geniodonna
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I SOGNI
DELLE
DONNE
Geniodonna
un mese di eventi
cinema teatro musica
a Como e in Ticino
Lo sguardo femminile sul mondo
Finanziato dall’UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr
Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como
Periodico di fatti e di idee di Como e del Cantone Ticino - Anno 2 - N. 5 - Marzo 2010
Donna?
il punto
di Chiara Ratti
“Cosa vuol dire sono una donna”? Se lo chiedeva non senza
un velata preoccupazione a sfondo sessuofobico e qualche ansia
da prestazione anche il buon Battisti (in coppia con Mogol)
e ce lo chiediamo, temo, sempre più spesso anche noi.
Stagione difficile quella della contemporaneità, soprattutto per chi vuole
interrogarsi sull’identità: in Italia un’ex valletta, archiviati
gli stacchetti musicali, promuove decreti farraginosi
sulle pari opportunità mentre nell’America wasp
le donne sorpassano gli uomini quanto a reddito
e tenuta dell’occupazione, nella vecchia Inghilterra invece
file di veline indigene si candidano a diventare wag
(wife and girlfriend, l’acronimo con cui sono
definite in Inghilterra le donne dei calciatori)
a colpi di conquiste e corna.
“Cosa vuol dire sono una donna ormai?” Chi siamo?
Siamo le “donne girasole” che non possono
stare senza un uomo
(qualechesianonimportaquantoinopportuno)
o quelle che rivendicano a ogni costo,
anche a costo della felicità, la propria indipendenza?
“Le gote rosse” e “le bionde trecce”, tanto per tornare
al solito Battisti, ci hanno stancato, ma ce l’abbiamo
davvero il coraggio di chiederci chi siamo?
E di prenderci la responsabilità della risposta?
Carol Rama, Appassionata, 1940.
Torini, Galleria d’Arte Moderna.
Siamo davvero pronte a un modello nuovo all inclusive?
E si risolve davvero così la questione dell’identità plurale?
Con l’elaborazione di un modello full optional: brava moglie,
brava mamma, brava professionista, brava a letto, brava per forza,
perché altrimenti non è abbastanza, perché bisogna
sempre essere più che all’altezza della situazione, una specie di suv
metropolitano per la giungla d’asfalto?
Io credo di no. Credo che la questione dell’identità si declini
al singolare e rifugga dalle generalizzazioni, sempre pericolose,
per riscoprire nella sua interezza la persona e il suo specifico,
femminile o maschile.
GENIODONNA
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Redazione Como ([email protected]): Guido Boriani ([email protected]), Cristina Sonvico, Idapaola Sozzani.
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gd
O
tto marzo, festa della donna: una data
può servire agli smemorati.
Ma è tempo di uscire dai riti
e porsi senza soste e scadenze la necessità di un
nuovo ruolo delle donne.
La società deve accogliere e utilizzare la loro carica
di umanità, la loro visione
equilibrata del mondo, la
loro forza affettiva, e intellettuale.
Fa parte della missione di
questo mensile, edito da
due associazioni femminili non profit di Como e di
Lugano, unite per le pari opportunità, sostenere il
punto di vista femminile del
mondo, un diverso modello
di vita e di lavoro, meno aggressivo di quello maschile,
meno avido.
Per questo non un solo
giorno, ma una kermesse di
iniziative in nome del genio
femminile, ingrediente che
nessuna società può mettere in disparte se non vuole essere zoppa e parziale.
Saranno iniziative cinematografiche, teatrali, concertistiche che ricondurranno
al problema dell’uguaglianza delle condizioni, dei trattamenti, dei percorsi, dei
diritti in cui si possono riconoscere donne e uomini.
Abbiamo potuto gentilmente usufruire della preziosa
collaborazione
dell’Ufficio Cultura del Comune di
Per le
donne
non un
giorno
ma una
lunga
kerme sse
Chiasso, e contiamo sulla
consulenza artistica di una
giovane e sensibile regista
Alina Marazzi conosciuta
per “Un’ora sola ti vorrei”
e “Vogliamo anche le rose”:
proietteremo quattro film di
donne e sulle storie delle
donne, donne di tutti i giorni, che non compaiono mai
nei modelli della comunicazione spazzatura.
Troverete per ogni pellicola
tutte le notizie nelle pagine
successive.
E poi il Teatro in collaborazione con il Cinema Lux
di Massagno: tre spettacoli con una prima assoluta
per il Ticino, di una pièce in
dialetto sulle avventure di
“Baloss/Ulisse” personaggio omerico; e poi “Occidoriente”, una storia sospesa
tra due mondi e “Vita Virginia”: una storia d’amicizia e
d’amore tra due scrittrici.
Infine musica concertistica
con pezzi scritti da compositrici dal ‘800 ad oggi.
P.S.: Il mensile ha vinto un
bando europeo che lo ha
fatto nascere; ma la sopravvivenza nel tempo è legata a voi lettrici e lettori,
alla vostra adesione. Non
è complicato. Basta abbonarsi e convincere a fare la
stessa cosa amici, conoscenti, persone, studenti,
professionisti.
1
Alina e le altre
di Alina Marazzi
C
on il titolo della rassegna L’altra lei, abbiamo voluto porre l’attenzione sul concetto di “altra”: un’altra donna, un’altra figura di donna, diversa da quella rappresentazione del femminile
che più spesso incontriamo nelle immagini del nostro quotidiano.
Per una donna oggi è difficile rispecchiarsi in quelle “simulazioni”
di donna che i media ci propongono: raramente riusciamo a identificarci con le donne delle pubblicità o degli show televisivi. Tra queste
donne, è difficile trovare qualcuna che ci assomigli e che ci dica qualcosa che parli anche di noi, della nostra vita, delle nostre emozioni, e
non solo del colore dei nostri capelli o della forma del nostro seno. è
difficile per noi donne di tutte le età, sia che siamo bambine, adolescenti, single, madri, o nonne… è come se lo specchio si fosse rotto
e ci rimandasse un’immagine falsata di noi stesse.
Nel cinema, al contrario che in altri mezzi espressivi e di comunicazione – la televisione, la fotografia, la stampa, il web - sembra ancora
esserci uno spazio libero, non completamente assoggettato al trend
dominante che vuole la donna sempre e solo rappresentata attraverso lo sguardo maschile.
Le “altre donne” della rassegna sono le protagoniste di storie vissute
intensamente, con leggerezza e con intensità; sono donne che non
“subiscono” la vita, ma la agiscono. Fanno delle scelte, a volte controcorrente, che le portano fuori dal tracciato che era loro destinato;
oppure si trovano a fronteggiare situazioni inattese e dolorose, reagendo con intelligenza e sentimento per andare oltre, e continuare ad
essere persone vere, donne libere. Maria, Nusret, Antonia, Tamara,
Lina e Hala non si conoscono, vivono in paesi lontani tra loro, parlano lingue diverse, ma sicuramente hanno qualcosa in comune, e,
se dovessero mai incontrarsi, troverebbero sicuramente qualcosa da
dirsi. Le altre della rassegna sono anche però Francesca, Yesim, Marina e Dima, le registe che raccontano queste storie, e che, con il loro
sguardo “altro”, ci propongono non solo storie di donne, ma anche
un linguaggio cinematografico che sia espressione di una visione del
mondo al femminile.
A
nche io sono regista, di film documentari; ogni volta che mi
appresto a lavorare su un nuovo film, non solo scelgo un tema
o storie che mi coinvolgono da vicino – e questo inevitabilmente significa portare l’attenzione su vissuti di donne – ma mi pongo fortemente la questione del punto di vista, del mio punto di vista di donna
su quel tema o quella storia. Credo che questo sia anche il punto di
partenza delle mie colleghe registe i cui film sono presenti nella rassegna. Il cinema fatto dalle donne, non è solo tale perché mette al
2
centro della propria narrazione
storie di donne, ma lo è davvero quando lo sguardo che questo
cinema esprime, è lo sguardo di
una donna sul mondo. Per quanto mi riguarda, il documentario
è la forma cinematografica che
ho adottato per raccontare storie e soprattutto “incontri”: sono
gli incontri che faccio con persone reali (come le monache in Per
Sempre, sulla clausura) o presenze
cinematografiche (come nel caso di mia madre in Un’ora sola ti
vorrei e le donne degli anni ‘70 in
Vogliamo anche le rose) che fanno
nascere l’esigenza di raccontare
di quell’esperienza. è sempre a
“partire da sé” che si compie il
primo passo per intraprendere
un viaggio, una ricerca, che è conoscenza di qualcosa di nuovo,
ma anche e sempre introspezione. Mi riesce difficile pensare a
un documentario che non dialoghi direttamente con la mia vita e
con chi sono io in quel momento; credo che mettersi in gioco,
mettersi in scena, offra maggior
possibilità di verità nel racconto
del mondo che ci circonda. Sento il mio lavoro simile a quello
del detective: mi metto alla ricer-
“L’Altra Lei”
ca di “indizi”, vedo e ascolto ciò
che le testimonianze mi dicono,
decifro le immagini, e intuisco
cosa le parole scritte in un diario possono comunicarmi. Poi
procedo timidamente per associazioni emotive e visive, e così
inizio un percorso che non so
bene dove mi porterà. La narrazione procede in un movimento complesso, con accelerazioni,
divagazioni, arresti, sospensioni.
Tutto questo mettere insieme diverse immagini, parole e suoni,
crea un racconto, che è una narrazione. Questo per me è fare cinema, che significa anche cercare
di rifondare un linguaggio cinematografico: il tentativo di creare
un’estetica che aderisca a un’etica che appartenga a noi donne,
e anche a tutti coloro che sono
al nostro fianco e guardano al
mondo insieme a noi.
Rassegna cinematografica
Cinema Teatro Chiasso
Marzo: martedì 2 • 9 • 16 • 23
ore 20.30
Un nuovo
raccontare
espressione
dello sguardo
di donne sul mondo
Marina Spada.
Alina Marazzi vive e lavora
a Milano. Regista e aiuto
regista di lungometraggi
per il cinema. Ha realizzato diversi documentari
di argomento sociale e
culturale per la Rai e RTSI. Il
suo film Un’ora sola ti vorrei
ha ricevuto riconoscimenti
internazionali. Il suo ultimo
film è Vogliamo anche le
rose.www.unorasola.it
www.vogliamoanchelerose.it
Alina Marazzi.
Dimm El-Horr.
Francesca Comencini.
3
Cinema Teatro Chiasso
martedì 2 marzo 2010
ore 20.30
(v.o. ita). Durata: 96’
Anteprima svizzera
Alla proiezione sarà presente la
regista Francesca Comencini
Regia
Francesca Comencini.
Tratto dall’omonimo
romanzo di Valeria Parrella.
Interpreti
Gaetano Bruno, Giovanni
Ludeno, Antonia Truppo,
Guido Caprino, Salvatore
Cantalupo, Maria Pajato.
Sceneggiatura:
Francesca Comencini,
Federica Pontremoli.
Fotografia: Luca Bigazzi.
Montaggio: Massimo Fiocchi.
Scenografia: Paola Comencini.
Costumi: Francesca Vecchi,
Roberta Vecchi.
Musiche: Nicola Tescari.
Prodotto Fandango in collaborazione con Rai Cinema.
Per gli iscritti alla Faft
e al Senato delle Donne
e per gli abbonati
al mensile
entrata gratuita
alla rassegna
4
Maria aspetta una bambina, non è più incinta ma aspetta lo stesso. Aspetta che sua figlia nasca, o muoia. E se c’è una cosa che Maria non sa fare è
aspettare. è per questo che i tre mesi che deve affrontare, sola, nell’attesa
che sua figlia Irene esca dall’incubatrice, la colgono impreparata. Abituata
a fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze e a decidere con piena autonomia della propria vita, Maria si costringe a un’apnea passiva che
esclude il mondo intero, si imprigiona nello spazio bianco dell’attesa. Ma
questo sforzo di isolamento doloroso consuma anche l’ultimo filo di energia a disposizione: la bolla di solitudine in cui Maria si è rinchiusa è messa a
dura prova e alla fine esplode. è necessario che Maria salvi se stessa per riuscire a salvare la bambina. Non c’è che una soluzione: consentire al mondo
di irrompere nella propria esistenza e concedersi il privilegio di ritornare a
vivere. E così inventarsi la forza per accompagnare Irene alla nascita.
Lo Spazio Bianco
“Questo film mi ha portata a parlare di una delle cose più centrali della mia vita, la
maternità. Per un paradosso non casuale, mi sono sempre ritrovata, nel corso della mia
vita, insieme a molte altre, a dover difendere il diritto delle donne di non essere madri, o
di poter scegliere se e quando esserlo, e mi sono ritrovata di fronte degli strenui difensori
della vita, quasi sempre uomini, quasi mai padri. Eppure, da quando ho vent’anni,
vado in giro con un bambino aggrappato al fianco. Questo film mi ha dato l’occasione di
parlarne, di parlare di ciò che conosco meglio, dell’essere madre. Della difficoltà, dell’intimità di ogni storia di maternità. E anche della leggerezza che la maternità genera,
anche nel dolore, anche nella fatica, e della forza e dell’allegria che porta con sé. Mi sono
sentita così facendo questo film, anche nelle difficoltà, anche nella fatica, mi sono sentita
leggera, e più libera, come se qualcosa si sciogliesse in me. Ho fatto un film molto più
visionario,
molto più musicale dei miei film precedenti.”
(F. Comencini)
“L’Altra Lei”
Chaque jour est une fête
Cinema Teatro Chiasso
(Every day is a holiday)
martedì 9 marzo 2010 ore 20.30
Libano 2009 (v.o. arabo/francese - sottotitoli tedesco/francese). Durata: 87’ Anteprima svizzera.
Regia: Dima El-Horr
Interpreti: Hiam Abbas, Manal Khader, Raïa Haïdar, Karm Saleh, Fadi Abi Samta, Siro Faselian, Bilal Atoui,
Berge Fasilian. Sceneggiatura: Dima El-Horr, Rabih Mroué. Montaggio: Jacques Comets. Fotografia: Dominique Gentil.
Musiche: Pierre Aviat. Produzione Ciné-Sud Promotion, Thierry Lenouvel,Visions Sud Est.
A Beirut è il giorno della Festa dell’indipendenza, le strade sono affollate.
Tamara, Lina e Hala non si conoscono, ma salgono sullo stesso autobus
dirette verso il carcere di Mermel, dove sono rinchiusi i loro uomini. Ma
l’autista dell’autobus viene ucciso da una pallottola. le tre donne decidono
di proseguire il cammino attraverso il deserto e la desolazione dei villaggi.
Giunte al carcere lo trovano ridotto a un cumulo di macerie: dei prigionieri
sono rimasti i corpi, intorno l’arido deserto e un surreale susseguirsi di dune, miraggi e di martiri della rivoluzione.
Chaque jour est une fête (Every Day Is a Holiday). Film di produzione indipendente, è il primo lungometraggio di Dima El-Horr, giovane regista che ha
studiato regia all’Art Institute di Chicago e attualmente insegna cinema alla
Lebanese American University in Libano.
“Il titolo del film significa che in Libano non c’è routine, non abbiamo un giorno che
somiglia a un altro, fa parte del paradosso quotidiano di quei territori. Quando dico
Ogni giorno è una festa, indico la situazione assurda della guerra, di tutte le guerre, non solo della nostra. Le immagini del sogno, secondo me, aiutano a sottolineare più
che ad alleggerire le immagini. I telegiornali le mostrano ogni giorno, le fanno sembrare
normali, immagini oniriche e tremende, a sottolinearne l’orrore.” (Dima El-Horr)
5
Poesia
che mi
guardi
Poesia che mi guardi partendo dalla figura di Antonia Pozzi, poetessa
appassionata, riconosciuta come una delle voci più alte del Novecento non solo italiano e morta suicida a soli 26 anni nel ‘38, si propone come riflessione sul ruolo dell’artista e del poeta nella società di
allora e di oggi. Il film dà voce alla sua poesia e alla sua ricerca esistenziale, al disagio verso il suo ambiente sociale che le impediva di
vivere in modo sincero e passionale e verso un mondo maschile che
liquidava il suo talento poetico come disordine emotivo. Parlare della
Pozzi vuol dire anche riflettere sull’essere donna nella nostra società,
sulla creatività al femminile e sul rapporto tra arte e vita.
Il film mostra per la prima volta i filmati 8mm girati da Antonia. Voce narrante del film
è Maria, cineasta che ne studia l’opera e ricerca il mondo
e i personaggi della sua vita
coinvolgendo un gruppo di
studenti, gli H5N1, che diffondono le loro poesie in forma
anonima sui muri.
“Poesia che mi guardi è una riflessione sulla poesia e sulla sua necessità. Amo la poesia e amo i poeti perché danno
voce, coraggiosamente, a ciò che di solito è taciuto. Antonia Pozzi, in particolare, mi aveva fulminata perché la sua poesia
è libera, carnale, sincera. Mi affascinava questa giovane donna costretta a nascondere, dietro l’apparenza borghese, una
passionalità intensa che mal si conciliava con le strettoie e le convezioni dell’epoca. Antonia Pozzi era sola perché, come
tutti gli imperdonabili, era troppo moderna per essere compresa. Ha saputo guardare, senza ritrarsi, la bellezza e il dolore del mondo e testimoniare se stessa. Morta suicida, come spesso è accaduto alle donne poeta, è nata e vissuta a Milano,
come me.” (M. Spada)
Cinema Teatro Chiasso
martedì 16 marzo 2010, ore 20.30
Anteprima svizzera. (v.o ita). Durata 50’
Alla proiezione sarà presente la regista Marina Spada.
Regia: Marina Spada. Interpreti: Maria Elena Ghiaurov, Nicola Carlo Bassetti, Manuela Enrica Chiurazzi, Stefano Marco, Colombo Bolla.
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Sceneggiatura: Marella Pessina, Simona Confalonieri, Marina Spada. Montaggio: Carlotta
Cristiani. Fotografia: Sabina Bologna.Musiche originali: Tommaso Leddi.
Prodotto con il contributo di Comune di Milano Max Brun Provincia di Lecco.
“L’Altra Lei”
Pandora’s Box
(Pandoranin Kutusu)
Quando Nusret si allontana dalla sua casa, nelle montagne vicino al Mar
Nero, non immagina certo che andrà a mettere a dura prova i nervi dei suoi
figli. La sua famiglia è del resto l’ultima delle preoccupazioni di questa vecchia signora, colpita dal morbo di Alzheimer. E i suoi figli, nonostante le
loro apparenti riuscite sociali, non vivono bene. La scomparsa della madre
porterà a galla il loro malessere, obbligando le due figlie, Nesrin e Güzin, a
confrontarsi con il vuoto siderale delle loro vite affettive, mentre il fratello
Mehmet non potrà più nascondere il fallimento della sua pretesa vocazione
artistica. Solo Murat, l’adolescente ribelle figlio di Nesrin, saprà instaurare
un rapporto con questa nonna che non aveva mai conosciuto.
Cinema Teatro Chiasso
martedì 23 marzo
2010, ore 20.30
Turchia, Francia, Germania,
Belgio 2008 (versione originale turca, sottotitolata fr/
ted). Durata 112’
Regia
Yesim Ustaoglu
sceneggiatura:Yesim
Ustaoglu, Selma Kaygusuz
Interpreti
Tsilla Chelton, Derya
Alabora, Onur Unsal, Övül
Avkiran, Osamn Sonant.
Fotografia: Jacques Besse.
Montaggio: Franck Nakache.
Scenografia: H.F. Farsi, Elif
Tasçioglu, Serdar Yilmaz
Musica: Jean-Pierre Mas
Produzione: Silkroad Production, Les Petites Lumières,
Stromboli Pictures, Ustaoglu
Film Yapim, The Match Factory.
Film pluripremiato (si è aggiudicato tra gli altri nel 2008 la “Concha d’oro” nonché la
“Concha d’argento” per la miglior interpretazione femminile all’attrice Tsilla Chelton
al Festival del cinema di San Sebastian, e più recentemente il Premio Tre Castelli Categoria 16/20al festival Castellinaria), scritto e diretto da Yesmin Ustaoglu, architetto
di formazione, che si è fatta conoscere in occidente con Viaggio verso il sole (1999).
Questo film è una vera ode alla vecchiaia, interpretato magistralmente da Tsilla Chelton, che con toni lievi racconta un soggetto universale, offrendo uno sguardo positivo e
fiducioso sul futuro.
7
Biblioteca Comunale
di Como
Venerdì 26 marzo
2010 - ore 20.30
Contributo 7 euro
Abbonati 5 euro
Studenti 2 euro
Duo pianistico
Quattromani: Adriana
Mascoli e Franco Torri.
Musiche di compositrici
dalla fine dell’Ottocento
a oggi.
L
’allestimento e il progetto teatrale guidato
da Laura Negretti nasce
dalla libera trasposizione
del racconto Il manichino
dietro il velo di Sadegh Hedayat, autore iraniano del
‘900, riletto qui per l’azione teatrale con ironica intelligenza e grande poesia
e non pochi riferimenti
autobiografici, dall’autore
contemporaneo iraniano
Hamid Ziarati.
Musicadonna
Concerto: verranno interpretate musiche di Germaine Tailleferre (18921983), Erszebet Szönyi (1924 ), Cecile Chaminade (1857 – 1944), Marcela
Pavia, Fanny Mendelssohn (1805 – 1847), Ruth Schonthal (1924-2006).
Parteciperanno alla serata la compositrice italo-argentina Marcela Pavia e la
nipote di Germaine Tailleferre, Elvire De Rudder.
Un caleidoscopio musicale di compositrici dallo stile differente e che dà risalto alla molteplicità dell’espressione musicale.
Occidoriente
Eleonora Moro, giovane e apprezzata regista milanese guida un cast di
due giovani attori, Laura Negretti e Ulisse Romanò, attraverso una storia volutamente sospesa e a cavallo tra due mondi: una città dell’occidente
– dove il giovane protagonista conduce gli studi universitari e in cui viene
folgorato dalla seduzione della modernità e dal fascino di una donna e di
un modello femminile prepotentemente estraneo alla sua cultura – e l’Iran
delle sue origini.
Tradizione, attualità e contraddizioni si sono fuse in un unico spettacolo che prova a
raccontare l’Iran dei nostri giorni. Senza però dimenticare la leggerezza, perché, come ci
ha spiegato Hamid Ziarati, “Un paese con la bandiera color anguria non può che essere
così. Un frutto verde fuori e bianco e rosso dentro, sembra duro e invece è più fragile del
silenzio”. (Laura Negretti)
Cine-Teatro Lux
Lugano-Massagno
Sabato 27 marzo
2010 - ore 20.30
Progetto di Laura Negretti, regia di Eleonora
Moro.
Con Laura Negretti
e Ulisse Romanò.
Liberamente ispirato al
racconto Il manichino
dietro il velo di Sadegh
Hedayat.
Foto: Marco Sesana.
8
L’Odissea in dialetto laghée
di Basilio Luoni
C
apitava spesso quando, in una terza media (con vista
del lago e dei sontuosi cipressi del cimitero di Lezzeno che nei giorni di sole potevano ben ricordare
quelli delle strade di campagna della Grecia), finivo di leggere
un episodio dell’Iliade o dell’Odissea, che qualcuno, evidentemente assalito dai fantasmi, proponesse: “Lo facciamo anche
noi?” Voleva dire che si tiravano i banchi e la cattedra contro
le pareti, si distribuivano velocemente le parti e, alla maniera
della commedia dell’arte, si improvvisava. I dialoghi venivano
scarni, a volte proprio scheletrici, ignari di tutta l’arte retorica
profusa da Omero, ma le scene risultavano vive, animate.
La nascita dell’azione teatrale
Un anno, disponendo di una classe parecchio affiatata, ironica
e poco incline al lavoro tradizionale, e di un primo attore dalle
capacità fuori dal comune, fui io a proporre la sfida: “Facciamo l’Odissea. In dialetto”. Non si improvvisò più. Si preparò una scaletta, si stesero i dialoghi, si fecero mesi di prove.
Ne risultò uno spettacolo spedito e applaudito, all’insegna del
segue
9
EL BALOSS
L’Odissea in dialetto
Cine-Teatro Lux
Lugano-Massagno
Sabato 17 aprile
2010 - ore 20.30
Compagnia dialettale
del Teatro Lezzenese
plurilinguismo: Polifemo si rivolgeva ai Greci in latino maccheronico, le
sirene strillavano canzoni da osteria, la Circe sfoggiava una discreta parlata napoletana, e il cane Argo e i maiali di Eumeo e i buoi del Sole avevano
spazio per guaiti, grugniti e muggiti… La compagnia uscì dalle medie con
scarse nozioni grammaticali, probabilmente, ma di sicuro risponderebbero
ancora con successo a una interrogazione sul testo fondatore della civiltà
letteraria europea.
El Baloss che adesso viene presentato dalla Compagnia lezzenese (attori radicati nella vita di Lezzeno) nasce dalla costola di quella lontana esperienza
scolastica. E vuole, presuntuosamente, servire da ripasso – ripasso creativo – del mito omerico. Un autore antico definiva il teatro greco (tragedia e
dramma satiresco) come “una fetta del gran pasto di Omero”.
Tre ragioni per il dialetto
El Baloss aspira ad esserne almeno qualche briciola. Perché in dialetto? si
chiederà qualcuno. Non per divertimento ma per due motivi seri. Primo:
perché l’italiano sta attraversando una stagione di svaccamento e degrado
che davvero non invoglia a usarlo come lingua di scena. Secondo: perché
il dialetto è ormai, per suo conto, abbastanza lontano dall’uso quotidiano
(soltanto i leghisti si illudono che sia ancora una lingua parlata) da poter
suonare al tempo stesso familiare e arcaico e quindi ideale, in fondo, per
travasarvi l’antico dialetto omerico.
Una storia di famiglia
Potrei aggiungerne un terzo, di motivo, senza crederci ma anche senza
sberleffi: una leggenda tenace vuole che i lezzenesi discendano da coloni
greci trapiantati sul lago da Giulio Cesare. Fosse vero, usare il dialetto per
la storia di Ulisse sarebbe riportare a casa una storia di famiglia.
Qualche precisazione utile
El Baloss segue fedelmente il mito di Ulisse come è raccontato nell’Odissea, permettendosi però qualche variazione da segnalare.
• Sono stati tagliati per ragioni di unità drammaturgica (e anche di durata)
gli episodi del lungo viaggio dell’eroe. L’azione si concentra nei pochi giorni tra l’approdo di Ulisse sull’isola dei Feaci e il suo ritorno a casa.
• Le scene nuove rispetto al poema sono nella prima parte: Laerte che
“vede” il figlio in lotta con Poseidone; le schermaglie di Ermes e Atena
intorno all’eroe addormentato; il racconto del cavallo di Troia; Circe che
“prevede” la fine dell’eroe ucciso dal figlio spurio Telegono (mi sembrava
suggestivo recuperare questa versione del mito che Omero mostra di non
conoscere):
• Il titolo, El Baloss, al giorno d’oggi sembrerebbe alludere soltanto all’astuzia, alla furbizia dell’eroe. Ma il benemerito Vocabolario milanese del Cherubini registra di Baloss una definizione molto più ricca e suggestiva: Così
chiamansi per antonomasia nel Basso milanese que’ vagabondi che si presentano sul
far della notte alle cascine chiedendo alloggio e vitto, certi d’ottenerlo pel timore che incutono facilmente a’ cascinaj abitanti in luoghi pericolosi perché isolati. L’epiteto vuole
dunque includere la nozione di furbetto insieme con quella di forestiero
misterioso e potenzialmente pericoloso.
10
Cine-Teatro Lux
Lugano-Massagno
14 o 15 maggio
2010 ore 20.30
(Da confermare)
Progetto e regia di Elda
Olivieri con Elda Olivieri
e Adele Pellegatta.
Vita Virginia
Pensieri e dialoghi dai carteggi e dai diari di Virginia Woolf
e Vita Sackville West
D
ai diari e dagli assidui carteggi – quali l’epistolario Adorata Creatura
– intercorsi in un tempo di oltre vent’anni tra Vita Sackville West e
Virginia Woolf trae lo spunto uno spettacolo teatrale a due voci che mette
in scena l’intensa e intima relazione che a partire dal 1922 e fino alla morte
della Woolf legò l’eccentrica e trasgressiva nobildonna inglese alla grande
scrittrice, anima complessa e delicatissima.
Della loro relazione d’amore e d’amicizia si è detto fino ad oggi molto poco. Vita era sensuale, imperiosa, aristocratica, istintiva e forte. Virginia tutto
il contrario: era fragile, introversa, indecifrabile.
Elda Olivieri, impegnata qui in una doppia veste, di regista e di interprete
accanto ad Adele Pellegatta, confeziona uno spettacolo ad alta tensione
emotiva che mette in scena un testo intenso e delicato, teso sul filo dei temi
a lei cari: la sublime eternità dei sentimenti, la fragilità dell’essere umano, la
sensibilità femminile e l’empatia.
Suonato dal vivo è il contrappunto musicale alle scene, tratto da Le Onde
di Ludovico Einaudi, che sottolinea, con il suo fluttuare incessante fatto di
timbri emozionali diversi, l’andamento vitale e imprevedibile della relazione che legò le due donne scrittrici.
“Emozione dunque è quella che desidero comunicare rendendovi partecipi della mia,
dando voce ai pensieri e ai dialoghi scritti dalle meravigliose figure femminili che rappresentiamo: Uno spettacolo sulla letteratura da ascoltare, come i sussurri di queste
due
Jorge Jimenez Deredia, ?????????, Pietrasanta.
donne straordinarie innamorate della vita.” (Elda Olivieri)
11
gd
Ticino: indagine nursery
Anche l’impossibile
per diventare genitori
In Ticino una coppia su dieci non può generare – La procreazione assistita dà
fino al 30% di possibilità di coronare il sogno
di Antonella Sicurello
F
ino all’entrata in vigore della Legge sulla medicina della procreazione del 2001, ogni
Cantone gestiva autonomamente
metodi e terapie di fecondazione
assistita per aiutare le coppie infertili ad avere un figlio naturale.
Era permesso, per esempio, congelare gli embrioni e impiantarne
più di tre e mantenere l’anonimato dei donatori. Ma le gravidanze plurime e i problemi neonatali
che ne conseguirono, indussero
il legislatore a porre un freno alla
piena libertà di questo ramo della medicina.
“In passato i limiti scientifici erano diversi e la procreazione assistita era un’eccezione”,
spiega Danuta Reinholz, medico cantonale aggiunto e responsabile di settore. “Alla fine degli
anni Novanta i metodi furono
perfezionati e fu quindi necessario regolamentare il settore.
Oggi questi trattamenti si possono considerare una normale terapia medica e fanno parte
del processo di filiazione in caso di difficoltà”. A livello svizzero ed europeo la percentuale
di successo della fecondazione
assistita non è elevata. L’inseminazione omologa ed eterologa, cioè l’iniezione di sperma nel
corpo della donna con il liquido
seminale del partner o del dona-
12
tore, riesce nel 10 per cento dei
casi; la fecondazione in vitro,
cioè fuori dal corpo della donna
e quindi in provetta, nel 30 per
cento. In Ticino, gran parte dello
sperma donato è importata dagli
Stati Uniti, perché a livello locale è difficile reclutare un numero
sufficiente di donatori.
“Le coppie trattate nei quattro
centri di medicina di procreazio-
ne in Ticino sono in media 1.500
all’anno – dice Reinholz. Circa
l’80 per cento risiede in Italia e
sceglie il nostro Cantone per tre
motivi: la privacy, una migliore
accessibilità, che permette di rivolgersi direttamente allo specialista del centro, e l’impossibilità
di eseguire l’inseminazione eterologa in Italia, perché vietata. Il
costo delle terapie pare aver po-
Ticino: indagine nursery
La legge in pillole
co peso, visto che è simile al di
qua e al di là del confine”.
Incinta una donna su tre
Secondo l’ufficio federale di
statistica, nel 2008 hanno fatto
ricorso alla fecondazione assistita seimila coppie, il 9 per cento in più rispetto al 2007. Oltre
un terzo delle donne è giunto a
una gravidanza (36,4 per cento). La causa più frequente dei
trattamenti è la sterilità maschile (49 per cento dei casi), seguita
dall’infertilità di coppia (24 per
cento) e della donna (16 per cento). L’età media delle donne è in
continua crescita: 36 anni (contro i 34 del 1993), cioè cinque
anni in più dell’età media delle
madri alla nascita del primo figlio. L’età del partner è di 39 anni. Quasi un quarto delle donne
era domiciliato all’estero.
Sono stati distrutti in laboratorio
circa 1.400 embrioni (per arresto dello sviluppo, rinuncia della
coppia o altre ragioni) e il 4 per
cento delle coppie ha fatto ricorso alla donazione di sperma.
Nel 2007 le gravidanze concluse
con una nascita erano il 71 per
cento, le nascite multiple del 17
per cento e i parti gemellari del
30 per cento.
La legge sulla medicina della procreazione è entrata in vigore nel 2001.
Le terapie sono permesse in caso di sterilità della coppia o per evitare
la trasmissione ai figli di una malattia grave e inguaribile.
L’accompagnamento psicologico fa parte della terapia. Se un metodo
di procreazione presenta il rischio elevato di una gravidanza plurima, la
coppia deve dare la sua autorizzazione.
Durante un ciclo, all’esterno del corpo materno possono essere sviluppati fino a diventare embrioni al massimo tre ovociti (fecondazione
in vitro).
È permessa l’inseminazione eterologa. Nella scelta degli spermatozoi si
possono prendere in considerazione il gruppo sanguigno e la compatibilità con l’uomo che sarà il padre. Il figlio concepito in questo modo
può ottenere le informazioni sul donatore al compimento del 18°
anno di età.
La maternità sostitutiva e la donazione di ovociti e di embrioni sono
vietate (la donazione di ovociti è invece permessa, per esempio, in
Spagna e in Repubblica Ceca).
I quattro centri di fecondazione assistita in Ticino
• Centro cantonale di fertilità, Ospedale La Carità di Locarno, via all’Ospedale 1. Tel.: +41 (0)91 8114538, [email protected],
http://centro-fertilita.eoc.ch.
• Procrea, via Clemente Maraini 8, 6900 Lugano, tel. +41 (0)91 9245555; via Nizzola 1, 6500 Bellinzona, tel. +41 (0)91 8202474; [email protected], www.procrea.ch.
• Endomed, Via Nizzola 1, 6500 Bellinzona, tel. +41 (0)91 8263259, [email protected], www.centroendomed.com.
• Istituto internazionale di medicina della riproduzione (Iirm), Via Sant’Anna 1, 6924 Sorengo-Lugano tel. +41(0) 91 9809070,
[email protected], www.iirm.ch
13
Ticino: indagine nursery
Travolti anche i confini
se si vuole avere un figlio
Il Ticino è meta del turismo riproduttivo – Al Centro fertilità cantonale
il 70% delle coppie sono italiane – I costi variano da 800 a 5mila franchi
di Antonella Sicurello
I
l Centro cantonale di fertilità, attivo all’Ospedale La
Carità di Locarno dal 1978,
è stata la prima struttura a offrire in Ticino le terapie contro
l’infertilità di coppia. E vanta un
record svizzero: nel 1984 ha ottenuto la prima gravidanza e nascita con fecondazione in vitro.
Ma cosa è cambiato in più di
trent’anni? Ne abbiamo parlato
con il dottor Jürg Stamm, primario del Centro dal 1990.
Quante coppie si sono rivolte
finora al vostro centro?
Dr. Jürg Stamm
14
Circa 15 mila, in media 500 all’anno. L’attività ha registrato un discreto incremento dopo l’entrata
in vigore nel 2004 della legge italiana sulla procreazione assistita,
che vieta l’inseminazione eterologa, cioè con il liquido seminale
di un donatore, e il congelamento degli embrioni. Ma nel luglio
2009 la sentenza di un tribunale
italiano ha abolito quest’ultimo
divieto e credo quindi che il nostro Centro avrà meno lavoro rispetto agli ultimi tre anni.
Quanto incidono le coppie
italiane, quindi il turismo riproduttivo, sull’attività?
Molto, visto che sono il 70 per
cento del totale.
La causa del mancato concepimento è la sterilità femminile o maschile?
Lo sono entrambe, in egual misura. Nella donna il problema
principale è il rinvio della maternità: negli ultimi anni l’età media
delle nostre pazienti è passata da
33 a 37 anni.
La causa dell’infertilità maschile,
invece, è ancora avvolta nell’incertezza. Alcune teorie sostengono che il microinquinamento,
assorbito per esempio attraverso
il cibo, i farmaci e i prodotti so-
Ticino: indagine nursery
gd
lari, riduca il numero di spermatozoi.
Quali sono i trattamenti più
usati che vanno a buon fine?
Gli interventi in vitro, cioè la
fecondazione degli ovociti in
laboratorio, e l’inseminazione artificiale, con l’iniezione del liquido seminale nell’utero.
I primi sono più complicati ma
hanno una percentuale di successo maggiore. Possono essere
ripetuti all’incirca ogni tre mesi,
poiché bisogna stimolare l’ovulazione. La seconda può essere ripetuta anche ogni mese.
Quali i timori delle coppie?
La maggiore paura è legata all’inseminazione eterologa.
Nella coppia crea ansia il fatto di
non poter determinare completamente il patrimonio genetico
del feto e quindi di non sapere
a chi assomiglierà il bambino. Vi
è delusione, invece, se non si riesce ad avere una gravidanza con
il liquido seminale del partner o
del donatore.
Quante volte si può utilizzare il liquido seminale di uno
stesso donatore?
Fino all’ottenimento di otto nascite. La legge vieta un pagamento del dono, ma è previsto un
rimborso per le spese e il tempo
che la donazione comporta.
Quanto costano le terapie?
Il costo di un’inseminazione in
utero va dagli 800 ai 1.500 franchi, l’eterologa dai 1.200 ai 1.500.
La cassa malati per residenti in
Svizzera rimborsa solo tre cicli
d’inseminazione omologa. La fecondazione in vitro costa invece
dai 3 ai 5 mila franchi e non è
coperta dall’assicurazione. L’accompagnamento psicologico è
incluso nei costi.
Lo psicologo: “Il desiderio non diventi un’ossessione”
Durante l’iter terapeutico il Centro cantonale di fertilità garantisce alle
coppie un accompagnamento psicologico. “Lo scopo è capire perché
non possono avere figli e analizzare le possibilità per coronare il loro
sogno”, spiega Giovanni Micioni, psicoterapeuta e psicologo. “Una coppia può avere timori e angosce di fronte all’opportunità di avere un
figlio con il seme di un donatore o alla scelta dell’adozione”.
Nei colloqui preliminari le coppie sono informate sulle percentuali di
successo delle terapie. “Cerchiamo di capire se le persone, deluse e
pervase da un senso di impotenza legato al progetto genitoriale, sono
pronte ad affrontare i trattamenti. E se sussistono a livello personale o
di coppia disturbi psicologici, sessuali e relazionali preesistenti o conseguenti alla scoperta dell’infertilità. Occorre mettere in conto i risultati
negativi, la necessità di ricorrere a più tentativi, i possibili problemi sul
posto di lavoro per le diverse assenze, le ripercussioni sulla sessualità e
intimità di coppia. Alcuni pazienti riescono a reggere le delusioni, altri
invece si fissano, creando tensioni all’interno della coppia”.
Dopo un esito negativo è consigliato fare una pausa per elaborare
la delusione, investendo su altri interessi che possano “distrarre” dal
progetto di avere un figlio. “Molte coppie l’accettano di buon grado”,
sostiene Micioni. “Altre, invece, la vivono come una perdita di tempo.
Sono soprattutto le donne a vederla in questo modo, perché hanno già
rinviato la maternità a un’età avanzata. Ma in questo modo innescano
un meccanismo ossessivo che non fa bene né a loro, né al partner e che
condiziona negativamente la fertilità”.
15
gd
Ticino: indagine nursey
È stata durissima
ma ora sono mamma!
Narrazione raccolta da Antonella Sicurello
M
i sposo tardi, a 30 anni. Quasi subito decido di avere un figlio.
Con mio marito ci proviamo per
due anni, ma senza successo. Il
mio ginecologo dice di non preoccuparsi, che i figli arriveranno.
Ma dopo molti tentativi, cambio medico e ricevo la notizia
che mai avrei voluto sentire: non
posso avere figli. Il nuovo ginecologo mi indirizza al Centro di
fertilità cantonale, dove mi prende in cura il dottor Jürg Stamm.
È il gennaio del 2005.
Inizio a prendere pastiglie per
aumentare gli ormoni. Ho le
16
ovaie policistiche e il ciclo mestruale ogni tre mesi, ma fino a
quel momento non ci avevo dato
peso. Due o tre volte alla settimana vado al centro per il prelievo del sangue. Lo scopo è capire
quando l’ovulazione raggiunge
valori alti: quello è il momento ideale per concepire. Mi sottopongo a 4-5 cicli consecutivi,
ma i miei ovuli, seppur moltissimi, sono deboli e tutti i tentativi
vanno a vuoto.
Passiamo quindi all’inseminazione artificiale. Prendo le stesse pastiglie per stimolare l’ovulazione
e poi mi iniettano nell’utero il
liquido seminale di mio marito.
Ma anche questo tentativo si rivela un insuccesso.
È passato ormai un anno e mezzo dall’inizio delle cure e voglio
mollare. Ma il dottor Stamm è
fiducioso, perché lo sperma di
mio marito è forte. Proviamo
anche l’iniezione nella pancia per
stimolare i miei ovuli, ma niente.
Successivamente mi sottopongo
a una laparoscopia per bruciare alcuni polipi delle ovaie e dopo due mesi riprendo le terapie.
Buio completo.
È allora che il dottore scopre
un’infezione alle tube e mi dà al-
Ticino: indagine nursey
tre pastiglie. Dopo uno stop di
altri tre mesi riprendo con punture e inseminazione. Un altro
fallimento.
A quel punto proviamo con la
Fivet, la fecondazione in vitro. È
il gennaio del 2007. Mi tolgono
gli ovociti, ma non si forma l’embrione. Questo ennesimo insuccesso è la botta più pesante che
mi colpisce.
Dopo due o tre mesi ci riproviamo, ma la fecondazione in provetta non riesce. Passano altri
due mesi e due ovociti diventano
embrioni: sono trasferiti nel mio
utero, ma lì ci rimangono poco.
Aspettiamo ancora due mesi e
siamo in luglio. Vengono impiantati altri due embrioni e finalmente rimango incinta. Dopo
due anni e mezzo di tentativi, otto inseminazioni omologhe e tre
in vitro, seimila franchi di spese,
35 settimane di gestazione e un
parto cesareo, divento mamma
di due gemelli nel marzo 2008.
Lo ammetto: dal punto di vista
psicologico è stata molto dura.
Ogni insuccesso era una grossa
delusione. Ma grazie al sostegno
e alla pazienza di mio marito, alla
fiducia del dottor Stamm e della sua équipe, alla comprensione
del mio datore di lavoro, che non
mi faceva pesare i ritardi e le assenze, sono riuscita a superare i
momenti difficili.
Dal punto di vista fisico, invece,
non ho avuto problemi. Certo,
mi sentivo gonfia come un pallone, come quando si ha il ciclo
mestruale, ma niente effetti collaterali. O forse non ricordo: ho
rimosso molte cose di quegli avvenimenti e di quel periodo.
La nascita dei miei figli, un maschietto e una femminuccia, è
stata per me e mio marito un’immensa gioia e anche un grande
choc. Stavamo insieme da dieci
anni, avevamo i nostri ritmi, le
nostre abitudini e due neonati
nello stesso momento non sono
facili da gestire. Eravamo consapevoli del fatto che con l’impianto di due embrioni c’era la
possibilità di avere un parto gemellare, ma ci dicevamo: “Non
riusciamo ad avere un figlio, figuriamoci due”.
I gemellini sono arrivati a casa
tre settimane dopo il parto. In
quel lasso di tempo mi sono riposata e i miei figli hanno preso i
loro ritmi. Poi, grazie a mio marito, che mi ha sempre dato una
grossa mano, ho superato i primi
momenti di difficoltà.
Negli anni in cui tentavamo di
avere un figlio, le mie amiche rimanevano tutte incinte. Io ero
contenta per loro. Mi facevano
invece star male e piangere lacrime amare i commenti di alcune
di loro: “I bambini arrivano se
si vogliono veramente”. Per non
parlare delle battute sul posto di
lavoro: “Invece di andare in va-
Per motivi di privacy il nome della donna non viene pubblicato.
canza, fai figli”. Nei momenti di
sconforto mi dicevo: “Non vedo
l’ora di avere 45 anni, così nessuno mi chiederà se voglio avere
un figlio oppure no”.
Alle donne che non riescono a
diventare mamme dico di non
cedere, almeno fino a quando
il medico è fiducioso. E di non
ascoltare le dicerie, i commenti e
le battute della gente, perché fanno soffrire troppo.
Il racconto
di una giovane donna
di
Sementina che dopo
due anni e mezzo
di terapie
è rimasta incinta
con la fecondazione
in vitro
17
gd
Svizzera: borsa rossa
Per guadagnare
come l’uomo le donne
lavorano 50 giorni in più
Il salario femminile è stato nel 2008 in media del 19,3% inferiore a quello
maschile con un peggioramento dello 0,4% rispetto al 2006 – Nelle funzioni
manageriali la differenza in meno è stata del 33%
di Fabrizia Toletti
L
a discriminazione salariale
tra uomo e donna è ancora
oggi una realtà non solo a livello
svizzero, ma sul piano mondiale.
In Svizzera non è infatti stato
sufficiente ancorare, dal 1981,
nella Costituzione federale il
principio della parità salariale:
secondo gli ultimi rilevamenti
dell’ufficio federale di statistica,
le donne hanno guadagnato nel
2008 il 19.3% (valore mediano)
in meno degli uomini. Significativo, inoltre il peggioramento
verificatosi tra il rilevamento del
2006 (18.9%) e del 2008 (19.3%)
pari al 0.4%.
Queste percentuali sono diverse
a seconda del settore economico e delle funzioni di lavoratrici
e lavoratori. Le maggiori differenze le troviamo nelle posizioni
manageriali con funzione dirigenziali dove il valore mediano
diverge di ben il 33%.
Ancora oggi le donne guadagnano molto meno degli uomini
non perché producono di meno, ma perché per lo stesso lavoro vengono retribuite di meno.
Spesso le condizioni in cui lavorano le donne quali grandezza dell’azienda, il lavoro a tempo
18
Chiara Simoneschi-Cortesi, Consigliera nazionale e già Presidente del Consiglio nazionale
Venerdì 12 marzo 2010 alle ore 19.00, presso Auditorium USI, affronterà il problema
dell’Ineguaglianza salariale tra i sessi, visto come donna e come politico.
parziale, la conciliabilità tra lavoro e famiglia giocano un ruolo
fondamentale in questa discriminazione.
Equal Pay Day: Radici internazionali, visione europea
L’Equal Pay Day ha le sue origini verso la metà degli anni ‘90
negli Stati Uniti come mezzo
per sensibilizzare tutti gli attori
economici sulla discriminazione salariale diventando in breve
tempo un’istituzione fissa.
Nel 2008 l’iniziativa viene ripresa dal BPW (Business and Professional Women) in Germania
estendendosi nel 2009 alla Svizzera, all’Austria e al Belgio.
L’Equal Pay Day, giorno in cui
le donne raggiungono lo stipendio percepito dai colleghi maschi
nell’anno precedente, vuole incoraggiare il dialogo costruttivo
sul tema della parità salariale, in
ugual misura fra dipendenti e imprenditori:
• infatti le differenze di reddito
si ripercuotono indirettamente sullo sviluppo economico di
un paese. Meno reddito significa
minori possibilità d’investimento
e di consumo nonché minori riserve e capitali della previdenza.
Uno svantaggio per le donne e
al contempo uno svantaggio per
l’economia.
Gli studi scientifici e i dibattiti sulla giornata mondiale della
donna non bastano per cambiare
la situazione. Bisogna discutere
il tema apertamente in pubblico.
Gli obiettivi dell’ Equal Pay Day
possono essere così riassunti:
• Riduzione della forbice salariale in Svizzera
• Creazione di pari opportunità
di guadagno
• Aumento della consapevolezza
del problema
• Mobilizzazione di tutti gli attori
coinvolti.
Con BPW Switzerland sulla linea di partenza
Allo scopo di creare un’ampia
piattaforma per questa giornata,
BPW Switzerland sarà presente con un programma variato di
manifestazioni, che spaziano dalle dimostrazioni pubbliche ai dibattiti in numerose città.
gd
Che cos’è il BPW
Il BPW è un’associazione a livello
mondiale che raggruppa donne
attive professionalmente in posizioni di responsabilità.
Al BPW Switzerland appartengono circa 2500 donne provenienti dalle più svariate professioni, posizioni e settori: sono
membri dei 38 club locali sparsi
in tutte le regioni della Svizzera.
Cosa dice la Costituzione
Costituzione federale, articolo 8,
capoverso 3:
Uomo e donna hanno uguali diritti.
La legge ne assicura l’uguaglianza,
di diritto e di fatto, in particolare
per quanto concerne la famiglia,
l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.
Equal Pay Day USA
Giorno della Borsa Rossa 2009.
Gli intenti di primo piano sono
di informazione, impegno e sensibilizzazione.
Per restare in sintonia con il
BPW Switzerland e per dare
un’impronta forte a questa celebrazione, il BPW Club Ticino,
in collaborazione con il Servizio gender dell’Università della Svizzera italiana, organizza
una conferenza con l’intervento di un’oratrice di valore, che si
è sempre battuta in prima linea
per le pari opportunità tra uomo
e donna.
Il perché della borsa rossa
La borsa simboleggia il portamonete. Il colore rosso sta per
il deficit nel portamonete delle donne, poiché guadagnano
meno degli uomini. Il simbolo fu
inventato dal BPW USA.
Nell’estate del 2007, a metà
dell’anno europeo per le pari
opportunità, il BPW Germany ha
dato vita all’iniziativa della borsa
rossa. Questo simbolo forte è
poi ripreso annualmente nelle
campagne Equal Pay Day.
Perché in Svizzera l’11 marzo?
Perché l’Equal Pay Day ha luogo
in Svizzera l’undici marzo 2010?
Le statistiche ci dicono che una
donna guadagna mediamente
il 19.3% in meno di un uomo a
parità di posizione. Il 19.3% corrisponde a 50 giorni lavorativi
considerando, 260 giorni lavorati all’anno. Di conseguenza una
donna, per raggiungere l’importo guadagnato da un uomo in un
anno entro il 31 dicembre, deve
lavorare in media 50 giorni in più,
fino l’undici marzo dell’anno successivo.
19
gd
Italia: nelle mani del Fisco
Ostaggi
del Fisco
per 173 giorni
I
l Fisco quest’anno diventa ancora più famelico e pretende
che ogni cittadino italiano lavori
per pagare le tasse per ben 173
giorni: solo dopo questo lungo
tempo noi potremo mettere in
tasca il frutto della nostra attività. Così il giorno della liberazione fiscale per l’anno 2010 scatta
dopo il 23 giugno: cioè slitta di
un giorno. L’anno scorso la Tax
Freedom Day, è stata un giorno
prima, il 22 giugno. La pressione
fiscale sui cittadini sale così oltre
il 47%.
Venti anni fa, quando per la prima volta partì tale tipo di misurazione, il giorno della liberazione
era il 7 giugno. Dopo quattro era
al 12 giugno, nel 98 era al 17 giugno nel 2000 aveva toccato quo-
da Tempi Moderni di Charlie Chaplin.
20
ta 23 giugno, il massimo della
prigionia fiscale per i contribuenti. Dal 2001 al 2008 si è registrata
una progressiva riduzione al 22 e
al 21 giugno, per ritornare al 20
giugno nel 2008. Ora nel 2009 il
nuovo slittamento al 23 giugno
per la liberazione dal Fisco.
Il peggioramento è imputabile
alla progressività delle imposte
sui redditi, cioè a quello che viene chiamato fiscal drag: aumenta
la busta paga, ma aumenta anche
l’Irpef. Se l’entrate di un operaio
sono aumentate del 3,4%, secondo una calcolo del Centro studi
della Associazione Artigiani di
Mestre, cioè un aumento monetario pari a poco più di mille
euro, di questi più di 650 sono
mangiati dall’aumento dell’Ir-
pef. Gli aumenti delle retribuzioni (poco più del 3%) sono
stati tassati tutti con le aliquote marginali più elevate (il 27%
per l’operaio, il 38% per l’impiegato), facendo salire l’aliquota media dal 24,3% al 24,9% per
l’impiegato, dall’11,2% all’11,8
per l’operaio in assenza di interventi di adeguamento dei vari
scaglioni del’Irpef.
Il 2010 insomma non è incominciato bene: gli italiani devono ora lavorare 4 ore al giorno
per il Fisco e sostenere un peso tributario annuo (fatto di sole tasse, imposte e tributi) pari a
quasi 7.800 euro. In Germania la
quota pro capite ha raggiunto i
7.052 euro. Tra i principali Paesi dell’area Euro solo la Francia
sta peggio di noi, ma si tratta di
una situazione relativa: i francesi
versano una media di 8.053 euro di tasse allo Stato, ma vengono ricompensati con una spesa
sociale pro capite pari a 10.494
euro (i tedeschi ricevono, invece, 8.972 euro pro capite l’anno,
mentre gli italiani tra spese per la
sanità, l’istruzione e la protezione sociale raggiungono appena i
7.749 euro).
Una pressione così elevata si
spiega soprattutto con la vasta
area di evasori fiscali e gli sprechi
di denaro pubblico.
idee&parole
Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato,
dipinto, scolpito, messo in musica.
gd
di Pietro Berra
C
ynthia Plastic Caster: chi era
costei? E Pamela Des Barres?
La prima collezionava calchi
delle parti intime delle rockstar con cui
andava a letto (di Jimi Hendrix il pezzo
più pregiato); la seconda ha eternato le gesta,
proprie e di 23 colleghe, nel libro Let’s Spend the
Night Together. Stanotte stiamo insieme (edito da Castelvecchi). Le groupie, ovvero “ragazze a perdere”,
come recita il titolo di un altro libro loro dedicato,
sono la più lampante conferma che gli stereotipi di
genere sono stati (e in parte ancora lo sono) duri a
morire nell’ambiente che più di tutti, nel Novecento, è stato etichettato come “rivoluzionario”
e “anticonformista”: quello del rock. Ecco
perché è più che giusto, anzi è un obbligo
Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974)
Danzatrice, 1930, alluminio, cm 43 x 31 x 13
Milano, collezione privata.
REGINA: Futurismo, arte concreta e oltre
www.fondazioneambrosetti.it
Sesso, droga...
e maschilismo
morale, che una rivista come Geniodonna indaghi
la storia di questo genere musicale, riscoprendo le
pioniere di una rivoluzione, quella sì “sessuale” nel
senso di genere e non semplicemente di “disinibizione”, che ha aperto la strada alle Amy Winehouse
e Norah Jones, che oggi stendono i colleghi maschi
sul palcoscenico e nelle classifiche di vendita, non
in camera da letto.
omincia su questo numero un’inchiesta tematica in tre puntate, accompagnata da altrettante interviste a cantanti o gruppi emergenti comaschi
e ticinesi. Anche un altro pezzo che troverete nelle
pagine della sezione Idee&parole non è un semplice articolo, ma l’inizio di qualcosa di più. Una gior-
C
nalista comasca che ora lavora a Roma a La 7, Silvia
Bernasconi, ha incontrato nell’Urbe una poetessascrittrice-promotrice culturale, Mia Lecomte, che
pure ha un passato comasco (gli anni del liceo al
“Volta”). Ne è scaturita un’appassionata intervista
che ci dà due spunti su cui lavorare nei prossimi
mesi: le scrittrici migranti, alla cui scoperta e valorizzazione Mia si è dedicata negli ultimi anni, e la
Compagnia internazionale delle poete, un gruppo di 20
donne che la stessa Lecomte – per sua ammissione
“mai stata femminista” – ha sentito l’esigenza di
mettere insieme in questa “fase di profondo cambiamento”. Speriamo di poterle presto avere ospiti
tra il Lario e il Ceresio.
21
idee&parole
gd
La piccola
Signorina Dinamite
apre il mondo rock
alle musiciste
Fu Bob Dylan il primo a mostrare considerazione musicale per le artiste –
Apprezzò la cantante Odetta – Pensò di affiancarsi a Joan Baez come partner
per cantare con lei
di Pietro Berra
A
ltro che musica rivoluzionaria. Il genere
che più ha cambiato la cultura di massa è
stato per molti anni decisamente conservatore in fatto di pari opportunità. Chi non ne fosse convinto, provi a rispondere a una domandina
semplice semplice: snocciolate tre nomi di grandi
interpreti maschili e tre femminili dell’epoca d’oro
del rock’n’roll, diciamo dall’uscita del film Il seme
della violenza (1955) che nei titoli di coda fece debuttare la prima hit planetaria (Rock around the clock
di Bill Haley and the Comets) fino alla “british invasion”, ovvero l’ondata di gruppi d’oltremanica,
Beatles e Rolling Stones su tutti, che nel 1963-’64
spazzò via definitivamente la prima generazione di
rockettari americani. Sul fronte maschile l’elenco è
lungo: comincia con Elvis, ovviamente, e prosegue
con i vari Chuck Berry (Sweet little sixteen, Johnny
B. Goode), Little Richard (Tutti frutti, Long Tall Sally), Carl Perkins (Blue suede shoes), Jerry Lee Lewis
(Great balls on fire), Gene Vincent (Be bop a lula),
Buddy Holly (That’ll be the day, Peggy Sue), Ritchie
Valens (La bamba) e tanti, tanti altri. E le donne?
Beh, l’unica che si meritò un soprannome come
“the Pelvis”, ma che vendette molti meno dischi
di lui, fu Brenda Lee, meglio ricordata (dai critici
musicali, ma quanti se la ricordano tra i semplici
appassionati di musica?) come Little Miss Dynamite,
dal titolo di uno dei suo primi successi (Dynamite,
appunto), centrato nel ’57, quando non aveva an-
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cora compiuto 13 anni. Come ogni rocker che si
rispetti, la piccola Brenda dalla voce esplosiva ha
alimentato anche qualche leggenda: come quella
secondo cui il suo manager, per non fare annullare un concerto a Parigi, dove i suoi dischi erano
arrivati prima delle sue fotografie e si accorsero
solo all’ultimo momento che si trattava di una minorenne, l’avrebbe fatta passare per una donna di
32 anni che aveva superato i suoi problemi con la
Joni Mitchell.
idee&parole
gd
Marianne Faithfull nel film Irina Palm.
Odetta.
musica. Costretta dall’avvento del beat a proporre un eterno revival dei suoi esordi, la “Signorina
dinamite”, ormai mamma e nonna felice, è tornata
agli onori delle cronache nel ‘92 per una rivendicazione di pari opportunità, forse in ritardo di 35
anni ma purtroppo ancora attuale: lamentò il fatto
che la “Rock’n’roll hall of fame” pullulasse di nomi
maschili e avesse dimenticato quelle che secondo
lei erano le artefici del R&R femminile, ovvero Connie Francis, Mary Welles, le Shirelles e Dionne Warwick, oltre a se stessa. La musica non cambiò – il
riferimento non è alle melodie, ovviamente, ma ai
rapporti di genere – nemmeno dopo che il mondo
fu travolto dai ritmi incalzanti, e dai testi innovativi
quasi quanto le loro zazzere, dei Fab Four. Anzi, il
trionfo dei quattro di Liverpool segnò l’apice dello
sciovinismo maschile nelle sette note. Chiedetelo a
Cynthia Powell, che a poco più di vent’anni sposò
John Lennon e da lui ebbe il piccolo Julian, costretta a defilarsi mentre il marito scendeva dagli aerei
facendo buffe smorfie a folle osannanti, o suscitava
reazioni inconsulte sostenendo che i Beatles fossero
“più famosi di Gesù Cristo”. Era stato il manager
Brian Epstein a intimarle di tenersi in disparte, e
persino di tenere segreto il matrimonio, per non deludere le fan piangenti e ululanti che avevano come
massima ambizione quella di sposare suo marito o,
in subordine, uno dei suoi sodali. I Rolling Stones,
i loro più celebri antagonisti nella mitologia rock
(ma in realtà avevano esordito con un brano firmato Lennon-McCartney I wanna be your man) furono
anche tra le prime rockstar a farsi accompagnare in
tournée dalle groupie, ragazze carine e disponibili
che non avevano l’ambizione di sposare i loro idoli,
ma soltanto di “restituire a letto la gioia ricevuta
dalla musica” (così ha detto Sweet Connie, l’unica
che passata la cinquantina continui a intrufolarsi
nei backstage). Ma anche tra le groupie c’è chi è riuscita, più o meno faticosamente, a farsi ricordare
non solo per i nomi altisonanti dei partner di gioventù: su tutte, proprio una seguace delle “Pietre
rotolanti”, Marianne Faithfull, che, dismesso il viso
d’angelo degli anni Sessanta, è diventata una formidabile interprete (nell’album dal vivo Blazing
away, 1990, riesce a non far rimpiangere Tom Waits
quando canta la sua Strange weather) e attrice (una
nonna davvero straordinaria nel film Irina Palm,
2007). Furono i cantautori, o meglio “il” cantautore, Robert Zimmerman alias Bob Dylan, i primi a
mostrare un atteggiamento, e una considerazione,
diversi nei confronti dell’altra metà del cielo. Il menestrello di Duluth ha sempre citato tra i suoi modelli un uomo (Woody Guthrie, naturalmente) e una
donna (Odetta, nata nel 1930 e morta nel 2008, con
due soli concerti all’attivo in Italia). E una volta ha
raccontato, in No direction home di Martin Scorsese,
di aver deciso di buttarsi nel mondo dello spettacolo dopo aver visto in tv una giovane cantautrice:
era Joan Baez (“Avrebbe proprio bisogno – pensò
il diciannovenne Bob – di un partner che cantasse
con lei”).
La zampata femminile
a Woodstck nel 1969
W
oodstock, nel ‘69, segnò una prima, importante svolta. Le donne sul palco, pur in netta
minoranza, lasciarono il segno. Due erano leader di
gruppi che sono rimasti tra i simboli della tre giorni
di “pace amore e musica”: Grace Slick dei Jefferson
23
gd
idee&parole
Airplane e Janis Joplin con i suoi Big Brother and
the Holding Company. Assente Dylan (con la “scusa” di un figlio malato, ma forse infastidito dall’assedio dei fan attorno alla sua casa che si trovava
proprio a Woodstock), il vessillo della canzone di
protesta fu tenuto alto da Joan Baez, che aprì con
una dedica al marito David Harris, obiettore di coscienza, da poco arrestato. Tuttavia, il vero cambiamento fu incarnato da una ragazza canadese che
a Woodstock non ci andò, per un fatale errore di
valutazione del suo manager, ma che seppe autorevolmente interpretare lo spirito di una generazione. Stiamo parlando, naturalmente, di Joan Anderson: seppure passata alla storia con il cognome
del primo marito (Chuck Mitchell), musicalmente è
sopravvissuta sia a lui che ai ben più noti musicisti
cui si è accompagnata in seguito (David Crosby e
Graham Nash). La sua consacrazione (nel 1969 con
il secondo album, Clouds), e la fine degli anni Sessanta, possono essere considerati uno spartiacque
di questa “storia del rock al femminile”.
La magia femminista
della strega Yoko Ono
Yoko Ono con
John Lennon
in una celebre
foto di Annie
Leibovitz per
Rolling Stone.
24
P
rima, però, bisogna rendere giustizia a una donna che, pur non essendo strettamente una cantante, più di chiunque altra ha inciso sulla storia del
rock e lo ha saputo mettere al servizio dell’emancipazione femminile. Non stupisce, considerando
i corsi e ricorsi della storia, che molti, uomini ma
anche donne, l’abbiano considerata, e continuino a
considerarla, una strega. Colei che viene accusata di
aver distrutto la favola dei Beatles, e di averne plagiato il leader per poi sfruttarne economicamente la
memoria dopo la morte prematura, non andrebbe
piuttosto ringraziata per aver allargato gli orizzonti
di Lennon e per aver contribuito a diffondere una
nuova sensibilità nei confronti dei diritti umani, tra
cui quelli delle donne, a livello planetario?
L’incontro tra John e Yoko Ono segna subito un
ribaltamento radicale dei canoni a cui la storia, e
quella del rock in particolare, ci ha abituati. Lei ha
7 anni più di lui e, quando si conoscono, è un’esponente di punta di un momento di arte concettuale
planetario, Fluxus.
John va a visitare una sua mostra, il 7 novembre
del 1966 alla Indica Gallery di Londra, e rimane colpito dalle installazioni ironiche e interattive, come
quella che lo portò a salire su una scala, per raggiungere una tela nera su cui, per mezzo di specchietti, si leggeva la parola “Yes”, o la mela esposta
con la targhetta “Apple” al prezzo di 200 sterline.
L’effetto di Yoko Ono su Lennon, rintracciabile, per
esempio, in alcuni versi aggiunti da John a una canzone di Paul, Getting better, inclusa nell’album più
importante della storia del rock, Sgt. Pepper’s lonely
hearts club band del 1967: I used to be cruel to my woman / I beat her and kept her apart from the things that
she loved /Man, I was mean but I’m changing my scene
(Ero crudele con la mia donna / la picchiavo e la
tenevo lontana dalle cose che amava /Uomo, ero
egoista ma sto cambiando il mio atteggiamento…).
Chiamiamola “una presa di coscienza, che qualche
anno dopo, nell’album più politico della coppia,
Sometime in New York City, sfocerà in due canzoni/
manifesto sul rapporto tra i sessi e la necessità di
cambiarlo: Woman is the nigger of the world (scritta
e cantata dal marito) e Sisters, O sisters (scritta e
cantata dalla moglie).
Concludiamo con uno degli aforismi di Yoko (1961),
contenuti in Grapefruit, (Oscar Mondadori, 2005):
un libro che ha il merito di aver ispirato Imagine:
Frammento del passeggio.
Mescolati il cervello con un pene
finché tutto è ben miscelato.
Fa’ una passeggiata.
idee&parole
gd
Il tempio dell’arte
per tracciare segni di luce
Emanuela Ravetta Ruini intervista la scrittrice
luganese Maria Rosaria Valentini
A
ppena entrata nell’atelier-studio di Maria
Rosaria Valentini, nel crocevia propulsivo di
Lugano, mi pervade una sensazione di tranquillità.
Le candele accese illuminano il bianco delle pareti interrotto solo dai caldi toni arancio delle tende,
un arredamento sobrio ed essenziale e, sovrano su
tutto, un silenzio ovattato. Specchio della sua linfa
letteraria.
Nella premessa di Di armadilli e charango… scrive
“...Ho imparato a conservare, nelle tasche del mio
quotidiano, frammenti di vita altrui...”. I suoi libri
rievocano esperienze tristi, di dolore, perché?
Forse perché la solitudine è nostra velata compagna, oggi più di ieri! Comunque è vero, i miei personaggi sono attraversati dal dolore (chi non lo è,
in fondo?). Alla fine, però, i loro percorsi, seppur
tracciati nella sofferenza, indicano sempre mete
che consolano perché, come dice la protagonista di
Quattro mele annurche: Talvolta basta un nulla / per
sentirsi, non dico amati, ma / almeno considerati. /Allora
Foto: Michela Locatelli.
La sua è una scrittura d’emozione, espressa in una
lingua raffinata, senza toni accesi, dove anche i
particolari sono sottolineati con cura. Connubio
di letteratura ed arte?
L’arte, in generale, ha sempre esercitato un forte
fascino su di me, sin da quando ero bambina e sicuramente ha influenzato (e continua a influenzare)
le mie “prospettive”. Certo, la pittura, l’incisione,
la scultura, la fotografia vivono di particolari e attraverso dettagli o frammenti narrano storie che
conducono oltre il visibile. L’inchiostro deve fare
altrettanto: tracciare segni che possano dar luce
non solo a personaggi e sentimenti posti in primo
piano, ma anche a figure ed oggetti in ombra, discosti, apparentemente banali o addirittura assenti. La
scrittura, in qualche modo, deve diventare sangue
capace di scorrere in arterie e venuzze, seguendo il
ritmo armonico dato dal cuore.
non ci si sente bene, ma meglio. / Ed è abbastanza.
Aromi, fragranze, sapori si trasformano in una
sorprendente e piacevole percezione olfattiva. La
minuziosa descrizione dei riti culinari domestici presente nei suoi libri, soprattutto in Quattro
mele annurche, che funzione ha?
Considero la preparazione dei cibi come una cerimonia. In cucina i gesti si fanno danza, il tempo si
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gd
idee&parole
Sillabe per una madre
Grazie per ogni tazza di tè,
per ogni goccia di miele affidata a uno smilzo cucchiaino.
Grazie per la zuppa di pane e latte:
la detestavo, ma tu m’ imboccavi convinta.
Grazie per l’odore del ragù preparato con cura,
la domenica mattina.
Grazie per le sottili lenzuola di lino:
lì ricamavi il profumo delle fresie, sognando i miei sogni.
Grazie per i tuoi denti e i tuoi capelli.
Grazie per le favole.
Raccontavi di sera:
bisbigliavi la storia del gatto,
la filastrocca di un mandarino,
il dramma lento di una pecora spaurita.
Grazie per il piccolo tavolo pieghevole dove iniziai a seminare vocali.
Grazie per aver avuto il coraggio di un soldato... tu eri solo una bianca margherita.
Grazie per aver accettato la tua vita.
Grazie per il nome che mi hai dato.
Eppure sono molte le parole che non ci siamo mai dette.
Peccato non aver spartito sillabe da cucire insieme,
da mangiare a fette, come una torta di fragole e ricotta.
Sappi che - negli sbuffi del silenzio - ne ho inventate alcune.
Solo per me.
E sempre parleranno di te.
gonfia sapientemente di attese, gli odori ovviamente interpretano ricordi, i rumori dilatano echi, gli
assaggi corrispondono a prove, esperienze.
Il pane nutre, ma è anche simbolo di condivisione,
di forza.
E il cibo offerto ad altri è, da sempre, prova di generosità, d’amore; tra le righe di una ricetta sono
nascoste talvolta storie di generazioni intere.
La cucina però, è per me anche tempio, perimetro
da varcare con rispetto e gratitudine nei confronti di tante donne che (purtroppo) in epoche passate trovavano voce e sfogo creativo soltanto in
quell’ambito e in quel luogo.
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Parlare dei riti domestici è come rendere loro
omaggio dando un volto anche ai “digiuni” affettivi, formativi e professionali che hanno sigillato la
loro esistenza.
Realtà e fantasia interagiscono nel suo quotidiano?
Sì, sempre. La realtà preme, con le sue regole, il suo
ruzzolare ed evidentemente non va ignorata né allontanata. La fantasia, però, le ruba spazio e tenta
qualche sgambetto. Solo così i giorni si mettono in
fila verso il domani! Dunque realtà e fantasia finiscono per convergere in un punto di fuga che spalanca orizzonti.
idee&parole
Nelle notti d’aprile la nonna affiora in questa cucina.
Con sé porta la mollezza e il colore delle albicocche
mature, odorose… di bambagia. Sul labbro un neo:
chicco lucido di melograno.
Vartanoush si muove, leggera, alle mie spalle, mentre io, in piedi, leggermente ricurva sul piano di lavoro, massaggio la pasta del choereg respirandone il
profumo, dolce e delicato; nelle mani stringo polvere
di semi di ciliegie e piango.
La finestra è semiaperta, le fresie entrano con il loro
odore penetrante, vivo, presente.
Da una garza bianca gocciola il formaggio sospeso
al soffitto, in un secchio di latta si gettano le gocce in
un plimpplin-plin che non è disturbo, ma compagnia.
La nonna, sentinella d’amore, canta una canzone
dondolandosi piano: è quasi una litania, un lamento
dimesso che ha sapore di doglia.
Delicatamente si china in avanti; mi porge il suo coraggio che afferro ripiegandolo poi come il fresco cotone di un fazzoletto e me lo infilo in tasca.
Tutto torna avanti e indietro insieme al filo che scorre
sul ricamo.
Sento altre donne cantare e scorgo i loro piedi che si
trascinano lungo marce che portano all’assurdo e il ditale non mi protegge più, l’ago colpisce, il rubino cola
in una goccia, il ricamo sobbalza.
Sudo.
Mi arrotolo in un mulinello di punti interrogativi.
Maria Rosaria Valentini
nasce in Italia, a San Biagio Saracinisco, nel 1963.
Si laurea in germanistica a Roma e poi frequenta
l’ateneo di Berna, con una borsa di studio
in storia dell’arte.
Nella capitale si dedica all’insegnamento
dell’italiano e alla ricerca nel campo
della germanistica. Nel 2003 la raccolta di poesie
Sassi Muschiati viene segnalata libro dell’anno della
Fondazione Schiller.
Nel 2009 Di armadilli e charango...,
riceve il premio europeo di narrativa Giustino Ferri
- D.H. Lawrence. Nello stesso anno fonda, insieme
all’artista Loredana Müller,
le edizioni d’arte RamoRadice.
www.mariarosariavalentini.ch
Foto: Michela Locatelli.
da: Di armadilli e charango….
gd
gd
da: Ipotesi con aringhe
Nevica ancora.
È strana la neve a Roma… sa di stregoneria.
E comunque non sembra vera.
Io e Duccio, d’inverno, ce ne andavamo a sciare.
Avremmo potuto spostarci di poco e finire sulle piste
del Terminillo, invece raggiungevamo, in macchina,
l’Engadina.
Eravamo molto ben organizzati ed equipaggiati, ma
in realtà lo sci era una scusa. Facevamo tutti quei chilometri per andare sulla tomba di Segantini, nel piccolo cimitero di Maloja. Restavamo lì per ore, in silenzio, a guardare la terra copulata dalla neve e a fissare
quella lapide sulla quale resta scritto: Nur Liebe und
Kunst besiegen die Zeit (solo l’amore e l’arte vincono il
tempo).
da Quattro mele annurche
Da allora rimasero sempre idealmente uniti come un
ramo di vischio legato ad un pero. Me li ricordo intenti nelle più complesse attività culinarie, appassionati e stravolti, posseduti dalla frenesia, quasi da un
delirio fatto di entusiasmo ed incomprensibile pace.
Augusto lavorava senza sosta, a capofitto; mia madre,
invece, di tanto in tanto si fermava per prendere il suo
quadernino color zafferano. L’apriva, senza esitazioni,
esattamente dove voleva. Fissava mio padre come se
da lui sgorgasse linfa e, con il capo leggermente inclinato verso la sua spalla destra, gli occhi sempre bellissimi e le labbra tremanti, con una voce che veniva solo
dal ventre, recitava due o tre composizioni messe in
fila, come le perle di un anello.
27
gd
idee&parole
Locarno: bianco sonoro
di Laura Di Corcia
I
n un primo momento si erano dati il nome di
White noise, optando poi per l’opzione francese
Bruit de fond, ma il significato di base è lo stesso
e allude ad una sorta di bianco sonoro, uno spazio musicale magico dove convergano tutte le frequenze acustiche. Una specie di calderone da cui
28
attingere i suoni, e non è sbagliato ipotizzare che
questa pentola sia la vita stessa. Si capisce subito
dalla scelta del nome che il gruppo rock locarnese,
fondato due anni fa da Max De Stefanis (chitarrista
e compositore), Fabio Machado (basso ed elettronica) e Barbara Widmer (voce, chitarra e piano), miri
a una ricerca artistico-musicale di qualità. E colta.
Certo l’apporto dell’unica donna, cantante, giova
gd
la bandiera del rock
idee&parole
Intervista alla cantante della band White noise Barbara Widmer
Sono pochissime le donne con il ruolo di prima voce nei gruppi musicali
moderni che operano nel Ticino
in questo senso, perché la ventitreenne originaria
di Cotone (nel locarnese) studia musica da quando
era bambina. E, dopo le lezioni di canto acustico al
conservatorio, ora è iscritta all’ultimo anno della facoltà di musicologia a Zurigo.
“Qui in Ticino di band con una cantante donna ce
ne sono pochissime – ci racconta Barbara durante
l’intervista musicalmente parlando siamo ancora
molto indietro”. Il primo album, uscito a fine 2008,
si intitola Borderline. The incredibile vision of an ordinary man e narra un’esperienza di pre-mortem che
diventa svelatrice non tanto del grande abisso nero
quanto della vita, spazio narrativo a volte caotico
ma sicuramente non privo di senso.
Il gruppo scrive i testi in inglese, francese e italiano
e uno di questi, Universo uterino, si è aggiudicato il
primo posto come miglior testo in occasione di Palco
ai giovani 2009, il festival musicale dedicato alle giovani band organizzato dalla città di Lugano.”Siamo
partiti dal rock puro – continua Barbara e ora invece ci stiamo spingendo verso una direzione più
acustica”. Certo che il rock melodico concede più
opportunità alla voce, soprattutto quando questa è
femminile ( i Cranberries insegnano).
“Io sicuramente ci tenevo a fare questo salto verso
l’unplugged, anche perché provengo da un’impostazione classica”, aggiunge la cantante, spiegando che in ogni caso tutto il gruppo ha accolto bene
l’idea (non a caso ora sono impegnati a rivedere il primo
album in chiave acustica).
“Il mio modello è Elisa,
mi piace tantissimo”, dice
Barbara e gli occhi le
brillano. Perché il sogno di sfondare c’è,
glielo si legge chiaramente in faccia.
“Qui in Ticino
non è semplice.
Spesso i locali ti
chiamano ma il
compenso è misero, e un po’ questa
cosa infastidisce, visto
che dietro c’è un lavoraccio con ore e ore di
prove”.
Per non parlare del costo delle attrezzature
e degli strumenti. La
gavetta tocca un po’
a tutti, ci vien da
dire.
29
gd
Irma Kennaway.
idee&parole
Viviane Ciampi.
Maimuna.
di Alina Rizzi
L
a Coperta delle Donne, progetto artistico nato
all’inizio del 2008, è un’idea che coltivo da
anni. Precisamente da quando lessi il libro di Laura
Esquivel Dolce come il cioccolato. Il libro tratta una
storia d’amore che neppure ricordo più, ma ciò che
mi rimase in mente a lungo fu quella lunghissima
coperta colorata che la protagonista del romanzo
lavorava a maglia in ogni momento libero della sua
vita e che quindi si trascinò dietro per anni, fino
alla vecchiaia e fino a farla diventare decisamente
un’opera “monumentale”.
Non avendo il tempo materiale per affrontare un
lavoro simile, un giorno ho pensato di coinvolgere
altre donne e artiste, che avessero voglia di contribuire a un’opera grande, colorata e piena di pensieri, sensazioni, stati d’animo. Un lavoro che rappresentasse la femminilità attraverso un’abilità antica
come la manipolazioni di fili e tessuti, ma fosse anche in grado di dare voce e visibilità ad abilità ben
più sotterranee, divenendo un ricettacolo di messaggi ricamati, scritti, dipinti, inventati.
Ricordo una delle prime appassionate partecipanti
alla coperta, ora anche cara amica: l’artista pakistana Maimuna col suo pezzo intitolato Bertie’s pyjamas perchè fatto coi ritagli di un vecchio pigiama
del marito Bertie. Mi ringraziò tanto per l’opportunità che le offrivo perché disse, parole sue: “Mi
sono ricordata quando nel deserto, la sera, alla luce
di una lampada al kerosene con attorno migliaia di
piccoli insetti attirati dal braciere, mia mamma tirava fuori una grossa borsa chiamata the rag bag ossia
la borsa degli stracci. La rag bag ci ha accompagnato
finché ho lasciato il mio paese per andare a studiare
da mia nonna in Inghilterra. Ogni sera, senza radio
né TV, né luce elettrica, né acqua corrente, ci vedevamo con le zie, le cugine, gli amici in visita, spesso anche soli, a lavorare le nostre coperte, cucendo
insieme quadratini piccoli di stoffa rimasti da ogni
tipo di avventura domestica.”
L’artista inglese Irma Kennaway, che ora abita a
Brunate, sopra Como, mi scrisse invece dall’India,
30
Evelina Schatz.
un anno fa, una mail in cui mi comunicava le sue
sensazioni di quel giorno, mentre a Goa dipingeva
per la coperta: “Ieri sera stavamo per terra, a gambe
incrociate con la porta aperta, sentivamo lo sciabordio del mare. Samagra (seguace del guru Osho) ci
ospitava. Lei, pittrice, ha messo tutti i colori immaginabili a nostra disposizione. Così giochiamo con
i pennelli, l’acqua, il glitter e la colla, ascoltando la
musica di Prem Joshua. è notte, siamo contente di
La coperta
idee&parole
rilassarci in questo modo. Dipingiamo l’Om, una
brezza ci tiene fresche perché è molto umido e caldo. Siamo scalze e indossiamo vestiti coloratissimi,
leggeri come noi. Ci piace lavorare in gruppo ed è
proprio questo che simbolizza la Coperta delle Donne: l’unione.” Molti lavori sono un chiaro messaggio al mondo.Viviane Ciampi ha scritto una lunga
poesia dedicata alla Coperta ma che parla a tutti, e
l’ha copiata su un piccolo quadernetto poi attaccato al quadrato di stoffa, il finale della poesia dice:
“Identificare le vie le trame./Si potrebbe tessere ad esempio una coperta anti-violenza,/una trapunta della sorellanza,/un plaid d’ironia contro le innocenti divisioni del
passato./Con poco, con niente./Con la forfora della stupidità./Con i fili di mansuetudine della terra./ E magari
tutto diventerebbe chiaro.”
Ho persino coinvolto l’artista russa Evelina Schatz,
che quando contattai all’inizio del mio progetto, mi
delle donne
gd
rispose al telefono inorridita: “Una coperta?! Ma
io sono un critico d’arte, un artista, un poeta, cosa
sono queste cose da donne che cuciono e ricamano!” Devo ammettere che rimasi colpita dalla sua
risposta e ci riflettei sopra. Scambiai delle mail con
Evelina, che vive tra Milano e Mosca, le spiegai il
progetto e le descrissi i pezzi che avevo già preparato io stessa e allora lei, incredibilmente, cambiò
del tutto idea, al punto di divulgare il progetto alle
sue amiche artiste e di scrivere un bellissimo articolo per il catalogo che è stato pubblicato a Mosca in
occasione dell’esposizione della Coperta alla Casa
Centrale dell’Artista, nel novembre 2008. Parole
che dicono anche: “La nostra risposta?... trasformare la tela in un’operazione della mente. Quindi
dell’arte. Centocinquanta artiste della Coperta delle
donne, ideata da Alina Rizzi, sono Penelope o Atena, Arianna o Pandora, con un linguaggio suggestivo, che attinge alle antiche storie narrate attorno al
fuoco e nelle odissee degli argonauti, hanno creato
un mare a quadretti tempestoso di colori. Quindi
un tappeto volante. Buon viaggio, care pellegrine.
È ora.”
Un’altra grande gioia è stata ricevere un pacco dal
Brasile contenente ben 40 pezzi di stoffa lavorati a
mano da altrettante donne secondi i criteri stabiliti
dal mio progetto. E ora l’ultimo arrivato, un pezzo da Israele, una tela azzurra con un piccolo testo
in arabo che attende di essere cucito tra gli altri,
magari in occasione della prossima mostra, a Como
al Teatro Sociale il 21 marzo, o a Brescia in giugno.
Insomma la Coperta delle Donne ama viaggiare e
raccogliere in sé i pensieri e i messaggi di chi vuole
unirsi con spirito forte e solidale.
Hanno partecipato alla Coperta circa 170 donne,
la maggior parte artiste, anche internazionali, e
oggi misura cm 300 per cm 510. Ma non è certo
terminata e altri lavori arrivano a ingrandirla. Chi è
interessata può scrivermi: [email protected] e consultare il sito www.segniesensi.it
La Coperta delle Donne è stata esposta a:
Como, galleria La Tessitura, (28 agosto-10 settembre
2008), Milano, Spazio Scopricoop, (10-17 novembre
2008), Mosca, Casa Centrale dell’Artista, (26-30
novembre 2008), Genova, Palazzo dell’Agricoltura
Sala del Bergamasco, (8 marzo 2009), Bergamo, ExAteneo (7-30 novembre 2009).
31
gd
idee&parole
Sono una farfalla
e torno a vivere
Figlia di attivisti di sinistra desaparecidos era stata adottata da un ex militare
Una indagine l’ha identificata a ventisette anni come “nipote numero 78”
di Maria Tatsos
“La nostra identità, le nostre origini sono il primo bene che possediamo (…). Negare tutto ciò a qualcuno significa condannarlo a costruire la propria vita sul nulla”. Così scrive nel suo racconto autobiografico Victoria Donda, 33 anni, deputata argentina dal 2007, impegnata
sul fronte del lavoro e dei diritti umani. Lei lo sa bene: fino a pochi
anni fa, per tutti era Analìa. Aveva due genitori amorevoli, Graciela e Raùl, che l’avevano mandata a studiare in ottime scuole e poi
all’università. A 27 anni, grazie all’impegno dell’associazione Nonne
di Plaza de Mayo, ha scoperto la sua vera identità.
I suoi veri genitori, Cori Perez e José Maria Donda, erano desaparecidos. Sua madre era stata arrestata incinta e aveva dato alla luce la
neonata nell’Esma, la famigerata scuola per ufficiali della Marina
che durante gli anni della dittatura in Argentina (1976-1983) fu un
centro di detenzione e di tortura degli oppositori politici. Come
in una tragedia antica, Cori e José Maria vennero eliminati su
ordine di Adolfo, fratello maggiore di lui e membro della polizia segreta, che organizzò anche l’adozione della nipote da
parte di una coppia vicina al regime e cercò di cancellare per
sempre la sua identità. Circa 500 bambini in quegli anni subirono la stessa sorte di Analìa-Victoria. E non tutti hanno avuto
Victoria Donda.
32
idee&parole
la fortuna di poter ritrovare le proprie
radici familiari. Victoria è una ragazza
forte ed estroversa (“come mia madre
Cori”, dice) e, come racconta in Il mio
nome è Victoria, appena uscito in Italia
da Corbaccio, è riuscita a rimettere insieme i cocci della sua vita. Riappropriandosi anche del suo vero nome,
Victoria, scelto da sua madre per lei.
Perché hai deciso di raccontare la tua
vicenda personale e familiare in un
libro?
“In primo luogo, perché l’Argentina sta vivendo un
momento di ricostruzione della memoria storica,
e volevo dare un contributo che si accorda con il
mio impegno politico. Ma ritengo sia utile anche
al resto del mondo ribadire quali atrocità possono
provocare alcuni governi. Inoltre, da un punto di
vista personale, scrivere questo libro mi ha aiutato
a chiudere un processo che si era aperto con la scoperta della mia identità biologica”.
Quanti sono a oggi i bambini perduti che hanno
ritrovato la loro vera identità?
Circa 100. Sempre attraverso l’esame del Dna, che è
l’unico strumento certo.
Come sei riuscita a ricostruire l’immagine dei tuoi
genitori e le loro brevi vite spezzate?
Attraverso il ricordo di tutte le persone che li conoscevano. Io sono il ritratto di mia madre, basta
guardare la sua foto… Anche in alcuni comportamenti. A me piacciono sapori strani, insoliti.
Quando sono stata per la prima volta in Canada,
dove viveva mia nonna Leontina (che è stata una
delle 12 fondatrici delle Nonne di Plaza de Mayo,
ndr), un giorno aveva fatto la pasta ed era avanzata
della salsa.
Come dessert, c’erano dei cannoncini al cioccolato:
io ne ho preso uno, l’ho intinto nella salsa e l’ho
mangiato. Mia nonna, in lacrime, mi disse che lo
faceva anche mia madre Cori.
gd
Come è cambiata la relazione con i
tuoi genitori adottivi, da quando hai
scoperto la verità?
Il mio rapporto con loro è sempre stato ottimo. Quando è venuta a galla la
verità, ho avuto modo di confrontarmi
e avere chiarimenti. Non vorrei dire
di più, perché è un processo ancora in
fase di elaborazione e non sono pronta
a condividerlo.
Che rapporto hai con tuo zio Adolfo?
Ho tentato di contattarlo solo per sapere dove si trovava mia madre. Lui si è rifiutato
di parlarmi, riconfermandomi quanto sia codardo.
Attualmente è in carcere, e voglio soltanto che sia
condannato per i delitti che ha commesso.
Le politiche di riconciliazione nazionale spesso
chiedono di dimenticare le atrocità. Pensi che sia
giusto?
No. Non credo che sia possibile una riconciliazione se i colpevoli non pagano per i reati commessi.
Prendiamo il caso della Spagna: aveva intrapreso
la via della riconciliazione alla fine del Franchismo,
ma recentemente con la legge sulla memoria ha riaperto questo capitolo per poter chiudere definitivamente i conti e ricominciare daccapo.
Cosa significa essere la prima nipote, figlia di desaparecidos, restituita alla famiglia d’origine a ricoprire l’incarico di deputato?
è un’enorme responsabilità. Sento di dover rappresentare la lotta dei miei genitori e la mia generazione, che le Nonne di Plaza de Mayo hanno lottato per
recuperare.
Che cos’è per te la felicità?
Quando avevo 15 anni, mi sono fatta tatuare una
farfalla sulla schiena. Un animale stupendo, dalla
vita breve. Per me era l’emblema della felicità: si
è felici solo per brevi momenti, che cerco di vivere
ogni giorno.
33
gd
nonsoloMarilyn
F
che trasmette e ci ricorda come in quegli
ino al 21 marzo, il Museo Nazionale del Cianni la sua figura minuta e raffinata
nema di Torino celebra la Dolce Vita, a 50
rappresentasse un’originale scelta di
anni dall’uscita del film di Fellini, con
stile, in opposizione all’esplosività
un’accattivante mostra fotografica
sexy della maggiorate. Lei che divenne
di immagini della Roma dei prifamosa proprio grazie a Roma: le
mi anni ’60, presa d’assalto dalsue Vacanze Romane del 1953
le star del cinema mondiale.
segnarono il suo vero debutto
Gli scatti, per lo più inediti in
hollywoodiano siglato subito
Italia, sono di Maurizio Gepcon un Oscar. Le immagini di
petti e di Arturo Zavattini e
Audrey che gira in vespa con
ci raccontano le strade delA. Hepburn. Sotto: con Gregory Peck in Vacanze romane.
Gregory Peck, che si tuffa nel
la capitale ai tempi dei primi paparazzi. Abbondano le immagini di Brigitte Tevere e balla a Castel Sant’Angelo fecero sognaBardot (con la prima istantanea di un suo nudo), re al pubblico internazionale i cliché della capitale.
Anita Ekberg, Jane Mansfield (pin-up sosia di Ma- Regina dell’happy end e della commedia romantica,
rylin)… attrici vamp spesso accompagnate dai divi per lei sono stati ritagliati su misura personaggi acdel periodo (Delon, Mastroianni, lo stesso Fellini comunati dal contrasto emotivo delle diverse connel ruolo di mentore e padrone di casa). Sono deci- dizioni sociali: principessa che scappa dalla regalità
ne le star rappresentate e l’atmosfera che traspare in cerca di semplicità in Vacanze Romane, figlia di
è quella dell’ubriacatura di quegli anni in cui tutto un’autista che sogna l’amore del padrone in Sabrina
Dolce vita e vacanze romane
sembrava possibile, in cui lo straordinario si mescolava alla normalità. Tra le foto colpiscono quelle
che hanno come protagonista Audrey Hepburn: la
ritraggono dal panettiere, dal fruttivendolo, per
strada con il suo cagnolino. Si distingue tra i tanti scatti per la compostezza, l’eleganza non urlata
34
(1954), prostituta d’alto bordo che frequenta l’alta
società in Colazione da Tiffany (1961, un ruolo inizialmente affidato a Marylin!), semplice fioraia trasformata in “Signora” ineccepibile in My Fair Lady
(1964). Personaggi dall’estetica sofisticata che ne
hanno fatto un’icona della moda oltre che del cinema. Ma la fama non l’ha sopraffatta e, pur raggiungendo cachet da record (in particolare con Guerra e
Pace nel 1956), ha mantenuto un’immagine pubblica sempre molto discreta.
La vita privata è stata segnata da delusioni matrimoniali e depressioni frequenti; si è dedicata molto
ai figli privilegiandoli alla carriera cinematografica
che gradualmente è passata in secondo piano (ha
interpretato poco più di una ventina di titoli).
La Hepburn ha sofferto il trauma della seconda
guerra mondiale: l’infanzia di fame e sofferenza
durante l’occupazione nazista ha originato il suo
profondo impegno nelle attività umanitarie, culminato nel 1988 con la nomina di Ambasciatrice
Unicef. Oggi il suo progetto di solidarietà è ancora
vivo grazie all’Audrey Hepburn Children’s Fund gestito dai figli. La sua dolce vita (1929) è terminata prematuramente nel 1993. Audrey Hepburn ha
lasciato un ricordo di donna di fascino e grazia
ma anche buona e eterea, come la sua ultimissima
apparizione sugli schermi come angelo nel film Always di Spielberg.
Silvia Taborelli
Si segnala l’uscita di un libro fotografico edito da Panini Comics Stregati da Audrey, scatti inediti di Mark Shaw per la rivista Life. Per un ritratto
più intimo invece l’autobiografia del figlio Sean, pubblicata nel 2006 da TEA.
La grazia spumeggiante
35
di Ulrike Raiser
N
onostante abbia superato gli ottanta, Judith
Malina, anarchica, femminista e pacifista è
ancora attiva come artista e come militante per la
difesa della pace e dei diritti umani. Regista e attrice, nel 1947 fonda a New Jork, insieme a Julian
Beck, il Living Theatre, compagnia teatrale sperimentale che coniuga l’amore per l’arte con l’impegno sociale e politico, e che ha dato vita a spettacoli
di fama mondiale come The Brig (1963), Frankenstein
(1965), Paradise Now (1968), Not in My Name (1994).
Ho avuto la fortuna di incontrare la Malina a Palazzo Spinola, Rocchetta Ligure, nel 2003, occasione in
cui è stata registrata questa intervista.
Il Living è un gruppo che ha lasciato il segno...
Il Living è un gruppo di affinità; siamo tutti pacifisti, anarchici, vegetariani, femministi, abbiamo sviluppato insieme una visione, una filosofia,
un’idea di cosa vuol dire storia, rivoluzione, arte e
politica. Oggi si aggiungono a noi molti giovani che
portano nuova energia. Questa solidarietà su certi
aspetti della vita si mostra anche nel quotidiano,
nell’organizzare le prove, gestire il poco denaro che
abbiamo, dividersi il lavoro. Ma sono importanti
anche le differenze tra noi, non siamo un coro di
conformisti.
La sede del Living è stata una comunità anarchica
culturale; questo ha influenzato il lavoro teatrale?
Sicuramente. Noi del Living abbiamo preso molto da questi artisti, energia e ispirazione. Inoltre
a New York c’erano alcuni caffè dove si tenevano
delle assemblee artistiche; io amavo andare al San
Remo bar, un piccolo universo dove c’erano musicisti, pittori, scrittori e dove andavamo per ispirarci
l’un l’altro.
Dove cerca oggi l’ispirazione?
Oggi cerco il modo per poter creare una scintilla
di energia e spero di trovarla in ogni giovane che
conosco, in ogni seminario che faccio, e vedo certe qualità buone, perché questa generazione è più
intelligente e conosce cose che noi non sapevamo.
Come sono organizzati i vostri seminari?
I seminari iniziano con una discussione su cosa sia
importante fare per ognuno; c’è chi vuole parlare
del femminismo, della pace, della scuola o della
città in cui ci troviamo. Si creano gruppi per sviluppare gli argomenti; loro creano la scena, il testo
36
Living Theatre, The Brig di Kenneth H. Brown, 26 aprile 2007 New York.
gd
Rivoluzione tra arte e vita
gd
idee&parole
Intervista a Judith Malina, anima del Living Theatre
e noi li aiutiamo a teatralizzarlo. Noi impariamo
più di quello che insegniamo. Lo spettacolo finale
è sempre diverso, ed è sempre interessante per noi
vedere cosa succede, quali sono i problemi e in quale direzione si scorge una soluzione.
Il Living lavora molto in Italia. C’è qualche differenza qui rispetto ad altri Paesi?
In Italia si dice sempre che uno dei problemi più
gravi sia la solitudine. È uno dei soggetti che non
trovo in Corea, in Francia, in Belgio o negli Stati
Uniti, ma qui c’è e non so perché. Io non trovo che
i giovani italiani siano chiusi; forse a casa soffrono
per non avere una comunicazione profonda con gli
altri, ma si aprono al momento di fare qualcosa insieme, hanno un carattere espansivo e anche molto
tollerante verso le altre opinioni.
Nei vostri spettacoli avete usato spesso la filosofia
orientale; come è nato questo interesse?
Noi vogliamo utilizzare tutto, le lezioni dello zen,
dei grandi saggi di ieri e oggi o della storia. Vogliamo essere aperti a tutto; credo che la filosofia
classica abbia molto da darci, come anche i nuovi
esperimenti, la new age e la musica.
Il vostro teatro dà molto spazio allo spettatore?
Per noi lo spettatore è tutto. Noi chiediamo agli
spettatori di entrare sulla scena, perché non condividiamo questa divisione tra loro che pagano e
noi che siamo pagati, loro al buio e noi alla luce,
loro zitti e noi che parliamo. È un sistema di classe non giusto, vogliamo creare un altro ambiente,
e lavoriamo da più di cinquant’anni per esplorare
la possibilità di un ruolo creativo per gli spettatori.
Qual è la sua visione sul teatro moderno?
Credo che la tragedia del teatro moderno risieda
nel fatto che non ci siano compagnie permanenti,
in cui gli attori possano conoscersi profondamente,
capire il carattere e le opinioni degli altri per lavorare meglio. Noi abbiamo avuto il vantaggio di non
fare questa separazione tra lavoro, arte e vita, che
devono essere la stessa cosa.
Un consiglio per fare del buon teatro oggi?
Io credo che sia meglio creare un gruppo che trovare un gruppo; se una persona trova altre quattro
persone e un posto non troppo grande è già possibile creare teatro, non è necessario avere molto denaro, molti mezzi e molte persone.
37
idee&parole
gd
Il messaggio musicale
dialogo senza barriere
Sono cadute le barriere di genere – Difficoltà nella scarsità di luoghi per tenere concerti – L’archivio di SuonoDonne delle partiture di artiste a Novara
di Adriana Mascoli
I
ncontro Esther Flückiger e Beatrice Campodonico in uno studio accogliente di Milano, in via Accademia. è la sede dell’associazione Suonodonne,
dove tra un’ora si terrà l’assemblea annuale.
Suonodonne promuove la musica scritta da compositrici e compositori d’oggi, con un’attenzione
particolare alla valorizzazione del talento musicale
delle donne italiane e della Svizzera italiana; promuove inoltre l’organizzazione di festival, concerti
e spettacoli multimediali.
L’associazione nasce nel 1994 come gruppo di studio italiano del Forum Donne Musica (FMF: FrauenMusikForum) di Berna. Sulla rivista Cling Klong
(trilingue: tedesco, francese e italiano) insieme al
FMF, Suonodonne pubblica, fino al 2007, articoli di
informazione sulla scena musicale internazionale
femminile, sulle nuove partiture, sui dischi e libri
in circolazione. Dal 2004 Suonodonne diventa au-
38
tonoma e si affilia all’IAWM .
Esther ha uno sguardo vivace e dalle sue parole
traspare entusiasmo e voglia di suonare. Conosco
Beatrice per il suo impegno nei progetti dedicati
alle compositrici: intuisco che la sua presenza porta
grande energia anche in Suonodonne.
Una compositrice oggi affronta l’esperienza creativa liberamente, senza l’ostacolo dei pregiudizi
di genere?
Esther Flückiger. Negli ultimi decenni il panorama
è davvero cambiato. Le donne sono una presenza
consistente nel mondo della composizione. Ora i
programmi di musica contemporanea propongono creazioni di uomini e di donne senza reali discriminazioni. I festival di musica contemporanea
sono più aperti ai cambiamenti della realtà rispetto
alle istituzioni che si occupano della storia passata.
Una compositrice non ha necessariamente bisogno
di tutto quel coraggio e quella determinazione che
idee&parole
gd
Beatrice Campodonico compositrice milanese, ha ricevuto
numerosi riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali
di composizione. è docente presso il Conservatorio Cantelli
di Novara dove anima con Antonietta Berretta il progetto Inaudita musica. è attiva nell’associazione Suonodonne.
Ester Flückiger pianista e compositrice, nata a Berna, vive
a Milano. Svolge un’intensa attività concertistica, dedicandosi
all’improvvisazione e alla realizzazione di progetti multimediali.
Ha registrato numerosi CD. Ha fondato ed è presidente di
Suonodonne. Organizza festival di musica contemporanea.
hanno caratterizzato le donne della generazione di
Irma Ravinale e Teresa Procaccini. Ora ci sentiamo
riconosciute: ci sono progetti che portiamo avanti
con donne e progetti a cui lavoriamo insieme a colleghi uomini. Purtroppo le istituzioni più tradizionali ancora stentano a darci spazio.
politica di dare spazio alla cultura. Sta diventando
sempre più difficile organizzare eventi.
La musica contemporanea è un ambito culturale
che resta ai margini. Tanti appassionati di musica
faticano ad avvicinarsi alla musica scritta oggi.
Beatrice Campodonico. Il problema della fruibilità è molto importante. Noi compositrici abbiamo il dovere di cercare un punto di incontro con
il pubblico. A volte chiediamo a chi ascolta di fare
un’operazione simile a quella di chi guarda un film
in una lingua sconosciuta. La musica ci offre grandi
possibilità comunicative. È necessario però ritrovare il gusto genuino di fare e ascoltare musica senza
inutili virtuosismi.
Esther Flückiger. Si! Come pianista interprete di
altre compositrici spesso mi scontro con partiture
che contengono belle intuizioni musicali ma che richiedono un lavoro smisurato per essere decifrate.
Beatrice Campodonico. Il problema non è solo di
chi compone. Anche l’interprete deve porsi come
un soggetto libero e deve superare l’asservimento
eccessivo a chi ha composto.
Esther Flückiger. Al di là di specifici problemi tra
chi compone e chi interpreta, il pubblico che ha
voglia di ascoltare c’è. Ciò che manca è la volontà
Suonodonne ha in programma qualche incontro
musicale pubblico ?
Esther Flückiger.Il concerto del prossimo 21 marzo
a Segrate con la partecipazione di Candace Smith
proporrà un programma tutto al femminile; saremo
poi presenti anche all’interno del Festival 5 giornate di Milano.
Beatrice Campodonico. Nel 2010 inaugureremo
inoltre l’archivio di Suonodonne, presso la Biblioteca del Conservatorio “Cantelli” di Novara. Si
tratta di centinaia di partiture di donne, soprattutto
italiane, del XX° secolo. In parte sono lavori editi e
in parte ancora manoscritti. La catalogazione è già
stata fatta, ma è ancora in corso la preparazione di
schede informative sulle compositrici a cura delle
allieve dei corsi di biennio di specializzazione...
Siamo orgogliose di questo archivio perché il nostro
scopo principale è rendere accessibili le opere delle
compositrici, spesso molto difficili da reperire.
www.suonodonneitalia.it
Concerto Suonodonne Italia
Domenica 21 marzo, h. 16 - Chiesa B.V. Immacolata - Segrate
Esther Flückiger – Pianoforte
Rose-Marie Soncini – Flauto
Candace Smith - Soprano
Musiche di H. von Bingen, A. Gemelli, V. Olive,
W. An Min, B. Jolas, B. Campodonico, E. Beglarian e R. Wertheim
39
gd
idee&parole
La poesia dell’errante
è il vento della vita
Intervista a Mia Lecomte poetessa studiosa della letteratura della migrazione
La creazione della Compagnia Internazionale delle Poete
di Silvia Bernasconi
Mia, adolescente con il padre, il poeta francese Yves Lecomte.
40
S
crive circondata dai tre gatti, Podi, Micifuf
e Shikor, per i quali libri aperti e fogli sparsi sono un richiamo irresistibile, e dai tre figli,
Irina, Marianne e Alexis, che nella casa romana,
quartiere Eur, hanno eletto lo studiolo materno a
luogo privilegiato per fare i compiti. La mattina
è riservata alla poesia, il pomeriggio a quella che
chiama “burocrazia della letteratura”, recensioni,
articoli, interventi per convegni.
“Se non scrivo mi sento in colpa, scrivere
è quello che devo fare” si presenta Mia
Lecomte, 44 anni, occhi grandi da cerbiatto, poetessa, autrice di libri per
bambini, testi teatrali e studiosa di
letteratura della migrazione. Dalla
madre racconta di aver preso gioia
di vivere e attivismo, dal padre,
il poeta e scrittore francese Yves
idee&parole
Lecomte, la poesia. Del suo bagaglio fanno parte
anche tanti ricordi comaschi: quelli degli anni del
liceo. Volendo frequentare il classico, che a Lugano
non ha una scuola dedicata ma solo un indirizzo
all’interno del liceo cantonale, scelse il Volta e per 5
anni fece la “studentessa frontaliera”.
gd
Copertina di Giravolta, il giornale del
liceo Volta di Como,
1983.
Quando ha iniziato a scrivere?
Fin da bambina. A Lugano portavo sempre con me
una piccola macchina per scrivere e mi sedevo sulla
darsena, lungolago. Sono cresciuta circondata dalla
poesia. Ho iniziato aiutando mio padre, l’italiano
era una lingua più mia che sua e gli facevo da dizionario dei sinonimi. Mio nonno materno mi vedeva
avvocato ma io volevo scrivere.
Nell’ultima raccolta di poesie, Terra di risulta, fa
spesso riferimento a luoghi precisi. Ne ricorda
uno in particolare?
La bellezza delle montagne in Engadina. Fu il primo posto dove ci trasferimmo con la mia famiglia
quando lasciammo Milano nel 1974, gli anni del
terrorismo. Poi ci spostammo a Lugano, i miei genitori vivono ancora lì e quando torno mi sento a
casa, più che a Roma. Como, invece, per me coincide con il liceo classico Alessandro Volta.
Mia Lecomte.
Un’istituzione in città...
Per frequentare il classico andavo ogni giorno
avanti e indietro tra Lugano e Como. Ero l’incubo
del preside Baldassarri: come rappresentante di
istituto partecipavo ai consigli e poi scrivevo i retroscena su Giravolta, il giornalino satirico del liceo. Ero scalpitante, prendevo otto in condotta, giocavo a calcio in una squadra femminile. Al Volta ho
provato paure come non ho mai più avuto. Mi sono
rimasti amici veri, abbiamo stretto alleanze, come i
soldati in guerra.
La letteratura della migrazione è relativamente
nuova per l’Italia. Lei se ne occupa fin dagli inizi,
negli anni Novanta. Come è cambiata?
è maturata molto. All’inizio era quasi esclusivamente testimoniale, raccontava il viaggio, il dolore
del distacco, le difficoltà, i problemi di integrazione. Piano piano si sono imposti veri e propri generi
letterari, la poesia è cresciuta moltissimo.
Chi è lo scrittore migrante?
è colui che, costretto a cambiare paese, decide di
scrivere nella nuova lingua. Ci vuole coraggio, ci si
trova in una condizione di duplice incompetenza
– l’ho visto con mio padre – perché si inizia a perdere la lingua madre e si fatica a conquistare quella
di adozione. Da questa situazione di confine nasce
un uso della lingua estremamente interessante. C’è
grande sentimento, c’è la vita, l’urgenza di scrivere.
Nei giovani poeti italiani trovo abilità e raffinatezza formale anche straordinarie, ma poca necessità.
La poesia della migrazione è per noi una ricchezza,
una ventata di energia.
C’è uno specifico femminile?
Nelle donne lo spaesamento – una costante per gli
scrittori migranti – è visto anche in ambito domestico e si incarna in riflessioni sul corpo.
Crede che la poesia possa aiutare l’integrazione o
è troppo distante dal quotidiano?
La buona poesia – così come la buona letteratura – arriva a tutti, aiuta a riflettere sull’umanità e,
come conseguenza naturale, porta all’integrazione.
Può servire molto, se inserita nelle scuole. Quando
faccio laboratori di letteratura della migrazione mi
rendo conto che sui ragazzi ha molta presa. Sono
curiosi e portano l’esperienza in famiglia.
41
gd
idee&parole
Il prossimo progetto?
Una compagnia teatrale composta da poetesse straniere, la Compagnia Internazionale delle Poete, una
sorta di Orchestra di Piazza Vittorio della poesia.
Partiamo da Roma a fine marzo e speriamo di portare lo spettacolo in altre città.
Siamo venti donne. Non sono mai stata femminista,
anzi, sono cresciuta in mezzo ai maschi, tra mio fratello e i miei cugini, però credo che adesso le donne
siano le più coraggiose.
In questa fase di profondo cambiamento e di passaggio, con tante cose nuove che ribollono ma che
devono essere tirate fuori, le donne dimostrano più
istinto, più impegno. Più coraggio.
Compagnia Internazionale delle Poete: Mia Lecomte con Cristina Ali Farah e Candelaria Romero.
42
idee&parole
gd
ATTRAZIONI
(inedita)
Intanto sulla sabbia.
La donna barbuta si tinge
col pennello più scuro.
La donna pantera ripara
la sua guaina sformata.
La donna tatuata ombreggia
il nudo cranio di rose.
Le gemelle siamesi
si specchiano oltre il
profilo perduto
la nana albina nei solchi
della sua evanescenza.
Sorvola la donna cannone
la pista quasi spenta
la rete più vuota nei
rattoppi a uncinetto
con le due mani sui fianchi
sorprende questo intermezzo
della quieta mortalità
***
SWISSMINIATURE
Mancano ancora un campanile e tre trafori
sei chalet dipinti e una stazione
il meglio del soccorso alpino e quei cavi
tesi a sospendere due funicolari
tutti gli alberi che demarcano il cantone
un lago sistemato nella nebbia
e il getto della cascata a mezzacosta
mancano i passeggeri nella slitta
alcune mucche e marmotte e il gallo
ritto sulla torre e anche anatre e stambecchi
e i ballerini sulla piazza in pietra
il vecchio addetto all’orologio fermo del
municipio e il ragazzino con la mela in testa
della scultura in stile ghiaccio e cioccolata
ancora mancano le nuove banche e imprese
manca la musica da un altoparlante
le ultime croci bianche alle bandiere.
Per la manutenzione del paesaggio
occorre scompagnarne le ragioni
farne terra promessa ai voli più spaesati
diaspore col fiato corto
in vena di salvezze alternative
occorre rinnovarne le utopie
rischiare Heidi urbanizzata
e i lanzichenecchi seduti nella stübe
accontentarsi di ipotesi spaiate
sezioni atone del verbo claudicante
occorre rifugiarsi dentro al minimo
vagliando prospettive in proporzione
e starci stabilendo palmo a palmo
misure sempre in scala del dolore.
Da Terra di risulta, Edizione La Vita Felice, 2009
43
gd
focus
Condizione e vocazione
in cerca di nuove idee
di Vera Fisogni
S
e dovessi indicare il risultato
più importante di oltre un secolo di femminismo, non avrei
dubbi: la condizione dell’essere
donna è stata separata dalla legittima vocazione a realizzarsi,
secondo progetti diversi. Ancora più radicalmente, mi sento di
dire che la “donna” è stata superata dalle “donne”, dalla molteplicità delle storie individuali, dei
modi differenti in cui io, tu, altre
possiamo essere nel mondo.
Se dovessi puntare il dito a un
problema urgente, nella discussione al femminile oggi, direi
questo: è arrivato il momento
di ripensare le diverse vocazioni
conquistate, alla luce della condizione originaria della donna,
per illuminare questioni spinose, come la perdita dell’identità
femminile (Marina Terragni), la
difficoltà ad essere considerate
pienamente soggetti (Pepita Vera
Conforti) e non individui “naturalmente” destinati ad abitare il
privato (Giancarla Codrignani).
I tre problemi (ved. n. 4 di Geniodonna) propongono in modo
esemplare i temi di un dibattito
che guarda al soggetto femminile quasi esclusivamente nella
prospettiva di quello che fa, della
realizzazione professionale o delle relazioni personali-sociali, senza davvero interrogarsi sul modo
in cui la donna, con il suo corpo e la sua persona, è nel mondo. Non solo il confronto risulta
impoverito, e rischia di arenarsi su stereotipi – di odorare di
44
muffa, come scrive la Conforti
– ma appare anche fuorviante.
Mi riferisco soprattutto alla tesi
del privato come “prigione delle donne” (ved. Codrignani), che
apertamente contesto, proprio in
virtù dello specifico della “condizione” femminile: la fragilità
del corpo, il senso pieno della
fertilità e della vita (non riducibile alla maternità), sperimentato
mensilmente per un ampio arco
dell’esistenza, e sempre più a lungo protratto o rinnovato su altri
piani (menopausa), non connotano solo una “natura”, ma fanno stare in un certo modo nella
vita, aprono prospettive, producono senso, orientano in modo
specifico alle relazioni. Trascurare questo essenziale dato fenomenologico – sotto gli occhi
di chi vuol vedere con candore
e stupore – porta a dequalificare
il ruolo femminile nella cura, che
oggi, più che mai, può orientare
in senso virtuoso la politica.
E che dire della “scomparsa”
della donna, a vantaggio dell’imporsi globale del modello maschile? Anche in questo caso il
ritorno alla condizione femminile originaria può consentire un
passo avanti nel confronto, non
per ribadire che l’essere donna è
meglio o peggio dell’essere uomo, quanto piuttosto per superare lo schematismo del “format”
a tutto vantaggio della complessità. Il rischio, paventato dalla
Terragni, di “separarsi dal proprio corpo”, mi sembra risiedere in questa disattenzione per la
propria essenziale verità, piut-
tosto che presentarsi come esito della discriminazione in cui il
maschio ha sempre colpa. Sulla
vertigine della libertà femminile
– che destabilizza gli uomini e un
po’ spaventa le donne – tema affrontato dalla Conforti, sarebbe
più che mai il caso di guardarsi
dentro. Pongo una domanda che
è ancora un tabù: la scelta della
carriera e della maternità, insie-
gd
focus
me, quanto giova all’una e all’altra vocazione? Se sono madre,
ma poi riduco la cura dei miei figli con tate, nonni e palestra non
posso esercitare in pieno la cura
specifica del mio ruolo. Viceversa, tante professioni richiedono un impegno totalizzante, che
frustra pur legittime aspirazioni
a famiglia o maternità. è chiaro
che misurare i problemi della vita con la condizione esistenziale,
impone il massimo della sincerità
e la più radicale spregiudicatezza.
In termini teorici ciò richiede di
collocare tra parentesi formule e
concetti usurati, per trovarne altri. Siamo pronte per una simile
navigazione?
L
a dedizione totale al lavoro è uno dei mezzi che gli uomini provenienti da famiglie disturbate usano spesso per ignorare le proprie emozioni e dimenticare se stessi, proprio come amare troppo
è uno dei modi principali usati dalle donne che hanno alle spalle lo
stesso tipo di famiglie per sfuggire a se stesse. Il prezzo che lui paga
per questa fuga da se stesso è un’esistenza unidimensionale, che gli
preclude la possibilità di godere tutto quello che la vita potrebbe offrirgli. Ma solo lui può giudicare se il prezzo è troppo alto, e solo lui
può decidere se e quali misure prendere per cambiare e quali rischi
correre. Il compito di sua moglie non è quello di raddrizzare la sua
vita, ma di arricchire la propria...
Liberiamo noi
stesse, non altri
... Spesso non rivendichiamo il diritto alla felicità perché crediamo
che sia il comportamento di qualcun altro a impedirci di realizzarla. Ignoriamo il nostro dovere di sviluppare noi stesse. ...Cercare di
cambiare qualcun altro è frustrante e deprimente, mentre esercitare il
nostro potere reale di cambiare noi stesse e la nostra vita è esaltante.
Per poter essere libera di avere una vita soddisfacente per conto suo,
la moglie di un uomo dedito totalmente al lavoro deve convincersi
che il problema del marito non è un problema suo, e che non ha né
il potere, né il dovere, né il diritto di indurlo a cambiare. Deve imparare a rispettare il suo diritto di essere se stesso, anche se lei vorrebbe
che fosse diverso. Se ci riesce, è libera: libera dal risentimento per la
scarsa disponibilità del marito, libera dal senso di colpa se non riesce
a cambiarlo, libera dal peso di continuare a cercar di cambiare ciò che
non può cambiare.
Se smette di cercar di cambiare lui, e volge le sue energie a sviluppare i propri interessi, ne trarrà gioia e soddisfazione, qualunque cosa
faccia. Se poi alla fine scopre che le sue occupazioni sono abbastanza
soddisfacenti da assicurarle una vita ricca e piena per conto suo, non
avrà più tanto bisogno della compagnia del marito. Oppure, diventando sempre meno dipendente da lui per la propria felicità, forse
deciderà che il suo impegno con un partner assente non ha senso e
preferirà sbarazzarsi di un matrimonio che non la soddisfa. Nessuna
di queste soluzioni è possibile finché lei continua a sentire il bisogno
di cambiare lui per poter essere felice.
Quando una donna che ama troppo rinuncia alla crociata per cambiare il proprio uomo, lui è libero di valutare le conseguenze del suo
comportamento. Poiché lei non è più frustrata e infelice, ma sempre
più entusiasta della vita, lui avverte il contrasto con la sua esistenza
unidimensionale. Allora, forse, deciderà di lottare per liberarsi della
sua ossessione e diventare più disponibile sia fisicamente sia emotivamente. O forse non lo farà. Ma, qualunque cosa lui decida di fare,
una donna, accettando il suo uomo com’è, diventa libera di vivere la
propria vita, da quel momento in poi, felice e contenta.
Robin Norwood
(tratto da Donne che amano troppo - Ed. Feltrinelli, 1989).
45
gd
giustizia
Processi in corso
cancellati...
Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in
attuazione dell’articolo 111
della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. (Approvato
al Senato il 20 gennaio 2010;
in corso di esame in commissione alla Camera.)
di Marilisa D’Amico
I
l disegno di legge approvato
dal Senato e ora in discussione
alla Camera prevede l’estinzione, con pronuncia di sentenza di
non doversi procedere, dopo tre
anni in primo grado, dopo due in
appello e dopo uno e sei mesi in
Cassazione, per i processi relativi a reati con pena pecuniaria o
detentiva inferiore nel massimo
a dieci anni, sola o congiunta alla
pena pecuniaria.
Se è pur vero che nella nostra
Costituzione è sancito il principio di ragionevole durata dei
processi, questo nuovo istituto
prevede rigidi termini massimi
in cui si devono concludere i vari
gradi del procedimento.
In tal modo si provoca l’estinzione del reato stesso, nel caso
in cui tali termini non vengano
rispettati. Tali disposizioni non
si applicheranno nel caso in cui
46
l’imputato dichiari di non volersene avvalere. Tale dichiarazione
dovrà essere formulata personalmente o attraverso un procuratore speciale.
Un primo profilo che occorre sottolineare riguarda l’ambito
di applicazione delle norme in
commento. L’estinzione, infatti,
opera solo per il processo penale
(art. 5, ddl n. 3137) e per quello
di responsabilità contabile (art. 4,
ddl n. 3137), escludendo tutti gli
altri. In particolare, poi, si prevede che per i processi in corso
relativi ai reati commessi fino al
2 maggio del 2006 e puniti con
pena pecuniaria o detentiva inferiore nel massimo a dieci anni di
reclusione, sola o congiunta alla
pena pecuniaria – esclusi i reati
previsti all’art. 1, secondo comma della legge n. 241 del 2006 –
il giudice pronunci sentenza di
non doversi procedere per estinzione del processo quando siano
decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il pubblico
ministero ha esercitato l’azione
penale (art. 405 c.p.p.) oppure
due anni e tre mesi nei casi previsti dal settimo comma dell’art.
531-bis c.p.p.
Su tali disposizioni è possibile
svolgere alcune considerazioni.
Innanzitutto non si comprende
il motivo della ingiustificata diversità di trattamento rispetto a
tutti gli altri processi, pur in cor-
giustizia
gd
so alla data dell’entrata in vigore
della legge, che vengono esclusi dall’estinzione nel caso in cui
quei termini vengano superati.
In secondo luogo, non si comprende la scelta in ordine al limite
di pena (dieci anni), che dovrebbe “selezionare” i tipi di processo che beneficiano dell’istituto.
Occorre inoltre rilevare come il
mezzo predisposto, e cioè l’estinzione del processo, non corrisponde all’intenzione dichiarata
del legislatore di voler velocizzare i tempi della giustizia. In
questo modo, infatti, i processi
non si faranno più e tutta l’attività processuale svolta verrà
eliminata, non potendo essere
recuperata in alcun modo. Sotto
quest’ultimo profilo, si può sottolineare come ciò si ponga an-
...dai tempi prefissati
che in contrasto con il principio
di economicità delle attività processuali. Questa riforma produrrà notevoli effetti anche sul
piano delle strategie difensive.
Infatti la difesa degli imputati sarà portata ad allungare ancora di
più i tempi del processo, al fine
di arrivare alla consumazione dei
termini, dopo i quali il processo,
appunto, si estingue.
In definitiva, dunque, il disegno
di legge reca in sé uno strumento
che si vorrebbe teso alla realizzazione del principio costituzionale della ragionevole durata del
processo, ma che si rivela sproporzionato e dunque intrinsecamente irragionevole rispetto
all’obbiettivo di attuare il principio costituzionale.
47
gd
ambiente
Nelle gole del Breggia
un oceano scomparso
In un percorso di 1,6 chilometri per una superficie di 65 ettari le tracce dal
periodo Giurassico (200 milioni di anni fa) fino a diecimila anni fa
di Federico Aligi Pasquarè
P
oco oltre il confine fra Italia
e Svizzera, in territorio ticinese, si apre una finestra nel tempo geologico svelato da strati di
rocce che raccontano di antiche
profondità oceaniche, paesaggi perduti, vita e morte di specie
oggi in gran parte estinte, repen-
tini cambiamenti climatici. Non
si tratta di sola geologia: il Parco
delle Gole della Breggia, che si
snoda lungo il fiume omonimo
per 1,6 km in lunghezza, con una
larghezza di 400 m e una superficie di 65 ettari, contiene anche
testimonianze preziose del lavoro e della vita dell’uomo a partire
dall’Alto Medioevo.
Mulino Ghitello - sede della Direzione del Parco / Stratificazioni del periodo Giurassico.
48
Il percorso nel Parco si snoda
attraverso 23 soste illustrate da
pannelli, numerati in sequenza, che progrediscono seguendo
l’evoluzione geologica delle rocce da quelle più antiche, risalenti al Periodo Giurassico dell’era
Mesozoica, 200 milioni di anni fa, alle più recenti, che testimoniano il modellamento del
territorio ticinese ad opera dei
ghiacciai che dominarono le Alpi
e le Prealpi fra 2 milioni e 10.000
anni fa. Le soste rappresentano
le sequenze di un documentario
di storia del nostro Pianeta, i cui
fotogrammi sono strati di rocce
che ci svelano, attraverso gli organismi fossili in esse racchiusi, gli avvenimenti che si sono
lentamente succeduti nel tempo
geologico. Gli strati rocciosi del
ambiente
Parco, deposti sul fondo di un
antico oceano a partire da 200
milioni di anni fa, sono formati dall’accumulo di innumerevoli gusci di carbonato di calcio o
silice che racchiudevano, in tempi antichissimi, gli organismi
che popolavano quelle acque.
Tra questi spiccano le ammoniti, mirabilmente fossilizzate negli
strati del “Calcare di Moltrasio”
e in quelli del “Rosso Ammonitico Lombardo”. La possibilità
di ammirare queste rocce sedimentarie di ambiente marino “a
cielo aperto”, ci è stata concessa dall’azione di immani forze geologiche che portarono
alla chiusura di quell’oceano e
all’emersione delle gigantesche
scaglie di roccia accatastate a formare l’edificio alpino.
Sono moltissime le curiosità contenute nelle rocce del Parco, ma
una menzione particolare merita
la “Maiolica”, calcare di colore
biancastro (anche detta “Biancone”) formatosi negli abissi oceanici fra 140 e 120 milioni di anni
fa. Tra gli strati bianchi e regolari di calcare troviamo racchiusi sottili livelli di roccia scura che
parlano di un mondo sconvolto
da un effetto-serra globale innescato da enormi eruzioni vulcaniche. La Terra riuscì allora a
“reagire” allo sconvolgimento
ambientale, che arrecò comunque danni incalcolabili alla biosfera, ma ci vollero non meno
di 20.000 anni affinché i delicati
assetti climatici fossero ristabiliti. Un numero che pesa come un
minaccioso monito all’uomo, intento oggi a modificare equilibri
che potrebbero portarci sull’orlo di un’emergenza globale simile a quella silenziosamente celata
nelle rocce del Parco.
Oltre ai motivi di interesse geologico che hanno pochi eguali
in Svizzera e in Italia, notevole è anche il patrimonio storico
che, solo in parte conosciuto, annovera le vie storiche, la Chiesa
Rossa e l’unico Castello nel Parco (dell’inizio del XII secolo), situato nel territorio di Castel San
Pietro. I vecchi edifici industriali
e di produzione di energia meccanica (mulini, cementificio, birreria) attestano l’uso delle acque
della Breggia sin dal XVII secolo. Di particolare pregio il Mulino del Ghitello (1606), sede del
centro di documentazione e del-
gd
la Direzione del Parco. Sul sito
web www.parcobreggia.ch sono illustrate le numerose possibilità
di approfondimento degli aspetti geologici, storici e naturalistici
che fanno del Parco, una vera e
propria risorsa per sensibilizzare
le nuove generazioni al rispetto
dei beni ambientali e culturali.
Proprio con questo obiettivo la
Direzione ha previsto per le sue
Guide qualificate un percorso
di aggiornamento costante che
permetta loro di svolgere al meglio questo importante ruolo di
educazione e divulgazione.
Paolo Oppizzi, geologo, Direttore del Parco dal 1999, sottolinea l’importanza di continuare
a sviluppare le potenzialità di
questo piccolo ma inestimabile patrimonio: “Negli ultimi anni abbiamo dato impulso a varie
iniziative di valorizzazione tra le
quali vorrei citare, in particolare,
la riqualifica dell’area del cementificio Holcim, interna al Parco, che prevede la realizzazione
di un centro di educazione ambientale e di un percorso didattico, alla scoperta delle tecniche di
lavorazione della roccia fino alla
sua trasformazione in cemento”.
49
gd
in cammino
Pensiero
e femminismo:
la crisi
del
Soggetto
e
l’esplorazione
delle
soggettività
femminili
Prospettive femministe:
le filosofe contemporanee
di Eleonora Missana
D
iamo il via a un percorso nella costellazione
delle pensatrici contemporanee che introducono
una prospettiva femminista e/o
di genere nell’indagine filosofica.
Nel proporre tale percorso, scegliamo un filo conduttore, un
fuoco tematico che consenta di
dar conto almeno in parte della
molteplicità di questioni sollevate e di prospettive dischiuse dalle
filosofie femministe contemporanee. Il tema conduttore sarà
quello dell’indagine sul soggetto tra crisi del paradigma di un
50
Soggetto sovrano e autotrasparente, che si conclama nella filosofia contemporanea almeno
dagli anni ’70, e l’esplorazione
della soggettività o dell’identità a
partire dalla messa in gioco delle
soggettività concrete femminili e
femministe, esplorazione che era
stata centrale nelle pratiche dei
movimenti femministi negli anni
a cavallo tra il ’68 e gli anni ’70.
è in qualche modo comune il
punto di partenza delle prospettive che si dicono femministe, ovvero la contestazione di
quell’ordine sociale, simbolico e
culturale patriarcale che prevede
la distinzione gerarchica tra un
polo dominante, che definisce
la posizione del maschile, e uno
complementare e subordinato,
che definisce il femminile. Però
il modo in cui tale contestazione
si traduce in pratiche di pensiero e proposte teoriche varia molto da una all’altra delle pensatrici
che si definiscono femministe o
postfemministe. Gioca in tale diversità, oltre che la singolarità di
ogni prospettiva filosofica, anche
il contesto storico e geografico
in cui si situano le pensatrici.
La prima pensatrice che vorremmo presentare è Luce Irigaray
che nel ’74 pubblica Speculum, un
testo che può per diverse ragioni
gd
in cammino
essere considerato inaugurale per
la riflessione filosofica femminista contemporanea. Da un lato
infatti, Irigaray mette all’opera
una decostruzione di alcuni testi classici della filosofia, da Platone a Hegel, e della psicanalisi,
da Freud a Lacan (di cui è stata
collaboratrice), smascherando,
dietro la pretesa di fornire schemi e concetti universali, primo
fra tutti quello appunto di “Soggetto”, la messa in opera di una
visione essenzialmente monologica e “fallocentrica”; dall’altra
però, dando origine al cosiddetto “pensiero della differenza sessuale”, propone un’esplorazione
e un’invenzione di genealogie
femminili rimosse, occultate ed
espulse nella costruzione del logos filosofico occidentale: con
la convinzione che ciò avrebbe
condotto al ripensamento radicale dei paradigmi ontologici e epistemologici dominanti, a
una riformulazione dei problemi dell’etica e della politica contemporanea. Mi pare che oggi si
possa dire che l’auspicio si sia avverato, al di là della condivisione
o meno della peculiare flessione
data poi da Irigaray al pensiero
della differenza.
Il pensiero della differenza sessuale trova una ricezione particolarmente favorevole in Italia
dove negli anni ’80 si forma un
gruppo di indagine filosofica denominato Circolo di Diotima intorno alle filosofe di Verona Luisa
Muraro e Adriana Cavarero cui
verrano dedicati due articoli successivi. Negli anni ’80, il testo di
Irigaray emigrerà oltreoceano e
avrà una peculiare ricezione, insieme ad altri filosofi francesi
(Foucault, Derrida, Lyotard) negli Stati Uniti: qui si avvia quella che può essere definita come
l’epoca dei post a partire dalla
definizione dell’epoca contem-
poranea come postmoderna. è
in questo quadro che anche nel
pensiero filosofico femminista
si avvia una riflessione critica e
autocritica che contribuisce a
complicare, ma anche ad arricchire la riflessione sul carattere
multiplo dell’identità. Emergono infatti pensatrici che contestano ogni uso essenzialistico del
significante donna, a partire dal
riconoscimento della diversità
di posizione tra donne in base
alla classe, razza e orientamento sessuale. Ne sorgono nuove
raffigurazioni della soggettività
che prediligono metafore come
quelle di margine (Bell Hooks),
nomade (Rosi Braidotti), ibrida
(Glora Anzaldua), queer (Teresa De Lauretis) o cyborg (Donna
Haraway) che consentono meglio di cartografare il presente e
di esaminarlo criticamente. Nel
’90 con Gender Trouble, un testo
provocatorio che suscita molto
scalpore, esordisce una pensatrice che è ora al centro del dibattito filosofico internazionale:
Judith Butler.
Riferendoci al dibattito più recente, ci pare di peculiare rilievo
il ripensamento della democrazia
e dei suoi regimi regolatori che
diverse pensatrici, tra cui la stessa Butler, Nancy Fraser, Sheyla
Benhabib e Gayatri Chakravorti
Spivak, hanno intrapreso e che va
a toccare molti temi etici e filosofico-politici, che hanno grandi
ricadute nell’attualità: quelli delle politiche economiche e sociali
nel mondo globalizzato, la questione del multiculturalismo e
della migrazione in un mondo
postcoloniale e postnazionale.
(1 - continua)
Judith Butler. A fronte: Luce Irigary.
51
gd
di Sergio Masciadri
I
l Risorgimento è cosa da uomini. Così ce lo insegna la
Storia ufficiale, quella che si
studia sui libri di scuola e si legge
nei trattati di Mack Smith, uno
storico inglese tra i più importanti studiosi del Risorgimento
italiano. Ma se sfogliamo le cronache del tempo scopriamo che
fin dai primi dell’800, nelle associazioni patriottiche, Giovine
Italia compresa, anche le donne
erano presenti sia pure in modo
discreto e nella società, beffavano l’attenta polizia segreta austriaca aprendo i loro salotti ad
intellettuali e cospiratori.
Se si vuole dare un nome alla prima comasca impegnata in attività
patriottiche, non possiamo che
parlare di Margherita Sironi, una
eccellente pianista che nella sua
casa organizzava incontri con
personalità delle organizzazioni
considerate sovversive. Quando
poi si passa dai salotti alle piazze,
le donne non si risparmiano e si
trovano, al fianco degli uomini,
anche ad imbracciare le armi.
Il 1848 è l’anno che modifica
gli assetti politici e istituzionali
di mezza Europa. Quasi simultaneamente moti rivoluzionari
investono tutte le capitali compresa la romantica Vienna e in
Italia sono i Vespri siciliani a dare il primo forte segnale di ribellione che poi sale verso nord e
arriva nel Lombardo Veneto dove gli Asburgo impongono con
forza la loro presenza. Scoppiano i primi moti a Milano e anche Como fa la sua parte, dopo
aver preparato con cura l’insurrezione popolare che per cinque
giorni terrà in scacco le truppe
austriache costringendole alla resa. In quelle giornate di marzo le
donne comasche – che avevano
contribuito a preparare l’insur-
rivoluzione
Il pronto soccorso
delle donne
agli insorti feriti
A Como cinque giornate anti austriache nel 1848
rezione anche costruendo palle
di piombo per i fucili, ritrovandosi in una casa al Fontanile di
Sant’Eusebio, l’attuale via Volta
– escono allo scoperto e si presentano da protagoniste all’appuntamento con la storia.
In questa realtà assume particolare significato la figura di Giuseppina Perlasca, moglie del
farmacista Bonizzoni che, oltre
ad aver messo a disposizione dei
rivoluzionari importante somme
di denaro, aveva trasformato la
farmacia di via Milano (in quegli anni al numero civico 307 del
borgo San Bartolomeo e oggi al
numero 7) in un centro di assistenza per i comaschi che stringevano d’assedio la caserma di
San Francesco (oggi sede del
Tribunale di Como) dove erano
acquartierate le truppe croate.
Giuseppina Perlasca fu instancabile nel portare soccorsi ai feriti
mettendo a disposizione bende,
La resa delle truppe austriache il 22 marzo 1848 (quadro del pittore Francesco Capiaghi).
52
gd
rivoluzione
fasce, medicinali e ospitando
nella sua casa i più gravi. Della presenza femminile in quelle
giornate di marzo, il professor
Antonio Odescalchi scrive che
nelle piazze vi erano candide e ben
tornite braccia a travolgere masserizie
per rafforzare le barricate, e mani gentili ad accatastar pietre su per le finestre e pei tetti, pronte a lanciarle sui
barbari ove fossero riusciti ad invadere
la città. I penetranti sguardi e i teneri
accenti non scendevano al cuore della
gioventù per ammollirlo, ma si per aggiungere fiamma all’amor patrio, per
infondere coraggio nella pugna.
Il dottor Gaspare Casletti ricordava che il 20 marzo, quando riprese le ostilità si ebbe cura di costruire
barricate o rinforzarle, specialmente
intorno alle caserme, furono operosi
non solo gli uomini, ma anche molte
donne. Nello stesso giorno, quando
una colonna di soldati austriaci uscì
dalla caserma di San Francesco, avviandosi per il sobborgo di San Bartolomeo e fu presa di mira dagli insorti,
fino le donne afferrarono le armi.
La farmacista Giuseppina Bonizzoni
in prima linea
con nobildonne e popolane
Se Giuseppina Perlasca è stata la protagonista assoluta delle
Cinque Giornate di Como, molte altre non si sono risparmiate
nell’azione comune e senza alcuna distinzione di censo e di ruolo. Donne dell’aristocrazia come
la marchesa Giuseppina Clerici
Martinez, la contessa Maria Cigalini Dal Verme Rosales e la nobildonna Giuseppina Raimondi
Mancini hanno lavorato al fianco
delle borghesi Luisa Riva Casati, Giuseppina Perlasca Bonizzoni, Elena Casati Sacchi, le sorelle
Bianca e Gina Caronti, e delle
popolane che, con alla testa la
focosa Maria Minola, hanno imbracciato il fucile per combattere
a fianco degli uomini.
In quei giorni nessuno si tirò indietro e anche le monache, quelle di San Carlo, parteciparono
alle Cinque Giornate di Como
a modo loro, come si legge sulle
cronache dell’epoca, non potendo in altro modo vi presero parte
con le preghiere e non smisero
fintantoché non seppero che i
vincitori erano gli insorti.
53
gd
di Alessandra Tremaroli*
I
l decreto legge numero 11 del
23 febbraio scorso, convertito
nella legge numero 38 del 2009,
nell’introdurre il nuovo reato di
“Stalking”, ha previsto all’art. 8
una specifica misura di prevenzione denominata Ammonimento
al fine di far cessare nel più breve
tempo possibile gli atti persecutori. L’istanza di “ammonimen-
stalking
di violazione inizierà automaticamente un procedimento penale e
la pena sarà aumentata. Considerato che i comportamenti vessatori tipici di questo reato minano
profondamente l’autostima delle
vittime, con gravi conseguenze
sulla loro capacità decisionale,
l’Ammonimento può rappresentare un valido punto di partenza
per far cessare le condotte moleste senza dover intraprendere da
Ammonire prima
e isolare la violenza
A Como 37 istanze di ammonimento
to”, quindi, può essere avanzata,
in alternativa al procedimento
penale, quando la vittima abbia
subito minacce o molestie reiterate, tali da provocarle disagi
psichici o timore per la propria
incolumità o per quella delle persone care, o pregiudizio alle sue
abitudini di vita. Una volta verificata la fondatezza della richiesta,
il Questore, tramite un ufficiale
di P.S., ammonisce oralmente lo
stalker invitandolo a tenere un
comportamento conforme alla
legge e ricordandogli che in caso
54
subito un percorso giudiziario.
Un ulteriore motivo a favore
dell’Ammonimento è rappresentato dal fatto che in linea di massima, per quella che è finora la
nostra esperienza, gli stalker sono persone che non hanno avuto
precedenti problemi con la Giustizia e pertanto sono piuttosto
ricettivi ad una formale diffida
da parte dell’ Autorità di P.S. ed
alle conseguenze che la sua violazione comporterebbe.
Dall’entrata in vigore della legge alla Questura di Como sono
state avanzate 37 istanze di ammonimento: 16 sono diventate
tali, 8 sono sfociate in querele,
8 sono state ritirate, 2 sono state trattate come esposti e 3 sono
in trattazione. Si può affermare
l’efficacia dell’Ammonimento, considerato che dei 16 provvedimenti emessi, solo in due casi le
molestie sono continuate.
La maggior parte dei casi (34) si
riferisce a rapporti sentimentali
tra ex partner: le condotte moleste sono state l’invio assillante
di numerosi SMS, biglietti, lettere esprimenti sentimenti alterni
di rabbia e nostalgia, minacce e
richieste di perdono; comportamenti ossessivi sfocianti in appostamenti; telefonate a tutte le ore
del giorno e della notte sia a casa
sia sul luogo di lavoro; minacce
di diffamazione; abuso verbale
nei confronti dei nuovi partner.
In tutti questi comportamenti
era evidente la difficoltà da parte del molestatore di rassegnarsi. Solo tre casi hanno riguardato
problemi di vicinato tanto gravi
da non poter essere risolti attraverso una composizione bonaria. Le vittime nella maggior
parte dei casi sono donne ma sono donne anche gli unici due casi
di stalker che hanno continuato i
comportamenti molesti successivamente all’Ammonimento.
In altri casi, valutato il rischio
elevato di violenze gravi, si è optato per l’azione penale che, in
alcuni casi, ha visto l’applicazione di due divieti di avvicinamento e uno di dimora. In due casi,
a seguito dell’Ammonimento, il
Questore ha ritirato in via cautelare armi e munizioni, in quanto
lo stalker aveva molestato e minacciato la vittima.
*Dirigente Divisione di Polizia
Anticrimine di Como
gd
Il racconto: sull’orlo della crisi
Quando
il grigio fa male
di Maria Tatsos
è
di un colore scuro, grigio-antracite. Come la
montatura dei Rayban che mi ero comprata tre
anni fa, prima della crisi. O come il disegno della
felpa griffata che mi ero concessa, con un colpo di
follia, ai saldi invernali di quattro anni fa. Sì, perché
una felpa aderente in cotone elasticizzato a 190 euro
in saldo è comunque una follia. “Ma pigliatela, dai
Valentina!”, mi aveva incoraggiato la mia migliore amica. “Scommetto che non ti sei spesa neppure
tutta la tredicesima, e non sei andata in Egitto al
mare, come progettavi!” No, non ero partita. Ma la
tredicesima l’avevo spesa. Le feste. I regali. E poi,
il mutuo. 550 euro al mese, con uno stipendio di
1200 netti.
Stufa di pagare l’affitto, avevo acquistato un bilocale carino, con un terrazzino per metterci le piante
e una sdraio per godermi il sole. Si vedeva anche
un pezzetto di lago. Trecentomila euro: le cose belle si pagano. Ma con qualche risparmio e il mutuo
pensavo di farcela. In fondo, mi restavano 650 euro
al mese per le bollette, la spesa, l’auto e le uscite
con gli amici. Pizzeria, ovviamente. Qualche happy
hour. Le vacanze: con i low cost sono riuscita a far
miracoli. Anche con uno stipendio da impiegata.
Ahi, mentre parlo mi viene male. Vi dicevo, la felpa
griffata aveva un disegno fashion in una tonalità di
grigio simile a questa. E risaltava benissimo sullo
sfondo beige. Un abbinamento cromatico simile a
questo grigio-antracite su bianco giallognolo. Mi
guardo allo specchio: ho un’aria tirata. Da quando
sono disoccupata, dormo poco e male. L’azienda
per la quale lavoravo è entrata in crisi più di un
anno fa. La trattativa è durata alcuni mesi. Prima
la cassa integrazione, poi poco alla volta ci hanno
lasciato a casa con il sussidio. Ho dovuto chiedere
un prestito ai miei genitori per continuare a pagare il mutuo. Ho azzerato le spese. Niente vacanze,
rare uscite serali, al supermercato solo le promozioni e addio acquisti di moda. Mi sono concessa un
paio di magliette a 3 euro l’una e dei jeans a 15 al
mercato. Fine. Per gioco, ogni tanto entro un nego-
S. Steinberg, 1946.
zio, provo qualcosa, mi guardo allo specchio e poi
restituisco alla commessa ringraziandola. Così mi
tolgo lo sfizio di vedere se quel tono di grigio mi
dona. Adoro il grigio.
Ma questo grigio-nero che vedo ora è un’altra cosa.
è colpa dei troppi caffè che bevo. Anche adesso,
quando vado in giro, un caffè me lo concedo. Entro
in un bar carino, chiacchiero col barista al banco e
per un attimo mi sembra che tutto sia come prima.
Sono solo 80 centesimi, è tra i pochi sfizi che mi
posso ancora permettere!
La macchia grigiastra mi fa male. Anche al cuore,
perché mi ricorda la mia sfortuna. Mi guardo allo
specchio, con la bocca ben aperta. Decido che me la
terrò: non ho 300 euro da spendere…
è il minimo che il dentista mi chiederebbe per sistemare questa carie.
Post Scriptum. Non cercate Valentina, non la troverete.
Ma il suo racconto è liberamente ispirato alla vita vissuta di tante donne in questi tempi di crisi economica.
55
Ticino: gravidanze non volute
Svizzera: pillola abortiva
libera scelta delle donne
La RU486 è il metodo più utilizzato nella Confederazione per interrompere
una gravidanza – Il 30% delle donne che abortiscono proviene dall’Italia
di Antonella Sicurello
M
entre in Italia la pillola abortiva è ancora al centro di un
acceso dibattito sull’opportunità di autorizzarla o meno,
in Svizzera la RU486, introdotta nel 1999, è il metodo più
scelto per interrompere una gravidanza. Nel 2008 il 57 per cento delle oltre diecimila donne che hanno abortito ha preferito la via farmacologica a quella chirurgica. In Ticino, su 682 aborti, 446 sono stati
effettuati con la pillola. Ma a colpire è anche un altro dato: un terzo
delle donne che hanno interrotto la gravidanza nel cantone a sud
delle Alpi viveva in Italia. Ma il cosiddetto “turismo abortivo” non è
una novità, anzi, dal 2003 è in costante aumento: il numero di aborti
di donne residenti all’estero è quasi triplicato.
L’interruzione farmacologica con la pillola abortiva Mifegyne o
RU486 è ritenuta meno invasiva rispetto a quella chirurgica (che
consiste in un’aspirazione in anestesia locale o totale), ed è effettuata a livello ambulatoriale. Dopo 36-48 ore dall’assunzione per via
orale di tre compresse, sono prescritte prostaglandine per facilitare
la dilatazione del collo dell’utero e l’espulsione dell’embrione. Sia il
metodo chirurgico sia quello farmacologico possono avere complicazioni: traumi o ferite al collo dell’utero e infezioni con il primo;
espulsione incompleta, con necessità di un’aspirazione per eliminare
i resti dei tessuti embrionali con il secondo; forti perdite di sangue
con entrambi.
Privatizzare i costi?
Il Ticino è il quinto cantone a livello nazionale per numero di aborti. Al primo posto si trova Zurigo (2.419), seguito da Vaud (1.432),
Ginevra (1.417) e Berna (1.063). Il tasso di abortività svizzero è tra
i più bassi in Europa: è del 6,9 per mille (7 aborti su mille donne in
età fertile, cioè dai 15 ai 44 anni), contro il 17,2 della Francia, il 10,6
dell’Italia e il 7,1 della Germania.
Una percentuale che comunque preoccupa i partiti svizzeri di centro-destra (Unione democratica di centro, Partito popolare democratico, Unione democratica federale e Partito evangelico), che hanno
lanciato a fine gennaio un’iniziativa per porre un freno alle interruzioni di gravidanza. Chiedono che i costi dell’aborto non siano più
coperti dall’assicurazione malattia di base ma privatizzati. Per la Fondazione svizzera per la salute sessuale e riproduttiva questa proposta
è scandalosa, poiché mette in discussione il diritto di autodetermina-
56
Tasso
di abortività
più basso
d’Europa:
6,9 per mille
nel territorio
elvetico
zione di ogni donna. Diritto che
era stato garantito nel 2002 con
la depenalizzazione dell’aborto
effettuato entro le prime 12 settimane di gestazione.
Ticino: gravidanze non volute
gd
Così diamo ascolto
alle vostre paure e incertezze
Diversi enti offrono sostegno alle donne che devono affrontare una gravidanza indesiderata – Parla Mirta Zurini Belli, coordinatrice dei Cpf
di Antonella Sicurello
U
na gravidanza indesiderata pone la donna
davanti a un bivio: l’accettazione o il rifiuto. In Ticino
esistono diversi enti, associazioni e servizi che possono aiutarla
ad affrontare questa nuova situazione. Tra questi, i Centri di
pianificazione familiare dell’Ente ospedaliero cantonale (Cpf).
Non solo forniscono ai residenti
in Ticino la consulenza e le prestazioni per problemi inerenti la
gravidanza, ma danno indicazioni anche in materia di pianificazione familiare, di salute sessuale
e procreativa.
“Le donne si rivolgono spontaneamente ai nostri quattro
consultori o sono inviate da medici esterni – spiega Mirta Zurini
Belli, coordinatrice dei Cpf – Il
nostro servizio collabora con i
ginecologi degli ospedali pubblici ticinesi, garantendo alla donna
l’applicazione delle misure giuridiche previste”.
Quante persone chiedono
aiuto ai vostri centri?
Nel 2008 erano oltre tremila e
le consulenze fornite 6.500. La
maggioranza delle donne che richiedono l’interruzione di gravidanza in Ticino si rivolge a uno
dei nostri centri.
Tra queste, vi sono ragazze
minorenni?
Statisticamente sono pochissime le minorenni a trovarsi in
situazione di gravidanza non desiderata. In genere le giovani ricorrono al nostro servizio per la
consulenza sulla salute sessuale e
la prevenzione alle infezioni sessualmente trasmissibili e procreativa.
La pillola abortiva RU486 è
sempre più utilizzata. è percepita come un metodo più
semplice e meno invasivo rispetto a quello chirurgico?
Il metodo più recente ritenuto
meno invasivo è l’interruzione
farmacologica della gravidanza.
Gode quindi della preferenza
della maggioranza delle donne.
L’aumentato ricorso a questa
modalità è evidente nei Paesi dove la RU486 è stata introdotta da
alcuni anni.
I vostri centri consigliano di
più il metodo farmacologico o
quello chirurgico?
Le donne sono informate, più
che consigliate, sulla scelta del
metodo. Sta poi a loro decidere
per quale dei due metodi di interruzione optare. Ovviamente sempre che il medico non
riscontri una controindicazione
oppure se l’età gestazionale lo
esclude.
Chiedono aiuto ai vostri consultori anche donne italiane?
Sì, purtroppo non possiamo
accogliere le loro richieste.
La priorità è per le donne o le
coppie che risiedono in Ticino.
Centri pianificazione familiare
Si trovano negli ospedali di
Bellinzona, Locarno, Lugano e
Mendrisio. Info: www.eoc.ch
(aprire “pazienti e visitatori” e
poi “consulenze”); [email protected].
Gli indirizzi dei servizi di sostegno sono riportati nell’opuscolo
informativo “Una gravidanza
indesiderata”, scaricabile in dieci
lingue dal sito dell’Ufficio
del medico cantonale
www.ti.ch/med
57
Fra i camini delle fate
di Maya Di Giulio
I
58
l treno notturno che da
Istanbul mi ha condotta
ad Ankara in poco più di
9 ore prosegue la sua corsa
verso est, per attraversare tutta
la Turchia orientale fino al lago
Van e oltre, verso il confine con
l’Iran. Appena arrivata devo subito ripartire su un piccolo bus
per attraversare l’immenso altopiano anatolico fino a raggiungerne il cuore, la
Cappadocia. Per anni
decine di viaggiatori mi hanno parlato
di questa terra lontana dalle apparenze bizzarre e uniche
al mondo: paesaggi
fiabeschi usciti dal
tocco della bacchetta magica di
una Madre Natura particolarmente geniale. Il paesaggio via
via cambia e nei pressi di Goreme incomincia un altro mondo. Insolito e quasi lunare, il
luogo improvvisamente si riempie a perdita d’occhio di rocce
bucherellate, scavate e snellite
dal vento e dall’acqua, che si alternano ad alti pinnacoli che
spuntano dalla terra sormontati da curiosi cappelli dalle forme strabilianti! L’erosione ha
pazientemente modellato con
fantasia sfrenata queste fantastiche strutture e nessun elemento
assomiglia all’altro, in una confusione di forme indescrivibile.
Sono i “Camini delle Fate”.
quaderno di viaggio
Sicuramente, come narra una
leggenda del luogo, Entità magiche hanno posto su queste guglie
di tufo i massi di basalto in equilibrio e chissà quali straordinarie
creature vivranno tra queste rocce scolpite, nelle cavità segrete
che furono un tempo rifugio di
eremiti e anacoreti! Quanti sono
i coni, le piramidi, le torri, i funghi, le guglie che riempiono queste vallate scoscese?
Cammino nella luce di un crepuscolo ormai prossimo, tra i colori cangianti delle pareti di tufo: il
bianco accecante di qualche ora
fa ha ceduto il passo al giallo zafferano del mezzogiorno, per trasformarsi ora nel rosa acceso di
un tramonto invernale infuocato. Entro in una delle tante chiese rupestri mimetizzata dentro
una suggestiva parete: non esiste
la facciata, si vedono solo delle aperture scavate che invitano
alla scoperta. La forte luce della
mia pila fa esplodere i colori degli affreschi di epoca bizantina,
usurati dai secoli e sfregiati da
mani irriverenti e rimango esta-
siata davanti alla severa bellezza
delle pitture di questo occultato
luogo di devozione. Il vento sibila leggermente tra alte piramidi ocra, si infila nelle cavità delle
rocce e gioca fra i magici Camini
delle Fate.
All’improvviso, da una valle laterale, come uscite dalle viscere della terra, enormi, colorate
mongolfiere si alzano in volo per
godere dell’ultimo raggio di sole su questo scenario fiabesco. Si
muovono in una danza lenta co-
gd
me fossero sospinte da un respiro divino. All’orizzonte intanto,
l’Erciyas Dagi, il grande vulcano
spento incappucciato di neve,
domina e sorveglia la landa sterminata.
Vuoi imparare a disegnare o
fare acquerelli per creare il tuo
quaderno di viaggio? Dal 6 al 13
giugno stage di carnet di viaggio
in Cappadocia.
Scrivi a [email protected]
59
gd
parità
Contro le discriminazioni
la tutela dei diritti
L’attività di consulenza e di assistenza legale delle Consigliere di Parità nella
Provincia di Como
di Paola De Dominicis
e Rosy Manganaro
L
’attività delle Consigliere di
Parità è in gran parte spesa
per la tutela della donna nel lavoro. Le situazioni delicate di
discriminazione che le donne
raccontano e, aiutate, denunciano hanno spesso una forte ripercussione nella loro sfera
personale e psicologica. C’è un
elemento che accomuna i casi
che quotidianamente affrontiamo: il disagio, la profonda sofferenza e persino la malattia con
cui le donne vivono questi momenti della loro vita. è il caso di
Mara, una donna di grande esperienza e professionalità, consapevole delle proprie competenze
tecniche, spese per trent’anni in
una importante realtà culturale dell’area comasca: non ha ricevuto alcun un riconoscimento
formale carriera, concessi invece
a colleghi uomini.
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Abbiamo potuto solo offrirle
consulenza, ma non rimuovere
le condizioni discriminanti perché Mara non ha sporto denuncia formale e non ci ha conferito
l’incarico di trattare con il datore di lavoro. La forza di andare
sino in fondo, temendo possibili
ritorsioni, Mara non l’ha trovata.
Invece Donatella ha trovato il
coraggio ha denunciato l’ente
che non le riconosceva la progressione di carriera e le responsabilità già ricoperte. Donatella,
plurispecializzata, si dedicava ad
aggiornamenti continui, ma non
sono stati sufficienti per ottenere
quei riconoscimenti formali che
altri colleghi hanno avuto. Lottando contro la sua timidezza,
Donatella ha trovato la forza di
rivolgersi a noi per riscattare tutti gli anni non riconosciuti e di
denunciare. Abbiamo potuto avviare l’iter per fare valere i suoi
diritti sulla base delle norme di
parità e della pari opportunità.
Numerosi anche gli interventi nei casi di madri lavoratrici.
Ludovica, una giovane madre,
era stata costretta alle dimissioni dall’azienda nel primo anno di
vita del suo secondo figlio con
la promessa di una nuova assunzione. Poco dopo l’assunzione,
però, Ludovica è stata licenziata
senza alcun riconoscimento dei
suoi diritti di madre lavoratrice.
L’azienda sin dall’inizio si è mostrata riluttante a una soluzione
equa che secondo la legge prevede il reintegro della lavoratrice
sul posto di lavoro: siamo allora state costrette a intraprendere
un’azione legale avvalendoci delle funzioni di un avvocato messo a disposizione gratuitamente
dal nostro ufficio. Siamo riuscite
a ottenere una conciliazione risarcitoria importante sottoscritta da ambo le parti. Con un’altra
giovane madre, Francesca, è stato possibile evitare il ricorso alle
dimissioni volontarie da lei ipotizzate a causa del rifiuto iniziale dell’azienda di concederle un
part-time. L’analisi delle situazioni denunciate dalle donne
evidenzia una tipologia di discriminazioni varia ma soprattutto problemi di conciliazione dei
tempi legati alla maternità e conseguente richiesta di orari ridotti/flessibili, variazione dei turni
o trasferimenti, discriminazioni
nella progressione di carriera, licenziamenti discriminatori.
violenza psicologica
La paura corre sul filo
– Rinnovare la tua patente? Ma
non farmi ridere!
Far ridere suo marito era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.
Soprattutto in quel momento. La
sua voce era diventata acuta, tagliente e solcava l’aria come una
scudisciata. Sapeva bene lui come ferirla, anche senza toccarla.
– Potrei accompagnare i bamb…
– Accompagnare i bambini? Ma
sei impazzita? In macchina con
te non li lascerei proprio! Guidi
come un cane, ti distrai per niente, non se ne parla neanche.
– Potrei andare a fare la spesa…
– Ti ho mai fatto mancare qualcosa? Non ho sempre pensato
io a tutto? Mi sto spaccando la
schiena, io, per farti fare la signora, sì, la signora con autista e tu,
tu… cosa vuoi di più?
– Potrei andare a trovare…
– Le tue amiche? Oche come
te… Che non sanno come arrivare a sera. Sempre pronte a
spettegolare su tutto e tutti.
Marina si sentiva sfinita, fragile,
priva di volontà. A poco a poco,
suo marito l’aveva allontanata da
tutti, con critiche sempre più feroci nei confronti di quanti lei
conosceva. Nessuno meritava di
frequentare la loro casa. Attorno
a lei aveva fatto il deserto. L’aveva convinta a lasciare il lavoro, ad
accudire i bambini a tempo pieno, come aveva fatto sua madre.
– Come fanno tutte le madri degne di questo nome. Tu puoi
contare su di me. Devi contare
su di me. Io mi spacco la schiena
per loro. Come puoi non capire?
– Potrei andare a trovare mia madre…
– Vuoi andare da tua madre? E
vai, chi te lo impedisce… Ma
ricordati, qui non si ritorna e i
bambini puoi scordarteli!
I bambini, sempre loro, usati come strumento di ricatto. Sapeva
che lei non avrebbe avuto il coraggio di lasciarli, che l’aveva in
pugno. L’aveva trasformata in un
automa, senza più volontà, senza
più orgoglio e dignità.
Sperava che la richiesta di rinnovare la patente avrebbe segnato
un cambiamento, la possibilità anche minima di un’iniziativa personale, uno spiraglio pur
piccolissimo verso un percorso
nuovo. Chiedeva forse troppo?
Aveva forse ragione lui, a sentirsi
tradito? Lei era disorientata. Abbassò la testa come altre volte.
Non aveva più voglia di lottare.
Si alzò e cominciò a sparecchiare
concentrandosi in quell’impegno
così importante. Ripulire bene i
piatti dagli avanzi, impilarli con
cura, a cominciare dai più grandi.
Non prenderne troppi, altrimenti pesano e non ce la fai. Altrimenti pesano e non ce la fai!
Questo ritornello la tormentò
tutta la notte, altrimenti pesano e
non ce la fai, insieme a una immagine che danzava nella sua mente, fino al mattino.
Si alzò come sempre. Preparò la
colazione per tutti. I bimbi pronti, un bacio veloce…
L’immagine, che aveva visto
nella sala d’attesa del suo medico, ritornò improvvisa come un
lampo. Una locandina, un telefono, un filo attorcigliato… come quello che sentiva alla sua
gola, insistente, d’acciaio… come la voce di suo marito che non
le lasciava scampo…
– Pronto? Non so più chi sono. Sono
una donna…ho bisogno… aiutatemi!
Tel. 031
304 585
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FEDERAZIONE
ASSOCIAZIONI
FEMMINILI
TICINO
A zigzag fra corsi e seminari
Il Senato delle Donne e la FAFT (Federazione Associazioni Femminili Ticino) editori del mensile
Geniodonna, organizzano corsi e seminari. Ecco il programma della nuova stagione.
INFORMATICA 1° livello
12 lezioni di due ore ciascuna
nelle giornate di martedì e giovedì. Ultimi giorni per iscriversi.
INFORMATICA 2° livello
10 lezioni di due ore ciascuna
dalle 17:30 alle 19:30 nelle giornate di mercoledì e venerdì.
entrambi i corsi saranno tenuti dall’insegnante d’informatica
Anna Morello, presso l’Istituto Pessina di Como. Le iscrizioni
resteranno aperte fino a metà
marzo; i corsi inizieranno al raggiungimento del numero minimo d’iscritti.
ESSERE GENITORI OGGI
Si tratta di 4 incontri tenuti dalla pediatra Roberta Marzorati e
dall’insegnante Clara Debiase,
a partire da venerdì 5 marzo (12
marzo, 19 marzo, 26 marzo) seguiti da discussione. Dalle 20:30
alle 22:30.
Luogo: Senato delle Donne, via
don Minzoni,12 Como.
le nostre figlie crescono
4 momenti di discussione e di ri-
flessione sul rapporto genitori e
figlie, in un mondo dove i modelli proposti sono “veline” e indossatrici.
Gli incontri saranno tenuti dagli
piscologi Elisabetta Gagliardi
e Alessandro Longatti.
Argomenti: le trasformazioni sociali, i nuovi media, immagine e
sesso, bullismo femminile.
Tempi: da giovedì 4 marzo (11
marzo, 18 marzo, 25 marzo),
presso la sede del Senato delle
Donne in via don Minzoni, 12
Como. 20:30-22:30
Espressione pittorica
4 incontri per esplorare il fantastico di donna e uomo e l’interagire fra di loro. Il corso è tenuto
da Yolande Guillet; la data e gli
orari sono da definirsi.
Luogo: il Senato delle Donne in
via don Minzoni,12 Como.
legatoria artigiana
Il corso si articola in due moduli
coordinati e propone di dare la
conoscenza pratica e teorica per
poter operare nel campo della
legatoria artigianale e nella cartotecnica. Il corso è tenuto da
Dario Piccarreta, maestro formatosi presso le scuole di restauro e legatoria artigianale a Milano
e Firenze. La sede: il laboratorio
“Il Libro Antico” a Como, in via
Italia Libera 20. Le iscrizioni sono aperte da ora fino al 3 marzo.
Diritto del lavoro
Ticino: diritto del lavoro
Mendrisio, marzo–aprile 2010)
Il corso permetterà alle donne di
acquisire gli strumenti per essere riconosciute nell’ambiente lavorativo, facendo loro conoscere
i diritti derivanti dal contratto di
lavoro, dalla legge sulla parità dei
sessi, dalle assicurazioni sociali.
L’ultima sera valorizzerà le donne alla ricerca di un impiego o di
reinserimento.
Modulo 1: Diritto del lavoro e Legge
sulla parità dei sessi
Modulo 2: Contratti collettivi di lavoro
Modulo 3: I diritti delle frontaliere
Modulo 4: Le assicurazioni sociali
Modulo 5: Strategie per trovare lavoro
Iscrizioni entro il 10 marzo a
Faft, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure [email protected]
seminari
• L’economia della differenza
Coordinatore prof. Luca Michelini, storia del pensiero economico, docente alla LUM di
Bari.
• La letteratura nell’area insubrica, poete e poeti scrittrici e
scrittori: coordinatrice Angela
Cerinotti, professoressa di storia della letteratura.
lingua araba
è stato attivato il corso di lingua
araba: docente Noura Azmil.
Le iscrizioni a tutti i corsi sono aperte da ora fino al 15 marzo.
Como: info tel. ++39.031. 2499829/031 2759236 E-mail: [email protected]
oppure presso la sede di Geniodonna in viale G. Cesare, 7 • www.geniodonna.it
Lugano/Massagno: FAFT via Foletti, 23 E-mail: [email protected]
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FEDERAZIONE
ASSOCIAZIONI
FEMMINILI
TICINO
La vita è una corsa a ostacoli?
Un corso per avanzare senza intoppi
Margherita Buy e Guido Caprino.
63
differenze
gd
Ciclo di film e feste
contro la discriminazione
Film di ComoGayLesbica con l’appoggio dell’Amministrazione Provinciale
F
u così che l’Amministrazione Provinciale di Como ci
convocò per un incontro. Una
nutrita delegazione dei nostri soci varcò la soglia della sala in cui
stava aspettando una altrettanto numerosa rappresentanza dei
consiglieri che fanno parte della
Commissione Pari Opportunità
con l’Assessore stessa a capo.
Erano interessati a discutere
eventuali progetti per la giornata
mondiale contro l’omofobia, il
17 di maggio. L’anno scorso avevamo organizzato un incontro
con Vladimir Luxuria che venne a presentare il suo nuovo libro di fiabe. Andò molto bene,
c’erano tante persone e la serata si concluse davvero in bellezza. Quest’anno, invece, vogliamo
dare un taglio diverso: fra molte idee che sono state discusse
alla fine ha prevalso il cinema.
L’amministrazione Provinciale
si è dimostrata entusiasta della
nostra iniziativa, tant’è vero che
ci ha concesso il riconoscimento del Patrocinio. Ci ha stupito
anche perché c’è stata una forte partecipazione alla scelta dei
quattro film in programma. Il
titolo della rassegna sarà Sotto lo
stesso cielo e prevede la presentazione e la proiezione di un film
a tematica gay, uno a tematica lesbica, uno trans e uno che vuole
trattare della discriminazione di
tutte queste aree sociali. è stato difficile scegliere tra la grande produzione di film di questo
genere, anche perché volevamo
proporre pellicole dove le problematicità legate all’omosessualità sono presentate con una
buona dose di autoironia ma
non in modo superficiale. Co-
sì dopo un lungo confronto tra
noi e L’Amministrazione Provinciale sono emerse le seguenti proposte: Transamerica e Women,
due film che affrontano sia la tematica lesbica sia quella trans in
modo approfondito e serio indagando sui significati di una scelta che però scelta non è. Gli altri
due titoli sono invece Diverso da
chi? e A single man, usciti da poco nella sale cinematografiche:
trattano temi diversi inglobando
la tematica gay quasi in punta di
piedi e concentrando l’attenzione dello spettatore sul tema della
diversità in generale. I film saranno proiettati in quattro serate:
21, 28 aprile e 5 maggio alle ore
20,45; il 16 maggio si chiuderà
con l’ultimo film dalle ore 18
e, a seguire, ci sarà una grande festa. La sala scelta è quella dell’ArciXanadù, importante
voce culturale della città che sta
attraversando un momento difficile ma che deve sopravvivere.
Anche la commissione Pari Opportunità ha caldeggiato questa
idea.Vi aspettiamo numerosi alla
rassegna.
Come abbonarsi a Geniodonna per l’Italia
In posta: compila e versa 30 euro col bollettino postale prestampato che trovi allegato a questo numero:
riceverai le nostre pubblicazioni 2010.
In banca: versamento bancario su Banca Popolare di Sondrio IBAN IT56 G056 9610 9000 0000 9159 X71
Come abbonarsi a Geniodonna per la Svizzera
Sottoscrivi l’abbonamento 2010 versando frs. 50.- ccp 69-7175-8 oppure comunicando i tuoi dati (indirizzo
completo) a: FAFT, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure a: [email protected]
Segnalaci l’indirizzo di un’amica o di un amico che ritieni possa essere interessata/o al mensile.
Per l’Italia a: [email protected] oppure tel. +39 031 2759236
Per la Svizzera a: [email protected]
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