Pietro Donato Perrone LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Per la dignità e la salute dei lavoratori: alla carica in cinque secoli di storia Edizione 2010 Edito da INAIL - Direzione Centrale Comunicazione Piazzale Giulio Pastore, 6 [email protected] In copertina: Caravaggio, Medusa, 1598 - Galleria degli Uffizi, Firenze Stampato dalla Tipolitografia INAIL nel mese di settembre 2010 La Leyenda del Indio Dorado è un viaggio nella storia, in cinque secoli di storia del lavoro, un viaggio nelle viscere della terra, nella periferia della vita e dell’uomo. Ed è un viaggio in una memoria secolare da cui emergono i ricordi di chi ha dedicato tutta la vita al lavoro in miniera. Questo quaderno ha lo scopo di riportare alla memoria le mille e mille storie di miseria schiacciate dal rischio di malattia e di morte che incombe quotidianamente in quei budelli dell’inferno, sotto la terra. Ma quei cunicoli, quei pozzi, quelle gallerie, che troppe volte inghiottono la vita e le speranze di coloro che scavano con le unghie e con i denti, sono qualcosa di ancora più profondo, raggiungono l’intimo delle coscienze. Quindi la loro storia diventa metafora, immagine per raccontare degli sforzi, e al tempo stesso dei sacrifici, profusi dagli uomini nel loro viaggio sulla terra. Con questa prospettiva davanti, Pietro Donato Perrone apre questo quaderno raccontando la storia di uno scienziato del 1500 che ha assunto in quegli anni il ruolo di “faro”, preoccupandosi di dare un po’ di luce al buio di quelle mille e mille miserevoli vite. In quegli anni, filosofi, pensatori e scienziati diedero vita alla rivoluzione scientifica che mise a soqquadro tutte le certezze dell’uomo sulle cose del mondo e dell’universo. Tra questi, Georg Bauer, italianizzato come Giorgio Agricola, nacque il 24 marzo 1494 e morì il 21 novembre 1555. Nelle pagine che seguono vedremo gli avvenimenti che hanno fatto da sfondo ai suoi anni e scopriremo, non senza sorpresa, l’intenso interesse scientifico di Bauer per le condizioni degli uomini delle miniere. Il contesto temporale è quello compreso tra il 1480 e il 1560, l’arco di vita del “nostro” scienziato. E vedremo che vita. E che uomo! Saremo così testimoni di fatti ed eventi che si collocano tra la Meraviglia e la Tragedia. L’autore lo segue fedelmente intrecciando, in forma un po’ espressionista, il filo dei cinquecento anni trascorsi fino ad oggi. Fra Meraviglia e Tragedia scorgeremo la trama che alcuni fatti dolorosi ed alcuni personaggi esemplari hanno tessuto nella nostra memoria. Una trama a forti tinte e contrasti stridenti, così come solo la storia può tessere. La Leyenda del Indio Dorado è la leggenda delle ricchezze nascoste nelle viscere della terra del Nuovo Mondo, scoperto proprio negli anni di Bauer. In quel nome, tuttavia, nel nome di Eldorado, si può scorgere ancora, oggi come allora, il fiume di lava della cupi- digia che eruttò dalla Vecchia Europa e che come una corrente di fiamme si propagò nell’opposto emisfero, sommergendo di magma incandescente le civiltà millenarie che erano germogliate in quei luoghi. I fatti ed i personaggi di cui si narra nel quaderno de “La Leyenda” sono illustrati attraverso i documenti ufficiali ed in questo senso il lavoro di ricerca si è avvalso soprattutto delle fonti disponibili su Internet, procedendo ad incrociare i dati ed i riferimenti al fine di verificarne l’attendibilità. In conclusione, il viaggio che Pietro Donato Perrone ci fa compiere nella terra dell’Eldorado è un viaggio attraverso i territori della Storia e della Civiltà. La Storia, che diventa grande quando si coniuga con il riconoscimento della dignità dell’Uomo e con la promozione delle migliori condizioni di vita e di salute per tutti i lavoratori. E la Civiltà, che matura ogniqualvolta il sacrificio dei lavoratori diventa occasione per nuove consapevolezze e nuove conquiste della coscienza civile. Marco Stancati Direttore Responsabile della Rivista degli Infortuni e delle Malattie Professionali SOMMARIO Prologo 1 Capitolo 1 - De Re Metallica 1.1 Un contributo alla storia del lavoro 1.2 De Re Metallica, Libro VI, Georgius Agricola, 1556 Capitolo 2 - La pazza corsa 2.1 Giorgio Bauer 2.2 A passo di carica 19 19 27 41 41 45 Capitolo 3 - Marcinelle 61 Capitolo 4 - Monongah 81 Bibliografia 118 Prologo È la leggenda dell’Oro, della folle rincorsa alla ricchezza, delle mille fatiche per accaparrarsi il povero frutto del Diavolo. Una cavalcata nei territori dell’uomo, nei domìni del desiderio e nelle praterie della speranza. Sono storie di dolorosa disperazione e di riscatto morale. Ma è anche la storia degli umili uomini che si infilavano nei cunicoli e nei pozzi senz’aria, scavati sotto terra, nel regno delle Ombre, frequentati da creature bestiali, demoni e mostri. Ed è un viaggio. Un viaggio esplorativo nelle gallerie oscure di quelle regioni senza Luce, di quei pozzi senza Cielo, per ricordare le condizioni di vita di quelle misere creature. 1 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO È, ancora, la storia fatta dalle mille e mille storie che nessuno vuole o può più rammentare, ma che sono le storie di mille e mille umili uomini che, simili a vermi nel fango, si sono calati nelle miniere per sottrarre la ricchezza alle viscere della terra. È un viaggio nella storia, in cinque secoli di storia, con l’obiettivo di donare l’onore della memoria a chi, tra i primi, ha ritenuto importante offrire un contributo alla dignità delle mille e mille storie che parlano di miseria, di rischi, di malattie e, troppo spesso, anche della morte di quei mille e mille piccoli uomini. Cavalcando a passo di carica nel secolo che segna il confine con l’epoca moderna, in quegli anni che hanno conosciuto meraviglie e tragedie senza pari, vediamo all’opera filosofi, pensatori e studiosi che hanno dato vita a quella rivoluzione scientifica che avrebbe messo a soqquadro tutte le certezze dell’uomo relative alle cose del mondo ed a quelle dell’universo. Tra questi vi è Georg Bauer, che si è occupato dei mille e mille piccoli uomini delle miniere. Questo erudito luminare del Rinascimento delle Arti e delle Scienze, oltre a descrivere le misere situazioni in cui erano condannati ad operare i lavoranti delle miniere, ha trattato scientificamente la questione del “che fare” per alleviare le inumane sofferenze provocate da quel lavoro nelle viscere della terra. Prendendo il via dai suoi scritti ed intrecciando i fili che hanno percorso cinquecento anni di storia, sono venuti alla luce preziosi frammenti di quei tempi lontani. Nel portarli all’attenzione dei lettori, mi sono sentito come uno degli esploratori che quasi cinque secoli fa scoprivano fette inesplorate di mondo. Nelle miniere della memoria scavate in questi cinque secoli, ho trovato giacimenti immensi di meraviglia attraversati da filoni profondi di angoscia, vene di ricchezze smisurate perdute nei pozzi oscuri dell’ingordigia più inconfessabile. Ma ora cominciamo questo splendido viaggio nel tempo e gustiamoci direttamente un “pezzo” del raccondo di Francisco Pizarro sulla scoperta delle Terre del Perù, delle immense ricchezze nascoste nelle viscere delle montagne di quelle lande sperdute e delle tremende imprese compiute per la brama di conquista. 2 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Dal: “Discorso sopra il discoprimento e conquista del Perù” di Francisco Pizarro Pubblicato in: “Navigationi et viaggi di Giovanni Battista Ramusio (1485 - 1557)” - Vol. IV L’umanista, storico e geografo trevigiano Giovanni Battista Ramusio (1485 - 1557) raccolse nella sua celebre opera Navigationi et viaggi, seguendo un ordine storico-geografico, gli scritti e le relazioni di viaggio dei grandi viaggiatori ed esploratori di terra e di mare, dall’età classica ai suoi tempi. La monumentale opera si compone di tre grandi volumi pubblicati tra il 1550 e il 1559: nel primo, dedicato all’Africa, sono descritti animali esotici, tra cui l’iguana. GIOVANNI BATTISTA RAMUSIO, Delle navigationi et viaggi In Venetia, appresso i Giunti, 1606. Introduzione al Vol. IV delle “Navigazioni” Discorso sopra il discoprimento e conquista del Perù. Ora che abbiamo finite le narrazioni che da noi si son potute aver del discoprimento e conquista della Nuova Spagna fatta per il signor Fernando Cortese, si comincierà a dire di quella parte di terra ferma sopra il mar del Sur chiamata il Perú, la quale al presente è discoperta intorno intorno con diverse navigazioni, e tien di larghezza mille leghe e di lunghezza 1200 e di circunferenza 4065. Dico, cominciando da quella parte di detta terra ferma che si ristringe tanto fra il mar del Nort e quello del Sur, che non vi è di spazio piú che 60 leghe, cioè dalla città del Nome di Dio, ch’è verso levante, a quella del Panama, che è verso ponen- 3 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO te, il qual Panama sta in gradi otto e mezzo di sopra dell’equinoziale: e se questo stretto di terra di 60 leghe fussi tagliato, tutto il Perú della grandezza che abbiamo detto sarebbe isola e corre da questi gradi otto e mezzo di sopra l’equinoziale fino a 52 sotto il polo antartico, dove è il stretto di Magalianes. Ora di questo gran pezzo del mondo di nuovo trovato vi sono stati varii discopritori, perché di quella parte che guarda verso levante nel mare del Nort si son vedute varie navigazioni nel libro del signor Pietro Martire, e della terra del Brasil per le navi de’ Portughesi, e della navigazion scritta per il signor Antonio Pigafetta; e avendosi letto il discoprir che fece Vasco Nunez di Balboa del mar del Sur, si proseguiranno le narrazioni del conquistare del detto paese del Perú, fatto d’alcuni capitani spagnuoli. E però dico, avendo Pedrarias d’Avila fondato la città del Panama, come s’è letto, si trovarono fra gli abitatori di detto luogo due cavalieri ricchissimi per l’imprese passate, che, desiderosi di non stare in ozio, s’accordarono di mandar a discoprire piú oltre la terra che correva sopra il detto mar del Sur verso ponente: e questi furono Francesco Pizarro e Diego d’Almagro; e determinarono che un di lor andasse in Spagna a farsi dar la governazion della terra che scoprissero, che fusse commune fra loro; e andatovi il Pizarro, promettendo gran tesori alla Maestà cesarea, fu fatto capitano generale e governatore del Perú e della Nuova Castiglia, che cosí fu chiamato detto paese. Condusse di Spagna detto Francesco quattro suoi fratelli, cioè Ferrando, Gonzalo e Giovan Pizarro e Francesco Martin d’Alcantara, fratello di madre. Giunti questi Pizarri nel Panama con gran fausto e pompa, non furon ben veduti dall’Almagro, qual si vedea escluso dagli onori e titoli, essendo compagno dell’impresa: e furono in grandissima discordia; pur, intravenendo molti gentiluomini, e specialmente quelli venuti di Spagna nuovamente, s’accordorno insieme, promettendoli il Pizarro di procurargli un’altra governazione nella detta terra. Or l’Almagro, acquietatosi, dette 700 pesi di oro, l’armi e vettovaglie che avea al Pizarro, qual andò a far l’impresa, come si vedrà nelle sotto scritte tre narrazioni. E veramente questi due capitani meriterebbono grandissime lodi di questa cosí gloriosa impresa, se alla fine per avarizia, accompagnata con l’ambizione, non si fossero ribellati contro alla Maestà cesarea, e tra loro non avessin fatto molte guerre civili con li Spagnuoli medesimi, le quali ebbero infelice e sfortunato esito. E tutti quelli che si trovarono alla morte del caciche Atabalipa, nominati nelle infrascritte relazioni, fecero cattivo fine, come si vedrà nel quarto volume di queste navigazioni. E accioché si sappin le condizioni di detti due cavalieri, dico che Diego d’Almagro era nativo della città d’Almagro in Spagna, il padre del qual non 4 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO si seppe, ancor che lui procurasse d’intenderlo, poiché si vidde ricco. Non sapeva leggere, ma era valente, diligente e amico d’onore, e desideroso d’esser lodato, e sopra tutto liberalissim,. e per questa causa tutti i soldati l’amavano fuor di misura, perché dall’altro canto era molto aspro e di parole e di fatti. Donò piú di centomila ducati del suo a quelli che furono con lui all’impresa de Chili: liberalità piú tosto di prencipe che di soldato. Alla fine per ambizione di signoreggiare venne alle mani con Francesco Pizarro, qual lo fece prender da Hernando Pizarro suo fratello e, posto in prigione nel Cusco, lo fece strangolare, e poi in su la piazza gli fece tagliar la testa, nell’anno 1538. Mai ebbe moglie, ma di una Indiana nel Panama ebbe un figliuolo del suo nome medesimo: fecegli insegnare e ammaestrarlo con ogni diligenza, riuscí un valente cavaliero e piú che alcuno altro nato d’Indiana, ma alla fine fu fatto morir per le mani di detti Pizarri. Francesco Pizarro fu figliuolo naturale di Gonzalo Pizarro, capitano in Navarra. Nacque nella terra di Trugillo, e fu da sua madre posto sopra la porta d’una chiesa: pur, riconosciuto dal padre doppo alcuni giorni, lo pose a stare in villa alle sue possessioni. Non seppe leggere, e vedendosi in quel stato, essendo grande, sdegnatosi si partí e venne in Sibilia, e de lí nell’Indie. Stette in S. Domenico, e passò ad Uraba con Alfonso d’Hoieda e Vasco Nunez di Balboa, a discoprire il mar del Sur, e con Pedrarias d’Avila nel Panama. Costui possedette piú oro e argento che alcun Spagnuolo over capitano che sia mai stato per il mondo; non era liberale né scarso, né si vantava di quel che donava, ma era sollecito molto del util del re; giocava largamente con ogni sorte d’uomini senza far differenza d’alcuno. Non vestiva riccamente, ancorché alcune fiate portassi una vesta foderata di martori, che Fernando Cortese li mandò a donare; si dilettava di portare le scarpe e il cappello di seta di color bianco, perché cosí portava il gran capitan Consalvo Ferrando. Fu uomo grosso, non seppe leggere, fu animoso, robusto e valente, ma negligente in guardare la sua vita, perché li fu detto e fatto intendere che Diego d’Almagro, al quale avea fatto morire il padre, come è detto, trattava di farlo ammazzare, ed egli non lo volse mai credere, finché i congiurati non gli furono adosso nella città de los Reyes e con le spade lo finirono: e fu del 1541, a’ 24 di zugno. Gonzalo Pizarro, dapoi la morte di Diego d’Almagro e di Francesco suo fratello, si ribellò contra alla Maestà cesarea e si fece chiamar re del Cusco; e dapoi molti conflitti con capitani di Cesare, fu preso e fattogli tagliar la testa nella città de los Reyes del 1548. E non è fuor di proposito di considerare come tutti i capitani che furon al discoprimento del Perú e alla morte del cacique Atabalipa feciono mala fine: perché Giovan Pizarro, fratello di Francesco, fu morto dagli Indiani nel Cusco; e Francesco Pizarro 5 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO e suoi fratelli feciono strangolare Diego d’Almagro; e Diego d’Almagro suo figliuolo fece ammazzare Francesco Pizarro; e il licenziado Vacca di Castro fece tagliar la testa al detto Diego; e Blasco Nunez Vela fece prigione Vacca di Castro, il qual non è ancor fuor di prigione di Spagna; Gonzalo Pizarro amazzò in battaglia Vasco Nunez; e Gasca giustiziò Gonzalo Pizarro, e mandò preso in Spagna l’auditore Cepeda, perché gli altri suoi compagni erano morti: di sorte che chi volesse andare dietro raccontando troveria piú di 150 capitani, uomini con carico di governo e di giustizia e d’eserciti, esser periti, alcuni per mano d’Indiani, altri combattendo fra loro, ma il piú di lor fatti appiccare. Gl’Indiani di quel paese, uomini vecchi e prudenti, e molti Spagnuoli dicono queste morti e guerre procedere dalla constellazione della terra e dalla ricchezza di quella; ma li piú prudenti l’attribuiscono alla malizia e avarizia degli uomini, ancorché dicono che, dapoi che s’arricordano (ancora che abbino cento anni), mai mancò la guerra nel Perú, perché Guainaca, Opanguy suo padre, ebbero continuamente guerra co’ suoi vicini per signoreggiar soli quella terra, e Guaxcar e Atabalipa fratelli combatterono sopra il dominare quanto potettono, e Atabalipa ammazzò Guaxacar suo fratello maggiore, e Francesco Pizarro amazzò e privò del regno Atabalipa per traditore. E quanti procurarono la morte del detto fecero la sua fine infelice e dolorosa, come è sopra detto; e il reverendo fra Vicenzio Valverde, che fu alla presa del Cusco, come si leggerà, fu fatto vescovo del Cusco, e alla fine, fuggendo da Diego d’Almagro, fu fatto morir dagl’Indiani dell’isola della Puna. Hernando di Soto, partito dal Perú e andato nel paese della Florida, fu morto dagl’Indiani; e Hernando Pizarro, se ben non si trovò alla morte d’Atabalipa, pur fu mandato prigion in Spagna in la Mota di Medina del Campo, per causa della morte d’Almagro. Sopra tutta questa regione del Perú sono state fondate diverse città, alle quali è stato posto i nomi di quelle città di Spagna, e a ciascuna assegnato il suo vescovo, come la città de los Reyes sopra il mar del Perú è fatto arcivescovado, e li suoi suffraganei sono il vescovo del Cusco, del Quito, Carcas e Tumbez, e ogni dí si va nobilitando. Tutta questa regione del Perú è divisa in tre parti, cioè pianura, montagna e andes. La pianura è molto calida e arenosa e s’estende lungo la marina, e cominciando da Tumbez non vi piove né tuona né vi vengono saette, e corre di costa 500 leghe o piú, e di larghezza fino in dieci o dodeci, fin al piede della montagna; e gli uomini si servon, tanto per il bere quanto per lo irrigare i terreni lavorati e seminati, delli fiumi e fontane che descendon dalli sopradetti monti, quali non s’allontanano 15 o 20 leghe dal mare. La montagna è una schiena di monti altissimi che corre 700 o piú leghe, su le quali vi piovono grandissime acque e vi nevica in gran copia, ed è molto fredda; e gli abitatori che stanno fra 6 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO quel freddo e caldo sono per la maggior parte guerci o ciechi, ed è gran maraviglia che fra tanti uomini non ve se ne trova a pena due soli che non sieno ciechi o guerci. Queste son le piú asprissime montagne che si trovino al mondo, e hanno principio nella Nuova Spagna e piú oltra, ed entrano fra il Panama e il Nome di Dio, e s’estendon sino al stretto di Magalianes; da’ quali monti nascon grandissimi fiumi, che descendon nel mar del Sur e nel mar del Nort, com’è il fiume della Plata e del Maragnon. Andes son valle molto popolate e ricchissime d’oro e d’argento e d’animali, ma non s’ha di queste tanta notizia come della montagna e della pianura. E questa narrazione con brevità abbiamo voluto discorrer per satisfazione de’ lettori, la qual piú distintamente leggeranno nel 4° volume. 7 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Relazione d’un capitano spagnolo della conquista del Perù. Come il signor Hernando Pizarro, andando ad una moschea, qual si diceva esser molto ricca d’oro, trovò in diversi luoghi grandissima quantità d’oro, datogli per alcuni capitani d’Atabalipa per riscattarlo. E come spogliorono il tempio del Sole, coperto di lastre d’oro, e similmente molte case e pavimenti e muri, i quali erano coperti d’oro e d’argento. In questi giorni fu portato certo oro, e di già il signor governatore aveva inteso come in quella terra era una moschea molto ricca, nella quale era molto piú oro di quello che ‘l cacique gli aveva promesso, perché tutti li caciqui di quelli paesi adoravano in quella, e similmente il detto Cusco, li quali venivano ad intendere quello che avevano a fare, e molti dí dell’anno venivano ad un idolo che avevano fatto, e gli davano da bere in uno smeraldo concavo. Sapendo questa cosa il signor governatore e tutti gli altri cristiani che v’erano presenti, il signor Hernando Pizarro dimandò di grazia al governator suo fratello che li desse licenzia di poter andar a quella moschea, perché voleva veder quel falso iddio, o per dir meglio quel demonio, poiché aveva tanto oro. Il governator li dette licenzia, e menorono alcuni Spagnuoli con loro, con i quali il demonio poteva aiutarsi molto poco: e questo fu l’anno 1533. Il signor governatore e tutti quelli che restammo ci trovavamo ogni giorno in molto travaglio, perché il traditor d’Atabalipa faceva continuamente venir gente contra di noi, quali venivano, ma non bastava lor l’animo d’assaltarci. Arrivò il signor Hernando Pizarro ad un luogo detto Guamacuco, e vi trovò oro che portavano per riscatto del cacique Atabalipa, che poteva esser da 100 mila castigliani d’oro, e scrisse al governatore che mandasse per quello oro, accioché venisse con buona guardia. Il governatore mandò tre uomini a cavallo che lo accompagnassero, a’ quali arrivati consegnò l’oro, e passò avanti al cammino della moschea, e coloro si tornorono al governatore. E nel cammino accadé che li compagni che portavano l’oro vennero insieme alle mani per alcuni pezzi d’oro, e uno tagliò un braccio all’altro: il che non averia voluto il governatore per tutto il detto oro. Stando nella città di Caxamalca quaranta giorni il governator senza speranza d’aiuto, venne Diego d’Almagro con cento e cinquanta Spagnuoli in nostro soccorso, dal quale intendemmo che voleva far abitare un porto vecchio detto Cancebi, ma, come intese che noi avevamo trovato tanto oro, come fedel servitor dell’imperadore venne in nostro soccorso. Il cacique Atabalipa in questo tempo disse al governatore che l’oro non poteva venir cosí presto, perché, stando lui prigione, gli Indiani non lo ubbidivano, e che 8 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO mandasse tre cristiani al paese Cusco, che questi portariano molto oro e disforniriano certe case che di lame d’oro erano coperte, ne portariano ancora molto che si trovava in Xauxa, e che potevano andare sicuri, perché tutto il paese era suo. Il governatore vi mandò uomini, raccomandandogli a Dio, li quali cristiani menorono assai Indiani che li portavano in hamacas, quale è a modo d’una lettica, ed erano molto ben serviti. E arrivorono al luogo detto Xauxa, dove stava un grande uomo, capitano di Atabalipa, qual era quello che prese il Cusco, e aveva tutto l’oro in suo potere, e dette alli cristiani trenta cariche d’oro, delle quali ciascuna pesava libre cento. E loro ne fecero poco conto e, mostrando che avevano poca paura di lui, gli dissero che era poco, e lui ordinò che li fussino date altre cinque cariche d’oro, il qual oro mandorono dove stava il signor governator, per un suo negro che avevano menato seco. E li detti volsero andar avanti e arrivarono alla città del Cusco, dove trovarono un capitano d’Atabalipa che si chiamava Quizquiz, che vuol dir in quella lingua barbiero. Costui fece poca stima delli cristiani, ancora che si maravigliasse non poco di loro, e per questo fu uno delli nostri che volse approssimarsi a lui e dargli delle ferite, pure non lo fece per la molta gente che teneva. Allora il capitano disse loro che non gli dimandassero molto oro, e che se non volevano restituir il cacique per quel tanto che gli dava, che lui l’andarebbe a tuor di sua mano: e subito gli inviò ad uno tempio del Sole, che loro adorano. Questo tempio era volto a levante, coperto di piastre d’oro. Li cristiani andorono al detto tempio e senza aiuto d’alcuno Indiano, perché loro non gli volevano aiutare, essendo quello tempio del Sole, dicendo che moririano, li cristiani determinarono con alcuni picchetti di rame disfornir quel tempio, e cosí lo spogliarono, secondo che poi di bocca loro ci dissono. E oltra questo furono ragunate ancora molte olle o pignatte d’oro, con le quali usano cucinare in quel luogo, e portate alli cristiani per riscatto del suo signore Atabalipa. In tutte le case dove abitorono dicono che vi era tanto oro che era maraviglia. Entrarono in una casa dove fanno li loro sacrificii, dove trovarono una sedia d’oro: questa sedia era tanto grande che pesava 19 mila pesi, nella quale potevano seder duoi uomini. In un’altra casa molto grande, nella quale giaceva morto il Cusco vecchio, il pavimento della quale e li muri eran coperti di piastre d’oro e d’argento, trovarono molti cantari over giarre di terra coperte di lame d’oro che pesavano molto, e non gli volsono rompere per non far dispiacere agli Indiani; nella qual casa erano molte donne, ed eranvi duoi Indiani morti, a modo d’imbalsamati, appresso delli quali stava una donna con una maschera d’oro sul viso, facendogli vento con uno ventaglio per la polvere e per le mosche, e li detti Indiani morti avevano in mano un baston molto ricco d’oro. La donna non volse che intrassero den- 9 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO tro se non si discalzavano, e discalzandosi andarono a veder quelli corpi secchi, e levarono loro datorno molti pezzi d’oro; né del tutto gli spogliorono, perché il cacique Atabalipa gli aveva pregati che non gli spogliassero del tutto, dicendo che quel era suo padre, il Cusco vecchio: e per questo non ne volsero tuor piú. E cosí caricorono il suo oro, e il capitan che v’era li dette tutte le cose necessarie per condurlo via. Li cristiani trovorono in quel luogo tanto argento che dissono al governatore che v’era una casa grande quasi piena di cantari e tinacci grandi e vasi e molte altre pezze, e che molto piú n’avrian portato, ma temevano di non dimorar troppo, perché erano soli e piú di dugento e cinquanta leghe lontani dagli altri cristiani; ma dissero che avevano serrato la casa e le porte di quella, e messovi un sigillo per la Maestà dell’imperatore e per il governatore Francesco Pizarro, e ordinatovi guardie d’Indiani. E fatto un signore in quel luogo, come gli era stato comandato, presono il suo cammino con le pezze dell’oro bellissime che portavano, tra le quali era una fontana grande d’oro fatta di molti pezzi, la qual pesava piú di dodecimila pesi. Questa e molte altre cose portarono. Di certi ponti sopra i fiumi, e come le ferrature, per averne mancamento, furono fatte d’oro e d’argento. Della città di Pachalchami e sua moschea, e le cose in quella ritrovate. Della città di Xauxa e d’un luogo grandissimo. Come Chulicuchima capitano col signor Hernando portarono l’oro del riscatto d’Atabalipa, e con quanta riverenzia vadino gl’Indiani al suo signore. Lascio di parlare di costoro, che venivano per il suo cammino, e dirò del signor Hernando Pizarro, il quale andava alla volta della moschea. Nel qual viaggio, che fu di molte giornate, trovarono molti fiumi, sopra ciascuno delli quali sempre trovorono duoi ponti fatti vicini l’uno all’altro, in questo modo: avean fatto nel mezzo del fiume una pila, la quale appariva molto sopra l’acqua, per sostegno del mezzo del ponte, perché da una parte e dall’altra del fiume erano appiccate corde fatte di stroppe di salcio, grosse come un ginocchio, le quali alle rive eran legate a grossi sassi, discosto l’una dall’altra la larghezza d’un carro; a queste per traverso eran legate corde forti e ben tessute di cotone, e, perché il ponte stesse forte, appiccavano dalla parte di sotto a queste corde sassi molto grandi. Uno di questi ponti serviva alla gente comune e stava sempre aperto, l’altro alli signori e capitani, e questo stava sempre serrato, e fu aperto quando passò il signor Hernando Pizarro. E arrivò con molto travaglio, perché pensorono non condur mai alcuni cavalli, per mancamento di ferrature per il mal cammino, 10 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO perché passorono per molte montagne, la strada delle quali era fatta a mano come una scala; ma il signor Hernando comandò agli Indiani che facessino ferrature d’oro e d’argento, e cosí li chiodi, e in questo modo condussero li suoi cavalli al luogo dove era la moschea, ad una città la quale è maggior di Roma, detta Pachalchami. Nella qual moschea è una camera molto brutta e sporca, dove è un idolo fatto di legno molto brutto, il qual dicono essere lo Dio loro, e che questo fa nascere tutto quello di che vivono, alli piedi del qual tengono offerte alcune gioie, massime smeraldi legati in oro; e hannolo in tanta venerazione che vogliono che sol quelli lo vadino a servire che da quello (come dicono) son chiamati, e dicono che nessuno è degno di toccarlo con mano, né ancora li muri della casa sua. Non è da dubitar che il diavolo non entri in quel idolo e parli con quelli suoi ministri, e dichi loro quel che hanno a dir per il paese. Vengono a questo idolo con grandissima divozione gl’Indiani di lontano trecento leghe, e gli offeriscono oro e argento e gioie, e subito che arrivano presentano il dono al portinaro, e lui entra dentro e parla con l’idolo e porta fuora la risposta. Avanti che alcuno ministro vadi a servirlo, bisogna che ‘l sia puro e casto, e che digiuni e non tocchi donna. Tutto il paese di Catamez che è lí intorno è devotissimo di questa moschea, e per questo vi portano ogni anno tributo, e l’idolo fa loro intendere che lui è loro Iddio, e che tutte le cose del mondo sono nelle man sue, e che niente adviene agli uomini che non sia di sua volontà: per il che gli Indiani della moschea e della città di Pachalchami erano in grandissima paura, perché il capitano Hernando Pizarro con gli Spagnuoli senza alcun rispetto erano entrati a vederlo, e per questo dubitavano gli Indiani che, dapoi usciti gli Spagnoli, l’idolo non gli distruggesse. Di questa moschea cavorono molto poco oro, perché l’avevano tutto ascoso, e trovorono una cava molto grande donde avevano tratto l’oro, e li luoghi dove stavano li cantari che gli aveano levati, di sorte che mai poterono trovare dove l’oro fusse. In un’altra casa viddero un poco d’oro ad una Indiana che guardava la casa, che l’aveva gettato in terra; trovorono similmente certi morti che erano in detta moschea; tal che non poterono averne piú di trentamila pesi, e da un cacique di Chicha ne ebbero tanto che arrivorono alla somma di quarantamila pesi. E stando quivi gli mandò Chilicuchima, che era il capitano che prese il Cusco, messi, e fecegli intendere che avea molto oro per portar per riscatto del suo signore Atabalipa, e che si partirebbe da quel luogo di Xauxa, quale è una città molto grande fondata in una bella valle, e ha l’aere molto temperato, e che s’accompagneria con il signor Hernando Pizarro, e che insieme anderiano a veder il governatore. Hernando Pizarro si partí, pensando che fusse la verità quel che gl’Indiani dicevano, ma, essendo andato quattro o cinque giornate, seppe 11 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO che non veniva il capitano, e deliberò con la gente che aveva andarsene al luogo del capitano, che era con gran gente, e cosí fece, e trovatolo gli disse che venisse a veder il signor governatore e il suo cacique Atabalipa. Lui rispose che non voleva partirsi di quel luogo, essendogli stato cosí comandato dal suo signore. Allora Hernando Pizarro gli disse che, se non voleva venire, lo menerebbe per forza, e mise in ordine quella poca gente che avea, perché era in una piazza grande e pensava, ancora che fussero molti, di vendicarsi di loro, perché quelli che erano con lui erano valenti uomini. Il capitan indiano, quando vidde quella gente messa in ordine, deliberò andar con lui. Il quale partito, avanti che arrivasse dove stava il signor governator in Caxamalca con il cacique Atabalipa, sei leghe lontano, trovò un lago d’acqua dolce, che era di circuito circa dieci leghe, con le rive tutte piene d’arbori verdissimi e tutto abitato intorno da casali d’Indiani, quali sono pastori, con pecore di diverse sorti, cioè alcune picciole come le nostre e altre tanto grandi che l’adoperano in portare le cose che gli fa di bisogno, per somieri. In questo lago sono uccelli di diverse sorti e similmente pesci, dal quale nasce un fiume bellissimo, il qual si passa con un ponte fabricato nel modo detto di sopra, dove stanno certi Indiani a torre un certo tributo da tutti quelli che passano. Giunti a Caxamalca, dove era il governatore e Atabalipa, il capitano Chilicuchima, avanti che entrasse nella stanza dove sedeva il cacique Atabalipa suo signore, prese da un Indiano di quelli che lui menava seco una carica mezzana e se la messe sopra le spalle, e il medesimo fecero tutti gli altri principali che lo seguitavano; ed entrati dentro, subito come lo vidde alzò tutte due le mani verso il sole, ringraziandolo che gli avesse fatto veder il signore suo, e subito piangendo si buttò in terra e con molta riverenzia pian piano s’accostò a lui e gli baciò le mani e i piedi, e il simile fecero gli altri Indiani principali. Atabalipa allora mostrò grandissima maestà e, ancora che sapesse che non aveva uomo in tutto il suo paese che lo amasse piú di Chilicuchima, non lo volse però guardare nella faccia, ma stette con una gravità mirabile, né fece alcun atto o dimostrazione, non altrimenti che se gli fusse venuto avanti il piú vil Indiano suo suddito. Questo atto di caricarsi le spalle quando vanno a veder gli suoi signori dimostra una gran riverenzia che gli hanno. Come Chilicuchima, doppo molte minaccie, confessò dove fusse l’oro del Cusco vecchio. Della provincia chiamata Guito. Come Atabalipa aveva deputato molte case per fondere l’oro e l’argento; come si cavi l’oro delle minere del piano e in alcune montagne. Questo cacique Atabalipa non ebbe grata la venuta del suo capitano, ma, essendo molto astuto, finse d’averne avuto piacere. Il governatore gli dimandò dell’oro del Cusco, perché quel capitano era quello che l’aveva 12 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO preso: quello rispose, sí come Atabalipa l’aveva avisato, che non avevano altro oro, e che quello che avevano tutto l’avevano portato. Tutto quel che diceva era falso, e tirandolo da parte Hernando di Soto lo minacciò che, se non diceva la verità l’abbrucciarebbono; lui gli rispose quel che prima aveva detto, donde subito ficcorono un palo, al qual lo legorono, e portorono molte legne e paglia, dicendo pure che se non dicesse la verità l’abbrucciarebbono. Chilicuchima fece chiamar il suo signore, il qual venne con il governatore, e parlò con lui, e finalmente gli disse che voleva dire la verità alli cristiani, perché non dicendola l’abbrucciarebbono. Atabalipa gli disse che non dicesse cosa alcuna, perché essi tutto quello facevano per farli paura, che non avriano ardimento d’abbrucciarlo: e cosí gli dimandorono un’altra volta dell’oro, e lui non lo volse dire. Ma, subito che gli misero un poco di fuoco intorno, disse che menassero via quel cacique suo signore, perché lui gli faceva cenno che non dicesse la verità: e cosí lo menorono via, e subito disse che per comandamento del cacique Atabalipa lui era venuto tre o quattro volte con molta gente per assaltare li cristiani, il qual dipoi ordinava loro che tornassero indietro, per paura che, conoscendo i cristiani li suoi tradimenti, non l’ammazzassero. Similmente gli dimandorono un’altra volta dove era l’oro del Cusco vecchio. Lui gli disse che nel medesimo luogo del Cusco era un capitano chiamato Quizquiz, e che questo capitano aveva tutto l’oro, perché niuno ardisce accostarsi a lui, che, ancora che sia morto, fanno il suo comandamento cosí integramente come se ‘l fusse vivo, e cosí gli danno da bere e spandono tutto quel vino che gli vogliono dar a bere lí intorno, dove il corpo del Cusco vecchio è posto; e similmente disse quel capitano indiano che in quella terra piú a basso, dove il cacique Atabalipa suo signor aveva alloggiato il suo esercito, era un padiglione molto grande, nel quale il cacique aveva molti cantari over ghiare grandi e altre diverse pezze d’oro di molte sorti. Questo e molte altre cose disse quel capitano indiano alli cristiani che quivi erano, le quali io non sapria dire, per non essermi trovato presente. Poiché costui ebbe cosí detto, subito lo menorono alla casa del signor Hernando Pizarro, e gli facevano una diligente guardia, perché cosí era necessario, imperoché piú ubbidiva la maggior parte della gente al comandamento di questo capitano che al medesimo Atabalipa suo signore, perché era molto valent’uomo in guerra e aveva fatto molto male in quella provincia: ed era il detto capitano molto sdegnato contra Atabalipa suo signore, dicendo che per sua causa l’avevano mal trattato. Il cacique non gli mandava da mangiare né altra cosa alcuna, per causa del molto sdegno che contra lui teneva per quel che aveva detto, ma il signor capitano che l’aveva in casa gli dava ben da mangiare, e lo faceva servire e davagli quanto gli faceva di bisogno; e ancor che fusse cosí mezzo abbruc- 13 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO ciato, molti di quelli Indiani l’andavano a servire, perché erano suoi famigliari. E questo capitano era nativo d’una provincia chiamata Guito, della qual il medesimo Atabalipa era signore. Questo paese è molto piano e ricco, gli uomini sono molto valenti: con queste genti conquistò Atabalipa la terra del Cusco, della qual gente uscí il Cusco vecchio, quando cominciò a signoreggiare tutta quella provincia. In su questo ragionamento il cacique Atabalipa disse che aveva molte case deputate a fonder l’oro e l’argento, e che l’oro delle minere del piano era minuto, perché le mine del paese del monte erano di quelle bande del Cusco, ed erano piú ricche, perché cavano di quelle l’oro in maggiori grani, e non bisognava lavarlo, ma lo ricoglievano nel fiume lavato; e come in alcune montagne cavano l’argento con poca fatica, e che un uomo ne cava in un giorno cinque o sei marche. Cavasi mescolato con piombo, stagno e zolfo, e poi si fa ben netto; e per cavarlo gli uomini appiccano fuoco grandissimo nelli monti, e subito che il zolfo è acceso l’argento scorre in pezzi. La grandissima quantità d’oro portata al signor governatore, e il presente per lui mandato alla cesarea Maestà, e come fu diviso detto oro e quanto toccasse a ciascuno. Del tradimento ch’aveva ordinato Atabalipa e della morte di quello, e come fu fatto signor di quella terra il figliuol maggiore del Cusco vecchio, con gran sodisfazione e giubilo di tutta la città. Lascio di parlare piú oltre di questo. Dirò delli cristiani che vennero dal Cusco, li quali entrorono in campo del governatore con piú di cento e novanta Indiani carichi d’oro, e ne portorono venti cantari e altre pezze grandi, che v’era tal pezzo che con fatica dodeci Indiani lo portavano, e similmente portorono altri pezzi che cavorono delle case. Dello argento ne portorono poco, perché cosí comandò loro il signor governatore, che non portassero argento ma oro, perché il cacique si doleva che non trovava Indiani che portassero l’oro, del quale alli giorni passati era stato portato non poca quantità. Aveva il signor governatore mandato duoi uomini al padiglione che il capitano indiano gli aveva detto, quali tornorono similmente con assai oro, del quale in una casa grande avevano in molti luoghi trovati monti grandi di diversi caratteri e pezzi minuti. Il governatore fece fondere tutto il minuto, tra ‘l quale furono alcuni grani grandi come castagne e altri maggiori, e alcuni di peso di libra e altri di maggior peso: e di questo fo fede, perché io ero guardiano della casa dell’oro e lo viddi fondere; ed eravi piú di 90 tegole come piastre d’oro di minera, che alcune erano di buoni caratti: molte se ne fonderono, e furono fatte verghe, e altre si spartirono tra la gente. In questa casa 14 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO erano piú di 200 cantari d’argento grandi che aveva fatti portare il cacique, ancor che il governatore non l’avesse ordinato, ma v’erano molte pignatte e cantari piccioli e altri pezzi molto belli: e parmi che l’argento che io viddi pesare fusse cinquantamila marche, poco piú o manco. Era oltra questo in questa casa ottanta cantari d’oro tra grandi e piccoli, e altri pezzi molto grandi; eravi ancora un monte piú alto d’un uomo di quelle piastre, che erano tutte fine, di molto buon oro; ben che, per dire il vero, in questa casa in tutte le stanze erano monti grandi d’oro e d’argento. Messe insieme il signor governatore tutto quell’oro e fecelo pesare, presenti gli officiali di sua Maestà; il che fatto, furono elette persone che facessino le parti per la compagnia. E mandò il governatore un presente alla Maestà cesarea, che fu di centomila pesi, poco piú o manco, in certe pezze che furono quindeci cantari e quattro pignatte, che tenevano duoi secchi d’acqua per ciascuna, e altre pezze minute che erano molto ricche: ed è la verità che, dapoi partito il signor capitano, fu portato molto piú oro di quello era restato, che fu partito. Il signor governatore fece le parti, e toccò a ciascuno fante a piè quattromila e ottocento pesi d’oro, che sono ducati 7208, e agli uomini a cavallo il doppio, senza altri vantaggi che gli furono fatti. Dette il signore governatore alla gente che venne con Diego d’Almagro dell’oro della compagnia, avanti che fussero fatte le parti, venticinquemila pesi, perché n’aveva di bisogno; e a quelli cristiani che erano restati in quel luogo dove aveva fondato il ridotto di San Michele dette duamila pesi d’oro, accioché lo partissero, che ne toccò dugento pesi a ciascuno. E dette a tutti quelli che erano venuti con il capitano molto oro, di sorte che ad alcuni mercatanti dette due o tre coppe grandi d’oro, accioché ciascuno n’avesse parte, e a molti di quelli che l’avevano guadagnato dette manco di quello che lor meritavano: e questo dico perché a me cosí fu fatto. Subito ne furono molti, tra li quali fui io, che domandarono licenzia al signor governatore per venirsene in Castiglia, alcuni per dar relazione alla Maestà dell’imperadore del paese, altri per veder suo padre e sua mogliera: e fu dato licenzia a venticinque compagni, quali si partirono. In questi dí, come seppe il cacique che volevano portar via l’oro del paese, comandò molte genti per molte parti, alcuni che venissero contra li cristiani che andavano ad imbarcarsi, e altri per venir contra il campo del governatore, per veder se poteva esser liberato: e questa era una gran moltitudine di gente, però la maggior parte veniva per forza o per tema che avevano. Come il signor governator fu di tal cosa informato, parlò al cacique adirato, dicendogli che li portamenti suoi erano molto tristi, poiché senza causa faceva venir gente contra di noi. Pochi giorni avanti erano venuti al nostro campo duoi Indiani figliuoli del Cusco vecchio, fratelli di Atabalipa da canto di padre e non di madre: questi vennero molto ascosamente, per timor di suo 15 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO fratello. Quando il governatore seppe che erano figliuoli del Cusco vecchio, fece loro molto onore, perché nell’aspetto mostravano esser figliuoli di gran signore. Dormivano costoro appresso il governatore, perché non avevano ardimento di dormir in altra parte, per timor di Atabalipa. Un di questi era natural signore di quella terra, la quale gli rimaneva doppo la morte di suo fratello. In questi medesimi giorni vennero nuove che la gente di guerra era molto propinqua, e per tal causa noi stavamo molto vigilanti: e una notte vennero alcuni Indiani fuggendo d’un luogo che era lí vicino, dicendo che gli Indiani venivano per far guerra e che avevano rovinati loro li maizali, che sono campi dove nasce il grano del maiz, e che venivano per assaltare il campo de’ cristiani, e che per questo loro venivano fuggendo. Come questo seppe, il signor governatore fece consiglio con li suoi capitani e con gli officiali di sua Maestà, e determinorono di far morir subito Atabalipa, il qual lo meritava. Menoronlo adunque al far della notte nella strada e legoronlo ad un palo, e per comandamento del signor governatore lo volsero abbrucciar vivo; ma volse Iddio convertirlo perché disse che voleva esser cristiano, e per questo lo fecero strangolare in quella notte, la qual con molte altre era passata che le nostre genti non avevan dormito, per timor degli Indiani e di questo cacique. Il governator providde che fusse fatto la guardia al detto cacique morto, e il giorno seguente da mattina il sepelirono in una chiesa che avevano quivi, dove molte femine indiane si volevano sepelir vive con lui. Venti giorni avanti che morisse Atabalipa, non si sapendo cosa alcuna dell’esercito che aspettavano, ed essendo Atabalipa una sera molto allegro e parlando con alcuni Spagnuoli, apparse in aere verso la città del Cusco a modo d’una cometa di fuoco, la quale stette gran parte della notte, e come Atabalipa l’ebbe veduta disse: “Presto morirà un gran signore di quel paese”. E questo fu lui. Della morte di questo cacique s’allegrò tutto quel paese, e non potevan creder che fusse morto; subito che la nuova andò alla gente di guerra, immediate ciascuno tornò a casa sua perché erano venuti per forza. Il signor governator fece far signor di quella terra il figliuolo maggiore del Cusco vecchio, con condizione che restassino, lui e tutta la sua gente, per vassalli dell’imperadore: e cosí loro promisero di fare. Subito che il figliuol del Cusco vecchio fu fatto signore, le genti del paese alzorno le mani al sole, ringraziandolo che gli avea dato il suo signor naturale; e fu messo in possessione dello stato, e messongli un fiocco molto ricco legato con una cordella intorno alla testa, il quale gli veniva tanto su la fronte che gli copriva quasi gli occhi: e questa è la corona che porta quel che è signor del paese del Cusco, e cosí portava Atabalipa. Il che poiché fu fatto, venne gran moltitudine di gente per servirci, e questo per comandamento di questo signor nuovo. Similmente s’allegrò della morte d’Atabalipa il capitan 16 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Chilicuchima, dicendo che per causa sua era stato mezzo abbrucciato, e che daria tutto l’oro di quella terra, che n’avevan gran quantità, e molto piú di quello che Atabalipa aveva dato, perché quello che avevan fatto signore era natural signore di quella terra: e in quel giorno menorono quattro cariche d’oro e certe coppe grandi. Alcuni giorni avanti che Atabalipa morisse, aveva ordinato che fussero portati una statua d’un pastor con le pecore d’oro e altri pezzi molto ricchi: e questo tutto veniva per conto della gente nostra di campo; ma il signor governatore fu consigliato che non facesse portar allora quell’oro, accioché quelli che si partivano e tornavano in Castiglia non n’avessero la lor parte. Il che inteso dal cacique, come io e molti altri udimmo dire, disse al signor governatore che non facesse ritornar quell’oro indietro, perché n’aspettava ancora molte maggior pezze, le quali dovevan portar piú di dugento Indiani. Alle quali parole d’Atabalipa rispose il governatore che erano per andar in quel paese, e che tutto lo raccoglierebbeno: e tutto questo faceva accioché non s’avesse a partire con quelli che andavano in Castiglia. Io dico che viddi restar una gran casa piena di vasi d’oro e altri pezzi, dapoi che fu fatta la sopradetta divisione, li quali vasi si doveano partire fra noi che tornavamo in Castiglia, essendoci trovati nella battaglia, con tante fatiche con quante di sopra è stato narrato. E piú dico che io viddi pesare e restar lí del quinto di sua Maestà, senza quello che portò il signor Hernando Pizarro, piú di cento e ottantamila pesi. Del paese chiamato Collao, dov’è un gran fiume dal qual si cava oro, e come si raccolga, in una isola del qual fiume si dice trovarsi una casa grande fabricata tutta d’oro. E come il signor governatore mandò all’imperadore la parte dell’oro e argento aspettante a sua Maestà, quali furono discaricati in Sibilia con grande admirazione di tutta la città. Questo non voglio restar di dire, che disse il cacique Atabalipa che era un paese detto Collao, dove è un fiume molto grande, nel quale è una isola dove sono certe case, tra le quali n’era una molto grande tutta coperta d’oro, fatto in modo di paglia, della quale alcuni Indiani venuti da quell’isola ne portarono una brancata; li travi e tutto il resto ch’era in casa, tutta era coperta di piastre d’oro, e che v’era il pavimento fatto con grani d’oro, cosí come lo trovavano nelle minere. E questo udi’ dire al cacique e alli suoi Indiani, che erano di quella terra venuti a vederlo, presente il signor governatore. Disse di piú il cacique che l’oro che si cava di quel fiume non lo ricogliono con bateas, che sono a modo d’uno bacil da barbiere con li manichi, dove lavano l’oro nell’ac- 17 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO qua; anzi fanno in questo modo, che mettono la terra cavata della minera in un luogo a modo d’una fossa appresso l’acqua, e con una ruota cavano l’acqua del fiume e la fanno andar in quella fossa, e cosí lavano la terra: la qual lavata levano via l’acqua e ricogliono i grani dell’oro, che sono molti e grandi. E questo io l’ho udito dire molte volte, perché tutti quelli Indiani della terra di Collao, li quali io domandavo, dicevano cosí esser la verità. Il governator Francesco Pizarro dette a noi che venivamo in Castiglia tutto l’oro e l’argento che era della parte della Maestà dell’imperadore. E dalla provincia del Cusco over del Perú, donde partimmo per andare ad imbarcarci alla marina, camminammo dugento leghe per terra, dove arrivati montammo in nave e navigammo per il mare del Sur fino al porto della città di Panama in quindeci giorni, dove dismontati fummo accettati con grandissima allegrezza e ammirazione di tutti, per la gran quantità dell’oro che viddero. Il signor governatore Pedrarias ci providde di tutte le cose necessarie per portar detto oro e argento quelle ottanta miglia per terra fino alla città del Nome di Dio, che è sopra l’altro mar del Nort, che vien in Spagna, come nel principio di questo libro è detto. Giunti che fummo alla città del Nome di Dio e imbarcati, venimmo all’isola Spagnuola e arrivammo alla città di San Domenico, che è nella parte dell’isola che guarda verso mezzodí: e questo viaggio facemmo in otto giorni. Dove, tolti li rinfrescamenti necessarii per venir alla volta di Spagna, voltammo le prore verso levante, tenendole sempre tra greco e levante, e navigammo da cinquantadui giorni, e facemmo 1350 leghe fino alli liti di Spagna, dove è San Luca di Barameda in sul fiume di Guadachibir, secondo la ragione che facevano li pilotti nostri, ancorché io penso che fussero molte piú: e avemmo buonissimo tempo, e arrivammo alla città di Sibilia, dove tutte le navi sogliono discaricare le robbe che portano dall’Indie. In questo viaggio dall’isola Spagnuola non toccammo se non l’isole delle Canarie, ancorché alcuni tocchino l’isole degli Azori, e come fummo allontanati da terra cinquecento in seicento miglia, trovammo il mar basso, né dubitammo piú di fortuna, perché i venti non fanno fortuna se non appresso terra, cioè appresso l’isola Spagnuola over appresso i liti di Spagna, dove il mar è profondissimo; e navigammo gran parte con l’instrumento del quadrante, con il sole, finché, appressandoci al nostro abitabile, cominciammo a reggerci con la tramontana. Questa navigazione è molto sicura, per infiniti pilotti che sono pratichi di quella. Arrivammo in Sibilia alli quindeci giorni di gennaio 1534, dove furono discaricati tutti gli ori e argenti, con grandissima ammirazione di tutta la città e d’infiniti mercatanti fiorentini, genovesi e veniziani, li quali tutti corsono a veder tal cosa: e dipoi, avendone scritto per il mondo, io non ne dirò altro, salvo che tutti noi con la parte delli nostri ori partimmo e andammo a casa nostra, dove fummo ricevuti con quella allegrezza che ognun si può pensare. 18 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Capitolo 1 De Re Metallica 1.1 Un contributo alla storia del lavoro. Leggendo, tempo fa, mi sono imbattuto in un testo molto antico, che risale al 1556, intitolato “De Re Metallica”, scritto da Georg Bauer (Giorgio Agricola nella nonimazione italiana). Quest’opera è una delle prime, anzi a me risulta essere davvero la prima, la più remota, che abbia mai affrontato dal punto di vista scientifico i temi della sicurezza del lavoro e della salute dei lavoratori. L’autore in quest’opera dedica uno specifico capitolo alle miniere viste come ambiente in cui si svolge l’attività lavorativa ed affronta questioni come la salubrità di quegli ambienti, le principali e più gravi malattie che possono attecchire in quelle condizioni, le situazioni di rischio e di pericolo che possono danneggiare l’incolumità degli addetti alle miniere. Il capitolo VI del “De Re Metallica” rovescia per la prima volta il punto di vista che aveva orientato gli autori fino a quel momento. In quelle pagine l’uomo viene posto al centro dell’attenzione. L’uomo come persona e come lavoratore, gli viene resa la dignità di essere del Creato, di Creatura Divina, quella dignità che gli schiavi, prima di allora, non avevano mai guadagnato nell’ambito delle culture classiche, greca e romana, né concretamente goduto come plebe, o gleba fino al medioevo. Ma con Bauer siamo ormai nel Rinascimento maturo, il Rinascimento delle Arti e delle Scienze che aveva posto l’uomo al centro del Creato. Ritrovare quelle pagine, per me è stato davvero come un sogno, ha messo in moto mille riflessioni ed ha fatto nascere la voglia di condividerle con qualcuno: voglio dire che ho maturato la convinzione che tutti noi, persone comuni, normali cittadini, abbiamo il dovere di riprenderci in mano le redini della storia, offrendo alla società il contributo delle nostre capacità, anche di pensiero, per piccole che siano. Dobbiamo tornare ad interessarci delle cose che ci riguardano davvero da vicino. In altre parole, penso che dobbiamo partire alla conquista della memoria. Lì si possono trovare frammenti, tessere, schegge del passato, che appartengono a tutti, che ci riguardano direttamente. Perché è dal passato che veniamo tutti. Il passato è il terreno comune che dà alimento alle nostre radici, che offre nutrimento alla nostra cultura. Questo può sembrare ovvio e poi non è il centro delle mie riflessioni. Meno scontata mi sembra, invece, la consapevolezza che il futuro che ci sforziamo di costruire con le nostre stesse mani, il futuro per noi e per le generazioni che verranno dopo di noi, dipende fortemente da come sapremo coltivare i territori riconquistati della memoria, da quante cure ed attenzioni sapremo dedicarvi. È a questo che intendo dare evidenza nelle pagine che seguono. 19 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Da tempo rifletto sul tema della memoria storica. Non intendo dire che ho voltato le spalle al presente né che ho chiuso gli occhi alla vita. Anzi, mi sento proiettato verso il futuro con tutti i sensi e tutta la forza della ragione. Non mi sono chiuso in una gabbia di ricordi. Non vivo prigioniero dei fantasmi del passato. La nostalgia non è un sentimento che giudico positivamente nè mi solletica spesso. Non vivo di flashback. Né di rimpianti. Credo, però, che sia necessario conoscere il passato, non solo quello che ci riguarda direttamente, che nutre le nostre radici personali, ma anche l’altro, che prende il nome di Storia, e che nutre le radici dell’umanità intera. La memoria storica è una fonte di insegnamento e di esempio per ogni uomo e per ogni popolo. È la sorgente della cultura che irrora la vite degli uomini. È il faro che illumina il loro cammino. È la dea nel cui nome si festeggia o si celebrano sacrifici. Senza memoria storica non potrebbe formarsi nessuna coscienza sociale. Gli uomini non potrebbero unirsi in gruppi, né piccoli nè grandi. Né famiglie, né bande, nè tribù, né popoli. L’idea di umanità non potrebbe declinarsi né al singolare né al plurale. La memoria storica si nutre di uomini e nutre gli uomini stessi. Il suo ventre è gonfio di milioni e milioni di uomini, piccoli esseri, pieni di vita, che formicolano sulla terra e tentano di costruire la propria strada. Inconsapevoli del proprio destino, per lo più. La strada che stanno costruendo, quella strada, è la via per il Futuro. Perché sia possibile immaginare un futuro, per non restare irretiti nella lotta quotidiana per la sopravvivenza, è necessaria la memoria. La potenza della memoria compone gli idiomi diversi della Razza nella lingua unica dell’Uomo. Mescola le esperienze di ognuno nel processo universale dell’evoluzione. Combina il genoma nell’inconfondibile spirale della Razza Umana. È questa la forza chimica della memoria. Il risultato di migliaia e migliaia di sconfitte e di migliaia e migliaia di vittorie. I successi e le sconfitte di una folla di piccoli uomini, che deposita nel tempo un residuo resistente, un sedimento fossile che concresce costantemente. Questo accumulo, questo ammasso, costituisce la materia di cui è composta la materia umana. La memoria ha la veste di una Musa e la forza di una dea. Con i piedi affonda nella Terra, come una radice; è grave, pesante, non si può sollevare, non si riesce a spostare. Da essa nascono vestigia, monumenti, resti di città, templi, statue, tombe, palazzi… Il suo corpo, invece è trasparente, lo puoi guardare attraverso, non si oppone ai tuoi occhi, non lascia neanche una sensazione sulle dita, se lo tocchi. Come una fiamma, spicca verso l’alto. Si può afferrare soltanto con il Senso e la Ragione. Eppure, non si può sfuggire alla presa ferrea dei suoi artigli, non si può scappare dal suo morso tenace. Tutti, tutti gli uomini vengono stretti dai suoi tentacoli. Ragioni per riflettere su questo tema ce ne sono molte, oggi. Quella che m’inte- 20 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO ressa di più, che mi sembra più urgente, guardandomi intorno in questo presente tanto vanesio è la constatazione che, sempre più spesso, il senso ed il significato delle cose si sono persi, annegati in un presente infinito, onnivoro, che ruba l’anima e la nasconde sotto un velo di oblìo, piatto ed incolore. Mio malgrado, assisto - non voglio essere partecipe - alla folle corsa dell’uomo verso il Nulla ed il Vuoto, sono testimone di una realtà confusa che schizza via, disperata, senza meta e priva di direzione, senza forma e senza sostanza, lanciata all’inseguimento della chimera di una tecnica senza logica e priva di senso. Così, si è perduto ogni significato dell’esperienza di vivere. Così si è persa anche la Memoria, che segna la Provenienza ed indica la Rotta. Rincorrendo le volgari apparenze materiali della gloria, della razza, del trionfo, dell’ideologia, o ancora della ricchezza, del denaro, del possesso sproporzionato, si è perduto il valore reale dell’opera degli uomini, il sapore del frutto dei solchi scavati nella terra, il significato eterno della fatica e del sacrificio quotidiano di milioni e milioni di braccia possenti. La memoria storica dobbiamo tirarla fuori dal buio, esporla alla luce più intensa, renderla chiara e mostrarla, ben visibile, a tutti. C’è una poesia di Bertolt Brecht, “le domande di un lettore operaio”, che riassume tutto questo, che scavando al di sotto delle apparenze, invita a guardare la vera realtà delle cose: Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati re a strascicarli, quei blocchi di pietra? Babilonia, distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case di Lima lucente d’oro abitavano i costruttori? Dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori? Roma la grande è piena d’archi di trionfo. Su chi trionfarono i Cesari? La celebrata Bisanzio aveva palazzi solo per i suoi abitanti? Anche nella favolosa Atlantide La notte che il mare li inghiottì, affogavano urlando Aiuto ai loro schiavi. Il giovane Alessandro conquistò l’India. Da solo? Cesare sconfisse i Galli. Non aveva con sé nemmeno un cuoco? Filippo di Spagna pianse, quando la flotta Gli fu affondata. Nessun altro pianse? Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi, oltre lui, l’ha vinta? Una vittoria ogni pagina. Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grande uomo. Chi ne pagò le spese? Quante vicende, quante domande. 21 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nei versi del poeta la memoria prende la forma di vecchia città, di eroi e generali; ma il punto di domanda con cui si chiudono gli inesorabili interrogativi scava in profondità, al di sotto delle apparenze, per mostrare lo stretto legame che unisce la Storia al lavoro degli uomini, la Gloria al dolore e al Sacrificio. La Fame con la fatica ed il sangue. Lo scorrere del tempo con l’opera dell’Uomo. Ecco scoperta la vera natura della Memoria. Ma, ogni giorno, non si occupa, forse, il nostro Istituto, del dolore, della fatica e del sangue, in una parola, della vita di quelli che costruiscono materialmente la Storia? Non è forse così? Allora, ecco, il rapporto fra l’Istituto ed i lavoratori è anche un rapporto con la memoria, con il suo senso più intimo. Tutti possono dare un contributo alla memoria collettiva, tutti possono concorrere alla costruzione di una grande banca della memoria. Memoria storica è anche metodo, organizzazione. È una rete, una immensa rete, che pesca nel mare del tempo. È ingegneria, per tracciare ponti e strade ed unire ciò che nasce diviso. È architettura, per costruire case e città per l’uomo che abita la storia. A questo tutti dobbiamo contribuire. Questo è il nostro destino. Si devono conoscere e coltivare i territori sconfinati della memoria e della storia. Si devono rendere civili e sicuri gli spazi immensi della coscienza e dei valori. Dobbiamo costruire immensi opifici per questo. Dobbiamo cercare, scavare, tra i resti dei cantieri, nelle viscere delle fabbriche. La storia del lavoro è anche storia del benessere, dello sviluppo, del progresso. Benessere per ogni uomo, sviluppo per la coscienza dei popoli, progresso per l’intera umanità. La ricerca della storia, la costruzione di una memoria condivisa sono il nostro vero modo di essere. Sono un modo, il solo modo, per guardare dentro noi stessi. Non vi scorgeremo, come Caravaggio, l’incubo mostruoso della Medusa che impietrisce, della Gorgone che inghiotte. Non avremo l’incubo del vuoto che soffoca l’uomo per sempre. L’incubo del vuoto presente che inghiotte il tempo, e con esso il significato della vita. Caravaggio - Medusa br.wikipedia.org/ 22 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Al contrario. Leggere nel nostro libro avrà finalmente un senso, un significato. Avrà il valore dell’unica via sicura, della strada che conduce l’uomo alla sua identità più intima, alla sua piena realizzazione, alla sua felicità più vera. Antonello da Messina - S. Gerolamo nel suo studio Fonte: http://www.torrese.it/images/SanGerolamoStudio.jpg Fatta questa premessa per rendere chiaro il senso dell’operazione di scavo che ho avviato, posso assolvere, a questo punto, al mio dovere personale, posso offrire il mio contributo. Già in passato, la “Rivista” ha ospitato miei contributi. Sono grato all’Istituto per continuare ad offrirmi questa possibilità di manifestare pubblicamente i miei pensieri. La prima volta, ho puntato l’attenzione su alcune suggestioni che legano la storia dell’INAIL ad un famosissimo autore, Franz Kafka, impiegato dell’Istituto per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro di Boemia, a Praga. È cominciato, da lì, un viaggio personale nella memoria, che è andato sempre più indietro nella scala del tempo. Nell’articolo: “L’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Tracce tra mitologia e storia”, ho scavato, metaforicamente, poiché non sono un archeologo ed ho incontrato testi e personaggi nati all’alba della storia dell’occidente. Negli scritti dei nostri antichi progenitori Greci e Latini, tra i racconti della loro meraviglio- 23 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO sa mitologia che ancora nutrono la nostra psicologia e la nostra cultura, ho trovato alcuni testi che parlavano della fatica e del lavoro, delle opere e dei giorni, del senso più profondo dell’Uomo. Incuriosito, ho continuato a viaggiare ancora più indietro nel Tempo ed ho scoperto, letteralmente scoperto, altri testi scritti, altre testimonianze documentate, molto più antichi, scavati nella storia millenni prima dell’epoca dei Greci. Nell’articolo: “La corvèe degli dei” ho riportato il racconto della Creazione dell’Uomo che gli scribi della città di Babilonia avevano ricopiato, in caratteri cuneiformi, più di quattromila anni fa, trasponendo su tavolette di argilla cotte dal tempo e dal sole storie mitologiche di epoca ancora più remota, giunte così, miracolosamente, fino a noi. Queste storie descrivono la missione, il compito, dell’uomo sulla terra, con una lucidità di pensiero che, quasi cinquemila anni fa, era già pura e adamantina. Ho trovato in quei racconti saggezza, profondità di significati, manifestazioni dei valori umani, già nobilissime, alte ed evolute. Così come si conviene all’Uomo. Ad un Uomo già perfetto, integro e completo fin dalla nascita. Tutto ciò mi ha stregato, riempiendomi di meraviglia. E mi ha segnato, in qualche modo, per sempre. Mi ha fatto percepire una nuova dimensione dell’uomo, uno spessore, una profondità mai immaginati prima. Continuando la ricerca, si sono composte davanti a me le parti di un discorso unico, di una specie di “filosofia dell’Uomo”: fin dalle origini della Storia, gli uomini coi loro primi testi incisi nelle tavolette cuneiformi sumere e babilonesi, o dipinti nei primi geroglifici egizi, e poi, più su nel tempo, coi miti esiodei e le letterature più moderne, hanno saputo testimoniare l’immenso patrimonio di valori che vivifica il concetto di Umanità Universale. E con riferimento a quello che è stato chiamato l’homo faber, che interessa più da vicino la presente ricerca, hanno tracciato, attraverso le gesta immortali di dei ed eroi, da Enki a Gilgamesh, da Efesto a Prometeo, da Dedalo ad Apelle, la storia eterna delle arti e del pensiero, della vita e del lavoro. Storia eterna che è la storia degli uomini stessi, d’altronde. E di tutto ciò, già i primi scribi sumeri ed egizi, cinque o sei mila anni fa, avevano un’idea di chiarezza assoluta. Durante questo viaggio ho provato emozioni vere, che mi hanno fatto capire che il lavoro, il lavoro dell’uomo sulla Terra, serve per costruire l’edificio dell’intera Umanità e che da tutto ciò derivano implicazioni profonde, che coinvolgono ciascuno di noi. Così ho sentito il bisogno di comunicare agli altri tutto ciò. Ho compreso che tutto questo riguardava il senso della Storia, il Tempo, la Memoria. La storia, il tempo, la memoria miei, ma, anche dell’intera Umanità. Così ho capito che dovevo coltivare questa pianta. Coglierne i frutti. Offrirli a chiunque ne volesse gustare il profumo. Memoria è il nome di questa pianta. Il domani, i secoli a venire, il futuro; la conquista dei pianeti, delle galassie, l’assoggettamento degli spazi, i suoi frutti. Tutto sarà possibile, ogni desiderio si potrà esaudire se l’uomo coltiverà la memoria della sua 24 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO storia. Tutto, allora, si potrà raggiungere, la realtà avrà spessore, forza, estensione, spazio, larghezza, peso, profondità, massa. La memoria in questo senso, si compone delle storie di tutti gli uomini. Dal grembo fertile della Storia si diparte il filo di ogni vita. Tutti noi, tutti noi uomini, siamo suoi figli. Siamo al mondo grazie a questo misterioso legame che ci permette di essere consapevoli della nostra immagine, orgogliosi delle nostre gesta, coscienti delle nostre esistenze, quasi mai eroiche, eppure sempre uniche, irripetibili, esemplari. Questa memoria è la madre delle nostre storie, la nostra grande madre. Mette insieme gli ormoni dello Spirito, del Pensiero e della Ragione, li mescola e li feconda. Senza di lei non sapremmo nulla delle storie dei viaggiatori, da Gilgamesh ad Odisseo, da Sinbad ad Achab. Non sapremmo nulla dei nostri re e dei nostri califfi. Delle nostre divinità Onnipotenti e delle nostre Fedi infinite. Senza memoria neanche scorrerebbe il sangue delle nostre vene. Si decomporrebbero i nostri geni. Il nostro DNA decadrebbe ad una stringa di vani tentativi, di errori di una Natura priva di senso. Col suo concorso sono stati selezionati i fattori che hanno fatto evolvere la nostra specie e senza di lei, oggi, saremmo ancora cellule senza progetto, mattoni sparsi, rami spezzati, gocce perdute. Senza memoria. La memoria unisce gli Oceani, tiene insieme le Stelle, congiunge gli Spazi, fonde gli Uomini, salda i Destini. Senza di lei neanche gli dei potrebbero conoscere la divinità del mondo da cui provengono. Né potrebbero mai farsi consapevoli che è stato lo Spirito dell’Uomo ad averli innalzati, lassù, sull’alto dell’Olimpo, in un pantheon eterno ed universale. Botticelli - Nascita di Venere Fonte: http://www.sbac.edu/~palmergw/botticelli.venus.jpg 25 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Mi piacerebbe dare un contributo a questa memoria, lasciare un’impronta, seppure piccola, come può essere la mia. Ecco di cosa si tratta. Vorrei condividere il mio viaggio, l’esperienza fantastica che si materializza in queste pagine. Vorrei partire dall’opera del Bauer, dal “De Re Metallica”. Nelle parole dedicate ai lavoratori, alle loro sofferenze, alle loro malattie, ai loro pericoli, troviamo un pezzo della nostra storia. Un pezzo che viene da molto lontano, da un’epoca ormai passata. Ho tradotto personalmente dalla lingua originale di latino alcune pagine di quell’opera, aiutandomi anche con una versione inglese molto famosa, una versione speciale. Mi scuso quindi, subito, degli eventuali errori. Ho scelto, dalle fonti reperibili nella rete, alcune parti dell’opera, quelle che ho ritenuto utili per questo lavoro. La rete, il web, Internet, sta diventando uno strumento prezioso, una fonte di sapere, magari ancora disordinata e forse rischiosa, dalla quale però si può attingere un’infinita ricchezza. A partire dalle pagine del “De Re Metallica” è iniziata un’altra tappa del mio viaggio. Dalle descrizioni delle condizioni di lavoro contenute nell’opera di Giorgio Agricola si propaga un’eco che raggiunge il nostro tempo presente e non si è ancora acquietata. Oggi si parla ancora degli stessi temi e si scrive progettando modelli di sicurezza, di vita e di lavoro. Ancora oggi, nonostante sia consolidato il convincimento che la storia sia maestra di vita, che l’istruzione sia un investimento per il futuro dei nostri figli, dei popoli e dell’umanità intera, ancora oggi, siamo costretti a contare vittime, feriti, dolore e paura, come se nessun insegnamento la storia avesse saputo darci. A tutto questo ho voluto aggiungere qualche immagine e qualche volto, per dare una certa consistenza alla fantasia e un po’ di dati. Da qui parte il nostro viaggio. Un viaggio che continua su una navicella aperta a tutti. 26 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 1.2 De Re Metallica, Libro VI, Georgius Agricola, 1556. De Re Metallica, Libro VI. Agricola, Georgius De Re Metallica 1556 http://it.wikipedia.org/wiki/Immagine_De_re_metallica.jpg Restat de malis & morbis metallicorum ac de modis quibus sibi ab ipsis cauere possunt: nam semper maiorem rationem ualetudinis sustentandæ, quàm lucri faciendi habere conuenit, ut liberè munerib. corporis fungi possimus. Eorum aut malorum alia affligunt artus, alia lædunt pulmones, partim oculos, quæ dam denique homines interimunt. Aqua in quibus puteis inest multa & frigidior crura uitiare solet: etenim frigus est inimicum neruis. 27 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Sed fossores ad eam rem satis altos perones sibi comparent, qui crura tueantur ab aquarum frigore: cui consilio qui non paruerit, is magno afficietur incommodo ualetudinis: præsertim cùm uixerit ad senectutem. Contra uerò aliquæ fodinæ adeo siccæ sunt, ut prorsus aqua careant: quæ ariditas maius etiam malum dat operarijs: siquidem puluis, qui cietur & agitatur fossionibus, penetrans in asperam usque arteriam & pulmones, parit difficultatem anhelitus & uitium, quod ??Û?Ì· Græci nominant. Quod si uim corrodendi habuerit, pulmones exulcerat, & tabem ingignit in corporibus: hinc in metallis Carpati montis inuentæ sunt mulieres, quæ septem uiris nupserunt: quos omnes dira illa tabes immatura morte affecit. Aldebergi certe in Misena in fodinis reperitur pompholyx nigra, quæ usque ad ossa exedit uulnera, & ulcera. Ferrum quoque corrodit: atque ob id claui earum casarum omnes sunt lignei. Quin etiam cadmiæ quoddam genus est quod operariorum pedes, aquis madidos, itemque manus exedit: pulmones & oculos lædit. Fodientes igitur sibi non modo perones comparent, sed chirothecas etiam ad cubitum usque altas: & uesicas laxas illigent faciei. Per has enim puluis neque trahetur ad arteriam & pulmones, nec in oculos inuolabit: non dissimiliter apud Roma nos sibi cauebant minij confectores, ne puluerem eius lethalem haurirent. Tum difficultatem anhelitus parit aer immobilis manens tam in puteo quàm in cuniculo: cui malo remedia sunt machinæ spiritales, quas paulò antè exposui. Sed est aliud malum magis pestiferum, quodque homini mox affert necem: in quibus puteis, uel fossis latentibus, uel cuniculis duricies saxorum igni frangitur, in his aer inficitur ueneno: siquidem uenæ & uenulæ commissuræque saxorum exhalant subtile quoddam uirus, ignis ui expressum ex rebus metallicis alijsque fossilibus: quod ipsum cum fumo subleuatur, non aliter ac pompholyx, quæ in officinis, in quibus uenæ metallicæ excoquuntur, ad superiorem parietis partem adhærescit: id si ex terra euolare nequiuerit, sed deciderit in lacunas, atque eis innatauerit, periculum conflare solet. Etenim si quando aqua iactu lapidis aut alterius rei commota fuerit, rursus ex ipsis lacunis euolat: itaque spiritu ductum homines inficit: sed idem magis efficit fumus igni nondum extincto. Corpora autem animantium isto ueneno infecta plerunque continuo turgescunt, & omnem motum ac sensum amittunt, sineque dolore intereunt. Homines etiam ex puteis scalarum gradibus ascendentes, ubi uirus incrementum sumpserit, rursus in eos decidunt: quia manus non faciunt suum officium globosæque & rotundæ ipsis uidentur esse, itemque pedes. Aut si bona fortuna parumper læsi ex his malis euaserint, pallidi sunt & similes mortuorum. Itaque tunc nemo in eam ipsam fodinam uel in proximas descendat: aut si fuerit in eis, ascendat ocyus. Prouidi certè solertesque fossores die Veneris ad uesperam incendunt struem lignorum: nec ante diem Lunæ rursus in 28 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO puteos descendunt, aut ingrediuntur in cuniculos. Interea uis illa fumi uirosi euanescit. Est etiam ubi ratio cum Orco habetur: nam quidam loci metallici, licet rari sint, sua sponte uirus gignunt, pestilentemque auram exhalant: sicut etiam quædam uenarum cauernæ, sed hæ sæpius graues halitus in se continent. Ad Planam Boemiæ oppidum sunt nonnulli specus qui quibusdam anni temporibus halitum ex acidulis emittunt lucernas restinguentem, & fossores, diutius in eis morantes, necantem. Plinius quoque scriptum reliquit: Depressis puteis sulfurata uel aluminosa occurrentia putearios necant, experimentum huius periculi demissa ardens lucerna si extinguatur: tunc secundum puteum dextra ac sinistra fodiuntur æstuaria, quæ grauiorem illum halitum recipiant. Verum Planæ construunt folles, qui graues istos halitus haurientes huic malo medentur, de quibus suprà dixi. Quinetiam interdum operarij de scalis in puteos delapsi brachia, crura, ceruices frangunt, aut decidentes in lacunas suffocantur: plerunque uerò in causa est negligentia præsidis: cuius est proprium munus & scalas ita uehementer ad tigna affigere ut non abrumpantur, & lacunas, ad quas putei pertinent, ita firmè asseribus contegere, ne ipsis motis homines decidant in aquas: quocirca præses diligenter suum munus exequatur: tum ianua casæ non uergat in aquilonem, ne tempore hyberno scalæ frigoribus congelent: nam id ubi factum fuerit, manus frigore rigentes, uel lubricæ suum tenendi officium facere non possunt: ipsi etiam homines sint prouidi, ne, si nihil horum fuerit, sua cadant incuria. Concidunt præterea montes, eaque ruina oppressi homines intereunt. Certè cum quondam Goselariæ Ramesbergum desedisset, ruinis tot homines sunt oppressi, ut uno die circiter quadringentas fœminas uiris orbatas esse annales loquantur: et ab hinc annos undecim Aldebergi suffossi montis pars resoluta resedit, & sex fossores improuisò oppressit: absorbuit etiam casam atque unà matrem cum filiolo. Id aut plerunque his accidit montibus, quibus uenæ sunt cumulatæ. Itaque fossores relinquant fornices crebros montibus sustinendis, aut substructiones faciant. Saxum quoque abruptum articulos atterit: quod ne fiat metallici structuris necessarijs puteos, cuniculos, fossas latentes fulcire debent. At in nostris fodinis non est soli fuga, quam Sardinia gignit. Animal est, ut Solinus scribit, perexiguum simileque araneis forma: solifuga dicta, quod diem fugiat. In metallis argentarijs plurima est: occultim reptat, & per imprudentiam supersedentibus pestem facit. Sed, ut idem ait, fontes calidi & salubres aliquot locis effer uescunt, qui abolent à solifugis insertum uenenum. Sed in quibusdam fo dinis nostris, quanquam perpaucis, est alia pestis & pernicies: dæmones sci licet aspectu truci: de quibus dixi in libro De subterraneis animantibus inscripto: quod genus dæmonum precibus & ieiunijs pellitur ac fugatur. Quæ dam autem ex his malis atque aliæ quædam res causa sunt, cur 29 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO putei amplius fodi non soleant. Itaque prima & potissima causa est, quòd non sint fœcundi metallorum, aut si ad aliquot passus fœcundi fuerint, quod in profundo sint steriles. Secunda affluentis aquæ multitudo: quam neque metallici possunt deriuare in cuniculos, quia tam altè in montes agi non possint: neque machinis extrahere, quod putei sint admodum profundi: aut si possent eam extra here machinis, quod ipsis non utantur: nimirum quòd impensæ sint maiores quàm pauperioris uenæ fructus. Tertia est aer grauis, quem interdum domini non arte, non sumptu emendare & corrigere possunt: quam ob causam fossio non puteorum tantum, sed etiam cuniculorum deseritur. Quarta uirus in singulari loco genitum, si id funditus tollere, uel leuius facere in nostra potestate non fuerit: ea de re specus ad Planam Laurentius dictus non fodi solebat, cùm argento non careret. Quinta dæmon truculentus & ho micida: etenim ab eo, si expelli non possit, nemo non fugit. Sexta, substructiones si labefactatæ conciderint: eas enim ruina montis sequi solet. Substructiones autem tunc solum restituuntur, cùm uena admodum diues metalli fuerit. Septima motus bellici: propter quos nisi certò constet fossores deseruisse puteos & cuniculos, reficiendi non sunt. Non enim credamus maiores nostros tam inertes & ignauos fuisse, ut fossiones, quæ potuerint fieri cum fructu, reliquerint. Nostris profecto temporibus non pauci metallici, cùm anilibus fabulis persuasi refecissent puteos desertos, operam & oleum perdiderunt: ne igitur posteritas acta agat, ex re eius erit in tabulas refer re, quam ob causam cuiusque putei uel cuniculi fossio relicta sit. Id quod quondam Fribergi factum esse constat puteis desertis propter copiam & affluentiam aquarum. DeRe Metallica Libri VI. FINIS. Fonte: http://www.btinternet.com/~stephen.henley/agricola/book6/book6-47.jpg 30 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Fonte: http://www.btinternet.com~stephen.henley/agricola/book6/book6-47.jpg “… Mi resta (da parlare) delle malattie e degli incidenti dei minatori e dei metodi con cui possono difendersi da questi mali, dato che dovremmo dedicare sempre più cura a mantenere la nostra salute, piuttosto che procurare profitti perchè il corpo conservi integre le sue funzioni. Delle malattie, alcune interessano gli arti (le articolazioni), altre attaccano i polmoni, alcune gli occhi ed infine altre ancora sono letali per gli uomini. 31 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO L’acqua nei pozzi (delle miniere) abbondante e molto fredda frequentemente provoca danni alle membra, mentre il freddo è nocivo per i muscoli. Per venire a contatto con questa (l’acqua gelida), i minatori dovrebbero indossare stivali sufficientemente alti e di pellame puro, che proteggono le loro gambe dall’acqua fredda; l’uomo che non segue questo consiglio subirà gravi danni alla salute, particolarmente quando raggiunge la tarda età. Per contro, alcune miniere sono così secche che sono interamente prive di acqua e questa aridità provoca un danno ancora più grave per i lavoratori, dato che la polvere che è prodotta e messa in movimento mentre si scava penetra nella gola e nei polmoni e produce difficoltà nella respirazione e la malattia che i Greci denominarono asma. Per questo, se la polvere ha qualità corrosive, consuma (ulcera, provoca ferite) i polmoni e corrompe il corpo; così, nelle miniere delle montagne dei Carpazi sono state trovate alcune donne che hanno sposato (anche) sette mariti, tutto a causa di questa consunzione terribile che li ha portati ad una morte prematura. Ad Altenberg in Meissen è stato trovato nelle miniere il pompholyx nero (la polvere nera), che corrode, piaga ed ulcera le ossa; inoltre (questo agente) corrode il ferro e per questo motivo le chiavi dei loro capanni (delle loro capanne) sono fatte di legno. Di più, c’è un determinato genere di cadmio che mangia (consuma) i piedi degli operai quando sono bagnati e, allo stesso modo, le loro mani, e così danneggia i loro polmoni e gli occhi. Di conseguenza, per il loro lavoro nelle miniere, i minatori dovrebbero munirsi non soltanto di stivali di pelle, ma anche di guanti abbastanza lunghi da arrivare all’altezza del gomito e dovrebbero fissare ampie maschere sulle loro facce; per mezzo di queste cose, infatti, la polvere non raggiungerà le loro arterie ed i loro polmoni, nè volerà nei loro occhi. Non dissimilmente (allo stesso modo), presso i Romani, i lavoratori del minio prendevano precauzioni contro la respirazione di quella polvere mortale. L’aria stagnante, sia quella che rimane in un pozzo che quella in una galleria, produce difficoltà nella respirazione; i rimedi a questo male sono le macchine di ventilazione che ho (già) esposto sopra. Ma c’è un’altra malattia ancor più distruttiva, che velocemente porterà alla morte gli uomini che lavorano in quei pozzi o livelli o tunnel in cui la dura roccia è spezzata per mezzo del fuoco. Qui l’aria è infettata dal veleno, poiché i grandi e piccoli filoni e gli strati delle rocce esalano un certo veleno sottile dai minerali, che è estratto dal fuoco (è prodotto dalla combustione), e questo stesso veleno è sollevato con il fumo non diversamente dalla pompholyte, che aderisce alla parte superiore delle pareti negli impianti in cui il minerale viene fuso. Se questo veleno non può fuoriuscire dalla terra (dalla miniera), ma ricade negli stagni e galleggia sulla loro superficie, causa spesso pericolo, dato che, in qualunque momento l’acqua sia messa in movimento da una pietra o qualsiasi altro oggetto, questi vapori esalano ancora da quegli stessi stagni e così mettono in pericolo gli uomini che li inalano quan- 32 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO do respirano; e l’effetto è ancora peggiore se i vapori del fuoco (della combustione) non sono ancora stati espulsi del tutto. I corpi delle creature viventi che sono infettate con questo veleno generalmente si gonfiano immediatamente e tutti perdono il movimento e la sensibilità e muoiono senza dolore; gli uomini, invece, nell’atto di uscire dai pozzi servendosi delle scalette, quando il veleno li sorprende, cadono nuovamente indietro (dentro la miniera), dato che le loro mani non svolgono più il proprio compito, apparendogli gonfie come palle, e allo stesso modo i loro piedi. Se per buona fortuna qualcuno, avvelenato, sfugge a questo male, si mostra pallido come un morto. In questi casi, nessuno dovrebbe scendere nella miniera o nelle miniere vicine, o, se si trova già dentro, dovrebbe uscire immediatamente. I minatori prudenti ed esperti bruciano le pire di legno il venerdì, verso la sera, e non discendono più nei pozzi né entrano nei tunnel prima del lunedì (successivo); così, nel frattempo, i vapori tossici spariscono (vengono dissipati). Ci sono inoltre casi in cui si devono fare i conti con l’Orco, infatti, in alcune zone metallifere, benchè tali casi siano rari, si produce spontaneamente veleno ed esala vapore pestilenziale, così come (succede) in alcune vene all’interno delle cave, ma più spesso queste trattengono al proprio interno i vapori nocivi. Nelle città delle pianure della Boemia ci sono alcune spelonche che, in determinate stagioni dell’anno, emettono vapori acidi che producono delle luci ed uccidono i minatori se vi indugiano troppo a lungo. Plinio ha lasciato un testo (nel quale dice) che quando i pozzi sono crollati, i vapori di zolfo o di allume rischiano di uccidere gli operai che vi lavorano e una prova di questo pericolo è se una lucerna accesa che è stata lasciata giù si estingue: allora viene scavato un secondo pozzo a destra o a sinistra (di quello principale), così un flusso d’aria tira via i vapori nocivi. Sulle pianure si costruiscono dei mantici che sanano questi vapori nocivi e rimediano a questa cosa cattiva (il danno) che ho descritto prima. Accade anche che a volte gli operai scivolano dalle scalette nei pozzi e si spezzzano le braccia, le gambe o il collo, o cadono nei pozzi e annegano; spesso, in verità, avviene per negligenza dei preposti, dato che è loro compito specifico sia fissare saldamente le scalette ai sostegni (assi traverse) in modo che non possano essere strappate via, sia provvedere con salde assi alla chiusura dei pozzi cui sono addetti, in modo che le assi non possano essere spostate né gli uomini cadere nell’acqua; per questa ragione l’addetto deve eseguire con attenzione il proprio lavoro: allora, non deve orientare l’entrata della baracca verso il vento del nord, affinchè le scalette non congelino con il freddo dell’inverno, dato che quando questo accade le mani degli uomini diventano rigide e scivolose (non fanno presa) e non possono svolgere il loro compito (della tenuta); anche gli stessi uomini devono fare attenzione affinchè, anche se nessuna di queste cose accade, non precipitino a causa della propria disattenzione. Può accadere che anche le rocce franano e gli uomini sono schiacciati dalla loro 33 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO caduta e muoiono. Infatti, quando, una volta, il (monte) Rammelsberg, a Goslar, è franato giù, tanti uomini sono rimasti schiacciati nelle rovine che, in un giorno solo, le cronache ci dicono, circa 400 donne sono state derubate dei loro mariti. Ed undici anni fa una parte della montagna di Altenberg, che era stata escavata, diventò molle e sprofondò schiacciando improvvisamente sei minatori; inoltre ingoiò una capanna ed una madre con il suo piccolo ragazzo. Goslar Goslar è una storica città della Bassa Sassonia, Germania. È il centro amministrativo del distretto di Goslar ed è ubicata sui pendii nordoccidentali delle colline di Harz. La città e le sue miniere sono state dichiarate Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO. Stato: Germania Land: Bassa Sassonia Coordinate: 51°54’N 10°26E Altitudine: 225 m s.l.m. Superficie: 92,58 km2 Popolazione: (06.2006) - Totale 43.058 ab. - Densità 465 ab./km2 Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Goslar Ma questo generalmente avviene in quelle montagne che contengono accumuli di gallerie. Di conseguenza, i minatori dovrebbero lasciare numerosi archi (di sostegno) sotto le montagne che hanno bisogno di supporto, o provvedere (altrimenti) al sostegno. Le pareti di roccia che crollano, inoltre, feriscono le loro membra (dei minatori) ed per impedire che questo accada, i minatori dovrebbero proteggere con strutture metalliche i pozzi, le gallerie e gli avvallamneti nascosti. D’altra 34 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO parte, nelle nostre miniere non esiste la “solifuga” (formica velenosa) che nasce in Sardegna. Questo animale, come scrive Solinus, è molto piccolo ed ha la forma di un ragno; è chiamato solifuga, perché evita (fugit) la luce (solem). È molto comune nelle miniere d’argento; striscia invisibile e porta la peste a coloro che vi si siedono sopra imprudentemente. Ma, come lo stesso scrittore ci dice, sorgenti di acque tiepide e salubri che zampillano in determinati luoghi, neutralizzano il veleno iniettato dalle formiche solifughe. Tuttavia, In alcune delle nostre miniere, comunque in molto poche, ci sono altri parassiti e pericoli. Questi sono diavoli di feroce aspetto, dei quali ho parlato nel mio libro “De Animantibus Subterraneis”. I diavoli di questo genere sono scacciati e messi in fuga con la preghiera ed il digiuno. Alcuni di questi mali, così come determinate altre cose, sono la ragione per cui a volte le miniere vengono abbandonate. Ma la prima causa e principale è che queste non producono più metallo, o se in alcuni rami forniscono il metallo, esse, più in profondità, diventano sterili. La seconda causa è l’abbondanza d’acqua che vi scorre dentro; a volte i minatori non possono deviare questa acqua nelle gallerie perchè i tunnel non possono essere diretti profondamente nelle montagne, o non possono estrarla con le macchine perché i pozzi sono troppo profondi; o se potessero estrarla con le macchine, non le usano per il motivo che indubbiamente il costo sarebbe maggiore dei profitti di una vena abbastanza povera. La terza causa è l’aria insalubre, che i proprietari a volte non possono bonificare o sanare per (mancanza di) abilità o per (eccesivo) dispendio, per cui a volte viene abbandonato non soltanto lo scavo dei pozzi ma anche quello delle gallerie. La quarta causa sono le sostenze venefiche che si producono in alcuni siti, se non è nelle nostre possibilità rimuoverle completamente o moderarne gli effetti. Ciò è la ragione per cui le gallerie nella pianura conosciuta come Laurentius non venivano scavate, benchè non fossero carenti di argento. La quinta causa sono i demoni feroci ed omicidi, dato che se non possono essere espulsi, nessuno può sfuggirgli. La sesta causa sono i sostegni che, se sono danneggiati, sprofondano e di solito ne segue il crollo della montagna; le fondamenta, infatti, vengono consolidate soltanto quando la vena è molto ricca di metallo. La settima causa è data dalle operazioni militari. A causa loro (infatti,) non si dovrebbero riaprire i pozzi e le gallerie a meno che non siamo abbastanza sicuri delle ragioni per le quali i minatori le hanno abbandonate, perché non dobbiamo credere che i nostri antenati siano stati così indolenti e senza iniziativa da abbandonare le miniere che avrebbero potuto continuare a dare profitto. Infatti, proprio ai nostri giorni, alcuni minatori, persuasi dai racconti delle donne anziane, hanno riaperto alcune miniere abbandonate ed hanno perso tempo e fatica. Di conseguenza, per impedire alle generazioni future di essere indotte a comportarsi in questo modo è consigliabile di mettere per iscritto la ragione per cui lo scavo di ogni pozzo o galleria è stato abbandonato. Per questo, una volta, a Friburgo è risultato che le miniere erano state abbandonate a causa della grande quantità di acqua”. 35 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO “…It remains for me to speak of the ailments and accidents of miners, and of the methods by which they can guard against these, for we should always devote more care to maintaining our health, that we may freely perform our bodily functions, than to making profits. Of the illnesses, some affect the joints, others attack the lungs, some the eyes, and finally some are fatal to men. Where water in shafts is abundant and very cold, it frequently injures the limbs, for cold is harmful to the sinews. To meet this, miners should make themselves sufficiently high boots of rawhide, which protect their legs from the cold water; the man who does not follow this advice will suffer much illhealth, especially when he reaches old age. On the other hand, some mines are so dry that they are entirely devoid of water, and this dryness causes the workmen even greater harm, for the dust which is stirred and beaten up by digging penetrates into the windpipe and lungs, and produces difficulty in breathing, and the disease which the Greeks call asthma. If the dust has corrosive qualities, it eats away the lungs, and implants consumption in the body; hence in the mines of the Carpathian Mountains women are found who have married seven husbands, all of whom this terrible consumption has carried off to a premature death. At Altenberg in Meissen there is found in the mines black pompholyx, which eats wounds and ulcers to the bone; this also corrodes iron, for which reason the keys of their sheds are made of wood. Further, there is a certain kind of cadmia which eats away the feet of the workmen when they have become wet, and similarly their hands, and injures their lungs and eyes. Therefore, for their digging they should make for themselves not only boots of rawhide, but gloves long enough to reach to the elbow, and they should fasten loose veils over their faces; the dust will then neither be drawn through these into their wind-pipes and lungs, nor will it fly into their eyes. Not dissimilarly, among the Romans the makers of vermilion took precautions against breathing its fatal dust. Stagnant air, both that which remains in a shaft and that which remains in a tunnel, produces a difficulty in breathing; the remedies for this evil are the ventilating machines which I have explained above. There is another illness even more destructive, which soon brings death to men who work in those shafts or levels or tunnels in which the hard rock is broken by fire. Here the air is infected with poison, since large and small veins and seams in the rocks exhale some subtle poison from the minerals, which is driven out by the fire, and this poison itself is raised with the smoke not unlike pompholyx, which clings to the upper part of the walls in the works in which ore is smelted. If 36 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO this poison cannot escape from the ground, but falls down into the pools and floats on their surface, it often causes danger, for if at any time the water is disturbed through a stone or anything else, these fumes rise again from the pools and thus overcome the men, by being drawn in with their reath; this is even much worse if the fumes of the fire have not yet all escaped. The bodies of living creatures who are infected with this poison generally swell immediately and lose all movement and feeling, and they die without pain; men even in the act of climbing from the shafts by the steps of ladders fall back into the shafts when the poison overtakes them, because their hands do not perform their office, and seem to them to be round and spherical, and likewise their feet. If by good fortune the injured ones escape these evils, for a little, while they are pale and look like dead men. At such times, no one should descend into the mine or into the neighbouring mines, or if he is in them he should come out quickly. Prudent and skilled miners burn the piles of wood on Friday, towards evening, and they do not descend into the shafts nor enter the tunnels again before Monday, and in the meantime the poisonous fumes pass away. There are also times when a reckoning has to be made with Orcus, for some metalliferous localities, though such are rare, spontaneously produce poison and exhale pestilential vapour, as is also the case with some openings in the ore, though these more often contain the noxious fumes. In the towns of the plains of Bohemia there are some caverns which, at certain seasons of the year, emit pungent vapours which put out lights and kill the miners if they linger too long in them. Pliny, too, has left a record that when wells are sunk, the sulphurous or aluminous vapours which arise kill the well-diggers, and it is a test of this danger if a burning lamp which has been let down is extinguished. In such cases a second well is dug to the right or left, as an air-shaft, which draws off these noxious vapours. On the plains they construct bellows which draw up these noxious vapours and remedy this evil; these I have described before. Further, sometimes workmen slipping from the ladders into the shafts break their arms, legs, or necks, or fall into the sumps and are drowned; often, indeed, the negligence of the foreman is to blame, for it is his special work both to fix the ladders so firmly to the timbers that they cannot break away, and to cover so securely with planks the sumps at the bottom of the shafts, that the planks cannot be moved nor the men fall into the water; wherefore the foreman must carefully execute his own work. Moreover, he must not set the entrance of the shaft-house toward the north wind, lest in winter the ladders freeze with cold, for when this happens the men’s hands become stiff and slippery with cold, and cannot perform their office of holding. The men, too, must be careful 37 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO that, even if none of these things happen, they do not fall through their own carelessness. Mountains, too, slide down and men are crushed in their fall and perish. In fact, when in olden days Rammelsberg, in Goslar, sank down, so many men were crushed in the ruins that in one day, the records tell us, about 400 women were robbed of their husbands. And eleven years ago, part of the mountain of Altenberg, which had been excavated, became loose and sank, and suddenly crushed six miners; it also swallowed up a hut and one mother and her little boy. But this generally occurs in those mountains which contain venae cumulatae. Therefore, miners should leave umerous arches under the mountains which need support, or provide underpinning. Falling pieces of rock also injure their limbs, and to prevent this from happening, miners should protect the shafts, tunnels, and drifts. The venomous ant which exists in Sardinia is not found in our mines. This animal is, as Solinus writes, very small and like a spider in shape; it is called solifuga, because it shuns (fugit) the light (solem). It is very common in silver mines; it creeps unobserved and brings destruction upon those who imprudently sit on it. But, as the same writer tells us, springs of warm and salubrious waters gush out in certain places, which neutralise the venom inserted by the ants. In some of our mines, however, though in very few, there are other pernicious pests. These are demons of ferocious aspect, about which I have spoken in my book De Animantibus Subterraneis. Demons of this kind are expelled and put to flight by prayer and fasting. Some of these evils, as well as certain other things, are the reason why pits are occasionally abandoned. But the first and principal cause is that they do not yield metal, or if, for some fathoms, they do bear metal they become barren in depth. The second cause is the quantity of water which flows in; sometimes the miners can neither divert this water into the tunnels, since tunnels cannot be driven so far into the mountains, or they cannot draw it out with machines because the shafts are too deep; or if they could draw it out with machines, they do not use them, the reason undoubtedly being that the expenditure is greater than the profits of a moderately poor vein. The third cause is the noxious air, which the owners sometimes cannot overcome either by skill or expenditure, for which reason the digging is sometimes abandoned, not only of shafts, but also of tunnels. The fourth cause is the poison produced in particular places, if it is not in our power either completely to remove it or to moderate its effects. This is the reason why the caverns in the Plain known as Laurentius used not to be worked, though they were not 38 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO deficient in silver. The fifth cause are the fierce and murderous demons, for if they cannot be expelled, no one escapes from them. The sixth cause is that the underpinnings become loosened and collapse, and a fall of the mountain usually follows; the underpinnings are then only restored when the vein is very rich in metal. The seventh cause is military operations. Shafts and tunnels should not be re-opened unless we are quite certain of the reasons why the miners have deserted them, because we ought not to believe that our ancestors were so indolent and spiritless as to desert mines which could have been carried on with profit. Indeed, in our own days, not a few miners, persuaded by old women’s tales, have re-opened deserted shafts and lost their time and trouble. Therefore, to prevent future generations from being led to act in such a way, it is advisable to set down in writing the reason why the digging of each shaft or tunnel has been abandoned, just as it is agreed was once done at Freiberg, when the shafts were deserted on account of the great inrush of water. De Re Metallica - full 1912 Hoover translation online Fonte: http://www.btinternet.com/~stephen.henley/agricola 39 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO http://www.btinternet.com/~stephen.henley/agricola/book6/book6-49.jpg 40 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Capitolo 2 La pazza corsa 2.1 Giorgio Bauer. “Giorgio Bauer è uomo di vasta cultura e di larghi interessi; era nato a Glachau, in Sassonia, nel 1494 e aveva studiato a Lipsia, a Bologna e a Venezia. Nel 1527 aveva cominciato ad esercitare la professione del medico a Joachimstal, in Boemia, una zona cioè che era, in quel tempo, la maggiore area mineraria d’Europa. Godette, in vita, della stima di Erasmo, di Fabricio e di Melantone, fu borgomastro di Chemnitz e incaricato di varie missioni politiche presso l’imperatore Carlo e il re Ferdinando d’Austria. Il De ortu et causis subteraneorum e il De natura fossilium, entrambi pubblicati nel 1546, sono i primi trattati sistematici di geologia e mineralogia. Il De Re Metallica, pubblicato nel 1556, un anno dopo la morte del suo autore, restò per due secoli l’opera fondamentale e insuperata di tecnica mineraria. Il libro era apparso negli stessi anni in cui le miniere del Centro e del Sud America stavano raggiungendo uno sviluppo prodigioso. Nel Potosì, che fornì oro e argento a tutta l’Europa, l’opera di Agricola sarà considerata una specie di Bibbia e i preti attaccheranno il De Re Metallica agli altari delle chiese in modo che i minatori venissero a compiere le loro devozioni ogni qualvolta dovevano risolvere un problema tecnico”. Con queste parole viene descritto Agricola, l’autore del “De Re Metallica” ne “I filosofi e le macchine 1400 - 1700” dallo storico e filosofo della scienza Paolo Rossi (Saggi Universale Economica Feltrinelli - ed. 2004). Le opere di Giorgio Bauer furono pubblicate inizialmente a Basilea e poi tradotte a Venezia per le versioni pubblicate in Italia. Nel corso dei secoli, a Berlino, Parigi, Dusseldorf ed in tutto il resto del mondo furono numerosissime le riedizioni e traduzioni dell’opera, tra cui è senz’altro notevole quella pubblicata nel 1912 sul “Mining Magazine” di Londra, eseguita dall’ingegnere minerario americano Herbert Hoover - oggi meglio ricordato come Presidente degli Stati Uniti d’America - insieme a sua moglie, Lou Henry Hoover. È interessante che “nonostante la prova di tolleranza che Agricola aveva nella questione religiosa, non finì la sua vita in pace. Rimase fino alla fine uno strenue cattolico, sebbene tutti a Chemnitz fossero diventati luterani; e si dice che Agricola morì per un attacco di apoplessia dovuta ad un’accesa discussione con un teologo protestante. Morì a Chemnitz il 21 novembre 1555, ed era così violento il risentimento teologico nei suoi confronti, che 41 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO non fu neanche sepolto nella città a cui aveva dato lustro. Tra due ali di dimostranti, fu portato a Zeitz, a sette chilometri e mezzo di distanza (7 miglia terrestri prussiane) da Chemnitz, e lì fu sepolto” (da: Wikipedia; alla voce: Georg Agricola). Dictionnaire historique de la médecine ancienne et moderne par Nicolas François Joseph Eloy Mons - 1778 42 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 43 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Fonte http://www.summagallicana.it/lessico/b/Bauer%20Georg%20Agricola%20Georgius.htm Ho riportato qui sopra un’altra testimonianza sulla vita del Bauer, tratta dal “dictionnaire historique de la médecine ancienne et moderne”, di Nicolas François Joseph Eloy, del 1778. E’ un’immagine digitalizzata che vale più di lunghi discorsi. Non vorrei dire di più, sul nostro autore, salvo che, in poche parole, è stato uno dei precursori del pensiero moderno nel campo scientifico e tecnico ed ha saputo guardare oltre i limiti del proprio tempo e del proprio mondo: ricordare il suo lavoro è utile, in questo tempo di oscura confusione, è la testimonianza di un lungimirante modello di pensiero. È importante che si colga il valore esemplare di Georg Bauer, che fu, a dire il vero, un degno figlio di un’epoca straordinaria. Infatti, fu proprio l’epoca in cui visse Georg Bauer ad essere stata davvero memorabile. Nel 1494, quando Bauer venne al mondo, era ben viva la Storia, si cominciava a rifare il Mondo da capo, si cominciava a stabilire i nuovi confini della Terra e dell’Universo. L’Italia, l’Europa ed il resto del Mondo erano in febbrile fermento. Agivano ed operavano geni in tutti i campi. Nelle scienze, nelle tecniche, nelle arti. E nel pensiero... Nella rete, nel web, oggi, possiamo trovare una quantità incredibile di informazioni che descrivono il turbine di quel periodo. Sul sito http://www.fsmitha.com/ ho trovato una cronologia della storia mondiale molto originale, realizzata tenendo presente lo svolgimento dei fatti del mondo intero. Scorrendo la linea degli eventi che si sono verificati all’incirca dal 1490 al 1570, più o meno negli anni in cui era vissuto Georg Bauer, si scopre che il mondo, in quello stesso periodo si era completamente trasformato, era diventato irriconoscibile. Tutti gli equilibri si erano capovolti. Niente era rimasto immutato. In poco più di settant’anni si erano concentrati personaggi, fatti, scoperte, invenzioni con una intensità così sconvolgente che deve aver messo veramente a dura prova la capacità di comprensione e di interpretazione degli uomini di quel tempo. 44 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 2.2. A passo di carica. Il corso della vita e degli studi di Georg Bauer fu partecipe di tutti quegli eventi. Lui, uno studioso, che aveva viaggiato e aveva insegnato nelle università più famose dell’intero continente europeo, aveva piena coscienza di quanto stava avvenendo tutt’intorno a lui in quegli anni e vi prendeva parte attivamente. Lui, che partecipava direttamente a quell’opera di trasformazione irreversibile, cosa avrà avuto nell’animo e nei pensieri? Di solito crediamo che la storia proceda a passo lento e marziale e siamo anche convinti che in passato, nei secoli scorsi, il tempo abbia seguito un ritmo lento, un flusso tranquillo, una corrente piatta, lenta. Che abbia rispecchiato una dimensione umana meno dinamica e speculativa di quella dei giorni nostri. E invece, scorrendo i fatti che caratterizzarono il mondo negli anni di Bauer, ci coglie pura meraviglia. Non di un lento defluire, si è trattato, ma di vere e proprie rapide, di una folle e precipitosa corsa di una corrente incontrollabile. Pensavamo che lo “stress da futuro”, per citare la definizione coniata da Alvin Toffler, un guru della sociologia americana degli anni settanta e ottanta, fosse un’invenzione moderna per spiegare l’alienazione e le società dell’oggi. Che grossa sciocchezza! Cosa devono aver provato gli scienziati, i filosofi, i gli artisti, gli esploratori, i capitani di ventura che a quel tempo giravano il mondo! Intorno a loro, a causa loro, per colpa loro o per merito, di uomini grandi come Giganti, si cambiavano per sempre i connotati della Terra, dell’Universo, persino quelli dell’Uomo. Venivano scoperte terre nuove, mondi nuovi, popoli nuovi, civiltà nuove. Sconosciuti aspetti del mondo venivano tratti fuori dal nulla, in qualsiasi campo. Nuove dimensioni dello spazio infinito e dell’animo umano venivano raggiunte viaggiando ad una velocità... interstellare. Lo spazio fra presente e passato si allargava ed il futuro sembrava avvicinarsi man mano che si accumulavano le scoperte e gli anni scorrevano. 45 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 1491 1492 1493 1494 1494 King Charles VIII of France invades Brittany and forces 14-year-old Ann of Brittany to marry him, adding Brittany to French territory. Ferdinand and Isabella do their part in a war against Islam - they annex Granada. Also they expel all Jews from Spain. And the voyage they are paying for, led by Christopher Columbus, sets sail for China by going westward. Christopher Columbus returns from the Caribbean, and later in the year he sails back to the Caribbean. Kings were doing what kings had been doing for ages: pursuing wealth, territorial expansion and control over people. This year the agent of the Spanish monarchs Ferdinand and Isabella, Columbus, begins using people of the Caribbean as slaves. Piero de Medici has ruled since death of his father, Lorenzo, in 1492. He makes a peace with French, who have invaded Tuscany (in which Florence is located). A political rising drives him into exile. Florence is in anarchy. A Dominican priest, Savonarola, is antiRenaissance. He is opposed to popular music, art and other worldliness. L’Italia della fine del ‘quattrocento, del Rinascimento ormai matura, era già terra di eccellenze, per almeno due o tre secoli la sua stella aveva brillato nel firmamento, era all’avanguardia dell’economia e dei traffici, della tecnica e dell’arte. Ma ciò che doveva ancora avvenire avrebbe sconvolto ogni equilibrio precedente. Più niente era destinato a restare al suo posto. Tutta l’Europa era diventata una grande polveriera e la rincorsa della miccia già da tempo aveva cominciato a mordere il tempo. I re di Francia e di Spagna flirtavano con la Storia per sovvertire ogni ordine precostituito. E non sarebbero certo rimasti da soli! Nei roghi di libri ed opere d’arte appiccati dal Frate Savonarola andava in cenere lo splendore magico della Firenze dei Medici, benché il mondo fosse distratto e non sembrasse dare alcuna importanza a quei falò. Era impegnato ad ammirare ben altre meraviglie! La carovana navale di Colombo, attraverso una falla della Storia, quasi tre secoli dopo i carri di broccato di Marco Polo, riversava l’Uomo d’Europa sulle coste di un Nuovo Mondo. 46 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 1496 1496 1497 1497 1498 1498 1498 1498 Jews are expelled from Syria. Sultan Qaytbay dies at the age of 53 followed by grand amirs competing to succeed him. Boys working under Savonarola collect from homes things associated with moral laxity: mirrors, cosmetics, pictures, books, fine dresses, the works of immoral poets. Savonarola has these burned. Renaissance art work is lost. Pope Alexander VI excommunicates Savonarola. In Scotland, children are required by law to go to school Toothbrushes appear in China. Vasco da Gama reaches India. Savonarola is hanged. An enraged crowd burns Savonarola at the same spot where he ordered his bonfire. Columbus sails from Spain with six ships on his third voyage to the Americas. …………………. 1498 The Ottoman Turks invade Dalmatia and devastate land around Zara. Venice goes to war again against the Ottoman Turks. Mentre Savonarola, a Firenze finiva vittima della stessa follia delle pire di pergamene cui aveva dato avvio, (succede, quando si gioca col fuoco, di non poterlo, a volte, controllare) per gli Ebrei rabbinici, gli Arabi dei Sultanati, le lontane popolazioni della Cina e dell’India si stava mettendo in moto il vortice della storia moderna. Le Otto mani dei Turchi cominciavano a stringersi avide sulle galee veneziane al largo di Zara, avvicinando ai confini d’Europa le insegne della Mezza Luna, spinte dal miraggio di porre all’ombra del vessillo di quell’altra Fede monoteista, anche il mondo d’Occidente. 1501 1504 1506 The world has a population of around 435 million - about one-fourteenth today’s population of 6.4 billion. Machiavelli is in France, learning about the strength of a nation united under a single ruler rather than under various centers of power. Columbus dies in Spain. 47 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La vita di Colombo meriterebbe un lavoro a parte, così come le gesta dei grandi navigatori che in quei decenni solcarono gli Oceani a bordo dei loro veloci velieri, alla scoperta dell’Ignoto e dell’avventura. Le loro vele erano gonfie, oltre che dei venti della rosa, anche della brama di ricchezza che soffiava nei cuori loro e in quelli di re, regine e cavalieri mercanti, loro mecenati. Colombo muore nel 1506, in povertà, in terra Spagnola, dopo aver provato la vergogna della galera e senza essere riuscito ad appagare la sete che lo aveva arso. Dopo essere stato Governatore e proprietario di schiavi, finì la propria esistenza in miseria, abbandonato da quella gloria che aveva inseguito ed acciuffato nelle acque dei sette mari. Anche la filosofia allargava i propri confini e cominciava a stringere alleanze feconde, per esempio, con la scienza della politica. Il fiorentino Machiavelli, ammaestrato dalle lunghe esperienze d’ambasceria presso le corti d’Europa, cominciava a disegnare il profilo di quella figura di Principe che armerà di realismo un po’ cinico la doppia morale di tutti i governanti moderni. Chissà se sia stato davvero un bene. Oppure solo la giustificazione delle ambizioni di potenti prepotenti. Intanto, in quegli stessi anni l’idea di Stato moderno cominciava a prendere il largo ed iniziava a navigare per il mondo. Il mondo, che, tutto intero, doveva sfamare, a quei tempi, circa quattrocentocinquanta milioni di uomini. Tanti quanti, oggi, ne conta la sola Nazione Unita Europea (più o meno). 1509 1510 A Dutch humanist, Desiderius Erasmus, writes In Praise of Folly. He is a devout Catholic who has been bothered by what he calls absurd superstitions of most of the Christians of his day. He favors the translation of the Bible from Latin to local languages so that the masses can read it, and he believes that common people have the capacity to understand Christianity as well as do priests. Portuguese ships are heavily armed with cannon and dominate the Indian Ocean. Indian ships are smaller and held together with coconut fiber ropes, instead of iron nails. Portuguese Catholics establish a presence at the port at Goa on India’s western coast, a point from which Muslims had been debarking for pilgrimages to Arabia. Goa begins to serve as Portugal’s port capital of in Asia. India these days has a population of around 105 million - about one-twelfth the number of people in Pakistan and India today. Grazie ad Erasmo, una nuova Follia si aggirava sul pianeta. Quella dei filosofi, critica, allegra, animata dal fuoco caldo della Ragione, che si affrancava da un’altra follia, quella dei religiosi fattisi principi, o dei principi fattisi religiosi, sempre potenti arbitri sanguinari della storia umana. 48 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La scienza del pensiero cominciava finalmente a parlare il linguaggio dell’uomo, a leggere il mondo attraverso le lenti delle categorie sperimentali, a costruire modelli di realtà più robusti di quanto non fossero le tesi della Scolastica, che oramai difendeva le verità di fede con la forza del potere temporale, più che con gli strumenti della ragione. Ma quella scienza cominciava anche a porre l’uomo innanzi alle proprie responsabilità, ad angosciarlo con le minacciose fiamme del nuovo inferno delle “verità sperimentali”, fragili e caduche. Un inferno infitto nel fondo del cuore. Così lo Spirito dell’uomo nuovo cominciava una lunga peregrinazione attraverso le lande inesplorate del mondo scientifico, come un novello Diogene che indagava la notte, illuminata solo dall’esile fiammella della Conoscenza. Intanto, si affilavano le lame, si rendevano fameliche le potenti bocche dei cannoni, si zavorravano le navi con le palle delle bombarde. Diventava un business esportare la morte verso nuove rotte, importando, in cambio, la merce della meraviglia. Il cattolico mondo d’Europa si approvvigionava a piene mani delle ricchezze incalcolabili dei nuovi continenti, ma cominciava anche a farsi corrodere i polmoni dai fumi della polvere nera e della pirite. 1512 Michelangelo finishes the Sistine Chapel. La forza divina che in ogni tempo anima il braccio dell’artista, rinnova ancora una volta il miracolo della creazione. Mentre il fiero sguardo di Davide, imperturbabile nella sua superiore serenità ultraumana, osservava calmo lo scorrere del tempo sulla Piazza della Signoria, sulle pareti della Cappella Sistina si tingevano i colori del Supremo Infinito. Dalla mente e dalle mani del divino Michelangelo si sprigionava la potenza creatrice dell’arte, che allarga la sensibilità dei cuori ed acuisce lo spirito degli uomini, permettendo di attingere orizzonti che mai erano stati esplorati prima. Si tracciavano, su quelle pareti odorose d’incensi, i disegni di rotte ancora più meravigliose di quelle che, in quegli stessi anni, esploratori e marinai provvedevano ad aprire sulle plaghe oceaniche. Venivano stese, su quelle volte, le immagini dei viaggi nell’Oltretomba, gli stessi che erano stati raccontati da Gilgamesh nella Terra dei Due Fiumi, da Eracle il figlio di Zeus, o da Dante l’Alighieri, visionario creatore della lingua italica. 49 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nuovi territori inesplorati dell’anima venivano sottratti al dominio del nulla, grazie al miracolo dell’arte. Nello stesso momento in cui, sotto la coltre fitta delle nubi tropicali, Colombo e Magellano, Vespucci e Còrtèz squarciavano il velo dei misteri celati forse da sempre, oltre le Colonne d’Ercole. 1514 1517 1517 Portuguese traders reach what today is Indonesia, then the center of spice production. A Portuguese ship arrives at Guangzhou (Canton) in southern China. The Ottoman sultan, Selim, with superior weaponry, routes the Mamelukes. It is the end of Egypt’s Mameluke sultans. The last of them is hanged. Selim appoints a viceroy to rule Egypt as pasha. Egypt will now acknowledge Ottoman suzerainty and pay annual tribute to the Ottoman sultan. I profumi e i colori delle spezie e delle sete si propagavano su tutte le terre d’Europa. Gusti nuovi invadevano le mense dei papi e dei re. Mentre i popoli continuavano a morire di fame. Carovanieri e capitani di vascello dilagavano per ogni dove, cavalcavano le correnti oceaniche e risalivano il corso dei fiumi. Valicavano i passi ghiacciati delle vette del cielo e caracollavano tra le dune, dondolati dalle gobbe dei cammelli. Nel mentre, nella sabbia dorata del Grande Deserto, la Sfinge strangolatrice, monolitica guardiana delle Piramidi eterne e custode divina delle origini del tempo e della magia dei geroglifici, veniva sfregiata dai guerrieri Mamelucchi imbalsamati dalla polvere secca della sabbia sahariana. 1517 1519 1520 An Augustinian friar and professor of theology, Martin Luther, lists his 95 theses. Gold mining in Hispaniola has dwindled. The value of gold is still relatively high among Spaniards, and a search for gold elsewhere in the New World begins. Spain’s authority in the Americas sends Hernando Cortez on a mission to Mexico. Luther has refused to retract some of his protests. He has been printing pamphlets explaining his position. The papacy orders Luther’s works burned. Ma quelle spezie, quelle sete, i ricami e le cineserie stavano modificando per sempre i gusti degli uomini, corrompendo le loro fedi e dividendo ciò che nessun dio avrebbe mai osato sciogliere. Le tesi di Martin Lutero affondarono come lame nell’unità religiosa dei Cristiani d’Occidente, lacerando nel profondo le coscienze d’Europa. 50 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nello stesso interludio della storia del mondo, nelle miniere del Messico si correva appresso al miraggio dell’Eldorado e nelle città dell’Europa si affilavano le spade della fede. Le vanghe dei minatori scavano le gallerie delle miniere nelle viscere della terra del Sud, mentre le spade bilama delle Fedi cristiane macellavano i soldati degli eserciti d’Europa. Ma il Sangue del Calice, di lì a poco, sarà sostituito dal sangue degli Infedeli. Infedeli. Infedeli. Infedeli dappertutto, nelle terre d’Oriente ed in quelle d’Occidente, nelle Isole di Albione come in quelle delle Antille. Ai sacrifici umani delle terre del Nuovo Mondo si aggiungeranno gli altri delle plebi d’Europa. 1520 1520 1521 1521 1521 1522 Sweden is free from the rule of Danish kings, Henry VIII of England and King Francis of France, each with army behind him, meet, dismount and embrace in one of the world’s earlier summit meetings. (June 7.) There will be celebrations and sermons on the virtues of peace. Charles V has been elected as the Holy Roman Emperor, and Pope Leo X allies himself with Charles against Martin Luther. Francis of France does not like Charles - a Habsburg. The Italian War begins with Francis invading Navarre and the low countries. Francis is allied with the Republic Venice. England’s Henry VIII sides with Charles and the Papal States. The Ottomans continue to expand. Selim has died and his son Suleiman (Sulayman) succeeds him and captures Belgrade. Cortez, with cannon and an enlarged army of Spaniards and Indians, attacks the Aztecs at Tenochtitlan (Mexico City). The people of Tenochtitlan have no guns and are weakened by small pox. Their supply of water is cut. They are killed by the thousands and defeated. Suleiman sends an armada of 400 ships and more than 100,000 men to Rhodes. He is using artillery and explosives. Rhodes capitulates after a siege of 145 days. …………… 1526 1526 Suleiman captures the towns of Buda and Pest. Machiavelli dies of ill health never seeing the unification of Italy that he desired. The printing press is introduced in Stockholm, Sweden. ……………………. 1529 Suleiman the Magnificent sends an army from Hungary against Vienna: 325,000 men, 90,000 camels and 500 artillery pieces. Thousands of camels are lost because of the spring rains and 200 of the heavier artillery pieces are sent back. Suleiman’s force finally arrives in late September. Their attempts to get past Vienna’s walls fail, and in midOctober the withdraw. 51 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Intanto Solimano, detto il Magnifico, spingeva la minaccia dei Turchi fino alle porte di Vienna. La civile Europa tremava, scossa fin nelle fondamenta già squassate dalle guerre che gli imperatori si menavano nel nome di Dio e della Fede. Traballavano le colonne dei templi e gli architravi del potere. Rullavano i tamburi e si mobilitavano le folle. Giannizzeri, Lanzichenecchi e Moschettieri si affrontavano sotto le mura di Santo Stefano. Bandiere colorate e scimitarre ricurve, lance acuminate ed archibugi assordanti, si confondevano nella mota delle terre d’Asburgo. Cammelli e cannoni spargevano semi di meraviglia e di morte sul continente insanguinato. 1532 1532 1532 1533 1535 1538 1539 1541 1541 Machiavelli’s The Prince, written in 1513, is published. The Portuguese begin to ship slaves to Brazil, slaves they have paid for in Africa with manufactured goods. In South America a Spaniard in his mid-fifties, Francisco Pizarro, arrives in Inca territory with 102 men, 62 horses and some interpreters. Meanwhile a civil war has been taking place between two royal Inca brothers. Pizarro has imprisoned one of the two brothers, Atahualpa, who offers a room full of gold for his freedom. He is executed by the Spaniards for the murder of his rival brother. Henry VIII breaks from Catholicism and declares himself head of English Church. At Préveza (on the coast of western Greece, 200 kilometers southeast of the Italian peninsula), a Barbary pirate, Barbarossa, employed by the Ottoman Empire, destroys the combined Christian fleets of the Pope, Venice and Spain. The Ottoman Empire dominates the Mediterranean Sea. In Japan, trading monopolies end and a free market begins. John Calvin, 32, a Protestant, is driven out of France. Spanish conquistadors arrive in New Mexico. Il mondo era in subbuglio. Mentre si pubblicava “Il Principe” di Machiavelli, Enrico VIII trovava il tempo, fra la decapitazione di una moglie e l’internamento di un’altra nella Torre di Londra, di pronuoversi capo di una Chiesa nuova di zecca. Intando dalle terre d’America giungevano, a bordo delle galere alberate, carichi immensi di ricchezze e miserie. Vele di galeoni solcavano i mari, sospinte dai venti. Stive colme d’oro e traboccanti di nuove primizie sconosciute venivano scaricate negli angiporti d’Europa. Il profumo di nuovi frutti si confondeva con la fragranza di esotiche spezie odorose. Le erculee braccia degli schiavi sospingevano quei remi ed aravano le terre d’Oltreoceano. I re dell’Eldorado venivano imprigionati e impiccati. I loro popoli millenari spogliati di tutto. 52 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO I Missionari di Dio civilizzavano le razze indigene, uccidevano gli dei pagani, cancellavano i calendari primordiali, interrompevano il ciclo degli astri e sospendevano il succedersi delle ére. Si mescolavano, nell’immensità degli oceani e sull’alto dei pennoni, gli stendardi dei pirati coi vessilli dei regni, le insegne dei conquistadores coi gonfaloni dei capitani. Il frastuono delle bombarde si univa al vortice dei sette venti. Il fumo degli schioppi al tintinnare dei fendenti metallici. Le lingue di tutta la Babilonia moderna si allungavano sui mari infuriati trasportate da cavalli marini, turgidi di furore, che schiumavano sotto le chiglie delle caravelle, mentre i lampi dei cannoni accendevano le vele e colavano a picco quei poveri gusci di legno. Croci e Mezzelune. Arabeschi ed ideogrammi. Geroglifici e Quipu. Era tutto un confondersi di Storie. 1542 1542 1542 1543 1543 1543 1545 1545 The Ming emperor, Jiajing, has focused on Taoism and immortality, but his spiritualism has not made him worthy in the eyes of eighteen of his concubines. They detest him and conspire to strangle him while he sleeps. All of them are executed except the one who warned the empress. Ivan, to be known as The Terrible, is twelve-years-old. He entertains himself by dropping dogs from the roof of a Kremlin wall battlement. Francis Xavier, a Portuguese Jesuit missionary lands in Goa. Nicolaus Copernicus is dead. He had waited until the end of his life to defy Church doctrine with the publication of his work “On The Revolution of Heavenly Bodies,” explaining his theory that the earth and other planets revolve around the sun rather than the sun around the earth. (1541 N. A.) Theocratic government begins in Geneva. (1541 N. A.) Michelangelo paints the altar wall of the Sistine Chapel. The Council of Trent - the 19th ecumenical council of the Roman Catholic church begins, to be on and off again until 1563. In France, attacks to the Catholic clergy have occurred. Troops are sent against the Protestant heresy in a cluster of towns. About twenty towns are destroyed and about 3,000 Protestant men, women and children killed. Il mondo intero era senza fiato. Neanche alla metà del secolo, già erano accaduti eventi che sarebbero bastati per una Storia intera. Ma non vi era un solo anno di requie. Non potevano giacere in pace neanche i morti. I Santi e tutti gli Dei del pianeta, con tutte le corti di scribi ed aruspici, erano in adunanza perpetua per decidere il destino del mondo. E tutto questo ancora non bastava. Gli occhi dell’uomo, forse approfittando dell’estenuata pausa del Concilio degli 53 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO dei, rafforzati da protesi cristalline concave e convesse, scrutavano le stelle ed i pianeti, ne osservavano i moti, ne agitavano le orbite. E mentre il genio di Michelangelo, ancora non pago di aver dato l’immagine all’Infinita Eternità delle storie della Bibbia cristiana, partoriva forme e colori dell’Inframondo carontèo, il teologo Calvino prendeva il Governo di Ginevra. Per cercare di mettere ordine fra le eresie e gli imperatori, Alessandro Farnese, divenuto il Papa Paolo III, diede inizio al Concilio di Trento. Quanta storia scorse in quegli anni! Ma tutto questo ancora è niente! Se l’orbe terraqueo venne messo a soqquadro, ciò che avvenne nei cieli, fra i pianeti e le stelle, fu davvero mirabolante. Fu l’opera di scienziati, intellettuali, filosofi e pensatori. Ne risultò una rivoluzione copernicana! Copernicana ho detto? Il nome dello scienziato astronomo polacco è molto noto. Un po’ meno la sua storia. Vediamo qui di seguito cosa racconta di lui la più moderna enciclopedia mediatica, la più diffusa, la più compulsata fonte di notizie. Niccolò Copernico (Miko aj Kopernik in polacco, Nicolaus Copernicus nei testi antichi ed internazionali) (Toruƒ, 19 febbraio 1473 - Frombork, 24 maggio 1543) è stato un astronomo polacco famoso per aver portato all’affermazione della teoria eliocentrica, contribuendo così alla Rivoluzione astronomica. Copernico nacque nel 1473 nella città di Toruƒ, aderente alla Lega Anseatica. Presto orfano di entrambi i genitori, venne adottato insieme ai fratelli dallo zio materno Lucas Watzenrode, che in seguito divenne Vescovo dell’Ermia. Nel 1491 Copernico entrò all’università di Cracovia e conobbe l’astronomia sotto la guida del suo docente Albert Brudzewski. Di questo periodo, e del suo approccio a questa scienza, ci restano alcune sue entusiastiche descrizioni in testi oggi raccolti nella biblioteca di Uppsala. Dopo quattro anni, ed un breve soggiorno a Toruƒ, venne in Italia, dove studiò diritto presso l’Università di Bologna (particolarmente, si dedicò al diritto civile ed al diritto canonico, dato anche il desiderio dello zio vescovo, suo finanziatore, di farne un vescovo a sua volta). 54 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nella città dotta incontrò Domenico Maria Novara da Ferrara, già celebre astronomo, che ne fece il suo allievo ed uno dei suoi più stretti collaboratori. Con lui, mentre studiava diritto civile a Ferrara (dove si laureò), Copernico fece le prime osservazioni nel 1497, così come ricorda nel De revolutionibus orbium caelestium. Nello stesso anno, lo zio fu nominato vescovo di Ermia e Copernico canonico presso la cattedrale di Frombork o Frauenburg; ma il giovane studioso preferì attendere in Italia l’arrivo dell’ormai prossimo Anno Santo, ed anzi si diresse a Roma, dove osservò una eclissi di luna e dove tenne delle lezioni di astronomia o di matematica (delle quali non ci è pervenuto alcun contenuto). Soltanto nel 1501 sarebbe andato a “prendere servizio” a Frauenburg, ma vi si trattenne per il solo tempo necessario a richiedere, ed ottenere, il permesso di tornare nel Bel Paese per recarsi a completare i suoi studi a Padova (con Fracastoro e Guarico) ed a Ferrara (città del suo maestro, con Bianchini). Qui si laureò nel 1503 in diritto canonico, e qui si suppone abbia letto scritti di Platone e di Cicerone circa le opinioni degli Antichi sul movimento della Terra. Qui, dunque, si ipotizza che possa avere avuto la prima illuminazione per lo sviluppo delle sue intuizioni. Nel 1504 cominciò a raccogliere infatti le sue osservazioni e le sue riflessioni che stavano per erompere De revolutionibus orbium caelestium nella composizione della sua teoria. Lasciata l’Italia, tornò a Frombork e ivi divenne membro del Capitolo di Warmia, interessandosi di riforme del sistema monetario e sviluppò alcuni studi di economia politica che lo portarono ad enunciare in anteprima alcu- 55 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO ni principi poi riassunti nella nota Legge di Gresham. Nel 1516 ricevette dal capitolo l’incarico di amministratore delle terre attorno alla città di Olsztyn, e in tale veste si interessò di questioni di catasto, giustizia e fisco. Nel castello di Olsztyn, dove passò quattro o cinque anni, fece alcune osservazioni importanti e scrisse una parte della sua opera principale De Revolutionibus orbium coelestium. È proprio in questo castello che si trova tutt’ora l’unica traccia visibile della sua attività scientifica: una tabella che fece alla parete di una loggia che gli serviva per osservare il moto apparente del Sole attorno alla Terra. Copernico fu anche un rappresentante commerciale del capitolo, ed un diplomatico per conto dello zio vescovo. Nel 1514 distribuì ai suoi amici alcune copie del Commentariolus. Occorse di attendere sino al 1536 perché il suo maggior studio potesse essere compreso in un’opera compiuta, e sin dal suo primo apparire l’opera ebbe immediata notorietà negli ambienti accademici di mezza Europa. Da molte parti del Continente gli pervennero infatti pressanti inviti a pubblicare i suoi studi, ma Copernico, non senza ragione, temeva la prevedibile reazione che le sue idee, per certi versi destabilizzanti, avrebbero Quadro di Jan Matejko raffigurante Copernico potuto suscitare. Il cardinale di Capua, Nicola Schonberg gli richiese una copia del manoscritto, il che rese Copernico ancora più profondamente terrorizzato, potendosi leggere in questa richiesta un segno di apprezzabile nervosismo della Chiesa. Il lavoro, in realtà, era ancora in completamento ed egli ancora non aveva preso la determinazione di inviarlo alle stampe quando, nel 1539, il grande matematico di Wittemberg Giorgio Gioacchino Retico piombò a Frauenburg su sollecitazione di Philipp Melanchthon, il quale aveva alquanto insistentemente allestito un gruppo di lavoro comprendente altri scienziati. Retico stette due anni a contatto di Copernico come suo allievo, e descrisse nel suo testo Narratio prima l’essenza degli studi che si andavano sviluppando. 56 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nel 1542 Retico pubblicò, col nome di Copernico, un trattato di trigonometria (poi incluso nel secondo libro del De revolutionibus) e pressò quello che ormai era divenuto il suo maestro per la pubblicazione del lavoro. A questo finalmente Copernico acconsentì anche per effetto delle reazioni, talune favorevoli, altre negative, ma in genere tutte di grande interesse, ed affidò il testo al suo fraterno amico Tiedemann Giese, vescovo di Chelmno, perché lo consegnasse a Retico, che lo avrebbe stampato a Norimberga. Vuole la leggenda che Copernico morente ne abbia ricevuta la prima copia il giorno in cui sarebbe morto, e taluno scrisse che avendogliela alcuni amici messa fra le mani, lui incosciente, si sia risvegliato dal coma, abbia guardato il libro e, sorridendo, si sia spento. Fu sepolto nella cattedrale di Frombork, in un punto non più identificabile. Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Nicol%C3%B2_Copernico Gli astri, le monete, la matematica. Ovunque si posassero l’occhio o il pensiero cambiava forma ogni ordine precedentemente costituito. M’immagino il parapiglia delle stagioni in campagna, il turbinìo delle feste nei palazzi signorili, gli arenghi animosi nelle città piccole e grandi. M’immagino il fervore nelle Università, nelle Cappelle, nelle Corti. M’immagino la velocità della Storia. La sua fulminante accelerazione. Lo sgomento degli ignoranti. L’annichilimento dei potenti. 57 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 1547 1549 1550 1551 Henry VIII of England dies. Francis Xavier, a Catholic Portuguese missionary arrives in Japan. A Frenchman, Ambrose Pare, begins creating artificial limbs. In France, the works of Martin Luther, John Calvin and others considered heretics are prohibited. In the cites of Paris, Toulouse, Grenoble, Rouen, Bordeaux, and Agners, various heretics and those selling forbidden books have been burned at the stake. And another massacre of Protestant occurs. More than 3,000 Protestants are to be reported as having been killed, 763 houses, 89 stables and 31 warehouses destroyed. ………………………. 1553 Ivan, now of age and no longer under the regency of his mother, takes the title Tsar Ivan IV. 1553 Henry’s successor, Queen Mary, re-establishes Roman Catholicism as England’s state religion. 1554 Queen Mary marries a fellow Catholic - Spain’s Habsburg prince, Philip, eleven years her junior. The marriage gives Spain influence in England’s affairs. 1555 Philip’s father, the Habsburg monarch, ruler of Spain and Holy Roman Emperor, Charles V, concludes the Peace of Augsburg with a league of Protestant German princes (the Schmalkaldic League). The Peace of Augsburg recognizes the right of each prince in the Holy Roman Empire to choose between Lutheranism and Roman Catholicism and to impose the religion of his choice on his subjects. ………………………………. 1555 French Protestants (Huguenots), running from persecution, are dropped off from three ships at a place that will eventually be called Rio de Janeiro. Nel 1554 moriva Georg Bauer. Non deve essersi veramente mai annoiato! Durante la sua vita, nei circa sessant’anni della sua esistenza, ogni giorno doveva aver ricevuto notizie di cambiamenti portentosi e di novità incredibili. Novità che trasformavano il Mondo per sempre. Incredibile destino, il suo!!! Non riesco a capire se dovremmo invidiarlo o compiangerlo. Più che un’esistenza, fu un’avventura fantastica. Un viaggio senza fine. Una fortuna impagabile. O forse una disgrazia senza limiti. Per lui, che appartenne al mondo dei sapienti e dei dotti, la vita è stata sicuramente l’età delle curiosità insaziabili. 58 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 1558 Queen Mary dies and is succeeded by her half-sister, Elizabeth, the daughter of Henry VIII and his second wife, Anne Boleyn. Elizabeth re-establishes Anglican Protestantism as the state religion. 1559 An Italian invents ice cream. 1559 Machiavelli’s The Prince appears on the Pope’s Index of Prohibited Books. ………………………………….. 1560 Europe is still suffering from periodic epidemics and famines. One-half of all infants born alive are dying before twelve months (as in the poorest countries today). The wealthy might live to between 48 and 56, and the poor, who do not eat as well, might live to 40. ………………………………… 1562 The English seaman John Hawkins raids a Portuguese ship taking slaves to Brazil. He begins England’s participation in the slave trade by exchanging the slaves in Hispaniola for ginger, pearls and sugar, a transaction that brings him a huge profit that interests other Englishmen. 1563 The Council of Trent, begun in 1545 is concluded. It was decided that tradition is to be judged co-equal to scripture as a source of spiritual knowledge, and only the Church is to be considered as having the right to interpret the Bible. The clergy is ordered to be more disciplined and was to have higher educational standards. Clerics who kept concubines are to give them up. Bishops are required to live in their own diocese. They are to have almost absolute jurisdiction there and to visit every religious house in their jurisdiction at least once every two years. Every diocese is to have a seminary for educating and training the clergy, and those who are poor are to be given preference in admission. Efforts are made toward giving instruction to the laity, especially the uneducated, and sermons are allowed in the language of common people. The sale of indulgences and Church offices is condemned, and so too is nepotism. And music in church is to fit with the occasion of solemnity, matching a new era of choral music and composition http://www.fsmitha.com/ Che epoca !!!! Non ho saputo né voluto eliminare molte righe dalla tabella dello “fsmitha”. Ne avrei invece aggiunta qualcun’altra, per citare, ad esempio, i nomi e le opere di Botticelli o Leonardo da Vinci. Ma già così era troppo lunga. Tuttavia non posso evitare di urlare: che epoca !!! Si sono spaccate religioni e sono nate nuove chiese. Sono morti dei re e si sono creati nuovi regni. Si è infranta ogni certezza. Si è perso ogni orientamento. Il cammino della Storia ha segnato tappe incancellabili. E, come per ogni epoca, alla faccia gloriosa e nobile dell’epopea umana se ne può contrapporre un’altra, mostruosa e spregevole, macchiata dalle stragi di poveri inocenti e dalla riduzione in schiavitù dei più deboli. Sembra di vivere il film dei giorni nostri girato in costumi d’epoca !!! 59 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La scienza apriva continuamente nuove frontiere e conquistava inesplorati spazi. Pressoché ogni cosa, in ogni istante sembrava mutare di posto, nella mente degli uomini. Quello che stava al centro e quello che era immobile. Quello che premeva per entrare e quello che era stato fisso in eterno. Ciò ch’era puro, fatto della materia divina e ciò che corrompeva le carni dell’uomo. Chi determinava il destino e chi lo doveva subire. Guardare le cose, del cielo e della terra, da allora, non ha più avuto lo stesso significato. Si sono visti all’opera artisti divini che hanno dato vita a creature eterne. Dei, ninfe, titani, eroi sono stati messi al mondo per vivere insieme agli uomini e nelle città. Il pallido marmo ha ripreso a vivere dopo mille anni di sonno e le fredde pareti di chiese e palazzi a trasudare colori e somiglianze con quelle strappate all’oblìo della memoria sepolta. Era un’epoca di Giganti. Era un mondo in cui ogni passo dell’uomo si misurava con l’eternità e la memoria, con la storia e con il tempo. Lo spazio si allargava. Quello fisico sulla terra, quello liquido negli oceani, quello etereo del firmamento. I confini non contenevano più la marea umana che tracimava. Il pensiero di scienziati e pensatori, poeti e filosofi, medici ed architetti scalava le vette più elevate dell’ingegno. Un vulcano sembrava eruttare sul mondo la lava della novità e la volta del cielo non sembrava bastare a contenerne lo slancio. Di lì a poco, nel 1582, persino il conto dei giorni avrebbe deviato dal monotono flusso che scaturiva dalla profondità dei secoli, perdendo, per sempre, dieci battiti dell’orologio solare. Nulla più stava fermo. Niente più si teneva in ordine. Nessuna cosa restava più al suo posto. I luoghi cambiavano forma. Le parole vecchie non bastavano più a raccontare le cose nuove che giungevano da mondi lontani e sconosciuti, conficcate al di là delle acque oscure e torbide degli Oceani e delle Idee. La fantasia, quasi, non bastava a contenere una realtà così traboccante. Colombo e Magellano, Vespucci e Vasco de Gama avevano tracciato sulle carte dei mari, con le chiglie dei loro galeoni, le rotte del Nuovo Mondo, le nuove strade che conducevano in continenti sconosciuti. E uomini come Galileo Galilei e Giordano Bruno avrebbero percorso, di lì a poco, le rotte del Pensiero, della filosofia e della scienza per conquistare nuovi e più ricchi territori in cui accogliere lo Spirito Umano emerso dalla lava del Rinascimento. Ma dalle fiamme di quella stessa lava avrebbero finito per essere sommersi. 60 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Capitolo 3 Marcinelle Il mondo ha continuato a camminare, o a correre, anche dopo la scomparsa di Georg Bauer. Nei secoli seguenti, le arti, le scienze, il lavoro degli uomini, hanno continuato a trasformare il mondo. La forza del pensiero e della scienza ha moltiplicato la potenza delle braccia umane, trasformando il pianeta, fornito agli uomini livelli sempre maggiori di benessere. Ma rimane forte ancora l’inebriante sensazione di onnipotenza - di inutile inanità, se si preferisce - provocata dagli sconvolgimenti, buoni e cattivi, di quegli anni. Dopo di allora nessuna certezza ha mai più avuto il tempo di durare tanto a lungo da diventare stabile. Persino il bene ed il male hanno raggiunto dimensioni, forse, sconosciute prima di allora. Il periodo che abbiamo visto srotolarsi davanti ai nostri occhi è uno degli snodi della Storia, nel quale le vie del mondo e quelle dell’uomo sembrano schizzare via in mille direzioni diverse. Ma quella folle corsa mi ha affascinato, mi ha lasciato senza fiato. Tutto ha subìto un’accelerazione imprevedibile. Tutto è stato schiacciato da quel pazzo balzo verso il futuro. Noi, oggi possiamo apprezzare quali esperienze vissero gli uomini in quegli anni, quali fantastiche circostanze hanno avuto occasione di affrontare. Fallirono sistemi millenari che avevano misurato il tempo, lo spazio e le dimensioni del mondo fino a quel momento. La forma dell’universo, le orbite dei pianeti, la profondità degli spazi si allargarono, facendo viaggiare l’animo umano verso mete sconfinate. E, nello stesso momento, il pensiero prende il sopravvento sul pregiudizio. L’uomo comincia a liberarsi delle illusorie conoscenze medievali, condizionate dalle pretese metafiche che nascondevano la verità della scienza. In poche parole, l’uomo, inestricabile groviglio di bene di male, creatura dalla duplice natura di bestia e di dio, trovò finalmente il coraggio di assumere un ruolo centrale nell’universo e diventare, così, misura e scopo del creato, vero destinatario di un dono così grande, ancora tutto da scoprire. Forse solo i Greci del mondo ellenico avevano avuto un coraggio altrettanto meraviglioso ed incosciente. In questo modo, nel bene, l’uomo si rese padrone di nuovi infiniti spazi e di immense fonti di ricchezze. Nel male, invece, furono scoperti nuovi metodi di 61 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO sopraffazione e di mortificazione del genere umano, tanto più infidi e lesivi della dignità, quanto più diretti all’annichilimento delle coscienze. Non so se è giusto porre le due cose in rapporto fra di loro, un rapporto di prezzo fra l’una e l’altra, ma è certo che la stessa situazione si sta verificando ai giorni nostri, nel tempo attuale, che vede l’uomo tecnologico cavalcare fiero l’indomito stallone del Progresso, incurante tuttavia dello scempio provocato dai mostri insaziabili dell’ingordigia, della guerra e della povertà. Per dare una lettura coerente dello svolgersi degli avvenimenti nei secoli che uniscono il 1500 alla stagione nostra, riporto di seguito un testo scaricato dal web che traccia una veloce ma significativa sintesi dello sviluppo del mondo scientifico e tecnologico e dei suoi riflessi nel campo medico. È interessante perché, traccia anche un tratto particolare della storia, quella del lavoro, con il che si ritorna al tema principale di questo scritto. Dal Medioevo alla Rivoluzione Industriale … Se i metalli furono i protagonisti della tossicologia ambientale dell’Evo Antico, i fumi di combustione del carbone contrasteranno questo primato a partire dall’Alto Medioevo. Alcune fonti storiche e letterarie segnalano la rilevanza del problema dell’inquinamento atmosferico fin dal XII secolo. Enrico II e sua moglie Eleonora di Aquitania furono costretti nel 1157 a trasferirsi, per questo motivo, dal castello di Nottingam a quello di Tutbury, e nel 1257 la Regina Eleonora di Provenza fece altrettanto. Nel 1300 viene introdotto, in Inghilterra, l’uso del carbone minerale, denominato “carbone di mare”, perché trasportato via nave da New Castle a vari scali dell’Inghilterra nord orientale. E già nel 1306, Edoardo I vieta la combustione del carbone durante le sedute parlamentari. Di fatto, la produzione dei metalli e il fumo di carbone rappresenteranno una fonte prioritaria di gravi problemi ambientali per tutti i secoli successivi, anche quando le attività produttive si arricchiranno di nuovi e temibili veleni. Le fonti letterarie che denunciano le condizioni di lavoro dei minatori e l’inquinamento atmosferico cominciano ad essere copiose e circostanziate a partire dal tardo Rinascimento; spesso riportano informazioni su le epoche antecedenti, in conseguenza del diffuso interesse per le fonti antiche. In questo contesto riteniamo sufficiente interrogare gli autori più rilevanti, o meglio, quelli che hanno tentato una summa dell’ampia dottrina tecnicoscientifica che andava via, via costituendosi sull’impeto dello sviluppo del metodo scientifico e delle nuove esigenze della società pre-industriale. Tra questi, Georg Bauer (1494-1555) (figura 3), meglio conosciuto con la versione latina del suo nome, Georgius Agricola, è considerato il fondatore della geologia. 62 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La sua opera aprì la via ad un più approfondito studio sistematico della terra e delle rocce, dei minerali e dei fossili. Diede un contributo fondamentale alla geologia, alla metallurgia, alla mineralogia, e alla paleontologia. Agricola passava il tempo libero dai suoi impegni di medico, a visitare le miniere e le fonderie, a leggere i testi greci e latini sulle attività minerarie, e a parlare con persone esperte della tecnica estrattiva e dell’organizzazione del lavoro (10). Da questa sua attività “collaterale”, nacque la sua opera principale, il De Re Metallica, la cui stesura richiese un quarto di secolo, e che apparve postuma nel 1556. Nel primo libro, Agricola riporta e commenta le critiche dei detrattori delle attività minerarie, facendo frequente ed esplicito riferimento alle problematiche ambientali: “La più importante argomentazione dei detrattori [delle attività minerarie] è che i campi sono devastati dalle attività minerarie, in conseguenza di ciò in Italia era vietato per legge scavare la terra alla ricerca dei metalli e devastare. Così, i loro fertili campi, vigneti e oliveti. I detrattori denunciano anche il taglio dei boschi e della macchia per soddisfare la grandissima richiesta di legname per la costruzione di edifici, delle macchine e per la fusione dei metalli. Il taglio dei boschi fa morire anche gli animali e gli uccelli. Inoltre, quando i minerali vengono lavati, le acque risultanti avvelenano ruscelli e fiumi e allontanano a valle o uccidono i pesci. Perciò gli abitanti di queste regioni, a causa della devastazione dei loro campi, boschi e fiumi, trovano grande difficoltà a procurarsi il necessario per vivere e, per la carenza di legname, devono affrontare crescenti spese per fabbricare i loro edifici. Essi perciò sostengono che il danno derivante dalle attività minerarie è maggiore del guadagno derivante dalla produzione di metalli.” (De Re Metallica, libro I) Nel De Re Metallica riporta e commenta le critiche dei detrattori delle attività minerarie, facendo frequente ed esplicito riferimento alle problematiche ambientali. Nel VI libro Bauer affronta il problema delle malattie e degli infortuni dei lavoratori, e dichiara che le polveri che si formano nella frantumazione dei minerali sono causa di malattie, e che l’aria stagnante delle gallerie contiene gas tossici, che attribuisce in alcuni casi al fiato degli spiriti maligni. A poco meno di un secolo dalla pubblicazione del De Re Metallica incontriamo un’altra interessante testimonianza letteraria, questa volta riguardante l’inquinamento atmosferico. Nel 1661 John Evelyn (1620-1706) (figura 4) scrive Fumigium, ovvero l’inconveniente dell’aria e dei fumi in Londra. In un opera precedente (the Diary, 1684), lo stesso autore aveva già denunciato il grave disagio per la popolazione dovuto al fumo di com- 63 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO bustione del carbone (11 ) : “Lo smodato uso dei carbone espone Londra ad uno dei più brutti inconvenienti: e questo a causa e per colpa di pochi camini e ciminiere private che appartengono solo a birrai, tintori, fabbricanti di calce, gente che fa bollire il sale o il sapone e ad altri privati commercianti, ciascuno dei quali ha un tubo di scarico che da solo inquina ed infetta l’aria più di tutti i comignoli di Londra messi insieme. [...] Mentre questi ruttano fumo dalle loro mascelle fuligginose, Londra somiglia alla faccia del monte Etna o ai sobborghi dell’inferno più che a una comunità di creature dotate di ragione. Lo stanco viaggiatore, a molte miglia di distanza, sente l’odore della città in cui cerca riparo, ancor prima di vederla. [...] Questa densa fuliggine danneggia in modo grave i polmoni e questo è un danno così incurabile, che si porta via intere moltitudini, come ci informano settimanalmente gli elenchi dei defunti”. Nel suo Diary scrive, riferendosi all’atmosfera inquinata di Londra: “Questa densa fuliggine danneggia in modo grave i polmoni e questo è un danno così incurabile, che si porta via intere moltitudini, come ci informano settimanalmente gli elenchi dei defunti”. Quella di Evelin non fu una voce solitaria, anche il medico Thomas Brown, denuncia i gravissimi danni determinati dai vapori e dalla nebbia, che impedivano al fumo, prodotto dalle “sordide industrie”, di dissiparsi (11). E concludeva “Così il fumo si integra col vapore e viene ispirato: il che finisce per produrre cattive conseguenze, come quella di causare tossi e catarri e di inquinare il sangue”. Comunque, malgrado tanti dubbi e tante riserve, l’uso del nuovo combustibile crebbe progressivamente, al punto da dare origine ad una serie di sviluppi e di mutamenti in campo tecnologico che dovevano sfociare nella Rivoluzione Industriale. Le emissioni dovute alla combustione del carbone non erano certo le sole: gli ambienti urbani delle epoche antecedenti alla grande evoluzione igienico sanitaria del XX secolo erano costantemente amorbate da miasmi provenienti da scarichi di ogni genere. La gravità del problema doveva essere rilevante, se già nel 1388 il parlamento inglese vietava lo scarico di rifiuti urbani nei fossati e nei fiumi e a Cambridge veniva varata la prima legge sanitaria sui rifiuti urbani. Non stupisce, quindi, che nell’epoca delle grandi epidemie la teoria più accreditata presso i medici e le autorità sanitaria fosse fondata sulla capacità di contagio dei miasmi. …………………………………………………… La percezione del rischio e i rimedi “istintivi” che ne derivavano, trovarono una contropartita “razionale” nei provvedimenti istituzionali delle autorità, che dovettero fronteggiare un problema politico e sociale di rilevanza inaudita. Da questa esigenza nacque, in Italia, un’ampia organizzazione di 64 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO controllo temporaneo, che divenne progressivamente permanente, generando un apparato giuridico amministrativo che fu di modello ed esempio a tutte le altre nazioni europee. Secondo la teoria dei miasmi la cattiva aria era la fonte del contagio, e si consigliava ai malati di tenere nelle stanze scodelle di latte fresco capaci di attenuare gli effluvi, e di porre sulle labbra pezzetti di pane appena sfornato e fragrante di forno. “Gli effluvi” non erano, ovviamente, identificati come manifestazione di particelle organiche contenenti germi ma come esalazioni tossiche, spesso provenienti dagli umori corrotti del malato stesso: la malattia era quindi l’esito di un avvelenamento e non di una parassitosi. La teoria dei miasmi era, come abbiamo già visto, ben compendiata nella teoria galenica degli umori. Le discrasie, che causavano la malattia erano riferibili all’assunzione involontaria delle microscopiche particelle contaminanti, che inducevano la predominanza di uno o più umori allontanando il malato dall’omeostasi corporea... Non mancarono, tuttavia, “voci fuori dal coro” che con alcune geniali preveggenze furono precursori dell’ipotesi microbiologica della malattia. Il veronese Girolamo Fracastoro (1478-1553) scriveva nel suo De contagione et contagiosis morbis et curatione, pubblicato a Venezia nel 1546, che: “le malattie contagiose sono sostenute da semenze vive che contaminano gli uomini e in questi si riproducono e si moltiplicano causando la malattia. Alcuni germi raggiungono l’organismo per contatto diretto, altri a distanza per mezzo dell’aria che si respira e nella quale sono mescolati e dove si mantengono vitali per un certo tempo”. Il Fracastoro estende alla parola putrefazione il significato di fermentazione e intuisce, oltre 300 anni prima di Pasteur, che la fermentazione acetica e quella casearia sono di origine microbiologica. Sebbene i tempi non fossero ancora maturi, e le ipotesi già accreditate sulla corruzione degli umori corporei e sui miasmi continuassero a dominare il pensiero medico, tre anni prima della pubblicazione dell’opera di Fracastoro venne data alle stampe un’altra opera, che può essere considerata, da molti punti di vista, l’incipit della medicina scientifica, il De umani corporis fabrica di Andrea Vesalio (1514-1564). La fabbrica è il primo trattato moderno di anatomia, in esso la descrizione degli apparati e delle strutture del corpo umano non deriva più dalla pedissequa ricopiatura delle opere di Galeno, nè da estrapolazioni provenienti da studi su animali, ma è il risultato di una consumata esperienza settoria su cadaveri umani. Sebbene quest’opera sia una pietra miliare della letteratura medica rinascimentale, non deve essere considerata il prodotto di un genio isolato, bensì l’approdo di un’ampia attività di indagine, che si intensificherà sempre più nelle epoche successive estendendosi alla fisiologia alla fisiopatologia, e all’anato- 65 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO mia patologica. Tra le figure di primissimo piano della nascente scienza medica moderna, come William Harvey, Giovanni Malpigli, Hermann Boerhave, Albrecht von Haller ed altri ancora, troviamo scienziati di minore rinomanza, il cui contributo fu comunque importante, se non altro per l’originalità di pensiero e l’impostazione metodologica. Tra questi, Bernardino Ramazzini (1633-1714) (figura 5) riveste particolare interesse nell’ambito della tematica che stiamo cercando di sviluppare. Scrive De morbis articium Diatriba, nel quale descrive i rischi per la salute associati a 50 professioni. La vita di Ramazzini fu lunga e ricca di soddisfazioni professionali: dopo le lauree in filosofia e in medicina presso l’università di Parma, iniziò la professione medica, che non abbandonò mai, neppure quando, negli anni della maturità, occuperà la cattedra di medicina teorica prima presso l’ateneo di Modena e poi a Padova. Fu membro stimato e onorato di molte società scientifiche, e le sue pubblicazioni mostrano una grande sensibilità per la valutazione e l’analisi dei casi clinici, oltre che la franca consapevolezza della necessità di adeguare la legislazione sanitaria al profondo rivolgimento dei tempi nuovi. Al riguardo, nella sua opera principale, il De morbis artificium diatriba (pubblicato a Modena nel 1700), sottolinea la necessità di affiancare alla legislazione civile per la protezione della salute degli operai indagini mediche finalizzate alla profilassi contro le malattie professionali: “Poiché dunque non solo nel passato, ma anche ai nostri tempi, nelle società ben regolate, sono state fissate delle leggi a vantaggio dei lavoratori, è altrettanto giusto che anche la medicina apporti il proprio contributo in favore e a sollievo di coloro che lo Stato si preoccupa di favorire e, con un impegno ‘particolare che fino ad ora è stato assente, abbia cura della loro salute in modo che, per quanto è possibile, possano esercitare senza pericolo l’attività a cui si sono dedicati”. Il De Morbis artificium diatriba può essere considerato a pieno titolo il primo trattato di medicina del lavoro, in esso Ramazzini, oltre a puntualizzare lo stato dell’arte a partire dalle fonti greche e romane, esamina le patologie professionali di 50 mestieri, fornendoci una preziosa testimonianza sulle intossicazioni professionali della sua epoca: “Due sono, secondo me, le cause che provocano le varie e gravi malattie dei lavoratori. Malattie provocate da quello stesso lavoro che dovrebbe dare loro il pane. La prima causa, la più importante, è rappresentata dalle proprietà delle sostanze impiegate che, producono gas e polveri tossiche, inducono particolari malattie; la seconda è rappresentata da quei movimenti violenti e da quegli atteggiamenti non naturali per i quali la struttura stessa del corpo ne risulta viziata, cosicché col tempo sopraggiungono gravi malattie”. Ramazzini riferisce sintomi, cita fonti antiche e moderne, talvolta argomen- 66 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO ta con un taglio scientifico impeccabile, altre volte ricorre alla vecchia teoria degli umori. Nel suo scritto è, comunque, sempre presente un ammirevole sforzo di concretezza e di rigore: cita costantemente le fonti sia letterarie che professionali. Ad esempio, per quanto riguarda la tossicità del mercurio: Nessuna malattia è più inesorabile con i minatori di quella che si contrae nelle miniere di mercurio. Infatti i minatori, dice Fallopio nel trattato De metallis et fossilibus, nelle miniere di mercurio a stento superano il terzo anno di lavoro. Inoltre dopo quattro mesi, afferma nella “Ettmullernella sua mineralogia”, al capitolo sul mercurio, sono assaliti da tremori agli arti, colti da vertigini e da paralisi, e ciò a causa delle esalazioni del mercurio dannose al sistema nervoso ventrale. Anche l’intossicazione da piombo viene ricondotta all’azione del mercurio : Il Vedelio ricorda l’asma di montagna nella patologia medica dogmatica, dove afferma che a tale malattia sono soggetti coloro che trattano metalli e dice che lo Stockusio scrisse, su questo genere di asma, un intero trattato dove attribuisce la causa del male al mercurio contenuto nel piombo. Sono presenti anche osservazioni anatomo-patologiche sui cadaveri di intossicati: Il Sennert, nel libro “De consensu et dissensu Chymicorum cum Galenicis”, riporta quanto riferitogli da un medico che esercita la medicina presso le miniere metallifere di Misnia, cioè che negli organi dei cadaveri si ritrovano quegli stessi metalli che i minatori estraevano da vivi. Stazio, con molta efficacia,….., paragona i minatori agli abitanti dell’oltretomba, perché escono dalle miniere “con l’aspetto di Dite e dello stesso colore dell’oro che hanno scavato” Da spiegazione della pigmentazione degli epiteli ricorrendo all’antica tradizione galenica, ma nel contesto di una concezione fisiopatologico moderna, in cui emerge la consapevolezza della rilevanza del sistema circolatorio come vettore dell’intossicazione sistemica: Dal momento che gli umori si diffondono i colori caratteristici del metallo, “a meno che non siano rifluiti verso l’interno” - come dice Galeno nel primo libro degli Aforismi, comm.2 - e questo lo si osserva in quasi tutte queste malattie, è comprensibile che i minatori mostrino sulla pelle un colore simile a quello del metallo che è penetrato nella massa sanguigna. La lettura dell’opera di Ramazzini propone vari spunti di riflessione, che sono stati mirabilmente compendiati da Carnevale e Baldasseroni nell’introduzione alla loro storia della salute dei lavoratori: Ramazzini, oltrechè passare dall’individuale al collettivo, compì un altro passo: fece propria la tesi ippocratica della correlazione tra individuo e ambiente, assumendo quest’ultimo come concreto sistema di condizioni e condizionamenti dell’esistenza umana. Ma, rispetto a Ippocrate, fece un passo in più: ampliò il 67 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO concetto di ambiente da ambiente naturale, fatto di “aere, acque e luoghi”, com’è detto nel titolo dell’opera che costituisce uno dei frutti più maturi del pensiero ippocratico, ad ambiente “artificiale”, abitato dagli “artefici” in quanto habitat del loro lavoro. Ed ancora: [L’opera di ] Bernardino Ramazzini, strumento di lettura della salute della “gente del popolo” alle soglie delle grandi rivoluzioni settecentesche (agricola, demografica, industriale, politica): questa salute era vista ottimizzarsi in “assenza” di traumi, intossicazioni, fatiche ed usure. Le intossicazioni costituiscono, quindi, insieme ai traumi, alle fatiche e alle usure, le cause note di malattia. L’origine “chimica” della lesione morbosa emerge, ancora una volta, come consapevolezza consolidata anche agli albori della medicina scientifica. Fonte: http://www.medicalsystems.it/editoria/Caleidoscopio/CalPDF/175_CAL.pdf Ho tratto questo passo dall’articolo del dottor Pagnetto sopra citato come fonte. Questa ricostruzione storica permette di tracciare le tappe principali della medicina del lavoro, quelle che da Georg Bauer passano per l’opera di Bernardino Ramazzini dando le basi a quei princìpi di rischio e prevenzione di cui oggi tanto si dibatte e molto (di più) si dovrebbe fare. Tra gli scienziati, i pensatori ed i filosofi che hanno segnato i secoli da Bauer ad oggi, mi fa piacere ricordare proprio il Ramazzini che, nel 1700, all’alba del “secolo dei Lumi”, a Padova, pubblicò il “De morbis artificum diatriba”, forse il primo compiuto lavoro di scienza medica che affronta “consapevolmente” la problematica delle malattie professionali, opera che può essere considerata “atto fondativo” di quella branca della medicina che specificamente si occupa del lavoro e dei lavoratori. Il percorso, la linea del tempo che unisce Bauer con Ramazzini e quest’ultimo con il mondo contemporaneo della medicina del lavoro è di importanza capitale per lo sviluppo di quella “solidarietà sociale” che viene ormai riconosciuta come caratteristica fondamentale del modello di sviluppo delle società avanzate. Pionieri come l’Agricola si sono posti il problema del “lavoro” non più come una questione riguardante la capacità dell’uomo di strappare ricchezza alla natura selvaggia - che era il modo con cui le spedizioni oltreoceano, nel Nuovo Mondo, guardavano all’Eldorado ed ai suoi giacimenti inesauribili di cupidigia - ma hanno avuto la sensibilità civile di vedere l’opera degli uomini delle miniere come un’attività di riscatto per l’intera umanità. Ciò che avvenne, cioè che il lavoro consentisse di nuovo l’accesso dell’Uomo all’Eden Terreno, questa volta tutto terreno, fu possibile grazie al riconoscimento dei bisogni, delle cure e delle tutele assicurate agli uomini, il riconoscimento dei lavoratori che fino a quel momento erano stati trattati come bestie, schiavi, plebe o gleba. Mai, invece, come i migliori degli uomini. 68 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Questa forma di attenzione all’uomo delle miniere prestata dal Bauer fu quindi molto più che un atto affettivo o di sensibilità tecnico-scientifica. Fu un ribaltamento filosofico, una rivoluzione copernicana del modo con cui l’universo umano cominciava a percepire sé stesso. Ed anche se in quegli stessi anni, in quella stessa civile Europa si profanavano ancora gli dei del Indio Dorado e si sterminavano nel nome di Dio e del Re cattolico le civiltà millenarie del continente americano, nonostante ciò, la scintilla del progresso sociale riusciva a dar fuoco ad una miccia inestinguibile. Una miccia che corse sotterranea nei meandri della scienza e che nei secoli XIX e XX riuscì a dare luce piena alle conquiste del Progresso sociale, della Solidarietà, del Welfare, delle garanzie del lavoro e dei lavoratori. Quelle conquiste non riguardano solo i lavoratori, i contadini, gli operai o i minatori. Quelle conquiste, lo vediamo bene proprio in quest’epoca di crisi economica profonda, sono propellente per l’intera collettività, per continuare la corsa verso il progresso dell’intera Umanità e non possono essere ridotte alla stregua di orpelli ideologici: in un senso, o nell’altro, la deformazione provocata dalle ideologie “mercatista” e “operaista” è vittima dello stesso medesimo errore autolesionista di chi non ebbe il coraggio di guardare nel Cannocchiale di Galilei. Quello che si vede, dall’altro lato del tubo ottico, grazie al lavoro pregevole delle lenti molate, è indispensabile nutrimento per il progresso . Per il progresso dello Spirito, del Pensiero, dell’Uomo. Il progresso del lavoro è progresso del Pensiero, dello Spirito e dell’Uomo. Sì. Proprio così. Il segno lanciato nella storia dal capitolo VI del “De Re Metallica” si ingrandisce man mano e lungo la linea della Civiltà, compie un viaggio che dura più di quattro secoli. È un viaggio lungo una strada che conosce salite e discese, vittorie e sconfitte, meraviglie e tragedie. Con questo ritmo alterno, l’altalena della Storia ci porta ora al 1956. Esattamente a quattro secoli dalla pubblicazione dell’opera di Bauer. Quattrocento anni più tardi, tondi tondi. Sembra beffardo alle volte il fatto, infedele la fortuna. Ci troviamo nelle città industrializzate dell’Europa ancora ferita dalla Guerra. Le macerie ancora disegnano il panorama del Vecchio Continente, lo caratterizzano, ne sono parte integrante. La guerra finita 10 anni prima, o giù di lì, è stata forse la più tremenda. Non solo per il numero delle vittime e non solo per la vastità delle distruzioni. Milioni di morti ed intere città rase al suolo, il tutto pianificato con efficienza scientifica, possibile solo in un’epoca in cui la tecnica volge alla morte. Ma è negli animi che si trovano le ferite più profonde. Il male, il Male Assoluto ha stretto nei suoi terribili artigli il morbido corpo dell’Europa civile. Il Male sconfinato, nero e buio, ha inghiottito le coscienze, trasformato in macchine di morte le conquiste tecnologiche, ha rivolto contro l’Uomo le forze estreme della Natura violata. 69 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Ma da quegli abissi di perdizione stava anche nascendo un Uomo Nuovo. La speranza del Bene che aveva opposto fiera resistenza contro le schiere del Male voleva annettere ai suoi territori i sopravvissuti alla barbarie. Erano i tempi del “day after”. Erano i giorni in cui quelle rovine ancora fumanti erano percorse dal brulichio di milioni di braccia, illuminate della luce di mille e mille occhi, bagnati dal sudore di milioni di uomini. Erano le braccia, gli occhi, il sudore di milioni di sopravvissuti, poveri, deboli, miserabili. Ma, resi onnipotenti dalla forza della speranza, avevano deciso di scavare nel profondo delle montagne e di strappare alle viscere della terra il prezioso potere alchemico del carbone e dell’acciaio. Quelle viscere erano fertili come un utero materno. Di lì nasceva il Progresso, la Fede nel Futuro, l’Oblìo della miseria. Quella terra era diventata la terra promessa della redenzione, del recupero etico del Vecchio Continente, che voleva uscire dall’Inferno più buio in cui era caduto. Quelle braccia possenti, quegli occhi che riflettevano il bagliore di un’anima, quel sudore che concimava la dignità del lavoro promettevano di traghettare una generazione perduta nelle barbarie della guerra, e distrutta dal mostro della Morte, verso l’Eldorado di un futuro radioso. Nel 1956, in quel caldo, umido ventre, nella terra grigia e piovosa delle colline del Belgio, in un giorno d’agosto che stava passando dalla noia alla tragedia, centinaia di umili vermi scavavano le gallerie delle miniere di Marcinelle. Da quelle oscure gallerie gli umili uomini delle miniere strappavano alla miseria promesse di splendori e di ricchezze. Quel giorno, però, quel perfido giorno dell’8 agosto del 1956, da quel molle ventre di polvere e fango non uscirono più i minatori. Um Moloch li divorò. Un mostro che sputava fiamme e trasformava i condotti forzati dell’aria in camere a gas. Sembrava di essere tornati ai forni di Auschwitz, allo sterminio dei miserabili. “Arbeit Macht Frei”. Il lavoro rende liberi. Sui cancelli di Auschwitz i demoni del Male avevano rubato agli uomini non solo la libertà e la vita, ma anche la dignità e la speranza. Avevano rubato la scintilla divina che gli dei primordiali, Enlil, Prometeo, Jahvé, avevano infuso, tutti insieme, nell’Uomo quando nell’impasto di polvere e di fango avevano alitato il soffio della vita eterna. In quel momento avevano posto l’uomo al governo della Terra, creatura destinata al comando con le armi del lavoro. “Il lavoro rende liberi”, “Arbeit Macht Frei”, dovevano urlare gli uomini fieri del potere di erigere città e sconfiggere la fame, le belve e gli elementi contrari della Natura. E invece “Arbeit Macht Frei” divenne, inchiodato sul portale del campo di Auschwitz, il grido beffardo che il Mostro Maligno lanciò contro gli uomini e l’Olimpo. 70 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Era l’8 di agosto. Era il 1956. Erano trascorsi esattamente quattro secoli, erano sgocciolate via quattrocento corone del rosario solare. Quel giorno le parole di Bauer restarono attonite. La Morte aveva riscosso il terribile tributo. 262 vite di miseri uomini. Indifese creature. Quel giorno il cielo fu coperto da un sudario di lutto, da una maschera di dolore, da un manto di disperazione. Di quei 262 minatori, 136 erano italiani, emigranti e poveri. Anche a quei 262 poveri uomini voglio donare l’onore della Memoria. Per sempre. Dedichiamo a loro la memoria. Che uomo. Che uomo sarebbe senza memoria? Memoria. Senza memoria sono niente i morti, i lutti, gli stupri, le pulizie. A nulla serve la violenza. Potremmo ridurre a nulla il dolore. Ogni dolore. Quale dolore. Il dolore più atroce. Quello delle ferite più vive. Il dolore. Ogni uomo desidera cancellare il dolore. Le ferite. Il corpo, le dita, il costato, un piede, la testa. Il dolore. L’amore, un caro, uno schianto, una fiera, una belva, quella bestia del nemico. Davanti agli occhi le lacrime, negli occhi oscurità. Il desiderio di non essere mai nati. Le ferite, il dolore, il sangue. Il corpo violato. La paura. Il mostro che mi rincorre. La bestia. La belva. Il nascondiglio. La grotta. La miniera Le mani. Il sangue. Sangue lungo le pareti. La roccia sanguina. Magia! Il mago. Lo sciamano. Sangue dalle pareti. La pietra luccica, il metallo. L’acciaio. Il mercurio. Goccia Sangue. Gocce che si perdono. Se fossi femmina, la violenza. Il piacere dell’uomo, la vita che si fa pioggia fecondatrice. Sarebbe solo morte. Niente nell’universo. Niente che rimane sotto le stelle. Dalla pioggia fecondatrice nascono foglie, mani, sorrisi, rami. Verde, la mia pioggia genera foglie, fronde, ombra riposante. La pioggia di vita. La pioggia di morte nasce nelle viscere della terra. Paura. 71 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Panico. Fuggire via. Veloce. Un lampo. La folgore. Fuggire. Leccare le ferite inferte dalla paura. Nel buio, nella miniera, nel tunnel, la paura non conosce confini. Buio. Come un astronauta nel vuoto. Paura del vuoto. Oddio! Rotola il sasso! Nel vuoto. Paura. Nel vuoto. Silenzio. Nel vortice Il piede non poggia. La terra si sfalda ! Il vuoto. Oscuro. Panico. Nero. Bagliore. Vertigine. VORTICE. Morbido abbraccio. Caldo seno avvolgente. Musica. Musica! Mozart. Beethoven. Bowie. “Let’s spend the night together”. Love. Pioggia di vita. Un vuoto vortice. Spirale senza fine. Additivi. Lubrificanti. Motori. Motori in rapido vortice. Senza fine. Un vortice, la vita. Una pioggia. Gocce. Vita. Gioia. Piacere. Morte, nella grotta. Il web è una grande miniera di materiali della Memoria. Nelle sue gallerie di storia e di immagini si trovano tesori di inestimabile valore. Noi oggi non potremmo più ricordare il volto dei soccorritori, le scene di panico, di convulsione o di rammarico, di compunto dolore o di gridata disperazione se non fossimo soccorsi dai tesori che crescono nel web. Ho trovano, e pubblico con rispetto, una galleria di foto e documenti che testimoniano quella tragedia. Ma ora, adesso che abbiamo visto in faccia le vittime dell’orrore, possiamo ancora dimenticarli impunemente? 72 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La tragédie de Marcinelle (Photos: Le Patriote Illustré du 19 août 1956) 8 août 1956. Les équipes de mineurs descendues étaient au quart de leur prestation quotidienne. Pasquarelli raconte qu’il poussait un wagonnet à environ 8 heures vers le puits d’extraction dans la galerie des 1035 mètres. Tout était normal à l’envoyage. Vint, peu après, progressivement de la fumée. Pasquarelli toussa. Quelqu’un cria: "Sauve qui peut ! Y a l’feu à l’fosse!!!". A partir de ce moment commence une tragédie effroyable qui causa la mort de plus de 260 hommes courageux. La familles, les amis, tout le monde attend avec l’espoir de revoir les siens... Un wagonnet, suite à une fausse manoeuvre est coincé entre la cage et la paroi du puits de retour d’air arrachant l’isolant d’un câble électrique et provoquant des étincelles qui mirent rapidement le feu. Le feu se propagea très rapidement mettant en évidence la constatation suivante: “les mineurs bloqués dans le fond avaient bien peu de chance de revoir le jour...” La nouvelle se propagea comme l’éclair: les femmes, enfants et collègues arrivèrent en masse des corons avoisinants. L’angoisse de l’attente commençait... 73 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Un silence de mort plane sur la foule Attente cruelle d’une foule qui souffre, voyant pendant deux jours et deux nuits les sauveteurs, les soldats, les gendarmes tourner derrière les grilles et la fumée sortir du puits d’aération. On parle de morts que l’on ne remonte pas... Au début des évènements, des difficultés contrarièrent le sauvetage. On a néanmoins réussi à remonter 9 cadavres et 6 blessés. Le Roi Baudouin arriva dans la soirée. 74 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Equipe Frameriesoise de secours du Grand Trait Le lendemain, jeudi 9 août 1956,tout le pays sait ce qui se passe à Marcinelle. L’émotion est à son comble. Les sauveteurs sont parvenus au-dessus de l’accrochage 907 et tentent de parvenir à 907m étage-clé qui permettrait d’atteindre le niveau 1035 m. les travaux de guidonnage sont poursuivis. La foule, derrière les grilles attend dans un silence amorphe. 75 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Vendredi 10 août. Une fumée blanche sort du puits d’aération. Malgré leurs efforts , les sauveteurs (dont MURRIERI) n’ont pu encore prendre pied au niveau 907 m, mais l’ont atteint. Les prélèvements d’air ont démontré que l’air y est respirable. Il faut poursuivre le guidonnage afin d’utiliser la cage et non la cagette trop petite Le Roi a passé toute la matinée à Marcinelle interrogeant les sauveteurs et écoutant les techniciens. Sauveteur: Léo Beccatimi de Couillet Soccorritore: Léo Beccatimi di Couillet. Samedi 11 août. Il pleut sur la foule, la tristesse augmente. Un incendie empêche les sauveteurs d’avancer vers 907. La solidarité fait son effet: des dons arrivent de partout. De nombreux Italiens, parents de mineurs ensevelis gagnent la Belgique pour réconforter leurs familles. deux corps sont remontés de l’étage 835. 76 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO A proximité du charbonnage, des soldats remplissent des sacs de sable nécessaires pour boucher des galeries en feu - Vicino alla miniera di carbone, soldati riempiono borse di sabbia necessarie per otturare gallerie in fuoco. Dimanche 12 août. Plus de 120 heures que les mineurs, s’ils sont encore vivants, attendent à l’étage 1035. M.Vandenheuvel déclare qu’il y a encore de l’espoir. Des effondrements à l’étage 907 M empêchent les équipes de secours d’avancer. Vers minuit, le Roi fait une visite au charbonnage avec Léopold, son père dans l’espoir d’assister à la remontée de survivants, en vain. C’est l’agonie pour tout le pays. Dimanche matin, messe basse derrière les grilles par l’abbé Waterlos, vicaire de Marcinelle Domenica mattina, messa bassa dietro le griglie da parte dell’abbot Waterlos, vicaire di Marcinelle Lundi 13 août. La nation est en deuil. A 10h00, enterrement des corps remontés. Tout est fini. Tutti cadaveri, allen dood....Tous morts!!! 263 morts. On ne les oubliera jamais.... 77 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Il Belgio non ringrazierà mai abbastanza gli italiani che hanno fatto Wallonie e, in particolare Hainaut. 78 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Marcinelle: Elenco dei soccorritori delle miniere di carbone di Winterslag Bedankt aan M.AERTS Martin (zoon van Karel één van de redders) die mij copie van die documenten van zijn vader overgemaakt heeft en Mulders André die me foto’s opgestuurd heeft) Koolmijners van Winterslag van toen Foto’s overgemaakt door Mulders André. 79 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 80 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Capitolo 4 Monongah Erano 136 italiani i minatori rimasti sepolti nella miniera di Marcenelle. Non rimane più traccia delle loro voci, dei loro ricordi, dei loro sogni. Voci, ricordi, sogni. Di questo sono piene le teste degli emigranti. Ed i loro cuori. Gli emigranti non hanno facili pensieri. La cultura non è compagna abituale della loro miseria. Vivono all’unisono con i battiti del cuore. Regolari, ordinati come il lento flusso di fiume ricolmo d’acqua serena non possono esserlo mai. Sono accelerati dal peso della nostalgia, dalla fatica del lavoro. Sono distonici, strappati ad un ritmo lento, senza sussulti, quando hanno l’impressione di udire le voci che parlano la lingua della terra d’origine. Spesso si sbagliano, ed allora la sistole si alza, si agita, maledetta. Qualche volta no. Ed è un tuffo al cuore. I sogni determinano, invece, i battiti ad accordarsi con i ritmi musicali. Violenti, sincopati quando i sogni sembrano infrangersi contro il muro dell’ostile cecità della folla straniera che sciama allegra per le strade. Sono singulti, affilati come sciabole, ogni volta che un sogno si spezza. Oppure diventano acuti come il do di petto dei tenori, quando la solitudine disperde i loro cuori nelle praterie sconfinate della terra promessa, o gravi come la più cupa nota del basso, quando la disperazione del presente ancora ostile li relega nell’angolo più isolato dei continenti d’Oltremare. Sono tutti così, gli emigranti. Tutti uguali. Non hanno colore gli emigranti. Non hanno patria. Non sono pugliesi, veneti, calabresi o abruzzesi. Non sono italiani o irlandesi. Non sono neanche africani o asiatici. Non sono nessuno, se nessuno li ricorda. Per questo ricordiamo anche Monongah. Un’altra tragedia. Un altro dolore. Un’altra mattanza. Uomini, poveri uomini. Migranti, altri migranti. Sento una sola voce levarsi dal fondo della Miniera. È la voce dei morti. È unica, immonda, la rete di gallerie che perfora le viscere della terra. Essa, proprio come un progetto divino, congiunge le vaste profondità dei continenti, unisce i cunicoli, rifornisce le gallerie d’aria arricchita, scava nel carbone e riaffiora nel diamante, sprofonda nell’oro e perfora il magnesio. È un’unica fitta inestricabile rete, che accoglie il Minatore, alto, immenso, possente animale che divora la roccia più dura. Sento una voce che viene dal profondo, come il battito isterico di un cuore impazzito. 81 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Sento la voce di uno di loro. Ho appoggiato l’orecchio a un condotto, a una galleria e l’ho sentito urlare. Un poeta. Un minatore. Un titano imprigionato, Sebastiano Moretti. Senza patria. Di Tresnuraghes. Nato il 3 giugno 1868. E ancora lo sento “su gridu de su minadore”. Su gridu de su minadore Prefazione dell’autore L’umile volumetto è compiuto. Noi intanto ne siamo paghi, e vorremo che altri, molti compagni ne fossero parimenti soddisfatti. Attraverso monti e mari noi apriamo le vie della civiltà, noi siam quelli che portiamo al mondo la vita, la luce e il calore. Se dei milioni d’esseri soffrono la fame e gemono nella miseria, non è perché questi prodotti vengono sprecati nel modo più odioso ed insulso. Nello stesso periodo barbarico dell’agricoltura estensiva, in cui trovasi ancora la maggiore parte dei paesi, la terra benefica ci fornisce sostanze in quantità doppia di quel che ci occorra, e potremo vivere nell’abbondanza. La soluzione della questione sociale non è dunque impossibile; non si tratta, infine, che di ripartire equamente i diversi prodotti della terra. L’alba va tingendo di porpora il cielo che ha riflessi e sfumature di smeraldo e di viola. Dalla natura in risveglio pare che esca il grido augurale di pace e di amare: lavoratori di tutto il mondo unitevi. Il partito Socialista proclamante l’ideale dell’uguaglianza economica, non vuole che correggere e migliorare questo ordinamento economico - orientandolo con la disciplinata e cosciente organizzazione del proletario - verso il principio della solidarietà umana. Esso ci rappresenta la società futura, che gradualmente germoglierà dalla presente Società, come una immensa cooperativa - e non di soli generi alimentari, ma anche di vita morale e intellettuale - dove la regola sta: Tutti per uno, uno per tutti. SEBASTIANO MORETTI 82 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO SARDOS, de nos unire eccola s’ora pro diffender sa nostra libertade, cudda chi calpestada est bia ancora implorende venditta e piedade. in terra nostra sa zente de fora nos trattan tottu cun barbaridade...! Sos ch’in nois s’annidan e s’allozan nos maltrattan, isfruttan e ispozan. Sardi, è l’ora di unirci per difendere la nostra libertà che calpestata implora ancora vendetta e pietà. Nella nostra terra i forestieri ci trattano tutti in maniera barbara. Quelli che si annidano fra noi ci maltrattano, ci sfruttano, ci spogliano. Sardos, chi unu numeru infìnitu semus errantes in sa miniera simile a sos ebreos in s’Egittu maltrattados de pessima manera. Curremas volenteris a s’invitu chi nos faghet s’amigu Cavallera. Curremas tottus da-e dogni banda pro intender sa stia propaganda. Sardi, che in numero infinito stiamo vagando nella miniera simili agli Ebrei in Egitto, maltrattati nel peggiore dei modi. Corriamo volentieri all’invito dell’amico Cavallera. Corriamo tutti da ogni dove per sentire quello che ha da dirci. Issu nos narat cun boghe sonora sos tortos chi nos faghen e ofesas. Comente nos sfruttan e dogn’ora sos capos de industria e impresas. Nos faghet bider visibile ancora sas rezzas de ingannu a nois tesas... E nos esortat a nos ravvedire a formare una Lega e nos unire. Con voce tonante ci racconta dei torti che subiamo e delle offese che riceviamo. Come i capi dell’industria e le imprese ci sfruttino in continuazione. Rende a noi visibili gli inganni che ci vengono tesi… E ci esorta a scrollarci, a formare una Lega e ad unirci. Cunsistet solu in tenner unione ca send’unidos semus pius potentes. Tando podimus haer cun rejone su chi nos lean a ojos videntes. Frades, dademi tottus attenzione, purifichemus custos ambientes pro dovere, dirittu, pro cussenzia cun summa cautela e cun prudenzia. Dobbiamo solo mantenerci uniti perché uniti siamo più potenti. Allora potremo fare con ragione quello che si lasceranno fare …. Fratelli, prestatemi attenzione, purificheremo questo ambiente per dovere, diritto e coscienza con la massima cautela e con prudenza. Curremas tottu gantos volenteris a nos che sutt’iscrier in sa Lega. Fattemas bider a sos furisteris chi non ch’hat in Sardigna zente zega; a sos ch’inoghe faghen sos bragheris essende chi non balent una sega... Benin nudos, isculzos e famidos e ch’andan riccos, calzados, bestidos. Corriamo tutti quanti volentieri ad iscriverci alla Lega. Facciamo vedere ai forestieri che in Sardegna non ci sono persone di poco conto; a quelli che qui fanno gli esibizionisti e che non valgono una sega… Arrivano da noi nudi, scalzi ed affamati e vanno via ricchi, calzati e vestiti. 83 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Frades, est tempus ch’alzemus sa fronte cun custos direttores mercenarios, senza dipender da’ su Piemonte pro sorvegliantes ne pro impresarios. Nois sardos, bogamus da’ su monte sos immensos tesoros minerarios. E a nois ispettat sa mercede senza chi s’oziosu che la léde. Fratelli, è tempo che alziamo la fronte verso questi direttori mercenari, senza dipendere (più) dal Piemonte per sorveglianti ed impresari. Noi sardi estraiamo dal monte immensi tesori minerari. A noi spetta la ricompensa senza che gli oziosi ne profittino. Nois sardos, cun brazzu appoderadu minas faghimos in sa rocca dura; e-i su furisteri istat corcadu in su magasineddu ‘e sa bravura: de binu e de licores ammuffadu, fumende tranquillu in sa friscura, vivende che signore a pisch’e petta senza toccare ferros né mazzetta. Noi sardi con braccio esperto scaviamo la dura roccia e i forestieri stanno comodamente stravaccati bevendo vino e liquori, fumando tranquilli e godendosi il fresco, vivendo da signori senza toccare il piccone. Cantos nde benit da-e continente tintos da-e su famene in colores...? Senza esser capaces pro niente a manovales né a minadores? a chie est patriottu a chi’ parente de sorvegliantes e superiores... Bastet chi siat bennidu oltremare ah, perbacco, si devet occupare! Quanti arrivano affamati dal continente? Senza essere capaci di fare i manovali o i minatori? Compaesani o parenti dei sorveglianti e dei superiori… Basta che arrivino da oltremare e allora, perbacco, devono essere occupati. Si cumprendet, a intro galleria subitu minadore est occupadu, li ponen unu sardu in cumpagnia a li dare esemplares obbligadu... Sett’otto dies ciappinat ebbia luego capu postu est nominadu. E-i su sardu semper minadore, e de su furisteri servidore. Sia chiaro, all’inizio viene assunto come minatore dentro la galleria, con un sardo che gli insegni il lavoro …. Dopo sette otto giorni viene nominato capo. E i sardi sempre minatori, servitori dei forestieri. Benimus nois cun bonos servidos de minadores de professione. E-i sos sorvegliantes mal ‘ennidos nos trattan de salame e de coglione... Mancar’abiles, dottos e ischidos nos mandan a ispingher su fagone, pro seighi soddos, si no est de mancu e giù puru, non crepet in fiancu. Noi minatori qualificati. E i sorveglianti mal arrivati ci trattano come salami e come coglioni… Per quanto possiamo essere capaci ci mandano a spingere il vagone …… 84 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Nois sardos, cun misera giornada espostos a perigulos e dannos e-i sas pius bortas raffinada sa multa cun imbroglios e ingannos. Si sa brente portamus saziada diffettamus d’iscarpas e de pannos... Forzados a tribaglios fatigosos, e ch’istan bene sun sos oziosos. Noi sardi esposti a pericoli e danni con una paga misera molte volte decurtata con imbrogli ed inganni. Se anche abbiamo di che mangiare, siamo privi di scarpe e di vestiti. Forzati a lavorare faticosamente mentre quelli che stanno bene sono gli oziosi. Nois chi cun arriscos de sa vida trabagliamus sas coltivaziones. Damus a sos perigulos isfida fortes e animosos che leones; e semus giuttos che zente avvilida calculados comente pelandrones. E in sos postos bruttos de azzardu pens’a chie che mandan: - A su sardu. Noi che lavoriamo con rischio della vita e sfidiamo il pericolo forti e coraggiosi come leoni siamo trattati da ignavi e considerati pelandroni. E nei posti peggiori e più pericolosi a chi mandano: i Sardi. Non pr’odiu a sa classe furistera chi benin a Sardigna pro campare, ca si s’obbligu han sun a manera comente nois puru a tribagliare. Sos sorvegliantes sun de miniera una mass’ ‘e canaglia intes’a pare: senz’amore fraternu né decoro proteggin solu sa patria insoro... Non per odio dei forestieri che vengono in Sardegna per campare, che come noi hanno l’obbligo di lavorare. Sono i sorveglianti della miniera una massa di canaglie senza amore fraterno né decoro che pensano solo a proteggere i loro interessi. Infattis pro su sardu est proibidu linna da’ galleria a nde toccare; e pro su furisteri est permittidu, anzis mandat su sardu a la portare. Guai sardu si fumende est bidu ma issos non s’astenen de fumare. Si pro custos niente b’hat esclusu no est istraffuttenzia e abusu...? Infatti per i sardi è proibito toccare legna dalla galleria, mentre ai forestieri è consentito, anzi mandano i sardi a prendergliela. Guai per il sardo che venga sorpreso a fumare, mentre loro se lo permettono . Per questi nulla è vietato. Non è questa straffottenza e abuso? Nois no maltrattamus a nisciunu su chi cherimus est s’uguaglianzia. Su meritu si diet a dognunu, o si uset rigore o tolleranzia. In dogni miniera sos chi sunu viven in armonia e fratellanzia. Ma cando b’hat ispiritu e favore semper bi naschet odiu e rancore. Noi non maltrattiamo nessuno, vogliamo solo l’eguaglianza. A ciascuno venga riconosciuto il merito, che si usi rigore o tolleranza . In ogni miniera si lavora in armonia e fratellanza. Ma dove ci sono disuguaglianze, nascono sempre odio e rancore. 85 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Pro esempiu cras suspesu est tiziu pro capricciu de un’istrafuttente, faghet rapportu a su capu serviziu e li risponde siccu e bruscamente: «Tui nci tenis unu bruttu viziu pro mei immoi non pozzu niente». E si lu pregat un’attera borta, mancu l’iscurtat e serrat sa porta. Per esempio se domani sospendono tizio per il capriccio di uno strafottente, se fa rapporto al capo servizio questo gli risponde secco: tu hai un brutto vizio e io non posso farci niente. E se si lamenta ancora non lo ascolta e chiude la porta. Tra sardos no be hat distinzione, manovales, minadores e impresariu. Su sorvegliante est su re faraone tristu de chie andat in contrariu. Est crettidu in s’amministrazione ca lu tenet pro su fiduciario; issu dat postos e fissat giornada a chie cheret leat, a chie cheret dada. Tra sardi non c’è distinzione, manovali, minatori e impresario. Il sorvegliante è il re faraone e guai per chi si mette contro. Il sorvegliante ha credito nell’amministrazione della quale è il fiduciario. Egli dà il lavoro e stabilisce la paga a chi e come vuole lui. Cun d’unu e vintighimbe “bonu apertu” su minadore andat a cantina; istancu, fatigadu e iscussertu, li dolet brazzos, cambas e ischina. Ite s’alimentare agattat zertu, pane, aringada, casu, ‘inu, sardina, lardu, prosciuttu, tunnu e salamen tottu cosas ch’iscazzana su famen. Con un buono (ticket restaurant) da 1 e 25 il minatore va in cantina, stanco, affaticato, spossato, gli dolgono braccia,gambe e schiena. Da mangiare trova certo, pane … , formaggio, vino, sardine, prosciutto, funghi e salame tutte cose che tolgono la fame. Si unu deghe francos hat leadu, duos de interesse devet dare: in deghe meses l’hat raddoppiadu, eu su fundu senza l’iscontare. Contade bene cantu l’hat fruttadu? E no est a su poveru istrozzare? Da deghe vintibattor in d’un’annu cun regione si panzi-mannu..? Se ti prestano 10 franchi, devi darne due di interessi: in dieci mesi hai raddoppiato il tuo debito (senza ridurre il capitale dovuto). Hai contato bene quanto gli ha fruttato? Non è strozzare i poveri? Da dieci a ventiquattro in un anno, con ragione …. In zerta minas vicinu a Gonnesa, bi sun sos manoscrittos attaccados; nende obbligatoria est s’ispesa sutta pena chi sun licenziados. Signu chi b’hat magagna sutt’intesa Tra cantineris e impiegados… e sa classe operaia mischina tribagliat ogni mese a sa cantina. In alcune miniere vicino a Gonnesa sono affissi manifesti che “invitano” obbligatoriamente alla spesa pena il licenziamento. E’ segno che c’è l’accordo fra negozianti e impiegati e i poveri operai lavorano ogni mese per il negozio. 86 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Tristu de chie ruet in incagliu non che podet bogare pius pese. O li manca giornadas de tribagliu o de un’in cantina marcan trese. Si si nd’abizat passat pro irbagliu, ma lu riportan da-e mes’in mese. Malamente nde tenet su pappare, non si podet bestire né calzare. Triste chi cade nella trappola e non riesce più a uscirne. Se gli mancano giornate di lavoro o se invece di uno in negozio segnano tre; se si accorge passa per errore ma lo riportano di mese in mese. Miseramente ha da mangiare ma non si può né vestire né calzare. Cuddos annos e ite meraviglia tottus currian a sa miniera. Sos chi frenare han pottidu sa briglia torrados si nde sun a mal’ispera. Atteros manch’iscrien a sa famiglia de cantu sun vivende a sa lezera. Ca no han francubullu o cartolina, non li bastat sa paga a sa cantina. Gli anni passati con allegria tutti correvano al lavoro in miniera. Quelli che sono riusciti miseramente sono tornati indietro. Altri non scrivono neanche alla famiglia perché stanno vivendo in miseria. Perché non hanno francobolli o cartoline, non gli basta la paga per il negozio. No ammentan pius babbos né mammas, frades, sorres, né fizzos, né muzeres… "De lu assister dian haer bramas", ma no han forzas ne tenen poderes. Aih, trista muzere a chi’ reclamas?! Da-e maridu tou e ite cheres? Pane no nd’hada, dinari nemmancu, chi finzas issu est a mesu fiancu. Non ricordano più Babbo o Mamma, né fratelli, né figli né mogli. Di assisterli avrebbero voglia ma non hanno né forza né potere. Ahi triste mogli con chi ti lamenti? Da tuo marito cosa vuoi? Non ha né pane né soldi e anche lui non è molto sazio. Dà seighi soddos chi hat de giornada bogand’alloggiu, ispidale, sapone, pane, sale, abba e cos’è pingiada, lardu, ozu, luminos e cotone, iscarpas, roba pulida e acconzada, su barbieri, sa linna o su carbone. Ammittendelu puru senza viziu est paris o in depidu a s’uffiziu. Di sedici denari che ha per giornata toglie alloggio, ospedale, sapone, pane, sale, acqua e cose da mangiare, lardo, olio, candele e cotone, scarpe, vestiti puliti e rammendati, il barbiere, la legna o il carbone. Ammettendo che non abbia vizi e pari o in debito con l’ufficio. Cantos inoghe da’ dispiagheres, si sunu mortos a proprias manos? Cantos han obbligadu sas muzeres a sos passos illecitos mundanos?… E-i sos sorvegliantes bonos meres cun nois sardigniolos piu tirannos! Dendennos de molentes e de viles, e nois: -Sissignore piu umiles… Quanti qui si sono uccisi con le proprie mani dal dispiacere? Quanti hanno obbligato le propri mogli ad azione mondane illecite. E i sorveglianti buoni padroni con noi sardi sono più tiranni chiamandoci asini e vigliacchi e noi: sissignore e sempre più umili ….. 87 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO E bois, ite nades, direttores Italianos, Franzesos, Inglesos? Tempus est ch’intendedas sos clamores, bos semus nende chi semus offesos. Cherimos pagas, meritos, onores Uguaglianza in misuras e pesos; chenza protezione o riguardu, né a continentale né a sardu. E voi che dite Direttori , italiani, francesi, inglesi? E’ tempo che ascoltiate la protesta, vi stiamo dicendo che siamo offesi. Vogliamo paghe, meriti e onori in misura e peso uguale senza protezioni o riguardi, né ai continentali né ai sardi. Sa legge est uguale pro dogn’unu, inviolabile, sacra, giusta e santa. Custos mangia pulenta puite sunu pagados fin’a tres e ottanta? Paga e tribagliu cherimos comunu fora custa camorra da-e pianta. Pro tottu est uguale s’istatutu cunforma sos tribaglios su tributu. La legge è uguale per tutti: inviolabile, sacra, santa e giusta. Questi mangia polenta perché sono pagati fino a tre e ottanta? Vogliamo paga e lavoro uguale, fuori questo imbroglio. Lo statuto è uguale per tutti, lo stipendio deve essere adeguato al lavoro. E bois, ite nades, cunsizeris? Benide bois puru a udienzia. S’hazis amministradu volentieris sas cosas nostras, cun giusta cussenzia. Uguales no sun sos calmieris proite usare a zertos preferenzia? A bender altu inoghe de cuddane, farras in genere, e pastas e pane…? E voi che dite Consiglieri? Venite anche voi in riunione se avete amministrato volentieri le cose nostre con giusta coscienza. I listini dei prezzi non sono uguali, perché prediligere alcuni che vendono più caro qui che altrove farine, pasta e pane? Non semus nois chi bos hamus postu, amministrare su bene comunu? Tottu su ch’han sas cameras dispostu s’elarget a benefiziu e d’ogniunu. E pro cale motivu a coro tostu, hazis privilegiadu calincunu? Devizis adottare imparziales, e misuras e pesos uguales. Non siamo noi che vi abbiamo messo ad amministrare la cosa comune? Tutto quello che le camere decidono deve essere a beneficio di tutti; e per quale motivo a cuore duro avete privilegiato qualcuno? Dovevate adottare misure e pesi uguali ed imparziali. Coraggiu frades, duccas, ite pensamos semus benende troppu cattigados. A sos uffizios de sa Lega andamos, non restamos pius isparpagliados. Cando semus unidos, forza hamos e benimos pius bene trattados. Sa forza naschet da-e s’unione E dae sa forza naschet sa rajone. Coraggio fratelli, allora, cosa pensiamo, stiamo diventando troppo maltrattati. Andiamo agli uffici della Lega, senza restare disuniti. Quando siamo uniti abbiamo forza e veniamo trattati meglio. La forza nasce dall’unione e dalla forza nasce la ragione. 88 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Non timemas pius sos cammurristas, alzemus sa morale a custa terra. Non pius succhiones affaristas, dividemas su pane perra-perra, formemas grandes lottas e conchistas, senz’armas, senza sambene né gherra. Pensemos pro su bene ‘e fizos nostros non pius signoria a cussos mostros. Non dobbiamo più temere i camorristi, tiriamo su il morale a questa terra. Non più affaristi avvoltoi, dividiamo il pane metà e metà. Formiamo grandi lotte e conquiste senza armi, senza sangue e senza guerra. Pensiamo al bene dei nostri figli non più sottomessi a quei mostri. Non delittos, omicidios nè male, in paghe, in amore e frattellanzia; unidos in partidu solidale e bene organizzados in sustanzia. Cun s’arma de s’ischeda elettorale ottenimos sa nostra maggioranzia. E a s’ora tenimus e gosamus su chi oe nos furan e no hamus. Non delitti, né omicidi né male , in pace, amore e fratellanza, uniti in un partito solidale e in sostanza ben organizzati. Con l’arma della scheda elettorale otteniamo la nostra maggioranza e avremo la gioia di godere quello che oggi ci rubano e non abbiamo. Nois in paragone semus medas, ma senza unione e fundamentu. Unemunos pro bider chi provedas cant’est forte su movimentu. Si votamus cumpattos sas ischedas los superamos su milli po chentu ca inue b’hat forza e unione inie signoreggiat sa rejone. In paragone noi siamo tanti, ma disuniti e senza organizzazione. Uniamoci per vedere alla prova quanto è forte il movimento: Se votiamo compatti le schede li superiamo al mille per cento perché dove c’è forza e unione li si esalta la ragione. Tempus a su tempus non diemus, unemonos sutt’una bandiera e unidos su nomene votemus de s’illustre Giuseppe Cavallera. Si cherimus chi da oe respiremus menzus vida in custa noa era. S’ischeda elettorale abbattit tottu sa vittoria triunfat cun su votu. Non diamo tempo al tempo, uniamoci sotto una bandiera e uniti votiamo il nome dell’illustre Giuseppe Cavallera se vogliamo godere miglior vita in questa nuova era. La scheda elettorale vince su tutto, la vittoria trionfa con il voto. Cavallera s’eroe ‘e Carloforte, martire de sa vida soziale, hat brazzu potente e manu forte hat trionfadu in sa lotta navale. In pettu nostru hat depostu sa sorte cunvintu de su sou alt’ideale. Toccat a nois pro dirittu e rejone a l’elegger pro nostru campione. Cavallera eroe di Carloforte, martire della vita sociale, con braccio potente e mano forte ha trionfato nelle lotte in mare. Al nostro cuore affida la speranza convinto del suo forte ideale, tocca a noi con diritto e ragione eleggerlo nostro rappresentante. 89 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Già pagos annos semproniu e caju a su momentu ‘e sas eleziones: nos currian infattu che unu raju peri sas vias e abitaziones trattene ‘e signoria a s’operaju milli prommissas e adesiones. Da ch’appidos si sun in su consizu non nos han alziadu piu su chizu Da alcuni anni caio e sempronio al momento delle elezioni ci inseguivano come fulmini per le vie e per le nostre case trattandoci noi operai con rispetto con mille promesse e impegni. Ma quando sono stati eletti al Consiglio non ci hanno più guardato in faccia. Pro fagher unu bonu cunsizeri no bi cheret zicchetes né binu, e né negoziante né ingegneri, né professores de grecu e latinu. Abbastat un’onestu zoronaderi ch’amore patriu inserrat in sinu. Non bi cheret né binu né licores e né prommissas chenz’haer valores. Per fare un buon consigliere non servono spuntini o vino, né commercianti, né ingegneri, né professori di greco e latino. Basta un onesto lavoratore che abbia nel cuore l’amore patrio, non serve né vino né liquori e né promesse senza valore. Sa culpa la tenimus tottu nois, ch’hamus elettu ladros istrozzinos. Deo puru nde suffro che a bois, tribagliamus sen’haer quattrinos. Vivimos in guai e in hois, e-i cussos marcende in carrozzinos. Via custa canaglia a sa mal’ora, bastante nd’hana fattu:- fora, fora. E’ colpa nostra che abbiamo eletto ladri e strozzini. Anch’io lavoro come voi, lavoriamo senza soldi, viviamo nei guai e nei dolori e quelli viaggiano in carrozza. Via queste canaglie, in malasorte, ne hanno fatto abbastanza: fuori, fuori!! Unione bi cheret frades mios, amore, frattellanzia, caros sardos. Leggimus tottus mannos e pipios. Non siemus nen pigros e né tardos. In sos pettos energicos e bios nidu faghen sos animos gagliardos. Sa forza, su coraggiu battin vittoria, su debile e paurosu no hat gloria. Serve unione fratelli miei, amore e fratellanza cari sardi. Leggiamo tutti, grandi e piccoli, non siamo né pigri né rassegnati. Nei cuori vivi ed energici albergano gli animi gagliardi. La forza e il coraggio portano vittoria, per il debole e pauroso non c’è gloria. Nisciunu penset chi custa canzone pubblico pro isfoggiu né pro vantos, nen pro lucrare o pro professione comente forsis b’han a crère tantos. Richiamo sa bona attenzione de sos interessados tottu cantos; e los invito a comunu drapellu presente de risponder a s’appellu. Non pensiate che pubblico questa canzone per vanagloria o vanto, né per soldi o professione come forse molti potrebbero pensare. Chiedo la massima attenzione di tutti gli interessati e li invito numerosi a rispondere al presente invito: presente. 90 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Invito sos chi lezen e iscrien chi l’insignen a dogni analfabeta, finament’a sos zegos chi non bien ch’est caridade sa pius azzetta. Invito puru ch’azudu mi dien da ogni parte ‘e logu ogni poeta. Ognunu in limba sua o dialettu cantande non timedas su minettu. Invito scrittori e poeti che insegnino ad ogni analfabeta, anche ai non vedenti perché la carità e ben accetta. Invito tutti i poeti che mi aiutino da ogni parte e luogo. Ognuno cantando nella sua lingua o dialetto non abbia paura delle minacce. Notade chi non canto pro interessu che zertos ambulantes canzonistas, civiltade, uguaglianza e progressu est su programma nostru socialistas, cun coro firmu e animu indefessu, cumbattimus sos ladros cammorristas, pro no difender unidos in Lega da cussa mercenaria cungrega. Sappiate che non canto per interesse come certi canzonieri vagabondi, Civiltà, uguaglianza e progresso è il nostro programma socialista. Con cuore fermo e animo instancabile combattiamo i ladri camorristi, per difenderci uniti in Lega da quella combriccola di mercenari. Innalzemus sa bella bandiera cun s’istemma ‘e Lega e Minadores. Gridend’in coro:- Evviva Cavallera! Abbassu succhiones truffadores! Viva Siotto, Oranu, e Lega intera! Gridemus tottus, mannos e minores, viva Rondani, Ferri e seguaces abbassu sa canaglia ‘e sos rapaces! Innalziamo la bella bandiera con lo stemma di Lega e Minatori gridando insieme: Evviva Cavallera! Abbasso avvoltoi truffatori! Viva Siotto, Oranu e tutta la Lega! Gridiamo tutti, grandi e piccoli Viva Rondani, Ferri e seguaci Abbasso le canaglie e i rapaci! http://www.poesias.it/poeti/moretti_pittanu_sebastiano/moretti.htm Ringrazio l’amico Gianfranco Spanu, che ha curato la traduzione del “Grido del minatore”. Sardo, Gianfranco, come sardo era Sebastiano Moretti, l’autore del poema. Non posso parlare della storia delle miniere senza andare in Sardegna, Shardana, Sandalion, Ichnussa. Popoli antichissimi hanno abitato l’isola ed hanno lasciato tracce profonde e remote. L’arte, i miti, i nuraghi, le sepolture, tutto immerso in un mondo che ancora oggi è incontaminato, nel quale si può ritrovare la natura vera, da cui, millenni fa emersero civiltà vere. Dalla profondità del tunnel del tempo, scuro e polveroso come le gallerie di una miniera di carbone, emergono i versi e la figura di Sebastiano Moretti. Era anche lui un figlio di quella terra. Figlio anche perché, ogni giorno, veniva alla luce dal ventre della Madre Terra, lanciando intorno a sé suoni che sembrano i vagiti di una creatura che nasceva a nuova vita ogni volta che riusciva a vedere le stelle. Non era il solo, erano tanti i fratelli partoriti, ogni giorno, dalle viscere della Terra. Oggi non esistono quasi più. È diventata ormai sterile quella Madre Shardana. 91 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Il Poeta Il testo che segue è tratto da “Gente di Planargia” edito da Progetto Sardegna marzo 1998 scritto e curato dal, compianto amico, il Prof. Giovanni Maria Muroni, noto Billia. Forse nessuno meglio di lui poteva , avendo studiato a fondo il periodo in cui ha vissuto, presentare il poeta. “…Se è vero che appare difficilissimo rilevare l’influenza esercitata su una popolazione quasi completamente analfabeta dalle eruditissime omelie del vescovo Cano, dalle poesie e dagli articoli del canonico Nino, dalle denunce puntuali dell’avvocato Fara, dalle arringhe violente di Luigi Canetto o dagli opuscoli protestanti di Angelo Cossu, è piu facile riscontrare ancora oggi la sedimentazione di idee e concezioni operata dalla mediazione delle poesie logudoresi del Moretti. I suoi versi, quasi come i proverbi popolari, sono spesso utilizzati per sintetizzare un concetto, per esprimere un parere, per descrivere una situazione, per raccontare e interpretare la storia.E questo è possibile perché Moretti stava a metà strada tra la cultura italiana di divulgazione e la cultura popolare.Perché, componendo e scrivendo per l’ oralità, consentiva alla memoria allenata degli illetterati di ritenere le sue opere più delle omelie del vescovo o delle poesie italiane del Nino. Figlio del mugnaio Antonio e di Marchesa Cadoni, nacque in Tresnuraghes il 3 giugno 1868... …Non erano anni favorevoli per la famiglia di un mugnaio, ma Antonio Moretti potè comunque mandare il figlio a Bosa perché vi frequentasse il seminario.Il nuovo vescovo Eugenio Cano, che nel seminario credeva fermamente per la elevazione di un clero ancora troppo incolto, vi aveva profuso un clima di grande fervore culturale e soprattutto di rivendicazione della “sardità” ed era disposto a sostenere, anche con un intervento economico personale, i giovani più bisognosi. In seminario si studiava grammatica italiana, latina e greca, letteratura e filosofia.La poesia, nella quale lo stesso vescovo si dilettava, vi era tenuta 92 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO in gran conto e i giovani si cimentavano in composizioni ardite, sofisticate, più tecniche che poetiche, ma comunque interessanti per le nuove prospettive che offrivano soprattutto all’uso della lingua sarda.... ...In questo clima Sebastiano Moretti ricevette la sua prima formazione poetica.Se non per l’intero corso ginnasiale, almeno per alcuni anni. Un clima di vivace ricerca formale che intendeva dimostrare la duttilità del sardo e la sua capacità di esprimersi nelle forme più disparate(canzoni, poemetti in ottave, sonetti, odi ecc.)e di orgogliosa rivendicazione della identità sarda, ingenuamente diretta, in molti casi, a mitizzare il passato ritenuto grandioso e e radioso contro il presente acciaccato e misero.... ...Sebastiano Moretti, cresciuto nel cuore della crisi economica ma anche nel clima culturale di mitizzazione del passato e di ricerca linguistica, seguirà in tutta la sua produzione poetica le direttrici di quel rimpianto e di quella ricerca, ma anche della denuncia e della entusiastica adesione a tutte le nuove proposte riformistiche di trasformazione dell’esistente. La sua ricerca lessicale, sonora, di forme nuove, sempre più elaborate e complesse raggiunge limiti di funambolismo esasperato. Il nome di Sebastiano Moretti è legato “a quelle composizioni “a retrogada” che danno vita allo scintillìo di un gioco complicatissimo e affascinante alludiamo ai cosidetti “trintases” di cui parlava già il canonico Spano nella “Ortografia sarda nazionale” ma che Pittanu perfezionò e complicò fino all’inverosimile in una ricerca di funambolismo formale che non riusciva ad appagarlo”. Negli anni Venti inventò, come vedremo “sa moda” “ in cui ogni possibile ordine sintattico normale è, se non distrutto, sospeso per lasciare il posto ad una scomposizione radicale della lingua-sintassi, sospinta ai bordi dell’allucinazione inconscia”. Fino agli ultimi anni della sua vita, il poeta tresnuraghese sfiderà, con tenzoni epistolari, i poeti contemporanei a partecipare a questo gioco linguistico. E sino agli ultimi anni della sua vita si porterà dietro la cultura della “sardità” assorbita negli anni del seminario e diffusissima in tutta l’isola nella seconda metà dell’Ottocento.La mitizzazione del passato ritenuto splendidamente bucolico, in cui al contadino Pacificu sempre e cuntentone Pariat chi li enzerat sola sola S’incunza de su inu e de s’arzola E in cui Murvas, crabolos, chervos e sirbones 93 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Intro ‘e ìdda ‘idimis passizzare. Ma anche il clima di glorificazione di un passato eroico, grandioso ricostruito intorno alla figura giudicessa di Arborea alla quale si attribuivano tutti gli appellativi del mito: Salve, o Eleonora d’Arborea Salve, regina nobile e fiera Salve, legislatrice gherriera ! Salve benefattrice, sarda dea Sa tua santa, fine, giusta idea, S’opera tua sublime e sinzera: T’hant innalzadu altares sas istorias Cantende a tie laudes e glorias. ...Sebastiano Moretti , con la stessa buona fede del Cano, si lascia trascinare nel racconto fantastico che ha inventato un’origine gloriosa dei quattro giudicati sardi: Est su seschentos norantatres s’annu, su primu re ch’in Sardign’hant votadu; Saviamente Gialetu hat regnadu Liberende sos sardo dae s’affannu Sigomente s’incarrigu fit mannu S’isula in giudicados hat formadu Battor, divisos cun sublime idea: Torres, Gallura, Cagliari, Arborea. Abbandonato il seminario, rientrò a Tresnuraghes e, con “intensu e vivu amore” dedicò la sua giovinezza “a legger sos pius eruditos poetas-antenados e contemporaneos...-e a los meditare profundamente”. Intanto, per oltre quindici anni, tentò in tutti i modi una sistemazione impiegatizia che non riuscì a ottenere per colpa di alcuni “bruttos pegos” del paese che arrivarono, ”a forza de ricursos”, a privarlo di “bonos impiegos” . Secondo Paolo Pillonca “era quel che oggi si direbbe un poeta maledetto, nel senso che la sferzante ironia dei suoi versi-non solo di quelli improvvisati nelle notti di festa- colpiva senza distinzione di bersagli i principales del paese e della zona...Ammirato e corteggiato fuori del suo paese, inviso a chi comandava a Tresnuraghes”. 94 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Ferocemente anticlericale al punto da essre accusato di ateismo, prediligeva, nelle gare, i ruoli più dissacratori e anticonformistici.Se c’era da sceneggiare la cacciata dal paradiso terrestre, il ruolo più consono era quello del serpente.In realtà non era ateo ed il suo anticlericalismo, più che a motivi ideologici, và riferito a quella tradizione secolare, già sottolineata da San Bernardino da Siena, che rendeva più simpatici e ascoltati i predicatori che tuonavano contro i peccati del clero.Da buon teatrante, Moretti è consapevole, come i vecchi predicatori smaliziati, che appena si “comincia ad attaccare il clero, quando gli ascoltatori cominciano a sonnecchiare o quando fa troppo freddo o caldo.Subito tutti si scuotono e diventano di buon umore”. Ma coloro che “non pensant a su bonu mai” avevano fatto circolare una canzonetta calunniosa nei confronti di alcune bigotte “monzas segretas”.Di fronte ad una denuncia per diffamazione avevano sparso la voce che l’autore della satira fosse il Moretti.In tribunale riuscì a dimostrare la propria estraneità, ma la sua vita a Tresnuraghes era diventata insostenibile. La canzonetta fu una scusa, come lo fù per il maestro elementare Gavino Marras, amico del Moretti, una assenza da scuola per assistere il fratello, parroco di Suni, ammalato.La verità era da ricercare nelle ultime elezioni politiche del 1897/98 in cui Moretti e Marras, ribellandosi agli indirizzi proposti dal sindaco Zedda che orientava l’elettorato tresnuraghese verso il deputato Solinas Apostoli, fecero aperta campagna in favore dell’avvocato Giovanni Poddighe cugino del Marras.Furono costretti ad emigrare, il maestro in Argentina e Moretti nell’Iglesiente, alla ricerca di un posto da minatore.Lo troviamo tra il 1899 ed il 1900 nella miniera di S.Giovanni. Ad Iglesias, il 12 settembre 1901, sposò Mariantonia Sanna con la quale ebbe un figlio ma non un’unione felice.Si separarono e fu forse proprio quest’esperienza negativa a dettargli le ottave velenose di un poemetto intriso di misoginia:Astuzia e ingannos de sa femina delittuosa. L’esperienza operaia nelle miniere lo portò ad aderire alla battaglia socialista di Giuseppe Cavallera già dai primi anni del Novecento.In occasione di una campagna elettorale(forse quella del 1904), compose un poemetto in 46 ottave: Su gridu de su minatore in cui, sintetizzando il programma del socialismo riformista di Cavallera, invitava gli operai ad adrire alla Lega: Civiltade, uguaglianza e progressu Est su programma nostru ‘e socialistas in paghe, amore e frattellanza; 95 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO unidos in partidu solidale e bene organizzados cun sustanza cun s’arma de s’ischeda elettorale e assora ottnimos e gosamos su chi hoe nos furant e no hamos. Intanto, supplicava costantemente e con insistenza tutti gli amici poeti del Logudoro, i quali solo”hant sas limas esattas/e tott’ammirant sas rimas insoro”ad intrattenere con lui, esule in una terra in cui “su dialettu logudoresu no est connottu né apprezzadu;inue veramente sa musa dialettale est tenta in pagu cunzette” una corispondenza poetico-epistolare.Li sfidava con proposte ardite e sempre più complesse, dai trintases a semplice retroga a fiore, fino al trintasette retrogadu e tent’a maglia.Pubblicherà alcune di queste lettere poetiche nel volumetto Su Parnasu sardu. Ma i rapporti con i colleghi improvvisatori non erano tra i più idilliaci. Fino al 1908 le gare poetiche nelle feste paesane erano a premio, e “soltanto il vincitore aveva diritto a una ricompensa;lo sconfitto o gli sconfitti restavano a mani vuote”. Moretti troppo spesso vincitore per essere compagno gradito in gara. La notte tra il 7 e l’8 maggio del 1906, in occasione della festa di S.Narciso, a Bono, i poeti Antonio Farina di Osilo(18651944), la figlia Maria, Giuseppe Pirastru di Ozieri(1858-1932) e Salvatore Testoni di Bonorva(1865-1945) “scioperarono” dichiarando di non voler cantare col poeta tresnuraghes e non si presentarono sul palco.Il cronista de La Nuova Sardegna, stigmatizzando “la malignità e il cinismo” degli scioperanti che, ”con grave danno del pubblico”avevano recato “detrimento morale” al poeta rifiutato, racconta che “la mattina dell’8, il comitato con tutto il popolo plaudente, e con la musica in testa, percorse le vie del paese col grido di “Abasso la camorra, viva Moretti”. Era maestro dell’improvvisazione nella quale sapeva èassare, cogliendo l’umore dell’uditorio e le debolezze degli avversari, dalla comicità alla satira, dall’ironia velove e pungente all’approfondimento pacato intorno ai più seri e “profundos ideales”.Paolo Pillonca ricorda l’ammirazione di Remundu Piras nel descrivere “le sue qualità mimiche che ne facevano un attore consumato”, un poeta de geniu dalla simpatia naturale, a dispetto della sua debolezza canora caratterizzata da “boghe lasca e traggiu ordinariu”. Il poeta tresnuraghese parteciperà ancora attivamente alla vita politica isolana e, attribuendo alla poesia una funzione di promozione culturale e politica, inviterà i suoi colleghi a non impegnarsi esclusivamente per i premi delle gare. 96 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Poetas, de cantare custa est s’ora Cun tottu su talentu esside fora In custa oras tristes e amaras Pro riparare sos bruttos eventos Cun sos bostros robustos argumentos. Dal canto suo proporrà, in occasione di una elezione amministrativa del 1919, il poemetto Boghes de Sardigna.Sos males chi affligint s’isula sarda e sos rimedios in cui, dichiarando la continuità con gli ideali del socialismo riformista già espressi in Su gridu de su minadore, denuncia il trasformismo dei suoi stessi compagni, l’impostura del deputato che Si ponet a preigare Chi est de s’operaiu in favore; Visitat in segretu a mussignore E promittit su cler’’e appoggiare: In pubblicu figurat socialistu E basat in segret’a Gesù Cristu. Nel 1920 subirà anch’egli il fascino del movimento sardista sviluppato intorno ai reduci della Brigata Sassari.Nel marzo di quell’anno pubblicherà ad Iglesias un poemetto di 97 ottave dedicato appunto “a onore e gloria imperitura de sos eroes sardos, ruttos valorosamente in su campu de battaglia”.Il poemetto intitolato Su valore de sos sardos in gherra, dopo un’introduzione in cui ripercorre velocemente la storia della poesia sarda, da Araola e Madau a Paolo Mossa e Sebastiano Satta, racconta nella prima parte le imprese guerriere dei sardi da Amsicora fino all’avvento dei Savoia... ...La seconda parte del poemetto, intitolato Una regina sarda gherriera, è la glorificazione mitica di Eleonora d’Arborea.Non sappiamo se abbia concluso l’opera che doveva, secondo il progetto iniziale, affrontare la storia contemporanea fino “a s’attuale vittoria 1918”. L’opera pubblicata nel 1920, curata e documentatissima, fù ideata già nella giovinezza a Tresnuraghes e composta nel lungo periodo dell’esilio nell’iglesiente.Il poeta ebbe quindi la possibilità di far uscire, sempre nel 1920, in occasione di una nuova tornata di elezioni amministrative, un altro poemetto di 60 ottave intitolato Sa campana sarda.Avvertimento e cunsizos a sos sardo elettores. L’adesione alla battaglia “sardista” è esplicita: Forza-paris, comente in su Piave 97 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Sos invasores amos soggiogadu: forza-paris, po soggiogare como Sos parassitas ch’amos intr’’e domo! Forza-paris, currimus a votare Oe dogni elettore est cumbattente. …Scalzata finalmente la giunta Zedda, Moretti e Marras poterono, nel 1922, rientrare a Tresnuraghes.Sebastiano Moretti , in occasione della festa di S. Antonio di Padova, al quale si dedicava quell’anno l’antica chiesa di S. Maria di Itria(poi di Loreto), ristrutturata e riconsacrata, si riconciliò con i suoi concittadini in una memorabile gara poetica che lo vide insieme a Cubeddu, Testoni, e Farina. Al termine delle schermaglie, Moretti offrì al comitato e ai compaesani”unu modelle nou”, una delle sue funamboliche creazioni applicata questa volta alla rievocazione della vita del santo e all’invocazione della sua intercessione. Il 26 agosto 1922 nasce dunque, dalla penna del poeta tresnuraghese, la prima moda cantata in una gara poetica. …In occasione della venuta del duce, il 10 giugno 1923, Sebastiano Moretti scrisse Mussolini in Sardegna, un’opera mista di sonetti.ottave e strofe di canzone con versi liberi, dedicata A su Duce, chi cun ferrea manu At salvadu s’Istadu Italianu. E, ancora una volta, rese esplicito il percorso politico personale dichiarando i suoi punti di riferimento. Accudide a sa ‘oghe’ e sa Diana Chi General Gandolfo istat sonende; Professor Pili a raccolta est giamende Sa gioventude sarda onesta e sana, Avanti, avanti, o anima Isulana, Addiccò s’era noa avvicinende: Unidos tottu in amplessu fraternu Diemus brazzu forte a su Guvernu. Trascorse il resto della vita a Tresnuraghes, spostandosi di frequente per tutta l’isola, richiestissimo nelle gare, ammirato maestro dei giovani improvvisatori che lo ricorderanno con devozione e affetto. Morì a Tresnuraghes il 24 Aprile 1932. 98 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Forse Sebastiano era un poeta maledetto. O forse era soltanto un disperato del popolo. Cercava lavoro e intanto predisponeva i suoi polmoni alla “polymphilite” che Georg Bauer secoli prima andava diagnosticando nei pozzi germanici. Aveva l’arma della poesia e la brandiva come una clava, contro gli stranieri, gli sfruttatori, che facevano la vita comoda e non morivano in miniera, di miniera. Non aveva cercato scampo fuori della terra di Sardegna. Chissà se già sapeva che molti di coloro che l’avevano fatto non avevano trovato, in realtà, fortuna. Molti avevano cercavato fortuna fuori. Molti, invece, non avevano trovato quello che cercavano. Milioni, a milioni, si erano mossi al tempo di Sebastiano Moretti. E molti si muovono ancora oggi. Sono stato a New York, a Ellis Island, dove esiste il grande museo dell’immigrazione. Ellis Island era la porta attraverso la quale, per decenni, gli emigranti avevano messo piede nella Terra Promessa. Una Terra che li accoglieva e, al tempo stesso, li segregava in una quarantena incomprensibile ed estenuante. Ho inserito nell’archivio digitale del Museo il mio nome, cercando qualche traccia delle mie stesse radici trasmigrate nel Nuovo Mondo. Oggi è facile farlo sul sito del Museo. 99 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Below are the records that match the name you entered. If you don't find the passenger you seek on this group of records don't give up! Also, many passengers' names were misspelled. You can also try clicking on the "close matches" or "alternate spellings" boxes at the top of the page to ask the system to search for spellings that have similar sound values. (e.g. Lansky, Lanski, Landski would all sound the same.) next 25 ExactMatches Matches(31) (31) Exact Name of Passenger Residence Name of Passenger Residence 1.Pietro Perrone 1.Pietro Perrone 2.Pietro Perrone 2.Pietro Perrone 3.Pietro Perrone 3.Pietro Perrone 4.Pietro Perrone 4.Pietro 5.PietroPerrone Perrone 5.Pietro 6.PietroPerrone Perrone 6.Pietro 7.PietroPerrone Perrone 7.Pietro 8.PietroPerrone Perrone 8.Pietro Perrone 100 Arrived Age on Passenger Ship Arrived Age on Passenger Ship Arrival Record Manifest Arrival Record Manifest 1923 View View 1923 View View 1903 17 View View 1903 17 View View 1898 21 View View 1898 21 View View 1912 24 View View 1912 24 View View 1924 25 View View 1924 25 View View Acri 1903 30 View View Acri 1903 30 View View Acri 1903 32 View View Acri 1903 32 View View Alessandria, 1910 24 View View Alessandria, 1910 24 View View Girgenti, Girgenti, Italy Italy Ship Ship Image Image View View View View View View View View View View View View View View View View LA LEYENDA DEL INDIO DORADO 9.Pietro 10Pietro . 11Pietro . 12Pietro . 13Pietro . 14Pietro . 15Pietro . 16Pietro . 17Pietro . Perrone Perrone Alessandro Ali, Italy 1903 1919 16 12 View View View View View View Perrone Bolognetta, Italy Borgetto 1911 15 View View View 1905 45 View View View 1913 44 View View View 1912 19 View View View 1905 17 View View View 1916 31 View View View 1912 17 View View View 1920 18 View View View 1906 26 View View View Perrone Canelli, Italy Castelmaura , Italy Castelmorro ne Castelmorro ne, Italy Castl Marrsra, Italy Cerchiaro Prov. di Cosenza, Italy Fagnano Cast. Fors...ola 1901 12 View View View Perrone Furio 1898 35 View View View Perrone Italy 1914 24 View View View Perrone Laterza 1907 22 View View View Perrone Marineo, Palermo, Moutalto Af. 1909 8 View View View 1907 24 View View View Perrone Perrone Perrone Perrone Perrone Perrone 18Pietro Perrone . 19Pietro . 20Pietro . 21Pietro . 22Pietro . 23Pietro . 24Pietro . 25Pietro Perrone Perrone About the Foundation | Press | Contact Us | Terms of Use | FAQ | Privacy 111 ©2000 by The Statue of Liberty-Ellis Island Foundation, Inc. Ecco il risultato della ricerca. Questo estratto è solo parziale, la prima di 25 pagine tutte uguali ma tutte diverse. Uguali, quei nomi. Tutti miei omonimi. Tutte diverse le storie. Centinaia di vite che quei nomi, come per magia, hanno tratto dal nulla della miseria e portato addirittura nel Paradiso d’America. 101 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Per me sono tutti sconosciuti. Ma portano tutti il nome mio. Lo hanno portato, preso in ogni dove d’Italia, in giro nel mondo. Ognuno, il mio nome. Ognuno un volto diverso. Ognuno una storia, una vita, una storia e una vita diverse. Fa una strana impressione condividere con tanti fratelli una cosa così intima e familiare come il nome e cognome. Il mio nome ed il mio cognome. Saranno tutti diversi? Non ho potuto elencare tutti records resi dalla ricerca. Come non posso neanche trascrivere i nomi di milioni di migranti che sono passati dall’Isola di Ellis. Sono una folla sterminata. Una schiera di angeli. Milioni di uomini. Tutti diversi. Tutti col mio sangue. Una Moltitudine. Milioni. Come nei versi di Schiller. Milioni di uomini, resi immortali dalla prodigiosa invenzione sinfonica di Beethoven. Milioni. Moltitudini. Strette. Inginocchiate. Abbracciate. Il desiderio di gioia manifestato del poeta batte palpitante e al tempo stesso agita inconsapevole milioni di cuori, le moltitudini che si sono mosse alla ricerca di un destino, di un destino dignitoso, che restituisse loro la qualità di uomini. Loro, povera carne da hamburger, sono partiti senza destino, senza identità. A loro, venivano spezzate le radici. A loro, veniva assegnato un destino in prestito. Solo così potevano trovare un lavoro da cui sgorgava, miracolosa, la fonte della “Gioia”. Gioia per la Terra Promessa. Gioia per il Futuro. Gioia. Gioia per un Destino. “An die Freude” “Inno alla Gioia” O Freunde, nicht diese Töne! Sondern lasst uns angenehmere anstimmen und freudenvollere! O amici, non questi suoni! ma intoniamone altri più piacevoli, e più gioiosi. Freude, schöner Götterfunken, Tochter aus Elysium, Wir betreten feuertrunken, Himmlische dein Heiligtum. Deine Zauber binden wieder, Was die Mode streng geteilt; Alle Menschen werden Brüder, Wo dein sanfter Flügel weilt. Gioia, bella scintilla divina, figlia degli Elisei, noi entriamo ebbri e frementi, celeste, nel tuo tempio. La tua magia ricongiunge ciò che la moda ha rigidamente diviso, tutti gli uomini diventano fratelli, dove la tua ala soave freme. 102 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Wem der große Wurf gelungen, Eines Freundes Freund zu sein, Wer ein holdes Weib errungen, Mische seine Jubel ein! Ja - wer auch nur eine Seele Sein nennt auf dem Erdenrund! Und wer's nie gekonnt, der stehle Weinend sich aus diesem Bund! L’uomo a cui la sorte benevola, concesse di essere amico di un amico, chi ha ottenuto una donna leggiadra, unisca il suo giubilo al nostro! Sì, - chi anche una sola anima possa dir sua nel mondo! Chi invece non c’è riuscito, lasci piangente e furtivo questa compagnia! Freude trinken alle Wesen An den Brüsten der Natur, Alle Guten, alle Bösen Folgen ihre Rosenspur. Küsse gab sie uns und Reben, Einen Freund, geprüft im Tod, Wollust ward dem Wurm gegeben, Und der Cherub steht vor Gott. Gioia bevono tutti i viventi dai seni della natura; tutti i buoni, tutti i malvagi seguono la sua traccia di rose! Baci ci ha dato e uva, un amico, provato fino alla morte! La voluttà fu concessa al verme, e il cherubino sta davanti a Dio! Froh, wie seine Sonnen fliegen Durch das Himmels prächtigen Plan, Laufet, Brüder, eure Bahn, Freudig wie ein Held zum Siegen. Lieti, come i suoi astri volano attraverso la volta splendida del cielo, percorrete, fratelli, la vostra strada, gioiosi, come un eroe verso la vittoria. Seid umschlungen, Millionen! Diesen Kuss der ganzen Welt! Brüder - überm Sternenzelt Muss ein lieber Vater wohnen. Abbracciatevi, moltitudini! Questo bacio vada al mondo intero Fratelli, sopra il cielo stellato deve abitare un padre affettuoso. Ihr stürzt nieder, Millionen? Ahnest du den Schöpfer, Welt? Such ihn überm Sternenzelt, Über Sternen muss er wohnen. Vi inginocchiate, moltitudini? Intuisci il tuo creatore, mondo? Cercalo sopra il cielo stellato! Sopra le stelle deve abitare! A molti di loro, invece, non era assicurata neanche la fortuna di trovare ciò che per tanti aveva avuto un prezzo così alto! Molti non avevano diritto alla dose di Gioia che i Titani avevano apparecchiato per l’Umanità intera. Molti di loro, si saranno domandati, forse inconsapevoli, se davvero dovevano ritenersi esclusi da quell’Umanità. Forse non erano uomini pure loro, gli esclusi? Forse la Natura li aveva ingannati ancora più perfidamente? 103 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO C’era, forse, qualche ignota ragione che li rendeva meno uomini degli altri? Nelle celle di Ellis Island vedevano, forse, e certamente sognavano, fiumane di uomini sui viali di New York, sorridenti, felici. Forse li immaginavano anche soffrire. Chissà! Ma quelli, almeno erano Uomini! Molti di quelli che partivano dalle miniere di polvere d’Italia, invece erano bestie impastate di fame e sudore. Molti di loro erano coperti di cenere, ed avevano i polmoni pieni di piombo. Nascevano dalla cenere e crescevano nella miseria. Si nutrivano di cenere e respiravano veleno. Molti di loro, delle miniere di nero carbone o di zolfo color zafferano, molto presto tornavano ad essere cenere. Più presto degli altri. E più presto di quanto gli spettasse. Adæ vero dixit: Quia audisti vocem uxoris tuæ, et comedisti de ligno, ex quo præceperam tibi ne comederes, maledicta terra in opere tuo; in laboribus comedes ex ea cunctis diebus vitæ tuæ. Spinas et tribulos germinabit tibi, et comedes herbam terræ. In sudore vultus tui vesceris pane, donec revertaris in terram de qua sumptus es; quia pulvis es et in pulverem reverteris 104 All`uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell`albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l`erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane; finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere tornerai! LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La storia, per quelle moltitudini infelici ha corso troppo velocemente, travolgendo tutto, le loro vite, i loro destini, le loro misere cose. Ecco allora, un’altra storia. Un’altra storia di dolore e di morte. Una storia di Vittime della miniera. Una storia di Vittime senza nome. Vittime senza volto, fantasmi. La memoria collettiva oggi, si offre grazie alle immagini di Google e dalle pagine del web. E da queste poche pagine messe insieme da me, che scrittore non sono. Io voglio soltanto fare un altro piccolo dono alla Memoria, alla memoria di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita in cambio del più “normale” dei sogni. Il sogno di vivere. Il sogno di avere un Futuro. Il sogno di avere un Nome. Disastro di Monongah. Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. Il 6 dicembre 1907 nella miniera di Monongah, cittadina che allora contava 3 mila abitanti, si verificò il più grave disastro minerario che la storia degli Stati Uniti d’America ricordi. L’incidente rappresenta anche la più grave sciagura mineraria italiana. L’incidente e i soccorsi Alle ore 10,30 del mattino nelle gallerie 6 e 8 della miniera di carbone della Fairmont Coal Company, di proprietà della Consolidated Coal Mine of Baltimore, si verificò una terrificante esplosione. La galleria 8 si trovava sulla sponda occidentale del fiume West Fork ed era collegata alla galleria 6, situata sulla riva opposta, da un tunnel sotterraneo e, in superficie, da un ponte e da un impianto di scarico del minerale. La vena di carbone Pittsburgh giaceva a meno di 70 metri dalla cima della collina su cui si apriva l’entrata principale della miniera e a circa 10 metri sotto il livello del fiume. Il boato fu avvertito a 30 km di distanza, come pure le vibrazioni del terreno. Gli effetti più devastanti si ebbero nella galleria 8; qui un frammento di oltre 50 kg del tetto in cemento del locale motori fu scagliato sulla riva opposta del West Fork, a oltre 150 metri di distanza. Stessa sorte toccò ad una grossa parte 105 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO dell’aeratore, che venne scaraventata sulla sponda orientale del fiume, piantandosi nel fango. Testimoni oculari riferirono che la vampata proveniente dal sottosuolo raggiunse i trenta metri d’altezza. L’intera collina su cui si apriva l’entrata della miniera fu violentemente scossa e dal West Fork si sollevò una gigantesca ondata che raggiunse la linea ferroviaria che correva lungo il corso d’acqua. I primi a precipitarsi verso il luogo della sciagura furono i parenti dei minatori, che abitavano nelle tipiche casette in legno situate sulla riva opposta del West Fork, e i minatori dell’altro turno di lavoro. Nei pressi della galleria 8 tutti gli edifici furono completamente distrutti e i suoi tre ingressi furono ostruti dai detriti. L’enorme ventilatore situato vicino all’entrata della miniera fu strappato e al posto del locale di aerazione non rimase altro che un cumulo di mattoni e metallo accartocciato. Un’ampia e densa nube di fumo acre e polvere fuoriuscì dalla miniera e ricoprì con una spessa coltre le acque del fiume1. La notizia del disastro si diffuse rapidamente e in meno di un’ora alcuni funzionari della compagnia mineraria giunsero da Fairmont. I lavoratori delle miniere vicine, per solidarietà, si fermarono e affluirono per prestare il loro aiuto. Fu diramato un allarme generale per i medici e presto dottori, alcuni giornalisti e altri ufficiali si trovarono sul punto della sciagura ma fu subito evidente che sarebbero occorse diverse ore di lavoro solo per poter rendere praticabile l’entrata della galleria. Furono create due unità di soccorso, ciascuna di trenta elementi. I soccorritori non poterono resistere all’interno della miniera per più di 15 minuti consecutivi a causa della mancanza di adeguati respiratori. Tre di essi perirono durante il loro intervento e i loro nomi furono iscritti nell’elenco delle vittime del disastro. Dalla vicina Shinnston fu portato un ventilatore che venne posizionato all’ingresso principale per immettere aria all’interno della miniera. Alle nove di sera le squadre di soccorso erano riuscite ad avanzare di soli 200 metri all’interno della galleria . Contemporaneamente, a circa tre km dall’ingresso principale della galleria, si tentava di aprire un tunnel di aerazione. L’ingresso della galleria 6 rimase inaccessibile per molte ore dopo la deflagrazione. Le carcasse di oltre 600 carrelli bloccarono il passaggio a 100 metri dall’ingresso2. 1 Scenes around mines just after disaster, Fairmont Times, Dec. 7, 1907. 2 Albert rhone, Monongah Mine Disaster, POINTers, vol. 13, n. 4, 1999. 106 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Una dozzina di medici sostarono all’entrata della miniera, ma - tranne poche eccezioni - il loro intervento sfortunatamente non fu necessario. Nel primo pomeriggio parecchi cadaveri furono ritrovati a diverse centinaia di metri dagli ingressi ma non fu possibile ricondurli in superficie che alle prime ore del mattino successivo. La maggior parte dei corpi delle vittime era carbonizzata e orribilmente straziata. Per diversi giorni madri, mogli, fidanzate e sorelle restarono in angosciosa attesa dinanzi all’ingresso dell’impianto, osservando, strillando e piangendo. “Alcune pregavano, altre cantavano e altre ancora - nella disperazione ridevano istericamente”.3 Le condizioni di lavoro All’epoca della tragedia di Monongah la legislazione sulla sicurezza nelle miniere degli Stati Uniti era assai carente, e tale rimase per lungo tempo. Per comprendere quanto fossero arretrate le misure di sicurezza nelle miniere è sufficiente pensare che sino a pochi anni prima della strage del 1907 l’unico dispositivo adottato dai minatori per rilevare le spesso letali sacche di gas consisteva nel condurre con sé nei pozzi in uccellini in gabbia. In caso di presenza di gas essi sarebbero rapidamente morti, a causa della loro gracilità, segnalando ai lavoratori l’imminente pericolo. Per i minatori era assai difficile migliorare le tremende condizioni in cui erano costretti a lavorare: tre italiani che nel 1879, a Eureka, in Nevada, avevano promosso uno sciopero per cambiarle, furono barbaramente linciati4. Sostanzialmente i provvedimenti legislativi in materia di sicurezza venivano adottati in seguito e in conseguenza al clamore suscitato nell’opinione pubblica dagli incidenti minerari più gravi ed eclatanti. Così avvenne anche nel caso dell’ecatombe di Monongah. Il rapporto della commissione d’inchiesta sull’incidente, sottolineando la persistenza di problemi irrisolti riguardanti le esplosioni nelle miniere di carbone, raccomandava esplicitamente al Congresso la creazione di un ufficio di indagini5. Nel 1910, sulla spinta del dramma di Monongah, il 3 The Monongah Catastrophe, The Illustrated Monthly West Virginian, Jan. 1908. 4 Gian Antonio Stella, L’orda, Milano, 2003, pag. 22. Questa situazione si sarebbe protratta per molti anni a venire: ancora nel 1914 una protesta dei minatori fu soffocata nel sangue a Ludlow, ove furono uccise almeno venti persone. 5 Nella relazione si suggeriva inoltre che, poiché nelle miniere della West Virginia erano occupati oltre sessantamila lavoratori, fossero assunti ulteriori 4 ispettori minierari distrettuali e 2 ispettori. Ma, come è specificato oltre (“Il bilancio umano”), tale relazione ebbe anche gravissime conseguenze umane per i parenti delle vittime. 107 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Congresso statunitense istituì il Bureau of Mines (Ufficio delle Miniere), ente del Department of the Interior (Ministero dell’Ambiente ), allo scopo di condurre ricerche per ridurre il numero degli incidenti6. Il Bureau of Mines fu investito dal Congresso di poteri assai limitati e si dovette attendere il 1941 e una lunga serie di incidenti affinché gli fossero riconosciute autorità ispettive oltre che di ricerca. Le cause della sciagura Per indagare sulla sciagura la contea di Marion istituì una commissione d’inchiesta, le cui conclusioni furono rese pubbliche nel pomeriggio del 16 gennaio 1908. Nella loro relazione il coroner E. S. Amos7 e i suoi collaboratori confermarono le ipotesi in precedenza espresse sia nel rapporto degli ispettori minerari dello Stato dell’Ohio sia dal Capo Ispettore minerario James W. Paul, di Charleston, West Virginia: il disastro era da attribuire ad un’esplosione, la cui origine rimaneva ignota e controversa, verificatasi nella galleria 8. In sostanza il rapporto non individuava alcun colpevole. Alcuni addossarono la colpa dell’esplosione ad un’imprudenza commessa da uno dei numerosi “raccoglitori d’ardesia” o “ragazzi dell’interruttore”. Questi erano i giovanissimi aiutanti di dieci, quattordici anni che, grazie al vigente buddy system, non erano registrati in alcun elenco sebbene lavorassero regolarmente assieme ai minatori. In altre ricerche si ritiene che la deflagrazione sarebbe stata innescata dalle scintille provenienti da un cavo elettrico tranciato da un carrello andato fuori controllo8. Secondo un’altra ipotesi il disastro sarebbe stato provocato dall’esplosione del gas accumulatosi nelle galleria nei due giorni precedenti, durante i quali le miniere rimasero chiuse e la compagnia minieraria, per risparmiare energia, tenne spento l’impianto di ventilazione. 6 Nel Maggio del 1908, meno di sei mesi dopo la catastrofe di Monongah, il Congresso approvò la creazione di una istituto di indagini sulle esplosioni in miniera. La struttura, la cui direzione fu affidata a Joseph A. Holmes, direttore della Divisione Tecnologica del Geological Survey, venne aperta nel dicembre successivo a Pittsburg, in Pennsylvania, all’interno di una grande area carbonifera. Nel 1910 a Bruceton, in West Virginia, fu aperta la prima miniera sperimentale per i regolari test del Bureau of Mines. 7 La commissione era così composta: E. S. Amos, W. E. Cordray, Geo. H. Richardson, A. S. Prichard, Festus Downs, J. M. Jacobs, W. S. Hamilton. 8 Alessandro Scanavini, Morire a Monongah, Oggi7, in America Oggi, 5 maggio 2005. 108 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Mercoledì 4 e giovedì 5 dicembre si celebrarono rispettivamente Santa Barbara, patrona dei minatori, e San Nicola, assai venerato in Italia meridionale come pure negli Stati Uniti (è il famoso santa Claus) e in Europa orientale e settentrionale9. Quest’ipotesi spiegherebbe il rapido oblìo che seguì l’incidente. Infatti se la Fairmont Coal Company, potente e influente compagnia mineraria, fosse stata ritenuta responsabile della catastrofe avrebbe dovuto far fronte a numerosissimi e considerevoli indennizzi ai parenti delle vittime. Quindi la compagnia avrebbe avuto ogni interesse ad “insabbiare” il più rapidamente possibile la catastrofe che avrebbe potuto implicare pensantissimi risvolti economici a suo carico. L’estrema violenza della deflagrazione fa propendere per l’ipotesi secondo cui la sciagura sarebbe stata provocata da un’esplosione di grisou, il pericoloso gas delle miniere. Lo scoppio di tale gas è infatti caratterizzato dalla rapidissima liberazione di notevoli quantità di energia ed ha spesso gravi conseguenze. La pericolosità nelle miniere di carbone delle polveri finemente suddivise deriva da una delle proprietà dei solidi quando questi sono coinvolti nelle reazioni chimiche. Infatti, nei solidi, solo le molecole e gli atomi che si trovano in superficie sono esposti all’ambiente di reazione. Quanto più le particelle solide sono piccole, tanto maggiore è la loro superficie esposta e veloce è la reazione. Ciò spiega il motivo per cui le polveri sottili di carbone possono portare a una vera e propria esplosione allo scoccare di una scintilla. Infatti, la reazione del carbonio con l’ossigeno dell’aria provoca lo sviluppo di calore C (solido) + O2(gas) ¡ CO2 (gas) + calore. Se il carbonio (solido) è presente sotto forma di polvere o di piccoli frammenti reagisce più rapidamente con l’ossigeno dell’aria e lo sviluppo di calore può essere estremamente rapido, tanto da originare un’esplosione. Come previsto dalla Commissione del coroner Amos, l’assenza di sopravvissuti rese estremamente difficile - se non pressoché impossibile - la ricostruzione dell’esatta dinamica della catastrofe. Le cause del’incidente rimangono tuttora sconosciute. 9 San Nicola cade in effetti il giorno 6, ma la ricorrenza venne anticipata al giorno precedente. La maggior parte dei minatori provenivano dall’Europa dell’Est, dall’Italia del Sud e molti erano pure i Neri americani. 109 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Il bilancio umano La camera ardente fu in un primo tempo allestita nell’edificio della First National Bank di Monongah. Successivamente, per mancanza di spazio, centinaia di bare furono allineate di fronte all’edificio, nel corso principale della città. I corpi delle vittime erano tanto straziati che nacquero discussioni sulla loro identificazione e più di una volta una stessa salma fu reclamata da due famiglie diverse che ritenevano di riconoscere nel cadavere il loro congiunto. Molti minatori furono ritrovati con i risparmi cuciti nelle cinture e una delle preoccupazioni dei responsabili dei soccorsi divenne quella di evitare atti di sciacallaggio. Le bare venivano dirette verso il cimitero protestante o quello cattolico, a seconda della fede del morto. Per la prevalenza di vittime d’origine italiana, ungherese e polacca presto il cimitero cattolicò si riempì. La Fairmont Coal Company mise a disposizione un acro di terreno della zona mineraria, sul fianco della brulla collina, ove sorse un nuovo cimitero. File di bare aperte furono sepolte nel freddo suolo della West Virginia. I corpi di 135 vittime non identificate vennero sepolti in una fossa comune. Le rovine delle miniere furono murate e molte delle nuove abitazioni dei minatori furono costruite sul versante della collina sopra la miniera. La relazione della commissione d’indagine della contea di Marion ebbe importanti e gravi conseguenze umane e legali. Il rapporto, affermando l’impossibilità di stabilire le cause del disastro, scagionava la Fairmont Coal Company da qualunque responsabilità nell’incidente; veniva così di fatto preclusa la possibilità per i parenti delle vittime di ottenere un risarcimento dalla proprietà dell’impianto in sede giudiziaria. La sciagura ebbe un’enorme eco nell’opinione pubblica del Paese. Il più grave disastro minerario sino ad allora avvenuto negli Stati Uniti era stato quello di Fayetteville, sempre nella Virginia Occidentale, il 29 gennaio dell’anno prima, in cui avevano perso la vita ottanta minatori. Alle 250 vedove e ai 1.000 orfani lasciati dai minatori scomparsi non restò che il soccorso assistenziale della Monongah Mines Relief Committee. Il 27 dicembre 1907 più di duemila quotidiani statunitensi promossero una raccolta di fondi. Essa fruttò circa centocinquantamila dollari che furono poi devoluti come sussidio agli sfortunati familiari dei minatori scomparsi. Alla raccolta contribuì generosamente il magnate statunitense Andrew Carnegie e 17.500 dollari furono elargiti dalla Fairmont Coal Company, che 110 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO successivamente distribuì un’ulteriore somma10. Fu stabilito che ad ogni vedova fossero attribuiti 200 dollari e 155 ad ogni orfano minore di 16 anni. Non risulta che il Governo italiano abbia erogato fondi ai parenti delle vittime. Le 171 vittime “ufficiali” italiane erano emigrati da località molisane (un centinaio), calabresi (una quarantina) e abruzzesi (una trentina). È bene ricordare che gli Italiani - e in particolare i meridionali - non erano considerati bianchi ma molto vicini ai Neri. Tra i paesi più colpiti i molisani Frosolone (14 vittime), Duronia (36 vittime), Roccamandolfi, Bagnoli del Trigno, Torella del Sannio, i calabresi San Giovanni in Fiore (una trentina di vittime), San Nicola dell’Alto, Falerna, Strongoli, Gizzeria, Castrovillari e gli abruzzesi Atri, Civitella Roveto, Civita d’Antino, Canistro e la lucana Noepoli. Fra gli altri persero la vita anche il ponzano Luigi Feola, un bellunese di Vallesella e un piemontese di Premia. Il fratello di quest’ultimo, Giuseppe D’Andrea, sacerdote dell’Ordine degli Scalabriniani, aiutò il Reale Agente Consolare, Giuseppe Caldera, che era a Fairmont, a redigere centinaia di atti di morte. Il numero dei caduti italiani fa della tragedia mineraria di Monongah una delle più gravi - se non la più grave - mai abbattutesi sulla comunità italiana: nel pur tristemente assai più noto disastro di Marcinelle perirono 262 vittime, 136 delle quali italiane. 10 Secondo la relazione finale del tesoriere della Monongah Mines Relief Committee del 1910 i contributi internazionali furono: Germania 104,70 dollari; Inghilterra: 50; Francia: 50; Messico: 10; Cuba: 5. I contributi “istituzionali” furono: Fondo Carnegie: 35.000 dollari; Vescovo della Diocesi di Wheeling: 5.334,40; Croce Rossa Americana: 3.478,11; Governo Ungherese: 1.610,00; Fraternal Order of Eagles: 1.000; Elks: 1.000; United Mine Workers of America Sindacato dei minatori americani) 1,000; Order KoKoal: 629,69 I dati sono tratti dalla tesi di laurea presentata da Jeffery B. Cook alla West Virginia University nel 1998. 111 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Il numero delle vittime In un primo momento - secondo il rapporto della citata “Commissione Amos” - sembrava che le vittime fossero “circa 350” ma già nei giorni immediatamente successivi alcuni resoconti giornalistici parlarono di 425 morti.11 Il cimitero di Monongah, dove riposano le vittime del disastro. Leo L. Malone, General Manager delle due gallerie, riferì alla stampa che la mattina della sciagura all’ingresso nell’impianto erano stati registrati 478 uomini, e che comunque tale numero non includeva circa 100 altri lavoratori (conducenti di muli, addetti alle pompe, ecc.) non soggetti alla registrazione. In un quotidiano di Washington una corrispondenza datata 9 marzo 1908 riferisce di 956 vittime. La cifra di 362 vittime, desunta dai rapporti redatti dalla Monongah Mines Relief Committee, la commissione che provvide all’assistenza dei parenti dei minatori scomparsi, divenne quella “ufficiale”. Il numero e l’identità della maggior parte degli scomparsi sono rimasti 11 All Hope Is Gone. 425 Are Dead, Fairmont Times, Dec. 7, 1907. 112 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO ignoti a causa della presenza di moltissimi minatori che all’ingresso in miniera non venivano registrati negli elenchi della Fairmont Coal Company. All’epoca, infatti, era in uso il citato buddy system (o pal system): i minatori erano soliti avvalersi, e di ciò non erano obbligati a dare comunicazione al datore di lavoro, dell’aiuto di parenti - anche bambini - e amici con i quali poi dividevano la paga. La retribuzione infatti non era legata alle ore effettivamente lavorate ma alla quantitá di carbone portato in superficie. L’effettiva entità dell’ecatombe fu per lungo tempo assai sottostimata, ma già nel 1964 il reverendo Everett Francis Briggs (vedi oltre in “La conservazione della memoria”) in una pubblicazione affermò che in base alle sue ricerche il numero dei minatori deceduti nella sciagura fosse assai maggiore di quello ufficialmente diffuso sino ad allora e dovesse invece essere portato a oltre 500.12 Il numero dei sopravvissuti, come quello dei morti, non è ancora stato definito, e probabilmente non lo sarà mai. Secondo alcune ricostruzioni, nessuno fra quanti erano presenti nella miniera si salvò.13 Quattro minatori sarebbero scampati alla tragedia e con le loro testimonianze di fronte alla commissione d’inchiesta sulla sciagura - avrebbero contribuito a scagionare la Compagnia mineraria dalla responsabilità del disastro. Elenco delle vittime Elenco delle vittime del disastro secondo l’Annual Report of the Department of Mines, West Virginia, 1908.14 Galleria n. 6 • Americani : Henry Burke | Fay Cooper | Fred Cooper | G. L. Davis | Thos. Donlin | Thos. Duffy | Harry Evans | Wm. Evans | John Fluharty | Floyd Ford | Jno. Herman | Lonnie Hinerman | L. D. Lane | Sam R. Kelly | Timothy Lydon | Henry Martin | Albert Miller | J. W. Miller | Frank Moon | James Moon | A. H. Morris | Cecil Morris | Homer Pyles | Fred Rogers | Frank Shroyer | Scott Sloan | Will Staley | Harold Trader | Wm. R. Walls | A. J. Watkins | Milroy Watkins | Geo. Wiley; 12 Everett F. Briggs, Mine Disaster, in Science, n. 146, 2 ottobre 1964. 13 Russell Bonasso - studioso della sciagura - nel suo libro Fire in the Hole sulla della tragedia del 1907 scrive che vi fu un unico superstite, Peter Urban di Monongah il quale, per una beffa del destino, perse la vita nella stessa miniera diciotto anni dopo la catastrofe. 14 L’elenco è pubblicato sul sito della West Virginia Division of Culture and History, ente del Dipartimento dello Stato della West Virginia per l’Istruzione e le Arti. 113 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO • Polacchi: Geo. Boshoff | Frank Davis | Felix Gasco | Ignat Goff | Frank Krall | Ignots Lapinsky | Jno. Regulski | Petro Rossia | Frank Sawyer | Frank Shantah | Thos. Susnofsky | Mike Wassale; • Greci: Gass Levant | Nick Scotta | Nick Susta | Andy Tereza | Nick Tereza; • Slavi: Joe Bagola | Andy Berrough | Geo. Berrough | Mike Belo | Mike Bonotsky | Martin Bosner | Jno. Cresko | Mike Donko | Jno. Dunko | Mike Durkuta | Jno. Dursc | Thos. Duvall | Mike Egar | Steve Feet | Lobe Feretts | Joe Foltin | Paul Frank | Albert George | Jno. Gomerchec | Wogtech Hamock | Mike Hanish | Jno. Hiner | Martin Honick | Paul Honick | Jno. Hornock | Steve Ignatchic | Mike Kerest | Joe Kovatch | Jno. Kristofitz | Jno. Martin | Mike Oshwie | Geo. Polonchec | Paul Provitsky | Jno. Sari | Geo. Sari | Mike Sari | Steve Sari | Mike Sebic | Thos. Seyche | Andy Stie, Sr. | Andy Stie, Jr. | Geo. Strafera | Mike Wattah | Geo. Yourchec | Geo. Yourchec, Jr. | Mike Zucco; • Italiani: Carl Abatta | Frank Abatta | Joe Abatta | Frank Abruzino | Joe Alexander | Angello Bagunoli | Frank Basile | John Basile | Sam Basile | Salvare Basilla | Joe Belcaster | Sam Belcaster | Pasq Beton | Tony Beton | John Bonasa | Adolph Brand | Don Cemino | Frank Connie | John Connie | Rolph Couch | Joe Covelli | Victor Davia | Nick Deplacito | Lunard Dewett | Loui Faluke | Joe Ferara | Tony Frank | John Fusari | Tony Gall | Franc Garrasco | Carmen Larossia | Frank Larossia | Loui Lelle | James Lerant | Salvatore Lobbs | Mike Meffe | Salvastore Motts | Steve Noga | John Olivaria | Tony Olivette | Janaway Orse | Nick Perochchi | Dom Perri | Fred Prelotts | Peter Privingano | Tony Prosper | Domnick Richwood | John Richwood | Patsy Richwood | Tony Richwood | Mike Ritz | Louis Scholese | Tony Selet | Frank Tallorai | Patsy Toots | Tony Touch | Patsy Virgelet | Tony Virgelet | Dom Ware; • Ebrei15: Frank Dutca | John Matakonis | Mike Matakonis | Thomas Matakonis | Thos. Zinnis; • Irlandesi: Patrick McDonough Galleria n. 8 • Americani: Carl Bice | W. H. Bice | Robert Charlton | Wm. R. Cox | James Fletcher | Thos. Gannon | J. W. Halm | E. V. Herndon | Patrick Highland | C. A. Honaker, Jr. | Jno. N. Jones | Pat. J. Kearns | Thos. Killeen | Adam Lane | Scott Martin | Jno. J. McGraw | Chas. McKane | L. L. Moore | C. E. Morris | Marion Morris | Wm. Morris | C. D. Mort | Jno. H. Mort | Sam Noland | Hugh Reese | Jno. Ringer | T. O. Ringler | D. V. Santee | Harry Seese | Beth Severe | Jessie Severe | Dennis Sloan | F. E. Snodgrass | Geo. Snodgrass | Michael Soles | Leslie Spragg | Sam Thompson; 15 I termini utilizzati nel testo originale americano furono “Litvitch” e “Negro”. 114 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO • Polacchi: Andy Garlock | Geo. Herlick | Anton Hiawatin | Vadis Kawalsky | Joe Keatsky | Geo. Kingerous | Mike Kingerous | Jacob Kores | John Kowalish | John Luba | John Majeska | Jno. Majeska, Jr. | Martin McHortar | Chas. Miller | Mike Motsic | Victor Novinsky | Joe Stahnlski | Tom Stampian | Stanley Urban; • Slavi: Alex. Bustine | John Cheesit | Paul Cheeswock | John Goff | Paul Goff | John Ignot | Geo. Konkechec | Mike Kosis | Frank Krager | Geo. Krall | Frank Loma | John Rehich | Geo. Tomko | John Tomko | Anton Unovich | John Wolincish; • Negri15: Chas. Farmer | Richard Farmer | Geo. Harris | Gilbert Joiner | Calvin Jonakin | Rippen McQueen | W. M. Perkins | Jno. H. Preston | K. D. Ryals | Jessie Watkins | Harry Young; • Italiani: Beat Anchillo | Dominick Anchillo | Paul Anchillo | Tony Angello | Patsy Alexander | Tony Alexander | Patsy Augustine | Colistino Avicello | Angello Barrard | Felix Barrard | Jose Barrard | Ross Beton | Chas. Bolze | Jersti Bonordi | Felix Calanero | Dom Colasena | Joseph Colcherci | Nick Colcherci | Nick Colleat | Dom Colross | Joe Colross | Victor D’Andrea | Vintura Darso | Clem Debartonia | Dominick Debartonia | Mike Deffelus | Tony Deffelus | Pasqual Deleal | Louis Demarco | Angelo Demaria | Jos. Demaria | Mike Demaria | Sebastian Demaria | Sebastian Demaria, No. 2 | Albert Demark | Jose Demark | Felix Depetris | Angelo Desalvo | Chas. Desalvo | Dominick Desalvo | Felix Desalvo | Tony Desalvo | Jos. Dewey | Mike Dewey | Jno. Dills | Donatto Domico, Jr. | Mike Domico | Pete Donord | Tony Dorse | Jas. Fassanella | Armanda Fellen | Carman Ferrare | Joe Ferrare | Matta Ferrare | Tony Folio | Peter Frabiacolo | Petro Frediavo | Prospera Inveor | Jim Jacobin | Jim Jeremont | Antonio Joy | Frank Joy | Jno. Lombardo | Frank Lore | Dan Manse | Mike Manse | Tony Manse | Pete Marcell | Jas. Maronette | D. C. Masch | Carl Meff | Frank Meff | Cosmo Meo | Bobrato Metill | Jno. Metill | Nick Metill | Dom Morsee | Mike Mostro | Dom Mysell | Felix Mysell | Basile Palela | Jim Palela | Tony Pasqual | Louie Patch | Nick Pett | Saverio Pignalli | Bossilo Pillela | Frank Porzilo | Frank Preletto | Jno. Preletto | Pete Prigulatta | Flora Salva | Joe Salva | Vint Salva | Vint Salva No. 2 | Joe Sarfino | Frank Simpson | Dominick Smith | Jake Sullivan | Angelo Toots | Frank Vendetta | John Vendetta | John Yanero | Nick Yanero | Carman Zello | Jno. Zello; • Ungheresi: John Palinkis | Joseph Toth; • Irlandesi: Patrick Laughney; • Lituani: Mike Bolinski; • Scozzesi: David Riggins 115 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO La conservazione della memoria La conservazione e la diffusione della memoria della sciagura e la definizione delle sue reali dimensioni vanno ascritte principalmente al reverendo Everett Francis Briggs,16 sacerdote cattolico di Monongah che per oltre mezzo secolo, a partire dal suo arrivo a Mononagh nel 1956, assistette i parenti dei minatori scomparsi e si prodigò per dare un nome alle vittime, in gran parte italiane, molte delle quali restano tuttavia tuttora ignote. La statua All’Eroina di Monongah, che commemora le vedove e gli orfani di tutti i minatori. Nel 1961 fu costruita la casa di riposo Santa Barbara’s Memorial Nursing Home, fondata da Briggs e dedicata ai minatori scomparsi nella sciagura. Di fronte ad essa fu innalzata una statua intitolata a Santa Barbara, che commemora sia le vittime identificate (di cui viene riportato l’elenco) sia quelle rimaste senza nome.17 Nel 2007 è stata eretto - per la prima volta negli Stati Uniti - un monumento dedicato alle vedove e agli orfani di tutti i minatori morti in incidenti sul lavoro. La statua, All’Eroina di Monongah - per la quale il Comune di Falerna (CZ) ha ero16 Sen. Franco Danieli, in: Norberto Lombardi (a cura di), Monongah 1907. Una tragedia dimenticata., Ministero degli Affari Esteri, 2007, pag. 11; N. Lombardi, “Monongah, lavoro e dolore”, ibidem, pag.25; Mimmo Porpiglia, “Come ho scoperto Monongah”, ibidem, p. 98; Calabria Informa, Consiglio Regionale della Calabria, n. 46, 11 gennaio 2007. 17 The Dominion Post, Morgantown, West Virginia, 22 dicembre 2006. 116 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO gato un contributo di 150,00 euro18 - in marmo di Carrara, è stata collocata presso il municipio della cittadina19. Recentemente alcune testate giornalistiche destinate agli Italiani all’estero - fra cui il quotidiano La Gente d’Italia e il settimanale Oggi7 - hanno meritoriamente contribuito a riportare alla luce questa triste pagina di storia italiana e a diffondere i risultati delle ricerche sulla catastrofe di Monongah. Le ricerche svolte hanno confermato l’ipotesi avanzata nel 1964 da Briggs: il numero delle vittime sarebbe assai più alto di quello “ufficiale” e i soli minatori italiani morti sarebbero più di 500. Un impressionante monumento “naturale” è rappresentato dalla cosiddetta Collina di Carbone, un cumulo di terra creato da Caterina Davia, madre di quattro figli e vedova di un minatore rimasto seppellito nella miniera. La donna, sconvolta dalla scomparsa del marito, ogni giorno per ventinove anni, si sarebbe recata alla miniera, distante tre chilometri da casa sua, per prelevare un sacco di carbone che avrebbe poi svuotato accanto alla propria casa. Riteneva che in tal modo avrebbe alleviato il peso del terreno che gravava sul marito lì sotto sepolto20. Monongah con i suoi morti rappresenta oggi l’icona del sacrificio dei nostri lavoratori costretti ad emigrare per poter sopravvivere. Recentemente è stato realizzato il film-documentario “Monongah, Marcinelle americana” che ha attinto immagini storiche fornite dal Museo dell’Immigrazione di Ellis Island di New York, e da materiale fornito dal Museo dell’Emigrazione di Gualdo Tadino, dall’Istituto storico Ferruccio Parri di Bologna e dal Museo etnografico di Bomba. A Frosolone (Isernia), in piazza Municipio, un’epigrafe ricorda il sacrificio dei quattordici frosolonesi scomparsi nell’incidente. In Calabria la tragedia ebbe un tale effetto sulla comunità che ancor oggi, quando si vuole indicare un avvenimento particolarmente drammatico, si usa dire che è una minonga; a San Giovanni in Fiore tuttora si utilizza l’espressione non vado mica a minonga quando si vuole intendere che non si ha intenzione di scomparire senza lasciare traccia. 18 Comune di Falerna, delibera della Giunta Comunale n. 186 del 16 maggio 2006. 19 La commissione per la costruzione del monumento fu creata da padre Briggs e da lui presieduta sino alla sua morte. 20 Jennifer Roush, Not forgotten, The Times West Virginian, 12 ottobre 2006. 117 LA LEYENDA DEL INDIO DORADO Bibliografia Bonasso, Russell F., Fire in the Hole, 2003. Norberto Lombardi (a cura di), Monongah 1907. Una tragedia dimenticata., Ministero degli Affari Esteri, 2007. Collegamenti esterni (IT) RAI Radiotelevisione Italiana - Servizio speciale di Gerardo Greco per il settimanale della RAI TG2 Dossier Storie. (EN) U.S. Department of Labor, Mine Safety and Health Administration Ministero del Lavoro statunitense; contiene diversi rapporti e articoli sull’incidente. (EN) WVPBS - West Virginia Public Broadcasting - Filmato sulla sciagura della West Virginia Public Broadcasting, con interviste a R. Bonasso e altri. (EN) Boise State University - Documento sulla sciagura della Boise State University, Idaho. (EN) (IT)duronia.com - Sito centrato sulla città di Duronia (CB); contiene diversi documenti ed immagini sulla tragedia e l’elenco dei 36 duronesi scomparsi nel disastro. “Monongah” - un film-documentario di Silvano Console sulla tragedia. 118