Maria Boschetti Alberti. La “scuola serena” come scuola per la persona. di Evelina Scaglia, dottoranda di ricerca in Scienze pedagogiche, XXIII ciclo, Università degli Studi di Bergamo Nell’Europa dei primi due decenni del ‘900, sulla scia delle suggestioni provenienti da oltreoceano (dalla scuola di Dewey ai relativi discepoli), si verificò una fioritura di iniziative didattiche improntate ai principi dell’“educazione nuova” o “educazione progressiva”, che culminarono nella fondazione delle cosiddette “scuole nuove” o “scuole attive”. Si trattò di una sorta di “rivoluzione copernicana” nell’ambito dell’educazione scolastica e non solo, che aveva tra le proprie colonne portanti la sfida del puerocentrismo, l’introduzione dei cosiddetti “metodi attivi” di insegnamentoapprendimento, le prime applicazioni delle scoperte della psicologia sperimentale alla didattica, la lotta generalizzata all’adultismo e all’educazione direttiva. In quel contesto di grande fermento, si colloca il contributo della maestra ticinese Maria Boschetti Alberti (1879-1951), che intraprese, negli anni dal ‘17 al ‘24, un’applicazione “personalizzata” del metodo Montessori presso la scuola di Muzzano, a cui fece seguito l’esperienza della “scuola serena” di Agno, dal ‘25 al ‘51. Entrambe le località menzionate si trovano in Canton Ticino; all’epoca erano paesini abitati da famiglie di umili origini, nella maggior parte contadini o operai, che vivevano in condizioni di disagio sociale e culturale e che mandavano i loro figli nell’unica scuola elementare comunale, mista e pluriclasse. Le iniziative di innovazione pedagogica e didattica realizzate dalla Boschetti Alberti ebbero perciò come teatro due istituzioni scolastiche tradizionali, prive di adeguate risorse logistiche e finanziarie, ma fu grazie alla sua opera che “[…] la non-eccezionalità dell’ambiente poteva essere a fondamento di una scuola di eccezione […]”1. Ella seppe dimostrare che “[…] era possibile realizzare un insegnamento nuovo e proficuo in qualsiasi scuola comunale, per qualsiasi categoria di fanciulli”2, senza la necessità di costruire scuole speciali in ambienti speciali. In questo breve saggio, si è cercato di ricostruire, seppure in abbozzo, alcune delle ideeguida che ispirarono l’insegnante ticinese, da interpretare all’interno del più ampio panorama della scuola attiva europea. In particolare, ella seppe far tesoro di contributi provenienti da diversi autori, tra cui Adolphe Ferriére, Maria Montessori e Giuseppe Lombardo Radice, per pensare e mettere in azione un metodo del tutto unico e personale3. 1 G. Reale, D. Antiseri, M. Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi, vol. III, XIII ediz., La Scuola, Brescia 1998, p. 766 2 Ibidem 3 A tal proposito, va ricordato che sia Adolphe Ferriére sia Giuseppe Lombardo Radice ebbero modo di conoscere e di visitare le scuole di Maria Boschetti Alberti, esprimendo ammirazione per la sua iniziativa. In particolare, fu Lombardo Radice a diffondere in Italia le prime notizie del suo operato, facendole pubblicare alcuni articoli sulla rivista «L’educazione nazionale». Si vedano, in tale rivista, gli articoli Una confessione di maestra (dic. 1924), L’insegnamento delle scienze, la storia naturale nella scuola ticinese (genn. 1925) e Per la scuola serena, maestro ed alunno a scuola (apr. 1925) 1 Le origini, il viaggio in Italia e la “conversione pedagogica” di Maria Boschetti Alberti. Maria Boschetti Alberti nacque a Montevideo (Uruguay), da una coppia di emigrati dal Canton Ticino – Giuliano Alberti e Teofila Ferretti – che ritornarono ben presto in patria. Sull’anno di nascita della Boschetti Alberti è sorta una diatriba, poiché alcuni autori, come Aldo Agazzi4, lo attestano al 1884, mentre Marcello Peretti, Franco Virginio Lombardi5 e Laura Arcangeli6 ritengono più probante il 1879. Ecco quanto riportato da Marcello Peretti nel 1963: “la data di nascita presenta, nella biografia della Nostra, un fatto curioso. Tutti gli scritti, finora editi, sulla sua vita, la fanno risalire al 1884: è la data accettata ufficialmente, pur non essendo mai stata del tutto sicura in mancanza di precisi documenti anagrafici a causa delle difficoltà del loro reperimento in America. La stessa Maestra, del resto, accenna all’espediente di aver alterata la data di nascita, in occasione della sua prima assunzione nell’insegnamento, perché altrimenti sarebbe stata troppo giovane. Ora, alcuni fatti e precisi documenti confermano la data del 1879. Nei documenti da noi consultati abbiamo trovato il certificato originale di battesimo della Nostra, rilasciato il 31 maggio 1884 (da ciò, forse, l’equivoco?), che testualmente dichiara Anna Maria Carolina ‘fija legitima de Julian Alberti y Teofila Ferretti’, essere stata battezzata il 19 gennaio 1880, e nata il 23 dicembre ‘del pasado ano’ (1879). Questa data fu sempre confermata dalla sorella maggiore di Maria […]”7. In base a tale ricostruzione fatta a partire da documenti originali, Peretti ritiene che la famiglia Alberti fosse tornata in patria nel 1883 e che Maria avesse, successivamente, frequentato le scuole elementari presso Bedigliora di Malcantone, paese di origine dei suoi cari. Terminate le elementari, si iscrisse all’Istituto S. Caterina di Locarno8, dove conseguì, nel 1894, all’età di quindici anni, il diploma di maestra. Aldo Agazzi, invece, nella prefazione a La scuola serena di Agno, ricorda che la Boschetti Alberti “entrò nell’insegnamento ancora adolescente, di quattordici anni, essendo riuscita a farsi credere meno giovane, per la difficoltà di controllare l’atto di nascita sudamericano”9, fatto di per sé confutato dalle ricerche di Peretti. Il contesto storico-culturale in cui si formò la giovane Maria era caratterizzato dall’influenza esercitata dalle idee di Pestalozzi e del padre Girard, che a partire dagli anni ’90 dell’‘800 avevano inciso sulla Scuola Normale di Locarno, tanto da favorire la 4 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, La Scuola, Brescia 1953 F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, Le Stelle, Milano 1969, che rimanda a M. Peretti, Maria Boschetti Alberti, La Scuola, Brescia 1963 6 L. Arcangeli, voce Boschetti Alberti Maria, in Enciclopedia pedagogica, diretta da Mauro Laeng, La Scuola, Brescia 1989-2003, vol. I , pp. 1925-1929 7 Per ulteriori approfondimenti, cfr. M. Peretti, Maria Boschetti Alberti, La Scuola, Brescia 1963, pp. 1213, n. 11, in cui sono esposti ulteriori elementi a conferma della tesi che la maestra ticinese sia nata nel 1879. 8 Sulle vicende della Scuola Normale di Locarno, è utile fare riferimento ad alcune considerazioni espresse da Luca Saltini nel saggio intitolato La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», n. 6, 1999, pp. 247-278 9 A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, V ediz., I ristampa, La Scuola, Brescia 1960, p. 23 5 2 diffusione del metodo intuitivo nell’insegnamento di tutte le discipline, non solo della lingua. Importante fu, in questo senso, l’opera esercitata dal teologo Luigi Imperatori, divenuto direttore della sezione maschile della Normale di Locarno e fautore di un movimento di riforma che coinvolse diverse personalità della cultura ticinese. Benché la Boschetti Alberti avesse frequentato l’Istituto privato S. Caterina, diretto da religiose, è probabile, a dire di Luca Saltini, che anche in quella sede, per l’autorevolezza morale e pedagogica del teologo Imperatori, fossero pervenute le innovazioni da lui favorite. Per questo motivo, “Maria Boschetti Alberti può […] essere ascritta al gruppo di giovani maestri formatisi secondo la moderna impostazione introdotta da Luigi Imperatori”10. Gli studi magistrali, all’epoca, duravano ancora tre anni, che divennero quattro solo dal 1903, quando si ebbe l’istituzionalizzazione dell’impostazione di tipo scientificoherbartiano, che soppiantò quella ispirata a Pestalozzi e a Girard, producendo nuovi programmi per la Scuola Normale. Ottenuto il diploma magistrale, legalmente riconosciuto, Maria Boschetti Alberti intraprese un periodo di tirocinio nelle scuole comuni di alcuni paesi del Malcantone, come Monteggio, Neggio, Bioggio, fino a che nel 1910 giunse a Muzzano, dove la Municipalità la confermò in maniera definitiva maestra il 1° ottobre 1917. In quegli anni, ella si vedeva come una maestra “superficiale”, “svogliata”, che non amava i suoi alunni (tra lei e loro c’era un “muro di ghiaccio”) e che esercitava l’insegnamento solo per la retribuzione mensile. Nonostante questa sua condizione, era stimolata a cercare un continuo miglioramento della propria pratica educativa e didattica, per un profondo senso di insoddisfazione nei confronti del proprio operato. Per comprendere alcuni degli intenti ideali che ispirarono Maria Boschetti Alberti, vale la pena fare riferimento alle osservazioni di Franco V. Lombardi11 sulla sua prima formazione nell’ambiente familiare in Canton Ticino. Secondo Lombardi, ella dimostrò fierezza nell’essere figlia del popolo, contribuendo, con la propria opera di insegnamento, alla sua elevazione e al suo miglior bene. “I bambini del popolo ci portano l’anima del popolo – così scriveva la maestra nel 1924 – e c’è sempre qualcosa di grande nell’anima del popolo, grande nel bene come nel male: ma è un’anima”12. Queste affermazioni ricalcano quanto espresso da Giuseppe Lombardo Radice in Come si uccidono le anime13, dove la cultura del popolo rappresenta, a suo dire, il frutto di un’elaborazione spontanea ed originale, che la scuola deve rispettare e non soppiantare con una cultura “meccanica” e popolarizzata, in quanto “data al popolo” ma non appartenente al popolo. A queste considerazioni, il pedagogista siciliano aggiunge che “non ultimo a contribuire al danno dell’educazione è il pedagogismo, che si potrebbe dire il pregiudizio pedagogico, pel quale tutto si pretende ottenere entro le pareti della scuola e tutta l’attività del maestro e dell’alunno viene esclusa dal contatto della vita”14. Del resto, l’educazione popolare era ritenuta un aspetto peculiare della mission dell’insegnante elementare nell’Italia del primo Novecento, come testimoniato da alcuni testi recenti di storia della pedagogia15. Si legge, infatti, che “espressione del popolo 10 L. Saltini, Maria Boschetti Alberti e il mondo culturale ticinese, in «Quaderni del Bollettino Storico della Svizzera Italiana», 1, Salvioni, Bellinzona 2004, p. 28 11 F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit. 12 M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, La Scuola, Brescia 1959, p. 57 13 G. Lombardo Radice, Come si uccidono le anime, Francesco Battiato Editore, Catania 1915 14 Ivi, p. 79 15 C. Ghizzoni, Cultura magistrale nella Lombardia del primo Novecento: il contributo di Maria Magnocavallo (1869-1956), La Scuola, Brescia 2005; M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, educazione popolare e società in Scuola italiana moderna, 1893-1993, La Scuola, Brescia 1997 3 stesso, dal quale proveniva e al quale dedicava la sua opera di educatore, l’insegnante elementare [...] si identificava sostanzialmente con esso, ne era sotto certi aspetti l’intellettuale organico e, come tale, il naturale artefice della sua elevazione culturale e civile [...]”16. La dedizione di Maria Boschetti Alberti alla causa popolare era, almeno all’inizio della sua carriera, nascosta dietro lo stereotipo della maestra diligente, tradizionale nel metodo, senza alcuna ansia di innovazione e distaccata dai suoi allievi, uno stereotipo che ella era convinta di incarnare. “La sua scuola, il suo insegnamento, in questo primo periodo, si uniformavano all’uso corrente: autoritarismo, verbalismo, intellettualismo, mancanza di ogni cura nei riguardi degli interessi e delle esperienze degli scolari, che anzi quasi quasi le apparivano come nemici”17. Queste affermazioni di Lombardi trovano riscontro in quanto scritto da Maria Boschetti Alberti: “In quei tempi – fino al 1916 – non avevo amore per i miei scolari. Eravamo anzi nemici. Io, da una parte, sulla cattedra, ritta, severa come una divinità antica: loro, dall’altra, separati da me da un muro di ghiaccio. Non potendo amare i miei alunni, non amavo neanche la scuola”18. Ad accendere il suo interesse per le “scuole nuove” non contribuirono, a dire di Agazzi, né letture informative né studi da biblioteca, ma ella vi “[…] giunse, sia pure favorita e guidata dall’atmosfera diffusa dai motivi dell’éducation nouvelle, per riflessione e per soluzione di problemi suscitati al suo animo dall’esperienza propria”19. Una delle fonti di ispirazione di questi suoi pensieri furono le osservazioni “sarcastiche” e “piene di consenso” di un suo zio, il geometra Pep: “Questi ragazzi si alzano tutti come burattini ai quali si tiri lo spago dietro: belano tutti il medesimo saluto; hanno precisamente facce tutte eguali, sguardi senza espressioni, viso di vetro”20. Egli, pur non essendo un educatore di professione, aveva inteso che la scuola comune era basata sull’omologazione del bambino e su un contenutismo verbalistico fine a se stesso, che 16 R. Sani, «Scuola Italiana Moderna» e il problema dell’educazione popolare negli anni del secondo dopoguerra. 1945-1962, in M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, educazione popolare e società in Scuola italiana moderna, 1893-1993, cit., p. 277 17 F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit., p. 10 18 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, La Scuola, Brescia 1951, p. 26. 19 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104. Considerazioni simili vennero espresse dallo stesso Agazzi nel saggio da lui dedicato alla morte della maestra ticinese: Maria Boschetti Alberti: la scuola serena al bivio, in «Supplemento pedagogico a Scuola Italiana Moderna», n. 2, serie XII, a. 19501951, pp. 152-166 20 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit. (nell’edizione de “I meridiani dell’educazione”, curata da A. Agazzi). La prima edizione italiana, del 1939, si apriva con la prefazione di Vittorino Chizzolini, che contribuì, dopo Giuseppe Lombardo Radice, alla diffusione nel nostro Paese dei testi e delle relazioni originali della maestra ticinese, fatti pubblicare sul «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana Moderna». Si vedano, in particolare, in «Scuola Italiana Moderna», Il metodo di Muzzano, n. 10, dic. 1924. In «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana Moderna», si vedano i seguenti articoli: Verso la «scuola serena», n. 4, 1934; Disciplina spontanea, n. 5, 1935; Come nacque la «scuola serena» di Agno, n. 1, 1936; Dono di sé nell’educazione, n. 3, 1936; Ricordi della «Scuola di Agno», n. 4, 1937, nn. 1-2 e 3, 1938; Lettere di una maestra alle madri degli scolari, n. 5, 1938; Lettere alle mamme degli scolari, n. 4, 1939 Il diario di Muzzano è costituito da tre parti: un’introduzione prologo, intitolato Le campane di Vineta, in cui si raccontano le motivazioni che spinsero Maria Boschetti Alberti a sperimentare un nuovo metodo; una seconda parte, sottoforma di diario, che riguarda il periodo dal 18 ottobre 1919 all’8 maggio 1920, in cui i protagonisti sono i bambini delle classi I e II; una terza parte, costituita da una pagina di chiusura, riflessione e promessa, scritta all’atto di licenziare il testo per la prima edizione del 1939. 4 aumentavano il distacco operato tra la vita dei ragazzi a scuola e la loro vita fuori dalla scuola21. Tutte queste sollecitazioni spinsero la Boschetti Alberti a riflettere sulla sua condizione di insegnante e sul senso profondo del suo agire; in quei momenti, era solita rivivere il dolore e la disillusione provati il primo giorno di scuola, “a quattro o cinque anni, in una grande città dell’America del Sud”, come raccontato dalla stessa maestra in un suo articolo comparso nel «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana Moderna»22. Di quel giorno, ricordava l’ambiente austero, la cattedra enorme, la maestra severa, che spiegava con il braccio alzato e che, ad un certo punto, ruppe il nodo di una collana di perline che Maria aveva appena finito di assemblare, per fargliela rifare. Queste immagini la aiutarono, in anni successivi, ad evocare l’atmosfera della scuola tradizionale dell’epoca, centrata sulla disciplina e sulla figura del maestro, ove tutto era improntato ad un direttivismo fine a se stesso. Ella sentiva sempre più vivo il desiderio di cambiare qualcosa nel suo modo di agire per combattere questo habitus professionale, che, del resto, ammetteva di essere anche suo, perciò decise di andare a conoscere altre esperienze didattiche, intraprendendo un “viaggio pedagogico in Italia”. Dato che suo padre non appoggiò questo suo intento e non le concesse alcun finanziamento, decise di rivolgersi alla Società Demopedeutica23, diretta dal prof. Tamburini, per ottenere il sussidio che era stato messo a disposizione per un insegnante intenzionato ad andare all’estero a studiare i nuovi metodi didattici per alunni “deficienti”. Sempre per quel motivo, si rivolse al curato di Curio, don Ferregutti, per farsi accordare un prestito, e chiese al Dipartimento Educazione del Canton Ticino alcune lettere di presentazione. Il proposito che la spinse a compiere il viaggio, in piena prima guerra mondiale, fu così espresso: «studierò per gli anormali; ma nel medesimo tempo visiterò molte scuole di normali e forse troverò la soluzione del problema che mi preoccupa»”24. Era il 1916: la prima tappa del viaggio la portò a Milano, dove visitò la scuola per anormali “Zaccaria Treves”, diretta dallo psicologo Albertini, poi si spostò lungo la penisola, per giungere a Roma, dove si recò presso l’istituto retto da Sante De Sanctis. Di fronte agli alunni cosiddetti “anormali”, ella ammise di non provare interesse, ma solo pietà e commiserazione: “m’interessò invece altra cosa. In parecchie scuole avevo sentito parlare del metodo Montessori: e dappertutto avevo notato che medici e direttori ne dicevano bene; le maestre no. Appena sentivano nominare il metodo Montessori, ecco subito una grande esplosione di argomenti pedagogici, con i quali intendevano soffocarlo fin dai suoi inizi”25. Del resto, anche in Canton Ticino aveva ricevuto informazioni controverse in merito al metodo della dottoressa italiana: “sapevo solo vagamente che la Signorina Bontempi, ispettrice degli asili ticinesi, andava sostituendo 21 Prefazione di A. Agazzi a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit. M. Boschetti Alberti, Nella scuola serena di Agno, in «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana Moderna», n. 1, ottobre 1933. Tale frammento è riportato anche da A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 6 23 La Società ticinese degli amici dell’educazione popolare, detta in breve Società Demopedeutica, fu fondata nel 1837 da Stefano Franscini, esponente del partito liberale radicale ticinese e uno dei massimi fautori del moderno sistema educativo del Canton Ticino. La Società Demopedeutica promosse diverse attività, fra cui sussidi per la formazione degli insegnanti, attribuzione di libri-premio, esami di nuovi libri di testo, indagini statistiche, nonché la pubblicazione, dal 1855, del bollettino «L’Educatore della Svizzera Italiana». 24 F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit., p. 14 25 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 29 22 5 al fröebelismo il metodo Montessori, ma non avevo la più lontana idea della esistenza di scuole montessoriane. Lo seppi alla Ghisolfa, dove la Signora Pizzigoni, mi parlò tanto male di questa scuola da invogliarmene a vederla”26. Decise perciò di visitare, a Milano, la scuola della “Umanitaria”, retta secondo il metodo montessoriano. La società “Umanitaria”27 era stata fondata come ente morale con un Regio Decreto datato 29 giugno 1893; lo scopo principale di tale istituzione consisteva nel “mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, proclamando loro appoggio, lavoro, istruzione”28. L’“Umanitaria” fu gestita, fino al suo scioglimento decretato dai fascisti nel 1924, da un “blocchetto radico-riformista-massonico” che, secondo le ricostruzioni di Fabio Pruneri, l’aveva condotta, “[…] su una linea di apoliticità, ad affrontare importanti questioni nell’ambito dell’assistenza, della preparazione professionale delle maestranze, dell’educazione dei ceti popolari”29. Nel 1916, al tempo della visita della Boschetti Alberti, era segretario generale della società Umanitaria Augusto Osimo, sostenitore del cosiddetto “partito della scuola”, perché chiedeva la piena applicazione dei dispositivi contenuti nelle Leggi Orlando (1904) e Daneo-Credaro (1911), affinché fosse possibile garantire ai fanciulli e ai ragazzi tutti i vantaggi derivanti da una buona educazione. Era sua convinzione che “la rigenerazione fisica e morale dei giovani figli del popolo sarebbe avvenuta tramite l’istituzione di servizi aggiuntivi a quelli scolastici, come gli asili, i doposcuola, i patronati scolastici e i ricreatori”30. Tali intenzioni trovarono possibilità di realizzazione grazie ai legami fra l’Umanitaria e l’Unione Femminile31; quest’ultima sosteneva la diffusione del metodo Montessori e fece da trait d’union per l’attuazione dell’esperimento della Casa dei bambini presso i quartieri operai di Milano. A Milano vennero inaugurate due Case dei Bambini, una in via Solari il 18 ottobre 1908 e una seconda presso gli edifici alle Rottole, il 21 novembre 1909. Nella sede centrale dell’Umanitaria, in via S. Barnaba, fu istituito nel 1914 un Corso di tirocinio all’educazione infantile32, di preparazione al metodo montessoriano, che ebbe un forte richiamo anche internazionale. Esso venne organizzato dalla Montessori insieme a poche e fidate allieve, come Anna Fedeli, che aveva frequentato i suoi corsi di Antropologia all’Università La Sapienza di Roma e che si occupò, negli anni successivi, della Casa dei bambini presso la sede in via Rottole. 26 M. Boschetti Alberti, Il metodo Montessori nella scuola, in «Risveglio», Rivista mensile della federazione dei Maestri Ticinesi di Lugano, n. 13, 1921 27 F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», n. 11, 2004, pp. 133-151 28 Cfr. l’art. 2 dello Statuto dell’Umanitaria, 1893 29 F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, cit., p. 151 30 F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, cit., p. 146 31 “[…] nel 1899, Ersilia Maino aveva fondato l’Unione Femminile, allo scopo di promuovere indagini, interventi, iniziative, tra cui una Scuola per le madri che coinvolse numerose maestre per poter raggiungere un maggior numero di utenti”. (T. Pironi, Le cure educative nella scuola di Mompiano (Agazzi) e nelle Case dei bambini di Roma e di Milano in età giolittiana, in «Ricerche di pedagogia e Didattica», webzine internazionale dell’Università di Bologna, 2, 2007, p. 4). Si veda anche: Resoconto dell’Opera dell’Unione Femminile, anno 1902-1903, Tip. Ramperti, Milano 1903, p. 8 32 A tale corso si accedeva con la licenza liceale o altro diploma, durava 7 mesi e prevedeva un tirocinio. Tra i docenti vanno ricordati Maria Montessori, che insegnava Pedagogia insieme ad Anna Fedeli, mentre Giulio Cesare Ferrari si occupò di Psicologia infantile. Per approfondimenti si veda: AA. VV., L’Umanitaria e la sua storia, Cooperativa grafica degli operai, Milano 1922, pp. 261-262 e T. Pironi, Le cure educative nella scuola di Mompiano (Agazzi) e nelle Case dei bambini di Roma e di Milano in età giolittiana, cit., p. 12 6 I primi pensieri della maestra ticinese, alla vista di quanto accadeva in quell’istituzione, furono: “Ecco la vera scuola. I ragazzi amano fare i loro lavori con lentezza, in pace: c’è in loro qualche cosa che ripugna alla fretta, alla voce aspra che rimprovera, all’incessante stimolo. I ragazzi amano le facce sorridenti, i discorsi calmi. Qui tutto procede secondo l’ordine naturale. Questi sono i ‘veri’ ragazzi, i fiori del mondo”33. Durante il suo soggiorno, ella ebbe modo di incontrare Anna Fedeli34, che la introdusse al “grande segreto dell’educazione”, riassumibile nella formula: “saper osservare35 e tacere”, secondo quell’attitudine allo studio dei fenomeni osservati, che, per Maria Montessori, rappresenta una delle qualità fondamentali dello scienziato così come dell’insegnante. Le consapevolezze maturate nel corso del viaggio in Italia furono supportate da un successivo approfondimento teorico, testimoniato anche da una serie di articoli pubblicati sulla rivista pedagogica «Risveglio», legata alla cattolica Federazione Docenti Ticinesi. Maria Boschetti Alberti ebbe così occasione di riesaminare tutta la sua precedente esperienza di insegnante e di intraprendere una svolta decisiva nella sua pratica educativa e didattica, che l’avrebbe condotta, dapprima, all’esperimento di Muzzano e poi, dal 1925, alla “scuola serena” di Agno. Un’applicazione “personalizzata” del metodo Montessori. La prima esperienza didattica di “scuola nuova”36 approntata da Maria Boschetti Alberti fu resa possibile grazie all’adozione del metodo montessoriano con alunni dai 6 agli 8 anni, nella scuola elementare di Muzzano. Tale esperimento iniziò di ritorno dal suo viaggio in Italia nel 1917 e si concluse nel 1924, quando la maestra fu “indotta” a cambiare sede scolastica. Fin da subito, secondo Agazzi, l’esperienza di Muzzano non si presentò come un mero esercizio dilettantistico, ma assunse i caratteri di una vera e propria iniziativa pedagogica37, poiché la Boschetti Alberti stessa si definiva “non più la maestra che seguiva una via nuova per dilettantismo: ero una maestra interessata ad un’esperienza didattica”38. Ella ebbe cura di appuntare, con rigore documentario, sistematico ed “aromantico” tutti i cambiamenti intercorsi nella sua scolaresca. In particolare, il suo successo, secondo Aldo Agazzi, va rintracciato nella sua “opera solerte, attenta, comparatrice”, alla ricerca dei “motivi di oggi nei processi di ieri, per farsene luce per 33 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 31 Anna Fedeli lasciò il suo posto di direttrice della Scuola Normale di Foligno per seguire il lavoro di Maria Montessori, come ricordato da quest’ultima nella prefazione al suo volume L’autoeducazione nella scuola elementare, in cui la ringraziava espressamente per il contributo elargito alla sua opera educativa. 35 “Il maestro deve saper cercare il vero nell’anima del bambino, ma egli, al pari dello scienziato, deve iniziare dalle vie dell’umiltà, della rinuncia di sé, della pazienza. In questo modo, egli potrà rivestirsi dello spirito di scienziato e potrà dire ai popoli “io sono più che profeta, io sono colui che grida nel deserto: raddrizzate le vie del Signore”. (M. Montessori, L’autoeducazione nella scuola elementare, Garzanti, Milano 1992, p. 119). “La vita psichica del bambino va osservata al modo stesso con cui Fabre osservò gli insetti, studiandoli nel loro ambiente di vita normale, per ritrarli dal vivo e rimanendo nascosto, per non turbarli” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, XV ediz., Garzanti, Milano 1981, p. 65). 36 Aldo Agazzi ha definito la scuola di Muzzano come “[…] la prima esperienza del «metodo della scuola serena»: accanto al fanciullo, studiando il fanciullo, vivendo col fanciullo” (Id, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 105). 37 A. Agazzi, Maria Boschetti Alberti: la scuola serena al bivio, cit., pp. 164-165 38 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 42 34 7 l’opera di domani, scrupolosamente e faticosamente annotati e seguiti, per ciascun alunno, giorno dopo giorno”39. Si potrebbe sostenere, facendo alcune considerazioni retrospettive, che la maestra ticinese metteva in campo una “riflessione nel corso dell’azione” e una “riflessione a posteriori”, oggi considerate strumenti indispensabili per la formazione del “professionista riflessivo”40. A questo si aggiunga il fatto che la Boschetti Alberti dedicò attenzione anche alla sua formazione in servizio, perché all’osservazione e alla documentazione del proprio agire faceva seguire una riflessione teorica sulla scorta di autori e testi che aveva modo di leggere ed approfondire tra le mura domestiche. Fin dal primo giorno di scuola, ella volle sistemare le “piccole faccende scolastiche”, applicando i consigli di Anna Fedeli: i primi dieci minuti di ogni lezione vennero dedicati al cosiddetto “ordine” dei propri posti e del proprio materiale scolastico, cui seguiva la “conversazione” fra la maestra e gli alunni, che le confidavano i loro desideri e problemi. Il programma della sua giornata era scandito da due esigenze: ordine e libertà, dove “[…] la libertà […] è rispetto ai diritti dell’individuo, e l’ordine […] è rispetto ai diritti della comunità”41. Inoltre, venne messo a disposizione degli allievi un “rustico materiale molto incompleto e frammentario” da lei stessa costruito su modello di quello montessoriano. Si trattava di “[…] cartoni e figure geometriche varie da ‘incastrare’ al loro posto, e lettere dell’alfabeto, e cifre in carta smerigliata da cui i bambini avrebbero imparato la forma, passandovi su il dito […]”42. Un’altra novità fu l’utilizzo di un quaderno “di classe”, su cui i bambini potevano scrivere un “pensiero personale, vero e, possibilmente bello”43. Le aspettative della maestra riguardo a quest’ultima iniziativa furono inizialmente smentite, perché si avvicinò al quaderno per prima un’allieva che scrisse una frase volgare e grossolana rivolta ad un suo compagno, seguita poi a ruota da altri bambini. L’insegnante ticinese si sentì scoraggiata dal proseguire sulla “strada della libertà”, ma ben presto, riflettendo a posteriori su quell’episodio, si rese conto che mancava ancora qualcosa all’applicazione del metodo Montessori. Infatti, affinché questo potesse essere efficace, occorreva, innanzitutto, che la maestra e i suoi allievi fossero ‘ordinati’ e liberi. Fino a che i ragazzi (e anche la maestra) non si fossero abituati all’ordine, essi non avrebbero saputo utilizzare la loro libertà nel miglior modo possibile; a questo scopo contribuì l’esercizio del silenzio in aula e il parlare con voce afona44, descritti dalla Montessori ne Il segreto dell’infanzia. 39 A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 12 Per approfondimenti, si veda: D. A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale [1983], tr. it., Dedalo, Bari 1993. Più recentemente, considerazioni simili sono state espresse in: G. Sandrone Boscarino, Personalizzare l’educazione. Ritrosia e necessità di un cambiamento, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008, p. 130. 41 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, op. cit., p. 33. 42 Ibidem 43 Ibidem 44 E’ interessante fare il confronto fra Maria Montessori e Maria Boschetti Alberti a proposito dell’esercizio del silenzio: “Nessuno faceva il più impercettibile movimento. Di lì venne il desiderio di risentire quel silenzio e perciò di produrlo. I bambini vi si prestavano tutti […] quella era […] la manifestazione di una corrispondenza che veniva da un desiderio profondo. Concordemente i bambini si mettevano immobili, controllando persino il respiro, e rimanevano così, con l’aspetto sereno e intento di chi fa una meditazione. […] Nacque in questo modo il nostro esercizio del silenzio. Un giorno sorse in me l’idea di approfittare del silenzio per fare delle prove sulla acutezza uditiva dei bambini: e così pensai di chiamarli per nome con voce afona, ad una certa distanza. Chi si sentiva chiamare doveva venirmi vicino procurando di camminare senza fare rumore” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 168). 40 8 A dire di Aldo Agazzi, fu grazie a queste considerazioni critiche che alla Boschetti Alberti fu possibile liberare il principio della “libertà di attività che ordina l’individuo e forma la persona […]”45 dalla “contraddittoria imposizione di un materiale predeterminato, pervenendo alla personale scoperta dei “periodi sensitivi”46 di cui la Montessori stessa doveva, anche su altrui ispirazione, arricchire la sua dottrina: innanzi tutto nessun materiale specifico […] e, in secondo luogo, nessuna previsione possibile di interessi e del loro decorso […]”47. La Boschetti Alberti aveva di fatto constatato che il materiale strutturato non destava tanto l’interesse dei suoi ragazzi di Muzzano, quanto la loro curiosità, che spariva nel giro di pochi giorni. Ne è a dimostrazione l’episodio di una ragazzina che si “ordinò” facendo a meno del materiale strutturato, ma utilizzando come oggetto della sua azione ordinatrice altri elementi di uso comune presenti nell’aula. A partire da questa constatazione, Maria Boschetti Alberti affermò che “quello che la Montessori dice, cioè che un bambino, ripetendo molte volte un esercizio, si ‘ordina’, cioè ‘concentra la sua attenzione’, è un fatto vero. Io lo constatai quei primi giorni su queste due ragazzine, e poi sempre in seguito […].”48 A tal proposito, va ricordato che l’esercizio ripetuto è considerato da Maria Montessori come un “fatto di concentrazione”, dove l’io si sottrae a tutti gli stimoli esterni. Tale concentrazione dell’io è accompagnata da un movimento ritmico della mano, attorno ad un oggetto esatto, graduato scientificamente; questi fatti si verificano ripetutamente e, ogni volta, i bambini ne escono riposati, pieni di vita, “con l’aspetto di chi ha provato una grande gioia”49. Inoltre, la studiosa italiana ha osservato che “[…] la ripetizione dell’esercizio può condurre chiunque a un’educazione esteriore degli atti, così fine, che sarebbe impossibile ottenerla con un insegnamento esterno”50 La messa in pratica di quanto suggerito dalla Montessori spinse Maria Boschetti Alberti ad esprimere le seguenti considerazioni: “[…] La Montessori pare credere che ‘solo’ col suo materiale l’attenzione possa concentrarsi. La bambina alla quale io accennai concentrò invece la sua attenzione spolverando e scopando; ne vidi poi altri ‘ordinarsi’ nelle più strane maniere. Quell’attenzione, dapprima localizzata sopra un sol punto, diventa poi generale, e il bambino s’interessa a tutto”51. Tali affermazioni sono state interpretate da Aldo Agazzi come il punto di svolta, che ha consentito alla Boschetti Alberti di cogliere, seppur gradualmente, “l’insufficienza maggiore della teoria di Maria Montessori”, ovvero che il bambino non sarebbe semplicemente un germe, ma un germe “umano” con una natura propria e specifica. Egli non cresce come una pianta, ma seguendo i ritmi, i processi e le problematicità propri dell’essere umano, secondo una concezione antropologica che contrasta la concezione naturalistica dello sviluppo umano sottesa al metodo Montessori52. In questo senso, la maestra ticinese avrebbe colto, a dire di Agazzi, “la più ardua delle prove da superare, intrinseche al “Ebbene, presi una subita decisione: fare la cosa più importante per il momento, cioè insegnare ai bambini a parlare a voce afona, a muoversi delicatamente e senza rumore. Quando finalmente avessi ottenuto una atmosfera di calma e di serenità, allora avrei messo ordine nel susseguirsi dei lavori scolastici” (M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 42). 45 A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 8 46 M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 51 47 A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., p. 8 48 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 41. 49 Cfr. M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, op. cit., parte I cap. XIX, pp. 157-159 50 Ivi, p. 169 51 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 41 52 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 266-271 9 montessorismo: la conciliazione del motivo della spontaneità con il determinismo imposto dal materiale e dall’ispirazione «scientifica» da cui il metodo si è espresso, e dal rigorismo con cui la scuola e l’educatrice montessoriane devono farne uso […]”53. Dando un breve sguardo ad alcuni scritti di Maria Montessori, è possibile verificare la presenza di vari elementi di “criticità”, rispetto a quanto sostenuto dalla Boschetti Alberti nel suo rilievo alla Montessori, suffragato da Aldo Agazzi. Ne Il segreto dell’infanzia, la Montessori parla di “embrione spirituale”, differenziandolo dall’embrione in senso naturalistico: “il bambino che si incarna è un embrione spirituale che deve vivere a spese dell’ambiente, ma come l’embrione fisico ha bisogno di un ambiente speciale quale è il seno materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento: dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare” 54. Inoltre, anche la studiosa italiana ha rilevato che la concentrazione dell’attenzione avviene già in bambini piccoli su oggetti di uso quotidiano, per un loro bisogno di ordine nell’ambiente esterno. In particolare, viene ricordato come “un bambino di due anni, terminato il lavoro quotidiano della scuola, si preoccupava di rimettere a posto tutte le sedie, allineandole lungo la parete. Durante il lavoro egli sembrava riflettere. Un giorno, mentre rimetteva a posto una sedia grande, si arrestò con aspetto indeciso e tornò indietro per disporre la sedia in modo leggermente obliquo; cotesta infatti era la sua vera posizione […]”55. In una qualsiasi giornata di lavoro in classe, è possibile osservare come “i bambini entrano in contatto con la realtà; la loro occupazione ha un particolare scopo, come spolverare un tavolo, togliere una macchia, andare all’armadio a prendervi un pezzo del materiale ed usarlo correttamente, e così via”56. In questo modo, gli esercizi di vita pratica consentono al bambino di imparare a concentrare l’attenzione su qualcosa e, solo in un momento successivo, si rivelerebbe necessaria l’introduzione di materiale strutturato per lo sviluppo sensoriale e culturale. Sulla base di queste affermazioni montessoriane, si potrebbe ipotizzare che i rilievi critici di Maria Boschetti Alberti fossero una forma di reazione al venir meno del suo “innamoramento” iniziale per il “metodo italiano”, che le aveva indicato la strada del superamento dell’autoritarismo dell’insegnante e dell’abolizione di un sistema di castighi per tener buoni i fanciulli. Questa ammirazione aveva lasciato il passo alla ricerca di una nuova pratica educativa, grazie alla quale la Boschetti Alberti ebbe occasione di rivedere le proprie idee iniziali e di impegnarsi in un nuovo modo di fare scuola, del tutto personale. In altre parole, ella avrebbe riconosciuto che l’individualizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento, con l’ausilio di materiale di sviluppo e di autocorrezione, nonché di un procedimento rigoroso e scientifico, non era di per sé sufficiente per favorire la piena realizzazione della natura di ciascun fanciullo. Occorreva qualcosa di più, ovvero un agire educativo improntato a quel modus operandi definito “personalizzazione dei processi di insegnamentoapprendimento”, che sperimentò all’epoca con una classe di “contadinelli scalzi”57. 53 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 270 M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., parte I cap. VI, p. 47; si veda anche Id., La mente del bambino, cit., cap. VII 55 M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, al cap. 8 – L’ordine (pp. 67-80). L’episodio citato è narrato a p. 72 56 M. Montessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1999, p. 268 57 L’espressione “contadinelli scalzi” è ripresa dall’articolo di G. Lombardo Radice, scritto in ricordo della sua visita alla scuola di Muzzano, e intitolato Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni, in «L’Educazione Nazionale», a. VI, dic. 1924, pp. 9-25. Questo stesso saggio fu inserito, con qualche 54 10 Nel corso di quel cammino volto all’innovazione, le difficoltà non mancarono, tanto che già nel primo anno di applicazione del suo nuovo metodo la Boschetti Alberti dovette constatare il fallimento della maggior parte dei suoi studenti agli esami finali. Tale risultato non la spinse a desistere dai suoi propositi, poiché furono i bambini stessi a convincerla a non tornare alla “vecchia maniera” di fare scuola. Per questo motivo, la Boschetti Alberti apportò una sistemazione definitiva al suo metodo, trovando posto anche per il controllo, come momento per saggiare a che punto si trovasse la preparazione dei ragazzi in ordine ai programmi ufficiali. In questo modo, si discostò del tutto da un’interpretazione “ortodossa” del metodo Montessori o, addirittura, “di maniera”, come denunciato da Lombardo Radice a proposito del “montessorismo”58. Significativo è questo stralcio riportato da Aldo Agazzi in Panorama della pedagogia d’oggi: “La Signora Boschetti Alberti, la geniale discepola della Montessori: così, nel libro La scuola attiva, la definiva Adolphe Ferrière, sulla falsariga d’un’interpretazione banale contro la quale protestava infastidita essa medesima, definendo ‘scuola serena’ la propria esperienza educativa. Mi capita spesso di sentire espressioni come questa: il suo metodo Montessori; ma a quel ‘metodo Montessori’ ella aveva apportato subito sostanziali revisioni (prescindere dal materiale: piena e sociale attività dello scolaro in spirito di libertà autentica), tanto che, tirando i conti, sono anni ed anni – diceva – che io non faccio più il metodo Montessori per il solo motivo che, da anni parecchi, io faccio scuola serena”59. Questo suo metodo personale era scaturito dallo stupore provato ogniqualvolta le capitava di vedere quelli che lei definiva “miracoli”, ovvero cambiamenti intercorsi in bambini, spesso vivaci o con difficoltà di apprendimento, che imparavano a polarizzare l’attenzione su un oggetto qualsiasi che destava il loro interesse profondo, aiutandoli così a darsi un “ordine interno”60. A questi risultati “Maria Boschetti Alberti […] pervenne per riflessione e per soluzione di problemi suscitati al suo animo dall’esperienza propria”61. L’esperimento di Muzzano si concluse inaspettatamente nel 1924, perché la maestra fu indotta a trasferirsi in altra sede, inizialmente individuata in Gravesano, per poi venire assegnata, l’anno successivo, alla municipalità di Agno. Perché la Boschetti decise di interrompere l’esperienza di Muzzano, nonostante i risultati e il sostegno da parte di pedagogisti di livello internazionale, come Ferrière e Lombardo Radice? Lo fece modifica, in: Id, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, Il Marzocco editore, Firenze 1931, pp. 223-246. In questa sua seconda versione è riportato anche in: Il dono di sé nell’educazione, La Scuola, Brescia 1959, pp. 137-159. 58 G. Lombardo Radice, La nuova edizione del «Metodo della pedagogia scientifica» di Maria Montessori, (estratto da «L’Educazione Nazionale», fasc. 7, Luglio 1926), Tipografia Editrice Laziale A. Marchesi, Roma 1926. In questo contributo, il pedagogista siciliano definì il “montessorismo” come un “[…] dommatismo scientifico, che sopravvalutando l’indirizzo montessoriano, lo isola e gli toglie valore. Anche se tale dommatismo sia rappresentato dalla stessa autrice del metodo.” (G. Lombardo Radice, La nuova edizione del «Metodo della pedagogia scientifica» di Maria Montessori, cit., p. 2, n. 2.). 59 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 266-271. Le parole riportate dalla Boschetti Alberti sono state scritte dalla stessa nel saggio Libertà educativa, pp. 74-75, contenuto in M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit. 60 “La sensibilità all’ordine esiste contemporaneamente nel bambino sotto due aspetti: quello esteriore, che riguarda i rapporti tra le parti dell’ambiente, e quello interno, che dà il senso delle parti del corpo che agiscono nei movimenti e nelle loro posizioni: ciò che si potrebbe chiamare orientamento interno” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 76). 61 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104 11 volontariamente o fu in qualche modo indotta a compiere questo passo? Alcune delle motivazioni che la spinsero a questa scelta sono da ritrovare nel “groviglio di incomprensioni e risentimenti” che si era venuto a creare intorno alla maestra, e che si aggravò “[…] nel 1923, quando l’innovatrice allargò la sua influenza nella scuola del paese. In quell’anno, infatti, il maestro Carlo Gaggini aveva lasciato la direzione dell’istituto, la quale era perciò passata, per anzianità di servizio e per accogliere la richiesta dipartimentale, a Maria Boschetti Alberti. […] La scuola dovette assumere un indirizzo giudicato troppo rivoluzionario o comunque non del tutto condiviso dalle autorità comunali e dalle famiglie, le quali vollero far valere il loro punto di vista” 62. Nel 1924, la delegazione scolastica, su richiesta di alcuni genitori, fece un’indagine per verificare l’adempimento delle funzioni di insegnamento, da parte della Boschetti Alberti e della sua collega Donada. Il 12 maggio dello stesso anno, l’autorità comunale convocò la maestra per comunicarle quanto redatto nel rapporto finale: in esso si sosteneva che “[…] le scuole del paese fossero ‘tenute in modo molto irregolare per quanto riguarda[va] l’orario, [il] cambiamento dei giorni di vacanza, [l’] assenza dei docenti e [la] relativa mancanza degli allievi’; in secondo luogo denunciava alcuni casi in cui l’innovatrice sarebbe venuta meno ai suoi doveri nei confronti degli alunni, dimenticando di correggerne i quaderni o non accertandosi della loro presenza in classe. In generale la delegazione scolastica sostenne di aver riscontrato ‘un rilevante disorientamento dei ragazzi’ e un ‘accentuato regresso della scuola’ […]”63. Secondo Luca Saltini, tale inchiesta presenta anomalie, perché, innanzitutto, è andata ad interessare un’insegnante con un’esperienza pluridecennale e presente in quella municipalità dal 1910. Inoltre, la maggior parte delle informazioni sono state raccolte esclusivamente all’esterno, interpellando tutte le famiglie di Muzzano. Quest’ultimo tipo di operazione ha contribuito, a dire di Saltini, a fomentare nei genitori dei ragazzi un certo sospetto nei confronti dell’opera educativa di Maria Boschetti Alberti. A questo va aggiunto il litigio della stessa Maria con la signorina Ruggia, membro della delegazione della municipalità, a cui negò, per un malinteso, la possibilità di venire a farle visita durante il suo lavoro d’aula. La Ruggia accusava la maestra “di non rispettare la legge e di nascondersi dietro la scusa di applicare il metodo Montessori per potersi prendere ogni libertà. Dopo quella visita indesiderata, la maestra scrisse una lettera al sindaco Masina, in cui affermò di averne ‘fino alla gola’ di questi atteggiamenti offensivi e delle accuse mosse senza chiarire neppure esattamente cosa le fosse contestato. Vista comunque la situazione, Maria Boschetti Alberti si riservava di comunicargli in seguito le proprie ‘decisioni’, sottintendendo la sua idea di lasciare Muzzano” 64. A conclusione di tale vicenda, Saltini afferma che “in quella diatriba Maria Boschetti Alberti era stata lasciata sola da chi avrebbe potuto intervenire e non volle farlo. Cattori si era interessato per un suo trasferimento alla Normale, ma non aveva voluto impicciarsi nelle faccende della Municipalità. Francesco Chiesa non si mosse e Giuseppe Lombardo-Radice glielo rinfacciò accusandolo di avere ‘ucciso’, insieme ad altri, ‘uno dei più interessanti esperimenti pedagogici’ dell’epoca” 65. 62 Cfr. L. Saltini, Maria Boschetti Alberti e il mondo culturale ticinese, cit., pp. 67-68 Ibidem 64 Ivi, pp. 70-71 65 Ivi, p. 71. Cfr. La lettera di G. Lombardo-Radice a F. Chiesa del 4 dicembre 1924, in S. Caratti, Giuseppe Lombardo-Radice e il Canton Ticino, in I. Picco, Militanti dell’ideale. Giuseppe LombardoRadice e Giuseppe Prezzolini. Lettere 1908-1938, Locarno 1992. 63 12 La scuola di Muzzano nelle lodi di Giuseppe Lombardo Radice. Giuseppe Lombardo Radice giunse, per la prima volta, in Canton Ticino nel dicembre 1923, su invito di Francesco Chiesa, poeta e direttore della Scuola ticinese di cultura italiana; nel corso del suo soggiorno, tenne quattro conferenze agli educatori ticinesi, dal titolo I principi fondamentali della nuova scuola. Secondo Luca Saltini, “dietro l’invito di Chiesa c’era sicuramente l’interesse degli ambienti magistrali ticinesi per una più approfondita conoscenza della riforma italiana”66, che fu varata proprio in quell’anno e che vide l’impegno del pedagogista siciliano nella redazione dei programmi per la nuova scuola elementare. Per Lombardo Radice, il “Ticino [andava considerato] fra i precorritori della riforma scolastica italiana del 1923”, sia per la sua “schietta italianità” sia per “i rapporti intimi della didattica ticinese con la pedagogia italiana”67. A quell’epoca, del resto, si stavano sempre più diffondendo i canoni dell’idealismo pedagogico, che contribuì, insieme alla promozione del pensiero di Dewey per opera del Ferriére, al definitivo superamento dell’impostazione positivistica ed herbartiana, già entrata in crisi negli anni a cavallo fra i due secoli. Fu durante quel ciclo di conferenze che Lombardo Radice ebbe l’opportunità di visitare alcune scuole ticinesi, fra cui quella di Muzzano, presso la quale conobbe l’operato di Maria Boschetti Alberti. Egli scrisse, in una lettera indirizzata a Teresa Bontempi, che la scuola della Boschetti era “una delle più grandi cose incontrate […] in scuole italiane”68; questa ammirazione lo spinse a seguirne l’andamento nel corso del tempo, rimanendo in contatto epistolare con la maestra. Muzzano, agli occhi del visitatore, non sembrava avere nulla della scuola eccezionale: era “[…] una casuccia rustica, di modestissimo aspetto; gli scolari, contadinelli scalzi, che non vi sanno parlare che delle loro case, e anche di quelle poco, perché sono timidi; un’aula silenziosa, dove ogni bambino attende a ciò che lo interessa con serietà di lavoratore”69. Al termine della sua visita, Lombardo Radice iniziò a considerare Muzzano non più solamente il nome di un paese, ma addirittura “una bandiera della riforma della scuola italiana”: questo giudizio era suffragato dal fatto che egli vedeva in quella scuola la realizzazione di alcune sue prospettive teoriche, in primis quelle presentate in Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale (1913). Innanzitutto, le scuole ticinesi erano cresciute, a suo dire, grazie alla spinta proveniente dal basso, cioè per l’impegno dei maestri. Essi erano “persone spesso semplici, nella maggior parte dei casi obbligate a lottare quotidianamente con l’indigenza e l’inadeguatezza degli strumenti didattici messi a disposizione, erano, ciononostante, riuscite a promuovere un’opera di grande rilievo educativo, facendo unicamente leva delle ricchezze delle proprie energie interiori, non diversamente da quanto auspicato 66 L. Saltini, La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 258 G. Lombardo Radice, Il problema dell’educazione infantile, SIT, Firenze, 1928, p. 222 Va notato che un buon numero di pagg. di Athena fanciulla è dedicato alle scuole ticinesi (cfr. L. Saltini, La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit.). 68 Cfr. La lettera di Lombardo-Radice a Teresa Bontempi del 23 novembre 1924, in Archivio Prezzolini, Fondo Boschetti Alberti, cartella Lombardo-Radice, citata da L. Saltini in La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 258, n. 65 69 G. Lombardo Radice, Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni nella scuola di Muzzano, in M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 155 67 13 dalla pedagogia idealista con la nota accezione del ‘maestro-artista”70. Quest’ultima espressione si riferisce ad una figura di insegnante che, lontano da ogni pedanteria, non si limita a “snocciolare nozioni”, ma è in grado di svelare ai fanciulli le loro aspirazioni profonde, “[…] innalzandoli con sapienza e avvedutezza, nel magico regno della coscienza matura. […] Il maestro poeta [è colui] che legge e commenta le grandi canzoni dei poeti, sottolineando, acuendo la sensibilità degli ascoltatori, svelando il significato che a prima vista è nascosto […]”71. In secondo luogo, la scuola di Muzzano poteva essere considerata come la maggiore espressione della “vita del bambino”, frutto dell’incontro di due spontaneità, quella della maestra e quella dei fanciulli. A questi primi commenti, Lombardo Radice aggiunse le lodi per l’insegnamento promosso da Maria Boschetti Alberti, che valorizzava il dialetto, la tradizione, la poesia popolare e i proverbi, quali fonti di espressione della spontaneità dei suoi alunni, come dimostrato da episodi narrati sia ne Il diario di Muzzano sia ne La scuola serena di Agno. “Ricordo la prima parola che ella scrisse, cioè, non una parola, una frase addirittura, appena conosciute le lettere: ‘lamiamammalafaifaci’. La lodai molto per questa sua prima espressione: ed ella scrisse subito la seconda: ‘miasombèla’”72. A giustificazione di questa valorizzazione dell’uso del dialetto, la maestra scrisse che “la scuola riproduce la vita del bambino, il suo ambiente, cioè scuola, casa e paese, in un sol tutto. E’ la vita che palpita nei lavori dei bambini”73. Tale principio fu poi posto alla base dell’Accademia del mattino, un’iniziativa peculiare della scuola serena di Agno, in cui gli alunni preadolescenti recitavano ai loro compagni poesie o filastrocche dialettali. Un altro elemento che colpì l’attenzione del pedagogista siciliano fu la pratica del dialogo scritto, sotto forma di una conversazione silenziosa che rispettasse la schiettezza del bambino e che coinvolgesse, di volta in volta, l’alunno e la maestra o l’alunno e un suo compagno. Il clima della classe, durante queste attività, ricordava l’atmosfera di “un alveare che lavora con operosità”, dove il bambino veniva lasciato esprimersi liberamente, senza che la maestra ne correggesse gli errori e ne traducesse le espressioni dal dialetto all’italiano, come dimostrato dalle alcune sue riflessioni contenute ne Il diario di Muzzano. “Il sig. … si diede subito a vedere pedagogista della vecchia scuola. Mi disse: ‘Ma io provo col mio bambino: il metodo naturale è che, se egli fa un errore, io lo correggo!’. Ma che crede questo signore? che da noi, invece di correggerli, si coltivino gli errori come fiori preziosi? E’ vero, usiamo dei riguardi!! Per esempio, coi bambini che cominciano appena ad esprimere i loro pensieri, o coi timidi, cerchiamo anche, se occorre, di indovinare: li lodiamo, sebbene scorretti, per incitarli a dire ciò che pensano. Se li avvilissimo, se correggessimo tutti i loro errori in una volta, non avrebbero più lo slancio di continuare. Correggiamo un errore solo: tanti errori corretti confondono i bambini; la correzione di uno solo, resta impressa. E l’errore lo facciamo sentire e correggere sì, ma da loro! Tanto è vero che questo è un giusto metodo, che i bambini diventano esatti e scrivono grammaticalmente corretto”74. Inoltre, sempre sull’uso del dialetto, la Boschetti ribadì che “i bambini, se sanno il termine italiano lo mettono, altrimenti lo domandano a me. Ma c’è anche qualcuno che, non conoscendo il corrispondente termine italiano d’una parola, intanto, provvisoriamente lo scrive in 70 Ivi, p. 259 G. Lombardo Radice, Vera e falsa libertà dell’educazione (1927), in Id., Educazione e diseducazione, Bemporad Marzocco, Firenze 1968, p. 103 72 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 73 73 Ivi, p. 78 74 Ivi, p. 116 71 14 dialetto. A me questo non fa precisamente ‘niente’, perché quello a cui tendo nel secondo anno è che i bambini, scrivano corretto, e che sappiano ben copiare dal loro pensiero. Pretendere che conoscano il toscano bimbetti ticinesi del secondo anno è semplicemente ridicolo! Le difficoltà vanno superate una per volta: se nel terzo anno parecchi sapranno scrivere corretto e naturale, si potrà insegnar loro l’uso di vocaboli puri (e allora molto opportuno sarebbe un vocabolario italiano-dialetto)”75. Queste affermazioni della maestra si giustificano sulla base del principio che ogni scrittura spontanea va considerata al pari di un’opera creativa, che rivela a tutti, nella sua efficacia descrittiva, cosa passa per la mente del bambino e cosa sta catturando il suo interesse. La mancata correzione iniziale degli errori grammaticali, come raccontato nell’episodio sopraccitato, non è, a dire di Lombardo Radice, un sintomo di lassismo, ma rientra in un processo di sviluppo dell’autoregolazione, che intende incoraggiare il bambino nelle sue difficoltà, non ostacolandolo nei suoi primi passi, tanto che, via via che egli cresce, le osservazioni della maestra aumentano, per promuovere la sua piena maturità di espressione. Del resto, la scuola di Muzzano può essere eretta ad emblema della “scuola senza componimenti”, grazie alla presenza di una maestra, “[…] che ha rara semplicità e tanta perizia nello scoprire l’anima dei suoi scolari”76, perché “lascia parlare i bambini”, “fa credito ai bambini”, favorendo così la loro prima educazione morale e sociale77. L’autoeducazione morale consiste, perciò, nell’intonare la propria anima ad un’anima da ammirare, poiché la moralità va ricondotta all’agire del fanciullo in quanto fanciullo. Alla finalità dell’autoeducazione morale si collega, per Lombardo Radice, anche la valorizzazione di tutti quei piccoli eventi della vita quotidiana del bambino, affinché egli possa essere educato a lavorare con l’amore e il gusto artistico per il proprio lavoro, evitando di formarlo secondo il modello del “contadino mezzo istruito”. Questo non significa, però, vagheggiare una moderna arcadia, ma promuovere la dignità del lavoratore, grazie ad una chiara esperienza del proprio mondo, resa possibile anche nella scuola. Purtroppo, sottolinea il pedagogista siciliano, “la scuola sdegna le cose umili e disamora dalle cose umili”78, mostrando così di essere una “istituzione immorale”, perché si scosta dall’esperienza quotidiana del bambino, costringendolo a parlare parole non sue. All’epoca, era ancora invalsa la “cattiva” abitudine di continuare a trattare, nelle scuole rurali, le cose dell’esperienza con tono cattedratico, quasi che la scuola fosse “ancora un po’ togata”. In questo modo, era la scuola stessa a stimolare i suoi alunni più intelligenti a uscire dal loro mestiere, non consentendo loro di portare il proprio ingegno nell’opera consueta, per raggiungere l’eccellenza. Maria Boschetti Alberti, invece, aveva dimostrato a Muzzano di aver ottenuto l’elevazione della dignità dei suoi allievi facendoli diventare ciò che erano, poiché era stata in grado di “educare l’uomo secondo natura” (Rousseau), ove per natura si intende la physis, l’essenza profonda e misteriosa di ciascuna persona. Al raggiungimento di tale finalità educativa ha contribuito la conoscenza del mondo dell’alunno, che per Lombardo Radice è una condizione essenziale dell’insegnamento, anzi, un compito morale, poiché il maestro è chiamato a studiare il paese in cui insegna “come educatore, che sa di imparare a conoscere i suoi alunni”. Ne consegue che, per colpire la pratica invalsa dello 75 M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., pp. 116-117 M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 155 77 Si veda, a tal proposito, la metafora del bambino paragonato a Gesù, che parla meglio dei farisei ma viene accusato di essere un bestemmiatore. 78 M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 158 76 15 scolasticismo, occorre proporre “lezioni minime”, da intendersi come “lezioni in cui il maestro deve prendere in considerazione la cultura multiforme degli alunni, […] che non rientra nei quadri del sapere scolastico, perché fatta di consuetudini domestiche, di usanze, di tradizioni, di verità e di pregiudizi della “scienza popolare”, di discorsi sentiti dalla gente che li circonda e di spettacoli veduti con occhi attenti ed avidi d’esperienza altrui e proprie”79. L’insegnante non deve essere uno “svolgitore di programmi” ma un educatore; inoltre, il principale presupposto della lezione è “[…] ciò che sa l’alunno, e non già ciò che ha studiato e fedelmente ripetuto altra volta, ma ciò che egli ha capito, di ciò che è entrato a far parte della sua viva, intima, piena, attuale esperienza. Chi insegna non ha innanzi a sé alunni convenzionali tutti eguali per ipotesi, a cui esporrà alcune date verità, immaginandone altre già conquistate. Ha dinanzi nientemeno che la vita, nella sua meravigliosa ricchezza di anime, mai identiche, ciascuna delle quali ha un suo problema, diverso da tutti i problemi delle altre, nel mentre pur tutte tendono le proprie forze a unificarsi e pulsare concordi”80. Molte delle suggestioni teoretiche e pratiche ricavate dalla sua visita a Muzzano, sono state inserite da Lombardo Radice in un capitolo di Athena Fanciulla81, dove viene descritto l’esperimento improntato dalla maestra ticinese, che incarna la figura del maestro concepita dall’idealismo pedagogico. Ella viene definita “[…] una singolarissima educatrice. Non consiglio di imitarla, se non nello spirito, perché la sua esperienza didattica è affatto personale, e diventerebbe forse, ricalcata da altri, artifizio”82. Del resto, “quella del maestro non è una professione, ma qualcosa di molto diverso e maggiore. Non è un mestiere, si dice, ma una missione […] il maestro è lo stesso spirito, che si pone nel suo assoluto valore spirituale: lo spirito, che si pone perché la sua natura è di porsi, affermarsi, diffondersi realizzarsi. E se lo spirito nel suo realizzarsi è lo stesso processo di autocreazione dell’essere, l’opera del maestro è questa autocreazione […]”83. Alle considerazioni espresse da Lombardo Radice in Athena fanciulla, fanno riferimento alcuni rilievi critici elaborati da Giorgio Gabrielli, secondo cui lo studioso siciliano si fermò solamente al problema dell’espressione linguistica spontanea e “[…] avvertì appena quel problema che per la Boschetti Alberti era invece fondamentale, la libertà di modo e di tempo cui il fanciullo ha diritto a goderne nella scuola, e in conseguenza l’eliminazione della lezione in senso classico, dell’insegnamento collettivo e di tutta la struttura didattica della scuola comune. Egli colse i risultati espressivi, ma non ricercò le condizioni che li avevano resi possibili”84. In altre parole, “la preoccupazione dominante del Maestro non era quella dei mezzi molto semplici e naturali (libertà e spontaneità disciplinare e didattica) che soli avevano consentito alla 79 “Come il maestro non spiega un paragrafo d’aritmetica se non sa quale sia il sapere attuale dell’alunno, così non si sente sicuro di sé, come educatore, se non conosce il mondo extrascolastico, al quale debbono riferirsi tutte le altre sue lezioni, anche minime, relative alla vita dello scolaro”, Cfr. G. Lombardo Radice, Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, III ediz., Remo Sandron editore, Milano-PalermoNapoli 1924, p. 99 80 Ivi, p. 97 81 G. Lombardo Radice, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, Il Marzocco editore, Firenze 1931, pp. 223-246. 82 G. Lombardo Radice, Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni nella scuola di Muzzano, in M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 138 83 G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, vol. 1, Pedagogia generale, Le Lettere, Firenze 2003, p. 176 84 G. Gabrielli, Il pensiero e l’opera di Maria Boschetti Alberti, La Nuova Italia, Firenze 1954, p. 89 16 Boschetti Alberti di arrivare a questi risultati, bensì il problema della espressione linguistica e grafica in se stesso, e per questo attribuiva a furbizia quello che invece era un determinato procedimento fondato sulla libertà di vita degli scolari. […] Il miracolo era stato compreso senza dubbio dal nostro Maestro, ma forse non in tutto il suo mistero; egli era rimasto impressionato specialmente degli scritti spontanei, che toglievano di mezzo il cosiddetto componimento scolastico; il resto gli era sfuggito”85. Tale “miracolo” consiste, secondo Gabrielli, nella “[…] individualizzazione dell’insegnamento nel piano della libertà dello scolaro”86, che in questo saggio è stata definita con l’espressione “personalizzazione dei processi di insegnamentoapprendimento”, per distinguerla dall’esperienza montessoriana. La scuola serena come personalizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento. Dopo aver lasciato Muzzano, Maria Boschetti Alberti insegnò solo per un anno a Gravesano, perché già nel 1925 “[…] si trasferì ad Agno, in classi terza, quarta, quinta, poi in una scuola maggiore di ragazzi e ragazze dagli 11 ai 15 anni, di classe VI e successive”87, che per certi versi può essere considerata l’antesignana della scuola complementare di Gentile. “Nel sistema scolastico ticinese dell’epoca […]” spiega Luca Saltini “[…] dopo 5 anni di elementari, si poteva passare al ginnasio, che dava accesso agli studi superiori, o alla scuola maggiore, la quale si concludeva invece dopo 3 anni ed aveva un indirizzo più pratico”88. Questo ordinamento era stato stabilito con la legge del 21 settembre 1922, perciò, all’epoca del suo arrivo ad Agno, la Boschetti Alberti non aveva tutti i requisiti per insegnare in una scuola maggiore, per la quale non bastava più la licenza magistrale. Grazie all’intervento di Giuseppe Cattori, allora direttore del Dipartimento della Pubblica Educazione, le fu possibile assolvere quell’incarico senza dover sostenere esami aggiuntivi. In questo modo, la Boschetti ebbe modo di sperimentare, in maniera sui generis, quanto prospettato in Italia per la scuola complementare, come corso finalizzato in maniera precipua all’istruzione del popolo. Quest’ultima era “[...] prerogativa propria del maestro, considerato il naturale mediatore tra cultura alta e cultura popolare”89. Il maestro, al contrario del professore di ginnasioliceo, intratteneva “[...] un legame profondo e vitale con il mondo del lavoro [...]”, fondamentale era la “[...] sua peculiare capacità di comprendere i bisogni e le aspirazioni più autentiche delle classi umili”90. Ad Agno ella diede vita, per la prima volta, alla “scuola serena”, come scuola per “ragazzi vivi, ragazzi veri, non ridotti a cose”, al contrario di quanto accadeva nelle scuole comuni (=tradizionali), dove i bambini, dopo aver varcato la soglia, “indossavano una sorta di maschera”, quasi fossero divenuti senza vita e senza anima. L’espressione “scuola serena”91 venne mutuata da Giuseppe Lombardo Radice, che 85 G. Gabrielli, Il pensiero e l’opera di Maria Boschetti Alberti, cit., p. 80 Ivi, p. 81 87 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104 88 L. Saltini, La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 257 89 R. Sani, «Scuola Italiana Moderna» e il problema dell’educazione popolare negli anni del secondo dopoguerra. 1945-1962, in M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, educazione popolare e società in Scuola italiana moderna, 1893-1993, cit., p. 276 90 Ibidem 91 Così scrisse A. Ferriére ne L’aube de l’Ecole sereine in Italie, I. Cremieux, rue de Cluny (Sorbonne), Paris 1927. E. Mazzoni La scuola attiva in Italia, in appendice ad A. Ferriére, La scuola attiva, tr. it., V 86 17 l’aveva teorizzata “[…] al tempo delle Lezioni di didattica, sempre più contrassegnata dal ruolo attivo e critico dell’insegnante, che, come J. H. Pestalozzi, doveva farsi sempre educatore ‘di anime’ e di ‘cittadini”92. La “scuola serena” è un “modello particolare di scuola nuova o attiva in cui al centro si trovano l’attività del bambino e il ritmo stesso del suo svolgimento spirituale, ma si trova anche il maestro come sollecitatore dell’impegno del bambino a sviluppare la sua vita spirituale e a creare le condizioni di lavoro tranquillo, intenso, gratificante. Gratificante proprio perché rispecchia i bisogni profondi del bambino, oltre che le forme del suo apprendere, che sono bisogni estetici e sociali”93. “Da qui l’importanza data alla lingua e al disegno libero, quali mezzi d’espressione della personalità del bimbo che si va formando; e giacché, seguendo il Croce, egli vede nell’autoespressione l’essenza dell’estetica, per il Lombardo-Radice infantile coincide sostanzialmente con l’educazione estetica”94: così si espresse in merito Sergej Hessen95. Roberto Mazzetti96, invece, non concorda con questa visione, criticando il “mito” della scuola serena, come scuola del fanciullo poeta e dell’educazione come estetica, ispirata al pedagogista siciliano da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile. Questo “mito” è lontano, a suo dire, dall’interpretazione datane da Maria Boschetti Alberti, sulla scorta degli orientamenti di psicologia del profondo e di cura dell’igiene psichica che aveva tratto dalla Montessori. Del resto, occorre ricordare che già ai tempi della prima visita a Muzzano, “il Lombardo Radice immise nei suoi programmi molti elementi assimilati dalle scuole di avanguardia. E tra esse, fra le prime, egli si ispirò alla scuola della Boschetti Alberti”97: in un certo qual modo, il pedagogista siciliano aveva trovato conferma alle sue teorizzazioni nella pratica della maestra ticinese. Ella utilizzò l’espressione “scuola serena” per mettere in luce la differenza fra il suo modo di fare scuola nell’ambito della scuola comune, rispetto a quello delle scuole nuove (es. la Montesca di Città di Castello, la Rinnovata di Milano, il giardino di Portomaggiore). “La scuola serena è una creazione del grande cuore del Lombardo Radice; io, da parte mia, il principio della scuola serena lo penso così: Ci siamo amati, li amiamo questi figli nostri. E perché fossero pronti alla vita, li volgemmo verso il bene. E perché non sia sul loro bene aridità e freddezza, ma calore e gioia, cercammo di circondarli fin da bambini di arte, di musica, di poesia, del bello insomma. Da questo nostro desiderio di infondere nell’anima dei figli nostri il bene e il bello è venuta la scuola serena”98. ediz., Marzocco, Firenze 1950, p. 280. Sempre di A. Ferrière si veda Il segreto di Maria Boschetti Alberti, in M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., pp. 177-184, già apparso con il medesimo titolo in «Pedagogia e Vita», n. 1, novembre 1953, pp. 25-31. Quest’ultimo contributo di A. Ferrière è la traduzione italiana della sua premessa all’edizione francese de L’école sereine di Maria Boschetti Alberti, nell’edizione Delachaux et Niestlé, 1952. 92 Cfr. la voce Lombardo-Radice Giuseppe, a cura di Franco Cambi, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 65, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2005, p. 542 93 Ivi, p. 541 94 “Lombardo Radice concede alla pedagogia un suo proprio campo di ricerca. Egli la definisce l’autocoscienza dell’attività educativa, critica dell’esperienza pedagogica proprio nel senso in cui Benedetto Croce considera l’estetica come critica dell’esperienza linguistico-letteraria ed artistica” (S. Hessen, La scuola serena di Lombardo-Radice, la scuola del lavoro di Kerschensteiner, Avio, Roma 1954, p. 9). 95 Ivi, p. 16 96 R. Mazzetti, Maria Boschetti Alberti fra la Montessori e la Parkhurst, Decroly e Lombardo-Radice, Armando editore, Roma 1962 97 A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 16 98 A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 103-104 18 La principale finalità educativa perseguita dall’insegnante ticinese stava nel “rendere serena la scuola comune a questi figli di contadini e di operai, poveri ragazzi in generale, che sanno già le privazioni e le durezze della vita; svegliare l’interesse del ragazzo per lo studio, addestrandolo a cogliere l’applicazione viva di ogni nozione che viene man mano imparando (anche della più arida), e facendogli così sentire che tutto ciò che la scuola insegna è importante per la vita; far passare alcune ore del giorno in un ambiente di calma a questi poveri ragazzi che vivono fra persone affaticate e stanche in un ambiente nervoso; far conoscere il bello, inebriare del bello questi poveri tipi che hanno tanto di lurido e di squallido intorno a loro; far respirare in un ambiente di educazione e di finezza queste povere anime che già conoscono parecchie, troppe brutture della vita e che di educazione e di finezza non hanno alcuna idea. Questo, Direttore, è lo scopo al quale tende la scuola serena”. Così scrisse Maria Boschetti Alberti in una relazione99 indirizzata ad Adolphe Ferrière nel 1927, quando il pedagogista era direttore del B.I.E. di Ginevra. Ella era in rapporti con questo studioso perché era andato a visitare la sua scuola di Agno, esprimendo entusiasmo ed ammirazione per la sua opera, perciò decise di preparare una relazione, in cui descrisse le caratteristiche peculiari del suo nuovo metodo e i momenti salienti di una tipica giornata della scuola serena, citando episodi ben precisi100. La reazione di Ferriére è sintetizzabile in queste sue considerazioni: “L’école d’Agno réalise l’École active de mes rêves avec une harmonie et une poesie indicible”101; poiché “non vi è vera attività senza la serenità dell’animo, né una feconda serenità senza l’attività creatrice. Attività e serenità, Scuola attiva e Scuola serena: ecco due aspetti d’una stessa realtà, due parole per esprimere la stessa concezione della fanciullezza, dell’educazione, della civiltà e del progresso dello spirito”. Del resto, l’intento di Maria Boschetti Alberti era quello di “salvare” quanto di rinnovatore la “scuola nuova” e l’“educazione nuova” erano venute a portare, per fare un dono di rigenerazione a tutte le scuole ordinarie, introducendo i “benefici” della libertà, dell’autoeducazione e del rispetto dell’individuo. In questo modo, la scuola serena sarebbe stata in grado di “[…] generare, secondo la concretezza di vita e di individualità degli alunni – individui e comunità – e secondo l’intelligenza e l’impegno del maestro, i motivi e le forme proprie e particolari del processo didattico ed educativo”102, come ricordato da Aldo Agazzi. Tutto ciò si tradusse nell’organizzazione tipica di una giornata nella scuola di Agno, che si articolava in vari momenti sintetizzati in questo schema: Mattino: - accademia del mattino (preghiera, ora del bello e ora del bene); - controllo dello studio; 99 Tale relazione apparve dapprima, sottoforma di saggio, nella rivista ticinese di cultura italiana «L’Adula» di Bellinzona, 1926/27, diretta dalla Bontempi, poi uscì come opuscolo, intitolato L’école sereine d’Agno, Société Générale d’Imprimerie, 1928. Il brano qui riportato è stato preso dalle pp. 29-30 dell’edizione italiana del 1959 pubblicata dall’Editrice La Scuola di Brescia e curata da Aldo Agazzi. Per approfondimenti, si veda anche A. Ferriére, La pratique de l’Ecole active, Forum, Ginevra 1924; Id., L’aube de l’ Ecole sereine in Italie, op. cit.; E. Mazzoni, La scuola attiva in Italia, in appendice ad A. Ferriére, La scuola attiva, cit., pp. 279-311. 100 M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, op. cit.., p. 69. 101 V. Chizzolini, La scuola serena di Agno, in «Supplemento Pedagogico di Scuola Italiana Moderna», dic. 1948, pp. 68-74 102 A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 13. 19 - lettura della maestra; - lavoro libero. Pomeriggio: - conferenza di uno scolaro su un tema scelto; - lavoro libero Fra tutte le iniziative promosse, spiccava quella dell’Accademia del mattino, come spazio quotidiano in cui ciascun ragazzo aveva la possibilità di esprimersi di fronte a tutta la classe, recitando una filastrocca o una poesia, cantando una canzoncina, mostrando un proprio disegno, ecc. In questo modo, era stato possibile coniugare la “libertà di modo” e la “libertà di espressione” con l’educazione morale e l’educazione estetica degli allievi, messi a contatto direttamente con il bonum, il verum e il pulchrum. Tutto ciò che si trovava di bello nella vita andava colto e riportato nella scuola, perché l’Accademia del mattino si presentava come un “piccolo palcoscenico” su cui ciascuno poteva recitare le meraviglie del mondo e dell’animo umano. La maestra ticinese era convinta che la ricerca della bellezza fosse patrimonio di tutti, anche dei suoi poveri alunni, che doveva saper guidare a percepire il senso del bello, a vivere il bene e a conoscere il vero. Per questo motivo, essi iniziarono a prendersi cura dell’ambiente scolastico, abbellendo la loro aula e cercando di rendere più piacevole la loro vita in un luogo non dotato di grandi risorse. Ciò che differenzia l’Accademia del mattino da quanto proposto dalla Montessori, è il fatto che nella prima i protagonisti sono i bambini, che decidono autonomamente e in base ai loro interessi quali sono gli argomenti da trattare in quello spazio quotidiano. Secondo la Montessori, invece, spetta alla maestra definire a priori il programma e predisporre il materiale: “ecco ciò che l’insegnante deve fare a questo punto: valersi di poesie, rime, canzoni, racconti”103. Gli stessi criteri pedagogici e didattici, su cui si basava l’iniziativa dell’Accademia del mattino, informavano anche gli altri momenti della giornata scolastica ad Agno. Per questo motivo, ogni scolaro aveva a disposizione un “programma riassuntivo” per ciascuna disciplina, da cui poteva scegliere i temi di studio da approfondire, perché più vicini ai suoi interessi104. In questo modo, egli si abituava a passare, gradualmente, dal “lavoro imposto” al “lavoro libero105”. La maestra teneva un apposito “registro dei gruppi”, in cui scriveva, per ogni disciplina, gli argomenti scelti e studiati da ciascun alunno. I fanciulli, da parte loro, allo scopo di agevolare il controllo da parte dell’insegnante, annotavano il tipo di attività svolta all’interno di un “diario scolastico”, costituito da uno schedario a fogli mobili, simile al “quaderno di vita” presentato da Adolphe Ferrière in La pratique de l’École active. Grazie alle modalità didattiche sopra citate, il fanciullo interessato allo studio sormontava la difficoltà di apprendere anche nozioni complesse, perché raggiungeva la meta per via di scoperte individuali e non attraverso percorsi precostruiti dall’insegnante e valevoli per tutti. In questo senso, veniva messa in luce la scarsa efficacia educativa di 103 M. Montessori, La mente del bambino, cit., p. 277 Cfr. G. Sandrone Boscarino, Personalizzare l’educazione. Ritrosia e necessità di un cambiamento, cit., p. 129. 105 Ivi, p. 135. L’autrice intravede nel “lavoro libero” proposto dalla Boschetti un’espressione concreta ed efficace dell’intuizione deweyana del collegamento tra interesse e disciplina. 104 20 quella che verrà successivamente definita come “programmazione curricolare”, poiché la Boschetti Alberti era convinta che per rispettare la libertà del fanciullo occorresse rispettare le leggi di natura, e tale scopo sarebbe stato raggiunto solamente con la libertà nella scuola, da intendersi come libertà di modo (di metodo) e come libertà di tempo (liberté du moment) dello stesso allievo106. Infatti, solo in un ambiente di libertà sarebbero state possibili la maturazione di una “disciplina perfetta dell’animo” e la formazione di un “carattere mirabile”, così come l’acquisizione delle più disparate cognizioni scolastiche, perché “la libertà è ordine e dove non vi è ordine non vi è libertà107”. La libertà di modo, ha osservato Mauro Laeng108, consente ad ogni alunno di svolgere il proprio lavoro secondo le modalità da lui preferite: da solo o in coppia o in piccolo gruppo, nel banco o fuori di esso, scrivendo sul quaderno o alla lavagna o sul pavimento, chiedendo aiuto alla maestra o facendo tutto da sé, libero di aiutare i compagni in difficoltà che si rivolgono a lui, utilizzando materiali a disposizione in aula o portando da casa altri libri o ausili, ecc. Il tutto va terminato nel tempo ritenuto necessario dall’alunno stesso (libertà di tempo), che sceglie se concentrarsi a lungo su un unico argomento o se affrontarne altri. Ne consegue che la libertà di modo si giustifica sul fatto che ognuno impara le stesse cose degli altri, ma a modo proprio, seguendo vie (metodi) personali; a questo va connessa la pratica della libertà di tempo, una sorta di “orologio personale” che scandisce le occupazioni di ciascuno in base all’evoluzione dei propri interessi. Del resto, come attestato dalle stesse parole della Boschetti, l’interesse non è un “ordigno che possa farsi scattare a piacimento”, ma ha una sua età, una sua fisionomia e un proprio decorso, in modo tale che finché dura l’interesse dovrebbe poter durare il lavoro. Per questo motivo, il bambino non va obbligato a seguire, nel proprio apprendimento, un ordine precostituito di discipline, ma dovrebbe avere a disposizione tutto il tempo a lui necessario per acquisire ed approfondire una determinata cognizione (es. trascorrere un’intera settimana ad esercitarsi sulle divisioni a due cifre). Questo differente modus operandi non ha prodotto, nella pratica didattica della Boschetti, alcuna frammentazione dei saperi, poiché al centro vi è il fanciullo, che si appropria di tali conoscenze ed abilità facendole divenire sua vita, dato che la maestra ha avuto l’accortezza di utilizzarle come mezzi per promuovere le sue competenze personali. Ella stessa scriveva, a tal proposito, che “qualunque nozione, per quanto arida, diventerà viva quando l’applicherà alla sua vita e qualunque più difficile problema diventerà vivo se lui stesso l’avrà composto cercandone i dati nella sua vita”109. In relazione a ciò, si può sostenere che Maria Boschetti Alberti abbia fatto proprio il principio di differenziazione dei processi di insegnamento-apprendimento, come dimostrato dalle espressioni qui di seguito riportate. “Se mi dite, maestri carissimi, che ognuno dei vostri allievi deve imparare le medesime cognizioni, sono con voi; ma se mi dite che ognuno deve imparare al medesimo modo, vi rispondo che questo è assurdo, è contro natura, è inumano. Ciascuno dei vostri alunni ha un diverso grado di intelligenza; sono enormi le differenze fra l’uno e l’altro tipo. Ogni tipo arriva ad imparare le medesime cognizioni, è vero: ma ogni tipo vi arriva in modo diverso. E perché? Perché 106 I concetti di “libertà di modo” e di “libertà di tempo” sono spiegati nel saggio Libertà educativa, inserito in M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., pp. 73-98. 107 Cfr. ibidem. 108 G. Reale, D. Antiseri, M. Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi, cit., pp. 767-768 109 M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 36. 21 c’è una legge di natura mirabile, che dà, ad ogni grado d’intelligenza, un suo particolare modo di sviluppo […]”110Del resto, ella testimoniava di non aver ancora visto, in dodici anni di insegnamento, due soli ragazzi che arrivassero alla medesima cognizione seguendo la stessa via. Queste constatazioni la confermavano nella convinzione che l’omogeneizzazione della pratica didattica era solamente un artificio creato per forzare il più “debole” a seguire il più “forte” e forzare quest’ultimo ad attendere il più “debole”, facendo sì che il maestro nella scuola tradizionale non potesse essere “né giusto né indulgente”111. Nella scuola serena, invece, il compito dell’insegnante consisteva, a suo dire, solamente nel segnalare agli alunni i principali concetti da apprendere, lasciandoli imparare da soli, perché solo così non avrebbero dimenticato ciò che avevano già acquisito112. Infatti, il disciplinarismo e il contenutismo fini a se stessi provocano noia per lo studio, facendo spegnere nell’animo del ragazzo ogni interesse per l’apprendimento scolastico. Per la maestra ticinese era fondamentale, innanzitutto, impossessarsi dei principi (“il pane per crescere”) e poi delle “perle”, secondo il detto di Giuseppe Lombardo Radice: “Nel più c’è il meno: il più è lo spirito, il meno sono le parti del programma”113. Siccome riteneva che ogni fanciullo avesse bisogno di apprendere concetti chiari e semplici di una disciplina alla volta, ella effettuava il controllo di una materia al giorno, secondo una rotazione ben precisa, perché quello che le importava era conoscere come e fino a che punto gli alunni avessero lavorato attorno ad una determinata disciplina. Nel lavoro svolto sui quaderni le era possibile rintracciare il percorso personale seguito dal ragazzo, nonché i suoi nuovi interessi, a dimostrazione che l’alunno abituato alla libertà e a trarre profitto da tutte le circostanze si interessa anche di altre questioni che vanno oltre il “programma riassuntivo”. In questo senso, vale l’ammonimento che “se si va contro le leggi di natura, essa si vendicherà, come d’altronde si può già vedere ora, nel profitto reale che gli alunni di oggi traggono da molte scuole: disordine, disinteresse, confusione, noia”. La negazione, ai propri alunni, della libertà di maniera e della libertà di tempo, aggrava ancora di più il gap fra scuola e vita, così come fra scuola e lavoro. Sulla scorta di tali riflessioni, è possibile sostenere che Maria Boschetti Alberti abbia realizzato, ante litteram, quella che nei Documenti accompagnatori della riforma Moratti è stata definita “personalizzazione” dei processi di insegnamento ed apprendimento. “Personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare le capacità e le competenze personali di ciascuno; dare a ciascuno il proprio che è unico e irripetibile; valorizzare le identità personali, non svilirle, ma considerarle la condizione per un dialogo fecondo con le altre identità che possono, così, perfezionarsi a vicenda. Personalizzare significa diffidare della tentazione di dare a tutti, per principio, le stesse cose, magari per lo stesso tempo e allo stesso modo. Non è personalizzare nemmeno dare a tutti le stesse cose in tempi e modi diversi. Non lo è perché, in questo caso, si continua a presupporre una concezione ‘oggettualistica’ e ‘digestiva’ della formazione […]”114 come hanno fatto teorie quali il Mastery learning. 110 M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 80. Cfr. ivi, p. 33. 112 In queste considerazioni della Boschetti Alberti è possibile ritrovare alcuni riferimenti a Rousseau, in particolare al concetto di educazione negativa. 113 M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 38 114 Cfr. la voce Personalizzazione, in Raccomandazioni per la comprensione e l’attuazione dei Documenti nazionali della Riforma (Profilo educativo, culturale e professionale e Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati), p. 19. 111 22 La “fioritura di anime” dei piccoli “Lazzari” nella “scuola serena”. Un ulteriore elemento di analisi dell’agire educativo di Maria Boschetti Alberti riguarda la sua concezione antropologica, riassumibile nella metafora115, secondo cui il fanciullo è “un fragile bocciolo di rosa”, che va lasciato sbocciare con calma e nella pace. Il compito del maestro, identificato come il “giardiniere solerte”, è limitato, perché tutto il resto è mistero di natura: solo lasciando al bambino la libertà di maniera (“il sole che fa sbocciare il boccio”), è possibile garantirgli l’unico mezzo per rispettare la sua individualità e non cadere nell’omologazione precoce. Il rispetto dell’individualità di ciascuno comporta anche l’attenzione necessaria a non far soffocare l’interesse al lavoro nell’animo del fanciullo, così ricco di meraviglie e di leggi adatte al suo sviluppo, ricevute direttamente da Dio. Infatti, secondo la maestra ticinese, i fanciulli non sono proprietà di nessuno, ma sono figli dell’aspirazione della vita a se stessa; per questo, non è possibile dare riparo alla loro anima, né renderli uguali agli adulti, perché essi abiteranno “la casa di domani”. Quella che accadeva ai suoi studenti nel passaggio dalla scuola comune alla scuola serena era una vera e propria “fioritura di anime”, da lei descritta con un riferimento evangelico: “i ragazzi che mi vengono dalla scuola comune sono Lazzari avvolti nei funebri panni; il mio compito è quello di trovare la parola dell’amore, di cercare il tono vibrante d’amore che li svegli a vita nuova, imponendo loro con dolce autorità: «Lazzaro, vieni fuori»”116. In questo senso, le fu possibile cogliere, nell’osservazione della pratica educativa quotidiana, il significato profondo della maieutica socratica, espresso con l’accostamento tacito del maestro di scuola serena al Maestro Gesù. In altre parole, l’invito imperioso “Lazzaro, vieni fuori” avrebbe consentito alle potenzialità apparentemente morte dell’alunno di fiorire in tutta la loro bellezza. E’ in questo tipo di processo educativo che assume significato concreto l’espressione latina educere (il “tirar fuori” della già citata maieutica socratica), che per Maria Boschetti segnava la differenza fra la sua “scuola serena” e le scuole nuove. Infatti, mentre in queste ultime “valorose anime di educatori cercano […] tutto ciò che è interessante nella vita e lo portano e lo additano in scuola e lo presentano ai ragazzi”117, secondo un movimento che dall’esterno va verso l’interno (educare), “nella scuola serena invece è diverso: non è un flusso dall’esterno all’interno, ma è precisamente il contrario, dall’interno all’esterno”118, partendo dai bisogni del bambino e dai suoi interessi per le cose e le attività in cui è coinvolto. 115 “No, non è in tuo potere far schiudere il bocciolo. Scuotilo pure, forzalo; tu non riuscirai ad aprirlo. Le tue mani lo distruggono, tu ne laceri i petali e li butti nella polvere. Ma nessun colore, nessun profumo appare. Oh, non è stato dato a te di poter far fiorire un boccio. Colui che fa sbocciare il fiore, invece, opera tanto semplicemente! Egli vi posa uno sguardo, e la linfa della vita pervade le sue ali e si culla all’alitar della brezza. Come un bisogno del cuore, il suo colore si svolge, e il suo profumo rivela dolce un segreto. Colui che fa sbocciare il fiore opera tanto naturalmente!” (M. Boschetti Alberti, Libertà educativa, in Id., La scuola serena di Agno, cit., pp. 83-84). 116 M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 38 117 Ivi, p. 39 118 Ibidem. Per la sistemazione pedagogica del problema educere/educare, cfr.: G. Bertagna, Avvio alla riflessione pedagogica, La Scuola, Brescia 2000, pp. 111-120 23 Roberto Mazzetti119, a tal proposito, considera falso il mito dell’ingenuità e della genialità improvvisatrice di Maria Boschetti Alberti, quasi fosse stata una degli esponenti di spicco dello spontaneismo pedagogico e romantico, contro cui si era scagliato John Dewey. Infatti, benché ella fosse nemica dello scolasticismo e del metodismo, prestava attenzione alla preparazione di un ambiente scolastico materiale ed educativo, alla condivisione con gli scolari del programma annuale da svolgere, al ripetuto esercizio della “normalizzazione” dei ragazzi, al controllo dello svolgimento delle discipline che coesisteva con il lavoro libero concordato con gli alunni, alla lettura come arte eseguita dalla maestra. In questo modo, le fu possibile garantire un’azione educativa che rispettasse l’individualità di ciascuno, opponendosi al “feticismo” dei metodi tipico della scuola tradizionale, senza però cadere in una contemplazione del “fanciullino” fine a se stessa. Sempre Mazzetti ricorda che “[…] la Boschetti Alberti prende posizione in difesa della individualità, dell’interesse e dello slancio personale di ricerca, a favore dei maestri e degli scolari, nel rifiuto radicale di ogni artificio e di ogni limitazione, sul presupposto fondamentale che il fanciullo deve essere circondato d’arte e deve respirare l’arte che è nella natura e nella vita; nel presupposto fondamentale, romantico e mistico, che non bisogna mai mettere dei limiti tra la vita, la natura e il ragazzo. Nessun limite mai” 120. Robert Dottrens ha espresso, invece, una serie di riserve nei confronti dell’estendibilità del metodo di Maria Boschetti Alberti ad altre realtà scolastiche, sulla scorta del fatto che esso è strettamente legato alla particolare personalità educativa della maestra ticinese. Egli mostra perplessità riguardo la possibilità che la scuola serena della maestra ticinese rappresentasse l’attuazione della scuola attiva pensata da Giuseppe Lombardo Radice121. In altre parole, per Dottrens, la scuola serena è “una forma interessante di scuola attiva che a noi sembra dipendere strettamente, per riuscire, dalle qualità personali e dal prestigio dell’educatore. Essa è rilevabile ad ogni modo, per l’alto valore educativo che la ispira”122, ma sarebbe rimasta un tentativo personale isolato, perché l’efficacia di una pratica educativa dipende dalla sua estendibilità all’insieme del corpo insegnante. Alla scomparsa di Maria Boschetti Alberti, secondo lui, tutto, più o meno, sarebbe sparito, e avrebbero potuto imitarla solamente quegli educatori dotati di una personalità paragonabile alla sua. Aldo Agazzi ha recepito tale rilievo critico in senso negativo e ha colto l’occasione per ribadire che è nell’eccezionalità della personalità di Maria, che risiede la forza della scuola serena. Quest’ultima caratteristica è, a suo dire, ciò che di più valido sia passato nella scuola italiana dopo il 1923, cioè dopo i nuovi programmi per la scuola elementare redatti sotto la guida di Giuseppe Lombardo Radice. Inoltre, sempre secondo Agazzi, la denuncia del Dottrens a proposito della non trasferibilità dell’esperienza della scuola serena nasconde, dietro di sé, due pericoli: da un lato, si potrebbe pensare di poter prescindere, nel maestro, da doti personali in quanto tali. Dall’altro lato, se un esponente della scuola attiva, come Dottrens, è pervenuto a una conclusione del genere, vi è il 119 R. Mazzetti, Maria Boschetti Alberti fra la Montessori e la Parkhurst, Decroly e Lombardo-Radice, cit., Roma 1962 120 Ivi, p. 121 121 Si rimanda a: G. Lombardo Radice, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, cit., pp. 223-246 122 R. Dottrens, Le progrès à l’école, Delacheaux et Niestlé, Neuchatel 1936, p. 60, citato in A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. X 24 rischio di cristallizzare e di ridurre a mera formula l’attivismo stesso, devitalizzando i suoi metodi e cadendo nel puro tecnicismo didattico123. A sostegno di questa sua tesi, Agazzi ricorda che la scuola di Muzzano “rivisse, infatti, ad Agno e rivive, ogni giorno, là dove un maestro con-vive con ogni suo scolaro e con la sua scolaresca-comunità, nello spirito della «scuola serena», in cui le attività e la didattica sbocciano dai richiami di vita degli scolari”124. Tale potrebbe essere, in sintesi, l’eredità pedagogica125 lasciataci da Maria Boschetti Alberti e il senso ultimo della sua esperienza di scuola serena come scuola per la persona. 123 A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., pp. 5-21. Le considerazioni di Agazzi vanno lette alla luce del periodo in cui sono state scritte, cioè gli anni ’50, quando ormai l’attivismo era in declino, come da lui stesso sottolineato. 124 A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., p. XVII 125 Qui di seguito la bibliografia essenziale dei testi di Maria Boschetti Alberti: Il diario di Muzzano (scritto nel 1920 ma pubblicato nel 1939); Il metodo di Muzzano (1924); La disciplina nella libertà (1927); La scuola serena di Agno (1927); Libertà educativa (1932); Ricordi della scuola di Agno (1938); Il dono di sé nell’educazione (1959, pubblicata come raccolta postuma). Molti suoi articoli furono pubblicati su riviste come «L’Adula», «L’Educazione Nazionale», «Scuola Italiana Moderna». 25