Maria Boschetti Alberti. La “scuola serena” come scuola per la
persona.
di Evelina Scaglia, dottoranda di ricerca in Scienze pedagogiche, XXIII ciclo,
Università degli Studi di Bergamo
Nell’Europa dei primi due decenni del ‘900, sulla scia delle suggestioni provenienti da
oltreoceano (dalla scuola di Dewey ai relativi discepoli), si verificò una fioritura di
iniziative didattiche improntate ai principi dell’“educazione nuova” o “educazione
progressiva”, che culminarono nella fondazione delle cosiddette “scuole nuove” o
“scuole attive”. Si trattò di una sorta di “rivoluzione copernicana” nell’ambito
dell’educazione scolastica e non solo, che aveva tra le proprie colonne portanti la sfida
del puerocentrismo, l’introduzione dei cosiddetti “metodi attivi” di insegnamentoapprendimento, le prime applicazioni delle scoperte della psicologia sperimentale alla
didattica, la lotta generalizzata all’adultismo e all’educazione direttiva.
In quel contesto di grande fermento, si colloca il contributo della maestra ticinese Maria
Boschetti Alberti (1879-1951), che intraprese, negli anni dal ‘17 al ‘24, un’applicazione
“personalizzata” del metodo Montessori presso la scuola di Muzzano, a cui fece seguito
l’esperienza della “scuola serena” di Agno, dal ‘25 al ‘51. Entrambe le località
menzionate si trovano in Canton Ticino; all’epoca erano paesini abitati da famiglie di
umili origini, nella maggior parte contadini o operai, che vivevano in condizioni di
disagio sociale e culturale e che mandavano i loro figli nell’unica scuola elementare
comunale, mista e pluriclasse. Le iniziative di innovazione pedagogica e didattica
realizzate dalla Boschetti Alberti ebbero perciò come teatro due istituzioni scolastiche
tradizionali, prive di adeguate risorse logistiche e finanziarie, ma fu grazie alla sua
opera che “[…] la non-eccezionalità dell’ambiente poteva essere a fondamento di una
scuola di eccezione […]”1. Ella seppe dimostrare che “[…] era possibile realizzare un
insegnamento nuovo e proficuo in qualsiasi scuola comunale, per qualsiasi categoria di
fanciulli”2, senza la necessità di costruire scuole speciali in ambienti speciali.
In questo breve saggio, si è cercato di ricostruire, seppure in abbozzo, alcune delle ideeguida che ispirarono l’insegnante ticinese, da interpretare all’interno del più ampio
panorama della scuola attiva europea. In particolare, ella seppe far tesoro di contributi
provenienti da diversi autori, tra cui Adolphe Ferriére, Maria Montessori e Giuseppe
Lombardo Radice, per pensare e mettere in azione un metodo del tutto unico e
personale3.
1
G. Reale, D. Antiseri, M. Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi, vol. III, XIII ediz., La
Scuola, Brescia 1998, p. 766
2
Ibidem
3
A tal proposito, va ricordato che sia Adolphe Ferriére sia Giuseppe Lombardo Radice ebbero modo di
conoscere e di visitare le scuole di Maria Boschetti Alberti, esprimendo ammirazione per la sua iniziativa.
In particolare, fu Lombardo Radice a diffondere in Italia le prime notizie del suo operato, facendole
pubblicare alcuni articoli sulla rivista «L’educazione nazionale». Si vedano, in tale rivista, gli articoli Una
confessione di maestra (dic. 1924), L’insegnamento delle scienze, la storia naturale nella scuola ticinese
(genn. 1925) e Per la scuola serena, maestro ed alunno a scuola (apr. 1925)
1
Le origini, il viaggio in Italia e la “conversione pedagogica” di Maria Boschetti
Alberti.
Maria Boschetti Alberti nacque a Montevideo (Uruguay), da una coppia di emigrati dal
Canton Ticino – Giuliano Alberti e Teofila Ferretti – che ritornarono ben presto in
patria. Sull’anno di nascita della Boschetti Alberti è sorta una diatriba, poiché alcuni
autori, come Aldo Agazzi4, lo attestano al 1884, mentre Marcello Peretti, Franco
Virginio Lombardi5 e Laura Arcangeli6 ritengono più probante il 1879.
Ecco quanto riportato da Marcello Peretti nel 1963: “la data di nascita presenta, nella
biografia della Nostra, un fatto curioso. Tutti gli scritti, finora editi, sulla sua vita, la
fanno risalire al 1884: è la data accettata ufficialmente, pur non essendo mai stata del
tutto sicura in mancanza di precisi documenti anagrafici a causa delle difficoltà del loro
reperimento in America. La stessa Maestra, del resto, accenna all’espediente di aver
alterata la data di nascita, in occasione della sua prima assunzione nell’insegnamento,
perché altrimenti sarebbe stata troppo giovane. Ora, alcuni fatti e precisi documenti
confermano la data del 1879. Nei documenti da noi consultati abbiamo trovato il
certificato originale di battesimo della Nostra, rilasciato il 31 maggio 1884 (da ciò,
forse, l’equivoco?), che testualmente dichiara Anna Maria Carolina ‘fija legitima de
Julian Alberti y Teofila Ferretti’, essere stata battezzata il 19 gennaio 1880, e nata il 23
dicembre ‘del pasado ano’ (1879). Questa data fu sempre confermata dalla sorella
maggiore di Maria […]”7.
In base a tale ricostruzione fatta a partire da documenti originali, Peretti ritiene che la
famiglia Alberti fosse tornata in patria nel 1883 e che Maria avesse, successivamente,
frequentato le scuole elementari presso Bedigliora di Malcantone, paese di origine dei
suoi cari. Terminate le elementari, si iscrisse all’Istituto S. Caterina di Locarno8, dove
conseguì, nel 1894, all’età di quindici anni, il diploma di maestra. Aldo Agazzi, invece,
nella prefazione a La scuola serena di Agno, ricorda che la Boschetti Alberti “entrò
nell’insegnamento ancora adolescente, di quattordici anni, essendo riuscita a farsi
credere meno giovane, per la difficoltà di controllare l’atto di nascita sudamericano”9,
fatto di per sé confutato dalle ricerche di Peretti.
Il contesto storico-culturale in cui si formò la giovane Maria era caratterizzato
dall’influenza esercitata dalle idee di Pestalozzi e del padre Girard, che a partire dagli
anni ’90 dell’‘800 avevano inciso sulla Scuola Normale di Locarno, tanto da favorire la
4
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, La Scuola, Brescia 1953
F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, Le Stelle, Milano 1969, che rimanda a M. Peretti, Maria
Boschetti Alberti, La Scuola, Brescia 1963
6
L. Arcangeli, voce Boschetti Alberti Maria, in Enciclopedia pedagogica, diretta da Mauro Laeng, La
Scuola, Brescia 1989-2003, vol. I , pp. 1925-1929
7
Per ulteriori approfondimenti, cfr. M. Peretti, Maria Boschetti Alberti, La Scuola, Brescia 1963, pp. 1213, n. 11, in cui sono esposti ulteriori elementi a conferma della tesi che la maestra ticinese sia nata nel
1879.
8
Sulle vicende della Scuola Normale di Locarno, è utile fare riferimento ad alcune considerazioni
espresse da Luca Saltini nel saggio intitolato La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino,
in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», n. 6, 1999, pp. 247-278
9
A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, V ediz., I ristampa, La Scuola,
Brescia 1960, p. 23
5
2
diffusione del metodo intuitivo nell’insegnamento di tutte le discipline, non solo della
lingua. Importante fu, in questo senso, l’opera esercitata dal teologo Luigi Imperatori,
divenuto direttore della sezione maschile della Normale di Locarno e fautore di un
movimento di riforma che coinvolse diverse personalità della cultura ticinese. Benché la
Boschetti Alberti avesse frequentato l’Istituto privato S. Caterina, diretto da religiose, è
probabile, a dire di Luca Saltini, che anche in quella sede, per l’autorevolezza morale e
pedagogica del teologo Imperatori, fossero pervenute le innovazioni da lui favorite. Per
questo motivo, “Maria Boschetti Alberti può […] essere ascritta al gruppo di giovani
maestri formatisi secondo la moderna impostazione introdotta da Luigi Imperatori”10.
Gli studi magistrali, all’epoca, duravano ancora tre anni, che divennero quattro solo dal
1903, quando si ebbe l’istituzionalizzazione dell’impostazione di tipo scientificoherbartiano, che soppiantò quella ispirata a Pestalozzi e a Girard, producendo nuovi
programmi per la Scuola Normale.
Ottenuto il diploma magistrale, legalmente riconosciuto, Maria Boschetti Alberti
intraprese un periodo di tirocinio nelle scuole comuni di alcuni paesi del Malcantone,
come Monteggio, Neggio, Bioggio, fino a che nel 1910 giunse a Muzzano, dove la
Municipalità la confermò in maniera definitiva maestra il 1° ottobre 1917.
In quegli anni, ella si vedeva come una maestra “superficiale”, “svogliata”, che non
amava i suoi alunni (tra lei e loro c’era un “muro di ghiaccio”) e che esercitava
l’insegnamento solo per la retribuzione mensile. Nonostante questa sua condizione, era
stimolata a cercare un continuo miglioramento della propria pratica educativa e
didattica, per un profondo senso di insoddisfazione nei confronti del proprio operato.
Per comprendere alcuni degli intenti ideali che ispirarono Maria Boschetti Alberti, vale
la pena fare riferimento alle osservazioni di Franco V. Lombardi11 sulla sua prima
formazione nell’ambiente familiare in Canton Ticino. Secondo Lombardi, ella dimostrò
fierezza nell’essere figlia del popolo, contribuendo, con la propria opera di
insegnamento, alla sua elevazione e al suo miglior bene. “I bambini del popolo ci
portano l’anima del popolo – così scriveva la maestra nel 1924 – e c’è sempre qualcosa
di grande nell’anima del popolo, grande nel bene come nel male: ma è un’anima”12.
Queste affermazioni ricalcano quanto espresso da Giuseppe Lombardo Radice in Come
si uccidono le anime13, dove la cultura del popolo rappresenta, a suo dire, il frutto di
un’elaborazione spontanea ed originale, che la scuola deve rispettare e non soppiantare
con una cultura “meccanica” e popolarizzata, in quanto “data al popolo” ma non
appartenente al popolo. A queste considerazioni, il pedagogista siciliano aggiunge che
“non ultimo a contribuire al danno dell’educazione è il pedagogismo, che si potrebbe
dire il pregiudizio pedagogico, pel quale tutto si pretende ottenere entro le pareti della
scuola e tutta l’attività del maestro e dell’alunno viene esclusa dal contatto della vita”14.
Del resto, l’educazione popolare era ritenuta un aspetto peculiare della mission
dell’insegnante elementare nell’Italia del primo Novecento, come testimoniato da alcuni
testi recenti di storia della pedagogia15. Si legge, infatti, che “espressione del popolo
10
L. Saltini, Maria Boschetti Alberti e il mondo culturale ticinese, in «Quaderni del Bollettino Storico
della Svizzera Italiana», 1, Salvioni, Bellinzona 2004, p. 28
11
F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit.
12
M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, La Scuola, Brescia 1959, p. 57
13
G. Lombardo Radice, Come si uccidono le anime, Francesco Battiato Editore, Catania 1915
14
Ivi, p. 79
15
C. Ghizzoni, Cultura magistrale nella Lombardia del primo Novecento: il contributo di Maria
Magnocavallo (1869-1956), La Scuola, Brescia 2005; M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri,
educazione popolare e società in Scuola italiana moderna, 1893-1993, La Scuola, Brescia 1997
3
stesso, dal quale proveniva e al quale dedicava la sua opera di educatore, l’insegnante
elementare [...] si identificava sostanzialmente con esso, ne era sotto certi aspetti
l’intellettuale organico e, come tale, il naturale artefice della sua elevazione culturale e
civile [...]”16.
La dedizione di Maria Boschetti Alberti alla causa popolare era, almeno all’inizio della
sua carriera, nascosta dietro lo stereotipo della maestra diligente, tradizionale nel
metodo, senza alcuna ansia di innovazione e distaccata dai suoi allievi, uno stereotipo
che ella era convinta di incarnare. “La sua scuola, il suo insegnamento, in questo primo
periodo, si uniformavano all’uso corrente: autoritarismo, verbalismo, intellettualismo,
mancanza di ogni cura nei riguardi degli interessi e delle esperienze degli scolari, che
anzi quasi quasi le apparivano come nemici”17. Queste affermazioni di Lombardi
trovano riscontro in quanto scritto da Maria Boschetti Alberti: “In quei tempi – fino al
1916 – non avevo amore per i miei scolari. Eravamo anzi nemici. Io, da una parte, sulla
cattedra, ritta, severa come una divinità antica: loro, dall’altra, separati da me da un
muro di ghiaccio. Non potendo amare i miei alunni, non amavo neanche la scuola”18.
Ad accendere il suo interesse per le “scuole nuove” non contribuirono, a dire di Agazzi,
né letture informative né studi da biblioteca, ma ella vi “[…] giunse, sia pure favorita e
guidata dall’atmosfera diffusa dai motivi dell’éducation nouvelle, per riflessione e per
soluzione di problemi suscitati al suo animo dall’esperienza propria”19. Una delle fonti
di ispirazione di questi suoi pensieri furono le osservazioni “sarcastiche” e “piene di
consenso” di un suo zio, il geometra Pep: “Questi ragazzi si alzano tutti come burattini
ai quali si tiri lo spago dietro: belano tutti il medesimo saluto; hanno precisamente facce
tutte eguali, sguardi senza espressioni, viso di vetro”20. Egli, pur non essendo un
educatore di professione, aveva inteso che la scuola comune era basata
sull’omologazione del bambino e su un contenutismo verbalistico fine a se stesso, che
16
R. Sani, «Scuola Italiana Moderna» e il problema dell’educazione popolare negli anni del secondo
dopoguerra. 1945-1962, in M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, educazione popolare e società
in Scuola italiana moderna, 1893-1993, cit., p. 277
17
F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit., p. 10
18
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, La Scuola, Brescia 1951, p. 26.
19
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104. Considerazioni simili vennero espresse dallo
stesso Agazzi nel saggio da lui dedicato alla morte della maestra ticinese: Maria Boschetti Alberti: la
scuola serena al bivio, in «Supplemento pedagogico a Scuola Italiana Moderna», n. 2, serie XII, a. 19501951, pp. 152-166
20
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit. (nell’edizione de “I meridiani dell’educazione”, curata
da A. Agazzi). La prima edizione italiana, del 1939, si apriva con la prefazione di Vittorino Chizzolini,
che contribuì, dopo Giuseppe Lombardo Radice, alla diffusione nel nostro Paese dei testi e delle relazioni
originali della maestra ticinese, fatti pubblicare sul «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista
«Scuola Italiana Moderna». Si vedano, in particolare, in «Scuola Italiana Moderna», Il metodo di
Muzzano, n. 10, dic. 1924. In «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana Moderna»,
si vedano i seguenti articoli: Verso la «scuola serena», n. 4, 1934; Disciplina spontanea, n. 5, 1935;
Come nacque la «scuola serena» di Agno, n. 1, 1936; Dono di sé nell’educazione, n. 3, 1936; Ricordi
della «Scuola di Agno», n. 4, 1937, nn. 1-2 e 3, 1938; Lettere di una maestra alle madri degli scolari, n.
5, 1938; Lettere alle mamme degli scolari, n. 4, 1939
Il diario di Muzzano è costituito da tre parti: un’introduzione prologo, intitolato Le campane di Vineta, in
cui si raccontano le motivazioni che spinsero Maria Boschetti Alberti a sperimentare un nuovo metodo;
una seconda parte, sottoforma di diario, che riguarda il periodo dal 18 ottobre 1919 all’8 maggio 1920, in
cui i protagonisti sono i bambini delle classi I e II; una terza parte, costituita da una pagina di chiusura,
riflessione e promessa, scritta all’atto di licenziare il testo per la prima edizione del 1939.
4
aumentavano il distacco operato tra la vita dei ragazzi a scuola e la loro vita fuori dalla
scuola21.
Tutte queste sollecitazioni spinsero la Boschetti Alberti a riflettere sulla sua condizione
di insegnante e sul senso profondo del suo agire; in quei momenti, era solita rivivere il
dolore e la disillusione provati il primo giorno di scuola, “a quattro o cinque anni, in una
grande città dell’America del Sud”, come raccontato dalla stessa maestra in un suo
articolo comparso nel «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista «Scuola Italiana
Moderna»22. Di quel giorno, ricordava l’ambiente austero, la cattedra enorme, la
maestra severa, che spiegava con il braccio alzato e che, ad un certo punto, ruppe il
nodo di una collana di perline che Maria aveva appena finito di assemblare, per fargliela
rifare. Queste immagini la aiutarono, in anni successivi, ad evocare l’atmosfera della
scuola tradizionale dell’epoca, centrata sulla disciplina e sulla figura del maestro, ove
tutto era improntato ad un direttivismo fine a se stesso. Ella sentiva sempre più vivo il
desiderio di cambiare qualcosa nel suo modo di agire per combattere questo habitus
professionale, che, del resto, ammetteva di essere anche suo, perciò decise di andare a
conoscere altre esperienze didattiche, intraprendendo un “viaggio pedagogico in Italia”.
Dato che suo padre non appoggiò questo suo intento e non le concesse alcun
finanziamento, decise di rivolgersi alla Società Demopedeutica23, diretta dal prof.
Tamburini, per ottenere il sussidio che era stato messo a disposizione per un insegnante
intenzionato ad andare all’estero a studiare i nuovi metodi didattici per alunni
“deficienti”. Sempre per quel motivo, si rivolse al curato di Curio, don Ferregutti, per
farsi accordare un prestito, e chiese al Dipartimento Educazione del Canton Ticino
alcune lettere di presentazione. Il proposito che la spinse a compiere il viaggio, in piena
prima guerra mondiale, fu così espresso: «studierò per gli anormali; ma nel medesimo
tempo visiterò molte scuole di normali e forse troverò la soluzione del problema che mi
preoccupa»”24.
Era il 1916: la prima tappa del viaggio la portò a Milano, dove visitò la scuola per
anormali “Zaccaria Treves”, diretta dallo psicologo Albertini, poi si spostò lungo la
penisola, per giungere a Roma, dove si recò presso l’istituto retto da Sante De Sanctis.
Di fronte agli alunni cosiddetti “anormali”, ella ammise di non provare interesse, ma
solo pietà e commiserazione: “m’interessò invece altra cosa. In parecchie scuole avevo
sentito parlare del metodo Montessori: e dappertutto avevo notato che medici e direttori
ne dicevano bene; le maestre no. Appena sentivano nominare il metodo Montessori,
ecco subito una grande esplosione di argomenti pedagogici, con i quali intendevano
soffocarlo fin dai suoi inizi”25. Del resto, anche in Canton Ticino aveva ricevuto
informazioni controverse in merito al metodo della dottoressa italiana: “sapevo solo
vagamente che la Signorina Bontempi, ispettrice degli asili ticinesi, andava sostituendo
21
Prefazione di A. Agazzi a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit.
M. Boschetti Alberti, Nella scuola serena di Agno, in «Supplemento Pedagogico» allegato alla rivista
«Scuola Italiana Moderna», n. 1, ottobre 1933. Tale frammento è riportato anche da A. Agazzi, prefazione
a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 6
23
La Società ticinese degli amici dell’educazione popolare, detta in breve Società Demopedeutica, fu
fondata nel 1837 da Stefano Franscini, esponente del partito liberale radicale ticinese e uno dei massimi
fautori del moderno sistema educativo del Canton Ticino. La Società Demopedeutica promosse diverse
attività, fra cui sussidi per la formazione degli insegnanti, attribuzione di libri-premio, esami di nuovi libri
di testo, indagini statistiche, nonché la pubblicazione, dal 1855, del bollettino «L’Educatore della
Svizzera Italiana».
24
F. V. Lombardi, Maria Boschetti Alberti, cit., p. 14
25
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 29
22
5
al fröebelismo il metodo Montessori, ma non avevo la più lontana idea della esistenza di
scuole montessoriane. Lo seppi alla Ghisolfa, dove la Signora Pizzigoni, mi parlò tanto
male di questa scuola da invogliarmene a vederla”26. Decise perciò di visitare, a Milano,
la scuola della “Umanitaria”, retta secondo il metodo montessoriano.
La società “Umanitaria”27 era stata fondata come ente morale con un Regio Decreto
datato 29 giugno 1893; lo scopo principale di tale istituzione consisteva nel “mettere i
diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, proclamando
loro appoggio, lavoro, istruzione”28. L’“Umanitaria” fu gestita, fino al suo scioglimento
decretato dai fascisti nel 1924, da un “blocchetto radico-riformista-massonico” che,
secondo le ricostruzioni di Fabio Pruneri, l’aveva condotta, “[…] su una linea di
apoliticità, ad affrontare importanti questioni nell’ambito dell’assistenza, della
preparazione professionale delle maestranze, dell’educazione dei ceti popolari”29. Nel
1916, al tempo della visita della Boschetti Alberti, era segretario generale della società
Umanitaria Augusto Osimo, sostenitore del cosiddetto “partito della scuola”, perché
chiedeva la piena applicazione dei dispositivi contenuti nelle Leggi Orlando (1904) e
Daneo-Credaro (1911), affinché fosse possibile garantire ai fanciulli e ai ragazzi tutti i
vantaggi derivanti da una buona educazione. Era sua convinzione che “la rigenerazione
fisica e morale dei giovani figli del popolo sarebbe avvenuta tramite l’istituzione di
servizi aggiuntivi a quelli scolastici, come gli asili, i doposcuola, i patronati scolastici e i
ricreatori”30. Tali intenzioni trovarono possibilità di realizzazione grazie ai legami fra
l’Umanitaria e l’Unione Femminile31; quest’ultima sosteneva la diffusione del metodo
Montessori e fece da trait d’union per l’attuazione dell’esperimento della Casa dei
bambini presso i quartieri operai di Milano.
A Milano vennero inaugurate due Case dei Bambini, una in via Solari il 18 ottobre 1908
e una seconda presso gli edifici alle Rottole, il 21 novembre 1909. Nella sede centrale
dell’Umanitaria, in via S. Barnaba, fu istituito nel 1914 un Corso di tirocinio
all’educazione infantile32, di preparazione al metodo montessoriano, che ebbe un forte
richiamo anche internazionale. Esso venne organizzato dalla Montessori insieme a
poche e fidate allieve, come Anna Fedeli, che aveva frequentato i suoi corsi di
Antropologia all’Università La Sapienza di Roma e che si occupò, negli anni successivi,
della Casa dei bambini presso la sede in via Rottole.
26
M. Boschetti Alberti, Il metodo Montessori nella scuola, in «Risveglio», Rivista mensile della
federazione dei Maestri Ticinesi di Lugano, n. 13, 1921
27
F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni
scolastiche», n. 11, 2004, pp. 133-151
28
Cfr. l’art. 2 dello Statuto dell’Umanitaria, 1893
29
F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, cit., p. 151
30
F. Pruneri, L’Umanitaria e la massoneria, cit., p. 146
31
“[…] nel 1899, Ersilia Maino aveva fondato l’Unione Femminile, allo scopo di promuovere indagini,
interventi, iniziative, tra cui una Scuola per le madri che coinvolse numerose maestre per poter
raggiungere un maggior numero di utenti”. (T. Pironi, Le cure educative nella scuola di Mompiano
(Agazzi) e nelle Case dei bambini di Roma e di Milano in età giolittiana, in «Ricerche di pedagogia e
Didattica», webzine internazionale dell’Università di Bologna, 2, 2007, p. 4). Si veda anche: Resoconto
dell’Opera dell’Unione Femminile, anno 1902-1903, Tip. Ramperti, Milano 1903, p. 8
32
A tale corso si accedeva con la licenza liceale o altro diploma, durava 7 mesi e prevedeva un tirocinio.
Tra i docenti vanno ricordati Maria Montessori, che insegnava Pedagogia insieme ad Anna Fedeli, mentre
Giulio Cesare Ferrari si occupò di Psicologia infantile. Per approfondimenti si veda: AA. VV.,
L’Umanitaria e la sua storia, Cooperativa grafica degli operai, Milano 1922, pp. 261-262 e T. Pironi, Le
cure educative nella scuola di Mompiano (Agazzi) e nelle Case dei bambini di Roma e di Milano in età
giolittiana, cit., p. 12
6
I primi pensieri della maestra ticinese, alla vista di quanto accadeva in quell’istituzione,
furono: “Ecco la vera scuola. I ragazzi amano fare i loro lavori con lentezza, in pace: c’è
in loro qualche cosa che ripugna alla fretta, alla voce aspra che rimprovera,
all’incessante stimolo. I ragazzi amano le facce sorridenti, i discorsi calmi. Qui tutto
procede secondo l’ordine naturale. Questi sono i ‘veri’ ragazzi, i fiori del mondo”33.
Durante il suo soggiorno, ella ebbe modo di incontrare Anna Fedeli34, che la introdusse
al “grande segreto dell’educazione”, riassumibile nella formula: “saper osservare35 e
tacere”, secondo quell’attitudine allo studio dei fenomeni osservati, che, per Maria
Montessori, rappresenta una delle qualità fondamentali dello scienziato così come
dell’insegnante.
Le consapevolezze maturate nel corso del viaggio in Italia furono supportate da un
successivo approfondimento teorico, testimoniato anche da una serie di articoli
pubblicati sulla rivista pedagogica «Risveglio», legata alla cattolica Federazione
Docenti Ticinesi. Maria Boschetti Alberti ebbe così occasione di riesaminare tutta la sua
precedente esperienza di insegnante e di intraprendere una svolta decisiva nella sua
pratica educativa e didattica, che l’avrebbe condotta, dapprima, all’esperimento di
Muzzano e poi, dal 1925, alla “scuola serena” di Agno.
Un’applicazione “personalizzata” del metodo Montessori.
La prima esperienza didattica di “scuola nuova”36 approntata da Maria Boschetti Alberti
fu resa possibile grazie all’adozione del metodo montessoriano con alunni dai 6 agli 8
anni, nella scuola elementare di Muzzano. Tale esperimento iniziò di ritorno dal suo
viaggio in Italia nel 1917 e si concluse nel 1924, quando la maestra fu “indotta” a
cambiare sede scolastica.
Fin da subito, secondo Agazzi, l’esperienza di Muzzano non si presentò come un mero
esercizio dilettantistico, ma assunse i caratteri di una vera e propria iniziativa
pedagogica37, poiché la Boschetti Alberti stessa si definiva “non più la maestra che
seguiva una via nuova per dilettantismo: ero una maestra interessata ad un’esperienza
didattica”38. Ella ebbe cura di appuntare, con rigore documentario, sistematico ed
“aromantico” tutti i cambiamenti intercorsi nella sua scolaresca. In particolare, il suo
successo, secondo Aldo Agazzi, va rintracciato nella sua “opera solerte, attenta,
comparatrice”, alla ricerca dei “motivi di oggi nei processi di ieri, per farsene luce per
33
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 31
Anna Fedeli lasciò il suo posto di direttrice della Scuola Normale di Foligno per seguire il lavoro di
Maria Montessori, come ricordato da quest’ultima nella prefazione al suo volume L’autoeducazione nella
scuola elementare, in cui la ringraziava espressamente per il contributo elargito alla sua opera educativa.
35
“Il maestro deve saper cercare il vero nell’anima del bambino, ma egli, al pari dello scienziato, deve
iniziare dalle vie dell’umiltà, della rinuncia di sé, della pazienza. In questo modo, egli potrà rivestirsi
dello spirito di scienziato e potrà dire ai popoli “io sono più che profeta, io sono colui che grida nel
deserto: raddrizzate le vie del Signore”. (M. Montessori, L’autoeducazione nella scuola elementare,
Garzanti, Milano 1992, p. 119). “La vita psichica del bambino va osservata al modo stesso con cui Fabre
osservò gli insetti, studiandoli nel loro ambiente di vita normale, per ritrarli dal vivo e rimanendo
nascosto, per non turbarli” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, XV ediz., Garzanti, Milano 1981, p.
65).
36
Aldo Agazzi ha definito la scuola di Muzzano come “[…] la prima esperienza del «metodo della scuola
serena»: accanto al fanciullo, studiando il fanciullo, vivendo col fanciullo” (Id, Panorama della
pedagogia d’oggi, cit., p. 105).
37
A. Agazzi, Maria Boschetti Alberti: la scuola serena al bivio, cit., pp. 164-165
38
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 42
34
7
l’opera di domani, scrupolosamente e faticosamente annotati e seguiti, per ciascun
alunno, giorno dopo giorno”39. Si potrebbe sostenere, facendo alcune considerazioni
retrospettive, che la maestra ticinese metteva in campo una “riflessione nel corso
dell’azione” e una “riflessione a posteriori”, oggi considerate strumenti indispensabili
per la formazione del “professionista riflessivo”40. A questo si aggiunga il fatto che la
Boschetti Alberti dedicò attenzione anche alla sua formazione in servizio, perché
all’osservazione e alla documentazione del proprio agire faceva seguire una riflessione
teorica sulla scorta di autori e testi che aveva modo di leggere ed approfondire tra le
mura domestiche.
Fin dal primo giorno di scuola, ella volle sistemare le “piccole faccende scolastiche”,
applicando i consigli di Anna Fedeli: i primi dieci minuti di ogni lezione vennero
dedicati al cosiddetto “ordine” dei propri posti e del proprio materiale scolastico, cui
seguiva la “conversazione” fra la maestra e gli alunni, che le confidavano i loro desideri
e problemi. Il programma della sua giornata era scandito da due esigenze: ordine e
libertà, dove “[…] la libertà […] è rispetto ai diritti dell’individuo, e l’ordine […] è
rispetto ai diritti della comunità”41. Inoltre, venne messo a disposizione degli allievi un
“rustico materiale molto incompleto e frammentario” da lei stessa costruito su modello
di quello montessoriano. Si trattava di “[…] cartoni e figure geometriche varie da
‘incastrare’ al loro posto, e lettere dell’alfabeto, e cifre in carta smerigliata da cui i
bambini avrebbero imparato la forma, passandovi su il dito […]”42. Un’altra novità fu
l’utilizzo di un quaderno “di classe”, su cui i bambini potevano scrivere un “pensiero
personale, vero e, possibilmente bello”43. Le aspettative della maestra riguardo a
quest’ultima iniziativa furono inizialmente smentite, perché si avvicinò al quaderno per
prima un’allieva che scrisse una frase volgare e grossolana rivolta ad un suo compagno,
seguita poi a ruota da altri bambini. L’insegnante ticinese si sentì scoraggiata dal
proseguire sulla “strada della libertà”, ma ben presto, riflettendo a posteriori su
quell’episodio, si rese conto che mancava ancora qualcosa all’applicazione del metodo
Montessori. Infatti, affinché questo potesse essere efficace, occorreva, innanzitutto, che
la maestra e i suoi allievi fossero ‘ordinati’ e liberi. Fino a che i ragazzi (e anche la
maestra) non si fossero abituati all’ordine, essi non avrebbero saputo utilizzare la loro
libertà nel miglior modo possibile; a questo scopo contribuì l’esercizio del silenzio in
aula e il parlare con voce afona44, descritti dalla Montessori ne Il segreto dell’infanzia.
39
A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 12
Per approfondimenti, si veda: D. A. Schön, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia
della pratica professionale [1983], tr. it., Dedalo, Bari 1993. Più recentemente, considerazioni simili sono
state espresse in: G. Sandrone Boscarino, Personalizzare l’educazione. Ritrosia e necessità di un
cambiamento, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008, p. 130.
41
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, op. cit., p. 33.
42
Ibidem
43
Ibidem
44
E’ interessante fare il confronto fra Maria Montessori e Maria Boschetti Alberti a proposito
dell’esercizio del silenzio: “Nessuno faceva il più impercettibile movimento. Di lì venne il desiderio di
risentire quel silenzio e perciò di produrlo. I bambini vi si prestavano tutti […] quella era […] la
manifestazione di una corrispondenza che veniva da un desiderio profondo. Concordemente i bambini si
mettevano immobili, controllando persino il respiro, e rimanevano così, con l’aspetto sereno e intento di
chi fa una meditazione. […] Nacque in questo modo il nostro esercizio del silenzio. Un giorno sorse in
me l’idea di approfittare del silenzio per fare delle prove sulla acutezza uditiva dei bambini: e così pensai
di chiamarli per nome con voce afona, ad una certa distanza. Chi si sentiva chiamare doveva venirmi
vicino procurando di camminare senza fare rumore” (M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 168).
40
8
A dire di Aldo Agazzi, fu grazie a queste considerazioni critiche che alla Boschetti
Alberti fu possibile liberare il principio della “libertà di attività che ordina l’individuo e
forma la persona […]”45 dalla “contraddittoria imposizione di un materiale
predeterminato, pervenendo alla personale scoperta dei “periodi sensitivi”46 di cui la
Montessori stessa doveva, anche su altrui ispirazione, arricchire la sua dottrina: innanzi
tutto nessun materiale specifico […] e, in secondo luogo, nessuna previsione possibile
di interessi e del loro decorso […]”47. La Boschetti Alberti aveva di fatto constatato che
il materiale strutturato non destava tanto l’interesse dei suoi ragazzi di Muzzano, quanto
la loro curiosità, che spariva nel giro di pochi giorni. Ne è a dimostrazione l’episodio di
una ragazzina che si “ordinò” facendo a meno del materiale strutturato, ma utilizzando
come oggetto della sua azione ordinatrice altri elementi di uso comune presenti
nell’aula. A partire da questa constatazione, Maria Boschetti Alberti affermò che
“quello che la Montessori dice, cioè che un bambino, ripetendo molte volte un esercizio,
si ‘ordina’, cioè ‘concentra la sua attenzione’, è un fatto vero. Io lo constatai quei primi
giorni su queste due ragazzine, e poi sempre in seguito […].”48 A tal proposito, va
ricordato che l’esercizio ripetuto è considerato da Maria Montessori come un “fatto di
concentrazione”, dove l’io si sottrae a tutti gli stimoli esterni. Tale concentrazione
dell’io è accompagnata da un movimento ritmico della mano, attorno ad un oggetto
esatto, graduato scientificamente; questi fatti si verificano ripetutamente e, ogni volta, i
bambini ne escono riposati, pieni di vita, “con l’aspetto di chi ha provato una grande
gioia”49. Inoltre, la studiosa italiana ha osservato che “[…] la ripetizione dell’esercizio
può condurre chiunque a un’educazione esteriore degli atti, così fine, che sarebbe
impossibile ottenerla con un insegnamento esterno”50
La messa in pratica di quanto suggerito dalla Montessori spinse Maria Boschetti Alberti
ad esprimere le seguenti considerazioni: “[…] La Montessori pare credere che ‘solo’ col
suo materiale l’attenzione possa concentrarsi. La bambina alla quale io accennai
concentrò invece la sua attenzione spolverando e scopando; ne vidi poi altri ‘ordinarsi’
nelle più strane maniere. Quell’attenzione, dapprima localizzata sopra un sol punto,
diventa poi generale, e il bambino s’interessa a tutto”51. Tali affermazioni sono state
interpretate da Aldo Agazzi come il punto di svolta, che ha consentito alla Boschetti
Alberti di cogliere, seppur gradualmente, “l’insufficienza maggiore della teoria di Maria
Montessori”, ovvero che il bambino non sarebbe semplicemente un germe, ma un
germe “umano” con una natura propria e specifica. Egli non cresce come una pianta, ma
seguendo i ritmi, i processi e le problematicità propri dell’essere umano, secondo una
concezione antropologica che contrasta la concezione naturalistica dello sviluppo
umano sottesa al metodo Montessori52. In questo senso, la maestra ticinese avrebbe
colto, a dire di Agazzi, “la più ardua delle prove da superare, intrinseche al
“Ebbene, presi una subita decisione: fare la cosa più importante per il momento, cioè insegnare ai
bambini a parlare a voce afona, a muoversi delicatamente e senza rumore. Quando finalmente avessi
ottenuto una atmosfera di calma e di serenità, allora avrei messo ordine nel susseguirsi dei lavori
scolastici” (M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 42).
45
A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 8
46
M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 51
47
A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., p. 8
48
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 41.
49
Cfr. M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, op. cit., parte I cap. XIX, pp. 157-159
50
Ivi, p. 169
51
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 41
52
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 266-271
9
montessorismo: la conciliazione del motivo della spontaneità con il determinismo
imposto dal materiale e dall’ispirazione «scientifica» da cui il metodo si è espresso, e
dal rigorismo con cui la scuola e l’educatrice montessoriane devono farne uso […]”53.
Dando un breve sguardo ad alcuni scritti di Maria Montessori, è possibile verificare la
presenza di vari elementi di “criticità”, rispetto a quanto sostenuto dalla Boschetti
Alberti nel suo rilievo alla Montessori, suffragato da Aldo Agazzi. Ne Il segreto
dell’infanzia, la Montessori parla di “embrione spirituale”, differenziandolo
dall’embrione in senso naturalistico: “il bambino che si incarna è un embrione spirituale
che deve vivere a spese dell’ambiente, ma come l’embrione fisico ha bisogno di un
ambiente speciale quale è il seno materno, così questo embrione spirituale ha bisogno di
essere protetto da un ambiente esterno animato, caldo d’amore, ricco di nutrimento:
dove tutto è fatto per accogliere e niente per ostacolare” 54.
Inoltre, anche la studiosa italiana ha rilevato che la concentrazione dell’attenzione
avviene già in bambini piccoli su oggetti di uso quotidiano, per un loro bisogno di
ordine nell’ambiente esterno. In particolare, viene ricordato come “un bambino di due
anni, terminato il lavoro quotidiano della scuola, si preoccupava di rimettere a posto
tutte le sedie, allineandole lungo la parete. Durante il lavoro egli sembrava riflettere. Un
giorno, mentre rimetteva a posto una sedia grande, si arrestò con aspetto indeciso e
tornò indietro per disporre la sedia in modo leggermente obliquo; cotesta infatti era la
sua vera posizione […]”55. In una qualsiasi giornata di lavoro in classe, è possibile
osservare come “i bambini entrano in contatto con la realtà; la loro occupazione ha un
particolare scopo, come spolverare un tavolo, togliere una macchia, andare all’armadio
a prendervi un pezzo del materiale ed usarlo correttamente, e così via”56. In questo
modo, gli esercizi di vita pratica consentono al bambino di imparare a concentrare
l’attenzione su qualcosa e, solo in un momento successivo, si rivelerebbe necessaria
l’introduzione di materiale strutturato per lo sviluppo sensoriale e culturale.
Sulla base di queste affermazioni montessoriane, si potrebbe ipotizzare che i rilievi
critici di Maria Boschetti Alberti fossero una forma di reazione al venir meno del suo
“innamoramento” iniziale per il “metodo italiano”, che le aveva indicato la strada del
superamento dell’autoritarismo dell’insegnante e dell’abolizione di un sistema di
castighi per tener buoni i fanciulli. Questa ammirazione aveva lasciato il passo alla
ricerca di una nuova pratica educativa, grazie alla quale la Boschetti Alberti ebbe
occasione di rivedere le proprie idee iniziali e di impegnarsi in un nuovo modo di fare
scuola, del tutto personale. In altre parole, ella avrebbe riconosciuto che
l’individualizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento, con l’ausilio di
materiale di sviluppo e di autocorrezione, nonché di un procedimento rigoroso e
scientifico, non era di per sé sufficiente per favorire la piena realizzazione della natura
di ciascun fanciullo. Occorreva qualcosa di più, ovvero un agire educativo improntato a
quel modus operandi definito “personalizzazione dei processi di insegnamentoapprendimento”, che sperimentò all’epoca con una classe di “contadinelli scalzi”57.
53
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 270
M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., parte I cap. VI, p. 47; si veda anche Id., La mente del
bambino, cit., cap. VII
55
M. Montessori, Il segreto dell’infanzia, al cap. 8 – L’ordine (pp. 67-80). L’episodio citato è narrato a p.
72
56
M. Montessori, La mente del bambino, Garzanti, Milano 1999, p. 268
57
L’espressione “contadinelli scalzi” è ripresa dall’articolo di G. Lombardo Radice, scritto in ricordo
della sua visita alla scuola di Muzzano, e intitolato Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni, in
«L’Educazione Nazionale», a. VI, dic. 1924, pp. 9-25. Questo stesso saggio fu inserito, con qualche
54
10
Nel corso di quel cammino volto all’innovazione, le difficoltà non mancarono, tanto che
già nel primo anno di applicazione del suo nuovo metodo la Boschetti Alberti dovette
constatare il fallimento della maggior parte dei suoi studenti agli esami finali. Tale
risultato non la spinse a desistere dai suoi propositi, poiché furono i bambini stessi a
convincerla a non tornare alla “vecchia maniera” di fare scuola. Per questo motivo, la
Boschetti Alberti apportò una sistemazione definitiva al suo metodo, trovando posto
anche per il controllo, come momento per saggiare a che punto si trovasse la
preparazione dei ragazzi in ordine ai programmi ufficiali. In questo modo, si discostò
del tutto da un’interpretazione “ortodossa” del metodo Montessori o, addirittura, “di
maniera”, come denunciato da Lombardo Radice a proposito del “montessorismo”58.
Significativo è questo stralcio riportato da Aldo Agazzi in Panorama della pedagogia
d’oggi: “La Signora Boschetti Alberti, la geniale discepola della Montessori: così, nel
libro La scuola attiva, la definiva Adolphe Ferrière, sulla falsariga d’un’interpretazione
banale contro la quale protestava infastidita essa medesima, definendo ‘scuola serena’ la
propria esperienza educativa.
Mi capita spesso di sentire espressioni come questa: il suo metodo Montessori; ma a
quel ‘metodo Montessori’ ella aveva apportato subito sostanziali revisioni (prescindere
dal materiale: piena e sociale attività dello scolaro in spirito di libertà autentica), tanto
che, tirando i conti, sono anni ed anni – diceva – che io non faccio più il metodo
Montessori per il solo motivo che, da anni parecchi, io faccio scuola serena”59. Questo
suo metodo personale era scaturito dallo stupore provato ogniqualvolta le capitava di
vedere quelli che lei definiva “miracoli”, ovvero cambiamenti intercorsi in bambini,
spesso vivaci o con difficoltà di apprendimento, che imparavano a polarizzare
l’attenzione su un oggetto qualsiasi che destava il loro interesse profondo, aiutandoli
così a darsi un “ordine interno”60. A questi risultati “Maria Boschetti Alberti […]
pervenne per riflessione e per soluzione di problemi suscitati al suo animo
dall’esperienza propria”61.
L’esperimento di Muzzano si concluse inaspettatamente nel 1924, perché la maestra fu
indotta a trasferirsi in altra sede, inizialmente individuata in Gravesano, per poi venire
assegnata, l’anno successivo, alla municipalità di Agno. Perché la Boschetti decise di
interrompere l’esperienza di Muzzano, nonostante i risultati e il sostegno da parte di
pedagogisti di livello internazionale, come Ferrière e Lombardo Radice? Lo fece
modifica, in: Id, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, Il Marzocco editore, Firenze
1931, pp. 223-246. In questa sua seconda versione è riportato anche in: Il dono di sé nell’educazione, La
Scuola, Brescia 1959, pp. 137-159.
58
G. Lombardo Radice, La nuova edizione del «Metodo della pedagogia scientifica» di Maria
Montessori, (estratto da «L’Educazione Nazionale», fasc. 7, Luglio 1926), Tipografia Editrice Laziale A. Marchesi, Roma 1926. In questo contributo, il pedagogista siciliano definì il “montessorismo” come
un “[…] dommatismo scientifico, che sopravvalutando l’indirizzo montessoriano, lo isola e gli toglie
valore. Anche se tale dommatismo sia rappresentato dalla stessa autrice del metodo.” (G. Lombardo
Radice, La nuova edizione del «Metodo della pedagogia scientifica» di Maria Montessori, cit., p. 2, n.
2.).
59
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 266-271. Le parole riportate dalla Boschetti
Alberti sono state scritte dalla stessa nel saggio Libertà educativa, pp. 74-75, contenuto in M. Boschetti
Alberti, La scuola serena di Agno, cit.
60
“La sensibilità all’ordine esiste contemporaneamente nel bambino sotto due aspetti: quello esteriore,
che riguarda i rapporti tra le parti dell’ambiente, e quello interno, che dà il senso delle parti del corpo che
agiscono nei movimenti e nelle loro posizioni: ciò che si potrebbe chiamare orientamento interno” (M.
Montessori, Il segreto dell’infanzia, cit., p. 76).
61
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104
11
volontariamente o fu in qualche modo indotta a compiere questo passo? Alcune delle
motivazioni che la spinsero a questa scelta sono da ritrovare nel “groviglio di
incomprensioni e risentimenti” che si era venuto a creare intorno alla maestra, e che si
aggravò “[…] nel 1923, quando l’innovatrice allargò la sua influenza nella scuola del
paese. In quell’anno, infatti, il maestro Carlo Gaggini aveva lasciato la direzione
dell’istituto, la quale era perciò passata, per anzianità di servizio e per accogliere la
richiesta dipartimentale, a Maria Boschetti Alberti. […] La scuola dovette assumere un
indirizzo giudicato troppo rivoluzionario o comunque non del tutto condiviso dalle
autorità comunali e dalle famiglie, le quali vollero far valere il loro punto di vista” 62.
Nel 1924, la delegazione scolastica, su richiesta di alcuni genitori, fece un’indagine per
verificare l’adempimento delle funzioni di insegnamento, da parte della Boschetti
Alberti e della sua collega Donada. Il 12 maggio dello stesso anno, l’autorità comunale
convocò la maestra per comunicarle quanto redatto nel rapporto finale: in esso si
sosteneva che “[…] le scuole del paese fossero ‘tenute in modo molto irregolare per
quanto riguarda[va] l’orario, [il] cambiamento dei giorni di vacanza, [l’] assenza dei
docenti e [la] relativa mancanza degli allievi’; in secondo luogo denunciava alcuni casi
in cui l’innovatrice sarebbe venuta meno ai suoi doveri nei confronti degli alunni,
dimenticando di correggerne i quaderni o non accertandosi della loro presenza in classe.
In generale la delegazione scolastica sostenne di aver riscontrato ‘un rilevante
disorientamento dei ragazzi’ e un ‘accentuato regresso della scuola’ […]”63. Secondo
Luca Saltini, tale inchiesta presenta anomalie, perché, innanzitutto, è andata ad
interessare un’insegnante con un’esperienza pluridecennale e presente in quella
municipalità dal 1910. Inoltre, la maggior parte delle informazioni sono state raccolte
esclusivamente all’esterno, interpellando tutte le famiglie di Muzzano. Quest’ultimo
tipo di operazione ha contribuito, a dire di Saltini, a fomentare nei genitori dei ragazzi
un certo sospetto nei confronti dell’opera educativa di Maria Boschetti Alberti. A questo
va aggiunto il litigio della stessa Maria con la signorina Ruggia, membro della
delegazione della municipalità, a cui negò, per un malinteso, la possibilità di venire a
farle visita durante il suo lavoro d’aula. La Ruggia accusava la maestra “di non
rispettare la legge e di nascondersi dietro la scusa di applicare il metodo Montessori per
potersi prendere ogni libertà. Dopo quella visita indesiderata, la maestra scrisse una
lettera al sindaco Masina, in cui affermò di averne ‘fino alla gola’ di questi
atteggiamenti offensivi e delle accuse mosse senza chiarire neppure esattamente cosa le
fosse contestato. Vista comunque la situazione, Maria Boschetti Alberti si riservava di
comunicargli in seguito le proprie ‘decisioni’, sottintendendo la sua idea di lasciare
Muzzano” 64.
A conclusione di tale vicenda, Saltini afferma che “in quella diatriba Maria Boschetti
Alberti era stata lasciata sola da chi avrebbe potuto intervenire e non volle farlo. Cattori
si era interessato per un suo trasferimento alla Normale, ma non aveva voluto
impicciarsi nelle faccende della Municipalità. Francesco Chiesa non si mosse e
Giuseppe Lombardo-Radice glielo rinfacciò accusandolo di avere ‘ucciso’, insieme ad
altri, ‘uno dei più interessanti esperimenti pedagogici’ dell’epoca” 65.
62
Cfr. L. Saltini, Maria Boschetti Alberti e il mondo culturale ticinese, cit., pp. 67-68
Ibidem
64
Ivi, pp. 70-71
65
Ivi, p. 71. Cfr. La lettera di G. Lombardo-Radice a F. Chiesa del 4 dicembre 1924, in S. Caratti,
Giuseppe Lombardo-Radice e il Canton Ticino, in I. Picco, Militanti dell’ideale. Giuseppe LombardoRadice e Giuseppe Prezzolini. Lettere 1908-1938, Locarno 1992.
63
12
La scuola di Muzzano nelle lodi di Giuseppe Lombardo Radice.
Giuseppe Lombardo Radice giunse, per la prima volta, in Canton Ticino nel dicembre
1923, su invito di Francesco Chiesa, poeta e direttore della Scuola ticinese di cultura
italiana; nel corso del suo soggiorno, tenne quattro conferenze agli educatori ticinesi, dal
titolo I principi fondamentali della nuova scuola. Secondo Luca Saltini, “dietro l’invito
di Chiesa c’era sicuramente l’interesse degli ambienti magistrali ticinesi per una più
approfondita conoscenza della riforma italiana”66, che fu varata proprio in quell’anno e
che vide l’impegno del pedagogista siciliano nella redazione dei programmi per la
nuova scuola elementare. Per Lombardo Radice, il “Ticino [andava considerato] fra i
precorritori della riforma scolastica italiana del 1923”, sia per la sua “schietta italianità”
sia per “i rapporti intimi della didattica ticinese con la pedagogia italiana”67. A
quell’epoca, del resto, si stavano sempre più diffondendo i canoni dell’idealismo
pedagogico, che contribuì, insieme alla promozione del pensiero di Dewey per opera del
Ferriére, al definitivo superamento dell’impostazione positivistica ed herbartiana, già
entrata in crisi negli anni a cavallo fra i due secoli.
Fu durante quel ciclo di conferenze che Lombardo Radice ebbe l’opportunità di visitare
alcune scuole ticinesi, fra cui quella di Muzzano, presso la quale conobbe l’operato di
Maria Boschetti Alberti. Egli scrisse, in una lettera indirizzata a Teresa Bontempi, che la
scuola della Boschetti era “una delle più grandi cose incontrate […] in scuole
italiane”68; questa ammirazione lo spinse a seguirne l’andamento nel corso del tempo,
rimanendo in contatto epistolare con la maestra. Muzzano, agli occhi del visitatore, non
sembrava avere nulla della scuola eccezionale: era “[…] una casuccia rustica, di
modestissimo aspetto; gli scolari, contadinelli scalzi, che non vi sanno parlare che delle
loro case, e anche di quelle poco, perché sono timidi; un’aula silenziosa, dove ogni
bambino attende a ciò che lo interessa con serietà di lavoratore”69. Al termine della sua
visita, Lombardo Radice iniziò a considerare Muzzano non più solamente il nome di un
paese, ma addirittura “una bandiera della riforma della scuola italiana”: questo giudizio
era suffragato dal fatto che egli vedeva in quella scuola la realizzazione di alcune sue
prospettive teoriche, in primis quelle presentate in Lezioni di didattica e ricordi di
esperienza magistrale (1913).
Innanzitutto, le scuole ticinesi erano cresciute, a suo dire, grazie alla spinta proveniente
dal basso, cioè per l’impegno dei maestri. Essi erano “persone spesso semplici, nella
maggior parte dei casi obbligate a lottare quotidianamente con l’indigenza e
l’inadeguatezza degli strumenti didattici messi a disposizione, erano, ciononostante,
riuscite a promuovere un’opera di grande rilievo educativo, facendo unicamente leva
delle ricchezze delle proprie energie interiori, non diversamente da quanto auspicato
66
L. Saltini, La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 258
G. Lombardo Radice, Il problema dell’educazione infantile, SIT, Firenze, 1928, p. 222 Va notato che
un buon numero di pagg. di Athena fanciulla è dedicato alle scuole ticinesi (cfr. L. Saltini, La diffusione
dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit.).
68
Cfr. La lettera di Lombardo-Radice a Teresa Bontempi del 23 novembre 1924, in Archivio Prezzolini,
Fondo Boschetti Alberti, cartella Lombardo-Radice, citata da L. Saltini in La diffusione dell’attivismo
pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 258, n. 65
69
G. Lombardo Radice, Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni nella scuola di Muzzano, in M.
Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 155
67
13
dalla pedagogia idealista con la nota accezione del ‘maestro-artista”70. Quest’ultima
espressione si riferisce ad una figura di insegnante che, lontano da ogni pedanteria, non
si limita a “snocciolare nozioni”, ma è in grado di svelare ai fanciulli le loro aspirazioni
profonde, “[…] innalzandoli con sapienza e avvedutezza, nel magico regno della
coscienza matura. […] Il maestro poeta [è colui] che legge e commenta le grandi
canzoni dei poeti, sottolineando, acuendo la sensibilità degli ascoltatori, svelando il
significato che a prima vista è nascosto […]”71. In secondo luogo, la scuola di Muzzano
poteva essere considerata come la maggiore espressione della “vita del bambino”, frutto
dell’incontro di due spontaneità, quella della maestra e quella dei fanciulli.
A questi primi commenti, Lombardo Radice aggiunse le lodi per l’insegnamento
promosso da Maria Boschetti Alberti, che valorizzava il dialetto, la tradizione, la poesia
popolare e i proverbi, quali fonti di espressione della spontaneità dei suoi alunni, come
dimostrato da episodi narrati sia ne Il diario di Muzzano sia ne La scuola serena di
Agno. “Ricordo la prima parola che ella scrisse, cioè, non una parola, una frase
addirittura, appena conosciute le lettere: ‘lamiamammalafaifaci’. La lodai molto per
questa sua prima espressione: ed ella scrisse subito la seconda: ‘miasombèla’”72. A
giustificazione di questa valorizzazione dell’uso del dialetto, la maestra scrisse che “la
scuola riproduce la vita del bambino, il suo ambiente, cioè scuola, casa e paese, in un
sol tutto. E’ la vita che palpita nei lavori dei bambini”73. Tale principio fu poi posto alla
base dell’Accademia del mattino, un’iniziativa peculiare della scuola serena di Agno, in
cui gli alunni preadolescenti recitavano ai loro compagni poesie o filastrocche dialettali.
Un altro elemento che colpì l’attenzione del pedagogista siciliano fu la pratica del
dialogo scritto, sotto forma di una conversazione silenziosa che rispettasse la schiettezza
del bambino e che coinvolgesse, di volta in volta, l’alunno e la maestra o l’alunno e un
suo compagno. Il clima della classe, durante queste attività, ricordava l’atmosfera di “un
alveare che lavora con operosità”, dove il bambino veniva lasciato esprimersi
liberamente, senza che la maestra ne correggesse gli errori e ne traducesse le espressioni
dal dialetto all’italiano, come dimostrato dalle alcune sue riflessioni contenute ne Il
diario di Muzzano. “Il sig. … si diede subito a vedere pedagogista della vecchia scuola.
Mi disse: ‘Ma io provo col mio bambino: il metodo naturale è che, se egli fa un errore,
io lo correggo!’. Ma che crede questo signore? che da noi, invece di correggerli, si
coltivino gli errori come fiori preziosi? E’ vero, usiamo dei riguardi!! Per esempio, coi
bambini che cominciano appena ad esprimere i loro pensieri, o coi timidi, cerchiamo
anche, se occorre, di indovinare: li lodiamo, sebbene scorretti, per incitarli a dire ciò che
pensano. Se li avvilissimo, se correggessimo tutti i loro errori in una volta, non
avrebbero più lo slancio di continuare. Correggiamo un errore solo: tanti errori corretti
confondono i bambini; la correzione di uno solo, resta impressa. E l’errore lo facciamo
sentire e correggere sì, ma da loro! Tanto è vero che questo è un giusto metodo, che i
bambini diventano esatti e scrivono grammaticalmente corretto”74. Inoltre, sempre
sull’uso del dialetto, la Boschetti ribadì che “i bambini, se sanno il termine italiano lo
mettono, altrimenti lo domandano a me. Ma c’è anche qualcuno che, non conoscendo il
corrispondente termine italiano d’una parola, intanto, provvisoriamente lo scrive in
70
Ivi, p. 259
G. Lombardo Radice, Vera e falsa libertà dell’educazione (1927), in Id., Educazione e diseducazione,
Bemporad Marzocco, Firenze 1968, p. 103
72
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 73
73
Ivi, p. 78
74
Ivi, p. 116
71
14
dialetto. A me questo non fa precisamente ‘niente’, perché quello a cui tendo nel
secondo anno è che i bambini, scrivano corretto, e che sappiano ben copiare dal loro
pensiero. Pretendere che conoscano il toscano bimbetti ticinesi del secondo anno è
semplicemente ridicolo! Le difficoltà vanno superate una per volta: se nel terzo anno
parecchi sapranno scrivere corretto e naturale, si potrà insegnar loro l’uso di vocaboli
puri (e allora molto opportuno sarebbe un vocabolario italiano-dialetto)”75.
Queste affermazioni della maestra si giustificano sulla base del principio che ogni
scrittura spontanea va considerata al pari di un’opera creativa, che rivela a tutti, nella
sua efficacia descrittiva, cosa passa per la mente del bambino e cosa sta catturando il
suo interesse. La mancata correzione iniziale degli errori grammaticali, come raccontato
nell’episodio sopraccitato, non è, a dire di Lombardo Radice, un sintomo di lassismo,
ma rientra in un processo di sviluppo dell’autoregolazione, che intende incoraggiare il
bambino nelle sue difficoltà, non ostacolandolo nei suoi primi passi, tanto che, via via
che egli cresce, le osservazioni della maestra aumentano, per promuovere la sua piena
maturità di espressione.
Del resto, la scuola di Muzzano può essere eretta ad emblema della “scuola senza
componimenti”, grazie alla presenza di una maestra, “[…] che ha rara semplicità e tanta
perizia nello scoprire l’anima dei suoi scolari”76, perché “lascia parlare i bambini”, “fa
credito ai bambini”, favorendo così la loro prima educazione morale e sociale77.
L’autoeducazione morale consiste, perciò, nell’intonare la propria anima ad un’anima
da ammirare, poiché la moralità va ricondotta all’agire del fanciullo in quanto fanciullo.
Alla finalità dell’autoeducazione morale si collega, per Lombardo Radice, anche la
valorizzazione di tutti quei piccoli eventi della vita quotidiana del bambino, affinché
egli possa essere educato a lavorare con l’amore e il gusto artistico per il proprio lavoro,
evitando di formarlo secondo il modello del “contadino mezzo istruito”. Questo non
significa, però, vagheggiare una moderna arcadia, ma promuovere la dignità del
lavoratore, grazie ad una chiara esperienza del proprio mondo, resa possibile anche nella
scuola. Purtroppo, sottolinea il pedagogista siciliano, “la scuola sdegna le cose umili e
disamora dalle cose umili”78, mostrando così di essere una “istituzione immorale”,
perché si scosta dall’esperienza quotidiana del bambino, costringendolo a parlare parole
non sue. All’epoca, era ancora invalsa la “cattiva” abitudine di continuare a trattare,
nelle scuole rurali, le cose dell’esperienza con tono cattedratico, quasi che la scuola
fosse “ancora un po’ togata”. In questo modo, era la scuola stessa a stimolare i suoi
alunni più intelligenti a uscire dal loro mestiere, non consentendo loro di portare il
proprio ingegno nell’opera consueta, per raggiungere l’eccellenza. Maria Boschetti
Alberti, invece, aveva dimostrato a Muzzano di aver ottenuto l’elevazione della dignità
dei suoi allievi facendoli diventare ciò che erano, poiché era stata in grado di “educare
l’uomo secondo natura” (Rousseau), ove per natura si intende la physis, l’essenza
profonda e misteriosa di ciascuna persona. Al raggiungimento di tale finalità educativa
ha contribuito la conoscenza del mondo dell’alunno, che per Lombardo Radice è una
condizione essenziale dell’insegnamento, anzi, un compito morale, poiché il maestro è
chiamato a studiare il paese in cui insegna “come educatore, che sa di imparare a
conoscere i suoi alunni”. Ne consegue che, per colpire la pratica invalsa dello
75
M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., pp. 116-117
M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 155
77
Si veda, a tal proposito, la metafora del bambino paragonato a Gesù, che parla meglio dei farisei ma
viene accusato di essere un bestemmiatore.
78
M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 158
76
15
scolasticismo, occorre proporre “lezioni minime”, da intendersi come “lezioni in cui il
maestro deve prendere in considerazione la cultura multiforme degli alunni, […] che
non rientra nei quadri del sapere scolastico, perché fatta di consuetudini domestiche, di
usanze, di tradizioni, di verità e di pregiudizi della “scienza popolare”, di discorsi sentiti
dalla gente che li circonda e di spettacoli veduti con occhi attenti ed avidi d’esperienza
altrui e proprie”79. L’insegnante non deve essere uno “svolgitore di programmi” ma un
educatore; inoltre, il principale presupposto della lezione è “[…] ciò che sa l’alunno, e
non già ciò che ha studiato e fedelmente ripetuto altra volta, ma ciò che egli ha capito,
di ciò che è entrato a far parte della sua viva, intima, piena, attuale esperienza. Chi
insegna non ha innanzi a sé alunni convenzionali tutti eguali per ipotesi, a cui esporrà
alcune date verità, immaginandone altre già conquistate. Ha dinanzi nientemeno che la
vita, nella sua meravigliosa ricchezza di anime, mai identiche, ciascuna delle quali ha un
suo problema, diverso da tutti i problemi delle altre, nel mentre pur tutte tendono le
proprie forze a unificarsi e pulsare concordi”80.
Molte delle suggestioni teoretiche e pratiche ricavate dalla sua visita a Muzzano, sono
state inserite da Lombardo Radice in un capitolo di Athena Fanciulla81, dove viene
descritto l’esperimento improntato dalla maestra ticinese, che incarna la figura del
maestro concepita dall’idealismo pedagogico. Ella viene definita “[…] una
singolarissima educatrice. Non consiglio di imitarla, se non nello spirito, perché la sua
esperienza didattica è affatto personale, e diventerebbe forse, ricalcata da altri,
artifizio”82. Del resto, “quella del maestro non è una professione, ma qualcosa di molto
diverso e maggiore. Non è un mestiere, si dice, ma una missione […] il maestro è lo
stesso spirito, che si pone nel suo assoluto valore spirituale: lo spirito, che si pone
perché la sua natura è di porsi, affermarsi, diffondersi realizzarsi. E se lo spirito nel suo
realizzarsi è lo stesso processo di autocreazione dell’essere, l’opera del maestro è questa
autocreazione […]”83.
Alle considerazioni espresse da Lombardo Radice in Athena fanciulla, fanno
riferimento alcuni rilievi critici elaborati da Giorgio Gabrielli, secondo cui lo studioso
siciliano si fermò solamente al problema dell’espressione linguistica spontanea e “[…]
avvertì appena quel problema che per la Boschetti Alberti era invece fondamentale, la
libertà di modo e di tempo cui il fanciullo ha diritto a goderne nella scuola, e in
conseguenza l’eliminazione della lezione in senso classico, dell’insegnamento collettivo
e di tutta la struttura didattica della scuola comune. Egli colse i risultati espressivi, ma
non ricercò le condizioni che li avevano resi possibili”84. In altre parole, “la
preoccupazione dominante del Maestro non era quella dei mezzi molto semplici e
naturali (libertà e spontaneità disciplinare e didattica) che soli avevano consentito alla
79
“Come il maestro non spiega un paragrafo d’aritmetica se non sa quale sia il sapere attuale dell’alunno,
così non si sente sicuro di sé, come educatore, se non conosce il mondo extrascolastico, al quale debbono
riferirsi tutte le altre sue lezioni, anche minime, relative alla vita dello scolaro”, Cfr. G. Lombardo Radice,
Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, III ediz., Remo Sandron editore, Milano-PalermoNapoli 1924, p. 99
80
Ivi, p. 97
81
G. Lombardo Radice, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, Il Marzocco editore,
Firenze 1931, pp. 223-246.
82
G. Lombardo Radice, Contadinelli ticinesi dai sei ai dieci anni nella scuola di Muzzano, in M.
Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., p. 138
83
G. Gentile, Sommario di pedagogia come scienza filosofica, vol. 1, Pedagogia generale, Le Lettere,
Firenze 2003, p. 176
84
G. Gabrielli, Il pensiero e l’opera di Maria Boschetti Alberti, La Nuova Italia, Firenze 1954, p. 89
16
Boschetti Alberti di arrivare a questi risultati, bensì il problema della espressione
linguistica e grafica in se stesso, e per questo attribuiva a furbizia quello che invece era
un determinato procedimento fondato sulla libertà di vita degli scolari. […] Il miracolo
era stato compreso senza dubbio dal nostro Maestro, ma forse non in tutto il suo
mistero; egli era rimasto impressionato specialmente degli scritti spontanei, che
toglievano di mezzo il cosiddetto componimento scolastico; il resto gli era sfuggito”85.
Tale “miracolo” consiste, secondo Gabrielli, nella “[…] individualizzazione
dell’insegnamento nel piano della libertà dello scolaro”86, che in questo saggio è stata
definita con l’espressione “personalizzazione dei processi di insegnamentoapprendimento”, per distinguerla dall’esperienza montessoriana.
La scuola serena come personalizzazione dei processi di insegnamento-apprendimento.
Dopo aver lasciato Muzzano, Maria Boschetti Alberti insegnò solo per un anno a
Gravesano, perché già nel 1925 “[…] si trasferì ad Agno, in classi terza, quarta, quinta,
poi in una scuola maggiore di ragazzi e ragazze dagli 11 ai 15 anni, di classe VI e
successive”87, che per certi versi può essere considerata l’antesignana della scuola
complementare di Gentile. “Nel sistema scolastico ticinese dell’epoca […]” spiega Luca
Saltini “[…] dopo 5 anni di elementari, si poteva passare al ginnasio, che dava accesso
agli studi superiori, o alla scuola maggiore, la quale si concludeva invece dopo 3 anni ed
aveva un indirizzo più pratico”88. Questo ordinamento era stato stabilito con la legge del
21 settembre 1922, perciò, all’epoca del suo arrivo ad Agno, la Boschetti Alberti non
aveva tutti i requisiti per insegnare in una scuola maggiore, per la quale non bastava più
la licenza magistrale. Grazie all’intervento di Giuseppe Cattori, allora direttore del
Dipartimento della Pubblica Educazione, le fu possibile assolvere quell’incarico senza
dover sostenere esami aggiuntivi. In questo modo, la Boschetti ebbe modo di
sperimentare, in maniera sui generis, quanto prospettato in Italia per la scuola
complementare, come corso finalizzato in maniera precipua all’istruzione del popolo.
Quest’ultima era “[...] prerogativa propria del maestro, considerato il naturale mediatore
tra cultura alta e cultura popolare”89. Il maestro, al contrario del professore di ginnasioliceo, intratteneva “[...] un legame profondo e vitale con il mondo del lavoro [...]”,
fondamentale era la “[...] sua peculiare capacità di comprendere i bisogni e le
aspirazioni più autentiche delle classi umili”90.
Ad Agno ella diede vita, per la prima volta, alla “scuola serena”, come scuola per
“ragazzi vivi, ragazzi veri, non ridotti a cose”, al contrario di quanto accadeva nelle
scuole comuni (=tradizionali), dove i bambini, dopo aver varcato la soglia,
“indossavano una sorta di maschera”, quasi fossero divenuti senza vita e senza anima.
L’espressione “scuola serena”91 venne mutuata da Giuseppe Lombardo Radice, che
85
G. Gabrielli, Il pensiero e l’opera di Maria Boschetti Alberti, cit., p. 80
Ivi, p. 81
87
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., p. 104
88
L. Saltini, La diffusione dell’attivismo pedagogico nel Canton Ticino, cit., p. 257
89
R. Sani, «Scuola Italiana Moderna» e il problema dell’educazione popolare negli anni del secondo
dopoguerra. 1945-1962, in M. Cattaneo, L. Pazzaglia (a cura di), Maestri, educazione popolare e società
in Scuola italiana moderna, 1893-1993, cit., p. 276
90
Ibidem
91
Così scrisse A. Ferriére ne L’aube de l’Ecole sereine in Italie, I. Cremieux, rue de Cluny (Sorbonne),
Paris 1927. E. Mazzoni La scuola attiva in Italia, in appendice ad A. Ferriére, La scuola attiva, tr. it., V
86
17
l’aveva teorizzata “[…] al tempo delle Lezioni di didattica, sempre più contrassegnata
dal ruolo attivo e critico dell’insegnante, che, come J. H. Pestalozzi, doveva farsi
sempre educatore ‘di anime’ e di ‘cittadini”92. La “scuola serena” è un “modello
particolare di scuola nuova o attiva in cui al centro si trovano l’attività del bambino e il
ritmo stesso del suo svolgimento spirituale, ma si trova anche il maestro come
sollecitatore dell’impegno del bambino a sviluppare la sua vita spirituale e a creare le
condizioni di lavoro tranquillo, intenso, gratificante. Gratificante proprio perché
rispecchia i bisogni profondi del bambino, oltre che le forme del suo apprendere, che
sono bisogni estetici e sociali”93. “Da qui l’importanza data alla lingua e al disegno
libero, quali mezzi d’espressione della personalità del bimbo che si va formando; e
giacché, seguendo il Croce, egli vede nell’autoespressione l’essenza dell’estetica, per il
Lombardo-Radice infantile coincide sostanzialmente con l’educazione estetica”94: così
si espresse in merito Sergej Hessen95.
Roberto Mazzetti96, invece, non concorda con questa visione, criticando il “mito” della
scuola serena, come scuola del fanciullo poeta e dell’educazione come estetica, ispirata
al pedagogista siciliano da Benedetto Croce e da Giovanni Gentile. Questo “mito” è
lontano, a suo dire, dall’interpretazione datane da Maria Boschetti Alberti, sulla scorta
degli orientamenti di psicologia del profondo e di cura dell’igiene psichica che aveva
tratto dalla Montessori. Del resto, occorre ricordare che già ai tempi della prima visita a
Muzzano, “il Lombardo Radice immise nei suoi programmi molti elementi assimilati
dalle scuole di avanguardia. E tra esse, fra le prime, egli si ispirò alla scuola della
Boschetti Alberti”97: in un certo qual modo, il pedagogista siciliano aveva trovato
conferma alle sue teorizzazioni nella pratica della maestra ticinese. Ella utilizzò
l’espressione “scuola serena” per mettere in luce la differenza fra il suo modo di fare
scuola nell’ambito della scuola comune, rispetto a quello delle scuole nuove (es. la
Montesca di Città di Castello, la Rinnovata di Milano, il giardino di Portomaggiore).
“La scuola serena è una creazione del grande cuore del Lombardo Radice; io, da parte
mia, il principio della scuola serena lo penso così: Ci siamo amati, li amiamo questi figli
nostri. E perché fossero pronti alla vita, li volgemmo verso il bene. E perché non sia sul
loro bene aridità e freddezza, ma calore e gioia, cercammo di circondarli fin da bambini
di arte, di musica, di poesia, del bello insomma. Da questo nostro desiderio di infondere
nell’anima dei figli nostri il bene e il bello è venuta la scuola serena”98.
ediz., Marzocco, Firenze 1950, p. 280. Sempre di A. Ferrière si veda Il segreto di Maria Boschetti Alberti,
in M. Boschetti Alberti, Il dono di sé nell’educazione, cit., pp. 177-184, già apparso con il medesimo
titolo in «Pedagogia e Vita», n. 1, novembre 1953, pp. 25-31. Quest’ultimo contributo di A. Ferrière è la
traduzione italiana della sua premessa all’edizione francese de L’école sereine di Maria Boschetti Alberti,
nell’edizione Delachaux et Niestlé, 1952.
92
Cfr. la voce Lombardo-Radice Giuseppe, a cura di Franco Cambi, in Dizionario Biografico degli
Italiani, vol. 65, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2005, p. 542
93
Ivi, p. 541
94
“Lombardo Radice concede alla pedagogia un suo proprio campo di ricerca. Egli la definisce
l’autocoscienza dell’attività educativa, critica dell’esperienza pedagogica proprio nel senso in cui
Benedetto Croce considera l’estetica come critica dell’esperienza linguistico-letteraria ed artistica” (S.
Hessen, La scuola serena di Lombardo-Radice, la scuola del lavoro di Kerschensteiner, Avio, Roma
1954, p. 9).
95
Ivi, p. 16
96
R. Mazzetti, Maria Boschetti Alberti fra la Montessori e la Parkhurst, Decroly e Lombardo-Radice,
Armando editore, Roma 1962
97
A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, Il diario di Muzzano, cit., p. 16
98
A. Agazzi, Panorama della pedagogia d’oggi, cit., pp. 103-104
18
La principale finalità educativa perseguita dall’insegnante ticinese stava nel “rendere
serena la scuola comune a questi figli di contadini e di operai, poveri ragazzi in
generale, che sanno già le privazioni e le durezze della vita; svegliare l’interesse del
ragazzo per lo studio, addestrandolo a cogliere l’applicazione viva di ogni nozione che
viene man mano imparando (anche della più arida), e facendogli così sentire che tutto
ciò che la scuola insegna è importante per la vita; far passare alcune ore del giorno in un
ambiente di calma a questi poveri ragazzi che vivono fra persone affaticate e stanche in
un ambiente nervoso; far conoscere il bello, inebriare del bello questi poveri tipi che
hanno tanto di lurido e di squallido intorno a loro; far respirare in un ambiente di
educazione e di finezza queste povere anime che già conoscono parecchie, troppe
brutture della vita e che di educazione e di finezza non hanno alcuna idea. Questo,
Direttore, è lo scopo al quale tende la scuola serena”. Così scrisse Maria Boschetti
Alberti in una relazione99 indirizzata ad Adolphe Ferrière nel 1927, quando il
pedagogista era direttore del B.I.E. di Ginevra. Ella era in rapporti con questo studioso
perché era andato a visitare la sua scuola di Agno, esprimendo entusiasmo ed
ammirazione per la sua opera, perciò decise di preparare una relazione, in cui descrisse
le caratteristiche peculiari del suo nuovo metodo e i momenti salienti di una tipica
giornata della scuola serena, citando episodi ben precisi100. La reazione di Ferriére è
sintetizzabile in queste sue considerazioni: “L’école d’Agno réalise l’École active de
mes rêves avec une harmonie et une poesie indicible”101; poiché “non vi è vera attività
senza la serenità dell’animo, né una feconda serenità senza l’attività creatrice. Attività e
serenità, Scuola attiva e Scuola serena: ecco due aspetti d’una stessa realtà, due parole
per esprimere la stessa concezione della fanciullezza, dell’educazione, della civiltà e del
progresso dello spirito”. Del resto, l’intento di Maria Boschetti Alberti era quello di
“salvare” quanto di rinnovatore la “scuola nuova” e l’“educazione nuova” erano venute
a portare, per fare un dono di rigenerazione a tutte le scuole ordinarie, introducendo i
“benefici” della libertà, dell’autoeducazione e del rispetto dell’individuo. In questo
modo, la scuola serena sarebbe stata in grado di “[…] generare, secondo la concretezza
di vita e di individualità degli alunni – individui e comunità – e secondo l’intelligenza e
l’impegno del maestro, i motivi e le forme proprie e particolari del processo didattico ed
educativo”102, come ricordato da Aldo Agazzi.
Tutto ciò si tradusse nell’organizzazione tipica di una giornata nella scuola di Agno, che
si articolava in vari momenti sintetizzati in questo schema:
Mattino:
- accademia del mattino (preghiera, ora del bello e ora del bene);
- controllo dello studio;
99
Tale relazione apparve dapprima, sottoforma di saggio, nella rivista ticinese di cultura italiana
«L’Adula» di Bellinzona, 1926/27, diretta dalla Bontempi, poi uscì come opuscolo, intitolato L’école
sereine d’Agno, Société Générale d’Imprimerie, 1928. Il brano qui riportato è stato preso dalle pp. 29-30
dell’edizione italiana del 1959 pubblicata dall’Editrice La Scuola di Brescia e curata da Aldo Agazzi. Per
approfondimenti, si veda anche A. Ferriére, La pratique de l’Ecole active, Forum, Ginevra 1924; Id.,
L’aube de l’ Ecole sereine in Italie, op. cit.; E. Mazzoni, La scuola attiva in Italia, in appendice ad A.
Ferriére, La scuola attiva, cit., pp. 279-311.
100
M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, op. cit.., p. 69.
101
V. Chizzolini, La scuola serena di Agno, in «Supplemento Pedagogico di Scuola Italiana Moderna»,
dic. 1948, pp. 68-74
102
A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 13.
19
- lettura della maestra;
- lavoro libero.
Pomeriggio:
- conferenza di uno scolaro su un tema scelto;
- lavoro libero
Fra tutte le iniziative promosse, spiccava quella dell’Accademia del mattino, come
spazio quotidiano in cui ciascun ragazzo aveva la possibilità di esprimersi di fronte a
tutta la classe, recitando una filastrocca o una poesia, cantando una canzoncina,
mostrando un proprio disegno, ecc. In questo modo, era stato possibile coniugare la
“libertà di modo” e la “libertà di espressione” con l’educazione morale e l’educazione
estetica degli allievi, messi a contatto direttamente con il bonum, il verum e il pulchrum.
Tutto ciò che si trovava di bello nella vita andava colto e riportato nella scuola, perché
l’Accademia del mattino si presentava come un “piccolo palcoscenico” su cui ciascuno
poteva recitare le meraviglie del mondo e dell’animo umano. La maestra ticinese era
convinta che la ricerca della bellezza fosse patrimonio di tutti, anche dei suoi poveri
alunni, che doveva saper guidare a percepire il senso del bello, a vivere il bene e a
conoscere il vero. Per questo motivo, essi iniziarono a prendersi cura dell’ambiente
scolastico, abbellendo la loro aula e cercando di rendere più piacevole la loro vita in un
luogo non dotato di grandi risorse.
Ciò che differenzia l’Accademia del mattino da quanto proposto dalla Montessori, è il
fatto che nella prima i protagonisti sono i bambini, che decidono autonomamente e in
base ai loro interessi quali sono gli argomenti da trattare in quello spazio quotidiano.
Secondo la Montessori, invece, spetta alla maestra definire a priori il programma e
predisporre il materiale: “ecco ciò che l’insegnante deve fare a questo punto: valersi di
poesie, rime, canzoni, racconti”103.
Gli stessi criteri pedagogici e didattici, su cui si basava l’iniziativa dell’Accademia del
mattino, informavano anche gli altri momenti della giornata scolastica ad Agno. Per
questo motivo, ogni scolaro aveva a disposizione un “programma riassuntivo” per
ciascuna disciplina, da cui poteva scegliere i temi di studio da approfondire, perché più
vicini ai suoi interessi104. In questo modo, egli si abituava a passare, gradualmente, dal
“lavoro imposto” al “lavoro libero105”. La maestra teneva un apposito “registro dei
gruppi”, in cui scriveva, per ogni disciplina, gli argomenti scelti e studiati da ciascun
alunno. I fanciulli, da parte loro, allo scopo di agevolare il controllo da parte
dell’insegnante, annotavano il tipo di attività svolta all’interno di un “diario scolastico”,
costituito da uno schedario a fogli mobili, simile al “quaderno di vita” presentato da
Adolphe Ferrière in La pratique de l’École active.
Grazie alle modalità didattiche sopra citate, il fanciullo interessato allo studio
sormontava la difficoltà di apprendere anche nozioni complesse, perché raggiungeva la
meta per via di scoperte individuali e non attraverso percorsi precostruiti dall’insegnante
e valevoli per tutti. In questo senso, veniva messa in luce la scarsa efficacia educativa di
103
M. Montessori, La mente del bambino, cit., p. 277
Cfr. G. Sandrone Boscarino, Personalizzare l’educazione. Ritrosia e necessità di un cambiamento, cit.,
p. 129.
105
Ivi, p. 135. L’autrice intravede nel “lavoro libero” proposto dalla Boschetti un’espressione concreta ed
efficace dell’intuizione deweyana del collegamento tra interesse e disciplina.
104
20
quella che verrà successivamente definita come “programmazione curricolare”, poiché
la Boschetti Alberti era convinta che per rispettare la libertà del fanciullo occorresse
rispettare le leggi di natura, e tale scopo sarebbe stato raggiunto solamente con la libertà
nella scuola, da intendersi come libertà di modo (di metodo) e come libertà di tempo
(liberté du moment) dello stesso allievo106. Infatti, solo in un ambiente di libertà
sarebbero state possibili la maturazione di una “disciplina perfetta dell’animo” e la
formazione di un “carattere mirabile”, così come l’acquisizione delle più disparate
cognizioni scolastiche, perché “la libertà è ordine e dove non vi è ordine non vi è
libertà107”.
La libertà di modo, ha osservato Mauro Laeng108, consente ad ogni alunno di svolgere il
proprio lavoro secondo le modalità da lui preferite: da solo o in coppia o in piccolo
gruppo, nel banco o fuori di esso, scrivendo sul quaderno o alla lavagna o sul
pavimento, chiedendo aiuto alla maestra o facendo tutto da sé, libero di aiutare i
compagni in difficoltà che si rivolgono a lui, utilizzando materiali a disposizione in aula
o portando da casa altri libri o ausili, ecc. Il tutto va terminato nel tempo ritenuto
necessario dall’alunno stesso (libertà di tempo), che sceglie se concentrarsi a lungo su
un unico argomento o se affrontarne altri. Ne consegue che la libertà di modo si
giustifica sul fatto che ognuno impara le stesse cose degli altri, ma a modo proprio,
seguendo vie (metodi) personali; a questo va connessa la pratica della libertà di tempo,
una sorta di “orologio personale” che scandisce le occupazioni di ciascuno in base
all’evoluzione dei propri interessi. Del resto, come attestato dalle stesse parole della
Boschetti, l’interesse non è un “ordigno che possa farsi scattare a piacimento”, ma ha
una sua età, una sua fisionomia e un proprio decorso, in modo tale che finché dura
l’interesse dovrebbe poter durare il lavoro. Per questo motivo, il bambino non va
obbligato a seguire, nel proprio apprendimento, un ordine precostituito di discipline, ma
dovrebbe avere a disposizione tutto il tempo a lui necessario per acquisire ed
approfondire una determinata cognizione (es. trascorrere un’intera settimana ad
esercitarsi sulle divisioni a due cifre). Questo differente modus operandi non ha
prodotto, nella pratica didattica della Boschetti, alcuna frammentazione dei saperi,
poiché al centro vi è il fanciullo, che si appropria di tali conoscenze ed abilità facendole
divenire sua vita, dato che la maestra ha avuto l’accortezza di utilizzarle come mezzi per
promuovere le sue competenze personali. Ella stessa scriveva, a tal proposito, che
“qualunque nozione, per quanto arida, diventerà viva quando l’applicherà alla sua vita e
qualunque più difficile problema diventerà vivo se lui stesso l’avrà composto
cercandone i dati nella sua vita”109.
In relazione a ciò, si può sostenere che Maria Boschetti Alberti abbia fatto proprio il
principio di differenziazione dei processi di insegnamento-apprendimento, come
dimostrato dalle espressioni qui di seguito riportate. “Se mi dite, maestri carissimi, che
ognuno dei vostri allievi deve imparare le medesime cognizioni, sono con voi; ma se mi
dite che ognuno deve imparare al medesimo modo, vi rispondo che questo è assurdo, è
contro natura, è inumano. Ciascuno dei vostri alunni ha un diverso grado di intelligenza;
sono enormi le differenze fra l’uno e l’altro tipo. Ogni tipo arriva ad imparare le
medesime cognizioni, è vero: ma ogni tipo vi arriva in modo diverso. E perché? Perché
106
I concetti di “libertà di modo” e di “libertà di tempo” sono spiegati nel saggio Libertà educativa,
inserito in M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., pp. 73-98.
107
Cfr. ibidem.
108
G. Reale, D. Antiseri, M. Laeng, Filosofia e pedagogia dalle origini ad oggi, cit., pp. 767-768
109
M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 36.
21
c’è una legge di natura mirabile, che dà, ad ogni grado d’intelligenza, un suo particolare
modo di sviluppo […]”110Del resto, ella testimoniava di non aver ancora visto, in dodici
anni di insegnamento, due soli ragazzi che arrivassero alla medesima cognizione
seguendo la stessa via. Queste constatazioni la confermavano nella convinzione che
l’omogeneizzazione della pratica didattica era solamente un artificio creato per forzare
il più “debole” a seguire il più “forte” e forzare quest’ultimo ad attendere il più
“debole”, facendo sì che il maestro nella scuola tradizionale non potesse essere “né
giusto né indulgente”111. Nella scuola serena, invece, il compito dell’insegnante
consisteva, a suo dire, solamente nel segnalare agli alunni i principali concetti da
apprendere, lasciandoli imparare da soli, perché solo così non avrebbero dimenticato ciò
che avevano già acquisito112. Infatti, il disciplinarismo e il contenutismo fini a se stessi
provocano noia per lo studio, facendo spegnere nell’animo del ragazzo ogni interesse
per l’apprendimento scolastico. Per la maestra ticinese era fondamentale, innanzitutto,
impossessarsi dei principi (“il pane per crescere”) e poi delle “perle”, secondo il detto di
Giuseppe Lombardo Radice: “Nel più c’è il meno: il più è lo spirito, il meno sono le
parti del programma”113. Siccome riteneva che ogni fanciullo avesse bisogno di
apprendere concetti chiari e semplici di una disciplina alla volta, ella effettuava il
controllo di una materia al giorno, secondo una rotazione ben precisa, perché quello che
le importava era conoscere come e fino a che punto gli alunni avessero lavorato attorno
ad una determinata disciplina. Nel lavoro svolto sui quaderni le era possibile rintracciare
il percorso personale seguito dal ragazzo, nonché i suoi nuovi interessi, a dimostrazione
che l’alunno abituato alla libertà e a trarre profitto da tutte le circostanze si interessa
anche di altre questioni che vanno oltre il “programma riassuntivo”.
In questo senso, vale l’ammonimento che “se si va contro le leggi di natura, essa si
vendicherà, come d’altronde si può già vedere ora, nel profitto reale che gli alunni di
oggi traggono da molte scuole: disordine, disinteresse, confusione, noia”. La negazione,
ai propri alunni, della libertà di maniera e della libertà di tempo, aggrava ancora di più il
gap fra scuola e vita, così come fra scuola e lavoro.
Sulla scorta di tali riflessioni, è possibile sostenere che Maria Boschetti Alberti abbia
realizzato, ante litteram, quella che nei Documenti accompagnatori della riforma
Moratti è stata definita “personalizzazione” dei processi di insegnamento ed
apprendimento. “Personalizzare significa aprire, accrescere, liberare, moltiplicare le
capacità e le competenze personali di ciascuno; dare a ciascuno il proprio che è unico e
irripetibile; valorizzare le identità personali, non svilirle, ma considerarle la condizione
per un dialogo fecondo con le altre identità che possono, così, perfezionarsi a vicenda.
Personalizzare significa diffidare della tentazione di dare a tutti, per principio, le stesse
cose, magari per lo stesso tempo e allo stesso modo. Non è personalizzare nemmeno
dare a tutti le stesse cose in tempi e modi diversi. Non lo è perché, in questo caso, si
continua a presupporre una concezione ‘oggettualistica’ e ‘digestiva’ della formazione
[…]”114 come hanno fatto teorie quali il Mastery learning.
110
M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 80.
Cfr. ivi, p. 33.
112
In queste considerazioni della Boschetti Alberti è possibile ritrovare alcuni riferimenti a Rousseau, in
particolare al concetto di educazione negativa.
113
M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 38
114
Cfr. la voce Personalizzazione, in Raccomandazioni per la comprensione e l’attuazione dei Documenti
nazionali della Riforma (Profilo educativo, culturale e professionale e Indicazioni Nazionali per i Piani
di Studio Personalizzati), p. 19.
111
22
La “fioritura di anime” dei piccoli “Lazzari” nella “scuola serena”.
Un ulteriore elemento di analisi dell’agire educativo di Maria Boschetti Alberti riguarda
la sua concezione antropologica, riassumibile nella metafora115, secondo cui il fanciullo
è “un fragile bocciolo di rosa”, che va lasciato sbocciare con calma e nella pace. Il
compito del maestro, identificato come il “giardiniere solerte”, è limitato, perché tutto il
resto è mistero di natura: solo lasciando al bambino la libertà di maniera (“il sole che fa
sbocciare il boccio”), è possibile garantirgli l’unico mezzo per rispettare la sua
individualità e non cadere nell’omologazione precoce. Il rispetto dell’individualità di
ciascuno comporta anche l’attenzione necessaria a non far soffocare l’interesse al lavoro
nell’animo del fanciullo, così ricco di meraviglie e di leggi adatte al suo sviluppo,
ricevute direttamente da Dio. Infatti, secondo la maestra ticinese, i fanciulli non sono
proprietà di nessuno, ma sono figli dell’aspirazione della vita a se stessa; per questo,
non è possibile dare riparo alla loro anima, né renderli uguali agli adulti, perché essi
abiteranno “la casa di domani”.
Quella che accadeva ai suoi studenti nel passaggio dalla scuola comune alla scuola
serena era una vera e propria “fioritura di anime”, da lei descritta con un riferimento
evangelico: “i ragazzi che mi vengono dalla scuola comune sono Lazzari avvolti nei
funebri panni; il mio compito è quello di trovare la parola dell’amore, di cercare il tono
vibrante d’amore che li svegli a vita nuova, imponendo loro con dolce autorità:
«Lazzaro, vieni fuori»”116.
In questo senso, le fu possibile cogliere, nell’osservazione della pratica educativa
quotidiana, il significato profondo della maieutica socratica, espresso con
l’accostamento tacito del maestro di scuola serena al Maestro Gesù. In altre parole,
l’invito imperioso “Lazzaro, vieni fuori” avrebbe consentito alle potenzialità
apparentemente morte dell’alunno di fiorire in tutta la loro bellezza.
E’ in questo tipo di processo educativo che assume significato concreto l’espressione
latina educere (il “tirar fuori” della già citata maieutica socratica), che per Maria
Boschetti segnava la differenza fra la sua “scuola serena” e le scuole nuove. Infatti,
mentre in queste ultime “valorose anime di educatori cercano […] tutto ciò che è
interessante nella vita e lo portano e lo additano in scuola e lo presentano ai ragazzi”117,
secondo un movimento che dall’esterno va verso l’interno (educare), “nella scuola
serena invece è diverso: non è un flusso dall’esterno all’interno, ma è precisamente il
contrario, dall’interno all’esterno”118, partendo dai bisogni del bambino e dai suoi
interessi per le cose e le attività in cui è coinvolto.
115
“No, non è in tuo potere far schiudere il bocciolo. Scuotilo pure, forzalo; tu non riuscirai ad aprirlo. Le
tue mani lo distruggono, tu ne laceri i petali e li butti nella polvere. Ma nessun colore, nessun profumo
appare. Oh, non è stato dato a te di poter far fiorire un boccio. Colui che fa sbocciare il fiore, invece,
opera tanto semplicemente! Egli vi posa uno sguardo, e la linfa della vita pervade le sue ali e si culla
all’alitar della brezza. Come un bisogno del cuore, il suo colore si svolge, e il suo profumo rivela dolce un
segreto. Colui che fa sbocciare il fiore opera tanto naturalmente!” (M. Boschetti Alberti, Libertà
educativa, in Id., La scuola serena di Agno, cit., pp. 83-84).
116
M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. 38
117
Ivi, p. 39
118
Ibidem. Per la sistemazione pedagogica del problema educere/educare, cfr.: G. Bertagna, Avvio alla
riflessione pedagogica, La Scuola, Brescia 2000, pp. 111-120
23
Roberto Mazzetti119, a tal proposito, considera falso il mito dell’ingenuità e della
genialità improvvisatrice di Maria Boschetti Alberti, quasi fosse stata una degli
esponenti di spicco dello spontaneismo pedagogico e romantico, contro cui si era
scagliato John Dewey. Infatti, benché ella fosse nemica dello scolasticismo e del
metodismo, prestava attenzione alla preparazione di un ambiente scolastico materiale ed
educativo, alla condivisione con gli scolari del programma annuale da svolgere, al
ripetuto esercizio della “normalizzazione” dei ragazzi, al controllo dello svolgimento
delle discipline che coesisteva con il lavoro libero concordato con gli alunni, alla lettura
come arte eseguita dalla maestra. In questo modo, le fu possibile garantire un’azione
educativa che rispettasse l’individualità di ciascuno, opponendosi al “feticismo” dei
metodi tipico della scuola tradizionale, senza però cadere in una contemplazione del
“fanciullino” fine a se stessa.
Sempre Mazzetti ricorda che “[…] la Boschetti Alberti prende posizione in difesa della
individualità, dell’interesse e dello slancio personale di ricerca, a favore dei maestri e
degli scolari, nel rifiuto radicale di ogni artificio e di ogni limitazione, sul presupposto
fondamentale che il fanciullo deve essere circondato d’arte e deve respirare l’arte che è
nella natura e nella vita; nel presupposto fondamentale, romantico e mistico, che non
bisogna mai mettere dei limiti tra la vita, la natura e il ragazzo. Nessun limite mai” 120.
Robert Dottrens ha espresso, invece, una serie di riserve nei confronti dell’estendibilità
del metodo di Maria Boschetti Alberti ad altre realtà scolastiche, sulla scorta del fatto
che esso è strettamente legato alla particolare personalità educativa della maestra
ticinese. Egli mostra perplessità riguardo la possibilità che la scuola serena della
maestra ticinese rappresentasse l’attuazione della scuola attiva pensata da Giuseppe
Lombardo Radice121. In altre parole, per Dottrens, la scuola serena è “una forma
interessante di scuola attiva che a noi sembra dipendere strettamente, per riuscire, dalle
qualità personali e dal prestigio dell’educatore. Essa è rilevabile ad ogni modo, per
l’alto valore educativo che la ispira”122, ma sarebbe rimasta un tentativo personale
isolato, perché l’efficacia di una pratica educativa dipende dalla sua estendibilità
all’insieme del corpo insegnante. Alla scomparsa di Maria Boschetti Alberti, secondo
lui, tutto, più o meno, sarebbe sparito, e avrebbero potuto imitarla solamente quegli
educatori dotati di una personalità paragonabile alla sua.
Aldo Agazzi ha recepito tale rilievo critico in senso negativo e ha colto l’occasione per
ribadire che è nell’eccezionalità della personalità di Maria, che risiede la forza della
scuola serena. Quest’ultima caratteristica è, a suo dire, ciò che di più valido sia passato
nella scuola italiana dopo il 1923, cioè dopo i nuovi programmi per la scuola elementare
redatti sotto la guida di Giuseppe Lombardo Radice. Inoltre, sempre secondo Agazzi, la
denuncia del Dottrens a proposito della non trasferibilità dell’esperienza della scuola
serena nasconde, dietro di sé, due pericoli: da un lato, si potrebbe pensare di poter
prescindere, nel maestro, da doti personali in quanto tali. Dall’altro lato, se un esponente
della scuola attiva, come Dottrens, è pervenuto a una conclusione del genere, vi è il
119
R. Mazzetti, Maria Boschetti Alberti fra la Montessori e la Parkhurst, Decroly e Lombardo-Radice,
cit., Roma 1962
120
Ivi, p. 121
121
Si rimanda a: G. Lombardo Radice, Athena Fanciulla. Scienza e poesia della scuola serena, cit., pp.
223-246
122
R. Dottrens, Le progrès à l’école, Delacheaux et Niestlé, Neuchatel 1936, p. 60, citato in A. Agazzi,
Prefazione a M. Boschetti Alberti, La scuola serena di Agno, cit., p. X
24
rischio di cristallizzare e di ridurre a mera formula l’attivismo stesso, devitalizzando i
suoi metodi e cadendo nel puro tecnicismo didattico123.
A sostegno di questa sua tesi, Agazzi ricorda che la scuola di Muzzano “rivisse, infatti,
ad Agno e rivive, ogni giorno, là dove un maestro con-vive con ogni suo scolaro e con
la sua scolaresca-comunità, nello spirito della «scuola serena», in cui le attività e la
didattica sbocciano dai richiami di vita degli scolari”124. Tale potrebbe essere, in sintesi,
l’eredità pedagogica125 lasciataci da Maria Boschetti Alberti e il senso ultimo della sua
esperienza di scuola serena come scuola per la persona.
123
A. Agazzi, Prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., pp. 5-21. Le considerazioni di Agazzi vanno lette
alla luce del periodo in cui sono state scritte, cioè gli anni ’50, quando ormai l’attivismo era in declino,
come da lui stesso sottolineato.
124
A. Agazzi, prefazione a M. Boschetti Alberti, cit., p. XVII
125
Qui di seguito la bibliografia essenziale dei testi di Maria Boschetti Alberti: Il diario di Muzzano
(scritto nel 1920 ma pubblicato nel 1939); Il metodo di Muzzano (1924); La disciplina nella libertà
(1927); La scuola serena di Agno (1927); Libertà educativa (1932); Ricordi della scuola di Agno (1938);
Il dono di sé nell’educazione (1959, pubblicata come raccolta postuma). Molti suoi articoli furono
pubblicati su riviste come «L’Adula», «L’Educazione Nazionale», «Scuola Italiana Moderna».
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saggio Boschetti 28.03.09 - Università degli Studi di Bergamo