a FORM ZIONE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE tappe evolutive e scenari futuri Milano, 3 febbraio 2009 Atti del convegno Apertura dei lavori Relazioni Alberto Grancini Renato Bisceglie 3 4 Prima sessione Tappe evolutive della formazione del personale nella PA Confronto sulle tappe fondamentali con cui, nelle organizzazioni pubbliche, si è strutturato un sistema formativo per il personale dipendente, dalla prima Direttiva Frattini ad oggi. Ernesto Vidotto Sergio Crescimanno Donatella Gambino Maria Cecilia Scaldalai 5 6 10 15 Seconda sessione Scenari futuri Analisi delle prospettive della formazione nella Pubblica amministrazione in un contesto di elevata complessità. Linee di sviluppo di una formazione proiettata verso il futuro. Gianni Agnesa Anna Malaguti Giancarlo Dardano Pier Sergio Caltabiano 21 26 29 33 A Appeerrttuurraa ddeeii llaavvoorrii Alberto Grancini Assessore al personale della Provincia di Milano È un piacere per me essere qui oggi e poter presentare questo evento, organizzato dal Settore organizzazione e formazione della Provincia di Milano, dedicato a un tema al quale sono particolarmente sensibile: la formazione e lo sviluppo del personale. Sensibile come del resto lo è la Provincia di Milano, che da anni investe notevoli risorse, umane, economiche e strumentali, per la formazione del proprio personale, per una ragione semplice - anche se non scontata - e cioè che la conoscenza, il sapere, rappresentano un valore fondamentale per un’organizzazione. A tale proposito, mi pare cosa significativa il fatto che la “funzione formazione” sia stata collocata dall’attuale amministrazione nella Direzione generale. È il segnale tangibile della forte attenzione riservata appunto alla formazione del personale, ed è chiaramente una manifestazione concreta e decisa dell’importanza che riveste per noi il poter contare su un personale qualificato e competente. In questi anni la Provincia di Milano ha destinato alla formazione risorse economiche e umane consistenti. La ragione di tale scelta risiede nella convinzione che la preparazione del personale sia elemento indispensabile per fare della Provincia un Ente attento ai bisogni del territorio, e quindi capace di rapportarsi, di entrare in relazione coi cittadini, di intercettare i bisogni e di dare risposte efficaci. Spesso sottolineo che un’amministrazione pubblica non è un’industria manifatturiera, non genera prodotti, ma servizi alle singole persone, alla collettività, ad altre istituzioni. È chiaro che poter contare su persone qualificate e sempre aggiornate significa rendere questi servizi più efficaci e più rispondenti alle esigenze dei cittadini. Oltre a ciò, la Provincia riveste istituzionalmente una funzione di stretta relazione con gli altri enti locali, in un sistema territoriale sempre più complesso. Per affrontare tale complessità è indispensabile poter esprimere una forte capacità di interrelazione, di costruzione di rapporti collaborativi, e la formazione del proprio personale è sempre più uno strumento indispensabile per sostenere l’Ente in questa sua funzione di governo locale, concorrendo efficacemente con la propria struttura alla sussidiarietà con i comuni. Questo è il senso del lavoro svolto in tanti anni. Abbiamo ottenuto risultati importanti grazie all’impegno e alla professionalità dei funzionari responsabili della formazione, in particolare il dottor Giancarlo Dardano e la dottoressa Cecilia Scaldalai, ai quali va il mio ringraziamento e quello di tutta l’Amministrazione. In questi ultimi anni la Provincia di Milano ha costruito un sistema formativo efficiente, puntando su elementi fondamentali quali: la certezza di uno stanziamento economico consistente; la disponibilità di un Servizio espressamente dedicato alla formazione, in grado di esprimere un’elevata competenza professionale e di dare unitarietà e coerenza alle attività realizzate; il coinvolgimento responsabile di tutta l’organizzazione. pag. 3 A partire dai dirigenti e dai responsabili dei servizi, fino ai collaboratori, tutti concorrono a costruire un programma di iniziative formative mirate a realizzare gli obiettivi che l’Amministrazione si dà, a sostenere il lavoro quotidiano delle persone. Questo è l’impegno che ci siamo dati e che abbiamo cercato di mantenere costante negli anni. E anche quest’anno, benché sia un anno di scadenza elettorale e di grandi tagli, abbiamo assicurato al nostro personale la disponibilità di circa cento corsi, che equivalgono a circa quarantamila ore/uomo di formazione. Uno sforzo notevole, coerente con l’orientamento espresso in questi anni. Il sistema formazione come lo pensiamo noi e come abbiamo cercato di costruirlo nel tempo si fonda su queste linee strategiche e su questi principi. Come la formazione si possa ancora sviluppare, con quali logiche e strategie, con quali nuove prospettive, lo sentiremo direttamente dagli “addetti ai lavori” che oggi sono qui presenti: la Provincia di Milano, la Provincia di Torino e il Comune di Venezia, in un confronto che sarà arricchito dal contributo di esperti della formazione del Formez e dell’AIF. Mi auguro che questo evento possa essere utile e stimolante non solo per coloro che oggi sono qui, ma anche per quanti vorranno prendere visione della documentazione prodotta dagli intervenuti, che sarà accessibile a tutti attraverso il sito Internet della Provincia, con l’intento di promuovere uno scambio di esperienze il più possibile ampio. Grazie e buon lavoro. Renato Bisceglie Presidente AIF Lombardia “Forte attenzione” ed “esperienze”: mi collego a due espressioni usate dall’Assessore Grancini per parlarvi delle motivazioni che ci hanno spinto ad organizzare questo convegno. Il discorso che ci vede partecipi in questa sala è nato proprio dall’attenzione alla formazione. È sorto qualche mese fa nel corso di un incontro con la responsabile del Servizio formazione della Provincia di Milano - Cecilia Scaldalai, quando un interesse spontaneo e reciproco ha portato alla decisione di far collaborare Provincia di Milano e Associazione Italiana Formatori (AIF). Dall’attenzione alla formazione siamo passati quindi al secondo aspetto evidenziato: la volontà di organizzare un confronto di esperienze. Alla fine della giornata penso che possa risultare evidente il nostro intento di dare vita a un incontro con alcune realtà, sicuramente locali, ma anche diverse da quella milanese. Realizzando in questo modo anche un confronto tra Provincia di Milano e AIF. Infatti noi, come Associazione Italiana Formatori, siamo sempre stati visti in Lombardia in un’ottica più privata che pubblica, anche se l’interesse per l’area pubblica è sempre più presente ed evidente. Alla fine del 2007, per esempio, abbiamo organizzato a Milano il convegno “AIF - Pubblica amministrazione” e ci sono state anche altre occasioni di incontro e scambio che ritengo possano continuare nella giornata di oggi. Mi auguro che questo convegno ci porti a qualcosa di concreto, visto che la certezza di stanziamento di cui ci ha parlato l’Assessore non è un dato scontato. In questo momento gli investimenti sulla formazione, anche del settore pubblico, sono in contrazione. Auspico perciò che questa giornata costituisca uno stimolo per future iniziative comuni di sviluppo. pag. 4 1^ SESSIONE TTaappppee eevvoolluuttiivvee ddeellllaa ffoorrm maazziioonnee ddeell ppeerrssoonnaallee nneellllaa PPuubbbblliiccaa aam mm miinniissttrraazziioonnee Introduzione Ernesto Vidotto Responsabile Nazionale AIF Settore Pubblica amministrazione Ringrazio la Provincia di Milano per aver offerto a tutti noi la possibilità di realizzare un confronto fra diverse esperienze in ambito formativo, perché il confronto è una modalità fondamentale per migliorare. Chi ha realizzato le prime esperienze di formazione in ambito pubblico ha iniziato a misurarsi con altre pratiche formative proprio in Lombardia, con le proposte di AIF, la cui nascita è datata 1975. In quegli anni AIF organizzava eventi di grosso spessore e chi, come me, si affacciava per la prima volta nell’ambito pubblico, ne usciva con una sensazione di “invidia positiva”, che è il motore che alimenta la creatività e l’innovazione. Negli anni Ottanta, le buone pratiche di formazione pubblica erano una scommessa su un futuro incerto. AIF è stata una grande scuola di formazione e ora la Pubblica amministrazione sta restituendo all’Associazione un valore aggiunto attraverso il patrimonio di esperienze maturate. La formazione è stata di grande aiuto per crescere professionalmente ed ha contribuito, pur con molte difficoltà, a rendere più efficiente una Pubblica amministrazione che ha indubbiamente tante criticità, ma i cui molti punti di forza costituiscono un preciso riferimento per i cittadini. La formazione è stata una leva strategica che ha accompagnato il cambiamento e, a livello formativo, il cambiamento è stato molto rapido, proprio perché ha dovuto accompagnare e sostenere una società in continua evoluzione. Nonostante la formazione sia la prima area su cui si operano i tagli nei momenti di deficit di risorse, resta uno strumento di crescita straordinario. AIF ha accettato con entusiasmo questa opportunità di confronto perché la formula che è stata individuata non solo pone a confronto esperienze diverse, ma mette in gioco anche le nostre radici. Infatti, da una parte recupera le esperienze di un passato che ha contribuito agli esempi virtuosi del presente, dall’altro li mette a confronto con le linee di evoluzione che stanno maturando in ambito formativo in senso più ampio. Le due sessioni della mattinata coinvolgono colleghi ed amici con i quali abbiamo condiviso momenti importanti, a partire dalla prima conferenza sulla formazione pubblica svoltasi a Roma nel 1996. Ripercorreremo l’evoluzione della formazione dalla seconda metà degli anni Novanta, con le Direttive Frattini, senza dimenticare la Direttiva Nicolais del 2006 che, pur non essendo specificamente incentrata sulla formazione, ma sulla qualità della Pubblica amministrazione, ha comunque un rilievo significativo, seppure indiretto. Un’esperienza molto importante e virtuosa è il Rapporto nazionale sulla formazione – a cura di Formez per conto del Dipartimento della Funzione pubblica - che giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione e che è stata una delle prime, e per ora unica, opportunità di raccogliere in un pag. 5 unico strumento lo stato dell’arte della formazione anno per anno. Questo strumento necessiterebbe di alcune revisioni, ma allo stato attuale è l’unico in grado di fornire un quadro rappresentativo della formazione pubblica. Oggi, le nuove linee di sviluppo della formazione pubblica non passano più soltanto attraverso le risorse impegnate e la qualità del servizio, ma puntano all’efficienza passando anche attraverso lo sviluppo di competenze e la costruzione di una rete nella Pubblica amministrazione. La costruzione di reti che favoriscano lo scambio di buone pratiche è da sempre una modalità importante per crescere e migliorare la Pubblica amministrazione. Nel passato ho vissuto in prima persona un’esperienza molto importante, quella del Tavolo tecnico delle regioni sulla formazione, di cui Sergio Crescimanno era il coordinatore. Le regioni si erano dotate di un gruppo di lavoro tecnico, che ha prodotto una serie di scambi di esperienze a livello interregionale. Significative le esperienze di Cantieri e quelle realizzate nel corso degli anni dal Formez. Oggi assistiamo ad una riduzione di queste opportunità. AIF è particolarmente impegnata a sostenere iniziative che favoriscano lo scambio di buone pratiche e la costruzione di reti: il Premio Basile e le iniziative ad esso collegate, quali le Vetrine delle Eccellenze ed i Laboratori, ne rappresentano una testimonianza attiva. L’attuazione delle politiche formative nelle pubbliche amministrazioni sul territorio nazionale: la situazione attuale Sergio Crescimanno Direttore Amministrazione e personale del Consiglio Regionale del Piemonte L’evoluzione normativa, a partire dai primi anni Novanta, ha avviato un radicale processo di modernizzazione della Pubblica amministrazione, creando i presupposti per una rivoluzione di enorme portata, caratterizzata dalla consapevolezza che l’organizzazione del sistema pubblico sottende a logiche aziendali. Basta pensare alla legge 142/90, alla legge 241/90, al dlgs 29/93, alla privatizzazione del rapporto di lavoro e ai processi di semplificazione, fattori che hanno fortemente influenzato l’evoluzione del sistema formativo nella Pubblica amministrazione. Una Pubblica amministrazione che deve essere di qualità, perché il recupero di competitività del “Sistema Italia” è fortemente correlato alla sua qualità, efficienza e funzionalità. È proprio dalla efficienza che dipendono, risultandone strettamente collegate, la qualità delle politiche pubbliche e la qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese. È però necessario che non ci si limiti a porre la nostra attenzione alla qualità del prodotto o del servizio, ma bisogna passare a una visione più ampia e porre attenzione alla qualità del processo e dell’intera organizzazione. Il processo di modernizzazione della Pubblica amministrazione comporta un profondo cambiamento del rapporto amministrazione-cittadini: i bisogni dei cittadini divengono costitutivi della missione dell’ente pubblico, rappresentano il termine di riferimento per la definizione delle caratteristiche dei servizi resi; i servizi stessi esistono ed hanno ragione di esistere in virtù dei bisogni del cittadino. Vi è in questa concezione la trasformazione dell’utente in cliente, che è in primo luogo l’acquirente del servizio, ossia chi decide attivamente se accedere o meno a determinate prestazioni, per dare pag. 6 soddisfazione ai propri bisogni. Il cliente si pone sempre in posizione attiva, ed è orientato alla partecipazione. La formazione sicuramente rappresenta una leva strategica che accompagna e introduce i presupposti di partenza per questa profonda innovazione culturale. Un altro punto fondamentale, anticipato in premessa, è costituito dal recupero di competitività del “Sistema Italia”, che ruota sicuramente intorno al miglioramento della qualità dei servizi resi dalla Pubblica amministrazione, sia ai cittadini, sia alle imprese. Evidentemente con l’ingresso nell’Unione Europea nasce una forte competitività tra i paesi membri e la sfida si gioca sicuramente sui livelli di qualità, di efficienza, di funzionamento della Pubblica amministrazione. Ad esemplificazione, ritengo di poter affermare che costituisce sicuramente un elemento distorcente della concorrenza interna, nell’ambito del Mercato Unico Europeo, il fatto che un autotrasportatore di un’altra nazione ottenga il rimborso dell’Iva in due mesi, mentre quello italiano deve aspettare almeno due anni. Si tratta, evidentemente, di un vantaggio competitivo a favore dell’impresa estera, che danneggia quella italiana. C’è la necessità di una profonda trasformazione delle strutture operative, ma soprattutto di una formazione che sia mirata anche a processi di valorizzazione del personale. Il concetto di mercato non deve limitarsi a considerare esclusivamente la risorsa finanziaria, anche perché nel nostro paese essa è la più tutelata: basta pensare alla Corte dei Conti, alla Ragioneria centrale dello Stato, alla Banca d’Italia. C’è un’altra risorsa quanto meno altrettanto strategica: l’informazione. L’informazione spesso viene sottovalutata e invece rappresenta un bene pubblico, un servizio, un’esternalità che la Pubblica amministrazione deve garantire in termini di correttezza, di tempestività, di qualità, a vantaggio dell’intera collettività. Spesso si pone attenzione al fatto che il denaro non venga sprecato, mentre non si presta altrettanta attenzione al fatto che l’informazione spesso venga nascosta e, a volte, addirittura alterata o mistificata. Un altro fattore che ha condizionato l’evoluzione dei sistemi formativi è costituito dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che hanno consentito una semplificazione e un miglioramento delle procedure. Hanno permesso, inoltre, l’interconnessione tra le diverse sedi operative di uno stesso ente, il collegamento tra sedi di enti diversi, nonché l’interattività dei destinatari dei servizi. Ci troviamo però di fronte a un paradosso. Da una parte c’è una grande evoluzione dei sistemi a disposizione e la possibilità di ricorrere in maniera più ampia alle tecnologie, dall’altra però non c’è un’attenzione sufficientemente diffusa rispetto ai percorsi di miglioramento della qualità. Questi non sono presenti se non in modo parziale e discontinuo. Io ritengo, invece, che l’informatica e la telematica devono essere elementi di un unico complessivo disegno strategico che incide sul funzionamento delle amministrazioni pubbliche e che si ripercuote sull’intero tessuto produttivo del paese. Pensiamo alla rete unitaria della Pubblica amministrazione regionale, a quella nazionale, alla firma digitale, al protocollo informatizzato, all’archiviazione ottica e a tutte le opportunità che l’informatica e le nuove tecnologie ci mettono a disposizione. Ernesto Vidotto ha parlato della Direttiva Frattini. In questa prima direttiva abbiamo avuto stimoli di grande importanza e l’accentuazione dell’attenzione alla qualità quale supporto al processo di cambiamento. pag. 7 Il decentramento e il rafforzamento dei livelli locali di governo e l’attuazione del principio di sussidiarietà non possono che realizzarsi attraverso il coinvolgimento del personale, attraverso processi di riqualificazione e di formazione. La stessa realizzazione dell’e-government nasce da una serie di azioni del Governo tese a finanziare e a mettere sul campo enormi contributi per l’utilizzo delle tecnologie informatiche. Si parlava prima della copertura finanziaria delle risorse, io ritengo che la via da seguire debba essere obbligatoriamente quella del ricorso ai fondi comunitari e al fondo sociale europeo. Noi ne abbiamo fatto nel passato largo uso – in aggiunta agli stanziamenti ordinari, nazionali e regionali – utilizzando anche economie di spesa derivanti da processi di esternalizzazione. Quali gli obiettivi? La previsione che gli investimenti siano almeno pari all’1% del monte retributivo; la pianificazione di una rilevazione dei fabbisogni formativi; una programmazione dell’attività formativa; il coinvolgimento di tutti i dipendenti e un numero di ore minimo di formazione garantito a tutti i dipendenti. Ne deriva l’esigenza di una struttura interna dedicata alla formazione che deve affrontare fondamentalmente tre sfide: la domanda di nuove competenze, l’informatizzazione della Pubblica amministrazione e, soprattutto, il processo di riforma della dirigenza. Quando si attacca il pubblico impiego, affermando che ci sono dipendenti che non lavorano, ritengo che il problema debba essere trattato approfondendo il tema della dirigenza. Una dirigenza che funziona, fa lavorare tutti i propri collaboratori. La Direttiva Nicolais, come diceva Ernesto Vidotto, individua nell’autovalutazione e nelle tecniche CAF uno strumento da adottare nella Pubblica amministrazione. Oggi sono più in uso altri strumenti: gli standard ISO 9000, il modello EFQM, i sistemi di accreditamento nel sistema sanitario, la carta dei servizi. L’obiettivo della direttiva intende richiamare l’attenzione della Pubblica amministrazione sulla qualità, sul miglioramento continuo e indica il ricorso all’autovalutazione della prestazione quale punto di partenza necessario, obbligato, per i percorsi di miglioramento continuo. Soprattutto si rileva l’interesse ad una chiara prospettiva di sviluppo politico per la qualità, da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica. Il settore pubblico stenta ad adeguarsi perché gli strumenti rappresentano un percorso volontario e non obbligatorio. Molto spesso riscontriamo che c’è una mancanza di cultura aziendale, c’è una difficoltà a comprendere i reali benefici derivanti dall’adozione di un sistema di qualità che comporta una maggiore efficienza aziendale, una riduzione dei costi, un maggiore controllo del processo. Questi strumenti si originano dai principi del Quality Management. Ma allora, se sono veri questi presupposti, si tratta di passare da un’istituzione burocratica ad una istituzione di mercato, da una Pubblica amministrazione che si occupa di una domanda generica e generalizzata, ad una Pubblica amministrazione che prenda in considerazione le esigenze specifiche dell’utenza; da una logica burocratica a una logica di funzione e servizio; da una produttività misurata in base al numero dei provvedimenti ed al numero degli atti, ad una produttività misurata in base alla soddisfazione dei clienti. L’efficacia dell’azione amministrativa è collegata alle aspettative, all’indice di gradimento dei nostri clienti. C’è un ulteriore passaggio altrettanto importante: l’eliminazione completa delle tasse occulte e delle tasse palesi oggi sopportate dai cittadini. Una Pubblica amministrazione funzionante impone meno tasse palesi, eliminando praticamente tutte le attività inutili che oggi purtroppo appesantiscono i procedimenti amministrativi e sopprime le tasse occulte, in quanto non scarica incombenze sugli utenti pag. 8 costretti a passare, per il disbrigo delle proprie pratiche, nei rapporti con la Pubblica amministrazione, quindici - venti giorni all’anno. Meno incombenze per l’impresa rendono meno costosi gli investimenti a condizione che la Pubblica amministrazione sia più efficace e più efficiente. Qual è la nuova configurazione della Pubblica amministrazione? Nella rappresentazione odierna della Pubblica amministrazione sono evidenziate nel front office le tasse occulte e nel back office le tasse palesi. Finora quando il cittadino deve presentare una domanda alla Pubblica amministrazione lo fa mediante lettera, che spedisce o consegna a mano presso gli uffici. Questo comporta ovviamente un dispendio di risorse, sia da parte del cittadino che si deve spostare con tutti i disagi che ne possono derivare, sia da parte della regione, che deve strutturare gli uffici in funzione dell’accoglimento delle domande. Per non parlare delle fasi spesso inutili e ripetitive dei procedimenti amministrativi. In ogni caso circola solo e sempre carta! Con le possibilità offerte dalla firma digitale e dalle infrastrutture di rete il cittadino potrà inviare la sua domanda in formato elettronico direttamente da casa, dall’ufficio o da punti presidiati presso la Pubblica amministrazione, dotata di un server, che tiene in memoria tutte le domande ricevute. Il funzionario addetto al protocollo informatizzato provvederà a protocollare le domande ed automaticamente avverrà la registrazione della pratica nel work-flow e l’invio della comunicazione di avvenuto ricevimento e di avvio del procedimento, sempre in forma digitale e tramite posta elettronica. Il work-flow integrato analizzerà il flusso seguito dalla pratica all’interno degli uffici. Sicuramente comprendiamo come, per la realizzazione di questa nuova configurazione, un ruolo fondamentale viene giocato dalle reti unitarie delle Pubbliche amministrazioni regionali. Ma allora, qual è la valenza strategica della formazione? La formazione è la leva strategica per: promuovere una cultura di servizio come nuova cultura dei rapporti cittadino-istituzioni; favorire una cultura delle responsabilità e dei risultati attraverso lo sviluppo di competenze manageriali e gestionali; supportare la riprogettazione degli assetti organizzativi e gestionali; sviluppare professionalità congruenti con i nuovi modelli di organizzazione del lavoro e con l’introduzione di nuove tecnologie e di nuove tecniche gestionali; sostenere i processi di delega e di trasferimento di funzioni. La formazione non può limitarsi a corsi d’aula, ma deve collegarsi, arricchirsi, integrarsi, essere espletata nell’ambito del posto di lavoro, che diventa il reale terreno di apprendimento in cui si “impara ad imparare”. Ciò presuppone un passaggio da corsi di formazione professionale a percorsi formativi, da formazione addestramento a processi di apprendimento, da lezione tradizionale a piani di lavoro individuali o di gruppo, (in relazione a specifiche esigenze), da formazione preordinata verticisticamente, a formazione condivisa in quanto nasce attraverso una rete di referenti formativi, presenti in tutte le strutture e che costituiscono l’interfaccia per la rilevazione dei fabbisogni formativi e per la conseguente definizione del piano di formazione. In questa ottica, la formazione si correla strettamente a quattro variabili fondamentali: pag. 9 la variabile “organizzativa”, rispetto alla quale costituisce il supporto indispensabile per attivare i processi di revisione organizzativa e consente di sviluppare le professionalità necessarie a ricoprire i nuovi ruoli, che presuppongono competenze diffuse su tutte le fasi del processo di lavoro; la variabile “tecnologica”, rispetto alla quale è diretta a sviluppare conoscenze informatiche per il migliore utilizzo delle apparecchiature e delle procedure automatizzate e per la riassunzione sul posto di lavoro di tutte le attività necessarie alla fornitura del servizio; la variabile “risorse umane”, rispetto alla quale rappresenta l’elemento fondamentale per attuare politiche di sviluppo professionale fondate sull’accrescimento delle abilità conoscenze e competenze; la variabile “obiettivi di servizio”, rispetto alla quale è funzionale allo sviluppo della cultura e delle competenze strettamente connesse agli obiettivi organizzativi, allo scopo di produrre un reale miglioramento dell’efficienza e della qualità dei servizi nonché dei livelli di soddisfazione del cliente/utente (il cittadino). Riprendendo il concetto della centralità delle risorse umane ricordo che le organizzazioni non sono fatte soltanto di mattoni, calce, prodotti e denaro; esse sono fatte anche e soprattutto di persone. Sono proprio le persone che le creano, le fanno funzionare, le fanno vivere, le nutrono nei loro cuori e nelle loro menti; quindi, sono proprio le persone l’aspetto più importante delle organizzazioni, e spesso della vita quotidiana del lavoro. Si deduce, allora, che un’organizzazione rappresenta un sistema di energie. È fattore vincente liberare le energie dei dipendenti attraverso la formazione. In un’ottica ingegneristica si fa riferimento a un sistema “einsteiniano”, che consente di favorire lo sviluppo di una persona sino alla realizzazione del suo pieno potenziale. La fisica, come scienza, prende in considerazione anche il modello “newtoniano”, che comporta esclusivamente una variazione del tipo e non della quantità di energia e che, pertanto, rappresenta un modello assimilabile all’addestramento. Infatti, nei soggetti non si ottiene nulla di più di quello che si è messo dentro, che si è dato, che si è profuso. In un modello einsteiniano, invece, l’immissione di un erg di natura radiazionale, di un neutrone ad altissima velocità, determina in sequenza successiva una reazione a catena, che consente di ottenere in emissione 100ⁿ erg (con valore di n vicino all’infinito). L’immissione di un erg del tipo giusto (ad alta velocità) in un sistema contenente l’unità di materia, lo induce a rilasciare l’incalcolabile energia trattenuta. Il ruolo della nuova formazione, nell’ottica di organizzazione considerata come aggregato di energia, è quello di rappresentare le immissioni di energia, gli input che consentono di scoprire, facendolo esplodere e valorizzare, il potenziale dei soggetti, sprigionando una positiva azione di ricaduta sull’ente. Questo è l’ingegnere che si esprime confliggendo, apparentemente, con la cultura di tipo umanistico che va immediatamente recuperata. Non ci si può occupare di formazione se non la si ama. La formazione è anche un’arte. L’arte consiste nel fare scoccare la scintilla al momento giusto, nel punto giusto. Sistemi di governance della formazione a confronto: la Provincia di Torino Donatella Gambino Responsabile Ufficio sviluppo e ricerca – Progetti formativi strategici e/o trasversali all’Ente Il sistema formativo della Provincia di Torino, che vi presento oggi, è il risultato del lavoro e dell’esperienza di diversi anni. Il sistema formativo così come concepito, e portato a regime negli pag. 10 ultimi anni, ci ha permesso di ricevere dei riconoscimenti di eccellenza, come ad esempio nelle edizioni passate del Premio Basile, o il primo premio assoluto del premio stesso, edizione 2008, per il sistema di valutazione. Ciò non significa che pensiamo di essere arrivati, anzi, crediamo che quello che può essere il passato per alcune amministrazioni, per noi invece è la vision per il futuro. Mi riferisco in questo senso proprio alla Provincia di Milano, alla cui esperienza da tempo guardiamo con interesse per alcuni aspetti, come quello dei Piani Individuali di Sviluppo – PINS o al modello delle competenze che per noi è ancora un traguardo da raggiungere. Ciò non toglie che lo sforzo fatto in questi anni dalla nostra Amministrazione, in modo particolare dalla dottoressa Ricciarelli, dirigente responsabile del Servizio formazione dal 2005, è stato quello di portare a coerenza il sistema puntando su alcuni prodotti, in particolare sulla programmazione e sulla pianificazione della formazione, nonché sulla valutazione. Presento alcuni dati che possono contribuire a comprendere lo sviluppo del nostro sistema. La Provincia di Torino ha avuto una crescita esponenziale negli anni, effetto del trasferimento delle competenze e del decentramento. Dagli anni precedenti al trasferimento delle competenze, alla fine degli anni Novanta, fino al 2004 quando si è verificato il picco massimo di funzioni, uffici e servizi con il trasferimento da altri enti, i dipendenti di ruolo sono passati da 800 a quasi 2.000. Successivamente si è verificata una variazione che ha portato attualmente a 1.800 i dipendenti provinciali. Questa crescita ha generato ovviamente dei problemi organizzativi e di accompagnamento formativo. Nel 2004 avevamo ancora problemi di accesso alla formazione: dei 2.000 dipendenti solo 1.500 avevano partecipato ad attività formative. Questo problema ora è stato risolto. Per quanto riguarda una valutazione di genere, le donne che accedono alla formazione sono in percentuale maggiore, sia perché c’è una differenza quantitativa di fatto, in relazione al numero complessivo dei dipendenti, sia perché si è riservata molta attenzione a garantire un accesso equo, anche perché le donne non ricoprono ancora in proporzione significativa posizioni apicali. Nel 2005 abbiamo deciso di utilizzare come criterio di classificazione per la redazione del Piano di formazione quello fornito da Formez, che ci ha permesso di avere dati aggregati e funzionali al Rapporto della Pubblica amministrazione curato dall’Osservatorio. Utilizzando questa classificazione per leggere le partecipazioni per aree tematiche, è possibile osservare che nei primi anni siamo stati impegnati nella formazione di accompagnamento al decentramento, focalizzata sulla formazione istituzionale, sugli aggiornamenti giuridici normativi e sul miglioramento delle competenze amministrative, anche nei contenuti tecnici. A partire dal 2005 è stato possibile promuovere e diffondere una formazione di tipo manageriale, sia perché richiesta in sede di rilevazione dei fabbisogni formativi, sia perché la dirigente della formazione si è fatta portavoce delle esigenze presso la Direzione dell’area e generale, al fine di condividerne la sponsorship. I destinatari erano soprattutto dipendenti che, su base volontaria, volevano crescere dal punto di vista organizzativo. Tra il 2007 e il 2008 abbiamo esteso la formazione a contenuto manageriale anche ai titolari delle posizioni organizzative sui temi delle competenze manageriali, dell’organizzazione e della qualità. Per l’anno in corso l’intento è di promuovere interventi formativi specifici per i dirigenti, ai quali è stato dedicato un piano negli anni 2001-2004. Per quanto riguarda gli ambiti su cui la Provincia ha investito, inizialmente l’investimento maggiore ha riguardato temi istituzionali: dal decentramento, come già detto, allo sviluppo e alla crescita in termini pag. 11 organizzativi e gestionali. Negli ultimi anni ci si è maggiormente concentrati sulle competenze tecnicospecialistiche, unitamente alla formazione comportamentale citata. In particolare l’attenzione allo sviluppo del territorio, che ha reso la Provincia un territorio di attrazione e di investimento, ha reso rilevanti gli impegni nella formazione sui temi: attività produttive, internalizzazione, collaborazione e cooperazione internazionale. Infine segnalo, quale dato significativo, l’investimento in formazione sugli aspetti gestionali delle attività amministrative, anche alla luce delle ultime riforme in ambito contabile e finanziario. Per il 2008, anche se i dati sono ancora in fase di elaborazione, si può affermare che: 1.407 persone hanno partecipato a 160 corsi realizzati, utilizzando un ammontare di fondi pari a € 183.000,00. La previsione di fondi assegnati per il 2009 è di € 150.000,00. Anche noi avvertiamo una flessione degli stanziamenti. Negli ultimi anni abbiamo utilizzato fondi europei e speriamo di poterci avvalere di questa fonte anche per il prossimo triennio. A fronte della carenza di risorse cerchiamo di lavorare attualmente sulla qualità del servizio che eroghiamo. Il nostro sistema formativo si basa sostanzialmente su tre prodotti: il Piano pluriennale; il Piano annuale; il Sistema di valutazione. Il Piano pluriennale, come ho già detto, attinge a quella classificazione che ci permette di avere dati già aggregati, leggibili ed incrociabili con il dato nazionale. Il piano di formazione del triennio 2005-2008 è nato da una rilevazione dei fabbisogni formativi, coniugata con una rilettura della struttura del documento nel suo insieme. Forti di un’esperienza fatta con il Dipartimento della Funzione pubblica negli anni 2003-2004, abbiamo attinto alle esperienze di altri enti e, personalizzandola, siamo arrivati a fornire quest’articolazione. L’offerta è stata suddivisa per macrocategorie formative, a loro volta declinate in linee formative che tengono conto dei livelli di base, intermedi e delle esigenze continue. Le macrocategorie individuate sono state tre: la formazione istituzionale, la formazione continua, la formazione tecnico-specialistica. Abbiamo deciso di tenere a sé la formazione informatica; infatti, gradualmente abbiamo dedicato molta attenzione a uniformare tutte le competenze informatiche dei dipendenti. Questo ci ha portato a riservare all’informatica una categoria autonoma, con una destinazione di budget autonoma. All’interno delle macrocategorie, abbiamo individuato delle linee formative. Ad esempio, per la formazione istituzionale le linee si declinano con una particolare attenzione alle iniziative rivolte ai neo assunti, prevedendo una formazione di base di tipo istituzionale amministrativo, una formazione di affiancamento alla mobilità ed infine una formazione di accompagnamento per le progressioni verticali. La declinazione della formazione continua è più connessa ai concetti: base, trasversale e specialistica, che attingiamo dalla formazione professionale in generale. Nella “formazione trasversale” posto centrale assume la formazione manageriale di cui parlavo prima. Il piano di formazione è stato concepito “a preventivo” e “a consuntivo”. I Piani annuali replicano la logica e la struttura del Piano pluriennale. Il Piano pluriennale è in rete, a disposizione di tutti i dipendenti e fornisce una descrizione dei fabbisogni formativi. pag. 12 L’analisi dei fabbisogni formativi è stata condotta attraverso conferenze di servizio che hanno coinvolto tutti i dipendenti. Nel corso di questi incontri si è proposta una lettura dell’analisi documentale svolta dai nostri uffici, da cui si traggono delle correlazioni con riferimento agli obiettivi gestionali prefissati, ai documenti di PEG, ma anche ai programmi di mandato e ai documenti messi a disposizione dai direttori delle diverse aree. Gli stimoli forniti sono stati integrati sia dai dirigenti delle aree sia dai dipendenti, durante le conferenze di servizio. Nel documento pluriennale vengono così fornite delle previsioni per argomenti, declinate per area e per target. Viene operata altresì una previsione dei tempi di realizzazione, della modalità di svolgimento, con una prima indicazione di metodologie formative. È inoltre indicata la tipologia di docenza che può essere coinvolta ed infine la fonte di finanziamento di riferimento. Il Piano pluriennale, assunto con delibera, è il documento su cui l’Amministrazione si impegna per il triennio. Dopo che abbiamo introdotto le versioni a preventivo e a consuntivo, abbiamo la possibilità di fare ogni anno un consuntivo dell’annuale che, ben riferito altresì al pluriennale, ci permette di monitorare l’impegno assunto con il pluriennale stesso. Rispetto alla previsione di massima è infatti possibile verificare come, quando e chi ha realizzato un’iniziativa formativa. Questo rappresenta appunto uno strumento di monitoraggio che indica a che punto si è della programmazione triennale. Il Piano annuale ci permette di fare delle previsioni più puntuali di anno in anno e anche di contrattare con i sindacati il budget da destinare annualmente; inoltre, ci permette di avere una visione dell’offerta formativa più dettagliata; in questo modo è possibile dedurre ciò che è stato realizzato, per chi, con quali fornitori e come sono stati utilizzati i fondi. Fin qui per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione e di programmazione. L’altro prodotto su cui abbiamo puntato per lo sviluppo del nostro sistema formativo è il Sistema di valutazione della formazione. Come già accennato il sistema, nel suo complesso, e gli strumenti di valutazione della formazione erogata, nello specifico, ci hanno valso il Premio Basile nella scorsa edizione. Il Sistema di valutazione si fonda su tre strumenti fondamentali. Il primo è il “questionario di gradimento”, erogato in formato elettronico via e-mail il giorno dopo la fine del corso, con invito a riconsegnarlo entro due giorni. Con il questionario si propone di esprimere il proprio gradimento del servizio ricevuto con una scala che va dal “soddisfacente” al “non soddisfacente”, passando per cinque gradi. In particolare viene chiesto agli utenti di esprimersi sulle seguenti dimensioni: utilità percepita, interesse alla partecipazione, organizzazione dei servizi e, da ultimo, gli aspetti progettuali; ciò mette in gioco il nostro operato e l’operato del fornitore con cui cogestiamo l’organizzazione per i corsi in house. Chiediamo inoltre di esprimere il gradimento sullo stile di conduzione, che riguarda il servizio di docenza vera e propria, e infine il grado di soddisfazione rispetto al percorso nel suo complesso. Il questionario in formato elettronico ci permette di elaborare i dati più velocemente e ci consente di fornire un report complessivo, corredato da grafici e sintesi, alla Direzione generale, alla Direzione dell’area e al fornitore. Un altro strumento che ci ha permesso di ottenere il riconoscimento del bollino qualità è quello relativo alla “valutazione della ricaduta formativa”. Grazie a questo strumento rientreremo gratuitamente nel terzo perimetro della certificazione dell’Ente perché il nostro sforzo, essendo un processo indiretto a supporto dei processi di lavoro dei servizi certificati, si è svolto in coerenza con gli pag. 13 standard di qualità. La valutazione della ricaduta formativa per il sistema qualità è molto importante. Entro il 2009 speriamo di riuscire ad ancorare la lettura della ricaduta formativa a percorsi formativi personalizzati, con riferimento alle competenze di ruolo. Il nostro sistema di valutazione della ricaduta formativa si basa sulla raccolta e sull’analisi della percezione di utilità espressa dai fruitori. A distanza di sei/dodici mesi dalla formazione ricevuta, chiediamo al discente e al suo diretto apicale, che ha modo di osservare la prestazione, una valutazione sui seguenti item: coerenza tra contesto organizzativo ed esperienza formativa; effetti sui destinatari rispetto al lavoro; impatto sull’organizzazione. L’intervista all’apicale si concentra principalmente sul giudizio relativo all’incremento di efficacia dell’attività del collaboratore che abbia una qualche connessione con la formazione ricevuta. Abbiamo predisposto uno strumento che è ampio sui campi base e viene personalizzato di volta in volta, di anno in anno, rispetto ai singoli corsi che con la qualità decidiamo di sottoporre alla valutazione della ricaduta formativa. Questo strumento è molto impegnativo se confrontato con il questionario di gradimento, che ha invece degli elementi standard, salvo poi utilizzare l’elemento del non applicabile per quegli item che non sono rintracciabili in determinate esperienze formative. La ricaduta formativa richiede una predisposizione personalizzata per ciascun discente, apicale e per ogni corso cui si partecipa. Questo è il motivo per cui non riusciamo ad estenderla a grandi numeri. Anche se negli ultimi anni vi abbiamo fatto scarso ricorso, vi è la formazione a distanza, che per un po’ di anni siamo riusciti ad erogare sia in forma on line che in forma off line. Ciò ci ha portato a diversificare gli strumenti di valutazione, prevedendo dei questionari per la FAD per percorsi fatti on line e per percorsi fatti off line, fondamentalmente la differenziazione nel rilevare il gradimento per i diversi servizi accessori che sono previsti. La valutazione dei corsi FAD prevede un focus sull’attività di tutoring affidata al tutor. Ultima esperienza che porto all’attenzione è il Piano di formazione che la Provincia di Torino eroga, ormai da sei anni, per i dipendenti dei comuni e delle comunità montane e che ha visto negli ultimi anni una partecipazione elevatissima. Abbiamo diversificato gli strumenti di pianificazione, mantenendo fondamentalmente la stessa struttura, anche perché è proprio la qualità che richiede di preservare l’omogeneità di struttura, a prescindere dal fatto che i destinatari siano esterni. I capitoli sono diversificati. L’impegno sia in termini di contenuti, sia in termini di realizzabilità è stato riconosciuto e premiato da una fondazione, che l’ha ritenuto meritevole al punto di finanziarlo nelle proprie linee di progetto per lo sviluppo locale. Uno degli ambiti su cui sappiamo di dover migliorare è l’integrazione con il sistema informativo. Abbiamo cercato di metterci in linea con le previsioni della Direttiva Frattini sulla qualità, ora dovremo lavorare all’integrazione del sistema informativo del processo di lavoro, in attesa che a livello nazionale ci diano delle indicazioni e degli orientamenti per il futuro, anche a fronte della carenza di risorse. pag. 14 Sistemi di governance della formazione a confronto: la Provincia di Milano Maria Cecilia Scaldalai Responsabile Servizio formazione Nel mio intervento vi parlerò dell’evoluzione del sistema formativo della Provincia di Milano dal punto di vista organizzativo, gestionale e strutturale. Vi mostrerò anche come l’evoluzione delle politiche e delle culture hanno influenzato l’aspetto gestionale della formazione. Mi sono ritrovata nelle parole del dottor Crescimanno. Credo che noi stiamo lavorando nella direzione giusta, anche se ho visto quanto siamo ancora lontani dal raggiungere certi risultati. La preparazione di questo intervento ci ha dato l’opportunità di realizzare una sintesi del nostro fare formazione col quarto Quaderno della formazione, che trovate in cartellina, e ci ha fornito l’occasione per concederci il “lusso” di riflettere sul lavoro svolto da dieci anni a questa parte, per analizzare, nel complesso, la linea che ha guidato questo percorso decennale. Le nostre riflessioni sono sempre contingenti, legate all’operare, di breve respiro; raramente capita di fermarsi e riflettere su sé stessi, osservandosi in un lasso temporale più lungo. Ricostruendo, quindi, la nostra storia, abbiamo individuato nel 1997 l’inizio di una nuova stagione della formazione nel nostro Ente. Non a caso, perché il 2007 coincide col cambiamento derivato dall’avvio di tutte le attività che dovevano condurre al recepimento della prima direttiva ministeriale in materia di formazione del personale nella Pubblica amministrazione del 1995. Questo è stato il momento a partire dal quale la formazione ha iniziato a essere gestita con una logica di sistema. Nel 1997 abbiamo infatti condotto la prima analisi del fabbisogno formativo in tutto l’Ente e abbiamo approvato il primo Piano di formazione generale. Ma qual’era la situazione da cui siamo partiti? Quando nel 1997 fui assegnata alla formazione dei dipendenti, chiesi ai colleghi che lasciavano il servizio che cosa era stato fatto l’anno precedente. Mi fu risposto che erano stati spesi 800.000.000 di Lire in corsi esterni, cioè interaziendali. Il sistema era semplice: le società di formazione offrivano i cataloghi dei corsi, questi venivano distribuiti ai dirigenti che durante l’anno li esaminavano e richiedevano quindi l’iscrizione ai corsi per alcuni dipendenti. Tutto ciò avveniva fino ad esaurimento del budget a disposizione, senza alcuna pianificazione. Non era assolutamente presente l’idea di “sistema formativo”, di azione su tutto l’Ente, concordata, programmata, complessivamente coerente con gli obiettivi di lavoro. Questo è stato il punto di partenza. Cercando di sintetizzare il percorso svolto dalla Provincia di Milano in questi anni, direi che esso si può definire come un impegno costante per costruire un sistema che ha consentito di dare alla funzione formazione un valore ed un peso in ambito organizzativo. È una strada che stiamo ancora percorrendo, sempre orientata a dare alla formazione una posizione all’interno dell’organizzazione. La parola “sistema” è significativa. La formazione non è autoreferenziale, bensì rimanda alle relazioni, alle connessioni, al “mettere insieme”. Collocarsi all’interno dell’organizzazione fra gli altri strumenti di gestione delle persone in modo coerente e sinergico sembra un concetto scontato, ma non lo è. Ci sono cose scontate nella formazione che in realtà però non vengono praticate perché le grandi organizzazioni soffrono di frammentazione e faticano a lavorare in modo coordinato. Non è stato un percorso facile e abbiamo sofferto molto. pag. 15 Infatti, è solo da quando formazione e organizzazione sono state unificate sotto un’unica direzione, cioè solo da pochi anni, che la formazione viene inserita in tutti i progetti di riorganizzazione, di cambiamento e di evoluzione. Non è neppure scontato, per la dirigenza, capire che la formazione è una leva, è uno strumento gestionale potentissimo. La ragione per cui nel passato si faceva formazione era di tipo amministrativo: perché era previsto dal contratto di lavoro. Il nostro sforzo è stato quello di fare in modo che non fosse più così, che l’attività di formazione derivasse dalla consapevolezza del “valore del lavoro” delle persone e quindi del “valore della conoscenza” quale patrimonio fondamentale per l’Ente. Queste cose che sembrano scontate sono in realtà frutto di un percorso, di un lavoro. Per arrivare dove siamo oggi è stato necessario un cambiamento continuo. Prima di tutto un cambiamento della cultura amministrativa. Lo sviluppo della formazione dell’Ente è andato di pari passo con il cambiamento culturale in ambito organizzativo. Un cambiamento che è consistito in un apprendimento continuo. Abbiamo imparato noi che lavoriamo nel Servizio, ci siamo evoluti nelle nostre funzioni, nel nostro ruolo, nelle nostre competenze; hanno imparato i dirigenti ad utilizzare secondo logiche organizzative la formazione, e hanno imparato i dipendenti a rendersi consapevoli e partecipi della propria crescita professionale. Siamo cresciuti insieme cercando di seguire quest’obiettivo. I risvolti del cambiamento avvenuto nella Pubblica amministrazione negli ultimi anni sono molti, ma la novità più rilevante e dirompente, a mio parere, è che la Pubblica amministrazione ha scoperto le persone. Cosa che ha cambiato il punto di vista del fare organizzazione. Diversi sono i fattori che hanno inciso su questo cambiamento, ne cito solo alcuni in quanto più direttamente coinvolti nel tema che trattiamo oggi: i concetti di autonomia e di responsabilità che sono entrati nell’ente con la separazione delle responsabilità gestionali dalle responsabilità politiche. In particolare, il concetto di responsabilità ha rappresentato una svolta importante; lo schema di classificazione del personale in categorie come macro contenitori con i profili professionali, che risponde ad un concetto di flessibilità e che ha spazzato via gli otto livelli fissi e il famoso “è di mia competenza, non è di mia competenza” del mansionarismo; l’introduzione dei sistemi di valutazione delle prestazioni. Mi ricordo l’impatto che ebbe la prima valutazione: contestazioni di ogni genere, si metteva in discussione la legittimità del valutare. Adesso non è più così, se è il caso discutiamo del modello della valutazione adottato, della validità dello strumento prescelto, ma la accettiamo e soprattutto “vogliamo essere valutati”, magari correttamente; cito anche l’introduzione della figura delle posizioni organizzative che hanno inciso molto. Sono state rivoluzionarie, hanno introdotto il concetto di incarico temporaneo, commisurato alla professionalità, legato ai risultati. Queste sono le riforme che hanno fatto cambiare l’organizzazione. Abbiamo sentito molto parlare di cambiamento, ma cambiare significa soprattutto cambiare la testa delle persone che è la cosa più difficile e che avviene solo attraverso un processo di sviluppo consapevole della conoscenza. La formazione ha accompagnato la Pubblica amministrazione in questo cambiamento e alcune volte, quando è stata capace, l’ha prefigurato. pag. 16 La formazione in questi anni lavora, infatti, per accompagnare l’organizzazione in una complessa operazione di: destrutturazione della logica per adempimenti, a favore di una logica per obiettivi e risultati e abbandono del mansionarismo, per aprire la strada a una gestione fondata sulla conoscenza, in cui la formazione ha il compito di valorizzare le competenze delle persone. L’evoluzione della formazione alla Provincia di Milano sta dentro questo cambiamento. Brevemente: prima del 1997 la formazione era spontanea, interaziendale, su richiesta individuale, generale e contingente. In dieci anni abbiamo costruito un sistema che ci ha portato ad una formazione programmata e continua con piani di formazione annuali e pluriennali, garantita con uno stanziamento in bilancio, erogata da un servizio dedicato che ha significato avere a disposizione elevate professionalità, personalizzata sulla base di bisogni rilevati e coerente con la mission aziendale. Abbiamo cercato di fare in modo che la formazione fosse sempre più capace di rispondere ai bisogni contingenti, ma anche capace di proiettarsi nel futuro prefigurando il cambiamento. Possiamo suddividere questi dodici anni di evoluzione della formazione in due fasi: 1^ FASE: 2^ FASE: costruzione del sistema formativo concentrazione sull’apprendimento Nella 1^ FASE, ci siamo preoccupati di costruire il sistema, iniziando dalla definizione del processo di lavoro. Lo scopo era quello di dare continuità, legittimità alle azioni formative e efficienza al servizio. Nel tempo il processo di lavoro - dall’analisi del fabbisogno formativo, ai piani di formazione, all’erogazione e valutazione dei corsi - è stato informatizzato e stiamo ancora lavorando per migliorarne l’efficienza. Il focus di questa fase è rappresentato: dai ruoli e dagli attori che dovevano entrare in campo in questo processo (la committenza, rappresentata dai dirigenti, i destinatari, il Servizio formazione, i sindacati, i tutor dei corsi, i referenti interni della formazione); dalle regole. Ci siamo infatti dati delle linee guida per la formazione che fossero condivise dai dirigenti, dai dipendenti e dai sindacati; dagli strumenti operativi e tecnologici che nel tempo ci hanno liberato dal lavoro routinario dandoci la possibilità di dedicare tempo ad attività più professionali. Nella 2^ FASE, stabilizzato il sistema, ci siamo concentrati su quello che era il senso del fare formazione. Negli ultimi cinque anni abbiamo goduto del lavoro fatto per organizzare il nostro servizio e abbiamo messo al centro del nostro lavoro non più il sistema ma l’apprendimento. Questo ha significato mettere al centro le persone con i loro bisogni e le loro aspettative. Ha significato ripartire dalla motivazione all’apprendere che è diventato il nostro punto di riferimento, il baricentro della nostra azione. Non c’è corso che tenga se il livello motivazionale è basso. Abbiamo concentrato quindi la nostra attività sulle competenze intese come contributo per il raggiungimento degli obiettivi, cercando di migliorare la nostra capacità di mettere in sintonia le persone con l’organizzazione. Tutto ciò ha fatto nascere in noi l’esigenza di lavorare maggiormente in sinergia con gli altri strumenti di gestione delle risorse umane, di entrare di più nell’organizzazione, ma anche di potenziare la nostra capacità di ascoltare le persone, di guidare, orientarle. pag. 17 Vediamo ora in rapida successione, per ragioni di tempo, alcuni dei principali strumenti operativi sviluppati nel tempo, in particolare nella prima fase di evoluzione del sistema, per soffermarci invece un pochino di più su alcuni strumenti organizzativi di maggior impatto sulla qualità del servizio. Mi riferisco in particolare ad alcuni ruoli gestionali particolarmente incisivi nel processo di lavoro: gli operatori del Servizio formazione, i referenti interni della formazione, i tutor dei corsi. Per quanto riguarda gli strumenti operativi, la prima cosa realizzata è stato il sistema informativo, che poi si è sviluppato parallelamente allo sviluppo della formazione. Il sistema informativo accompagna l’intero processo di lavoro, producendo tutti i dati che ci servono per analizzare il fabbisogno, monitorare e gestire le attività, per valutare le azioni formative, secondo i tempi della programmazione generale. Il Servizio formazione infatti presidia l’intero processo di lavoro in modo centralizzato: predispone i piani di formazione; progetta i corsi all’interno (macro progettazione); acquisisce le forniture dei servizi didattici, delle competenze sulle varie materie, all’esterno e gestisce i corsi all’interno, nelle aule della Provincia. Nel tempo abbiamo costruito una serie di applicativi informatici - ora confluiti tutti in un unico luogo: il Sito Intranet della formazione - che ci servono per molti aspetti del nostro lavoro: dall’analisi del fabbisogno, alla gestione delle iscrizioni ai corsi, alla gestione delle aule, delle partecipazioni. Chiunque, all’interno della Provincia di Milano, trova sul sito Intranet tutto ciò che è legato alla formazione. In un unico luogo sono raccolti: i piani di formazione, i programmi dei corsi, le regole, le logiche, i calendari, le iscrizioni, le partecipazioni e i training formativi individuali, la formazione on line, la documentazione didattica prodotta in aula. Il Sito è il nostro strumento forte di comunicazione. Ci consente di arrivare a tutti, con chiarezza, trasparenza e partecipazione. Con tale sistema, ogni dipendente è in grado, attraverso la Intranet, di visionare l’elenco dei corsi di formazione a cui ha partecipato e le competenze che ha sviluppato, i dirigenti possono vedere il training formativo di ciascun dipendente, e accedere in tempo reale al planning formativo di Settore. Rispetto ad alcuni particolari strumenti, che trovate descritti nell’Opuscolo n. 4 della formazione, spendo alcune parole sull’applicativo per l’analisi del fabbisogno, a mio parere particolarmente interessante. Per dirla in breve, l’aspetto interessante è che il lavoro di interviste guidate per l’analisi del fabbisogno avviene con alcune schede che abbiamo costruito nel tempo e che rappresentano una guida per i dirigenti per compiere un’analisi organizzativa ai fini della definizione del fabbisogno di formazione. Noi chiediamo ai dirigenti di pensare alla formazione, e quindi alle competenze necessarie, nel momento in cui programmano le attività. Le schede sono collegate al profilo professionale di ogni dipendente e al training formativo di ciascuno, in questo modo è possibile verificare subito la coerenza delle richieste con il contesto in cui il dipendente lavora. Sono inoltre collegate ad un repertorio di competenze, articolato in abilità e conoscenze, che sono le competenze fondamentali per lavorare alla Provincia di Milano. Il repertorio deriva da un progetto di valorizzazione del potenziale che abbiamo realizzato nel passato e che continuiamo a utilizzare alimentandolo in relazione al cambiamento delle competenze. Le schede per il fabbisogno, che trovate sempre nell’opuscolo, sono informatizzate e sono collegate ai sistemi di programmazione e controllo. Un altro applicativo importante è l’applicativo che gestisce l’apertura dei corsi, le iscrizioni, la formazione delle classi, le comunicazioni, le convocazioni. Il tempo che abbiamo recuperato con pag. 18 l’introduzione di queste strumentazioni informatiche lo abbiamo utilizzato per imparare a migliorare la nostra capacità di analisi, di progettazione e di valutazione della formazione. Concludo con qualche parola sul lavoro svolto dai tre ruoli gestionali più significativi ai fini del processo formativo: quello del Servizio formazione, quello dei referenti interni alla formazione e quello dei tutor. Sui ruoli, e quindi sulle persone e sulle loro competenze professionali abbiamo lavorato molto. La formazione non è solo il sistema, come lo abbiamo visto, ma è innanzitutto il lavoro delle persone, il contributo che esse danno mettendo in campo professionalità e competenza. Il Servizio formazione Abbiamo visto che il nostro è un servizio centralizzato, attraverso il quale gestiamo tutto il processo di lavoro: dall’analisi del fabbisogno alla valutazione. Come penso sia emerso dalla presentazione qui svolta, ciò richiede una professionalità adeguata. Sulla professionalità abbiamo lavorato e stiamo lavorando ancora. Per ogni fase del processo di lavoro abbiamo individuato le figure professionali che entrano in campo (vi invito a prendere visione della tabella “competenze per la formazione” riportata nell’opuscolo) e lavorato per definire quali sono le capacità e le conoscenze richieste per svolgere il nostro lavoro. Il repertorio come vedete è ampio, ricco, stimolante. Questo quadro di sintesi ci è utile per svolgere il nostro lavoro, per pianificare la nostra crescita professionale, per costruire i parametri con cui valutare le nostre prestazioni. Con la personalizzazione della formazione, con il passaggio all’attenzione per l’apprendimento, siamo diventati sempre più orientatori, capaci di fare accompagnamento, di sostenere le persone nella costruzione della propria crescita professionale. Infatti, all’interno del nostro Servizio sono nate nel tempo professionalità prima non presenti, o quanto meno poco delineate: l’analista dell’organizzazione, il progettista, l’esperto di qualità, l’informatico. Oggi abbiamo anche il counselor, ossia l’orientatore e l’esperto di comunicazione. I referenti interni della formazione Un altro importante ruolo è quello della rete dei referenti interni della formazione. I referenti interni sono nati quando abbiamo concentrato la nostra attività sulla capacità di intercettare il bisogno di ciascun dipendente, specialmente in riferimento al bisogno che nasce dalla specificità del lavoro svolto in ciascuna direzione (fabbisogno specialistico). È evidente che non possiamo arrivare a conoscere il lavoro e le esigenze di 2.500 dipendenti. Per questo motivo abbiamo costruito una rete di persone, i referenti, che sono colleghi che lavorano nei servizi e che contemporaneamente collaborano con la formazione nel definire i Piani di formazione. Rappresentano il raccordo tra noi e i settori, tra i dirigenti ed i rispettivi collaboratori; supportano la dirigenza nell’analisi del fabbisogno per l’intercettazione dei bisogni specialistici, collaborano al monitoraggio delle attività, in particolare svolgono un’importante funzione di controllo della domanda formativa. Anche per questa figura abbiamo costruito il profilo definendone: aspetti e caratteri della personalità (qualità indispensabili), competenze, abilità, conoscenze. pag. 19 I tutor d’aula E veniamo ai nostri tutor, che sono più di assistenti d’aula. Noi gestiamo i corsi in house, e i tutor gestiscono l’impatto con l’utenza. Tutti conosciamo l’importanza dell’impatto di un prodotto sull’utenza. Un buon prodotto formativo viene distrutto se non c’è la capacità di gestire l’aula. Il tutor è lì in aula; rappresenta il Servizio formazione, l’organizzazione. Egli è responsabile dell’organizzazione dell’evento nella fase di erogazione, della strumentazione d’aula, della preparazione della documentazione didattica, della rilevazione delle presenze, della customer satisfaction che viene consegnata a tutti i corsisti. È elemento essenziale anche della valutazione, quanto meno della prima valutazione che si riferisce alla rilevazione del clima d’aula, alle modalità con cui viene svolto il programma, a come vengono operativamente gestiti i vari momenti formativi. La percezione quindi che il destinatario ha del corso passa attraverso il lavoro del tutor. Per garantire uno standard di qualità minimo ed omogeneo abbiamo strutturato il protocollo dell’assistente d’aula che indica funzioni, responsabilità, spazio di intervento e autonomia del tutor. Per supportare il suo lavoro abbiamo predisposto altri strumenti, quali per esempio la scheda di osservazione d’aula (sempre visibile nell’opuscolo). Anche per svolgere questa attività occorrono, oltre a particolari caratteristiche e qualità, specifiche competenze. È quindi costante il nostro lavoro di definizione e aggiornamento degli elementi che determinano la professionalità di questa figura. Vorrei concludere dicendo che, come ho cercato di evidenziare e spero di esserci almeno in parte riuscita, la nostra idea di formazione è sempre stata ed è quella di: sostenere l’organizzazione sostenendo le persone. Crediamo che il nostro obiettivo sia quello di aiutare l’organizzazione a imparare continuamente, per gestire il cambiamento e magari prefigurarlo. Grazie. pag. 20 2^ SESSIONE SScceennaarrii ffuuttuurrii Gianni Agnesa Consigliere nazionale AIF - Responsabile formazione Formez Partecipo in rappresentanza del Formez – Agenzia della Presidenza del consiglio dei ministri Dipartimento della funzione pubblica, di cui è socia anche Regione Lombardia insieme a Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Sardegna, Sicilia e Toscana. Operiamo su indicazione del Ministro della Funzione Pubblica e delle regioni associate. All’ingresso del Bauhaus, la celeberrima Scuola di formazione per architetti della Germania prenazista, c’era scritto: “dal cucchiaio alla città”, a significare che l’architetto eccellente doveva saper progettare oggetti, ma anche elaborare i piani urbanistici per le città. Direi che questa definizione rispecchia più o meno gli impegni attuali del Formez. Se vi collegate al portale www.formez.it, in home page troverete il progetto cui faceva riferimento Ernesto (Vidotto) e cioè l’attivazione di un numero unico della Pubblica amministrazione, così come un corso per formatori in agricoltura della Mongolia, o un intervento per le ASL a Trento. Insomma, dal cucchiaio alla città. Vorrei presentare un breve quadro di confronto tra alcuni dei paesi europei, maggiormente attivi nel campo della formazione pubblica. Devo dire che noi in Italia patiamo della mancanza di una direzione costante. Negli ultimi 10 anni abbiamo infatti cambiato 8 ministri: Bassanini, Piazza, Frattini; Mazzella, Baccini, Nicolais, Brunetta ... sembra la formazione di una squadra di calcio. Assieme al cambio dei ministri c’è stato spesso anche il cambio del direttore dell’UFFPA (Ufficio Formazione della Pubblica amministrazione) presso il Dipartimento funzione pubblica. Anche qui dovrei elencare un’altra formazione, con l’unico elemento di rilevo, forse, e cioè che si è trattato sempre di cariche ricoperte da donne. Non c’è stata quindi in questi anni una direzione coerente ed univoca nel campo della formazione pubblica. In Europa, al contrario, si consolidano dei modelli formativi molto interessanti ed efficaci. Il modello regionale spagnolo, che nell’arco di una decina di anni ha costruito una invidiabile rete di collaborazione fra le regioni. Ogni regione si è dotata di un sistema formativo a supporto della Pubblica amministrazione. Il sistema spagnolo ha dunque nelle regioni l’elemento strutturante, di riferimento. L’altro aspetto saliente del sistema formativo pubblico è la creazione di una rete all’interno delle singole regioni. Tutte le amministrazioni operanti nello stesso territorio, come la Catalogna, la Galizia, l’Andalusia, le Asturie, hanno costruito dei sistemi formativi integrati, in cui i diversi livelli (dallo Stato agli enti locali) collaborano tra loro in maniera incredibile (ne è un esempio l’Aragona che, grazie a questa integrazione, ha vinto la sfida dell’Expo internazionale del 2008). Il coordinamento, a dir il vero molto light ma anche molto efficace, è svolto poi dall’INAP (Istituto Nacional de Administración Pública) che fa capo al Dipartimento della funzione pubblica. pag. 21 Il modello francese è invece un modello statale che sta puntando molto al decentramento. Il governo guidato da Sarkozy ha varato nel 2007 una nuova legge sull’organizzazione e sull’inquadramento dei dipendenti pubblici, con un intero titolo dedicato alla formazione. Il decreto attuativo è del 2008 ed è stato accompagnato da quasi un raddoppio degli investimenti per la formazione della Pubblica amministrazione. In Francia esiste il fondo unico nazionale per la formazione, pari all’1% della massa salariale di tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con una parte perequativa che va in soccorso alle amministrazioni più deboli e piccole. La Francia ha infatti ben 32.000 comuni, dei quali tantissimi con non più di 150 abitanti, che hanno comunque garantita la formazione grazie al fondo unico che garantisce le risorse, alla creazione di strutture formative regionali e dipartimentali ed a una straordinaria rete tecnologica che consente di attuare un’ottima formazione a distanza, funzionale e decisamente compatibile con le distanze e con l’orario di lavoro. Il sistema tedesco è un sistema federale. Ogni Land si è dotato di un proprio sistema formativo, anche se nessun Land ha adottato una specifica legge di settore. Nei Länder si è puntato molto sulle Università quali straordinari presidi di competenza territoriale. Per svolgere questa funzione però le Università tedesche hanno modificato ampiamente la propria struttura e modalità operativa, creando istituti appositi per la formazione per la Pubblica amministrazione locale. Quindi i docenti universitari hanno dovuto imparare a diventare analisti, progettisti, valutatori. Sono ora in grado di svolgere un’analisi dei fabbisogni ed una programmazione formativa, non sono solo docenti d’aula, ma sanno anche condurre un’attività di gruppo, insomma sono dei veri e propri formatori. Il sistema anglosassone è caratterizzato da un’azione tutta orientata allo scambio di buone pratiche. Vi suggerisco di andare sul sito Improvement and Development Agency for local government (I&DEA), www.idea.gov.uk, ed esaminare con attenzione il progetto Beacon Council (Beacon sta per Faro n.d.t.) il faro delle amministrazioni. Uno straordinario progetto che supporta ormai da 15 anni, con degli incentivi finanziari e con un’assistenza reale, lo scambio di buone pratiche fra centinaia di amministrazioni. Questo è ciò che succede al di là dalle Alpi. Da noi i sistemi regionali non hanno mai preso piede dopo la riforma del Titolo V e il nostro Ministro lo ricorda correntemente. Da un lato, Brunetta dice: “non è compito mio occuparmi della formazione in Lombardia o nel Lazio” e invita ciascuna regione ad andare per proprio conto; da un altro, però, interviene su tutte le pubbliche amministrazioni e suggerisce di mettere i tornelli in ogni comune. Le regioni non hanno fatto proprie le indicazioni contenute nella modifica al Titolo V e non si sono organizzate come in Spagna, bensì hanno proceduto ognuna per conto proprio, o meglio, non hanno proceduto. La Provincia di Milano, il Comune di Venezia, la Regione Piemonte, il Comune di Siracusa fanno delle cose straordinarie, interessanti, ma non come elementi di un sistema, ma come isole di un grande arcipelago con un ecosistema più o meno florido. Qualche “isola” infatti, dal punto di vista formativo, si sta inaridendo e farà la fine dell’isola di Pasqua. Per la formazione pubblica vorrei utilizzare un’altra metafora, ed è questa. Mi sembra che la formazione in Italia sia un po’ come un reticolo idrografico: c’è stata una pioggia, alcuni percorsi sono diventati fiumi e hanno scavato un loro alveo e procedono tranquillamente dalla fonte al mare, “dall’analisi dei fabbisogni al monitoraggio”; un bel fiume che scorre normalmente. Poi ci sono alcuni ruscelli che dopo essersi formati sono diventati dei fiumiciattoli striminziti; alcuni si stanno inaridendo dopo aver segnato un loro percorso, ahimè solo temporaneo; qualcuno ha lasciato un pag. 22 piccolo solco e non c’è più acqua; qualcuno infine è andato sotto terra, ma come succede per l’acqua, è possibile che in quel solco tracciato il fiume riprenda a scorrere al giungere delle nuove piogge o che ci sia qualche risorgiva, e non sia andato tutto sprecato. Vi mostro ora le slide della rilevazione, che abbiamo compiuto nel 2006, sullo stato della formazione in Italia, andando un po’ al di là di quello che appare dal rapporto annuale. Sono immagini abbastanza conosciute, le riprendo per memoria comune. figura 1 La figura 1 è un diagramma che mostra quali comuni siano dotati di un piano di formazione, per classi di ampiezza demografica: si va dall’82% dei comuni capoluogo al 6% dei comuni con meno di 5000 abitanti. C’è dunque uno stretto legame fra dimensione demografica e programmazione dell’attività formativa, cioè la formazione propriamente detta; altrimenti si tratta di interventi-spot che lasciano il tempo che trovano. % di Comuni con Piano di formazione, per classe di ampiezza demografica 90 82 80 70 60 49 50 41 % 40 30 23 20 10 13 6 0 1. Fino a 5000 2. 500115000 3. 15001 30000 4. Oltre 30000 5. Comune capoluogo Totale figura 2 % di Comuni dotati di ufficio formazione, per classe di ampiezza demografica 60 60 50 40 30 18 5 3 Totale 2 % Comune capoluogo 1 Oltre 30000 0 15001 30000 10 500115000 20 Fino a 5000 La figura 2, rappresenta l’istituzione dei servizi formativi, cioè di una funzione formazione formalmente costituita. Il diagramma indica la presenza di tale servizio, definito obbligatorio dalla Direttiva Frattini del 2001, solo nel 60% dei comuni capoluogo e addirittura solo nell’1% dei comuni sotto i 5000 abitanti (dati 2006-2007). figura 3 pag. 23 % di Province con piano di formazione, per ripartizione territoriale 90 84 80 89 72 80 70 60 44 50 40 % 30 20 Italia Italia Nord Orientale Italia Nord Occidentale 0 Italia Meridionale 10 Italia Centrale In figura 3, vediamo in particolare quali province sono dotate di Piano di formazione. La media nazionale è del 72%, con l’Italia orientale all’89% (Lombardia esclusa). L’Italia settentrionale è messa molto meglio dell’Italia centrale, mentre il meridione è il solito fanalino di coda, con il 44% delle province dotate di Piano di formazione. Gli uffici formazione presenti nelle province sono il 34% in Italia: il 37% nell’Italia nord-occidentale, l’Italia centrale in questo caso è avanti (45%). Ci sono addirittura due regioni meridionali che non hanno un piano di formazione. Questa era la situazione del 2006. Nel 2008, con il “progetto competenze”, abbiamo rifatto questa ricognizione e a un certo punto l’abbiamo interrotta, perché i dati erano ovunque pari a zero; nelle piccole amministrazioni non si fa più formazione (come i ruscelli inariditi). La Direttiva Frattini è passata da un po’ di tempo e non c’è più nessuno che la segua. In altri casi ci sono le eccellenze (i fiumi che procedono e sempre di più scavano il loro solco costituendo l’ecosistema). Cosa ci attende per il domani? Si stanno costituendo alcune comunità interessanti. Alcune comunità di competenze come quella promossa dall’AIF - Pubblica amministrazione, che consente, ad esempio, al Comune di Siracusa di scambiare esperienze con il Comune di Venezia, o alla Regione Lombardia di confrontarsi con la Provincia di Pisa. Al di là di qualunque logica amministrativo-istituzionale o di vicinato, dunque, si creano delle vere e proprie collaborazioni, si scambiano materiali, ci si copia, con quella “invidia positiva” di cui parlava Ernesto Vidotto e con la logica del benchmarking, si costituiscono insomma delle comunità di competenze. Anche se non ci sono indirizzi, programmi, regole dettate dal Dipartimento o dalle regioni, le amministrazioni più attive non restano con le mani in mano, ma si adoperano per migliorarsi, per aiutarsi. Si costituiscono inoltre alcune comunità territoriali per la formazione pubblica. È successo in occasione dei piani strategici o in occasione di alcune misure particolari, come con le unioni di comuni (comunità istituzionali); queste comunità si sono costituite e hanno posto la formazione come elemento saldante. La comunità territoriale crea una rete interna, di vera e propria governance della formazione, in cui operano diversi attori. Manca dunque, sostanzialmente, la creazione di un sistema pubblico: vi confesso che quando andiamo alle conferenze europee, allorché tutti presentano i loro sistemi pubblici, la loro struttura e le loro fonti legislative, sento un senso di smarrimento a parlare solo di comunità locali o di comunità basate sulle competenze. È davvero una situazione anacronistica, extra-europea e abbastanza imbarazzante. Quali possibilità esistono per migliorare la situazione attuale? Una possibilità è quella che si convochi una Conferenza Stato-Regioni o che venga interessata la Conferenza unificata con il coinvolgimento anche degli enti locali. Occorre che si prenda una decisione comune sulla suddivisione delle competenze in materia di formazione, definendo quali accordi prendere perché la formazione sia una cosa seria e che supporti i cambiamenti della Pubblica amministrazione. Occorre mettere in chiaro se la formazione serva davvero e svolga una funzione strategica che, insieme alle misure dell’organizzazione ed alla comunicazione, aiuti la Pubblica amministrazione a migliorare. In questo caso si deve essere conseguenti, a tutti i livelli, e deve essere dunque garantita. Oppure, se risulta essere un inutile orpello, chiudiamola qui e torniamocene a casa. Stato, regioni ed enti locali devono chiarire se realizzare innovazioni tragga beneficio da specifici programmi formativi e se è importante realizzare un sistema formativo che supporti l’accesso, la specializzazione, lo sviluppo di competenze dei dipendenti pubblici, secondo una politica condivisa. Il sistema pubblico, lo ricordava prima l’ingegner Crescimanno, è la base per la competitività di un sistema continentale, nazionale, regionale e locale. Non si può avere una macchina con un motore che pag. 24 funziona e i freni e il circuito di raffreddamento no. Tutto deve funzionare; occorre una visione sistemica. Brunetta privilegia i rapporti bilaterali, è interessato prioritariamente a stabilire degli accordi con una o due regioni, probabilmente diffida della complessità di lavorare su un accordo più ampio, basato sulla Conferenza Unificata. È possibile che ci trascineremo ancora per un po’ di tempo in una situazione di indeterminatezza, temo che dopo Brunetta ci sarà un altro signor Rossi e così via. Vorrei essere positivo, ma ho difficoltà ad esserlo. Sulla dimensione finanziaria, potete immaginare cosa stia accadendo: già il Rapporto annuale sulla formazione, che lavora con le amministrazioni più virtuose, con i comuni oltre i 10.000 abitanti, segnala tassi di spesa che sono enormemente inferiori all’1% della massa salariale. L’unica nota positiva è che le amministrazioni che lavorano continuano a scambiarsi informazioni, costruendo sempre più esperienze interessanti. All’interno del “progetto competenze” del Dfp (Dipartimento funzione pubblica) stiamo anche lavorando per definire al meglio le competenze di diverse figure che sono impegnate all’interno della funzione formazione; stiamo inoltre realizzando una più attenta mappatura degli attori che entrano in gioco quando si parla di circuito della formazione. Nel rapporto consegnatoci oggi dalla Provincia di Milano vengono citati diversi di questi attori: i dirigenti, i responsabili della funziona formazione, la rete dei referenti, i sindacati, gli esperti che vengono coinvolti; io aggiungerei anche i responsabili dei servizi formazione degli altri enti, con cui si stabiliscono spesso rapporti di scambio. Se leggete il piano della Provincia di Milano, probabilmente molte delle radici di queste decisioni sono a Torino o all’ufficio formazione della Regione Lombardia; molti degli attori che entrano in gioco e che contano al momento delle decisioni che vengono prese operano in amministrazioni differenti. Direi di più: oggi il cittadino stesso entra in gioco come vero e proprio attore, per i motivi cui si riferiva Sergio Crescimanno. Sempre di più, non è solo un cliente o un punto di riferimento, ma viene materialmente coinvolto all’interno delle azioni formative, svolte, per esempio, a supporto dei programmi di sviluppo locale o dei servizi sociali. Stiamo lavorando sulla mappatura degli attori e devo dire che anche su questo aspetto ci stiamo confrontando con l’Europa e vengono fuori delle differenze interessanti. Per esempio, il peso marginale delle rappresentanze sindacali nella definizione dei bisogni e della programmazione in Italia è molto basso. Mi fermerei a questo punto, ringraziando la Provincia di Milano e l’AIF Lombardia. Avete organizzato questo incontro per raccontare giustamente ciò che avete fatto, per renderne conto a chi lavora all’interno della Provincia, ai dirigenti, agli altri formatori. È stata anche una dimostrazione delle possibili sinergie attivabili con l’AIF, associazione che pure nasce con un orientamento rivolto verso la formazione per l’azienda privata. Ma l’incontro di oggi rappresenta anche per tutti noi, che veniamo da amministrazioni diverse, un’importante possibilità di diffusione ed analisi di esperienze, ed è dunque un’occasione per costruire il sistema pubblico, al quale, come responsabile della formazione del Formez, sono ovviamente interessato. pag. 25 Anna Malaguti Responsabile Servizio formazione e aggiornamento professionale - Comune di Venezia Ringrazio sinceramente la Provincia di Milano per avermi invitata in rappresentanza dell’attività formativa del mio Ente, il Comune di Venezia, e AIF – Pubblica amministrazione, che costituisce in questo momento il nostro accompagnatore, il nostro motore per l’innovazione. Non ho preparato le classiche slide di Powerpoint, pensando che il mio intervento avrebbe finito per ripercorrere le linee dei contributi che mi hanno preceduta. In allegato avrete le immagini di alcuni strumenti – applicazioni web per la comunicazione con il cittadino o tra colleghi, di cui si è dotato il Comune di Venezia e che stanno a cavallo tra la formazione e l’innovazione che il Comune ha promosso in questi anni. Come hanno ben espresso le colleghe che mi hanno preceduta, anche il Comune di Venezia ha una storia che parte dagli anni Novanta, ha accolto la Direttiva Frattini con entusiasmo e dispone di un sistema di formazione consolidato da almeno 10 anni. Mi sono annotata alcuni concetti chiave. Uno di questi è il sistema della formazione, che implica il passaggio dall’entusiasmo iniziale, dallo spontaneismo, dal lavorare a testa bassa senza riflettere eccessivamente sull’impostazione di un sistema, ad avere delle sicurezze su quello che si farà nel futuro e a trovare, anche con grande fatica, dei tempi di riflessione sulle proprie esperienze per passare, altro concetto chiave, al miglioramento continuo. Il nostro sistema della formazione tiene conto della fase di analisi dei fabbisogni, che viene condotta con modalità, tempi e strumenti differenti a seconda che sia finalizzata al prodotto Piano triennale o alla raccolta annuale delle richieste. Da anni ci si dota di un Piano triennale, in realtà due piani per mandato del Sindaco, di cui il secondo è a scavalco. Durante il primo anno di mandato i sindaci hanno altro da fare che pensare alla formazione. Il nostro Servizio formazione non è in staff alla Direzione generale e l’interpretazione delle linee strategiche dell’Amministrazione e la loro traduzione in concrete politiche della formazione è sempre abbastanza impegnativa. Dividiamo anche noi le attività in attività trasversali, che riguardano la trasversalità delle funzioni dell’Ente e delle direzioni (sapete bene che i compiti di un ente locale territoriale passano dall’erogazione di una licenza edilizia, alla gestione di un asilo nido e quindi il numero delle professionalità è davvero vasto), ed attività specialistiche, distribuite verticalmente sulle varie direzioni e che si rivolgono a diverse esigenze. Si è deciso di riassumere tutte le attività in aree che coincidano con quelle che il Formez annualmente ci richiede nel suo rapporto, al quale da molti anni siamo orgogliosi di rispondere. Siamo dotati di un software gestionale per la formazione che raccoglie la banca dati dei corsi erogati dal 1999 in poi. Il sistema gestionale è orientato nel classificare la formazione sulle aree del Formez per permettere di estrarre rapidamente i dati ed è molto utile per alleggerire anche il lavoro di back office di organizzazione delle attività. Da quest’anno, nell’ambito del progetto di “dematerializzazione” dei documenti, il personale potrà accedere con propria matricola e password al database e verificare personalmente la formazione che ha fatto. Negli anni è stata costruita una rete robusta di referenti della formazione, che hanno sostenuto più di un processo formativo completo e che svolgono le fondamentali funzioni di raccordo, con i direttori e dirigenti, e di lettura dei bisogni formativi. Anche loro possono accedere al software gestionale, per pag. 26 iscrivere i dipendenti ai corsi e verificarne la formazione fatta, per fornire ai dirigenti le informazioni necessarie. Da quest’anno abbiamo fatto uno sforzo molto grande per dotarci di un Albo di docenti interni, cioè abbiamo cercato di sistematizzare quello che avveniva già da anni, l’utilizzo di risorse tecniche interne specialistiche. Abbiamo creato un albo in base ai curricula dei dipendenti che ne hanno fatto richiesta e, con l’aiuto dell’Università di Ca’ Foscari di Venezia, sono state valutate le competenze ed assegnati i punteggi. Ora ci accingiamo ad erogare a tutti loro, senior e junior, una formazione sulla tenuta dell’aula. È prerogativa assoluta del Servizio formazione definire che anche i docenti interni debbano sapere come comportarsi in aula e siano consapevoli che esiste un sistema di valutazione, della formazione erogata, che valuta anche il docente. È importante che conoscano l’utilizzo di strumenti, quali le schede di osservazione, le schede che raccolgono le osservazioni del docente, i questionari di gradimento che contengono valutazioni dei corsisti rispetto al docente; che quindi si rendano conto di far parte di un sistema più complesso sulla qualità della formazione, al quale vengono chiamati a contribuire. Un’altra novità è che da quest’anno il Nucleo di Valutazione dei dirigenti ha posto l‘attività di formazione erogata all’interno dell’Ente, da parte dei dirigenti e a favore dei dipendenti, come una delle performances attese, delle quali il Nucleo terrà conto. Se i dirigenti offriranno la loro disponibilità ad erogare della formazione, questa rappresenterà uno degli indicatori su cui verranno valutati. Preciso, a spiegazione di tale decisione, che l’attività di docenza della dirigenza non viene retribuita, mentre è retribuita quella del personale non dirigente. Il Comune di Venezia sta investendo moltissimo sul web 2.0, cioè su quella modalità assolutamente interattiva che permette al cittadino di raggiungere il suo Ente in maniera immediata e con una grande trasparenza. Non più una trasparenza come slogan, obbligata dalle norme, ma una trasparenza di fatto. Alcuni dei sistemi su cui stiamo lavorando, ognuno con il proprio ruolo, in tutto l’Ente, sono: I.R.I.S. (Internet Reporting Information System) è una georeferenziazione di tutto il territorio comunale, attraverso la quale il cittadino può segnalare un problema del proprio territorio: una buca sull’asfalto, dei rifiuti dimenticati in un angolo. Nel back office viene smistata la domanda giunta on line e indirizzata ai vari e diversi attori che possono intervenire, da chi gestisce il verde o l’asporto rifiuti ai tecnici dei Lavori Pubblici che devono provvedere alla riparazione della buca sull’asfalto. Tutto resta visibile on line, ogni cittadino può osservare le segnalazioni che sono state fatte, comprese data e ora dei messaggi e nominativo dei cittadini che vogliano identificarsi. La procedura di segnalazione del disservizio viene aperta e resterà visibile sino al momento in cui il Comune, risolto il problema esporrà l’avviso: “È stato risolto il problema”. In questo modo chiunque potrà verificare i tempi e la correttezza dell’intervento. Tutto ciò costituisce un atto di grande trasparenza senza alcuna intermediazione, senza particolari favoritismi e cortesie. B.A.R.I.S (Boat Areas Research Information System) è un altro di questi sistemi. È molto particolare perché tratta della distribuzione degli spazi acquei, equivalenti per voi ai parcheggi sotto casa, per i quali i cittadini pagano con le loro tasche dei bei soldini all’Amministrazione, per poter ormeggiare le loro barche, sia per ragioni da diporto e personali, che commerciali. L’occupazione degli spazi acquei lungo le rive dei canali è sempre stata una fonte di enorme contenzioso. Negli ultimi anni è stato concluso un lavoro di georeferenziazione, veramente pag. 27 faticoso, che ha portato a realizzare un’ulteriore operazione di trasparenza grazie alla quale non ci sono recriminazioni per presunti favoritismi. Anche in questo caso si tratta di operazioni molto rilevanti e visibili ai cittadini. Cosa facciamo noi della Formazione a supporto di questi processi così innovativi? Facciamo un lavoro di affiancamento e di sostegno delle persone per aiutare a superare molte barriere, in parte generazionali. Sta entrando in questi anni nei nostri enti la generazione dei così detti “nativi digitali”, di coloro che sono nati con Internet, che chattano, che usano Messenger, che ci fregano con il computer da tutti i punti di vista. Con il loro aiuto vorremmo portare avanti un accompagnamento anche generazionale, ma non solo, alle nuove forme di comunicazione con il web. Perché questi nativi digitali entrano al lavoro nell’organizzazione senza disporre di orientamento al cittadino e di conoscenza della mission della Pubblica amministrazione, hanno piuttosto un orientamento alla chat coi loro amici, con i loro gruppi di discussione e quindi li vorremmo portare da un utilizzo di Internet a tutto campo, ad un utilizzo del web 2.0 all’interno dell’azienda, allo scopo di essere orientati al servizio verso il cittadino. Da qualche anno abbiamo promosso, con grande fatica, due comunità di pratica professionali. Una community con uno sguardo più all’interno, che raccorda gli operatori dei Servizi affari istituzionali delle diverse municipalità, per una uniformazione delle procedure, delle pratiche e modulistiche e una community con un respiro più ampio, perché rivolta al welfare cittadino, che attualmente si sta aprendo, con un progetto sostenuto dalla Conferenza dei Sindaci, per diventare un luogo di repository di documenti, di forum di discussione e di formazione per i Piani di zona e per l’assistenza domiciliare ai cittadini anziani e la residenzialità. Stanno quindi accedendo a questa nostra community non solo i nostri operatori, ma anche gli operatori dell’Asl e quelli del terzo settore, del privato sociale. È stato avviato con l’Università di Padova un corso che potete anche trovare nel sito dell’Università stessa all’indirizzo http://www.educazione.unipd.it/perfezionamento/social_software/ Si tratta di un corso di perfezionamento sul web 2.0 e la didattica, giunto al secondo anno e che riunisce un bellissimo target di persone, provenienti dal mondo della Pubblica amministrazione e da quello della scuola, al quale quest’anno, su impulso del Servizio formazione, ci siamo iscritti in 15. Il gruppo comprende molti colleghi che in questo momento fanno da interfaccia con le innovazioni del web 2.0: l’ufficio Stampa, i colleghi della Comunicazione, quelli che gestiscono il sito web, ma anche quelli che si occupano di georeferenziazione nelle municipalità, con l’obiettivo di costruire non solo una formazione comune all’uso di questi strumenti, ma anche una formazione culturale comune, cioè condividere strumenti innovativi come questi con la chiarezza strategica dell’utilità per un Ente locale. Che cosa ci accomuna oggi in questa sede, qui alla Provincia di Milano? Mi pare che ci accomunino gli sforzi di andare in una certa direzione, gli strumenti, le strategie, i risultati che vanno in una direzione coerente. Ernesto Vidotto parlava precedentemente “dell’invidia positiva”, che è un bellissimo sentimento, una specie di altra faccia del benchmarking, con una risonanza interiore. Si riparte da queste occasioni di incontro con la voglia di fare ancora di più, di recuperare aspetti magari trascurati nella propria attività. Ci stiamo spingendo su queste nuove frontiere, molto diverse dalla pur recente esperienza dell’e-learning, molto più interattive. Ci accorgiamo che anche nella formazione si riescono ad usare di più strumenti di confronto, di coprogettazione, di scrittura condivisa. pag. 28 Ci troviamo a fare i conti con i problemi della sicurezza informatica, di accesso alle reti. Sono questioni che in un mondo così veloce in pochi mesi probabilmente verranno superate, qui il cambiamento è rapido e la promozione ed il sostegno all’e-government è un processo in cui la formazione non può che stare a pieno titolo. Ringrazio ancora la Provincia di Milano per l’occasione di confronto che ci ha dato. Giancarlo Dardano Direttore Settore organizzazione e formazione – Provincia di Milano In che modo si sia costituito e consolidato alla Provincia di Milano un servizio dedicato alla formazione, l’ha già delineato molto bene Cecilia Scaldalai nel suo intervento. Io ripartirei da qui, per sottolineare alcuni concetti ed indirizzi di carattere generale, per dare poi brevemente conto di alcune iniziative che abbiamo realizzato nell’ultimo biennio e che di quegli indirizzi sono l’espressione. Dotarsi di una struttura dedicata, con professionalità specifiche e strumenti operativi ed organizzativi idonei, è evidentemente fondamentale, ma altrettanto importante ritengo sia avere indirizzi ed obiettivi di fondo, in base ai quali orientare l’insieme dell’attività. Prima di entrare nel merito, vorrei ricordare alcuni dati di sintesi, utili a meglio inquadrare l’attività di formazione di cui stiamo parlando. Il nostro Piano, aggiornato annualmente e quindi in continua evoluzione, anche se in un solco di continuità, è articolato in 3 macroaree: competenze trasversali (comunicazione e relazione interpersonali, scrittura e linguaggio, informatica di base), competenze tecnico-specialistiche e un’area che chiamiamo formazione a supporto del cambiamento organizzativo e di progetti strategici. La distribuzione del Piano su queste aree, in termini di ore/uomo, è: 45% sulle competenze trasversali, 40% su quelle tecnico-specialistiche e 15% sulla formazione a supporto del cambiamento e dei progetti strategici. Per quanto riguarda il dato relativo ai volumi annui, richiamo queste cifre: circa 100 iniziative formative (dai corsi più complessi e articolati, che coinvolgono un cospicuo numero di dipendenti, a iniziative di partecipazione individuale, o di piccoli gruppi, ai corsi “a catalogo”); 3.500 ore d’aula e dalle 35.000 alle 40.000 ore/uomo; 15-16 ore pro capite e 50-60% del personale coinvolto. Dicevo prima: “indirizzi ed obiettivi strategici”. Come indirizzo strategico, individuerei quello di coniugare le esigenze dell’organizzazione con quelle delle persone. Definire, proporre e realizzare una formazione che serve all’organizzazione è il nostro primo, fondamentale compito; una formazione che sia funzionale agli obiettivi di lavoro delle varie strutture organizzative dell’Ente. Questo obiettivo, questa priorità, che è, come dire, ovvia, nella pratica talvolta si perde, sbiadisce. È importante quindi richiamarla e ribadirla sempre, sia a noi stessi, sia ai nostri interlocutori, che sono i committenti e gli utenti della formazione. D’altra parte, ci si deve anche preoccupare di non cadere nell’eccesso opposto, di non sottovalutare cioè, quella che è l’esigenza di sviluppo professionale delle persone. Formulare il principio di un equilibrio tra queste due esigenze è facile; realizzarlo nella pratica lo è molto meno. Potremmo anche riformulare questo slogan in “coniugare, equilibrare le esigenze dell’organizzazione nel breve periodo, con quelle dell’organizzazione stessa in un periodo più lungo”. pag. 29 La formazione infatti, se va al di là del semplice addestramento, rappresenta comunque un investimento e, come è connaturato al concetto di investimento, implica capacità di previsione e comporta un margine di rischio: l’investimento formativo cioè, si rivela tanto più rischioso quanto più bassa è la capacità di previsione e di pianificazione dell’organizzazione; e viceversa. A partire da queste considerazioni, individuiamo due macro-obiettivi di miglioramento, consistenti nel ”regolare la domanda di formazione” e “migliorare l’efficacia della formazione”. Regolare la domanda di formazione significa, innanzitutto, contenerne il volume. Abbiamo visto che, annualmente, noi eroghiamo circa 40.000 ore all’anno di formazione/uomo, ma 4-5 anni fa eravamo su livelli anche superiori, circa 50.000 ore. Abbiamo quindi registrato una riduzione del 20% circa, dovuta non tanto a un problema di budget, almeno finora, ma soprattutto ad una scelta. Una riduzione quantitativa che non riteniamo un dato negativo, perché non è la quantità della formazione che dà valore all’attività, ma piuttosto la sua qualità e la capacità di produrre risultati. Abbiamo quindi contenuto il volume delle attività formative, anche stabilendo, nella stesura del piano, sia pure con una certa elasticità, dei limiti annui al numero di corsi per persona o al numero di ore/uomo per Direzione. Un altro aspetto importante è quello della diffusione: normalmente, registriamo un 50-60% di persone coinvolte ogni anno nella formazione; naturalmente, negli anni, le persone non sono le stesse, ma sappiamo che vi sono delle aree, individuabili per categoria professionale e per settore, che tendono a restare ai margini della formazione; uno sforzo per coinvolgere anche queste aree è doveroso. Mi rendo conto che questa esposizione ha un carattere piuttosto schematico e anche un po’ didascalico, ma spero che la giustificherete, dati i tempi molto ristretti. L’altro macro-obiettivo è quello di migliorare l’efficacia della formazione, tramite una serie di azioni, strumenti e progetti, che riassumo in questo modo: orientare e selezionare la domanda: mi ricollego qui al discorso sul contenimento dei volumi, ma soprattutto allo sforzo di indirizzare meglio le richieste di formazione. Poco fa parlavo dell’obiettivo di coniugare le ragioni dell’Ente con quelle delle persone, evitando di eccedere in un senso o in un altro. Ma esiste anche una terza eventualità, diciamo così “diabolica”, quella di una formazione che serve poco sia all’Ente che alle persone, come a volte risulta dalle richieste che ci arrivano. E’ questo il senso dell’espressione “setacciare le richieste di partecipazione”, che vedete nella slide; sviluppare la progettazione personalizzata degli interventi formativi; ricorrere alla coprogettazione, coinvolgendo direttamente committenti e destinatari; utilizzare metodologie di apprendimento diversificate (project work, consulenza d’aula, ecc.). E ancora: legare la formazione a percorsi guidati; intervenire con la formazione a sostegno del cambiamento organizzativo, nell’ambito di progetti e obiettivi specifici. Tutti questi principi, obiettivi, azioni, possono apparire abbastanza scontati per gli addetti ai lavori, ma credo che proprio gli addetti ai lavori sappiano bene come, passare dai propositi alla loro realizzazione pratica, sia tutt’altro che semplice ed è proprio su questo che si misura, giorno per giorno, la capacità di incidere e produrre risultati significativi. E una delle condizioni fondamentali, per realizzare questi obiettivi, è senz’altro il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei dirigenti e dei capi intermedi. Questa “condizione di successo” è un aspetto fondamentale che voglio sottolineare. pag. 30 Passerei quindi a ricordare alcune iniziative recenti, che illustrano e sono espressione degli indirizzi prima indicati. 1. Nell’ultimo biennio abbiamo sviluppato un progetto di formazione in ingresso per il personale stabilizzato in ruolo. Anche in passato abbiamo organizzato iniziative destinate ai neoassunti, ma non con un approccio così sistematico. I destinatari di questa iniziativa sono stati 350 dipendenti che la Provincia di Milano ha stabilizzato nel corso dell’anno 2007, utilizzando le norme della legge Finanziaria. L’obiettivo era quello di fornire ad ogni dipendente le competenze di base richieste dal profilo di appartenenza, in un’ottica di flessibilità operativa. Per ciascun profilo professionale, è stata realizzata una mappatura delle competenze richieste, e su questa base sono stati formulati degli specifici percorsi formativi, cioè sono stati definiti una serie di corsi, a cui avrebbero dovuto partecipare i neoassunti con quel determinato profilo. Per darvi un’idea più concreta, vedete proiettati i profili coinvolti nel processo di stabilizzazione: in relazione a questi profili sono state individuate delle macroaree formative e, per ciascuna di queste, alcuni corsi; quindi, nell’area amministrativa: diritto amministrativo (incentrato sugli enti locali), bilancio e contabilità base, procedimento amministrativo e acquisizione di beni e servizi, ecc. Successivamente, per ciascun dipendente, si è promosso un bilancio di competenze, un’analisi del gap rispetto alle competenze attese dal profilo. Trattandosi di personale che era stato stabilizzato e che lavorava già da tempo in Provincia, buona parte di questo personale aveva già seguito una serie di corsi. Pertanto, definite le competenze e quindi i corsi che si ritenevano necessari, per sottrazione, eliminando i corsi già frequentati, si è arrivati a definire il percorso di completamento formativo. Quest’analisi preliminare, condotta a “tavolino”, è stata inserita in una scheda individuale di analisi del gap (messa a disposizione on line), che ha consentito, attraverso colloqui individuali capocollaboratore, una verifica personalizzata. Riassumendo: dal bilancio delle competenze, all’analisi del gap, attraverso colloqui individuali capo-collaboratore, col supporto metodologico del Servizio formazione e con l’ausilio di una scheda individuale “pre-compilata”. Il risultato è stata la definizione di piani di formazione individuali, condivisi da dirigente e dipendente, finalizzati prioritariamente al completamento delle competenze di base e articolati su un periodo di circa 2 anni. I percorsi formativi proposti dal Servizio formazione - percorsi guidati ma non rigidi - sono stati confermati per il 70% dalle varie direzioni, mentre per il 30% sono stati modificati e integrati. Infine, ultimo risultato, indiretto, di questo progetto è stata la messa a punto di un modello di ricognizione delle competenze, utilizzabile più in generale. 2. Un’altra iniziativa di formazione che voglio ricordare riguarda la gestione delle risorse umane e, più precisamente, la valutazione delle prestazioni lavorative. Sono stati coinvolti 126 responsabili di servizio (posizioni organizzative o, in qualche caso, titolari di ufficio), considerati quali valutatori intermedi, con l’obiettivo di migliorare l’applicazione del nuovo sistema di valutazione. Non è possibile in questa sede entrare nel tema della valutazione. Dico quindi, semplicemente, che parliamo della valutazione delle prestazioni lavorative del personale dipendente, esclusi dirigenti e titolari di posizione organizzativa. Fino al 2006, avevamo un sistema che portava a un forte appiattimento, sia nelle valutazioni che nell’erogazione dell’incentivo di produttività, collegato alla valutazione delle prestazioni. pag. 31 Il nuovo sistema puntava ad incoraggiare una maggiore e più trasparente assunzione di responsabilità, da parte dei dirigenti e dei capi intermedi, e anche una diversificazione del compenso, magari modesta in termini quantitativi, ma simbolicamente significativa. Il meccanismo fondamentale che abbiamo utilizzato è quello dei budget di direzione, che rende il dirigente direttamente responsabile delle scelte, anche rispetto ai compensi che vengono erogati. Per sostenere l’introduzione del nuovo sistema di valutazione, abbiamo svolto una formazione specifica, nel primo anno per i dirigenti e l’anno successivo, specificamente, per il livello intermedio delle posizioni organizzative, attraverso 3 incontri d’aula (proposti in 8 edizioni). I temi affrontati sono quelli classici della valutazione, legando però le problematiche generali a quelle specifiche, cioè all’adozione del nuovo sistema, con una nuova scheda di valutazione e nuovi meccanismi. Abbiamo anche sperimentato, su richiesta dei responsabili di servizio e d’accordo coi relativi dirigenti, il metodo della consulenza d’aula. Sono stati costituiti alcuni gruppi, assistiti da un esperto, che hanno approfondito temi come la raccolta degli elementi utili per la valutazione, l’osservazione della prestazione lavorativa e la personalizzazione della scheda di valutazione. 3. Un’altra iniziativa è stata sviluppata, nel biennio 2007-2008, su specifica richiesta della Direzione interessata, a sostegno del progetto di costituzione delle Agenzie per la formazione e il lavoro, in cui la Provincia di Milano ha fatto confluire i Centri di formazione professionale, trasferiti dalla Regione, e i Centri per l’impiego, trasferiti dallo Stato. Sono stati coinvolti i 13 responsabili e i 94 operatori dei Centri per l’impiego. L’obiettivo era facilitare la trasformazione di queste strutture (gli ex uffici di collocamento), che portavano con sé un certo tipo di storia e di cultura, in strutture di servizio al mercato del lavoro, orientate ai risultati e alla qualità. A tal fine, abbiamo compiuto una serie di interventi, nell’arco di due anni. Prima, per tutti i soggetti, sulle competenze tecniche e relazionali. In seguito, per i singoli operatori, un’attività di counseling (a richiesta) e una serie di project work, che hanno prodotto progetti di cambiamento organizzativo delle strutture e della loro organizzazione lavorativa. Infine un corso sulle tecniche di preselezione, per operatori, e un corso per responsabili e referenti. 4. Ultimo esempio del nostro sforzo di legare la formazione all’organizzazione e al cambiamento organizzativo è un progetto per la riorganizzazione di due direzioni centrali fondamentali dell’Ente: Trasporti e viabilità, Istruzione ed edilizia scolastica, con il coinvolgimento di tutti i dirigenti e delle posizioni organizzative e con l’obiettivo di accompagnarne il processo di trasformazione organizzativa. Abbiamo programmato diverse iniziative ad hoc. Siamo partiti con un talk show, una specie di intervista, che un conduttore della società incaricata ha effettuato ai direttori centrali, con la partecipazione del Direttore generale e dell’Assessore al personale. L’idea era quella di coinvolgere nell’iniziativa formativa anche i vertici dell’Ente e delle due direzioni. In questa forma “spettacolare”, si sono individuate le criticità e le aree di intervento. A seguire, è stata organizzata una formazione d’aula per le posizioni organizzative, con vari moduli; sono stati definiti dai dirigenti e dalle stesse P.O. i temi per i lavori di gruppo, che hanno prodotto una serie di output relativi alle singole realtà lavorative, con l’intento di “agire” concretamente il cambiamento. Ecco, questo è un po’ quello che abbiamo fatto ultimamente; gli orientamenti a cui ci siamo ispirati e a cui intendiamo ispirarci nel prossimo futuro. pag. 32 La formazione che evolve Pier Sergio Caltabiano Presidente nazionale AIF Mi preme intanto sottolineare che non siete soli a soffrire per le carenze di finanziamenti: in Italia gli investimenti in formazione nelle aziende private non vantano una spettacolarizzazione particolare, in quanto siamo terz’ultimi in Europa per quello che concerne gli investimenti di tutte le aziende private. Dopo di noi ci sono solamente la Grecia e il Portogallo. Nel 2004 eravamo sest’ultimi e avevamo un investimento sistematico del 24% nelle aziende con più di 9 dipendenti, oggi siamo terz’ultimi con un investimento del 32% nelle aziende con più di 9 dipendenti. Sono aumentate le aziende che investono sistematicamente in formazione, ma regrediamo perché gli altri crescono sempre di più. Il quadro generale è un quadro di una cultura non orientata agli investimenti in formazione nel nostro paese, e non è un problema solo della Pubblica amministrazione. Ritengo quindi che occorra innanzitutto una scossa forte a livello culturale nel nostro paese, per far sì che si cominci a sottolineare come questo stato di cose non possa più andare avanti. Certo, ci sono poi varie tendenze che si sviluppano in modo autonomo, come diceva prima Gianni Agnesa. Ci sono delle regioni, delle province, dei comuni che investono in formazione, che elaborano piani - e a questo riguardo ringrazio la Provincia di Milano, che ha dimostrato forte sensibilità al tema della formazione nell’ambito della Pubblica amministrazione - così come ci sono imprese private che investono in modo sistematico in formazione, prevalentemente collegate a grandi gruppi multinazionali. Se pensiamo a quello che avviene in Francia, in Germania e in Gran Bretagna, dove ci sono 4 volte gli investimenti in formazione rispetto all’Italia, per non parlare poi del Nord Europa, della Scandinavia e del Nord America. In questo scenario, noi dobbiamo creare delle scosse. Intanto AIF pubblicherà a brevissimo un manifesto dello sviluppo della formazione in Italia, che sarà un atto di richiamo e di attenzione proattivo a tutte le amministrazioni pubbliche e private, a tutte le governance pubbliche e private, a tutti i formatori italiani, per sviluppare una formazione che nel nostro paese non c’è, tenendo presente che la qualità riconosciuta anche dai nostri colleghi stranieri è, nei nostri confronti, alta. I formatori italiani hanno un buon livello di riconoscimento purtroppo, però, non vedono un sistema, una cultura, un paese, uno scenario, un macroambiente, che possa far emergere queste risorse e ricchezze, quindi dobbiamo insistere su questa problematica. Lo scenario futuro sarà caratterizzato da persone orientate al futuro. Nell’ambito anche del riconoscimento “junghiano” dei metaprogrammi che ci caratterizzano come parte soft del nostro carattere, ci sono persone che sono orientate più al passato, persone orientate più al carpe diem, al presente, e persone orientate al futuro. Ora, dobbiamo avere persone che a livello della governance pubblica e privata, nei vari ambiti di responsabilità, comincino a pensare in un’ottica orientata al futuro, non a quello che succederà al prossimo sondaggio, alla prossima elezione amministrativa o europea, bensì, come si è autorevolmente detto, orientando il nostro lavoro a come vivranno le future generazioni. I leader si riconoscono da questo, rispetto ai capi: i capi pensano alla prossima scadenza, al prossimo bilancio, alla prossima elezione, i leader pensano alla prossima generazione, e noi dobbiamo lavorare pag. 33 in un’ottica di futuro, tenendo appunto presente quelle che sono le criticità che oggi ci contraddistinguono, che vado ora a sottolineare. Nel mondo pubblico abbiamo innanzitutto criticità legate ai principi. Se le organizzazioni devono essere eticamente orientate, e abbiamo visto quello che è successo a livello di sistemi economicofinanziari, le istituzioni pubbliche, che rappresentano tutti i cittadini, devono avere questa eticità dentro il loro DNA, in modo ancora più sottolineato e forte. Tutto ciò che è corruzione, concussione, tutto ciò che rappresenta il diritto penale applicato alla Pubblica amministrazione ha nella percezione della pubblica cittadinanza una divergenza molto più accentuata, perché alla fine quello che viene a essere rappresentato come pubblico dipendente è la rappresentanza civile e sociale di quella che è la propria manifestazione di cittadinanza da parte del singolo cittadino e del singolo personaggio e individuo che vive nella società civile. Di questa responsabilità devono farsi carico in modo ancora superiore tutti coloro che operano all’interno della Pubblica amministrazione. Non c’è un’etica di serie A e una di serie B; è la percezione dell’etica, del senso di responsabilità, che vede una diversa considerazione. Un secondo aspetto legato ai principi sono tutti i valori che dentro un’organizzazione devono valere; quindi la visione, la missione. I valori dovrebbero essere presenti e forti in ogni comune, in ogni provincia, in ogni regione del nostro paese, cosa che, come abbiamo visto prima, assolutamente così non è; allora dobbiamo lavorare perché questo tipo di crescita valoriale venga a essere considerata e sottolineata. Vi è un aspetto poi legato ai processi; se ne è parlato in questa mattinata, una mattinata ricca di esperienze, di progettualità, di riferimenti e anche di benchmarking in un ambito di pubbliche amministrazioni che hanno nei valori un chiaro riferimento. Ora, i processi vanno da una parte snelliti, legati più a un riferimento che possa vedere il cittadino come primaria figura centrale nel processo di evoluzione del paese, ma appunto per questo vanno assolutamente considerati nei loro aspetti qualitativi e vanno assolutamente migliorati sotto la loro efficienza ed efficacia. È una domanda che viene dal paese. Allora dobbiamo farci carico di persone che operino per lo sviluppo degli apprendimenti, per lo sviluppo dei processi all’interno delle organizzazioni, oltre ad acquisire e sviluppare sempre di più un senso di responsabilità che nelle amministrazioni pubbliche è presente, ma va sviluppato in modo molto più trasversale di quanto fino a oggi sia stato percepito. Un ulteriore aspetto è quello del prodotto-servizio, che è l’output generato nei confronti del cittadino. Nel nostro paese c’è un orientamento forte alla lamentela, a sostenere che c’è sempre comunque qualcuno che opera meglio di noi. Vi sono infatti amministrazioni che hanno migliorato moltissimo il loro output generato, altre purtroppo sono indietro, quindi vanno coinvolte, come AIF cerca di fare nell’ambito delle best performances e delle best practices nell’ambito della formazione. Una formazione che vede grandi attori nazionali e piccole amministrazioni che cominciano ad avvicinarsi, studiando esempi che possono rappresentare un traino per le loro attività. Infine, un elemento centrale è rappresentato dalle persone, figure centrali nell’ambito delle pubbliche amministrazioni. La persona non più come risorsa umana, un elemento quasi materiale della performance organizzativa, ma una persona che ha valori, convinzioni, credenze, sistemi di capacità, di conoscenze e tratti soggettivi che la distinguono dalle altre. pag. 34 Lo sottolineiamo nelle attività formative, ma manca nella percezione interna ed esterna, almeno per quello che è la mia impressione. Rispetto agli investimenti veri e propri, anzi, il dipendente pubblico viene ad essere individuato come un punto di riferimento di responsabilizzazione del processo civile nella nostra intera società italiana, una figura che spesso rappresenta una forma di furto di lavoro, di performance, di retribuzione e via discorrendo. Questa è un’immagine deleteria, che va combattuta anzitutto all’interno della Pubblica amministrazione, per fare pulizia e portare all’esterno un risultato positivo, per modificare quello stato di conflittualità sociale che si verifica nel nostro paese tra privato e pubblico. Dobbiamo entrare in un’ottica di interazione fra questi due mondi, facendoli dialogare in un’ottica proattiva e non andando a sottolineare una conflittualità che non fa bene a nessuno. Occorre quel senso di responsabilità che a volte nella Pubblica amministrazione è mancato da parte dei dirigenti che dovevano controllare e non hanno controllato, è mancato da parte di alcune persone, senza generalizzare (la generalizzazione è uno dei difetti maggiori che esiste nella governance politica italiana), che hanno determinato una percezione negativa nell’ambito di tutto il sistema della Pubblica amministrazione in tutto il paese. La modalità principale per valorizzare una persona è la formazione. Prima si diceva invece come gli investimenti in formazione negli altri paesi aumentano e in alcuni casi vengono raddoppiati, nel nostro paese vengono diminuiti. Sarebbe come se, in un periodo di crisi, una famiglia per prima cosa tagliasse le risorse ai propri figli per andare a scuola allo scopo di ridurre i costi: significherebbe tagliare le gambe alla crescita. Una competitività del sistema-paese può avvenire soltanto nell’ambito dell’innovazione, degli investimenti sulle persone e le organizzazioni. In Italia, sia a livello di pubblico che di privato, facciamo esattamente il contrario. Se siamo terz’ultimi in Europa per la formazione, siamo ampiamente l’ultimo paese di tutto il mondo industrializzato. Questo è un problema di cultura, che dobbiamo cominciare a denunciare in tutti gli ambiti e fra tutti coloro che ci credono, una denuncia proattiva, senza colore politico, che riguarda un costume nazionale. Come dovrà esser quindi la formazione? La nostra formazione dovrà essere desiderabile. Le persone dovranno avere il piacere di andare in formazione. Vi sono scarsi investimenti e ancora oggi nelle organizzazioni pubbliche e private le persone, quando devono andare in formazione, non hanno entusiasmo. Dobbiamo aumentare il tasso di felicità all’intraprendere un percorso formativo, tramite le metodologie, i contenuti, la professionalità del corpo docente e di coloro che insistono nel mondo del progetto formativo, con gli aspetti, i contesti, le configurazioni, gli investimenti. Tutto ciò può sviluppare anche un senso virtuoso di applicazione a una modalità diversa del fare e dell’essere agenti di sviluppo nel nostro paese, soprattutto a livello di Pubblica amministrazione. La formazione dovrà essere generativa, generare nuovi apprendimenti, conoscenze, dare maggiori possibilità, creare empowerment, potere personale nelle singole persone. Tale formazione deve poter contare su una spinta istintuale e motivazionale da parte dei dirigenti delle amministrazioni pubbliche verso questo tipo di orientamento. pag. 35 E ancora, la formazione dovrà essere responsabile. Non possiamo misurare sempre il ROI della formazione, il ritorno sugli investimenti, ma dobbiamo sviluppare una cultura che sia orientata a maturare un’attenzione al ritorno sugli investimenti. Dobbiamo sottolineare noi per primi che questo nella formazione italiana non viene fatto, perché ci sono attori che nell’ambito della loro formazione, prevalentemente da “formatori”, fanno la loro performance, divertono, si divertono e poi salutano. Non si vanno a vedere le ricadute che la formazione ha generato. Dobbiamo sottolineare la necessità di misurare il più possibile i risultati della formazione, ciò che a volte le stesse aziende committenti non vogliono, perché valutare la formazione costa troppo. Si capirebbe finalmente qual è il valore aggiunto che la formazione genera. Negli altri paesi non ce n’è bisogno, perché sono assolutamente consapevoli che la formazione serve. Nel nostro paese, per rompere questo paradigma di assoluta involuzione, dobbiamo creare la consapevolezza dei risultati che la formazione agisce. Occorre soprattutto il senso di responsabilità, ce l’hanno insegnato da Sant’Agostino a Emmanuel Kant, da Max Weber a Hans Jonas e Emmanuel Lévinas, tutti filosofi che sottolineano il fatto che i generatori di valore, come mi piace definire i formatori, devono farsi carico responsabilmente dei risultati che generano. Il futuro è fatto anche di responsabilità, Obama ha impostato il suo primo discorso da presidente sulla responsabilità. AIF ha organizzato nel 2007 un convegno a Napoli sulle “formazioni responsabili”, per cui sotto questo aspetto abbiamo lanciato a Obama l’input per il suo discorso inaugurale (d’altronde i formatori sono anticipatori di conoscenze). Dobbiamo lavorare anche in un’ottica di riflessività, di attenzione agli aspetti esterni, e di flessibilità: dobbiamo essere più flessibili generativamente parlando, aumentare il cambiamento anche nella Pubblica amministrazione nella comprensione dei cambiamenti legati a comportamenti da anni perpetuati e che vanno modificati perché questo serve al sistema-paese. Non solo nelle Pubbliche amministrazioni, anche nelle imprese italiane, dalle piccole alle grandi, molti comportamenti vanno modificati, in particolare la consapevolezza al cambiamento, che in Italia è troppo lontana rispetto alle modificazioni che si producono negli scenari macro e microeconomici. La rigidità non paga, chi è più rigido di fronte alle burrasche ai terremoti e agli uragani cede di colpo, mentre chi è più flessibile si adegua in modo generativo agli scenari che cambiano. Le persone che accedono alla formazione hanno bisogno di alcuni punti di riferimento, come competenza e disponibilità. Competenza è quell’insieme di conoscenze, capacità, atteggiamenti, tratti, valori, motivazioni, credenze che caratterizzano la persona in un modo eticamente combinato, dove l’etica è al centro della competenza. Le persone che sono competenti in modo antietico nelle organizzazioni sviluppate non portano del bene. Dobbiamo entrare in un’ottica di eticità e di anticipazione combinatoria, come dice anche Guy Le Boterf, che mi piace richiamare. Dobbiamo combinare gli elementi che ci caratterizzano, in un’ottica focalizzata allo sviluppo delle organizzazioni macro e micro, comprese le nostre famiglie, i nostri set di amicizie, i sistemi in cui lavoriamo. Competenza e disponibilità, perché una competenza riservata, intima e repressa non serve agli altri e al sistema, al massimo a noi stessi. Occorre quindi disponibilità, l’atto di donare la competenza in un’ottica organizzativa. Tutto questo porta alla professionalità, l’unione fra competenza e disponibilità. Chi si può considerare un professionista nell’ambito del suo compito organizzativo lo è in quanto disponibile e competente. pag. 36 Un quarto elemento che voglio sottolineare è quello della reliability, l’affidabilità. Di persone competenti nell’ambito delle organizzazioni ce ne facciamo abbastanza poco se non sono poi affidabili. I grandi talenti, così definiti dalle scuole di management, hanno la loro importanza, ma quello che mi piace ripetere e che ho ripetuto recentemente in un convegno di direttori del personale, è l’inutilità di un talento che dopo un anno e mezzo prende e ci saluta con tutto il know-how che gli abbiamo trasferito. Il talento ha un riferimento e un sostegno all’interno dell’organizzazione di appartenenza, ma deve da parte sua “dare” all’organizzazione di appartenenza. Non deve mancare la riflessività: riflettere sul nostro futuro, considerando in modo critico la nostra esperienza passata. La riflessività è un modo per poter vedere le cose da una posizione percettiva diversa; ci sono persone che vivono sempre nella loro associazione, valutano le esperienze sempre dal proprio punto di vista, non si mettono mai nel punto di vista dell’altro. Un formatore sa bene che il suo must è quello di mettersi nella posizione percettiva dell’altro, di tutti coloro che sono in una posizione di ascolto, di attenzione, di cambiamento. La riflessività è una dote che è possibile migliorare, dobbiamo sviluppare nelle organizzazioni pubbliche e private l’attenzione a essere riflessivi, a cogliere la diversità e a valorizzare le differenze che possono manifestare potenzialità. Questa riflessività sta però in noi, dobbiamo vedere per primi noi stessi dall’esterno, cogliere come possiamo generare sempre di più un’attenzione dall’esterno, dove l’esterno è ricchezza, perché oltre alla riduzione degli investimenti pubblici nell’ambito della formazione c’è anche l’orientamento, manifestato da più parti, di impostare la formazione come un processo prevalentemente interno. Dentro le pubbliche amministrazioni ci possono essere ottime risorse, ma se la Pubblica amministrazione investisse solo sulla formazione interna, oltre a essere poco riflessiva non sarebbe in grado di crescere, di sfruttare la crescita potenziale proveniente dall’esterno. Occorre un giusto mix: una valorizzazione delle risorse interne, ma anche una contaminazione esterna con altri mondi e visioni che intendono la realtà che ci circonda. Una maggiore riflessività anche perché, come dice José Saramago è giusto vedere l’isola dal proprio interno, per i propri boschi, per i propri sentieri, ma l’isola si vede meglio nella sua interezza allontanandosi con un battello. Grazie a tutti. pag. 37 Team Servizio formazione Maria Cecilia Scaldalai (Responsabile del Servizio) Paola Francesca Agugliaro, Marta Anelli, Fabiola Buda, Silvia Fozzer, Alberto Grilli, Maria Rita Zanini [email protected] Trascrizione, revisione testi Alberto Grilli, Maria Rita Zanini Impaginazione, editing Marta Anelli Milano, marzo 2009 pag. 38