
rispondeva sempre, come non lo avrebbe fatto meglio il priore in chiesa.
Ma non solo a noi la mamma insegnava il catechismo: venivano da lei anche altri
ragazzi di Aljustrel, di Casavelha e anche di Boleiros; non mancavano di unirsi a
loro persone adulte.
Nei mesi di maggio e di novembre, come nella quaresima, recitavamo tutti i giorni il
rosario, o presso il focolare o nella sala; e quando uscivamo col gregge, ci
raccomandava sempre che portassimo il rosario in tasca. - Recitate - diceva - il
rosario a Nostra Signora dopo la merenda, e un Padre nostro a S. Antonio per non
smarrire le pecore.
Santissimas graças e louvor
Sejam dadas a Jesus Cristo Nosso Senhor
Por tantos bens e esmolas que nos tem feito
E mais tem para nos fazer.
Sejam dadas à sua honra e louvor,
Pelo amor de Deus Nosso Senhor 14.
Aggiungevamo ancora alcuni Padre Nostro, per le anime a noi care. Al mattino e
alla sera, dopo l'atto di contrizione e altre preghiere, non voleva che dimenticassimo
il nostro angelo custode.
Em louvor de nosso Anjinho da Guarda
Que nos guarda de noite e dia
E que ande sempre em nossa companhia». 15
«Ci fu - racconta Lucia nelle sue memorie - chi obbiettò a mia madre: Come mai
fino ad oggi il ballo non era peccato e ora, col parroco nuovo, è diventato peccato?
Come si spiega? E mia madre: Non saprei, ma una cosa so, ed è che il signor priore
non vuole che si balli e perciò le mie figlie non torneranno più a questi divertimenti.
Tutt'al più le lascerò ballare un poco in famiglia perché egli ha assicurato che in
famiglia non c'è alcun male». Per lei la voce del parroco era la voce di Dio e
adempiva a puntino, senza discutere, le disposizioni che dava dal pulpito. Questa
confidenza assoluta nel parroco, il quale dubitava, o meglio negava in modo
assoluto la verità delle apparizioni, e la sua semplice umiltà, sono sufficienti a
spiegarci la ritrosia della signora Maria Rosa, nell'ammettere, fin quasi alla fine
della vita, la grazia segnalata che la Vergine aveva concessa alla figlia.
«A qualunque costo - continua Maria dos Anjos - tramontato il sole, ci voleva tutti
in casa, anche nei giorni di festa, nei quali avremmo desiderato tanto di ricrearci
con le nostre compagne. Ma no, l'ora di cena era sacra. Ci voleva umili, laboriosi, e
guai se ci scopriva bugiardi: in questo era inflessibile. La più piccola menzogna
faceva entrare in ballo la scopa.
«Ci inculcava la devozione per le cose di chiesa e soprattutto per il SS. Sacramento,
troppo trascurato allora dalla popolazione. In quel tempo la S. Comunione si
riceveva all'età di dieci anni ed era necessario sapere bene tutta la dottrina. Lucia
tuttavia si comunicò a sei anni, e fu in occasione della visita del P. Cruz; il signor
priore non avrebbe voluto far eccezioni, ma quando il P. Cruz, dopo aver interrogato
Lucia, sentenziò: - La piccina sa, e sa bene - non guardò ad altro e concesse il
permesso. Ricordo ancora la gioia e la soddisfazione della nostra mamma e la festa
che si fece in casa».
Madre di altri tempi!
Capitolo secondo.
Francesco sarebbe stato un uomo
(Ti Olimpia)
Francesco e Giacinta, cugini di Lucia, erano, come già dicemmo, figli del signor
Manuel Pedro Marto e della signora Olimpia de Jesus Santos. Per il signor
Manuel,erano rispettivamente il sesto e settimo figlio; per la signora Olimpia invece
erano già l'ottavo e il nono, avendo essa contratto seconde nozze, dopo la morte del
primo marito José Fernandes Rosa 16.
Francesco nacque l'undici giugno 1908 e Giacinta l'undici marzo 1910.
«Sette mesi dopo il primo vagito della bambina - commenta il sig. Marto - nacque la
repubblica del Portogallo, e dopo altri sette anni apparve qui la SS. Vergine».
Il ragazzo non presentava le rudi caratteristiche montanare che notammo nella
cugina Lucia, ma aveva una faccina rotonda e grassoccia, bocca piccola, mento
pieno. Della madre aveva il colore degli occhi.
«Anch'io però - dice il sig. Marto 17 - quando andai militare, mi scrissero nella carta
di identità: occhi e capelli castani. I capelli erano chiari e morbidi. Mi ricordo pure
che quando ero soldato i barbieri mi dicevano: - O ragazzo, questi sì che sono capelli
e barba buoni da radere».
«Francesco era robusto e di buona salute - ricorda con compiacenza il sig. Marto - e
speravamo che sarebbe cresciuto forte e sano ».
E la sig. Olimpia: «Qual pena che egli sia morto! Sarebbe stato un uomo. Quando fu
colto dalla malattia (la mia casa sembrava allora un ospedale) Francesco prendeva
ogni sorta di medicine e noi si pensava che se la cavasse».
«E ben se la cavò, e anche troppo bene, - commenta il sig. Marto. - Nostro Signore
se lo portò in Cielo».
Il piccolo aveva un carattere eccezionale.
«Era molto affabile», afferma il padre; e Lucia aggiunge che, mentre Giacinta era
alcune volte capricciosa e vivace, egli si mostrò sempre di un'indole pacifica ed
accondiscendente.
Come tutti i ragazzi di questo mondo, Francesco amava i divertimenti: quando
tuttavia nei giuochi qualcuno si ostinava a dargli torto, cedeva senza alcuna
resistenza, limitandosi a dire: - Credi di essere tu il vincitore? E così sia! A me poco
importa.
Se qualche monello gli portava via qualcosa, diceva:
- Tieni pure, a me non importa!
Tutti gli anni, la madrina Teresa andava alla spiaggia e nel ritorno portava sempre
regali per i figliocci, perché non voleva farsi trovare da loro a mani vuote. Una volta
il regalo per Francesco fu un fazzoletto con l'immagine di Nostra Signora di Nazaré,
che egli tutto soddisfatto mostrò subito ai compagni. «Gli piaceva assai, - dice la
madre, - ma ne parlava senza darvi troppa importanza». Gli fu presto rubato e
quando gli dissero che il fazzoletto era in mano di un altro ragazzo, non fece nulla
per riaverlo: - Se lo tenga, non mi importa affatto del fazzoletto.
D'aspetto allegro, Francesco era amabile con tutti.
«Giuocava indistintamente con chiunque, - dice Lucia, - non questionava con
nessuno. Alcune volte si appartava dal giuoco, quando vedeva qualche cosa che non
gli andava a genio. Se gli si domandava perché se ne andasse, rispondeva: - Perché
voialtri non siete buoni, - o semplicemente: - Perché non voglio giuocare».
Nei giuochi, nonostante l'impegno che vi metteva, perdeva quasi sempre, perciò
pochi desideravano giuocare con lui.
«Io stessa - continua Lucia - simpatizzavo poco con lui perché il suo temperamento
pacifico non si accordava con la mia eccessiva vivacità. Alcune volte lo afferravo per
un braccio e lo facevo sedere a terra o sopra una pietra e gli ordinavo che stesse lì,
quieto: obbediva come se io avessi una grande autorità. In seguito mi pentivo di
averlo trattato così, andavo a chiamarlo, lo prendevo per la mano e lo conducevo
con me, senza che egli cambiasse di umore».
Ma ciò non vuol dire che Francesco fosse un ragazzo senza energia o di volontà
fiacca; che anzi era il contrario. Il padre afferma che alcune volte Francesco si
stizziva con i fratelli più di quanto facesse Giacinta.
«Era più generoso ed irrequieto che non la sorellina. In certi casi aveva tanta
pazienza, mentre in altri era recalcitrante come un torello. Per nulla pauroso, di
notte andava, solo, in qualunque posto scuro senza mostrare paura né contrarietà.
Giuocava con le lucertole e le bisce che incontrava: le avvolgeva attorno al suo
bastone e dava loro da bere, nei buchi delle pietre, il latte delle pecore. Cacciava
lepri, volpi e talpe».
Godeva immensamente a scherzare con i fratelli: il padre si ricorda di uno scherzo
che, una sera, voleva fare a Giovanni addormentatosi a bocca aperta.
«Quel bricconcello si alzò di nascosto, afferrò un pezzo di legno e, se io non gliela
avessi impedito, lo avrebbe cacciato nella bocca del fratello. Alcune volte
altercavano tra loro, ma io davo loro sulla voce. Il dar regola alla propria vita è ben
diverso dal piantar cavoli e seminare patate» 18.
In verità Ti Marta non si accontentava di educare i figli, ma voleva che fosse loro
data una buona educazione e a questo fine, secondo il suo giudizio, non doveva
mancare la scuola.
Li educava con severità e si direbbe quasi con rigore. Egli stesso ci dice che i vicini lo
notavano e dicevano: - In quella casa c'è sempre disciplina. - Ma con una brigata di
otto ragazzi non se ne poteva fare a meno.
«Accadde una volta che una persona venne in casa per affari. I piccoli non
lasciavano pace col loro strepito; mi trattenni dal rimproverarli, ma tosto che il
visitatore se ne andò, dissi loro assai severamente: - Se ciò capiterà un'altra volta, la
vedrete brutta. ­Tanto bastò per farli tornare all'ordine. Da quel giorno, quando
arrivava qualcuno in casa, scendevano tosto nella strada.
Se un'occhiata non bastava, seguivano gli scappellotti; ma raramente e solo quando
era necessario. Non si taglia la gamba ad un mulo per un calcio avuto.
Con Francesco una sola volta usai quel sistema e fu una sera in cui egli non voleva
pregare. Mi alzai e andai dove si era rifugiato. Quando mi vide deciso a castigarlo,
tosto mi gridò: - Babbo ... babbo ... - e si mise senz'altro a pregare.
Questo capitò prima che la S. Vergine gli apparisse; in seguito non mancò più a
questo dovere; d'allora in poi, erano Francesco e Giacinta a invitare la gente alla
recita del rosario.
Questa e lo scherzo del pezzo di legno sono le due azioni più censurabili, per quanto
io mi sappia, della sua vita».
I genitori non ebbero mai motivo serio di lamentarsi di lui. Esemplare era la sua
ubbidienza. Su questo punto il signor Marto non transigeva.
«Una volta gli venne ordinato di far qualche cosa che si incapricciava a non fare.
Allora mi montò la mosca al naso. - Che fai? ­gli gridai stizzito. Bastò questo perché
egli subito volasse come una saetta a eseguire l'ordine».
I figli e le figliole andavano molto d'accordo tra di loro e guai se non fosse stato così!
«Se avessi visto le cose andar male, - continua sempre il signor Marto - non sarebbe
mancata loro una pronta riprensione. Quando due altercavano e non riuscivo a
capire quale dei due avesse ragione, si ricevevano senz'altro tutti e due uno schiaffo
... di consolazione.
Per educare questa gente - conclude solennemente - è necessario avere un braccio
forte».
Ma torniamo al nostro Francesco.
Abbiamo ancora questa prova della delicatezza e della rettitudine della sua
coscienza, frutto della ferma educazione ricevuta.
«Una mattina - racconta la signora Olimpia - mentre si preparava ad uscire col
gregge, gli dissi: - Oggi vai al pascolo a Oiteirinho, nelle terre della madrina Teresa,
che ora però è assente, perché è andata ad Aldeia.
Ed egli tosto: - Questo poi non lo faccio.
Si ebbe uno schiaffo, ma non si intimorì: si voltò verso di me e tutto serio sbottò in
questa frase: - Madre mia, volete forse che impari a rubare?
L'afferrai per un braccio e lo spinsi fuori perché andasse al lavoro. Ma avevo un
bell'aspettare che si recasse a Oiteirinho. Vi andò soltanto il giorno seguente, dopo
di aver domandato licenza alla madrina.
Era molto giudizioso. Quei lavorucci che gli davo da fare li faceva in modo da
lasciarmi meravigliata».
Aveva un carattere franco e non sapeva fingere.
«Non credetti mai - afferma Ti Marto - che Francesco e Giacinta facessero
sotterfugi. Giacinta poi era capace di riprendere chi non dicesse la verità, fosse pure
sua madre. Gli altri fratelli non erano tanto scrupolosi».
Il ragazzo aveva un'anima di poeta. Amava la musica e con il suo piffero di canne
trascorreva ore ed ore seduto su d'una pietra, accompagnando il più delle volte
Lucia e Giacinta nei canti e nelle danze. Amava imitare il gorgheggio degli uccelli e
non poteva soffrire che li togliessero dai nidi.
Narra Lucia come un giorno Francesco, avendo visto un compagno con un passero
in mano, tutto intenerito domandò che glielo desse. Al rifiuto che si ebbe, diede al
compagno un ventino per averlo, e, quando l'ebbe, lasciò libero l'uccello, dicendogli:
­Guardati bene dal non lasciarti prendere un'altra volta.
Come Giacinta, anche Francesco aveva una vera passione per i fiori.
Una delle sue caratteristiche era un certo atteggiamento contemplativo, eredità del
padre, il pensieroso Marto, che nell'andare o nel ritornare dal lavoro, mentre va per
la montagna o per la strada, non si lascia distrarre da pensieri estranei, ma
cammina a occhi bassi, come se ruminasse qualche punto di meditazione. Francesco
aveva inoltre un'anima particolarmente aperta alle bellezze disseminate dalla mano
del Creatore.
Non si stancava di ammirare il cielo immenso e le stelle «lampade che la S. Vergine
e gli angeli accendono per diradare le tenebre della notte». Lo meravigliava il sole
che sorgeva dietro l'Urtiga, dai lati di Montelo, e a sera, quando tramontava dietro il
Cabeço in un fantastico mare di sangue, si intratteneva in lunghe contemplazioni.
«Nessuna luce è così splendente - diceva - come quella di Nostro Signore».
I raggi del sole attraverso le vetrate lo estasiavano. Le goccioline di rugiada
iridescenti ai raggi del sole gli parevano preziose come le gemme, belle come le
stelle.
Che ottima argilla trovò in lui la grazia per le sue meraviglie!
Capitolo terzo.
Giacinta fu sempre tanto mansueta ...
(Ti Marto)
Di carattere sensibilmente diverso da quello del fratello era Giacinta, quantunque
gli assomigliasse molto nell'aspetto esteriore. Come Francesco aveva viso rotondo,
fattezze regolari, labbra sottili, mento breve, corpo ben proporzionato.
«Non era però grassoccia come Francesco - dice la madre. - Francesco era più
tarchiato. Giacinta aveva occhi chiari, più vivaci dei miei quando ero piccina continua Ti Olimpia, che conserva anche oggi una vivacità d'occhi non comune alla
sua età. - Portava i capelli ben ravviati, ché tutti i giorni la pettinavo e la tenevo bene
in ordine. Una camicetta chiara, una gonna di stoffa scura, un paio di scarpette
(poiché potei calzare sempre i miei figli) erano il suo vestire».
Questo l'esteriore di Giacinta. Ma l'interiore era, senza paragone, migliore assai.
Come si vedrà meglio in seguito, aveva un'anima straordinariamente sensibile.
«All'età di cinque anni, all'udire raccontare i patimenti del divin Redentore - dice
Lucia - si commoveva fino alle lacrime. ­Povero Gesù, ripeteva, non devo più far
peccati, non voglio che Gesù soffra di più».
Le parole brutte sono peccati che fanno soffrire Gesù? Ebbene, Giacinta fuggirà
quelle compagnie dalle quali potrebbe contrarre un'abitudine così cattiva.
L'amicizia che la legava alla cugina Lucia era di quelle che difficilmente si
incontrano tra ragazzi. Non era contaminata da nessuno di quei difetti che
caratterizzano le amicizie di quell'età, come l'emulazione e l'invidia. Soltanto con
Lucia si trovava bene nel gioco e il giorno in cui non poteva vederla era un giorno
triste, un giorno perduto. Giacinta la voleva tutta per sé. E quando Lucia era
impegnata nell'assistere i piccoli che le affidavano, e non poteva giocare con lei sola
e Francesco, si rassegnava a prender parte al gioco comune.
Il suo cuoricino era molto attaccato a Lucia. Ma Lucia era già una ragazza fatta,
poiché a dieci anni in montagna si lavora già per vivere, e doveva guadagnarsi il
pane andando al pascolo. Giacinta, che non sapeva adattarsi a rimanere lontana da
lei, tanto fece che indusse la madre ad affidarle alcune pecore e così fu felice di poter
passare i giorni con l'amica. L'affetto per la cugina si manifestava a volte con
delicatezze davvero commoventi.
«Un giorno - narra Lucia - era stata con la mamma ad una festa di prime comunioni
e i suoi occhi si erano fissati sugli angioletti che gettavano fiori a Gesù. Da quel
momento, di quando in quando, si allontanava per andare a raccogliere una
bracciata di fiori e gettarmeli addosso.
- Giacinta, perché fai questo? - le domandavo.
- Faccio come gli angioli».
«Fu sempre molto mansueta - aggiunge il padre. - In questo era molto ammirevole.
Ancora lattante stava dove la mettevamo. Se aveva fame, ci avvertiva piagnucolando
un poco e poi non infastidiva più. Quei di casa attendevano alle loro faccende,
andavano a Messa o altrove, e lei stava lì quieta. Non era necessario essere severi
per farla star buona e niente le dava fastidio. Nessun altro figlio era così. Era,
questo, un suo dono naturale».
Una qualità caratteristica in Giacinta era l'amore alla verità.
«Quando la mamma - continua Ti - Marto - la ingannava dicendo che andava al
campo e poi andava altrove, Giacinta osservava: - Oh mamma, avete mentito.
Diceste che andavate qui, invece siete andata là. Dir bugie è una brutta cosa!
Quanto a me non ho mai ingannato i miei».
La sua sincerità la portava ad accusarsi prontamente. Racconta Maria dos Anjos:
«Un giorno stava giocando alla penitenza con la cugina ed altri bambini. Avendo
perso, le fu imposto di dare un bacio a mio fratello Emanuele che stava scrivendo al
tavolo. Giacinta protestò: - A lui, no! Se volete, vado a baciare quel crocifisso. Avendo gli altri acconsentito, staccò dalla parete il crocifisso e lo baciò
ripetutamente. Quando entrai, vidi il crocifisso a terra, attorniato dai ragazzi, e mi
indispettii: - Non lasciate mai la roba al suo posto! Andate fuori a giocare. - Giacinta
allora si accusò: - Sono stata io a tirarlo giù: non lo farò più».
Come e forse più di suo fratello Francesco, Giacinta era di animo buono, pieno di
delicati sentimenti. Amava le pecore, e dava loro i nomi più belli del suo
vocabolario: Colomba, Stella, Mammetta, Bianca; gli agnellini erano il suo incanto.
«Abbracciatone uno - dice Lucia - si sedeva, se lo stringeva al cuore e lo baciava. A
sera li portava sulle spalle, imitando il Buon Pastore, come aveva osservato in una
immagine».
Amava i fiori. Di fianco alla casa c'era solo una grande quantità di camomilla, e a lei
piacevano tanto i suoi fiorellini bianchi. Ma in montagna, che varietà e che
ricchezza, specialmente in primavera! Dopo averne raccolti dei mazzi, si ornava
tutta e intrecciava ghirlande per incoronare la cugina. Quanta gioia e quanta
commozione quando scopriva le prime rose campestri! Col fiore appena sbocciato,
correva intorno esclamando come una piccola profetessa: I
- Adivinha, adivinha
Quantos galos tem a minha galinha! 19
Amava «le lampade degli Angeli» (stelle) e faceva le gare con la cugina e con il
fratello a chi ne contasse di più.
Amava il sole che indora con i suoi raggi splendidi le montagne.
Amava la luna, «lampada di Nostra Signora» e l'amava più del sole perché non fa
male agli occhi quando la si guarda. Quando la vedeva, specie nel plenilunio,
correva a dar la bella notizia alla mamma: - Mamma, già viene la madrina del cielo.
Amava i monti e tutto ciò che di bello creò il divin artefice. Dotata di squisito senso
musicale, amava i canti e nelle lunghe ore di pascolo riempiva con la sua voce
argentina la tranquilla solitudine della Serra. Seduta in cima alla collina o sopra una
roccia, non si stancava di udire l'eco della sua voce in fondo alla valle. «Il nome che
l'eco ripeteva di più - dice Lucia - era quello di Maria. Giacinta a volte diceva tutta
l'Ave Maria adagio, con intervalli tra una parola e l'altra perché l'eco la riportasse
tutta fedelmente».
S'intonavano i bei canti di chiesa, i preferiti da Giacinta:
Salve, Nobre Padroeira
Do povo teu protegido!
Entre todos escolhido
Para povo do Senhor.
O gloria da nossa terra
Que tens salvado mil vezes!
Em quanto houver portugueses,
Tu seras o seu amor! 20
E l'eco alta, rompendo la pace montana, ripeteva:
O seu amor!
O Anjos, cantai comigo,
O Anjos, cantai sem fim;
Dar graças eu nao consigo,
O Anjos, dai-as por mim.
O jesus, que amor tao terno!
O jesus, que amor é o teu?
Deixas o trono superno
Vens fazer da terra o Céu! 21
E una voce misteriosa e strana pareva uscire dalle viscere della terra e ripetere:
Da terra o Céu!
Giacinta aveva una vera passione per il ballo e Lucia non teme di confessarlo di sé e
della cugina.
«Ci piaceva tanto ballare e bastava che sentissimo qualche pastore suonare una
qualunque melodia che noi subito si danzava. Sebbene tanto piccola, Giacinta aveva
un'arte tutta speciale in ciò».
Questo gusto esagerato per il ballo ci dice chiaramente che Giacinta (e neppure
Lucia e neppure Francesco) non era un angelo disceso dal cielo, rivestito soltanto di
quelle virtù che sono l'appannaggio degli abitatori celesti. Giacinta era una creatura
di questa terra con le molte debolezze della nostra stirpe.
Riportiamo la descrizione che ne fa Lucia, parlando dei difetti che la rendevano
poco simpatica e talvolta addirittura sgradevole. «Ogni più piccola contesa nel
gioco, come avviene spesso tra ragazzi, bastava perché si ritirasse in un canto
imbronciata "a prender o burrinho" (a fare il mulo: come diciamo noi). Per farla
ritornare fra noi non bastavano le più dolci moine, come sanno farle i ragazzi in tali
occasioni; ma si doveva lasciar scegliere a lei il gioco e i compagni del gioco».
Era anche un po' ostinata, cosa che si notava specialmente nel gioco dei bottoni.
«In tali circostanze - narra Lucia - mi son trovata non poche volte in grande
imbarazzo perché quando ci chiamavano per il pranzo mi vedevo senza bottoni agli
abiti. Ella me li aveva guadagnati tutti e ciò mi era motivo di rabbuffi da parte della
mamma. Era necessario cucirli in tutta fretta, ma per attaccarli bisognava che ella
me li desse, e come fare, se, oltre al difetto di imbronciarsi, aveva anche quello di
volerseli tenere per continuare a giocare, senza dover staccare i suoi? Solo
minacciandola che non avrei più giocato con lei, riuscivo a riaverli».
Pregava volentieri, ma più volentieri giocava.
«Ci avevano raccomandato che dopo la merenda recitassimo il rosario; ma siccome
il tempo per il gioco ci sembrava sempre troppo corto, trovammo il modo di finirlo
presto. Scorrevamo la corona dicendo Ave Maria, Ave Maria e alla fine del mistero
dicevamo pacatamente il Pater Noster, terminando così in breve la nostra
preghiera».
***
Ecco i tre pastori con le loro buone qualità e i loro difetti alla vigilia dei grandi
avvenimenti.
La S. Vergine vuole servirsi di loro per far conoscere al mondo il suo celeste
messaggio. La sua grazia trasformerà questi montanari, poveri e ignoranti, ma
angelicamente puri e semplici, in amanti appassionati della croce del divin
Redentore e della sua Madre purissima.
Capitolo quarto.
Sono una povera pastorella …
Prego sempre la Madonna …
(Canto popolare preferito da Lucia)
Prima del sorgere del sole la signora Olimpia andava a svegliare i due piccini. A
occhi semichiusi recitavano: «Lodato e benedetto sempre sia il SS. Sacramento
dell'Eucaristia, Frutto benedetto e santo della purissima Vergine Maria».
«Ci si segnava - racconta la buona donna - e si recitava sempre qualche cosa, ma
non molto, perché i bambini facilmente si annoiano con la preghiera».
Mentre si vestivano, la mamma preparava loro la colazione, una scodella di zuppa
bollente di verdura o di riso, con un po' di olio e di pane. In seguito andava all'ovile
per dare il largo alle pecore, e tornava poi in casa a preparare la merenda; oh, poche
cose: pane con olive, baccalà, sardine, quello che veniva alla mano. I piccoli
trangugiavano l'ultimo cucchiaio di minestra ansiosi di uscire all'aria libera.
Uscivano contenti, sicuri d'incontrare, sulla strada del pascolo, Lucia che li
aspettava col suo gregge. Questo non vuol dire che non amassero la compagnia degli
altri pastori. Che anzi, specialmente prima dell'apparizione, i nostri tre erano soliti
unirsi a molti altri per poter giocare, danzare e cantare con maggior gusto e
divertimento.
«Poiché si sa - ci dice la signora Rosa Matias, antica compagna di Lucia - che quanti
più eravamo tanto più ci si poteva divertire».
Radunati i loro piccoli greggi, Lucia indicava il luogo del pascolo, che era
ordinariamente o la steppa, o una delle proprietà dei suoi genitori o degli zii, o dei
genitori di Francesco e Giacinta. Qualche volta li conduceva anche nei terreni incolti
delle adiacenze di Fatima; altre volte nella steppa dalle parti di Moita e di S.
Mamede; veniva così ad essere vicino al Cabeço, collina ricca di piante e di ottimi
pascoli, dove i suoi genitori possedevano un piccolo oliveto a Pregueira. Là, elci e
pini tra la rocce coperte di muschio offrivano ai pastorelli ombra refrigerante
d'estate e luogo propizio per giocare.
Il Cabeço era il luogo prediletto dove i tre conducevano spesso i compagni. Vi
giungevano quando già i primi raggi del sole illuminavano le argentee foglie degli
elci, gli aghi dei pini gocciolanti di rugiada.
Con gli altri pastorelli, che già si trovavano là o che giungevano loro appresso,
cominciavano i giochi, dato che gli armenti non richiedevano nessuna custodia;
l'erba del declivio, le calendule, i papaveri e tutti i fiori, che le piogge di primavera
avevano fatto sbocciare fra le pietre e dovunque, erano un eccellente pascolo. Chi
organizzava i giochi era quasi sempre Lucia che, per il suo carattere e le sue qualità
eccezionali, s'imponeva naturalmente agli altri pastorelli.
«Lucia era molto allegra - depone un'altra sua compagna, Teresa Matias. - Ci amava
molto, cosicché noi godevamo di starle assieme. Era molto intelligente, cantava e
ballava bene e sapeva insegnarci bei canti. Noi tutti l'obbedivamo.
Passavamo così ore e ore fra canti e danze fino a dimenticarci di mangiare. Oltre ai
canti di chiesa (Angeli, cantate con me ... Vergin pura, ecc.), ne ricordo uno a Nostra
Signora del Carmine, che ancora di quando in quando vado canterellando, nelle
fatiche della vita e che anche i miei piccini hanno appreso» 22.
E il volto della signora Teresa, stanco per tante pene e fatiche sopportate, pare
rischiararsi di luce soave quando intona con voce precocemente invecchiata e ormai
indebolita:
Nome de Maria
Tao bonito é!
Salvai a minha alma
Que ela vossa é.
Senhora do Carmo
Mandou-me um recado
Que reze tres vezes
Bemdito e louvado.
Bemdito e louvado
Eu hei-de rezar.
Senhora do Carmo
Me ha-de ajudar.
Me ha-de ajudar
Com todo o valor; Rainha dos Anjos,
Do Céu esplendor.
Perguntei aos Anjos
Se era bem pagada:
Justemos com Ela,
Nao queremos soldada.
Nao queremos soldada
Nem paga a dinheiro;
Sò queremos a bençao
De Deus verdadeiro:
No Céu trés mesuras
Ao peso da cruz;
Rezasse tres vezes
Salvai-me Jesus! ... Salvai-me Jesus! ... Salvai-me Jesus! 23
«Si cantavano altre strofe tanto belle. Ma non le ricordo più. I ragazzi suonavano i
pifferi e noi piccole ballavamo». Le strofe della signora Teresa sono oggi ben
diverse.
Quello che le preoccupazioni delle nove bocche che domandavano pane e dei teneri
corpicini che richiedevano di essere vestiti, hanno fatto dimenticare alla signora
Teresa, fu conservato nella prodigiosa memoria di Lucia.
Linda amendoeira,
Que é da tua rama?
Por causa de ti
Ando eu em ma fama.
Ando eu em ma fama.
Deixa-lo andar.
Em agua de rosas
Me hei-de eu lavar.
Me hei-de lavar,
O verde limao.
Cantar é bonito,
Chorar é que nao.
…
Nao cantes o ah la la, ò prima! ò prima!
O ah la la ja se acabou, tao linda! tao linda!
Por causa do ah la la, ò prima! ò prima!
Ja minha mae me ralhou, tào linda, tao linda!
Ah la la...
Ah la la...
Foi jardim risonho e belo, ò prima, ò prima!
Este solo hoje sem flor, tao linda, tao linda!
Nao lhe faltou o desvelo, ò prima! ò prima!
Faltou ele ao seu cultor, tao linda! tao linda!
Ah la la.
Ah la la.
Nesta vida tudo canta, ò prima! ò prima!
Comigo ao desafio, tao linda! tao linda!
Canta a pastora na serra, ò prima! ò prima!
E a lavadeira no rio, tao linda! tao linda!
Ah la la.
Ah la la.
De noite canta a coruja, ò prima! ò prima!
Que me quer assustar, tao linda! tao linda!
Na escamisada canta, ò prima! ò prima!
A rapariga ao luar, tao linda! tao linda!
Ah la la... Ah la la ...
O rouxinol na campina, ò prima! ò prima!
Passa o dia a cantar, tao linda! tao linda!
Canta a rola no bosque, ò prima! ò prima!
Canta o carro a chiar, tao linda! tao linda!
Ah la la.
Ah la la.
…
Amo a Deus no Céu,
Amo-o também na terra;
Amo o campo, as flores,
Amo as ovelhas na serra.
Com os meus cordeirinhos
Eu aprendi a saltar.
Sou a alegria da serra
E sou o Urio do vale.
Sou uma pobre pastora;
Rezo sempre a Maria.
No meio do meu rebanho
Sou o sol do meio dia.
Ò i ò ai!
Quem me dera verte agora!
Ò i ò ai!
Meu Jesus, jà nesta hora! 24
Quando il sole era giunto al mezzogiorno, oppure stavano in un luogo donde
potevano sentire la campana della chiesa che suonava l'Angelus, interrompevano i
giochi, che sospendevano anche quando era necessario guardare il gregge perché
non andasse in terreni proibiti.
Consumavano il pasto frugale, recitavano il rosario e ricominciavano a giocare.
Quando il sole declinava dietro il monte e un'ombra misteriosa e melanconica saliva
dalle valli, s'affrettavano a riunire il gregge e facevano ritorno a casa.
Dopo cena, giungendo le manine, rendevano grazie a Dio.
Si recitava talvolta il rosario; ma i bambini erano già mezzo addormentati.
Nei lettini di lindi e soffici sacconi, imbottiti con foglie di granoturco, sotto le ali
degli angeli custodi, i pastorelli dormivano un sonno profondo.
Capitolo quinto
Non temete:
sono l'Angelo della pace
(L'Angelo)
Quando, per la prima volta, un angelo del Cielo apparve a Lucia, la principale
protagonista del dramma divino rappresentato nella benedetta serra d'Aire, la
pastorella non doveva essere coi suoi piccoli amici, Francesco e Giacinta.
Al tempo di questa prima apparizione, in cui si direbbe che l'angelo non osò
manifestarsi interamente, Lucia era ancora piccola (poteva avere otto anni) e non
sapeva contare né gli anni, né i mesi e neppure i giorni della settimana. Era, forse,
uno dei primi giorni in cui la madre le aveva affidato il gregge, prima che la zia
Olimpia concedesse a Francesco e Giacinta il sospirato permesso di accompagnarla.
«Dovevamo essere suppergiù alla metà dell'anno 1915, da aprile ad ottobre», dice
Lucia, incapace di precisare meglio.
Le fortunate compagne di Lucia erano tre fanciulle della sua età, che ricordano,
sebbene confusamente, quello che accadde tanti anni or sono sul pendio del Cabeço.
Queste fanciulle le conosciamo già: Maria Rosa Matias, Teresa Matias e Maria
Justino. «Avevamo fatto merenda - racconta - e si era cominciato il rosario. A un
certo punto vedemmo sopra l'albereto della valle, stendentesi ai nostri piedi,
aleggiare una nuvola, più bianca della neve, alquanto trasparente, con forma
umana».
Una delle compagne, tornando a casa, raccontò in famiglia che aveva visto, su un
albero, una cosa bianca come una donna senza testa.
Sorpresi, i parenti si domandarono che cosa poteva essere. Ma né loro né altri
avrebbero saputo rispondere. Nei giorni seguenti, due volte ancora apparve la
strana figura bianca, lasciando nello spirito delle bambine, e in Lucia specialmente,
una inesplicabile impressione.
«Questa impressione andava tuttavia svanendo - afferma Lucia ­ e credo che si
sarebbe, col tempo, dileguata del tutto, se non fossero susseguiti gli altri eventi».
Fu solo un anno dopo, più o meno nella primavera 1916, quando i due fratellini già
avevano ottenuto il permesso di custodire il gregge, che l'angelo apparve
distintamente per la prima volta ai tre pastorelli nel luogo chiamato «Loca do
Cabeço».
Per una disposizione provvidenziale, a loro stessi inesplicabile, i tre fanciulli,
realizzata l'aspirazione del loro cuore, cominciarono a sentire quasi una necessità di
separarsi dagli altri ragazzi.
«E fu così - narra Lucia con quella estrema semplicità che le è propria - che un certo
giorno guidammo le nostre pecorine ad una proprietà dei miei genitori, situata ad
oriente sotto il Cabeço, chiamata Chousa Velha.
A mezza mattina cominciò a cadere una pioggerellina minuta. Allora salimmo le
balze del monte seguiti dalle pecore, in cerca del rifugio d'una roccia. Fu la prima
volta che entrammo nella caverna benedetta, che si trova in mezzo ad un oliveto di
mio padrino Anastasio. Di lassù si vede il mio piccolo villaggio, la casa dei miei
genitori, le località di Casa Velha ed Eira da Pedra. L'oliveto, suddiviso fra diversi
padroni, si estende fino a confondersi con queste località. Là passammo il giorno,
sebbene fosse cessata la pioggia e risplendesse un bel sole. Facemmo merenda e
recitammo il rosario. Terminatolo, cominciammo a giocare alle pietre. Da poco si
giocava, quando un vento forte scosse gli alberi. Alzammo gli occhi per vedere che
cosa stava accadendo, dato che il cielo era sereno. Ed ecco scorgemmo, a una certa
distanza, sopra gli alberi, ad oriente, una luce più bianca della neve, in forma di un
giovane trasparente, più brillante del cristallo colpito dai raggi del sole. A mano a
mano che s'avvicinava, potevamo distinguere i suoi lineamenti. Rimanemmo
sorpresi, attoniti. Avvicinatosi a noi, disse:
- Non temete: sono l'Angelo della pace; pregate con me.
E, inginocchiato a terra, curvò la fronte fino al suolo. Trasportati da un senso
soprannaturale, lo imitammo. E ripetemmo le parole che udivamo da lui:
- Mio Dio, credo, adoro, spero e vi amo. Domando perdono per tutti quelli che non
credono, non adorano, non sperano e non vi amano.
Ripetuto questo tre volte, si alzò e disse: - Pregate così. I cuori di Gesù e Maria
accolgono le vostre suppliche. - E scomparve. L'atmosfera soprannaturale che ci
avvolse era tanto intensa che, per lungo tratto, quasi non ci parve di esistere e
rimanemmo nella posizione in cui ci aveva lasciati, ripetendo sempre la stessa
preghiera. Si sentiva tanto intensa e viva la presenza di Dio che non osavamo
parlare neppure fra noi. Il giorno seguente il nostro spirito era ancora avvolto da
questa atmosfera, e solo lentamente ritornò normale. Di questa prima apparizione
nessuno pensò a parlarne e neppure a raccomandarne il segreto. S'imponeva da sé.
Era tanto intima, che non era cosa facile dirne anche una sola parola. Ci
impressionò, forse, tanto profondamente perché era la prima così evidente».
***
Questi, i primi contatti dei pastorelli col soprannaturale. Il cielo si era abbassato
fino ad essi che, lontani dal comprendere tutta l'importanza di un simile favore,
passati i primi giorni di inevitabile impressione che li rendeva come soggiogati,
ripresero la vita spensierata di prima, dimenticando tutto, quasi si trattasse di un
sogno. I passatempi, i giochi, i canti, le danze ripresero con l'usata vivacità: solo
l'isolamento dagli altri fanciulli si mantenne, anzi si rafforzò.
Questa loro disposizione era voluta dal Cielo che li preparava agli eventi futuri.
Venne così l'estate, ardente nell'aridità della serra. Ai primi albori aprivano lo stazzo
perché il gregge potesse brucare le erbe rugiadose, e, quando il caldo si faceva più
soffocante, lo riconducevano al recinto per riaccompagnarlo fuori verso sera. Tutto
questo tempo di calura i pastorelli lo trascorrevano in riposo e in divertimenti,
presso il pozzo, all'ombra leggera dei fichi, degli olivi e dei mandorli.
Fu in questo luogo, ricordato ancora da Lucia con tanta nostalgia, che un giorno,
nell'ora del riposo, il celeste messaggero apparve per la seconda volta.
«D'improvviso - narra Lucia - vedemmo lo stesso Angelo vicino a noi. - Che fate?
Pregate, pregate molto! I Cuori di Gesù e di Maria hanno su di voi disegni di
misericordia. Offrite costantemente all'Altissimo preghiere e sacrifici.
- Come ci dobbiamo sacrificare? - domandai.
- Di tutto ciò che potete, offrite sacrificio al Signore in atto di riparazione per i
peccati con i quali è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori. Attirate
così la pace sopra la nostra Patria. Io sono il suo Angelo Custode, l'Angelo del
Portogallo. Soprattutto accettate e sopportate con sottomissione le sofferenze che il
Signore vi manderà».
Francesco, come nelle successive apparizioni della Madonna, non aveva udito nulla.
Al crepuscolo, perciò, ripresi i giochi, egli domandò a Lucia ciò che l'angelo aveva
detto. La piccola, tutta avvolta nel soprannaturale, lo pregò di aspettare il giorno
seguente, oppure di interrogare Giacinta. Il fanciullo non poté aspettare: - O
Giacinta, dimmi tu ciò che disse l'angelo.
Ma neppure Giacinta aveva forza di dire una parola sullo strano avvenimento.
- Domattina te lo dirò, oggi non posso parlare.
«Il giorno seguente, - come narra Lucia - appena Francesco si alzò, mi domandò: Hai dormito stanotte? lo ho pensato continuamente a ciò che ti ha detto l'Angelo. -
Allora gli raccontai tutto ciò che l'Angelo aveva detto nelle due apparizioni.
Sembrava che egli non avesse compreso le parole dell'Angelo e domandava: - Chi è
l'Altissimo? Che vuol dire: I Cuori di Gesù e di Maria stanno attenti alle vostre
suppliche? ... - Ricevuta la risposta, rimaneva pensieroso per ricominciare con
nuove domande. Ma il mio spirito non era del tutto libero e gli dissi che aspettasse
ancora fino al giorno seguente perché non potevo ancora parlare. Per allora parve
soddisfatto, ma non lasciò sfuggire la prima occasione per farmi nuove domande.
Allora Giacinta lo redarguì con vivacità. - Attento! Di queste cose si deve parlar
poco! ...».
E Lucia aggiunge: «Non potrei dire che cosa avveniva in noi quando parlavamo
dell'Angelo». E Giacinta:
«Non so perché, ma non posso né parlare, né giocare e nemmeno cantare: non ho
forza per nulla».
«Neppur io, rispondeva Francesco. Ma che importa? ... L'Angelo è più di tutto
questo. Pensiamo a lui!».
«Pregate, pregate molto! Offrite costantemente all'Altissimo preghiere e sacrifici».
Queste parole, piovute dalle labbra dell'angelo e ripetute dalle piccole e Francesco,
s'incisero profondamente nel loro spirito. «Queste parole erano - afferma Lucia come una luce che ci apriva la comprensione di Dio, del suo amore e della sua
esigenza d'amore; Dio che ci svelava come e quanto ci amasse e volesse essere
amato, facendo ci capire il valore del sacrificio a lui gradito e come in vista del
sacrificio convertisse i peccatori. Da allora cominciammo ad offrire al Signore tutto
ciò che ci mortificava, senza affannarci nel cercare altri sacrifici o penitenze, eccetto
quella di passare ore ed ore prostrati a terra ripetendo l'orazione insegnataci
dall'Angelo».
Preghiera e penitenza! Ecco la grande rivelazione di Fatima. Il messaggio esclusivo
della Madre del Cielo.
S'avvicinava l'autunno. Il lavoro di vendemmia nella serra è breve perché i vigneti vi
scarseggiano. Era finito il riposo. Ora i piccoli, dovendo passare tutto il giorno al
pascolo col gregge, ebbero una nuova visita dell'angelo della pace.
«Andammo al Cabeço - racconta Lucia. - Passammo da Pregueira, aggirando il
declivio del monte dal lato di Aljustrel e Casa Velha. Recitammo il nostro rosario e
l'orazione che nella prima apparizione l'Angelo ci aveva insegnato. Stando dunque
là, l'Angelo ci apparve per la terza volta, sostenendo un calice con l'Ostia, dalla
quale cadevano nel calice gocce di sangue. Lasciando il calice e l'Ostia sospesi in
aria, si prostrò a terra e ripeté tre volte l'orazione: - Santissima Trinità, Padre,
Figliuolo, Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il preziosissimo Corpo,
Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i Tabernacoli del mondo,
in riparazione degli oltraggi, sacrilegi, indifferenze con cui Egli è offeso. E per i
meriti infiniti del suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria vi
domando la conversione dei poveri peccatori. - Rialzandosi prese di nuovo il calice e
l'Ostia. A me diede l'Ostia e ciò che era nel calice lo porse a bere a Giacinta ed a
Francesco, dicendo:
- Prendete e bevete il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo orribilmente oltraggiato dagli
uomini ingrati. Riparate i loro delitti e consolate il vostro Dio.
Si prostrò nuovamente per terra e ripeté con noi ancora tre volte la stessa preghiera:
Santissima Trinità ... Poi disparve. Come dopo le due prime apparizioni, la necessità
del silenzio si faceva sentire imperiosa in tutti e tre».
Solo qualche volta, Francesco, che non aveva udito la voce dell'angelo, arrischiava
qualche domanda:
- O Lucia, l'angelo a te diede la Santa Comunione, ma a me e Giacinta che cosa ha
dato?
E Giacinta pronta, traboccando d'incontenibile gioia:
- Fu la stessa cosa, la Santa Comunione: non hai visto che era il Sangue gocciante
dall'Ostia? ...
Allora Francesco, come riavendosi da un sogno:
- Sentivo che Dio stava in me, ma non sapevo in che maniera. ­ E inginocchiato in
terra con la sorellina stava lungo tempo a ripetere l'orazione dell'angelo: Santissima
Trinità, ecc...
Per alcun tempo i piccoli rimasero come privi dei sensi, in un abbattimento fisico
che li prostrava, assorti in un'intima pace, in una felicità immensa: l'anima
completamente rapita in Dio. «Non so perché - narra ancora Lucia - le apparizioni
della Madonna producevano in noi effetti ben diversi. La stessa gioia, la stessa pace
e felicità, ma invece di quell'abbattimento fisico, una certa vivacità espansiva;
invece dell'annientamento nella divina presenza, una esultanza gioiosa; invece della
difficoltà di parlarne, un certo entusiasmo comunicativo. Ma, nonostante questi
sentimenti, una segreta ispirazione mi spingeva ad occultare soprattutto certe
cose».
Compiuta la sua divina missione, l'angelo del Portogallo ritornò per sempre nel
Cielo. Sei mesi più tardi il Cielo si sarebbe nuovamente aperto al passaggio della
celeste Regina, che si degnava di posare i suoi piedi verginali sopra un piccolo elce
della serra d'Aire.
Capitolo sesto
Una Signora bianco vestita,
più splendente del sole ...
(Lucia)
Si direbbe che, durante i lunghi mesi d'inverno che seguirono, i fanciulli avessero
dimenticato, quasi completamente, le apparizioni dell'angelo e le sue
raccomandazioni.
Ricominciarono la loro vita semplice e spensierata: il seme gettato nei loro cuori
pareva morto: ben presto però, al sole vivificante della primavera, doveva
germogliare frutti di grazie e di benedizioni.
Le piogge d'aprile, dopo i giorni freddi e ventosi dell'invernata, fanno pullulare un
po' dappertutto un rigoglio di vegetazione che rallegra greggi e pastori. La vastità
della serra è percorsa da un tripudio di vita. La natura, risvegliando si come da un
letargo, scioglie il suo inno di lode e di grazie a Colui che semina fra le gole dei
monti i fiori più belli e vigoreggianti, perle leggiadre, irrorate di luce.
Mese di maggio, mese di fiori: mese del Fiore, mese di Maria, il Fiore sublime che
affascinò con la sua bellezza singolare il Re del creato.
Fu in un limpido 13 di maggio che il Fiore splendente del Cielo venne ad
imbalsamare col suo profumo la terra desolata e mesta. Era la domenica precedente
l'Ascensione. Al solito i tre pastorelli, prima di liberare il gregge, erano andati in
chiesa per la prima Messa. Allora, come oggi, nessuno nei giorni festivi mancava
alla Messa.
«Ci liberi Iddio - dice la signora Olimpia - dal lasciar passare una domenica senza
Santa Messa, anche per i bambini appena giunti all'uso di ragione. Si dovesse pure
andare fino a Boleiros, a Atouguia o fino a S. Caterina, che distano quasi due leghe,
piovesse o tempestasse, non mi ricordo di essere mancata ad una Messa, anche con
i bambini piccoli.
Allora mi alzavo presto e lasciavo tutto a mio marito che andava poi alla Messa del
giorno. Non si andava in chiesa col bimbo in fasce, perché né ascoltavo io la Messa,
né la lasciavo ascoltare agli altri. Si pensa di avere un angioletto, ma nel caso è un
folletto». Quel giorno, terminata la Messa, i pastorelli tornarono a casa, presero la
loro borsa colla merenda e andarono col gregge verso il laghetto-pozzanghera che
sta già un po' fuori, lungo la strada di Gouveia.
Lucia, come quasi sempre faceva, scelse il luogo del pascolo - una proprietà dei suoi
genitori alla Cova da Iria - e là si indirizzarono contenti i tre amici, attraversando
l'incolto pendio adagio adagio «perché le pecore potessero brucare qualcosa», dice
Lucia. Questo fatto, e la difficoltà del suolo pietroso, e alle volte disseminato di
sterpi spinosi, allungarono sensibilmente il cammino, di modo che arrivarono col
gregge sul luogo stabilito solo verso mezzogiorno.
Lo scampanio della torre di Fatima che invitava a Messa diceva loro che
mezzogiorno era vicino. Aprirono allora i fardelli arricchiti dalle rispettive mamme
con qualcosetta in più, perché si era in giorno di festa; fecero il segno di croce,
recitarono un Pater Noster per le anime del purgatorio e pranzarono, conservando
però qualche cosa per far merenda più tardi, prima di ritornare. Ringraziarono e,
preso il rosario dalle tasche, si misero a recitarlo.
Dal cielo la Vergine Santissima doveva ascoltare in quel giorno, con particolare
tenerezza, quella prece innocente.
Spinsero poi il gregge più verso l'alto e là si divertirono a costruire, forse, la
centesima casetta. Francesco, l'omettino, fa da architetto e muratore. La sorellina e
la cugina sono i manovali. Pochi minuti, e già una piccola parete forma un circolo
attorno ad un cespuglio. La costruzione sarebbe proseguita, né mancava l'iniziativa
all'amabile capomastro, né alle piccole operaie mancavano muscoli robusti per
portare materiale ...
Ma ecco che il riflettersi vivissimo di una luce, che i pastorelli per mancanza d'altri
termini più appropriati chiamarono «lampo», viene a troncare i loro interessanti
progetti, le loro costruzioni.
I piccoli, lasciando cadere le pietre, si guardano impauriti: sanno che al lampo segue
il tuono. Alzano gli occhi per interrogare il cielo. Né da oriente, né dal lato di Santa
Caterina, il minimo indizio di temporale: non c'è la più leggera nube che macchi
l'immensità azzurra del cielo di cobalto; nessun alitare, benché minimo, di vento.
Un sole splendido, un'atmosfera calda, una calma solenne.
Lucia, come sempre, dirige le manovre:
- È meglio che ritorniamo a casa. Lampeggia e può venire il temporale.
- Eh già - concordano i cugini.
Un secondo baleno, più intenso, li immobilizza. Come automi fanno alcuni passi e
movendosi, senza saperne il perché, spontaneamente e simultaneamente si girano
verso destra.
Sulla chioma d'un piccolo elce un'apparizione celeste chiude l'orizzonte. Nel colmo
della sorpresa stanno immobili, avvolti nella luce che la visione irradia.
«Era una Signora vestita di bianco - così ce la descrive Lucia ­ più splendente del
sole, emanava luce più chiara e intensa di quella di un cristallo pieno di limpida
acqua, attraversata dai raggi più ardenti del sole».
Sorpresi dall'apparizione, i piccoli fissano gli occhi estasiati nella dolce Signora che,
con voce soavissima tutta materna, li tranquillizza:
- Non abbiate paura, non voglio farvi del male.
Sorride loro tristemente, quasi per rimproverarli della mancanza di fiducia in lei, la
dolcissima Mamma del Cielo. Lucia intanto si fa coraggio e domanda:
- Donde siete voi? 25
- Sono del Cielo.
E la bella Signora alzava la mano ad indicare l'azzurro firmamento, dietro cui si
nascondeva la sua dimora di luce.
- E che volete da me? - continua Lucia più animosa.
- Sono venuta a chiedervi che veniate qui sei mesi di seguito il giorno 13, a questa
stessa ora. Dopo vi dirò chi sono e che cosa voglio. Tornerò qui ancora una settima
volta.
«Una Signora che viene dal Cielo - pensa Lucia. - Il Cielo! ... Come deve essere bello
il Cielo! ...».
- E io andrò in Cielo? - La voce ora le trema lievemente.
- Sì, andrai - l'assicura la Signora.
- Oh, che fortuna! ... - disse tra sé Lucia.
Ma non vuole andar sola in Cielo. In primo luogo pensa ai cuginetti.
- E Giacinta?
- Anche lei.
Il cuore di Lucia si dilata tanto che pare le voglia scoppiare. - E Francesco?
- Anche lui andrà, ma prima dovrà recitare molti rosari.
In questo momento gli occhi purissimi di quella splendente visione si posano sopra
il fanciullo in un triste rimprovero di qualche cosa che a noi non è dato conoscere.
Mancanza sconosciuta? ... Abituati a veder le cose coi nostri occhi di carne, che
vedono solo le grandi macchie, non ci diamo ragione come gli occhi di Dio anche
nell'oceano di luce che è il sole sappiano scoprire delle ombre. Benché circondato
dalla stessa chiarità avvolgente Lucia e Giacinta, Francesco non vedeva ancora la
divina apparizione. Sentiva sì Lucia parlare, ma non udiva la voce della Signora.
Il pensiero del Cielo è ciò che maggiormente assorbe Lucia.
Il Cielo! … Ella è già sicura di raggiungerlo un giorno; così pure i cugini. Che bello!
... Ma subito un dubbio la tormenta. Erano morte recentemente due ragazze di
Aljustrel, che frequentavano la sua casa per imparare dalle sue sorelle a cucire e a
tessere.
- E Maria do Rosario di José das Neves è in Cielo? - domanda ansiosa.
- Sì, - risponde la Signora.
- E Amelia?
- È ancora in purgatorio.
Che tristezza! Gli occhi di Lucia si riempiono di lacrime. È allora che la Signora,
qual madre piena d'amarezza, domanda ai piccoli: - Volete offrirvi a Dio per
sopportare tutti i dolori che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati
con cui è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?
A nome di tutti risponde Lucia con risoluta schiettezza: - Sì, vogliamo.
Da quel momento i tre pastorelli cominciano ad essere eroi.
- Bene, dovrete soffrir molto ma - promette la Signora - la grazia di Dio sarà il
vostro conforto.
«Nel pronunziare queste parole - commenta Lucia - aprì le mani, comunicando ci
una luce molto intensa, come un riflesso che da lei partiva e che, penetrandoci nel
petto e nel più intimo dell'anima, svelava noi a noi stessi in Dio, (il quale era questa
luce), più chiaramente di quando ci vediamo in uno specchio. Allora, per un
impulso intimo, comunicativo, cademmo in ginocchio e ripetemmo intimamente:
«O Santissima Trinità io vi adoro. Mio Dio, mio Dio, io vi amo nel SS. Sacramento».
Rimasero così alcuni istanti in quel mare di luce in cui la Vergine li aveva immersi.
- Recitate la corona tutti i giorni - aggiunse la bianca Signora ­ per ottenere la pace
al mondo e la fine della guerra.
Che cos'è la guerra? ... Che cos'è la pace? ... I piccoli forse non lo sapevano. Ma la
Vergine lesse di nuovo nei loro cuoricini e negli innocenti occhi abbagliati il loro
assentimento.
Così terminò il primo colloquio dell'amorevole Regina del Cielo con i tre piccoli
montanari portoghesi.
«Allora cominciò ad elevarsi - continua Lucia - lentamente salendo in direzione
d'oriente fino a scomparire nella immensità dello spazio, circondata d'una vivida
luce che andava come ad aprirle la strada fra gli astri».
I bambini rimasero ancora un po' di tempo incantati, con lo sguardo fisso in cielo
nel punto in cui si era occultata la celeste visione. Tornati in sé, si guardarono
attorno in cerca del gregge e qual non fu la loro gioia osservando che le giovani
piantagioni erano intatte e che le pecore andavano brucando all'ombra degli elci le
erbe cresciute tra gli arbusti spinosi. Senza più paura di tuoni, passarono il
pomeriggio in quella Cova benedetta ricordando ed assaporando i minimi
particolari dello straordinario avvenimento.
Una esuberante allegrezza riempiva l'animo e traboccava dal cuore di Giacinta;
un'allegrezza mista a tristezza ammutoliva ogni tanto Lucia.
- Ah, che bella Signora! ... - esclamava ogni tanto con entusiasmo la più piccola, che
era rimasta affascinata soprattutto dalla bellezza indescrivibile della Madonna.
Lucia, invece, ripeteva e meditava le parole che con tanta amarezza le aveva detto la
Vergine Santissima:
«Volete offrirvi a Dio per sopportare tutti i dolori che Egli vi vorrà mandare, in atto
di riparazione per i peccati con cui è tanto offeso? ... Dovrete soffrir molto ...».
La sua amica Amelia è ancora in purgatorio ... in quel fuoco terribile che tormenta le
povere anime che ancora non possono entrare in Cielo.
- Ah, che bella Signora! - sospirava di nuovo Giacinta.
- Stiamo a vedere - le diceva intanto Lucia - che tu lo vai a dire a qualcuno.
E la piccola rispondeva, molto padrona di sé: - Non lo dico, no, sta sicura.
Francesco, egli pure ... pensava ...
E la conversazione sopra la bella Signora e su ciò che loro aveva confidato continuò
finché, in fretta, poiché il sole già stava per tramontare, i fanciulli radunarono il
gregge e tornarono a casa. Durante la strada Lucia non si stancava di raccomandare
ai cugini che per allora osservassero il più scrupoloso silenzio.
- Anche con la mamma - aggiungeva, col dito in aria, verso Giacinta.
- Non diremo niente a nessuno - rispondevano insieme i due fratelli. Ma nella voce
di Giacinta, straordinariamente espansiva, già si poteva intuire che era fragile il suo
proposito.
Avanti alla porta dell'ovile del signor Marta, ancor una volta la bimba ripeteva il suo
ritornello:
- Ah, che bella Signora!...
E ancora una volta Lucia portando l'indice alle labbra ripeteva: - Sst ...! Anche con
la mamma!
- Sì, sì - assicurava nuovamente Giacinta.
I battenti della porta si chiudevano, entrava l'ultima pecorella.
Capitolo settimo
Oh, mamma, oggi ho visto
la Madonna nella Cova da Iria ...
(Giacinta)
Lucia, già donnetta seria e sensata, seppe mantenere con la madre e le sorelle il suo
proposito. Cenò, pregò, ascoltò la lettura d'un capitolo del Nuovo Testamento e
andò a letto ...
Ma come avrebbe potuto Giacinta, che sentiva il cuore traboccare di tanta gioia,
mantenere assolutamente il segreto di ciò che aveva visto e udito, soprattutto con la
mamma alla quale era solita raccontar tutto ciò che accadeva nella vita d'ogni
giorno?.. Tanto più che non vedeva il motivo per non comunicare alla mamma un
poco della propria gioia ...
Giacinta parve dimenticare affatto le solenni promesse fatte alla cugina. E mentre
Francesco era in cortile, subito corse in cucina a cercare la mamma per parteciparle
l'accaduto.
Il signor Marto e la signora Olimpia non erano ancor tornati da Batalha dove, in
quel giorno di mercato, erano andati per comprare una porchetta. La piccola si
sedette allora sulla soglia della casa ad aspettarli per non ritardare un solo
momento, da parte sua, questa notizia.
Finalmente giunsero i genitori. La mamma veniva un po' avanti e dietro il padre,
sospingendo l'animaletto comprato.
«La piccola mi corse incontro - narra la signora Olimpia - e mi si attaccò alle gambe
come mai aveva fatto fino allora.
- Oh, mamma, - esclamò tutta commossa - oggi ho visto nella Cova da Iria la
Madonna!
- Oh, guarda! Devi essere una santina per vedere la Madonna! ­ le risposi. La piccola
rimase triste e avvilita e accompagnandomi in casa andava ripetendomi: - Ma io l'ho
vista!
E cominciò a raccontarmi quello che era successo. Mi parlò del lampo ... della paura
avuta ... della luce ... della Signora così bella, così graziosa ... di Francesco, che da
principio non la vedeva...della Signora splendente di tanta luce che non si poteva
fissare ... del rosario che bisogna recitare tutti i giorni... Ma io - continua la signora
Olimpia - non davo importanza alle parole della ragazza, nemmeno le prestavo
attenzione.
- Sciocchina che sei! Sta a vedere che la Madonna appare proprio a te ... a te ...
Intanto preparai qualche cosa per la porchetta. Mio marito in quel momento era
rimasto un po' nella stalla ad osservate se la bestiola andava d'accordo con le altre.
Sistemati gli animali e visto che tutto andava bene, ci ritirammo in casa. Il mio
Manuele si sedette al camino e cominciò a cenare. C'era anche Antonio da Silva, suo
cognato, e inoltre, mi pare, tutti i miei figlioli, che erano otto.
Allora domandai, mezza seria, a Giacinta:
- O Giacinta, su racconta un po' come fu della Madonna nella Cova da Iria! ...
Ed essa si mise a raccontare le cose con la maggiore naturalezza del mondo ...
- Era una Signora tanto bella, tanto graziosa; aveva un vestito bianco, al collo una
catenella d'oro che le scendeva sul petto ... la testa era coronata da un manto bianco,
molto bianco, non so, più bianco del latte ... che scendeva fino ai piedi. Era tutto
orlato d'oro ... oh, che bello! ... Aveva le mani giunte così, - e la piccola si alzava
dallo scanno, giungeva le mani avanti al petto ad imitare la celeste visione. - Tra le
dita aveva il rosario. Oh, che bella corona aveva ... tutta d'oro ... splendente ... come
le stelle della notte
e un crocifisso che brillava ... brillava ... Oh, che bella
Signora!
Parlò molto con Lucia, ma non parlò mai con me, nemmeno con
Francesco ... Io sentivo tutto ciò che si dicevano ... Oh, mamma, bisogna recitare la
corona tutti i giorni. La Signora disse questo a Lucia ... E disse anche che ci
porterebbe tutti e tre in Cielo, Lucia, Francesco e me ... Disse anche altre cose che io
ora non so, ma che sa Lucia ... Quando ella entrò in Cielo sembrava che le porte si
fossero chiuse tanto in fretta che i piedi le fossero rimasti fuori... Era così bello il
Cielo ... C'erano là tante roselline!
E Francesco confermava le affermazioni di Giacinta. Le sorelle ascoltavano con
interesse, i fratelli più vecchi se la ridevano. E ­ continua la signora Olimpia - io
ripetevo: Devi essere una buona santina, perché la Madonna ti apparisca ...».
Il cognato del signor Marto spiegava:
- Se i ragazzi han visto una donna vestita di bianco, chi potrà essere se non la
Madonna?
Il signor Marta, il pensatore, andava ruminando e rimpastando le sue conoscenze
teologiche:
- Dal principio del mondo la Madonna è apparsa molte volte e in diverse maniere ...
E questo è molto importante ... Il mondo è cattivo, ma se non ci fossero stati molti
casi così. .. sarebbe peggiore ... Il potere di Dio è grande! Non sappiamo che cosa è,
ma certo qualcosa deve essere ... Sia ciò che Dio vuole.
E - conclude oggi - quasi mi pronunciai per la verità di ciò che dicevano i bambini...
Sì, subito credetti. Pensavo che i piccoli non avevano alcuna istruzione, non
sapevano nulla affatto. Se non ci fosse stato quell'aiuto dalla Provvidenza, essi non
avrebbero potuto affermare una tal cosa ... I bambini mentire? O Gesù! Francesco e
ancor più Giacinta erano così contrari alla menzogna!
Il signor Marto fu così il primo che credette alla verità delle apparizioni. Fu il primo
credente.
Dalle sue frasi un po' oscure è facile dedurre gli argomenti apologetici di primo
valore nel giudizio di questi fatti soprannaturali. Dio può rivelare, e di fatto ci
furono rivelazioni nel corso della storia per il bene dell'umanità peccatrice:
altrimenti il mondo sarebbe peggiore. Del resto il signor Marto, che conosce troppo
bene i suoi figli e Lucia, poteva escludere la minima probabilità e possibilità di
menzogna e impostura. Erano tanto semplici i suoi figli, tanto sinceri! Leggeva così
bene nel loro interno attraverso la chiarezza del loro sguardo!
Quando più tardi il vescovo di Leiria pubblicherà la lettera pastorale sul culto della
Madonna di Fatima, dichiarando degne di fede le visioni dei tre fanciulli nella Cova
da Iria, non farà altro che sviluppare, in modo teologico impeccabile, gli stessi
argomenti e le stesse riflessioni che l'analfabeta Ti Marto aveva fatte in quella sera
del 13 maggio 1917 alla luce di una lampada ad olio, mangiando la sua scodella di
cavoli e patate.
I tre amici dormivano felici, sognando la bella Signora.
Spuntò l'alba del giorno 14 e la signora Olimpia non poté trattenersi dal rivelare,
sorridendo, alle vicine le confidenze della figlia. Il fatto era tanto sensazionale che in
breve, di bocca in bocca, fu conosciuto da tutta la borgata. In questa maniera arrivò
anche alle orecchie dei familiari di Lucia. La sorella più anziana, Maria dos Anjos, ci
racconta come avvenne:
«Una vicina, di mattino presto, venne a dirmi che la mamma di Giacinta le aveva
raccontato che la bambina era uscita in quella novità. Invero, mi allarmai del caso e
corsi presso Lucia che stava sotto il fico a fare non so che cosa.
- Lucia . ...., le dissi - ho sentito dire che avete visto la Madonna nella Cova da Iria. È
vero? ...
- Chi te lo disse? - balbettò sorpresa.
- Ho sentito dalle vicine che la zia Olimpia ha loro raccontato che
Giacinta le aveva detto questa cosa.
Lucia rimase un po' pensierosa e poi, spiacente, mi disse con tristezza:
- Eppure le raccomandai tanto di non dire niente a nessuno! Le chiesi allora:
- Ma perché?
- Perché non so se era la Madonna ... Era una Signora molto bella.
- E che cosa vi disse quella Signora?
- Voleva che andassimo alla Cova per sei mesi di seguito e, dopo, ci avrebbe detto
chi era e che cosa voleva.
- Non le hai chiesto chi era?
- Le domandai donde veniva; ella allora mi disse così: «Son del Cielo!» e rimase
silenziosa. Sembrava che non volesse dire di più; ma io insistetti tanto che mi disse
tutto.
Mai vidi la piccola tanto triste. Arrivò intanto Francesco e disse a Lucia che Giacinta
aveva parlato in casa e già tutti sapevano l'accaduto alla Cova da Iria. Altre persone
intanto parlavano con mia madre, che al principio non ci fece caso, ma quando io le
raccontai che me l'aveva detto Lucia, allora essa cominciò a dare importanza alla
cosa e andò subito ad interrogarla. E la ragazza ripeté a mia madre ciò che aveva
detto a me».
Ciò che dicevano le donne era dunque vero!... I tre fanciulli affermavano di aver
visto la Madonna nella Cova da Iria! ...
Da allora in poi un terribile dubbio cominciò a tormentare la signora Maria Rosa,
dubbio che ben presto doveva mutarsi per lei in certezza. La sua figlia più giovane,
la sua Lucia, era una bugiarda!
Capitolo ottavo
Oggi non voglio giocare!
(Giacinta)
I tre pastorelli, come al solito, uscirono nel pomeriggio a pascolare il gregge. Lucia,
sotto l'impressione delle minacce della madre, se non smentiva tutto, si conservava
silenziosa. La piccola Giacinta, a sua volta, era pensierosa per essersi tradita.
La gioia infusa dalla visione aveva ricevuto un così rude colpo che la tristezza
subentrata preparava le piccole alla meditazione delle parole dette loro dalla bella
Signora. Arrivati alla Cova da Iria, Giacinta sedette silenziosa su d'una pietra.
Faceva pena a Lucia questa insolita attitudine della cuginetta. Le si avvicinò e le
disse sorridente, come per dissimulare l'intima amarezza:
- Giacinta, vieni a giocare.
- Oggi non voglio giocare - fu la risposta decisa.
- Perché?
- Perché penso che la Signora ci disse di recitare la corona e di fare sacrifici per la
conversione dei peccatori. Adesso, quando recitiamo il rosario, dobbiamo dire le
Ave Maria e il Pater noster interi. E i sacrifici, come dobbiamo farli?
- Possiamo dare la nostra merenda alle pecore - suggerì Francesco.
La proposta fu accettata. A mezzogiorno i fanciulli, con lo stomaco già preso dalla
fame e con l'acquolina in bocca, fissavano rassegnati e pur contenti le loro pecorelle
mangiarsi il pane e il formaggio, con tanta premura preparato dalle mamme nei
loro sacchetti. Più tardi, invece di usar questo riguardo con le pecore, penseranno
che sarà più gradito alla Signora sfamare alcuni bimbi di Moita, figli di due famiglie
povere che andavano a mendicare di porta in porta. Quando, sul finir del giorno, la
fame si faceva sentire più crudelmente, Francesco si arrampicava su d'un elce a
cogliere ghiande, sebbene ancora verdi. E Giacinta ricordava che sarebbe stato
meglio mangiare quelle delle querce, che erano più amare, potendo così aumentare
il sacrificio.
«E là - dice Lucia - quella sera assaporammo questo delizioso cibo. Altre volte come essa ingenuamente confessa - il nostro sostentamento erano i pignuoli, radici
di campanule (fiori gialli con bulbo grosso come una oliva), more, funghi e una cosa,
di cui non ricordo il nome, che raccoglievamo alle radici dei pini, o frutta, se ne
trovavamo nelle proprietà dei nostri genitori».
Quei giorni erano più lunghi degli altri. Mancavano i canti e la spensieratezza che
fino allora avevano raccorciato le ore. La grazia di Dio già cominciava a lavorare
nelle anime dei tre semplici pastorelli. Le sofferenze maggiori però venivano da
parte delle loro famiglie. A Lucia, soprattutto, era preparato un vero martirio.
Vicine ed amiche, mamma e sorelle, tutto contribuiva a martirizzarla. L'unico che
non s'interessava molto di ciò era il padre. Crollando le spalle diceva: «Storie di
donne!».
Ma questo stesso indifferente disinteresse quanta amarezza procurava a Lucia!
«La mamma al contrario - narra la figlia Maria dos Anjos - si affliggeva, era molto
seccata e ci diceva: - Bisognava proprio che capitasse a me questa faccenda. Anche
questa mi mancava per il resto della mia povera vita! ... Io che ho cercato sempre
che dicessero la verità, ed ora quella ragazza mi vien fuori con una menzogna di tal
genere! ...».
E la signora Maria Rosa non s'accontentava dei lamenti: scendeva al pratico.
«Un giorno - commenta Lucia - prima che uscissi col gregge, volle obbligarmi a
confessare che avevo mentito. Non mi risparmiò percosse, carezze, minacce, e
neppure il manico della scopa. In risposta, ottenne solo un muto silenzio, o la
conferma di ciò che già avevo detto. Mi mandò a liberare il gregge, insistendo che io
ci pensassi bene lungo il giorno. Ché se ella non aveva mai permesso una qualsiasi
bugia nei suoi figli, tanto meno ne avrebbe lasciato passare una di questa specie. A
sera, mi avrebbe obbligata ad andare da tutte le persone ingannate a confessare
d'aver mentito e a chiedere perdono.
Uscii con le mie pecorelle e in quel giorno i miei compagni già m'attendevano. Al
vedermi piangere, corsero a domandarmene la causa. Dissi loro ciò che era
avvenuto ed aggiunsi:
- Ora ditemi voi, che cosa devo fare? Mia madre vuole ad ogni costo che io dica di
aver mentito e come dirlo? ...
Allora Francesco disse a Giacinta:
- Vedi? Sei tu la causa; perché hai parlato?
La poverina, piangendo, s'inginocchiò, con le mani sollevate, a chiedere perdono.
- Ho fatto male, diceva, ma non dirò più niente a nessuno. Maria Rosa, vedendosi
incapace di strappare dal labbro della figlia la tanto desiderata confessione, risolse
di ricorrere al parroco, affinché egli, con la sua autorità, mettesse le cose a posto; e
andò una mattina presto con Lucia alla casa parrocchiale.
- Arrivata là - diceva la buona donna con solennità - ti inginocchierai e gli dirai che
hai mentito e chiederai perdono, hai capito? .. Dagli le spiegazioni che vuoi: o tu
disinganni la gente, confessando che hai mentito, o io ti chiudo in camera donde
non vedrai più la luce del sole ... Sempre ottenni che i miei figli dicessero la verità e
adesso devo lasciar passare una tal bugia? Pazienza se fosse una cosa di poca
importanza, ma una di questo genere che trascina nell'inganno tanta gente! ...
Ma anche davanti al parroco, come poteva la piccola dire di non aver visto, quando
aveva realmente visto?
Alla lettera si verificavano le parole della dolce Signora: «Dovrete soffrir molto».
Gli occhi che avevano contemplato la Vergine, che si erano estasiati della sua
bellezza meravigliosa, si sarebbero molte volte gonfiati di lacrime; ma nello stesso
tempo la Signora avrebbe mantenuto la sua promessa: «La grazia di Dio sarà il
vostro conforto».
Capitolo nono
Mamma, vieni con noi domani
a vedere la Madonna!
(Giacinta)
Si avvicinava intanto il 13 giugno, giorno indicato dalla Vergine SS. per il suo
secondo incontro coi fanciulli. La notizia nel frattempo si era diffusa in tutta la
parrocchia e anche oltre, suscitando le più disparate impressioni.
In Aljustrel non si dava il minimo credito alle affermazioni dei piccoli. Motteggi,
accuse di inganno, aspre censure alla debolezza dei genitori e alla loro incapacità di
dare una educazione e d'applicare la correzione che tali circostanze richiedevano.
- Se fosse mia figlia! ... - diceva uno, premendosi il cappuccio sulla testa.
E un altro, dimenando il bastone:
- Una buona dose di bastonate già le avrebbe tolto il capriccio delle visioni.
Una donna, con le mani ai fianchi, sulla soglia di casa, gridava a Lucia, che passava
sulla strada a testa bassa:
- Pensi che io creda alle tue fandonie? Sto bene all'erta! ... E i ragazzi:
- La vedi, Lucia, la Madonna che passeggia sopra i tetti? ... E questi erano i minori
affronti.
Il parroco di Fatima, Don Manuel Marques Ferreira, sacerdote zelante e prudente,
da parte sua era ben lungi dal difendere i bambini. Si manteneva nel più assoluto
riserbo. Evidentemente non poteva essere altro il suo atteggiamento.
Più benigna accoglienza incontravano i veggenti fuori del loro villaggio. Anche qui si
verificavano le parole del Redentore: «Nessun profeta è accetto in patria sua. Nemo
propheta in patria». Delle cinquanta persone che il giorno 13 giugno andarono alla
Cova da Iria, ben disposte a dar credito alle affermazioni dei pastorelli, una ve n'era
che merita particolare menzione per la parte che svolse in seguito nella storia delle
apparizioni e della vita del santuario: la signora Maria dos Santos Carreira, che già
da molto tempo è conosciuta con il soprannome di Maria da Capelinha. Nella sua
residenza, al pianterreno dell'ospizio, in diversi colloqui, ci raccontò tutto quanto
sapeva. circa i fatti straordinari della Cova da Iria, cui lei quasi dall'inizio ebbe la
fortuna di assistere. Senza dubbio, Maria da Capelinha è una delle anime che la
Vergine SS. incontrò meglio disposte a credere alla sua venuta sulla terra.
Nonostante sia già vecchia e affaticata, la signora Maria ci procurò alcune ore di
vera gioia spirituale, facendoci rivivere le impressioni che mai si spegneranno
nell'anima e nel cuore.
Qui trascriviamo le sue parole, nella sorprendente semplicità con cui, dalle labbra
ormai inaridite, le uscivano, lente, lente, per darci tempo di fissarle sulla carta.
«Fui sempre ammalata e già da sette anni ero abbandonata dai medici: mi davano
poco tempo di vita. Erano trascorsi due o tre giorni dalla prima apparizione, quando
a sera mio marito che era andato a sarchiare col padre di Lucia, mi disse:
- Vuoi sapere, cara? Antonio Abobora mi raccontò che la Madonna è apparsa nella
Cova da Iria a una delle sue ragazze, la più piccola, e anche a due figli di sua sorella
Olimpia, sposata a Ti Marto. La Madonna parlò con loro e promise di ritornare là
tutti i mesi, fino a ottobre.
Io allora risposi:
- Voglio indagare se ciò è vero o no. E se lo sarà, anch'io voglio recarmi là: purché lo
possa ... soltanto che non lo potrò fare ... Ma dov'è la Cova da Iria?
In verità, la Cova da Iria è molto vicina al nostro villaggio di Moita ... un dieci
minuti da casa mia, ma io non ero mai stata da quelle parti ... Nessuno menzionava
questo luogo. Allora non aveva importanza ed ora tutto il mondo lo conosce! Mio
marito me lo indicò ed aggiunse:
- Vuoi andarci? Sei ben sciocca: credi tu di vederla?
- So bene anch'io che non la vedrò, ma se ci avessero detto che là
ci andava il re, nessuno sarebbe stato in casa pur di andarlo a vedere. Dicono che
viene la Madonna e non dobbiamo andare a vedere? ...
Allora egli tacque e chi tace acconsente. Da parte mia, ero risoluta di andare fin là il
13 di giugno».
Per compensare i fanciulli di tanta incredulità e consolarli dell'ostilità che li
rattristava in mille maniere, la Provvidenza aveva disposto quest'anima, che, con
altre, si sarebbe inginocchiata, credente e devota, presso l'elce miracoloso nella
memorabile festa di S. Antonio del 1917.
Arrivò così il 12 giugno. In Fatima regnava l'agitazione propria delle feste annuali
del paese. Al patrono della parrocchia si doveva la Messa cantata, panegirico,
processione, e, oltre a tutto ciò, musica, fuochi, conviti e agglomeramenti di folla.
Ragazzi e ragazze, allora come oggi, si portavano colà a gruppi, parlando di nozze
che il santo avrebbe patrocinato.
Campane a festa. Distribuzione delle merende di pane bianco. Ciascuno degli
organizzatori della festa guidava un carro tirato da buoi, ornato di rami verdi, fiori,
bandiere, drappi, sul quale stava, con la moglie e i figli, il necessario per
cinquecento merende. Giravano qualche volta attorno alla chiesa, fermandosi
davanti al balcone del parroco, che tutto benediceva. Con pali si faceva un grande
steccato attorno ai carri, lasciando appena qualche apertura, dalla quale le persone
passavano per ricevere la merenda. Ciò finché terminava la distribuzione.
«La mamma - ci racconta Maria dos Anjos - sapeva che tutto questo piaceva
immensamente a Lucia. E sperava che la storia della Cova da Iria le passasse,
partecipando alla festa in chiesa e alla manifestazione tradizionale.
- Fortuna che domani c'è gran festa - ci diceva la mamma. - Nessuno parli della
Cova da Iria. Le si parli solo della festa. Forse così dimenticherà ... La colpa è nostra
che sempre gliela ricordiamo.
Con scrupolosità seguimmo i consigli della mamma, ma Lucia, silenziosa, molto
silenziosa, non si lasciava sorprendere dai nostri piani. Ogni tanto esclamava:
- Ma io domani vado alla Cova da Iria. Così vuole la Signora! ...». Come Lucia, così
pure Francesco e Giacinta erano decisi a sacrificare la festa di S. Antonio, per
andare a vedere ancora una volta la bella Signora. E attendevano con ansia l'ora di
partire per la Cova da Iria. I due piccoli parlavano del fatto, pregustando la gioia
immensa che l'apparizione della Vergine avrebbe loro portato. Giacinta voleva che
anche la mamma partecipasse a quella felicità e, nella sua ingenua semplicità, non
poteva comprendere come ella fosse tanto contraria nell'ammettere ciò che per lei
era tanto evidente.
- O mamma, vieni con noi domani alla Cova a vedere la Madonna!
- Che Madonna! Sciocchina! ... Domani andiamo a S. Antonio. Dunque non vuoi la
tua merenda? ... E poi ci sarà la musica ...
Tanti fuochi... Un discorso tanto bello.
Musica ... merende .. che parole magiche ...vere bacchette magiche ... pensava la
signora Olimpia.
Non sapeva, essa, che già da un mese la bambina, mortificando si per i peccatori,
come le aveva chiesto la celeste visione, rinunciava ai canti, alle danze e persino al
pasto frugale.
- O mamma - continuava la piccola - ma nella Cova da Iria appare la Madonna.
- Puoi fare a meno di andare là: la Madonna non ti appare.
- No? Mi appare, sì. La Madonna disse che sarebbe venuta e perciò verrà
certamente.
- Allora, non vuoi andare alla festa di S. Antonio? ...
- S. Antonio non è bello!
- Perché?
- Perché quella Signora è molto, ma molto più bella. Io vado alla Cova ... Anche
Lucia e Francesco. Se quella Signora ci dirà di andare a S. Antonio, allora andremo.
Dice il signor Marto:
- Che fare? - pensavo io tutto imbarazzato. - Andare alla Cova coi bambini? E se non
apparisse nulla? ... Lasciarli andar soli ... e noi andare alla festa? ... Uhm! ... Eppure
non è giusto ... Allora mi venne un'idea. Domani è la fiera di Pedreira ... Andrò là a
comperare i buoi... Guarda, dico a mia moglie, domani non andiamo alla festa e
nemmeno ci intrometteremo in queste cose ... Andiamo alla fiera a comperare i buoi
e, quando torneremo, il caso dei bambini sarà bell'e aggiustato. Bel pasticcio,
questo!
Giacinta, appena sveglia, scese dal letto e corse nella stanza della mamma per
invitarla ancora una volta alla Cova, ad assistere all'intervista della Vergine. Ma qual
non fu il suo rincrescimento trovando il letto vuoto! In quel mentre entrava il
fratello maggiore e l'avvisava che i genitori erano andati via e sarebbero tornati a
tarda sera. Primo pensiero di Giacinta fu: «Dunque la mamma non vedrà la
Madonna».
Ma subito, quasi con gioia, pensò:
- Così potremo andarcene liberamente!
Corse dunque a svegliare il fratellino e, mentre questo si vestiva, andò subito a
sciogliere il gregge, onde essere puntuali alla Cova da Iria. Sbocconcellando pane e
formaggio lungo la strada, s'avviarono premurosi. Presso la Cova, che già
conosciamo, incontrarono Lucia che li attendeva non meno ansiosa.
- Oggi andiamo ai Valinhos - decise subito questa. - Là non manca l'erba e così ce la
sbrigheremo in fretta.
I tre, allegri come passerotti, condussero le pecore in direzione del Cabeço.
Un'ora, un'ora e mezzo ed il gregge era già satollo. Tornarono a casa, chiusero il
gregge nell' ovile e andarono a vestirsi da festa. - Io non vi aspetto - disse Lucia ai
cugini. - Devo andare a Fatima per parlare con alcune mie compagne di prima
comunione. Così rimasero intesi.
Scialle ben adattato, scarpette nuove, fazzoletto bianco in testa: in un momento
Lucia fu pronta.
La mamma l'osservava con attenzione, ma senza dirle parola; si fregava le mani
dalla contentezza, pensando che S. Antonio le aveva fatto la grazia.
- Adesso stiamo a vedere - diceva alla figlia maggiore Maria dos Anjos - se va a
Fatima o se va alla Cova.
Ad ogni modo, il dovere le imponeva di verificare il fatto. Si combinò allora che, se i
fanciulli andavano alla Cova, la mamma li avrebbe seguiti e li avrebbe osservati di
nascosto. E se essi avessero mentito e qualcuno li avesse battuti, sarebbe
intervenuta, tanto più che i genitori di Francesco e Giacinta erano andati alla fiera.
Si esponeva in verità ad essere derisa ... ma pazienza!
- Io vado in chiesa - disse sottovoce alla figlia maggiore - e tu mi avviserai di ciò che
avviene.
E la signora Maria Rosa uscì sola, preoccupata e triste come non mai nella sua
affannosa vita di madre di famiglia. A mezza strada, forse, s'imbatté con cinque o sei
persone forestiere, che ella suppose andassero alla festa del patrono. Giudicando
che avessero sbagliato strada, la strada buona, dissimulando le sue tribolazioni,
disse loro:
- Guardino che hanno sbagliato. Fatima non è di lì.
- Noi siam passati da Fatima e vogliamo andare alla casa dei bambini che hanno
visto la Madonna.
- Da dove vengono i signori? - balbettò la signora Maria Rosa.
- Siamo di Carrasco. Dove stanno i fanciulli?
- Stanno in Aljustrel, ma fra poco verranno pur essi alla festa di S. Antonio - rispose
la buona donna, senza tuttavia manifestare che era la madre di uno di essi.
«C'è già gente che va alla Cova - pensava essa. - Mi è dunque impossibile arrivare là
senza essere osservata. Qualcuno mi riconoscerà. Questa gente pare seria ... Sia quel
che si vuole ... Tutto sotto la guida della divina Provvidenza. Non m'allontano di
qui». Con grande soddisfazione e con non meno grande meraviglia delle sorelle,
Lucia si diresse verso la chiesa di Fatima e si unì ad un gruppo di altre ragazze.
«Ragazza tanto amante delle feste ... Non si poteva sperar altra cosa».
Ma la festa di Lucia, in quel giorno, era ben diversa.
Ecco ciò che racconta la signora Leopoldina dos Reis che è più o meno dell'età di
Lucia.
«Ci riunimmo forse in quattordici, tutte della solenne comunione di quell'anno, e
risolvemmo di accompagnar Lucia alla Cova da Iria.
Come al solito, quando Lucia proponeva una cosa, nessuna rifiutava.
Andavamo tutte in gruppo, quando apparve Antonio, fratello di Lucia e le disse:
- Vai alla Cova? Perché? Non andare che ti dò un ventino. Ella rispose:
- Del tuo ventino non ne faccio nulla. Voglio andar là. Continuammo la strada fino
ad una casa che dista cento metri dalla chiesa e il ragazzo dietro per farci desistere.
Ma noi sempre avanti».
Durante il cammino s'aggiunsero altre persone al gruppo delle piccole. Tra queste,
alcune che venivano da Torres Novas. Quando giunsero sul luogo, ove ora c'è
l'entrata del santuario, trovarono un gruppo di donne che aspettavano i veggenti.
C'era pure, accompagnata dal figlio Giovanni di diciassette anni, storpio, la signora
Maria da Capelinha che già conosciamo ed alla quale diamo ancora la parola.
«Come avevo deciso, non volevo in nessun modo mancare il giorno 13 giugno alla
Cova da Iria. Fu così che il giorno prima, a sera, dissi alle mie figlie:
- Se andassimo domani alla Cova, invece di andare a S. Antonio?
- Alla Cova? A far che? - dicevano esse. - È meglio andare alla festa.
Allora mi rivolsi al mio povero storpio, al mio Giovanni: - E tu, vuoi andare alle
festa o venir con me?
- Vengo con te, mammina - lui mi rispose.
Il giorno seguente, prima ancora che il resto della famiglia andasse alla festa, venni
qui con il mio Giovanni, che si appoggiava ad un bastone. Non si vedeva anima viva.
Continuammo allora presso il ciglio della strada, donde dovevano arrivare i
veggenti. Là ci sedemmo finché venne una donnetta di Loureira (parrocchia di S.
Caterina), che si meravigliò al vedermi là, perché sapeva che ero obbligata a letto.
- Oh! Che state qui a fare? - domandò.
- Quello che fate voi - risposi.
Senz'altre parole la donna si sedette accanto a me. Dopo un po' arrivò un ometto di
Lomba d'Egua e le parole che ci scambiammo furono, a dir il vero, le stesse. In
seguito apparvero alcune donne di Boleiros, alle quali chiesi se erano fuggite dalla
festa.
- Ci fu chi ci derise - disse una - ma a noi poco importa. Ora vogliamo vedere ciò che
avviene qui. Poi vedremo se dovremo essere derisi noi o loro.
Venne poi altra gente. finché, alle undici, giunsero i fanciulli ai quali era apparsa la
Madonna, con altre ragazze e persone che venivano da lontano, dai pressi di Torres
Novas, di Outeiro (Outerio Grande o Outerio Pequeno, non so bene). Scendemmo
tutti verso il piccolo elce. Lucia si fermò a tre metri di distanza, guardando verso
oriente. Tutto era silenzio. Le domandai allora: - Piccina mia, qual è l'elce su cui
apparve la Madonna?
- Fu qui che ella si posò - e mise la mano sopra le fronde. Era
un alberello alto quasi un metro, nel vigore del suo sviluppo; i ramoscelli erano tutti
diritti, molto frondosi e belli.
Lucia si allontanò un po' nella direzione di Fatima. Poi andò all'ombra di un elce
grande. C'era molta afa. Ella sedette presso il tronco: ai suoi lati si sedettero
Francesco e Giacinta. Con le altre ragazze mangiarono un po' di lupini, poi si misero
a giocare come al solito.
Mentre il tempo passava, Lucia diventava più seria, più pensierosa. Giacinta invece
giocava sempre e Lucia le diceva:
- Sta quieta, Giacinta, la Madonna sta per arrivare.
Quelli che erano venuti da lontano - continua la signora Maria da Capelinha - fecero
la loro merenda ed offrirono ai piccoli una arancia ciascuno. Essi le accettarono ma
non le mangiarono. Li vedo ancora lì, con l'arancia in mano. Nel frattempo, una
ragazza di Boleiros leggeva ad alta voce un libro di devozione. Io, essendo ammalata
e tanto debole, - era quasi mezzogiorno, - domandai a Lucia:
- La Madonna tarderà molto tempo?
- No, signora, non tarderà molto - mi rispose.
In quel mentre la piccola stava attenta ai segnali. Recitammo allora la corona e
quando la ragazza di Boleiros iniziò le litanie, Lucia interruppe dicendo che non
c'era più tempo. Subito si alzò in piedi e gridò:
- Giacinta, viene la Madonna, s'è già visto il lampo!
Tutti e tre corsero verso il piccolo elce e noi dietro ad essi. Ci inginocchiammo sopra
i piccoli arbusti ed i cardi. Lucia alzò le mani come chi prega ed io percepii queste
parole:
- Voi m'avete comandato di venir qui. Dite, per favore, quello che volete.
In quell'istante cominciammo a sentire un rumore come d'una voce molto esile, ma
non si comprendeva ciò che diceva: sembrava il ronzio delle api!».
Ciò che le cinquanta persone radunate attorno all'elce non avevano compreso, ci è
rivelato da Lucia:
«Voglio che veniate qui - rispose la Madre del Cielo - il giorno 13 del mese venturo e
che recitiate la corona intercalando ad ogni mistero la giaculatoria: "O mio Gesù,
perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno, portate tutte le anime in cielo,
specialmente le più bisognose" 26. Voglio che impariate a leggere - continuò la
Vergine - e dopo dirò quello che più desidero».
Lucia prende coraggio e chiede la guarigione d'un ammalato che le è stato
raccomandato.
La Signora risponde che, se si converte, guarirà durante l'anno. Ancora più
animosa, la veggente supplica:
- Vorrei chiedervi di portarci in cielo.
- Sì - risponde la Vergine Santissima. - Giacinta e Francesco li porterò presto. Ma tu
resterai qui ancora un po' di tempo. Gesù vuol servirsi di te per farmi conoscere e
amare. Egli vuole stabilire nel mondo la divozione al mio Cuore Immacolato 27.
Restar nel mondo senza la compagnia dei suoi piccoli amici, senza i quali le pareva
impossibile la vita, che pena! ...
- Resterò qui sola? .. - domanda un po' intimorita.
- No, figlia! Soffri molto? Non scoraggiarti. Io non ti abbandonerò mai. Il mio Cuore
Immacolato sarà il tuo rifugio e la via che ti condurrà fino a Dio.
Queste parole rimasero scolpite profondamente nell'anima della pastorella, che
andrà sempre ad attingere nel Cuore Immacolato della sua cara Mammina il
conforto ed il sollievo ai suoi dolori, la difesa nella lotta terribile che dovrà sostenere
contro l'inferno e il mondo, alleati per scuotere la sua fede e ostacolare che le
apparizioni di Fatima producano tutto l'immenso bene e le infinite grazie decretate
dalla divina Provvidenza.
«Fu nell'istante in cui disse queste ultime parole - continua Lucia - che la Vergine
aprì le mani e ci comunicò per la seconda volta il riflesso della luce immensa che
l'avvolgeva. In quella noi ci vedemmo come immersi in Dio. Giacinta e Francesco
sembravano stare nel fascio di luce che si elevava al Cielo ed io in quello che si
spandeva sulla terra. Davanti alla palma della mano destra della Madonna stava un
Cuore circondato e trapassato di spine. Comprendemmo che era il Cuore
Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati dell'umanità e bramoso di
riparazione».
Come nella prima apparizione e nelle susseguenti, la Vergine parlava solo a Lucia.
Giacinta udiva le parole di tutte e due, mentre Francesco non udiva nulla, però si
accorgeva che la Madonna parlava, e veniva poi messo al corrente di tutto da Lucia.
Perché? Non lo sappiamo. Nostro Signore distribuisce le grazie come vuole e nella
misura che vuole 28.
«Quando la Madonna si ritirò dall'elce, fu come lo scoppio di un fuoco artificiale prosegue nel suo racconto la signora Maria da Capelinha. - Lucia si alzò in fretta e
col braccio teso diceva: - Eccola, va, va!. .. - Noi non vedemmo nessuno; solo
vedemmo una nube, staccata un palmo dall'elce, che saliva lentamente in avanti,
verso oriente, finché tutto scomparve. Alcune persone dicevano: - lo la vedo ancora
... È là ... - finché più nessuno affermò di vederla. I tre fanciulli stavano silenziosi,
sempre con lo sguardo fisso in quel punto. Poco dopo Lucia disse:
- Fatto! ... Ora non si vede più, è già entrata in Cielo, si son già chiuse le porte.
Ci avvicinammo allora al piccolo elce miracoloso e qual non fu il nostro stupore
vedendo che i rami superiori, che prima stavano tutti ritti, ora erano inclinati verso
oriente come se fossero stati calcati da qualcuno. Cominciammo subito a cogliere
ramoscelli e foglioline dalla chioma dell'alberello, ma Lucia ci raccomandava di
prendere quelli di sotto, che la Madonna non aveva toccato. Mi avvicinai poi ad un
rosmarino fronzuto, vicino all'elce, con fiori assai belli e ne cogliemmo alcuni
ramoscelli per ricordo.
- Recitiamo il rosario - disse qualcuno vedendo che la gente cominciava ad
allontanarsi. Ma alcune persone, che venivano da lontano, dissero:
- Diciamo solo le litanie; il rosario lo reciteremo nel ritornare a Fatima.
C'era tra loro un suonatore di fisarmonica, ma mi sembra di non averlo sentito
suonare.
Terminate le litanie, tutta quella gente s'incamminò pregando, verso Fatima con i
fanciulli, e là arrivarono quando la processione usciva sulla strada. Subito fu notata
la gente che arrivava da quella parte e a chi chiedeva donde venivano,
rispondevano: - Dalla Cova da Iria e siam molto contenti d'esserci stati.
A molti rincrebbe di non esser andati là: ma ormai era tardi».
Non ci sorprende quindi se a luglio quei cinquanta pellegrini si erano moltiplicati in
modo da raggiungere i due o tre mila.
Capitolo decimo
Se ci maltrattano,
soffriamo per i peccatori
(Giacinta)
Erano circa le quattro pomeridiane, quando i tre fanciulli tornarono a casa, seguiti
da una moltitudine di curiosi che cominciavano a tormentarli con domande:
- O Lucia, quella tal donna venne anche oggi a passeggiare sopra gli elci?
- Dunque, Giacinta, questa volta la Signora non vi disse nulla? Oh, come va che siete
ancora qui? Non siete ancora andati in Cielo? ...
Per i fanciulli era un vero martirio quella irriverenza verso la Signora, tanto buona e
tanto triste, tanto degna di rispetto e di amore.
In casa Giacinta rimase silenziosa, rispondendo appena con monosillabi alle
domande che anche là non le erano risparmiate. Si accontentava di ripetere che
bisognava recitare il rosario tutti i giorni e che la Signora sarebbe tornata il 13 dei
prossimi mesi fino ad ottobre. E che allora avrebbe detto chi era e che cosa voleva.
Del segreto neppure una parola. Avrebbe voluto, sì, gettarsi al collo della mamma e
dirle forte:
- O mamma, quella bella Signora mi disse pure che molto presto anch'io andrò in
Cielo!
Ma una necessità imperiosa, provata da tutti e tre, le imponeva il silenzio. Sopra un
punto però Giacinta parlava liberamente: la bellezza della visione, tutta luce, tutto
oro splendente.
- Quella Signora era tanto bella come la tale? ... - le domandavano le sorelle.
- Molto, ma molto più bella!
- Come quella santina che è in chiesa e che porta un manto tutto stellato?
Era Santa Quiteria.
- No. Molto, ma molto più bella!
- Come la statua della Madonna del Rosario? ...
- Molto più ancora!
E la mamma e le sorelle le mostravano, passandole quasi in rivista, tutte le
immagini che avevano in casa. Ma la bellezza della Signora che Giacinta aveva
contemplato nella Cova da Iria era infinitamente superiore, non se ne trovava una
simile in terra 29.
- Ma che cosa vi disse questa volta? - insistevano.
Allora Giacinta abbassava la testa, ripeteva che bisognava recitare il rosario, che la
Signora sarebbe ritornata ... e che aveva confidato loro un segreto ma che non lo
potevano manifestare.
Un segreto! ... Ma che poteva essere questo segreto? ...
D'allora in poi Giacinta non ebbe pace: tutti, in casa e fuori, ad eccezione del padre,
la molestavano con domande per carpirle il segreto.
«Tutte le donne volevano sapere di che si trattava - ci dice il signor Marto. - Io però
non la interrogai mai a questo riguardo. Un segreto è segreto, e bisogna custodirlo.
Mi ricordo che una volta vennero qui alcune signore tutte cariche d'oro.
- Ti piacciono? - dicevano alla bambina, mostrandole catenelle e braccialetti.
- Sì - rispondeva la bambina.
- Li vuoi?
- Li voglio.
- Allora svelaci il segreto!
E le signore fingevano di togliersi i gioielli, ma la bambina, molto afflitta, si mise a
gridare:
- No, no, non li tolgano, ché io non dico niente! Neanche se mi dessero il mondo
intero svelerò il segreto.
Un altro giorno, venne la signora Maria Rosa das Neves, di Moita, con una sua
nipotina, e Giacinta, anche questa volta, era sola in casa.
- Guarda, Giacinta, - le disse la donna - dimmi il segreto e io ti dò questa bella
collana di grani d'oro.
Con fare risoluto, Giacinta rispose:
- Se lei mi dà la medaglia che tiene al collo sua nipote, allora lo dico.
- Ah, quella? Non te la posso dare perché non è mia.
- Ma te la dò io - intervenne la piccola.
E Giacinta, sempre col medesimo sorriso maliziosetto:
- Lascia, che non la voglio. Anche se mi danno il mondo intero non svelo il segreto.
Per i tre veggenti questa insistenza era una vera tortura, ma non era il sacrificio
maggiore, specie per Lucia. Altre prove ben più crudeli, dovevano purificare le
anime dei veggenti e renderle sempre più degne delle grazie straordinarie loro
preparate dal Cielo. Nell'attuale ordine della Provvidenza è sempre così. Agli amici
più intimi e cari Gesù non offre corone di rose, ma di spine; non li conduce al Tabor,
ma sul Calvario; non dà ricchezze, onori, piaceri, ma un calice di ignominia, una
pesante croce.
Secondo le promesse della Vergine, i due fratellini, Francesco e Giacinta, sarebbero
andati presto in Cielo. Era necessario, quindi, che la grazia trasformasse presto i
loro cuori.
Lucia, invece, aveva ricevuto la sublime missione di propagare nel mondo la
devozione al Cuore Immacolato di Maria. Per questo non era meno urgente
purificare e abbellire la sua anima nel crogiuolo della tribolazione.
Questa, e non altra, è la spiegazione delle lotte insistenti e delle sofferenze, talvolta
atroci, che i fanciulli dovettero sopportare per diffondere il messaggio di Maria.
Il parroco aveva raccomandato alla mamma di Lucia che la lasciasse andare alla
Cova da Iria il giorno 13 giugno, ma che subito dopo la conducesse alla casa
parrocchiale per poterla interrogare. Lo stesso ordine doveva essere comunicato al
signor Marto.
«Ci andai di persona - egli racconta.
- Signor priore, mia cognata mi disse di venir qui coi ragazzi. Son venuto a trattar
con lei per sapere ciò che di meglio si possa fare. Ed egli: - È un bell'imbroglio
questo: un po' è bianco e un po' è nero!
Non me ne afflissi.
- Lei, signor priore, crede però di più alle menzogne che alla verità.
Rispose:
- Non udii parlar di queste cose se non ora. Tutti vengono a saperle prima di me.
Il parroco era giù d'umore e concluse seccato: - Se vuole, li porti. Se no, se li tenga a
casa! Ne sarà lei responsabile!
- Signor priore, per il bene e per la concordia verrò.
Uscimmo intanto sulla veranda e mi affrettai per giungere subito a casa».
Quella stessa sera, all'imbrunire, Lucia andò a casa dei cuginetti e disse loro:
- Domani andremo in casa del parroco. Io vado con la mia mamma. Le mie sorelle
van facendomi molta paura per questo. - Veniamo anche noi - rispose Giacinta. Il
parroco ha mandato a dire alla nostra mamma di condurci là, ma essa non ci ha
detto nulla di ciò. Pazienza. Se ci maltratteranno, soffriremo per amor di Gesù e per
i peccatori.
Il giorno seguente, arrivati alla presenza del parroco, Giacinta, la prima interrogata,
chinò il capo e mantenne fermamente il suo proposito di non dir niente a nessuno.
Da Francesco, il sacerdote non poté ottenere che due o tre parole sconclusionate.
Quanto a Lucia, fu più esplicita con lui su ciò che poteva dire senza riserva.
L'interrogatorio non soddisfece il parroco.
- Non è possibile, pensava lui, che la Madonna venga dal Cielo in terra solo per dire
di recitare il rosario tutti i giorni, usanza d'altronde quasi generale in tutta la
parrocchia ... Inoltre, quando si danno casi simili, d'ordinario Nostro Signore
comanda alle anime a cui si comunica di riferire tutto ciò che avviene al confessore
od al parroco; questi ragazzi, al contrario, si ricusano a più non posso. Anche questo
può essere inganno del demonio. Stiamo a vedere: l'avvenire ci dirà che cosa
pensarne.
Forse il suo giudizio sarebbe stato diverso, se Lucia si fosse dimostrata con lui più
aperta e gli avesse riferito qualcosa di più delle comunicazioni della Madonna. La
Provvidenza tuttavia così dispose gli eventi, per procurare maggiore sofferenza ai
piccoli veggenti e dar loro occasione di sacrificarsi di più per i peccatori. - Questo
può esser inganno del demonio - aveva detto il parroco, verso il quale fin da piccola
Lucia, come del resto tutti i fanciulli e anche gli adulti del villaggio, nutrivano il
maggior rispetto, una vera venerazione.
«E se fosse verità? ...» rifletteva Lucia. «Se il parroco avesse ragione?».
Era questa, forse, la più lacerante spina infittasi nel cuore della fanciulla. Quanto
soffrì, poverina, non potendo credere che il parroco s'ingannasse.
«Cominciai allora a dubitare, afferma Lucia, che le manifestazioni venissero dal
diavolo, che cercava in questa maniera di perdermi; e siccome mi era stato detto che
il demonio porta sempre guerra e disordine, cominciai a costatare che, in verità, da
quando vidi queste cose non ebbi più allegria, né tranquillità in casa. Quale angustia
mi opprimeva! ... Manifestai ai cuginetti il mio dubbio e Giacinta rispose:
- Non è il demonio, no! Il demonio, dicono, che è molto brutto e che sta sotto terra,
nell'inferno. Quella Signora invece è tanto bella e noi l'abbiamo vista salire in cielo».
Fu un raggio di sole nella tormentosa notte in cui Lucia si dibatteva; fugace però,
perché della porzione di sofferenze destinatele, solo una piccola parte l'aveva finora
colpita.
A poco a poco Lucia perdeva l'entusiasmo per la mortificazione che le aveva reso
poco prima soavi i più eroici sacrifici; sentiva una specie di apatia inesplicabile.
Giunse perfino a dubitare se non sarebbe stato meglio dire che aveva mentito e
lasciar morire tutto.
Però Giacinta e Francesco, i suoi angeli consolatori, le dicevano: - Non far questo!
Non vedi che ora mentiresti davvero, e mentire è peccato?
E il cielo di Lucia era nuovamente sereno. Presto però sarebbe tornata la tempesta.
La impressionava l'idea di essere trastullo del demonio.
A confermarla in questo giudizio e ad aumentare le tenebre dello spirito ebbe, una
notte, un sogno.
«Vidi il demonio che, ridendosela d'avermi ingannata, faceva sforzi per trascinarmi
all'inferno. Al vedermi nei suoi artigli, cominciai a gridare, chiamando la Madonna,
in maniera che svegliai mia madre, la quale, afflitta, mi chiamò, domandando mi
che cosa avessi. Non ricordo quel che le risposi: ricordo solo che, in quella notte,
non potei più dormire e rimasi sfatta dalla paura. Questo sogno lasciò nel mio
spirito una nube di profondo timore e di afflizione».
Era un semplice riflesso della situazione psicologica: avendo la fissazione del
demonio, non poteva non sognarlo.
Gli unici istanti di pace erano quelli che godeva coi cugini alla
Cova da Iria, vicino all'elce. Là incontravano molte volte la signora Maria da
Capelinha che li seguiva nella preghiera e che con le sue poche forze andava
adornando il luogo benedetto.
Con essa e con le figlie che venivano a portarle il pranzo s'intrattenevano
allegramente.
«La sera stessa della festa di S. Antonio, - così ci narra essa - le mie figlie, tornate da
Fatima, mi dissero:
- Dunque, mamma, tutto bello alla Cova da Iria? ...
- Sì. Soltanto vi confesso: mi rincrebbe molto che voi non foste là.
- È vero che è apparsa la Madonna?
Raccontai loro ciò che era accaduto in quel giorno. Una di esse mi disse:
- Bene, domenica anche noi andremo là.
Così si fece. Stavamo recitando il rosario vicino all'elce, quando vedemmo passare
due uomini di Lomba d'Egua. Anch'essi ci videro e ci dissero:
- Ecco, c'è già gente laggiù ove apparve la Madonna.
Ci nascondemmo nel bosco per vedere ciò che essi avrebbero fatto. Portavano
garofani e li posero tra i ramoscelli e poi si inginocchiarono a recitare il rosario.
Restammo un po' in silenzio per non disturbarli. Soltanto più tardi ci unimmo ad
essi.
D'allora in poi non tralasciai più di andare alla Cova da Iria. In casa non avevo forza
per nulla, mi portavo qui tutti i giorni e, appena giunta, subito mi sentivo un'altra.
Cominciai a fare attorno all'elce un po' di pulizia, come un piccolo piazzale,
strappando cespugli e tagliandone altri vicini: per questo mi portavo una seghetta.
Allontanavo le pietre e infine legai un nastro di seta ad un ramoscello dell'elce e fui
io che là deposi i primi fiori».
Capitolo undicesimo
Non vengo perché
ho paura che sia il demonio
(Lucia)
Avvicinandosi il 13 luglio, una gioia intima e profonda animava Francesco e
Giacinta. Non così per Lucia che, triste e sfiduciata, aveva quasi deciso di non
ritornare alla Cova da Iria.
- Qui c'è lo zampino del diavolo - le diceva la mamma.
Altro non era se non l'eco delle parole del parroco che non nascondeva i suoi
sentimenti assolutamente contrari alla soprannaturalità dei fatti. Lo sapeva molto
bene la signora Maria Rosa. Parlando una volta il parroco col signor José Alves,
nativo di Moita, uno dei primi credenti alle apparizioni, gli diceva apertamente:
- È invenzione del demonio.
- No, signor parroco, - gli rispondeva quell'uomo retto - alla Cova si prega, il
demonio invece non se la fa con le preghiere. - Il demonio va perfino alla balaustra
della comunione - sbottò rapidamente il parroco.
Con umiltà José Alves concluse:
- Lei, signor parroco, ha studiato, io invece no.
A forza di sentir dire che tutto era inganno del demonio, Lucia finiva per
convincersene. Pensava, la povera fanciulla, di farla finita e la vigilia del giorno 13,
quando già la gente, venuta da tutte le parti e con tutti i mezzi, cominciava a
radunarsi, andò a cercare Francesco e Giacinta e comunicò loro la sua decisione.
Non meno risoluti i due fratellini risposero:
- Noi andiamo; quella Signora ci comandò di andar là.
- Parlo io con lei - dichiarò Giacinta.
Ma subito s'interruppe e cominciò a piangere. - Perché piangi? - le domandò Lucia.
- Perché tu non vuoi venire là.
- No, io non vengo; guarda: se la Signora ti domanderà di me, dille che io non vengo
perché ho paura che sia il demonio.
Subito corse a nascondersi, fuggendo le persone che la volevano interrogare.
La madre, pensando che fosse stata via a giocare, alla sera la riprese:
- Ecco qua la «santina di legno tarlato»: tutto il tempo libero dal pascolo lo passa a
divertirsi e così nessuno la trova.
Il giorno seguente, nonostante tutto, avvicinandosi il momento della partenza per la
Cova da Iria, una forza interiore, che la bimba non sa spiegare, la spinge a mettersi
in viaggio.
Tutti i dubbi, tutti i terrori svaniscono come per incanto. Passa alla casa dei cugini a
vedere se sono già partiti. In camera, inginocchiati presso il letto, tutti e due si
struggono in lacrime.
- Dunque, non andate? - domanda Lucia.
- Senza di te, non abbiamo il coraggio di andare! Su, vieni!
- Sono qui per questo! - è la risposta immediata.
Allegri come non mai, i tre pastorelli s'avviano in mezzo alla gente che già gremisce
le strade e si accalca per vederli da vicino e interrogarli.
Poco dopo la loro partenza per la Cova da Iria, la signora Olimpia, temendo che
capitasse qualcosa ai figlioli, corse a casa della signora Maria Rosa.
- O comare, - le disse tutta agitata - andiamo là anche noi; temo che non li
rivedremo più i nostri figli! Non si sa che cosa può accadere! ... Se ce li ammazzano!
...
- Evvia! - rispose la signora Maria Rosa - se è vero che la Madonna appare loro,
saprà ben difenderli Lei; se non è vero, allora non so che cosa succederà ...
Ma poi si decise ad accompagnare la comare alla Cova da Iria. Tutte avvolte nei loro
scialli, attraverso i sentieri del bosco, le buone donne s'avviarono, portando ognuna,
nascosta, una candela benedetta.
- Perché - diceva la signora Olimpia - se avessimo costatato trattarsi di cosa cattiva,
avremmo acceso le candele ...
Appena arrivate di fronte alla Cova, si rannicchiarono dietro gli alberi per osservare
ciò che sarebbe accaduto. Il cuore pulsava forte, sconcertato nell' attesa di funesti
eventi... che non avvennero.
Il signor Marto, al contrario, convinto della sincerità dei veggenti, e quindi della
veracità delle apparizioni, seguì coraggiosamente i fanciulli alla Cova da Iria, e cercò
di avvicinarsi quanto poté all'elce benedetto, intorno a cui già dal primo mattino
s'erano assiepati molti curiosi e devoti. Tra questi la signora Maria Carreira col
marito, le figlie e Giovanni, il suo storpio, seduto sopra una pietra, nella speranza
che la Madonna lo guarisse dalla sua deformità.
Alcuni giorni prima, infatti, la signora Maria da Capelinha aveva chiesto a Lucia che
domandasse alla Vergine la guarigione del figlio e la fanciulla le aveva promesso che
non si sarebbe dimenticata.
Ma diamo la parola, ancora una volta, al signor Marto, che nel suo linguaggio
semplice e pittoresco ci esprime le sue impressioni di quel giorno.
«Uscii di casa risoluto, stavolta, di vedere ciò che accadeva. Quante volte avevo
detto alla comare Maria Rosa: - Se il popolo dice che queste cose sono invenzioni
dei genitori e dei preti, nessuno sa meglio di me e di te quanto ciò sia falso. Noi non
li spingiamo a ciò, e il parroco ... eh già ... il parroco invece ... è dell'idea che sia il
demonio. E ragionando così mi posi in cammino. Quanta gente sulla strada! Io non
scorgevo i fanciulli; ma, per il fatto che vedevo ogni tanto un gruppo fermarsi,
pensavo che essi fossero là davanti.
In un senso mi conveniva di più stare alquanto indietro, però giunto alla Cova non
potei trattenermi. Volevo portarmi vicino a loro. Ma come? Non si poteva
proseguire: era il finimondo!. .. Ad un certo punto due popolani, uno di Ramila e
l'altro qui del luogo, che era stato guardia municipale, formarono un circolo attorno
ai ragazzi perché stessero a maggior agio. Scorgendomi, mi presero per un braccio e
mi dissero: - Questo è il padre! Venga qui con noi!
Rimasi così vicino alla mia Giacinta. Lucia, inginocchiata un po' più avanti, recitava
il rosario e tutti rispondevano ad alta voce. Terminatolo, si alzò con impeto, guardò
verso oriente e gridò: - Chiudete gli ombrelli, chiudete gli ombrelli! 30 Già viene la
Madonna!
Io, per quanto guardassi, non vedevo niente. Cominciando allora a fissare, notai
come una piccola nube cenerina che si fermava sopra l'elce. Il sole si oscurò un poco
e cominciò a spirare una fresca arietta refrigerante. Non pareva di essere in pieno
estate. Il popolo era muto in modo impressionante.
Allora cominciai ad udire un rumore, come un ronzio di mosca entro una brocca
vuota, ma nessuna parola!
Credo che sia così quando si parla al telefono ... Ma io non ho mai provato! Ma
questo che cos'è? - mi domandavo tra me e me. - Viene da lontano o da qui vicino?
Tutto questo per me fu una grande prova del miracolo».
In verità la Vergine Santissima era ridiscesa per la terza volta sopra i rami dell'elce a
parlare ai suoi confidenti.
Davanti alla visione celestiale, una gioia inenarrabile, una pace immensa riempì il
cuore dei piccoli, di Lucia specialmente, che, muta, quasi non poteva credere a ciò
che il suo sguardo contemplava. Con una tenerezza infinita, come d'una mamma
reclinata sul figliolino malato, la Vergine posò il suo sguardo triste su Lucia, quasi a
dirle:
- Sono io ... E vengo dal Cielo. Nell'inferno non c'è tanto splendore! ...Tanta luce! ...
Soprattutto non c'è bontà ... Non c'è dolcezza ... Solo in Cielo sbocciano questi fiori!
Lucia, estatica, contemplava e assaporava. Fu Giacinta a risvegliarla da quel sogno,
da quel rapimento, dicendole:
- Su, parla, ché la Madonna vuol parlare.
Umilmente, come domandando perdono d'aver dubitato di Lei, Lucia chiese ancor
una volta:
- Che volete da me?
- Voglio - rispose la Vergine - che torniate qui il giorno 13 del mese venturo; che
continuiate a recitare il rosario tutti i giorni in onore della Madonna del Rosario,
per ottenere la pace al mondo e la fine della guerra, perché da Lei sola può venire
l'aiuto.
La mamma dubitava ... la gente scherzava ... il parroco diceva che poteva essere il
demonio ... era necessario approfittare dell'occasione:
- Vorrei chiedervi di dirmi chi siete e di fare un miracolo perché tutti credano che
siete Voi che ci apparite.
- Continuate a venire qui tutti i mesi. In ottobre dirò chi sono e ciò che voglio, e,
affinché tutti credano, farò un miracolo che tutti vedranno.
Contentissima e senza perdere tempo, Lucia presentò alla Vergine le richieste avute.
La Signora, con materna benignità rispose che avrebbe guarito alcuni, altri no. Il
figlio storpio della signora Maria Carreira, non lo avrebbe guarito, né sollevato dalla
sua povertà; doveva però recitare ugualmente tutti i giorni il rosario in famiglia 31.
Uno dei raccomandati era un infermo di Atouguia, che aveva chiesto di andare
presto in Cielo. Per lui la Signora rispose:
- Non abbia fretta ... io so bene quando venirlo a prendere. C'erano anche grazie di
conversioni: una donna di Fatima e i suoi figli, un'altra di Pedrogao, casi di
alcoolizzati, guarigioni, eccetera.
Tutti dovevano recitare il rosario: era la condizione generale per ottenere le grazie.
Al fine di rianimare il fervore indebolito di Lucia la Vergine insiste sulla necessità
del sacrificio e confida loro un nuovo segreto 32. - Sacrificatevi per i peccatori. E dite
sovente, specie facendo qualche sacrificio: «O Gesù, è per vostro amore, per la
conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore
Immacolato di Maria ».
«Dicendo queste parole - continua Lucia nelle sue memorie ­ aprì nuovamente le
mani, come nei due mesi precedenti. Il riflesso che esse irradiavano parve penetrare
la terra e vedemmo come in un mare di fuoco immersi i demoni e le anime, quasi
fossero braci trasparenti e nere, abbronzate, in forma umana, fluttuanti
nell'incendio sollevato dalle fiamme che si sprigionavano da esse stesse come
nuvole di fumo e cadenti poi da ogni lato, come lo sfavillare dei grandi incendi,
senza peso né equilibrio, fra urla e gemiti di dolore e di disperazione, che
terrorizzavano e facevano rabbrividire dalla paura.
I demoni si distinguevano per le forme orribili e schifose di animali spaventosi e
sconosciuti, ma trasparenti come neri carboni tra la bragia».
Fu allora che sfuggì un gemito, quasi un grido dalle labbra di Lucia:
- Ahi! Vergine Santa! ...
E il volto con espressione stravolta le si fece quasi cadaverico 33 . I poveri piccoli,
spaventati, quasi a domandare aiuto, alzano lo sguardo verso la Madonna che dice
loro con bontà e tristezza: «Avete visto l'Inferno dove vanno le anime dei poveri
peccatori. Per salvarle Dio vuole stabilire nel mondo la devozione - al mio Cuore
Immacolato. Se faranno ciò che io vi dico, molti si salveranno e avranno pace. La
guerra sta per finire, ma se non cessano di offender Dio, ne verrà un'altra peggiore
34. Quando vedrete una notte, illuminata d'una luce sconosciuta, sappiate che quello
è il grande segno che Dio vi dà prima di punire il mondo per i suoi delitti per mezzo
della guerra, della fame, della persecuzione alla Chiesa e al Santo Padre 35. Per
impedire ciò, tornerò a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore
Immacolato e la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se si osserveranno le mie
richieste, la Russia si convertirà e ci sarà la pace; se no, spanderà i suoi errori in
tutto il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa: i buoni saranno
martoriati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno annientate;
infine il mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà la Russia
che si convertirà e sarà concesso al mondo alcun tempo di pace. In Portogallo si
conserverà sempre il dogma della fede. Questo non di tela a nessuno. A Francesco,
sì, potete dirlo» 36.
Davanti a queste cose terrificanti, viste e udite, i fanciulli rimasero senza parola,
quasi privi di sensi.
Alcuni istanti di silenzio, poi Lucia domandò: - Non volete più niente?
- No, oggi non ti chiedo più nulla.
Scoppiò allora come un tuono, quasi a indicare che l'apparizione era terminata.
«Si udì in quel momento - racconta il signor Marta - come un grande tuono e l'arco
che era stato preparato con due lanterne si scosse tutto come per un terremoto.
Lucia, che era ancora inginocchiata, si alzò, si girò tanto rapidamente che la
gonnella le si sollevò rigonfiandosi come un pallone. E indicando il cielo gridò: - Se
ne va, se ne va! - E dopo alcuni istanti: - Non si vede più ... Anche ciò fu per me una
grande prova!».
Il colloquio era terminato e la Vergine, come al solito, si elevava nella stessa
direzione donde era venuta, fino a sparire nella immensità azzurra.
Discioltasi la nube cenerognola aleggiante sull'elce e rifatti si tutti dall'emozione, i
piccoli si videro più che mai circondati e tormentati da domande.
- O Lucia, che ti disse la Madonna, quando diventasti così triste?
- È un segreto.
- È una cosa buona?
- Per alcuni è buona, per altri è cattiva.
- E non lo dici?
- No, signore, non lo posso dire!
E il popolo premeva, premeva che quasi li soffocava. Con gesto rapido, tutto rosso,
grondante sudore, il signor Marto si aprì un passaggio a forza di gomiti, si strinse la
sua Giacinta e con essa in collo risalì verso la strada, dopo averle posto il suo
cappello in testa per difenderla dal solleone di mezzogiorno.
Nel loro nascondiglio le due tribolate madri si sentivano svenire. Il via vai ed il
trambusto della Cova sembravano loro veramente infernali.
- O comare, laggiù ammazzano i nostri figli! Ce li ammazzano! ­ diceva piangendo la
signora Olimpia.
Alcuni momenti dopo tuttavia, al vedere la sua Giacinta in braccio al padre e
Francesco sulle spalle di un altro parente e Lucia ben sicura tra le braccia erculee
del dottor Carlo Mendes, si rasserenò e uscì soltanto in una esclamazione:
- O comare, che pezzo d'uomo è mai quello lì! 37
Non attesero più oltre e direttamente s'avviarono verso casa.
Capitolo dodicesimo
Immersi in un mare
di fuoco i peccatori ...
(Lucia)
I fanciulli tornarono al pascolo. Per sentieruoli solitari cercarono d'occultarsi agli
importuni, per potersi intrattenere da soli sui misteri che la Vergine aveva loro fatto
intravvedere.
Le ore passavano. Il canto gioioso di Lucia e di Giacinta e il piffero di Francesco non
rompevano più l'incanto della solitudine ed il silenzio della serra.
Nel giro di un anno quante cose erano cambiate attorno a loro! Prima le apparizioni
dell'angelo, poi le apparizioni e le rivelazioni della Vergine, e specialmente l'ultima,
avevano operato una profonda ed intima trasformazione, una radicale metamorfosi
in quelle anime tanto semplici. Sotto l'influsso soave e delicatamente materno di
Maria Immacolata, Lucia non era più la Lucia di una volta, Francesco e Giacinta
non erano più i due ragazzetti vivaci e spensierati. Fissi e quasi immersi nel
soprannaturale, non li afferrava più la banalità della vita comune.
Seduti su d'una pietra o tra l'erbetta morbida, andavano ricostruendo i minimi
particolari dei grandi avvenimenti e approfondivano il significato di tutto ciò che
avevano visto ed udito, mettendo in pratica i consigli dati loro dalla Madre del Cielo.
- Che pensi adesso? - domandava Lucia a Giacinta, notandole il volto soffuso di
tristezza.
- Penso all'inferno e ai poveri peccatori ... L'inferno! L'inferno! Che pena sento per
le anime che vanno all'inferno! E le persone là ardono vive come legna sul fuoco! ...
O Lucia, perché la Madonna non fa vedere l'inferno ai peccatori? Se lo vedessero,
per non andarvi, non farebbero più peccati.
E siccome Lucia rimaneva silenziosa e pensierosa, imbarazzata da quella domanda:
- O Lucia, perché non hai detto alla Madonna di far vedere l'inferno a quella gente?
- Mi dimenticai - rispondeva Lucia, sempre più triste.
Allora la piccola, inginocchiandosi per terra, giungeva le manine e ripeteva fra i
singhiozzi le parole che la Vergine aveva insegnato: - O mio Gesù, perdonateci,
liberateci dal fuoco dell'inferno, portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più
bisognose.
Le pecore pascolavano tranquille, brucando tra i cespugli l'erba quasi secca e i tre
fanciulli, prostrati, guardavano lontano verso il Cielo, ripetendo continuamente:
- O mio Gesù, perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno, portate in Cielo tutte le
anime, specialmente le più bisognose.
Ogni tanto, come svegliandosi da un sogno, la più piccola interpellava la cugina e il
fratello:
- O Lucia, o Francesco, state pregando con me? Bisogna pregar molto per liberare le
anime dall'inferno. Ve ne cadono tante! ... E tutti e tre univano le loro voci tremule e
innocenti a domandar perdono, elevavano le loro deboli braccia come in uno sforzo
disperato per fermare il braccio del giusto Giudice, minacciante l'inferno ai
peccatori.
Non era solo il cuore che vibrava nella piccola Giacinta; anche la ragione si sforzava
di comprendere la causa di tanto terribile castigo.
- O Lucia, che peccati commette questa gente per andare all'inferno?
Non so, forse il peccato di non andare a Messa la domenica, di rubare, di dir parole
cattive, imprecazioni, di giurare ...
- E così per una parola vanno all'inferno?
- Certo, è peccato!
- Che cosa costa far silenzio, andare a Messa? Che pena sento per i peccatori! Se io
potessi far loro vedere l'inferno!
Quando non avevano più voce e le mani cadevano dalla stanchezza, si alzavano e,
all'ombra degli elci, continuavano a meditare.
- Perché - domandava questa volta Francesco, riferendosi all'apparizione di giugno la Madonna era con un cuore in mano e spandeva sopra il mondo quella luce tanto
grande che è Dio? Tu, Lucia, eri nella luce che scendeva sul mondo; io e Giacinta, in
quella che saliva verso il Cielo.
-È perché - rispondeva Lucia - tu e Giacinta andrete presto in Cielo, io invece devo
restare un po' di tempo sulla terra.
- Quanti anni?
- Non so, molti.
- Ma te lo disse la Signora? ...
- No, però io lo vidi in quella luce che ci colpiva nel petto.
- È proprio così... - interrompeva Giacinta. - Anch'io vidi così...
Noi andiamo in Cielo! Che bella cosa! - Ma subito tornava il pensiero dell'inferno: Io vado in Cielo. Ma tu resti qui. Se la Madonna te lo permette, di' a tutti com'è
l'inferno, perché non facciano più peccati e non abbiano a caderci dentro. Tanti
cadono nell'inferno, tanti sono all'inferno!
- Non aver paura, tu vai in Cielo.
- Sì, ma io vorrei che tutti andassero in Cielo.
Alle fresche ore del mattino succedevano le ore della calma soffocante, la sete
cominciava a farsi sentire e non avevano una goccia d'acqua.
- Bene! - diceva Giacinta. - Ho tanta sete, ma offro tutto per la conversione dei
peccatori.
E il sole crudele continuava a dardeggiare.
Passa un'ora, ne passano due, e Lucia pensa che quantunque desiderosa di sacrifici,
ha però il dovere di assistere i cuginetti e va a chiedere una brocca d'acqua ad una
casa vicina. Porgendola per primo a Francesco, questi risponde:
- Non voglio bere. Voglio soffrire per la conversione dei peccatori.
«Gettai allora - racconta ingenuamente Lucia - l'acqua nel cavo d'una pietra, perché
la bevessero le pecore e andai a restituire la brocca alla donna».
Il sacrificio di Giacinta raggiunge l'eroismo: con la testina bruciante tra le mani,
sembra che debba presto disfarsi. Nel momento più caldo del giorno, la serra
risuona di mille strepiti. Le cicale, i grilli, le rane concertano un baccano assordante.
Giacinta non ne può più e con una semplicità angelica si rivolge alla cugina e la
supplica:
- Di' ai grilli e alle rane che facciano silenzio. Mi duole tanto la testa.
Ma dalle labbra riarse di Francesco sfugge un dolce rimprovero. - Ah, sì - risponde
decisa. - Lucia, lasciali cantare!
Il pozzo di Lucia era il luogo preferito dai tre, quando non uscivano col gregge o
nelle ore di siesta che passavano a casa. All'ombra degli alti castagni e dei pruni,
come in un pacifico eremitaggio, continuavano a meditare. Erano tante le cose che
avevano visto e udito che, per ricordarle, il tempo sembrava sempre breve e fugace.
- O Lucia, quella Signora disse che il suo Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e la
via che ti condurrà a Dio. Non ti piace? A me piace molto il suo Cuore. È tanto
buono!
Giacinta sorrideva contenta, mentre due lacrime imperlavano le guance di Lucia.
- Anche a me piacerebbe di venir con voi in Cielo ... ma pazienza! Alcuni minuti di
silenzio e di nuovo si distingueva la voce argentina di Giacinta:
- O Lucia, ricordi? Il Cuore della Madonna coronato di spine che lo pungevano?
- È il Cuore Immacolato di Maria, oltraggiato dai peccati dell'umanità, che chiede
riparazione.
- Povera Madonna! ... Sento tanta pena per lei. Ella domandò la comunione in
riparazione dei peccati commessi contro il suo Cuore Immacolato. Ma come devo
fare, se non posso comunicarmi? Mi rincresce tanto di non potermi comunicare!
- Io più ancora - aggiungeva Francesco. - Ma il parroco non vuole darci Gesù.
Per immergersi ancor più nella loro meditazione i tre pastorelli talvolta si
separavano. Fu così che in una occasione in cui si trovava sola, seduta sopra la
pietra del pozzo, Giacinta ebbe una visione che l'afflisse molto.
Poco dopo chiamò Lucia, che era andata con Francesco a cercare miele selvatico su
una collinetta là vicino e, siccome pensava di non poter essere favorita in qualche
cosa senza che Lucia ne fosse messa a parte, le domandò:
- Non hai visto il Santo Padre?
- No.
- Non so come avvenne, io ho visto il Santo Padre, in una casa molto grande,
inginocchiato davanti a un altare, con la faccia tra le mani e piangeva. Fuori della
porta della casa c'era molta gente che gli tirava delle pietre, altri che lo insultavano e
gli dicevano parole molto brutte. Povero Santo Padre! Dobbiamo pregare molto per
lui!
La «loca» del Cabeço era un altro luogo prediletto ove i piccoli si nascondevano con
maggiore sicurezza per sfuggire alle persecuzioni dei curiosi.
Anche là Giacinta ebbe una visione.
Prostrati a terra i tre fanciulli recitavano le preghiere dell'angelo. Improvvisamente
Giacinta si alza e grida:
- O Lucia, non vedi che lunga strada, quante vie e quanti campi pieni di gente che
piange per la fame e non ha più nulla da mangiare? 38. E il Santo Padre in una
chiesa, davanti al Cuore Immacolato di Maria, a pregare? E una moltitudine che
prega con lui? Questi particolari, rivelati dalle «memorie» di Lucia ci richiamano
irresistibilmente alle parole del Vangelo:
«Ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose
ai sapienti e agli scaltri e le hai rivelate ai semplici» (Mt 11,25).
Anche negli avvenimenti di Fatima la divina Provvidenza procedeva con questo
sistema.
Capitolo tredicesimo
Il segreto ... oh questo! ...
nemmeno col cavatappi!
(Ti Marto)
Quei due o tre mila curiosi e devoti che avevano assistito alla terza apparizione
s'incaricarono di spandere dappertutto la notizia che sull'altipiano della serra de
Aire, la Madonna era apparsa a tre pastorelli del villaggio di Aljustrel.
Da allora cominciò l'affluire dei pellegrini alla Cova da Iria. Presso il piccolo elce, gli
umili venivano ad inginocchiarsi, a recitare il rosario e, tornando a casa, non
tralasciavano di passare da Aljustrel per interrogare i veggenti e presentare le
suppliche da trasmettere alla Madonna, quando sarebbe apparsa.
Non sempre però era la fede che guidava i passi di questa gente alla porta di Maria
Rosa o di Manuel Marto. E neppure erano sempre figli del popolo.
«Erano signore - ci dice Ti Marto - che venivano da chissà dove, molto ben vestite e
imbellettate. Noi stavamo per casa in faccende e avevamo perfino vergogna. Che
curiose! Volevano carpire il segreto. Si prendevano Giacinta sulle ginocchia e la
soffocavano di domande ... Ma essa rispondeva solo ciò che le conveniva. Il segreto!
... Oh, questo ... nemmeno col cavatappi! ... Le facevano carezze, offerte, ma tanto
valeva! Era tempo perso per loro e per noi, ché sempre si ha qualche lavoro per le
mani, e poi, anche nell'ora dei pasti ...
Erano signori che venivano solo per ridere e beffarsi di noi, che non sapevamo
neppur leggere ... Ma, molte volte, eravamo noi che ci beffavamo di loro. Poverini,
non avevano fede! Come potevano credere alla Madonna?
Quando arrivava questa razza di persone, pareva che i piccoli indovinassero:
scomparivano da una parte o dall'altra in un batter d'occhio.
Un giorno risi molto. Apparve qui un'auto e vi discese una famiglia importante; i
piccoli ... via a gambe levate!
Lucia si cacciò sotto un letto, Francesco s'arrampicò sul solaio e Giacinta, che non fu
tanto svelta, fu presa.
Quando la visita fu terminata, Lucia uscì dal suo nascondiglio e domandò a
Giacinta:
- Che cosa hai risposto quando ti domandarono di me?
- Restai ben silenziosa! Perché io sapevo dove eri, ma mentire è peccato.
Scoppiarono in una bella risata e giocarono. Giacinta era molto contenta d'aver
giocato una buona partita.
- Mio Dio, che razza di domande! Era una vergogna! Se la Madonna aveva capre e
pecore ... se mangiava patate ... tante sciocchezze che neppur la gente ignorante le
dice».
E il signor Marto porta le mani, callo se pel maneggio della zappa, alla testa
incanutita.
Il clero non era meno noioso coi tre bambini.
«C'interrogavano una volta - racconta Lucia - e tornavano ad interrogarci. Quando
vedevamo un prete, se potevamo, scappavamo sempre. Quando eravamo in
presenza di un prete, già ci disponevamo ad offrire a Dio uno dei maggiori
sacrifici».
C'erano però delle eccezioni e il ricordo di alcuni sacerdoti è ancor oggi conservato
con venerazione e gratitudine nelle «memorie» di Lucia.
«Tu, piccola, - mi disse un giorno un sacerdote - devi amar molto Gesù per le grazie
e i benefici che ti concede».
Queste parole, pronunciate con tanta bontà, s'impressero così intimamente nella
mia anima che, da allora in poi, mi feci l'abitudine di dire costantemente a Gesù:
- Mio Dio, vi amo in riconoscenza delle grazie che mi avete concesse.
Insegnata questa giaculatoria ai cugini, Giacinta provava nel proferirla tanta gioia
che a volte, in mezzo ai giochi più movimentati, domandava:
- Vi siete ricordati di dire a Gesù che lo amate per i benefici concessi?
Comparve un giorno in Aljustrel il venerando P. Francisco Rodrigues da Cruz 39 e
chiese ai fanciulli che gli mostrassero il luogo ove era apparsa la Madonna.
Montato in groppa d'un asinello, con le due piccole ai lati si avviò alla Cova da Iria e
per la strada insegnava loro giaculatorie. Giacinta ne ricordò poi sempre due, che
ripeteva sovente:
- O mio Gesù, vi amo!
- Dolce Cuor di Maria, siate la salvezza mia!
Giaculatorie che l'avrebbero consolata tanto nell'ultima sua malattia.
- Mi piace tanto poter dire a Gesù che l'amo!. .. Quando glielo dico molte volte, mi
sembra di avere un fuoco nel petto, ma non mi brucia. Mi piacciono tanto Gesù e la
Madonna che non mi stanco mai di dir loro che li amo!
Ma più che dagli estranei, Lucia era tormentata in famiglia con domande, motteggi
e, da parte della mamma, con minacce e castighi.
Non erano benestanti: alcuni capi di bestiame, un po' di terra che dava il pane
quotidiano e l'appezzamento della Cova da Iria, ove crescevano bene patate,
granoturco, fagioli, senza parlare delle olive e delle ghiande degli elci. Ora, da
quando si era divulgata la notizia delle apparizioni, addio orto della Cova da Iria!
Pedoni, asini, cavalli, pestarono in breve tutto senza lasciare la minima speranza di
raccolto. Neppure un turbine avrebbe recato tanto danno! Povera Lucia!
«Mia madre, lamentando questa perdita, non mi risparmiava:
- Tu ora, quando vuoi mangiare, vai a domandarlo a quella Signora.
E le mie sorelle:
- Adesso tu dovresti mangiare soltanto ciò che cresce alla Cova da Iria».
Era questo, per la piccola, un tormento tanto grande, che le costava prendere un
boccone di pane per sfamarsi. Le sorelle maggiori, che contribuivano al
sostentamento della famiglia tessendo e cucendo, vedevano passare i giorni senza
alcun rendimento: perdevano tempo coi visitatori o col gregge, che Lucia, assorbita
dalle visite, non poteva custodire.
Infine presero la risoluzione di vendere il gregge perché mancava chi lo conducesse
al pascolo.
Anche questo dispiacere doveva essere riservato alla vigilante pastorella. Le ferite
giungevano da tutte le parti.
«Un giorno - ci racconta Maria dos Anjos - una vicina, di circa sessant'anni, disse
alla mamma che non si meravigliava più se i piccoli dicevano d'aver visto la
Madonna, avendo visto lei un giorno una signora dare cinque «tostoes» a Lucia 40.
Senz'altro la mamma chiamò la fanciulla e le domandò se era vero. Lucia rispose
che non erano cinque «tostoes», ma due ventini. La mamma la percosse col manico
della scopa e la mandò via dicendole: - Chi mente nel poco, mente nel molto.
Proprio in quell'istante apparve Giacinta e mostrò i cinque «tostoes» che la signora
aveva dato a lei e non alla cugina. Ma Lucia - conchiude Maria dos Anjos - aveva già
ricevuto le bastonate e nemmen S. Antonio gliele poteva cavare».
Questa caparbia incredulità nelle apparizioni non era solo della signora Maria Rosa
e della famiglia. C'erano altre donne che non credevano. Insultavano la bambina e,
non contente di questo, presentandosi l'occasione, la prendevano a schiaffi o a
pedate.
Con Giacinta e Francesco non arrivavano a tanto perché il signor Marto vigilava.
Per questo Giacinta aveva una certa invidia della cugina:
- Oh, se i miei genitori fossero come i tuoi e questa gente potesse battermi! Avrei
così più sacrifici da offrire a Gesù.
Qualche volta però, anche la signora Olimpia non si tratteneva dal dispensare ai
suoi ragazzi qualche schiaffo, ma subito si calmava. - Ve lo meritate - diceva loro la
buona donna - perché andate ingannando la gente. Molti vanno alla Cova per colpa
vostra.
- Noi non obblighiamo nessuno ad andar là - rispondeva Giacinta. - Chi vuole va e
chi non vuole non va. Chi non vuole credere, riceverà il castigo ... Guarda, mamma,
anche tu, se non credi... Quanto al signor Marto, come Giacobbe di fronte ai sogni di
Giuseppe e all'incredulità dei fratelli, ponderava tutte le cose in silenzio.
Si avvicinava intanto il 13 agosto, giorno in cui la Vergine aveva promesso ai piccoli
di apparire per la quarta volta nella Cova da Iria.
In tutto il Portogallo erano noti gli avvenimenti di Fatima. Contribuì maggiormente
a farli conoscere la stessa stampa liberale. Si travisavano i fatti, si inventavano
particolari ridicoli, si beffeggiava con piacere diabolico la nuova fabbrica dei
miracoli che i preti - e perché non i gesuiti? - avevano intenzione di aprire nei pressi
di Fatima per cavare denaro al popolino incauto e credulone.
Ammettere la possibilità d'un intervento soprannaurale? Nemmen per sogno! Ci si
appellava all'epilessia, all'inganno, alla cupidigia.
I più moderati e indulgenti classificavano il fatto come un caso inequivocabile di
suggestione collettiva. Quale arma migliore potevano avere i massoni e gli ardenti
propagandisti del Nuovo Ordine per gettare il ridicolo sulla religione cristiana? Con
araldi così zelanti, qual meraviglia se il nome di Fatima oltrepassasse le frontiere, e
la moltitudine degli spettatori, nelle ultime apparizioni, fosse già di qualche
migliaio?
Capitolo quattordicesimo
Mettevano tutto su carta
(Ti Marto)
Nelle vicinanze dell'altipiano dove si svolgeva il dramma che ebbe per protagonisti i
tre pastorelli, c'era qualcuno nel quale si sarebbe detto fosse incarnata tutta la
malizia e la malvagità dei nemici della Chiesa.
Era l'amministratore del Concelho 41 di Vila Nova de Ourem, a cui appartiene
Fatima. Artur de Oliveira Santos era un uomo senza cultura, di professione
lattoniere.
Aveva cominciato, però, fin da giovane, ad interessarsi delle questioni politiche e si
era dato al giornalismo, ottenendo di pubblicare O Ouriense, foglio di interesse
locale in cui egli dava sfogo a tutto il suo livore antimonarchico e antireligioso.
All'inizio della repubblica, il lattoniere era l'uomo dell'ora. A soli ventisei anni,
aiutato dai suoi amici massoni, si era iscritto alla loggia di Leiria e più tardi aveva
fondato in Vila Nova de Ourem una loggia della quale era presidente. Fu eletto
amministratore del Concelho, incarico che mantenne fino al 1918. Presidente, nello
stesso tempo, della Camera Municipale e sostituto del giudice del Mandamento,
Artur de Oliveira Santos era la personalità più eminente, più influente e più temuta
del luogo 42.
Appena a conoscenza dei fatti di Fatima, fu preso da un'onda impetuosa di zelo e
decise che le cose non dovevano durare così a lungo. Era necessario soffocare
quell'invasione di misticismo. Che figura avrebbe fatto davanti ai suoi colleghi se il
suo Concelbo fosse diventato centro d'un movimento reazionario contro le
sacrosante istituzioni repubblicane?
Pare una lontana eco delle preoccupazioni dei sinedriti di Gerusalemme: «Che
facciamo? Quest'uomo fa tanti miracoli. Se lo lasciamo fare tutti crederanno in
lui!».
Non c'era in tutto il Concelho chi non avesse paura di presentarsi a lui. Ma c'era in
verità qualcuno che, avendo ricevuto l'ordine di comparirgli davanti con i figli,
compì con franchezza solo metà dell'ingiunzione, presentandosi solo e molto sicuro
di sé. Era il signor Manuel Marto. Ma diamo ancora una volta la parola al buon
vecchietto:
«Il compare Antonio aveva ricevuto lo stesso ordine di presentarsi con la figlia
all'amministrazione di Vila Nova de Ourem il sabato 11 agosto, alle ore 12. Padre e
figlia, di mattino presto, vennero a casa mia. Io stavo ancora sfaccendando quando
entrò Lucia e mi domandò:
- Giacinta e Francesco non vengono?
- Che vengono a fare due bambini di quell'età? No, vengo io e rispondo per essi!
Lucia corse nella stanza di Giacinta e udimmo che la piccina le diceva:
- Se ti ammazzano dirai loro che io e Francesco siamo come te, e che anche noi
vogliamo morire.
Partimmo tutti e tre.
Lucia cavalcava un'asinella e per caso cadde tre volte; il padre camminava con
premura per timore dell'amministratore. Andarono innanzi e, quando giunsi io, li
trovai in piazza.
- Allora, vi siete già informati di tutto?
Ed egli, accaldato e rosso:
- La porta era chiusa e non c'era nessuno.
Non essendo ancora mezzogiorno, aspettammo un poco.
Giunti finalmente in presenza dell'amministratore, egli subito mi domandò:
- E il piccolo?
- Quale piccolo? - chiesi io. Egli non sapeva che i ragazzi erano
tre. E, avendomi ordinato di condurgliene uno, io feci conto di non sapere quale
desiderava.
- Ma, signor amministratore, ci son tre leghe di cammino di qui al nostro villaggio e
i bambini non ce la fanno a piedi, né sono capaci di stare a dorso dell'asino, non
sono abituati.
Ma avevo una gran voglia di dirgli: Due ragazzi di quell'età in tribunale! Però mi
trattenni. Ed egli andò subito in bestia e mi fece, lì per lì, una sonora rampogna.
Ma io me ne infischiai!
Cominciò allora ad interrogare Lucia, tentando di strapparle il segreto, ma ella su
questo punto fu, come sempre, una tomba.
Ad un certo punto si voltò al padre di Lucia e gli domandò:
- Voi, là in Fatima, credete a queste cose?
- No, signore, sono fantasie di donne.
Poi si voltò verso me ed io gli dissi:
- Sono ai suoi ordini: ma i miei figli e io affermiamo le stesse cose. Ed egli, con
sarcasmo:
- Affermate, dunque, che è vero?
- Sì, signore, io credo a ciò che dicono i ragazzi!
Tutti si beffarono di me, ma io non mi scomposi affatto.
Erano presenti alcuni che mettevano tutto su carta. Finalmente ci licenziarono. Ma
l'amministratore fino all'uscita continuò a minacciar Lucia, dicendo che le avrebbe
carpito il segreto anche a costo di toglierle la vita.
Nell'uscire, mi voltai ancora verso l'amministratore e gli dissi: - Tutte le volte che
voi ci chiamerete qui, noi saremo pronti a comparire; ma sarebbe meglio che ci
risparmiaste l'incomodo, perché noi dobbiamo guadagnarci da vivere».
Così terminò la prima intervista di Lucia con le autorità civili. Tornata a casa, la
piccola andò subito in cerca dei cugini che trovò molto tristi, seduti sull'orlo del
pozzo. Si strinsero con effusione in un lungo abbraccio:
- Ah, Lucia - singhiozzava Giacinta - tua sorella ci aveva detto che ti avevano
ammazzata.
Gli innocenti non ricordavano più la predizione della Vergine, che cioè sarebbero
andati prima loro in Cielo.
Capitolo quindicesimo
Era un inganno ...
una vera malvagità
(Ti Marto)
L'amministratore persistette ferocemente nel suo proposito di liquidare il caso di
Fatima. Le istruzioni superiori della massoneria erano precise e rigorose.
Dopo che Lucia era stata col padre e lo zio a Vila Nova d'Ourem, il bellimbusto
venne di persona a dare il colpo di grazia all'impostura.
Parla di nuovo il signor Marto:
«Il mattino del 13 agosto (era un lunedì) avevo appena dato le prime zappate nel
poderetto presso casa mia, quando vennero a chiamarmi perché ritornassi
immediatamente a casa. Giungendo, vidi molta gente al di fuori, ma a questo ero già
abituato. Ciò che trovai strano fu, mentre andavo in cucina per lavarmi le mani, il
vedere mia moglie seduta in un angolo con una espressione triste. Non mi disse
parola, ma mi fece cenni persistenti che mi recassi in sala. Io le risposi ad alta voce:
- Eh, che fretta! Vado!
Mi lavai le mani con tutta calma, presi un asciugamano, e, mentre me le asciugavo,
entrai nella sala e mi comparve l'amministratore. In quell'occasione mi diportai
male perché v'era pure un prete ed io, invece di salutare per primo questi, salutai
l'altro. - Come, Lei qui, signor amministratore?
- Eh già, voglio anch'io assistere al miracolo.
Ebbi un sussulto al cuore.
- Andremo tutti là - continuò egli. - Porto i ragazzi con me sul calesse ... vedere per
credere ... come S. Tommaso.
Ma era nervoso e guardava in tutti gli angoli e diceva:
- Non vengono ancora i fanciulli? Il tempo passa. È meglio farli chiamare.
- Non è necessario. Essi sanno quando devono ricondurre il gregge e prepararsi per
andare alla Cova.
Nel frattempo arrivarono tutti e tre. Egli subito li invitò a montare sul suo calesse. I
piccoli si scusarono, dicendo che non era necessario. Ma egli insisteva:
- È meglio. Così arriviamo in un momento e nessuno vi importunerà per la strada.
- Non s'incomodi, signor amministratore, essi ci vanno ugualmente.
- Sì, ma prima dovremmo andare a Fatima dal signor parroco, perché voglio far loro
alcune domande in sua presenza.
Ci andammo tutti, il padre di Lucia, io ed i tre piccoli. L'amministratore, appena
arrivammo davanti alla veranda della casa parrocchiale, gridò:
- Venga la prima!
Ed io subito:
- La prima, quale?
Io ero sospettoso e prevedevo ciò che poi si avverò. Ed egli con arroganza:
- Lucia!
- Vai, Lucia - dissi.
Essa entrò. Era un inganno, una vera malvagità da parte dell'amministratore. Tutto
questo era solo per riuscire nell'intento. Quando venne la volta di chiamare i miei
disse:
- Non c'è più bisogno: possono andarsene o, anzi, andiamo tutti... perché è già tardi!
43
I piccoli si prepararono a discendere: il calesse, senza che io me ne accorgessi, si era
avvicinato alla scala della veranda. Ora stava a portata di mano e l'amministratore
in un istante fece salire i fanciulli. Francesco si mise davanti e le due ragazze di
dietro.
Il cavallo partì al trotto in direzione della Cova ed io respirai, ma, arrivato al bivio,
fece dietro front e, con uno schioccare di frusta, partì come una saetta. La cosa era
stata ben studiata! ...».
- Non è per di qua che si va alla Cova - azzardò Lucia.
Allora l'amministratore tranquillizzò i fanciulli, dicendo loro che avevano tempo di
andare prima ad Ourem a parlare con il parroco e tornare poi in auto.
Durante il viaggio ci fu chi, riconoscendo il calesse dell'amministratore e i
passeggeri che portava via, gli lanciò sassi. Egli allora avvolse rapidamente i
fanciulli in una coperta per nasconderli agli occhi dei pellegrini che numerosi
andavano verso Fatima. Dopo un'ora e mezzo di trotto, il lattoniere giunse
trionfalmente alla sua residenza coi tre piccoli delinquenti. Ordinò di chiuderli in
una stanza e disse loro che non sarebbero usciti che dopo aver svelato il segreto.
Rimasti soli, i fanciulli non avevano che un pensiero: la visione della bella Signora,
che in quel momento forse li attendeva alla Cova da Iria.
- Se ci uccideranno - diceva Giacinta - fa lo stesso. Andiamo in Cielo. Che gioia!
Rassegnati, per non dir felici, erano pronti ad offrire il sacrificio della propria vita.
In quel 13 agosto però le cose non furono tanto tragiche come sembravano a prima
vista. Invece di comparire il carnefice col coltello in mano per tagliare loro la testa,
apparve una buona signora, D. Adelina dos Santos, moglie dell'amministratore, che
li venne a prendere per dar loro un buon pranzo, lasciandoli in seguito giocare coi
propri figli. Più tardi diede loro alcuni libri illustrati per passatempo. Nella sua
delicatezza femminile e materna cercava di rendere loro più sopportabile quella
terribile ora di forzata reclusione a cui il marito li aveva crudelmente sottoposti. Il
cuore di una madre non si smentisce mai.
Che accadeva intanto alla Cova da Iria?
«Come il giorno 13 luglio - ci racconta la signora Maria de Capelinha - ero giunta di
buon mattino alla Cova da Iria e mi ero seduta presso l'elce sul quale doveva
apparire la Madonna. Vi andai anche questa volta, nonostante il timore che molti
m'incutevano. Si era difatti sparsa la voce che era il demonio che veniva e aspettava
che si radunasse molta gente, per aprire le voragini della terra e inghiottirci tutti.
- Oh signora Maria - mi diceva una donna - non vada alla Cova. Neppur io ci vado,
perché mi dissero, a S. Caterina, che è un angelo cattivo che appare alla Cova per
tirar tutti in inganno, e che si apriranno le voragini della terra per inghiottire la
gente. Non vada, signora Maria, non vada ...
Ma io non avevo alcun timore. Non può essere cosa cattiva, pensavo, perché là si
prega molto.
La Madonna mi guidò secondo il divino volere e ci andai.
Se nel mese di luglio c'era molta gente, questa volta ce n'era molta di più. Molti
venivano a piedi e appendevano i loro sacchetti di provvigioni ai rami degli alberi;
altri venivano cavalcando giumenti, altri in bicicletta; le strade erano piene di carri.
Erano forse le undici quando arrivò Maria dos Anjos, sorella di Lucia, con candelieri
e candele da accendere all'apparizione della Madonna. Attorno all'elce si pregava, si
cantavano inni di chiesa, ma i fanciulli ritardavano. Tutti cominciavano ad
impazientirsi. Arrivò allora un uomo da Fatima e annunziò che l'amministratore
aveva portato via i fanciulli. Si alzò un brontolio. E non so come sarebbe andata a
finire se, in quell'istante, non si fosse udito un forte tuono.
Il tuono era più o meno quello delle altre volte. Alcuni dicevano che veniva dalla
strada, altri dall'elce. A me invece pareva che giungesse da molto lontano ...
Fu uno spavento generale. Il popolo cominciò a disperdersi, allontanandosi
dall'elce. Ma nessuno morì. Al tuono seguì il lampo e subito dopo tutti scorsero una
nube molto bella, bianca e soffice, che si posò per alcuni minuti sopra l'elce e poi,
sollevandosi nel cielo, svanì.
Guardandoci attorno, notammo quello strano fenomeno che già avevamo visto e che
avremmo constatato ancora nei mesi seguenti. Il volto della gente rifletteva tutti i
colori dell'arcobaleno: rosa, rosso, azzurro. Gli alberi sembravano non aver rami e
foglie, ma solo fiori; apparivano tutti carichi di fiori, ogni foglia un fiore. Il suolo era
tutto un mosaico di diversi colori. Anche i vestiti assumevano il colore
dell'arcobaleno. Le due lampade sospese all'archetto splendevano come oro.
Certamente la Madonna era venuta, ma non aveva incontrato i suoi pastorelli. Che
pena per lei essere venuta e non averli trovati!
Appena scomparvero i segni, tutta quella gente s'incamminò verso Fatima gridando
contro l'amministratore, contro il parroco, contro il regedor 44 contro tutti coloro
che si pensava avessero preso parte alla cattura dei fanciulli».
Era tanto il clamore, che si sentiva nno ad Aljustrel.
Il signor Marta, che dopo il ratto dei figli era andato alla Cova da Iria, c'informa di
ciò che avvenne in quell'ora tanto emozionante nella pacifica regione della serra
d'Aire:
«Andiamo a Vila Nova de Ourem a protestare - dicevano alcuni. - Andiamo a
strangolare quel farabutto dell'amministratore! Andiamo a prendere il parroco.
Anche lui è colpevole. Andiamo a fare i conti col regedor! 45
Io dicevo tra me:
- Tutti e tre sono colpevoli.
Ma tutti gridavano tanto da far paura. Allora mi misi a gridare anch'io:
- Calmatevi, ragazzi, non si faccia del male a nessuno. Chi merita il castigo lo
riceverà. Tutto questo è permesso dall'Alto!
Ma essi non volevano saperne. Andarono a Fatima ed io tornai a casa dove trovai
mia moglie in pianto».
In verità, la signora Olimpia, che era andata a Fatima dietro i suoi figli, temendo che
capitasse loro qualcosa di male, tornò subito indietro appena seppe che glieli
avevano portati a Vila Nova e corse a casa della cognata a darle la triste notizia:
- Ah, come siamo sfortunate, comare ... Han portato i nostri figli in prigione. Che
sarà di noi?
Ma la signora Maria Rosa era assai poco allarmata per la prigione della figlia, anzi
sembrava contenta:
- Se essi hanno mentito, è bene che ricevano il castigo. E se han detto la verità, la
Madonna li saprà difendere.
- La tua è una sola - singhiozzava la signora Olimpia - ma noi, noi ne abbiamo due ...
e son tanto piccoli!
E la madre afflitta non poteva tranquillizzarsi.
Capitolo sedicesimo
Fece preparare
una caldaia d'olio bollente
(Lucia)
Spuntò triste il giorno 14 agosto per i piccoli reclusi nella residenza
dell'amministratore di Vila Nova d'Ourem.
Giacinta, più che gli altri sentiva l'assenza della mamma! Ma pazienza! Giunsero le
manine, chiesero alla Vergine la forza d'esserle sempre fedeli.
Non tardò molto che cominciarono gli opprimenti interrogatori. E la prima
inquisitrice fu una vecchietta che usò le maggiori astuzie per strappar loro il famoso
segreto.
Erano forse le dieci, quando i tre delinquenti furono condotti nell'ufficio
dell'amministrazione. Nel breve tragitto incontrarono un buon sacerdote che non li
conosceva ancora, il dr. Don Luis de Andrade e Silva, al quale baciarono la mano, e
al quale Lucia raccontò semplicemente ciò che era avvenuto il giorno innanzi.
Nell'ufficio dell'amministrazione l'interrogatorio fu serrato; ma né le minacce né le
promesse ottennero dai piccoli la tanto desiderata confessione. Le luccicanti monete
d'oro, che l'amministratore faceva tinnire sopra il tavolo e la splendente catena che
metteva sotto i loro occhi, non indebolirono la straordinaria forza morale dei piccoli
eroi. Per il pranzo furono ricondotti in casa dell'amministratore ove la moglie
profuse ancora ogni bene.
Nel pomeriggio nuovi interrogatori, nuovo supplizio per i poveri fanciulli. Fu allora
che li rinchiusero nella pubblica prigione, dicendo loro che sarebbero rimasti là
finché fossero gettati in una caldaia di olio bollente.
Vi passarono lunghe ore, col cuore angosciato nell'aspettativa di una morte crudele.
Le lacrime erano più abbondanti sugli occhi di Giacinta, la quale, cercando di
nasconderle, si cacciò nel vano della finestra, prospiciente la piazza del mercato.
Lucia, più coraggiosa, in un sentimento di materna tenerezza per i cugini, si
avvicinò alla piccina e le domandò:
- Perché piangi, Giacinta?
- Perché dobbiamo morire senza vedere i nostri genitori. Né i tuoi, né i miei son
venuti a vederci. Non s'interessano più di noi. lo volevo almeno veder la mamma!
E Francesco, ometto fatto per la sofferenza, incoraggiò la sorellina: - Non piangere.
Offriamo questo sacrificio per la conversione dei peccatori.
E i tre, alzando le mani, ripeterono ancora una volta: - O mio Gesù, è per voi e per i
poveri peccatori.
Allora Giacinta riprese animo, e, non avendo dimenticato nessuna
raccomandazione della Vergine, aggiunse:
- Anche per il Santo Padre e in riparazione delle offese commesse contro il Cuore
Immacolato di Maria!
Nessun cuore, per quanto impietrito, avrebbe potuto reggere di fronte a quella
scena. Gli altri detenuti attorniarono i piccoli e, inteneriti, cercarono di consolarli e
smuoverli dal loro proposito. - Ma ditelo, il segreto, al signor amministratore. Che
v'importa che la Signora non voglia?
- Questo no - interruppe Giacinta. - Piuttosto vogliamo morire! E il volto della
piccola brillò in tal maniera che certo il suo splendore non poté non illuminare
quegli occhi, spenti alla luce della fede.
Una serena giocondità traspariva anche dalla purezza dello sguardo di Lucia e di
Francesco, che, dimentichi per alcuni minuti di essere in carcere, tornarono alla
spensieratezza della loro età.
Ma fu come un raggio di sole fuggente in un giorno d'inverno, poiché le lacrime
tornarono a brillare sugli occhi di Giacinta che non poteva rassegnarsi all'idea di
morire senza veder ancora una volta la mamma.
I prigionieri, compassionevoli, li attorniarono di nuovo, incapaci di sopportare la
vista delle lacrime di quegli innocenti, e per distrarli si misero a cantare e a ballare
al suono di una fisarmonica. In breve Giacinta, asciugandosi le lacrime, accettò
l'invito di ballare con uno di quelli. Ma la coppia era di proporzioni un po' troppo
diverse e allora il cavaliere sollevò la damina fra le braccia come una piuma e ballò il
fandango tenendola al collo. Però non era possibile che passasse molto tempo senza
che Giacinta ricordasse la bella Signora e le sue raccomandazioni: non era, certo, il
ballo la preparazione prossima al martirio.
Toltasi la medaglia dal collo pregò il suo cavaliere di appenderla al muro.
S'inginocchiò e, imitata subito dal fratello e dalla cugina, iniziò il rosario.
Istintivamente s'inginocchiarono anche i detenuti e, siccome uno aveva il capo
coperto, Francesco si alzò, gli si avvicinò e gli disse:
- Quando si prega bisogna scoprirsi.
Con un gesto d'impazienza, l'uomo gettò il cappello a terra, ma il ragazzo,
gentilmente, lo prese e lo pose sopra uno sgabello. Quanto doveva essere gradito
alla Regina del Cielo quel rosario e il fervore col quale i bambini domandavano la
conversione dei peccatori. I primi furono certamente i loro compagni di reclusione.
L'improvviso rumore del catenaccio del portone fece accelerare i battiti del loro
cuore. Entrò una guardia e ordinò seccamente ai fanciulli di seguirla. La seguirono
fino all'amministrazione, dove, ancora una volta, furono martoriati dalle inchieste.
Il signor Artur de Oliveira Santos voleva ad ogni costo sapere il segreto, anche se
per questo fosse stato necessario rinnovare le prodezze dei grandi persecutori della
Chiesa primitiva.
In presenza dei piccoli dà ordine di empire una caldaia d'olio e di farlo bollire per
gettarvi poi gli impostori ostinati che non vogliono rivelare il segreto. Intanto li fa
chiudere in una stanza vicina.
La prima ad essere chiamata è Giacinta, che subito si avvia al supposto supplizio,
senza neppur dire addio al fratellino e alla cugina.
- L'olio è bollente. Rivela il segreto ... Altrimenti! ... Giacinta trema come una foglia,
ma sta muta.
- Su - ordina l'amministratore. - Portatela via e gettatela nella caldaia.
Entra una guardia con aspetto feroce, afferra la povera Giacinta per un braccio e va
a chiuderla in un'altra stanza.
- Ah Gesù! Aiutatemi, Madonna! - mormora la piccola. Tuttavia si mantiene ferma;
una forza celeste la rende salda.
Durante l'interrogatorio della sorellina, Francesco, al quale la Vergine più che alle
bambine, forse, aveva comunicato la nostalgia del Cielo, confida a Lucia:
- Se ci ammazzeranno, come dicono, fra poco saremo in Cielo! Oh, che felicità!
Nessun'altra cosa mi preoccupa!
E poco dopo:
- Voglia Iddio che Giacinta non abbia paura! È meglio che io dica un'Ave Maria per
lei.
Così dicendo, si toglie il cappello e comincia a pregare. La guardia trova strana una
tale attitudine e gli domanda: - Che stai dicendo?
- Dico un'Ave Maria perché Giacinta non abbia paura.
Passano momenti che sembrano secoli. Si apre nuovamente la porta e appare
un'altra volta il boia che dà la mano a Francesco: - Quella è già fritta. Ora a te ... Su,
metti fuori il segreto.
Con una calma celestiale il piccolo alza il suo candido sguardo sul nuovo Nerone e
dice:
- Non posso, signor amministratore. Non posso dirlo a nessuno.
- No? Vedremo ... Ecco, portatelo via - dice l'amministratore
all'ufficiale. - Avrà la sorte della sorella.
La pesante mano dello sbirro afferra il tenero agnellino, per il quale la morte è un
premio e non un castigo; ma nella stanza vicina, invece d'una fornace e d'una
caldaia, trova la sorellina sana e salva, tutta sorridente.
Lucia, rimasta sola, convinta che tutto quello non era una commedia, ma una cruda
tragedia, si raccomanda alla sua celeste patrona, perché non l'abbandoni in un
frangente così doloroso. Se il figlio delle tenebre nulla aveva ottenuto dai più deboli,
tanto meno otterrà dalla forte e intrepida Lucia.
Alcuni minuti dopo i tre si abbracciavano, pieni d'allegria, dopo essere passati
incolumi attraverso la prova del fuoco e, inginocchiati a terra, ringraziavano ancora
una volta la buona Signora della Cova da Iria per la protezione che tanto largamente
aveva loro accordata. Nessuno dei tre aveva titubato. La Signora doveva essere
contenta di loro.
L'amministratore tuttavia non si dà per vinto e passa all'ultima carica. Di nuovo la
guardia appare innanzi ai piccoli e dice loro che presto saranno gettati tutti e tre
assieme nella caldaia d'olio bollente. Era una prova di più da superare: impavidi,
forti della forza della Vergine, stettero in attesa dell'ora del tanto sospirato martirio,
per poter entrare finalmente e per sempre in Cielo.
Ma la Vergine non aveva ancora completato l'opera iniziata sulle aspre pendici della
serra d'Aire. Era necessario che le sofferenze continuassero a perfezionare quelle
care animucce, che avrebbero formato per tutta l'eternità la sua gloria e l'incanto
degli spiriti celesti.
A sera, in casa dell'amministratore, una insolita allegria traspariva dal volto dei
piccoli confessori della fede.
Il giorno seguente, festa dell' Assunzione, dopo altri interrogatori inconcludenti,
perduta la partita, l'amministratore caricò i piccoli sul calesse e li riportò alla
veranda della residenza del parroco di Fatima.
Capitolo diciassettesimo
Non tormentatemi che ne ho
già basta dei miei crucci ...
(Ti Marto)
Appena terminata la S. Messa, il parroco si ritirò dall'altare e il popolo sfollò. I
discorsi naturalmente non potevano essere estranei ai fatti che torturavano gli
spiriti e andavano di bocca in bocca. Qualcuno s'appressò al signor Marto e gli
domandò notizie dei figli.
- Non so nulla di essi... Forse li han portati a Santarém ... Chissà dove sono ... Lo
stesso giorno che furono rapiti, il mio figliastro Antonio li seguì con altri giovani e
mi dissero d'averli visti giocare sul balcone del signor amministratore ... Sono le
ultime notizie ... Da allora non seppi più nulla.
«Avevo appena finito di parlare - racconta il signor Marto - che mi sento chiamare:
- O signor Marto, eccoli sulla veranda del parroco!
In un attimo fui là e abbracciai la mia Giacinta. Non potevo parlare, perché le
lacrime mi cadevano fino a bagnare il visino della piccola.
Francesco e Lucia mi si strinsero attorno e mi dissero: - Papà, zio, dateci la vostra
benedizione!
Fu allora che si presentò un ufficiale, che era al servizio dell'amministratore.
Tremava, tremava tanto che mai vidi una persona tremare così.
- Andiamo, mi disse, ecco i vostri fanciulli.
Una forza arcana mi obbligava a parlare e non potei trattenermi:
- Tutto questo poteva portare a ben tristi conseguenze, ma, grazie a Dio, non è
successo nulla.
Avrebbero voluto che i bimbi si smentissero, ma non furono capaci di convincerli; e
se anche ci fossero riusciti, c'ero sempre io a confermare il vero.
Si sentiva intanto un grande tafferuglio nell'atrio: mani in aria, bastoni alzati, una
indescrivibile confusione. Il parroco, che era in chiesa, andò subito in giardino, salì
la scala e, pensando che fossi io a far baccano, mi disse:
- O signor Manuel, volete inscenare uno scandalo?
Ma io gli seppi rispondere a tono ed egli si ritirò subito in casa. Allora arrivai alla
scala, sempre con la piccola in collo, e, rivolgendomi al popolo, dissi:
- Ragazzi, diportatevi bene! Alcuni di voi gridano contro il parroco, altri contro
l'amministratore, altri contro il regedor. Qui non vi ha colpa nessuno. La colpa è
della cattiva fede. E tutto è permesso dal potere dell'Alto!
Il parroco, che udì, rimase molto contento e disse dalla finestra: - Dice bene il
signor Marta, dice molto bene!
Frattanto arrivò l'amministratore, che era stato all'osteria, e si presentò dicendomi:
- Non pensateci più, Ti Marto!
- Bene, bene - risposi io - Non c'è più niente da dire.
Entrò nello studio del parroco, facendomi cenno di seguirlo, e disse al sacerdote:
- La conversazione dell'Abòbora mi piace di più, ma, per il momento, preferisco
intrattenermi col Ti Marto.
Il parroco gli osservò:
- Sa, signor amministratore, anche la religione è necessaria! Sul punto di
congedarci, l'amministratore mi disse:
- Ti Marto, andiamo a bere un bicchiere di vino!
- Non è necessario, grazie!
Ma intanto, vedendo sotto la scala un gruppo di giovanotti armati di bastoni, mi
venne il dubbio che volessero assalire l'amministratore. Mi misi al suo fianco e gli
dissi:
- Forse conviene che io assecondi la vostra proposta.
- Vi sono molto riconoscente - rispose soddisfatto.
Prevedeva infatti il brutto tiro che gli avrebbero giocato e cosi si sentiva le costole
meglio protette ...
Quando arrivammo in fondo alle scale, mi disse ad alta voce: - Potete domandare ai
fanciulli se io li ho maltrattati.
- Bene, bene, signor amministratore; non c'è dubbio - risposi.
Ma il popolo è più curioso di me e vuol sapere come sono andate le cose.
Comparvero allora i fanciulli e senza perdere tempo s'avviarono alla Cova da lria,
dicendo che vi andavano a pregare. La gente cominciò a ritirarsi adagio adagio e noi
entrammo nella locanda prossima al cimitero. Ci appartammo in una saletta ed egli
ordinò pane, vino e formaggio.
Parlammo del più e del meno, ma poi egli voleva convincermi che i fanciulli gli
avevano comunicato il segreto. Gli risposi con calma:
- Ma sì... ma sì; non lo raccontarono ai genitori e l'avranno raccontato al signor
amministratore!
Quando uscimmo dall'osteria, il calesse era pronto alla porta. Mi accomiatai. Ma,
siccome dovevo andare alla posta, che è sulla strada di Vila Nova, mi obbligò a salire
sul suo calesse, nonostante che l'ufficio fosse vicino. Salii, e ci fu chi disse:
- Si vede che il signor Marto ha parlato troppo, e il lattoniere lo porta via».
Il ritorno dei piccoli reclusi causo immensa gioia non solo alle famiglie dei veggenti,
ma anche a molta gente che, specie dopo i fatti straordinari del giorno 13, era
definitivamente convinta della soprannaturalità degli avvenimenti.
Colei che provò maggior gioia fu, senza dubbio, la signora Maria da Capelinha. Il
suo cielo tuttavia non era sgombro di nubi. Contro suo volere, era diventata la
depositaria delle offerte che i devoti gettavano sopra la piccola mensa che, adornata
di fiori, aveva messo di fronte all'elce benedetto.
È lei che parla del suo imbarazzo:
«Appena alla Cova ci si rese conto che i fanciulli erano stati rapiti, e si videro i
segnali del cielo, cominciò una pioggia indescrivibile di denaro sopra la mensa.
Il popolo si avvicinava, spingeva, urtava, e c'era pericolo di gettare tutto a terra:
Allora mi sentii ripetere da varie parti:
- Buona donna, togliete il denaro! Abbiatene cura! Guardate che non si perda! ...
Io avevo con me il sacchetto della merenda e vi introdussi il denaro. A sera, quando
la gente s'era diradata, notai il figlio maggiore della signora Olimpia, Antonio, e,
chiamatolo, gli dissi:
- Vieni qui, per piacere.
Venne, ma quando seppe di che si trattava, non mi diede risposta e se ne andò.
Portai allora il denaro a casa mia. Lo contammo. Erano, se ben mi ricordo,
tredicimila quaranta reis. Il sacchetto pesava assai: eravamo al tempo dei ventini, e
dei 10 reis. Fu per questo che il giorno seguente, 14 agosto, dissi a mio marito che
era meglio fossimo andati noi due a portare il denaro a casa del signor Manuel
Marto.
Giunti, trovammo in casa la signora Maria Rosa e il parroco. Mi pare ancora di
vederlo, appoggiato alla parete. Anzi, io mi mostrai persino maleducata, perché
presentai il denaro al signor Marto invece di consegnarlo al parroco. Ma il padre di
Giacinta non volle in nessuna maniera accettarlo:
- Non tormentatemi, che n'ho già basta dei miei crucci.
Lo presentai allora alla mamma di Lucia, ma essa, tutta indispettita, mi disse:
- Dio me ne liberi ... non voglio denaro io!
Non sapevo più che farmi; allora mi rivolsi al parroco, che ricusò con pari fermezza.
Nessuno lo voleva: pareva denaro maledetto.
Mi indispettii non poco. E dissi: - Tant'è; non è mica mio e vado a metterlo dove l'ho
preso.
Allorà il parroco mi calmò:
.
- Non fate questo, buona donna ... contatelo e consegnatelo a qualcuno che lo
custodisca finché si veda come andranno a finire le cose.
Alcuni giorni dopo, si presentarono a casa mia quattro uomini che volevano la
somma per iniziare la costruzione di una cappellina. Risposi loro che non avrei
consegnato neppure un centesimo. Ma mi pentii perché avrei dovuto informarne
prima il parroco. - Io non me ne impiccio - mi rispose, quando lo informai ­ ma
neppure io gliel'avrei consegnato. Essi non hanno alcun diritto di pretendere quei
soldi. D'altronde, fate quel che volete ...
Era un bel fastidio non poterlo dare a chi desideravo e rifiutare a chi me lo chiedeva.
Spuntò il 19 agosto, domenica. Andai a Fatima alla prima Messa, dopo la quale vidi
il padre di Lucia, nell'atrio, e la bambina che gli giocava vicino. Ne approfittai per
schiarire alcune cose che l'avevano addirittura indignato contro di me. Molte
persone infatti, mi avevano consigliato di stare in guardia, perché, incontrandomi in
un momento di ubriachezza, avrebbe potuto farmi del male. Qualcuno affermava di
averlo udito pronunciare una mezza minaccia:
- Se prendo nella Cova da Iria la donna di Moita, non la passa liscia!
Avvicinatami a lui e vistolo normale, gli dissi:
- Mi consta che voi, signor Antonio, vi siete offeso perché io vado alla Cova da Iria a
portar fiori. Son venuta a chiedervi il permesso di continuare ...
Ed egli:
- Portate fiori finché vi pare, ma una cappella nel mio campo non la voglio, no, non
la voglio: nego e negherò ogni permesso. Già altri me lo chiesero, ma io non
acconsentirò per non incoraggiare maggiormente i bambini. Se essi hanno mentito,
è bene che li portino via. Ad ogni modo, se sono veritieri, non capiterà loro alcun
male.
Lo trovai di buoni sentimenti. Aveva confidenza nella Madonna. - Mi hanno riferito
- continuò - che voi avete raccolto molto denaro nel mio campo, ma io non lo voglio.
- Anch'io non lo voglio - risposi alterata.
- Allora che ne fate?
- Non so, ma farò celebrare Messe secondo le intenzioni degli oblatori.
Nello stesso tempo mi era venuto il pensiero di dire a Lucia che domandasse alla
Madonna che cosa bisognava farne.
- Sì, - mi rispose la piccola, - non preoccupatevi, glielo domanderò la prossima
volta.
Ne rimasi sollevata.
La risposta infatti non si fece attendere molto. Pochi giorni dopo, Lucia, incontrata
la signora Maria Carreira nella Cova da Iria, le comunicava il desiderio della Signora
sull'impiego del denaro. Con quello - le aveva risposto la Vergine - si dovevano
comprare due portantine, una delle quali doveva essere sorretta da Lucia, da
Giacinta e da due altre bambine vestite di bianco, e l'altra da Francesco con altri tre
fanciulli vestiti pure di bianco. Il denaro raccolto nelle portantine avrebbe dovuto
servire per la festa della Madonna del Rosario.
Ma la signora Maria non era pienamente soddisfatta.
- Lucia, mi rincresce che il denaro non si adoperi per erigere una cappella, e tu che
ne dici?
- Anche a me rincresce, ma la Madonna comandò così; bisogna fare come ella
ordina.
- Lucia, quando il giorno 13 settembre la Madonna tornerà, domandale se vuole una
cappella.
Capitolo diciottesimo
Oh zia, abbiamo visto
ancora la Madonna!
(Giacinta)
In quella domenica, 19 agosto, i tre pastorelli andarono a recitare il rosario alla Cova
da Iria, dopo la Messa parrocchiale. Ad essi s'unirono altre persone e la sorella di
Lucia, Teresa, col marito e il sjgnor Alves, di Moita, il quale, dopo la recita, invitò i
fanciulli a casa sua e offrì loro un pranzo. Ma la madre di Lucia non gradì affatto
questo invito, perché pensava che la figlia avrebbe dimenticato che le pecore
l'attendevano per il pascolo della sera. Lucia però era già una donnina giudiziosa e
non dimenticava i suoi doveri. Infatti alla solita ora si trovava in Aljustrel con
Francesco e Giovanni, fratello maggiore del piccolo veggente. Davanti alla casa,
Giacinta fu trattenuta dalla mamma, che voleva pettinarla. I tre dunque partirono,
senza Giacinta, verso un campo vicino che apparteneva ad uno zio di Lucia, nella
località Os Valinhos (piccole valli).
Erano, forse, le quattro del pomeriggio quando Lucia notò le alterazioni
atmosferiche che solevano precedere le apparizioni della Madonna: un improvviso
rinfrescarsi della temperatura, l'oscurità del sole, il caratteristico lampo! 46.
- Viene la Madonna - pensò Lucia. - E Giacinta non è presente! Allora gridò a
Giovanni:
- O Giovanni, va a prendere Giacinta in fretta, ché viene la Madonna!
Ma il ragazzo non voleva andare, perché anche lui voleva vedere la Madre del Cielo.
- Va, va in fretta - insistette Lucia. - Ti dò due ventini se l'accompagni qui... Prendi
ne uno, l'altro è per quando tornerai.
Il ragazzo, intascando la moneta, partì di corsa e in cinque minuti era alla porta di
casa.
- Mamma, Lucia manda a chiamare Giacinta.
- Non siete sufficienti in tre per giocare? - disse la signora Olimpia. - Non può stare
il prete senza il sagrestano! Ma il ragazzo insisteva:
- Lasciala venire, mamma, perché è necessaria la sua presenza!
- Necessaria? Perché? Non me lo dici?
- Guarda, Lucia mi diede persino un ventino perché la conduca là.
E la signora Olimpia:
- Un ventino? ora voglio sapere perché lei desidera Giacinta. Giovanni bruciava
d'impazienza e borbottò:
- Ma perché Lucia ha già notato nel cielo i segni della Madonna e vuole subito
Giacinta!
- Che il Signore vi benedica! ... Giacinta è in casa della madrina. Il piccolo non
desiderava che questo. E partì come un fulmine. Trovatala, le sussurrò all'orecchio
due paroline che la resero più impaziente di lui. Si presero per mano e corsero
difilato ai Valinhos ove la Vergine li attendeva.
Incuriosita, la signora Olimpia li seguì, desiderosa di approfittare dell'occasione,
forse unica. Ma non arrivò in tempo essendosi trattenuta dalla madrina che le
andava raccontando di aver visto i fanciulli andar di corsa nella direzione dei
Valinhos.
Anche Giovanni fu sfortunato: tutto il suo guadagno furono i due ventini di Lucia:
per consolarsi, li faceva tinnire in tasca. A sera, interrogato dalla mamma, confessò
d'aver sgranato tanto d'occhi senza riuscire a scorgere nulla. Aveva sentito soltanto
come lo scoppio di un razzo nell'aria, quando Lucia, dopo la conversazione con la
Signora, aveva esclamato:
- Guarda Giacinta, la Signora va via!
Come accadeva alla Cova, solo i tre privilegiati videro la celeste Signora: nei disegni
della Provvidenza divina erano essi gli unici depositari del messaggio del Cielo.
Al primo lampo aveva fatto seguito un secondo e fu in quel momento che giunsero
Giacinta e Giovanni. Alcuni istanti dopo, la splendente Signora appariva sopra un
elce molto più alto di quello della Cova.
La cara Madre del Cielo ricompensava i suoi tre piccoli amici che le erano rimasti
fedeli in circostanze tanto difficili.
- Che volete da me? - domandò ancora una volta Lucia con una confidenza tutta
filiale.
- Voglio che continuiate ad andare alla Cova da Iria il giorno 13 e che continuiate a
recitare il rosario tutti i giorni.
Lucia chiese nuovamente alla Signora un miracolo affinché tutti credessero.
- Sì - rispose la Vergine. - Nell'ultimo mese, in ottobre, farò il miracolo perché tutti
credano alle mie apparizioni. Se non ti avessero portata a Vila Nova il miracolo
sarebbe stato più strepitoso. Verrà S. Giuseppe col Bambino Gesù per dar la pace al
mondo. Verrà anche Nostro Signore a benedire il popolo. Verrà anche la Madonna
del Rosario e la Madonna Addolorata.
Lucia si ricordò dell'incarico che le aveva dato la signora Maria Carreira e domandò:
- Che cosa desiderate che si faccia del denaro e delle altre offerte che il popolo lascia
alla Cova da Iria?
- Si facciano due portantine; una la porterai tu, Giacinta e altre due bambine
biancovestite; l'altra la porterà Francesco e tre altri bambini, rivestiti pur essi di
mantello bianco. Il denaro delle portantine è per la festa della Madonna del Rosario
47.
La pia fanciulla non dimenticò gli ammalati che le erano stati raccomandati e
fervorosamente pregò per la loro guarigione.
- Sì, alcuni li guarirò durante l'anno - fu la risposta della visione. E, prendendo un
aspetto molto triste, la Madonna aggiunse:
- Badate che molte anime vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi e preghi
per loro: pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori.
Quindi la Vergine s'accomiatò dai suoi piccoli amici e salì, come al solito, in
direzione d'oriente, lasciando nell'anima dei pastorelli una grande nostalgia del
cielo, un grande desiderio, una vera fame di sacrifici per aprire a tanti poveri
peccatori la porta del paradiso. I tre fanciulli, che nella Cova da Iria con dolore
avevano visto i devoti strappare dall'elce i rami sui quali s'erano posati i piedi
immacolati della Vergine, questa volta strapparono essi stessi il ramoscello sopra il
quale si era posata la tunica della bianca Signora. Francesco e Giacinta lasciarono
Lucia e Giovanni a custodire il gregge e tornarono trionfanti ad Aljustrel per
annunziare la buona notizia ai genitori, recando in mano il prezioso ricordo.
All'ingresso del villaggio, sulla porta della casa di Lucia, stava la signora Maria
Rosa, la figlia Maria dos Anjos e altre persone. «Tutta accalorata - così ci dice Maria
dos Anjos - Giacinta con molta fretta disse a mia madre:
- Zia, ai Valinhos abbiam visto di nuovo la Madonna.
- Ah, Giacinta! Quante bugie! Sta a vedere che la Madonna va ad apparire in tutti gli
angoli dove andate voi!
- Ma sì che l'abbiam vista! - insisteva la piccola. E, indicando la fronda che aveva in
mano, continuò:
- La Madonna aveva un piede su questo ramoscello e l'altro su questo.
- Dammi qua! Lascia vedere!
Giacinta glieli porse e mia madre li odorò:
- Ma che profumo è questo? - e continuava a odorare. - Non è profumo ... Non è
incenso ... Non è saponetta ... Non è profumo di rosa o d'altro che io sappia ...
Eppure è un profumo delizioso.
Tutti volemmo odorarli e tutti li trovammo molto profumati. Infine la mamma li
pose sopra il tavolo e disse:
- Lasciali qui, e vedremo se qualcuno saprà dire che profumo è mai questo.
Ma alla sera i ramoscelli erano scomparsi né sapemmo come. Sembra che da quel
momento la mamma cominciasse a sospettare che i fatti fossero realmente veri e
che il papà fosse meno contrario a Lucia, tanto che quando noi, sorelle, la
deridevamo, egli diceva che la lasciassimo in pace perché poteva esser vero ciò che
ella affermava.
Il giorno 13 ottobre quando Lucia disse: - Ecco, la Madonna va via - la mamma
percepì lo stesso profumo».
Però nella scomparsa degli odorosi ramoscelli non c'era nulla di misterioso. Appena
la signora Maria Rosa era tornata alle sue occupazioni domestiche, Giacinta era
entrata furtivamente in casa e li aveva presi per farli vedere anche ai suoi genitori.
Il signor Marto - come ci racconta egli stesso - solo a sera seppe la notizia
dell'apparizione della Vergine ai suoi figli.
«Ero andato, in quel giorno, a fare un giro nel campo e al tramontar del sole feci
ritorno. Quando stavo per entrare, incontrai un amico che mi disse:
- Oh, Manuel! Il miracolo s'è avverato ancora una volta.
- Io non so niente - risposi.
- Proprio?
- Io no. Che posso sapere?
- Ebbene, dovete sapere che la Madonna è apparsa poco fa, al Valinhos, ai vostri
figli e alla ragazza di Abòbora. È proprio vero, e io dico che la vostra Giacinta ha una
certa virtù. Essa non era andata con gli altri e vennero qui a chiamarla. E solo
quando arrivò essa, apparve la Madonna.
Scrollai le spalle, senza dir parola, ma entrai in casa pensando al fatto. Mia moglie
non c'era. Andai in cucina e mi sedetti. Subito entrò Giacinta contenta, con i
ramoscelli in mano, e mi disse:
- Guarda, papà, la Madonna ci è apparsa un'altra volta ai Valinhos. Nello stesso
tempo si sentì un profumo tanto forte che io non sapevo spiegare. Stesi la mano per
prendere i ramoscelli e le dissi: - Che cosa porti in casa?
- Sono i ramoscelli sui quali pose i piedi la Madonna.
Ne aspirai il profumo, ma già era scomparso».
Capitolo diciannovesimo
Pregate ... e fate sacrifici
per i peccatori ...
(La Madonna)
Le conversazioni dei bambini non potevano svolgersi se non attorno alle parole
della Vergine, alcune delle quali si erano scolpite profondamente nell'anima loro.
«Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori. Badate che molte anime
vanno all'inferno perché non c'è chi si sacrifichi e preghi per esse».
La visione dell'inferno e delle anime dei dannati - brage trasparenti e nere,
fluttuanti in un mare di fuoco, grida e gemiti spaventosi di dolore e di disperazione non poteva cancellar si tanto facilmente dall'infantile immaginazione dei piccoli. La
Vergine ora aggiungeva che erano molte le anime che andavano in quel luogo di
tormenti perché non c'era chi si sacrificasse per loro.
«Ah, potessimo con i nostri sacrifici chiudere per sempre le porte di quella terribile
fornace, potessimo fare in modo che tutti i peccatori si mettessero sulla strada del
cielo!». Era la preoccupazione costante dei loro cuori.
Passavano così ore ed ore, tra le rocce del Cabeço, prostrati al suolo, a ripetere
l'orazione dell'angelo:
«Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo. Vi domando perdono per quelli che non
credono, non adorano, non sperano e non vi amano».
E quando la scomoda posizione diveniva loro intollerabile, si mettevano a recitare la
corona, non dimenticando di intercalare tra i misteri la giaculatoria che la Signora
aveva loro insegnato:
«O mio Gesù, perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno, portate tutte le anime in
Cielo, specialmente le più bisognose».
Nella pratica della mortificazione emulavano gli eremiti della Tebaide. Volevano
convertire molti - perché non tutti? - peccatori. E il loro cervellini lavoravano
continuamente per escogitare nuovi generi di sofferenze e di tormenti.
Nessuno aveva il minimo sospetto di tante fervorose preghiere, di tante dure e
ininterrotte penitenze. Se Lucia non ne avesse alzato il velo, noi non avremmo
neppur immaginato il grado di quell'infantile eroismo.
- Perché non parlaste mai della raccomandazione della Vergine di offrire sacrifici
per la conversione dei peccatori? - le si domandò più tardi, in convento.
- Perché non volevamo che altri ci interrogasse sui sacrifici che facevamo.
È la risposta dell'umiltà.
Son pochi gli atti di mortificazione che Lucia descrive nel suo manoscritto e quasi
tutti si riferiscono a Giacinta; sono però sufficienti per illuminare questi tre piccoli
giganti della santità cristiana.
Passiamone in rassegna qualcuno.
La sete, il tormento più duro a sopportarsi d'estate, nell'aridità della serra, era una
delle mortificazioni preferite.
Giunsero a passar nove giorni senza bere, e perfino un mese, il mese di agosto!
Una volta, tornando dalla Cova da Iria, ove erano andati a recitare il rosario, e
passando presso il laghetto di Carreira, sudicia pozzanghera ove si lavano i panni e
gli animali entrano a bere, Giacinta disse a Lucia:
- Ho tanta sete e mi duole molto il capo! Vado a bere un po' d'acqua.
- Di questa no - le rispose la cugina. - Mia mamma non vuole che la beviamo perché
fa male. Andiamo a chiedere un po' d'acqua alla zia Maria dos Anjos, qui vicino.
- No - interruppe la bambina - l'acqua buona non la voglio; avrei bevuto questa
perché, invece di offrire a Gesù la mia sete, gli avrei offerto il sacrificio di bere
quest'acqua sporca.
Altre volte era la frutta che serviva come materia dei loro sacrifici. Giocavano un
giorno vicino al pozzo, quando la signora Olimpia venne a portar loro alcuni
grappoli d'uva.
- Non mangiamoli - risolvette Giacinta, quando la mamma si fu allontanata - e
offriamo questo sacrificio per i peccatori.
E avendo visto sulla strada alcuni bambini poveri corse ad offrir loro la frutta.
Altra volta, la mamma di Giacinta aveva recato loro un bel cesto di fichi. I piccoli,
già seduti a terra, si disponevano a mangiarli, quando Giacinta si ricordò dei suoi
peccatori. Rimise il fico, che già aveva in mano, nel cesto e s'allontanò rapidamente
per la paura di cedere alla tentazione.
Così, andando tutti e tre a raccogliere alcune erbe che allignavano tra le pietre,
Giacinta toccò un'ortica e, come chi fa una scoperta preziosa, esclamò:
- Ecco un'altra cosa con cui possiamo mortificarci!
Mentre pascolavano il gregge, trovato un pezzo di corda, Lucia, come per gioco, se la
strinse attorno ad un braccio e accorgendosi che la corda faceva male:
- Questa sì che fa soffrire; possiamo stringercela alla vita e offrire a Dio questo
sacrificio.
L'asprezza e la grossezza della corda, rendevano il supplizio orribile e Giacinta, più
delicata, doveva soffrire talvolta atrocemente. Le sfuggivano le lacrime per la
veemenza del dolore, ma quando Lucia la consigliava di torgliersela, rispondeva:
- No, non voglio rifiutare questo sacrificio a Gesù.
Neppure a sera, coricandosi, si toglieva quel cilicio; fu necessario che la Madonna,
nella sua apparizione di settembre, vietasse loro di dormire con la corda alla vita.
Mentre i tre piccoli, perfettamente docili alla grazia divina, cercavano di
accontentare in tutto la buona Signora, i nemici della religione non si davano pace,
finché non avessero visto annientati quei nuovi possenti germi della fede nella
«Terra di Santa Maria».
Capitolo ventesimo
S. Giuseppe, la Madonna e il
Bambino Gesù anch’essi fuggirono
(Ti Marto)
Un altro personaggio entra ora in scena: è il signor José do Vale, redattore del
giornale O Mundo, uomo anarchico sotto l'aspetto politico, e ateo sotto quello
religioso. «Frequentava l'osteria e sotto l'influsso del vino scriveva con vivacità»,
dice Rocha Martins. Ora, quest'uomo ebbe la felice idea di farla finita una volta per
sempre, per mezzo di un comizio, con le fantocciate di Fatima.
Fece distribuire a Torres Novas, a Vila Nova de Ourém ed in altri paesi vicini, dei
volantini pieni di invettive contro le supposte apparizioni, contro i preti, contro i
gesuiti, i soliti autori delle piaghe che infestavano la nazione. Infine esortava tutto il
popolo liberale a radunarsi, la domenica seguente, a Fatima dove, al termine della
messa parrocchiale, si sarebbe tenuto un comizio per smascherare i commedianti
della Cova da Iria 48.
Com'era naturale, la notizia si sparse in un attimo per tutti i paesi all'intorno. Ciò
preoccupava abbastanza il parroco, il quale, per evitare che le cose prendessero una
cattiva piega, dispose che la Messa grande di quella domenica si celebrasse nella
cappella della Madonna da Ortiga. Temendo poi che i tre veggenti potessero essere
oggetto di maltrattamenti, si diede da fare per allontanarli in qualche modo da
Aljustrel.
Non si poteva presentare occasione migliore. Trovavasi in Fatima un gentiluomo, D.
Pedro Maria de Faria Pais Caupers, nipote della nobildonna Rita Pais de Faria
Pereira, proprietaria della tenuta di Caneiro che è del tempo di D. Pedro Nuno
Alvares, il vincitore di Aljubarrota, ed è situata a sei chilometri da Fatima, sulla
strada che conduce a Castel de Ourém.
Fu senz'altro deciso che la domenica mattina i tre bambini vi andassero
accompagnati da qualche familiare.
Ma cediamo ancora una volta la parola al signor Marto, che accompagnò i veggenti
alla villa della buona signora.
«Un'ora prima che sorgesse il sole ci ponemmo in cammino per sfuggire alla
persecuzione. S. Giuseppe, la Madonna e il Bambino Gesù anch'essi fuggirono!
Camminammo in fretta, ma quando arrivammo alla tenuta, la porta della cappella
era già assiepata di gente. Lucia e Giacinta avevano i loro piccoli scialli in braccio, e
Francesco il berretto in mano. Domandammo se la Messa era già cominciata, e ci
risposero che già era all'offertorio. Ci vide una serva della padrona, ci chiamò e ci
condusse alla cappella per una porta interna e così assistemmo al S. Sacrificio ai
piedi dell'altare maggiore.
Finita la Messa venne il signor Pedro e disse a Lucia: - Recita il rosario.
La piccola provò a schermirsi, ma finalmente cominciò la recita. Finito il rosario, il
signor Pedro le disse:
- O Lucia, quando reciti il rosario, tu dici un'Ave Maria in più ad ogni mistero, ma
non fa male.
- O signor Pedro - soggiunsi io allora -l'Ave Maria che la bambina recita in più è
l'Ave Maria del Padre Nostro ed è per questo che abbiamo undici Ave Maria in ogni
mistero. Il Padre Nostro senza l'Ave Maria non è completo. È così che mi hanno
insegnato.
Dopo di aver mangiato qualche cosa, i servi di casa ci fecero visitare il palazzo, di
stanza in stanza. Stanze grandi, molto grandi, tutte grandi. Entrando in quegli
stanzoni, Lucia meravigliata esclamava:
- Oh, che stanzoni! E la serva:
- O Lucia, vuoi vedere un'altro stanzone?
E non finirono gli stanzoni, se non quando finì la casa. Il signor Pedro mandò a
prendere tre agnelli, ne pose uno al collo di ciascun piccolo e poi prese la fotografia
49. Ci diedero ancora un'altra volta da mangiare, e subito dopo il signor Pedro mi
disse:
- Il signor Marto rimane qui con Francesco, ché io ho bisogno di andare ai Vargos e
nella carrozza non ho che due posticini per le piccole.
Se ne partì con Lucia e Giacinta per quella tenuta che si trova sulla strada di Torres
Novas, mentre io e Francesco ce ne andammo a passeggiare in quella grande
proprietà. Le piccole rimasero fuori fino a sera. Quando partimmo verso Fatima era
già tardi. E arrivammo a casa che era già notte».
Che era avvenuto, frattanto, alla Cova da Iria?
Sicuro che tutti sarebbero accorsi a veder tali meraviglie, José do Vale,
l'amministratore di Vila Nova de Ourém e altre persone importanti, con alcune
guardie, andarono a Fatima all'ora stabilita. Ma quale non fu il loro disappunto nel
non trovare la moltitudine enorme che supponevano, ma solamente un certo
Francesco da Silva, regedor, influente democratico del luogo. Il fiasco non poteva
essere maggiore. Che fare? Tornare indietro?
- Andiamo alla Cova da Iria! - decise infine l'oratore. E s'incamminarono in forzato
pellegrinaggio al luogo delle apparizioni. Questa volta l'uditorio non mancava. Un
ometto di Lomba d'Égua aveva preparato, con grande cautela, uno splendido
ricevimento. Radunati diversi asini, li aveva legati agli elci e, vedendo approssimarsi
il gruppetto dei dimostranti, avvicinò alle narici degli animali una bottiglia di un
certo liquido e tutti cominciarono a ragliare con grande molestia e rabbia dei
congiurati. Ciononostante si avviarono presso l'elce già ridotto ad un tronco e lì
trovarono una nuova sorpresa. Alcune persone di Moita, vi avevano messo paglia e
fieno, come si farebbe con le bestie, per ricevere quei signori.
«Facemmo ciò per dispetto - ci racconta la signora Maria Carreira - ed essi così lo
intesero. Quando alle undici e mezzo andai là, io e due mie vicine, ci nascondemmo
ove ora sta la cappella delle confessioni 50.
Più in là c'erano tre uomini sopra un grande elce. Intanto uno di quei personaggi
incominciò ad imprecare contro la religione. E noi, ad ogni sproposito blasfemo che
diceva, gridavamo:
- Viva Gesù e Maria!
Un altro ragazzo che era di Quinta da Cardiga, e che stava appollaiato sopra un elce
dal lato opposto, rispondeva ad alta voce: - Viva Gesù e Maria! - e faceva col
cappello una riverenza.
Quei signori si stizzirono tanto che ci mandarono contro due guardie, ma noi
fuggimmo attraversando boschi e campi e ci sottraemmo alla loro vista. Giunsero
intanto gli uomini e i ragazzi che erano stati alla Messa nella cappella della
Madonna da Ortiga e, costatando ciò che avveniva nella Cova, si misero a gridare
verso le guardie e gli oratori: - Gli asini, gli asini! Le bestie! Ed essi rispondevano:
- Scarponi da montagna! Scarponi da montagna!
Le guardie tentarono ancora di prenderne qualcuno, ma tutti fuggivano chi da un
lato, chi da un altro, facendo scherzi e risate. Infine anche quei signori si ritirarono
verso Fatima e non sapemmo più nulla di loro».
Capitolo ventunesimo
Recitate il rosario per ottenere
la fine della guerra ...
(La Madonna)
I tre pastorelli attendevano con ansia il giorno 13 settembre per vedere nuovamente
la bella Signora, la cui visita tanto più apprezzavano quanto più grandi erano le
sofferenze e, soprattutto, le lotte esteriori che mettevano a prova la loro eroica
pazienza.
Una volta al mese non era molto: avrebbero preferito tutti i giorni l'incontro con la
Vergine.
Le visite e gli interrogatori minuziosi, esasperanti, irriverenti dei curiosi, invece di
diminuire, aumentavano. Si beffavano di loro e della Signora che veniva a
passeggiare sopra gli alberi; li minacciavano come se fossero dei criminali.
- O rivelate il segreto - dicevano loro tre signori dopo una rigorosa inchiesta
poliziesca - o l'amministratore metterà fine alla vostra vita.
Giacinta rispondeva contenta:
- Che bella cosa! Io amo tanto Gesù e la Madonna! Così andiamo con loro più
presto!
Il disprezzo della gente del villaggio natio - alcune persone erano giunte al punto di
battere Lucia - li umiliava profondamente: il contegno, se non apertamente ostile,
per lo meno indifferente del parroco e degli altri sacerdoti dei dintorni, torturava
quei cuori delicati.
Il numero dei credenti nelle apparizioni aumentava però in modo straordinario.
Dopo i prodigi osservati nella Cova da Iria, il 13 agosto, da una moltitudine enorme
di gente venuta da tutte le parti, e dopo la prova di costanza sovrumana data dai
fanciulli, era difficile trovar persone di buona fede che non credessero alla sincerità
dei veggenti e quindi alla realtà delle apparizioni.
Il giorno 13 settembre vide uno straordinario affluire di pellegrini. La Cova da Iria
era il centro verso il quale si polarizzavano le anime semplici dei sinceri e devoti figli
della Vergine. Molti furono coloro che già la vigilia si misero in cammino, non mossi
da curiosità, ma desiderosi di confermare sempre più la loro fede e di pregare nel
luogo ove la Madre del Cielo s'era degnata scendere a conversare coi tre umili figli
della serra. All'alba del giorno 13 tutte le strade, nelle immediate vicinanze di
Fatima, brulicavano di gente che recitava devotamente il rosario.
«Era un pellegrinaggio - scrive un testimone oculare - veramente degno di questo
nome, la cui vista strappava le lacrime. Nel corso della mia esistenza non avevo mai
assistito ad una così grande ed imponente manifestazione di fede ... Sul luogo delle
apparizioni gli uomini si scoprivano il capo. Quasi tutte quelle persone si
inginocchiavano e pregavano con fervore ...».
Tra la moltitudine devota, questa volta si distinguevano alcuni sacerdoti e molti
seminaristi.
«Era il 13 settembre - ci racconta uno di questi ultimi. - Le vacanze stavano per
terminare, e noi non volevamo tornare in seminario senza aver prima calcato il
suolo di Fatima la cui fama era corsa dovunque. In gruppi di quattro o cinque
andammo a piedi a vedere gli avvenimenti.
Andammo e tornammo stanchi, ma contenti.
C'erano a Fatima molti seminaristi - circa trenta - di diversi seminari. Ciò non
meraviglia: lo stesso sentimento li aveva colà guidati. Di sacerdoti mi ricordo di
averne visto solo due o tre 51.
Per molto tempo andammo di pietra in pietra, saltando muri e siepi per osservare e
commentare ciò che ci si spiegava dinanzi. Uno dei sacerdoti ci richiamò e ci
raccomandò di non spingerei troppo perché tutto poteva essere un fatto diabolico e
certamente sarebbe terminato con una grande delusione.
Molti la pensavano così.
Difatti ei ritirammo più in alto, ove oggi sorge la facciata del santuario, e di là
osservammo.
Ma dopo poco, non ci fu più possibile frenare la curiosità, e, al momento
dell'apparizione, ci eravamo avvicinati molto ai fanciulli, tanto quanto ce lo
permetteva l'agglomeramento di gente che li circondava».
Tra i sacerdoti merita particolare attenzione mons. Joao Quaresma, vicario generale
della diocesi di Leiria e più tardi membro della commissione per l'inchiesta
canonica, il quale in una lettera scritta a mons. Manuel do Carmo Gòis, che con lui
aveva assistito alle apparizioni di settembre e ottobre, ci descrive minuziosamente
gli avvenimenti.
Sono passati esattamente quindici anni dagli straordinari avvenimenti di Fatima.
Afflizione, tristezza, disperazione pesavano come grosse nubi nere sopra le anime
dei portoghesi, opprimendoli profondamente. Da queste dense nubi salivano
incessanti preghiere a Dio per domandare aiuto e misericordia.
I cuori ansiosi attendevano dal Cielo l'apparizione di qualche squarcio d'azzurro,
qualche raggio di speranza tra la tempesta che le passioni degli uomini avevano
scatenato.
La bontà del Signore ascoltò l'umile supplica dei suoi figli. Nel cielo di Fatima
apparve, come promettente arcobaleno, una incantevole Visione, preconizzante la
pace.
Parlò coi pastorelli della serra... Le terribili nubi cominciarono allora a dileguarsi
... Le anime sollevate respirarono, cacciando da sé quel velo plumbeo di tristezza.
Gli occhi desiderosi della luce guardarono quello squarcio d’azzurro nel cielo, che
la luce della misteriosa Stella del Mattino soavemente illuminava.
Ora ... non si saranno forse i poveri pastorelli ingannati? Non saranno forse stati
vittime di qualche bella illusione? ...
Sarà proprio possibile che la Madonna si sia degnata di scendere fino a noi per
portarci dal Cielo un messaggio di pace? .. C’era dunque nelle affermazioni dei
fanciulli alcunché di vero? Che si deve dire di quella moltitudine sempre crescente
di uomini che al tredici di ogni mese affermavano di aver visto nel cielo di Fatima
fenomeni straordinari? ...
In un chiaro mattino di settembre del 1917 uscimmo da Leiria, per portarci, sopra
una vettura trainata da un vecchio cavallo, al luogo dove avvenivano le discusse
apparizioni. Fu il nostro caro Padre Gois che scelse il punto dominante il vasto
anfiteatro della Cova da Iria, donde potevamo osservare più facilmente, senza
avvicinarci troppo al luogo ove i pastorelli pregavano in attesa della celeste
apparizione.
A mezzogiorno si fece completo silenzio. Si udiva solo il sussurrio delle preghiere.
Improvvisamente risuonarono grida di giubilo ... Si udirono voci che lodavano la
Vergine ... braccia che si alzavano verso il cielo ... – Guarda, guarda, non vedi?
- Sì ... Vedo! ...
La soddisfazione brillava negli occhi di coloro che vedevano. Nel cielo azzurro
neppure una leggera nube. Anch’io alzai gli occhi e mi misi a scandagliare lo
spazio per scorgere ciò che altri occhi più fortunati avevano già contemplato.
Con mia grande sorpresa vidi chiaro e distinto un globo luminoso che si muoveva
da oriente ad occidente, spostandosi lento e maestoso attraverso lo spazio. Il mio
amico guardava anch’egli, ed ebbe la gioia di godere della medesima, inaspettata
e incantevole apparizione ... Improvvisamente però il globo scomparve e la sua
luce straordinaria si dileguò al nostro sguardo.
Accanto a noi c’era una bambina, vestita di bianco come Lucia, e più o meno della
stessa età. Piena di gioia continuava a gridare: - La vedo ancora ... La vedo
ancora ... Ora scende giù! ...
Passati pochi minuti, esattamente il tempo che di solito duravano le apparizioni, la
bambina cominciò di nuovo a gridare, indicando il cielo:
- Ecco, il globo sale un'altra volta! ...
E continuò finché il globo disparve nella direzione del sole.
- Che pensi tu di quel globo? ... - domandai al mio amico che si mostrava
entusiasta di ciò che aveva visto.
- Era la Madonna - rispose egli senza esitazione.
Questa era pure la mia convinzione. I pastorelli avevano contemplato la Madre di
Dio e a noi era stato concesso di vedere il veicolo che l'aveva trasportata dal Cielo
sulla incolta ed inospitale serra de Aire.
Dobbiamo dire che molti tra coloro che erano presenti avevano visto la stessa
cosa, perché da ogni parte esplodevano manifestazioni di gioia e di lode alla
Madonna. Altri tuttavia non avevano visto nulla.
Ci sentivamo proprio felici. Con quanto entusiasmo il mio collega andava di
gruppo in gruppo, informandosi di quello che avevano visto. Le persone
interrogate erano delle più differenti classi sociali. Tutte concordemente
affermavano la realtà dei fenomeni che noi stessi avevamo contemplato.
Profondamente soddisfatti del nostro pellegrinaggio a Fatima, tornammo a casa
col fermo proposito di tornare ancora il prossimo 13 ottobre per conformarci
all’invito di Lucia e fortificare ancor più la nostra fede nelle apparizioni della
Madonna.
Si verificarono pure altri fenomeni che, come questo, non tutti poterono costatare.
Il subito rinfrescarsi dell'atmosfera, l'impallidire del sole fino a rendere visibili le
stelle, una specie di pioggia come di petali multicolori che svanivano prima di
toccare la terra, furono i fatti notati e riferiti da centinaia e migliaia di persone.
Ma torniamo un po' indietro.
Dalle prime ore di quel 13 settembre, le case dei veggenti rigurgitavano di gente,
cosicché non era possibile muoversi da una stanza all'altra. Tutti volevano parlare
coi fanciulli, raccomandare loro le proprie necessità, le proprie miserie, le proprie
preoccupazioni. A stento i tre pastorelli riuscirono a porsi in cammino verso la Cova
da Iria.
È ancora Lucia che nelle sue «memorie» ci dà l'idea di quello che fu il movimento di
quel giorno.
«Avvicinandosi l'ora, con Giacinta e Francesco andai alla Cova, circondati da
numerose persone che a fatica ci lasciavano camminare. Le strade erano gremite di
gente. Tutti volevano vederci, parlarci. Non avevano rispetto umano. Molta gente
del popolo, e perfino signore e signori, rompendo la folla che si accalcava intorno a
noi, cadevano in ginocchio, pregandoci di presentare alla Madonna le loro necessità.
Altri, non potendo farsi strada, gridavano da lontano.
Uno diceva: - Per amor di Dio, domandate alla Madonna che guarisca mio figlio che
è storpio.
Un altro: - Che guarisca il mio che è cieco. Un altro: - Il mio è sordo.
- Che faccia ritornare mio marito e mio figlio che sono al fronte!
- Che mi converta un peccatore; - che mi risani perché sono tubercoloso, ecc.
Passavano in rivista tutte le miserie della povera umanità e alcuni gridavano fin
dagli alberi e dai muriccioli ove s'erano arrampica ti per vederci passare.
Dicendo agli uni di sì, dando agli altri la mano per rialzarli dal suolo, arrivammo
finalmente, grazie ad alcuni signori che ci aprivano il varco tra la moltitudine.
Quando leggo nel Nuovo Testamento quelle scene incantevoli del passaggio di Gesù
per la Palestina, ricordo queste, che, da bambina, Gesù mi fece contemplare sulle
strade e sui poveri sentieri da Aljustrel alla Cova da Iria, e ringrazio Dio offrendogli
la fede del nostro buon popolo portoghese, pensando che, se questa gente si prostra
così avanti a tre miseri fanciulli solo perché ad essi è stata concessa
misericordiosamente la grazia di parlare con la Madre di Dio, che non farebbe se
vedesse davanti a sé lo stesso Gesù? ...».
Arrivati finalmente i fanciulli presso l'elce, Lucia, come al solito, ordina al popolo di
recitare la corona che essa stessa guida.
Tutti, ricchi e poveri, cadono in ginocchio e ad alta voce rispondono alla corona
recitata da una povera pastorella di campagna. Non è ancora terminato il rosario
quando i fanciulli si alzano a scrutare l'orizzonte. Hanno visto il lampo. La buona
Signora non può più tardare. Ancora alcuni istanti e sopra l'elce viene a posarsi la
dolce Regina del Cielo a sorridere loro maternamente. - Che cosa volete da me? domanda come sempre Lucia.
E la bella Signora risponde:
- Continuate a recitare la corona alla Madonna del Rosario tutti i giorni, per
ottenere la fine della guerra.
E ripetendo ciò che già aveva loro detto il mese precedente, insiste che non
manchino il 13 ottobre in cui sarebbe venuto S. Giuseppe col Bambino Gesù per
dare la pace al mondo, Nostro Signore per benedire il popolo, e poi si vedrebbe la
sua figura corrispondente alle due invocazioni di «Madonna Addolorata» e
«Madonna del Carmine».
- Mi hanno incaricata di chiedervi molte cose - dice Lucia.
- Questa bambina è sordomuta. Non la volete guarire?
- Durante l'anno migliorerà.
- Vi sono richieste di conversioni ... di guarigioni ...
- Alcuni li guarirò, altri no, perché Gesù non si fida di loro.
L'ostacolo al miracolo sarebbe per alcuni la mancanza di disposizioni sufficienti; per
altri la malattia sarebbe un bene maggiore della salute.
- Il popolo vorrebbe qui una cappella - continua la fanciulla, non perdendo
l'occasione di ricordare la richiesta che le aveva fatto la signora Maria Carreira.
- Con la metà del denaro si facciano le portantine e sopra una di esse si collochi
Nostra Signora del Rosario. L'altra metà la si impegni nella costruzione di una
cappellina.
- Ci sono molti che dicono che io sono una imbrogliona, che meriterei di essere
impiccata o arsa viva. Fate un miracolo perché tutti credano!
- Sì, in ottobre farò il miracolo perché tutti credano.
- Alcune persone mi diedero due lettere per Voi ed una boccetta d'acqua di Colonia.
- Queste cose non servono per il Cielo!
Dopo queste parole la bianca visione svanisce e si eleva nell'atmosfera satura di
soprannaturale. Lucia allora grida al popolo: - Se volete vederla, guardate in quella
direzione! - e indica l'oriente ove la Vergine va scomparendo.
Avidamente tutti gli occhi si fissano nella direzione indicata e molti possono
osservare il fenomeno di prima.
Il globo luminoso ascende verso il cielo, riconducendo alla sua celeste dimora la
dolce Regina degli Angeli.
Dopo alcuni istanti di trepida commozione, i pellegrini si precipitano sopra i
fortunati fanciulli e li assediano con mille interrogazioni. Con estrema difficoltà i
parenti possono condurli alle proprie case che trovano letteralmente piene di gente,
né hanno pace finché la notte avvolge nel suo manto di silenzio il villaggio di
Aljustrel.
Capitolo ventiduesimo
Feci sedere Giacinta
sopra uno sgabello vicino a me
(Dott. Formigao)
Dopo questa quinta apparizione, aumentò ancor più il concorso del popolo che
correva ad Aljustrel per vedere i privilegiati fanciulli e per parlare con loro.
La maggior parte erano curiosi indiscreti le cui domande non avevano altro risultato
che di fare esercitare la pazienza ai fanciulli e alle rispettive famiglie.
Ci fu tuttavia un sacerdote che, incaricato dall'autorità ecclesiastica, seguì più da
vicino gli avvenimenti, con quella meticolosità che il caso richiedeva, accompagnata
da una prudenza e delicatezza a tutta prova, e riuscì a guadagnarsi la confidenza dei
veggenti e dei loro genitori. Era il dott. Manuel Nunes Formigao, canonico della
Sede Patriarcale di Lisbona e allora professore del seminario e del liceo di
Santarém.
Il tredici settembre, questo sacerdote fu sul luogo delle apparizioni. La sua prima
impressione, però, non fu molto incoraggiante. Fermatosi sulla strada, a un
duecento metri di distanza, aveva osservato solo il fenomeno della diminuzione
della luce solare che egli attribuiva all'altezza della serra. Per questo aveva
conservato una certa riserva, benevola tuttavia, data l'ottima impressione che gli
avevano lasciata i fanciulli.
Per completare le impressioni raccolte e per munirsi degli elementi indispensabili al
lavoro che si era proposto, tornò a Fatima il giovedì 27 settembre. Veniva a studiare
e ad interrogare separatamente i fanciulli, per approfondire il più possibile la giusta
critica sugli avvenimenti che si erano svolti negli ultimi cinque mesi. Tra lui e
Francesco si svolse subito questo primo dialogo:
- Che cosa hai visto nella Cova da Iria, negli ultimi mesi?
- Ho visto la Madonna!
- Dove ti appare?
- Su di un piccolo elce.
- Appare d'improvviso o tu la vedi giungere da qualche parte?
- La vedo giungere dalla parte ove nasce il sole e posarsi sull'elce.
- Viene adagio o in fretta?
- Viene sempre rapidamente.
- Senti tu ciò che dice a Lucia?
- Non sento nulla.
- Hai parlato qualche volta alla Signora? Ti ha ella rivolto la parola?
- Io non le ho mai fatto alcuna domanda. Ella parla solo con Lucia.
- Verso chi rivolge i suoi sguardi? Guarda anche te e Giacinta, o solo Lucia?
- Guarda tutti e tre; ma di preferenza guarda Lucia.
- Finora ha pianto o sorriso qualche volta?
- Né l'una né l'altra cosa; è sempre seria.
- Come è vestita?
- Ha una veste lunga e sopra questa un manto che le copre la testa e discende fino
all'estremità della veste.
- Qual è il colore della veste e del manto?
- È bianco e la veste ha un bordo filettato in oro.
- Qual è l'atteggiamento della Signora?
- Quello di chi prega. Tiene le mani giunte all'altezza del petto.
- Tiene qualcosa nelle mani?
- Tra la palma e il dorso della mano destra, una corona del rosario che pende sulla
veste.
- E alle orecchie porta qualche cosa?
- Le orecchie non si vedono perché sono coperte dal manto.
- Di che colore sono i grani del rosario?
- Sono bianchi.
- La Signora è bella?
- Oh, certo.
- Più bella di quella bambina che vedi laggiù?
- Più bella.
- Ma ci sono signore assai più belle di quella bambina ...
- Ella è più bella di qualunque persona che io abbia visto.
«Terminato l'interrogatorio di Francesco - continua il dote Formigao - chiamai in
disparte Giacinta che stava a giocare nella strada con altre fanciulle, la feci sedere su
d'uno sgabello vicino a me, la sottomisi a un interrogatorio cercando d'ottenere da
lei risposte complete e minuziose come quelle del fratello».
- Hai visto la Madonna il giorno 13 d'ogni mese, da maggio in qua?
- Sì, l'ho vista.
- Da che parte viene?
- Dal cielo, dalla parte del sole.
- Come è vestita?
- Ha un vestito bianco, ricamato d'oro, e in testa un manto pure bianco.
- Di che colore sono i capelli?
- Non si vedono i capelli. Son coperti dal manto.
- Porta gli orecchini?
- Non so, perché anche le orecchie sono nascoste.
- Qual è la posizione delle mani?
- Le mani sono poste all'altezza del petto, con le dita in alto.
- La corona è nella mano destra o nella mano sinistra?
A questa domanda la bambina rispose subito che era nella mano destra; poi, data la
mia insistenza intenzionalmente capziosa, si mostrò perplessa e confusa, non
sapendo precisar bene quale delle sue mani corrispondesse a quella dell'apparizione
che teneva il rosario.
- Che cosa raccomandò la Madonna a Lucia con maggiore insistenza?
- Comandò che recitassimo il rosario tutti i giorni.
- E tu lo reciti?
- Sì, tutti i giorni, con Francesco e Lucia.
«Mezz'ora dopo aver terminato l'interrogatorio di Giacinta, apparve Lucia. Veniva
da una piccola proprietà della sua famiglia dove era stata a vendemmiare.
Più alta e più sviluppata degli altri due fanciulli, di colorito più chiaro, robusta e
sana, si presenta davanti a me con una disinvoltura che contrasta con la paura e la
timidezza eccessiva di Giacinta. Semplicemente vestita come questa, la sua
attitudine e il suo volto non riflettono nessun sentimento di vanità e nemmeno di
confusione. Sedendosi ad un mio cenno sopra una sedia, al mio fianco, si presta con
la maggior grazia del mondo, ad esser interrogata sugli avvenimenti di cui ella è la
principale protagonista, malgrado si senta visibilmente affaticata e abbattuta per le
continue visite cui è sottoposta».
- È vero che la Madonna ti è apparsa nella località di Cova da Iria?
- È vero.
- Quante volte ti apparve?
- Cinque volte, una al mese.
- In che giorno?
- Sempre il 13, eccetto in agosto, allorché fui arrestata e condotta a Vila Nova
d'Ourem dall'amministratore. In quel mese solamente la vidi alcuni giorni dopo, il
19, ai Valinhos.
- Si dice che la Signora ti apparve anche l'anno scorso. Che c'è di vero in questo?
- L'anno passato non mi è mai apparsa, neppure prima del maggio di quest'anno; né
io lo dissi ad alcuno, perché non era vero. - Da dove viene? Dall'oriente?
- Non so, non la vedo venir da nessuna parte. Appare sopra l'elce e, quando si ritira,
prende la direzione di quel punto del cielo ove nasce il sole.
- Quanto tempo resta? Molto o poco?
- Poco tempo.
- Il sufficiente per recitare il Pater noster e l'Ave Maria, o di più?
- Di più, di più; ma non sempre per un tempo ugualmente lungo: talvolta non
basterebbe per recitare la corona.
- La prima volta che la vedesti non rimanesti spaventata?
- Sì, tant'è vero che cercai di fuggire come Giacinta e Francesco, ma ella ci disse di
non aver paura perché non ci avrebbe fatto del male.
- Come è vestita?
- Ha un vestito bianco che discende fino ai piedi; le copre il capo un manto dello
stesso colore e della medesima lunghezza del vestito.
- Il vestito non ha ornamenti?
- Sì, sul davanti ha due cordoni d'oro che scendono dal collo e si riuniscono a metà
corpo in un fiocco pure d'oro.
- Porta qualche cintura o qualche nastro?
-No!
- Porta orecchini?
- Sì, piccoli cerchietti.
- In qual manto tiene il rosario?
- Nella destra.
- Era una corona o un rosario?
- Non osservai bene.
- Terminava con una croce?
- Terminava con una croce bianca e anche i grani erano bianchi e anche la catena 52.
- Le domandasti qualche volta chi era?
- Sì, ma dichiarò che ce lo avrebbe detto solo il 13 ottobre.
- Non le hai chiesto di dove veniva?
- Sì, certamente, ed ella mi rispose che era del Cielo.
- E quando fu?
- La seconda volta, il 13 giugno.
- Sorrise qualche volta o si mostrò triste?
- Non sorrise mai e nemmeno si mostrò triste, ma sempre grave.
- Raccomandò a te e ai tuoi cugini di recitare qualche preghiera?
- Ci raccomandò di recitare la corona ad onore della Madonna del Rosario per
ottenere la pace al mondo.
- Manifestò desiderio che il giorno 13 di ogni mese fossero presenti molte persone
durante l'apparizione alla Cova da Iria?
- Non disse mai nulla a questo riguardo.
- È vero che ti rivelò un segreto proibendoti di dirlo a chicchessia?
- È vero.
- Lo disse solo a te od anche ai tuoi compagni?
- A tutti e tre.
- Non lo puoi manifestare almeno al tuo confessore?
Questa domanda la mise in imbarazzo, e credetti bene non insistere.
- Si dice che per liberarti dalle importunità dell'amministratore gli raccontasti,
come se fosse il segreto, una cosa che non era, ingannandolo così, e vantandoti poi
di avergli giocato questo tiro. È vero?
- Non è vero: l'amministratore voleva realmente che io gli rivelassi il segreto, ma,
non potendolo dire a nessuno, non lo dissi neppure a lui, nonostante avesse insistito
molto con me, affinché glielo rivelassi. Raccontai tutto ciò che mi aveva detto la
Signora e forse per questo motivo l'amministratore avrà pensato che io gli avevo
rivelato il segreto, ma non lo volli ingannare.
- La Signora ti raccomandò di imparare a leggere?
- Sì, me lo raccomandò la seconda volta che apparve.
- Ma se ella ti disse che ti avrebbe condotta seco in Cielo nel prossimo mese di
ottobre, a che ti serve imparare a leggere?
- Questo non è vero: la Signora non disse che mi avrebbe condotta in Cielo in
ottobre, né io affermai che ella avesse detto tal cosa.
- Che cosa dichiarò la Signora riguardo all'uso del denaro che la gente lascia vicino
all'elce nella Cova da Iria?
- Disse che lo dobbiamo impiegare in due portantine: una la dovremo portare verso
la chiesa parrocchiale io, Giacinta e due altre bambine, e l'altra Francesco con tre
fanciulli. Una parte del denaro dovrà servire al culto e alla festa della Madonna del
Rosario, il resto per la costruzione d'una nuova cappella.
- Dove vuole la Signora che si edifichi la cappella? Nella Cova da Iria?
- Non so, ella non me lo disse.
- Sei molto contenta che la Madonna ti sia apparsa?
- Sì.
- Il giorno 13 ottobre la Madonna verrà sola?
- Verrà anche S. Giuseppe e il Bambino Gesù, e poco dopo sarà concessa la pace al
mondo.
- La Madonna fece altre rivelazioni?
- Dichiarò che il 13 ottobre farà un miracolo, perché tutto il popolo creda che è lei
che appare.
- Per qual ragione abbassi sovente gli occhi, cessando di fissare la Signora?
- Perché certe volte mi abbaglia.
- T'insegnò qualche preghiera?
- Sì, e vuole che la recitiamo dopo ogni mistero del rosario.
- La sai a memoria questa preghiera?
- Certo.
- Dilla.
- O Gesù mio, perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno, portate in Cielo tutte le
anime specialmente le più bisognose».
Capitolo ventiduesimo
Un grande uomo,
il dottor Formigao
(José Alves) 53
Quale impressione riportò il dottor Formigao da questi interrogatori?
Una ferma convinzione della loro assoluta sincerità, che però non escludeva un
certo sospetto che i fanciulli potessero essere vittime di una allucinazione e che i
fenomeni della Cova da Iria fossero provocati dallo spirito delle tenebre per fini
sconosciuti.
Le piccole contraddizioni che aveva notato nelle risposte dei veggenti non creavano
serie difficoltà, riguardavano minimi particolari e si potevano spiegare data la fatica
e il perturbamento provocati in loro dai serrati e continui attacchi a cui erano stati
sottoposti da quando la straordinaria notizia aveva cominciato a circolare. Per
chiarire questi piccoli dubbi, il dotto Formigao risolvette di tornare a Fatima per
interrogare nuovamente i piccoli, prima del grande giorno, il tredici, nel quale si
attendeva il miracolo promesso dalla supposta visione.
Percorse il tratto da Santarém a Chao de Maças in treno, quello da Chao de Maças a
Vila Nova de Ourém e da Vila Nova de' Ourém a Fatima in calesse.
Giunse alle ore 23 e pernottò a Monte1o, a 2 km. da Fatima, in casa della famiglia
Gonçalves. Il figlio del padrone di casa, Manuel Gonçalves junior, di trent'anni,
persona intelligente, dotata di molto tatto e di spirito d'osservazione non comune,
gli fornì preziosissime informazioni sulle famiglie dei veggenti e sull'impressione
generale lasciata dai fatti degli ultimi cinque mesi.
Ecco la conversazione che si intrecciò fra i due:
- I genitori dei bambini d'Aljustrel, che si dicono favoriti dalle apparizioni della
Madonna, hanno buona stima? Sono gente onorata, di buoni costumi?
- I genitori di Francesco e Giacinta sono persone molto buone, profondamente
religiose, rispettate e stimate da tutti. Il padre ha fama di essere l'uomo più serio del
paese.
Il padre di Lucia frequenta poco la chiesa. Non è però di cattivi sentimenti. Il 13
luglio alcuni compagnoni, male intenzionati, l'ubriacarono con l'intento di indurlo a
commettere stramberie nel luogo delle apparizioni. Infatti, allora come sempre,
aveva permesso alla figlia di andare in quel luogo; ma poi ordinò al popolo di andar
via poiché era lui il proprietario del bosco dove sta l'elce su cui avvengono le
apparizioni. La folla, accortasi del suo stato, rise di questa intimazione e un uomo lo
spinse via facendolo cadere. La mamma è una donna onesta, religiosa, amante del
lavoro. - Che pensano gli abitanti di Fatima riguardo a ciò che dicono i ragazzi? Li
credono? Li giudicano bugiardi? O vittime di una allucinazione?
- In principio il popolo non voleva andare alla Cova. Nessuno credeva ai fanciulli. Il
13 giugno, giorno della seconda apparizione, in parrocchia c'era la festa di S.
Antonio. Nella Cova da Iria, all'ora dell'apparizione, stavano solo una sessantina di
persone. I genitori di Francesco e Giacinta di buon mattino erano andati a Porto de
Mòs, alla nera detta «del tredici», per comprare buoi, e tornarono che era già notte.
Nella loro assenza la casa si riempì di gente che voleva vedere i fanciulli e
interrogarli. Ora gran parte della popolazione è convinta che i fanciulli dicono la
verità. Da parte mia ne sono convinto.
- Nei giorni dell'apparizione ci sono stati segni straordinari? Sono molti quelli che
affermano d'averli visti?
- Molti sono i fenomeni. In luglio quasi tutti i presenti videro la bianca nube che si
abbassò fin sopra l'elce. In agosto lo stesso. Non c'era polvere nei dintorni. La nube
si stese nell'aria in modo da parere una nebbia.
- Ci fu qualche altro segno?
- Si vedevano nel cielo, vicino al sole, alcune nuvole bianche che variavano
successivamente da un rosso sangue al rosa, al giallo, e la gente era tutta immersa in
questi colori. La luce del sole diminuì la sua intensità, e nelle apparizioni di luglio e
agosto, si sentì pure un rumore.
- Si sospetta che qualcuno abbia indotto i fanciulli a inscenare una commedia?
- Non è credibile.
- Venne molta gente a vedere i fanciulli e a parlare con loro?
- Innumerevoli, da tutte le parti.
- I bambini accettano il denaro che si offre loro?
- Accettano qualcosa, insistendo molto, ma non di loro volontà.
- Le famiglie sono povere? Vivono del loro lavoro? Hanno proprietà?
- Non sono povere. Sono agiate. E se la famiglia di Lucia non lo è di più, questo è
dovuto al padre che non si cura di lavorare le sue proprietà.
- Ci sono in Fatima persone che siano state vicine ai bambini durante le
apparizioni?
- In luglio stavano vicino a loro Giacinto Almeida Lopes, di Amoreira, e Manuel di
Oliveira, di Montelo.
- Che fa Lucia durante le apparizioni?
- Recita il rosario. Quando si rivolge alla Signora, parla forte.
Anch'io la udii in giugno perché ero vicino. Alcune persone affermano che sentono il
suono delle risposte.
- Il luogo delle apparizioni è molto frequentato anche negli altri giorni da persone
devote o curiose?
- Sì, soprattutto la domenica. Il maggior afflusso si ha verso sera. Vanno là molte
persone, da lontano e da vicino, che recitano il rosario e cantano lodi in onore della
Vergine.
Terminato questo interrogatorio, il dottor Formigao si avviò ad Aljustrel ove trovò
Lucia mentre prestava servizio ad un muratore che riparava il tetto della casa.
«Appena mi vide - continua il sacerdote - mi salutò rispettosamente. Nello stesso
tempo apparve anche la mamma e accondiscese volentieri alla richiesta di
interrogare nuovamente la figlia. Prima però, rivolsi alla mamma alcune domande,
tra le quali le seguenti a cui attribuivo una speciale importanza:
- Mi consta che possedete un libro intitolato Missao abreviada e che qualche volta
lo leggete ai figli. È vero? 54.
- Sì, ho letto questo libro e l'ho letto ai miei figli.
- Leggeste l'apparizione della Salette alla presenza di Lucia e di altri bambini?
- Solo a Lucia e agli altri miei figli.
- Lucia parlava talvolta di questa storia della Salette, dimostrando in qualche modo
che aveva prodotto una grande impressione nel suo spirito?
- Non la sentii mai dir niente a questo riguardo, se ben ricordo 55.
L'interrogatorio di Lucia fu fatto dinanzi a quattro testi degni di fede.
- Mi hai detto, giorni fa, che la Madonna voleva che il denaro offerto dal popolo
fosse portato alla parrocchia sopra due portantine ... Come dobbiamo procurarcele e
quando portarle alla chiesa? - Le portantine si comprano col denaro offerto e
saranno portate in chiesa nelle feste della Madonna del Rosario.
- Sai con certezza in che luogo la Madonna vuole che si edifichi la cappella in suo
onore? - Non so con precisione, ma penso che desideri la cappella nella Cova da
Iria.
- Ha detto se farà qualcosa onde il popolo creda alle apparizioni?
- Ha detto che farà un miracolo.
- Quando disse questo?
- Lo disse parecchie volte, ma nell'occasione della prima apparizione fui io a
domandarglielo 56.
- Non hai paura che il popolo ti faccia del male se non accadrà niente di
straordinario in quel giorno?
- Non temo nulla.
- Senti in te qualche forza che ti spinge alla Cova da Iria il giorno tredici di ogni
mese?
- Sento desiderio di andarvi e ne soffrirei se non potessi andare.
- Hai visto qualche volta la Signora farsi il segno della croce, pregare o sgranare il
rosario?
- No.
- Ti ha imposto di pregare?
- Sì, diverse volte.
- Ti disse di pregare per la conversione dei peccatori?
- Non proprio così; ma mi ordinò di pregare la Madonna del Rosario affinché la
guerra cessasse.
- Hai visto i segni che le altre persone dicono di aver visto, come la stella e le rose
cadenti dalla veste della Madonna?
- Non ho visto la stella e nemmeno gli altri segni.
- E hai udito qualche rumore, tuono o terremoto?
- No.
- Sai leggere?
- No.
- Non impari?
- Non ho ancora incominciato.
- È così che adempi l'ordine che la Madonna ti diede?
_ ? ! ... 57.
- Quando comandi alla gente d'inginocchiarsi a pregare è la Madonna che così
vuole?
- Non è la Signora che lo comanda, ma sono io che lo desidero.
- Tu t'inginocchi tutte le volte che appare?
- Qualche volta sto in piedi, altre volte m'inginocchio.
- Quando parla la sua voce è dolce e gradevole?
- Sì, tanto.
- Che età sembra avere?
- Sui quindici anni.
- Di che colore è la catenina del rosario?
- Bianca.
- E il crocefisso?
- Pure bianco.
- Il velo copre la fronte della Signora?
- No, non la copre. La fronte si vede bene.
- Lo splendore che la circonda è smagliante?
- Più della luce del sole.
- La Signora non ti salutò mai con un cenno del capo o delle mani?
- Mai!
- È solita guardare il popolo?
- Non l'ho mai osservato.
- Non ti ha mai sorriso?
- No, mai.
- Senti i discorsi, i rumori e le grida del popolo, quando vedi la Signora?
- Non sento nulla.
- La Signora ti chiese in maggio di tornare tutti i mesi fino ad ottobre nella Cova da
Iria?
- Disse che tornassimo là ogni mese, per sei mesi, il giorno tredici.
- Hai sentito leggere da tua madre il libro intitolato Missào abreviada, dove si
racconta la storia dell'apparizione della Madonna ad un bambino e ad una
bambina?
- Sì.
- Pensavi molte volte a questa storia e ne parlavi agli altri bambini?
- Non vi ho mai pensato e non la raccontai ad alcuno.
Ascoltata Lucia, il dottor Formigao si diresse alla casa del signor Marto, e in
presenza di lui e di alcune sorelle dei veggenti interrogò in primo luogo Giacinta:
- La Signora ti ha raccomandato di recitare il rosario?
- Sì.
- Quando?
- Quando apparve la prima volta.
- Hai sentito anche tu il segreto o fu solo Lucia che l'udì?
- L'udii anch'io.
- Quando l'hai udito?
- La seconda volta, il giorno di S. Antonio.
- Questo segreto è per diventare ricchi?
- No.
- Per diventare buoni e felici?
- Sì. È per il bene di tutti e tre.
- Per andare in Cielo?
- No.
- Non puoi rivelarlo?
- No.
- Perché?
- Perché la Signora raccomandò di non rivelarlo ad alcuno.
- Se la gente sapesse il segreto, avrebbe motivo di rattristarsi?
- Sì.
- Come teneva le mani la Signora?
- Le teneva elevate.
- Sempre elevate?
- Qualche volta con le palme verso il cielo.
- La Signora vi ha detto in maggio di andare alla Cova da Iria più volte?
- Disse che voleva che andassimo là per sei mesi di seguito, finché in ottobre ci
avrebbe detto ciò che voleva.
- Ha forse attorno al capo qualcosa di luminoso?
- Sì.
- Puoi tu fissare bene il suo volto?
- Non lo posso, perché mi farebbe male agli occhi.
- Hai sentito sempre bene ciò che la Signora disse?
- L'ultima volta no, per il fracasso che faceva il popolo.
Venne la volta di Francesco: - Quanti anni hai?
- Nove anni compiuti.
- Tu vedi solo la Madonna o senti anche ciò che dice?
- lo la vedo solamente, non sento niente di ciò che dice.
- Ha qualche splendore intorno al capo?
- Sì.
- Puoi fissarla bene in volto?
- La posso guardare, ma per poco tempo, a causa della luce.
- Ha dei ricami sul vestito?
- Ha due cordoni d'oro.
- Di che colore è il crocefisso?
- È bianco.
- E la catenina del rosario?
- Bianca anche quella.
- Il popolo avrebbe motivo di rattristarsi se sapesse il segreto?
- Sì.
Per la semplicità di queste risposte il dott. Formigao si convinceva sempre più della
sincerità dei fanciulli, e raddoppiava la sua ansietà in attesa del giorno tredici che
doveva definitivamente segnare la soprannaturalità degli avvenimenti di Fatima. I
piccoli affermavano che la Madonna aveva promesso un segno dal Cielo. La buona
Madre di Dio non avrebbe mancato, se era veramente lei, di compiere le sue
promesse.
Capitolo ventiquattresimo
Ahimè ... Dove mai
andiamo a finire! ...
(Maria Rosa)
«Nel prossimo 13 ottobre farò un miracolo perché tutti credano», aveva assicurato
nelle ultime tre apparizioni la Vergine SS. alla sua confidente. E Lucia, a sua volta,
lo ripeteva a tutti coloro che venivano ad interrogarla.
Per tutto il Portogallo si parlava dell'avvenimento e si aspettava la realizzazione del
grande miracolo nel giorno, ora e luogo fissato. Il tredici ottobre sarebbe stato, per
le apparizioni di Fatima, la prova decisiva e concludente.
I nemici della Chiesa ridevano di questa profezia e dei sempliciotti che vi credevano;
gioivano della magnifica opportunità che gli avvenimenti offrivano loro per poter
seppellire una volta per sempre, in Portogallo, la moribonda religione cristiana.
Lo stesso tredici ottobre, Avelino de Almeida pubblicava sul Século un articolo, in
cui faceva del facile umorismo attorno al caso di Fatima; articolo che fu una
«réclame» non solo tra i cittadini, ma anche in tutte le province, poiché il Século era
il giornale più diffuso del tempo.
A Fatima, e soprattutto in Aljustrel, ove poco si credeva nelle apparizioni, regnava
un vero orgasmo.
- Che accadrà? - si domandava la gente.
Fioccavano da ogni parte minacce sui fanciulli e sulle loro famiglie se il miracolo
non fosse avvenuto.
«La mia famiglia - ci racconta la signora Maria dos Anjos - era di questo molto
preoccupata e perciò andavamo ripetendo a Lucia che sarebbe stato bene che
desistesse dalla sua cocciutaggine, perché avremmo corso tutti dei guai. Mio padre
la rimproverava assai e quando aveva bevuto era addirittura insopportabile, ma non
si permise mai di toccarla. Chi la castigava di più era la mamma. Si parlava persino
di un lancio di bombe per incutere paura ai fanciulli e a noi.
- Se dipendesse da noi - ci dicevano alcuni - li chiuderemmo in una camera, finché
confessino di avere mentito.
Noi avevamo molta paura. In assenza di Lucia, ci bisbigliavamo a vicenda: - Che
sarà di noi? - E i vicini insinuavano: - Una bomba distruggerà tutto, case e cose
nostre.
Qualcuno consigliò la mamma di portare lontano Lucia, in un luogo sconosciuto.
Cento teste, cento pareri. Tutti avevano un consiglio da dare e noi non sapevamo
cosa fare.
- Se è la Madonna che appare - ripeteva la mamma - avrebbe già potuto compiere.
qualche miracolo... Far scaturire .. una fonte.... o qualche altra cosa. Quando piove
si forma solo una pozzanghera d'acqua e nient'altro. Ahimè ... dove andiamo mai a
finire?
I fanciulli invece, non avevano alcun timore.
Una volta, pochi giorni prima del tredici ottobre, andai presso di loro al pozzo e
dissi:
- Dunque, quand'è che vi deciderete a dire che non avete visto nulla alla Cova da
Iria? Sapete che getteranno bombe per distruggere le nostre case ... Non è meglio
che lo diciate solo a me? Io poi andrò dal parroco, e il parroco avviserà in chiesa ...
Volete che ci vada? Volete?
Lucia, a testa bassa, taceva, mentre Giacinta, con la sua vocina malinconica, disse
fra le lacrime:
- Ma noi abbiamo visto! ...».
Era tanto il terrore in casa Abobora che all'alba del giorno dodici la mamma di
Lucia scese dal letto, andò a svegliare la figlia e le disse:
- Lucia; è meglio che andiamo a confessarci. Dicono che dobbiamo morire nella
Cova da Iria ... Se la Signora non fa il miracolo, il popolo ci ammazza. Quindi è
meglio che ci confessiamo per prepararci alla morte.
Ma Lucia rispose con calma:
- Se tu, mamma, vuoi confessarti, ti accompagno: ma non per questo motivo. Io non
ho paura che ci ammazzino. Sono sicurissima che la Signora farà domani tutto ciò
che promise.
E non si parlò più di confessione.
In casa di Francesco e di Giacinta regnava maggiore tranquillità. Essendo il signor
Marto convinto della realtà delle apparizioni, non c'era nulla che rendesse la sua
fede meno stabile. Con incrollabile sicurezza. attendeva quindi gli avvenimenti
annunziati.
«Pochi giorni prima - ci racconta il buon uomo - venne qui, con un suo
parrocchiano, il Padre Poças, parroco di Porto di Mòs, con l'intento d'ottenere che i
fanciulli si smentissero.
Quando io arrivai a casa, aveva già interrogato Francesco, ma senza alcun risultato.
Volevano anche parlare con Lucia e con Giacinta, ma esse erano andate a Boleiros a
prendere della calce con un'asinella. Nonostante che io dicessi che le ragazze
sarebbero tornate presto, andarono loro incontro con Giovanni. Non tardò molto
che tornarono tutti ed io li incontrai presso la casa di Maria dos Anjos, sorella di
Lucia.
Il Padre Poças cominciò ad interrogare Lucia:
- Ascolta, ragazza, tu ora mi devi dire che tutto è una storia. Se tu non lo dici, lo dico
io e lo farò sapere a tutti. Tutti mi crederanno e verranno poi alla Cova a distruggere
ogni cosa e neppure voi sfuggirete.
Lucia non rispose parola, ed io non potei trattenermi dal dire: - È meglio che
telegrafi dappertutto!
- Bisognerebbe proprio fare così e allora nessuno verrebbe per il tredici e tutto
sarebbe finito!
Io mi stizzii e Giacinta, che non soffriva di veder qualcuno incollerito, sparì. Mi volsi
al Padre e gli dissi:
- Se è così, lasciate stare le ragazze in pace! Nessuno impedisce ai signori di fare ciò
che vogliono!
Allora quel tale che stava con il sacerdote disse furioso:
- Tutto ciò non è che menzogna. Anche una mia serva era così. Quando si ficcava in
testa una cosa, non c'era nessuno che gliela togliesse!
Tornammo a casa in silenzio e trovammo Giacinta sulla soglia intenta a pettinare
una sua coetanea.
- Giacinta, - le disse il sacerdote - tu non hai voluto confessare. Ma Lucia ci ha detto
che tutto è una menzogna.
- No, Lucia non ha detto niente - rispose con fermezza la piccola. Alle sue insistenze
Giacinta replicava:
- Lucia non ha detto nulla!
Si vedeva che erano stupiti della fermezza della piccola; pensavo quasi che si
convincessero delle apparizioni, ma ad un certo momento quel parrocchiano prese
dieci centesimi dalla tasca e li offrì a Giacinta. Ma io gli fermai il braccio e gridai:
- No, questo poi no!
- A Giovanni almeno posso dar qualcosa!
- Non è necessario, ma, se vuole, a lui può darli.
Quando uscirono, il sacerdote si voltò verso di me e mi disse: - Avete giocato bene la
vostra carta!
- Bene o male non so: in questa casa si usa così!
Non ottennero, - conchiude il buon vecchio - che i fanciulli si smentissero, ma se
anche l'avessero ottenuto, io sarei rimasto nella mia convinzione che essi avevano
detto il vero».
Capitolo venticinquesimo
Vi era una folla immensa.
(Maria da Capelinha)
All'ingiustificato terrore dei genitori di Lucia e della maggior parte degli abitanti di
Aljustrel contrastava la tranquillità e la viva fede di migliaia di pellegrini che da
tutte le province del Portogallo andavano verso la privilegiata terra della promessa.
Era uno spettacolo veramente impressionante.
Abbiamo sotto gli occhi varie descrizioni di questo singolare pellegrinaggio, e ci
rincresce di non poterle trascrivere per intero. Ci accontenteremo di alcuni tratti
riportati da testimoni insospettabili.
«Si erano spopolati paesi, villaggi e città vicine - riferisce un articolo del giornale O
Dia del 19 ottobre 1917, che oggi sappiamo essere stato scritto da Donna Madalena
de Marte! Patricio.
Fin dalla vigilia sulle strade gruppi di pellegrini si avviavano a Fatima. I pescatori
di Vie ira avevano abbandonato le nere case di legno e le povere reti in riva al
mare.
Per le pinete, ove i pignuoli sembrano gocce di rugiada sull'erba, attraverso le
colline ove vorticano le eliche dei mulini a vento, erano venuti a piedi, coi
calzettoni di lana alle gambe muscolose, gli ampi mantelli sopra le spalle e in testa
il sacco delle provviste. Il passo corto e svelto alzava l’orlo dei mantelli e agitava i
fazzoletti color arancione che nascondevano i capelli neri.
Operai di Marinha, lavoratori di Monte Real, di Cortes, di Marrazes, montanare
delle lontane serre di Soubio, di Minde, di Louriçal, gente da tutte le parti ove era
giunta l'eco del miracolo, lasciavano le case e i campi, e venivano a Fatima a
cavallo, a piedi, sui carri, attraversando strade, monti, pinete, che per due giorni
furono animati dal rumore dei carri, dal trotto dei giumenti, dal vociare dei
pellegrini. Le vigne, ormai vendemmiate, ingiallivano nella stagione autunnale. Il
vento di nord-est,
Il mare, sulla vasta spiaggia di Vieira, spumeggiava, ruggiva, si alzava in onde
alte e pei campi si udiva il mugghio possente della sua voce.
Durante la notte e per tutta la mattina cadde una pioggerella fine e persistente che
allagava i campi, intristiva la terra, penetrava fino alle ossa delle donne, dei
fanciulli, degli uomini e degli animali che ingorgavano le strade fangose nel
viaggio frettoloso verso la serra del miracolo.
La pioggia cadeva, cadeva, fine ed ostinata, e le gonne di fustagno e di cotone
multicolori gocciolavano, pesavano come piombo sui fermagli delle cinture. I
berretti e i cappelli larghi stillavano acqua sulle giubbe nuove. I piedi scalzi delle
donne, le scarpe ferrate degli uomini si maceravano nelle pozzanghere delle
strade. Ma sembrava che quella pioggia non bagnasse, quasi non si sentisse.
Andavano verso la serra, illuminati dalla fede, nell'ansia del miracolo promesso
dalla Madonna per il giorno tredici.
S'intensificava il mormorio che veniva dal monte e sembrava la voce lontana del
mare che si spandeva nel silenzio dei campi ... Risuonavano canti intonati da
migliaia di bocche. Sull'altipiano della serra si agitava una massa enorme di
migliaia e migliaia di creature di Dio, migliaia e migliaia di anime in preghiera.
Mani alzate, occhi in contemplazione, nella fede ardente del loro credo, venivano a
chiedere conforto nelle amarezze della vita ...».
Sulla strada da Chao de Maças a Vila Nova de Ourém lo stesso pietoso
pellegrinaggio. Così ce lo descrive Avelino de Almeida, inviato speciale del giornale
O Século.
«... Sulla strada s'incontrano i primi gruppi di pellegrini che vanno verso il luogo
santo, distante ben più di venti chilometri. Uomini e donne sono quasi tutti scalzi:
queste, reggenti sul capo sacchetti, sormontati dagli scarponi; quelli, appoggiati a
grossi bastoni e muniti di parapioggia. Sembrano estranei a tutto, al paesaggio,
agli altri viandanti. Sono come immersi in un sogno e recitano con malinconica
melodia il rosario ... Con passo cadenzato e sicuro calpestano la strada polverosa,
tra pinete ed oliveti, per giungere prima che annotti al luogo delle apparizioni,
ove, sotto il cielo e la luce fredda delle stelle, dormiranno occupando i primi posti
presso l'elce benedetto, per veder meglio il giorno dopo.
All'entrata del borgo donne del popolo, già tinte di ateismo, commentano,
scherzando sul caso del giorno.
- Dunque, vai domani a vedere la santa?
- Io no. Se lei venisse qui!
E ridono di gusto, mentre i devoti proseguono indifferenti a tutto ciò che non è
l'oggetto del loro pellegrinaggio. Durante la notte si riuniscono sulla piazza del
borgo i più svariati veicoli che conducono credenti e curiosi. Non mancano signore
vestite di nero, curve sotto il peso degli anni, ma con gli occhi illuminati dalla luce
ardente della fede che le spinge all'atto coraggioso di abbandonare, per un giorno,
l'inseparabile angolo della casa.
Al sorger dell'alba, nuovi gruppi si avviano intrepidi e attraversano l'abitato, il cui
silenzio viene rotto dall'armonia dei loro canti. Il sole nasce, ma la volta del cielo
minaccia la pioggia.
Le nubi nere si ammucchiano proprio verso Fatima, ma nulla può arrestare coloro
che, da tutte le strade e con tutti i mezzi di locomozione, confluiscono al paese.
Automobili lussuose slittano rapidamente con assordanti richiami acustici; da un
lato si trascinano con lentezza carrozze, birocci, calessi, carri trainati da buoi su
cui si sono improvvisati sedili carichi da non si dire.
Quasi tutti portano coi sacchetti, più o meno modesti, la razione di biada e fieno
per gli animali che il poverello di Assisi chiamava nostri fratelli e che compiono
valorosamente il loro dovere ... Squilla l'una e l'altra campanella, si vede una
carrozza adorna di rami di mirto, mentre l'aria festiva è discreta, i modi composti,
l'ordine assoluto ... Asinelli trottano al margine della strada e ciclisti
numerosissimi fan prodigi per non incontrarsi coi cani.
Alle dieci il cielo è totalmente coperto e incomincia a piovere dirottamente.
L'acqua, battuta dal vento montano, flagella i volti, infanga la strada inumidendo
fino all'osso i pellegrini sprovvisti di ombrello o di qualsiasi altro riparo. Ma
nessuno s’impazientisce o desiste dal proseguire, e se alcuni si riparano sotto gli
alberi, presso i muri delle ville o nelle case che sorgono lungo il cammino, altri
proseguono la marcia con impressionante resistenza ... Il grosso dei pellegrini,
migliaia di creature, venute dai dintorni o da varie province - Alentejo e Algarve,
Minho e Beira, - si ammassa intorno al piccolo elce che) al dir dei pastorelli, la
visione aveva scelto come suo piedestallo, e che poteva considerarsi come il centro
dell’ampio circo attorno al quale altri spettatori, altri devoti si van sistemando.
Visto dalla strada il gruppo è semplicemente pittoresco. I contadini prudenti,
protetti da grandi cappelli, accompagnano lo scarico delle frugali provviste col
canto di inni religiosi e con la recita del rosario.
Nessuno ha timore d'affondare i piedi nel fango per vedere più da vicino l'elce
sopra il quale è stato eretto il rustico arco da cui pendono due lampade.
Si alternano gruppi che cantano lodi alla Vergine; una lepre, spaventata,
attraversando il bosco, attira appena l'attenzione d’una mezza dozzina di ragazzi
che la rincorrono e la uccidono con una bastonata».
Quanti erano i pellegrini di Fatima in quel memorabile giorno? Quarantamila?
Cinquantamila? Settantamila? .. Nella sua relazione, l'illustre professore
dell'Università di Coimbra, Almeida Garret, parla di oltre centomila 58. Non erano
soltanto devoti come le altre volte, ma c'era una buona percentuale di curiosi, di
miscredenti, di atei, che eran venuti unicamente per farsi beffe e ridere di tanta
ingenua fede. Adagiati in comode automobili, contemplavano con compassione
tutta quella gente che si era sobbarcata a tanti sacrifici: per che cosa?
Il dotto Formigao, che era presente al miracolo, ci riferisce un aneddoto pittoresco
che ben ritrae questa genia di spettatori.
In una vettura di piazza, alcuni uomini, dall'apparenza di commercianti, parlavano
calorosamente tra loro. Ad un certo punto uno gridò, quasi esasperato:
- Era meglio che avessero tagliato la testa ai tre marmocchi! Ci hanno ingannati
facendoci bagnare fino al midollo delle ossa.
- No - replicò un'altro. - La colpa è dei genitori. Tanta gente illusa per causa loro.
Dovevano metterli in prigione!
- Che grottesca situazione! - esclama un terzo. - Era meglio che fossimo rimasti a
Ourém a mangiare una fetta di prosciutto e a bere un buon bicchier di vino ...
«Fin dal giorno 12 - ci racconta la signora Maria Carreira - c'era tanta gente da non
potersi immaginare e faceva un tal fracasso che si udiva fin dal nostro villaggio.
Trascorsero tutti la notte all'aria aperta, perché non c'era qui riparo alcuno. Non era
ancor spuntato il sole e già si pregava, si cantava, si piangeva. Anch'io venni qui
molto presto, e potei avvicinarmi all'elce, ridotto ormai solo a un ceppo,
quantunque alla vigilia lo avessi adornato di fiori e di nastri di seta. Mi rincresceva
che fosse l'ultima volta che la Madonna doveva apparire, ma nello stesso tempo ero
contenta, perché desideravo sapere ciò che la Vergine SS. avrebbe detto e vedere il
miracolo che avrebbe fatto affinché tutti credessero.
Presso il luogo delle apparizioni c'era un sacerdote che vi aveva trascorso la notte e
stava recitando il breviario.
A mezzogiorno giunsero i bambini, vestiti di bianco come per la Comunione, e il
sacerdote domandò loro a che ora la Madonna sarebbe venuta.
- A mezzogiorno - rispose Lucia.
Il sacerdote guardò l'orologio e disse:
- Guarda, è già mezzogiorno! La Madonna non dice bugie; stiamo a vedere.
Passarono alcuni istanti. Quel pretino guardò ancora l'orologio e disse:
- Mezzogiorno è già passato. Tutto è finito. Tutto è pura illusione. Ma Lucia non
voleva andar via. Allora il prete incominciò a spingere i tre fanciulli con le mani, ma
Lucia, quasi piangendo, disse: - Chi vuole andar via, vada. Io resto. Qui sono sul
mio. La Madonna disse che sarebbe venuta ... L'ho vista altre volte ed ora devo
ancora vederla!
Nello stesso tempo guardò all'oriente e disse a Giacinta:
- Giacinta, inginocchiati, ché già viene la Madonna. Ho visto il lampo.
Il prete ammutolì ed io non lo vidi più».
Capitolo ventiseiesimo
Io sono la Madonna del Rosario
(La Vergine SS.)
Torniamo ancora una volta indietro. In Aljustrel, in casa della signora Maria Rosa,
vi era una grande trepidazione. Per la prima volta la buona donna s'inteneriva,
supponendo che per la figlia sarebbe stato quello l'ultimo giorno di vita. Con le
lacrime agli occhi, contemplava la piccola che, asciugandole il volto, cercava di
consolarla.
- Non aver paura, mamma. Niente di male avverrà, son certa! La Madonna farà ciò
che promise!
Lucia si disponeva ad andare a casa degli zii per unirsi ai cugini, quando, in un
impulso di amor materno, la signora Maria Rosa si decise di accompagnarla al
luogo delle apparizioni.
- Se mia figlia va a morire, anch'io voglio morire al suo fianco. Col marito
accompagnò la ragazza in casa degli zii.
Con difficoltà poterono aprirsi la strada ed entrare in casa del signor Marto, al quale
diamo ora la parola:
«I curiosi e i devoti empivano la casa perché fuori pioveva molto, e tutto era una
pozzanghera. Mia moglie si crucciava al veder quella gente, sugli armadi e sui letti,
che insudiciavano tutto. Tentai di consolarla, dicendole:
- Ma lasciamo perdere! Quando sarà piena non entrerà più nessuno! ...
All'ora stabilita mi disposi ad accompagnare i figli, quando un mio vicino mi tirò in
disparte e mi disse sottovoce:
- Signor Marto, è meglio non andare ... perché potrebbero maltrattarli ... I piccoli no
... Son ragazzi... Nessuno farà loro del male ... Ma voi correte il rischio di essere
maltrattato!
- Ma io vado con fede - gli risposi. - Non ho alcuna paura e non dubito per nulla
della buona riuscita delle cose.
La mia Olimpia sì, che aveva molta paura: era molto confusa ... Si raccomandava
alla Madonna ... Vedeva tutto buio perché i preti e la gente pronosticavano male. I
piccoli invece erano sicuri della loro vita e Giacinta e Francesco non apparivano
affatto turbati. - Se ci faranno del male - diceva Giacinta - andremo in Cielo, ma ...
ma ... coloro che ci faranno del male, poverini, andranno all'inferno!
Una signora di Pombalinho, che forse era la baronessa di Almeirim, portò due
vestiti per le fanciulle ed essa stessa glieli indossò: uno azzurro per Lucia, uno
bianco per Giacinta; in testa pose loro una corona di fiori di seta, così che parevano
angioletti. Uscimmo di casa che pioveva a dirotto. La strada era fangosa. Ma tutto
questo non impediva che ci fossero donne e signore che si inginocchiassero davanti
ai fanciulli.
- Non fate questo, donne! - dicevo io.
Quella gente pensava che i fanciulli avessero il potere dei santi. Dopo molte fatiche e
molti intoppi, arrivammo alla Cova da Iria. Il popolo era tanto numeroso che non si
poteva passare. Fu allora che un autista prese la mia Giacinta in braccio e a spintoni
si aprì il passaggio fino ai pali che sostenevano le lampade, gridando: - Lasciate
passare i fanciulli che videro la Madonna!
Io mi misi dietro a loro e Giacinta, afflitta nel vedermi fra tanta gente, gridava:
- Non schiacciate il mio papà, non schiacciate il mio papà! Quell'uomo la pose a
terra presso l'elce, ma anche là la folla faceva ressa e la piccola piangeva. Fu allora
che Lucia e Francesco se la presero in mezzo.
La mia Olimpia era rimasta indietro, mentre la comare Maria Rosa era riuscita a
raggiungerci. Mi sentii smarrito quando vidi un brutto ceffo che appoggiava un
bastone sulle mie spalle. Pensai tra me:
- Questo è l'inizio del disordine.
Il popolo premeva da ogni parte, ma quando giunse il "momento" rimase silenzioso
e quieto».
Il momento fissato era il mezzogiorno solare.
Alcuni istanti dopo, i tre veggenti vedono il lampo e Lucia grida: - Silenzio! Silenzio!
Viene la Madonna, viene la Madonna!
E la Madonna per l'ultima volta viene a posare i suoi piedi verginali sopra i mazzi di
fiori ed i nastri di seta con cui le mani pietose della signora Maria avevano ornato il
piedestallo.
Il volto della Vergine prende un'espressione soprannaturale, le fattezze diventano
più delicate, il colorito delle guance si fa più vivo, lo sguardo più soave. Lucia entra
in comunicazione diretta con il divino e più non ode la mamma che le dice:
- Guarda bene, figlia, guarda di non ingannarti!
Una nube argentea avvolge il candido gruppo come una tenue voluta di incenso.
- Che volete da me? - è la solita domanda che la semplicità di Lucia ha sempre
pronta.
- Voglio dirti che si costruisca qui una cappella in mio onore. Io sono la Madonna
del Rosario. Continuate a recitare il rosario tutti i giorni. La guerra sta per finire e i
soldati torneranno presto alle proprie case.
- Ho molte grazie da chiedervi. Le esaudirete?
- Alcune sì, altre no - risponde la Vergine. - È necessario che si emendino, che
chiedano perdono dei loro peccati. E, assumendo un'aria di tristezza, continua:
- Non offendano più Gesù che è già troppo offeso.
- Non volete più niente da me? - domanda infine la fanciulla.
- Non voglio altro - risponde la bianca Signora.
- Io pure non vi chiedo più nulla.
E la Madonna del Rosario si accomiata, per l'ultima volta, dai suoi tre confidenti;
apre le mani, le converge ai raggi del sole, e, mentre si solleva, la sua luce non lascia
di proiettarsi sul disco luminoso. La visione è più splendente del sole!
Lucia, senza staccare il suo sguardo dalla radiosa apparizione, grida al popolo:
- Se ne va, se ne va! Guardate il sole.
Presso il sole una nuova visione si spiega allo sguardo dei tre privilegiati fanciulli: è
S. Giuseppe con il Bambino Gesù e la Madonna, la Sacra Famiglia.
S. Giuseppe, vestito di bianco, emerge dalle nuvole solo nella parte superiore del
corpo. Il Bambino, sul suo braccio sinistro, vestito di rosso, appare completamente.
La Madonna, alla destra del sole, si vede tutta, vestita di rosso e con un manto
azzurro che le copre la testa e le cade fluente.
S. Giuseppe traccia per tre volte, nell'aria azzurra, una croce, benedicendo
quell'immensa moltitudine inginocchiata nella Cova fangosa.
Scomparsa questa apparizione, ne succede un'altra. È Gesù alla destra del sole,
vestito di rosso, e la sua Madre Santissima nell'aspetto della Madonna Addolorata,
vestita di violaceo, ma senza la spada nel petto. Il Divin Redentore manda la sua
benedizione sul popolo.
Terminata questa visione, a Lucia sembra ancora di vedere la Madonna con le
caratteristiche di N. S. del Carmine, che tiene qualcosa pendente nella mano destra.
E le visioni del Cielo di Fatima scompaiono per sempre.
Capitolo ventisettesimo
Il sole incominciò a muoversi sobbalzando
(Maria da Capelinha)
Mentre i fanciulli contemplavano estatici i celesti personaggi, aveva inizio il
miracolo annunziato, stupendo come nessuno avrebbe osato sperare. Lucia
l'annunziò al popolo radunato con il grido: - Guardate il sole!
«Noi guardavamo senza difficoltà il sole - ci racconta il padre di Giacinta - e non
accecava. Pareva che si spegnesse e si accendesse un po' in un modo, un po' in un
altro. Gettava raggi di luce da un lato e dall'altro e colorava ogni cosa di differenti
colori, gli alberi e il popolo, la terra e l'aria. Ma la cosa più stupefacente è che il sole
non faceva male alla vista.
Tutto era quieto e tranquillo. Tutti tenevano gli occhi rivolti verso il cielo, quando
ad un certo punto il sole si fermò e poi cominciò a danzare e a saltare: si fermò
un'altra volta e un'altra volta cominciò a danzare, fino al punto che sembrò staccarsi
dal cielo e venire sopra di noi. Fu un momento terribile! ...».
Anche Maria da Capelinha vide ad un certo momento che il sole cominciava a
muoversi sobbalzando.
«Assumeva diversi colori: giallo, azzurro, bianco e tremava, tremava tanto che
pareva una ruota di fuoco che venisse a cadere sul popolo! Tutti gridavano:
- Ahi, Gesù! Qui moriamo tutti, tutti! Gesù, qui moriamo tutti!
Altri urlavano: - O Madonna, aiuto! - e recitavano l'atto di contrizione. Ci fu persino
una signora che fece la confessione generale e ad alta voce diceva: - Io ho fatto
questo, quel peccato, quell'altro ...
Infine, il sole si fermò e tutti diedero un gran sospiro di sollievo. Erano ancor vivi ed
era quello il miracolo che i fanciulli avevano annunziato». 59
Sì, il miracolo era avvenuto e non furono solo gli occhi dei semplici, degli umili, che
lo contemplarono, ma tutta la moltitudine: settantamila persone là radunate,
credenti e non credenti, testimoniavano il fatto singolare.
Nell'impossibilità di riferire qui per disteso ciò che fu tramandato dai giornali
dell'epoca, scegliamo due brani dei principali quotidiani della capitale.
Dice O Dia del 19 ottobre 1917:
«All'una del pomeriggio, ora solare, cessò la pioggia. Il cielo mantenne un tono
argenteo di perla e un chiarore strano che illuminava l'arida e grigia distesa del
paesaggio, triste, sempre più triste. Il sole aveva come un velo di garza
trasparente, per cui gli occhi lo potevano fissare. Il tono argenteo di madreperla si
trasformava come una lamina di puro argento splendente, finché le nubi si
squarciarono e il sole brillò, ma sempre avvolto nell'argenteo velo, per poi girare
su se stesso e roteare attorno alle nubi spostate. Un grido solo uscì da tutte le
bocche; tutte quelle migliaia di spettatori, che la fede trasportava fino al cielo,
caddero in ginocchio, sulla terra infangata. La luce diventava azzurra, d'un
azzurro strano, come se piovesse dalle vetrate d’una cattedrale immensa, dalle
ogive di mani che si ergevano in aria.
L'azzurro scomparve lentamente per dar luogo ad un'altra luce tendente al giallo.
Macchie di giallo cadevano ora sopra i fazzoletti bianchi, sopra gli indumenti scuri
e poveri. Eran macchie che si ripetevano indefinitamente sopra gli elci bassi,
sopra le pietre, sopra la serra. Tutti piangevano, pregavano col cappello in mano,
nell'impressione grandiosa del miracolo sperato! Furono secondi ... istanti che
sembrarono ore, tanto furono impressionanti».
Nell'O Século il giornalista anticlericale Avelino de Almeida riferisce così il miracolo
a cui assistette:
« ... Dall’alto della strada, ove sono agglomerati i carri e molte centinaia di
persone alle quali è mancato il coraggio di mettersi a terra nel fango, si osserva
tutta l'immensa moltitudine voltarsi verso il sole che appare libero da nubi, sullo
zenit.
L'astro sembra una placca d'argento opaco ed è possibile fissarlo senza il minimo
sforzo. Non scalda, non accieca. Si direbbe che sia in fase di eclissi. Ma ecco che si
alza un grido possente e agli spettatori che son vicini giunge la voce: - Miracolo,
miracolo! Meraviglia, meraviglia! - Agli occhi sbarrati di quel popolo, la cui
attitudine ci trasporta ai tempi biblici, e che, pallido di terrore, con la testa
scoperta, fissa l’azzurro, il sole tremò, il sole ebbe movimenti bruschi, non mai visti
e contro tutte le leggi cosmiche; - il sole ballò - secondo la tipica espressione dei
contadini ...
Accoccolato sulla pedana della corriera di Torres Novas, un vecchietto, la cui
statura e fisionomia ad un tempo ricorda quella di Paolo Déroulède, recita a voce
alta il Credo, rivolto al sole. Domando chi è e mi dicono essere il signor Giovanni
Maria Amato de Melo Ramalho da Cunha Vasconcelos. Lo vedo poi rivolgersi a
coloro che lo attorniano e che stanno col cappello in testa, supplicandoli con calore
che si scoprano davanti a così straordinaria dimostrazione dell'esistenza di Dio.
Scene identiche si ripetono in altri punti e una signora grida, immersa nel pianto,
quasi soffocato: - Che pena! Ci sono ancora degli uomini che non si scoprono
davanti a così stupendo miracolo! Ed in fine si domandano a vicenda se hanno
visto e che cosa hanno visto: il maggior numero confessa di aver visto il tremito e
la danza del sole; altri dichiarano di aver visto il volto sorridente della Madonna;
altri giurano che il sole girò sopra se stesso come una ruota di fuoco artificiale, che
si abbassò quasi al punto da bruciare la terra coi suoi raggi... C'è chi afferma di
averlo visto cambiare successivamente colore ...».
Ci piace pure riferire parte d'una lettera che l'illustre professore di Coimbra, dotto
Almeida Garret, scrisse al dott. Formigao, sollecitato da lui a descrivergli ciò che
aveva visto in quel memorabile giorno 13 di ottobre:
«Continuando a guardare il luogo delle apparizioni, in una aspettativa serena e
fredda e con una curiosità che andava scemando, perché era già passato molto
tempo senza che nulla attirasse la mia attenzione, udii il fragore di migliaia di voci
e vidi quella moltitudine sparsa nel vasto campo stendentesi davanti a me, o
ammonticchiata attorno ai pali eretti, o sopra i bassi muriccioli che circondano la
terra, voltar le spalle al punto verso il quale già da tempo s'erano diretti i desideri
e le ansie, e guardare il cielo dal lato opposto. Erano quasi le due legali, che
corrispondono più o meno al mezzogiorno solare.
Il sole, pochi istanti prima, aveva rotto trionfalmente la densa cortina di nubi che
l'occultavano, per brillare chiaramente e intensamente. Mi girai verso quel
magnete che attirava tutti gli sguardi e potei vederlo simile ad un disco con bordo
nitido e spigolo vivo, luminoso e rilucente, ma che non offendeva la vista.
Non mi sembrò esatto il paragone, che udii fare in Fatima, di un disco argenteo
opaco. Era un colore più chiaro, attivo e ricco e mutevole, sfaccettato come un
cristallo. Non somigliava per nulla alla luna, trasparente e pura, perché si vedeva
e si sentiva che era un astro vivo.
Non era, come la luna, sferico; non aveva la stessa tonalità e le stesse macchie.
Pareva una ruota rilucente, tagliata in un rosso chiaro di madreperla ... Neppure
si confondeva col sole velato dalla nebbia (che d'altronde non c'era a quell'ora)
perché non era opaco, diffuso e velato. In Fatima dava luce e calore e si disegnava
nitido con l'orlo tagliato a spigolo come una tavola da gioco.
La volta celeste era ricamata di lievi cirri, avendo squarci di azzurro qua e là, ma
il sole alcune volte si distaccò in squarci di cielo limpido. Le nubi, che correvano
leggere da ponente ad oriente, non appannavano la luce (che non feriva) del sole,
e davano l'impressione, facilmente comprensibile e spiegabile, di passargli dì
dietro; ma alle volte questi fiocchi, che diventavano bianchi, sembravano
prendere, passando sul sole, una tonalità rosa od azzurro diafana.
È meraviglioso che, per tutto quel lungo tempo, si potesse fissare l'astro splendente
di luce e rosso di calore senza alcun dolore agli occhi e senza abbagliare la retina.
Questo fenomeno, con due brevi interruzioni, nelle quali il sole ardente gettò i suoi
raggi più forti e rifulgenti che obbligarono a distogliere lo sguardo, dové durare
circa dieci minuti.
Questo disco aveva le vertigini del movimento. Non era lo scintillare di un astro in
piena vita. Girava su se stesso con una velocità impetuosa.
Di repente s'udì un clamore, come un grido d'angoscia di tutto quel popolo. Il sole,
conservando la velocità della sua rotazione, si distaccava dal firmamento e
scendeva sanguigno sulla terra, minacciando di schiacciarci col peso della sua
ignea ed ingente mole. Furono secondi terrificanti.
Durante l'avvenimento solare che dettagliatamente ho descritto, nell'atmosfera si
alternavano vari colori.
Fissando il sole, notai che tutto s'oscurava intorno a me. Guardai ciò che mi stava
appresso e alzai lo sguardo allargo, fino all'estremo orizzonte, e vidi tutto
immerso in un color d'ametista. Gli oggetti, il cielo, la volta atmosferica avevano il
medesimo colore. Una quercia oscura, che si ergeva di fronte, lanciava sulla terra
un'ombra densa. Credendo d'aver sofferto di un'affezione della retina, ipotesi poco
probabile, perché in tal caso non avrei dovuto veder le cose colar violaceo, mi
girai, serrai le palpebre premendole con le mani per intercettare quella luce.
Ancora rigirato, aprii gli occhi e m’accorsi che il paesaggio e l'aria erano dello
stesso color violaceo. L'impressione che si ebbe non era di eclissi ... Continuando a
guardare il sole, notai che l’ambiente era ben chiaro. Subito dopo udii un
contadino, che ci stava vicino, dire con voce di sorpresa: - Questa signora è gialla!
... - Effettivamente tutto ora era cambiato, vicino e lontano, e aveva assunto il
colore di drappi di damasco giallo.
Le persone sembravano affette d'itterizia. Sorrisi nel trovarle francamente brutte
e senza grazia ... La mia mano aveva lo stesso colore giallo ...
I fenomeni qui descritti li osservai personalmente, tranquillo e sereno, senza
emozioni o sussulti.
Ad altri il compito di spiegarli e di interpretarli».
Abbiamo dato maggior estensione a questa testimonianza perché ci pare quella che
interpreta meglio il sentimento della quasi totalità delle persone di questa regione,
le quali ci riferiscono lo straordinario fenomeno.
Però non possiamo tralasciare altre citazioni sull'avvenimento, indiscutibilmente
miracoloso.
Diceva il dotto Domingos Pinto Coelho nel giornale A Ordem:
«Il sole, ora attorniato da fiamme rosse, ora aureolato di giallo e violetto sfumato,
pareva a volte animato da velocissimo movimento di rotazione, e a volte
sembrava distaccarsi dal cielo, avvicinarsi alla terra e irradiare un forte calore
...».
Nel medesimo giorno 13, a sera, il P. Manuel Pereira da Silva scriveva a un suo
collega, il canonico Antonio Pereira de Almeida da Guarda:
«Immediatamente il sole appare con una circonferenza ben definita. Si avvicina
come all’altezza delle nubi e comincia a girare sopra se stesso come una ruota di
fuoco imprigionato, con alcune intermittenze, per lo spazio di otto minuti. Ogni
cosa resta quasi oscura e le fattezze d'ogni persona sono gialle. Tutti
s'inginocchiano nel fango».
Da una lettera della signora Donna Maria do Carmo Marquez da Cruz Menezes
trascriviamo il tratto seguente:
«... Ma di repente cessò la pioggia e apparve il sole gettando i suoi raggi sulla
terra. Sembrava che stesse per cadere sopra quell'immensa nube di popolo e
girava come una ruota di fuoco prendendo tutti i colori dell' arcobaleno. Tutti noi
prendevamo gli stessi colori; i nostri volti, i nostri vestiti, la stessa terra. Si
udivano grida e si vedevano molte lacrime ... Io dissi, molto impressionata - Mio
Dio. Quanto è grande il vostro potere ....».
Mentre scrivevamo questo libro sullo stesso luogo delle apparizioni, ci capitò un
giorno, in un corso di esercizi spirituali per intellettuali, a cui prendeva parte il
signor Alfredo da Silva Santos, di interrogarlo sulle sue impressioni circa il miracolo
del 13 ottobre 1917, a cui sapevamo aver egli assistito.
«La sera della vigilia - ci disse - ero al caffè Martinho di Lisbona, il caffè
dell'Arcada, e mio cugino, Giovanni Lindim di Torres Novas, entrò e mi disse:
- Noi, domani, andiamo tutti a Fatima. Sembra che là sia avvenuto qualcosa di
straordinario e tutti siamo estremamente curiosi di sapere quello che può esserci
di vero.
- Se è così vengo anch'io - risposi.
Combinammo ed andammo con 3 automobili all'alba del giorno 13. Era tutto
annuvolato. La prima automobile sbagliò strada, ci perdemmo e arrivammo alla
Cova da Iria che era quasi mezzogiorno solare. Ogni angolo era affollato di gente.
Da parte mia ero andato senza alcuno spirito di pietà. Nonostante mi fossi messo
un po' discosto, vedevo (e mi pare ancora di vederle) Lucia e Giacinta. Quando
quella gridò: - Guardate il sole! - tutta la moltitudine ripeté: - Attenti al sole!
Attenti al sole!
Era un giorno di pioggia sottile e tediosa, ma pochi istanti prima del miracolo
cessò di piovere. Non posso spiegare ciò che avvenne. Il sole cominciò a danzare e
ad un certo punto sembrò distaccarsi dal firmamento, e, in ruote di fuoco,
precipitare sopra di noi. Mia moglie - eravamo sposati da poco - svenne, ed io non
ebbi il coraggio di sostenerla. Mio cognato, Giovanni Vassallo, la prese in braccio.
Caddi in ginocchio, dimentico di tutto. Quando mi alzai, non so quel che dissi;
ricordo che mi misi a gridare come gli altri. Un uomo con la barba bianca, di
Santarém, apostrofava gli atei: - Ditemi se c’è o no del soprannaturale».
- Non sarebbe poi il caso - osservavamo noi al signor Alfredo da Silva Santos - di
suggestione collettiva?
«L'unica cosa collettiva - rispose sorridendo - era la pioggia che ci aveva inzuppati
tutti fino alle ossa!».
È da notare che questo fenomeno miracoloso non fu visto soltanto nella Cova da
Iria, ma poté essere osservato anche a chilometri e chilometri di distanza, cosa che
distrugge ogni dubbio di illusione collettiva, come si esprime il vescovo di Leiria
nella sua lettera pastorale sul culto della Madonna del Rosario di Fatima.
Il poeta Alfonso Lopes Vieira poté presenziare al fenomeno dalla sua residenza di S.
Pietro di Moel, a circa 40 km. da Fatima.
«Nel giorno 13 ottobre 1917, non ricordandomi più della predizione dei pastorelli,
rimasi meravigliato davanti ad uno spettacolo abbagliante del cielo, per me
interamente nuovo, e che vidi da questa veranda».
Interessantissima è pure la descrizione che ci lasciò il P. Ignazio Lourenço e che
potemmo confermare personalmente, interrogando parecchie persone del suo
paese, Alburitel, e la stessa maestra a cui egli si riferisce, la signora Delfina Pereira
Lopes.
«Avevo allora appena nove anni e frequentavo la scuola elementare del mio paese,
che dista da Fatima 18 o 19 km. Si era verso mezzogiorno, quando fummo sorpresi
dalle grida ed esclamazioni di alcuni uomini e donne che passavano per la strada,
davanti alla scuola. La maestra, signora molto buona e pia, ma facilmente
impressionabile ed eccessivamente timida, fu la prima a correre sulla strada senza
poter impedire che noi ragazzi le corressimo dietro. Nella strada il popolo
piangeva e gridava, indicando il sole, senza dar risposta alle domande che loro
faceva la nostra insegnante. Era il miracolo, il grande miracolo che si vedeva
distintamente dall'alto del monte, ove è posto il mio paese. Era il miracolo del sole
con tutti i suoi fenomeni straordinari. Mi sento incapace di descriverlo come lo
vidi e sentii allora. lo guardavo fisso il sole e mi sembrava pallido in modo da non
accecare: era come un globo di neve che girava sopra se stesso. Poi
improvvisamente parve abbassarsi a zig-zag, minacciando di cadere sulla terra.
Spaventato, corse in mezzo alla gente. Tutti piangevano, attendendo da un istante
all’altro la fine del mondo.
Vicino a noi stava un incredulo, che aveva passato la mattinata a ridersi dei
creduloni che facevano tutto quel viaggio a Fatima per vedere una ragazza. Lo
guardai. Era come paralizzato, assorto, spaventato, con gli occhi fissi al sole. Poi
lo vidi tremare da capo a piedi e, levando le mani al cielo, cadere in ginocchio nel
fango gridando: - Nostra Signora. Nostra Signora.
Nel frattempo, la gente continuava a gridare e piangere, chiedendo a Dio perdono
dei propri peccati ... Poi andammo tutti nelle due chiese del villaggio, che, in pochi
istanti, furono piene ...
Durante questi lunghi minuti del fenomeno solare, gli oggetti attorno a noi
riflettevano tutti i colori dell’arcobaleno. Guardandoci l’un l’altro, uno appariva
azzurro, un altro violetto, un terzo vermiglio ...
Tutti questi fenomeni strani aumentavano il terrore del popolo. Passati forse dieci
minuti, il sole tornò al suo posto, nello stesso modo con cui era disceso, pallido e
senza splendore ... Quando la gente si persuase che il pericolo era scomparso, fu
una esplosione di gioia. Tutti proruppero in un coro di ringraziamenti: - Miracolo,
miracolo. Sia benedetta la Madonna.».
Terminato il fenomeno solare, avvenne un fatto naturalmente inspiegabile. Tutta
quella gente che era inzuppata d'acqua, si trovò completamente asciutta.
La Vergine SS. aveva moltiplicato i suoi prodigi per confermare la veracità delle
affermazioni dei fanciulli.
Al valore apologetico straordinario di tutti questi fenomeni, che non trovano
spiegazione nelle leggi naturali, nessuno sfugge: nessuno, naturalmente, che voglia
considerare le cose non mosso da preconcetti filosofici o da aprioristici sofismi.
Però, ci saranno sempre in questo povero mondo anime superbe e scettiche che
vogliono tutto negare, tutto interpretare con la propria debole intelligenza offuscata
dalla passione.
Non potremmo chiudere in modo migliore questo capitolo che citando le parole di
mons. D. José Alves Correia da Silva nella sua lettera pastorale, relativa alle
apparizioni:
«Il fenomeno solare del 13 ottobre 1917, descritto dai giornali dell'epoca, fu il più
meraviglioso e quello che recò maggiore stupore a coloro che ebbero la fortuna di
essere presenti. I fanciulli avevano fissato in antecedenza il giorno e l'ora in cui
doveva avvenire. La notizia corse veloce per tutto il Portogallo e, nonostante il
brutto tempo e la pioggia abbondante, si riunirono migliaia e migliaia di persone
che, al momento dell'ultima apparizione, presenziarono a tutte le manifestazioni
dell'astro maggiore, inneggiando alla Regina del Cielo e della terra, più brillante
del sole, all'apogeo della sua luce.
Questo fenomeno, che nessun osservatorio astronomico registrò e, pertanto, non
naturale, fu osservato da persone di tutti i ceti e classi sociali; da credenti e
miscredenti; dai giornalisti dei principali quotidiani portoghesi, perfino da
individui a chilometri di distanza, ciò che distrugge ogni supposizione d'illusione
collettiva».
Capitolo ventottesimo
Era vestita di bianco e
aveva la corona nella mano ...
(Francesco)
In quel medesimo giorno, alla sette di sera, il canonico Formigao procedeva ad un
nuovo interrogatorio dei veggenti: era di somma importanza non aspettare ed
evitare che i fanciulli restassero soli prima di essere interrogati. Peccato che la
stanchezza dei piccoli, dopo un giorno di tante emozioni ed inquisizioni, potesse
pregiudicare alquanto il risultato dell'unico interrogatorio serio di quel giorno.
Veramente i fanciulli non avevano avuto un momento di pace fin dall'alba e
specialmente dopo il miracolo.
Con la sua autorità di ministro del Signore, il canonico Formigao era riuscito ad
allontanare, finalmente, i curiosi e gli irriducibili importuni, così, con calma e
ponderazione poteva dare inizio al suo questionario. I fanciulli stessi dovettero
provare un grande sollievo quando si videro liberi alla presenza del buon sacerdote.
La prima ad essere interrogata fu Lucia.
- La Madonna apparve nuovamente oggi nella Cova da Iria?
- Sì, apparve.
- Era vestita come le altre volte?
- Era vestita alla stessa maniera.
- Apparvero anche S. Giuseppe e Gesù Bambino?
- Sì, anch'essi.
- Apparve qualcun altro?
- Apparve anche Nostro Signore benedicendo il popolo e la Signora dei due «colori»
60.
- Cosa vuoi dire con «la Signora dei due colori»?
- Apparve la Signora vestita come la Madonna Addolorata, ma senza la spada nel
petto, e la Signora vestita ... non so bene come, ma mi sembra che fosse la Madonna
del Carmelo.
- Vennero tutte nello stesso tempo, vero?
Fin da principio - ci dice il dotto Formigao - avevo avuto il presentimento della
realtà delle apparizioni. Confesso pertanto che feci questa domanda quasi tremando
e che dovetti fare uno sforzo per dare ad essa il tono affermativo. Benché,
assolutamente parlando, non fosse impossibile che i fanciulli fossero stati testimoni
della visione simultanea delle tre immagini della Vergine, il fatto, come è ovvio,
avrebbe creato una seria difficoltà.
- No, prima vidi la Madonna del Rosario, S. Giuseppe e il Bambino. Poi vidi Nostro
Signore. In seguito la Madonna Addolorata e in fine la Signora che mi pareva fosse
la Madonna del Carmelo. - Il Bambino Gesù era in piedi o in braccio a S. Giuseppe?
- Era in braccio a S. Giuseppe.
- Il Bambino era alto?
- Era piccolo.
- Che età poteva avere?
- Più o meno un anno.
- Perché hai detto che la Signora, una volta ti pareva vestita come la Madonna del
Carmelo?
- Perché aveva qualcosa pendente dalla mano.
- Apparvero sopra l'elce?
- No. Apparvero vicino al sole, dopo che era scomparsa la Signora dall'elce.
- Nostro Signore stava in piedi?
- Lo vidi solo dalla cintura in su.
- Quanto tempo durò l'apparizione sull'elce? Tanto da poter recitare il rosario?
- Non proprio tanto, mi pare.
- E le figure che hai visto vicino al sole, vi rimasero a lungo?
- Poco tempo.
- La Signora ti disse chi era?
- Disse che era la Madonna del Rosario.
- Le domandasti che cosa volesse?
- Sì.
- E cosa disse?
- Disse che ci emendassimo, che non offendessimo Nostro Signore già molto offeso,
che recitassimo il rosario e chiedessimo perdono dei nostri peccati.
- Disse qualcos' altro?
- Disse anche che voleva le facessimo una cappella nella Cova da Iria.
- Con quale denaro si deve edificare la cappella?
- Penso che sarà con il denaro che si raccoglierà colà.
- Disse qualcosa riguardo ai nostri soldati morti in guerra?
- Non parlò di loro.
- Ti disse di avvisare il popolo perché guardasse il sole?
- Non lo disse.
- Disse di volere che il popolo facesse penitenza?
- Sì, lo disse.
- Usò la parola penitenza?
- No, disse che recitassimo il rosario e ci emendassimo dei nostri peccati e
chiedessimo perdono a Nostro Signore, ma non parlò di penitenza.
- Quando cominciò il fenomeno del sole? Dopo che la Signora scomparve?
- Sì.
- Donde veniva?
- Da oriente.
- E le altre volte?
- Le altre volte non ci feci caso.
- La vedesti andare via?
- Sì.
- In che direzione?
- Verso oriente.
- Come scomparve?
- A poco a poco.
- Che cosa scomparve prima?
- La testa, poi il corpo, l'ultima cosa che vidi furono i piedi.
- Quando se ne andava, indietreggiava o voltava le spalle al popolo?
- Se ne andava voltando le spalle al popolo.
- Impiegò molto tempo a scomparire?
- Poco tempo.
- Era avvolta nella luce?
- Apparve immersa nello splendore. Questa volta abbagliava. Ogni tanto dovevo
stropicciarmi gli occhi. - La Madonna apparirà di nuovo?
- Penso di no, non mi disse nulla.
- Hai intenzione di ritornare alla Cova da Iria il giorno 13?
- No.
- La Signora farà ancora miracoli? Non guarirà infermi?
- Non so.
- Non le facesti qualche richiesta?
- Io le ho detto oggi che avevo varie richieste da presentarle ed ella disse che ne
avrebbe esaudite alcune ed altre no. - Non disse quando le avrebbe esaudite?
- Non lo disse.
- Sotto quale titolo vuole che si faccia la cappella della Cova da Iria?
- Oggi disse che era la Madonna del Rosario.
- Disse di volere che ci andasse colà molta gente d'ogni parte?
- Non comandò a nessuno di andarvi.
- Vedesti i fenomeni del sole?
- Lo vidi roteare.
- Vedesti anche fenomeni sull'elce?
- No.
- La Signora quando era più bella: questa o le altre volte? - Sempre bella.
- Fin dove le scendeva il vestito?
- Fino oltre la metà della gamba.
- Di che colore era il vestito della Madonna vicino al sole?
- Il manto era azzurro ed il vestito bianco.
- E il vestito di Nostro Signore, di S. Giuseppe e del Bambino?
- Quello di S. Giuseppe era rosso e quello di Nostro Signore e del Bambino mi pare
fossero anche rossi.
- Quando domandasti alla Signora che cosa avrebbe fatto affinché il popolo credesse
nelle apparizioni?
- Glielo domandai parecchie volte. La prima volta mi pare sia stato nel mese di
giugno.
- Quando ti disse il segreto?
- Mi pare sia stato la seconda volta.
Terminato l'interrogatorio di Lucia venne la volta di quello di Giacinta.
- Oltre la Madonna che cosa hai visto oggi quand'eri nella Cova da Iria?
- Vidi S. Giuseppe e il Bambino Gesù.
- Dove li vedesti?
- Li vidi vicino al sole.
- Che cosa disse la Signora?
- Disse che recitassimo il rosario e che la guerra sarebbe finita oggi.
- A chi disse questo?
- Lo disse a Lucia e a me. Francesco non l'udì.
- L'udisti dire quando sarebbero ritornati i nostri soldati?
- Non l'udii.
- Disse qualcos'altro?
- Disse che facessero una cappella nella Cova da Iria 61.
- L'udisti da lei o da Lucia?
- Da lei.
- Donde venne la Signora?
- Venne da oriente.
- E dove andava quando scomparve?
- Se ne andò verso oriente.
- Se ne andò indietreggiando rivolta al popolo?
- No, voltò le spalle al popolo.
- Non vi disse di ritornare in seguito alla Cova da Iria?
- Aveva detto prima che sarebbe stata l'ultima volta che veniva e ancora oggi disse
che era l'ultima volta. - La Signora non disse più nulla?
- Oggi disse che recitassimo il rosario tutti i giorni alla Madonna del Rosario.
- Dove disse che dovevamo recitare il rosario?
- Non disse dove.
- Disse che andassimo a recitarlo in chiesa?
- Non ha mai detto questo.
- Dove ti piace di più recitare il rosario, qui, in casa tua, o nella Cova da Iria?
- Nella Cova da Iria.
- Perché ti piace di più recitarlo là?
- Così, per niente.
- Con quale denaro disse che si doveva costruire la cappella?
- Disse di costruire una cappella, non volle sapere di denaro.
- Hai guardato il sole?
- Sì.
- Hai visto i fenomeni?
- Li ho visti.
- È stata la Signora ad ordinare di guardare il sole?
- Non comandò di guardare il sole.
- Allora come potesti vedere i fenomeni?
- Voltai lo sguardo di lato.
- Il Bambino stava al fianco destro o al fianco sinistro di S. Giuseppe?
- Stava al fianco destro.
- Era in piedi o in braccio?
- Era in piedi.
- Vedevi il braccio destro di S. Giuseppe?
- Non lo vedevo.
- Che statura aveva il Bambino? Arrivava con la testa al petto di
S. Giuseppe?
- Il Bambino non arrivava alla cintura di S. Giuseppe.
- Quanti anni pareva avere il Bambino?
- Era come la Deolinda di José das Neves (Bambina di un anno o due).
Finalmente venne la volta di Francesco.
- Anche questa volta hai veduto la Madonna?
- L'ho veduta.
- Che Madonna era?
- Era la Madonna del Rosario.
- Com'era vestita?
- Era vestita di bianco ed aveva il rosario in mano.
- Hai visto S. Giuseppe e il Bambino?
- Li ho visti, sì.
- Dove li hai visti?
- Vicino al sole.
- Il Bambino era in braccio a S. Giuseppe o al suo fianco? Era grande o piccolo? Era piccolino.
- Era della statura di Deolinda di José das Neves?
- Sì, proprio come essa.
- Come teneva le mani la Signora?
- Aveva le mani giunte.
- La vedesti soltanto sull'elce o anche vicino al sole?
- La vidi anche vicino al sole.
- Era più chiaro e splendente il volto della Signora o il sole?
- Il volto della Signora era più chiaro, la Signora era bianca.
- Udisti ciò che disse la Signora?
- Non udii nulla di ciò che disse la Signora.
- Chi ti rivelò il segreto, la Signora?
- No, è stata Lucia.
- Puoi dirlo?
- Non lo dico.
- Non lo dici perché hai paura di Lucia? Hai paura che ti picchi, vero?
- No.
- Allora perché non lo dici, perché è peccato?
- Può darsi che sia peccato dire il segreto.
- Il segreto è per il bene della tua anima, dell'anima di Lucia e dell'anima di
Giacinta? - Sì.
- È per il bene dell'anima del signor parroco?
- Non so.
- Rimarrebbe triste il popolo se lo sapesse?
- Sicuro.
- Di dove venne la Signora?
- Venne da oriente.
- E quando scomparve se ne andò dalla stessa parte?
- Sì, se ne andò verso oriente.
- Se ne andava indietreggiando?
- Se ne andava voltandoci le spalle.
- Andava adagio o in fretta?
- Andava adagio.
- Camminava come noi?
- Non camminava. Andava composta, senza muovere i piedi.
- Quale parte della Signora disparve per prima?
- Disparve prima la testa.
- La vedesti bene questa volta come le altre?
- Questa volta la vidi meglio che il mese scorso.
- Quando era più bella, questa volta o le altre?
- Così bella ora come il mese scorso.
Capitolo ventinovesimo
Lucia si sentiva esausta del tutto
(dottor Formigao)
Durante gli interrogatori a cui erano state sottoposte il 13 ottobre, sia Lucia che
Giacinta avevano affermato di aver udito dalla bocca della Vergine queste parole:
«La guerra finisce oggi». Queste affermazioni delle pastorelle potevano creare serie
difficoltà alla veracità delle apparizioni e fu soprattutto per questo motivo ­
pensiamo - che il dotto Formigao ritenne opportuno ritornare ad Aljustrel per
sottomettere ancora una volta i veggenti ad un severo interrogatorio.
Alle tre del pomeriggio del 19 ottobre, dalla strada di Leiria, giungeva a Fatima.
Nella Cova da Iria - così narra egli - accanto all'elce delle apparizioni, alcune
donnette di campagna, inginocchiate, recitavano devotamente il rosario. L'elce
ridotto al tronco, alto poco più di un palmo, era ricoperto con rami di piante
campestri e fiori. La devozione dei pellegrini, che desideravano conservare un
ricordo della piccola pianta che aveva servito da piedestallo alla Vergine durante le
apparizioni, l'aveva distrutto quasi completamente. Tutto il resto si trovava nel
medesimo stato in cui era il giorno 11, antivigilia dell'ultima apparizione. In seguito
mi diressi alla casa della famiglia di Giacinta, dove si trovavano i tre veggenti che
stavano rispondendo all'interrogatorio del rev. P. Lacerda, parroco della parrocchia
dei Miracoli, direttore del settimanale O Mensageiro de Leiria e allora cappellano
militare del Corpo di Spedizione Portoghese. Era venuto in licenza al suo paese
natio e, prima di far ritorno in Francia, voleva vedere i fanciulli di Aljustrel e parlare
con loro. Il P. Lacerda era accompagnato da un altro sacerdote di Leiria e dal
parroco di Fatima.
In casa del signor Marto, il dotto Formigao dovette fare un'amara costatazione.
Trovò i fanciulli in un tale abbattimento fisico e morale che li rendeva
assolutamente incapaci di rispondere in modo soddisfacente alle domande che
aveva preparato espressamente.
«Lucia soprattutto - scrisse il dotto Formigao - dovendo essere interrogata più
minutamente, si mostra del tutto esausta; si nota che la stanchezza eccessiva la
obbliga a rispondere ad alcune interrogazioni senza la dovuta attenzione e
riflessione. Risponde talvolta quasi meccanicamente, succedendole sovente di non
ricordare bene certe circostanze delle apparizioni, al contrario di ciò che avveniva
prima del giorno 13 ottobre. Se non si ha cura di sottrarre i fanciulli alla fatica delle
inquisizioni, frequenti e lunghe, la loro salute corre il rischio di subire una scossa
preoccupante» 62. A dire il vero sarebbe stato prudente allontanare i tre pastorelli
da Aljustrel e inviarli in un luogo dove non fossero conosciuti, se non si voleva
vederli consumarsi in breve tempo, tanto più che i genitori non avevano né la
preparazione né l'autorità per impedire che qualsiasi visitatore li interrogasse di
proprio marte.
A malincuore, con la sensazione di compiere un'azione quasi crudele, il canonico
Formigao prese ad interrogare di nuovo e minutamente i fanciulli. A titolo di
curiosità riportiamo per disteso anche questo secondo interrogatorio.
Prima si rivolse a Lucia:
- Il giorno 13 del corrente mese la Madonna disse che la guerra sarebbe finita quel
giorno stesso? Quali furono le sue parole a questo riguardo?
- Disse così: la guerra finisce oggi stesso. Aspettino i loro militari entro breve tempo.
- Ella disse «aspettino i loro soldati» o «aspettate i vostri soldati?».
- Disse «aspettino i loro militari».
- Ma guarda che la guerra continua ancora. I giornali dicono che ci sono stati
combattimenti dopo il 13. Come si spiega questo se la Madonna disse che la guerra
sarebbe finita in quel giorno?
- Non so, so solo che sentii dire che la guerra finiva il giorno 13; non so più niente.
- Alcune persone dicono di averti sentito dire in quel giorno che la Madonna aveva
dichiarato che la guerra sarebbe finita entro breve tempo. È vero?
- Dissi come la Madonna aveva detto.
- Il giorno 27 del mese scorso venni a casa tua a parlare con te, ti ricordi?
- Mi ricordo di averla vista qua.
- Ebbene, in quel giorno mi dicesti che la Madonna ti aveva detto che il giorno 13 di
ottobre sarebbero pure venuti S. Giuseppe e il Bambino Gesù e che dopo di ciò
sarebbe terminata la guerra, non in quel giorno.
- Non mi ricordo più bene come ella disse. Potrebbe aver detto questo, non so. Forse
non comprendevo bene la Signora.
- Il giorno 13 del corrente mese dicesti al popolo di guardare il sole?
- Non mi ricordo di aver fatto questo.
- Dicesti di chiudere i parapioggia?
- L'altro mese, sì; l'ultima volta non mi ricordo di averlo detto.
- Sapevi quando avrebbe dovuto incominciare il segno del sole?
- No.
- Guardasti il sole?
- Guardai, pareva che fosse la luna.
- Per quale motivo guardasti il sole?
- Perché tutta quella gente disse di guardare il sole.
- La Madonna disse che avrebbe interceduto presso il suo divin Figlio per le anime
dei soldati morti in guerra?
- No, signore.
- Disse che il popolo sarebbe stato castigato se non si fosse emendato dei suoi
peccati?
- Non mi ricordo se ella abbia detto questo; mi pare di no.
- Il giorno 13 non avevi dubbi come ora su ciò che la Signora disse. Come si spiegano
i tuoi dubbi di oggi?
- In quel giorno mi ricordavo meglio. Le cose erano accadute da meno tempo.
- Che cosa vedesti circa un anno fa? Tua madre dice che tu e altre bambine vedeste
una figura avvolta in un velo che non lasciava vedere la faccia. Perché il mese scorso
mi dicesti che non fu niente? Nessuna risposta.
- Quella volta fuggisti?
- Mi pare di sì.
- Il giorno 11 di questo mese non mi volesti dire che il giorno 13 sarebbe dovuto
apparire Nostro Signore nell'atto di benedire il popolo, e la Madonna Addolorata?
Fu perché temevi che io mi burlassi di te, come altre persone avevano già fatto,
dicendo che questo era impossibile? O fu perché erano presenti molte persone
estranee e ti vergognavi a dire questo davanti a tanta gente? Guarda che Giacinta mi
disse tutto.
Nessuna risposta.
- La Madonna quando ti disse che il 13 ottobre ci sarebbero state queste
apparizioni?
- Fu il giorno che apparve ai Valinhos o il 13 dello scorso mese, non ricordo bene.
- Vedesti pure Nostro Signore?
- Vidi una figura che pareva un uomo; pareva Nostro Signore.
- Dove era questa figura?
- Era vicina al sole.
- La vedesti nell'atto di benedire il popolo?
- No, ma la Madonna aveva detto che Nostro Signore sarebbe
venuto a benedire il popolo.
- Se il popolo venisse a conoscenza del segreto che la Madonna ti rivelò, rimarrebbe
triste?
- Penso che rimarrebbe come è o quasi.
Quindi fu la volta di Francesco:
- Il 13 di questo mese vedesti Nostro Signore benedire il popolo?
- Non lo vidi, ma vidi la Madonna.
- Vedesti la Madonna Addolorata e la Madonna del Carmine?
- No. La Madonna pareva quella che avevo visto in basso. Era vestita nello stesso
modo.
- Non guardasti il sole?
- Sì, lo guardai.
- Vedesti S. Giuseppe e il Bambino Gesù?
- Sì.
- Erano lontano o vicino al sole?
- Vicino al sole.
- Da che parte del sole era S. Giuseppe?
- Al lato sinistro.
- E da che parte era la Madonna?
- Al lato destro.
- Dove era il Bambino Gesù?
- Accanto a S. Giuseppe.
- Da che parte?
- Non feci caso da che parte.
- Il Bambino era grande o piccolo?
- Era piccino.
- Quando la Signora era sopra l'elce, sentivi ciò che diceva a Lucia?
- No.
- Sentivi il suono della sua voce?
- Neanche quello.
- Ti pareva che non parlasse?
- Sì.
- Non la vedevi muovere le labbra?
- No.
- Non la vedevi ridere?
- Neppure.
- Vedesti i segni del sole? Che cosa vedesti?
- Guardai e vidi il sole che roteava. Sembrava una ruota di fuoco.
- I segni quando apparvero, prima o dopo che la Signora era scomparsa dall'elce?
- Quando la Signora scomparve.
- Sentisti Lucia dire al popolo di guardare il sole?
- Sì. Diede un grido perché il popolo guardasse il sole.
- Fu la Signora che fece avvisare il popolo di guardare il sole?
- Sì, la Signora indicò col dito in direzione del sole.
- Quando fece questo?
- Quando scomparve.
- I segni nel sole incominciarono subito?
- Sì.
- Quali furono i colori che vedesti nel sole?
- Vidi colori molto belli: azzurro, giallo e altri.
Infine ebbe luogo l'interrogatorio di Giacinta: (si effettuò lungo il percorso da
Aljustrel a Fatima).
- Il giorno 13 di questo mese vedesti vicino al sole Nostro Signore, la Madonna
Addolorata e la Madonna del Carmine?
- No.
- Ma l'undici di questo mese dicesti che ci sarebbero state queste visioni.
- Sì. È Lucia che vide l'altra Signora; io no.
- Vedesti S. Giuseppe?
- Sì. Lucia disse che S. Giuseppe stava dando la pace.
- Guardasti il sole?
- Sì.
- Che cosa vedesti?
- Vidi il sole rossastro, verde e di altri colori, e lo vidi roteare.
- Sentisti Lucia avvisar la gente di guardare il sole?
- Sì. Ella disse a voce alta di guardare il sole. Il sole roteava già.
- Fu la Signora che fece avvisare la gente?
- La Signora non disse nulla.
- Che disse la Signora l'ultima volta?
- Disse: «Vengo qui per dir ti che non offendano più Nostro Signore che è già molto
offeso; che, se il popolo si emenderà, finirà la guerra, e se non si emenderà, sarà la
fine del mondo». Lucia sentì meglio di me ciò che la Signora disse.
- Disse che la guerra sarebbe finita in quel giorno o che sarebbe finita entro breve
tempo?
- La Madonna disse che quando giungeva al Cielo sarebbe finita la guerra.
- Ma la guerra non è ancora finita.
- Finisce, finisce.
- Ma allora quando finisce?
- Penso domenica.
E così ebbero termine gli interrogatori inconcludenti di quel giorno, 19 ottobre.
Come si vede, tra altre affermazioni contraddittorie o ambigue, emerge il
riferimento alla guerra. La Madonna avrebbe detto «la guerra finisce oggi». Forse
che la Vergine Santissima ingannò i tre fanciulli? O essi capirono male ciò che la
celeste visione aveva detto loro? Oppure gli interrogatori continui, prolungatisi fino
a notte alta, li avrebbero stancati eccessivamente, rendendo loro impossibile di
rispondere con precisione ed esattezza? 63.
Un po' di tutto questo, eccettuata naturalmente la possibilità che la Signora li avesse
ingannati.
Invece, durante l'interrogatorio ufficiale dell'8 luglio 1924, quando Lucia, nel
tranquillo ritiro di Vilar, aveva potuto rivivere le apparizioni e meditare le parole
della bianca Signora, si ottenne la seguente dichiarazione: «Io credo che la Signora
abbia aggiunto questo: - Devono convertirsi. La guerra finisce oggi. Aspettino entro
breve tempo i loro soldati -. Mia cugina Giacinta, tuttavia, mi disse dopo in casa che
la Signora aveva detto così: Devono convertirsi. La guerra finirà entro un anno.
Preoccupata per tutte le richieste che mi avevano pregato di rivolgere alla Madonna,
non ponevo tutta l'attenzione alle sue parole».
Oltre tutto, la questione della data della fine della guerra non poteva destare in una
bambina di dieci anni quell'attenzione che ci si può aspettare da una persona
adulta.
Dobbiamo ancora aggiungere che questo errore non fu condiviso dagli altri
testimoni di quel memorabile 13 ottobre. Tra tutte le relazioni che si fecero delle
affermazioni dei fanciulli, non ce n'è nessuna che riporti quest'espressione «la
guerra finisce oggi», ma «entro breve tempo», come, per esempio, si legge nel
giornale O Século e in tutti gli altri servizi giornalistici che abbiamo tra mano.
La prima volta che Lucia, e naturalmente dopo di lei Giacinta, affermò che la guerra
sarebbe finita in quel giorno stesso, fu alle 7 di sera in presenza del dotto Formigao,
quando, spossata fisicamente e intellettualmente, non era evidentemente in
condizione di rispondere con esattezza alle domande che le venivano rivolte.
Possiamo allora cercar di scoprire tra le varie affermazioni dei pastorelli quella che
meglio corrisponde alla verità? Ci pare che la più verosimile e spontanea sia quella
di Giacinta del 19 ottobre, quando, nel tratto di cammino da Aljustrel a Fatima,
rispondendo al dott. Formigao che le aveva chiesto che cosa aveva detto la Signora
l'ultima volta, rispose: «Vengo qua per dirti che non offendano più Nostro Signore,
che è molto offeso; che, se il popolo si emenderà, finirà la guerra, e, se non si
emenderà, è la fine del mondo». Questa è la soluzione proposta dal dotto Fischer
che studiò coscienziosamente la questione, e noi la accettiamo con tutta sicurezza
trovando che meglio risolve le difficoltà racchiuse in tali contraddizioni 64.
Il dott. Formigao ritornò ancora una volta ad Aljustrel per interrogare i fanciulli il 2
novembre di quello stesso anno. Sebbene l'interrogatorio non rivesta grande
importanza, lo riproduciamo ancora, sicuri che la lettura riuscirà gradita. La
semplicità cristallina e il candore delle risposte sono forse la prova migliore
dell'autenticità delle apparizioni.
Interrogatorio di Giacinta:
- Da che parte si trovava il Bambino Gesù quando lo vedesti il 13 ottobre vicino al
sole?
- Il Bambino Gesù era in mezzo, alla destra di S. Giuseppe, mentre la Madonna era
al lato destro del sole.
- La Signora che vedesti vicino al sole era differente da quella che avevi visto sopra
l'elce?
- La Signora che era vicino al sole aveva un vestito bianco e un manto azzurro.
Quella che vidi sopra l'elce aveva un vestito e un manto bianco.
- Di che colore erano i piedi della Signora che apparve sopra l'elce?
- I piedi della Signora erano bianchi. Penso che avesse le calze.
- Di che colore era il vestito di S. Giuseppe e del Bambino?
- Il vestito di S. Giuseppe era rossastro e quello del Bambino mi pare che fosse pure
rossastro.
- Quando rivelò il segreto la Signora?
- Mi pare in luglio.
- Che cosa disse la Signora in maggio, quando apparve per la prima volta?
- Lucia le chiese che cosa voleva ed ella disse che andassimo là per sei mesi
consecutivi e che nell'ultimo mese avrebbe detto ciò che voleva.
- Lucia le fece qualche altra domanda?
- Le chiese se anche lei sarebbe andata in Cielo e la Signora le disse di sì. Poi le
chiese se anch'io sarei andata in Cielo ed ella disse di sì. Dopo le chiese ancora se
anche Francesco sarebbe andato in Cielo. Disse di sì, ma che doveva recitare il
rosario.
- La Signora disse ancora qualche cosa?
- Non ricordo che abbia detto altro in quel giorno.
- Che cosa disse la Signora la seconda volta, in giugno?
- Lucia disse: «Che cosa vuoi da me?» E la Signora rispose:
«Voglio che impariate a leggere».
- Lucia fece qualche altra domanda?
- Presentò le richieste riguardanti i malati e i peccatori. E la Signora disse che alcuni
li avrebbe fatti migliorare e li avrebbe convertiti, e altri no 65.
- La Signora disse ancora qualche cosa?
- In quel giorno non disse più niente.
- Che cosa disse la Signora in agosto?
- In agosto non andammo alla Cova da Iria.
- Vuoi dirmi ciò che la Signora disse ai Valinhos?
- Lucia domandò alla Signora se avesse dovuto portare anche il suo Manuel ed ella
disse che avrebbe dovuto portare tutti.
- Che cosa disse ancora la Signora?
- Disse che, se non fossimo andati a Ourém, sarebbe venuto S. Giuseppe con il
Bambino a dare la pace al mondo, e la Madonna del Rosario con due angioletti, uno
per parte.
- Che disse ancora?
- Ci disse di fare due portantine da portare alla festa del Rosario. Che io, Lucia e
altre due bambine, vestite di bianco, ne portassimo una, e Francesco, con altri tre
bambini, portasse l'altra.
- Disse qualche altra cosa?
- Non disse più niente.
- Che disse la Signora in settembre?
- Non mi ricordo.
- Che disse la Signora in ottobre?
- Lucia disse: «Che cosa volete da me?» La Signora rispose:
«Non offendano più Nostro Signore che è molto offeso». Disse che egli perdonava i
nostri peccati se volevamo andare in Cielo. Disse pure che la gente recitasse il
rosario, disse che aspettassero i loro militari entro breve tempo, che la guerra
sarebbe finita in quel giorno. Disse che facessimo una cappella e non so se disse
«alla Madonna del Rosario» o che lei era la Madonna del Rosario.
Interrogatorio di Lucia:
- Quello che la Signora portava ai piedi erano calze? Sei certa di questo?
- Penso che fossero calze, ma potevano anche non esserlo.
- Tu una volta dicesti che la Signora portava calze bianche. Allora erano calze o
erano i piedi?
- Se erano calze erano bianche, ma non so con certezza se erano calze o se erano i
piedi.
- Il vestito era sempre della medesima lunghezza?
- L'ultima volta il vestito pareva più lungo.
- Tu non rivelasti mai il segreto e neppure dicesti che il popolo sarebbe rimasto
triste se l'avesse saputo. Francesco e Giacinta dissero che la gente sarebbe rimasta
triste. Se tu non puoi dire nemmeno questo, anche loro non avrebbero potuto dirlo.
Che te ne pare?
- Non so se loro dovevano dire o no che il popolo sarebbe rimasto triste. La
Madonna disse che non dovevamo dire niente a nessuno. Per questo non posso dir
nulla.
Interrogatorio di Francesco:
- Da che parte era il Bambino Gesù quando lo vedesti vicino al sole?
- Era più vicino al sole, dalla parte sinistra del medesimo, ma alla destra di S.
Giuseppe.
- La Signora che vedesti vicino al sole era differente da quella che avevi visto sopra
l'elce?
- La Signora che era vicino al sole mi sembrava la stessa che avevo visto in basso.
- Vedesti Nostro Signore nell'atto di benedire il popolo?
- Non vidi Nostro Signore.
Capitolo trentesimo
Portarono via tutto e fecero
una beffa a Santarém …
(Maria da Capelinha)
A prima vista sembrerebbe che gli avvenimenti del 13 ottobre, unanimemente
considerati miracolosi, avrebbero dovuto far tacere definitivamente i nemici
dichiarati della Chiesa e, in modo particolare, i nemici di Fatima. Si sarebbe sperato
un prudente riserbo almeno nei primi tempi, quando più vivo era l'entusiasmo del
popolo per le apparizioni della Cova da Iria. Tutt'altro! Nel loro furore giacobino,
quei mestatori concertarono di portare a termine, appena dieci giorni dopo, una
prodezza ingloriosa che, mettendo in ridicolo la fede e la pietà dei cattolici, e dei
devoti di Fatima in modo speciale, avrebbe dovuto procurare il discredito alle
istituzioni religiose. Questa volta fu il centro massonico di Santarém che prese
l'iniziativa. Con l'elce e gli oggetti che i devoti avevano deposto presso l'albero
benedetto, si doveva organizzare nella capitale del distretto un'esposizione e fare
poi una processione per le vie principali. Il piano, bene elaborato, fu meglio
eseguito. «Nella notte dal 23 al 24 ottobre - come ci riferisce il giornale Diario de
Noticias - alcuni soggetti di Santarém 66 ai quali si unirono altri di Vila Nova de
Ourém, andarono alla Cova da Iria. Con una accetta tagliarono l'elce 67 presso il
quale stavano i tre pastorelli quando si verificò il famoso fenomeno del 13 di
questo mese, fenomeno di cui largamente si occupò la stampa.
Portarono via l'albero assieme ad una mensa sulla quale alcuni credenti avevano
improvvisato un modesto altare, ove fu trovata la fotografia d'una immagine
religiosa (una Madonna), un arco sovrastante fatto con rami, due lanterne di
metallo, due croci, una di legno, l'altra di canna rivestita di seta».
Questi oggetti, rubati, furono esposti con entrata a pagamento in una casa della
piazza del seminario. Il risultato però fu poco brillante, nonostante che il ricavato
fosse destinato in favore delle mense scolastiche. Quando quel denaro fu
consegnato al Provveditore di Beneficenza di Santarém, egli nobilmente rifiutò di
accettare «il ricavato d'un insulto e d'una insulsaggine».
Alla sera di quello stesso giorno si fece la processione.
«Precedevano un paio di tamburi, - riferisce il giornale O Século - poi veniva il
famoso elce sopra il quale era apparsa la Madonna. Seguivano, portati pure in
processione, i rami di mirto con le lanterne accese, la mensa ed altri oggetti che i
fedeli avevano messo sopra l'improvvisato altare. Cantando litanie blasfeme,
attraversarono le vie principali della città girando nella piazza Sa da Bandeira,
ove la processione si sciolse. Molti dei dimostranti si riunirono di poi nella stanza
di fronte e fu allora che una donna gettò dalla finestra un vaso d'acqua che bagnò
uno di loro e una guardia.
Solo dopo alcun tempo apparve un picchetto di polizia che invitò il gruppo a
sciogliersi.
Che vergogna! - conclude il giornalista. - Come possono le autorità permettere una
cosa del genere, esse che negano l'autorizzazione alle processioni cattoliche mentre
quasi tutto il popolo portoghese appartiene alla Chiesa e le sue manifestazioni in
nessuna maniera offendono le convinzioni altrui?».
L'impressione generale fu di protesta e disapprovazione, non solo da parte dei
cattolici, ma anche da parte di tutti coloro che ancora hanno un po' di sentimento
della dignità umana. Da tutti i lati venivano proteste e una delle più importanti è
quella che il dotto Almeida Ribeiro inviò al Ministro degli Interni, e quella di un
gruppo di cattolici di Santarém, che trascriviamo:
«Come credenti e come cittadini, come figli d'una patria che fu grande per la fede
dei nostri guerrieri e per l'eroismo dei nostri santi, come abitanti d'una città che si
gloriò sempre di mantenere il nome di colta e di civile, gridiamo ben alto la nostra
protesta sincera, sentita, vibrante, contro l'ignobile corteo che nella notte del 24 c.
m. percorse le principali vie di Santarém, con la tolleranza dei rappresentanti
dell'autorità.
In questo triviale corteo erano esibiti, con una irriverenza propria di selvaggi, gli
oggetti che alcuni carbonari, - capitanati, come consta, da Antonio Fialho, regedor
di Salvador, Antonio Ganto, e un altro sconosciuto a nome Francisco do Cemitério,
- andarono a rubare di nascosto, di notte, in Fatima, vicino a Vila Nova de Ourém,
sul luogo ove il 13 c. m. concorsero nell’attitudine più pacifica, ordinata e corretta,
circa centomila persone di tutte le classi e condizioni sociali e da tutti i punti più
distanti e opposti del paese.
Avanti ad un intero popolo, sorpreso alla vista di tanta vile degradazione del
sentimento morale d'una mezza dozzina d'individui che sono vere pustole
dell'organismo sociale, sfilò questa ripugnante parodia di processione religiosa, in
cui la veneranda croce del Redentore, che copre con la sua ombra protettrice le
tombe dei nostri avi, e l'augusta immagine della Vergine, che in ogni epoca della
storia apparve sempre come una benedizione sui destini della nostra patria,
furono bersaglio dei più infami sacrilegi e delle più inaudite ed orrende bestemmie
profanatrici.
Le litanie della Vergine, il cui nome è speranza e conforto ai nostri soldati che sta n
combattendo, come eroi, sui campi di battaglia, erano intonate, con voce rauca e
avvinazzata, da energumeni che componevano il satanico baccanale.
Non si ricorda attentato tanto abbietto e ripugnante contro la fede altrui! Guai a
noi se non alzassimo altamente la nostra protesta indignata contro tanto inaudita
provocazione! Guai a noi se non rigettassimo con tutta l'energia delle nostre
anime ogni e qualunque solidarietà coi miserabili promotori ed autori di tanto
orribile parodia!
Guai a noi se non rendessimo nota in modo pubblico e solenne l'amarezza che
lacera i nostri cuori di fronte all'inequivocabile ingiuria inflitta alla religione dei
nostri antenati, che è pure la nostra, e a ciò che fu sempre orgoglio e vanto di
questa città, che alcuni malviventi pretendono a viva forza di far passare come
intollerante, fanatica e selvaggia!
Se non lo facessimo, e se non sgravassimo le nostre coscienze e la nostra dignità
vilipesa, daremmo motivo a nazionali e stranieri di considerarci i più codardi ed
abbietti di tutti i portoghesi! Benedetta la religione che rese grande e gloriosa la
nostra patria e che è il conforto dell'immensa maggioranza dei portoghesi nelle
amarezze della vita individuale e nelle calamità pubbliche! Benedetta la croce di
Cristo che un tempo brillava trionfante in cima agli alberi delle nostre caravelle,
quando andavano a conquistare nuovi mondi alla fede e al convito dei popoli
civili! Benedetta la Vergine, eccelsa patrona del Portogallo, che attraverso tutte le
sventure e le prove, vegliò sempre con materna sollecitudine sulla sorte della
nostra cara patria e per la realizzazione dei suoi destini immortali!
Dio perdoni agli empi, che senza umanità e senza educazione, guidati da un odio
di prezzo lati, tanto cieco quanto impotente, bestemmiano scioccamente il suo
nome adorabile, e non permetta che la sua giustizia fulmini i terribili castighi che i
sacrilegi e le profanazioni pubbliche sogliono attirare sulle nazioni che permettono
tali delitti.
Santarém, 28 ottobre 1917.
Un Gruppo di Cattolici»
Nell'ansia quasi diabolica di demolire, il più rapidamente possibile, e di distruggere
una volta per sempre le invenzioni «gesuitiche» di Fatima, quei disgraziati avevano
contribuito a sviluppare in maniera impensata e sensazionale la fede nel miracolo e
la devozione della «Terra di Santa Maria» verso la sua augusta patrona.
Capitolo trentunesimo
Il più bello se ne va ...
(Maria da Capelinba)
Il sacrilego furto e la beffa di Santarém a nulla valsero contro Fatima. A nulla
valsero i numerosi foglietti distribuiti dappertutto, tra i quali trascriviamo il
seguente che ben dimostra il punto a cui le cose arrivarono 68.
Ancora una volta i portoghesi avevano trovato nella Vergine che era apparsa ai tre
pastorelli sull'altipiano della serra, il principio della loro salvezza.
L'eccelsa patrona del Portogallo che, attraverso tutte le epoche e vicissitudini, aveva
vegliato sempre con sguardo materno sulle sorti della nazione prediletta per la
realizzazione dei suoi grandi destini, aveva alzato la sua tenda nel cielo di questo
grazioso
Jardim da Europa à beira-mar plantado.
I figli risposero all'appello materno e da quell'augurale 13 ottobre cominciarono a
peregrinare devotamente alla dimora terrena della Vergine sull'altipiano della serra
d'Aire.
In quel luogo benedetto la pietosa Signora dispensava, con munificenza regale, le
sue grazie divine, là si iniziava quella graduale trasformazione familiare e sociale
che doveva, in breve volger di anni, ricondurre la nazione portoghese all'antico
splendore. Come sempre, fu la gente umile della campagna, la prima ad ascoltare il
celeste messaggio della Vergine.
Furono i poveri i primi a beneficiare delle grazie che la Signora distribuiva in
abbondanza; in seguito verranno gli altri; sarà tutto il Portogallo a mettersi in
cammino verso Fatima.
«Dopo il 13 ottobre, in cui il sole danzò nel cielo - ci racconta Maria da Capelinha fu una processione continua, specialmente alla domenica pomeriggio e nei giorni 13
di ogni mese.
C'era gente dei dintorni e gente di lontano; gli uomini arrivavano con un bastone e
un sacchetto sulle spalle, le donne coi loro bimbi in braccio; arrivavano perfino
vecchi deboli e affaticati. Tutti s'inginocchiavano presso l'elce dove la Madonna era
apparsa. Nessuno era annoiato, nessuno era stanco.
Qui non si vendeva niente, neppure un bicchiere d'acqua né di vino. Niente!
Oh, che bel tempo quello per la penitenza! Al pensarci vengono le lacrime! ...».
E infatti con le lacrime sulle guance, ormai tutte una ruga, che la signora Maria
Carreira ci parla di questi primi pellegrinaggi, dei quali essa sente tanta nostalgia.
Qui si piangeva soltanto. Si pregava la Madonna. Quando si radunava molta gente,
si cantavano i bei canti della Chiesa. Oh, che bel tempo quello! Si faceva molta
penitenza e con molta gioia. Se fossi morta allora credo che la Madonna mi avrebbe
portata dritta in Cielo ... Ora tutto è passato. Ho tanta nostalgia di quei tempi ...
Venne un giorno in pellegrinaggio una signora di Alcanena e non poteva trattenere
le lacrime:
- Oh, Fatima, Fatima! Quanta religione qui. Solo nella mia terra non c'è religione!
Han bruciato perfino la chiesa con tutte le immagini ....
La gente tornava a casa contenta, soddisfatta. Venivano dalla Madonna per
domandar aiuto e la Madonna sempre li esaudiva tutti. Allora non udii mai dire che
la Madonna avesse ricusato grazia ad alcuno!
Tutti quelli che venivano qui, ci venivano con devozione, e se venivano senza
devozione, qui l'acquistavano.
Un altro giorno avvicinai un uomo tutto bagnato, che veniva da molto lontano. Gli
domandai se si sentisse male.
- No, signora! Non ho nessun disturbo: io non ho mai passato una notte tanto felice
come questa: ho fatto undici leghe di cammino e non mi sento affatto stanco: mi
sento felice in questo luogo. Oltre la pioggia, faceva pure molto freddo, - era
d'inverno, - e quell'uomo passò tutta la notte all'aperto. Allora non c'era nessun
rifugio.
Una volta arrivò un gruppo di signori e signore, fra i quali il P. Oliveira dos Reis, di
Montelo, che ora è parroco di S. Sebastiano da Pedreira in Lisbona. Seppi, dopo, che
si erano radunati per un battesimo e dopo il pranzo erano venuti qui a fare una
passeggiata, ma non credevano ai fatti della Cova. Il popolo era qui a pregare
attorno alla cassetta ove si metteva l'elemosina e che aveva alcune candele attaccate
sopra; il P. dos Reis si tolse il cappello e cominciò a rispondere al nostro rosario.
Quando finimmo sentii una voce, non so bene donde venisse, ma penso fosse la sua,
che diceva così:
- Anche se Roma non approvasse questo, non cesserò di pensare che qui avvenne
qualche cosa di straordinario».
A conferma di questo episodio abbiamo ricevuto la seguente lettera dalla signora
Maria do Pilar de Aguiar:
«Il giorno 8 dicembre 1917 fu celebrata solennemente la festa dell'Immacolata
Concezione nella tenuta di N. S. della Pietà di Caneiro, vivente ancora la
proprietaria Donna Rita Pais de Paria. Ci fu Messa cantata e predica del sac.
Antonio Oliveira Reis, attuale parroco di S. Sebastiano da Pedreira di Lisbona, in
quell'epoca vicario foraneo di Torres Novas. La signora Maria de Jesus Orial Pena
della tenuta di Carvalhais, finita la cerimonia, condusse a Fatima nella sua
carrozza il detto sacerdote, la signora Amado, pure di Torres Novas, e me ...
Era una gelida sera d'inverno, con una pioggerellina altrettanto fredda. Arrivati
alla Cova da Iria ci trovammo in presenza di uno spettacolo che ci emozionò
profondamente. Presso un palo che indicava il luogo dell’elce sopra il quale era
apparsa la Madonna, erano inginocchiati in fervida preghiera alcuni uomini e
una mezza dozzina di donne. Una di loro pregava ad alta voce e implorava la
protezione di Nostra Signora per il nostro Portogallo (allora tanto sventurato) con
devozione così grande che tutti irresistibilmente ci inginocchiammo e pregammo
con quella donna che sembrava ispirata ... Fu in quella occasione che la signora
Maria da Capelinha deve aver udito il vicario di Torres Novas, dire, preso da viva
emozione: - Anche se Roma non approvasse questo, non cesserò di pensare che qui
avvenne qualcosa di straordinario. Ritornati alla "Quinta do Caneiro", dove il
mattino avevamo celebrato la festa dell'Immacolata Concezione, apprendemmo
che a Lisbona c'era stata una sommossa: interrotte le telecomunicazioni, fermi i
treni. Fu in quella sera di fervorose preghiere alla Madonna di Fatima che Sidònio
Pais aveva trionfato» 69.
Capitolo trentaduesimo
E nessun sacerdote volle benedirla
(Maria da Capelinha)
Una cosa rattristava l'animo di Lucia e dei cugini, come pure della signora Maria
Carreira: non si era costruita la piccola cappella che la bianca Signora aveva
richiesto.
Le offerte invero non mancavano: ventini, soldi, centesimi, pane, fagioli, oggetti
d'oro e d'argento; ma altre difficoltà impedivano la realizzazione di questo sogno:
l'opposizione vigilante delle autorità di Vila Nova de Ourém e l'indifferenza, se non
l'ostilità, del parroco. Passò così un anno e mezzo prima che si potesse soddisfare il
desiderio della Vergine.
Come sappiamo, era la signora Maria Carreira la depositaria delle offerte. Tutti i
giorni raccoglieva il denaro in un sacchetto e vendeva il pane, le merende, i cestini
di patate, fagioli, piselli, tutto quanto le buone donne del popolo portavano alla
Vergine di Fatima in adempimento di promesse per grazie ricevute. Il denaro
aumentava, ma la cappella non si vedeva. Si cominciò allora a mormorare: le cattive
lingue non mancano mai in questo povero mondo.
- Sono certamente i Carreira di Moita che prendono il denaro ­ si diceva.
«Le mie figlie - racconta la signora Maria da Capelinha - andavano a lavorare a
giornata nei campi e si guadagnavano il pane. Coloro che lavoravano insieme alle
mie figlie dicevano:
- Guarda là, quelle della signora Maria di Moita, van vestite bene e con le scarpe!
Han saputo arrangiarsi!
Io mi stancai, andai dal parroco e gli dissi:
- Signor parroco, per favore prenda conto delle elemosine, ché io non me la sento di
continuare in mezzo a tante persecuzioni... Il parroco allora mi condusse nel suo
studio e mi lesse una lettera del cardinale Patriarca 70, ove si raccomandava che il
denaro fosse ben custodito, in casa di fiducia, ma non presso i veggenti, fino a
quando non desse altre disposizioni.
Questa volta tornai a casa consolata.
Ma le persecuzioni continuavano e mi opprimevano molto. Fu allora che ascoltai
una predica del parroco di S. Caterina nella nostra parrocchia in occasione della
festa dei Morti.
- Coloro che sono depositari del denaro per le feste - diceva egli - sono sempre mal
giudicati. Subito si comincia a dire che ci si mangia sopra... Ma, amici miei, questa
maniera di parlare non terminerà mai. Dobbiamo servire Dio, soffrendo per suo
amore le calunnie, come egli soffrì per noi.
Allora pensai:
- Bene, ora non penserò più a quel che dicono.
E difatto seppi sopportare. Ma non passò molto tempo che giunse un'altra prova a
scoraggiarmi. Venne a casa nostra un tizio, con una lettera dell'amministratore (era
ancora quel tal Artur Oliveira Santos che la gente chiamava «il lattoniere») che
richiedeva mio marito in tribunale.
- È per causa del denaro - pensammo noi, e più di noi i nostri vicini.
- Attento, signor Manuel, - gli dicevano - pensate bene a ciò che dovrete dire!
- Oh, non ho alcuna preoccupazione - diceva mio marito.
In verità non eravamo certi, ma pensavamo che si trattasse di questo.
Quando arrivò là, gli impiegati gli domandarono: - Che volete?
- Il signor amministratore mi chiamò e vengo a vedere che cosa desidera.
- Di dove siete?
- Della Moita di Fatima.
- Ah, sì? - disse allora l'amministratore che era seduto.
- Dunque siete il signor Manuel Carreira?
Mio marito rispose di sì.
- Siete vicino alla Cova da Iria?
- Sì, signore.
- Siete solito frequentarla?
- Vi san già stato parecchie volte.
- E che andate a fare?
- Vado là come gli altri.
- E vedeste anche la Madonna?
- No, signor amministratore. Non l'ho vista.
- Allora che andate a fare?
- Vado là come gli altri.
- E che cosa dicono gli altri?
- Non so, chi dice una cosa, chi ne dice un'altra.
- Mi consta che offrono molto denaro.
- Io non so, signor amministratore.
- Allora non lo vedete? Non sapete nulla di questo?
- Nulla, signor amministratore.
- E chi custodisce questo denaro?
- Non so, signor amministratore.
- Siete molto ignorante!
- Lo sono, lo sono! ...
Dietro l'amministratore stava il signor Julio Lopes, impiegato del tribunale, che
faceva cenni a mio marito approvando ciò che egli diceva e incoraggiandolo a
parlare sempre così.
Il mio Manuel passò come uno che ignorasse tutto e tornò a casa contento di aver
giocato quella partita al «lattoniere».
Ma con questo non erano finite le noie. Un'altra volta, era domenica, tornò mio
figlio maggiore dalla prima Messa e mi disse:
- Mamma, ho incontrato, poco fa, Joao Nogueira e mi disse che il regedor ha
intenzione di venire a Moita in casa nostra per causa del denaro. Non so se lo
dicesse per scherzare o sul serio ... Ma parlava serio. Pensa bene a ciò che dovrai
dirgli quando verrà. - Ebbene, dirò che quel denaro non l'ho, che me lo rubarono
­dissi io prontamente.
- Ma per dir questo - continuò il ragazzo - bisogna che tu ti mostri triste già prima,
perché egli non dica che tu mentisci.
- Allora, comincio subito - risposi.
Nel frattempo passò una donna, la moglie di José Alves, ed io finsi di essere afflitta.
Mi domandò che cosa avevo.
- Mi hanno rubato il denaro della Madonna.
- Vi rubarono il denaro? Ma non lo custodivate bene in casa?
- No: l'avevo messo in una scatola, in un buco di una pianta nel giardino ...
La donna rimase meravigliata, ma credette. - Ben servita! Voi siete stata sciocca!
- Sì, davvero - risposi, coprendomi la faccia con le mani.
Poco dopo passò la moglie del signor Antonio Joaquim e le recitai la stessa
commedia, facendole vedere che ero molto afflitta. Mi domandò allora:
- Che avete?
- Mi rubarono il denaro della Madonna. Me lo rubarono tutto!
E raccontai anche a lei dove era stato messo.
- Lo mettete in mano ai ladri e non volete che lo rubino?! ... (Abitava vicino a noi
una famiglia di poca fiducia, ma che ora non c'è più).
La donna se ne andò.
Così passò quel giorno e a sera in Moita tutti sapevano e dicevano che il denaro era
scomparso nelle tasche dei ladri ... Ormai ero al sicuro.
Pochi giorni dopo, la moglie del signor Alves venne da me e mi disse:
- Avete mentito, non è vero? Il denaro non fu rubato. Io vedevo che voi non eravate
sinceramente afflitta.
Allora le confidai tutto. Qualche volta bisogna mentire!
Passò un bel po' di tempo e quando vedemmo che non c'era più pericolo da parte di
quelli del paese, andai dal parroco per domandare l'autorizzazione di costruire la
cappellina alla Madonna.
- Se ci dà il permesso, signor parroco, noi abbiamo intenzione di costruire la
cappellina nella Cova da Iria per mettervi una statua della Madonna, se ci sarà chi la
offra, anche per proteggere le offerte in natura che il popolo porta, perché così si
bagnano con il cattivo tempo.
Il parroco rispose che egli non s'interessava di nulla.
- Io non me ne impiccio!
- Oh, signor parroco, se la facessimo costruire con il denaro che abbiamo, avremmo
qualche responsabilità?
- Penso di no.
Il parroco rispondeva così, perché non voleva che poi si dicesse che era stato lui a
far costruire la cappellina. Egli aveva ordini dal cardinale Patriarca di non prender
parte a questi progetti. Per me, non volli più udir niente. Tornai a casa soddisfatta.
Raccontai tutto a mio marito che andò subito a parlare al babbo di Lucia perché il
terreno ove era apparsa la Madonna era di sua proprietà. Antonio Abòbora diede il
permesso.
- La facciano grande quanto vogliono!
Però era molto infastidito e ne aveva ragione. In primo luogo il popolo gli pestava
tutto in maniera che non cresceva più niente, poi strappavano gli alberi. Nessuno
s'accontentava d'un ramoscello, ma tutti quelli che andavano là volevano portar via
un ramo grosso e tagliavano a destra e a sinistra. In breve, tutto, attorno all'elce, era
scomparso.
- Questa gente viene da Fatima - si diceva quando passavano gruppi con grandi
rami in mano.
Scomparso il piccolo elce e gli altri attorno, si tagliavano gli elci grossi, e, se mio
marito non vi avesse messo le spine, anche quell'elce ora non vi sarebbe più.
Il popolo aveva molta devozione, specialmente per quell'elce 71. La cappellina tardò
più di un mese ad essere costruita. Tutti volevano comandare.
Uno diceva: - Si faccia così.
Un altro: - È meglio cosà.
Ognuno aveva la sua idea, tanto più che nessun prete voleva benedirla. Fra tante
contrarietà, andai a lamentarmi con il muratore, che era di S. Caterina, molto
religioso e abile. Si chiamava Joaquim Barbeiro: con lui lavorava suo figlio.
- Non affliggetevi di questo, - mi diceva. - Se quest'opera è di Dio, come pensiamo,
siamo all'inizio della sofferenza.
Sorse infine una cappellina, una bella casetta di rifugio, però non c'era ancora
nessuna statua. Nessun prete volle benedirla quando fu terminata. Solo più tardi il
dott. Marques dos Santos venne a benedirla 72.
Si costruì pure un portico davanti alla cappella, ma molto piccolo: sei persone
bastavano a riempirlo. Fu più tardi che lo ingrandirono com'è oggi».
La statua doveva arrivare dopo otto o dieci mesi. Il giorno 13 maggio 1920,
passando da Torres Novas, nascosta su un carro di strumenti da lavoro, la Madonna
della cappellina veniva a prendere possesso del suo trono nella Cova da Iria. Ma gli
uomini ancora una volta la fecero aspettare. Quando arrivò a Fatima, non poté
proseguire il cammino e rimase là alcun tempo. Aperta la cassa, avendo il parroco di
Fatima benedetta la statua, migliaia di devoti si avvicinarono a baciare la bella
scultura che tanto al vivo riproduceva le fattezze contemplate dai tre pastorelli.
Una ragazzina di 13 anni, l'abbracciò piangendo: era Lucia che ricordava i suoi
piccoli amici, Francesco e Giacinta, i quali già dal Cielo si estasiavano nella
contemplazione, faccia a faccia, della bianca Signora, che i loro occhi mortali
avevano visto per la prima volta in un lontano 13 maggio.
Capitolo trentatreesimo
Non voglio essere niente.
Desidero morire e andare in Cielo!
(Francesco)
Riportiamoci agli ultimi mesi del 1917, quando lasciammo i tre fanciulli in una
fredda sera di novembre in compagnia del dottor Formigao.
Il pellegrinaggio ad Aljustrel, come era naturale, andava diminuendo; è facile però
immaginare che la tranquillità, che regnava nelle famiglie dei veggenti prima del 13
maggio, era scomparsa definitivamente.
Era gente del popolo, erano signori distinti che venivano ad interrogare, per la
millesima volta, i privilegiati fanciulli, sulle apparizioni, sul segreto soprattutto, su
ciò che poteva soddisfare, se non la religiosità, la curiosità di quanti si esponevano a
grandi sacrifici per procurarsi la gioia di vedere e parlare un poco con coloro che
avevano udito, già in questo mondo, la voce soave della Madonna.
Tutti ritornavano bene impressionati dalla conversazione con i pastorelli. Bastava
vederli una volta per restar convinti della verità delle loro affermazioni. Il sorriso
angelico, che illuminava il volto; l'anima pura, riflessa dagli occhi limpidi, che si
erano estasiati nella visione della più sublime creatura uscita dalle mani di Dio; la
semplicità sorprendente, che traspariva da tutti i loro gesti e parole; tutto diceva che
l'inganno era impossibile, che la finzione era incompatibile con quei fanciulli. I più
insensibili, i più ribelli si arrendevano davanti a così grande candore.
Le risposte che i fanciulli davano erano sempre le stesse. Francesco affermava che
non aveva sentito parlare la bianca Signora, ma l'aveva vista, e la sua luce gli
accecava gli occhi. Era solo con Lucia che la Signora parlava.
Giacinta sapeva qualcosa di più, ma confessava ingenuamente che, talvolta, non
udiva bene la Vergine, che molte cose già le aveva dimenticate e che era necessario
domandare alla cugina, se volevano essere perfettamente informati. Era quindi a
Lucia che di preferenza si dirigevano i curiosi e i devoti, e Lucia ripeteva mille volte
le stesse cose e con le medesime parole. Solo quando qualcuno investigava il
segreto, allora Lucia e Giacinta si chiudevano nel più assoluto silenzio, mostrandosi
perfino maleducate. Quando si trattava di gente qualunque, non le rattristava molto
questo modo di procedere; ma quando si trattava di preti, allora le piccole (Lucia
soprattutto) rimanevano meste per dover agire così. Un terribile dubbio veniva a
turbare le coscienze delicate: era lecito diportarsi in quella maniera con i
rappresentanti di Dio? Fu in questo tempo che la Provvidenza mandò loro un
sacerdote il quale ispirò la più assoluta confidenza: era il P. Faustino Ferreira,
vicario di Olival. Fin dalle prime parole con i pastorelli, il buono e perspicace
sacerdote comprese che si trovava alla presenza di creature predilette dal Cielo e
con tatto ammirabile cercò di modellare al soffio della grazia quelle tre anime tanto
sensibili all'influsso soprannaturale.
Non perdeva nessuna occasione: tutte le volte che andava a Fatima, non tralasciava
di passare da Aljustrel. Si serviva pure d'una devota vedova che veniva spesso a
pregare alla Cova da Iria e che conduceva i fanciulli con sé, facendoli passare poi da
casa sua a quella del parroco per far compagnia ad una nipote di lui. Il P. Faustino
in primo luogo li tranquillizzò riguardo al segreto ed alla maniera di diportarsi coi
sacerdoti. Dove però la sua azione risultò
più fruttuosa fu nel guidarli a piacere in tutto a Gesù, insegnando loro a fare molti
piccoli sacrifici 73.
«Se desiderate mangiare una cosa, figlioli, tralasciatela e mangiatene un'altra e
offrite a Dio questo sacrificio. Vi vien voglia di giocare? Non giocate e offrite a Dio
un altro sacrificio. V'interrogano e non vi potete esimere? E Dio che vuole così:
offrite a lui anche questo sacrificio».
Il suo linguaggio era ben compreso dai fanciulli. Il P. Faustino Ferreira fu, in vero, il
primo direttore spirituale di Lucia, che di lui conserva il più grato e vivo ricordo. Il
santo sacerdote dal Cielo contempla la sua opera e sorride forse della prudenza,
certo esagerata, dei suoi confratelli di allora.
La vera direttrice spirituale dei fanciulli fu, però, essenzialmente la Santa Vergine.
La Signora della Cova da Iria riservò a sé la realizzazione di quest'opera principale e
- non poteva essere altrimenti - la portò a termine con buon esito. Dalle sue mani
prodigiose uscirono tre angeli rivestiti di carne, e allo stesso tempo tre autentici
eroi. La materia prima era d'una plasticità ammirevole, ma dell'Artista che
dovremmo dire? Alla sua scuola i tre pastorelli avevano fatto in breve tempo passi
da gigante sul cammino della perfezione.
In loro si avveravano, alla lettera, le parole di un grande devoto di Maria, il santo
Grignon de Monfort: «Alla scuola della Vergine, l'anima progredisce di più in una
settimana che in un anno fuori della sua scuola».
La pedagogia della Madre di Dio non ha confronti. In due anni la Vergine
Santissima seppe elevare i due fratellini, Francesco e Giacinta, fino alle più eccelse
vette della santità cristiana.
Il ritratto che la mano esperta di Lucia ci traccia di Giacinta è rivelatore:
«Giacinta aveva un portamento sempre serio, modesto, amabile, che sembrava
rivelare la presenza di Dio in tutti i suoi atti, proprio delle persone già avanzate
nell'età e di grande virtù.
Non notai mai in lei, dopo le apparizioni, l'eccessiva leggerezza o l'entusiasmo
proprio dei fanciulli per gli ornamenti od i giochi; non posso dire che le altre
bambine corressero dietro a lei come dietro a me: ma questo, forse, dipendeva dal
fatto che lei non conosceva i canti e le storielle che insegnavo loro per intrattenerle,
o forse perché la serietà del suo contegno era troppo superiore alla sua età. Se in sua
presenza qualche fanciulla o persona adulta diceva qualcosa o faceva qualche azione
poco conveniente, la riprendeva dicendo:
- Questo non si deve fare, perché offende Dio, Nostro Signore, ed egli è già tanto
offeso ...».
Identica è l'impressione che ricevettero di questo angioletto in carne il dotto
Formigao, il dotto Carlos Mendes, il barone di Alvaiàzere e tutti quelli che ebbero la
fortuna di avvicinarla. Ci rincresce solo di non poter riferire qui per intero - sarebbe
troppo lungo ­ le loro deposizioni.
Quanto a Francesco, riferiremo solo alcuni aneddoti che ce lo dipingono nelle
caratteristiche più salienti della sua personalità. Un giorno, due signore
s'intrattenevano con lui interrogandolo, alternativamente, sulla carriera che
desiderava abbracciare quando sarebbe diventato adulto.
- Vuoi essere falegname?
- No, signora, - risponde il piccolo.
E subito l'altra: - Vuoi essere militare?
- No, signora.
- Dottore? Non ti piacerebbe fare il dottore?
- No.
- Lo so io cosa vorresti diventare: sacerdote ... per dire la Messa ...
confessare ... predicare in chiesa ... No?
- No, signora, non desidero di essere prete.
- Allora che vuoi diventare?
- Non voglio essere niente. Desidero morire e andare in Cielo!
Il signor Marto, presente a questo dialogo, commenta oggi: - Tutto si verificò
pienamente!
Ecco un altro episodio del tempo delle apparizioni, quando i tre pastorelli uscivano
ancora con il gregge.
Per tenere scrupolosamente lontano il gregge da certe tenere pianticelle, le fanciulle
si misero da una parte e Francesco, avendo manifestato il desiderio di star solo, si
era messo ad una certa distanza sull'orlo opposto del bosco. Lucia però, sempre
sollecita dei due più giovani, ad un dato momento disse a Giacinta di andare a far
compagnia al fratello che già da tempo era solo. La piccola entrò nel bosco
gridando:
- Francesco, o Francesco!. ..
Ma Francesco non rispondeva. Afflitta, torna da Lucia dicendole: - Forse Francesco
si è smarrito.
Subito Lucia si alza, va in cerca del cugino e lo trova prostrato a terra dietro un
muricciolo di pietre a secco. Gli si avvicina, lo tocca sulle spalle chiamandolo ad alta
voce. Lo scuote e gli domanda:
- Che stai facendo qui?
Come svegliandosi da un sonno profondo, il piccolo risponde: - Cominciai a dire le
preghiere dell'angelo e poi rimasi a pensare.
- Non hai udito Giacinta chiamarti?
- Non ho udito nulla.
Era il desiderio del Cielo e la contemplazione delle cose divine che inondavano
pienamente il cuore di Francesco.
Un pomeriggio, i tre inseparabili amici vanno a parare le pecore verso Fatima alta.
Arrivati al punto stabilito, Francesco si apparta in luogo solitario. Il tempo passa e il
piccolo non torna.
All'ora di merenda, Giacinta lo scopre a pregare nascosto dietro una roccia.
- Francesco, vieni a far merenda!
- Fatela voi; e quando reciterete il rosario, chiamatemi.
Le fanciulle rispettano la risoluzione del piccolo asceta e consumano pensierose il
loro scarso pasto. Poi, vanno a chiamarlo per recitare il rosario.
Lucia gli domanda:
- Che fai qui da tanto tempo?
- Pensavo a Dio che è tanto triste per causa dei molti peccati! Se io potessi
consolarlo!
Un pensiero dominava il pastorello d'Aljustrel:
- Gesù è molto triste ed io devo consolarlo con la preghiera e la penitenza.
«A me piacque molto - diceva - veder l'angelo, e più ancora la Madonna. Ma ciò che
mi piacque di più fu vedere Gesù in quella luce che la Vergine mise nei nostri cuori.
Amo molto Dio ... Ma Egli è tanto triste per causa di tanti peccati. Noi non
dobbiamo mai fare il minimo peccato!».
Il suo desiderio di andare in Cielo non era sete di godere, ma soprattutto desiderio
di consolare Gesù.
«Fra poco Gesù mi verrà a prendere per portarmi in Cielo con lui; così potrò sempre
vederlo e consolarlo. Che bello! ...». Francesco però non era solo un pensatore, un
contemplativo, un asceta: era anche un ometto molto pratico.
«C'era una vecchietta - ci racconta Lucia - che non era più in grado di custodire le
sue pecore e capre, e perciò talvolta le sfuggivano, lasciandola molto afflitta, perché
non poteva rincorrerle». Quando Lucia e i cugini la trovavano così, era sempre
Francesco il primo ad offrirsi per prestarsi a riunire il gregge.
- Francesco era il mio angelo custode - diceva ella dopo la morte dell'angelico
fanciullo.
Lucia, per l'esperienza che aveva nell'organizzare i giochi e per l'ascendente che
godeva sopra gli altri fanciulli, anche dopo le apparizioni, si vedeva tormentata da
inviti e proposte di partecipare ai divertimenti. Avendo una volta, dopo molta
insistenza, finito per cedere, Francesco la chiamò in disparte e le disse molto serio:
- E tu torni a questi giochi, dopo che ti è apparsa la Madonna?
- Mi han pregata tanto - si scusava Lucia.
Ma Francesco, logico e severo, rispondeva:
- Tutti sanno che la Madonna ti è apparsa; quindi non si devon meravigliare che tu
non voglia partecipare al ballo ...
Quanti altri di questi fatti potremmo riferire!
La celeste patrona aveva guidato bene le tre semplici pecorelle sui ricchi pascoli
della grazia.
Conosciamo quale impressione straordinaria avesse prodotto nell'animo dei
pastorelli la visione dell'inferno e dei tormenti dei dannati.
- Dobbiamo fare molti sacrifici e pregare molto per i peccatori ­ ripeteva la più
piccola - perché più nessuno vada in quella prigione di fuoco, ove si soffre tanto.
Non ci meraviglia quindi che, come ricompensa di questo straordinario fervore, la
Vergine tornasse a manifestarsi ai pastorelli.
Dalla relazione ufficiale del parroco di allora, relazione terminata nell'aprile del
1918 e consegnata all'autorità ecclesiastica il 28 aprile 1919, sappiamo che la
Madonna apparve a Giacinta almeno tre volte nel breve periodo che corre
dall'ottobre 1917 all'agosto del 1918.
«Giacinta afferma che la Madonna le apparve tre volte: la prima nella chiesa di
Fatima, durante la Messa, il giorno dell'Ascensione del Signore. La Vergine le
insegnò allora a recitare la corona. La seconda volta fu di notte, sulla porta della
cantina, mentre tutta la famiglia dormiva. La terza apparizione avvenne in casa
sopra un tavolo: la Vergine era silenziosa.
Ad un certo punto Giacinta esclamò:
- Guarda, mamma, non vedi lì la Signora della Cova da Iria? Guarda!».
Questa narrazione venne fatta dalla mamma stessa di Giacinta al suddetto sacerdote
che a noi la trasmise.
In quello stesso periodo, tra maggio e giugno 1918, Giacinta deve aver fatto la prima
Comunione. È un punto sul quale i coniugi Marto sono espliciti e ci pare che le loro
affermazioni siano sufficientemente sicure.
Della stessa opinione era pure il parroco di allora, P. Manuel Marques Ferreira,
morto recentemente. Già l'anno prima, nel periodo delle apparizioni, Francesco e
Giacinta avevano fatto la loro confessione. A questo proposito Ti Marto ci racconta:
«Allora, forse dopo la seconda apparizione, accompagnai i due, Francesco e
Giacinta, alla chiesa, per confessarsi. Andai con loro in sacrestia e dissi:
- Signor parroco, ecco i miei bambini che vorrebbero confessarsi. Può far loro tutte
le domande che crede.
Confesso che in queste parole c'era un po' di malizia. Allora il parroco rispose:
- Queste cose - si riferiva alle apparizioni alle quali gli sembrò volessi alludere - non
c'entrano con la confessione, amico mio! - Già, è vero - dissi io allora. - E se queste
cose non c'entrano con la confessione, non li faccio più ritornare.
Ma i piccoli si confessarono in quella occasione.
Per la Comunione, però, il parroco giudicò opportuno farli attendere ancora un
anno ..
L'anno seguente, infatti, tornarono da lui in maggio per essere interrogati sul
catechismo.
Giacinta rispose regolarmente, ma Francesco si confuse in un punto del Credo, non
so quale, in modo che Giacinta poté comunicarsi, mentre Francesco non lo poté.
Il piccolo tornò a casa piangendo, ma non c'era rimedio».
Con qual fervore Giacinta avrà ricevuto il Pane degli angeli! E con qual delizia Gesù
sarà entrato in quel cuore che la sua stessa Madre tanto premurosamente aveva
preparato per riceverlo! Come il cuore di S. Geltrude, il cuore di Giacinta non sarà
stato per Lui un'altra «gioconda dimora», come un «piccolo paradiso»?
Capitolo trentaquattresimo
Mentre voi andate a scuola
io resto con «Gesù nascosto»
(Francesco)
Ci sono noti i sacrifici eroici che i veggenti seppero imporsi dopo la prima
apparizione, sacrifici che continuarono a fare sino alla morte, nel desiderio ardente
di aprire a tutti i peccatori la porta del Cielo, già aperta per loro, piccoli fortunati.
Ogni mortificazione sembrava loro insignificante. Giunsero così al punto di fare
penitenze che noi giudicheremmo eccessive, se non imprudenti, come quella di
portare attorno alla vita un'aspra corda. La stessa Vergine, nell'apparizione del
mese di settembre, dovette moderare questo ardore, questa fame di sofferenza,
dicendo loro che prima di coricarsi si togliessero la corda.
Il profumo delle virtù dei tre pastorelli attirava la gente semplice, che confidava loro
mille necessità e si raccomandava alle loro preghiere. Non sorprende che, già
durante la vita, il Signore esaudisse le loro orazioni e operasse dei veri prodigi in
vista dei loro sacrifici. In Fatima, la scuola è vicino alla chiesa. I piccoli ne
approfittavano, prima e dopo le lezioni, per andare a visitare Gesù, passando lunghe
ore presso il tabernacolo. Soprattutto Giacinta e Francesco, che ebbero dalla
Vergine la promessa di essere portati presto in Cielo e che quindi si credevano
dispensati dalle lezioni, si raccoglievano molte volte in chiesa per parlare, a tu per
tu, con «Gesù nascosto».
Ma subito il popolo s'affollava e li circondava per caricarli di raccomandazioni che
essi, con semplicità, dovevano presentare alla Madre del Cielo.
Sembra che indovinino - si lamentava Giacinta - e non ci lasciano parlare con Gesù!
Ma non era solo in chiesa che si facevano richieste ai due fratellini. «Incontrammo
un giorno - ci racconta Lucia - una povera donna che, piangendo, s'inginocchiò
davanti a Giacinta per chiederle che le ottenesse dalla Madonna la guarigione da
una terribile malattia. Giacinta, al vedere inginocchiata avanti a sé quella poverina,
si afflisse e le prese le mani tremanti facendo l'atto di rialzarla. Ma vedendo che non
riusciva, s'inginocchiò anche lei e insieme recitarono tre Ave Maria. Poi, la pregò di
alzarsi, che la Madonna l'avrebbe guarita, e non cessò di pregare tutti i giorni per la
poveretta, finché quella, dopo alcun tempo, tornò guarita per ringraziare la
Madonna».
Un'altra volta, era un soldato a piangere come un bambino. Aveva ricevuto l'ordine
di andare alla guerra e doveva lasciar la moglie a letto ammalata e tre figli: egli
chiedeva la guarigione della moglie o la revoca del precetto. Giacinta l'invitò a
recitare la corona, poi gli disse:
- Non piangete! La Madonna è tanto buona ... Certo vi farà la grazia che chiedete.
E non dimenticò mai il suo soldato.
Dopo il rosario aggiungeva sempre un'Ave Maria per lui. Passati alcuni mesi, venne
il soldato con la moglie e i piccoli a ringraziare la Madonna delle due grazie ricevute:
per una febbre che l'assalì la vigilia della partenza era rimasto esonerato dal servizio
militare e la moglie, era stata guarita miracolosamente dalla Madonna.
«Una mia zia - è sempre Lucia che riferisce - di nome Vitòria, sposata in Fatima,
aveva un figlio che era un vero prodigo. Non so perché, ma già da tempo aveva
abbandonato la casa paterna, senza far sapere più nulla di sé. Afflitta, mia zia venne
un giorno ad Aljustrel, perché io pregassi la Madonna per quel suo figlio. Non
trovandomi, rivolse la domanda a Giacinta e questa promise di pregare per lui.
Dopo alcuni giorni il prodigo tornò alla casa paterna, chiese perdono, poi andò ad
Aljustrel a raccontare la sua avventurata sorte.
«Dopo - diceva lui - di aver speso tutto ciò che avevo rubato, andai per vario tempo
vagabondando, finché fui incarcerato in Torres Novas. Di lì potei fuggire e
nascondermi sui monti, tra pinete sconosciute. Credendomi perduto, tra la paura
d'essere preso e l'oscurità della notte buia e tempestosa, ricorsi all'unico rifugio, la
preghiera. Caddi in ginocchio e cominciai a pregare. Passati alcuni minuti affermava lui - mi compare Giacinta, mi prende per mano e mi conduce sulla strada
che viene da Alqueidao a Reguengo, invitandomi a continuare in quella direzione.
Quando spuntò l'alba mi trovai sulla strada di Boleiros, riconobbi il luogo dove mi
trovavo e commosso mi diressi a casa mia».
E Lucia continua:
«Poiché egli affermava che Giaciuta gli era apparsa e che l'aveva riconosciuta
perfettamente, io domandai a Giacinta se era vero che era andata con lui, ma mi
rispose di no, e che non sapeva dove erano quelle pinete e quei monti, ove egli s'era
sperduto. - Io pregai solo molto la Madonna per lui, perché la zia Vitòria mi faceva
compassione - aggiunse la piccola. - Come fu tutto questo? Non lo so: Dio lo sa».
Abbiamo narrato alcune grazie ottenute per intercessione di Giacinta, ancora
vivente; così avveniva per Francesco.
Una volta, andando a scuola, Lucia incontrò la sorella Teresa, sposata da poco, che
le raccomandò di pregare la Madonna per un giovane, la madre del quale abitava in
un paese vicino. Il poveretto, accusato d'un grave delitto, era in prigione. Lucia,
lungo la strada, raccontò il caso ai cugini. Arrivati a Fatima, Francesco, visibilmente
commosso, disse alle ragazze:
- Mentre voi andate a scuola, io resto con «Gesù nascosto» e gli domando questa
grazia.
Dopo le lezioni, Lucia andò a prenderlo in chiesa e gli domandò:
- Hai raccomandato quel caso alla Madonna?
- Sì, puoi dire a tua sorella che il giovane è libero.
Così fu. Pochi giorni dopo il recluso tornava a casa e il giorno 13 andava alla Cova a
ringraziare la Madonna.
In altra occasione, Giacinta e Lucia, vedendo che un gruppo di persone s'avvicinava
alla casa, per sottrarsi agli interrogatori si nascosero in un tino, lasciando Francesco
solo a sopportare quegli importuni. Quando se ne andarono, le due piccole uscirono
dal nascondiglio e domandarono a Francesco ciò che era avvenuto. Rispose che tutti
volevano vederle per sapere molte cose.
- C'era pure una donna che mi chiese di pregare per la guarigione di un ammalato e
la conversione di un peccatore. Io pregherò per queste intenzioni e voi pregherete
per quelle degli altri, che sono molte.
Sappiamo che la preghiera di Francesco fu esaudita. Dopo la sua morte, la donna
venne a domandare ove era la tomba del piccolo, perché desiderava ringraziarlo
delle due grazie che le aveva ottenuto.
Un'altra volta fu la riconciliazione d'un padre con il figlio che egli ottenne.
- State tranquilla - rispose all'afflitta sposa e madre che era venuta a confidargli la
sua pena. - Fra poco io sarò in Cielo e appena arriverò là, subito domanderò questa
grazia alla Madonna.
E così fu. La stessa sera della morte di Francesco, la pace era tornata in quella
famiglia.
Sempre sul conto di Francesco abbiamo ricevuto una lettera dal sac. Antonio dos
Reis, rettore del seminario di Leiria, che riferisce quanto segue:
«Ebbi la fortuna di frequentare la scuola di Fatima con Francesco Marto dal
febbraio al luglio 1917. Già allora Francesco si distingueva per la sua bontà e
umiltà, virtù queste che, umanamente, l'hanno fatto soffrire in mezzo ai suoi
compagni guidati da un maestro privo di princìpi cristiani. Ancora indietro negli
studi, doveva frequentare la prima elementare. Il maestro e i compagni si
divertivano a canzonarlo, tanto più che assorto in pensieri elevati, suscitati in lui
dall’Angelo, non dimostrava interesse per l'istruzione scolastica che veniva
impartita.
Francesco, sempre umile, abbassava la testolina e, certamente con la mente in
Dio, ascoltava in silenzio le battute che gli dirigevano il maestro e i compagni in
quella scuola dove era entrato non so da quanto tempo: Alla ricreazione di
mezzogiorno mangiava qualcosa e, silenzioso, attendeva con i più quieti che il
maestro desse il segnale di rientro. Ricordo di aver giocato con lui e altri ragazzi
alla trottola, al fazzoletto, a farina e crusca, all’asse, ai bottoni, a mosca cieca,
ecc., e sempre con allegria, perché Francesco era buon compagno per tutti. A sera
se ne andava a casa sua e io a casa mia in direzione opposta, perciò non so come
passasse il resto della giornata.
Dal febbraio al maggio del 1917 la vita di Francesco nella scuola di Fatima è stata
sempre più o meno così come ho detto e così è stato il comportamento del maestro
e dei compagni verso di lui. Nella seconda metà di maggio, divulgatasi in paese la
notizia della prima apparizione della Madonna nella Cova da Iria, il 13 del mese,
la situazione a suo riguardo cambiò alquanto.
Il maestro, buono come insegnante, ma niente affatto come educatore per non
avere né fede né stima delle verità cristiane e della religione, approfittava del poco
interesse per lo studio per ingiuriarlo come falso veggente. Non trascurava
occasione per farci notare i difetti e la negligenza di Francesco, non so se proprio
soltanto allo scopo di incitarlo allo studio, vedendosi mortificato e prestare più
attenzione alle lezioni, o se anche per attirarci dalla sua contro l’umile veggente.
Noi, ragazzi come eravamo, e protetti dall'atteggiamento del maestro, a volte ci
univamo a lui nell'umiliare il povero Francesco. Il peggio si è che queste
umiliazioni da parte dei compagni non si limitavano alle parole. Succedeva che il
povero Francesco dovesse trascorrere le ricreazioni appoggiato alla parete per
difendersi dagli spintoni che i più forti e monelli gli infliggevano. Poverino! Dio
voglia che là in Cielo abbia pregato per il suo maestro e per i suoi compagni!
Tutto questo accadde durante la seconda metà di maggio e tutto il mese di giugno
del 1917.
In luglio cominciarono le vacanze estive e nell’ottobre dello stesso anno entravo
per la prima volta in seminario e nei mesi di vacanza non avevo occasione di
incontrarmi con i veggenti se non di sfuggita, quantunque fossimo della stessa
parrocchia, perché la mia borgata, Boleiros, dista da Aljustrel quattro o cinque
km. Essendo vissuti per poco tempo in compagnia non giungemmo ad entrare in
intimità, ciò che sarebbe stato per me di grande aiuto».
Non chiuderemo questo capitolo senza riferire un'altra grazia straordinaria ottenuta
da Lucia in favore della mamma, che era in quel tempo ammalata gravemente.
È Maria dos Anjos che ce la riferisce in tutti i suoi particolari. «La mamma stava
tanto male che noi giudicavamo non sopravvivesse. Erano attacchi di dispnea e il
medico diceva che era una crisi cardiaca. Tutti noi si piangeva perché avevamo già
perso il papà. Fu allora che dissi a Lucia, seduta su uno sgabello vicino al fuoco:
- O Lucia, non hai più il papà. Se la mamma muore, resti orfana ... senza papà ...
senza mamma ... Se è vero che ti è apparsa la Madonna, domandale che guarisca la
mamma.
La ragazza non disse parola. Si alzò subito, andò in camera, indossò la sottana fatta
di lana di pecora, perché era inverno e pioveva molto, poi prese la strada della Cova
da Iria.
Quando tornò, portava una manciatina di terra e disse a Gloria che facesse un tè per
la mamma. Aveva promesso alla Madonna di tornare alla Cova con le sorelle,
facendo in ginocchio il tratto che va dalla strada alla cappellina, per nove giorni, e
nello stesso tempo di nutrire nove ragazze povere.
Gloria preparò l'infuso e lo diede alla mamma. - Che tè è questo? - domandò la
mamma.
- È di fior di viole - rispondemmo noi.
Essa lo bevve tutto.
Gli attacchi scomparvero subito, e non sentì più il soffocamento. Respirava bene, il
cuore pulsava regolarmente e poco tempo dopo si alzò. Non guarì completamente
fino a tornare robusta come prima, ma lavorava ancora molto, dopo quella malattia,
in modo da non parere anziana.
Noi, figlie, cominciammo subito ad andare alla Cova, secondo la promessa, per nove
giorni di seguito, dopo cena, perché di giorno andavamo a guadagnarci la vita con il
lavoro, e anche per non dare nell'occhio: ci trascinavamo in ginocchio dall'entrata
fino alla cappellina e recitavamo il rosario. Anche la mamma adempì la novena, ma
veniva, a piedi, dietro di noi».
Tra tanti dubbi, tante contraddizioni, questi prodigi che la bianca Signora si
compiaceva di fare per intercessione dei suoi prediletti amici, erano per loro come
un raggio di sole, che fendendo le nubi, tante volte pesanti e oscure, venivano ad
illuminare e rallegrare la loro vita. Il Cielo, che si era chiuso dopo l'ultima
apparizione, si riapriva di tanto in tanto, e la graziosa Vergine della Cova
vezzeggiava i suoi pastorelli con questi doni, che ricordavano loro come dall'alto ella
li seguiva circondandoli della sua materna tenerezza.
Capitolo trentacinquesimo
Egli conosceva bene il suo destino
(Ti Olimpia)
Erano trascorsi diciotto mesi dopo l'ultima apparizione, e già Francesco era pronto
a spiccare il volo verso il Cielo. Doveva aver recitato tutta la somma di rosari che la
Vergine gli aveva richiesto. Si era sulla fine di ottobre quando il fanciullo si ammalò
e con lui Giacinta, le altre sorelle, i fratelli e la mamma; rimase in piedi soltanto Ti
Marto, che, come egli stesso ci riferisce, era l'infermiere di quell'ospedale 74.
«Quando s'ammalò anche mia moglie - racconta il brav'uomo ­ allora rimasi molto
indaffarato per assistere tutti e fare i servizi necessari. Una figlia aveva bisogno di
un cataplasma, una seconda di qualcos'altro. Lavorò anche il dito di Dio. Dio mi
aiutò e non ebbi bisogno di chieder denaro a nessuno».
Coricati nei letti, i due fratellini percepivano chiaramente che quella malattia
doveva condurli al Cielo. Migliorarono ancora e si alzarono, ma ricaddero
nuovamente. Passarono così altri quindici giorni.
«Ma la forza della malattia era tale - dice la madre - che questa volta Francesco non
era in grado di muoversi».
Fu allora che apparve loro la Vergine e dichiarò che molto presto sarebbe venuta a
prendere Francesco, e poco dopo anche Giacinta. Quando Lucia venne a visitarli, li
trovò nel colmo della gioia per quanto le forze potevano permetterlo.
- Oh, Lucia, - disse Giacinta tutta lieta, - la Madonna venne a trovarmi e mi disse
che verrà molto presto a prendere Francesco. A me domandò se volevo convertire
ancora tanti e tanti peccatori, ed io le dissi di sì. La Madonna vuole che io vada in
due ospedali, non per guarire, ma per soffrire di più per amor di Dio, per la
conversione dei peccatori e in riparazione delle offese commesse contro il suo Cuore
Immacolato. Mi disse che tu non verrai; ma verrà mia mamma ad accompagnarmi e
poi resterò là sola, sola. Da quel momento, Giacinta e Francesco raddoppiarono
d'amore e di desiderio per il Cielo e tranquillamente, gioiosamente stettero ad
attendere la morte. Per loro la morte era il Cielo, era Gesù, era la felicità eterna.
«Il fanciullo accettava tutti i rimedi che gli davamo - ricorda la madre. - Non era
capriccioso, e mai potei sapere che cosa gli piacesse di più. Gli si dava un po' di
latte? ... prendeva il latte. Gli si dava un uovo? ... prendeva l'uovo. Poverino! Anche
le medicine amare beveva senza far boccacce ... Per questo eravamo certi che
sarebbe ancora guarito, ma egli sempre ripeteva che tutto era inutile, che la
Madonna sarebbe venuta presto per portarlo in Cielo. Nel mese di gennaio la forza
del male cominciò a lasciarlo tranquillo per la seconda volta, tanto che poté
scendere dal letto. Noi eravamo contenti di ciò; solo lui non credeva a se stesso e
ripeteva sempre la stessa cosa: la Madonna sarebbe venuta a prenderlo presto!
Un giorno - racconta il padre - andò a prendere un cestino d'ulive e lo portò in casa.
Si sedette su uno sgabello e cominciò ad inciderle.
- O Francesco - gli dissi - cominci a lavorare? Già ti senti bene? ... Ma egli rimase
silenzioso, mesto. Ben sapeva che nonostante tutto, sarebbe morto presto. Gli è che
lui conosceva bene il suo destino!» conclude Ti Olimpia. In questo breve intervallo
di ripresa, il fanciullo, potendosi alzare e passeggiare, diresse i suoi passi vacillanti
alla Cova da Iria, attratto dal desiderio di vedere ancora una volta quel luogo
benedetto, ove i suoi occhi estasiati avevano contemplato la bella Signora, vestita di
sole. Inginocchiato presso il ceppo dell'elce, scrutava con lo sguardo l'immensità
azzurra del cielo quasi a cercare la celeste visione, scomparsa nella volta dorata
d'oriente. Sospirava ...
Come desiderava vederla! Quanto desiderava contemplarla! E nell'intimo
dell'animo lo illuminava la stessa luce che l'aveva avvolto nell'intervista con la
Vergine, mentre una voce ben conosciuta e amata gli sussurrava:
- Poco tempo ancora e poi sarai con me, eternamente in Cielo! ... Che felicità! Una
gioia infinita lo rianimava e le spente pupille si accendevano nel pallore del volto
macilento.
- Tu devi guarire, Francesco, per diventare un uomo valente ­ gli diceva il papà
soddisfatto.
Ma subito il fanciullo distruggeva questa speranza. - La Madonna non tarderà a
venirmi a prendere. Tale era la sua risposta serena e sicura.
- Illuminazione dall'Alto! - mormorava triste il buon uomo, e asciugava con la mano
callosa le lacrime che gli cadevano dagli occhi stanchi per la lunga veglia.
- Se la Madonna ti guarisce, prometto che le offrirò il tuo peso di frumento - gli
diceva la madrina Teresa.
- Non ne val la pena - rispondeva con angelico sorriso. - La Madonna non vi farà
questa grazia.
Francesco aveva ragione. Alcuni giorni dopo, tornò a mettersi a letto per non più
alzarsi. Invece di migliorare peggiorava di giorno in giorno in modo che i genitori
pensarono seriamente alla probabilità di perderlo. Alle parole di speranza di
guarigione con cui cercavano di convincerlo, rispondeva sempre:
- È inutile: la Madonna mi vuole in Cielo con sé.
Gli splendeva negli occhi la luce del paradiso e tuttavia chi lo vedeva sempre ben
disposto, sempre allegro, sempre pronto a sorridere, s'illudeva; e tale illusione si
mantenne fino alla fine.
Una febbre intensa, insistente, consumava quel debole organismo, insensibilmente,
implacabilmente. Solo un filo molto sottile legava l'uccellino alla terra.
Lucia, risparmiata dalla spagnola, quando le faccende di casa sua - che s'era pure
trasformata in un piccolo ospedale - lo permettevano, correva a casa dello zio per
servire e soprattutto per conversare con i cugini, per approfittare della loro
compagnia, ora specialmente preziosa, nella previsione che in breve sarebbe
rimasta sola. Divideva allora il suo tempo fra la camera di Giacinta e quella di
Francesco. Seduta su uno sgabello conversava a lungo e, sia con l'uno che con
l'altra, le confidenze non finivano mai.
- Oggi hai fatto molti sacrifici? - era la domanda che la cugina faceva a Giacinta.
- Sì, molti... La mamma è andata via ed io avevo voglia di vedere Francesco, ma vi
rinunciai.
Lucia confidava i suoi segreti, che mai forse conosceremo. Diceva alla cugina le sue
industrie, le sue invenzioni per soffrire molto e convertire molti peccatori, le
giaculatorie che a migliaia aveva ripetute il giorno precedente. Erano quelle che
aveva loro insegnato il buon vecchio P. Cruz e che essi avevano imparato tanto bene.
- Anch'io - interrompeva Giacinta - amo tanto Gesù e la Madonna che non mi stanco
di ripeterlo loro ... Quando lo dico molte volte, mi pare di sentire un fuoco nel petto,
ma non mi brucia. E le due piccole rivivevano le ore felici, trascorse in intimo
colloquio con la bella Madre del Cielo: parlavano dei luoghi cari che la Vergine
aveva santificato con la sua augusta presenza e la nostalgia veniva ad intenerire
quelle animucce.
- Oh! se potessi andare al Cabeço, - mormorava Giacinta, - recitare ancora il rosario
tra le rocce!. .. Ma ora non sono capace. Quando vai alla Cova da Iria, prega per me
... Certo, io là non andrò mai più!
Le stesse scene si ripetevano nella stanza di Francesco, ove Lucia andava dietro
invito di Giacinta che voleva fare un sacrificio di più, privandosi di tanto cara
compagnia.
- Ora vai da Francesco. lo faccio il sacrificio di restar qui sola.
- Francesco, soffri? - gli domandava allora Lucia, sorridendo gli con tenerezza.
- Sì, soffro. Ma soffro tutto per amar di Gesù e della Madonna. Vorrei soffrire di più,
ma non posso.
E assicurandosi che la porta fosse ben chiusa, si toglieva di dosso la corda-cilicio e la
consegnava alla cugina.
- Prendila, portala via, prima che la mia mamma la veda. Ora non sono più capace
di portarla!
Alcuni istanti dopo arrivava anche Giacinta col suo pezzo di corda e la deponeva in
mano alla cugina, non senza rincrescimento.
- Custodiscimela tu, perché ho paura che la mamma me la veda. Se guarirò, la voglio
ancora.
Questa corda era l'unica cosa al mondo a cui i fanciulli si sentivano attaccati: era per
loro l'unica cosa che avesse veramente valore. Anche per noi sarebbe stata la più
preziosa reliquia, se Lucia non l'avesse bruciata prima di partire per il collegio delle
Dorotee in Vilar.
- Senti, Lucia, - continuava Francesco - ormai mi manca poco per andare in Cielo.
Giacinta prega molto per i peccatori, per il Santo Padre, per te. Tu resti qui, perché
la Madonna lo vuole. Senti, fa tutto quello che ti dirà.
«Mentre Giacinta - commenta Lucia - sembrava preoccupata nell'unico pensiero di
convertire i peccatori e salvare le anime dall'inferno, Francesco sembrava che
pensasse solo a consolare Gesù e la Madonna, che aveva contemplato molto tristi».
- Sto molto male, Lucia, - ripeteva. - Ora mi manca poco per andare in Cielo.
- Allora non ti dimenticare di pregare molto Gesù per i peccatori, per il Santo Padre,
per me, per Giacinta.
- Sì, io prego, ma ascolta: queste cose domandale anche a Giacinta perché io ho
paura di dimenticarmi quando verrà Gesù. E poi, prima voglio consolare Lui.
Capitolo trentaseiesimo
Guarda mamma … che bella
luce là, vicino alla porta
(Francesco)
Le visite di Lucia erano molto gradite in casa Marto.
«Godevo molto - dice la signora Olimpia - quando appariva Lucia. Mi faceva
immensa pena veder Giacinta passare ore intere, immobile, col volto tra le mani, a
pensare. Ogni tanto le dicevo una parola:
- A che pensi Giacinta? Ella rispondeva sorridendo: - A niente!
Con la cugina non aveva segreti. Quando entrava Lucia, entrava l'allegria, entrava il
sole in casa mia. Quando le due erano sole, si parlavano a cenni, senza che io
riuscissi ad afferrare una sola parola per quante volte mi ponessi in ascolto. Appena
arrivava qualcuno abbassavano la testa e non dicevano più una parola. Noi non
potevamo capire quel mistero».
Quando Lucia usciva di casa, la signora Olimpia le si avvicinava e le domandava:
- Che ti ha detto Giacinta?
Lucia sorrideva, e si allontanava in fretta per non tradire i segreti della Vergine.
Quando gli infermi erano soli, ciascuno nella sua stanza, si mettevano a pregare e i
rosari si succedevano senza fine.
«Erano sette od otto per giorno - assicura la mamma. - Delle giaculatorie non è
possibile farsi l'idea».
Gli ultimi giorni, però, Francesco non poteva più pregare. Questo lo rattristava
assai! Nei giorni che precedettero la sua dipartita da questo mondo, talvolta
arrivava a sera senza aver potuto recitare una sola corona! E il fanciullo riviveva con
nostalgia le lunghe ore passate alla grotta del Cabeço, prostrato a terra, ripetendo la
preghiera dell'angelo; o nella Cova da Iria recitando il rosario in compagnia della
sorellina, di Lucia, della signora Maria Carreira e di molte altre devote. Oh, quanta
nostalgia!
La signora Olimpia leggeva nell'animo del figlio tanta amarezza e cercava di
consolarlo.
- Mamma, non ho la forza per recitare il rosario ... e le Ave Maria che dico, le dico
con la testa altrove!
- Se non puoi pregare con le labbra - gli diceva allora la mamma ­ recita il rosario
con il cuore. La Madonna sente e resta contenta ugualmente.
Il fanciullo comprendeva e si tranquillizzava.
Improvvisamente il suo stato si aggravò. Il catarro profondo, penoso, che non
riusciva ad espellere; la febbre che saliva, saliva; la ripugnanza per tutto ciò che gli
si offriva; il deperimento, l'esaurimento straordinario delle forze, non lasciavano
più dubbio alcuno.
L'esilio del pastorello sarebbe terminato presto.
- Papà, vorrei ricevere il Pane del Cielo prima di morire - diceva con voce fievole.
- Vado a parlarne al parroco - rispondeva il signor Marto, il cui cuore piangeva
senza conforto, non solo nella certezza di perdere il figlio, ma anche nel dubbio che
ancora una volta il parroco negasse al suo Francesco «Gesù nascosto». E andò alla
casa parrocchiale triste ed oppresso.
In sostituzione provvisoria del P. Marques Ferreira c'era il P. Moreira da Atouguia,
che subito accettò l'invito di amministrare i sacramenti al fanciullo.
«Tornando a casa - racconta il signor Marto - recitammo il rosario e ricordo bene
che, non avendo la corona in tasca, contavo le Ave Maria sulle dita della mano».
Nel frattempo, Francesco aveva chiesto alla sorella Teresa che andasse a chiamare
di nascosto Lucia. E la confidente venne.
«Fece uscire dalla camera mamma e fratelli - scrive Lucia - perché aveva un segreto
da confidarmi. Quando fummo soli, mi disse: - Mi devo confessare, poi morirò.
Voglio che tu mi dica se mi hai visto fare qualche peccato e poi domanda a Giacinta
se lei pure mi avesse visto farne qualcuno.
- Hai disobbedito qualche volta a tua mamma - gli risposi ­ quando ella ti diceva di
stare in casa e tu scappavi per venire con me e per andare a nasconderti.
- È vero, ho disobbedito. Ora vai da Giacinta e domandale se si ricorda di qualche
mio peccato.
Andai da Giacinta ed ella, dopo aver pensato un poco, mi rispose: - Senti, digli che,
prima che apparisse la Madonna, ha rubato un saldino a José Marto di Casa Velha e
che quando i ragazzi di Aljustrel tiravano sassi a quelli di Boleiros, li tirò anche lui.
Quando gli portai il messaggio della sorella osservò:
- Li ho già confessati quelli, ma li confesserò ancora. Forse è per questi peccati che
Gesù è tanto triste. Ma io, anche se non morissi, non tornerei mai più a commettere
questi peccati. Ora sono pentito.
E giungendo le mani recitò l'orazione: «O mio Gesù, perdonateci, liberateci dal
fuoco dell'inferno ...».
- Senti, domanda anche tu a Gesù che mi perdoni i miei peccati.
- Prego, sì, sta tranquillo. Se Gesù non ti avesse già perdonato, l'altro giorno la
Madonna non avrebbe detto a Giacinta che sarebbe venuta a prenderti presto e
portarti in Cielo. Ora io vado alla Messa e là pregherò per te «Gesù nascosto».
Fu la sera di quel giorno, che il P. Moreira venne a confessare il fanciullo.
«Io avevo timore che il parroco gli negasse la comunione - confessa il signor Marto perché il fanciullo in quello stato, senza forze, poteva sbagliare qualche cosa del
catechismo. Ma egli superò la prova e il parroco rimase soddisfatto.
- Domani mattina torno, e ti porto Gesù - assicurò il P. Moreira nell'uscire dalla
camera dell'ammalato».
Francesco, da parte sua, era felice. Finalmente poteva ricevere nel suo cuore il
«Pane degli Angeli», il suo «Gesù nascosto». Con che ansia attese il giorno
seguente, il giorno del suo primo incontro con Gesù. Dalla mamma ottenne la
promessa che non gli avrebbe dato nulla dopo la mezzanotte per poter si
comunicare digiuno «come tutti i cristiani». Spuntò finalmente l'alba del 3 aprile,
chiaro giorno di primavera: aria profumata dei campi, pigoli o allegro degli uccelli,
vita che si risvegliava in ogni parte.
Quando Francesco udì il suono della campanella che seguiva l'avvicinarsi del Re del
Cielo, cercò di porsi a sedere, ma le forze gli mancarono del tutto e ricadde sui
cuscini.
- Puoi star coricato a ricevere Gesù - gli diceva la madrina Teresa, che era venuta
apposta per assistere alla prima ed ultima comunione del suo figlioccio.
Il sacerdote, con «Gesù nascosto» sotto le specie sacramentali, entrò nell'umile
stanzetta, posò la pisside sopra una mensa coperta di una bianca tovaglia ricamata,
augurò la pace a quella casa ed a tutti i suoi abitanti e depose poco dopo il Corpo di
Gesù sulle labbra scottanti di febbre del piccolo Francesco.
Inginocchiate di fianco alletto, due piccole fanciulle piangevano di dolore, di santa
invidia e di nostalgia. Gesù veniva a rapir loro il fortunato compagno per condurlo
al Cielo.
Al lieve contatto dell'Ostia consacrata con la lingua arida, Francesco chiudeva gli
occhi in estatica contemplazione. In quel momento il pastorello moriva al mondo;
quando, il giorno dopo, la sua anima si separerà dal suo corpo, già sarà immerso
nella realtà del Cielo.
Risvegliandosi da quel sogno, le prime parole che gli vennero al labbro furono per la
mamma:
- Il parroco mi porterà ancora una volta «Gesù nascosto»?
Era l'unico motivo che tratteneva quell'angelo ancora sulla terra. Però, le ore di
Francesco erano contate. La febbre altissima lo prostrava; le energie vitali non
potevano impedire la disgregazione d'un organismo indebolito da sì lunga malattia,
ed infine cedette. Dalla vigilia della sua entrata in Cielo, Lucia non abbandonò un
istante la stanza del cuginetto.
«Siccome non poteva pregare - ci dice - chiese che recitassimo noi il rosario».
Quante volte le due fanciulle l'avranno recitato vicino al suo lettino, in quel giorno, e
con qual fervore!
In un momento in cui si sentì più sollevato, Francesco confidò a Lucia:
- Certo, in Cielo avrò molta nostalgia di te. Oh, se Gesù portasse anche te lassù,
presto! ...
E Lucia, scherzando, gli rispondeva:
- Nostalgia di me? Non la sentirai, no ... Pensa: vicino a Gesù e alla Madonna che
sono tanto buoni.
- Già, quasi mi dimenticavo ...
Venne la notte, l'ultima. Lo stato di Francesco si era aggravato in modo allarmante.
Aveva sete, ma non poteva trangugiare il latte, gli mancava perfino la forza di
inghiottire il cucchiaino d'acqua che la mamma, Lucia e la madrina gli offrivano.
Se la mamma o la madrina gli chiedevano come stava, rispondeva sereno:
- Bene! Non ho nulla che mi faccia soffrire.
Ma a Lucia ed a Giacinta, che non l'abbandonavano mai, confidava:
- Andrò in Cielo e là pregherò molto Gesù e la Madonna che portino via anche voi in
fretta.
- Saluta tanto a nome mio Gesù e la Madonna - gli diceva Giacinta - e di' loro che
soffro tutto quello che vogliono per convertire i peccatori e per riparare i peccati
commessi contro il Cuore Immacolato di Maria.
Lucia taceva. Ben sapeva che il suo esilio doveva essere lungo in questo mondo
prima di congiungersi a loro nella celeste dimora. Sull'annottare, quando l'ombra
avvolgeva tutta la terra, il fanciullo chiamava la mamma, che lo contemplava muta,
in una tristezza e in un dolore senza nome, e le diceva:
- Guarda, mamma, che bellissima luce, là, vicino alla porta! E poco dopo:
- Ora non la vedo più.
Passò così la notte. Il giorno seguente, venerdì 4 aprile, tutto indicava che si era
giunti alla fine. Le ultime parole di Francesco furono per la madrina, alla quale
chiese la benedizione e il perdono per i dispiaceri che le aveva recato durante la vita.
Alle ore dieci, quando il sole entrava a pieni raggi dalla porta aperta nella stanzetta,
il volto di Francesco si illuminò singolarmente. Lentamente, senza agonia, senza
indizio di dolore, il piccolo si spense; la sua anima, quale bianca colomba salì al
Cielo.
Il giorno seguente, un modesto corteo accompagnò al cimitero di Fatima i resti
mortali di Francesco Marto. Precedeva la croce. Seguivano alcuni uomini in cappa
verde. Poi il sacerdote, in cotta, con stola nera, che recitava il rosario. Quattro
ragazzi, vestiti di bianco, portavano il corpo del confidente della Vergine e c'era
Lucia che lo accompagnava piangendo.
Piangeva anche Giacinta trattenuta in casa dalla malattia. Francesco fu sepolto in
terra nel piccolo cimitero della parrocchia; unica indicazione sulla fossa: una
semplice croce. Lucia fissò bene quella croce che in nulla si distingueva dalle altre:
non avrebbe lasciato passar giorno senza andare ad inginocchiarsi vicino ad essa,
per conversare col suo caro amico.
Più tardi, nel convento di Tuy, in Spagna, si lascerà rattristare da un pensiero:
- Che ottimo sacerdote sarebbe stato mio cugino Francesco, se fosse vissuto!
La Madonna però non aveva voluto così: aveva riservato al candido pastorello
un'altra missione, un altro sacerdozio, un sacerdozio celeste.
Capitolo trentasettesimo
Tua mamma ti porterà
all’ospedale … e là rimarrai sola …
(La Madonna a Giacinta)
Dopo l'ultima apparizione, il Cielo non si era chiuso del tutto per i tre fanciulli. Le
apparizioni ufficiali erano terminate, ma non l'intimità familiare della Vergine con i
suoi piccoli amici della Cova da Iria.
Già parlammo delle apparizioni particolari a Giacinta e a Francesco, quando i due
fratellini stavano sul letto dei dolori.
Con Giacinta però la Vergine non si accontentava di alcune visioni fugaci; con lei si
tratteneva a conversare più a lungo, Giacinta era la più piccola e quella che la
Madonna avrebbe, forse, più abbondantemente colmato di grazie.
La corrispondenza ai doni e favori di Dio è uno dei più meravigliosi misteri; d'altro
lato le grazie straordinarie non sempre corrispondono al grado di perfezione che
un'anima possiede, in modo che, registrando queste predilezioni della Vergine con
la più piccola dei tre veggenti, non vogliamo affatto supporre, e nemmeno suggerire,
che Lucia e Francesco fossero meno generosi o meno pronti all'influsso del
soprannaturale.
I fatti che Lucia riferisce a proposito dei cugini, insieme a quanto sappiamo da altra
fonte sul conto di lei, protagonista principale nelle apparizioni, ci portano a questa
conclusione: tutti e tre con egual fervore, con tutto lo sforzo possibile, e molte volte
con sforzo superiore alle capacità fisiche e morali d'un fanciullo (Lucia, la più
anziana, aveva solo dieci anni), cercavano di tradurre in penitenze eroiche la loro
corrispondenza ai favori celesti.
Giudichiamo convenienti queste osservazioni prima di parlare della malattia di
Giacinta e della sua santa morte nell'ospedale di Dona Estefània di Lisbona, per non
mettere indebitamente in secondo piano le altre due figure della Cova da Iria.
Ripetiamo che tutti e tre meritano la stessa considerazione, le stesse lodi.
La morte di Francesco causò un'impressione desolante in Lucia e più ancora in
Giacinta. Seduta sul letto, con la fronte ardente per la febbre, la piccola passava ore
ed ore nella più profonda malinconia. Quando la mamma o la cugina le
domandavano:
- A che pensi, Giacinta?
- Penso a Francesco - rispondeva. - Quanto desidero vederlo!
Ma non era solo il ricordo di Francesco che la rattristava così. Giacinta pensava
anche alla guerra, all'inferno, e a tante altre cose tristi che la Vergine le aveva
mostrato.
- Penso alla guerra che deve venire - diceva a Lucia. - Moriranno molti, e tanti
andranno all'inferno. Saranno distrutte molte case, uccisi molti sacerdoti. Senti, io
vado in Cielo, e quando vedrai di notte quella luce di cui parlò la Signora, che
precederà questi fatti, fuggi anche tu lassù.
- Non vedi che non ci si può rifugiare in Cielo? - rispondeva la cugina.
- È vero, non puoi, ma non aver paura; io in Cielo pregherò molto per te, per il
Santo Padre, per il Portogallo, perché la guerra non giunga qui, e per tutti i
sacerdoti.
Come quando era vivo il cugino, Lucia non tralasciava giorno senza andare in casa
di Ti Marto.
«Tutto il mio tempo libero - scrive Lucia, - dopo la scuola e gli altri piccoli impegni,
lo passavo vicino a lei».
L'ammalata soffriva molto. Eccetto alcuni giorni in cui aveva lievi miglioramenti,
Giacinta non aveva più abbandonato il letto dagli ultimi giorni di ottobre dell'anno
precedente,
Dopo la bronco-polmonite, le si formò nella pleura una specie di ascesso purulento
che la faceva soffrire intensamente. La piccola eroina sopportava tutto quel martirio
con una rassegnazione ed un'allegrezza che stupivano. Alla mamma, che si
mostrava tanto triste al vederla penare, diceva:
- Non rattristarti, mamma. Io vado in Cielo. Là pregherò molto per te. Non
piangere, io sto bene.
Subito dopo, tuttavia, confidava a Lucia:
- Non voglio che tu dica ad alcuno ciò che soffro; neppure alla mamma, perché non
voglio che si rattristi.
Nei più lancinanti dolori, dimenticava totalmente se stessa per pensare agli altri.
Povero piccolo fiore! Pochi mesi prima, nell'esuberanza della vita, ora, povera
creaturina senza vigore, sull'orlo della tomba!
Il medico curante, vista la gravità del caso e l'insufficienza dei mezzi di cura,
consigliò i genitori di ricoverarla all'ospedale di Vila Nova de Ourém.
Giacinta sapeva che la cura, nell'ospedale, non le avrebbe restituito la salute, ma
avrebbe servito solo ad aumentare le sofferenze. Perciò accettò lietamente d'andare
a Vila. Là avrebbe sofferto molto! Così avrebbe consolato tanto il cuore della sua
Mamma del Cielo!
«Andrai in due ospedali - le aveva detto la buona Signora della Cova da Iria, - ma
non per guarire: è per soffrire maggiormente, per amore di Dio, per la conversione
dei peccatori, in riparazione delle offese commesse contro il mio Cuore
Immacolato». Tanti motivi le rendevano consolante l'andata all'ospedale - avrebbe
sofferto molto di più che non a casa - ma ecco subentrare un pensiero che le
martirizzava il tenero cuore: all'ospedale sarebbe mancata Lucia, la sua amica.
Come avrebbe potuto star là senza di lei? «La tua mamma ti porterà all'ospedale - le
aveva detto la Vergine - e là rimarrai sola!».
Soffrire sì, soffrire molto ... ecco il suo ideale; ma soffrire in compagnia di Lucia!
Gesù, nell'Orto degli Ulivi sentiva pure la stessa amarezza di soffrir solo. Per tre
volte interruppe la sua orazione per andare a mendicare la compagnia degli
Apostoli: «Vegliate e pregate con me ... Non avete potuto vegliare un'ora con me?».
Non ci meraviglia dunque trovare nel cuore tanto affettuoso della fanciulla questa
stessa sensibilità, questa stessa debolezza.
- Se tu fossi con me! Ciò che più mi costa è andar là senza di te - diceva alla cugina. Probabilmente l'ospedale è una casa molto oscura, ove non si vede niente! Io starò
là a soffrire così sola!
Così doveva essere. Nei primi giorni di luglio, Ti Marto sollevava dal letto il
corpicciolo macilento, leggero come piuma, lo accomodava con delicatezza e cura
sopra l'asina e partiva verso Vila. Il trattamento a cui la sottomisero fu rigoroso, ma
non valse a nulla. Per Giacinta furono due mesi di puro martirio, eccettuati i due
giorni in cui la cugina andò a visitarla.
Quando la vide presso di sé, l'abbracciò con la maggior tenerezza e chiese alla
mamma che le lasciasse sole.
«La trovai - racconta Lucia - con la stessa gioia di soffrire per amore di Dio e del
Cuore Immacolato di Maria, per i peccatori e per il Santo Padre. Era il suo ideale.
Era ciò di cui parlava». L'ospedale però non era una casa oscura ove non si vedeva
niente. Era un edificio grande, chiaro, tutto bianco. L'infermeria ove Giacinta fu
messa era piena di luce 75.
- Soffri, Giacinta? - le domandava Lucia.
- Sì, molto, ma per la conversione dei peccatori e per il Santo Padre.
E continuava:
- Mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e di Maria! Essi sono molto contenti di
chi soffre per la conversione dei peccatori.
Ciò nonostante, Lucia era Lucia e non vi era nessuno che la potesse sostituire.
Il tempo della visita fuggiva rapidamente: la strada di Fatima era lunga, e non si
poteva prolungare la visita.
Lucia partiva con la zia Olimpia, verso sera, e lasciava Giacinta immersa nella più
pungente nostalgia.
Capitolo trentunesimo
Ormai non sono più capace di
piegarmi con la testa al suolo ...
(Giacinta)
Alla fine di agosto, siccome la cura non dava nessun risultato e la retta mensile era
incompatibile con le possibilità della famiglia Marto, fu deciso che la piccola
tornasse a casa.
L'ammalata aveva nel petto una piaga aperta che doveva essere medicata ogni
giorno, non tanto per salvarla quanto per prolungarle la vita.
Come si poteva facilmente prevedere, nel rustico villaggio d'Aljustrel mancavano del
tutto infermiere e materiale sanitario adeguati ad una medicazione tanto delicata.
La ferita s'infettò ed il pus allagava il petto della povera fanciulla che deperiva di
giorno in giorno.
In questo stato la trovò, nel mese di settembre, la signora Maria da Cruz Lopes 76.
«La malattia minava già il suo debole corpo che, avvolto in una sottana nera di
flanella, ricordava, colla sua figurina esile e macilenta, le rondinelle emigranti che,
agitando le ali, si dirigono con volo alto verso le regioni ove non giunge il vento
glaciale. Stava in disparte, con aria modesta e raccolta. Le diedi un ventino che
accettò».
Un mese dopo il dotto Formigao, venuto in devoto pellegrinaggio alla Cova da Iria,
trovava la piccola ammalata in condizioni allarmanti.
«La fanciulla è scheletrita. Le braccia sono d'una magrezza impressionante. Dopo
l'uscita dall'ospedale di Vila Nova de Ourém, ove per due mesi è stata curata senza
risultato, va consumandosi per la febbre. Il suo aspetto ispira compassione ... La
tubercolosi, dopo un attacco di bronco-polmonite ed una pleurite purulenta,
minaccia spietatamente il debole corpicciolo. Solo un adeguato trattamento in
sanatorio potrebbe forse salvarla. Ma i genitori, benché non poveri, non possono far
fronte alle grandi spese che questa cura richiede.
Bernardetta, l'umile fanciulla di Lourdes, udì dalla bocca dell'Immacolata che si
degnò apparirle nella grotta di Massabielle, la promessa che l'avrebbe fatta felice,
ma non in questo mondo. Avrà la Vergine fatta l'identica promessa alla pastorella
della serra di Minde a cui comunicò un segreto che la veggente a nessuno può
rivelare?
Così le sofferenze di Giacinta, sopportate con rassegnazione cristiana, saranno per
lei fonte di meriti che renderanno più splendente la corona di gloria nel cielo».
Come notava il dotto Formigao, il bacillo di Koch consumava il povero corpo di
Giacinta, che doveva soffrire terribilmente. Però la sua sete di sacrificio non
diminuiva affatto; la piccina al contrario portava il suo sforzo fino all'estremo per
mortificarsi. Solo quando non ne poteva più, diminuiva gli esercizi della sua ascesi. Quando sono sola - confidava a Lucia - esco dal letto per recitare le preghiere
dell'angelo, ma ora non sono più capace di piegarmi con la testa al suolo, perché
cado. Prego restando in ginocchio.
Lucia non rispondeva, ma alla prima occasione in cui si trovò col P. Faustino
Ferreira, vicario di Olival, gli rivelò tutto. Il prudente sacerdote mandò allora a dire
alla piccola martire che poteva pregare rimanendo a letto, giacché non era
necessario scendere.
- E Gesù sarà contento? - domandava ansiosa la bambina.
- Sì - assicurava la cugina. - Gesù vuole che si faccia ciò che ordina il signor vicario.
- Allora non scenderò più.
Durante le giornate fredde dell'autunno i genitori non permettevano a Giacinta di
andare alla Cova da Iria che dista circa 2 chilometri da Aljustrel. Non le proibivano
però di andare alla Messa in Fatima, lontana un chilometro, anche nei giorni feriali.
- Non venire, Giacinta - le diceva Lucia. - Tu non puoi: oggi non è domenica!
- Non importa - rispondeva la fanciulla, che sentiva una vera attrazione per «Gesù
nascosto». - Vado per i peccatori che non ci vanno alla domenica.
Tornando disfatta dalla chiesa, andava a sedersi sul letto. Nell'inverno avanzato non
poté più uscire di casa; Lucia allora passava lunghe ore vicino a lei. Con la cugina,
Giacinta non aveva segreti.
Le parlava delle sue mortificazioni, dei suoi sacrifici, che erano sempre pochi per
consolare i Cuori di Gesù e di Maria.
- Sai, Gesù è triste. La Madonna ci disse di non offenderlo più, perché è già molto
offeso. Nessuno ci fa caso e si continua a fare i medesimi peccati.
Le enumerava allora tutte le occasioni che nel giorno e nella notte le si erano offerte
per riparare tanti oltraggi.
- Avevo molta sete, ma non volli bere; l'offrii a Gesù per i peccatori ... Stanotte
provavo molti dolori e volli offrire a Gesù il sacrificio di non girarmi nel letto; per
questo non potei dormire ... E tu, Lucia, hai fatto oggi qualche sacrificio?
Talvolta però la natura della povera martire si ribellava, senza che ella volesse,
contro l'amarezza del calice di dolori.
«Un giorno - racconta Lucia - la mamma le portò una tazza di latte e le disse di
prenderlo.
- Non lo voglio, mamma, - rispose, allontanando con la mano la tazza.
Mia zia insisté, poi si allontanò dicendo:
- Non so più cosa fare per farle prendere qualche cosa ...
Quando fummo sole, le dissi:
- Come? Disobbedisci così alla mamma e non offri questo sacrificio a Gesù?
Al sentire questo, lasciò cadere alcune lacrime che io ebbi la fortuna di asciugare, e
disse:
- Non ci avevo pensato!
Chiamò la mamma, le chiese perdono e le disse di essere disposta a prendere tutto
ciò che le avrebbe dato. La mamma riportò la chicchera di latte, ed essa lo prese
senza dimostrare ripugnanza. Poi, mi disse:
- Se tu sapessi, quanto mi è costato!
La sua volontà però, o meglio il suo amore al Cuore Immacolato di Maria, trionfava
sempre».
Giacinta non dimenticherà più le lezioni della cugina.
«Ogni volta mi costa assai prendere il latte ed il brodo caldo, ­ le confidava, - ma
non dico nulla, prendo tutto per amore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria, la
nostra Mammina del Cielo». E quando la mamma le porterà, insieme col latte, un
bel grappolo d'uva, affinché scelga, la piccola sceglierà il latte.
- No, mamma, l'uva non la voglio, portala via, dammi il latte. E, ritiratasi la
mamma, disse a Lucia:
- Mi faceva gola quell'uva e mi costò molto prendere il latte, ma volli offrire questo
sacrificio a Gesù.
Lucia si comunicava con una certa frequenza e al ritorno dalla chiesa faceva una
visitina alla sua ammalata che le domandava affabilmente:
- Lucia, ti sei comunicata oggi? Allora vienimi vicino, perché tu hai nel cuore «Gesù
nascosto». Non so come sia ... sento Gesù dentro di me, comprendo ciò che mi dice,
senza che lo veda o lo oda, ma è tanto bello stare con Lui.
Lucia allora prendeva dal libriccino da Messa una immaginetta con il calice e l'Ostia
e Giacinta la baciava con trasporto:
- È Gesù nascosto. Lo amo tanto! Oh, se potessi riceverlo in chiesa ... In Cielo non si
fa la comunione! Se là si farà la comunione, io mi comunicherò tutti i giorni. Oh, se
l'angelo fosse venuto all'ospedale a portarmi un'altra volta la comunione, come sarei
rimasta contenta!
Una volta la cugina le presentò un'immagine del Sacro Cuore di Gesù. Benché non
la trovasse affatto somigliante al suo Gesù tanto bello, la teneva sempre con sé, la
nascondeva di notte sotto il cuscino e la baciava spesso.
- Lo bacio sul cuore - diceva - che è quello che più amo. Potessi avere anche un
Cuore di Maria! Non l'hai? Mi piacerebbe averli tutti e due insieme!
Il Cuore Immacolato di Maria era la passione della piccola apostola!
- Mi manca poco per andare in Cielo - confidava alla cugina. - Tu resti qui per dire a
tutti che Dio vuole stabilire nel mondo la devozione al Cuore Immacolato di Maria.
Quando dovrai dire questo, non esitare, dillo a tutta la gente, che Dio concede le
grazie per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, che le chiedano a Lei ... che il
Cuore di Gesù vuole che, assieme al suo, si veneri il Cuore Immacolato di Maria.
Domandino la pace al Cuore Immacolato di Maria, perché Dio l'affidò a Lei. Se
potessi metter nel cuore di tutti il fuoco che ho qui nel petto, che mi brucia e mi fa
amare tanto il Cuore di Gesù ed il Cuore di Maria! ...
Non era l'ardore della febbre che consumava l'angelica creatura: era il fuoco
dell'amore, la sete della riparazione!
Capitolo trentanovesimo
Non ti vedrò più ...
(Giacinta)
Si era forse verso la fine di dicembre quando la Vergine venne nuovamente a
visitare Giacinta e le comunicò che presto sarebbe venuta a prenderla per condurla
in Cielo. Ma non in casa sua, bensì in un ospedale di Lisbona. Lisbona ... là ... così
lontano! ... Appena si trovò con la cugina, le diede la notizia bella e triste ad un
tempo.
- Mi disse che devo andare a Lisbona in un altro ospedale; che non tornerò più a
vederti e che non rivedrò neppure i miei genitori. Dopo molte sofferenze morirò
sola, ma non devo aver paura perché verrà lei a prendermi per il Cielo!
Piangendo abbracciava Lucia:
- Non ti vedrò più. Tu non verrai a visitarmi. Senti, prega molto per me che morirò
sola!
Il pensiero di morir sola la torturava. Un giorno Lucia la trovò che, stringendo al
cuore una immagine della Madonna le diceva: «O mia Mammina del Cielo, dunque
dovrò proprio morire sola!?».
Era troppo amara la pozione che la Vergine le offriva e la piccola quasi le
domandava che allontanasse quel calice. Proprio come Gesù prima della passione e
morte: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice!».
Lucia cercava sempre di incoraggiarla.
- Che t'importa morire sola, se la Madonna verrà a prenderti?
- È vero, non m'importa niente. Ma, non so come, alle volte non mi ricordo che Lei
verrà a prendermi.
- Coraggio dunque, Giacinta. Tu fra poco sarai in Cielo, io invece ...
Giacinta, tutta felice al pensiero del Cielo, cercava, a sua volta, di incoraggiare la
cugina:
- Poverina, non piangere ... Lassù pregherò molto per te, molto. Tu resti qui... Ma è
la Madonna che vuole così.
Rianimata, Lucia le domandava:
- Giacinta, che farai in paradiso?
- Amerò molto Gesù ed il Cuore Immacolato di Maria; pregherò per te, per i
peccatori, per il Santo Padre, per i miei genitori e fratelli, per tutte le persone che mi
si sono raccomandate... Mi piace tanto soffrire per amore di Gesù e della Madonna!
Essi sono molto contenti di chi soffre per convertire i peccatori. Nella famiglia
Marto si consideravano sogni le affermazioni della fanciulla. Andar a Lisbona ...
Perché? Già si sapeva ... Non approdò a nulla la cura nell'ospedale di Vila Nova de
Ourém ... Sarebbe stato inutile andare in un altro ... anche se era quello della
capitale. D'altronde, e il denaro? In Lisbona non si sarebbero accontentati di 1.200
reis come nell'ospedale di S. Agostino!
La Provvidenza però aveva stabilito altrimenti.
Comparve un giorno in Aljustrel un'automobile dalla quale discesero il canonico
Formigao ed il dott. Eurico Lisboa con la moglie. Venivano a visitare la povera
inferma.
Qui diamo la parola all'illustre clinico che ci lasciò il più preciso documento sopra la
malattia e la morte della nostra eroina.
«Verso la metà di gennaio del 1920 andammo alla Cova da Iria per provare
l'automobile che da poco avevamo acquistato. Passando da Santarém, facemmo
visita al dott. Formigao, che sapevamo essere l'unico che ci avrebbe potuto
informare sugli avvenimenti di Fatima, di cui era stato testimone. Il dott.
Formigao, che solo allora avemmo il piacere di conoscere, iniziando così la ferma
amicizia che ci unisce, ebbe la bontà di accompagnarci fino a Fatima, e per suo
mezzo conoscemmo le veggenti, Lucia e Giacinta. Dopo essere andati alla Cova
con Lucia e aver con lei recitato il rosario con indimenticabile tenerezza e
devozione tornammo a Fatima ove parlammo con Giacinta e le mamme delle due
veggenti. Ci dissero allora che Francesco era stato vittima della famosa epidemia
di grippe (spagnola) che fece tanta strage in tutta Europa. Il fanciullo era andato
così a raggiungere la Madonna, ciò che, dopo le apparizioni, era stata per lui
l'unica aspirazione, desiderando egli la morte come la migliore delle fortune.
La piccola Giacinta era molto pallida, dimagrita, e camminava con difficoltà. La
famiglia mi disse che essa era molto ammalata, ma ciò non li rattristava poiché il
maggior desiderio di Giacinta era di andare con la Madonna, e questa era la
volontà della Regina del Cielo che già aveva rapito Francesco.
Avendoli io rimproverati di non impiegare tutti gli sforzi possibili per restituire la
salute a Giacinta, mi dissero che non valeva la pena, perché era desiderio della
Madonna prendersela; che era già stata all'ospedale di Vila Nova de Ourém due
mesi, senza ottenere alcun miglioramento. Replicai loro che la volontà della
Madonna è superiore a tutte le forze umane, e che, per esser certi che di fatto la
Madonna voleva prendersela, dovevano tentare tutti i mezzi scientifici per
conservarle la vita.
Scossi da questa affermazione, chiesero l'opinione del dotto Formigao, il quale
affermò ciò che io avevo detto. Fu subito combinato che la piccola sarebbe venuta
a Lisbona ove, in un ospedale, si sarebbero occupati di lei i migliori clinici.
Effettivamente pochi giorni dopo, il 2 febbraio del 1920, entrò nell'Infermeria N. 1
dell'ospedale Dona Estefania, occupando il letto N. 38, sotto la cura del dott.
Castro Freire, uno dei più distinti pediatri portoghesi, con diagnosi: pleurite
purulenta della grande cavità sinistra, fistolosa; osteite della 7a ed 8a costola dello
stesso lato».
Come sono ammirabili le vie della Provvidenza! In maniera imprevista si realizzava
la predizione della Vergine. Quantunque convinti dell'inutilità di ogni cura, i
genitori di Giacinta finirono per consentire al viaggio.
Il signor Marto comunica quindi la decisione alla figliolina:
- Giacinta, stiamo combinando il tuo viaggio a Lisbona, per l'ospedale.
E la bambina, triste, molto triste, tra i singhiozzi:
- Davvero papà, sto proprio bene per un viaggio a Lisbona!
- O figlia mia, dobbiamo rassegnarci. Altrimenti ci accusano di non volere le cure
necessarie. Può darsi che guarisca ... Allora mi disse tranquilla:
- O papà! anche se guarissi, mi verrebbe di nuovo un'altra malattia e morirei
ugualmente. Se vado a Lisbona, il papà può dirmi addio!
La piccola era veramente tutto un malanno. Faceva pietà: il ventre rovinato, il cuore
le batteva dal lato destro; era proprio tutta guasta.
La partenza fu decisa per la metà di gennaio. Prima tuttavia di lasciar Fatima,
Giacinta pregò la mamma di accompagnarla per congedarsi dalla Cova da Iria.
«Combinai - ci racconta la signora Olimpia - di portare la fanciulla sull'asma d'una
mia amica: e così feci perché a piedi non ce la faceva. Quando arrivammo alla
pozzanghera di Carreira, Giacinta discese, cominciò a recitare la corona e raccolse
alcuni fiori per portarli nella cappellina. Arrivate là, ci inginocchiammo ed ella
pregò un poco, come desiderava.
- Mamma, - disse alzandosi, - la Madonna, quando andava via, passava sopra quegli
alberi, poi entrava in Cielo tanto in fretta che mi pareva che le restassero i piedi
tagliati fuori».
Anche lei, la fortunata fanciulla, doveva molto presto entrare in Cielo come la
bianca Signora della Cova da Iria.
Frattanto il signor Marto aveva preparato tutto affinché il viaggio si effettuasse
senza incidenti, poiché la signora Olimpia non aveva mai viaggiato in treno.
- Andai dal barone di Alvaiàzere - racconta il vecchietto - e gli dissi:
- Signor dottore, per il viaggio dobbiamo combinare tutto bene. Si va nel treno tale,
all'ora tale, ecc. E la madre, la figlia e l'uomo (si trattava del mio figliastro Antonio)
porteranno il fazzoletto legato al polso perché quelle signore che vanno ad aspettarli
li trovino nella stazione.
Ritornai a Fatima e spedii una lettera raccomandata.
- O signor Marto - mi dissero là alla posta - voi spendete molto.
- Non importa - risposi io - così abbiamo la certezza che la lettera viene ricevuta.
A notte, feci poi le ultime raccomandazioni a mia moglie per il giorno seguente:
- Quando sarai in treno, chiedi scusa alle persone che ci saranno, perché la piccina è
molto malata ed è per questo che manda un odore strano. Passando un treno
nell'altro binario, fa attenzione che la bambina non s'affacci alla finestra. Non
dimenticarti, e quando giungerai alla galleria del Rossio lega il fazzoletto al polso e
sta tranquilla.
Il giorno seguente, la separazione da Lucia fu lacerante.
«Straziava il cuore - narra Lucia. - Stette molto tempo abbracciata al mio collo e
diceva piangendo:
- Non ci rivedremo più ... Prega molto per me finché sarò in Cielo. Lassù io pregherò
molto per te. Non dir mai il segreto a nessuno, anche se t'ammazzano. Ama molto
Gesù e il Cuore Immacolato di Maria, fa molti sacrifici per i peccatori».
Furono le sue ultime parole, il testamento che lasciava alla sua inseparabile amica.
«Sopra un carro tirato da un'asina - narra la mamma - andammo alla stazione con il
figlio maggiore Antonio.
Durante il viaggio, in treno, la bambina stette quasi sempre al finestrino in piedi a
guardar fuori. In Santarém salì una signora che le diede un cartoccio di zucchero ed
un altro di dolci: ma Giacinta non li volle mangiare.
In Lisbona non conoscevamo nessuno e fu per questo che il barone di Alvaiàzere e
mio marito avevano scritto a certe signore perché venissero ad attenderci alla
stazione, e, per riconoscerci, avevamo combinato di legare un fazzoletto bianco alla
mia mano destra, e a Giacinta che mi stava in braccio, un altro fazzoletto bianco alla
mano sinistra. Ma che! Appena scendemmo dal treno, Antonio che sapeva leggere,
mentre noi aspettavamo se ne andò a passeggiare fuori della stazione per vedere
non so che cosa e lo perdemmo di vista.
Rimasi turbata e cominciai a gridare: - Antonio, oh Antonio! ...
Poco dopo comparve. In quel momento tre signore si avvicinarono. Erano loro.
Ci accompagnarono fuori della stazione, e andammo a bussare a qualche casa, ma
nessuno ci volle accettare. Quando eravamo già stanche di camminare, giungemmo
alla casa di una buona signora che venne ad aprirci e ci accolse in un modo che non
poteva essere migliore. Rimasi là con Giacinta oltre una settimana e poi ritornai a
Fatima».
L'accogliente rifugio era l'orfanotrofio di N. Signora dei Miracoli 77. Poco dopo si
cominciò ad occuparsi seriamente del ricovero della malatina nell'ospedale Dona
Estefània. Sorsero alcune difficoltà, tra le quali, non ultima, la riluttanza della
madre a permettere che la figlia, in uno stato così deplorevole, venisse operata. Per
risolvere la questione era necessario far ritornare a Fatima la signora Olimpia.
Racconta il signor Marto:
- Io non sono stato in Lisbona durante la malattia di Giacinta; non c'era proprio
bisogno di me, qui sì che c'era bisogno. La mia corrispondenza con la bambina la
tenevo per mezzo del barone, mio buon amico. Dopo una settimana mi manda a
chiamare perché andassi alla sua villa.
«Il dott. Formigao - mi disse - ha ricevuto una lettera da Lisbona. È tutto un po'
imbrogliato laggiù. La signora Olimpia non vuole sentire ragioni. Scrivono per
vedere se non c'è il modo di impedire ch'essa disturbi quanto si vuole fare. Questa
gente di montagna - diceva la lettera - è una gente così ignorante che non vuole
neppure che le si faccia del bene».
Ce la ridemmo tutti e due, ed io:
«Oh, signor barone, effettivamente questo è vero. Io però, signor barone, sono
disposto a fare tutto quanto quelle buone persone giudicheranno utile per la mia
Giacinta».
Allora feci scrivere a mia moglie:
«O donna, penso non sia necessario che tu rimanga costì, ma se devi rimanere o è
necessario che tu rimanga, rimani pure, ma a patto di non imbrogliare né disturbare
quella buona gente che ci vuol far del bene».
Capitolo quarantesimo
Parlava con autorità ...
(M. Godinho)
Nell'orfanotrofio Giacinta si trovò a suo agio: era come in un'altra famiglia. Le
orfanelle davano alla superiora, M. Maria da Purificaçao Godinho, il nome di
«madrina» e così la chiamò anche Giacinta. Questa casa, attigua alla cappella dei
Miracoli, ha un coretto donde si può vedere il tabernacolo ed assistere alla Messa,
che giornalmente era celebrata da un prete vecchio e sordo. La gioia di Giacinta
quando la portarono in quel coretto, poco tempo dopo il suo arrivo, fu immensa.
Abitare sotto il medesimo tetto in cui albergava Gesù Sacramentato era una felicità
che lei non aveva mai sognato. E poi, poterlo ricevere nel suo cuore tutti i giorni...
Finché stette in Via «da Estrela», Giacinta si comunicava quasi tutti i giorni, mentre
durante la sua permanenza all'ospedale non ebbe mai tale fortuna.
«Portata da me - ci racconta la signora Olimpia - o dalla Superiora, andava fino
all'altare della cappella e alla balaustra. Prima che tornassi a casa mi disse:
- Mamma, voglio confessarmi.
Andammo allora, al mattino presto, alla chiesa «da Estrela», una chiesa molto
grande. Quando uscimmo, la fanciulla era tutta contenta e non cessava di dire:
- O mamma, che sacerdote buono, che sacerdote buono!... Mi domandava molte
cose, tante cose! ...
Avrei voluto sapere che cosa le aveva domandato quel sacerdote, ma le cose di
confessione non sono da dirsi agli altri».
Passava tutto il tempo che le concedevo sulla tribuna della chiesa. Seduta sopra una
seggiola, restava là pregando e meditando. Non tralasciava, però, di osservare ciò
che avveniva in chiesa. Riferiamo nuovamente quanto dice la superiora, alla quale
la piccola era affidata.
«Vedendo che certe persone non si comportavano in chiesa come dovevano, mi
diceva:
- Non permetta, madrina, che questa gente si comporti così male davanti a Gesù
Sacramentato. In chiesa si deve stare raccolte e non parlare. Se questa gente sapesse
ciò che l'attende!
Io discendevo allora in cappella e davo gli avvisi che essa intendeva, ma non sempre
ottenevo buon risultato, e, quando tornavo sopra, Giacinta mi domandava:
- E allora?
- Non vogliono saperne! - le rispondevo.
Giacinta, assumendo un'espressione molto seria, mi diceva:
- Pazienza! Ma la Madonna è molto contenta della madrina ... Lo dirà al cardinale?
La Madonna non vuole che la gente parli in chiesa».
Perché prendesse aria e sole, la madrina obbligava Giacinta a sedersi vicino alla
finestra che dà sul giardino «da Estrela». Lì, con la nostalgia dei suoi monti, restava
sollevata, guardando gli alberi e ascoltando il canto degli uccelli. Più che dei
genitori, Giacinta sentiva la mancanza di Lucia, che tanto avrebbe desiderato vedere
vicino a sé.
«Compresi subito quale angelo la Vergine mi aveva mandato ­ continua la buona
madrina. - Da molto desideravo vedere i privilegiati fanciulli a cui era apparsa la
Madonna: ma ero ben lungi dall'immaginare che la mia povera abitazione dovesse
servire di rifugio a Giacinta, la più piccola dei tre. Avevamo nel collegio venti o
venticinque ragazze. Con tutte Giacinta si trovava bene. Ma non le piaceva molto
parlare e discorrere. Preferiva la compagnia d'una fanciulla della sua età alla quale
faceva i suoi predicozzi. Era grazioso sentirla. Dietro la porta semiaperta, per non
metterla in soggezione, potei assistere a molte di queste prediche ... - Non devi
mentire, né offendere la verità - le diceva. Non devi essere capricciosa. Devi essere
molto obbediente e sopportare tutto per amore di Gesù, con pazienza, se vuoi
andare in Cielo.
E con quanta autorità parlava! Come se non fosse stata una fanciulla. Durante i
giorni che stette nella mia casa, deve aver avuto più d'una volta la visita della
Madonna. Ricordo che una volta mi disse:
- Si tolga di lì, madrina, perché sto aspettando la Madonna.
Il suo volto allora assumeva un'espressione radiosa, celestiale. Di certo, alcune volte
non era la Madonna che appariva, ma un globo di luce simile a quello ch'era
apparso a Fatima, perché la udivano dire: - Questa volta non era come laggiù (a
Fatima): ma io sapevo che era Lei».
Capitolo quarantunesimo
Fu la Madonna,
ma alcune cose le penso io
...
(Giacinta)
Che queste apparizioni non fossero semplici allucinazioni, lo provano le parole che
ella in seguito proferiva, parole che manifestano una sapienza infusa. Una bimba di
dieci anni, niente affatto istruita, con rudimentali conoscenze religiose, non poteva
inventare frasi come le seguenti, che la Madre Godinho annotò con molta cura.
Sopra il peccato:
I peccati che portano più anime all’inferno sono i peccati della carne 78.
Le persone che servono Dio non devono seguire la moda. La Chiesa non ha mode.
Gesù è sempre lo stesso.
I peccati del mondo sono molto grandi.
Se gli uomini sapessero ciò che è l'Eternità, farebbero di tutto per cambiar vita.
Gli uomini si perdono, perché non pensano alla morte di Gesù e non fanno
penitenza.
Molti matrimoni non sono buoni, non piacciono a Gesù, non sono di Dio.
Riguardo alla guerra:
La Madonna disse che nel mondo ci sono molte guerre e discordie. Le guerre non
sono altro che il castigo per i peccati del mondo. La Madonna non può più
trattenere il braccio del suo amato Figliuolo sul mondo. Bisogna far penitenza. Se
non si emendano verrà il castigo.
A proposito di questa parola la madrina scriveva:
«Si riferisce ad un grande castigo, di cui mi aveva parlato in segreto. Questo castigo
si è rivelato ultimamente e niente impedisce di riportarlo qui.
Gesù è profondamente indignato per i peccati e delitti che si commettono in
Portogallo. Per questo un terribile cataclisma di ordine sociale minaccia il nostro
paese e specialmente la città di Lisbona. Si scatenerà, come pare, una guerra civile
di carattere anarchico e comunista, accompagnata da saccheggi, uccisioni, incendi e
distruzioni d'ogni specie. La capitale si convertirà in una vera immagine
dell'inferno. Nell'occasione in cui la Giustizia divina, offesa, infliggerà tanto
spaventoso castigo, tutti quelli che potranno fuggano da questa città. Questo
castigo, ora predetto, conviene che sia annunziato a poco a poco, con la debita
discrezione 79.
- Povera Madonna! - diceva la fanciulla. - Ah, mi fa tanta pena la Madonna, tanta
pena!».
Sui sacerdoti e sui governanti:
Mia madrina, preghi molto per i peccatori! Preghi molto per i sacerdoti.
Preghi molto per i religiosi!
I sacerdoti devono occuparsi solo delle cose di Chiesa. I sacerdoti devono essere
puri, molto puri!
La disobbedienza dei sacerdoti e dei religiosi ai loro superiori ed al S. Padre
offende molto Gesù.
Mia madrina, preghi molto per i governanti!
Guai a quelli che perseguitano la Religione di Gesù.
Se il Governo lasciasse in pace la Chiesa e lasciasse libertà alla santa religione,
sarebbe benedetto da Dio.
Sulle virtù cristiane:
Madrina mia, non vada in mezzo al lusso: fugga le ricchezze. Sia molto amica
della santa povertà e del silenzio.
Abbia molta carità anche con chi è cattivo.
Non parli male di nessuno e fugga chi dice male.
Abbia molta pazienza, perché la pazienza ci porta in Cielo.
La confessione è un sacramento di misericordia. Per questo bisogna avvicinarsi al
confessionale con confidenza e gioia. Senza confessione non c'è salvezza.
La Madre di Dio desidera molte anime vergini, che si leghino a lei con il voto di
castità.
Sarei andata volentieri in un convento; ma mi piace maggiormente andare in
Cielo.
Per essere religiosa bisogna essere molto pura nell'anima e nel corpo.
- E sai che vuol dire essere pura? - le domandava la madrina.
- Lo so, lo so. Essere pura nel corpo vuol dire custodire la castità.
Ed essere pura nell'anima vuol dire non fare peccati: non guardare ciò che non si
deve vedere; non rubare; non mentire; dir sempre la verità, anche quando ci costa ...
Chi non adempie le promesse che fa alla Madonna, non avrà mai pace.
I medici non hanno luce e scienza per curare bene gli ammalati, perché non hanno
amor di Dio.
- Chi t'insegnò tante cose? - le domanda allora M. Godinho.
- Fu la Madonna; ma alcune cose le penso io. Mi piace tanto pensare!
La Vergine SS. tuttavia non si accontentava di dettare alla sua confidente queste
savie sentenze. Qualche volta le svelava anche il futuro.
La madrina fece un giorno alla signora Olimpia, che venne a visitare la figlia, una
domanda:
- Sareste contenta che le vostre figlie Florinda e Teresa entrassero nella vita
religiosa?
- Dio me ne liberi! - rispose la donna.
Poco dopo, Giacinta, che non aveva udito il dialogo tra la mamma e la superiora,
disse molto seria a quest'ultima:
- La Madonna avrebbe piacere che le mie sorelle fossero suore. Mia mamma non
vuole e per questo la Madonna non tarderà a portarle in paradiso.
Così fu. Poco tempo dopo la morte di Giacinta, morirono anche le due sorelle,
Florinda di 17 anni e Teresa di 16 80.
Un altro fatto: M. Godinho già da molto tempo desiderava di andare a visitare la
Cova da Iria, ma non le si era mai presentata l'occasione.
- Stia tranquilla, madrina - l'assicurò un giorno Giacinta. - Dopo la mia morte vi
andrà.
Così avvenne. Non essendo stato possibile, per circostanze impreviste, seppellire il
corpo di Giacinta nella tomba della signora Angelina da Conceiçao Lopes, nel
cimitero dos Prazeres, all'ultimo momento il barone di Alvaiazere offrì di seppellire
la veggente nella sua tomba di famiglia in Vila Nova de Ourém.
Vi andò pure la M. Godinho con le preziose reliquie della sua protetta, continuando,
in quello stesso giorno, la via per Fatima, ove ebbe la fortuna di conoscere anche
Lucia, che l'accompagnò alla Cova da Iria.
In un'altra occasione, avendole uno dei due medici che la curavano, domandato che
pregasse per lui in paradiso, la fanciulla rispose di sì, ma subito dopo, fissandolo
con quello sguardo che intravedeva il futuro, aggiunse:
- Non tarderà a venire anche lei.
Scena identica avvenne con un altro dottore, a cui predisse vicina la sua morte e
quella della figlia.
Di un sacerdote, del quale aveva ascoltato un'eccellente predica e che era
considerato come esemplare, la fanciulla esprimeva con decisione il suo parere
sfavorevole:
- Madrina, quando meno se l'aspetta, costaterà come quel prete sia cattivo.
Giacinta aveva ragione. Poco dopo, l'infelice sacerdote abbandonava al completo i
suoi doveri sacerdotali, conducendo apertamente una vita scandalosa.
A proposito dell'operazione che volevano farle, e che di fatto le fecero, Giacinta
osservava:
- È tutto inutile. La Madonna venne a dirmi che io morirò presto. E fece scrivere a
Lucia, dicendole che la Vergine le era apparsa e che le aveva comunicato l'ora e il
giorno della morte.
Capitolo quarantaduesimo
Ahi, Madonna mia! ...
Madonna mia ...
(Giacinta)
Giacinta si trovava tanto bene nella «casa della Madonna di Fatima», come ella
chiamava l'orfanotrofio della Madonna dei Miracoli, che quasi dimenticava la sua
terra, la famiglia e, chissà, forse anche Lucia.
La fanciulla, tuttavia, non era ancor giunta alla cima del suo calvario e non aveva
ancor bevuto fino all'ultima stilla il calice del dolore. Gesù, per completare la sua
opera, venne a chiederle ancora altre separazioni: la separazione dalla madrina e la
separazione da Lui stesso, nascosto nel tabernacolo della cappella dei Miracoli.
All'ospedale non c'era «Gesù nascosto», non c'era M. Godinho!
Il dotto Lisboa, in verità, illudendosi di poter ancora salvare la fanciulla, ottenne
infine di poterla ricoverare nell'ospedale di Dona Estefania.
Infatti, pochi giorni dopo, il 2 febbraio 1920, fece la sua entrata nella sala n. 1
dell'ospedale, occupando il letto n. 38, dell'infermeria dei bambini.
Giacinta era là, una dei tanti.
Medici ed infermieri criticavano spietatamente la buona religiosa per aver tenuto in
casa una tubercolotica, ciò che poteva portare gravissime conseguenze per le altre
fanciulle.
- La mia madrina non ha nessuna colpa - ammoniva Giacinta. L'osservazione era
giusta. M. Godinho fu l'unica persona che agì caritatevolmente con quella povera
pastorella d'Aljustrel. L'ambiente in cui si trovava ora era tanto freddo e desolato.
Che differenza tra quell'infermeria e la semplice stanza in via Estrela. Quando la
madrina la lasciò, Giacinta rimase sola e triste. Non c'era più nessuno con cui
potesse liberamente parlare delle sue cose: soprattutto non c'era Gesù!
Ciò che maggiormente la faceva soffrire, però, era il vedere alcune infermiere ed
altre persone che venivano a visitare gli ammalati, attraversare la corsia in un
abbigliamento poco modesto.
- A che serve tutto quello? - diceva, riferendosi a determinati abbigliamenti ed
acconciature. - Se sapessero che cos'è l'eternità! Parlando poi di alcuni medici, che
essa giudicava increduli, li compassionava dicendo:
- Poveretti! Non sanno ciò che li aspetta!
La fanciulla affermava che la Madonna le era nuovamente apparsa e le aveva
comunicato che il peccato che trascina più gente alla perdizione era il peccato della
carne; era necessario abbandonare il lusso; non dovevano ostinarsi nel peccato
come avevano fatto fino allora; era necessario far penitenza.
Tutti i giorni M. Godinho veniva a visitare Giacinta. Erano momenti deliziosi di cui
la piccola approfittava con gioia per sfogare le sue pene e fare a lei le sue confidenze.
Assieme alla religiosa venivano pure Dona Maria Amelia de Sande e Castro ed altre
persone amiche. Una volta comparve anche il padre, Ti Marto, per vedere la sua
figliuola. Fu però una visita fugace, perché il buon uomo doveva tornare a Fatima
dove altri figli erano a letto e reclamavano la sua presenza.
Il giorno 10 febbraio Giacinta fu operata. Dovette soffrire immensamente, poiché
non la si poté addormentare con l'etere, ma le si fece solo l'anestesia locale, causa
l'estrema debolezza in cui si trovava. Ciò però che la fece soffrire di più fu
l'umiliazione di vedersi svestita. M. Godinho, che assisté fino al momento
dell'operazione la fanciulla, ci riferisce che pianse molto vedendo il suo corpicciolo
nelle mani dei medici.
Il risultato dell'operazione, fatta dal dotto Castro Freire, assistito dal dott. Elvas,
sembrava incoraggiante. Dal lato sinistro furono cavate due costole e la piaga era
tanto larga che era possibile introdurvi una mano.
Soffrì dolori atroci, dolori che si rinnovavano tutte le volte che la ferita era
medicata.
- Ahi, Madonna mia! Ahi, Madonna mia! - era il suo unico gemito.
Oppure:
- Pazienza, tutti dobbiamo soffrire per andare in Cielo.
Nessuno l'udiva lamentarsi. Sopportava tutto con la rassegnazione dei santi: per
espiare, come Gesù, non i suoi, ma i peccati degli altri. Più che mai Giacinta poteva
dire a Gesù:
- Ora puoi convertire molti peccatori, perché soffro molto!
Nel periodo di questo orribile martirio, la Vergine non aveva dimenticato la piccola
vittima. Ogni tanto si abbassava sul letto su cui Giacinta giaceva crocifissa.
Quattro giorni prima di portarla definitivamente in Cielo la bianca Signora di
Fatima le tolse tutti i dolori.
- Ora - confidava alla M. Godinho - non mi lamento più. La Madonna mi apparve di
nuovo e mi disse che presto verrà a prendermi e mi ha fatto scomparire tutti i
dolori.
«Veramente, con la felice apparizione avvenuta in piena infermeria - racconta il
dott. Lisboa - scomparvero tutti i dolori, e cominciò a desiderare di giocare e
distrarsi, cosa che faceva guardando cartoline ed immagini religiose, fra le quali una
rappresentante la Madonna di Sameiro (che più tardi mi offrirono come ricordo di
Giacinta) e che ella diceva essere quella che maggiormente le faceva ricordare la
Madonna apparsale. Varie volte fui avvisato che la fanciulla desiderava una mia
visita perché voleva rivelarmi un segreto. Essendo molte le mie occupazioni
cliniche, ed essendo le notizie sul suo stato di salute alquanto migliori, rimandai,
riservandomi altro tempo, ma disgraziatamente non la potei più vedere».
Quando la madrina, che veniva a passare con lei tutti i giorni lungo tempo per farle
compagnia, e soprattutto per edificarsi al contatto di quell'angelo di Cielo, si sedeva
ai piedi del letto, ove era apparsa la Vergine, subito Giacinta protestava:
- Si tolga di lì, madrina, perché lì stava la Madonna 81.
Poco prima di morire, qualcuno le domandò se desiderava veder la mamma.
- La mia famiglia - rispondeva la fanciulla - durerà poco tempo. Presto ci
incontreremo in Cielo. La Madonna apparirà un'altra volta, non a me, perché di
certo morrò, come mi disse lei. Giunse infine il giorno 20 febbraio, giorno fissato
dalla bella Madonna della Cova per venire a prendere la sua piccola amica di
Fatima.
Era un venerdì di carnevale.
«Nel pomeriggio di quel 20 febbraio, alle diciotto, la fanciulla disse che si sentiva
male e che desiderava ricevere i santi Sacramenti - depone il dotto E. Lisboa. - Fu
chiamato il degnissimo parroco della chiesa degli Angeli, dotto Pereira dos Reis, che
ne ascoltò la confessione verso le ore venti. Mi dissero che la fanciulla aveva
insistito perché le portassero il Viatico, ma in questo il parroco non fu d'accordo,
trovandola apparentemente ancora in condizioni non allarmanti; le promise di
portarle Gesù il giorno seguente.
Nuovamente la bambina insisté per ricevere la santa comunione, dicendo che presto
sarebbe morta. Ed infatti alle ore ventidue e mezzo si spense serenamente senza
essersi comunicata».
Al suo transito assisté appena una giovane infermiera, Aurora Gomes, - la mia
Aurorina - come si compiaceva chiamarla Giacinta.
Prezioso fiorellino di Fatima! Che il tuo profumo continui ad imbalsamare questa
povera terra contaminata da tanti miasmi! Che la tua vita angelica sia luce che
dirige alle altezze del bene! Che il tuo martirio sia stimolo al sacrificio! Che la tua
morte apra, a chi non conosce la vera vita, le porte della Vita!
Capitolo quarantatreesimo
Tornerò a Fatima ...
Dopo la mia morte ...
(Giacinta)
La notte del 20 febbraio, come era solita fare, la Vergine era venuta per l'ultima
volta a visitare l'ammalata del letto n. 60 (dove era stata trasportata dopo
l'operazione), ed era tornata in Cielo con quell'anima candida, lasciando qual
ricordo alla terra e agli uomini le sue spoglie verginali.
Gli altri ammalati continuarono a dormire, solo la buona «Aurorina» vegliava in
quella triste notte vicino al piccolo cadavere. Al mattino presto, cominciò a
spargersi fra i cattolici di Lisbona una notizia sensazionale: Giacinta, una delle
privilegiate fanciulle che avevano visto la Madonna, era morta. Quel piccolo corpo,
che tre anni di mortificazioni ed un anno e mezzo di martirio avevano santificato, fu
ricoperto con un vestitino bianco, stretto ai fianchi da una fascia azzurra: i colori
della Vergine.
Ma diamo nuovamente la parola al nostro illustre cronista, dottor Eurico Lisboa:
«Avvisato il giorno dopo, di mattino, di ciò che era avvenuto, parlai con la signora
Dona Amelia de Sande e Castro, che tutti i giorni frequentava il mio ambulatorio
per la cura d'una malattia d'occhi di cui soffriva.
Con tutta sollecitudine ella chiese alla marchesa de Rio Maior (ora defunta), e alla
marchesa de Lavradio, sue cugine, un vestitino bianco da prima Comunione che
serviva alle fanciulle povere della sua parrocchia, un velo bianco e del denaro per
comprare la fascia di seta celeste, con cui si ornò la piccola salma. La bimba aveva
espresso il desiderio d'essere rivestita di bianco e di azzurro come la Madonna.
Informate alcune persone della morte di Giacinta, subito arrivarono vari doni per le
spese dei funerali che furono fissati per il giorno seguente, domenica, alle ore 12.
Quando il feretro uscì dalla camera ardente dell'ospedale pensai che sarebbe stato
più conveniente depositare il corpo della fanciulla in qualche lo culo speciale, nel
caso che, riconosciute le apparizioni, scomparisse la quasi generale incredulità e
l'autorità ecclesiastica desse il riconoscimento ufficiale.
Fu allora deciso che la cassa col corpo di Giacinta fosse depositata nella chiesa degli
Angeli, finché si stabilisse la sua rimozione per qualche tumulo speciale. Andai
subito dal mio amico, dott. Pereirados Reis, che manifestò difficoltà a ricevere il
deposito nella sua parrocchia, cosa che mi fu poi facilitata da un confratello del SS.
Sacramento, che per caso era nella sacrestia della chiesa e con il quale si mise
d'accordo il dott. Pereira dos Reis.
Poco dopo entrava la cassa, che fu messa modestamente sopra due banchi in un
angolo della sacrestia. Conosciuto il fatto, che rapidamente si trasmise di bocca in
bocca, cominciò il pellegrinaggio di quanti credevano negli avvenimenti di Fatima,
che sfilavano per far toccare rosari e immagini ai vestiti della fanciulla o pregavano
accanto a lei; fatto che tormentò assai il parroco della chiesa. Egli non voleva che la
sua chiesa fosse profanata con ciò che poteva essere una superstizione, e fu
obbligato ad atti di energia che molto sorpresero le persone che lo conoscevano
come sacerdote amabile, delicato e cortese.
Avendo fissato la tumulazione in una tomba del cimitero di Vila Nova de Ourém,
tutto si preparò a questo fine, cosa che ritardò di due giorni il trasporto della salma
dalla chiesa degli Angeli alla stazione del Rossio, donde sarebbe proseguita con uno
dei primi treni per Vila Nova de Ourém.
Nel frattempo il corpo rimaneva nella cassa aperta, e questo provocò tante
inquietudini al sig. parroco, che temeva l'intervento delle autorità sanitarie e
continuava ad essere incomodato dal pellegrinaggio dei visitatori, per cui si decise a
chiudere la cassa nell'archivio. Infine il parroco, per esimersi dalla responsabilità di
non chiudere definitiva mente l'urna, e non potendo attendere alla moltitudine che
desiderava vedere la fanciulla, depose il corpo nella sala della Confraternita, sopra
la sacrestia, ne chiuse la porta e consegnò la chiave al signor Antonio Rebelo de
Almeida, socio della ditta Almeida e Quintas, agenti delle pompe funebri, nella via
della Scuola Politecnica n. 26, incaricati del funerale.
Il signor Antonio Almeida si ricorda, ancor oggi, con grande precisione, di tutto ciò
che avvenne allora. Per soddisfare con ordine alle innumerevoli richieste che gli
facevano di vedere la fanciulla, stette tutto il giorno 23 febbraio in chiesa ed
accompagnò ogni gruppo di persone, in numero molto limitato, per sorvegliarle
bene ed evitare così qualche probabile irriverenza.
Rimase però molto ammirato del rispetto e della grande devozione con cui
toccavano e baciavano il corpo, sul volto e sulle mani. Ricorda ancora nitidamente il
color rosa delle guance che gli dava l'impressione che Giacinta fosse ancora viva, e il
profumo che esalava dal corpo 82.
Finalmente il martedì, 24 febbraio, alle 11 del mattino, il corpo fu collocato in una
cassa di zinco e chiuso, alla presenza del signor Almeida, delle autorità e di alcune
signore, tra le quali la signora Maria de Jesus de Oriol Pena, defunta circa un anno
fa. Questa attestò a varie persone, che ancor oggi lo possono affermare, che il
profumo esalato dal corpo al momento della chiusura era gradevole come quello dei
fiori, fatto molto strano, se si considera la natura purulenta della malattia e il lungo
tempo in cui il corpo era rimasto insepolto. Nel pomeriggio di quel giorno si celebrò
il funerale, a piedi, sotto la pioggia, con grande concorso di popolo. La cassa era
stata tumulata nella tomba del signor barone di Alvaiàzere in Vila Nova de Ourém.
Per interessante coincidenza, il giorno del funerale di Giacinta ebbe luogo una delle
assemblee generali annuali delle Conferenze di S. Vincenzo, alla quale dovevo
assistere. Nella seguente assemblea generale delle stesse Conferenze credetti mio
dovere giustificare la mia assenza dichiarando che un'opera di misericordia mi
aveva impedito di intervenire e che quest'opera era il funerale d'una delle veggenti
di Fatima. Questa affermazione provocò una risata quasi generale dell'assemblea,
alla quale, come è naturale, prendevano parte persone molto note del Centro
cattolico del Patriarcato, e, tra esse, alcuni membri della famiglia Pinto Coelho. Uno
di questi, dopo l'ultima apparizione, aveva pubblicato un articolo, mostrando la sua
incredulità verso quei fatti avvenuti durante l'apparizione che, persino i giornali
profani, descrivevano come inesplicabili e soprannaturali.
A questa risata si unì il signor cardinale Patriarca Don Antonio Mendes Velo, che
presiedeva l'assemblea ed alla cui diocesi apparteneva allora la zona di Fatima,
prima che fosse creata la nuova diocesi di Leiria. Più tardi però Sua Eminenza
dichiarava di essere un grande ammiratore di Fatima e che desiderava di non
morire senza aver prima celebrato la Messa all'altare della chiesa che si sta
costruendo nella Cova da Iria.
È curioso e conveniente ricordare questi fatti che mostrano bene la riluttanza e la
resistenza opposta da quasi tutto il clero e dai cattolici portoghesi nel credere ai fatti
di Fatima, essendo rari i precursori di questa fede, uno dei quali è il dotto Formigao.
Questi assisté alle apparizioni, le testimoniò e le documentò. Si distinse pure il
venerando vecchio P. Cruz, che vidi in Fatima in una delle prime visite a quel luogo
e che per primo udii esortare pubblicamente il popolo, in una chiesa di Lisbona,
perché pregasse la Madonna del Rosario di Fatima in un tempo in cui la generalità
del clero aveva paura di manifestare un qualsiasi sentimento di fede. Sono passati
gli anni ed ancor oggi mi resta la grande consolazione di aver contribuito a che la
piccola Giacinta venisse a morire in un ospedale di Lisbona sotto la vigilanza ed
assistenza dei clinici più distinti e del personale d'infermeria più competente, che
forse non avrebbero conosciuto la piccola ammalata, onde poter, con la massima
facilità, distruggere l'infame calunnia che si è sparsa e che io già tre volte udii
ripetere da persone dei più diversi e lontani paesi del Portagallo, e cioè che la morte
dei due veggenti, Francesco e Giacinta, sia stata provocata dai cattolici, per evitare
che ci fosse chi potesse contraddire e smentire qualsiasi affermazione di Lucia sulle
Apparizioni». Così termina la preziosa relazione del dott. Eurico Lisboa sopra la
malattia e la morte di Giacinta.
Nel frattempo, la triste notizia era giunta a Fatima.
Dopo l'operazione - ci racconta- il signor Marto - scrissero una lettera che diceva:
«Giacinta è stata operata e tutto andò bene». Subito feci scrivere al signor barone:
«Ho appena ricevuto una lettera da Lisbona in cui mi si dice che Giacinta è stata
operata con buon risultato. Ringrazio tutte le buone persone che vi hanno
contribuito».
Il signor barone aveva ricevuto anch'egli posta dalla capitale che diceva la stessa
cosa e mi comunicava tutto per lettera. Passarono alcuni giorni ed ecco giungere a
casa nostra una lettera del barone che diceva: «Signor Marto, venga qua alla mia
villa che ho bisogno di parlarle».
Mi incamminai subito e appena arrivato colà, il barone era triste, ordinò ai
domestici di darmi qualcosa da mangiare. Tirò fuori una lettera e me la lesse:
«Giacinta ha subito l'operazione, ed andò bene; ma le è successo non so cosa ed è
morta».
Stavo seduto davanti a lui. Mi alzai e gli dissi solo così:
- Signor dottore, se sono debitore di qualcosa, sono pronto a soddisfare per tutto ciò
che è necessario.
- Signor Marto - mi rispose - nulla, assolutamente nulla.
Ritornai a casa e comunicai alla famiglia la morte della nostra Giacinta.
Passarono due o tre giorni e ricevo un'altra lettera dal barone per dirmi di andare a
Vila Nova de Ourém, perché stava per arrivare in treno il cadavere della mia figlia e
sarebbe stato sepolto nella tomba della sua famiglia. Quando giunsi a Vila e vidi
quel gruppo di persone attorno alla bara della mia Giacinta ... - tutto era ben
ordinato, molto bene - scoppiai a piangere, come un bambino. Rimasi sfinito. Mai
avevo pianto tanto.
A nulla ti valse ... tutto è stato inutile!
Sei stata qui due mesi e poi sei andata a Lisbona ... E là sei morta tutta sola!
«Io tornerò a Fatima, ma solo dopo la mia morte», aveva detto Giacinta alla
madrina in uno degli ultimi giorni del suo esilio. La predizione della fanciulla si
realizzava più tardi, il 12 settembre 1935, quando il vescovo di Leiria decise di
trasportare i resti mortali della piccola veggente nel cimitero di Fatima, in una
tomba nuova appositamente preparata per lei e per il fratello Francesco. Prima di
partire da Vila, la cassa di zinco fu aperta e con grande meraviglia di tutti gli astanti
il volto della bambina apparve perfettamente incorrotto.
Di quel volto fu fatta una fotografia ed una copia fu inviata a Lucia, che si trovava
già in convento, e che così rispondeva al vescovo di Leiria:
«Ringrazio, riconoscentissima, per le fotografie. Quanto mi siano care non lo posso
dire, in special modo quella di Giacinta. Desideravo che la stessa fotografia mi
mostrasse tutto il suo corpo e non pensavo che fosse solo il volto: quasi assorta,
provai la più grande gioia illudendomi di rivedere la mia più intima amica di
fanciullezza. Ho fiducia che Gesù, per la gloria della SS. Vergine, le concederà
l'aureola della santità. Ella era fanciulla solo per l'età, ma sapeva già praticare la
virtù e mostrare a Dio e alla SS. Vergine il suo amore nella pratica del sacrificio ...».
Fu con immenso dispiacere che il barone di Alvaiàzere si vide nella necessità di
privarsi della preziosa reliquia, che molte e tante evidenti grazie aveva ottenuto dal
Cielo a lui e alla sua famiglia, come egli stesso afferma.
Alle tre e mezza pomeridiane, l'automobile che portava i resti mortali della piccola
veggente, ornata di ricchi addobbi di seta, entrava nel recinto del santuario e
giungeva nella cappella delle confessioni, dove l'arcivescovo di Evora celebrava la
Messa da requiem. Terminato il santo sacrificio, si accompagnarono i feretri dei due
fratellini al cimitero di Fatima; la cassa di Giacinta e l'urna che si credeva
contenesse le ossa di Francesco furono collocate chiuse nei loculi della tomba.
Una breve iscrizione su pietra bianca dice:
QUI RIPOSANO I RESTI MORTALI
DI FRANCESCO E GIACINTA
AI QUALI LA MADONNA APPARVE
Capitolo quarantaquattresimo
Tu resterai qui ancora un poco ...
(Giacinta a Lucia)
Quando, nella seconda apparizione, Lucia aveva pregato la Vergine che volesse
portare in Cielo lei ed i cugini, la bianca Madonna le aveva detto:
- Sì, Giacinta e Francesco li porterò via presto, ma tu resterai qui un bel po' di
tempo. Gesù vuole servirsi di te per farmi conoscere ed amare. Egli vuole stabilire
nel mondo la devozione al mio Cuore Immacolato ...
- Resterò qui sola? - aveva chiesto, triste, la fanciulla.
- No, figlia - aveva risposto la Vergine. - E tu soffri molto per questo? Non
scoraggiarti! Io non ti abbandonerò mai. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio
e la via che ti condurrà fino a Dio.
La Vergine aveva già cominciato a mantenere le sue promesse. Giacinta e Francesco
erano andati in paradiso e Lucia ormai era sola in questo misero mondo. Non
ostante la promessa della Vergine di non abbandonarla mai, la separazione
definitiva dai suoi compagni aveva formato attorno a Lucia una solitudine che nulla
poteva riempire.
«Che tristezza sentii al vedermi sola! - scriveva più tardi nelle sue memorie. - In così
breve tempo, Gesù ha portato in Cielo il mio caro papà, in seguito Francesco, ora
Giacinta, che non rivedrò più in questo mondo! ... Appena potei andare sul Cabeço,
m'inoltrai tra le rocce, e là, sola con Dio, sfogai il mio dolore spargendo abbondanti
lacrime».
Tutto ricordava a Lucia i piccoli amici che la buona Signora le aveva rapito: le
pecore che pascolavano sulla serra; i fiori che in primavera ricoprivano le falde delle
colline; gli elci sui quali Francesco s'arrampicava per raccogliere le ghiande amare
delle sue mortificazioni; la Cova da Iria, soprattutto, con la bianca cappellina, ove in
un radioso mezzogiorno di primavera la Regina degli Angeli s'era abbassata sopra le
fronde verdeggianti di un elce a comunicarle i segreti del Cielo.
Gli anni passavano. Nel cimitero di Fatima, nuove tombe si aprivano. Dopo
Francesco, Giacinta e il papà, veniva la volta di Florinda e Teresa, sorelle di
Francesco, e queste tombe, per una naturale associazione di idee, le ricordavano i
piccoli compagni già felici in Cielo, nel godimento della visione, le cui ineffabili
dolcezze a lei pure la Vergine aveva concesso di pregustare in questa povera valle di
lacrime.
Il Cielo immenso ... La sua Madonna inondata di luce ... Gesù, che le si era mostrato
fugacemente vicino al sole il 13 ottobre ... Come sarebbe stato bello morire! ... Ma
per Lucia era necessario vivere. Altri erano i disegni della Madre del Cielo sopra la
privilegiata fanciulla di Aljustrel. La missione di Lucia sulla terra non era ancora
terminata.
La Chiesa, dopo i primi anni d'indifferenza, anzi di sospetto, davanti al progressivo
movimento della Cova da Iria, cominciava ad osservare attentamente ciò che là
avveniva. Capo della diocesi di Leiria, creata da Benedetto XV il 17 gennaio 1918, era
S. Eccellenza mons. José Alves Correia de Silva, che, consacrato il giorno 15 maggio
1920, prendeva possesso della diocesi il 5 agosto dello stesso anno.
Il vescovo credette prudente allontanare dal supposto luogo delle apparizioni l'unica
veggente che sopravviveva, Lucia. Questo, per un duplice motivo: in primo luogo,
per poter fare un esame imparziale e ben ponderato degli avvenimenti straordinari
dei quali essa era stata protagonista, e, in secondo luogo, per sottrarre la povera
fanciulla agli interminabili interrogatori ai quali continuamente era sottoposta da
curiosi e devoti. Questa decisione avrebbe servito pure a costatare fino a quando i
pellegrinaggi a Fatima sarebbero continuati senza la presenza di Lucia, al cui
esclusivo prestigio molti attribuivano questa affluenza sempre crescente sul luogo
delle apparizioni. Posto che si fosse trattato semplicemente di opere degli uomini, o,
peggio, delle potenze delle tenebre, sarebbe stato forse il mezzo migliore per
ottenere un risultato sicuro.
Se la mamma fosse stata d'accordo, niente di più opportuno che allontanare la
fanciulla e chiuderla in un collegio qualunque purché fosse lontana dalla sua terra
natale, in un luogo ove nessuno la conoscesse, ove nessuno le parlasse più delle cose
di Fatima. La mamma accettò volentieri questa proposta ed un giorno si diresse al
palazzo episcopale con Lucia, la quale molto gioiva, nonostante la nostalgia che
sentiva nel lasciare la sua terra, pensando di potersi nascondere e iniziare, lontana
dai curiosi e dagli importuni, quella vita di preghiera e di sacrificio a cui aspirava già
da tanto tempo.
- Tu non dirai a nessuno dove vai - le raccomandava il vescovo.
- Sì, monsignore, - rispondeva la fanciulla abbassando la testa.
- Nel collegio dove vai, non dirai chi sei.
- Sì, monsignore.
- Né parlerai delle apparizioni di Fatima.
- Sì, monsignore, - rispondeva per la terza volta la ragazza.
Era il 13 giugno. Tornando da Leiria, lungo la strada incontrarono un gruppo di
pellegrini che erano stati a compiere le loro devozioni alla Cova da Iria. Avvolta nel
grande fazzoletto, abbassava la testa perché nessuno la riconoscesse o le vedesse le
lacrime che le cadevano dagli occhi.
La partenza era fissata per il giorno 18: nessuno doveva sapere dove andava,
nessuno la doveva salutare.
- Quando andrai via, verrai qui a salutarmi -le aveva detto, quindici giorni prima, la
signora Maria da Capelinha, la sua migliore amica.
- Sì - aveva risposto Lucia.
Ma le parole del vescovo erano precise: non doveva dir niente a nessuno: né ai
parenti, né alle amiche. Nessuno doveva sapere che ella abbandonava, forse per
sempre, il suo villaggio natale, per ritirarsi in un collegio delle suore dorotee in Vilar
di Porto. Il giorno 17 giugno arrivò ben presto; il piccolo corredo era pronto. Quanto
più s'avvicinava l'ora della partenza, tanto più il suo cuore si riempiva d'una
tristezza infinita. L'ultimo giorno fu quello degli addii, non alle persone, ma ai
luoghi che ella tanto amava. Corse in primo luogo al Cabeço. Rivide l'anfratto
roccioso, circondato da olivi ed elci dal tono argenteo e asciutto. Il calore era
soffocante, le cicale ed i grilli assordavano, le api ronzavano sopra i cespugli in fiore.
Niente però, in quel giorno, tratteneva lo sguardo pensieroso di Lucia. Si precipitò
tra le rocce dove i tre piccoli eremiti avevano trascorso tante ore in preghiera e in
contemplazione. Si prostrò a terra e le preghiere dell'angelo le sgorgarono dal cuore
fervorose e sentite come non mai. Passò così forse un'ora. Ogni rumore, ogni
movimento era cessato attorno a lei. Non c'era altro che la sua voce, talvolta
interrotta da singhiozzi, che ora si elevava in una supplica veemente, ora si
attenuava in un mormorio semplice di umiltà e di amore.
«Mio Dio, io credo, adoro, spero e vi amo. Vi domando perdono per coloro che non
credono, non adorano, non sperano e non vi amano. Santissima Trinità, Padre,
Figlio e Spirito Santo, vi adoro profondamente e vi offro il Preziosissimo Corpo,
Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, presente in tutti i tabernacoli della terra,
in riparazione degli oltraggi, sacrilegi ed indifferenze con cui egli stesso è offeso. Per
i meriti infiniti del suo Sacratissimo Cuore e del Cuore Immacolato di Maria, vi
domando la conversione dei poveri peccatori».
Passando dai Valinhos, Lucia si trattenne solo alcuni istanti. S'inginocchiò presso
l'elce e rimase con un sentimento misto di preghiera e gratitudine verso la cara
Madre del Cielo, che, fuori del giorno designato, si era degnata di apparire lì per
premiare i suoi piccoli amici della loro eroica costanza nella prigione di Vila Nova
de Ourém!
Attraversando sentieri pietrosi, Lucia muoveva quasi di corsa nella direzione del
laghetto di Carreira. Arrivata, si fermò di nuovo. Il sole di giugno aveva ridotto quel
laghetto ad una pozzanghera, ove alcune pecore si dissetavano con quella stessa
acqua sudicia che nella sete di mortificazione, Giacinta avrebbe voluto bere. Ma il
suo cuore era ansioso di arrivare alla Cova da Iria, alla semplice cappelletta,
innalzata con le elemosine dei pellegrini. In quell'ora era deserta. S'inginocchiò
devotamente, mise il volto tra le mani, rivivendo tutte le emozioni che aveva
sperimentato in quel luogo benedetto.
Ogni tanto alzava i suoi neri occhi, umidi di pianto, e le pareva di vedere
nuovamente la radiosa Madonna sorriderle triste e ripeterle:
- Non aver paura ... io sarò con te! ... Sempre! ... Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo
rifugio! ... Sarà la via che ti condurrà fino a Dio.
Quando il sole già declinava all'orizzonte, si alzò lentamente, baciò la pietra della
soglia della cappelletta e si mise sulla strada che conduce alla chiesa di Fatima.
Anche quella segnava una stazione della sua via dolorosa.
Là, bambina di pochi giorni, era stata fatta figlia di Dio. Là, a sei anni appena, aveva
ricevuto per la prima volta il Pane degli Angeli. Là, dietro consiglio del «santo» P.
Cruz, si era consacrata a Maria davanti alla statua della Madonna del Rosario e la
statua - come scrive nelle memorie - si era animata e s'era degnata di sorriderle,
colmandola di gioia ineffabile. Là, con Francesco e Giacinta, aveva passato tanti
momenti soavi, davanti a «Gesù nascosto».
La commozione, la stanchezza, la nostalgia, che già le torturava il cuore delicato, la
tennero alcuni momenti, come fuori di sé. Era necessario affrettarsi, ritornare
prima che la mamma inquieta mandasse a cercarla dappertutto. Fece un giro nella
chiesa per dare un addio ai «santini» che i suoi occhi infantili sempre avevano
contemplato con tenerezza: la Madonna del Rosario, S. Antonio, S. Silvestro (quello
che si portava nella processione dei buoi), S. Quitéria ...
Uscendo dalla chiesa, andò ad inginocchiarsi sulla tomba del papà e di Francesco.
Con passo rapido tornò ad Aljustrel. Passando davanti alla casa degli zii, entrò nella
stanza ove i cugini ammalati avevano tanto pregato e sofferto per la conversione dei
peccatori. Soltanto a notte buia, Lucia arrivò a casa sua, silenziosa e con gli occhi
rossi di pianto. La cena non era ancora pronta: ne approfittò per correre per l'ultima
volta in fondo al giardino, si sedette sull'orlo del pozzo in intimo colloquio con le
anime di Francesco e di Giacinta. La luna, «la lampada della Madonna», e migliaia
di stelle, «le lampade degli angeli», brillavano intensamente nella volta azzurra,
immensa. Ma ecco che la mamma la chiamò. L'ultima cena. L'ultima notte nella
casa paterna.
Breve fu il sonno di Lucia. Alle ore due di notte, con un piccolo involto in mano,
accompagnata dalla mamma e dallo zio Carreira, s'incamminò verso un mondo
sconosciuto. Le luci del firmamento seguivano la triste comitiva. Presso la Cova da
Iria, Lucia, con voce imbarazzata, ricordò alla mamma:
- Andiamo là ancora una volta a recitare una corona! ...
La signora Maria Rosa acconsentì e i tre discesero il pendio e si inginocchiarono
sulla pietra umida di rugiada. Le Ave Maria fiorivano sul labbro della confidente
della Vergine, fervorose, filiali. Era una conversazione, non tra due persone amiche,
ma tra una Mamma intenerita ed una figlia devota. Come dovevano comprendersi
bene! Ciò che per noi è oggetto di fede, per Lucia era oggetto della più chiara
visione.
Terminata la preghiera, la signora Maria Rosa e lo zio Carreira si alzarono, ma Lucia
indugiava ancora un po'. Una forza invisibile, singolare, la incatenava a quel luogo
benedetto. Ancora alcune lacrime ardenti, le ultime, caddero sul tronco, ormai secco
e mutilato, dell'elce del miracolo.
- Addio, cara Mamma del Cielo, addio! E una voce ben nota, dall'intimo rispose: Addio, no .. Io sarò sempre con te!
Capitolo quarantacinquesimo
Il giorno 13 di maggio
la reazione subì un grande smacco
(Artur de Oliveira Santos)
Lasciamo momentaneamente Lucia nel collegio delle dorotee di Vilar (Porto), dove
si apriva un nuovo capitolo della sua vita, per ritornare agli avvenimenti capitati alla
Cova da Iria tra il 1920 e il 1922. Ecco quanto ci racconta la nostra fedele cronista
Maria da Capelinha:
«Non era ancora trascorso un mese dalla costruzione della cappellina quando vi
giunse un uomo di Torres Novas, chiamato Gilberto, che mi disse:
- Signora, chi ha fatto costruire questa cappella?
- Veda, le cose andarono così.
E gli raccontai tutto com'era successo. L'uomo rimase rattristato: - Io avevo
promesso di fare una buona offerta per la prima opera che si fosse eretta in questo
luogo, ed avrei speso anche tutto il necessario per costruire qui una cappella. Venni
il giorno 13 dello scorso mese e non era ancora stata mossa neppure una pietra;
adesso vi trovo una cappella già fatta.
- Allora - risposi io - se ha l'intenzione di fare un'offerta, potrei proporle di offrire la
statua.
Il signor Gilberto rimase molto soddisfatto di questa proposta; disse che prima
sarebbe andato a parlare con il priore della sua parrocchia e, se lui pure avesse visto
bene la cosa, avrebbe pensato a provvedere la statua. E veramente non ritardò a
darmi la risposta. Infatti otto giorno dopo arrivò nuovamente e mi disse:
- Il signor priore si è dimostrato favorevole e vado a trattare la cosa.
Ritornò varie volte a Fatima con l'artista per interrogare i bambini. L'accompagnava
pure il dotto Formigao, amico intimo delle famiglie di Ti Marto e di Maria Rosa.
Allora Giacinta non era ancora stata portata all'ospedale di Lisbona. Ciò nonostante,
la cosa ritardava ad andare in porto, finché un giorno arrivarono alcune persone da
Quinta da Cardiga ad offrire per la chiesetta una statua della Madonna del Rosario
che avevano già in casa. Per il momento dissi loro di no perché ero in attesa
dell'altra. Aggiunsi che l'avrei accettata solo nel caso che l'altra non fosse arrivata.
Ma finalmente la statua fu terminata e ai primi di maggio già si trovava a Torres
Novas, nella casa di Gilberto. Combinarono di portarla qua il giorno 13, ma una
volta giunta a Fatima non poté proseguire per la Cova da Iria. La benedisse il P.
Antonio de Oliveira Reis, allora vicario di Torres Novas e nativo di Montelo, il quale
si trovava a casa sua quel giorno. La statua rimase poi nascosta nella sacrestia della
parrocchia per tanto tempo, e nessuno sapeva con certezza dove si trovasse: infatti
si era subito sparsa la voce che i massoni avevano intenzione di lanciare delle
bombe, e così distruggere luogo e persone».
La paura di quella povera gente di montagna non era del tutto ingiustificata. In
verità la lotta contro le apparizioni non era ancora cessata. Anzi! Quanto più Fatima
s'imponeva pacificamente, tanto più gli oppositori cercavano di soffocare «l'ignobile
superstizione reazionaria». Nei disegni della Provvidenza divina, tutte queste cose
non fecero che contribuire alla diffusione, sempre più vasta tra il popolo cristiano,
dell'amore e della devozione alla celeste Messaggera della pace.
A Lisbona, verso la metà di aprile (1920), scoppiò una sfrenata campagna di
diffamazione nei riguardi di Fatima. Si era sparsa la voce che «da Torres Novas il
giovedì dell'Ascensione si sarebbe fatto un grande pellegrinaggio a Fatima per
accompagnarvi la statua commemorativa delle apparizioni; che vi sarebbero andate
migliaia di macchine da Lisbona e da altre parti; che vi sarebbe confluita molta altra
gente in carro, a cavallo e a piedi; che avrebbero preso parte a questo pellegrinaggio
molte centinaia di sacerdoti, di gesuiti e di bambini vestiti da angioletti; insomma,
che la reazione sarebbe entrata in campo con una dimostrazione di forze mai vista
precedentemente».
Il giorno 24 dello stesso mese veniva inviata una lettera all'amministratore di Vila
Nova de Ourém:
Ill.mo Signore, dal suo e nostro amico Lino de Sousa abbiamo saputo che gli
elementi reazionari del suo concelho si preparano per esaltare la defunta veggente
di Fatima, continuando così il turpe sfruttamento religioso già in atto: chiediamo
quindi a V. E. di volerei informare sull’andamento di queste cose per vedere
assieme, noi, il Governo e V. E., se possiamo escogitare qualche cosa per
neutralizzare questa marcia gesuitica.
Sicuri che non ci negherà la sua valida collaborazione, ci sottoscriviamo con la più
alta considerazione, augurandole salute e fraternità.
Il Segretario degli esteri Julio Bento (?) Ferreira (?)
È chiaro che l'amministratore non rimase inattivo 83. Il giorno 30 del mese tutti i
regedores della zona ricevevano il seguente dispaccio:
Per motivi di servizio pubblico, prego la S. V. di presentarsi in questa
amministrazione il prossimo giovedì, 6 maggio.
La riunione si effettuò, il caso venne esaminato, e l'amministratore ebbe modo di
tranquillizzarsi. Tuttavia, il giorno seguente, 7 maggio, Artur de Oliveira Santos
riceveva un telegramma del Governatore civile di Santarém, dott. José Dantas
Baracho:
Amministratore Concelho di V. N. de Ourém,
Sua Ecc. il Ministro degli Interni determina si eviti ripetizione mistificazione caso
Fatima che si sta preparando per questo mese, intimando ai dirigenti e principali
responsabili di non organizzare cortei o qualunque altra manifestazione religiosa
sotto pena della legge, che si applicherà in caso di disobbedienza, rimettendo al
tribunale i disobbedienti con accuse debitamente testimoniate e con l'aggravante
di intimazione previa. Inoltre l'eccell.mo Ministro determina che questo caso sia
trattato direttamente con me senza l'intervento di altre persone.
Il Governatore civile
Naturalmente lo zelante amministratore eseguì l'ordine e lo stesso giorno inviava lui
pure istruzioni ai suoi collaboratori:
Per ordine di S. E. il Ministro degli Interni, si determina che si eviti il ripetersi
mistificazione caso Fatima che si sta preparando per il giorno 13 corrente mese.
Voglia la S. V. notificare fin d’ora a questa amministrazione i nomi dei dirigenti e
dei propagandisti che nella parrocchia pretendono organizzare qualunque
manifestazione al riguardo, in modo che, in caso di disobbedienza alla Legge,
siano applicate loro le rispettive sanzioni, rimettendo li al potere giudiziario come
disobbedienti.
Prevedendo però che quei funzionari non avrebbero preso tanto a cuore le
disposizioni comunicate, Artur Santos giudicò cosa migliore richiedere la truppa di
Santarém. La risposta non si fece attendere. Il giorno 10 riceveva il seguente
telegramma:
Amministratore Concelho di V. N. de Ourém. Saranno messe a sua disposizione
forze Guardia municipale per occupare punti nevralgici strada, onde impedire
transito processione verso Fatima.
Il Governatore civile José Dantas Baracho.
E il giorno 12, dopo che tutto era stato ben preparato, un altro telegramma:
Amministratore Concelho di V. N. de Ourém. Secondo quanto combinato qui ieri
con comandante truppa, si proibirà qualsiasi manifestazione religiosa che verrà
impedita in loco. Per tal fine verrà rinforzato contingente locale. Già partita
numerosa forza armata.
Il Governatore civile José Dantas Baracho.
Vediamo ora a che cosa approdarono tutte queste contromisure, seguendo il
racconto del canonico Formigao, tratto dal primo opuscolo sulle apparizioni, Os
Episòdios maravilhosos de Fatima, che vide la luce nel 1921.
«Giunsi a Vila Nova de Ourém il 13 del maggio scorso, prima dell'alba, sotto un
acquazzone, tra lampi e tuoni. Alla mia partenza da Lisbona correvano le voci più
allarmanti sul caso di Fatima. Si diceva che era perfettamente inutile l'andarci,
perché c'erano ordini perentori di non lasciar passare nessuno da Vila Nova de
Ourém. Per questo motivo molti che avevano combinato di venir con me non
vennero, ma io mi ostinai e partii, se non altro almeno per vedere che cosa c'era di
vero.
Contemporaneamente a me giunsero a Vila Nova de Ourém anche due signore, una
giovane, elegante e bella, con due grandi occhi color miosotide, figlia di un ministro
emerito della monarchia, e l'altra già attempata ma di aspetto distinto, che mi pare
fosse imparentata con una delle famiglie più note della provincia di Beira,
precisamente di Guarda. Sotto tutta quell'acqua, che ci faceva ricordare il versetto
del Genesi «eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratte del cielo si
aprirono», esse non si lamentavano, tanta era la loro fede e il loro entusiasmo. Le
preoccupava solamente il pensiero che si impedisse loro di raggiungere il luogo
delle apparizioni. A stento riuscimmo a raggiungere una piccola locanda chiamata
Hospedaria de Maria Joana, situata di fronte alla chiesa, e lì, in attesa dell'alba,
riposammo un tantino su di un seggiolone traballante perché camere non ce
n'erano.
Di buon mattino, alle prime luci, sentimmo uno scalpitio di cavalli. Corremmo alla
finestra. Era uno squadrone di cavalleria della Guardia repubblicana che marciava
al galoppo verso Fatima. Allora quelle voci erano proprio vere?
Domandammo all'inserviente della locanda che cosa succedeva, che cosa si diceva ...
La medesima incertezza ... Voci ...Voci ... C'era fanteria, cavalleria, mitragliatrici ...
non so che altro ... Un'offensiva in regola!
Ma perché, santo cielo?
- Nessuno sa spiegare! - diceva la donnetta.
- Una cosa l'hanno già ottenuta: da Ourém nessuno va a Fatima.
Tutte le macchine erano state noleggiate a 40 scudi l'una. Ma poi tutto è andato a
monte con grande stizza del noleggiatore, repubblicano convinto, che però non
riesce a comprendere come mai si possa proibire a un pacifico cittadino di fare una
passeggiata dove gli pare e piace. Da Tomar non viene nessuno per lo stesso motivo!
In molti concelhos, a quanto si dice, gli amministratori hanno proibito di uscire in
macchina! ...
Mentre stavamo parlando di queste cose, ecco presentarsi un membro della
Gioventù cattolica di Lisbona, proprietario di una tipografia nella zona di Belém, e,
subito dopo il dott. Dinis da Fonseca [noto avvocato cattolico], che si trovava in
albergo, essendo giunto il giorno prima per difendere un imputato in una udienza
del tribunale. Chiedo informazioni. Anche loro non sanno cosa dirmi. Dicono che
fino a Fatima permettono di andare, ma oltre no ... perché il buon Dio non vuole ...
Intanto aveva cessato di piovere. Scendo in strada e subito vedo passare carri,
carrozze, macchine, camions, gente a piedi, gente a cavallo, un autentico
pellegrinaggio, Ma, allora, a che diavolo è servita la proibizione? - penso io. Credevo
di non trovare nessuno e invece vedo passare senza interruzione uomini, donne e
bambini in numero sempre crescente.
Sarabachini enormi, tirati da muli con sonagli, pigiati di gente che ride, ride come
matta, per la figura dell'amministratore che scorgo lì, fermo in mezzo alla strada,
alquanto turbato, con un sorriso itterico che gli spiana le pieghe delle labbra;
carrozze pavesate di fiori e macchine frementi e strombettanti, camions pesanti e
rumorosi con ampi tendoni, pieni di rifornimenti; calessi e landò aristocratici, altre
carrozze più modeste, ... uomini e donne a piedi, bagnati e infangati, grondanti
acqua, ma soddisfatti, con l'allegria dipinta sui volti. Tutto questo sfilava davanti a
me come una lunga pellicola cinematografica.
Da dove veniva tutta quella gente? Da molte parti, ma soprattutto da Torres Novas,
a quanto mi si diceva.
Allora si passava! Da Ourém almeno ...
Ma l'amministratore, cappello di paglia in testa, a che pro girovoltava da un lato
all'altro della strada?
Ne stava escogitando un'altra? Chi lo sa?
Volevo proseguire per Fatima. Ma, la Messa? Chiedo a che ora c'era in parrocchia. Alle undici!
Lascio andare avanti tutti e aspetto. Dopo la Messa faccio pranzo in fretta e mi
incammino alla volta di Fatima, prendendo la ripida stradicciuola che per vari
chilometri serpeggia lungo le colline di Ourém.
Passa, scendendo veloce, un'automobile. Dai finestrini sporgono fucili minacciosi.
È l'amministratore con la sua scolta!
- Non è certo venuto per fare una parte buona - dice un giovane che ci segue in
bicicletta.
È già un'ora e mezzo che saliamo. Fatima non deve essere lontana. Incomincia
nuovamente a piovere ... Di fatto, poco dopo entriamo nello spiazzo di fronte alla
chiesa.
Da tutte le parti ci sono automobili, carrozze e carri fermi. Una grande folla, alcune
migliaia di persone, riempie lo spiazzo e la chiesa. Nella strada ci sono forze di
fanteria e cavalleria della Guardia repubblicana che non lasciano proseguire.
Mancano ancora circa tre chilometri per arrivare al luogo delle apparizioni.
Chiedo a qualche persona se proprio nessuno è riuscito a proseguire:
- Fino a mezzogiorno sono passati tutti, ma dopo è venuto l'amministratore e in
tono perentorio ha dato ordine di non lasciar passare più nessuno.
Chiedo al comandante se proprio non si può passare. Egli mi risponde con garbo:
- Sino adesso ho lasciato passare tutti, ma ora l'amministratore ha disposto
diversamente: devo eseguire gli ordini.
Ritorno sui miei passi e mi immetto tra la gente che, in chiesa e sotto il portico,
commenta con tristezza il caso, senza riuscire a darsi ragione di come possa esserci
pericolo di disordini alla Cova da Iria e non a tre chilometri di distanza, quando le
persone sono le medesime.
È una vera stupidaggine!
Molta gente, non potendo proseguire per la strada, passa di nascosto attraverso i
campi, salta i muretti, e riesce a raggiungere il luogo delle apparizioni, ritenendosi
fortunata di potersi inginocchiare sulla terra bagnata e recitare il rosario.
Sarà questo che mette in pericolo il regime?
In chiesa, il P. Cruz dirige pie pratiche intercalate dalla recita del rosario e da canti
religiosi. Molta gente si confessa. Una signora cieca, venuta con grande sacrificio
dalle parti di Aveiro, cammina appoggiandosi alla spalla di una parente, sotto la
pioggia che cade di nuovo abbondante. Non si lamenta, anzi benedice fiduciosa Dio
e si dirige verso la chiesa.
Un uomo barbuto e già attempato, - mi dicono che sia un medico ­ spiega ad un
gruppetto di persone la ragione provvidenziale della proibizione. A quanto gli
dicevano, c'era chi voleva portare alla Cova bande musicali, divertimenti, ecc. Ora,
la Madonna non vuole queste cose. È apparsa in un luogo deserto proprio perché
vuole essere amata e venerata in spirito, senza nessuna di queste esibizioni
spettacolari e chiassose.
Preghiera, comunione e penitenza! Questo, e solo questo è ciò che lei vuole! Con
questa proibizione le autorità inconsciamente assecondano i desideri della
Madonna!
La pioggia cadeva sempre più abbondante.
Tutti cercavano di rifugiarsi sotto i carri e sotto il portico della chiesa, perché
all'interno la calca era già troppa.
Nel frattempo vedo alcuni soldati della Guardia repubblicana con le spade sguainate
scaricare piattonate a destra e a sinistra su pacifici contadini i quali, con gli ombrelli
aperti, guardavano melanconicamente ciò che stava succedendo e che, sorpresi
dall'inattesa aggressione, scappavano da tutte le parti senza riuscire a
comprenderne il motivo. Qualcuno si dirige verso le guardie per vedere di che si
tratta ... Si lamentano affermando che un uomo voleva passare a tutti i costi e,
siccome l'avevano impedito, era trascorso alle minacce. Questo il motivo di quel
tumulto, nel quale l'innocente finisce di pagare per il colpevole, come capita spesso.
Spiegato il caso e ristabilita la calma, mi intrattengo con alcuni contadini, cui
prudentemente dò il consiglio di non passare, perché in fondo è più meritoria
l'obbedienza agli ordini, anche se ingiusti, quando non offendono la nostra
coscienza, che non la resistenza temeraria ai medesimi. Allora uno della Guardia
repubblicana mi dice in uno sfogo di sincerità:
- Sapesse quanto mi costa stare qui! Eseguisco ordini e li eseguisco alla lettera, ma
mi creda, nel mio intimo sento un profondo senso di rivolta per tutto questo. Sono
buon cristiano, signore, e non comprendo quale utilità ci possa essere nel proibire a
questa povera gente di andare là a pregare ... Mi viene quasi da piangere! Ho una
sorella a cui la Signora di Fatima ha salvato la vita.
E di fatto, dal viso abbronzato del povero poliziotto, che stava li ad eseguire un
ordine contrario alla sua volontà, colava lentamente una goccia che non era
propriamente sorella di quelle che grondavano dal cappuccio del suo impermeabile,
perché la pioggia continuava, ostinata.
Mentre ritorno sui miei passi e mi dirigo verso la casa del priore la cui veranda, di
antico stile portoghese, era stata invasa da quanti cercavano un riparo dalla pioggia,
scorgo la mia compagna del mattino, gracile, delicata, con gli occhi azzurri e assorti,
inzuppata come un pulcino, che cammina nel fango, ma gioiosa e serena, come se se
ne fosse stata seduta comodamente in un caffè e non sotto quel diluvio. Ci fa vedere
un'immaginetta della Madonna di Fatima.
- È là ... - e mi indica la sacrestia della chiesa parrocchiale. E dopo, piano piano,
quasi in segreto, sorridendo, con una punta di malizia che le illumina i grandi occhi
azzurri:
- E adesso vado laggiù. Mi hanno insegnato una scorciatoia per arrivarvi... Si deve
attraversare quel campo; ma io ci voglio andare! E se ne va sotto la pioggia, bagnata
fino alle ossa, camminando nel fango, ma felice di andarci e farla franca a quegli
Erodi del governo. Ah, le donne, quando vogliono!
Entro nella sacrestia per vedere che cosa c'è. Trovo una statua della Signora di
Fatima, veramente bella, che un devoto aveva fatto scolpire appositamente. E
siccome l'intolleranza delle autorità non la lasciava collocare nella nicchia della
Cova da Iria, era stata posta lì perché i fedeli, sfilandole davanti, potessero vederla
ed ammirarla. E bisognava vedere la devozione con cui molta di quella gente
pregava.
Ma la pioggia continua a cadere insistente. Il cocchiere di una carrozza ci avverte
che la strada non è in buone condizione e che bisogna anticipare la partenza. Per
questo, fatte le nostre devozioni e congedatici dagli altri, ci incamminiamo per
Ourém, per poi proseguire verso casa. Alla stazione, mentre attendiamo il treno,
incontriamo tante persone provenienti da varie parti del Portogallo, che, come nei,
fanno ritorno ai loro paesi. Là troviamo la cieca di Aveiro, accompagnata da una
signora di Porto. Nonostante le vesti inzuppate e la poca salute, non sembrano aver
sofferto per nulla e conservano la loro inalterata serenità. Alla stazione trovo pure
un noto orefice di Lisbona e molte altre persone della capitale. Non rivedo la
giovane signora dagli occhi azzurri.
Un onesto commerciante, a quanto sembra repubblicano, copriva di invettive
l'amministratore del concelho, perché impediva il progresso del paese e non
permetteva ai commercianti di fare i loro affari.
- È uno stupido! - concluse. - Pensate che questa proibizione, soltanto ai
noleggiatori di Tomar, Ourém e Torres Novas ha causato un danno di oltre 20.000
scudi!».
Capitolo quarantaseiesimo
E Gilberto portò la statua
e la pose nella nicchia
(Maria da Capelinha)
Le autorità provinciali rimasero pienamente soddisfatte dell'eccellente servizio
prestato dall'amministratore di Vila Nova de Ourém, il quale due giorni dopo
riceveva la seguente comunicazione:
Eccell.mo Signore,
La Federazione portoghese del Libero Pensiero si compiace di esprimerle i
sentimenti della più profonda simpatia per la forma altamente repubblicana e di
libero pensiero con cui ha agito a proposito del preteso miracolo di Fatima, di cui
la reazione gesuitica cerca servirsi per sfruttare l'ignoranza del popolo.
Certi che saprà valutare quanto sincera e riconoscente sia la nostra ammirazione
per il suo comportamento, ci sottoscriviamo con la maggior considerazione, ecc.
A questi complimenti Artur de Oliveira Santos rispondeva il 5 giugno 1920:
Federazione del Libero Pensiero
Largo do Intendente, 45 – 1° - Lisboa.
Ho ricevuto la vostra del 15 del mese scorso, e ringrazio delle felicitazioni con cui
hanno voluto onorarmi, quantunque indegno. Grazie alle misure del Governo,
presieduto dal grande patriota e repubblicano Antonio Maria Baptista, il 13 di
maggio la reazione ha subito un grave smacco, che ha distrutto la manifestazione
progettata, con cui pretendeva non solo sfruttare ancora una volta l’ingenuità del
popolo ignorante, ma preparare anche la trama per odiosi attacchi contro la
Repubblica.
Ma i «promettitori» [sic] di Fatima che sono tutti veri nemici della Repubblica,
non hanno disarmato. Ora pretendono di fare la traslazione solenne della salma
di un’infelice bambina, morta tempo fa a Lisbona, a cui attribuiscono il titolo di
«intermediaria» della Vergine, e ancora si servono della cosiddetta veggente
Lucia di Gesù, di 13 anni, una povera ammalata, per meglio sfruttare il popolo
ignorante.
Ma i loro infausti progetti non si sono realizzati e non si realizzeranno mai, finché
nel nostro Paese ci saranno governi come l'attuale e associazioni come quella del
Libero Pensiero che si assumono l'augusta missione di combattere la menzogna e
difendere la libertà.
Contemporaneamente, l'amministratore scriveva pure al regedor di Fatima:
Per i dovuti effetti debbo informarla che da oggi in avanti in codesta parrocchia
non si potrà più organizzare nessun corteo religioso senza il consenso di questa
amministrazione. Perciò V. S. deve comunicare al parroco e ai promotori di
qualunque manifestazione religiosa questa mia determinazione, e riferirmi
rigorosamente ogni mistificazione o speculazione che abbia riferimento con il
cosiddetto miracolo della Cova da Iria.
Ancorché, come abbiamo visto, le cose avessero preso una piega abbastanza
favorevole, per il momento si giudicò più prudente non trasportare la statua alla
Cova da Iria. Erano passati alcuni mesi, e la nicchia della cappellina continuava ad
attendere il suo tesoro. «Temevamo qualche profanazione - racconta Maria Carreira
­ ma nello stesso tempo eravamo ansiosi di poter venerare la Vergine nel luogo in
cui aveva posato i suoi piedi benedetti. Un giorno venne nuovamente Gilberto, e mi
disse che si poteva coprire la nicchia: così la gente avrebbe pensato che ci fosse già
la statua, e si sarebbe potuto costatate se veramente c'era l'intenzione di profanarla.
Vi posi dunque una tovaglia. Tutti credevano che ci fosse veramente la statua della
Madonna, ma non si verificò alcun inconveniente. Allora Gilberto portò la statua e
la collocò nella nicchia. Dopo alcuni mesi di normalità, si cominciò di nuovo a
diffondere voci che sarebbero venuti a rubare la statua e a dar fuoco alla cappella!
Allora giudicammo cosa migliore portare ogni sera la statua a casa mia e riportarla
nella nicchia della cappella al mattino. Era la cosa più sicura. Così, mi pare verso la
fine di ottobre, mio marito portò per la prima volta la statua di Nostra Signora nella
casetta della Moita. Nel salotto preparammo un piccolo altare e vi ponemmo sopra
la statua con ai lati due lumini ad olio accesi. Avevamo tutte le ragioni di temere:
alcuni mesi dopo, il 6 marzo 1922, durante la notte, udimmo il fragore di
un'esplosione. I massoni avevano posto quattro bombe nella cappellina e una ai
piedi dell'elce su cui era apparsa la Madonna. La cappellina rimase scoperchiata, ma
la bomba posta ai piedi dell'elce non scoppiò. Avremmo voluto riparare la cappella,
ma il vescovo ci disse di aspettare fino a nuovi ordini. Quale tristezza! La gente era
desolata. Non provavamo più gusto a soffermarci sul luogo delle apparizioni. Vi
andavamo, facevamo una breve preghiera e tornavamo via. Dalla Cova da Iria la
gente passava a casa nostra, e lì faceva le sue devozioni. Vi passarono pure il dott.
Marques e il dott. Formigao. La gente s'inginocchiava davanti alla porta e pregava.
C'era, possiamo dire, un continuo viavai, e la Madonna ascoltava tutti: faceva così
perché il popolo avesse più devozione. Io allora ero molto felice: avevo la Madonna
in casa! Io piango, Padre, perché la gente è sempre più cattiva.
Il giorno 13 si radunava molta gente per accompagnare la statua alla Cova da Iria.
Non c'era ancora la portantina, tutti volevano portare la statua perché ne avevano
fatto promessa, e così la portavano un po' ciascuno. Pregando e cantando
giungevamo alla Cova e facevamo le nostre devozioni per tutto il pomeriggio, con
processione; dopo di che, si ritornava a casa nostra. Che nostalgia di quei giorni! Al
passaggio della Madonna la gente s'inginocchiava come quando passa Gesù
sacramentato. Era un'epoca molto bella, in cui si pensava solo alla propria salvezza.
Quanta gente veniva a visitare la Madonna! Quanto si pregava! Era una giornata
intera, dall'alba fino a notte, in compagnia della Madonna.
Molti venivano ad adempiere le loro promesse e accendevano la loro candela; altri
venivano a chiedere grazie, e tutti ritornavano a casa soddisfatti. Una povera
donnetta di Tornar, siccome alla Cova non c'era acqua, portava a casa della terra per
filtrarvi l'acqua per il tè da dare ai malati. Grattando si raccoglieva della terra vicino
all'elce e con la medesima si stropicciavano i malati. Molti ne mangiavano e
dicevano che si sentivano meglio. Si vedevano anche delle signore che
stropicciavano i loro figlioletti puliti e ben vestiti, senza paura di sporcarli per bene.
Ad Alqueidao da Serra c'era una bambina, paralitica da oltre sette mesi. I genitori la
trascuravano lasciandola vivere nella miseria. Un giorno le apparve la Madonna e le
disse che, se voleva guarire, la mamma doveva andare alla Cova da Iria, prendere
una manciata di terra vicino all'elce, dove aveva posato i suoi piedi, e farne un
panino. La piccola doveva mangiarne un piccolo boccone per nove giorni. Con il
resto si doveva preparare del tè. Si fece come la Madonna aveva detto e la bambina
guarì completamente.
Un'altra volta venne alla Cova un uomo di Torres Novas che piangeva sotto l'elce
grande. Mi trovavo in quei paraggi, mi avvicinai, ed egli mi raccontò la sua storia.
Da 24 anni aveva una ferita purulenta ad una gamba che non gli permetteva di
muoversi e di lavorare. La piaga pareva inguaribile. Continuando, mi disse: - Tempo
fa mia moglie venne a Fatima e portò a casa della terra da mettere nell'acqua per
lavarmi la ferita. Io non volevo assolutamente, perché la ferita doveva rimanere
sempre pulita, e con quel fango sarebbe stato peggio. - Con questo fango è già stata
guarita tanta gente - insisteva mia moglie, che aveva molta fede, anche se io non
credevo né in Dio né nella religione. Ma tanto insistette che finii per cedere. Per
nove giorni consecutivi lavai la ferita con quel fango e ogni giorno ne guariva una
parte, finché, al termine della novena, guarì completamente. Allora incominciai a
piangere, misi via le bende e m'incamminai a piedi verso la Cova da Iria dove sono
giunto poco fa: io che non riuscivo nemmeno a muovermi.
Un altro giorno fu la volta di un tubercolotico di Tornar, pure miscredente. - O
Manuel, - gli disse la moglie - andiamo a Fatima, o almeno facciamo una novena. Tu
sorbirai un po' di tè fatto con acqua filtrata dalla terra della Cova da Iria, dove è
apparsa la Madonna. Ma egli non ne voleva sapere di andare a Fatima, e tanto meno
di prendere del tè fatto con terra. La moglie continuò ad insistere finché egli si
decise a bere, ma, come si può immaginare, senza alcuna fiducia. Malgrado ciò, la
Madonna gli concesse la guarigione, ed egli in pochi giorni ridiventò un uomo sano
e robusto.
Da allora, ogni giorno giungevano persone in cerca di terra per i loro ammalati. Noi
ne prendevamo alcune cucchiaiate e i devoti le mettevano in un fazzoletto o in un
pezzo di carta. Nei giorni 13 del mese distribuivamo fino a due o tre sacchi di terra
della fossa scavata attorno all'elce delle apparizioni. Alla sera riempivamo di nuovo
la fossa con terra presa nelle vicinanze».
Capitolo quarantasettesimo
È una porcheria, una vergogna!
Bisogna far chiudere tutto!
(Il suddelegato alla Sanità)
Le guarigioni strepitose, attribuite dai pellegrini alla terra prelevata nel deserto
della serra, contribuirono efficacemente a diffondere la devozione alla Madonna di
Fatima.
«Venivano da tutte le parti - continua Maria Carreira - ciascuno con le sue afflizioni
e con la sua miseria. Al tempo della spagnola, quando non c'era ancora la
cappellina, il P. David, nativo di Santa Caterina, venne qui a fare la prima predica.
In quella circostanza confluì alla Cova molta gente delle tre parrocchie di Fatima, S.
Caterina e Silo Mamede. Portammo in processione anche i nostri Santi: S. Lucia
della Moita, Nostra Signora della Liberazione di Boleiros, Nostra Signora da Urtiga
e Nostra Signora del Rosario di Fatima.
- Tutto questo è molto bello, amici miei - diceva il P. David ­ ma non serve a niente
se non ci convertiamo.
In quella circostanza venne anche Giacinta, benché colpita dalla spagnola. La gente
pianse assai a causa di quell'epidemia. La Madonna ci esaudì, perché da quel giorno
la spagnola sparì dalla nostra zona. Da allora, la gente moltiplicò la devozione e i
pellegrinaggi. Dopo la costruzione della cappellina venivano a migliaia. E non c'era
né una sorgente né un pozzo per dissetare quella moltitudine».
Quando, il 22 settembre 1921, il vescovo di Leiria fece la prima visita al luogo delle
apparizioni non poté fare a meno di riconoscere che urgeva provvedere a questa
necessità. E diede ordine a Manuel Carreira di aprire un pozzo. «Subito - ci dice la
moglie ­ si pensò di aprirlo a circa 80 metri dalla cappellina, vicino ad un fico, ma
dopo prevalse l'idea di José Alves.
Erano presenti il dott. Marques dos Santos, il parroco di Santa Caterina e il vicario
di Olival.
- A mio parere, il pozzo non va fatto qua - diceva José Alves.
- E allora dove? - gli chiese il vicario.
- Là! - E José Alves indicò il posto dove la Cova sembrava più profonda. - Perché,
anche se non piove per oltre un mese, vi si trova sempre un po' di umidità e
dell'erba.
- E il pozzo si aprì proprio là - era solito poi ripetere con soddisfazione. Ma dopo
appena mezza giornata di lavoro si arrivò alla roccia.
- E adesso? - domandarono i sacerdoti.
- Adesso, fuoco alla roccia! Basta andare subito a prendere tutto il necessario.
L'acqua apparve abbondante, ma il pozzo non fu portato a termine né si pensò a
coprirlo. Rimase così fino all'anno seguente». L'acqua sgorgava miracolosamente?
Questa era l'opinione, per lo meno della gente del posto e dei pellegrini che
accorrevano sempre più numerosi da ogni parte, per attingere alla sorgente
benedetta. «Venivano qua - ci racconta José Alves - con bottiglie e orciuoli che
riempivano per portare a casa un po' di quest'acqua, per darla da bere ai malati o
lavarne le piaghe. Tutti avevano molta fiducia in quest'acqua, e la Madonna li
ricompensava, alleviando i loro dolori e guarendo le loro ferite. La Madonna non
fece mai tanti miracoli come in quel periodo. Molti avevano piaghe così purulente
che era una pena a vederle. Si lavavano e lasciavano sul posto le fasciature perché la
Vergine li aveva guariti. Altri s'inginocchiavano, bevevano di quell'acqua argillosa e
si sentivano guariti dai loro mali segreti».
Si sarebbe detto che la SS. Vergine, madre amorosa, volesse scherzare con gli
uomini e ridersi delle norme di igiene della classe colta, operando prodigi attraverso
cose che, umanamente parlando, avrebbero potuto essere solamente causa di
infezione e di complicazioni. Di fatto, i responsabili della salute pubblica
incominciarono ad allarmarsi.
In data 15 luglio 1922, il nuovo amministratore di Vila Nova de Ourém, Antonio de
Sa Pavilon, inviava al regedor di Fatima la seguente comunicazione d'ufficio:
Essendosi degnato l'Eccell.mo Suddelegato alla Sanità di questo concelho di
richiamare alla mia attenzione una sorgente d'acqua sporca che Manuel Carreira,
della località della Moita, che fa parte di codesta parrocchia, ha fatto scaturire
alla Cova da Iria, acqua di cui molta gente si serve per ogni uso, decisi, tramite la
S. V., di invitare il signor Carreira a presentarsi a questa amministrazione, - in
detta circostanza ordinai al signor Carreira di chiudere quella pozzanghera fino a
quando non si siano fatte le cose in modo da evitare casi antigienici, e così spero
che la S. V. voglia informarmi al più presto delle misure prese.
Firmato: Pavillon
P.S. Esigo obbedienza. Qualora si accertasse che il signor Carreira non abbia
ancora eseguito l'ordine, voglia la S. V., nell’interesse della salute pubblica,
intimargli di eseguirlo subito e di darmene conoscenza.
L'amministratore sapeva bene di non poter fare molto affidamento su quel suo
collaboratore. Pertanto, si recò personalmente a Fatima con il suddelegato alla
Sanità, il dott. Joaquim Francisco Alves. Visitarono il posto e passarono poi a casa
del priore di allora, P. Agostinho Marques Ferreira, che ci racconta:
- È una vera porcheria lassù - mi diceva il dotto Alves. - Bisogna far chiudere tutto.
È una vergogna.
- La fede non fa male a nessuno - rispondevo io. È già un miracolo che quell'acqua
sporca non faccia male a chi la beve. Molti anzi affermano di essere stati guariti da
quell'acqua».
Nell'atto di congedarsi, i visitatori intimarono al parroco di far chiudere il pozzo,
soggiungendo che - qualora le cose restassero immutate - egli avrebbe dovuto
ritenersi responsabile delle possibili conseguenze incresciose. Ma se il regedor di
Fatima non aveva osato dar corso all'ingiunzione, ritenuta sacrilega dai fedeli, come
avrebbe potuto eseguirla il parroco?
Pertanto l'anno seguente, in data 13 agosto, l'amministratore inviava al suddelegato
alla Sanità la seguente comunicazione:
Siccome mi consta che la sorgente dell'acqua esistente alla Cova da Iria,
parrocchia di Fatima, continua ad essere aperta al pubblico e che questo
rappresenta un pericolo per la salute pubblica, essendo l’acqua sporca e piena di
microbi, prego la S. V. di volermi esprimere il suo giudizio in merito, di modo che,
sostenuto nella mia determinazione dal parere dell’autorità sanitaria, io possa far
distruggere al più presto quella fonte e farla finita una volta per sempre.
Firmato: Pavillon
Strana questa preoccupazione delle autorità se si pensa che nel comune esistevano,
ed esistono ancora oggi, altri pozzi nelle stesse condizioni. Tuttavia, il vescovo di
Leiria comandò che il pozzo fosse portato a compimento, scavando ancora in
profondità e coprendolo. Durante i lavori comparve nuovamente l'amministratore
con il parroco ed il suddelegato alla Sanità, perché si era sparsa la voce che
quell'acqua era avvelenata. Attinto un secchio d'acqua chiarissima, il dott. Alves la
dichiarò subito potabile.
Dopo la cappellina delle apparizioni, il pozzo fu il primo lavoro eseguito sul luogo
delle apparizioni.
Capitolo quarantottesimo
Decidiamo di autorizzare il
culto alla Madonna di Fatima
(Il vescovo di Leiria)
Durante i primi cinque anni che seguirono le apparizioni, l'autorità ecclesiastica
mantenne la più prudente riserva. Il 3 maggio 1922, due anni dopo il ristabilimento
della diocesi di Leiria, mons. José Alves Correia da Silva pubblicava una lettera
pastorale di cui riportiamo alcuni passi:
Nessun fatto concernente il culto della nostra santa Religione è o può restare
indifferente all'azione pastorale che siamo stati chiamati a svolgere in questa
diocesi di Leiria. Ora, si può dire tutti i giorni, ma specialmente il 13 di ogni mese,
ha luogo a Fatima un grande afflusso di persone, provenienti da ogni luogo,
appartenenti a ogni classe sociale, che vi si recano per pregare e ringraziare la
Madonna del Rosario dei benefici ricevuti per sua intercessione.
Si racconta che nell'anno 1917 si sia verificata una serie di fenomeni a cui
presenziarono migliaia di persone di tutte le classi sociali e annunciati in
antecedenza da tre fanciulli incolti a cui, si diceva, la Madonna era apparsa e
aveva fatto alcune raccomandazioni. Da quella data, il concorso del popolo non è
mai venuto meno.
Dei tre fanciulli, che si dicevano favoriti dalle apparizioni, due morirono prima
della nostra entrata in questa diocesi. Più volte abbiamo interrogato l'unica
superstite.
La sua narrazione e le sue risposte erano semplici e sincere; in esse non abbiamo
riscontrato nulla di contrario alla fede e alla morale. Quella fanciulla, ora di
quattordici anni, potrebbe esercitare un’influenza tale da spiegare quell’accorrere
di popolo? Disporrebbe ella di un prestigio personale tale da trascinare là le folle?
Si imporrebbe con le sue qualità precoci fino al punto di far convergere a sé tante
migliaia di persone? Non è possibile, trattandosi di una fanciulla senza istruzione
e di un’educazione più che elementare. Tanto più che ella se ne andò dal paese e
non vi ha più fatto ritorno 84; e nonostante ciò, la gente accorre sempre in
maggior numero alla Cova da Iria.
Spiegherà forse quest’afflusso il fatto che il posto è piacevole e pittoresco? No! Si
tratta infatti di un luogo arido, solitario, senza alberi, senza acqua, lontano dalla
ferrovia, sperduto nella serra, spoglio di tutte le attrazioni naturali. La gente vi
andrà forse a causa della cappellina?
Le persone devote vi avevano costruito una cappella così minuscola che non vi si
poteva neppure celebrare la Messa.
Nello scorso mese di febbraio alcuni infelici, il cui operato la SS. Vergine voglia
perdonare, di notte, con bombe di dinamite, la distrussero e le appiccarono il
fuoco. Abbiamo sconsigliato di riedificarla, non solo per evitare un nuovo misfatto
ma anche perché volevamo vedere se era quella cappellina il motivo per cui
affluiva tanta gente alla Cova. Ebbene, anziché diminuire, l'afflusso dei pellegrini
si fa sempre più numeroso.
L'Autorità ecclesiastica finora non si è pronunciata. Il clero, fin dall'inizio, si è
astenuto dal prendere parte a qualsiasi manifestazione; solo ultimamente
abbiamo permesso che vi fosse celebrata una Messa con predica nei giorni di
maggior afflusso di popolo. L'Autorità civile ha fatto ricorso a tutti i mezzi,
comprese le persecuzioni, la prigionia e minacce di qualsiasi genere, per farla
finita con il movimento religioso della Cova da Iria. Tutti questi sforzi non hanno
approdato a nulla. E nessuno potrà dire che l'Autorità ecclesiastica abbia
stimolato la fede nelle apparizioni. È vero il contrario.
Dopo avere esposto i fatti, il vescovo nominava una commissione avente il compito
di studiare il caso e di avviare il processo canonico. Tra i membri figuravano anche
il dott. Formigao e il dottor Marques dos Santos.
Nell'ottobre del 1926 la città di Leiria commemorava il settimo centenario della
morte del «Poverello» di Assisi. Alle celebrazioni partecipò anche il nunzio
apostolico, il quale, in seguito, accompagnato dal vescovo diocesano, fece visita al
monastero di Batalha e, quasi per mera coincidenza, al luogo delle apparizioni. Le
impressioni riportate e comunicate alla Santa Sede da monsignor Sebastiano
Nicotra forse non si conosceranno mai. Una cosa però è certa: neppure tre mesi
dopo, esattamente il 21 gennaio 1927, veniva concesso a Fatima il privilegio della
Messa votiva. Il 26 luglio dello stesso anno, cioè appena dieci anni dopo le
apparizioni, il vescovo diocesano presiedette per la prima volta ad un atto di culto
alla Cova da Iria, in occasione della erezione della Via Crucis lungo la strada di
Leiria, da Reguengo do Fetal al luogo delle apparizioni.
Prima ancora della visita del nunzio apostolico erano venuti a Fatima mons. Manuel
Mendes da Conceiçao Santos, arcivescovo di Evora, e mons. Manuel Vieira de
Matos, arcivescovo primate di Braga.
Poi, fu la volta di tutti i vescovi del Portogallo, delle isole e province ultramarine.
L'ultimo ad ammettere la realtà delle apparizioni fu mons. Domingos Frutuoso,
vescovo di Portalegre. Nel corso di un viaggio a Roma nel 1929, quando seppe che
anche colà era venerata la Madonna apparsa nella sua terra e che Pio XI aveva
distribuito immaginette della Madonna di Fatima agli alunni del Collegio
portoghese, le sue prevenzioni caddero. «Non voglio essere più cattolico del papa»
dichiarò. Nel marzo del 1931 organizzò un imponente pellegrinaggio e fu il primo a
officiare pontificalmente alla Cova da Iria.
Intanto la commissione incaricata di studiare il caso di Fatima aveva concluso i suoi
lavori, e Mons. José Alves Correia da Silva pubblicava, nell'ottobre del 1930, una
nuova lettera pastorale sulle apparizioni. Eccone le conclusioni:
In forza delle considerazioni esposte e di altre che abbiamo omesso per maggiore
brevità, invocando umilmente lo Spirito Santo e confidando nella protezione della
SS. Vergine, dopo aver udito i consultori di questa Diocesi, decidiamo:
1° Di dichiarare degne di fede le visioni dei pastorelli alla Cova da Iria, parrocchia
di Fatima, di questa diocesi, nei giorni 13, da maggio a ottobre 1917.
2° Di permettere ufficialmente il culto a Nostra Signora di Fatima. Queste semplici
parole furono sufficienti per far affluire alla Cova da Iria un numero sempre
crescente di pellegrinaggi che dovevano attirare sul Portogallo grazie singolari.
Il 12 e 13 maggio 193 I ha luogo il primo pellegrinaggio nazionale, presieduto dal
nunzio apostolico, con la partecipazione di tutto l'episcopato portoghese. Il
patriarca di Lisbona, card. Manuel Goncalves Cerejeira, consacra il Portogallo al
Cuore Immacolato di Maria, alla presenza di quasi mezzo milione di fedeli. Nel 1936
l'episcopato promette alla Madonna un secondo pellegrinaggio nazionale, qualora
voglia preservare il paese dal comunismo che sconvolge la vicina Spagna. Lo
scioglimento del voto avviene il 13 maggio 1938.
Il 13 ottobre 1939 segna una delle pagine più gloriose del nuovo santuario mariano.
Il cardinale patriarca di Lisbona presiede il «pellegrinaggio della pace», mentre
l'Europa è travolta nel turbine della guerra.
Seguono i festeggiamenti per il 25° anniversario delle apparizioni. La Gioventù
cattolica femminile, in occasione del secondo congresso nazionale, ottiene di far
portare a Lisbona, dall'8 al 12 aprile 1942, in un viaggio trionfale, la statua della
cappellina delle apparizioni. Il 13 maggio ha luogo un nuovo, imponentissimo,
pellegrinaggio nazionale alla Cova da Iria.
A coronamento dei festeggiamenti giubilari, Pio XII, il 31 ottobre, indirizza alla
nazione portoghese un radiomessaggio che si conclude con la consacrazione
dell'umanità al Cuore Immacolato di Maria.
«Venerabili Fratelli e diletti Figli.
Più volte in questo anno di grazia voi siete saliti in devoto pellegrinaggio alla
montagna santa di Fatima, e con voi avete recato i cuori di tutto il Portogallo
credente per deporre in quella oasi balsamica di fede e pietà, ai piedi della Vergine
patrona, il tributo filiale del vostro più puro amore, l'omaggio della vostra
riconoscenza per gli immensi benefici di recente ricevuti, la preghiera fiduciosa
perché Ella si degni di continuare il suo patrocinio sulla vostra Patria, di qua e di là
dal mare, e di estenderlo alla grande tribolazione che affligge il mondo.
Noi che, come Padre comune dei fedeli, facciamo Nostre le tristezze e le gioie dei
Nostri figli, con tutto l'affetto della Nostra anima ci uniamo a voi per lodare e
magnificare il Signore, datore di ogni bene; per benedire e ringraziare Colei, per le
cui mani la munificenza divina ci comunica torrenti di grazie.
E tanto più di buon grado lo facciamo in quanto voi, con filiale delicatezza, avete
voluto associare nelle medesime solennità eucaristiche e impetratorie il giubileo
della Madonna di Fatima e il venticinquesimo anniversario della Nostra
Consacrazione Episcopale: la SS. ma Vergine Maria e il Vicario di Cristo in terra,
due devozioni così care ai portoghesi e sempre unite nell'affetto del fedelissimo
Portogallo, fin dagli albori della sua vita nazionale, fin da quando le prime terre
riconquistate, nucleo della futura nazione, vennero consacrate alla Madre di Dio
come Terra di Santa Maria, e il regno, appena costituito, fu posto sotto l'egida di S.
Pietro.
«Il primo e più grande dovere dell'uomo è quello della gratitudine» (S. Ambrosii,
De excessu fratris sui Sat. I. I, n. 44 - Migne PL t. 16, col. 1361).« Nulla è così
accetto a Dio, come l'anima riconoscente, che rende grazie per i benefici ricevuti»
(cfr. S. Ioannis Chrys. Hom. 52 in Gen. - Migne PC t. 54, col. 460).
E voi avete un gran debito verso la Vergine, Signora e Patrona della vostra Patria.
In un'ora tragica di tenebre e di disorientamento allorché la nave dello Stato
portoghese, smarrita la rotta delle sue più gloriose tradizioni, sperduta nella
tormenta anticristiana e antinazionale, sembrava correre verso inevitabile
naufragio, inconscia dei pericoli presenti e più ancora inconsapevole di quelli futuri
- la cui gravità del resto nessuna prudenza umana, per quanto accorta, poteva allora
prevedere - il Cielo, che vedeva gli uni e prevedeva gli altri, intervenne pietoso, e
dalle tenebre scaturì la luce, dal caos emerse l'ordine, la tempesta si mutò in
bonaccia, e il Portogallo poté trovare e riannodare il perduto filo delle sue più belle
tradizioni di Nazione fedelissima, per proseguire - come nei giorni in cui «nella
piccola casa Lusitana non mancavano cristiani ardimenti» per «dilatare la legge
della vita eterna» (Camoes, Lusiadas, canto VII, ottave 3 e 14) - nel suo cammino
glorioso di popolo crociato e missionario.
Onore ai benemeriti, che furono strumento della Provvidenza per così grande
impresa!
Ma la gloria, benedizione, e azione di grazie è dovuta alla Vergine Nostra Signora,
Regina e Madre della Terra di S. Maria, che Ella mille volte salvò, che sempre
sorresse nelle ore tragiche, - e in quest'ora, forse la più tragica, così manifestamente
ha fatto - sicché già nel 1934 il Nostro Predecessore Pio XI di immortale memoria,
nella Lettera Apostolica Ex officiosis litteris, attestava «gli straordinari benefici con
cui la Vergine Madre di Dio si era degnata anche recentemente di favorire la vostra
Patria» (Acta Ap. Sedis, a. XXVI, I934, p. 628). E in quel momento non ancora si
pensava al Voto del Maggio del 1936 contro il pericolo rosso, tanto paurosamente
vicino e tanto insperatamente scongiurato. Non era peranco attuata la meravigliosa
pace di cui, nonostante tutto, il Portogallo al presente gode, e la quale, nonostante i
sacrifici che esige, è sempre immensamente meno rovinosa della guerra di
sterminio che va devastando il mondo.
Oggi in cui ai tanti benefici si sono aggiunti anche questi, e l'atmosfera di miracolo
che aleggia sul Portogallo si espande in prodigi materiali e in più grandi e più
numerosi prodigi di grazie e di conversioni, e fiorisce in una primavera splendente
di vita cattolica che promette i migliori frutti, oggi con ben più ragione dobbiamo
confessare che la Madre di Dio vi ha ricolmati di favori veramente straordinari; a
voi perciò incombe il sacro dovere di renderle incessante riconoscenza.
E voi avete ringraziato durante tutto quest'anno, ben lo sappiamo.
Al cielo devono essere stati accetti gli omaggi ufficiali; ma lo avranno ancor più
commosso i sacrifici dei pargoletti, la preghiera e la penitenza sincera degli umili.
Al vostro attivo sono scritte nel libro di Dio:
l'apoteosi della Vergine Nostra Signora nel viaggio dal Santuario di Fatima alla
Capitale dell'Impero, durante le memorande giornate dall'8 al 12 dell'aprile scorso,
forse la più grande dimostrazione di fede della storia otto volte secolare della vostra
Patria;
il pellegrinaggio nazionale del 13 maggio «giornata eroica del sacrificio» che,
nonostante il freddo, le piogge e le distanze enormi percorse a piedi, raccolse in
Fatima, per pregare, ringraziare, riparare, centinaia di migliaia di devoti, tra i quali
eccelle, rigoglioso di bellezza, l'esempio della balda Gioventù Portoghese;
le adunanze infantili della Crociata Eucaristica, nelle quali i fanciulli, così prediletti
da Gesù, con la fiducia filiale dell'innocenza, attestarono alla Madre di Dio di «aver
completamente ottemperato a quanto Ella aveva chiesto: preghiera, comunioni,
sacrifici ... a migliaia!» e perciò supplicavano: «Nostra Signora di Fatima, adesso e
solo con Voi; dite al vostro divino Figlio una sola parola e il mondo sarà salvo e il
Portogallo preservato completamente dal flagello della guerra»;
la preziosa corona, di oro e di gemme preziose, e, più ancora, di purissimo amore e
di generosi sacrifici, che il 13 del corrente mese avete offerto nel Santuario di
Fatima alla vostra augusta Patrona, come simbolo e monumento perenne di eterna
gratitudine 85. Queste e altre bellissime dimostrazioni di pietà, di cui, sotto le zelanti
direttive dell'Episcopato, vi è stata tanta ricchezza in tutte le diocesi e parrocchie nel
presente anno giubilare, dimostrano bene quanto il fedele popolo portoghese grato
riconosca l'immenso debito verso la celeste Regina e Madre, e come ad esso intenda
di soddisfare.
La gratitudine per il passato è pegno di fiducia per il futuro: «Dio esige da noi che lo
ringraziamo dei benefici ricevuti», non perché abbia bisogno dei nostri
ringraziamenti, ma «affinché questi lo inducano a concedercene altresì dei
maggiori» (cfr. S. Ioannis Chrys. Hom. 52 in Gen. - Migne PG t. 54, col. 460).
Pertanto è giusto sperare che anche la Madre di Dio, accettando il vostro
ringraziamento, non lascerà incompleta la sua opera e proseguirà ad accordarvi
quell'indefettibile patrocinio sino ad ora elargitovi, liberandovi da più gravi
calamità.
Ma, affinché la speranza non sia presunzione, è necessario che tutti, consci delle
proprie responsabilità, procurino di non rendersi indegni del singolare favore della
Vergine Madre, anzi, da buoni figliuoli, riconoscenti e affettuosi, meritino sempre
più la sua squisita tenerezza. Bisogna che, accogliendo il consiglio materno che ella
dava alle nozze di Cana, noi facciamo tutto ciò che Gesù ci dice (cfr. Io. 2, 5): ed Egli
dice a tutti di far penitenza, poenitentiam agite (Mt. 4, 17); di mutare vita e fuggire
il peccato, causa principale dei grandi castighi con cui la Giustizia dell'Eterno
affligge il mondo; di essere, in mezzo a questo mondo materialista e paganizzante,
nel quale tutta la carne corruppe le sue vie (Gen. 6, 12), il sale che preserva e la luce
che illumina: di onorare con impegno la purezza; di rispecchiare nei costumi
l'austerità santa del Vangelo, e coraggiosamente e ad ogni costo, come proclamava
la Gioventù cattolica a Fatima, «di vivere come cattolici sinceri e convinti al cento
per cento!». E inoltre: pieni di Cristo, occorre diffondere intorno a sé, vicino e
lontano, l'odore di Cristo, e colla preghiera assidua, particolarmente con il Rosario
quotidiano, e con i sacrifici che lo zelo generoso ispira, procurare alle anime
peccatrici la vita della grazia e la vita eterna.
Invocherete quindi fiduciosamente il Signore ed Egli vi ascolterà; farete appello alla
Madre di Dio ed Ella vi risponderà: eccomi! (cfr. Is. 58, 9). Non vigilerà perciò
invano colui che difende la città, perché il Signore vigila con lui e la difenderà; e non
sarà mal sicura la casa ricostruita sulle fondamenta di un ordine nuovo, perché il
Signore la consoliderà (cfr. Ps. 126, 1-2). Beato il popolo il cui Signore è Iddio, e la
cui Regina è la Madre di Dio. Essa intercederà e Dio benedirà il suo popolo colla
pace, compendio di tutti i beni: Dominus benedicet populo suo in pace (Ps. 28, 11).
Ma voi non vi disinteressate (chi può estraniarsene?) dell'immensa tragedia che
travaglia il mondo. Anzi quanto più segnalati sono i vantaggi di cui oggi rendete
grazie alla Madonna di Fatima, quanto più sicura è la fiducia che in Lei riponete per
l'avvenire, quanto più vicina a voi la sentite mentre Ella vi protegge col suo manto di
luce, tanto più tragica appare, nel confronto, la sorte di tante nazioni sconvolte dalla
più grande calamità che la storia ricordi.
Grandiosa manifestazione della divina Giustizia! Adoriamola tremando; ma non
dubitiamo però della divina Misericordia, poiché il Padre, che sta nei cieli, non la
dimentica neppure nei giorni della sua ira: Cum iratus fueris, misericordiae
recordaberis (Hab. 3, 2). Oggi, al quarto anno di guerra sorto più tetro col sinistro
estendersi del conflitto, oggi più che mai ci resta soltanto la fiducia in Dio e, come
Mediatrice innanzi al trono divino, Colei che il Nostro Predecessore, nel primo
conflitto mondiale, ordinò di invocare quale Regina della pace.
Invochiamola ancora una volta, che solamente Ella può aiutarci! Maria, il cui Cuore
materno si commosse dinanzi alle rovine che si accumulavano nella vostra Patria e
sì meravigliosamente la soccorse; Maria, che, mossa a pietà nella previsione
dell'attuale immensa sventura, con la quale la Giustizia di Dio castiga il mondo, già
anticipatamente indicava nell'orazione e nella penitenza la strada della salvezza,
Maria non ci negherà il suo materno affetto e l'efficacia della sua protezione.
Regina del Santissimo Rosario, ausilio dei cristiani, rifugio del genere umano,
vincitrice di tutte le battaglie di Dio! supplici ci prostriamo al vostro trono, sicuri di
impetrare misericordia e di ricevere grazie e opportuno ausilio nelle presenti
calamità, non per i nostri meriti, dei quali non presumiamo, ma unicamente per
l'immensa bontà del vostro materno Cuore.
Vi commuovano tante rovine materiali e morali; tanti dolori, tante angosce di padri
e di madri, di sposi, di fratelli, di bimbi innocenti; tante vite in fiore stroncate; tanti
corpi lacerati nell'orrenda carneficina; tante anime torturate e agonizzanti, tante in
pericolo di perdersi eternamente!
Voi, o Madre di misericordia, impetrateci da Dio la pace! e anzitutto quelle grazie
che possono in un istante convertire i cuori umani, quelle grazie che preparano,
conciliano, assicurano la pace! Regina della pace, pregate per noi e date al mondo in
guerra la pace che i popoli sospirano, la pace nella verità, nella giustizia, nella carità
di Cristo. Dategli la pace delle armi e la pace delle anime, affinché nella tranquillità
dell'ordine si dilati il Regno di Dio.
Accordate la vostra protezione agli infedeli e a quanti giacciono ancora nelle ombre
della morte; concedete loro la pace e fate che sorga per essi il Sole della verità, e
possano, insieme a noi, innanzi all'unico Salvatore del mondo ripetere: Gloria a Dio
nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà (Lc 2, 14). Ai
popoli separati per l'errore o per la discordia, e segnatamente a coloro che
professano per Voi singolare devozione, e presso i quali non c'era casa ove non si
tenesse in onore la vostra veneranda icone (oggi forse occultata e riposta per giorni
migliori), date la pace e riconduceteli all'unico ovile di Cristo, sotto l'unico e vero
Pastore.
Ottenete pace e libertà alla Chiesa santa di Dio; arrestate il diluvio dilagante di
neopaganesimo, tutto materia; fomentate nei fedeli l'amore alla purezza, la pratica
della vita cristiana e lo zelo apostolico, affinché il popolo di quelli che servono Dio
aumenti in meriti e in numero.
Finalmente, siccome al Cuore del vostro Gesù furono consacrati la Chiesa e tutto il
genere umano, perché, riponendo in Lui ogni speranza, Egli fosse per loro segno e
pegno di vittoria e salvezza (cfr. Litt. Enc. Annum Sacrum: Acta Leonis XIII, vol.
19, pag. 79), così parimenti da oggi siano essi in perpetuo consacrati anche a Voi e al
Vostro Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo: affinché il vostro
amore e patrocinio affrettino il trionfo del Regno di Dio, e tutte le genti, pacificate
tra loro e con Dio, Vi proclamino beata, e con Voi intonino, da un'estremità all'altra
della terra, l'eterno Magnificat di gloria, amore, riconoscenza al Cuore di Gesti, nel
quale solo possono trovare la Verità, la Vita e la Pace» 86.
Capitolo quarantanovesimo
Rammentiamo con animo commosso
l'immensa moltitudine dei fedeli ...
(Giovanni XXIII)
In due altre memorabili occasioni Pio XII, quasi a sottolineare il carattere
universale del messaggio di Fatima, rivolse la sua parola alle moltitudini dei fedeli,
radunate in numero sempre più imponente nella Cova da Iria: il 13 maggio 1946 con
il radiomessaggio per l'incoronazione della statua delle apparizioni e il 13 ottobre
1951 per le celebrazioni di chiusura dell' Anno Santo.
Anche i successori di Pio XII vollero legare indissolubilmente il loro nome e la loro
pietà alla Madonna di Fatima.
Papa Giovanni XXIII, prima della elevazione al soglio pontificio, era stato a Fatima
nel 1956 per presiedere alle celebrazioni del 25° anniversario della consacrazione
del Portogallo al Cuore Immacolato di Maria. Da papa, ricordava con commossa
nostalgia lo spettacolo di cui era stato testimone. Il 24 ottobre 1962, rivolgendosi ad
un gruppo di oltre 800 pellegrini portoghesi, si esprimeva in questi termini:
«La vostra presenza Ci riporta col pensiero al 13 maggio 1956. L'amabile invito del
Vescovo di Leiria Ci volle allora a Fatima per una di quelle celebrazioni popolari,
che sono l'incanto degli occhi e l'edificazione dello spirito. Rammentiamo con
animo commosso l'immensa moltitudine dei fedeli radunati nella Cova da Iria, per
la ricorrenza del venticinquesimo anniversario della consacrazione del Portogallo al
Cuore Immacolato di Maria. Fu quello il Nostro primo incontro con la vostra terra
ospitale, con le buone popolazioni, in cui germina in profonda radice la genuina
fedeltà alla vita cristiana e alla Chiesa.
Durante la Messa cantata, rivolgemmo la parola ai convenuti, iniziando con un
complimento cordiale, che piace richiamare oggi:
Conoscevo il Portogallo - dicemmo dunque sei anni or sono ­ come terra gloriosa
di navigatori, di conquistatori, di missionari, di santi eccezionali. Non pensavo ad
altro. Ora mi si rivela come terra misteriosa, dischiusa ad un apostolato nuovo da
farmi restare stupito, per il forte richiamo che esso contiene ai principii eterni del
Vangelo, da Cristo annunziati, verbo et exemplo, a tutto il mondo, ma affidati con
netta e più distinta attenzione ai piccoli, agli innocenti, ai poveri» 87.
Ed ecco, nel seguito del primo discorso, come i fatti di Fatima sono rivissuti
dall'animo evangelico del cardo Roncalli:
«Il mistero di Fatima è comparabile a uno dei più grandi trittici che
impreziosiscono le nostre chiese più antiche.
Sull'interno del primo battente le tre apparizioni dell'Angelo del Portogallo ai tre
fanciulletti di Aljustrel. Sul grande quadro di mezzo le sei apparizioni della Celeste
Signora della Cova da Iria. Sul terzo battente quanto seguì alle misteriose visioni:
cioè il movimento spirituale che da questa provincia d'Estremadura si è sollevato e
dilatato non solo in Portogallo, ma in tutta l'Europa e nel mondo intero.
Il primo, dunque, che appare e che familiarizza coi tre cuginetti Lucia dos Santos,
Francesco Marto e la sorellina di lui, Giacinta, è l'Angelo del Portogallo. È proprio
lui che mi di scopre un nuovo orizzonte di prodigiosa elevazione spirituale, sopra
quelle umili teste, al tocco della sua dolce parola, che preannuncia qualche cosa
d'insolito e di divino, come il vento precorritore di una nuova Pentecoste del cui
celeste effluvio cominciamo ora a misurare tutta la portata e le misteriose ricchezze.
"Io sono l'Angelo del Portogallo, io sono l'Angelo di pace; pregate insieme con me".
Così egli dice. E ciascuno dei tre, uniti all'Angelo, prega così: "Mio Dio, io credo, io
spero, io vi amo. Perdonate ad altri che non credono, non sperano, non amano". Ed
ecco subito la prima insinuazione: "I Cuori santissimi di Gesù e di Maria ascoltano
con attenzione le vostre suppliche".
Qualche mese dopo quell'Angelo torna e parla più chiaro ancora, più aperto e più
diffuso. Dice subito: "Pregate molto. I Santissimi Cuori di Gesù e di Maria hanno
disegni di misericordia sopra di voi. Occorrono preghiere e sacrifici per la pace del
mondo, a conversione dei peccatori; per attirare la pace sulla patria e per la fortezza
nel sostenere le persecuzioni future che vi raggiungeranno".
Ancora pochi mesi. L'Angelo del Portogallo, eccolo una terza volta. I pastorelli
hanno condotto il loro gregge a un piano erboso e si sono ritirati in una piccola
grotta nel folto degli alberi per dire il Rosario e la preghiera che l'Angelo aveva loro
suggerita. Questi ricompare dunque, ma in abito anche più splendente. Egli tiene in
mano un calice e un'ostia da cui stillano nel calice gocce di sangue. Oh, meraviglia!
ostia e calice sono librati in aria. L'Angelo s'inginocchia e invita i bambini a pregare
con lui: "O Trinità, Padre, Figliolo e Spirito Santo. Vi adoro profondamente e vi
offro corpo, sangue, anima e divinità di Gesti presente in tutti i tabernacoli del
mondo. Ve li offro in riparazione degli oltraggi da cui egli è offeso. Per i meriti
infiniti del suo Cuore santissimo e per l'intercessione del Cuore Immacolato di
Maria, vi domando la conversione dei peccatori".
Detto questo da tutti insieme, l'Angelo porge l'ostia a Lucia, il calice a Francesco e a
Giacinta dicendo: "Prendete il Corpo e il Sangue di Gesù orribilmente oltraggiato
dagli uomini ingrati. Riparate i loro delitti e consolate il nostro Dio". E dispare.
Scendeva la notte. I tre pastorelli silenziosi e inteneriti ritornano alla loro povera
casetta, senza fare motto con alcuno, come trasognati, come dolcemente inebriati.
Queste tre visioni dell'Angelo non sono che un preludio su cui si svolgeranno le note
principali di tutto il mistico dramma di Fatima che doveva seguire.
Il dramma è noto. Tutto il mondo lo conosce. Le apparizioni della Madonna furono
sei.
Il 13 maggio 1917 la prima.
La bianca Signora, preceduta dal vento, apparve sul leccio tutta splendente. "Non
abbiate paura, figlioli. Io vengo dal cielo. Vi invito a trovarvi qui ogni mese il giorno
13. In ottobre vi dirò chi sono e cosa voglio da voi. Intanto dovete pregare,
prepararvi alle pene per la conversione dei peccatori e in ammenda per le offese
fatte al mio Immacolato Cuore".
Il 13 giugno raccomanda loro la recita del Rosario e che imparino a leggere e a
scrivere.
Per il 13 luglio qualche incertezza. Ma Giacinta, la più piccola, dice chiaramente
risolvendo ogni dubbio: "No, il demonio non può essere: il demonio è tanto brutto e
sta sottoterra". La celeste Signora rinnova le raccomandazioni quanto al Rosario da
recitarsi fedelmente con l'intenzione di affrettare "la fine della guerra che Lei sola
può ottenere".
Il 13 agosto le persone accorse sul posto, da 4 salgono a 15 o 20 mila; ma i pastorelli
non sono là. La persecuzione contro la Chiesa si accanisce contro di loro e li
impedisce. La folla però osserva i prodigi: un tuono, un lampo e una nuvoletta
vicino al piccolo leccio su cui l'apparizione era solita posarsi. Una settimana dopo, la
bella Signora, non già alla Cova, ma ai pascoli di Valinhos inaspettatamente appare
ai suoi prediletti, li conforta nella dura prova e li incoraggia a pregare sempre e a
confidare. "Fate sacrifici per i peccatori: molte anime vanno all'inferno perché non
c'è chi si sacrifichi e preghi per loro". Il 13 settembre sempre molta gente alla Cova.
Tutti vedono un globo luminoso che scende e sale verso il cielo: l'apparizione della
celeste Signora avviene. Ella si intrattiene come al solito una diecina di minuti,
annuncia che tornerà in ottobre, non sola, ma in compagnia di Gesù e di Giuseppe.
"Intanto, dice, si può spendere il denaro che parecchi hanno offerto, per costruire
sul luogo una cappella".
Il 13 ottobre, alba tetra e brumosa; una folla sterminata muove alla Cova da Iria:
credenti e miscredenti, pellegrini e curiosi, venuti da ogni parte del Portogallo.
Lucia, la meno piccola dei tre, prende tono di superiorità, fa chiudere gli ombrelli e
invita a cominciare il Rosario. A mezzodì in punto il leccio si illumina: l'apparizione
è là. I tre veggenti la scorgono più bella del solito. Tutta la folla vede una nuvola
bianca che si muove intorno al gruppo. Alla domanda di Lucia, la bella e dolce
Signora risponde: "Sono la Madonna del Rosario, e qui voglio una Cappella in mio
onore". Come altre volte, promette le grazie anche di ordine materiale chiestele per
varie persone, e conclude le sue insistenze sulla preghiera per i peccatori perché si
convertano e cessino di offendere Cristo nostro Signore.
Poi scompare lentamente: le mani aperte si riflettono nel sole ed avviene il grande
prodigio. Lucia, al gesto della Madonna, grida istintivamente: "Guardate il sole". E
tutti guardano: sono 60 o 70 mila persone che costatano il fenomeno. Attraverso le
nubi squarciate il disco solare risplende senza barbaglio, come ruota brunita,
irradiata da riflessi perlacei, e gira su se stesso vorticosamente e verticalmente,
diffondendo per tutto il cielo, come fascinosa girandola, raggi di tutte le sfumature:
rossi, verdi, gialli, indaco, violetti, tre volte arrestandosi e tre volte riprendendo con
velocità travolgente. Pare ad un tratto che il globo dardeggiante si stacchi dal
firmamento e vertiginosamente precipiti serpeggiando sulla terra. Tutta la folla è in
ginocchio gridando atterrita: "Mio Dio, misericordia".
I tre pastorelli invece vedono nel sole la Sacra Famiglia: Maria con san Giuseppe e
Gesù Bambino in atto di benedire la folla. Lucia da sola vede in proiezioni luminose
nostro Signore e poi la Vergine in atteggiamento di Addolorata e di Madonna del
Carmine.
Non è questa l'ora né la circostanza per penetrare e studiare - il che umilmente e
piana mente è ben permesso - i tre grandi segreti di Fatima confidati ai veggenti. È
giusto rispettarne il recondito mistero. Ciò che sta innanzi ai nostri occhi però:
questo tempio magnifico: questi monumenti della carità in forme antiche e nuove
che lo avvolgono, queste folle innumeri di pellegrini che dalle vie della terra,
dell'aria e del mare affluiscono qui ormai da ogni punto del globo: questi miracoli e
fatti inspiegabili dalla scienza umana che si moltiplicano, soprattutto miracoli
d'ordine spirituale, cioè anime innumerevoli che si arrestano sulle vie nefaste
conducenti all'inferno e si rivolgono a più giusta direzione, ad incremento di fede e
di pietà religiosa: tutto questo spettacolo pone un'altra volta il mondo moderno in
faccia ad uno di quegli incontri fra il cielo e la terra, fra lo spirito e la carne, fra il
Vangelo e le umane concupiscenze su cui splende la luce sovrana di Gesù Salvatore,
la luce amabile della Madre sua divina e Madre nostra.
Oh Maria, refugium peccatorum; oh Maria, consolatrix afflictorum; oh Maria,
auxilium christianorum: queste invocazioni hanno caratterizzato epoche
straordinarie della storia.
Grande, dolce mistero è questo della familiarità di Gesti con la umana natura e con
le anime che Egli redense per il sangue suo. Gesù resta con noi anche sulla terra;
nascoste le sue forme sensibili e umane nel Sacramento Eucaristico dove pur è
presente il Cuore suo, nel mistico contatto fa palpitare il nostro. I veli del pane e del
vino non gli permettono di mostrarci la sua faccia sino al giorno del solenne giudizio
estremo, che sarà di eterna e gioiosa benedizione per i giusti e per i santi rimastigli
fedeli: che sarà invece di condanna eterna dei peccatori inescusabili.
Ma nell'atto di morire, Gesù lasciando a noi in testamento di ineffabile fraternità la
stessa Madre sua, si direbbe che volle concedere a lei di visitarci anche
sensibilmente a titolo di speciale condiscendenza, or qua or là, apparendo nelle
muliebri e materne fattezze sue. Questo determina il fondamento, così rispettabile e
interessante delle apparizioni di lei, nella storia della Chiesa e in vari punti del
mondo. Sì: ci furono anche visite di Gesù sotto forma umana, per esempio a santa
Geltrude, a santa Brigida, a san Lorenzo Giustiniani, a sant'Antonio da Lisbona, a
santa Caterina da Siena, a san Francesco d'Assisi, ecc. Ma quelle di Maria, Madre
sua e Madre nostra, sono senza numero, sono dappertutto e innanzi alle folle. La
varietà delle forme nulla toglie alla identità della persona di lei che si compiace
manifestarsi assumendo le fattezze dei figli suoi, oggetto del suo materno amore
dovunque. Maria è sempre la stessa Madre di Gesù e Madre nostra raffigurata nelle
catacombe, come nelle successive epoche storiche attraverso l'ispirazione ed il vario
genio dell'arte di tutti i secoli. Più rilevante è il fenomeno delle apparizioni da
documenti e da monumenti, dalle antiche età sino alle più recenti; sino a Lourdes,
sino a Fatima.
Tutto vi è grande, delicato, toccante. Ad ogni apparizione direbbesi confidato un
compito speciale, secondo la varietà delle circostanze, talora liete, sovente meste e
dolorose. Nella storia di queste apparizioni, pressoché dappertutto, il reale si
intreccia col mistico e con l'allegorico. E quando il mistero di Fatima sarà
completamente svelato, non sono lontano dal credere che appariranno in più chiara
evidenza i diversi rivoli fatti più lucenti al sole, che hanno poi confluito al grande
avvenimento di storica importanza e significazione; quale fu la consacrazione
solenne di tutta la nazione Portoghese - 13 maggio 1931 - alla Madonna di Fatima di
cui oggi festeggiamo il XXV anniversario. Seguirono a quell'avvenimento
memorabile manifestazioni sempre più solenni durante questi ultimi venticinque
anni: principale la incoronazione della statua nel I946, quando il Santo Padre
stesso, con commovente messaggio radiofonico, come rapito anche lui da una
visione apocalittica, riconosceva ormai, attestava, proclamava la proiezione
mondiale di Fatima, preannunziando altri trionfi di una regalità per grazia, per
parentela divina, per conquista, per singolare elezione per Gesù, con Gesù,
subordinatamente a Gesù, e assicurata da Maria, l'augusta Madre sua.
Il presagio è oggi ormai compiuto. La "Cova da Iria" resta sorgente inesausta di
grazie e di prodigi che a torrenti si riversano su tutto il Portogallo e di là si
espandono sulla Chiesa universale e sul mondo.
Dalla successione di questi avvenimenti è balzato come fiore, il più bello di tutti i
fiori di cui si intesse la corona del Rosario dei tre fanciulli di Aljustrel, la devozione
al Cuore Immacolato di Maria, divenuta pili penetrante o meglio intesa, il cui
richiamo ritorna così frequentemente nella parola dell'Angelo protettore del
Portogallo, nello stesso senso che nei pensieri ed ordinamenti dei grandi pastori
della Chiesa Pio VII, Pio IX, Pio XI e Pio XII.
Nella santa Chiesa tutto si compone e col tempo prende ordine e bellezza. I due
quadri dell'umile chiesa del mio villaggio nativo "Sacro Cuore di Gesù e Sacro Cuore
di Maria" si intonano alla perfezione benché in diversa gradazione e colorazione di
luce. Innanzi al Sacro Cuore di Gesù noi ripetiamo commossi ed esultanti:
Tu solus Dominus, tu solus sanctus, tu solus altissimus, Jesu Christe. Innanzi al
Cuore Immacolato di Maria noi continuiamo a dire, come nel Rosario vespertino:
Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus.
Niente di nuovo nella Chiesa dal punto di vista teologico ed ascetico. Ma ciò che è
antico si rinnovella di nuove chiarezze, di nuovi fascini per attirare le anime alla
contrizione dei peccati ed al perdono di Dio, che purifica e sana i popoli e fa loro
pregustare le ricchezze del regno di Dio.
Oh Madonna di Fatima, come ancora una volta ti ringrazio di avermi fatto invitare a
questo convito di misericordia e di amore. Qui, al rezzo soave del vento che
preannunciava il tuo ritorno del mezzo di sul leccio, che fu la cattedra del tuo
insegnamento e il trono delle tue grazie, tu mi fai sentire tutta la dolcezza delle
beatitudini che il Figliolo tuo benedetto annunciò dalla montagna al mondo intero:
Beati i poveri, i piccoli, i pacifici, i puri, i pazienti, gli ansiosi della giustizia, gli
amanti del sacrificio» 88.
Capitolo cinquantesimo
Ricorriamo ancora a colei
che ha mostrato il suo materno
volto dolce e luminoso
(Paolo VI)
Il 13 maggio 1967 il Sommo Pontefice Paolo VI compì un pellegrinaggio alla Cova da
Iria, in commemorazione del cinquantesimo anniversario della prima apparizione ai
tre pastorelli. Un milione di pellegrini stretti attorno a lui compresero, al di sopra di
certe polemiche 89 il significato del viaggio, nella duplice finalità di omaggio alla
Madre di Dio e di impetrazione di pace per la Chiesa e per il mondo. Del resto,
annunciando personalmente il pellegrinaggio, il papa era stato esplicito:
«A Colei, che per l'incolumità del nostro mondo moderno ha ancora mostrato il suo
materno volto dolce e luminoso ai fanciulli, ai poveri, e ha raccomandato come
rimedi sovrani la preghiera e la penitenza, Noi ricorriamo. Questa è la ragione del
nostro pellegrinaggio» . 90
A Fatima, il papa volle accanto a sé Suor Maria Lucia del Cuore Immacolato e la
presentò alla folla.
La presenza di Paolo VI nei luoghi santificati da un atto di misericordia della
Madonna durò soltanto poche ore. Tuttavia essa segnò una rispondenza grandiosa
di fervore nella moltitudine dei fedeli intervenuti, ma soprattutto un prezioso
insegnamento per più acceso fervore di vita cristiana e per conseguire dal Signore con l'intercessione di Maria - la pace nelle anime, nelle famiglie, nelle nazioni, in
tutta la società umana.
Significativamente legata al pellegrinaggio pontificio è l'esortazione apostolica
Signum magnum sul culto mariano, recante la data augurale del 13 maggio. Essa
termina con l'invito a rinnovare personalmente la consacrazione della Chiesa e del
genere umano al Cuore Immacolato di Maria, «ed a vivere questo nobilissimo atto
di culto con una vita sempre più conforme alla Divina Volontà, in uno spirito di
filiale servizio e di devota imitazione della celeste Regina» 91.
A conclusione di questo libro ci piace riportare il testo integro dell'omelia
pronunciata dal papa a Fatima, in portoghese, durante la celebrazione della Messa:
«Tanto è il Nostro desiderio di onorare la SS.ma Vergine Maria, Madre di Cristo, e
perciò Madre di Dio e Madre nostra, tanta è la Nostra fiducia nella sua benevolenza
verso la santa Chiesa e verso il Nostro apostolico ufficio, tanto è il Nostro bisogno
della sua intercessione presso Cristo, suo Figlio divino, che Noi siamo venuti umili e
fidenti pellegrini a questo Santuario benedetto, dove si celebra oggi il 50° delle
apparizioni di Fatima e dove si commemora il 25° della consacrazione del mondo al
Cuore Immacolato di Maria.
E siamo lieti d'incontrarCi con voi, Fratelli e Figli carissimi, e di associarvi tutti alla
professione della Nostra devozione a Maria Ss.ma e alla Nostra preghiera, affinché
più manifesta e più filiale sia la comune venerazione, e più viva e più accetta sia la
Nostra invocazione.
Noi vi salutiamo, Fratelli e Figli qui presenti, voi specialmente cittadini di questa
illustre Nazione, che nella sua lunga storia ha dato alla Chiesa Uomini santi e grandi
e un Popolo operoso e credente; voi salutiamo, pellegrini venuti da queste regioni e
venuti da lontano; e voi fedeli della santa Chiesa cattolica, che da Roma, dalle vostre
terre e dalle vostre case, sparse in tutto il mondo, siete ora spiritualmente rivolti a
questo altare, tutti, tutti vi salutiamo. Noi celebriamo ora con voi e per voi la Santa
Messa, e insieme ci componiamo come figli d'una stessa famiglia vicino alla Madre
celeste per essere ammessi, nella celebrazione del Santo Sacrificio, a più stretta e
salutare comunione con Cristo nostro Signore e nostro Salvatore.
Nessuno Noi vogliamo escludere da questo spirituale ricordo, perché tutti vogliamo
partecipi delle grazie, che qui ora impetriamo dal Cielo: vi portiamo nel cuore, voi,
Fratelli nell'Episcopato, voi, Sacerdoti, e voi, Religiosi e Religiose, che a Cristo siete
consacrati con amore totale; voi Famiglie cristiane, abbiamo presenti; voi, Laici
carissimi, che volete collaborare col Clero per l'incremento del regno di Dio; voi,
giovani e fanciulli, che vorremmo avere tutti a Noi d'intorno; e voi tutti che siete
tribolati e affaticati, voi malati e piangenti, che certamente ricordate come Cristo a
Sé vi chiami per farvi soci della sua Passione redentrice e per consolarvi. Il Nostro
sguardo si spinge anche a tutti i Cristiani non cattolici, ma fratelli nostri nel
battesimo, per i quali la Nostra memoria è speranza di perfetta comunione
nell'unità voluta dal Signore Gesù. E si allarga a tutto il mondo: Noi non vogliamo
che la Nostra carità abbia confine, e in questo momento la estendiamo alla intera
umanità, a tutti i Governanti e a tutti i Popoli della terra.
Voi sapete quali siano le Nostre intenzioni speciali, che vogliono caratterizzare
questo pellegrinaggio. Qui le ricordiamo, affinché diano voce alla Nostra preghiera e
siano lume a quanti Ci ascoltano.
La prima intenzione è la Chiesa: la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica.
Vogliamo pregare, abbiamo detto, per la sua pace interiore. Il Concilio Ecumenico
ha risvegliato molte energie nel seno della Chiesa, ha aperto più ampie visioni nel
campo della sua dottrina, ha chiamato tutti i suoi figli a più chiara coscienza, a più
intima collaborazione, a più alacre apostolato. A Noi preme che tanto beneficio e
tale rinnovamento si conservino e si accrescano. Quale danno sarebbe se
un'interpretazione arbitraria e non autorizzata dal magistero della Chiesa facesse di
questo risveglio una inquietudine dissolvitrice della sua tradizionale e costituzionale
compagine, sostituisse alla teologia dei veri e grandi maestri ideologie nuove e
particolari, intese a togliere dalla norma della fede quanto il pensiero moderno,
privo spesso di luce razionale, non comprende o non gradisce, e mutasse l'ansia
apostolica della carità redentrice nell'acquiescenza alle forme negative della
mentalità profana e del costume mondano! Quale delusione sarebbe il nostro sforzo
di avvicinamento universale se non offrisse ai Fratelli cristiani, tuttora da noi divisi,
e all'umanità priva della nostra fede, nella sua schietta autenticità e nella sua
originale bellezza il patrimonio di verità e di carità, di cui la Chiesa è depositaria e
dispensatrice!
Noi vogliamo chiedere a Maria una Chiesa viva, una Chiesa vera, una Chiesa unita,
una Chiesa santa. Noi ora con voi vogliamo pregare, affinché le speranze e le
energie, suscitate dal Concilio, abbiano a maturare in larghissima misura i frutti di
quello Spirito Santo, di cui domani, Pentecoste, la Chiesa celebra la festa, e da cui
proviene la vera vita cristiana; i frutti enumerati dall'Apostolo Paolo: «la carità, il
gaudio, la pace, la longanimità, la benignità, la bontà, la fedeltà, la mitezza, la
temperanza» (Gal. 5,22). Noi vogliamo pregare affinché il culto di Dio ancora e
sempre primeggi nel mondo, e la sua legge informi la coscienza ed il costume
dell'uomo moderno. La fede in Dio è la luce suprema dell'umanità; e questa luce
non solo non deve spegnersi nel cuore degli uomini, ma deve piuttosto ravvivarsi
per lo stimolo che le viene dalla scienza e dal progresso.
Questo pensiero, che anima e agita la Nostra preghiera, porta in questo momento il
Nostro ricordo a quei paesi nei quali la libertà religiosa è praticamente oppressa, e
dove la negazione di Dio è promossa quasi essa rappresenti la verità dei tempi nuovi
e la liberazione dei popoli, mentre così non è. Noi preghiamo per tali paesi; Noi
preghiamo per i fratelli credenti di quelle nazioni, affinché l'intima forza di Dio li
sostenga e la vera e civile libertà sia loro concessa.
E così la seconda intenzione del Nostro pellegrinaggio riempie l'animo Nostro: il
mondo, la pace del mondo.
Voi sapete come la coscienza della missione della Chiesa nel mondo, una missione
di amore e di servizio, sia oggi, dopo il Concilio, resa assai vigilante ed operante. Voi
sapete come il mondo sia in una fase di grande trasformazione a causa del suo
enorme e meraviglioso progresso nella conoscenza e nella conquista delle ricchezze
della terra e dell'universo. Ma sapete e vedete come il mondo non è felice, non è
tranquillo; e la prima causa di questa sua inquietudine è la difficoltà alla concordia,
la difficoltà alla pace. Tutto sembra spingere il mondo alla fratellanza, all'unità; ed
invece in seno all'umanità scoppiano ancora, e tremendi, continui conflitti. Due
motivi principali rendono perciò grave questa situazione storica dell'umanità: essa è
carica di armi terribilmente micidiali; ed essa non è moralmente così progredita
come lo è nel campo scientifico e tecnico. Per di più, molta parte dell'umanità è
tuttora in stato d'indigenza e di fame, mentre si è svegliata in essa la inquieta
consapevolezza dei suoi bisogni e dell'altrui benessere. Perciò, Noi diciamo, il
mondo è in pericolo. Perciò Noi siamo venuti ai piedi della Regina della pace a
domandarLe come dono, che ,solo Dio può dare, la pace.
È la pace, sì, un dono di Dio, che suppone l'intervento d'una sua azione,
estremamente buona, misericordiosa e misteriosa. Ma non è sempre un dono
miracoloso; è un dono che compie i suoi prodigi nel segreto dei cuori degli uomini;
un dono perciò che ha bisogno d'una libera accettazione e d'una libera
collaborazione. E allora la Nostra preghiera, dopo d'èssersi rivolta al Cielo, si rivolge
agli uomini di tutto il mondo: Uomini, Noi diciamo in questo singolare momento,
uomini, procurate d'essere degni del dono divino della pace. Uomini, siate uomini.
Uomini, siate buoni, siate saggi, siate aperti alla considerazione del bene totale del
mondo. Uomini, siate magnanimi. Uomini, sappiate vedere il vostro prestigio e il
vostro interesse, non contrari, ma solidali col prestigio e con l'interesse altrui.
Uomini, non pensate a progetti di distruzione e di morte, di rivoluzione e di
sopraffazione; pensate a progetti di comune conforto e di solidale collaborazione.
Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest'ora, che può essere decisiva
per la storia della presente e della futura generazione; e ricominciate ad avvicinarvi
gli uni agli altri con pensieri di costruire un mondo nuovo; sì, il mondo degli uomini
veri, il quale non potrà mai essere tale senza il sole di Dio sul suo orizzonte. Uomini,
ascoltate mediante l'umile e tremante voce Nostra, l'eco sonante della Parola di
Cristo: "Beati i mansueti, perché possiederanno la terra; beati i pacifici, perché
saranno chiamati figli di Dio"!
Vedete, Figli e Fratelli che qui Ci ascoltate, come il quadro del mondo e dei suoi
destini qui si presenta immenso e drammatico. È il quadro che la Madonna ci apre
davanti, il quadro che contempliamo con occhi esterrefatti, ma sempre fidenti; il
quadro al quale ci appresseremo sempre - e ne facciamo promessa - seguendo il
monito che la Madonna stessa ci ha dato: quello della preghiera e della penitenza; e
voglia perciò Iddio che questo quadro del mondo non abbia mai più a registrare
lotte, tragedie e catastrofi; ma le conquiste dell'amore e le vittorie della pace!» 92
APPENDICE
1. Una conversazione con Lucia
Nel febbraio del 1946 il P.H. Jongen, monfortano olandese, ebbe una interessante
conversazione con Suor Lucia Maria das Dores, allora religiosa dorotea a Tuy, in
Spagna, allo scopo di chiarire alcuni dubbi e problemi, sollevati specialmente
dall'opuscolo del P. E. Dhanis 93. Le precisazioni fornite dall'unica veggente
superstite furono riprodotte in una serie di articoli 94 dai quali stralciamo i punti più
interessanti.
L’apparizione dell'Angelo
- Sorella, è certa, assolutamente certa che l'Angelo le sia realmente apparso?
- Io lo vidi.
Pronunciò queste parole con la calma, con la tranquillità, con la sicurezza di uno che
dicesse di aver visto il sorgere o il tramontare del sole ...
- Ciò che trattiene molte persone dal credere alle apparizioni dell'Angelo nel 1916 è
il silenzio assoluto dei tre veggenti su questo argomento.
- Non è vero che non abbiamo parlato con alcuno di queste apparizioni.
- A chi dunque le comunicaste?
- In primo luogo all'Arciprete di Olival. Egli godeva di tutta la mia confidenza e non
gli nascosi nulla. Ma mi raccomandò che non ne facessi parola ad alcuno.
- La seguiste questa raccomandazione?
- Sì. In seguito ne parlai soltanto con il Vescovo di Leiria.
- E che le disse il Vescovo?
- Mi comandò di conservare il segreto.
- Perché non parlò a nessuno dell' Angelo al tempo delle apparizioni?
- Io e le altre bambine avemmo un'apparizione alquanto vaga dell'Angelo nel 1915.
Allora Francesco e Giacinta non venivano ancora con me al pascolo ed io non avevo
ancora parlato a nessuno di questo fatto meraviglioso, ma lo avevano divulgato le
altre. Per questo la gente cominciò a prenderci in giro. Era una lezione per me.
Quando l'Angelo ci apparve nel 1916, non l'avevo ancora dimenticata e quindi, dopo
le apparizioni dell'Angelo al Cabeço, risolvemmo di non farne cenno a nessuno.
- È naturale. Ma questo Padre Gesuita 95, non riesce a spiegarsi come tre bambini
abbiano potuto nascondere completamente, per lunghi anni, dei fatti così
straordinari.
- Se questo Padre - rispose sorridendo Suor Lucia - avesse vissuto quello che
abbiamo vissuto noi, comprenderebbe.
- Che vorrebbe dire?
- Dopo che Giacinta ebbe parlato della prima apparizione della SS. Vergine, ci
importunarono senza fine con minuziose interrogazioni e mettendo in ridicolo tutto
quello che dicevamo. Fu allora che prendemmo questa risoluzione: quando ci
interrogheranno ancora: «Avete visto la Madonna?», risponderemo: «Sì». E se
insisteranno: «Che cosa vi ha detto?», risponderemo ancora:
«Che si reciti il Rosario». Ma sopra tutto il resto faremo silenzio. Lucia sorrise di
nuovo al ricordo di queste cose antiche.
- Questo spiega come tali apparizioni siano potute restar nascoste per molto tempo.
Ma perché poi tenerle segrete fino al 1936?
- L'Arciprete di Olival, il Vescovo di Leiria, le circostanze, tutto ci consigliava a
tacere. Non era questo forse motivo sufficiente per conservare il segreto, fino a che
il Vescovo mi obbligò a parlare? - L'Angelo disse realmente: «Io vi offro la Divinità
di Gesù Cristo»?
- Esattamente.
- Alcuni dicono che questa sia un'innovazione nel linguaggio della Chiesa. Per
costoro voi dovete esservi ingannati su questo punto.
- Forse fu l'Angelo che s'ingannò - disse la Suora sorridendo.
- Non è possibile che lei si sia ingannata? Non potrebbe aver dimenticato le precise
parole dell'Angelo?
- No, perché cominciammo a recitare le orazioni che l'Angelo ci aveva insegnato,
immediatamente dopo la sua apparizione.
- È sicura di tutto quello che scrive su Giacinta?
La risposta fu categorica:
- Sì.
- Ma il babbo di Francesco e di Giacinta mi disse che non notava alcuna differenza
tra i suoi figli e quelli degli altri!
- Che differenza poteva notare? Noi si continuava a giocare come gli altri.
Alcune «beate» ci dicevano: «Avete visto la Madonna e quindi non dovete più
giocare». Ma che potevamo fare se non giocare? Avremmo forse dovuto rimanere
immobili come la nostra Fondatrice sopra il suo altare? A noi non piaceva troppo
andare in chiesa.
- Che dice?
- Perché avevamo paura del Parroco.
- Non vi piaceva il Parroco?
- No.
- Come?
- Perché il Parroco diceva che noi eravamo bugiardi. Così pure evitavamo di
rimanere in casa perché i visitatori curiosi ci soffocavano di domande tutti i
momenti. Ecco perché preferivamo andare al Cabeço per pregare e giocare. Così i
nostri genitori non poterono notare alcun cambiamento nella nostra condotta e
neppure alcuna differenza dagli altri fanciulli.
- Nei suoi ricordi parla della pazienza di Giacinta durante la sua malattia, mentre il
dotto Preto, che la curò nell'ospedale di Ourém, mi disse che Giacinta non aveva più
pazienza delle altre bambine.
- Non so. Quando la vedevo era sempre allegra e piena di coraggio.
- Il medesimo dottore racconta che Giacinta reagiva vivamente
quando le cagionava qualche dolore.
- Ebbene? - rispose sorridendo Suor Lucia - Trova questo strano per una piccina ....
Il segreto dell’apparizione di luglio
- Quando ricevette il permesso dal Cielo (come osserva nelle sue memorie) di
rivelare il segreto?
- Nel 1927, qui a Tuy, nella cappella. Ma questo permesso non si estendeva alla terza
parte del segreto.
- Parlò di questo al suo confessore?
- Sì. Immediatamente.
- E che le disse?
- Mi ordinò di scrivere il segreto, eccettuata la terza parte. Penso che egli me l'abbia
restituito senza leggerlo. Poco dopo ebbi un altro confessore, il quale mi impose di
bruciare il manoscritto e poi di scriverlo di nuovo.
A questo punto i ricordi illuminarono Suor Lucia di un nuovo sorriso.
- Rincresce che il segreto non sia stato pubblicato prima della guerra, perché la
predizione avrebbe avuto molto più valore. Per qual motivo non lo fece conoscere
prima?
- Perché nessuno me lo richiese.
All'improvviso le venne un'idea.
- Quel Padre Gesuita potrebbe scrivere ai miei confessori e chiedere ciò che avevo
loro detto nel 1927; erano i Padri José da Silva Aparicio e José Bernardo Gonçalves.
- A chi inoltre rivelò il segreto prima della guerra?
- Alla Superiora provinciale, al Vescovo di Leiria ed al dott. Galamba.
- Volle limitarsi, rivelando il segreto, a dare il senso di quello che la SS. Vergine le
disse, oppure citò le sue parole alla lettera? - Quando parlo delle apparizioni mi
limito al significato delle parole. Quando scrivo, invece, faccio attenzione a citarle
letteralmente. Per questo volli scrivere il segreto parola per parola.
- È certa di aver conservato tutto a memoria?
- Penso di sì.
- Le parole del segreto furono pertanto rivelate secondo l'ordine in cui le furono
comunicate?
- Sì.
- La Vergine Santissima pronunciò realmente il nome di Pio XI?
- Sì. Ma noi allora non sapevamo se fosse un papa o un re. Però la Vergine santa
parlò di Pio XI.
- Ma la guerra non cominciò sotto Pio XII?
- Fu l'annessione dell'Austria che vi diede occasione. Quando fu firmato l'accordo di
Monaco, le Sorelle giubilavano perché la pace era salva, ma io, purtroppo, ne sapevo
assai più di loro.
- Ma quel Padre Gesuita fa notare che l'occasione di una guerra non è la stessa cosa
che il suo inizio.
Quest'osservazione non fece nessuna impressione su Lucia.
Si passò poi a parlare della «luce misteriosa» della quale tratta il segreto.
- Gli astronomi dicono che era una volgare aurora boreale. Perché dunque lei scrisse
in una delle sue narrazioni: «Non so, ma mi pare che, se esaminassero bene la cosa,
riconoscerebbero come, date le circostanze nelle quali si manifestò questa luce, non
era né poteva essere un'aurora boreale?». Perché disse ciò?
- Perché penso sia così.
- Secondo il testo del segreto, la SS. Vergine avrebbe detto:
«Allora io verrò a chiedere ... ». Ma venne realmente a chiedere?
- Sì.
- Quando?
- Nel 1925. Il 10 dicembre di quell'anno la Madonna mi apparve con il Bambino
Gesù. - Dove?
- Nella mia stanza.
- E che le disse la Vergine?
- Mi disse: «Guarda, figlia mia, il mio Cuore circondato di spine, con cui gli uomini
mi trafiggono ad ogni istante per mezzo delle loro bestemmie ed ingratitudini. Tu
almeno cerca di consolarmi con la pratica dei primi sabati del mese».
- Fu notato che Nostro Signore chiese quasi negli stessi termini la devozione per il
suo Sacro Cuore a S. Margherita Maria Alacoque. Si direbbe una reminiscenza di
Paray-le-Monial.
La Suora rise. Ed il suo sorriso rivelava il candore e l'innocenza di una fanciulla.
- Posso forse io prescrivere alla SS. Vergine il modo di esprimersi?
- La SS. Vergine le chiese di propagare la devozione dei primi sabati?
- No, ma che la pubblicassi.
- Insistette subito presso il Vescovo di Leiria perché realizzasse il desiderio della SS.
Vergine riguardo ai primi sabati?
- Sì.
- Perché? La SS. Vergine le apparve forse di nuovo?
- No. Ma io soffrivo non vedendo soddisfatto il desiderio della Madonna.
- Non disse nulla ad alcuno dei primi sabati del mese?
- Ebbi cura di propagare questa pratica attorno a me, senza peraltro lasciar
trapelare nulla sull'apparizione della Madonna e sul segreto. 96
- La SS. Vergine, in un'apparizione del 1925, parlò forse anche della consacrazione
della Russia al suo Cuore Immacolato?
- No.
- Quando dunque venne a chiedere questa consacrazione?
- Nel 1929.
- Dove ebbe luogo questa apparizione?
- A Tuy, nella cappella.
- Che cosa le domandò la SS. Vergine?
- Chiese la consacrazione della Russia al Cuore Immacolato di Maria per mezzo del
Papa, in unione con tutti i Vescovi della terra.
- Non parlò della consacrazione del mondo?
- No.
- Fece ella conoscere al Vescovo di Leiria il desiderio della Santissima Vergine?
- Sì.
- Suor Lucia, chiese Lei fin dal 1925 che il Santo Padre consacrasse il mondo, o
soltanto la Russia?
- Fin dal 1925 chiesi che si propagasse la comunione riparatrice con la confessione,
la recita del rosario ed un quarto d'ora di meditazione nei cinque primi sabati di
cinque mesi consecutivi. Per riuscire a realizzare questo desiderio della Madonna,
chiesi il permesso al confessore, allora D. Lino, ed alla Madre Superiora, D. Maria
das Dores Magalhaes. Per ordine della Madre Superiora scrissi al confessore, Mons.
Pereira Lopes, che era appena andato via da Porto. E siccome egli non rispose, per
ordine della Madre Superiora manifestai il desiderio della Vergine ad un Padre
Gesuita, il P. Francisco Rodriguez, allora residente a Pontevedra e attualmente alla
rivista Brotéria a Lisbona. Nel 1926, essendo venuto a Tuy il mio precedente
confessore, P. José da Silva Aparicio, come Superiore della residenza dei Gesuiti in
questa città, manifestai anche a lui il desiderio della Madonna; attualmente egli si
trova in Brasile, come Padre Maestro e Rettore della casa di formazione che i
Gesuiti hanno a Baturité, stato di Ceara. Nel 1929, avendo questo sacerdote lasciato
il compito di confessore nella comunità per andare ad esercitare quello di Padre
Maestro ad Oya, rivelai la richiesta della Madonna sulla consacrazione della Russia
al P. Francisco Rodriguez, che passava sovente di qui diretto in Portogallo, ed al P.
José Bernardo Gonçalves, che era venuto a sostituire il P. Aparicio; attualmente si
trova nella missione di Lifidge come Superiore della Zambesia. Il Padre mi
comandò di scrivere, promettendomi di occuparsi della realizzazione del desiderio
della Madonna; informò di tutto il Vescovo di Leiria e fece sì che la notizia arrivasse
fino al Santo Padre Pio XI. Rivelai la cosa anche alle mie Superiore, la Madre
Provinciale D. Eugenia de Sousa Monfalim, morta nel 1937, e la Madre Maestra D.
Maria da Penha Lemos, attualmente in Vila Nova de Gaia: (Porto), con il compito di
segretaria della Madre Provinciale, D. Maria de Carmo Corte Real. Nel 1933, da
Rianjo, ove fui a passare un mese per ordine delle mie Superiore, scrissi al Vescovo
di Leiria insistendo sopra il medesimo argomento e aggiungendo le parole di Nostro
Signore: «Come il Re di Francia, non ascoltano le mie richieste: il Santo Padre mi
consacrerà la Russia ma sarà troppo tardi». Nel 1940, in una lettera al medesimo
Vescovo, riferendomi alla mancata realizzazione del desiderio della Madonna,
scrivevo: «Se il mondo conoscesse il momento di grazia che gli è concesso e facesse
penitenza!».
Nella lettera che indirizzai al Santo Padre nel 1940 per ordine dei miei direttori
spirituali, esposi il testo esatto della richiesta della Madonna e chiesi la
consacrazione del mondo con una menzione speciale per la Russia. Il preciso
desiderio della Madonna era che il Santo Padre facesse la consacrazione della
Russia al Cuore Immacolato, ordinando che, nel medesimo tempo e in unione con
Sua Santità, la facessero tutti i Vescovi di tutto il mondo cattolico.
- Suor Lucia, pensa che ora stiamo attraversando il periodo del dominio della
Russia a causa di questa mancata consacrazione speciale?
- Penso che ora si stiano avverando le parole della Madonna: «In caso contrario [la
Russia], diffonderà i suoi errori in tutto il mondo», ecc., come si legge nel libro
Giacinta, a pagina 114».
II. Lucia, in data 24 luglio 1927, propone alla madre la devozione al
Cuore Immacolato di Maria
Mia cara mamma,
siccome so quanta consolazione ti rechino le mie lettere, ti scrivo ora per sollecitarti
ad offrire a Nostro Signore il sacrificio della mia assenza. Comprendo davvero
quanto profondamente tu senta questa separazione. Tuttavia, tu devi persuaderti
che se non ci fossimo separate di nostra spontanea volontà, questa separazione il
Signore l'avrebbe operata lui stesso in seguito. Ricordiamo lo zio Manuel, il quale
disse che non avrebbe mai permesso ai suoi figli di lasciare la casa ed il Signore
glieli tolse in altro modo.
Per questo, cara mamma, io ti chiedo di offrire alla Madonna la nostra separazione
generosamente, come un atto di riparazione per le offese che essa riceve dai suoi
figli ingrati. lo desidero che tu, mamma, possa darmi la consolazione di abbracciare
una devozione che io so tanto gradita a Dio e che Nostra Signora stessa ci richiede.
Appena io l'ho conosciuta, l'ho subito fatta mia. Ed è mio ardente desiderio che altri
pure la pratichino. lo aspetto che mi scriva che l'hai accettata anche tu e fai del tuo
meglio per diffonderla. Essa consiste soltanto in ciò che è scritto nel retro di questa
piccola immagine.
La confessione può essere fatta in altro giorno. I quindici minuti di meditazione
forse saranno quelli che più ti preoccuperanno: invece è cosa facilissima. Chi non è
capace di fare qualche considerazione sui misteri del S. Rosario? Per esempio, su
l'Annunciazione dell'Angelo e l'umiltà della nostra cara Madre Celeste, la quale,
nello stesso istante in cui viene esaltata, si proclama l'ancella del Signore? Chi non
può meditare sulla Passione di Nostro Signore, che tanto soffrì per nostro amore, e
sulle sofferenze della Madonna vicino alla più tenera delle madri, riflettendo su
questi pensieri?
Addio, mamma amatissima! Consola la nostra Celeste Madre in questo modo e fa
del tuo meglio perché altri facciano altrettanto. Così facendo, tu mi procurerai una
gioia immensa.
Sono la tua dev.ma figlia che ti bacia la mano,
Lucia de Jesus.
III. Esumazione dei resti mortali di Giacinta e di Francesco (1951-1952)
Relazione del dottor Hernani Monteiro
«Giungevo a Fatima il lunedì 30 aprile 1951, accompagnato dal mio assistente, il
dotto Abel Tavares, e dal preparatore-conservatore dell'Istituto di Anatomia, Albino
Cunha. Erano le dieci esatte. Giungeva pure, da Coimbra, il prof. Maximino Correia,
mio collega ed amico. Ci recavamo a Fatima come periti, su richiesta dell'Ecc.mo
Vescovo di Leiria, Mons. José Alves Correia da Silva, che gode tutta la mia stima e
considerazione perché fui suo alunno quando frequentavo il secondo anno di liceo a
Porto, e penso che, di tutti i miei professori di liceo, sia l'unico che vive ancora ...
Al nostro arrivo a Fatima, ci recammo ad ossequiare Mons. José, che ci accompagnò
al cimitero al fine di presiedere ai lavori che si sarebbero iniziati subito dopo il
giuramento sul Vangelo, fatto da tutti coloro che dovevano intervenire.
L'ingresso del cimitero era chiuso. Al di fuori e sui muri (perché si viene a sapere
tutto, specialmente quando si vuole fare qualche cosa in segreto) c'erano alcune
persone. Dentro, i genitori, già molto avanzati negli anni, e altre persone della
famiglia dei veggenti, i governatori civili di Leiria e Santarém e altre autorità, il
barone di Alvaiazere, membri del clero, qualche signora, fotografi e operatori
cinematografici che non si lasciarono sfuggire nessun particolare delle esumazioni.
Rimosse le pietre della tomba, apparve una stoffa di damasco in decomposizione,
sotto la quale si trovò l'urna di Giacinta con le tavole egualmente guaste, ed ai suoi
piedi una piccola cassa in legno con una croce sopra il coperchio, dentro la quale si
pensava ci fossero le ossa di Francesco. Questa cassa, parimenti già guasta,
misurava 27 centimetri di lunghezza, 19 di larghezza e 16,5 di altezza. Trasportate
l'urna e la cassa, con il dovuto cerimoniale, in una sala del piano terreno di una casa
vicina, aprimmo la piccola cassa di legno dentro la quale ce n'era un'altra di zinco
sigillata; si procedette pure all'apertura di quest'ultima. Sulla segatura su cui si
trovavano le ossa c'era anche un biglietto piegato con il nome di chi aveva fatto la
cassa; questa venne svuotata del suo contenuto. Fu grande la disillusione degli
esperti, perché quelle ossa erano un miscuglio di pezzi di scheletro, quasi tutte di
neonati. Dove si trovavano allora i resti mortali del piccolo veggente, deceduto il 4
aprile 1919 quando aveva quasi undici anni?
Quanto alla bambina, tutto normale. Aperta la cassa di piombo, se ne trovò una
seconda anch'essa di piombo che era stata aperta in occasione della traslazione della
salma dal cimitero di Vila Nova de Ourém. Rimossa la calce, apparve il corpo di
Giacinta avvolto ancora negli abiti con cui era stata vestita dopo la morte. La fronte,
la cui pelle presentava i segni del velo che la copriva, era mummificata; sulla faccia e
sul collo c'erano segni nitidi di saponificazione. Gli arti erano pure mummificati;
della mano destra erano già distrutti i tessuti molli, con le ossa scoperte e le ultime
falangi già disgiunte; nel lato sinistro del torace, sotto il cotone della. medicazione,
c'era un tubo di gomma introdotto nella cavità pleurica, segno evidente
dell'operazione (taglio di due costole) a cui era stata sottoposta all'ospedale di D.
Estefània di Lisbona, dove era stata ricoverata a causa della sua pleurite purulenta.
La missione dei periti era finita. Il giorno dopo, la cassa con il corpo di Giacinta fu
portata processionalmente nella tomba che era riservata per lei nella basilica di
Fatima. Ma che cos'era avvenuto delle ossa del fratello? Era la domanda che ponevo
nel congedarmi dal Vescovo di Leiria.
Il 14 febbraio 1952 il Vescovo di Leiria ordinava la demolizione della tomba del
cimitero di Fatima per esplorarne la base. I lavori si iniziarono alla presenza delle
autorità ecclesiastiche.
Le fondamenta della tomba erano molto profonde. Formavano una cassa
trasformata in ossario, il cui fondo era costituito da uno strato di cemento. A questo
punto si persero tutte le speranze di identificare le ossa del veggente in mezzo a
tante altre. Ma il padre insisteva perché si esplorasse in profondità.
Si procedette allora alla rimozione dello strato di cemento che si presentava già un
po' deteriorato. Circa 4 centimetri più sotto cominciò ad apparire il coperchio della
cassa. Rimosso con cura lo strato di terra che lo copriva, molto bagnata a causa
della pioggia caduta abbondantemente, si poté vedere tutto il coperchio su cui si
notava un'incavatura, forse causata dal peso della tomba. Pezzi di panno
avvolgevano ancora la cassa con resti di gallone giallo. Non appena cominciammo a
toccare il coperchio esso si disintegrò. Subito apparve lo scheletro che era ancora
intero: il cranio e i piedi erano ben aderenti alle pareti della cassa e le ginocchia
erano un po' alzate: questo provava quanto tante volte aveva ripetuto il signor
Marto, che la cassa cioè era un po' corta e che a stento erano riusciti a porvi dentro
il corpo.
Non essendo presenti né il Vescovo né i periti, la cassa fu coperta con un panno; vi
si apposero i sigilli e il cimitero fu custodito dalla polizia fino al giorno 17. Si effettuò
allora l'esumazione alla presenza del Vescovo, del Rettore dell'università di
Coimbra, del Professore di Anatomia dell'università di Porto, e di altre autorità civili
ed ecclesiastiche.
Sollevando le ossa, lo scheletro si disgregò e, durante il lavoro per ricomporlo, il
cranio si ruppe in quattro parti e, ad eccezione della mascella inferiore con alcuni
denti (due ancora da latte), poche ossa rimasero intatte. Del rosario, perfettamente
riconosciuto dal padre e da altre persone, si trovarono 148 grani, alcuni dei quali
incrostati nelle ossa della mano. Un fiorellino di panno conservava ancora il suo
colore rosso».
Il giorno 13 marzo i resti di Francesco Marto furono portati in processione solenne
alla Cova da Iria e, dopo la Messa da requiem e l'assoluzione del Vescovo di Leiria,
furono collocati nella cripta della basilica, al lato opposto a quello in cui si
trovavano già i resti di Giacinta.
Il Vescovo di Leiria raccomandò a tutti di pregare e far pregare per il buon risultato
dei processi di beatificazione incominciati nel 1949.
IV. Il segreto di Fatima in un discorso del Card. Alfredo Ottaviani
(Da L’Osservatore romano del 13-14 febbraio 1967)
Nel corso di una manifestazione nell'aula magna dell'ateneo Antoniano di Roma,
promossa dalla Pontificia Accademia Mariana Internazionale, il cardo Ottaviani,
Pro-Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, ha fatto il punto sulla
questione del segreto di Fatima, smentendo quanto alcuni organi di stampa avevano
diffuso su una presunta rivelazione della terza parte del segreto di Fatima.
«Mentre il 12 ottobre 1955 salivo l'erta che mi doveva condurre alla Cova da Iria,
ebbi già l'impressione profonda e commovente dello spettacolo di fede e di sacrificio
che davano tanti umili figli del popolo, percorrendo il faticoso cammino col peso di
onerosi pacchi e fagotti, contenenti l'occorrente per passare all'addiaccio la grande
notte commemorativa dello straordinario evento del 13 ottobre 1917.
Ma era quella una notte in cui non si dormiva: canti e preghiere, preghiere e canti,
si alternavano mentre i bagliori di migliaia di fiammelle sembravano incendiare
l'immensa piazza davanti alla Basilica. Ebbi, così, la netta impressione di quello che
è un autentico pellegrinaggio di preghiera e di penitenza.
Quella immensa folla orante non chiedeva di conoscere che cosa contenesse il
misterioso segreto di Fatima. Era già in possesso del più essenziale segreto, che è
inciso nell'anima di ogni attento lettore del Vangelo: il segreto della scala del Cielo, i
cui gradini si chiamano preghiera e penitenza. La Madonna che aveva santificato,
posandovi il suo piede verginale, la fortunata terra della Cova da Iria, per il
colloquio con la piccola Lucia, le aveva in primo luogo manifestato ciò che doveva
dire a tutti pubblicamente, eppoi, aveva aggiunto un arcano segreto da trasmettere
al Vicario di Cristo.
Quando si è a Fatima si ha l'impressione di essere in casa della Madre, si ha
l'impressione come di sentirne i suoi passi, come di sentire la voce che ripete:
preghiera e penitenza. La piccola Lucia ha ripetuto il Messaggio al mondo, ed è già
cosa sorprendente e straordinaria che il mondo abbia prestato orecchio, attento e
ansioso, al Messaggio.
Ma, con insoddisfatta curiosità ed ansia, il mondo cerca di scrutare quale sia il
segreto che la Madre di Dio confidò alla Veggente; se è un segreto come si può
pretendere che esso sia rivelato? A meno che Quegli che doveva esserne il
destinatario ed il custode, non avesse stimato giunto, dopo il 1960 - data rimessa
alla prudenza ed alla saggezza dell'Augusto Pontefice - il momento di svelarlo.
Il contenuto del Messaggio, ricordato fedelmente e poi scritto di propria mano dalla
Veggente di Fatima, viene custodito ancora nel segreto del cuore di Lucia, né d'altra
parte, chi ne è in possesso ed ha l'autorità di disporne, ha giudicato opportuno
svelarlo. Il testo del Segreto, chiuso in busta sigillata, fu consegnato al Vescovo di
Leiria, quindi al Papa Giovanni XXIII, che ne ha custodito il mistero, avendo egli
giudicato opportuno conservarne l'arcano.
Si è poi dovuto difendere la Veggente, fattasi suora e sottrattasi alla curiosità del
mondo nella raccolta preghiera di un monastero di Carmelitane di Coimbra, dove
più che la devozione, la curiosità di molti profani, ha cercato di carpirne qualche sua
parola. Purtroppo dal riserbo di Lucia gli investigatori, i curiosi delle cose
misteriose, hanno creduto fare delle deduzioni, e qua e là, si sono pubblicati testi
apocrifi dell'ormai divenuto leggendario segreto di Fatima. E la Congregazione
posta a difesa della Dottrina della Chiesa ha dovuto interdire, ai profani ed agli
investigatori, l'accesso al Convento di Coimbra, dove Lucia prega, ricorda, medita,
ma non parla.
Ma una cosa sola mi sembra legittima di pensare in fatto di induzioni.
In quella parte del Messaggio che non rimase segreta, ma di cui la Vergine
santissima fece pubblica aralda la privilegiata Veggente, c'è già a sufficienza tutto
quello che può interessare il mondo: la Madonna ha chiesto preghiera e penitenza,
facendo comprendere che questi erano i due mezzi per evitare quelle terribili
sanzioni che, nel divino libro della Provvidenza, sono segnate per un mondo del
quale può dirsi, con le parole del Profeta: «Terra infecta est ab habitatoribus suis) »
(Is. XXIV, 5).
Il mondo si è fermato soltanto sulla indagine del segreto e non ha meditato, non è
stato affatto pensoso, su quello che era stato detto dalla Madonna, in linguaggio
aperto e chiaro.
Le immani sciagure di carattere mondiale, delle quali la nostra infelice generazione
è stata testimone e vittima, sono certo un richiamo a meditare su ciò che è pubblico,
più che a indagare su ciò che è rimasto segreto del Messaggio.
In un discorso, fatto a Castelgandolfo il 6 settembre 1964, il Sommo Pontefice Paolo
VI sembrava riecheggiare l'esortazione di Nostra Signora di Fatima, invitando tutti i
cristiani ad agire secondo il sensus Ecclesiae, manifestato specialmente in due
forme, che sono consuete alla prassi ecclesiale: dapprima la penitenza, che
potremmo chiamare, diceva il Santo Padre, la revisione delle anime, il
ravvedimento, la rinascita spirituale; la seconda, la preghiera, che è il modo
migliore e più adatto per far circolare nella comunità gli stessi pensieri, le medesime
speranze, gli identici sentimenti della Chiesa arante.
Che la Vergine Immacolata, di cui oggi celebriamo l'apparizione nella Grotta dei
Pirenei, che a Lourdes come a Fatima, raccomandò preghiera e penitenza, faccia a
noi da buona Madre, plasmando i nostri cuori a quello spirito di orazione e
sacrificio che oggi più che mai sembra necessario per liberare il mondo
dall'oppressione della tecnica, della materia, della superbia e della ribellione contro
tutto ciò che è santo e divino.
Qui sta il segreto della vittoria del bene sul male, del Regno Celeste sul regno
infernale; a questa vittoria ci porti Nostra Signora, Vincitrice di tutte le eresie,
baluardo di difesa della cristianità contro i nemici di tutti i tempi, ivi compresa la
tremenda ed angosciosa situazione della Chiesa in ampie zone del mondo, in
sterminate terre seminate di croci, di patiboli e di carceri, santificate da tanti
martiri.
Ma la fiducia che ispira a questo proposito, anche nella parte pubblica, il Messaggio
di Fatima, ci fa scrutare, con sereno abbandono alla Provvidenza, i primi sebbene
ancora nebulosi indizi che già si delineano in questo scorcio di anni dopo il 1960, di
un futuro assetto delle cose del mondo nella pace di Cristo, nel regno di Cristo.
Se, come amiamo credere, il riferimento è veridico ed esatto, si aprano i cuori alla
speranza; sembra che la Vergine; in questo cinquantesimo degli eventi di Fatima, ci
rivolga l'invito alla fiducia:
Levate capita vestra quia appropinquat redemptio vestra. Ed il grido della nostra
risposta è: Fiat, Fiat».
FINE
____________________
Note
1 Alla bibliografia citata dall'A. nelle varie edizioni portoghesi bisogna aggiungere altri contributi
che, specialmente in occasione del cinquantenario delle apparizioni, hanno portato un'ulteriore
conoscenza sugli avvenimenti di Fatima.
WILLIAM WALSH, Our Lady of Fatima, London 1947.
PIO SCATIZZI, Fatima all'analisi della lede e della scienza, Roma 1947. CH. BARTHAS, Les
Colombes de N. D. de Fatima, Toulouse 1948.
COSTA BROCADO, Fatima à Luz da historia, Lisboa 1948.
C. MARTINDALE, The Message of Fatima, London 1950.
Nella introduzione il noto autore gesuita scrive: «Oso sperare che questo libretto ... possa essere
considerato come una modesta appendice all'autorevole opera del P. De Marchi».
Fatima na palavra de Pio XII, Lisboa 1951.
Fatima - Altar do Mundo. Direcçao Literaria do Dr. Joao Ameal. Direcçao Artistica de Luis ReisSantos, 3 voll., Porto 1953-1955.
F. JIMÉNEZ, El sello divino en Fatima, Bilbao 1954.
INACIO MARTINS, «Em Outubro direi o que quem ... », Leiria 1956. Luis SARAIVA DE
MENEZES, Fatima e a Paz, Braga 1956.
ARISTIDES DE AMORIM GIRAO, Fatima, Terra de Milagre. Ensaio de geografia religiosa (in
collaborazione), Coimbra 1958.
J. M. HOECHT, Fatima und Pius XII. Maria - Schutzerin des Abendlandes. Der Kampl um
Rufland und die Abwendung des dritten Weltkrieges, Wiesbaden 1959, 73 ed.
Attualità di Fatima a cura di P. Antonio Blasucci (in collaborazione), Roma 1960. Teologia de
Fatima (in collaborazione), Madrid 1961.
CH. BARTHAS, La Virgen de Fatima, Madrid 1963.
Comprende la traduzione di due opere, Fatima, merveille du XX' siécle (v. sotto) e Il était trois
enfants, con l'aggiunta di documenti e note critiche.
ALMA HOLGERSEN, Das Buch von Fatima, Modling bei Wien 1967.
JOAQUIN M. ALONSO, Historia critica da Literatura sobra Fatima, Fatima 1967. CHARLES
BARTHAS, Ce que la Vierge nous demande. Le livre du Cinquantenaire de Fatima (1917-1967),
Toulouse 1967.
FEDERICO GUTIÉRREZ, La verdad sobre Fatima. Fatima y el corazon de Maria, Madrid 1967.
NETTER, 50 Jahre Fatima. Chronik und Dokumentation, Regensburg-Freiburg 1967.
CERBELAUD SALAGNAC, Fatima et notre temps, Paris 1967. CHARLES BARTHAS, Fatima 19171968, Toulouse 1968.
Il canonico Barthas, autore di una decina di opere su Fatima e fondatore nel 1942 delle FatimaEditions di Toulouse, condensa in questo volume, che ha come punto di partenza Fatima,
merveille inouie e il suo rifacimento Fatima, merveille du XX' siècle del 1949, tutti i risultati delle
sue ricerche sui fatti e sul messaggio di Fatima.
Negli anni Cinquanta si è sviluppata intorno a Fatima una controversia tra autori (Otto Karrer,
Charles Journet, Karl Rahner-Theodor Baumann, H. Maréchal, ecc.) i quali ammettono, ma non
del tutto e nello stesso modo, oppure anche negano, i fenomeni miracolosi di cui i veggenti furono i
beneficiari. La «querelle» prese le mosse da un saggio del professore di Lovanio E. DHANIS, Bij de
Verschijningen en het Geheim van Fatima. Een critische Bijdrage (A proposito delle apparizioni e
del segreto di Fatima. Contributo critico), Brugge-Brussel 1945, che pone dei problemi, ma non è
negativo né demolitore. Benché scritto in una lingua quasi inaccessibile, l'opuscolo sollevò un certo
malessere, grazie a compendi e recensioni, in alcuni ambienti francesi e tedeschi.
Fervidi assertori della realtà soprannaturale di Fatima sono i PP. L. G. da Fonseca S. J. e J. M.
Alonso C. M. F. Ai critici e ai negatori essi oppongono la deficienza di documentazione nonché la
sommaria conoscenza dei fatti.
I seguenti articoli consentono di farsi una idea adeguata della complessa questione:
L. G. DA FONSECA, Fatima e a Critica, in Brotéria, 53 (1951) 505-542.
ED. DHANIS, Sguardo su Fatima, Bilancio di una discussione, in Civiltà Cattolica, 104 (1953) II,
392-406.
JOAQUIN ALONSO, Fatima y la critica, in Ephemerides Mariologicae, 17 (1967)
393-435.
ROBERT ROUQUETTE, L'actualité religieuse, Fatima, in Etudes, 327 (1967) 78-85. Il lungo
articolo del professore di mariologia: JOAQUIN M. ALONSO, Fatima, Processo Diocesano
(Estudios, y Textos criticos), in Ephemerides Mariologicae, 19 (1969) 279-340, costituisce forse
l'avvio della auspicata edizione critica di tutti i documenti concernenti le apparizioni (N. d. E.).
2 Tutti i protagonisti principali della famosa vicenda sono ormai scomparsi ad eccezione di Lucia. Il
signor Marto è mancato nel febbraio 1957, a circa un anno dalla morte della moglie, deceduta
nell'aprile 1956 (N.d.E.).
3 Maria Carreira (morta nel 1949), detta Maria da Capelinha, perché fu la depositaria delle offerte
per la costruzione della piccola cappella sul luogo delle apparizioni e, in seguito, si è sempre
prodigata a mantenerla linda e ordinata (N. d. E.).
4 Il P. Manuel Marques Ferreira, che morì durante la stampa della prima edizione (1945).
5 I manoscritti o memorie di Lucia, menzionati sovente dall'A., non sono stati ancora pubblicati
integralmente. Più che memorie nel vero senso del termine, sono lunghe lettere intime, indirizzate
a Mons. José Alves Correia da Silva, vescovo di Leiria dal 1920 al 1957, il quale, fin dal 1935, aveva
ingiunto alla veggente che «semplicemente e schiettamente scrivesse tutto, senza tralasciar nulla di
quanto potesse presentemente esser rivelato». La prima lettera fa soltanto qualche allusione alle
apparizioni ed è ricca di notizie ed episodi sulla vita di Giacinta.
[*** MANOSCRITTO OMISSIS]
Facsimile di una pagina manoscritta di Suor Maria Lucia del Cuore Immacolato, del dicembre
1941, riferentesi alla apparizione del 13 luglio 1917. Si veda al capitolo undicesimo.
Ecco la traduzione letterale:
Per impedirla [la guerra], verrò a chiedere la consacrazione della Russia al mio Cuore Immacolato e
la Comunione riparatrice nei primi sabati. Se prenderanno in considerazione le mie richieste, la
Russia si convertirà e ci sarà pace: se no, spargerà i suoi errori per il mondo, moverà guerre e
persecuzioni alla Chiesa; i buoni saranno martoriati, il Santo Padre dovrà soffrire molto, varie
nazioni saranno annientate: infine il mio Cuore Immacolato trionferà. Il Santo Padre mi consacrerà
la Russia che si convertirà e sarà concesso al mondo un periodo di pace.
In Portogallo si conserverà sempre il dogma della fede, ecc. Questo non ditelo a nessuno. A
Francesco sì, potete dirlo.
Quando recitate il rosario, dite alla fine di ogni mistero: «O Gesù mio, perdonateci, liberateci dal
fuoco dell'inferno, portate tutte le anime in Cielo, principalmente quelle che ne avessero più
bisogno».
Seguì un istante di silenzio e domandai: «Voi, non volete più nulla da me?». «No, oggi non voglio
più nulla da te». E come al solito cominciò ad elevarsi in direzione dell'oriente fino a scom[parire].
La seconda, scritta nel 1937, contiene l'autobiografia della veggente e, per la prima volta, una
allusione alle apparizioni dell'angelo.
La terza, terminata il 31 agosto 1941, offre nuovi dati sulla vita di Giacinta e si diffonde sulle due
prime parti del segreto (apparizione del 13 luglio 1917).
Nella quarta lettera infine, scritta dal 25 novembre all'otto dicembre 1941, sempre su richiesta del
vescovo di Leiria, quale relazione definitiva, sono riferite le parole esatte dell'angelo e della Vergine
e le circostanze di ciascuna apparizione. In questo scritto è contenuta anche una breve biografia di
Francesco e sono mossi alcuni rilievi al libro del P. da Fonseca. Cfr. I. MARTINS, op. cit., 57, n. 1
(N.d.E.).
6 L'ortografia portoghese del nome è Fatima. È erronea la pronuncia con l'accento tonico sull'i.
7 Il tredici maggio / in Cova da Iria / apparve splendente / la Vergin Maria. / Ave, ave, ave Maria!
8 Santi Angeli e Arcangeli, / venite in nostra compagnia, / aiutateci a lodare / la Divina Eucarestia.
9 O Vergine del Rosario, / Signora di Fatima, / Regina del Portogallo, / rifugio degli uomini. / O
Vergine del Rosario, / Signora di Fatima, / dal vostro Santuario / mi spiace partire.
10 Dopo che l'ultimo figlio si fu accasato, i coniugi Marta gli cedettero la casa che abitavano e si
ritirarono in una più piccola, già adibita a magazzino. (N. d. E.).
11 «L'avo del padre di Lucia - racconta il signor Marto - era oriundo dalla provincia di S. Caterina e
venne a sposarsi ad Aljustrel. La gente lo chiamò "Abobora", perché veniva da una terra famosa per
le zucche. Ora nessuno pensa più alle zucche perché il figlio di Antonio dos Santos - Manuel fratello di Lucia se ne andò in Brasile da vari anni. La madre di Lucia si chiamava Perulheira
perché proveniva da una località della parrocchia di S. Mamede chiamata Perulheira».
12 Al ciel, al ciel, al ciel, / andrò a vederla un dì, ecc ... / Vergin pura, tua dolcezza / è sollievo al mio
penare: / notte e giorno di Maria / la bellezza vo' cantare.
13 Rogogò, rogogò, rogogò / si nascondan presto tutti / perché vengo e son già qua.
14 Grazie e lodi sian date a Gesù, / Signor nostro, pei beni infiniti / che ci ha dato e ancor più ci
darà. / Sian date a lode e onore / per l'amor che ci porta Dio nostro Signore.
15 Lode all'Angelo Custode / che sempre a noi vicino / di giorno e notte vigila / e sta sempre in
nostra compagnia.
16 La signora Olimpia, sposatasi nel 1888, visse sette anni con il primo marito, e, dopo un anno di
vedovanza, si unì in matrimonio con il sig. Manuel Marto. I figli che nacquero dalle due unioni
sono
1) Antonio dos Santos Rosa - sposato.
2) Manuel dos Santos Rosa - morto di affezione polmonare.
3) José dos Santos Marto - sposato.
4) Teresa - morta a due anni.
5) Florinda - morta nel 1920 di affezione polmonare.
6) Teresa - morta nel 1921.
7) Giovanni - sposato; vive nella casa dove dimoravano i genitori.
8) Francesco.
9) Giacinta.
17 «Andai militare a Leiria, dove mi arruolarono nel Reggimento Cacciatori n. 6. Fui inviato in
Africa sulla nave Embate. C'era il cappellano e celebrava la Messa eccetto quando il mare era in
burrasca. Alla domenica andavamo tutti a Messa in squadra, così quando sbarcammo in
Mozambico.
- Vide il leone? - gli domandammo.
- Ciò che vedemmo di più - ci rispose - erano le scimmie, dappertutto. Udii il ruggito del leone e i
neri a gridare: Kesumba! Riuscii a vedere un coccodrillo ucciso, esattamente come un ramarro, ma
molto grande e la pelle era quasi come quella di un vitello. Viaggio compreso, rimasi in Africa 14
mesi; era il tempo delle guerre di Gungunhana. Avevo allora 25 anni, ché nacqui nel 1873. Ritornai
e quindi mi sposai».
18 L'affermazione del padre sulla vivacità e le marachelle di Francesco differisce da quella di Lucia,
ma il fatto può avere una spiegazione psicologicamente semplice. Quante volte non accade che
ragazzi di indole attiva e irrequieta si mostrino timidi e quasi apatici dinanzi ad una persona che dà
loro soggezione o che ha su di loro un grande ascendente, come doveva accadere tra Francesco e
Lucia.
Alla presenza di Lucia, che aveva una certa superiorità sul cugino, Francesco non ha lasciato vedere
chiaramente il suo carattere. Quanto si dice di Francesco, in senso contrario si può affermare di
Giacinta.
Sono disposizioni di carattere individuale - mare sconosciuto - che molte volte è difficile
investigare.
19 Indovina, su indovina quanti pulcini ha la mia gallina!
20 Salve, nobile Patrona, / che il tuo popol protetto / hai fra tutti in terra eletto / quale popol del
Signor. // Gloria sei di nostra terra: / Tu hai salvato i Portoghesi: / mille volte per Te illesi, / Tu
sarai il loro amor.
21 Angeli, cantate con me: / Angeli, cantate cantate! / Io non so render grazie. / Grazie rendete voi
dunque per me. // Caro Gesù, che dolcissimo amore! / Caro Gesù, quale amor come il tuo? /
Dell'alto trono lasciando il fulgore / Tu vieni a far della terra il tuo Cielo.
22 I figli della signora Teresa sono nove. Il maggiore ha 15 anni. Non si tratta tuttavia di una
famiglia di eccezione. Fatima è una delle parrocchie, non solo di Leiria, ma forse di tutto il
Portogallo, che ha famiglie più numerose. Tra le conoscenze fatte da noi, notammo che sono
rarissime le case con meno di quattro o cinque figli.
23 Il nome di Maria / quanto è caro e bello! / Salvate l'anima mia / perché sol vostra ell'è. // La
Signora del Carmelo / un messaggio mi mandò, / perché dica ognor tre volte: / Sia lodato e
benedetto. // Sia lodato e benedetto, / devo dunque recitare. / La Signora del Carmelo / quindi
devemi aiutare. // Deve, sì, deve aiutarmi / col poter del suo valore, / se è degli Angeli Regina / e
del Cielo lo splendore. // Presso gli angeli richiesi / se sarò ben ricompensata: / noi di lei siamo
sicuri, / né cerchiam mercede a data. / Non cerchiam mercede od altro, / pagamento in oro e
argento: / del Dio vivo e vero / sol bramiamo la benedizione. // Tre riverenze in Cielo / alla Croce
pesante, / per tre volte ancor dirò: // Oh, salvatemi, Gesù! / Oh, salvatemi, Gesù! / Oh, salvatemi,
Gesù!
24 Mandorlo bello / che n'è di tua rama? / per tua bellezza / ho infranto mia fama. // Ho infranto
mia fama: / ma lasciala andar! / con acqua di rose / mi devo lavar. / Mi devo lavare, / mio verde
limone; / è bello cantare, / ma pianger no no. / ....... / Non cantare, ah là là, cuginetta, cuginetta! /
ah là là se ne andò, tanto bella, tanto bella! / per sua colpa ah là là, cuginetta, cuginetta! / la
mammina mi sgridò, tanto bella, tanto bella! // Ah là là ... / Ah là là ... // Fu un giardin ridente e
bello, cuginetta, cuginetta! / questo suolo senza fior, tanto bella, tanto bella! / non mancò la
vigilanza, cuginetta, cuginetta! / mancò essa al mio cultor, tanto bella, tanto bella! // Ah là là ... /
Ah là là ... // Tutto canta in questa vita, cuginetta, cuginetta! / tutto prova, tutto invita, tanto bella,
tanto bella! / La pastora canta al monte, cuginetta, cuginetta! / e chi lava i panni al fonte, tanto
bella, tanto bella! // Ah là là ... / Ah là là ... // Canta il gufo nella notte, cuginetta, cuginetta! / che
mi vuol toglier la pace, tanto bella, tanto bella! / spannocchiando canta, cuginetta, cuginetta! / la
ragazza al chiar di luna, tanto bella, tanto bella! // Ah là là ... / Ah là là ... // L'usignol nella pianura,
cuginetta, cuginetta! / passa il giorno a gorgheggiar, tanto bella, tanto bella! / e la tortora nel bosco,
cuginetta, cuginetta! / canta il carro cigolando, tanto bella, tanto bella! // Ah là là... / Ah là là...
//…// L'amo in ciel il mio Signor, / l'amo ancor sulla terra; / amo il campo ed amo i fior / e
l'agnello della Serra. // Con gli agnelli miei / ho imparato a saltar. / Della Serra io sono la gioia, /
della valle io sono il giglio. // Sono la povera pastora / che prega sempre Maria. / Sono ancor pel
gregge mio / il bel sol del mezzodì. // Ò ì, ò ai! / O, potessi già vederti! / Ò ì, ò ai! / o Gesù, proprio
in questa ora! /…
25 In portoghese: «Donde é Vocemecè?». Vocemecè è la forma di rispetto usata da Lucia per
rivolgersi ai genitori. (N. d. E.).
26« ... le anime che si trovano in maggior pericolo o più imminente pericolo di perdizione» (così
spiega Lucia). Questa giaculatoria è stata un po' alterata; presentemente si recita così: «O mio
Gesù, perdonateci, liberateci dal fuoco dell'inferno. Liberate le anime del purgatorio, specialmente
le più abbandonate».
Avendo domandato al papà di Francesco e Giacinta se si ricordava ancora come i fanciulli dicessero
questa giaculatoria, ci rispose, raccontando nei minimi particolari ciò che avvenne una certa sera.
«Francesco si trovava solo vicino alla località dei Valinhos, e, mentre il gregge pascolava, si
intratteneva ad intrecciare un cestino di giunchi. Lo avvicinai e gli domandai: - Dimmi un po',
Francesco, la Madonna non vi insegnò una preghiera? - Sì, papà - rispose.
- E com'è?
Allora il ragazzo, mentre intrecciava i giunchi, mi par di vederlo, disse: - "O mio Gesù, perdonateci,
liberateci dal fuoco dell'inferno, portate tutte le anime in Cielo e specialmente quelle che più ne
hanno bisogno".
Io non vi trovavo senso in quello "specialmente quelle che più ne hanno bisogno". Tutti ne abbiamo
bisogno ... Ma! Mi recai da Maria Rosa per interrogarla al riguardo. Lucia diceva la stessa cosa che
Francesco. Ma la madre di Lucia pensava come me, e non uscivo dalla mia perplessità. Tuttavia,
ritornandoci su, cominciai a trovare che non doveva essere errato del tutto, e che se la Madonna
aveva detto così non c'era da discutere.
Mi abituai a recitare la giaculatoria come Francesco mi aveva detto e ancora oggi, quando prego da
solo, prego così; quando mi trovo in chiesa la recito come la dicono tutti.
Rimasi ancor più contento quando una signora, non ricordo più chi sia, mi assicurò che anche
Lucia fa così».
27 È questo il primo segreto che Lucia rivelò al suo confessore nel 1927. Il 17 dicembre 1927 - così
narra - domandai al Signore come potessi soddisfare il comando del mio confessore, di mettere per
scritto alcune grazie ricevute se, tra esse, c'era pure il segreto della Madonna. Gesù allora, con voce
chiara, mi fece udire queste parole: «Figlia mia, scrivi ciò che il confessore ti comandò; scrivi anche
tutto quello che la Vergine Santissima ti ha rivelato nelle apparizioni e di ciò che riguarda la
devozione al suo Cuore Immacolato. Quanto al rimanente del segreto, continua a tenerlo occulto».
28 Un particolare che udimmo dalla signora Maria da Capelinha chiarisce forse un po' la cosa.
- M'incontrai - dice ella - con Giacinta e Lucia: «O Lucia, - le domandai ­ come va che la Madonna
parla solo a te e non parla a Giacinta e a Francesco? ». La piccola rispose:
- Veramente Giacinta è una silenziosa che non parla. Se essa parlasse, la Madonna parlerebbe
anche a lei...
Giacinta guardò me e Lucia: non disse nulla e sorrise.
29 Riferisce il R. P. Manuel M. Ferreira, parroco di Fatima, nel processo canonico sulle apparizioni:
- Il 21 agosto, vennero a Fatima cinque signore e mi chiesero di accompagnarle alla casa dei
veggenti. Tra loro c'era una ragazza di circa 15 anni, vestita di bianco. Arrivati a casa di Ti Marto,
chiamai la piccola Giacinta che era in casa. La piccola si spaventò per tale visita. Dopo averla
incoraggiata un po', le dico: «Di', Giacinta, la Signora che hai visto alla Cova è una di queste, o
somigliava ad alcuna di queste?».
La piccola alzò gli occhi mirandole tutte in silenzio e disse: - A nessuna di queste. L'altra era molto
più bella!
Le mostrai allora la giovane vestita in bianco e dissi:
- Era bella come questa la signora che tu hai visto là?
- Questa signora - rispose ella - è molto bella, sì, ma quella che vidi io nella Cova da Iria era molto,
ma molto più bella.
30 Evidentemente gli ombrelli servivano per ripararsi dal sole in quella torrida giornata di luglio
(N. d. E.).
31 Se la Madonna non lo guarì né l'arricchì, gli diede però la possibilità di guadagnarsi la vita. Fino
a pochi anni fa egli fu il sagrestano della cappella delle apparizioni. Ora vive in un edificio annesso
al santuario (N. d. E.).
32 È questo il segreto che causerà tanta sofferenza ai veggenti. Soltanto dopo la morte di Francesco
(1919) e di Giacinta (1920), Lucia, nel 1927, riceverà dal Cielo il permesso di rivelare la prima e la
seconda parte del segreto (riferite dal P. De Marchi con le parole stesse dei veggenti), cioè la visione
dell'Inferno, le predizioni, le richieste e promesse della Madonna. La terza parte del segreto
dell'apparizione del 13 luglio non è stata ancora rivelata. La lettera che la contiene, scritta di
proprio pugno da Lucia, fu consegnata sigillata a suo tempo al vescovo di Leiria. Secondo quanto
riferisce il canonico José Galamba in un lavoro pubblicato nella bella collezione Fatima - Altar do
Mundo, Lucia aveva manifestato il desiderio che il segreto fosse conosciuto «dopo la sua morte o, al
più tardi, nel 1960». Sembra che la lettera sia stata effettivamente aperta nel 1960. Lo stesso papa
Gioanni XXIII ne avrebbe preso conoscenza, ma avrebbe creduto bene non lasciar pubblicare nulla
al riguardo (N. d. E.).
In appendice trascriviamo interessantissime dichiarazioni di Lucia sul segreto. «Qualcuno penserà
- scrive Sr. Lucia in una lettera del 1940 indirizzata al vescovo di Leiria - che io avrei dovuto
rivelare queste cose molto prima; in tal modo avrebbero avuto doppio valore. E sarebbe proprio
così se Dio avesse voluto presentarmi al mondo come profeta; ma questa non è stata la sua volontà.
Altrimenti, invece di comandarmi di tacere, comando che mi è stato confermato più tardi dai suoi
rappresentanti, mi avrebbe ordinato di parlare. Ma penso che la Madonna abbia voluto servirsi di
me unicamente per ricordare al mondo la necessità di fuggire il peccato e di offrire riparazioni, con
preghiere e sacrifici, per tante offese fatte a Dio».
33 A questo punto - racconta il Signor Marto - Lucia prese un aspetto da ispirata. Il suo volto
impallidì e l'udimmo gridare: «Ahi, Vergine Santa! Ahi, Vergine Santa!».
34 È interessante notare come Giacinta, quando si trovava già a Lisbona poco tempo prima di
morire, ripetesse: «Se gli uomini non si emenderanno, la Madonna invierà al mondo un castigo
quale non si vide mai e, prima che alle altre nazioni, alla Spagna». La bambina parlava pure di altri
avvenimenti che si sarebbero realizzati intorno al 1940. (Lettere di Madre Godinho, dal 19 al 30
novembre 1937).
35 Lucia credette di riconoscere il segno di Dio nella aurora boreale straordinaria che illuminò il
cielo nella notte dal 24 al 25 gennaio 1938. Perciò, convinta che stava per scoppiare una nuova
guerra mondiale, «orribile, orribile» - scriveva al vescovo di Leiria - fece tutto il possibile per
affrettare la realizzazione di quanto la Madonna aveva richiesto.
Dovette tuttavia convincersi presto che l'ora della misericordia non era ancora venuta.
36 Gli avvenimenti apocalittici di cui siamo stati spettatori, che cosa sono se non la realizzazione almeno parziale - di questa profezia?
37 Il distinto avvocato ci dice che in questo particolare la signora Olimpia si è ingannata. Infatti fu
il 13 settembre ch'egli prese a spalle Lucia per liberarla dalla ressa della folla.
38 Come non pensare qui ai convogli senza fine di prigionieri, di rifugiati, di esiliati che hanno
percorso le strade d'Europa e del mondo durante e dopo la seconda guerra mondiale?
39 Gesuita, molto popolare in Portogallo, morto in concetto di santità. Cfr. Manuel Baptista,
Fatima e o Padre Cruz, in Fatima 50 - International 1 (1967), fase. 8, pp. 7-9. (N. d. E.).
40 Il «tostào» è la decima parte di uno scudo portoghese (N.d.E).
41 L'organizzazione territoriale del Portogallo si articola nelle provincias che corrispondono
all'incirca alle nostre regioni, nei distritos che corrispondono alld nostre province e nei concelhos
che hanno figura giuridica molto simile a quella dei nostri comuni, ma estensione, in genere, più
ampia. I concelhos si suddividono in freguesias che corrispondono quasi sempre alle parrocchie
(N. d. E.).
42 Morto a Lisbona nel 1955 (N.d.E.).
43 Qui, il signor Marto s'ingannava, perché Lucia fu davvero interrogata dal parroco su richiesta
dell'amministratore, come consta dal processo canonico.
- Chi t'insegnò a dire quelle cose che vai spargendo in giro?
- La Signora che vidi alla Cova da Iria.
- Chi sparge tali menzogne, che fanno tanto male, sarà giudicato e andrà all'inferno, se non è vero:
ogni giorno più la gente è ingannata da voi.
- Se chi mentisce va all'inferno, io non ci andrò, perché non mento; dico solo ciò che ho visto e quel
che la Signora mi ha detto. Quanto alla gente che viene là, viene perché vuole, noi non invitiamo
nessuno.
- È vero che la Signora vi confidò un segreto?
- Sì, ma non lo posso rivelare. Ché se V. S. Rev. vuol saperlo, io chiederò alla Signora la licenza di
poterlo dire. L'amministratore notò:
- Queste son cose soprannaturali. Andiamo avanti.
Si alzò ed uscì dalla sala, obbligando i fanciulli a salire sul calesse in presenza dei genitori.
44 Il regedor è l'autorità amministrativa di una freguesia. Cfr. n. I del capitolo precedente (N. d.
E.).
45 Che tutto questo non fossero soltanto parole lo dimostra la protesta che il parroco di Fatima
pubblicò sui giornali A Ordem di Lisbona e O Ouriense di Vila Nova de Ourem.
«Ecc.mo Signor Redattore.
Vi domando l'alto onore di pubblicare in prima pagina quanto segue:
Ai credenti e non credenti:
Con tutta la ripugnanza del mio cuore di sacerdote cattolico, rendo noto e affermo avanti a tutti
coloro che vennero a conoscenza o udirono la voce ... che mi fa complice nell'improvviso rapimento
dei fanciulli, i quali dicono di veder la Madonna in questa parrocchia, che rigetto una tanto ingiusta
e insidiosa calunnia, gridando al mondo intero che non presi la benché minima parte, né diretta, né
indiretta, nell'insidioso e sacrilego atto.
L'Amministratore non mi confidò le sue segrete intenzioni. E se fu provvidenziale, - come pare, che l'Autorità portasse via e senza resistenza i fanciulli, non fu meno provvidenziale la calma degli
animi eccitati da voci diaboliche. In caso contrario, oggi, in questa parrocchia si avrebbe a
lamentare la morte del Parroco come complice. Ma anche questa volta l'insidia diabolica non
ottenne il suo intento e ciò è dovuto certamente alla Vergine Madre.
L'Autorità, dopo un lungo interrogatorio nella sua sede, fece condurre da me i fanciulli per altri
schiarimenti; ma di fatto era per carpire loro il segreto, che non avrebbero mai rivelato a nessuno.
Da casa mia, nel momento che giudicò più opportuno, li fece salire in calesse e, dicendo ai genitori
e ai circostanti che li conduceva alla Cova, partì di corsa per Vila Nova de Ourem.
Con qual fine scelse la mia casa?
Forse per liberarsi dalle conseguenze che il fatto avrebbe provocato?
Perché il popolo si ammutinasse, come si ammutinò, contro di me, quale complice? Per qualche
altro fine? ...
Non so. Solamente so che declino ogni responsabilità che merita un tal modo di procedere. Dio
veglia sempre sopra i suoi. Nessuno può impedire le opere di Dio. Non erano necessari i bambini dicevano migliaia di testimoni - perché la Regina degli Angeli manifestasse la sua potenza. Essi
stessi attestano i fatti straordinari ed i fenomeni a cui prestarono fede e che aumentarono la loro
credibilità. Ora non ci sono solo tre fanciulli, dai nove agli undici anni. Ci sono migliaia di persone
d'ogni età, classe, condizione, venuti da diversi punti del Paese.
Se la mia assenza dal luogo come Parroco si fa sentire ai credenti, non meno si farebbe sentire la
mia presenza agli increduli, a scapito della verità dei fatti.
La Vergine Madre non ha bisogno della presenza del Parroco per mostrare la sua bontà ed è
necessario che i nemici della religione non possano denigrare lo splendore della sua benevolenza,
attribuendo la fede del popolo alla presenza o al consiglio del Parroco, perché la fede è un dono di
Dio e non dei preti. Ecco il vero motivo della mia assenza e apparente indifferenza in tanto sublime
e meraviglioso avvenimento. Ecco perché non ho manifestato mai il mio vero parere a mille
interrogazioni e lettere inviatemi.
Il nemico non dorme. Rugge come leone.
Non furono gli Apostoli i primi ad annunziare la Risurrezione del Figlio della Vergine Maria.
Mi astengo dal fare la narrazione dei fenomeni avvenuti sul luogo delle Apparizioni, sia perché san
già troppo prolisso (e ne chiedo scusa), sia perché la stampa ne ha pubblicato una larga eco.
Mi creda obbl.mo di V. Ecc.
D. Manuel Marques Ferreira »
46 Non solo Lucia e Francesco notarono questi segni, ma anche Teresa che ritornava col marito alla
propria residenza, presso la cappella della Madonna da Ortiga.
«Entravamo in Fatima, - afferma ella, - quando notammo che l'aria era più fresca; il sole prendeva
un colore giallognolo e rendeva le cose variopinte: proprio come il giorno 13 nella Cova da Iria.
- Che è questo? Qui c'è qualche mistero! ... - dissi a mio marito. E vidi sulla sua camicia bianca quel
gioco di colori.
Più tardi sapemmo che in quella stessa ora la Madonna era apparsa ai fanciulli nei Valinhos.
47 In un più recente manoscritto di Lucia (8 dicembre 1941) la veggente aggiunge che la Vergine le
aveva detto che il denaro delle portantine doveva destinarsi alla festa della Madonna del Rosario e
che quello che sarebbe sopravvanzato era per aiutare la costruzione della Cappella nella Cova da
Iria. Giudichiamo però che in questo punto ci sia una confusione da parte di Lucia, attribuendo alla
quarta apparizione questo particolare che di fatto avvenne nell'apparizione del 13 settembre.
Con questo concorda la relazione che ella fece al parroco, due giorni dopo l'apparizione ai Valinhos
(21 agosto 1917) e le deposizioni del processo canonico (8 luglio 1924).
48 I fatti narrati in questo capitolo dovettero accadere la domenica 26 agosto, oppure in una delle
due prime domeniche di settembre (N. d. E.).
49 Avendo chiesto di questa fotografia al nostro buon amico signor Pedro Caupers, sapemmo che la
negativa in vetro era rotta.
50 Questa cappella è stata abbattuta all'inizio dell'anno 1946, perché al 13 maggio dello stesso
anno, in occasione della incoronazione della Madonna, si sarebbe inaugurato il magnifico
santuario.
51 Invece ne erano presenti almeno cinque: il priore di Santa Catarina, monsignor Quaresma,
monsignor Carmo Gois, il dotto Formigao e il P. Manuel Pereira da Silva.
52 «Mia madre si stupiva del modo con cui Lucia diceva che N. Signora portava il rosario - racconta
Maria dos Anjos - perché eravamo abituati a contare con ambo le mani, mentre N. Signora le
contava col dito pollice».
53 In seguito, quando il dr. Formigao veniva a Fatima era sempre ospite di questo José Alves, alla
Moita.
54 L'inquisitore colse l'occasione di chiarire il dubbio che la lettura di quel libro avesse potuto
suggestionare i fanciulli.
55 Non era perciò naturale che la fanciulla, impressionata dalla lettura delle apparizioni della
Salette tanto da esserne ossessionata, non lo avesse dimostrato in modo da essere notato dalla
madre.
56 È uno dei piccoli equivoci in cui Lucia talvolta cadeva, facilmente spiegabili, come sopra
dicemmo, per la continuità e l'insistenza degli interrogatori che tutti si credevano in diritto di farle.
57 Non volendo accusare la mamma, che le diceva: - Poco importa alla Madonna che tu sappia
leggere o no, - Lucia taceva.
58 Il corrispondente del Diario de Noticias contò 240 carri, 135 biciclette, oltre 100 automobili.
Questa statistica si riferisce soltanto al numero dei veicoli al ritorno per Vila Nova de Ourém.
59 Abbiamo potuto udire il racconto del «miracolo del sole» da molti altri abitanti della serra
d'Aire, riferito più o meno con le parole del signor Marto e della signora Maria da Capelihna.
Finora non abbiamo trovato una sola persona, delle molte che abbiamo interrogato, la quale non ci
abbia confermato l'impressionante avvenimento.
60 La parola portoghese usata qui da Lucia è naipes, termine che significa i colori o semi delle
carte da giuoco. Il senso ci viene chiarito subito dopo quando Lucia spiega che la Vergine
Addolorata non aveva «la spada nel petto». In portoghese infatti si usa la parola spade per indicare
il seme di picche (N.d.E.).
61 Un’altra volta Giacinta si eswpresse così: «Ci disse di fare là una cappella ».
62 P. Lacerda costatava con rammarico la stessa cosa:
«La mamma di Giacinta, al vederci, ci guardò diffidente. Alla domanda che le feci se la figlia era in
casa e se mi dava licenza di parlar con essa, rimase titubante e solo dopo aver detto che venivo là
per dire ai nostri soldati in Francia che la Madonna era apparsa, mi guardò con uno sguardo più
benigno.
La signora Olimpia di Gesù aveva ben ragione di mostrarsi riservata. Erano state molte le persone
che erano venute ad Aljustrel per interrogare i bambini e questi non sapevano più cosa rispondere.
Alcune di queste persone erano andate là col fine di scoprire contraddizioni nelle risposte dei
fanciulli e - secondo quanto ci disse un vicino - due giorni prima era andato là il diavolo in persona,
l'incendiario della chiesa di Alcanena, per interrogare e minacciare i fanciulli.
Se la signora Olimpia ci ricevette così, suo marito non ebbe migliore cera:
- Ciò che mi meraviglia - mi disse - è che ci siano sacerdoti che dubitano di ciò che questa bambina
ha visto e udito».
63 Il dott. Formigao ci dice ancora che Lucia nella notte tra il 18 e il 19 non era andata a dormire a
casa sua ma era rimasta in casa degli zii, certamente perché fino a notte fu sottoposta alle domande
più disparate e insidiose.
64 Alla medesima conclusione è giunto recentemente anche MESSIAS DIAS COELHO, O que fatta
para a conversao da Russia, Fundao 1959, 111-133.
Risulta - scrive - dall'interrogatorio del parroco di Fatima che già nella apparizione del 13 maggio
Lucia aveva interrogato la Vergine in merito alla fine della guerra. La Madonna aveva risposto:
«Non posso dirtelo ancora, fino a che non ti abbia detto ciò che voglio». Al 13 di ottobre manifesta,
secondo la promessa, la sua volontà e insieme pone le condizioni perché la guerra abbia a finire.
«Volete sapere quando finisce la guerra?», sembra dire rivolgendosi a Lucia: «Che gli uomini si
convertano, si pentano dei loro peccati e la guerra finisce oggi e i soldati non tarderanno a tornare a
casa».
«La guerra finisce oggi». Abbiamo nelle parole della Vergine un indicativo presente che, in realtà, è
un condizionale. Se si vuole cogliere il significato di questa frase non bisogna staccarla dalle altre
pronunciate da Maria SS.: «Che si convertano e si pentano dei loro peccati». Il senso condizionale
delle parole sembra essere stato colto dalla piccola Giacinta. (N. d. E.).
65 Queste richieste della Signora, Lucia, in realtà, le fece per la prima volta in luglio.
66 Costoro sono nominati dal A Ordem: Antonio Fialho, regedor di Salvador, Antonio Ganto e un
altro comunemente chiamato Francisco do Cemitério.
67 «In quella circostanza - ci racconta Maria da Capelinha - due o tre individui portarono via l'arco
rivestito di fiori, la mensa e le lampade e fecero una beffa in Santarém. Credevano d'aver tagliato
l'elce sul quale era apparsa la Madonna, ma si ingannarono, ne presero un altro».
Così deve essere corretta la relazione del Diario de Noticias. Anche Lucia nelle sue note si riferisce
a ciò:
«Allora al governo non piaceva lo svolgersi degli avvenimenti.
Era stato eretto sul luogo delle apparizioni un arco con due lanterne che alcune persone avevano
l'incarico di tener sempre accese.
Inviarono là, una notte, alcuni uomini, in automobile, per rubare l'arco, tagliare l'elce su cui era
avvenuta l'apparizione e portar via tutto sull'auto.
La mattina dopo si sparse la voce dell'accaduto. Corsi sul posto per vedere se era vero. Qual non fu
la mia gioia, quando notai che quei poveri uomini si erano ingannati e che, invece dell'elce (di cui
esisteva solo il ceppo rasente il suolo) avevano preso uno degli elci vicini: domandai perdono alla
Madonna per quei poveri uomini e pregai per la loro conversione».
68«Ai Liberali Portoghesi.
La reazione campeggia sregolata!!! ...
Contro la turpe speculazione fatta con la commedia ridicola di Fatima, protestano energicamente
l'Associazione del Regista Civil e la Federazione portoghese del Libero Pensiero.
Cittadini!
Per quanto certe personalità, alcune in buona, altre in mala fede, vadano insinuando che la
missione delle nostre associazioni sia finita, avendo le leggi della Repubblica stabilito le garanzie
in favore della libertà di coscienza e di pensiero, i fatti si incaricano ogni giorno più di smentire la
fondatezza di tali affermazioni. È da poco che vedemmo, nel programma elettorale di un certo
candidato, inserito l'annullamento della separazione dello Stato dalla Chiesa e il ristabilimento
delle relazioni diplomatiche col Vaticano, sotto il pretesto della conservazione del Patronato
d'Oriente!
Abbiamo visto le pastorali prelatizie contro la stessa legge ed i pretesti illegali e insolenti dei preti
e di altri elementi reazionari contro i giusti castighi inflitti ai Vescovi delinquenti, e abbiamo visto
i miseri tentativi di ristabilire una Chiesa extraterritoriale straniera in Portogallo; abbiamo visto
gli sforzi per la ricostruzione del felicemente estinto corpo dei Cappellani Militari e abbiamo visto
il celebre ordine N. 39 del C.E.P. [corpo di spedizione portoghese] sul quale non si son date ancora
nel Senato le spiegazioni che Agostino Fortes esigeva, sull'assunto, già da mesi.
Abbiamo visto i tentativi di ristabilire le Congregazioni Religiose e vediamo senza risposta
l'appello del Senatore Tomaso da Fonseca sul caso; vediamo Sacerdoti servirsi dell'Altare e del
pulpito per le loro diatribe di politica antiliberale e anti­repubblicana; vediamo cittadini
insultati, aggrediti, e perfino assassinati, per «l'orribile delitto» di non essersi scoperti al
passaggio d'una di queste carnevalesche parate, le cosiddette processioni, e sarebbe meglio che le
Autorità Amministrative non avessero la facoltà compromettente e pericolosa di permetterle.
Vediamo tutto questo e molto più, la cui enumerazione non può essere compresa negli stretti
limiti di questo manifesto.
Ma come se ciò fosse poco, maggiormente infierì la sfacciataggine della perniciosa propaganda
reazionaria.
Ora è al «Miracolo» stesso che si ricorre per abbrutire il popolo nel fanatismo e nella
superstizione. Che cos'è un miracolo se non uno sconvolgimento alla legge naturale e immutabile,
molto più grave, quindi, della trasgressione d'un ordine municipale e perciò molto più degno di
castigo che di venerazione?
Tuttavia ci fu chi, unendo il lucro con lo spirito di fanatismo, rappresentò con uno scenario
splendido, in cui il lusso dell'auto si univa ibridamente con il modesto calesse del villaggio e con
l'umiltà del pedone, una commedia indecorosa che, giorni or sono, attirò migliaia e migliaia di
persone ad assistere, in Fatima, all'esibizione d'una scena ridicolmente fantasiosa, in cui
s'incuteva nello spirito del popolo ingenuo la suggestione collettiva d'una supposta apparizione
della Vergine Madre di Gesù di Nazaret, a tre fanciulli suggestionati ed istruiti per servire da
comparsa in questa turpe e vergognosa speculazione, ad un tempo mercantile e clericoreazionaria.
E, quasi non bastassero le sciocche dichiarazioni dei poveri fanciulli, ai quali quella Vergine
appariva e parlava senza che mai nessuno la vedesse e sentisse, sorse pure chi disse aver visto il
sole, a determinata ora del 13 ottobre 1917, nell'ottavo anniversario dell'assassinio di Francisco
Ferrer, cioè in pieno secolo ventesimo, e nello stesso giorno e mese del 1917, danzare un fandango
o un chifarote con le nubi.
Per di più ci fu chi diede a questa fandonia indecorosa la lanterna splendente di grande
pubblicità, assumendosi in questo delitto la responsabilità che per la sua intelligenza, per le
speciali conoscenze in materia teologica e per le tradizioni brillanti d'altra lanterna ben differente
di tono, non aveva il diritto di prestarsi a tanta ripugnante comparsa. (Si allude al giornalista
Avelino de Almeida, che era stato redattore di A Lanterna, giornale anticlericale di Lisbona).
Non vogliamo entrare qui in dissertazioni dottrinarie in merito al valore o meno del danaro,
perché non è questa la nostra missione. Ma non possiamo tralasciare di notare che, per quanto
valga o valesse, non potrebbe prima, non dovrebbe mai valere tanto da comprare la coscienza di
chi pondera la propria dignità e conosce le responsabilità e i doveri che tal dignità impone.
Questo, cittadini, è un miserabile tentativo di regresso nell'intento d'immergere nuovamente il
popolo portoghese nelle dense tenebre, proprie solo dei tempi detestabili che furono e che non
torneranno mai!
La Repubblica e i Cittadini che hanno sulla propria responsabilità il dovere, tanto nobile quanto
difficile, di dirigerla e di farla avanzare sulla via gloriosa della civiltà e del progresso, non
possono acconsentire all'abbrutimento del popolo nel fanatismo e nella fede, perché ciò sarebbe
per lei e per loro una mancanza imperdonabile al compimento del proprio primordiale dovere,
non solo verso la Patria, ma verso l'umanità in generale.
È quindi dovere indeclinabile di tutti noi richiedere dai poteri pubblici energiche e immediate
provvidenze che mettano finalmente un punto fermo su questa speculazione abusiva con cui la
reazione pretende far tornare il popolo al medioevalismo.
Non dobbiamo però sperare tutto dai poteri pubblici, seguendo l'andazzo di coloro i quali,
sperando tutto dall'ipotetica Divina Provvidenza, non aggiungono il proprio sforzo e ai quali è
applicabile, con tutta verità, il vecchio aforisma: «Fidati della Vergine e non correre e vedrai che
tombola farai!».
Dobbiamo pertanto, senza mettere da parte l'intervento del pubblico potere che abbiamo
invocato, concorrere pure col nostro sforzo, che sarà di aiuto e di appoggio ai governanti perché
possano onoratamente disimpegnare la missione che loro incombe.
In che modo cooperare con i governanti per conseguire ciò che reclamiamo?
Per mezzo di una propaganda intensa e tenace, portando, con la convinzione, gli spiriti dei nostri
cittadini, alla luce splendente della Verità, della Ragione e della Scienza; convincendoli che niente
può alterare le leggi di natura, che i pretesi miracoli non si fondano che su dicerie miserabili,
destinate ad abusare della credulità, figlia dell'ignoranza, rimasuglio d'una educazione fratesca,
molto tenace, le quali però possono ancora essere sradicate.
I più influenti cerchino di togliere gradualmente dalle menti la deleteria e degradante credenza
nel soprannaturale, e si sarà fatto un passo grande verso la eliminazione dei minchioni che si
lasciano abbindolare dagli emissari del mercantilismo e della reazione, che giorni or sono li
trasportò a Fatima.
I professori, nelle scuole e nei collegi, educhino e istruiscano razionalmente i loro discepoli,
liberandoli dai preconcetti religiosi come da ogni altro, e avranno così preparato per domani una
generazione più felice dell'attuale, per essere più di questa degna di felicità.
Liberiamoci quindi tutti, strappando dal nostro spirito non solo la stupida credenza in imposture
grossolane ed esilaranti come quella di Fatima, ma specialmente la fede nel soprannaturale, in
un preteso Dio Onnipotente, Onnisciente e Onnitutto, che può entusiasmare l'arguta
immaginazione degli impostori per assicurare la riuscita e ingannare la popolare ingenuità.
Cittadini: Viva la Repubblica! - Abbasso la reazione! - Viva la Libertà!
Editori: L'Associazione del Regista Civil e la Federazione Portoghese Libero Pensiero - Largo do
Intendente, 45-I - Telefono 652 Norte.
Compilato e Stampato nella Tipografia di Leiria - Via da Orta Seca, 64».
69 Lettera inserita nella terza edizione portoghese. In seguito al colpo di stato di Sidonio Pais la
persecuzione religiosa andò decrescendo, la legge della separazione fra Stato e Chiesa, proclamata
nella forma più aspra nel 1911, fu mitigata e vennero riprese le relazioni con il Vaticano (N. d. E.).
70 Fatima era allora sotto la giurisdizione del patriarcato di Lisbona. La diocesi di Leiria fu
ristabilita soltanto nel 1918 (N. d. E.).
71 È l'elce che sta ancora sul piazzale del santuario, sul quale si abbassò la nube la prima volta.
72 Attualmente è canonico della cattedrale e vicario generale della diocesi di Leiria.
73 È interessante sapere come avvenne il primo contatto del P. Faustino con gli avvenimenti di
Fatima.
Diamo la parola alla signora Maria da Capelinha.
« ... Ebbi un'altra persecuzione e fu quando morì il padre di Lucia e il terreno della Cova passò ai
figli.
Siccome la gente calpestava il terreno che doveva dar loro il pane (qui non si poteva coltivare nulla)
si convinsero che sarebbe stato giusto che, con le elemosine raccolte, fossero loro pagati i danni,
tanto più che dicevano, io sottraevo il denaro per pagarmi e pagare la mia famiglia.
Un Venerdì Santo, dopo cena, mentre stavamo a pregare, entrò il fratello di Lucia con altri tre
uomini per trattare il caso.
- Noi pensiamo di costituire una commissione che tratti i problemi della Cova da Iria - dissero essi.
- Voi mi dovete consegnare il denaro per redimere la mia terra (naturalmente solo quella parte che
produceva), e se io devo pagare la giornata ad altri, faccio io il lavoro, o quando non posso restare
io, staranno le mie sorelle.
- E chi ordina questo? - domandai.
- Fu convenuto così.
- Ma io ho l'ordine del parroco di non dar niente a nessuno.
- E noi parliamo al vicario.
- Al vicario di che paese?
- Al vicario di Torres Novas.
- Il vicario di Torres Novas qui non c'entra. Chi comanda qui è il vicario d'Olival. Voi andate a
Olival, parlate a lui. Ciò che egli comanda, sarà eseguito.
- Non c'è tempo d'andare là ora, - risposero essi. - La commissione si forma domenica dopo la
prima Messa. - E se ne andarono.
Io pensai un po', poi dissi alle mie figlie che erano presenti:
- Vado io ad Olival! Dirò io tutto al signor vicario. Così resto libera.
- Ma tu, mamma, vuoi andare ad Olival ammalata come sei? È lontano, ci sono boschi ... Andiamo
noi!
- Andiamo noi due - concluse mio marito cui non garbava la proposta che le ragazze girassero sole.
Così partimmo subito il giorno dopo per Olival. Era il Sabato Santo.
Quando arrivammo, il vicario era ancora in chiesa, ma poco dopo venne.
- Io ho in consegna il denaro che viene offerto alla Madonna - gli dissi - ed ho sopportato molte
contrarietà, ma questa non ci voleva. Non mi piace che persone estranee vengano a comandare in
casa mia. La proprietà è loro, ed io non voglio essere in quel posto più padrona di loro! Siam venuti
qua per sentire il suo parere, se dobbiamo consegnare il denaro o no.
E il signor vicario:
_ Quello che avete, custoditelo bene, e continuate così come avete fatto finora ... lo ho sentito
parlare dai miei parrocchiani che vengono là con piacere, ma io mai volli interessarmi di niente
perché non mi comunicarono cosa alcuna che mi potesse interessare.
Io allora gli dissi della commissione che si voleva fare. Egli scrisse una lettera da consegnare agli
interessati e disse:
- Se essi non sottostanno, tornate qui e provvederò io; infatti, fra pochi giorni dovrò venir io da
quelle parti.
La commissione non si costituì, ma in questa prima visita del sacerdote a Fatima avvenne il primo
incontro coi tre pastorelli.
74 Nelle pubblicazioni su Fatima (dott. Formigao, dott. Fischer, P. da Fonseca) si dice che il
fanciullo s'ammalò solo alla fine di dicembre e precisamente il giorno 23. Questa data deve riferirsi
ad una ricaduta e non propriamente all'inizio della malattia.
Ecco un particolare che conferma la nostra asserzione. Come in altri paesi del Portogallo, si usava e
si usa ancor oggi in Fatima, che il giorno dei Santi (1° novembre) i fanciulli andassero di casa in
casa a chiedere il «pao por Deus» (pane per amor di Dio) o il «bolinho» come si dice in questa
regione. Ora Ti Marto ricorda perfettamente che i fanciulli andarono in quel giorno a battere alla
sua porta e che suo figlio Giovanni, l'unico che ancora non fosse ammalato, rispondeva sempre:
- Qui non c'è «bolinho», non c'è «bolinho»! ... Sono tutti ammalati!
75 Che differenza però dall'attuale ambiente! Ci racconta la mamma che persone amiche e lei stessa
portavano dolci ed altri doni a Giacinta; glieli mettevano nel cassetto del comodino, ma tutto poi
scompariva senza che Giacinta li assaggiasse. - Era l'infermiera golosa - afferma la signora Olimpia.
76 All'Autore fu offerta, dalla mamma, la fascia con cui si bendava la ferita dell'ammalata.
77 Mentre la signora Olimpia e la figlia erano nella sala d'aspetto, entrò una signora, Dona Maria
Amelia de Sande e Castro, che soffriva molto agli occhi ed era medicata tutti i giorni dal dott.
Lisboa.
Questa signora, che credeva nelle apparizioni di Fatima e che teneva Giacinta in grande
considerazione, le chiese di pregare per lei la Madonna. Ma Giacinta non rispondeva nulla; la
guardava solo con serietà, in modo che la signora si allontanò sconsolata, lasciando però una busta
di 50 scudi in mano alla bambina che la consegnava immediatamente alla Superiora della casa. Ma
Madre Godinho non voleva accettarla.
- Dà il denaro alla tua mamma - disse alla fanciulla.
- No - rispose questa. - Il denaro è per lei che ha molto lavoro per me.
Più tardi la religiosa domandava a Giacinta:
- Perché non rispondesti a quella signora quando ti chiedeva di pregare per lei?
- Vede, madrina, io pregai molto per lei; ma non le dissi nulla quel giorno, perché avevo paura di
dimenticarmi ... sentivo tanti dolori.
78 Non era però la prima volta che la Madonna si riferiva alla gravità del peccato contro la purezza.
Ci dice la signora Olimpia che una sera in Aljustrel la figlia le disse:
- Mamma, non mangiare carne al venerdì e non darla a noi... perché la Madonna disse che il
peccato della carne è quello che porta più anime all'inferno.
79«Non sarà questa una allusione all'invasione comunista di cui fummo minacciati, e da cui i nostri
Prelati chiesero alla Madonna di essere liberati promettendo di fare un pellegrinaggio nazionale in
ringraziamento?
Una domanda: sarà forse già fatta la riparazione richiesta? Non sarà riparazione l'intensificarsi
della vita religiosa che si nota in Portogallo; la nota caratteristica di penitenza dei pellegrinaggi a
Fatima, di cui fu magnifico esempio la giornata dei diecimila fanciulli, molti dei quali vennero a
piedi da lontano? Il ricevimento trionfale della statua della Madonna nella sua intronizzazione a
Lisbona?» (Galamba de Oliveira, Jacinta).
80 «Florinda quando stava per morire - ci racconta Ti Marto - mi chiamò vicino a lei: - Stai qui,
papà, - mi disse. Tolse il braccio dalle coperte per prendere qualcosa dalle mie mani. Le diedi una
candela accesa, la strinse con forza e disse: - E ora, perdonami, papà, perdonami!
La mamma era andata in cucina a prendere un po' d'acqua: la stanza era piena di gente e la ragazza
morì così ...
Anche Teresa era buona e la sua morte fu una morte santa. Ah, Madonna mia!
Esse conoscevano bene la morte. Questo era ciò che ci confortava».
81 Parlando con una infermiera, questa mi raccontò che di proposito andava a mettersi ove la
Madonna appariva alla fanciulla, e dove la fanciulla guardava costantemente. «Giacinta non diceva
nulla; ma il suo volto prendeva un'espressione di tanta sofferenza, di tanta tristezza al vedermi là,
che io non avevo il coraggio di indugiare».
82 Più tardi il signor A. Rebelo de Almeida scriveva: «Mi sembra di vedere ancora l'angioletto.
Stesa nella cassa, Giacinta pareva viva, con le labbra e le guance color rosa, bellissima. Ho visto
molti morti, piccoli e grandi, ma non mi avvenne mai di vedere una tal cosa ... Il più grande
incredulo non potrebbe dubitarne. Si pensi all'odore che molte volte emanano i cadaveri, per cui,
solo con grande ripugnanza, si può star loro vicino. La fanciulla era morta da tre giorni e mezzo ed
il suo odore era come quello di un mazzo composto dei più svariati fiori ...».
83 Ecco quanto apprendemmo dal signor Julio Lopes, che fu segretario dell'amministrazione di
Vila Nova de Ourém, in un incontro nella casa della signora Margarida Teles: «Quando cominciò a
circolare la voce che si preparava un grande pellegrinaggio a Fatima, Artur dichiarò: - Devo farla
finita con questa pagliacciata! - Lei non riuscirà a nulla - gli risposi. Ed egli: - Mobilito tutta
l'artiglieria. Non passerà nessuno. Alla forza non si può resistere! - Ma io sapevo che era una idea
assurda».
84 Come abbiamo riferito sopra, Lucia il 17 giugno 1921 si era ritirata, per volere del vescovo, nel
collegio delle suore dorotee di Vilar. Benché le fosse proibito di rivelare la propria identità, seppe
infondere nelle compagne un ardente amore alla Madonna. Compiuti gli studi, abbracciò la vita
religiosa, entrando nel noviziato delle suore dorotee a Puy in Spagna. Nel 1928 emise la prima
professione col nome di Suor Maria das Dores.
Unica superstite dei tre veggenti, fu favorita di ulteriori apparizioni e rivelazioni che completano il
messaggio di Fatima e furono riferite diffusamente nelle precedenti edizioni di questo libro. Ad
esse si allude nei documenti n. 1 e 2 riportati in appendice. Per dedicarsi completamente alla
preghiera e alla penitenza, secondo i desideri della Vergine, Suor Maria ottenne da Roma
l'autorizzazione ad abbracciare la vita di clausura. Dopo un breve soggiorno a Fatima (maggio
1946), lasciò l'Istituto delle dorotee, nella primavera del 1947, ed entrò nel Carmelo di Coimbra
dove le fu imposto il nome di Suor Maria Lucia del Cuore Immacolato. Riportiamo qui la
traduzione della immagine ricordo della sua professione solenne:
Poiché ai suoi Angeli comanderà per te / di custodirti in tutte le tue vie (Ps. 90, 11).
L'anima mia magnifica il Signore / e il mio spirito esulta / in Dio mio salvatore (Lc. 1, 46-47).
I miei voti scioglierò a Jahve, / al cospetto di tutto il popolo. / Negli atri della casa di Jahve, / nel
tuo mezzo o Gerusalemme (Ps. 115, 18-19).
Ricordo della professione / di / Voti Solenni / di / SUOR MARIA LUCIA / DEL CUORE
IMMACOLATO / nel Carmelo di S. Teresa di Coimbra / 31 maggio 1949 / Festa della Madonna
Mediatrice di tutte le grazie.
Le impose il velo S. E. Rev.ma il Signor D. Ernesto, Arcivescovo-Vescovo-Conte. Fece la Vestizione
il 13 maggio 1948 (N.d.E.).
85 Si allude alla corona, offerta dalle donne portoghesi, che verrà posta sul capo della statua della
Madonna di Fatima, a guerra finita, dal legato pontificio cardinale Benedetto Aloisi Masella, alla
presenza di una moltitudine di oltre 700.000 persone.
86 Scritti e discorsi di S. S Pio XII nel 1942, Siena 1943, 243-250.
87 Discorsi messaggi colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, IV, Città del Vaticano 1963, 611612. Analoga commossa rievocazione anche nei discorsi del 16 settembre 1959 e del 17 maggio 1961
(Ivi, I, 790; III 554).
88 ANGELO GIUSEPPE CARD. RONCALLI, Scritti e discorsi, II, Roma 1959, 423-430.
89 «Abbiamo assistito ai soliti tentativi di accaparramento e a conseguenti proteste, ad
interpretazioni unidirezionali ed a suggerimenti su quanto il Papa avrebbe dovuto fare o non fare,
tanto più irriguardosi, ingenui e fuori luogo quanto meno richiesti ed opportuni». G. CAPRILE,
Dimensioni di un pellegrinaggio, in Civiltà Cattolica 118 (1967) II, 435.
90 Discorso nell'udienza generale del 3 maggio 1967. Insegnamenti di Paolo VI, V, Città del
Vaticano 1968, 231.
91 Signum magnum, in A.A.S 59 (1967) 475.
92 Insegnamenti di Paolo VI, V, 236-239
93 Si veda la nota 3 dell'introduzione.
94 H. JONGEN, Nevel boven Fatima, in De Standaard van Maria 22 (1946) 177-191, 234-241,
253-261.
95 Il P. E. Dhanis
96 Si veda la lettera di Lucia alla mamma, in data 24 luglio 1927, riprodotta in appendice, II.
Scarica

Era una Signora più splendente del sole