geniodonna www.geniodonna.it • www.geniodonna.ch I SOGNI DELLE DONNE Geniodonna un mese di eventi cinema teatro musica a Como e in Ticino Lo sguardo femminile sul mondo Finanziato dall’UE - progetto Geniodonna I.D. 7671128 - Interreg Italia/Svizzera Fondo Fesr Poste Italiane Spa - Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 - DCB Como Periodico di fatti e di idee di Como e del Cantone Ticino - Anno 2 - N. 5 - Marzo 2010 Donna? il punto di Chiara Ratti “Cosa vuol dire sono una donna”? Se lo chiedeva non senza un velata preoccupazione a sfondo sessuofobico e qualche ansia da prestazione anche il buon Battisti (in coppia con Mogol) e ce lo chiediamo, temo, sempre più spesso anche noi. Stagione difficile quella della contemporaneità, soprattutto per chi vuole interrogarsi sull’identità: in Italia un’ex valletta, archiviati gli stacchetti musicali, promuove decreti farraginosi sulle pari opportunità mentre nell’America wasp le donne sorpassano gli uomini quanto a reddito e tenuta dell’occupazione, nella vecchia Inghilterra invece file di veline indigene si candidano a diventare wag (wife and girlfriend, l’acronimo con cui sono definite in Inghilterra le donne dei calciatori) a colpi di conquiste e corna. “Cosa vuol dire sono una donna ormai?” Chi siamo? Siamo le “donne girasole” che non possono stare senza un uomo (qualechesianonimportaquantoinopportuno) o quelle che rivendicano a ogni costo, anche a costo della felicità, la propria indipendenza? “Le gote rosse” e “le bionde trecce”, tanto per tornare al solito Battisti, ci hanno stancato, ma ce l’abbiamo davvero il coraggio di chiederci chi siamo? E di prenderci la responsabilità della risposta? Carol Rama, Appassionata, 1940. Torini, Galleria d’Arte Moderna. Siamo davvero pronte a un modello nuovo all inclusive? E si risolve davvero così la questione dell’identità plurale? Con l’elaborazione di un modello full optional: brava moglie, brava mamma, brava professionista, brava a letto, brava per forza, perché altrimenti non è abbastanza, perché bisogna sempre essere più che all’altezza della situazione, una specie di suv metropolitano per la giungla d’asfalto? Io credo di no. Credo che la questione dell’identità si declini al singolare e rifugga dalle generalizzazioni, sempre pericolose, per riscoprire nella sua interezza la persona e il suo specifico, femminile o maschile. GENIODONNA Direttore responsabile: Maurizio Michelini ([email protected]). Art director: Graziella Monti ([email protected]). Redazione Como ([email protected]): Guido Boriani ([email protected]), Cristina Sonvico, Idapaola Sozzani. Segretaria: Giulia Pelizzari. Foto di copertina di Anna Bernasconi. 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Nessuna parte della rivista può essere riprodotta, rielaborata e diffusa senza autorizzazione scritta dell’editore. gd O tto marzo, festa della donna: una data può servire agli smemorati. Ma è tempo di uscire dai riti e porsi senza soste e scadenze la necessità di un nuovo ruolo delle donne. La società deve accogliere e utilizzare la loro carica di umanità, la loro visione equilibrata del mondo, la loro forza affettiva, e intellettuale. Fa parte della missione di questo mensile, edito da due associazioni femminili non profit di Como e di Lugano, unite per le pari opportunità, sostenere il punto di vista femminile del mondo, un diverso modello di vita e di lavoro, meno aggressivo di quello maschile, meno avido. Per questo non un solo giorno, ma una kermesse di iniziative in nome del genio femminile, ingrediente che nessuna società può mettere in disparte se non vuole essere zoppa e parziale. Saranno iniziative cinematografiche, teatrali, concertistiche che ricondurranno al problema dell’uguaglianza delle condizioni, dei trattamenti, dei percorsi, dei diritti in cui si possono riconoscere donne e uomini. Abbiamo potuto gentilmente usufruire della preziosa collaborazione dell’Ufficio Cultura del Comune di Per le donne non un giorno ma una lunga kerme sse Chiasso, e contiamo sulla consulenza artistica di una giovane e sensibile regista Alina Marazzi conosciuta per “Un’ora sola ti vorrei” e “Vogliamo anche le rose”: proietteremo quattro film di donne e sulle storie delle donne, donne di tutti i giorni, che non compaiono mai nei modelli della comunicazione spazzatura. Troverete per ogni pellicola tutte le notizie nelle pagine successive. E poi il Teatro in collaborazione con il Cinema Lux di Massagno: tre spettacoli con una prima assoluta per il Ticino, di una pièce in dialetto sulle avventure di “Baloss/Ulisse” personaggio omerico; e poi “Occidoriente”, una storia sospesa tra due mondi e “Vita Virginia”: una storia d’amicizia e d’amore tra due scrittrici. Infine musica concertistica con pezzi scritti da compositrici dal ‘800 ad oggi. P.S.: Il mensile ha vinto un bando europeo che lo ha fatto nascere; ma la sopravvivenza nel tempo è legata a voi lettrici e lettori, alla vostra adesione. Non è complicato. Basta abbonarsi e convincere a fare la stessa cosa amici, conoscenti, persone, studenti, professionisti. 1 Alina e le altre di Alina Marazzi C on il titolo della rassegna L’altra lei, abbiamo voluto porre l’attenzione sul concetto di “altra”: un’altra donna, un’altra figura di donna, diversa da quella rappresentazione del femminile che più spesso incontriamo nelle immagini del nostro quotidiano. Per una donna oggi è difficile rispecchiarsi in quelle “simulazioni” di donna che i media ci propongono: raramente riusciamo a identificarci con le donne delle pubblicità o degli show televisivi. Tra queste donne, è difficile trovare qualcuna che ci assomigli e che ci dica qualcosa che parli anche di noi, della nostra vita, delle nostre emozioni, e non solo del colore dei nostri capelli o della forma del nostro seno. è difficile per noi donne di tutte le età, sia che siamo bambine, adolescenti, single, madri, o nonne… è come se lo specchio si fosse rotto e ci rimandasse un’immagine falsata di noi stesse. Nel cinema, al contrario che in altri mezzi espressivi e di comunicazione – la televisione, la fotografia, la stampa, il web - sembra ancora esserci uno spazio libero, non completamente assoggettato al trend dominante che vuole la donna sempre e solo rappresentata attraverso lo sguardo maschile. Le “altre donne” della rassegna sono le protagoniste di storie vissute intensamente, con leggerezza e con intensità; sono donne che non “subiscono” la vita, ma la agiscono. Fanno delle scelte, a volte controcorrente, che le portano fuori dal tracciato che era loro destinato; oppure si trovano a fronteggiare situazioni inattese e dolorose, reagendo con intelligenza e sentimento per andare oltre, e continuare ad essere persone vere, donne libere. Maria, Nusret, Antonia, Tamara, Lina e Hala non si conoscono, vivono in paesi lontani tra loro, parlano lingue diverse, ma sicuramente hanno qualcosa in comune, e, se dovessero mai incontrarsi, troverebbero sicuramente qualcosa da dirsi. Le altre della rassegna sono anche però Francesca, Yesim, Marina e Dima, le registe che raccontano queste storie, e che, con il loro sguardo “altro”, ci propongono non solo storie di donne, ma anche un linguaggio cinematografico che sia espressione di una visione del mondo al femminile. A nche io sono regista, di film documentari; ogni volta che mi appresto a lavorare su un nuovo film, non solo scelgo un tema o storie che mi coinvolgono da vicino – e questo inevitabilmente significa portare l’attenzione su vissuti di donne – ma mi pongo fortemente la questione del punto di vista, del mio punto di vista di donna su quel tema o quella storia. Credo che questo sia anche il punto di partenza delle mie colleghe registe i cui film sono presenti nella rassegna. Il cinema fatto dalle donne, non è solo tale perché mette al 2 centro della propria narrazione storie di donne, ma lo è davvero quando lo sguardo che questo cinema esprime, è lo sguardo di una donna sul mondo. Per quanto mi riguarda, il documentario è la forma cinematografica che ho adottato per raccontare storie e soprattutto “incontri”: sono gli incontri che faccio con persone reali (come le monache in Per Sempre, sulla clausura) o presenze cinematografiche (come nel caso di mia madre in Un’ora sola ti vorrei e le donne degli anni ‘70 in Vogliamo anche le rose) che fanno nascere l’esigenza di raccontare di quell’esperienza. è sempre a “partire da sé” che si compie il primo passo per intraprendere un viaggio, una ricerca, che è conoscenza di qualcosa di nuovo, ma anche e sempre introspezione. Mi riesce difficile pensare a un documentario che non dialoghi direttamente con la mia vita e con chi sono io in quel momento; credo che mettersi in gioco, mettersi in scena, offra maggior possibilità di verità nel racconto del mondo che ci circonda. Sento il mio lavoro simile a quello del detective: mi metto alla ricer- “L’Altra Lei” ca di “indizi”, vedo e ascolto ciò che le testimonianze mi dicono, decifro le immagini, e intuisco cosa le parole scritte in un diario possono comunicarmi. Poi procedo timidamente per associazioni emotive e visive, e così inizio un percorso che non so bene dove mi porterà. La narrazione procede in un movimento complesso, con accelerazioni, divagazioni, arresti, sospensioni. Tutto questo mettere insieme diverse immagini, parole e suoni, crea un racconto, che è una narrazione. Questo per me è fare cinema, che significa anche cercare di rifondare un linguaggio cinematografico: il tentativo di creare un’estetica che aderisca a un’etica che appartenga a noi donne, e anche a tutti coloro che sono al nostro fianco e guardano al mondo insieme a noi. Rassegna cinematografica Cinema Teatro Chiasso Marzo: martedì 2 • 9 • 16 • 23 ore 20.30 Un nuovo raccontare espressione dello sguardo di donne sul mondo Marina Spada. Alina Marazzi vive e lavora a Milano. Regista e aiuto regista di lungometraggi per il cinema. Ha realizzato diversi documentari di argomento sociale e culturale per la Rai e RTSI. Il suo film Un’ora sola ti vorrei ha ricevuto riconoscimenti internazionali. Il suo ultimo film è Vogliamo anche le rose.www.unorasola.it www.vogliamoanchelerose.it Alina Marazzi. Dimm El-Horr. Francesca Comencini. 3 Cinema Teatro Chiasso martedì 2 marzo 2010 ore 20.30 (v.o. ita). Durata: 96’ Anteprima svizzera Alla proiezione sarà presente la regista Francesca Comencini Regia Francesca Comencini. Tratto dall’omonimo romanzo di Valeria Parrella. Interpreti Gaetano Bruno, Giovanni Ludeno, Antonia Truppo, Guido Caprino, Salvatore Cantalupo, Maria Pajato. Sceneggiatura: Francesca Comencini, Federica Pontremoli. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Massimo Fiocchi. Scenografia: Paola Comencini. Costumi: Francesca Vecchi, Roberta Vecchi. Musiche: Nicola Tescari. Prodotto Fandango in collaborazione con Rai Cinema. Per gli iscritti alla Faft e al Senato delle Donne e per gli abbonati al mensile entrata gratuita alla rassegna 4 Maria aspetta una bambina, non è più incinta ma aspetta lo stesso. Aspetta che sua figlia nasca, o muoia. E se c’è una cosa che Maria non sa fare è aspettare. è per questo che i tre mesi che deve affrontare, sola, nell’attesa che sua figlia Irene esca dall’incubatrice, la colgono impreparata. Abituata a fare affidamento esclusivamente sulle proprie forze e a decidere con piena autonomia della propria vita, Maria si costringe a un’apnea passiva che esclude il mondo intero, si imprigiona nello spazio bianco dell’attesa. Ma questo sforzo di isolamento doloroso consuma anche l’ultimo filo di energia a disposizione: la bolla di solitudine in cui Maria si è rinchiusa è messa a dura prova e alla fine esplode. è necessario che Maria salvi se stessa per riuscire a salvare la bambina. Non c’è che una soluzione: consentire al mondo di irrompere nella propria esistenza e concedersi il privilegio di ritornare a vivere. E così inventarsi la forza per accompagnare Irene alla nascita. Lo Spazio Bianco “Questo film mi ha portata a parlare di una delle cose più centrali della mia vita, la maternità. Per un paradosso non casuale, mi sono sempre ritrovata, nel corso della mia vita, insieme a molte altre, a dover difendere il diritto delle donne di non essere madri, o di poter scegliere se e quando esserlo, e mi sono ritrovata di fronte degli strenui difensori della vita, quasi sempre uomini, quasi mai padri. Eppure, da quando ho vent’anni, vado in giro con un bambino aggrappato al fianco. Questo film mi ha dato l’occasione di parlarne, di parlare di ciò che conosco meglio, dell’essere madre. Della difficoltà, dell’intimità di ogni storia di maternità. E anche della leggerezza che la maternità genera, anche nel dolore, anche nella fatica, e della forza e dell’allegria che porta con sé. Mi sono sentita così facendo questo film, anche nelle difficoltà, anche nella fatica, mi sono sentita leggera, e più libera, come se qualcosa si sciogliesse in me. Ho fatto un film molto più visionario, molto più musicale dei miei film precedenti.” (F. Comencini) “L’Altra Lei” Chaque jour est une fête Cinema Teatro Chiasso (Every day is a holiday) martedì 9 marzo 2010 ore 20.30 Libano 2009 (v.o. arabo/francese - sottotitoli tedesco/francese). Durata: 87’ Anteprima svizzera. Regia: Dima El-Horr Interpreti: Hiam Abbas, Manal Khader, Raïa Haïdar, Karm Saleh, Fadi Abi Samta, Siro Faselian, Bilal Atoui, Berge Fasilian. Sceneggiatura: Dima El-Horr, Rabih Mroué. Montaggio: Jacques Comets. Fotografia: Dominique Gentil. Musiche: Pierre Aviat. Produzione Ciné-Sud Promotion, Thierry Lenouvel,Visions Sud Est. A Beirut è il giorno della Festa dell’indipendenza, le strade sono affollate. Tamara, Lina e Hala non si conoscono, ma salgono sullo stesso autobus dirette verso il carcere di Mermel, dove sono rinchiusi i loro uomini. Ma l’autista dell’autobus viene ucciso da una pallottola. le tre donne decidono di proseguire il cammino attraverso il deserto e la desolazione dei villaggi. Giunte al carcere lo trovano ridotto a un cumulo di macerie: dei prigionieri sono rimasti i corpi, intorno l’arido deserto e un surreale susseguirsi di dune, miraggi e di martiri della rivoluzione. Chaque jour est une fête (Every Day Is a Holiday). Film di produzione indipendente, è il primo lungometraggio di Dima El-Horr, giovane regista che ha studiato regia all’Art Institute di Chicago e attualmente insegna cinema alla Lebanese American University in Libano. “Il titolo del film significa che in Libano non c’è routine, non abbiamo un giorno che somiglia a un altro, fa parte del paradosso quotidiano di quei territori. Quando dico Ogni giorno è una festa, indico la situazione assurda della guerra, di tutte le guerre, non solo della nostra. Le immagini del sogno, secondo me, aiutano a sottolineare più che ad alleggerire le immagini. I telegiornali le mostrano ogni giorno, le fanno sembrare normali, immagini oniriche e tremende, a sottolinearne l’orrore.” (Dima El-Horr) 5 Poesia che mi guardi Poesia che mi guardi partendo dalla figura di Antonia Pozzi, poetessa appassionata, riconosciuta come una delle voci più alte del Novecento non solo italiano e morta suicida a soli 26 anni nel ‘38, si propone come riflessione sul ruolo dell’artista e del poeta nella società di allora e di oggi. Il film dà voce alla sua poesia e alla sua ricerca esistenziale, al disagio verso il suo ambiente sociale che le impediva di vivere in modo sincero e passionale e verso un mondo maschile che liquidava il suo talento poetico come disordine emotivo. Parlare della Pozzi vuol dire anche riflettere sull’essere donna nella nostra società, sulla creatività al femminile e sul rapporto tra arte e vita. Il film mostra per la prima volta i filmati 8mm girati da Antonia. Voce narrante del film è Maria, cineasta che ne studia l’opera e ricerca il mondo e i personaggi della sua vita coinvolgendo un gruppo di studenti, gli H5N1, che diffondono le loro poesie in forma anonima sui muri. “Poesia che mi guardi è una riflessione sulla poesia e sulla sua necessità. Amo la poesia e amo i poeti perché danno voce, coraggiosamente, a ciò che di solito è taciuto. Antonia Pozzi, in particolare, mi aveva fulminata perché la sua poesia è libera, carnale, sincera. Mi affascinava questa giovane donna costretta a nascondere, dietro l’apparenza borghese, una passionalità intensa che mal si conciliava con le strettoie e le convezioni dell’epoca. Antonia Pozzi era sola perché, come tutti gli imperdonabili, era troppo moderna per essere compresa. Ha saputo guardare, senza ritrarsi, la bellezza e il dolore del mondo e testimoniare se stessa. Morta suicida, come spesso è accaduto alle donne poeta, è nata e vissuta a Milano, come me.” (M. Spada) Cinema Teatro Chiasso martedì 16 marzo 2010, ore 20.30 Anteprima svizzera. (v.o ita). Durata 50’ Alla proiezione sarà presente la regista Marina Spada. Regia: Marina Spada. Interpreti: Maria Elena Ghiaurov, Nicola Carlo Bassetti, Manuela Enrica Chiurazzi, Stefano Marco, Colombo Bolla. 6 Sceneggiatura: Marella Pessina, Simona Confalonieri, Marina Spada. Montaggio: Carlotta Cristiani. Fotografia: Sabina Bologna.Musiche originali: Tommaso Leddi. Prodotto con il contributo di Comune di Milano Max Brun Provincia di Lecco. “L’Altra Lei” Pandora’s Box (Pandoranin Kutusu) Quando Nusret si allontana dalla sua casa, nelle montagne vicino al Mar Nero, non immagina certo che andrà a mettere a dura prova i nervi dei suoi figli. La sua famiglia è del resto l’ultima delle preoccupazioni di questa vecchia signora, colpita dal morbo di Alzheimer. E i suoi figli, nonostante le loro apparenti riuscite sociali, non vivono bene. La scomparsa della madre porterà a galla il loro malessere, obbligando le due figlie, Nesrin e Güzin, a confrontarsi con il vuoto siderale delle loro vite affettive, mentre il fratello Mehmet non potrà più nascondere il fallimento della sua pretesa vocazione artistica. Solo Murat, l’adolescente ribelle figlio di Nesrin, saprà instaurare un rapporto con questa nonna che non aveva mai conosciuto. Cinema Teatro Chiasso martedì 23 marzo 2010, ore 20.30 Turchia, Francia, Germania, Belgio 2008 (versione originale turca, sottotitolata fr/ ted). Durata 112’ Regia Yesim Ustaoglu sceneggiatura:Yesim Ustaoglu, Selma Kaygusuz Interpreti Tsilla Chelton, Derya Alabora, Onur Unsal, Övül Avkiran, Osamn Sonant. Fotografia: Jacques Besse. Montaggio: Franck Nakache. Scenografia: H.F. Farsi, Elif Tasçioglu, Serdar Yilmaz Musica: Jean-Pierre Mas Produzione: Silkroad Production, Les Petites Lumières, Stromboli Pictures, Ustaoglu Film Yapim, The Match Factory. Film pluripremiato (si è aggiudicato tra gli altri nel 2008 la “Concha d’oro” nonché la “Concha d’argento” per la miglior interpretazione femminile all’attrice Tsilla Chelton al Festival del cinema di San Sebastian, e più recentemente il Premio Tre Castelli Categoria 16/20al festival Castellinaria), scritto e diretto da Yesmin Ustaoglu, architetto di formazione, che si è fatta conoscere in occidente con Viaggio verso il sole (1999). Questo film è una vera ode alla vecchiaia, interpretato magistralmente da Tsilla Chelton, che con toni lievi racconta un soggetto universale, offrendo uno sguardo positivo e fiducioso sul futuro. 7 Biblioteca Comunale di Como Venerdì 26 marzo 2010 - ore 20.30 Contributo 7 euro Abbonati 5 euro Studenti 2 euro Duo pianistico Quattromani: Adriana Mascoli e Franco Torri. Musiche di compositrici dalla fine dell’Ottocento a oggi. L ’allestimento e il progetto teatrale guidato da Laura Negretti nasce dalla libera trasposizione del racconto Il manichino dietro il velo di Sadegh Hedayat, autore iraniano del ‘900, riletto qui per l’azione teatrale con ironica intelligenza e grande poesia e non pochi riferimenti autobiografici, dall’autore contemporaneo iraniano Hamid Ziarati. Musicadonna Concerto: verranno interpretate musiche di Germaine Tailleferre (18921983), Erszebet Szönyi (1924 ), Cecile Chaminade (1857 – 1944), Marcela Pavia, Fanny Mendelssohn (1805 – 1847), Ruth Schonthal (1924-2006). Parteciperanno alla serata la compositrice italo-argentina Marcela Pavia e la nipote di Germaine Tailleferre, Elvire De Rudder. Un caleidoscopio musicale di compositrici dallo stile differente e che dà risalto alla molteplicità dell’espressione musicale. Occidoriente Eleonora Moro, giovane e apprezzata regista milanese guida un cast di due giovani attori, Laura Negretti e Ulisse Romanò, attraverso una storia volutamente sospesa e a cavallo tra due mondi: una città dell’occidente – dove il giovane protagonista conduce gli studi universitari e in cui viene folgorato dalla seduzione della modernità e dal fascino di una donna e di un modello femminile prepotentemente estraneo alla sua cultura – e l’Iran delle sue origini. Tradizione, attualità e contraddizioni si sono fuse in un unico spettacolo che prova a raccontare l’Iran dei nostri giorni. Senza però dimenticare la leggerezza, perché, come ci ha spiegato Hamid Ziarati, “Un paese con la bandiera color anguria non può che essere così. Un frutto verde fuori e bianco e rosso dentro, sembra duro e invece è più fragile del silenzio”. (Laura Negretti) Cine-Teatro Lux Lugano-Massagno Sabato 27 marzo 2010 - ore 20.30 Progetto di Laura Negretti, regia di Eleonora Moro. Con Laura Negretti e Ulisse Romanò. Liberamente ispirato al racconto Il manichino dietro il velo di Sadegh Hedayat. Foto: Marco Sesana. 8 L’Odissea in dialetto laghée di Basilio Luoni C apitava spesso quando, in una terza media (con vista del lago e dei sontuosi cipressi del cimitero di Lezzeno che nei giorni di sole potevano ben ricordare quelli delle strade di campagna della Grecia), finivo di leggere un episodio dell’Iliade o dell’Odissea, che qualcuno, evidentemente assalito dai fantasmi, proponesse: “Lo facciamo anche noi?” Voleva dire che si tiravano i banchi e la cattedra contro le pareti, si distribuivano velocemente le parti e, alla maniera della commedia dell’arte, si improvvisava. I dialoghi venivano scarni, a volte proprio scheletrici, ignari di tutta l’arte retorica profusa da Omero, ma le scene risultavano vive, animate. La nascita dell’azione teatrale Un anno, disponendo di una classe parecchio affiatata, ironica e poco incline al lavoro tradizionale, e di un primo attore dalle capacità fuori dal comune, fui io a proporre la sfida: “Facciamo l’Odissea. In dialetto”. Non si improvvisò più. Si preparò una scaletta, si stesero i dialoghi, si fecero mesi di prove. Ne risultò uno spettacolo spedito e applaudito, all’insegna del segue 9 EL BALOSS L’Odissea in dialetto Cine-Teatro Lux Lugano-Massagno Sabato 17 aprile 2010 - ore 20.30 Compagnia dialettale del Teatro Lezzenese plurilinguismo: Polifemo si rivolgeva ai Greci in latino maccheronico, le sirene strillavano canzoni da osteria, la Circe sfoggiava una discreta parlata napoletana, e il cane Argo e i maiali di Eumeo e i buoi del Sole avevano spazio per guaiti, grugniti e muggiti… La compagnia uscì dalle medie con scarse nozioni grammaticali, probabilmente, ma di sicuro risponderebbero ancora con successo a una interrogazione sul testo fondatore della civiltà letteraria europea. El Baloss che adesso viene presentato dalla Compagnia lezzenese (attori radicati nella vita di Lezzeno) nasce dalla costola di quella lontana esperienza scolastica. E vuole, presuntuosamente, servire da ripasso – ripasso creativo – del mito omerico. Un autore antico definiva il teatro greco (tragedia e dramma satiresco) come “una fetta del gran pasto di Omero”. Tre ragioni per il dialetto El Baloss aspira ad esserne almeno qualche briciola. Perché in dialetto? si chiederà qualcuno. Non per divertimento ma per due motivi seri. Primo: perché l’italiano sta attraversando una stagione di svaccamento e degrado che davvero non invoglia a usarlo come lingua di scena. Secondo: perché il dialetto è ormai, per suo conto, abbastanza lontano dall’uso quotidiano (soltanto i leghisti si illudono che sia ancora una lingua parlata) da poter suonare al tempo stesso familiare e arcaico e quindi ideale, in fondo, per travasarvi l’antico dialetto omerico. Una storia di famiglia Potrei aggiungerne un terzo, di motivo, senza crederci ma anche senza sberleffi: una leggenda tenace vuole che i lezzenesi discendano da coloni greci trapiantati sul lago da Giulio Cesare. Fosse vero, usare il dialetto per la storia di Ulisse sarebbe riportare a casa una storia di famiglia. Qualche precisazione utile El Baloss segue fedelmente il mito di Ulisse come è raccontato nell’Odissea, permettendosi però qualche variazione da segnalare. • Sono stati tagliati per ragioni di unità drammaturgica (e anche di durata) gli episodi del lungo viaggio dell’eroe. L’azione si concentra nei pochi giorni tra l’approdo di Ulisse sull’isola dei Feaci e il suo ritorno a casa. • Le scene nuove rispetto al poema sono nella prima parte: Laerte che “vede” il figlio in lotta con Poseidone; le schermaglie di Ermes e Atena intorno all’eroe addormentato; il racconto del cavallo di Troia; Circe che “prevede” la fine dell’eroe ucciso dal figlio spurio Telegono (mi sembrava suggestivo recuperare questa versione del mito che Omero mostra di non conoscere): • Il titolo, El Baloss, al giorno d’oggi sembrerebbe alludere soltanto all’astuzia, alla furbizia dell’eroe. Ma il benemerito Vocabolario milanese del Cherubini registra di Baloss una definizione molto più ricca e suggestiva: Così chiamansi per antonomasia nel Basso milanese que’ vagabondi che si presentano sul far della notte alle cascine chiedendo alloggio e vitto, certi d’ottenerlo pel timore che incutono facilmente a’ cascinaj abitanti in luoghi pericolosi perché isolati. L’epiteto vuole dunque includere la nozione di furbetto insieme con quella di forestiero misterioso e potenzialmente pericoloso. 10 Cine-Teatro Lux Lugano-Massagno 14 o 15 maggio 2010 ore 20.30 (Da confermare) Progetto e regia di Elda Olivieri con Elda Olivieri e Adele Pellegatta. Vita Virginia Pensieri e dialoghi dai carteggi e dai diari di Virginia Woolf e Vita Sackville West D ai diari e dagli assidui carteggi – quali l’epistolario Adorata Creatura – intercorsi in un tempo di oltre vent’anni tra Vita Sackville West e Virginia Woolf trae lo spunto uno spettacolo teatrale a due voci che mette in scena l’intensa e intima relazione che a partire dal 1922 e fino alla morte della Woolf legò l’eccentrica e trasgressiva nobildonna inglese alla grande scrittrice, anima complessa e delicatissima. Della loro relazione d’amore e d’amicizia si è detto fino ad oggi molto poco. Vita era sensuale, imperiosa, aristocratica, istintiva e forte. Virginia tutto il contrario: era fragile, introversa, indecifrabile. Elda Olivieri, impegnata qui in una doppia veste, di regista e di interprete accanto ad Adele Pellegatta, confeziona uno spettacolo ad alta tensione emotiva che mette in scena un testo intenso e delicato, teso sul filo dei temi a lei cari: la sublime eternità dei sentimenti, la fragilità dell’essere umano, la sensibilità femminile e l’empatia. Suonato dal vivo è il contrappunto musicale alle scene, tratto da Le Onde di Ludovico Einaudi, che sottolinea, con il suo fluttuare incessante fatto di timbri emozionali diversi, l’andamento vitale e imprevedibile della relazione che legò le due donne scrittrici. “Emozione dunque è quella che desidero comunicare rendendovi partecipi della mia, dando voce ai pensieri e ai dialoghi scritti dalle meravigliose figure femminili che rappresentiamo: Uno spettacolo sulla letteratura da ascoltare, come i sussurri di queste due Jorge Jimenez Deredia, ?????????, Pietrasanta. donne straordinarie innamorate della vita.” (Elda Olivieri) 11 gd Ticino: indagine nursery Anche l’impossibile per diventare genitori In Ticino una coppia su dieci non può generare – La procreazione assistita dà fino al 30% di possibilità di coronare il sogno di Antonella Sicurello F ino all’entrata in vigore della Legge sulla medicina della procreazione del 2001, ogni Cantone gestiva autonomamente metodi e terapie di fecondazione assistita per aiutare le coppie infertili ad avere un figlio naturale. Era permesso, per esempio, congelare gli embrioni e impiantarne più di tre e mantenere l’anonimato dei donatori. Ma le gravidanze plurime e i problemi neonatali che ne conseguirono, indussero il legislatore a porre un freno alla piena libertà di questo ramo della medicina. “In passato i limiti scientifici erano diversi e la procreazione assistita era un’eccezione”, spiega Danuta Reinholz, medico cantonale aggiunto e responsabile di settore. “Alla fine degli anni Novanta i metodi furono perfezionati e fu quindi necessario regolamentare il settore. Oggi questi trattamenti si possono considerare una normale terapia medica e fanno parte del processo di filiazione in caso di difficoltà”. A livello svizzero ed europeo la percentuale di successo della fecondazione assistita non è elevata. L’inseminazione omologa ed eterologa, cioè l’iniezione di sperma nel corpo della donna con il liquido seminale del partner o del dona- 12 tore, riesce nel 10 per cento dei casi; la fecondazione in vitro, cioè fuori dal corpo della donna e quindi in provetta, nel 30 per cento. In Ticino, gran parte dello sperma donato è importata dagli Stati Uniti, perché a livello locale è difficile reclutare un numero sufficiente di donatori. “Le coppie trattate nei quattro centri di medicina di procreazio- ne in Ticino sono in media 1.500 all’anno – dice Reinholz. Circa l’80 per cento risiede in Italia e sceglie il nostro Cantone per tre motivi: la privacy, una migliore accessibilità, che permette di rivolgersi direttamente allo specialista del centro, e l’impossibilità di eseguire l’inseminazione eterologa in Italia, perché vietata. Il costo delle terapie pare aver po- Ticino: indagine nursery La legge in pillole co peso, visto che è simile al di qua e al di là del confine”. Incinta una donna su tre Secondo l’ufficio federale di statistica, nel 2008 hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita seimila coppie, il 9 per cento in più rispetto al 2007. Oltre un terzo delle donne è giunto a una gravidanza (36,4 per cento). La causa più frequente dei trattamenti è la sterilità maschile (49 per cento dei casi), seguita dall’infertilità di coppia (24 per cento) e della donna (16 per cento). L’età media delle donne è in continua crescita: 36 anni (contro i 34 del 1993), cioè cinque anni in più dell’età media delle madri alla nascita del primo figlio. L’età del partner è di 39 anni. Quasi un quarto delle donne era domiciliato all’estero. Sono stati distrutti in laboratorio circa 1.400 embrioni (per arresto dello sviluppo, rinuncia della coppia o altre ragioni) e il 4 per cento delle coppie ha fatto ricorso alla donazione di sperma. Nel 2007 le gravidanze concluse con una nascita erano il 71 per cento, le nascite multiple del 17 per cento e i parti gemellari del 30 per cento. La legge sulla medicina della procreazione è entrata in vigore nel 2001. Le terapie sono permesse in caso di sterilità della coppia o per evitare la trasmissione ai figli di una malattia grave e inguaribile. L’accompagnamento psicologico fa parte della terapia. Se un metodo di procreazione presenta il rischio elevato di una gravidanza plurima, la coppia deve dare la sua autorizzazione. Durante un ciclo, all’esterno del corpo materno possono essere sviluppati fino a diventare embrioni al massimo tre ovociti (fecondazione in vitro). È permessa l’inseminazione eterologa. Nella scelta degli spermatozoi si possono prendere in considerazione il gruppo sanguigno e la compatibilità con l’uomo che sarà il padre. Il figlio concepito in questo modo può ottenere le informazioni sul donatore al compimento del 18° anno di età. La maternità sostitutiva e la donazione di ovociti e di embrioni sono vietate (la donazione di ovociti è invece permessa, per esempio, in Spagna e in Repubblica Ceca). I quattro centri di fecondazione assistita in Ticino • Centro cantonale di fertilità, Ospedale La Carità di Locarno, via all’Ospedale 1. Tel.: +41 (0)91 8114538, [email protected], http://centro-fertilita.eoc.ch. • Procrea, via Clemente Maraini 8, 6900 Lugano, tel. +41 (0)91 9245555; via Nizzola 1, 6500 Bellinzona, tel. +41 (0)91 8202474; [email protected], www.procrea.ch. • Endomed, Via Nizzola 1, 6500 Bellinzona, tel. +41 (0)91 8263259, [email protected], www.centroendomed.com. • Istituto internazionale di medicina della riproduzione (Iirm), Via Sant’Anna 1, 6924 Sorengo-Lugano tel. +41(0) 91 9809070, [email protected], www.iirm.ch 13 Ticino: indagine nursery Travolti anche i confini se si vuole avere un figlio Il Ticino è meta del turismo riproduttivo – Al Centro fertilità cantonale il 70% delle coppie sono italiane – I costi variano da 800 a 5mila franchi di Antonella Sicurello I l Centro cantonale di fertilità, attivo all’Ospedale La Carità di Locarno dal 1978, è stata la prima struttura a offrire in Ticino le terapie contro l’infertilità di coppia. E vanta un record svizzero: nel 1984 ha ottenuto la prima gravidanza e nascita con fecondazione in vitro. Ma cosa è cambiato in più di trent’anni? Ne abbiamo parlato con il dottor Jürg Stamm, primario del Centro dal 1990. Quante coppie si sono rivolte finora al vostro centro? Dr. Jürg Stamm 14 Circa 15 mila, in media 500 all’anno. L’attività ha registrato un discreto incremento dopo l’entrata in vigore nel 2004 della legge italiana sulla procreazione assistita, che vieta l’inseminazione eterologa, cioè con il liquido seminale di un donatore, e il congelamento degli embrioni. Ma nel luglio 2009 la sentenza di un tribunale italiano ha abolito quest’ultimo divieto e credo quindi che il nostro Centro avrà meno lavoro rispetto agli ultimi tre anni. Quanto incidono le coppie italiane, quindi il turismo riproduttivo, sull’attività? Molto, visto che sono il 70 per cento del totale. La causa del mancato concepimento è la sterilità femminile o maschile? Lo sono entrambe, in egual misura. Nella donna il problema principale è il rinvio della maternità: negli ultimi anni l’età media delle nostre pazienti è passata da 33 a 37 anni. La causa dell’infertilità maschile, invece, è ancora avvolta nell’incertezza. Alcune teorie sostengono che il microinquinamento, assorbito per esempio attraverso il cibo, i farmaci e i prodotti so- Ticino: indagine nursery gd lari, riduca il numero di spermatozoi. Quali sono i trattamenti più usati che vanno a buon fine? Gli interventi in vitro, cioè la fecondazione degli ovociti in laboratorio, e l’inseminazione artificiale, con l’iniezione del liquido seminale nell’utero. I primi sono più complicati ma hanno una percentuale di successo maggiore. Possono essere ripetuti all’incirca ogni tre mesi, poiché bisogna stimolare l’ovulazione. La seconda può essere ripetuta anche ogni mese. Quali i timori delle coppie? La maggiore paura è legata all’inseminazione eterologa. Nella coppia crea ansia il fatto di non poter determinare completamente il patrimonio genetico del feto e quindi di non sapere a chi assomiglierà il bambino. Vi è delusione, invece, se non si riesce ad avere una gravidanza con il liquido seminale del partner o del donatore. Quante volte si può utilizzare il liquido seminale di uno stesso donatore? Fino all’ottenimento di otto nascite. La legge vieta un pagamento del dono, ma è previsto un rimborso per le spese e il tempo che la donazione comporta. Quanto costano le terapie? Il costo di un’inseminazione in utero va dagli 800 ai 1.500 franchi, l’eterologa dai 1.200 ai 1.500. La cassa malati per residenti in Svizzera rimborsa solo tre cicli d’inseminazione omologa. La fecondazione in vitro costa invece dai 3 ai 5 mila franchi e non è coperta dall’assicurazione. L’accompagnamento psicologico è incluso nei costi. Lo psicologo: “Il desiderio non diventi un’ossessione” Durante l’iter terapeutico il Centro cantonale di fertilità garantisce alle coppie un accompagnamento psicologico. “Lo scopo è capire perché non possono avere figli e analizzare le possibilità per coronare il loro sogno”, spiega Giovanni Micioni, psicoterapeuta e psicologo. “Una coppia può avere timori e angosce di fronte all’opportunità di avere un figlio con il seme di un donatore o alla scelta dell’adozione”. Nei colloqui preliminari le coppie sono informate sulle percentuali di successo delle terapie. “Cerchiamo di capire se le persone, deluse e pervase da un senso di impotenza legato al progetto genitoriale, sono pronte ad affrontare i trattamenti. E se sussistono a livello personale o di coppia disturbi psicologici, sessuali e relazionali preesistenti o conseguenti alla scoperta dell’infertilità. Occorre mettere in conto i risultati negativi, la necessità di ricorrere a più tentativi, i possibili problemi sul posto di lavoro per le diverse assenze, le ripercussioni sulla sessualità e intimità di coppia. Alcuni pazienti riescono a reggere le delusioni, altri invece si fissano, creando tensioni all’interno della coppia”. Dopo un esito negativo è consigliato fare una pausa per elaborare la delusione, investendo su altri interessi che possano “distrarre” dal progetto di avere un figlio. “Molte coppie l’accettano di buon grado”, sostiene Micioni. “Altre, invece, la vivono come una perdita di tempo. Sono soprattutto le donne a vederla in questo modo, perché hanno già rinviato la maternità a un’età avanzata. Ma in questo modo innescano un meccanismo ossessivo che non fa bene né a loro, né al partner e che condiziona negativamente la fertilità”. 15 gd Ticino: indagine nursey È stata durissima ma ora sono mamma! Narrazione raccolta da Antonella Sicurello M i sposo tardi, a 30 anni. Quasi subito decido di avere un figlio. Con mio marito ci proviamo per due anni, ma senza successo. Il mio ginecologo dice di non preoccuparsi, che i figli arriveranno. Ma dopo molti tentativi, cambio medico e ricevo la notizia che mai avrei voluto sentire: non posso avere figli. Il nuovo ginecologo mi indirizza al Centro di fertilità cantonale, dove mi prende in cura il dottor Jürg Stamm. È il gennaio del 2005. Inizio a prendere pastiglie per aumentare gli ormoni. Ho le 16 ovaie policistiche e il ciclo mestruale ogni tre mesi, ma fino a quel momento non ci avevo dato peso. Due o tre volte alla settimana vado al centro per il prelievo del sangue. Lo scopo è capire quando l’ovulazione raggiunge valori alti: quello è il momento ideale per concepire. Mi sottopongo a 4-5 cicli consecutivi, ma i miei ovuli, seppur moltissimi, sono deboli e tutti i tentativi vanno a vuoto. Passiamo quindi all’inseminazione artificiale. Prendo le stesse pastiglie per stimolare l’ovulazione e poi mi iniettano nell’utero il liquido seminale di mio marito. Ma anche questo tentativo si rivela un insuccesso. È passato ormai un anno e mezzo dall’inizio delle cure e voglio mollare. Ma il dottor Stamm è fiducioso, perché lo sperma di mio marito è forte. Proviamo anche l’iniezione nella pancia per stimolare i miei ovuli, ma niente. Successivamente mi sottopongo a una laparoscopia per bruciare alcuni polipi delle ovaie e dopo due mesi riprendo le terapie. Buio completo. È allora che il dottore scopre un’infezione alle tube e mi dà al- Ticino: indagine nursey tre pastiglie. Dopo uno stop di altri tre mesi riprendo con punture e inseminazione. Un altro fallimento. A quel punto proviamo con la Fivet, la fecondazione in vitro. È il gennaio del 2007. Mi tolgono gli ovociti, ma non si forma l’embrione. Questo ennesimo insuccesso è la botta più pesante che mi colpisce. Dopo due o tre mesi ci riproviamo, ma la fecondazione in provetta non riesce. Passano altri due mesi e due ovociti diventano embrioni: sono trasferiti nel mio utero, ma lì ci rimangono poco. Aspettiamo ancora due mesi e siamo in luglio. Vengono impiantati altri due embrioni e finalmente rimango incinta. Dopo due anni e mezzo di tentativi, otto inseminazioni omologhe e tre in vitro, seimila franchi di spese, 35 settimane di gestazione e un parto cesareo, divento mamma di due gemelli nel marzo 2008. Lo ammetto: dal punto di vista psicologico è stata molto dura. Ogni insuccesso era una grossa delusione. Ma grazie al sostegno e alla pazienza di mio marito, alla fiducia del dottor Stamm e della sua équipe, alla comprensione del mio datore di lavoro, che non mi faceva pesare i ritardi e le assenze, sono riuscita a superare i momenti difficili. Dal punto di vista fisico, invece, non ho avuto problemi. Certo, mi sentivo gonfia come un pallone, come quando si ha il ciclo mestruale, ma niente effetti collaterali. O forse non ricordo: ho rimosso molte cose di quegli avvenimenti e di quel periodo. La nascita dei miei figli, un maschietto e una femminuccia, è stata per me e mio marito un’immensa gioia e anche un grande choc. Stavamo insieme da dieci anni, avevamo i nostri ritmi, le nostre abitudini e due neonati nello stesso momento non sono facili da gestire. Eravamo consapevoli del fatto che con l’impianto di due embrioni c’era la possibilità di avere un parto gemellare, ma ci dicevamo: “Non riusciamo ad avere un figlio, figuriamoci due”. I gemellini sono arrivati a casa tre settimane dopo il parto. In quel lasso di tempo mi sono riposata e i miei figli hanno preso i loro ritmi. Poi, grazie a mio marito, che mi ha sempre dato una grossa mano, ho superato i primi momenti di difficoltà. Negli anni in cui tentavamo di avere un figlio, le mie amiche rimanevano tutte incinte. Io ero contenta per loro. Mi facevano invece star male e piangere lacrime amare i commenti di alcune di loro: “I bambini arrivano se si vogliono veramente”. Per non parlare delle battute sul posto di lavoro: “Invece di andare in va- Per motivi di privacy il nome della donna non viene pubblicato. canza, fai figli”. Nei momenti di sconforto mi dicevo: “Non vedo l’ora di avere 45 anni, così nessuno mi chiederà se voglio avere un figlio oppure no”. Alle donne che non riescono a diventare mamme dico di non cedere, almeno fino a quando il medico è fiducioso. E di non ascoltare le dicerie, i commenti e le battute della gente, perché fanno soffrire troppo. Il racconto di una giovane donna di Sementina che dopo due anni e mezzo di terapie è rimasta incinta con la fecondazione in vitro 17 gd Svizzera: borsa rossa Per guadagnare come l’uomo le donne lavorano 50 giorni in più Il salario femminile è stato nel 2008 in media del 19,3% inferiore a quello maschile con un peggioramento dello 0,4% rispetto al 2006 – Nelle funzioni manageriali la differenza in meno è stata del 33% di Fabrizia Toletti L a discriminazione salariale tra uomo e donna è ancora oggi una realtà non solo a livello svizzero, ma sul piano mondiale. In Svizzera non è infatti stato sufficiente ancorare, dal 1981, nella Costituzione federale il principio della parità salariale: secondo gli ultimi rilevamenti dell’ufficio federale di statistica, le donne hanno guadagnato nel 2008 il 19.3% (valore mediano) in meno degli uomini. Significativo, inoltre il peggioramento verificatosi tra il rilevamento del 2006 (18.9%) e del 2008 (19.3%) pari al 0.4%. Queste percentuali sono diverse a seconda del settore economico e delle funzioni di lavoratrici e lavoratori. Le maggiori differenze le troviamo nelle posizioni manageriali con funzione dirigenziali dove il valore mediano diverge di ben il 33%. Ancora oggi le donne guadagnano molto meno degli uomini non perché producono di meno, ma perché per lo stesso lavoro vengono retribuite di meno. Spesso le condizioni in cui lavorano le donne quali grandezza dell’azienda, il lavoro a tempo 18 Chiara Simoneschi-Cortesi, Consigliera nazionale e già Presidente del Consiglio nazionale Venerdì 12 marzo 2010 alle ore 19.00, presso Auditorium USI, affronterà il problema dell’Ineguaglianza salariale tra i sessi, visto come donna e come politico. parziale, la conciliabilità tra lavoro e famiglia giocano un ruolo fondamentale in questa discriminazione. Equal Pay Day: Radici internazionali, visione europea L’Equal Pay Day ha le sue origini verso la metà degli anni ‘90 negli Stati Uniti come mezzo per sensibilizzare tutti gli attori economici sulla discriminazione salariale diventando in breve tempo un’istituzione fissa. Nel 2008 l’iniziativa viene ripresa dal BPW (Business and Professional Women) in Germania estendendosi nel 2009 alla Svizzera, all’Austria e al Belgio. L’Equal Pay Day, giorno in cui le donne raggiungono lo stipendio percepito dai colleghi maschi nell’anno precedente, vuole incoraggiare il dialogo costruttivo sul tema della parità salariale, in ugual misura fra dipendenti e imprenditori: • infatti le differenze di reddito si ripercuotono indirettamente sullo sviluppo economico di un paese. Meno reddito significa minori possibilità d’investimento e di consumo nonché minori riserve e capitali della previdenza. Uno svantaggio per le donne e al contempo uno svantaggio per l’economia. Gli studi scientifici e i dibattiti sulla giornata mondiale della donna non bastano per cambiare la situazione. Bisogna discutere il tema apertamente in pubblico. Gli obiettivi dell’ Equal Pay Day possono essere così riassunti: • Riduzione della forbice salariale in Svizzera • Creazione di pari opportunità di guadagno • Aumento della consapevolezza del problema • Mobilizzazione di tutti gli attori coinvolti. Con BPW Switzerland sulla linea di partenza Allo scopo di creare un’ampia piattaforma per questa giornata, BPW Switzerland sarà presente con un programma variato di manifestazioni, che spaziano dalle dimostrazioni pubbliche ai dibattiti in numerose città. gd Che cos’è il BPW Il BPW è un’associazione a livello mondiale che raggruppa donne attive professionalmente in posizioni di responsabilità. Al BPW Switzerland appartengono circa 2500 donne provenienti dalle più svariate professioni, posizioni e settori: sono membri dei 38 club locali sparsi in tutte le regioni della Svizzera. Cosa dice la Costituzione Costituzione federale, articolo 8, capoverso 3: Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore. Equal Pay Day USA Giorno della Borsa Rossa 2009. Gli intenti di primo piano sono di informazione, impegno e sensibilizzazione. Per restare in sintonia con il BPW Switzerland e per dare un’impronta forte a questa celebrazione, il BPW Club Ticino, in collaborazione con il Servizio gender dell’Università della Svizzera italiana, organizza una conferenza con l’intervento di un’oratrice di valore, che si è sempre battuta in prima linea per le pari opportunità tra uomo e donna. Il perché della borsa rossa La borsa simboleggia il portamonete. Il colore rosso sta per il deficit nel portamonete delle donne, poiché guadagnano meno degli uomini. Il simbolo fu inventato dal BPW USA. Nell’estate del 2007, a metà dell’anno europeo per le pari opportunità, il BPW Germany ha dato vita all’iniziativa della borsa rossa. Questo simbolo forte è poi ripreso annualmente nelle campagne Equal Pay Day. Perché in Svizzera l’11 marzo? Perché l’Equal Pay Day ha luogo in Svizzera l’undici marzo 2010? Le statistiche ci dicono che una donna guadagna mediamente il 19.3% in meno di un uomo a parità di posizione. Il 19.3% corrisponde a 50 giorni lavorativi considerando, 260 giorni lavorati all’anno. Di conseguenza una donna, per raggiungere l’importo guadagnato da un uomo in un anno entro il 31 dicembre, deve lavorare in media 50 giorni in più, fino l’undici marzo dell’anno successivo. 19 gd Italia: nelle mani del Fisco Ostaggi del Fisco per 173 giorni I l Fisco quest’anno diventa ancora più famelico e pretende che ogni cittadino italiano lavori per pagare le tasse per ben 173 giorni: solo dopo questo lungo tempo noi potremo mettere in tasca il frutto della nostra attività. Così il giorno della liberazione fiscale per l’anno 2010 scatta dopo il 23 giugno: cioè slitta di un giorno. L’anno scorso la Tax Freedom Day, è stata un giorno prima, il 22 giugno. La pressione fiscale sui cittadini sale così oltre il 47%. Venti anni fa, quando per la prima volta partì tale tipo di misurazione, il giorno della liberazione era il 7 giugno. Dopo quattro era al 12 giugno, nel 98 era al 17 giugno nel 2000 aveva toccato quo- da Tempi Moderni di Charlie Chaplin. 20 ta 23 giugno, il massimo della prigionia fiscale per i contribuenti. Dal 2001 al 2008 si è registrata una progressiva riduzione al 22 e al 21 giugno, per ritornare al 20 giugno nel 2008. Ora nel 2009 il nuovo slittamento al 23 giugno per la liberazione dal Fisco. Il peggioramento è imputabile alla progressività delle imposte sui redditi, cioè a quello che viene chiamato fiscal drag: aumenta la busta paga, ma aumenta anche l’Irpef. Se l’entrate di un operaio sono aumentate del 3,4%, secondo una calcolo del Centro studi della Associazione Artigiani di Mestre, cioè un aumento monetario pari a poco più di mille euro, di questi più di 650 sono mangiati dall’aumento dell’Ir- pef. Gli aumenti delle retribuzioni (poco più del 3%) sono stati tassati tutti con le aliquote marginali più elevate (il 27% per l’operaio, il 38% per l’impiegato), facendo salire l’aliquota media dal 24,3% al 24,9% per l’impiegato, dall’11,2% all’11,8 per l’operaio in assenza di interventi di adeguamento dei vari scaglioni del’Irpef. Il 2010 insomma non è incominciato bene: gli italiani devono ora lavorare 4 ore al giorno per il Fisco e sostenere un peso tributario annuo (fatto di sole tasse, imposte e tributi) pari a quasi 7.800 euro. In Germania la quota pro capite ha raggiunto i 7.052 euro. Tra i principali Paesi dell’area Euro solo la Francia sta peggio di noi, ma si tratta di una situazione relativa: i francesi versano una media di 8.053 euro di tasse allo Stato, ma vengono ricompensati con una spesa sociale pro capite pari a 10.494 euro (i tedeschi ricevono, invece, 8.972 euro pro capite l’anno, mentre gli italiani tra spese per la sanità, l’istruzione e la protezione sociale raggiungono appena i 7.749 euro). Una pressione così elevata si spiega soprattutto con la vasta area di evasori fiscali e gli sprechi di denaro pubblico. idee&parole Quello che le donne scrivono, hanno scritto, pensato, disegnato, dipinto, scolpito, messo in musica. gd di Pietro Berra C ynthia Plastic Caster: chi era costei? E Pamela Des Barres? La prima collezionava calchi delle parti intime delle rockstar con cui andava a letto (di Jimi Hendrix il pezzo più pregiato); la seconda ha eternato le gesta, proprie e di 23 colleghe, nel libro Let’s Spend the Night Together. Stanotte stiamo insieme (edito da Castelvecchi). Le groupie, ovvero “ragazze a perdere”, come recita il titolo di un altro libro loro dedicato, sono la più lampante conferma che gli stereotipi di genere sono stati (e in parte ancora lo sono) duri a morire nell’ambiente che più di tutti, nel Novecento, è stato etichettato come “rivoluzionario” e “anticonformista”: quello del rock. Ecco perché è più che giusto, anzi è un obbligo Regina Cassolo Bracchi (Mede 1894 - Milano 1974) Danzatrice, 1930, alluminio, cm 43 x 31 x 13 Milano, collezione privata. REGINA: Futurismo, arte concreta e oltre www.fondazioneambrosetti.it Sesso, droga... e maschilismo morale, che una rivista come Geniodonna indaghi la storia di questo genere musicale, riscoprendo le pioniere di una rivoluzione, quella sì “sessuale” nel senso di genere e non semplicemente di “disinibizione”, che ha aperto la strada alle Amy Winehouse e Norah Jones, che oggi stendono i colleghi maschi sul palcoscenico e nelle classifiche di vendita, non in camera da letto. omincia su questo numero un’inchiesta tematica in tre puntate, accompagnata da altrettante interviste a cantanti o gruppi emergenti comaschi e ticinesi. Anche un altro pezzo che troverete nelle pagine della sezione Idee&parole non è un semplice articolo, ma l’inizio di qualcosa di più. Una gior- C nalista comasca che ora lavora a Roma a La 7, Silvia Bernasconi, ha incontrato nell’Urbe una poetessascrittrice-promotrice culturale, Mia Lecomte, che pure ha un passato comasco (gli anni del liceo al “Volta”). Ne è scaturita un’appassionata intervista che ci dà due spunti su cui lavorare nei prossimi mesi: le scrittrici migranti, alla cui scoperta e valorizzazione Mia si è dedicata negli ultimi anni, e la Compagnia internazionale delle poete, un gruppo di 20 donne che la stessa Lecomte – per sua ammissione “mai stata femminista” – ha sentito l’esigenza di mettere insieme in questa “fase di profondo cambiamento”. Speriamo di poterle presto avere ospiti tra il Lario e il Ceresio. 21 idee&parole gd La piccola Signorina Dinamite apre il mondo rock alle musiciste Fu Bob Dylan il primo a mostrare considerazione musicale per le artiste – Apprezzò la cantante Odetta – Pensò di affiancarsi a Joan Baez come partner per cantare con lei di Pietro Berra A ltro che musica rivoluzionaria. Il genere che più ha cambiato la cultura di massa è stato per molti anni decisamente conservatore in fatto di pari opportunità. Chi non ne fosse convinto, provi a rispondere a una domandina semplice semplice: snocciolate tre nomi di grandi interpreti maschili e tre femminili dell’epoca d’oro del rock’n’roll, diciamo dall’uscita del film Il seme della violenza (1955) che nei titoli di coda fece debuttare la prima hit planetaria (Rock around the clock di Bill Haley and the Comets) fino alla “british invasion”, ovvero l’ondata di gruppi d’oltremanica, Beatles e Rolling Stones su tutti, che nel 1963-’64 spazzò via definitivamente la prima generazione di rockettari americani. Sul fronte maschile l’elenco è lungo: comincia con Elvis, ovviamente, e prosegue con i vari Chuck Berry (Sweet little sixteen, Johnny B. Goode), Little Richard (Tutti frutti, Long Tall Sally), Carl Perkins (Blue suede shoes), Jerry Lee Lewis (Great balls on fire), Gene Vincent (Be bop a lula), Buddy Holly (That’ll be the day, Peggy Sue), Ritchie Valens (La bamba) e tanti, tanti altri. E le donne? Beh, l’unica che si meritò un soprannome come “the Pelvis”, ma che vendette molti meno dischi di lui, fu Brenda Lee, meglio ricordata (dai critici musicali, ma quanti se la ricordano tra i semplici appassionati di musica?) come Little Miss Dynamite, dal titolo di uno dei suo primi successi (Dynamite, appunto), centrato nel ’57, quando non aveva an- 22 cora compiuto 13 anni. Come ogni rocker che si rispetti, la piccola Brenda dalla voce esplosiva ha alimentato anche qualche leggenda: come quella secondo cui il suo manager, per non fare annullare un concerto a Parigi, dove i suoi dischi erano arrivati prima delle sue fotografie e si accorsero solo all’ultimo momento che si trattava di una minorenne, l’avrebbe fatta passare per una donna di 32 anni che aveva superato i suoi problemi con la Joni Mitchell. idee&parole gd Marianne Faithfull nel film Irina Palm. Odetta. musica. Costretta dall’avvento del beat a proporre un eterno revival dei suoi esordi, la “Signorina dinamite”, ormai mamma e nonna felice, è tornata agli onori delle cronache nel ‘92 per una rivendicazione di pari opportunità, forse in ritardo di 35 anni ma purtroppo ancora attuale: lamentò il fatto che la “Rock’n’roll hall of fame” pullulasse di nomi maschili e avesse dimenticato quelle che secondo lei erano le artefici del R&R femminile, ovvero Connie Francis, Mary Welles, le Shirelles e Dionne Warwick, oltre a se stessa. La musica non cambiò – il riferimento non è alle melodie, ovviamente, ma ai rapporti di genere – nemmeno dopo che il mondo fu travolto dai ritmi incalzanti, e dai testi innovativi quasi quanto le loro zazzere, dei Fab Four. Anzi, il trionfo dei quattro di Liverpool segnò l’apice dello sciovinismo maschile nelle sette note. Chiedetelo a Cynthia Powell, che a poco più di vent’anni sposò John Lennon e da lui ebbe il piccolo Julian, costretta a defilarsi mentre il marito scendeva dagli aerei facendo buffe smorfie a folle osannanti, o suscitava reazioni inconsulte sostenendo che i Beatles fossero “più famosi di Gesù Cristo”. Era stato il manager Brian Epstein a intimarle di tenersi in disparte, e persino di tenere segreto il matrimonio, per non deludere le fan piangenti e ululanti che avevano come massima ambizione quella di sposare suo marito o, in subordine, uno dei suoi sodali. I Rolling Stones, i loro più celebri antagonisti nella mitologia rock (ma in realtà avevano esordito con un brano firmato Lennon-McCartney I wanna be your man) furono anche tra le prime rockstar a farsi accompagnare in tournée dalle groupie, ragazze carine e disponibili che non avevano l’ambizione di sposare i loro idoli, ma soltanto di “restituire a letto la gioia ricevuta dalla musica” (così ha detto Sweet Connie, l’unica che passata la cinquantina continui a intrufolarsi nei backstage). Ma anche tra le groupie c’è chi è riuscita, più o meno faticosamente, a farsi ricordare non solo per i nomi altisonanti dei partner di gioventù: su tutte, proprio una seguace delle “Pietre rotolanti”, Marianne Faithfull, che, dismesso il viso d’angelo degli anni Sessanta, è diventata una formidabile interprete (nell’album dal vivo Blazing away, 1990, riesce a non far rimpiangere Tom Waits quando canta la sua Strange weather) e attrice (una nonna davvero straordinaria nel film Irina Palm, 2007). Furono i cantautori, o meglio “il” cantautore, Robert Zimmerman alias Bob Dylan, i primi a mostrare un atteggiamento, e una considerazione, diversi nei confronti dell’altra metà del cielo. Il menestrello di Duluth ha sempre citato tra i suoi modelli un uomo (Woody Guthrie, naturalmente) e una donna (Odetta, nata nel 1930 e morta nel 2008, con due soli concerti all’attivo in Italia). E una volta ha raccontato, in No direction home di Martin Scorsese, di aver deciso di buttarsi nel mondo dello spettacolo dopo aver visto in tv una giovane cantautrice: era Joan Baez (“Avrebbe proprio bisogno – pensò il diciannovenne Bob – di un partner che cantasse con lei”). La zampata femminile a Woodstck nel 1969 W oodstock, nel ‘69, segnò una prima, importante svolta. Le donne sul palco, pur in netta minoranza, lasciarono il segno. Due erano leader di gruppi che sono rimasti tra i simboli della tre giorni di “pace amore e musica”: Grace Slick dei Jefferson 23 gd idee&parole Airplane e Janis Joplin con i suoi Big Brother and the Holding Company. Assente Dylan (con la “scusa” di un figlio malato, ma forse infastidito dall’assedio dei fan attorno alla sua casa che si trovava proprio a Woodstock), il vessillo della canzone di protesta fu tenuto alto da Joan Baez, che aprì con una dedica al marito David Harris, obiettore di coscienza, da poco arrestato. Tuttavia, il vero cambiamento fu incarnato da una ragazza canadese che a Woodstock non ci andò, per un fatale errore di valutazione del suo manager, ma che seppe autorevolmente interpretare lo spirito di una generazione. Stiamo parlando, naturalmente, di Joan Anderson: seppure passata alla storia con il cognome del primo marito (Chuck Mitchell), musicalmente è sopravvissuta sia a lui che ai ben più noti musicisti cui si è accompagnata in seguito (David Crosby e Graham Nash). La sua consacrazione (nel 1969 con il secondo album, Clouds), e la fine degli anni Sessanta, possono essere considerati uno spartiacque di questa “storia del rock al femminile”. La magia femminista della strega Yoko Ono Yoko Ono con John Lennon in una celebre foto di Annie Leibovitz per Rolling Stone. 24 P rima, però, bisogna rendere giustizia a una donna che, pur non essendo strettamente una cantante, più di chiunque altra ha inciso sulla storia del rock e lo ha saputo mettere al servizio dell’emancipazione femminile. Non stupisce, considerando i corsi e ricorsi della storia, che molti, uomini ma anche donne, l’abbiano considerata, e continuino a considerarla, una strega. Colei che viene accusata di aver distrutto la favola dei Beatles, e di averne plagiato il leader per poi sfruttarne economicamente la memoria dopo la morte prematura, non andrebbe piuttosto ringraziata per aver allargato gli orizzonti di Lennon e per aver contribuito a diffondere una nuova sensibilità nei confronti dei diritti umani, tra cui quelli delle donne, a livello planetario? L’incontro tra John e Yoko Ono segna subito un ribaltamento radicale dei canoni a cui la storia, e quella del rock in particolare, ci ha abituati. Lei ha 7 anni più di lui e, quando si conoscono, è un’esponente di punta di un momento di arte concettuale planetario, Fluxus. John va a visitare una sua mostra, il 7 novembre del 1966 alla Indica Gallery di Londra, e rimane colpito dalle installazioni ironiche e interattive, come quella che lo portò a salire su una scala, per raggiungere una tela nera su cui, per mezzo di specchietti, si leggeva la parola “Yes”, o la mela esposta con la targhetta “Apple” al prezzo di 200 sterline. L’effetto di Yoko Ono su Lennon, rintracciabile, per esempio, in alcuni versi aggiunti da John a una canzone di Paul, Getting better, inclusa nell’album più importante della storia del rock, Sgt. Pepper’s lonely hearts club band del 1967: I used to be cruel to my woman / I beat her and kept her apart from the things that she loved /Man, I was mean but I’m changing my scene (Ero crudele con la mia donna / la picchiavo e la tenevo lontana dalle cose che amava /Uomo, ero egoista ma sto cambiando il mio atteggiamento…). Chiamiamola “una presa di coscienza, che qualche anno dopo, nell’album più politico della coppia, Sometime in New York City, sfocerà in due canzoni/ manifesto sul rapporto tra i sessi e la necessità di cambiarlo: Woman is the nigger of the world (scritta e cantata dal marito) e Sisters, O sisters (scritta e cantata dalla moglie). Concludiamo con uno degli aforismi di Yoko (1961), contenuti in Grapefruit, (Oscar Mondadori, 2005): un libro che ha il merito di aver ispirato Imagine: Frammento del passeggio. Mescolati il cervello con un pene finché tutto è ben miscelato. Fa’ una passeggiata. idee&parole gd Il tempio dell’arte per tracciare segni di luce Emanuela Ravetta Ruini intervista la scrittrice luganese Maria Rosaria Valentini A ppena entrata nell’atelier-studio di Maria Rosaria Valentini, nel crocevia propulsivo di Lugano, mi pervade una sensazione di tranquillità. Le candele accese illuminano il bianco delle pareti interrotto solo dai caldi toni arancio delle tende, un arredamento sobrio ed essenziale e, sovrano su tutto, un silenzio ovattato. Specchio della sua linfa letteraria. Nella premessa di Di armadilli e charango… scrive “...Ho imparato a conservare, nelle tasche del mio quotidiano, frammenti di vita altrui...”. I suoi libri rievocano esperienze tristi, di dolore, perché? Forse perché la solitudine è nostra velata compagna, oggi più di ieri! Comunque è vero, i miei personaggi sono attraversati dal dolore (chi non lo è, in fondo?). Alla fine, però, i loro percorsi, seppur tracciati nella sofferenza, indicano sempre mete che consolano perché, come dice la protagonista di Quattro mele annurche: Talvolta basta un nulla / per sentirsi, non dico amati, ma / almeno considerati. /Allora Foto: Michela Locatelli. La sua è una scrittura d’emozione, espressa in una lingua raffinata, senza toni accesi, dove anche i particolari sono sottolineati con cura. Connubio di letteratura ed arte? L’arte, in generale, ha sempre esercitato un forte fascino su di me, sin da quando ero bambina e sicuramente ha influenzato (e continua a influenzare) le mie “prospettive”. Certo, la pittura, l’incisione, la scultura, la fotografia vivono di particolari e attraverso dettagli o frammenti narrano storie che conducono oltre il visibile. L’inchiostro deve fare altrettanto: tracciare segni che possano dar luce non solo a personaggi e sentimenti posti in primo piano, ma anche a figure ed oggetti in ombra, discosti, apparentemente banali o addirittura assenti. La scrittura, in qualche modo, deve diventare sangue capace di scorrere in arterie e venuzze, seguendo il ritmo armonico dato dal cuore. non ci si sente bene, ma meglio. / Ed è abbastanza. Aromi, fragranze, sapori si trasformano in una sorprendente e piacevole percezione olfattiva. La minuziosa descrizione dei riti culinari domestici presente nei suoi libri, soprattutto in Quattro mele annurche, che funzione ha? Considero la preparazione dei cibi come una cerimonia. In cucina i gesti si fanno danza, il tempo si 25 gd idee&parole Sillabe per una madre Grazie per ogni tazza di tè, per ogni goccia di miele affidata a uno smilzo cucchiaino. Grazie per la zuppa di pane e latte: la detestavo, ma tu m’ imboccavi convinta. Grazie per l’odore del ragù preparato con cura, la domenica mattina. Grazie per le sottili lenzuola di lino: lì ricamavi il profumo delle fresie, sognando i miei sogni. Grazie per i tuoi denti e i tuoi capelli. Grazie per le favole. Raccontavi di sera: bisbigliavi la storia del gatto, la filastrocca di un mandarino, il dramma lento di una pecora spaurita. Grazie per il piccolo tavolo pieghevole dove iniziai a seminare vocali. Grazie per aver avuto il coraggio di un soldato... tu eri solo una bianca margherita. Grazie per aver accettato la tua vita. Grazie per il nome che mi hai dato. Eppure sono molte le parole che non ci siamo mai dette. Peccato non aver spartito sillabe da cucire insieme, da mangiare a fette, come una torta di fragole e ricotta. Sappi che - negli sbuffi del silenzio - ne ho inventate alcune. Solo per me. E sempre parleranno di te. gonfia sapientemente di attese, gli odori ovviamente interpretano ricordi, i rumori dilatano echi, gli assaggi corrispondono a prove, esperienze. Il pane nutre, ma è anche simbolo di condivisione, di forza. E il cibo offerto ad altri è, da sempre, prova di generosità, d’amore; tra le righe di una ricetta sono nascoste talvolta storie di generazioni intere. La cucina però, è per me anche tempio, perimetro da varcare con rispetto e gratitudine nei confronti di tante donne che (purtroppo) in epoche passate trovavano voce e sfogo creativo soltanto in quell’ambito e in quel luogo. 26 Parlare dei riti domestici è come rendere loro omaggio dando un volto anche ai “digiuni” affettivi, formativi e professionali che hanno sigillato la loro esistenza. Realtà e fantasia interagiscono nel suo quotidiano? Sì, sempre. La realtà preme, con le sue regole, il suo ruzzolare ed evidentemente non va ignorata né allontanata. La fantasia, però, le ruba spazio e tenta qualche sgambetto. Solo così i giorni si mettono in fila verso il domani! Dunque realtà e fantasia finiscono per convergere in un punto di fuga che spalanca orizzonti. idee&parole Nelle notti d’aprile la nonna affiora in questa cucina. Con sé porta la mollezza e il colore delle albicocche mature, odorose… di bambagia. Sul labbro un neo: chicco lucido di melograno. Vartanoush si muove, leggera, alle mie spalle, mentre io, in piedi, leggermente ricurva sul piano di lavoro, massaggio la pasta del choereg respirandone il profumo, dolce e delicato; nelle mani stringo polvere di semi di ciliegie e piango. La finestra è semiaperta, le fresie entrano con il loro odore penetrante, vivo, presente. Da una garza bianca gocciola il formaggio sospeso al soffitto, in un secchio di latta si gettano le gocce in un plimpplin-plin che non è disturbo, ma compagnia. La nonna, sentinella d’amore, canta una canzone dondolandosi piano: è quasi una litania, un lamento dimesso che ha sapore di doglia. Delicatamente si china in avanti; mi porge il suo coraggio che afferro ripiegandolo poi come il fresco cotone di un fazzoletto e me lo infilo in tasca. Tutto torna avanti e indietro insieme al filo che scorre sul ricamo. Sento altre donne cantare e scorgo i loro piedi che si trascinano lungo marce che portano all’assurdo e il ditale non mi protegge più, l’ago colpisce, il rubino cola in una goccia, il ricamo sobbalza. Sudo. Mi arrotolo in un mulinello di punti interrogativi. Maria Rosaria Valentini nasce in Italia, a San Biagio Saracinisco, nel 1963. Si laurea in germanistica a Roma e poi frequenta l’ateneo di Berna, con una borsa di studio in storia dell’arte. Nella capitale si dedica all’insegnamento dell’italiano e alla ricerca nel campo della germanistica. Nel 2003 la raccolta di poesie Sassi Muschiati viene segnalata libro dell’anno della Fondazione Schiller. Nel 2009 Di armadilli e charango..., riceve il premio europeo di narrativa Giustino Ferri - D.H. Lawrence. Nello stesso anno fonda, insieme all’artista Loredana Müller, le edizioni d’arte RamoRadice. www.mariarosariavalentini.ch Foto: Michela Locatelli. da: Di armadilli e charango…. gd gd da: Ipotesi con aringhe Nevica ancora. È strana la neve a Roma… sa di stregoneria. E comunque non sembra vera. Io e Duccio, d’inverno, ce ne andavamo a sciare. Avremmo potuto spostarci di poco e finire sulle piste del Terminillo, invece raggiungevamo, in macchina, l’Engadina. Eravamo molto ben organizzati ed equipaggiati, ma in realtà lo sci era una scusa. Facevamo tutti quei chilometri per andare sulla tomba di Segantini, nel piccolo cimitero di Maloja. Restavamo lì per ore, in silenzio, a guardare la terra copulata dalla neve e a fissare quella lapide sulla quale resta scritto: Nur Liebe und Kunst besiegen die Zeit (solo l’amore e l’arte vincono il tempo). da Quattro mele annurche Da allora rimasero sempre idealmente uniti come un ramo di vischio legato ad un pero. Me li ricordo intenti nelle più complesse attività culinarie, appassionati e stravolti, posseduti dalla frenesia, quasi da un delirio fatto di entusiasmo ed incomprensibile pace. Augusto lavorava senza sosta, a capofitto; mia madre, invece, di tanto in tanto si fermava per prendere il suo quadernino color zafferano. L’apriva, senza esitazioni, esattamente dove voleva. Fissava mio padre come se da lui sgorgasse linfa e, con il capo leggermente inclinato verso la sua spalla destra, gli occhi sempre bellissimi e le labbra tremanti, con una voce che veniva solo dal ventre, recitava due o tre composizioni messe in fila, come le perle di un anello. 27 gd idee&parole Locarno: bianco sonoro di Laura Di Corcia I n un primo momento si erano dati il nome di White noise, optando poi per l’opzione francese Bruit de fond, ma il significato di base è lo stesso e allude ad una sorta di bianco sonoro, uno spazio musicale magico dove convergano tutte le frequenze acustiche. Una specie di calderone da cui 28 attingere i suoni, e non è sbagliato ipotizzare che questa pentola sia la vita stessa. Si capisce subito dalla scelta del nome che il gruppo rock locarnese, fondato due anni fa da Max De Stefanis (chitarrista e compositore), Fabio Machado (basso ed elettronica) e Barbara Widmer (voce, chitarra e piano), miri a una ricerca artistico-musicale di qualità. E colta. Certo l’apporto dell’unica donna, cantante, giova gd la bandiera del rock idee&parole Intervista alla cantante della band White noise Barbara Widmer Sono pochissime le donne con il ruolo di prima voce nei gruppi musicali moderni che operano nel Ticino in questo senso, perché la ventitreenne originaria di Cotone (nel locarnese) studia musica da quando era bambina. E, dopo le lezioni di canto acustico al conservatorio, ora è iscritta all’ultimo anno della facoltà di musicologia a Zurigo. “Qui in Ticino di band con una cantante donna ce ne sono pochissime – ci racconta Barbara durante l’intervista musicalmente parlando siamo ancora molto indietro”. Il primo album, uscito a fine 2008, si intitola Borderline. The incredibile vision of an ordinary man e narra un’esperienza di pre-mortem che diventa svelatrice non tanto del grande abisso nero quanto della vita, spazio narrativo a volte caotico ma sicuramente non privo di senso. Il gruppo scrive i testi in inglese, francese e italiano e uno di questi, Universo uterino, si è aggiudicato il primo posto come miglior testo in occasione di Palco ai giovani 2009, il festival musicale dedicato alle giovani band organizzato dalla città di Lugano.”Siamo partiti dal rock puro – continua Barbara e ora invece ci stiamo spingendo verso una direzione più acustica”. Certo che il rock melodico concede più opportunità alla voce, soprattutto quando questa è femminile ( i Cranberries insegnano). “Io sicuramente ci tenevo a fare questo salto verso l’unplugged, anche perché provengo da un’impostazione classica”, aggiunge la cantante, spiegando che in ogni caso tutto il gruppo ha accolto bene l’idea (non a caso ora sono impegnati a rivedere il primo album in chiave acustica). “Il mio modello è Elisa, mi piace tantissimo”, dice Barbara e gli occhi le brillano. Perché il sogno di sfondare c’è, glielo si legge chiaramente in faccia. “Qui in Ticino non è semplice. Spesso i locali ti chiamano ma il compenso è misero, e un po’ questa cosa infastidisce, visto che dietro c’è un lavoraccio con ore e ore di prove”. Per non parlare del costo delle attrezzature e degli strumenti. La gavetta tocca un po’ a tutti, ci vien da dire. 29 gd Irma Kennaway. idee&parole Viviane Ciampi. Maimuna. di Alina Rizzi L a Coperta delle Donne, progetto artistico nato all’inizio del 2008, è un’idea che coltivo da anni. Precisamente da quando lessi il libro di Laura Esquivel Dolce come il cioccolato. Il libro tratta una storia d’amore che neppure ricordo più, ma ciò che mi rimase in mente a lungo fu quella lunghissima coperta colorata che la protagonista del romanzo lavorava a maglia in ogni momento libero della sua vita e che quindi si trascinò dietro per anni, fino alla vecchiaia e fino a farla diventare decisamente un’opera “monumentale”. Non avendo il tempo materiale per affrontare un lavoro simile, un giorno ho pensato di coinvolgere altre donne e artiste, che avessero voglia di contribuire a un’opera grande, colorata e piena di pensieri, sensazioni, stati d’animo. Un lavoro che rappresentasse la femminilità attraverso un’abilità antica come la manipolazioni di fili e tessuti, ma fosse anche in grado di dare voce e visibilità ad abilità ben più sotterranee, divenendo un ricettacolo di messaggi ricamati, scritti, dipinti, inventati. Ricordo una delle prime appassionate partecipanti alla coperta, ora anche cara amica: l’artista pakistana Maimuna col suo pezzo intitolato Bertie’s pyjamas perchè fatto coi ritagli di un vecchio pigiama del marito Bertie. Mi ringraziò tanto per l’opportunità che le offrivo perché disse, parole sue: “Mi sono ricordata quando nel deserto, la sera, alla luce di una lampada al kerosene con attorno migliaia di piccoli insetti attirati dal braciere, mia mamma tirava fuori una grossa borsa chiamata the rag bag ossia la borsa degli stracci. La rag bag ci ha accompagnato finché ho lasciato il mio paese per andare a studiare da mia nonna in Inghilterra. Ogni sera, senza radio né TV, né luce elettrica, né acqua corrente, ci vedevamo con le zie, le cugine, gli amici in visita, spesso anche soli, a lavorare le nostre coperte, cucendo insieme quadratini piccoli di stoffa rimasti da ogni tipo di avventura domestica.” L’artista inglese Irma Kennaway, che ora abita a Brunate, sopra Como, mi scrisse invece dall’India, 30 Evelina Schatz. un anno fa, una mail in cui mi comunicava le sue sensazioni di quel giorno, mentre a Goa dipingeva per la coperta: “Ieri sera stavamo per terra, a gambe incrociate con la porta aperta, sentivamo lo sciabordio del mare. Samagra (seguace del guru Osho) ci ospitava. Lei, pittrice, ha messo tutti i colori immaginabili a nostra disposizione. Così giochiamo con i pennelli, l’acqua, il glitter e la colla, ascoltando la musica di Prem Joshua. è notte, siamo contente di La coperta idee&parole rilassarci in questo modo. Dipingiamo l’Om, una brezza ci tiene fresche perché è molto umido e caldo. Siamo scalze e indossiamo vestiti coloratissimi, leggeri come noi. Ci piace lavorare in gruppo ed è proprio questo che simbolizza la Coperta delle Donne: l’unione.” Molti lavori sono un chiaro messaggio al mondo.Viviane Ciampi ha scritto una lunga poesia dedicata alla Coperta ma che parla a tutti, e l’ha copiata su un piccolo quadernetto poi attaccato al quadrato di stoffa, il finale della poesia dice: “Identificare le vie le trame./Si potrebbe tessere ad esempio una coperta anti-violenza,/una trapunta della sorellanza,/un plaid d’ironia contro le innocenti divisioni del passato./Con poco, con niente./Con la forfora della stupidità./Con i fili di mansuetudine della terra./ E magari tutto diventerebbe chiaro.” Ho persino coinvolto l’artista russa Evelina Schatz, che quando contattai all’inizio del mio progetto, mi delle donne gd rispose al telefono inorridita: “Una coperta?! Ma io sono un critico d’arte, un artista, un poeta, cosa sono queste cose da donne che cuciono e ricamano!” Devo ammettere che rimasi colpita dalla sua risposta e ci riflettei sopra. Scambiai delle mail con Evelina, che vive tra Milano e Mosca, le spiegai il progetto e le descrissi i pezzi che avevo già preparato io stessa e allora lei, incredibilmente, cambiò del tutto idea, al punto di divulgare il progetto alle sue amiche artiste e di scrivere un bellissimo articolo per il catalogo che è stato pubblicato a Mosca in occasione dell’esposizione della Coperta alla Casa Centrale dell’Artista, nel novembre 2008. Parole che dicono anche: “La nostra risposta?... trasformare la tela in un’operazione della mente. Quindi dell’arte. Centocinquanta artiste della Coperta delle donne, ideata da Alina Rizzi, sono Penelope o Atena, Arianna o Pandora, con un linguaggio suggestivo, che attinge alle antiche storie narrate attorno al fuoco e nelle odissee degli argonauti, hanno creato un mare a quadretti tempestoso di colori. Quindi un tappeto volante. Buon viaggio, care pellegrine. È ora.” Un’altra grande gioia è stata ricevere un pacco dal Brasile contenente ben 40 pezzi di stoffa lavorati a mano da altrettante donne secondi i criteri stabiliti dal mio progetto. E ora l’ultimo arrivato, un pezzo da Israele, una tela azzurra con un piccolo testo in arabo che attende di essere cucito tra gli altri, magari in occasione della prossima mostra, a Como al Teatro Sociale il 21 marzo, o a Brescia in giugno. Insomma la Coperta delle Donne ama viaggiare e raccogliere in sé i pensieri e i messaggi di chi vuole unirsi con spirito forte e solidale. Hanno partecipato alla Coperta circa 170 donne, la maggior parte artiste, anche internazionali, e oggi misura cm 300 per cm 510. Ma non è certo terminata e altri lavori arrivano a ingrandirla. Chi è interessata può scrivermi: [email protected] e consultare il sito www.segniesensi.it La Coperta delle Donne è stata esposta a: Como, galleria La Tessitura, (28 agosto-10 settembre 2008), Milano, Spazio Scopricoop, (10-17 novembre 2008), Mosca, Casa Centrale dell’Artista, (26-30 novembre 2008), Genova, Palazzo dell’Agricoltura Sala del Bergamasco, (8 marzo 2009), Bergamo, ExAteneo (7-30 novembre 2009). 31 gd idee&parole Sono una farfalla e torno a vivere Figlia di attivisti di sinistra desaparecidos era stata adottata da un ex militare Una indagine l’ha identificata a ventisette anni come “nipote numero 78” di Maria Tatsos “La nostra identità, le nostre origini sono il primo bene che possediamo (…). Negare tutto ciò a qualcuno significa condannarlo a costruire la propria vita sul nulla”. Così scrive nel suo racconto autobiografico Victoria Donda, 33 anni, deputata argentina dal 2007, impegnata sul fronte del lavoro e dei diritti umani. Lei lo sa bene: fino a pochi anni fa, per tutti era Analìa. Aveva due genitori amorevoli, Graciela e Raùl, che l’avevano mandata a studiare in ottime scuole e poi all’università. A 27 anni, grazie all’impegno dell’associazione Nonne di Plaza de Mayo, ha scoperto la sua vera identità. I suoi veri genitori, Cori Perez e José Maria Donda, erano desaparecidos. Sua madre era stata arrestata incinta e aveva dato alla luce la neonata nell’Esma, la famigerata scuola per ufficiali della Marina che durante gli anni della dittatura in Argentina (1976-1983) fu un centro di detenzione e di tortura degli oppositori politici. Come in una tragedia antica, Cori e José Maria vennero eliminati su ordine di Adolfo, fratello maggiore di lui e membro della polizia segreta, che organizzò anche l’adozione della nipote da parte di una coppia vicina al regime e cercò di cancellare per sempre la sua identità. Circa 500 bambini in quegli anni subirono la stessa sorte di Analìa-Victoria. E non tutti hanno avuto Victoria Donda. 32 idee&parole la fortuna di poter ritrovare le proprie radici familiari. Victoria è una ragazza forte ed estroversa (“come mia madre Cori”, dice) e, come racconta in Il mio nome è Victoria, appena uscito in Italia da Corbaccio, è riuscita a rimettere insieme i cocci della sua vita. Riappropriandosi anche del suo vero nome, Victoria, scelto da sua madre per lei. Perché hai deciso di raccontare la tua vicenda personale e familiare in un libro? “In primo luogo, perché l’Argentina sta vivendo un momento di ricostruzione della memoria storica, e volevo dare un contributo che si accorda con il mio impegno politico. Ma ritengo sia utile anche al resto del mondo ribadire quali atrocità possono provocare alcuni governi. Inoltre, da un punto di vista personale, scrivere questo libro mi ha aiutato a chiudere un processo che si era aperto con la scoperta della mia identità biologica”. Quanti sono a oggi i bambini perduti che hanno ritrovato la loro vera identità? Circa 100. Sempre attraverso l’esame del Dna, che è l’unico strumento certo. Come sei riuscita a ricostruire l’immagine dei tuoi genitori e le loro brevi vite spezzate? Attraverso il ricordo di tutte le persone che li conoscevano. Io sono il ritratto di mia madre, basta guardare la sua foto… Anche in alcuni comportamenti. A me piacciono sapori strani, insoliti. Quando sono stata per la prima volta in Canada, dove viveva mia nonna Leontina (che è stata una delle 12 fondatrici delle Nonne di Plaza de Mayo, ndr), un giorno aveva fatto la pasta ed era avanzata della salsa. Come dessert, c’erano dei cannoncini al cioccolato: io ne ho preso uno, l’ho intinto nella salsa e l’ho mangiato. Mia nonna, in lacrime, mi disse che lo faceva anche mia madre Cori. gd Come è cambiata la relazione con i tuoi genitori adottivi, da quando hai scoperto la verità? Il mio rapporto con loro è sempre stato ottimo. Quando è venuta a galla la verità, ho avuto modo di confrontarmi e avere chiarimenti. Non vorrei dire di più, perché è un processo ancora in fase di elaborazione e non sono pronta a condividerlo. Che rapporto hai con tuo zio Adolfo? Ho tentato di contattarlo solo per sapere dove si trovava mia madre. Lui si è rifiutato di parlarmi, riconfermandomi quanto sia codardo. Attualmente è in carcere, e voglio soltanto che sia condannato per i delitti che ha commesso. Le politiche di riconciliazione nazionale spesso chiedono di dimenticare le atrocità. Pensi che sia giusto? No. Non credo che sia possibile una riconciliazione se i colpevoli non pagano per i reati commessi. Prendiamo il caso della Spagna: aveva intrapreso la via della riconciliazione alla fine del Franchismo, ma recentemente con la legge sulla memoria ha riaperto questo capitolo per poter chiudere definitivamente i conti e ricominciare daccapo. Cosa significa essere la prima nipote, figlia di desaparecidos, restituita alla famiglia d’origine a ricoprire l’incarico di deputato? è un’enorme responsabilità. Sento di dover rappresentare la lotta dei miei genitori e la mia generazione, che le Nonne di Plaza de Mayo hanno lottato per recuperare. Che cos’è per te la felicità? Quando avevo 15 anni, mi sono fatta tatuare una farfalla sulla schiena. Un animale stupendo, dalla vita breve. Per me era l’emblema della felicità: si è felici solo per brevi momenti, che cerco di vivere ogni giorno. 33 gd nonsoloMarilyn F che trasmette e ci ricorda come in quegli ino al 21 marzo, il Museo Nazionale del Cianni la sua figura minuta e raffinata nema di Torino celebra la Dolce Vita, a 50 rappresentasse un’originale scelta di anni dall’uscita del film di Fellini, con stile, in opposizione all’esplosività un’accattivante mostra fotografica sexy della maggiorate. Lei che divenne di immagini della Roma dei prifamosa proprio grazie a Roma: le mi anni ’60, presa d’assalto dalsue Vacanze Romane del 1953 le star del cinema mondiale. segnarono il suo vero debutto Gli scatti, per lo più inediti in hollywoodiano siglato subito Italia, sono di Maurizio Gepcon un Oscar. Le immagini di petti e di Arturo Zavattini e Audrey che gira in vespa con ci raccontano le strade delA. Hepburn. Sotto: con Gregory Peck in Vacanze romane. Gregory Peck, che si tuffa nel la capitale ai tempi dei primi paparazzi. Abbondano le immagini di Brigitte Tevere e balla a Castel Sant’Angelo fecero sognaBardot (con la prima istantanea di un suo nudo), re al pubblico internazionale i cliché della capitale. Anita Ekberg, Jane Mansfield (pin-up sosia di Ma- Regina dell’happy end e della commedia romantica, rylin)… attrici vamp spesso accompagnate dai divi per lei sono stati ritagliati su misura personaggi acdel periodo (Delon, Mastroianni, lo stesso Fellini comunati dal contrasto emotivo delle diverse connel ruolo di mentore e padrone di casa). Sono deci- dizioni sociali: principessa che scappa dalla regalità ne le star rappresentate e l’atmosfera che traspare in cerca di semplicità in Vacanze Romane, figlia di è quella dell’ubriacatura di quegli anni in cui tutto un’autista che sogna l’amore del padrone in Sabrina Dolce vita e vacanze romane sembrava possibile, in cui lo straordinario si mescolava alla normalità. Tra le foto colpiscono quelle che hanno come protagonista Audrey Hepburn: la ritraggono dal panettiere, dal fruttivendolo, per strada con il suo cagnolino. Si distingue tra i tanti scatti per la compostezza, l’eleganza non urlata 34 (1954), prostituta d’alto bordo che frequenta l’alta società in Colazione da Tiffany (1961, un ruolo inizialmente affidato a Marylin!), semplice fioraia trasformata in “Signora” ineccepibile in My Fair Lady (1964). Personaggi dall’estetica sofisticata che ne hanno fatto un’icona della moda oltre che del cinema. Ma la fama non l’ha sopraffatta e, pur raggiungendo cachet da record (in particolare con Guerra e Pace nel 1956), ha mantenuto un’immagine pubblica sempre molto discreta. La vita privata è stata segnata da delusioni matrimoniali e depressioni frequenti; si è dedicata molto ai figli privilegiandoli alla carriera cinematografica che gradualmente è passata in secondo piano (ha interpretato poco più di una ventina di titoli). La Hepburn ha sofferto il trauma della seconda guerra mondiale: l’infanzia di fame e sofferenza durante l’occupazione nazista ha originato il suo profondo impegno nelle attività umanitarie, culminato nel 1988 con la nomina di Ambasciatrice Unicef. Oggi il suo progetto di solidarietà è ancora vivo grazie all’Audrey Hepburn Children’s Fund gestito dai figli. La sua dolce vita (1929) è terminata prematuramente nel 1993. Audrey Hepburn ha lasciato un ricordo di donna di fascino e grazia ma anche buona e eterea, come la sua ultimissima apparizione sugli schermi come angelo nel film Always di Spielberg. Silvia Taborelli Si segnala l’uscita di un libro fotografico edito da Panini Comics Stregati da Audrey, scatti inediti di Mark Shaw per la rivista Life. Per un ritratto più intimo invece l’autobiografia del figlio Sean, pubblicata nel 2006 da TEA. La grazia spumeggiante 35 di Ulrike Raiser N onostante abbia superato gli ottanta, Judith Malina, anarchica, femminista e pacifista è ancora attiva come artista e come militante per la difesa della pace e dei diritti umani. Regista e attrice, nel 1947 fonda a New Jork, insieme a Julian Beck, il Living Theatre, compagnia teatrale sperimentale che coniuga l’amore per l’arte con l’impegno sociale e politico, e che ha dato vita a spettacoli di fama mondiale come The Brig (1963), Frankenstein (1965), Paradise Now (1968), Not in My Name (1994). Ho avuto la fortuna di incontrare la Malina a Palazzo Spinola, Rocchetta Ligure, nel 2003, occasione in cui è stata registrata questa intervista. Il Living è un gruppo che ha lasciato il segno... Il Living è un gruppo di affinità; siamo tutti pacifisti, anarchici, vegetariani, femministi, abbiamo sviluppato insieme una visione, una filosofia, un’idea di cosa vuol dire storia, rivoluzione, arte e politica. Oggi si aggiungono a noi molti giovani che portano nuova energia. Questa solidarietà su certi aspetti della vita si mostra anche nel quotidiano, nell’organizzare le prove, gestire il poco denaro che abbiamo, dividersi il lavoro. Ma sono importanti anche le differenze tra noi, non siamo un coro di conformisti. La sede del Living è stata una comunità anarchica culturale; questo ha influenzato il lavoro teatrale? Sicuramente. Noi del Living abbiamo preso molto da questi artisti, energia e ispirazione. Inoltre a New York c’erano alcuni caffè dove si tenevano delle assemblee artistiche; io amavo andare al San Remo bar, un piccolo universo dove c’erano musicisti, pittori, scrittori e dove andavamo per ispirarci l’un l’altro. Dove cerca oggi l’ispirazione? Oggi cerco il modo per poter creare una scintilla di energia e spero di trovarla in ogni giovane che conosco, in ogni seminario che faccio, e vedo certe qualità buone, perché questa generazione è più intelligente e conosce cose che noi non sapevamo. Come sono organizzati i vostri seminari? I seminari iniziano con una discussione su cosa sia importante fare per ognuno; c’è chi vuole parlare del femminismo, della pace, della scuola o della città in cui ci troviamo. Si creano gruppi per sviluppare gli argomenti; loro creano la scena, il testo 36 Living Theatre, The Brig di Kenneth H. Brown, 26 aprile 2007 New York. gd Rivoluzione tra arte e vita gd idee&parole Intervista a Judith Malina, anima del Living Theatre e noi li aiutiamo a teatralizzarlo. Noi impariamo più di quello che insegniamo. Lo spettacolo finale è sempre diverso, ed è sempre interessante per noi vedere cosa succede, quali sono i problemi e in quale direzione si scorge una soluzione. Il Living lavora molto in Italia. C’è qualche differenza qui rispetto ad altri Paesi? In Italia si dice sempre che uno dei problemi più gravi sia la solitudine. È uno dei soggetti che non trovo in Corea, in Francia, in Belgio o negli Stati Uniti, ma qui c’è e non so perché. Io non trovo che i giovani italiani siano chiusi; forse a casa soffrono per non avere una comunicazione profonda con gli altri, ma si aprono al momento di fare qualcosa insieme, hanno un carattere espansivo e anche molto tollerante verso le altre opinioni. Nei vostri spettacoli avete usato spesso la filosofia orientale; come è nato questo interesse? Noi vogliamo utilizzare tutto, le lezioni dello zen, dei grandi saggi di ieri e oggi o della storia. Vogliamo essere aperti a tutto; credo che la filosofia classica abbia molto da darci, come anche i nuovi esperimenti, la new age e la musica. Il vostro teatro dà molto spazio allo spettatore? Per noi lo spettatore è tutto. Noi chiediamo agli spettatori di entrare sulla scena, perché non condividiamo questa divisione tra loro che pagano e noi che siamo pagati, loro al buio e noi alla luce, loro zitti e noi che parliamo. È un sistema di classe non giusto, vogliamo creare un altro ambiente, e lavoriamo da più di cinquant’anni per esplorare la possibilità di un ruolo creativo per gli spettatori. Qual è la sua visione sul teatro moderno? Credo che la tragedia del teatro moderno risieda nel fatto che non ci siano compagnie permanenti, in cui gli attori possano conoscersi profondamente, capire il carattere e le opinioni degli altri per lavorare meglio. Noi abbiamo avuto il vantaggio di non fare questa separazione tra lavoro, arte e vita, che devono essere la stessa cosa. Un consiglio per fare del buon teatro oggi? Io credo che sia meglio creare un gruppo che trovare un gruppo; se una persona trova altre quattro persone e un posto non troppo grande è già possibile creare teatro, non è necessario avere molto denaro, molti mezzi e molte persone. 37 idee&parole gd Il messaggio musicale dialogo senza barriere Sono cadute le barriere di genere – Difficoltà nella scarsità di luoghi per tenere concerti – L’archivio di SuonoDonne delle partiture di artiste a Novara di Adriana Mascoli I ncontro Esther Flückiger e Beatrice Campodonico in uno studio accogliente di Milano, in via Accademia. è la sede dell’associazione Suonodonne, dove tra un’ora si terrà l’assemblea annuale. Suonodonne promuove la musica scritta da compositrici e compositori d’oggi, con un’attenzione particolare alla valorizzazione del talento musicale delle donne italiane e della Svizzera italiana; promuove inoltre l’organizzazione di festival, concerti e spettacoli multimediali. L’associazione nasce nel 1994 come gruppo di studio italiano del Forum Donne Musica (FMF: FrauenMusikForum) di Berna. Sulla rivista Cling Klong (trilingue: tedesco, francese e italiano) insieme al FMF, Suonodonne pubblica, fino al 2007, articoli di informazione sulla scena musicale internazionale femminile, sulle nuove partiture, sui dischi e libri in circolazione. Dal 2004 Suonodonne diventa au- 38 tonoma e si affilia all’IAWM . Esther ha uno sguardo vivace e dalle sue parole traspare entusiasmo e voglia di suonare. Conosco Beatrice per il suo impegno nei progetti dedicati alle compositrici: intuisco che la sua presenza porta grande energia anche in Suonodonne. Una compositrice oggi affronta l’esperienza creativa liberamente, senza l’ostacolo dei pregiudizi di genere? Esther Flückiger. Negli ultimi decenni il panorama è davvero cambiato. Le donne sono una presenza consistente nel mondo della composizione. Ora i programmi di musica contemporanea propongono creazioni di uomini e di donne senza reali discriminazioni. I festival di musica contemporanea sono più aperti ai cambiamenti della realtà rispetto alle istituzioni che si occupano della storia passata. Una compositrice non ha necessariamente bisogno di tutto quel coraggio e quella determinazione che idee&parole gd Beatrice Campodonico compositrice milanese, ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali di composizione. è docente presso il Conservatorio Cantelli di Novara dove anima con Antonietta Berretta il progetto Inaudita musica. è attiva nell’associazione Suonodonne. Ester Flückiger pianista e compositrice, nata a Berna, vive a Milano. Svolge un’intensa attività concertistica, dedicandosi all’improvvisazione e alla realizzazione di progetti multimediali. Ha registrato numerosi CD. Ha fondato ed è presidente di Suonodonne. Organizza festival di musica contemporanea. hanno caratterizzato le donne della generazione di Irma Ravinale e Teresa Procaccini. Ora ci sentiamo riconosciute: ci sono progetti che portiamo avanti con donne e progetti a cui lavoriamo insieme a colleghi uomini. Purtroppo le istituzioni più tradizionali ancora stentano a darci spazio. politica di dare spazio alla cultura. Sta diventando sempre più difficile organizzare eventi. La musica contemporanea è un ambito culturale che resta ai margini. Tanti appassionati di musica faticano ad avvicinarsi alla musica scritta oggi. Beatrice Campodonico. Il problema della fruibilità è molto importante. Noi compositrici abbiamo il dovere di cercare un punto di incontro con il pubblico. A volte chiediamo a chi ascolta di fare un’operazione simile a quella di chi guarda un film in una lingua sconosciuta. La musica ci offre grandi possibilità comunicative. È necessario però ritrovare il gusto genuino di fare e ascoltare musica senza inutili virtuosismi. Esther Flückiger. Si! Come pianista interprete di altre compositrici spesso mi scontro con partiture che contengono belle intuizioni musicali ma che richiedono un lavoro smisurato per essere decifrate. Beatrice Campodonico. Il problema non è solo di chi compone. Anche l’interprete deve porsi come un soggetto libero e deve superare l’asservimento eccessivo a chi ha composto. Esther Flückiger. Al di là di specifici problemi tra chi compone e chi interpreta, il pubblico che ha voglia di ascoltare c’è. Ciò che manca è la volontà Suonodonne ha in programma qualche incontro musicale pubblico ? Esther Flückiger.Il concerto del prossimo 21 marzo a Segrate con la partecipazione di Candace Smith proporrà un programma tutto al femminile; saremo poi presenti anche all’interno del Festival 5 giornate di Milano. Beatrice Campodonico. Nel 2010 inaugureremo inoltre l’archivio di Suonodonne, presso la Biblioteca del Conservatorio “Cantelli” di Novara. Si tratta di centinaia di partiture di donne, soprattutto italiane, del XX° secolo. In parte sono lavori editi e in parte ancora manoscritti. La catalogazione è già stata fatta, ma è ancora in corso la preparazione di schede informative sulle compositrici a cura delle allieve dei corsi di biennio di specializzazione... Siamo orgogliose di questo archivio perché il nostro scopo principale è rendere accessibili le opere delle compositrici, spesso molto difficili da reperire. www.suonodonneitalia.it Concerto Suonodonne Italia Domenica 21 marzo, h. 16 - Chiesa B.V. Immacolata - Segrate Esther Flückiger – Pianoforte Rose-Marie Soncini – Flauto Candace Smith - Soprano Musiche di H. von Bingen, A. Gemelli, V. Olive, W. An Min, B. Jolas, B. Campodonico, E. Beglarian e R. Wertheim 39 gd idee&parole La poesia dell’errante è il vento della vita Intervista a Mia Lecomte poetessa studiosa della letteratura della migrazione La creazione della Compagnia Internazionale delle Poete di Silvia Bernasconi Mia, adolescente con il padre, il poeta francese Yves Lecomte. 40 S crive circondata dai tre gatti, Podi, Micifuf e Shikor, per i quali libri aperti e fogli sparsi sono un richiamo irresistibile, e dai tre figli, Irina, Marianne e Alexis, che nella casa romana, quartiere Eur, hanno eletto lo studiolo materno a luogo privilegiato per fare i compiti. La mattina è riservata alla poesia, il pomeriggio a quella che chiama “burocrazia della letteratura”, recensioni, articoli, interventi per convegni. “Se non scrivo mi sento in colpa, scrivere è quello che devo fare” si presenta Mia Lecomte, 44 anni, occhi grandi da cerbiatto, poetessa, autrice di libri per bambini, testi teatrali e studiosa di letteratura della migrazione. Dalla madre racconta di aver preso gioia di vivere e attivismo, dal padre, il poeta e scrittore francese Yves idee&parole Lecomte, la poesia. Del suo bagaglio fanno parte anche tanti ricordi comaschi: quelli degli anni del liceo. Volendo frequentare il classico, che a Lugano non ha una scuola dedicata ma solo un indirizzo all’interno del liceo cantonale, scelse il Volta e per 5 anni fece la “studentessa frontaliera”. gd Copertina di Giravolta, il giornale del liceo Volta di Como, 1983. Quando ha iniziato a scrivere? Fin da bambina. A Lugano portavo sempre con me una piccola macchina per scrivere e mi sedevo sulla darsena, lungolago. Sono cresciuta circondata dalla poesia. Ho iniziato aiutando mio padre, l’italiano era una lingua più mia che sua e gli facevo da dizionario dei sinonimi. Mio nonno materno mi vedeva avvocato ma io volevo scrivere. Nell’ultima raccolta di poesie, Terra di risulta, fa spesso riferimento a luoghi precisi. Ne ricorda uno in particolare? La bellezza delle montagne in Engadina. Fu il primo posto dove ci trasferimmo con la mia famiglia quando lasciammo Milano nel 1974, gli anni del terrorismo. Poi ci spostammo a Lugano, i miei genitori vivono ancora lì e quando torno mi sento a casa, più che a Roma. Como, invece, per me coincide con il liceo classico Alessandro Volta. Mia Lecomte. Un’istituzione in città... Per frequentare il classico andavo ogni giorno avanti e indietro tra Lugano e Como. Ero l’incubo del preside Baldassarri: come rappresentante di istituto partecipavo ai consigli e poi scrivevo i retroscena su Giravolta, il giornalino satirico del liceo. Ero scalpitante, prendevo otto in condotta, giocavo a calcio in una squadra femminile. Al Volta ho provato paure come non ho mai più avuto. Mi sono rimasti amici veri, abbiamo stretto alleanze, come i soldati in guerra. La letteratura della migrazione è relativamente nuova per l’Italia. Lei se ne occupa fin dagli inizi, negli anni Novanta. Come è cambiata? è maturata molto. All’inizio era quasi esclusivamente testimoniale, raccontava il viaggio, il dolore del distacco, le difficoltà, i problemi di integrazione. Piano piano si sono imposti veri e propri generi letterari, la poesia è cresciuta moltissimo. Chi è lo scrittore migrante? è colui che, costretto a cambiare paese, decide di scrivere nella nuova lingua. Ci vuole coraggio, ci si trova in una condizione di duplice incompetenza – l’ho visto con mio padre – perché si inizia a perdere la lingua madre e si fatica a conquistare quella di adozione. Da questa situazione di confine nasce un uso della lingua estremamente interessante. C’è grande sentimento, c’è la vita, l’urgenza di scrivere. Nei giovani poeti italiani trovo abilità e raffinatezza formale anche straordinarie, ma poca necessità. La poesia della migrazione è per noi una ricchezza, una ventata di energia. C’è uno specifico femminile? Nelle donne lo spaesamento – una costante per gli scrittori migranti – è visto anche in ambito domestico e si incarna in riflessioni sul corpo. Crede che la poesia possa aiutare l’integrazione o è troppo distante dal quotidiano? La buona poesia – così come la buona letteratura – arriva a tutti, aiuta a riflettere sull’umanità e, come conseguenza naturale, porta all’integrazione. Può servire molto, se inserita nelle scuole. Quando faccio laboratori di letteratura della migrazione mi rendo conto che sui ragazzi ha molta presa. Sono curiosi e portano l’esperienza in famiglia. 41 gd idee&parole Il prossimo progetto? Una compagnia teatrale composta da poetesse straniere, la Compagnia Internazionale delle Poete, una sorta di Orchestra di Piazza Vittorio della poesia. Partiamo da Roma a fine marzo e speriamo di portare lo spettacolo in altre città. Siamo venti donne. Non sono mai stata femminista, anzi, sono cresciuta in mezzo ai maschi, tra mio fratello e i miei cugini, però credo che adesso le donne siano le più coraggiose. In questa fase di profondo cambiamento e di passaggio, con tante cose nuove che ribollono ma che devono essere tirate fuori, le donne dimostrano più istinto, più impegno. Più coraggio. Compagnia Internazionale delle Poete: Mia Lecomte con Cristina Ali Farah e Candelaria Romero. 42 idee&parole gd ATTRAZIONI (inedita) Intanto sulla sabbia. La donna barbuta si tinge col pennello più scuro. La donna pantera ripara la sua guaina sformata. La donna tatuata ombreggia il nudo cranio di rose. Le gemelle siamesi si specchiano oltre il profilo perduto la nana albina nei solchi della sua evanescenza. Sorvola la donna cannone la pista quasi spenta la rete più vuota nei rattoppi a uncinetto con le due mani sui fianchi sorprende questo intermezzo della quieta mortalità *** SWISSMINIATURE Mancano ancora un campanile e tre trafori sei chalet dipinti e una stazione il meglio del soccorso alpino e quei cavi tesi a sospendere due funicolari tutti gli alberi che demarcano il cantone un lago sistemato nella nebbia e il getto della cascata a mezzacosta mancano i passeggeri nella slitta alcune mucche e marmotte e il gallo ritto sulla torre e anche anatre e stambecchi e i ballerini sulla piazza in pietra il vecchio addetto all’orologio fermo del municipio e il ragazzino con la mela in testa della scultura in stile ghiaccio e cioccolata ancora mancano le nuove banche e imprese manca la musica da un altoparlante le ultime croci bianche alle bandiere. Per la manutenzione del paesaggio occorre scompagnarne le ragioni farne terra promessa ai voli più spaesati diaspore col fiato corto in vena di salvezze alternative occorre rinnovarne le utopie rischiare Heidi urbanizzata e i lanzichenecchi seduti nella stübe accontentarsi di ipotesi spaiate sezioni atone del verbo claudicante occorre rifugiarsi dentro al minimo vagliando prospettive in proporzione e starci stabilendo palmo a palmo misure sempre in scala del dolore. Da Terra di risulta, Edizione La Vita Felice, 2009 43 gd focus Condizione e vocazione in cerca di nuove idee di Vera Fisogni S e dovessi indicare il risultato più importante di oltre un secolo di femminismo, non avrei dubbi: la condizione dell’essere donna è stata separata dalla legittima vocazione a realizzarsi, secondo progetti diversi. Ancora più radicalmente, mi sento di dire che la “donna” è stata superata dalle “donne”, dalla molteplicità delle storie individuali, dei modi differenti in cui io, tu, altre possiamo essere nel mondo. Se dovessi puntare il dito a un problema urgente, nella discussione al femminile oggi, direi questo: è arrivato il momento di ripensare le diverse vocazioni conquistate, alla luce della condizione originaria della donna, per illuminare questioni spinose, come la perdita dell’identità femminile (Marina Terragni), la difficoltà ad essere considerate pienamente soggetti (Pepita Vera Conforti) e non individui “naturalmente” destinati ad abitare il privato (Giancarla Codrignani). I tre problemi (ved. n. 4 di Geniodonna) propongono in modo esemplare i temi di un dibattito che guarda al soggetto femminile quasi esclusivamente nella prospettiva di quello che fa, della realizzazione professionale o delle relazioni personali-sociali, senza davvero interrogarsi sul modo in cui la donna, con il suo corpo e la sua persona, è nel mondo. Non solo il confronto risulta impoverito, e rischia di arenarsi su stereotipi – di odorare di 44 muffa, come scrive la Conforti – ma appare anche fuorviante. Mi riferisco soprattutto alla tesi del privato come “prigione delle donne” (ved. Codrignani), che apertamente contesto, proprio in virtù dello specifico della “condizione” femminile: la fragilità del corpo, il senso pieno della fertilità e della vita (non riducibile alla maternità), sperimentato mensilmente per un ampio arco dell’esistenza, e sempre più a lungo protratto o rinnovato su altri piani (menopausa), non connotano solo una “natura”, ma fanno stare in un certo modo nella vita, aprono prospettive, producono senso, orientano in modo specifico alle relazioni. Trascurare questo essenziale dato fenomenologico – sotto gli occhi di chi vuol vedere con candore e stupore – porta a dequalificare il ruolo femminile nella cura, che oggi, più che mai, può orientare in senso virtuoso la politica. E che dire della “scomparsa” della donna, a vantaggio dell’imporsi globale del modello maschile? Anche in questo caso il ritorno alla condizione femminile originaria può consentire un passo avanti nel confronto, non per ribadire che l’essere donna è meglio o peggio dell’essere uomo, quanto piuttosto per superare lo schematismo del “format” a tutto vantaggio della complessità. Il rischio, paventato dalla Terragni, di “separarsi dal proprio corpo”, mi sembra risiedere in questa disattenzione per la propria essenziale verità, piut- tosto che presentarsi come esito della discriminazione in cui il maschio ha sempre colpa. Sulla vertigine della libertà femminile – che destabilizza gli uomini e un po’ spaventa le donne – tema affrontato dalla Conforti, sarebbe più che mai il caso di guardarsi dentro. Pongo una domanda che è ancora un tabù: la scelta della carriera e della maternità, insie- gd focus me, quanto giova all’una e all’altra vocazione? Se sono madre, ma poi riduco la cura dei miei figli con tate, nonni e palestra non posso esercitare in pieno la cura specifica del mio ruolo. Viceversa, tante professioni richiedono un impegno totalizzante, che frustra pur legittime aspirazioni a famiglia o maternità. è chiaro che misurare i problemi della vita con la condizione esistenziale, impone il massimo della sincerità e la più radicale spregiudicatezza. In termini teorici ciò richiede di collocare tra parentesi formule e concetti usurati, per trovarne altri. Siamo pronte per una simile navigazione? L a dedizione totale al lavoro è uno dei mezzi che gli uomini provenienti da famiglie disturbate usano spesso per ignorare le proprie emozioni e dimenticare se stessi, proprio come amare troppo è uno dei modi principali usati dalle donne che hanno alle spalle lo stesso tipo di famiglie per sfuggire a se stesse. Il prezzo che lui paga per questa fuga da se stesso è un’esistenza unidimensionale, che gli preclude la possibilità di godere tutto quello che la vita potrebbe offrirgli. Ma solo lui può giudicare se il prezzo è troppo alto, e solo lui può decidere se e quali misure prendere per cambiare e quali rischi correre. Il compito di sua moglie non è quello di raddrizzare la sua vita, ma di arricchire la propria... Liberiamo noi stesse, non altri ... Spesso non rivendichiamo il diritto alla felicità perché crediamo che sia il comportamento di qualcun altro a impedirci di realizzarla. Ignoriamo il nostro dovere di sviluppare noi stesse. ...Cercare di cambiare qualcun altro è frustrante e deprimente, mentre esercitare il nostro potere reale di cambiare noi stesse e la nostra vita è esaltante. Per poter essere libera di avere una vita soddisfacente per conto suo, la moglie di un uomo dedito totalmente al lavoro deve convincersi che il problema del marito non è un problema suo, e che non ha né il potere, né il dovere, né il diritto di indurlo a cambiare. Deve imparare a rispettare il suo diritto di essere se stesso, anche se lei vorrebbe che fosse diverso. Se ci riesce, è libera: libera dal risentimento per la scarsa disponibilità del marito, libera dal senso di colpa se non riesce a cambiarlo, libera dal peso di continuare a cercar di cambiare ciò che non può cambiare. Se smette di cercar di cambiare lui, e volge le sue energie a sviluppare i propri interessi, ne trarrà gioia e soddisfazione, qualunque cosa faccia. Se poi alla fine scopre che le sue occupazioni sono abbastanza soddisfacenti da assicurarle una vita ricca e piena per conto suo, non avrà più tanto bisogno della compagnia del marito. Oppure, diventando sempre meno dipendente da lui per la propria felicità, forse deciderà che il suo impegno con un partner assente non ha senso e preferirà sbarazzarsi di un matrimonio che non la soddisfa. Nessuna di queste soluzioni è possibile finché lei continua a sentire il bisogno di cambiare lui per poter essere felice. Quando una donna che ama troppo rinuncia alla crociata per cambiare il proprio uomo, lui è libero di valutare le conseguenze del suo comportamento. Poiché lei non è più frustrata e infelice, ma sempre più entusiasta della vita, lui avverte il contrasto con la sua esistenza unidimensionale. Allora, forse, deciderà di lottare per liberarsi della sua ossessione e diventare più disponibile sia fisicamente sia emotivamente. O forse non lo farà. Ma, qualunque cosa lui decida di fare, una donna, accettando il suo uomo com’è, diventa libera di vivere la propria vita, da quel momento in poi, felice e contenta. Robin Norwood (tratto da Donne che amano troppo - Ed. Feltrinelli, 1989). 45 gd giustizia Processi in corso cancellati... Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. (Approvato al Senato il 20 gennaio 2010; in corso di esame in commissione alla Camera.) di Marilisa D’Amico I l disegno di legge approvato dal Senato e ora in discussione alla Camera prevede l’estinzione, con pronuncia di sentenza di non doversi procedere, dopo tre anni in primo grado, dopo due in appello e dopo uno e sei mesi in Cassazione, per i processi relativi a reati con pena pecuniaria o detentiva inferiore nel massimo a dieci anni, sola o congiunta alla pena pecuniaria. Se è pur vero che nella nostra Costituzione è sancito il principio di ragionevole durata dei processi, questo nuovo istituto prevede rigidi termini massimi in cui si devono concludere i vari gradi del procedimento. In tal modo si provoca l’estinzione del reato stesso, nel caso in cui tali termini non vengano rispettati. Tali disposizioni non si applicheranno nel caso in cui 46 l’imputato dichiari di non volersene avvalere. Tale dichiarazione dovrà essere formulata personalmente o attraverso un procuratore speciale. Un primo profilo che occorre sottolineare riguarda l’ambito di applicazione delle norme in commento. L’estinzione, infatti, opera solo per il processo penale (art. 5, ddl n. 3137) e per quello di responsabilità contabile (art. 4, ddl n. 3137), escludendo tutti gli altri. In particolare, poi, si prevede che per i processi in corso relativi ai reati commessi fino al 2 maggio del 2006 e puniti con pena pecuniaria o detentiva inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione, sola o congiunta alla pena pecuniaria – esclusi i reati previsti all’art. 1, secondo comma della legge n. 241 del 2006 – il giudice pronunci sentenza di non doversi procedere per estinzione del processo quando siano decorsi più di due anni dal provvedimento con cui il pubblico ministero ha esercitato l’azione penale (art. 405 c.p.p.) oppure due anni e tre mesi nei casi previsti dal settimo comma dell’art. 531-bis c.p.p. Su tali disposizioni è possibile svolgere alcune considerazioni. Innanzitutto non si comprende il motivo della ingiustificata diversità di trattamento rispetto a tutti gli altri processi, pur in cor- giustizia gd so alla data dell’entrata in vigore della legge, che vengono esclusi dall’estinzione nel caso in cui quei termini vengano superati. In secondo luogo, non si comprende la scelta in ordine al limite di pena (dieci anni), che dovrebbe “selezionare” i tipi di processo che beneficiano dell’istituto. Occorre inoltre rilevare come il mezzo predisposto, e cioè l’estinzione del processo, non corrisponde all’intenzione dichiarata del legislatore di voler velocizzare i tempi della giustizia. In questo modo, infatti, i processi non si faranno più e tutta l’attività processuale svolta verrà eliminata, non potendo essere recuperata in alcun modo. Sotto quest’ultimo profilo, si può sottolineare come ciò si ponga an- ...dai tempi prefissati che in contrasto con il principio di economicità delle attività processuali. Questa riforma produrrà notevoli effetti anche sul piano delle strategie difensive. Infatti la difesa degli imputati sarà portata ad allungare ancora di più i tempi del processo, al fine di arrivare alla consumazione dei termini, dopo i quali il processo, appunto, si estingue. In definitiva, dunque, il disegno di legge reca in sé uno strumento che si vorrebbe teso alla realizzazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma che si rivela sproporzionato e dunque intrinsecamente irragionevole rispetto all’obbiettivo di attuare il principio costituzionale. 47 gd ambiente Nelle gole del Breggia un oceano scomparso In un percorso di 1,6 chilometri per una superficie di 65 ettari le tracce dal periodo Giurassico (200 milioni di anni fa) fino a diecimila anni fa di Federico Aligi Pasquarè P oco oltre il confine fra Italia e Svizzera, in territorio ticinese, si apre una finestra nel tempo geologico svelato da strati di rocce che raccontano di antiche profondità oceaniche, paesaggi perduti, vita e morte di specie oggi in gran parte estinte, repen- tini cambiamenti climatici. Non si tratta di sola geologia: il Parco delle Gole della Breggia, che si snoda lungo il fiume omonimo per 1,6 km in lunghezza, con una larghezza di 400 m e una superficie di 65 ettari, contiene anche testimonianze preziose del lavoro e della vita dell’uomo a partire dall’Alto Medioevo. Mulino Ghitello - sede della Direzione del Parco / Stratificazioni del periodo Giurassico. 48 Il percorso nel Parco si snoda attraverso 23 soste illustrate da pannelli, numerati in sequenza, che progrediscono seguendo l’evoluzione geologica delle rocce da quelle più antiche, risalenti al Periodo Giurassico dell’era Mesozoica, 200 milioni di anni fa, alle più recenti, che testimoniano il modellamento del territorio ticinese ad opera dei ghiacciai che dominarono le Alpi e le Prealpi fra 2 milioni e 10.000 anni fa. Le soste rappresentano le sequenze di un documentario di storia del nostro Pianeta, i cui fotogrammi sono strati di rocce che ci svelano, attraverso gli organismi fossili in esse racchiusi, gli avvenimenti che si sono lentamente succeduti nel tempo geologico. Gli strati rocciosi del ambiente Parco, deposti sul fondo di un antico oceano a partire da 200 milioni di anni fa, sono formati dall’accumulo di innumerevoli gusci di carbonato di calcio o silice che racchiudevano, in tempi antichissimi, gli organismi che popolavano quelle acque. Tra questi spiccano le ammoniti, mirabilmente fossilizzate negli strati del “Calcare di Moltrasio” e in quelli del “Rosso Ammonitico Lombardo”. La possibilità di ammirare queste rocce sedimentarie di ambiente marino “a cielo aperto”, ci è stata concessa dall’azione di immani forze geologiche che portarono alla chiusura di quell’oceano e all’emersione delle gigantesche scaglie di roccia accatastate a formare l’edificio alpino. Sono moltissime le curiosità contenute nelle rocce del Parco, ma una menzione particolare merita la “Maiolica”, calcare di colore biancastro (anche detta “Biancone”) formatosi negli abissi oceanici fra 140 e 120 milioni di anni fa. Tra gli strati bianchi e regolari di calcare troviamo racchiusi sottili livelli di roccia scura che parlano di un mondo sconvolto da un effetto-serra globale innescato da enormi eruzioni vulcaniche. La Terra riuscì allora a “reagire” allo sconvolgimento ambientale, che arrecò comunque danni incalcolabili alla biosfera, ma ci vollero non meno di 20.000 anni affinché i delicati assetti climatici fossero ristabiliti. Un numero che pesa come un minaccioso monito all’uomo, intento oggi a modificare equilibri che potrebbero portarci sull’orlo di un’emergenza globale simile a quella silenziosamente celata nelle rocce del Parco. Oltre ai motivi di interesse geologico che hanno pochi eguali in Svizzera e in Italia, notevole è anche il patrimonio storico che, solo in parte conosciuto, annovera le vie storiche, la Chiesa Rossa e l’unico Castello nel Parco (dell’inizio del XII secolo), situato nel territorio di Castel San Pietro. I vecchi edifici industriali e di produzione di energia meccanica (mulini, cementificio, birreria) attestano l’uso delle acque della Breggia sin dal XVII secolo. Di particolare pregio il Mulino del Ghitello (1606), sede del centro di documentazione e del- gd la Direzione del Parco. Sul sito web www.parcobreggia.ch sono illustrate le numerose possibilità di approfondimento degli aspetti geologici, storici e naturalistici che fanno del Parco, una vera e propria risorsa per sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto dei beni ambientali e culturali. Proprio con questo obiettivo la Direzione ha previsto per le sue Guide qualificate un percorso di aggiornamento costante che permetta loro di svolgere al meglio questo importante ruolo di educazione e divulgazione. Paolo Oppizzi, geologo, Direttore del Parco dal 1999, sottolinea l’importanza di continuare a sviluppare le potenzialità di questo piccolo ma inestimabile patrimonio: “Negli ultimi anni abbiamo dato impulso a varie iniziative di valorizzazione tra le quali vorrei citare, in particolare, la riqualifica dell’area del cementificio Holcim, interna al Parco, che prevede la realizzazione di un centro di educazione ambientale e di un percorso didattico, alla scoperta delle tecniche di lavorazione della roccia fino alla sua trasformazione in cemento”. 49 gd in cammino Pensiero e femminismo: la crisi del Soggetto e l’esplorazione delle soggettività femminili Prospettive femministe: le filosofe contemporanee di Eleonora Missana D iamo il via a un percorso nella costellazione delle pensatrici contemporanee che introducono una prospettiva femminista e/o di genere nell’indagine filosofica. Nel proporre tale percorso, scegliamo un filo conduttore, un fuoco tematico che consenta di dar conto almeno in parte della molteplicità di questioni sollevate e di prospettive dischiuse dalle filosofie femministe contemporanee. Il tema conduttore sarà quello dell’indagine sul soggetto tra crisi del paradigma di un 50 Soggetto sovrano e autotrasparente, che si conclama nella filosofia contemporanea almeno dagli anni ’70, e l’esplorazione della soggettività o dell’identità a partire dalla messa in gioco delle soggettività concrete femminili e femministe, esplorazione che era stata centrale nelle pratiche dei movimenti femministi negli anni a cavallo tra il ’68 e gli anni ’70. è in qualche modo comune il punto di partenza delle prospettive che si dicono femministe, ovvero la contestazione di quell’ordine sociale, simbolico e culturale patriarcale che prevede la distinzione gerarchica tra un polo dominante, che definisce la posizione del maschile, e uno complementare e subordinato, che definisce il femminile. Però il modo in cui tale contestazione si traduce in pratiche di pensiero e proposte teoriche varia molto da una all’altra delle pensatrici che si definiscono femministe o postfemministe. Gioca in tale diversità, oltre che la singolarità di ogni prospettiva filosofica, anche il contesto storico e geografico in cui si situano le pensatrici. La prima pensatrice che vorremmo presentare è Luce Irigaray che nel ’74 pubblica Speculum, un testo che può per diverse ragioni gd in cammino essere considerato inaugurale per la riflessione filosofica femminista contemporanea. Da un lato infatti, Irigaray mette all’opera una decostruzione di alcuni testi classici della filosofia, da Platone a Hegel, e della psicanalisi, da Freud a Lacan (di cui è stata collaboratrice), smascherando, dietro la pretesa di fornire schemi e concetti universali, primo fra tutti quello appunto di “Soggetto”, la messa in opera di una visione essenzialmente monologica e “fallocentrica”; dall’altra però, dando origine al cosiddetto “pensiero della differenza sessuale”, propone un’esplorazione e un’invenzione di genealogie femminili rimosse, occultate ed espulse nella costruzione del logos filosofico occidentale: con la convinzione che ciò avrebbe condotto al ripensamento radicale dei paradigmi ontologici e epistemologici dominanti, a una riformulazione dei problemi dell’etica e della politica contemporanea. Mi pare che oggi si possa dire che l’auspicio si sia avverato, al di là della condivisione o meno della peculiare flessione data poi da Irigaray al pensiero della differenza. Il pensiero della differenza sessuale trova una ricezione particolarmente favorevole in Italia dove negli anni ’80 si forma un gruppo di indagine filosofica denominato Circolo di Diotima intorno alle filosofe di Verona Luisa Muraro e Adriana Cavarero cui verrano dedicati due articoli successivi. Negli anni ’80, il testo di Irigaray emigrerà oltreoceano e avrà una peculiare ricezione, insieme ad altri filosofi francesi (Foucault, Derrida, Lyotard) negli Stati Uniti: qui si avvia quella che può essere definita come l’epoca dei post a partire dalla definizione dell’epoca contem- poranea come postmoderna. è in questo quadro che anche nel pensiero filosofico femminista si avvia una riflessione critica e autocritica che contribuisce a complicare, ma anche ad arricchire la riflessione sul carattere multiplo dell’identità. Emergono infatti pensatrici che contestano ogni uso essenzialistico del significante donna, a partire dal riconoscimento della diversità di posizione tra donne in base alla classe, razza e orientamento sessuale. Ne sorgono nuove raffigurazioni della soggettività che prediligono metafore come quelle di margine (Bell Hooks), nomade (Rosi Braidotti), ibrida (Glora Anzaldua), queer (Teresa De Lauretis) o cyborg (Donna Haraway) che consentono meglio di cartografare il presente e di esaminarlo criticamente. Nel ’90 con Gender Trouble, un testo provocatorio che suscita molto scalpore, esordisce una pensatrice che è ora al centro del dibattito filosofico internazionale: Judith Butler. Riferendoci al dibattito più recente, ci pare di peculiare rilievo il ripensamento della democrazia e dei suoi regimi regolatori che diverse pensatrici, tra cui la stessa Butler, Nancy Fraser, Sheyla Benhabib e Gayatri Chakravorti Spivak, hanno intrapreso e che va a toccare molti temi etici e filosofico-politici, che hanno grandi ricadute nell’attualità: quelli delle politiche economiche e sociali nel mondo globalizzato, la questione del multiculturalismo e della migrazione in un mondo postcoloniale e postnazionale. (1 - continua) Judith Butler. A fronte: Luce Irigary. 51 gd di Sergio Masciadri I l Risorgimento è cosa da uomini. Così ce lo insegna la Storia ufficiale, quella che si studia sui libri di scuola e si legge nei trattati di Mack Smith, uno storico inglese tra i più importanti studiosi del Risorgimento italiano. Ma se sfogliamo le cronache del tempo scopriamo che fin dai primi dell’800, nelle associazioni patriottiche, Giovine Italia compresa, anche le donne erano presenti sia pure in modo discreto e nella società, beffavano l’attenta polizia segreta austriaca aprendo i loro salotti ad intellettuali e cospiratori. Se si vuole dare un nome alla prima comasca impegnata in attività patriottiche, non possiamo che parlare di Margherita Sironi, una eccellente pianista che nella sua casa organizzava incontri con personalità delle organizzazioni considerate sovversive. Quando poi si passa dai salotti alle piazze, le donne non si risparmiano e si trovano, al fianco degli uomini, anche ad imbracciare le armi. Il 1848 è l’anno che modifica gli assetti politici e istituzionali di mezza Europa. Quasi simultaneamente moti rivoluzionari investono tutte le capitali compresa la romantica Vienna e in Italia sono i Vespri siciliani a dare il primo forte segnale di ribellione che poi sale verso nord e arriva nel Lombardo Veneto dove gli Asburgo impongono con forza la loro presenza. Scoppiano i primi moti a Milano e anche Como fa la sua parte, dopo aver preparato con cura l’insurrezione popolare che per cinque giorni terrà in scacco le truppe austriache costringendole alla resa. In quelle giornate di marzo le donne comasche – che avevano contribuito a preparare l’insur- rivoluzione Il pronto soccorso delle donne agli insorti feriti A Como cinque giornate anti austriache nel 1848 rezione anche costruendo palle di piombo per i fucili, ritrovandosi in una casa al Fontanile di Sant’Eusebio, l’attuale via Volta – escono allo scoperto e si presentano da protagoniste all’appuntamento con la storia. In questa realtà assume particolare significato la figura di Giuseppina Perlasca, moglie del farmacista Bonizzoni che, oltre ad aver messo a disposizione dei rivoluzionari importante somme di denaro, aveva trasformato la farmacia di via Milano (in quegli anni al numero civico 307 del borgo San Bartolomeo e oggi al numero 7) in un centro di assistenza per i comaschi che stringevano d’assedio la caserma di San Francesco (oggi sede del Tribunale di Como) dove erano acquartierate le truppe croate. Giuseppina Perlasca fu instancabile nel portare soccorsi ai feriti mettendo a disposizione bende, La resa delle truppe austriache il 22 marzo 1848 (quadro del pittore Francesco Capiaghi). 52 gd rivoluzione fasce, medicinali e ospitando nella sua casa i più gravi. Della presenza femminile in quelle giornate di marzo, il professor Antonio Odescalchi scrive che nelle piazze vi erano candide e ben tornite braccia a travolgere masserizie per rafforzare le barricate, e mani gentili ad accatastar pietre su per le finestre e pei tetti, pronte a lanciarle sui barbari ove fossero riusciti ad invadere la città. I penetranti sguardi e i teneri accenti non scendevano al cuore della gioventù per ammollirlo, ma si per aggiungere fiamma all’amor patrio, per infondere coraggio nella pugna. Il dottor Gaspare Casletti ricordava che il 20 marzo, quando riprese le ostilità si ebbe cura di costruire barricate o rinforzarle, specialmente intorno alle caserme, furono operosi non solo gli uomini, ma anche molte donne. Nello stesso giorno, quando una colonna di soldati austriaci uscì dalla caserma di San Francesco, avviandosi per il sobborgo di San Bartolomeo e fu presa di mira dagli insorti, fino le donne afferrarono le armi. La farmacista Giuseppina Bonizzoni in prima linea con nobildonne e popolane Se Giuseppina Perlasca è stata la protagonista assoluta delle Cinque Giornate di Como, molte altre non si sono risparmiate nell’azione comune e senza alcuna distinzione di censo e di ruolo. Donne dell’aristocrazia come la marchesa Giuseppina Clerici Martinez, la contessa Maria Cigalini Dal Verme Rosales e la nobildonna Giuseppina Raimondi Mancini hanno lavorato al fianco delle borghesi Luisa Riva Casati, Giuseppina Perlasca Bonizzoni, Elena Casati Sacchi, le sorelle Bianca e Gina Caronti, e delle popolane che, con alla testa la focosa Maria Minola, hanno imbracciato il fucile per combattere a fianco degli uomini. In quei giorni nessuno si tirò indietro e anche le monache, quelle di San Carlo, parteciparono alle Cinque Giornate di Como a modo loro, come si legge sulle cronache dell’epoca, non potendo in altro modo vi presero parte con le preghiere e non smisero fintantoché non seppero che i vincitori erano gli insorti. 53 gd di Alessandra Tremaroli* I l decreto legge numero 11 del 23 febbraio scorso, convertito nella legge numero 38 del 2009, nell’introdurre il nuovo reato di “Stalking”, ha previsto all’art. 8 una specifica misura di prevenzione denominata Ammonimento al fine di far cessare nel più breve tempo possibile gli atti persecutori. L’istanza di “ammonimen- stalking di violazione inizierà automaticamente un procedimento penale e la pena sarà aumentata. Considerato che i comportamenti vessatori tipici di questo reato minano profondamente l’autostima delle vittime, con gravi conseguenze sulla loro capacità decisionale, l’Ammonimento può rappresentare un valido punto di partenza per far cessare le condotte moleste senza dover intraprendere da Ammonire prima e isolare la violenza A Como 37 istanze di ammonimento to”, quindi, può essere avanzata, in alternativa al procedimento penale, quando la vittima abbia subito minacce o molestie reiterate, tali da provocarle disagi psichici o timore per la propria incolumità o per quella delle persone care, o pregiudizio alle sue abitudini di vita. Una volta verificata la fondatezza della richiesta, il Questore, tramite un ufficiale di P.S., ammonisce oralmente lo stalker invitandolo a tenere un comportamento conforme alla legge e ricordandogli che in caso 54 subito un percorso giudiziario. Un ulteriore motivo a favore dell’Ammonimento è rappresentato dal fatto che in linea di massima, per quella che è finora la nostra esperienza, gli stalker sono persone che non hanno avuto precedenti problemi con la Giustizia e pertanto sono piuttosto ricettivi ad una formale diffida da parte dell’ Autorità di P.S. ed alle conseguenze che la sua violazione comporterebbe. Dall’entrata in vigore della legge alla Questura di Como sono state avanzate 37 istanze di ammonimento: 16 sono diventate tali, 8 sono sfociate in querele, 8 sono state ritirate, 2 sono state trattate come esposti e 3 sono in trattazione. Si può affermare l’efficacia dell’Ammonimento, considerato che dei 16 provvedimenti emessi, solo in due casi le molestie sono continuate. La maggior parte dei casi (34) si riferisce a rapporti sentimentali tra ex partner: le condotte moleste sono state l’invio assillante di numerosi SMS, biglietti, lettere esprimenti sentimenti alterni di rabbia e nostalgia, minacce e richieste di perdono; comportamenti ossessivi sfocianti in appostamenti; telefonate a tutte le ore del giorno e della notte sia a casa sia sul luogo di lavoro; minacce di diffamazione; abuso verbale nei confronti dei nuovi partner. In tutti questi comportamenti era evidente la difficoltà da parte del molestatore di rassegnarsi. Solo tre casi hanno riguardato problemi di vicinato tanto gravi da non poter essere risolti attraverso una composizione bonaria. Le vittime nella maggior parte dei casi sono donne ma sono donne anche gli unici due casi di stalker che hanno continuato i comportamenti molesti successivamente all’Ammonimento. In altri casi, valutato il rischio elevato di violenze gravi, si è optato per l’azione penale che, in alcuni casi, ha visto l’applicazione di due divieti di avvicinamento e uno di dimora. In due casi, a seguito dell’Ammonimento, il Questore ha ritirato in via cautelare armi e munizioni, in quanto lo stalker aveva molestato e minacciato la vittima. *Dirigente Divisione di Polizia Anticrimine di Como gd Il racconto: sull’orlo della crisi Quando il grigio fa male di Maria Tatsos è di un colore scuro, grigio-antracite. Come la montatura dei Rayban che mi ero comprata tre anni fa, prima della crisi. O come il disegno della felpa griffata che mi ero concessa, con un colpo di follia, ai saldi invernali di quattro anni fa. Sì, perché una felpa aderente in cotone elasticizzato a 190 euro in saldo è comunque una follia. “Ma pigliatela, dai Valentina!”, mi aveva incoraggiato la mia migliore amica. “Scommetto che non ti sei spesa neppure tutta la tredicesima, e non sei andata in Egitto al mare, come progettavi!” No, non ero partita. Ma la tredicesima l’avevo spesa. Le feste. I regali. E poi, il mutuo. 550 euro al mese, con uno stipendio di 1200 netti. Stufa di pagare l’affitto, avevo acquistato un bilocale carino, con un terrazzino per metterci le piante e una sdraio per godermi il sole. Si vedeva anche un pezzetto di lago. Trecentomila euro: le cose belle si pagano. Ma con qualche risparmio e il mutuo pensavo di farcela. In fondo, mi restavano 650 euro al mese per le bollette, la spesa, l’auto e le uscite con gli amici. Pizzeria, ovviamente. Qualche happy hour. Le vacanze: con i low cost sono riuscita a far miracoli. Anche con uno stipendio da impiegata. Ahi, mentre parlo mi viene male. Vi dicevo, la felpa griffata aveva un disegno fashion in una tonalità di grigio simile a questa. E risaltava benissimo sullo sfondo beige. Un abbinamento cromatico simile a questo grigio-antracite su bianco giallognolo. Mi guardo allo specchio: ho un’aria tirata. Da quando sono disoccupata, dormo poco e male. L’azienda per la quale lavoravo è entrata in crisi più di un anno fa. La trattativa è durata alcuni mesi. Prima la cassa integrazione, poi poco alla volta ci hanno lasciato a casa con il sussidio. Ho dovuto chiedere un prestito ai miei genitori per continuare a pagare il mutuo. Ho azzerato le spese. Niente vacanze, rare uscite serali, al supermercato solo le promozioni e addio acquisti di moda. Mi sono concessa un paio di magliette a 3 euro l’una e dei jeans a 15 al mercato. Fine. Per gioco, ogni tanto entro un nego- S. Steinberg, 1946. zio, provo qualcosa, mi guardo allo specchio e poi restituisco alla commessa ringraziandola. Così mi tolgo lo sfizio di vedere se quel tono di grigio mi dona. Adoro il grigio. Ma questo grigio-nero che vedo ora è un’altra cosa. è colpa dei troppi caffè che bevo. Anche adesso, quando vado in giro, un caffè me lo concedo. Entro in un bar carino, chiacchiero col barista al banco e per un attimo mi sembra che tutto sia come prima. Sono solo 80 centesimi, è tra i pochi sfizi che mi posso ancora permettere! La macchia grigiastra mi fa male. Anche al cuore, perché mi ricorda la mia sfortuna. Mi guardo allo specchio, con la bocca ben aperta. Decido che me la terrò: non ho 300 euro da spendere… è il minimo che il dentista mi chiederebbe per sistemare questa carie. Post Scriptum. Non cercate Valentina, non la troverete. Ma il suo racconto è liberamente ispirato alla vita vissuta di tante donne in questi tempi di crisi economica. 55 Ticino: gravidanze non volute Svizzera: pillola abortiva libera scelta delle donne La RU486 è il metodo più utilizzato nella Confederazione per interrompere una gravidanza – Il 30% delle donne che abortiscono proviene dall’Italia di Antonella Sicurello M entre in Italia la pillola abortiva è ancora al centro di un acceso dibattito sull’opportunità di autorizzarla o meno, in Svizzera la RU486, introdotta nel 1999, è il metodo più scelto per interrompere una gravidanza. Nel 2008 il 57 per cento delle oltre diecimila donne che hanno abortito ha preferito la via farmacologica a quella chirurgica. In Ticino, su 682 aborti, 446 sono stati effettuati con la pillola. Ma a colpire è anche un altro dato: un terzo delle donne che hanno interrotto la gravidanza nel cantone a sud delle Alpi viveva in Italia. Ma il cosiddetto “turismo abortivo” non è una novità, anzi, dal 2003 è in costante aumento: il numero di aborti di donne residenti all’estero è quasi triplicato. L’interruzione farmacologica con la pillola abortiva Mifegyne o RU486 è ritenuta meno invasiva rispetto a quella chirurgica (che consiste in un’aspirazione in anestesia locale o totale), ed è effettuata a livello ambulatoriale. Dopo 36-48 ore dall’assunzione per via orale di tre compresse, sono prescritte prostaglandine per facilitare la dilatazione del collo dell’utero e l’espulsione dell’embrione. Sia il metodo chirurgico sia quello farmacologico possono avere complicazioni: traumi o ferite al collo dell’utero e infezioni con il primo; espulsione incompleta, con necessità di un’aspirazione per eliminare i resti dei tessuti embrionali con il secondo; forti perdite di sangue con entrambi. Privatizzare i costi? Il Ticino è il quinto cantone a livello nazionale per numero di aborti. Al primo posto si trova Zurigo (2.419), seguito da Vaud (1.432), Ginevra (1.417) e Berna (1.063). Il tasso di abortività svizzero è tra i più bassi in Europa: è del 6,9 per mille (7 aborti su mille donne in età fertile, cioè dai 15 ai 44 anni), contro il 17,2 della Francia, il 10,6 dell’Italia e il 7,1 della Germania. Una percentuale che comunque preoccupa i partiti svizzeri di centro-destra (Unione democratica di centro, Partito popolare democratico, Unione democratica federale e Partito evangelico), che hanno lanciato a fine gennaio un’iniziativa per porre un freno alle interruzioni di gravidanza. Chiedono che i costi dell’aborto non siano più coperti dall’assicurazione malattia di base ma privatizzati. Per la Fondazione svizzera per la salute sessuale e riproduttiva questa proposta è scandalosa, poiché mette in discussione il diritto di autodetermina- 56 Tasso di abortività più basso d’Europa: 6,9 per mille nel territorio elvetico zione di ogni donna. Diritto che era stato garantito nel 2002 con la depenalizzazione dell’aborto effettuato entro le prime 12 settimane di gestazione. Ticino: gravidanze non volute gd Così diamo ascolto alle vostre paure e incertezze Diversi enti offrono sostegno alle donne che devono affrontare una gravidanza indesiderata – Parla Mirta Zurini Belli, coordinatrice dei Cpf di Antonella Sicurello U na gravidanza indesiderata pone la donna davanti a un bivio: l’accettazione o il rifiuto. In Ticino esistono diversi enti, associazioni e servizi che possono aiutarla ad affrontare questa nuova situazione. Tra questi, i Centri di pianificazione familiare dell’Ente ospedaliero cantonale (Cpf). Non solo forniscono ai residenti in Ticino la consulenza e le prestazioni per problemi inerenti la gravidanza, ma danno indicazioni anche in materia di pianificazione familiare, di salute sessuale e procreativa. “Le donne si rivolgono spontaneamente ai nostri quattro consultori o sono inviate da medici esterni – spiega Mirta Zurini Belli, coordinatrice dei Cpf – Il nostro servizio collabora con i ginecologi degli ospedali pubblici ticinesi, garantendo alla donna l’applicazione delle misure giuridiche previste”. Quante persone chiedono aiuto ai vostri centri? Nel 2008 erano oltre tremila e le consulenze fornite 6.500. La maggioranza delle donne che richiedono l’interruzione di gravidanza in Ticino si rivolge a uno dei nostri centri. Tra queste, vi sono ragazze minorenni? Statisticamente sono pochissime le minorenni a trovarsi in situazione di gravidanza non desiderata. In genere le giovani ricorrono al nostro servizio per la consulenza sulla salute sessuale e la prevenzione alle infezioni sessualmente trasmissibili e procreativa. La pillola abortiva RU486 è sempre più utilizzata. è percepita come un metodo più semplice e meno invasivo rispetto a quello chirurgico? Il metodo più recente ritenuto meno invasivo è l’interruzione farmacologica della gravidanza. Gode quindi della preferenza della maggioranza delle donne. L’aumentato ricorso a questa modalità è evidente nei Paesi dove la RU486 è stata introdotta da alcuni anni. I vostri centri consigliano di più il metodo farmacologico o quello chirurgico? Le donne sono informate, più che consigliate, sulla scelta del metodo. Sta poi a loro decidere per quale dei due metodi di interruzione optare. Ovviamente sempre che il medico non riscontri una controindicazione oppure se l’età gestazionale lo esclude. Chiedono aiuto ai vostri consultori anche donne italiane? Sì, purtroppo non possiamo accogliere le loro richieste. La priorità è per le donne o le coppie che risiedono in Ticino. Centri pianificazione familiare Si trovano negli ospedali di Bellinzona, Locarno, Lugano e Mendrisio. Info: www.eoc.ch (aprire “pazienti e visitatori” e poi “consulenze”); [email protected]. Gli indirizzi dei servizi di sostegno sono riportati nell’opuscolo informativo “Una gravidanza indesiderata”, scaricabile in dieci lingue dal sito dell’Ufficio del medico cantonale www.ti.ch/med 57 Fra i camini delle fate di Maya Di Giulio I 58 l treno notturno che da Istanbul mi ha condotta ad Ankara in poco più di 9 ore prosegue la sua corsa verso est, per attraversare tutta la Turchia orientale fino al lago Van e oltre, verso il confine con l’Iran. Appena arrivata devo subito ripartire su un piccolo bus per attraversare l’immenso altopiano anatolico fino a raggiungerne il cuore, la Cappadocia. Per anni decine di viaggiatori mi hanno parlato di questa terra lontana dalle apparenze bizzarre e uniche al mondo: paesaggi fiabeschi usciti dal tocco della bacchetta magica di una Madre Natura particolarmente geniale. Il paesaggio via via cambia e nei pressi di Goreme incomincia un altro mondo. Insolito e quasi lunare, il luogo improvvisamente si riempie a perdita d’occhio di rocce bucherellate, scavate e snellite dal vento e dall’acqua, che si alternano ad alti pinnacoli che spuntano dalla terra sormontati da curiosi cappelli dalle forme strabilianti! L’erosione ha pazientemente modellato con fantasia sfrenata queste fantastiche strutture e nessun elemento assomiglia all’altro, in una confusione di forme indescrivibile. Sono i “Camini delle Fate”. quaderno di viaggio Sicuramente, come narra una leggenda del luogo, Entità magiche hanno posto su queste guglie di tufo i massi di basalto in equilibrio e chissà quali straordinarie creature vivranno tra queste rocce scolpite, nelle cavità segrete che furono un tempo rifugio di eremiti e anacoreti! Quanti sono i coni, le piramidi, le torri, i funghi, le guglie che riempiono queste vallate scoscese? Cammino nella luce di un crepuscolo ormai prossimo, tra i colori cangianti delle pareti di tufo: il bianco accecante di qualche ora fa ha ceduto il passo al giallo zafferano del mezzogiorno, per trasformarsi ora nel rosa acceso di un tramonto invernale infuocato. Entro in una delle tante chiese rupestri mimetizzata dentro una suggestiva parete: non esiste la facciata, si vedono solo delle aperture scavate che invitano alla scoperta. La forte luce della mia pila fa esplodere i colori degli affreschi di epoca bizantina, usurati dai secoli e sfregiati da mani irriverenti e rimango esta- siata davanti alla severa bellezza delle pitture di questo occultato luogo di devozione. Il vento sibila leggermente tra alte piramidi ocra, si infila nelle cavità delle rocce e gioca fra i magici Camini delle Fate. All’improvviso, da una valle laterale, come uscite dalle viscere della terra, enormi, colorate mongolfiere si alzano in volo per godere dell’ultimo raggio di sole su questo scenario fiabesco. Si muovono in una danza lenta co- gd me fossero sospinte da un respiro divino. All’orizzonte intanto, l’Erciyas Dagi, il grande vulcano spento incappucciato di neve, domina e sorveglia la landa sterminata. Vuoi imparare a disegnare o fare acquerelli per creare il tuo quaderno di viaggio? Dal 6 al 13 giugno stage di carnet di viaggio in Cappadocia. Scrivi a [email protected] 59 gd parità Contro le discriminazioni la tutela dei diritti L’attività di consulenza e di assistenza legale delle Consigliere di Parità nella Provincia di Como di Paola De Dominicis e Rosy Manganaro L ’attività delle Consigliere di Parità è in gran parte spesa per la tutela della donna nel lavoro. Le situazioni delicate di discriminazione che le donne raccontano e, aiutate, denunciano hanno spesso una forte ripercussione nella loro sfera personale e psicologica. C’è un elemento che accomuna i casi che quotidianamente affrontiamo: il disagio, la profonda sofferenza e persino la malattia con cui le donne vivono questi momenti della loro vita. è il caso di Mara, una donna di grande esperienza e professionalità, consapevole delle proprie competenze tecniche, spese per trent’anni in una importante realtà culturale dell’area comasca: non ha ricevuto alcun un riconoscimento formale carriera, concessi invece a colleghi uomini. 60 Abbiamo potuto solo offrirle consulenza, ma non rimuovere le condizioni discriminanti perché Mara non ha sporto denuncia formale e non ci ha conferito l’incarico di trattare con il datore di lavoro. La forza di andare sino in fondo, temendo possibili ritorsioni, Mara non l’ha trovata. Invece Donatella ha trovato il coraggio ha denunciato l’ente che non le riconosceva la progressione di carriera e le responsabilità già ricoperte. Donatella, plurispecializzata, si dedicava ad aggiornamenti continui, ma non sono stati sufficienti per ottenere quei riconoscimenti formali che altri colleghi hanno avuto. Lottando contro la sua timidezza, Donatella ha trovato la forza di rivolgersi a noi per riscattare tutti gli anni non riconosciuti e di denunciare. Abbiamo potuto avviare l’iter per fare valere i suoi diritti sulla base delle norme di parità e della pari opportunità. Numerosi anche gli interventi nei casi di madri lavoratrici. Ludovica, una giovane madre, era stata costretta alle dimissioni dall’azienda nel primo anno di vita del suo secondo figlio con la promessa di una nuova assunzione. Poco dopo l’assunzione, però, Ludovica è stata licenziata senza alcun riconoscimento dei suoi diritti di madre lavoratrice. L’azienda sin dall’inizio si è mostrata riluttante a una soluzione equa che secondo la legge prevede il reintegro della lavoratrice sul posto di lavoro: siamo allora state costrette a intraprendere un’azione legale avvalendoci delle funzioni di un avvocato messo a disposizione gratuitamente dal nostro ufficio. Siamo riuscite a ottenere una conciliazione risarcitoria importante sottoscritta da ambo le parti. Con un’altra giovane madre, Francesca, è stato possibile evitare il ricorso alle dimissioni volontarie da lei ipotizzate a causa del rifiuto iniziale dell’azienda di concederle un part-time. L’analisi delle situazioni denunciate dalle donne evidenzia una tipologia di discriminazioni varia ma soprattutto problemi di conciliazione dei tempi legati alla maternità e conseguente richiesta di orari ridotti/flessibili, variazione dei turni o trasferimenti, discriminazioni nella progressione di carriera, licenziamenti discriminatori. violenza psicologica La paura corre sul filo – Rinnovare la tua patente? Ma non farmi ridere! Far ridere suo marito era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare. Soprattutto in quel momento. La sua voce era diventata acuta, tagliente e solcava l’aria come una scudisciata. Sapeva bene lui come ferirla, anche senza toccarla. – Potrei accompagnare i bamb… – Accompagnare i bambini? Ma sei impazzita? In macchina con te non li lascerei proprio! Guidi come un cane, ti distrai per niente, non se ne parla neanche. – Potrei andare a fare la spesa… – Ti ho mai fatto mancare qualcosa? Non ho sempre pensato io a tutto? Mi sto spaccando la schiena, io, per farti fare la signora, sì, la signora con autista e tu, tu… cosa vuoi di più? – Potrei andare a trovare… – Le tue amiche? Oche come te… Che non sanno come arrivare a sera. Sempre pronte a spettegolare su tutto e tutti. Marina si sentiva sfinita, fragile, priva di volontà. A poco a poco, suo marito l’aveva allontanata da tutti, con critiche sempre più feroci nei confronti di quanti lei conosceva. Nessuno meritava di frequentare la loro casa. Attorno a lei aveva fatto il deserto. L’aveva convinta a lasciare il lavoro, ad accudire i bambini a tempo pieno, come aveva fatto sua madre. – Come fanno tutte le madri degne di questo nome. Tu puoi contare su di me. Devi contare su di me. Io mi spacco la schiena per loro. Come puoi non capire? – Potrei andare a trovare mia madre… – Vuoi andare da tua madre? E vai, chi te lo impedisce… Ma ricordati, qui non si ritorna e i bambini puoi scordarteli! I bambini, sempre loro, usati come strumento di ricatto. Sapeva che lei non avrebbe avuto il coraggio di lasciarli, che l’aveva in pugno. L’aveva trasformata in un automa, senza più volontà, senza più orgoglio e dignità. Sperava che la richiesta di rinnovare la patente avrebbe segnato un cambiamento, la possibilità anche minima di un’iniziativa personale, uno spiraglio pur piccolissimo verso un percorso nuovo. Chiedeva forse troppo? Aveva forse ragione lui, a sentirsi tradito? Lei era disorientata. Abbassò la testa come altre volte. Non aveva più voglia di lottare. Si alzò e cominciò a sparecchiare concentrandosi in quell’impegno così importante. Ripulire bene i piatti dagli avanzi, impilarli con cura, a cominciare dai più grandi. Non prenderne troppi, altrimenti pesano e non ce la fai. Altrimenti pesano e non ce la fai! Questo ritornello la tormentò tutta la notte, altrimenti pesano e non ce la fai, insieme a una immagine che danzava nella sua mente, fino al mattino. Si alzò come sempre. Preparò la colazione per tutti. I bimbi pronti, un bacio veloce… L’immagine, che aveva visto nella sala d’attesa del suo medico, ritornò improvvisa come un lampo. Una locandina, un telefono, un filo attorcigliato… come quello che sentiva alla sua gola, insistente, d’acciaio… come la voce di suo marito che non le lasciava scampo… – Pronto? Non so più chi sono. Sono una donna…ho bisogno… aiutatemi! Tel. 031 304 585 61 FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI FEMMINILI TICINO A zigzag fra corsi e seminari Il Senato delle Donne e la FAFT (Federazione Associazioni Femminili Ticino) editori del mensile Geniodonna, organizzano corsi e seminari. Ecco il programma della nuova stagione. INFORMATICA 1° livello 12 lezioni di due ore ciascuna nelle giornate di martedì e giovedì. Ultimi giorni per iscriversi. INFORMATICA 2° livello 10 lezioni di due ore ciascuna dalle 17:30 alle 19:30 nelle giornate di mercoledì e venerdì. entrambi i corsi saranno tenuti dall’insegnante d’informatica Anna Morello, presso l’Istituto Pessina di Como. Le iscrizioni resteranno aperte fino a metà marzo; i corsi inizieranno al raggiungimento del numero minimo d’iscritti. ESSERE GENITORI OGGI Si tratta di 4 incontri tenuti dalla pediatra Roberta Marzorati e dall’insegnante Clara Debiase, a partire da venerdì 5 marzo (12 marzo, 19 marzo, 26 marzo) seguiti da discussione. Dalle 20:30 alle 22:30. Luogo: Senato delle Donne, via don Minzoni,12 Como. le nostre figlie crescono 4 momenti di discussione e di ri- flessione sul rapporto genitori e figlie, in un mondo dove i modelli proposti sono “veline” e indossatrici. Gli incontri saranno tenuti dagli piscologi Elisabetta Gagliardi e Alessandro Longatti. Argomenti: le trasformazioni sociali, i nuovi media, immagine e sesso, bullismo femminile. Tempi: da giovedì 4 marzo (11 marzo, 18 marzo, 25 marzo), presso la sede del Senato delle Donne in via don Minzoni, 12 Como. 20:30-22:30 Espressione pittorica 4 incontri per esplorare il fantastico di donna e uomo e l’interagire fra di loro. Il corso è tenuto da Yolande Guillet; la data e gli orari sono da definirsi. Luogo: il Senato delle Donne in via don Minzoni,12 Como. legatoria artigiana Il corso si articola in due moduli coordinati e propone di dare la conoscenza pratica e teorica per poter operare nel campo della legatoria artigianale e nella cartotecnica. Il corso è tenuto da Dario Piccarreta, maestro formatosi presso le scuole di restauro e legatoria artigianale a Milano e Firenze. La sede: il laboratorio “Il Libro Antico” a Como, in via Italia Libera 20. Le iscrizioni sono aperte da ora fino al 3 marzo. Diritto del lavoro Ticino: diritto del lavoro Mendrisio, marzo–aprile 2010) Il corso permetterà alle donne di acquisire gli strumenti per essere riconosciute nell’ambiente lavorativo, facendo loro conoscere i diritti derivanti dal contratto di lavoro, dalla legge sulla parità dei sessi, dalle assicurazioni sociali. L’ultima sera valorizzerà le donne alla ricerca di un impiego o di reinserimento. Modulo 1: Diritto del lavoro e Legge sulla parità dei sessi Modulo 2: Contratti collettivi di lavoro Modulo 3: I diritti delle frontaliere Modulo 4: Le assicurazioni sociali Modulo 5: Strategie per trovare lavoro Iscrizioni entro il 10 marzo a Faft, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure [email protected] seminari • L’economia della differenza Coordinatore prof. Luca Michelini, storia del pensiero economico, docente alla LUM di Bari. • La letteratura nell’area insubrica, poete e poeti scrittrici e scrittori: coordinatrice Angela Cerinotti, professoressa di storia della letteratura. lingua araba è stato attivato il corso di lingua araba: docente Noura Azmil. Le iscrizioni a tutti i corsi sono aperte da ora fino al 15 marzo. Como: info tel. ++39.031. 2499829/031 2759236 E-mail: [email protected] oppure presso la sede di Geniodonna in viale G. Cesare, 7 • www.geniodonna.it Lugano/Massagno: FAFT via Foletti, 23 E-mail: [email protected] 62 FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI FEMMINILI TICINO La vita è una corsa a ostacoli? Un corso per avanzare senza intoppi Margherita Buy e Guido Caprino. 63 differenze gd Ciclo di film e feste contro la discriminazione Film di ComoGayLesbica con l’appoggio dell’Amministrazione Provinciale F u così che l’Amministrazione Provinciale di Como ci convocò per un incontro. Una nutrita delegazione dei nostri soci varcò la soglia della sala in cui stava aspettando una altrettanto numerosa rappresentanza dei consiglieri che fanno parte della Commissione Pari Opportunità con l’Assessore stessa a capo. Erano interessati a discutere eventuali progetti per la giornata mondiale contro l’omofobia, il 17 di maggio. L’anno scorso avevamo organizzato un incontro con Vladimir Luxuria che venne a presentare il suo nuovo libro di fiabe. Andò molto bene, c’erano tante persone e la serata si concluse davvero in bellezza. Quest’anno, invece, vogliamo dare un taglio diverso: fra molte idee che sono state discusse alla fine ha prevalso il cinema. L’amministrazione Provinciale si è dimostrata entusiasta della nostra iniziativa, tant’è vero che ci ha concesso il riconoscimento del Patrocinio. Ci ha stupito anche perché c’è stata una forte partecipazione alla scelta dei quattro film in programma. Il titolo della rassegna sarà Sotto lo stesso cielo e prevede la presentazione e la proiezione di un film a tematica gay, uno a tematica lesbica, uno trans e uno che vuole trattare della discriminazione di tutte queste aree sociali. è stato difficile scegliere tra la grande produzione di film di questo genere, anche perché volevamo proporre pellicole dove le problematicità legate all’omosessualità sono presentate con una buona dose di autoironia ma non in modo superficiale. Co- sì dopo un lungo confronto tra noi e L’Amministrazione Provinciale sono emerse le seguenti proposte: Transamerica e Women, due film che affrontano sia la tematica lesbica sia quella trans in modo approfondito e serio indagando sui significati di una scelta che però scelta non è. Gli altri due titoli sono invece Diverso da chi? e A single man, usciti da poco nella sale cinematografiche: trattano temi diversi inglobando la tematica gay quasi in punta di piedi e concentrando l’attenzione dello spettatore sul tema della diversità in generale. I film saranno proiettati in quattro serate: 21, 28 aprile e 5 maggio alle ore 20,45; il 16 maggio si chiuderà con l’ultimo film dalle ore 18 e, a seguire, ci sarà una grande festa. La sala scelta è quella dell’ArciXanadù, importante voce culturale della città che sta attraversando un momento difficile ma che deve sopravvivere. Anche la commissione Pari Opportunità ha caldeggiato questa idea.Vi aspettiamo numerosi alla rassegna. Come abbonarsi a Geniodonna per l’Italia In posta: compila e versa 30 euro col bollettino postale prestampato che trovi allegato a questo numero: riceverai le nostre pubblicazioni 2010. In banca: versamento bancario su Banca Popolare di Sondrio IBAN IT56 G056 9610 9000 0000 9159 X71 Come abbonarsi a Geniodonna per la Svizzera Sottoscrivi l’abbonamento 2010 versando frs. 50.- ccp 69-7175-8 oppure comunicando i tuoi dati (indirizzo completo) a: FAFT, via Foletti 23, 6900 Massagno oppure a: [email protected] Segnalaci l’indirizzo di un’amica o di un amico che ritieni possa essere interessata/o al mensile. Per l’Italia a: [email protected] oppure tel. +39 031 2759236 Per la Svizzera a: [email protected] 64